The once and future King

di Thisastro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Clarissa, sei stata coraggiosa. Io... il tuo sacrificio non sarà vano, te lo giuro. Tieni duro, hai salvato tutti noi”
Clarissa si sveglia di soprassalto e respira copiosamente. La sveglia suona ormai da almeno cinque minuti e il rumore assordante che emana, rimbomba per tutta la stanza sena sosta.
Con le poche forze disponibili si trascina fuori dal letto e si dirige verso il bagno per sciacquarsi abbondantemente il viso nel vano e disperato tentativo di svegliarsi. Si asciuga con un asciugamano viola appeso al termosifone dietro di lei voltandosi un attimo per guardarsi nello specchio gigante appeso proprio sopra al lavabo; prova ad immaginarsi come nei suoi sogni, con un pomposo vestito medievale e i capelli sempre in ordine, volteggiando per le grandi sale di qualche strano castello.
Il pensiero la snerva e si dirige verso la cucina per premiarsi con un caffè, unico modo per cominciare la giornata. Mentre è seduta sulla sedia con il gomito poggiato sul tavolo a novanta gradi per reggersi la testa con la mano, pensa al perché di tutti quei sogni.
Clarissa sognava ogni notte di essere in qualche castello, probabilmente una ricca principessa di qualche terra sconosciuta e di avere poteri magici. Nei suoi sogni, un ragazzo con gli occhi azzurri e i capelli corti e neri con un largo sorriso, compare sempre al suo fianco nel bene e nel male; non mancava neanche la classica figura di un ipotetico principe azzurro, che compare di sfuggita ogni tanto, come un angelo custode pronto ad entrare in scena nel momento del bisogno.
Clarissa pensa di essere pazza.
Tutte le ragazze sognano di essere una principessa, ma si sognano in un castello fatto di nuvolette di zucchero col principe sul cavallo bianco e i vestiti di seta pregiata, una vita fiabesca e superficiale.
Clarissa, invece, era sì una principessa; ma vedeva la guerra. Vedeva castelli meravigliosi ma di certo tutt’altro che fiabeschi. I castelli che comparivano nei suoi sogni erano castelli reali, che lasciavano poco alla fantasia e al ‘vissero per sempre felici e contenti’; castelli grandi con passaggi segreti e mura di mattone scuro. Non c’erano cavalli bianchi o ‘nobili destrieri’ ma solo cavalli stanchi, cavalli da guerra che tornavano dalle battaglie con qualche ferita o zampa malconcia. Il principe azzurro delle favole è un principe che non si scompone mai, tutto d’un pezzo. Il principe che sognava lei era un condottiero, un uomo di guerra, onore e sacrificio. Un uomo che tornava sporco di fango e ferito gravemente dalle battaglie ma che dall’alto della sua finestra si lasciava andare a discorsi motivazionali e di speranza per il suo popolo.
I suoi pensiero vengono interrotti dal rumore stridulo della macchinetta del caffè che vuole avvisarla di spegnere il fuoco e di prepararsi ad un’intensa giornata.
 
Clarissa decide di indossare degli shorts ed una canotta nera, legando i capelli con una coda alta e allacciandosi ai piedi le sue scarpe bianche senza dimenticare un paio d’occhiali da vista che l’accompagnavano in tutte le sue giornate di studio senza sosta.
 
Era un gesto ormai abitudinario, la routine non regalava poi chissà quali brividi, ma le cose migliori non accadono forse così? La vita non ha preavviso, ti stravolge e ti scombina i piani senza avvisare. Piomba nel tuo mondo un qualcosa che stravolge tutto, a volte in bene e a volte in male.
 
Facendo qualche doveroso passo indietro, Clarissa è una ragazza non troppo alta con occhi e capelli castani. Studia alla North Somerset University in una città non troppo distante da Londra, sul mare.
Di origini inglesi, aveva una gran voglia di imparare e scoprire sempre più cose e, nonostante studiasse lingue, aveva una forte propensione e passione verso la storia medievale.
Pensava che il motivo di tutti quei sogni potesse essere proprio questo suo attaccamento morboso alla storia antica, ma si trovava a sapere cose che non ricordava di leggere nei libri.
Durante alcuni momenti della giornata in cui le accadevano questi episodi, si rinchiudeva in sé stessa e pensava di avere qualche rotella fuori posto, pensava che questa sua passione la stesse logorando a tal punto da farle immaginare cose che non sono mai esistite.
L’unico suo punto di sfogo era lo psicologo dell’Università che vedeva sporadicamente qualche mattina, per cercare di capire il motivo dei suoi sogni e chi erano quelle persone che vedeva poiché le sembravano troppo familiari per essere un semplice frutto della sua fantasia.
- Quindi, continui a fare questi sogni...
Clarissa guardò fuori oltre la finestra dello studio dello psicologo e annuì.
Lui tirò fuori dalla borsa una boccetta e gliela porse, Clarissa la prese.
- Sono gocce di valeriana, aiutano a rilassare i nervi e farti dormire profondamente, ti serviranno.
Clarissa guardò attentamente la boccetta.
- Anche Gaius diceva così, ma Morgana continuava ad avere quegli strani incubi…
Il dottore si incupì.
- Gaius? Morgana? Clarissa, chi sono queste persone...
Clarissa fissò il vuoto e scosse la testa lentamente.
- Io... io non lo so... è meglio che vada.
Poggiò la valeriana sul tavolo e, ringraziando, si chiuse la porta alle spalle tirando un forte sospiro una volta fuori dall’ufficio.
 
Si diresse verso il suo armadietto e, quando lo aprì per prendere dei libri, un foglietto di carta cadde per terra. Lo raccolse.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


“Chiesetta, 9.00 a.m.”

Le ragazze dell’università erano solite ricevere questi messaggi anonimi con luoghi e orari d’incontro da qualche ‘ammiratore segreto’, ma per Clarissa tutto ciò era stupido.

Chiuse l’armadietto dirigendosi verso la chiesetta del campus universitario, oltre il prato.

Tenne tra le mani il biglietto e passò più volte il dito sulla scritta.

Una scrittura elegante, molto raffinata e tondeggiante; ma i suoi pensieri sull’improbabile Romeo furono interrotti dall’arrivo alla chiesetta.

I corridoi si erano svuotati, tutti erano andati in classe.

Pensò che avrebbe dedicato massimo una mezz’ora a questa scemenza, in modo da avere un’altra mezz’ora libera per rivedere gli appunti e filare a lezione alle 10.00 a.m. in punto.

Aprì il pesante portone della chiesetta che si chiuse alle spalle, e cominciò a camminare lentamente lungo la navata centrale.

- Ho aspettato a lungo questo momento.

Sentì una voce che, per quanto lieve, rimbombò per tutta la chiesa, facendola sobbalzare.

- Chi sei?

Disse cercando di essere convincente nonostante quella voce maschile l’aveva turbata. Non sembrava un suo coetaneo.

- Se hai pessime intenzioni, sappi che non te la caverai facilmente. La sicurezza di questa università è proprio una delle cose che mi fa dormire tranquilla la notte.

Si sentì una lieve risata ed un signore anziano comparve di fronte a lei, in piedi sull’altare.

Capelli bianchi ma senza barba, segnato dall’età ma con un viso che trasmetteva sicurezza e calore.

- Dopo che vi ho cresciuta avete ancora dubbi sulla mia persona, vostra altezza?

Clarissa rimase sbigottita poiché quell’uomo era una delle figure che compariva spesso nei suoi sogni.

- Io... io sto sognando, non può essere. Lei non è reale, tutto questo non lo è.

Partirono una serie di immagini nella sua testa; persone, voci, attimi fuggenti, rumore di zoccoli ferrati sull’asfalto e nitriti di cavalli, rumore di spade che si scontrano, risate, lacrime, urla.

Tutto d’impatto, finché non sopraggiunsero altre voci.

- Clarissa…

prese di nuovo coscienza e vide un’altra figura a lei familiare.

Occhi azzurri, capelli neri e corti, orecchie leggermente sporgenti.

- Merlino...

Pronunciò questo nome in maniera spontanea, sorprendendosi lei stessa.

- Come faccio a sapere il tuo nome, e tu il mio.

Altre persone fecero capolino nella chiesa, entrando dalle porte secondarie poste sulle navate laterali. Si ritrovarono tutti al centro della navata principale, con Gaius che gli osservava dall’altro.

Tutti si guardavano confusi e, ognuno di loro, pronunciava i nomi di tutti i presenti, senza mai averli visti o incontrati prima, tranne Merlino.

Merlino sapeva tutta la verità ed era pronto a rendere le cose più semplici per Gaius, il quale non ce l’avrebbe fatta da solo.

- Vostre altezze Artù e Clarissa, fedeli cavalieri di Camelot: Galvano, Percival, Elyan, Lion. Vostra altezza Ginevra.

Riassume Gaius, elencando i nomi di tutti i presenti.

- Se oggi siete qui, non è un caso. Siete qui perché il mondo ha bisogno di nuovo di voi; la leggenda parla chiaro: Artù, con chi di dovere, sarebbe tornato, quando il mondo avrebbe avuto bisogno di lui.

Tutti erano molto confusi e pensarono fosse tutto uno stupido scherzo.

- Io ho lezione, me ne vado. Non posso perdere tempo con queste sciocchezze.

Tuonò Clarissa, prendendo il suo zaino da terra e dirigendosi verso l’uscita.

Tutti gli altri furono d’accordo e fecero per andarsene, ognuno da dove era entrato.

- ASPETTA, CLARISSA!

Urlò il ragazzo dagli occhi azzurri. Tutti si fermarono e si voltarono, tranne lei. Lei si fermò senza avere il coraggio di guardare indietro.

- Clarissa, come puoi pensare che sia una pagliacciata. Hai dimenticato quando sei arrivata a Camelot sul tuo cavallo ed io ti ho salvato? Ti ho portato da Gaius e Morgana aveva distrutto il tuo regno. Noi ti abbiamo accolto come una famiglia.

Merlino si voltò verso Galvano e Percival.

- Galvano, Percival... come potete aver dimenticato quando siete stati nominati cavalieri di Camelot, avete dato la vita per il nostro regno

Guardò Lion.

- Lion, anche tu. Sei cresciuto insieme ad Artù, non potete dimenticarlo.

I due si guardarono e sorrisero inconsciamente.

- Mi ricordo quando da bambini facevamo a turno per usarci come bersaglio

Disse Lion e Artù sorrise ricordando anche lui quel momento, e tanti altri.

- Artù, Ginevra... voi siete Re e Regina di Camelot... non potete dimenticarlo. Con tutto...

- Con tutto il mio cuore

Artù e Ginevra pronunciarono insieme quella frase e i loro occhi si riempirono di ricordi, sfociati in una lacrima impercettibile scesa dagli occhi del Re ed un fiume in piena da parte della Regina. Si corsero incontro e si abbracciarono forte, increduli di essersi ritrovati.

Elyan, Percival, Galvano e Lion si diedero una stretta amichevole nel ricordare anche loro i bei momenti passati insieme.

Clarissa rimase immobile senza dire niente, con una mano sulla bocca e gli occhi pieni di lacrime.

Si girò di scatto catturando l’attenzione di tutti.

- Dov’è Mordred?

Ci fu il silenzio.

Gaius abbassò la testa e scese dall’altare raggiungendo gli altri.

- Pare che Mordred non sia tornato... e forse è meglio così, non credi?

In un attimo Clarissa rivisse tutto quello che era successo e scoppiò in un pianto disperato, ricordando il perché Gaius avesse pronunciato quella frase.

Merlino l’accolse prontamente tra le sue braccia nel vano tentativo di darle conforto senza cercare di calmarla. Era bene che sfogasse tutto ciò che aveva nel cuore; ne aveva tutto il motivo.

Passarono la mattinata seduti per terra, rievocando momenti di ogni genere e rimanendo sbalorditi nel pensare che il loro destino avesse deciso di concedere una seconda opportunità a tutti loro.

Si domandarono perché fossero tornati, chi avrebbero dovuto fronteggiare e come avrebbero fatto.

Se qualcuno sapesse il loro segreto e cosa avrebbero dovuto fare nel caso venisse a galla.

Artù e Ginevra passarono tutto il tempo parlando l’uno tra le braccia dell’altra, e Merlino aveva con sé la sua Freya, spaventato dal motivo del suo ritorno e pregando di non doverla perdere ancora.

Clarissa era immobile seduta sul freddo pavimento di quella piccola chiesa, ricordando il suo meraviglioso regno di Tendryon distrutto dall’ira di Morgana. Ricordò che nella disperazione più totale, sola al mondo, si rifugiò a Camelot accolta e amata da tutti. Ricorda Mordred e di come lo ha amato dal primo momento in cui l’ha guardato dritto negli occhi, e di come si spezzò il suo cuore nel vederlo amare un’altra, Kara. Ricorda di come, alla fine dei giochi e dopo averli separati e distrutti, Morgana confessò di aver stregato Mordred per farlo innamorare di quella ragazza. Infine, ricordò che l’unico modo per distruggere Morgana, fosse uccidersi. Sentì una fitta allo stomaco rimembrando come, dopo aver detto addio a Mordred, si trafisse con la spada di Artù, Excalibur, per porre fine a tutto ciò che stava accadendo.

Venne risvegliata dal suo excursus mentale da Merlino, che le poggiò una mano sulla spalla.

- Tutto bene? Sembri turbata...

Clarissa sorrise e si asciugò qualche lacrima.

- Tutto bene. Per lo meno, per quello che mi ricordo, il mio sacrificio non è stato vano.

Calò il silenzio e tutti le sorrisero.

- Avete salvato tutti noi, principessa. Le saremo per sempre debitori.

Galvano mostrò la sua devozione nei confronti di Clarissa, cosciente del fatto che davvero, avesse salvato la vita di molte persone quel giorno.

- Ti prego Galvano, non sopporterei di sentirmi dare del ‘voi’ anche in questa vita ahahah

tutti risero e lei si asciugò l’ultima lacrima schiarendosi la voce e tornando dritta sulla schiena.

- Signori, non so perché siamo qui e pare che neanche Gaius lo sappia. Tutto ciò che ci è dato sapere è che ci sarà sicuramente una ragione di fondo a tutto questo. È un onore per me, vedervi di nuovo.

Guardò Gaius.

- Qualsiasi cosa hai in serbo per noi, combatterò anche in questa vita.

- Per amore di Camelot.

Tuonò Artù.

- Per amore di Camelot!

Risposero tutti, tendendo la mano verso il centro del cerchio che avevano formato sedendosi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Uscirono dalla chiesetta dopo essersi dati appuntamento nella cucina comune della palazzina B, dove abitava Clarissa.

- Quella cucina non la condivido con nessuno, non hanno ancora trovato degli studenti... secondo me se andate a parlare con loro, potrebbero persino farvi spostare. Sarebbe meraviglioso!

Merlino colse al volo l’entusiasmo di Clarissa rasserenandosi il cuore nel vederla nuovamente così felice.

- Ho passato anni di psicanalisi...

Gli disse incamminandosi con lui verso gli armadietti.

- Vi sognavo di continuo ma non riuscivo a ricordare granché... o per lo meno non riuscivo a ricordarmi abbastanza da poter pensare ‘okay, forse ho vissuto un’altra vita prima di questa’ ...così sono finita in analisi, mi hanno dato della pazza e della fuori di testa per tutta la vita pensando a come diamine potesse il mio cervello avere tutta questa fantasia. Era troppo persino per gli psicologi o gli interpreti dei sogni.

Merlino sorrise stringendo saldamente la mano di Freya che camminava al suo fianco.

- Dev’essere stato terribile... ma ora ci siamo noi. Non temere Clarissa, adesso che ci siamo trovati tutti quanti, non ci lasceremo più... abbiamo giurato. Per amore di Camelot.

Lei sorrise.

- Per amore di Camelot...

Guardò di sfuggita le mani strette di Merlino e Freya e le scappò un altro sorriso.

- Sono felice che vi siate ritrovati, Merlino parlava sempre di te! È un onore conoscerti dal vivo. Spero che questa volta rimarrai con noi per parecchio tempo, Freya.

Freya sorrise e si strinse di più a Merlino, augurandosi lo stesso destino.

Artù, Freya e Merlino decisero di prendere le stanze libere sul pianerottolo di Clarissa in modo da stare tutti insieme, gli altri erano sparsi per la cittadina.

La sera, tutti riuniti nella grande cucina, Gaius racconta loro del suo nuovo lavoro, di come è passato da medico di corte a Camelot, a lavorare per il Governo. Il suo mestiere adesso concerne l’amministrazione base del Paese e di tenere d’occhio chi entra ed esce dallo stesso. Dice che ha scelto questa strada in modo da controllare gli archivi ogni giorno ed essere sicuro che Morgana non sia tornata o non tornerà.

- Purtroppo posso controllare solo le persone che vanno e vengono qui in Inghilterra. Morgana potrebbe anche essere tornata ma non essere qui, questo non posso saperlo. In ogni caso, se dovesse varcare il confine, non mi sfuggirà. Merlino, mi passi la bottiglia dell’acqua per piacere? Ho la gola secca.

Gaius fece questa richiesta e Merlino, per tutta risposta, utilizzò la magia.

Tutti lo guardarono stranito e scoppiò a ridere, poi si rivolse verso Clarissa.

- E i tuoi poteri?

Lei si guardò attorno spaesata.

- Io penso di non averli più... non si sono mai manifestati... è un peccato se li ho persi, ma non posso farci granché, credo...

Gaius lasciò andare la conversazione per riprenderla più tardi con meno presenti e meno chiasso.

Intanto Lion e Ginevra erano sul balcone a parlare imbarazzati tra loro sottovoce guardandosi negli occhi e sorridendo leggermente.

Merlino cercava di squadrare la situazione.

- Gaius, ho lasciato una cosa nella mia stanza... vieni a darmi una mano?

Gaius scorse nella domanda di Merlino un nonsoché di sospetto e decise di seguirlo.

Si chiusero la porta della cucina alle spalle e rimasero a parlare nel corridoio a bassa voce.

- Hai notato anche tu il comportamento piuttosto... intimo di Lion e Ginevra?

Gaius sospirò.

- Merlino... quando Artù e Clarissa sono morti tu non sei più voluto tornare a Camelot, ma molte cose sono cambiate... Ginevra non si sposò più perché non poteva sposare Lion né tantomeno lui voleva prendere il posto ufficiale da Re... ma tra loro ci fu una storia che si portò avanti fino a quando sono stato in vita anch’io.

Merlino strabuzzò gli occhi incredulo inghiottito da quella notizia.

- E pensi che questa cosa possa protrarsi anche adesso?...

Gaius rivolse uno sguardo assente verso la porta della cucina e scosse la testa.

- Non lo so, Merlino. Non ne ho idea... l’unica cosa che temo è la reazione di Artù se mai lo verrà a sapere.

- Quindi tu non vieni più qui all’Università?

Artù scosse la testa mentre lui, Clarissa e Merlino stavano ripulendo la cucina.

- Mi sono laureato ormai da 9 anni... ci passiamo 10 anni noi, ricordi? Sono il più vecchio qui.

Rise e guardò Merlino che aveva la sua stessa età ma si trovava lì perché stava diventando professore di chimica.

- Già, è vero... ormai che siamo grandi la differenza non si vede nemmeno... e cosa fai adesso?

Lui le si avvicinò e da sotto la maglia sottile tirò fuori una catenina con una piastrina in ferro attaccata ad essa. Clarissa la prese tra le mani.

Royal Marines Commando – Per mare per terram

Major Artù Pendragon

Company Headquarters

Rimase senza parole continuando a tenere la piastrina tra le mani.

- Wow... sono senza parole davvero... complimenti

Lui sorrise.

- Faccio solo quello che, a quanto pare, anche in questa vita mi riesce meglio, combattere per ciò che è giusto. Per ora sono un Maggiore semplice, spero di fare carriera.

Lei notò una cicatrice sul braccio piccola, ma leggermente profonda.

- Questo è un souvenir di Sayda, Libano.

- Io… mi dispiace.

Lui sorrise di nuovo.

- Non esserlo, io non lo sono.

Merlino era rimasto a guardarli mentre lavala i piatti in ceramica rossa e li lasciava ad asciugare su uno scolapiatti in plastica grigio poggiato di fianco al lavandino.

- Sono contento di rivedervi tutti.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Merlino era rimasto a guardarli mentre lavala i piatti in ceramica rossa e li lasciava ad asciugare su uno scolapiatti in plastica grigio poggiato di fianco al lavandino.
- Sono contento di rivedervi tutti.
Clarissa era al secondo anno di Università in lingue ed era intenzionata a specializzarsi in storia antica mentre Merlino si trovava lì come aspirante professore di chimica in tirocinio e Freya aveva appena cominciato il primo anno di specialistica in botanica. Ginevra lavorava per un bar nelle vicinanze, Lion si era specializzato nell’ambito finanziario ed era il proprietario di una piccola impresa. Elyan, Galvano e Percival si sporcavano ogni giorno le mani in una fabbrica al confine di Londra, una grande fabbrica di acciaio. Non si erano mai incontrati poiché avevano mansioni diverse e odiavano socializzare con gli altri, scontenti del loro lavoro. Una volta incontrato anche loro Artù, stavano seriamente considerando di dare una svolta al loro futuro ed arruolarsi anche loro, per stare vicino al loro compagno d’armi.
- E tu? Cosa vuoi fare una volta presa la laurea? Hai intenzione di studiare storia antica... non vorrai mica finire per fare una di quelle tormentate insegnanti di storia con venti gatti sul divano impolverato di casa
Artù rise accompagnato da Merlino e Gaius, guardando Clarissa scuotere la tovaglia fuori dalla finestra liberandola dalle briciole per poi riportarla dentro la cucina.
- In realtà mi piacerebbe viaggiare. Andare nei siti antichi e scoprire nuove cose... ora che so... vorrei trovare qualcosa su di me. Tutti i libri di scuola parlano di voi ma... di me non c’è neanche traccia. Io vorrei sapere se davvero non sono mai stata citata perché non ho avuto alcuna importanza.
Smisero di ridere e Gaius le si avvicinò per aiutarla a stendere la tovaglia sul tavolo.
- Vedi, Clarissa... non si può scrivere di te. Di Merlino si è parlato nonostante la sua magia ma è stato un rischio, ma tu... tu sei una cosa rara. Ricordi?
Lei annuì. Una ‘creatura’, così come l’hanno sempre battezzata, come lei, era unica nel suo genere. Merlino fu il più grande mago mai esistito in tutta l’epoca della magia, mentre lei aveva poteri magici limitati, ma era una creatura d’acqua e di terra.
- Le sirene, come ben sai avendo vissuto nel regno d’oceano per gran parte della tua vita, sono meno rare di quanto la mente umana possa immaginare. Ma tu, Clarissa... sai bene che tutte le sirene ed i tritoni che hai conosciuto sono destinati a rimanere nel mare, senza possibilità alcuna di vivere sulla terra. Ebbene, tu sei stata l’unica eccezione, insieme a tua madre. Morgana era forte, eppure un modo per sconfiggerla c’è stato...
- Togliermi la vita.
Ribatté lei, non troppo contenta. Gaius annuì incupito.
- Ebbene si. Tu hai sconfitto la Grande Sacerdotessa, Clarissa. Ciò che hai fatto rimarrà sempre nella tua memoria e nel tuo cuore... ma è troppo rischioso renderti pubblica a tutti. Non voglio neanche lontanamente immaginare cosa dovesse accadere se scoprissero tutto ciò che sta succedendo qui.
- A me hanno fatto qualche domanda, ma l’hanno presa sul ridere.
Si introdusse Artù.
- Di certo con la mia carte d’identità non passo inosservato ma nessuno ha mai pensato che potesse essere vero. Mi sono limitato a dire ciò che mi hanno insegnato, che sono un lontano discendente, il che è possibile visto che sono cresciuto in Cornovaglia. Niente di più...
- Anche la mia vita non è stata facile... solo che, ovviamente, Artù si prende la gloria ed io le risa delle persone che mi considerano uno spiccato senso dell’umorismo da parte dei miei genitori.
Tutti risero, anche Clarissa; ma decise di porre in quel momento la fatidica domanda a Gaius.
- Gaius... che ne è dei miei poteri? E della mia seconda vita... non sono mai stata sirena in questa. Vedendo tutti voi, mi sembra di essere rinata per niente...
Gaius le poggiò una mano sulla spalla con un sorriso incoraggiante.
- Abbi fede mia cara. Ricordati che nulla è possibile senza la conchiglia che racchiude il tuo potere. Ho mandato delle squadre del Governo a cercarla in tutti i fondali possibili. Non può essere lontana.
Lei annuì ma lui divenne ancora più serio.
- Ricorda, Clarissa... che una volta che la indosserai dovrai stare molto attenta. La tua trasformazione non avverrà fin quando il livello dell’acqua non toccherà anche la suddetta conchiglia. Se vorrai andare in spiaggia o quando avrai bisogno di farti una doccia, per stare sicura, potrai toglierla e riporla in un cofanetto che, però, non dovrai mai perdere di vista. Se la conchiglia dovesse rompersi, tu morirai. Diventando schiuma di mare. Intesi?
Lei annuì seria ma Artù inarcò un sopracciglio.
- Rompersi? Ma... potrebbe succedere in qualsiasi momento, è troppo rischioso... non è meglio rinunciare alla ricerca e tenersi la vita?
Gaius sogghignò.
- La conchiglia è indistruttibile... solo Clarissa conosce la formula per romperla. Se mai Morgana tornerà, sarà nostra premura che questa formula non entri in suo possesso.
Volse un ultimo sguardo a Clarissa che annuì nuovamente restando in silenzio, già oppressa dalle sue responsabilità.

Finite le pulizie varie, Artù portava sulle spalle un sacco nero di spazzatura per gettarlo in un bidone vicino ai cancelli dell’Università.
- Okay, ho la vaga idea di cosa sia un Marines... solo... non mi spiego cosa ci fai qui. Insomma, ti sei laureato nove anni fa, non ti sei stancato della scuola?
Lui rise di gusto gettando quel pesante sacco nella spazzatura, mentre Clarissa gli camminava di fianco per tenergli compagnia.
- Sono qui perché sto cercando delle reclutacce da poter addestrare. Molti, come me, decidono di prendersi una laurea e poi di arruolarsi. Il mio compito? Capire chi lo fa per gioco e chi ci crede veramente.
- Dev’essere impegnativo, insomma... la guerra.
Lui sorrise.
- Niente che non ho già vissuto.
Gli diede uno spintone sorridendo con le mani saldamente riposte al caldo dentro le tasche della giacca ed il cappuccio sopra la testa.
- Adesso è diverso, ci sono mille armi diverse, i pericoli sono maggiori... non si parla più di Sassoni o briganti di passaggio... si parla di guerra.
Artù guardò diritto avanti a sé senza scomporsi.
- Sono scelte di vita. Voi scegliete di essere protetti, noi di proteggervi.
- Perché lo fai? Insomma... cosa devi a questa gente?
Scosse le spalle.
- Perché non dovrei? Qualcuno deve pur farlo.
Arrivarono davanti alle rispettive porte delle loro stanze, una di fianco all’altra.
- Già... Buonanotte, è bello vedervi tutti di nuovo.
Sorrise.
- Abbi cura di te Clary, ci vediamo domani. Buonanotte.
Era tanto tempo che nessuno la chiamava più Clary.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


L’indomani Clarissa e Merlino furono catapultati giù dal letto da delle urla all’unisono e dal rumore imponente di scarponi sul terreno in corsa. Si affacciarono alla finestra nello stesso momento e si rivolsero uno sguardo stranito per poi guardare giù nel cortile cosa stesse accadendo.

Artù era in divisa, con la maglietta a maniche corte leggera di color verdone, pantaloni mimetici e scarponi. Petto in fuori, schiena dritta e mani dietro la schiena sull’attenti.

Dei ragazzi in tuta pompavano a terra ed il maggiore contava il numero di flessioni a voce alta, mentre altri, che avevano evidentemente fallito, correvano intorno al giardino colonnato a passo svelto cantando (urlando) l’inno nazionale inglese.

Andarono a fare colazione in cucina insieme a Freya e si vestirono pronti per un nuovo giorno.

Clarissa indossava dei grandi occhiali da vista e portava i suoi libri in mano con una penna nera incastrata tra le pagine. Con la mano destra reggeva saldo un bicchiere di plastica di caffè caldo, lo portò ad Artù che sorrise per il pensiero.

- Grazie! Effettivamente stamattina non ho avuto tempo di berlo.

Diede ai ragazzi cinque minuti di tregua e prese Clarissa dal braccio portandola vicino al suo zaino mimetico poggiato ad una colonna. Di fianco a quello zaino c’era un mazzo di rose rosse decorato con fiorellini bianchi ed una carta violacea.

- Ti piacciono? Sono per Ginevra. Non vedo l’ora di finire oggi all’ora di pranzo per portarglieli. Sono andato di prima mattina dal fioraio, sono freschi, appena raccolti.

Clarissa si intenerì e sfoggiò un largo sorriso.

- Sono certa che li adorerà, sono meravigliosi!

* L’aria profondamente tranquilla di Camelot in una giornata di primavera, viene interrotta da un rumore di zoccoli veloci.

Merlino, nelle stanze del suo signore, scruta dalla piccola finestra una donna a cavallo che si dirige verso l’entrata del castello a passo piuttosto svelto.

Temendo il peggio dopo gli eventi di Morgana, si lascia scivolare dalle mani tutto ciò che aveva e si catapulta veloce giù per le scale.

Arrivato davanti alla porta principale, le guardie hanno già adempito al loro dovere puntando le lance verso il cavallo e la giovane donna che sembrava intenzionata a tutto, tranne che a far del male.

Cercavano tutti di scrutare il suo viso ma era piegata in avanti reggendo a stento le briglie del cavallo, dolorante.

Un abito bianco con qualche macchia di terreno qua e là, per niente un buon segno.

Capelli di un biondo scuro lunghissimi, un po’ mossi.

La giovane riesce ad alzare il capo a fatica dopo diverse esortazioni da parte delle guardie ed il suo sguardo incontra subito Merlino, al quale si dilatano le pupille appena la vede e scorge le sue mani strette sullo stomaco, grondante di sangue.

- Merlino

tutto ciò che riesce a dire, seguito da un sorriso.

Chiude leggermente gli occhi e si lascia cadere dal lato destro del cavallo ma viene presa da una guardia che, sentendo da lei nominare il servo del Re, ha voluto darle fiducia.

Merlino si precipitò sul posto prendendola tra le braccia e correndo da Gaius.

- Gaius! Gaius

cominciò ad urlare dal corridoio fin quando il medico di corte non uscì dalle sue stanze e, vedendo la situazione, tenne la porta aperta per farlo passare, chiudendosela poi alle spalle.

- Merlino, ma è proprio lei?

- Si Gaius ti prego, dobbiamo aiutarla. Non posso pensare che le accada qualcosa di male, non posso...

Gaius cominciò a rovistare tra i suoi libroni polverosi scorrendo velocemente tra le pagine alla ricerca di una cura efficace.

Qualcuno bussò alla porta e Gaius continuò a cercare nascondendo il suo libro di magia sotto uno scaffale per precauzione.

Apparve Mordred dietro la porta che entrò con un largo sorriso come suo solito, che si spense appena vide la giovane ragazza.

- Ehi Merlino, scusami… non volevo disturbare. Il Re mi ha chiesto notizie di cosa fosse successo, non sembra star bene.

Si avvicinò e la squadrò

- Perché ho la sensazione di aver già visto questa ragazza...

Gaius abbassò la testa cercando di non pensare a ciò che Mordred aveva detto ma Merlino si accorse della sua reazione

- È la principessa Clarissa del regno di Tendryon, alleati di Camelot. Lavoravo come suo servo prima di venire qui a Camelot

Mordred rimase fermo a guardarla per qualche interminabile secondo, sentendo una forza strana dentro di sé, come se sapesse chi fosse quella ragazza, come se la conoscesse da sempre.

- Se vuoi posso aiutarti con la magia.

Gaius strabuzzò gli occhi incredulo di avergli sentito dire quella frase ad alta voce, sapendo che stesse ascoltando.

Mordred si girò verso di lui sorridendo

- Gaius... vi dispiace tenere questo segreto?

Gaius sorrise e annuì

- Tranquillo Mordred, ma non c’è molto che tu possa fare... anzi forse è meglio se ci lasci soli a discutere su una possibile cura

Mordred annuì e salutò Merlino con un sorriso, posando un’ultima volta lo sguardo sulla principessa per poi lasciare le stanze.

Merlino si alzò di scatto e andò verso Gaius che, prima che potesse parlare, lo anticipò.

- So già cosa vuoi dirmi… siediti, Merlino.

Gaius cominciò a pestare delle erbe e a mischiarle con dell’acqua mentre raccontava ciò che c’era da sapere.

- Non sono certo di ciò che dico, ma credo che loro due possano essere i due predestinati.

Merlino inarcò un sopracciglio

- Temo di non capire… cosa significa?

Gaius prese un sospiro ed aprì un librone ad una pagina. Andò sicuro, senza cercarla.

- Vedi Merlino, c’è una leggenda che dice che una ragazza come Clarissa, nasce ogni cinquecento anni... un’umana ed una sirena... con poteri magici. La leggenda continua recitando che questa creatura, per mantenere le sue forze e non essere schiacciata dal suo potere stesso, ha bisogno di condividere il peso con un prescelto.

Merlino guardò Clarissa incredulo.

- Non può essere Mordred, Gaius... lo sapete cos’ho visto, non voglio che sia così, ho paura che sia così... non posso permetterlo.

- Devi lasciare che le cose siano, Merlino. Possiamo prendere il lato positivo della faccenda e pensare che magari se i tuoi presentimenti sono esatti, Clarissa possa cambiare Mordred e tenerlo a bada.

Merlino si prese una pausa di riflessione di qualche minuto.

Rimase zitto, impassibile.

- Sarebbe più logico se fosse Artù, non credete?

Gaius scosse le spalle.

- Certo. Ma a quanto pare...

prese una grande tinozza di legno e la riempì d’acqua calda

- Prendi Clarissa e immergiamola qua dentro

sparse nella tinozza un infuso di erbe e mentre Merlino stava per immergervi Clarissa, Gaius bisbigliò un incantesimo mentre mescolava il preparato nell’acqua.

Vi immersero Clarissa che dopo qualche secondo emanò una luce accecante che dovettero coprirsi gli occhi con la manica della loro casacca.

Quando la luce scomparve, Merlino non fece a tempo ad aprire gli occhi che fu colpito da uno schizzo d’acqua in faccia.

Mentre si stropicciava e asciugava gli occhi incredulo, udì una risata; la più bella risata del mondo che gli era così mancata.

- Clarissa...

lei lo guardò e sorrise. I due si abbracciarono tenendosi ben saldi l’uno tra le braccia dell’altro

- Mi sei mancato così tanto... i giorni sono passati infinitamente lenti, perché sei andato via da me?

Lui non riusciva a risponderle, la guardava e basta. Aveva visto avvenire quella magia così tante volte in passato, ma non ci aveva mai fatto l’abitudine.

Il vestito di Clarissa era scomparso, c’era solo lei coperta nella parte superiore del tronco, e con una lunga coda verdina al posto delle gambe.

- Non ti abituerai mai nel vedermi così, vero?

Posò lo sguardo su Gaius che invece era rimasto impassibile, con un gran sorriso.

- Prima che possiate dire qualcosa, altezza; sapete bene che cose come queste non mi sono nuove. Tante volte ho visto vostra madre in queste vesti.

Clarissa annuì dispiaciuta.

- La mia mamma... prima che Morgana distruggesse tutto.

Merlino si riprese.

- Cosa? La Regina non c’è più?

Clarissa scosse la testa cancellando il sorriso leggero che aveva fino a poco prima.

- No Merlino, ma non vale la pena versare altre lacrime per qualcosa che non tornerà indietro. Un domani sarò regina, semmai riuscirò a ricostruire il mio regno... non voglio essere una debole. Stavolta Morgana ha vinto, ha vinto una battaglia ma non la guerra.

Lo guardò negli occhi.

- Te lo assicuro.

La porta imponente delle stanze del Re si aprì.

- Sire, mi avete mandato a chiamare?

Artù si girò con i suoi profondi occhi azzurri ma privi di emozione.

- Si Merlino. Come sta?

Merlino sorrise per l’apprensione di Artù nei suoi confronti. Era certo del loro legame indissolubile, ma averne la prova schiacciante fu un gran sollievo.

- Si è ripresa! È dispiaciuta del fatto che ancora non è riuscita a presentarsi di persona e a non mostrare la sua gratitudine, ma ben presto lo sarà.

Artù sorrise.

- Bene...

Vagò con lo sguardo attorno a sé fino a quando Merlino non pose la fatidica domanda.

- Qualcosa non va?
Artù lo guardò con occhi grandi e profondi.

- È tutta colpa mia. Un’altra vittima... le mie più sentite condoglianze a tutto il regno di Tendryon, del quale la maggior parte dei rifugiati sono proprio qui. Appena lei potrà, le farò tenere un discorso nella pubblica piazza per tutti i suoi cittadini. Morgana riversa il suo odio nei miei confronti, su chiunque incontri durante il suo cammino. Tutto questo mi fa sentire vuoto, inutile...

Merlino, nonostante la sofferta dichiarazione di Artù, non smise di sorridere.

Tutto sommato era positivo; sapeva che con Clarissa dalla loro parte potevano vincere questa guerra apparentemente impossibile, e che tutto sarebbe andato per il meglio.

Beh, era la sua speranza più grande.

È notte fonda su Camelot e Clarissa ha un’altra di quelle notti insonni dopo tutto il trambusto con Morgana.

Ricorda quando ha asfaltato il suo regno, di come nulla ha potuto la loro magia contro la cattiveria di quella donna.

Ricorda il giorno precedente, nel quale mentre era accampata nel bosco, un gruppo di briganti seguaci di Morgana abbiano tentato di abusare di lei e, dopo il suo rifiuto, accoltellata e abbandonata lì al suo destino.

Aveva una garza spessa che le fasciava tutto l’addome e una veste bianca, leggera, con un profumo adorabile.

La Regina stessa aveva dato qualcosa di suo a Merlino per Clarissa, sapendo bene lei stessa cosa si provasse ad essere soli e spaventati.

Con le poche forze che aveva si trascinò fuori dal letto avvolta in una coperta calda.

Voleva prendere un po’ d’aria ma la finestra non permetteva una giusta areazione.

Si ritrovò a passeggiare per il corridoio tenendosi stretta sulle spalle quella coperta che era stata poggiata sul letto nell’eventualità che potesse averne bisogno.

Camminava a fatica, ma aveva bisogno di guardare l’orizzonte, di rendersi conto che era dentro una fortezza, salda al sicuro come non lo era più da tempo.

Guardò lungo avanti a sé e vide, oltre le mura di Camelot, un paesaggio infinito.

All’improvviso le si bloccò il fiato in gola e trattenette il respiro, quando si sentì una cosa pungente e fredda sulla schiena.

- Mostra il tuo volto.

Si girò lentamente e quando il giovane druido la vide, posò la spada immediatamente abbassando lo sguardo e scuotendo la testa.

- Io... mi dispiace, io non volevo... mi deve scusare, principessa, io non...

la guardò negli occhi e lei sorrise.

- Non fa niente.

Rimase impietrito da quel sorriso sincero e si inginocchio con la testa chinata.

- Sir Mordred, cavaliere di Camelot. Per servirla...

alzò gli occhi e incontrò quelli di Clarissa, dolci e sorridenti che trasmettevano comprensione.

- Va bene così, non ce n’è bisogno, davvero.

- Cosa fate sveglia a quest’ora della notte in giro per il castello? Se posso chiedere.

Lei sorrise e guardò l’orizzonte.

- Avevo bisogno di sapere che sono al sicuro.

Quando posò nuovamente lo sguardo su di lui, i suoi occhi erano lucidi e nel sorridere le cadde una lacrima leggera, si asciugò con la coperta.

- Scusami, io non...

Mordred sorrise.

- Va bene, è giusto così.

Clarissa gli sorrise quando ad un certo punto sentì una fitta allo stomaco sulla sua ferita e perse i sensi per un secondo.

Mordred la prese al volo dalle braccia e riuscì ad impedirle di cadere a terra.

Clarissa aveva gli occhi socchiusi.

- Mi dispiace, mi dispiace così tanto; non preoccupatevi, ce la faccio.

Mordred la guardò sorridendo e la prese in braccio.

- Chissà perché ho proprio la netta impressione che voi non ce la facciate, vi riporto nelle vostre stanze.

Mordred camminò con Clarissa in braccio per tutto il corridoio fin quando non arrivarono nelle stanze in cui dormiva Clarissa e l’appoggiò delicatamente sotto le coperte.

Clarissa ebbe un sospiro, tenendosi l’addome con un’espressione sofferta in volto.

Mordred chiuse la porta a si avvicinò a lei. Clarissa lo guardò per quel poco che riusciva a tenere gli occhi aperti.

- Ecmento si die postium falenta.

Gli occhi del giovane druido diventarono gialli per un attimo per poi tornare al blu di sempre. Clarissa rimase impietrita dal suo gesto e non riuscì a dire nulla per lo stupore.

- Voi siete...

Mordred si fece spazio sul letto per sedersi e lei riuscì ad alzarsi sui gomiti. Si passò una mano sull’addome e il dolore era svanito.

- Vi prego di non dirlo a nessuno, nonostante il mio Re sia una persona buona e magnanima io non posso rinnegare ciò che sono... sono un druido, non voglio fare del male a nessuno, vi prego. Abbiate pietà.

Clarissa scosse la testa e sorrise.

- Mordred... nel mio regno la magia era ammessa, ho poteri magici anch’io... Uther non lo permetteva con i regni vicini ma noi abbiamo tenuto il nostro segreto per la pace comune e perché non volevamo fare del male a nessuno... chiunque nel mio regno aveva poteri magici perché ci era nato con essi, e non potevamo cacciarlo o farlo bruciare vivo per un ‘crimine’ che non ha commesso. Per un crimine che crimine non è. Un giorno Artù lo capirà.

Mordred sorrise all’idea di aver trovato una persona con cui parlarne, dato che Merlino non era molto disponibile al dialogo.

- Vi ringrazio... ma ora è meglio che riposiate, non sono uno mago eccezionale, potrebbe ricominciare a far male tra poco...

Clarissa sorrise.

- Grazie

Il sole sorge alto su Camelot e Clarissa apre il suo armadio per indossare uno dei vestiti della Regina.

Si sente più leggera, si sente protetta come non mai e si sente felice.

Mordred ha avuto un impatto positivo su di lei ma non perché le ha attenuato un dolore fisico; lui le ha attenuato un dolore interiore, un dolore che la stava lacerando da tempo.

Bussarono alla porta e Merlino fece capolino nelle sue stanze con un largo sorriso.

- Buongiorno, dormito bene?

Clarissa sorrise di ricambio.

- Ho dormito bene, grazie. E tu?

- Non c’è male. Pronta?

- Pronta.

- A tutti i cittadini di Tendryon che sono dovuti fuggire via dal nostro regno, dalla propria casa... e che hanno trovato asilo qui nel regno di Camelot. Il dolore dentro di noi di quella giornata maledetta in cui ci hanno strappato via dalle nostre case, dalle nostre famiglie e dalla nostra vita quotidiana, rimarrà sempre con noi; ma possiamo scegliere cosa farne di quel dolore: se continuare a covarlo dentro di noi e lasciare che ci consumi, o fare qualcosa per cambiare ciò che è successo. Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo cambiare il futuro. Ringrazio pubblicamente Re Artù per avervi accolto tra queste mura e avervi trattato come cittadini di Camelot. Grazie

Ci fu un applauso generale tra la folla, tutti i sudditi di Tendryon urlarono in coro ‘lunga vita alla Regina’ e Clarissa fece un inchino per salutarli.

Si girò verso Artù e gli sorrise.

- Grazie mille per questa occasione, cercherò di racimolare il necessario per andare via il prima possibile, non preoccupatevi.

Artù incarò un sopracciglio sorpreso.

- Non siete costretta... potete rimanere qui quanto tempo desiderate, possiamo aiutarvi a ricreare il vostro regno anche di fianco a quello di Camelot. Siamo alleati, e so che Merlino ha un amore particolare nei vostri confronti quindi non c’è nessun problema, davvero.

Clarissa rimase a pensare a quella frase per tutta la giornata che sembrò interminabile, non capitava da tempo una grande occasione come quella; l’occasione di sentirsi al sicuro, l’occasione di ricominciare. *

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Artù si dirige a passo svelto verso la sua auto blu metallizzata.

Una jaguar F-Type coupé, l’unico vero regalo che si era concesso da quando si era arruolato. Adorava le auto e questa qui è stata da sempre la sua preferita.

Posa il bouquet di rose sul sedile del passeggero e si dirige verso il bar dove lavora Ginevra.

Aveva finito di allenare i ragazzi più tardi del previsto e si faceva spazio nel traffico sperando di trovarla ancora lì per sorprenderla come solo lui sapeva fare. Non ebbe neanche il tempo di cambiarsi ed era rimasto con i suoi fedeli anfibi, i pantaloni mimetici e la mogliettina verde militare a maniche corte, un paio di occhiali da sole scuri.

Mentre guida si guarda attorno e pensa a quanto sia diverso.

Le scottanti rivelazioni del giorno precedente gli avevano scombussolato la vita più di qualsiasi altra missione che avesse mai fatto negli ultimi nove anni militari.

In cuor suo aveva sempre saputo di essere diverso, di non essere sempre e solo stato il ragazzo che è ora, che ci fosse qualcosa di più.

Rivedere Ginevra è stato un colpo al cuore dopo svariati anni a sognare il suo volto e a cercarla in ogni angolo delle città.

Aveva avuto molte altre esperienze, fisiche, non di più.

Aveva un blocco nel riuscire ad innamorarsi e non aveva mai avuto interesse in qualsiasi tipo di relazione che non fosse carnale.

Molte ragazze ricevettero due di picche da lui quando si trattava di portare la relazione al “livello successivo” e si sentiva un viscido codardo nel farlo.

Avrebbe voluto una relazione con tutto il cuore, specie perché non era facile andare in missione e non ricevere lettere o telefonate da nessuno.

Di suo padre Uther ricorda davvero ben poco in quanto morì in Afghanistan quando Artù aveva solo cinque anni, durante una missione.

Sua madre Ygraine gli è stata vicino ed era l’unica donna della sua vita.

Contraria alla scelta di arruolarsi a sua volta, non riuscì a persuaderlo dal voler indossare la mimetica e seguire le orme del padre.

Le aveva dato tutto ciò che aveva dall’affetto ad ogni singolo stipendio che percepiva.

Ygraine era un’insegnante di musica, di pianoforte e, benché insistesse che Artù tenesse i suoi soldi e si godesse i tanti agi che la vita gli aveva negato, lui era ostinato nel rendere più facile quella di sua madre, per i tanti sacrifici che ha fatto per cercare di farlo crescere come tutti gli altri bambini, senza fargli mancare mai nulla.

Si struggeva spesso chiedendogli di trovare una brava ragazza con cui intraprendere la sua vita, ma sapeva che non era facile per uno come lui.

Si rasserena sapendola assieme a lui in questa vita, dato che in quella precedente gli era stata negata.

Per Uther si dispiaceva ben poco, ricordando come disapprovasse ogni sua decisione, persino di sposarsi per amore con Ginevra.

I mille pensieri e flussi di coscienza lo portano fino al bar in meno di dieci minuti.

Accosta al marciapiede e mentre spegne l’auto la vede uscire dal locale esausta con la sua borsa.

Si catapulta fuori dall’auto con quel maestoso mazzo di rose ma, prima che potesse chiudere la portiera, accade l’inaspettato:

Ginevra si guarda attorno per poi sorridere e scostarsi i capelli dietro l’orecchio imbarazzata.

Un giovane dai capelli ricci e biondi scende da una macchina parcheggiata di fronte al bar, in giacca e cravatta. Un completo blu elegante con tanto di scarpe scamosciate e occhiali da sole.

Abbandona la sua Audi grigia per andare incontro a Ginevra e abbracciarla.

Il pugno sinistro di Artù si stringe forte da trafiggersi con le spine delle rose, ma in quel momento c’era qualcos’altro che gli faceva più male: il cuore.

Per la prima volta si accorse di averne uno, e cominciò a palpitare come un pazzo dentro il suo petto per la rabbia mista alla delusione.

Ginevra si accorse di lui e si ritrasse dalla stretta sobbalzando spaventata su se stessa.

Artù sogghignò.

- Davvero? Addirittura ti metto paura...

Lei gli andò incontro insieme al ragazzo incravattato, Lion.

- Artù... io posso spiegare te lo giuro...

Parlava d’un fiato e le tremavano la voce e le mani che agitava vorticosamente in preda al panico.

- Quando tu sei morto io... ero straziata dal dolore e.. lo so che ci eravamo promessi amore eterno ma... mi sono ritrovata sola e spaesata e

Artù la bloccò.

- Non c’è bisogno di dire altro. Lo stronzo di troppo qui sono io.

Fece per andarsene ma Ginevra lo prese per il braccio per farlo voltare. Per tutta risposta Artù si voltò minaccioso gettando per terra il bouquet ormai distrutto liberando la sua mano ormai insanguinata.

- Se non altro, Ginevra, avrei apprezzato che ieri non avessi fatto moine inutili. Tu mi hai baciato. Hai idea di che cazzo significa?

Non si rese conto di urlare e che il petto gli si era gonfiato a dismisura sotto la magliettina leggera, per prendere fiato.

Ginevra piangeva mentre Lion le mise una mano sulla spalla in segno di conforto.

- Io non ce la faccio più Artù! Non posso vivere un’altra vita così con te che sparisci e vai chissà dove a morire mentre io sono in pensiero a casa aspettando un uomo che potrebbe non fare ritorno. Ho bisogno di una vita tranquilla, non è la vita che voglio fare, mi dispiace.

Artù ride istericamente, indietreggiando.

- Io faccio la guerra, Ginevra... e tu “non ce la fai”.. Capisco.

Si rivolse a Lion.

- Abbi cura di lei, ne ha un disperato bisogno.

Aprì la portiera dell’auto e partì velocemente tornando verso l’Università.

Per la prima volta, mentre guardava dritto avanti a se sfrecciando nel traffico, gli scese una lacrima.

Era nervoso con se stesso e sapeva che questo era il modo in cui la vita gliela stava facendo pagare per tutte le volte che ha spezzato lui il cuore ad altre ragazze.

Nel frattempo la giornata universitaria non regalava nessun brivido particolare, ma solo tante parole e tante pagine da studiare.

Clarissa mordicchia la sua matita mentre guarda fuori dalla finestra e le parole della sua insegnante di cinese svolazzano nell’aria senza sfiorarla minimamente.

La lezione giunge al termine e, dopo aver preso i suoi libri, segue per osmosi la folla diretta agli armadietti.

Si chiede come sia andato l’incontro tra Ginevra e Artù e li immagina mangiare il gelato insieme sul lungomare della città tenendosi per mano o abbracciati.

Chiude l’armadietto libera da quel fardello di conoscenza che portava tra le mani e si volta lentamente verso il corridoio.

Infondo ai pilastri di cemento scorge Gaius, Merlino, Freya ed un ragazzo.

Si accorgono di lei e la guardano senza espressione, come rassegnati.

Il sorriso di Clarissa nei loro confronti svanisce e lascia spazio allo stupore che le procura il semplice gesto del ragazzo, di voltarsi.

Quei capelli neri e ricci lasciano spazio a due grandi occhi azzurri, un viso semplice e sbarbato.

Il ragazzo la guarda a sua volta ed entrambi sorridono con le lacrime agli occhi.

- Mordred.

Clarissa gli corre incontro come una falena verso la luce e lui avanza di qualche passo pronto ad accoglierla tra le sue braccia.

I due piangono e si tengono stretti increduli, si guardano negli occhi e sorridono per la felicità di essersi ritrovati.

Dopo l’esaltazione iniziale, Clarissa si stacca velocemente dalla sua stretta e rimane a fissarlo impietrita. Lui si incupisce.

- No... non mi lascerò ingannare di nuovo... non te lo permetterò anche in questa vita.

Mordred scosse la testa allargando le braccia, non sapendo di cosa Clarissa stesse parlando.

Gaius fece capolino tra i due.

- Clarissa, ricorda che Mordred è stato stregato da Morgana, lui non ricorda nulla.

Clarissa inarca un sopracciglio.

- Ricordo che durante una perlustrazione ho trovato Kara, una ragazza alla quale ero molto legato ma poi...nulla. Mi ricordo solo di quando Artù mi ha trafitto con la sua spada, uccidendomi... dopo che io l’ho trafitto a mia volta...

Si voltò di scatto verso Gaius.

- Gaius... dov’è Artù, io gli devo delle scuse, non volevo... niente di tutto quello.

Merlino avanzò verso di lui minaccioso.

- Non ti azzardare ad avvicinarti ad Artù, sei stato fortunato ad essere amato da Clarissa e per il bene che le voglio ti ho lasciato stare, ma questa volta non sarò così clemente. Sapevo che eri un pericolo ma ho abbassato la guardia. Non ti concederò una grazia simile in questa vita. Ringrazia che non ti abbia già trafitto con la prima cosa che ho davanti.

Freya prese Merlino dalla giacca.

- Ora basta!

- Tu non ti sei mai fidato di me, Merlino. Hai sempre dubitato di me trattandomi diversamente quando invece finché sono stato cosciente ho sempre voluto il bene di Camelot e del nostro Re!

Mordred gli andò incontro cercando di rivendicare la sua persona.

Clarissa li guardava immobile ma scorse con la coda dell’occhio che Artù era tornato ma non aveva una bella cera. Sbattè violentemente la portiera dell’auto e si diresse verso la palazzina con lo sguardo dritto avanti a se ed il suo borsone mimetico.

Abbandonò quella situazione scomoda e decise di seguirlo per capire cosa fosse successo e, magari, chiedergli un consiglio.

Gli altri la videro andare via verso Artù e Merlino sorride beffardamente.

- Spero davvero che ti mandi a fanculo per lui. È quello che meriti.

- Merlino... basta.

Gaius lo chiamò all’ordine e Mordred, per quanto si sentisse ferito nell’orgoglio da cavaliere che sapeva di avere, decise che rispondere a tutto tono avrebbe solo peggiorato la situazione.

- Io lo so che mi odi... spero solo potrai cambiare idea un domani. Io non ho mai voluto il tuo male o il male di nessuno. Ricordatelo, Emrys.

E se ne andò.

Clarissa tentava di stare al passo di Artù ma ogni tentativo le era vano.

Arrivarono al piano con le loro stanze e Artù, col suo vantaggio, aprì la porta della sua stanza e se la chiuse alle spalle.

Clarissa rimase lì impietrita indecisa se entrare o meno e, poco dopo, da dentro la stanza si udirono rumori di vetro in frantumi e di mobili spostati.

Entrò di scatto e trovò la stanza sotto sopra.

Aveva gettato le sedie per terra, distrutto oggetti in vetro compresa una lampada e tirato un pugno deciso all’armadio in legno il quale si era ammaccato.

Artù era di spalle rispetto a lei che osservava il disastro che aveva combinato.

- Artù... ma cosa hai fatto...

Notò che la sua mano sinistra stava sanguinando e che riportava un livido sulle nocche, completamente nere e distrutte.

Gli si avvicinò piano, facendo lo slalom tra i vetri per terra.

Lui si accorse che aveva deciso di entrare e si voltò andandole incontro per farla uscire di forza prendendola dal braccio.

Clarissa indietreggiava non potendosi opporre alla forza del Marines ma lasciandosi andare a smorfie e gemiti di dolore.

- Artù, ahia... mi fai male, ti prego!

Poggiò la mano sulla sua che la stringeva forte sul braccio mentre la trascinava via e si fermò.

Guardò quella piccola mano fragile posata sulla sua che stava facendo pressione sul braccio di Clarissa che, in tutto questo casino, non centrava assolutamente nulla.

Lasciò la presa e la guardò portare la mano sul punto in cui la teneva ferma, un po’ dolorante.

Capì che forse Ginevra aveva ragione e che adesso capiva il perché non volesse avere a che fare con lui o il perché pochi minuti prima anche lei fosse così spaventata.

Clarissa lo guardò e vide che stava osservando il suo braccio dolorante.

Aveva intuito ci fosse qualcosa che non andava e voleva evitargli altre sofferenze inutili da aggiungere alla lista.

Gli sorrise.

- Non è niente, davvero! Mi hai solo spaventato perché ti sei voltato all’improvviso, tutto qua.

Lui riusciva solo a guardare quel punto del suo braccio e abbassò lo sguardo senza speranze andandosi a sedere sul letto con la testa tra le mani.

Lei lo seguì e si sedette di fianco a lui che per tutta risposta la abbracciò.

Clarissa rimase pietrificata e minuta in quell’abbraccio forte che forse, però, ci voleva.

- Mi dispiace. Non so cosa mi sia preso.

Gli chiese se gli andasse di spiegarle bene cosa fosse successo e decise di raccontarle di Ginevra e Lion, di come lui sia un pezzo di merda in amore e come la vita adesso gliela stesse facendo pagare con gli interessi.

Clarissa non sentiva più il Marines ma l’uomo, l’uomo distrutto e disilluso che per anni ha cercato l’amore che per lui aveva il suo volto e, ora che l’aveva trovato, quel volto guardava altrove.

- Forse ha ragione. Dovrei congedarmi, posso fare altro nella vita... effettivamente per una donna è frustrante.

Clarissa inarcò un sopracciglio e lui notò subito il suo disappunto a riguardo.

- Ma sei fuori? Questo è tutta la tua vita! Se lei ti amasse, ti avrebbe amato in ogni caso. Mi dispiace dirlo Artù ma questa mi sembra scusa bella e buona... Tu fai la guerra però lei è quella che non ce la fai? Ma dai...

Lui sorrise sollevato dal non essere l’unico a pensarla in quel modo.

- Ti prego Clarissa dimmi che ce ne sono altre come te.

Lei rise e gli diede uno spintone.

- Ah... quasi dimenticavo.

Tornò seria e decise di raccontargli di Mordred.

- Perfetto, ci mancava questa gran bella notizia di merda come ciliegina sulla torta.

La guardò mentre teneva lo sguardo perso nel vuoto.

- Che pensi di fare?

Clarissa scosse le spalle guardando dritto avanti a sé.

- Lui era stato stregato da Morgana, non amava davvero Kara e non voleva ucciderti o rovinare Camelot.... tra l’altro ha chiesto di vederti per parlarti

Artù sorrise non rimanendone sorpreso.

- Non mi stupisce... È stato sempre un uomo d’onore e di rispetto.

La guardò nuovamente mentre stavolta anche lei lo guardava a sua volta.

- Dagli un’opportunità, senza impegno. Magari ritrovi quel ragazzo di cui ti sei innamorata... più di duemila anni fa?

Rise e trascinò anche lei che gli buttò le braccia al collo stringendolo forte.

- Ti voglio un mondo di bene, Artù. Grazie

Ricambiò forte la stretta.

- Due friendzone in un giorno, wow.

Merlino si sveglia di soprassalto da un incubo in piena notte.

L’orologio bianco e rotondo ticchetta incessante sulla parete e segna le tre di notte.

Respira profondamente e si guarda subito di fianco a sé.

Lì, sdraiata con i capelli sciolti, neri e mossi, c’è la sua Freya.

Le accarezza un braccio dolcemente e lei apre gli occhi leggermente uno dopo l’altro, sedendosi sul letto e poggiandogli una mano sulla spalla preoccupata.

- Tutto bene? Sembra tu abbia corso per chilometri senza fermarti, stai ansimando parecchio…

Lui, zitto e sorridente, le accarezza i capelli e le bacia la fronte recuperando fiato.

- Sto bene... ora sto bene.

Gli scruta un luccichio in quegli occhi azzurri che illuminano tutta la stanza e lasciando dietro le tende la luna invidiosa di quella lucentezza.

- C’è qualcosa che ti turba?

Scuote la testa e la tiene stretta a sé in un abbraccio.

Freya ricambia sorridente nonostante fosse turbata da questo suo atteggiamento.

È sempre stato dolce e premuroso con lei, ma questa apprensione improvvisa, per quanto gradita, la lascia sorpresa. Decise di scivolare dolcemente da quell’abbraccio per prendergli il viso tra le mani e guardarlo negli occhi.

- Dimmi... che succede.

Merlino abbassa lo sguardo, cerca di posare i suoi occhi ovunque meno che su di lei. Freya s’incupisce e lascia andare il suo volto, ecco che i loro occhi si incontrano nuovamente mentre lui le riprende al volo le mani nelle sue, prima che potessero toccare le lenzuola.

- Ho sognato di perderti ancora...

Freya sobbalza e si guarda attorno spaesata. Decide di stringerla nuovamente e si lascia andare alla voce un po’ rotta dallo spavento.

- Ti giuro che in questa vita farò di più, non ti lascerò mai più andare, sarò sempre presente… non lasciarmi di nuovo, non ho mai smesso di pensare a te e ancora non ci credo che sei qui.

Decide di dargli un bacio. Un semplice bacio d’amore che suggella più di qualsiasi altra risposta.

Si stringono nuovamente in quelle lenzuola fresche di una fresca nottata di settembre.

- Almeno questa vita ha avuto pietà di me e nessuno mi ha ancora maledetta...

Le prende il viso tra le mani.

- E nessuno lo farà... Freya, tu non immagini cosa significhi per me. Non ti perderò mai più, lo giuro... Non permetterò a niente e nessuno ti farti del male, te lo giuro. Saremo più attenti, più cauti.

- Io voglio vivere questa vita con te, qualunque cosa accada. Lo giuro.

- Lo giuro.

Ribatté lui.

Riuscirono a riaddormentarsi stretti poco dopo.

Lei prese sonno per prima e Merlino si perse nei suoi pensieri accarezzandole i capelli mentre Freya si lasciava cullare dalla stanchezza.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenerla stretta salva a sé. Nessuno l’avrebbe mai più neanche sfiorata per farle del male. Era sua, era la sua Freya. Ed era tornata anche lei, per aiutarlo, consigliarlo e amarlo, come ha fatto fine alla fine dei suoi giorni. Finalmente non più solo come un fantasma che si palesa nel momento del bisogno.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Il sole si erge alto già dalle prime luci del mattino a Basildon e, benché il Tamigi si trovasse distante dalla cittadina, regalava una brezza leggera mutata in timidi brividi lungo la schiena ad ogni soffio del vento che arrivasse.

Clarissa si ritrova agli armadietti mentre prende qualche libro per le lezioni del giorno quando viene interrotta da qualcosa.

Sente dietro di sé che qualcuno si era fermato alle sue spalle, sentiva un odore forte e gradevole di fiori freschi.

Si voltò e vide Mordred con un mazzo di rose perfette.

Non avevano neanche una spina, erano tagliate perfette in maniera uniforme e unite insieme da una stoffa bianca e leggera.

Le sue pupille si dilatarono sorprese da quella vista, ed appena alzò gli occhi, vi trovò una vista ancora più gradevole.

C’era il sorriso di Mordred con i suoi fedeli occhi cristallini ad attenderla.

Un sorriso timido, imbarazzato.

Decise di rompere quella situazione indicandosi, lui annuì abbassando leggermente la testa porgendole il mazzo.

Clarissa fece un inchino col capo e decise di prendere il mazzo di rose prestando attenzione.

- Oh no, non ci sono spine.

Notò le sue mani ed avevano qualche piccolo buco qua e là.

- Ho tolto le spine personalmente... non volevo che ti ferissi.

Lei sorrise arrossendo un po’ per il gesto gentile.

Mordred è sempre stato un ragazzo molto dolce, premuroso, attento e romantico.

Lo guardava e finalmente ci vedeva il ragazzo che l’aveva presa al volo quella notte mentre fluttuava incerta nel castello.

- Grazie... sono meravigliose... A cosa devo tutto questo?

Lui sorrise nuovamente portandosi un braccio dietro la testa impacciato.

- Beh, io... pensavo che fosse un modo gentile per ricominciare.

Lei scrutava le rose una ad una.

- Sempre che tu voglia ricominciare, insomma... Non sei obbligata, capisco cosa ti ho fatto e che non può essere perdonato così su due piedi e...

Rise e lo guardò con occhi dolci e rassicuranti, lui sospirò.

- Scusa... non rendo molto sotto pressione.

- Lo so... Lo ricordo bene.

Prese coraggio e si lasciò andare al vomito di parole che gli stavano salendo.

Merlino e Freya erano di passaggio ma lui le fece segno di aspettare dietro una colonna per ascoltare.

- Clarissa... voglio solo che tu sappia che tutto quello che è accaduto... Non ero io. Non ho smesso di pensarti neanche un secondo finché ero in me e non avrei mai voluto che niente di tutto quello fosse mai accaduto. Non potevo ribellarmi in alcun modo, non ne avevo la forza. Il mio cuore... dentro di me... mi diceva che non era la cosa giusta, anche mentre guardavo Kara... ma non ho saputo resistere alla magia di Morgana. Gaius mi ha detto che lei non è tornata e io spero non tornerà. Il mio cuore è tuo, Clarissa lo è sempre stato, te lo giuro. Se deciderai di non perdonarmi o se non riuscirai a farlo lo capirò, però... lascia almeno che io ci provi. È tutto quello che ho.

Lo guardò con occhi profondi per qualche interminabile secondo.

Era davvero lui, era sincero, vero ed era lì. Pensò a Freya e che in questa vita le era stata risparmiata la sua maledizione. Forse era il momento di lasciare alle spalle ciò che era accaduto e ricominciare da capo. Pensò ad Artù, lui non era stato così fortunato. O forse si? Clarissa non vedeva troppo di buon occhio Ginevra, pensava non fosse giusta per Artù. Tante volte cercava di persuaderlo dalle sue missioni e cercava di ostacolarlo dall’aiutare gli altri, se la sua vita fosse in pericolo. È quello che l’amore fa ma non funziona propriamente così; cercare di traviare una persona dal suo senso del dovere e negare il suo aiuto prezioso a qualche alleato, o meglio... amico.

Gli tese la mano.

- Piacere, il mio nome è Clarissa.

Lui sorrise e gliela baciò dolcemente.

- Il mio è Mordred. Sai, sei una bellissima ragazza... spero di non aver offeso il tuo ipotetico fidanzato.

Clarissa rise di gusto.

- Non ho un fidanzato, Mordred. Ma è bello conoscerti.

- Lei non ha un fidanzato.

Una voce familiare, Clarissa lo vide per prima in quanto era alle spalle del giovane druido, e sorrise.

Mordred si voltò e si trovò Artù in completo militare con le braccia incrociate che lo guardava beffardo.

- Ma se ti azzardi a farle ancora del male, ti spezzo. Chiaro?

Mordred sorrise ed il suo sorriso fece sciogliere anche il giovane soldato. Gli diede una pacca sulla spalla ma Mordred decise di abbracciarlo, lasciandolo di sasso.

- Sono contento di rivederti, Artù.

Si guardarono e si scambiarono la stretta da cavalieri, come sempre.

- Anche io, Mordred. Anche se l’ultima volta che ti ho visto mi hai infilzato come un tacchino.

Mordred abbassò lo sguardo sconfitto ma Artù gli poggiò una mano sulla spalla.

- Ehi.

Il giovane druido alzò nuovamente gli occhi.

- Io ho fatto lo stesso, siamo pari.

Ci furono degli istanti di silenzio mentre i due si fissavano.

- Non sai quanto ho sofferto per quello, Mordred. Eri uno dei miei cavalieri più fidati e credevo davvero tanto in te. Sono contento di sapere che non era opera tua. Non riuscivo a capacitarmi che davvero per amore di una ragazza di potessi farmi una cosa simile... Okay forse sono stato uno stronzo, ma...

Mordred lo bloccò.

- Avete fatto la cosa giusta. Le avete anche chiesto di pentirsi per ciò che aveva fatto ed in cambio avrebbe avuto salva la vita. Ha fatto la sua scelta. Non è sempre stata così, era diversa... a quanto pare Morgana non ci era riuscita solo con me.

Artù annuì ma venne richiamato da alcuni colleghi.

- Sono contento di rivederti.

Guardò Clarissa che nel frattempo sorrideva complice.

- Ora devo andare, ma sappi che ero serio riguardo al spezzarti le ossa. Intesi?

Mordred annuì.

- Yes, My Lord.

Artù rise e gli diede uno spintone.

- E non darmi del voi!

Disse andandosene.

Mordred posò nuovamente lo sguardo su Clarissa ma prima che potessero dire qualcosa, lo stridente suono dell’orologio della chiesa che suonava ad ogni ora avvertì i ragazzi di affrettarsi a raggiungere le loro aule.

- Tu che ci fai qui?

Chiese Clarissa.

- Mi sono trasferito ieri, sono al secondo anno di Scienze Politiche.

Mordred era sempre stato un gran cervellone e la sua scelta pretenziosa non la stupiva affatto.

Si salutarono e si diedero appuntamento nella cucina comune della palazzina B in quanto il cibo della mensa era davvero poco affidabile.

- Ti fidi di lui?

Chiese Artù comparso dal nulla sulla porta della cucina facendo sobbalzare Clarissa su sé stessa mentre accarezzava le rose rosse nel vaso che aveva posto con cura al centro del tavolo nella cucina.

- Mi hai spaventato a morte, cazzo!

Gli lanciò una spugnetta asciutta contro che il Marines prese prontamente al volo ridendo e andando verso di lei.

La abbracciò stretta e le diede un leggero bacio sulla fronte.

Clarissa ebbe un tremito improvviso chiudendo gli occhi e appoggiando la sua testa sul suo petto.

Le dava calore, sicurezza, protezione.

Mordred le dava affetto e dolcezza, ma non riusciva a immaginarselo e sentirsi al sicuro.

Magari una volta, brandendo una spada chiunque riuscirebbe a dare sicurezza… tranne Merlino, Merlino con una spada era davvero buffo.

Sta di fatto che prima Mordred le ispirava protezione, cosa della quale aveva bisogno nonostante sapesse badare a sé stessa; forse il termine che cercava disperatamente nella sua mente era virilità.

Artù ne aveva da vendere.

Si staccò dal suo abbraccio ancora intontita e tornò a girare la pasta nella pentola bollente sul fuoco col mestolo di legno.

Lui notò che c’era qualcosa di strano ma decise di non dire niente per non turbarla ancora più di quanto già non lo fosse.

Gli altri entrarono in cucina e Mordred arrivò per ultimo, sorridente e con un paio di occhiali neri da vista.

Si guardarono e si sorrisero, a Clarissa per un attimo passarono tutti i pensieri che aveva avuto qualche attimo prima.

Sentiva che l’aveva aspettato tanto, sognato tanto e atteso tanto; ora era giusto goderselo e testare la situazione.

Pensò che tutto sommato una... relazione, non è un patto di sangue e che quindi se si fosse accorta che le cose tra loro non potevano andare non avrebbe dovuto far altro che dirlo.

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- My Lady, anche Mordred li ha ragginti e si è unito a loro. Cosa dovremmo fare a riguardo?

In una stanza scura in un piccolo paesino dell’America del Nord, Morgana recitava uno dei suoi incantesimi in un calderone pieno d’acqua fredda.

- Ichemene siet subèda, flot diestum kiena Arthur Pendragon.

Lasciava che il suo indice sinistro roteasse lentamente nel calderone mentre pronunciava il suo incantesimo.

I suoi occhi divennero gialli per un secondo netto e nell’acqua cominciarono a comparire delle immagini.

Si aggrappò ai lati della grossa tinozza incredula e li vide tutti insieme ridere e scherzare nella cucina.

- NO!

Scosse con forza l’acqua con un braccio come a voler cacciare via dal calderone quelle scene della loro vita quotidiana e si stava per voltare innervosita e senza speranze.

L’acqua incantata decise di regalarle un’ultima immagine, che la fece sorridere beffardamente.

Vide Clarissa e Mordred scherzare insieme mentre preparavano i loro esami l’uno seduto di fianco all’altro. Si spingevano leggermente dalle spalle per scherzare e si lanciavano degli sguardi sognanti, felici di essersi ritrovati.

- So’ esattamente quello che dobbiamo fare.

Si rivolge Morgana al suo fedele servo, un goblin dalle sembianze umane avido di potere che avrebbe fatto di tutto pur di ottenere denaro da Morgana.

Pagava i suoi servigi in ingenti somme di denaro, denaro che suo padre Gorlois guadagnava grazie ad un’imponente azienda in America a Brooklyn.

-Mia signora, qual è il suo prossimo passo verso la rovina? È arrivato il momento di viaggiare per andare da loro?

Morgana rise compiaciuta nel guardarlo. Il denaro non era l’unica cosa che gli interessava, si poteva osservare lontano un miglio il suo mero divertimento e gusto semplicemente nel causare guai e problemi agli altri. Per questo aveva deciso di scegliere lui, tra i tanti.

La grande sacerdotessa tirò fuori la sua collana con un ciondolo magico al collo e lo tenne stretto tra le mani mentre cominciò ad illuminarsi.

- Si sono ritrovati tutti tra loro e sono contenti di ciò... il mio caro fratellino è già KO senza che io neanche mi sia scomodata a tramare contro di lui, così capirà che ha fatto uno sbaglio a dare il MIO trono di diritto su Camelot ad una pezzente qualunque. Potremmo già provare ad attaccare, perché no… ma ci serve logorare l’allegra cricca ancora di più. Emrys è troppo furbo e richiede tempo e cautela... ma la guasta feste numero uno che devo togliere di mezzo per prima è senza dubbio Clarissa.

Tenne saldo tra le mani il ciondolo con gli occhi socchiusi prendendo un bel respiro.

- Si de iam tentuor ich siafe lentier verueos malifiar...

Guardò nuovamente il suo fedele adepto.

- Dovranno fare i conti con un’altra persona e questa volta ho il presentimento che possa non essere così tanto gradita.

Il goblin l’afferra prontamente dal braccio e la guarda dritta negli occhi preoccupato. Morgana s’incupisce.

- My Lady ma l’ha già fatto prima... avranno sicuramente dei sospetti.

Morgana rise continuando a guardare Clarissa e Mordred dal calderone.

- Non posso sospettarmi se non hanno la ben che minima idea che io sia tornata, non credi?

Il goblin sorrise beffardamente e annuì compiaciuto.

Morgana si preparava alla sua ascesa e questa volta, non avrebbe fallito.

Avrebbe ucciso Artù Pendragon.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Clarissa e Mordred passarono il pomeriggio a studiare insieme tra una risata ed uno spintone amorevole.
Mordred prese il suo telefono e scattò diverse foto di loro due insieme.
- Mi fa piacere poter avere questa tecnologia... per tutto questo tempo prima di scoprire la verità, avrei voluto con tutto il cuore avere qualche foto da guardare ma...
Clarissa si incupì nel sentire quelle parole.
- Già... cosa avrei dato per avere qualche fotografia con voi, sarebbe stato tutto più semplice.
Mordred si alzò e le prese la mano tirandola a sé.
Clarissa si lasciò trascinare ed insieme corsero via dalla palazzina.
- Mordred! Fermati! Dove stiamo andando?
Lui continuava a correre tenendo salda nella sua mano la mano della principessa.
- Andiamo a svilupparle! Ce n’è anche una di prima, in cucina, tutti insieme!
Arrivati dal fotografo che non era troppo distante, decisero di aspettare nelle vicinanze del suo studio.
Clarissa nel frattempo gli raccontava di Elyan, Percival e Galvano nella fabbrica che avrebbero ben presto lasciato per unirsi anche loro ai Marines e di Lion e Ginevra.
- È terribile... mi dispiace per Artù, chi lo avrebbe mai detto... fortunatamente non sembra stia soffrendo molto.
Clarissa sorrise in maniera triste, sapeva che in realtà il dolore di Artù era molto più profondo del previsto ma che non avrebbe mai lasciato che trapelasse all’esterno.
Mangiavano un gelato alla vaniglia poggiati ad una ringhiera.
Quella piccola cittadina in salita regalava pensanti mal di stomaco a tutti coloro che viaggiavano in auto o in autobus, ma una vista mozzafiato del Tamigi in lontananza a tutti i residenti.
Clarissa guarda quella distesa d’acqua e sorride di un sorriso triste, rassegnato.
Mordred se ne accorge e cerca di tirarle su il morale.
- Non temere, Gaius troverà la conchiglia e potrai riconciliarti al regno del mare.
La abbracciò.
- Tutto si aggiusterà.
Passarono il resto del pomeriggio passeggiando, fermandosi nei parchi e stendendosi sull’erba fresca a parlare.
- Tu non pensi di arruolarti con gli altri per stare vicino ad Artù?
Mordred s’incupì.
- Non lo so onestamente... voglio servire Artù ancora ma non posso rischiare di espormi così… Gaius mi ha detto che anche Merlino vorrebbe stargli vicino ma d’istinto, in situazioni di pericolo, ci verrebbe naturale usare la magia. In questo mondo di tecnologie e quant’altro... non è possibile; verremmo scoperti subito e poi...? cosa ne farebbero di noi? Ci vivisezionerebbero per studiarci o ci porteremo in qualche strana sala delle torture del governo per farci parlare…
Guardò Clarissa negli occhi.
- Il gioco non ne vale la candela, stai attenta anche tu quando ritroverai i tuoi poteri.
Clarissa sbuffò.
- Come se mai potessi ritrovarli... li ho perso ormai, non ho fiducia a riguardo.
Mordred si alzò di scatto e Clarissa fece lo stesso spaventandosi.
- Tu li ritroverai, Clarissa. La magia è in tutto ciò che ci circonda. È nata con la terra stessa e non morirà mai. Devi solo crederci e trovarla dentro di te.
Si guardarono negli occhi e lei decise di abbracciarlo forte per il supporto.
- Grazie... prometto che sarò fiduciosa a riguardo.
 
Le foto sviluppate dal fotografo erano meravigliose.
I sorrisi spontanei che regalavano celavano la felicità di essere ritrovati tutti.
Ginevra e Leon se ne stavano in disparte durante questi momenti gioiosi.
I loro sensi di colpa per ciò che stavano facendo ad Artù li teneva lontani da loro per evitare di provocargli ulteriore dolore inutile.
Artù esternamente non si era fatto coinvolgere da ciò che stava accadendo attorno a lui, cercava di comportarsi come se Ginevra non fosse mai accaduta; né prima, né ora.
Continuava i suoi addestramenti e ad addestrare nuovi soldati, era quello che da sempre gli riusciva meglio; ma chi gli voleva bene sapeva che qualcosa era diverso.
Ygraine continuava a telefonare ma le telefonate erano sempre più rade e sfuggenti, con un tono preoccupato e apprensivo da parte di lei e un tono apparentemente caldo e vuoto da parte di lui.
Si chiudeva come un riccio nelle sue situazioni e non lasciava entrare niente e nessuno.
Era un grande contenitore vuoto, assente.
Svolgeva la sua routine giornaliera come meglio poteva e passando il tempo a far finta di nulla.
Lasciava che la vita accadesse attorno a lui senza parteciparvi attivamente, uno spettatore della sua stessa esistenza.
Clarissa lo vedeva da quelle fotografie.
Riusciva a vedere oltre l’inchiostro impresso su quel rigido foglio.
Vedeva quel sorriso che era sincero perché nella pugnalata che gli era capitata, la fortuna gli aveva rilasciato il regalo di ritrovare i suoi amici, i suoi compagni fidati.
Ma gli occhi; gli occhi sono incredibili. Dicono tutto anche se tu non parli.
Erano blu e profondi come un abisso, un abisso di pensieri al quale si lasciava andare di sera, solo sul suo piccolo balcone al pallore lunare fumando una sigaretta e ciccando in un grande vaso di terracotta con dentro una pianta grassa spinosa.
Lui era il vaso di terracotta. Fredda, dura e ruvida terracotta che sostiene tutto quel grande fiore, se così si può definire, con annesse le spine: la sua vita.
 
I giorni passarono sereni, e Mordred era riuscito ad integrarsi nell’Università senza problemi dando il massimo e comportandosi con umiltà e gentilezza; due doti che l’hanno sempre contraddistinto.
Viveva le sue giornate con gli altri e con Clarissa, che l’aveva preso di nuovo a cuore.
Viveva le sue giornate ignaro, o forse no, degli occhi scrutatori di Merlino che lo fissavano meditabondi pronti ad interpretare ogni singolo semplice gesto quotidiano che compiva per cercarne il passo falso, la cosa che l’avrebbe tradito e l’avrebbe reso il Mordred che lui sapeva fosse.
Odiava tutto questo.
Lo odiava perché persino Freya gli dava del paranoico e diceva che, invece, il giovane druido era una persona buona e sincera; dal cuore puro. Anche a Merlino sarebbe piaciuto se solo non fosse al corrente di tante cose.
Detestava il modo in cui tutti si lasciavano, secondo lui, abbindolare da quei suoi modi bonari e quell’animo puro che lasciava trasparire. Conosceva troppo bene il copione.
Continua a non credere alla frottola che Morgana si fosse impossessata della sua mente per farlo cedere di fronte a Kara e fargli combinare tutto quel casino.
Sapeva che, nonostante non fosse uno stregone estremamente potente, se solo avesse davvero voluto, si sarebbe potuto ribellare a lei; ma non l’ha fatto.
Arrendevole si è piegato al suo volere e ha lasciato che lei lo manipolasse fino ad arrivare a ciò che successe. L’inizio e la fine.
Merlino, in un pranzo qualunque in quella cucina del terzo piano, gira in senso orario il suo grande cucchiaio in quel piatto di minestrone caldo e pensa a tutto questo.
Siede vicino a Freya e i suoi pensieri sono interrotti dalle stridule risate che riecheggiano nella sua mente come un fastidioso ronzio imperterrito che gli blocca le sinapsi.
In uno scatto, lascia andare il cucchiaio nel piatto fondo e si alza di scatto, uscendo dalla cucina e lasciando tutti a metà.
Artù, che fino ad allora aveva assistito alle discussioni passivamente sorridendo e separando anche lui la sua mente da quello che stava accadendo in quel momento, decide di fermare Freya che vuole seguirlo ed esce lui.
Entra nella stanza di Merlino e Freya che si trova di fianco alla sua, sua destra.
- Non si usa più bussare?
Chiede Merlino infastidito dal balcone mentre si accende una sigaretta.
Artù chiude la porta ed entra nel balcone guardandolo strabiliato e fregandogli una sigaretta dal pacchetto, insieme all’accendino.
- Però... tu che fumi. E chi l’avrebbe mai detto.
- Lo so che mi guardi sempre come un coglione ma sono molto meno coglione di quanto riuscirai mai a capire.
Artù ride divertito dandogli uno spintone amichevole e lasciando il pacchetto di sigarette con l’accendino su un tavolo di vetro.
- Come stai?
Chiede Merlino.
- Sono un amico di merda, non te l’ho mai chiesto da quando...
Artù lo blocca toccandogli la mano.
- Da quando niente. Sto bene, non me ne frega un cazzo.
Cala il silenzio.
- Piuttosto, perché quest’uscita di scena? Il frullatore non ha frullato bene le carote e ti sei innervosito?
- Ma se non ho mangiato un cazzo.
- Lo so.
Tuonò Artù, e i due si guardarono.
- Io ti osservo, Mer. Lo sai. Per quanto tu sia fottutamente convinto che io ti consideri un coglione, per me non lo sei affatto. Osservo ogni cosa che fai quando siamo tutti insieme. Attraverso te, negli anni, ho imparato a capire, scegliere e vedere le cose. Quattro occhi sono meglio di due. Specie se sono i tuoi.
Merlino lo guardò stranito inarcando il sopracciglio ed espirando il fumo della sigaretta lentamente dalla b0cca. Artù si stizzì.
- Piantala con quelle facce di cazzo. Non ricevi un complimento da parte mia da...
Merlino lo guarda di nuovo con quello sguardo, stavolta divertito e in disappunto.
- Okay, forse non l’hai mai ricevuto e se questa è la tua reazione a riguardo adesso sai anche perché. Coglione.
I due ridono ma Artù cerca di tornare serio fumando dritto avanti a sé con lo sguardo verso il mare in lontananza.
- È Mordred, vero?
Merlino annuisce.
- Nemmeno io mi fido per un cazzo. Mi piace quel ragazzo è sveglio, intelligente, sempre così fottutamente gentile, Dio, sembra un cazzo di zerbino certe volte.
Merlino ride e si affoga leggermente col fumo. Anche Artù ride.
- Dico sul serio, non gli ho mai sentito dire di no, o finire una frase senza dire ‘prego’ ‘grazie’ ‘scusami’
- Eppure.
Tuona Merlino.
- Eppure.
Ribatte Artù.
- Se fa di nuovo il coglione con Clarissa io giuro su Dio che questa volta la spada gliela ficco su per il culo.
Merlino ride.
- Avevo sentito che nelle forze armate a furia di fare la parte del gradasso si diventa un gradasso, arrogante scurrile... asino.
Ripete la forse prima parola che gli ha detto appena si incontrarono anni fa, Artù se la ricorda e ride.
- Mi sa proprio che avevi ragione, sono un cazzo di asino. Me la sono fatta fare sotto al naso di nuovo... come si fa ad essere così stupidi, Cristo.
- Non è colpa tua lo sai, vero? Certe cose vanno così. Ginevra ha fatto la sua scelta, non puoi sapere se ti porterà qualcosa di meglio o qualc0sa di peggio se non te la vivi.
Artù si indignò.
- Io me la vivo e come.
Merlino inarcò un sopracciglio.
- Ah si? Ma davvero? Sei proprio sicuro?
Gli lasciò un tarlo che gli mangiava la testa. Sapeva che era la verità, che non se la stava vivendo. Che anche se fai finta che le cose non ti colpiscano, poi, ti colpiscono sempre. E fanno male. Cazzo se fanno male.
- Lo so. Ho bisogno di tempo per metabolizzare la cosa, anche se sarei l’ultimo uomo sulla faccia della terra ad ammetterlo.
Gli poggia una mano sulla spalla.
- Ce la farai, tutto a suo tempo. Nel frattempo però, non perdere di vista Mordred. Come hai ben detto prima, quattro occhi sono meglio di due.
Artù annuisce.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


È passato ormai un mese da quando Mordred è tornato.
Gaius, due settimane fa, aveva un grande annuncio da fare e riunì tutti quanti in cucina.
 
Erano tutti in cucina con Gaius seduto su una sedia gialla in plastica, tutti attorno a lui sparsi per la cucina, alcuni seduti ed altri in piedi.
Artù era appoggiato al muro e fissava Ginevra di sottecchi che, sentendosi punta dal suo sguardo lontano, ogni tanto alzava gli occhi e vi trovava i suoi a fissarla senza espressione.
Quello scambio di sguardi fugaci durava attimi fuggenti, lei non sopportava la vista di lui così tenebroso nei suoi confronti e cercava di far vagare il suo sguardo ovunque tranne che su quella finestra vicino alla quale lui era spalle al muro.
Clarissa e Merlino ogni tanto si guardavano capendo cosa stava succedendo e sorridendosi in maniera triste, spenta, l’un l’altra.
Gaius prende un sospiro e richiama l’attenzione di tutti.
- Morgana è tornata.
Un sospiro generale da parte di tutti.
Artù chiude gli occhi in segno di meditazione e in un attimo rivive tutto quello che è successo da quando ha sentito quella frase per l’ultima volta.
Quando, nella grande sala di ricevimenti del castello di Camelot, Uther si alza in piedi e prende la mano di Morgana alzandola verso l’alto mentre, con l’altra, teneva alto un calice dorato splendente con del buon vino d’annata.
- Morgana è tornata!
Urla e tutti applaudono. Morgana, apparentemente innocente, gioca bene il suo ruolo lasciandosi andare a qualche lacrime di commozione.
Nessuno sapeva, che niente sarebbe stato più come prima.
Apre gli occhi per distogliere la sua mente da quel deja vu che, nonostante l’odio per la sorella che ha sempre tanto amato, fa ancora male. Lui a Morgana teneva davvero. Forse era l’unico al mondo ad averci sempre tenuto ed aver sempre vegliato su di lei. E lei lo pugnalò alle spalle, anzi, in pieno petto.
- Ma è morta.
Tutti strabuzzarono gli occhi e Artù sentì un tonfo al cuore, come quando Mordred lo trafisse in pieno con quella spada forgiata dal fiato del drago bianco, Aithusa.
- Morta? Gaius... è un altro dei suoi scherzi, non può essere vero.
Gaius abbassò la testa in segno di sconforto.
- Merlino, sono assolutamente certo che sia così. Ho mandato in nottata una squadra di ricerche per dissotterrare la bara e controllare che sia lì, giorni fa sono andato io stesso a Nottingham per il riconoscimento del cadavere. Ovviamente, Gorlois, non sa niente di ciò. Ma è devastato. Pare che questa vita avesse voluto dare una seconda chance anche a lei, era in società con suo padre e non aveva la ben che minima idea di ciò che stesse accadendo, contrariamente a voi. Viveva la sua vita tranquilla e partecipava ad attività di volontariato negli ospedali nel suo tempo libero.
Artù tirò su col naso cercando di non darlo a vedere.
La notizia l’aveva sconvolto.
Sapeva che in Morgana c’era una parte buona che faceva a pugni con quella che riusciva sempre a prevalere.
Il suo animo buono, aveva avuto una seconda occasione.
Ma adesso, è tutto spazzato via. Chissà se sta volta, per sempre.
Calò il silenzio e nessuno sapeva cosa dire.
Si guardavano tra di loro cercando parole, frasi, qualsiasi cosa per rompere quel silenzio assordante ma Morgana non c’era più e questo, non poteva cambiarlo nessuno.
Gaius si alzò e si congedò, andandosene.
Lo seguirono Leon e Ginevra che, sebbene stavano cercando di rientrare piano piano nella comitiva, si tenevano sempre in disparte.
Rimasero tutti gli altri, seduti in cerchio con la testa tra le mani. Artù rimase in piedi a guardare fuori dalla finestra.
- Ci parli tu?
Merlino si rivolse a Clarissa attraverso il pensiero e lei annuì.
Si alzò e gli andò vicino mentre Merlino, per creare un sottofondo, cominciò a parlare dell’argomento e a spronare gli altri a dire la loro a riguardo.
- Ehi.
Artù sorrise ma non distolse lo sguardo.
Lei gli andò vicino ed infilò un braccio tra il fianco ed il braccio sinistro di Artù per abbracciarlo e si poggiò a lui con la testa sulla spalla mentre gli carezzava il fianco dentro con il braccio sgattaiolato.
- Mi dispiace, Artù.
- È il cerchio della vita. Mi spiace solo che questa volta avesse buone intenzioni.
Clarissa annuì guardando di fronte a sé insieme a lui.
- Puoi portarla sempre nel tuo cuore, però.
- L’ho sempre fatto.
Lei sorrise.
- Lo so.
Artù la guardò e lei ricambio lo sguardo.
- Tu sai troppe cose.
Sorrise.
- Credi di essere cupo, silenzioso, misterioso... sei più libro aperto di quanto tu possa mai immaginare. O per lo meno, per me.
Lui sogghignò e la abbracciò con il braccio sinistro.
Quel gesto provocò un brivido freddo su per la schiena a Mordred che, seduto, partecipava passivamente alla conversazione.
Merlino se ne accorse e, continuando a parlare, lo osservava di soppiatto.
Ecco il passo falso che stava aspettando.
Mordred aveva un’indole molto gelosa e possessiva ma di Artù diceva sempre di fidarsi, di essere lieto che lui e Clarissa fossero buoni amici.
Merlino percepì che quel brivido non fu solo gelosia. C’era altro.
- Ti voglio bene, Artù. Sei un uomo meraviglioso. Lo sai che ci sono sempre per te, vero?
Lui le diede un bacio sulla fronte e lei lo abbraccio stringendogli le braccia attorno al collo e affondando il suo viso sul suo petto.
Mordred ebbe un secondo brivido.
Merlino sogghignò. Scacco matto.
- Anch’io te ne voglio, zuccona.
 
NOTE DELL'AUTORE: questa storia non è seguita da moltissimi utenti ma volevo comunque scusarmi per l'attesa. l'Università mi sta divorando, spero questi due capitoli possano essere un buon perdono. buona lettura e, come sempre, siate clementi. Ahimè, sono una miserabile dilettante! ahahah :*

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Come accennato prima, è ormai un mese che Mordred è entrato nelle vite di tutti quanti per sconvolgerle e, in positivo e negativo, ci è ben involontariamente riuscito.
Clarissa era contenta di ciò che le era accaduto ma teneva sempre un occhio di riguardo su Artù il quale, l’ennesima notizia spiacevole, l’aveva reso ancora più stalattite di quanto ormai già non fosse.
Merlino non riferì a nessuno ciò di cui si era reso conto riguardo Mordred, deciso a continuare a studiarlo all’ombra di ogni giorno.
Due settimane erano ormai passate dalla fatidica notizia di Gaius ma la vita dei ragazzi stava cambiando, evolvendosi passo dopo passo.
Grazie ad una forte spinta e raccomandazione ben meritata, Percival e Galvano erano riusciti ad entrare nei Royal Marines già da un po’ e, insieme ad Artù, a breve sarebbero partiti per una campagna addestrativa in Algeria.
Avrebbero pattugliato la zona per un po’ ma, visto il momento di pace che stava attraversando in quel momento il paese, si decise che avrebbero approfittato dell’occasione per mettere a dura prova la resistenza di alcune reclute scelte.
Clarissa aveva cominciato a lavorare come barista nel bar del chiosco dell’Università per arrotondare con le spese e, bensì il periodo di prova con gli studenti era finito, Artù era riuscito a tenersi la sua adorata stanza a fianco a Clarissa e passava ogni pomeriggio per il suo rituale shot di rum post addestramento. Per rinfrescarsi, diceva.
Mordred continuava la sua brillante carriera Universitaria e Merlino e Freya, il loro tirocinio nei rispettivi ambiti.
Ogni tanto praticavano un po’ di magia nella cucina o nelle stanze di qualcuno, lasciando Artù sempre più allibito ed incredulo davanti ad una cosa, per lui, così strana.
Clarissa non aveva ancora recuperato i suoi poteri, li guardava con occhi sognanti e lucidi intrisi di tristezza. Gaius disse a Merlino che non era il momento adatto per portarla alla grotta dei cristalli o meglio, quel che ne era rimasto.
Lì avrebbe potuto recuperare la sua magia, non prima di aver messo un po’ di giudizio.
L’arrivo per Mordred, secondo loro, avrebbe rallentato il processo verso tutto ciò che le accadrà perché quell’amore puro e semplice che prova nei suoi confronti la rende infantile, a volte distratta. Aveva bisogno di ritrovare sé stessa prima di ritrovare i suoi poteri.
 
Era ormai metà ottobre, quasi Halloween.
Tutta l’Università ed il paesino di Basildon si preparano ai festeggiamenti essendo una festa molto vissuta per tutto il popolo inglese.
Il bar aveva già qualche ragnatela appesa ed un paio di zucche poste ai lati del bancone intagliate con facce paurose; venivano usate come salvadanai per raccogliere i fondi per la festa di Halloween.
Clarissa lavora serena asciugando qualche bicchiere e poggiandolo in un vano apposito dietro al bancone pronto per essere riutilizzato.
Le sue colleghe prendevano ordinazioni o controllavano che non mancasse nulla.
Freya e Merlino si sedettero su due sgabelli di fronte a lei e Artù la salutò da lontano con un sorriso facendo segno con la mano di cominciare a preparare ‘il solito’.
Clarissa sorride di ricambio e scuote la testa poggiando il bicchiere ormai asciutto e rivolgendosi ai suoi amici.
- Allora, cosa posso portare a questi due meravigliosi innamorati, oggi?
Merlino e Freya sorrisero e ordinarono rispettivamente una birra al limone e un succo all’arancia in bicchiere con ghiaccio.
Clarissa si volta si spalle al bancone e comincia a mettere del ghiaccio in quel grande bicchiere in maniera disinvolta.
- Kara.
Quasi come un sussurro, Merlino avverte qualcuno pronunciare quel nome e cerca con tutte le sue forze di sperare che non sia quello che immagina.
Si volta lentamente e vede Mordred con una ragazza di fronte.
Ci sono dei libri a terra vicino al giovane druido, probabilmente caduti dalle sue mani per lo sgomento.
Kara sorride lasciandosi scivolare qualche lacrima, rimanendo immobile davanti a lui.
Artù stava parlando con un suo amico e si volta distrattamente per poi tornare con lo sguardo sul suo interlocutore. Nel voltarsi, si accorge di qualcosa di strano e torna indietro.
Vede i grandi occhi di Merlino spalancati su di una scena e seguendone la traiettoria arriva anche lui alla vista di Mordred sbigottito con Kara di fronte a lui.
Non dimenticherà mai quegli occhi ghiacciati. Mentre veniva impiccata, li ha tenuti fissi su di lui fino a quando non presero il suo corpo ormai senza vita e le abbassarono le palpebre. Persino da morta, esile e penzolante su quel cappio, il suo sguardo era fisso su di lui. Come una maledizione.
Clarissa si gira e vede Freya e Merlino di spalle. Sorride ingenuamente e cerca di capire cosa stanno guardando.
Artù, da lontano, osserva tutto in diretta.
Clarissa si accorge di cosa stanno guardando.
Le sue pupille si dilatano lentamente e la sua bocca si apre leggermente tremando, come se volesse dire qualcosa ma le parole le si spezzano in gola.
Lascia cadere il bicchiere per terra che va in mille pezzi e richiama l’attenzione di Merlino e Freya che si voltano all’istante.
Un secco rumore di vetro incontra il parquet e si frantuma in mille pezzi.
Dev’essere quello che è accaduto dentro Clarissa.
Il ghiaccio scivola leggermente via da quei cocci, integro.
Kara continua a piangere e si porta le mani davanti alle labbra scuotendo la testa.
Farfuglia qualcosa come un ‘non posso crederci’ e gli si butta con le braccia al collo.
E poi, tutto accade in un istante.
Mordred rimane fermo su sé stesso nonostante il peso della ragazza che gli si fionda addosso.
Kara guarda Mordred negli occhi, gli prende i baveri della camicia, e gli da’ un bacio.
Clarissa sobbalza sul posto incredula e le lacrime cominciano a scorrerle senza sosta sul volto, dietro i suoi grandi e sottili occhiali da vista neri.
Indietreggia di qualche passo e, incerta e tremolante, cammina svelta verso l’uscita dal bancone, diretta verso di loro.
Artù prende uno scatto fulmineo e, camminando a passo svelto, si dirige verso di lei superando i due fugaci amanti.
Clarissa comincia a correre cercando di guadagnare terreno tentando di dire qualcosa ma Artù la prende al volo con un braccio e la trascina via.
Lei si dimena e piange urlando, ancora col suo grembiule da barista bianco e arancione.
- No! Lasciami andare! Ho detto lasciami! Lasciamii!
Intervengono delle guardie di sicurezza mentre Artù la trascina via ma basta mostrare il cognome ricamato sul lato destro della maglia verde per lasciarlo passare.
- È tutto sotto controllo, lasciatemi passare.
Li scosta e si trascina Clarissa su in camera che non ha smesso un attimo di dimenarsi con braccia e gambe per essere lasciata andare.
Le lacrime scorrono veloci mentre lei picchia sul suo petto e farfuglia di fermarsi e di tornare indietro.
Arrivano nella stanza di Artù e la lascia di peso morto sul letto mentre, in piedi davanti a lei, si nasconde la chiave della stanza nel taschino del pantalone.
Lei si alza di scatto continuando a dare di matto ma lui le frena i polsi e la invita a calmarsi e a ragionare.
Clarissa continua imperterrita senza voler sentire ragioni e diventa difficile gestire la situazione per tenerla ferma senza rischiare di esercitare troppa pressione nel bloccarla.
- Basta, Clarissa. Clarissa, ehi. Ssh, ho detto basta. Se non ti calmi non puoi fare niente.
Continuava a frignare seduta sul letto nel tentativo di svincolarsi e alzarsi, e quasi non la riconosceva più mentre la pazienza lo stava abbandonando.
Poggiò un ginocchio su letto per cercare di esercitare maggiore pressione nel tenerla ferma senza essere costretto a dover stringere le prese sui polsi. Fu tutto inutile.
Dopo un altro minuto di lamenti ininterrotti, Artù venne preso da un impeto di rabbia e, prendendola dai polsi, la sbatté con forza nuovamente sul letto rimanendo sopra di lei con il volto ormai bordeaux per l’urlo liberatorio che gli aveva fatto venir fuori.
- HO DETTO BASTA!
Clarissa si calma di botto continuando a sogghignare in silenzio e rendendosi finalmente conto della situazione.
Artù era sopra di lei che le teneva stretti i polsi ed aveva la vena sulla tempia sinistra che gli pulsava velocemente.
Lui si rende conto di averla spaventata per la seconda volta, così come quel giorno che vide Leon e Ginevra per la prima volta.
Le molla i polsi e si alza in piedi tenendo ancora il ginocchio poggiato al bordo del letto.
Clarissa si alza di scatto e gli si butta addosso, trovando un paio di braccia che le danno conforto.
Tiene salda la sua testa sul suo petto e la mano intrecciata nei suoi capelli mentre lei si sfoga ancora una volta piangendo incredula per quanto accaduto.
- Quel figlio di puttana adesso se la vedrà con me.
Le sussurra.
Ma lei si stacca da quell’abbraccio e lo guarda dritto negli occhi deglutendo e cercando di non singhiozzare anche se alcune lacrime continuano a rigarle il volto.
- No, non voglio questo. Non voglio ripercussioni su di lui. Sono io, è colpa mia.
La prende dai fianchi e la scuote leggermente per farla ragionare.
- Clarissa, cazzo. Ragiona! Colpa di cosa, ma sei impazzita pure tu?
Lei sorride in maniera triste asciugandosi le lacrime.
- È colpa mia, non imparo mai. Sono una stupida stronza.
Si siede sulle sue ginocchia che sono poggiate sul letto e Artù si fa spazio per sedersi a sua volta.
- Tu gli hai dato fiducia. Dare fiducia è la cosa più bella che si possa fare nei confronti di una persona. Hai avuto coraggio, non è colpa tua. Non sei una stupida. Ne tanto meno una stronza.
Le pizzica la guancia con le dita e lei sorride di nuovo con quel sorriso carico di tristezza.
Se la tira di nuovo a sé stringendola forte.
- Non voglio vederti soffrire. Basta, ti prego. Non di nuovo, non ancora in questa vita.
Lei continua a singhiozzare sul suo petto.
- Nemmeno io volevo continuare a vederti soffrire, eppure.
- Eppure un cazzo.
I due si guardano e sorridono. Stavolta hanno entrambi quel sorriso.
Artù le mette gli occhiali sopra la testa e con passa un dito sotto i suoi occhi per lavare via tutto quel leggero trucco sbavato.
- Dovrò affrontare Mordred prima o dopo...
Artù sorride.
- Sono certo che c’è già chi gli sta anticipando un palmo di culo da parte tua.
Clarissa si ferma un attimo a pensare e poi realizza.
- Oh, no.
 
Merlino gli va incontro e gli da uno spintone mentre attirano l’attenzione delle persone attorno a loro.
- Che cazzi credi di fare, EH!
Freya lo segue ma cerca di essere meno brutale.
- Sei un vigliacco, Mordred! Ma come ti salta in mente.
Lui rimane sbigottito senza sapere cosa dire e Kara si intromette nella conversazione.
Torna accanto a lui e lo abbraccia.
- Noi ci amiamo! Non c’è niente che possiate fare per cambiare la situazione. Diglielo, Mordred!
Mordred la guarda e scivola via dal suo abbraccio sotto gli occhi increduli di tutti.
- Kara io non... io non ti amo.
Kara ha un tonfo al cuore e Merlino è sempre più sbalordito.
- Kara perché mi hai baciato, io non volevo quel bacio.
- Ma tu... quando mi hai visto.
- Ero sorpreso! Ma non...
Kara tenta di farfugliare qualcosa quando Mordred recupera un attimo di lucidità.
- Clarissa...
Sussurra.
Guarda verso la palazzina dove vivono loro e corre a perdifiato verso di essa.
- CLARISSA!
Kara rimane a fissare Merlino e Freya singhiozzando e si allontana a passo svelto dal lato opposto, verso l’uscita.
Merrlino e Freya si guardano.
- Cosa cazzo è appena successo?
Freya scuote le spalle e decidono di seguire Mordred.
 
Clarissa si sente chiamare a gran voce e sente bussare insistentemente alla sua porta.
Artù apre la porta della sua stanza trovano Mordred che pronuncia un incantesimo per aprire la porta della stanza di Clarissa e, quando sta per entrare, la vede dietro Artù che lo guarda sconvolto quasi quanto lei.
Mordred nota quanto Clarissa sia sotto shock e nota che i suoi polsi sono rossi come le sue guance e le mani di Artù, ed il suo volto.
- Che cazzo le hai fatto!
Si dirige verso di lui minaccioso e, quando sta per sferrargli un destro diretto, Artù gliene serve uno per primo stramazzandolo a terra.
Merlino e Freya arrivano in tempo per godersi la scena e Clarissa e si porta le mani davanti alla bocca incredula.
- L’hai ucciso!
Tuona lei incredula ancora con le mani che le coprono la bocca.
Artù non si scompone e apre e chiude il pugno con il quale l’ha colpito.
- No, ha solo perso i sensi.
- Ma si può sapere che CAZZO sta succedendo!
Merlino diventa sempre più incredulo ogni minuto che passa e capisce che la situazione sta prendendo una piega tragicomica.
 
Mordred riprende i sensi ed è seduto su una sedia nella stanza di Clarissa mentre lei è seduta sul letto di fronte a lui, Artù in piedi insieme a Percival e Galvano che sono sopraggiunti qualche minuto dopo e Merlino e Freya seduti anche loro su due sedie.
Mordred picchietta piano un cubetto di ghiaccio sulla guancia avvolto in un piccolo straccio pulito e, dopo aver spiegato l’accaduto, si tiene la testa per aiutarsi a riprendere conoscenza.
Sono tutti sconvolti ed è successo tutto così in fretta.
Galvano da uno spintone a Percival e rompe il silenzio a suo modo.
- Vedi? Hai visto? Lo sapevo! È colpa tua!
Percival lo guarda dubbioso.
- Mia?
- Si! Ci metti una vita per cambiarti dopo ogni addestramento e guarda che cazzo ci siamo persi. Bravo Percival complimenti, sempre così!
Riescono a far sorridere persino Mordred, ancora intontito dal destro di Artù.
- Scusami.
Tuona Artù tanto per rompere le risate generali.
Mordred lo guarda e poi torna a fissare per terra con gli occhi socchiusi per cercare di alleviare l’emicrania.
- Me lo sono meritato. Mi dispiace di aver pensato a male, non ne ero in diritto. Proprio io. Proprio in quel momento.
Clarissa inarca un sopracciglio e ruota lo sguardo: ‘ci mancherebbe!’
Si alza dal letto e Mordred alza subito lo sguardo per sapere che fa.
Prende un bicchiere, lo riempie d’acqua fresca e ci immerge una compressa effervescente.
Glielo porge.
- Bevi. Ti aiuterà a riprenderti.
Artù fece intendere che era ora per gli altri di andare via e lasciarli da soli a parlare.
D’altronde, erano questioni personali.
Chiudono la porta e Mordred la guarda, scoprendo che in realtà lei lo fissava già.
- Mi credi, vero?
Clarissa lascia vagare il suo sguardo in giro per la stanza non sapendo che dire.
Decide poi di guardare lui.
- Non lo so, Mordred.
Lui sospira sconfitto.
- Clarissa io non la amo, ero solo sconvolto per averla rivista.
Lei fissa il vuoto per qualche secondo.
- Ho bisogno di un attimo. Un attimo per capire che cazzo è successo e decidere cosa voglio farne a riguardo. Siamo d’accordo, è stato un bacio rubato e non voluto. I tuoi sentimenti sono chiari; ma fa male, Mordred. Cazzo, se fa male. È stato come rivivere la stessa scena per la seconda volta. Non puoi pretendere che in uno schiocco di dita io faccia finta di niente. Se mi ami, come dici, capirai.
Lui si alza e posa il bicchiere.
Le porge un braccio e lei lo abbraccia forte.
Le lascia un bacio sulla fronte.
- Ti aspetterò sempre, lo sai. Non ti lascio scappare di nuovo.
La guarda negli occhi e sorridono entrambi.
- Ti amo, Clarissa.
Lei sente dentro di sé che è meglio non rispondere.
Annuisce sorridendo e Mordred, dopo aver messo la sedia al suo posto, se ne va chiudendosi la porta alle spalle.
 
________________________________________________________________________________
- Non ha funzionato.
Morgana, seduta alla sedia, sorride beffardamente.
- E così il nostro giovane amico questa volta non ci è cascato.
Kara cammina nervosamente per la stanza.
- Non ha funzionato. Non funziona. Non funzionerà. Lui è davvero innamorato di lei questa volta.
- Lo era anche nell’altra vita, eppure ci siamo riuscite.
Kara si ferma e la guarda stizzita.
- Non ci siamo riuscite, l’abbiamo ingannato. Non lo ingannerò di nuovo, io lo amo!
Morgana sbuffa.
- Amore, amore e amore. Quante chiacchiere inutili. Non ti ho evocato dal mondo dei morti per farti decidere cosa fare della tua vita.
- Beh allora avresti dovuto invocare la mia ombra, non... me! Non sono ai tuoi servizi Morgana, non lo sono più! Mordred non è un giocattolo. Dici di tenerci a lui e guarda come lo tratti. Se è questo il trattamento che spetta alle persone a cui tieni allora grazie, me ne vado.
Kara sta per aprire la porta e Morgana la frena con una frase pacata.
Ha sempre saputo come entrare nella mente delle persone e piegarle al suo volere.
- Mia cara tu lavori per me da tanto ma non hai ancora capito nulla. Il mio intento non è di forzare il piccolo Mordred nei tuoi confronti se non di dargli una spinta.
Kara si blocca con la mano sulla maniglia della porta principale di quella vecchia casa che aveva preso in affitto a nome suo, dove Morgana sarebbe rimasta giusto il tempo di ottenere ciò per cui aveva viaggiato così a lungo da Nottingham sotto falsa identità.
Kara si volta e Morgana posa una pozione sul tavolo.
- Aiuterà Mordred a ricordarsi meglio di te. Di tutto ciò che avete passato fin da bambini. Sarà come intraprendere un viaggio dentro sé stesso al termine del quale, di sua spontanea volontà, il giovane druido deciderà in totale autonomia quale strada intraprendere.
Kara scuote la testa.
- Mi ha appena rifiutato davanti a tutti, anche se dovessi riuscire a fargliela bere, noterebbero che c’è qualcosa che non va.
Morgana sbuffa di nuovo.
- La pozione ha effetto nel tempo. È un ‘cambiamento’ che avviene gradualmente. Devi solo cercare di entrare nel giro e verrà interpretata come una reazione spontanea quella di avvicinarsi a te.
Kara si convince decisa a vincere il cuore di Mordred per il quale ha sempre nutrito un debole e un’ossessione non indifferente da tempo immemore.
- Ora vai e riposati. Domani devi tornare all’attacco.
Kara esegue gli ordini come un automa e si chiude nella sua stanza per la notte.
Il fedele adepto di Morgana le si avvicina, sussurrando.
- Una volta scoperto l’inganno, potrebbe saltare tutta la copertura.
Morgana sorrise.
- Una volta scoperto l’inganno, ormai sarà già troppo tardi.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Un bussare incerto irrompe in quel silenzio devastante.
Il sole è ormai calato di Basildon e Clarissa è stesa sul letto che guarda il soffitto giallo senza espressione, gli occhi leggermente socchiusi.
Non risponde a quel nocchettio e passano pochi minuti prima che la stessa, si apra.
Artù compare davanti a lei e la guarda cercando di sorridere.
- Ehi.
- Ehi.
Risponde lei freddamente.
Poggia una tazza sul comodino e si stende di fianco a lei.
- Come stai?
Clarissa scrolla le spalle.
- Spero tu non abbia ceduto.
Ribattè lui.
Lei lo guarda con un sopracciglio inarcato.
- Beh, sicuramente ti avrà detto che ti ama e che non pensa niente riguardo Kara e che non succederà mai nulla, ti proverà il suo amore e tante altre cazzate.
Clarissa persiste nel suo sguardo e si gira a pancia in giù con i gomiti che le permettono di tenersi rialzata rispetto al materasso.
Artù prende un cuscino e se lo piazza sotto la testa, mettendo il braccio tra il cuscino e la testa per cercare di guardarla meglio.
- Sembri sorpresa. Non lo sai che sono le solite cazzate che si raccontano, vero?
Lei scuore la testa e si porta i capelli dietro l’orecchio.
- No.… perché dovrei...
Artù sospira.
- Beh, per tua fortuna io sono un uomo e queste cose le so bene.
Clarissa inarca nuovamente un sopracciglio divertita e per punzecchiarlo.
- Non fare quella faccia, se vuoi puoi controllare.
Si porta una mano vicino alla vita e, lentamente, finge di abbassarsi i pantaloni.
Clarissa gli blocca la mano.
- No, grazie. Ti credo sulla parola.
Artù ride e le poggia un braccio attorno al collo per portarle la testa sul suo petto e le carezza i capelli. Clarissa chiude gli occhi e sospira.
- Non devo fidarmi, vero?
Artù non risponde e lei lo guarda. Sta fissando il soffitto proprio come lei prima, poi posa lo sguardo su di lei.
- Beh... non lo so. Và avanti con la tua vita e vedi fino a che punto è disposto a spingersi per te. È la cosa migliore. In questo modo non ti fermi, vai comunque avanti... ma tieni aperta una finestra sul... ‘passato’ wow, nel vero senso della parola.
I due ridono ma Clarissa torna seria.
- È quello che stai facendo tu con Ginevra, vero?
Smette di ridere e continua a carezzarle i capelli senza distogliere lo sguardo da quel soffitto così apparentemente interessante da essersi guadagnati due spettatori in un giorno solo.
- Tu sei troppo romantica, Clarissa. Io non sono come te.
- Però la ami ancora. E ti manca.
Artù sospira.
- No. Non la amo più. Mi manca l’idea... quell’idea di noi due che ci siamo costruiti nel tempo. Ci siamo rifiutati a vicenda per tanto tempo quando in realtà dentro di noi facevamo a botte con noi stessi per correrci incontro e poi, finalmente divenni Re... ero l’uomo più felice del mondo perché stavo per ottenere il titolo che più desideravo: diventare suo marito.
Clarissa sorride nel sentirlo parlare e conosce un aspetto che non aveva lasciato mai trasparire.
- Poi venne il tradimento... ero devastato. Era tutto un trucco di Morgana, quella donna prova più piacere nel distruggere le relazioni che nel distruggere me a quanto pare.
Clarissa sorride.
- Poi ci siamo rincontrati... ho spezzato e rinnegato le mie tradizioni per sposare la donna che amavo e che ho sempre amato. E guarda ora... con uno dei miei migliori amici. Buffo, eh? Ma è sempre così, è da copione. Penso mi manchi quell’idea, ero così accecato da quell’amore da non guardarmi attorno... o forse non c’era niente da guardare.
Clarissa si siede sul letto di scatto e così fa anche lui, preoccupato che qualcosa non andasse bene.
Lo abbraccia forte e, preso così alla sprovvista, l’istinto gli dice di ricambiare.
Clarissa sorride ancora.
- Ti batte forte il cuore quando parli di lei.
Artù rimase a fissare il vuoto, o meglio, quell’immagine. Quell’immagine di Clarissa così piccola e minuta nel suo abbraccio. Si guardava dal vetro della finestra difronte a lui e pensò che quel battito, forse, non era più rivolto a Ginevra.
Si stacca da quella stretta e si alza dal letto scrollando le spalle.
- Ti ho portato una cioccolata calda, si dice che il cioccolato sia il rimedio per tutto...
Clarissa sorride.
- Grazie... farò come hai detto tu.
Artù annuisce e se ne va senza dire una parola.
Si chiude la porta alle spalle e rimane lì a fissarla.
A fissare quel legno massello e quel ticchettio che fanno le porte elettroniche poco dopo averle chiuse.
- Conosco quello sguardo.
Merlino è lì che lo aspettava e Artù torna nel suo personaggio da uomo d’acciaio.
- Non conosci proprio un cazzo.
Entra nella sua stanza ma Merlino ferma la porta con un piede prima che si possa chiudere del tutto ed entra. Si siede su una poltrona.
- Perché non lo ammetti, eh? Non dirmi che non conosco o non so un cazzo, ci conosciamo da troppo tempo e ho visto quello sguardo solo un’altra volta nella mia vita.
Artù ha il braccio poggiato al muro e la testa poggiata su di essa, si volta e rimane spalle al muro.
- Ti prego, Merlino... lasciami in pace. Sta vita di merda è appena iniziata e già fa schifo, sarebbe grandioso se potessi evitare di renderla una merda ancora di più.
Merlino si toglie il sorriso sgargiante e pieno di entusiasmo che aveva per tornare serio.
Si alza e mette la mano sulla maniglia della porta, poi si volta.
- Sai, una volta un babbeo reale mi ha insegnato che niente nella vita è gratis... beh, tranne diventare un babbeo reale.
Artù ride complice.
- Perciò se vuoi qualcosa, alza quel culo mimetico e vattela a prendere.
Artù ride di nuovo ma con un sorriso triste.
- Sì, nel culo. Lascia perdere.
Merlino lo lascia lì ammiccandogli speranzoso e chiudendosi la porta alle spalle.
- Vedremo!
 
L’indomani, Kara si presenta in università e decide di fermarsi ad un distributore automatico.
Prende due caffè e in uno dei due ci versa scrupolosamente la pozione di Morgana che, inconsciamente, pensa davvero sia ciò che la sacerdotessa le aveva detto.
Si dirige nel corridoio con questi due bicchierini in mano, tenendo a mente che il sinistro è quello per Mordred.
La pozione, in realtà, era un filtro d’amore di quelli blandi, permetteva al malcapitato di cominciare a provare un’infatuazione prima leggera e poi profonda verso la persona che glielo aveva fatto bere.
L’incantesimo era difficile da spezzare poiché, pian piano, la persona stessa avrebbe preso coscienza di amare in maniera passiva chi c’era dall’altro lato della pozione.
Kara scruta Mordred prendere dei libri dall’armadietto e si dirige a passo incerto verso di lui.
Mordred chiude il suo armadietto e, voltandosi, la vede arrivare.
Clarissa era con Merlino e Freya e decidono di appartarsi dietro una colonna per osservare.
- Ehi.
Dice lei tremante. Mordred sbuffa e si forza un sorriso per gentilezza.
Lei gli porge il bicchiere e lui inarca un sopracciglio.
- Volevo scusarmi per ieri, ero fuori di me. Sono stata un’ingenua e senza rispetto. Ho dato tutto per scontato, questo è il mio modo per chiederti perdono.
- Grazie...
Mordred accetta il caffè titubante ma lo beve, tutto d’un fiato.
Kara lo abbraccia e va via sorridendo.
Mordred scuote la testa, getta il bicchiere nella differenziata e prosegue dritto per il corridoio.
Quando Clarissa si volta verso i due, si accorge che la stavano fissando in attesa di una risposta, sobbalza sul posto.
- Mio Dio, siete un’ansia.
- Allora?
Sentenzia subito Merlino. Clarissa scuote le spalle.
- Allora... allora un cazzo. Non posso dire niente insomma lui si è comportato normalmente di certo non le è saltato addosso e ho apprezzato lei che, almeno questa volta, ha avuto un briciolo di rispetto.
Scorge Artù dietro di loro camminare nel cortile con il suo borsone mimetico sulle spalle sorretto con una sola mano.
I due si voltano e lo vedono anche lui e si godono la reazione di Clarissa in diretta che, poco dopo, si sente di nuovo i loro occhi addosso.
- Cosa?
Merlino sorride e se ne va con Freya, ma lei li raggiunge per stare al loro passo.
- Cosa??
Freya sogghigna.
- Secondo me i tuoi occhi ormai guardano altrove.
Clarissa prende colore tutto d’un botto.
Clarissa è consapevole del fatto che Artù sia un uomo oggettivamente affascinante ma non ha mai pensato a lui in quel senso e non voleva pensarci.
- Il casino con Mordred è successo appena ieri e poi Artù prova ancora dei sentimenti per Ginevra, riesco a vederlo nei suoi occhi.
Merlino ride.
- Allora cara mi sa tanto che la gradazione degli occhiali che già porti, va aumentata.
Gli da uno spintone.
- Sei un deficiente.
 
Col passare delle ore, tra una lezione ed un’altra, Mordred comincia a sentirsi strano.
Mentre era seduto su quella comoda poltrona di quell’aula così grande durante la lezione di Economia Internazionale, comincia a pensare a Kara.
Scuote la testa più volte cercando di liberarsi di quel pensiero, in vano.
Decide di prendere le sue cose ed uscire di soppiatto, abbandonando quegli uomini incravattati che parlavano di quanto è importante il petrolio negli scambi internazionali e nella politica odierna.
Si sciacqua il viso ma l’immagine di Kara è ancora lì, nitida.
Ripercorre tutta la loro vita passata insieme cominciando a pensare che se quando Morgana l’aveva ingannato lui non era riuscito a liberarsi dal sortilegio, era perché forse un po’ a Kara ci teneva.
Forse più di un po’.
Decide che doveva essere chiaro con Clarissa, essere onesto.
Andò nella cucina comune sapendo di trovarli lì e, quando spalancò la porta, si trovò tutti quanti che si freezzarono da quello che stavano facendo e si voltarono verso di lui.
Ebbe tutti gli occhi addosso per qualche momento e decise di chiedere a Clarissa di uscire.
Lo seguì fuori e volse un ultimo sguardo ad Artù prima di chiudersi la porta alle spalle, che la guardava serioso. Come un felino scattante pronto all’attacco in caso di necessità.
Mordred si guardava attorno e Clarissa gli poggiò una mano sulla spalla per cercare di calmarlo, ma lui la rifiutò scorbuticamente all’istante.
Era rosso in volto per la tensione e, dopo aver preso un profondo respiro, la guardò dritto negli occhi.
Clarissa aveva gli occhi lucidi nel profondo e un po’ anche lui.
- Clarissa...
Prese un altro sospiro.
- Io non ti amo.
Di nuovo quel tonfo.
Clarissa deglutì come se dovesse letteralmente mandare giù quel groppone di parole.
Poi però, senza lasciar trasparire nessuna emozione, incrociò le braccia e annuì.
- Bravo. Ti senti meglio adesso che sei venuto a sbattermelo in faccia? Chissà come ti senti uomo adesso.
Mordred tremava leggermente per lo sforzo al quale si stava sottoponendo.
- Io... no... volevo solo... volevo solo dirtelo, insomma, mi sembrava il minimo. Io amo Kara, da quando l’ho rivista non faccio che pensare a lei, io non so perché ti ho detto quelle cose ieri.
Clarissa si portò una mano sulla fronte e cominciò ad alzare la voce.
- Ah... non lo sai, vero? EH? NON LO SAI!
Attirarono l’attenzione delle persone in cucina e Artù poggiò bruscamente il piatto sul tavolo e fece per uscire ma venne bloccato da Merlino da un lato e da Galvano dall’altro.
Decisero di aprire leggermente la porta per vedere cosa stesse accadendo cercando, per quanto possibile, di lasciare un briciolo di privacy.
- Sei una merda, Mordred. Fai schifo.
Clarissa stava facendo trasparire le sue emozioni più che bene e la sua voce tremava, lei tremava.
- È LA SECONDA VOLTA CHE MI FAI QUESTO SCHERZO MA ADESSO NON CI CASCO PIÙ, SONO STANCA, SONO STUFA DI QUESTE STRONZATE! TU MI HAI SEMPRE PRESO PER IL CULO DA QUANDO MI HAI INCONTRATO.
Mordred cercò di parlare.
- Clarissa non è vero, io quando ti ho vista per la prima volta...
Lei lo interruppe.
- COSA? EH? COSA! ERA UN CAZZO DI RIPIEGO PERCHÉ NON SAPEVI SE AVRESTI RIVISTO O MENO QUELLA SGUALDRINA.
La pozione cominciò a fare effetto dentro di lui.
- Non parlare di Kara in quel modo.
Clarissa strabuzzò gli occhi.
- Da non credere, sei incredibile... la difendi anche.
Cercò di calmarsi per tentare di lasciare la questione tranquilla. Cercò di metterle una mano sulla spalla ma lei si scostò.
- Non toccarmi! Dopo aver toccato lei...
Mordred sembrò calmarsi. L’incantesimo, anche quella volta, aveva avuto la meglio.
- Bene. Visto che le cose stanno così, ti saluto.
Clarissa gli rise in faccia.
- ‘Ti saluto’ ... tu sei completamente pazzo.
Mordred si irrigidì e se ne andò.
- Tu sei una pazza, ho fatto la scelta migliore.
Clarissa rimase lì vedendolo andare via e decise di entrare in camera.
Era in preda alla rabbia e le tremavano le mani e più cercava di inserire la carta per aprire la porta, più non ci riusciva.
Merlino si avvicinò e cercò di prenderle la carta dalle mani.
- Aspetta, ti aiuto.
Cercava di prenderla ma lei insisteva e, in uno scatto di rabbia, fece un passo indietro e urlò
- TOSPRIENGE!
I suoi occhi cambiarono colore per un attimo e la porta si aprì.
Clarissa entrò e se la chiuse con forza alle spalle.
Merlino rimase lì immobile con la carta tra le mani incredulo riguardo ciò che era appena successo.
Tutti erano rimasti senza parole e si guardarono scioccati tra loro.

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