Tra insegnanti bellocci e studenti curiosoni

di mari05
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 4444444444444444444444444444444444444444444444444444 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


AU! Percy grande! | AU! Matrimonio Percabeth!
Allora.
Prima di raccontare questa storia, bisogna precisare un po’ di cose:

  • Questa storia non ha niente a che fare con la trama delle serie di Rick Riordan, ci saranno solo dei minimi accenni.

  • Ho immaginato Percy come un ragazzo quasi adulto che è riuscito sorprendentemente a laurearsi in biologia/antropologia, e che all’età di 24 anni si sposerà (con Annabeth, ovvio! *-*) e avrà una bambina, Bianca Angel Jackson.

  • Questa sarà una long, in cui narrerò alcuni degli avvenimenti della vita di Percy da professore e delle sue disavventure, sia nella vita privata (Sally!) che con la sua strana e bizzarra classe di curiosoni.

Spero vi piaccia!
 

1

PoV Percy

Percy era in ritardo.
Non voleva essere in ritardo il primo giorno di scuola, soprattutto quando non sarebbe stato lui il ragazzo intrappolato su una sedia, bensì il professore, e la prima impressione sui suoi alunni era decisiva.
Era riuscito ad accaparrarsi l’unico corso di biologia e antropologia della scuola, dopo che il prof precedente se n’era andato in pensione. Il preside, quando si era presentato la prima volta con il curriculum, l’aveva squadrato, aveva letto i fogli e aveva strabuzzato gli occhi.
“Quanti anni ha?” domandò, abbassando le lenti spesse.
“Ventiquattro”, mormorò Percy.
Era teso. Che cosa avrebbe potuto dire? Ovvio che l’uomo davanti a lui sapeva quanti anni aveva, ma voleva sentirselo dire semplicemente perché non ci credeva.
“Ventiquattro anni… non so, mi sembra un po’ giovane.”
Percy vedeva davanti ai suoi occhi tutti i suoi dubbi: un ragazzo dislessico, problematico e sposato da appena cinque mesi e con una moglie incinta non era l’ideale di professore che si sarebbe immaginato.
Dopo un minuto buono di silenzio, l’uomo alzò gli occhi verso di lui e annuì.
Percy uscì fiero dall’ufficio.
La sua prima classe. Wow.
Ora non voleva fare ritardo il primo giorno, sarebbe dovuto essere un giorno… speciale, ecco.
Finalmente, il ragazzo scorse il profilo giallo e accogliente dell’edificio scolastico e varcò la soglia.
Si stupì di vedere ancora gli studenti nei corridoi.
Uff, l’aveva scampata.
Entrò nella sua aula (la 213) cercando di essere il più calmo possibile.
Davanti a lui c’erano 28 ragazzi seduti ai loro banchi che lo fissavano.
Percy fece un sorriso di circostanza e scrisse il suo nome alla lavagna.
Percy Jackson
“Allora,” disse, appoggiando la borsa sulla sedia accanto alla sua. Possibile che si sentisse così teso?, “io sono il professor Percy Jackson, e vi insegnerò biologia e, talvolta, antropologia; ora, vorrei prima sapere i vostri nomi, e poi potremo iniziare a conoscerci…” cercò di sembrare il più allegro possibile.
Lesse ad alta voce i nomi degli alunni, uno dopo l’altro, e, ogni volta che uno diceva “Presente” lui alzava il capo e lo osservava.
Smith,
Simmus,
Brown,
Higgeness,
Jackson (sorrise nel leggere il suo stesso cognome),
Gomez,
Johnson,
Williams,
Moore, e così via.
Si soffermò a lungo su una ragazza seduta in prima fila, poco distante da lui, che lo squadrava con gli occhi castani e giocherellava con una ciocca di capelli ramati.
Kayla Higgeness.
“Bene,” disse, appoggiandosi alla cattedra per guardare i suoi alunni da vicino.
Si sentiva osservato, a disagio.
“Ora possiamo iniziare a conoscerci, vi va? Be’,” esclamò, alzando una mano, “io sono Percy, il diminutivo di Perseus. Sono nato a New York, poi mi sono trasferito qui. E voi?”
La prima ad alzare la mano fu quella ragazza, sì, proprio lei, com’è che si chiamava? Ah, Kayla
Kayla.
“Comincia pure,Kayla”, disse lui, sorridendo amichevolmente.
La ragazza sembrò imbarazzata dal sentire il suo nome, talmente imbarazzata da far ridacchiare la ragazza dietro (una certa Carmen Garcia).
“Be’” sussurrò, “mi chiamo Kayla…” si bloccò, a disagio.
“Quanti anni hai?” disse lui, incalzandola.
Kayla deglutì, torcendosi le mani. “sedici”.
“Va bene. C’è qualcos’altro che vuoi dire?” La ragazza scosse il capo. Percy sorrise, rincuorandola.
Notando che nessuno alzava la mano, fece una faccia teatralmente offesa.
“Allora dovrò chiamarvi io!” prese l’elenco degli alunni, lesse un cognome a caso e disse: “Johnson?”
Un ragazzo in ultima fila che lui aveva a malapena visto  alzò timidamente la mano.
“Allora… come ti chiami?”
Il ragazzo non parlò.
Percy rimase in attesa abbastanza a lungo da capire che non voleva parlare.
“Bene. Quanti anni hai?” inclinò il capo, cercando di incoraggiarlo.
Silenzio.
Percy sorrise caldamente.
Sapeva come trattare i ragazzi timidi: aveva passato anni a cercare di capire come comportarsi col suo amico Nico DiAngelo, e finalmente aveva capito che tutti i ragazzi scontrosi ed introversi andavano rincuorati un po’ alla volta.
Passarono la lezione a presentarsi.
Carmen Garcia, da come aveva intuito Percy, era in piena fase ormonale e non faceva altro che guardargli la camicia,
Kayla Higgeness aveva solo bisogno di aprirsi un po’, ma Percy sapeva che sapeva che sarebbe stata un’ottima studentessa,
e, be’, Micheal Johnson era il solito ragazzo che aveva paura di parlare con chiunque, compreso un professore o un ragazzo della sua età.
“A domani!” salutò Percy mentre i ragazzi uscivano dalla sua aula dopo il suonare della campanella.
Ce l’aveva fatta. Aveva superato il primo giorno. Ora bisognava vedere gli altri.
PoV Kayla
“Ma hai visto quant’è bello? E ha solo ventiquattr’anni!” gridò spensierata Carmen a pranzo.
“Shhh, Carmen!” sussurrò Kayla.
Ma era vero. Accidenti, quant’era bello. Per tutta l’ora non aveva fatto altro che fissarlo. Dal lungo collo, dalla mascella squadrata, dalle labbra carnose, dal naso all’insù spruzzato di lentiggini, dagli occhi verdissimi e calmi, dai capelli corvini, non c’era niente che a Kayla non piacesse.
Evidentemente Carmen si era accorta che stava pensando, quindi la scosse dai suoi pensieri.
“Ehi!” gridò, scuotendole la spalla.
Kayla sussultò. “Cosa accidenti c’è?”
Carmen mostrò il cellulare, divertita. “Cerchiamolo su Facebook!”
Kayla sorrise.
Le foto sul profilo del profilo del signor Jackson (dio, com’era strano chiamarlo così!) erano scattate quasi tutte con una macchina fotografica di buona qualità ed erano quasi unicamente foto di sé stesso: un primo piano sui suoi occhi, lui su una scogliera a petto nudo (“Te l’avevo detto che era muscoloso, Kayla!”), lui con un paio di ragazzi, uno alto e biondo e l’altro basso con un principio di barbetta sul mento, lui ed una ragazza splendida dai capelli biondi, e poi…
“è sposato?” domandò, reggendo il telefono tra le mani.
La foto mostrava lui e la stesa ragazza che si baciavano appassionatamente e mostravano le fedi.
Carmen sbuffò, incrociando le braccia. “Se ne vanno sempre i migliori…” sussurrò.
Kayla non poté non sorridere. “Perché, pensavi di poterti mettere con lui…?” domandò ironica.
Carmen arrossì. “Be’, forse finito il liceo…”
“NON CI STAVI DAVVERO PENSANDO, VERO, CARMEN?” gridò scioccata lei.
Dopo poco si ritrovarono entrambe a ridere come due decerebrate.
“Davvero… davvero pensavi di sì?” domandò ridacchiando lei.
“Stavo scherzando, Kayla! Dai, non farei mai una cosa del genere!” anche se Kayla sapeva che l’avrebbe fatto eccome.


_Angolo Autrice_
Allora! Che ve ne pare? Questo è il primo capitolo, forse è un po’ corto, ma comunque……

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Capitolo 2
*** 2 ***


PoV Kayla

“Che significa che non ho una camera?” sbraitò Kayla.
La professoressa Brown, davanti a lei, sembrava mortificata. “Vedi, cara… non abbiamo calcolato bene il numero degli studenti…”
“E ora dove andrò?” domandò lei, al culmine della rabbia, e, esagerando, della disperazione.
Tutte le ragazze, compresa Carmen, avrebbero passato quelle 3 settimane di viaggio d’istituto assieme, nella loro camera spaziosa, e lei? Lei avrebbe potuto dormire sul tetto, forse, colpita dalla pioggia scrosciante che batteva dalle finestre e che sembrava così lontana ed innocua fino a quando non esci e vieni ammazzato da un fulmine.
“Be’, vedi, le camere dei ragazzi sono ricolme, l’unico modo è farti dormire con qualche professore…”
“Cosa? No!” Possibile che avrebbe passato un mese scolastico con uno di quegli scorbutici mangiatori di pillole? No grazie. Meglio il tetto.
Intanto la Brown scriveva freneticamente sul suo taccuino e chiamava i professori al telefono, uno per uno, a chiedere se avessero spazio nelle loro stanze.
“No? Sicura, Stacey, che tu e Miranda non potete stringervi un po’? Va be’, fa niente. Perché? No, è che… facciamo così, te lo spiego dopo” Un prof dopo l’altro, un no dopo l’altro.
Fino a quando…
“Percy? Sì? Ehm, che dici di poter ospitare Kayla…” la Brown solo ora si voltò a guardarla, “Higgeness, giusto? Nella tua stanza. Per tutto il viaggio. Sei solo? Perfetto. Certo. Va bene. Allora la faccio venire alla camera… 313? Ok. Apposto. Ciao”
Quando la Brown si voltò di nuovo a guardarla, vide una Kayla con il fiatone e gli occhi sgranati.
Davvero? Il prof più belloccio della scuola, quello che insegnava biologia nella sua classe e che appena due mesi prima era stato stalkerato su Facebook a dovere, la stava ospitando nella tana del peccato? Dio! Non avrebbe retto. No.
Alla felicità e allo stupore si susseguì la disperazione: avrebbe dovuto truccarsi, prima di andare a dormire, per sembrare sempre perfetta? Doveva acconciarsi i capelli e muoverli sensualmente per sedurlo? E… mio Dio, avrebbe dormito con o senza reggiseno?
Kayla era talmente presa da quei pensieri, che non si rese neanche conto di essere davanti alla porta della camera 313.
Controllati. Stai calma.
Bussò.
Dopo un paio di minuti, la porta si aprì.
Davanti a lei c’era lui, il professor Jackson, in tutta la sua bellezza.
“Ciao!” esclamò lui, “che dici, entri?”
Solo in quel momento Kayla notò di essere rimasta immobile sulla soglia, senza battere ciglio.
“Be’, ho sistemato un po’ di cose” borbottò lui mentre la faceva entrare nella camera, che era grande e spaziosa.
“Però il letto è con il materasso singolo, non si può dividere” commentò poi, desolato.
Meglio, pensò Kayla.
Quelle sarebbero state 3 settimane fantastiche.

Allororoarnairain!
Mi scuso per il periodo d’assenza e per la brevissima durata del capitolo, ma devo ammettere che non ho avuto né il tempo né la voglia di scrivere.

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Capitolo 3
*** 4444444444444444444444444444444444444444444444444444 ***


Ok. Erano passate poche ore, e il professor Jackson sembrava essere così depresso e immerso nei suoi pensieri che neanche la professoressa Buon avrebbe potuto risvegliarlo, staccarlo da tutto quello che stava succedendo dentro di lui.
Nel bel mezzo del disfacimento dei bagagli, Percy aveva ricevuto una telefonata. Si era avvicinato alla porta per avere più privacy, ma Kayla riuscì lo stesso a sentire l’intera conversazione.
“Come? Che significa?”
“Te ne vai?”
“E perché?”
“Ti ha aiutato tuo padre, dimmi, è così?”
“Anne, io…”
“E Bianca? Cosa penserà? Due genitori che non riescono neanche a parlarsi, un terzo incomodo, così si sentirà?”
“Annabeth, ti prego… fammi prima tornare”
“Io…”
“Che significa che devi pensarci? È un no? Allora cos’è?”
“Anne, io…”
“Io ti amo”
Se le altre volte era riuscita a sentire solo la voce quasi disperata dell’uomo che parlava con quella che Kayla presunse essere sua moglie, l’ultima frase pronunciata dall’altro capo del telefono arrivò forte e dura come una pugnalata, fredda come il ghiaccio, terribile come un proiettile in pieno petto.
“Io non ti amo”


Percy analizzò bene quelle parole, non appena Annabeth attaccò.
Io. Pronome soggetto. Annabeth. Sua moglie.
Non. Avverbio di negazione. Non… cosa?
Ti. Particella pronominale. Mi ti ci si vi. Le ricordava ancora tutte, sorprendente.
Amo. Io non ti amo. Io. Non. Ti. Amo. Io…cosa?
Strizzò gli occhi. Cosa aveva appena detto? Non aveva ben capito. Forse…
Strinse i pugni, nascondendo il volto umido addossandosi alla parete.
Non tutto andava bene del loro rapporto, ma… ma non da andarsene.
Non da abbandonarlo così, lasciando sua figlia in mano a Jason e Piper e vietandogli di vederla.
Ok. LE cose stavano andando malaccio nell’ultimo periodo, ma lui l’amava.
Io non ti amo.
Io non ti amo.


Kayla si accorse che qualcosa non andava nell’istante in cui il professore tornò nella camera principale, si sedette sul lettino minuscolo, accese il telefono e con totale menefreghismo (che nascondeva al meglio la rabbia che regnava in lui) e cominciò a picchiettare il piede sul pavimento.
“Tutto… tutto apposto?” domandò lei con un file di voce, nascondendo il volto dietro i capelli tinti dei colori più pazzi.
Percy alzò lo sguardo.
“Certo. Perché dovrebbe andare male?” mormorò, fissando il pavimento con aria vuota. Sul viso aveva tutto tranne che vuoto.
“Io… Se vuole posso aiutarla. Io, ecco, una volta un ragazzo mi lasciò e…”
fu interrotta da una fragorosa risata. Era il professor Jackson, che ridacchiava mentre continuava a fissare il telefono.
“Aiutarmi? Tu?” Quelle due parole vennero sputacchiate dall’uomo con tutto l’odio che la ragazza conosceva. L’odio più infido, perfido, innaturale e del tutto insensato verso un’unica persona.
“Tu non mi puoi aiutare, Kayla” si alzò, sollevando il braccio muscoloso, facendo intravedere il tatuaggio con le lettere SPQR e una moltitudine di linee.
Si avvicinò pericolosamente a lei, talmente vicino che il suo fiato che sapeva di brezza marina poteva arrivare alle sue narici e i suoi occhi color smeraldo potessero osservarla.
“Tu non puoi fare niente, Kayla. Che me ne faccio dell’aiuto di una ragazzina?” Tutta la gentilezza che aveva preso parte del suo corpo sembrò abbandonarlo, nel momento in cui posò le labbra su quelle della giovane studentessa.
Stava davvero succedendo?
Kayla sorrise mentre l’uomo le cinse la vita e approfondì il bacio, sorridendo anche lui.
Le scoccò un bacio sulla guancia, prima di avventurarsi per la stanza ed entrare in bagno. Da lì forse sarebbe uscito tra due minuti, un quarto d’ora o dieci secondi. Oppure sarebbe rimasto lì dentro, godendosi lo sguardo perso di Kayla, gli occhi impauriti per quello che era appena successo in contrasto con le labbra, gonfie e profumate di lui, tirate in un sorriso che neanche Leonardo Da Vinci avrebbe potuto dipingere.
Ma Percy Jackson l’aveva dipinto, quel pomeriggio, dopo essere stato lasciato dalla moglie. Sì. Anche se soffriva, a Kayla andava bene. Aveva lei il coltello dalla parte del manico, ora…
 
CHE CAPITOLO SENZA SENSO!
MI  DISPIACE UN CASINO NON AVER POTUTO PORTARE QUALCOSA DI PIÙ PENSATO, MA POCO È MEGLIO DI NIENTE, NO?
COMUNQUE, VOLEVO DIRVI UNA COSA. NON TROVAVO L’ISPIRAZIONE PER SCRIVERE DA UN PO’, FINO A QUANDO, UN GIORNO (CHE SI DA IL CASO ESSERE PROPRIO OGGI), STAVO BAZZICANDO SUL MIO “PANNELLO DI CONTROLLO DI EFP” (COSÌ SI CHIAMA? AH NO?) HO LETTO QUANTE PERSONE AVEVANO PREFERITO LA MIA STORIA. ED ERANO TANTISSIME! TANTISSIMA GENTE HA PREFERITO QUESTA STORIA AD ALTRE 448!
NON POTEVO LASCIARVI COSÌ, NON POTEVO!
HO DECISO DI TORNARE IN PISTA, CONCLUDERÒ QUESTA STORIA E VI FARÒ ESSERE FIERI DI ME!
P.S. A COSTO DI QUALCHE RECENSIONE IN PIÙ, CHE DITE?

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