Central hospital psychiatry

di Lady Sunset
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Do you hear me? ***
Capitolo 2: *** Chapter II ***
Capitolo 3: *** Chapter III ***
Capitolo 4: *** Chapter IV ***
Capitolo 5: *** Chapter V ***



Capitolo 1
*** Do you hear me? ***


CENTRAL HOSPITAL PSYCHIATRY.

chapter I.

 

“Mi piace essere la cosa giusta nel posto
sbagliato e la cosa sbagliata
nel posto giusto, perché accade sempre
qualcosa di interessante.”

 

“Signor Park, mi sente?”

Subentrò nuovamente la realtà. Sapevo di non essere solo nella stanza. Ero osservato da una figura femminile piuttosto sicura di sé, del suo lavoro. Era certa di poter controllare la mia ansia con un semplice sguardo, convinta di essere rassicurante, di poter far apparire un portale segreto capace di catapultare chiunque in una dimensione parallela dove possono esistere soltanto ciò che ci rasserena, che ci rallegra. Sebbene perso nei miei pensieri, come spesso accadeva in quel periodo alquanto buio della mia vita, i miei occhi lasciarono la loro impronta sui suoi per brevi ma apparentemente interminabili istanti. Chiunque non avrebbe retto il mio sguardo, non sarebbe riuscito a mantenere nessun tipo di controllo, su di me. Eccetto lei, quella donna, dotata di un corpo sano e di capelli della stessa tonalità cromatica dell'oro. Chissà se anche la sua mente fosse sana e dorata come dava l'impressione di essere. Sanno tutti che gli psichiatri sono i primi ad aver bisogno di uno psichiatra. Altrimenti non sarei qui.

“Signor Park?”
“Anch'io ero come lei. Tenace nelle cose. Nell'affrontare determinate situazioni. Avevo studiato per questo. Conoscevo ogni strategia, ogni esperimento, tutto. Ma non basta essere informati nel campo per aiutare qualcuno. Ne è consapevole, dottoressa? Beh, io non lo ero. Impersonavo spesso l'eroe di turno, il titano. Questo genere di cose. Sfoggiavo una personalità ferma e severa, una di quelle potenti, inarrestabili, indistruttibili, immutabili. Eppure, sapevo che in realtà si trattava solo di finzione. Un continuo credere e sperare di essere ciò che non si diventerà mai. L'ho ripetuto così tanto a me stesso che avrei quasi potuto convincermene definitivamente. Ma non ci sono mai riuscito.”
“Perché sapeva che tutto questo sforzo sarebbe stato vano?”
“No.”

 

*


Day 1. 23/04/09 – Ore: 16:30. Paziente: Byun Baekhyun.

 

Era il mio primo caso al Central Hospital Psychiatry di Seoul. A primo impatto, l'edificio mi aveva stranamente stupito: sebbene qualunque ospedale psichiatrico tendesse ad essere particolarmente allegro o di armonia equilibrata per quanto riguarda profumi e colori, il CHP era caratterizzato da quel dettaglio che lo rendeva simile a una seconda casa per chi non si sentisse sicuro nella propria dimora e avesse bisogno di aiuto. Tuttora non sono in grado di descriverlo; mi è ancora sconosciuto. A ogni modo, all'interno di queste mura dipinte di un arancio non eccessivamente vivace, venivano ospitate circa settecento stanze per ogni singolo paziente, divise da reparti che denominavano il disagio di chi necessitava di un certo tipo di terapia. Quel pomeriggio, avrei incontrato Byun Baekhyun, affetto da manie di persecuzione. Se temevo per la mia incolumità? Affatto. Se devo essere del tutto onesto, ammetto che – essendo questo il mio primo incarico, la sensazione di fallire già al primo round mi aveva accolto più volte tra le sue braccia. Ma avevo ventotto anni, oramai ventinove, e non avevo tempo di comportarmi come un ragazzino insicuro. Mi hanno sempre detto: “ricorda, nel momento in cui ti dimostrerai debole, allora tutti sapranno ciò che sei veramente”. Dunque, con la valigetta professionale in una mano e la volontà nell'altra, bussai contro la porta di quella che doveva essere la camera del mio unico paziente. Nessuna risposta in cambio, purtroppo. Nessun segno di vita. Tipico di chi ha bisogno di aiuto. In fondo, è più facile nascondersi che affrontare un problema. A ogni modo, aprii la porta.

“Buon pomeriggio, signor Byun.”
“Ho ventun'anni. Non quaranta.”

Prevedibile come reazione. Perlomeno non aveva permesso al silenzio di inghiottirmi. Era voltato di spalle, pacato, e come il suo viso mi era sconosciuto, persino la sua anima appariva intoccabile, perduta nei meandri dell'incertezza e solitudine. Indossava una tuta bianca, triste quasi quanto l'aria che giaceva in quella stanza, così apparentemente solare ma decisamente cupa, influenzata dalla sofferenza che regnava vittoriosa in Baekhyun. Malgrado non avessi avuto subito occasione di creare un contatto visivo con lui, percepivo il suo stesso corpo esautorato. Non soltanto la sua mente era vittima di paure inconsce; tutto di lui sapeva di amarezza, malinconia, isolamento totale da ogni genere di contatto umano. Mi sedetti sulla sedia collocata nella zona centrale della stanza. Subito dopo, schiarii la voce.

“Potresti cortesemente voltarti, Baekhyun?”

Istanti. Istanti interminabili, disperatamente lenti, ad aspettare che lui obbedisse senza troppi capricci. Sembrava quasi che ci dovesse pensare, che fosse vittima di un improvviso imbarazzo che lo portava inevitabilmente a nascondere il proprio viso a chiunque cercasse di attirare la sua attenzione. Ma infine, lo fece. Si voltò. Mi ritrovai di fronte un corpo esile e stanco, attorniato da un'aria negativa e silenziosa che lo rendevano indifferente nell'espressione. Tuttavia, non commentai. Non lo trovai opportuno, né tanto meno di aiuto. Forse è proprio in casi del genere che si riconosce totalmente sbagliato sdrammatizzare per dare vita a una facile conversazione.

“Grazie per la tua comprensione.”
“Ma si figuri.”

Ecco di nuovo quel tono sprezzante, acido, da raggelare il sangue. Sebbene fossi consapevole che quella sarebbe stata la mia routine da lì in poi, mi risultava difficile accettare l'idea che un ragazzo tanto affascinante potesse rispondere in maniera così distaccata e fredda. Ero da sempre circondato da amici e parenti dotati di modi garbati e piacevoli, dunque – quella risposta, mi ammutolì per una frazione di secondo. Baekhyun apparve divertito dalla mia espressione; malgrado non avessi la possibilità di decifrarla, non avendo uno specchio a portata di mano, probabilmente avevo fatto notare il mio stupore. Errore numero uno.

“Allora, perché sono qui?”
“Questo deve dirmelo lei.”
“Io sono uno psichiatra.”
“Ed io sono, sfortunatamente, un suo paziente.”
“Sfortunatamente?”
“Un uomo non può guarire i cuori altrui. Un dottore non può guarire le menti altrui. Potrete conoscere ciò che si cela dietro di esse, realizzare esperimenti, sforzarvi di capire, ma il trauma che un individuo subisce è singolare. Non si duplica. E sanno tutti che non è possibile capire qualcuno sinché non si rivive la sua stessa sofferenza. Perciò mi faccia il favore di fingere di aver fatto il suo dovere e se ne vada. Non ho bisogno di essere psicanalizzato o di medicine varie. Sto bene così.”

Evidentemente, la mia reazione al suo ragionamento lo stupii. Perché risi. In quel momento, in quel silenzio penetrante, desideroso di essere colmato da voci familiari, io risi. Non fui capace di trattenermi in alcun modo, e la mia risata parve spezzare quella muraglia di difesa interiore che aveva costruito Baekhyun in piccolissimi frammenti quasi impercettibili ad occhio nudo.

“Sai, è buffo che proprio un paziente nelle tue condizioni esponga simili pensieri. E sai perché? Perché così facendo ti sei già esposto, hai dimostrato di possedere insicurezza negli altri, insicurezza in te stesso e una spiccata autodifesa che riprende il concetto di isolamento totale dalla società. E sì, probabilmente non ti aiuterò, o probabilmente ti sbagli, ma io devo rimanere qui ogni giovedì, un'ora alla settimana. E preferisco non sprecare tempo senza un preciso motivo. Tu, in particolar modo, non dovresti sprecarlo.”

Ciò che seguì dopo fu la più totale e imbarazzante mancanza di parole mai vista prima. L'espressione di Baekhyun, sebbene oscillasse costantemente tra l'apparente indifferenza e l'assurdo stupore, dava a credere di essere stato conquistato, almeno in parte. Forse, sarebbe stato un buon inizio. Forse, sarebbe stata la prima persona che avrei aiutato nella mia carriera da psichiatra professionista. Avevo sognato per interminabili pomeriggi di diventare l'aiutante del diavolo, sostenerlo in ogni sua mossa, riportarlo sulla strada giusta. Ma lì, in quella stanza, pronto a vivere quel soffio di realtà, mi rendevo conto che essa appariva ben diversa dall'idea dello psichiatra in sé. Sarebbe stata dura, una di quelle imprese che ti abbattono il più delle volte, ma mi sentivo pronto. Ce l'avrei fatta. Avrei aiutato qualcuno. Baekhyun, in tal caso. Con le mie sole forze.

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Capitolo 2
*** Chapter II ***


“Allora, Signor Park, è pronto?”
“Sempre stato.”

Niente di più vero. Persino il giovedì successivo, prima del secondo incontro con Baekhyun, mi sentivo pronto. Pronto ad affrontare tutto in compagnia di una strana energia positiva che arieggiava intorno alla mia persona. Conoscevo me stesso, il mio lavoro e ben presto avrei conosciuto anche lui. Nonostante il suo tono spesso sprezzante, la freddezza e la diffidenza nei confronti dell'intera società e della vita stessa, Byun Baekhyun nascondeva un'anima assai intrigante e preziosa, a modo suo. Ne ero più che certo.

 

“Capita spesso che si abbiano difficoltà a risolvere un caso psichiatrico; insomma, se i matti fossero capaci di prenderci sempre in parola il nostro lavoro sarebbe decisamente semplificato. Il punto è: la sua carriera è appena iniziata, si è laureato con lode e leggo nei suoi occhi una determinazione che ben poche persone possiedono. E probabilmente io non faccio parte di questa categoria, chi può dirlo. Allora perché ha fallito? Ma soprattutto – perché ne è rimasto tanto coinvolto da licenziarsi e venire da me?”
“È complicato.”
“Ho tutto il tempo.”

 

“Buon pomeriggio, Baekhyun.”
“Ora mi chiami per nome?”
“È un problema?”

Anche quel pomeriggio, più mite e assai piacevole, trovai Baekhyun voltato di spalle, deciso a fissare una parete indefinita di quella che era diventata la stanza dei suoi scheletri. Ecco però che scelse di voltarsi al percepire della mia prima domanda della giornata. E ancora non ne conosco il motivo. Per un attimo rimasi incantato dai suoi lineamenti facciali leggeri, come se fossero stati appena accennati con il magico tocco di un pennello appena comprato. La sua pelle diafana mi portò persino a riflettere sul perché un ragazzo giovane e tanto affascinante fosse finito in un ospedale psichiatrico. Però, in fondo, si sa che la pazzia incanta.

 

“No, non lo è.”
“Bene, allora cominciamo.”
“Come vuoi.”
“Perché sei qui?”
“Perché non ho scelta.”
“Tutti noi abbiamo una scelta. Tu hai deciso di ricoverarti, di tua spontanea volontà. Nessuno ti ha obbligato. Nessuno se n'è interessato. Dunque mi chiedo: perché?”

Mi sarei aspettato di tutto: urla, uno sputo, la totale indifferenza di fronte alla mia domanda, smorfie. Ma non mi sarei aspettato lui, deciso a fare quanti passi bastassero per raggiungermi e spezzare quell'immensa distanza che ci separava. I nostri occhi erano incatenati l'uni con gli altri, si fondevano e si studiavano, alla ricerca di un punto debole che avrebbe giovato a nostro vantaggio. Baekhyun mostrò un gelido sorriso, un sorriso bastardo, malevole, crudele, il sorriso del diavolo in persona.

“Perché sono paranoico, manco di fiducia verso la mia razza, verso ciò che mi circonda. Fiuto l'amore. Lo desidero e lo ottengo. Poi me ne sbarazzo, per appagare la mia anima. Per non essere schiavo di un sentimento doloroso che alimenta il dolore stesso. Quello che risiede in ognuno di noi.”

E prima che potessi esprimermi a riguardo..

“So che cosa si dice di me. Un ragazzo triste non può amare. Un ragazzo che non ama se stesso non può amare qualcun altro. L'amore è una dote. E io non ce l'ho.
“Nessuno ha mai detto questo.”
“Lo dico io. Perché io ci ho provato. Ho amato, ho sorriso, ho pianto, ho provato quel genere di emozioni umane che vorrebbero provare tutti sulla propria pelle. Le stesse per le quali si combatterebbe come se in gioco vi fosse l'immortalità del singolo o la perfezione universale che potrebbe caratterizzarci.”

“E allora perché sei qui.”

Un'altra risata. Questa volta più sonora, come cantata da delle ingannevoli sirene. Capace di ridurre in brandelli anni e anni di riflessioni, di opinioni, di certezze. Una risata statica e inaspettata, quasi intimidatoria.

“Perché l'ultima persona che mi ha amato ha provato il dolore di avermi accanto.”

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Capitolo 3
*** Chapter III ***


Notte dopo notte la mia insonnia si faceva sempre più fitta, sempre più vera e incolmabile. L'espressione di Baekhyun era impressa nella mia mente come la data del mio compleanno. Distrarsi era impossibile. La vibrazione della sua voce risuonava nei miei padiglioni auricolari e me ne faceva sentire la mancanza. Più seguivo il suo caso provando qualsiasi strategia per strappargli dalla bocca quei ricordi passati che lo tormentavano, più mi legavo a lui, in qualche modo. Percepivo la necessità di fare di più, di scavare nel suo cuore e liberarlo da quella che era la sua anima oscura. Lui non era come gli altri. Non era solo pazzo. Era furbo. Sapeva come giocare le sue carte, come rendermi una sua marionetta. Ed io dovevo difendermi, ma il mio istinto me lo impediva.

Ogni settimana si presentava sempre più distaccato e sprezzante, ma non mi disturbava. Non so se stesse diventando abitudine o se mi accontentassi semplicemente di vederlo e di sentirlo parlare, sebbene puntualmente si mettesse sulla difensiva, come se temesse che potessi colpirlo da un momento all'altro.
E nonostante non mostrasse segni di volersi aprire con me, notavo che il nostro legame si stava trasformando. Ero come il suo sacco da boxe, il capo espiatorio di tutti i suoi dilemmi irrisolti. Mi sentii quasi utile.

Ed io continuavo a pensare, a riflettere su ogni suo atteggiamento, su ogni espressione che mostrava spontaneamente e quelle che invece venivano tradite dal suo stesso io interiore. Lo osservavo. E lo sognavo.

Il medico di turno, il quale aveva seguito per diverso tempo il caso di Baekhyun, diede il permesso di farlo uscire durante la mia ora di lavoro, in modo tale da poterlo lasciare a contatto con la natura. Un buon modo per cominciare la terapia, forse. In risposta a quel “favore” si limitò a fare una leggera smorfia. Nessun grazie, nessun sorriso. Sosteneva che anche se si trovasse al di fuori di quelle mura opache, la sua anima sarebbe rimasta imprigionata nei meandri dello sbaglio e dell'oscurità per molto tempo ancora.

“Baekhyun.”
“Sì?”
“Come si chiamava l'uomo che amavi?”

Lui sorrise. Il suo era un furbo sorriso, uno di quelli che ti mettono nei guai, ti fanno aver paura persino della tua stessa ombra. Poi rispose.

“Ne ho amati tanti.”
“L'ultimo.”
“Ares. Un uomo duro all'esterno, un ingenuo all'interno.”
“Cos'è successo.”

Sembrava che Baekhyun non fosse fedele alle parole. A quanto pare, preferiva i fatti. Preferiva mostrare ciò di cui era capace, mostrare fisicamente cosa provava, cosa voleva, cosa poteva ottenere e che avrebbe di certo ottenuto, con le buone o con le cattive.
Mi prese il braccio tra le mani, ne osservò le venature verdastre che lo percorrevano, studiò la peluria, la carnagione, i nei. Poi prese uno dei sassi più appuntiti che vi fossero nei paraggi, per terra, dove ci trovavamo seduti. Senza che io potessi rispondere o tirarmi indietro, lui fu rapido nello spezzare quel concatenamento di cellule di cui ero ricoperto. Con l'oggetto scheggiato disegnò una linea continua, che partiva dalla sezione laterale del polso sino al termine dell'avambraccio. Il sangue sgorgava deciso dalla mia pelle, la superava e la ricopriva, la inondava di quel sapore ferroso che avrei percepito se fosse stato a contatto con le mie papille gustative. Non mi mostrai debole. Rimasi immobile, con gli occhi fissi su quella che era una vera e propria ferita volontaria.

“Perché l'hai fatto?”
“Per farti capire cosa significa provare a conoscermi. Ci si ferisce. Ci si fa male, ChanYeol.”

Quella fu la prima volta che mi chiamò per nome. E per quanto fossi preoccupato di ciò che poteva fare agli altri e a se stesso, mi trovai ammaliato dalla sua personalità. Unica nel suo genere, schiva, colma di sfiducia, tenebrosa come i suoi occhi anche in una giornata di sole.

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Capitolo 4
*** Chapter IV ***


CHAPTER IV
 

Il sesso deve essere innaffiato di lacrime, di risate, di parole, di promesse, di scenate, di gelosia, di tutte le spezie della paura, di viaggi all’estero, di facce nuove, di romanzi, di racconti, di sogni, di fantasia, di musica, di danza, di oppio, di vino.
(Anaïs Nin)


La settimana successiva a quell'incontro fu diversa. Ciò che accadde fu totalmente inaspettato e inappropriato, se non illegale. Non appena feci capolino nella stanza, Baekhyun, sempre voltato di spalle, seduto su quella sedia datata e cigolante, mi ordinò di chiudere a chiave la porta dietro di me. Per quanto non mi fidassi di ciò che aveva in mente, obbedii senza esitazione, seguendo il mio istinto. Lo stesso istinto che mi scaraventò sull'unico materasso della stanza, privo di qualsiasi tipo di indumento, e che ne seguì un ragazzo ricoverato pronto a sovrastare il mio corpo e a baciare le mie labbra con una passione che sapeva di spudorata lussuria. Avrei voluto fermarmi, dare ascolto ai miei pensieri ma l'eccitazione, il desiderio di consumare quell'idea d'amore distorta che mi ero fatto nelle precedenti settimane risultava essere totalmente indistruttibile. I gemiti che uscivano dalle sue labbra mentre la mia intimità si insinuava nel suo corpo esile e sensuale superavano i limiti della decenza. Fu sesso. Sesso sporco, sesso passionale, sesso pericoloso, caldo, ammaliante, rigenerante, contagioso. Il piacere nel toccarlo carnalmente parve quasi dolore, un'emozione indescrivibile e irripetibile che non permetteva agli altri sensi di frenarsi. Ogni cosa seguiva il suo corso, le nostri carni si scontrarono e si incrociarono, si intrecciarono come a volersi fondere in un unico elemento significativo. E mentre lo ascoltavo godersi quell'attimo, mentre lo guardavo contorcersi per il desiderio d'essere posseduto da me, io provavo estasi. Le nostre bocche erano legate da un rivolo di saliva calda, inodore, che scivolava e scivolava ancora negli angoli delle nostre labbra. Le lingue si desideravano, si assaggiavano senza pudore e si possedevano come gli Dei possedevano le loro Dee. Non c'erano regole, non c'erano doveri: c'eravamo noi con le nostre pelli, e l'illusione di appartenerci.

Fu un'ora di sesso sfrenato. Un'ora di pensieri osceni, un'ora di godimento assoluto. Un'ora che segnò la mia vita per sempre.

“Baekhyun.”
“Non fare il sentimentalista. Adesso non scrivere il mio nome su ogni pagina del tuo diario segreto, non pensarmi, non sognarmi. Perché non avremo mai una bella casa e non ci sposeremo. Non avremo figli e non vivremo felici e contenti. Non avremo ciò che vuoi solo tu.

Rimasi interdetto al momento di quella risposta. Ero certo di averlo capito nelle settimane precedenti, di aver visto in lui un barlume di speranza. Credevo di sapere tutto, di conoscerlo almeno un po'. Ma mi sbagliavo. Mi sbagliavo perché credere in qualcosa ci accompagna quasi sempre verso l'inganno, lo sbaglio. La verità è che non avevo capito niente. Che in quelle settimane ad analizzare ogni suo dettaglio, fisico e non, emozionale e non, non mi aveva portato da nessuna parte. Tanto meno le poche frasi che riuscivo a strappargli di tanto in tanto. C'era stato solo il sesso. Un sesso occasionale, brutale per certi versi, incredibile per altri. Un sesso che in fondo non sapeva di niente, un sesso silenzioso, perché non diceva niente. Ero stato rapito da lui, da tutto ciò che lo riguardava. Non ero più Chanyeol, un essere umano con delle potenzialità, qualità, pregi, difetti e qualità. Ero solamente Suo. E allora mi chiesi a cosa fosse servito tutto quell'impegno. Lui non voleva essere salvato. Ciò che voleva era possedere tutti, con il corpo e con la mente. Aveva quell'assurda capacità di conquistarti sebbene la sua vita fosse un tutt'uno con la negatività collettiva. Universale, per meglio dire. Ed io c'ero cascato. Completamente.
Non potevo confessare di amarlo, perché avrei fatto uscire menzogne dalla mia bocca. L'amore era tutt'altro. È tutt'altro. Ma c'era qualcosa in lui, qualcosa di inspiegabile che mi faceva volare in alto. Come se fosse la persona che avevo sempre aspettato.

“Non stavo per dire nulla del genere.”
“E allora cosa. L'ora è finita, puoi andare.”
“Cosa?”
“Giovedì prossimo ci sarà la prossima seduta. Spero di imparare qualcosa di utile e imparare dai miei errori. La ringrazio per l'impegno, dottor Chanyeol. Passi una buona serata.”

E così, con una falsa e semplice carezza sulla spalla, Baekhyun mi congedò, senza voler parlare di niente. L'ora era finita, il godimento era finito. Il momento era finito. Tutto era finito, aveva avuto un termine da quel momento, come le mie certezze, le mie speranze, tutto ciò che avevo in serbo per lui. Ma non commentai la sua ultima risposta. Me ne andai, semplicemente.

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Capitolo 5
*** Chapter V ***


CHAPTER V.
 

 

Ognuno di noi è il suo proprio diavolo,

e noi facciamo di questo mondo il nostro inferno.”



Inutile raccontare nei dettagli cosa successe nelle cinque settimane successive. Solo sporco, inutile, insensato sesso. Il mio caso clinico era letteralmente stato archiviato dalla mia mente contorta e instabile, tanto da diventare io stesso un caso clinico, e Baekhyun il mio psicologo. Potevo scusarmi con Dio per aver fatto sesso prima del matrimonio od osservare il diavolo compiacersi del mio pessimo comportamento, ma la verità è che non avevo la forza di realizzare neppure cosa stesse succedendo, da quanto ero in estasi. Era come se il mio destino fosse stato segnato dalle calde labbra di quel ragazzo malato che spudoratamente si strusciava su di me e spingeva il mio pene tra le sue pareti strette e bagnate, sino alla prostata, sempre più forte. Non potevo resistere a un piacere simile, a una forza così elevata e universale e incredibilmente audace. V'erano dei momenti in cui credevo d'essere innamorato, altri invece – il solo pensiero di poter provare dei sentimenti per Baekhyun mi nauseava. Non riuscivo a fare mente locale sulla faccenda, tanto meno a trovare quel poco autocontrollo che mi aiutasse a dire no, ero spacciato. Totalmente spacciato.

“E quell'espressione da funerale? Chanyeol, è stato sesso grandioso, come ogni volta. Di che ti lamenti?”
“Non mi sto lamentando.”
“Sai, siete carini. Tutti voi. Ogni volta è la stessa storia.”
“Tutti noi chi?”
“Voi, le mie vittime. Tutti quelli che mi sono scopato incluso te. Prima godete come dei porci e poi combattete mentalmente con i vostri sensi di colpa. “Perché l'ho fatto?” “Che c'è che non va in me?” “E se mi innamorassi?” Siete tutti falsi, ecco la verità. Siete falsi perché non ve ne frega un cazzo di niente se non di voi stessi. La vostra pseudo-moralità potrà anche convincere voi tutti di essere delle brave persone, con dei sani principi, con dei valori. Ma in realtà siete tutti marci dentro, dal primo all'ultimo.”

Chanyeol rimase interdetto, incredulo d'aver sentito tali cattiverie. Lasciò la stanza in fretta e furia. Nessun saluto, nessun sorriso, come ogni volta. Prima di tornare a casa si dedicò a una passeggiata di riflessione, ripetendo costantemente quelle parole, fredde, amare, dolorose anche se potevano non essere la verità. Aveva abbandonato il motivo che lo portò a conoscere Baekhyun per cosa? Per del sesso? Per dei sentimenti che non erano amore e neppure odio? Era tutto infondato. Le ragioni per cui Chanyeol non aveva smesso di vederlo, la ragione per cui rischiava d'essere licenziato e di non lavorare più in una clinica nel caso in cui l'avessero scoperto e perché si sentisse così maledettamente attratto da lui. Troppe domande senza risposta, troppi rischi da correre.



Durante la notte, mille immagini fecero capolino dalle porte della sua mente. Sesso, indifferenza, ancora sesso, gemiti, ansimi, piacere, dolore, stanchezza. Un agglomerato di emozioni, episodi e sensazioni che si fusero assieme formando una confusione angosciosa e incontrollabile. Si svegliò di soprassalto, come ogni notte dal momento in cui conobbe Baekhyun, passando le successive ore fissando il soffitto, incapace di prendere una decisione e abbandonato al silenzio più macabro e fitto. Avrebbe voluto essere inghiottito da quello stesso silenzio, avrebbe sentito i pensieri tacere, qualsiasi voce, malevola o benevola che si fosse insidiata in quella testa piena di niente.



Sette giorni dopo eccolo di nuovo lì, stanco e nauseato. Chanyeol aprì la porta, senza bussare, senza augurare un buon pomeriggio al suo paziente. Rimase accanto al cornicione della porta, muto, impotente di fronte a quella figura diafana che sin da subito lo aveva incasinato nel peggiore dei modi. Quest'ultima sorrise, seduto sulla sua sedia. Questa volta non era voltato di spalle. I suoi occhi fissavano la porta di quella stanza chissà da quanto tempo, come se ansioso stesse aspettando quel cumulo di energia sprecata e confusione totale. Prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, Chanyeol non attese oltre. Corse via, fuori dalla clinica, fuori da tutto. Corse fino a perdere le forze, fino a sentire il fiato consumarsi e la gola cedere. Percepì quasi paura, terrore di rivederlo ancora. Non erano i suoi sentimenti a spaventarlo, o ciò che pensava. Era Baekhyun, che aveva la capacità di mandarlo fuori strada, di deviarlo, di maledirlo. Lui era il diavolo, lui sapeva come trasferire l'inferno nelle menti umane, conducendole verso un'eternità di impurità e dolore. Avrebbe abbandonato tutto. Il suo lavoro, la sua vita se necessario, per stare di nuovo bene, per trovare la pace di cui aveva goduto sino a pochi mesi prima. Non si sarebbe lasciato condizionare di nuovo. Non più.

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