EURYDIKE

di E m m e _
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** 1 - SEGRETERIA TELEFONICA ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


31 ottobre 2017

ore 21:39

 

 

Accasciata sul letto a baldacchino, con il pelo castano di Rufy, il pechinese costantemente sonnecchiante, che le pizzicava la guancia destra, Selene lanciò la pallina gialla contro il soffitto riprendendola al volo dopo pochi istanti.

Una, due, tre volte.

Sbuffò, lo sguardo fisso sulla trama incrociata delle lastre di legno che componevano il soffitto della sua camera da letto al secondo piano della villetta ai confini di Crimson.

Quattro, cinque, sei.

Evitò di prendere in mano il cellulare che stava vibrando da dieci minuti abbondanti sul comodino accanto al letto.

La sua professoressa le diceva spesso che la luce prodotta dallo schermo rovinasse il sonno e Selene avrebbe tanto voluto che fosse l'idea di passare una notte insonne ad impedirle di fermare quel fastidioso ronzio.

Ma non era quello il motivo che la spingeva a non guardare la stupida scatoletta di metallo.

E non era assolutamente l'idea di un sonno profondo a portarla a contare le volte in cui la palla gialla di Rufy toccava con successo il punto da lei desiderato sul soffitto.

La coda del pechinese si muoveva avanti e indietro, più simile a quella di un gatto eccitato piuttosto che a quella di un cane stanco di quel continuo ticchettare contro il legno chiaro.

Era arrivata a contare venticinque colpi quando sua nonna Ury, scendendo frettolosamente le scale malgrado il suo problema all'anca, irruppe nella stanza, battendo sulla porta tre volte con il vecchio bastone prima di aprire senza ricevere alcun “Avanti”.

«E' solo Clara», disse senza voltarsi, mantenendo quel classico broncio da adolescenti a cui era appena stato vietato di partecipare alla “notte più importante della loro vita”.

«Oh, lo so, lo so», la vecchia Ury si sedette accanto a lei, dando simpatiche pacche al sedere del vecchio pechinese che, destato dal suo sonno, prese a scodinzolare tutto contento, «Sei stata tu a darle il mio numero?»

«Ovviamente no», rispose sinceramente Selene e la palla trovò nuovamente un porto sicuro nella sua mano schiusa a formare una sorta di coppa, «Perché? Ti ha forse chiamato?»

Ury sorrise, un movimento rapido di numerosi muscoli facciali che sollevò una gran quantità di pelle e rughe profonde come scanalature in un vecchio tronco.

«Quella Clara», disse, profondamente divertita, «non smetterà mai di sorprendermi!»

Rufy si mise sulle quattro zampe e si avvicinò scodinzolando alla vecchia padrona, divertito da tutto quel ballonzolare di carne e rughe.

«Ti ha chiesto qualcosa?», domandò Selene, spezzando la sua risata quasi con freddezza.

Adesso si spiegava quell'improvviso silenzio da parte del suo cellulare.

Aveva vibrato così tanto tempo che non si era neppure accorta di quando aveva iniziato a tacere.

Le era sembrato di avere ancora quel ronzio metallico nell'orecchio fino ad un attimo prima.

«Oh sì, in realtà mi ha chiesto un mucchio di cose!», esclamò con un largo sorriso che portò Selene in uno strano stato di confusione ed imbarazzo.

Sapeva quanto Clara potesse essere “sopra le righe”, quanto potesse esagerare senza rendersene neppure conto. Si conoscevano da anni ormai ma questo non aveva mai impedito all'amica di riconoscere il suo imbarazzo quando, senza alcuna vergogna, la salutava con una sonora pacca sul fondoschiena anziché con un bacio o un abbraccio.

Selene si rinchiudeva per pochi ma indispensabili secondi all'interno della sua stessa mente, eliminando gli sguardi confusi delle persone che la circondavano o le loro risatine divertite.

«Ah si?», chiese con una smorfia alla nonna, temendo di porre quella domanda che avrebbe dato il via a risposte e situazioni ancora più imbarazzanti.

«Oh, è proprio una brava ragazza!», esclamò Ury, alzandosi dal materasso con le mai appoggiate delicatamente al ventre. Iniziò a girare per la stanza, ripetendo quella frase «proprio una brava ragazza», mentre guardava, con poca attenzione, le foto e i peluche che adornavano la stanza della nipote. Intanto Rufy le zampettava dietro muovendo la coda tutto contento.

Selene la guardò accarezzare le vecchie foto dei suoi genitori e dei nonni paterni che la giovane non aveva mai conosciuto. Era stata sua nonna a consegnargliele, conoscendo la sua passione per la fotografia e per tutto ciò che era vecchio e dal grande valore affettivo. Come la bambola che adesso stringeva tra le mani e che, tempo addietro, era appartenuta alla sua unica figlia femmina.

Selene aveva avuto anche uno zio ma di quest'ultimo non poteva averne memoria.

Era morto quando era solo un bambino, quando una brutta polmonite aveva razziato molta della gioventù di Crimson.

«Nonna?», la vecchia Ury si voltò, incuriosita dal tono della nipote.

«Mmh?», chiese semplicemente come se il discorso iniziato poco prima fosse già concluso.

Non era ancora particolarmente anziana ma i primi dolori iniziavano a farsi sentire e spesso la sua memoria le giocava brutti scherzi; spesso si era ritrovata a girare per la piazza della cittadina senza ricordare immediatamente la strada di casa oppure aveva scambiato Selene per la figlia ormai scomparsa da più di dieci anni.

Il silenzio prolungato della donna intimorì Selene e, non appena Ury lo notò, uno strano di sconforto riempì l'aria.

«Stavi parlando di Clara», suggerì la ragazza, mettendosi a sedere per poterla guardare meglio. Strinse al petto il cuscino a forma di stella che lei stessa aveva cucito sotto l'occhio attento della nonna ed osservò il volto della sua interlocutrice illuminarsi all'improvviso.

«Oh, certo, certo!», esclamò e tornò a sedere accanto alla nipote.

Le afferrò una ciocca di capelli biondi, così chiari da sembrare prematuramente bianchi, e nello stesso istante Rufy si acciambellò sulle sue gambe, facendo ridere entrambe.

«La tua amica mi ha chiesto perché ti stavo impedendo di partecipare alla “serata più importante delle vostre vite”», disse, serrando le labbra, e Selene apprezzò il suo tentativo di citare quelle che sicuramente erano state le parole di Clara.

«E perché mai questa dovrebbe essere una serata tanto importante?», chiese alla nipote che, ostentando silenzio, si trovò a dover affrontare le spallate ritmiche e leggere della nonna che svegliarono il povero Rufy già più vicino al mondo dei sogni che a quello reale.

«Oh, non è niente di importante. Clara esagera», rispose ma il suo viso tradì la verità ed ad Ury bastarono pochi istanti per notarlo, cosa che poteva accadere solo a chi guardava costantemente una persona, nel bene e nel male, riconoscendone ogni stato d'animo, ogni guizzo di luce che ne illuminava lo sguardo.

Ury lo sapeva ma fece finta di niente; aveva sentito più volte Selene e la sua amica chiacchierare a bassa voce al telefono, organizzando quella che sarebbe stata la serata perfetta, quella in cui, magari, Selene avrebbe dato il suo primo bacio, forse proprio a quel ragazzo -come si chiamava? Ury non riusciva proprio a ricordarlo! Jeremy forse? No, forse era James. Jaime! Era sicuramente Jaime!- che alla nipote piaceva così tanto.

Sapeva che era sbagliato origliare ma le era sembrato impossibile quando, ad un passo dalla porta, l'aveva sentita ridacchiare con imbarazzo misto ad eccitazione.

«Ne sei davvero sicura? Tesoro...», allungò una mano verso di lei ma Selene scattò in piedi per sfuggire a quel gesto. Se l'avesse accarezzata a quel modo, se l'avesse guardata negli occhi, sarebbe sicuramente scoppiata in un pianto sommesso che le avrebbe sciolto la lingua come un ghiacciolo al sole.

Selene voleva dimostrarsi risoluta, invece, come a voler far capire al mondo che era molto più matura di quei suoi diciassette anni appena compiuti.

La sua mano, nonostante ciò, si trovò a stringere il corpo di pezza della bambola che poco prima era passata tra le dita ossute della donna.

«Ti ho detto di no, non era nulla di importante», rispose, guardando gli occhietti neri e privi di espressione di quella che aveva sempre chiamato Mrs. Little, «e anche se fosse, ormai è tardi. Nonno non vorrebbe che uscissi a quest'ora, soprattutto per andare nel bosco», e avrebbe voluto colpirsi da sola per essersi lasciata sfuggire quel particolare così evidente sul proprio umore.

Ury si voltò, con finta distrazione, verso il calendario appeso alla parete di fondo della stanza e, pur non vedendoci più come una volta, notò l'anello rosso che circondava una data precisa: 31 ottobre.

«Oh! Anche quando ero giovane io andavamo sempre nei boschi durante questa festività!», ammise accarezzando Rufy, il musetto scuro rilassato e gli occhi chiusi, «Ovviamente i miei non avrebbero mai dovuto saperlo perché assolutamente contrari!», il tono con cui lo disse, così divertito e comprensivo, portarono Selene a voltare lo sguardo verso di lei, incuriosita.

«Si raccontavano storie sul mondo del Popolo fatato, sai? E si credeva che, specialmente in questa notte, il Popolo fosse più affamato di giovani anime da sedurre ed inghiottire nelle loro splendide boccucce!», rise tra sé e sé, consapevole che persino la sua nipotina era ormai nell'età in cui non si credeva più a tali e sciocche favole, «Ma noi ragazzi eravamo incuriositi da queste storie! I ragazzi s'imbellivano e si fingevano coraggiosi, volevano sfidare il re delle fate o addirittura gli orchi dei ponti ma in realtà fuggivano non appena un vento un po' più forte iniziava ad ululare tra le foglie degli alberi!», la sua risata coinvolse anche Selene che tornò a sedersi al suo fianco.

Questa volta lasciò che la carezza le sfiorasse la guancia, malgrado le dita fredde della nonna.

«Quello che voglio dire è che tuo nonno è fuori per molte ore ancora, Selene», bisbigliò, come se avessero vicini pronti a spiare ed ascoltare le loro conversazioni più segrete, pronte a riferirle a suo marito Thomas, in città per incontrare il suo avvocato.

«Questioni di terre!», le aveva detto la sera precedente, forse prima di raggiungere la nipote e distruggere così i suoi piani per i festeggiamenti, «sarò via per tutto il giorno! Forse dovrò persino alloggiare a quel fetido buco che si permettono di chiamare motel!» ma questo non l'avrebbe detto alla nipote per paura che si attardasse troppo.

Il bosco era pur sempre un luogo pericoloso e non voleva rischiare che rimanesse sola o, peggio, accompagnata da qualche sconosciuto.

«Cosa stai cercando di dirmi, nonna?», la faccia di Selene tradiva il suo entusiasmo.

Ury la vedeva tremare, fremere per l'eccitazione, sotto quell'espressione fintamente confusa.

«Voglio dire che, se volessi, potresti uscire un po' con quella tua amica, stasera», alzò le vecchie spalle e si strinse al petto il caldo scialle che aveva cucito con le sue mani durante l'estate in modo di essere già pronta ai primi venti autunnali. «Io non direi niente a tuo nonno, ovviamente», e fece croce sul cuore come se da questo dipendesse la sua intera vita.

Selene fu sul punto di saltare per l'entusiasmo ma si trattenne. Sentiva le mani tremare per il desiderio di afferrare il cellulare e scrivere a Clara affinché la venisse a prendere al più presto.

«Non dovrei lasciarti da sola...», disse invece, reprimendo l'istinto di abbracciarla e ridere, come una folle probabilmente, per la grande felicità.

«Selene!», esclamò, quasi offesa, «Mi prendi forse per una vecchia rincitrullita?»

«N-No, no, nonna!», rispose.

«Bene», seguì un lungo silenzio in cui lo sguardo di Ury si spostò verso la porta lasciata aperta.

Selene attese, pazientemente, che parlasse ma ciò non accadde.

La mano nodosa della donna accarezzava con dolcezza il pelo del pechinese.

«Nonna?», la richiamò ed Ury si ridestò come da un sogno.

«Oh, sei ancora lì?», la squadrò ed un lungo sorriso si disegnò sul volto della nipotina, «Pensavo di averti detto che eri libera di andare!»

«Dovrei... Dovrei vestirmi», Selene si mise in piedi piano, come se temesse che la nonna potesse rimangiarsi di punto in bianco quanto detto. Ancor più lentamente si avviò verso l'armadio.

«Oh, beh, forse dovrei lasciarti sola allora... Rufy?», il pechinese alzò la testa di scatto, sentendosi nominare, e si voltò verso Ury, «Lasciamo che la signorina scelga con calma il suo abito. Andiamo!» e, dopo aver preso il bastone che aveva lasciato accanto al letto, si diresse verso la porta.

«Vorrei che non facessi più tardi di mezzanotte, però», le disse, dandole ancora le spalle in attesa che Rufy la raggiungesse, «anzi, diciamo l'una, d'accordo?»

«Sei meravigliosa!», Ury percepì già dalla voce quanto Selene fosse raggiante.

Non le sarebbe servito voltarsi a guardarla per accertarsene ma lo fece ugualmente.

«Oh, lo so mia cara», disse senza fingere modestia, «essere meravigliose è il compito di tutte le nonne!» e, ridendo, senza lasciare a Selene neppure il tempo di abbracciarla, si avviò verso le scale.

Sentiva il bastone ticchettare sul legno scuro ma ciò che le dava stabilità era lo sguardo entusiasta della nipote che era rimasta ferma sul posto, come impietrita dalla gioia.

Non avrebbe potuto essere più contenta per lei.

Saperle di averle dato così tanta gioia la faceva sentire di nuovo giovane, leggera!

«E porta il telefono con te!», le rammentò ad alta voce quando fu agli ultimi gradini, «Ti chiamerò se tuo nonno dovesse decidere di tornare prima del tempo, d'accordo?»

«Sì signora!», gridò Selene da sopra le scale prima di chiudere la porta alle sue spalle.

Non appena raggiunta la cucina, Ury la sentì ridacchiare al telefono mentre, probabilmente mediante il vivavoce del suo cellulare, chiedeva a Clara quale fosse il vestito più adatto per la grande occasione.

«Vuoi un biscotto?», chiese a Rufy che, seduto a guardarla con profonda curiosità, le abbaiò in risposta. «Allora avrai un biscotto se è quello che vuoi davvero», e si spinse, tutta sorridente, fino alla mensola riservata al suo figlioletto a quattro zampe.

Spero che rispetti almeno gli orari che le ho proposto, pensò, con una punta di ansia.

Sapeva che erano solo storie per spaventare i bambini ma la notte di Halloween continuava a portare con sé una sensazione di profonda angoscia nel cuore di Ury.

Ma sono certa che se la caverà, sorrise scartando la busta dei croccantini per afferrare, invece, lo scatolone pieno di biscotti a forma di ossa, quella bambina sa il fatto suo, proprio come sua nonna!

«Ecco qua il tuo biscotto, Rufy!», prese l'ossicino in una mano e si piegò verso il vecchio pechinese, «Te lo meriti proprio dopo così tanti anni di servizio dietro alla nostra piccola Selene!»

Qualcosa accadde, però, prima che il cane potesse prendere il biscotto dal palmo della padrona.

Ury fu colpita da un dolore improvviso, sordo e veloce come una scarica elettrica.

Fu talmente inaspettato che lasciò cadere a terra il biscotto, malgrado Rufy fosse troppo incuriosito dalla sua espressione per pensare al cibo.

La mano di Ury iniziò a formicolare, partendo dalle dita per poi raggiungere l'intero braccio.

Un fuoco le si accese nel petto e lì si spense dopo un breve attimo che le sembrò eterno.

Sentì la porta di Selene aprirsi all'improvviso, il tic dell'interruttore che veniva schiacciato per spegnere la luce e poi i passi della nipote sulle scale, sempre più vicini.

Ury respirò e si rimise composta, troppo confusa per poter spiccicare anche solo una parola.

Si rese conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento e così si concesse un lungo sospiro, ben lontano però dal sollievo che l'aveva colta pochi minuti prima.

«Corro da Clara!», urlò Selene prima di raggiungere l'ultimo gradino, stringendo al fianco la borsetta contenente un rossetto troppo acceso -ma che l'amica si era raccomandata di portare con sé- e il cellulare.

«Va bene, fa attenzione però!», riuscì a dire sua nonna, ottenendo un risultato piuttosto buono malgrado l'eco di quel dolore continuasse a turbinarle nella testa, confondendola.

Quando Selene arrivò, nel suo vestitino nero con le larghe maniche in pizzo, Ury non riuscì a non pensare a quando sua figlia era stata appena una ragazzina, così simile a quella giovane donna che ora si ritrovava di fronte. Indossava un cappottino grigio con sfavillanti bottoni argentati e aveva lasciato i capelli biondi sciolti sopra alle spalle.

Malgrado sapesse della sua cotta per quel ragazzo, Ury non si sorprese nel vedere che Selene non si era lasciata convincere nell'indossare i tacchi come avrebbero fatto sicuramente altre ragazze della sua classe. Indossava, invece, pratici scarponcini neri.

«Sicura che qui vada tutto bene?», le sorrise e la vecchia donna riuscì a ricambiare quel piccolo gesto, malgrado il mondo intero sembrasse andare a rallentatore per lei.

«Va pure...», disse ed afferrò il bastone con più fermezza.

Guardando a terra, Ury si rese conto che il biscotto era ancora lì, intatto.

«... io mi metterò sul divano a guardare un po' di tv con Rufy e poi andrò a letto», le disse, la lingua secca come se non bevesse da giorni.

Selene aveva notato un cambiamento in lei e continuava a guardarla con sospetto.

Si convinse, però, che sua nonna fosse semplicemente preoccupata del dover mentire a quello che era suo marito da moltissimi anni o che avesse paura della cattiva compagnia che avrebbe potuto circondare sua nipote.

Non chiese niente, quindi, e si avvicinò alla donna per scoccarle un sonoro bacio sulla guancia alla quale Ury rispose con un tiepido sorriso.

«Non aspettarmi sveglia, d'accordo?», si raccomandò, toccandole il braccio con affetto, «Chiederò a Clara di accompagnarmi un po' prima a casa».

Selene si aggiustò la tracolla della sua borsetta di cuoio e sorrise ancora alla nonna, senza ottenere il risultato sperato, «Allora io vado, okay?»

«Ti voglio bene. Lo sai, vero?», la voce di Ury risultò improvvisamente preoccupata e la nipote accolse tale preoccupazione con un sorriso ancora più smagliante.

«Certo che lo so!», disse ma, in quello stesso istante, un messaggio da parte di Clara la distrasse.

Rispose che stava arrivando, che non avrebbe tardato troppo e che avrebbe corso se necessario e ripose nuovamente il telefono nella borsetta.

«Ehm...», abbassò lo sguardo, improvvisamente ignara di ciò che stava dicendo fino ad un attimo prima, «Clara mi sta aspettando» e strinse nella mano la striscia di cuoio della tracolla.

«“Chi ha tempo non perdi tempo!”, dice sempre tuo nonno!», Ury sembrava aver riacquistato un po' di serenità eppure Rufy, che come molti animali hanno un sesto senso sopraffino e sanno accorgersi di quando qualcosa non va nel modo giusto, continuò a guardarla con la testa leggermente inclinata, ignorando del tutto il biscotto che era stato preso appositamente per lui.

«Avanti, vai!», le fece segno con le mani, come se volesse scacciarla, «E salutami tanto Clara e i suoi genitori, se ne hai l'occasione!»

Selene sorrise, saltellando fino alla porta d'ingresso, il cuore che fluttuava dalla felicità, «Non mancherò».

Ury le concesse un ultimo sorriso prima di vedere la porta chiudersi nuovamente.

Solo allora si lasciò sedere sulla vecchia sedia della cucina, con la lingua rosata di Rufy che le leccava le dita di una mano ricaduta pesantemente sul ginocchio.

«Sei un bravo cane», disse, accarezzandogli il capo peloso, «ma ora va a mangiare il tuo biscotto».

 

 

Selene aveva già superato la strada quando si rese conto di ciò che aveva dimenticato.

Non le ho detto che anch'io le voglio bene, pensò, fermandosi per guardare la sagoma, sempre più piccola, della sua villetta.

Però non se ne preoccupò troppo perché, come erroneamente molti credono, era certa che il mattino seguente avrebbe potuto offrire a sua nonna quelle esatte parole che non era stata in grado di dirle quella sera...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** 1 - SEGRETERIA TELEFONICA ***


ore 22:35

 

 

«Non doveva essere una festa in maschera?», chiese Clara, improvvisamente a disagio con le sue orecchie tonde e coi suoi baffetti bianchi disegnati sulle guance arrossate dal freddo.

Selene era appena entrata nell'auto, stringendosi addosso il cappottino grigio che rappresentava la sua unica barriera contro il vento sempre più ostile, e si lasciò studiare dall'amica cercando di reprimere l'imbarazzo causatole dalle sue occhiate.

«Così mi pare di aver sentito a scuola», rispose, mettendosi la borsetta sulle ginocchia e giocando con i bordini ondulati della tasca.

«Mi stai dicendo che sono io a non capire il tuo costume?», la guardò di nuovo, dalla testa ai piedi, ed inclinò persino il capo esasperando Selene con una lunghissima occhiata che però non le tolse il sorriso.

Avrebbe partecipato alla festa, ancora non riusciva a crederci del tutto.

Si aspettava di risvegliarsi all'improvviso da un sogno, ritrovandosi nuovamente tra le vecchie coperte della sua cameretta.

Eppure sentiva che quella era la realtà. I rossori sulle sue braccia, dovuti ai pizzicotti che aveva continuato a darsi durante i dieci minuti di tragitto dalla villa dei nonni alla casa in stile vittoriano di Clara, ne erano la conferma.

Quella era la realtà.

Aveva sorriso ai bambini mascherati che correvano per le strade.

Alcuni l'avevano persino fermata per chiederle qualche dolcetto ma Selene non aveva potuto accontentare che un vampiro ed una fatina dei denti, regalando loro un pacchetto di gomme da masticare e una caramella alla fragola.

«Beh, potremmo sempre dire che sei una strega sexy, malgrado quegli scarponi. Hai portato il rossetto?», Selene si ritrovò ad incrociare i piedi, come a nasconderli dalla vista radioattiva di Clara, e strinse con più forza la borsetta contro il proprio corpo.

Annuì e la sua amica squittì per l'entusiasmo quando la vide estrarlo dalla tasca interna della borsa.

«In realtà credo che non ti servirà a molto», Clara le sfilò il rossetto di mano e lo aprì, studiandone la tonalità. «Soprattutto se Jaime parteciperà alla festa», diede a Selene una gomitata amichevole ed entrambe risero di gusto.

«Jaime non sa nemmeno che esisto, è troppo impegnato a guardare quella cicogna di Mary Sally!», mise i capelli biondi su una spalla, accarezzandone le punte.

«Mary Sally non può minimamente competere con te», Clara sembrava sincera ma Selene non fu in grado di crederle. Era pur sempre sua amica, d'altronde!

Non che Selene si ritenesse brutta ma neanche bella.

Non aveva le lunghe gambe di Mary né poteva contare sulle forme morbide ma sensuali di Clara.

Lei era semplicemente normale: una chioma di un biondo insolito che le ricadeva appena sotto le spalle, il viso ovale e un po' pallido, le iridi verdi come quelli di sua madre e che aveva ereditato per certo da suo nonno Thomas malgrado il taglio dei suoi occhi non fosse severo ma bensì morbido come quelli di Ury.

Abbassò lo specchio del sedile del passeggero e, per darsi sicurezza, si passò un velo di rossetto sulle labbra. Non troppo, non voleva esagerare.

Clara esultò e, dopo aver visto Selene riporre la scatolina nera al suo posto nella borsa, mise in moto l'auto. Alzò il volume della radio mentre i Muse cantavanoStars when you shine/ you know how I feel / Said I'll be fine / You know how I feel / Oh freedom is mine / and you know how I feel
«Questa sera bacerai Jaime Maloon!», urlò Clara nell'auto, sovrastando quasi la musica.

Colpì con una mano il braccio di Selene che stava ridendo, le guance rosse per la vergogna che qualcuno potesse averla sentita.

Ma non poteva evitare di sorridere, si sentiva entusiasta, invincibile.

Era come Cenerentola finalmente consapevole di avere l'opportunità di andare al ballo.

Era così fuori di sé che urlò a sua volta «Questa sera bacerò Jaime Maloon!» scatenando un attacco di risa da parte dell'amica.

E sarà fantastico, pensò, spostando poi lo sguardo verso il finestrino chiuso, sarà meraviglioso.

 

 

Malgrado i rami degli alberi, ancora carichi di foglie, riparassero la numerosa compagnia dal vento e nonostante l'ampio falò che crepitava su foglie secche e rami sovrapposti, l'aria era pungente.

Zefiro borbottava contro quella campana di vetro che li proteggeva tutti e gli echi dei suoi soffi rendevano l'atmosfera persino più inquietante di quanto tutti si sarebbero aspettati.

C'era Brandon Philipps ad occuparsi, per primo, del fuoco ma con sé c'era anche Logan Seaworth il quale temeva che il sedere sodo di Maisie Jackson, in bella mostra nell'aderente vestito da scheletro, potesse distrarre l'amico.

Logan era il classico cervellone, un nerd sotto ogni punto di vista, eppure non era mai stato escluso dai suoi compagni di scuola malgrado non fosse esattamente la loro prima scelta in fatto di uscite.

Aveva già compiuto diciotto anni, era alto e ben piazzato, con i capelli neri che ricadevano a spazzola sulla fronte ampia e pulita. Aveva due grandi occhi castani e sinceri. Era un simpaticone e, alla fin fine, tutti apprezzavano la sua compagnia.

Aveva un'altra birra accanto a sé, oltre quella che aveva già nella mano, e questa era tenuta abbastanza lontana dal fuoco in modo che non si riscaldasse.

Logan aveva avuto delle storie, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a portarsi a letto una qualsiasi delle ragazze presenti a quella festa, ma quella birra non era riservata a nessuno di loro bensì a Clara O'Heir, di un anno più piccola di lui, per cui aveva una cotta da ormai più di anno.

La ragazza era cambiata notevolmente in quegli ultimi dodici mesi, era diventata più matura.

Non indossava più sfavillanti felponi abbinati a scarpe lucide o imbarazzanti cerchietti fatti in casa ma esibiva una quantità di top e pantaloni attillati che mettevano in risalto le forme morbide dei suoi fianchi o le rotondità dei suoi seni pur non risultando volgare come molte delle sue compagne di classe.

Clara non si vestiva così per apparire, o almeno così non gli era mai parso durante le loro chiacchierate che, dopo la rottura con Fiona Patch, erano diventate sempre più frequenti. E quando parlavano, lei non lo guardava con malizia, non si mordeva il labbro inferiore con l'obiettivo di eccitarlo malgrado questa stessa incoscienza dei propri effetti rendevano Logan incapace di contenere i propri istinti.

Era per questo che l'aveva baciata, più di una settimana prima, alla festa di compleanno di Paul Tunner. Non che Clara potesse ricordarlo, era troppo ubriaca.

O forse semplicemente non vuole ricordarlo, pensò, improvvisamente a disagio e con lo sguardo fisso sulla lattina fissata al terreno, forse non vuole parlarmene per evitare che io mi confessi.

Perché Logan non era ubriaco, questo lo ricordava bene, anche se aveva bevuto qualche sorso di quel liquore che il padre di Paul, sindaco di Crimson, aveva conservato con cura nella sua cantina per più di quindici anni.

Non era ubriaco ed era cosciente quando aveva scelto di baciare Clara O'Heir che, tutt'un tratto, comparve nella sua visuale, bella come può esserlo solo una fantasia.

I boccoli d'ebano scendevano sulle sue spalle, la pelle scura lasciata scoperta dallo scollo a barca del suo vestito, e brillavano alla luce delle fiamme malgrado fosse lontana dal falò di dieci metri o poco più.

Stava parlando con una ragazza che dapprima non riconobbe e che capì poi essere Selene Park, incredibilmente fuori dai suoi maglioni sformati e dai suoi jeans.

Logan la scoprì carina, persino bella nel suo abito a trapezio che le segnava il punto vita, ma non ai livelli della ragazza che le stava accanto.

Mentre Selene appariva a disagio nella sua stessa pelle, malgrado abbellita da quel filo di trucco e dagli abiti inusuali per lei, Clara appariva orgogliosa del proprio corpo e fiera come una leonessa.

Quasi gli dispiaceva non vedere la sua solita capigliatura afro ma anche i boccoli avevano un effetto particolare sul corpo di Logan che si ritrovò a seguire quelle onde nere fino a raggiungere il seno dove questi ultimi terminavano la loro corsa.

«Clara!», la chiamò, pentendosene immediatamente.

E se davvero non volesse vedermi?, si chiese afferrando la birra ed un bicchiere che aveva tenuto a riparo sotto una sfilza di fazzoletti.

Si alzò dal tronco su cui si era seduto e, badando solo per un momento al sedere di Maisie posto sulle gambe di Brandon, corse in direzione delle due ragazze, ferme all'inizio del sentiero.

E se invece l'avesse dimenticato davvero?, cercò di darsi forza, di scuotersi da quell'imbarazzo.

Clara, che l'aveva appena notato in mezzo al frastuono di risate, cin-cin e anche qualche gemito soffocato dai cespugli, alzò la mano per salutarlo e gli sorrise.

Se anche lei l'avesse voluto?, si chiese Logan, acquisendo sicurezza ad ogni passo, E se anche Clara mi amasse quanto io amo lei?

Certo era che Logan non aveva mai conosciuto l'amore, quello vero.

Suo padre l'aveva picchiato per anni prima di restarci secco a causa di un infarto improvviso.

Sua madre l'aveva abbandonato alle “cure” paterne prima ancora che Logan sapesse scrivere per intero il suo nome.

Ma aveva visto film e letto libri che riguardavano quella forza misteriosa e travolgente.

E sapeva, lo sentiva nel profondo del suo cuore, che sarebbe stato disposto a dare inizio ad una guerra come era successo per Elena di Troia ma, anche più semplicemente, avrebbe adorato baciarla sotto il portico di casa sua, dopo un primo appuntamento in cui si sarebbe reso ridicolo per l'imbarazzo, e gli sarebbe piaciuto provare la paura di perderla (un emozione forte come quella che provava in quel momento per il terrore di non essere ricambiato) oppure avrebbe potuto organizzare un flash-mob come aveva fatto Justin Timberlake in Amici di letto”, ottenendo così il suo perdono.

Se questo non era amore, Logan credeva potesse essere qualcosa di molto simile a quello che provava per Clara O'Heir.

«Ciao Clara», disse, cercando di non zittire il cuore che gli batteva forte nel petto a causa della ragazza quanto per la corsa in salita che aveva dovuto affrontare per raggiungerla.

Si voltò verso Selene e le rivolse un saluto al quale ricambiò con un sorrisetto che Logan non riuscì ad interpretare. L'unica cosa certa era che quel rapido movimento delle sue labbra non era indirizzato a lui bensì a Clara verso la quale l'amica si era voltata alzando contemporaneamente le sopracciglia bionde.

«Potrei parlarti un minuto?», le chiese e la sua voce risuonò così tranquilla che avrebbe tanto voluto complimentarsi con sé stesso, «Ti ho portato una birra».

Gliela porse, insieme ad al bicchiere di plastica rossa, rendendosi istantaneamente conto di quanto quel gesto potesse risultare offensivo.

Sentì il desiderio di lanciare la lattina nella boscaglia ma si trattenne.

L'hai baciata quando era ubriaca, idiota!, si ammonì mentalmente mentre lo sguardo di Clara cadeva a rallentatore sulle sue mani, E se pensasse che io voglia farla ubriacare per baciarla ancora?

Logan si voltò nuovamente verso Selene che, visibilmente imbarazzata, si dondolava su una gamba.

«Scusa Selene», le disse, a disagio, «non credevo saresti venuta anche tu e...»

«Non fa niente, tranquillo», gli sorrise per rassicurarlo ma dentro di sé si sentì ferita.

Non credevo che saresti venuta anche tu, pensò cercando di mantenere un'espressione distaccata.

Perché è questo che sei, con le unghie degli indici iniziò a pizzicarsi i pollici, un movimento nascosto dalle larghe maniche del capottino, distaccata dal gruppo, non una di loro.

«Intanto che voi parlate vado a prendermi da bere», fece un passo indietro e Clara, che era rimasta in silenzio per tutto quel tempo ma che aveva afferrato la lattina di Logan (pensando, in preda all'ansia, a quanto le dita del ragazzo fossero calde contro la sua pelle gelida), seguì il suo movimento con uno sguardo quasi disperato.

Selene sapeva quanto l'amica fosse cotta di Logan Seaworth e quanto fosse rimasta delusa dal suo fidanzamento con una ragazza di cui le aveva parlato per giorni interi ma di cui non ricordava minimamente il nome.

«Ci vediamo più tardi, d'accordo?», certa di fare il suo bene, sorrise all'amica e poi posò una mano sul braccio del ragazzo come per darsi la spinta verso la festa, i cui tanti suoni sembravano aggredire il suo solito bisogno di pace e silenzio, «Ciao Logan».

Clara la pugnalò con una delle sue solite occhiate radioattive alle quali Selene rispose con una boccaccia, divertita da quell'imbarazzo che, una volta ogni tanto, aveva reso la sua amica muta come un pesce.

Nonostante la vergogna, però, la sentì aprire la lattina e seguire Logan tra gli alberi.

 

 

Salutò qualche suo compagno di classe anche se di molti ricordava a malapena i loro cognomi.

Avevano partecipato al corso di biologia con lei per qualche semestre o magari a quello di inglese prima che la professoressa Margaret Orwell le dichiarasse che, secondo il suo parere da insegnante, non c'era alcun bisogno di quelle lezioni di potenziamento che Selene ascoltava con molto piacere malgrado essere la migliore della classe fosse un'altra fonte di disagio per lei.

Salutò a gran voce Joe, un ragazzo dell'università che lavorava part-time per la scuola come aiutante del professore, e a volte come suo sostituto, per un corso di fotografia creativa e che Selene aveva iniziato a considerare come un amico.

Con un timido gesto della mano, invece, rese evidente la sua presenza a Molly Crugher e il suo gruppetto di amiche. Non riusciva a capire il motivo per cui lei continuasse a frequentarle malgrado lei stessa ne avesse confermato l'incompatibilità di carattere.

Selene aveva preferito restar lontana da elementi come Mina Flicks e Rosamunde Jackson, sorella maggiore di Maisie, e tenersi stretta, invece, Clara che era stata per lei non solo un'amica ma anche una grande fonte di conoscenze dal punto di vista sociale.

Ne era un esempio Joe.

A detta di Clara, avevano limonato qualche volta ma il giovane assistente aveva deciso di lasciarla in amicizia perché troppo piccola per lui.

Selene non credeva granché alla sua versione ma era rimasta affascinata e, come spesso le accadeva, imbarazzata dalla minuzia di dettagli con cui l'amica le aveva raccontato le loro uscite segrete.

Si spinse, infine, verso uno dei tavoli dei drink. Quest'ultimo era composto da una semplice e sottile tavola di legno posta su sei piedi dello stesso materiale. Sembrava talmente leggero da poter volar via sotto un soffio più violento di vento ma le innumerevoli lattine e bottiglie lo rendevano stabile sul terreno umido.

«Birra, whisky o sambuca?», chiese una voce maschile da dietro il tavolo quando lei si fermò ad osservare le lattine scintillanti e le bottiglie che iniziavano man mano a svuotarsi.

Selene sobbalzò interiormente; non aveva notato affatto il ragazzo che le dava le spalle e che era piegato sulle ginocchia. Aveva di fronte a sé una gran quantità di scatoloni, probabilmente contenenti altre marche di alcolici e sembrava profondamente annoiato, o almeno così parve a Selene dal tono della sua voce.

«Come scusa?», chiese, ringraziando il freddo che sarebbe stata un'ottima scusa per le sue guance rosse come mele mature.

«Cosa preferisci: birra, whisky o sambuca?», il ragazzo afferrò uno scatolone con entrambe le mani e si voltò nella sua direzione.

Selene avrebbe voluto sprofondare nella terra e non risalire mai più.

«Ciao», lui le sorrise, le labbra saettarono velocemente all'insù in un'espressione sinceramente felice anche se la ragazza di fronte a lui non si riusciva a spiegare tale contentezza da parte sua.

«Ciao Jaime», un soffio di vento, più forte degli altri, eliminò il tremolio della sua voce.

«Allora, cosa posso servirti?», posò lo scatolone sul tavolo e la guardò dritto negli occhi come aveva fatto raramente, e la maggior parte delle volte solo nei sogni di Selene.

«Whisky», disse, indicando un bottiglione tozzo e e dal collo basso, «decisamente whisky».

Il sorriso di Jaime Maloon si fece ancora più ampio.

«Ottima scelta», prese la bottiglia ed un liquido ambrato riempì il classico bicchiere di plastica, «stai tremando, un paio di bicchierini e ti riscalderai di certo».

Selene si chiese, rimanendo in silenzio, se nelle parole di Jaime potesse esserci un secondo fine ma non osò chiederglielo per paura di una risposta, qualsiasi essa sia.

Chiese invece «Come mai ti hanno messo a fare il barista?» e sorrise a sua volta, sperando che il rossetto cremoso non le fosse rimasto appiccicato sui denti.

Selene si sentiva insicura ed instabile, come se i suoi stessi piedi potessero tradirla facendola cadere a terra come una foglia secca, ma non voleva apparire così di fronte a Jaime.

Sorrise e si toccò i capelli come aveva visto più volte fare anche a Clara anche se il gesto dell'amica non aveva mai intenzioni civettuole ma era un movimento innocente e naturale.

Jaime infilò una mano e tirò indietro i capelli castani, lunghi fino ai lobi delle orecchie.

«E' stato quell'idiota di Brandon», indicò con un movimento del capo il ragazzo seduto di fronte al fuoco e che stava godendo della visuale, insieme ad un gruppetto di ragazzi eccitati, di un lento balletto sensuale da parte di Maisie, «avremmo dovuto fare dei turni ma, come puoi vedere, ha da fare». Rise, una risata cristallina che illuminò il suo viso rendendolo ancora più bello.

Selene sentì le viscere attorcigliarsi ed il fiato le venne improvvisamente meno.

«A quanto pare sì», la sua voce tremò appena e lei la zittì bevendoci su.

L'alcol le bruciò nella gola come benzina su cui era stato lasciato scivolare un fiammifero acceso.

Ripensò a ciò che lei e Clara avevano urlato nell'auto durante il tragitto e stabilì che mai, mai nella vita sarebbe stata in grado di piacere ad un ragazzo del genere.

Jaime aveva quella bellezza genuina e sincera impossibile da non notare. Era difficile non distinguerlo dalla folla, per il suo aspetto quanto per i suoi atteggiamenti, ben diversi da quelli della maggior parte dei ragazzi della sua età.

Era gentile, non aveva mai visto offendere nessuno se non scherzosamente i suoi amici ed era semplicemente carino, così tanto che Selene sentì il suo cuore dolere.

«Penso che sia giunto il momento di prendermi una pausa, però», le confessò e in quel momento lei non riuscì a non captare come un messaggio diretto esclusivamente a lei, «cosa ne dici?».

Non era un semplice “è il momento di una pausa” ma più “è il momento di una pausa...e vorrei prenderla con te”.

Le labbra di Selene balzarono verso l'alto, «Dico che mi sembra un'ottima idea».

Prese un bicchiere pulito e glielo porse, «Birra, whisky o sambuca?»

Jaime sorrise e, abbassandosi, scivolò sotto i tavoli per raggiungerla, «Whisky».

Selene afferrò la bottiglia e gliene versò un abbondante dose nel bicchiere.

«Ottima scelta», disse e allungò il braccio in avanti.

Jaime lasciò che i due bicchieri si toccassero e bevve un lungo sorso.

«Lucas Derry ha portato la sua chitarra e ha detto che, se non sarebbe stato troppo ubriaco, ci avrebbe suonato qualcosa», le si fece più vicino, alzando la voce affinché potesse sentirla oltre l'urlato cin-cin collettivo di un gruppo di ragazzi del secondo anno, «ti andrebbe di accompagnarmi?»

Selene si ritrovò a sorridere ancora, questa volta senza imbarazzo, e, con la coda nell'occhio, osservò il punto in cui, in precedenza, aveva visto Clara. Assicuratasi che l'amica non fosse sola ad aspettarla, annuì in direzione del ragazzo.

«Mi piacerebbe molto», disse e lui piegò il braccio verso di lei in modo che potesse appoggiarvisi.

Improvvisamente, l'idea di baciare Jaime Maloon non le sembrò poi così assurda.

 

Ore 23:49

 

Parlarono del più e del meno.

Quando Brandon decise di prendersi le sue responsabilità al tavolo dei drink, lei e Jaime occuparono quello che era stato il suo posto sul tronco accanto al falò e, come nei migliori film, Lucas iniziò a suonare qualche vecchia canzone.

Pizzicava le corde dorate e queste vibravano, le note si mescolavano al crepitio del fuoco.

Scintille e canti si alzano fino al cielo dove un pallido spicchio di luna illuminava le cime degli alberi.

Jaime cantava con loro e, malgrado non fosse esattamente un usignolo, Selene lo guardava meravigliata. Non riusciva a capire come fosse possibile essere talmente perfetti. No, non era possibile e, lasciando da parte la meraviglia, la ragazza cercò di trovargli un qualsiasi difetto da amare nonostante tutto.

Una ragazza alle sue spalle le chiese il cellulare, distraendola dai suoi pensieri.

Doveva fare una chiamata e la batteria del suo era deceduta da ore.

Non la conosceva, e si chiese come fosse possibile dato che Crimson era una cittadina davvero minuscola, ma glielo passò ugualmente anche se con un «Certo» non del tutto convinto.

La seguì con lo sguardo ma si arrese quando sentì la mano di Jaime sfiorare la sua.

Si voltò verso di lui, che le stava sorridendo, e il suo sguardo ricadde sulla sua mano.

Aveva delle piccole cicatrici che percorrevano le dita fino ad arrivare al polso, bianche e quasi invisibili sulla sua pelle chiara.

Giravano voci su quelle cicatrici fin da quando erano bambini ma Selene non se la chiedeva di chiedergli qualcosa di così personale malgrado fossero in vena di confidenze.

Jaime le aveva chiesto dei suoi genitori e, con la massima delicatezza, le chiese come fossero morti e come si trovasse a vivere da sola con i suoi nonni e senza nessun altro parente.

Selene era stata felice di rispondergli ma, allo stesso tempo, una strana sensazione, una strana colpa, le aveva invaso la mente e lo stomaco anche se non riuscì a spiegare cosa fosse.

Lei gli aveva chiesto dell'università, se avesse già scelto cosa fare dopo il diploma e lui le aveva raccontato del suo sogno di diventare dottore e in particolar modo un pediatra.

Gli piacevano i bambini e sperava di poter essere d'aiuto a chi era costretto a passare parte della vita in ospedale.

Selene notò che le cicatrici si allungavano anche sul collo e di nuovo quella curiosità la invase.

Intanto un ragazzo del primo anno iniziò ad urlare contro Joe di aver visto una fantasma camminare per i boschi.

Un classico, pensò Selene così come molti dei presenti, una storia di fantasmi nella notte più spaventosa dell'anno è immancabile dopotutto.

Joe gli aveva messo una mano tra i capelli, spettinandoglieli, «Ti avevo detto di non mischiare, Tod».

Ma il ragazzino non sembrava volergli dar retta e gli diede una spinta, furioso.

Jaime lo stava guardando e, di conseguenza, anche Selene si era voltata nella sua direzione.

«Ti ho detto che l'ho vista sul serio, Joe!», gridò, spaventato.

Aveva il volto bianco come un cencio, occhi grandi e scuri, contornati da ombre violacee che, nella semi-oscurità Selene non riuscì a capire se fossero autentiche o frutto di un trucco leggero.

Tod, così le pareva che Joe lo avesse chiamato, aveva delle macchie di terra sulle ginocchia dei pantaloni e sembrava sinceramente terrorizzato.

«E com'era questo fantasma?», chiese Brandon dal tavolo dei drink, sghignazzando alle spalle di Tod con alcuni suoi amici, «Era una ragazza vestita di bianco spero! Con l'umidità che c'è quel vestito le si appiccicherebbe tutto addosso e...»

Prima che potesse continuare, Maisie gli diede un colpetto sul braccio, «Sei un'idiota. Smettila!»

«No, non era giovane», s'intromise Tod, a disagio sotto gli occhi di tutti, «era una vecchia con un grosso scialle che le ricadeva quasi sotto i piedi, come se non lo notasse», improvvisamente tutti erano rimasti in silenzio, in ascolto.

Non si sentivano più i bicchieri di plastica cozzare tra loro o le bottiglie di vetro che venivano gettate in grossi bustoni neri per la spazzatura. Anche il vento sembrava essersi zittito.

«Camminava tutta storta e aveva in mano qualcosa. Non sono riuscito a capire bene cosa fosse, era troppo lontana ma era chiaro che stesse cercando qualcosa...»

«...o qualcuno», s'intromise nuovamente Brandon, con una voce che non era la sua, beccandosi un altro ceffone da parte della ragazza.

«Cazzo, B! Sei raccapricciante», gli urlò contro scatenando un'ondata di risa che non erano del tutto divertite.

Si avvertiva un brivido sotto quelle risate, uno sforzo mal riuscito, un silenzio prolungato che a Selene fece paura quasi quanto la mano di una ragazza che, arrivando in maniera inaspettata, la fece sobbalzare sul posto.

«Il tuo telefono», disse e, guardandola meglio, si rese conto di averla già vista nel gruppo di Molly, «eoh, hai ricevuto una chiamata».

Selene sbiancò e Jaime le sfiorò nuovamente il braccio, chiedendole se andasse tutto bene.

«Si», disse ma le si era chiusa la gola, «devo solo allontanarmi un attimo, qui è troppo rumoroso», guardando i suoi occhi scuri e sinceramente preoccupati, Selene si rese conto che, forse, il suo tono era sembrato un po' troppo duro. «Ti dispiace?», aggiunse e la sua voce divenne immediatamente più dolce.

«No ma forse è meglio che io ti accompagni», lanciò un'occhiata a Tod che era stato accompagnato a sedere non molto lontano dal falò, «non mi sembra saggio lasciarti sola nel bosco».

«D'accordo», Selene si alzò, stringendo con forza il telefono tra le mani.

Il nome spiccava sullo schermo, nero su un bianco accecante: nonna Ury.

Jaime la seguì e le cinse i fianchi con il braccio.

In un altro momento Selene avrebbe probabilmente sentito una scarica elettrica salire fino alla nuca ma in quel preciso istante tutto ciò che sentiva era un'imbarazzante imprecazione nella sua testa che si ripeteva all'infinito fino a diventare parte integrante di ogni suo pensiero.

Jaime l'accompagnò oltre una fila di alberi e le chiese se andasse tutto bene ma lei si era già premuta il telefono contro l'orecchio, pronta a sentire le parole di sua nonna: “Thomas sta per tornare”.

Si sentì investire da una tremenda tristezza. Malgrado non avesse avuto il piacere di stare insieme a Clara, la serata era stata divertente e Selene si era sentita più che mai vicina a Jaime, più desiderata che mai, non solo da lui ma dal gruppo intero.

La tristezza si tramutò in ansia quando non fu la voce di Ury a riempire l'altro campo del telefono ma quello della segreteria telefonica.

Selene riagganciò e provò ancora.

E ancora.

E ancora una volta.

«Selene?», la voce di Jaime risuonò preoccupata nell'oscurità.

Voci lontane e risate risuonavano nell'aria ma capì dall'espressione della ragazza che lei non era in grado di sentirle. La chiamò nuovamente per nome e lei si voltò a guardarlo.

La voce della segreteria finì il suo messaggio pre-registrato ma, prima che potesse spiegargli quale fosse il problema, qualcuno gridò.

Questa volta non fu solo Jaime a sentirlo ma tutti, compresa Selene.

Entrambi si guardarono negli occhi, paralizzati dalla paura.

Selene avvertiva una paura viscerale, non avvertiva nient'altro se non quella sensazione di colpa sempre più prepotente che le opprimeva il petto.

Qualcuno dal falò gridò «Veniva dal fiume!» ed un intero concerto di passi e suppliche riempì il bosco.

Selene si era voltata in direzione del suono.

Non erano troppo lontani dal fiume e, se avesse corso, non ci avrebbe messo molto a raggiungere il luogo in cui la ragazza, solo allora si era resa conto che era stata per forza una di loro, aveva gridato terrorizzata.

Sentiva di doverlo fare, di dover raggiungere il fiume.

Guardò Jaime e lui lesse quella certezza nei suoi occhi ed ebbe paura.

«Selene, no...» ma non fece in tempo a frenarla.

Gridò di nuovo il suo nome mentre il braccio della giovane gli sfuggiva dalla mano e ancora una volta quando non la vide più tra i tronchi degli alberi.

Cercò di inseguire le sue orme ma era buio e la luce della luna non era sufficiente così percorse la strada più veloce per arrivare al fiume.

Selene corse malgrado gli scarponi scivolassero nella terra umida.

Correva e i rami degli alberi la ostacolavano, graffiandole il viso o facendole perdere l'equilibrio.

Sentiva i passi di Jaime dietro di sé e quello degli altri studenti che la circondavano.

E quel peso, lo sentiva ovunque, in ogni cellula del suo corpo.

Le impediva di vedere con lucidità, di sentire la voce del ragazzo con cui aveva passato una serata splendida. Faceva così freddo che le tremavano le labbra e le gambe, la pelle del viso le bruciava come se avesse ricevuto uno schiaffo.

Si fermò solo quando si trovò di fronte ad una bassa collinetta di terra.

Sulla vetta c'erano quattro ragazzi ed una giovane donna che piangeva spaventata.

Seline sapeva che ai suoi piedi avrebbe trovato il fiume, sapeva che avrebbe trovato il motivo della sua paura.

La voce della segreteria telefonica continuava a ronzarle nella mente mentre, a grandi passi, saliva su per la collinetta.

«Chiamate la polizia!», sentì dire da un ragazzo e niente più.

Nessuno estrasse un cellulare, nessuno esaudì la sua richiesta.

La terra era bagnata e le scarpe di Selene scivolavano, impedendole di raggiungere la vetta in fretta come avrebbe voluto.

Si senti chiamare per nome e seppe che Jaime era accanto a lei.

Una volta in alto, sentì gli occhi dei presenti scivolarle addosso.

«Selene, non...», non sentì ciò che Jaime aveva da dirle e guardò in basso.

Sulla riva del fiume, con il capo sprofondato nel fango, c'era una donna.

Aveva i capelli grigi ed un grosso scialle che le copriva le spalle. Era una donna grossa, abbandonante, che difficilmente sarebbe passata inosservata in una notte come quella.

Selene ripensò al racconto di Tod, a quello che, fino a pochi minuti prima, sarebbe sembrata una banalità, una storiella stupida per spaventare i bambini.

Ma, in quel momento, non era più una storiella, non per Selene.

Faceva paura, però, tanta paura e alla ragazza vacillarono le gambe.

Jaime fu rapido nell'afferrarla per le braccia ma lei cadde ugualmente, trascinandolo con sé nel terriccio.

C'era una donna nel bosco.

Camminava in maniera strana e indossava un lungo scialle.

«No!», urlò e le sue grida risalirono sulla gola affilati come coltelli.

Aveva qualcosa nella mano ed era ovvio che stesse cercando qualcosa.

«No!», lacrime le riempirono gli occhi, impedendole di vedere, ma non ebbe la forza di asciugarle.

Sentiva il bisogno di guardare, di osservare ogni minimo dettaglio di quello scenario.

Avvertiva la necessità di cancellare ogni suono in modo che quella colpa, di cui fino a quel momento non aveva capito l'origine, si amplificasse fino ad evaporare da lei come un getto di acqua bollente sulla pelle.

O qualcuno...

Si spinse in avanti, quel «No!» che le squarciava la gola, inondando la sua bocca del sapore salato delle sue lacrime e del sangue.

Jaime la trattenne a terra, le braccia chiuse intorno al suo corpo come una camicia di forza.

Le urla della giovane gli rivoltarono lo stomaco, forse più della figura accasciata immobile sul terreno.

Tentò di consolarla ma Selene continuò a gridare, a spingere in avanti in modo da sfuggirgli.

Si guardò attorno e vide altre ragazze piangere in silenzio e altrettanti ragazzi voltare il capo, incapaci di fare qualcosa o anche solo di dire una parola di conforto.
Nessuno osava parlare e il vuoto, quell'assenza di suono sottostante, era la cosa più inquietante.
Il vento faceva salire nell'aria solo il debole crepitio del falò lasciato incontrollato e le urla cariche di senso di colpa e dolore di una ragazza troppo giovane e che, eppure, aveva appena visto la morte portarsi via una persona a lei cara.

Ancora una volta...

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