Una Rosa d'Inverno

di Emma_Jane84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un diritto di precedenza ***
Capitolo 3: *** Imparare ad amarsi ***
Capitolo 4: *** Se stesso, e nessun altro ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Vienna, Dicembre 1812

 

La notte in cui rientrava a casa imboccando la signorile Domgasse, Bertram Foster era un po' alticcio e si sentiva di buon umore. Aveva fatto tardi per festeggiare con gli amici, e ora l'alba tremolava su un orizzonte grigio, attendendo di poter spuntare tra le nubi e i grossi fiocchi di neve che precipitavano dal cielo.

Il concerto privato della sera precedente era andato bene, oltre ogni sua immaginazione. L'afflusso di pubblico aveva coperto le spese per l'affitto della sala e il trasporto del pianoforte: le sue sonate erano state un successo, e così il quartetto d'archi che aveva diretto personalmente. Il pezzo forte, però, era stata la sua esibizione a quattro mani con Herr Beethoven. La concessione che il suo maestro gli aveva fatto partecipando al concerto era stata determinante per la sua riuscita.

Che ironia. La buona società di Vienna squadrava con sospetto Beethoven l'uomo, accusandolo di essere un burbero misantropo, ma avrebbe pagato senza battere ciglio il proprio peso in oro pur di assistere a una sua esibizione. Il grande virtuoso aveva smesso da tempo di esibirsi, nonostante a pregarlo fosse l'intera nobiltà viennese: era stato solo in nome della loro amicizia se aveva acconsentito a suonare in pubblico ancora una volta.

Bertram si fermò un momento, per ripararsi sotto un balconcino e scrollare cilindro e soprabito dal velo di neve che vi si era depositato sopra.

Avrebbe dovuto mettersi allo scrittoio, e comunicare a Victoria il trionfo del concerto. Avrebbe dovuto farlo subito, appena raggiunto il suo appartamento e recuperata la sensibilità nelle dita. Sua sorella gli era sembrata molto giù di corda nell'ultima lettera, e desiderava darle una notizia che potesse rallegrarla almeno un po'. Da ciò che gli aveva scritto, il soggiorno in Sud Tirolo aveva giovato ai suoi nervi; ma, se Bertram la conosceva abbastanza, probabilmente stava contando i giorni che la separavano dal suo rientro in città. Che errore aveva fatto Max a portarla laggiù! Victoria doveva aver assordato il povero marito a suon di lamentele.

Quando pensava a Victoria infuriata gli veniva in mente l'aria della Regina della Notte. Lei la cantava divinamente, e arrivava al fa quasi sempre senza sforzo. Immaginando i litigi tra la sorella e il cognato nel bel mezzo delle nevi del Sud Tirolo, Bertram si mise a fischiettare quell'aria soprappensiero.

Sussultò quando un rumore di passi spezzò la successione di note.

Qualcuno lo stava seguendo.

Cercò di dominare il senso di allarme, e strinse più forte il pomello del bastone da passeggio. Che assurdità, non c'era nessuno. La luce fioca delle lampade a gasolio ingialliva ancora un manto di neve striato dalle scie delle carrozze. Di tracce umane, solo quelle dei suoi stivali.

Sospirò, stringendosi nel mantello. Per un attimo aveva sperato che un ammiratore lo avesse pedinato fin dalla sala dei concerti solo per stringergli la mano e comunicargli tutta la sua stima.

Bertram si infilò con gratitudine nell'ombra protettiva dell'androne del palazzo. Aveva iniziato a nevicare più forte.

«Buongiorno, Herr Foster».

La voce era contraffatta, ma Bertram sapeva riconoscere il tono del creditore.

Non fece in tempo a sollevare il bastone, che si sentì immobilizzare le braccia. Gli strapparono la sua unica arma dalle mani, e lo sbatterono con la faccia al muro.

Sapore di sangue, come ferro liquido, gli corse dalle gengive sulla lingua.

Dovevano essere tre. Uno gli bloccava i polsi, l'altro gli spingeva la faccia alla parete. Il terzo era la figura che scorgeva con la coda dell'occhio, che se ne stava ferma a braccia incrociate. La neve rendeva le ombre bluastre: il suo mantello era nero? Viola? Grigio?

«Siete in ritardo.»

«Difetto... da artista» ansimò Bertram. «Ho l'incasso del concerto. Seicento fiorini, sull'unghia. Ditelo a Weber. Tra una settimana riavrà tutti i suoi soldi.»

Sentì il capo dei sicari schioccare la lingua. L'uomo che gli teneva la testa frugò nel suo soprabito, e gli portò via le due scarselle gonfie di denaro. Frusciarono dalla mano del galoppino a quella del capo, in un tintinnio di commiato.

«Non bastano.»

«Ve l'ho detto, non ne ho altri con me.»

«Eravate stato avvertito.»

Lo stridio del pugnale gracchiò contro il fodero di ferro. Bertram ingoiò una supplica mentre la lama fredda gli sfiorava la gola. Facevano sul serio, questa volta.

«Herr Weber aspetta i suoi soldi da tanto tempo. Herr Weber non è un uomo paziente.»

«Signori, andiamo, cerchiamo di ragionare. Sapete che non posso pagarvi da morto.»

Il capo dei sicari prese una pausa. Bertram immaginò che stesse sogghignando.

Gli afferrarono la mano destra, battendo il palmo aperto sul muro. Lo costrinsero ad aprire le dita. La lama gli accarezzò il contorno delle dita, falange per falange.

Non poteva perdere lucidità, adesso. Nemmeno se il sudore freddo colava dalle tempie e gelava tra la mandibola e la cravatta, mettendo tra lui e il muro il viscidume del suo terrore. 

«Possiamo trovare un accordo. Sono un pianista, santiddio...come vi pagherò, se mi togliete quello con cui mi guadagno il pane?»

«Questo non è affare nostro.» 

«Farò quello che volete! Herr Weber di certo avrà bisogno di qualcuno che...» 

«Non è Weber che ci manda. È Gundermann.»

La speranza scivolò via insieme all'ultima sillaba di quel nome.

«Per...Christiane?» Era finito. Fottuto. «No, vi prego, vi prego ascoltate...devo parlare con Gundermann. Possiamo risolvere la faccenda da uomini...vi prego!»

Bertram si divincolò con tutta la forza della disperazione, ma la stretta violenta dei suoi assalitori era salda. Gli girarono il volto verso la mano aperta sul muro. Lo avrebbero costretto a guardare.

«Dio...»

Le immagini corsero veloci tra la lama del pugnale e la sua carne. Il peso dei tasti del piano sotto le dita. Il giorno in cui era arrivato a Vienna dall'Inghilterra, pieno di speranza per il futuro. Il concerto di quella sera: un successo. L'ultimo. Le lacrime annebbiarono la vista e gli lasciarono gli occhi, per correre lungo il mento, sul bavero della camicia.

«DIO, NO!»

Seguì la fitta lancinante. La carne che si lacerava, mentre il pugnale affondava tra l'indice e il medio, squarciando i tessuti. Bertram guardò il fiotto di sangue che sprizzava sulla neve. Guardò la sua mano strappata nel centro, come un foglio di carta da buttare.

Il sicario ritirò l'arma e allentò la presa su di lui.

«Che vi sia di avvertimento, Herr Foster. Giocando con il fuoco, si resta scottati.»

Mentre gli uomini fuggivano con il denaro, Bertram si accasciò a terra, tenendosi la mano ferita. Dio, che dolore. Avrebbe dovuto chiamare aiuto. Il sangue correva via, impiastricciava le neve. Se solo avesse potuto far smettere quelle scosse che gli annebbiavano la testa, e concentravano ogni pensiero, ogni respiro, ogni percezione sulla ferita aperta. La fine, la fine di tutto. Tanto valeva morire lì, dissanguato. Si morse furiosamente l'interno della guancia per scacciare il dolore con altro dolore. No, non avrebbe chiamato aiuto, anche se sentiva i diavoli dell'inferno pulsargli dal polpastrello fino al polso e dilaniargli la carne. Anzi, pregò che nessuno lo trovasse, e che il freddo lo stroncasse presto.

Perché in quell'alba sventurata, in quell'androne buio, la sua carriera di musicista era finita.



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NdEmmaJane

Salve ^_^ Ripropongo, dopo tanti anni e sotto un diverso pseudonimo, una storia che avevo pubblicato su EFP anni fa. Ispirata da Jane Austen (mio grande mito), dal film Amadeus e da un viaggio a Vienna, ho messo insieme questo romance Regency, che narra la storia di due musicisti dalle ali spezzate e di come, uno accanto all'altra, imparino di nuovo a volare. 
Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate, sarò felice di avere i vostri pareri costruttivi! ^_^

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Capitolo 2
*** Un diritto di precedenza ***


Contea del Surrey, Inghilterra
Novembre 1814

Mrs Kirby posò la tazza da tè, che tintinnò sgraziata sul piattino. Alzò lo sguardo sulla figlia minore, arcuando il più possibile le sopracciglia.

«Prego?»

Octavia non abbassò lo sguardo e non esitò. Con un contegno da perfetta signora, ripeté:

«Ho detto che desidero fare il mio debutto in società durante la prossima Stagione, madre.»

Seduta al pianoforte accanto alla finestra, Rose assisteva alla scena tra la madre e la sorella fingendo di concentrarsi sul solfeggio degli spartiti; in realtà, con la coda dell'occhio era impegnata a catturare ogni loro gesto. Nonostante i capelli ancora sciolti sulle spalle e gli abiti ornati di grandi fiocchi infantili, Octavia era già una piccola donna, perfettamente in grado di combattere da sola le sue battaglie. Tuttavia, Rose era certa che la roccaforte non sarebbe stata espugnata. La loro madre era sempre stata chiara a riguardo: non avrebbe mai permesso che...

«...la mia figlia minore debutti in società fino a che la maggiore non sarà sposata. E questo è quanto, Octavia. Puoi tornare a dedicarti agli esercizi di violino, ora.»

«Non è giusto! Rose aveva esattamente la mia età quando ha debuttato!»

Rose rabbrividì nell'udire proprio nome. Tirarla in ballo a quel modo era stato sleale.

Mrs Kirby non rivolse nemmeno un'occhiata alla figlia maggiore, come se non fosse nemmeno presente nella stanza. Meglio così. Rose scrollò le spalle, concentrandosi sulle note dello spartito che aveva davanti. Le voci della madre e della sorella si fecero lontane; mentre leggeva i segni sul pentagramma, le note prendevano forma nella sua mente, e non restava spazio per nient'altro.

«Sai bene che Rose ha un diritto di precedenza su di te, Octavia.»

Un minuetto in fa maggiore. La composizione era datata 1799: suo padre l'aveva portata da un soggiorno a Londra, quando Rose non aveva che nove anni e non era ancora in grado di suonare bene. Almeno, non ai livelli di adesso.

«Debutterai al momento in cui lei sarà accasata, non un minuto prima.»

L'autore era un virtuoso che aveva avuto molto successo da bambino in Inghilterra, prima di trasferirsi in Austria.

«Madre, di questo passo invecchierò zitella! Debutterò quando sarò brutta e passita, e nessuno mi vorrà più!»

Rose cercò di concentrarsi disperatamente sulla musica. Chi aveva composto quella sonata? Ma certo, certo. Il bambino prodigio d'Inghilterra. Quindici anni prima si esibiva in tutto il Regno insieme alla sorella maggiore, anche lei estremamente talentuosa. La straordinaria coincidenza aveva fatto gridare al miracolo: erano nati altri due fratelli Mozart.

«Diciassette anni o settanta, non ha la minima importanza per me, Octavia Marianne Kirby.»

Il nome di quel ragazzo prodigio era...

«Madre, vi prego...»

...Bertram Foster. Poteva dire che fosse per sua colpa e suo merito se aveva iniziato a suonare. Fin dal primo momento, le sue composizioni le avevano solleticato lo spirito, portandolo ad altezze mai sfiorate. Certo, nel fraseggio alle volte si sentiva l'impronta del suo maestro, il celebre Beethoven, ma dentro quei suoni echeggiava una ruvidezza che parlava di brughiere, cottage di sassi di fiume con i tetti di paglia e rampicanti nel cortile, muretti a secco a strapiombo su alte scogliere. I cieli d'acciaio sulla brulla campagna inglese vivevano nella musica di Mr Foster, insieme a un sapore lontano di tempesta appena passata, che lascia la speranza di un raggio di sole.

«Questo è quanto, e da me non otterrai di più. Considera la discussione conclusa.»

Rose sospirò, e lasciò gli spartiti. Il duetto della madre e della sorella era riuscito a fagocitare la melodia struggente dei cieli d'acciaio, strappando la sua immaginazione alle campagne e alle scogliere.

«Puoi andare, ora.»

Octavia strinse le labbra e si fece livida di stizza. Tutta quella rabbia non era destinata a lei, lo sapeva, eppure Rose se ne sentiva responsabile. Se solo fosse stata già sposata. Se fosse riuscita ad interessare un giovane all'altezza delle aspettative della sua famiglia. Se fosse stata un poco più bella.

Soffiò via il ricciolo ribelle che le sfiorava il sopracciglio. Tutta l'avvenenza che sua madre aveva portato in dote dalla stirpe dei Vaughan del Sussex era andata a Octavia, che con i suoi capelli castani, gli occhi verdi come prati di primavera e la figura alta e morbida era descritta come una delle giovani più belle del vicinato.

A Rose invece era spettata l'eredità dei Kirby: fisico secco, bassa statura, indomabili ricci biondi e un naso che perfino il più delicato degli osservatori avrebbe definito decisamente aquilino. Conversava con garbo di qualunque argomento, dal tempo, alle corse dei cavalli, alla filosofia; suonava il pianoforte e l'arpa; parlava un po' di italiano (appreso dall'opera), francese (grazie alle tragedie di Racine) e tedesco (colpevole una passione per le opere di Mozart e i lieder di Beethoven). Eppure, nessuna delle arti femminili che si era impegnata tanto a imparare sembrava sopperire a quella mancanza di bellezza.

Si scoprì a torturarsi le unghie, e subito strinse le dita tra loro. Non erano belle nemmeno le sue mani. Troppo ossute. Almeno, quelle dita sottili e lunghe le permettevano di suonare con più facilità il suo amato pianoforte.

Come lo schioppo di un fucile da caccia, la voce di sua madre riportò di nuovo alla realtà.

«Ho detto: puoi andare.»

Octavia fece per dire qualcosa, poi ci ripensò. Girò i tacchi, e lasciò che fossero le suole dei suoi nuovi stivaletti a esprimere rumorosamente il dissenso che provava, per tutto il tragitto che lungo le scale conduceva alla sua stanza.

Mrs Kirby sospirò, e proseguì il suo ricamo al tombolo senza dire una parola.

«Mi dispiace» mormorò Rose, con gli occhi fissi sugli spartiti.

«L'impertinenza di tua sorella non dipende da te. Avanti, adesso. Continua a esercitarti.»

Sua madre le aveva mentito: l'occhiata che le aveva rivolto parlava per lei. L'intemperanza di Octavia e le continue liti tra loro dipendevano da lei soltanto.

Rose chiuse gli occhi, accarezzò i tasti. Pensò che sarebbe dovuta salire in camera per parlare con Octavia. Pensò che sarebbe stato bello nascere secondogenita, e avere più tempo per dedicarsi al piano. Molte donne smettevano i loro esercizi musicali, una volta sposate; dopo tre Stagioni infruttuose, ci si aspettava da Rose che la prossima fosse quella decisiva per convolare a giuste nozze.

A lei non importava poi molto: l'unica cosa che contava davvero era che il suo futuro marito possedesse un pianoforte, e le permettesse di continuare a suonare.

***

Ogni settimana la sceneggiata si ripeteva, con lo stesso canovaccio. Anche le battute iniziavano a suonare sempre più simili. Tutti i martedì, in corrispondenza dei pomeriggi liberi di Miss Russell, Octavia non perdeva tempo per ricordare a sua madre quanta fretta avesse di sbarazzarsi dell'istitutrice e poter finalmente acconciarsi e vestirsi come un'adulta.

Quel martedì in particolare, Mrs Kirby andò in visita dai vicini dopo pranzo. Aveva lasciato a casa la figlia minore per punizione, e la più grande con la scusa che le avrebbe fatto compagnia. Rose ne fu sollevata. Lasciò con gioia Octavia ai suoi progetti per il debutto, nei quali la sua presenza non era comunque richiesta, e decise di fare una passeggiata a cavallo nei dintorni, per distendere i nervi.

Gli stallieri la guardarono un po' storto quando chiese di cavalcare Proserpina, ma sapevano che Mr e Mrs Kirby incoraggiavano qualche salutare passeggiata a cavallo di tanto in tanto. Il tempo era mite, assicurò, il cielo sgombro da nuvole; inoltre non avrebbe superato i confini della tenuta. La promessa sembrò bastare a convincerli; l'aiutarono a salire in sella, e la salutarono mentre si allontanava.

Decise di approfittare dei pochi sprazzi di sole freddo, e condusse Proserpina verso il boschetto. A dispetto del suo nome, la cavalla era mansueta e lenta nell'incedere; a Rose quell'andatura non dispiaceva affatto. Le permetteva di rilassarsi, e di ascoltare la melodia della natura intorno a lei.

Lontano dai sentieri battuti dalle carrozze poteva cogliere il fruscio della brezza tra le fronde, il ritmico scricchiolio dei rametti spezzati sotto gli zoccoli del cavallo, un frullio di ali nascosto tra i rami spogli delle betulle. Ogni tanto a quella sottile armonia si univa il gorgheggio di un merlo, e Rose pensava che avrebbe dovuto trascriverne la melodia una volta tornata a casa, e ricavarne una romanza.

Si strinse nella mantella, infreddolita e felice. L'aria pungente le portava il sangue alle guance, la faceva sentire viva e non più invisibile.

Desiderava così tanto essere vista.

Da sua madre, ad esempio: desiderava che smettesse di considerarla un intralcio per la famiglia, e riconoscesse tutti i suoi sforzi, e la guardasse anche solo per una volta con occhi orgogliosi.

Desiderava che sua sorella vedesse in lei una confidente, e non un ostacolo.

Desiderava che suo padre smettesse di inviarle nuovi spartiti da Londra, e che venisse ogni tanto ad ascoltarla suonare quelli che possedeva già. Da quanti mesi ormai era lontano? Di certo i suoi affari a Londra richiedevano grande cura, ma non poteva fare a meno di pensare che fosse ben altro a trattenerlo laggiù. L'avrebbe rivisto, almeno per Natale?

Sospirò, e il respiro si condensò in vapore appena uscì nell'aria gelida. Soffiò sulle mani intirizzite. Aveva dimenticato i guanti, per la fretta di uscire.

D'improvviso, sul ciglio della strada scorse qualcosa che la stupì.

Non era raro vedere le rose crescere selvatiche nel boschetto accanto a Broxenban Manor, sua madre a volte faceva prelevare cespugli interi per il suo giardino; di certo però non se ne trovavano a novembre inoltrato.

Scese da cavallo, e con le briglie di Proserpina tra le mani si avvicinò al bocciolo. Era giallo, con la testa mestamente piegata: eppure non sembrava congelato, anzi, iniziava a sbocciare. Si chinò, per esaminare il fusto. Il freddo non l'aveva ancora bruciato.

Se l'avesse lasciato a se stesso, il bocciolo sarebbe appassito. Ma come sradicarlo, a mani nude e senza l'aiuto di nessuno strumento da giardinaggio?

«Rose Kirby, che piacevole sorpresa! Cosa vi porta qui?»

La voce gioviale la costrinse a voltarsi. Rose sorrise e chinò il capo di fronte al giovane gentiluomo a cavallo, seguito dal valletto.

«Buongiorno, Colin. Sono uscita per una passeggiata. Credo che mia madre sia in visita da voi in questo momento.»

Conosceva quel ragazzo alto e biondo da una vita intera: in società dovevano usare un freddo Miss Kirby, Mr Sterling, ma quando erano in un ambiente più famigliare scivolavano con naturalezza nella vecchia abitudine di chiamarsi per nome, come facevano da bambini. Gli Sterling abitavano a meno di due miglia da Broxenban; i padri di Rose e Colin erano stati compagni di università da giovani, e questo aveva permesso alle famiglie di frequentarsi spesso. Tanto spesso, che Rose sospettava sua madre avesse qualcosa in mente.

«Dite? Non ne sono stato informato. Ho fatto un salto in città con Thomas, per far ferrare il cavallo e ritirare la nuova sella.»

«Allora vi consiglio di rimanere fuori casa il più a lungo possibile, perché dubito che mia madre se ne andrà prima di sera.»

Colin sorrise. Aveva occhi scuri molto belli, quasi da bambino, che si illuminavano completamente quando sorrideva.

«E di certo mia madre la tratterrà più a lungo che potrà. Oh» fece poi, notando la rosa «Stavate guardando questa meraviglia? L'ho vista anche prima, all'andata. C'è del miracoloso, non credete? Una rosa che fiorisce nel pieno dell'inverno.»

Rose gettò un'occhiata al bocciolo giallo. Le sembrò quasi che tremasse sotto la brina.

«Vorrei portarla nella nostra serra, a Broxenban Manor. Temo che morirà presto se verrà lasciata a se stessa.»

«Purtroppo non abbiamo strumenti da giardinaggio a disposizione, ma forse c'è qualcosa che potrebbe fare al caso nostro.»

Colin Sterling fece un cenno al suo valletto, che estrasse dallo stivale un coltello portatile.

«Può esservi utile, miss?» chiese Thomas.

Sorridendo riconoscente, Rose prese il coltello, e tracciò un cerchio a terra per delimitare il perimetro della zolla di terra da prelevare. Sperava che le radici non fossero conficcate troppo in profondità, o sarebbe stato impossibile salvare la rosa.

Sentì che Colin scendeva da cavallo, e le si inginocchiava accanto. Lo vide sfilarsi i guanti.

«Le vostre mani sono congelate. Tenete, e datemi quel coltello.»

Rose esitò. «Sapete come trapiantare un arbusto?»

Colin rise. «Sono certo di poterci riuscire, se mi spiegherete come fare.»

Rose infilò i suoi guanti imbottiti di pelliccia, e, mentre gli dava spiegazioni su come incidere il terreno facendo attenzione a non recidere le radici, godette del calore che si spandeva lungo le dita, facendole tornare in vita. Colin era sempre stato così. Anche adesso, non si curava affatto di patire il freddo e di graffiarsi pur di soddisfare il suo capriccio. Dopo tutto, se veramente le loro madri avevano intenzione di combinare un matrimonio tra loro, sarebbe stata una ragazza fortunata.

Colin era un giovane serio, non brillante ma nemmeno stupido, che studiava a Oxford nell'attesa di succedere al padre nell'amministrazione della ricca tenuta di Candall. Possedeva un'ottima rendita, e sarebbe stato una saggia scelta. Aveva perfino un buon carattere e una condotta temperante, per un giovane di vent'anni appena. Era sempre stato gentile con lei. Sarebbe stato un buon marito.

Allora perché non riusciva a scacciare un moto d'ansia all'idea che si stesse combinando un fidanzamento alle loro spalle?

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Capitolo 3
*** Imparare ad amarsi ***


Senza troppi danni, l'arbusto fu divelto. Rose decise di avvolgerlo nello scialle di lana, perché le radici non si spezzassero nel trasporto. Colin si rivelò un gentiluomo anche in quel frangente, e si offrì di accompagnarla fino a casa.

Octavia aprì un sorriso nel vederla varcare la soglia di Broxenban Manor; non appena lo sguardo le cadde sui guanti maschili che Rose indossava, tuttavia, impallidì.

«Abbiamo visite?»

«Soltanto Colin. L'ho incontrato durante la mia passeggiata.»

«Octavia» disse il giovane uomo, sbucando alle spalle di Rose, mentre Jenny prendeva in consegna il suo cappotto insieme alla mantella di lei. «È trascorso molto tempo dall'ultima volta che ci siamo incontrati. Vi trovo bene.»

Octavia gli rivolse un sorriso dolce, espressione che di solito si rifiutava di toccare il suo viso di martedì. «Mr Sterling...che gioia vedere che i capelli non vi sono diventati bianchi per il troppo studio!»

Lui rise con la spontaneità che contraddistingueva sempre i loro incontri, e Rose represse a stento un sospiro di sollievo: un po' di compagnia neutrale era ciò che ci voleva per distendere l'aria di tempesta che ancora aleggiava nella casa. Trovare Colin Sterling sul suo cammino era stata senz'altro una manna dal cielo.

Come padrona di casa in assenza della madre, Rose fece accomodare l'ospite, che aveva affidato l'arbusto alle mani del giardiniere, e gli offrì un tè caldo per ringraziarlo dell'aiuto. Octavia fu altrettanto gentile e accogliente, domandandogli come procedesse la sua carriera universitaria e quanto si sarebbe fermato ancora nel Surrey, prima di ripartire.

«Credo che resterò fino a dopo Natale,» disse Colin «Non varrebbe la pena affrontare il viaggio fino a Oxford e per dover tornare indietro nel giro di una settimana.»

«Molto sensato da parte vostra: dicono che le strade siano terribili in quel periodo. Naturalmente io non posso saperlo, visto che nemmeno quest'anno mi è consentito andare a Londra per la Stagione. Alla prima neve sarò confinata in questa casa senza divertimenti per tutta la durata dell'inverno. Non lo trovate ingiusto?»

Rose gettò un'occhiata severa a Octavia per il modo in cui era riuscita a gettare il suo infantile capriccio addosso al loro ospite, ma Colin rispose tranquillo: «Sapete come dicono, Octavia: l'attesa rende più dolce il raggiungimento di un obiettivo. La vostra primavera arriverà, ne sono sicuro, e ne sarete tanto più felice perché l'inverno è stato lungo e tedioso.»

Octavia rispose con un sorriso luminoso. «Lo spero con tutto il mio cuore.»

Dopo che Colin si fu informato della salute dei loro genitori, e Rose ebbe chiesto la stessa cosa degli Sterling, calò un silenzio imbarazzato. Rose cercò un appiglio per districare la situazione, e disse:

«Octavia, tesoro, sei così migliorata nei tuoi studi di violino! Vorresti mostrare a Mr Sterling quanto sei brava?»

Si spostarono nella sala del pianoforte: l'ultima sonata imparata da Octavia richiedeva l'accompagnamento di Rose, e non appena si sedette sullo sgabello la ragazza ebbe l'impressione che sua sorella non gradisse nemmeno quella discretissima forma di appoggio. Tuttavia, Octavia non poteva cambiare la natura della musica: ciò che è scritto per due non può essere suonato da uno soltanto.

Appena l'allegro iniziò, Rose si curò di restare un po' indietro, e suonare appena più piano di quanto avrebbe dovuto. Octavia tendeva sempre a rallentare troppo nel secondo movimento: avrebbe dovuto assecondarla, per non farle fare brutta figura. In ogni caso dubitava che Mr Sterling si sarebbe accorto di quel cambio di tempo. Di tante qualità che possedeva, la conoscenza della musica non era tra quelle. Già il fatto di vedere due fanciulle così dedite a un'occupazione tanto adeguata alla loro condizione doveva soddisfarlo a sufficienza.

 

Colin si era già congedato da un paio d'ore, quando Mrs Kirby rientrò. A tavola, riportò alle figlie tutte le novità della città che aveva appreso da Mrs Sterling, le nuove pubblicazioni di matrimonio appese fuori dalla chiesa, i pettegolezzi sui possibili fidanzamenti segreti, persino gli annunci mortuari. Infine, del tutto inaspettatamente, rivolse a Rose un sorriso luminoso.

«Ho sentito del tuo incontro con Colin Sterling nel bosco, questo pomeriggio.»

La ragazza fermò il cucchiaio a mezz'aria.

«Volevo fare una visita a Susanna Walton, ma non era in casa e così, sulla via del ritorno, io...»

La scusa era uscita un po' troppo precipitosa, ma non importava: era come se la madre non l'avesse nemmeno sentita. Sorrise e annuì ripetutamente in segno di approvazione.

«Sono contenta che coltivi la conoscenza gentiluomini del genere, mia cara. Jenny dice che ti ha prestato perfino i suoi guanti perché non sentissi freddo, è così?»

Rose avvertì una sorta di brivido, quando si accorse che sua madre gongolava in maniera sfacciata. Avrebbe dovuto rimproverare la governante per essere stata tanto chiacchierona.

«Mi ha aiutata a trasportare a casa un arbusto di rosa che abbiamo trovato nel bosco. Era fiorita, non so come, e io temevo che il freddo...»

«Magnifico, cara, magnifico. Non posso che incoraggiare quest'amicizia. Sai che cosa ho appreso oggi da Mrs Sterling? Pare che l'intera famiglia trascorrerà il Natale a Bath, e naturalmente il giovane Colin sarà dei loro. Guarda caso, mia sorella mi ha scritto stamattina, chiedendomi che li raggiungessi a Bath nel mese di dicembre. Sarebbe una splendida idea se tu passassi le feste con zia Craythorne, non trovi? E se gli Sterling saranno laggiù, forse potresti approfittarne per far visita ai nostri cari amici più spesso che puoi.»

«E io?» obiettò Octavia «Perché non sono stata invitata da zia Craythorne?»

La madre arricciò le labbra. «Sono certa che tu lo sappia perfettamente, piccola mia, anche se noto che queste tue mancanze di memoria avvengono casualmente sempre di martedì. Non temere, Miss Russell è rientrata, e dunque puoi porre un freno alle tue intemperanze per un'altra settimana.»

Rose fu sorpresa di ricevere quella notizia. Credeva che l'istitutrice fosse stata trattenuta a cena dalla nipote che aveva visitato nel pomeriggio: il fatto che fosse rientrata alla chetichella e senza salutare era quanto meno insolito. Si ripromise di far visita a Miss Russell più tardi, quando fosse stata ora di coricarsi, e nel frattempo annuì con grazia a ogni progetto che la madre sembrava aver già fatto per lei, riguardo la prossima vacanza a Bath. A ogni parola di Mrs Kirby, la Toccata e fuga in Re Minore di Bach risuonava nella sua mente, cupa come l'eco di un presagio.

Dopo aver dato la buona notte alla madre ed essersi fatta aiutare dalla cameriera a prepararsi per la notte, Rose attraversò il corridoio con la candela tra le mani. Bussò alla porta antistante la camera che divideva con Octavia: dall'interno, una voce gentile la invitò ad entrare.

Anche Miss Russell era in camicia da notte, e stava seduta a una semplice toletta in legno di noce. Sotto la spazzola, i lucenti capelli neri correvano in un'onda che le arrivava quasi fino alla vita. Erano così belli. La crocchia severa in cui li costringeva ogni giorno non rendeva loro giustizia.

«Rose, mia cara. Qualcosa non va?»

«Volevo solo assicurarmi che vi foste ripresa dal viaggio, Miss Russell. Maman dice che al rientro vi sentivate piuttosto affaticata.»

La donna sorrise, e un paio di fossette si disegnarono ai lati della bocca. Rose pensò che era ancora una bella donna. Quanti anni poteva avere? Doveva essere appena ventenne quando era giunta da loro. Sapeva solo che aveva studiato nello stesso collegio di sua madre, ma i suoi genitori erano morti presto, lasciandole come unica scelta quella di intraprendere la strada di istitutrice o di restare come cameriera nella scuola. Ogni giorno che passava, Miss Russell ringraziava la madre di Rose di averle permesso di andarsene da quel posto, dove, da allieva modello, era stata degradata a serva con la rapidità di un lampo.

«Credo solo di essere un po' disturbata dal viaggio in carrozza. Il mio stomaco mal sopporta gli scossoni e le asperità della strada» rispose Miss Russell.

«Avete mangiato ciò che vi ha portato Jenny, spero.»

La donna le indicò il vassoio vuoto che giaceva sulla credenza, per tranquillizzarla.

«Ma tu sei qui per parlarmi di qualcos'altro. Siediti, cara. Cosa ti preoccupa?»

Rose sentì un grumo d'ansia sciogliersi nel petto, al suono di quelle parole gentili. Poggiò la candela sul comodino e sedette allo scrittoio, torturandosi le mani in grembo.

«Maman ha avuto la bontà di comunicarmi il nome dell'uomo che vuole farmi sposare.»

L'istitutrice non sembrò stupita.

«Mi era giunta qualche voce a riguardo. Si tratta di Colin Sterling di Candall, giusto? È un ottimo partito, Rose, sono molto felice per te. Lui ha già fatto la proposta?»

«Non ancora. Non siamo in confidenza... lo eravamo da bambini, ma da quando è partito per Oxford lo vedo così poco. Siamo due perfetti estranei, ora.»

Le raccontò del piano di sua madre di mandarla a Bath per l'inverno, solo perché sapeva che gli Sterling sarebbero stati in città nello stesso periodo.

«È imbarazzante. Mia madre desidera che io lo spinga a dichiararsi, capite?»

«E tu non desideri che lui lo faccia?»

Rose ristette. Sarebbe stata la soluzione a tutti i suoi problemi. Colin era un ragazzo piacevole, e sotto la guida del padre sarebbe diventato un amministratore responsabile. Abitava vicino a Broxenban Manor, e ciò significava che non l'avrebbe costretta a cambiare le sue abitudini e ad allontanarsi dalla sua famiglia. Possedeva un pianoforte splendido, benché negletto da molti anni, e una rendita più che rispettabile. Le famiglie si conoscevano da anni ed erano in ottimi rapporti. Miss Russell aveva ragione: era tutto perfetto.

«Sì, certo. Colin Sterling è quanto di meglio possa capitarmi, dopo tutto. Vi ringrazio, ora mi sento molto più risoluta.»

Se ne andò da quella stanza con la sensazione di essere un topolino senza vie di fuga.

Perché? Perché non riusciva ad apprezzare la fortuna che le capitava? Aveva ricevuto tutto a un tratto l'occasione di accontentare Octavia e sua madre insieme, e mettere pace tra loro. Si sarebbe comportata come sua madre desiderava, avrebbe spinto Colin a corteggiarla e avrebbe risolto i loro problemi una volta per tutte. Sua madre si sarebbe rasserenata, e in conseguenza di questo cambio di umore anche suo padre sarebbe tornato da Londra.

D'improvviso, mentre si rigirava tra le coperte, nella mente di Rose si dipinse un chiaro quadro del futuro. Era diventata la nuova Mrs Sterling, e sedeva al pianoforte a coda, nel salotto di Candall. Le veniva chiesto di esibirsi durante un ricevimento affollato: la gente danzava, discorreva, sparlava, calpestando le note, soffocando la voce dello strumento che lottava per farsi sentire. Quella era la voce di Rose, e nessuno la stava ascoltando. Voleva fermare le dita, ma quelle correvano da sole sui tasti, creando agghiaccianti dissonanze.

Gli invitati al ricevimento si accorgevano allora della sua esistenza: erano diventati tante figure d'ombra, che ridevano sguaiatamente. Puntavano il dito su di lei, e uno scroscio di risa e fischi seguiva ogni nuova stonatura. Tra quei volti non riusciva a distinguere quello di Colin, né quello di Octavia, né quello di sua madre; ma vedeva chiaramente, in fondo alla sala, il viso austero di suo padre, Mr Kirby. Lui la guardava a lungo, scuoteva il capo e si allontanava, per non dover rispondere dell'imbarazzo in cui la figlia lo aveva messo con la sua incapacità. Per quanto Rose lo supplicasse di non andare, lui le girava le spalle e lasciava la sala, mentre gli invitati continuavano a ridere.

Rose si risvegliò di soprassalto, e si accorse di avere ancora quelle parole di supplica sulle labbra. Sperò di non aver parlato durante il sogno, e aver così svegliato Octavia. Quando però si rese conto che c'era una candela accesa allo scrittoio, capì che non avrebbe potuto disturbare il sonno di chi non era nemmeno coricato.

Octavia sedeva in poltrona, con il naso sprofondato in uno di quei romanzi di amore e mistero che amava tanto. Aveva sollevato il capo, quando aveva sentito le coperte frusciare.

«Ancora sveglia?» domandò Rose. La sorella annuì, poggiandosi il libro sulle ginocchia.

«Fatico a prendere sonno, stasera.»

«Un brutto sogno? Se vuoi puoi raccontarmelo.»

Octavia scosse il capo, atteggiando le labbra in un broncio infantile.

Era davvero adorabile. Il volto non sembrava affatto provato dall'assenza di sonno: il suo incarnato era così fresco che pareva pronta a infilarsi il soprabito e uscire.

«Sono in collera con te, sai. Avrei voluto seguirti a Bath.» Poi, accennò a un sorriso. «Per punizione, mi scriverai ogni giorno. Lo prometti? Voglio che tu mi descriva ogni particolare degli abiti delle dame, e che mi racconti tutto dei balli e dei concerti.»

«Certamente, lo farò.»

«E non dovrai esitare a informarmi su tutti i cuori che spezzerai! Pretendo descrizioni dettagliate di ogni partito interessante che riuscirai a trovare.»

«Non sto partendo per trovare marito» ribadì Rose, ravviando un ricciolo sfuggito ai nastri.

«Nostra madre pensa esattamente il contrario.»

«Nostra madre è convinta che sposerò Colin Sterling.»

Octavia storse il grazioso nasino all'insù.

«E tu, che ne pensi di Mr Sterling?»

«È un caro amico. Possiede una buona rendita ed è del tutto rispettabile. Inoltre la sua tenuta si trova a poca distanza da Broxenban Manor, e questo è senza dubbio un vantaggio...»

«Intendevo, cosa ne pensi come uomo.»

Rose ripensò a quel pomeriggio, alla gentilezza e alla sollecitudine con cui Colin aveva assecondato il suo capriccio di trapiantare un arbusto di rosa selvatica nella propria serra. Era un bravo giovane, un gentiluomo.

«Mr Sterling mi piace» concluse infine. «Sarei onorata di diventare sua moglie.»

Octavia si infilò sotto le coperte. «E pensi che riuscirai a nutrire qualcosa più di una bella amicizia nei suoi confronti?»

«Non lo so» fu costretta ad ammettere, mentre la sorella spegneva la candela con un soffio «tutto sommato, c'è tanto tempo per imparare ad amarsi, dopo il matrimonio.»

 

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Capitolo 4
*** Se stesso, e nessun altro ***


Quando il messo di zia Craythorne giunse a Broxenban Manor, dieci giorni più tardi, Rose si trovava nella serra.

Era riuscita a far attecchire l'arbusto di rosa selvatica, che per l'inverno avrebbe dovuto accontentarsi di un grande vaso nella serra, per poi essere trapiantato nel roseto di sua madre in primavera.

Certo, se fosse sopravvissuto. L'aveva osservato ogni giorno, disperando di vederlo migliorare: eppure, il bocciolo aveva piano piano rialzato la testa e schiuso i petali, rivelando un cuore screziato di rosso. Un secondo bocciolo era spuntato, e il giardiniere le aveva assicurato che la pianta si stava adattando bene al suo nuovo ambiente. Al ritorno da Bath, forse, avrebbe trovato altre rose nel pieno della loro miracolosa fioritura.

La governante venne ad avvisarla dell'arrivo di zio Edwin mentre era ancora intenta a eliminare qualche foglia rinsecchita dal suo arbusto prediletto. Rose sospirò, e si strofinò le mani nel grembiule da lavoro. Era in completo disordine, e per niente certa di aver messo tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno nei bagagli. Probabilmente aveva perfino della terra sul viso. Sua madre sarebbe stata furibonda.

Uscì dalla serra e si affrettò a raggiungere Mrs Kirby e Octavia sulla soglia di casa, lisciandosi le gonne nella speranza che non fossero rimaste tracce della sua attività di poco prima. Sua madre le gettò appena un'occhiata di rimprovero, storse il naso, e volgendo il viso verso la carrozza in arrivo rimise in piedi la sua maschera da perfetta padrona di casa.

Dalla carrozza scese quell'uomo piccolo e tozzo che era zio Edwin, vestito di un soprabito chiaro che evidenziava ogni imperfezione della sua figura, con la cravatta annodata all'ultima moda sotto il mento prominente.

«Prudence, tesoro! Ti trovo ogni volta più giovane» esclamò lo zio, baciando Mrs Kirby sulla guancia.

La donna sorrise. «Tu invece invecchi, fratello mio: è ora che ti sposi.»

«Che Iddio me ne scampi, allora sì che invecchierei tutto in un colpo. Rose, Octavia! Bambine mie, fatevi guardare. Siete i fiori più splendidi che io abbia mai visto.»

Le sorelle Kirby accennarono a un inchino scherzoso.

«Benvenuto nella nostra umile dimora, Sir Edwin» disse Rose, con esagerata deferenza. «Vogliate perdonarci se accogliamo il nuovo baronetto di Sua Maestà così miseramente.»

Lo zio scoppiò a ridere e le prese entrambe sottobraccio.

«Sciocchezze, ragazze mie, sciocchezze! I titoli non fanno che appesantire le spalle degli uomini, e io non voglio diventare gobbo anzitempo. Ascoltate il mio primo decreto da baronetto: io proibisco a qualunque mio parente di qualsivoglia grado o età di chiamarmi sir!»

«Fratello, ti prego» lo riprese Mrs Kirby.

«No, Prue, è la pura verità. È solo un vezzo, come le targhe di ottone sui cancelli dei poderi. Anche se levassero quella di Broxenban Manor, qualunque stupido che abiti nei dintorni saprebbe come arrivarci, non trovi? Broxenban non passa inosservata: come me,d'altronde» terminò l'uomo, battendosi le mani su uno stomaco non propriamente asciutto.

Rose e Octavia si scambiarono uno sguardo divertito, e a entrambe fu subito chiaro che il pomeriggio non sarebbe stato sgradevole come avevano temuto.

Le ore che seguirono furono anzi piacevoli e spensierate. Zio Edwin raccontò dei fasti della corte e criticò la metà dei suoi pari grado e buona parte dei nobili di lignaggio superiore; riportò loro le sue impressioni sui concerti e gli spettacoli che si davano in quel periodo in città, e infine le rassicurò sulla salute di zia Craythorne, presso cui era stato ospite a Bath prima di andare a Corte a ricevere la nomina. La gravidanza della zia procedeva tranquillamente verso l'ultimo mese: tuttavia, il medico le aveva proibito di uscire di casa in quel delicato periodo, il che doveva sicuramente indispettire molto una donna di mondo come lei.

«Se la zia non potrà fare da chaperon a Rose, chi prenderà il suo posto?» chiese Octavia.

«Charity mi dice che ci penserà una sua carissima amica, la vedova Redgrave, ad accompagnarla in società» precisò subito Mrs Kirby. «Ha una figlia della stessa età di Rose, che le terrà buon compagnia.»

«E che mi dite di mio padre, zio Edwin? L'avete visto a Londra?»

Le parole di Rose parvero spiazzare l'uomo per un momento. Mrs Kirby e Octavia la guardarono come se avesse infranto un vaso di cristallo.

«Ma certo che l'ho visto, rosella bella. Anche se non frequenta molto il club, perché è veramente impegnato.»

Rose pensò che niente poteva tenere realmente occupato suo padre a Londra. Il Parlamento avrebbe ripreso le sedute dopo Natale, e le sue proprietà erano tutte nel Surrey. Doveva esserci un'amante, una di quelle donne dissolute dei teatri. O forse, ed era assai più triste da pensare, Oliver Kirby si era semplicemente stancato di vivere accanto a una donna petulante e a due figlie inutili.

A interrompere quel momento di imbarazzo, giunse Miss Russell. Mrs Kirby le aveva concesso di restare a riposare nella sua stanza per la mattinata, perché ancora non si sentiva in forze dopo il malore del giorno precedente: ora si presentava pallida, ma sicura, nel suo sobrio abito marrone. Zio Edwin si affrettò ad alzarsi in piedi in sua presenza: si inchinarono uno all'altra.

«Mi congratulo con voi per la vostra recente investitura, signore.»

«Vi ringrazio, Miss Russell.»

Zio Edwin sorrise, e Rose non poté fare a meno di notare che per una volta non era riuscito a scherzare su quella faccenda. Sembrava anzi compiaciuto di quel riconoscimento: forse, dopo tutto, aver ricevuto un titolo nobiliare non era una faccenda che gli fosse indifferente come voleva dimostrare.

Quella sera, quando il whist era venuto loro a noia, le donne di casa e l'ospite si coricarono: sulla soglia della stanza delle ragazze, Miss Russell si soffermò un istante di più, mentre Rose si faceva aiutare da Jenny a togliere le forcine dai ricci biondi.

«Desideravo salutarti» disse l'istitutrice, avvicinandosi.«Domattina partirete presto, immagino.»

Rose vide cerchi neri intorno ai suoi occhi, e le prese la mano.

«Non parto tranquilla, sapendo che non siete in salute.»

La donna sorrise, accarezzandole la guancia. «Starò bene. Tu, piuttosto...non pensare troppo a ciò di cui abbiamo parlato, e divertiti a Bath. A volte lo dimentichiamo tutti, Rose, ma sei ancora così giovane!»

Rose ricambiò il sorriso e la rassicurò, ma dentro di sé sentì risuonare un sospiro. Non era affatto giovane: conosceva ragazze andate spose molto prima del tempo in cui lei aveva debuttato. Inoltre, non c'era tempo per il divertimento. Non per una primogenita con l'incombenza di doversi sposare al più presto per la salute dell'equilibrio famigliare. Avrebbe dovuto soltanto conseguire il suo scopo: spingere Colin Sterling a dichiararsi. Allora, tutto sarebbe cambiato per il meglio.

***

«Di nuovo, Miss Berkley. Seguite lo spartito, ve neprego.»

Con un notevole sforzo, Bertram Foster riuscì a fermare il tremore che gli aveva preso il sopracciglio in conseguenza dell'esecuzione, totalmente fuori tempo e stonata, della sua giovane allieva.

Miss Berkley, una giovane di quattordicianni appena, sembrava avere dita più adatte a impastare il pane che non a suonare il pianoforte; la sua espressione stolida quando cercava di spiegarle dove sbagliasse lo disarmava. Bertram non aveva mai avuto la vocazione dell'insegnante, ma con allievi simili anche il più paziente dei maestri avrebbe gettato gli spartiti alle ortiche.

Dopo aver fatto ripetere alla pupilla le prime otto battute del minuetto in Sol Maggiore di Bach per almeno quindici volte, l'uomo iniziò a maledire la mania dei genitori facoltosi di voler addestrare – perché di quello si trattava, una mera esecuzione meccanica e nulla più – le loro inette figliole a suonare il pianoforte. Purtroppo aveva ancora bisogno di soldi, e non poteva permettersi di rifiutare i pochi incarichi che gli venivano proposti. Si sentiva obbligato verso il suo amico Warren Craythorne, che gli aveva trovato quel lavoro, e verso Mr Craythorne, che lo ospitava a casa sua a Bath per permettergli di rifarsi un nome nella cerchia della gente che conta. Perciò, fece diligentemente ripetere all'inetta gli esercizi di diteggio, la fermò per solfeggiare il pezzo daccapo, e infine ascoltò una nuova esecuzione, immutata nel suo orrore. Lasciò casa Berkley con i brividi addosso per le agghiaccianti dissonanze udite, e cercò di ripetersi che quel martirio era necessario.

Da quando aveva lasciato Vienna, non poteva più permettersi di fare il difficile. Oh, Victoria e Max lo avevano supplicato di restare, ma vivere di elemosina nella loro casa, ed essere additato in società come il fratello sfortunato della bella contessa inglese, non era cosa che gli si confacesse. Bertram aveva sfiorato con le dita l'Olimpo della musica, aveva studiato con i migliori maestri e si era esibito al cospetto dell'Imperatore, tra gli stucchi dorati della sala degli specchi di Schönbrunn, nel salone dei ricevimenti della Hofburg... ed ora tutto questo non esisteva più.

Tutto ciò chel'Inghilterra aveva da offrire a uno dei suoi più promettenti concertisti era un ingrato incarico di insegnante di musica, presso chi, nella maggior parte dei casi, la musica non sapeva nemmeno che cosa fosse.

Per fortuna, la casa del suo ospite era un'oasi di pace a riguardo. I piccoli Craythorne si erano dimostrati allievi molto dotati: la giovane Elizabeth, di tredici anni, si era rivelata molto propensa ad apprendere, anche se le soddisfazioni maggiori erano arrivate dal più piccolo, Howard, che non aveva ancora compiuto dieci anni. Il ragazzo possedeva un orecchio allenato, e un ottimo senso del ritmo. Vista la riconoscenza che doveva a Warren e a Mr Craythorne, Bertram si era offerto di prestare i suoi servigi gratuitamente, e davvero non gli costava nessuno sforzo. Negli ultimi tempi, istruire i bambini di casa al pianoforte era la sua unica gioia al di fuori dell'alcol.

Una gioia che però si infrangeva subito, non appena gli veniva chiesto di posare un dito sul pianoforte. Fosse per spiegare un passaggio difficile, o per mostrare la corretta postura delle mani e del polso, Bertram si sentiva fulminare fin nel centro del suo essere ogni volta che i polpastrelli sfioravano i tasti. Doveva ritrarsi, immediatamente: non riusciva mai a farlo abbastanza in fretta, in ogni caso, e quella sensazione di malessere restava con lui per ore.

Scosse il capo, e bussò alla porta di casa Craythorne. Non poteva che biasimare se stesso della sua disgrazia. Se stesso, e nessun altro.

«Mr Foster, finalmente!» lo accolse la piccola Elizabeth Craythorne, lasciando il ricamo sulla poltrona. Anche il fratello minore alzò gli occhi dai suoi soldatini, e gli corse incontro ancora prima che il valletto avesse portato via il suo soprabito e il cappello.

«Oggi possiamo suonare un brano vero?» chiese Howard, con gli occhi azzurri luccicanti.

«Siamo stanchi di fare scale» lo sostenne Elizabeth.

Bertram accennò a un inchino. «Mi rincresce, Miss Elizabeth, Mastro Howard. Se volete imparare a suonare per davvero, non potete evitarele scale. Se voleste salire al piano di sopra, e le scale non ci fossero, che cosa fareste?»

«Credo che cercherei di arrampicarmi» asserì sicura Elizabeth, con gli occhi verde chiaro che scintillavano alla prospettiva.

L'uomo si lasciò sfuggire una breve risata. «Mi dispiace, ma mi rifiuto che si dica in giro che una mia allieva si arrampica sulle note. Perciò, anche oggi farete le vostre scale, signori, e questo è quanto.»

La ragazzina replicò con un leggero sbuffo, che le scostò i ricci biondi dalla fronte. Howard, invece, annuì diligente. Da come lo guardava, Bertram capiva che doveva nutrire per lui un'enorme ammirazione. Se solo avesse saputo chi era veramente l'uomo che aveva di fronte.

«Perdonate, Mr Foster» intervenne la governante, inchinandosi. «Mr Craythorne mi ha chiesto di dirvi di raggiungerlo in biblioteca, non appena foste rientrato.»

«Hai visto, anche oggi abbiamo evitato le scale!» bisbigliò Elizabeth al fratello. Bertram accennò a un ghigno.

«Dopo cena, signori, lavoreremo sul vostro diteggio» promise loro; e quell'appunto suonò come una sottile minaccia per entrambi i bambini, che decisero di tornare ai loro giochi finché era concesso loro di fare qualcosa di divertente. Bertram scosse il capo: erano così trasparenti! Potevano ancora permetterselo.

Come gli era stato richiesto, salì le scale che conducevano al piano superiore, e raggiunse la biblioteca.

Lì, seduto alla scrivania, lo attendeva Mr Craythorne. Era un uomo piccolo e magro, dal volto fine, con i capelli ingrigiti e radi che mostravano ormai poche tracce di bruno. Per vedere aveva necessità di portare sempre sul naso i suoi occhialetti rotondi, dalla montatura dorata: non aveva un volto ripugnante, ma per quel che Bertram ne sapeva non era tra gli uomini che la maggior parte delle donne avrebbero definito "attraenti".

Non appena alzò gli occhi dal suo libro, Craythorne sorrise e gli fece cenno di sedersi.

«Avete un committente, Mr Foster» disse, compiaciuto, aggiustandosi gli occhiali. «Oggi al club ho incontrato un vecchio amico di Londra: conoscendo il suo gusto per la lirica, gli ho parlato a lungo di voi e dei vostri talenti di compositore. Il compleanno della sua amata figlia si avvicina, ed essendo lei un'abile pianista desidera donarle una sonata scritta appositamente per l'occasione. Gli ho detto che avete studiato a Vienna e siete stato allievo di Mr Beethoven, e si è naturalmente dimostrato entusiasta all'idea di incontrarvi.»

Bertram sentì la pelle accapponarsi. Quale mezzana era diventata la sua arte! Gli si chiedeva di scrivere un pezzo alla bisogna, per il miglior offerente. Due note messe in fila in maniera non troppo complicata, ci avrebbe scommesso; altrimenti la fanciulla, che pretendeva di suonare il piano con le sue dita goffe, avrebbe potuto mettere in dubbio la propria capacità, e restarne umiliata a vita.

Bertram si sforzò di chinare il capo corvino e dire: «Vi sono infinitamente grato, signore, della pena che vi date per me.»

Invece, avrebbe voluto gridargli quanto detestasse la sua pietà. Ogni gentilezza che gli veniva rivolta gli suscitava in petto una rabbia feroce. Non tollerava quegli sguardi colmi di cristiana comprensione e di paterna disapprovazione, non tollerava le premure, e approfittava di ogni occasione per comportarsi scortesemente, come un bambino. Sapeva che gli era concessa ogni cosa, ora, e si odiava per questo. E odiava chi lo circondava, ogni giorno di più.

Mr Craythorne rispose con un sorriso. «Sciocchezze, Mr Foster. Non possiedo alcun talento se non quello di stimare il talento altrui, perciò servendo voi servo in un certo senso me stesso. Siete stato sfortunato di recente, questo è vero, ma sono convinto che ora siate pronto ad affrontare nuove sfide.»

Le parole fiduciose dell'uomo fecero pentire Bertram dei suoi pensieri. In lui si dividevano due anime: una profondamente felice della stima che Mr Craythorne gli dimostrava, e l'altra che disprezzava la sua carità e non desiderava altro che essere lasciata sola a languire, con la sua meschinità e il suo fato avverso.

Stava per congedarsi, quando Mr Craythorne lo fermò.

«Dimenticavo di dirvi che prima di cena arriveranno mio cognato, sir Edwin Vaughan, e la nostra giovane nipote, Miss Rose Kirby. Resteranno con noi per un po' qui a Bath, per trascorrere insieme il Natale e aiutare Charity in questo periodo delicato. Mi piacerebbe presentarveli, signore: sono persone gradevoli e istruite. Mia nipote, oltretutto, possiede un incredibile gusto musicale. Sono certo che un po' di compagnia giovane saprebbe rallegrare il vostro umore.»

Oh, cielo, no! Non avrebbe potuto reggere un'altra signorina di buona famiglia e il suo incredibile gusto musicale. Doveva cercare il modo più gentile per evitare quell'imprevisto.

«Vi prego di scusarmi, Mr Craythorne, non vorrei che scambiaste per maleducazione il mio rifiuto... ma vedete, se fosse possibile, per questa sera io...»

«La mano ha ricominciato a dolervi?»

D'istinto, Bertram flesse le falangi della mano destra. Solo quelle del pollice e dell'indice si mossero, come ogni volta.

«Sì, signore, è così,» mentì «Se foste così gentile da scusarmi con i vostri ospiti... voi capite...»

«Capisco perfettamente, non temete. Andate nella vostra stanza e riposate: più tardi manderò una cameriera con la cena per voi, e anche un buon unguento lenitivo. Desiderate che faccia chiamare il medico?»

«No, signore, vi ringrazio... sono certo che un po' di riposo sarà sufficiente.»

Quando raggiunse la propria stanza si serrò la porta alle spalle, e vi si appoggiò di schiena. Batté la testa una volta, due volte contro il legno, mentre malediceva mille e mille volte quella mano per metà inerte, che gli aveva strappato via i sogni, il futuro, la vita stessa.

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