Lui, il diavolo

di Celtica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


Lui, il Diavolo

Questa storia partecipa alla challenge di Halloween (Ripopoliamo i Fandom!) indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp.
Questa storia prende spunto dal libro “
Cose Preziose.”



n


Ci sono desideri, in noi, soffocati, dimenticati.
Ma esistono anche desideri tormentosi,
che non puoi soffocare, dimenticare.
Sono quelli contro i quali nessuno riesce a difendersi.

(L'ispettore Derrick)

 

 

L

a vetrina è stretta e lunga, e mostra l’unica cosa al mondo che Sandor vorrebbe possedere.
L’insegna dice: “Ditocorto.” Entra nel negozio, un luogo tetro e angusto, dove gli scaffali sono stracolmi di cose insignificanti. Non gli interessa niente di ciò che vede.
Il bancone è vuoto, la cassa aperta.
Sandor si guarda intorno, pensa di allungare una mano e fuggire, ma poi ricorda l’oggetto in vetrina. Potrebbe rubare quello, pensa.

«Amico mio…»
Un uomo, basso e con un sorriso sornione, compare davanti ai suoi occhi. Ha una lunga veste grigia che lo fa sembrare uscito da un’epoca passata. «Cosa posso fare per te?»

«In vetrina» borbotta Sandor. «Voglio quello.»

«Quale esattamente? La fiasca senza fondo?»

«Quella. Qual è il trucco?» chiede, mentre l’uomo scompare oltre la tenda per prenderla. «Come può avere sempre vino?»

Lui sorride e non risponde, come se fosse un segreto che proprio non può rivelare. «Eccola. Esaminala tu stesso…»
Sandor la afferra, se la rigira tra le mani, quando la apre, la trova piena fino all’orlo. «Va riempita.»

«Oh, no. Non ce ne sarà bisogno.»
«Com’è possibile?»
«La vuoi o no?»

C’è uno strano odore di zolfo nel negozio. Sandor si tasta le tasche sperando di avere denaro a sufficienza. «A quanto la vendi?»
«Questa? Oh, no, non si può comprare… ma puoi averla in cambio di un piccolo “favore”…»
Potrebbe mettergli le mani al collo, spingerlo a terra e portarsi via la bottiglia. E a quel solo pensiero l’odore diventa più intenso, dandogli alla testa.

«Che vuoi?»

L’uomo solleva il capo, un baluginio di soddisfazione negli occhi. «Stamattina è venuta da me una giovane… figlia del vicesindaco.»

Sansa Stark.

«Hai capito di chi parlo… una ragazza molto bella… Peccato che sprechi tutto il suo tempo in quel giardino. Fiori, rose che potrebbero pungerla… Alla sua età dovrebbe uscire, non credi?»

Sandor posa gli occhi sulla fiasca. «Dimmi cosa devo fare.»
Un altro lampo. Gli occhi dell’uomo sembrano infiammarsi come i fuochi dell’inferno. «Distruggi il suo giardino.»

 n

S

ansa Stark è felice. La zappetta che ha trovato in negozio è delle dimensioni giuste per la sua mano, è ricoperta da una vernice bianca e una striscia di velluto grigio, e riesce ad andare a fondo, scavando la terra più di quanto lei stessa avrebbe mai potuto fare.
Proprio come ha sempre desiderato.
«Poco importa quello che ho dovuto fare a Margaery…»
Attraversa il paese con passo leggero e la coscienza pulita. Gli alberi stanno iniziando spogliarsi, ma il suo giardino è ancora pieno di colori e di vita.

“Solo un favore, mia cara… Uno scherzetto innocente.”

In fondo che importanza può avere quel singolo pettegolezzo? Margaery si era confidata con lei, ma alla fine il segreto riguardava suo fratello Loras…
“Lui è… insomma… preferisce gli uomini. Ma non dirlo a nessuno.”

Chissà come avrà fatto il proprietario del negozio, Petyr Baelish, a conoscere quel segreto? È chiaro che Margaery non si è confidata solo con lei… Quindi non c’è nulla da temere.

Nell’aria c’è uno strano odore, come di fiammiferi accesi.

Sansa sistema meglio la gonna a pieghe quando arriva di fronte al cancello. Il giardino che suo padre ha comprato apposta per lei. I suoi fiori la stanno aspettando.
Nessun altro ha accesso alle aiuole, solo lei.

Ma c’è qualcosa che non va… il lucchetto è intatto, ma la catena è spezzata. Sansa non sa se entrare o correre a chiamare qualcuno. Fa un respiro profondo ed entra.

Blocchi di terra ovunque. Fiori sparsi sul terriccio. L’acero, che si stava colorando di rosso, ridotto a pezzi. Il suo albero delle farfalle… il suo preferito, quello di cui ha seguito la crescita sperando di vederlo arrivare in cielo, è morto. Annerito dal fuoco, impossibilitato a riprendersi.
I settembrini, fioriti da poco, lasciati a marcire insieme agli altri. Petali bianchi, viola e rosa sparsi come semi sul terreno.

Sansa sente le gambe cedere. E poi è a terra, insieme a loro.

n

 

P

assa davanti al negozio e nemmeno si ferma. Jon Snow non ha niente da chiedere, niente da desiderare. Incontra lo sguardo freddo del proprietario, vede il sorriso fisso sulla sua bocca, e lo ignora.
Sansa ha telefonato a lui. Nonostante non vivano più insieme, nonostante lui abbia deciso di arruolarsi.

“Non chiamo papà. Si arrabbierebbe… Lui e Robb sono capaci di mettere a ferro e fuoco il paese pur di scoprire chi è stato. E non parliamo della mamma…”

È vestito di nero, più coperto degli altri. Si è lasciato crescere i capelli e li tiene legati in una coda alta.

Il paese puzza. La gente lo guarda in modo strano. Sembra confabulare. Su alcune case sono comparsi dei graffiti. Alcuni superano ogni confine di civiltà.
Jon supera la casa di Margaery e Loras Tyrell, nota le persiane chiuse. Solo dopo, svoltando l’angolo, lo vede: frocio.
Una sola parola che riesce a farlo rabbrividire. Osserva la scritta rossa, i bambini che la indicano ridacchiando.

Sulla strada ci sono fogli volanti. Non sembrano manifesti. Jon si china per prenderne uno. È una pagina strappata di un libro. D’istinto, solleva lo sguardo fino alla libreria: il vetro è rotto, gli scaffali semivuoti. Il libraio piange mentre un poliziotto raccoglie le sue generalità.

Che sta succedendo qui?

Una donna corre seminuda per la strada, urlando. Alcuni ragazzi la inseguono con i bastoni. Il poliziotto sembra non vedere, sembra non sentire.
Cosa succede?
Jon sente la pazzia dilagare. Raggiunge i confini del paese, la siepe che nasconde il giardino di Sansa. Trova il cancello aperto, lei, in ginocchio, tra le piante strappate.

«Sansa…»

Lei si volta. Gli vola tra le braccia. «Devi trovarlo» gli sussurra. «Trovalo. Fagliela pagare.»

n

 

L

’odore di zolfo è insopportabile. Un incendio è scoppiato ai confini del paese.
Cammina in mezzo alla strada, la fiasca in mano, la bocca sporca di vino. Sandor si ferma davanti al negozio “Ditocorto”, dà un’occhiata all’interno: non c’è nessuno. Forse è ancora in tempo per rifarsi di qualche spicciolo…
Il paese è nel caos, la polizia impegnata con fatti più importanti. Nessuno baderà a lui.

Quando entra, trova la cassa aperta. Vuota. La spinge a terra e grida. L’alcol gli scorre nelle vene. Vede una mazza da baseball autografata (gli torna in mente Loras il frocio, e il suo desiderio di averla). La afferra, la usa contro gli oggetti sugli scaffali, poi la spezza in due.

«Ti diverti?»

Petyr è lì che lo osserva. Non sembra arrabbiato, e nemmeno teso. «Ho ancora qualcosa che potresti volere…»

Sandor beve un altro sorso. Il vino gli scorre giù per il mento.
L’odore di zolfo è così forte da dargli la nausea.

«Ecco…» Ha un guanto tra le mani. «Incarna tutto ciò che tocca…»
Una visione gli appare davanti. Lui che tocca un portafoglio, una collana d’oro, del denaro… e tutto svanisce. Tutto viene risucchiato dalla sua mano guantata.

Ormai sa cosa deve dire. «Che favore vuoi, questa volta?»

n

 

S

ansa è seduta sulla panchina di pietra, davanti a casa. Ha gli occhi vuoti, la mente persa chissà dove. È sola: Jon è in giro per il paese a indagare per conto suo.
La sua famiglia non c’è.
Tutto si aspetta – che qualcuno la svegli, che vengano a dirle che è stato tutto uno scherzo, che il suo giardino è esattamente come lo aveva lasciato – tranne una sua visita.
Quando lo vede oltrepassare il cancelletto, il fumo dell’incendio alle spalle e la gente che corre impazzita per le strade, sgrana gli occhi e resta immobile.

«Che cosa ci fai qui?»

Non si aspetta che le risponda. Crede sia una visione. È tutto così irreale…
I fiammiferi sembrano essere stati accesi a centinaia sotto i suoi piedi. Eppure non c’è niente che lei riesca a vedere.

«Sono venuto a portarti un regalo… Ecco.»

Petyr non siede al suo fianco, resta in piedi di fronte a lei. Le porge una sacca di bulbi. «Sono miracolosi» dice. «Qualunque sia la stagione, il tempo o il nutrimento, cresceranno forti e sani. E molto in fretta… Presto potrai riavere il tuo giardino.»

Lei solleva gli occhi fino a incontrare i suoi. È un istante. «Sei stato tu?» domanda.
Un passo indietro, il volto che si inclina appena. L’incertezza svanisce subito. «A fare cosa?»

«Hai distrutto tu il mio giardino?»
«No, non sono stato io.»
«Però sai chi è stato.»

Sansa gli porge il sacco. Rinuncia ai bulbi del suo giardino, al suo desiderio più grande.

«Un favore, giusto?» chiede ancora. «Dimmi chi è stato e avrai quel favore.»

n

 

I

 bambini stanno lanciando sassi. Gridano contro la casa di Loras. Jon ascolta gli insulti senza intervenire. Li aggira e prosegue la sua indagine.
Non ha idea di cosa dire a Sansa. Come può scoprire chi è entrato nel suo giardino? La gente sembra impazzita, nessuno dirà niente, nessuno avrà visto niente.
Il negozio di liquori è stato saccheggiato. Le donnette del paese sono agghindate a festa, piene di gioielli stupendi che Jon non aveva mai visto. Ridono e parlano tra loro come se fosse un giorno qualunque.

«Vieni qui…» borbotta la voca bassa e roca di Sandor Clegane. Incespica sulla via, cercando di tenere il passo dietro a quelle donnine. «Andiamo a divertirci.»
Tra le mani stringe una fiasca di vino, ne versa qui e là, poi inciampa e cade. La fiasca rotola ai piedi di Jon, spargendo vino tutto intorno.
«No…» bofonchia Sandor, gattonandole dietro.
Jon si china e la raccoglie. È piena fino all’orlo. La solleva contro la luce del giorno, cercando di leggerne l’etichetta. Ma Sandor gliela ruba dalle mani.

«Dove l’hai presa?» chiede Jon.
«Che t’importa?»
Un’idea, e tutto sembra chiaro. «Da “Ditocorto”? Dimmelo, non voglio la tua.»

Gli occhi annebbiati di Sandor si allargano appena. «Sei il fratello di Sansa Stark?»
«Diciamo parente. Allora, questa fiasca?»

Sandor sembra tornare in sé, giusto il tempo di rispondergli: «Sì, l’ho presa da “Ditocorto”.»

n

 

N

on conosce il senso di colpa. In fondo, pur di avere il guanto e la fiasca, cos’ha fatto di male? Il giardino ricrescerà, e l’altro favore… l’altro favore è un po’ più grave, ma niente a cui non si possa rimediare.
Sandor ha raggiunto la casa di Loras e Margaery Tyrell. Ha sfondato la porta. Tutto qui. Una porta per un guanto magico, che assorbe tutto ciò che tocca.
I bambini si sono riversati nell’entrata, alcuni adulti con loro… Ci sono state grida, ma cos’altro si può pretendere? Loras se ne farà una ragione.
Il negozio è in fondo alla strada. È quasi tentato di tornare… e se avesse altro per lui? Un borsello pieno d’oro, senza fondo come la sua fiasca?
Sta per attraversare la strada quando la vede. Sansa Stark.

«Sei stato tu!» lo spinge.
L’alcol gli annebbia la vista, eppure prende un altro sorso mentre cerca di reggersi in piedi. Nessuna di quelle donnine ha accettato di andare con lui…
«Perché?!» chiede, le lacrime negli occhi. «Non ti ho mai fatto niente… Non ti conosco nemmeno.»
Sandor è tentato di prendere lei. Il vino è un grande amico, capace di dargli i consigli migliori.

«Se lo dicessi a mio padre… Saresti finito. Finito!»
La afferra per un braccio, attirandola a sé. «Tuo padre… Tuo padre verrà cacciato dal consiglio. Cosa vuoi che faccia?»

«Lasciami! Lui e Robb te la faranno pagare…»

La trascina per la via, adocchiando il negozio di liquori, ormai deserto. Può portarla lì dentro, e prenderla senza problemi. Chi interverrà? Ha visto Ramsay Bolton fare lo stesso con una ragazza nella libreria…

Poi un urlo sovrasta le grida, le risa.

Sandor si volta a guardare. Sansa con lui. Viene dalla casa di Margaery e Loras Tyrell. E lui è proprio lì… pende da un lampione, la corda stretta al collo. Agita le gambe, poi, semplicemente, si ferma. Continua a ballonzolare fuori, come una pessima decorazione per Halloween.
La sorella piange e grida tra la folla di bambini.

Un altro sorso per Sandor. Solo che ora sembra aver perso tutto il suo sapore.


n

Note dell’autrice:

Ciao! Ho dovuto dividere la storia in due parti, perché un po’ lunga… però, cavolo, che bello scriverla! Spero che vi piaccia (idem per il banner!). È già conclusa, e la prossima settimana pubblicherò la seconda parte.
Per ora non dico altro. A presto!
Celtica

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Capitolo 2
*** Seconda Parte ***


Lui, il Diavolo II parte
n


 

S

ansa grida, ma nessun suono lascia le sue labbra. Il suo corpo vibra come le corde di un’arpa, i suoi occhi urlano di terrore. Anche se li chiude continua a vedere il corpo senza vita di Loras, i suoi capelli castani che ondeggiano nel vento.
Sansa guarda Loras e Loras guarda in alto, lo sguardo puntato verso un cielo cupo che non può più vedere.

Frocio.
Una parola impressa sul muro. Una ciocca si scosta dal viso del ragazzo, e lei lo vede: una parola impressa sulla sua fronte.
Sandor beve dalla bottiglia, il liquido gli cola giù per la gola. Margaery grida, ha perso la ragione.

«Andiamo.»

La mano di Clegane scivola fino al suo polso, trascinandola dietro di lui.
Cercare di liberarsi è inutile. Eppure Sansa fa un tentativo, poi un altro. Il negozio di liquori è sempre più vicino.

«No… Per favore…»

Gli occhi chiamano aiuto. Chiunque… qualcuno intervenga, per favore…
Scorge una coda nera, il suo profilo mentre attraversa la strada. Jon. «Jon!» grida, ritrovando la voce.
Sandor aumenta la presa intorno al suo polso, fino a farle male.

«Jon! Jon, ti prego!»

Lui non risponde. Non la sente nemmeno.
Cammina deciso verso il negozio di Petyr Baelish, come se il paese intorno a lui non fosse impazzito. Come se fosse tutto normale.

“Dimmi chi è stato e avrai quel favore.”

L’insegna del negozio di liquori pende inclinata sopra le loro teste. La vetrina è distrutta.
Sandor non si spreca a inforcare la porta: spinge Sansa sui vetri ed entra dopo di lei.

«Basta…» Sansa piange, osserva i palmi delle mani insanguinati. Ha paura. Ha dolore. Ha il terrore di sentirne altro. Di vedere altro sangue. Di essere violata.

Gli scaffali sono vuoti, a parte le macchie di bagnato e i cristalli rotti. L’odore di alcol è così forte – così come quello di fiammiferi accesi – che Sansa teme un incendio. Un altro, oltre a quello scoppiato ai confini del paese.

La sua pelle brucia, lì dove si è tagliata, lì dove Sandor l’ha stretta. La sua mente va a fuoco, annebbiata dai fumi alcolici, da quell’odore intenso di cerini.
D’istinto si guarda intorno cercando una fiamma, senza trovarla.

Clegane beve un altro sorso – come se la bottiglia non finisse mai – si asciuga la bocca con la mano. Persino le sue scarpe sono sporche di vino… ma è nel suo sguardo che Sansa riconosce l’ubriachezza.
Non è in sé.

Prende un respiro profondo e chiude gli occhi. Cosa vuoi farmi, potrebbe chiedere. Lasciami andare, non lo dirò a nessuno.
Quando li riapre, Sandor è sempre a tre passi da lei. Ha le mani lungo i fianchi, ma i suoi occhi la stanno spogliando, l’hanno già buttata a terra, stanno abusando di lei.

“Dimmi quel nome e avrai quel favore.”

Sarebbe davvero capace di farlo?

“Sandor Clegane.”

I piedi di lui restano inchiodati dove sono, ma le dita corrono alla cintola. Sansa vorrebbe urlare.
Dovrebbe salvarla, non aggredirla… dovrebbe essere lui a entrare da quella vetrata distrutta e a portarla fuori da lì.

“Cosa vuoi che faccia?”

Anche lei porta una mano ai pantaloni. La infila in tasca. Rivede gli occhi di Petyr, il suo sorriso che si ferma alle labbra.
“Tieni.”
Sansa lo estrae lentamente dalla tasca, lo lascia scivolare nel palmo ferito. La sua pelle brucia più che mai.

«Cos’hai lì, ragazzina?»

Lei trema, deglutisce e sorride. Capovolge la mano, schiude le dita come il più bel fiore.
La scatolina più piccola del mondo è come un topo per un elefante. Gli occhi di Sandor si spalancano.

«Ferma.»

Sansa la apre, stacca un fiammifero e lo accende. Poi lo lascia cadere.

 n

 

I

l negozio è intatto. Sulla porta a vetri non c’è nemmeno un graffio.
Jon entra facendo suonare il campanellino. L’odore di zolfo è così forte da trapanargli il cervello. «C’è qualcuno?»
Fuori, i suoni del paese – di caos e violenza –– sembrano essersi attutiti.
Scosta la tenda e si affaccia alla vetrina. La libreria è chiusa. La gente corre per le strade, ma è come se qualcuno avesse messo il muto al televisore.

«Benvenuto.»

Jon si volta di scatto, trovandosi faccia a faccia con l’uomo di cui tutti parlano.
“Ha tutto ciò che desidero”, è l’ultima frase del giorno.

«Cosa posso fare per te?»

Jon Snow ci pensa. Abbassa lo sguardo e lo rialza. «Il paese è nel caos.»

«Il caos è una scala» dice. Stringe gli occhi e continua a sorridere. «Che cosa desideri?»

«Che tutto questo finisca.» Fa un passo avanti. «Che tu te ne vada.»
Petyr tira indietro la testa, stupito. «Così presto? Sono appena arrivato.»

«Ed è ora che tu riparta. Tu e i tuoi gi…»

Un’esplosione. Jon si ritrova impietrito davanti alla vetrina. Il negozio di liquori sta andando a fuoco.

«Sei stato tu» sussurra. «Prima era solo fumo lontano, ora anche il paese sta bruciando.»
«Io non mi sono mosso da qui. A parte quando ho portato dei bulbi a tua sorella…»

Sansa. Il giardino distrutto.
Jon lo afferra per il collo. «Sta’ lontano da mia sorella.»

«Non posso» risponde. Per la prima volta smette di sorridere. «Sandor Clegane l’ha trascinata nel negozio di liquori.»

Il calore lascia il suo viso. La rabbia scompare di colpo.
Jon sbianca e corre fuori, dove l’odore di zolfo è meno forte, dove il volume si è rialzato di colpo.

«Puoi ancora salvarla.»

Il mormorio alle sue spalle gli risuona in testa. Si colpisce le tempie e torna indietro. «Come?»
Un luccichio negli occhi. Petyr sembra felice della sua decisione.
Inclina la testa ed è come se il paese intero si fosse capovolto. Jon sente la terra tremare sotto i piedi.

«Sansa potrebbe uscire dal retro in qualunque momento… devi solo farmi un favore…»

In quel momento capisce tutto. Sa perché le strade puzzino di zolfo, perché la gente sia impazzita.
Conosce l’identità dell’uomo che ha di fronte.

«La rivuoi?»

Jon annuisce piano, lentamente, dando tempo all’altro di gustare la sua risposta.
La rivuole, ma non per sé, non per un suo capriccio o per semplice affetto.

«Voglio che Sansa viva.»

Ora gli occhi di Petyr sono due magneti gialli. Dev’essere la luce del giorno, il bagliore del fuoco.
Perché quella mattina erano verdi, Jon potrebbe giurarlo.

«Cosa sei disposto a fare per rivederla?»

Non mi interessa rivederla, pensa Jon. Voglio solo che viva.

«Qualunque cosa.»

n

 

I

l fuoco si arrampica sulla sua gamba bagnata di vino, facendolo urlare.
Lascia cadere la bottiglia e si copre il volto con le mani. A occhi chiusi si lancia verso quella che dovrebbe essere la strada.
Ma il suo corpo è in fiamme, i suoi abiti bruciano e la sua mente esplode.
Sansa Stark è ancora dentro. Sandor non sa che fine abbia fatto. Striscia sulla via, rotola su sé stesso cercando di spegnere il fuoco. È solo dolore. È solo paura. La sua più grande, immensa paura.

«Clegane!»

Jon Snow, il fratello bastardo di Sansa Stark, lo aiuta a estinguere le fiamme. Sandor sente la pelle scottare sotto i vestiti, toglie gli stivali carbonizzati e resta a terra. Jon Snow è su di lui.

«Cos’hai fatto a mia sorella?»

Una mossa, come scrollarsi di dosso un po’ di polvere, e Jon è steso al suo fianco.
Sandor si rimette in piedi, colpendolo con un calcio.

«Avrei dovuto prenderla in mezzo alla strada, invece di trascinarla qui… Ora avrei un bel ricordo a cui pensare.»

«L’hai bruciata viva!»

«No! È stata lei a bruciare tutto con quei suoi stramaledetti cerini!» Indica il negozio “Ditocorto” prima di afferrare Jon e lanciarlo dall’altra parte della strada. «La tua bella sorella… voleva uccidermi, quella cagna!»

Cozzano uno contro l’altro, ma Jon è più debole… è così facile avere la meglio su di lui. Poi Sandor lo vede estrarre un coltello.
Non ha paura delle lame. L’acciaio è freddo, non brucia come il fuoco, non può incenerire la sua carne.

«Avrei dovuto lasciarti bruciare…» mormora Jon Snow, il dorso della mano sulle labbra. «Ora riavrei mia sorella.»

È un istante. Sandor Clegane scorge l’etichetta del negozio attaccata al coltello, e capisce.
Da quello scontro non sopravvivrà. Non può sopravvivere.
Ma almeno porterà il bastardo con sé all’inferno.

«Cos’ha di speciale?» chiede, l’attimo prima della tempesta. Quando l’aria diventa elettrica e il mare si prepara a implodere. «Il tuo coltello. Avvelena? Uccide al primo colpo?»

Jon Snow sembra rattristarsi, come se non fosse ciò che vuole fare, ma ciò che deve.

«Brucia ciò che tocca.»

E l’attimo dopo sono uno sull’altro.

n

Apri gli occhi.”
Una voce risuona nella sua mente. Un suono che ha già sentito. Sansa Stark ha già fatto quel sogno, quello in cui non vede nulla. Sente solo quella frase, ripetuta e ripetuta. Si sforza di tenerli aperti, si sforza di mettere a fuoco, ma c’è solo buio.
«Apri gli occhi.»
Stavolta la voce è reale. Quando solleva le palpebre è avvolta dalle fiamme. Non c’è nessuno con lei.
Il calore si fa intenso, come se prima non fosse stata in grado di percepirlo. Ha solo paura.

«Voltati e raggiungi la porta sul retro.»
Sansa obbedisce. Gira su sé stessa, quasi non si accorge di essere ignorata dal fuoco.

Non sto bruciando. Dev’essere un sogno.

Incespica nei vetri rotti senza tagliarsi. Poi la vede: l’uscita è vicina, proprio davanti ai suoi occhi. Deve solo afferrare il pomello e ruotarlo.
Le fiamme non la toccano, eppure, quando Sansa appoggia la mano sull’impugnatura della porta, la sua pelle arde come un fiammifero. Grida, grida e spinge, grida e ruota la maniglia, lanciandosi fuori.
Il suo palmo è rosso, pulsante, e ha incise le iniziali di chi ha fabbricato la porta: P. B.

«No…» Piange, si afferra il polso e osserva la mano.

Il paese è caos, pazzia, violenza. Fuochi che divampano ovunque. Il cielo è diventato solo una nube nera di fumo.
Che è successo qui…?

«Sansa.» La voce del sogno. «Vieni con me. Dobbiamo lasciare questo posto.»

Sansa cammina per la via, aggira un palazzo e si ritrova davanti all’unico negozio ancora intatto: “Ditocorto.”
Entra, ha bisogno di un rifugio.

«Sansa.» Petyr Baelish la sta studiando. «Andiamo. Vieni.»

Le porge la mano. Un gesto insignificante… eppure Sansa lo vede per quello che è. Il paese è nel caos, la gente è impazzita, la sua famiglia probabilmente morta.
Il suo giardino non c’è più.

«Sei… sei stato tu.»

Non è una domanda. Petyr lo sa. Sorride.

«Cosa vuoi?» Sansa inclina la testa. Solo un pazzo si fiderebbe di quell’uomo.

Glielo legge negli occhi. L’odore di fiammiferi non è più così fastidioso. È quasi piacevole. Ora sa cosa vuole, sente quella risposta nascere dentro di sé e, istintivamente, porta le dita sopra il ventre.
Sansa allunga la mano, stringe la sua. Annuisce e lo segue fuori.
In mezzo alla strada, più avanti, i suoi occhi si posano sui corpi senza vita di Sandor e Jon.

«Stai bene?»

Lei non risponde. Dopo aver perso il suo giardino – i suoi fiori – è pronta a perdere ogni cosa.
Fa un cenno di assenso e si aggrappa a Petyr. Non ha più niente da desiderare, niente da chiedere.
Va con lui.

n

Note dell’autrice:

La tentazione di trasformare questa storia in una long è forte.
I personaggi mi sono sembrati perfetti per questo ruolo – tutti, persino quella santarellina di Sansa! – specie il mio am… (ehm, amico, la parola che cerco è amico!) Petyr Baelish.
Jon, cavaliere senza macchia e senza paura, mi è sembrato adeguato per la parte. Il Diavolo sarebbe disposto a tutto pur di avere la sua anima!
Ci sono tre cose che non ho detto, ma che si dovrebbero intuire: i due favori di Sansa (quello della prima parte e quello della seconda), il favore di Jon… e ciò che Petyr vuole. Se non dovesse essere chiaro, sono prontissima a rispondere a qualunque domanda.
Fatemi sapere cosa ne pensate… Grazie a chi leggerà!

Celtica

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