Ricostruire un ponte

di NPC_Stories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1372 DR: Dieci anni dopo, a una vita di distanza ***
Capitolo 2: *** 1361 DR: Mai farsi mancare qualche flashback ***
Capitolo 3: *** 1372 DR: C'è posta per me ***
Capitolo 4: *** 1372 DR: L’altra mia tomba è un dungeon della morte ***



Capitolo 1
*** 1372 DR: Dieci anni dopo, a una vita di distanza ***


1372 DR: Dieci anni dopo, a una vita di distanza


Non vedevo Daren da dieci anni.
Vorrei poter dire che era partito per una missione pericolosa e solitaria, ma la realtà è molto più triste: avevamo litigato. Avevamo litigato a livelli abissali. Gli avevo intimato di andarsene e non tornare mai più, e sebbene la mia parola non sia legge e io non abbia il potere di esiliare qualcuno, lui non aveva motivo di tornare in una foresta in cui non era più il benvenuto.

Per farla molto breve, il mio clan era stato attaccato e Daren naturalmente aveva combattuto al nostro fianco; sul finire dello scontro, aveva scoperto che uno dei nostri aggressori era un suo conoscente, qualcuno che un tempo era stato suo amico, e mi aveva chiesto di risparmiargli la vita.
Io mi sono arrabbiato moltissimo perché questo suo “ex amico” era un mago e aveva cercato attivamente di uccidere me e i miei compagni, anche se per fortuna non era riuscito nel suo turpe intento. “Per fortuna” in questo contesto significa “perché Daren lo aveva atterrato prima che potesse completare l'incantesimo”.
Fu una situazione molto penosa, per entrambi: inizialmente volevo finire quell'infame carogna mentre era a terra, come si fa solitamente con i nemici, ma Daren insistette in ogni modo... si appellò perfino alla nostra amicizia, e fu quello a far traboccare il vaso. Cercò di fare leva sulla nostra amicizia per convincermi a lasciar andare un individuo che aveva cercato di uccidermi. Che amicizia ci poteva essere fra noi se lui soprassedeva così facilmente a un attentato contro la mia vita?
La mia colpa fu scendere al suo livello, ma ero furibondo. “D'accordo, allora. Se tieni così tanto alla vita di costui, può andarsene, ma tu te ne andrai con lui. Non voglio vederti mai più.” Minacciai. Fu per costringerlo a scegliere. Scegliere fra la nostra amicizia e il suo remoto sentimento di lealtà verso un criminale.
Quello che non avevo realizzato è che un amico che ti impone una scelta minacciando di tagliare i rapporti non è un amico.
E così le nostre strade si divisero. Nel momento in cui capii che se ne sarebbe andato avrei voluto rimangiarmi tutto, ma il solo pensiero che avesse fatto quella scelta rinfocolava la mia rabbia. Quella notte ognuno lasciò andare l'altro con il cuore pesante e ricolmo di rancore e incomprensione.

Fu circa dieci anni dopo che mi svegliai una mattina d’inverno e me ne resi conto con chiarezza sconcertante: il mio amico mi mancava. Era un pensiero che aleggiava da anni nei recessi della mia mente, ma che non aveva mai preso coraggio di manifestarsi.
Ero riuscito a non pensare più a quella notte, ma non potevo evitare di pensare a lui di quando in quando. Ogni volta che partivo per una missione o per un'avventura mi veniva naturale pensare di cercare Daren per dirgli di preparare le spade... ma lui non c'era. Ogni volta che succedeva qualcosa di sciocco mi venivano in mente i commenti sarcastici che avrebbe fatto se fosse stato lì, ma non c'era. Erano solo flash, questione di pochi secondi, ma avevano sempre il potere di rovinarmi la giornata.
Quando finalmente presi coscienza del problema, mi decisi ad affrontare di nuovo i terribili ricordi di quella notte. Più ci pensavo, più mi avvicinavo a realizzare una cosa: avevo reagito peggio di quanto avrei dovuto perché in quel momento avevo paura. Ogni volta che il passato di Daren si ripresenta in qualche forma, ne ho paura. Non di lui, sia chiaro, non ho paura che possa tornare a essere il mostro senza cuore che era prima che lo conoscessi. È solo pura e semplice paura dell'ignoto.
Daren sa tutto del mio modo di vivere, conosce il mio clan, i nostri usi e costumi, parla perfino la nostra lingua con la dimestichezza di un giovane elfo. Io non so quasi nulla della sua vita di prima. Non ha mai voluto parlarmene. Mi ha insegnato solo quello che pensava potesse servirmi: come combattere al meglio contro qualcuno che ha alle spalle un addestramento come il suo. L'unica cosa che ha ritenuto importante trasmettermi è stato, in poche parole, come ucciderlo. Oh, non lui ovviamente, ma come uccidere qualcuno come lui. Non c'era nient'altro, nessun altro aspetto della sua cultura che riteneva fosse positivo per me conoscere. Ho solo imparato i rudimenti della sua lingua nel caso mi fosse capitato di origliare una conversazione.
Metà della sua vita è sempre stata al di là di ogni mia possibilità di comprensione. Un intero sistema di pensiero, di valori, di priorità... un intero background culturale che non avrei mai capito.
La decisione di intercedere per un suo vecchio amico, nonostante si fossero trovati su fronti opposti in una piccola battaglia e anche nella metaforica guerra fra il bene e il male, doveva per forza avere le sue radici in questo loro passato comune, in questo territorio dell'anima a me sconosciuto.
Ogni volta che Daren si comportava in modo alieno, dimostrando di essere ancora un mezzo sconosciuto per me, io avevo paura. Paura di perdere la sua amicizia, paura che mi nascondesse qualcosa, paura che me lo nascondesse perché pensava che non sarei stato in grado di capire o che lo avrei respinto.
E alla fine questo a cosa ci aveva portati?
Non ero stato in grado di capire, e lo avevo respinto.
 
Alla fine compresi anche come mai per dieci anni avevo cercato di non pensare a quella notte: non era solo per il dolore al pensiero che non gli importasse della mia vita, o che reputasse più importante la vita di un assassino rispetto alla mia. No, dopotutto sapevo che questa era solo un'interpretazione a caldo, l'impressione che avevo avuto nel bel mezzo della battaglia, ma non poteva essere corretta.
Non volevo affrontare il pensiero che potessi essere stato io a sbagliare.
Certo non era una certezza, non sarei passato dal pensare è tutta colpa sua a è tutta colpa mia, ma adesso almeno avevo tutta l'intenzione di ritrovarlo e interrogarlo sulle sue motivazioni.

Non sapevo dove cercarlo e non sapevo cosa gli avrei detto. In realtà non ero pronto a scoprire se fosse ancora arrabbiato con me, o addiruttura se mi odiasse. Quindi andai a interrogare qualcun altro.
“Ciao, mio vecchio amico.” Sussurrai settimane dopo, quando finalmente raggiunsi la mia destinazione nella foresta di Tethir. Poggiai una mano e la fronte sulla corteccia di una giovane quercia, che sembrava più vecchia dei suoi settant'anni, e respirai a pieni polmoni i profumi del bosco per cercare di distrarmi dalla mia malinconia.
Non potevo parlare con Daren dopo dieci anni di silenzio, ma potevo parlare con un Daren la cui memoria era ferma a prima che i nostri rapporti si guastassero.
Non sarà come se fosse davvero lui, ripetei a me stesso per l'ennesima volta. Una quercia è come un cadavere, resta solo un'impronta della sua anima qui dentro... ma sa tutto quello che sapeva Daren quando è morto.
Estrassi dalla tasca un anello che mi avrebbe permesso di parlare con i vegetali. Forse ci sarebbero voluti dei giorni, ma avrei avuto le mie risposte.
 
Ciao, mio vecchio amico. Ripetei, questa volta in un linguaggio che la pianta potesse capire.
Ti avevo già sentito la prima volta. Fu la risposta lapidaria. Che gentile. Quindi la quercia capiva ancora le lingue che conosceva in vita, ma non poteva parlare.
Ciao, elfo.
Sono Johlariel. Gli chiarii. Magari la sua memoria era compromessa?
Sì, lo so.
Ah.
Che cosa fai qui, Johlariel?
Sentivo la tua mancanza.
Sono morto da molti anni, perché ora?

Esitai. Non sapevo bene come rispondere.
Sei morto, ma sei tornato in vita. Non ne eri a conoscenza?
No. So che ero un fantasma perché il fantasma è venuto a farmi visita, ma non sapevo di essere tornato in vita.
Ma certo. Non poteva sapere nulla di ciò che era successo dopo la sua morte, a meno che non ne fosse stato testimone con i suoi sensi limitati, e Daren era apparso davanti alla quercia. Quindi, con la sua nuova “vita” vegetale aveva mantenuto la capacità di apprendere informazioni nuove; interessante.
Se sono tornato in vita, come puoi sentire la mia mancanza?
Merda. È sempre stato un po' troppo sveglio.
Sei disperso. Mentii, ma non era del tutto una bugia. Sono qui perché ho bisogno di informazioni per... poterti ritrovare. Informazioni sulla tua vecchia vita.
La quercia non rispose, ma riuscii a percepire a pelle il suo turbamento e disagio. Sarebbe stato un lavoro lungo.
 
Tempo dopo, ripartii dalla foresta Wealdath insieme al più improbabile dei compagni di viaggio: uno gnoll. Un cucciolo, per la precisione. La creaturina aveva mangiato una ghianda della quercia benedetta e aveva assimilato parte dei ricordi (e forse della personalità?) di Daren. Uno gnoll allo stato brado sarebbe stato già un problema, una creatura bestiale dall'indole malvagia, ma così si dimostrò un problema unico nel suo genere. Ma questa è un'altra storia.
Con il tempo capii che era inutile fargli domande perché i suoi ricordi della vita di Daren erano molto confusi, il cucciolo era lì solo perché mi prendessi cura di lui e non certo il contrario. Tuttavia scoprii che aveva una certa utilità come traduttore, quando non faceva confusione fra le diverse lingue che aveva appena appreso in modo frammentario e incompleto.
“Come si dice riconciliazione?” domandai un giorno, mentre cercavo di scrivere una lettera per Daren.
Il piccolo gnoll mi guardò con occhio vitreo. “Non si dice.”
“Un concetto simile?”
“Uh... alleato?”
“In che modo sarebbe simile?”
“Beh” mi rispose tutto stizzito “vuole dire sempre che avete deciso di non uccidervi uno e l'altro”.
Mi fermai, poggiai la piuma che usavo per scrivere e mi girai a guardarlo.
“Gimli, non capisco se sei tu ad essere completamente inutile, o se è la lingua.”
“È la lingua.” Aveva sempre la risposta pronta e questa volta anche un tono altezzoso. “Io non posso essere inutile, perché non sono un elfo.”
“Oh, ma sentilo. Quest'elfo inutile” dissi, indicando me stesso “ha ucciso moltissimi gnoll in vita sua. Tu quanti elfi hai ucciso?”
Naturalmente non intendevo davvero minacciarlo. Volevo solo vedere quanto fosse forte l'influenza di Daren su di lui, vista la sua giovanissima età.
“Non ho detto che gli elfi devono morire perché sono inutili.” Mi corresse, arricciando il nasino da canide. “Se tutti quelli inutili dovevano morire, restavamo solo io e i tizi che fanno gli alcolici.”
Dopo questa dichiarazione, scoppiai a ridere senza ritegno. Ero certo che Gimli non avesse mai toccato una goccia d'alcol in vita sua, sembrava un bambino che ripete una battuta sentita in bocca a un adulto.
“D'accordo, d'accordo. Come si può dire qualcosa come fare pace?”
Gimli ci pensò su. A suo merito, ci pensò davvero.
“Uno scambio di ostaggi?”
Sospirai, scoraggiato dalla difficoltà del lavoro che avevo deciso di sobbarcarmi. Piegai la lettera ancora incompleta e la misi via. Avevo scritto abbastanza per una giornata.

Avevo riflettuto a lungo su cosa scrivere. Mi era costato molta fatica superare le resistenze e le reticenze della quercia, ma alla fine avevo ottenuto alcune informazioni chiave.
Avevi degli amici nella tua vecchia vita? Avevo chiesto alla quercia.
Oh, certo. Il circolo del bridge, tutte le sere.
Ti prego, sii serio.
Non avevo amici nel senso in cui tu intendi l'amicizia.
E allora cosa avevi?
La quercia non aveva risposto.
Daren, chi è Antrar?
Ancora nessuna risposta. Poi, dopo un lungo momento:
Ho capito chi intendi, anche se la tua pronuncia è pessima. Dove hai sentito questo nome?
Decisi di vuotare il sacco:
È per colpa sua se sei sparito.
Raccontai, romanzando un po' la realtà. Non era un tuo vecchio amico?
Non nel modo in cui tu intendi l'amicizia.
E che diavolo! Sbottai e gli gridai contro. Non mi interessa in che modo fosse tuo amico, parlami di lui e basta!
Johel. Mi disse infine, usando per la prima volta il mio soprannome. Non so cosa sia successo in questi anni in cui ero vivo, ma non mi ci vedo ad essermi unito a quelli. Sono nemici del mio culto e sono persone malvagie. Anche il mio vecchio amico. Non posso aver cambiato schieramento. Non posso aver tradito quello in cui credo, o aver tradito te. Non l'ho fatto... vero?
Per la prima volta avevo percepito una punta di preoccupazione nel suo tono. Di colpo mi ricordai che la quercia conteneva i resti dell'anima di un Daren molto più giovane, che aveva trovato da poco una dimensione in cui vivere.
No. Tranquillo amico, non hai tradito nessuno. Pregai che fosse vero. Ma devo ritrovarti, quindi sii il più preciso possibile. Dimmi tutto quello che ricordi.

Con le informazioni che avevo raccolto, ero riuscito a farmi un'idea un po' più precisa del suo rapporto con quel criminale. Erano stati amici in un certo senso, nell'unico senso possibile nel loro mondo, e quell'amicizia si basava su tre cardini interdipendenti: lealtà, fiducia e segretezza. La fiducia reciproca doveva basarsi sulla lealtà, ma ogni atto di lealtà era un atto di fiducia perché non c'era mai la completa certezza che l'altro ricambiasse quella lealtà... ma fintanto che ognuno dei due continuava ad agire a beneficio dell'altro, aggrappandosi alla flebile speranza di essere contraccambiato, un simile rapporto di amicizia poteva portare grandi vantaggi a ciascuno dei due. E naturalmente questo rapporto doveva restare segreto, perché era proibito e perché avrebbe potuto essere usato contro di loro.
Daren aveva ragione: quello non era il mio concetto di amicizia. Fare dei favori a qualcuno solo perché lo si reputa la persona più vagamente affidabile nel circondario, o la persona che avrebbe meno vantaggi a tradirti, e solo allo scopo di averne dei benefici in cambio... non è quello che io chiamo amicizia. Eppure per loro era già una dimostrazione di fiducia ad altissimo rischio, una follia quasi, e la necessità di tenere segreta questa amicizia la rinforzava ancora di più perché se uno dei due fosse stato scoperto entrambi sarebbero finiti nei guai.
Potevo vagamente cominciare a capire perché Daren aveva voluto che la vita di quel soggetto venisse risparmiata; non è tipo da lasciar morire volentieri un conoscente, figuriamoci un ex-amico. Anche se non erano amici nel senso vero del termine, erano la cosa più vicina al concetto, e si erano affidati l'uno all'altro per la sopravvivenza.
Daren non desiderava tradire qualcuno che per lui era stato importante, e io non avevo il diritto di intromettermi nella sua vita privata... anche se avevo assolutamente il diritto di odiare il mio aspirante assassino.

Decisi di dirigere i miei passi verso Secomber, per cercare la sorella di Daren, Krystel. Non sapevo dove fosse lui, ma dovevo confidare nel fatto che avesse mantenuto i rapporti con la sua famiglia.
È anche la mia famiglia. Ragionai, stringendo i denti per allontanare la sensazione sgradevole e dolceamara che si accompagnava a quel pensiero. Dopotutto l'ultima figlia di Krystel è anche mia figlia. La piccola Jaylah... non la vedo da troppo tempo. Sono stato negligente con lei, sono stato un pessimo padre perché vederla mi portava alla mente ricordi troppo dolorosi. Avevo promesso che sarei stato un buon padre, presente nella sua vita, e che la differenza di razza non ci avrebbe separati.
E in un certo senso era stato così... quello che ci aveva separati era stato la lite fra me e Daren.
Vederla mi ricordava ogni giorno di lui, e mi faceva rivivere i miei dubbi sulla fiducia che gli avevo accordato. Potevo raccontare a me stesso che la differenza di razza non era stata la causa scatenante del mio allontanamento dalla mia bambina, ma la verità era che la somiglianza con sua madre e con suo zio aveva avuto un certo peso.
Ma avevo provato a restare vicino a mia figlia. Circa dieci anni prima, qualche mese prima dell'attacco al mio clan, l'avevo portata con me alla foresta di Sarenestar.
 
Io e Gimli in quel momento oziavamo su una nave in attesa di arrivare al porto di Baldur's Gate, una delle tappe del nostro viaggio verso nord, e per quel giorno avevo rinunciato a continuare a scrivere la mia lettera per Daren. Non avevo molto da fare, quindi lasciai vagare i miei pensieri attraverso le pagine della memoria.


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Capitolo 2
*** 1361 DR: Mai farsi mancare qualche flashback ***


1361 DR: Mai farsi mancare qualche flashback

Primavera 1361, da qualche parte nelle vicinanze di Secomber

“Acco! Acco, papà.”
Jaylah saltellava ai miei piedi, tendendo le braccia verso l’arco con cui mi stavo esercitando. Di solito riuscivo a tenere l’arma fuori dalla sua portata, ma stavolta mi sorprese saltando in avanti e afferrando un’estremità del mio arco. Stavo per scoccare mirando al mio bersaglio di paglia, ma riuscii a trattenere la freccia. Probabilmente si sarebbe solo infilzata a terra, ma non era il caso di rischiare.
“Tesoro, cosa ti dico sempre? Quando papà tira con l’arco, devi restare dietro e guardare. Quando sarai abbastanza grande avrai un arco tutto tuo per esercitarti.”
“Ma io sono rande!” Protestò a gran voce. “E tutti i miei ratelli e le mie sorelle fanno tante cose.”
“Perché i tuoi ratelli e le tue sorelle sono più grandi di te. Quando avevano quattro anni non tiravano con l’arco, non facevano le magie, non lavoravano alla locanda, facevano solo quello che gli diceva la mamma.”
“Ma io voio fare tante cose come loro.” Jaylah mise il broncio. Il suo musetto infantile diventava davvero adorabile quando metteva il broncio, e io non riuscivo mai a resistere alla presa che aveva su di me. Sfilai la corda dall’arco e lo poggiai a terra, chinandomi accanto a mia figlia. Le carezzai la testa con una mano, giocando con i suoi boccoli biondi. A volte non riuscivo a credere che una simile meraviglia fosse mia, la mia bambina.
“Quando sarai grande potrai fare tutto quello che fanno loro. Anzi, potrai fare tutto quello che vuoi.”
Jaylah ciondolò in silenzio per qualche momento, poi si sporse verso di me come per confidarmi un segreto.
“Tine ha ninniconno. Io l’ho vitto!” Mi raccontò, con gli occhioni verdi spalancati e luminosi come laghi d’estate.
“Quando sarai grande forse anche tu potrai avere un amico unicorno. Forse diventerai capace di chiamarlo a te.”
“Gli devo dare la pappa come le galline?” Domandò, malinterpretando il concetto di chiamare a sé. Io francamente intendevo con la magia.
“Beh, amore... forse tentare non nuoce. Secondo te, cosa piace a un unicorno?”
Jaylah ci pensò con grande impegno.
“La torta.”
Stavo per scoppiare a ridere, ma non volevo dare una delusione alla piccola.
“Perché no? A tutti piace la torta. Forse dovresti parlarne con la tua mamma. Dovrebbe insegnarti come si fa la torta.”
Jaylah mi gratificò con un immenso sorriso.
“Vado dalla mamma!” Mi annunciò, mentre correva via, verso la cucina della locanda.
Sospirai, accingendomi a riprendere il mio allenamento interrotto.
Non era una bambina impegnativa, non era viziata, era pure adorabile ma... non immaginavo che prendersi cura dei bambini fosse così stancante.

Krystel di solito cresce da sola i suoi figli. Per una ragione o per l’altra ha sempre fatto così. A volte questo non è dipeso dalla sua volontà; il suo primo marito, il padre di Duvainion, era stato ucciso in battaglia quando il loro primogenito era solo un ragazzo. Da allora, gli altri uomini con cui aveva concepito i suoi figli erano stati solo piacevoli conoscenti o amanti occasionali, e avevano avuto un ruolo davvero marginale (se non del tutto assente) nella vita della loro prole.
Però quando era rimasta incinta di un figlio mio mi ero imposto: volevo avere una parte nell’infanzia e nell’educazione del bambino. Krystel non aveva nulla in contrario; io le piacevo ed era lieta che la sua figliola più giovane avrebbe avuto anche una figura paterna.
Non siamo mai stati innamorati, ma ormai eravamo buoni amici, andavamo d’accordo su molte cose e vivere fianco a fianco ci aveva resi anche amanti. Ognuno dei due era consapevole che l’altro non cercava amore e non l’avrebbe concesso, ma ci stava bene così.
All’inizio mi ero preso l’impegno di essere un padre presente perché ricordavo la conversazione con Hilda una notte di tanti anni prima; dai suoi racconti sembrava che le fosse mancata non tanto (o non solo) una figura paterna, quanto l’idea di poter essere accettata dalla comunità di suo padre, di poter avere un posto nella sua vita, o in generale nel mondo al di fuori della casa materna.
Poi però, man mano che la gravidanza procedeva e poi quando la bambina venne al mondo, me ne affezionai velocemente e irrimediabilmente. Era mia figlia. La cosa non aveva a che vedere con i miei parenti o con la mia foresta o con il farla crescere con più fiducia verso il mondo esterno: semplicemente, quella era mia figlia e io volevo esserci per lei.

E così erano passati quattro anni dalla sua nascita, e ormai era una signorina che voleva tirare con l’arco e preparare torte per gli unicorni.
“Krystel, ti vorrei parlare.” Le annunciai quella sera.
Eravamo soli in taverna. Tutti i bambini che erano stati ospiti della locanda nei mesi precedenti erano tornati alle loro case da pochi giorni, ma la stagione non era ancora abbastanza avanzata perché la locanda avesse già dei clienti. Le figlie di Krystel si erano già ritirate per riposare, ma non il giovane Luel che sicuramente era andato a gozzovigliare e a suonare in una taverna di Secomber e ci sarebbe rimasto fino all’alba, o fino alla fine del mese per quanto era imprevedibile. La piccola Jaylah era con noi perché non riusciva ad addormentarsi senza compagnia, ma Krystel non aveva ancora avuto il tempo di metterla a letto quindi ora sonnecchiava in braccio a sua madre. Visto che ormai la bambina cominciava a diventare pesante, mi offrii di alleggerire Krystel del suo fardello. Lei mi passò la piccola con uno sguardo di gratitudine.
“Siediti pure, vado a prendere qualcosa da bere.” Mi invitò, indicando una delle sedie vuote.
Mi sedetti, con un occhio di riguardo per non svegliare la bambina.
Krystel tornò con due boccali di ippocrasso caldo, una delizia nelle sere ancora fredde di primavera.
“C’è una cosa di cui ti vorrei parlare.” Cominciai, con cautela. “Tu sai quanto mi sono affezionato a Jaylah... è la mia unica figlia e le voglio molto bene. Però sono qui da quasi sei anni e ho comunque dei doveri verso il mio popolo. E ho una famiglia nella foresta di Sarenestar, i miei genitori e tutti i loro parenti... io sono cresciuto lì, quello è il mio clan, un concetto che è quasi sinonimo di famiglia. I miei amici e i miei cugini sono quasi dei fratelli.”
“Per cui, ci lascerai?” Krystel sembrava tranquilla. Non tranquilla come se volesse sbarazzarsi di me e fosse contenta della mia decisione, ma tranquilla come se l’avesse messo in conto.
“Ecco, per la verità... questa sarà una richiesta che forse troverai assurda, e potrei accettare un rifiuto, ma vorrei che prima di dire di no tu ci pensassi davvero. Mi piacerebbe portare Jaylah nella mia foresta. Vorrei che conoscesse i suoi nonni e il popolo di suo padre.”
Il silenzio che calò fra noi fu il più pesante della mia vita.
Pensai a molte cose in quei lunghi istanti d’attesa, mentre Krystel rifletteva sorbendo con calma la sua bevanda.
“Sono piacevolmente colpita dalla tua onestà. Una persona più vile avrebbe invitato anche me, sapendo che avrei rifiutato per via dei miei impegni qui.”
“Io non... ecco, non voglio offendere la tua intelligenza. Che tuo fratello sia mio amico è un conto, ma se portassi anche te alla foresta sarebbe visto come un segno del fatto che io e te siamo una coppia, o meglio una famiglia, e non... non sarebbe facilmente accettato. Inoltre, beh, io e te non siamo una coppia.”
“No, infatti.” Krystel mi fissò da sopra la sua tazza e perdendomi in quegli occhi magnetici improvvisamente realizzai con chiarezza che era una strega, qualsiasi cosa volesse dire. Il suo sguardo mi mise a disagio.
“Sei... in collera?”
“Dovrei essere in collera perché sei stato sincero con me e perché ami nostra figlia? Naturalmente no. Ma vorrei che tu capissi quanto sia difficile per me separarmi dalla mia piccolina. Ha soltanto quattro anni, dovrei lasciare che venga trasportata per mezzo Faerûn in un viaggio che comporta dei pericoli, per poi non vederla più per... quanto tempo? Mesi, anni?” Krystel distolse lo sguardo. “Se io fossi innamorata di te mi importerebbe di avere l’approvazione del tuo popolo, ma non è così. Mi importa di Geyla. In questo momento ti parlo da madre: come verrebbe trattata?”
Agganciò nuovamente il suo sguardo al mio e questa volta lo sostenni, cercando di trasmetterle il mio sostegno e tutta l’onestà che ero disposto a mettere in gioco.
“Il fatto che la bambina sia figlia tua e nipote di un ruathar, oltre che figlia mia, certamente deporrà a suo favore. Verrà accettata come mia figlia e di sicuro tutti le vorranno bene. Ma sarò sincero, Krystel, non credo che potrà avere un ruolo. Voglio dire... se mai decidesse di vivere nella mia foresta quando sarà adulta, per un po’ o per sempre, il suo ruolo sociale sarebbe simile a quello che hanno i figli bastardi nelle società umane; mio zio Fisdril è a capo del clan Arnavel, è uno degli elfi più rispettati della foresta, ma non credo che la posizione sociale di Jaylah potrà mai beneficiare di qualche avanzamento grazie a questa parentela.”
“Personalmente non mi interessano queste cose, e se dovessero importare a lei quando sarà grande, sarà un problema che dovrà affrontare. Per il momento mi basta sapere che la bambina sarebbe ben accetta.”
“Questo sicuramente. Sarebbe amata.”
Krystel annuì, abbassando lo sguardo.
“Sei stato onesto con me, quindi io lo sarò con te. Ci sono giorni in cui vorrei essere capace di dare qualcosa di più ai miei figli. Ma con Geyla è più facile, perché ha anche un padre che la ama, non soltanto me. Desidero che conosca il tuo popolo. Tu di certo puoi insegnarle ad essere un’elfa molto meglio di come farei io. Trovo giusto che abbia l’occasione di conoscere almenò l’eredità culturale di suo padre.”
Rimasi a guardarla ammirato, per forse un intero minuto. Già la stimavo come amante, come donna e come madre, ma in quel momento mi resi conto che c’era qualcosa di più in lei. Stava facendo un sacrificio, rinunciando a vedere la sua figlia più piccola per chissà quanto tempo, solo per poterle dare una migliore possibilità di vita.
“Ti è pesato?” Le domandai d’impulso, prima di potermene pentire.
Krystel mi guardò senza comprendere.
“Voglio dire... crescere senza radici. Ti è pesato?”
Mi sembrò di vedere un velo di tristezza nei suoi occhi, ma fu solo per un momento.
“Ho trovato le mie radici quando sono diventata una strega. Avere una maestra che m’insegnasse... non solo mi ha dato uno scopo nella vita, ma mi ha resa parte di qualcosa di più grande. Io ho ricevuto gli insegnamenti e ho avuto in eredità il territorio di Hilda Sethamelc, la vecchia Strega della Palude. Ho fatto il mio dovere prendendomi cura di quel territorio per anni, e infine ho addestrato a mia volta Merrique, che è diventata la nuova Strega della Palude dopo di me. Ora continuo a mettere in pratica gli insegnamenti della mia vecchia maestra e a trasmetterli alle nuove generazioni. Questa è la mia Tradizione, Johel. Questa è la mia famiglia.”
“E... non ti basta trasmettere questo alle tue figlie?”
Krystel sorrise ancora, ma era un sorriso un po’ triste.
“La vocazione non si trasmette con il sangue. Non necessariamente. Guarda i miei figli... alcuni di loro hanno scelto di seguire il mio percorso, ma non tutti; un figlio della foresta, una commerciante, una guaritrice, un’avventuriera, un bardo, e di Kore poi non ho notizie da anni... alcuni di loro hanno appreso la mia arte ma la applicano in forme diverse. Questo è un cammino che si deve scegliere, e voglio che Geyla possa scegliere. Io ho avuto una grandissima fortuna perché questa poi si è rivelata la strada giusta per me, ma quando l’ho intrapresa non avevo scelta.”
 
Presi accordi con Krystel perché abituasse la bambina all’idea, e con il mio amico perché mi accompagnasse: volevo un viaggio sicuro per Jaylah. Avremmo camminato per mesi, ma in quei mesi non le doveva essere torto nemmeno un capello. Avrei infilzato con le mie frecce qualunque tizio sospetto che si azzardasse a guardare nella nostra generica direzione.

Estate 1361, foresta di Sarenestar

“Fermi! Dichiarate nomi e intenzioni!” Ci intimò una voce maschile, da un punto imprecisato sopra di noi. In quel punto la foresta era piuttosto fitta e creava una strana eco, difficile dire da dove venisse la voce.
“Siamo noi, Johlariel e Daren” risposi all’aria, senza ancora vedere chi ci avesse fermati. La voce però mi era familiare. “La nostra intenzione è tornare a casa.”
“Io sono Geyla e cerco un inniconno!” La bimba fece sentire la sua voce senza paura, gridando all’aria come me. La sua risata infantile e cristallina seguì le sue parole.
Stavo cercando di insegnarle che ninniconno sono due parole, un unicorno, e stavamo facendo progressi.
Un elfo piuttosto alto e robusto si calò da un albero atterrando davanti a noi. Lo riconobbi: era un nostro vecchio amico, Raerlan. Se non fossero bastati i suoi insoliti occhi dorati a rivelarmi la sua identità, ebbene solo lui in tutti i reami amava indossare ridicoli cappelli di foggia umana.
Jaylah lanciò un gridolino di sorpresa. Era il primo elfo che vedeva oltre a me.
“Johlariel e Daren? Questi nomi mi dicono qualcosa...” finse di non ricordare, poggiandosi il mento su una mano. “Un tempo vivevano qui un Johlariel e un Daren, ma sono spariti da così tanto tempo da essere stati quasi dimenticati.”
“Oh oh oh. Lo so, siamo stati via qualche anno. Non serve fare il sarcastico.” Mi sistemai meglio Jaylah in braccio, perché ormai diventava sempre più pesante.
Raerlan passò lo sguardo da me alla bambina, poi a Daren.
“Ma quanto siete carini. Ho sempre saputo che c’era qualcosa di non detto, fra voi. Sono felice che abbiate deciso di dichiararvi a tutti.”
“Come prego?” Domandò il mio amico, e dal suo tono Raerlan avrebbe dovuto capire quando fermarsi.
“Toglietemi questa curiosità, chi di voi due si è trasmutato in donna per più di nove mesi?”
Buttai gli occhi al cielo, sbuffando. Non ero nello spirito di stare ai suoi scherzi.
“Questa bambina è figlia mia e della sorella di Daren.” Spiegai, in tono piatto.
“Raerlan, sei un alicorn.” Intervenne Daren, che a quanto pare aveva meno pazienza di me. “Non mi sembri nella posizione di questionare la sessualità altrui, dal momento che uno dei tuoi genitori era un elfo e l’altro un unicorno. Toglimi questa curiosità. Tuo padre aveva un fetish equino? Oppure è stata tua madre che, con un complicato sistema di corde e leve...”
“Trasmutazione!” sbottò, alzando le braccia. “Tutti sempre con questa domanda! Semplice trasmutazione, per l’amor degli Dei.”
Jaylah scambiò il suo alzare le braccia al cielo come un segno di festeggiamento, quindi lo imitò gridando “Ninniconno!” con un gran sorriso.
Daren scoppiò a ridere senza vergogna.


           

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Capitolo 3
*** 1372 DR: C'è posta per me ***


1372 DR: C’è posta per me

In quei giorni di navigazione mi concessi di perdermi nei ricordi di quel periodo felice di più di un decennio prima. Era dolce ripensare a come la mia famiglia avesse accolto mia figlia, al tempo che avevamo passato insieme. Ma la dolcezza nascondeva un’ombra di rimpianto e senso di colpa per come mi ero comportato con lei dopo l’attacco e la mia lite con Daren.

Hammer 1362, foresta di Sarenestar

“Vuoi che quel mostro se ne vada da qui sulle sue gambe? Dopo che ha cercato di uccidermi?”
Ripetei la straordinaria richiesta di Daren, senza capire.
“Non è riuscito a completare il suo incantesimo, era nelle retrovie, non ha ucciso nessuno...”
“Non ha ucciso nessuno oggi.” Ribattei con amarezza. “E solo perché tu glie l’hai impedito. Eppure lo lasceresti andare! Perché? Che cosa significa tutto questo?”
Avevo paura di sentirglielo dire. Pregai che non lo dicesse.
Invece lo disse.
“Un tempo io e An’drar... eravamo amici.”

Alcuni minuti (e molte parole che non voglio ricordare) dopo...

“Molto bene allora.” Conclusi con voce gelida. “Se lui se ne andrà te ne andrai anche tu. Fuori da questa foresta. Fuori dalla mia vita! Se per te è così importante prendere le parti di un assassino, lasciarlo libero di fare ancora del male, allora non sei una persona di cui voglio essere amico.”
“Saresti stato in grado di difenderti da An’drar anche senza che lo fermassi io, da solo non è una minaccia per te e nemmeno per il tuo clan. Ma il punto non è An’drar! Il punto è che non ti fidi di me! Non ti fidi della mia amicizia, anche se lo hai sempre fatto anche quando non aveva nessun senso farlo. Quale diavolo è il tuo problema ora?”
“Stai difendendo un nemico del mio popolo, non credo di essere io a doverti delle spiegazioni. Ti rinnovo la mia offerta: prendi le tue cose, prendi il tuo amico e vattene ora, prima che chiami aiuto e che tutto il mio clan sappia del tuo tradimento.”
Daren spalancò gli occhi e mi guardò come se lo avessi schiaffeggiato.
Avevo parlato sulla spinta della rabbia, ma il silenzio che calò all’improvviso mi fece capire che mi ero spinto troppo in là. La mia intenzione era dargli un ultimatum, metterlo davanti a una scelta come o lui o il nostro clan. Volevo costringerlo a scegliere sapendo che avrebbe scelto noi, anche se quello era un suo vecchio amico ormai non avevano più nulla in comune e io lo sapevo. Ma accusandolo di averci tradito avevo spinto le cose ben oltre quel punto, e ora non avevo più alcun controllo sulle conseguenze di quello che avevo detto.
Accusandolo di averci tradito gli avevo detto che non c’era più un noi da scegliere. Lo avevo reso un reietto.
“Molto bene.” Disse infine, a bocca stretta. “Me ne andrò subito. Devo portare via anche Jaylah? La sua vista ti darà gli incubi?”
Volevo rimangiarmi le mie parole, volevo fermarlo, ma il suo sarcarmo mi fece infuriare.
“No. Jaylah è mia figlia.” Non era giusto che mi accusasse di razzismo, non dopo che ero stato il primo in questo mondo a fidarmi di lui nonostante tutto quello che mi avevano sempre insegnato. “Non accusare me per le conseguenze del tuo comportamento!”
“Allora tienila finché non ti sarai stancato di giocare a fare il padre magnanimo, e non preoccuparti di potermi ancora incontrare: non andrò a stare da mia sorella.”
Estrasse dalla tasca la pietra che Krystel aveva incantato per lui e che faceva il paio con la mia, in modo che potessimo comunicare magicamente a distanza. La lanciò ai miei piedi con sdegno. Poi fece per togliersi dalle spalle l’arco che il mio clan gli aveva donato dopo averlo nominato Ruathar.
“Quello tienilo.” Lo fermai, con un groppo in gola.
“Ma come, sono un traditore...”
Una parte di me voleva smentire le sue parole, ma ero ancora troppo in collera.
“Tienilo, ti ricorderà le persone che si sono fidate di te. Forse questo ti farà tornare in te.”
“Sono perfettamente in me.” Affermò, ma decise di lasciare l’arco al suo posto. Ne fui sollevato.

Se ne andò, liberando la nostra foresta dalla sgradita presenza del suo vecchio amico. Ma io non riuscii ad onorare la mia promessa; i miei sentimenti per Jaylah non sarebbero mai cambiati, nemmeno dopo quella notte, ma il mio comportamento sì.
La bambina non aveva idea di cosa fosse successo e decisi che doveva continuare a non sapere; l’attacco era stato sventato prima che raggiungesse la città protetta di Myth Dyraalis dove viveva insieme a mia madre. Era stata una benedizione che in quel momento fossero lì, mia madre era incinta e voleva portare a termine la gravidanza in città, dove c’erano dei chierici che avrebbero potuto aiutarla in caso di bisogno. Quindi negli ultimi mesi non era proprio mai uscita da Myth Dyraalis, e Jaylah era affidata alle sue cure.
Purtroppo mi accorsi presto che vedere Jaylah mi faceva soffrire. Non mi dava gli incubi, come Daren aveva previsto con cattiveria, ma mi ricordava lui e pensare al nostro recente litigio faceva troppo male. La amavo, era tutta la mia vita, eppure non riuscivo a guardarla senza provare sentimenti contrastanti. Inoltre la piccola aveva notato la sua assenza e cominciava anche a chiedere di sua madre. Anche quel pensiero era doloroso. Temevo che avendo tagliato i ponti con Daren anche la sua famiglia ormai mi fosse preclusa. Forse non da Krystel, ma dal mio stesso disagio.

Poche settimane dopo mi misi in viaggio per riportare Jaylah a casa. E mi vergogno ad ammettere che negli anni successivi, anche se avevo promesso di essere un padre presente, andai a trovarla meno spesso di quanto avrei dovuto, anche se lasciai a lei la pietra magica di Daren.
Riuscimmo a tenerci in contatto in quel modo, perché non avrei sopportato di tagliare i ponti con la mia preziosissima bambina, ma nonostante questo mi sentivo un padre indegno e le mie scuse sull'essere molto occupato potevano reggere solo fino a un certo punto.

Estate 1372, vicinanze di Secomber
 
Krystel non era alla locanda. Per il resto, era tutto come lo avevo lasciato dopo la mia ultima visita, circa tre anni prima.
La sua famiglia era sempre felice di vedermi, soprattutto mia figlia (cosa che mi faceva sentire una persona orribile), e Daren aveva tenuto fede alla sua promessa: non si era mai fatto trovare lì. Ma questa volta non ero animato dal desiderio di evitarlo.
“Non so con esattezza dove sia lo zio” mi rispose Jaylah quando gli ebbi spiegato le mie intenzioni. “Non me lo ha mai spiegato bene, ma forse una delle mie sorelle lo sa.”
“E tua madre?”
Jaylah si strinse nelle spalle.
“Alcuni mesi fa Amber ha mandato un messaggio di allarme perché Tek si era ferito.”
Dovetti fare un attimo mente locale per ricordare che Tek era il figlio che Krystel aveva adottato circa una quarantina di anni prima. L’avevo visto pochissimo negli anni perché era spesso lontano da casa insieme ad Amber.
“Quindi è andata ad aiutarlo? Mesi fa?”
Jaylah si strinse di nuovo nelle spalle. “Si è trattenuta lì per un po’. Dovrebbe tornare a breve.”
“Chiederò alle tue sorelle. Ti ringrazio. Ma se dovessi andare a cercare Daren, qualcuno potrebbe tenere qui questo cucciolo di gnoll?”
Gimli mi guardò con sufficienza e scelse quel momento per cominciare a rosicchiare la gamba di un tavolo.
“Ehm... si sta facendo i dentini?” Domandò Jaylah, studiando la strana creatura.
“Non credo.” Lo guardai con stupore. Questo comportamento era una novità. “Secondo me fa così solo perché è uno stronzo che vuole attenzioni.”
 
Nonostante Krystel abbia a mio parere un milione di figli, soltanto Tinefein e Jaylah vivevano ancora alla locanda. Hilda viveva a Secomber, ma non avevo voglia di rifare quella strada forse per niente.
Parlando con Tinefein scoprii che non sapeva con precisione dove fosse Daren ma c’era una persona che comunicava con lui ogni tanto. Un mugnaio che viveva a Goldenfields, di nome Grim Everwood. Ogni tanto recapitava loro delle lettere o dei pacchetti da parte del nostro comune amico.
Goldenfields non era eccessivamente lontana da Secomber. Inoltre conoscevo quell’uomo, Grim Everwood. Quando era solo un ragazzo il suo villaggio era stato attaccato da una banda di hobgoblin e lui era riuscito a fuggire, io e Daren lo avevamo trovato che scappava muovendosi a caso in una foresta inseguito da una pattuglia di goblinoidi ululanti che avevano voglia di giocare. Però non si erano dimostrati altrettanto entusiasti di giocare con noi. Incoerenti.
Grim aveva viaggiato con noi per qualche settimana finché non avevamo trovato un insediamento umano dove un mugnaio senza figli cercava un ragazzo a cui insegnare il mestiere. Non credo che quel luogo fosse Goldenfields, ma forse ci si era trasferito in seguito.
Ero abbastanza certo che fosse la stessa persona, quanti mugnai umani avrebbero dato credito a Daren?
 
Arrivai a Goldenfields in una dozzina di giorni di cammino.
Grim era invecchiato. Erano passati circa quindici anni da quando l’avevamo aiutato e ora probabilmente ne aveva quasi trenta, ma il lavoro pesante del mugnaio lo aveva logorato prima del tempo. Però aveva una famigliola felice con una moglie e una quantità di marmocchi.
Fu molto felice di rivedermi e ci tenne a presentarmi tutta la sua famiglia. Io ero un po’ a disagio perché non mi ero mai fatto vedere negli ultimi quindici anni, per noi elfi le lunghe assenze sono normali (non sono considerate lunghe, più che altro), ma essere costretto a prendere atto della brevità della vita umana mi fece sentire un insensibile. Una parte di me sapeva che non cerco mai volontariamente l’amicizia degli umani proprio perché odio vederli invecchiare e morire così in fretta, mi da sempre l’idea di non aver passato abbastanza tempo con loro e questo mi fa sentire in colpa.
“Daren? Sì, ogni tanto lo vedo. Gli vendo un po’ della mia farina. La vuole super fine, non so perché.” Mi raccontò, mentre mi offriva un boccale di birra. E non era nemmeno male come birra.
“Farina?”
Grim si strinse nelle spalle.
“Già. Quando vado a Waterdeep per il commercio, cosa che succede ogni tre mesi, ci incontriamo sul Monte Waterdeep. Mi paga molto bene, a volte gli porto anche altre cose.”
“E... come sta?”
Grim mi guardò con espressione neutra. “Chi può saperlo? Con me è amichevole, ma non mi racconta niente. Non sembra né felice né triste.”
Non era una vera risposta. Come ogni drow, è capace di rendersi illeggibile, soprattutto agli occhi disattenti di un umano.
Lasciai a Grim la lettera che avevo scritto per Daren, con istruzioni di consegnargliela quando l’avesse visto. Il suo prossimo viaggio per Waterdeep avrebbe dovuto avere luogo circa un mese dopo.
 
Quando tornai alla locanda, Krystel era già di ritorno e sembrava essere l’unica che riusciva a gestire Gimli. Forse per la sua abitudine a trattare con i bambini, forse perché Gimli aveva assimilato i ricordi di Daren quando aveva mangiato una ghianda della quercia benedetta e quindi aveva ereditato anche il rispetto innato che l'elfo scuro aveva per l’autorità di sua sorella. Sia come sia, lei era riuscita in qualche modo a renderlo meno selvatico, e nei mesi successivi il cucciolo imparò anche a distinguere meglio fra le varie lingue che aveva appreso in modo improvviso.
“Johel, quando sarò grande devo fare quello che faceva Daren?” Mi domandò un giorno. Era una cosa su cui anch’io mi ero interrogato spesso.
“Non credo, secondo me sei libero di fare quello che vuoi.”
“Ma è come se il suo passato è il mio passato.” Protestò, inciampando un po’ nella lingua comune. “Io non riesco nemmeno a distinguere cosa sono io e cosa è lui. Ricordo le cose che gli sono successe ed è come se sono successe a me.”
Il suo modo di parlare mi indisponeva come lo stridio delle unghie su una lavagna, ma cercai di lasciar correre.
“Ma sei ancora un cucciolo e la tua vita è quello che ti succederà da ora in avanti. Quando sarai grande, le tue decisioni saranno influenzate da tutto quello che sei. I ricordi di Daren e i tuoi.”
Gimli mi guardò storcendo il tartufino.
“Gli elfi parlano strano.” Latrò, scuotendo la testa. “Io non voglio dover diventare per forza come Daren perché voglio scegliere io. Però non voglio neanche essere uno gnoll normale.”
“Ah, tranquillo.” Gli diedi un paio di pacche sulla testa. “Questo non è proprio un pericolo.”
 
Mi mossi nuovamente verso Goldenfields quando calcolai che Grim potesse essere sulla via del ritorno. Arrivai al suo mulino qualche giorno dopo di lui.
C’era una lettera per me.
Con mani tremanti, l’aprii.
 
Era la mia lettera. Era la mia lettera che gli avevo scritto sia nella mia lingua che nella sua, in segno di buona volontà e di apertura. Gli avevo scritto che ero pronto a rivedere le mie posizioni, che riconoscevo almeno in parte le sue ragioni e che mi sarei fermato da Krystel almeno fino all’inverno.
Daren si era limitato a correggere tutti i miei errori ortografici e sintattici (ed erano tanti). Mi chiesi se fosse un segnale positivo o negativo. Forse un tempo l’avrei saputo.
Una parte di me aveva sperato in una risposta più chiara, ma sapevo che se avesse voluto comunicarmi una chiusura totale non avrebbe risposto affatto.
“Mi ha lasciato un altro messaggio per te.” Mi disse Grim, torcendosi le mani. “Non ti arrabbiare, io riporto solo le sue esatte parole. Ha detto dì a quello stupido biondino abbraccia-alberi che arrivo quando lil vith mi pare.

Oh. Bene. Allora era probabilmente un segnale positivo.


           

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Capitolo 4
*** 1372 DR: L’altra mia tomba è un dungeon della morte ***


1372 DR: L’altra mia tomba è un dungeon della morte

Arrivo quando mi pare, aveva detto, e quando gli pare si rivelò essere la metà del mese di Eleint, pochi giorni prima dell’Equinozio d’autunno.
Era quasi il tramonto, avevo aiutato Krystel a travasare la birra e ora mi stavo godendo una parentesi di ozio seduto sulle mura che proteggevano il lato occidentale della locanda.
Quelle mura avrebbero avuto bisogno di un po’ di manutenzione, in alcuni punti erano coperte di edera e le crepe fra le pietre cominciavano ad allargarsi. Forse Krystel non se ne preoccupava, non erano vere mura difensive dopotutto, servivano solo a segnare i confini.
Mentre consideravo questi dettagli privi di importanza, cominciai a rendermi conto che la temperatura era calata. All’inizio lo attribuii solo al sole che stava tramontando, ma poi mi resi conto che si stava formando una patina di brina sulle foglie dell’edera. Quel freddo repentino aveva un sentore innaturale, e all’improvviso riconobbi la sensazione.
Mi voltai di scatto, rischiando quasi di volare giù dal muro; Daren era tornato. Era tornato, ed era nuovamente un fantasma.

Rimasi a fissarlo in silenzio per alcuni lunghi momenti, e lui ricambiò sia lo sguardo che il silenzio. Era come se ci vedessimo per la prima volta, ci stavamo studiando a vicenda.
Alla fine scesi dal muro e mossi qualche passo verso di lui. Non si allontanò, sperai che fosse un segnale positivo.
“Sei morto di nuovo.” Considerai.
Lui annuì, ancora in silenzio.
“E... quando?”
Avevo un groppo in gola. Sapevo che i morti fanno fatica a mutare le loro idee, e questo avrebbe reso molto più difficile un’eventuale riconciliazione.
“Capisco cosa stai pensando. Ma sono morto di recente, alcuni giorni dopo aver letto la tua lettera.” Tacque per un momento, come se stesse raccogliendo le idee oppure il coraggio. “Sono molto lieto di essere morto dopo aver recuperato la speranza che potessimo tornare amici. Gli ultimi dieci anni sono stati... io sono stato... non mi piacerebbe essere cristallizzato in quello stato d’animo.” Concluse a fatica.

Avrei voluto dirgli tante cose. Che ero pronto ad ascoltare il suo punto di vista, che avevo sentito la sua mancanza, che lo consideravo ancora un amico, ma tutto quello che mi uscì fu “Mi dispiace.”
Daren accolse la mia dichiarazione con altro silenzio.
“A me no.” Mormorò alla fine.
“A te no... cosa?”
“Quello che è successo quel giorno.” Per la prima volta mi guardò negli occhi. “Sai che sono facile al senso di colpa. Ma non mi sono mai pentito della decisione che ho preso quel giorno. Mi dispiace Johel, non ti chiederò scusa. Per tutti questi anni sono sempre stato pronto a riconciliarmi con te se tu l’avessi voluto, ma non provo rimorso per le mie scelte. Sei tu che hai litigato con me, non io che ho litigato con te.”
“Abbiamo già litigato per quel particolare motivo e non intendo tornarci su ora.” Lo fermai. “Sai che non capisco e non capirò mai completamente la tua decisione, ma se hai scelto di prendere le parti di un tuo vecchio amico anche se ormai avevate preso strade diverse... e io so che avevate preso strade diverse, non ho mai dubitato di questo... allora la tua scelta mi dice solo una cosa di te: che sei un amico leale. Che sei fedele ai tuoi sentimenti anche quando cozzano con i tuoi princìpi. E chiunque sarebbe fortunato ad avere un amico come te.” Deglutii per cercare di sciogliere il nodo che mi sentivo in gola. “Mi dispiace di non aver visto le cose sotto questa luce, dieci anni fa.”
“Johel, io... maledizione.” Mormorò Daren, distogliendo lo sguardo. “Perché devi essere sempre così... così?”
“Così come?”
Così che mi fai desiderare di essere la parte migliore di me.” Quelle parole mi commossero, ma non lo interruppi. “Solo che non sono più certo di volerlo essere. Questi anni mi hanno dato modo di riflettere... su di me e su di noi. Il punto è che io sono diverso da come mi hai sempre visto. O meglio, sono così, ma sono anche... altro. Ricordi cosa mi chiedesti all’inizio della nostra conoscenza?”
“Uhm, ti ho chiesto un sacco di cose, soprattutto se intendevi uccidermi.”
Questo gli strappò un tiepido sorriso.
“No, dopo che avevi deciso di prenderti un po’ di confidenza. Mi chiedesti perchè insulto sempre la gente.”
“Oh. Sì, me lo ricordo. La tua risposta è stata che gli insulti erano la migliore alternativa per dare sfogo ai tuoi istinti omicidi.”
Il suo sorriso assunse una piega un po’ triste.
“Esatto. E negli anni successivi forse hai pensato che io fossi cambiato, ma non è proprio così. Ho solo cercato di essere la parte migliore di me stesso, perché tu mi avevi concesso l’impossibile, la tua amicizia e la tua fiducia, e io non volevo deluderti. Ma tutti questi anni in cui ho vissuto nella tua foresta o in queste terre, la mia vita è stata come... non una menzogna, ma una mezza verità. Io sono peggiore di come tu mi ricordi. Sono più brusco, meno paziente, e discretamente più violento. Quando un bambino stupido salta fra i rami di un albero, una persona buona ha due modi per affrontare il problema: tendere una rete di sicurezza oppure prendere a schiaffi il fottuto bambino finché non gli passa ogni voglia di fare il coglione. Io mi sono accorto di essere stufo di tendere reti di sicurezza. Non è nella mia vera natura.”
Per il sacro arco di Corellon, vuoi dire che fin’ora sei stato gentile e amabile? Pensai, ma evitai accuratamente di dirlo. Probabilmente era stato più gentile di quanto fosse portato ad essere.
“In questi dieci anni ho vissuto nel reticolo di gallerie che si estende sotto Waterdeep, fino alla città sotterranea di Skullport. Quel luogo è... simile a me. Un luogo di luci e ombre, in realtà più che altro ombre. Ma io ho bisogno di un posto del genere. Un luogo pregno di malvagità, dove le poche persone decenti hanno bisogno di gente come me. Gente che sia disposta a difenderle ma non a farci amicizia. Ho bisogno di avere intorno persone che badano alla sostanza e non alla forma, persone che si rendono conto che se dai loro uno spintone per salvarle da una trappola mortale la risposta corretta è starò più attento e non che cazzo spingi. Questo mondo fantastico in cui tu vivi non ha bisogno di un vecchio scorbutico che ama la vita ma odia la gente, questo mondo ha bisogno di eroi senza macchia in armature scintillanti, o guaritori dal cuore tenero come Lólindir, persone che in altri contesti sarebbero schiacciate o sfruttate per queste loro virtù. Io ho, e avrò sempre, un piede nell’ombra. Sono capace di scendere a compromessi che ti rivolterebbero lo stomaco.”
“Ma per una giusta causa, se ti conosco almeno un po’.”
“Certo, ma che importanza ha?” Si portò una mano alla fronte in un gesto di frustrazione. “Io ho delle scelte terribili con cui convivere. Non più tardi di qualche settimana fa, ho coinvolto alcuni miei amici in una missione che li avrebbe uccisi, tutto per salvare una persona che per me era importante ma che nemmeno conoscevo davvero. Una persona che per me era un simbolo, quindi è stata una scelta profondamente egoista, nemmeno dettata dall’amore ma solo da un testardo attaccamento. Ho preso cinque persone che desideravano morire in modo eroico combattendo il Male, e le ho trascinate in una città di non-morti. Ed erano miei amici! Persone che sono state di consolazione per me in questi anni in cui tu avevi ritirato la tua offerta di amicizia e mi avevi quasi convinto di non valere la fiducia di nessuno. E sai che c’è? Che in effetti non la valgo!”
Aveva cominciato a gesticolare, come fa quando è nervoso, ma non mi lasciai fermare dal suo stato mentale.
“Mi stai dicendo che stai male perchè hai convinto cinque persone che volevano morire in modo eroico combattendo il Male... a morire in modo eroico combattendo il Male? Da come lo racconti sembra che fossero consapevoli della cosa.”
“Certo, lo erano, ma...”
“E questa persona che volevi salvare, ora è salva?”
“Sí, è salva.”
“E quindi non credi che ognuno abbia avuto quello che voleva?”
Daren mi guardò con rabbia e una punta di disprezzo. “Anche Saelas voleva morire attaccando un esercito duergar, ti pare che fosse sensato lasciarglielo fare? Questa volta invece mi sono approfittato di persone mentalmente instabili per i miei scopi, e la cosa più terribile è che sono felice che Nedylene sia salva e che lo rifarei, che io sia maledetto.”
“Sei già maledetto.” Gli feci notare in tono neutro.
“Vaffanculo.”
“Quante altre volte intendi maledirti?”
“Sul serio Johel, stai zitto!”
“No. Non ho attraversato mezzo Faerûn per stare zitto. Mi dispiace di averti deluso, di aver ritirato la mia offerta di amicizia e di averti chiamato traditore. Non lo pensavo davvero. Sono io che ho tradito te. Vorrei poterti dire che avresti dovuto fidarti di me, che non dovevi per forza adeguarti ai miei standard e cercare di essere il meglio che potevi essere, ma quando mi hai mostrato quello che eri io non l’ho accettato. I tuoi compromessi, il tuo avere un piede nell’ombra, non l’ho accettato e mi dispiace.” Dissi tutto d’un fiato. “Forse volevo... credere che tu fossi... che tu fossi...”
“Addomesticato?” Tentò.
“Non è quello che volevo dire.”
“No, ma ci si avvicina abbastanza. Come un animale selvatico e pericoloso, ma addomesticato.” Daren sospirò per abitudine. “Mi dispiace, ci ho provato, per decenni non mi sono reso conto che stavo mostrando solo una parte di me. Credevo davvero di poter diventare migliore, o almeno di poter agire come se lo fossi.”
“Posso imparare a conoscerti. Puoi mostrarmi come sei davvero e io posso imparare.”
“Non è detto che tu voglia essere amico del nuovo me.” Mi avvertì.
“Daren, tu sei una persona buona. Non ci sono molte persone buone a questo mondo, ancora meno sono le persone buone che sono disposte a rischiare tanto per fare ciò che è giusto. Io so che questa cosa non è cambiata, è il nocciolo di ciò che sei, non mi interessa se non sei gentile. Questo mondo non ha bisogno solo di eroi scintillanti, ha bisogno anche di persone disposte a sporcarsi le mani.”
Daren mi guardò con una certa perplessità, ma anche con una scintilla di speranza.
“Come posso mostrarti quello che sono ora?”
“Puoi cominciare raccontandomi cosa hai fatto in questi dieci anni. Tutte le tue gesta, anche quelle più turpi. Mi farò un’idea di fin dove sei disposto a spingerti.”

Passammo la notte a parlare, per aggiornarci sugli ultimi dieci anni della nostra vita. Io non avevo fatto un granchè, a parte pattugliare la mia foresta e ripulirla dai mostri, ma lui non era stato fermo un attimo. Non lo disse chiaramente, ma mentre raccontava ebbi la sensazione che negli ultimi anni fosse stato spesso sull’orlo della depressione. Lo capivo da certi dettagli, dalle cose che aveva fatto, perché più è bassa l’opinione che ha di sé, più è disposto a commettere azioni moralmente questionabili; questo mi fece sentire anche peggio.
“Quando dici contrabbando di prostitute... intendi tratta delle schiave?” Questa mi sembrava una cosa assurda, non da lui.
“Ma ti pare? No, le facevo fuggire e le portavo da qualcuno che potesse aiutarle. Di solito al mio tempio.”
“Allora non si chiama contrabbando! Si chiama... boh... salvataggio.”
“Se porti qualcosa da un luogo a un altro in modo illegale si chiama contrabbando.” Insistette.
“Una persona non è una cosa.”
“Un cadavere però è una cosa.”
Stavo bevendo una tisana calda e mi andò tutta di traverso.
“Non hai detto che erano morte!”
“Dettagli, erano destinate a tornare in vita prima che le loro anime lasciassero il Piano della Fuga. Alcune di loro non erano neanche morte davvero, avevo una pozione che simulava la morte.”
“E quelle che erano morte... le avevi uccise tu?”
“Dei, no.” Agitò una mano per scacciare quel pensiero raccapricciante. “Ma i gestori dei bordelli sapevano che mi interessavano i cadaveri freschi, quindi ogni volta che una di loro moriva..."
“Tutto questo è rivoltante.”
“Te lo avevo detto.”
“Nessuno ha mai sospettato nulla?”
“Nah. Raccontavo a tutti di essere in contatto con un necromante che mi pagava per i cadaveri freschi, ma ovviamente nessuno ci credeva, qualcuno aveva sparso la voce che fossi semplicemente un pervertito necrofilo.”
“Che schifo! Chi aveva messo in giro una calunnia simile?”
“Io.” Ammise tranquillamente. “Quando metti in piedi una scusa rispettabile e dietro di essa si nasconde un segreto necropiccante, nessuno pensa di dover indagare ulteriormente.”
Questa volta mi sfuggì una breve risata. Era così da lui.
“Ad ogni modo è contrabbando solo se ne hai un vantaggio economico.”
“Non è vero. Stai cavillando.”
“Ti dico di no.”
“Pretendo un dizionario di lingua comune!”
“Sei ubriaco?”
“Sono morto, non posso essere ubriaco.”
“Com’è che sei morto?”
La mia domanda lo prese in contropiede. Smise di protestare per i miei tentativi di sminuire le sue attività criminali e abbassò gli occhi sul piano del tavolo.
“Possiamo dire che sia stata una serie di circostanze. Stavo scortando nelle caverne un gruppo di avventurieri... facevo anche quello per arrotondare, oltre a lavorare come fattorino per un orco imbecille e al contrabbando.”
“Non era contrabbando e non era un lavoro.”
“Sí, come vuoi.” Biascicò in tono spento. “Ad ogni modo mi ero preso l’impegno di scortarli nel loro viaggio ma ad un certo punto la mia attenzione è stata catturata da una necessità più impellente. Sai, la ragazza prigioniera nella città di non-morti.”
“Sei venuto a saperlo mentre scortavi quei viaggiatori?”
“Esatto, a dire il vero l’ho incontrata. Era stata vampirizzata contro la sua volontà, e poi portata a Warlock’s Crypt.”
“Non credo di avere il piacere di conoscere quel luogo.”
“Si tratta di una fortezza circondata da incantesimi devastanti e protetta da troll, zombi, troll zombi, scheletri, pipistrelli giganti, necroelementali, un battaglione di lich, vampiri, e capitanata da un antichissimo lich netherese.” Raccontò, e più andava avanti nell’elenco più sentivo il sangue defluirmi verso i piedi. “Capirai bene che in un posto simile era meglio che ci andassi già morto.”
“E quindi hai deciso di portarti avanti col lavoro.” Sussurrai.
“Sì, ma come dicevo è stata una felice coincidenza di eventi. Il gruppo di avventurieri con cui giravo voleva uccidermi, e io volevo interrompere il contratto con loro il prima possibile. Viene universalmente accettata la premessa che se qualcuno ti uccide non sei più legato da alcun obbligo morale o professionale nei suoi confronti.” Lo disse in tono del tutto privo di inflessione.
“Volevano ucciderti? Perché? Qualcuno li aveva pagati?”
Daren scrollò le spalle. “Nah... non credo. Solo che per alcune persone avere un motivo per uccidere non è sufficiente, per altre invece non è necessario.”
“Non credo di capire.”
“La mia teoria è che io non gli piacessi. Un giorno mi hanno attaccato e mi hanno ucciso, cosa che come ti dicevo mi stava bene. Mi sono difeso e ho fatto un po’ di scena ovviamente, ma alla fine chi se ne importa, la gente vede quello che vuole vedere.”
“Cioè, li hai lasciati fare e basta?”
Daren rise brevemente, come se avessi fatto una battuta. “Che altro potevo fare? Ho combattuto sulla difensiva, ma per quanto io sia bravo ero in svantaggio numerico e con il tempo sopraggiunge la stanchezza. Non potevo combattere per uccidere. Mi è concesso farlo solo contro i nemici.”
“E che diamine deve fare qualcuno per essere tuo nemico?” Insistetti con una vena di sarcasmo.
“Johel, decido io chi è mio nemico. Non mi lascio condizionare dalle decisioni degli altri. Non sono una banderuola, e chi mi odia non ha tanto potere su di me, né tanta importanza, da farsi odiare a sua volta. Per essere mio nemico devi essere una persona malvagia che minaccia le persone a cui tengo. Se portassi rancore a tutti quelli che hanno cercato di uccidermi, o che ci sono riusciti...”
“Sì, sì, ho capito.” Pensai alla faccenda di Shilmista. Era vero, la gente poteva dichiararsi nemica di Daren ma non sempre lui si degnava di ricambiare. “E quindi alla fine come è andata con la città dei lich? Siete riusciti ad ammazzare il mega lich netherese della notte dei tempi?”
Sbuffò una risata incredula.
“Non è mai stato quello l’intento. Io volevo salvare Nedylene che era nelle mani di un vampiro, ma mi serviva un diversivo. Cinque eroi pazzi che vanno all’assalto di un arcimago lich mi sono sembrati una buona idea.”
“Loro sapevano che...?”
“Che li stavo usando? Sì. Ma volevano combattere il Male o morire nel tentativo, e lo hanno accettato. Anche se sapevano che era una missione suicida.”
“E lo è stata, vero?” Domandai infine, abbassando la voce.
“Certo che lo è stata.” Mi rispose in tono cupo. “Abbiamo sfoltito un po’ le fila dei servitori lich... ma Larloch ci ha scrostati dal tessuto della realtà senza neanche dover muovere entrambe le mani. Io sono tornato dopo qualche giorno perché sono un fantasma, ma loro...”
“La ragazza però si è salvata.”
“Sì. Mentre i miei amici creavano un diversivo, io e alcuni eroi inviati dal suo clan di druidi siamo entrati a liberarla. Ho tenuto impegnato il suo Sire vampiro mentre loro fuggivano. Dopo la fuga è riuscita anche a tornare viva. La mia Nedylene.” Il suo sguardo si perse nel buio fuori dalla finestra, vagando dietro alle ombre. “Lei è stata la prima, tanti anni fa. La prima persona a cui ho salvato la vita in modo disinteressato. La bambina che ho preso con me e portato al sicuro quando ancora non avevo idea di cosa stessi facendo.” Raccontò, evitando ancora il mio sguardo. “Ma l’ho abbandonata in una foresta vicino a un clan di elfi, perché la mia Dea mi aveva detto che la tua gente ha buon cuore e non avrebbe lasciato morire una neonata. Non ho mai... avuto il coraggio di tornare a controllare. In centovent’anni non l’avevo mai cercata. Capisci, se fosse stata viva non avrebbe avuto bisogno di una persona negativa come me. Se fosse stata morta, tutte le mie certezze sarebbero crollate.”
“Almeno hai scoperto che ha avuto una vita felice. Che la tua Dea non ti ha mentito e non si è sbagliata.”
Daren tenne lo sguardo ostinatamente fisso sul tavolo.
“A proposito della tua Dea... ora hai fatto il tuo dovere nella città di non-morti. Puoi tornare in vita, no?”
Altro silenzio, stavolta più pesante.
“Non serve più che io torni in vita.” Ammise infine. “Ho fatto quello che hanno sempre voluto da me. Ho avuto una figlia. Era per questo che gli servivo. Per tramandare il mio sangue, possibilmente a una femmina.”
Quella rivelazione mi colpì come uno schiaffo. Soprattutto mi colpì il tono amaro e rassegnato con cui l’aveva detto.
“Ma... è orribile. Pensavo che fossero persone buone.”
Daren scrollò di nuovo le spalle.
“Sono persone buone, ma anche persone pragmatiche.” Tagliò corto. “E purtroppo lo sono anch’io. Per questo, per la sicurezza di mia figlia, devo stare lontano da lei e non fare parte della sua vita... ricordi, la faccenda che se le persone sbagliate cominciassero a farsi le domande giuste, eccetera. È già quasi successo una volta, ma per fortuna...” Tacque all’improvviso.
“Amico, è aberrante che ti sia impedito avere contatti con tua figlia.”
“Per la mia gente è abbastanza normale, Johel. I padri non hanno un ruolo nella vita dei figli.”
“Bene, mi sembra fantastico per consolidare i rapporti fra genitori e figli.”
“Questa è un’altra cosa che generalmente non succede.” Confermò. “Be', quantomeno la madre di Sheryn si prenderà cura di lei e la amerà, è più di quello che hanno molti altri bambini. Io comunque non sono un esempio positivo per una persona influenzabile e innocente.”
“E la cosa che è quasi successa?”
Daren sorvolò. “Non è successa. Non importa.”
Decisi di non pressarlo. Forse un giorno me l’avrebbe detto.
“Ora cosa farai, se non vuoi tornare in vita? Tornerai in quel luogo oscuro?”
“Non lo so. Dopo aver letto la tua lettera non potevo non venire a parlarti. La possibilità di... di chiarire, se non di riallacciare i contatti... era qualcosa che non potevo ignorare. Ma ora non ho ancora deciso cosa fare.”
“Rimani. Riprendiamo da dove abbiamo interrotto. Posso imparare a conoscerti, e se ci sarà qualcosa che non mi piacerà, te lo dirò subito senza covare sospetti o rancori.”
Lo vidi riflettere sulla mia proposta. Ci stava pensando seriamente.
“Posso prometterti che ci proveremo, ma non che funzionerà. Io sono quello che sono, ora che sono fantasma non riuscirei facilmente a cambiare e soprattutto non desidero farlo. Sono vecchio, e sono stanco di essere qualcosa che non sono. Ma sono anche stanco di essere infelice. Forse un giorno cercherò un luogo oscuro in cui esistere e in cui poter essere utile a qualcuno, perché resto dell’idea che sotto la luce del sole non serva accendere una candela. Però... intanto ci proveremo.”
Annuii, accettando la sua decisione. Era più di quanto avessi sperato.

           

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