Fiducia

di Shainareth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***





CAPITOLO PRIMO




«Sarebbe divertente giocarci tutti insieme», propose Rose, entusiasta all’idea di seguire il consiglio della professoressa Bustier dopo che quest’ultima era uscita dall’aula.
   In seguito all’ennesima diatriba aperta durante l’ultima ora di lezione, e che aveva coinvolto quasi tutti i ragazzi della classe, l’insegnante li aveva bruscamente riportati all’ordine con la minaccia di annullare la festa scolastica che si sarebbe tenuta di lì a due settimane in occasione di Halloween. Inoltre, essendo ormai seriamente affezionata ai suoi studenti, la donna aveva cercato di farli ragionare e di dare loro qualche dritta per migliorare i rapporti all’interno del loro gruppo; e quale modo migliore del provare a darsi fiducia a vicenda?
   «Non so… non è che mi vada molto di raccontare i fatti miei a tutti», disse Alix con aria annoiata. «Kim e Chloé potrebbero benissimo spiattellarli in giro.»
   «Ehi!» protestò lui, sentendosi accusato ingiustamente. «Credi davvero che io sia così pettegolo?» L’altra scosse le spalle, lasciandogli in risposta solo un sorrisetto enigmatico che gli fece mettere il broncio.
   «Non darle retta», intervenne distrattamente Chloé, molto più interessata a rimirarsi la manicure nuova di zecca che a cogliere le provocazioni dei suoi compagni di classe che, invero, erano d’accordo con Alix riguardo al suo essere tutt’altro che discreta. Tutti quanti ricordavano ancora con quanta cattiveria aveva condiviso il momento più imbarazzante della vita di Kim, quando questi aveva provato a dichiarare il proprio interesse per lei. E se ormai tutti erano ben disposti a credere che il ragazzo avesse imparato la lezione sulla propria pelle, non lo erano affatto riguardo a Chloé. «La verità è che ognuno di voi ha uno scheletro nell’armadio grosso quanto il mio conto in banca», stava continuando lei, tanto per dare aria alla bocca, «ecco perché vi vergognate. Ma poi… di cosa, dico io?» domandò retoricamente, alzandosi in piedi e rivolgendosi a tutta la classe, le mani sulle anche come se fosse stata il loro leader. «Insomma, lo sappiamo tutti che Ivan riesce ad esprimersi soltanto con suoni gutturali, che a Max deve ancora venire la voce da uomo o che Marinette ha un orribile gusto in fatto di moda.»
   «Sei davvero pessima, Chloé», non si trattenne a quel punto Alya, balzando in piedi e battendo le mani sul banco per il nervosismo.
   L’altra le regalò un sorriso spavaldo. «Oh, quasi mi dimenticavo di te: la quattrocchi che ha un debole per i fenomeni da baraccone», disse, facendo cenno con il capo in direzione di Marinette e poi di Nino.
   «Ma brutta…!»
   Alya fu trattenuta a stento dalla sua compagna di banco. «Calmati, è Chloé, non ne vale la pena!»
   «Visto che non sei d’accordo con questa cosa del gioco», la voce di Adrien si levò più in alto di quella degli altri ragazzi, che si erano giustamente risentiti per le solite cattiverie della figlia del sindaco, «nessuno ti trattiene qui oltre l’orario scolastico.»
   Chloé batté le lunghe ciglia, fissandolo stupita. «Adrien, caro… sul serio hai intenzione di partecipare a questa pagliacciata?»
   Lui scosse le spalle con noncuranza. «Se serve per rafforzare il mio rapporto con i nostri compagni di classe, più che volentieri.»
   «Ben detto, amico!» approvò Nino, offrendogli il pugno – che Adrien batté subito dopo con fare complice.
   «Anche se, in realtà, l’unico rapporto che non si regge in piedi è quello che tu hai con noialtri», affermò Marinette, decisa sì a non ricorrere alla violenza – fisica o verbale che fosse – ma non a rimanere in silenzio a farsi insultare da quell’oca prepotente.
   Chloé si lasciò sfuggire un verso derisorio, facendo poi scivolare lo sguardo su ognuno dei suoi compagni. La vista dell’espressione dipinta sui loro volti le diede tristemente conferma che ciò che diceva Marinette era vero: nessuno era disposto a darle credito. Perdendo di colpo ogni voglia di scherzare, la ragazza afferrò la propria borsa e, senza neanche guardare la propria compagna di banco, le ordinò: «Sabrina, portami i libri!»
   «Subito!» scattò lei, abituata com’era ad obbedirle come un bravo soldatino. Prima di correrle dietro e di lasciare l’aula, però, la ragazza esitò sulla soglia, rivolgendo agli altri uno sguardo timido, quasi a volersi chiedere se almeno per lei ci sarebbe stato posto fra loro.
   «Sabrina!» fu l’impaziente richiamo che la riportò sull’attenti, costringendola ad abbandonare ogni speranza.
   Alya diede un colpetto col gomito alla sua migliore amica. «Non credi che la rappresentante di classe debba prendere parola, a questo punto?»
   Marinette annuì e andò verso la cattedra, dove ruotò su se stessa per fronteggiare i suoi compagni anzitutto con l’intento di scusarsi per il suo comportamento. «Forse quello che ho detto prima non è stato molto carino nei confronti di Chloé, ma…»
   «Ehi», la interruppe Nino, «era la sacrosanta verità.»
   «Ha ragione», convenne Nathaniel, la cui antipatia per la figlia del sindaco non era un mistero per nessuno. «Quella ragazza è capace di far perdere la pazienza anche a un santo.»
   «E almeno metà di noi ne sa qualcosa», borbottò Juleka, akumizzata come molti di loro proprio per colpa del pessimo comportamento di Chloé.
   Rimasta con la bocca aperta, Marinette dovette arrendersi all’evidenza e sospirò. «Va bene, sì, è vero. Ma basta parlare di Chloé, ora. Pensiamo piuttosto a noi stessi: vi va di seguire il consiglio della professoressa Bustier, dandoci fiducia l’un l’altro?»
   «Oh, sì, vi prego!» ricominciò Rose, alzandosi in piedi. «Sarebbe bellissimo se non ci fossero segreti fra noi!»
   Gli altri si guardarono a vicenda, cercando di capire se era davvero il caso o meno di accettare. A ben pensarci, però, quasi tutti i loro desideri più intimi erano già stati rivelati nel momento in cui erano stati ridotti a meri burattini dal perfido Papillon, benché per fortuna non avessero alcun ricordo del male fatto.
   In verità, gli unici due ad avere qualche riserva riguardo al suggerimento della professoressa erano proprio Marinette e Adrien: e se fossero state fatte domande scomode riguardo alla loro doppia identità?
   Calma, Marinette, si disse la ragazza, facendo un respiro profondo. È impossibile che ti associno a Ladybug: sei troppo imbranata, una catastrofe ambulante.
   Adrien, d’altro canto, era troppo eccitato per preoccuparsi davvero della faccenda: da sempre abituato alla solitudine, quella era la prima volta che gli capitava di fare un gioco di quel tipo con quelli che, a conti fatti, stavano gradatamente diventando i suoi amici.
   «D’accordo», annunciò a quel punto Marinette, dal momento che nessuno sembrava aver nulla da obiettare. «In tal caso direi di cominciare.»
   «Aspetta!» esclamò Alya, balzando giù dal proprio posto per affacciarsi in corridoio e accertarsi che Chloé e Sabrina fossero davvero andate via. «Via libera», disse, chiudendo la porta per garantire a tutti maggior privacy, prima di affiancarsi alla capoclasse.
   «Rose», riprese allora quest’ultima, «dato che sembri essere la più entusiasta, fra noi, ti andrebbe di cominciare?»
   Lei sorrise e annuì. «Se vi va bene, pensavo che sarebbe carino se ognuno di noi ponesse una domanda agli altri, a patto che sia anche il primo a rispondere. E che nessuno rida, si intende.»
   «Mi sembra una buona idea. Avevi già qualcosa in mente?»
   «Una cosa un po’ sciocca, in realtà», ammise, stringendosi nelle spalle, «ma… beh, insomma, qual è il vostro idolo?»
   La classe si ammutolì. Poi Alix esternò il pensiero comune: «E fra tutte le cose scabrose che avresti potuto chiedere, te ne esci con questa scemenza?»
   Rose perse il sorriso e Marinette subito intervenne per salvare la situazione. «Ma no, ma no! Va benissimo così!» si sbracciò nel tentativo di attirare nuovamente l’attenzione su di sé. «Insomma, un passo alla volta, no? Cominciamo dalle piccole cose e poi si vedrà.»
   «Ha ragione lei», convenne Max. «È giusto procedere a piccoli passi, se vogliamo davvero guadagnarci gli uni la fiducia degli altri.»
   «Sono certa che fosse proprio questo l’intento di Rose, dico bene?» la esortò Marinette, facendole di nuovo inarcare le labbra verso l’alto. «Quindi… qual è il tuo idolo?»
   «Ma il principe Ali, ovviamente!» esclamò la ragazza, rivelando ciò che in realtà sapevano già tutti. «E il vostro?»
   Il gioco della fiducia ebbe dunque inizio, coinvolgendo via via i ragazzi, benché sulle prime molti di loro si fossero mostrati titubanti. Venne fuori che alcuni avevano diverse cose in comune e più le domande venivano fatte e le risposte venivano date, più i rapporti sembravano davvero farsi più stretti. Almeno fino a che Kim non ebbe l’infelice idea di porre il quesito più scomodo: «Avete già dato il vostro primo bacio?»
   Si levarono alcune voci di protesta, che Alya fu costretta a zittire in qualità di vice di Marinette, in quel mentre troppo impegnata a morire dentro al pensiero di dover confessare quella scomoda verità proprio davanti al suo adorato Adrien.
   «Mi rendo conto che quella di Kim è una domanda personale», stava cercando di ragionare Alya, non potendo neanche vagamente immaginare lo stato d’animo della sua migliore amica, «ma non lo erano anche le precedenti, in un certo qual modo? Su, cerchiamo di essere maturi.»
   «La fai facile, tu hai il ragazzo…» si sentì protestare da qualche parte.
   Nino s’illuminò d’orgoglio, ma Alya non si scompose. «Lo abbiamo detto prima: siamo partiti dalle sciocchezze per arrivare a confidarci segreti più importanti. Quindi, coraggio.»
   Fu così che ognuno dei presenti fu costretto a rispondere sinceramente alla domanda di Kim, non senza una certa vergogna. Quando la parola passò ad Adrien, lui abbozzò un sorriso impacciato. «Beh… no, non mi è ancora capitato di baciare qualcuno.» Quella confessione suscitò una certa meraviglia nel resto della classe, poiché era difficile credere che un ragazzo bello e famoso come lui, preda delle fantasie e dell’ammirazione di molte adolescenti, non avesse mai avuto neanche un flirt degno di nota.
   Alya sorrise, tutta contenta che la sua migliore amica potesse avere ancora la chance di essere la prima ad avere l’onore di baciare Adrien. Si volse perciò nella sua direzione con l’intento di condividere con lei quella gioia, se non che la trovò accasciata sulla cattedra, le spalle al resto della classe e un’aura nera attorno al corpo. «Ehm… Marinette?»
   «Voglio morire…» biascicò quella, con voce cavernosa, lasciandola interdetta.
   «Ehi, capoclasse!» la richiamò sull’attenti anche Kim. «Tocca a te rispondere! Sei l’unica che ancora non l’ha fatto!»
   La ragazza si lasciò andare ad un verso isterico e si accasciò sul pavimento. Alya l’afferrò per un braccio, cercando di tirarla su. «Andiamo, Marinette! Di cosa ti vergogni?»
   La faceva facile, lei, convinta com’era che le labbra della sua migliore amica fossero ancora illibate. La verità, però, era un’altra e, purtroppo, se voleva essere coerente con se stessa e con il proprio ruolo di rappresentante di classe, Marinette era tenuta ad essere sincera fino al midollo.
   Facendosi forza, si rimise lentamente in piedi e offrì di nuovo la fronte al resto della classe, senza tuttavia avere il coraggio di guardare chicchessia negli occhi – e in particolar modo Adrien. «Ecco…» pigolò morendo di vergogna. «Sì.»
   Non aspettandosi quella risposta, Alya aggrottò la fronte. « cosa?»
   «Non farmelo ripetere, dannazione!» rantolò la poveretta, alzando il capo e portandosi i pugni sugli occhi.
   «Ma cosa?!»
   «Ho già baciato qualcuno!» affermò a gran voce, preferendo togliersi il dente – e pregando che il dolore passasse altrettanto in fretta.
   «Che cosa?!» esclamò Alya, afferrandola per le spalle e sentendosi tradita: perché Marinette non si era confidata con lei al riguardo?! «Come sarebbe?! Quando?! Chi?!»
   «Perfavoreperfavoreperfavore, basta!» implorò l’altra, che aveva sperato che almeno lei potesse aiutarla anziché enfatizzare ulteriormente la cosa. «È stata un’emergenza! Non avevo scelta! Era questione di vita o di morte!»
   «Cioè… una sorta di respirazione artificiale?»
   A porre quella semplice, santa domanda, fu proprio Adrien, che senza volerlo e senza saperlo era stato proprio colui a cui una altrettanto ignara Marinette aveva dovuto dare il suo primo bacio. Era successo il giorno di San Valentino, quando Chat Noir era stato soggiogato dal potere di uno dei supercattivi di Papillon, e Ladybug aveva dovuto riportarlo dalla parte del bene grazie al potere dell’amore – e quindi di un bacio.
   «Ehm…» balbettò Marinette, vedendo ora una via di fuga che, a ben guardare, non si allontanava poi troppo dalla realtà. «Qualcosa del genere, sì.»
   «Allora non vale, come bacio», constatò Kim, il fu supercattivo di cui sopra.
   «Tanto clamore per nulla…» borbottò Alya, recuperando la calma e lanciando all’amica un’occhiataccia.
   «Sei stata davvero coraggiosa, Marinette», affermò invece Adrien. Lei arrossì, sentendo di essersi tolta un peso non indifferente dal cuore e, al contempo, di perdersi negli occhi verdi dell’amato, che ancora la stava guardando con ammirazione.
   Prima ancora che lei potesse avvedersene, gli altri erano già passati alla domanda successiva: «Chi è la persona di cui siete innamorati?»
   Marinette ebbe un nuovo collasso emotivo e di nuovo tornò a reggersi alla cattedra. «Non ce la posso fare, non ce la posso fare!» rantolava sconsolata, mentre Alya ruotava le pupille verso il soffitto e sospirava pazientemente.
   «Ragiona», le suggerì da buona amica, «sarà il modo più semplice per sapere se piaci ad Adrien o se invece hai una rivale.»
   Su questo non aveva torto, anzi; tuttavia, Alya non teneva conto anche del rovescio della medaglia: se Adrien avesse affermato che era innamorato di un’altra, lei cos’avrebbe fatto? Oltretutto, subito dopo avrebbe dovuto confessare i suoi sentimenti per lui davanti a tutti. No, davvero, non poteva farcela in alcun modo.
   E mentre cercava dentro di sé il coraggio per affrontare anche quella seconda sfida, ecco che toccò di nuovo al suo amato rispondere a quell’imbarazzante domanda. Era il momento della verità. Finalmente avrebbe saputo. Finalmente avrebbe potuto gioire o, al contrario, mettersi il cuore in pace. O forse avrebbe dovuto lottare per il suo grande amore? Sì, sì, avrebbe davvero dovuto farlo. Perché, diamine, lei amava Adrien sopra tutto e tutti. Non riusciva a concepire una vita senza di lui. Non avrebbe mai potuto rinunciare. Mai.
   «È… imbarazzate…» balbettò Adrien, massaggiandosi la nuca con aria visibilmente impacciata. Marinette lo osservava con grande attenzione, decisa non lasciarsi sfuggire il minimo dettaglio: dai movimenti del suo meraviglioso corpo al tono della sua bella voce, dalla piega delle sue invitanti labbra alla luce scintillante dei suoi favolosi occhi. Lo vide aprire di nuovo la bocca per parlare, ma dalla sua gola non uscì alcun suono. Fu spronato a rispondere una seconda volta con la promessa che nessuno lo avrebbe preso in giro, e lui, pur arrossendo, si arrese a dire la verità. «Sono innamorato di Ladybug.»
   Un tonfo sonoro seguì quell’affermazione, non lasciando a nessuno il tempo di reagire a dovere alla confessione di Adrien. Si voltarono tutti verso la cattedra e trovarono Marinette a terra, stramazzata come se fosse stata colpita dritta al cuore dal miglior cecchino del mondo.












Di solito evito di scrivere long perché non le porto quasi mai a termine, a meno che non siano composte da una manciata di capitoli. Per questa ragione ho preferito completare la presente storia prima di iniziare a postarla, quindi state pur tranquilli: la fanfiction è completa. È composta soltanto da nove capitoli, che spero possano incontrare il vostro consenso. In caso contrario, fatemi notare tutto ciò che non va, da eventuali errori e/o sviste, a problemi a livello di trama o di caratterizzazione dei personaggi (l'IC è qualcosa a cui tengo moltissimo).
La storia parte in modo molto semplice, ma andrà approfondendosi pian piano, pertanto vi prego di non lasciarvi condizionare da questo primo capitolo, molto leggero e poco dinamico.
Infine, so che in questo fandom c'è l'imbarazzo della scelta riguardo alle ship principali (quattro combinazioni diverse con due soli protagonisti... è perfetto!), perciò mi sono permessa di giocare più o meno con tutte e quattro, dando però maggior risonanza a quelle che ho ritenuto essere più utili allo svolgimento della trama.
E credo di aver detto tutto, per il momento. Attendo di sapere la vostra opinione.
Buona giornata a tutti,
Shainareth





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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***





CAPITOLO SECONDO




«Oh, mio Dio!»
   «Marinette!»
   «Che è successo?!»
   «Sta male?!»
   «Chiamate un dottore!»
  Le voci spaventate degli altri arrivavano ovattate alle sue orecchie, come se al momento lei stessa si trovasse in un’altra dimensione. Il fatto era che, presa com’era dal reprimere le proprie emozioni, Marinette non si era resa conto di essere sull’orlo di esplodere. Cosa che era effettivamente avvenuta quando Adrien aveva ammesso di essere innamorato di qualcuno. Di Ladybug. Di lei, quindi. Ma Adrien non lo sapeva. Né sapeva che lei sapeva. Che gran casino.
   «Allontanatevi, fatela respirare!» stava dicendo Alya, cercando di creare un po’ di spazio attorno all’amica, che ancora non era in grado nemmeno di riaprire gli occhi. «Marinette, mi senti?» continuava a chiamarla, dolcemente. «Cerchiamo di mantenere la calma, magari è solo un calo di zuccheri.»
   «A meno che non sia inciampata sui suoi stessi piedi», affermò il simpaticone di turno.
   «Che cattiveria…»
   «Ehi, non sarebbe la prima volta, che lo fa.»
   Non aveva tutti i torti, dovette riconoscere Marinette, riuscendo finalmente a schiudere le palpebre. La prima cosa che vide furono i volti di tutti sovrastarla dall’alto, visibilmente preoccupati per lei. I più vicini, però, erano quelli dei suoi più cari amici, e cioè Alya, che le teneva con dolcezza una mano, Nino che si trovava accanto a lei, e Adrien che la sorreggeva fra le braccia.
   Di colpo Marinette recuperò ogni singolo senso e spalancò gli occhi, lasciandosi andare ad un verso buffo e sguaiato, che suscitò il riso di qualcuno. «Sto bene!» annaspò poco dopo, sfuggendo alla presa di Adrien, che la fissò a metà fra lo stupito e il preoccupato. «Non mi sono natta fiente
   «Cos…?»
   «Mom ni noso fatta niente!»
   «Forse… è una conseguenza della caduta?» ipotizzò Nino, grattandosi il mento.
   Alya sospirò e scosse il capo. «No, sta benissimo», gli assicurò, riconoscendo chiaramente i sintomi del solito imbarazzo che la coglieva tutte le volte che le capitava di essere così vicina ad Adrien. Era strano, comunque, perché nelle ultime settimane le era parso che Marinette fosse riuscita a vincere quasi del tutto la propria timidezza nei confronti dell’amato, riuscendo a rapportarsi con lui in maniera pressoché normale. La sua confessione l’aveva sconvolta al punto da resettare ogni progresso fatto? Alya poteva capirla, ma non condivideva affatto quella reazione esagerata e non avrebbe tardato a farglielo sapere.
   «D’accordo, gente», dichiarò a gran voce, rivolgendosi alla classe. «Direi che per oggi possiamo finirla qui. Riprenderemo in un altro momento.» Visto quanto appena accaduto, nessuno obiettò. «Mi raccomando, tenete per voi i nostri segreti, ché tanto abbiamo materiale sufficiente per ricattarci a vicenda, nel caso qualcosa trapelasse al di fuori di queste mura. E, sia chiaro, semmai dovesse accadere, non esiterò ad aggiornare il blog della scuola con qualche succulenta curiosità.»
   Grazie a quella non troppo velata intimidazione, tutti si rasserenarono, certi che i loro segreti fossero in una botte di ferro: sapevano che Alya era un’amica fidata, ma sapevano anche che era capacissima di mettere in atto le proprie minacce se solo le fosse saltata la mosca al naso.
   L’aula cominciò allora gradatamente a svuotarsi proprio mentre Marinette tornava sulle proprie gambe, sorreggendosi alla cattedra. «Tutto bene?» le domandò Nino, che, come Adrien, non si era mosso dal suo fianco.
   La ragazza abbozzò un sorriso poco convincente. «Sì… sì…. io… ho… avuto un calo di zuccheri, ecco.»
   «Sicura sia stato solo quello?»
   «Ma certo!» insistette. «Insomma, mi conoscete… Sapete che faccio spesso tardi a scuola e che a volte, per arrivare prima che suoni la campanella, salto la colazione.»
   Nino aggrottò la fronte. «Hai saltato anche il pranzo?» fu l’ovvia curiosità che non trattenne, dal momento che era ormai pomeriggio.
   «Ah», balbettò Marinette, presa in contropiede. «Forse… Forse non ho mangiato a sufficienza?» azzardò, non del tutto convinta. Avvertiva ancora il cuore battere a mille, il sangue pulsare fin nelle orecchie, e la mente tutt’altro che lucida: come poteva sperare di inventarsi una scusa plausibile?
   Alya l’afferrò per un braccio. «Vieni con me, bell’addormentata», disse in tono perentorio, trascinandola con poco riguardo fuori dall’aula. «Hai bisogno di sciacquarti la faccia.»
   Marinette la seguì senza ribattere, desiderando effettivamente sparire dalla vista di Adrien per qualche minuto. Sperava di ritornare abbastanza in sé per fare mente locale e immagazzinare a dovere l’informazione che lui aveva condiviso con l’intera classe. Avrebbe dovuto essere felice di sapere che il ragazzo che le piaceva da morire aveva una cotta per lei? Sì, dannazione. E allora perché la cosa, più che riempirla di gioia, la disorientava soltanto? No, non era la botta presa nella caduta a stordirla in quel modo. Si trattava di qualcosa di molto più serio che le pesava sul cuore come un macigno.
   «Come stai?» le chiese dolcemente Alya quando finalmente erano rimaste sole nel bagno della scuola.
   Non c’era bisogno di fissare il suo riflesso allo specchio per capire quanto fosse preoccupata per lei. Marinette chiuse il rubinetto del lavandino e lasciò che le gocce d’acqua le scivolassero copiosamente via dal viso, senza curarsi di asciugarle. «Bene. Credo.»
   «Marinette…»
   «Sul serio, Alya», la interruppe, recuperando infine un po’ di carta dal distributore per tamponare l’acqua in eccesso.
   «Allora perché quella reazione esagerata?» volle sapere l’amica, non del tutto certa di poter credere alle sue parole. «Mi ero convinta che fossi svenuta per via della confessione di Adrien.»
   E così era, in effetti, ma Marinette non poteva dirle la verità. Non perché non si fidasse di lei, figurarsi; semplicemente, non poteva rivelarle la vera identità di Ladybug, e che quindi Adrien, pur non sapendolo, ricambiava i suoi sentimenti.
   «Insomma, quello di Adrien potrebbe benissimo non essere amore, sai?» stava continuando Alya, cercando di tirarle su il morale. «Stiamo parlando di Ladybug, l’eroina di Parigi. Tutti hanno una cotta per lei, persino io!»
   Marinette scoppiò a ridere. «Sul serio?»
   «In senso lato, certo», si affrettò a giustificarsi l’altra, divertendola più di prima. «Quello che sto cercando di dire», aggiunse poi, lieta di essere riuscita almeno a strapparle un sorriso, «è che quella di Adrien potrebbe essere semplice ammirazione, che lui invece sta scambiando per altro.»
   Continuando ad asciugarsi distrattamente le mani, Marinette tenne lo sguardo fisso nel vuoto per qualche attimo prima di annuire. «Credo anch’io», fu costretta ad ammettere. Anzi, ad essere onesta preferiva pensare che le cose stessero davvero in quel modo. E non perché non voleva farsi illusioni, bensì perché voleva che Adrien l’amasse come Marinette e non come Ladybug. Di una cosa, però, forse poteva almeno rallegrarsi: fisicamente doveva piacergli comunque, maschera o non maschera.
   «Meglio?» le domandò Alya, sorridendole con tenerezza.
   «Sì, grazie», rispose lei, sinceramente grata di avere un’amica tanto premurosa.
   Uscirono dal bagno una manciata di minuti dopo, ma non fecero che pochi passi poiché qualcuno era rimasto ad aspettarle accanto agli armadietti: Nino e Adrien. Non appena le videro, i due si mossero, mentre le altre si fermarono stupite.
   «Ehi… tutto bene, Marinette?»
   Alya non nascose la propria contentezza riguardo alla loro presenza e subito diede il gomito all’amica, che invece sembrava essersi imbambolata come un’idiota davanti ad Adrien. «È una buona occasione per parlare con lui, non trovi?» le suggerì Alya all’orecchio, prima di rivolgersi ai ragazzi con un sorriso vispo che era tutto un programma. «Oh, sì, Marinette adesso sta bene», prese a spiegare con la sua solita parlantina che riusciva ad intortare chiunque. «Ha solo avuto un piccolo calo di zuccheri, ma ora va molto meglio, non è vero, Marinette?»
   «Gah», rispose lei, smentendola in pieno.
   L’altra la ignorò. «Volevo accompagnarla a casa, giusto per essere sicuri che non cada di nuovo a terra come una pera matura, ma poi mi sono ricordata che proprio oggi ho un impegno inderogabile con te, Nino.»
   Quello aggrottò un sopracciglio e prese a grattarsi una guancia. «Ah… davvero?»
   «Il solito sbadato!» esclamò Alya, ridendo e arpionandolo per un braccio. «Non ti ricordi? Dobbiamo andare, si sta facendo tardi, forza!»
   «Ehi, aspetta!» fu la blanda protesta dell’altro, che però non si curò di fermarla.
   «Adrien, mi faresti il favore di accompagnare tu, Marinette?» cinguettò ancora la ragazza, prima di sparire dietro l’angolo con Nino senza neanche attendere risposta.
   Ci fu un lungo, interminabile attimo di silenzio, durante il quale Adrien cercò di capire esattamente cosa fosse successo, tanto era stata rapida Alya a raggirarli come una volpe. Batté le palpebre e tornò con i piedi per terra, riportando lo sguardo sull’amica rimasta insieme a lui. «Allora, andiamo?»
   Marinette, che era rimasta pietrificata sul posto, ebbe un sussulto e sbiancò di colpo. «C-Che…?»
   «Ti accompagno a casa», disse semplicemente Adrien, sorridendole con affetto.
   Indecisa se uccidere o ringraziare Alya per quell’occasione, la ragazza cercò di recuperare un minimo di dignità – e di colore. «M-Ma… abito a due passi da qui…»
   «Non importa, ti accompagno lo stesso», insistette lui. «Mi sentirei più tranquillo», confessò, indeciso se dirle anche il resto. Ovvero che, sotto sotto, avrebbe dovuto esserle grato per aver platealmente, e dolorosamente, distolto l’attenzione dell’intera classe dalla sua dichiarazione d’amore a Ladybug per accentrarla su di sé e sul suo calo di zuccheri. Di più, si sentiva anche in colpa per l’aver provato un sospiro di sollievo per questo. «E poi… ehm… volevo chiederti se ti andava di fare due passi nel parco, prima. Se te la senti, è ovvio.»
   Il mondo stava per finire. Fu questo il primo pensiero che invase la mente di Marinette dopo aver udito quelle parole. O forse Adrien la stava invitando fuori perché si era accorto che lei e Ladybug erano la stessa persona? No, impossibile. Se non lo aveva fatto fino a quel momento, come avrebbe potuto anche solo sospettarlo ora, di punto in bianco?
   «Ti offro qualcosa da bere. O da mangiare, se preferisci», proseguiva intanto il giovane, in attesa di una sua risposta. Sembrava ci tenesse particolarmente, a passare del tempo con lei.
   «D’accordo», accettò allora Marinette, facendogli tirare un non indifferente sospiro di sollievo. La ragazza sentiva ancora il cuore battere in petto come un tamburo e le guance in fiamme, ma adesso riusciva a ragionare in modo più o meno lucido. Parlare con Adrien era l’unica cosa da fare, su questo Alya aveva ragione. Certo non poteva dirgli come stavano davvero le cose, però poteva aiutarlo a fare maggior chiarezza con se stesso.
   Si incamminarono insieme verso l’uscita della scuola e quando videro l’auto della famiglia Agreste ferma alla fine dei gradini d’ingresso, Adrien fece cenno all’amica di aspettarlo un momento. Si avvicinò quindi a Nathalie, l’assistente di suo padre, e scambiò con lei alcune parole. La donna alzò gli occhi chiari su Marinette, squadrandola da capo e piedi e mettendola in soggezione come accadeva tutte le volte che si incontravano. Infine, tornò a rivolgersi ad Adrien e dopo un ultimo scambio di battute risalì in auto e ordinò alla guardia del corpo di allontanarsi da lì.
   Dall’alto della scalinata, Marinette seguì l’auto con lo sguardo, mentre Adrien tornava da lei per offrirle il braccio e un sorriso da batticuore. «Allora, vogliamo andare?»
   Sarebbe stata dura rimanere con i piedi per terra, si disperò la ragazza, cercando di non lasciar trasparire troppo l’ansia, mentre infilava timidamente la mano sotto al gomito del giovane e lo seguiva verso il parco lì vicino. Si fermarono solo a prendere qualcosa da bere, senza tuttavia scambiarsi altre parole, e infine sedettero insieme su una panca accanto ad un grosso albero dalle fronde folte e ombrose.
   Cadde nuovamente il silenzio, durante il quale Marinette tenne gli occhi fissi sulle proprie mani, strette nervosamente a pugno sulle ginocchia. Adrien sbirciò nella sua direzione, indeciso se parlare o meno. Alla fine lo fece. «Tu… pensi che io sia ridicolo?»
   «Eh?» balbettò lei, tornando a guardarlo con aria stupita.
   «Sai… per quella cosa che ho detto prima, in classe.»
   Adrien era imbarazzato. Soprattutto, le stava lanciando un’occhiata timida e speranzosa al contempo, quasi come se la stesse implorando per qualcosa. Il suo consenso, forse? Lo chiedeva alla persona sbagliata. Decisamente.
   Ripromettendosi di mantenere la calma e di non pensare all’assurdità della situazione, Marinette stabilì che, aiutando lui, avrebbe aiutato anche se stessa. Ne avrebbero ragionato insieme, ecco, anche se probabilmente Adrien non se ne sarebbe accorto.
   Inspirò a fondo e gli fece dono di un sorriso, tenero e comprensivo, che parve finalmente metterlo a suo agio. «No», lo rassicurò anzitutto. In seguito si sarebbe persino meravigliata del tono fermo che riuscì a dare alla sua voce nel proseguire il discorso, ma lì per lì non vi badò. «Più che altro, temo che tu sia… incauto.» Il giovane increspò appena la fronte e lei prese a spiegarsi meglio. «Non sai chi è realmente Ladybug.»
   «Non mi importa», si sentì rispondere, con risolutezza.
   «Potrebbe trattarsi di chiunque», cercò di farlo ragionare Marinette. Forse era stupida a darsi la zappa sui piedi in quel modo? Dopotutto, Adrien aveva ammesso apertamente di essere innamorato di lei – senza saperlo. Eppure… Eppure lei non poteva lasciare le cose in quel modo, e non solo per amor proprio: voleva soprattutto aiutarlo.
   «Te l’ho detto, non mi importa.»
   «E se fosse una persona orribile?»
   «Mi prendi in giro?» Adrien si lasciò scappare un risolino nervoso. «Ladybug è tutto fuorché orribile. Salva continuamente la città, mettendo a rischio la propria vita per proteggere gli altri.»
   Questo Marinette poteva concederglielo, certo. «Magari si tratta di Chloé», buttò lì, cercando di farsi venire in mente qualche esempio che potesse in qualche modo sminuire la figura dell’eroina agli occhi dell’amico. «Se lo fosse, significherebbe che sei innamorato di lei.»
   «Impossibile», fu la perentoria risposta dell’altro. «Le ho viste insieme in più di un’occasione. E poi è stata akumizzata, ricordi?»
   «Alya?»
   «Lady Wi-Fi.»
   «Mylène?»
   «Horrificator.»
   «Allora Juleka.»
   «Mi ha fatto provare l’ebrezza di camminare sui tacchi alti.» Marinette lo fissò con gli occhi sgranati e la bocca socchiusa. Imbarazzato, Adrien si portò una mano sulla nuca. «Sì, beh… aveva trasformato anche me», bofonchiò, benché sulle sue labbra aleggiasse comunque un sorriso divertito.
   «Ivan?»
   «Ora mi offendo», rise a quel punto, facendo sghignazzare anche l’amica, che a quanto pareva aveva ritrovato il buon umore.
   «Il punto è», riprese dopo un attimo lei, tornando seria, «che la tua potrebbe benissimo trattarsi di semplice ammirazione.»
   Adrien annuì, volgendo lo sguardo avanti a sé, senza fissarlo in un punto in particolare. «Ci ho pensato, cosa credi?» ribatté con un sospiro. «Ma ti assicuro che non si tratta solo di quello.» Lo sarebbe stato se lui non avesse combattuto al fianco di Ladybug ogni singola battaglia, arrivando ad avvicinarsi a lei così tanto da poterla toccare, abbracciare, poter sentire il suo odore e condividere i suoi stati d’animo più forti, le sue paure, i suoi dolori e i suoi trionfi.
   Marinette osservò attentamente il profilo del giovane, rimirando ancora una volta quei lineamenti che tanto amava e dai quali cercava, suo malgrado, di prendere le distanze. «Perdonami se sono scettica, ma finché non saprai chi si nasconde sotto quella maschera, dubit…»
   Si bloccò quando Adrien si volse di scatto nella sua direzione. «Chat Noir ti ha salvato la vita in più di un’occasione», sentenziò, passando di palo in frasca senza alcuna spiegazione. La ragazza lo fissò stranita, cercando di raccapezzarsi in quel repentino cambio d’argomento. «Non hai provato nulla, stando con lui?»
   Le sue sopracciglia si corrucciarono così tanto che era impossibile non capire quanto quella domanda la indispose. «No», fu la secca, rapida risposta che diede, spiazzando a sua volta Adrien, convinto invece di avere la sua buona dose di fascino, quando indossava la maschera.
   «No?» stentò difatti a crederci.
   «Solo perché mi ha salvato la vita, dovrei provare qualcosa per lui?» Davvero bastava così poco per abbindolare il cuore di Adrien? Fu questo che si chiese Marinette, sconvolta, senza sapere come si sentisse in realtà il giovane, che invece conosceva Ladybug molto meglio di quanto intendesse lasciar credere.
   «Certo che no!» ribatté l’altro, cominciando ad agitarsi anche lui. «È che pensavo che ti piacesse almeno un po’!» Eccolo lì, il suo lato vanesio. Aveva davvero bisogno di sentirsi accettato fino a quel punto? Evidentemente sì. Forse non lo avrebbe mai ammesso, ma avrebbe davvero avuto bisogno di uno psicologo. Di uno bravo, senza dubbio.
   Marinette sospirò. «Certo che mi piace», si arrese a spiegargli con più calma. «Chat Noir è affidabile e protettivo, come può lasciare indifferenti?» gli assicurò. «Ma non lo conosco.» Bugiarda, si disse da sola. Scacciò subito la voce della coscienza in favore di un fine superiore: aprire gli occhi ad Adrien. «Non so chi ci sia sotto quella maschera, potrebbe essere anche un… non so… un vanaglorioso farfallone a cui piace andare in giro a fare lo scemo con le ragazze», sputò d’un fiato.
   Questa lui proprio non la mandò giù. «Come ti salta in mente un’assurdità del genere?!» replicò con foga, piccato. «È un eroe!»
   «Una cosa non esclude l’altra», affermò Marinette, incrociando le braccia al petto. Era la prima volta che si trovavano così apertamente in disaccordo su qualcosa, eppure lei davvero non poteva lasciar perdere: aveva il sacrosanto dovere di salvare l’amato da un abbaglio colossale, e se fosse servito allo scopo, avrebbe persino utilizzato Chat Noir come esempio lampante.
   «Ma se ha occhi solo per Ladybug!» scappò detto ad Adrien, il cui orgoglio bruciava smisuratamente.
   La sua amica sollevò le sopracciglia, scettica. «Difendi il tuo rivale in amore, quindi?» Lui non seppe cosa rispondere e Marinette si sentì in diritto di continuare. «A Chat Noir affiderei la mia vita ad occhi chiusi», chiarì a scanso di equivoci, portandosi una mano sul petto a mo’ di giuramento, «solo che non farei la stessa cosa con il mio cuore.»
   «Perché?» pretese di sapere Adrien, cercando di capire per quale dannato motivo quella sciocca si fosse convinta di una cosa tanto orribile. Dopotutto, quante volte aveva avuto a che fare con Chat Noir? Due? Tre? Beh, di certo non erano sufficienti per inquadrarlo a dovere. Anzi, se Marinette avesse saputo la verità, si sarebbe mangiata le mani per quelle accuse ingiuste e diffamanti.
   «Perché, se anche continua a ronzare attorno a Ladybug, come dici tu», prese pazientemente a spiegare lei, «quel damerino fa il galante anche con le altre.»
   «Cosa?» Adrien non riuscì a nascondere una smorfia di disappunto: quando mai aveva fatto una cosa del genere? Poi, come un fulmine a ciel sereno, gli sovvenne il ricordo della prima volta in cui aveva fronteggiato Marinette con la maschera: le aveva fatto il baciamano, l’aveva chiamata principessa e, dopo averla afferrata per la vita con fare quasi passionale per portarla in salvo, le aveva persino sussurrato un equivoco Mi ringrazierai più tardi – o qualcosa di molto simile.
   Imprecando fra sé, si diede una manata in faccia sotto lo sguardo perplesso della ragazza che, adesso Adrien lo sapeva, non aveva tutti i torti ad aver frainteso le intenzioni di Chat Noir. La cosa più curiosa era che non si era mai comportato in quel modo con nessun’altra, a parte lei e Ladybug, e ciò gli diede in qualche modo da riflettere.
   Come se gli avesse letto nella mente, Marinette ponderò a mezza voce: «Anche se non mi pare che Chat Noir abbia mai fatto una cosa del genere con Chloé o con le altre…»
   «Magari è solo perché sei più carina…» mormorò sovrappensiero Adrien, cercando lui stesso un qualsivoglia motivo che spiegasse quel suo insolito comportamento. Certo aveva occhi solo per Ladybug, eppure doveva riconoscere di non essersi dimostrato del tutto integro – se per gioco o altro non avrebbe saputo dirlo – nei confronti di Marinette.
   Non ricevendo più segnali di vita da quest’ultima, fece scivolare lo sguardo nella sua direzione, trovandole stampato sul viso paonazzo uno di quei suoi sorrisi a trentadue denti, molto più simili a una paresi, che lo inquietò alquanto.
   «Tutto… bene?»
   «Alla grande!» esclamò lei, troppo felice per riuscire a controllare ancora le proprie emozioni o anche solo il tono della voce. E come poteva rimanere impassibile sapendo che Adrien la trovava carina?!
   Il suono di una sveglia li riportò alla realtà e il giovane recuperò il cellulare dalla borsa. «Lezione di cinese, devo andare.» Alzandosi, lanciò una nuova occhiata all’amica, che sembrava aver recuperato parte della propria lucidità. «Pensi davvero che non possa esserci amore senza conoscere l’identità dell’altra persona?»
   «Assolutamente», gli garantì lei, rimettendosi in piedi a fatica perché ancora intontita dal complimento che lui le aveva fatto.
   Adrien parve rifletterci su qualche altro istante e poi affermò con decisione: «In tal caso, non mi rimane che scoprire chi è Ladybug.»
   «Sì, è l’unica», concordò Marinette, molto più attenta ai suoi occhi verdi che alle sue parole. Si rese conto di ciò che aveva detto con un attimo di ritardo e sbiancò, portandosi le mani fra i capelli scuri. «No! Cioè! Voglio dire…!»
   «Grazie per avermi ascoltato», la interruppe Adrien, rivolgendole un sorriso affettuoso mentre si incamminava frettolosamente per tornare a casa. «E grazie soprattutto per il prezioso consiglio!»
   «No!» ripeté la ragazza, in preda al panico. «Lascia perdere il consiglio! Non è prezioso! È pessimo! Orribile!»
   «Ci vediamo domani a scuola!» gridò l’altro, ormai troppo distante per cogliere appieno le sue parole. «Fa’ attenzione mentre torni a casa!»
   «Adrien, aspetta!» Lui però non lo fece, lasciando Marinette nello sconforto più totale. «E ora cosa faccio, Tikki?!» prese a commiserarsi, lasciandosi di nuovo cadere sulla panchina, mentre il piccolo kwami faceva capolino dalla sua borsetta.
   «Devi solo fare in modo che non scopra la verità.»
   «La fai facile, tu…» biascicò la ragazza, sconsolata. «Quando Adrien mi guarda, non capisco più niente. Sono completamente alla sua mercé.»
   Tikki sorrise con dolcezza. «Puoi almeno consolarti al pensiero che lui sia innamorato del tuo alter ego e, allo stesso tempo, trovi molto carina anche te.»
   Marinette si concesse un sospiro profondo, grata all’amica per quelle parole che erano servite a calmare almeno in parte il suo cuore, che lasciò scivolare via l’ansia per tornare a palpitare d’amore. Forse aveva davvero una possibilità con Adrien.












Ed è con questo secondo capitolo che si conclude la parte introduttiva della storia. Dal prossimo si comincerà a fare sul serio, promesso.
Essendo la storia già scritta per intero, ho intenzione di non lasciar passare troppo tempo fra un aggiornamento a l'altro, quindi suppongo che per domenica dovrei riuscire a trovare il tempo per postare anche il terzo capitolo.
Prima di chiudere, ci tenevo a ringraziare tutti voi che siete ancora qui a leggere, dando così una possibilità a questa storia, ma soprattutto chi è stato così gentile da lasciare due righe al primo capitolo e chi ha già inserito la fanfiction fra quelle preferite/ricordate/seguite. Davvero, mi rendete felice. ♥
Buona giornata!
Shainareth





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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***





CAPITOLO TERZO




Un passo indietro, parata. Un passo avanti, affondo.
   Il modo in cui Adrien stava affrontando quel giorno la lezione di scherma non era propriamente serio. Si limitava soltanto a muoversi in modo meccanico, seguendo le posture base che gli erano state spiegate durante i primi insegnamenti da monsieur D’Argencourt. Il fatto era che la sua mente continuava a vorticare attorno ad un unico pensiero: in che modo avrebbe potuto scoprire la vera identità di Ladybug? Oltretutto, dopo la chiacchierata fatta al parco con Marinette il giorno prima, Plagg si era preso il disturbo di fargli notare che, se solo ci avesse provato, sarebbe andato contro i desideri dell’amata – che invece voleva celare a tutti i costi il segreto persino a Chat Noir, il suo più fido alleato.
   «Ti ricordo che tempo fa avevi deciso di seguire il tuo cuore, rispettando così la sua volontà», gli aveva detto il piccolo kwami, fungendo almeno per una volta da grillo parlante. «Perché ora, di punto in bianco, hai deciso di cambiare idea? Solo per via di ciò che ti ha detto Marinette?»
   No, non era solo quello a farlo vacillare. C’era in ballo molto di più: il suo cuore, ovvero ciò che, paradossalmente, lo aveva sempre spinto a lasciare in pace Ladybug. Se lei lo avesse rifiutato, o se si fosse rivelata una persona che nella quotidianità non riusciva ad incontrare la sua simpatia, cos’avrebbe fatto, lui? Ne sarebbe uscito deluso, amareggiato, spezzato. Aveva bisogno di sapere, aveva bisogno di conferme.
   Ormai aveva deciso. La sua determinazione al riguardo si manifestò anche fisicamente, attraverso il duro affondo che inflisse all’avversario, colpendolo al fianco con il fioretto e facendogli persino perdere l’equilibrio in modo imbarazzante. Se ne rese conto solo quando lo sentì soffocare un’imprecazione. «Stai bene, Roland?» si affrettò allora a domandargli, sollevando la maschera da schermidore dal viso e tendendogli subito la mano per aiutarlo a rimettersi in piedi. «Mi dispiace, non credevo di averci messo tanta forza.»
   L’altro accettò di malavoglia il suo invito e tornò in piedi stringendo le labbra in una smorfia di disappunto. «Sì, beh, fa’ attenzione, la prossima volta», lo redarguì in tono infastidito. Roland era forse l’allievo più promettente di monsieur D’Agencourt, da sempre l’unico imbattuto negli scontri con i compagni; almeno fino a che Adrien Agreste non si era unito a loro. Non era la prima volta, quella, che lo metteva al tappeto, e per quanto si sforzasse di non darlo a vedere, Roland non riusciva ad accettare l’idea di essergli inferiore.
   Poco meno di mezz’ora dopo, la lezione ebbe termine e lui tirò un vago sospiro di sollievo. Certo era ancora nervoso per non essere riuscito a recuperare il punto segnato dal suo avversario, ma quel pomeriggio aveva deciso di non pensarci: sapeva che all’uscita di scuola avrebbe trovato la sua migliore amica ad aspettarlo. Cécile gli piaceva da diverso tempo, ormai, e sebbene non si fosse ancora fatto avanti con lei, era tuttavia riuscito ad ottenere un incontro per quel pomeriggio. Forse sarebbe stata l’occasione adatta per dirle ciò che provava. Anzi, sicuramente lo avrebbe fatto e quel pensiero, unito alla convinzione che lei avrebbe accettato di essere la sua ragazza, lo riempirono di ottimismo e di orgoglio, facendogli persino dimenticare la personale umiliazione subita durante la lezione di scherma.
   Fu dunque con il sorriso sulle labbra che uscì dallo spogliatoio, orgoglioso di sfoggiare al braccio destro il polsino di pelle che l’amica gli aveva regalato due giorni prima, in occasione del suo compleanno. Si diresse verso l’uscita della scuola, bloccandosi però non appena il suo sguardo catturò una scena capace di paralizzarlo sul posto: Cécile, la sua amata Cécile, se ne stava avviticchiata al braccio di Adrien con espressione estasiata. Lo guardava come non aveva mai guardato nessun altro, in adorazione di quello che era l’idolo di molte adolescenti, immortalato da mesi sui cartelloni pubblicitari che tappezzavano la città o sulle copertine delle più importanti riviste di moda.
   «Non sai che sorpresa vederti qui!» stava cinguettando la ragazza, felice come se le avessero regalato un assegno a molti zeri. «Non avevo idea che il famoso Adrien Agreste frequentasse questa scuola e, per di più, le lezioni di scherma insieme al mio amico Roland!»
   «Ah…» balbettò Adrien, visibilmente a disagio per quella situazione a dir poco imbarazzante. Se anche si prestava volentieri agli obiettivi dei fotografi, non si poteva dire la medesima cosa riguardo alle sue ammiratrici. «Quindi… sei amica di Roland…»
   «Cécile!» esclamò quello, non tollerando di essere secondo al suo rivale di scherma anche in campo sentimentale.
   «Oh, eccoti!» rispose lei, scorgendolo poco più in là. «Roland, non mi avevi detto che conoscevi Adrien! Dal vivo è ancora più bello!»
   Il ragazzo serrò le mascelle, mentre avvertiva nitidamente la rabbia rimescolargli lo stomaco. «Lasciala andare!» ruggì in direzione di Adrien.
   Questi strabuzzò gli occhi. «Ti giuro che non sto facendo nulla, per trattenerla…» cercò di spiegargli, quasi implorando aiuto. «Anzi, dovrei anche tornare a casa, quindi se potessi aiutarmi…» aggiunse, cercando educatamente di staccarsi di dosso Cécile.
   «Oh, ti prego!» disse lei, facendo gli occhioni nella speranza di riuscire a far colpo. «Possiamo rivederci? Per favore!»
   Adrien abbozzò un sorriso di circostanza, senza tuttavia fare in tempo a rispondere che era meglio di no, quando un ringhio basso e cavernoso lo costrinse a riportare la sua attenzione su Roland. Non fu lui che vide, tuttavia, bensì una massa scura apparentemente informe che ben presto si dissolse per lasciar posto ad un essere del tutto diverso nell’aspetto e che lo fissava come se avesse voluto disintegrarlo.
   Scrollandosi di dosso Cécile, Adrien la spinse dietro di sé, al riparo da quello che aveva tutta l’aria di essere la nuova vittima di Papillon. «Va’ via, sbrigati!» gridò alla ragazza, che però sembrava rimanere paralizzata dalla paura.
   «Adrien!» urlò quello che fino a pochi istanti prima era stato Roland. «Ti distruggo!»
   Merda! Il giovane comprese dunque di essere il suo unico obiettivo, pertanto la sola cosa che gli rimaneva da fare per salvare il resto dei presenti era andarsene in fretta, attirando il mostro lontano da lì. Scattò di nuovo all’interno della scuola e si diresse spedito verso un posto appartato, facendo affidamento sulla propria agilità che, pur non incrementata dai superpoteri, era comunque al di sopra la media. Senza perdere tempo, e baciato per una volta dalla fortuna che gli fece trovare il bagno deserto, esclamò: «Plagg, trasformami!»
   «Adrien!» chiamava frattanto Roland, che lo aveva seguito fino al cortile interno della scuola con una certa difficoltà, vista la mole non indifferente del suo nuovo aspetto. «Vieni fuori, vigliacco!» Senza attendere risposta, agguantò una delle rampe di scale e la divelse dalla struttura in ferro. La sferzò a mezz’aria e la usò per colpire gli arredi più vicini, finendo per danneggiare anche una delle pareti dell’edificio e seminando il panico fra gli studenti che ancora si trovavano entro le mura scolastiche e che presero a urlare e scappare il più lontano possibile da lì.
   «Tu sei proprio fuori di testa, amico!»
   Roland alzò il capo e, dall’alto di un ballatoio, vide la figura nera di uno dei due eroi di Parigi. Chat Noir se ne stava in piedi, in precario equilibrio sulla ringhiera e lo fissava con aria di rimprovero. «Non sono qui per te!» gli fece sapere il mostro, deciso a non farsi distrarre. «Devo trovare Adrien e distruggerlo!»
   «Perché tanto astio nei suoi confronti?» domandò il giovane, incuriosito.
   «Quel maledetto damerino mi ha portato via tutto!»
   «Ma di che diavolo stai parlando?!» Sul serio, Adrien non aveva la minima idea di ciò che passasse per la mente di quel tipo: era arrabbiato con lui per essere stato troppo irruente durante gli allenamenti? Se così stavano le cose, di certo Roland non era un tipo molto sportivo.
   Qualcosa sembrò distrarlo dalla distruzione del cortile e dalla ricerca del suo rivale, come se si fosse messo in ascolto di qualcuno. Quindi, la sua attenzione fu di nuovo tutta per Chat Noir, mentre un ghigno poco incoraggiante andava disegnandosi sulle sue labbra. «Prima di trovare Adrien, allora…» riprese a parlare quasi fra sé, «spezzerò te, Chat Noir, e mi prenderò il miraculous del Gatto Nero.»
   «Fammi indovinare», sospirò l’altro, seccato, «sei in diretta mentale con quel simpaticone di Papillon.» Non ebbe quasi finito di dirlo che Roland lanciò verso di lui la scala malconcia e ammaccata che ancora aveva fra le grosse mani. Il ragazzo la evitò d’un soffio, balzando a terra e schivando subito un altro colpo. Rotolò sul fianco e si preparò ad usare il bastone, ma fu costretto ad arretrare davanti ad un nuovo attacco, poiché ora il mostro si era munito di un’altra scalinata, ingegnandosi ad adoperarla come una grossa mazza. Un secondo affondo fece volare per aria l’arma di Chat Noir, che si arrese a ripiegare per non essere schiacciato come un verme. Recuperò il bastone in tutta fretta e lo allungò, usandolo come trampolino per risalire le pareti della scuola e fuggire via di lì: Roland ci avrebbe messo molto più tempo ad uscire e lui avrebbe avuto modo di riprendere fiato e, soprattutto, di pensare ad un piano che lo aiutasse a renderlo inoffensivo nell’attesa che la sua collega intervenisse e mettesse fine a quell’assurda, quanto pericolosa, situazione. Ma quanto ci avrebbe messo, Ladybug, a raggiungerlo? Fu pensando a questo che, notando una finestra spalancata in uno dei palazzi nei pressi dell’istituto scolastico, Chat Noir decise di riprendere fiato.
   Non poteva saperlo, chiaramente, ma al momento l’altra eroina di Parigi era impegnata in qualcosa di altrettanto ostico: la matematica. In vista del compito in classe che avrebbero dovuto svolgere il giorno successivo, non appena era tornata a casa, Marinette si era chiusa in camera sua con l’unico intento di concentrarsi sugli ultimi argomenti trattati in classe. Si era perciò messa d’impegno e aveva lavorato sodo per due ore di fila, senza neanche concedersi il lusso di una pausa. Quando però aveva iniziato a vedere numeri doppi, anche sotto consiglio di Tikki, aveva deciso di staccare gli occhi dai libri e di scendere di sotto, per cambiare aria. Aveva bisogno di rilassarsi, perciò quale modo migliore per farlo se non dedicarsi alla sua più grande passione? Si era dunque munita di macchina da cucire, schizzi, scampoli, spilli, aghi e filo, e si era trasferita nella zona soggiorno, portandosi però dietro il libro di matematica per una questione di coscienza: non doveva dimenticare di riprendere a studiare per il compito in classe.
   Fu proprio a causa del rumore della macchina da cucire che non si accorse del putiferio che stava avvenendo a pochi metri da casa, pertanto stava continuando a lavorare in tutta tranquillità quando un’ombra scura fece irruzione dalla finestra, facendola sobbalzare con un urlo strozzato e ribaltarsi all’indietro con la sedia. Tikki, che invece aveva capito all’istante ciò che stava accadendo, si precipitò a nascondersi fra gli scampoli che la sua amica aveva lasciato ammucchiati sul tavolo.
   «Che botta…» borbottarono due voci contemporaneamente.
   La prima a reagire, comunque, fu Marinette che, preso coraggio, si alzò subito in piedi e si armò di libro di matematica, avvicinandosi cautamente alle spalle del divano, dietro al quale sbucavano due scarponcini neri. Quando il suo sguardo oltrepassò lo schienale, vide infine Chat Noir, accartocciato su se stesso a testa in giù dopo essere planato dentro casa. «E tu che diavolo ci fai, qui?» domandò la ragazza, più curiosa che stupita della sua presenza.
   Il giovane si voltò nella sua direzione. «Oh, sei tu…»
   «Sai com’è, è casa mia…»
   «Scusa, cercavo un posto in cui riparare per riprendere fiato», spiegò, riacquistando una posizione decisamente più dignitosa. Fu allora che si accorse di ciò che lei teneva minacciosamente fra le mani e, alzandosi in piedi, sorrise divertito. «Capisco che la matematica possa essere considerata un mattone, ma da qui ad usarla come arma impropria…»
   Marinette nascose il libro dietro la schiena con un risolino nervoso, prima di lasciarlo cadere furtivamente sul divano. «È successo qualcosa?» domandò, sviando il discorso.
   «Mi piacerebbe risponderti che sono qui per una visita di cortesia, ma… cavolo, non hai sentito tutto il fracasso che c’è stato a scuola?» replicò Chat Noir, fortemente meravigliato.
   Lei batté le palpebre, come fosse appena caduta dalle nuvole. «No… ero… stavo cucendo e il rumore della macchina deve aver coperto gli altri…»
   «Un ragazzo del corso di scherma è stato akumizzato alla fine della lezione», spiegò allora l’altro, volgendo lo sguardo al di là della finestra, dalla quale si scorgeva l’edificio scolastico.
   Marinette soffocò un’esclamazione di terrore. «Al corso di scherma?! È quello che frequenta Adrien! Gli è successo qualcosa?!» iniziò, afferrando Chat Noir per le braccia e manifestando in quel modo tutta la propria preoccupazione.
   «N-No, no! Sta’ tranquilla!» cercò subito di calmarla il giovane, stupito e in parte persino lusingato dal fatto che Marinette tenesse tanto a lui. «Adrien sta bene, davvero. L’ho già condotto in un posto sicuro.» Rincuorata dalle sue parole, la ragazza parve calmarsi almeno in parte e lo lasciò andare, benché il suo cuore continuasse a battere con prepotenza e i suoi grandi occhi azzurri fossero ancora lucidi. Cercando di tirarle su il morale e di smorzare la tensione, Chat Noir sorrise e si puntò il pollice al petto per aggiungere spavaldo: «E non preoccuparti per la tua incolumità: ci sono io a proteggerti.»
   «Perché?» chiese Marinette, del tutto insensibile al suo fascino. «L’akumizzato ce l’ha con me?»
   «Eh?» balbettò l’eroe, preso in contropiede. «Perché dovrebbe?»
   «Non lo so, da quello che dicevi pensavo… Ma neanche lo conosco.»
   «Appunto. E poi sei adorabile, chi mai potrebbe avercela con te?»
   Cavolo, lo aveva fatto di nuovo. Aveva flirtato con lei senza neanche accorgersene. La cosa peggiore, però, era che Adrien pensava realmente ciò che aveva appena detto. Marinette gli piaceva, era una cara amica; eppure, per una qualche oscura ragione, quando era sincero al riguardo, leggeva sempre un che di sospetto nello sguardo della ragazza, come se ci fosse una nota stonata. Come ora, per esempio, che lo guardava perplessa e sembrava quasi tentata di prendere di nuovo in mano il libro lasciato sul divano.
   Chat Noir cercò di recuperare con uno dei suoi sorrisi smaglianti – che Marinette avrebbe piuttosto definito da schiaffi. «Ad ogni modo, non succederà niente a nessuno, te lo prometto.» Lei lo fissò da sotto in su, trovando i suoi occhi felini più che sinceri, nonostante le sue arie da spaccone. Annuì, decidendo come sempre di dargli tutta la sua fiducia. Un frastuono proveniente al di là della strada li distolse dalla loro conversazione e Chat Noir si avvicinò alla finestra: Roland era riuscito ad abbattere parte del muro esterno dell’edificio scolastico e ora si stava avvicinando alla strada. «Scusami, c’è un cattivone da sistemare. Alla prossima!» salutò, balzando fuori senza lasciarle il tempo di rispondere.
   Marinette seguì i suoi volteggi per aria fino a che la vista glielo consentì, mentre il suo piccolo kwami, rimasto nascosto per tutto il tempo, le si affiancava. Le due si scambiarono un rapido sguardo e decisero di prendere in mano la situazione. «Tikki, trasformami!»
   Anche di sotto, intanto, alla panetteria Dupain-Cheng si erano accorti che uno dei mostri di Papillon era comparso dal nulla, proprio dall’altro lato della strada. Approfittando del fatto che l’ultimo cliente era appena uscito dal negozio, Tom corse a chiudere la porta d’ingresso, mentre Sabine saliva in tutta fretta le scale che portavano al piano superiore. «Marinette!» chiamò a gran voce, temendo per l’incolumità di sua figlia. Non vedendola in soggiorno, nonostante lì vi fosse buona parte del suo materiale da cucito, la donna si diresse con fare spedito verso la camera della ragazza, trovandola vuota. Il suo cuore mancò un battito. «Tom!» gridò, cedendo comprensibilmente il passo all’ansia. «Marinette non c’è!»
   Di fatto, imitando il suo collega dalle morbide orecchie a punta, Marinette aveva appena preso il volo dalla finestra del soggiorno e con l’ausilio del suo yo-yo aveva raggiunto il luogo dello scontro in batter di ciglio. «Ladybug!» esclamò felice Chat Noir quando lei gli si affiancò, dopo essere riuscita momentaneamente a legare Roland come un salsicciotto con il filo indistruttibile della sua arma. «Ti aspettavo con ansia.»
   «Scusa il ritardo, ma, come ben sai, le star si fanno sempre attendere.»
   «Credevo che il ruolo di primadonna, fra noi due, spettasse a me.»
   Ladybug rise. «Perdonami, non volevo rubarti la scena.»
   Lui la divorò con lo sguardo, estasiato dal suono della sua risata. «Puoi rubarmi quello che vuoi, my lady, tanto più che il mio cuore è già tuo.» Come al solito, la ragazza gli sorrise senza tuttavia prenderlo sul serio e lui non poté fare a meno di chiedersi se un giorno sarebbe finalmente riuscito a convincerla che i suoi sentimenti per lei erano autentici. Sperò che accadesse al più presto, anche perché moriva davvero dalla voglia di guardare il viso che si nascondeva dietro quella dannata maschera da supereroina.
   Il verso cavernoso del mostro lo riscosse da quei pensieri. «Non sono ancora riuscito a capire dove si nasconde l’akuma», disse allora, informando la propria collega di ciò che sapeva della vittima di Papillon. «Si tratta di un ragazzo del corso di scherma, è stato ridotto così a causa di un… ehm… sinceramente non l’ho ben capito», ammise, arrovellandosi il cervello. Poteva anche ritenere plausibile l’irritazione di Roland nei suoi confronti dopo che lui lo aveva messo al tappeto durante l’allenamento con il fioretto, ma quell’ipotesi non reggeva: non era la prima volta che aveva la meglio su di lui in uno scontro diretto e, oltretutto, Adrien era convinto che se fosse stato davvero quello, il motivo, il suo compagno avrebbe subito una trasformazione poco dopo la sconfitta. Invece era passato diverso tempo da quando era successo, e questo poteva significare soltanto che Roland se l’era presa con lui per qualcosa che era avvenuta dopo. Sì, ma cosa?
   Ripercorrendo a ritroso gli avvenimenti dell’ultima ora, Chat Noir si ricordò di Cécile, l’amica di Roland. Quest’ultimo non gli aveva forse intimato di starle alla larga?
   «È geloso?» domandò a se stesso l’eroe, in tono stupito.
   Ladybug lo fissò con la coda dell’occhio, ancora impegnata nel tentativo di tenere bloccato il mostro. «Cosa?»
   «Ah…» balbettò l’altro. «Credo che si sia trattato di un equivoco», prese a spiegarle allora, un po’ timoroso che lei potesse fraintendere la situazione e vedere Adrien – e quindi lui stesso – sotto una luce diversa. «Se non ho capito male, Roland è innamorato di una sua amica, ma…»
   «Ho capito, ha subito una delusione amorosa», concluse Ladybug, afferrando subito la situazione. Chat Noir gliene fu grato, poiché in quel modo gli evitava di scendere in particolari che avrebbero fatto venire a galla il nome di Adrien. Non gli fu concesso di tirare il fiato a lungo, però, perché la ragazza notò qualcosa capace di allarmarla non poco: se pure la maggior parte degli studenti e degli adulti che si erano trovati all’interno o nei pressi dell’edificio scolastico si era ormai allontanata e messa al riparo dalla furia del mostro, l’automobile della famiglia Agreste si trovava ancora lì, parcheggiata davanti alla scalinata d’ingresso nonostante Nathalie e la guardia del corpo di Adrien fossero fuggiti da un pezzo a piedi.
   «Adrien!» gridò la ragazza, lasciando andare istintivamente Roland e precipitandosi verso l’autovettura, ormai in preda al panico.
   «No!» urlò Chat Noir, riuscendo ad intercettarla prima che lei perdesse di vista l’obiettivo principale. «Ladybug, calmati!» la richiamò all’ordine, tenendola ben salda per un braccio e tentando di tirarla verso di sé. «Adrien sta bene!»
   Sì, glielo aveva detto anche prima, ma il cuore di Marinette tremava al pensiero di perdere l’amato e pertanto lei non riusciva a dominare le emozioni come invece avrebbe dovuto. Chat Noir aveva ragione, doveva cercare di calmarsi e di pensare anzitutto a risolvere la situazione che metteva in pericolo non soltanto Adrien, ma l’intera Parigi.
   Dal canto suo, invece, Chat Noir si domandava per quale dannata ragione tutte si preoccupassero anzitutto per lui, scattando come schegge impazzite non appena avevano il sospetto che Adrien fosse in pericolo. Era lusinghiero, certo, ma la cosa lo lasciava comunque spiazzato. Era dovuto al fatto che fosse un modello famoso?
   E mentre entrambi erano impegnati nelle proprie personali elucubrazioni mentali, acute o meno che fossero, Roland ne aveva approfittato per sradicare un grosso albero nelle vicinanze e, lanciando un nuovo grido inferocito, lo scagliò nella loro direzione, travolgendoli in pieno.












Lo so che avevo detto che avrei aggiornato domenica, ma siccome non sono più tanto certa di poterlo fare, e avendo oggi più tempo libero a disposizione, ho preferito postare adesso il terzo capitolo. In caso, domenica avrete il quarto (ma non prometto nulla, forse se ne parlerà lunedì).
Premetto che non sono brava con le scene d'azione, pertanto vi chiedo di essere magnanimi/e con il presente capitolo e anche con il prossimo (e ce ne sarà un altro più in là incentrato su una battaglia, lo dico perché preferisco mettere le mani avanti), ma siate comunque sinceri/e. Quanto al resto, spero di essermi avvicinata almeno un po' alla caratterizzazione di Chat Noir, sia nella scena con Marinette sia in quella con Ladybug. Sappiatemi dire e non preoccupatevi di tirarmi le orecchie in caso io abbia sbagliato qualcosa.
E per il momento è tutto. Grazie ancora a chi recensisce e a chi ha aggiunto la presente fanfiction fra le storie preferite/ricordate/seguite... siete già in tanti, vi adoro! ♥
A prestissimo, spero!
Shainareth





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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***





CAPITOLO QUARTO




«CATACLISMA!»
   L’albero esplose in una pioggia di schegge e foglie che ricadde sull’area circostante. Non appena scemò, rese visibili nuovamente i due eroi di Parigi in assetto da battaglia; un po’ ammaccati, forse, ma più determinati che mai ad avere la meglio sull’ennesima vittima di Papillon.
   «Mi sono stancato della tua immotivata gelosia, bestione!» esordì Chat Noir, sdoppiando il proprio bastone ed impugnandolo con entrambe le mani. Non poté aggiungere altro perché il suo miraculous emise un breve suono intermittente, segnalando che mancavano solo pochi minuti prima che l’effetto della trasformazione avesse fine.
   «Va’», gli suggerì Ladybug, rimanendo sulla difensiva e roteando a mezz’aria lo yo-yo, gli occhi ancora incollati sul mostro che aveva iniziato ad avanzare di nuovo nella loro direzione a lente ma pesanti falcate. «Lo terrò impegnato finché non sarai di ritorno.»
   «Sta’ attenta», la pregò il giovane, e senza lasciarselo ripetere una seconda volta, scappò a cercare riparo nelle immediate vicinanze. «Plagg», chiamò quando fu certo di non essere visto da anima viva, «trasformami.» Una luce abbagliante lo percorse dalla punta dei piedi a quella dei capelli, rivelando di nuovo le sembianze di Adrien, pronto ad afferrare al volo il piccolo kwami prima che precipitasse al suolo. «Ehi! Tutto bene?» domandò con preoccupazione, notando la sua aria spossata.
   Plagg lo fissò da sotto le palpebre pesanti. «Ho fame», rantolò disperato. Il giovane sospirò e tirò fuori dalla tasca della camicia un pezzo di camembert. Il kwami parve resuscitare all’istante, quasi come se l’odore pungente di quel formaggio fosse stato un cordiale messo sotto al naso di una damigella d’altri tempi, venuta meno a causa del corsetto troppo stretto.
   «Sbrigati, abbiamo lasciato Ladybug da sola contro quel bestione.»
   «Non mettermi fretta, se mi ingozzo poi rutto e tu ti arrabbi con me.»
   Portandosi una mano alla fronte, Adrien si impose di portare pazienza. «Spero di cuore che almeno il kwami di Ladybug sia meno snervante.»
   «Tikki è talmente buona e perfetta da sembrare noiosa», gli fece sapere Plagg, la bocca piena per metà. «Un po’ come te.»
   Ignorando a bella posta l’ultimo commento, il ragazzo inarcò le sopracciglia e sorrise. «Quindi si chiama Tikki. È un nome grazioso.»
   «Sei ancora deciso a scoprire chi si nasconde dietro la maschera della tua innamorata?»
   Adrien ci pensò su. «Sì», rispose dopo una manciata di secondi. Ogni volta che Ladybug gli era vicino, il suo cuore iniziava a battere come un tamburo e i suoi neuroni diventavano schegge impazzite, al punto che, se solo avesse potuto, avrebbe mandato alla malora ogni prudenza e si sarebbe precipitato a sfilarle il miraculous della Coccinella dalle orecchie solo per baciare il suo viso senza maschera. Eppure… Eppure quando incrociava il suo sguardo puro e sincero, ogni suo istinto veniva domato all’istante: non poteva tradire la sua fiducia, non se lo sarebbe mai perdonato. «Non oggi, però», si arrese a sospirare con un mesto sorriso sulle labbra, decidendo di aspettare ancora. Nel frattempo, avrebbe cercato almeno di convincere Ladybug della sincerità delle sue parole d’amore.
   «Sono pronto», gli fece sapere Plagg, che aveva finalmente ingollato l’ultimo boccone di camembert. «Torniamo pure dalla tua bella.»
   Un attimo dopo, Chat Noir era di nuovo sul campo di battaglia, pronto a dar manforte alla propria partner. Prima di raggiungerla, però, dall’alto di un cornicione scorse una figuretta accovacciata a terra e nascosta dietro ad un cartellone pubblicitario, che sbirciava in direzione dello scontro. Il giovane la riconobbe al volo e subito si precipitò verso di lei, ritenendola poco al sicuro così vicina alla scuola. «Cécile!»
   Lei sussultò spaventata e si girò a guardarlo, pallida in volto, gli occhi pieni di lacrime. «Chat Noir!» esclamò, lieta che si trattasse di uno dei paladini della città. Era talmente sollevata che neanche si chiese come facesse lui a sapere il suo nome. «Credevo che stessi fronteggiando il mostro!»
   «Ho bisogno del tuo aiuto», ribatté Chat Noir cogliendo al balzo la possibilità di ricevere una dritta sicura. La ragazza faticò a credere che l’eroe le avesse davvero rivolto quelle parole ma non lo contrariò. «Il tuo amico Roland… Sai per caso se tiene a qualcosa in particolare? Un oggetto, un capo d’abbigliamento… Ti viene in mente niente?»
   Cécile parve pensarci su qualche istante, benché nella confusione del momento sembrava essere andata del tutto nel pallone. Poi però le sovvenne una cosa importante. «Due giorni fa gli ho regalato un polsino di pelle per il suo compleanno», disse allora con voce tremante. «Mi aveva detto che non lo avrebbe mai tolto, ma non so se…»
   «Grazie», la interruppe gentilmente Chat Noir, sorridendole. «Sei stata di grande aiuto, soprattutto per il tuo amico», le assicurò, mentre le posava una mano sulla spalla. Ricordava anche lui quel polsino, lo aveva notato proprio quel pomeriggio, prima dell’allenamento, mentre Roland lo mostrava con entusiasmo ad un altro loro compagno di scherma. «Ora, però, allontanati da qui, potrebbe essere pericoloso. Penseremo io e Ladybug a lui. Tutto tornerà come prima, te lo prometto.» Cécile annuì, spaventata ma fiduciosa, e scappò nella direzione opposta allo scontro.
   Ci fu un frastuono e il cartellone pubblicitario tremò paurosamente, inducendo Chat Noir a serrare la presa sul bastone e a mettersi sulla difensiva. Quando però uscì allo scoperto, vide la sua collega appesa all’insegna e imprigionata nel filo del suo stesso yo-yo. «Hai bisogno di una mano?»
   «Tu che dici?!» Ladybug trattenne a stento un’imprecazione. «Ma quanto ci hai messo a farti vivo?!»
   «Mi perdonerai quando saprai che il mio ritardo ha un’ottima scusante», le assicurò l’altro, aiutandola a districare il filo e a tornare con i piedi per terra. «Ho scoperto dove si trova l’akuma, è nel polsino di pelle che quell’energumeno porta al braccio destro.»
   «Allora non sei buono solo a fare pessime battute», constatò la ragazza, individuando immediatamente ciò di cui l’altro stava parlando mentre Roland si avvicinava a loro con il solito incedere lento e pesante. Chat Noir emise uno sbuffo di protesta ma non questionò. «Bene, ora tocca a me», riprese Ladybug poco prima di lanciare per aria il proprio yo-yo. «Lucky Charm!»
   Comparsa magicamente a mezz’aria, fra le mani le cadde una lunga, pesante e spessa fune rossa a pois neri. «Una corda?»
   «Vuoi lasciarmi legato da qualche parte per essere usato come punching ball dal mostro, in attesa che tu gli sfili via il polsino?» volle sapere Chat Noir, curioso proprio come il gatto che rappresentava. «Va bene, mi immolerò per la causa. Ma prima ho bisogno di un incoraggiamento», aggiunse poi, protendendosi verso la compagna e facendo per baciarla.
   Lei gli piazzò una mano in piena faccia, impedendogli di avvicinarsi oltre. «Per quanto la tua idea sia allettante, penso che per questa volta risparmierò i connotati del tuo bel musetto», rispose impassibile, guardandosi attorno per capire in che modo utilizzare la corda. Roland era stato tramutato in un essere molto forte, certo, ma era un dato di fatto che fosse anche molto lento nei movimenti e che non avesse grandi poteri. «Ho bisogno della tua agilità di gatto», disse a quel punto Ladybug, credendo di aver compreso come fermarlo e togliergli via il polsino senza rischiare di essere ridotta in poltiglia.
   «Puoi usarmi a tuo piacimento, my lady», le garantì Chat Noir, mentre lei gli passava la corda attorno al torace e gliel’annodava sul petto. «Ehm… posso però esprimere la mia perplessità al riguardo?»
   «Non dicevi che avresti sempre obbedito ai miei ordini senza ribattere?»
   «Farà male?»
   «Solo se ti farai calpestare.»
   «La tentazione è tanta, credimi, ma cercherò di evitare che accada.»
   La ragazza finì di assicurare l’altro capo della fune attorno al grosso cartellone pubblicitario alle loro spalle e gli sorrise, facendo tintinnare con un dito la grossa campanella che lui portava al collo. «Mi fido di te.»
   «La Tour Eiffel può andar bene?»
   «Direi che è perfetta.»
   «Proprio come te, my lady
   Fu con quell’ammiccamento che Chat Noir partì spedito verso il mostro, avanzando a zig zag fra gli arredi urbani vicini e le gambe dell’avversario, in modo da creare una ragnatela che lo rallentasse ulteriormente. Quando la corda fu sul punto di terminare, balzò in alto verso la torre alle spalle della scuola e si liberò dal nodo fatto dalla collega per assicurare il capo della fune ad una delle travi di ferro. E tirò.
   Roland perse l’equilibrio, ma non crollò a terra, poiché mentre Chat Noir lo imprigionava per le gambe, Ladybug faceva la stessa cosa con il filo del proprio yo-yo, concentrandosi però sul braccio destro, che bloccò dall’alto del tetto della scuola. Quel procedimento, tuttavia, aveva richiesto più tempo del previsto e il suo miraculous aveva iniziato a suonare da un po’, avvisandola che i primi minuti erano già trascorsi. Stringendo i denti, la ragazza balzò sulla testa del mostro, usandola come trampolino per raggiungere il polsino che agguantò nella mano libera. Provò a tirarlo via, ma quello sembrava troppo stretto per essere sfilato con facilità. «Maledizione!» sbottò, temendo di non fare in tempo a purificare l’akuma prima che la sua trasformazione avesse fine.
   Vedendola in difficoltà, Chat Noir si preparò a prendere lo slancio per correre in suo aiuto e richiamare di nuovo il potere del Cataclisma; tuttavia, prima ancora che avesse tempo di farlo, a causa di tutti gli strattoni, il polsino si lacerò mentre era ancora addosso al mostro e non appena l’akuma volò via, Ladybug liberò il braccio di Roland dal filo dello yo-yo e usò quest’ultimo per imprigionare e purificare la farfalla magica usata da Papillon per rendere schiava la mente della sua giovane vittima. Senza perdere altro tempo, la ragazza saltò di nuovo sul tetto della scuola e di lì fino alla Tour Eiffel, dove Chat Noir le passò il capo della fune che aveva liberato dalla trave. «Miraculous Ladybug!» gridò lei, lanciandolo per aria e ottenendo così di far tornare tutto alla normalità, a cominciare dal povero Roland, che si ritrovò seduto in mezzo alla strada senza ricordare cosa fosse successo da quando aveva visto Cécile aspettarlo all’uscita della scuola.
   Ladybug non fece in tempo a battere il pugno contro quello di Chat Noir in segno di vittoria che il suono intermittente degli orecchini la mise in allarme. «Il mio miraculous!» mormorò allarmata, portandosi d’istinto le mani ai lobi. «Sta suonando già da un po’!»
   «Allontanati, presto», le consigliò il suo partner, ormai deciso più che mai a rispettare il suo volere riguardo alla sua vera identità. Ladybug era più importante di qualsiasi altra cosa, anche del suo misero cuore innamorato.
   La ragazza annuì. «Ci vediamo, gattino!» Roteò lo yo-yo ancora una volta e lo usò come rampino per fuggire da lì e riparare quanto prima verso casa, piuttosto vicina alla torre, per fortuna.
   Chat Noir la seguì con lo sguardo, riempendosi gli occhi di quella meraviglia dai capelli scuri e sospirando all’idea di non poter ottenere subito quel che anelava sapere. Avrebbe proceduto per gradi, ripeté a se stesso, rispettando i desideri di lei e, al contempo, parlandole con il cuore in mano dei suoi sentimenti, con la fragile speranza che un giorno Ladybug avrebbe accettato di togliersi la maschera davanti a lui.
   Era sul punto di tornare a casa anche lui, quando un urlo ridestò i suoi sensi felini e i suoi occhi percepirono un bagliore in lontananza, a mezz’aria, proprio lì dove aveva visto per l’ultima volta la sua amata collega. Un brivido gelido lo percorse da capo a piedi e d’impulso si gettò nella sua direzione.
   Stava precipitando nel vuoto da un’altezza spaventosa. Fu questo il primo, disperato pensiero che passò per la mente di Marinette quando la trasformazione svanì nel bel mezzo dell’ultimo volteggio. La sua breve ma intensa esistenza sarebbe finita lì? Sopra di lei vide Tikki, sfinita, planare a fatica sopra di lei e mormorare invano il suo nome, disperata allo stesso modo perché incapace di aiutarla oltre. Povera piccola… ce l’aveva messa tutta, ma ora…
   Marinette chiuse gli occhi e sulle sue labbra si formò un’ultima parola, un unico nome: Adrien.
   Non sarebbe morta. Non quel giorno.
   La sua corsa verso il suolo venne fermata da una presa forte e virile, che l’avvolse per la vita e la tenne saldamente fino a che non avvertì un contatto solido sotto di sé. Anzi, continuò anche dopo, quando Marinette realizzò non solo di essere ancora viva, ma di essere anche stretta fra le braccia di Chat Noir, al sicuro da qualsiasi pericolo imminente. Avvertì il cuore palpitare con prepotenza, tanto da darle l’impressione di essere sul punto di esplodere, le lacrime che scivolavano copiosamente giù dagli occhi e la paura che infine si era decisa a venir fuori, accalappiandola ferocemente come un’amante gelosa. La ragazza affondò le unghie nella schiena del suo salvatore, il viso contro il suo collo e si lasciò andare ad un grido liberatorio, abbandonandosi ai singhiozzi.
   Dal canto suo, il giovane non stava meglio di lei: il terrore di perderla per sempre era stato tale da annebbiargli del tutto la mente, e ora, se qualcuno glielo avesse chiesto, non avrebbe neanche saputo dire come diamine avesse fatto a compiere quel miracolo. L’unica cosa che era in grado di fare, al momento, era respirare a pieni polmoni, affondando la bocca fra i capelli scarmigliati dell’amata, nutrendosi del suo odore e continuando a stringerla a sé come se da quello dipendesse la sua stessa vita.
   Passò diverso tempo prima che Marinette riuscisse a placare almeno in parte i singulti che ancora le scuotevano le spalle. Tirò su col naso e si sentì chiedere con voce roca: «Va meglio?» Annuì contro la spalla di lui, senza tuttavia avere ancora il coraggio di incontrare il suo sguardo. «Non sono riuscito a vedere il tuo volto, se questo può servire a tranquillizzarti.»
   Quelle parole fecero breccia nel suo cuore quasi quanto il gesto che il giovane aveva appena compiuto, salvandole la vita. Chat Noir avvertì la ragazza fremere fra le sue braccia, ma rimase immobile, coerente con se stesso e con la propria decisione di rispettarla. «Giunti a questo punto… non mi importa più…» la sentì mormorare.
   «Non voglio che tu te ne penta.»
   «Ti devo la vita. Forse molto di più», realizzò lei, pensando di colpo ai propri genitori e al dolore che avrebbero sofferto se avessero perso la loro unica figlia: Ladybug era rimpiazzabile, Marinette no. «Guardami.»
   Aveva dunque la sua approvazione? Col cuore a mille e le fauci secche, Chat Noir sentì di colpo tutto il peso della solennità di quel momento: un conto era fantasticarci sopra, ben altro era viverlo per davvero.
   Inspirò profondamente e, con timorosa lentezza, allentò la presa, lasciando che la ragazza scivolasse via dalle sue braccia. Infine, gli occhi verdi di Chat Noir incontrarono quelli azzurri di Marinette.
   Gli ci volle qualche attimo per capire, per realizzare che era tutto vero. La sua amica, la sua compagna di mille battaglie, ora lo fissava da sotto in su a viso scoperto, senza più alcuna menzogna. Le dita gli tremarono attorno alle sue braccia e lui schiuse la bocca, come a voler dire qualcosa. Non ne uscì alcun suono.
   «Marinette!»
   La voce di Sabine arrivò lontana, ma chiara al punto da scuotere entrambi dal torpore in cui erano rimasti fino a quel momento. Fu allora che Chat Noir realizzò di trovarsi sul terrazzino della camera di Marinette. Era lì che l’aveva tratta in salvo, era il posto più vicino, quello in cui evidentemente Ladybug stava cercando di rifugiarsi quando il suo miraculous l’aveva tradita.
   «Marinette!»
   «Mamma! Papà!» esclamò la ragazza, ritrovando la voce ma non riuscendo tuttavia a rimettersi in piedi, poiché le gambe le tremavano e non volevano saperne di obbedire alla sua volontà.
   La donna, seguita dal marito, fece capolino dalla botola che immetteva sul terrazzo e corse ad abbracciare la figlia. «Tesoro, stai bene?»
   «Eravamo così preoccupati che tu fossi nel bel mezzo dello scontro!» intervenne Tom, circondando entrambe fra le poderose braccia.
   «Lo ero», confessò Marinette, stringendosi ad entrambi e godendo del loro insostituibile calore. «È stato Chat Noir a salvarmi e a riportarmi qui.» Su questo, almeno, non aveva alcun bisogno di mentire.
   Gli sguardi dei tre andarono sulla figura vestita di nero che nel frattempo si era spostata accanto alla ringhiera per far loro spazio, senza tuttavia riuscire a staccare gli occhi da Marinette.
   «Grazie per ciò che hai fatto», gli disse di cuore Tom, sentendo di dovere a quel ragazzo tutto il proprio mondo.
   «Di nulla», mormorò l’altro in tono assente, troppo preso dalla sconcertante rivelazione per pensare lucidamente.
   «Chat Noir…» Marinette lo implorò con lo sguardo. Lui non disse più nulla. Balzò sulla ringhiera e, gli occhi ancora fissi su di lei, si lanciò nel vuoto. «Chat Noir!» chiamò a gran voce la ragazza, riuscendo infine a muoversi e a rimettersi in piedi, il busto oltre il parapetto, le mani strette attorno al ferro battuto che delimitava il terrazzino. Non ricevette risposta e tutto ciò che le rimase fu un’ombra scura che spariva fra i tetti della città.












ZAN-ZAN-ZAAAN!
Ve l'aspettavate? Io sì, ma forse solo perché in effetti la storia l'ho scritta io. La cosa divertente, però, è che ora che la sto rileggendo non riesco assolutamente a ricordare come io sia arrivata a quest'idea. Ma va beh, fa lo stesso, ormai è fatta e vado avanti, magari sperando di essere colta da una nuova ispirazione.
Intanto continuerò a vedere e rivedere questa fanfiction, sperando di postarla fino alla fine senza troppi errori/sviste. Fatemeli notare, se ne trovate, per favore!
A parte ciò, ho sempre pensato che è molto probabile che Adrien e Marinette scopriranno le rispettive doppie identità proprio grazie a qualche imprevisto di questo genere, cioè ad un miraculous che li tradisce sul più bello o cose così, cogliendo l'altro del tutto impreparato. Vedremo.
Ringraziando come sempre tutti voi che leggete, chi lascia una recensione e chi aggiunge la presente fra le storie preferite/ricordate/seguite, vi do appuntamento al prossimo capitolo.
Buona domenica! ♥
Shainareth





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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***





CAPITOLO QUINTO




Quando richiuse il portone di casa alle sue spalle, trovò suo padre ad aspettarlo in cima alla scalinata centrale dell’atrio. «Dov’eri finito?» fu la prima cosa che lui gli disse, guardandolo dall’alto con quel suo solito, scuro sguardo spento. Non un saluto, non un abbraccio. Tutto il contrario dei genitori di Marinette. «Nathalie mi ha chiamato per dirmi che non sei mai uscito da scuola. Era molto preoccupata.»
   Adrien non faticò a crederlo. Quanto a suo padre, invece, sembrava più che altro infastidito. «L’ho già avvisata che stavo tornando a casa da solo. C’è stata un’emergenza.»
   «Lo so.» Padre e figlio si scambiarono un lungo, silenzioso sguardo. Poi Gabriel aggiunse: «Cerca di stare attento, o sarò costretto a rivalutare la decisione di mandarti a scuola.»
   Il ragazzo strinse le mascelle ma non rispose, limitandosi ad osservare l’uomo sparire dalla sua vista. Quindi, sentendo sempre più prepotente il bisogno di rimanere da solo a riflettere, salì velocemente le scale a due a due e cercò riparo nella propria camera, dove si chiuse a chiave. Lasciò cadere la sacca sportiva all’ingresso della stanza e afferrò con foga la borsa dei libri che portava a tracolla, gettandola con rabbia contro il divano.
   «Ehi!» protestò Plagg, venendo fuori da lì con aria stordita.
   «Scusa», si affrettò a dire l’altro, mostrando sincero pentimento nonostante il penoso stato d’animo in cui si trovava. Il kwami lo osservò preoccupato: Adrien se ne stava ritto in piedi al centro della stanza, senza sapere bene cosa fare o anche solo cosa dover provare. Infine, lo vide sollevare una gamba e sfilarsi una scarpa, poi l’altra, lanciandole alla rinfusa sul pavimento. Il giovane si fece scivolare la camicia giù dalle spalle, si diresse verso il bagno, dove tolse anche il resto dei vestiti che indossava, e aprì il rubinetto della doccia, tuffandosi sotto il getto dell’acqua senza neanche attendere che si riscaldasse.
   Aveva finalmente scoperto chi era Ladybug. Ne era valsa la pena? Sì, benché sperasse in qualcosa di meno drammatico. Era deluso? No, affatto. Anzi, più realizzava la verità, più si dava dell’idiota: come aveva fatto a non capirlo prima? Forse senza i superpoteri Marinette era piuttosto maldestra, questo non lo si poteva negare; ma al di là della palese somiglianza fisica con l’eroina di Parigi, anche lei aveva grinta, era determinata e sfoderava gli artigli quando era il momento di farlo. Ed era in gamba, piena di talento e di idee brillanti, proprio come dimostrava ogni giorno nel suo ruolo di capoclasse e nelle sue grandi passioni.
   Però…
   Adrien batté piano la fronte contro le maioliche della doccia, i capelli biondi che gli ricadevano davanti agli occhi, l’acqua ormai calda che scorreva copiosamente sulla pelle nuda, lavando via la cecità di cui era stato vittima fino a quel momento.

Così i paladini di Parigi hanno salvato ancora una volta la situazione, almeno stando alla ricostruzione ottenuta dai racconti dei residenti della zona, che hanno assistito allo scontro al riparo delle loro abitazioni. Era ciò che stava dicendo Nadja Chamack in una registrazione dell’edizione straordinaria del telegiornale andata in onda nel tardo pomeriggio. Purtroppo gli unici video amatoriali che ci sono pervenuti non sono in grado di documentare nel dettaglio gli avvenimenti, e neanche i nostri mezzi sono riusciti ad ingrandire sufficientemente le immagini.
   «E meno male…» commentò Tikki, osservando con occhioni spalancati lo schermo al plasma mentre sgranocchiava un biscotto sulla scrivania di Marinette. «Almeno così possiamo essere sicure che nessuno abbia scoperto la vera identità di Ladybug.»
   «Qualcuno lo ha fatto, invece», la corresse la ragazza, fissando gli esercizi di matematica senza vederli realmente. Dopo l’enorme spavento preso, i suoi genitori l’avevano coccolata e riempita di attenzioni per tutto il resto della giornata, facendola sentire inevitabilmente in colpa senza volerlo. Le avevano persino assicurato che non era necessario che tornasse a studiare, se non se la fosse sentita; se avesse preso un’insufficienza al compito del giorno successivo, erano più che certi che lei sarebbe stata in grado di recuperare alla prossima occasione. Ciò nonostante, Marinette aveva ripreso i libri in mano: come poteva sperare di preservare la propria doppia identità se non era in grado di far fronte alle responsabilità di Ladybug e Marinette contemporaneamente?
   «Credo che fosse inevitabile, vista la situazione», la rassicurò Tikki, sorridendole con dolcezza. «Direi che Chat Noir ha mostrato sufficientemente di meritare la tua fiducia, e in svariate occasioni, per di più. Ciò che conta è che non riveli il tuo segreto a nessun altro.»
   «Non lo farà», affermò la ragazza, convinta di ciò che diceva. C’era tuttavia un dubbio che la tormentava e che non l’aiutava a concentrarsi né sullo studio né su altro. «Credi… Credi che ci sia rimasto male?»
   «Cosa te lo fa pensare?»
   «Beh… tanto per cominciare il modo in cui mi ha fissata prima di fuggire via, senza neanche dire una parola», sospirò, lasciando rotolare la penna sul libro e affondando le mani nei capelli con fare sconsolato.
   Tikki le si fece vicina, posandole una zampina sulla fronte. «Marinette, è normale che abbia reagito così. Non poteva certo parlare davanti ai tuoi genitori. Devi solo dargli il tempo di riprendersi dalla sorpresa.»
   La ragazza sollevò su di lei due occhi preoccupati. «Tu dici?»
   «Ma certo. Dopotutto, è sempre abituato a vedervi come due entità diverse, non ha mai pensato di associare Ladybug a Marinette. Vedrai che la prossima volta che te lo ritroverai davanti, sarà il solito, vivace gattino dalla battuta pronta.»
   Sorrise rincuorata, muovendo le mani per prendere dolcemente il piccolo kwami fra le dita e avvicinarlo affettuosamente al viso. «Grazie, Tikki.»

«Se non ci sei rimasto male per aver scoperto che Ladybug è in realtà Marinette, allora perché diavolo hai quel muso lungo?» volle sapere Plagg, non riuscendo a seguire il filo dei pensieri del suo amico. Per lo meno, pensò, si era pentito di averlo lanciato contro il divano facendogli avere tre intere confezioni di camembert – che lui ancora stava finendo di divorare – per scusarsi e farlo riprendere a dovere dalla fatica di quel pomeriggio.
   Ancora avvolto nel morbido accappatoio bianco, Adrien si era gettato sul grande letto a due piazze, affondando il viso nei cuscini. «Perché a Marinette non piaccio», mugugnò con voce lamentosa.
   «Tu sei fuori di testa, amico, lasciatelo dire», commentò il kwami, non del tutto certo che il giovane avesse riflettuto a fondo sulla questione.
   Con un moto di stizza, l’altro si issò a sedere sul letto. «È stata abbastanza chiara, ieri, quando ne abbiamo parlato!»
   «Avete parlato di tutto, meno del fatto che tu non le piaci.»
   «Era implicito.»
   «Ma quando mai?»
   «Non ti ricordi?» insistette Adrien, rimettendosi in piedi perché incapace di star fermo. «Ha detto che a Chat Noir avrebbe affidato la sua vita ad occhi chiusi, e questo me lo ha dimostrato per l’ennesima volta oggi. Ma ha anche affermato che non gli affiderebbe mai il suo cuore!»
   «E certo», ribatté Plagg, riempendosi di formaggio la bocca. «Lo ha visto fare il piacione sia con Ladybug che con lei.»
   Il ragazzo sgranò gli occhi verdi, portandosi le dita delle mani fra i capelli ancora umidi. «Ecco perché!» esclamò, come se avesse appena scoperto che la Terra era rotonda. «Mi veniva spontaneo flirtare con Marinette perché lei e Ladybug sono un tutt’uno!»
   «Quindi ti sei comportato da scemo con entrambe perché inconsciamente percepivi che fossero la stessa persona?»
   «Lo sapevo che il mio istinto felino era infallibile!» si compiacque, iniziando a camminare su e giù per la stanza. Plagg non disse nulla, preferendo continuare a mangiare; in cuor suo, però, era felice che il suo amico avesse per lo meno riacquistato il buon umore. Il sorriso di Adrien, tuttavia, svanì un attimo dopo, quando lui arrestò il passo. «Non va bene.»
   «Cosa?»
   «Quando ieri ha saputo che sono innamorato di Ladybug, Marinette ha fatto di tutto per sminuire questa mia attrazione per lei, associandola piuttosto ad una semplice ammirazione.»
   «E quindi?»
   «Quindi significa che Marinette non gradisce nemmeno le attenzioni di Adrien», borbottò il ragazzo, lasciandosi cadere in ginocchio con fare avvilito. «Non ho speranze, Plagg. Neanche una.»
   «Va’ a dormire», gli consigliò caldamente quello. «Sei solo stanco, fidati.»
   «Come faccio a riposare con tutti questi pensieri che mi ronzano per la testa?!»
   «Posso farti una domanda?»
   «Dimmi.»
   Il kwami mandò giù l’ennesimo boccone di camembert e lo fissò dritto negli occhi. «Ora che sai che Ladybug è Marinette, sei ancora innamorato di lei? Davvero innamorato, intendo.» Adrien aprì la bocca, intenzionato a dire qualcosa; invece rimase in silenzio, realizzando solo in quel momento di non essere in grado di rispondere con assoluta certezza.
   Quella notte non avrebbe chiuso occhio.
   L’indomani, però, si alzò di buona lena, intenzionato più che mai a mettersi alla prova davanti a Marinette: in che modo avrebbe reagito, vedendola a scuola? Cos’avrebbe provato? Più se lo domandava, più non riusciva a darsi una risposta. Eppure, se lo sentiva, nel bene o nel male quel giorno sarebbe riuscito a mettersi il cuore in pace una volta per tutte – almeno riguardo ai propri sentimenti.
   Quando scese dall’auto davanti all’edificio scolastico, Adrien gettò uno sguardo alla panetteria Dupain-Cheng che si trovava all’angolo, dall’altra parte della strada, e poi più su, fino al terrazzino della camera di Marinette. Il ricordo ancora vivido del giorno addietro adesso non solo non lo sconvolgeva più come prima, ma per di più gli riscaldava il cuore. Per un attimo fu tentato di entrare nella pasticceria con la scusa di comprare un croissant; poi desistette, decidendo di procedere per gradi.
   «È stato terribile, Alya.» La voce di Marinette gli arrivò alle orecchie forte e chiara quando varcò l’ingresso del cortile interno della scuola. Adrien s’irrigidì, scorgendo la ragazza a pochi passi da lui, intenta a raccontare alla sua migliore amica la disavventura vissuta il giorno prima.
   «Lo credo bene, chissà che spavento…» commentò quella abbracciandola, lieta di saperla sana e salva.
   «Mi chiedo come diavolo tu abbia fatto a mantenere la calma, quella volta al museo», disse Marinette, che per la prima volta si era trovata a fronteggiare il serio pericolo di morire senza poter ricorrere ai poteri del suo miraculous.
   Alya scrollò le spalle. «Sapevo che Ladybug e Chat Noir mi avrebbero salvata», fu la semplice risposta che le diede. Si accorse allora della presenza di Adrien e sorrise. «Buongiorno!»
   «Buong…» Le parole del giovane vennero meno quando Marinette si voltò a guardarlo.
   «Adrien…» mormorò lei, stupita. Poi parve ricordarsi di qualcosa e gli si fece più vicina. «Come stai? Tutto bene?» domandò, visibilmente preoccupata. E poiché lui continuava a tacere, lo incalzò. «Ho saputo del disastro di ieri, al termine della lezione di scherma. Eri lì, vero?»
   «Ah», farfugliò Adrien, cercando di recuperare la voce. «Sì, ma è tutto a posto», la tranquillizzò. «Ero già al riparo quando il mostro ha iniziato a fare danni.»
   Marinette sorrise, mandandogli il cuore in subbuglio. «Meno male, allora… Scommetto che è stato Chat Noir a portarti in salvo.»
   «In un certo senso sì», confermò lui, fissandola negli occhi azzurri. Erano gli stessi che aveva sempre ammirato in Ladybug, gli stessi che lo incoraggiavano, che lo schernivano, che lo rimbrottavano e gli sorridevano durante le loro peripezie contro le vittime di Papillon. Ora, però, erano concentrati solo su di lui, sinceramente felici di saperlo al sicuro. Adrien provò una rassicurante sensazione di calore al petto: era bello sentirsi amati.
   «Sai, Chat Noir ha salvato anche me, ieri.»
   «Davvero?»
   «Sì, è stato fantastico», gli assicurò la ragazza, portandosi le mani all’altezza del cuore in un gesto carico di significato.
   Lui distese finalmente le labbra verso l’alto, guardandola con tenera gratitudine. «Se la pensi così, mi fai felice.»
   «Eh?» balbettò Marinette, credendo di non aver compreso bene.
   «Tu», li interruppe Chloé, raggiungendoli dopo averli visti da lontano ed imponendo la propria presenza. «Ho bisogno di parlarti», disse alla compagna di classe, afferrandola per un braccio e trascinandola via da lì.
   «Ehi!» protestò lei, seguendola comunque per evitare discussioni di prima mattina, per di più a pochi minuti da un terribile compito di matematica. «Si può sapere che ti prende? Io e Adrien stavamo solo parlando!»
   «Lo so, vi tenevo d’occhio, cosa credi?» ribatté seccata Chloé, lasciandola andare solo quando erano ormai arrivate nel bagno delle ragazze.
   «E allora? Ti sei alzata col piede sbagliato, come ogni santo giorno?»
   Non cogliendo la provocazione, incrociò le braccia al petto e annunciò: «Abbiamo perso entrambe.» Marinette inarcò un sopracciglio, non capendo cosa volessero significare quelle parole. «Sto parlando di Adrien», proseguì allora l’altra. «È finita, non possiamo competere con Ladybug. Lei è fantastica.» E poiché la sua rivale continuava a tacere, guardandola perplessa, Chloé sollevò le braccia verso l’alto e ruotò gli occhi al soffitto con fare esasperato. «Ma sei stupida?! Mi riferisco a quello che ha detto durante la vostra sciocca riunione di classe!»
   Finalmente Marinette capì e scattò come una molla. «E tu come fai a sapere quello che ha detto o non ha detto?! Se non ricordo male, eri andata via insieme a Sabrina!»
   «Sì, certo», confermò lei, ammirando il proprio riflesso allo specchio lì accanto e ritendendo doveroso accertarsi che il trucco fosse impeccabile come sempre. «Ma avevo lasciato il cellulare sotto al banco, in modo da registrare tutti i vostri noiosissimi segreti.»
   «Cosa?!»
   «Cerca di capire», continuò, ignorando l’indignazione della compagna. «Avevo bisogno di informazioni su Adrien. Oh, sì, e anche su tutti gli altri, così da poterle usare a mio piacimento nel momento del bisogno. Sai, qualche ricattuccio qua e là in cambio di questo o quel favore…»
   «Tu, lurida…!» Marinette dovette ingoiare una parola poco gentile, ma dal modo in cui stringeva i pugni e digrignava i denti, Chloé intuì lo stesso il senso del discorso.
   «Ad ogni modo», riprese senza curarsene, «se Adrien è innamorato di Ladybug, non ci resta che gettare la spugna.»
   «Fammi capire», cominciò a quel punto l’altra, cercando di mantenere la calma, nonostante tutto. «Cosa ti fa credere che a me piaccia Adrien? È dall’inizio dell’anno che non fai che ripeterlo.»
   Chloé le lanciò uno sguardo eloquente. «Mi prendi in giro?» domandò con fare retorico. «Anche un idiota come te se ne sarebbe accorto da un pezzo», affermò con convinzione, senza rendersi conto di aver appena insultato Adrien, l’unico ad essere realmente ignaro dei sentimenti di Marinette per lui. «A proposito, bella sceneggiata, quella che hai improvvisato, per evitare di rispondere alla domanda in questione», si sentì in diritto di complimentarsi la bionda, poiché doveva riconoscere che non avrebbe saputo fare di meglio.
   L’altra sospirò sonoramente, scuotendo il capo con aria sconsolata. «Chloé, arriva al punto: cosa vuoi da me?»
   Quella poggiò le mani sui fianchi e storse la bocca in una smorfia infastidita. «Mi secca riconoscerlo, ma Adrien ti dà ascolto», spiegò di malavoglia. «Cerca di convincerlo che il suo amore per Ladybug non è nient’altro che un’illusione, perché lei è irraggiungibile. E, detto fra noi, sono convinta che abbia una tresca con Chat Noir.»
   Marinette strabuzzò gli occhi, ma per la prima volta non ribatté a quell’insinuazione – un pettegolezzo piuttosto diffuso fra la gente di Parigi, in realtà – negando con decisione una possibile storia d’amore fra lei e il suo partner. Rimase in silenzio, invece. «Gli ho già parlato due giorni fa», disse poi, scoraggiata dalla faccenda. «Non voglio insistere oltre, risulterei invadente.»
   Chloé s’immusonì. «Come al solito non posso contare su di te», borbottò seccata. «D’accordo, me la vedrò da sola», concluse fra sé con irritazione, uscendo dal bagno e lasciandola sola senza aggiungere altro.
   «Più passa il tempo, più mi convinco che quella ragazza abbia dei seri problemi comportamentali», ponderò a mezza voce Marinette, facendo ridere Tikki che si era affacciata dalla sua borsetta non appena l’altra era andata via. «Bene, è ora di concentrarci sul compito di matematica. Forse riuscirò a strappare una sufficienza, dopotutto.»
   Il resto della mattinata trascorse in modo più o meno tranquillo, e sebbene non avesse avuto né tempo né testa per lo studio, Adrien si ritenne piuttosto soddisfatto del proprio compito di matematica. Meno entusiasta era Marinette, che tuttavia era convinta che il lavoro fatto non fosse del tutto da buttare.
   Infine, la campanella annunciò la fine delle lezioni mattutine, ma prima che qualcuno potesse uscire dall’aula la rappresentante di classe si alzò in piedi. «Ragazzi, aspettate!» esordì a voce alta, in modo da attirare l’attenzione generale. «C’è una cosa importante che dovrei dirvi, non l’ho fatto prima per non distogliere la vostra attenzione dal compito in classe.» Tutti arrestarono i loro movimenti e si misero in ascolto. Marinette allora si avvicinò alla cattedra e riprese a parlare. «Riguardo ai nostri incontri sulla fiducia, temo che non sarà più possibile farli qui. La scuola non è un posto sicuro: la nostra privacy è stata violata.»
   Chloé s’irrigidì, mentre tutt’intorno si levava un brusio di sorpresa e indignazione a un tempo. Più di qualcuno pretese di sapere chi avesse mai osato fare una cosa tanto orribile, ma Marinette si ostinò a tenere per sé il nome del colpevole, stupendo Chloé che invece si era aspettata di essere messa pubblicamente alla gogna da quell’intrigante ed insignificante ragazzina.
   «Vi contatterò personalmente uno ad uno e creerò una chat di gruppo in cui discutere insieme i dettagli per il nostro prossimo incontro», disse Marinette, pratica, ritenendo che quello fosse il modo più sicuro per mettersi al riparo da occhi e orecchie indiscrete. «E ora… buon appetito a tutti, ci vediamo più tardi», concluse con un sorriso, lasciando che i suoi compagni fossero liberi di recarsi a pranzo.
   Prima di andar via, Chloé le passò accanto con un’occhiata sospetta, mentre Alya le si affiancava e la prendeva a braccetto, procedendo con lei verso l’uscita. «Scommetto che è lei la colpevole.»
   Marinette sorrise rassegnata. «Ti piace vincere facile.»
   «Dannata oca giuliva…» borbottò l’altra, innervosita per la solita prepotenza della figlia del sindaco. «Consoliamoci al pensiero che oggi deve aver rosicato non poco», cinguettò un attimo dopo, tutta contenta. E all’espressione interrogativa dell’amica, rispose ridendo: «Ma come? Non ti sei accorta che Adrien ha passato quasi tutta la mattina a sbirciare nella tua direzione?» Marinette spalancò occhi e bocca. «Poveretto, gli sarà venuto il torcicollo…»
   «Mi prendi in giro?!»
   «Perché dovrei? Hai praticamente monopolizzato la sua attenzione», le garantì Alya, strizzandole l’occhio con fare complice. «Vado, ci vediamo dopo», la salutò infine, lasciandola ai piedi delle scale d’ingresso in un meraviglioso brodo di giuggiole.
   Tuttavia, le sorprese per lei non erano affatto finite, per quel giorno. Quando tornarono a scuola e furono in procinto di rientrare in classe, Marinette scorse Adrien che le faceva cenno con la mano, salutandola a distanza. La ragazza lo raggiunse in fretta, il cuore che batteva forte e gli occhi luccicanti per l’emozione. Non fecero in tempo a dirsi una sola parola, però, perché la professoressa Bustier li chiamò da lontano. «Vorrei che voi due vi fermaste per qualche minuto, al termine delle lezioni. Io e il preside desideriamo parlarvi di qualcosa di importante.»
   «Ma certo…» risposero loro, pur scambiandosi uno sguardo confuso. Non riuscivano assolutamente ad immaginare quale fosse la ragione per cui monsieur Damocles volesse vederli. Avevano forse combinato qualche guaio o infranto le regole dell’istituto senza rendersene conto? Oppure si trattava di qualcosa di meno grave, come un progetto scolastico o qualcosa di simile? Lo scoprirono poco dopo aver varcato la soglia del suo ufficio, alcune ore più tardi.
   Affiancato dalla professoressa Bustier, l’uomo li fissò attentamente per qualche istante. Con quegli occhietti tondi, le folte sopracciglia scure, il naso adunco e la lunga barba grigia, ricordava molto un vecchio gufo arrabbiato. «Adrien, Marinette», esordì dopo quella che parve un’interminabile attesa, «vi ho convocati qui perché la vostra professoressa ha portato alla mia attenzione un particolare piuttosto curioso.» Non immaginando affatto di cosa potesse trattarsi, i due rimasero in religioso silenzio in attesa di capirne di più. Lo videro mettere mano al registro di classe e aprirlo alla pagina delle presenze, dove iniziò a battere la punta dell’indice in diversi punti. «La professoressa Bustier ha notato, non a torto, che voi due vi assentate spesso insieme. Anzi, sempre», sottolineò fra i denti, facendoli rabbrividire.
   La spiegazione era molto semplice: ogni volta che un pericolo minacciava Parigi durante le ore di lezione, Ladybug e Chat Noir avevano il sacrosanto dovere di intervenire per salvare la situazione, sia pure a scapito della loro carriera scolastica – ma al preside e alla professoressa non potevano di certo dirlo. E se pure Adrien trovò la cosa perfettamente normale, poiché era al corrente della vera identità della sua compagna di battaglia, a Marinette invece parve una straordinaria, quanto inspiegabile coincidenza che lui si assentasse proprio quando lo faceva anche lei.
   «Quello che vorrei chiedervi ora è», riprese monsieur Damocles dopo una breve pausa ad effetto, «dove diavolo sparite, insieme?»
   «Insieme?» ripeté la ragazza, come instupidita da quella conclusione piuttosto ovvia.
   L’uomo intrecciò le mani davanti a sé, guardandola con fare accigliato. «Signorina, faccio questo lavoro da così tanto tempo che non mi è difficile capire quando i miei studenti mi stanno nascondendo qualcosa», le fece sapere, cercando tuttavia di portare pazienza. «Quindi vi consiglio caldamente di dirmi cosa sta succedendo, prima che io decida di prendere seri provvedimenti, avvisando i vostri genitori dell’intera faccenda.»
   Adrien si allarmò: se suo padre fosse venuto a saperlo, nulla gli avrebbe impedito di ritirarlo da scuola, proprio come aveva implicitamente minacciato di fare appena il giorno prima. «Monsieur Damocles», prese quindi parola, facendosi coraggio anche per l’amica. «Perdoni la domanda, lei aveva successo con le ragazze, quando aveva la nostra età? Io sono sicuro di sì.» Gli altri tre si volsero a guardarlo come se fosse improvvisamente impazzito. «Pertanto deve conoscere anche lei i palpiti di un giovane cuore innamorato, le emozioni che offuscano la ragione, la passione che accende l’animo!»
   L’uomo si schiarì la voce, iniziando a capire dove lui volesse andare a parare. «Alla vostra età, più che altro, li chiamerei ormoni», lo corresse in un borbottio, incurante di nascondere il proprio pensiero al riguardo, lasciando ulteriormente spiazzata Marinette e facendo sospirare la professoressa Bustier, che lo richiamò con discrezione ai propri doveri. «Se le cose stanno così, la situazione è ancora più grave», affermò il preside, spietato.
   «Monsieur Damocles, la prego», insistette Adrien, temendo il peggio. «Non può negare a due ragazzi le gioie dell’amore!» Finalmente Marinette afferrò il senso del discorso e la mascella le ricadde verso il basso, mentre fissava con occhi sgranati quel pazzo del suo amico continuare nella propria, appassionata arringa difensiva per tirarli fuori dai guai. Sentiva il viso andare a fuoco per l’imbarazzo, ma non riuscì a trovare né la forza né il coraggio di intromettersi.
   «E non potreste vivere le vostre gioie in orari che non collidano con i vostri impegni scolastici?» volle capire il preside, non sapendo se arrabbiarsi per la faccia tosta di quel ragazzino o se piuttosto applaudirlo per la sincerità con cui stava ammettendo le loro colpe.
   «Ci impegneremo in tal senso», promise lui, mettendo una mano sul cuore a mo’ di giuramento. «Vero, Marinette?» E poiché non ricevette alcuna risposta dalla compagna di classe, le lanciò uno sguardo preoccupato, notando solo allora lo stato di profonda vergona e confusione in cui l’aveva trascinata senza neanche chiederle il permesso. Si morse le labbra, sinceramente mortificato.
   Il telefono di monsieur Damocles squillò in quel momento, distogliendo l’attenzione di tutti dall’espressione sconvolta di Marinette. «Devo rispondere per forza, maledizione», bofonchiò l’uomo, dopo aver gettato un’occhiata al numero che lo stava chiamando. Si rivolse un’ultima volta ai due ragazzi e, facendo loro cenno di uscire dall’ufficio, concluse: «Che non ricapiti più o sarò costretto a fare rapporto ai vostri genitori.»
   «Sissignore!» scattò Adrien sull’attenti. E poiché Marinette non accennava a muovere muscolo, l’afferrò gentilmente per un gomito e la spinse via con sé, oltre la soglia della stanza.
   «Per questa volta vi è andata bene», commentò la professoressa Bustier, chiudendo la porta per lasciare al preside tutto il tempo e la tranquillità di rispondere al telefono. Osservò i due ragazzi con aria sorniona e, con fare quasi materno, aggiunse soltanto: «Cercate di essere prudenti.»
   «Certo, ci mancherebbe», rispose Adrien, troppo puro per cogliere appieno il vero significato di quel consiglio. «A domani, professoressa», salutò poi allegramente, continuando a trascinarsi dietro Marinette e scendendo con lei le scale.












Mi sono sempre chiesta come mai nessuno abbia notato che i due si assentano spesso insieme, soprattutto durante le ore scolastiche. È pur vero che la maggior parte delle emergenze avviene direttamente a scuola e pertanto le lezioni vengono sospese e blabla, ma qualche volta deve pur essere capitato che Adrien e Marinette si siano volatilizzati inspiegabilmente durante le lezioni. Di più, non credo di essere andata troppo lontana con la fantasia, immaginando Adrien che fa un discorso di questo genere al preside: ricordiamoci che, sia pure nei panni di Chat Noir, in uno dei primi episodi si è allegramente spacciato per l'innamorato di Ladybug. E, in tutta onestà, per quale ragione non dovrebbe farlo ancora, questa volta coinvolgendo però le vere identità sua e di Marinette? Stiamo pur sempre parlando di una delle persone più sfacciate di tutta Parigi, temo... Senza maschera lo nasconde bene, certo, ma noi sappiamo benissimo qual è la verità. :'D
Quanto al resto, ora ci troviamo in una situazione paradossale: da un lato abbiamo Marinette che si preoccupa per Chat Noir (e pensa giustamente che Adrien sia impazzito), dall'altro abbiamo Adrien che crede di non essere amato da lei né nei panni di Chat Noir né in quelli di semplice civile. Insomma, direi che siamo messi bene.
E anche per oggi è tutto. Questo era il capitolo che segna la metà dell'intera fanfiction, ragion per cui dal prossimo si comincerà lentamente a volgere verso il finale (ricordo che i capitoli in tutto sono nove).
Ringrazio come sempre chi è arrivato a leggere fin qui, chi recensisce e chi aggiunge la presente fra le storie preferite/ricordate/seguite.
Buona giornata! ♥
Shainareth





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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***





CAPITOLO SESTO




Fu solo quando Marinette mise un piede in fallo su uno degli ultimi gradini che Adrien si fermò, riuscendo ad evitarle la caduta. «Tutto bene?» le chiese gentilmente, tenendola salda per le spalle.
   «Sì… credo…» balbettò la ragazza, ancora rossa in volto per il colloquio con il preside. Non aveva il coraggio di guardare l’amico in faccia, temendo che lui potesse leggervi tutta la gamma di emozioni che l’avevano investita fino a quel momento.
   Adrien se ne accorse e, facendosi un esame di coscienza, si decise a lasciarla andare e ad affrontare l’argomento per poter riparare. «Mi spiace averti messa in imbarazzo, poco fa», cominciò allora, facendola irrigidire e sentendosi di colpo anche lui a disagio. Stava arrossendo? Diamine, sì. Ringraziò il pudore di Marinette, che costringeva la ragazza a tenere rivolti verso il basso i suoi grandi occhi azzurri. «Non mi è venuta in mente una scusa migliore», continuò il giovane, cercando di mantenere fermo il tono di voce.
   «N-Nessun problema, sono capite che cosano», rispose lei, lucidissima.
   «Ehm… Cose che capitano
   «Quello, sì.»
   Seguì un lungo, imbarazzato attimo di silenzio. Poi, prendendo un bel respiro, e con esso tutto il coraggio di cui disponeva, Adrien decise di vuotare il sacco. «Marinette, ascolta», iniziò serio, afferrandola di nuovo per le spalle e inducendola a guardarlo. Occhi negli occhi, il giovane trovò finalmente risposta alla domanda che gli aveva posto Plagg la sera prima: sì, era ancora innamorato di lei. Sorrise, avvertendo un gran senso di serenità nel cuore.
   Schiuse le labbra per farglielo sapere, determinato a non avere segreti di alcun genere con l’amata, ma fu invece la voce di Chloé a irrompere forte fra loro. Di nuovo. «Adrien!» lo chiamò dall’alto del ballatoio del piano superiore, spezzando l’incanto che si era venuto a creare. «Oh, Adrien, finalmente! Ti ho cercato dappertutto!» continuava a dire lei, affrettandosi a scendere le scale per raggiungerlo.
   Marinette seguì la scena senza fiatare, trovando comunque un peccato che quell’arpia li avesse interrotti. Si chiese cosa avesse, Adrien, da dirle di così importante; perché, per quanto modesta fosse, si era almeno resa conto della solennità del momento. «Chloé… potresti aspettare? Devo parlare con Marinette di una cosa molto importante.»
   «Anche quello che devo dirti io lo è», ribatté lei, arpionandolo per il collo in un abbraccio e fissando in tralice l’altra ragazza con un sorrisetto da schiaffi. Marinette si limitò a grugnire, benché la tentazione di strattonarla per i capelli fosse forte. «Anzi, è di vitale importanza», disse ancora Chloé, avvicinando pericolosamente il volto a quello di Adrien che, dal canto suo, iniziò a temere il peggio e a cercare goffamente di scollarsela di dosso.
   «Ehm… Chloé? Mi stai spezzando la schiena», buttò lì, sperando che l’amica mollasse almeno la presa.
   Lei lo fece, ma di contro si avviticchiò al suo braccio e lo tirò via da lì. «Vieni con me, c’è davvero una cosa importante che devo dirti.»
   Troppo gentile per allontanarla bruscamente, il giovane si lasciò trascinare via, ma rivolse un ultimo, disperato sguardo all’amata. «Ti chiamo più tardi!» le promise, mimando persino la cornetta di un telefono con un gesto della mano libera.
   Marinette rimase immobile lì dov’era, fissandoli con aria inebetita. Poi, quando entrambi furono ormai abbastanza lontani, infilò con foga la mano nello zaino e recuperò il cellulare, avviando febbrilmente una chiamata. «Alya!» urlò quando ricevette risposta, non riuscendo a controllare il volume della voce. «Adrien è completamente impazzito!» E come poteva essere altrimenti?! Quel giorno aveva decisamente dato i numeri: anzitutto non distogliendo quasi per nulla la propria attenzione da lei sin dalla prima ora di lezione; poi giurando al preside che loro due avevano una tresca amorosa; infine, dicendo che l’avrebbe chiamata più tardi, cosa che non era mai successa prima di allora. «Per questo dico che è impazzito!» continuava a farneticare la ragazza, gesticolando convulsamente al cellulare mentre si avviava verso casa. «Non c’è altra spiegazione! Anzi, una c’è: ieri Chat Noir non è riuscito ad afferrarmi in tempo e io mi sono maciullata al suolo, così ora mi trovo a vivere in una realtà parallela – tipo quel film che abbiamo visto insieme l’altra volta, ricordi? – dove tutti i tuoi desideri si realizzano e puoi tranquillamente credere di essere in paradiso. E se è così, tipregotipregotiprego, non mi svegliare!»
   «Marinette. Respira», fu il caldo consiglio che le diede Alya, ridendo dall’altro capo del telefono. «Stai andando in iperventilazione.» Lei obbedì e si sentì vagamente meglio, ma comunque frastornata. «Dov’è ora, quel dongiovanni?»
   «Non chiamarlo così!» si risentì, pronta a difendere l’amato a spada tratta.
   «Beh, scusa, l’altro giorno giurava di essere innamorato di Ladybug…»
   «Forse ha fatto chiarezza nei suoi sentimenti, che vuoi che ne sappia? In ogni caso, è andato via con Chloé. O meglio, lei lo ha trascinato via. Lo sai quant’è prepotente.»
   E lo era al punto da costringere il povero Adrien su una panchina del parco lì vicino, a sorbirsi un’intera filippica su quanto fosse sconveniente credere di provare amore nei confronti di un personaggio pubblico di grande importanza, anche e soprattutto perché si correva il serio, quanto probabile rischio di ricevere una brutale delusione. Fu quando lei insistette per l’ennesima volta su questo punto che lui, da bravo scolaretto, alzò una mano per interromperla. «Ti ricordo che anch’io sono un personaggio pubblico», disse soltanto, indicando con un cenno distratto della mano un cartellone pubblicitario, ben visibile anche oltre la cancellata del parco e sul quale spiccava una gigantografia del suo volto.
   «Oh, ma naturalmente, Adrien. E, in quanto figlia del primo cittadino di Parigi, lo sono anch’io», replicò Chloé con boria, ignorando l’espressione contrariata e annoiata dell’amico. «Ma qui si sta parlando di Ladybug, capisci? Lei è irraggiungibile!»
   «Quindi sei tu la talpa», concluse invece il giovane, ricordando il discorso che Marinette aveva fatto alla classe al termine delle lezioni della mattina. «Altrimenti non si spiegherebbe come tu sia a conoscenza di ciò che ci siamo detti durante la riunione dell’altro giorno.»
   «Quello che sto cercando di dirti, Adrien», lo ignorò lei, facendo orecchie da mercante, «è che non puoi essere davvero innamorato di lei! Non sai nemmeno chi sia!»
   «Conosco Ladybug personalmente, è una ragazza deliziosa», la smentì invece l’altro, deciso a tagliare corto. Magari Marinette era ancora a scuola. O forse lui poteva passare un attimo dalla pasticceria prima di tornare a casa…
   «Cosa?!» esclamò Chloé, strabuzzando gli occhi. «La conosci?! Sai chi è?! Presentamela!»
   Il giovane scrollò le spalle. «Non credo di poterlo fare. Sai, questione di privacy.»
   «Ma lei è il mio idolo! È l’unica per la quale rinuncerei a te senza fare storie!»
   Quella dichiarazione ridestò tutta l’attenzione di Adrien, che subito sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi, mentre i suoi occhi verdi venivano attraversati da una scintilla carica d’entusiasmo. «Wow, sul serio? Allora… senza rancore?» E, nel chiederglielo, si alzò in piedi e le porse la mano in attesa di una stretta amichevole che sancisse l’accordo.
   Chloé s’immusonì, fissandolo da sotto in su con aria offesa.
   Quella mossa spontanea e gioiosa costò ad Adrien una crisi isterica da parte della ragazza, che per ripicca lo tenne impegnato per quasi tutto il resto del pomeriggio, strepitando come un’ossessa e rintronandolo come se lo avesse centrifugato a mille giri in lavatrice per un’ora intera. O almeno era così che si sentiva Plagg, quando rientrarono a casa e fu libero di uscire finalmente dalla borsa dei libri del giovane. «Ma quanto diavolo parla, quella?!»
   «Chloé è piuttosto sola… come me», constatò Adrien, vedendo le cose sotto una prospettiva diversa e più obiettiva.
   «E la sua amica Sabrina?»
   «È l’unica che ha», spiegò, lasciandosi cadere stancamente sul divano e rilassando la testa sullo schienale. «A parte me, si intende. Il che è un peccato, Chloé non è tanto male, e se si decidesse ad abbassare un po’ la cresta e ad essere più gentile con gli altri, penso che potrebbe averne molti di più, di amici.» Plagg lo guardò scettico ma non replicò, preferendo concentrarsi sulla confezione di camembert che aveva recuperato da uno dei cassetti della scrivania. Adrien osservò il cielo al crepuscolo al di là dei vetri della grande finestra e sospirò. «Dannazione… avevo promesso a Marinette che l’avrei chiamata…»
   «Puoi ancora farlo», gli fece notare il kwami.
   L’altro prese in mano il cellulare e scorse i numeri presenti in rubrica, fino ad arrivare a quello di Marinette, al quale aveva assegnato anche un’immagine profilo ritagliata da una delle foto che avevano fatto al parco con i loro compagni di classe, qualche tempo prima. Da lì, la ragazza lo fissava con un sorriso sincero, gli occhi pieni di allegria e quella leggera spruzzata di lentiggini sul naso che Adrien aveva sempre trovato adorabile. Benché fossero passate già ventiquattr’ore da quando aveva scoperto la verità, a tratti gli sembrava ancora incredibile che dietro quel visetto grazioso e innocente si nascondesse l’ineffabile eroina di Parigi. Di più, gli sembrava ingiusto che lei non sapesse ancora chi c’era sotto la maschera di Chat Noir. Doveva dirglielo.
   «Farò di meglio», stabilì allora, raddrizzando la schiena. «Andrò da lei.»
   «A quest’ora? Tuo padre non ti darà mai il permesso di uscire.»
   «Nessun problema, lo farò nei panni di Chat Noir.»
   «Sei fuori di testa?» si allarmò Plagg, svolazzandogli vicino con il camembert fra le zampine.
   «Oggi ho messo Marinette in imbarazzo, devo rimediare in qualche modo.»
   «Credevo ti fossi già scusato.»
   «È stato Adrien a farlo, ma il mio sesto senso mi dice che al momento le sta più simpatico il mio alter ego», ragionò il giovane, convinto di ciò che diceva.
   «Il tuo sesto senso fa schifo», ci tenne a fargli sapere il piccolo kwami. «Davvero sei così tonto da non esserti accorto che stravede per te?»
   «Mi considera solo un amico», insistette l’altro, ancora scottato dal fatto che Marinette aveva cercato di fargli cambiare idea circa i suoi sentimenti per Ladybug – e quindi per lei. «Per questo ho deciso che sarà Chat Noir a dirle la verità.» Plagg provò il più che giustificabile impulso di spalmargli il formaggio sul naso, e se non lo fece fu solo perché Adrien lo sorprese con due parole: «Plagg, trasformami!»

Dopo cena, Marinette era salita in camera dicendo ai propri genitori che si sarebbe rilassata riprendendo il lavoro di cucito lasciato in sospeso il giorno addietro, prima che scoppiasse tutto quel putiferio a scuola. Nelle sue intenzioni era proprio quello che avrebbe voluto fare, tuttavia quando fu costretta a mettere mano per la terza volta alla stessa asola, si rese conto di non avere la concentrazione necessaria per continuare. Lasciò ricadere la stoffa sulla scrivania e lanciò uno sguardo alla piccola Tikki che la fissava con occhioni curiosi. «Stai pensando a lui?»
   «A loro, in realtà», confessò la ragazza, stringendo le labbra con aria inquieta. «Adrien non mi ha chiamata, alla fine. Non che mi illudessi, ma…» Diede un’occhiata distratta al monitor del computer acceso, sul quale spiccava un collage di foto del giovane decorato con motivi a cuori. Sapeva che era troppo bello per essere vero… Sospirò. «E poi», riprese dopo una manciata di secondi, «non ho più avuto notizie di Chat Noir.»
   «E questo ti preoccupa?»
   «Certo», fu la sincera riposta che diede. «Tengo molto a lui, e non vorrei che fosse rimasto deluso dal fatto che dietro la sua personale immagine ideale di Ladybug si nasconde invece una ragazzina goffa e insignificante.»
   Tikki si corrucciò, trovando che l’amica fosse fin troppo ingiusta con se stessa. «Tu non sei affatto insignificante», la redarguì, piazzandosi davanti al suo naso con aria severa. «Come ti dicevo ieri, credo che abbia solo bisogno di tempo.» Marinette però non parve del tutto convinta della cosa, così il piccolo kwami le sorrise. «Non pensarci ora, sono certa che quanto prima vi rivedrete e potrete chiarire ogni cosa. Non siete solo partner, siete anche buoni amici, legati da un’incrollabile fiducia reciproca.»
   La ragazza abbozzò un sorriso. «Sì, è vero», ammise. Per quanto a volte non vedessero le cose dallo stesso punto di vista o fossero stati messi l’uno contro l’altra per colpa del potere del miraculous della Farfalla, il rapporto fra lei e Chat Noir non ne aveva mai risentito, legandoli sempre più in un sodalizio indissolubile contro Papillon. «Ho bisogno di distrarmi, prenderò un po’ d’aria», si disse, alzandosi e avviandosi verso il terrazzino con uno spruzzino pieno d’acqua in mano con l’intento di annaffiare le piante.
   La serata era mite, e il cielo del tutto sgombro di nubi regalava una luna piena quasi per metà. Marinette pensò fosse un vero peccato che non si vedessero stelle a sufficienza, dal centro di Parigi, e per quanto amasse la casa in cui viveva, a volte desiderava trovarsi in periferia, dove di sicuro la volta celeste era ben più visibile. Le sarebbe anche piaciuto condividere quel meraviglioso spettacolo con Tikki, Alya, Nino e, soprattutto, Adrien. Fu quando la sua mente tornò a lui che i ricordi di quella giornata l’assalirono e, con essi, anche le emozioni provate, irruenti come solo l’amore sapeva renderle. Abbassò lo sguardo sulle rose del suo balcone, fissandole senza vederle realmente. Visto che Adrien non lo aveva fatto, poteva sentirsi autorizzata a chiamarlo per chiedergli di cosa volesse parlarle a scuola, prima che Chloé li interrompesse? Oppure poteva bastare un semplice messaggio? O, forse, il giovane aveva avuto il pomeriggio pieno a causa degli impegni con i vari corsi che seguiva o di qualche appuntamento di lavoro…
   Sospirando per l’ennesima volta, tornò ad alzare lo sguardo, trovando davanti a sé due occhi verdi che la fissavano allegramente. «Buonasera, my lady!» Tikki cercò istintivamente riparo fra le piante, e Marinette soffocò un urlo e indietreggiò fino ad inciampare contro la sedia a sdraio alle sue spalle, sulla quale finì stesa prima che questa le si chiudesse attorno. Rimasto appeso a testa in giù ad assistere impotente alla scena, Chat Noir s’affrettò a lasciarsi cadere giù dal bastone che lo aveva tenuto sospeso a mezz’aria dal tetto e la raggiunse con un salto, aiutandola a trarsi d’impaccio da quella situazione alquanto buffa. «Cavoli se sei imbranata…» la prese bonariamente in giro, tirandola su e sorridendole con tenerezza.
   La ragazza incrociò le braccia al petto, indignata ma sollevata di vederlo di buon umore. «Mi hai fatta spaventare», lo accusò per partito preso. «Di nuovo», rimarcò.
   «Perdonami, non era mia intenzione», le concesse lui, recuperando il bastone. «Ti sei fatta male?»
   «No», rispose Marinette, osservandolo ora quasi con timidezza. «E tu… tutto… bene?» ci tenne a chiedergli, ancora preoccupata per il modo in cui Chat Noir aveva reagito scoprendo la sua identità segreta.
   «Alla grande», le assicurò quello, inalberando la solita espressione vispa e allegra che lo contraddistingueva quando parlava con la sua partner.
   «Ok… bene… sono contenta.»
   «Scusa se ti disturbo a quest’ora», riprese dopo un attimo, «ma volevo una tua opinione sulle luci di Parigi.» Presa alla sprovvista, la ragazza lo fissò con aria stranita e lui ne approfittò per passarle un braccio attorno alle spalle e sospingerla verso la ringhiera. «Guarda che meraviglia, Marinette: i romantici lampioni lungo la Senna, l’ombra di Notre Dame che incombe sulla città con i suoi spaventosi gargoyles, la luce abbagliante degli Champs-Élysées, la santità del Sacre Coeur che ci guida dall’alto di Montmartre… e, su tutto, trionfa la maestosità della Tour Eiffel, capace di illuminare a giorno l’intera zona con la sua sola presenza. Proprio come te», concluse con un sensuale sussurro all’orecchio di lei.
   «Dovresti fare il poeta», tagliò corto Marinette, allontanandolo con decisione e liberandosi dal suo abbraccio.
   «Anche se seguissi il tuo consiglio, ho idea che non apprezzeresti comunque le mie liriche», borbottò Chat Noir, risentito dalla sua insensibilità.
   La ragazza si lasciò scappare un risolino divertito, prima di sorprenderlo con l’affermazione successiva: «Sono contenta che tu sia qui.»
   Lui tornò ad illuminarsi quasi quanto la Tour Eiffel – che in realtà si trovava alle loro spalle e non dove le aveva indicato poco prima. «Davvero?»
   «Non ho ancora avuto modo di ringraziarti per avermi salvata», continuò Marinette. «Inoltre, non è stata neanche la prima volta, ieri.»
   «Vivo soltanto per questo, my lady
   Sorrise, non cogliendo come al solito la sincerità di quelle parole. «A proposito, come mai sei qui? Il motivo vero, però.»
   «Per vedere se stavi bene», disse il giovane, tornando ad avvicinarsi. «E anche per rubarti un bacio, lo confesso.»
   Protese le labbra e Marinette gli spruzzò l’acqua in faccia, come si fa con i gatti disobbedienti, facendolo quasi soffiare in segno di protesta. «Buonanotte, Chat Noir», sbuffò la sua bella, imboccando la botola che l’avrebbe condotta in camera.
   L’altro non demorse e la seguì con un agile salto, atterrando all’interno dell’edificio sulle quattro zampe. «Marinette, aspetta!»
   Lei si girò a guardarlo con insofferenza. «Non mi pare di averti invitato ad entrare.»
   «Devo parlarti seriamente», ribatté Chat Noir, tornando ritto sulle gambe. «Perciò ascoltami, ti preg…» Si zittì quando i suoi occhi catturarono un particolare che era certo non esserci quando era stato lì la prima volta. «Quello… non è… Adrien?» si sentì autorizzato a chiedere, indicando le foto con cui l’amica aveva tappezzato le pareti della propria camera.
   Sudando freddo, Marinette iniziò a balbettare nel tentativo di depistarlo. «Io… ah… ehm… Il fatto è che sono una grandissima fan dei lavori di Gabriel Agreste, ecco», sottolineò, senza aver bisogno di mentire – come invece fece subito dopo. «Quindi mi interesso anche ai modelli indossati da suo figlio, mi pare ovvio.»
   Nonostante si stesse palesemente arrampicando sugli specchi, Chat Noir si portò una mano al mento con fare pensoso, cascandoci con tutte e due le scarpe e cominciando a pensare che forse avrebbe potuto sfruttare quell’ammirazione per suo padre per invitare Marinette a casa sua e passare più tempo con lei. E mentre lui continuava a rimuginare su quel piano malefico, la ragazza si avvicinò di soppiatto al computer per spegnerne il monitor prima ancora che il suo collega potesse vedere il ben più equivocabile desktop, pieno di cuori che incorniciavano il volto sorridente di Adrien. Quindi, tirando un sospiro di sollievo, si lasciò cadere sulla sedia della scrivania. «Chat Noir», chiamò allora, riportandolo con i piedi per terra, «che volevi dirmi?»
   «Oh, giusto», balbettò lui, tornando a guardarla. Nella penombra della stanza, illuminata solo dalla lampada da tavolo e dalla lucina della macchina da cucire, gli parve ancora più minuta di quanto non fosse in realtà. Provò un moto di tenerezza nei suoi confronti, un sentimento che gli riscaldò il cuore e lo fece agire d’istinto, buttando ogni prudenza al vento. «Ci ho pensato a lungo e… non solo non ho cambiato idea, l’ho persino rafforzata», esordì allora in tono appassionato, lasciandola stordita per quell’improvviso scoppio emotivo. Incapace di star fermo, Chat Noir iniziò a misurare a grandi passi la stanza. «Il fatto è che tutto mi sarei aspettato, meno che fossi tu
   E questo doveva averlo evidentemente deluso. Fu questa la conclusione a cui giunse Marinette, abbassando le ciglia sul viso, non del tutto sicura di ciò che si agitava nel proprio animo. Era mortificazione? Forse. Eppure sapeva che non aveva alcun motivo per sentirsi in quel modo. Toccava solo a Chat Noir accettare quello stato di cose.
   «Sapevo che Ladybug era fantastica, perciò…» Il giovane arrestò finalmente il passo e si lasciò andare ad un lungo sospiro, posando su di lei due occhi carichi d’affetto. «Sono felice che sia tu.» Marinette alzò la testa di scatto, non aspettandosi minimamente quella conclusione. Chat Noir le fu accanto in un balzo, accovacciandosi davanti a lei e prendendole le mani fra le sue. «Era questa la ragione per cui inconsciamente mi piacevate entrambe», tornò a ripetere a se stesso, gli occhi immersi in quelli di lei.
   La ragazza avvertì di colpo tutta la forza dei suoi sentimenti e quasi ne ebbe timore. Scattò in piedi, facendo scivolare indietro la sedia e sfuggendo alla sua presa. Chat Noir la riacciuffò per le spalle, in modo deciso e dolce al contempo, bloccandola contro la scrivania: doveva dirglielo, non riusciva più a contenere le proprie emozioni.
   Le sue mani risalirono delicatamente fino al viso di Marinette e lui posò la fronte contro la sua, fissando l’azzurro di quegli occhi che tanto amava e sentendola fremere sotto al suo tocco. «Ti amo», le soffiò disperatamente sulle labbra, non riuscendo a pensare a nient’altro che potesse esprimere appieno quel sentimento così profondo.
   «Chat…» sussurrò lei, sfiorando con dita tremanti quelle del giovane. Avrebbe voluto allontanarlo, eppure si sentiva del tutto inerme sotto al suo sguardo appassionato. Com’era possibile, se la conosceva così poco, come Marinette?
   «Lo so che non ricambi i miei sentimenti, lo so», proseguì indomito lui, la voce spezzata da quella lacerante consapevolezza. «Vorrei solo che tu… ne tenessi conto. Seriamente, questa volta.»
   Nel silenzio opprimente che seguì quella disperata preghiera, nessuno dei due riuscì ad interrompere il magnetismo dei loro sguardi. Poi, d’un tratto, Chat Noir chiuse le palpebre e si scostò da lei, lasciandola andare quasi a malincuore. «Volevo solo dirti questo.» E prima ancora che Marinette potesse fare o dire alcunché, uscì dalla camera, lasciandola con un senso di totale smarrimento nel cuore.












Ed eccoci ad un secondo, grande BOOM! Sinceramente, penso che prima o poi ad uno dei due verrà un infarto, ma tralasciamo...
Con questa ho archiviato le scene Marichat, che sono state belle intens... ah, no, ce ne sarà un'altra, più in là. Va beh, in ogni caso ora tocca tornare alla Adrinette (la più tenera! ♥) e dare spazio alla Ladynoir e alla Ladrien (che non è ancora stata avvistata per nulla in questa storia). Insomma, ve l'avevo detto che le avremmo viste tutte, no? Vero? No, chiedo perché non me lo ricordo più, se l'ho detto, lol. È colpa dell'età, vogliate perdonarmi...
Altri tre capitoli e saremo arrivati all'epilogo. Intanto continuerò sempre a ringraziare tutti i lettori, ma anche e soprattutto chi lascia una recensione (facendomi notare ciò che va e ciò che non va) e chi inserisce la storia fra le preferite/ricordate/seguite.
Grazie di cuore e buona giornata! ♥
Shainareth





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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***





CAPITOLO SETTIMO




«Ce l’ho fatta, Plagg! Sono riuscito a dirglielo!» esultò Adrien, non appena rientrò dalla finestra della sua camera e sciolse la trasformazione. Si sentiva fiero e forte come un leone, pieno di energia e di buona volontà, come se dopo quella sera avesse potuto spaccare il mondo. E se Marinette un giorno avesse ricambiato i suoi sentimenti? Cielo, sarebbe stato ancora meglio!
   Ci pensò Plagg a farlo sgonfiare come un palloncino. «È stato Chat Noir a dirglielo, non tu», gli fece presente, svolazzando con aria stravolta verso il divano, sul quale si abbandonò stancamente.
   «E che differenza fa?»
   «Marinette non sa che tu sei Chat Noir.»
   Rimasero in mortale silenzio per qualche terribile attimo. Poi Adrien si portò le mani nei capelli con fare disperato ed esplose: «Sono un emerito idiota!»
   «Almeno ne sei consapevole», sbadigliò il kwami, grattandosi il fondoschiena.
   L’altro lo ignorò, concentrato com’era sulla propria tragedia personale. «Ero talmente preso dai miei sentimenti che mi sono completamente dimenticato di dirle la cosa più importante!»
   «Ormai la frittata è fatta. C’è del camembert?»
   «Torno da lei.»
   «Non ti azzardare! Sono stanco morto!»
   «Ma ho bisogno di dirle la verità!»
   «Avresti potuto pensarci prima di metterti a fare il galante, mostrandole la città dall’alto e facendo il poeta!» lo rimbrottò Plagg, che davvero non concepiva come potesse avere a che fare con un ragazzo tanto melenso. «Inoltre ritengo che oggi tu abbia giocato fin troppo con il cuore di quella povera ragazza, perciò lasciala in pace!»
   «Io non ho giocato con il suo cuore!» ribatté Adrien, seriamente offeso. Lo faceva davvero così superficiale? Non era colpa sua se, quando era troppo coinvolto in qualcosa, agiva d’istinto anziché soffermarsi a riflettere sulla faccenda come faceva di solito. Mise mano al cellulare. «La chiamo.»
   «Pessima mossa.»
   «Perché? Marinette aspettava una mia telefonata, nel pomeriggio.»
   «E che le dirai? Scusa, mia cara, ma siccome sono stupido, tra una romanticheria e l’altra mi è sfuggito di dirti che ero io, il tizio vestito di nero che stasera ti ha praticamente assalita senza neanche lasciarti il tempo di respirare.»
   Pur corrucciando la fronte per il verso in falsetto che il kwami gli aveva fatto, Adrien contestò solo il succo del discorso: «Detta così, sembra inquietante.»
   «Appunto», rimarcò Plagg. «Mettiti nei panni di quella ragazza.» L’altro abbassò lo sguardo, dovendo rassegnarsi a dargli ragione. «Di una cosa, però, bisogna darti atto», riprese il suo piccolo amico dopo qualche istante. «Grazie alle tue doti da gran seduttore, potresti benissimo essere appena diventato il rivale di te stesso.»
   Sentendosi preso in giro, il ragazzo marciò verso l’uscita della camera senza cogliere la sua provocazione. Aveva ben poco da recriminare, a dirla tutta, poiché Plagg non era andato poi troppo lontano dalla realtà.
   Non appena Chat Noir aveva spiccato un balzo dal terrazzino di casa Dupain-Cheng, Tikki si era precipitata all’interno della camera di Marinette dopo aver assistito all’intera scena da una delle finestre. Aveva trovato l’amica immobile davanti alla scrivania, con il viso paonazzo e stravolto dalle forti emozioni che il giovane era riuscito a riversare su di lei con quell’appassionata dichiarazione del tutto inattesa. Quando poi il piccolo kwami aveva provato a chiamarla per chiederle come stesse, Marinette aveva sentito le gambe tremare ed era scivolata giù, seduta sul pavimento con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata. «N-Non scherzava, allora…» aveva annaspato, ancora incredula. «Quando… Quando diceva tutte quelle cose… lui le pensava sul serio…»
   Tikki si era stretta nelle spalle, dispiaciuta che l’amica non se ne fosse mai resa conto. «Davvero non lo avevi capito?»
   La ragazza aveva scosso leggermente la testa. «E come avrei potuto prenderlo sul serio, viste tutte le altre sue spacconate?» Si era portata le mani al volto, trovandolo bollente. «Sono una persona orribile…» aveva farfugliato subito dopo, facendosi un esame di coscienza.
   «Cosa? Perché mai pensi una cosa del genere?»
   «Perché ho sempre sminuito i suoi sentimenti e non ho fatto altro che respingerlo, senza fermarmi un attimo a riflettere! Se Adrien facesse una cosa simile con me…!»
   «Marinette…»
   Aveva quindi issato le ginocchia al petto e vi aveva nascosto il viso contro, sentendosi sull’orlo delle lacrime. «Lui, invece, non ha mai desistito, neanche dopo aver scoperto che sono io, Ladybug…» aveva mormorato con voce tremula.
   Dopo di che, non aveva detto più nulla, chiudendosi in un silenzio angosciante fino a che non aveva deciso che fosse abbastanza tardi per mettersi a letto. Difficilmente sarebbe riuscita a dormire, quella notte, ma almeno avrebbe provato a rilassarsi nel buio della stanza, cercando di svuotare la mente dai mille pensieri che l’affollavano.
   A dispetto del cielo quasi terso di quella sera, la mattina seguente portò con sé un tempo uggioso che ben si sposava con l’umore della ragazza. Alla fine era riuscita ad appisolarsi a tarda ora, benché i suoi sogni non l’avessero aiutata a riposare per davvero, tormentandola ora con le sembianze di Chat Noir ora con quelle di Chloé, che era riuscita a conquistare Adrien e gli proibiva categoricamente di telefonarle, facendo cadere nell’oblio ogni tenue speranza del suo povero cuore.
   Si alzò dal letto più svogliatamente del solito, ma non protestò, preparandosi con gesti lenti e meccanici per uscire di casa. Si risvegliò davvero solo quando, arrivata davanti scuola, inciampò rovinosamente sul gradino più alto della scalinata d’ingresso, finendo col far girare un bel po’ di persone nella sua direzione e regalando diverse risate.
   «Tutto bene?» La voce gentile di Nino le coprì almeno in parte, inducendo Marinette ad alzare lo sguardo e a ricambiare il suo sorriso. «Non ti sei fatta male, vero?»
   «No», rispose lei, accettando di buon grado la mano dell’amico per tirarsi su. «Ormai, con tutte le cadute prese nel corso degli anni, credo che il mio corpo si sia evoluto per autodifesa diventando di gomma.» Per lo meno, si consolò spolverandosi i vestiti, il senso dell’umorismo non aveva risentito troppo del tornado dalle orecchie a punta che l’aveva travolta con tutta la sua potenza.
   «Che voleva il preside da te ed Adrien, ieri?»
   Bastò quella semplice domanda a restituire a Marinette un po’ di colore sulle guance. «Ah… eh… pare… pare che io e lui siamo stati spesso assenti insieme…» cominciò a spiegare, mentre i ricordi del colloquio con monsieur Damocles riaffioravano alla memoria e le causavano un nuovo, prevedibile batticuore.
   Nino sollevò la visiera del cappello con fare stupito. «Davvero? Non me n’ero accorto.»
   «Tu non ti accorgeresti nemmeno di essere investito da un treno in corsa», lo prese in giro Alya, affiancandosi a loro. Lui le fece una smorfia che lei ricambiò ridendo, prima di sporgersi per dargli un bacio sulla guancia. Marinette li osservò con tenerezza e un briciolo di sana invidia: sarebbe riuscita anche lei, un giorno, ad avere un rapporto simile con Adrien? Oppure tutto ciò che l’aspettava erano i soliti, sconfortanti balbettii dovuti alla sua maledetta timidezza?
   «Allora, ti ha chiamata?» domandò Alya, sorridendole con complicità.
   «Chi doveva chiamarla?» s’incuriosì Nino, rimanendo tuttavia senza risposta.
   Marinette assunse un’aria impacciata e rassegnata a un tempo. «Sarebbe stato troppo bello.»
   «Quell’idiota…» borbottò la sua amica, incrociando nervosamente le braccia al petto.
   «Ma chi?» cercava di capirci qualcosa Nino. Insomma, se dovevano parlare dei loro affari davanti a lui, potevano anche decidersi a coinvolgerlo, no? «Oh, ecco Adrien!» esclamò poi, notando il giovane che stava scendendo da un’auto in sosta davanti all’ingresso della scuola.
   Il solo pensiero che lui fosse lì trasformò di colpo Marinette in un pezzo di legno. Alya tornò a sorriderle e le sussurrò: «Chiedergli perché non ti ha chiamata potrebbe essere un ottimo spunto di conversazione, non credi? Così forse capirai anche il suo strano comportamento di ieri.»
   Aveva ragione lei, rifletté la ragazza fra sé, scacciando ogni esitazione e voltandosi verso il punto in cui si trovava ora Adrien, e cioè a metà dei gradini che portavano a loro. Quando i loro sguardi si incrociarono, il giovane arrestò d’istinto il passo, avvertendo tutto l’imbarazzo di quell’incontro: forse lei non ne era consapevole, ma lui le aveva messo il proprio cuore fra le mani appena una manciata di ore prima.
   «C-Ciao, Adrien…» balbettò la sua bella, agitando con fare adorabile una mano a mezz’aria. Il giovane sentì nitidamente il viso e la punta delle orecchie farsi roventi: quanto avrebbe resistito prima di vuotare il sacco? Soprattutto, quando sarebbe stato opportuno farlo?
   «Buongiorno, Marinette…» salutò dopo un attimo, ricominciando a salire e affiancandosi a lei.
   «Fate pure come se non ci fossimo…» commentò risentito Nino, poiché sembrava essere diventato improvvisamente invisibile agli occhi dell’amico, la cui attenzione era stata calamitata da Marinette. Alya tirò il proprio innamorato per un braccio, allontanandolo da lì con forza. «Ehi, che c’è?» si lagnò quello, trovando tutti stranamente enigmatici, quella mattina.
   Rimasti soli, i due eroi in incognito si scambiarono un vago, vergognoso sorriso, distogliendo lo sguardo e, infine, ammutolendo del tutto. Da una parte, dopo quel che le avevano chiesto Nino e Alya, Marinette non faceva altro che pensare a quanto era successo nell’ufficio del preside e al bizzarro, imbarazzante comportamento di Adrien che le aveva fatto quasi esplodere il cuore di gioia; dall’altra, invece, lui continuava a tornare con la mente alla sera precedente, quando le aveva confessato i suoi sentimenti, sia pure dietro la maschera di Chat Noir. Non andava bene, si disse il giovane, serrando i pugni e le mascelle: doveva chiarire il prima possibile, in modo da evitare che Marinette potesse credere di essere vittima di un pessimo scherzo.
   «Senti…» iniziò allora, ma la sua voce fu coperta dal suono della campanella della prima ora.
   «È meglio andare in classe», disse lei, provando un certo conforto: la scuola le avrebbe dato tutto il tempo per calmare l’animo inquieto. Si avviò senza aspettare risposta, tuttavia, con le membra ancora irrigidite per l’emozione che le causava la sola presenza di Adrien, finì col mettere di nuovo il piede in fallo e perse l’equilibrio. Il braccio che il giovane protese con prontezza in avanti le impedì una seconda caduta, facendole tirare un sospiro di sollievo.
   «Mi farai venire i capelli bianchi…» borbottò lui, spaventato all’idea che l’amata potesse farsi male, visto che già la sera prima aveva rischiato di rompersi l’osso del collo sul balcone di casa.
   Mortificata, Marinette farfugliò: «M-Mi dispiace… e grazie…» Recuperò la stabilità sulle gambe e fece per lasciarlo andare, ma Adrien la trattenne gentilmente per una mano. Lei sussultò, avvertendo il sangue affluire con prepotenza al viso, e sollevò lo sguardo su di lui, timida e incapace anche solo di fiatare.
   Gli  occhi di Adrien non erano mai stati così profondi. Fu questo che si ritrovò a pensare, confusa per quella situazione del tutto insperata. Era chiaro che lui volesse dirle qualcosa di importante, e l’intensità di quello sguardo le riportò alla mente quello con cui Chat Noir l’aveva ipnotizzata la sera prima, confessandole in modo chiaro e definitivo i propri sentimenti per lei. Che Adrien volesse fare la medesima cosa? Impossibile. Marinette non poteva davvero sperare in un simile miracolo.
   «Volevo scusarmi per quello che è successo ieri.»
   Quelle parole la scossero, risvegliando ancora una volta in lei il ricordo del colloquio con monsieur Damocles. «Oh… ehm… non… non c’è problema…» tartagliò, risultando tutt’altro che convincente. E come avrebbe potuto esserlo, se il suo cuore sobbalzava ogni volta che ripensava alle insinuazioni fatte riguardo al loro rapporto?
   «Ho agito d’istinto», continuò allora Adrien, mortalmente serio e deciso a mettere in chiaro le cose una volta per tutte, «senza tener conto dei tuoi sentimenti.»
   «M-Ma no, te l’ho detto… va tutto bene…» tentò di rassicurarlo Marinette, reputando che l’amico stesse prendendo quella faccenda con troppa serietà. Sì, certo l’aveva colta di sorpresa e probabilmente aveva compromesso la loro reputazione con la professoressa Bustier e il preside, ma almeno avevano scansato una punizione – e lei aveva potuto continuare a nascondere la sua doppia vita senza alcun problema.
   Adrien strinse le labbra: davvero non provava alcun risentimento? Si era figurato ben altra reazione, da parte sua, scoprendo che lui e Chat Noir erano la stessa persona – perché dopotutto era quello che aveva appena ammesso implicitamente. «In ogni caso…» riprese allora, lasciandole a malincuore la mano, «perdonami.»
   Marinette gli rivolse un nuovo sorriso, questa volta più incoraggiante. «Ora che ci siamo chiariti, forse sarebbe il caso di andare in classe, prima che inizino a girare certe voci.» Tempismo perfetto. Si morse la lingua e Adrien la fissò stupito, prima di scoppiare a ridere nervosamente, portandosi una mano alla nuca con imbarazzo.
   «Giusto, sì…» convenne con lei, schiarendosi la gola senza che ve ne fosse davvero bisogno. «Abbiamo promesso di non fare altre assenze… non insieme, per lo meno.» Quindi, pur continuando ad essere entrambi tesi come corde di violino, si affrettarono a raggiungere il resto dei loro compagni senza più scambiarsi una parola.
   La giornata trascorse veloce, aiutando Marinette ad accantonare almeno in parte il peso che sentiva nel cuore. E se fino al giorno prima aveva sperato che Chat Noir si facesse vivo, per avere sue notizie e assicurarsi che andasse tutto bene, adesso a questo si era aggiunto anche un vago, paradossale timore al pensiero di trovarselo di nuovo davanti. Come avrebbe dovuto comportarsi? Cosa avrebbe dovuto dirgli? Dargli una risposta? Il giovane le aveva lasciato intendere che non era necessaria, poiché era consapevole che il suo amore per lei non era ricambiato.
   Marinette abbassò lo sguardo sulla schiena del ragazzo che le sedeva davanti; sebbene negli ultimi giorni il suo collega nella lotta al crimine si fosse impadronito di buona parte dei suoi pensieri, il suo cuore continuava a battere solo per Adrien. E come poteva essere altrimenti? Lui era semplicemente perfetto – anche quando la metteva in imbarazzo con i professori o mancava alla promessa di chiamarla.
   Neppure Adrien, in verità, riusciva a concentrarsi troppo sulle lezioni, quel giorno. La sua mente continuava ad arrovellarsi attorno ad un unico pensiero: perché Marinette non aveva manifestato stupore alla rivelazione che le aveva fatto? Era forse ancora troppo scossa da ciò che era accaduto la sera prima? Doveva elaborare il tutto? Sì, evidentemente era così, e lui le avrebbe lasciato tutto il tempo per farlo.
   «Nino…» esordì dopo la scuola, quando lui e il suo amico si concessero del tempo insieme passeggiando lungo la riva della Senna. «Ho bisogno di un consiglio.»
   Il tono che usò manifestava tutta la sua frustrazione, perciò l’altro non poté fare a meno di guardarlo con espressione preoccupata. «Di che si tratta?»
   «Marinette», fu la laconica risposta che ricevette e che lo indusse ad aggrottare le sopracciglia.
   «È da un paio di giorni che la fissi di sottecchi… È successo qualcosa?»
   «Sono innamorato di lei», gli fu detto, senza troppi giri di parole.
   Nino credette di aver sentito male e Adrien fu costretto a ripetere. «M-Ma fino all’altro giorno giuravi di amare Ladybug», contestò il ragazzo dai capelli scuri, cercando di capirci qualcosa. «Hai mentito durante la nostra riunione sulla fiducia? Lasciati dire che non è stato molto corretto, da parte tua…» osservò con un vago senso di delusione nello sguardo e nella voce.
   «Ho detto la verità, lo giuro», sospirò stancamente Adrien, le mani in tasca, calciando un sassolino sulla strada. «Il fatto è che Marinette mi è sempre piaciuta, ma ho realizzato di amarla solo adesso.»
   Nino rimase in silenzio per qualche attimo, concludendo che non aveva davvero nulla da rimproverargli: anche lui era stato piuttosto volubile, mettendosi con Alya pur convinto di essere innamorato di Marinette. «Hai intenzione di dirglielo?»
   «L’ho già fatto.»
   Gli occhiali gli scivolarono sul naso per la sorpresa. «Sul serio? Wow, sei coraggioso!»
   «Dici?» ribatté Adrien, poco convinto.
   «E che ti ha risposto?»
   Si strinse nelle spalle e fece una smorfia. «Nulla. In realtà non le ho lasciato il tempo di fiatare e sono andato subito via.»
   «Perché?»
   «Perché era inutile, so già che mi considera soltanto un amico.»
   Nino sorrise, tirandosi su gli occhiali con la punta di un dito. «Anche Alya diceva la stessa cosa di me… E comunque, che ne sai? Te l’ha detto lei?»
   «Più o meno…» Adrien si portò una mano al volto, sempre più scoraggiato. Per quanto Marinette gli volesse bene, come aveva dimostrato in più occasioni sia nei suoi confronti che in quelli di Chat Noir, era sempre stata piuttosto chiara nei suoi modi di fare, reprimendo sul nascere ogni tentativo di approccio romantico da parte sua.
   «Ora che ci penso…» riprese Nino, fermandosi e sollevando lo sguardo al cielo carico di nubi con aria pensosa. «Una volta Alya mi ha detto che a Marinette piace qualcuno della classe.»
   Adrien alzò di scatto la testa e strabuzzò gli occhi, avvertendo un brivido all’altezza del petto. «Qualcuno della classe?!» ripeté palesemente sconvolto. «Chi?!» pretese di sapere, afferrando l’amico per le spalle e costringendolo di nuovo a guardarlo in faccia.
   «Ehi… non lo so…» rispose quello, sorpreso da tanta irruenza. «Non ha fatto nomi.»
   «Maledizione», imprecò Adrien fra i denti, allentando la presa e tornando a commiserare se stesso. «Chi diavolo potrà mai essere?!»
   «Amico, datti una calmata.»
   «Nathaniel! Ma certo! Non è abbastanza ovvio?» s’infervorò, passando mentalmente in rassegna tutti i loro compagni di classe ed escludendo a priori se stesso. «È innamorato di lei, ricordi?»
   Nino lo fissò sconsolato. «Ciò non significa che Marinette ricambi i suoi sentimenti… Anzi, non mi pare abbia mai dimostrato interesse nei suoi confronti.» Di questo Adrien poteva dargliene atto, perché quando Nathaniel era stato akumizzato, Marinette si era ben guardata dal mostrare un qualsivoglia coinvolgimento sentimentale al riguardo. «Smettila con quell’espressione corrucciata, ti verranno le rughe, e con il tuo lavoro di modello non puoi permettertele.»
   Anziché sorridere alla battuta dell’amico, il ragazzo si incupì ulteriormente. «Se non le piacciono i tipi timidi come Nathaniel e neanche quelli sfacciati come me, mi chiedo quale sia il suo tipo ideale…» ragionò fra sé.
   «Tu non sei sfacciato», obiettò Nino, stranito dal modo in cui lui si era appena descritto.
   «Questo perché non mi hai mai visto mentre le ronzo attorno», gli assicurò Adrien, lasciandosi finalmente scappare un sorriso, che tuttavia di allegro aveva ben poco.
   «Stai scherzando, vero? Sei sempre così gentile e composto…»
   «Eh… ci sono lati di me che conosce solo Marinette», ammise suo malgrado, riprendendo il cammino e cominciando a chiedersi se non fosse ipocrita, da parte sua, dare spago alla sua vera indole solo quando era nei panni di Chat Noir. Per Adrien il suo alter ego era di fondamentale importanza, perché era proprio quando indossava la maschera che si sentiva libero di essere del tutto se stesso, libero dalle imposizioni e dalla rigida educazione paterna, libero dalle etichette e dall’immagine che la società aveva di lui. E se Marinette non accettava Chat Noir, come poteva accettare Adrien? Era questa la sua più grande mortificazione: non riuscire a farsi amare da lei per quello che era realmente.
   Il cielo scuro emise un rombo lontano, attirando l’attenzione dei due amici verso l’alto, alle nuvole scure che non lasciavano penetrare neanche un flebile raggio di sole. «Sarà meglio tornare a casa», consigliò Nino, calcandosi meglio il berretto sul capo. «Nel frattempo, cercherò di indagare sulla cotta di Marinette», si propose, dando una pacca di incoraggiamento sulla spalla di Adrien. «Non ti prometto nulla, però, lo sai che Alya è un osso duro.»
   L’altro sorrise con riconoscenza. «Grazie, Nino.»

Chloé fissò la propria immagine allo specchio e arricciò il naso con disgusto. «E questa tu la chiami messa in piega?» si lamentò, stringendo le labbra con stizza. Jean-Claude, il suo abile parrucchiere di fiducia, era costretto a casa con l’influenza ed aveva momentaneamente lasciato la direzione del salone ad una delle sue aiutanti, che però, secondo la figlia del sindaco, non si stava affatto dimostrando all’altezza del compito affidatole.
   «Mademoiselle», rispose la donna, cercando di mostrarsi cortese nonostante la critica appena ricevuta, «lei non sta tenendo conto della forte umidità che c’è oggi.»
   «Chi se ne importa dell’umidità? Io voglio che i miei capelli siano perfetti come al solito», insistette Chloé, inalberandosi e lanciandole uno sguardo torvo attraverso lo specchio.
   L’altra strinse con rabbia l’impugnatura dell’asciugacapelli nel palmo della mano, costringendosi a mantenere un tono di voce gentile benché dentro ruggisse per lo sdegno. «Sta per piovere», tornò a farle notare. «Pertanto, anche se io usassi un’intera bomboletta di lacca per fissarla, è assai improbabile che la sua acconciatura mantenga.»
   «Sa cosa penso io, invece?» rimbeccò Chloé, alzandosi nervosamente dalla poltrona e togliendosi di dosso la mantella protettiva con impeto tale da attirare l’attenzione delle altre clienti del locale. «Che lei è un’incapace e che persino una capra avrebbe saputo fare un lavoro migliore del suo! Il che è curioso, visto che le capre non hanno neanche le dita!»
   Un mormorio sommesso si levò tutt’intorno, facendo arrossire di collera la povera parrucchiera, che si sentì messa in ridicolo davanti a tutti. «Bene», disse allora, abbandonando ogni riguardo per quella sfrontatella viziata. «Sa cosa le dico, mademoiselle? Che per quel che mi importa, lei può anche andarsene in giro con un casco di banane sulla zucca, tanto non servirà a compensare la sua assoluta mancanza di cervello!»
   Chloé spalancò la bocca, oltraggiata. «Io sono la figlia di André Bourgeois!»
   «Per me può essere chi le pare e piace!» ribatté la donna. «E ora fuori di qui, prima che io perda del tutto la pazienza e decida di denunciarla per diffamazione!»
   La ragazza serrò le mascelle e la fulminò con lo sguardo. «Non finisce qui», le fece sapere, mettendo subito mano al cellulare e portandoselo all’orecchio. «Pronto, Jean-Claude?» cominciò, facendo impallidire la parrucchiera. «Sono Chloé Bourgeois. Volevo informarti che la tua sostituta non solo è una completa inetta, ma è anche una brutta cafona maleducata, che non ha rispetto per la clientela.»
   Fu la goccia che fece traboccare il vaso e l’animo di Charline, questo il nome della donna, fu attraversato da una vasta gamma di sentimenti negativi che portarono ad un unico, pericoloso risultato.

«Perché non gli hai chiesto il motivo per cui non ti ha chiamata?»
   Marinette non distolse l’attenzione dal lavoro di cucito, rimasto a metà da almeno due giorni a causa delle interruzioni dovute alle visite inaspettate di Chat Noir. «Non ce n’è stata occasione», si giustificò pur non risultando affatto convincente. «E poi ormai è acqua passata, abbiamo parlato un po’ stamattina… o meglio, lui ha voluto di nuovo scusarsi per quello che ha detto nell’ufficio del preside.»
   Accovacciata sulla chaise longue della camera dell’amica, Alya si tamburellò le dita sulla labbra come se stesse ponderando su qualcosa di importante. «È da un paio di giorni che si comporta in modo strano», osservò. L’altra le lanciò uno sguardo eloquente, come a dirle te lo avevo detto, ma lei finse di non farci caso. «Dovrò indagare», stabilì, decisa ad aiutare Marinette nelle sue questioni di cuore.
   «Ma no, lascia stare…»
   «Scommettiamo che c’entri tu? Dev’essere per forza così, non ti toglie gli occhi di dosso.» Alya sorrise intenerita quando si accorse che la sua amica era arrossita. «Chiederò a Nino se sa qualcosa.»
   «A che pro?» bofonchiò Marinette, non volendo illudersi in alcun modo. E, dopotutto, non ne aveva alcun motivo. «Adrien ha detto chiaro e tondo che è innamorato di Ladybug.»
   L’altra agitò le mani a mezz’aria con fare stizzito. «Non sta né in cielo né in terra!»
   «Ho provato a farglielo notare, e credo che anche Chloé gli abbia parlato in tal senso, ma almeno con me è rimasto fermo sulle sue posizioni.» E questo pensiero la lacerava ancora di più: un conto era rassegnarsi ad un amore non corrisposto, ben altro era non poter competere con se stessa. C’era poco da fare, Adrien era innamorato della sua controparte, quella infallibile e ammirata da tutti, e non di lei in quanto Marinette, maldestra e piena di difetti. Era frustrante non poter fare nulla per cambiare le cose, né lei voleva incoraggiare l’attenzione del giovane presentandosi a lui con la sua bella tutina a pois e la maschera a coprirle il volto. Inoltre, al momento si sentiva tutt’altro che incline a dare consigli d’amore a chicchessia, visto il modo riprovevole in cui si era comportata verso il povero Chat Noir.
   «Non credevo fosse così testardo…» borbottò Alya, seriamente dispiaciuta di non poter fare molto per la sua migliore amica. Gettò uno sguardo fuori dalla finestra quando un lampo illuminò la stanza, e lei si avvicinò maggiormente ai vetri. «Sta iniziando a piovere», osservò, notando come le prime gocce d’acqua iniziavano a bagnare l’asfalto. «Sarà meglio che io torni a casa.»
   «Aspetta, ti presto un ombrello», disse Marinette, mettendo da parte il lavoro e alzandosi dalla sedia, mentre l’altra ragazza si lasciava andare ad una sonora esclamazione.
   «Guarda, Marinette!» Lei le fu subito accanto e seguì la direzione che le indicava Alya. «Quelle persone! Sembra che stiano scappando da qualcosa e… Santo cielo! Ma che hanno fatto ai capelli?!» Subito capì quello che stava succedendo e un sorriso carico d’entusiasmo le si disegnò pericolosamente sulle labbra. «Vado!» annunciò, scattando verso la botola che portava di sotto, il cellulare già in mano.
   «Alya, aspetta!» tentò di fermarla Marinette, preoccupata per lei.
   «Non posso!» le rispose la voce lontana dell’amica. «Ladybug potrebbe già essere sul posto! Non voglio perdermi le sue prodezze!»
   «Prendi almeno l’ombrello!» E poiché Alya non rispose, Marinette concluse che quell’esagitata doveva essersi ormai tuffata in strada sotto la pioggia, per di più diretta al punto dal quale scappava quella gente dai capelli strani. «Perché ha così poco spirito di conservazione?!» sbottò l’eroina di Parigi, arrendendosi poi all’idea di doversi buttare anche lei nella mischia a dispetto del brutto tempo. «Tikki, trasformami!»












Meno due. Ebbene sì, abbiamo quasi finito. Il prossimo sarà il capitolo chiave, dove ci saranno faccia a faccia, rese dei conti e blabla. Speriamo non escano feriti da questi duelli all'ultimo neurone, ché secondo me Adrien e Marinette un po' se la battono, quanto a "tontaggine".
Volevo poi mettere in evidenza una cosa. Due giorni fa, proprio dopo aver postato il capitolo in cui Adrien/Chat Noir blocca Marinette contro la scrivania per dirle che la ama, mi sono imbattuta in questo post: https://twitter.com/thomas_astruc/status/749711960338497538
E lì mi sono detta: Oh, diamine! Ho mandato Adrien/Chat Noir OOC! Questo dubbio mi è durato due secondi netti, giusto il tempo di ricordarmi di un qualcosa che evidentemente sfugge alla memoria di monsieur Astruc, e cioè: http://i65.tinypic.com/117xkqa.jpg
Quando mi sono imbattuta per la prima volta in questa immagine, ho creduto si trattasse di un fotomontaggio, come tanti altri se ne trovano online. Poi, però, guardando la replica dell'episodio in cui l'akumizzato di turno è Jagged Stone, sono rimasta a bocca aperta: l'immagine è autentica, quella cosa è successa davvero e, in fin dei conti, Adrien non è poi così gentleman come il suo creatore vorrebbe farci credere. A meno che, rischiando di cadere di sotto (sono sulla Tour Eiffel), Chat Noir non si sia aggrappato alla prima sporgenza che gli è capitata sotto la zampetta e poi abbia fatto finta di niente per evitare imbarazzi di sorta (anche se il modo in cui lo guarda Marinette/Ladybug parla da sé). Oppure in realtà quei due hanno davvero una tresca e non ce lo vogliono dire per tenerci sulle spine. Dannati.
Va bene, mi fermo qui con le idiozie.
Prima di chiudere, vi anticipo che ho abbozzato una shot che si ricollega a questa long, una sorta di epilogo dell'epilogo, se vogliamo, e ho appena iniziato un'altra shot a sé, mentre una terza idea sta allegramente schizzando da una parte all'altra del mio cervellino già da giorni. Ho come l'impressione che vi sottoporrò ogni cosa, quindi preparatevi psicologicamente.
Un grazie a tutti voi che siete ancora qui a leggere, a chi recensisce e a chi inserisce questa storia fra le preferite/ricordate/seguite. Mi riscaldate il cuore tutte le volte. ♥
Un abbraccio e buona giornata! :*
Shainareth





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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***





CAPITOLO OTTAVO




Si tuffò dall’alto del terrazzino della sua camera, lo yo-yo stretto fra le mani, e si involò sui tetti della città, pronta a risalire alla nuova vittima di Papillon. Ladybug non aveva idea di ciò che era accaduto, sebbene avesse il vago, giustificato sospetto che c’entrasse in qualche modo un maniaco dei capelli. Si domandò allora quale ragione avesse avuto per essere stato akumizzato, e mentre provava a vagliare una qualsivoglia ipotesi, scorse fra la folla impaurita la figura bionda di qualcuno che correva nel senso opposto. Senza perdere tempo, l’eroina planò nella sua direzione. «Adrien!» chiamò, spaventata che potesse accadergli qualcosa. Lui fece appena in tempo a voltarsi che Ladybug lo afferrò per la vita; ciò nonostante, il giovane non si fece cogliere impreparato e si tenne saldo a lei fino a che, dopo essere rimasti sospesi a mezz’aria per una manciata di secondi, non si fermarono sulla terrazza de Le Grand Paris, l’hotel della famiglia Bourgeois.
   «Tutto bene?» s’interessò subito di sapere la ragazza, mostrando una certa apprensione per la sua incolumità.
   «Sì, grazie», rispose Adrien, contento che lei fosse arrivata al momento opportuno. Aveva lasciato da poco Nino e si era già immesso sulla via di casa, quando sotto le prime gocce di pioggia aveva iniziato a notare qualcosa di strano fra la gente di Parigi. Si era perciò messo a correre verso il posto da cui sembravano fuggire tutti e, soprattutto, in cerca di un luogo sicuro in cui effettuare la trasformazione in Chat Noir.
   Ladybug sembrò tranquillizzarsi, ma non riusciva ad imporre al proprio cuore di smetterla di martellare in petto: davanti a sé aveva Adrien, colui che asseriva di amarla. Marinette lo sapeva e sapeva che teoricamente nulla era cambiato rispetto a quando si erano visti a scuola, quel giorno; eppure adesso lei indossava la maschera, quella che la faceva apparire una persona diversa agli occhi dell’amico. Prese fiato, imponendosi la calma. «Resta qui.»
   Lui aggrottò la fronte. «Come?»
   «Non muoverti, potrebbe essere pericoloso.»
   «Credi che non lo sappia?»
   «A maggior ragione», continuò allora Ladybug, iniziando di nuovo a roteare lo yo-yo in aria e avvicinandosi al bordo del terrazzo. «Cerca riparo all’interno dell’albergo, sarai al sicuro.»
   Adrien temette di essersi perso qualche passaggio. «Vengo con te, ti aiuto.»
   «Non è un gioco», ribatté l’altra, non capendo il perché di quell’atteggiamento incosciente. Cosa voleva fare? Dimostrarle il proprio coraggio con la speranza che lei ricambiasse il suo amore? Quello già lo faceva, tuttavia non aveva alcuna intenzione di farglielo sapere. «Ci penseremo io e Chat Noir a sistemare le cose.»
   Fu sul punto di lanciare lo yo-yo a mo’ di rampino, ma Adrien le bloccò il braccio, costringendola a voltarsi di nuovo nella sua direzione. «Mi prendi in giro?» Ci fu un lungo, silenzioso, confuso scambio di sguardi. «Marinette, sono io!»
   Ladybug sussultò, finendo con il lasciare la presa sulla propria arma, che le piombò dritta in testa, facendole scappare un verso di dolore. «M-Marinette?» farfugliò, cercando di ridere dell’errore del giovane. «Adrien, ti sbagli… Io sono Lad…»
   Le parole le morirono in bocca quando lui aprì la cerniera della borsa che portava a tracolla, lasciandovi uscire un piccolo esserino nero dalle orecchie a punta. «Sai, Adrien», iniziò Plagg, fissando però lei con una certa perplessità, «quanto a cervello siete fatti l’uno per l’altra.»
   Ladybug si lasciò scivolare lo yo-yo dalle dita, la mascella spalancata, gli occhi sbarrati. Era del tutto incapace di dire o fare alcunché, tanto che Adrien sospirò sconsolato. «Diamine, di che cavolo abbiamo parlato, allora, stamattina?!»
   «StaStamattina…?» balbettò lei, non sapendo esattamente se continuare a guardare lui o l’esserino che fluttuava sotto al loro naso. Di colpo si sentì schiacciata sotto al peso della consapevolezza che l’apparizione di Plagg aveva portato con sé: quello era il kwami del Gatto Nero. Adrien portava al dito un anello che – lo notava solo adesso – ricordava molto nella forma il miraculous di Chat Noir. Adrien era Chat Noir. Chat Noir amava Ladybug. Adrien amava Ladybug. Chat Noir aveva scoperto che Ladybug era Marinette. Adrien aveva scoperto che Ladybug era Marinette. Chat Noir amava Marinette. Adrien amava Marinette. Ed era convinto che lei non ricambiasse i suoi sentimenti.
   Proprio come qualche giorno prima, la ragazza ebbe un capogiro e dovette lottare con se stessa per non cascare a terra come un peso morto. Il giovane la sostenne. «Credevo che avessi capito…» borbottò, non sapendo bene se sentirsi mortificato o piuttosto offeso.
   Fu allora che, con un moto d’orgoglio, pur arrossendo fino alla punta delle orecchie perché resasi finalmente conto di come stavano le cose, Ladybug fece valere il proprio punto di vista. «Che pensi modo dovuto avrei in capirlo?!»
   «Cosa vinco se ricompongo la frase correttamente?» scherzò il giovane, pur senza allegria, cercando di smorzare la tensione che si era venuta a creare.
   «Adrien!» esclamò lei, esasperata, non avendo alcuna voglia di giocare. «Perché non me lo hai detto prima?!»
   «Credevo di averlo fatto!» si difese lui, del tutto in buona fede. «Stamattina, quando mi sono scusato per quello che ho detto ieri…»
   La ragazza ripassò in rassegna la giornata incriminata e finalmente comprese. «Ero convinta che ti riferissi alla faccenda col preside, non a… a…» Andò nel pallone quando fu investita di nuovo dal ricordo della dichiarazione di Chat Noir. Incapace di reggere ancora allo sguardo dell’amato, nascose il viso fra le mani, il cuore che le esplodeva per le mille, spietate emozioni che continuavano ad assalirla. «Oddio… Oddio… Oddio…»
   «È andata in tilt», osservò Plagg con uno sbuffo seccato. «Siete uguali anche a teatralità.»
   «Marinette…» la chiamò dolcemente Adrien, cominciando a preoccuparsi per lei. Indugiò un attimo, ma poi si fece coraggio e la circondò con le braccia per stringerla al petto. La sentì irrigidirsi all’istante, tuttavia rimase fermo dov’era. «Marinette, adesso calmati…» le sussurrò, affondando la bocca fra i suoi capelli scuri. «Ne riparliamo dopo, d’accordo? Ora Parigi conta su di noi, come sempre.»
   Aveva ragione lui, si rese conto la ragazza, riempiendosi i polmoni d’aria per farsi forza. «Sì… Sì…» Si passò le mani sugli occhi, scacciando via le lacrime che le inumidivano appena le ciglia, e quando lui allentò l’abbraccio si scambiarono un ultimo, rapido sguardo. «Sto bene.» Non era vero. «Sono pronta.» Che bugiarda.
   Adrien non le credette, ma, con buona pace di tutti, preferì fingere di farlo.

«Eccoli lì!» esclamò Alya, il naso puntato in aria e il cellulare fra le mani, nonostante la pioggia le bagnasse gli occhiali e il display. Vide Ladybug e Chat Noir sorvolare la strada in cui si trovavano e subito afferrò Nino per un braccio. «Dobbiamo seguirli!»
   «Alya, potrebbe essere pericoloso!» si lamentò il giovane, non del tutto felice che la sua innamorata avesse l’indole della reporter di guerra. Si erano incrociati pochi minuti prima, l’uno che correva in cerca di un riparo dal maltempo, l’altra che sperava di immortalare in video le mirabili imprese dei due eroi parigini.
   «Oh, tranquillo. Ci penseranno loro a salvare la situazione e a tirarci fuori dai guai.»
   «E non pensi che sarebbe meglio non distrarli dal loro vero obiettivo?»
   Alya fece per ribattere, seccata da tanta indolenza, quando un grido disperato attirò la loro attenzione. Prima ancora che potessero rendersi conto di ciò che stava accadendo, qualcuno saltò al collo della ragazza in cerca di aiuto. «Quella maledetta me la pagherà cara!»
   Nino si aggiustò le lenti sul naso, stentando a credere a ciò che stava vedendo: un’adolescente esagitata che sembrava portare sulla testa una grossa, voluminosa parrucca fatta di dreads fucsia con mèches verdi pisello. «Chloé, sei tu?»
   «Non dite a nessuno che mi avete vista in queste condizioni!» strepitò lei, fissandolo con occhi spiritati.
   «Non preoccuparti», intervenne Alya, mantenendo la solita, invidiabile calma e invertendo la videocamera del cellulare per immortalare la scena. «Ma se ti azzardi a spifferare a qualcuno ciò che ci siamo detti durante la riunione di classe, l’altro giorno, potrei sempre cambiare idea.»
   «Questo è un ricatto bello e buono!» protestò Chloé, lasciandola andare e allungando il braccio per rubarle il telefonino.
   «Se è per questo, lo è anche il tuo», le ricordò l’altra, riuscendo ad evitare che lei glielo portasse via.
   Nino si lasciò scappare un’esclamazione impaurita e le due si volsero nel punto da lui indicato, dove la bizzarra figura di una donna dai lunghi e fluenti capelli in movimento ed un grosso asciugacapelli stretto in pugno li fissava con un sorriso assai poco rassicurante stampato in volto. «Non ho ancora finito con te, Chloé Bourgeois!»
   «Ce l’ha con te?» domandò retoricamente Alya, assottigliando le labbra con stizza. «Ma che sorpresa!»
   «Invece di perdere tempo a fare del sarcasmo», rimbeccò l’accusata, indietreggiando spaventata, «corri!»
   «Io non me lo faccio certo ripetere!» affermò Nino, fuggendo via insieme a loro.
   Charline esibì un sorriso divertito. «Non ti servirà a niente scappare.»

Appostato sulla cima della Tour Eiffel, Chat Noir si guardava attorno, inutilmente. Era ormai da un po’ che lui e Ladybug giravano a vuoto, alla ricerca della vittima di Papillon. Aveva forse il potere del teletrasporto? Della mimetizzazione? Oppure volava? In quest’ultimo caso, non avrebbe dovuto essere facile localizzarla? E allora perché diavolo sembrava sparita nel nulla?
   Il giovane occhieggiò in direzione della collega, che non solo non aveva quasi spiccicato parola, per di più sembrava essere completamente assente. Chat Noir sospirò. «Capisco che tu abbia bisogno di metabolizzare la cosa, però ti assicuro che non è cambiato niente rispetto a stamattina, ieri o dieci giorni fa.»
   «Questo non è vero», obiettò Ladybug con voce tesa. Come poteva, Adrien, dire che tutto era rimasto immutato? E non era solo a causa dei sensi di colpa che continuavano a tormentarla, ma anche e soprattutto perché era l’immagine stessa dell’amato, sempre così infallibile e perfetto, ad essersi quasi capovolta. Chat Noir condivideva sicuramente lo stesso coraggio e lo stesso buon cuore, ma non v’era alcun dubbio che per il resto i due fossero molto diversi. Qual era la maschera? Qual era il vero Adrien?
   Il giovane perse la pazienza e le balzò davanti, pronto a fronteggiarla una volta per tutte. «Qual è il problema? È per via di quello che è successo ieri sera?»
   Pur arrossendo, la ragazza scosse il capo. «No. Cioè, in parte… ma non…» S’interruppe, non sapendo come comunicargli appieno il proprio stato d’animo. «Siete troppo diversi», le uscì di bocca infine, inducendo Chat Noir a prendere finalmente coscienza del vero nocciolo della questione.
   «Ti sbagli», cominciò allora, cercando di mantenere un tono di voce pacato nonostante il rimescolio allo stomaco. «Chat Noir è sempre stato parte di Adrien. Io sono entrambi.» Ladybug lo fissò da sotto in su, timorosa di quella verità che le faceva tremare il cuore. «Sono cresciuto in un ambiente rigido e ligio alle regole, inquadrato in un mondo in cui non è permesso alcuno sbaglio», prese a spiegare lui, mettendo a nudo la propria anima. «Ma quando indosso questa maschera, nessuno mi giudica perché nessuno sa chi sono. Per questo mi concedo la libertà di essere realmente me stesso, di fare ciò che voglio, di andare dove voglio, di… provare ciò che voglio», affermò in un sussurro quasi disperato. «Quando ti ho vista a scuola, la prima volta, mi sono detto che avevi davvero un bel caratterino, che eri una che si faceva valere, nonostante la timidezza che sembravi provare in certe occasioni. Quando diventi Ladybug, non sei soltanto l’eroina della nostra città, ma sei anche quella Marinette, quella che non si fa sottomettere dalle proprie paure, dalle proprie insicurezze. Forse non te ne sei ancora resa conto, ma dentro di te c’è una forza immensa. Non hai paura di metterti in gioco né nella guerra contro Papillon, né nella vita di tutti i giorni. Ed io… non ho potuto fare a meno di innamorarmi di questo tuo lato indomito, leale e inarrestabile. Puoi arrivare dove vuoi, Marinette. Devi solo crederci.»
   Lei rimase senza fiato. Anche se a pronunciarlo era stato Chat Noir, quello era un discorso che avrebbe benissimo potuto fare Adrien. Ma c’era di più: per l’ennesima volta il giovane le aveva aperto il suo cuore, deciso a non avere più alcun segreto con lei. Di colpo si vergognò di se stessa e della propria vigliaccheria: era così difficile guardare in faccia la realtà e ammettere che se da un lato amava i modi gentili di Adrien, dall’altro amava la passione di Chat Noir? Una cosa non escludeva l’altra, in fondo.
   «Inoltre, anche se sei abituata a vedermi con occhi diversi», stava continuando frattanto il ragazzo, cercando di persuaderla che la questione della maschera, reale o metaforica che fosse, non era poi così grave, «ti assicuro che sono sempre Adrien, anche quando mi rispondi a tono se dico qualcosa che ti infastidisce o se mi spruzzi l’acqua negli occhi quando tento di baciarti.» Avrebbe cercato di farlo ancora? Marinette sperò di sì. «Quello che sto cercando di dirti è c…!»
   «Adrien?» lo interruppe, tappandogli la bocca con una mano e sorridendogli con lo sguardo. «Ho capito. Però… spiegami una cosa: perché quando siamo a scuola ti si sente fiatare appena, e invece quando siamo sui tetti di Parigi non riesci a smettere di parlare?»
   Dapprima lui rimase in silenzio, piacevolmente stupito dal fatto che lei si fosse infine decisa a chiamarlo con il suo vero nome, a dispetto della maschera che portava in volto. Poi iniziò a ridere contro il palmo della sua mano, che scostò dal viso e tenne stretta fra le dita con sincero affetto. «Il fatto è, my lady», riprese con quel tono di voce che prometteva una delle sue battute di spirito, «che non so ancora bene come comportarmi in mezzo agli altri. Te l’ho detto, sono cresciuto in cattività, ma dentro di me sono un autentico randagio.»
   «Quindi hai bisogno di qualcuno che ti addomestichi», concluse Ladybug, annuendo con comprensione.
   «Prrrecisamente», asserì l’altro, non lasciandosi scappare l’occasione di giocare ancora. «E credo che lascerò a te quest’onore», concluse con un baciamano.
   La ragazza alzò gli occhi al cielo, ma non si ritrasse, a testimonianza di come le cose fossero realmente cambiate, fra loro. «D’accordo, allora», gli concesse con un sospiro affettato, benché il suo cuore avesse ricominciato a palpitare d’amore. «Vorrà dire che, se farai il bravo, potrei anche decidere di comprarti un collare.»
   «Senza antipulci, per favore.»

«Stupida plebea! Ti ricordo che tua madre lavora per mio padre!»
   «Mezza Parigi lavora per il sindaco, e allora? Che vuoi fare? Minacciare tutti di licenziamento solo perché ti ho immortalata in un video con quell’orrenda acconciatura? Ringrazia piuttosto che non stia facendo una diretta.»
   Chloé esplose in un grido di rabbia che attirò l’attenzione per diversi isolati. Fu così che li trovarono, nascosti dietro ad un’auto in sosta in prossimità di un vicolo: due intente a litigare, il terzo che si guardava intorno con giustificato timore. «Ma come siamo carine.» Udendo quelle allegre parole, tutti e tre alzarono lo sguardo e videro con gioia e sollievo Chat Noir che, accovacciato sulla cima di un lampione vicino, li scrutava divertito insieme a Ladybug, seduta comodamente sulla sua gamba destra, il braccio attorno alle sue spalle. Alya non perse tempo e rivolse subito verso di loro l’obiettivo del proprio cellulare.
   «Ma quanto dura la batteria di quel telefono?» domandò sconfortata l’eroina, portandosi una mano alla fronte.
   «Ladybug!» esclamò Chloé, saltellando sul posto all’apice della felicità. E quando l’altra mise i piedi al suolo, le si gettò letteralmente fra le braccia, rischiando di mandarla dritta a terra. «Oh, Ladybug! Meno male che sei arrivata!» continuò, ignara delle proteste di lei, che invece cercava di togliersela di dosso – senza troppo successo.
   «Puoi passarmi una copia del video, dopo?» s’interessò di sapere Chat Noir, ridendo sotto ai baffi per quella scenetta: Chloé non aveva la minima idea di star abbracciando la sua più acerrima rivale e Marinette stava facendo l’impossibile per non colpirla con un ceffone o anche solo insultarla fra i denti.
   Ci pensò Nino a riportare l’attenzione di tutti su questioni più importanti. «Chat Noir, c’è una pazza che se ne va in giro con un asciugacapelli tra le mani! Le basta puntarlo addosso alle persone per cambiare loro l’acconciatura!»
   L’eroe sollevò un sopracciglio manifestando una certa delusione. «Tutto qui?»
   «Come sarebbe tutto qui?!» berciò Chloé, parandosi davanti a lui con il busto piegato in avanti, un pugno stretto sul fianco e l’altra mano che puntava contro il petto del giovane con fare accusatorio. «Guarda in che stato disastroso sono i miei capelli!»
   «Non ti stanno poi così male…» provò a rabbonirla Chat Noir, finendo soltanto per farla strepitare più forte e costringerlo a tapparsi le orecchie, mentre la sua collega ne approfittava per avvicinarsi di soppiatto all’altra ragazza, le mani sul viso come volesse nascondere un forte imbarazzo.
   «Oh, Alya! Sapessi cos’è successo!» iniziò sottovoce, troppo presa dai suoi sentimenti d’amore per ricordarsi di essere sotto effetto della trasformazione. «Mi ha afferrata per la vita, mi ha stretta a sé e… e… Oh, non puoi capire! Poco fa, sulle sue ginocchia, credevo che sarei morta per la gioia!»
   Alya la fissò attraverso l’obiettivo con un sorriso sgargiante sulle labbra e chiese con estrema naturalezza: «Quindi è vera la voce che vuole te e Chat Noir amanti?»
   Fu allora che Ladybug tornò in sé, accorgendosi che la sua migliore amica non poteva riconoscerla dietro alla maschera e che, oltretutto, non poteva sapere che Chat Noir era nientemeno che Adrien. «Cos…?!» annaspò, agitando le braccia con fare goffo e insensato, rossa in volto come mai prima di allora. «No! Cioè… Perché sono così idiota?!» Si arrese, lasciandosi andare ad un sonoro, scoraggiato sospiro. «Se non posti sul blog quello che ho appena detto, giuro che ti concedo un’altra intervista.»
   «Affare fatto», accettò Alya, tutta soddisfatta. «Ma terrò una copia privata per me, se non ti spiace.»
   «Ah, ora che ci penso…» intervenne Nino, che aveva assistito alla scena con una certa perplessità. «Chi è il tipo che piace a Marinette?» domandò all’improvviso, senza logica apparente.
   La sua innamorata lo fissò stranita, mentre la diretta interessata sbiancò. «N-Non mi sembra il momento adatto per fare questo genere di discorsi!» esclamò Ladybug, temendo che le orecchie a punta di Chat Noir captassero qualcosa che non avrebbero dovuto.
   «Lo so, è solo che ho promesso ad Adrien che avrei indagato», spiegò il giovane, stringendosi nelle spalle a mo’ di giustificazione.
   Intuendo cosa si nascondesse dietro quella richiesta inaspettata, Alya esibì un sorriso felice e interessato, mentre l’eroina scoccava un’occhiataccia al proprio partner, che si irrigidì all’istante, e Chloé faceva una smorfia inorridita. «E a lui che importa?!» pretese di sapere, intuendo già il peggio.
   «Magari quel povero ragazzo ha solo bisogno di certezze», azzardò Chat Noir, sbirciando timidamente in direzione dell’amata che, rossa in volto, aveva inalberato un’espressione infastidita.
   «Beh, se davvero Adrien ha bisogno di sapere chi è il fortunato che è riuscito a conquistare il cuore di Marinette, non ha che da chiederglielo», disse Alya, continuando a riprendere ogni singola cosa che le accadeva intorno, compreso quel siparietto privato che, almeno in teoria, non avrebbe avuto ragione di essere immortalato in video – ma almeno avrebbe sicuramente reso felice Marinette, quando lei lo avrebbe visto.
   Facendosi un esame di coscienza, Chat Noir dovette riconoscere che il suggerimento di Alya non era poi tanto sbagliato, anzi. E la sua partner non poté mostrarsi più che d’accordo, intrecciando le braccia al petto e bisbigliando nella sua direzione: «Difatti, gli basterebbe chiedere, anziché sconvolgerla con dichiarazioni inaspettate e scappare via senza lasciarle il tempo di capire cosa sta succedendo.» Il giovane incassò il colpo e s’immusonì, del tutto incapace di ribattere.
   «Ok, ma nel frattempo non potresti dirlo a me?» insistette Nino, che ormai aveva preso a cuore l’intera faccenda. Voleva sinceramente bene ad Adrien e voleva vederlo felice, anche perché, come tutti, sospettava che fosse proprio lui l’interesse amoroso di Marinette.
   «Niente da fare», ribatté Alya, mostrandosi un’amica degna di fiducia. Ladybug la ringraziò fra sé dal profondo del cuore, ripromettendosi di regalarle un’intervista coi fiocchi.
   «Cosa sappiamo della nuova vittima di Papillon?» chiese agli altri, decidendo di accantonare la questione e ammiccando divertita ai capelli della propria rivale, che si era chiusa in un silenzio che lasciava intuire tutta la propria delusione circa la faccenda Adrien/Marinette.
   «Pare che la tipa ce l’abbia con Chloé», rispose Nino, attirandosi uno sguardo di fuoco da parte della ragazza, sempre più di pessimo umore.
   «Sta’ zitto, brutto quattrocchi!»
   Ladybug roteò le pupille verso l’alto. «Che novità…»
   «Beh, Chloé o non Chloé, ci tocca comunque fermarla», le fece notare Chat Noir, provando grande empatia per la collega. «Non che sia pericolosa più di tanto, ma… non mi va di ritrovarmi con una cresta punk fra le orecchie.»
   «Sarà la fine che farai, se non mi consegnerai il tuo miraculous, gattaccio!» Quell’avvertimento fu seguito da un boato enorme e alle loro spalle, fra un ammasso d’auto rovesciate, comparve Charline, minacciosa più che mai. Chloé si rifugiò immediatamente nel vicolo, mentre Nino afferrò Alya per la vita, cercando di trascinarla a viva forza via da lì, nonostante lei non sembrasse affatto spaventata e, anzi, continuasse a riprendere ogni cosa: ne sarebbe venuto fuori un video straordinario e pieno di scoop!
   Si dissuase a seguire gli altri solo quando un enorme, lungo fascio di capelli lilla appartenenti a Charline oscurò il cielo più di quanto non facesse già la pioggia, saettando poi in direzione di Chat Noir, che si pose in difesa dell’amata finendo con l’essere avviluppato per un braccio. Non si accorse di altre due ciocche che, strisciando silenziose come serpenti, lo avevano intanto raggiunto alle caviglie e gli fecero perdere l’equilibrio, sollevandolo a mezz’aria.
   «No!» urlò Ladybug, lanciando istintivamente lo yo-yo e riuscendo ad agguantare il proprio partner per un polso poco prima che lui venisse trascinato via.
   «Non mollare la presa!» la supplicò il giovane, stringendo i denti per la spiacevole, dolorosa sensazione di sentirsi vittima di una trappola medievale che mirava a squartarlo. Col cavolo che l’avrebbe fatto, pensò la ragazza, soffocando un’imprecazione per lo sforzo e calcando ulteriormente i piedi sull’asfalto, reso scivoloso dall’acqua piovana.
   «Non riuscirete a sfuggirmi!» continuava frattanto Charline, che aveva ricevuto istruzioni ben precise dal malvagio burattinaio che l’aveva ridotta in quelle condizioni. «Avrò i vostri miraculous, a costo di mutilarvi!»
   «Uhò!» scattò allora Chat Noir, comprensibilmente preoccupato. «Signore, so di essere irresistibile, ma non c’è bisogno di arrivare a tanto per avermi!»
   «Chiudi il becco e dammi una mano!» gli ruggì contro Ladybug, trovando come sempre le sue battute poco opportune.
   L’altro non se lo fece ripetere e subito si portò il braccio libero dietro la schiena per recuperare il bastone, che lanciò a mo’ di boomerang contro la sua aguzzina. Questa schivò solo all’ultimo, ma fu costretta ad allentare la presa sul giovane, che ne approfittò per liberarsi con gli artigli affilati prima di recuperare al volo la propria arma e atterrare sulle quattro zampe accanto alla collega. «Bleargh! Che schifo!» esclamò agitando la mano destra per togliersi dalle dita i lunghi capelli bagnati che vi erano rimasti impigliati.
   «Stai bene?!» gli domandò Ladybug, timorosa che potesse aver riportato delle ferite.
   «Ci vuole ben altro per mettermi fuori gioco», la tranquillizzò Chat Noir, le pupille verticali puntate sul nemico. Simili a tentacoli, dalla testa di Charline saettarono altre grosse ciocche, dritte nella loro direzione. I due scartarono di lato, evitando di essere imprigionati fra quelle disgustose spire, ma la donna li incalzò più e più volte, fino a che non riuscì a strappare il bastone dalle mani di Chat Noir.
   Ladybug la bloccò con il filo indistruttibile dello yo-yo, facendole così cambiare obiettivo prima che fosse tardi. Approfittando della presa che la ragazza aveva su di lei, Charline le indirizzò contro i propri capelli, ottenendo sia di essere di nuovo libera, sia di puntarle addosso il proprio asciugacapelli. «Adesso ci divertiamo», disse soddisfatta, azionandolo subito dopo.
   Anziché essere colpita dalla sua magia, la ragazza fu invece investita da un tornado scuro, che la gettò a terra fra mille schizzi d’acqua, facendole da scudo, e rotolò con lei per alcuni metri, fin dietro alle automobili che Charline aveva ammassato da una parte della strada. «Chat Noir!» gridò Ladybug sotto al suo peso, spaventata che gli fosse successo qualcosa di grave.
   «Sto bene», le assicurò lui, facendo perno sugli avambracci per sollevarsi di quel tanto che gli consentisse di guardarla in volto. Lei batté le palpebre più volte, sbalordita, ma poi fu costretta a mordersi il labbro inferiore, senza tuttavia riuscire ad evitare di scoppiare a ridergli in faccia. «Bel modo di ringraziare il tuo salvatore», protestò l’altro, risentito.
   «Scusa! Scusa!» si affrettò a dire la ragazza, portandosi le mani davanti alla bocca, pur continuando a sogghignare. «È solo che ti ha fatto una meravigliosa acconciatura afro.»
   «Afro
   Annuì, tornando seria. «Color arcobaleno. Con tante stelline argentate.»
   «Ah.»
   «Sei carino lo stesso, davvero.»
   «Lo credo bene, nulla può offuscare il mio fascino virile», ci tenne a sottolineare stoicamente Chat Noir, che, con un gesto lezioso, si passò una mano fra la chioma inguardabile.
   «Puoi dirlo forte…» sospirò Ladybug, fissandolo con aria sognante perché capace ormai di guardare al di là della maschera che lui portava in volto. Il giovane sgranò gli occhi, incredulo, e lei si rese conto della gaffe fatta. Tornò a tapparsi la bocca con entrambe le mani, mentre sulle labbra del suo collega andava a disegnarsi un ghigno trionfante. Rossa per l’imbarazzo, la ragazza gli piantò un palmo sulla faccia e lo allontanò con forza, proprio nell’attimo stesso in cui il loro momentaneo rifugio veniva fatto saltare per aria, obbligandoli a tornare alla realtà e a rimandare a dopo qualunque tipo di discussione.
   «Credo che sia arrivato il momento di ricorrere alla tua innata fortuna, my lady», suggerì Chat Noir, deciso a vendicarsi per l’affronto subito. «Ti copro io», affermò, iniziando a correre per non farsi prendere ed invocando a gran voce il proprio potere nefasto. «Cataclisma!» Con un agile balzo evitò di essere di nuovo avviluppato dalle spire dei capelli di Charline e affondò gli artigli nell’asfalto tutt’intorno a lei, creando un enorme cratere che le fece perdere l’equilibrio e la fece sprofondare.
   Fu a quel punto che Ladybug ne approfittò, lanciando il proprio yo-yo per aria. «Lucky Charm!» Un oggetto lungo e appuntito cadde pericolosamente dall’alto e la ragazza dovette scansarlo per non rischiare di essere trafitta da parte a parte, facendo sì che quello finisse per conficcarsi al suolo. «Un forcone?» ponderò a mezza voce, perplessa. Aveva pensato più ad un paio di forbici, un tagliacapelli o qualcos’altro che potesse servire all’uopo; che avrebbe dovuto farci con un forcone?!
   «Vuoi metterti a giocare alla bella contadina?» le domandò divertito Chat Noir, che nel frattempo si era avvicinato a lei e, recuperata la propria arma, ora vi si appoggiava usandola come sostegno.
   Ladybug divelse il forcone dall’asfalto con una forza insospettabile. «Attento, gattino, potrei decidere di usarlo sul tuo bel sottocoda.»
   Di nuovo lui esibì un sorriso soddisfatto, iniziando lentamente a roteare con una mano la lunga cinghia del proprio costume. «Oh, lo hai notato, allora», constatò, benché non avesse un bel niente di cui vantarsi, con quell’acconciatura ridicola in testa.
   Pur arrossendo, la ragazza mantenne la propria baldanza. «Zitto, mi deconcentri», gli intimò secca, cominciando a guardarsi attorno per capire in che modo utilizzare l’arnese che aveva fra le mani. La sua attenzione si focalizzò su Charline, che stava tentando goffamente di risalire la voragine e di rimettersi in piedi. «Ci sono!» esclamò. «Chat Noir, ti piacciono gli spaghetti?»
   «Ho capito cos’hai in mente», annuì subito lui, sicuro di sé. «Ristorante italiano, rose rosse e tante candele. Facciamo stasera alle otto?»
   «Facciamo subito», ribatté l’altra, allungandogli il forcone. «Ma senza candele, senza rose e senza ristorante italiano.»
   «Eviterò la battuta sul dessert…»
   «…ed io eviterò di prenderti a sberle…»
   «…ma agli spaghetti ci pensi tu, my lady», disse Chat Noir, tornando in posizione da combattimento, gli occhi puntati sul nemico e un’espressione fiera in volto. «Del suo asciugacapelli mi occupo io, così non correrai il rischio di rovinarti quei graziosi codini.» E poi, in tutta onestà, aveva davvero una questione in sospeso con quella maniaca dei capelli: aveva osato deturpare la sua splendida chioma bionda. «Ehi, capellona!» chiamò, attirando l’attenzione di Charline, furiosa per quella colossale perdita di tempo dovuta a quel maledetto felino antropomorfo. «Vediamo se riesci a prendermi, stavolta!»
   Cogliendo subito la sua provocazione, la donna raccolse l’intera chioma in un unico, grosso fascio che fece immediatamente saettare nella sua direzione. Chat Noir lo evitò solo all’ultimo, facendo sì che lei non potesse ritrarre quel bizzarro tentacolo lilla che fu prontamente intercettato da Ladybug con il suo forcone. L’eroina roteò l’attrezzo, avvolgendo i capelli di Charline come se fra le mani avesse un’enorme forchetta e fosse alle prese con un disgustoso piatto di spaghetti. «Maledetta!» urlò l’altra, trovandosi intrappolata ed incapace di muoversi. Ricorse allora all’altra sua arma e, tornando a puntare contro la ragazza il proprio asciugacapelli, si preparò a far fuoco; questa volta a vuoto, perché con un colpo ben assestato al braccio Chat Noir riuscì dapprima a deviare la traiettoria, e poi a farle cadere l’aggeggio, che subito lui calciò verso la propria collega con un passaggio rasoterra. Lei fermò l’asciugacapelli con la pianta del piede e vi infilzò il forcone, mandandolo in frantumi. La piccola akuma s’involò verso il cielo scuro, ma prima che sparisse all’orizzonte venne catturata e purificata da Ladybug.
   Di lì a pochi istanti, tutto tornò alla normalità: la pioggia che scendeva placida su Parigi, Charline che si guardava attorno spaesata, l’asfalto e le automobili perfettamente integre, e Chat Noir con la sua solita, adorabile zazzera bionda. I due eroi si scambiarono un lungo sguardo, poi, con comprensibile timidezza, Ladybug levò il pugno in direzione del compagno che, anziché battervi contro il proprio, la afferrò per il polso e l’attirò a sé in un abbraccio carico di tante, troppe emozioni. La ragazza si aggrappò a lui con forza, felice come mai lo era stata fino a quel momento.












Ed eccoci giunti alla conclusione. O quasi. Un po' mi spiace, a dire il vero, ma ho diverse shot in cantiere, quindi mi dedicherò a quelle.
Ah, l'altra volta mi sono dimenticata di mostrarvi una cosa, e cioè la fanart che mi ha ispirato la scena della dichiarazione di Adrien/Chat Noir alla fine del sesto capitolo: https://data.whicdn.com/images/224751340/large.jpg
È una delle mie preferite, in effetti, perché riesce a trasmettermi un sacco di emozioni. ♥
Scappo a scrivere, ché il tempo è tiranno, perciò ringrazio subito tutti i lettori, i recensori e coloro che aggiungono/hanno aggiunto la presente fra le storie preferite/ricordate/seguite.
A presto e buona serata a tutti! :*
Shainareth





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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***





CAPITOLO NONO




Chloé sfogliò svogliatamente la rivista di moda che aveva fra le mani, guardando le foto delle modelle senza vederle davvero. Era proprio un periodo tremendo, quello. Non solo Jean-Claude era ancora ammalato, per di più lei aveva dovuto arrendersi a tornare da quella incapace della sua assistente che, non appena l’aveva vista, aveva fatto una smorfia eloquente e aveva preso un grosso respiro prima di regalarle un sorriso falso come la Tour Eiffel di Berlino. Ciò nonostante, quel pomeriggio si stava mostrando assai professionale, smentendo così l’opinione che quella ragazzina viziata aveva sulle sue capacità.
   «Cosa la porta a sospirare così di continuo, mademoiselle?» le domandò gentilmente Charline, decisa a dimenticare gli screzi del giorno addietro e a voler instaurare con la sua cliente un rapporto amichevole.
   Il musino imbronciato di Chloé tremolò. «Oggi abbiamo fatto una stupida riunione di classe sulla fiducia», prese a raccontare con voce affranta, «ed è venuto fuori che il ragazzo migliore del mondo preferisce una stupida, insignificante pasticcera alla figlia del sindaco. A me. Capisce?!»
   Continuando a sistemarle la messa in piega, Charline faticò a mantenere un’espressione impassibile e mostrò nei suoi confronti tutta la propria comprensione. «Dev’essere stato un duro colpo.»
   «Oh, non immagina quanto!» esclamò l’altra, portandosi il dorso di una mano alla fronte con fare teatrale. «Quella dannata mocciosa!» imprecò subito dopo. «Mi chiedo come abbia fatto a raggirarlo al punto da farlo cadere ai suoi piedi!»
   «Magari ha aggiunto un filtro d’amore ai suoi dolci», la prese in giro la donna, mantenendo tuttavia un tono di voce neutro e dandole l’impressione di essere convinta di ciò che diceva.
   Chloé ci pensò su e decise di darle credito. Recuperò il cellulare dalla borsa e subito avviò la chiamata che avrebbe potuto aiutarla a risolvere quella spiacevole situazione. «Sabrina? Vai immediatamente in biblioteca o su internet o dove ti pare e piace, e cerca gli ingredienti necessari per fare un filtro d’amore», dispose con fare autoritario, osservando con occhio critico l’operato di Charline attraverso lo specchio. «No, non mi importa se sei al funerale del tuo vicino di casa!» sbottò poi, esasperata dalla consapevolezza di avere un’amica inutile. «Fallo subito!»
   La donna alle sue spalle alzò gli occhi al soffitto, pregando con tutte le sue forze affinché la sua bambina di tre anni non crescesse come la ragazzina che aveva sotto mano.

«Eccomi, scusa se ti ho fatto aspettare», disse Marinette, scendendo fino al negozio dei suoi genitori, dove Adrien si era offerto di dare una mano in attesa che lei finisse di prepararsi. Non era proprio un appuntamento, il loro, poiché avevano soltanto accettato l’invito di Alya e Nino ad andare al cinema quel pomeriggio. Questo li avrebbe però aiutati ad accantonare ogni imbarazzo iniziale, procedendo gradatamente in quella che ormai avrebbero davvero potuto cominciare a definire relazione amorosa. A dirla tutta, in effetti, non erano ancora riusciti a chiarirsi del tutto, perché subito dopo lo scontro del giorno prima i loro miraculous avevano iniziato ad avvertirli dell’imminente trasformazione e i due, per non destare sospetti di sorta, avevano dovuto darsela a gambe in direzioni opposte anche e soprattutto a causa della presenza molesta del cellulare di Alya. Durante le lezioni scolastiche, inoltre, avevano avuto poche occasioni per parlare a tu per tu, ma nel corso della riunione di classe che avevano tenuto a fine giornata, Adrien non si era lasciato sfuggire l’occasione di correggere la dichiarazione fatta la volta precedente e di affermare con orgoglio che la ragazza di cui era innamorato era Marinette – causando un vociare più o meno entusiasta quando lei aveva timidamente annuito a chi le aveva chiesto se ricambiava o meno i suoi sentimenti.
   Adrien si volse a fissarla con un croissant fra le fauci, un altro in mano. «Ah», constatò la ragazza, incrociando le braccia al petto, «quindi era questo che intendevi per dare una mano…»
   Lui rise, ma fu Sabine ad intervenire in sua difesa. «Ci serviva qualcuno che svuotasse i vassoi.»
   «Sarò sempre a vostra disposizione, per questo», promise lui, candido come una rosa, un’espressione talmente innocente in volto da conquistare appieno il cuore della donna.
   «Ecco a voi», disse Tom, mostrando alla figlia una scatola con diversi macaroon. «Uno spuntino anche per i vostri amici.»
   «Grazie, papà», sorrise lei, contenta che i suoi genitori non solo non avessero fatto domande sulla presenza di Adrien, ma per di più sembravano averlo preso in gran simpatia. Il cellulare emise un suono e Marinette lesse il messaggio appena arrivato. «È Alya. Dice che hanno avuto un contrattempo e che ci vedremo direttamente davanti al cinema.»
   «Meglio avviarsi, allora», commentò Adrien, in parte felice per quella notizia: sarebbe finalmente riuscito a passare un po’ di tempo da solo con la propria innamorata. Lei annuì e, presa la scatola di dolci fra le mani, salutò i propri genitori giusto un attimo prima di inciampare su uno spigolo del bancone. Fu Adrien a salvarla da un frontale con il pavimento, agguantandola appena in tempo per la collottola, mentre Tom riusciva a recuperare al volo i macaroon come neanche il miglior giocoliere di Parigi avrebbe saputo fare. «Come accidenti ha fatto?» domandò il giovane, piacevolmente ammirato, aiutando Marinette a recuperare l’equilibrio.
   «Questione di abitudine», rispose l’uomo, strizzando l’occhio e lasciando intendere che cose del genere accadevano di frequente quando sua figlia era nei paraggi.
   «Sì, credo di capire», annuì l’altro, lanciando uno sguardo divertito alla ragazza – che sospirò demoralizzata.
   Ci pensò Sabine a tirarle su il morale, abbracciandola con affetto. «Divertitevi e salutateci i vostri amici.»
   «E tu, Adrien, vieni pure a trovarci quando vuoi. Sarai sempre il benvenuto», assicurò Tom, affidando la scatola a lui, questa volta.
   «Grazie, monsieur Dupain», sorrise l’altro, avvertendo nel cuore un senso di pace che non provava da tempo. Era quella l’atmosfera che si respirava in una famiglia felice? Marinette era davvero fortunata.
   «Sei un grandissimo ruffiano», gli fece sapere lei quando furono fuori, diretti verso il cinema e ignari del fatto che Tom e Sabine li stessero spiando attraverso le vetrine della panetteria. La ragazza stava per aggiungere altro, ma le parole le morirono in gola quando Adrien la prese per mano, intrecciando le dita alle sue in un gesto inequivocabile. Sbirciò nella sua direzione e si sentì sciogliere sotto al suo sguardo innamorato. Dannazione, gli avrebbe perdonato qualsiasi cosa, se solo lui avesse continuato a guardarla in quel modo per sempre…
   «Adrien?» Si volsero entrambi e videro Nathalie, ferma in piedi accanto ad una delle automobili della famiglia Agreste, che era parcheggiata dall’altro lato della strada.
   Il giovane strinse le labbra. «Sapevo che era troppo bello per essere vero…» borbottò, sentendo il proprio buonumore minacciato da quella presenza. Era sinceramente affezionato all’assistente di suo padre e le era grato per tante cose, ma aveva sperato che almeno quel pomeriggio avrebbe potuto avere la libertà di godere della compagnia dei suoi amici – e di Marinette soprattutto – senza vincoli di sorta. «Vieni, me ne libero subito», disse alla ragazza, tirandola gentilmente per la mano.
   Quando però furono davanti a Nathalie, quest’ultima, dopo aver squadrato l’amica di Adrien da capo a piedi e averla comprensibilmente messa in soggezione, spiegò: «Monsieur Agreste era preoccupato al pensiero che prendeste la metropolitana, perciò siamo venuti per accompagnarvi fino al cinema.»
   Adrien cercò lo sguardo di Marinette, che gli sorrise per tranquillizzarlo. «Tuo padre è davvero gentile, non credi?» No, il giovane non lo credeva, ritenendo più probabile che l’uomo volesse solo controllarlo. Tuttavia le fu immensamente grato per quelle parole e, più in generale, per la sua comprensione; tanto che riuscì di nuovo a distendere i lineamenti del viso, fattosi teso non appena aveva visto l’auto di famiglia. «Ah, prima di andare», riprese la ragazza, sfilandogli la scatola di macaroon dalle dita e aprendola davanti a Nathalie, «lei e il suo collega ne gradireste qualcuno? Offre la pasticceria Dupain-Cheng
   Stupita da quella gentilezza inaspettata, Nathalie guardò Adrien con aria confusa. Lui le sorrise, scrollando le spalle e facendo cenno verso il negozio da cui erano appena usciti e dal quale i proprietari, colti in flagrante, presero comunque ad agitare allegramente una mano a mezz’aria. Marinette li fissò rassegnata, ma preferì non commentare, mentre il giovane ricambiava il saluto con affetto e la donna accanto a loro regalò finalmente un’espressione amichevole alla figlia dei coniugi Dupain-Cheng. «Grazie, molto volentieri.»
   Prima di salire in auto, comunque, Adrien ci tenne a sussurrare all’amata: «Chi sarebbe il ruffiano, ora?» Ridendone insieme, si diressero verso il luogo dell’appuntamento.
   Avendo a disposizione diversi minuti prima che giungessero i loro amici, i due ragazzi decisero di aspettarli seduti su di una delle panchine di pietra presenti in un giardinetto nei dintorni del cinema. Fu lì che, dopo aver scambiato poche battute di spirito, finirono pian piano per ammutolirsi. Non che non avessero davvero nulla da dirsi, tutt’altro; solo che la tensione cominciava a farsi pressante, rendendoli di colpo timidi. Il che era davvero stupido – ne erano perfettamente consapevoli – dal momento che, se pure nella vita di tutti i giorni non erano abituati a certe confidenze, quando erano Ladybug e Chat Noir potevano quasi considerarsi l’una l’estensione dell’altro.
   Fu Adrien, allora, a fare la prima mossa, posando la propria mano su quella di lei e stringendola con calore. Marinette avvertì il cuore sussultare e, facendosi coraggio, lo fissò da sotto in su. Lui le sorrise e lei fece lo stesso. C’era davvero bisogno di parole per esprimere ciò che avevano nell’anima? No, forse no. Spostandosi sulla panchina per sedersi a cavalcioni ed essere rivolto interamente verso l’amata, Adrien tornò a fissarla con maggior intensità e sollevò l’altra mano verso il suo viso, sfiorandole la guancia con i polpastrelli. Le sue dita erano meravigliosamente calde, pensò Marinette, fremendo sotto a quel tocco e perdendosi nei suoi occhi. Il giovane le si fece ancora più vicino, posando la fronte contro la sua, e lei schiuse le labbra, incapace di opporsi all’arcano incantesimo che Adrien stava intessendo sul suo povero cuore innamorato. E mentre le dita di lui scendevano a catturarle uno dei codini, giocandoci teneramente, i loro respiri iniziarono a confondersi in quello che presto divenne un bacio. Fu leggero, dolce e caldo. Quasi troppo breve per soddisfarli appieno, tanto che sarebbero subito tornati a cercarsi se non fossero stati sorpresi dall’assordante suono di un clacson proveniente dalla strada vicina, che li risvegliò di soprassalto dal loro bel sogno.
   Rimasero in sospeso per una manciata di attimi, guardandosi spaesati: l’incanto era stato spezzato. Potevano immergersi di nuovo in quella magia tutta loro? Sì, lo avrebbero fatto. Subito. O almeno questa era la tacita decisione che presero senza aver fatto i conti con il caso. Qualcuno pronunciò il nome di Adrien a voce alta e sorpresa, sicuramente una fan che lo aveva riconosciuto da lontano. Chinando il volto con aria sconsolata, il giovane sospirò. «Mi dispiace…»
   Marinette gli posò una mano sulla nuca, spingendolo contro la propria spalla e lo rassicurò con un bacio fra i capelli biondi. «Non importa, abbiamo tutto il tempo del mondo.»
   «Ti adoro», si sentì dire all’orecchio, avvertendo di nuovo un meraviglioso senso di tepore all’altezza del petto.
   «Cécile, lascialo stare, non vedi che è in compagnia?»
   Adrien riconobbe quella voce e gli fu ancora più facile associarla ad un volto nell’udire il nome appena pronunciato. Alzò il capo dalla spalla dell’amata e scorse il suo compagno di scherma. «Roland…»
   Quello accennò un saluto con un piccolo movimento della testa. «Scusa… non volevamo essere invadenti…»
   «Ma siete amici, vero?», s’incuriosì Cécile, che non aveva certo dimenticato quanto successo il giorno in cui Papillon aveva preso di mira il ragazzo che le stava accanto. «Gli amici non dovrebbero badare a certe stupidaggini, no?» I due si guardarono, incerti su cosa dire al riguardo: erano amici? No, non esattamente. Anzi, Adrien sospettava che Roland lo vedesse unicamente come rivale e come potenziale minaccia per il coronamento del suo sogno amoroso.
   Fu a quel punto che si alzò dalla panchina ed esibì inconsapevolmente uno di quei suoi sorrisi abbaglianti, di quelli capaci di stendere uno stuolo di ammiratrici in un colpo solo. «Lasciate che vi presenti la mia ragazza, Marinette.» Quest’ultima fu investita da una meravigliosa doccia calda: Adrien l’aveva appena presentata come la sua ragazza?! Col cuore in tumulto, scattò in piedi come una molla, rossa in volto, gli occhi che le brillavano di pura gioia e un sorriso che le andava da un orecchio all’altro, balbettando qualcosa di incomprensibile che però nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere un saluto cordiale. Il suo innamorato le venne incontro, stringendole la mano, e lei riuscì a respirare di nuovo, rasserenandosi all’istante. «Roland è con me al corso di scherma.»
   «Oh», comprese Marinette, riconoscendo il polsino di pelle che lui portava al braccio.
   Cécile, che la stava osservando con sorpresa mista a curiosità, parve ricordarsi di qualcosa. «Io ti ho già vista», disse allora. I due eroi in borghese si scambiarono uno sguardo fugace, temendo il peggio: possibile che quella ragazza avesse riconosciuto Ladybug? «Tempo fa sei comparsa sulla copertina di Metal Lourd insieme a Jagged Stone!»
   «Ah…» balbettò Marinette, tirando il fiato. «Sì, l’ho aiutato in un paio di occasioni.»
   «Sai», cominciò allora l’altra, rivolta all’amico, con evidente entusiasmo, «è stata lei a disegnare la copertina del suo ultimo CD.»
   Non riuscendo ancora a provare simpatia per il rivale, nonostante tutto, Roland fece oscillare lo sguardo ora su di lui, ora su Marinette. Adrien non si lasciò scoraggiare. «Stavamo per andare al cinema con degli amici», disse con gentilezza. Non che ci tenesse per forza ad essere simpatico al giovane, ma almeno voleva essere sicuro di non diventare nuovamente causa del suo malumore.
   «Un’uscita a quattro?» domandò Cécile, molto più ben disposta verso la coppia.
   «Qualcosa del genere», confermò Adrien. «Ma può benissimo diventare un’uscita a sei, se vi va.» Strizzò l’occhio a Roland, che si irrigidì al pensiero della risposta dell’amata, fattasi improvvisamente muta.
   Anche Marinette, allora, ci mise del suo. «Sarebbe davvero fantastico», assicurò loro. «Sono certa che ad Alya e Nino non dispiacerà.»
   Cécile arrossì lievemente. «A dire il vero… noi non stiamo…»
   «E abbiamo anche una scatola piena di macaroon appena sfornati», li tentò Adrien. «Li ha fatti il padre di Marinette, è il miglior pasticcere di Parigi, ve l’assicuro.»
   La ragazza abbozzò un sorriso, non sapendo esattamente cosa rispondere. Fu Roland, dunque, a fare la sua mossa. «Andiamo», affermò deciso. Cécile si volse a guardarlo, stupita ma non spaventata da quell’idea. Lui si strinse nelle spalle. «Potrebbe essere divertente…» azzardò. La vide sorridere con maggior convinzione e, infine, annuire contenta.

Quella sera stessa, approfittando del fatto che l’indomani non avrebbe avuto scuola, Marinette rimase china sul proprio lavoro fino a tardi. Erano giorni che ci stava dietro e, da buona amica, Tikki le faceva compagnia dandole questo o quel consiglio su come rendere al meglio la sua creazione. Sapeva quanto la sua Ladybug tenesse alla cosa e non vedeva l’ora di poter leggere nei suoi occhi l’orgoglio e la gioia per averla portata a termine con successo, tranquillizzandola al riguardo: tutto sarebbe andato per il meglio.
   Stavano appunto ragionando di questo quando avvertirono un rumore felpato provenire dal terrazzino. Sapevano entrambe che non si trattava di un ladro, perciò rimasero ferme dov’erano, in attesa che l’intruso si decidesse a manifestarsi. Accadde appena pochi secondi dopo, quando dall’alto della botola che conduceva all’esterno si calò la figura scura di Chat Noir, atterrando agilmente sulle quattro zampe. «Ed ecco perché, cara Tikki, bisogna sempre chiudere le finestre, quando scende la sera…» disse Marinette, come se stesse dando una conclusione ad un discorso iniziato in precedenza.
   Il kwami ridacchiò e si avvicinò al giovane, che, non cogliendo la provocazione dell’amata, nel frattempo era tornato ad ergersi sulle gambe. «Non ci siamo ancora presentati», cominciò lei, felice di potersi finalmente mostrare ad Adrien. «Io sono Tikki, piacere di conoscerti.»
   Lui sorrise contento, allungando un dito per poterla accarezzare con tenerezza. «Il piacere è mio», le assicurò. «Magari Plagg fosse così educato e cordiale…» sospirò fra sé.
   «Vi lascio soli», affermò poco dopo Tikki, dando ai due ragazzi la possibilità di poter parlare liberamente in privato. «Vado a vedere se trovo qualche biscotto incustodito.»
   «Biscotti, eh?» sospirò Chat Noir, vedendola volare al piano di sotto. «Sei fortunata», aggiunse rivolto all’amata. «Almeno non rischi di puzzare tutto il giorno di formaggio come me.»
   «Non è vero che puzzi di formaggio», lo rassicurò lei, trattenendo un sorriso senza però staccare gli occhi dal proprio lavoro di cucito. «Anzi, hai un buon odore.»
   L’altro assunse un’espressione sorniona e si guardò attorno dondolandosi sui talloni, le mani intrecciate dietro la schiena. «Quindi… la storia che mi hai raccontato l’altra volta, quella sulle mie foto alle pareti, era una bugia?»
   «Fatico ancora a credere che tu te la sia bevuta», osservò Marinette, ostentando una calma che non possedeva affatto.
   «Non mi chiedi perché sono qui?»
   «Ho idea che me lo dirai lo stesso», rispose, prendendo le forbicine da ricamo e tagliando il filo, prima di posare l’ago sul puntaspilli. «Prima, però, vorrei che provassi una cosa per me», aggiunse mettendosi in piedi e mostrandogli quel che aveva fra le mani. Si trattava di una giacca nera, dal taglio maschile e decisamente originale, ma di buon gusto.
   Rimanendo fermo dov’era, e dimenticando di essere andato da lei per chiederle di andare in coppia alla festa di Halloween della scuola, il giovane prese a fissarla con evidente stupore. «È… per me?»
   Marinette annuì, cercando di ignorare l’afflusso di sangue che le era salito al viso. «Un paio di settimane fa, a scuola, mi hai tirata fuori da uno dei miei soliti disastri…» Adrien neanche lo ricordava più, ma non questionò e attese di sentire il resto del discorso. «Così, visto che ti piacciono i miei modelli, ho pensato che sarebbe stato carino ringraziarti in questo modo…» La vide alzare timidamente lo sguardo su di lui. «Non avendo le tue misure, sono andata ad occhio, ma… se non dovesse andare bene potrei sempre sistemarla. O… O se non dovesse piacerti, magari… potrei farne un’altra. Perché magari non la vuoi, e allora potrei trovare un altro modo per ringraziarti… Dopotutto, hai sempre l’intera collezione di tuo padre a disposizione… Quindi, non so, magari potrei regalarti quel collare antipulci di cui parlavi… anzi no, senza antipulci, giusto? Oppure potrei…»
   Tacque di colpo quando, dopo aver vinto la distanza fra loro, le mani di Chat Noir si chiusero teneramente attorno alle sue. «È perfetta», le assicurò, un nodo in gola, come tutte le volte che quella ragazza riusciva a far breccia nel suo cuore con tanta semplicità. Da quanto tempo ci stava lavorando? Da un po’, concluse, ricordando che l’aveva vista alle prese con la macchina da cucire sin dal giorno in cui aveva scoperto la sua doppia identità. «Grazie.»
   «Non… Non è ancora finita, però», balbettò Marinette, rimproverandosi di non riuscire a controllare le proprie emozioni quando si trovava con lui. Com’era possibile che alternasse momenti di sicurezza ad altri di panico completo?
   «Posso provarla?»
   «Certo, è tua.» Sorridendo, il giovane schiuse le labbra per pronunciare le parole che lo avrebbero trasformato nuovamente in Adrien, ma lei lo fermò a metà, tappandogli la bocca con una mano. «Aspetta», lo pregò, prima di prendere la giacca e metterla da parte. «Prima… Prima vorrei chiarire una cosa», affermò, prendendo a due mani tutto il coraggio che aveva dentro di sé. Pur stupito, lui rimase in silenzio, aspettando che la ragazza tornasse a parlare. «L’altra sera…» cominciò allora lei, la voce malferma per le emozioni che continuavano a rimescolarsi nel suo animo, «hai detto una cosa che non risponde alla verità.» Vide Chat Noir aggrottare appena la fronte, forse nel tentativo di capire a cosa lei si stesse riferendo nel dettaglio. Marinette comprese di dover essere più chiara. «Non è vero che non ricambio i tuoi sentimenti.»
   Lo vide sorridere sollevato. «Sì, lo avevo intuito…» le fece sapere, provando enorme tenerezza per quella dichiarazione ormai superflua.
   «Lo so, lo so…» si affrettò a dire lei, trovandosi d’accordo, visto quanto era successo nelle ultime ventiquattro ore. Era persino diventata la sua ragazza, dopotutto. E si erano baciati, sia pure solo per pochi istanti. «Solo che… volevo dirtelo comunque. Credo sia più giusto così», ci tenne a fargli sapere. Inspirò, riempendosi di nuovo coraggio, e aggiunse: «Inoltre… volevo che fosse Chat Noir a sentirlo.» Lui tornò a fissarla con una certa sorpresa e Marinette si decise a vuotare il sacco fino in fondo. «Tu hai accettato la vera me stessa così com’è, piena di difetti e di incongruenze. È a lei che hai dichiarato il tuo amore, non a Ladybug. Per questo, vorrei fare lo stesso.» Sorrise, avvertendo di colpo tutta la serenità che la forza dei propri sentimenti era capace di trasmetterle. «Non voglio che ci siano più inibizioni, fra noi, di nessun tipo. Vorrei che ti sentissi libero di essere te stesso, quando sei con me, con o senza questa maschera.» Nel dirlo, gli prese il viso fra le mani, passando la punta delle dita sull’orlo inferiore del tessuto scuro che nascondeva al mondo la sua vera identità. «Ti amo», concluse allora, fissandolo dritto negli occhi, proprio come il giovane aveva fatto con lei appena due sere prima.
   Chat Noir non resistette oltre e l’afferrò per la vita, attirandola a sé e incollando le labbra alle sue, con un trasporto che non credeva neanche di possedere. Seppur colta alla sprovvista, Marinette non si oppose e, anzi, si aggrappò a lui con tutta se stessa, felice che fossero proprio le metà imperfette del loro essere a condividere la gioia di quel momento.












Fa sempre un effetto strano concludere una storia. Fino a questo istante non me n'ero del tutto accorta perché continuavo a leggerla e rileggerla (in cerca di errori) prima di postare qui i vari capitoli. E adesso? Le shot non mi soddisfano allo stesso modo, ma confesso che ho paura di tornare a mettermi alla prova con un'altra long, sigh.
Ad ogni modo, spero di non aver deluso nessuno con questo finale. Ho cercato di riallacciare tutti i punti lasciati in sospeso, ma se ne ho dimenticato qualcuno fatemelo sapere, così provvederò con una shot al riguardo. Ne ho giusto una da postare, come dicevo l'altra volta, che è ambientata circa una settimana dopo questo nono capitolo. Non è nulla di eccezionale, ma è uno sfizio che mi sono voluta togliere e che voi potrete leggere o meno nei prossimi giorni.
Durante la stesura di questa long ho cercato di dare spazio a diversi personaggi e anche alle quattro ship principali del fandom (quelle che prevedono sempre Marinette/Ladybug e Adrien/Chat Noir come elementi), ma per esigenze di copione la Ladrien è rimasta un po' in sordina, mentre la Marichat ha avuto le scene più intense. Me ne scuso, ma credo sia quella la coppia che ha bisogno di innamorarsi davvero, dal momento che nella serie Marinette e Chat Noir si stanno simpaticamente indifferenti a vicenda. Ri-sigh.
Concludo qui, altrimenti potrei continuare a parlare a vanvera per ore ed è meglio evitare.
Ringrazio di vero cuore tutti voi che siete giunti a leggere queste ultimissime righe, voi che avete deciso di dedicare del tempo anche ad una recensione, breve o lunga che fosse, e voi che avete inserito questa storia fra le fanfiction preferite/ricordate/seguite. Siete stati meravigliosi e mi avete dato una carica incredibile, accogliendomi con affetto nel fandom e facendomi sentire a casa.
Un abbraccio a tutti voi e buona giornata. A presto! ♥
Shainareth





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