Just... Stay

di Manto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ascolta il Mondo ***
Capitolo 2: *** Rispetta la Paura ***
Capitolo 3: *** Libera la Luce ***



Capitolo 1
*** Ascolta il Mondo ***


DISCLAIMER
All’infuori degli OC Amaya e Umiko, i personaggi qui presentati non mi appartengono (purtroppo).
Questa storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.


{ Partecipante al contest ‘Like an Hero – Eroe per un giorno’ indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp }



Just… Stay




{ I ~ Ascolta il Mondo }




La Città K non sarebbe stata nulla senza la sua verde corona di foreste: era la perfetta armonia dell’ingegno umano con la potenza naturale, il luogo dove in più punti i pilastri dei palazzi si univano alle colonne arboree come in una pacifica metamorfosi; a significare che, se lo si voleva, era davvero possibile una soluzione che unisse le esigenze più moderne agli arcani e continui richiami della Madre Terra.
Sì, perché quest’ultima chiamava, gridava, a volte cantava; e se si sapeva riconoscere la sua voce, si poteva comprendere da essa cose che nessuno avrebbe mai sospettato: allarmi, ammonizioni… a volte, anche il futuro che il suo grembo oscuro custodiva, pronto a esplodere e a rovesciare certezze e giorni già scritti.
Come successe quel mattino.



Quel mattino l’aria era pesante, rigonfia di un fastidioso sentore d’umidità e intrisa di così profondo silenzio da dare l’idea di trovarsi in un sogno; il cielo era sereno, ma era comunque ben udibile il rombo di una tempesta in avvicinamento.
È come se la Terra provasse sbigottimento.
Così Umiko definì la sensazione che provò sulla pelle appena si fu lasciata le stanze della propria abitazione alle spalle e trovò solo il cielo a coprirla; il chiarore malato del Sole la costrinse ad abbassare immediatamente il capo, spingendola poi a rabbrividire per il freddo.
«Ma che razza di giornata è?», mormorò, prima di stringersi maggiormente nel golfino – siamo in piena primavera, e fino a ieri si stava così bene… perché oggi si congela? – e lasciare il vialetto di casa, per scendere in strada e raggiungere al più presto la vicina fermata dell’autobus.
La faccenda si prospettava peggiore rispetto a quello che aveva creduto osservando l’orizzonte da sotto le coperte; e se dopo poche ore non avesse avuto quell’odioso esame per cui studiava da mesi, si poteva stare ben certi che avrebbe voltato i piedi nel tempo di un respiro e si sarebbe rinchiusa nuovamente in casa, lontana dalla confusione che percepiva in ogni cosa la circondasse.
Tuttavia, la vista delle tante persone nella sua identica situazione le alleviò un po’ la fatica che quell’anomala giornata le aveva posato sulle spalle.
Forza… è solo la tensione. Oggi pomeriggio sarà tutto passato, in un modo o nell’altro, si incoraggiò mentre raggiungeva il suo obiettivo, strofinando le gambe l’una contro l’altra e finendo per inveire contro ogni cosa ed essere esistente – pure sé stessa – per aver indossato una gonna in un giorno come quello.
E a quel punto, come se non avessero fatto altro che aspettare l’istante adatto, nella sua mente si delinearono un volto noto e un vecchio ricordo.

Ma insomma, Umiko! Dove stai andando, a un appuntamento? Si vede che non sono più lì con te, sei diventata ancora più sbadata!

Non dire sciocchezze, sbadata lo sono sempre stata! E poi tu sei sempre con me, perché ora mi dici così?
Il rumore dell’autobus in avvicinamento la distolse immediatamente da ogni pensiero, spingendola a scrutare le foreste poco distanti e la nebbia – ma quando è sorta? – che gradualmente invadeva la strada. «Giornata strana… già», sussurrò dopo alcuni attimi di stasi, non senza sentire un’ombra di attesa nella propria voce – quasi le sue stesse parole avessero dato inizio a qualcosa di nuovo.
Quell’ennesima scossa sulla pelle non svanì neppure quando il cuore della città iniziò a sostituire la periferia; e se non fosse stato per i messaggi che improvvisamente iniziarono a bombardarle lo schermo del telefono, di sicuro le strade che si snodavano intorno come serpenti impazziti, i palazzi sempre più alti e i volti indistinguibili gli uni dagli altri, non avrebbero fatto altro che aumentare il suo disagio.
Ripensandoci, forse saresti dovuta venire con noi. Stai studiando da tantissimo tempo e non ti sei ancora presa una pausa. Lì in città com’è il tempo? Qui si sta bene. Mi manchi.
Come, in piedi a quest’ora? Comunque, qui non è molto bello… è nuvoloso, e non ho nemmeno visto l’alba. E per l’esame… ci proviamo: chissà di farcela.
Anche se non sono lì con te sento che sei agitata, e non mi piace. È successo qualcosa? Sai che mamma ti veglia anche da qui.
Solo stanchezza, che passerà appena questa giornata sarà conclusa. Lo so, ti sento sempre e non vedo l’ora di rivedere te e papà. Vi voglio bene.
Dovresti tornatene a casa. Non puoi affrontare una prova del genere con tale ansia.
Troppo tardi; ormai sono qui, a pochi passi dallinevitabile. In qualche modo ce la farò.
Sei la solita testarda ma d’altronde, con la madre che hai non poteva che essere così. Testarda, e sempre con la testa tra le nuvole.
Lo diceva anche lui.
Umiko strinse i denti e artigliò un angolo dell’inseparabile borsa, per poi sospirare.
Mamma… ascolta, stamattina mi è ritornata in mente una persona, e
Alzò la testa di scatto e quasi lasciò cadere il cellulare a terra, il cuore che aveva iniziato a battere furiosamente appena quel suono l’aveva raggiunta.
In quel preciso momento tutto – voci, persone, mezzi – si fermò, lasciando che fosse solo il tamburo della Paura a scandire il ritmo della realtà.

«Annuncio d’emergenza da parte dell’Associazione Eroi: alcuni Esseri Misteriosi sono apparsi nel centro della Città K.
I residenti sono pregati…
»
Gli occhi della giovane fissarono il caos esplodere senza realmente vederlo: si posarono sulle figure lanciate in fuga, fantasmi e ombre che non riuscivano ad afferrare, perché il cervello non era in grado o voleva rispondere agli impulsi che il corpo mandava. Nonostante i rumori si aggrovigliassero intorno a lei, insieme alle urla e al continuo gracchiare delle sirene d’allarme, una cappa di immobilità l’aveva avvolta, soffocandola nei suoi stessi tremiti e impedendole di avanzare anche solo di un passo; tale era il terrore, la sensazione di essere sola.
Tutto ciò fu questione di attimi, perché improvvisamente una mano sconosciuta l’afferrò per un braccio e la trascinò fuori dall’autobus ormai deserto, lasciandola poi a respirare a fatica nella folla che abbandonava piazze e vie per disperdersi in ogni dove. Stai calma. Stai calma o la situazione diverrà peggiore, fu la prima cosa che la ragazza riuscì a pensare appena uno spiraglio di lucidità ritornò a lambirle la mente e tutte le membra vennero scosse da pungoli d’adrenalina, e prima di tutto via da qui!
Mettendo al sicuro il cellulare ancora incastrato tra le dita, iniziò a correre anche lei alla cieca, cercando al medesimo tempo di formulare un piano.
Ritornare a casa? Sono troppo lontana, e credo che nessun edificio possa essere realmente sicuro… no, devo trovare un’altra soluzione.
Una serie di boati alle sue spalle le fece accelerare il ritmo della corsa, trasformando le sue gambe in un pulsare di disperazione.
Quando si lanciò un’occhiata indietro, vide persone con la sua stessa espressione, e polvere… polvere dove si agitavano enormi ombre nere, che non la spinsero a urlare solamente perché il respiro le si era mozzato.

Dai dai, pensa!
, ricominciò a inveire allora la voce della razionalità, mentre il caos si intensificava, che cosa potrebbe essere sicuro?
Uno scantinato? No… no no no! Ci dovrà pur essere qualcosa, maledizione!

Non sapeva nemmeno dove stesse andando: riusciva a comprendere ben poco, gli occhi che lacrimavano di sofferenza e terrore frantumando le immagini in figure tremolanti e guizzi di luce abbagliante, mentre solo l’istinto di sopravvivenza le impediva di rovinare a terra e divenire vittima di una morte atroce. Ma per quanto avrebbe resistito?
La domanda sembrò trovare una soluzione quando si ritrovò circondata dagli alberi del Nature Park [1], e qui le gambe smisero di sostenere il suo impeto facendola cadere. Echi di distruzione si confusero con il suo respiro, continuando a raggiungerla anche quando si premette le mani sulle orecchie fino a sentire le dita tremare.
«
Nuovo annuncio da parte dell’Associazione Eroi: alcuni eroi sono già giunti sul posto e hanno ingaggiato battaglia con i mostri. Si pregano i residenti di non avvicinarsi per alcun motivo al luogo degli scontri.
Il livello di calamità stimato è Tigre.
»
«Forse… forse per adesso sono al sicuro», sussurrò la giovane dopo
qualche istante, sentendo gli altoparlanti ululare per l’ennesima volta e rendendosi conto di essere rimasta rannicchiata per più di dieci minuti. Sciolse la posizione e si rimise in piedi, barcollando per alcuni secondi prima di riprendere equilibrio e avanzare nella rigogliosa vegetazione del parco. Il canto dei piccoli ruscelli che lo attraversavano la guidarono verso il suo cuore arboreo, lungo il sentiero principale e sui ponti di legno che solcavano i corsi d’acqua. «Magari da qui potrei anche raggiungere le foreste… chissà se c’è un modo», si chiese, guardandosi intorno con quanta più attenzione possibile.
E fu così che il suo sguardo incontrò la lunga chioma miele di una donna, appoggiata alla balaustra di uno di quei ponti ma così protesa verso il vuoto da sembrare sul punto di spiccare il volo, e gli occhi di chi da tempo combatte una battaglia con sé stesso.




◊♦◊




A volte il Futuro lo sentirai nel cuore.
Ti sveglierai un mattino, e saprai di essere diventata madre, che quell’amico a te tanto caro ritornerà in città, o che quelle saranno le ultime ore della tua esistenza. Ciò che per noi è più importante, questo ce lo suggerisce la nostra anima: momenti che solo tu dovrai conoscere, parole che nessun altro potrà comprendere.

E con tutti i giorni di nebbia e pioggia che si erano susseguiti sui tetti della città, il suo momento era giunto proprio in una giornata soleggiata. Buffo… sì, tremendamente, maledettamente buffo; un
altro scherno che si imprimeva sulla pelle e feriva maggiormente la carne già martoriata.
Al male segue il peggio; al peggio segue ciò che non vuoi prevedere.
Questa ruota non si fermerà perché tu l’implorerai; la Vita esige sempre qualcosa di più che semplici parole.

La prima cosa che Amaya aveva lasciato cadere tra le onde del piccolo torrente era stata la sua amata sciarpa. L’aveva fissata mentre veniva inghiottita dalle acque fino a scomparire sul fondo ed essere trascinata lontano come un sogno dimenticato, e non aveva versato nemmeno una lacrima, nonostante quello fosse stato l’ultimo regalo che i suoi genitori le avessero fatto; in tal modo aveva avuto la prova definitiva che le residue tracce di umanità l’avessero ormai abbandonata, che fosse arrivato il momento di salutare per sempre il mondo e lasciare il futuro agli altri.
Una macchina guasta non ha alcun motivo per continuare a sbuffare e riversare intorno il suo fumo malato, anche il silenzio la disprezza; in quei momenti è più decoroso spegnersi per sempre e non appesantire più la tristezza propria e altrui –
già, come se ti fosse rimasto qualcuno da rattristare. Ti stanno tutti aspettando oltre la barriera del tuo corpo; e ti serve ancora un passo, Amaya, un solo passo per iniziare a volare.
In quei medesimi istanti il vento che le scompigliava gentilmente i capelli trascinava echi di grida e implorazioni da ogni dove; tuttavia, i rumori si infrangevano contro la sua persona senza toccarla più di qualche attimo.
Tutta la Città K sembrava sul punto di precipitare con lei; ma anche quello non aveva molta importanza. Il suo mondo si era infranto al suolo già da tempo, e lei era rimasta a fissarne i cocci tremolanti – e a ferirsi con essi – da sola.
«Hey… hey! Che cosa sta facendo?»

Non è giusto: dovevo essere io ad andarmene. Loro sarebbero riusciti a rialzarsi… io, come è ormai chiaro, no.
«Perché è immobile?»
Ci sono tante cose di cui parlare, una volta insieme… tante confessioni e rivelazioni, come di quella volta che…
«NON LO FACCIA!»
La donna ebbe un singulto involontario e saltò indietro; perse l’equilibro e scivolò dalla balaustra ricadendo sul ponte, salvandosi così da un salto vertiginoso che non le avrebbe concesso scampo. «Che cosa diavolo…»
Appena le sue mani riuscirono a fare abbastanza presa sul legno da permetterle di trovare un equilibrio, alzò il volto. Gli occhi cerulei inchiodarono quelli spalancati di una giovane dai lunghi ricci ebano – l’ho intravista qualche minuto fa; perché è ancora qui? –, e si strinsero vedendo con quanta fretta questa le si stava avvicinando.
«Che cosa pensava di fare?», quasi urlò la sconosciuta quando le fu a pochi passi, «poteva cadere!»
«E a te che importa?», rispose acida Amaya rimettendosi in piedi, ignorando volutamente la mano tesa della ragazza. «Da quando uno deve dare spiegazioni di quello che fa? E perché hai gridato così forte, eh?»
«Ho urlato perché temevo di vederla precipitare. Sembrava bisognosa di aiuto.»
«Beh, non è così!»
Non ho mai avuto aiuti da nessuno, io.
L’altra indietreggiò di un passo, colpita e resa cauta da quel tono tagliente. In quello stesso istante i suoni della distruzione si fecero più vicini.
«
Evacuazione d’emergenza: il livello di calamità è salito da Tigre a Demone. I residenti sono invitati ad abbandonare la città.
Ripeto: i residenti sono invitati ad abbandonare la città.
»
«I mostri…», sussurrò la giovane, e a quelle parole Amaya stirò la bocca in una smorfia. «Che cosa credevi, che ci lasciassero tutto il tempo di scappare? Inizia a correre, che con quelle gambe corte che ti ritrovi figuriamoci quanto andrai veloce.»

Nonostante si fosse già voltata, la donna comprese che l’altra fosse arrossita, e quasi si morse la lingua. È colpa sua; se mi avesse lasciato in pace…
«Ha ragione: avrei dovuto essere già lontana da qui. Ma anche lei dovrebbe scappare, prima che la raggiungano.»
La donna rimase stupita più dalla calma della risposta che dalle parole. Respirò forte, prima di rivolgere l’attenzione al torrente sotto di lei. «Metti in salvo le tue di chiappe, so badare a me stessa.»
Io, ormai, non posso mutare più la mia sorte.
Il mondo sta attendendo di vedermi cadere.

Forse fu lei stessa a evocarlo; ma in quel momento il ponte iniziò a tremare, scosso da forze sempre più intense. Tutto intorno esplosero scricchiolii di alberi abbattuti e strutture collassate, urla, gridi inumani così raccapriccianti da ghiacciarle il sangue nelle vene; ma in tutto questo, una mano afferrò la sua e la strinse con forza, impedendole di cadere di nuovo.
«Corri con me.»
Amaya fissò per alcuni attimi il volto della ragazza, e non riuscì a rispondere perché quest’ultima la stava già trascinando via, verso una possibile via di salvezza.
Tuttavia, un buio profondo e inarrestabile circondò entrambe nel tempo di un pensiero; e lei riuscì a fissare solamente il mondo rovesciarsi, prima di essere completamente divorata da quell’oscurità.
È questo morire, vero? Non c’è sofferenza, non c’è più nulla. Posso piangere, ora?



Lenta, dolce come un bacio, la luce iniziò a penetrare sotto le palpebre della donna, illuminandole le lunghe ciglia e rapendola a poco a poco dal rifugio d’oblio in cui era stata adagiata. «Ancora un istante. Voglio quella pace, sono così stanca…», balbettò, per poi spalancare gli occhi di colpo. Sbatté le palpebre un paio di volte, prima di riconoscere che era ancora sul ponte, quindi balzò a sedere; a quel punto, un forte dolore alla parte posteriore del capo le diede un capogiro, facendola ricadere di lato. «Maledizione… che male, che male!», mugugnò diminuendo il ritmo dei respiri, per calmarsi. Era ridisceso un silenzio pesante sull’ambiente: e così come quando l’aria si gonfiava di grida, non era un buon segno.
Uno, due, tre.
Con uno sforzo, si voltò sulla pancia e si appoggiò sui gomiti. Il dolore alla testa si fece ancora più intenso, ma prima di lasciarsi scivolare nuovamente contro il suolo riuscì a lanciare una lunga occhiata intorno. La città è invasa dal fumo, e anche il parco è devastato, come se fosse giunto un terremoto.
Quanto tempo sono rimasta incosciente? E gli Esseri sono già stati uccisi, o…?

«Devo farcela. Devo… alzarmi…», sussurrò per non darsi il tempo di pensare alla peggiore fra le risposte, quindi si girò. A qualche distanza la sconosciuta giaceva a terra come lei, immobile; ma una serie di mugolii di dolore l’abbandonava.
Almeno è viva
. «Te l’avevo detto che non saresti andata veloce», sospirò, per poi trascinarsi verso la sua figura. «Lasciatemi stare, vi prego…», la sentì soffiare da sotto le braccia strette sul volto, appena le fu vicino.
«Sono la donna di prima, non ti spaventare. Che cosa ti fa male?»
«Il polso destro… ci sono caduta sopra.»
«Muovilo. Lentamente.»

Guardò con attenzione la ragazza sciogliere la posizione e fare come le era stato detto; un urlo soffocato elettrizzò l’aria. «Maledizione.»
«Calmati. Lo muovi bene, quindi non è rotto… certo hai preso un brutto colpo, e per qualche giorno rimarrà gonfio, ma considerati fortunata.»
Aspetta, e quelle?
«La città… cos’è accaduto?»

Amaya non sentì immediatamente la domanda, perché il suo sguardo era concentrato sulle mani della sconosciuta. Cicatrici da ustione. Appena qualche piega sulla superficie, ma ben visibile… questo non è il risultato di una semplice scottatura. Voltò il capo e guardò la giovane fissare i lampi rossastri delle fiamme che si alternavano con gli alberi, mentre le colonne nere che si levavano tutt’intorno a loro divenivano sempre più numerose; quindi si voltò dalla parte opposta e si mise in piedi, barcollando per qualche istante prima di trovare il suo equilibrio. «Spero che tu riesca a camminare, perché dobbiamo andarcene da qui in fretta.»
«
Gli abitanti…»
«Non ci pensare. Ora dobbiamo stare attente a evitare il fuoco.»
«
Oh, credimi… non è delle fiamme che ti devi preoccupare.»
Amaya rimase immobile; anche il turbinio dei suoi innumerevoli pensieri si dissolse, mentre brividi gelidi presero a scivolare lungo la sua schiena e le gambe iniziarono a cedere. Non si voltò neppure, ma lasciò che fosse l’altra a venire da lei. «Che cosa sei? E cosa vuoi?» mormorò appena la sentì a qualche passo dal collo, senza nascondere il suo terrore.
«Tutto ciò che ti appartiene; semplicemente tutto.»
Una presa d’acciaio le afferrò entrambe le braccia costringendola ad alzare il viso; e fu impossibile non tremare davanti agli occhi purpurei come sangue, privi di pupilla, che la dominavano con compiacimento e scherno.
«Perché hai così paura? Finirà prima di quanto tu creda.»
La donna deglutì, il respiro che veniva a mancare mano a mano che le unghie dell’Essere Misterioso penetravano nel collo. «Quindi tu non sei mai stata umana…»
«Umana? Forse quella di cui ho preso le sembianze, di certo non io.
Pensa, non ha opposto resistenza nemmeno quando le ho infilato i denti nella carne… doveva essere proprio debole.»
«Maledetta.»
«Hai detto qualcosa?»

Probabilmente si era assopita anche la sua razionalità; perché quando il mostro abbassò il volto sul suo, fu così lesta a morderle il labbro inferiore, fino a spezzarglielo, da sorprendere pure sé stessa.
Per lo stupore l’Essere perse la presa sulle sue braccia, e lei agì di conseguenza; il pugno che sferrò non era molto forte, ma andò comunque a segno sul naso dell’altro.

«Uh… quanta rabbia!», ghignò questi, lasciandola e indietreggiando di qualche passo; di certo non per paura, ma per metterla alla prova. La sicurezza di averla completamente nelle proprie mani era impressa nei tratti stravolti dall’euforia, non c’era spazio per i dubbi. «Che cosa succede? Ti dispiace per la mocciosa?»
Già, rabbia. Da quanto tempo non la sentivo pulsare nelle vene e infiammare il respiro? Mi fa sentire così viva e pronta a tutto. «Forse… oppure, semplicemente, mi disgusta troppo morire a causa tua», mormorò Amaya. Il sangue colava dai graffi solleticandole la pelle e macchiandole gli abiti, il pulsare al capo era diventato quasi insopportabile; eppure le sue orecchie continuavano a fischiare del ritmo che l’adrenalina le dettava, le mani prudevano mentre tutte le sensazioni tacitate da lungo tempo battevano contro le dita per sfogarsi.
L’avversario sorrise nel vedere la sua espressione concentrata, mettendo in mostra una chiostra di denti acuminati e sporchi di vermiglio. «Combattiamo! Forza, mostrami cosa sai fare», sibilò, piegandosi sulle gambe e preparandosi a scattare.

Sii forte.
«Con piacere.»





NOTE


[1] Il Nature Park è mostrato nell’episodio speciale intitolato “Sense”, presente nel volume 10 del manga.

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Capitolo 2
*** Rispetta la Paura ***


{ II ~ Rispetta la Paura }




«La Morte ti ha segnata da tempo. Quelle cicatrici sulle mani non sono nulla in confronto alle ferite che ti insanguinano l’anima.»
Umiko non sarebbe mai riuscita a dire se avessero bruciato più quelle parole o i morsi che il mostro le aveva inflitto; ma quando aveva sentito le zanne dell’Essere violare la protezione della pelle e privarla lentamente del sangue, aveva percepito i suoi ricordi venire risucchiati insieme a esso; e quello aveva fatto davvero male.
In pochi istanti quella razza di demone era entrato nella mente, leggendo e apprendendo il suo passato, le sue sensazioni; e mai si era sentita così esposta e vulnerabile, con la propria dignità che veniva lacerata come la sua carne, come nel momento in cui lo aveva visto sorridere di soddisfazione.
«Interessante… ti sei salvata da un attacco solo per subirne un altro qualche anno dopo. Come siete fragili, voi umani, divertenti e miseri.»
Gli artigli del mostro si erano stretti intorno alle sue spalle e l’avevano alzata di peso, costringendola a guardare la città martoriata per un lungo, atroce istante; e quando l’aveva fatta cadere al suolo, la ragazza si era ritrovata a fissare il suo riflesso più perfetto prendere forma e ghignarle contro con sguardo ferino. «Ora sei totalmente mia», le aveva sibilato questi, «e non mi servi più. Ma non ti preoccupare; farò buon uso di questo corpo… tuttavia, fattelo dire: sarebbe stato meglio se quel fuoco avesse ucciso anche te, e pure tu lo sai.»
Aveva compreso fin dal primo istante quanto non potesse competere con la forza dell’altro; ma la sensazione di umiliazione che l’aveva colpita alla bocca dello stomaco era stata così intensa da impedirle di perdere i sensi perfino quando il mostro l’aveva calciata via e mandata a rotolare giù dal ponte, lungo un ripido sentiero che conduceva direttamente al torrente sottostante.
Tutte le membra erano state percorse da scariche di dolore mentre sbattevano e si graffiavano contro le pietre, tuttavia la coscienza non si era affievolita nemmeno in quel frangente, così che la mora non aveva potuto far altro che rimanere distesa nel punto in cui si era fermata e sentire gli arti perdere sensibilità nel fiato gelido di quella giornata.
Da quegli istanti i suoni si erano fatti più attutiti; il caos aveva smesso di scuoterla ed era giunto con la forma di sussurri ed echi che non era riuscita ad afferrare completamente, mentre l
’intorpidimento aveva iniziato ad accompagnarla in un dormiveglia che solo un agente esterno alla sua volontà avrebbe potuto spezzare. Nemmeno il bruciore delle ferite, infatti, l’avrebbe tenuta sveglia ancora per molto; e i pensieri… quelli sarebbero andati per la loro strada, senza toglierle molte più forze del solito. In qualche modo li avrebbe gestiti.
Solo il freddo vorrei evitare. Se provassi un po’ di tepore forse potrei immaginare di essere nelle braccia di qualcuno, e andarmene con la consolazione di essere vegliata.
Non è bello addormentarsi in solitudine, non è giusto andarsene senza poter salutare nessuno. Tutto questo… no, non è giusto.

«Siamo sicuri che sia passato di qui?»
«Le tracce conducono a questo punto, ma ora l’aura malefica è molto più debole.»
«Che sia stato ferito?»
«Può anche essere che sia già stato ucciso, ma restiamo all’erta: la taglia che pende sul suo collo è alta, non è un mostro comune… quindi non sarà
così semplice eliminarlo.»
Queste voci… le conosco, ma non so a chi riferirle. Si avvicinano…
Umiko provò a sollevarsi, e rimase per qualche istante sui gomiti. Lo sforzo le strappò dei gemiti e tutto il corpo fu scosso dai crampi, ma riuscì a non cadere.
Dai… ancora, si impose, stringendo con forza la terra tra le mani e pregando che le gambe fossero in grado di sostenerla.
Un sibilo la bloccò appena prima di mettersi sulle ginocchia; e i brividi le percorsero la schiena quando alzò il volto e si ritrovò la punta di una lancia a pochi centimetri dalla propria fronte.
«Una civile!»
Levò ancora di più il capo appena l’arma venne abbassata, permettendo ai suoi occhi di mettere a fuoco due figure che conosceva, ma che aveva sempre visto solo attraverso uno schermo.
«Hey! Riesci a sentirmi, stai bene?», udì, prima di sentire le braccia forti del classe A Stinger che la circondavano.
«Sì-sì… ma sono debolissima», rispose lei, ringraziandolo mentalmente per il calore che il contatto con il suo corpo le diede.
«Non ti preoccupare, ti aiuto io… ecco, così, alzati piano-»
«Quei morsi… chi te li ha fatti è ancora vivo?»
Gli occhi scarlatti del secondo eroe non perdevano un suo movimento e la fissavano con intensità, in attesa di risposte; non c’era alcuna paura in loro né tensione, solamente energia pronta a esplodere.
Umiko si strinse nelle spalle sotto quello sguardo ricolmo di ombre, e per un attimo chinò il suo su ciò che rimaneva del golfino e della maglia.
«A-a quanto ne so quel mostro è ancora vivo. Ha preso le mie sembianze succhiandomi il sangue, è perfettamente uguale a me… ma ha gli occhi rossi.»
Mi ha guardato agonizzare; ed era compiaciuto di sé stesso.

«Che seccatura… è pure un mutaforma.» Senza perdere l’espressione estremamente calma, l’eroe si levò l’impermeabile e lo fece indossare a Umiko, prima di rivolgersi a Stinger. «Portala al sicuro lontano da qui, quel maledetto potrebbe essere ancora troppo vicino e devo potermi muovere senza il pensiero dei civili. Per adesso lo cercherò da solo.»
La ragazza rimase a guardarlo sparire in silenzio, mentre le dita stringevano la stoffa dell’indumento quasi con bisogno, come per cercare in essa un qualche tipo di forza; tutto, dal suo corpo fino a ciò che la circondava, le diceva di trarne il più possibile, rincorrere il coraggio e non impazzire. «In qualche modo presto sarà tutto finito», mormorò a sé stessa, nascondendo parte del volto nel bavero dell’impermeabile e riportando alla memoria i messaggi di qualche ora prima, «… in qualche modo.»



«Ti fanno ancora male le ferite?»
Umiko era grata al giovane per infinite cose, dall’averla raggiunta prima che il torpore la gettasse in una placida morte fino al continuare a parlare per tenerla attiva; ma tutto quello che riusciva a fare era rispondere a fatica alle domande, oltre a sentire un enorme groppo in gola, troppo vicino a divenire un lungo pianto per poterlo controllare. In qualche modo riuscì invece a non esplodere, permettendo a Stinger di lasciare definitivamente il Nature Park, irriconoscibile, e guidarla nella devastazione della Città K, giunta fino alla periferia.
La vista di tutta quella rovina fu per Umiko un altro colpo diretto al cuore, e rivolse un sorriso spontaneo all’eroe quando questi decise di passare per strade che non fossero quelle centrali, dove i loro sguardi avevano già intravisto innumerevoli corpi riversi al suolo, immobili, e macchie scarlatte a ricamare marciapiedi ed edifici.

Hai dovuto sopportare tutto questo tempo fa. Una seconda volta, la rovina è giunta fino ai tuoi piedi.
«I soccorsi sono già sul posto. Ti lascio alle loro cure, tu cerca di stare tranquilla, va bene?», le disse il giovane dopo qualche istante, regalandole uno di quei luminosi sorrisi che lo avevano reso così popolare tra la gente; lei annuì, cercando le parole adatte per esprimere a dovere la sua gratitudine… e probabilmente le loro strade si sarebbero divise in quel punto, se il rombo di un crollo non li avesse bloccati prima.

In un battito di ciglia il classe A l’afferrò per la vita e balzò al riparo di un edificio porticato con la rapidità di un falco, impedendole così di venire investita da una pioggia di calcinacci e polvere. «Cambio di programma; meglio che stai con me ancora per un po’», mormorò lui, persa in un istante l’espressione cordiale, «il tempo di capire che cosa diavolo stia succedendo ancora.»
«Altri Esseri?», mugolò Umiko.
«Questi palazzi hanno ricevuto dei gravi danni, e stanno cedendo», fu la risposta, «ma non mi permetto di escludere l’opera di un mostro. Stammi il più vicino possibile e fai tutto quello che ti dirò, intesi?»
Un’altra esplosione scosse il suolo e li fece sbattere contro il muro alle loro spalle; e a quel punto fu chiaro che nessun luogo poteva fornire protezione.
«Mettiti dietro di me», ordinò Stinger mettendosi in posizione da combattimento, la sua infallibile lancia puntata verso le nubi di polvere che si erano alzate a poca distanza da loro e avevano invaso la strada; la giovane obbedì e gli andò alle spalle giusto un istante prima che queste si tramutassero in un’onda asfissiante.
«Giù! Copriti il viso!», gridò l’eroe prima di farle da scudo… ma lei rimase immobile, non lo sentì nemmeno.

Quel giorno accadde esattamente così.
E a quel pensiero le gambe, prima instabili, le permisero di scattare in avanti, invertire la posizione in modo che fosse il suo corpo a proteggere il classe A. «Chiunque tu sia, lascia stare lui e prendi me.»




◊♦◊




«Che noia… non dirmi che hai ancora bisogno di riposo!»
Amaya si asciugò un ennesimo rivolo di sangue da un ennesimo graffio e si sforzò di sorridere, anche se ciò le costò dolori dappertutto. Doveva essere in uno stato orrendo, con gli abiti a brandelli e ogni parte del corpo esposta ricoperta di lividi; il labbro superiore era spaccato in più punti, uno zigomo bruciava da impazzire e c’era sangue anche nelle scarpe, colato dalle caviglie scorticate. «Perdonami», rispose con uno sbuffo, cercando di non cadere in ginocchio, «si vede che mi sto annoiando così tanto da non reggermi più in piedi?»
L’Essere sogghignò, tendendole una mano intrisa di cremisi. «Vieni avanti, dai», flautò, «non ho ancora finito con il tuo bel faccino.»
La donna sentì le ossa tremare solo udendo quelle parole, ma strinse i denti e non rispose. Doveva continuare a muoversi, impedire al mostro di immobilizzarla; anche se quel bastardo la stava gradualmente trasformando in una bambola da torturare, finché quei denti fossero rimasti lontani da lei non avrebbe avuto da temere. Proprio per tale motivo l’altro l’aveva incalzata per tutto il Nature Park, inseguendola fino a spingerla in città, dove avrebbe avuto più possibilità di intrappolarla in un punto cieco e farle subire la stessa sorte della ragazza di cui stava macchiando la memoria.
A quel pensiero la donna sentì la rabbia e il disgusto incendiarle di nuovo la gola: quello scricciolo le aveva impedito di gettarsi nel torrente, si era preoccupata come per un’amica; e dopo qualche ora, con massimo disprezzo, la sua copia aveva fatto di lei una preda. Chi governava la Sorte doveva essersi proprio divertito a svolgere il filo di quella vicenda, rimanendo a guardare le sue paure e debolezze cozzare contro il sibilo del vento e l
’energia del combattimento.
Che non durerà ancora per molto, temo, si ritrovò a pensare schivando un nuovo attacco, le unghie dell’Essere protese ad artigliarle gli occhi.
Il successivo attacco la colse di sorpresa tanto fu repentino, così che si ritrovò a indietreggiare nel tentativo di ritrovare il proprio equilibrio; fu la mano dell’Essere a impedirle di cadere, solo per attrarla a sé e subito dopo spingerla via con tanta violenza da farla cadere e rotolare a terra per qualche attimo.
«Va bene, fine dei giochi; passiamo alla parte meno piacevole.»
Amaya non alzò nemmeno lo sguardo sull’altro, ma rimase distesa con il viso sepolto nella polvere, ben conscia che sì, il tempo della caccia era giunto al termine e stava per lasciare posto a sofferenze più atroci. Incapace di tenere gli occhi aperti per il bruciore dato dal sudore – e da cos’altro, lacrime? … Davvero? – trasse un grande sospiro. «Allora? Non farmi attendere molto, vieni a prendermi», sussurrò dopo pochi istanti di assoluto silenzio. Riuscì a sollevare le palpebre per un momento, e fu così che vide il mostro inginocchiato vicino a lei e intento a osservarla, un’espressione tra il sorpreso e l’interessato che luccicava nello sguardo rubino. «Uhuh», soffiò questi finalmente, «non mi era mai capitata una cosa simile.»
Con orrore, la donna sentì l’altro prenderle una ciocca di capelli e annusarla con attenzione. «Lo sai? I tuoi pensieri sono così vividi che posso sentirli anche senza aprirti la carne.»
Ancor prima che il mutaforma sorridesse lei iniziò a tremare, mentre d’istinto si portò una mano all’altezza del cuore. I battiti aumentarono improvvisamente e altrettanto velocemente diminuirono, mentre un senso di risucchio all’altezza dello stomaco le strappò un gemito. Presto l’orrenda sensazione si propagò all’intero corpo, senza lasciare nessun centimetro di pelle esente; era simile a un lento tormento, ma in verità era molto, molto più sottile e crudele. «Smettila! Che cosa stai facendo? Io…», urlò contorcendosi, prima di accorgersi di un’altra verità altrettanto angosciante.
I miei pensieri… è come se qualcuno me li stesse strappando! E fosse nella mia mente… a osservare il mio passato… a giudicarmi.
«Il sangue», disse il mostro con lentezza scocciata, come a voler rispondere a una domanda stupida, «è quello che mi dà tutto il potere che dispongo; non è questione di forza, ma di sapere: tramite esso posso scoprire chi siete, quali sono le vostre abilità e debolezze, i vostri incubi, i rimorsi. Dopo avere letto la vostra anima, prendere le vostre sembianze, ingannare chiunque conosciate, ucciderli è così facile che potrebbe quasi essere noioso; eppure mai mi è capitato di riuscire a carpire così tante informazioni solamente dalla vicinanza con le mie prede. Sei proprio un individuo affascinante…
Amaya
La donna si mise in ginocchio. «Quindi è questo che ti piace fare? Strappare i segreti della gente, usarli per i tuoi fini, causare terrore?» E in un battito di ciglia la paura si era fusa con il disprezzo, rendendo duro il tono e lo sguardo.
«Il terrore
è il mio fine. La disperazione e l’impotenza che vi annientano quando vedete il vostro mondo andare in frantumi, come pretendete di non volerlo accettare è qualcosa che non avrà mai prezzo, per me; ancora prima di divenire un mostro ero ossessionato dalla tristezza altrui.»
Il disprezzo si nutrì della stanchezza, spiegò le sue ali e divenne amarezza, donando ad Amaya un impeto diverso dai precedenti. «Mi spiace deluderti, ma con me hai fatto un errore; non è rimasto più nessuno che tu possa ingannare. Sono sola, tutti coloro a cui volevo bene sono lontani, quindi non farai un grave danno.»
Non più di quanto mi sia già fatta da sola.
Di nuovo, il ghigno assetato di crudeltà dell’Essere attaccò le sue difese. «È questa la particolarità del tuo animo: soffri così tanto che tutti possono percepire il tuo dolore e provarlo dentro di loro. Non lo senti quanto è devastante?
Forse è proprio per questo che chiunque tu abbia chiamato ‘amico’ ti ha lasciato sola… anzi,
no; il vero motivo è un altro, e tu lo sai bene.»
«Tu non hai alcun diritto su di me, né di dire cosa provi», sibilò la donna, «tu non sei più umano; non puoi più capire nessuna azione che ho fatto.»

Il mostro ridacchiò. «In verità ti capisco totalmente; perché sei molto, molto simile a me.» Si alzò in piedi, torreggiando su di lei. «Ma ora basta; anche se mi hai regalato dei bei momenti, il tuo tempo è scaduto. Purtroppo mi stanco subito dei miei balocchi», disse con un tono falsamente dispiaciuto.
Reclinò la testa quando vide la sua vittima non abbassare il capo ma continuare a fissarlo, e socchiuse gli occhi. «Non guardarmi così. In fondo, qualche ora fa volevi rivedere i tuoi cari, dico bene? Ti sto permettendo di farlo senza provare troppo dolore, quindi dovresti essermi grata…»
E invece mi sto ribellando.
Amaya non riuscì a sentire la risposta che si diede: il terreno tremò e vibrò sotto le dita, sembrò ripiegarsi su sé stesso nell’incubo di un’esplosione; e allo stesso tempo la polvere sollevata avanzò rapida e famelica verso di lei, tramutandosi in un muro fatto di buio, pura oscurità.
Forse qualcuno la rimise in piedi, un impulso estraneo alla sua persona – o forse nato proprio dalla tensione verso una via di salvezza; ma pure in quel manto letale la donna sentì i suoi piedi avanzare e le mani tendersi in avanti, cercare, implorare.
Davvero il suo aspetto, il suo mondo gridava solo tristezza e solitudine? Davvero scacciava tutti coloro che incrociavano il suo cammino, senza permettere a nessuno di restare, o almeno tentare di farlo? Scossa da tali parole, quando riconobbe davanti a sé il calore e il respiro di un altro essere umano istintivamente accelerò il passo, fino a scontrarsi con il corpo dello sconosciuto; senza dire nulla lo toccò, cercando il cuore, quindi lo strinse a sé nel bisogno di un abbraccio.
Udì un gemito di sorpresa soffiare tra i suoi capelli e allora aumentò leggermente il contatto. «Non te ne andare», mormorò avvelenata dalla paura e ormai incapace di mantenere il controllo sulla propria razionalità, «chiunque tu sia… resta.»

Serrò le palpebre fino a tremare, in attesa di una reazione che avrebbe infranto il suo desiderio; ma chi stava abbracciando non si sciolse dalla sua presa, bensì la ricambiò quasi immediatamente e le posò una mano sui capelli, con gentilezza.
L’Essere era a poca distanza da lei – forse proprio alle sue spalle –, lo sentiva; e lei avrebbe dovuto essere dovunque, tranne in quella gabbia che le incendiava la pelle… ma per qualche istante sentì la pressione dei suoi demoni diminuire, staccarsi per permetterle di ricordare qualcosa che non fossero giorni di silenzio, fuggire davanti alle braccia che la circondavano.
Quando le orecchie ripresero a sentire e il drappo di polvere si posò al suolo permettendole di vedere di nuovo, la realtà impiegò qualche tempo a impossessarsi della sua mente. Uno scenario inaspettato si aprì davanti a lei; ma come si accorse immediatamente, non avrebbe fronteggiato da sola ciò che la stava attendendo.

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Capitolo 3
*** Libera la Luce ***



{ III ~ Libera la Luce }




Cosa senti dentro di te, proprio ora?
Da quel giorno
, per un tempo talmente lungo e duro da ferire persino nel ricordo, ogni respiro era stato un bacio dal gusto di fumo e pianto. Allora, quando la notte scivolava sulla città la sua disperata veglia iniziava, finendo in un singhiozzo solo quando l’orizzonte si tingeva di una sottile linea luminosa e gli occhi spalancati, così immobili da non sembrare più vivi, fissavano il disco diurno sorgere, quasi temendo di vederlo sfaldarsi in un’onda purpurea e ruggente che avrebbe annientato la città.
Temevi, o volevi?
Giàtemevi, o volevi? Per quanto tempo l’una o l’altra realtà, la possibilità e l’irrepetibilità, l’incerto e il perduto si erano battuti e gridati contro le rispettive ragioni, in una tempesta celata allo sguardo di tutti? È difficile aprirsi quando si scopre che chi riceve parte della nostra anima può andarsene da un momento all’altro con essa, di propria volontà o strappato da forze superiori; è una perdita di tempo, un dolore, una rovina, che cancella i sogni e riduce a smarrire anche la propria identità.
Ma allora, dopo tutto questo per cosa continuiamo a combattere?
Perché non vogliamo arrenderci?

Umiko socchiuse leggermente gli occhi, sentendo la pressione della nube polverosa allentarsi. Non c
’era più silenzio intorno a lei, il mondo vibrava del cuore della terra e del grido degli uomini; e anche il suo sospiro faceva rumore, era vivo.
«Va tutto bene, ora.»

Quel sussurro l’attrasse, le fece voltare il capo; a pochissima distanza da lei Stinger stava tenendo tra le braccia la donna del ponte, ancora riconoscibile nonostante gli abiti strappati, i capelli divenuti quasi grigi per la sporcizia depositatasi sopra e la costellazione di macchie nere che le punteggiava gambe e braccia.
L’impulso della preoccupazione spinse la giovane a correre verso di loro, e quando la sentì arrivare l’eroe alzò lo sguardo dal volto della bionda al suo. «Che cosa credevi di fare, prima?», le chiese, senza nascondere nessuna traccia di rimprovero.
La ragazza non rispose subito. Era stata sconsiderata, si era comportata come se fosse stata incantata; ma sapeva bene che cosa era successo in lei, e non poteva biasimarsi per quell’azione. «Perdonami», rispose poi, inginocchiandosi accanto a lui, «non avrei dovuto, lo so…» Tacque di nuovo, incapace di proseguire, e per fortuna Amaya la trasse d’impiccio perché proprio in quegli istanti aprì gli occhi e la fissò.
«Tu…», mormorò dopo alcuni attimi, «… tu ti sei salvata.»
«Piano, piano», la tenne giù il classe A quando la vide agitarsi, «stai calma.»
«No, affatto!», rispose l’altra quasi urlando, spaventando sia il ragazzo che Umiko, «non posso stare calma, perché non siamo per nulla al sicuro! Lui è ancora qui.»
Tutti rivolsero lo sguardo davanti a sé; e pochi metri più avanti, speculare a lei, la giovane vide la sua copia fissare ognuno di loro, uno dopo l’altro, prima di ancorare definitivamente gli occhi nei suoi. «Evidentemente hai la pelle più dura di quanto avessi creduto», le si rivolse con tono colmo di sarcasmo, «ma questo non è poi un male: il sangue che ti ho sottratto sta per esaurirsi, e il tuo è così delizioso che ho proprio voglia di venirti a dare un altro bacio.»
Una mano si chiuse intorno al suo polso e un sibilo morse l’aria, quasi a voler colpire il volto del mostro. «Che divertimento c’è a prendersela con i civili? Battiti con chi sa risponderti a tono», sentì replicare Stinger al suo fianco, lo sguardo pieno di determinazione e la presa ben salda sulla lancia.
Il mutaforma socchiuse gli occhi, ghignando a quelle parole. «Tranquillo, poi penso anche a te. Prima fammi pranzare», sibilò.
Umiko non lo vide balzare verso di lei, tanto fu rapido; ma gli artigli non la raggiunsero perché sia Amaya che Stinger furono più veloci, e mentre la prima scattò in piedi e spinse la ragazza lontano dal nemico, il secondo gli si parò davanti e gli affondò Gemma di Bambù nel ventre, costringendolo a ritrarsi.
«Che fortuna, ti ho presa per un pelo», sospirò la donna, allentando solo di un poco la stretta sull’altra. Era successo tutto così velocemente che era lecito domandarsi se fosse accaduto realmente, si disse questa mentre fissava l’avversario piegarsi su sé stesso. «Non male, ragazzino», mugolò poi questi al classe A, «non male.»
I presenti lo guardarono cadere definitivamente al suolo e rimanere lì disteso, immobile, e non parlarono più per un lungo istante, troppo increduli e confusi.
«Sul serio? Una taglia formidabile sulla sua testa ed è morto dopo un solo colpo?», esclamò quindi Stinger, avvicinandosi alla creatura.

«Troppo bello, già», rispose Umiko, socchiudendo gli occhi. L’inquietudine non voleva ancora lasciarla, ma probabilmente avrebbe impiegato ore per svanire, dopo tutto quello che era accaduto; eppure sentiva ogni senso in allarme, uno stimolo a prepararsi che vinceva la necessità di lasciarsi andare e le pungolava la carne. «Andiamocene», implorò infine rivolta all’eroe, «ti prego, portaci via da qui.»
Amaya assentì a quelle parole. «Ormai è finita.»
«
Finita? Nulla è mai completamente finito.»
Furono colti impreparati: nessuno riuscì a reagire per anche solamente tentare una difesa e tutti loro furono scagliati in aria dall
’asfalto del suolo, che si sollevò e li travolse come un’onda.
Rinvigorito della loro sorpresa, il mostro si rialzò ed erse in mezzo alla confusione come unico re, senza che più nulla di umano gli fosse rimasto: perdute le ultime gocce del sangue di Umiko a causa della ferita, aveva ripreso il suo aspetto reale rivelandosi un cavaliere delle tenebre o Tenebra stessa, i cui tentacoli che irraggiavano dal suo corpo – se così si poteva chiamare la sorte di vortice che lo costituiva – come fasci d’inchiostro tenevano premute le teste delle prede contro il suolo, preoccupandosi di dare la maggior pena possibile.

«Nulla è mai completamente finito. Io sono un Incubo, il vuoto crudele che vi attende quando più vi sentite al sicuro, il fuoco che divora le vostre certezze; io non posso morire mai», lo sentirono sibilare, prima di trovarsi completamente avvolti da lacci troppo simili a serpenti, «e per quanto senza una forma umana non possa rimanere a lungo esposto, in questi pochi istanti posso farvi ancora molto, molto male.»
A quelle parole la ragazza si volse spontaneamente verso Amaya, incrociò il suo sguardo colmo di terrore e vi vide riflesso il proprio; e si agitò, sentendo ancora la sensazione di essere scandagliata, quasi
sventrata, del mutaforma.
Lascia stare i miei pensieri! Sono tutto ciò che mi appartiene!
Fece appena in tempo a pensarlo che la stretta del mostro divenne d’acciaio.

«Partiamo da te… anzi, no: accontentiamo prima questa coraggiosa guerriera», mormorò voltandosi verso Amaya, senza tuttavia allentare la presa su di lei.
«Lasciala stare», ringhiò allora la giovane, agitandosi, «mi hai martoriato, ma non ucciso; finisci il lavoro con me.»
Sconsiderata che non sei altro.
L’Essere accennò una smorfia che doveva essere un macabro sorriso. «E rimandare ancora l’esecuzione di una persona che vuole solo morire? Che cattiveria negarle questo desiderio, davvero ingiusto.» E nel frattempo i tentacoli si ricoprirono di aculei, che penetrarono sotto la pelle di Amaya e iniziarono a privarla lentamente del suo sangue.
«Ne ho incontrati di mostri ripugnanti», sputò Stinger, livido in volto per il furore e l’impotenza, «ma nessuno vile come te. Devi essere la vergogna dei tuoi simili.»
«Questa donna», sibilò allora il mutaforma, puntando un dito contro la bionda, «lei è la vera vergogna tra noi due. Dovreste provare ribrezzo per il suo cuore quanto lo provate per me, perché è fredda e ingannatrice. O mi sbaglio, Amaya?»

L’interpellata non rispose, il volto stravolto dalla sofferenza che stava patendo, ma gli occhi, lucidi, si chinarono verso il suolo.
«Vedete? Non riesce neppure a rispondere. Bambina, stamattina dovevi lasciarla decidere della propria sorte; ti saresti evitata tanti problemi.»
Umiko si sentì ferita quanto la donna per quell’affermazione terribile. «Rimangia ciò che hai detto, nessuno ha il diritto di dire cose simili!»
«Oh, quindi vuoi dirmi che tu la conosci?
Che la perdoneresti?»
«Non so cos’ha fatto, ma probabilmente sì», rispose con sincerità la ragazza. Si interruppe, perché le gambe vennero trapassate da innumerevoli spine e la sensazione di essere risucchiata – di nuovo – le diede la nausea.
«Giààà, che sciocco, come ho fatto a scordarmene?» Una risata agghiacciante. «Emozionante, quasi commovente, come vi siate trovate: due anime morte da tempo, nutrite dal proprio senso di colpa…
stupendo
Fu il turno della mora di arrossire. «Non puoi trattarmi così», mormorò; e in uno scatto di rabbia afferrò la testa del tentacolo che andava stringendosi sulla sua bocca e morse, senza fermarsi nemmeno quando il suo stesso sangue le scese in gola. Improvvisamente la vista si confuse; e dopo qualche attimo sbatté la testa al suolo, il respiro accelerato ma il corpo libero di muoversi.
Il sollievo fu momentaneo, troppo rapido, perché il mostro la prese nuovamente per la vita e sollevandola la schiaffeggiò.
«Non lo farai una seconda volta», le intimò, ma pur ricoperta di sangue la ragazza riuscì a canzonarlo con un sorriso.
L’avversario aumentò la presa, ma non fu dolorosa come le prime volte.

Vuole tenermi in vita il più possibile – oppure sta diventando debole, nonostante il nostro sangue. Se lo tengo impegnato ancora per un po’ forse riusciremo a cavarcela… e se non io, almeno gli altri.
L’altro sembrò aumentare la densità delle proprie ombre, come per farle paura.
«No, non sperare nemmeno di potercela fare; vi ho tutti in scacco, e non solo fisicamente.» I tentacoli le accarezzarono il dorso delle mani e lei fece per ritrarle, sentendosi scottare; e quando nell’oscurità vide il bagliore di un ghigno divertito comprese che era proprio quello che lui le aveva fatto provare.
«So il suo nome», le sussurrò il mutaforma, «so che cosa accadde a te… e Tomomi.»
Tomomi. La bellezza di un amico, la grazia di una presenza costante.
«Lo so. L’hai visto», replicò piano Umiko, senza esitare né tremare, «siccome è sempre nella mia mente.»
«Sono già passati quattro anni da quel giorno… con il tempo hai imparato a parlarne – anche se a fatica –, a ricominciare a guardarti quelle cicatrici senza rabbrividire. Eppure c’è ancora qualcosa che non è stato risolto, dentro te. Il rimorso ferisce più di qualsiasi lama: e se per un po’ si assopisce, quando ritorna colpisce o punge, frusta o brucia, e lascia sempre un segno. Quante volte ti ha già uccisa?»

La mora deglutì. Dentro di sé sentiva un’inspiegabile calma, uno scudo che le proteggeva il cuore, e di questo era ben conscio anche l’Essere, che assottigliò gli occhi e digrignò i denti. «Rispondi», ringhiò infine.
«Ogni volta è meno dolorosa, invece. Da quando ho scoperto che non sono sola, anche i miei demoni stanno trovando pace.»
«Dimmi la verità!»
«È questa la verità», rispose lei, «anche se tu non lo sai,
io sì
Il primo colpo in viso fu doloroso. Il secondo insopportabile, il terzo la fece urlare e scoppiare in pianto subito dopo, i successivi le fecero implorare pietà.
«Non è vero, non è vero nulla! Tu sei ossessionata da quel ragazzo, ti incolpi ogni giorno, stai perdendo tutto!»
I tentacoli smisero di torturarla, ma lei rimase per un lungo istante in silenzio. «No. Non è vero.»
«So che in realtà sei stata a uccidere Tomomi, quel giorno!»
La ragazza volse il capo verso Stinger e Amaya, che la fissavano con i volti contratti dalla confusione e dall’attesa. Forse il mostro le aveva sputato addosso quelle parole per spingerla in qualche trappola; ma le sarebbe stato impossibile tacere, quando era qualcosa di più forte del timore a muoverla. «No, è un’altra, ben diversa, la nostra storia. Tomomi.… lui era troppo, per me; l’ho pensato fin dal primo momento che lo vidi, e a volte lo penso ancora oggi. Era così speciale: dove io ero confusa, lui era razionale… dove io inciampavo e sbagliavo, lui aveva la pazienza di sorreggermi e guidarmi. Era gentile, comprendeva i silenzi e li rispettava; per una che ha sempre la testa lontana da sé e non sa tacere, queste e altre sue qualità erano quasi incomprensibili. Quasi, dico; perché mai percepii una solitudine così forte come quella che sentii in lui… e la sentii proprio io, che fino a quell’istante avevo creduto di non saperla riconoscere. Eravamo poco più che ragazzini, e mai avrei pensato che potesse far scoprire in me quella forza che mi spinse a demolire le barriere che si era costruito per soffrire di meno, ma che non facevano altro che abbatterlo di più.»
Una pausa. «Spesso gli dicevo che era nato per diventare un eroe: dietro il suo atteggiamento difensivo nascondeva una nobiltà sensibile, che quando riusciva a trapelare aveva il potere di ritemprare l’anima e dare coraggio a chi gli era vicino; e se lo avesse compreso anche lui, forse sarebbe riuscito a trovare una strada meno dolorosa e più rapida per ritornare a sorridere. Ci sarebbe riuscito, se gli fosse stato concesso ancora più tempo di quanto effettivamente ebbe.
Il tempo, già, che credevo di avere al mio fianco ogni volta che mi dicevo di non essere pronta a dirgli ciò che provavo; il tempo, lento e costante, che mi spinse a credere che saremmo stati per sempre felici, quando infine rivelai quanto lo amavo.

Forse è per questo che il giorno che privò entrambi delle nostre certezze giunse troppo velocemente: il vero, grande errore che ci segnò fu non aver riconosciuto la sua forza, e quanto deboli eravamo sempre stati di fronte a lui.
Che cosa sarebbe accaduto se quel mattino fossimo usciti un’ora prima o un attimo dopo? Se l’autobus non avesse tardato e io non avessi deciso di fare l’intero percorso a piedi? Se non avessi insistito così tanto da convincerlo?
Non c’è nulla di certo, se non quello che poi accadde.» La voce, fino a quel momento controllata, venne spezzata dalle tracce di un pianto così profondo da non essere visibile, ma presente per notti e giorni. «Fui io la prima a vedere quella figura.
Da quello distanza non notai nulla, in lei, di allarmante o di così strano da farmi insospettire; ma più incrociavamo i nostri passi più la paura si prendeva la mia mente… fino a quando non ne fui completamente paralizzata.
La mia razionalità passò interamente a Tomomi: fu lui a spingermi di lato quando quello che avevo considerato una normale persona si rivelò un Essere Misterioso e ci attaccò all
’improvviso, incendiando l’intera strada con un solo respiro.
Fu lesto, è vero, ma non potevamo scappare molto lontano; presto fummo chiusi in una trappola di fiamme dal quale non saremmo mai potuti uscire vivi.
In quegli istanti tesi le mani verso di lui per stringerlo a me, in un ultimo abbraccio; e mentre l’onda di fuoco avvicinava i suoi artigli a noi e tingeva il mondo di scarlatto, ciò che mi fece più male fu vedere riflesso negli occhi di Tomomi, così ancorati ai miei da sembrare sul punto di fondersi in una sola lacrima, la convinzione di potermi proteggere.» E ce l’ho fatta, Umiko: ti ho salvato. «Le sue… le sue parole… mi disse di continuare a essere sbadata e dal cuore aperto, quasi totalmente incapace a controllare le mie emozioni, perché solo così avrei potuto aiutare un altro a uscire dalle tenebre, così come avevo fatto con lui; che avrebbe continuato a vivere per sempre in me e respirato in ogni mio sospiro, che aveva trovato il suo rifugio al mio fianco e in un modo o nell’altro lì sarebbe sempre rimasto.
Io persi conoscenza appena il fuoco ci investì, quindi non riuscii a vedere come lui mi fece da scudo, impedendomi di venire bruciata. Solo in ospedale, ore dopo, venni a sapere che fui trovata sotto il suo corpo, con le mani ustionate e che ancora lo stringevano a me; e che a triste testimone della vicenda erano rimaste solo queste cicatrici, e… e le sue scarpe. Tutto il resto era ormai silenzio, spezzato. Lontano.
Questa è la verità.»

Il mutaforma non attese la fine di quel doloroso racconto per rivolgere a Umiko un sorriso crudele. «Sei stata tu a dire», esordì, «che hai insistito tanto con Tomomi per percorrere quella strada a piedi; quindi, hai condotto tu stessa il tuo ragazzo verso la propria morte. E poi ti sei impietrita, non hai nemmeno tentato di difenderlo… come puoi negare che sia colpa tua?»
La giovane socchiuse gli occhi. È il tuo terrore che vuole; ma tu ti sei rialzata, lentamente hai ripreso a camminare. Non cadrai di nuovo. «Ho ormai vinto queste false colpe», sussurrò, «e sai una cosa? Ho raccontato tutto questo davanti a te perché mi sono perdonata. Il mio corpo non reagì quel giorno, la paura fu troppa; ma ho sofferto così tanto per questo, che non verrò piegata ancora. Tomomi è sempre nella mia mente, lo sento respirare davvero nel mio petto, la sua forza è in me. Ed è per questo… che no, non mi piegherò ancora. Non avrò paura di nuovo.»
Ora rialzati completamente.
Le unghie si conficcarono nei tentacoli; questi allentarono la morsa, per poi liberarla completamente. L
’Essere sibilò, arretrando di un poco. «Ho ancora abbastanza forza per ucciderti», mormorò, prima di farli scattare nuovamente verso la giovane.
Lei li afferrò, li strinse con tutta l’energia che sentiva prorompere da ogni fibra di sé anche se il dolore che provò la fece barcollare. «Puoi sentire i miei pensieri!», rispose quindi, «ma non puoi sentire il mio cuore; puoi percepire la razionalità, ma non le spinte delle pulsioni più umane, ciò che ci permette di ricominciare ad avanzare anche quando le nostre gambe sono state spezzate, o crediamo che lo siano.
I nostri errori, a volte nemmeno poi possiamo condannarli; ci rendono quello che siamo, ci insegnano quanto le buone azioni, ci fanno crescere.»
«Voi siete fragili!
» 
«Già, lo siamo; ogni cosa che ci circonda lo è, eppure siamo ancora qui, a resistere, perché altri non siano infranti come noi. Fragili, e allo stesso tempo così forti da poter imparare a proteggere, a salvare; non lo riesci a capire, vero?»
Altri tentacoli si allungarono verso il suo volto; questa volta non li avrebbe potuti evitare, lo comprese immediatamente, e allora chiuse gli occhi, senza ritrarsi.

Sento la tua forza in me; non cederò più, nemmeno negli ultimi istanti.
Il sibilo che accompagnava il colpo si avvicinò rapidamente, schioccò nelle sue orecchie facendola sobbalzare; tuttavia non provò alcun dolore. È… è finita? Così rapidamente?
«Sei proprio una brava ragazza.»

Umiko spalancò gli occhi, riscossa da quella voce. Tra lei e il suo avversario c’erano un paio d’occhi rossi che la fissavano con benevolenza, e che se qualche ora prima l’avevano turbata, in quell’istante le davano calore.
Sorrise a quelle parole, leggermente imbarazzata, e l’altro le accarezzò i capelli. «Un eroe non è più coraggioso di una persona comune, ma è coraggioso cinque minuti più a lungo, si dice spesso. A giudicare dal tuo stato hai resistito per ben di più di cinque minuti, ma credo che sia giunto il momento di far giocare me.»
La ragazza annuì, fissando il classe S Zombieman avanzare e fronteggiare il mostro, i tentacoli recisi stretti in una mano. «Non ti dispiace troppo se combatto io al posto suo, vero? È tutto il giorno che ti sto cercando.»
L
’altro ghignò in risposta. «Se mi farai divertire non mi dispiacerà di certo.»
«Oh, bene… allora si prospetta una giornata interessante.»

La mora indietreggiò, fino a quando un paio di mani non l’abbracciarono. «Va tutto bene?», sentì la voce dolce della donna sussurarle, e lei socchiuse gli occhi. «È come se avessi detto addio a un altro incubo… un altro demone ha trovato la sua definitiva pace.» Un sospiro. «Quindi sì, sto bene.» Si pose una mano sul cuore; e sotto la pressione gentile delle dita sentì davvero un’altra crepa richiudersi, smettere di sanguinare per sempre.




◊♦◊




«Non c’è tramonto più meraviglioso di quello che si vede dalla città K.»
Un sorriso. «È vero; ed è una delle cose che più mi è mancata.»

Amaya respirò a pieni polmoni l
’aria della prima sera, si strinse nelle proprie braccia. Mano a mano che il crepuscolo avanzava i contorni dei palazzi che la circondavano e il profilo delle foreste in lontananza si smussavano, e perfino le nubi si facevano più morbide, assumevano nuove forme e annunciavano l’avvento della quiete.
Era il momento dei pensieri, dei ricordi; e per la prima volta dopo tanto tempo questi erano svincolati dai muri di una stanza, liberi di librarsi verso qualcuno che non fosse lei stessa. Lo sentiva.
«Chi si potrebbe lamentare di una giornata simile? Ho lasciato la mia casa con la quasi totale certezza di non farvi ritorno; ho visto la città venire attaccata, poi sono stata attaccata io stessa; ho combattuto, ma sono stata anche difesa da più eroi; ho visto un terribile incubo morire dopo un’aspra battaglia, ho accompagnato una ragazza coraggiosa in ospedale e ho dovuto calmare la sua famiglia urlante; ora sto camminando nel tramonto, e non in solitudine.»
«Beh, a parte qualche dettaglio, è così che funziona la vita. Comunicare, sentire, provare, comprendere… cosa saremmo senza tutto questo?»

La donna non rispose immediatamente; prima lasciò che il piccolo viale alberato che conduceva al Natural Park l
’abbracciasse, che il vento frusciasse intorno il suo canto.
La città K non può vivere senza la forza della Terra: i suoi cittadini sono legati al suolo come tanti fiori, cadono e ritornano come le foglie.
È forte, la nostra gente; segue il ritmo dell
’Esistenza come le foreste, e sanno sempre trovare una via. In tutto ciò che ci circonda c’è una risposta, e un inizio.
«Amaya?»
Lei non rispose immediatamente. «Sono confusa…
» Si fermò, per poi ricominciare a parlare più sommessamente, a sé stessa. «Oggi ho visto la vita esplodere intorno a me…» E cosa più importante mi sono sentita una sua parte, ho agito e ho impresso la mia orma in lei, non mi sono lasciata travolgere ma ho saputo risponderle. Perché non ho semplicemente lasciato che tutto mi scivolasse addosso, come sempre? E domani… domani proverò ciò che ho provato oggi?
I passi dell’eroe che la precedeva si fermarono, e questi si girò a fissarla.
La donna si morse un labbro, esitante. «Ecco…», mormorò, prima di scrollare il capo e sospirare. Quando Umiko aveva raccontato la sua storia, aveva ripreso coraggio e forza; se avrebbe fatto lo stesso, forse si sarebbe sentita più libera.

Un peso condiviso fa meno male; e anche se quello che la stava osservando in attesa di una sua parola era uno sconosciuto, lui aveva vissuto insieme a lei quella giornata assurda e aveva sentito le parole che quel mostro le aveva rivolto, e… forse voleva perfino ascoltarla. Inoltre, se ne rendeva conto, non sarebbe riuscita a tacere ancora per molto, quindi non le rimaneva che seguire i suoi bisogni. «… Credo che non possa essere espresso velocemente.» Con un cenno del capo indicò una panchina a poca distanza da entrambi. Quella zona era stata risparmiata dalla devastazione, e immersa in una serenità tutta sua era l’ambiente perfetto per aprirsi.
«Vedi», iniziò appena l’altro le si fu seduto vicino, «non riesco a levarmi dalla testa le parole di quel mutaforma, continuo a ripensarci e tormentarmi.

Mi ha definito indegna di continuare a vivere in mezzo a voi, falsa, quasi pericolosa; e vorrei non ritrovarmi in queste accuse, e invece… invece le condivido.»
«Ma perché dovresti?»
«Perché è vero: n
on sono mai stata sincera, né con me stessa né con gli altri, mai autentica; sotto questo aspetto severo e poco amichevole ho sempre nascosto un animo fragile, ma tale lato l’ho riservato solo ai miei genitori, mentre agli altri ho rivolto solo delle maschere. Sono più debole e insicura di quanto si possa sospettare, capace di piangere per ore a causa delle sofferenze degli amici, ma questo non mi è mai piaciuto: a causa di dispiaceri e delusioni passate ho perso troppo presto la capacità di fidarmi degli altri e ho iniziato a credere che mostrandomi realmente, negli aspetti positivi come nelle debolezze, tutti avrebbero potuto approfittarne e farmi ripetere situazioni terribili; così per anni ho fatto della freddezza la mia armatura, soffocando in silenzio ogni empatia che provavo per chi mi circondava… fino a quando una lunga malattia non si è portata via le uniche due persone che mi hanno conosciuto per come sia davvero.
In quegli istanti mi sono scoperta incapace di rassegnarmi, di chiedere aiuto; allo stesso modo la gente non era disposta ad ascoltarmi né confortarmi, e quando mi accusava di essermi meritata tutto quello che mi era capitato reagivo solo più violentemente, aggravando le mie ferite e facendo il vuoto intorno a me.
La solitudine, molti la conoscono e provano; ma a volte si tratta di attimi di stasi che poi si sfaldano, di conoscenze sbagliate che feriscono ma non annichiliscono, di qualcosa che non lascia segni profondi; ma quando il tuo mondo si riduce a te, e non riesci a riprenderti nulla di ciò che avevi? Allora che cosa puoi fare?
L’inganno tessuto per tanto tempo mi si è ritorto contro, e io non ho saputo pagare il prezzo imposto; quel “lasciami sola” che ho pronunciato fino alla sfinimento è diventata l’unica realtà che potessi calzare.»

Le luci dei lampioni e delle timide stelle si accesero e intrappolarono il loro riflesso nei suoi occhi, mentre le parole si susseguivano senza alcuno sforzo in una confessione che più scioglieva il grumo di un’assenza sofferta meno dilaniava.
Amaya sussultò di sorpresa quando a un certo punto il suo ascoltatore le prese le mani tra le sue e le strinse per spingerla a parlare ancora; ma non si ritrasse, come se avesse davvero ripreso forza non si arrestò.
«Non sarò mai coraggiosa come Umiko; nonostante quello che ha vissuto ha imparato a sorridere di nuovo, e credo che dopo oggi sarà ancora più serena.»
«No, non credo che lei sia più coraggiosa di te. Voi due siete uguali.»

Amaya guardò Stinger con aria interrogativa, prima che questi le rispondesse: «Ti ha salvato prima di cadere, come qualcuno ha fatto con lei. Ti ha impedito di scivolare dal ponte, ti ha permesso di vivere; ti ha spinto a fronteggiare anche le tue paure, e grazie a lei ora ne stai parlando. Ti ha dato un’altra possibilità con un solo gesto.»
La donna rimase in silenzio. «Mi stai parlando come se avessi una speranza.»
«Se dentro di te non ci fosse stata ti saresti lasciata attaccare dal mutaforma senza provare a difenderti; non avresti resistito per tutte queste ore, non è vero?»
«Già», mormorò lei infine.
Più tento di vedere nella donna di oggi una sconosciuta, più trovo me stessa. Lentamente. Costantemente.
È come se mi trovassi davanti a uno specchio e stentassi a riconoscermi, ma mano a mano prendessi conoscenza dei miei tratti e scoprissi di averli dimenticati.
Di essere incompleta.
«Stingerho comunque paura di domani. Di scoprire che in realtà non è cambiato nulla e non potrà mai farlo, di aver dimenticato tutto.»
Ho paura di infrangere quel vetro e non vederne più la luce.
Ho paura di non stupirmi più di me stessa.

«Beh, è vero che se tu ti dimenticassi di me sarebbe triste, soprattutto dopo essere sbucata dal nulla per abbracciarmi.»

Amaya arrossì, quindi ridacchiò e infine rise davvero; brevemente, ma senza fatica. «In effetti mi sarà difficile scordare quel passaggio.»
«E allora non dimenticherai nulla. E tutte le domande che porti dentro, quelle che ti rendono confusa e instabile, loro troveranno una risposta solo se le cercherai; e magari scoprirai che è sempre stata davanti ai tuoi occhi, intorno a te.»

Lei alzò lo sguardo alla volta ormai rigonfia di bagliori, come doveva essere il suo sguardo. Le lacrime pizzicavano, ma le avrebbero fatto bene quando si sarebbero liberate. «Dopo questa giornata ho tante persone a cui devo la vita», mormorò.
«Almeno in questo senso non posso più definirmi inutile e sola.»
«Non dovresti nemmeno pensarlo, perché nessuno lo è; siamo tutti connessi, anche a chi non è con noi. Hai visto le scarpe di Umiko?»
«No… perché me lo chiedi?»
«Per caso ho notato che erano bruciate, in parte, e di certo non femminili.»

«Che siano quelle del suo ragazzo?»
«Lo penso anch’io, e se lo sono davvero lo trovo bellissimo: perché
ha deciso di percorrere la strada, qualunque essa sia, qualunque lei voglia, per sé stessa e per lui.»
«In questo modo non lo sentirà mai lontano», finì per lui la donna, che sorrise di nuovo e si abbracciò.
Vorrei ancora sperare che anche per me verrà il giorno in cui qualcuno mi dirà che sono perdonata, che sono amata; e prima che lo faccia un altro, vorrei farlo io. Quello sarebbe un giorno che meriterebbe di essere visto; quello sarebbe un giorno in cui potrei credere.
Il rombo di un tuono la riscosse dalla sua posizione, ma non la spaventò più di tanto, né si turbò quando il profumo della pioggia iniziò a giocare con l’aria.
«Uh-uh, qui si sta per scatenare un bel temporale», saltò in piedi Stinger, «e sta arrivando davvero velocemente.»
«Io amo il buio quanto la pioggia», rispose lei, lo sguardo rapito dalla volta, «è scritto perfino nel mio nome. Non c’è nulla che possa quietarmi o farmi sentire bene come un acquazzone serale», e detto questo lasciò la panchina e la seppur minima protezione degli alberi. Discreto, il cielo iniziò a piangere appena lei gli aprì le braccia, e le gocce presero a scivolare tra i suoi capelli come perle.
«Così ti prenderai un malanno», le disse il classe A, avvicinandosi a lei e stringendola tra le braccia, «e guarda qui, sei già gelida.»
Amaya ricambiò la stretta. «Hai fatto bene a darmi un abbraccio, te ne dovevo un altro per avermi ascoltata. Sei il primo a non essere scappato.»
«Mi piace ascoltare la gente parlare», disse scompigliandole i capelli, «non è mai un problema. E poi non mi sembra che tu abbia zanne o spine da cui fuggire!»
«No, è vero», fu la risposta, intrisa di pianto di liberazione, «ma non sai quanto bene tu mi stia facendo. Grazie», mormorò, affondando il volto nel petto dell’eroe e respirando il suo calore, aumentando la stretta come per timore di avvolgere il vuoto.

«Aspetta… perché stai piangendo? Ti sto facendo male?»
«No, assolutamente no; io piango… piango…»

Piango perché mi sono sbagliata, ed è questo il giorno in cui iniziare a credere;
piango perché il mio esilio sta finendo, e non importa quanto sarà lungo il viaggio; casa non è mai stata così vicina.







ANGOLO DI MANTO


E dopo giorni e giorni di scrittura, anche quest’avventura è giunta al suo termine.
Ancora una volta, grazie a Emanuela.Emy79 per avermi dato l’opportunità di scrivere nuovamente su Opm, il fandom che da qualche mese a questa parte è praticamente mia casa e rifugio ♥
Grazie anche a tutti coloro che hanno letto e a chi vorrà lasciare un segno del proprio passaggio **

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