Re, reginette e… un prof

di FatSalad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Vera stava cercando di raggiungere una sedia, ma una massa di persone le rendeva difficile il passaggio.
«SU LE MANI!» gridò il vocalist, incitando la folla.
I ragazzi ulularono e seguirono le indicazioni, Vera vide una distesa di mani sollevate e mosse a ritmo di musica sotto le luci colorate e intermittenti.
«Che branco di pecore…» mormorò tra i denti.
Avrebbe potuto dirlo anche ad alta voce, tanto non c’era pericolo che qualcuno la sentisse, con quella musica a violentare le loro orecchie. Qualcuno nella folla si mosse e Vera riuscì a strisciare in mezzo a due corpi per farsi strada verso i posti a sedere.
“Quel bimbetto non è certo maggiorenne!” pensò tra sé, notando un ragazzino che beveva un cocktail.
Schioccò la lingua e ruotò gli occhi al cielo, decidendo di non intervenire. Era tutta la sera che cercava di tenere la festa sotto controllo, protestando contro ogni tipo di eccesso che le capitava di notare, ma cominciava a stufarsi. Prima di tutto i tacchi le facevano male ai piedi e quell’odiosa minigonna le saliva fastidiosamente scoprendole fin troppo le cosce. Era esausta e non si era divertita per niente.
“Ma chi me l’ha fatto fare?” si chiese la ragazza, raggiungendo finalmente l’angolo bar.
Incrociò lo sguardo di un ragazzo con una birra in mano e si bloccò, serrando la mascella.
“Ecco chi me l’ha fatto fare!” pensò.
Mise le mani sui fianchi e raggiunse il ragazzo con quello che voleva essere un passo di marcia.
«Tu! – sbraitò in faccia al ragazzo – Non mi stai affatto aiutando!»
«Primavera, – la canzonò il tipo, provocando le risatine degli amici che lo circondavano – rilassati! Sta andando tutto a meraviglia.»
«Perché, – cominciò Vera scuotendo il capo – perché ho un vice rappresentate del genere?!»
«Perché me l’hai chiesto tu» fece Daniele con una scrollata di spalle.
«Purtroppo non posso dire niente a mia discolpa.»
In effetti era proprio così che erano andate le cose. Vera aveva desiderato diventare capo d’istituto fin dalla quarta ed era convinta che non ci fosse nessuno che si meritasse quella posizione quanto lei: era una studentessa modello, aveva ottimi voti, buoni rapporti con gli insegnanti e idee per migliorare veramente quella baracca di scuola. Eppure quando si era candidata l’anno prima non aveva raggiunto nemmeno una trentina di voti. Il che era stato piuttosto imbarazzante, motivo per cui, dopo un iniziale momento di sconforto, la ragazza aveva deciso di aguzzare l’ingegno e preparare una strategia d’attacco. Così, all’inizio del suo ultimo anno, era andata dritta dritta a parlare con Daniele. Non lo conosceva, o meglio, non personalmente, ma qualsiasi studente del liceo sapeva chi fosse Daniele Gori. Giravano varie voci sul suo conto: che fosse uno spacciatore, che fosse stato in riformatorio, che avesse preso a pugni un professore della sua vecchia scuola, che avesse una qualche rara malattia, che fosse un ragazzo padre e altro ancora. Quali delle dicerie fossero vere e quali inventate, inutile dirlo, nessuno lo sapeva. Vera, dal canto suo, sospettava che la maggior parte di ciò che si diceva su Daniele fossero bufale, alimentate più che altro dall’abbigliamento e dallo sguardo truce del ragazzo.
«Ti propongo un patto, – gli aveva detto la prima volta che avevano parlato, saltando i convenevoli – tu ti candidi con la mia lista, fingi di voler essere vice rappresentante d’istituto e mi fai vincere le elezioni. Poi puoi anche sparire, dimetterti o quello che vuoi, ti chiedo solo di poter mettere il tuo nome nella mia lista, per la propaganda.»
Il ragazzo l’aveva guardata minaccioso, con uno dei folti sopraccigli inarcato. Vera aveva creduto che stesse per mandarla a quel paese, invece, dopo qualche secondo di silenzio, aveva chiesto:
«Perché dovrei aiutarti?»
Vera non si era scomposta, si era aspettata quella domanda. D’altra parte era il minimo, considerato che erano due sconosciuti, e proprio per questo si era preparata in anticipo.
«Perché io sono compagna di banco di Luisa Villa.»
L’espressione del ragazzo era subito cambiata e a Vera era venuto da sorridere.
«E quindi?» aveva chiesto lui.
«Quindi – aveva detto come se fosse la cosa più logica del mondo – so tutto di lei e posso aiutarti a conquistarla.»
A quel punto l’aveva visto vacillare e dentro la sua testa aveva cominciato a cantar vittoria. Non era un segreto che la bella Luisa avesse dato un due di picche a Daniele e, anche se non era sicura che la ragazza gli interessasse ancora, valeva la pena provarci: a tutti piaceva Luisa!
«Quale sarebbe il tuo programma?»
«Come?»
Persa nei propri pensieri, Vera non aveva capito la domanda del ragazzo, che sembrava ancora troppo serio o arrabbiato.
«Sì, insomma, che proposte avrebbe la tua lista per questo liceo?»
Vera, dopo un attimo di sconcerto, gli aveva esposto in breve le sue idee e le iniziative che aveva intenzione di mandare avanti e lui era stato ad ascoltarla per tutto il tempo.
«Ho capito, ti farò vincere le elezioni.»
L’aveva affermato con sicurezza, facendo esultare Vera ed aveva mantenuto la promessa.
C’era stato solo un piccolo diverbio tra i due, il giorno delle elezioni.
Dopo che un candidato aveva assicurato che, se fosse stato eletto, si sarebbe battuto per avere cibo multietnico al bar della scuola e carta igienica colorata, Vera, armata di microfono, grinta e Daniele-ragazzo-immagine al suo fianco, aveva esposto il programma della propria lista. Una volta concluso il discorso, sicura di avere la vittoria in pugno, aveva fatto per andarsene, ma Daniele le aveva preso il microfono di mano, a sorpresa.
«Inoltre – aveva aggiunto il ragazzo, facendo stringere lo stomaco di Vera – la nostra lista si impegnerà ad organizzare una festa di fine anno, con elezione di re e reginetta della scuola!»
Vera si era sentita sbiancare, mentre il chiacchiericcio degli studenti aumentava, alimentato dalla proposta che incuriosiva i più.
«Cosa organizzeremo noi?» aveva chiesto a Daniele, una volta conclusa la presentazione.
«Una festa.» aveva risposto Daniele scrollando le spalle.
«Un’americanata! – aveva sbraitato Vera – Non erano questi i patti! Come ti sei permesso di…?»
«Rilassati, Primavera, i patti erano che ti avrei fatto vincere le elezioni, giusto?»
«Esatto! Non che avresti potuto…»
Non le aveva nemmeno fatto finire la frase, perché l’aveva interrotta subito.
«Allora fidati di me: questa festa ti farà vincere le elezioni.»
E così era stato.
Vera si era stupita di quanti studenti fossero entusiasti della festa di fine anno e di quanti si fossero resi disponibili per la sua realizzazione. Daniele, invece di sparire e tornare ai suoi loschi affari come si era aspettata Vera, aveva preso in mano l’organizzazione informandosi già da aprile per capire se fosse più conveniente affittare una discoteca per una sera o fare tutto nell’aula magna della scuola e via dicendo.
Così quel venerdì sera di inizio giungo tutti gli studenti dell’istituto si trovavano a scuola, un paio si erano offerti come dj, qualcuno aveva messo a disposizione luci psichedeliche e altri si davano il cambio al “bar”, con l’assoluto divieto di vendere alcol ai minorenni. Vera, teoricamente spalleggiata da Daniele, era incaricata della “sorveglianza”, ovvero doveva assicurarsi che nessuno spaccasse finestre, scassasse porte e via dicendo.
La presenza dei professori alla serata era stata osteggiata da tutti, ma alla fine quel bigotto del vicepreside, nonché insegnante di matematica e fisica di Vera, professor Vito Secchi, aveva lanciato un ultimatum: o con lui presente o niente festa.
In tanti avevano accettato la situazione come opera di carità nei confronti di un uomo single triste e solo, che probabilmente non era mai stato invitato ad una festa in vita sua. Vera, dal canto suo, avrebbe desiderato che Daniele si sforzasse anche solo la metà del professore per mantenere l’atmosfera tranquilla.
Il vice rappresentante, invece, aveva passato praticamente l’intera serata con quei brutti ceffi dei suoi amici, tutti intenti a stappare (e trangugiare) bottiglie di birra.
«Ora tu – gli disse puntandogli un dito sul petto – verrai a darmi una mano!»
«Io invece dico che non ce n’è bisogno e, anzi, devi smetterla di fare la ronda per scovare atti di vandalismo: sta andando tutto bene, si stanno tutti divertendo.»
«Tutti tranne te…» disse uno dei suoi amici in un mormorio udibilissimo.
«Facciamo così – propose Daniele – se riesci a stappare questa bottiglia di birra usando solo un accendino, allora vengo con te a fare il “castigatore dei costumi” come il Secchi, che ne dici?»
I suoi amici ridacchiarono, ma Vera vide quella sfida come un’opportunità e, senza dire niente, si avvicinò a Daniele e gli prese la bottiglia di mano.
Se la rigirò tra le dita come se stesse cercando di capire un trucco di magia, poi tese la mano per farsi passare l’accendino.
A quel punto fece scattare la scintilla e avvicinò la fiamma al tappo.
I ragazzi sghignazzarono, qualcuno scoppiò a ridere più forte.
«Non ha idea di come si faccia!» sussurrò uno agli altri, con tono vicino alla compassione.
Vera strinse le labbra e cercò di ignorare ogni commento, poi spense l’accendino. Si avvicinò a Daniele e senza chiedere il permesso usò un lembo della sua maglietta (una delle solite t-shirt rigorosamente bianche su cui abbinava un chiodo nelle stagioni più fredde e una placchetta militare 365 giorni all’anno), per stappare la bottiglia senza scottarsi le dita.
“Fa’-che-si-apra-fa’-che-si-apra…” sperò Vera.
La bottiglia produsse un lieve “pop” e se ci fosse stato più silenzio anche i ragazzi attorno a Daniele l’avrebbero sentito, ma anche senza rumore si accorsero che la bottiglia si era aperta.
Vera scoppiò a ridere.
«Ah! L’ho aperta!» esclamò, ancora più euforica dopo aver notato le espressioni basite dei ragazzi che l’avevano presa in giro.
«Com’è possibile?!» chiese uno, rimasto letteralmente a bocca aperta.
«Fisica, signori miei, fisica! – spiegò Vera, posando le mani sui fianchi in un moto di esaltazione – E adesso… Daniele, vieni a fare la ronda!»
Il ragazzo, stupito quanto gli altri, si riprese sentendosi chiamare.
«Un momento – la richiamò quando Vera si era già voltata – devi berla, prima.» disse calmo, indicando la birra con un cenno.
«Non erano questi i patti: dovevo solo aprirla!»
«Allora cosa dovremmo fare? Gettarla?»
«Bevila tu!» disse Vera indicandolo con un gesto che significava “ovvio”.
«Come? Proprio tu che stai cercando di tenere la festa sotto controllo vuoi farmi bere ancora? Io e i miei amici abbiamo già bevuto abbastanza, non vorrai farci ubriacare, vero?»
L’espressione di Daniele era melodrammatica, ma Vera non poteva insistere, avrebbe significato rimangiarsi la parola ed andare contro la propria politica di mantenere la festa tranquilla.
“Maledetto!” pensò Vera. Senza aggiungere una parola lo raggiunse, gli prese le bottiglia di mano guardandolo negli occhi e bevve. Tutto d’un fiato.
«Adesso andiamo.»
Il suo tono era talmente risolutivo che Daniele non trovò niente da replicare e non poté fare altro che seguirla, con la sua solita camminata disinvolta, le mani in tasca e il mento alto.
«Ma come fai a bere quella roba?» chiese Vera pochi minuti dopo, mentre completava le ispezioni affiancata da Daniele.
«Non ti piace la birra? Potevi dirlo!»
«Non lo sapevo: non ho mai bevuto niente di alcolico.»
Daniele la guardò sollevando un sopracciglio.
«E… ti senti bene adesso?»
Vera ci pensò su: aveva caldo e le pareva che la stanza si muovesse, ma doveva essere l’effetto delle luci. Aprì la bocca per dirlo al ragazzo.
«Fa-te-mi vedere LE MANI!» gridò il vocalist in quel momento e un’orda di studenti coprì le sue parole con grida tribali.
«È arrivato il momento – continuò il ragazzo al microfono – che tutti aspettavamo! Per la prima volta al nostro liceo incoroneremo il re e la reginetta della scuola!»
Ci furono altre grida e applausi, mentre la musica sfumava e le luci cambiavano.
«Perché tutta quest’agitazione? – chiese Vera – tanto sappiamo già chi sarà incoronato.»
«Ah, sì? E sentiamo, chi vincerà le votazioni?»
«Luisa Villa, ovviamente!»
«E tra i ragazzi?»
«Mmm… - Vera si picchiettò il mento con un dito, come se ci stesse davvero pensando – vediamo, è alto, sportivo, campione delle olimpiadi di matematica e bello da morire. Chi può essere? Antonio Bacci, è scontato!» concluse, come se stesse affermando l’ovvio.
«E poi se lo merita: oltre ad essere bello e gentile è pure intelligente.» continuò.
Daniele ruotò gli occhi al cielo, con il gesto di chi è costretto ad ascoltare la stessa frase per l’ennesima volta.
«Se Antonio è così bravo perché non hai chiesto aiuto a lui per le elezioni?» borbottò.
Vera finse di non aver sentito.
Ci aveva pensato, in realtà, dal momento che Antonio era il ragazzo più bello e popolare della scuola, ma facendo una stima aveva capito che con la sua bella presenza avrebbe ottenuto solo i voti delle ragazze. Sempre se avesse accettato di candidarsi con lei, postilla niente affatto secondaria, dal momento che non aveva due di picche in carriera che lei avrebbe potuto sfruttare a suo favore. Daniele, invece, era ammirato da tanti ragazzi, oltre ad avere un discreto numero di ragazze a sbavare dietro al suo fascino da ribelle. Motivo per cui alla fine aveva giudicato Daniele come l’opzione più fruttuosa.
«La reginetta… votata da voi… - stava dicendo nel mentre il vocalist - il volto del nostro istituto… venga a ritirare la sua corona… Luisa Villa!»
Vera sbuffò, mentre i presenti cominciarono ad applaudire spontaneamente tra fischi di apprezzamento e complimenti poco fini per la ragazza in questione.
«Visto? Scontato!» disse Vera rivolta a Daniele e, senza capire come mai, le venne improvvisamente da ridere.
«E per Luisa… FATEMI VEDERE LE MANI!» incitò il vocalist, facendo muovere i ragazzi in massa.
«Primavera, tutto ok?» chiese Daniele con uno strano cipiglio.
«Il titolo di re… del nostro liceo…» continuò il ragazzo al microfono.
«Sì, certo, perché?»
«No, così… non sappiamo quanto alcol puoi reggere…»
Vera rise ancora, mentre il vocalist urlava:
«Un colpo di scena in-cre-di-bi-le!»
«Ti stai preoccupando? Shtai… stai tranquillo!» biasciò la ragazza, schioccando la lingua un paio di volte e trovandola impastata.
«Sicura che…»
«…a pari merito, vincono… Antonio Bacci e Daniele Gori
«Oh! – fece Vera – Sei tu.»
Daniele si accorse in quell’istante che la folla stava aprendo un varco per fargli raggiungere la postazione del dj, dove sarebbe avvenuta l’incoronazione.
Vera lo seguì con lo sguardo mentre andava ad affiancare Antonio.
«Diteci qualcosa!» disse il vocalist passando il microfono.
«Grazie a tutti!» fece Luisa con una risatina, cedendo il microfono a Daniele.
«Per prima cosa – cominciò il ragazzo serio – grazie per avermi votato, se devo dire la verità quella della festa è stata proprio una gran trovata!»
Tutti risero al suo sorriso sornione.
«Poi… vorrei proporre una cosa. – disse ricatturando l’attenzione generale – Il re e la reginetta dovrebbero condividere un ballo, giusto? Ma dato che siamo un numero dispari, vorrei ballare con la persona che ha permesso tutto questo…»
Vera smise di respirare per un attimo, mentre Daniele la guardava negli occhi.
«Il professor Secchi!»
La folla scoppiò a ridere e Vera pure.
«No, prof, sto scherzando…- continuò poi, alzando una mano verso il vicepreside, in segno di scuse - parlo della nostra rappresentante d’istituto: Vera, vieni qua!»
Nel sentirsi chiamare, la ragazza sentì le guance andare a fuoco, mentre l’espressione si paralizzava sul suo volto. Come poco prima era avvenuto per Daniele, le persone aprirono un varco per farla passare e mentre percorreva i pochi metri che la separavano dagli incoronati non poté fare a meno di sentirsi centinaia di occhi puntati addosso.
«Che ti è saltato in mente?» disse tra i denti, guardando storto Daniele.
Lui la prese per i fianchi come se nulla fosse e mentre cominciavano a ballare, o meglio, spostare il peso da un piede all’altro, le disse:
«Dovresti ringraziarmi! Non vedi? È la nostra occasione!»
«Occasione? Nostra?» chiese Vera, più smarrita che mai.
«Tra poco potremo scambiarci i partner: io potrò ballare con Luisa e tu con il bell’Antonio!»
«Oh.»
La ragazza rimase con lo sguardo vacuo poi rifletté su quella possibilità.
«No! No no no no no! Non se ne parla!»
«Perché no?»
«Perché mi vergogno! Stare così vicina ad Antonio… e smettila di farmi muovere, mi fai girare la stanza!»
«La stanza?» chiese Daniele alzando un angolo della bocca in un sorrisetto.
«Volevo dire la testa.» si corresse lei.
«Come pretendi che lui ti noti se non ci provi neanche? Non l’hai messa per lui questa minigonna?»
«Lo so, ma…»
«E poi, in teoria, me lo devi: non eri tu che dovevi aiutarmi con Luisa?»
«Questo è vero, ma… mi vergogno ugualmente!»
«Forza! Tra venti anni non sarai delusa dalle cose che avrai fatto, ma da quelle che non avrai fatto.»
«Sì, sì, lo so: “Levate dunque l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite”. Twain è uno dei miei autori preferiti.»
Daniele la guardò con le sopracciglia aggrottate, incerto sul significato della similitudine nautica, ma decise di accontentarsi di quello che pareva un cedimento.
«Bene! Allora? Dai, vai a prenderti il tuo ballo!»
«Il mio ballo o il mio bello?» chiese Vera prima di essere colpita da un nuovo attacco di ridarella.
«Il bello ce l’hai davanti a te!»
«Cretino! Però sul ballo hai ragione: chiunque sarebbe un ballerino migliore di te!»
La ragazza rise del suo sorriso da spaccone, ma forse fu proprio quella frase che la convinse, si voltò, ben intenzionata a chiedere un cambio di cavaliere e…

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Vera strizzò gli occhi un paio di volte e provò a rileggere.
«Sono nella merda.» realizzò.
Rimase con lo sguardo vacuo fisso davanti a sé, finché un rumore non la scosse dal suo stato catatonico e la drammaticità della situazione le piombò addosso tutta d’un colpo. La mano che reggeva il cellulare a mezz’aria cadde sulle coperte con un tonfo sordo, Vera abbandonò il dispositivo come se scottasse e, preso il cuscino in mano, vi urlò dentro tutta la sua disperazione. Quando rimase senza fiato si scoprì a ridacchiare in maniera isterica e, recuperato il cellulare, volle leggere per l’ennesima volta il messaggio che le aveva causato tanto scompiglio.
“Non capisci niente brutto idiota di merca”
Proprio così, non era riuscita nemmeno a scrivere un insulto sensato, aveva scritto “di merca” e il destinatario, mettendo insieme l’ortografia e l’orario assurdo in cui aveva inviato il messaggio, non avrebbe fatto fatica a capire che mentre scriveva era già più che sbronza. Si sarebbe fatto anche due risate, magari, o l’avrebbe presa in giro per qualche tempo, se non che a riceve il messaggio era stato tale “Prof. Secchi”.
Qualcosa era andato tremendamente storto la sera prima e Vera, una ragazza seria, con una carriera scolastica impeccabile, un’ottima media di voti e il ruolo di rappresentante d’istituto, si era cacciata in un casino. La parte peggiore della faccenda era che non ricordava affatto come fosse successo.
Non voleva nemmeno immaginare le conseguenze che quel suo messaggio avrebbe avuto, a pochi giorni dall’esame di maturità.
“Un solo, piccolissimo, minuscolo sbaglio e tutta la fatica di quest’anno può andare a farsi friggere!” pensò, alzandosi dal letto.
Si appoggiò al muro accusando un capogiro e gli occhi le caddero su dei vestiti ammucchiati a terra.
«Stupida gonnellina!» sibilò.
Poi diede un calcio all’indumento, come se la colpa dell’accaduto fosse dell’inerme pezzo di stoffa.
Aveva comprato e indossato quella gonna così corta e scomoda appositamente per l’occasione, per fare bella figura e magari riscattarsi dall’immagine di rigida e noiosa rappresentate d’istituto che tutti avevano di lei, ma chi aveva notato quel suo gesto di audacia, in fin dei conti?
Stava per rispondersi “Nessuno!”, ma dovette ammettere di non esserne poi tanto sicura: non aveva alcun ricordo della serata da una cert’ora in poi.
Fece mente locale. Era sicura di aver passato la maggior parte della serata a vigilare affinché la festa non degenerasse, poi era andata a ripescare Daniele che se la spassava con gli amici per richiamarlo all’ordine e farsi accompagnare in quei giri di ronda. Infine era giunto il momento dell’incoronazione della reginetta e del re, anzi, dei re della scuola e lì il suo vice l’aveva sorpresa chiamandola in causa per un ballo.
Che bella sensazione sentirsi applaudita e apprezzata per il lavoro che aveva svolto durante l’anno per concretizzare l’idea della festa! Certo, mentre era intenta ad organizzare l’assemblea d’istituto, contattare relatori, mantenere rapporti pacifici con i professori e via dicendo nessuno si era degnato di dirle grazie, ma forse la sera prima era stata l’occasione giusta e la ripagava di tutte le sue fatiche.
Tutto ciò che ricordava della festa si concludeva, però, con il ballo con Daniele. Da lì in poi aveva qualche vaga memoria, come sprazzi di luce sotto l’ombra di un albero, niente di definito. Ricordava che, non sapeva come, Daniele l’aveva convinta a ballare insieme ad Antonio, era sicura di aver guardato il ragazzo negli occhi, che erano due noci azzurre incredibili, e che gli aveva sorriso… o almeno così le pareva.
«Accidenti a me! – si disse quel sabato mattina dopo una doccia – Anzi, accidenti alla birra! No, accidenti a Daniele!»
La testa le girava ancora e nonostante si fosse lavata i denti due volte continuava a sentirsi la bocca strana e lo stomaco in subbuglio. Un angolino della sua mente le suggerì di non andare a scuola quel giorno, dimenticò l’ipotesi, però, non appena sullo schermo del cellulare apparve la notifica di un nuovo messaggio.
“Oggi, finite le lezioni davanti all’ingresso”
Il mittente di quel particolare invito era niente di meno che il professor Secchi e, non appena l’ebbe letto, Vera si sentì gelare.
Passò tutta la mattina chiusa in classe, a fare i conti con il caldo e i postumi della sbornia e non ebbe il coraggio di chiedere a nessuno dei compagni qualche dettaglio sulla parte di festa che il suo cervello aveva deciso di cancellare senza il suo consenso. Si vergognava troppo ad ammettere che a diciannove anni non aveva mai inghiottito un sorso d’alcol e che quindi era completamente andata dopo un’unica birra. Per non parlare di quello che poteva scoprire di aver fatto da ubriaca! Sperava vivamente di non aver offeso in modo irreparabile il professore, o almeno di non avergli detto cose peggiori di quanto scritto nel messaggio.
Il suono dell’ultima campanella, che fece esultare sia studenti che insegnanti, non fece altro che rendere Vera più ansiosa e cupa. Quasi non rispose ai saluti dei coetanei mentre si dirigeva a testa bassa all’ingresso dell’edificio.
“È ora” rimuginava “l’ora del giudizio!”.
Ascoltò il vociare dei ragazzi che uscivano da scuola, il rombo delle auto, il chiacchiericcio e le risate e il ritmo incessante delle lancette dell’orologio, o forse era quello del suo povero cuore.
Le parve che dei passi si stessero dirigendo verso di lei, ma le mancò il coraggio di controllare.
«Ehi!»
«Oh, Daniele…»
Salutò voltandosi brevemente verso il ragazzo, senza sprecare troppa allegria: non ne aveva alcuna.
Quei pochi minuti trascorsi ad aspettare il vicepreside le stavano pesando come anni.
«Che fai?» chiese Daniele incuriosito dal suo atteggiamento o semplicemente dalla postura rigida.
«Aspetto il Secchi. Porca paletta, Daniele! – aggiunse dopo un secondo d’esitazione – Mi sono cacciata in una situazione di melma! Proprio ora che la maturità è alle porte, capisci?! Mi spieghi che cavolo è successo ieri sera? E perché non hai impedito questo disastro? È tutta colpa tua!»
Daniele aggrottò le sopracciglia cercando di mettere ordine a quella raffica di domande. Usò quell’espressione che Vera, all’inizio della loro conoscenza, riteneva minacciosa o arrabbiata, ma che, con il passare del tempo, aveva imparato a decifrare come pensierosa. Forse tutte le strane dicerie sul suo conto erano derivate dal fraintendimento del suo sguardo, che non aveva granché di cattivo, se non nella curva delle sopracciglia che, ahimè, il ragazzo non aveva la possibilità di scegliere.
Daniele le chiese di spiegarsi meglio e Vera, troppo tesa e imbarazzata e terrorizzata per parlare ancora, si risolse di passargli il cellulare e fargli leggere il fatidico messaggio che aveva scoperto di aver inviato nella notte.
Il ragazzo lesse senza mutare espressione di una virgola, poi, alzato lo sguardo su di lei, chiese:
«Vuoi dire che non ti ricordi che cosa è successo ieri sera?»
«Se non l’avessi capito: no, niente. Allora, vuoi essere così gentile da raccontarmi qualcosa?»
Il ragazzo ci pensò su, mise le mani in tasca e alzò lo sguardo verso un punto distante, come se stesse scegliendo le parole giuste da dire.
«Che vuoi che ti dica? – cominciò poi – Avevi intenzione di spogliarti e lanciare la minigonna al Secchi, continuavi a ripetere che lui con il suo laboratorio di fisica fosse il tuo grande amore. A un certo punto gli hai urlato che adoravi i suoi capelli forforosi e volevi baciargli la testa. Ovviamente ho impedito atti osceni in luogo pubblico, ma tu l’hai presa sul personale.»
«In… in che senso?» chiese Vera con un filo di voce, traumatizzata.
«Nel senso che l’hai considerato un rifiuto da parte del prof e hai cominciato a piangere e ripetere che volevi baciarlo e picchiarlo, a momenti alterni. Dev’essere a quel punto che hai deciso di mandargli un messaggio minatorio.»
«E tu perché non me l’hai impedito?»
Vera aveva ritrovato la voce e un po’ di energia per urlare contro il ragazzo e contro quel resoconto umiliante della serata.
«Ci stava già pensando il tuo codice pin. Che vuoi che ti dica? Dopo cinque minuti che ci provavi ho creduto che non saresti mai riuscita a sbloccare lo schermo e ho abbassato la guardia.»
Vera abbassò lo sguardo e ammutolì di nuovo.
«Va bene, ho capito. Grazie per quello che hai fatto.» disse dopo un breve silenzio, in tono più spento che mai.
«Figurati.»
«Ma perché il Secchi non si fa vedere?» borbottò tra sé la ragazza, ormai consapevole della reale estensione del danno che aveva fatto.
«Chissà, potresti provare a chiamarlo se tarda ancora.» suggerì Daniele.
«Mmm, hai ragione. Aspetterò ancora un po’, poi lo chiamo.»
«D’accordo, io allora vado. Ciao Primavera.»
«Ciao.»
Rimasta di nuovo sola con il proprio imbarazzo, Vera tentò di mettere insieme un discorso di scuse che potesse ristabilire un minimo la sua dignità, ma l’impresa era costantemente disturbata dalle immagini che le parole di Daniele evocavano nella sua mente. Lei che urlava di amare il Secchi, che provava a dargli un bacio tra i capelli sporchi… Santa madre dello shampoo! Era veramente orripilante!
Vera rabbrividì e controllò l’orologio. Non c’era quasi alcun rumore adesso, ma del professore ancora nessuna traccia. Allora si decise a comporre il suo numero e chiamarlo. Se ne pentì al secondo squillo e stava quasi per mettere giù, ma dall’altra parte l’uomo alzò la cornetta.
«Ehm… pronto, professore?» balbettò incerta, avvampando.
«No.»
Vera rimase interdetta. Allontanò il telefono dall’orecchio e fissò il nome sullo schermo.
Eppure diceva “Prof Secchi”.
«Chi parla?» chiese, scettica.
«Non mi riconosci?»
«Daniele?!»
Non era possibile! Era lì con lei fino a poco prima, non aveva alcun senso!
«Già.»
«Ma… come…? Che significa questa storia?» chiese la ragazza brancolando nel buio.
«Che mi hai chiamato ed io ho risposto.»
Questo aveva ancora meno senso!
«Ma perché ho salvato il tuo numero come “Prof Secchi”?»
«Uno scherzo innocente.»
«Cosa?! Eri tu fin dall’inizio?»
«In verità lo sono diventato ieri sera. Mi sono divertito a cambiare qualche nome nella tua rubrica, ma non immaginavo che ti saresti dimenticata tutto. Stavi ridendo quando ho rinominato “Dart Fener” tuo padre…»
«Oddio… meno male! Aspetta, quindi non è vero quello che mi hai raccontato di ieri sera, giusto?» chiese Vera dopo un sospiro, incredibilmente sollevata da quel nuovo risvolto della situazione.
«Altro scherzo innocente. È stato interessante vederti reagire alla vergogna...»
«Interessante? Interessante?! Mi hai fatto passare una mattina d’inferno! Appena ti rivedo io… io… ti picchio!» minacciò la ragazza alzando la voce.
«Mi sa che perderesti.»
«Accidenti, è vero. Allora… - pensò alla cosa più brutta che potesse fargli, poi ebbe l’illuminazione - non ti aiuterò più a conquistare Luisa!»
«Sai che perdita…»
«Già… aspetta, come? Non mi hai aiutato alle elezioni per lei?»
«Forse.»
Vera riuscì ad immaginarlo mentre scrollava le spalle.
«Non ti interessa la reginetta della scuola?»
«E a te non interessava l'altro re?»
La domanda per qualche motivo la pietrificò. Inghiottì e non trovò il fiato per rispondere. La questione si stava facendo seria, aveva un impellente bisogno di sapere: che cavolo aveva combinato la sera prima?
«Sei libera stasera?»
«Mh?»
«Stasera sei libera? Volevo andare sulla spiaggia per un bagno notturno.»
Silenzio.
«Primavera? Sei ancora lì?»
«Daniele, puoi dirmi che cosa ho fatto ieri sera?»
E avrebbe tanto voluto chiedere “che cosa ho detto”, anzi, “che cosa mi sono lasciata sfuggire”. Ora che una parte considerevole dello sgomento, dell’imbarazzo e della rabbia se n’era andata, Vera cominciava a rimettere insieme i pezzi e l’immagine che veniva fuori da quel puzzle non le prometteva niente di buono.
«Perché ti ho inviato quel messaggio?» chiese con la gola secca.
«Se vieni stasera te lo dico.»
«Ma… ma abbiamo un esame di stato da preparare, non dovremmo andare a zonzo e…»
«Vuoi sapere cosa è successo ieri sera o no?»
Daniele contò i respiri che ci vollero alla rappresentante d’istituto per giungere finalmente alla sua decisione e gli parvero un’infinità.
«D’accordo.» rispose infine la ragazza con voce sommessa.
Poi mise subito giù, senza aspettare un congedo e sospirò. Sperava vivamente che la sera prima non fosse successo ciò che temeva.
«Vera! – la chiamò una voce alle sue spalle, distogliendola dai suoi pensieri – Che ci fai ancora davanti alla scuola?»
«Niente, professore, me ne stavo andando. Arrivederci.» disse la ragazza salutando il professor Secchi e avviandosi verso casa.
«Arrivederci e complimenti per la festa di ieri sera: siete riusciti a non combinare danni.»
«Ehm… già, grazie.»
Vera non si sforzò nemmeno di sorridere, ormai era certa del contrario: qualche danno l’aveva sicuramente combinato. Che riguardasse solo lei e la sua vita privata non lo rendeva meno rilevante.
 
Daniele chiuse velocemente la telefonata e mise il cellulare in tasca. Sul volto aveva una smorfia, o forse era un ghigno, o meglio, un sorrisetto compiaciuto. Nella sua mente stava già programmando la serata. Sbuffò per mascherare un risolino, non riusciva a togliersi dalla mente le immagini della sera precedente.
Non riusciva ancora a credere che spingendola nelle braccia della sua (presunta) cotta Vera si sarebbe arrabbiata tanto. D’altra parte la conosceva come la rappresentante d’istituto seria e integerrima, che non mentiva, non sbagliava e, a quanto pareva, non reggeva affatto l’alcol.
Giusto, cosa le avrebbe raccontato quella sera? Non sarebbe riuscito a ripetere alcune delle frasi che gli aveva detto. Decise che avrebbe riportato a grandi linee il momento in cui si era gettata su di lui piangendo e accusandolo di essere un cretino perché non aveva capito che era innamorata di lui. Poteva raccontarle di come l’aveva preso per la maglietta per riuscire a fissarlo negli occhi e chiedergli se fosse vero che aveva un figlio, ma avrebbe taciuto il modo in cui si era offerta esplicitamente a lui dicendogli…
«Guarda dove vai, imbecille!»
Un automobilista decisamente alterato bloccò il flusso dei suoi pensieri e Daniele fu sul punto di ringhiargli contro, ma poi si accorse che stava attraversando col rosso e che era quindi nel torto. Si riprese e si tolse di dosso il sorriso ebete che aveva scoperto di indossare.
Prese il cellulare di tasca e diede un’occhiata all’orario, ma si scoprì a sorridere ancora all’immagine di sfondo.
«Sono proprio un imbecille!» borbottò tra sé, oscurando con un tasto la foto di un albero a primavera.

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