Il giardino delle farfalle

di Mirae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


ANN AM FÌRINN

 

Disclaimer: i personaggi principali della saga di Harry Potter appartengono a J. K. Rowling e alla casa editrice che ne detengono i diritti. Questa storia non è a scopo di lucro, ma è stata scritta unicamente con intenti ludici, al fine di divertire chi l'ha scritta e chi ha voglia di leggerla.


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1.


Il pavimento è in serpentino, una bellissima varietà di marmo verde, come verdi sono anche le pareti: a Hermione sembra di essere tornata bambina, quando i suoi genitori la portavano nelle campagne a nord di Londra a fare qualche scampagnata. Forse, pensò, l’intento dei decoratori del San Mungo è stato proprio quello di evocare ricordi tranquilli nei pazienti in attesa.
Di diverso avviso, invece, sono  Harry e Ron, i quali hanno la sensazione di trovarsi nella Sala Comune di Serpeverde: «Uff, ma quando arriva il nostro turno? Mi sento soffocare in mezzo a tutto questo verde Serpeverde», sbuffa Ron.
«Il Mio turno, Ron, non il nostro. È nel mio sangue che è stata trovata un’anomalia», lo corregge Hermione, spostando lo sguardo verso il fondo del corridoio, per impedire che i suoi amici scorgano la sua preoccupazione, proprio nel momento in cui entra Draco Malfoy, scortato da due Auror.
La ragazza si affretta a girare nuovamente il capo, per evitare che Harry e Ron si notino il nuovo venuto e comincino a litigare.
Troppo tardi.
«Come mai anche lui è qua?» Domanda infatti Ron, vedendolo. «E soprattutto: perché è scortato dagli Auror? Credevo che il Wizengamot si fosse convinto della sua inettitudine durante la guerra», non riusce a trattenersi.
«Forse temono per la sua incolumità: in fondo, ha il Marchio e non tutti sono disposti a perdonargli la giovane età», ipotizza la ragazza.
«Comunque, è strano», conviene Harry.
«No. Basta, Harry. Sul serio: la guerra è finita, Voldemort è morto. Non c’è nessun complotto», Hermione alza gli occhi al cielo.
«Veramente non stavo pensando a nessun complotto: semplicemente trovo sospetto che questa anomalia nel sangue l’abbiano trovata solo a te e a Molfoy», si spiega meglio Harry.
«E chi ti dice che sia qui per il mio stesso motivo?» Chiede Hermione.
«Harry non ha tutti i torti: tu sei stata ferita con un pugnale da Bellatrix e Malferret ha il Marchio. Probabilmente c’è stata una qualche contaminazione e ora tu hai il suo stesso sangue. Ci pensi, Harry, che colpo sarebbe per il Furetto scoprire di avere lo stesso sangue di Hermione?» Ron cerca di scherzare: ha deciso di non rientrare a Hogwarts, ma di aiutare George in negozio e vuole esercitarsi un po’ con l’umorismo.
Hermione, però, non solo non lo trova divertente, ma addirittura non condivide l’analisi: «Siccome lui è stato marchiato un anno e mezzo prima, sarei io ad avere lo stesso suo sangue,  non credi?»
«Condoglianze».
Quando si volta a guardarlo, la mano di Ron si blocca a pochi millimetri dalla spalla di Hermione, spaventato dallo sguardo di fuoco della ragazza: «Hem… sì, insomma, volevo dire… ehm…»
«Niente, Ron, non volevi dirmi niente. Lavanda non è ricoverata nel reparto qui accanto?» Gli chiede lei.
«Sì, infatti, se non ti dispiace, vorrei andare a trovarla. Sempre che non ti dispiaccia, ovvio», salta subito in piedi, felice di levarsi da quell’impiccio.
«No, Ron, tranquillo, non mi dispiace. Vai pure e salutamela», lo rassicura, sorridendogli.
Mentre Ron esce dal reparto, una Guaritrice chiama contemporaneamente Hermione e Draco.
I due ragazzi si guardano con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta, entrambi incapaci di deglutire o anche solo di proferire il minimo monosillabo. L’unico che pare sereno è Harry, che con le mani mima il gesto di tirare un filo.
«Non dire niente, Harry. Non dire niente», lo minaccia a denti stretti Hermione, appena riesce a ritrovare l’uso della parola.
Draco, che le si era avvicinato, la sente e la guarda come se volesse chiederle spiegazioni, ma lei lo blocca: «Non fiatare nemmeno tu».
«Come osi?» La guarda con gli occhi ridotti a due fessure, mentre con una mano le afferra il polso.
«Lasciami immediatamente, o urlo. Non vuoi, vero, che quei due là in fondo ti conducano seduta stante ad Azkaban, vero?» Trova la forza di rivolgergli un sorriso, mentre lo sfida sottovoce.
Lui le lascia immediatamente la presa, mostrandole i palmi aperti e riservandole il suo solito ghigno.
«Allora, credete che il Medimago Dubh abbia tutta la giornata a vostra disposizione?» Li riprende l’infermiera. Così, Hermione entra a testa bassa, mentre Draco fa il suo ingresso a ben eretto, stampandosi in faccia un sorriso come di trionfo.
 
§ § § § § § § § § §
 
«Che cosa c’è?» Daniel abbraccia Jane da dietro, dopo che la donna si è lasciata sfuggire l’ennesimo sospiro.
«Niente… è solo che…», si gira verso il marito, senza terminare la frase.
Daniel le toglie di mano il grosso coltello con cui stava affettando l’arrosto: «È solo che?» la invoglia a continuare.
«Mi stavo chiedendo dov’è lui adesso, com’è diventato, e se noi ci troveremmo qua ora».
Daniel giunge le mani davanti alla bocca: sono le stesse domande che si è posto anche lui, quando Hermione era andata a cercarli per ridare loro la memoria.
«Jane, il suo corpo non è mai stato ritrovato, come non è mai stata trovata quella donna di cui la polizia sospettava sin dall’inizio. È molto probabile che…»
«NO! Non osare dire quella parola. Nostro figlio è ancora vivo, da qualche parte. Tra due mesi compirà diciannove anni e lo festeggerà con gli amici e la fidanzatina», cerca di convincersi. «Chissà se ha i capelli castani, o è biondo come tua madre? Se è alto come te, o basso come me? Chissà se anche lui ha sangue magico o invece è un semplice Babbano come noi?» Si domanda la donna, mentre riprende ad affettare la carne. Questa volta, è il turno di Daniel sospirare.
Poco dopo, i padroni di casa entrano nella sala da pranzo sorridendo, Jane col vassoio dell’arrosto in mano e Daniel una bottiglia di Hyland Syrah.
«Siete proprio convinti di tornare in Inghilterra?» Chiede loro Darcy Kelly.
«In realtà, è solo una vacanza: abbiamo lavorato duramente quest’anno e Daniel e io sentiamo proprio il bisogno di tornare a casa, da nostra figlia», si intromette Jane.
«Ero convinta che non potevate avere figli», controbatte Alisha.
«Infatti, il parto dei gemelli è stato pieno di complicanze, tanto che il mio ginecologo mi sconsigliato di avere altri figli», confessa Jane, porgendo agli ospiti l’arrosto.
«Come mai non sono venuti con voi in Australia?» Chiede ancora la donna, prendendo due fette.
«Stanno studiando in un collegio esclusivo in Scozia, e poi dovevano prepararsi per il college», gli informa Daniel, mantenendo un tono neutro.
«Non ci sono loro foto», continua Alisha.
«Non abbiamo bisogno di foto, per ricordare come sono fatti i nostri figli», controbatte Jane: come avevano fatto a diventare soci di simili elementi? Possibile che l’incantesimo di Hermione aveva fritto loro così tanto il cervello da renderli incapaci di valutare correttamente il carattere delle persone?
«Io invece non riuscirei a stare lontano così tanto dai miei figli: devo avere sempre sotto gli occhi la loro immagine», ammette Alisha.
«Certo, tesoro, tu sei dipendente dalle foto!» Scherza Darcy, strappando un sorriso anche a Daniel e Jane.
«Comunque, sono curiosa, lo sapete: come si chiamano i vostri figli?»
«Hermione e Dorian», soffia Jane.
«Dorian come il personaggio di Oscar Wilde?» Chiede Darcy.
«Esatto. Mia moglie è appassionata di letteratura e teatro, così ha deciso di chiamare la bambina come l’eroina della tragedia greca e il maschietto come l’omonimo psicopatico», scherza Daniel, alzando il calice di vino alla moglie.
«Psicopatico… Il nostro Dorian non è così vanitoso», lo corregge la moglie.
«Per fortuna», asserisce Daniel.
 
§ § § § § § § § § §
 
Con molta buona volontà, nonostante Lucius sia ancora agli arresti domiciliari, Narcissa sta riportando Malfoy Manor agli antichi splendori, anche se la presenza di Lord Voldemort si fa ancora sentire in alcune stanze, ma quello, ora, è solo l’ultimo dei problemi dei coniugi.
«Che cosa pensi di fare, Lucius, se la verità verrà a galla?» Gli chiede Narcissa, senza guardarlo in faccia, ma osservando i pavoni nel parco.
«Non so di quale verità stai parlando. Durante la guerra eravamo praticamente prigionieri in casa nostra e io ero senza bacchetta. Inoltre, tu hai mentito all’Oscuro e Draco si è addirittura rifiutato di riconoscere quei tre cretini quando si sono fatti beccare come dei deficienti», le risponde, con tono piatto.
«Non ti ricordavo così volgare», Narcissa si volta a guardarlo: è seduto sulla sua poltrona preferita, vicino all’enorme camino spento, sulla cui cappa campeggia il monogramma di famiglia.
«È la vicinanza con quella gentaglia che adesso frequenta il Wizengamot», si giustifica lui, con un’alzata di spalle.
«Comunque, non hai risposto ala mia domanda», torna a voltargli le spalle.
«Io ti ho risposto», controbatte, «sei tu che non hai risposto a me».
Narcissa fa scorrere la mano destra sulla tenda verde, poi stringe un angolo: «Sai perfettamente a che cosa mi riferendo».
«Non c’è alcun bisogno di rinvangare quell’episodio», le risponde con tono gelido.
«Hanno trovato un’anomalia nel sangue di Draco e oggi dovevano rifargli gli esami».
«Ha il Marchio Nero: il mio Legismago dirà che è stato quell’incantesimo a creare l’anomalia. Inoltre, ho ancora amici nel Wizengamot».
«Non è l’unico ad averlo ricevuto, ma è l’unico a cui è stato chiesto di rifare gli accertamenti clinici».
«Come ti ho appena detto, Cissy, ho amici potenti e leali nel Wizengamot: noi dobbiamo solo mostrarci sereni. E né Draco, né nessun altro scopriranno mai nulla».
«Vorrei avere la tua stessa tranquillità, Lucius», si volta verso di lui, senza sorridere e continuando a stringere la tenda.
«Essere un Malfoy ha i suoi pregi. Come essere una Black ha i suoi difetti», la deride bonariamente il marito.
Narcissa torna a osservare il paesaggio del Wiltshire, senza degnarlo di una risposta: una volta, prima del ritorno di Lord Voldemort, quelle piccole schermaglie erano quasi all’ordine del giorno tra lei e il marito, ma ora non riesce a godersele, come a quei tempi.
Un plop la fa voltare: «Signori padroni, Marè è venuto ad annunciare la visita del Ministro della Magia».
I padroni di casa si scambiano uno sguardo, senza parlare, poi Lucius prende la parola: «Fallo accomodare nella Sala Verde».
Quando l’elfo scompare, Lucius intima a Narcissa di ricomporsi, poi, prendendola sottobraccio, esce dallo studio.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2.

                Villa Vaughn non è al centro del parco come Malfoy Manor, ma è situata in un angolo piuttosto lontano dall’ingresso, nascosta da alti platani centenari: si racconta, che uno di essi, quello che con la chioma fa ombra alla camera da letto di Blaise sia stato piantato dal capostipite, un certo Barthemius. Draco si è sempre chiesto perché la madre del suo amico cambiasse dimora con la stessa frequenza con cui cambiava mariti, dal momento che la leggenda voleva discendesse da Mordred, il figlio illegittimo di Morgana e Artù e quindi proprietaria di uno dei castelli più protetti di tutto il Mondo Magico: forse, si era risposto una volta, si trattava veramente di una leggenda, dal momento che lo stesso Blaise era restio a parlare dei suoi antenati materni. Certo, ora gli farebbe veramente comodo che l’ascendenza dell’amico fosse reale e che quel castello esistesse veramente: in quel modo, potrebbe nascondersi lì, fino al termine di quella storia assurda.
«Ehi, amico», lo saluta Blaise, in attesa in cima allo scalone esterno.
«Lady Vaughn. Blaise», li saluta Draco. Non c’è sir Vaughn, ma lui non si sarebbe mai abbassato a salutare un Mangiamorte, pensa il ragazzo. È assente anche Lord Annwyn, lo zio materno di Blaise, forse impegnato in qualche processo al Wizengamot.
«Draco, sono contenta di vederti. Come stai?» Lady Avalon Vaughn, già vedova Zabini, accetta il baciamano da parte del biondo, riservando solo un fugace sguardo ai due Auror di scorta.
«Se non fosse per tutto questo, direi benissimo, mia Signora».
«Sono sicura che la situazione si sistemerà molto presto. Ti ho fatto preparare la camera accanto a quella di Blaise, mentre i tuoi accompagnatori possono sistemarsi nella dependance. Se volete attendere qui, vi mando subito un elfo per accompagnarvi nella vostra nuova sistemazione, signori», li liquida la donna.
«Non c’è bisogno che si disturbi, milady», prende la parola il più anziano, «al giovane Malfoy è stata ristabilita la Traccia, quindi la nostra presenza è del tutto irrilevante».
Draco stringe i pugni, mentre digrigna i denti: non solo potrebbe essere affetto da una malattia potenzialmente mortale, ma addirittura, anziché preoccuparsi di trovare una cura, i togati del Wizengamot hanno ben pensato di umiliarlo allontanandolo dalla famiglia e affibbiargli la Traccia, neanche fosse ancora sotto processo.
«Come preferite, signori. Per smaterializzarvi, dovete uscire dalla proprietà. Nano!», chiama un elfo e questo appare subito, vestito con una livrea blu, «Accompagna i signori all’uscita affinché possano smaterializzarsi senza problemi».
Rimasti soli nella sua nuova camera, Draco si butta sul letto: «Non capisco perché non mi abbiano trattenuto al San Mungo: sono malato, dovrei stare in ospedale».
Il copriletto è verde, come anche il baldacchino, ma alle pareti si rincorre lo stemma della famiglia Vaughn: un Petardo Cinese in campo bianco e verde. Che cosa ci faccia un drago asiatico sullo stemma di una delle più antiche famiglie magiche gallesi, Blaise se l’è sempre chiesto.
«Preferiresti essere attorniato da Medimaghi sconosciuti, anziché stare in compagnia del tuo migliore amico? Beh, però hai ragione: almeno lì, saresti stato in camera con la Granger e io avrei avuto modo di farle compagnia», lo punzecchia lui.
«Grazie tante, eh! Preferisci la compagnia di una Natababbana alla mia?» Si infastidisce Draco, senza muovere un solo muscolo del suo corpo.
«I suoi attributi sono più interessanti dei tuoi», continua a scherzare Blaise.
«I suoi attributi sono di esclusiva proprietà della Donnola, Blaise. Mettiti il cuore in pace e non mi ammorbare più con questa storia che ti piace quella lì». Questa volta, Draco si degna di mettersi seduto e guardarlo in faccia.
«Hermione non è una ragazza che si accontenta di essere proprietà esclusiva», gli fa notare il moro, equivocando la frase dell’amico.
«Non mi è mai parsa una ragazza che amasse essere condivisa».
«Non intendevo quello, Draco: volevo dire che gli oggetti possono essere di proprietà esclusiva di qualcuno e da come ho capito il suo carattere, dubito si ritenga tale. Ergo, in questi mesi la conquisterò», gli sorride.
«Auguri amico. Lei è innamorata cotta di quel pezzente e se ho compreso  bene anch’io il suo carattere, dubito fortemente che ti degnerà di un solo sguardo. Inoltre, secondo la leggenda, tu discendi nientepopodimeno che da Morgana e Artù e dubito che tua madre e tuo zio ti lasceranno fidanzare con una Natababbana senza arte né parte», chiosa Draco, giocherellando con la sua bacchetta.
«Dimentichi una cosa: Hermione è un’eroina di guerra e sarebbe la moglie perfetta per aumentare l’importanza del seggio al Wizengamot di mio zio. E smettila di far roteare la bacchetta, che mi stai facendo venire il capogiro!»
Senza darsi pena di interrompere il suo giochino, Draco lo contraddice: «Davvero pensi che basterebbe questo perché tuo zio e tua madre ignorino la linea di sangue?» Lo spinge a una riflessione, ma il moro gli risponde con un sorriso in cui, non solo i denti risaltano sul suo volto scuro, ma anche gli occhi gli brillano: «Tu non li conosci, Draco».
«Se lo dici tu…». Finalmente il ragazzo interrompe il suo giochino e si lascia di nuovo cadere a peso morto sul letto.
«Ti lascio riposare».
Mentre Blaise esce, Draco mormora sottovoce: «Non sono stanco» e si avvicina alla parete, per esaminare le losanghe: «Un Petardo Cinese in Galles? Bah!»

 
§ § § § § § § § § §
 
Villa Conchiglia è come se la ricordava. Anche la giornata è soleggiata come quella di qualche mese prima, quando lei, Harry e Ron furono costretti a cercarvi un riparo. Il vento che le scompiglia i capelli, gonfiandoli più di quanto non sia necessario, le fa anche arrivare al naso l’odore salmastro dell’Oceano Atlantico. Mentre gli Auror che l’hanno accompagnata bussano alla porta, chiude per un attimo gli occhi, inspirando a pieni polmoni e rivivendo il funerale di Dobby.
Le dispiace per il disagio che il suo arrivo può comportare a Bill e Fleur, ma è anche sollevata di non avere sempre intorno Ron.
«Hermione, finalmente!», la abbraccia Bill, «Ron stava impazzendo ad aspettarti. E stava facendo impazzire pure noi», le strizza l’occhio.
Hermione deglutisce a vuoto, mentre passa davanti ai tre uomini per entrare nel piccolo vestibolo: «Ron… è qui?»
«Sì, non voleva lasciarti da sola in questi giorni. Ha pregato mamma di lasciarlo venire qua, con la promessa che avreste dormito in camere separate, però non devi preoccuparti», si affretta a specificare Bill, «Fleur ha preparato solo una camera e in caso di arrivo improvviso di nostra madre uno di noi verrà ad avvisarvi subito».
La diagnosi ricevuta poche ore prima al San Mungo, quasi in contemporanea con la decisione espressa dal Wizengamot l’hanno spossata, tanto che fa fatica a comprendere appieno la frase dell’amico. Poi, pochi secondi prima di entrare in salotto, un’illuminazione: «Che cosa significa che Fleur ha preparato una sola camera?» gli domanda con un filo di voce, voltandosi appena a guardarlo.
«Che né io, né mia moglie vogliamo contrastarvi, tanto siete entrambi maggiorenni», le conferma l’uomo.
«Capisco… Ecco, io non vorrei darvi troppo pensiero, ma la diagnosi che hanno fatto all’ospedale non è molto chiara, però non potrei mai perdonarmi se dovessi contagiare anche Ron. È già successo con Malfoy…», cerca di spiegarsi, gesticolando e senza dar segno di voler entrare nella stanza, dove teme che assieme a Fleur ci sia il suo... Che cosa, per la precisione? Quasi ex fidanzato? Aspirante molestatore?
«Non credo ci sia questo pericolo, altrimenti ti avrebbero trattenuto in ospedale, però se non vuoi condividere la stanza con mio fratello lo capisco benissimo: è sempre stato uno zuccone e ha sempre avuto pessimi gusti in fatto di don… Cioè, volevo dire… mi riferisco al fatto che non riesce a togliersi dalla testa lavanda Brown».
Hermione scoppia in una risata liberatoria (o forse è quello che si illude di credere): «Tranquillo, Bill, ho capito benissimo che cosa intendevi».
«Oh, bene, temevo di averti offesa. Comunque, Hermione», la trattiene per un braccio, ché la ragazza aveva accennato a un passo verso il salotto, «non devi cercare di essere gentile a tutti i costi con tutti. A volto, un bel cazzotto in faccia è molto più utile di mille parole».
«Bill! D’accordo», gli ricambia l’occhiolino, «farò tesoro del tuo suggerimento».
Come aveva previsto, nel salotto, trova ad attenderla Ron e Fleur che sta appoggiando sul tavolo tazze e teiera. Ovviamente, non potevano mancare i cream tea e i macarons.
«Hermione, finalmente!» Ron le corre incontro e la stritola in un abbraccio del tutto simile a quello di sua madre.
«Ciao, Ron, come sta Lavanda?» Gli chiede a bruciapelo lei.
«Mentre ti riposi un po’, vado a prepararti la camera», Fleur comprende subito il disagio della ragazza e passando davanti al marito gli scocca un’occhiata in tralice, alla quale lui risponde con un’alzata di spalle: come poteva immaginare che le cose non stavano esattamente come gli aveva raccontato il fratello minore? «Prego, signori, favorite anche voi», si rivolge ai due Auror che avevo scortato la ragazza sin dentro l’abitazione.
«No, grazie signora, noi dobbiamo andare», si congedano.
«Ma Fleur, non ce n’è bisogno: io e Hermione possiamo benissimo dormire assieme», cerca di trattenerla Ron.
«Non ti vergogni nei confronti di Lavanda? Come pensi che reagirebbe se venisse a saperlo? Inoltre, io sono malata», lo contraddice Hermione, mentre Bill si avvicina al tavolo con l’intenzione di prendere uno scone e assaporarlo sul divano, divertito da quello scambio di battute.
«Ma Lavanda è ancora al San Mungo, non verrebbe mai a saperlo, e poi la tua malattia non è niente di grave, altrimenti, ti avrebbero trattenuto lì», ragiona il ragazzo.
«Grave o meno, sono malata, quindi ho bisogno di riposo assoluto. E poi, dimmi che ho frainteso le tue intenzioni, Ronald Bilius Weasley!»
«E io come faccio a sapere se le hai fraintese o meno le mie intenzioni?»
«Morgana, ti prego, dammi la forza di trattenermi», invoca a occhi chiusi Hermione.
«Perché ti riferisci a Morgana e non a Godric?», chiede in modo forse troppo candido Ron.
Hermione agguanta un dolce e lo infila tutto in bocca, sedendosi sul divano accanto a Bill con la grazia di una mandria di Doxy.
«Ma che ho detto?» Chiede ancora Ron, evitando di avvicinarsi all’amica.
Bill, cercando di distendere l’atmosfera le chiede se è stata informata dell’audizione al Wizengamot.
Fregandosene di sputare a destra e a sinistra le briciole, Hermione biascica che sì, è a conoscenza del fatto che dovrà presentarsi al Ministero fra tre giorni, nella stessa udienza di Malfoy e che a essere sincera non ne capisce il motivo. Al San Mungo le hanno detto che ha una malattia rara di cui stanno cercando una cura, ma allora perché deve presentarsi davanti i Saggi e non più in ospedale? Che cosa le stanno nascondendo?
«Pe le toppe del Cappello Parlante, Hermione!», si scandalizza Ron, «vedere il tuo cibo masticato non rientra tra le mie aspirazioni. Non mi dirai che credi veramente a un complotto? Va beh che c’entra Malfoy, ma, insomma, Malfoy è solo Malfoy! Magari si tratta di una cura così segreta che hanno paura che Malfoy possa rubargliela».
«Se Malfoy è solo Malfoy, non vedo perché dovrebbero aver paura che gli rubi una pozione».
«Io mi riferivo a suo padre».
«Mi è venuto mal di testa. Vado a distendermi».
Hermione si alza dal divano con più grazia di come vi si era seduta, ma esce dalla stanza a passo sostenuto con le braccia lungo i fianchi che terminano con i pugni ben stretti.
«Ron! Potresti accompagnarmi sulla scogliera, per favore?», Bill lo richiama, impedendogli di seguire la ragazza. 


 
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Salve a tutt*. Vorrei ringraziare tutt* coloro che stanno leggendo questa nuova fanfic, anche se in silenzio, in particolare ringrazio roby90 per aver inserito la storia tra le seguite.
Per gli aggiornamenti, questa è la mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/TheMiraesDream/

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 
Quella notte a Sydney fa veramente freddo, tanto che in casa  Wilkins il riscaldamento è acceso. All’improvviso, il campanello fa sobbalzare nel letto i due coniugi.
«Spero non sia uno scherzo, o giuro su quant’è vero che esiste il Polo Nord che rispolvero il mio porto d’armi», Daniel scosta di mala voglia il piumone e indossa una giacca da camera bordeaux, prima di dirigersi verso l’ingresso. Anche Jane indossa una pesante vestaglia sopra la camicia da notte e lo segue.
«Chi è?»
«I signori Granger?» Chiede una voce rauca.
Daniel non risponde subito: dopo che Hermione aveva ridato loro la memoria, assieme alla moglie aveva deciso di mantenere il cognome fittizio, almeno finché non sarebbero tornati in Inghilterra, quindi chi poteva conoscere il loro vero cognome?
«Sì…», risponde alla fine, deglutendo.
«Siamo gli Auror Ryen e Lae del Dipartimento di Sydney. Dovremmo parlare con lei e sua moglie, per favore», si presentano.
Il primo pensiero che si presenta nella mente è che possa essere successo qualcosa alla loro Hermione, così, con le mani tremanti, schiaccia il pulsante che permette al portoncino in ferro bianco di aprirsi.
Appena entrati, i due Auror si tolgono il pesante mantello in pelle di canguro, mentre Jane va in cucina a preparare un tè caldo.
Daniel li fa accomodare nel salotto: alle pareti bianche sono appesi alcuni quadri etnici, mentre i divani di pelle nera spiccano sui tappeti rossi.
«Bella casa», comincia Lae.
«Grazie. A mia moglie piace lo stile etnico, mentre io preferisco qualcosa di più moderno», afferma Daniel, cercando di mettere a proprio agio gli ospiti, anche se preme per sapere quale motivo ha spinto due maghi a suonare alla loro casa alle due di notte, ma si rende conto che non è un argomento da toccare senza la presenza di Jane.
«La capisco. Anche mia moglie riempirebbe casa nostra di quante più suppellettili possibili», interviene Ryen.
«Eccomi, spero che il tè sia di vostro gradimento», sopraggiunge Jane.
«Grazie, è proprio quello che ci vuole con questo freddo. I turisti che arrivano dall’altra parte del mondo, non si rendono conto che anche qui da noi le temperature possano non essere sempre miti», conviene ancora Ryen.
«In effetti, è stata una sorpresa per noi, quando siamo arrivati, l’anno scorso a giugno», afferma Jane.
«Spero che nel frattempo vi siate ambientati», dice Lae.
«Sì, siamo stati fortunati nel trovare molta ospitalità, ma è la prima volta che il comitato di benvenuto viene di notte»: Daniel cerca di scoprire il motivo della visita.
Ryen appoggia la tazza sul piattino e tira fuori una magifoto: il volto di un mago biondo sorride beffardo al Babbano.
Daniel guarda l’immagine e poi la passa alla moglie: «Sinceramente, signori, non capisco. Chi è il ragazzo in foto?»
«Nel Mondo Magico inglese è conosciuto come Draco Malfoy, ultimo erede in vita di una delle più importanti famiglie magiche», asserisce Lae.
«Non capisco. C’entra con Hermione? Le ha fatto qualcosa?» Chiede Jane, posando sul tavolino di cristallo la magifoto, quasi iperventilando.
«Se abbia fatto qualcosa a vostra figlia, ci dispiace, ma il Ministero inglese non ci ha informato. Quello che ci hanno detto però coinvolge sia lei che voi», le risponde sempre Lae.
«In che modo?» Anni di pratica odontoiatrica hanno insegnato a Daniel a mantenersi calmo sempre, indipendentemente dalla situazione, eppure, ora, è un fascio di nervi, anche se l’unica cosa che lo tradisce è il continuo aprirsi e chiudersi dei suoi pugni, appoggiati sulle ginocchia.
«Dopo l’ultima guerra che ha sconvolto il Mondo Magico inglese, il ministro in pectore ha deciso di avviare un controllo clinico a tappeto su tutti i sopravvissuti. Ecco, durante questo controllo è emerso che sia vostra figlia che il signor Malfoy hanno lo stesso tipo di sangue, non riconducibile alla semplice presenza della magia», cerca di spiegare Ryen.
Jane trattiene il respiro, portandosi un pugno alla bocca e stringendo con l’altro un lembo della vestaglia, all’altezza del ginocchio: «Daniel…»
«Esattamente, che cosa significa questo, signori?» Chiede l’uomo, il cuore a mille.
«Da un’ulteriore verifica, pare che sia emerso un legame di parentela tra i due ragazzi. Ora, dalle note biografiche di vostra figlia, pare abbiate avuto due gemelli il 19 settembre 1979, ma il maschietto risulta rapito pochi giorni dopo, e mai più ritrovato. È corretto?» Li informa Lae.
«Sì, esatto. Pensate sia lui, giusto?» Daniel non osa porre quella domanda a voce alta.
«L’incantesimo effettuato non lascia dubbi al riguardo», lo rassicurano i due uomini.
«Perché Hermione non ci ha detto nulla?» Si insospettisce Jane.
«I due ragazzi non sanno di questo loro legame: sono solo a conoscenza di una non meglio specificata anomalia del sangue. Si tratta di due adolescenti sopravvissuti a qualcosa di molto più grande di loro: i Medimaghi temevano una loro possibile reazione a una verità così sconvolgente», afferma Lae.
«Tra lo scoprire di avere una sorella e credere di avere chissà quale malattia, io non avrei dubbi su che cosa preferire», borbotta Daniel, mentre lacrime di felicità cominciano a scorrere sul viso di Jane.
«Non è così semplice, purtroppo: i due ragazzi sono cresciuti secondo valori opposti e quindi necessitano di essere preparati adeguatamente. Nel frattempo, il Ministero inglese ha ritenuto fosse meglio informarvi il prima possibile». L’Auror Anziano Ryen allunga al padrone di casa due biglietti aerei per Londra con la partenza indicata per le ore 16 di quello stesso pomeriggio.

 
§ § § § § § § § § §
 
Da quell’inetto di Vaughn se lo era aspettato, ma mai avrebbe immaginato che Lord Annwyn, da sempre il suo referente al Ministero, sarebbe entrato nell’Aula del Wizengamot passandogli a pochi centimetri senza neanche degnarlo di uno sguardo: e dire che fino a poco prima della guerra, tutti i Saggi lo consultavano, prima di un’udienza. Facile calpestare il corpo di un nemico a terra, ma lui non era morto: si sarebbe risollevato e avrebbe riso in faccia a tutti quei parrucconi.
«Signor Malfoy, le stavo suggerendo…», il Legismago richiama la sua attenzione.
«Sì, ho compreso la sua strategia, che non è la mia», controbatte Lucius, squadrandolo dall’alto in basso.
«Forse non ha ben compreso, SIGNOR Malfoy che i tempi di LORD Malfoy sono finiti», lo redarguisce, calcando sui titoli.
«Questo è tutto da vedere», borbotta Lucius.
L’usciere che annuncia l’inizio della seduta impedisce al Legismago di rispondere a tono al suo cliente.
«Legismago Herni, come si pronuncia il suo cliente?» È la prima domanda del Ministro della Magia.
«Colpevole, signor Ministro. Per questo, il signor Lucius Malfoy si appella alla clemenza del Wizengamot».
Un brusio attraversa gli spalti dove siedono i Saggi, che si interrompe quando Lord Annwyn si alza in piedi: «Esattamente, Lord Malfoy», gli riserva il vecchio titolo, quasi a scusarmi per il comportamento di poco prima, «come pensa di ottenere clemenza per il suo crimine?»
«Io non ho commesso nessun crimine, Lord Voldemort aveva minacciato mia moglie e mio figlio», sottolinea.
«Quando dice “figlio” intende il mago conosciuto come Draco Malfoy?» Gli domanda un altro Saggio.
«A questa domanda ho già risposto agli Auror», risponde serafico il biondo.
«Le ricordo, Lord Malfoy, che essendosi appellato alla clemenza di questa Corte, si è impegnato a rispondere con la massima sincerità a tutte le domande che i Saggi le sottoporranno», gli ricorda il Ministro della Magia.
«In questi ultimi giorni il mio cliente è stato sottoposto a un forte stress, per questo a volte può apparire leggermente insolente», interviene il Legismago Herni.
«Resta il fatto che non ha risposto a una domanda postagli dal Wizengamot», continua Shacklebolt.
«Signor Malfoy, le cose per lei si stanno mettendo male: credo le convenga mettere da parte la sua aria insolente», gli sussurra all’orecchio il suo difensore.
«Si stanno mettendo male grazia alla sua inettitudine», gli risponde, sempre sottovoce Lucius, ma guardando negli occhi il Ministro.
«Sì», risponde infine a voce alta, «mio figlio è Draco Lucius Malfoy».
«Dai documenti pervenutaci dal San Mungo, risulta che il mago conosciuto come Draco Lucius Malfoy non appartiene alla sua famiglia», interviene Lord Vaughn.
«Come tutti voi sapete, gli Alberi Genealogici non mentono: se non fosse veramente mio figlio, il suo nome non sarebbe mai comparso sull’Arazzo. E invece…», lascia la frase in sospeso, accompagnandola con il suo solito sorriso supponente.
«E invece…», lo incalza il Ministro.
«Invece, la sera del 5 giugno sull’arazzo di famiglia è apparso un ramoscello col nome che io e mia moglie avevamo scelto per lui», ghigna soddisfatto, sedendosi.
«Quello che ha detto in effetti combacia con quanto afferma il Medimago Zed…», borbotta Kingsley, sfogliando alcuni documenti.
Lucius non gli dà tempo di terminare la frase: «Quindi, conviene anche lei, Ministro che io sono innocente e che il Wizengamot mi ha assegnato un Legismago incompetente solo per sbattermi ad Azkaban per un motivo alquanto… futile».
«Io non definirei un rapimento… futile», Kingsley sottolinea lo stesso termine usato dall’imputato, mentre osserva la carnagione di Herni diventare rapidamente color gambero arrostito.
«Di quale rapimento sta parlando, Ministro? Lo ha constatato anche lei che il mio racconto collima perfettamente col resoconto dei suo Medimaghi».
«Primo: i Medimaghi che lavorano al San Mungo sono professionisti seri che non sono di proprietà di nessuno, se non di essi stessi, quindi, men che meno sono “miei”», lo redarguisce Kingsley, con voce roca. «Secondo: come sanno tutti i maghi, quindi presumibilmente anche lei, il ramoscello non appare il giorno della nascita, bensì si dipana dai due rami che appartengono ai genitori nel momento stesso del concepimento. Alla luce di ciò, mi pare evidente che la sera del 5 giugno lei abbia rapito un neonato e gli abbia dato il suo nome. Ora, la mia domanda è: “Perché proprio un Natobabbano? La purezza del sangue non è forse tutto per i Malfoy e i Black?»
«Che cosa c’entrano adesso i Black?» Lucius parte in attacco, grato che il Ministro, senza rendersene conto, gli abbia appena offerto un’occasione per non rispondere.
«Sua moglie non è forse una Black? Lady Narcissa Black sposata con Lucius Abaxas Malfoy il 26 agosto 1975, risulta sull’atto di matrimonio in mio possesso: è corretto?» Lo interroga il Ministro.
«Sì, è corretto, ma non vedo che cosa c’entri», Lucius comincia a tentennare.
«Se il mago conosciuto come Draco Lucius Malfoy è veramente vostro figlio, è evidente che sia stato lei a partorirlo, quindi in questa faccenda Lady Narcissa Black in Malfoy c’entra, eccome! Allo stesso modo, se il mago conosciuto come Draco Lucius Malfoy è in realtà Dorian Albert Granger, come si evince dai documenti del San Mungo, lei è complice del rapimento, quindi, anche in questo caso c’entra perfettamente», gli spiega, calmo, Kingsley.
«È pregato di lasciare mia moglie fuori da questa storia, Ministro», afferma a denti stretti Lucius: le sue labbra quasi non si muovono mentre pronuncia queste parole.
«Quindi ammette di aver rapito un neonato Natobabbano e aver fatto uso di magia oscura perché apparisse il germoglio sull’Arazzo di famiglia?» Domanda un Saggio del Wizengamot.
«Nessun uso di magia oscura», controbatte Lucius.
«Però non nega il rapimento», interviene ancora una volta Kingsley.

 

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Come sempre, ringrazio tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra le seguite/preferite/ricordate e che lasciano un segno del loro passaggio, come anche chi preferisce leggere in silenzio.

RIcordo che questo racconto, oltre a essere ambientato nel magico mondo creato da J. K. Rowling, è anche liberamente ispirato al capolavoro di Dot Hutchinson ("Il giardino delle farfalle", appunto), di cui tra qualche mese dovrebbe uscire il seguito.
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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

            Lord Vaughn è un uomo basso, col pizzetto e una tendenza alla pinguedine che si è accentuata negli ultimi anni. Durante l’ascesa di Lord Voldemort aveva ben pensato di mantenersi neutrale, come molti suoi pari del resto, confidando nel fatto che nessuno, men che meno il Mezzosangue di nero vestito, osasse toccare il marito dell’ultima erede di Morgana e Artù. Di fatto, era stato così, anche grazie alle pozioni che uscivano dalle sue serre: il Narcissus Distillate è una droga che annebbia talmente il cervello di chi la ingerisce da spingerlo al suicidio, ma ha un difetto. In caso di un’alta concentrazione di suicidi in un certo periodo di tempo, le autorità potrebbero insospettirsi e aprire un’indagine: la potente magia degli Auror e dei Medimaghi del San Mungo è in grado di rilevare la sua presenza nel corpo del cadavere, indipendentemente dal grado di decomposizione. Probabilmente, ciò è dovuto al fatto che prima di raggiungere le terminazioni nervose del cervello, il principio attivo della pozione, l’Apharthotlus, si insedia nel midollo delle ossa. Lord Vaughn, invece, è riuscito a ricavare un altro principio attivo dalla pianta, molto più letale: il Rhubrum Chlorophyll, in grado di raggiungere direttamente le terminazioni nervose senza annidarsi nelle ossa, bruciandole. In questo modo, non restava traccia nel corpo, dopo la morte, di qualche sostanza tossica. Soprattutto, è stato abile a mascherare la produzione di questo principio e la sua commercializzazione: a chi verrebbe mai in mente di andare a cercare nei possedimenti oltremare?
A questo sta pensando mentre si rigira tra le mani un calice di Braggot[1], osservando la coltivazione di narcisi che si estende fuori dal suo studio. Portandosi il calice alla bocca, quasi sorride: non gli è sfuggita la figura che in quel momento sta sorvolando il parco su una scopa, inseguita da un’altra persona. Volta le spalle ai due ragazzi e appoggia il bicchiere su uno scaffale della libreria. Questa, dopo un paio di cigolii, si muove, rivelando una scala in pietra.
 
§ § § § § § § § § §
 
Gli era sempre piaciuto volare sulla scopa: solo lui e il vento. E il boccino, nel caso delle partite di Quidditch. E quell’idiota di Potter tra i piedi. Nessun altro pensiero. Appunto, era. Perché in quel momento, mentre sfreccia a qualche centinaia di metri sopra la tenuta Vaghn non riesce a provare nessun piacere dal volo. Troppi pensieri, troppe recriminazioni.
«Draco!» Lo insegue Blaise, preoccupato del suo rientro improvviso dal Ministero e dall’umore più nero del solito. «Draco!» Gli urla ancora, mentre fatica a raggiungerlo. La brusca frenata dell’amico, però, lo trova impreparato e per evitare una collisione, è costretto a virare verso l’alto il manico di scopa, rischiando di perderne il controllo: «Dico, ma sei impazzito a fermarti in quel modo?» Lo aggredisce.
«E tu vorresti continuare a far parte della nostra squadra a Hogwarts?» Gli chiede il biondo, evitando il vero motivo per cui entrambi si trovano a quell’altezza.
«Non cercare di sviarmi. Perché sei rientrato così presto dall’udienza? Che cos’è successo di tanto terribile al Wizengamot?»
Draco sbuffa: «Non ho voglia di parlarne», e si volta per riprendere il suo volo solitario, lasciandosi alle spalle Blaise a cavalcioni della propria scopa, immobile.
Dopo pochi metri, però, si ferma: tanto è inutile farsi schiaffeggiare dal vento, ormai Blaise l’ha provocato e tanto vale parlarne.
«Vuoi sapere che cos’è successo al Wizengamot? Non lo so che cos’è successo! Non lo so! Ma sono sicuro che il tuo caro zietto te l’abbia già raccontato, non è vero, amico?» Carica l’ultima parola con un disprezzo tale che Blaise ricorda riservato soltanto agli epiteti con cui si rivolgeva alla Granger.
«Che cosa avrebbe dovuto raccontarmi mio zio?» Gli domanda.
«Ho solo diciassette anni, ma sono stato pugnalato alle spalle già da tante persone. Solo, mi mancava ancora il mio migliore amico», gli ghigna.
«Non ti ho mai pugnalato alle spalle, lo sai. E mio zio con me non parla mai degli affari del Wizengamot: mi considera uno sperpera patrimoni. Come se avessi avuto modo di sperperare chissà quale capitale», gli fa eco.
Draco sbuffa, forse ha esagerato ad attaccarlo: del resto, ha ragione lui, è l’unico che non l’ha mai lasciato solo.
«Pare che Lucius Malfoy e Narcissa Black siano stati arrestati per rapimento», mormora, mentre le lacrime gli solcano il viso.
«Credevo avessero dimostrato di aver agito come hanno agito perché Voldemort gli stava col fiato sul collo, essendosi insediato a casa vostra». Blaise è sinceramente stupito da quella rivelazione
«No, quel rapimento risale a pochi anni prima della Prima Guerra Magica», gli rivela. «Il bambino rapito sono io», riprende, dopo una breve pausa.
Si può dare un colore al nulla? È forse grigio, come la brughiera in inverno? O forse è nero, come il mantello che è solito usare d’inverno, durante le gite a Hogsmead e che ora è riposto in qualche baule? Eppure, il mantello è qualcosa di tangibile, è pesante, morbido, mentre la nebbia che avvolge la brughiera è impalpabile: tu cerchi di imprigionarla nel tuo pugno, ma quando lo riapri, ti accorgi di avere la mano vuota. E allora perché, in quel momento, Blaise aveva la sensazione che qualcosa di nero, di pesante fosse entrato nella sua testa? Se ne sta immobile, fissando l’amico, ma senza tuttavia vederlo, la bocca semiaperta, le mani che non hanno più la forza di stringere il manico della scopa.
Draco gli risponde con un ghigno: «Se tu sei rimasto così scioccato, pensa me! Secondo i parrucconi del Wizengamot, Lucius mi avrebbe rapito pochi mesi dopo la mia nascita, da una famiglia di Babbani».
Come grazie a un Finitus, Blaise si risveglia dalla trance, scuotendo leggermente la testa e chiudendo e aprendo più volte gli occhi: «Per le mutande di Merlino, Draco, ci ero cascato in pieno!»
Scoppia a ridere, ma Draco lo gela: «Non è una barzelletta»
«Avanti, Draco, come puoi anche solo lontanamente pensare che io creda alla panzana così grossa come quella di Lucius che alleva con amore un Sanguemarcio, dai!»
Senza rispondergli, Draco si volta e dirige la sua scopa verso un punto lontano della tenuta.
«Draco», lo richiama l’amico, con quanto più fiato ha in gola, ma Draco è veloce. E permaloso. E arrogante. «Ma vedi tu che cosa mi tocca fare», brontola, prima di lanciarsi all’inseguimento.
 
§ § § § § § § § § §
 
«Non ci posso credere. È assurdo. È una trovata di Malfoy per salvarsi le chiappette come l’altra volta». Hermione sta girando in circolo nel salotto di Villa Conchiglia, portandosi ogni tanto le mani ai capelli.
«Ehm… Hermione», tenta Ron, non molto convinto di interrompere la sua ex fidanzata, «da quando dici le parolacce? E poi, va beh che Malfoy è Malfoy, ma mi spieghi come si può pensare di salvarsi da Azkaban autoaccusandosi di rapimento?»
Hermione si blocca con le braccia a mezz’aria, in equilibrio con un piede saldo sul tappeto consumato e la gamba sinistra indietro, con solo la punta del piede appoggiata sul tappeto. Ron, però, è certo di vedere gli occhi prendere vita propria e uscire dalle loro orbite per andare a divorarlo.
È solo immaginazione, si disse, mentre scuoteva la testa come un cavallo infastidito dalle mosche. In effetti, pensò Hermione, in quei mesi i capelli gli erano cresciuti parecchio e avevano quasi preso la forma di una criniera: quel pensiero servì a distrarla e a farle piegare leggermente le labbra all’insù. Anche gli occhi, notò Ron tirando un sospiro di sollievo, erano tornati normali.
«Comunque, resta il fatto che, secondo i Medimaghi, io e Draco siamo fratelli».
«Non oso immaginare una sventura peggiore», conviene Ron, per riprendere con la consueta delicatezza di un cucchiaino: «Chissà come ha reagito alla notizia di essere anche lui un Natobabbano: mi sembra di vederlo strapparsi i capelli e i vestiti dalla disperazione di non essere così tanto puro come si vantava di essere», sorride vittorioso.
Hermione, invece, si lascia cadere sul divano come fosse un sacco di carrube lanciato in un angolo di una nave da un marinaio troppo frettoloso per riservarle un qualche riguardo in più: «Ha lasciato il Ministero senza rivolgere la parola a nessuno, a testa bassa. A dire il vero, credo che per lui sarà molto difficile accettare la cosa».
«E per te? Voglio dire, dopo quello che ti ha fatto passare in tutti questi anni, adesso scopri che è tuo fratello ed è pure un Serpeverde: riuscirai a mantenere la freddezza per non avvantaggiarli in un modo o nell’altro?»
Questa volta, Ron, seduto su una poltrona all’altro lato della stanza, non ha le visioni di occhi divoratori, visto che Hermione li ha ridotti a due fessure, ma ha comunque la sensazione che da esse fuoriescano delle lingue di fuoco pronte a incenerirle al prossimo accenno di parola.
«Che cosa vorresti dire? Che sono faziosa? Ho mai facilitato qualcuno che non fosse un mio Compagno di Casa?»
Ron deglutisce a vuoto e, con le mani giunte chiuse in mezzo alle ginocchia, muove la testa a destra e a sinistra il più veloce possibile, cercando di dare nel movimento tutta la forza della convinzione.
A un tratto, però, Hermione pare calmarsi: spalanca gli occhi e gli chiede se per caso con quella sua uscita non le stesse comunicando il proprio rientro a Hogwarts.
Sbalordito da quel cambiamento tanto repentino, Ron non ha la forza di contraddirla.
 
§ § § § § § § § § §
 
Da quanto tempo si trovava lì? La sua vita di prima stava sfuggendo alla sua memoria: i giorni era per tutti Dora e amava calarsi dai dirupi come una farfalla non avevano più il colore azzurro dell’orizzonte e il profumo dei fiori della brughiera o della salsedine dell’oceano, ma erano ormai grigi come la pietra della sua cella e odoravano di muffa e lei non era più Dora, ma Bolina, come testimoniava la farfalla tatuata sopra il seno sinistro, una farfalla con le ali nero-bluastre aperte, come se fosse pronta a spiccare il volo. Come lei, quel giorno…
 
Finalmente la guerra – e il terrore di essere rapita, stuprata, addirittura uccisa – era terminata e quale modo migliore per festeggiare la nuova era se non volare liberi come farfalle? Tra tutti gli insetti, erano le uniche creature a non destarle ripugnanza, anzi: ne era così affascinata che quando alla Wizard Academy di Torino[2] aveva scoperto che un Babbano vissuto molti secoli prima aveva inventato delle ali di stoffa per permettere ai suoi simili di poter volare, aveva approfondito la questione e scoperto le ricerche non si erano fermate con la morte di quel visionario, ma erano proseguite e quel particolare mezzo aveva anche un nome: aliante. Appassionata com’era di Babbanologia e libertà, si era subito immersa in quella nuova esperienza iscrivendosi a una scuola di volo e scoprendo così, che anche i Babbani potevano volare. L’aliante non offriva la stessa libertà di una scopa, o la stessa comodità di un tappeto (quella, per la verità, era difficile da imitare per qualsiasi mago che non fosse mediorientale), però offriva la stessa sensazione di libertà. Lassù, nel cielo, finalmente lei non era più Dora, una strega tra tante, ma una ragazza dal talento innato di saper trovare le migliori correnti ascensionali per volare il più a lungo possibile; non era più un affluente del grande fiume, ma era lei stessa il grande fiume…
Il 4 maggio si era alzata che era ancora buio, nonostante Triwhols[3] non distasse molto dal Roseland Heritage Coast: in dieci minuti l’avrebbe raggiunta, ma voleva sorprendere l’alba in volo.
Non successe.
Quando raggiunse la scogliera, vide la sagoma di una persona seduta che guardava l’orizzonte. Sbuffando si avvicinò: sperava di essere sola, ma sua madre, italiana e solare, le aveva trasmesso il gene della comunicatività, per cui, prima ancora di rendersene conto, le gambe l’avevano avvicinata a quello che aveva scoperto essere un suo coetaneo. Le disse di chiamarsi Artiom e le raccontò di essere uno studente russo in vacanza, che sue grandi passioni erano il mare e la letteratura ottocentesca inglese e che ammirava molto sir Francis Drake. Da parte sua, Dora gli raccontò la storia del suo nome, della sua passione per le farfalle e il volo; neppure per un attimo si soffermò sulla totale assenza di accenti stranieri.
A un certo punto, il ragazzo le offrì una sigaretta, ma dopo un paio di tiri, la testa cominciò a girarle: «Questa roba è davvero forte… Non sarà mica una canna?» Gli chiese.
L’altro scoppiò a ridere: «No, stai tranquilla, è solo semplice tabacco. È solo una questione di abitudine. Vedrai, tra un paio di tiri non ti sembrerà nemmeno di stare fumando», le accarezzò una guancia.
Dora aveva già allungato il braccio destro per restituirgliela, ma Artiom, invece di riprendersi la sigaretta, le accarezzò una guancia, incatenando il proprio sguardo in quello della ragazza. Istintivamente, Dora piegò la testa di lato, appoggiandola sulla mano calda, come un cagnolino in cerca di coccole.
«Continua a fumare, tranquilla», le sussurrò, accompagnando con il braccio libero quello di Dora, fino a rimetterle in bocca la cicca.
«Così, da brava», la invogliava, mentre Dora spinta dalla voce carezzevole di Artiom inspirava in modo sempre più profondo e l’orizzonte spariva dietro le volute di fumo grigio.
Si svegliò con un gran mal di testa, su un letto che subito non riconobbe come il suo: le ci vollero cinque minuti abbondanti per mettere a fuoco le pareti di pietra grigia che trasudavano umidità e muffa, eppure quel materasso era così morbido… Cercò di sollevare la testa, ma un dolore lancinante alla nuca le fece emettere un gemito. Chiuse di nuovo gli occhi, riaddormentandosi.
Quando si risvegliò (quante ore dopo?) il mal di testa aveva lasciato il posto a un senso più generale di spossatezza. Questa volta riuscì a rimettersi seduta: le pareti di pietra erano ancora lì, segno che prima non stava sognando: qualcuno l’aveva rapita, ma chi e perché? Come a leggerle nel pensiero, una voce di uomo risuonò in quella cella: «Finalmente ti sei svegliata. Sei una gran dormigliona, sai? La voce era uguale a quella di Artiom; possibile che…
Udì dei passi alla sua sinistra e voltò di scatto il capo verso quella direzione: un’ombra si stava avvicinando, rivelando man mano i dettagli.
«Artiom?» L’inflessione stupita della sua voce strappò un sorriso al ragazzo, nella mano destra una sigaretta: le volute del fumo catturarono le attenzioni di Dora, la quale aveva appoggiato i pugni sul materasso, pronta a scappare, ma quei ghirigori sospesi nel vuoto erano così, così… Sembravano farfalle, tante farfalle colorate…
Artiom le si avvicinò ancora di più, fino a sedersi accanto a lei e accarezzandole il palmo sinistro: «Sì, per te, e per te solo, sono Artiom». Intanto, le farfalle le entrarono nelle narici, raggiunsero il cervello, dove esplosero in tanti piccoli fiori psichedelici.
Dora emise un piccolo suono gutturale, mentre la mano di Artiom si spostava lungo il braccio. La sua mente, occupata dallo stupore di quei fiori che continuavano a sbocciare nel suo cervello, non registrò l’Evanesco con cui Artiom fece sparire la propria Casphiam e con quella mano ora libera la fece distendere di nuovo sul materasso. Chiuse gli occhi Dora, mentre il camice bianco spariva, lasciando il suo corpo nudo, esposto allo sguardo del ragazzo.
Prima di puntarle la bacchetta contro, percorse il profilo di quel corpo tonico con la punta del dito: avrebbe avuto tutto il tempo che voleva per fare suo quel corpo, ma prima voleva possedere la sua anima e c’era solo un modo per farlo.
Interrompendo la sua esplorazione poco sotto l’ombelico, si risolse a riprendere la bacchetta e la puntò sopra il seno sinistro: «Pailionem Aparecium», pronunciò e una bellissima Hypolimnas-bolina maschio dalle ali nere con tre coppie bianchi circondati da iridescenze violacee apparve sul corpo della ragazza.
«D’ora in poi ti chiamerai Bolina. Ti piace?», le impose il ragazzo. La voce non era più carezzevole, ma aveva un tono duro, quasi da uomo adulto.
Da qualche parte, nel suo cervello, alcune terminazioni nervose si ridestarono e Dora ebbe la forza di contrastarlo, anche se debolmente: «No», sussurrò appena, infatti.
«Beh, fattelo piacere», le rispose l’uomo, alzandosi dal letto e lanciandole in viso il camice bianco: «Dora non esiste più per il mondo esterno. Ora esiste solo più Bolina. Per me, per il mio divertimento, per la mia collezione».
Era uscito, lasciandola sola.
“Dora non esiste più per il mondo esterno” nei primi giorni l’aveva gettata nello sconforto, ma poi aveva deciso di reagire. Gli auror non potevano averla dichiarata morta: non aveva lasciato alcun biglietto che potesse lasciar trasparire qualche sua insana volontà e la sua attrezzatura si trovava a pochi passi dal dirupo, quindi non si poteva neanche ipotizzare un tragico incidente. Una volta elaborato ciò, non si diede per vinta nemmeno quando Artium, vedendola così decisa a riprendersi la vita di prima, le sbatté sul piatto la Gazzetta del Profeta: GIOVANE BABBANOLOGA DIPLOMATA IN ITALIA MUORE IN UN INCIDENTE MENTRE SPERIMENTAVA UN NUOVO MEZZO VOLANTE. Nell’articolo, il Giornalmago si interrogava se fosse proprio necessario perseguire sulla strada intrapresa dal nuovo Ministro di apertura verso i Babbani. Completava il pezzo l’intervista a un certo Weasley, il quale si diceva entusiasta della nuova politica del Ministro, anche se, avvertiva, era necessario che gli aggeggi babbani non fossero commercializzati con tanta facilità e quindi bisognava ripristinare al più presto l’Ufficio per l’Uso Improprio dei Manufatti dei Babbani.
Senza mostrare alcuna emozione, ripiegò il giornale e lo riconsegnò al legittimo proprietario, mentre lei ricominciava a mangiare la sua zuppa di latte e cereali, mentre nella sua mente si ripeteva come un mantra che lei sarebbe riuscita a scappare da quella prigione e per prima cosa si sarebbe presentata da quella giornalista da strapazzo e l’avrebbe costretta a scrivere le proprie scuse.
Morta in un incidente mentre volava, lei!



 
[1] tipica bevanda gallese ottenuta mischiando la birra al sidro di mele: qui viene usato come se fosse il nome del brand, come l’Ogden's Old per il Firewhisky.
[2] Esiste veramente ed è nata 13 anni fa grazie all’Associazione culturale no-profit Avventure Magiche di Torino
[3] Ho preso spunto da Treworlas Treworlas, una frazione a ovest di Veryan in Cornovaglia (parrocchia civile di Phileigh)

 
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N.d.A.: innanzitutto, scusatemi per i tempi biblici con cui aggiorno. Come sempre, ringrazio tutti voi che leggete la mia storia e l'avete inserita tra le preferite/ricordate/seguite e lasciate un segno del vostro passaggio, come anche chi legge in silenzio.
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