Una settimana strana

di Chiccagraph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il giorno è un equilibrio tra inferno e paradiso e non conosce il purgatorio come via di mezzo ***
Capitolo 2: *** Ogni giorno è un buon giorno, ma alcuni sono migliori di altri ***



Capitolo 1
*** Il giorno è un equilibrio tra inferno e paradiso e non conosce il purgatorio come via di mezzo ***



I’m back! Ogni tanto faccio la mia breve riapparizione tra queste pagine e pubblico qualcosa.
Questa è una storia diversa dal mio solito. Sebbene io sia una Addek convinta ho deciso di provare a cimentarmi su nuove coppie; questa sicuramente è anticonvenzionale, o comunque non è la più gettonata, ma proprio per questo ho deciso di iniziare con loro due. Non mi è mai piaciuto il modo in cui Shonda ha gestito la loro “storia”. Karev non è un codardo - o almeno il mio Alex non lo è.
Bando alle ciance vi lascio alla lettura del primo capitolo. 

 



Il giorno è un equilibrio tra inferno e paradiso e non conosce il purgatorio come via di mezzo




Alex Karev si sedette su una delle panche nello spogliatoio. Gli altri specializzandi erano già stati assegnati a uno strutturato per quella mattina ed erano tutti impegnati in casi diversi.
Chi pianificava le ultime cose prima di entrare in chirurgia; chi presentava il caso del giorno; chi si prendeva cura di un paziente dopo un recente intervento. Tutti erano impegnati in qualcosa. Tutti, tranne lui.
Lui continuava a fissare imbambolato la fila di armadietti attaccati al muro, cercando di capire cosa diavolo avesse fatto di male per meritarsi questo.
 
È stata una settimana strana.
 
Ma precisamente, che cosa significava una settimana strana?
 
Le sue parole continuavano a rimbombargli nel cervello senza sosta.
Per questo genere di cose non esisteva un manuale da consultare?
Un libro o un fascicolo a cui rivolgersi per capirci qualcosa?
Gli sarebbero bastate anche un paio di pagine con la dicitura: “da usare solo in casi di emergenza”. Perché questa, era sicuramente un’emergenza!
A causa del suo lavoro da sempre era portato ad analizzare ogni più piccola cosa. Ogni piccolo dettaglio doveva essere osservato e scandagliato in ogni sua parte.
Dietro una tosse poteva nascondersi una bronchite; dietro un mal di testa, un tumore al cervello; un dolore addominale, poteva nascondere un’ernia o un’ulcera. Nulla poteva essere dato per scontato. Tutto aveva bisogno di essere analizzando e studiato minuziosamente. Questo, se da una parte lo rendeva un medico brillante e di talento, dall’altra lo rendeva la persona più miserabile dell’ospedale. 
Non riusciva a capacitarsi del fatto che una donna lo avesse ridotto in quello stato. Lui era Alex Karev. Lui giocava con le donne a suo piacimento, era il Re della scacchiera.
Lui aveva sempre il controllo completo in una relazione e, tendenzialmente quando qualcosa non andava come previsto, trovava sempre il modo per togliersi dall’impaccio.
Certo, questo più di una volta lo aveva portato a ferire le persone a lui vicine, ma non gli era mai importato più di tanto. Il suo unico credo era salvare la sua, di pelle.
Che poi lungo il cammino avesse fatto vittime innocenti non aveva importanza.
Probabilmente questo era il karma, non c’erano altre spiegazioni. Prova a fottere il karma e lui si vendica. Non puoi sfuggirgli: è il karma.
E lui ne aveva di pene da scontare, la lista poteva estendersi per pagine e pagine solo considerando le ragazze che dai tempi del liceo aveva sedotto e abbandonato.
Che questo fosse un complotto che il destino avesse deciso di tendergli per fottergli il cervello?
Una cosa era sicura: qualunque cosa fosse, ci stava riuscendo.
Si alzò e cominciò a camminare in tondo percorrendo il perimetro della panca mentre si chiedeva cosa fosse giusto fare in una situazione del genere.
Affrontarla di petto? No, certamente sarebbe stata la mossa sbagliata.
Più volte le aveva dimostrato che quando la situazione si faceva imbarazzante correva sulla sua scialuppa di salvataggio e si allontanava il più velocemente possibile. Lo aveva evitato, aveva fatto finta di non vederlo e non sentirlo. Probabilmente erano giorni che prendeva le scale, terrorizzata all’idea di dover condividere uno spazio così piccolo, come un ascensore, con lui. Era arrivata addirittura al punto di ignorare le sue chiamate sul cercapersone, senza preoccuparsi del fatto che sarebbe potuto essere qualcosa di veramente importante. No, decisamente questa donna non andava presa di petto. L’ultima volta che aveva agito in quel modo aveva incasinato la situazione ancora di più.
Avrebbe potuto chiamarla, senza considerare il fatto che lei non avrebbe mai risposto.
Non sapeva proprio cosa fare.
Una settimana strana. Come diavolo puoi baciare una persona e poi scusarti dicendo che quello era solo un momento di debolezza dovuto a una settimana strana.
Esistono settimane strane e settimane normali? Aveva vissuto solo settimane normali nella sua vita da non riuscire a capire il senso di una diversa dal solito? Sì, indubbiamente era successo qualcosa. Fin da subito aveva notato un cambiamento nell’aria.
Quella donna, quella maledetta donna, che ormai occupava ogni suo pensiero, era diversa. Sicuramente il recente divorzio l’aveva scossa. Derek Shepherd senza vergogna aveva lavato in piazza tutti i loro panni sporchi e in quel guazzabuglio aveva finito di gettare in pasto agli avvoltoi, oltre alla sua vita privata, anche ogni dettaglio di quella della sua ex-moglie.
La donna nel giro di poche settimane era passata da stronza incallita a povera martire; e conoscendola, per quel poco che gli era dato di sapere, niente la infastidiva di più di quello sguardo di pietà e compassione che leggeva negli occhi dei colleghi ogni giorno.
Derek Shepherd l’aveva fatta grossa questa volta, ma l’unica che sembrava pagarne le conseguenze era ancora, e solo, la moglie. Da poco etichettata con il titolo di ex!
Senza pensarci oltre decise di uscire dagli spogliatoi e buttarsi nella mischia.
Aveva accumulato un ritardo di ben quindici minuti e sapeva già quale sarebbe stato il suo destino.
La Bailey non avrebbe avuto nessuna pietà!
 
Iniziò a camminare per i corridoi dell’ospedale in cerca del suo capo, non era ancora stato assegnato a nessuno, e nonostante sapesse che lo attendeva il pronto soccorso, continuava a sperare di riuscire a scamparla. Magari poteva servire a una bella donna dalla chioma ramata che in questi giorni sembrava evitarlo come la peste bubbonica!
Lanciò un’occhiata alla stazione delle infermiere, dalla sua posizione poteva vedere tutto l’androne e non essere visto. Nessuna persona interessante si aggirava intorno al bancone.
Guardando meglio, però, si rese conto che conosceva bene quell’infermiera intenta a trascrivere al computer qualche referto medico. Olivia sicuramente non era sua amica, ma con una buona dose di fascino e qualche complimento piazzato al momento giusto, avrebbe sicuramente scoperto che fine avessero fatto tutti quanti.
 
Scese le scale tenendo lo sguardo fisso sui gradini, non poteva rischiare di incontrare la Bailey proprio ora e mandare in fumo il suo piano.
Percorse la distanza che lo separava dal banco e appoggiò i gomiti su quest’ultimo sfoggiando il suo sorriso migliore.
 
«Che cosa stai facendo?»  
 
«Io? Niente» rispose innocentemente.
 
L’infermiera alzò gli occhi dallo schermo del computer per guardarlo. «Perché sei qui?»
 
«Stavo cercando la Bailey, non mi ha ancora assegnato questa mattina e… mi stavo chiedendo se tu sapessi chi strutturato fosse rimasto scoperto».
 
«Guarda che non mi freghi. Se vuoi sapere dov’è la Bailey chiamala, sono sicura che sarà felice di sapere dove sei, visto che è da una buona mezz’ora che ti cerca» rispose quest’ultima tornando al suo lavoro.
 
Cavolo, non stava andando come previsto, eppure Olivia era sempre stata una ragazza facile da raggirare. Possibile che avesse perso tutto il suo fascino?
Doveva fare un ultimo tentativo.
 
«Olivia, tu sei l’infermiera più competente qui, io adoro lavorare con te e…» ora era il momento di utilizzare la sua carta vincente. «Mi dispiacerebbe tantissimo essere costretto a passare un giorno al pronto soccorso quando invece potrei lavorare al tuo fianco».
 
Tre, due, uno…
 
«Montgomery» prese una pausa alzando nuovamente gli occhi dai suoi fogli, «la dottoressa Montgomery è rimasta senza specializzando questa mattina, ma togliti quel sorrisetto dalla faccia perché non le servi. Ha annullato il suo intervento, quindi al momento è dispersa tra le pareti di questo ospedale. Rassegnati: ti spetta il pronto soccorso» finito di parlare tornò a concentrarsi sul suo lavoro.
 
Addison era senza specializzando e probabilmente sola in questo momento, era la sua occasione d’oro. L’avrebbe trovata e costretta a parlare con lui.
Salutò Olivia e felice come non mai iniziò a incamminarsi verso l’ascensore diretto verso la terapia intensiva, era sicuro che l’avrebbe trovata lì. Quando c’era qualcosa che non andava si rintanava sempre tra quelle mura. Quando però le porte dell’ascensore si aprirono realizzò che la scelta più saggia sarebbe stata prendere le scale.
 
«Karev» quella voce non ammetteva repliche. «Io non lo voglio sapere, per cui non ti chiederò il motivo per il quale non ti sei presentato insieme a tutti gli altri questa mattina. Non voglio sapere cosa ci fai qui davanti all’ascensore. Non voglio sapere cosa avevi di così importante da fare quest’oggi... so solo una cosa, ora vai immediatamente al pronto soccorso e non ti muovi da lì fino a che non lo dico io. Passerai i prossimi giorni a suturare ferite, misurare pressioni, cambiare e ripulire la sporcizia lasciata dai pazienti» abbagliò ferocemente.
 
Cavolo, proprio ora dovevo incontrare la Bailey, pensò scoraggiato. Alzò gli occhi al cielo per una frazione di secondo. Maledetto karma. «Ovviamente».
 
La Bailey lo fulminò un’ultima volta prima di uscire dall’ascensore e lasciarlo solo.
Effettivamente avrebbe potuto non rispettare gli ordini della sua superiore e andare comunque in cerca di Addison, una settimana in più o in meno al pronto soccorso, non avrebbe fatto la differenza, ma la Bailey sapeva come fartela pagare. Non solo poteva rilegarlo al pronto soccorso a tempo indeterminato, poteva anche impedirgli di assistere ad interventi chirurgici e per un dottore, affamato come lui di chirurgia, non era neanche immaginabile come possibilità.
Con riluttanza si allontanò dall’ascensore e imboccò il primo corridoio alla sua destra: direzione pronto soccorso.
 
Una volta giunto al pronto soccorso iniziò a fare il giro dei letti alla ricerca di un caso interessante. Calpestando i suoi passi in giro per la stanza guardava attraverso le tende dei pazienti. Qualcosa gli diceva che avrebbe dovuto prestare più attenzione, perché a dieci piedi di distanza, girata di spalle, c’era proprio la donna che cercava.
Mentre sfogliava la cartella dell’uomo sdraiato sul letto gli parve di sentire la sua voce. Doveva sicuramente essere impazzito se riusciva a sentire quella voce anche qui. Quella donna era diventa una tale costante nei suoi pensieri che aveva finito con l’immaginarsela ovunque.
Alzò gli occhi dal grafico e si girò in direzione di quel suono melodioso. Doveva essere una follia, ma quei tacchi, e quelle lunghissime gambe che scomparivano sotto il camice bianco, e quelle ciocche rosse che cadevano scompostamente sulle spalle erano il segno inequivocabile che fosse proprio lei. Si ritrovò a pensare che in fin dei conti il pronto soccorso non era poi così male!
 
Cercando di non farsi notare si avvicinò, curioso di capire il motivo della sua presenza lì. Lanciò un’occhiata perplessa a Addison; c’era qualcosa di diverso in lei, lo aveva già notato da giorni.
Era più distesa, più aperta, più… duttile, non gli veniva un altro termine migliore per definirla. Anzi no, disponibile, quello era il vocabolo giusto.
Non che prima non fosse piacevole stare in sua compagnia, però, s’intuiva come una resistenza di fondo, una zona grigia inaccessibile a tutti e assolutamente riservata: dov’era finita ora quella zona off-limits?
Non sapeva dirselo, e ancora non era sicuro che la cosa lo riguardasse.
Comunque, intanto, aveva assaporato i frutti del gradevole cambiamento di atteggiamento. E quando vide che si trovava anche lei al pronto soccorso, a causa dell’arrivo di una donna incinta, prese la palla al balzo e si mosse nella sua direzione.
   
«Dottoressa Montgomery, posso esserle d’aiuto in qualche modo?» la donna si girò con gli occhi sbarrati, terrorizzata dall’esserselo ritrovato davanti e completamente impossibilitata alla fuga. Non aspettò la sua risposta e continuò a parlare. «La Bailey mi ha chiesto di venire qui, per cui… se c’è qualcosa che posso fare per lei…» lasciò la frase in sospeso con la speranza che abboccasse al suo amo.
 
«Che cosa hai combinato questa volta per farti incastrare al pronto soccorso dalla Bailey?» chiese sarcastica.
 
Gli stava parlando, questo di per sé era già un traguardo. «Nulla. Non ho fatto davvero nulla» sorrise sornione, cercando di convincerla della sua innocenza, ma la donna lo conosceva fin troppo bene per credere alla sua facciata. «Forse, potrei aver fatto tardi questa mattina e non essermi presentato mentre assegnava i casi»
 
Un lieve sorriso affiorò sul volto della donna a quelle parole.  
Cavolo, doveva stare attento: Addison era una bomba a orologeria in questi giorni!
 
«Non voglio assolutamente contraddire gli ordini della Bailey. Ci sono giusto un paio di persone che hanno bisogno di essere ricucite. In fin dei conti, non è sempre stato il tuo sogno diventare un chirurgo plastico? È la tua occasione per fare pratica, Karev.»
 
Alex non era riuscito a seguire il filo del suo discorso, alla terza parola aveva scollegato il cervello e si era perso nel contorno delle sue labbra.
Non poteva far altro che fissarle, ricordando quanto fossero morbide.
Era ossessionato dalla sua bocca. Era diventato il suo chiodo fisso da quando si erano quasi baciati.
Lora Grey era stata spettatrice muta del loro bacio, o meglio, quasi bacio.
Ricordava perfettamente il momento in cui aveva sentito il suo respiro caldo sulle labbra. Ricordava perfettamente il profumo che emanava ogni parte del suo corpo, era la sua essenza.
Averla avuta così vicina gli aveva permesso di cogliere ogni sfumatura del suo “profumo”. E lui non aveva mai sentito un odore così buono.
Quel giorno avevano quasi attraversato la linea. Insieme.
Si era spinto verso di lei incantato dalle sue labbra, e dai suoi occhi vitrei. Era stato uno sforzo congiunto, l’avvicinarsi l’uno all’altro.
Quella mattina aveva portato a Mark Sloan una bevanda sbagliata, sapeva perfettamente quanto quell’uomo odiasse il latte alla vaniglia, e quella era la sua occasione. Perché a quanto pare, il pensiero di vederla triste a causa del complesso di Dio di Sloan, lo aveva mandato fuori di testa. Nessun uomo aveva il diritto di trattarla a quel modo.
La sua piccola vendetta era stata messa a segno grazie ad un bicchiere di latte caldo.
E poi veniva a scoprire che tutto questo, tutto il flirt, la gentilezza, e il loro quasi bacio, non erano niente di più di una settimana strana.
Che cazzo significava una settimana strana?
Con lei era sempre come camminare sulle uova. Perché doveva essere tutto così maledettamente difficile?
Faceva un passo avanti e tre indietro; non faceva altro che confonderlo e farlo incazzare.
Si comportava come una bambina di trentanove anni e questa sua confusione iniziava a dargli fastidio.
Sarebbe bastato così poco, un sì o un no, nudo e crudo, per far cessare questa giostra di parole non dette.
In queste situazioni bisognerebbe inventarsi un gesto universale per il “guarda che se ci provi ci sto”, perché mica si può continuare a vivere così.
 
«Karev, mi ascolti?»
 
Sbattendo gli occhi spostò lo sguardo dalle sue labbra e si impose di non guardare altro che i suoi occhi.
Questo però non gli impedì di notare che il suo nome, pronunciato dalle sue labbra, aveva un suono incredibile. Avrebbe potuto passare giorni a sentirglielo dire.
 
«Co-cosa stavi dicendo?» 
 
La donna spostò tra le mani la cartella clinica che portava sottobraccio, cercando di trattenere le sue emozioni. Inconsapevolmente si passò la lingua sul labbro inferiore prima di affondare i denti sul quel cuscinetto di carne.
 
Dio, non poteva fare così.  
 
L’arrivo della Bailey in sala li riportò entrambi alla realtà. Consci di quello che stava succedendo abbassarono contemporaneamente lo sguardo a terra, iniziando a fissare le piastrelle del pavimento.
 
«Credo sia meglio che vada ora» disse Addison, interrompendo finalmente il silenzio imbarazzante.
 
Karev annuì con il capo e prima ancora che potesse proferire una parola, la donna si girò su sé stessa e si allontanò.
 
«Cosa diavolo sta succedendo laggiù?» chiese Miranda alla donna al suo fianco.
 
Callie consapevole di tutto quello che era successo tra la sua amica e lo specializzando in questi ultimi giorni, cercò di pensare a una scusa plausibile per coprire le spalle ad Addison ed eliminare ogni possibile dubbio. Il silenzio, però, si protrasse per troppo tempo e la Bailey, senza bisogno di ulteriori parole, aveva già capito quello che gli stessi interessanti ancora non sapevano.
Era la nazista, niente succedeva in quell’ospedale senza la sua supervisione.
 
«Perché? Perché sono sempre i miei specializzandi? Possibile che nessuno in questo ospedale sappia più tenersi le mutande?» detto questo si allontanò, continuando a borbottare imprecazioni e maledizioni al vento.    
 
Callie rimase per un momento ferma nella sua postazione, indecisa sul da farsi; alla fine, scuotendo la testa, scelse di non mettersi in mezzo. Addison era una donna adulta, non aveva sicuramente bisogno di lei per gestire uno stagista; anche se maledettamente sexy.
 
Il pomeriggio passò lento, immerso nella noia più totale.
Nessun bambino che avesse bisogno di un intervento d’urgenza per aver ingerito oggetti di dubbia provenienza; nessun incidente stradale, nessun caduta con conseguente trauma cranico da monitorare. Niente di niente. Possibile che nessuno avesse deciso di rompersi la milza oggi?
Aveva bisogno di impegnarsi la mente se non voleva essere sopraffatto dai suoi pensieri anche sul lavoro.
A pensarci bene, però, lui non dovrebbe essere triste o sconvolto. Lui avrebbe dovuto odiarla, dopotutto.
Era lui quello che solitamente finiva con il rovinare ogni cosa. Non lei. Lui era il Re in carica per il posto di “uomo più stronzo dell’anno”, non poteva farsi fregare la corona dalla prima venuta.
Ma a quanto pare, per lei, quel momento, qualsiasi cosa fosse, era stato solo frutto di una settimana strana.
Nel contesto di una settimana ordinaria non avrebbe avuto nessun significato.
Probabilmente non sarebbe neanche successo. E perché sarebbe dovuto succedere infondo?
Lui era solo Alex Karev, il figlio di un alcolista. L’unico stagista, in tutto il Seattle Grace, ad aver dovuto ripetere il test di ammissione per la scuola di specializzazione.
E lei, lei era la sola e unica Addison Forbes Montgomery. La donna che aveva un fondo fiduciario da milioni di dollari e più nomi di una qualsiasi persona presente nell’ospedale. Senza contare che fosse il chirurgo neonatale più ricercato in tutti i cinquanta Stati d’America.
L’idea che lei potesse essere anche lontanamente attratta da lui era pressoché assurda.
Questo, come aveva detto lei, doveva essere stato solo il culmine di una settimana strana.
 
Una parte di lui si chiese cosa significasse questa settimana per lei. Perché era una settimana così particolare? Che cosa era successo che aveva permesso improvvisamente a Mark Sloan di trattarla con tale disprezzo? Cosa l’aveva spinta a guardarlo in quel modo, a fissare le sue labbra con tanta insistenza, come se desiderasse davvero di baciarlo?
Doveva essere stata proprio una settimana strana!
 
Una parte di lui non voleva sapere. Sapere cosa aveva reso questa settimana così fuori dal normale avrebbe complicato tutto. Avrebbe implicato il parlare, e la donna era ben lontana dal fare qualsiasi cosa che comprendesse un contatto anche solo visivo. Inoltre, il confidarsi avrebbe implicato l’essere amici, e lui non era certamente suo amico. A dir la verità, non sapeva più che cosa fosse.
In un primo luogo l’aveva odiata, si era ovviamente schierato dalla parte di Meredith additandola come una stronza, la donna che aveva rubato il ragazzo alla sua amica. Tralasciando il fatto che fosse suo marito.
Lei non era una donna, era una creatura del male. Era Satana.
Aveva tradito suo marito con il suo migliore amico, chi potrebbe mai fare una cosa tanto crudele?
L’aveva odiata quando lo aveva costretto a lavorare al suo servizio. Sì, indubbiamente era una compagna allettante vista la sua presenza fisica, e lavorare al suo fianco gli aveva permesso di verificare in prima persona la veridicità del suo soprannome.
Nonostante, però, fosse la dottoressa sexy, Alex Karev non era interessato alla ginecologia. Lui era un chirurgo, che diamine! “Bagnato e umidiccio” non era decisamente il suo campo, non lavorativo perlomeno.
Aveva continuato a ripeterselo come un mantra in tutti quei giorni in cui era stato costretto a lavorare al suo servizio. Aveva passato interi pranzi a lamentarsi del lavoro che era costretto a fare...  ed ora le mancava? Questo era davvero il colmo.
Con questi pensieri trascorse il pomeriggio, guardando costantemente la porta nella speranza di poterla rivedere prima di sera.
 
Prima di tornare a casa decise di dirigersi nel reparto neonatale. L’indomani avrebbero dimesso Lora Grey, la sua ultima operazione all’intestino era stata un successo ed ora poteva finalmente tornare dalla sua famiglia. Le doveva almeno un saluto, dopotutto.
Se per Lancillotto e Ginevra galeotto era stato un libro, per lui e Addison lo era stata una bambina, nata prematura, figlia della sorella di Meredith Grey.
Delle volte il destino si divertiva proprio a complicare le cose.
Ritrovarsi davanti quell’incubatrice gli riportò alla mente l’ultima volta che l’aveva vista lì.
 
Era entrato nella stanza spingendo delicatamente la porta, dal loro ultimo incontro non era più salito in terapia neonatale, e nonostante avesse sempre detto di disprezzare quel campo, in realtà era molto legato a quei bambini. O forse, era molto legato alla donna a capo del reparto.
Appena entrato l’aveva notata subito. Così concentrata sulla bambina, non lo aveva neanche sentito entrare. Era uno spettacolo per gli occhi guardala.

Ora mosse alcuni passi avvicinandosi alla piccola, fece scivolare un dito che prontamente quest’ultima catturò nella sua manina; mentre si beava di quella pace e tranquillità ripensò alle parole che le aveva detto pochi giorni fa.
 
 «Senti, Karev, mi dispiace per quello che è successo... ma è stata una settimana strana, per me, diciamo fuori dalla norma, ad in ogni modo mi scuso» gli aveva detto, abbassando gli occhi per sfuggire dal suo sguardo indagatore.
 
Lì per lì, lo aveva preso alla sprovvista. Non capiva perfettamente il significato delle sue parole, ma vederla così imbarazzata e dispiaciuta l’aveva colpito.
In un primo momento si sentì frustato all’idea che tutto quello che aveva sentito fosse solo frutto della sua immaginazione e che la donna non fosse veramente interessata a lui. Ma poi, guardandola così indifesa mentre si passava lo stetoscopio tra le mani, poggiando lo sguardo ovunque, tranne che su di lui, aveva deciso di toglierla dall’imbarazzo. Per questo le aveva chiesto dell’operazione, il lavoro era un campo neutro dove entrambi si trovavano a proprio agio a parlare.
La felicità che lesse nei suoi occhi nel sentirle dire che la piccola aveva avuto il suo primo cambio di pannolino, lo convinse che aveva fatto la scelta giusta. Il suo sguardo, era di pura felicità; e la felicità, le stava proprio bene addosso!
E poi c’era stato quel bacio. A pensarlo non gli sembrava nemmeno possibile.
Lei lo aveva baciato. Lei lo aveva baciato per davvero, e questa volta non c’era stato nessun infermiere a interrompere quel momento.
Poteva ancora sentire le sue mani morbide sulla pelle. Il suo tocco era stato così delicato, quasi impercettibile.
Non aveva avuto neanche il tempo di realizzare cosa stesse realmente accadendo che si ritrovò a contatto con le sue labbra.
Poteva finalmente sentire il suo sapore, poteva finalmente violare quella bocca tanto desiderata.
Sapeva di martini. Martini e Vodka Tonic.
Chissà da quanto tempo era stata qui a bere. Con la sola compagnia di Joe e del suo bicchiere di gin.
Quel momento magico era sfumato, e così, senza dirgli nulla, era andata via, lasciandolo con la sua birra e il suo bicchiere ormai vuoto, come unici compagni per la serata.
Non poteva credere che tutto questo fosse solo frutto di una settimana strana.
L’aveva vista anche lui quella fiamma di passione e desiderio che bruciava nei suoi occhi. Aveva sentito la sua irrefrenabile voglia di assaggiarlo, di toccarlo.
Per una qualche ragione, però, lei aveva deciso di catalogare questo groviglio di sentimenti con un’unica frase. Tre parole. Diciotto lettere. Una settimana strana.
 
Uscì dall’ospedale cominciando ad incamminarsi verso Joe, ma proprio prima di varcare la soglia la porta si aprì e in quel piccolo spiraglio comparve il lato del bancone del bar, quel lato dove lui e Addison avevano condiviso il loro bacio. Anche entrare da Joe stava diventando un’impresa difficile.
La porta si riaprì di nuovo lasciando uscire Meredith abbracciata a Derek, entrambi sfiniti dalla giornata di lavoro erano pronti per recarsi a casa e scivolare l’uno nelle braccia dell’altro.
Questa vista mandò un impulso direttamente al suo cervello. Sapeva che non poteva più attendere oltre, sapeva che non avrebbe mai avuto la sua occasione di parlarle in ospedale e non poteva passare un altro giorno o un’altra ora in questa situazione.
Guardò l’orologio che portava al polso, erano le dieci di sera. Prima di uscire aveva controllato il tabellone, lei non aveva interventi in programma per questa sera e sapeva con certezza che non l’avrebbe trovata all’interno del bar. Il suo turno era finito da un’ora, questo significava solo una cosa: era tornata al suo hotel. Giusto, l’hotel!
Perché diavolo non ci aveva pensato prima. L’Archibald era la risposta a tutti i suoi problemi.
Alzò la mano per fermare un taxi che fortunatamente si trovava nei pressi dell’ospedale proprio in quel momento. La corsa fu breve, le strade della città erano deserte a quell’ora della sera, e dopo soli venti minuti si trovò finalmente davanti la porta della sua stanza.
Continuò a fissare il numero inciso sulla porta come se volesse imprimerlo nella sua mente.
Sapeva che dietro la stanza 2214 c’erano le risposte che cercava da giorni.
Fece un lungo respiro trattenendo in un primo momento l’aria nei polmoni, riprese a respirare solamente quando sentì un primo accenno di giramento di testa.
Flesse il braccio stringendo la mano a pugno e senza aspettare oltre bussò tre volte.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
Nda:
Il titolo del capitolo è preso da una citazione su internet, non ricordo con preciso quale blog fosse.
Ho iniziato a scrivere questo capitolo più di anno fa, ma c'era sempre qualcosa che non mi convinceva. Alla fine mi sono decisa e senza ulteriori indugi ho pubblicato.
Ho fatto bene? Chi lo sa.
 

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Capitolo 2
*** Ogni giorno è un buon giorno, ma alcuni sono migliori di altri ***


Ogni giorno è un buon giorno, ma alcuni sono migliori di altri

 
 

Continuò a fissare il numero inciso sulla porta come se volesse imprimerlo nella sua mente.
Sapeva che dietro la stanza 2214 c’erano le risposte che cercava da giorni.
Fece un lungo respiro trattenendo in un primo momento l’aria nei polmoni; e riprese a respirare solamente quando sentì un primo accenno di giramento di testa.
Flesse il braccio stringendo la mano a pugno e senza aspettare oltre bussò tre volte.
 
«Mark, vattene».
 
In un primo momento rimase in silenzio, preso alla sprovvista dal tono esasperato della sua voce. Contò fino a dieci, ingoiò la saliva accumulata in bocca per l’ansia, e dopo aver preso un altro lungo respiro si fece coraggio e si avvicinò alla porta. «Sono io».
 
Sentì un fruscio provenire dall’interno della stanza e poco dopo Addison aprì la porta, con indosso una vestaglia da camera di raso verde annodata ai fianchi magri.
I capelli ramati erano sciolti sulle spalle, lasciati ad incorniciarle il viso, che completamente privo di trucco metteva in risalto ancora di più la profondità dei sui occhi verdi; o forse erano blu, non era mai riuscito a comprendere l’infinità di sfumature che i suoi occhi nascondevano.
Delle volte erano verdi come due smeraldi, altre blu. Blu come il mare più profondo e insidioso. In perfetto contrasto con il rosso dei suoi capelli, un rosso intenso, caldo, come il fuoco che gli bruciava dentro quando i suoi occhi si allacciavano ai suoi. 
Rimase impalata davanti la porta con la bocca semiaperta e uno sguardo sperduto sul volto.
 
«Posso entrare?»
 
Aprì la bocca un paio di volte, senza far uscire nessun suono, infine, si spostò di lato per lasciarlo passare.
Una volta dentro, Alex, si guardò intorno nella sua camera d’albergo e si perse nelle tinte calde dell’appartamento. Tutto era perfettamente ordinato e pulito. Un grande vaso di rose bianche troneggiava il centro del tavolo in legno antico; saranno state più di cento e senza doversi impegnare più di tanto, poteva dire perfettamente chi ne fosse il mittente: d’altronde era famoso per i suoi gesti plateali.
 
«Bei fiori. Sono di un ammiratore segreto?»
 
«Oh, lo so, sono bellissimi. Emanano un odore nella stanza incredibile» disse, guardando i fiori. «Peccato che l’ammiratore non sia molto segreto» aggiunse, con un tono scherzoso.
 
«Ne ha di cose da farsi perdonare, eh?!»
 
«Credo di sì»
 
Si avvicinò al vaso che emanava un intenso profumo di rosa per tutta la stanza. «Nessun biglietto?»
 
Addison lo guardò, sorpresa da quello che stava chiedendo. Completamente stordita. Non tanto dalla domanda, ma più dal fatto che avesse notato la mancanza di una nota sui fiori. Cercò di minimizzare l’aspetto di sorpresa sul suo viso e annuì leggermente. «C’era, ma l’ho buttato. Era troppo pretenzioso e pieno di aggettivi altisonanti per i miei gusti»
 
«Così hai buttato il biglietto ma ti sei tenuta i fiori» disse Alex, ancora con lo sguardo fisso sul mazzo di rose.
 
Addison strinse le spalle; si accigliò momentaneamente mentre fissava anche lei i suoi fiori. «Beh, guardali!» esclamò. «Sono bellissimi; e, inoltre, mi piace il loro profumo. Mi piace tornare in camera e sentire un odore che non sia solo quello del disinfettante o il deodorante del bagno».
 
Si guardò intorno perdendosi nell’immensità della stanza. Questa suite era ben più grande del suo appartamento.
Posò la borsa ai piedi del grosso, lungo divano ad elle, in stile veneziano di velluto bordeaux con le bordure dorate. Le mura erano ricoperte con della carta da parati dorata, arricchita di disegni floreali ed astratti. Di fronte al divano era posizionata una scrivania barocca, di piccole dimensioni usata come scrittoio; e ovunque c’erano pile di libri e di fogli, scritti fitti.
Si girò verso la donna alle sue spalle che teneva lo sguardo fisso sul pavimento, mentre con le dita giocherellava con il nastro che teneva uniti i lembi della sottoveste.
 
«Addison»
 
Al suono del suo nome alzò lo sguardo, abbandonando contemporaneamente la stoffa leggera che con un’onda delicata si riposizionò sui suoi fianchi.
Mosse qualche passo nella sua direzione e di riflesso la donna ne fece due indietro.
 
«Addison» ripeté nuovamente il suo nome. «Mi dispiace di essere piombato nella tua stanza senza avvertirti, ma non avevo il tuo numero e sono giorni che fingi di non vedermi e ignori le mie chiamate sul cercapersone e dovevo… volevo parlarti».
 
Annuì in risposta esortandolo a continuare.
 
«Ecco vedi… non ci sto capendo nulla e il tuo comportamento mi sta facendo letteralmente impazzire».
 
«Non le mandi certo a dire tu, eh».
 
«Non sono mai stato bravo con i discorsi e i giri di parole».
 
Un altro passo e si ritrovò di fronte la donna, che pietrificata con le spalle al muro, aspettava in silenzio che continuasse a parlare.
 
«Non voglio essere un cerotto, disponibile all’uso, per tamponare le ferite che qualcun altro ti ha provocato» disse.
 
Rimase a fissarla. Non avrebbe voluto in realtà, ma la vestaglia che raggiungeva solo la metà coscia, lasciando scoperto il pizzo della sottoveste, lo aveva ipnotizzato. La pelle bianca, cosparsa di piccole lentiggini, era lasciata completamente esposta e il movimento del suo petto quasi lo cullava, incantandolo.
Fu riportato alla realtà quando Addison si schiarì rumorosamente la gola per attirare la sua attenzione. E guardando la situazione ora, osservando la sua fronte aggrottata mentre ripeteva le sue parole in confusione, pensò di essere un vero idiota.
 
Lei rimase ferma nella sua posizione, bloccata tra il corpo dell’uomo e la parete alle sue spalle. Continuava a fissarlo senza parlare. Alex si passò una mano tra i capelli, con un gesto stizzito, «Scusami, non so cosa mi sia preso. Non sarei dovuto venire qui» si allontanò dalla parete, catturando nel suo percorso a ritroso la borsa dal pavimento, e si mosse verso la porta.

Poco prima di raggiungere la maniglia Addison lo fermò. «Tu non sei un cerotto»
 
Si bloccò, con la mano a mezz'aria, ancora girato di spalle. Le gambe che gli formicolavano non permettendogli di muoversi.
 
«In un primo momento non credevo che ti importasse e poi… non volevo farti stare male»
 
«Non sono stato male»
 
«Ma ora sei qui e, uhm, credo che sia giusto darti una spiegazione»
 
Addison si avvicinò al grande stand di quercia e, aprendo una delle ante in basso, tirò fuori una bottiglia di rum dal mini bar della stanza. Raccolse due bicchieri, una manciata di cubetti di ghiaccio e si spostò verso il divano. Alex si lasciò guidare da lei, sedendosi poi alla sua destra. Da questa posizione godeva di un panorama mozzafiato. Una vetrata si estendeva tra le due pareti ai lati della stanza, lasciandolo spettatore della vita frenetica sotto i loro piedi. 
 
«Quella vetrata è pazzesca»
 
«Lo so» rispose, con un leggero sbuffo del naso.
 
Si girò nuovamente verso di lei, e l’ombra di mistero che lesse nei suoi occhi gli fornì la giusta dose di determinazione di cui aveva bisogno per non arrendersi e sfruttare al massimo questa occasione che il fato gli aveva dato. «Perché questa è stata una settimana strana?»
 
Addison riempì i due bicchieri e gliene passò uno; lo portò alle labbra e ingoiò in un solo sorso il suo contenuto ambrato. «Alex, questo non riguarda noi»
 
«Mi hai detto che il tuo comportamento è stato frutto di una settimana fuori dal normale, non ordinaria. Cosa significa?»
 
«Mi dispiace di avertelo detto. È vero, è stata una settimana difficile per me ma non è stato il motivo, o perlomeno l’unico motivo, che ha condizionato i miei comportamenti nei tuoi confronti»
 
Alex Karev sapeva perfettamente che nel grande schema delle cose lui non valesse molto. Ma gli piaceva pensare che comunque valesse di più di una settimana strana. Doveva significarlo per forza, altrimenti non riusciva a dare una spiegazione logica all’imbarazzo che era seguito al loro incontro; o al suo essere così sfuggente. C’era qualcosa che la donna gli stava nascondendo ed era certo più che mai di volerlo scoprire. «Ti sei pentita?»
 
«No» si passò la lingua sulle labbra, inumidendole. «È solo che… sbaglio così tante cose, che se per caso, ne faccio una giusta, è per sbaglio»
 
«Mi piace essere questo genere di sbaglio» disse, poggiando il bicchiere ormai vuoto sul tavolino.
 
Sapeva che c’era molto di più dietro questo sbaglio; un passato intero di cui non era a conoscenza ma che pesava sulle loro teste come un macigno. Non l’avrebbe forzata, non voleva costringerla a parlare. Voleva che si fidasse di lui, che lo considerasse di più di un semplice ragazzo incontrato in un bar. Lui non era qui per farle compagnia, era qui per farle capire che avrebbe potuto fidarsi di lui; che avrebbe potuto parlare e aprirsi con lui.
Si spostò in avanti, invadendo il suo spazio personale e le scostò una ciocca di capelli dal viso, incastrandola dietro l’orecchio. Addison allargò gli occhi, presa alla sprovvista dalle parole dell’uomo e dalla sua improvvisa vicinanza.
 
«Alex, credo che sia giusto che io sia sincera con te a questo punto» disse, guardandosi le mani mentre giocherellava con le unghie smaltate. «Tu mi piaci Alex, mi piaci in un modo che non credevo possibile, ma sei uno specializzando e io uno strutturato. Non posso permettere che questi sentimenti annebbino il mio giudizio. Ho un dovere morale nei tuoi confronti e intendo rispettarlo». Ingoiò il groppo che aveva in gola e si fece forza per continuare il discorso che da giorni continuava a ripetersi nella mente. «Mi dispiace, tu non ti immagini quanto mi dispiace, e adesso vorrei tanto non averlo fatto perché da quella sera è l’unica cosa a cui penso ogni volta che ti guardo e… non posso permetterlo. Non posso farlo succedere».
 
«Perché?»
 
«Come puoi chiedermi perché?» rispose, con le lacrime agli occhi. «In questi ultimi mesi ho divorziato, ho avuto una non-relazione con Mark e, come ciliegina sulla torta, ci sei tu. La mia testa è un caos totale e non riesco a gestire tutto questo. Non sono in grado di provarci un’altra volta. Ho il cuore lacerato e non reggerei un ulteriore colpo»
 
Alex si spostò alla sua sinistra, slittando con il corpo verso quello della donna; le afferrò le mani e le strinse tra le sue. «Non devi aver paura. Il tuo unico errore è stato quello offrire il cuore a chi aveva bisogno del cervello»
 
«Alex»
 
Addison abbassò la testa e strinse gli occhi chiusi. Alex decise che quello era il momento di agire: ora o mai più. Si sporse in avanti catturando le sue labbra. Quelle labbra che da giorni lo ossessionavano fino alla follia, come un drogato in cerca della sua dose.
In un primo momento non rispose al bacio, cercando di fare resistenza, respingendo il calore del suo corpo, ma poco a poco cedette, e si ritrovò a duellare con lui alla ricerca del controllo dei loro movimenti fluidi e al tempo stesso impacciati.

Si tirò indietro, per riprendere aria, e portandosi una mano alla bocca ne percorse il perimetro con le dita. «Non capisci tutto questo è un enorme errore. Stai sbagliando».
 
«Dicono che sbagliando si impara. Allora lasciami sbagliare».
 
Allontanò gli occhi da lui. Sospirò. Non voleva avere questa discussione in questo momento. «Credi che sia possibile fare la cosa giusta se quella sbagliata ti piace da morire?»
 
«Credo che sia meglio essere felici per sbaglio che tristi per scelta» mormorò, afferrandola per i fianchi e spingendola verso il suo corpo.
 
Addison lo fissò in silenzio, come se stesse cercando di memorizzare ogni aspetto del suo volto. Sentì la punta delle dita formicolarle come gli occhi di Alex si fissarono sulle sue labbra. Alex tracciò lentamente con il pollice i contorni della sua mascella, mentre con l’altra mano accarezzava la pelle sensibile della sua schiena premendo su ogni vertebra della sua colonna spinale. Il suo tocco era impresso a fuoco nella sua pelle.
Il loro contatto visivo continuò, come in un duello, fino a che entrambi non si resero conto del bisogno che avevano l’uno dell’altro.
Addison si chinò lentamente in avanti e, mentre la mano di Alex scivolava sul suo collo e nei capelli, si fermò, quando le loro labbra erano a soli pochi centimetri di distanza. Alex non colmò immediatamente il divario continuando a spostare lo sguardo dai due cuscinetti di carne rossa, alla profondità dei suoi occhi. Mosse la seconda mano spostandola al centro della sua schiena, portando il corpo della donna più vicino; e poi avvicinò il viso a quello di Addison, chiudendo lo spazio sottile tra le loro bocche, baciandola dolcemente e profondamente. La mente di Addison ruotava a mille giri al minuto mentre la bocca rispondeva all’assalto delle sue labbra curiose. Senza pensarci due volte intrecciò le dita dietro il collo dell’uomo, tra i capelli corti e la pelle lasciata esposta dallo scollo della maglietta. Inalò nella sua bocca mentre la lingua di Alex giocava con il suo labbro superiore, baciandolo e succhiandolo. Ad Addison mancò il respiro persa completamente nel loro bacio, come l’uomo saccheggiava senza indugi la sua bocca.
Continuarono ad assaporarsi lentamente mentre le dita di Alex si impigliavano tra i suoi capelli e, inclinandole la testa di lato, approfondiva il bacio.
Addison ansimò, sentendosi stringere le forti braccia dell’uomo intorno al corpo; sentendo le sue mani accarezzarla in tutti i punti in cui voleva essere toccata. Infine separò le loro labbra, cercando di riprendere fiato e ritrovare la sua compostezza.
 
Alex poggiò la fronte su quella della donna, lasciando i loro nasi sfiorarsi. «Solo un idiota come Shepherd può rinunciare a tutto questo ed esserne felice.»
 
Lui non sapeva cosa voleva. Non ancora. Ma l’unica cosa di cui era certo era di non voler essere solo una settimana strana. Voleva tutto: il pacchetto completo. Voleva lei tutti i giorni. Tutto il giorno. Moriva dalla voglia di sentire il peso del suo corpo sul suo. La voleva possedere come tutti avrebbe voluto e amare come solo pochi avrebbero potuto.
 
Addison sedeva ancora appollaiata tra le sue gambe, con il volto affondato nell’incavo del suo collo. «Non so cosa voglio. Non so cosa fare. Ho una tale confusione in testa».
 
Addison non sapeva come gestire questo guazzabuglio disordinato di sentimenti. Non sapeva come affrontare questa situazione e al tempo stesso combattere la voglia crescente di lui. Quando si diventa grandi si è obbligati a fare delle scelte che si ripercuoto sulla propria vita e la cambiano, modificandola inesorabilmente; e ora, incantata dal calore dei loro corpi intrecciati, sapeva di non avere altra scelta se non quella di lasciarsi andare e smettere di lottare contro sé stessa.
 
«Ehi,» disse sottovoce, «so che sei spaventata e un po’ folle a causa di tutto quello che sta succedendo, ma voglio che tu sappia una cosa»
 
«Cosa?» chiese, con la voce ovattata dal contatto con la sua pelle.
 
Spostò la mano dal fianco alla sua guancia, guardandola fissa negli occhi. «Voglio che tu sappia che non voglio essere ciò che vuoi. Voglio essere ciò che non sapevi di volere».
 
Addison gli sorrise dolcemente, poggiando entrambe le mani sulle spalle dell’uomo. «Questa dove l'hai letta, nei baci perugina?». Lo guardò negli occhi e si sentì confortata e persa nello stesso momento. «Che cosa facciamo ora?»
 
«Ci proviamo»
 
«Non so se posso farlo» disse immediatamente.
 
«Non devi fare nulla che non vuoi fare veramente» disse, cercando di metterla a suo agio.
 
«Non sappiamo nulla l’uno dell’altro… come pensi che questo possa funzionare».
 
«Pensi davvero che non sappia niente di te?» rispose, sorpreso della sua dichiarazione.
 
«No, non lo fai… voglio dire, uhm, sai che le cose generali, conosci le voci di corridoio… ma non mi conosci davvero. Non le cose importanti».
 
«Io ti conosco» rispose, notando una leggera incertezza nei suoi occhi. «Potrei non sapere quale sia il tuo colore preferito, o il tuo secondo nome di battesimo, ma conosco le cose importanti. So che sei determinata e altruista. Un dottore incredibile con cui ho avuto la fortuna di poter lavorare» fece una pausa, studiando la sua espressione. «Sei completamente pazza» Addison si voltò alla sua seconda osservazione, guardandolo sbalordita. «Sei così pazza che crei dipendenza. Mi rispondi male, poi bene, poi non mi rispondi affatto. Sei dolce, ma anche terribilmente testarda. Pungente. Un minuto prima mi baci e quello dopo scappi via. Mi incasini la giornata, mi fai uscire fuori di testa… cambi idea mille volte. Ed io ci ho provato davvero, ma… non esiste un modo per descriverti perché hai mille sfumature diverse. E poi, durante la giornata, penso a tutto questo e a tutte queste cose che ti rendono così dannatamente interessante e.…»
 
Alex spezzò momentaneamente il contatto dei loro occhi, prendendo fiato. «E capisco che sei come una droga. E io ne sono già diventato dipendente».
 
Alex la guardò, spaventato e felice dell’espressione di sorpresa che leggeva nei suoi occhi. Addison sentì il suo cuore stringersi e piombare verso il basso, incastrato tra lo sterno e i polmoni. Batteva così forte da sentirne il movimento nella cassa toracica. Le sue orecchie la stavano ingannando? Stava per svegliarsi e rendersi conto che tutto questo non era altro che un sogno?
Chiuse gli occhi, stringendoli. Poi posò lentamente la mano sulla sua, infilando il mignolo tra il palmo e la sua coscia. Lui non rispose immediatamente al suo tocco, ma poi girò la mano verso l’alto, intrecciando le loro dita.
Addison teneva lo sguardo fisso sulle loro mani intrecciate, come ipnotizzata.
 
«Mi dispiace di averti messo in questa situazione» disse lentamente, rotolando gli occhi verso l’alto e vergognandosi di come si era comportata in questi ultimi giorni.
 
«Tutto quello che mi interessa sei tu. Non mi interessa la situazione e le altre persone coinvolte nella situazione».
 
«Voglio conoscerti»
 
Alex sorrise brevemente. «Cosa vuoi sapere?»
 
«Tutto». 


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