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“Sono un po’ di notti che
mi accorgo di star sognando e faccio fare ai miei sogni tutto quello che
voglio!”
“Ma
brava tesoro, diventi un’onironauta senza dirmi
niente?”
“Cos’è
un onironauta?”
“È
un viaggiatore dei sogni, è un dono prezioso, lo sai? Potrai ricordare i bei
sogni e cambiare quelli brutti! E se proprio non riesci a cambiarli puoi sempre
svegliarti… Ma ricorda cucciola, ci sono sogni da cui non si può scappare!”
Quando
sua madre le aveva fatto quell’avvertimento non era seria, voleva solo giocare
spaventandola un po’, ma anni più tardi Cassandra si era accorta che quel
monito era più che veritiero. L’incubo che la ragazza si trovava davanti era
a dir poco orrendo: grande quanto un piccolo aeroplano, il corpo era composto
da un enorme torso umano, terminante con una coda da coccodrillo, la bestia si
muoveva grazie a tre paia di zampe, tutte dalla forma di braccia di donna, con
mani sottili e unghie lunghe ed affilate, colorate da uno smalto rosa scuro.
Anche la testa era umana, coperta da una cascata di capelli corvini arruffati,
ma aveva un muso bestiale, anche se Cassandra non sapeva dire a che creatura
appartenesse. Le bastava sapere che era pieno di denti affilati e produceva
enormi quantità di bava. Però la cosa che più spaventava la giovane erano gli
occhi della creatura: due cerchi privi di pupille, rossi come il fuoco e
luminosi come lanterne. Quello era il segno che contraddistingueva gli incubi
veri, quelli pericolosi che si nutrivano di paura e Cassandra non ne aveva mai
affrontato uno così grosso. La ragazza rimaneva immobile ad osservarlo,
riflettendo sul da farsi: se si fosse mossa la creatura si sarebbe accorta
della sua presenza, ma d’altro canto l’aveva già fiutata, un altro minuto al
massimo e non avrebbe più avuto dubbi su dove si trovava la sua preda. Non
aveva altra scelta, doveva scappare, ma dove? Si trovava in un labirintocomposto da
enormi librerie piene di libri, rischiava di girare intorno o peggio di
chiudersi in un vicolo cieco. Cassandra chiuse gli occhi per un secondo: non
doveva pensare negativamente, ora si doveva solo concentrare sull’obbiettivo di
fuggire.
Fece un respiro profondo e poi scattò,
girando l’angolo a destra dell’incrocio che ancora la divideva dalla creatura.
Dietro di sé la giovane sentì un ululato sovrannaturale e dei passi giganteschi
che colpivano il pavimento: la bestia aveva iniziato ad inseguirla. La castana
scacciò quel pensiero dalla sua mente: doveva concentrarsi su ciò che aveva
davanti, non quello che c’era dietro di lei.
˾Destra̚
˾Sinistra̚
˾Destra̚
˾Sinistra̚
Doveva trovare l’uscita di quel
labirinto…
˾Destra̚
˾Sinistra̚
˾Destra̚
˾Sinistra̚
Se si concentrava abbastanza forse
sarebbe riuscita a farla comparire…
˾Destra̚
˾Sinistra̚
˾Destra̚
˾Sinistra̚
Ma era così difficile concentrarsi con
un mostro alle calcagna in procinto di morderti.
Cassandra
alzò le braccia, portando le mani sulla sua testa, per poi abbassarle di colpo
come se stesse spingendo qualcosa. Dietro di lei si udì il suono del legno che
scricchiolava e poi un sonoro schianto, seguito da dei guaiti lamentosi. La
ragazza si lasciò scappare un sorriso: era riuscita a far cadere almeno una
libreria addosso a quel mostro, così avrebbe guadagnato un po’ di tempo. Finalmente
la giovane si poté concentrare sull’idea di trovare un’uscita e ad un certo
punto vide una luce venire da un incrocio davanti a lei. Cassandra si diresse
subito lì, convinta di aver finalmente trovato ciò che cercava, invece si trovò
davanti ad un vicolo cieco dove si trovava uno strano vortice azzurro, sospeso
a mezz’aria. La castana rimase completamente spiazzata dalla scoperta: non
aveva mai visto niente del genere, eppure girava per quel mondo dei sogni da
tantissimo tempo ormai. Era un portale quello? Dove l’avrebbe portata? Era
sicuro? La ragazza avrebbe voluto trovare con calma risposta a tutte quelle
domande, ma l’ululato che sentiva avvicinarsi le faceva capire di non avere più
molto tempo. Era sicura che se si fosse girata per cercare un’altra strada si
sarebbe gettata praticamente nelle fauci del mostro, quindi non le restava che
fare una cosa soltanto: saltare nel portale. Cassandra si avvicinò al vortice
e, dopo un attimo di esitazione, ci saltò dentro. Almeno in quel modo le sue
domande avrebbero trovato risposta.
Le
successive cose che la ragazza sentì furono un tonfo ed un dolore sordo alla
schiena. La giovane rotolò per terra, cercando di massaggiarsi la schiena
dolorante, poi si alzò e si guardò intorno: le sembrava di essere in un parco,
era notte e riusciva ad intravedere dei lampioni in lontananza, seminascosti
dagli alberi. Lei in quel momento si trovava su un prato vicino ad un albero,
un po’ lontana dai sentieri principali. Cassandra fece per muoversi verso una
di quelle strade, ma il dolore alla schiena la costrinse a poggiarsi all’albero
ed aspettare un attimo. La castana imprecò sottovoce, poi si rese conto di una
cosa: stava provando dolore. Ma si
trovava in un sogno, come poteva provare dolore? Per un attimo la giovane si
fece prendere dal panico, poi cercò di calmarsi e dare una spiegazione a tutto.
Non era la prima volta che provava sensazioni in un sogno, ricordava ancora la
volta in cui le avevano tagliato la gola: aveva avvertito chiaramente la lama
affondarle nella carne e l’improvvisa incapacità di respirare, ma poi era
tornato tutto alla normalità perché quelli erano solo sogni, nulla era reale. E
lei poi non poteva in alcun modo risvegliarsi, aveva abbracciato il sonno
eterno dopotutto. Giusto per rassicurarsi di più, Cassandra decise di compiere
delle piccole prove per capire se era in un sogno o meno: erano gesti semplici
che aveva imparato quando si era informata di più sui sogni lucidi. La ragazza
prese un respiro profondo e poi si tappò il naso: in un sogno non si ha bisogno
di respirare, anche sott’acqua si riusciva a respirare, quindi non avrebbe
dovuto avere problemi. Eppure dopo una manciata di secondi dovette stapparsi il
naso: le mancava l’aria, cosa mai successa prima, almeno in un sogno. Il panico
di Cassandra si fece più grande e la giovane provò a saltare, riuscendo a fare
un normale saltello, niente di eccezionale. Ormai completamente terrorizzata la
ragazza urlò con tutta la sua forza ed ascoltò incredula la sua voce che
risuonava forte e chiara nella notte. Finalmente priva di ogni dubbio, la
castana iniziò a tremare.
«Sono sveglia…»
Cassandra scosse la testa come a
scacciare l’idea: non doveva farsi illusioni, c’erano un sacco di altre prove
che doveva fare per capire se era davvero
sveglia e non avrebbe potuto certo farle in quel parchetto deserto. Con passo
deciso la giovane si avviò alla stradina più vicina per individuare un’uscita.
Una volta uscita dal parco e ormai avviatasi su una strada principale, la
ragazza rabbrividì udendo in lontananza l’ululato della creatura da cui era
scappata poco prima. Anche se sembrava davvero molto, molto lontano la castana
non riuscì a trattenersi ed iniziò a correre. Se era davvero nel mondo della
veglia, come poteva un incubo averla inseguita fin lì? Cassandra non sapeva se
una cosa del genere era possibile, ma di sicuro non voleva scoprirlo.
La
ragazza osservò ancora una volta con attenzione l’insegna luminosa che aveva
davanti: minimarket aperto 24 ore su 24, tutto scritto in kanji,
ed era riuscita a leggerlo più volte, un altro segno che quello non era un
sogno e soprattutto segno che era in Giappone, terra in cui aveva passato la
maggior parte della sua breve vita. Cassandra entrò nel supermercato,
sussurrando un “buonasera” al commesso insonnolito prima di scomparire in una
delle varie corsie. Dopo aver girato per un po’ tra cibarie di ogni genere la
giovane puntò finalmente quello per cui entrata: dei quotidiani. Cassandra ne
afferrò uno, cercando di coprire la data del giornale con le mani e lo sollevò
per leggerne il titolo. Le era andata bene, aveva pescato un quotidiano cittadino
dedicato agli annunci per la compravendita di oggetti, e la cosa migliore era che
lo conosceva. Quello le dava la conferma che si trovava nella cittadina in cui
aveva chiuso gli occhi l’ultima volta: Inazuma-cho.
Ormai alla ragazza rimaneva da controllare solo una cosa, ma aveva davvero
paura di farlo, il cuore le batteva a mille e sudava freddo per l’agitazione.
Poi però si fece coraggio e spostò la mano che copriva la data. Quando i suoi
occhi si posarono su quel numero la castana fece cadere il giornale ed iniziò
ad indietreggiare, coprendosi la bocca con le mani, sgomenta. Aveva avuto la
fortuna di ritrovarsi nel posto in cui era cresciuta, in cui aveva conosciuto i
suoi amici ed aveva provato i suoi primi amori, ma allo stesso tempo era
arrivata in una città completamente diversa. I suoi occhi iniziarono a
riempirsi di lacrime.
«Non è possibile…»
Si lasciò scappare un singhiozzo.
«Quarant’anni… Io sono morta
quarant’anni fa…»
××××××××××××××××××××
Ehilà, salve a tutti!
Eh sì, invece di continuare i miei
lavori in corso mi butto in una storia ad OC. Sono senza speranze, ma questa
idea mi ispirava tantissimo e trovo che renda bene sotto forma di storia ad OC.
Questo primo capitolo è un po’
confusionario, ma nei prossimi verranno spiegate un po’ di cose prima di
entrare nel vivo dell’azione, quindi non preoccupatevi.
Questa storia girerà tutta introno ai
fenomeni del sonno, quello principale sarà il sogno lucido, ma saranno presenti
anche temi come il sonnambulismo e la paralisi del sonno.
Ora, non so ancora quanti OC sceglierò,
ma non penso di prenderne più di dieci, soprattutto perché dovrò vedere quanti
saranno quelli ben costruiti.
Qui sotto vi lascio la scheda, mi
raccomando niente OC via recensioni, solo via MP. La storia è ambientata
durante le prime tre serie di InazumaEleven, quindi mi dispiace ma non potrete mettere elementi
legati alla GO nei vostri OC.
Nome:
Cognome:
Sesso: (Non mandate solo femmine, per
piacere)
Età: (Deve avere minimo 14 anni)
Nazionalità: (Che sia coerente sia col
nome che con l’aspetto del vostro OC)
Aspetto fisico:
Personalità: (Più dettagliata e
coerente è, più possibilità ci sono che il vostro OC venga scelto)
Background: (Non esagerate con la
tragedia e cercate di essere sintetici)
Interesse romantico: (Mettete più di una opzione, accetto anche OC omosessuali, non mi faccio problemi)
Perché si trova in Giappone: (La storia
sarà ambientata lì, quindi inventatevi un motivo per la presenza del vostro
personaggio in Giappone! Sbizzarritevi, mandatelo lì per uno scambio culturale,
a cercare lavoro, in vacanza, siate creativi)
Paure/Fobie:
Reazione agli incubi: (Non quelli
descritti nel capitolo, quelli che fate quando dormite. È una cosa importante
per la storia, non sottovalutate questo punto)
Altro: (Se c’è qualcos’altro che volete
dirmi sul vostro personaggio e non avete trovato spazio negli altri punti
ditemelo qui!)
Sebastiaan sbadigliò: non era riuscito
a dormire molto bene quella notte e svegliarsi gli era risultato difficile.
Avrebbe volentieri dormito per un’altra mezz’ora, ma la sua cagnolina Audrey pretendeva
di essere portata a spasso e non poteva certo deluderla, anche perché farlo
significava poi ritrovarsi un simpatico ricordino davanti alla porta
d’ingresso. Il sole non era ancora sorto e le strade che il biondo percorreva
erano deserte ed illuminate solo dalla luce giallognola dei lampioni. Il
ragazzo camminava a testa bassa, ripassando a mente il programma che aveva
fatto per la giornata, cercando un momento libero in cui fare un riposino per
recuperare un po’ di sonno arretrato, quando notò che Audrey si era fermata e
stava puntando qualcosa davanti a loro. Incuriosito, Sebastiaan alzò lo sguardò
e vide un’esile figura incappucciata che, in mezzo alla strada, fissava i
cancelli ancora chiusi di una scuola media. Il biondo si insospettì: certo, lo
sconosciuto sembrava parecchio giovane, ma non così piccolo da andare alla
scuola media, inoltre non indossava una divisa scolastica, quindi non era di
certo uno studente arrivato un po’ troppo in anticipo. Sebastiaan non aveva
alcuna voglia di avere a che fare con uno sconosciuto sospetto, ma purtroppo
per raggiungere il parco per cani doveva passargli affianco e di sicuro sarebbe
stato notato, quindi decise di giocare di anticipo e si sforzò di sorridere
prima di rivolgere la parola al ragazzo.
«Ciao, hai bisogno di una mano?»
Lo sconosciuto si girò di colpo verso
il biondo e Sebastiaan poté constatare che era in realtà una ragazza. La
giovane lo scrutò per qualche secondo, poi posò lo sguardo sull’akitainu che le scodinzolava ed
accennò un sorriso, per poi girarsi dalla parte opposta e, senza dire nulla,
cominciare a correre.
Sebastiaan la guardò scomparire
nell’oscurità ed alzò le spalle: meglio così, non si doveva sforzare di
sembrare amichevole di prima mattina. Il biondo riprese a camminare, ma fu frenato
da Audrey che non voleva accennare a spostarsi.
Il ragazzo si girò verso il suo cane
per capire cosa volesse e si sorprese non poco nel vedere che Audrey stava
ringhiando verso un punto imprecisato davanti a loro. Sebastiaan si voltò
allarmato e vide che l’akitainu
stava ringhiando ad un lampione più avanti, oltre i cancelli della scuola.
Convinto che lì dietro si nascondesse qualche malintenzionato, il biondo alzò
la voce, sicuro di sé.
«Chi c’è là?»
Nessuno rispose, poi una creatura
gigantesca spuntò da dietro il palo: pareva di guardare un uomo molto alto che
si piegava per passare da una porta troppo piccola per lui ed entrare in una
stanza. Infatti la creatura aveva le sembianze di un uomo gigantesco, con gambe
e braccia terribilmente lunghe. Somigliava ad un manichino esposto in qualche
negozio d’abbigliamento: indossava un completo nero, la sua carnagione era di
un pallore mortale, la testa priva di capelli. L’unica cosa insolita erano le
mani, le cui dita avevano la forma di lunghe lame arcuate.
Sebastiaan sentì il sangue gelargli
nelle vene: non riusciva a muoversi, i suoi sensi erano tutti all’erta, ma non
aveva la minima idea di come reagire, il suo cervello riusciva solo a chiedersi
cosa fosse quell’essere. A peggiorare la situazione ci pensò Audrey, che iniziò
ad abbaiare. Solo allora la creatura si accorse della loro presenza e si girò,
rivelando un volto privo di connotati, fatta eccezioni per gli occhi che erano
grandi e luminosi, completamente rossi. Di fronte a quella vista Sebastiaan si
coprì il viso con una mano, ripetendo a sé stesso che quella era solo
un’allucinazione, che non potevano esistere creature del genere. Ma nonostante
questa sua opera di autoconvincimento il continuo abbaiare di Audrey gli
ricordava che non era l’unico a vedere l’essere, che in qualche modo era lì e
che probabilmente l’avrebbe attaccato da un momento all’altro. Invece non
accadde nulla e dopo qualche altro attimo Audrey smise di abbaiare. Un po’
rassicurato da quel silenzio, Sebastiaan spostò la mano dai suoi occhi e vide
che la creatura era scomparsa. Sollevato, ma allo stesso tempo ancora teso e
all’erta, il biondo si guardò intorno per cercare qualche traccia lasciata
dall’essere, senza però trovare nulla. Notando che Audrey stava tremando, il
ragazzo si chinò ad accarezzarla per tranquillizzarla un po’, lanciando di
tanto in tanto occhiate sospettose al lampione da dove era spuntata la
creatura, poi si alzò e tornò da dove era venuto.
«Vieni Audrey, oggi facciamo il giro
lungo per andare al parco…»
> Inazuma-cho, biblioteca comunale, 3:28 PM
Aléja si mise le mani tra i capelli,
irritato: era quasi mezz’ora che continuava a fissare la stessa pagina del suo
libro senza riuscire a memorizzarla. Quella mattina si era svegliato tardi,
perdendo il treno e saltando la lezione di storia giapponese, che era proprio
l’esame che doveva dare a breve, si era fatto sfottere ed additare come pigrone
dai suoi amici ed in quel momento non riusciva nemmeno a concentrarsi come doveva
per studiare, per lui era proprio una giornata no.
«Mi scusi, potrei avere l’elenco di
circoscrizione del quartiere?»
Il moro brontolò, guardando male la
ragazza che, alle sue spalle, parlava con la bibliotecaria: non era nemmeno
riuscito a trovare un tavolo libero abbastanza lontano dal banco dei prestiti, quindi
gli toccava ascoltare tutte le richieste che venivano fatte al personale della
biblioteca. Per di più la ragazza che era appena entrata, quando le fu
consegnato l’elenco che aveva chiesto, andò a sedersi di fronte a lui e Aléja
non aveva voglia di interagire con qualcuno in qualsiasi modo. Il ragazzo cercò
di studiare ancora per qualche minuto, poi chiuse tutto e si preparò ad
andarsene: in fondo se non riusciva a concentrarsi era inutile rimanere lì.
Dopo aver chiuso la sua borsa il moro uscì dall’edificio, si avviò verso una
fermata dell’autobus e, una volta arrivato a destinazione, si sedette su una
panchina. Intorno a lui c’era altra gente che aspettava l’arrivo del bus: c’era
chi leggeva, chi chiacchierava con qualcun altro, chi giocava con una console,
chi guardava il suo cellulare e ad Aléja andava bene così, anche lui voleva
stare per i fatti suoi. Il ragazzo prese il suo cellulare per rispondere a
qualche messaggio, poi sentì qualcosa passare a grande velocità di fronte a lui.
Alzò gli occhi dallo schermo e vide passare sulla strada qualcosa di
lunghissimo, simile ad un treno, eppure guardando meglio si rese conto che
quella cosa sembrava un enorme
millepiedi. La struttura del corpo era uguale a quella dell’insetto, però le
sue zampe erano sostituite da braccia umane. Aléja aprì la bocca, senza dire
niente: quella cosa era reale? O era sotto acidi e non se ne era reso conto?
Guardò le altre persone in attesa alla fermata, ma nessuna di loro sembrava
aver fatto caso al mostro che stava passando loro davanti e continuavano le
loro attività tranquillamente. Dopo pochi secondi l’essere li sorpassò completamente
e poi sopraggiunse l’autobus, ma Aléja non lo prese: era ancora troppo
sconvolto dall’accaduto e rimase per qualche minuto a guardare sbigottito un
punto imprecisato davanti a sé.
«…Cosa ho appena visto?»
>Inazuma-cho, biblioteca comunale, 3:52 PM
Cassandra sospirò, guardando sconsolata
l’elenco che aveva chiesto poco prima alla bibliotecaria: come immaginava i
suoi genitori non abitavano più lì. Quella notte era andata a controllare il
suo vecchio appartamento, covando una minima speranza di ritrovare lì la sua
famiglia o almeno qualcuno che conoscesse, ben sapendo che le possibilità erano
davvero minime, infatti non aveva trovato nessuno. In fondo erano passati
quarant’anni, i suoi genitori dovevano avere più di ottant’anni, sempre se
erano ancora vivi. Con tutta probabilità dopo la sua dipartita i suoi erano
tornati in Italia, si erano trasferiti in Giappone solo per lavoro dopotutto.
La castana si intristì ancora di più cercando di immaginare la vita di sua
madre e suo padre dopo la sua morte: era certa che fossero tornati in Italia,
ma lei non aveva modo di raggiungerli o almeno cercarli. Non aveva soldi, non
aveva documenti, non aveva nemmeno un cambio di vestiti, aveva assolutamente
bisogno di aiuto. Era riuscita a ritrovare la sua vecchia scuola, cambiata come
il resto della città, ma neanche quello poteva aiutarla: i suoi professori
erano sicuramente andati in pensione da tanto tempo ed i suoi compagni di
scuola, ormai adulti, probabilmente non si ricordavano nemmeno della sua
esistenza. Cassandra non aveva stretto amicizie importanti con i suoi compagni
giapponesi, i suoi amici più cari vivevano all’estero anche quando lei era in
vita, dubitava fortemente che fossero tornati nella terra del Sol Levante,
soprattutto nello stesso quartiere.
C’era una sola persona che
probabilmente era rimasta lì…
La ragazza fece una smorfia: si
trattava del ragazzo con cui era fidanzata all’epoca della sua morte, ma la
vita per lui non si era certo fermata, forse anche lui si era dimenticato di
lei, poteva avere una sua famiglia, dei figli, non le sembrava giusto andare a
sconvolgergli l’esistenza solo per chiedergli aiuto. D’altro canto però era
l’unica persona di cui la castana sapeva di potersi fidare.
Cassandra riprese a sfogliare
freneticamente l’elenco, cercando il nome del suo fidanzato. Dopo un altro po’
di ricerca riuscì finalmente a trovare l’indirizzo della persona che stava
cercando
La giovane corse a chiedere alla
bibliotecaria una mappa della zona, una penna ed un foglietto di carta, poi
tornò al suo tavolo ed iniziò ad appuntarsi la strada da fare per raggiungere
la casa del suo fidanzato. Una volta finito la castana restituì i tomi che
aveva preso in prestito e si diresse velocemente verso l’uscita: la sua meta
era dall’altra parte della città e, se non trovava il modo di imbucarsi su un
treno, doveva fare tutta la strada a piedi. Riprese il foglietto con le
indicazioni per controllare dove andare e si fermò di colpo rileggendo il nome
del ragazzo di cui si era innamorata anni prima: era davvero giusto
coinvolgerlo in tutta quella storia? Era giusto ripresentarsi da lui dopo
avergli causato sicuramente tanto dolore?
Cassandra scosse la testa, come a scacciare quei pensieri: non poteva
lasciarsi andare alla negatività, in quel momento era l’unica cosa che poteva
fare. Dopo aver controllato dove andare, la giovane si rimise in tasca il
bigliettino e riprese a camminare.
> Inazuma-cho,
stazione nord della metropolitana, 10:26 PM
Raphael
sospirò, grattandosi la testa: era stato costretto da uno degli impresari con
cui stava lavorando ad unirsi ad una festicciola dopo il lavoro ed era riuscito
a liberarsi solo da poco. Ormai era tardi, c’era poca gente in giro ed in più
aveva iniziato a diluviare. Il castano, stanco per la lunga giornata, si infilò
nella fermata della metropolitana, pronto a prendere il primo treno per tornare
nel suo albergo. Il giovane interprete si fermò un attimo di fronte ai tornelli
per recuperare il suo abbonamento dalla borsa, quando una ragazzina scavalcò la
barriera di sicurezza con un balzo e corse come un razzo verso l’uscita,
inseguita da un paio di controllori che le urlavano dietro di fermarsi. Raphael
rimase un attimo interdetto dalla scena: per tutta la sua permanenza in
Giappone non aveva mai assistito ad una scena del genere, ne aveva viste di
cotte e di crude, ma ragazzini che scappavano per non aver pagato il biglietto
non gli erano ancora capitati.
Dopo poco i controllori ritornarono sui
loro passi brontolando, probabilmente dopo aver rinunciato ad inseguire la
piccola canaglia sotto la pioggia ed il castano tornò a cercare il suo
biglietto. Raggiunto il binario del suo treno, l’interprete notò che neanche lì
c’era molta gente: oltre lui sulla c’erano solo uno degli impiegati presenti
alla stessa festicciola dove era stato lui e, verso la fine della banchina, una
donna dai capelli neri e vestita con un semplice abito bianco, che
all’americano sembrava più una camicia da notte. Per ingannare l’attesa fino
all’arrivo della metro, il giovane si avvicinò all’uomo che aveva incontrato
alla festa per iniziare una conversazione, ma dopo aver visto l’aria seria e
seccata del tipo decise di rinunciare all’idea, immaginando di non riuscire ad
intavolare un discorso tranquillo ed amichevole.
Fallito il suo primo tentativo per far
passare velocemente il tempo, Raphael decise di concentrarsi sulla donna in
fondo alla banchina: era decisamente strana, aveva la carnagione mortalmente
pallida e sembrava essere scalza, una figura decisamente bizzarra. Poco dopo il
castano sentì il rumore del treno che arrivava e vide la donna fare dei
piccoli, incerti, passi avanti verso i binari. Il ragazzo si allarmò un attimo,
ma poi vide la donna fermarsi giusto sulla linea gialla di sicurezza. Magari si
stava solo avvicinando per salire appena le porte si fossero aperte, pensò
l’interprete. Invece, quando il treno era sul punto di passarle davanti, la donna
si gettò sui binari, venendo investita. Raphael si lasciò scappare un urlo
d’orrore e l’altro uomo presente sulla banchina lo guardò come se fosse pazzo.
Il castano indicò tremante il punto dove prima si trovava la donna.
«L-La donna che era lì prima, si è
appena gettata sotto il treno…!
L’uomo guardò il punto indicato
dall’americano, poi a tornò a guardare il più giovane con aria scettica e detto
questo salì sul treno.
Il castano rimase senza parole: come
non c’era nessuna donna? L’aveva vista con i suoi occhi, non poteva essere
un’allucinazione!
Eppure neanche il macchinista, che
sicuramente doveva essersi accorto dell’incidente, stava facendo nulla. Confuso
ed un po’ mortificato dall’accaduto, Raphael entrò nel vagone del treno, ma
mentre stava varcando la soglia d’entrata, vide un pallido volto femminile
nello spazio tra la banchina e la vettura della metro, su cui spiccavano due
punti rossi luminosi al posto degli occhi. Il giovane balzò nella carrozza,
lasciandosi scappare un altro urlo, e prima che potesse fare qualsiasi cosa le
porte si chiusero ed il treno si mise in movimento. Per il resto del viaggio
Raphael rimase in silenzio, tremando seduto al suo posto, ed appena arrivato a
destinazione schizzò fuori dal vagone e non si guardò indietro fino a quando
non raggiunse il suo hotel.
> Inazuma-cho, zona nord, 11:10 PM
Davanti alla sua scrivania ricoperta da
documenti e scartoffie di vario genere, Kageyama cercava di mettere ordine nel
lavoro delle prossime settimane: da quando era stato costretto a trasferirsi
completamente alla Zeus la sua mole di lavoro era decisamente aumentata. Doveva
studiare i dati relativi al Progetto Z, le informazioni raccolte dai suoi
agenti sui progressi della Raimon e sui movimenti del
detective ficcanaso. A tutto questo si aggiungevano i suoi doveri di vice
presidente della lega calcistica giovanile giapponese. L’uomo si levò gli
inseparabili occhiali da sole per massaggiarsi meglio le tempie: era faticoso
stare dietro a tutta quella roba, soprattutto con il fastidioso rumore della
pioggia che picchiettava contro le finestre del suo studio che gli impediva di
concentrarsi.
D’un tratto qualcuno bussò alla sua
porta e Reiji brontolò un “Avanti” molto infastidito. A richiedere le sue
attenzioni era una delle sue domestiche, con in volto dipinta un’aria
abbastanza tesa.
«Signore, alla porta c’è una ragazzina
che chiede di lei…»
L’allenatore guardò la donna con aria
confusa.
«Una ragazzina…? Non ha detto chi è?»
«No signore, ha solo detto che deve
parlare con lei di qualcosa di molto urgente…»
Kageyama era ancora più confuso: non
aveva contatti con “ragazzine” di alcun tipo. Soprattutto non capiva cosa ci
facesse una ragazzina alla sua porta a quell’ora della notte mentre fuori
imperversava una bella bufera.
Seppur controvoglia, l’uomo si alzò
dalla sua poltrona e si diresse verso l’ingresso di casa, dove, davanti alla
porta aperta, una figura incappucciata bagnata fradicia gli rivolgeva le
spalle, intenta a guardare la strada.
«Allora, chi saresti tu e cosa avresti
di tanto importante da dirmi?»
La figura sussultò e si voltò
timidamente, levandosi il cappuccio. Reiji sentì il suo cuore saltare qualche
battito: quello della ragazza davanti a lui era un volto che un tempo gli era
stato molto caro, che non vedeva da quattro decadi, ma nonostante gli anni
passati non sembrava essere invecchiato poi molto. La giovane gli sorrise con
aria nervosa.
«C-Ciao Kageyama… Lo so che è strano,
ma ti ricordi di me?»
All’uomo venne la pelle d’oca: persino
la voce non era cambiata minimamente, era esattamente come se la ricordava.
Reiji deglutì, non riuscendo a credere di stare per pronunciare un nome che non
diceva più da tempo immemore.
«Cassandra…»
Il sorriso della castana si fece più
tranquillo e annuì felice.
«Sì, sono io! Ora ti prego, ascoltami, ho
bisogno del tuo aiuto…»
××××××××××××××××××××
Ehilà, ci si rivede!
Ecco finalmente il primo vero capitolo di
questa long, ed è uno dei capitoli più lunghi che abbia mai scritto nella mia “carriera”
da scrittrice!
In questo capitolo sono presentati solo
tre OC, altri misteri e nessuna spiegazione. Abbiate pazienza, arriveranno a
tempo debito, lo giuro!
Riguardo agli OC, ora metterò una lista di
quelli scelti e a chi appartengono, così non si crea nessuna confusione. La
scelta di questi OC è stata abbastanza difficile: avevo deciso di prendere
dagli otto ai nove OC, quindi con 22 schede consegnate ho dovuto tagliare un
sacco di roba. Waffle_Ivanov, la tua scheda non mi è
arrivata proprio nonostante l’avviso. Ho avuto parecchie difficoltà per due
motivi principali: ho ricevuto tanti, ma proprio tanti pg
maschili ed ho ricevuto altrettanti pg che
preferivano rimanere single, se tutti non inciuciavano
o lo facevano solo con altri OC alla fine questa sarebbe diventata un’original! Questo, insieme a schede incomplete e personaggi
che si somigliavano abbastanza, hanno facilitato un po’ la scelta, ma è stato
comunque difficoltoso.
Gli OC scelti sono:
Sebastian van Hoensbroeck – Chion
Vespera Jasper – Zodyacon_
Shane Walker – ScatteredDream
Matt Hoffmann – hirondelle_
Raphael Polański – happley
Malia McMoore – Vegetable_Tommo
Aléja Saez – Bloody Alice
Andrea Cervini – Marina Swift
EijiMaekawa – Claire Knight
Mi dispiace per chi non è stato scelto, ma
non potevo prenderne davvero più di così e mi sono dovuta orientare su pg non troppo simili, adatti alla storia e credibili. Spero
non rimaniate troppo delusi, magari in una futura storia OC sarete voi ad
essere scelti.
Per finire vi prometto che nel prossimo capitolo compariranno tutti gli altri
OC (tranne uno, forse) ed un minimo di spiegazioni inizieranno ad essere date.
Non so che altro dire, quindi la chiudo qui che ho sonno--
Alla prossima,
Capitolo 3 *** Red Lights and Beautiful Dreams ***
3.RedLightsandBeautiful Dreams
>
Inazuma-cho, casa Kageyama, 3 agosto, 11:12 PM
Dopo
lo stupore iniziale, Kageyama fu preso da una grande rabbia.
«No, no, NO! Lei è morta, non puoi
essere vero! Chi sei tu, cosa sei tu?»
Spaventata da quella reazione tanto
violenta ed inaspettata, Cassandra arretrò di un passo.
«L-Lo so che è strano da credere, ma ti
prego di ascoltarmi!»
Ignorando completamente le parole della
ragazza, l’uomo la prese per un polso, cercando di trovare un punto debole in
quello che lui credeva un travestimento.
«Non sembra una maschera e non vedo
cicatrici da chirurgia estetica… Chi si è preso il disturbo di trovare un sosia
e mandarlo da me?! Dimmi per chi lavori!»
Come risposta la castana mise la mano
libera in faccia all’uomo, cercando di allontanarlo.
«Kageyama, calmati ed ascoltami, per
piacere!»
Irritato all’inverosimile da quel
gesto, Reiji scostò bruscamente la mano della giovane dalla sua faccia e le
afferrò anche l’altro polso. C’erano poche cose al mondo in grado di far
perdere in quel modo all’uomo la sua solita compostezza, ma l’idea che qualcuno
stesse cercando di giocare con dei sentimenti che aveva a lungo cercato di
dimenticare lo faceva davvero infuriare.
Cassandra in quel momento era davvero
spaventata: certo, si aspettava una reazione incredula, anche brusca, ma non
una così aggressiva. Cercando di mantenere la calma, la ragazza fece quello che
faceva sempre quando qualcuno non la ascoltava: prese una bella boccata d’aria
e poi emise un urlo acutissimo e prolungato. Stordito da quel suono, Kageyama
lasciò i polsi della castana per potersi tappare le orecchie e chiuse gli occhi.
Era incredulo: ricordava bene il suono di quell’urlo, più volte da giovane
aveva chiesto alla sua fidanzata di gridare in quel modo per spaventare
qualcuno che gli stava poco simpatico e divertirsi un poco, un suono del genere
era difficile da imitare, soprattutto per chi non l’aveva mai sentito. Una
volta che la giovane smise di strillare, Reiji riaprì gli occhi e sentì una
stretta al cuore guardando quelli pieni di lacrime di Cassandra.
«L-Lo so che è difficile da credere,
neanche io riesco a farmene una ragione, ma sono viva. Ho freddo, ho fame, sono
tutte cose che non provo da tantissimo tempo, ma sono cose che mi fanno capire
di essere viva. Reiji… Ascoltami, ti prego, non ho nessun altro a cui chiedere
aiuto…»
L’uomo si morse le labbra: avrebbe
voluto davvero credere alla ragazza, più la guardava e più sentiva la sua voce
più si convinceva che era la fidanzata che aveva perso tanti anni prima, ma
continuava a temere che quello fosse tutto un inganno.
«Come faccio… Come faccio a sapere che
sei davvero tu?»
La castana rimase senza parole: quella
posta da Kageyama era una domanda più che legittima, ma come poteva dimostrargli
di essere la stessa ragazza di quarant’anni prima? Si prese un attimo per
riflettere, poi venne fulminata da un’idea.
«Tua madre ti ha confezionato un
pinguino di peluches quando sei nato, lo conservavi
sotto il tuo letto! Un pomeriggio mentre studiavamo insieme l’ho trovato per
caso, tu per l’imbarazzo ti sei chiuso in bagno ed ho impiegato circa due ore
per convincerti ad uscire da lì!»
Reiji avvampò, imbarazzato dal ricordo
e dal fatto che la domestica che l’aveva chiamato prima e che era rimasta lì tutto
il tempo avesse sentito. Coprendosi il volto con una mano, l’allenatore fece un
cenno alla donna di allontanarsi.
«Vai a prendere qualcosa per permettere
a questa ragazza di asciugarsi e cerca un cambio di vestiti che le possa
andare.»
Una volta che la domestica se ne fu
andata, Kageyama tornò a posare il suo sguardo su Cassandra, che lo guardava
speranzosa.
«Solo tu potevi scegliere di raccontare
qualcosa di tanto imbarazzante per farti riconoscere…»
Felice di essersi finalmente guadagnata
la fiducia del suo vecchio fidanzato, la castana non riuscì a trattenere un
sorriso.
«Beh, era l’unica cosa che certamente
non conosceva nessuno oltre noi due, io non l’ho mai detto a nessuno come ti
avevo promesso!»
Quel sorriso scaldò il cuore di Reiji,
che non poté fare a meno di imitare la ragazza.
«Vieni dentro, devi raccontarmi tante
cose…»
>Inazuma-cho,
casa Kageyama, 4 agosto, 00:27 AM
Kageyama
sospirò per l’ennesima volta quella sera: con un po’ di fatica e prendendo in
prestito qualche vestito dal cambio della domestica, era riuscito a mettere
insieme qualcosa da far indossare alla sua ospite mentre ciò che indossava
prima si asciugava. Le aveva fatto preparare da mangiare e nel frattempo la
ragazza gli aveva raccontato la sua storia. L’uomo trovava incredibile che la
castana fosse rimasta per tutti quegli anni in quello che lei definiva il mondo
dei sogni e che ne fosse uscita tramite uno strano portale. Tutta quella storia
suonava assurda e impossibile, ma anche la sola presenza di Cassandra seduta al
suo fianco era impossibile, quindi aveva deciso di accettare la vicenda così
come gli era stata esposta. Nel mentre raccontava, la castana gli aveva più
volte dato prova di essere la stessa di quarant’anni prima: conosceva cose che
solo loro potevano sapere, ricordava un sacco di eventi che Reiji stesso aveva
iniziato a dimenticare e, cosa più importante di tutte, si comportava
esattamente come la ragazza di cui Kageyama si era innamorato quarant’anni
prima. L’uomo sorrise, osservando la sua ospite sorseggiare la tisana che le
aveva fatto preparare, e le accarezzò una guancia.
«Non sei cambiata di una virgola…»
Cassandra lo squadrò e poi sorrise
divertita.
«Beh, scusa se il treno della pubertà
non passa nel mondo dei sogni!»
Reiji non capì al volo la battuta.
«Treno della pubertà…?»
La castana ridacchiò, un po’ a disagio.
«Beh, perché da come sei cresciuto
sembra che non sei stato tu a raggiungere la pubertà, è stata lei ad investirti
e a passarti sopra un paio di volte!»
La risata della ragazza morì piano
piano, lasciando il posto ad un silenzio imbarazzante. Si diede mentalmente
della stupida: come le veniva in mente di fare una battuta del genere in quel
momento? Doveva abituarsi all’idea che Kageyama aveva quarant’anni in più di
lei ormai, non poteva lasciarsi andare a spiritosaggini del genere, soprattutto
perché non sapeva se l’uomo avesse fosse impegnato con qualcun altro, non era
più il suo fidanzatino.
«Sono cambiato molto, vero?»
Reiji aveva un sorriso amaro dipinto
sul volto: da giovane era sempre insicuro del suo aspetto, un disagio che era
andato affievolendosi col passare degli anni senza però scomparire mai del
tutto. Ma quello a cui si riferiva principalmente l’uomo era ciò che aveva
fatto nei passati quarant’anni. Aveva compiuto a sangue freddo diversi crimini,
infischiandosene della vita di tutti quelli intorno a lui, non era più il
ragazzino che al massimo faceva a botte con i suoi compagni di scuola o
rispondeva male agli adulti. Chissà se Cassandra avvertiva quel suo
cambiamento, di sicuro se avesse scoperto quello che aveva fatto lo avrebbe
lasciato, e Kageyama non voleva correre quel rischio. Non voleva perderla di
nuovo, non dopo che era miracolosamente tornata da lui.
Cassandra si rattristò nel vedere Reiji
così amareggiato e lo abbracciò, facendolo sussultare.
-Sì, sei cambiato. Sei cresciuto e
dall’essere un bel ragazzo sei diventato un bell’uomo. Va bene così, non c’è
nulla di sbagliato! Sei maturato, o a quest’ora ti staresti già lamentando per
l’imbarazzo, e dalla casa che ti ritrovi direi che te la sei cavata bene anche
nel mondo del lavoro. Sono felice di vedere che la tua vita sta andando bene…
L’uomo sorrise appena e ricambio
l’abbraccio. Era strano, Cassandra era tanto piccola fisicamente in confronto a
lui, ma un suo abbraccio lo rassicurava più di un esercito pronto a
proteggerlo. Era stata una particolarità che la ragazza aveva sempre posseduto,
gli era mancata molto la calma che riusciva a regalargli, ma questo Kageyama
non l’avrebbe mai ammesso. Dopo un po’ la castana si separò dall’abbraccio e
sbadigliò.
«Sei stanca? Hai avuto una giornata
intensa dopotutto… Andiamo a dormire?»
Cassandra rabbrividì e sorrise a Reiji,
cercando di sembrare sicura di sé.
«Oh no, potrei andare avanti a parlare
per tutta la notte!»
L’allenatore la guardò facendo una
smorfia poco convinta.
«Non sei mai stata brava a mentire.»
Il sorriso della ragazza si spense
mentre lei si raggomitolava su sé stessa, ginocchia strette al petto e sguardo
perso nel vuoto.
«Ho paura che se mi addormento rimarrò
di nuovo intrappolata in quel mondo…»
Kageyama le accarezzò la testa.
«Stai tranquilla, non permetterò che
accada. Se inizia a succedere qualcosa ti sveglierò immediatamente.»
L’uomo si alzò dal divano e le porse la
mano.
«Dai, andiamo. Ti si chiudono gli occhi
e domani è il mio turno di raccontarti un po’ di cose…»
Reiji ridacchiò.
«In fondo hai solo quarant’anni di
storia da recuperare.»
Confortata da quelle parole, Cassandra
tornò a sorridere.
«Va bene, mi affido a te allora…»
>Inazuma-cho, caffetteria universitaria, 4 agosto, 07:34 am
«Oh
andiamo, smettetela di ridere, vi ho detto che è vero!»
Aléja guardò malissimo il suo amico
Shane che, insieme al suo fidanzato Eiji, si stavano
sbellicando dalle risate dopo aver sentito cosa aveva visto il giorno prima.
«Un millepiedi gigante che passa per la
strada al posto dell’autobus e che hai visto solo tu? Andiamo Al, è assurdo!»
«Non era un millepiedi Shane, era
qualcosa di peggio!»
Dal bar si sentì chiamare un numero ed Eiji si alzò dal suo posto per andare a prendere il loro
ordine.
«Meno canne amico mio, meno canne.»
Saez mostrò un bel dito medio all’amico,
anche se questo era di spalle e non poteva vederlo.
«‘Fanculo Maekawa,
vi ho detto che ho dato un tiro UNA sola volta!»
Il russo odiava quando i due fidanzati
si spalleggiavano in quel modo, quasi quanto la loro abitudine di tubare
sottovoce tagliandosi fuori dai discorsi del loro gruppo di amici. Certo, era
molto felice che Shane, di solito introverso ed indifferente, avesse trovato
qualcuno che lo smuovesse un po’, ma quando i due si alleavano contro qualcosa
o qualcuno anche per scherzo erano insopportabili. Aléja però non poteva dar
loro torto: se fosse stato nei loro panni neanche lui avrebbe creduto ad una
storia del genere. Poco dopo Eiji tornò, consegnando
a ciascuno il proprio ordine.
«Comunque sicuro che non sia stato uno
scherzo dello stress? Forse dovresti andare a casa a risposarti, questo esame
ti sta davvero spompando.»
«No ragazzi, non era un’allucinazione,
era reale! Potevo sentire
perfettamente il suono delle sue… Cose che fungevano da zampe sbattere contro
l’asfalto, ho sentito lo spostamento d’aria che ha provocato, ho anche visto i
vestiti e i capelli degli altri muoversi a causa di quell’aria, ma oltre me
nessuno si è accorto di niente!»
Shane iniziò a prendere sul serio
quella faccenda: certo, non credeva al mostro che passeggiava tranquillamente
per strada, ma il suo amico era fermamente convinto di aver visto qualcosa del genere,
quindi qualcosa non andava con lui.
«Non avevi mangiato niente di strano
prima?»
«No.»
«Non hai preso medicinali scaduti.»
«Non prendo medicinali da tipo un mese!»
«Provato roba strana?»
«Dio santo Shane, non ero fatto!»
L’americano iniziò a preoccuparsi: se
Aléja non aveva preso niente che potesse provocare allucinazioni forse quello
era un sintomo di qualche malattia neurologica e la cosa non gli piaceva per
niente. Shane stava ripassando mentalmente le malattie che conosceva e che
potevano provocare allucinazioni quando il suo fidanzato gli tirò una gomitata
per attirare la sua attenzione.
«Shane, lo vedi anche tu quello?»
Il ragazzo alzò lo sguardo per
osservare il punto indicato da Eiji: su uno dei
grattacieli che si vedevano dalla vetrata c’era una grande figura nera
arrampicata come una lucertola. Era abbastanza lontana, quindi non riusciva a
vedere bene i dettagli, ma quella creatura sembrava avere un aspetto umano.
«Che è quella roba?»
Aléja, che si era girato anche lui per
osservare quel mostro, tirò per la manica uno studente che gli era appena
passato vicino e gli indico il palazzo.
«Ehi, vedi niente di strano lì?»
Lo studente guardò tranquillo in
direzione della figura, poi fece segno di no.
«No, mi sembra tutto apposto.»
Il russo strinse le spalle.
«A me sembrava che il vetro fosse
crepato… Va beh, sarà stata una mia impressione, meglio così.»
Eiji e Shane si guardarono increduli, poi
tornarono a guardare la creatura e, con loro sommo orrore, notarono che questa
aveva girato la testa a 180° e stava fissando nella loro direzione con i suoi
grandi e luminosi occhi rossi. Allarmati da questa cosa, i due scattarono in
piedi quasi simultaneamente, imitati subito dopo da Aléja.
«Andiamocene, subito!»
Dopo aver recuperato le loro borse, i
tre si avviarono a passo veloce verso le loro classi.
«Cosa era quel mostro?!»
«Oh, non lo so, sicuro di non essere
fatto?»
La coppietta fulminò con lo sguardo
Aléja che si stava prendendo la sua rivincita, ma quando quest’ultimo si bloccò
di colpo tornarono a guardare davanti a loro e rimasero sgomenti nel vedere la
finestra immersa in un bagliore rosso. Quando quel bagliore si trasformò in
pura oscurità per un secondo i ragazzi non ebbero più dubbi: quello era un
occhio della creatura di prima.
>Inazuma-cho,
zona ovest, 4 agosto, 10:45 am
Matt osservava con noncuranza la
creatura fuori dalla sua finestra: era una delle allucinazioni più strane che
aveva avuto di recente, si trattava dell’enorme testa di una persona
decisamente brutta, come quelle streghe delle favole che gli venivano
raccontate da piccolo. Il naso arcigno e verrucoso, pieno di rughe e con i
capelli sporchi e scompigliati, ma la cosa più strana di quel volto erano gli
occhi: erano quattro, piccolissimi, rossi e luminosi. Il ragazzo iniziò a
chiedersi se poteva esistere dell’LSD più scadente di quella che aveva comprato
la sera prima, quando sentì la porta di casa aprirsi.
«Ehi Matt, sei in casa?»
Il biondo si accigliò e si alzò
dall’angolino della stanza dove si era addormentato la sera precedente.
«Fudou, che ci fai qui? Non dovresti
essere a quelle lezioni supplementari a scuola?»
«Oh, allora sei a casa sul serio.»
Il giovane teppista gettò sul tavolo le
chiavi che aveva usato per aprire la porta e si diresse subito al frigo, come
se fosse a casa sua.
«Non avevo voglia di andarci, e tu? Non
dovresti essere al lavoro?»
Matt si morse le labbra e non rispose.
«Oh, non me lo dire. Ti sei fatto
licenziare un’altra volta…»
«Non me la sentivo di truffare le
persone in quel modo…»
Akio sospirò, aprendosi una lattina che
aveva trovato in frigo.
«Di nuovo. Che ti trovo a fare un
lavoro se lo perdi nel giro di una settimana?»
Il biondo si sentiva davvero in colpa:
Fudou si impegnava a trovargli una occupazione, anche se di dubbia legalità, e
lui lo ripagava spendendo quel poco che guadagnava in droghe. Il più piccolo
sbuffò, agitando una mano per farsi aria.
«Qua dentro si soffoca, non puoi aprire
la finestra?»
Matt lanciò un’occhiata veloce alla
testa che si era spostata per continuare a guardarlo: era sicuro che quella fosse
solo un’allucinazione, ma si sentiva comunque a disagio nel sapere che quella
cosa era libera di entrare in casa.
«…È rotta.»
Il teppista sbuffò nuovamente.
«Che palle… Va beh, allora
approfittiamone ed andiamo a comprarci qualcosa di fresco al mini-market qui
sotto.»
Con un ghigno fiero, Akio tirò fuori un
portafogli gonfio e lo mostrò all’amico, che lo guardò male.
«Fudou, hai derubato di nuovo qualcuno?!»
Con fare innocente, il ragazzino aprì il portafoglio ed iniziò ad
esaminarne il contenuto.
«Non è colpa mia, quel pallone gonfiato
lo teneva in bella vista nella tasca di dietro del suo pantalone, era un invito
a fregarglielo.»
Matt scosse la testa sconsolato: voleva
davvero bene ad Akio, lo aveva aiutato parecchio in quegli ultimi mesi e per
lui ormai era diventato come un fratellino, ma proprio non sopportava quel suo
fare da criminale. Purtroppo però, il biondo non riusciva proprio a dissuaderlo
dal commettere furti e stringere patti ed amicizie con individui poco
raccomandabili.
«Dai, non fare così. Oggi offro tutto
io, ti riempio il frigo e pensiamo a trovarti un nuovo lavoro. Sai, ho iniziato
a fare dei servizietti per un pezzo grosso, magari lui può procurarti un posto
di poco conto ma di cui non ti potrai lamentare.»
Lo svedese fece una smorfia: non
credeva che qualcuno delle conoscenze di Fudou riuscisse a procurargli un
lavoro onesto, ma alla fine tentare non nuoceva a nessuno. Lanciò poi un’altra
occhiata alla finestra e vide che il mostro di prima era scomparso. Sollevato
dalla cosa, andò a recuperare chiavi e portafogli, mentre il teppista finiva la
sua bibita e lanciava con noncuranza la lattina vuota sul pavimento.
«Datti una mossa Matt, se rimango in
questo forno un secondo di più ci rimango secco.»
Il biondo sospirò, poi aprì la porta al
più piccolo.
«Andiamo. Quando ti metti a frignare
così sembri proprio un bambino.»
Akio gli passò davanti esibendo un bel
dito medio e si avviò verso l’ascensore del palazzo, mentre il suo amico si
fermò un attimo a chiudere la porta dell’appartamento prima di seguirlo.
>Tokyo,
courtyard hotel, 4 agosto, 2:34 pm
Noia.
Quella che Andrea provava in quel momento era pura e semplice noia. Aveva
finito l’ultimo libro che si era portata dietro dall’America, i suoi amici a
Los Angeles in quel momento erano tutti a mangiare o a finire i loro compiti e
suo padre non era ancora tornato dalla riunione di quella mattina. Ma la cosa
peggiore di tutte era che aveva fame. Suo padre le aveva promesso di portarla
in qualche posto carino per pranzo, ma non si era ancora fatto vivo. Andrea
però era ormai abituata, quindi continuò a scorrere sul suo Iphone
la mappa di Akihabara, segnandosi i posti da visitare
quando finalmente suo padre si sarebbe deciso a portarla lì.
Sarebbe andata volentieri andata da
sola a visitare quel quartiere, ma per arrivarci avrebbe dovuto prendere la
metropolitana ed il solo pensiero la fece rabbrividire.
In quel momento sentì la porta della
stanza aprirsi e si mise a sedere sul letto, speranzosa. Finalmente suo padre
entrò in camera e poggiò con un sospiro di sollievo la sua borsa a terra, prima
di sorridere alla figlia.
«Ehi Andrea, eccoti qui!»
La ragazza si alzò e andò ad
abbracciare il genitore.
«Finalmente sei tornato. Andiamo a
mangiare ora? Muoio di fame.»
«Ehi, quanta fretta! Fammi cambiare un attimo,
poi andiamo a mangiare dove vuoi.»
L’americana era impaziente, ma in fondo
suo padre aveva il diritto almeno di indossare qualcosa di più comodo, quindi
decise di aspettare senza lamentarsi. Nel mentre si svestiva, l’uomo cercò di
conversare con la figlia.
«Allora, cosa hai fatto stamattina?»
La castana strinse le spalle.
«Niente di che. Ho lavorato un po’ al
computer, chiacchierato con i ragazzi a casa, finito di leggere il libro che mi
hai regalato… Domani mi porti a visitare Akihabara?»
Il signor Cervini fece una smorfia.
«Scusa tesoro, per domani mi hanno
fissato un’altra riunione importante…»
Andrea sospirò esasperata: quel
quartiere era l’unica cosa che voleva visitare lì a Tokyo, ma suo padre
continuava a rimandare la loro gita lì. Dopo essersi cambiato l’uomo andò a
scompigliare i capelli alla figlia.
«Dai, non fare così, ho promesso che ti
ci porto e ti ci porterò!»
La giovane fece un verso poco convinto,
sperando che quella promessa venisse mantenuta il più presto possibile, poi
iniziò a radunare le sue cose per uscire.
«A proposito… Dopodomani dovrei andare
a parlare con un cliente in un quartiere residenziale parecchio lontano da qui
e poi avrei il pomeriggio libero, vuoi venire con me? Certo, non sarà come
visitare la città dell’elettricità, ma potremmo divertirci comunque.»
Andrea ci pensò un po’ su: certo, un
quartiere residenziale non era la sua meta più ambita, ma sempre meglio che
rimanere in albergo ad annoiarsi.
«Ok, ci sto. Ora andiamo per piacere?
Mi mangio un cuscino se non ci sbrighiamo.»
Suo padre ridacchiò e prese la chiave
magnetica della stanza.
«Va bene, va bene. Visto che ho
parecchie cose da farmi perdonare che ne dici di andare a mangiare a quel KFC
gigantesco vicino alla stazione?»
«Direi che è una splendida idea,
approvata.»
>Inazuma-cho,
cortile della Raimon, 4 agosto, 4:16 PM
Vespera era decisamente depressa e
demoralizzata: essere l’unica studentessa della Raimon costretta a venire a
scuola durante le vacanze estive per frequentare delle lezioni supplementari
non faceva bene alla sua già fragile autostima. Avendo però studiato per tutta
la vita privatamente con vari istruttori privati almeno era abituata a rimanere
per lungo tempo sola con un insegnante. La scuola era stata anche molto gentile
ad organizzare quelle lezioni speciali di giapponese solo per aiutarla, ma lei
continuava a sentirsi un peso per tutti: in fondo viveva stabilmente in Giappone
da un anno e mezzo, il fatto che non avesse ancora imparato perfettamente la
lingua non era accettabile.
Mentre era immersa in questi mesti
pensieri, le arrivò un pallone in testa. Il colpo non era stato molto forte e
la rossa prese in mano la sfera, prendendosi un colpo vedendo che, dalla stessa
direzione da cui era arrivata la palla, stava venendo verso di lei un ragazzo
in divisa sportiva.
«Scusami, ti sei fatta male?»
Il giovane sconosciuto era molto alto e
magrissimo, carnagione scura e capelli di uno strano azzurro tagliati a
spazzola. Sorrideva, ma Vespera si
sentiva comunque intimidita dal suo aspetto, forse a causa del fatto che il
ragazzo era molto snello, cosa che le faceva gravare ancora di più i suoi
problemi di peso.
«Cosa c’è, il gatto ti ha mangiato la
lingua?»
Andando un po’ nel panico di fronte a
quell’insistenza, l’australiana porse il pallone al ragazzo e chiuse gli occhi.
«S-Sorry, I don’tspeakjapanese!»
Che cosa stupida che aveva detto, pensò
Vespera, in fondo il giapponese lo sapeva parlare, aveva anche capito il
ragazzo, l’ansia però le giocava spesso quei brutti scherzi.
«…Oh! Parli inglese! Ti sei trasferita
qui da poco? Da dove vieni?»
La rossa riaprì gli occhi, stupita: il
giovane aveva appena parlato in un inglese perfetto, senza sbagliare nemmeno
una pronuncia.
«D-Da Melbourne…»
«Australiana? Cool! I miei sono giapponesi, ma ho vissuto in negli States praticamente per tutta la vita, mi sono trasferito
qui poco più di un anno fa!»
Vespera si sentì sollevata come non
mai: aveva finalmente trovato qualcuno che poteva capirla. Ma prima che potesse
dire qualcos’altro al ragazzo, qualcuno dal campo da calcio lo chiamò.
«Ehi Domon,
sbrigati con quella palla!»
Rispondendo all’appello, il calciatore
riprese la palla dalle mani della rossa e si riavviò verso il campo.
«Scusa, devo andare! Ci si becca in
giro, ciao!»
Vespera rimase a guardarlo mentre
tornava a giocare con i suoi compagni, riflettendo sul da farsi: voleva davvero
tanto fare amicizia con quel ragazzo, però in quel momento era con un sacco di
altre persone e non sapeva se era il caso di avvicinarsi o meno. Però alla fine
doveva provare, tanto ormai le lezioni erano finite e, se qualcosa andava
storto, poteva sempre scappare verso casa. Timidamente, la giovane si avvicinò
al campo di calcio e rimase sorpresa nel vedere giocatori con ogni tipo di
corporatura affannarsi allo stesso modo e senza riserve, c’era anche un
difensore anche più grosso di lei! L’australiana era tanto rapita da quella
scena di non accorgersi di essersi avvicinata troppo alla panchina a
bordocampo, o almeno non se ne accorse fino a quando una fanciulla dai capelli verde
scuro non le rivolse la parola.
«Ciao, sei interessata alla squadra?»
La rossa sussultò, colta alla
sprovvista, e non seppe nuovamente cosa dire.
«Parlale in inglese Aki,
penso si trovi più a suo agio.»
Ad esprimersi era stato il ragazzo di
poco prima, che sorrise nuovamente a Vespera prima di intercettare una palla.
«Oh, sei una studentessa straniera? Come
ti chiami? Io sono Aki Kino, piacere di conoscerti!»
Un’altra persona che parlava benissimo
in inglese, all’australiana quello sembrava un sogno.
«Vespera Jasper, piacere mio…»
«Ti sei trasferita qui da poco?»
«Un anno e mezzo…»
«Oh! Beh, il giapponese è una lingua
complessa, è normale non capirla ancora del tutto!»
Da dietro le spalle di Aki fece capolino una ragazza dai capelli blu.
«Vuoi diventare una manager del club di
calcio?»
Imbarazzata dall’audacia della
compagna, Aki si girò verso di lei con aria di
rimprovero.
«Otonashi-san!»
Vespera lasciò che le due ragazze
discutessero un po’ tra loro. Lei non era una tipa sportiva, però magari quello
era un buon modo per fare amicizia con qualcuno.
«Sei molto gentile a venirmi a trovare
durante le vacanze estive, non deve essere il massimo del divertimento venire
ogni giorno in ospedale…»
Malia fece cenno di no, scuotendo senza
volerlo i suoi lunghi capelli castani.
«No, mi fa piacere venirti a trovare, Genda-san.»
Il ragazzo le sorrise, poi riprese il bento che la giovane gli aveva portato. Era ormai un’intera
settimana che il portiere della Teikoku, insieme al
resto della sua squadra, era ricoverato all’ospedale dopo la disastrosa
sconfitta contro la Zeus e Malia era venuto a trovarlo ogni giorno. Era ormai
più di un anno che la castana si era presa una cotta per il ragazzo, dopo
averlo visto giocare in televisione, e da allora aveva iniziato ad
appassionarsi al calcio e a seguire tutte le partite della Teikoku.
Ci era rimasta un po’ male quando la squadra aveva perso la finale regionale
del Football Frontier, ma non era minimamente
paragonabile al terrore che aveva provato vedendo i ragazzi massacrati da una
squadra sconosciuta e senza scrupoli. Da allora la ragazza aveva deciso di
farsi avanti e smetterla di osservarlo solo dagli spalti, in modo da poterlo
conoscere meglio e proteggerlo da chi gli voleva fare del male. Perché sì, era
convinta che quello della Zeus non era stato un incidente e che qualcuno stesse
cercando di fare del male e Genda ed i suoi compagni,
ma se qualcuno intendeva ferirlo un’altra volta se la sarebbe vista con lei. Le
sue compagne intanto la prendevano in giro per questo suo interesse in un
ragazzo che andava ancora alle medie, ma la diciassettenne non ci faceva caso:
era testarda, non sarebbero state certo le risatine di quattro oche a farle
dimenticare i suoi sentimenti.
Genda si era dimostrato un ragazzo educato e
gentile, a Malia piaceva sempre di più ed era decisa a chiedergli un
appuntamento prima della sua dimissione, ma per quello c’era tempo: il portiere
aveva ancora un mese da passare in ospedale, non c’era bisogno di affrettare le
cose. Intanto la castana si godeva le loro chiacchierate, le piaceva portargli
da mangiare e raccontargli l’andamento del Football Frontier,
anche se non lo dava molto a vedere.
Quel giorno però era turbata, cosa che Genda non faticò a notare.
«Malia-san, va tutto bene?»
La ragazza si ridestò dai suoi
pensieri.
«Sì, va tutto bene.»
Un sogno. Quello a cui stava pensando
era il sogno fatto la sera precedente, in cui delle figure nere dagli occhi
rossi attraversavano in massa un vortice azzurro, osservate da un uomo che
sorrideva in maniera maligna. Non le piaceva per niente.
«Sicura? Oggi sei così pensierosa…»
Malia abbozzò un sorriso per
tranquillizzarlo.
«Ripensavo a qualcosa di sciocco,
niente che debba allarmarti. Tu ora hai bisogno di riposo e serenità.»
Già, quello della sera prima era solo
uno strano incubo, niente di tanto importante da distrarla dal piccolo sogno d’amore
che si stava pian piano costruendo.
O almeno, così pensava.
××××××××××××××××××××
Guesswho’s back, back again
Lauis back, tell
a friend.
Sì ok faccio la seria. Allora… Terzo capitolo, finalmente! Poco
più di 4500 parole, più vado avanti più sforno roba lunga, spero non sia
pesante da leggere—
Comunque avrete notato che ho aggiunto le date. Già, non aveva
senso senza di quelle, ora funziona molto meglio. Il capitolo precedente è
tutto ambientato il tre Agosto, giusto per puntualizzare.
Ho fatto comparire tutti gli OC non comparsi nello scorso
capitolo, spero di averli resi bene. Mi scuso con Vegetable_Tommie
e Marina Swift visto che le loro parti sono un po’
più corte delle altre, ma i vostri OC avranno più spazio in seguito. Col
prossimo capitolo si inizia con un po’ di azione, yay!
(E prometto di lasciar Cass fuori per un po’)
«Non siete un po’ troppo grandi per un pigiama party voi tre?»
Eiji era davvero imbarazzato: era già stato a casa sua
insieme a Shane in più di un’occasione, sia per farlo conoscere al genitore che
per passare insieme al suo ragazzo un po’ di tempo in intimità, ma presentarsi
davanti al padre con l’aria di chi era appena scappato da un campo di prigionia
non solo insieme a Shane, ma anche in compagnia di Aléja, aveva giustamente allarmato
il signor Maekawa. Il giovane non voleva far preoccupare suo padre e
soprattutto dubitava che credesse alla storia del mostro, quindi aveva
semplicemente detto si sarebbero fermati tutti a dormire lì per fare qualcosa
di diverso dal solito. Il genitore però non si era bevuto quella scusa
chiaramente campata per aria.
«Dai papà, non è un pigiama party! Te l’ho detto, volevamo
stare insieme e fare qualcosa di diverso, tutto qui…»
L’uomo fece una smorfia poco convinta: era Agosto, le
lezioni universitarie del figlio si sarebbero fermate nel giro di due giorni
per le vacanze estive e giustamente il giovane ed i suoi amici approfittavano
della cosa uscendo ogni sera a divertirsi, quindi la situazione gli sembrava
sempre più sospetta. Ma se suo figlio non gli voleva dire la verità magari non
era successo niente di grave, quindi decise di lasciare perdere.
«Come volete, vedete solo di non fare troppo casino,
capito?»
Eiji annuì, cercando di mostrare un sorriso convincente, poi
prese il futon che era venuto a chiedere al padre e tornò in camera, dove lo
stavano aspettando i suoi due ospiti.
Aléja, che veniva a casa del suo amico per la prima volta,
era intento ad osservare con interesse i libri posseduti dall’amico, mentre
Shane guardava le luci dei lampioni con aria assente.
Dopo essersi trovati quasi faccia a faccia con il mostro
quella mattina, i tre avevano cercato di comportarsi in maniera normale, ma
mantenere la calma era assai difficile, soprattutto perché dalle varie finestre
dell’edificio potevano intravedere il mostro che era sempre lì, in agguato.
Shane aveva più volte avanzato la richiesta di dirlo a qualcuno, ma era chiaro
che, a parte loro tre, nessuno riusciva a vedere la creatura. I ragazzi erano
rimasti all’interno dell’edificio per quello che a loro era sembrato un tempo
interminabile, poi, così come era comparsa, la bestia era sparita nel nulla.
Approfittando di ciò, i tre amici erano scappati fuori
dall’edificio, ma, temendo di poter essere attaccati, avevano deciso di
rimanere assieme. La faccenda però li aveva davvero agitati: tutti e tre erano
dei tipi razionali, non credevano nel paranormale e cercavano sempre di dare una
spiegazione a tutto, ma non riuscivano proprio a trovarne una a quell’incontro.
Eiji sospirò, sistemando il futon sul pavimento: l’aria era
ancora molto tesa, anche se Aléja cercava in tutti i modi di sdrammatizzare.
«Eh? Devo dormire sul pavimento? Eiji, perché non fai il
bravo padrone di casa e non mi fai dormire nel letto insieme a Shane?»
Il giapponese fece un sorrisetto divertito: nonostante tutte
le loro preoccupazioni, il suo amico riusciva comunque a distrarlo con quel suo
fare scherzoso.
«Eh no, non ci provare. Tu nel futon, io nel letto con
Shane. Niente storie.»
Aléja mostrò un ghigno divertito.
«Che c’è, hai paura che ti rubi il ragazzo?»
«Oh no, nessuna paura, a lui non piacciono gli idioti.»
I due si guardarono con aria seria per un momento, poi
scoppiarono entrambi a ridere. Shane però non si fece trasportare da
quell’atmosfera più leggera e rimase a guardare fuori dalla finestra senza dire
una parola. Preoccupato per il suo ragazzo, Eiji gli si avvicinò avvolgendogli
le spalle con un braccio.
«Ehi, è inutile rimuginare su ciò che è successo oggi così
tanto. Ora siamo al sicuro, è questo l’importante.»
Shane si girò a guardare il fidanzato, con occhi pieni di
preoccupazione.
«Come posso non pensarci? Cos’era quella cosa, perché la
vediamo solo noi? E poi siamo davvero al sicuro? Potrebbe averci seguiti… E se
ci attaccasse nel sonno? Come faremo a difenderci da un mostro del genere?»
Il giapponese abbracciò il suo ragazzo, cercando di
tranquillizzarlo.
«Cerca di stare calmo. Se avesse voluto attaccarci lo
avrebbe fatto all’università, no? Per quanto alle altre domande… Ne sappiamo
troppo poco, non posso risponderti… Però magari è stato solo un episodio,
magari non rivedremo mai quella creatura.»
Shane rimase teso tra le braccia di Eiji, per niente tranquillizzato.
«Sembrava che stesse cercando qualcosa…»
«E noi cercheremo lui!»
La coppietta si voltò verso Aléja, che si era intromesso di
colpo nella loro conversazione.
«…Che sei scemo?»
Il russo guardò malissimo il padrone di casa.
«Andiamo, non possiamo solo far finta di non aver visto
niente! Tra pochi giorni inizierà la pausa estiva, avremo tutto il tempo per
indagare.»
«È troppo pericoloso, non possiamo farlo!»
«Io sto con Aléja.»
Eiji guardò incredulo il suo ragazzo.
«Voglio capirci di più. Voglio sapere cos’era quella cosa e
da dove veniva. Non posso vivere con questo dubbio.»
Il giapponese si morse le labbra, cercando di pensare a
qualche scusa che facesse desistere i suoi due compagni da quell’impresa, ma
alla fine arrivò alla conclusione che niente avrebbe fatto cambiare loro idea e
sospirò.
«Aaaaah, a furia di seguirvi
finirò ammazzato…»
>
Inazuma-cho, stadio della Zeus, 5 agosto, 10:17 am
Raphael si guardò intorno, cercando di capire dove andare:
quello stadio era enorme, nonostante non fosse la prima volta che ci veniva gli
risultava ancora difficile orientarsi all’interno dei lunghi corridoi tutti
uguali.
L’americano era stato chiamato lì per una trattativa privata
esterna al suo lavoro, a volte capitava che i suoi superiori lo mettessero a
disposizione di clienti molto importanti. In quel caso doveva fare da
interprete tra i rappresentati di due magnanti, uno delle armi ed uno del
petrolio. In realtà però in quella particolare trattativa la sua presenza era
necessaria più che altro per formalità, infatti il rappresentante giapponese,
un certo Kageyama Reiji, parlava inglese in maniera a dir poco perfetta, cosa
che Raphael aveva visto fare a pochissimi giapponesi. Nonostante questo
rendesse il suo lavoro semplicissimo, l’interprete non era felice di
presenziare a quelle trattative: dopo aver ascoltato le prime conversazioni
aveva capito che i due lavoravano per persone molto importanti ed altrettanto
pericolose, rimanere impicciati nei loro affari non doveva essere un’esperienza
piacevole. Raphael aveva cercato di ascoltare il meno possibile le
conversazioni tra i rappresentanti, anche perché quel Kageyama lo inquietava
parecchio. Gli sembrava impossibile che come secondo lavoro quell’uomo facesse
l’allenatore di calcio per una squadra di ragazzini, eppure era lì, nello
stadio creato apposta per loro ed aveva anche conosciuto la squadra.
Proprio in quel momento nel corridoio risuonò una risata
cristallina, angelica e maliziosa allo stesso tempo. Raphael sapeva bene a chi
apparteneva.
«Ciao Raphael, che ci fai qui?»
L’americano sorrise al ragazzino dai lunghi capelli biondi
che gli si stava avvicinando.
«Ciao Aphrodi. Tecnicamente dovevo partecipare ad un altro
incontro tra il tuo allenatore ed il signor Smith, ma il signor Kageyama ha
posticipato tutto all’ultimo secondo.»
Il capitano della Zeus si mise a giocare con una ciocca dei
suoi capelli, senza staccare gli occhi dall’uomo che aveva davanti.
«Sì, non si è fatto vedere neanche ieri. Forse si è beccato
qualche malanno, non lo so e non mi interessa.»
Raphael deglutì, messo un po’ a disagio dallo sguardo
penetrante del ragazzo. Aveva capito da un po’ che il giovane aveva una bella
cotta per lui e l’americano era anche lusingato da ciò, ma la differenza di età
e la distanza che si sarebbe frapposta tra di loro dopo il suo ritorno in
patria lo frenava e lo spingeva a mantenere le distanze da Aphrodi. Però il
capitano della Zeus non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere l’interprete
ed ogni volta che veniva a sapere della sua presenza nella struttura lo andava
a cercare per corteggiarlo un po’.
«Comunque sei in una zona vietata ai visitatori, dovresti
andartene prima che ti veda qualcuno.»
Raphael sussultò: nonostante quello fosse uno stadio di
calcio aveva una sicurezza strettissima e delle guardie parecchio aggressive,
suo malgrado gli era già capitato di averci a che fare e non voleva ripetere
l’esperienza.
«Ehm, mi sono perso di nuovo. Mi puoi dire da che parte è
l’uscita?»
Aphrodi sorrise in maniera amabile.
«Ma certo, solo in cambio di una cosa però…»
L’americano inclinò la testa, in segno di curiosità e il suo
interlocutore sorrise.
«Voglio il tuo numero di telefono!»
Raphael arrossì, colto alla sprovvista da quella richiesta.
«M-Ma dai, che te ne devi fare del mio numero di telefono?»
Il giovane calciatore assunse un’aria fiera.
«Per poterti invitare agli allenamenti e concederti l’onore
di osservarmi giocare.»
L’americano ridacchiò sinceramente imbarazzato: Aphrodi era
parecchio vanitoso, a volte fin troppo, ma l’interprete aveva imparato a sue
spese che non era saggio farglielo notare. Inoltre era sicuro che, se avesse
rifiutato quella proposta, il ragazzo l’avrebbe lasciato lì a vagare per i
corridoi vuoti dello stadio per chissà quanto tempo.
«Va bene, se proprio ci tieni…»
Soddisfatto, Aphrodi si girò ed iniziò a fare strada. Non
volendo passare tutto il tragitto in silenzio, Raphael cercò un argomento di
cui parlare con il ragazzo. Pensando agli occhi rossastri del calciatore
all’interprete tornò in mente la spaventosa esperienza che aveva vissuto in
metro due giorni prima: nei suoi sprazzi di tempo libero aveva cercato di dare
una spiegazione all’accaduto, cercando in internet notizie di incidenti simili,
ma non aveva trovato ancora una risposta alle sue domande. Le cose che più si
avvicinavano alla sua esperienza erano vari racconti sul paranormale, aveva
anche trovato le descrizioni di alcuni fantasmi che somigliavano alla donna che
aveva visto, ma nessuno di questi aveva gli occhi rossi come quelli della
creatura della banchina. Ricordando che, quando era più piccolo, i pettegolezzi
sul paranormale erano molto comuni nella sua scuola, Raphael pensò che magari
Aphrodi sapeva qualcosa che poteva essergli utile, quindi decise di
chiederglielo.
«Aphrodi, posso farti una domanda?»
Il biondo si girò appena, incuriosito.
«Sì, dimmi.»
«Ecco… Tu sai qualcosa di strane donne con gli occhi
completamente rossi che si buttano sotto i treni e nessuno si accorge di
niente? Tipo dei fantasmi o cose così?»
Aphrodi ridacchiò, sinceramente divertito.
«Hai paura che qualche mostro ti mangi, Raphael?»
L’interprete sospirò ed arrossì appena, imbarazzato dal
fatto che un quattordicenne lo stava prendendo in giro in quel modo.
«No, è che l’altro giorno mi è accaduto proprio una cosa del
genere. Sulla banchina del treno c’era questa donna che si è buttata sui binari
mentre il treno arrivava, ma io sono l’unico ad averla notata. Inoltre mentre
salivo sul vagone sotto il treno ho scorto due occhi rossi che mi fissavano. È
stato parecchio pauroso e speravo che tu, vivendo qui, mi sapessi dire se sono
l’unico che ha vissuto un’esperienza del genere o no…»
Il giovane calciatore rimase in silenzio qualche secondo:
non voleva dubitare di Raphael, inoltre l’interprete sembrava scosso e sincero,
quindi decise di prendere la cosa seriamente.
«No, mi dispiace, non ho mai sentito di cose del genere.
Però se vuoi posso chiedere in giro, magari qualcuno è più informato di me.»
Raphael sorrise, sinceramente grato al più piccolo per
l’aiuto che gli stava offrendo.
«Questo però è un altro favore…»
Il sorriso del castano si spense, preoccupato per quello che
Aphrodi avrebbe detto da lì a poco.
«…Quindi voglio che, in cambio, passi un pomeriggio insieme
a me!»
Raphael cercò qualche argomento con cui ribattere alla
richiesta, ma subito si arrese, sospirando e tornando a sorridere: ma sì, in
fondo un appuntamento poteva concederglielo.
>
Inazuma-cho, Entrata della raimon jr. High, 5 Agosto, 4:41 PM
Sebastiaan toccò il palo della luce che aveva davanti:
niente, non aveva trovato nulla di sbagliato, quello era un lampione come ce
n’erano tanti in quella strada. Eppure da lì dietro aveva visto uscire un
mostro ed era sicuro che non fosse stata un’allucinazione, quindi ci doveva
essere un’altra spiegazione. Aveva provato a chiedere discretamente informazioni
a qualche conoscente nell’esercito giapponese, ma non ne sapevano niente, né
poteva essere opera di qualche criminale, tutto troppo strano ed impossibile. L’olandese
si stava mangiando il cervello dietro a quel mistero: ci doveva essere una spiegazione
razionale, aveva solo troppe poche informazioni per trovarla.
Il biondo si nascose di nuovo dietro il palo per poter
analizzare la situazione da un’altra prospettiva, ma, come le altre volte che
ci aveva provato, arrivò solo alla conclusione che la cosa da lui vista non si
sarebbe mai potuta nascondere tanto perfettamente lì dietro. Sebastiaan
sospirò, pensando per l’ennesima volta che stava sprecando un pomeriggio, ma
poi una voce attirò la sua attenzione.
«Ehi tu, che stai facendo lì dietro?»
Hibiki Seigou avanzò minaccioso verso l’individuo nascosto
dietro il palo davanti all’entrata, pronto ad affrontarlo. Il ragazzo però uscì
tranquillamente dal rifugio con un sorriso caldo ed amichevole dipinto sul
volto.
«Stavo controllando una cosa. Mi dispiace se l’ho fatta
allarmare, non ho cattive intenzioni.»
L’allenatore scrutò da capo a piedi il giovane: si trattava
di un uomo slanciato, dal fisico asciutto ed allenato, i capelli biondi e gli
occhi di una tonalità particolare di giallo, molto simile a quello dell’oro
vecchio. Ma la cosa che più attirava l’attenzione di Hibiki era il sorriso del
ragazzo: ne aveva visti di sorrisi nella sua vita, ma di così finti ne
ricordava pochi. Decisamente sospetto.
«Chi sei? Non ti ho mai visto da queste parti.»
Il sorriso di Sebastiaan si tese per il fastidio: ma che
voleva quel vecchio? Non stava facendo nulla di male, voleva solo indagare su
quella maledetta bestia vista due giorni prima.
«Oh, non ci vengo spesso di giorno, passo di qui la mattina
presto per portare a spasso il mio cane. Mi sono ricordato di un volantino
interessante appeso al palo e volevo solo controllare se c’era ancora!»
«E come avresti potuto vederlo dietro il palo?»
Il tono saccente di Hibiki innervosì ancora di più il
biondo, che però mantenne la calma.
«Stavo solo controllando bene, non ho mica fatto qualcosa di
illegale…»
Il più grande si fece ancora avanti fino a trovarsi a pochi
centimetri dal suo interlocutore.
«Ti manda Kageyama, non è vero?»
Il sorriso di Sebastiaan scomparve, lasciando posto ad
un’espressione decisamente confusa.
«Scusi, ma non ho la minima idea di chi sia questo tipo.»
Seigou rimase a fissare il ragazzo per un’altra manciata di
secondi, poi si girò emettendo un verso stizzito.
«Non mi piaci ragazzo, finisci quello che devi fare e
vattene in fretta.»
Sebastiaan guardò con aria alterata l’allenatore varcare il
cancello della scuola e sparire, poi si girò ed iniziò a camminare per sbollire
la rabbia. Chi era quel vecchio per provare a dargli degli ordini in quella maniera
rozza e volgare? In più non aveva trovato nessun indizio che lo aiutasse a
chiarire quella vicenda. Però, rifletté il ragazzo, forse si stava concentrando
troppo sul mostro lasciandosi sfuggire dettagli importanti. E proprio mentre
formulava quel pensiero venne colpito da un’illuminazione: quella mattina non
era solo, c’era una ragazzina in quella strada ed era scappata giusto un attimo
prima della comparsa dell’essere. Forse lei c’entrava qualcosa, era una pista
che l’olandese non voleva escludere a priori. Le sue indagini sarebbero
continuate, doveva trovare solo il modo di trovare la ragazza.
Svolgendo la sua normale routine da un mese a quella parte,
Malia entrò nell’ospedale, salutò le infermiere e salì le scale, diretta al
secondo piano dove era ricoverato Genda. Ma, diversamente dal solito, non lo
trovò a leggere o a guardare fuori dalla finestra come al solito, bensì a
conversare in maniera fitta con il suo compagno di stanza, Sakuma. I due erano
veramente presi dalla discussione, tanto che ci impiegarono un po’ ad
accorgersi dell’arrivo della ragazza. Appena si resero conto di non essere più
soli i due smisero di colpo di parlare e il portiere accolse con un sorriso la
nuova arrivata.
«Malia-san, benvenuta. Non ci eravamo accorti che fosse già
iniziato l’orario di visita. Prego, accomodati.»
La castana rispose con un cenno a quel saluto ed andò a sedersi
al suo solito posto. La giornata andò avanti come al solito, anche se Genda
sembrava teso rispetto al solito.
«Malia-san, posso chiederti un favore?»
La ragazza inclinò appena la testa, incuriosita.
«Cosa vuoi chiedermi Genda-san?»
Il giovane portiere era un po’ in imbarazzo, ma continuò a
parlare dopo essersi schiarito la voce.
«Ecco, avrei bisogno che tu andassi alla Raimon a consegnare
una lettera a Kidou. A noi non è permesso lasciare l’ospedale e beh… Tu…»
“Tu non attireresti i
sospetti di chi ci vuole fare del male.”
Malia sapeva bene che era quello che il ragazzo non riusciva
a dirle, quindi decise di non costringerlo a continuare.
«Va bene, andrò a consegnare la lettera.»
Genda sorrise alla sua spasimante, sinceramente grato per la
sua disponibilità.
«Grazie davvero, io e Sakuma non sapevamo bene a chi altro
rivolgerci.»
E, detto questo, le porse la lettera.
Malia la guardò attentamente: la busta era sigillata, ma
sopra non c’era scritto niente e non c’era nessun francobollo, una lettera
completamente anonima.
«Mi raccomando, nessuno deve vederne il contenuto se non
Kidou, contiene informazioni importanti…»
La castana annuì: sapeva che i ragazzi della Teikoku anche
dall’ospedale si erano attivati per condurre grazie ad amici e parenti delle
indagini su ciò che era loro capitato loro contro la Zeus e lei era davvero
curiosa di sapere cosa avevano scoperto, ma se Genda voleva che la lettera
arrivasse intatta al suo ex capitano avrebbe rispettato la sua volontà.
A quel punto Malia infilò la busta nella sua borsa scolastica
e si alzò.
«Allora io vado.»
Il portiere annuì, sorridendole con aria impacciata.
«Mi dispiace che tu te ne debba andare prima…»
La ragazza scosse la testa.
«Non fa niente, questa cosa ha la priorità, no? Avremo altri
pomeriggi da passare insieme…»
«Certo, una volta uscito di qui dovrò offrirti qualcosa come
minimo per ringraziarti della tua gentilezza.»
Malia salutò il ragazzo con un inchino e si avviò verso
l’uscita dell’ospedale, senza riuscire però a trattenere un piccolo sorriso.
Dopotutto il suo amato le aveva appena chiesto di uscire con lui.
Nonostante quel pensiero felice ben piantato nella sua
mente, la castana non riusciva a fare altro che riflettere sul contenuto della
lettera che doveva consegnare: ci sarebbe stato scritto il nome di complottava
contro Genda ed i suoi amici? Sapeva per certo che i ragazzi della Teikoku
sospettavano del loro ex allenatore, ma lui era stato preso in custodia dalla
polizia dopo l’incidente con la Raimon e poi rilasciato, era innocente o si era
fatto scarcerare con qualche mezzuccio? Se fosse stato davvero lui il
responsabile di quello che era successo a Genda, Malia lo avrebbe affrontato
volentieri, lui e tutta la Zeus!
Immersa in quei pensieri, la giovane arrivò alla Raimon,
dove la squadra di calcio si stava allenando in vista della finale. Senza paura
o imbarazzo, Malia si fece avanti, attirando l’attenzione dei calciatori,
ovviamente sorpresi di vedere una ragazza molto più grande di loro entrare
nella scuola e dirigersi verso il campo di allenamento.
«Scusatemi, sto cercando Kidou Yuuto.»
Il giovane con occhialini e mantellina si fece avanti.
«Sono io.»
Malia lo salutò con un inchino formale e tirò fuori la
lettera dalla sua borsa per porgergliela.
«Genda Koujirou mi ha chiesto di consegnarti questa.»
Un po’ perplesso, il rasta prese la busta, aprendola e
tirandone fuori il contenuto. Ma, dopo pochi secondi che il centrocampista
aveva posato i suoi occhi sulle parole scritte sul foglio di carta, il ragazzo
emise un verso lamentoso e si tenne la testa con una mano, lasciando cadere la
lettera.
«Ehi Kidou, tutto bene?»
I compagni di squadra corsero subito a soccorrere il loro
amico mentre Malia, confusa ed un po’ allarmata, andò a recuperare la lettera
che Kidou aveva lasciato cadere. Con sua somma sorpresa, la diciassettenne si
rese conto di non essere in grado di leggere il contenuto della lettera, non
perché fosse scritta in una lingua a lei incomprensibile, ma perché i suoi
occhi non sembravano essere in grado di mettere a fuoco le parole. In quel
momento una delle manager, una ragazza in carne che teneva stretta a sé una
bambola di pezza, lanciò un urlo ed indicò qualcosa alle spalle della più
grande. Sempre più tesa ed inquieta, Malia si girò di scatto per vedere una
strana creatura tutta nera dall’aspetto umanoide e due grandi occhi rossi.
La bestia non era molto grande, non raggiungeva il ginocchio della ragazza, ma
le sue mani terminavano in cinque artigli lunghiedaffilati. La cosa peggiore che la
diciassettenne riusciva a notare però era che quella cosa si stava muovendo a
passi incerti verso di lei. Malia si girò verso la Raimon per dir loro di
scappare, ma tutta la squadra e lo staff, fatta eccezione della ragazza che
aveva urlato prima, sembravano pietrificati: sui loro volti era dipinta un’espressione
stupefatta, ma nessuno parlava o muoveva un muscolo, a malapena sembravano
respirare. Prima che la castana potesse fare altro il mostro si avventò su di
lei con grande velocità, emettendo un verso acutissimo e cercando di ferirla
con le sue unghia. Malia però non si fece cogliere impreparata e, imbracciata
saldamente la sua borsa per i manici, la usò come un’arma per respingere la
creaturina, che si fece un volo di qualche metro prima di cadere rovinosamente
al suolo. Nonostante questo però lo sgorbio nero si rimise in piedi, come un
neonato che imparava a camminare, e riprese ad attaccare Malia, che intanto si
difendeva come poteva con la sua cartella.
Ad un certo punto però la creatura riuscì a far breccia con
gli artigli nel tessuto della borsa, lacerandola in maniera terribile e facendo
fuoriuscire tutti i libri e i quaderni contenuti al suo interno.
Privata dalla sua “arma”, la diciassettenne cercò di pensare
velocemente a cosa fare: sarebbe potuta scappare, ma questo significava abbandonare
i ragazzi della Raimon, ancora immobili, nelle grinfie del mostro. Proprio
quando stava per gettare la spugna, un giovane uomo dai capelli biondi armato di mazza
da baseball corse verso di lei e colpì con violenza il mostro.
Sebastiaan era tornato alla Raimon nella speranza che Hibiki
se ne fosse andato e che potesse chiedere in giro se qualcuno conosceva la
ragazza che aveva visto la notte del 3 Agosto, invece si era trovato davanti una
specie di versione in miniatura della creatura su cui stava indagando che
attaccava una studentessa delle superiori. Senza un minimo di esitazione ed
armandosi di una mazza da baseball che era stata lasciata fortuitamente vicino
al cancello, l’ex militare si era gettato all’attacco, più che per senso del
dovere per il bisogno di capire qualcosa in più di quello che stava succedendo.
Nonostante il colpo ben assestato da un’arma ben più valida di una borsa piena
di libri, la creaturina si rialzò e concentrò subito le sue attenzioni
sull’olandese, attaccandolo come aveva fatto con la diciassettenne poco prima.
Cercando di difendersi, Sebastiaan decise di parare un fendente del mostro con
la sua mazza, permettendo così alla bestia di fare letteralmente a fettine la
sua arma di fortuna. Ormai disarmato, il biondo indietreggiò di qualche passo,
mentre la creatura nera avanzava, pronta a porre fine alla vita del giovane.
Vespera, che fino a quel momento era rimasta a guardare la
scena tremante, non ce la fece più e si rannicchiò su sé stessa, stringendo
forte la sua bambola e chiudendo gli occhi.
«N-Non può essere vero, deve essere un incubo! Cose del
genere non succedono nella realtà. È solo un incubo, è solo un incubo èsolounincuboèsolounincuboèsolounincubo…»
Continuando a ripetere quelle parole come un mantra, la
piccola australiana iniziò ad adottare la strategia che usava sempre quando si
risvegliava da un incubo ed iniziò a pensare a quei buffi pennuti che, per
qualche strana ragione, riuscivano sempre a tranquillizzarla. E, proprio quando
aveva iniziato a concentrarsi tanto, dal cielo cadde sulla testa del mostro una
paffuta e starnazzante papera.
Il pennuto, confuso e decisamente irritato, non ci mise molto a rimettersi in
piedi sulle sue zampe palmate e subito iniziò a guardarsi intorno, come a
cercare chi le avesse tirato quel brutto scherzo. La bestiaccia nera intanto si
era fermata e sul suo brutto muso si era formata un’espressione che si poteva
definire incredula mentre guardava la papera, espressione dipinta anche sul
volto di Malia e Sebastiaan, altrettanto sorpresi dalla comparsa dell’animale.
Quando il mostro, timoroso, fece un passetto indietro, il pennuto si girò verso
di lui e con fare aggressivo iniziò a starnazzargli contro, aprendo le ali per
risultare più minacciosa.
Attirata da quei versi familiari, Vespera riaprì gli occhi e
anche lei rimase senza parole davanti alla scena che si stava svolgendo di
fronte a lei: la papera stava riuscendo davvero a spaventare la creatura, che
ora la guardava con puro orrore, e presto la mise in fuga.
Passato il pericolo ma ancora sopraffatta dalla sorpresa, la
ragazzina dai capelli color pesca si alzò e si avvicinò a passi lenti verso i
due che avevano combattuto furiosamente fino ad un momento prima e tutti e tre
si misero a fissare la papera, che ora si era calmata ed era intenta a
sistemarsi le piume. Dopo circa un minuto, il pennuto alzò la testa per
ricambiare lo sguardo dei ragazzi e poi, con un sonoro QUACK, iniziò a svanire,
come svaniscono i miraggi nei cartoni animati.
Non avendo più l’animale su cui concentrarsi, Sebastiaan
guardò la mano in cui fino ad un momento prima stringeva quel poco che restava
della mazza da baseball con cui si era difeso, ma anche quello era sparito.
«Ugh… Che cosa è successo?!»
Come liberati da un incantesimo, tutti i componenti della
Raimon ripresero a muoversi e a tenersi la testa, scossa da una strana
emicrania che andava scemando molto velocemente.
Sebastiaan, Malia e Vespera avrebbero tanto voluto
rispondere a quella domanda, ma neanche loro avevano chiara la situazione:
erano stati attaccati e quasi uccisi da una strana creatura, erano gli unici in
grado di muoversi ed agire ed erano stati salvati da una papera fantasma.
E se quella era una spiegazione, allora i morti potevano
ritornare in vita.
Il che non era del tutto impossibile…
Ma i tre ragazzi, poverini, ancora non potevano saperlo.
L’incubo sospeso tra vita e morte era appena iniziato.
××××××××××××××××××××
Siamo tornatiiiiii~
Avevo dubbi sulla lunghezza del
capitolo, ma alla fine tutto è andato come previsto. Inizia l’azione, da qui in
poi sarà tutto un degenerare. Come voglio bene ai bambini che mi avete mandato :°
Facendo le persone serie, la fic è appena
entrata nel vivo, non so ancora quanto sarà lunga ma sono certa che da qui in
avanti ci sarà parecchia più azione. Nonostante questo però penso che il quarto
sia l’ultimo capitolo che pubblicherò in questo 2015: per star dietro a SweetDreams ho
trascurato un po’ gli altri miei progetti e prima della fine dell’anno vorrei
pubblicare un capitolo dell’altra long che ho in corso ed uno della challenge che sto facendo.
Insomma, non ho altro da dire… Spero
che i pg siano IC, nel prossimo comparirà chi
non è comparso in questo e bon, terminiamola qui prima che collassi—
Capitolo 5 *** What happens in a dream remains in a dream… Maybe ***
5.Whathappensinadreamremains in adream…
Maybe
> Inazuma-cho, cortile
della raimon, 5 agosto, 6:57 pm
Seduta su una panchina a bordo campo, Malia fissava
con aria persa la lettera che le aveva consegnato Genda, senza leggere davvero ciò
che c’era scritto. Era ancora sconvolta da quello che era successo, ma tutti lì
lo erano, anche se i ragazzi della Raimon erano per lo più confusi. Nessuno di
loro ricordava alla perfezione quello che era successo, ma solo uno strano
senso di rassegnazione, come se sapessero che qualcosa di brutto stava per
accadere e che non potevano fare nulla per fermarlo. In più, quasi tutti si
stavano velocemente dimenticando dell’accaduto, come se fosse stato solo un
brutto sogno. Gli unici che continuavano a ricordare erano Malia, Sebastiaan,
Vespera e per qualche ragione Kidou. Quando la situazione si era un po’
tranquillizzata, la diciassettenne si era allontanata dagli altri con la scusa
di recuperare i libri che aveva sparso in giro durante la battaglia contro il
mostro, ma in realtà voleva solo stare sola a riflettere. Mentre raccoglieva le
sue cose aveva trovato la lettera che aveva consegnato a Kidou prima che
iniziasse tutto quel macello, così l’aveva presa e si era andata a sedere sulla
panchina con l’intenzione di leggerla e cercare di impegnare la mente con le
informazioni lì scritte, ma qualcosa la bloccava. Aveva appena combattuto
contro qualcosa di mostruoso, era confusa e spaventata, aveva davvero bisogno
di procurarsi nuove apprensioni? Dopo un poco Sebastiaan la raggiunse.
«Tu sai cos’era quella bestia?»
La diciassettenne rimase muta, ma fece lentamente cenno di no. Il biondo
continuò a parlare.
-Beh, io ho incontrato qualcosa di simile un paio di giorni
fa proprio davanti a questa scuola. Era una specie di umanoide altissimo, è
spuntato fuori da dietro il lampione vicino al cancello e poi è scomparso
improvvisamente così com’era sbucato. Ho passato il pomeriggio ad indagare su
di lui prima di venire ad aiutarvi e mi sono ricordato di una cosa: prima che
la creatura comparisse a fissare il cancello della scuola c’era una ragazzina.
Non ho idea di chi fosse, ma è strano per una che non poteva avere più di
quindici anni andare in giro alle sei del mattino…
Malia prese un respiro profondo: doveva calmarsi,
ritrovare la sua solita lucidità e reagire. Il suo interlocutore, dopotutto, le
stava offrendo qualche spunto per risolvere il mistero.
«Pensi che questa ragazzina possa c’entrare
qualcosa con quei mostri?»
L’olandese strinse le spalle.
«Non lo so, ma è l’unica pista che mi
rimane.»
Timidamente, anche Vespera li raggiunse.
«P-Posso sapere anche io?»
I due più grandi guardarono la rossa poco convinti.
«Sarà pericoloso, non mi sembra il caso di
coinvolgerti.»
La piccola strinse forte a sé la sua bambola di pezza.
«M-Magari, se ci troveremo di nuovo nei
guai, la papera tornerà ad aiutarci.»
Sia Malia che Sebastiaan arrossirono appena al ricordo
del pennuto che aveva salvato loro la vita e si fermarono un attimo per
riflettere: Vespera era diversa, così come erano diversi loro. Durante
l’attacco erano riusciti a muoversi, a combattere ed erano gli unici che
continuavano a ricordare. Il biondo non aveva idea se la piccola australiana si
sarebbe rivelata utile o una palla al piede, ma non poteva escludere nessuna
possibilità.
«Va bene, come vuoi. Comunque dovremo
organizzarci.»
Kageyama non ricordava l’ultima volta che aveva
sorriso tanto a lungo. Dopo una tranquilla notte di sonno si era preso una
prima giornata libera per aggiornare Cassandra su ciò che era successo nel
mondo nei quarant’anni in cui lei era stata… Assente. Il resto della giornata
l’avevano passato a far compere: in fondo la ragazza non aveva niente con sé a
parte i vestiti che indossava e Reiji era più che disponibile a procurarle
tutto ciò di cui aveva bisogno. Quella mattina l’uomo si era preso un’altra
giornata di permesso: non riusciva a concentrarsi sul lavoro, aveva così tanto
tempo da recuperare con Cassandra che avrebbe voluto mollare per sempre tutto e
concentrarsi solo e soltanto sulla sua ospite per il resto della sua vita, cosa
che sapeva benissimo di non poter fare, ma nulla gli impediva di dedicare altre
ventiquattro ore solo alla ragazza. Si era proposto di mostrarle come era
cambiata la città, ma erano finiti nuovamente a fare compere per lei: Kageyama
trascinava Cassandra in qualsiasi negozio la ragazza si fermasse ad ammirare,
invitandole a comprare qualsiasi cosa lei volesse. Tra le tante cose che erano
cambiate in meglio dall’ultima volta che Cassandra e Reiji si erano visti c’era
la situazione economica dell’uomo, che cercava di farlo notare il più
possibile. Una volta che la ragazza fu riuscita a convincere Kageyama che con
le compere bastava così, i due avevano lasciato i loro acquisti all’autista
dell’uomo, per poi incamminarsi in una semplice passeggiata per il viale
illuminato dal tramonto. Reiji non riusciva a staccare gli occhi dalla sua
ospite: adorava vedere come il suo volto si illuminava di sorpresa per ogni
piccola cosa, ma questo lo portò ad accorgersi immediatamente che qualcosa non
andava quando Cassandra si fermò per guardare una piccola ed ombrosa stradina
secondaria.
«Cass, va tutto bene?»
L’uomo non ricevette
risposta, la ragazza era troppo assorta nei suoi pensieri per ascoltarlo.
Subito dopo la giovane si incamminò per il vicolo a passo deciso e Kageyama,
allarmato, la seguì subito. Cassandra si fermò davanti ad un manifesto ed
iniziò a fissarlo intensamente. Reiji non capiva: cosa ci trovava la ragazza
interessante in quel pezzo di carta attaccato al muro? Lui non sapeva neanche
dire cosa ci fosse rappresentato sopra, l’unica cosa che vedeva erano solo
delle macchie colorate, sfocate
e confuse che si muovevano
pigramente lungo il manifesto. La realizzazione che dell’inchiostro si stesse
muovendo sembrò scatenare nel cervello dell’uomo un dolore lancinante, talmente
intenso che lo fece vacillare e gemere di dolore.
«Reiji, stai bene?!»
Sentendolo in difficoltà,
Cassandra si era subito dimenticata dei suoi pensieri ed aveva cercato di
sostenerlo, per quanto una quattordicenne potesse sostenere un uomo alto il
doppio di lei. Kageyama si sentiva tremendamente debole e continuava ad
avvertire uno strano dolore alla testa, ma non voleva allarmare in alcun modo
la ragazza.
«Sto bene, sto bene…
Solo... Torniamo indietro, ok?»
La castana si morse le
labbra e tornò a guardare il manifesto di prima.
«Io… Non posso, devo
prima controllare una cosa importante. Tu torna sulla strada principale ed
aspettami lì, va bene?»
Non andava bene per
niente e la preoccupazione per l’espressione inquieta che aveva Cassandra
superava qualsiasi dolore Reiji potesse provare in quel momento.
«Non se ne parla.
Qualsiasi cosa devi controllare, io vengo con te.»
Andrei avrebbe voluto
dirgli di no, che poteva essere pericoloso e che doveva andare da sola, ma
sapeva che quello avrebbe portato l’uomo ad impedirle di andare da qualsiasi
parte. Pur riluttante, la ragazza decise di acconsentire alla richiesta
dell’altro.
«Va bene, ma stammi
vicino e prometti di fare quello che ti dico in qualsiasi situazione.»
Kageyama annuì e lasciò
che la più piccola lo prendesse per mano. Quel contatto sembrava mitigare il
dolore ed il senso di debolezza che l’allenatore della Zeus aveva provato fino
a quel momento, non sapeva dire neanche lui come fosse possibile. I due
camminarono per un bel po’, inoltrandosi in un viale pieno di case e fermandosi
di tanto in tanto così che Cassandra potesse provare a leggere qualcosa. Ogni
lettera e numero sembrava essersi trasformato in una macchia confusa e se Reiji
provava a leggere qualcosa il dolore che provava diventava abbastanza forte da
procurargli la nausea, quindi cercava di concentrarsi solo sulla sua
compagna.D’un tratto questa si fermò
nuovamente per scrutare una casa che sembrava non essere abitata da molto
tempo. La ragazza sembrava interessata ad una finestra in particolare? Kageyama
non vedeva nulla. Qualcosa però Cassandra doveva averla vista perché la ragazza
lasciò la mano al più grande e si avviò verso il cancello che dava sul cortile
dell’abitazione.
«Devo entrare, aspetta
qui.»
Subito l’uomo la
raggiunse e l’afferrò per un braccio per fermarla.
«Non puoi entrare, è
proprietà privata!»
La giovane si girò verso
di lui: la sua espressione era seria come lo era stata pochissime altre volte.
«Devo andare e basta.»
Reiji la lasciò e stava
per dirle che tanto il cancello era chiuso, ma questo si aprì comunque ad una
lieve spinta della ragazza, che subito marciò verso la porta principale che
dava alla casa. L’uomo non voleva e non poteva lasciarla andare da sola, quindi
la seguì.
«Cosa ci devi fare qui
dentro? Questo posto cade a pezzi!»
«Ssssh!»
Kageyama sussultò a
quell’ammonimento: non se lo aspettava e Cassandra era talmente tesa e
allarmata che non riuscì a rispondere. Anche la porta principale si aprì senza
problemi, come se fosse stata solo accostata, ed i due poterono entrare all’interno
della casa. Era una tipica abitazione giapponese: stretta, a due piani e col
pavimento in legno. Appena la ragazza fece un passo all’interno il suo peso
fece scricchiolare il parquet in maniera orribile e la giovane fece una smorfia
preoccupata, ma il suo secondo passo non emise il minimo rumore. Anche Reiji
ora era teso e non si sentiva minimamente a suo agio: tutto in quella
situazione era così strano ed innaturale, semplicemente sbagliato. La coppia
avanzò di più all’interno della casa: il precedente proprietario aveva lasciato
diversi mobili al suo interno, soprattutto nel salone in cui era presente un
divano, un mobile per la TV ed una cassettiera poggiata contro il muro che dava
alle scale per il piano superiore. Tutto era avvolto dalla polvere e dalla
penombra, ma era il silenzio a fare da padrone lì dentro: Kageyama poteva
sentire chiaramente il suono degli uccellini cantare nel cortile esterno, ma lì
dentro non riusciva a sentire nemmeno il suo stesso respiro. Senza preavviso
l’uomo si sentì trascinare a terra dietro al divano da Cassandra. Subito Reiji
cercò di chiederle spiegazioni, ma la giovane gli fece un muto segno di
rimanere in silenzio, per poi alzarsi appena per spiare ciò che l’aveva
allarmata. Volendo capirne di più, l’adulto la imitò, cercando di seguire lo
sguardo della sua compagna: presto capì che Cassandra stava spiando una donna
dai lunghi capelli neri vestita con un semplice abito bianco che si trovava
nella stanza di fronte al salone. Kageyama imprecò mentalmente: ecco perché era
tutto aperto, c’era già qualcuno lì dentro e se li avesse visti chissà che
sarebbe successo. L’uomo si girò verso la più piccola per dirle che se ne
dovevano andare, ma quest’ultima fu la prima a parlare.
«Qualsiasi cosa succeda
tu rimani nascosto o scappa.»
E, prima di ricevere una
risposta, la ragazza si alzò e uscì da dietro al nascondiglio, mettendosi in
linea d’aria di fronte all’estranea. Reiji si sentì paralizzare dalla paura:
Cassandra aveva in mano un revolver. Non aveva idea di dove l’avesse preso, da
quanto l’avesse con sé e perché, ma sapeva che la giovane la stava puntando
contro l’estranea nell’altra stanza e sembrava decisa a sparare.
Kageyama non poteva
lasciarglielo fare, non perché trovasse l’atto sbagliato in sé ma perché
avrebbe messo in pericolo Cass in talmente tanti modi che l’uomo non riusciva
neanche a immaginarseli tutti. In un disperato tentativo di fermare la ragazza,
l’uomo cercò di afferrarla e riportarla dietro il divano, ma l’unico risultato
che ottenne fu quello di farle sbagliare mira. Infatti, proprio in
quell’istante, Cassandra premette il grilletto, ma oltre allo spostamento che
le fece sbagliare mira, ci si mise anche il rinculo dell’arma che la prese alla
sprovvista, facendole scappare un urlo di dolore mentre lasciava cadere
d’istinto la pistola. Alla giovane bastò una frazione di secondo per
comprendere l’errore che aveva fatto e Reiji la vide tendersi come una corda di
violino prima che lei scattasse verso le scale poco lontane ed iniziasse a
salirle in fretta e furia, seguita subito dopo dalla figura della stanza
affianco che sembrava muoversi ad una velocità quasi innaturale. Kageyama
continuava a non capire niente in quella situazione, ma era sicuro di una cosa:
Cass in quel momento era in pericolo e lui non avrebbe permesso a nessuno di
farle del male. Combattendo il senso di debolezza che continuava a non
lasciarlo, l’uomo recuperò la pistola fatta cadere dalla ragazza e controllò i
colpi rimasti: ce n’erano ancora cinque, più che abbondanti per abbattere la sconosciuta
se ce ne fosse stato bisogno. Reiji prese un respiro profondo e salì a sua
volta le scale, sperando di trovare al sua ospite prima che le succedesse
qualcosa. Fortunatamente per lui gli bastò salire l’ultimo gradino per
trovarla: Cassandra era in fondo al corridoio su cui davano le scale,
intrappolata tra la parete e la sconosciuta che la squadrava come a voler
vedere qualcosa dietro di lei. Kageyama si avvicinò di più per essere sicuro di
risultare più minaccioso possibile alla sconosciuta: non voleva sparare, c’era
il serio rischio di colpire Cassandra in caso di una sparatoria, quindi voleva
in tutti i modi evitare la cosa.
«Fermati! Allontanati
immediatamente da lei o apro il fuoco!»
L’allenatore della Zeus
era pronto a combattere, ma mai sarebbe stato preparato ad affrontare ciò che
sarebbe successo dopo. La donna gettò indietro la testa, piegando la propria
schiena in una maniera impossibile per qualsiasi essere umano, fino a quando il
suo capo non raggiunse l’altezza del bacino, per osservare l’uomo alle sue
spalle. Reiji sentì il suo corpo farsi di pietra mentre osservava le orbite
vuote della creature, riempite solo da un’intensa luce rossa,
e, pur sapendo di dover reagire, non riuscì a far nulla se non fissare quei due
punti luminosi di fronte a lui. Subito dopo la donna iniziò ad aprire la sua
bocca come se volesse urlare, ma non emise alcun suono. La bestia continuò a
spalancare le sue fauci, arrivando a lacerarsi la carne delle guance per
allargare ancora di più la mascella. Kageyama sentiva dentro di sé la sua
coscienza urlare d’orrore, ma era come un suono lontano perso nel suo essere,
la cosa che aveva il completo controllo su di lui era un profondo senso di
atonia e rassegnazione: sarebbe morto, sarebbe stato inghiottito da quel buco
nero che costituiva la bocca della donna e nessuno avrebbe più ritrovato una
singola traccia di lui, era inutile combattere. D’un tratto la creatura crollò
a terra, come se un macigno le fosse caduto sull’addome esposto, e Reiji sentì
un liquido caldo schizzargli sul volto, cosa che lo ridestò dal trance in cui
era caduto. L’uomo alzò appena gli occhi per vedere Cassandra ansimare agitata,
col volto contratto dalla rabbia ed armata di ascia. La giovane aveva colpito
quella donna innaturale, facendo schizzare sangue su di sé e sull’uomo poco
lontano, oltre che sulle pareti della casa. Nonostante avesse il ventre quasi
squarciato dal colpo, la creatura tentò lentamente di rimettersi in piedi, ma
fu inchiodata al pavimento da Cassandra, che premette una gamba sul petto della
creatura per bloccarla.
«Non ci pensare…»
La ragazza continuava ad
ansimare, furiosa, e le sue parole risultarono solo un sussurro alle orecchie
di Reiji.
«NON CI DEVI NEANCHE
PENSARE A FARGLI DEL MALE!»
Cassandra alzò l’ascia
sopra la sua testa urlando, per poi schiantarla sulla testa della donna. Ripeté
questo procedimento ancora ed ancora, fino a quando della bestia non rimase
solo un corpo privo di capo, perché lì dove una volta c’era la testa vi era
solo una poltiglia rossa sanguinolenta. Una volta che la giovane fu sicura che
la creatura non potesse più muoversi lasciò l’ascia conficcata nel pavimento e
raggiunse a passo deciso Kageyama, che era rimasto fino a quel momento bloccato
nella sua atonia, per afferrargli una mano e trascinarlo via.
«Ora ce ne dobbiamo
andare. Veloce, finché quella rimane morta.»
Reiji si lasciò guidare
dall’altra, ancora immerso nella rassegnazione che gli aveva impedito di
reagire fino a quel momento. Era sicuro che se non ci fosse stata la ragazza a
portarlo via lui sarebbe rimasto in quella casa abbandonato per il resto della
sua esistenza, perso a fissare il corpo mutilato di quell’essere orribile. I
due si dovettero allontanare parecchio dal luogo del loro crimine prima che
l’uomo riuscisse a riprendersi e a pensare normalmente. Rendendosi conto che
Cassandra stava tornando indietro verso la galleria commerciale dove stavano
passeggiando prima, Kageyama subito cercò di fermarla.
«Cass, non possiamo
tornare di là! Sei coperta di sangue, ti arresteranno sicurame-…»
La ragazza si era voltata
verso di lui e né sul suo viso né sui suoi vestiti c’era alcuna traccia di
sangue. Il volto delle giovane era una maschera di indifferenza, non sembrava
provare alcuna emozione.
«Ciò che appartiene al
sogno al sogno rimane. Se ti sporchi in sogno ti svegli sporco? Non avremo
problemi…»
Reiji era stupito dalla
cosa e si toccò subito il volto lì dove doveva essere sporco di sangue, ma non
c’era niente. Inoltre si accorse di non avere più in mano la pistola ed era
certo di non averla fatta cadere.
Cassandra fece per
riprendere a camminare, ma Kageyama la bloccò, tenendola ben ferma per le
spalle e guardandola con aria estremamente angosciata.
«Cass, devi spiegarmi
cosa sta succedendo e devi farlo ora!»
La giovane chinò il capo,
non osando guardare negli occhi il più grande.
«Non lo so…»
«Come non lo sai?! È
impossibile!»
La piccola si lasciò
scappare un singhiozzo e si coprì il volto con le mani, per nascondere le
lacrime che iniziavano a solcarle le guance.
«N-Non lo so, pensavo
fossero rimasti indietro ed invece li ritrovo anche qui… Perché non mi lasciano
in pace? Perché mi devono inseguire ovunque io vada? Io… Io speravo di poter
ricominciare una vita normale…»
Reiji la strinse forte a
sé per consolarla: quella situazione continuava ad angosciarlo, ma era in un
certo senso sollevato dal vedere che la ragazza esprimeva sentimenti come una
persona normale. Di sicuro lei sapeva qualcosa che lui non sapeva, forse nel
suo racconto iniziale aveva omesso qualcosa, ma di sicuro quello non era il
momento adatto per chiederle qualcosa. La cosa più importante per Kageyama in
quel momento era tranquillizzarla e riportarla al sicuro, a casa.
> Inazuma-Cho, Casa Kageyama, 5 Agosto, 9:34 PM
Reiji si tolse gli
occhiali da sole per massaggiarsi le tempie e mitigare il dolore pulsante che
gli attanagliava la testa. Si era completamente ripreso dal malore accusato
qualche ora prima, il mal di testa che provava in quel momento era dovuto alla
quantità di informazioni che stava cercando di assimilare. Una volta tornato a
casa e rassicurata Cassandra, l’uomo si era fatto spiegare per filo e per segno
come stavano le cose: a quanto pare la creatura che i due avevano affrontato
era un incubo, uno dei mostri che si sogna durante la notte, questo in particolare
lo incontrava la notte fin da quando era piccola, ma il problema era che
l’avevano affrontato nel mondo reale e non in un sogno. A quanto pare nel luogo
in cui era rimasta Cass fino a qualche giorno prima le cose erano degenerate
pian piano col tempo ed ogni angolo di quel mondo si era riempito di mostri
orrendi di ogni forma e dimensione. Ed ora, oltre alla giovane, anche questi
mostri si erano riversati nel mondo reale. Nel contempo che l’allenatore
pensava, la sua ospite era crollata addormentata al suo fianco sul divano.
Kageyama la strinse appena a sé per rassicurarsi: quel pomeriggio Cassandra
l’aveva spaventato da morire. Era capitato qualche volta quando erano piccoli
che lei si arrabbiasse con qualcuno e fosse finita col farci a botte, ma mai
l’aveva vista combattere con la furia e la cattiveria di quel pomeriggio. Reiji
non voleva vederla così, voleva proteggere la sua serenità ed il suo sorriso.
L’avventura di qualche ora prima era bastata a fargli capire che lui non
avrebbe mai potuto difendere da solo la ragazza, ma poteva cercare facilmente
qualcuno che lo potesse aiutare.
Ringraziando la
tecnologia moderna, l’uomo prese il suo telefono e si mise velocemente a
digitare sulla tastiera.
> Inazuma-cho, Casa Hoffman, 5 agosto, 10:02 PM
Matt continuava a
lanciare occhiate nervose alla finestra del proprio appartamento: erano passate
diverse ore, ma la testa era ancora lì a fissarlo. Lui cercava di far finta di
niente, ma iniziava a sentirsi prendere dal panico: la roba che aveva preso era
davvero tanto brutta da prolungare gli effetti allucinogeni così tanto?
Nonostante l’evidente agitazione del ragazzo, Fudou non ci faceva caso, immerso
com’era nella contemplazione del suo cellulare. D’un tratto la vitalità del più
piccolo si risvegliò di colpo.
«Ehi Matt, forse ti ho
trovato un lavoro!»
Interessato più a questa
notizia che alla testa fluttuante, lo svedese si avvicinò al suo ospite.
«Di cosa si tratta?»
«Uno dei tizi per cui
lavoro sta cercando urgentemente un bodyguard, ti puoi candidare!»
Il biondo guardò il
quattordicenne con aria incredula: lui era un ragazzo dalla corporatura esile,
il carattere estremamente dolce e non sapeva minimamente combattere, come
poteva lui fare la guardia del corpo?
«Fudou, non sono adatto a
quel lavoro, non mi prenderanno mai!»
Akio lo liquidò con un
verso sprezzante.
«Non preoccuparti, ci
parlo io col capo. Ti farò avere il lavoro di sicuro.»
Matt sospirò: quello
sarebbe stato un altro lavoro che avrebbe perso nel giro di una settimana, ma
era inutile discutere con Fudou, era meglio lasciarlo fare e vedere come
andava.
> Inazuma-cho, zona finanziaria, 6 Agosto, 9:28 am
Andrea era arrivata nel
palazzo dove suo padre aveva l’incontro con quel cliente importante da meno di
dieci minuti e già si stava annoiando. Il posto era un grande edificio
amministrativo, pieno di uffici e sale conferenze grigie e monotone, il massimo
della noia. Si era portata con sé il suo portatile, ma senza password per la wi-fi era praticamente inutile, l’unico alleato che le
rimaneva era il suo inseparabile iPhone con cui
ascoltare musica. Mancavano due minuti all’appuntamento e ancora il cliente di
suo padre non si era fatto vedere. D’un tratto, dalla zona degli ascensori, si
iniziarono ad udire delle voci avvicinarsi.
«Non ho bisogno di una
guardia del corpo!»
«Ti ho già detto che non
sarà una guardia del corpo, sarà… Una guida! Una guida che ti terrà d’occhio e
starà attenta a non farti perdere nella città.»
«Ho letto i requisiti che
hai richiesto, quella che vuoi tu mi sembra proprio una guardia del corpo.»
«Senti, non è il momento,
ne parliamo dopo.»
Al signor Cervini ed a
sua figlia si avvicinarono un uomo alto, vestito di viola e con gli occhiali da
sole calati sugli occhi ed una ragazzina poco più piccola di Andrea dall’aria decisamente
irritata.
«Oh, signor Kageyama è un
piacere conoscerla!»
I due adulti si
scambiarono stretta di mano, poi l’americano osservò con curiosità la ragazzina
arrivata insieme al suo cliente.
«È sua figlia questa?»
La giovane scoppiò in una
risata sarcastica, chiaramente poco apprezzata da Reiji.
«No è… Una ragazza a cui
sto facendo da tutore, tutto qui.»
La cosa sembrava un po’
strana all’americano, ma non si discuteva di vita privata con i clienti.
«Beh, comunque mi fa
piacere che l’abbia portata con sé, così mia figlia avrà qualcuno con cui
socializzare mentre noi parliamo di affari.»
Andrea roteò gli occhi al
cielo: non voleva socializzare, figurarsi con una sconosciuta che sembrava
avere un diavolo per capello, ma discutere con suo padre non aveva senso, si
sarebbe limitata ad ignorare l’altra una volta che gli adulti se ne fossero
andati, cosa che accadde poco dopo. Fortunatamente per l’americana, anche la
giovane sconosciuta non sembrava aver voglia di discutere e le due si
limitarono a sedersi fianco a fianco sulle sedie appena fuori alla sala che
avevano occupato i due uomini. Il tempo iniziò a scorrere, anche se lentamente,
e Andrea si mise ad ascoltare la musica sul suo iPhone
come aveva pianificato. D’un tratto una voce sovrastò la melodia proveniente
dalle cuffie.
«Ehi, conosco il nome di
questa canzone!»
L’americana si girò verso
l’altra ragazza in sua compagnia: sembrava essersi calmata di colpo, il suo
volto ora era sereno e pieno di curiosità per il cellulare che teneva in mano
l’altra. Andrea si tolse un’auricolare e lo porse alla ragazza.
«Vuoi sentire?»
Normalmente non l’avrebbe
fatto, ma poi suo padre l’avrebbe rimproverata per la sua poca socievolezza.
Cassandra guardò un attimo confusa l’affarino che l’altra le stava porgendo,
poi guardando come quest’ultima teneva l’altro auricolare nelle orecchie la
imitò e subito il suo volto si illuminò di sorpresa.
«Si sente benissimo!»
Sul momento Andrea pensò
che quella ragazza era davvero strana, ma non fece in tempo a formulare a voce
quel pensiero perché Cassandra impallidì, lo sguardo perso verso la parete
costituita da finestre davanti a lei. L’americana si girò per capire cosa
l’aveva sconvolta, ma proprio in quel momento il boato dei vetri che si
frantumavano e una specie di onda d’urto la fecero saltare via. Non ci volle
molto alla ragazza per riprendersi e la prima cosa che vide quando riaprì gli
occhi fu un’enorme mano femminile dalle unghie lunghe e colorate da uno smalto
rosa scuro muoversi a pochi centimetri dai suoi piedi.
××××××××××××××××××××
Voi non avete idea di che parto sia stato
questo capitolo, 4000 e passa parole in due giorni.
Hello a tutti, scusate per la lunga
assenza ma tra millemilacose
son riuscita a scrivere solo ora.
Mi sono iscritta ad una iniziativa che mi
sta rubando un sacco di tempo, anche se sono molto felice di partecipare, e
penso anche che stia migliorando le mie capacità di scrittura, soprattutto in
lunghezza e velocità. L’unico problema è che tale iniziativa mi terrà occupata
ancora per un po’, quindi non ci sarà un altro aggiornamento molto presto,
spero che questo abbia placato un po’ la vostra sete di informazioni. E
ricordate: Lau non si è dimenticata di voi, è solo
molto occupata! Intanto però la parte fragolosa di
questo account resuscita per dare alla storia una degna copertina che comparirà
all’inizio di ogni capitolo da ora in poi! Spero possiate apprezzarla come la
apprezzo io. Detto questo vi saluto, altra scrittura mi chiama!
>
Inazuma-cho, zona finanziaria, 6 Agosto, 9:28 am
Andrea rimase a fissare quella mano
nera, ossuta ed enorme: era reale? Come poteva non esserlo, aveva sfondato la
vetrata spargendo detriti ovunque! Poi quella cosa si stava muovendo a pochi
centimetri dalle gambe della ragazza, facendole avvertire chiaramente uno
spostamento d’aria. Sì, quell’appendice mostruosa era sicuramente reale, ma
allora a chi apparteneva? La giovane americana risalì con lo sguardo lungo il
braccio della creatura fino a quando non incontrò un’orbita vuota illuminata di
rosso, incastonata in un volto umano con un muso bestiale, fissa su di lei.
Prima che Andrea potesse ben comprendere cosa avesse davanti, la ragazza venne
tirata su da Cassandra, visibilmente agitata.
«Stai bene?»
L’americana, continuando ad osservare il
mostro, annuì.
«Non lo guardare!»
L’italiana prese il viso dell’altra e
glielo spostò, fissando i suoi occhi in quelli di Andrea.
«Riesci a muoverti?»
La più grande annuì ancora, confusa.
«Sì, sì, ma perché mi chiedi questo?»
L’espressione di Cassandra si rasserenò
un pochino e la giovane aprì la bocca per rispondere alla domanda, ma prima che
potesse dire qualcosa la sua attenzione e quella di Andrea venne catturata dal
rumore di detriti che venivano spostati ed un lamento della bestia. Sconvolti
da quella specie di esplosione e preoccupati per le fanciulle, Kageyama ed il
signor Cervini stavano cercando disperatamente di aprire la porta della sala
conferenze, ma la mano del mostro, che ancora si agitava all’interno del
corridoio, bloccava loro il passaggio. Riuscendo comunque a vedere le ragazze
dallo spiraglio che erano riusciti ad aprire, Kageyama iniziò ad urlare,
cercando di sovrastare il suono dell’allarme che si era attivato poco prima.
«Cassandra, che sta succedendo?!»
Infastidita dai colpi che la porta le
stava infliggendo, la bestia riuscì ad infilare le dita ossute nella fessura,
sradicando poi completamente la porta dalla parete, facendo indietreggiare non
poco i due uomini, inorriditi da quella cosa.
Cercando di mantenere la calma,
l’italiana cercò di sbloccare la situazione.
«Reiji, rimani lì, non ti muovere e per
l’amor del cielo non guardare quella cosa negli occhi! Io cerco un modo per
scacciarlo!»
Senza dare il tempo all’uomo di
risponderle, la ragazza schizzò dalla parte opposta del corridoio, scomparendo
subito dietro un angolo. Vedendo Cassandra correre verso chissà quale pericolo,
Kageyama si fece prendere dal panico e cercò di inseguirla, ma la mano del
mostro ancora gli bloccava il passaggio. Vedendo gli adulti tanto agitati,
Andrea decise di prendere in mano la situazione.
«Signor Kageyama, la vado a riprendere
io. Voi non cercate di superare quella cosa, comunque non potrà rimanere lì per
sempre. Torno subito!»
E, detto questo, l’americana si gettò
all’inseguimento.
Trovare Cassandra non le fu difficile,
la giovane era ferma davanti alle scale del palazzo, gremite di impiegati che
stavano evacuando, e Andrea subito la afferrò per le spalle.
«Cosa fai?! Torna indietro!»
«Non posso, devo fermare quel mostro!»
«E come pensi di fare? È enorme! Lascia
fare alla polizia, o meglio all’esercito!»
«Loro non riescono nemmeno a vederlo!»
L’americana proprio non capiva: come
poteva la polizia non vedere il mostro, era troppo grosso per non essere
notato. Approfittando della distrazione dell’altra, Cassandra si liberò dalla
sua stretta e si fiondò sulle scale che portavano ai piani superiori, ormai
vuote. Andrea, arrabbiata ed esasperata dal comportamento della più piccola,
incominciò nuovamente ad inseguirla fino al tetto. Quando la raggiunse,
l’italiana stava guardando la grande struttura metallica che costituiva parte
dell’impianto di aereazione del palazzo, pianificando chissà cosa. Prima che
Andrea potesse nuovamente afferrarla, Cassandra corse verso il lato della
costruzione dove si doveva trovare il mostro per controllare la sua posizione.
Trovandosi improvvisamente preoccupata per le sorti del padre, la più grande
fece lo stesso, osservando con orrore la creatura che cercava di ritrarre la
mano dal palazzo, ferendosi nel tentativo. Prima che potesse pensare qualcosa,
Andrea vide la ragazza al suo fianco correre di nuovo via, posizionandosi come
un corridore ai blocchi di partenza dietro all’impianto di aereazione.
«Cosa stai facendo?!»
«Cercherò di fargli cadere addosso questa
roba!»
Gli occhi dell’americana si sgranarono: no, Cassandra era completamente
pazza, non sarebbe mai riuscita a farla ragionare. Per tutta risposta
l’italiana scattò, correndo verso la cassa di metallo di fronte a lei e
saltando, prima di assestarle una potente ginocchiata. Andrea si tappò le
orecchie, cercandole di proteggerle dal fragore che il colpo aveva causato, ed
abbassò la testa. Il suo sguardo così si posò sulla base della struttura, dove
era più sottile e assicurata al grattacielo con grossi bulloni, e notò che il
metallo si era piegato. Mentre la ragazza si chiedeva come fosse possibile,
l’altra ripeté l’operazione ed Andrea poté constatare con i suoi occhi che i
colpi di Cassandra erano efficaci, ma questo fece nascere in lei nuovi dubbi:
come poteva un’adolescente come Cassandra riuscire a smuovere quella cosa, ci
sarebbe voluta una forza mostruosa! Il fragore generato dal nuovo colpo però
sembrò spazzare via tutto, lasciando un unico, orribile interrogativo nella
mente di Andrea, interrogativo che l’americana andrò subito a soddisfare
affacciandosi nuovamente sul lato del palazzo: la bestia le aveva sentite, il
suo volto mostruoso era rivolto verso di loro e la sua mano era nuovamente
libera. Lentamente, la creatura iniziò a scalare il palazzo, le sue appendici
aderivano al vetro come quelle di una lucertola ed i suoi occhi erano sempre
rivolti verso l’alto, dove si trovava la sua preda. Lanciando un urlo
terrorizzato, Andrea corse via, avvicinandosi alla porta che dava alle scale.
«Sta venendo qui!»
La notizia agitò non poco Cassandra,
che cercò di essere più veloce nei movimenti, imprecando tra i denti. Mentre
Andrea cercava di riconquistare la calma, il suo cellulare iniziò a squillare,
e, quasi guidata dall’abitudine, l’americana se lo sfilò dalla tasca e guardò
il nome sullo schermo, trovando al suo posto solo un ammasso di macchie
sfocate, proprio come le capitava durante
i sogni. Confusa e turbata, la ragazza rispose comunque alla chiamata.
«Pronto?»
A risponderle dall’altro capo del telefono fu suo padre, agitato ed
angosciato quasi quanto lei.
«Andrea, dove siete?!»
Ma certo, ora che il mostro si era ritratto
suo padre ed il signor Kageyama erano riusciti ad uscire dalla sala conferenza
e, col loro aiuto, sarebbe riuscita a trascinare Cassandra al sicuro, che
l’italiana lo volesse o meno.
«Siamo sul tetto! Aiutatemi, Cassandra
non vuole ascoltarmi!»
Il padre le rispose con un breve
“arriviamo”, prima di chiudere la chiamata, poi corse alla rampa delle scale
per osservare gli uomini che salivano verso di lei. Il primo ad arrivare fu suo
padre, che subito si informò sulle sue condizioni di salute, un attimo dopo
arrivò Kageyama che superò i due senza degnarli di uno sguardo e uscì sul
tetto, cercando la sua protetta.
«Cassandra, vieni via!»
Sentendo la voce del suo ex fidanzato,
la ragazza si fermò un attimo a guardarlo.
«Non posso Reiji, devo fermarlo!»
«No che non devi, vieni via
immediatamente!»
Preoccupati per il giapponese e
l’italiana, il signor Cervini si avvicinò a loro, tenendo per mano sua figlia.
L’uomo non stava capendo molto: c’era stata un’esplosione, ma la ragazzina con
cui si accompagnava il suo socio in affari continuava a comportarsi come una
pazza e lui, da quando aveva provato a chiamare sua figlia e si era reso conto
di non riuscire a leggere nulla sul suo smartphone,
si sentiva estremamente debole. In quel momento, come se stesse fuoriuscendo
dalle viscere dell’inferno, l’incubo raggiunse la cima del palazzo e sovrastò
il gruppo col suo corpo enorme e mostruoso. Andrea sentì la presa di suo padre
farsi più rigida e, quando si girò verso di lui, vide che il suo volto era
sbiancato ed i suoi tratti sembravano di pietra. Accorgendosi che nella stessa
situazione si trovava Kageyama, l’americana si fece prendere dalla paura ed
iniziò a scuotere il genitore, cercando di risvegliarlo, ma fu riportata alla
calma da una voce squillante.
«Andrea!»
L’americana si girò e scoprì che
Cassandra ora la guardava, con occhi pieni di paura, ma con un sorriso incerto
sulle labbra.
«Io gli do il colpo di grazia, tu
tirami via, ok?»
Prima che Andrea potesse chiederle cosa
intendesse, l’italiana ripartì all’attacco della struttura metallica,
colpendola con l’ennesima ginocchiata. Già indebolite dai colpi precedenti, le
fasce in acciaio che assicuravano l’impianto al palazzo cedettero, facendolo
crollare addosso all’abominevole creatura. Spinta dall’adrenalina, Andrea
iniziò a ragionare in maniera talmente veloce che ai suoi occhi tutto sembrava
muoversi a rallentatore: la bestia, capendo che da lì a pochi secondi sarebbe
precipitata al suolo, stava per afferrare Cassandra, ancora tramortita dal
colpo appena dato alla struttura in metallo, che non sarebbe mai riuscita a
sfuggirle, non da sola. L’americana sapeva di dover fare qualcosa, ma cosa?
Tutta quella situazione sembrava un brutto sogno, ma lei di solito riusciva a
fare di tutto mentre sognava, anche negli incubi. Ad un tratto un’idea le
balenò in testa: l’unica cosa che nei sogni non era mai riuscita a fare era
leggere, sia i numeri che le parole, e poco prima non era riuscita a leggere
nulla sullo schermo del suo iPhone. Quello che stava
vivendo era davvero un sogno? Si sarebbero spiegate la creatura mostruosa e la
forza inumana dimostrata da Cassandra, ma se quello era un sogno allora…
Andrea portò le mani avanti e le
strinse, come se avesse appena afferrato una corda, per poi tirare con forza
verso di sé. In risposta, la giovane italiana viene sbalzata via con forza,
come se fosse stata veramente tirata via con una fune, finendo addosso ad
Andrea. Lanciando un verso colmo di rabbia e frustrazione, l’incubo venne
trascinato via dal peso dell’impianto, schiantandosi al suolo. Un secondo dopo
aver sentito il rumore dell’impatto, il signor Cervini e Kageyama crollarono in
ginocchio, ansanti e pieni di sudori freddi, come si fossero appena svegliati
dal peggior sogno della loro vita e, appena furono in grado di muoversi,
corsero subito ad aiutare le due fanciulle, stese una sopra l’altra sul cemento
bollente del tetto. Cassandra, trovandosi sopra Andrea, si spostò con non poca
difficoltà a causa delle sue ginocchia, rosse e doloranti per tutti i colpi
inflitti al duro metallo, e subito dopo venne tirata su dal suo ex fidanzato,
che la prese in braccio.
«Ce ne andiamo, immediatamente.»
Il signor Cervini, che nel frattempo
aveva aiutato sua figlia ad alzarsi, guardò l’allenatore con aria sconvolta.
«No, aspetti, non può andarsene! Che è
appena successo? Cos’era quel mostro? Ci deve una spiegazione!»
Senza degnare l’uomo d’affari di una risposta, Kageyama iniziò a
scendere le scale, ma si fermò subito quando la ragazza che teneva in braccio
iniziò a tirargli con forza un orecchio.
«Non possiamo lasciarli qui, hanno
diritto a sapere cosa è successo!»
Kageyama ringhiò arrabbiato.
«Perché, pensi che ti crederebbero?»
Indispettita da quelle parole, la giovane italiana si rivolse ad Andrea
e suo padre, che cercavano di seguirli.
«Vi rendete conto dell’assurdità della
situazione a cui siete appena sopravvissuti, vero?»
I Cervini si fermarono, confusi da
quella domanda che, a loro parere, era senza senso, ma sperando di ottenere una
spiegazione più chiara, annuirono entrambi.
«E vi rendete anche conto che la
spiegazione che avrete sarà altrettanto assurda e suonerà incredibile?»
Di nuovo, i due annuirono, anche se in
cuor loro desideravano che tutto si concludesse con “è stato solo uno scherzo”.
Ottenute quelle risposte, Cassandra guardò
Reiji negli occhi con aria seria e decisa.
«Vengono con noi, punto e basta.»
Kageyama fece un verso stizzito:
normalmente avrebbe risposto per le rime alla ragazza, ma la fretta di
allontanarsi da quel posto ed evitare domande scomode di esercito e polizia non
gli permetteva di mettersi a discutere con la fanciulla.
«Fai come diamine ti pare.»
E, detto questo, riprese a scendere le
scale, allertando nel contempo il suo autista perché venisse a prendere lui e i
suoi nuovi ospiti d’oltreoceano.
>
Inazuma-cho, strade della citta’, 6 agosto, 10:18 Am
Gouenji abbassò lo sguardo
sull’asfalto, pensieroso.
«Un mostro ci ha attaccati…? Non
capisco, non ricordo nulla del genere.»
Kidou sospirò, aspettandosi quella
risposta.
«Lo sospettavo, a parte me e Jaspers
nessuno ricorda nulla. Persino la mia memoria è fumosa e quando provo a
chiedere alla manager cambia argomento o scappa.»
«Sei stato male ieri, sei sicuro di non
aver avuto un’allucinazione?»
Il regista fece cenno di no. Ricordava
chiaramente uno scontro in cui erano stati coinvolti la fan di Genda ed un
ragazzo che passava di lì. Loro gli erano sembrati gli unici in grado di
muoversi di fronte alla creatura, mentre lui si era sentito paralizzare da un
senso di rassegnazione e malinconica accettazione della morte che lo aveva
privato di ogni forza. Però, a differenza del resto della squadra che aveva già
dimenticato tutto dopo dieci minuti, lui ricordava. Perché?
Preoccupato per il suo amico, Gouenji
gli poggiò una mano sulla spalla.
«Kidou, sei visibilmente provato e non
me ne sorprendo. La nostra partita contro di te alla Teikoku, la partita contro
la Zeus, i problemi con Kageyama, il tuo trasferimento alla Raimon e il
Football Frontier… Sei stressato ed è più che comprensibile il perché. Però è
vero che c’è qualcosa di strano… Jaspers è ancora più tesa del solito e così lo
erano quel tipo sospetto e la ragazza che ti ha consegnato la lettera. Inoltre
lei si è anche trovata la borsa a pezzi, non mi ricordo minimamente quando si
sia rotta.»
D’un tratto Kidou si ricordò qualcosa.
«La lettera! Gouenji, quando ho provato
a leggerla non ci sono riuscito!»
Il bomber di fuoco guardò perplesso
l’altro.
«Non sei riuscito a leggerla…? Non
capisco.»
Il rasta si concentrò, cercando di
riportare alla mente ogni dettaglio.
«Quella ragazza, Malia si chiama se non
erro, mi ha consegnato la lettera di Genda, ma quando l’ho aperta per
esaminarla le parole erano… Sfocate! E appena me ne sono reso conto mi sono
sentito debole come non mai. Subito dopo è comparso il mostro e ci siamo tutti
paralizzati. Beh, tutti tranne Malia, Jaspers e quel ragazzo che è venuto in
loro soccorso. È strano, Gouenji, sta succedendo qualcosa di strano.»
Il biondo si mise nuovamente a
riflettere, turbato: non dubitava di Kidou, sapeva che era un ragazzo con la
testa sulle spalle e sicuramente non si faceva suggestionare facilmente. Temeva
ancora per la salute del regista, ma allo stesso tempo gli sembrava strano un
malore isolato e tanto improvviso, poi lui stesso aveva un vuoto di memoria che
coincideva proprio con il periodo che Yuuto diceva di ricordare.
«La lettera… Ora riesci a leggerla?»
L’espressione di Kidou si irrigidì
mentre dalla sua cartella tirava fuori un foglio di carta, il rapporto dei suoi
ex compagni sulle recenti attività di Kageyama.
«Sì, perfettamente…»
Gouenji rivolse a Kidou un sorriso per
tranquillizzarlo.
«Ho capito, se vuoi scoprire qualcosa
di più ti darò una mano.»
Il regista ricambiò il sorriso: si era
ormai abituato alla nuova squadra, aveva stretto un legame di amicizia con
Endou e gli altri, ma sapeva che se voleva parlare di qualcosa di serio era
meglio confidarsi prima con Gouenji. Non lo faceva per cattiveria, ma i ragazzi
della Raimon erano molto spensierati e a certe cose non facevano proprio per
loro, Gouenji invece era un ottimo ascoltatore e pensatore, Yuuto sapeva di
poter contare su di lui per ogni confidenza. Proprio per questo quando
l’attaccante gli chiese di leggere la lettera, Kidou gliela consegnò senza
esitare. I due erano ancora lontani dalla Raimon, dove si stavano recando per
gli allenamenti in vista della partita contro la Zeus, quindi Shuuya aveva tutto il tempo di leggere il rapporto e
riconsegnarlo al compagno. Ma, mentre camminava, Gouenji iniziò a non
distinguere i kanji, che si trasformarono in una nebbia
grigia e fumosa che aleggiava sul foglio bianco. Prima che il biondo potesse chiedersi
se la vista si stesse annebbiando o meno, una fitta dolorosissima gli
attraversò il capo, privandolo delle forze e mettendolo quasi in ginocchio, se
non ci fosse stato Kidou a sostenerlo.
«Gouenji, ti senti bene?!»
Mentre l’attaccante cercava
faticosamente di sostenersi da solo, i due calciatori vennero sorpassati ad
altissima velocità prima da un’auto e poi da una creatura enorme e lunghissima,
strutturata come un millepiedi le cui zampe erano state sostituite con braccia
umane, che li travolse con un forte spostamento d’aria. Quando la bestia li
ebbe superati, Gouenji e Kidou si scambiarono uno sguardo allarmato: avevano
appena visto qualcosa di simile al giorno prima?
Subito il regista fece dietrofront per
seguirli, ma il biondo lo fermò.
«Non possiamo andargli dietro, è troppo
pericoloso!»
Kidou si girò verso il compagno, con
un’espressione agitata.
«Ma forse questa è l’unica possibilità
che abbiamo di capirci qualcosa!»
Shuuya sapeva che il suo amico aveva ragione
ed anche lui voleva scoprire cosa stava succedendo.
«Va bene, andiamo… Ma cerchiamo di
rimanere al sicuro!»
Yuuto annuì ed i due iniziarono a correre dietro la strana creatura che
continuava ad allontanarsi.
>
Inazuma-cho, strade della citta’, 6 agosto, 10:21 Am
«Più veloce Shane, più veloce! Quella
cosa ci ha quasi raggiunti!»
«Sto andando più veloce che posso
Aléja, è inutile che urli!»
Il diciannovenne americano aggrottò la
fronte imperlata di sudore, chiedendosi come fossero finiti lui ed i suoi due
amici in quell’assurda situazione. Quella mattina avevano deciso di saltare le
lezioni e di muoversi in macchina per la città, alla ricerca del mostro che li
aveva tormentati all’università, e all’inizio era andato tutto bene, non
avevano trovato nulla ma si stavano divertendo e rilassando. Poi ad un certo
punto avevano visto il millepiedi in lontananza, in cima ad un palazzo. Quando
la bestia aveva visto loro, era scesa dal grattacielo ad altissima velocità,
per poi avanzare verso la macchina senza rallentare un attimo. Il povero Shane aveva
fatto a malapena in tempo a fare inversione ed iniziare a fuggire, se avesse
esitato un secondo in più il mostro li avrebbe raggiunti subito. Per loro
fortuna, a causa dell’ora e del periodo di vacanza appena iniziato, le strade
erano deserte e poterono scappare senza preoccuparsi troppo di creare un
incidente. Nonostante però Shane stesse premendo l’acceleratore a tavoletta, il
millepiedi si stava avvicinando sempre di più, creando il panico tra i ragazzi.
«Cosa facciamo? Cosa facciamo?!»
Eiji si chinò, tenendosi la testa tra
le mani. Lo sapeva, lo sapeva che andare a cercare quella creatura era un
errore. Se solo nella macchina ci fosse stato qualcosa da buttare contro il
mostro per distrarlo e guadagnare terreno…
Appena ebbe finito di formulare quel
pensiero, il giapponese sentì qualcosa rotolargli vicino ai piedi da sotto il
sedile. Una volta raccolto, l’oggetto si rivelò essere una bottiglia di vetro piena
di alcool tappata con un lungo lembo di stoffa bianca. Ad Eiji non serviva
essere chissà quale esperto di armi per riconoscere cosa fosse, e l’idea di
tenere in mano qualcosa del genere aumentò la sua agitazione.
«Che ci fa una molotov in macchina?!»
Shane staccò gli occhi dalla strada per
guardare cosa avesse in mano il suo ragazzo.
«Che cazzo ne so?! È la macchina di tuo
padre questa!»
«Guarda la strada Shane, guarda la
strada!»
Mentre i due fidanzati erano impegnati
a litigare, Aléja sfilò la molotov dalle mani dell’amico e recuperò un
accendino abbandonato nel compartimento tra i sedili, per poi aprire il
tettuccio ed affacciarsi fuori, prima di accendere il pezzo di stoffa che
spuntava dal collo della bottiglia.
«Mangiati questa, mostro!»
Detto questo, il russo lanciò la
molotov contro il muso dell’insettone, colpendolo in pieno. Ciò fece fermare la
bestia, ferita ed accecata dalle fiamme, ed Aléja tornò a sedersi, soddisfatto.
Shane ed Eiji rimasero a bocca aperta
davanti al comportamento del loro amico, ma appena si ripresero pensarono a
come sfruttare il loro nuovo vantaggio.
«Cerchiamo di seminarlo!»
«E come Eiji?! Questa strada è tutta
dritta e stiamo andando anche verso il ponte che porta a Tokyo! Non possiamo
portarlo lì, saremmo in trappola e farebbe un casino!»
Aléja, che intanto guardava fuori dal
finestrino, se ne uscì con un’idea.
«Chissenefrega della macchina,
parcheggia qui e nascondiamoci tra gli alberi!»
Con una manovra da vero stuntman, Shane
frenò e parcheggiò l’auto da un lato della strada, provocando un piccolo
infarto ad Eiji, poi i tre uscirono velocemente dalla vettura ed andarono a
nascondersi tra alberi e cespugli. Quando il millepiedi li raggiunse si mise
subito ad esaminare l’auto, sorprendendosi di trovarla vuota. La bestia alzò il
capo mostruoso, guardandosi in torno alla ricerca delle sue prede. I ragazzi
rabbrividirono vedendo la testa da insetto del mostro, le grandi tenaglie che
si aprivano e chiudevano, rilasciando una bava verdastra, ma tacquero, sperando
che la creatura se ne andasse senza notarli. Il suono di passi veloci
sull’asfalto attirò l’attenzione di Shane, che inorridì vedendo due ragazzini
avvicinarsi. Il rumore arrivò anche alle orecchie del millepiedi, che si girò
di scatto verso i nuovi arrivati, fulminandoli e paralizzandoli con lo sguardo.
Prima che l’americano potesse pensare ad un piano per distrarre il mostro e
permettere ai due ragazzi di fuggire, una voce troppo famigliare arrivò alle
orecchie sue e del suo fidanzato.
«Ehi bestione, mi stavi cercando? Sei
arrabbiato per prima?»
Aléja, con un sorriso nervoso e tirato,
saltellava e si sbracciava vicino al ponte per attirare l’attenzione del
mostro, che si girò verso di lui ed iniziò ad attaccarlo, cercando di
acchiapparlo con le sue molteplici mani. Senza perdere un secondo di tempo,
Eiji corse dal suo ragazzo e lo afferrò per le spalle, guardandolo dritto negli
occhi.
«Shane, porta al sicuro quei ragazzini,
io vado ad aiutare Aléja!»
L’americano ebbe bisogno di un secondo
per comprendere ciò che gli veniva chiesto, poi annuì con decisione ed i due si
separarono, andando da parti opposte.
Mentre Eiji attirava a turno
l’attenzione del millepiedi con Aléja, Shane raggiunse i ragazzini e cercò di
scuoterli.
«Ehi, che ci fate qui? Datevi una mossa
e scappate!»
I due, entrambi delle medie, uno biondo con i capelli a spina e l’altro
con dei rasta castani tenuti insieme da una coda alta, non reagirono in alcun
modo. Erano paralizzati sul posto, al più grande sembrava che non stessero
neanche respirando. Capendo che da soli quei ragazzi non si sarebbero mossi,
Shane prese il biondo in braccio, con non un po’ di difficoltà, ed andò a
nasconderlo nella macchia di verde al lato della strada. Fortunatamente
entrambi i ragazzi erano ancora molto giovani e Shane riuscì a trasportarli entrambi
al sicuro in poco tempo. Dopo aver nascosto i ragazzini tra i cespugli,
l’americano si girò a vedere come se la stessero cavando i suoi amici. Il
mostro doveva avere anche il cervello di un millepiedi, oltre all’aspetto,
perché la strategia di Aléja ed Eiji stava funzionando, l’unico problema era
che ora non potevano scappare.
Shane si sentì montare una grande
rabbia dentro: quella mattina stava andando tutto bene, poi quella cosa li aveva presi di mira ed aveva iniziato ad inseguirli, ed
ora il suo fidanzato ed il suo migliore amico stavano rischiando la vita nel
tentativo di distrarlo. Il moro avrebbe tanto voluto investire quell’orribile
mostro, ma la macchina del padre di Eiji era troppo piccola, se solo avesse
avuto un mezzo più grosso…
Il filo dei pensieri del ragazzo venne
interrotto dal suono di un grosso motore che si accendeva e, guardando dietro
di sé, Shane vide un’autocisterna comparsa dal nulla. Dopo essersi assicurato
che non ci fosse nessuno alla guida e nei paraggi, l’americano si sedette al
posto di guida e, dopo aver famigliarizzato un attimo con il veicolo, partì a
tutta velocità, puntando al mostro. Sentendo il forte clacson della vettura,
Eiji ed Aléja si scansarono, lasciando così la libertà a Shane di investire e
trascinare via il mostro, verso il ponte che prima si era rifiutato di
attraversare.
Constatando che la bestia era bloccata
e non riusciva a liberarsi, il ragazzo bloccò il pedale dell’acceleratore e si
buttò dal veicolo. Aléja non poté che esultare mentalmente per ciò che aveva
appena visto: il suo amico era al sicuro e il millepiedi era bloccato, per di
più da una cisterna che trasportava liquido infiammabile! Oh, se solo avesse
avuto tra le mani qualcosa per provocare un’esplosione si sarebbero potuti
liberare di quell’incubo…
Come per magia, a quel pensiero, un
bazooka comparve tra le mani del russo, sorprendendo sia lui sia Eiji, al suo
fianco.
«Da dove è uscita quella roba?!»
Aléja sfoggiò un sorrisetto sorpreso e
divertito.
«Non lo so, ma so perfettamente cosa
farci!»
Il ragazzo imbracciò l’arma e poi urlò
all’amico che stava correndo verso di lui.
«Shane, a terra!»
Appena ebbe visto l’americano buttarsi
sull’asfalto, Aléja premette il grilletto e venne sbalzato via dal rinculo,
finendo per terra. Ad occhi chiusi, ascoltando il sibilo del proiettile, il
russo pregò intensamente di non aver mancato il suo bersaglio. Poco dopo un
tremendo boato ed una discreta onda d’urto, seguita da versi inumani disperati,
lo spinsero a riaprire gli occhi e ad avere la conferma che le sue preghiere
avevano ricevuto una risposta. Il millepiedi si agitava, avvolto dalle fiamme,
emettendo versi striduli e terrificante, prima di abbattersi al suolo e
smettere di muoversi. Era finita. Con il cuore che batteva a mille, Shane si
rialzò e raggiunse i suoi amici, sconvolti quanto lui. Ce l’avevano fatta,
avevano distrutto il mostro e, con esso, il ponte che portava a Tokyo. Eiji ed
il suo fidanzato aiutarono Aléja ad alzarsi, poi i tre corsero a controllare le
condizioni dei due ragazzi nascosti tra i cespugli, che nel frattempo
sembravano essersi sbloccato.
«Ehi piccoli, state bene?»
Kidou si tenne la testa, sorpreso di
trovarsi coperto di sudori freddi e, dopo aver deglutito a vuoto, annuì.
«Q-Quel mostro… Che fine ha fatto?»
Sorridendo sollevato, Aléja rispose a
Yuuto mimando un’esplosione. Dopo essersi alzati da terra, il regista ed il suo
compagno tornarono in strada per verificare con i loro occhi quello che era successo, seguiti
a ruota dal terzetto di ragazzi più grandi, che avevano mille domande da far
loro.
«L’avete visto anche voi, vero? Cazzo,
temevamo di vederlo solo noi tre.»
Kidou cercò di riacquistare la calma,
per poter rispondere chiaramente a quelli che erano ufficialmente i loro
salvatori.
«Sì, l’abbiamo visto anche noi… Una cosa
simile ieri ha attaccato dei ragazzi alla nostra scuola…»
I tre universitari imprecarono
sottovoce, poi Shane ruppe il silenzio che quella notizia aveva creato.
«Possiamo parlarne mentre ce ne andiamo
di qua? Tra poco questo posto pullulerà di polizia e vigili del fuoco, e vorrei
evitare che ci accusassero di aver creato questo casino. Ragazzi, venite con
noi, vi accompagniamo a casa.»
Normalmente Kidou e Gouenji non
avrebbero accettato un passaggio da tre sconosciuti, ma visto quello che
avevano appena passato, decisero di fidarsi. In fondo durante il tragitto avrebbero
potuto scambiarsi con quei ragazzi delle informazioni importanti.
>
Inazuma-cho, Casa Kageyama, 6 agosto, 12:48 Am
Comodamente seduta su un divano, Andrea
sorseggiò la bevanda calda che le era stata servita da una delle cameriere di
casa, mentre ascoltava con attenzione il telegiornale. Al notiziario stavano
parlando dell’incidente di qualche ora prima, dicendo che era stata una forte
esplosione che aveva sconvolto parte del palazzo. Nel frattempo suo padre David
discuteva nervosamente con Kageyama, chiedendo spiegazioni su ciò che era
successo. Il padrone di casa però insisteva nell’aspettare Cassandra prima di
dare una qualsiasi spiegazione ai suoi ospiti, facendo agitare ancora di più
l’americano. Andrea sospirò, stanca: capiva l’angoscia di suo padre, ma credeva
che poteva risparmiarsela. In fondo, anche se con un po’ di difficoltà, erano
riusciti ad uscire dal palazzo evitando di essere fermati da chicchessia,
avevano raggiunto l’autista di Kageyama e, pur rimanendo bloccati nel traffico
per un po’, erano arrivati a casa dell’uomo sani e salvi. Avevano aspettato fin
ora, potevano aspettare altri dieci minuti per avere delle spiegazione,
l’importante era ottenerle. Proprio quando i due uomini erano sul punto di
scoppiare a litigare, la voce squillante di Cassandra gli interruppe.
«Uffa quanto urlate, vi si sente
dall’altro capo della casa, e non siamo mica in un monolocale!»
Dimenticando completamente tutto il
resto, Reiji si assicurò subito delle condizione della ragazza.
«Cass, come vanno le ginocchia?»
La castana sorride per tranquillizzare il suo ex fidanzato.
«Molto meglio Reiji, non preoccuparti!»
Stanco di aspettare, il signor Cervini
cercò di attirare l’attenzione dei due.
«Bene, ora volete spiegarci cosa sta
succedendo?»
Pronta a rispondere ad ogni domanda,
Cassandra andò a sedersi al fianco di Andrea, a gambe incrociate.
«Allora, ciò che avete visto oggi era
un incubo!»
I due americani rimasero per un attimo
senza parole, poi David sbottò arrabbiato.
«Stai insinuando che ci siamo sognati
tutto?!»
La più piccola scosse energicamente la
testa.
«No no, è ciò che è quella creatura, un
incubo! Non siete voi ad averla sognata ad occhi aperti, è lei ad essere uscita
da un sogno!»
Andrea sapeva di doversi aspettare una
spiegazione assurda, ma quello andava oltre ogni immaginazione.
«Scusa, come fai ad esserne sicura?»
«Beh… L’ho incontrata in un sogno
qualche tempo fa. Ed anche la creatura di un incubo ricorrente che faccio fin
da piccola si è manifestata nel mondo reale.»
Il signor Cervini si tenne la testa,
confuso.
«Non capisco… Anche se fosse vero, se
quella cosa fosse stato un incubo, perché nessun altro sembra averla vista?»
Cassandra si mise a riflettere: non
aveva una risposta precisa a quella domanda.
«Non lo so con certezza… Penso che in
qualche modo riescano ad ingannare la mente di tutti.»
Kageyama decise di intervenire.
«In effetti neanche lei riusciva a
vederlo all’inizio. Quando ha scardinato la porta lei non ha notato nulla.»
Rendendosi conto che ciò era vero,
David si sedette su una poltrona per riflettere.
«È vero, l’unica cosa che ho visto è
stata la porta scardinarsi, il corridoio era vuoto, almeno ai miei occhi…
Andrea, mi confermi che è stato il mostro a farlo?»
La giovane annuì al genitore, prima di
parlare.
«Sì, ma allora cos’è cambiato? Perché
sul tetto l’hai vista?»
Il signor Cervini chiuse gli occhi,
cercando di ricordare.
«Non lo so… L’unica cosa strana è che
quando ho provato a chiamarti non riuscivo a leggere nulla sull’iPhone e quando me ne sono reso conto mi sono sentito male…»
Fulminata da un’idea, Cassandra
schioccò le dita.
«Si è svegliato!»
Tutti gli altri guardarono confusi
l’italiana e quest’ultima, capendo di doversi spiegare meglio, continuò a
parlare.
«Signore, le è mai capitato di provare
a leggere qualcosa in un sogno?»
L’uomo scosse la testa.
«No, quando mi rendo conto di non
riuscire a capire nulla mi svegl- oh…»
Cassandra annuì, decisa.
«Ecco. In qualche modo queste creature
compaiono in un sogno ambientato nella realtà e quando le persone si svegliano
riescono a vederle. È successo anche con te Reiji, ricordi? Hai tentato di
leggere un manifesto e ti sei sentito male, infatti poi sei riuscito a vedere
da subito l’incubo in quella casa.»
L’allenatore annuì, contento di veder
spiegato il perché del suo malore improvviso del giorno prima, ma il signor
Cervini aveva altre domande da porre.
«C’è qualcos’altro che non capisco:
quando abbiamo guardato negli occhi quella cosa sia io che il signor Kageyama
ci siamo praticamente paralizzati, mentre tu ed Andrea no, perché?»
«Oh, io non mi paralizzo mai davanti
agli incubi, li cambio!»
David assunse un’espressione confusa,
non capendo quella risposta.
«Cambi gli incubi…?»
L’italiana annuì nuovamente,
accorgendosi solo dopo di dover specificare meglio cosa intendesse.
«Oh, non parlo degli incubi tipo quello
di oggi, parlo di quelli normali. Cambio sempre i miei sogni.»
«Sei una sognatrice lucida…»
Cassandra guardò entusiasta la ragazza
al suo fianco.
«Sai di cosa parlo?»
Andrea annuì: era una sognatrice lucida
lei stessa e si era informata tempo prima su questo fenomeno.
«Sì, sono una sognatrice lucida anche
io. »
Cassandra tratteneva a stento
l’emozione: era la prima volta che incontrava una sognatrice lucida come lei e
questo voleva dire avere un’alleata contro gli incubi.
«Quindi i sognatori lucidi hanno la
possibilità di muoversi davanti a questi mostri e le persone normali no…
Rimangono comunque tanti interrogativi! Da dove escono fuori questi incubi e
cosa vogliono?»
L’entusiasmo della castana si spense di
fronte alle domande del signor Cervini: non aveva la minima idea di come quelle
creature fossero arrivate nel mondo reale. Certo, c’era il portale che aveva
attraversato anche lei, ma questo non poteva confidarlo all’americano e a sua
figlia. Inoltre non aveva le idee ben chiare su quello strano varco e su come
si fosse formato. Ad un certo punto l’attenzione di tutti fu catturata
nuovamente dalla televisione, che trasmetteva ora un’altra notizia importante.
«Un altro attacco è stato effettuato
stamane al ponte, rendendolo impraticabile. Coloro che devono andare o tornare
da Tokyo sono pregati di utilizzare le linee metropolitane, potenziate per
contrastare l’emergenza.»
Andrea rabbrividì a quella notizia e
suo padre lo notò subito.
«Andrea…»
«Io non ci vado in metropolitana.»
David sospirò: lui doveva assolutamente
tornare in hotel, il giorno dopo avrebbe avuto altri importanti appuntamenti di
lavoro a Tokyo e non poteva di certo mancarli perché sua figlia aveva paura della
metropolitana, ma non voleva neanche lasciare Andrea da sola. Appena l’uomo
ebbe spiegato a Reiji e Cassandra il problema, quest’ultima se ne uscì subito
con una soluzione.
«Andrea può stare da noi!»
Le occhiatacce che i due adulti le
riservarono fecero per un attimo pentire la castana della sua proposta, ma
subito dopo cercò di convincerli.
«B-Beh, qui con noi sarebbe più al
sicuro…»
«Ha ragione, papà, rimango qui.»
David guardò a bocca aperta sua figlia.
Lui non si fidava a lasciarla lì da sola, come poteva lei essere così
tranquilla invece? L’occhiata decisa che gli lanciò Andrea gli fece però capire
che era inutile tentare di convincerla. Sospirando, l’americano si grattò la
testa.
«Va bene… Domani cercherò di liberarmi
il prima possibile dei miei impegni, così potrò tornare qui.»
Andrea fu soddisfatta della risposta.
«Ok, domani però porta il mio
portatile, ne avrò bisogno.»
Già,
la ragazza ne avrebbe avuto proprio bisogno: era decisa a fare parecchie ricerche
sulla faccenda per capire fino in fondo cosa stesse succedendo lì. Inoltre
pernottare da Kageyama le avrebbe permesso di conoscere meglio Cassandra e
scoprire come mai conoscesse così tante cose sulla questione.
××××××××××××××××××××
Mhmhmh, indovinate chi
è tornata dal mondo dei morti? Mi scuso per il ritardo bestiale, ma a forza di
aspettare una recensione al capitolo scorso mi sono completamente dimenticata
di aggiornare questa storia e quando ho notato che l’ultimo capitolo risaliva a
FEBBRAIO ho sclerato male. Però mi sono fatta perdonare, no? Il capitolo è di
quasi 6000 parole, pieno di azione… Sigh, spero davvero che basti a farmi
perdonare questo ritardo. Comunque la storia inizia ad entrare nel vivo, il
prossimo aggiornamento sarà dopo che avrò aggiornata l’altra mia storia ad OC,
cosa che cercherò di fare prima dell’inizio delle mie lezioni il 26. Una volta
che avrò finito la raccolta che sto scrivendo mi dedicherò solo ai progetti in corso,
facendo eccezione solo per qualche one-shot
sporadica. Spero davvero di ricevere qualche parere e di trovare la possibilità
di aggiornare il prima possibile. In ogni caso, ci rivedremo.
Hibiki guardò con aria scettica i tre universitari che
mangiavano avidamente le pietanze che aveva preparato loro.
«Scìscignore!
Sembrava proprio un fottutissimo millepiedi!»
Aléja, con la bocca piena, cercò di eliminare i dubbi
del ristoratore, riuscendo solo ad aumentarli.
«Allenatore… Posso darle la mia parola, stanno dicendo
la verità.»
L’uomo fece una smorfia preoccupata: se Kidou
sosteneva la veridicità di quella storia voleva dire che aveva fondamento.
«Ho capito… Allora devo ringraziarvi per aver protetto
i miei ragazzi.»
Eiji, che aveva l’aspetto più ragguardevole tra i tre,
rispose con un sorriso.
«Si figuri, per noi era un dovere proteggere i
ragazzi. E la ringraziamo per la sua ospitalità, siamo ancora molto scossi
dall’incontro.»
Kidou guardò il suo cellulare: il vero motivo per cui
aveva portato lì i tre universitari era per fargli conoscere Vespera, Malia e
l’altro ragazzo che aveva combattuto contro il piccolo mostro il giorno prima.
Aveva chiamato la nuova manager un’ora prima, quando
aveva convinto Shane e gli altri a fermarsi al Rairaiken per presentar loro
queste persone, e lei avrebbe pensato a contattare Malia e Sebastiaan.
Sarebbero dovuti arrivare da un momento all’altro.
Infatti, pochi minuti dopo, i tre varcarono la soglia
del ristorante, Sebastiaan in testa a tutti. L’olandese si mise subito a
scrutare l’ambiente arricciando appena il naso, infastiditi dagli odori della
cucina, mentre Malia, entrata subito dopo di lui, andò direttamente a sedersi.
«Allora, perché ci avete chiamati qui?»
Vespera, che ancora esitava sulla porta, sussultò
davanti a quella domanda e si avvicinò al resto del gruppo, preoccupata
all’idea di potersi perdere una conversazione importante.
«Gouenji e io abbiamo incontrato un altro di quei mostri
stamattina. Questi tre ragazzi sono riusciti a sconfiggerlo.»
A quelle parole anche l’attenzione di Sebastiaan, che
fino a quel momento era immersa nei giudizi negativi rivolti a Hibiki e al suo
ristorante, fu conquistata completamente.
Intanto Eiji, sentendosi un po’ in imbarazzo a lasciar
spiegare tutto a un ragazzino di quattordici anni, decise di parlare a sua
volta.
«Sì… Era un mostro simile a un millepiedi, però aveva
delle braccia umane al posto delle zampe. Non è neanche il primo che vediamo,
eravamo usciti a cercarne un altro…»
Sebastiaan, ormai completamente assorto dalla
conversazione, si portò una mano sotto al mento, riflettendo.
«Quanti ne avete incontrato in tutto?»
I tre universitari si guardarono per un attimo prima
di lasciare nuovamente la parola a Eiji.
«Il mio amico Aléja ha incontrato da solo questo
millepiedi, il giorno dopo alla nostra sede universitaria abbiamo visto insieme
un altro mostro. Era un umanoide con gli arti lunghissimi che si arrampicava
sui palazzi come un insetto…»
Sebastiaan chiuse gli occhi, pensando a
cosa altro poteva chiedere ai ragazzi.
«E questi mostri sono comparsi dal
nulla? Non avete idea di dove possano essere spuntati?»
Alla risposta negativa dei tre
studenti, l’olandese sospirò profondamente.
«Io ho visto uno di queste creature
comparire da dietro un lampione, vicino alla Raimon. Era un uomo altissimo,
senza volto… È uscito da dietro il lampione come se fosse una porta, prima lì
non c’era niente.»
Un profondo silenzio calò nel ristorante, mentre
ognuno dei presenti cercava di districare quella matassa di misteri che si
trovavano per le mani.
«Non avete notato nulla di strano prima della loro
comparsa?» Chiese Kidou, sperando in qualche nuova informazione che potesse
aiutarli.
«Una ragazza…»
Il gruppo rivolse le sue attenzioni a Sebastiaan, che
aveva appena parlato.
«Una ragazza? Che ragazza?» Lo incalzò Shane, parlando
per la prima volta di fronte agli altri.
«Una ragazzina… L’ho vista davanti al cancello della
Raimon prima che comparisse il mostro dietro il lampione. Mancava un quarto
alle sei, era troppo presto perché fosse una studentessa in attesa che
aprissero la scuola. Inoltre non indossava nemmeno una divisa scolastica.
Indossava una felpa grigia, dei jeans blu scuro, scarpe da ginnastica bianche e
mi sembra una maglietta verde con una scritta bianca. Aveva il cappuccio calato
sul volto, ma si è girata a guardarmi. Aveva i tratti occidentali, occhi
marroni, capelli castani e pelle chiara. Doveva avere un taglio corto, i
capelli erano completamente coperti dal cappuccio. Aveva più o meno l'età dei
ragazzi della Raimon, forse appena più grande. Mi ha sorriso ed è scappata, due
secondi dopo è comparso quel mostro dal lampione.»
Il silenzio conquistò nuovamente il ristorante, anche
se brevemente. Con uno schiocco di dita Aléja portò l'attenzione su di sé.
«L’ho vista anche io.»
Sconvolti da quella rivelazione, Shane ed Eiji si
fiondarono in una serie infinita di domande.
«Sul serio? E dove? Perché non ce l’hai detto prima?»
«Non pensavo fosse importante! Ero alla biblioteca
pubblica, lì c'è sempre un casino di gente. Però questa ragazza sono sicura di
averla vista! Ero davanti al banco prestiti, ha preso un libro enorme e si è
seduta davanti a me. Capelli corti e castani, tratti occidentali, felpa grigia
e maglia verde, sono sicurissimo che fosse lei!»
Sebastiaan in questo modo ebbe conferma di ciò che
sospettava già da un po’.
«La ragazza potrebbe essere in qualche modo legata a
questi mostri, o almeno sapere qualcosa su di loro. Suggerisco di cercarla.»
«E se non lo fosse? La sua presenza in entrambi i
luoghi potrebbe essere una coincidenza.»
L’olandese lanciò un’occhiata colma di fastidio a
Hibiki, che si ergeva dietro al bancone a braccia conserte con aria severa.
«Una straniera che si palesa insieme a questi mostri è
sospetto, non crede?»
«Anche tu sei uno straniero e ti sei palesato insieme
a un mostro, devi essere sospetto anche tu?»
Aléja ridacchiò e si stese sul bancone verso il
proprietario del locale.
«Signor Hibiki, vero? Capisco cosa sta dicendo, ma
anche io penso che dovremmo trovare questa ragazza. Potrebbe non c’entrare
nulla con la storia, oppure potrebbe essere in pericolo! Solo trovandola
potremmo saperlo.»
L’allenatore emise un sospiro.
«Sì, penso che sia giusto da questo punto di vista…»
Preso dall’entusiasmo, Aléja si alzò di scatto, occhi
brillanti e sorriso furbo stampato in faccia.
«Bene, alla biblioteca!»
> Inazuma-cho, Stadio della Zeus, campi di
allenamento, 6 agosto, 3:54 PM
«Raphaeeeeeeeeeeel~»
Cercando di contenere l’imbarazzo che provava, il
giovane interprete ricambiò il saluto di Aphrodi dall’alto degli spalti. Come
promesso il giorno prima, il capitano della Zeus aveva approfittato del
contatto telefonico dell’americano per invitarlo ad assistere agli allenamenti
della squadra. Raphael, non sentendosela di deludere il giovane calciatore,
aveva accettato l’invito, pentendosene amaramente quando si era ritrovato a
subire un terzo grado da parte delle guardie dello stadio, chiaramente poco
contente di vederlo lì. A salvare la situazione ci aveva pensato Aphrodi in
persona, intervenuto per spiegare agli energumeni che Raphael era suo ospite e
per accompagnare l’interprete sugli spalti per consigliargli il posto migliore
dove poterlo osservare.
L’americano quindi si era ritrovato a essere il solo
ad assistere agli allenamenti, con gli occhi di tecnici e squadra puntati
contro ogni volta che il biondo capitano lo salutava e la cosa lo metteva
terribilmente a disagio. A circa un quarto d’ora dall’inizio dell’allenamento
una figura scura si avvicinò a Raphael, che pensò subito a un’altra guardia
venuta a interrogarlo sulla sua presenza lì. Girandosi per guardare meglio il
nuovo arrivato, l’interprete fece un salto sulla sedia rendendosi conto che la
figura scura apparteneva a Kageyama. L’americano poteva percepire i penetranti
occhi neri dell’allenatore fissi su di lui anche se non poteva vederli, e la
cosa lo preoccupava da morire.
«Lei sarebbe? Chi le ha dato il permesso di stare
qui?»
Raphael si sentì mancare un battito: Kageyama non si
ricordava di lui? Non sapeva dire se quello era un vantaggio o uno svantaggio.
«S-Sono Raphael Polański signore. L-Le faccio da
interprete durante gli incontri col signor Smith… Sono qui sotto invito di
Afuro Terumi comunque!»
Kageyama distolse lo sguardo dal suo interlocutore per
qualche attimo, cercando di rammentare.
«Mh sì, ricordo. Se intende
assistere agli allenamenti mi faccia un favore e tenga d’occhio queste due.»
Spinto dalle parole dell’uomo, Raphael fece caso alle
due persone che lo accompagnavano. Sulla sinistra c’era una ragazza dai capelli
castani lunghi e lisci, la carnagione pallida e occhi neri ben incollati allo
schermo del suo iPhone, vestita con jeans e maglietta di una band un po’
datata, mentre sulla destra c’era un’altra ragazza più piccola della prima,
anche lei con i capelli lisci e castani, ma corti fino alla nuca con due ciocche
più lunghe sul davanti. Indossava una maglietta blu, una felpa blu, una gonna
dello stesso colore e tentava disperatamente di liberarsi dalla presa ferrea
con cui Kageyama aveva intrappolato il suo polso.
Raphael aveva la netta sensazione di non poter rifiutare
quella richiesta, ma in fondo la situazione lo incuriosiva e in quel mono non
sarebbe stato il solo ad occupare quegli spalti.
«Sì signore, nessun problema!»
Nell’udire quella conferma Andrea, senza staccare un
attimo gli occhi dallo schermo del suo cellulare, si sedette accanto
all’interprete, mentre Cassandra fu spinta a sedersi dall’uomo più grande.
«Io non ci rimango qui, vengo con te!»
L’italiana fece per alzarsi, ma le mani del suo ex
fidanzato la tennero ben ancorata sulla sedia.
«Devo lavorare Cassandra, non puoi venire con me.»
La castana lanciò all’altro un’occhiata colma di
rabbia.
«Tu non stai andando a lavorare, stai andando a
scegliermi una babysitter!»
L’allenatore alzò gli occhi al cielo, stanco di quella
discussione che andava avanti da un giorno intero ormai.
«Non parlare a vanvera di cose che non comprendi.»
«E tu non prendermi per una stupida, Reiji! Ho letto
l’annuncio, so esattamente di cosa parlo!»
«È una questione che non ti riguarda.»
«Sì che mi riguarda! Sono io quella che si becca la
palla al piede!»
Kageyama sospirò. Quando erano giovani lui e Cassandra
non avevano mai litigato tanto, quindi destreggiarsi in bisticci di quel genere
non era la sua specialità, ma per il bene della ragazza l’uomo sapeva di
doversi imporre con forza, anche se questo significava far arrabbiare la sua
giovane ospite.
«Ascoltami Cassandra, hai due possibilità: o stai qui
buona a goderti gli allenamenti o passerai il resto del pomeriggio chiusa in
uno spogliatoio sorvegliata a vista.»
La castana continuò a scoccare occhiate iraconde al
suo ex fidanzato per qualche secondo, poi si arrese e incrociò le braccia,
mettendo il broncio e distogliendo lo sguardo.
Sollevato dall’aver fatto ragionare la ragazza, Reiji
le lasciò le spalle e si rimise in piedi, sistemandosi gli occhiali.
«Tornerò tra tre ore. Non allontanatevi e se avete
bisogno del bagno chiedete allo staff, potreste perdervi.»
E, detto questo, l’uomo si ritirò, lasciando così la
libertà a Raphael di esprimere il sorriso che tratteneva già da un po’.
L’interprete non immaginava che Kageyama potesse nascondere un lato così
paterno, rendeva l’uomo molto meno spaventoso.
«Non sapevo che il signor Kageyama avesse delle
figlie…»
«Non ne ha.»
Rispose Andrea, sempre attaccata al cellulare.
«Io sono la figlia di un suo socio e lei, beh…»
L’americana spostò gli occhi neri dallo schermo a
Cassandra, seduta lì vicino. Già, chi era lei? Perché viveva con Kageyama e per
quale motivo conosceva tante cose sul mostro che le aveva attaccate quella
mattina?
«…Non lo so. Kageyama ha detto di essere il suo tutore
o qualcosa del genere.»
Raphael si ammutolì un attimo, messo un po’ a disagio
da quell’informazione. Non volendo però far morire la conversazione,
l’interprete si azzardò a spiare il cellulare della ragazza per capire cosa
stesse facendo. Il giovane ebbe un sussulto quando vide che Andrea stava
cercando informazioni su mostri dagli occhi rossi.
«Avete incontrato dei mostri con gli occhi rossi?»
Per la prima volta Andrea guardò il ragazzo seduto al
suo fianco.
«Perché, sai qualcosa su di loro?»
Il cuore di Raphael iniziò a battere più forte
ricordando la paura provata in metro qualche giorno prima e per l’emozione di
aver forse trovato qualche risposta.
«Beh, in realtà ho incontrato qualcosa del genere tre
giorni fa. Ero alla stazione della metropolitana e ho visto una donna buttarsi
sotto al treno, ma era come se l’avessi vista solo io. Poi quando stavo per
entrare nella carrozza l’ho vista sui binari, mi guardava nello spazio tra la
banchina e il treno con i suoi occhi completamente rossi e luminescenti.»
Andrea venne scossa da un brivido: la metropolitana la
inquietava abbastanza da sé, non aveva bisogno di creature strane a peggiorare
la situazione.
«Cassandra, anche lui ha visto un mo-…»
Girandosi per parlare all’altra ragazza, Andrea vide
che questa era sparita. Raphael, notando la cosa nello stesso momento, si sentì
morire al pensiero di subire l’ira di Kageyama per non aver svolto il suo
compito.
> Inazuma-cho, Stadio della Zeus, Zona uffici, 6 agosto,
4:20 PM
«Respira e rilassati, andrai una favola!»
Circondato da tutti quegli energumeni grandi come
armadi, Matt non riusciva proprio a rilassarsi, anche se Fudou stava provando
seriamente a metterlo a suo agio.
«Non lo so Fudou… Non sono proprio tagliato per questo
lavoro, forse è meglio rinunciare e andare a casa.»
«Col cazzo che ce ne andiamo, ora tocca a te! Senti,
magari questo non ti prende per fare da guardia del corpo, ma se fai una buona
impressione potrebbe impiegarti in qualcos’altro! Tu smettila di sembrare sul
punto di vomitare e cerca di chiamarlo “comandante”, per qualche motivo gli
piace essere chiamato così.»
Matt deglutì a fatica. Per fortuna, pensò per
tranquillizzarsi, la sua carnagione era così pallida che non si notava quanto
fosse sbiancato a causa della tensione.
Quando il candidato prima di lui uscì dal ufficio di
Kageyama, Matt si alzò e barcollò verso la porta. L’allenatore intanto,
abbandonato sulla sedia della scrivania, si massaggiava le tempie. Quando aveva
creato l’annuncio sapeva che Cassandra era seguita da dei mostri, ma non aveva
idea che queste creature potessero raggiungere dimensioni grandi come quello di
quella mattina. A causa di questa nuova informazione ora ogni candidato gli
sembrava inadatto, non importava quante persone avessero protetto e dove
avessero lavorato, ogni volta che Reiji si chiedeva se fossero in grado di
combattere contro una bestia enorme la risposta era sempre no. Avrebbe dovuto
ingaggiare qualche miliziano preparato, ma anche loro non gli avrebbero dato la
sicurezza che cercava. Di sicuro l’ultima cosa di cui aveva bisogno era
qualcuno come Matt Hoffman.
Vedendo avanzare quel ragazzo sì alto, ma magro e dall’aspetto
fragile da bambola di porcellana, Kageyama non trattenne una smorfia
infastidita: non aveva tempo da perdere.
Sedendosi di fronte all’uomo, Matt poteva avvertire
chiaramente l’ostilità che provava nei suoi confronti, ma ormai era troppo
tardi per tirarsi indietro.
«Lei è…?»
«Matt Hoffman s-signor… Ehm, Comandante. Le sono stato
raccomandato da Fudou Akio.»
Kageyama fece un’espressione poco impressionata e
continuò con le domande sulle conoscenze della città, delle tecniche di difesa
e sulla competenza delle armi. Su queste ultime due cose Matt era assai
impreparato, ma il ragazzo, sicuro di non venire assunto, voleva solo che
quella tortura finisse al più presto.
Proprio quando l’allenatore stava per mandarlo via con
il solito “le farò sapere” di rito, la porta dell’ufficio si spalancò di colpo.
«Kageyama Reiji non ho intenzione di farmi appioppare
una guardia del corpo!»
L’uomo si alzò dalla sedia, guardando arrabbiato
Cassandra che si avvicinava alla sua scrivania.
«Ti avevo detto di rimanere a guardare gli
allenamenti.»
Confuso dalla situazione, Matt rimase in silenzio a
osservare i due che si guardavano in cagnesco.
«Non puoi dirmi cosa devo fare, che sia rimanere in un
posto o di portarmi dietro un energumeno senza cervello!»
«È per il tuo bene!»
«No, non lo è! Finirebbe per mettermi ancora più in
difficoltà! Finirebbe per bloccarsi come è successo a te e sarei io a doverlo
difendere!»
Reiji sospirò: così non avrebbero concluso niente e
rischiava di scatenare nella castana delle azioni dettate dalla testardaggine
che l’avrebbero spinta a mettersi ancora più in pericolo. Doveva trovare un
modo per rigirare la situazione a suo favore. Nel tentativo di risultare meno
nervoso e più aperto al dialogo, l’uomo tornò a sedersi, mettendosi così al
livello della ragazza.
«Comunque hai frainteso le mie intenzioni, non ti sto
cercando una guardia del corpo, sto cercando una… una guida! Così potrai
esplorare la città anche mentre io sono occupato.»
Cassandra alzò un sopracciglio, poco convinta.
«Ah sì? E allora perché tutti i candidati sono super
muscolosi e grandi come armadi?»
«Così potrai essere tranquilla anche nelle zone più
malfamate.»
La ragazza non era per niente convinta, sapeva
benissimo che il suo ex fidanzato stava tentando di imbrogliarla e lei non ci
sarebbe cascata. Si girò verso il terzo incomodo e lo osservò velocemente:
biondo, pallido, alto, magro e con occhi azzurri colmi di confusione, non
avrebbe spaventato neanche un coniglietto.
«Come ti chiami?»
«Matt Hoffman…»
«Conosci la città, Matt?»
«Sì, ci vivo da qualche anno…»
«E dimmi Matt… Ti capita mai di controllare i tuoi sogni?»
«Uh? Sì, abbastanza spesso… Perché?»
L’italiana, presa dall’entusiasmo, non si preoccupò di
rispondere e si girò verso Kageyama, guardandolo con aria vittoriosa.
«Assumiamo lui.»
«No.»
La risposta secca e negativa dell’allenatore fecero
trasformare l’espressione della ragazza in una maschera minacciosa.
«Assumi uno qualsiasi degli altri candidati e alla
prima occasione scappo di casa e mi assicuro di non farmi ritrovare neanche
dalla polizia internazionale.»
Rosso di rabbia, Reiji si trattenne dal dare qualche
altra risposta affrettata: sapeva che la castana era abbastanza testarda da
attuare quella minaccia, era stato messo all’angolo e doveva trovare un modo
per districarsi da quella situazione. Ma prima che l’allenatore potesse trovare
una soluzione, Andrea aprì la porta, seguita da Raphael.
«Cassandra, ha visto un mostro anche lui.»
L’italiana non si aspettava di trovare così tanti
sognatori lucidi in un giorno solo, men che meno di trovarne uno che aveva
avuto esperienze di quel tipo. Intanto la discussione con Kageyama era
ufficialmente finita, la ragazza aveva altro a cui pensare.
> Inazuma-cho, Stadio della Zeus, spogliatoio degli
ospiti, 6 agosto, 4:53 PM
«Davvero esistono dei mostri del genere?»
Cassandra annuì alla domanda di Matt, che si ammutolì.
Lo svedese avrebbe voluto dire che anche lui aveva visto una creatura dagli
occhi rossi, ma si vergognava troppo ad ammettere che l’aveva scambiata per un’allucinazione
causata dalle droghe che assumeva.
«Non sappiamo molto su di loro, ma è abbastanza chiaro
che sono aggressive nei confronti di noi sognatori lucidi. Probabilmente è
perché siamo in grado di combatterle. Comunque penso che se collaborassimo
potremmo sconfiggerle più facilmente!»
Raphael, completamente conquistato dalla storia e
ansioso di scoprirne di più, rispose al volo.
«Io ci sto!»
L’italiana sorrise: la risposta di Matt era scontata
visto che era la sua nuova guida cittadina, aveva appena trovato due nuovi
alleati. Forse insieme a loro avrebbe finalmente capito perché gli incubi erano
emersi dal mondo dei sogni. Nel cuore della ragazza aleggiava un sospetto
terribile riguardo a quella storia, ma cercava disperatamente di non pensarci.
Non voleva essere lei la causa di tutti quei problemi.
××××××××××××××××××××
Non avete idea di che corsa contro il
tempo è stato questo capitolo. Sì, lo so, avrei dovuto pubblicare molto prima,
ma la vita è brutta.
Allora, i nostri protagonisti iniziano a formare dei bei gruppetti, anche se in
questo capitolo non c’è stato nessun attacco la trama avanza.
Avviso qui che sarò assente per dieci giorni, non posterò altre storie e
risponderò parecchio in ritardo a eventuali messaggi e recensioni.
«Insomma, le sto chiedendo un’informazione piccina piccina, cosa le costa rispondermi!»
La giovane bibliotecaria di turno si sistemò gli
occhiali, sbuffando esasperata. Era da più di due ore che discuteva con Aléja,
ma la richiesta che le veniva fatta era sempre la stessa: dare informazioni
sulla ragazza che aveva chiesto l’elenco di circoscrizione del quartiere tre
giorni prima.
«Per l’ultima volta signorino, quelle che lei chiama “informazioni piccine” sono i dati
personali di una ragazza, non posso riferirglieli!»
Poco in disparte Malia, Vespera, Sebastiaan, Kidou e
Gouenji, accompagnati da Haruna e Megane che erano passati a prendere prima di
venire in biblioteca, osservavano perplessi la scena. Eiji e Shane intanto
cercavano di dissuadere Aléja dal proseguire l’interrogatorio alla
bibliotecaria.
«Continuando così non faremo molti progressi… Non
abbiamo un’altra pista da seguire?» chiese Megane, e Kidou gli rispose facendo
cenno di no. «Purtroppo questo è l’ultimo posto in cui la ragazza è stata
vista. Se non riusciremo a raccogliere qualche informazione qui non sapremo più
dove cercare…».
In quel momento i tre studenti universitari si
ricongiunsero al gruppo, dopo che Aléja aveva finalmente gettato la spugna con
la bibliotecaria.
«Nulla, la stronza non vuole parlare. Ora che
facciamo?»
Sebastiaan, che aveva osservato l’intero battibecco
con un sorrisetto stampato sulla faccia, non si trattenne dal commentare.
«Magari con un approccio diverso non avresti sprecato
due ore del nostro tempo.»
Aléja gli lanciò un’occhiataccia.
«Se pensi di poter fare di meglio prova tu a scucire
di bocca qualcosa a quella racchia!»
Senza dire nulla, Sebastiaan si separò dal gruppo e
raggiunse la bibliotecaria, che subito lo guardò male individuandolo come un
amico del molesto ragazzo di prima.
«Ho già ribadito a quell’altro scostumato che non vi
dirò nulla!»
«Oh no signorina, non sono qui per infastidirla
ulteriormente! Volevo solo chiederle scusa per il comportamento del mio amico…
Sa, quella che stiamo cercando è mia cugina, è scappata di casa. Capendo di
averla vista qui l’altro giorno il mio amico si è fatto prendere
dall’entusiasmo. So bene che è stato pesante e inopportuno, ma non aveva
cattive intenzioni.»
Incantata dal tono dolce e dal sorriso ammaliante
sfoggiati da Sebastiaan, la bibliotecaria arrossì, distogliendo lo sguardo.
«Insistevate tanto per questo motivo? Potevate dirlo
subito…»
«Vogliamo evitare che la voce si diffonda. Con tutto
quello che sta succedendo in questi giorni non vorremmo attirare su di lei
attenzioni sbagliate. Poi la polizia è molto occupata con gli attentati, è
meglio se la cerchiamo per conto nostro.»
La donna annuì, colpita. Una storia struggente
raccontata da un bell’uomo faceva sempre colpo, Sebastiaan lo sapeva bene, e la
bibliotecaria era ormai caduta nel suo tranello.
«Beh, se la situazione è questa posso dirvi quello che
so, in fondo si tratta di un’emergenza…»
Il sorriso dell’olandese assunse per un attimo
un’espressione soddisfatta.
«Grazie, lei è davvero gentile.»
Dopo che Sebastiaan ebbe fatto loro cenno di
avvicinarsi, il gruppo si ritrovò al bancone dei prestiti, mentre la
bibliotecaria si allontanò per recuperare il registro dei prestiti del tre
agosto e il libro richiesto dalla ragazza misteriosa.
«L’hai convinta? Ma come hai fatto?!»
L’olandese rivolse ad Aléja un sorrisetto perfido.
«Non saprei, forse è bastato chiedere le cose
gentilmente...?»
A quella risposta sarcastica Aléja tentò di rispondere
con una serie di insulti e imprecazioni, ma Sebastiaan lo zittì con una
gomitata visto che la bibliotecaria stava tornando.
«Ecco qui il volume dell’elenco di circoscrizione richiesto
da sua cugina! Qui invece c’è la sua firma, la riconosce?»
Sebastiaan scrutò la firma sul registro dei prestiti.
La ragazza si era firmata C.
Andrei,avevano quindi recuperato un’iniziale e un cognome,
anche se l’olandese non sapeva definirne l’origine.
«Sì, sono sicuro che sia la sua scrittura. Non ci sa
dire chi stesse cercando?»
La bibliotecaria guardò il volume che Eiji e gli altri
stavano sfogliando.
«Ha detto che stava cercando il suo padre biologico,
ma non so dire con certezza qual è il suo nome… Però mi ha chiesto indicazioni
per una determinata parte della città, un attimo!»
La donna si allontanò di nuovo, tornando subito dopo
con una cartina che stese sul bancone.
«Voleva sapere come arrivare ai quartieri alti della
città, le ho suggerito di prendere la metro e di scendere a questa fermata.»
Sebastiaan osservò con attenzione la zona indicata. Era
un quartiere ricco, pieno di case grandi e villette, non doveva essere troppo
difficile cercare qualcuno lì. Il ragazzo sorrise nuovamente alla
bibliotecaria, mostrandosi sempre dolce e affascinante.
«Queste informazioni ci saranno utilissime, la
ringrazio di cuore.»
La donna arrossì, distogliendo lo sguardo.
«Oh, ma si figuri! Posso darle il mio numero? Se ha
bisogno di altre informazioni potrà contattarmi…»
Sebastiaan non voleva il numero di quella donna, ma
per mantenere in piedi quella recita lo accettò senza perdere il suo sorriso
ammaliante.
Una volta lasciata la biblioteca il gruppo esplose in
un dibattito frenetico.
«Raggiungiamo subito il quartiere e mettiamoci a
cercarla!»
«Non è così semplice Aléja, non possiamo mica andare
porta a porta a chiedere se qualcuno l’ha vista.»
«E perché no Shane? Siamo un bel gruppetto!»
«Possiamo chiedere ai ragazzi della squadra di darci
una mano!» Aggiunse Haruna, contagiata dall’entusiasmo di Aléja. Gouenji però a
quelle parole scosse la testa.
«Non so quanto ci possano aiutare. Non penso che Endou
sia in grado di descrivere una persona in maniera accurata…»
Eiji annuì, condividendo la perplessità del bomber di
fuoco.
«In realtà neanche io so quanto sarei in grado di
descrivere questa ragazza. Gli unici ad averla vista sono Aléja e Sebastiaan,
senza una descrizione accurata non riusciremo a fare molto… Sapete quante
ragazze castane con i capelli corti ci sono in giro?»
Quelle affermazioni smorzarono l’entusiasmo del
gruppo, che si ammutolì di colpo.
«Certo, se avessimo una foto sarebbe tutto più facile…»
Disse Shane, senza nemmeno riflettere sulle sue
parole. La frase però fece scattare qualcosa in Megane.
«Io ho un’idea!»
> Inazuma-cho, Maidcafe’, 6 agosto, 6:27 PM
«Allora, chi è questa ragazza che state cercando?»
Aléja e Sebastiaan si lanciarono un’occhiata mentre
Manga Moe continuava a schizzare il volto della
ragazza misteriosa. Non potevano dire che era una loro parente, sarebbero stati
costretti a spiegare il perché non stessero usando una foto per cercarla.
«Si tratta di una spia della Zeus, temiamo stia
tentando di sabotarci.»
Gli occhi dei ragazzi si abbassarono su Megane che si
era espresso per sbloccare la situazione. Tuttavia i due non capivano come la
storia della spia potesse essere credibile.
«Oh, capisco… Il Football Frontier di quest’anno si sta
rivelando pieno di insidie… Invece questi giovanotti che vi accompagnano chi
sono?»
Sebastiaan e Aléja, ancora impegnati a capire come un
torneo calcistico per ragazzini potesse essere pieno di insidie, vennero colti
alla sprovvista dalla domanda, ma Megane ancora una volta rispose al posto
loro.
«Sono dei fan della Raimon. Quando ho chiesto una mano
per identificare e fermare la spia si sono fatti subito avanti per fare la loro
parte.»
Manga Moe annuì, soddisfatto
della risposta, mentre i due stranieri non capivano come delle affermazioni
così assurde potessero essere accettate senza neanche una domanda. L’attenzione
del duo venne però riconquistata appena il disegnatore mostrò il ritratto
appena completato.
«Allora, che ne dite? È la vostra ragazza?»
I capelli erano esattamente come i due ricordavano,
molto corti sulla nuca e con due ciuffi più lunghi ai lati del viso; i tratti
erano chiaramente occidentali e si notava soprattutto dagli occhi grandi della
ragazza. Una sola cosa non convinceva i due…
«Lo stile che hai usato non è un po’ troppo…
Fumettoso?»
La risposta alla critica di Aléja fu un’occhiataccia
sia da parte di Manga Moe e Megane. Capendo al volo
che lo stile non sarebbe stato cambiato, Sebastiaan cercò di ingraziarsi di
nuovo il disegnatore.
«Per me è perfetto. Visto che hai così tanto materiale
non è che riusciresti anche a colorarlo?»
«Sì, certo. Ditemi quali colori vanno bene.»
Mentre Manga Moe si
rimetteva al lavoro supportato dalle testimonianze di Sebastiaan e Aléja, gli
altri ragazzi del gruppo esploravano pigramente il ritrovo della ShuuyouMeito. Kidou in
particolare si limitava a osservare un modellino per treni con aria turbata.
«Onii-chan, va tutto bene?
Sembri così pensieroso...»
Avvicinato dalla sorella, il regista abbandonò la sua
concentrazione.
«Tranquilla Haruna, va tutto bene.»
«Sicuro? Non sei felice dei nostri progressi?»
«Non è quello…»
«E allora cosa c’è? Puoi dirmelo, sai…»
Kidou sospirò prima di riprendere a parlare.
«Quel quartiere… Lo conosco bene.»
«Abiti lì vicino, no?»
«Sì, ma non è solo quello… Kageyama abita lì.»
Capendo al volo il turbamento del fratello, Haruna
cercò subito di tranquillizzarlo.
«Se non te la senti non sei costretto a venire!
Chiediamo aiuto al resto della squadra e ce la vediamo noi!»
Kidou sorrise intenerito dall’ingenuità di sua
sorella.
«Neanche il resto della squadra sarebbe tanto al
sicuro intorno a quell’uomo, penso dovremmo lasciare agli altri la ricerca
della ragazza…»
Il silenzio calò tra i due, mentre riflettevano sulla
situazione.
«Però non è detto che lo incontreremo… Non si
aspetterebbe mai di trovarci lì!»
«Questo è vero… Ma l’idea di avvicinarmi a lui mi
turba comunque…»
«Non essere così pessimista, onii-chan!
Abbiamo un mistero da risolvere!»
Prima che la conversazione continuasse Manga Moe attirò l’attenzione di tutti.
«Ho finito!»
Tutti lasciarono quello che stavano facendo per
avvicinarsi al disegnatore, che esponeva la sua opera. Il disegno era chiaro,
ben progettato e colorato, era facile immaginarsi la persona che cercavano con
quello davanti.
«Allora, che ve ne pare?» Incalzò il mangaka, in attesa di un giudizio. Haruna lanciò un’occhiata
furba al fratello, che scosse la testa sconsolato.
«Dico che facciamo un po’ di copie e domani ci
mettiamo alla ricerca di questa ragazza!»
> Inazuma-cho, Casa Kageyama, 7 agosto,
7:14 AM
Ancora assonnato dopo la prima notte passata in una
casa sconosciuta, Matt uscì dalla camera che gli era stata messa a
disposizione. Venne subito accolto da Kageyama e la sua aura minacciosa.
«Sveglia alle sette significa che per le sette devi
essere pronto e attivo, non che devi
svegliarti alle sette.»
Terrorizzato dall’uomo, Matt rispose annuendo
freneticamente. Dopo aver sospirato profondamente, Kageyama si mise a bussare
alla porta della camera accanto a quella dello svedese.
«Cassandra, è ora di alzarsi. Svegliati.»
«Reiji, vedi che io sono già sveglia!»
I due uomini si girarono verso la fine del corridoio,
dove faceva capolino Cassandra. La ragazza li guardò sorridente.
«La colazione è quasi pronta, potete svegliare Andrea?
Così ci mettiamo a tavola tutti insieme!»
Kageyama e Matt rimasero in silenzio mentre Cassandra
se ne andava. Dopo una manciata di secondi il più grande si avviò verso il
salone, assegnando silenziosamente all’altro il compito di andare a svegliare
Andrea. Dopo che lo svedese ebbe bussato alla porta alla sua porta, Andrea
comparve spettinata e ancora in pigiama.
«Che c’è?»
«Ehm… La colazione è pronta. Vieni a tavola?»
La ragazza brontolò un “ok” pieno di malumore, poi
richiuse la porta per cambiarsi. Terminato il suo compito, Matt raggiunse la
sala da pranzo, dove Kageyama leggeva il giornale seduto a capotavola. Non
volendosi inimicare ulteriormente il padrone di casa, Matt andò a sedersi il
più lontano possibile da lui. Dalla cucina poco lontana si espandeva un ottimo
odore e si poteva udire Cassandra cantare mentre preparava la colazione con le
cameriere.
Un’atmosfera così calda e famigliare era molto mancata
a Matt, che aveva perso i suoi genitori pochi anni prima mentre studiava lì in
Giappone. Da quel momento aveva vissuto tra stenti e mille difficoltà, trovarsi
in quel momento con un lavoro stabile ben pagato gli sembrava quasi
impossibile. Poco dopo vennero raggiunti prima da Cassandra, che iniziò a servire
a tavola, poi da Andrea che si era cambiata e resa
presentabile.
Quando furono tutti a tavola e la colazione fu
servita, Kageyama mise via il giornale e si mise a fare conversazione tra un
sorso di caffè e l’altro.
«Che programmi avete per oggi? Io sarò tutto il giorno
all’associazione di calcio giovanile oggi, tornerò verso sera.»
«Beh, noi pensavamo di fare un giro in città. Niente
di impegnativo, solo una passeggiata in centro!»
L’allenatore guardò torvo Cassadra.
«Preferirei che stessi in casa.»
«Te lo puoi scordare Reiji.»
Non avendo alcuna voglia di imbarcarsi in una
discussione di prima mattina, Kageyama sbuffò sonoramente.
«Fai come vuoi, ma non cacciarti nei guai e torna
prima delle diciotto. Non correre pericoli inutili, se qualcosa va storto o
senti notizie di gravi incidenti torna subito qua. Inoltre ti ho dato un
cellulare, usalo e fatti sentire di tanto in tanto nell’arco della giornata.»
Cassandra ridacchiò sotto i baffi e assicurò all’ex
fidanzato che avrebbe seguito le sue istruzioni. Anche in giovinezza l’uomo era
sempre stato un uomo cauto, quindi l’italiana non si sorprendeva se la ammoniva
in quel modo. La cosa le faceva anche piacere, le portava alla mente il ricordo
di suo padre e di suo nonno. Chissà che fine aveva fatto la sua famiglia… Suo
nonno, che tanto le stava a cuore, probabilmente non c’era più…
La castana si scosse, cercando di allontanare quei
pensieri tristi, per poi portare la conversazione su argomenti più allegri e
piacevoli.
Dopo aver salutato Kageyama e avergli augurato una
buona giornata, Cassandra si ritrovò in salone con Matt e Andrea.
«Raphael ci aspetta alla galleria in centro tra un’ora,
prepariamoci e andiamo.»
> Inazuma-cho, galleria centrale, 7
agosto, 10:31 AM
Dopo essersi incontrati con Raphael all’orario
stabilito, il gruppo si avviò per la lunga strada piena di persone,
intenzionati a ritrovare ed esaminare la casa in cui Cassandra aveva affrontato
l’incubo dalle sembianze di donna. Il piano però era stato completamente
stravolto a causa dell’entusiasmo dell’italiana che si fermava a ogni vetrina,
incantata dagli oggetti esposti o dalla musica che proveniva all’interno del
negozio.
La cosa all’inizio aveva irritato Raphael, ma di
fronte all’eccitazione bambinesca della ragazza non riuscì a rimanere
arrabbiato a lungo. Mentre l’italiana si faceva spiegare da Matt cosa fosse un
robot roomba, Raphael rimase in disparte con Andrea,
guardando sorridendo la scena.
«Che strana ragazza, guarda tutto come se fosse uscito
da chissà che fantasy! Sembra quasi…»
«Che abbia vissuto fuori dal mondo fino a oggi, vero?»
Il biondo guardò sorpreso Andrea, che aveva finito la
sua frase. La giovane americana teneva come al solito gli occhi incollati al
suo cellulare, ma continuò a parlare facendo attenzione a non farsi sentire dai
due più avanti.
«È strano davvero, anche troppo. Non conosce gran
parte della tecnologia, è appassionata di musica ma non riconosce nessuna
canzone o artista moderno, sembra persino essere all’oscuro di come vadano le
cose nel resto del mondo… Non sapeva nemmeno chi fosse l’attuale presidente
degli Stati Uniti.»
«Magari non si interessa a queste cose…»
«A tutte queste
cose? Certo posso capire che non sia un’appassionata di politica internazionale,
ma possibile che anche roba uscita da anni per lei sia una novità in campo
tecnologico? Senza parlare della musica, quella sembra appassionarla, no? Conosce
un sacco di brani vecchi di decenni, ma nemmeno una canzone più recente.»
Raphael rimase in silenzio a riflettere. Anche lui
aveva notato qualcosa di strano in Cassandra, ma aveva attributo il tutto a un’eccentricità
naturale della ragazza. Andra intanto continuò a parlare.
«La cosa è sospetta. Chi è e cosa ci fa qui? Ha detto
di essere italiana, perché allora si trova in Giappone? E i suoi genitori, dove
sono? Ha già specificato di non essere imparentata con Kageyama, eppure
sembrano essere molto in confidenza. Poi conosce un po’ troppo bene quelle cose.»
Andrea si rifiutava di chiamare le creature che aveva
incontrato incubi, le metteva i brividi l’idea che quei mostri fossero usciti
dall’inconscio di una persona e si fossero messe a infestare la realtà.
«Dici che dovremmo ottenere più informazioni su di
lei?» chiese Raphael, perplesso da tutto quel discorso.
«Ci ho provato stanotte, ho cercato in giro per
internet ma non ho trovato notizie relative a nessuna Cassandra Andrei. Non è
stata una ricerca molto approfondita, ma ero stanca ed è stato tutto quello che
sono riuscita a fare.»
«Perché non proviamo a chiedere qualcosa direttamente
a lei?»
Andrea guardò l’altro americano con aria scettica, ma
Raphael tentò di rassicurarla con un sorriso.
«Non ci costa niente, possiamo provare a scoprire
qualcosa di poco conto che ci possa aiutare.»
La mora sospirò. Non le piacevano gli approcci così
diretti, ma finché era Raphael a fare le domande ci potevano provare.
«Ok, se pensi sia una buona idea datti da fare.»
Quando il gruppo riprese a camminare, Raphael aspettò
qualche momento prima di iniziare una conversazione con la più piccola tra di
loro.
«Allora Cassandra, come mai vivi con il signor
Kageyama? Non siete parenti, o sbaglio?»
La castana fece cenno di no, continuando a guardarsi
intorno curiosa.
«E allora perché stai da lui? È un amico dei tuoi
genitori?»
Il sorriso di Cassandra in quel momento si spense. Non
poteva raccontare la verità, quei ragazzi non sapevano della sua situazione,
quindi dire che Reiji era il suo fidanzato avrebbe solo messo nei guai l’allenatore.
Le certezze della sua esistenza erano tutte scomparse, doveva fare attenzione a
cosa diceva per non distruggere il fragile equilibrio che le permetteva di vivere
tranquilla in quell’epoca. L’italiana riprese a sorridere, ma in maniera
meccanica e molto meno spontanea rispetto a prima.
«Sì, è un amico dei miei genitori…»
«Devi conoscerlo da tanto visto quanto siete in
confidenza…»
«È così, gli voglio molto bene.»
“Questa almeno non è una bugia…”
Per la prima volta la ragazza si trovò a riflettere
profondamente su come le cose fossero cambiate tra lei e Kageyama. L’affetto
che provava nei suoi confronti era rimasto immutato in quei quarant’anni,
soprattutto perché per lei i quarant’anni non erano affatto passati. Quei
sentimenti però erano diventati qualcosa di scomodo e pericoloso, un passo
falso e avrebbe potuto rovinare tutto ciò per cui Reiji aveva lavorato nella
sua vita. Probabilmente avrebbe fatto meglio a reprimere e dimenticare l’amore
che provava per l’altro, ma solo a pensare di fare qualcosa del genere i suoi
occhi si riempivano di lacrime.
«Invece quei mostri, come fai a conoscerli?»
La voce severa di Andrea fece sussultare l’italiana
che, persa nelle sue riflessioni, si era quasi dimenticata degli altri che
erano lì.
«B-Beh, alcuni li ho incontrati nei miei incubi e
visto che hanno tutti gli occhi rossi non è difficile riconoscere gli altri.»
«Ma come fai a conoscerli così bene? E perché sai come combatterli?»
Cassandra cercò di biascicare qualche scusa credibile
relativa all’istinto e al sesto senso, ma la conversazione si stava facendo
troppo angosciosa e lei aveva solo voglia di scappare.
Una voce squillante e alterata salvò Cassandra da
ulteriori domande.
«Raphael Polański, non sei voluto uscire con me
per vederti con loro?!»
Un infuriato Afuro Terumi si
fece strada tra la folla, raggiungendo il gruppetto e piazzandosi davanti a
Raphael, chiaramente imbarazzato.
«A-Afuro, che sorpresa vederti qui…»
Vedendo nel calciatore un’opportunità per terminare
completamente quella conversazione, Cassandra lo raggiunse e si attaccò al suo
braccio, sfoderando il sorriso più amichevole che riuscisse a fare.
«Ciao, tu sei il capitano della squadra di Reiji o
sbaglio?»
Afuro si staccò da lei, stizzito.
«Sì, sono io. Tu invece sei la ragazzina che si è
portata agli allenamenti l’altro giorno, no? Che ci fai in giro con Raphael?»
«Oh, stavamo andando a caccia di mostri, vuoi unirti a
noi?»
Il capitano della Zeus guardò con aria scettica prima
la ragazza, poi il traduttore, non capendo perché Raphael perdesse tempo in un’attività
così infantile. Dopo un po’ di insistenza da parte dell'italiana Afuro accettò
di unirsi al gruppo e, spinto da Cassandra, passò la maggior parte del tempo a
parlare di sé e vantarsi per far colpo sull’americano.
La giornata passò così priva di eventi, con Cassandra
che evitava in ogni modo le conversazioni importanti. Alle diciassette Raphael
e Afuro lasciarono il gruppo visto che il biondo aveva convinto l’altro a
riaccompagnarlo a casa, e gli altri tre si avviarono verso la dimora di
Kageyama. Una volta lì Cassandra continuò a fare i salti mortali per evitare di
parlare con Matt e Andrea, aiutando le cameriere con le faccende di casa e chiudendosi
in camera sua o in bagno.
Al rientro di Kageyama l’italiana tirò un sospiro di
sollievo visto che il padrone di casa era accompagnato dal padre di Andrea,
venuto lì per riportare la figlia a Tokyo.
Dopo aver salutato l’altra ragazza, Cassandra si gettò
ad abbracciare Kageyama, nascondendo il viso contro il petto dell’uomo per
celare le sue lacrime.
«Mi sei mancato…» gli disse con voce tremante.
Reiji cercò subito di rassicurarla dicendole che
andava tutto bene e che non si erano visti solo per una giornata, ma non era a
quello che si riferiva la castana.
Kageyama gli era mancato, aveva pensato spesso a lui
nel sogno eterno in cui era imprigionata. Essere riuscita a ritrovato, venire accolta
da lui, potergli parlare ed esprimergli il suo affetto avevano spinto la
ragazza a ignorare il passato ormai lontano e il futuro incerto che aveva
davanti. La conversazione di quel giorno era stato un duro ritorno alla realtà:
le cose come le conosceva non c’erano più, non aveva più né la sua famiglia né
il ragazzo che amava. L’unica cosa che aveva in quel momento era un uomo che
conosceva appena, che lei amava ma che non poteva ricambiare i suoi sentimenti.
Cassandra scoppiò a piangere e Reiji passò i dieci
minuti successivi a consolarla. Quando la ragazza si fu finalmente calmata l’allenatore
le asciugò le guance, sorridendole affettuosamente.
«Visto che ora sei più calma perché non facciamo una
passeggiata prima di cena?»
××××××××××××××××××××
Sono tornata! Yeeee,
che bello! Sigh, scusate. Ero convinta che avendo solo SweetDreams come progetto attivo sarei riuscita ad
aggiornarlo più spesso, invece queste vacanze sono state piene di eventi e non
ho avuto proprio tempo di scrivere. Per di più questo è un altro capitolo molto
transitorio, spero non lo troviate troppo noioso. Vi prometto che nel prossimo
tornerà della vera azione, basta riflessioni e momenti melodrammatici. Sangue e
budella, vi prometto sangue e budella. Ora vado che domani devo andare a
Milano. (Sì, non riesco a scrivere senza una partenza che incombe)
Come concordato il giorno precedente, i ragazzi della
Raimon si incontrarono alla fermata della metro più vicina alla loro scuola
alle undici spaccate. Mentre aspettavano il treno fecero il punto della
situazione: si sarebbero separati e, armati di volantini, avrebbero perlustrato
l’intero quartiere, chiedendo a tutti se avessero visto la misteriosa ragazza
che stavano cercando.
A loro si erano uniti Shane, Eiji, Aléja, Vespera, Malia
e Sebastiaan, i più interessati alla ricerca. Una volta preso il treno e
raggiunta la loro destinazione, i ragazzi si divisero in gruppi da quattro,
dandosi appuntamento di nuovo davanti alla stazione all’ora di pranzo per
mangiare insieme e fare il punto delle loro scoperte.
Il gruppo di Aléja, composto dal ragazzo, Kazemaru,
Endou e Kageno, si era appostato davanti a un supermercato per fermare i
clienti e importunarli con domande relative alla loro ricerca. In realtà il
grosso del lavoro lo faceva Aléja perché Kazemaru e Kageno, pur impegnandosi,
venivano ignorati da gran parte degli avventori, mentre Endou aveva ben altre
cose per la testa.
«Non posso credere che abbiano sospeso il Football
Frontier, ormai mancava solo la finale!»
«Siamo in una situazione di emergenza Endou, è normale
che sospendano gli eventi importanti. Una volta risolta la situazione
riusciremo a disputare la finale. Anche per questo stiamo dando una mano.»
Il portiere brontolò, ben sapendo che il suo migliore
amico aveva ragione e, rassegnatosi, decise di mettersi al lavoro, assillando i
clienti del supermarket come solo lui sapeva fare.
Aléja ridacchiò vedendo come la promessa di una
partita di calcio bastava a far impegnare il membro più ribelle del suo gruppo.
«Non capisco perché vi scaldiate tanto per questo
torneo!»
Kazemaru arrossì, distogliendo poi lo sguarda dal suo
interlocutore.
«B-Beh, per noi questo torneo è molto importante…
Soprattutto per Endou! Poi ormai siamo alla finale e ci scontreremo contro una
squadra che ha fatto del male a dei nostri amici, è una questione personale.»
Aléja alzò gli occhi al cielo, riflettendo sulla sua
infanzia.
«Anche in Spagna il calcio è molto sentito, ma non ha
mai raggiunto questi livelli. Il Giappone è sempre pieno di sorprese…»
Tra i due cadde il silenzio mentre Kazemaru cercava il
coraggio per rivolgere nuovamente la parola all’altro giovane.
«Quindi… Sei stato in Spagna?»
«Sì, mio padre è spagnolo e sono cresciuto lì.»
«Tua madre invece è di nazionalità diversa?»
Il più grande si accigliò a quella domanda.
«Russa.»
Rispose, senza commentare oltre. Kazemaru avvertì il
freddo scendere su di loro, ma non volendo lasciar morire la conversazione
cercò di pensare ad altre domande.
«E in Russia ci sei mai stato?»
«Da. Per due
anni, poi sono venuto qui in Giappone e ho deciso di restarci.»
«Beh, è molto bello qui…»
Disse il più giovane, arrossendo ancor più
vistosamente. In realtà l’unica cosa che Kazemaru considerava bella era proprio
Aléja. I capelli mori appena tinti di blu sulla frangia del ragazzo e i suoi
occhi verdi avevano colpito Ichirouta che, pur conoscendo l’altro da meno di un
giorno, stava sviluppando quei pensieri e sentimenti tipici della cotta
adolescenziale. Aléja era stupendo ai suoi occhi e l’essere in squadra con lui
era una fortuna che non pensava di poter avere.
«Kazemaru, come mai sei tutto rosso?»
Il velocista fece un salto, spaventato dal trovarsi
Kageno di colpo troppo vicino.
«I-Io? R-Rosso? Ma che dici?»
Balbettò Ichirouta, lanciando occhiate nervose al più
grande vicino a lui. Si era accorto del suo rossore? Aveva sentito la domanda
di Kageno? A quanto pareva no.
«Eppure hai le guance tutte arrossate… Sicuro di stare
bene?»
«Sì, sto bene! Non c’è bisogno di preoccuparsi per
me!»
Kageno guardò dapprima il suo compagno, teso come una
corda di violino, e poi Aléja, che stava parlando con una signora.
«Ti piace mica il signor Saez?»
Un secondo dopo aver pronunciato quelle parole Kageno
si trovò la bocca coperta dalla mano di un ancora più rosso Kazemaru, che gli
intimava disperatamente di star zitto.
«Non lo dire a nessuno, ok?»
Kageno non disse nulla e quando Ichirouta liberò la
sua bocca si limitò a indicare il loro capitano, poco più lontano.
«Io allora vado a dare una mano a Endou… Buona
fortuna, Kazemaru.»
Il velocista tirò un sospiro di sollievo mentre il suo
compagno si allontanava, ringraziandolo mentalmente di essere stato comprensivo
e di avergli lasciato un po’ di tempo da solo con la sua cotta.
Nonostante le tante ore di ricerca, il gruppo della
Raimon non aveva trovato un singolo indizio che li potesse aiutare a svelare
l’identità della ragazza misteriosa. Neanche il supporto di Hibiki, che li
aveva raggiunti all’ora di pranzo, era riuscito a cambiare le sorti della
ricerca.
Giunti quasi al termine della giornata, ai ragazzi
mancavano solo due luoghi da controllare.
«Prima di tutto c’è la casa di Kageyama.» Spiegò
Kidou, indicando la dimora su una cartina. «Anche se preferisco evitare
quell’uomo se ne ho la possibilità… Per questo visiteremo prima villa Kirishiki.»
I ragazzi guardarono il punto indicato sulla mappa dal
regista, una zona colorata di verde ai margini del quartiere che si confondeva
con le altre zone non edificate.
«Cos’ha di particolare questa villa?» Chiese Endou,
lievemente confuso.
«È una costruzione abbandonata da tempo, mai demolita
a causa di problemi legali. L’edificio è vecchio e pericolante, preferirei non
andarci, ma d’altro canto è il luogo perfetto per qualcuno che deve
nascondersi… La villa conta tre piani, anche se non so se siano tutti ancora
raggiungibili. Inoltre nel giardino si trova un edificio pensato per i domestici,
dovremo dividerci ed esplorare tutto prima che si faccia buio.»
I ragazzi approvarono il piano, anche se alcuni di
loro non erano proprio entusiasti di esplorare una casa abbandonata con la
notte che si avvicinava. Una volta arrivati a destinazione Haruna diede a tutti
delle torce che si era portata da casa e a ogni gruppo venne assegnata una zona
da controllare: Sebastiaan, Natsumi, Megane e Handa, accompagnati da Hibiki, avrebbero esplorato il terzo
piano; Shane, Someoka, Shishido
e Kurimatsu il secondo; Vespera, Domon,
Aki e Ichinose il primo. Al
grande giardino vennero assegnati due gruppi: quello di Aléja e quello composto
da Malia, Kidou, Haruna e Gouenji. L’ultimo gruppo rimasto, quello di Eiji, Matsuno, Shourinji e Kabeyama, si sarebbe dedicato all’edificio per i domestici.
Così divisi i ragazzi iniziarono la loro esplorazione:
la villa era vecchia, polverosa e ospitava varie colonie di animaletti, ma non
c’era traccia di presenza umana. In una zona così elitaria della città mancava
anche l’attività di vandali e delinquenti, quindi la dimora era rimasta
esattamente come i precedenti padroni l’avevano lasciata.
Il gruppo cercò fino al tramonto, non lasciando
neanche il più piccolo anfratto inesplorato, ma fu tutto inutile. Alla fine
tutti i gruppi, fatta esclusione per quello di Eiji, si incontrarono
all’entrata della villa.
«Voi avete trovato qualcosa?»
«A parte un vespaio e un enorme topo morto? Nulla.»
«Ew, che schifo!»
Intanto gli altri si intrattenevano con chiacchiere
leggere in attesa dell’ultimo gruppo, Kidou tirò fuori la mappa di prima, per
segnare diligentemente quella zona come controllata. Ma quando gli occhi si
posarono sulle lettere stampate, trasformatesi in macchie sfocate e semoventi
si sentì male. Subito il giovane venne aiutato dai suoi compagni, preoccupati
nel vederlo crollare in quel modo.
«Che succede Kidou?» Chiese Gouenji, sostenendo il
ragazzo.
«La mappa… Non riesco a leggere, proprio come sul
ponte.»
Nel mentre che i due ragazzi parlavano, Vespera alzò
lo sguardo, vedendo la sagoma nera di uno strano quadrupede avvicinarsi. Quando
la manager scorse gli occhi rossi della bestia lanciò un urlo, allarmando
tutti. Sebastiaan, scorgendo a sua volta la creatura, si mise davanti ai ragazzi
della Raimon, impedendo loro di incrociare lo sguardo con l’incubo.
«Non alzate lo sguardo, non guardatelo negli occhi,
prendete mister occhialini e andate a nascondervi!»
Hibiki, capendo al volo la gravità della situazione,
prese in braccio Kidou, mantenendo il sangue freddo per dare le spalle alla
creatura, e si rivolse alla sua squadra.
«Torniamo dentro, cerchiamo un posto sicuro dove
nasconderci!»
«In cucina c’è una dispensa senza grandi finestre, ci
dovremmo stare tutti e sarebbe impossibile entrare se non dalla porta!»
Ritenendo il piano di Domon
abbastanza valido, il ristoratore diede ai ragazzi l’ordine di dirigersi in cucina,
cosa che tutti fecero prontamente, a eccezione di Sebastiaan, Aléja e Shane che
si prepararono a combattere. D’un tratto un’idea orribile passò per la mente di
Shane: Eiji era stranamente in ritardo, prima pensavano che lui e la sua
squadra non avessero ancora finito di esplorare l’abitazione dei domestici, ma
ora che si trovavano un incubo davanti lo studente aveva il terribile dubbio
che il suo fidanzato fosse stato attaccato.
«No, Eiji!»
Sgomento, il ragazzo iniziò a correre verso il luogo
in cui si trovava il suo amato.
«Shane, aspetta!»
Preoccupato per l’amico, Aléja si gettò al suo
inseguimento, lasciando solo Sebastiaan a riflettere su cosa fare, mentre la
figura nera venne raggiunta da altri suoi simili.
> Inazuma-cho, edificio dei domestici,
7 agosto, 6:28 PM
Eiji si teneva il fianco con una mano, cercando di
bloccare il sangue che fuoriusciva da una ferita.
Proprio mentre il suo gruppo stava per tornare dagli
altri erano stati attaccati da un branco di mostri. Erano tre, simili a delle
persone molto magre e dalla pelle nera come il carbone. Al posto delle gambe
avevano delle zampe simili a quelle dei lupi, prive però di pelo. Le mani
invece terminavano con grossi artigli al posto delle dita. Eiji era stato
ferito da una loro zampata mentre tentava di proteggere Shourinji,
che era stato paralizzato dal loro sguardo. Non sapendo cosa fare, i ragazzi si
erano rifugiati nel capanno degli attrezzi vicino alla casa, più piccolo e più
facile da barricare. Lo studente universitario a quel punto aveva bloccato la
porta col suo corpo, intimando ai due ragazzi che ancora potevano muoversi di
bloccare le finestre. Dall’altro lato della porta, Eiji sentiva una delle
bestie buttarsi contro il legno e graffiarlo, nel tentativo di buttare giù l’ostacolo.
Il moro sapeva che non avrebbero resistito molto in
quella situazione e dovevano trovare il modo di avvertire gli altri, così
iniziò a cercare il suo cellulare. In quel momento uno dei mostri sfondò la
finestra sul lato destro del capanno, facendo urlare e ritirare Matsuno e Kabeyama che cercavano
di bloccarla. Eiji non poteva lasciare la porta, ma i ragazzi erano indifesi
contro quegli incubi e se non bloccavano subito l’apertura sarebbero stati
invasi.
«Eiji!»
La voce del suo ragazzo raggiunse chiara e squillante l’orecchio di Eiji, che
subito si preoccupò per la sua sicurezza.
«Shane, non ti avvicinare, è pericoloso!»
L’americano non ascoltò il fidanzato e, con gli occhi
grigi pieni di rabbia, caricò il mostro alla porta, colpendolo alla testa con
una spranga. Sentendo la colluttazione, Eiji aprì la porta per aiutare il
ragazzo, ma il mostro giaceva già esanime in una pozza di sangue.
«Non c’è solo questo, gli altri due stanno tentando di
entrare dalle finestre!»
Quelle parole sfuggirono completamente all’attenzione
di Shane, concentrato solo sulla ferita del fidanzato. In preda all’ansia, l’americano
spinse l’altro dentro il capanno, cercando di spostargli la mano che copriva il
taglio.
«Che è successo? Che ti hanno fatto? Sei coperto di sangue!»
«Non ora Shane, dietro! DIETRO!»
Il ragazzo si girò e i suoi occhi dilatati
incontrarono quelli incandescenti dell’incubo che stava sulla soglia della
porta, pronto ad aggredirlo. Fortunatamente in quel momento li raggiunse Aléja
che si buttò sulla bestia, piantandole un coltello nel cranio. Shane rimase
fermo, paralizzato dalla paura, e ci dovette pensare Aléja a farlo allontanare
dalla porta.
«Ragazzi, state bene?»
«Ce n’è ancora uno Aléja, chiudi la porta!» Disse
Eiji, chiaramente in difficoltà.
Mentre Aléja si girava per seguire il consiglio dell’amico,
un’altra voce raggiunse l’orecchio dei tre.
«ASPETTATEMI!»
Con il volto contratto per il dolore, Sebastiaan correva
verso di loro, inseguito da tre di quelle bestie. Aléja si tese terribilmente:
doveva pensare alla sicurezza dei suoi amici, ma non poteva lasciare certo
fuori Sebastiaan, lo avrebbe condannato a morte certa. Non sapendo che altro
fare, il russo si mise a incitare il biondo.
«CORRI, MALEDIZIONE! CI SEI QUASI!»
Quando fu nelle vicinanze della porta, Sebastiaan si
lanciò all’interno del capanno e Aléja chiuse la porta, bloccandola col suo
corpo per impedire ai mostri di sfondarla. Con grande fatica Sebastiaan cercò di
rimettersi in piedi: il suo polpaccio gli faceva un gran male, tutto a causa
della vecchia ferita che si era fatto durante un’esercitazione militare. Ad
aiutarlo venne Shane, che però lo abbandonò presto per raggiungere Eiji. Il
ragazzo giapponese si era rintanato in un angolo, insieme agli impauriti
ragazzi della Raimon, continuando a tenersi il fianco ferito.
«Oddio, oddio che possiamo fare?» Chiese Shane,
completamente nel panico.
«Fallo vedere a me, tu vai a dare una mano al tuo
amico.»
Sebastiaan, zoppicando, raggiunse il ferito e si chinò
per esaminarlo. Rispetto a Shane era più calmo e di conseguenza più delicato,
poi le sue conoscenze nel primo soccorso lo aiutavano a non far provare a Eiji
troppo dolore. Le ferite del giapponese non erano troppo gravi, ma la generosa perdita
di sangue e il dolore gli impedivano di muoversi velocemente. Non potevano
scappare.
Shane li osservava con gli occhi grandi colmi di paura,
nella sua mente quei lunghi graffi si erano trasformati in ferite mortali che
avrebbero potuto portargli via l’amore della sua vita senza che lui potesse
fare nulla per evitarlo.
La stanza intanto si riempiva di scricchiolii sinistri.
«Shane, una mano sarebbe gradita!» Disse Aléja,
tentando di riportare alla realtà il compagno, ma non servì a nulla.
«Non startene lì impalato, dai una mano a quell’altro!»
Nulla, neanche le suppliche di Sebastiaan lo scossero dal suo stato catatonico.
«SHANE, PENSA A QUELLA DANNATA PORTA!» Solo le urla
del suo ragazzo riuscirono a strappare una reazione all’americano che sussultò,
come se si fosse appena risvegliato da un incubo.
Ma era troppo tardi.
Con una rincorsa sincronizzata, i quattro mostri
sfondarono la porta, imprigionando Aléja sotto di essa. Mentre due delle
creature rimasero sul pezzo di legno per impedire al russo di liberarsi, la terza
si fiondò sul gruppo nell’angolo del capanno, vedendoli come una preda facile.
Sebastiaan, non sapendo che altro fare, portò una mano
avanti, immaginandosi quella barriera invisibile che tante volte lo aveva
salvato dagli aggressori in sogno. La barriera non lo deluse nemmeno questa
volta, concretizzandosi e schermando lui, Eiji e i ragazzini dall’attacco della
bestia. Vedendo il suo fidanzato in pericolo, Shane afferrò il primo pezzo di
legno che gli capitò sotto mano e iniziò ad agitarlo contro la creatura per
allontanarla.
Il quarto incubo intanto si era arrampicato sul
soffitto come una lucertola e, trovandosi proprio sopra l’americano, rilasciò
la sua lunga lingua, avvolgendola intorno al collo del ragazzo e sollevandolo
per soffocarlo. Trovandosi all’improvviso a corto d’aria, Shane lasciò la
spranga e iniziò a scalciare nel tentativo di liberarsi. Gli altri erano tutti
in difficoltà, nessuno sarebbe riuscito a salvarlo, doveva vedersela da solo.
Purtroppo la presa del mostro sembrava di ferro e più si agitava più perdeva
lucidità. Il ragazzo iniziò a pensare che sarebbe morto lì, quando uno sparo lo
assordò e si trovò a crollare pesantemente sul pavimento.
Tutto per un attimo divenne calmo e gli occhi dei
presenti si fermarono su una figura esile armata di fucile che attendeva
immobile sulla soglia della porta.
> Inazuma-cho, quartieri alti, 7
agosto, 6:12 PM
Matt camminava qualche passo dietro Cassandra e
Kageyama, che si tenevano per mano. Il più grande faceva mille domande alla
ragazza, cercando di farla parlare del più e del meno per distrarla da
qualsiasi cosa l’avesse fatta piangere poco prima. Cassandra rispondeva con
tono squillante, privo di tutta la tristezza che aveva espresso a casa, e Reiji
le sorrideva affettuoso, ascoltandola con attenzione e commentando di tanto in
tanto.
A Matt sembravano tanto un padre e una figlia che
camminavano tranquilli, gli pareva impossibile che quell’uomo sorridente fosse
il tiranno che lo guardava storto ogni due per tre. Era piacevole passeggiare
con loro, anche se non partecipava alla conversazione.
Quel momento idilliaco venne rovinato quando Kageyama cercò
di leggere l’orario, trovando l’operazione impossibile. Subito l’uomo si sentì
male e crollò in ginocchio, tormentato dall’emicrania.
«Reiji, che ti succede?»
L’uomo non aveva dubbi: dovevano essere vicini a uno
di quei mostri, non riusciva mai a leggere nulla in quelle situazioni e finiva
per stare sempre male se ci provava.
«Dobbiamo tornare indietro.» Disse semplicemente, prendendo
Cassandra per un braccio e cercando di trascinarla indietro, tutto sotto gli
occhi di un Matt sconvolto.
«No, aspetta! Perché, che sta succedendo?!»
Kageyama non rispose, ma la ragazza capì comunque la
situazione quando i suoi occhi caddero sull’orologio dell’uomo. Resasi conto
del pericolo, Cassandra oppose ancora più resistenza, riuscendo anche a liberarsi
dalla stretta dell’altro.
«Devo andare a indagare!»
«No Cassandra, è troppo pericoloso!»
«PROPRIO PERCHÉ È PERICOLOSO DEVO ANDARE!»
L’uomo si ammutolì, colto alla sprovvista dalle urla
della ragazza. Dal canto suo Cassandra non voleva trattare male il suo ex
fidanzato, così cercò di spiegargli la questione.
«Ragiona Reiji, siamo a meno di dieci minuti da casa
tua. Cosa succederebbe se uno di quei mostri ci attaccasse mentre siamo a
tavola, o mentre stiamo dormendo? Devo indagare per la nostra sicurezza.»
Kageyama si rese conto che la ragazza aveva ragione,
che non potevano lasciare che una di quelle bestie scorrazzasse libera per il
loro quartiere. La paura però non lo lasciava.
«Vengo con te.»
«No Reiji, lo sai che
contro quei mostri non puoi fare niente… C’è Matt qui, mi darà una mano lui!»
«Vengo comunque! Non ti
lascerò sola.»
Sapendo bene quanto l’uomo
potesse essere testardo e comprendendo la sua ansia, Cassandra non se la sentì
di insistere oltre.
«Va bene… Ma prima
dammi i tuoi occhiali.»
Senza fare domande
Reiji si tolse gli occhiali e li consegnò alla ragazza che, senza dare
spiegazioni, si limitò ad alitare sulle lenti e a pulirle prima di consegnarli
al legittimo proprietario, che se li rimise confuso.
«Tutto qua…?»
«Non so se funzionerà
questa cosa… Ma teoricamente se incontri lo sguardo di un incubo con quelli
addosso ora non dovresti bloccarti completamente. Almeno avrai il tempo di
reagire e scappare.»
Terminati quei
preparativi, i tre continuarono a camminare lungo il viale, stando ben all’erta.
Arrivati quasi alla fine
della strada, un grido attirò la loro attenzione e subito Cassandra scattò verso
la villa abbandonata da cui era provenuto l’urlo. Scontrandosi con la recinzione
che delimitava la proprietà, la ragazza cominciò a scandagliare freneticamente
la zona, cercando qualcosa che le permettesse di entrare. Un albero poco
lontano faceva al caso suo, ma prima che potesse correre verso la pianta Kageyama
l’afferrò nuovamente per un braccio. Giratasi per protestare, Cassandra si
ammutolì trovandosi di fronte un Reiji pallido, teso come una corda di violino,
pieno di paura. La ragazza immaginava quella paura, la paura di vederla morire di nuovo.
«Non andare…» Riuscì a
sibilare il più grande.
Cassandra deglutì a
fatica, contagiata in parte dai timori dell’uomo, ma doveva essere coraggiosa.
Non poteva lasciare qualcuno in pericolo, era contro la sua natura.
«Non preoccuparti, non mi
farò ammazzare.»
Detto questo, la
ragazza si liberò dalla presa e raggiunse la pianta. Si arrampicava da quando
era piccola, le ci vollero pochi secondi per
raggiungere un ramo che le permettesse di scavalcare facilmente la recinzione.
Prima di saltare però dedicò uno sguardo ai due uomini che la guardavano
impietriti.
«Raggiungetemi il prima
possibile, avrò bisogno di voi.»
Matt rimase fermo,
osservando la ragazza buttarsi nell’erba secca e rialzarsi subito, iniziando a
correre verso la villa. A risvegliarlo dal torpore ci pensò Kageyama, che lo trascinò
via.
«Conosco un’entrata.»
Quando aveva dodici
anni, qualcuno aveva cercato di entrare in casa dei suoi nonni. Lei era lì con
loro e suo nonno l’aveva mandata a prendere i fucili, quelli che usavano per la
caccia, intimandole di tenerne uno carico e pronto a far fuoco. Era stata
rapida, nel giro di cinque minuti era tornata dall’anziano con un fucile in
mano e l’altro a tracolla sulla schiena. Quella notte fortunatamente non c’era
stato bisogno di sparare, ma in quel momento Cassandra sapeva che avrebbe
dovuto combattere. Come allora aveva un fucile a tracolla e uno in mano e
correva a perdifiato verso villa Kirishiki. Arrivata
lì non vide nulla, ma si mise subito a osservare e ascoltare, in cerca di
qualche indizio che le dicesse dove andare. Delle urla indistinte e lo schianto
sul legno fecero proprio al caso suo, che subito ricominciò a correre, dirigendosi
verso la colluttazione. Il periodo passato a far parte del club di atletica
della Raimon le aveva fatto bene, era veloce e sapeva come non stancarsi
troppo, cosa che le sarebbe stata utile una volta raggiunto il luogo dello
scontro. Arrivata al capanno di legno, inorridì vedendo ben quattro creature
intente ad assaltare un nutrito gruppo di ragazzi. Quello che più la preoccupava
era un ragazzo con gli occhi grigi e i capelli mori boccolosi, tenuto sospeso
per il collo da un mostro nel tentativo di soffocarlo.
Subito la ragazza prese
la mira con il fucile ma, nella foga, mancò la testa della creatura, riuscendo
comunque a tranciarle la lingua con il colpo, liberando così il ragazzo che crollò
a terra insieme alla creatura.
Quel gesto però attirò tutta
l’attenzione su di sé, comprese quattro paia di fari rossi come il sangue.
“Vogliono me, sono tutti concentrati su
di me”
Non avrebbe potuto
combattere, non aveva abbastanza colpi per uccidere tutte le creature e i suoi
riflessi non erano abbastanza pronti, l’avrebbero uccisa prima.
Una cosa però poteva
farla.
Lanciando il fucile a
terra Cassandra fece dietrofront e ricominciò a correre, sperando che gli
incubi la seguissero. Le sue speranze non furono deluse e le quattro bestie
lasciarono perdere i ragazzi, lanciandosi tutte all’inseguimento della castana.
Libero finalmente dal peso che lo teneva bloccato sotto la porta, Aléja si
tolse di dosso il pezzo di legno e si mise seduto.
«Che è successo?!»
Eiji allungò tremante
il braccio, indicando il gruppo che si allontanava.
«L-La ragazza che
cercavamo… Ci ha salvati…»
Aléja guardò con orrore
la ragazza inseguita dalle bestie, sapendo che da sola non avrebbe potuto fare
niente contro di loro, poi i suoi occhi si posarono sul fucile abbandonato per
terra e il ragazzo si alzò, recuperandolo.
«Cosa fai?» Gracchiò
Shane, ancora a corto di fiato.
«Vado a darle una
mano.»
Arrivati anche loro all’altezza
della villa, Matt e Kageyama iniziarono a guardarsi intorno, cercando qualche
traccia di Cassandra. Il primo a scorgere la ragazza fu Matt, che vedendola
inseguita da quelle orribili creature lanciò un urlo, indicando il gruppo
perché anche Kageyama potesse vederli. Quando l’allenatore incontrò gli occhi rossi
degli incubi venne scosso da un terribile senso di nausea, che lo costrinse a
chinarsi per trattenere i conati di vomito. Tremando per il dolore e tenendosi
ben aggrappato ai vestiti del ragazzo accanto a lui, l’uomo riuscì a parlare
appena.
«Aiutala… Aiuta Cassandra…»
Matt era paralizzato
dalla paura. Aveva ascoltato con attenzione i racconti degli altri riguardo a
quelle creature, ma averle davanti era tutta un’altra storia.
«N-Non so che fare, che
devo fare?!»
Rendendosi conto che il
ragazzo aveva bisogno di una guida, Reiji si fece forza e alzò nuovamente gli
occhi per posarlo sul gruppo di mostri. Subito però dovette tornare a chinare
il capo.
«Fermali! In qualche
modo fermali! Tienili lontani da Cassandra!»
Matt alzò le braccia
tremando, come faceva quando voleva bloccare qualcuno in sogno, ma era ancora
insicuro sul da farsi.
«C-Come li fermo? E se
blocco anche Cassandra?»
Ancora una volta l’allenatore
della Zeus alzò lo sguardò, concentrandosi questa volta sull’ambiente circostante.
Il gruppo sarebbe passato a breve vicino a un albero morto che faceva al caso
suo.
«Vedi quell’albero?
Appena Cassandra lo supera tu crea una barriera, una vetrata, una siepe,
qualsiasi cosa tu voglia, basta che serva a fermare quelle cose.»
Matt deglutì e si preparò
ad attuare il piano. Appena la ragazza superò l’albero, il ragazzo creò una
barriera invisibile su cui si schiantarono i quattro mostri. Lo sforzo di
trattenere quelle creature fece urlare Matt, che si trovò costretto ad
abbassare subito la barriera. Il gioco però era fatto.
«CASSANDRA!»
Con un urlo Kageyama attirò
l’attenzione della ragazza, che li raggiunse poco dopo. Appena arrivata
Cassandra si mise in ginocchio, facendosi scivolare tra le braccia il fucile.
«Matt, non so cosa tu
abbia fatto per bloccare quelle creature, ma voglio che tu lo rifaccia qui,
tutto intorno a noi. Solo quando te lo dico io però!»
Il ragazzo annuì
freneticamente, affidandosi completamente all’italiana.
Gli incubi intanto si
erano ripresi dalla botta e, più arrabbiati di prima, si gettarono verso il
gruppetto.
Il fucile di Cassandra
aveva in canna due colpi. La ragazza sapeva che Matt non sarebbe riuscito a
trattenere quattro mostri tutti insieme, quindi doveva abbatterne il più
possibile prima che li raggiungessero. Avrebbe avuto il tempo di ricaricare?
No, avrebbe fatto comparire un fucile già carico, sarebbe stata più veloce.
La ragazza fece un bel
respiro e prese la mira, sparando. Quel primo colpo andò a vuoto e la castana
imprecò liberando la canna dalla cartuccia appena esplosa. Prendendosi un
attimo di calma in più rispetto a prima e trattenendo il respiro, Cassandra sparò
il secondo colpo. Questa volta colpì in piena testa una delle bestie, che
crollò a terra rotolando prima di giacere esanime al suolo. Subito la giovane
mollò il fucile, prendendo l’altro che nel frattempo le era comparso sulla
schiena. C’erano ancora tre creature, non poteva sprecare i due colpi che aveva
a disposizione. Sparò il terzo proiettile, che colpì uno dei mostri alla
spalla, fermandolo. I due incubi rimanenti si stavano avvicinando sempre di
più, Cassandra sentiva la tensione schiacciarla. L’esitare un secondo di troppo
a esplodere l’ultimo colpo la fece andare nel panico, così la ragazza chiuse
gli occhi e sparò il colpo alla cieca.
«MATT, ORA!»
Quando sentì il ragazzo
gemere Cassandra fu sicura di aver fallito, ma riaprendo gli occhi vide un
singolo incubo graffiare e scaraventarsi contro la barriera invisibile creata
da Matt. L’altro giaceva poco più lontano, con una zampa posteriore quasi
mozzata dal colpo della ragazza.
Più tranquilla, l’italiana
si concentrò a sua volta sulla barriera, alleggerendo il compito a Matt.
«Cosa facciamo ora?»
Chiese il ragazzo, preoccupato.
«Pensiamo a un diversivo…»
In quel momento sopraggiunse Aléja, che si bloccò al limitare
del campo di battaglia, stupendosi nel vedere così tanti incubi al suolo.
Notando però che uno era ancora in piedi e stava aggredendo la ragazza, il russo
pensò in fretta a cosa fare. Non poteva sparare direttamente alla creatura,
avrebbe rischiato di colpire Cassandra, Matt o Kageyama. Forse però poteva
distrarla. Il ragazzo corse dal mostro colpito alla spalla, che si contorceva
al suolo. Imbracciato il fucile, prese la mira e sparò in testa alla creatura, uccidendola
definitivamente. Quel colpo attirò l’attenzione di tutti e Aléja si sbracciò
per attirare a sé la bestia.
«Ehi mostraccio, vieni un po’ qui?»
Quella distrazione era tutto ciò di cui Cassandra aveva
bisogno.
«Matt, abbassa la barriera.»
Matt non capì al volo le parole della ragazza, ma la sua
confusione bastò a dissolvere la barriera e Cassandra poté mozzare la testa del
mostro con un colpo d’ascia.
Rimasto solo, l’incubo con la zampa dilaniata guaì di paura,
usando i tre arti che gli rimanevano per battere la ritirata. Con anche quell’ultima
bestia in fuga, tutto iniziò a svanire, fino a quando dei mostri e della
colluttazione non rimase traccia.
Preoccupato per i suoi amici, Aléja prese subito in mano il
cellulare, mandando al gruppo il messaggio che era tutto finito, avevano vinto.
Presto vide avvicinarsi Sebastiaan e Shane, che insieme
sostenevano Eiji, aiutandolo a camminare. Aléja si lanciò verso di loro,
abbracciando tutti e tre pieno di commozione. Cassandra intanto aiutava Kageyama,
che ancora si stava riprendendo dall’estrema nausea provocatagli dalla visione
delle creature. Quel momento di calma fu interrotto dalla voce bassa e roca
dalla sorpresa di Hibiki che, insieme al resto della Raimon, era appena uscito
dalla villa.
«Cassandra…?»
La ragazza si girò verso l’uomo ed ebbe bisogno di un po’ di
tempo per capire chi era. Riconoscendolo, l’italiana gli dedicò un sorriso.
«Hibiki! Diamine quanto sei cambiato!»
L’uomo non rispose, ma posò il suo sguardo sconvolto su
Kageyama, inginocchiato di fianco alla ragazza.
«Che hai fatto?»
××××××××××××××××××××
Volevo aggiornare il giorno dei morti. È un
po’ tardi, ma è sempre il giorno dei morti, no?
Mamma mia, che fatica! Ho scritto questo capitolo di corsa, spero non ci siano
troppi errori, perdonatemi. Come promesso ecco un po’ di azione frenetica! E
sono anche riuscita a far incontrare Cassandra e gli altri.
E nel prossimo capitolo ci aspetta LO
SPIEGONE! Siete contenti? Io non lo so, c’ho già l’ansia. Non penso vedrete un
altro aggiornamento prima di capodanno, scusatemi ma sono piena di impegni e
vorrei spezzare la maledizione che mi spinge ad aggiornare un’altra fic solo due volte l’anno ahahahah.
Che poi quella sarebbe anche il prequel di questa. Anzi, questa è il sequel di
quell’altra e io non l’ho ancora finita! Sono senza speranze… Comunque spero che
questo capitolo vi sia piaciuto!