Super Mario University

di Debby_Gatta_The_Best
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - [Luigi] ***
Capitolo 2: *** 2 - [Peach] ***
Capitolo 3: *** 3 - [Daisy] ***
Capitolo 4: *** 4 - [Farfalà] ***
Capitolo 5: *** 5 - [Luigi] ***
Capitolo 6: *** 6 - [Rosalinda] ***
Capitolo 7: *** 7 - [Daisy] ***
Capitolo 8: *** 8 - [Peach] Halloween 1 ***
Capitolo 9: *** 9 - [Luigi, Daisy] Halloween 2 ***
Capitolo 10: *** 10 - [Mario, Peach] Halloween 3 ***
Capitolo 11: *** 11 - [Rosalinda] ***



Capitolo 1
*** 1 - [Luigi] ***


Premesse

IMPORTANTE
Le età dei vari personaggi inseriti nell'ambito scolastico sono appiattite per poter rendere più realistica la convivenza (ex: Rosalinda ha la stessa età di Peach o Daisy, nonostante nella versione canonica abbia probabilmente più di mille anni)

1) A causa di problemi di tempo, potrei facilmente ritrovarmi impedita nel postare con scadenze regolari.

2) Super Mario University affonda le sue radici in un universo alternativo, in un campus universitario dove compaiono non solo i nostri conosciutissimi eroi e antieroi, ma anche le più svariate forme di vita prese in prestito dai vari spinn-off della serie (Mario&Luigi, Paper Mario ecc.). Dal momento che in questa storia compariranno moltissimi personaggi, sentitevi liberi di citare qualunque personaggio secondario o di sfondo vorreste vedere in un cameo, o che vi piacerebbe osservare inserito in questo particolare contesto.

3) Ed infine, proprio per questo motivo non vi sarà possibile sfuggire alla mia adorata ship BlumiereXFarfalà ;)


Buona lettura


[LUIGI, 3^ persona]

Un sabato, Ottobre, sera.

 

Cinque monete. Cinque cerchietti dorati impilati sul palmo della sua mano. Non c’era dubbio, aveva ricontato più e più volte, sperando in una magica levitazione numerica, o di una svista cronica, ma cinque erano e cinque erano rimaste.

“Ecco buttato un bel sabato di sole” si disse chiudendo gli occhi, mentre frenava l’impulso di mettersi a urlare.

La pineta attorno a lui si stava tingendo d’arancio, e il freddo delle sere autunnali lo fece rabbrividire. Neanche il vento gelido, però, avrebbe potuto far sbollire la sua rabbia.

Infilandosi i pochi spiccioli in tasca, si incamminò a testa bassa verso il suo dormitorio, il B113, mentre tra sé e sé pensava a come avrebbe potuto rispondere a Mario quando, quella sera, gli avrebbe chiesto: “Com’è andata oggi, Luigi?”.

Male? Solo cinque monete, per una giornata spesa tra il puzzo di fumo e le grida dello stadio. Ma non voleva sminuirsi di fronte al fratello, o apparire come una misera vittima di cui bisogna prendersi cura.

Bene? Non sai mentire, si disse mentre percorreva il piastrellato che si addentrava nella pineta.

Come sempre? In fondo, erano almeno tre settimane che andava, ogni weekend, “come sempre”. Be’, Mario non gli avrebbe comunque chiesto altro. “Come sempre” sarebbe andato bene. Come sempre.

 

Arrivato presso il massiccio edificio, si fermò davanti alla bassa scalinata che dava sulla porta a vetri, e non entrò subito. Aspettò qualche minuto, fino a quando il cielo, da arancio, non iniziò a scurire sempre più, lasciando spazio ad un crepuscolo cupo. Giocando con i miseri spiccioli dentro la tasca dei pantaloni, iniziò a cantare un motivetto senza accorgersene, mentre percorreva con lo sguardo le alte figure dei pini ai lati del dormitorio. Non aveva voglia di chiudersi in quella soffocante stanza – già sentiva il nauseabondo odore delle maglie sporche di Mario, che non se ne sarebbe andato almeno fino al giorno seguente – ma era anche troppo presto per andare a mangiare qualcosa, e non portava alcun giacchetto, quindi di lì a poco sarebbe congelato se fosse rimasto lì impalato.

Prima di rassegnarsi e appoggiare il piede sul primo scalino, si dette un’ultima, svogliata occhiata attorno, e con la coda dell’occhio vide di sfuggita un’ombra scura attraversare il cortile su cui dava il suo dormitorio. E subito, sentì il cuore balzargli in petto, con una capriola confusa quanto elettrizzata. Daisy...? Che gironzolava per gli edifici maschili, tra l’altro? Senza rendersene conto, la seguì con lo sguardo e la bocca socchiusa dallo stupore – con la medesima espressione che gli si formava ogni volta che la vedeva, insomma – e ben presto si ritrovò a correrle dietro.

«Daisy, aspetta…!»

La raggiunse, bloccandosi di colpo appena questa si fu voltata e gli ebbe piantato uno sguardo indagatore in faccia.

«Hey Luigi» anche immerso nell’aria cupa del crepuscolo, il suo volto lasciava trapelare un certo sconforto.

«Hey, emm… va tutto bene? No, è che non ti ho mai vista – sentiva le parole uscirgli balbettate e forzate mentre cercava di parlare con la ragazza – insomma, stavi camminando qui… da sola, tra i dormitori maschili...»

Il volto della ragazza s’increspò in un’espressione di disappunto.

«Una ragazza non può passeggiare da sola dove vuole senza essere ripresa, o accusata?»

«No, assolutamente, è solo che sembravi nervosa e… emm, ecco, mi chiedevo se andasse tutto bene.»

Daisy annuì, sempre accigliata, per poi voltarsi e proseguire la sua camminata.

«Certo. Stavo solo cercando la via più breve per raggiungere le piscine dei VIPs.» proseguì, aspettando che Luigi si unisse a lei nella camminata.

Questo indugiò un attimo, ma quando si accorse che l’altra lo stava aspettando la seguì.

«Le piscine dei VIPs?»

«Sto andando là a rilassarmi. Quelle delle VIPs sono state svuotate, e quindi vado dai maschietti.»

Il ragazzo si sentì mancare da quell’affermazione. Daisy l’aveva detta con una tale naturalezza da disarmarlo, e già non si trovava a suo agio nel cercare di intraprendere enigmatiche conversazioni con la ragazza di cui aveva una cotta spaventosa.

«Ti hanno invitato ad una loro festa?»

«Pft, non ci andrei neanche morta da quegli snob, l’unica che sopporti è Peach… no, sono fuori il sabato sera, e io vado a tenere compagnia alle loro piscine.»

«Ma… quindi è illegale, insomma, non potresti andarci – si infilò le mani in tasca, preoccupato – se ti succedesse qualcosa? Magari qualcuno ti sgama e...»

Daisy si voltò fulminandolo con lo sguardo, ma poi rilassò il sorriso e lo sfidò:

«Che ne dici di fare una gara di coraggio, allora?»

«Cos...»

«Sì, chi arriva prima e si butta per primo, vince.» e dandogli una pacca sul torace iniziò a correre, fiondandosi come un razzo per le stradine sterrate che serpeggiavano tra i dormitori.

Luigi rimase basito per qualche secondo, ma poi fu contagiato dalla temerarietà dell’altra, e iniziò a correre; in lontananza la superficie frammentata e scintillante dell’acqua scura colpita dalle luci dei lampioni iniziò a intravedersi. Daisy l’avvistò per prima, e senza lasciarsi intimidire dalle possibili conseguenze, si tolse la maglia e la giacchetta, gettando tutto a terra mentre correva.

Il giovane si ritrovò di fronte al busto spoglio di Daisy, visto di schiena, un tronco uniforme e asciutto spezzato dalla sottile linea di un reggiseno che correva verso il giardino di chissà quale figlio di papà pronto a tuffarsi nella sua piscina privata. E prima che potesse visualizzare la scena, un tonfo sordo e una pioggia di spruzzi freddi lo risvegliarono dalla sua visione idilliaca. Si rese conto di ritrovarsi sul bordo di una vasca interrata, illuminata da piccoli faretti posti ai quattro lati.

La figura snella di Daisy riaffiorò dalle acque scuotendo la chioma castana. Guizzando verso il bordo, poi, si appoggiò ai mattoni e guardò Luigi con un sorrisetto malizioso.

«Ho vinto. Ma, se vuoi, questa tinozza è abbastanza grande da ospitare due persone.»

Lui scosse il capo.

«No, meglio di no. Sto già morendo di freddo qua fuori.»

Ma mentiva. Dopo quella corsa, sentiva le guance bollire e il petto ardergli di vivace adrenalina. A breve, comunque, sarebbe tornato a patire il freddo pungente delle prime sere d’ottobre.

«Come preferisci...» Daisy si distese a morto nell’acqua, chiudendo gli occhi e rilassandosi.

Il ragazzo, dal canto suo, si sedette sul bordo a gambe incrociate, osservando la sua idola lasciarsi galleggiare in quel quadrato d’acqua scura, sentendosi un verme nello scoprirsi particolarmente attratto dalla sua fisicità.

“Non puoi far finta di niente, è in reggiseno davanti a te” cercava di giustificarsi.

Alzando lo sguardo verso il cielo, e sforzandosi di non guardare l’altra sguazzare nella piscina proibita, chiese a Daisy come si sentisse.

«Bella domanda. Se dovessi risponderti con una frase filosofica, ti direi che mi sento completamente slegata da ogni mio, come dire, problema con il mondo, e che riesco a toccare la vera essenza del mio io, qui, galleggiante nell’acqua. Ma ti risponderò solo che sto bene. Si sta da Granbì qua dentro.»

«Ma fa un freddo tremendo!»

«Per te, per il tuo corpo, magari. Io sto bene!»

Ecco quello che apprezzava di quella ragazza! O almeno, una delle cose che apprezzava. Quella sua costante aria di sfida, verso tutti, verso tutto. Un velo di arroganza che lasciava trapelare sicurezza e autorità… ma che in quel momento appariva stranamente incrinata. La sua fiducia sembrava in qualche modo appannata, a causa di qualche malessere ignoto a Luigi. Lui vedeva metà del suo corpo emergere dall’acqua tinta d’inchiostro, con gli occhi chiusi e la fronte innaturalmente corrugata.

«E… come mai questo improvviso bisogno di… sguazzare?» chiese con apparente noncuranza avvicinandosi il più possibile al bordo.

«Angosce.» sospirò tagliando corto l’altra.

«Gravi?»

Un sospiro che si tralasciava alle spalle pensieri pesanti come macigni fu l’unica risposta che il ragazzo ricevette.

Non ci volle molto prima che iniziasse a provare un certo languorino. Si sentiva un idiota, a provare fame in una circostanza del genere – un momento intimo quanto intrigante con Daisy – ma allo stomaco non si comanda, si disse. Cercò di proporre a Daisy di andare a cena, magari non alla mensa ma al fast food vicino al parcheggio, ma lei rispose che stava bene lì e che non si sarebbe smossa per qualche ora.

«Daisy, si congela qua fuori – mugolò preoccupato lui – non penso sia una buona idea rimanere qui. Soprattutto, rimanere in acqua.»

«Non dirmi anche tu cosa devo fare!» sibilò volgendosi vero il ragazzo con uno scatto repentino.

Questo rabbrividì per lo spavento, ma Daisy provvedette a tranquillizzarlo allargando un sorrisetto dispiaciuto.

«Scusa. Sono un po’ nervosa oggi.»

Si avvicinò al bordo della vasca, aggrappandosi con le braccia abbronzate vicino a dove era seduto il suo accompagnatore.

«Dimmi un po’… cosa pensi che potrebbe piacermi in un posto come il Dino’s Denny?»

Luigi finse un’espressione corrugata, prima di rispondere:

«Il logo. È una pianta pirahana che sembra uscita da un film horror-fantascientifico.»

Daisy non frenò una risata cristallina, che contagiò senza un apparente motivo anche l’altro.

«Bella, questa era bella» ammise sempre ridendo.

Ma prima che potesse aggiungere altro, delle voci risuonarono da dietro un edificio vicino. Luigi balzò in piedi, pronto a fuggire come un coniglio spaventato, mentre Daisy rizzò le orecchie sgusciando lentamente sott’acqua.

«...ragazzo mio, che botta che hai preso...»

«Se becco quel cogli*ne, lo sfascio di b… di botte, lo sfascio...»

«Stai attento…!»

«Ahia!» da dietro l’angolo sbucò un armadio di piume dorate, un bestione alto almeno un buon metro e ottanta, sorretto da un ragazzo più piccolo ma robusto, che lo stava aiutando a camminare. Entrambi sembravano ubriachi fradici, ma quando videro Luigi, quello grosso spalancò il becco aquilino ringhiandogli contro come un cane rabbioso di allontanarsi subito dalla sua piscina e dal suo giardino, e senza pensarci due volte il ragazzo scappò via.

Dopo qualche metro si ricordò di Daisy, e con una grande forza d’animo riuscì a fermarsi e a nascondersi dietro ad un dormitorio, cercando di vedere cosa stessero facendo quei due, affacciandosi con discrezione. Li vide zoppicare verso la porta del dormitorio privato che dava sulla piscina, e il primo, quello grosso, si infilò a stento nella porticina, barcollando come solo gli sbronzi sanno fare. L’altro sembrò indugiare per qualche secondo sul da farsi. Di Daisy, nessuna traccia.

Sentiva il cuore battergli all’impazzata, e da una parte avrebbe voluto tornare dalla ragazza, se ancora si trovava lì, ma dall’altra non riusciva a muovere un passo.

Quando anche il secondo se ne andò, la vide uscire dall’acqua con un balzo felino, e scuotersi via l’acqua con esagerata teatralità – una stupenda teatralità – per poi darsi alla fuga nella sua stessa direzione.

«Luigi – sussurrò afferrandogli un braccio – eccoti!»

Lui ebbe paura che l’avrebbe fatto a pezzi, ma questa si mise a ridere come una pazza.

«Che storia, che avventura, ah! Non è stato fantastico?»

«...no?»

«Sì! Sì invece!» sembrava sul punto di esplodere, e mancava poco che si mettesse a saltare lì intorno.

«Okay, ora è veramente ora di andare. Però dobbiamo rifarlo un giorno di questi.» Rabbrividendo, si incamminò per una stradina, e lui, incerto, la seguì.

«Ecco le mie vesti perdute...» la ragazza raccolse le sue vesti perdute e se le buttò sulle spalle, sorridente come non mai.

Luigi non la capiva, non l’avrebbe mai capita, ma l’ammirava e la stimava. E lei lo sapeva, e si divertiva.

«Allora, dicevamo, al Dino’s Denny?»

«Emm.. sì, sì, andiamo lì, se ti va.»

Vide le sue cinque monete evaporargli di fronte, ma d’improvviso la faccenda aveva perso d’importanza. Stava andando a cena con Daisy – ad un fast food da camionisti, ma pur sempre con Daisy.

E poi, con una come lei, cosa poteva esserci di più romantico?

 

Mentre Mario ripiegava le sue divise sporche, canticchiando un motivo simpatico, il fratello rientrava nel dormitorio del campus.

«Mhh, allora Luigi, com’è andata oggi? Ti vedo un po’ fiacco» domandò puntualmente il ragazzo in rosso.

«Oh… bene, è andata bene» rispose l’altro senza pensarci.




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Commento d'autore
Dopo tempo immemore, varie cancellazioni di alcune storie e attacchi di nostalgia, mi ritrovo a postare su questa magica piattaforma. 
E come al solito invece di continuare vecchie storie, ne inizio di nuove.
Vi sarei molto grata se mi lasciaste una breve recensione ogni volta che ne avete il tempo, per darmi opinioni su come potrei migliorare o anche solo per farmi sapere se il capitolo vi è piaciuto! E ricordate, potete proporre vari personaggi da utilizzare come spalle o comparse, per rendere questo mondo ancora più variopinto di quanto già proverò a renderlo ;)
Grazie per la lettura e arrivederci!


 

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Capitolo 2
*** 2 - [Peach] ***


Capitoli di efp

[PEACH, 3^ persona]

Un lunedì, ottobre, mattina


Capelli legati alla giusta altezza, fatto.

Trucco, quel che basta, per dare colore agli occhi, fatto.

Giacchettina fucsia appariscente, fatto.

Sorriso determinato da ragazza pronta ad affrontare un lunedì mattina… no, impossibile. Qualsiasi smorfia provasse a fare, la vedeva riflessa nel cellulare come un ghigno contorto e poco invitante. Alla sesta foto toppata, iniziò ad irritarsi.

«Hey… buongiorno, eh» sbadigliò Daisy affacciandosi alla porta del bagno.

«Togliti di lì che sto cercando di farmi un selfie decente.»

«Okay, okay, ma stai calma» la punzecchiò Daisy entrando nel bagno e sgusciando fuori dalla visuale del cellulare di Peach.

«Devi ricordare ai tuoi fans che sei ancora viva dopo la nottata di sabato, eh Peach?» continuò la castana iniziando a lavarsi la faccia.

«Che spiritosa. No, sto cercando di farmi una foto che mostri la mia energia sprizzante per affrontare il lunedì.»

«Ecco perché non ti viene, non sai mentire tu» commentò Daisy mentre si pettinava  alla meno peggio.

«Quella è la mia spazzola?»

«Non ti stavi selfando

«Prendi la tua, su» e allungando il braccio cercò di riprendersi l’attrezzo, che però le venne gentilmente restituito dall’altra, pronta.

«Pardon, non avevo voglia di prendere la mia.»

Fece per uscire dal bagnetto privato della loro camera doppia, quando Peach l’afferrò per un braccio costringendola a voltarsi verso di lei.

«Fammi una delle tue facce cattive, così magari riesco a scimmiottarti» la esortò con un’espressione divertita.

Daisy in tutta risposta le fece la sua peggior smorfia, con tanto di pernacchia, prima di scivolare fuori dalla porta.

«Che stupida!» la riprese Peach con falsa indignazione.

«Sempre meno di te, che ti alzi alle sei per farti i selfie!» ribatté l’altra dalla stanza accanto.

«Bah» e ricominciò a provare le varie pose.

«Se vuoi un consiglio, farei un faccino distrutto, tipo l’emoj di Facekoop» propose dopo qualche minuto la coinquilina, affacciandosi di nuovo.

«Quello che si fa con i due puntini e la C. Sarebbe molto più realistico per un inizio lunedì.»

L’altra sbuffò il suo disappunto, ma seguì il consiglio e portando il cellulare in alto, mimò un’espressione mista tra la tristezza e la sfida, si scattò la foto e la pubblicò su Goombagram con l’hastag #SperiamoDiSopravvivere!.

«Ora che hai finito le tue importanti mansioni da popolare, vuoi metterti anche una gonnella o pensi di andare a lezione in mutande?» domandò Daisy, mentre si aggiustava la camicetta a gale che aveva indossato.

«Guarda, scendo in mutande» sghignazzò Peach uscendo finalmente dal bagno e mettendosi a rovistare nel cassettone.

«Vedrai quanti mi piace che voleranno!»

«Antipatica. – ridacchiò la bionda – Hai di nuovo messo a soqquadro tutto il cassettone? Ti sei mangiata i miei vestiti o sono stati inglobati dai tuoi?»

«Io ne ho tre, tu hai tutto il resto dell’armadio, Peachy, quindi forse stai solo perdendo colpi, sai, la vecchiaia...»

«Ma vai in quel tubo, ecco, me lo hai fatto dire» continuò a rovistare iniziando a gettare fuori tutti i vestiti che non le appartenevano.

«Ohhh, questo si che sconvolgerebbe i tuoi followers, “Peach entra nel mondo dei modi scurrili!” Pft, scusati un’altra volta e ti mangio.»

«Scusami – finalmente trovò la gonnellina e le calze che stava cercando – ma non tutti sono ghiozzi e strafottenti come te, cara.»

Sogghignando in faccia all’amica, finì di vestirti e controllò di sfuggita il telefono.

«Se ti hanno già messo dei likes, mangio anche loro.»

Avvicinandosi alla compare, tentò di sbirciarne il profilo su Goombagram, ma Peach si ritirò fingendosi offesa.

«Suvvia, non ficcare il naso negli affari altrui

«Ecco!» l’apostrofò con vocina ridicola l’altra, prima di mettersi a ridere.

Peach cercò invano di reprimere degli sciocchi sorrisi, e si nascose infilando praticamente la faccia nella sua borsa.

«Vediamo, okay, penso di aver preso tutto. Tu sei pronta?» si infilò la borsa a tracolla, poggiando la mano sulla maniglia della camera. Daisy si gettò lo zainetto sulle spalle annuendo, e insieme uscirono.


«...e quindi l’altro giorno arrivo, e al posto del professore trovo Mastro Toad

Toadorica fece del suo meglio per non sputare il caffélatte, mentre Rosalinda frenò un bercio ilare che le stava uscendo più dal profondo del cuore che dalla gola.

«Che… diamine!?» ma senza finire la frase, Toadivo si mise a ridere come un forsennato, spingendo così anche tutti gli altri a ridere.

Anche Daisy, che aveva ascoltato la storia in anticipo la settimana prima, non riuscì a frenare qualche risata.

«Sì, vi giuro, Mastro Toad. Ci sono rimasta talmente di stucco che penso di non aver aperto più bocca per tutta la mattina.»

«E cosa ci faceva lì?» domandò incuriosito Toadoberto quando ebbe finito di ridacchiare.

«Teoricamente, avrebbe dovuto insegnare al posto del mio prof di Storia del Regno dei Funghi. Essenzialmente, ha solo agito da sedativo per tutta la classe.»

«Se insegna ancora come insegnava a noi da piccole, mamma mia!» commentò Daisy immaginandosi la scena.

Mario si voltò accigliato verso di lei, irritato da quel furto di battuta.

«Sì, ma… come mai? È apparso all’improvviso e ha deciso di improvvisarsi professore?» continuò Toadoberto, ormai preso dal racconto della giovane.

Questa si aggiustò sulla sedia, finendo la sua brioche, per poi continuare.

«Da quel che ho capito prima di addormentarmi, il nostro professore è andato via per delle ricerche sul campo non-so-dove, e lui ha tirato fuori una sconosciuta e vecchissima laurea in Storia dei Funghi da qualche baule di chissà quale secolo, ed è venuto a farci da supplente per i prossimi due mesi» enfatizzò le ultime parole per caricarle di fatica, per rendere bene l’idea di cosa avrebbe dovuto sorbirsi nelle prossime settimane.

«Oppure – ipotizzò Rosalinda, introducendosi con discrezione nella conversazione – ha rapito il vecchio professore, l’ha venduto agli Shroob e ha rubato la sua laurea, così per starti ancora una volta col fiato sul collo, Peachy.»

«Non ci metterei la mano sul fuoco, sai?» approvò l’altra.

Un’ombra scura si allungò sul tavolino punto di raduno di Peach e dei suoi compari, rivelandosi attaccata ad uno sghignazzante bestione di due metri, coperto di scaglie scintillanti e armato di un sorriso maligno brillante di perfidia come i suoi occhi.

«Buongiorno, Peachy cara.»

Appoggiò la pesante mano sul tavolino, rovesciando il caffè di Luigi, che per la paura si fece piccolo piccolo, e poi si rivolse alla sua interessata tentando di trasformare il suo sorriso in qualcosa di meno minaccioso, con scarso successo.

«Oh, stupendo. Ciao Bowser – rispose senza enfasi lei, ritraendosi un poco – Lungi da me sembrare offensiva, ma… siamo occupati.»

«Non sei stato invitato, sacco di lardo» sibilò Daisy sbattendo un pugno vicino alla mano dorata dell’altro – quattro volte la sua.

«Sacco di lardo? – Bowser dischiuse i denti, e una nuvola di fumo scuro vi uscì dai lati con fare minaccioso – Questi sono addominali, bicipiti e tricipiti! “Lardo”, bah! Il sacco di lardo sarà il vostro amico in rosso, qui!»

E indicò Mario con fare accusatorio. Questo corrugò la fronte, balzando in piedi e scostando la sedia, con gli occhi ben puntati verso quelli del rivale.

«A tal proposito… – il Koopa Reale avvicinò il muso giallo al volto contratto dell’altro – questo sabato ti straccerò, anzi, ti calpesterò. E domenica ti concederò il bis

«Sgrunf» il ragazzo non si lasciò intimorire e avvicinò di rimando il naso a quello dell’avversario, fino quasi a sfiorarlo.

I due rimasero a fissarsi per qualche secondo, fino a che Peach non intervenne, alzandosi in piedi e incrociando le braccia:

«Smettetela subito, entrambi. Questo non è un campo da calcio, e l’ultima cosa che vogliamo è una rissa nella Hall!»

Il Principe dei Koopa si raddrizzò sulla schiena, passandosi la mano artigliata nella chioma rossa, e schiudendo un sorrisetto malizioso verso la ragazza.

«Come desideri. Ma solo perché in quella foto eri davvero carina» e nel dirlo le fece un occhiolino che lei trovò disgustoso.

«Allora vi lascio ai vostri tristi convenvoli, bwahaha! Au reovir!»

Bowser si avviò verso l’uscita, mentre Toadoberto borbottava tra sé e sé un “convenevoli, non convenvoli”.

«Wow, il tuo potere su di lui sta aumentando» commentò Daisy avvicinandosi all’amica.

«Non so… si stava comportando in modo strano.»

«Peggio del solito?» sbuffò Luigi riprendendo finalmente colore.

«Be’, perlomeno oggi non se n’è andato sotto minacce pesanti.»

«Anche questo è vero.»

«E da quando quel microcefalo conosce il francese?» si domandò sbeffeggiante Toadivo, mentre finiva di sorseggiare la cioccolata calda con noncuranza.

«Ora, “conosce il francese” mi sembra un po’ esagerato» rispose Toadorica.

«Poi quell’occhiolino secsi, eh Peach?»

Daisy dette una spallata perfida all’altra, che si innervosì.

«Sposatelo, se ti sembra così “secsi”. Io so solo che è un grande scocciatore – guardò l’orologio al polso – e che sono in ritardo!»

Afferrò la borsa in fretta e salutò i suoi compari di ventura, prima di avviarsi a passo svelto verso il piazzone verde su cui davano tutti gli edifici scolastici.

Daisy la seguì salutando a sua volta, e la raggiunse fuori dalla Hall.

«Fa freddino, eh?» osservò rabbrividendo.

«Già, ma niente sarà freddo come lo sguardo di Mastro Toad dopo che avrà segnato il mio ennesimo ritardo.»

«Mentale?»

«Non sei spiritosa, Daisuccia – le allargò di fronte un tiratissimo sorriso sarcastico – e poi è colpa tua se faccio tardi.»

«Non sai più neanche prenderti le tue responsabilità?»

Peach la ignorò scuotendo il capo, e affrettando l’andatura. L’edificio destinato ai corsi Storici-Archeologici era perfido, perché piuttosto piccolo ma lontano, dietro alla biblioteca. Per far prima fu costretta a tagliare dal prato anziché seguire le stradine ciottolate, seguita a ruota dall’amica.

«Non hai lezioni di lunedì?» le chiese controllando il cellulare.

«Ho qualcosa alle nove, una lezione di Antiche Lingue Desertiche… e dopo ho praticamente solo Agraria fino a giovedì. – dette uno sguardo al cielo, irritata – Ma neanche sai quando ho lezione e quando no?»

«La scuola è iniziata da tre settimane!» sbuffò l’altra mentre rispondeva ad un commento sotto la sua foto.

«Mezzo mese… viviamo praticamente in simbiosi, sis

A quel punto Peach non riuscì’ a frenare l’impulso di rigirarsi verso Daisy e ringhiarle in faccia il suo disappunto:

«Già, forse è questo il problema, dovresti farti una vita oltre che starmi appiccicata come una zanzara e aspettarti che stia sempre dietro a te!»

Quando si rese conto dell’errore, vedendo l’ombra scura passare negli occhi di Daisy, che mai si offendeva quando le rispondevano a tono, era troppo tardi. Si voltò, tornando a guardare il cellulare, cercando di concentrarsi sui likes per non guardare l’altra.

Dopo qualche attimo di silenzio, Daisy si fermò a qualche metro da lei, borbottando qualcosa sul fatto che l’altra era arrivata e ora lei poteva andarsene.

Quando Peach finì di ringraziare per i commenti positivi, ignorando volutamente quello in cui Bowser le dava dello “schianto di bambola” (anche perché non aveva la più pallida idea di cosa significasse), si voltò per risponderle, ma l’altra se n’era andata.

Maledicendosi, si avviò verso l’aula.



Dopo aver passato due ore e mezza ad ascoltare le chiacchiere soporifere del suo ex tutore, che in qualche modo era riuscito a seguirla fino al college, Peach uscì dall’edificio completamente distrutta.

“Funghi secchi, dovrei chiedere scusa a Daisy...” fu il suo primo pensiero, ma sentiva il corpo implorarle di mangiare qualcosa di zuccherato prima di intraprendere una qualsiasi discussione. Trascinandosi verso una delle panchine che accoglievano gli stanchi studenti al di fuori di ogni edificio, lasciò cadere con poco riguardo la borsa sull’erba fresca e dopo si lasciò cadere anche lei. Inspirando l’aria ancora fresca della mattinata, prese lo snack che aveva comprato alle macchinette e iniziò a sgranocchiarlo mentre controllava, quasi istintivamente, se le fossero arrivati altri commenti su Goombagram.

“A volte penso di essere fissata...” si rimproverò mentre masticava con gusto la barretta al cioccolato, scorrendo i nuovi messaggi con aria annoiata.

“Comunque mi sono presa peggio delle altre volte, sgrunt.”

Mentre ignorava i soliti commenti stupidi e odiosi degli amichetti di Bowser, o di quegli imbecilli che si divertivano ad insultare tutto e tutti, le cadde l’occhio su qualcuno seduto sotto l’albero piantato al crocevia per i dormitori e l’edificio di Lingue Antiche.

Abbassando il cellulare, vide che effettivamente c’era una ragazza, abbandonata sul prato ai piedi dell’alberello dalle foglie rosse, intenta a leggere un grosso libro, indisturbata. Altri studenti le passavano di fianco, ignorandola completamente, così come lei ignorava loro.

Peach ne venne subito attratta. Non seppe perché, ma ammirò quella sua coetanea all’ombra dell’albero, completamente slegata dal mondo, immersa nel suo libro.

Qualcosa la spinse ad avvicinarsele. Afferrò la borsa e vi fece scivolare dentro il telefono, per poi avvicinarsi con tranquillità alla ragazza. La osservò, e anche il suo aspetto le sembrava singolare.

Aveva capelli color oro bianco, addirittura più chiari di quelli di Rosalinda, e una carnagione pallidissima, così bianca da farle supporre che si trattasse di un’albina o di qualcosa del genere. Quando si fu avvicinata un po’ di più, però, le notò una spruzzata di lentiggini sul volto, e una singolare spilla fermata dietro alla testa.

«Hey» provò a salutare alzando una mano, ma non ottenne risposta.

Rimase muta di fronte a lei per qualche secondo, imbarazzata, prima di chiedersi se valesse la pena riprovare.

«Emm… che libro è?»

Si sedette in terra, nonostante non fosse una delle sue cose preferite, e cercò di avvicinarsi a quella giovane che si stava mostrando molto più particolare di quanto già sembrasse.

«Err...emm…? – vide il suo sguardo praticamente incollato alle pagine del tomo, con un’espressione quasi di trance – Va tutto bene?»

Finalmente questa dette segni di vita, scosse il capo e sbatté più volte le palpebre, voltandosi di scatto verso di lei. La squadrò per qualche attimo con i grandi occhi acqua marina – quindi non era albina, ma odiava il sole o era un vampiro, si disse Peach – prima di arrossire e abbassare nuovamente lo sguardo.

«Sì, scusami, ero assorta… nella lettura.»

«Oh, figurati, è solo che mi hai spaventata.»

Peach cercò di sbirciare il titolo del libro.

«Interessante?»

«Per quanto possa risultare interessante un libro di fisica quantistica...»

«Oh, quindi sei una matematica?» chiese Peach incrinando il sorriso. Non poteva ammetterlo di fronte a quella ragazza, ma aveva sempre preferito le materie letterarie.

«No, no, assolutamente no – ridacchiò nervosa l’altra evitando di guardarla negli occhi – io studio Medicina, questo è solo un corso… è il mio primo corso, quindi cercavo di documentarmi per non arrivare lì impreparata.»

«Ahh, ma quindi sei nuova!» esclamò Peach, rendendosi conto adesso del perché non avesse mai notato una tipa tanto singolare in un anno e un mese di Università lì.

«Perdonami, non ti ho visto alla festa di inizio anno, quella dove partecipano soprattutto quelli del primo anno, sai, dopo l’orientamento all’interno del campus.»

«Naturale, perché non sono del primo anno» rispose sferzante l’altra, riportando la sua attenzione sul libro e quasi sperando di essere lasciata in pace.

«Sono del secondo anno, ma sono arrivata la scorsa settimana in questa Università» aggiunse.

«Oh, capito, perdonami.»

Rimase in silenzio per qualche minuto, mentre l’altra riprendeva la propria lettura.

«Un corso singolare, per un’umanistica» commentò senza potersi trattenere.

L’altra alzò gli occhi al cielo, con un palese segnale di “ma che vuole questa da me?”, ma poi riuscì a rispondere con calma.

«In realtà ho cercato di iscrivermi a più corsi possibili, di svariate materie, per avere un’infarinatura generale di tutto… insomma, per crescita personale, per cultura.»

E si rigettò nel libro. Una qualsiasi altra persona avrebbe subito avvertito disagio con una tipa del genere – così schiva e fredda – ma Peach, per qualche strana ragione, si sentiva in dovere di aiutarla.

Era nuova, palesemente asociale, secchiona, tendente alla sociopatia… come avrebbe potuto sopravvivere in un mondo come la Heaven University senza l’aiuto di un buon amico?





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Commento d'autore
Vi sarei molto grata se mi lasciaste una breve recensione ogni volta che ne avete il tempo, per darmi opinioni su come potrei migliorare o anche solo per farmi sapere se il capitolo vi è piaciuto! E ricordate, potete proporre vari personaggi da utilizzare come spalle o comparse, per rendere questo mondo ancora più variopinto di quanto già proverò a renderlo ;)
Grazie per la lettura e arrivederci!


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Capitolo 3
*** 3 - [Daisy] ***


Capitoli di efp

[DAISY, 1^ Persona]

Un lunedì, ottobre, pomeriggio


L’odore del tartan della pista, Granbì quanto lo amo. E come potrei godermelo meglio, se non con la faccia praticamente a due centimetri dal terreno? Davanti a me, una striscia lunga e rossa, l’unica cosa di cui dovrò tenere di conto per tutta la corsa. Ignoro gli altri atleti che passeggiano per il campo, quelli che urlano e imprecano, i coach, le grida, il sole negli occhi, il freddo, il vento, tutto. Ora c’è solo questa benedetta pista, e al solo pensiero sorrido.

Altri due secondi, con le mani appena poggiate in terra, con la gamba tesa e l’altra piegata, in posizione di partenza.

Un altro secondo, per sentire i muscoli fremere, il respiro  regolarsi, una folata di vento spazzarmi i capelli arruffati.

VIA!

Sì! Sento la forza scorrermi nei muscoli, mentre scatto, mentre i miei piedi lasciano lo starter; corro, con l’aria che mi fischia nelle orecchie, corro lungo la pista, corro sentendo il volto che inizia a sfriggiolare, ah!

Il suono dei miei passi è tutto quello che sento adesso. I muscoli caldi, le vene che ribollono, quest’aria fresca! Sì, cosa desiderare di meglio?

Ho quasi finito il primo giro, uff, inizio a sentirmi il volto ribollire, di già? Il sudore, la fatica… come faccio a durare così poco? Non è giusto! Scaccio ogni pensiero, ascolto il rumore dei passi, do il massimo.

Il terreno sfugge da sotto i miei piedi, mi sembra di volare, lo sfioro appena mentre mi muovo, e inoltre…aspetta, quello è Luigi? Ah!

Cielo, terra, cielo, terra e di nuovo cielo. Ouch! Sento la mia schiena sbattere violentemente contro il terreno della pista, che male, che diamine! Cos’è successo? Sono caduta, ah, la gamba! Cerco di tirarmi su, ma le forze mi hanno abbandonato. Mi sento incollata al tartan! E la gamba continua a pulsare, più violentemente...! Ahia, mi guardo intorno e vedo degli atleti venirmi incontro…

«Stai bene?» domanda uno guardandomi preoccupato. Sto da Nimbì, guarda.

«Sì – rispondo, scostandogli la mano, posso farcela anche da sola – sì, sono solo inciampata» non so neanche dove, in realtà.

«Su, non è niente di grave – sento una mano afferrarmi per la spalla e alzarmi con forza fino a portarmi seduta – anche i migliori finiscono per terra, a volte.»

Mi ritrovo davanti il mio allenatore, che mi guarda con un sorriso rassicurante, ma io volto lo sguardo per la vergogna. Come ho potuto inciampare così, a caso? La pista era liscia, e io non inciampo mai!

«Ti fa molto male la gamba?» mi domanda un Toad giallo in tuta da ginnastica.

«No, non troppo» mento.

Volley si guarda negli occhi col fratello, mentre gli altri iniziano a scemare. Esatto, andatevene, non ho bisogno di occhi curiosi che mi guardano come se fossi uno Shroob.

«Mhh… sembra che ti sia slogata la caviglia - l’allenatore mi tasta l’inizio del piede, che mi fa male! - vediamo di portarti in infermeria.»

Mentre cerco di obbiettare, si volta verso un ragazzone alto due metri e mezzo, lì al limitare della pista.

«Pugnazzo, potresti venire qui un secondo?»

Vedo quel tipo - che di faccia sembra meno sveglio di un annaffiatoio - annuire confuso e avvicinarmisi, spero che non stia per succedere quello che temo.

«Dovresti scortare la nostra atleta in infermeria, lei non può camminare.»

No! Mi vedo in braccio a quel gorilla, che mi scarrozza in giro come se fossi un sacco di patate, proprio no! Non so come, ma sono saltata in piedi, e saltellando mi sto allontanando.

«Non importa, davvero

E come una paralitica cerco di scappare su un piede solo per tutta la pista.


«Hey, che ti è successo?» vedo Luigi venirmi incontro.

Sono sdraiata su questo lettino neanche fossi una malata terminale. Sono solo inciampata tre volte mentre cercavo di evitare che mi ricoverassero perchè ero inciampata.

Una vera barzelletta.

«Mi prendo una pausa dallo studio» scherzo, ma lui mi guarda seriamente preoccupato.

«Hey, tranquillo, mi sono solo slogata una caviglia!»

«Come hai fatto?» continua a guardarmi preoccupato.

«Sono inciampata» taglio corto.

Mentre mi voltavo per vedere se eri tu quello sulla pista, ma te lo risparmio.

«Be’ in effetti ho visto un po’ di confusione lì al campo, mentre passavo» dichiara, sgamato!

«Ho visto anche l’allenatore Mush!»

«Eh - sospiro - è il nostro supervisore. E si stava accertando che non mi fossi rotta l’osso del collo.»

Luigi osserva con circospezione l’armamentario che mi circonda, tutti quegli aggeggi da infermeria che stanno intorno al mio lettino.

«Lo so, sembra di stare in terapia intensiva. Sembra quasi un ospedale serio» buffo pensare che due anni fa non avessero neanche l’acqua ossigenata.

«Sono pronti a tutto, eh?»

«Yess, a prova di tutti i casini che potrei combinare» ridacchio come una scema. Com’è che Luigi mi fa quest’effetto gas esilarante?

«Be’, ora sono più tranquillo» constata dopo aver guardato il mio piede fasciato.

«E quando ti dimettono?»

«Pft! Io potrei, anzi dovrei andarmene già adesso. Mi sto solo approfittando dei materassi, sono morbidi.»

«Ma come stai?»

«Be’ se non muovo il piede, mi fa solo male la gamba, ci sono praticamente caduta sopra.»

Luigi non sembra ancora sicuro di lasciarmi qui da sola, fortuna che arriva l’infermiera e lo scaccia via. Ora mi dice qualcosa a proposito di come devo comportarmi con il piede in questi giorni, ma sinceramente non sto ascoltando. Questo posto è tutto bianco, accidenti. Tende bianche, muri bianchi, letti bianchi, infermieri bianchi, neanche l’Apple Store. Annuisco come una scema alla povera Toad che credeva la stessi ascoltando, ora che me la sono tolta dai piedi posso riposare. Ahh, che bella la scusa della caviglia per dormire.

Neanche stanotte ho dormito molto. Tutte queste seghe mentali che mi sto facendo in questi giorni non mi aiutano di certo. E di nuovo quella dannata angoscia che mi prende allo stomaco. Che palle!

No niente, non posso dormire. Mi sa che mi alzerò tra poco, però questi materassi sono davvero morbidi.

Sento imprecare alla mia sinistra, mi giro e intravedo oltre la tendina il tipo più tedioso del campus.

«Toh, Inkulak. Da chi ti sei fatto picchiare stavolta?»

Vedo l’odio ribollire nei suoi occhiacci gialli quando si gira verso di me. Farebbe quasi paura se non fosse per quei ridicoli occhiali a culo di bottiglia.

«Non sei simpatica, come sempre d’altronde.»

«Parla il pagliaccio!» mi sento esageratamente acida in questo momento, sarà per la caviglia.

«Ba’ - sbuffa - almeno io non mi sono azzoppato!»

«Mi sembra un tantino difficile azzopparsi quando non hai i piedi - rispondo, possibile che sia così stupido? - e cosa ti sei fatto allora?» non sembra ferito, nè pestato, perchè sta occupando un letto?

«Ho sbattuto contro una finestra - borbotta ferito nell’orgoglio - un idiota me l’ha chiusa in faccia mentre stavo entrando.»

«Ti sei rotto il naso invisible?»

«Ah ah ah no, un’ala.»

«Un’ala invisiblile?» osservo per farlo irritare.

«Sgrunt! Faresti bene ad abbassare la cresta con me, Umana, se non vuoi che ti venga a trovare in un incubo, uno di questi giorni!»

«Prima devi farti guarire quella tua ala invisibile!»

Inizia a sputarmi offese a raffica, ma sinceramente non m’importa e allungo la mano verso il cellulare sul comodino. Meglio dire a Peach che sono in infermeria prima che lo scopra da sola e si infuri.

Allora, entriamo nella chat…


[Peach] Hey Daisy che ti è successo?

[Peach] Daisy rispondi!

[Peach] Mi stai facendo preoccupare!


Ah, stupendo. Ora mi mangia viva.

Proviamo con un “hey”.


[Daisy] Hey


Boh… ultimo accesso, 10 minuti fa. Speriamo risponda.

Cos’è questo silenzio? Ah, Inkubak si è chetato, finalmente.


[Peach] Hey!

[Peach] Brutta scema!!


Ahia.


[Peach] Pensavo fossi morta! Mi hanno detto che eri in infermeria!

[Daisy] Yep, ed ora sono resuscitata.


Sta scrivendo… rabbrividisco ma sorrido allo stesso tempo. Che masochista che sono!


[Peach] Perché non mi hai scritto prima??


Me ne sono proprio dimenticata.


[Daisy] Ti saresti agitata

[Peach] Perché così ero tranquilla!


Andiamo Peachy! Sento un brontolio angoscioso allo stomaco. D’improvvviso mi sento cattiva.


[Daisy] Se eri così preoccupata potevi anche venire


Visualizza… … non risponde.

Alzo lo sguardo dal cellulare e vedo l’infermiera-scagnozzo del dottor Toadly* chiudere le tende e far cadere questo posto già triste nella penombra.

Controllo di nuovo, ma non risponde. Si è offesa?

Sento dei passi nervosi avvicinarsi. E toh, eccola che mi spunta davanti!

«Daisy! Razza di screanzata!»

Grazie, eh.

«Shhh, non vedi che sto soffrendo?» le indico il piede ma lei mi ignora.

«Pensavo ti fossi, che so, rotta quella zucca dura!»

«Peachy che parla come una popolana - rido - questa è da incorniciare in un fumetto.»

Lei sbuffa. Si siede ai piedi del letto, continuando a guardarmi male.

«Che hai combinato?» chiede finalmente.

«Sono inciampata. Male. - sbuffo, mi da davvero fastidio questa cosa - Tutto qui»

«Certo, non inciampi mai, ma quando lo fai, lo fai con stile» mi sorride addolcendo un po’ lo sguardo.

«Mi hai rubato la battuta, ti giuro! Stavo per dirlo io.»

«Ormai ti conosco troppo bene, ricorda che siamo pur sempre cugine.»

Ba’, “cugine”, di quarto grado?

Rimango in silenzio. Peach mi si avvicina con un’espressione mista tra rimprovero e apprensione.

«Mi dispiace per la tua caviglia - mi dice guardandomela - per un po’ adesso non potrai più correre.»

Un pugno gelido allo stomaco. Per un attimo sento il mio corpo coperto da sudore freddo.

«Caz*o! - mi sfugge - Hai ragione!»



*Toadly è il Dottor Doat nella versione inglese, un dottore di “Mario e Luigi: Viaggio al Centro di Bowser”.




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Commento d'autore
L'avvento di Mario Odyssey mi ha rubato - e continua a farlo - tempo prezioso per postare, ma a Mario Odyssey non si può che dare la priorità.
Vi prego di lasciarmi una recensione per farmi sapere cosa ne pensate della storia e se avete personaggi di vari spin-off da proporre. Alla prossima! :)

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Capitolo 4
*** 4 - [Farfalà] ***


Capitoli di efp

[FARFALA’, 3^ persona]

Probabilmente Giovedì, sera, Ottobre


Da fuori, la luce fredda dei lampioni filtrava appena dentro la finestra, posandosi sui contorni della stanza senza troppa convinzione.

“Fa freddo, per essere autunno…” pensava, rannicchiata sopra al letto.

Ora che la vedeva nella penombra, la stanza sembrava vuota e ordinata.

“Devo mettere via tutti gli scatoloni, domani…” si ricordò. I suddetti erano addossati in un angolo buio, e neanche stringendo gli occhi riusciva a vederli.

“Domani mi metterò qualcosa di più caldo… lo shalle di mamma magari...” si disse, cambiando posizione e voltandosi verso il muro bianco.

“Spero di non dover reincontrare quel cafone” ammise a sé stessa dopo un po’.

I minuti passavano. Anche il rumore della rissa che aveva sentito per un bel pezzo si era finalmente placato.

“Chissà se in questo luogo pieno di gente che si scazzotta finirò per farmi male… - si chiedeva, cercando di non pensare ad altro - o peggio, finirò per abbassarmi al loro livello… vallo a sapere, cosa succederà, in questo Campus…”

Una parte di lei, in quel momento, avrebbe voluto alzare le coperte, arrotolarcisi dentro e addormentarsi al caldo in un dolce abbraccio morbido. L’altra parte rammentava ancora il ragno che aveva trovato il giorno prima nel rifare il letto.

“Era un ragno piccolo piccolo… - continuava a ripetersi - non punge… sicuramente… credo…”

Buffa, la paura irrazionale, si diceva.

Ma per quanto cercasse di concentrarsi su altro, la mente gli ritornava sulla pesante giornata appena trascorsa.

“Quel figlio d’un cane… letteralmente” si ripeté, cercando di ignorare il suo brutto muso che continuava ad aleggiarle davanti agli occhi.

“Andiamo, non è andata così male” le sussurrò una vocina all’orecchio, mentre si sforzava di addormentarsi.

“Peach è stata carina con te.”

“E’ già tanto che ti ricordi il nome” ribatteva.

“Non vuoi diventare una pessimista cronica come tua madre, no?”

Farfalà rabbrividì al solo pensiero.

“Per la miseria, no, ci mancherebbe.”

“Allora prendila con positività.”

“Fosse facile…” ma mentre se lo diceva, si rese conto che in realtà non era così difficile. Avrebbe solo dovuto pensare alle cose belle della giornata, come faceva quando si sentiva giù.

“Okay, non ti va giù che questa prima giornata non sia andata come speravi - ammise a se stessa - ma adesso renditi conto che poteva andare molto peggio. E da domani vedremo di far rifiorire queste aspettative.”


Era partita bene, a dire il vero. Dopo essersi data una sistemata, aver indossato la camicetta bianca che le piaceva molto e i fuseaux beige, ed aver ricontrollato di aver preso i quaderni per gli appunti e la cancelleria varia, si era messa la borsa a tracolla ed era uscita, nervosa e felice insieme per il primo giorno di studi alla Heaven University. Con la paura di far tardi, a causa della distanza che separava il suo monolocale dal nucleo scolastico, aveva subito affrettato il passo, con gli occhi ben piantati sulla stradina con la paura di perdersi.

Quel campus era davvero enorme, aveva constatato in pochi giorni, e il prezzo per una camera più isolata ed economica era quello di trovarsi quasi al limitare della pineta, ben lontana dagli edifici scolastici.

Più si era avvicinata al nucleo del villaggio scolastico, più persone aveva incontrato. Ragazzi della sua età, o un po’ più grandi, che andavano a lezione, o si avviavano nella Hall della scuola per fare colazione; altri che non avevano lezione si portavano i libri per ripassare su una panchina, o alcuni si dirigevano in biblioteca assieme agli amici per studiare l’argomento del prossimo esame.

Farfalà si era sentita assai indietro con gli studi dopo aver visto quel gran viavai di gente armata di libri e cultura, ma si era ripetuta con fermezza che avrebbe recuperato il primo mese senza troppi problemi, se si fosse impegnata al massimo. La Heaven University aveva una sua fama anche per l’essere un’Università impegnativa, ma clemente con gli studenti che dimostravano impegno e costanza. Qualità che a lei non erano mai mancate, per sua fortuna.

I problemi erano iniziati appena aveva messo piede nella Hall. Si era ritrovata davanti ad un brulichio di persone, fiumi di creature di ogni razza e provenienza che attraversavano l'edificio per raggiungere le aule, che si sedevano ai tavolini dei bar - ben due bar - a bere, mangiare, leggere, chattare, chiacchierare con gli amici. Gruppetti di giovani che sghignazzavano addossati alle pareti, addirittura un paio di banchetti allestiti sul momento per sponsorizzare eventi vari organizzati dagli stessi studenti…

Farfalà si era sentita subito ingabbiata, rinchiusa tra quelle mura con quelle persone, troppe persone, che le scivolavano intorno, da ogni lato, chiacchierando e gesticolando senza ritegno, persone che la urtavano come se fosse stata invisibile, o che la artigliavano con sguardi investigativi, o peggio ancora, con sguardi divertiti. Cercando di rimanere calma, ignorando la pelle d’oca che l’avvertiva di tutti gli sguardi posati sopra di lei, aveva acceso il cellulare per controllare la foto alla mappa del campus che aveva fatto il primo giorno, per controllare dove si trovasse l’aula di farmacologia. Nel farlo, le si era avvicinato un tipo eccentrico, coperto di lustrini e vestito come un mezzo divo, che le aveva chiesto se avesse avuto bisogno di indicazioni, ma lei aveva trovato quel che cercava sulla mappa.

Vi si era diretta il prima possibile, cercando di sfuggire a quella Hall caotica che le ricordava i tempi infernali del liceo.


La mattina, dopo tutto, non era trascorsa così male. La prima lezione le era sembrata interessante, l’insegnante sembrava una persona in gamba per quanto forse troppo rigida negli atteggiamenti.

Non aveva potuto fare a meno di confrontare la vecchia università con la Heaven, e le prime cose che aveva notato, oltre l’immensità di quella struttura, erano state l’efficienza e la prontezza che quel posto emanava da ogni metro quadrato. La fama di quella scuola si poteva quasi respirare. Era una reggia a confronto della miseria in cui si era ritrovata il primo anno, poco ma sicuro.

Dopo aver consumato un rapido snack, si era seduta su una panchina libera nel piazzone del campus, una sorta di enorme giardino oblungo tagliato da stradine regolari che portavano ai vari edifici, e si era messa a leggere il suo libro sulla fisica quantistica. Nonostante gli restasse pesante e lento, lo trovava interessante. E poi, quando poteva conoscere qualcosa in più, era sempre spinta a continuare nonostante gli ostacoli. Il corso successivo si sarebbe svolto alle 11:00, e quindi ebbe tempo di sfogliare anche il libro di Scienza Dimensionale. I corsi ai quali si era iscritta erano molti, tutti in date molto diverse l’uno dall’altro, si era anche prenotata ai corsi di cucina di base che si sarebbero svolti a gennaio. Il ventaglio di materie che aveva scelto l’aveva soddisfatta: differenti, varie, ma interessanti e comunque in sintonia con la sua curiosità. Non sarebbe mai andata ad un corso di teatro, o da qualche altra parte dove sarebbe stata costretta ad interagire direttamente con le persone che la circondavano, o a mettersi in mostra.

Una voce melliflua le era entrata nelle orecchie, ad un certo punto.

«Noto con piacere che qualcun altro è interessato alle Scienze Dimensionali» e poi una risatina sotto i baffi.

Alzando lo sguardo si era ritrovata faccia a faccia… si poteva dire così? Aveva incontrato una maschera montata sul corpo di un ragazzo minuto - o almeno era quello che sembrava - intento a guardarla attraverso le fessure della suddetta.

«Oh, emm, è solo un corso extradidattico. Non seguo un indirizzo magico...»

«Ahahah - l’altro non aveva dato conto alle sue parole - e pensare che iniziavo a temere la graduale sparizione di questa materia. E invece, spunta fuori addirittura un corso pomeridiano… com’è buffo il mondo, non trovi?»

Farfalà aveva perso le parole dello strano essere, in quanto era rimasta a fissargli la bocca muoversi sopra la maschera con innato stupore. Non aveva mai visto una creatura del genere in vita sua, e non sapeva come comportarsi.

«Mhh, mi pare di capire che tu sia ancora vergine di questa scuola, il tuo dolce viso innocente emana estraneità da tutti i pori...»

«Emm, in effetti sono qui da… da poco.»

Si era sentita a disagio ma allo stesso tempo affascinata nello stare di fronte a quel tipo bizzarro con una maschera bianca e nera la posto del volto.

«Ahah! Saprai perdonarmi, ma sembri sperduta, come un pezzo di origami in attesa della colla per costruire la statua di carta che è la tua cultura. Sei qui, da sola, lontana da questi… - si guardò attorno, adocchiando dei gruppetti di studenti sorridenti e divertiti - energumeni viventi, in cerca della vera felicità, una cultura che possa sollevarti spiritualmente al di sopra dei nostri rozzi coetanei» sul suo particolare volto si era allargato un sorriso inquietante e divertito.

Farfalà non era riuscita a cogliere tutto quello che lo strambo figuro le stava dicendo, ma aveva annuito lo stesso, con falsa decisione.

«Be’, credo sia ora che vada - si portò le mani in tasca, chinando leggermente il capo da una parte - il corso di teatro mi aspetta. Sono sicuro che si stanno disperando, senza il sottoscritto.»

Farfalà avrebbe giurato di averlo visto fluttuare per qualche secondo.

«E credo anche che ci rivedremo in giro, o mia cara ragazza che ha capito tutto della vita. Ciao!~»

E con uno schiocco di dita si era dissolto, così, di fronte a lei, lasciando dietro di sé uno strano suono simile a quello di un campanello. Nel punto esatto in cui il suo corpo era sparito, la ragazza aveva visto tremare l’aria come se fosse stata surriscaldata, per qualche secondo.


Dopo quel particolare incontro, non era successo nulla di strano per il resto della mattina. Nulla da cui non era riuscita a sfuggire come un’anguilla sguscevole, almeno. Verso le quattro, quando era invece uscita per avviarsi verso l’edificio di materie matematiche e fisiche, era stata fermata dallo stesso Mollalosso della mattina, quel tipo dalla pelliccia blu vestito in modo eccentrico.

«Ma guavda chi ho l’onove di veincvontvave!»

Non aveva capito una singola parola, ma aveva strattonato il braccio togliendolo dalla stretta dell’altro.

«La fanciulla pevduta!»

«Non ti conosco» aveva cercato di toglierselo dai piedi lei.

«Andiamo, non devi fare la timida, sono un vagazzo in gamba, posso aiutavti.»

«Non ho bisogno di nessun aiuto!» e si era subito lanciata verso l’edificio, quasi chiudendocisi dentro. Inizialmente aveva dato peso a quell’offesa subita, ma poi aveva scosso la testa dicendosi che il mondo era pieno di idioti. Aveva passato il corso con in testa quello sbruffone, e quando si era resa conto di aver saltato le spiegazioni basilari era troppo tardi. Alla fine della lezione era uscita mogia mogia dall’aula, cercando di farsi forza dicendosi che era solo un corso culturale, e che se perdeva qualcosa poteva ritrovarlo facilmente su internet o in qualche libro.

«Oh, hey ciao!» una voce solare l’aveva chiamata. Per la terza volta in quella giornata era stata avvicinata da qualche estraneo, o quasi. Si era ritrovata infatti a guardare in faccia a quella ragazza carina che qualche giorno prima le si era avvicinata chiedendole del libro.

«Ciao! - l’aveva salutata nuovamente, raggiante - hai iniziato i corsi?»

«Sì, ho appena finito il primo di fisica quantistica...» colta improvvisamente dall’imbarazzo, aveva iniziato ad accarezzarsi un ciuffo di capelli con visibile nervosismo.

«Guarda, io esco adesso da uno di economia. La odio ma… insomma, mi hanno quasi obbligato a farlo perché è… - aveva esagerato un verso gesticolando - “essenziale per il mio futuro”, capisci?»

E si era messa a ridacchiare. Lì, neanche Farfalà era riuscita a trattenere una smorfia divertita.

«Conosco la sensazione. Mi hanno costretta a fare molte cose che trovavo e trovo tutt’ora inutili, in vita.» ammise ridacchiando.

«Penso che purtroppo tocchi un po’ a tutti.»

Farfalà era rimasta con il capo parzialmente chino e l’aria da asociale cronica per qualche secondo, fino a che Peach non l’aveva afferrata delicatamente per un braccio proponendole di andare a mangiare un gelato.

«Un gelato, con questo freddo?»

«Sì, sono gli ultimi della stagione, sennò poi finiscono! E poi sei nuova, posso mostrarti i posti migliori dove mangiare!»

In poco, la ragazza era riuscita a trascinarsela dietro. Erano andate in questo chiosco, ed avevano veramente mangiato gelato nonostante l’aria fredda. Peach aveva iniziato a parlarle come se fosse una sua grande amica, e se la cosa all’inizio l’aveva messo a disagio, dopo la ragazza aveva dovuto ammettere a sé stessa che parlare un po’ le aveva fatto piacere. Forse stringere qualche amicizia non le avrebbe fatto male.

Ed ecco che si era avvicinato, per la terza volta, il fastidioso figuro. Il Mollalosso eccentrico aveva fatto la sua comparsa alle sue spalle, per poi chiamarla con un nomignolo sdolcinato che non riusciva a rammentare.

«Le nostve stvade si veinconvtano!»

«O forse mi stai seguendo!» aveva sibilato lei voltandosi di scatto e puntandogli addosso uno sguardo tagliente.

«Nando! - l’aveva apostrofato Peach, senza perdere contegno - non importunare la mia amica!»

Il tipo, quel Nando, si era improvvisamente sentito a disagio.

«Oh, Peach! Erm, è straor… svaovdinavio vedevti! Sai che pev me sei come una stella che bvil-»

Ma Peach si era avvicinata con fare minaccioso, serrando i pugni e penetrandolo con uno sguardo più freddo del gelato che aveva appena mangiato. Nando era stato scosso da un brivido, aveva borbottato un “au reoir signove!” e si era allontanato a passi svelti.

«Vedo che hai già conosciuto quel gran bischero che è Nando.»

«Evidentemente...»

Peach aveva notato il suo disagio, e le aveva sorriso per rassicurarla.

«Stai tranquilla, è innocuo, solo molto cocciuto e fastidioso. Dopo un po’ però ti lascia in pace.» si scostò un ciuffo di capelli dagli occhi, pensierosa.

«Non come qualcun altro...» aveva poi aggiunto a bassa voce.

«Oh… speriamo… comunque, grazie per avermi difesa.»

«Figurati cara!» il volto della giovane bionda era tornato a risplendere.

«A meno che tu non sia Goombella, non dovrebbe più darti noia. Mi dispiace per quella povera ragazza, neanche la mia autorità riesce a scollarglielo di dosso.»

Farfalà, che non conosceva nessuna Goombella, si era limitata a rimanere in silenzio.

«Sei una persona importante, da queste parti.» scherzò quindi dopo un po’ Farfalà.

«Ahah, diciamo che sono… popolare! Però non voglio sembrarti come quelle antipatiche stereotipate delle serie tv scadenti!» aveva subito messo in chiaro.

«No, no, tranquilla, sono la prima ad odiare i pregiudizi.»

Farfalà si era sentita per la prima volta felice di avere accanto una persona che condividesse le sue idee. Ed anche se Peach continuava a sembrarle una tipa molto eccentrica, si era sentita bene con lei, in quel momento.


Ripensandoci, in effetti, quella giornata non aveva fatto così schifo.

“Visto?”

Si era detta.

“Potresti anche sopravvivere, sai?”

Sì, ce l’avrebbe fatta. Si addormentò poco dopo.






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Commento d'autore
Vi siete ormai imbattuti in uno dei miei personaggi preferiti, Farfalà, di Super Paper Mario. Come avrete intuito, questa ragazza entrerà a far parte dei molteplici protagonisti che già guidano questa storia.
Nonostante, chi mi conosce lo saprà, Farfalà sia solitamente uno dei personaggi chiave delle mie storie (I personaggi di SPM in generale, un altro l'avrete sicuramente riconosciuto in questo stesso capitolo), visto che questa AU si incentra soprattutto su personaggi più classici, cercherò di non puntare tutti i riflettori su di lei.
Almeno per un po' XD

Non smetterò di ripeterlo, ma vi sarei molto grata se mi lasciaste una breve recensione ogni volta che ne avete il tempo, per darmi opinioni su come potrei migliorare o anche solo per farmi sapere se il capitolo vi è piaciuto! E ricordate, potete proporre vari personaggi da utilizzare come spalle o comparse, per rendere questo mondo ancora più variopinto di quanto già proverò a renderlo ;)
Grazie per la lettura e arrivederci!



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Capitolo 5
*** 5 - [Luigi] ***


Capitoli di efp

[LUIGI, 1^ persona]

Domenica, mattina, sempre Ottobre



Non ce la faccio più, mi sento tutto il corpo appiccicoso, e puzzo di fumo da fare schifo. Però mi limito ad asciugarmi la fronte, e a spingere il carrello.

«Hot dogs! - urlo - hot dogs caldi!»

Ma tutti sono occupati a guardare la partita. Ah, che giornata terribile! Fa un caldo tremendo per essere ottobre, mannaggia, e poi la partita è talmente tesa che a nessuno frega di mangiare. Do un’occhiata in giro, magari incrocio una faccia che mi sembra vogliosa di hot dog caldi… no, tutti presi ad urlare allo stadio. Bowser ha appena segnato un punto, bah, che rabbia! Mi volto un attimo a guardare come sta andando… Mario sembra fiacco, oggi. Mi dispiace, povero fratellone… si è beccato quella brutta influenza, tutta colpa sua! Ed ora lo vedo arrancare sul campo… non voglio che faccia una figuraccia, sarebbe un duro colpo per la sua reputazione…

Oh, cos’è questo puzzo di NO IL WURSTEL! Lo tiro via con la palettina dalla griglia elettrica, ma ormai è invendibile, tutto nero… ed è il quarto oggi, ah, mi sento così imbranato! Mamma mia, me ne capitano di tutti i colori in questi giorni… mentre butto il pezzo di carne immangiabile nel sacchetto della spazzatura che tengo attaccato al carrello, sento le grida entusiaste del pubblico. Non posso distogliere lo sguardo, o mi giocherò anche l’altro wurstel… bene, avviciniamoci a questo ragazzo

«Hot dog caldi! - grido nella sua direzione sperando mi noti - hot dog caaaaaldi!»

«Ma zitto!» mi grida qualcuno.

Sento passarmi per la schiena un brivido, meglio non farli arrabbiare… mi spigno ancora più avanti, tra le tribune, cercando di non schiacciare i piedi a nessuno…

Ah, è un peccato che Daisy non ci sia. Avrei potuto fermarmi un momento e mettermi a chiacchierare con lei, e poi compra sempre un panino… mi chiedo cosa non vada più bene in questi hot dog, l’anno passato fecero un successo enorme…

«Amico, ti sposti!? Non vedo!» una mano grassa e robusta mi afferra il braccio, e subito mi da una spinta all’indietro, hey cafone! Poi lo guardo in faccia, quel manigoldo.

«Hey Wario, scusami eh,  ma c’è modo e modo!»

Lui sbuffa e mi fa segno di “levarmi dalle palle”,, sì, complimenti per la finezza, cafone! Okay, a ripensarci anche Daisy è molto volgare… ma lei se lo può permettere.

E’ l’unica che può.


Che tristezza. Apro la porta della mia stanza, la trovo in disordine come al solito, ah, dovrò riordinare anche per Mario. Iniziamo, va’, il letto a castello non si rifà da solo… ma che schifo, la maglietta sporca sotto le lenzuola! Mario, okay che sei un grande sportivo ma… mah, se ci vedesse la mamma ci magerebbe tutti e due. Però io riordino dopo un po’. Mhh vediamo… c’è un dito di polvere sulla scrivania, no, non va bene. Vediamo, dove ho messo lo spolverino? Okay, nel cassetto, mettiamoci all’opera… Mhh che ore sono? Do un’occhiata di sfuggita all’orologio, le tre… ho ancora il mio panino sullo stomaco. Effettivamente inizio a capire perché non me li comprano… Che, poi, mi sale la rabbia pensando che anche oggi non ho fatto più di tre monete. Solo perché quell’arrogante mi ha voluto pagare solo una moneta l’hot dog con troppa maionese. Ma come puoi dire che la maionese è troppa? E’ la cosa più buona che c’è, bah…

Comunque potrei provare a cambiare pane, quello rimane un po’ molliccio dentro e...oh cavolo, ma la gelateria chiudeva ieri! Oh no, no no! Mi metto a girare per la stanza, ah, che funghi secchi… e io che volevo portare il gelato al pistacchio a Daisy, dopo… devo inventarmi qualcosa… intanto pulisco.

Sento la tasca vibrare, mh? Controllo, oh, è Mario.


[BigBro] Abbiamo vinto!


Evvai! Almeno questa…! Che poi, non so perché abbiano dovuto frammentare l’incontro in due parti… se fosse finito questa mattina sarebbe stato molto più semplice.


[Luigi] Grande!!

[Luigi] Allora tra poco vieni a casa?


“Casa”, vabbé ha capito.


[BigBro] Sì, ma dopo esco con Peach


Oh. Ohhh. Cariiiina come cose, eheh, fratellone birichino.

Quindi rimarrò solo io. Potrei andare a farmi un giro per i negozi in città… magari trovo qualcosa di carino per lei…

… … ...

Bene, sono le quattro, Mario è già uscito, dovrebbero aprire i negozi. Mi avvio; fuori fa freddino, ma se cammino svelto dovrebbe passarmi. Mhhh, ci vuole un po’ a piedi da qui alla fermata del bus, ma ne approfitto per godermi l’aria fresca. Con questo venticello, sarebbe ottimo farsi un giro con la Tuta Scoiattolo. Ricordo che lo feci in un campo estivo con Mario, qualche anno fa, era molto divertente… già, poi mi sono beccato quella botta sul naso tremenda quando ho sbattuto contro l’albero… comunque, eccomi. Controllo gli orari, be’ il prossimo arriva tra un quarto d’ora, mi metto a sfogliare Facekoop sedendomi sulla panchina. Adoro quest’ora del giorno nel campus, non c’è nessuno, è una pace… toh, ecco che invece arriva un qualcuno, oh no, è il mio professore!

«Hey… Luigi giusto?»

Oh no, quell'energumeno mi si sta sedendo accanto…

«S-salve, professor Welderberg*»

Okay Luigi, ora sta’ calmo, non è come al liceo, dove dovevi temere i professori.

«Come va, figliolo?»

Quella patacca ambulante si è messa a leggere gli orari.

«Bene. Sto andando in città, voglio farmi un giro dei negozi.»

«Oh, bene, anche io vado in centro. - fa una breve pausa dove si ferma a guarde il vuoto… - Però la domenica molti negozi sono chiusi.»

«Nel corso c’è sempre qualche negozio che resta aperto… o al massimo posso andare al centro commerciale, non è un problema.»

«Ben detto, ragazzo. Mi piace come ragioni, pensando subito ad una soluzione! Somigli a tuo fratello.»

Ugh. Questo fa un po’ male. Perché tutti devono paragonarmi sempre e comunque a Mario? Cioè, io adoro mio fratello, davvero, non potrei vivere senza di lui, ma non è molto carino essere sempre considerati il secondo treno… oh, l’autobus, per fortuna. Salgo, prendendo il posto accanto ad una signora ben vestita con la paura che il professore possa sedersi vicino a me per chiacchierare… mi sento un po’ a disagio con questa Toad tutta agghindata a fianco, ma in fondo la corsa non dura molto…

Mentre vengo sballozzolato in giro dall’autista incapace, controllo se qualcuno mi ha mandato dei messaggi… no, niente di serio. Su Facekoop trovo solo meme orribili, ah che noia… mi sembra di non arrivare mai.

«Ohh, ma io ti conosco!» esclama d’un tratto la signora accanto a me.

Spero non stia parlando con me…

«Sì, sei il fratello di quel morettino affascinante… Mario, giusto? Ah, conosco vostra madre da un sacco di tempo!»

Oh no.

«E tu sei… Gigi, giusto?»

«Erm, Luigi.» correggo imbarazzato.

«Vedo sempre tuo fratello in giro, ohoh, chi se lo aspettava questa! Salutami tua madre, Luigi!»

Detto questo si alza e prenota la fermata. Farfuglio un “ok”, anche se mi scordo subto cosa mi ha detto.

Possibile che ci sia sempre Mario in mezzo…?

Ah, tra due fermate scendo in cento. Mi domando cosa potrei…




*Quell’enegrumero di Pepito, Super Paper Mario, il costruttore di tubi che probabilmente nessuno di voi ricorda. Un personaggio tanto brutto quanto utile in-game, e che qui ha preso la cattedra di, be’, indirizzo idraulico.




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Commento d'autore

Ho notato come la storia abbia un buon numero di visualizzazioni, quindi a qualcuno oltre a me interessa (e a Moonalym, che ringrazio per le sue recensioni!), ma siete tutti così timidi! Non mordo mica io ;) quindi ribadisco che vi sarei molto grata se mi lasciaste una breve recensione ogni volta che ne avete il tempo, per darmi opinioni su come potrei migliorare o anche solo per farmi sapere se il capitolo vi è piaciuto! E ricordate, potete proporre vari personaggi da utilizzare come spalle o comparse, per rendere questo mondo ancora più variopinto di quanto già proverò a renderlo ;)
Grazie per la lettura e arrivederci!



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Capitolo 6
*** 6 - [Rosalinda] ***


Capitoli di efp

[ROSALINDA, 3^persona]

Un giorno a metà del mese, sera inoltrata.



La ragazza percorreva la strada buia senza fretta, ma con le orecchie tese. Procedeva a passi misurati, e occasionalmente si lanciava occhiate investigative attorno. Era impossibile capire se stesse cercando qualcosa o cercasse di sfuggirvi.

La fermata dell’autobus più vicina non distava ancora molto.

La borsa che teneva con sé fremette con nervosismo. Lei le dette una pacca gentile per rassicurarla.

«Va tutto bene, piccolo… non agitarti.»

La borsa smise di tremare. Rosalinda vi lasciò la mano poggiata sopra, per rassicurare la creatura nascosta al suo interno.

I lampioni che si accesero alle sue spalle rigettarono una luce smorta sul marciapiede deserto. La ragazza si guardò indietro, per qualche secondo, e poi continuò la sua camminata. Ogni tanto adocchiava qualche ubriaco aggirarsi per le strade lontane, ma nessuna minaccia dava l’idea di stare per palesarsi.

Quel quartiere si era guadagnato la fama del quartiere per ubriaconi più tranquillo della città. E questo per il semplice motivo che confinava col Quartiere Oscuro, dove pochi osavano mettere piede senza un valido motivo, anche tra i più scapestrati dei ragazzi ribelli. Lei, quella sera, era però dovuta sgattaiolare proprio lì dentro.

Ancora si sentiva addosso le occhiate investigative delle varie creature che abitavano quella fetta di città… era una sensazione sgradevole. Bastava non essere un Sombriano, un Crepuscoliano, un Pipistrello, un’Ombra, o, insomma, una di quelle inquietanti creature adatte solo a strisciare nell’ombra, a detta di alcuni, per attirarsi, come calamite, tutti gli sguardi del vicinato. Ed era già tanto che riuscivi ad uscirne vivo, se avevi avuto la malsana idea di provare ad entrarci! Così dicevano.

Ma a Rosalinda non era mai importato molto quello che diceva la gente. Anche perché era brava a cavarsela anche dalle peggiori della situazioni. Avere dei poteri magici, in fondo, non era una dote che andava sprecata.

Dopo aver raggiunto il limite del quartiere, trovò la fermata dell’autobus… ma l’ultimo era passato un’ora prima.

Dannazione” pensò, ma non si scompose. Tirò fuori il cellulare, accendendo Goomble Maps, e cercò con gli occhi la via più vicina il centro città. Distava quasi quaranta minuti a piedi, ma Rosalinda confidava sul fatto di incrociar qualche Taxi per le vie.

Proprio mentre stava per attraversare la strada, vide dal fondo del tracciato buio brillare un paio di fanali. Una luce debole e smorta, come quella dei lampioni, che però serviva quanto bastava ad affermare la presenza di un auto. Rosalinda attese immobile che passasse, ma questa rallentò quando si fu avvicinata alla ragazza.

«Signorina - disse con voce bassa il conducente, abbassando il finestrino - si è persa? Questo posto può essere pericoloso per una giovane Umana come lei.»

L’inimitabile tono cupo e sinistro delle creature dell’Ombra, gli occhi brillanti e l’atteggiamento che tradiva una certa eleganza non lasciavano dubbi. Anche nella penombra della notte Rosalinda avrebbe potuto riconoscere una creatura delle Tenebre.

«Vuole che la scorti da qualche parte, più tranquillla?»

La ragazza scorse il capo, nervosa, stringendosi la borsa ai fianchi.

«Non deve temere - si affrrettò a precisare il Crepuscolano baffuto - sono un taxista. La porterò fuori di qui in men che non si dica, senza rischi.»

Rosalinda solo adesso scorse la scritta logora che riportava “taxi”, su un cartellino sopra al tettuccio della macchina. Sospirò. Era nervosa, e indecisa. Sostanzialmente, le creature dell’Oscurità non avevano la fama di assalire le giovani viandanti - o i giovani - come magari gli Umani erano più propensi a fare… ma non si poteva mai sapere. Però era notte, era freddo, e lei aveva una gran voglia di tornare a casa. Decise di salire in macchina, nonostante i sospetti. Il Crepuscolano parve apprezzare la sua scelta, e rischiuse il finestrino.

«Dove la porto, giovane signora?»

«...può portarmi alla Heaven University? Sennò, va bene anche la Piazza Fungo.»

Il tassista accese i motori.

«Non si preoccupi.»

Disse.



Peach ricevette una notifica. Stava facendo la vasca, e d’istinto chiese se Daisy potesse portarglielo.

«Sì guarda, ora volo!»

«Già, scusami… allora ti do il permesso di accenderlo e vedere se è qualcosa di importante.»

«Okay, l’hai detto tu eh!»

Peach chiuse gli occhi e sprofondò un altro po’ dentro alla vasca piena di schiuma. Passarono pochi secondi prima che Daisy le riferisse il testo del messaggio.

Niente battutine prima, niente ridacchi per la chat con Mario, non era da lei.

«E’ Rosalinda - disse con voce grave - dice “E’ successo un casino.”»

Peach trasalì, ricordandosi cosa l’amica le aveva detto che avrebbe fatto.



«Santa Infernia!»

Il conducente non riusciva a muoversi dallo spavento. Rosalinda era scesa, ed osservava la scena con orrore. All’interno della borsa, qualcosa di muoveva agitato.

Sull’asfalto scuro, immobile, la figura di un pinguotto.

Mentre la ragazza aveva impostato il gps e si preprava, all’evenienza, a tenersi sotto mano un numero d’emergenza, la macchina aveva urtato qualcosa di grosso.

«Si è buttato, non è colpa mia!» il conducente aveva una voce tremante, e fissava la figura priva di vita con crescente orrore.

Rosalinda sentiva le gambe paralizzate, ma si sforzò di avvicinarsi, a piccoli passi. Si piegò sul pinguino, notando dei raccapriccianti segni di lotta sulle ali e sulla schiena. Non c’era sangue in terra, e la botta non sembrava essere stata così violenta, eppure il pinguino sembrava a tutti gli effetti morto stecchito.

«Dovrei chiamare la polizia? Dovrei andarmene? Ragazzina - si rivolse a lei con meno tatto, in preda al panico - hai visto anche tu che è stato lui a gettarsi sotto la macchina, vero?»

Rosalinda rimase in silenzio. Nella sua tasca sentì il cellulare vibrare, era sicuramente l’amica che si era spaventata.

Avrei dovuto stare zitta.”

«Forse dovremo andarcene… farebbero di tutto per togliermi la patente, ma io sono sicuro di avere una vista eccellente.»

«...no, restiamo un altro minuto.» sussurrò la giovane vestita d’azzurro.

«...ma...»

«... non è morto.»

Toccandolo appena con la bacchetta che si portava sempre dietro, lo vide muoversi leggerente.

«Signore, riesce a sentirmi?» la voce di Rosalinda non tremava né dava segni di scoraggiamento. Questo colpì il taxista alla sua sinistra, che riprese coraggio.

«Ne è sicura?» si sforzò di parlare con tono più tranquillo.

«Mhmh. Respira, e si muove, anche se poco. Chiamiamo un’ambulanza.»

«No.» si impose il Crepuscolano baffuto, assumendo un’espressione più seria e oscura.

«No, farebbero domande, ci finirei in mezzo...»

Rosalinda fu disgustata da tutto quell’egoismo, ma cercò di non arrabbiarsi. Facendosi forza, strinse la bacchetta in entrambe le mani.

«Allora portiamolo all’Ospedale.»

«... mh...»

Il Pinguotto aveva mugolato qualcosa.

«Signore?»

«...ahio.»

«Si sente bene? Può alzarsi?»

«...dove sono…?»

Il tale aprì gli occhi, confuso, e ritrovandosi sulla strada cercò immediatamente di alzarsi.

«Ah, che dolore!» mugugnò nell’intento.

Rosalinda gli porse un braccio, e questo ci si aggrappò avidamente con le alucce blu.

«Dove sono quei malfattori? Che ci faccio qui?»

«Signore, intanto stia tranquillo. Riesce a reggersi in piedi? La scortiamo in ospedale.»

«Sto bene - mentì quello - ma apprezzo il vostro aiuto. Dovrò tornare sulle tracce di quei delinquenti però!»

Il conducente non aveva detto niente. Si era limitato a far sedere dietro anche il secondo passeggero, con visibile nervosismo.

«Mi avete investito voi?» chiese poi il Pinguotto con una nota più curiosa che accusatoria.

«Lei si è gettato sotto la mia auto.» sibilò il conducente.

«Strano. Non ricordo nulla. Mhhh, scusami ragazza, hai mica un cellulare?»

Rosalinda l’aveva appena preso per inviare un messaggio esplicativo a Peach, ma fu costretta a porglielo.

«Ci troviamo in Via Fannullopoli? Questo è molto strano!»

«Cosa le è successo?» domandò la ragazza, preoccupata, riprendendosi il cellulare.

«...mi presento. Sono Holmut Pennington*, custode del museo culturale del centro storico.»

Mostrò poi la borsetta sporca di terra e il cappellino, ed estrasse dalla prima una lente d’ingrandimento dal vetro incrinato.

«Ed investigatore occasionale! Stavo seguendo una banda di manigoldi, quando mi hanno preso e poi mi sono risvegliato qui.»

Non sembrava minimamente turbato dalla cosa. Forse vi era abituato, pensò con terrore Rosalinda. Certo, un tipo strano. E dall’atteggiamento dava proprio l’impressione di uno che si fa sgamare spesso, pensò.

«Ora noi la portiamo all’ospedale - chiarì il Crepuscolano - ma si ricordi che io non c’entro niente! Evidentemente, l’hanno buttata sotto le  ruote quei… farabutti!»

«Non si preoccupi.»

La scena sembrava surreale. Rosalinda era andata, quella sera, nel Quartiere Oscuro per salvare un cucciolo… ed ora si ritrovava immischiata in una scena da libro giallo, ma più fantasiosa.

Cercò di tornare alla normalità. Controllò le notifiche.



[Peach]: Che succede?!

[Peach]: Hey, tutto bene? Che succede?

A distanza di qualche minuto, anche un “devo chiamare la polizia? Ti hanno fatto qualcosa?” e una chiamata persa che non aveva notato durante gli attimi di terrore, avendo messo il telefono in silenzioso.



[Rosalinda]: Tutto bene. E’ una storia lunga, poi ti spiego, tra un po’ torno al campus. Non preoccuparti per me.



E spense il cellulare. La borsa ebbe un brivido, e subito il signor Holmut si voltò verso questa, incuriosito.

«Cos’è sato?»

«Niente» si affrettò a dire lei. La borsa trillò di nuovo.

«Non è davvero niente, è il mio cellulare che fa suoni strani a volte.»

Sperò che il tipo non avesse notato che il telefono se l’era messo in tasca e non in borsa.



*Holmut Pennington è l’unione del nome inglese e di quello italiano dell’investigatore di Paper Mario: Il Portale Millenario. Ho deciso di chiamarlo così per dargli una parvenza di nome completo.

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Commento d'autore

Dopo le vicende più o meno legate tra loro dei vari protagonisti, Rosalinda arriva con un capitolo ed una storia che la porterà lontano dalle sue conoscenze, a scoprire oscuri segreti del campus e di chi lo compone...
Spero che la storia vi stia piacendo, lasciate una recensione se volete darmi un parere o chiedere di far comparire specifici personaggi di sfondo che ancora non ho programmato di mostrare. Arrivederci ;)


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Capitolo 7
*** 7 - [Daisy] ***


Capitoli di efp

[Daisy, 3^ persona]

Un mercoledì, pomeriggio, ormai fine ottobre.



Scorreva lo sguardo sulle righe del tomo, senza riuscire a coglierne neanche una. Dopo essere arrivata a fine pagina, si rendeva conto di non aver capito un’acca e riprendeva dall’inizio, con lo stesso risultato.

Leggeva, senza capire. Col busto abbandonato sulla scrivania, il libro aperto ad un palmo dal naso, lottava con la crescente tentazione di chiudere tutto e abbandonarsi sul letto.

Non posso permettermelo” si diceva.

La prima sessione d’esame si sarebbe tenuta a fine novembre, poi ce ne sarebbero state di nuove a gennaio, aprile e poi a giugno - una divisione piuttosto inusuale per un’Università, ma era risultata efficiente, soprattutto con l’enorme varietà di indirizzi che la scuola vantava.

Quindi, aveva poco meno di un mese prima della prima sessione, e questo anno aveva deciso che si sarebbe impegnata… anche perché doveva ancora dare due esami del primo anno. Il buon proposito di Daisy aveva iniziato a sciogliersi come neve al sole dopo che aveva provato ad aprire i primi libri, ed ora quella poca miseria di impegno che aveva provato a mettere nello studio in quegli ultimi giorni le stava inesorabilmente scivolando via di dosso.

Mosse il piede martoriato sotto il tavolo, sentendo dolore, e si ricordò nuovamente della situazione da martire che stava attraversando.

Dannata caviglia.”

Aveva sperato che, almeno, l’impossibilità di muoversi le sarebbe servita come molla a studiare - “pur di non annoiarmi…” - ed invece non sembrava funzionare.

Il sole rosso stava scomparendo dietro gli alberi. Peach non era ancora rientrata. La ragazza si stufò e chiuse finalmente quel mattone di pagine e inchiostro, per poi appoggiarci sconsolata la testa come un cuscino.

Le faceva male la gamba. Sentiva quel vago senso di colpa nell’essere consapevole di non stare studiando, ma la mente stava galoppando troppo lontano da Agraria per poterla richiamare ai doveri di un buono studente.

Per un attimo la faccia di Luigi le balenò davanti agli occhi.

Perché Luigi?

Alzò lo sguardo, trovandosi ad osservare il cofanetto che proprio Luigi le aveva regalato qualche giorno prima. E si ritrovò a sorridere.

Luigi era stato molto carino. Nonostante si fosse ritrovata scontrosa e arrogante per via dell'handicap, il ragazzo le era andata a comprare un regalo per tirarla su di morale. E lei si era stupita nello scoprire che il timido giovanotto aveva azzeccato a pieno i suoi gusti in fatto di film. Si era presentato con una innocente bustina di carta, di quelle che troppo spesso racchiudono quei regali scadenti che possono essere profumi, braccialetti o altre stupide cose al di fuori della sua idea di sorpresina. Ed invece quando l’aveva aperto aveva tirato fuori un cofanetto di ben cinque film del suo regista preferito. Horror, ovviamente.

Il Ragno Meccanico”, “Venerdì 17”, “Lo Spettro del Treno”, “Sunshining” e “La Lady dei Fantasmi”; tutti ottimi film, di cui lei segretamente andava pazza.

Anche se lo stile retrò del regalo l’aveva lasciata un attimo perplessa, si era ricreduta appena aveva scoperto che i dischi funzionavano tranquillamente anche sul suo portatile.

Non aveva, però, ancora avuto l’occasione di guardarseli in santa pace.

Mentre calcolava il tempo che avrebbe speso nel divorarsene uno quello stesso pomeriggio freddo, il sordo trillo di un telefono in vibrazione attirò la sua attenzione. Aprì l’app, trovandosi davanti ad un buffo scherzo del destino.

Penso a Luigi, ai film di Luigi ed ora addirittura mi scrive! Ma mi legge nella mente o cosa?”.



[Luigi] Hey! Scusa se ti disturbo, non vorrei interromperti dallo studio. Vorrei chiederti una cosina



Una cosina” ridacchiò tra sé e sé Daisy. Si sedette, con non poco sforzo, sul letto, e iniziò a pensare a come rispondergli.

Una risposta a tono per imbarazzarlo? Come rispondeva sempre a tutti, in pratica.

Nah, poverino, è tanto dolce lui.”



[Daisy] Don’t worry, stavo facendo una pausa.



Non è vero, non avevo neanche iniziato… ma dettagli.”



[Daisy] Cosa volevi chiedermi?



Luigi visualizzava in diretta, e dopo pochi attimi iniziò a scrivere la risposta. Mentre Daisy aspettava il messaggio, si sdraiò sul morbido materasso distendendo la gamba azzoppata in parallelo alla parete.



[Luigi] Mario mi ha detto che sabato Peach e lui staranno tutta la sera in giro per il campus, per Halloween.



Ok, fino a qui ci sono” la curiosità di Daisy si intensificava mentre Luigi scriveva il messaggio seguente.



[Luigi] So che a te piace Halloween ma con il tuo piede…

[Luigi] ...insomma, non voglio infierire. Ma se ti va, io sono libero, insomma, non ho impegni per sabato.



Daisy lesse due volte i messaggi, sentendo una strana sensazione di imbarazzo nascerle da qualche parte, in fondo all’animo, ma prima che potesse pensare a come rispondere, Luigi aggiunse un messaggio.



[Luigi] Non vorrei che questi messaggi ti mettessero a disagio ^^’ però volendo posso anche accompagnarti in giro se non vuoi startene a casa, almeno stiamo un po’ fuori, non so…



Be’, ci stai riuscendo, a mettermi a disagio.”

Nonostante tutto, non si sentiva troppo turbata dalla situazione.



[Daisy] Boh, sembra un’idea carina. Sei gentile a farmi compagnia, per me va bene.



Ma interrompere così la conversazione sembrava così… inappropriato. Improvvisamente la ragazza sentì l’impulso di voler parlare molto di più con l’altro.



[Daisy] E tu dimmi, ti vesti per Allouiiin?



[Luigi] Erm…



[Daisy] Daaaaaai se non ti vesti per Halloween sei o vecchio o triste, o entrambi!

[Daisy] Vuoi sentirti un vecchio triste? Hai tutta la vita davanti! Sei così giovane!



Daisy sperò vivamente che Luigi cogliesse l’ironia delle sue frasi. Qualche spiacevole aneddoto delle superiori le ricordava spesso come il giovanotto potesse mostrarsi eccessivamente sensibile, alle volte…



[Luigi] Non so… non penso che ci siano costumi adatti a me, sono uno troppo cool per questo genere di cose

[Luigi] E poi lo farei per solidarietà! Non credo che potrai vestirti quest’anno.



[Daisy] Tu mi stai sfidando, e la Grande Daisy sa sempre come vincere le sfide!



Ridacchiò tra sé e sé.



[Daisy] Ad esempio, so già che mi maschererò e da cosa! Hai mai sentito parlare del famigerato Pirata Gambadigesso?



[Luigi] Questa è geniale.



[Daisy] Devi mascherarti anche tu, anche da barbone, basta che sia un costume! Ti sfido io ora a trovare il coraggio di farlo



Attimo di pausa, complice della riflessione di Luigi.



[Luigi] Se riesci a farti il costume entro venerdì sera ti prometto che mi vestirò anche io. Il Grande Luigi accetta la sfida.



Bene, benissimo” sorrise Daisy da sola.

«Che ridacchi?» chiese divertita la voce di Peach.

«Oh, sei tornata - osservò la cugina senza staccare gli occhi dal telefono - nulla di che.»

Peach posò la borsa e annunciò alla coinquilina che andava a farsi una vasca calda. Daisy annuì senza sentire e continuò a chattare con Luigi.

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Commento d'autore

Salve a tutti e Buon Anno!
Non aggiungo altro, tanto per chi ha letto i vecchi capitoli sarà facile indovinare cosa avrei scritto qui XD


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Capitolo 8
*** 8 - [Peach] Halloween 1 ***


Capitoli di efp

 

[Peach, 3^ persona]

Halloween, sera.



La festa di Halloween nascondeva sempre qualcosa di misterioso. Non c’era stato un anno, nella Heaven University, che non fosse successo qualcosa di stravagante, inquietante o veramente spaventoso.

Peach ricordava divertita e un po’ stranita il primo anno, quando aveva partecipato alla festa in maschera. Tra i partecipanti, tre toad ed una tipa si erano creati dei costumi straordinari, perfette imitazioni degli Shroob, i temibili mostri spaziali di cui bambini e adolescenti “nerd” si cibavano continuamente, protagonisti malvagi di fumetti, serie e film.

Questi quattro figuri, capeggiati appunto da questa sconosciuta che si autoproclamava “Principessa degli Shroob”, avevano vinto spiazzando ogni avversario con la realisticità dei costumi, gli atteggiamenti realistici e gli effetti delle finte pistole laser. Dei maestri!

Lì per lì, Peach ci era solo rimasta un po’ male per non aver vinto uno dei tre premi per la sfilata di costumi, ma non aveva notato niente di particolarmente strano… fino a che, il mattino dopo, il gossip di una nuova stravaganza di Halloween aveva iniziato a serpeggiare nel campus saltando di bocca in bocca fino a giungere al suo orecchio: i quattro vincitori del contest erano come spariti nel nulla, nessuno li aveva visti il giorno seguente e né sapeva di chi si trattasse, ma qualcuno aveva giurato di aver visto una navicella prendere il volo, quella notte stessa…



Ogni anno, tutti gli studenti si aspettavano qualcosa di nuovo, bizzarro o terrificante, e quell’anno, come tutti gli altri, la sorpresa sarebbe arrivata quando meno se la sarebbero aspettata.

Nel frattempo, Peach sedeva su una panchina scura sotto un cedro.

Le foglie cadute ai piedi dell’albero formavano un tappeto variopinto, una fragile opera d’arte che andava via via disfacendosi ad ogni colpo di vento. Solo lei si era fermata a guardarlo, come incantata da quei colori accesi e caldi che presto avrebbero lasciato posto solo al grigiume e al nero opaco dell’inverno, e poi al bianco appena fosse nevicato. Attorno a lei, scie di maschere sfilavano per il ciottolato del campus, balzando da un banchetto allestito all’altro, con l’intendo di arraffare qualche dolcetto da gustarsi.

Peach dette un’occhiata di sfuggita al telefono, notando come nessuno le avesse messaggiato in quell’ultima ora - cosa assai rara. Nell’attivissimo gruppo che comprendeva la sua cerchia di amici più estesa l’ultimo messaggio risaliva addirittura a due ore e mezzo prima. E gli ultimi messaggi in questione parlavano di come i vari componenti si sarebbero vestiti.

La ragazza dette un buffetto alla coda sintetica attaccata al propio costume, un’adorabile ciuffo di pelo color confetto che dava un tocco più felino al suo costume da gatta rosa. Non si era sprecata nel pensare a qualcosa di più originale - o di più a tema con Halloween - anche perché non aveva intenzione di partecipare nuovamente alla sfilata.

Non se a presentarla c’è Pauline…” mugugnava tra sé e sé.

Pauline! Il faccino truccato della bella ragazza le sfrecciò davanti, quasi a volerle ricordare come lei fosse misera al suo confronto.

Pauline, la prima amica di Mario… come no, brutta oca.”

Per un attimo, venne colta da un brivido di rabbia; ma si ricompose in fretta e si impose di non abbassarsi a certi livelli.

Lei e Mario sono solo vecchi amici. Niente di più, niente di meno. E poi non ho nulla da invidiare a quella… oca.”

L’orologio del cellulare segnò le ventidue. In lontananza, qualcuno accese uno stereo e una musica dal carattere spooky iniziò a diffondersi tra gli alberi. Peach lo trovava un buon tocco di classe, mentre altri presenti si infilarono gli auricolari, quasi disprezzanti.

Chissà dov’è finito Mario…” si era data appuntamento con il ragazzo nella crocevia per i dormitori maschili e femminili, verso le dieci, ma i minuti continuavano a scorrere inesorabili senza traccia di Mario in giro.

Non passò molto prima che il telefono nella tasca nascosta cinguettasse l’arrivo di un messaggio.



[Mario]: Faccio un po’ tardi, scusa



L’estrema aridità del messaggio la sconsolò. Già sentiva gravare la noia di un’indefinita attesa quando con la coda dell’occhio scorse una figura familiare passarle accanto.

«Hey Farfalà!» salutò alzandosi. La ragazza dai capelli oro bianco si voltò e la salutò di rimando, con la solita timidezza.

«Che costume carino!» aggiunse poi.

Peach ringraziò, e le rigirò la domanda.

«Il tuo costume, invece?» domandò infatti, gettano un’occhiata sulla lunga veste candida della ragazza, e domandandosi che cosa dovesse rappresentare.

L’altra abbassò il capo, accarezzandosi la lunga gonna per togliere qualche grinza.

«Oh, questo è solo un vecchio vestito di mia madre. Non è un vero e proprio costume… - arrossì per un attimo - anche se so di somigliare ad una contadina, mi mancherebbe giusto il cestello con i fiori dentro...»

«No, ma cosa dici! E’ un amore di vestito!»

Riponendo il cellulare, la ragazza in rosa si offrì di accompagnare Farfalà per un po’, se questa non avesse avuto impegni.

«Vorrei farti conoscere qualche pilastro di questa scuola, per aiutarti a mettere radici, se ti va.»

«Oh, emm… perché no? Fammi strada.»

Le due ragazze imboccarono un vialetto e proseguirono in direzione della Hall.

Di fianco a loro sgusciavano abiti, maschere e costumi di ogni sorta, colore e qualità. Per un attimo la giovane credette di aver avvistato la figura di Bowser travestito da drago, e accelerò il passo.

«Quindi mi stavi dicendo che non ti sei mascherata.»

«Be’, no. Halloween non è una festa che mi appassiona più di tanto… infatti avevo programmato di rimanere a casa a studiare...»

«A studiare? Seriamente? Sacrilegio studiare ad Halloween!» una terza voce irruppe nella loro conversazione, seguita da un sonoro “Yaaaar!” urlato ai quattro venti.

Una zoppicante Daisy, agghindata con una giacca nera dalle rifiniture d’oro ed un lungo e lacero mantello rosso, il tutto coronato da un cappello tricorno e ad una benda sull’occhio sinistro.

«Capitan Gambadigesso al vostro servizio, donzelle!»

«Suvvia Daisy, un po’ di civiltà!» la riprese scherzosamente la cugina.

Dietro alla ragazza armata di stampella si affacciò un timido Luigi coperto di stracci, con tanto di bandana in testa e scopettone imbracciato.

«Se non si fosse capito… io sono il mozzo.»

Farfalà ridacchiò nel vederlo, ma poi commentò che entrambi i costumi le sembravano molto realistici.

«Certo, realistici dal punto di vista iconografico… con tutta probabilità i veri pirati non si vestivano così...»

Commentò poco dopo a bassa voce. Peach chiese a Luigi che fine avesse fatto Mario, e questo gli rispose che aveva avuto un po’ di problemi col costume.

«Sembra che non sia stato l’unico a raccattare qualcosa all’ultimo secondo» ridacchiò con una punta di malizia.

«Be’, allora… se li vediamo in giro per i sette mari gli faremo un fischio e te lo manderemo con le buone o con le cattive! - annunciò Daisy sguainando la fintissima sciabola di plastica - ed ora, mie pulzelle, debbo issare l’ancora e salpare alla ricerca di qualche donouts a tema spettrale. AARRRivederci!»

E con un brusco gesto della mano riprese a zoppicare seguita a ruota dal ragazzo in verde.

«Luigi è un amore di ragazzo - osservò Peach - ma suo fratello...» ma non concluse la frase, colta per un attimo da un leggero brivido al pensiero di Mario. Farfalà si limitò a sorriderle, prima di riprendere la passeggiata.

«Halloween è molto sentito in questo campus, come avrai notato… - iniziò dopo un po’ - è un po’ una tradizione fare una festa grande con tanto di banchetti ripieni di dolci gratuiti… oh, al prezzo di un “dolcetto o scherzetto?”, ovviamente. E le maschere… alcuni ci lavorano per mesi, maschere che probabilmente useranno solo un anno e che poi finiranno appese alle pareti… ma in fondo, la vita è un continuo “cogli l’attimo”, no?»

«Mhh, non saprei se concordare o meno… mi sembra un po’ uno spreco...»

Peach annuì appena, ma non rispose.

«Devi sapere una cosa riguardo a questa festa...» borbottò grave dopo qualche altro metro. L’altra la guardò con curiosità.

«Ogni anno… il 31 ottobre succede qualcosa di… inquietante.»

La bionda allargò un inquietante sorriso sul volto, come per spaventare la nuova amica. Questa sembrava più stranita che spaventata, però.

«Sembra assurdo, ma, puntualmente, ogni Halloween accade qualcosa, qualcosa che nessuno si aspetterebbe, nel momento meno opportuno...»

Farfalà sembrò interessata.

«Fammi degli esempi, allora.»

Peach ridacchiò fingendo un’aria malvagia - si sentiva così per l’aria tetra che stava calando sul campus, o forse per un qualche condizionamento di Daisy?

«Be’, ad esempio l’anno passat-»

Qualcuno la urtò, e per poco non cadette a terra.

«Hey ma…!»

Una mano le afferrò il braccio e con grazia cavalleresca l’aiutò a rialzarsi. Si ritrovò di faccia a faccia con un cavaliere in armatura scintillante, con il volto coperto da un elmo intero.

«Mia graziosa Peach… si è forse fatta del male?»

«No, non è niente… Fagiolino?»

Il Fagiolo alzò la visiera argentea mostrando lo sguardo fiero di un principe.

«Oggi sono Sir Fagiolino - il giovane dai capelli dorati si inchinò con teatralità - al vostro servizio, mie damigelle.»

Farfalà si fece timidamente avanti, squadrando con circospezione il tipo.

«Lui è Fagiolino, è un mio amico.»

«Io e la qui presente Peach condividiamo un destino simile - sorrise con orgoglio lui - entrambi un giorno dovremo governare e mantenere la pace in un vasto regno. E lei chi sarebbe, dolce angelo?»

Peach vide divertita le guance dell’amica tingersi di un rosso intenso.

«A-angelo? No, ti giuro, sono più un orso che un angelo...»

«Devo chiamarla… mia Lady Orsa?»

«Ahaha, non farci caso cara - intervenne Peach posando una zampa morbida sulla spalla di una sempre più imbarazzata Farfalà - ora sta solo recitando, di solito non è così… eccessivamente cavalleresco.»

«Sarà - il principe fece spallucce, richiudendo l’elmo - io ho adesso il compito di combattere un grosso e brutto drago sputafuoco che sta cercando di impossessarsi delle caramelle di innocenti fanciulli! Il dovere mi chiama!» e le superò.

Farfalà ridacchiò con un leggero nervosismo, ma Peach cercò di tranquillizzarla.

«Non far caso al suo atteggiamento, a volte è un po’... esuberante. Ma ha un cuore puro e coraggioso… anche troppo, a volte. - camminarono per un altro po’ - vedi, da Fagiolandia arriva una discreta somma per contribuire ad alcuni indirizzi della scuola… avrai notato quanti fagiolini studino qui, nonostante ci troviamo nel Regno dei Funghi. Fagiolino è una sorta di importante rappresentante per l’Università in questo momento… ed è per questo che è considerato uno dei “pezzi grossi” tra i ragazzi, qui. Ma non devi temere, non abusa del suo potere… lo sgarro più grande che potrebbe farti sarebbe cercare di pagarti un debito in monete fagiolo!»

Farfalà rispose ridacchiando.

«Che non valgono una cicca qui!»

«Esattamente!»

Ridendo, si erano finalmente ritrovate alle porte della Hall. Entrando, si ritrovarono davanti ad uno spettacolo molto fiabesco. Le luci principali erano spente, e la zona era illuminata da candele e zucche intagliate poste tutte attorno a dei lunghi tavoli allestiti per l’occasione dentro l’edificio. Diversi ragazzi stavano ancora cenando, serviti da Koopa travestiti da Tartosso… e forse da qualche Tartosso vero.

«Avete un tavolo prenotato?» chiese un giovane Paratroopa svolazzando loro di fronte. Anche lui si era dipinto addosso delle ossa fosforescenti e brillava al buio di una luce malata e inquietante.

«No, Parakarry*, stiamo solo andando in piazza.»

«Oh, se volete vedere la sfilata costumi, mhh - controllò l’orologio - dovrete sbrigarvi, eh sì! Inizia tra due minuti!»

Peach salutò l’amico con un sorriso e si avviò verso l’uscita posteriore della Hall. Quando si ritrovò fuori, seguita dalla giovane pallida, si stupì nel vedere come gli alberi e il giardino era stato agghindato per l’occasione. Ragnatele finte, pipistrelli, pupazzi fatti di zucche intagliate, una dozzina di diversi tipi di tombe poggiate sull’erba ad adornare il tutto… e soprattutto, un nutrito numero di banchetti e tavoli completamente pieni di deliziosi dolcetti decorati con teschi e topolini di zucchero…

«Sì, le cose le fate in grande qui!» osservò l’amica.

«Te l’avevo detto! Ora…» Peach adocchiò il palcoscenico allestito poco più a sud est dall’edificio principale - quella sorta di piccolo castello che torreggiava sulle altre strutture scolastiche, e che faceva da sede ai due rettori e alle materie di indirizzo più classiche.

«Ora andiamo a sederci un attimo qui, mi iniziano a fare male i piedi dentro questo costume da gatto!»

«Va bene.»

Si sedettero su una panchina, decorata con della cartai genica da qualche organizzatore rimasto a corto d’idee. Di fronte a loro, una marea di ragazzi della loro età ridevano e mangiavano dolci sfoggiando i propri costumi al vicino.

«Hai visto dentro la Hall?»

«Sì… hanno allestito un vero e proprio ristorante!»

«Eh già! E sai perché lo hanno allestito proprio nella Hall?»

Farfalà scosse il capo. Peach cercò di riprendere il suo sorriso malizioso.

«E’ uno dei misteri di cui ti parlavo. Io non ero presente, ma… si dice che fino a due anni fa, il ristorante di beneficenza di Halloween si svolgesse qui in piazza. Ecco, quell’anno… quando a tavola erano sedute più persone, dal cielo iniziarono a piovere dei fiammetti… minuscoli fiammetti dai volti raccapriccianti - Peach mimò la cascata di fuoco gesticolando con le dita, ma con le zampe di gatto l’effetto non risultò troppo realistico - e presto, le tovaglie iniziarono a prendere fuoco! Un Fiammorco, poi, balzò dalla torre più alta dell’Edificio Centrale - ed indicò la torre in alto del palazzo di fronte alla piazza - e iniziò a seminare il panico… divorandosi ogni pietanza!»

«Cielo! Qualcuno si è fatto male?»

Peach fece spallucce, ignara.

«Ma questo è solo uno dei tantissimi Halloween… mhhh, ad esempio, qualche anno fa, quando andavo ancora alle superiori, sentii parlare di qualcosa di davvero inquietante successo in questo campus! Infatti, sembrava che dal cimitero fuori città si fosse alzata un’orda di fantasmi e si fosse riversata tutta dentro l’Università, mettendo in fuga docenti e studenti…! Una vera e propria legione di Boo arrabbiati… che avevano poi finito per papparsi tutti i dolci.»

Farfalà si lasciò sfuggire uno sbuffo sorpreso.

«Ma dai… anche loro? Non credevo neanche che i fantasmi potessero… mangiare.»

«Sembra di sì, invece! Ed evidentemente sono anche dei ghiotti senza limiti!»

Peach ridacchiò, facendo muovere dolcemente le orecchie da gatta sulla testa.

«Cosa successe l’anno scorso?» domandò sempre più incuriosita l’altra.

«Be’, l’anno scorso non ci fu niente di eclatante. Sembra che degli alieni si fossero infiltrati all’annuale sfilata di costumi… vincendola. E so che potrà sembrarti strano, ma io li vidi, ed effettivamente sembravano proprio dei veri alieni...»

Ma prima che potesse proseguire nel suo racconto, Peach sentì vibrare una tasca nascosta. Prese un attimo il telefono scusandosi con Farfalà, per rispondere ad un messaggio di Mario.



[Mario]: Scusami per il ritardo. Sono in piazza.



Guarda te che ritardatario…” ma nonostante cercasse di arrabbiarsi con lui, non ci riusciva.

«Era Mario… è tutta la sera che lo aspetto, finalmente si è degnato!» esclamò con falso sdegno di fronte a Farfalà, che ridacchiò.

«...so che non è una domanda molto… be’, molto leggera forse, ma… c’è per caso qualcosa tra te e...»

Questa volta fu Peach che sentì la propria faccia bollire per diventare rossa come un peperone.

«No, no! Davvero, niente di ché! Cioè, ogni tanto usciamo insieme ma davvero niente, niente!»

Ma in cuor suo sapeva bene che quel che provava per Mario andava ben oltre quello che cercava di far credere. L’altra, però, non indagò oltre.

«Mi sembra un bravo ragazzo… - commentò, pensosa, come a cercare di ricordarsi le poche volte con cui ci aveva parlato - un po’ silenzioso...»

Peach ripose il telefono e si alzò, imbarazzata. Cercò di distrarsi pensando che finalmente avrebbe incontrato il ragazzo, quella sera.

«Allora, io mi avvio laggiù, tu vieni?»

«Certo, devi ancora illustrarmi i vari… “pilastri”, giusto?»

E con un timido sorriso in volto anche Farfalà si alzò.

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Commento d'autore

Questo è il primo di un capitolo su Halloween suddiviso in tre parti. Purtroppo non ho potuto postarlo per Halloween per ovvie ragioni XD
Ho notato che questa storia sta piacendo molto più di quanto mi aspettassi! Ne sono molto felice. Ricordate di lasciare una recensione se vi è piaciuto il capitolo!


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Capitolo 9
*** 9 - [Luigi, Daisy] Halloween 2 ***


Capitoli di efp

 

[Luigi, Daisy;  3^ persona]

Halloween, sera



Reggendosi alla stampella di legno raccattata per l’occasione, la cugina della futura regnante del Regno dei Funghi tastò ogni tasca della giacchetta piratesca al fine di trovare le chiavi per l’appartamento.

Luigi teneva per ogni mano un sacchettino colmo di dolci fino a scoppiare. Avevano gironzolato per un po’ per i banchetti, incontrando anche gente che non salutavano da un pezzo ed altra che avrebbero preferito evitare. Dopo quasi un’oretta di vagabondaggio si erano però guardati negli occhi, con reciproci sguardi che lasciavano intendere la disperata voglia di andarsene.

Passeggiare per Daisy era un incubo, e Luigi si vergognava del costume cencioso che aveva dovuto indossare solo per stare alla sfida. Di comune accordo avevano quindi deciso di avviarsi verso l’appartamentino da VIPs condiviso da Peach e Daisy, per guardarsi un film.

O più precisamente, Luigi era stato d’accordo sull’appartarsi dalla festa, ma sul film horror continuava ad avere qualche dubbio.

«Sarà divertente! Non fare quella faccia, su!» l’aveva stuzzicato lei quando aveva notato l’angoscia pervadere il volto del ragazzo.

Adesso Daisy stava provando da un minuto buono a far girare la chiave nella porta, senza successo.

«E dai! Che ti prende?» picchiò due colpi sulla porta, con rabbia. Luigi era rimasto in disparte, silenzioso nel dubbio di poterla innervosire ancora di più facendosi avanti - ben conscio era infatti dell’orgoglio della ragazza e di quanto poco tendesse a lasciarsi aiutare.

«Posso darti una mano?» chiese però, dopo qualche altro attimo di incertezza. Per un attimo si domandò come mai avesse detto una cosa del genere, e si aspettò una brusca risposta dell’altra… che non giunse.

«Ahh… - sospirò infatti lei - vieni un po’ qui, vedi se spingendo la porta mentre giro...»

Ma in quell’istante, l’uscio si dischiuse da solo davanti agli sguardi straniti dei due ragazzi. Prima che potessero ipotizzare l’intervento di qualche misteriosa forza sovrannaturale, alla porta si affacciò una Rosalinda in pigiama, con il loro stesso stupore dipinto in faccia.

«Daisy, Luigi… siete di ritorno dalla festa?»

Daisy avanzò un mezzo balzo facendo leva con la stampella, mentre Luigi indugiò all’uscio.

«Già - fece un cenno all’altro di entrare - e tu che giri in casa nostra?» domandò senza moderare l’evidente disapprovazione nella voce.

Rosalinda rimase impassibile, spiegando come Peach le avesse concesso di poter stare lì quella sera.

«Pensavo te l’avesse detto… c’è un piccolo problema nel mio dormitorio, ma entro mezzanotte toglierò le tende.»

Daisy e Luigi si guardarono, l’una cercando di comunicare il suo scontento e l’altro indifferente.

Forse possiamo evitare di vedere quel film…!” si consolò lui.

«Be’, allora che dici, lo guardi anche tu il film con noi?» propose invece l’altra sedendosi sul letto e afferrando una manciata di caramelle da una delle buste di Luigi.

«Film? Volete vedere uno di quelli?»

Rosalinda indicò il cofanetto di gioiellini Horror, come li aveva definiti la castana.

«Sapete, pensandoci bene… - con un tono tra lo spaventato e il malizioso, iniziò a raccogliere le proprie cose - forse posso tornare all’appartamento anche adesso. Probabilmente avranno finito di fare… quello che dovevano fare.»

Sgattaiolò in bagno per cambiarsi, e Daisy ne approfittò per prendere in mano i dvd.

«Allora, quale guardiamo? A me piacciono tutti.»

«Oh… li avevi già visti proprio tutti?» Luigi ci rimase un po’ male.

«No, non ho ancora visto Il ragno meccanico ma mi dicono che è bello, gli altri sì. Però sei tu l’ospite, scegli su!»

Luigi osservò le copertine, una più macabra dell’altra. Lo Spettro del Treno ad esempio sfoggiava un treno immerso nella nebbia e la shilouette di un Toad dagli occhi luminosi che si affacciava da un vagone, ma era forse quello meno inquietante. Sunshining pareva tutto fuor che luminoso, e questo lo spinse a domandarsi chi fosse il gran genio che aveva chiamato “Sole Scintillante” una storia che pareva svolgersi praticamente solo all’ombra.

«Se devo essere sincero, non me ne piace uno. Se proprio dobbiamo vederli, guardiamo il Ragno Meccanico che non hai visto...»

Rosalinda uscì dal bagno vestita per uscire, imbracciò la borsa e fece per uscire.

Daisy però l’artigliò prima che potesse scomparire dalla loro vista:

«Cos’è successo di preciso al tuo dormitorio?»

«Sembra che qualche idiota abbia fatto uno scherzo di Halloween facendo partire l’allarme antincendio e quando ci hanno sfrattati stavano controllando che fosse tutto apposto.»

Detto ciò, sgusciò fuori dall’appartamentino con una strana fretta.

«Okay, adesso possiamo iniziare!» annunciò lei, realmente eccitata.

«Mhh… potresti farmi la cortesia di passarmi il PC? Sono un po’ impossibilitata ad afferrare e portare a zonzo cose più pesanti di un libro in questi giorni, senza farle cadere.»

Luigi obbedì, approfittandone, alzandosi, per togliersi la bandana e gli stracci vari. Lo scopettone per fortuna l’aveva mollato alla casupola degli attrezzi prima di venirsene dalla festa. Lei, d’altro canto, si tolse la benda ritenendola solo un intralcio per il film (finendo anche con l’esclamare “Ora ci vedo!”), ma rimase mascherata.

Dopo aver spento le luci ed essersi sdraiati di pancia sul largo letto della ragazza, con davanti il computer portatile di lei, e dopo aver inserito quel famigerato film all’interno del lettore di cd, erano pronti.

«Bene, preparati perché sarò un film molto intenso» e nel dirlo dischiuse un inquietante sorriso. Luigi deglutì, ma non si oppose.

Si trovava in casa di Daisy, dopo aver passato tutta la sera con Daisy, sul letto di Daisy, a vedere un film CON Daisy. Tutto ciò gli dava, in qualche misterioso modo, la spinta per affrontare lo spaventoso film che sembrava non stesse aspettando altro di iniziare a muoversi sullo schermo del PC.

«Mh… Daisy?» sussurrò prima di iniziare.

«Che c’è?» chiese lei con un altro sussurro, come se si stessero scambiando informazioni top secret, mentre armeggiava con il touchpad del computer.

«...ti ricordi qualche settimana fa… quando ti sei tuffata nella piscina e tutto il resto?»

Daisy distolse lo sguardo dallo schermo, posandolo su di lui. E gli sorrise. Una mezza risata sarcastica, quelle “alla Daisy”, ma pur sempre un sorriso.

«Sì, certo. E’ stato fantastico» aggiunse.

«Lo rifarei anche domani.»

Luigi abbassò un attimo lo sguardo, improvvisamente imbarazzato nel trovarsi così vicino a Daisy, ad un palmo dal suo viso - dalla sua bocca - e con lo sguardo immerso nei suoi grandi e cristallini occhi azzurri.

«Ecco… non vorrei… toccare tasti dolenti, ecco, ma… mi dicesti che avevi delle angosce...»

Lo sguardo di lei si rabbuiò per un attimo, ma rispose con un’altra risatina, più nervosa stavolta.

«No, vabbé… -  si scostò un ciuffo di capelli che le era caduto di fronte agli occhi, e ne approfittò per distogliere un poco lo sguardo - niente di cui preoccuparsi.»

«...e ora? Come stai ora?»

Daisy fece spallucce.

«Il piede mi tiene impegnata. Però ribadisco, niente di ché… solo qualche astio tra me e...» ma finì la frase con un mezzo sospiro.

Luigi sentì un groppo alla gola strozzarlo per la vergogna. Aveva messo a disagio Daisy, possibile che non riuscisse a farne una giusta?

Un lugubre silenzio cadde nella penombra della stanza. In quell’istante, un lungo istante, Halloween sembrò penetrare le pareti e inglobare la stanza. Una notte oscura e priva di stelle che, soffocante, entrava dalla finestra aperta e gelava le anime dei due ragazzi…

«Allora… guardiamo questo film?» Luigi cercò di spezzare l’imbarazzo crescente che stava calando su di loro.

Daisy annuì, e dette il via al film.



Nel giro di un’oretta ne videro di cotte e di crude, ma mai si sarebbero potuti immaginare cosa stesse succedendo dall’altra parte del campus, dove si stava tenendo la sfilata di costumi…

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Commento d'autore

Mi scuso per il ritardo, ma queste settimane sono state intense, e purtroppo temo che lo saranno anche le prossime. Comunque sia, grazie per aver letto il capitolo e alla prossima!


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Capitolo 10
*** 10 - [Mario, Peach] Halloween 3 ***


Capitoli di efp

 

[Mario, Peach, 3^ persona]

Halloween, sera inoltrata



Una giovane donna sfilava in avanti e indietro per il palco allestito per l’occasione. Sotto l’accattivante vestito da strega, l’enigmatico sguardo di Pauline rapiva le attenzioni del pubblico e le gettava su di sè. Con la sua suadente voce, poi, era impossibile resisterle.

«...direi quindi di dare inizio alla sfilata in maschera di Halloween! Come ogni anno, il costume migliore vincerà questo premio - l’aspirante modella alzò al cielo un cestello pieno di scintillanti monete - ed un bacetto da parte mia, se vorrà» e con un occhiolino malizioso, lasciò la scena al primo partecipante.

Tra la folla, Mario osservava con ammirazione la sua vecchia amica destreggiarsi come presentatrice. Pensava fosse portata per una cosa del genere.

Mentre degnava della giusta attenzione il primo partecipante - il suo amico Wolly vestito da Zucca - una voce familiare lo chiamò.

«Mario! E’ tutta la sera che ti aspettavo!»

Peach, con un completino da micetta molto trandy e la ragazza che stava diventando sua amica sbucarono dietro di lui.

«Oh, Peach - Mario sentì le guance prendergli fuoco per la figuraccia che aveva fatto con la ragazza - erm, buonasera.»

Vide la fronte di Peach corrugarsi e avrebbe potuto aspettarsi che dalle zampe paffute del costume stessero per uscire degli affilati artigli. Ma l’altra si limitò a guardarlo in cagnesco per qualche secondo, nonostante la luce nei suoi occhi tradisse una certa felicità nel vederlo.

«Buonasera… buonasera! Hai ritardato di un’ora buona!»

«Perdonami, ho avuto un... piccolo contrattempo.»

«Piccolo - sottolineò Peach con ironia - e questo piccolissimo contrattempo era dovuto da quel… che costume è? Sei un dottore?»

Mario si dette una rapida occhiata addosso, scuotendosi un attimo il camice bianco che era riuscito a ricavare all’ultimo minuto.

«L’idea iniziale era molto diversa… ma sì» a conferma della sua affermazione tirò fuori dalla tasca larga un inquietante bisturi ed una siringa.

«Hai assassinato il Dottor Toadly per procurarteli?» chiese con un po’ di timidezza l’altra ragazza, indicando le macchie di sangue finto che Mario aveva creato all’ultimo secondo spruzzandosi del ketchup addosso.

Lui ridacchiò in risposta, alimentando forse ulteriormente l’irritazione di Peach, che però riuscì a calmarsi qualche secondo dopo.

«Bene, ora siamo qui e… che ne dite di andare… - la gatta rosa si guardò attorno - laggiù? Sembra che ci siano dei giochi a gruppi molto più divertenti di questa messa in scena!»

Indicò la parte opposta alla piazza, il più lontano possibile dal palco con Pauline.

«Oh, a me piacerebbe guardare qualche costume della sfilata prima.»

Rispose Mario con un mezzo sorriso, rivolgendo lo sguardo proprio a Pauline.

«Ma...»

«Anche a me piacerebbe guardare qualche bella maschera - si unì Farfalà - possiamo stare un po’ qui?»

«Sì… certamente...» Peach abbassò lo sguardo, quasi volendo ignorare l’esistenza dell’ammaliante donna in abito da strega che stava passeggiando sui tacchi a spillo a qualche metro da lei.

«...ed ora chiederei a tutti di accendere i vostri cellulari, ma non per chattare su JOSHO! Entrate su Facekoop e votate i cinque costumi da eliminare!»

Agitando le braccia come una strega in procinto di lanciare un incantesimo, Pauline sembrò stregare la gran folla che aveva ai suoi piedi ed indurla a tirar fuori dalle tasche i propri cellulari, per poi accanirsi contro i cinque costumi più brutti della sfilata fino a quel momento.

«Okay! - esclamò finalmente Peach - ora possiamo and-»

«Mario! Che piacere vederti, caro.»

Pauline le arrivò da dietro, sorpassandola con noncuranza e andando ad abbracciare il ragazzo vestito da dottore.

«E’ un po’ che non ci incrociavamo! Come va?»

«Be’, si studia e si cerca di sopravvivere!»

«Ovvio, questo lo facciamo tutti! - la giovane donna, di qualche anno in più di Mario, rise con una voce cristallina e musicale - ma a vita sociale come sei messo?»

Mentre i due conversavano animati da un reciproco e profondo affetto, Peach si voltò appena verso Farfalà, sibilandole tra i denti quel che pensava di Pauline.

«...ma quella megera non era sul palco fino a tre secondi fa?»

Farfalà ridacchiò sotto i baffi, per poi scostarsi un ciuffo di capelli bianchi dagli occhi e lasciarsi ad un mezzo sospiro.

«Qualcosa mi suggerisce che voi non andiate molto… d’accordo.»

Peach rispose con una faccia che parlava da sola.

«Quell’oca… si mette sempre in mezzo… appena mi vede sola con Mario...» ma non riuscì a proseguire, e il suo sguardo s’incupì. Farfalà parve notarlo, perché prendendole gentilmente un braccio la invitò ad appartarsi chiedendole se voleva per caso parlarne.

«Oh, è solo una cosa stupida - cercava di sminuire la Principessa - ma… non so, potremmo farci un giretto alle bancarelle mentre aspettiamo che la sfilata ricominci...»

Le due ragazze si avviarono verso la parte sudoccidentale della grande piazza verde, cuore del campus, dove erano state allestite da alcuni ragazzi delle bancarelle che vendevano gadget spaventosi, accessori per costumi e dolci più elaborati degni di veri pasticceri.

«Guarda come sono carini!» Peach puntò il dito contro dei muffins cicciotti ricoperti da glassa di varie forme e colore.

«Questi con la decorazione a cuoricino demoniaco sembrano molto… accattivanti.»

Farfalà stava per allungarvi la mano contro, ma una voce melliflua la fermò.

«Ti consiglio caldamente di non assaggiare questi muffin, a meno che tu non desideri trascorrere tre giorni di patimento a rigurgitare come fossi una camera magmatica di un vulcano in piena attività.»

Alzando lo sguardo, sia Peach che Farfalà si ritrovarono a incrociare gli occhi ridenti del ragazzo col volto a forma di maschera.

«Oh, Dimensio...» Peach si ritrasse un poco dalla bancarella, come se improvvisamente si fosse accorta di qualcosa di vearamente spiacevole.

«Tu!» esclamò invece Farfalà, insicura sull’essere più turbata o felice di rivedere quello strano tipo.

«In persona!» il ragazzo abbozzò un leggero inchino, mostrando con orgoglio il costume da angelo caduto che indossava, con tanto di ali nere e falcetto intagliato legato alla cintura.

«Come posso servirvi?»

«Come… mai questi dolci farebbero vomitare?» domandò con una marcata nota di preoccupazione la ragazza vestita da gatto. Dimensio abbozzò un mezzo sorrisetto prima di rispondere.

«Sono convinto che tu conosca la tipica espressione “dolcetto o scherzetto”. Orbene, il sottoscritto è riuscito a congiungere sapientemente entrambe le cose per fare uno scherzetto al tuo più odiato nemico. Ahahah!»

«Tutti?» domandò con ancor più preoccupazione la ragazza senza costume. Dimensio allargò il suo beffardo sorriso, sfiorando la fila di muffins alla sua sinistra, glassati con disegni a forma di pipistrello.

«Questi fanno passare una deliziosa serata su un trono di porcellana, in compagnia di lancinanti dolori addominali ed un fetore di discutibile provenienza… se afferri cosa intendo, ah!»

Per un attimo, un solo attimo, Peach si vide intenta a regalare uno di quei dolcetti a Bowser. Ma scacciò subito quel malvagio pensiero. Non poteva finire per abbassarsi a certi livelli.

«Sicuramente è uno scherzo molto perfido… e, erh, divertente suppongo - Peach si sentiva molto turbata dall’idea che qualcuno dei dolcetti che aveva mangiato quella sera potessero essere stati compromessi - ma non credi che-»

Ma prima che potesse finire la frase, un urlo agghiacciante la fece sobbalzare. Si voltó di scatto verso la fonte del suono, e impallidì.



Mario vide una lunga, ritorta zampa filiforme conficcarsi nel terreno a pochi metri da lui, dove un attimo prima di balzare si era effettivamente trovato. Colto da una sorda paura, aveva alzato lo sguardo verso l’abominio, ritrovandosi ad osservare un ventre gonfio e pulsante, dal discutibile colore verde palude, sul quale, come su un volto, era intagliato un tremante ghigno contorto; prima che la bestia - qualunque razza di bestia fosse - potesse costringerlo ad arretrare ulteriormente, il ragazzo notò un altro particolare parecchio inquietante: tra la gabbia di zampe lunghe e contorte penzolava quello che sembrava il cadavere smembrato di un’esile figura coperta di stracci.

Ma Mario non aveva il tempo per soffermarsi sui particolari. Balzò con agilità all’indietro, per due o tre volte, mentre sentiva un freddo sudore colargli lungo le tempie e cercava di mantenere la calma in mezzo al fiume di gente che aveva iniziato a scorrergli confusamente intorno.

Le grida, gli spintoni e la confusione lo distraevano, ma qualcosa, dentro di lui, gli imponeva di rimanere e combattere quella mostruosità che era come apparsa dal nulla.

Era difficile dire cosa fosse successo in una manciata di secondi. Qualcuno aveva urlato, e Mario e Pauline, voltandosi, avevano visto una ragnatela di zampe esplodere in mezzo alla folla, per poi districarsi e poggiarsi per terra sollevando il busto verde della creatura. Il panico che si era generato era stato alimentato dai movimenti bruschi e scoordinati del mostro che aveva iniziato ad agitarsi e a rincorrere chi gli capitava sott’occhio.

«Pauline, scappa!»

Aveva urlato Mario, e senza rendersene conto aveva subito pensato a Peach. Si era guardato alle spalle, sperando di scorgerla, ma in quel momento la bestia l’aveva puntato e gli era corsa incontro.

«Che succede qui!?» un tipo alto, simile ad un falco antropomorfo dalle penne dorate si era fatto spazio tra la folla per raggiungere il mostro. Voltandosi Mario aveva notato che anche il suo acerrimo rivale Bowser era in qualche modo apparso dal nulla e teneva ben salde le zampe in terra con gli occhi fissati sulla bestia.

«Hey rosso - ringhiò voltando un attimo lo sguardo verso di lui - schiacciamo quell’insetto gigante!»

La cosa, che sembrava più simile ad un ragno, avanzò con passo incerto verso di Bowser, che non si fece spaventare dall’altezza imponente del mostro e gli corse incontro, infiammando le fauci.

La bestia dondolò pericolosamente da una parte, scavalcando Bowser all’ultimo secondo. Questo inciampò e cadde, estinguendo le fiamme nella bocca, ma si rialzò subito.

«E voi che state a fare lì fermi!? Non è mica una battaglia a turni questa eh!»

Mario e “Falkoman” (così era chiamato l’armadio di piume, una delle più importanti icone sportive del campus) si lanciarono una rapida occhiata complice, per poi partire all’attacco.



Peach e Farfalà vennero sospinte dalla folla. Quasi subito si separarono, e Peach, per evitare di essere travolta, si gettò dietro ad una bancarella. Dimensio si era dissolto nel nulla, e lei ne approfittò per rifugiarsi sotto il suo piccolo stand, tremante e con il cuore in gola dalla paura.

Ogni tanto, un profondo mugolio sembrava risuonare un inquietante “mimimimimi” o qualcosa del genere, e il segno che quella cosa fosse ancora lì la scuoteva ogni volta.

Che diamine era!? Che sta succedendo?”

Avrebbe voluto affacciarsi, controllare cosa stava succedendo a Mario - che aveva visto di fronte alla creatura - ma ne era impossibilitata. La paura la bloccava, la paralizzava completamente. Improvvisamente le venne un’idea che poteva in qualche modo essere utile per Mario. Imponendosi con tutta sé stessa sulle sue membra, cercò con mano tremante il cellulare sotto il costume da gatto, e tirandolo fuori cercò di riportare alla memoria il numero della sicurezza del campus.

Diamine, me lo sarò scritto in rubrica almeno!?” mentre cercava qualcosa che riportasse la scritta “Sicurezza Campus”, “Campus Allarme” “Campus Freddossa” o qualcosa di simile, tendeva le orecchie e i muscoli il più possibile sull’attenti. Scorreva nervosamente l’indice sul touchscreen, mentre sentiva qualche lacrima di paura affiorarle al bordo degli occhi.

Deve esserci da qualche parte!”

Decise di cercare su internet, ma non ebbe il tempo di aprire la pagina di ricerca che qualcosa la spinse violentemente in avanti, facendola rotolare di qualche metro, e subito dopo il cielo sopra di lei si fece buio e caldo, e Peach si sentì in trappola.

Per un attimo credette che la cosa l’avesse ingoiata in un boccone, ma quando lo scricchiolare del legno infranto cessò definitivamente, vide la pesante coperta scura che si era abbassata su di lei alzarsi; guardando in alto si ritrovò a pochi centimetri dalla parte anteriore del carapace di Bowser, che le si era gettato addosso e si sorreggeva con i quattro arti tesi per non schiacciarla.

«Hey - sospirò col fiato mozzo il giovane Koopa - stai bene?»

Peach non seppe cosa dire, ma riuscì in qualche modo ad annuire. Bowser la guardò per un secondo negli occhi ed annuì di conseguenza. Con una forte spinta sugli avambracci la tartaruga si riportò in piedi, voltandosi rapidamente verso la creatura dondolante, ritta sulle sei zampe contorte ed impegnata ad osservare con curiosità i resti della bancarella che aveva appena fatto a pezzi.

«Non ti permetterò di prendertela con la mia dolce Peach!»

E con un ruggito al limite dell’ira, il Principe dei Koopa si gettò con uno scatto verso le zampe della bestia, facendola crollare a terra. Peach, che fino a quel momento era rimasta accovacciata per terra, sentì l’adrenalina esploderle nelle vene e con una forza inaudita riuscì ad alzarsi ed a correre via.



Maldestramente nascosti dietro a qualche albero, degli incoscenti erano rimasti a filmare col telefono quello scontro epico, e Mario se n’era accorto.

Ma non aveva il tempo per correre da loro e urlare di mettersi in salvo. Teneva gli occhi puntati sulla creatura dal passo incerto, che sembrava voler aggredire ogni cosa nel suo raggio d’azione. Il palcoscenico era ormai andato, e con lui Falkoman, che colpito ad un ginocchio aveva solo potuto strisciare via e abbandonare il campo di battaglia.

Il mostro si stava accanendo contro Bowser, e quando quest’ultimo fu riuscito a buttarlo a terra, il ragazzo mascherato da dottore spiccò due balzi verso l’abominio per aiutare il suo rivale a bloccarlo.

«Guarda che ce la faccio da solo, non importa che tu mi rovini la festa anche ‘stavolta Mario!» ringhiò Bowser nel vederlo.

Mario scosse la testa, senza rispondergli, ma continuò a rimanere aggrappato alle tre zampe nere che si stavano divincolando dal suo lato. Con gli spasmi irregolari e spasmici di un insetto capovolto, uniti ai forti muscoli delle zampe, era difficile trattenere a terra quella… cosa.

Facendo scendere appena lo sguardo verso il basso, il giovane Mario si era accorto di un carattere ancora più inquietante della “cosa”. Degli ingranaggi unti e scuri si stavano infatti muovendo a scatto ai lati dell’addome del ragno, regalandogli ancor più mostruosità.

«Non… ce la faccio!» una zampa lo schiacciò verso terra, facendogli sbattere con forza la testa.

Per un attimo, vide tutto nebbioso. Quando ebbe la forza di rialzare la testa era troppo tardi. Il mostro, slegatosi dalla stretta di Bowser, aveva alzato le due zampe più anteriori e le stava per conficcare sopra di lui…

Ma quello che accadde subito dopo fu parecchio strano.

Prima che le zampe lo colpissero, un paio di braccia l’avevano afferato da dietro… ma dietro di lui c’era solo il terreno. E improvvisamente era come sprofondato dentro il terreno, come se questo si fosse ad un tratto tramutato in acqua. Aveva visto le zampe conficcarsi a pochi centimetri dai suoi occhi… ma quello che stava vedendo era fisicamente impossibile da vedere! Era come trovarsi sotto una spessa lastra di vetro, posta qualche metro sotto il terreno, ed osservare il fuori da lì.

«...ti ha colpito?» sussurrò una flebile voce al suo orecchio destro. Mario rabbrividì e cercò di voltarsi, ritrovandosi a muoversi come in un’invisibile sostanza gelatinosa. Si ritrovò una lunga coda viola attorcigliata intorno a gambe e busto, e alzando lo sguardo vide il grosso cappello di Vivian* coprire un innocente sorriso. L’Ombra l’aveva tirato giù con sé, nascondendolo nella propria ombra con un qualche incantesimo oscuro proprio di quella specie.

«Se ne va… ti riporto su.»

E con un altro, leggero sorriso, Vivian sospinse il ragazzo fuori dal terreno. Poco dopo anche lei apparve, a fianco a lui.

La creatura se la stava di nuovo prendendo col povero Koopa Reale, che goffamente cercava di ribaltarla, venendo ribaltato lui a sua volta.

Facendo schioccare le mani guantate, sull’indice destro dell’Ombra a fianco di Mario apparve una fiammella violacea. Puntando la bestia, Vivian stette per indirizzare il suo attacco verso i due aggrovigliati, ma Mario la fermò.

«Non possiamo far male a lui» ammise. Vivian annuì appena e spense l’incantesimo.

«Come facciamo?»

Mario era a corto di idee. Quella cosa sembrava davvero impossibile da battere…

Fino a che Bowser, con uno strattone, non le troncò di netto una gamba.



Peach era corsa verso la pineta, al limitare della piazza, verso sinistra. Da quelle parti si trovava la piccola “caserma” di addetti alla sicurezza del campus.

Appena si fu ritrovata al buio degli alberi, fu costretta a rallentare il passo per non rischiare di inciampare. In mano stringeva il cellulare, ma quando fece per accenderlo e farsi un po’ di luce, lo trovò con il vetro infranto in una ragnatela di frammenti.

«Santa… Infernia, no!» sbottò, mordendosi poi il labbro e cercando di riprendere la calma. Nascose il telefono sotto il costume, e avanzò verso il punto in cui le sembrava ci fosse l’edificio per la sicurezza. Non fu difficile da riconoscere. Una struttura massiccia, dalla pianta rettangolare, simile ad un piccolo bunker; i pini la circondavano minacciosamente e la luce dei lampioni della piazza filtrava appena.

Peach alzò la testa verso le piccole finestre, e le sembrò di vederle spente.

Oh andiamo! Vi siete presi una vacanza per Halloween?”

Ma tentò lo stesso. Avvicinandosi alla porta imponente - sembrava un portone di un castello più che una porta di un edificio - cercò il campanello nell’ombra e senza trovarlo si accinse a bussare con forza.

Sentì un rimbombo inquietante succedere i suoi colpi, ma nessuno venne ad aprire.

«Magnifico.»

Scuotendo la testa, si voltò e si strinse nelle braccia, colta nuovamente dal terrore di quella notte. Ora che l’adrenalina stava sgusciandole via dal corpo, la foresta di pini iniziò a sembrarle ancora più spaventosa, e ad ogni minimo rumore veniva colta dal terrore che fosse quel mostro.

Spero solo che Mario stia bene!”

E poi un cigolare, lento e cupo, la fece sobbalzare dallo spavento. Voltandosi verso l’uscio, si ritrovò il grosso muso azzurro del capo della sicurezza del campus intento ad osservarla.

«Non ci sono dolcetti per i marmocchi, questa sera.» sibilò dischiudendo appena le fauci. Un vento freddo scosse Peach, che riuscì però a non farsi prendere dal panico.

«Lei è il S-Signor Freddossa, giusto?»

Il drago sbuffò una nuvola gelida dal naso, senza rispondere.

«C’è un enorme ragno, un mostro, che sta attaccando il campus, e… ed è un guaio, nessuno riesce a fermarlo, e...»

«Va bene dolcezza, intanto calmati.»

Un leggero sorriso si disegnò sul ghigno di Freddossa, quasi compiaciuto dalla notizia.

«Io e i miei ragazzi stavamo giocando a briscola, ma questo sembra un bel problema»

Aprendo del tutto la porta, mostrò il resto del corpo - uno scheletro nero e contorto appena coperto da una divisa a grandezza t-rex che sanciva il suo status di capo della sicurezza, e poi le sei piccole ali piumate sulla schiena.

Peach arretrò un poco. Freddossa non si vedeva spesso nel campus, ma quando si mostrava, erano incubi per sei mesi.

«Spero solo per te che non sia uno stupido scherzo di Halloween… o un altro studente sparirà il 31 ottobre, quest’anno.»

Peach si sentiva le gambe congelare, e i brividi di terrore si erano trasformati in brividi di freddo.


«Tienile ferme!»

«Ci sto provando!»

«Arrivo ad aiutarvi!»

Mario, Bowser, Vivian e Falkoman - che zoppicante era tornato in scena - stavano schiacciando la creatura per terra, cercando in tutti i modi di tener ferme le quattro zampe rimaste.

Mario era riuscita a ferirgliene un’altra, e Falkoman gliel’aveva strappata. La creatura, dal cui addome fuoriuscivano gli ingranaggi scuri, continuava inesorabilmente a dimenarsi come una blatta ribaltata, senza la minima intenzione a volersi arrendere.

«Che razza di mostro è?» Vivian faceva scoppiare piccole scintille di fronte alla bestia quando questa aveva uno scatto troppo violento.

Mario si guardò attorno, e vide che molti studenti si erano radunati - a distanza di sicurezza - intorno a quella che era diventata l’arena dello scontro.

I professori non erano presenti, quella sera. Ed era stato questo il problema principale. Se anche solo qualcuno come il Professor Cannonio, il Pofessor Merlocchio o la Professoressa Spirù fossero stati presenti, non avrebbero faticato a risolvere la situazione. Ma il campus non era in mano alle istituzioni scolastiche; quindi non c’era ragione per cui, anche i rettori, se ne stessero lì per tutto il tempo.

«Mario!» chiamò una voce femminile.

Mario si voltò con fatica, mentre le zampe artigliate della bestia cercavano di ferirlo.

Con la coda dell’occhio vide Goombella venirgli incontro.

«Gli ingranaggi! Bloccagli gli ingranaggi!»

Mario si inginocchiò, faticando a mantenere la presa, e con una grande forza d’animo riuscì a scrutare da più vicino dentro il ventre forato della creatura. Gli ingranaggi erano accatastati e intrecciati così fittamente che anche un sassolino avrebbe potuto fermarli.

«Non ho niente con cui bloccarli!»

Ma Falkoman, di fronte a lui, gli sghignazzò un “aspetta”, per poi allungarsi una mano sotto il costume strappato e tirare fuori una grossa piuma dorata.

«Prova con questa!»

Dubbioso, il ragazzo accettò comunque l’offerta sporgendosi oltre l’intrigo di zampe, e riuscì ad afferrare la piuma. Aveva una costola molto rigida e per un attimo si chiese se avrebbe potuto funzionare.

«Sbrigati pivello! Anche io ho dei limiti, sai?» ringhió Bowser.

Abbassandosi di nuovo, Mario sporse cautamente la penna verso le “interiora” della creatura, reggendola per la punta. Ad un certo punto, qualcosa si incastrò, e improvvisamente il ragno cessò di muoversi.

«Santo Granbì!»

Bowser si staccò dalla presa così come Vivian e come Falkoman, che crollò a terra esausto.

«Mammamia… - si fece sfuggire il ragazzo mascherato da dottore - è stata dura.»

Asciugandosi la fronte, si sedette sul prato, e poco dopo un coro di voci si levò sulla piazza del campus. I vari studenti osarono dei passi verso la bestia e poi acclamarono Mario e gli altri con sincera ammirazione.

E Mario non poteva nascondersi che tutto ciò gli faceva piacere.

«Va bene, va bene, la festa è finita!» ruggì una voce gelida. Il vociare si congelò, e Mario si alzò subito in piedi, intimorito dalla figura imponente di Freddossa che aveva fatto la sua entrata in scena seguita da altre guardie.

«Dovevamo aspettarcelo che sarebbe accaduto qualcosa. La maledizione di Halloween, no?» e poi sghignazzò. Il cerchio di curiosi si allargò per far spazio al capo della sicurezza, seguito a debita distanza da Peach.

«Che cosa abbiamo qui?» sibilò il demone del ghiaccio allungando un artiglio verso le zampe immobili del ragno, che al tocco ebbero un sussulto spaventoso.

«Mai visto niente del genere...»

Ma mentre stava parlando, il ragno ebbe uno spasmo e mosse le quattro zampe con pigra lentezza; Mario e gli altri si allontanarono ulteriormente, con il cuore in gola e la paura che quella cosa potesse risvegliarsi.

«Non si capisce se sia morta o viva...» uno scagnozzo di Freddossa toccò il busto verde con la corta mazza di legno che teneva in mano, incuriosito più che spaventato.

«Comunque sia - Freddossa chiuse le due mani artigliate sulle zampe della bestia, per poi tirarla su con forza - mi occuperó di sbarazzarmene. Non tornerà più ad infastidirvi, giovani fanciulli!» e detto questo concluse con una roca risata al limite del sarcasmo, che non fece nè ridere nè tranquillizzare la folla di studenti che lo stavano osservando.

Aprendo le sei ali, si dette un forte slancio verso l’alto, per poi volare via nella buia notte di Halloween.

I suoi assistenti fecero sgomberare la piazza, ordinando ai ragazzi di andarsene nei propri dormitori.

Mentre Mario veniva spintonato dalla folla, ancora impaurita, diretta verso le proprie camere, vide con la coda dell’occhio la pelliccia rosa del costume di Peach, e cercò di raggiungerla.

«Mario!» esclamò lei nel vederlo, felice di ritrovarlo tutto intero.

«Stai bene?»

Lui annuì, e poi le rigirò la domanda.

«Sì, cioè, abbastanza… - fece una breve pausa, prima di ricordarsi del telefono rotto - certo, lui sta un po’ peggio di me… ma nel complesso sto bene. Solo… spaventata.»

Mario sospirò. Non sapeva cosa dire, sentiva l’adrenalina iniziare a perdere il suo effetto, e dei forti brividi iniziarono a scuotergli il tronco. Sentiva le mani sudate e improvvisamente fu colto da un gran sonno.

Si incamminò a fianco di Peach, in silenzio, verso il proprio dormitorio.

Sarebbe sicuramente stato un Halloween indimenticabile per gli anni futuri.





Un silenzio inquietante faceva da padrone nella discarica. Neanche un insetto, o lo squittire di un topo o di uno Squittix intento a trafugare qualche pezzo di macchina ancora in funzione. Le gigantesce ali si richiusero sulla schiena scheletrica di Freddossa, che atterrò in mezzo a montagne di spazzatura di ogni genere.

Guarda te che lavoro devo fare!”

Non aveva il tempo per lamentarsi, però In fondo, di recente era venuta fuori quella cosauna cosa che avrebbe potuto comportargli, finalmente, un riscatto. Un riscatto dopo anni passati nell’ombra del suo acerrimo nemico, il Rettore Granbì.

Oh, quella sì che sembrava un’occasione d’oro… ma per il momento si ritrovava in una discarica con un gigantesco ragno morto tra gli artigli. Lo mollò lì, soffiandogli una nuvoletta fredda sul corpo dopo averlo gettato in terra.

«Ah, anche tu uno scarafaggio rigettato dalla società, eh amico?»

Il mostro non aveva una gran voglia di tornare a giocare a poker con i suoi sgherri, chiuso in quel bunker fetido all’ombra dei pini e del palazzo che ospitava il cuore dell’Università. Si sedette su un cumulo di motori e automobili dismesse, puntando il muso verso la luna piena che splendeva maliziosamente sopra la valle.

«Per quanto si sforzino… creature come me e te non verranno mai accettate in questa società governata dagli Umani e dalle creature della luce. Dico bene?»

Il ragno mosse un attimo una delle zampe accartocciate, senza rispondere.

Il drago sospirò una nuvola gelida, guardando verso il Quartiere Oscuro - un intricato labirinto di palazzi neri e ammassati.

«La fortuna sta per girare, però. Broooo ah ah ah ah! Devo solo assicurarmi quella piccola stella, e allora vedremo chi si alzerà dalle ombre per sovrastare l’intera città!»

Il ragno più in basso ebbe uno spasmo. Il mostro non ci badò, finché questo non prese a contercersi con violenza. Gettandogli un’occhiata sufficiente, conscio dell’enorme potere con cui avrebbe potuto spazzarlo via in un attimo, si limitò a frustare un attimo la coda ossuta, aspettando che la bestiaccia si alzasse per poter porre fine alle sue sofferenze con una sola fiatata. Questa però non si rialzò. Rimase a contercersi, mentre il suo corpo veniva avvolto da una melma scura e dall’aria putrida; questa avvolse completamente il ragno, fin poi a sciogliersi lasciando dietro di sé solo una vischiosa pozzanghera.

«Ah, carino lo spettacolino. Ma ora credo proprio sia ora di tornare alle nostre mansioni da comuni mortali. Ancora per poco...»

Freddossa aprì le sei enormi ali. Sbattendole una sola volta si ritrovò a volare verso il campus che ormai era la sua casa da parecchi decenni.

Non si era però accorto che dalla melma lasciata dal mostro era sorta una figura, un esile corpicino tremante, dalle forme vagamente umanoidi… che si era allontanata a gambe levate dalla discarica.



*Preferisco il nome inglese di Ombretta, personaggio di “Paper Mario e il Portale Millenario.

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Commento d'autore

Si è conlcuso il capitlo di Halloween, purtroppo un po' in ritardo rispetto al 31 ottobre (o in anticipo? XD), ma meglio tardi che mai, no?


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Capitolo 11
*** 11 - [Rosalinda] ***


Capitoli di efp

 

[Rosalinda, 3^ persona]

Inizio novembre, notte



Sotto una tenda di coperte, accompagnata da una piccola torcia, Rosalinda leggeva alla meno peggio il libro scritto in un austero funghese medievale. Le lettere erano consumate dal tempo e la grammatica appariva alle volte incomprensibile, addirittura più di quella di certi individui su Facekoop.

Un trillo allegro la fece sobbalzare dallo spavento, e per un attimo si sentì gelare la schiena. Gettò all’aria le coperte, per poi guardare con occhi accusatori il piccoletto rumoroso.

«Che cosa ti ho detto prima?» sussurrò, modulando per quanto possibile un tono amaro.

L’esserino luminoso piroettò nell’aria, come a sottolineare il suo menefreghismo.

«Devi fare silenzio, okay? Non è così difficile… dormono tutti, non vogliamo destare sospetti, giusto?»

L’altro la guardava con i piccoli occhi neri, simili a due semi di fragola, senza capire.

La ragazza sospirò, poi spense la luce della torcia elettrica. Le finestre erano sbarrate dalle persiane scure, la fessura sotto la porta era stata tappata con un cartoncino fissato con lo scotch, e per sicurezza ogni luce era spenta. Eppure, Rosalinda continuava a temere per la sua privacy. Dopo tutto quello che le aveva detto il Sig. Pennington, vedeva ogni cosa attorno a sé come una potenziale minaccia.

E se all’inizio aveva pensato che forse tutte quelle strambe precauzioni potessero essere da paranoici, ora stava iniziando a ricredersi.



Stavo seguendo una pista molto intricata - aveva spiegato quando lei era andata a trovarlo in ospedale, qualche giorno dopo l’incidente - che mi ha portato sulle tracce di questo gruppo di criminali. Gentaglia immischiata nel contrabbando, spaccio di funghi, questo genere di cose… be’, sembrava un caso semplice, fino a che non ho scoperto qualcosa di più! Infatti, questi farabutti erano alla ricerca di qualcosa. Qualcosa di inimmaginabilmente prezioso, stando ai loro discorsi! Si erano accordati di recuperare questo qualcosa, ma sembra che qualcuno sia arrivato prima di loro. Li ho seguiti per tutta la notte, ma ad un certo punto uno di loro si è accorto di me, e pensa un po’, hanno pensato che fossi stato io a rubare quella cosa misteriosa! Io ovviamente ho spiegato loro che non potevo essere stato io, perché li avevo pedinati per tutto il tempo, ma loro non mi hanno creduto e mi hanno rivoltato la borsa, mi hanno anche rubato i soldi! E poi, be’, poi mi hanno probabilmente dato una botta in testa, non ricordo molto, e devono avermi gettato sotto la macchina sperando di sbarazzarsi di me! Ma non sapevano che nessuno può sbarazzarsi di Holmut Pennington così facilmente!”

Dopo un’ora di racconto, nella quale Rosalinda aveva utilizzato ogni energia per tenere alta l’attenzione, l’investigatore occasionale aveva concluso che, secondo lui, un’organizzazione criminale ancora più criminale doveva aver rubato quella cosa! E, visto che, secondo lui, i farabtutti in cui si era imbattuto non erano semplici briganti urbani o ladruncoli da quattro soldi ma veri e propri criminali organizzati, questi avrebbero fatto di tutto per riprendere questa cosa a loro rubata.

A quel punto, la ragazza si era sentita così male da rischiare di svenire.

Era dovuta tornare al suo dormitorio, al campus, per chiudercisi dentro e sbarrare ogni fessura con la crescente paura di essere spiata. E quando aveva preso il telefono con l’intento di chiamare Peach, si era dovuta fermare un attimo a riflettere.

E aveva capito che non avrebbe dovuto coinvolgere nessuno in quella faccenda, neanche la sua migliore amica.

Aveva iniziato a fare ricerche, spulciando la biblioteca scolastica con compulsiva ossessione; aveva girato sei librerie, alla ricerca di trattati sulle creature spaziali, e aveva cercato dei corsi extrascolastici dedicati alle forme di vita aliene, senza però avere successo.

Si era intrufolata senza permesso nella casa di Peach, rubandole un vecchio libro di favole a cui era molto affezionata, e il tutto mentre cercava di tenere nascosto quell’affarino luccicante dagli occhietti neri e innocenti.

Un affarino che però sembrava capace, da solo, di gettare all’aria ogni suo provvedimento.



«Sto cercando solo di salvarti. E tu mi ripaghi trillando come una campanella nel mezzo della notte?»

La creaturina non disse niente. Si limitò ad avvicinarsi timidamente alla ragazza, che allungò un braccio verso di lui e lo cinse delicatamente.

Rosalinda sentì il debole calore emanato dal corpicino pervaderla come una sorta di energia. Quella creatura nascondeva qualcosa di magico, sicuramente.

Abbracciandolo, se lo cinse al busto. Con la sua debole luce, continuò a leggere il vecchio libro per gran parte della notte.



«Allora, che ne dici di questo?»

Infilando una zolletta di zucchero oltre la cerniera del borsone, cercò di non dar nell’occhio mentre cercava di offrire il dolcetto a quello strano ospite.

In poco tempo la ragazza dai capelli platino era arrivata alla conclusione che il modo migliore per prendersi cura di quell’esserino era portarselo dietro. Seppur scomodo e rischioso, rimaneva meno pericoloso che lasciarlo nella sua camera, al dormitorio. Chiunque avrebbe potuto facilmente fare irruzione e rapirlo, oppure lui - o lei, qualunque cosa fosse - sarebbe potuto fuggire o farsi scoprire. Il modo migliore per occuparsene era, per la giovane, nasconderlo nella borsa e tenerlo costantemente sott’occhio.

Mentre con la sinistra teneva il segno al libro che stava leggendo, faceva attenzione alle mosse della creaturina. Sentì il flebile calore di questo accarezzarle il palmo della mano, e poi si sentì sottrarre la zolletta dalle dita.

«Rosy?»

Rosalinda sobbalzò, ritirando di scatto la mano dalla borsa e alzando lo sguardo. Si ritrovò a fissare negli occhi una Peach dall’aria vagamente confusa.

«Oh, ciao Peach.»

Nel dirlo, si portò la borsa in collo.

L’altra tentennò un attimo, guardandosi intorno, poi spostò la sedia del tavolino e si sedette di fronte a Rosalinda.

«Be’ - inizió con tono vagamente sospettoso - ciao...»

«Sta per caso succedendo qualcosa?» chiese con sorriso innocente lei, iniziando a pensare ad un milione di modi nefasti con i quali Peach avrebbe potuto carpire il suo segreto in quel momento.

«...no? Dimmelo tu, pensavo che fossi tu

Rosalinda faceva finta di non capire, ma in realtà capiva benissimo. In quegli ultimi giorni aveva risposto sfuggevolmente ai messaggi dell’altra, si erano viste di rado e aveva tenuto nei suoi confronti un atteggiamento misterioso.

«Vedi, non voglio saltare a conclusioni affrettate… - iniziò Peach con tono vago - ma, insomma, è una mia sensazione… o mi stai evitando?»

Rosalinda, distaccandosi per un attimo dall’aria composta e seria che teneva sempre, finse un’espressione accigliata.

«Evitando? No, no, cosa te lo fa pensare?»

Peach iniziò ad intrecciare le dita delle mani, con visibile nervosismo.

«Sembri un po’ strana… volevo solo sapere se va tutto bene, o per caso c’è qualcosa che non va tra… noi.»

«Non c’è niente che non vada tra noi! - Rosalinda sorrise, appoggiando una mano sulla sua - Sono solo un po’ stressata in questi giorni… sai, tra non molto avrò due esami e sto cercando di prepararmi al meglio...»

La ragazza avrebbe davvero voluto poter dire a Peach la verità. Peach era la sua amica, lì  al campus, e si conoscevano dalla prima superiore. Però questo era davvero troppo complesso da spiegare… e troppo pericoloso.

Peach, dal canto suo, abbozzò un sorrisetto poco convinto.

«Sono felice di non essere il problema - ridacchiò con una punta di nervosismo nella voce - insomma, mi stavo facendo venire dei dubbi… ma… sei davvero sicura che vada tutto bene?»

L’altra annuì con decisione, mentre chiudeva la zip della borsa senza farsi vedere.

«Vedi… è che mi sembra di star sbagliando tutto con tutti, in questo periodo...»

«Cosa intendi?»

«Ecco, forse l’avrai già notato, ma Daisy e io… c’è qualcosa che non funziona più tra noi. Però la conosco da sempre e non riesco a capire cosa la turbi… e credo di essere io il problema.»

«Non puoi dirlo con certezza, non accollarti una colpa di cui non sei certa» commentò lei mentre cercava di tener fermo il borsone senza dare nell’occhio.

«Ahh, sono abbastanza sicura di essere io che la sto facendo allontanare… da me.»

Sospirò, guardandosi sempre le mani. Poi alzò lo sguardo verso di lei, e continuò.

«Poi c’è Farfalà… non so se te l’ho fatta conoscere, mi sa di no, ma è una nuova che sto cercando di - gesticolò in modo buffo - “integrare” nella scuola… eppure anche lei sembra così distaccata, come se io la… come dire, la mettessi a disagio. Non riesco a capire se è il suo carattere o sono io che la metto effettivamente a disagio...»

Rosalinda iniziò a spostare lentamente la sedia. Dalla tasca aveva fatto scivolare fuori degli spiccioli, per pagare la colazione al bar.

«...e… anche Mario sembra evitarmi… lo vedo spesso parlare con Pauline e inizio a pensare che...»

«No, questo non dirlo neanche - la interruppe lei alzandosi con discrezione - li ho osservati, non hanno niente in comune oltre che l’amicizia. Sono amici d’infanzia, non succederà mai una cosa del genere!»

«Come puoi esserne certa?»

Mentre scivolava al bancone, Rosalinda fece una pausa per pagare e poi si voltò verso l’amica.

«Ti faccio un esempio pratico. Ti metteresti mai con Daisy?»

«Co… che diamine, no! Certo che no! Siamo cugine, e poi… che schifo! No, con Daisy proprio no!»

Rosalinda si divertì a contare il numero di “No” che Peach continuò a sfornare per qualche secondo.

«E non te lo dico perché non sono gay - aggiunse con voce più bassa - ma perché Daisy… eww»

«La tua faccia disgustata parla da sola - sorrise vagamente Rosalinda - ed ecco la risposta alla tua domanda. Mario e Pauline andavano alla scuola materna insieme, si conoscono da troppo tempo per piacersi… in altri sensi!»

Peach tirò un gran sospiro.

«Probabilmente hai ragione - sorrise - anche se… il sentimento di gelosia che covo sarà duro da abbattere...»

«Ricordati sempre che Mario non ti appartiene - l’ammonì con aria da saggia la ragazza - o finirai a pensarla come Bowser.»

L’altra a questo nome rabbrividì.

«Non sono come lui, lo sai bene!»

Rosalinda imbracciò la borsa e imboccò la via d’uscita, seguita a ruota da Peach.

«Ora… devi perdonarmi ma devo proprio scappar-»

La Principessa le afferrò il braccio con imprevista decisione.

«Rosy» Peach la costrinse a voltarsi verso di lei e a guardarla negli occhi

Lei rabbrividì nello specchiarsi nei profondi occhi dell’amica.

«Ti hanno fatto qualcosa?» sussurrò questa.

«No, che...»

«Seriamente Rosy, è una questione seria.»

Rosalinda dovette mordersi la lingua per non raccontarle tutto. Anche se dal profondo del cuore sentiva di doversi confidare con qualcuno, non poteva e non voleva mettere in pericolo altre persone.

«Non… mi hanno fatto niente… suppongo, cosa intendi?»

Peach lasciò la presa sbuffando e scuotendo la testa, indietreggiando di qualche passo.

Si spostò il ciuffo via dagli occhi stringendo un pugno dall’evidente frustrazione.

«Sei strana da… quando, due settimane fa? Quando ti è successo l’incidente in auto e sei tornata alle tre di notte!»

Rosalinda stava per ribattere, ma l’altra la fermò e continuò.

«Non mi hai voluto dire cosa stesse accadendo, ora ti comporti in modo strano, io non so più come comportarmi! Se ti hanno solo torto un capello, e a me puoi dirlo, giuro sul Rettore della scuola che...»

«Non mi è successo niente quella sera! E’ stato solo un incidente senza danni, davvero, nessuno mi ha fatto niente e io non mi sono fatta niente.»

Peach sospirò.

«Non mi hai ancora spiegato di preciso cosa eri andata a fare nel Quartiere Os-»

«Shhh!» si lasciò sfuggire lei, sull’attenti. Si guardò di sfuggita intorno, ma nessuno dei ragazzi che scivolavano dentro e fuori la Hall sembrava star prestando loro attenzione.

«Shhh? Che...»

«Stavi urlando! Vuoi spaventare tutto il campus?»

Rosalinda si sentì in pericolo. La borsa a tracolla si mosse, e per un attimo temette che l’amica l’avesse vista.

«Rosalinda, ma che ti sta succedendo?»

Le due si guardarono negli occhi per parecchi secondi. L’una accigliata, l’altra impassibile.

«Peach!» una voce chiamò la prima, che si voltò.

Rosalinda ne approfittò per indietreggiare di qualche passo e tirar fuori la bacchetta che teneva sempre nella tasca assieme al portafoglio. Un tocco, e si fu teletrasportata via.



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Commento d'autore

Perdonatemi i ritardi, ma sono davvero impegnata in questi ultimi tempi.


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