Super Mario University di Debby_Gatta_The_Best (/viewuser.php?uid=626735)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - [Luigi] ***
Capitolo 2: *** 2 - [Peach] ***
Capitolo 3: *** 3 - [Daisy] ***
Capitolo 4: *** 4 - [Farfalà] ***
Capitolo 5: *** 5 - [Luigi] ***
Capitolo 6: *** 6 - [Rosalinda] ***
Capitolo 7: *** 7 - [Daisy] ***
Capitolo 8: *** 8 - [Peach] Halloween 1 ***
Capitolo 9: *** 9 - [Luigi, Daisy] Halloween 2 ***
Capitolo 10: *** 10 - [Mario, Peach] Halloween 3 ***
Capitolo 11: *** 11 - [Rosalinda] ***
Capitolo 1 *** 1 - [Luigi] ***
Premesse
IMPORTANTE
Le età dei vari personaggi inseriti nell'ambito scolastico sono appiattite per poter rendere più realistica la convivenza (ex: Rosalinda ha la stessa età di Peach o Daisy, nonostante nella versione canonica abbia probabilmente più di mille anni)
1) A causa di problemi di tempo, potrei facilmente ritrovarmi impedita nel postare con scadenze regolari.
2) Super Mario University affonda le sue radici in un universo alternativo, in un campus universitario dove compaiono non solo i nostri conosciutissimi eroi e antieroi, ma anche le più svariate forme di vita prese in prestito dai vari spinn-off della serie (Mario&Luigi, Paper Mario ecc.). Dal momento che in questa storia compariranno moltissimi personaggi, sentitevi liberi di citare qualunque personaggio secondario o di sfondo vorreste vedere in un cameo, o che vi piacerebbe osservare inserito in questo particolare contesto.
3) Ed infine, proprio per questo motivo non vi sarà possibile sfuggire alla mia adorata ship BlumiereXFarfalà ;)
Buona lettura
[LUIGI, 3^ persona]
Un sabato, Ottobre, sera.
Cinque monete. Cinque cerchietti dorati impilati sul palmo della sua mano. Non c’era dubbio, aveva ricontato più e più volte, sperando in una magica levitazione numerica, o di una svista cronica, ma cinque erano e cinque erano rimaste.
“Ecco buttato un bel sabato di sole” si disse chiudendo gli occhi, mentre frenava l’impulso di mettersi a urlare.
La pineta attorno a lui si stava tingendo d’arancio, e il freddo delle sere autunnali lo fece rabbrividire. Neanche il vento gelido, però, avrebbe potuto far sbollire la sua rabbia.
Infilandosi i pochi spiccioli in tasca, si incamminò a testa bassa verso il suo dormitorio, il B113, mentre tra sé e sé pensava a come avrebbe potuto rispondere a Mario quando, quella sera, gli avrebbe chiesto: “Com’è andata oggi, Luigi?”.
Male? Solo cinque monete, per una giornata spesa tra il puzzo di fumo e le grida dello stadio. Ma non voleva sminuirsi di fronte al fratello, o apparire come una misera vittima di cui bisogna prendersi cura.
Bene? Non sai mentire, si disse mentre percorreva il piastrellato che si addentrava nella pineta.
Come sempre? In fondo, erano almeno tre settimane che andava, ogni weekend, “come sempre”. Be’, Mario non gli avrebbe comunque chiesto altro. “Come sempre” sarebbe andato bene. Come sempre.
Arrivato presso il massiccio edificio, si fermò davanti alla bassa scalinata che dava sulla porta a vetri, e non entrò subito. Aspettò qualche minuto, fino a quando il cielo, da arancio, non iniziò a scurire sempre più, lasciando spazio ad un crepuscolo cupo. Giocando con i miseri spiccioli dentro la tasca dei pantaloni, iniziò a cantare un motivetto senza accorgersene, mentre percorreva con lo sguardo le alte figure dei pini ai lati del dormitorio. Non aveva voglia di chiudersi in quella soffocante stanza – già sentiva il nauseabondo odore delle maglie sporche di Mario, che non se ne sarebbe andato almeno fino al giorno seguente – ma era anche troppo presto per andare a mangiare qualcosa, e non portava alcun giacchetto, quindi di lì a poco sarebbe congelato se fosse rimasto lì impalato.
Prima di rassegnarsi e appoggiare il piede sul primo scalino, si dette un’ultima, svogliata occhiata attorno, e con la coda dell’occhio vide di sfuggita un’ombra scura attraversare il cortile su cui dava il suo dormitorio. E subito, sentì il cuore balzargli in petto, con una capriola confusa quanto elettrizzata. Daisy...? Che gironzolava per gli edifici maschili, tra l’altro? Senza rendersene conto, la seguì con lo sguardo e la bocca socchiusa dallo stupore – con la medesima espressione che gli si formava ogni volta che la vedeva, insomma – e ben presto si ritrovò a correrle dietro.
«Daisy, aspetta…!»
La raggiunse, bloccandosi di colpo appena questa si fu voltata e gli ebbe piantato uno sguardo indagatore in faccia.
«Hey Luigi» anche immerso nell’aria cupa del crepuscolo, il suo volto lasciava trapelare un certo sconforto.
«Hey, emm… va tutto bene? No, è che non ti ho mai vista – sentiva le parole uscirgli balbettate e forzate mentre cercava di parlare con la ragazza – insomma, stavi camminando qui… da sola, tra i dormitori maschili...»
Il volto della ragazza s’increspò in un’espressione di disappunto.
«Una ragazza non può passeggiare da sola dove vuole senza essere ripresa, o accusata?»
«No, assolutamente, è solo che sembravi nervosa e… emm, ecco, mi chiedevo se andasse tutto bene.»
Daisy annuì, sempre accigliata, per poi voltarsi e proseguire la sua camminata.
«Certo. Stavo solo cercando la via più breve per raggiungere le piscine dei VIPs.» proseguì, aspettando che Luigi si unisse a lei nella camminata.
Questo indugiò un attimo, ma quando si accorse che l’altra lo stava aspettando la seguì.
«Le piscine dei VIPs?»
«Sto andando là a rilassarmi. Quelle delle VIPs sono state svuotate, e quindi vado dai maschietti.»
Il ragazzo si sentì mancare da quell’affermazione. Daisy l’aveva detta con una tale naturalezza da disarmarlo, e già non si trovava a suo agio nel cercare di intraprendere enigmatiche conversazioni con la ragazza di cui aveva una cotta spaventosa.
«Ti hanno invitato ad una loro festa?»
«Pft, non ci andrei neanche morta da quegli snob, l’unica che sopporti è Peach… no, sono fuori il sabato sera, e io vado a tenere compagnia alle loro piscine.»
«Ma… quindi è illegale, insomma, non potresti andarci – si infilò le mani in tasca, preoccupato – se ti succedesse qualcosa? Magari qualcuno ti sgama e...»
Daisy si voltò fulminandolo con lo sguardo, ma poi rilassò il sorriso e lo sfidò:
«Che ne dici di fare una gara di coraggio, allora?»
«Cos...»
«Sì, chi arriva prima e si butta per primo, vince.» e dandogli una pacca sul torace iniziò a correre, fiondandosi come un razzo per le stradine sterrate che serpeggiavano tra i dormitori.
Luigi rimase basito per qualche secondo, ma poi fu contagiato dalla temerarietà dell’altra, e iniziò a correre; in lontananza la superficie frammentata e scintillante dell’acqua scura colpita dalle luci dei lampioni iniziò a intravedersi. Daisy l’avvistò per prima, e senza lasciarsi intimidire dalle possibili conseguenze, si tolse la maglia e la giacchetta, gettando tutto a terra mentre correva.
Il giovane si ritrovò di fronte al busto spoglio di Daisy, visto di schiena, un tronco uniforme e asciutto spezzato dalla sottile linea di un reggiseno che correva verso il giardino di chissà quale figlio di papà pronto a tuffarsi nella sua piscina privata. E prima che potesse visualizzare la scena, un tonfo sordo e una pioggia di spruzzi freddi lo risvegliarono dalla sua visione idilliaca. Si rese conto di ritrovarsi sul bordo di una vasca interrata, illuminata da piccoli faretti posti ai quattro lati.
La figura snella di Daisy riaffiorò dalle acque scuotendo la chioma castana. Guizzando verso il bordo, poi, si appoggiò ai mattoni e guardò Luigi con un sorrisetto malizioso.
«Ho vinto. Ma, se vuoi, questa tinozza è abbastanza grande da ospitare due persone.»
Lui scosse il capo.
«No, meglio di no. Sto già morendo di freddo qua fuori.»
Ma mentiva. Dopo quella corsa, sentiva le guance bollire e il petto ardergli di vivace adrenalina. A breve, comunque, sarebbe tornato a patire il freddo pungente delle prime sere d’ottobre.
«Come preferisci...» Daisy si distese a morto nell’acqua, chiudendo gli occhi e rilassandosi.
Il ragazzo, dal canto suo, si sedette sul bordo a gambe incrociate, osservando la sua idola lasciarsi galleggiare in quel quadrato d’acqua scura, sentendosi un verme nello scoprirsi particolarmente attratto dalla sua fisicità.
“Non puoi far finta di niente, è in reggiseno davanti a te” cercava di giustificarsi.
Alzando lo sguardo verso il cielo, e sforzandosi di non guardare l’altra sguazzare nella piscina proibita, chiese a Daisy come si sentisse.
«Bella domanda. Se dovessi risponderti con una frase filosofica, ti direi che mi sento completamente slegata da ogni mio, come dire, problema con il mondo, e che riesco a toccare la vera essenza del mio io, qui, galleggiante nell’acqua. Ma ti risponderò solo che sto bene. Si sta da Granbì qua dentro.»
«Ma fa un freddo tremendo!»
«Per te, per il tuo corpo, magari. Io sto bene!»
Ecco quello che apprezzava di quella ragazza! O almeno, una delle cose che apprezzava. Quella sua costante aria di sfida, verso tutti, verso tutto. Un velo di arroganza che lasciava trapelare sicurezza e autorità… ma che in quel momento appariva stranamente incrinata. La sua fiducia sembrava in qualche modo appannata, a causa di qualche malessere ignoto a Luigi. Lui vedeva metà del suo corpo emergere dall’acqua tinta d’inchiostro, con gli occhi chiusi e la fronte innaturalmente corrugata.
«E… come mai questo improvviso bisogno di… sguazzare?» chiese con apparente noncuranza avvicinandosi il più possibile al bordo.
«Angosce.» sospirò tagliando corto l’altra.
«Gravi?»
Un sospiro che si tralasciava alle spalle pensieri pesanti come macigni fu l’unica risposta che il ragazzo ricevette.
Non ci volle molto prima che iniziasse a provare un certo languorino. Si sentiva un idiota, a provare fame in una circostanza del genere – un momento intimo quanto intrigante con Daisy – ma allo stomaco non si comanda, si disse. Cercò di proporre a Daisy di andare a cena, magari non alla mensa ma al fast food vicino al parcheggio, ma lei rispose che stava bene lì e che non si sarebbe smossa per qualche ora.
«Daisy, si congela qua fuori – mugolò preoccupato lui – non penso sia una buona idea rimanere qui. Soprattutto, rimanere in acqua.»
«Non dirmi anche tu cosa devo fare!» sibilò volgendosi vero il ragazzo con uno scatto repentino.
Questo rabbrividì per lo spavento, ma Daisy provvedette a tranquillizzarlo allargando un sorrisetto dispiaciuto.
«Scusa. Sono un po’ nervosa oggi.»
Si avvicinò al bordo della vasca, aggrappandosi con le braccia abbronzate vicino a dove era seduto il suo accompagnatore.
«Dimmi un po’… cosa pensi che potrebbe piacermi in un posto come il Dino’s Denny?»
Luigi finse un’espressione corrugata, prima di rispondere:
«Il logo. È una pianta pirahana che sembra uscita da un film horror-fantascientifico.»
Daisy non frenò una risata cristallina, che contagiò senza un apparente motivo anche l’altro.
«Bella, questa era bella» ammise sempre ridendo.
Ma prima che potesse aggiungere altro, delle voci risuonarono da dietro un edificio vicino. Luigi balzò in piedi, pronto a fuggire come un coniglio spaventato, mentre Daisy rizzò le orecchie sgusciando lentamente sott’acqua.
«...ragazzo mio, che botta che hai preso...»
«Se becco quel cogli*ne, lo sfascio di b… di botte, lo sfascio...»
«Stai attento…!»
«Ahia!» da dietro l’angolo sbucò un armadio di piume dorate, un bestione alto almeno un buon metro e ottanta, sorretto da un ragazzo più piccolo ma robusto, che lo stava aiutando a camminare. Entrambi sembravano ubriachi fradici, ma quando videro Luigi, quello grosso spalancò il becco aquilino ringhiandogli contro come un cane rabbioso di allontanarsi subito dalla sua piscina e dal suo giardino, e senza pensarci due volte il ragazzo scappò via.
Dopo qualche metro si ricordò di Daisy, e con una grande forza d’animo riuscì a fermarsi e a nascondersi dietro ad un dormitorio, cercando di vedere cosa stessero facendo quei due, affacciandosi con discrezione. Li vide zoppicare verso la porta del dormitorio privato che dava sulla piscina, e il primo, quello grosso, si infilò a stento nella porticina, barcollando come solo gli sbronzi sanno fare. L’altro sembrò indugiare per qualche secondo sul da farsi. Di Daisy, nessuna traccia.
Sentiva il cuore battergli all’impazzata, e da una parte avrebbe voluto tornare dalla ragazza, se ancora si trovava lì, ma dall’altra non riusciva a muovere un passo.
Quando anche il secondo se ne andò, la vide uscire dall’acqua con un balzo felino, e scuotersi via l’acqua con esagerata teatralità – una stupenda teatralità – per poi darsi alla fuga nella sua stessa direzione.
«Luigi – sussurrò afferrandogli un braccio – eccoti!»
Lui ebbe paura che l’avrebbe fatto a pezzi, ma questa si mise a ridere come una pazza.
«Che storia, che avventura, ah! Non è stato fantastico?»
«...no?»
«Sì! Sì invece!» sembrava sul punto di esplodere, e mancava poco che si mettesse a saltare lì intorno.
«Okay, ora è veramente ora di andare. Però dobbiamo rifarlo un giorno di questi.» Rabbrividendo, si incamminò per una stradina, e lui, incerto, la seguì.
«Ecco le mie vesti perdute...» la ragazza raccolse le sue vesti perdute e se le buttò sulle spalle, sorridente come non mai.
Luigi non la capiva, non l’avrebbe mai capita, ma l’ammirava e la stimava. E lei lo sapeva, e si divertiva.
«Allora, dicevamo, al Dino’s Denny?»
«Emm.. sì, sì, andiamo lì, se ti va.»
Vide le sue cinque monete evaporargli di fronte, ma d’improvviso la faccenda aveva perso d’importanza. Stava andando a cena con Daisy – ad un fast food da camionisti, ma pur sempre con Daisy.
E poi, con una come lei, cosa poteva esserci di più romantico?
Mentre Mario ripiegava le sue divise sporche, canticchiando un motivo simpatico, il fratello rientrava nel dormitorio del campus.
«Mhh, allora Luigi, com’è andata oggi? Ti vedo un po’ fiacco» domandò puntualmente il ragazzo in rosso.
«Oh… bene, è andata bene» rispose l’altro senza pensarci.
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Commento d'autore
Dopo tempo immemore, varie cancellazioni di alcune storie e attacchi di nostalgia, mi ritrovo a postare su questa magica piattaforma.
E come al solito invece di continuare vecchie storie, ne inizio di nuove.
Vi sarei molto grata se mi lasciaste una breve recensione ogni volta che ne avete il tempo, per darmi opinioni su come potrei migliorare o anche solo per farmi sapere se il capitolo vi è piaciuto! E ricordate, potete proporre vari personaggi da utilizzare come spalle o comparse, per rendere questo mondo ancora più variopinto di quanto già proverò a renderlo ;)
Grazie per la lettura e arrivederci!
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Capitolo 2 *** 2 - [Peach] ***
Capitoli di efp
[PEACH, 3^ persona]
Un lunedì, ottobre, mattina
Capelli legati alla giusta altezza, fatto.
Trucco, quel che basta, per dare colore agli occhi, fatto.
Giacchettina fucsia appariscente, fatto.
Sorriso
determinato da ragazza pronta ad affrontare un lunedì
mattina… no, impossibile. Qualsiasi smorfia provasse a fare, la
vedeva riflessa nel cellulare come un ghigno contorto e poco invitante.
Alla sesta foto toppata, iniziò ad irritarsi.
«Hey… buongiorno, eh» sbadigliò Daisy affacciandosi alla porta del bagno.
«Togliti di lì che sto cercando di farmi un selfie decente.»
«Okay,
okay, ma stai calma» la punzecchiò Daisy entrando nel
bagno e sgusciando fuori dalla visuale del cellulare di Peach.
«Devi ricordare ai tuoi fans che sei ancora viva dopo la nottata di sabato, eh Peach?» continuò la castana iniziando a lavarsi la faccia.
«Che
spiritosa. No, sto cercando di farmi una foto che mostri la mia energia
sprizzante per affrontare il lunedì.»
«Ecco
perché non ti viene, non sai mentire tu» commentò
Daisy mentre si pettinava alla meno peggio.
«Quella è la mia spazzola?»
«Non ti stavi selfando?»
«Prendi
la tua, su» e allungando il braccio cercò di riprendersi
l’attrezzo, che però le venne gentilmente restituito
dall’altra, pronta.
«Pardon, non avevo voglia di prendere la mia.»
Fece
per uscire dal bagnetto privato della loro camera doppia, quando Peach
l’afferrò per un braccio costringendola a voltarsi verso
di lei.
«Fammi
una delle tue facce cattive, così magari riesco a
scimmiottarti» la esortò con un’espressione
divertita.
Daisy in tutta risposta le fece la sua peggior smorfia, con tanto di pernacchia, prima di scivolare fuori dalla porta.
«Che stupida!» la riprese Peach con falsa indignazione.
«Sempre meno di te, che ti alzi alle sei per farti i selfie!» ribatté l’altra dalla stanza accanto.
«Bah» e ricominciò a provare le varie pose.
«Se
vuoi un consiglio, farei un faccino distrutto, tipo l’emoj di
Facekoop» propose dopo qualche minuto la coinquilina,
affacciandosi di nuovo.
«Quello che si fa con i due puntini e la C. Sarebbe molto più realistico per un inizio lunedì.»
L’altra
sbuffò il suo disappunto, ma seguì il consiglio e
portando il cellulare in alto, mimò un’espressione mista
tra la tristezza e la sfida, si scattò la foto e la
pubblicò su Goombagram con l’hastag #SperiamoDiSopravvivere!.
«Ora
che hai finito le tue importanti mansioni da popolare, vuoi metterti
anche una gonnella o pensi di andare a lezione in mutande?»
domandò Daisy, mentre si aggiustava la camicetta a gale che
aveva indossato.
«Guarda,
scendo in mutande» sghignazzò Peach uscendo finalmente dal
bagno e mettendosi a rovistare nel cassettone.
«Vedrai quanti mi piace che voleranno!»
«Antipatica.
– ridacchiò la bionda – Hai di nuovo messo a
soqquadro tutto il cassettone? Ti sei mangiata i miei vestiti o sono
stati inglobati dai tuoi?»
«Io ne ho tre, tu hai tutto il resto dell’armadio, Peachy, quindi forse stai solo perdendo colpi, sai, la vecchiaia...»
«Ma
vai in quel tubo, ecco, me lo hai fatto dire» continuò a
rovistare iniziando a gettare fuori tutti i vestiti che non le
appartenevano.
«Ohhh, questo si che sconvolgerebbe i tuoi followers, “Peach entra nel mondo dei modi scurrili!” Pft, scusati un’altra volta e ti mangio.»
«Scusami
– finalmente trovò la gonnellina e le calze che stava
cercando – ma non tutti sono ghiozzi e strafottenti come te,
cara.»
Sogghignando in faccia all’amica, finì di vestirti e controllò di sfuggita il telefono.
«Se ti hanno già messo dei likes, mangio anche loro.»
Avvicinandosi alla compare, tentò di sbirciarne il profilo su Goombagram, ma Peach si ritirò fingendosi offesa.
«Suvvia, non ficcare il naso negli affari altrui.»
«Ecco!» l’apostrofò con vocina ridicola l’altra, prima di mettersi a ridere.
Peach cercò invano di reprimere degli sciocchi sorrisi, e si nascose infilando praticamente la faccia nella sua borsa.
«Vediamo,
okay, penso di aver preso tutto. Tu sei pronta?» si infilò
la borsa a tracolla, poggiando la mano sulla maniglia della camera.
Daisy si gettò lo zainetto sulle spalle annuendo, e insieme
uscirono.
«...e quindi l’altro giorno arrivo, e al posto del professore trovo Mastro Toad.»
Toadorica
fece del suo meglio per non sputare il caffélatte, mentre
Rosalinda frenò un bercio ilare che le stava uscendo più
dal profondo del cuore che dalla gola.
«Che…
diamine!?» ma senza finire la frase, Toadivo si mise a ridere
come un forsennato, spingendo così anche tutti gli altri a
ridere.
Anche Daisy, che aveva ascoltato la storia in anticipo la settimana prima, non riuscì a frenare qualche risata.
«Sì,
vi giuro, Mastro Toad. Ci sono rimasta talmente di stucco che penso di
non aver aperto più bocca per tutta la mattina.»
«E cosa ci faceva lì?» domandò incuriosito Toadoberto quando ebbe finito di ridacchiare.
«Teoricamente,
avrebbe dovuto insegnare al posto del mio prof di Storia del Regno dei
Funghi. Essenzialmente, ha solo agito da sedativo per tutta la
classe.»
«Se insegna ancora come insegnava a noi da piccole, mamma mia!» commentò Daisy immaginandosi la scena.
Mario si voltò accigliato verso di lei, irritato da quel furto di battuta.
«Sì,
ma… come mai? È apparso all’improvviso e ha deciso
di improvvisarsi professore?» continuò Toadoberto, ormai
preso dal racconto della giovane.
Questa si aggiustò sulla sedia, finendo la sua brioche, per poi continuare.
«Da
quel che ho capito prima di addormentarmi, il nostro professore
è andato via per delle ricerche sul campo non-so-dove, e lui ha
tirato fuori una sconosciuta e vecchissima laurea in Storia dei Funghi
da qualche baule di chissà quale secolo, ed è venuto a
farci da supplente per i prossimi due mesi»
enfatizzò le ultime parole per caricarle di fatica, per rendere
bene l’idea di cosa avrebbe dovuto sorbirsi nelle prossime
settimane.
«Oppure
– ipotizzò Rosalinda, introducendosi con discrezione nella
conversazione – ha rapito il vecchio professore, l’ha
venduto agli Shroob e ha rubato la sua laurea, così per starti
ancora una volta col fiato sul collo, Peachy.»
«Non ci metterei la mano sul fuoco, sai?» approvò l’altra.
Un’ombra
scura si allungò sul tavolino punto di raduno di Peach e dei
suoi compari, rivelandosi attaccata ad uno sghignazzante bestione di
due metri, coperto di scaglie scintillanti e armato di un sorriso
maligno brillante di perfidia come i suoi occhi.
«Buongiorno, Peachy cara.»
Appoggiò
la pesante mano sul tavolino, rovesciando il caffè di Luigi, che
per la paura si fece piccolo piccolo, e poi si rivolse alla sua
interessata tentando di trasformare il suo sorriso in qualcosa di meno
minaccioso, con scarso successo.
«Oh,
stupendo. Ciao Bowser – rispose senza enfasi lei, ritraendosi un
poco – Lungi da me sembrare offensiva, ma… siamo
occupati.»
«Non
sei stato invitato, sacco di lardo» sibilò Daisy sbattendo
un pugno vicino alla mano dorata dell’altro – quattro volte
la sua.
«Sacco di lardo?
– Bowser dischiuse i denti, e una nuvola di fumo scuro vi
uscì dai lati con fare minaccioso – Questi sono
addominali, bicipiti e tricipiti! “Lardo”, bah! Il sacco di
lardo sarà il vostro amico in rosso, qui!»
E
indicò Mario con fare accusatorio. Questo corrugò la
fronte, balzando in piedi e scostando la sedia, con gli occhi ben
puntati verso quelli del rivale.
«A
tal proposito… – il Koopa Reale avvicinò il muso
giallo al volto contratto dell’altro – questo sabato ti
straccerò, anzi, ti calpesterò. E domenica ti concederò il bis.»
«Sgrunf»
il ragazzo non si lasciò intimorire e avvicinò di rimando
il naso a quello dell’avversario, fino quasi a sfiorarlo.
I due rimasero a fissarsi per qualche secondo, fino a che Peach non intervenne, alzandosi in piedi e incrociando le braccia:
«Smettetela
subito, entrambi. Questo non è un campo da calcio, e
l’ultima cosa che vogliamo è una rissa nella Hall!»
Il
Principe dei Koopa si raddrizzò sulla schiena, passandosi la
mano artigliata nella chioma rossa, e schiudendo un sorrisetto
malizioso verso la ragazza.
«Come
desideri. Ma solo perché in quella foto eri davvero
carina» e nel dirlo le fece un occhiolino che lei trovò
disgustoso.
«Allora vi lascio ai vostri tristi convenvoli, bwahaha! Au reovir!»
Bowser si avviò verso l’uscita, mentre Toadoberto borbottava tra sé e sé un “convenevoli, non convenvoli”.
«Wow, il tuo potere su di lui sta aumentando» commentò Daisy avvicinandosi all’amica.
«Non so… si stava comportando in modo strano.»
«Peggio del solito?» sbuffò Luigi riprendendo finalmente colore.
«Be’, perlomeno oggi non se n’è andato sotto minacce pesanti.»
«Anche questo è vero.»
«E
da quando quel microcefalo conosce il francese?» si
domandò sbeffeggiante Toadivo, mentre finiva di sorseggiare la
cioccolata calda con noncuranza.
«Ora, “conosce il francese” mi sembra un po’ esagerato» rispose Toadorica.
«Poi quell’occhiolino secsi, eh Peach?»
Daisy dette una spallata perfida all’altra, che si innervosì.
«Sposatelo,
se ti sembra così “secsi”. Io so solo che è
un grande scocciatore – guardò l’orologio al polso
– e che sono in ritardo!»
Afferrò
la borsa in fretta e salutò i suoi compari di ventura, prima di
avviarsi a passo svelto verso il piazzone verde su cui davano tutti gli
edifici scolastici.
Daisy la seguì salutando a sua volta, e la raggiunse fuori dalla Hall.
«Fa freddino, eh?» osservò rabbrividendo.
«Già,
ma niente sarà freddo come lo sguardo di Mastro Toad dopo che
avrà segnato il mio ennesimo ritardo.»
«Mentale?»
«Non
sei spiritosa, Daisuccia – le allargò di fronte un
tiratissimo sorriso sarcastico – e poi è colpa tua se
faccio tardi.»
«Non sai più neanche prenderti le tue responsabilità?»
Peach
la ignorò scuotendo il capo, e affrettando l’andatura.
L’edificio destinato ai corsi Storici-Archeologici era perfido,
perché piuttosto piccolo ma lontano, dietro alla biblioteca. Per
far prima fu costretta a tagliare dal prato anziché seguire le
stradine ciottolate, seguita a ruota dall’amica.
«Non hai lezioni di lunedì?» le chiese controllando il cellulare.
«Ho
qualcosa alle nove, una lezione di Antiche Lingue Desertiche… e
dopo ho praticamente solo Agraria fino a giovedì. – dette
uno sguardo al cielo, irritata – Ma neanche sai quando ho lezione
e quando no?»
«La
scuola è iniziata da tre settimane!» sbuffò
l’altra mentre rispondeva ad un commento sotto la sua foto.
«Mezzo mese… viviamo praticamente in simbiosi, sis.»
A
quel punto Peach non riuscì’ a frenare l’impulso di
rigirarsi verso Daisy e ringhiarle in faccia il suo disappunto:
«Già,
forse è questo il problema, dovresti farti una vita oltre che
starmi appiccicata come una zanzara e aspettarti che stia sempre dietro
a te!»
Quando
si rese conto dell’errore, vedendo l’ombra scura passare
negli occhi di Daisy, che mai si offendeva quando le rispondevano a
tono, era troppo tardi. Si voltò, tornando a guardare il
cellulare, cercando di concentrarsi sui likes per non guardare
l’altra.
Dopo
qualche attimo di silenzio, Daisy si fermò a qualche metro da
lei, borbottando qualcosa sul fatto che l’altra era arrivata e
ora lei poteva andarsene.
Quando
Peach finì di ringraziare per i commenti positivi, ignorando
volutamente quello in cui Bowser le dava dello “schianto di
bambola” (anche perché non aveva la più pallida
idea di cosa significasse), si voltò per risponderle, ma
l’altra se n’era andata.
Maledicendosi, si avviò verso l’aula.
Dopo
aver passato due ore e mezza ad ascoltare le chiacchiere soporifere del
suo ex tutore, che in qualche modo era riuscito a seguirla fino al
college, Peach uscì dall’edificio completamente distrutta.
“Funghi
secchi, dovrei chiedere scusa a Daisy...” fu il suo primo
pensiero, ma sentiva il corpo implorarle di mangiare qualcosa di
zuccherato prima di intraprendere una qualsiasi discussione.
Trascinandosi verso una delle panchine che accoglievano gli stanchi
studenti al di fuori di ogni edificio, lasciò cadere con poco
riguardo la borsa sull’erba fresca e dopo si lasciò cadere
anche lei. Inspirando l’aria ancora fresca della mattinata, prese
lo snack che aveva comprato alle macchinette e iniziò a
sgranocchiarlo mentre controllava, quasi istintivamente, se le fossero
arrivati altri commenti su Goombagram.
“A
volte penso di essere fissata...” si rimproverò mentre
masticava con gusto la barretta al cioccolato, scorrendo i nuovi
messaggi con aria annoiata.
“Comunque mi sono presa peggio delle altre volte, sgrunt.”
Mentre
ignorava i soliti commenti stupidi e odiosi degli amichetti di Bowser,
o di quegli imbecilli che si divertivano ad insultare tutto e tutti, le
cadde l’occhio su qualcuno seduto sotto l’albero piantato
al crocevia per i dormitori e l’edificio di Lingue Antiche.
Abbassando
il cellulare, vide che effettivamente c’era una ragazza,
abbandonata sul prato ai piedi dell’alberello dalle foglie rosse,
intenta a leggere un grosso libro, indisturbata. Altri studenti le
passavano di fianco, ignorandola completamente, così come lei
ignorava loro.
Peach
ne venne subito attratta. Non seppe perché, ma ammirò
quella sua coetanea all’ombra dell’albero, completamente
slegata dal mondo, immersa nel suo libro.
Qualcosa
la spinse ad avvicinarsele. Afferrò la borsa e vi fece scivolare
dentro il telefono, per poi avvicinarsi con tranquillità alla
ragazza. La osservò, e anche il suo aspetto le sembrava
singolare.
Aveva
capelli color oro bianco, addirittura più chiari di quelli di
Rosalinda, e una carnagione pallidissima, così bianca da farle
supporre che si trattasse di un’albina o di qualcosa del genere.
Quando si fu avvicinata un po’ di più, però, le
notò una spruzzata di lentiggini sul volto, e una singolare
spilla fermata dietro alla testa.
«Hey» provò a salutare alzando una mano, ma non ottenne risposta.
Rimase muta di fronte a lei per qualche secondo, imbarazzata, prima di chiedersi se valesse la pena riprovare.
«Emm… che libro è?»
Si
sedette in terra, nonostante non fosse una delle sue cose preferite, e
cercò di avvicinarsi a quella giovane che si stava mostrando
molto più particolare di quanto già sembrasse.
«Err...emm…?
– vide il suo sguardo praticamente incollato alle pagine del
tomo, con un’espressione quasi di trance – Va tutto
bene?»
Finalmente
questa dette segni di vita, scosse il capo e sbatté più
volte le palpebre, voltandosi di scatto verso di lei. La squadrò
per qualche attimo con i grandi occhi acqua marina – quindi non
era albina, ma odiava il sole o era un vampiro, si disse Peach –
prima di arrossire e abbassare nuovamente lo sguardo.
«Sì, scusami, ero assorta… nella lettura.»
«Oh, figurati, è solo che mi hai spaventata.»
Peach cercò di sbirciare il titolo del libro.
«Interessante?»
«Per quanto possa risultare interessante un libro di fisica quantistica...»
«Oh,
quindi sei una matematica?» chiese Peach incrinando il sorriso.
Non poteva ammetterlo di fronte a quella ragazza, ma aveva sempre
preferito le materie letterarie.
«No,
no, assolutamente no – ridacchiò nervosa l’altra
evitando di guardarla negli occhi – io studio Medicina, questo
è solo un corso… è il mio primo corso, quindi
cercavo di documentarmi per non arrivare lì impreparata.»
«Ahh,
ma quindi sei nuova!» esclamò Peach, rendendosi conto
adesso del perché non avesse mai notato una tipa tanto singolare
in un anno e un mese di Università lì.
«Perdonami,
non ti ho visto alla festa di inizio anno, quella dove partecipano
soprattutto quelli del primo anno, sai, dopo l’orientamento
all’interno del campus.»
«Naturale,
perché non sono del primo anno» rispose sferzante
l’altra, riportando la sua attenzione sul libro e quasi sperando
di essere lasciata in pace.
«Sono del secondo anno, ma sono arrivata la scorsa settimana in questa Università» aggiunse.
«Oh, capito, perdonami.»
Rimase in silenzio per qualche minuto, mentre l’altra riprendeva la propria lettura.
«Un corso singolare, per un’umanistica» commentò senza potersi trattenere.
L’altra
alzò gli occhi al cielo, con un palese segnale di “ma che
vuole questa da me?”, ma poi riuscì a rispondere con calma.
«In
realtà ho cercato di iscrivermi a più corsi possibili, di
svariate materie, per avere un’infarinatura generale di
tutto… insomma, per crescita personale, per cultura.»
E
si rigettò nel libro. Una qualsiasi altra persona avrebbe subito
avvertito disagio con una tipa del genere – così schiva e
fredda – ma Peach, per qualche strana ragione, si sentiva in
dovere di aiutarla.
Era
nuova, palesemente asociale, secchiona, tendente alla
sociopatia… come avrebbe potuto sopravvivere in un mondo come la
Heaven University senza l’aiuto di un buon amico?
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Commento d'autore
Vi
sarei molto grata se mi lasciaste una breve recensione ogni volta che
ne avete il tempo, per darmi opinioni su come potrei migliorare o anche
solo per farmi sapere se il capitolo vi è piaciuto! E ricordate,
potete proporre vari personaggi da utilizzare come spalle o comparse,
per rendere questo mondo ancora più variopinto di quanto
già proverò a renderlo ;)
Grazie per la lettura e arrivederci!
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Capitolo 3 *** 3 - [Daisy] ***
Capitoli di efp
[DAISY, 1^ Persona]
Un lunedì, ottobre, pomeriggio
L’odore del tartan della pista, Granbì
quanto lo amo. E come potrei godermelo meglio, se non con la faccia
praticamente a due centimetri dal terreno? Davanti a me, una striscia
lunga e rossa, l’unica cosa di cui dovrò tenere di conto
per tutta la corsa. Ignoro gli altri atleti che passeggiano per il
campo, quelli che urlano e imprecano, i coach, le grida, il sole negli
occhi, il freddo, il vento, tutto. Ora c’è solo questa
benedetta pista, e al solo pensiero sorrido.
Altri due secondi, con le mani appena poggiate in terra, con la gamba tesa e l’altra piegata, in posizione di partenza.
Un altro secondo, per sentire i muscoli fremere, il respiro regolarsi, una folata di vento spazzarmi i capelli arruffati.
VIA!
Sì!
Sento la forza scorrermi nei muscoli, mentre scatto, mentre i miei
piedi lasciano lo starter; corro, con l’aria che mi fischia nelle
orecchie, corro lungo la pista, corro sentendo il volto che inizia a
sfriggiolare, ah!
Il
suono dei miei passi è tutto quello che sento adesso. I muscoli
caldi, le vene che ribollono, quest’aria fresca! Sì, cosa
desiderare di meglio?
Ho
quasi finito il primo giro, uff, inizio a sentirmi il volto ribollire,
di già? Il sudore, la fatica… come faccio a durare
così poco? Non è giusto! Scaccio ogni pensiero, ascolto
il rumore dei passi, do il massimo.
Il
terreno sfugge da sotto i miei piedi, mi sembra di volare, lo sfioro
appena mentre mi muovo, e inoltre…aspetta, quello è
Luigi? Ah!
Cielo,
terra, cielo, terra e di nuovo cielo. Ouch! Sento la mia schiena
sbattere violentemente contro il terreno della pista, che male, che
diamine! Cos’è successo? Sono caduta, ah, la gamba! Cerco
di tirarmi su, ma le forze mi hanno abbandonato. Mi sento incollata al
tartan! E la gamba continua a pulsare, più violentemente...!
Ahia, mi guardo intorno e vedo degli atleti venirmi incontro…
«Stai bene?» domanda uno guardandomi preoccupato. Sto da Nimbì, guarda.
«Sì
– rispondo, scostandogli la mano, posso farcela anche da sola
– sì, sono solo inciampata» non so neanche dove, in
realtà.
«Su,
non è niente di grave – sento una mano afferrarmi per la
spalla e alzarmi con forza fino a portarmi seduta – anche i
migliori finiscono per terra, a volte.»
Mi
ritrovo davanti il mio allenatore, che mi guarda con un sorriso
rassicurante, ma io volto lo sguardo per la vergogna. Come ho potuto
inciampare così, a caso? La pista era liscia, e io non inciampo
mai!
«Ti fa molto male la gamba?» mi domanda un Toad giallo in tuta da ginnastica.
«No, non troppo» mento.
Volley
si guarda negli occhi col fratello, mentre gli altri iniziano a
scemare. Esatto, andatevene, non ho bisogno di occhi curiosi che mi
guardano come se fossi uno Shroob.
«Mhh…
sembra che ti sia slogata la caviglia - l’allenatore mi tasta
l’inizio del piede, che mi fa male! - vediamo di portarti in
infermeria.»
Mentre cerco di obbiettare, si volta verso un ragazzone alto due metri e mezzo, lì al limitare della pista.
«Pugnazzo, potresti venire qui un secondo?»
Vedo
quel tipo - che di faccia sembra meno sveglio di un annaffiatoio -
annuire confuso e avvicinarmisi, spero che non stia per succedere
quello che temo.
«Dovresti scortare la nostra atleta in infermeria, lei non può camminare.»
No!
Mi vedo in braccio a quel gorilla, che mi scarrozza in giro come se
fossi un sacco di patate, proprio no! Non so come, ma sono saltata in
piedi, e saltellando mi sto allontanando.
«Non importa, davvero!»
E come una paralitica cerco di scappare su un piede solo per tutta la pista.
«Hey, che ti è successo?» vedo Luigi venirmi incontro.
Sono
sdraiata su questo lettino neanche fossi una malata terminale. Sono
solo inciampata tre volte mentre cercavo di evitare che mi
ricoverassero perchè ero inciampata.
Una vera barzelletta.
«Mi prendo una pausa dallo studio» scherzo, ma lui mi guarda seriamente preoccupato.
«Hey, tranquillo, mi sono solo slogata una caviglia!»
«Come hai fatto?» continua a guardarmi preoccupato.
«Sono inciampata» taglio corto.
Mentre mi voltavo per vedere se eri tu quello sulla pista, ma te lo risparmio.
«Be’ in effetti ho visto un po’ di confusione lì al campo, mentre passavo» dichiara, sgamato!
«Ho visto anche l’allenatore Mush!»
«Eh
- sospiro - è il nostro supervisore. E si stava accertando che
non mi fossi rotta l’osso del collo.»
Luigi
osserva con circospezione l’armamentario che mi circonda, tutti
quegli aggeggi da infermeria che stanno intorno al mio lettino.
«Lo
so, sembra di stare in terapia intensiva. Sembra quasi un ospedale
serio» buffo pensare che due anni fa non avessero neanche
l’acqua ossigenata.
«Sono pronti a tutto, eh?»
«Yess,
a prova di tutti i casini che potrei combinare» ridacchio come
una scema. Com’è che Luigi mi fa quest’effetto gas
esilarante?
«Be’, ora sono più tranquillo» constata dopo aver guardato il mio piede fasciato.
«E quando ti dimettono?»
«Pft! Io potrei, anzi dovrei andarmene già adesso. Mi sto solo approfittando dei materassi, sono morbidi.»
«Ma come stai?»
«Be’ se non muovo il piede, mi fa solo male la gamba, ci sono praticamente caduta sopra.»
Luigi
non sembra ancora sicuro di lasciarmi qui da sola, fortuna che arriva
l’infermiera e lo scaccia via. Ora mi dice qualcosa a proposito
di come devo comportarmi con il piede in questi giorni, ma sinceramente
non sto ascoltando. Questo posto è tutto bianco, accidenti.
Tende bianche, muri bianchi, letti bianchi, infermieri bianchi, neanche
l’Apple Store. Annuisco come una scema alla povera Toad che
credeva la stessi ascoltando, ora che me la sono tolta dai piedi posso
riposare. Ahh, che bella la scusa della caviglia per dormire.
Neanche
stanotte ho dormito molto. Tutte queste seghe mentali che mi sto
facendo in questi giorni non mi aiutano di certo. E di nuovo quella
dannata angoscia che mi prende allo stomaco. Che palle!
No niente, non posso dormire. Mi sa che mi alzerò tra poco, però questi materassi sono davvero morbidi.
Sento imprecare alla mia sinistra, mi giro e intravedo oltre la tendina il tipo più tedioso del campus.
«Toh, Inkulak. Da chi ti sei fatto picchiare stavolta?»
Vedo
l’odio ribollire nei suoi occhiacci gialli quando si gira verso
di me. Farebbe quasi paura se non fosse per quei ridicoli occhiali a
culo di bottiglia.
«Non sei simpatica, come sempre d’altronde.»
«Parla il pagliaccio!» mi sento esageratamente acida in questo momento, sarà per la caviglia.
«Ba’ - sbuffa - almeno io non mi sono azzoppato!»
«Mi
sembra un tantino difficile azzopparsi quando non hai i piedi -
rispondo, possibile che sia così stupido? - e cosa ti sei fatto
allora?» non sembra ferito, nè pestato, perchè sta
occupando un letto?
«Ho
sbattuto contro una finestra - borbotta ferito nell’orgoglio - un
idiota me l’ha chiusa in faccia mentre stavo entrando.»
«Ti sei rotto il naso invisible?»
«Ah ah ah no, un’ala.»
«Un’ala invisiblile?» osservo per farlo irritare.
«Sgrunt!
Faresti bene ad abbassare la cresta con me, Umana, se non vuoi che ti
venga a trovare in un incubo, uno di questi giorni!»
«Prima devi farti guarire quella tua ala invisibile!»
Inizia
a sputarmi offese a raffica, ma sinceramente non m’importa e
allungo la mano verso il cellulare sul comodino. Meglio dire a Peach
che sono in infermeria prima che lo scopra da sola e si infuri.
Allora, entriamo nella chat…
[Peach] Hey Daisy che ti è successo?
[Peach] Daisy rispondi!
[Peach] Mi stai facendo preoccupare!
Ah, stupendo. Ora mi mangia viva.
Proviamo con un “hey”.
[Daisy] Hey
Boh… ultimo accesso, 10 minuti fa. Speriamo risponda.
Cos’è questo silenzio? Ah, Inkubak si è chetato, finalmente.
[Peach] Hey!
[Peach] Brutta scema!!
Ahia.
[Peach] Pensavo fossi morta! Mi hanno detto che eri in infermeria!
[Daisy] Yep, ed ora sono resuscitata.
Sta scrivendo… rabbrividisco ma sorrido allo stesso tempo. Che masochista che sono!
[Peach] Perché non mi hai scritto prima??
Me ne sono proprio dimenticata.
[Daisy] Ti saresti agitata
[Peach] Perché così ero tranquilla!
Andiamo Peachy! Sento un brontolio angoscioso allo stomaco. D’improvvviso mi sento cattiva.
[Daisy] Se eri così preoccupata potevi anche venire
Visualizza… … non risponde.
Alzo
lo sguardo dal cellulare e vedo l’infermiera-scagnozzo del dottor
Toadly* chiudere le tende e far cadere questo posto già triste
nella penombra.
Controllo di nuovo, ma non risponde. Si è offesa?
Sento dei passi nervosi avvicinarsi. E toh, eccola che mi spunta davanti!
«Daisy! Razza di screanzata!»
Grazie, eh.
«Shhh, non vedi che sto soffrendo?» le indico il piede ma lei mi ignora.
«Pensavo ti fossi, che so, rotta quella zucca dura!»
«Peachy che parla come una popolana - rido - questa è da incorniciare in un fumetto.»
Lei sbuffa. Si siede ai piedi del letto, continuando a guardarmi male.
«Che hai combinato?» chiede finalmente.
«Sono inciampata. Male. - sbuffo, mi da davvero fastidio questa cosa - Tutto qui»
«Certo, non inciampi mai, ma quando lo fai, lo fai con stile» mi sorride addolcendo un po’ lo sguardo.
«Mi hai rubato la battuta, ti giuro! Stavo per dirlo io.»
«Ormai ti conosco troppo bene, ricorda che siamo pur sempre cugine.»
Ba’, “cugine”, di quarto grado?
Rimango in silenzio. Peach mi si avvicina con un’espressione mista tra rimprovero e apprensione.
«Mi dispiace per la tua caviglia - mi dice guardandomela - per un po’ adesso non potrai più correre.»
Un pugno gelido allo stomaco. Per un attimo sento il mio corpo coperto da sudore freddo.
«Caz*o! - mi sfugge - Hai ragione!»
*Toadly è il Dottor Doat nella versione inglese, un dottore di “Mario e Luigi: Viaggio al Centro di Bowser”.
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Commento d'autore
L'avvento
di Mario Odyssey mi ha rubato - e continua a farlo - tempo prezioso per
postare, ma a Mario Odyssey non si può che dare la
priorità.
Vi prego di lasciarmi una recensione per farmi sapere cosa ne pensate
della storia e se avete personaggi di vari spin-off da proporre. Alla
prossima! :)
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Capitolo 4 *** 4 - [Farfalà] ***
Capitoli di efp
[FARFALA’, 3^ persona]
Probabilmente Giovedì, sera, Ottobre
Da
fuori, la luce fredda dei lampioni filtrava appena dentro la finestra,
posandosi sui contorni della stanza senza troppa convinzione.
“Fa freddo, per essere autunno…” pensava, rannicchiata sopra al letto.
Ora che la vedeva nella penombra, la stanza sembrava vuota e ordinata.
“Devo
mettere via tutti gli scatoloni, domani…” si
ricordò. I suddetti erano addossati in un angolo buio, e neanche
stringendo gli occhi riusciva a vederli.
“Domani
mi metterò qualcosa di più caldo… lo shalle di
mamma magari...” si disse, cambiando posizione e voltandosi verso
il muro bianco.
“Spero di non dover reincontrare quel cafone” ammise a sé stessa dopo un po’.
I minuti passavano. Anche il rumore della rissa che aveva sentito per un bel pezzo si era finalmente placato.
“Chissà
se in questo luogo pieno di gente che si scazzotta finirò per
farmi male… - si chiedeva, cercando di non pensare ad altro - o
peggio, finirò per abbassarmi al loro livello… vallo a
sapere, cosa succederà, in questo Campus…”
Una
parte di lei, in quel momento, avrebbe voluto alzare le coperte,
arrotolarcisi dentro e addormentarsi al caldo in un dolce abbraccio
morbido. L’altra parte rammentava ancora il ragno che aveva
trovato il giorno prima nel rifare il letto.
“Era
un ragno piccolo piccolo… - continuava a ripetersi - non
punge… sicuramente… credo…”
Buffa, la paura irrazionale, si diceva.
Ma per quanto cercasse di concentrarsi su altro, la mente gli ritornava sulla pesante giornata appena trascorsa.
“Quel
figlio d’un cane… letteralmente” si ripeté,
cercando di ignorare il suo brutto muso che continuava ad aleggiarle
davanti agli occhi.
“Andiamo,
non è andata così male” le sussurrò una
vocina all’orecchio, mentre si sforzava di addormentarsi.
“Peach è stata carina con te.”
“E’ già tanto che ti ricordi il nome” ribatteva.
“Non vuoi diventare una pessimista cronica come tua madre, no?”
Farfalà rabbrividì al solo pensiero.
“Per la miseria, no, ci mancherebbe.”
“Allora prendila con positività.”
“Fosse
facile…” ma mentre se lo diceva, si rese conto che in
realtà non era così difficile. Avrebbe solo dovuto
pensare alle cose belle della giornata, come faceva quando si sentiva
giù.
“Okay,
non ti va giù che questa prima giornata non sia andata come
speravi - ammise a se stessa - ma adesso renditi conto che poteva
andare molto peggio. E da domani vedremo di far rifiorire queste
aspettative.”
Era
partita bene, a dire il vero. Dopo essersi data una sistemata, aver
indossato la camicetta bianca che le piaceva molto e i fuseaux beige,
ed aver ricontrollato di aver preso i quaderni per gli appunti e la
cancelleria varia, si era messa la borsa a tracolla ed era uscita,
nervosa e felice insieme per il primo giorno di studi alla Heaven
University. Con la paura di far tardi, a causa della distanza che
separava il suo monolocale dal nucleo scolastico, aveva subito
affrettato il passo, con gli occhi ben piantati sulla stradina con la
paura di perdersi.
Quel
campus era davvero enorme, aveva constatato in pochi giorni, e il
prezzo per una camera più isolata ed economica era quello di
trovarsi quasi al limitare della pineta, ben lontana dagli edifici
scolastici.
Più
si era avvicinata al nucleo del villaggio scolastico, più
persone aveva incontrato. Ragazzi della sua età, o un po’
più grandi, che andavano a lezione, o si avviavano nella Hall
della scuola per fare colazione; altri che non avevano lezione si
portavano i libri per ripassare su una panchina, o alcuni si dirigevano
in biblioteca assieme agli amici per studiare l’argomento del
prossimo esame.
Farfalà
si era sentita assai indietro con gli studi dopo aver visto quel gran
viavai di gente armata di libri e cultura, ma si era ripetuta con
fermezza che avrebbe recuperato il primo mese senza troppi problemi, se
si fosse impegnata al massimo. La Heaven University aveva una sua fama
anche per l’essere un’Università impegnativa, ma
clemente con gli studenti che dimostravano impegno e costanza.
Qualità che a lei non erano mai mancate, per sua fortuna.
I
problemi erano iniziati appena aveva messo piede nella Hall. Si era
ritrovata davanti ad un brulichio di persone, fiumi di creature di ogni
razza e provenienza che attraversavano l'edificio per raggiungere le
aule, che si sedevano ai tavolini dei bar - ben due bar - a bere,
mangiare, leggere, chattare, chiacchierare con gli amici. Gruppetti di
giovani che sghignazzavano addossati alle pareti, addirittura un paio
di banchetti allestiti sul momento per sponsorizzare eventi vari
organizzati dagli stessi studenti…
Farfalà si era sentita subito ingabbiata, rinchiusa tra quelle mura con quelle persone, troppe persone,
che le scivolavano intorno, da ogni lato, chiacchierando e gesticolando
senza ritegno, persone che la urtavano come se fosse stata invisibile,
o che la artigliavano con sguardi investigativi, o peggio ancora, con
sguardi divertiti. Cercando di rimanere calma, ignorando la pelle
d’oca che l’avvertiva di tutti gli sguardi posati sopra di
lei, aveva acceso il cellulare per controllare la foto alla mappa del
campus che aveva fatto il primo giorno, per controllare dove si
trovasse l’aula di farmacologia. Nel farlo, le si era avvicinato
un tipo eccentrico, coperto di lustrini e vestito come un mezzo divo,
che le aveva chiesto se avesse avuto bisogno di indicazioni, ma lei
aveva trovato quel che cercava sulla mappa.
Vi si era diretta il prima possibile, cercando di sfuggire a quella Hall caotica che le ricordava i tempi infernali del liceo.
La
mattina, dopo tutto, non era trascorsa così male. La prima
lezione le era sembrata interessante, l’insegnante sembrava una
persona in gamba per quanto forse troppo rigida negli atteggiamenti.
Non
aveva potuto fare a meno di confrontare la vecchia università
con la Heaven, e le prime cose che aveva notato, oltre
l’immensità di quella struttura, erano state
l’efficienza e la prontezza che quel posto emanava da ogni metro
quadrato. La fama di
quella scuola si poteva quasi respirare. Era una reggia a confronto
della miseria in cui si era ritrovata il primo anno, poco ma sicuro.
Dopo
aver consumato un rapido snack, si era seduta su una panchina libera
nel piazzone del campus, una sorta di enorme giardino oblungo tagliato
da stradine regolari che portavano ai vari edifici, e si era messa a
leggere il suo libro sulla fisica quantistica. Nonostante gli restasse
pesante e lento, lo trovava interessante. E poi, quando poteva
conoscere qualcosa in più, era sempre spinta a continuare
nonostante gli ostacoli. Il corso successivo si sarebbe svolto alle
11:00, e quindi ebbe tempo di sfogliare anche il libro di Scienza
Dimensionale. I corsi ai quali si era iscritta erano molti, tutti in
date molto diverse l’uno dall’altro, si era anche prenotata
ai corsi di cucina di base che si sarebbero svolti a gennaio. Il
ventaglio di materie che aveva scelto l’aveva soddisfatta:
differenti, varie, ma interessanti e comunque in sintonia con la sua
curiosità. Non sarebbe mai andata ad un corso di teatro, o da
qualche altra parte dove sarebbe stata costretta ad interagire
direttamente con le persone che la circondavano, o a mettersi in mostra.
Una voce melliflua le era entrata nelle orecchie, ad un certo punto.
«Noto
con piacere che qualcun altro è interessato alle Scienze
Dimensionali» e poi una risatina sotto i baffi.
Alzando
lo sguardo si era ritrovata faccia a faccia… si poteva dire
così? Aveva incontrato una maschera montata sul corpo di un
ragazzo minuto - o almeno era quello che sembrava - intento a guardarla
attraverso le fessure della suddetta.
«Oh, emm, è solo un corso extradidattico. Non seguo un indirizzo magico...»
«Ahahah
- l’altro non aveva dato conto alle sue parole - e pensare che
iniziavo a temere la graduale sparizione di questa materia. E invece,
spunta fuori addirittura un corso pomeridiano… com’è buffo il mondo, non trovi?»
Farfalà
aveva perso le parole dello strano essere, in quanto era rimasta a
fissargli la bocca muoversi sopra la maschera con innato stupore. Non
aveva mai visto una creatura del genere in vita sua, e non sapeva come
comportarsi.
«Mhh,
mi pare di capire che tu sia ancora vergine di questa scuola, il tuo
dolce viso innocente emana estraneità da tutti i pori...»
«Emm, in effetti sono qui da… da poco.»
Si
era sentita a disagio ma allo stesso tempo affascinata nello stare di
fronte a quel tipo bizzarro con una maschera bianca e nera la posto del
volto.
«Ahah! Saprai perdonarmi, ma sembri sperduta, come un pezzo di origami in attesa della colla per costruire la statua di carta che è la tua cultura.
Sei qui, da sola, lontana da questi… - si guardò attorno,
adocchiando dei gruppetti di studenti sorridenti e divertiti -
energumeni viventi, in cerca della vera felicità, una cultura
che possa sollevarti spiritualmente al di sopra dei nostri rozzi
coetanei» sul suo particolare volto si era allargato un sorriso
inquietante e divertito.
Farfalà
non era riuscita a cogliere tutto quello che lo strambo figuro le stava
dicendo, ma aveva annuito lo stesso, con falsa decisione.
«Be’,
credo sia ora che vada - si portò le mani in tasca, chinando
leggermente il capo da una parte - il corso di teatro mi aspetta. Sono sicuro che si stanno disperando, senza il sottoscritto.»
Farfalà avrebbe giurato di averlo visto fluttuare per qualche secondo.
«E credo anche che ci rivedremo in giro, o mia cara ragazza che ha capito tutto della vita. Ciao!~»
E
con uno schiocco di dita si era dissolto, così, di fronte a lei,
lasciando dietro di sé uno strano suono simile a quello di un
campanello. Nel punto esatto in cui il suo corpo era sparito, la
ragazza aveva visto tremare l’aria come se fosse stata
surriscaldata, per qualche secondo.
Dopo
quel particolare incontro, non era successo nulla di strano per il
resto della mattina. Nulla da cui non era riuscita a sfuggire come
un’anguilla sguscevole, almeno. Verso le quattro, quando era
invece uscita per avviarsi verso l’edificio di materie
matematiche e fisiche, era stata fermata dallo stesso Mollalosso della
mattina, quel tipo dalla pelliccia blu vestito in modo eccentrico.
«Ma guavda chi ho l’onove di veincvontvave!»
Non aveva capito una singola parola, ma aveva strattonato il braccio togliendolo dalla stretta dell’altro.
«La fanciulla pevduta!»
«Non ti conosco» aveva cercato di toglierselo dai piedi lei.
«Andiamo, non devi fare la timida, sono un vagazzo in gamba, posso aiutavti.»
«Non
ho bisogno di nessun aiuto!» e si era subito lanciata verso
l’edificio, quasi chiudendocisi dentro. Inizialmente aveva dato
peso a quell’offesa subita, ma poi aveva scosso la testa
dicendosi che il mondo era pieno di idioti. Aveva passato il corso con
in testa quello sbruffone, e quando si era resa conto di aver saltato
le spiegazioni basilari era troppo tardi. Alla fine della lezione era
uscita mogia mogia dall’aula, cercando di farsi forza dicendosi
che era solo un corso culturale, e che se perdeva qualcosa poteva
ritrovarlo facilmente su internet o in qualche libro.
«Oh,
hey ciao!» una voce solare l’aveva chiamata. Per la terza
volta in quella giornata era stata avvicinata da qualche estraneo, o
quasi. Si era ritrovata infatti a guardare in faccia a quella ragazza
carina che qualche giorno prima le si era avvicinata chiedendole del
libro.
«Ciao! - l’aveva salutata nuovamente, raggiante - hai iniziato i corsi?»
«Sì,
ho appena finito il primo di fisica quantistica...» colta
improvvisamente dall’imbarazzo, aveva iniziato ad accarezzarsi un
ciuffo di capelli con visibile nervosismo.
«Guarda,
io esco adesso da uno di economia. La odio ma… insomma, mi hanno
quasi obbligato a farlo perché è… - aveva
esagerato un verso gesticolando - “essenziale per il mio futuro”, capisci?»
E si era messa a ridacchiare. Lì, neanche Farfalà era riuscita a trattenere una smorfia divertita.
«Conosco
la sensazione. Mi hanno costretta a fare molte cose che trovavo e trovo
tutt’ora inutili, in vita.» ammise ridacchiando.
«Penso che purtroppo tocchi un po’ a tutti.»
Farfalà
era rimasta con il capo parzialmente chino e l’aria da asociale
cronica per qualche secondo, fino a che Peach non l’aveva
afferrata delicatamente per un braccio proponendole di andare a
mangiare un gelato.
«Un gelato, con questo freddo?»
«Sì,
sono gli ultimi della stagione, sennò poi finiscono! E poi sei
nuova, posso mostrarti i posti migliori dove mangiare!»
In
poco, la ragazza era riuscita a trascinarsela dietro. Erano andate in
questo chiosco, ed avevano veramente mangiato gelato nonostante
l’aria fredda. Peach aveva iniziato a parlarle come se fosse una
sua grande amica, e se la cosa all’inizio l’aveva messo a
disagio, dopo la ragazza aveva dovuto ammettere a sé stessa che
parlare un po’ le aveva fatto piacere. Forse stringere qualche amicizia non le avrebbe fatto male.
Ed
ecco che si era avvicinato, per la terza volta, il fastidioso figuro.
Il Mollalosso eccentrico aveva fatto la sua comparsa alle sue spalle,
per poi chiamarla con un nomignolo sdolcinato che non riusciva a
rammentare.
«Le nostve stvade si veinconvtano!»
«O forse mi stai seguendo!» aveva sibilato lei voltandosi di scatto e puntandogli addosso uno sguardo tagliente.
«Nando! - l’aveva apostrofato Peach, senza perdere contegno - non importunare la mia amica!»
Il tipo, quel Nando, si era improvvisamente sentito a disagio.
«Oh, Peach! Erm, è straor… svaovdinavio vedevti! Sai che pev me sei come una stella che bvil-»
Ma
Peach si era avvicinata con fare minaccioso, serrando i pugni e
penetrandolo con uno sguardo più freddo del gelato che aveva
appena mangiato. Nando era stato scosso da un brivido, aveva borbottato
un “au reoir signove!” e si era allontanato a passi svelti.
«Vedo che hai già conosciuto quel gran bischero che è Nando.»
«Evidentemente...»
Peach aveva notato il suo disagio, e le aveva sorriso per rassicurarla.
«Stai
tranquilla, è innocuo, solo molto cocciuto e fastidioso. Dopo un
po’ però ti lascia in pace.» si scostò un
ciuffo di capelli dagli occhi, pensierosa.
«Non come qualcun altro...» aveva poi aggiunto a bassa voce.
«Oh… speriamo… comunque, grazie per avermi difesa.»
«Figurati cara!» il volto della giovane bionda era tornato a risplendere.
«A
meno che tu non sia Goombella, non dovrebbe più darti noia. Mi
dispiace per quella povera ragazza, neanche la mia autorità
riesce a scollarglielo di dosso.»
Farfalà, che non conosceva nessuna Goombella, si era limitata a rimanere in silenzio.
«Sei una persona importante, da queste parti.» scherzò quindi dopo un po’ Farfalà.
«Ahah,
diciamo che sono… popolare! Però non voglio sembrarti
come quelle antipatiche stereotipate delle serie tv scadenti!»
aveva subito messo in chiaro.
«No, no, tranquilla, sono la prima ad odiare i pregiudizi.»
Farfalà
si era sentita per la prima volta felice di avere accanto una persona
che condividesse le sue idee. Ed anche se Peach continuava a sembrarle
una tipa molto eccentrica, si era sentita bene con lei, in quel momento.
Ripensandoci, in effetti, quella giornata non aveva fatto così schifo.
“Visto?”
Si era detta.
“Potresti anche sopravvivere, sai?”
Sì, ce l’avrebbe fatta. Si addormentò poco dopo.
----------------------------
Commento d'autore
Vi siete ormai imbattuti in uno dei miei personaggi preferiti,
Farfalà, di Super Paper Mario. Come avrete intuito, questa
ragazza entrerà a far parte dei molteplici protagonisti che
già guidano questa storia.
Nonostante, chi mi conosce lo saprà, Farfalà sia
solitamente uno dei personaggi chiave delle mie storie (I personaggi di
SPM in generale, un altro l'avrete sicuramente riconosciuto in questo
stesso capitolo), visto che questa AU si incentra soprattutto su
personaggi più classici, cercherò di non puntare tutti i
riflettori su di lei.
Almeno per un po' XD
Non
smetterò di ripeterlo, ma vi sarei molto grata se mi lasciaste
una breve recensione ogni volta che ne avete il tempo, per darmi
opinioni su come potrei migliorare o anche solo per farmi sapere se il
capitolo vi è piaciuto! E ricordate, potete proporre vari
personaggi da utilizzare come spalle o comparse, per rendere questo
mondo ancora più variopinto di quanto già proverò
a renderlo ;)
Grazie per la lettura e arrivederci!
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Capitolo 5 *** 5 - [Luigi] ***
Capitoli di efp
[LUIGI, 1^ persona]
Domenica, mattina, sempre Ottobre
Non
ce la faccio più, mi sento tutto il corpo appiccicoso, e puzzo
di fumo da fare schifo. Però mi limito ad asciugarmi la fronte,
e a spingere il carrello.
«Hot dogs! - urlo - hot dogs caldi!»
Ma
tutti sono occupati a guardare la partita. Ah, che giornata terribile!
Fa un caldo tremendo per essere ottobre, mannaggia, e poi la partita
è talmente tesa che a nessuno frega di mangiare. Do
un’occhiata in giro, magari incrocio una faccia che mi sembra
vogliosa di hot dog caldi…
no, tutti presi ad urlare allo stadio. Bowser ha appena segnato un
punto, bah, che rabbia! Mi volto un attimo a guardare come sta
andando… Mario sembra fiacco, oggi. Mi dispiace, povero
fratellone… si è beccato quella brutta influenza, tutta
colpa sua! Ed ora lo vedo arrancare sul campo… non voglio che
faccia una figuraccia, sarebbe un duro colpo per la sua
reputazione…
Oh,
cos’è questo puzzo di NO IL WURSTEL! Lo tiro via con la
palettina dalla griglia elettrica, ma ormai è invendibile, tutto
nero… ed è il quarto oggi, ah, mi sento così
imbranato! Mamma mia, me ne capitano di tutti i colori in questi
giorni… mentre butto il pezzo di carne immangiabile nel
sacchetto della spazzatura che tengo attaccato al carrello, sento le
grida entusiaste del pubblico. Non posso distogliere lo sguardo, o mi
giocherò anche l’altro wurstel… bene, avviciniamoci
a questo ragazzo
«Hot dog caldi! - grido nella sua direzione sperando mi noti - hot dog caaaaaldi!»
«Ma zitto!» mi grida qualcuno.
Sento
passarmi per la schiena un brivido, meglio non farli arrabbiare…
mi spigno ancora più avanti, tra le tribune, cercando di non
schiacciare i piedi a nessuno…
Ah,
è un peccato che Daisy non ci sia. Avrei potuto fermarmi un
momento e mettermi a chiacchierare con lei, e poi compra sempre un
panino… mi chiedo cosa non vada più bene in questi hot
dog, l’anno passato fecero un successo enorme…
«Amico,
ti sposti!? Non vedo!» una mano grassa e robusta mi afferra il
braccio, e subito mi da una spinta all’indietro, hey cafone! Poi
lo guardo in faccia, quel manigoldo.
«Hey Wario, scusami eh, ma c’è modo e modo!»
Lui
sbuffa e mi fa segno di “levarmi dalle palle”,, sì,
complimenti per la finezza, cafone! Okay, a ripensarci anche Daisy
è molto volgare… ma lei se lo può permettere.
E’ l’unica che può.
Che
tristezza. Apro la porta della mia stanza, la trovo in disordine come
al solito, ah, dovrò riordinare anche per Mario. Iniziamo,
va’, il letto a castello non si rifà da solo… ma
che schifo, la maglietta sporca sotto le lenzuola! Mario, okay che sei
un grande sportivo ma… mah, se ci vedesse la mamma ci magerebbe
tutti e due. Però io riordino dopo un po’. Mhh
vediamo… c’è un dito di polvere sulla scrivania,
no, non va bene. Vediamo, dove ho messo lo spolverino? Okay, nel
cassetto, mettiamoci all’opera… Mhh che ore sono? Do
un’occhiata di sfuggita all’orologio, le tre… ho
ancora il mio panino sullo stomaco. Effettivamente inizio a capire
perché non me li comprano… Che, poi, mi sale la rabbia
pensando che anche oggi non ho fatto più di tre monete. Solo
perché quell’arrogante mi ha voluto pagare solo una moneta
l’hot dog con troppa maionese. Ma come puoi dire che la maionese
è troppa? E’ la cosa più buona che
c’è, bah…
Comunque
potrei provare a cambiare pane, quello rimane un po’ molliccio
dentro e...oh cavolo, ma la gelateria chiudeva ieri! Oh no, no no! Mi
metto a girare per la stanza, ah, che funghi secchi… e io che
volevo portare il gelato al pistacchio a Daisy, dopo… devo
inventarmi qualcosa… intanto pulisco.
Sento la tasca vibrare, mh? Controllo, oh, è Mario.
[BigBro] Abbiamo vinto!
Evvai!
Almeno questa…! Che poi, non so perché abbiano dovuto
frammentare l’incontro in due parti… se fosse finito
questa mattina sarebbe stato molto più semplice.
[Luigi] Grande!!
[Luigi] Allora tra poco vieni a casa?
“Casa”, vabbé ha capito.
[BigBro] Sì, ma dopo esco con Peach
Oh. Ohhh. Cariiiina come cose, eheh, fratellone birichino.
Quindi
rimarrò solo io. Potrei andare a farmi un giro per i negozi in
città… magari trovo qualcosa di carino per lei…
… … ...
Bene,
sono le quattro, Mario è già uscito, dovrebbero aprire i
negozi. Mi avvio; fuori fa freddino, ma se cammino svelto dovrebbe
passarmi. Mhhh, ci vuole un po’ a piedi da qui alla fermata del
bus, ma ne approfitto per godermi l’aria fresca. Con questo
venticello, sarebbe ottimo farsi un giro con la Tuta Scoiattolo.
Ricordo che lo feci in un campo estivo con Mario, qualche anno fa, era
molto divertente… già, poi mi sono beccato quella botta
sul naso tremenda quando ho sbattuto contro l’albero…
comunque, eccomi. Controllo gli orari, be’ il prossimo arriva tra
un quarto d’ora, mi metto a sfogliare Facekoop sedendomi sulla
panchina. Adoro quest’ora del giorno nel campus, non
c’è nessuno, è una pace… toh, ecco che
invece arriva un qualcuno, oh no, è il mio professore!
«Hey… Luigi giusto?»
Oh no, quell'energumeno mi si sta sedendo accanto…
«S-salve, professor Welderberg*»
Okay Luigi, ora sta’ calmo, non è come al liceo, dove dovevi temere i professori.
«Come va, figliolo?»
Quella patacca ambulante si è messa a leggere gli orari.
«Bene. Sto andando in città, voglio farmi un giro dei negozi.»
«Oh,
bene, anche io vado in centro. - fa una breve pausa dove si ferma a
guarde il vuoto… - Però la domenica molti negozi sono
chiusi.»
«Nel
corso c’è sempre qualche negozio che resta aperto…
o al massimo posso andare al centro commerciale, non è un
problema.»
«Ben detto, ragazzo. Mi piace come ragioni, pensando subito ad una soluzione! Somigli a tuo fratello.»
Ugh.
Questo fa un po’ male. Perché tutti devono paragonarmi
sempre e comunque a Mario? Cioè, io adoro mio fratello, davvero,
non potrei vivere senza di lui, ma non è molto carino essere
sempre considerati il secondo treno… oh, l’autobus, per
fortuna. Salgo, prendendo il posto accanto ad una signora ben vestita
con la paura che il professore possa sedersi vicino a me per
chiacchierare… mi sento un po’ a disagio con questa Toad
tutta agghindata a fianco, ma in fondo la corsa non dura molto…
Mentre
vengo sballozzolato in giro dall’autista incapace, controllo se
qualcuno mi ha mandato dei messaggi… no, niente di serio. Su
Facekoop trovo solo meme orribili, ah che noia… mi sembra di non
arrivare mai.
«Ohh, ma io ti conosco!» esclama d’un tratto la signora accanto a me.
Spero non stia parlando con me…
«Sì,
sei il fratello di quel morettino affascinante… Mario, giusto?
Ah, conosco vostra madre da un sacco di tempo!»
Oh no.
«E tu sei… Gigi, giusto?»
«Erm, Luigi.» correggo imbarazzato.
«Vedo sempre tuo fratello in giro, ohoh, chi se lo aspettava questa! Salutami tua madre, Luigi!»
Detto questo si alza e prenota la fermata. Farfuglio un “ok”, anche se mi scordo subto cosa mi ha detto.
Possibile che ci sia sempre Mario in mezzo…?
Ah, tra due fermate scendo in cento. Mi domando cosa potrei…
*Quell’enegrumero di Pepito, Super Paper Mario, il
costruttore di tubi che probabilmente nessuno di voi ricorda. Un
personaggio tanto brutto quanto utile in-game, e che qui ha preso la
cattedra di, be’, indirizzo idraulico.
----------------------------
Commento d'autore
Ho
notato come la storia abbia un buon numero di visualizzazioni, quindi a
qualcuno oltre a me interessa (e a Moonalym, che ringrazio per le sue
recensioni!), ma siete tutti così timidi! Non mordo mica io ;)
quindi ribadisco che vi sarei molto grata se mi lasciaste
una breve recensione ogni volta che ne avete il tempo, per darmi
opinioni su come potrei migliorare o anche solo per farmi sapere se il
capitolo vi è piaciuto! E ricordate, potete proporre vari
personaggi da utilizzare come spalle o comparse, per rendere questo
mondo ancora più variopinto di quanto già proverò
a renderlo ;)
Grazie per la lettura e arrivederci!
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Capitolo 6 *** 6 - [Rosalinda] ***
Capitoli di efp
[ROSALINDA,
3^persona]
Un
giorno a metà del mese, sera inoltrata.
La
ragazza percorreva la strada buia senza fretta, ma con le orecchie
tese. Procedeva a passi misurati, e occasionalmente si lanciava
occhiate investigative attorno. Era impossibile capire se stesse
cercando qualcosa o cercasse di sfuggirvi.
La
fermata dell’autobus più vicina non distava ancora molto.
La
borsa che teneva con sé fremette con nervosismo. Lei le dette una
pacca gentile per rassicurarla.
«Va
tutto bene, piccolo… non agitarti.»
La
borsa smise di tremare. Rosalinda vi lasciò la mano poggiata sopra,
per rassicurare la creatura nascosta al suo interno.
I
lampioni che si accesero alle sue spalle rigettarono una luce smorta
sul marciapiede deserto. La ragazza si guardò indietro, per qualche
secondo, e poi continuò la sua camminata. Ogni tanto adocchiava
qualche ubriaco aggirarsi per le strade lontane, ma nessuna minaccia
dava l’idea di stare per palesarsi.
Quel
quartiere si era guadagnato la fama del quartiere
per ubriaconi più tranquillo della città.
E questo per il semplice motivo che confinava col Quartiere Oscuro,
dove pochi osavano mettere piede senza un valido motivo, anche tra i
più scapestrati dei ragazzi ribelli. Lei, quella sera, era però
dovuta sgattaiolare proprio lì dentro.
Ancora
si sentiva addosso le occhiate investigative delle varie creature che
abitavano quella fetta di città… era una sensazione sgradevole.
Bastava non essere un Sombriano, un Crepuscoliano, un Pipistrello,
un’Ombra, o, insomma, una di quelle inquietanti creature adatte
solo a strisciare nell’ombra, a detta di alcuni, per attirarsi,
come calamite, tutti gli sguardi del vicinato. Ed era già tanto che
riuscivi ad uscirne vivo, se avevi avuto la malsana idea di provare
ad entrarci! Così dicevano.
Ma
a Rosalinda non era mai importato molto quello che diceva la gente.
Anche perché era brava a cavarsela anche dalle peggiori della
situazioni. Avere dei poteri magici, in fondo, non era una dote che
andava sprecata.
Dopo
aver raggiunto il limite del quartiere, trovò la fermata
dell’autobus… ma l’ultimo era passato un’ora prima.
“Dannazione”
pensò, ma non si scompose. Tirò fuori il cellulare, accendendo
Goomble Maps, e cercò con gli occhi la via più vicina il centro
città. Distava quasi quaranta minuti a piedi, ma Rosalinda confidava
sul fatto di incrociar qualche Taxi per le vie.
Proprio
mentre stava per attraversare la strada, vide dal fondo del tracciato
buio brillare un paio di fanali. Una luce debole e smorta, come
quella dei lampioni, che però serviva quanto bastava ad affermare la
presenza di un auto. Rosalinda attese immobile che passasse, ma
questa rallentò quando si fu avvicinata alla ragazza.
«Signorina
- disse con voce bassa il conducente, abbassando il finestrino - si è
persa? Questo posto può essere pericoloso per una giovane Umana come
lei.»
L’inimitabile
tono cupo e sinistro delle creature dell’Ombra, gli occhi brillanti
e l’atteggiamento che tradiva una certa eleganza non lasciavano
dubbi. Anche nella penombra della notte Rosalinda avrebbe potuto
riconoscere una creatura delle Tenebre.
«Vuole
che la scorti da qualche parte, più tranquillla?»
La
ragazza scorse il capo, nervosa, stringendosi la borsa ai fianchi.
«Non
deve temere - si affrrettò a precisare il Crepuscolano baffuto -
sono un taxista. La porterò fuori di qui in men che non si dica,
senza rischi.»
Rosalinda
solo adesso scorse la scritta logora che riportava “taxi”, su un
cartellino sopra al tettuccio della macchina. Sospirò. Era nervosa,
e indecisa. Sostanzialmente, le creature dell’Oscurità non avevano
la fama di assalire le giovani viandanti - o i giovani - come magari
gli Umani erano più propensi a fare… ma non si poteva mai sapere.
Però era notte, era freddo, e lei aveva una gran voglia di tornare a
casa. Decise di salire in macchina, nonostante i sospetti. Il
Crepuscolano parve apprezzare la sua scelta, e rischiuse il
finestrino.
«Dove
la porto, giovane signora?»
«...può
portarmi alla Heaven University? Sennò, va bene anche la Piazza
Fungo.»
Il
tassista accese i motori.
«Non
si preoccupi.»
Disse.
Peach
ricevette una notifica. Stava facendo la vasca, e d’istinto chiese
se Daisy potesse portarglielo.
«Sì
guarda, ora volo!»
«Già,
scusami… allora ti do il permesso di accenderlo e vedere se è
qualcosa di importante.»
«Okay,
l’hai detto tu eh!»
Peach
chiuse gli occhi e sprofondò un altro po’ dentro alla vasca piena
di schiuma. Passarono pochi secondi prima che Daisy le riferisse il
testo del messaggio.
Niente
battutine prima, niente ridacchi per la chat con Mario, non era da
lei.
«E’
Rosalinda - disse con voce grave - dice “E’ successo un casino.”»
Peach
trasalì, ricordandosi cosa l’amica le aveva detto che avrebbe
fatto.
«Santa
Infernia!»
Il
conducente non riusciva a muoversi dallo spavento. Rosalinda era
scesa, ed osservava la scena con orrore. All’interno della borsa,
qualcosa di muoveva agitato.
Sull’asfalto
scuro, immobile, la figura di un pinguotto.
Mentre
la ragazza aveva impostato il gps e si preprava, all’evenienza, a
tenersi sotto mano un numero d’emergenza, la macchina aveva urtato
qualcosa di grosso.
«Si
è buttato, non è colpa mia!» il conducente aveva una voce
tremante, e fissava la figura priva di vita con crescente orrore.
Rosalinda
sentiva le gambe paralizzate, ma si sforzò di avvicinarsi, a piccoli
passi. Si piegò sul pinguino, notando dei raccapriccianti segni di
lotta sulle ali e sulla schiena. Non c’era sangue in terra, e la
botta non sembrava essere stata così violenta, eppure il pinguino
sembrava a tutti gli effetti morto stecchito.
«Dovrei
chiamare la polizia? Dovrei andarmene? Ragazzina - si rivolse a lei
con meno tatto, in preda al panico - hai visto anche tu che è stato
lui a gettarsi sotto la macchina, vero?»
Rosalinda
rimase in silenzio. Nella sua tasca sentì il cellulare vibrare, era
sicuramente l’amica che si era spaventata.
“Avrei
dovuto stare zitta.”
«Forse
dovremo andarcene… farebbero di tutto per togliermi la patente, ma
io sono sicuro di avere una vista eccellente.»
«...no,
restiamo un altro minuto.» sussurrò la giovane vestita d’azzurro.
«...ma...»
«...
non è morto.»
Toccandolo
appena con la bacchetta che si portava sempre dietro, lo vide
muoversi leggerente.
«Signore,
riesce a sentirmi?» la voce di Rosalinda non tremava né dava segni
di scoraggiamento. Questo colpì il taxista alla sua sinistra, che
riprese coraggio.
«Ne
è sicura?» si sforzò di parlare con tono più tranquillo.
«Mhmh.
Respira, e si muove, anche se poco. Chiamiamo un’ambulanza.»
«No.»
si impose il Crepuscolano baffuto, assumendo un’espressione più
seria e oscura.
«No,
farebbero domande, ci finirei in mezzo...»
Rosalinda
fu disgustata da tutto quell’egoismo, ma cercò di non arrabbiarsi.
Facendosi forza, strinse la bacchetta in entrambe le mani.
«Allora
portiamolo all’Ospedale.»
«...
mh...»
Il
Pinguotto aveva mugolato qualcosa.
«Signore?»
«...ahio.»
«Si
sente bene? Può alzarsi?»
«...dove
sono…?»
Il
tale aprì gli occhi, confuso, e ritrovandosi sulla strada cercò
immediatamente di alzarsi.
«Ah,
che dolore!» mugugnò nell’intento.
Rosalinda
gli porse un braccio, e questo ci si aggrappò avidamente con le
alucce blu.
«Dove
sono quei malfattori? Che ci faccio qui?»
«Signore,
intanto stia tranquillo. Riesce a reggersi in piedi? La scortiamo in
ospedale.»
«Sto
bene - mentì quello - ma apprezzo il vostro aiuto. Dovrò tornare
sulle tracce di quei delinquenti però!»
Il
conducente non aveva detto niente. Si era limitato a far sedere
dietro anche il secondo passeggero, con visibile nervosismo.
«Mi
avete investito voi?» chiese poi il Pinguotto con una nota più
curiosa che accusatoria.
«Lei
si è gettato sotto la mia auto.» sibilò il conducente.
«Strano.
Non ricordo nulla. Mhhh, scusami ragazza, hai mica un cellulare?»
Rosalinda
l’aveva appena preso per inviare un messaggio esplicativo a Peach,
ma fu costretta a porglielo.
«Ci
troviamo in Via Fannullopoli? Questo è molto strano!»
«Cosa
le è successo?» domandò la ragazza, preoccupata, riprendendosi il
cellulare.
«...mi
presento. Sono Holmut Pennington*, custode del museo culturale del
centro storico.»
Mostrò
poi la borsetta sporca di terra e il cappellino, ed estrasse dalla
prima una lente d’ingrandimento dal vetro incrinato.
«Ed
investigatore occasionale! Stavo seguendo una banda di manigoldi,
quando mi hanno preso e poi mi sono risvegliato qui.»
Non
sembrava minimamente turbato dalla cosa. Forse vi era abituato, pensò
con terrore Rosalinda. Certo, un tipo strano. E dall’atteggiamento
dava proprio l’impressione di uno che si fa sgamare spesso, pensò.
«Ora
noi la portiamo all’ospedale - chiarì il Crepuscolano - ma si
ricordi che io non c’entro niente! Evidentemente, l’hanno buttata
sotto le ruote quei… farabutti!»
«Non
si preoccupi.»
La
scena sembrava surreale. Rosalinda era andata, quella sera, nel
Quartiere Oscuro per salvare un cucciolo… ed ora si ritrovava
immischiata in una scena da libro giallo, ma più fantasiosa.
Cercò
di tornare alla normalità. Controllò le notifiche.
[Peach]:
Che
succede?!
[Peach]:
Hey,
tutto bene? Che succede?
A
distanza di qualche minuto, anche un “devo chiamare la polizia? Ti
hanno fatto qualcosa?” e una chiamata persa che non aveva notato
durante gli attimi di terrore, avendo messo il telefono in
silenzioso.
[Rosalinda]:
Tutto
bene. E’ una storia lunga, poi ti spiego, tra un po’ torno al
campus. Non preoccuparti per me.
E
spense il cellulare. La borsa ebbe un brivido, e subito il signor
Holmut si voltò verso questa, incuriosito.
«Cos’è
sato?»
«Niente»
si affrettò a dire lei. La borsa trillò di nuovo.
«Non
è davvero niente, è il mio cellulare che fa suoni strani a volte.»
Sperò
che il tipo non avesse notato che il telefono se l’era messo in
tasca e non in borsa.
*Holmut
Pennington è l’unione del nome inglese e di quello italiano
dell’investigatore di Paper Mario: Il Portale Millenario. Ho deciso
di chiamarlo così per dargli una parvenza di nome completo.
----------------------------
Commento d'autore
Dopo le vicende più o meno legate tra loro dei vari
protagonisti, Rosalinda arriva con un capitolo ed una storia che la
porterà lontano dalle sue conoscenze, a scoprire oscuri segreti
del campus e di chi lo compone...
Spero che la storia vi stia piacendo, lasciate una recensione se volete
darmi un parere o chiedere di far comparire specifici personaggi di
sfondo che ancora non ho programmato di mostrare. Arrivederci ;)
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Capitolo 7 *** 7 - [Daisy] ***
Capitoli di efp
[Daisy,
3^ persona]
Un
mercoledì, pomeriggio, ormai fine ottobre.
Scorreva
lo sguardo sulle righe del tomo, senza riuscire a coglierne neanche
una. Dopo essere arrivata a fine pagina, si rendeva conto di non aver
capito un’acca e riprendeva dall’inizio, con lo stesso risultato.
Leggeva,
senza capire. Col busto abbandonato sulla scrivania, il libro aperto
ad un palmo dal naso, lottava con la crescente tentazione di chiudere
tutto e abbandonarsi sul letto.
“Non
posso permettermelo” si diceva.
La
prima sessione d’esame si sarebbe tenuta a fine novembre, poi ce ne
sarebbero state di nuove a gennaio, aprile e poi a giugno - una
divisione piuttosto inusuale per un’Università, ma era risultata
efficiente, soprattutto con l’enorme varietà di indirizzi che la
scuola vantava.
Quindi,
aveva poco meno di un mese prima della prima sessione, e questo anno
aveva deciso che si sarebbe impegnata… anche perché doveva ancora
dare due esami del primo anno. Il buon proposito di Daisy aveva
iniziato a sciogliersi come neve al sole dopo che aveva provato ad
aprire i primi libri, ed ora quella poca miseria di impegno che aveva
provato a mettere nello studio in quegli ultimi giorni le stava
inesorabilmente scivolando via di dosso.
Mosse
il piede martoriato sotto il tavolo, sentendo dolore, e si ricordò
nuovamente della situazione da martire che stava attraversando.
“Dannata
caviglia.”
Aveva
sperato che, almeno, l’impossibilità di muoversi le sarebbe
servita come molla a studiare - “pur di non annoiarmi…” - ed
invece non sembrava funzionare.
Il
sole rosso stava scomparendo dietro gli alberi. Peach non era ancora
rientrata. La ragazza si stufò e chiuse finalmente quel mattone di
pagine e inchiostro, per poi appoggiarci sconsolata la testa come un
cuscino.
Le
faceva male la gamba. Sentiva quel vago senso di colpa nell’essere
consapevole di non stare studiando, ma la mente stava galoppando
troppo lontano da Agraria per poterla richiamare ai doveri di un
buono studente.
Per
un attimo la faccia di Luigi le balenò davanti agli occhi.
Perché
Luigi?
Alzò
lo sguardo, trovandosi ad osservare il cofanetto che proprio Luigi le
aveva regalato qualche giorno prima. E si ritrovò a sorridere.
Luigi
era stato molto carino. Nonostante si fosse ritrovata scontrosa e
arrogante per via dell'handicap, il ragazzo le era andata a comprare
un regalo per tirarla su di morale. E lei si era stupita nello
scoprire che il timido giovanotto aveva azzeccato a pieno i suoi
gusti in fatto di film. Si era presentato con una innocente bustina
di carta, di quelle che troppo spesso racchiudono quei regali
scadenti che possono essere profumi, braccialetti o altre stupide
cose al di fuori della sua idea di sorpresina. Ed invece quando
l’aveva aperto aveva tirato fuori un cofanetto di ben cinque film
del suo regista preferito. Horror, ovviamente.
“Il
Ragno Meccanico”, “Venerdì 17”, “Lo Spettro del Treno”,
“Sunshining” e “La Lady dei Fantasmi”; tutti ottimi film, di
cui lei segretamente andava pazza.
Anche
se lo stile retrò del regalo l’aveva lasciata un attimo perplessa,
si era ricreduta appena aveva scoperto che i dischi funzionavano
tranquillamente anche sul suo portatile.
Non
aveva, però, ancora avuto l’occasione di guardarseli in santa
pace.
Mentre
calcolava il tempo che avrebbe speso nel divorarsene uno quello
stesso pomeriggio freddo, il sordo trillo di un telefono in
vibrazione attirò la sua attenzione. Aprì l’app, trovandosi
davanti ad un buffo scherzo del destino.
“Penso
a Luigi, ai film di Luigi ed ora addirittura mi scrive! Ma mi legge
nella mente o cosa?”.
[Luigi]
Hey!
Scusa se ti disturbo, non vorrei interromperti dallo studio. Vorrei
chiederti una cosina
“Una
cosina” ridacchiò tra sé e sé Daisy. Si sedette, con non poco
sforzo, sul letto, e iniziò a pensare a come rispondergli.
Una
risposta a tono per imbarazzarlo? Come rispondeva sempre a tutti, in
pratica.
“Nah,
poverino, è tanto dolce lui.”
[Daisy]
Don’t
worry, stavo facendo una pausa.
“Non
è vero, non avevo neanche iniziato… ma dettagli.”
[Daisy]
Cosa
volevi chiedermi?
Luigi
visualizzava in diretta, e dopo pochi attimi iniziò a scrivere la
risposta. Mentre Daisy aspettava il messaggio, si sdraiò sul morbido
materasso distendendo la gamba azzoppata in parallelo alla parete.
[Luigi]
Mario
mi ha detto che sabato Peach e lui staranno tutta la sera in giro per
il campus, per Halloween.
“Ok,
fino a qui ci sono” la curiosità di Daisy si intensificava mentre
Luigi scriveva il messaggio seguente.
[Luigi]
So
che a te piace Halloween ma con il tuo piede…
[Luigi]
...insomma,
non voglio infierire. Ma se ti va, io sono libero, insomma, non ho
impegni per sabato.
Daisy
lesse due volte i messaggi, sentendo una strana sensazione di
imbarazzo nascerle da qualche parte, in fondo all’animo, ma prima
che potesse pensare a come rispondere, Luigi aggiunse un messaggio.
[Luigi]
Non
vorrei che questi messaggi ti mettessero a disagio ^^’ però
volendo posso anche accompagnarti in giro se non vuoi startene a
casa, almeno stiamo un po’ fuori, non so…
“Be’,
ci stai riuscendo, a mettermi a disagio.”
Nonostante
tutto, non si sentiva troppo turbata dalla situazione.
[Daisy]
Boh,
sembra un’idea carina. Sei gentile a farmi compagnia, per me va
bene.
Ma
interrompere così la conversazione sembrava così… inappropriato.
Improvvisamente la ragazza sentì l’impulso di voler parlare molto
di più con l’altro.
[Daisy]
E
tu dimmi, ti vesti per Allouiiin?
[Luigi]
Erm…
[Daisy]
Daaaaaai
se non ti vesti per Halloween sei o vecchio o triste, o entrambi!
[Daisy]
Vuoi
sentirti un vecchio triste? Hai tutta la vita davanti! Sei così
giovane!
Daisy
sperò vivamente che Luigi cogliesse l’ironia delle sue frasi.
Qualche spiacevole aneddoto delle superiori le ricordava spesso come
il giovanotto potesse mostrarsi eccessivamente sensibile, alle volte…
[Luigi]
Non
so… non penso che ci siano costumi adatti a me, sono uno troppo
cool
per
questo genere di cose
[Luigi]
E
poi lo farei per solidarietà! Non credo che potrai vestirti
quest’anno.
[Daisy]
Tu
mi stai sfidando, e la Grande Daisy sa sempre come vincere le sfide!
Ridacchiò
tra sé e sé.
[Daisy]
Ad
esempio, so già che mi maschererò e da cosa! Hai mai sentito
parlare del famigerato Pirata Gambadigesso?
[Luigi]
Questa
è geniale.
[Daisy]
Devi
mascherarti anche tu, anche da barbone, basta che sia un costume! Ti
sfido io ora a trovare il coraggio di farlo
Attimo
di pausa, complice della riflessione di Luigi.
[Luigi]
Se
riesci a farti il costume entro venerdì sera ti prometto che mi
vestirò anche io. Il Grande Luigi accetta la sfida.
“Bene,
benissimo” sorrise Daisy da sola.
«Che
ridacchi?» chiese divertita la voce di Peach.
«Oh,
sei tornata - osservò la cugina senza staccare gli occhi dal
telefono - nulla di che.»
Peach
posò la borsa e annunciò alla coinquilina che andava a farsi una
vasca calda. Daisy annuì senza sentire e continuò a chattare con
Luigi.
----------------------------
Commento d'autore
Salve a tutti e Buon Anno!
Non aggiungo altro, tanto per chi ha letto i vecchi capitoli sarà facile indovinare cosa avrei scritto qui XD
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Capitolo 8 *** 8 - [Peach] Halloween 1 ***
Capitoli di efp
[Peach,
3^ persona]
Halloween,
sera.
La
festa di Halloween nascondeva sempre qualcosa di misterioso. Non
c’era stato un anno, nella Heaven University, che non fosse
successo qualcosa di stravagante, inquietante o veramente spaventoso.
Peach
ricordava divertita e un po’ stranita il primo anno, quando aveva
partecipato alla festa in maschera. Tra i partecipanti, tre toad ed
una tipa si erano creati dei costumi straordinari, perfette
imitazioni degli Shroob, i temibili mostri spaziali di cui bambini e
adolescenti “nerd” si cibavano continuamente, protagonisti
malvagi di fumetti, serie e film.
Questi
quattro figuri, capeggiati appunto da questa sconosciuta che si
autoproclamava “Principessa degli Shroob”, avevano vinto
spiazzando ogni avversario con la realisticità dei costumi, gli
atteggiamenti realistici e gli effetti delle finte pistole laser. Dei
maestri!
Lì
per lì, Peach ci era solo rimasta un po’ male per non aver vinto
uno dei tre premi per la sfilata di costumi, ma non aveva notato
niente di particolarmente strano… fino a che, il mattino dopo, il
gossip di una nuova stravaganza di Halloween aveva iniziato a
serpeggiare nel campus saltando di bocca in bocca fino a giungere al
suo orecchio: i quattro vincitori del contest erano come spariti nel
nulla, nessuno li aveva visti il giorno seguente e né sapeva di chi
si trattasse, ma qualcuno aveva giurato di aver visto una navicella
prendere il volo, quella notte stessa…
Ogni
anno, tutti gli studenti si aspettavano qualcosa di nuovo, bizzarro o
terrificante, e quell’anno, come tutti gli altri, la sorpresa
sarebbe arrivata quando meno se la sarebbero aspettata.
Nel
frattempo, Peach sedeva su una panchina scura sotto un cedro.
Le
foglie cadute ai piedi dell’albero formavano un tappeto variopinto,
una fragile opera d’arte che andava via via disfacendosi ad ogni
colpo di vento. Solo lei si era fermata a guardarlo, come incantata
da quei colori accesi e caldi che presto avrebbero lasciato posto
solo al grigiume e al nero opaco dell’inverno, e poi al bianco
appena fosse nevicato. Attorno a lei, scie di maschere sfilavano per
il ciottolato del campus, balzando da un banchetto allestito
all’altro, con l’intendo di arraffare qualche dolcetto da
gustarsi.
Peach
dette un’occhiata di sfuggita al telefono, notando come nessuno le
avesse messaggiato in quell’ultima ora - cosa assai rara.
Nell’attivissimo gruppo che comprendeva la sua cerchia di amici più
estesa l’ultimo messaggio risaliva addirittura a due ore e mezzo
prima. E gli ultimi messaggi in questione parlavano di come i vari
componenti si sarebbero vestiti.
La
ragazza dette un buffetto alla coda sintetica attaccata al propio
costume, un’adorabile ciuffo di pelo color confetto che dava un
tocco più felino al suo costume da gatta rosa. Non si era sprecata
nel pensare a qualcosa di più originale - o di più a tema con
Halloween - anche perché non aveva intenzione di partecipare
nuovamente alla sfilata.
“Non
se a presentarla c’è Pauline…” mugugnava tra sé e sé.
Pauline!
Il faccino truccato della bella ragazza le sfrecciò davanti, quasi a
volerle ricordare come lei fosse misera al suo confronto.
“Pauline,
la prima
amica di Mario…
come
no, brutta oca.”
Per
un attimo, venne colta da un brivido di rabbia; ma si ricompose in
fretta e si impose di non abbassarsi a certi livelli.
“Lei
e Mario sono solo
vecchi
amici. Niente di più, niente di meno. E poi non ho nulla da
invidiare a quella… oca.”
L’orologio
del cellulare segnò le ventidue. In lontananza, qualcuno accese uno
stereo e una musica dal carattere spooky
iniziò
a diffondersi tra gli alberi. Peach lo trovava un buon tocco di
classe, mentre altri presenti si infilarono gli auricolari, quasi
disprezzanti.
“Chissà
dov’è finito Mario…” si era data appuntamento con il ragazzo
nella crocevia per i dormitori maschili e femminili, verso le dieci,
ma i minuti continuavano a scorrere inesorabili senza traccia di
Mario in giro.
Non
passò molto prima che il telefono nella tasca nascosta cinguettasse
l’arrivo di un messaggio.
[Mario]:
Faccio
un po’ tardi, scusa
L’estrema
aridità del messaggio la sconsolò. Già sentiva gravare la noia di
un’indefinita attesa quando con la coda dell’occhio scorse una
figura familiare passarle accanto.
«Hey
Farfalà!» salutò alzandosi. La ragazza dai capelli oro bianco si
voltò e la salutò di rimando, con la solita timidezza.
«Che
costume carino!» aggiunse poi.
Peach
ringraziò, e le rigirò la domanda.
«Il
tuo costume, invece?» domandò infatti, gettano un’occhiata sulla
lunga veste candida della ragazza, e domandandosi che cosa dovesse
rappresentare.
L’altra
abbassò il capo, accarezzandosi la lunga gonna per togliere qualche
grinza.
«Oh,
questo è solo un vecchio vestito di mia madre. Non è un vero e
proprio costume… - arrossì per un attimo - anche se so di
somigliare ad una contadina, mi mancherebbe giusto il cestello con i
fiori dentro...»
«No,
ma cosa dici! E’ un amore di vestito!»
Riponendo
il cellulare, la ragazza in rosa si offrì di accompagnare Farfalà
per un po’, se questa non avesse avuto impegni.
«Vorrei
farti conoscere qualche pilastro di questa scuola, per aiutarti a
mettere radici, se ti va.»
«Oh,
emm… perché no? Fammi strada.»
Le
due ragazze imboccarono un vialetto e proseguirono in direzione della
Hall.
Di
fianco a loro sgusciavano abiti, maschere e costumi di ogni sorta,
colore e qualità. Per un attimo la giovane credette di aver
avvistato la figura di Bowser travestito da drago, e accelerò il
passo.
«Quindi
mi stavi dicendo che non ti sei mascherata.»
«Be’,
no. Halloween non è una festa che mi appassiona più di tanto…
infatti avevo programmato di rimanere a casa a studiare...»
«A
studiare? Seriamente?
Sacrilegio
studiare
ad Halloween!» una terza voce irruppe nella loro conversazione,
seguita da un sonoro “Yaaaar!” urlato ai quattro venti.
Una
zoppicante Daisy, agghindata con una giacca nera dalle rifiniture
d’oro ed un lungo e lacero mantello rosso, il tutto coronato da un
cappello tricorno e ad una benda sull’occhio sinistro.
«Capitan
Gambadigesso al vostro servizio, donzelle!»
«Suvvia
Daisy, un po’ di civiltà!» la riprese scherzosamente la cugina.
Dietro
alla ragazza armata di stampella si affacciò un timido Luigi coperto
di stracci, con tanto di bandana in testa e scopettone imbracciato.
«Se
non si fosse capito… io sono il mozzo.»
Farfalà
ridacchiò nel vederlo, ma poi commentò che entrambi i costumi le
sembravano molto realistici.
«Certo,
realistici dal punto di vista iconografico… con tutta probabilità
i veri pirati non si vestivano così...»
Commentò
poco dopo a bassa voce. Peach chiese a Luigi che fine avesse fatto
Mario, e questo gli rispose che aveva avuto un po’ di problemi col
costume.
«Sembra
che non sia stato l’unico a raccattare qualcosa all’ultimo
secondo» ridacchiò con una punta di malizia.
«Be’,
allora… se li vediamo in giro per i
sette mari
gli
faremo un fischio e te lo manderemo con le buone o con le cattive! -
annunciò Daisy sguainando la fintissima sciabola di plastica - ed
ora, mie pulzelle, debbo issare l’ancora e salpare alla ricerca di
qualche donouts a tema spettrale. AARRRivederci!»
E
con un brusco gesto della mano riprese a zoppicare seguita a ruota
dal ragazzo in verde.
«Luigi
è un amore di ragazzo - osservò Peach - ma suo fratello...» ma non
concluse la frase, colta per un attimo da un leggero brivido al
pensiero di Mario. Farfalà si limitò a sorriderle, prima di
riprendere la passeggiata.
«Halloween
è molto sentito in questo campus, come avrai notato… - iniziò
dopo un po’ - è un po’ una tradizione fare una festa grande con
tanto di banchetti ripieni di dolci gratuiti… oh, al prezzo di un
“dolcetto o scherzetto?”, ovviamente. E le maschere… alcuni ci
lavorano per mesi, maschere che probabilmente useranno solo un anno e
che poi finiranno appese alle pareti… ma in fondo, la vita è un
continuo “cogli l’attimo”, no?»
«Mhh,
non saprei se concordare o meno… mi sembra un po’ uno spreco...»
Peach
annuì appena, ma non rispose.
«Devi
sapere una cosa riguardo a questa festa...» borbottò grave dopo
qualche altro metro. L’altra la guardò con curiosità.
«Ogni
anno… il 31 ottobre succede qualcosa di… inquietante.»
La
bionda allargò un inquietante sorriso sul volto, come per spaventare
la nuova amica. Questa sembrava più stranita che spaventata, però.
«Sembra
assurdo, ma, puntualmente, ogni Halloween accade qualcosa, qualcosa
che nessuno si aspetterebbe, nel momento meno opportuno...»
Farfalà
sembrò interessata.
«Fammi
degli esempi, allora.»
Peach
ridacchiò fingendo un’aria malvagia - si sentiva così per l’aria
tetra che stava calando sul campus, o forse per un qualche
condizionamento di Daisy?
«Be’,
ad esempio l’anno passat-»
Qualcuno
la urtò, e per poco non cadette a terra.
«Hey
ma…!»
Una
mano le afferrò il braccio e con grazia cavalleresca l’aiutò a
rialzarsi. Si ritrovò di faccia a faccia con un cavaliere in
armatura scintillante, con il volto coperto da un elmo intero.
«Mia
graziosa Peach… si è forse fatta del male?»
«No,
non è niente… Fagiolino?»
Il
Fagiolo alzò la visiera argentea mostrando lo sguardo fiero di un
principe.
«Oggi
sono Sir Fagiolino - il giovane dai capelli dorati si inchinò con
teatralità - al vostro servizio, mie damigelle.»
Farfalà
si fece timidamente avanti, squadrando con circospezione il tipo.
«Lui
è Fagiolino, è un mio amico.»
«Io
e la qui presente Peach condividiamo un destino simile - sorrise con
orgoglio lui - entrambi un giorno dovremo governare e mantenere la
pace in un vasto regno. E lei chi sarebbe, dolce angelo?»
Peach
vide divertita le guance dell’amica tingersi di un rosso intenso.
«A-angelo?
No, ti giuro, sono più un orso che un angelo...»
«Devo
chiamarla… mia Lady Orsa?»
«Ahaha,
non farci caso cara - intervenne Peach posando una zampa morbida
sulla spalla di una sempre più imbarazzata Farfalà - ora sta solo
recitando, di solito non è così… eccessivamente cavalleresco.»
«Sarà
- il principe fece spallucce, richiudendo l’elmo - io ho adesso il
compito di combattere un grosso e brutto drago sputafuoco che sta
cercando di impossessarsi delle caramelle di innocenti fanciulli! Il
dovere mi chiama!» e le superò.
Farfalà
ridacchiò con un leggero nervosismo, ma Peach cercò di
tranquillizzarla.
«Non
far caso al suo atteggiamento, a volte è un po’... esuberante. Ma
ha un cuore puro e coraggioso… anche troppo, a volte. - camminarono
per un altro po’ - vedi, da Fagiolandia arriva una discreta somma
per contribuire ad alcuni indirizzi della scuola… avrai notato
quanti fagiolini studino qui, nonostante ci troviamo nel Regno dei
Funghi. Fagiolino è una sorta di importante rappresentante per
l’Università in questo momento… ed è per questo che è
considerato uno dei “pezzi grossi” tra i ragazzi, qui. Ma non
devi temere, non abusa del suo potere… lo sgarro più grande che
potrebbe farti sarebbe cercare di pagarti un debito in monete
fagiolo!»
Farfalà
rispose ridacchiando.
«Che
non valgono una cicca qui!»
«Esattamente!»
Ridendo,
si erano finalmente ritrovate alle porte della Hall. Entrando, si
ritrovarono davanti ad uno spettacolo molto fiabesco. Le luci
principali erano spente, e la zona era illuminata da candele e zucche
intagliate poste tutte attorno a dei lunghi tavoli allestiti per
l’occasione dentro l’edificio. Diversi ragazzi stavano ancora
cenando, serviti da Koopa travestiti da Tartosso… e forse da
qualche Tartosso vero.
«Avete
un tavolo prenotato?» chiese un giovane Paratroopa svolazzando loro
di fronte. Anche lui si era dipinto addosso delle ossa fosforescenti
e brillava al buio di una luce malata e inquietante.
«No,
Parakarry*, stiamo solo andando in piazza.»
«Oh,
se volete vedere la sfilata costumi, mhh - controllò l’orologio -
dovrete sbrigarvi, eh sì! Inizia tra due minuti!»
Peach
salutò l’amico con un sorriso e si avviò verso l’uscita
posteriore della Hall. Quando si ritrovò fuori, seguita dalla
giovane pallida, si stupì nel vedere come gli alberi e il giardino
era stato agghindato per l’occasione. Ragnatele finte, pipistrelli,
pupazzi fatti di zucche intagliate, una dozzina di diversi tipi di
tombe poggiate sull’erba ad adornare il tutto… e soprattutto, un
nutrito numero di banchetti e tavoli completamente pieni di deliziosi
dolcetti decorati con teschi e topolini di zucchero…
«Sì,
le cose le fate in grande qui!» osservò l’amica.
«Te
l’avevo detto! Ora…» Peach adocchiò il palcoscenico allestito
poco più a sud est dall’edificio principale - quella sorta di
piccolo castello che torreggiava sulle altre strutture scolastiche, e
che faceva da sede ai due rettori e alle materie di indirizzo più
classiche.
«Ora
andiamo a sederci un attimo qui, mi iniziano a fare male i piedi
dentro questo costume da gatto!»
«Va
bene.»
Si
sedettero su una panchina, decorata con della cartai genica da
qualche organizzatore rimasto a corto d’idee. Di fronte a loro, una
marea di ragazzi della loro età ridevano e mangiavano dolci
sfoggiando i propri costumi al vicino.
«Hai
visto dentro la Hall?»
«Sì…
hanno allestito un vero e proprio ristorante!»
«Eh
già! E sai perché lo hanno allestito proprio nella Hall?»
Farfalà
scosse il capo. Peach cercò di riprendere il suo sorriso malizioso.
«E’
uno dei misteri di cui ti parlavo. Io non ero presente, ma… si dice
che fino a due anni fa, il ristorante di beneficenza di Halloween si
svolgesse qui in piazza. Ecco, quell’anno… quando a tavola erano
sedute più persone, dal cielo iniziarono a piovere dei fiammetti…
minuscoli fiammetti dai volti raccapriccianti - Peach mimò la
cascata di fuoco gesticolando con le dita, ma con le zampe di gatto
l’effetto non risultò troppo realistico - e presto, le tovaglie
iniziarono a prendere fuoco! Un Fiammorco, poi, balzò
dalla
torre più alta dell’Edificio Centrale - ed indicò la torre in
alto del palazzo di fronte alla piazza - e iniziò a seminare il
panico… divorandosi ogni pietanza!»
«Cielo!
Qualcuno si è fatto male?»
Peach
fece spallucce, ignara.
«Ma
questo è solo uno dei tantissimi Halloween… mhhh, ad esempio,
qualche anno fa, quando andavo ancora alle superiori, sentii parlare
di qualcosa di davvero inquietante successo in questo campus!
Infatti, sembrava che dal cimitero fuori città si fosse alzata
un’orda di fantasmi e si fosse riversata tutta dentro l’Università,
mettendo in fuga docenti e studenti…! Una vera e propria legione di
Boo arrabbiati… che avevano poi finito per papparsi tutti i dolci.»
Farfalà
si lasciò sfuggire uno sbuffo sorpreso.
«Ma
dai… anche loro? Non credevo neanche che i fantasmi potessero…
mangiare.»
«Sembra
di sì, invece! Ed evidentemente sono anche dei ghiotti senza
limiti!»
Peach
ridacchiò, facendo muovere dolcemente le orecchie da gatta sulla
testa.
«Cosa
successe l’anno scorso?» domandò sempre più incuriosita l’altra.
«Be’,
l’anno scorso non ci fu niente di eclatante. Sembra che degli
alieni si fossero infiltrati all’annuale sfilata di costumi…
vincendola. E so che potrà sembrarti strano, ma io li vidi, ed
effettivamente sembravano proprio dei veri alieni...»
Ma
prima che potesse proseguire nel suo racconto, Peach sentì vibrare
una tasca nascosta. Prese un attimo il telefono scusandosi con
Farfalà, per rispondere ad un messaggio di Mario.
[Mario]:
Scusami
per il ritardo. Sono in piazza.
“Guarda
te che ritardatario…” ma nonostante cercasse di arrabbiarsi con
lui, non ci riusciva.
«Era
Mario… è tutta la sera che lo aspetto, finalmente si è degnato!»
esclamò con falso sdegno di fronte a Farfalà, che ridacchiò.
«...so
che non è una domanda molto… be’, molto leggera forse, ma… c’è
per caso qualcosa tra te e...»
Questa
volta fu Peach che sentì la propria faccia bollire per diventare
rossa come un peperone.
«No,
no! Davvero, niente di ché! Cioè, ogni tanto usciamo insieme ma
davvero niente, niente!»
Ma
in cuor suo sapeva bene che quel che provava per Mario andava ben
oltre quello che cercava di far credere. L’altra, però, non indagò
oltre.
«Mi
sembra un bravo ragazzo… - commentò, pensosa, come a cercare di
ricordarsi le poche volte con cui ci aveva parlato - un po’
silenzioso...»
Peach
ripose il telefono e si alzò, imbarazzata. Cercò di distrarsi
pensando che finalmente avrebbe incontrato il ragazzo, quella sera.
«Allora,
io mi avvio laggiù, tu vieni?»
«Certo,
devi ancora illustrarmi i vari… “pilastri”, giusto?»
E
con un timido sorriso in volto anche Farfalà si alzò.
----------------------------
Commento d'autore
Questo è il primo di un capitolo su Halloween suddiviso in tre
parti. Purtroppo non ho potuto postarlo per Halloween per ovvie ragioni
XD
Ho notato che questa storia sta piacendo molto più di quanto mi
aspettassi! Ne sono molto felice. Ricordate di lasciare una recensione
se vi è piaciuto il capitolo!
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Capitolo 9 *** 9 - [Luigi, Daisy] Halloween 2 ***
Capitoli di efp
[Luigi,
Daisy; 3^ persona]
Halloween,
sera
Reggendosi
alla stampella di legno raccattata per l’occasione, la cugina della
futura regnante del Regno dei Funghi tastò ogni tasca della
giacchetta piratesca al fine di trovare le chiavi per l’appartamento.
Luigi
teneva per ogni mano un sacchettino colmo di dolci fino a scoppiare.
Avevano gironzolato per un po’ per i banchetti, incontrando anche
gente che non salutavano da un pezzo ed altra che avrebbero preferito
evitare. Dopo quasi un’oretta di vagabondaggio si erano però
guardati negli occhi, con reciproci sguardi che lasciavano intendere
la disperata voglia di andarsene.
Passeggiare
per Daisy era un incubo, e Luigi si vergognava del costume cencioso
che aveva dovuto indossare solo per stare alla sfida. Di comune
accordo avevano quindi deciso di avviarsi verso l’appartamentino da
VIPs condiviso da Peach e Daisy, per guardarsi un film.
O
più precisamente, Luigi era stato d’accordo sull’appartarsi
dalla festa, ma sul film horror continuava ad avere qualche dubbio.
«Sarà
divertente! Non fare quella faccia, su!» l’aveva stuzzicato lei
quando aveva notato l’angoscia pervadere il volto del ragazzo.
Adesso
Daisy stava provando da un minuto buono a far girare la chiave nella
porta, senza successo.
«E
dai! Che ti prende?» picchiò due colpi sulla porta, con rabbia.
Luigi era rimasto in disparte, silenzioso nel dubbio di poterla
innervosire ancora di più facendosi avanti - ben conscio era infatti
dell’orgoglio della ragazza e di quanto poco tendesse a lasciarsi
aiutare.
«Posso
darti una mano?» chiese però, dopo qualche altro attimo di
incertezza. Per un attimo si domandò come mai avesse detto una cosa
del genere, e si aspettò una brusca risposta dell’altra… che non
giunse.
«Ahh…
- sospirò infatti lei - vieni un po’ qui, vedi se spingendo la
porta mentre giro...»
Ma
in quell’istante, l’uscio si dischiuse da solo davanti agli
sguardi straniti dei due ragazzi. Prima che potessero ipotizzare
l’intervento di qualche misteriosa forza sovrannaturale, alla porta
si affacciò una Rosalinda in pigiama, con il loro stesso stupore
dipinto in faccia.
«Daisy,
Luigi… siete di ritorno dalla festa?»
Daisy
avanzò un mezzo balzo facendo leva con la stampella, mentre Luigi
indugiò all’uscio.
«Già
- fece un cenno all’altro di entrare - e tu che giri in casa
nostra?» domandò senza moderare l’evidente disapprovazione nella
voce.
Rosalinda
rimase impassibile, spiegando come Peach le avesse concesso di poter
stare lì quella sera.
«Pensavo
te l’avesse detto… c’è un piccolo problema nel mio dormitorio,
ma entro mezzanotte toglierò le tende.»
Daisy
e Luigi si guardarono, l’una cercando di comunicare il suo
scontento e l’altro indifferente.
“Forse
possiamo evitare di vedere quel film…!” si consolò lui.
«Be’,
allora che dici, lo guardi anche tu il film con noi?» propose invece
l’altra sedendosi sul letto e afferrando una manciata di caramelle
da una delle buste di Luigi.
«Film?
Volete vedere uno di quelli?»
Rosalinda
indicò il cofanetto di gioiellini
Horror,
come li aveva definiti la castana.
«Sapete,
pensandoci bene… - con un tono tra lo spaventato e il malizioso,
iniziò a raccogliere le proprie cose - forse posso tornare
all’appartamento anche adesso. Probabilmente avranno finito di
fare… quello che dovevano fare.»
Sgattaiolò
in bagno per cambiarsi, e Daisy ne approfittò per prendere in mano i
dvd.
«Allora,
quale guardiamo? A me piacciono tutti.»
«Oh…
li avevi già visti proprio tutti?» Luigi ci rimase un po’ male.
«No,
non ho ancora visto Il
ragno meccanico ma
mi dicono che è bello, gli altri sì. Però sei tu l’ospite,
scegli su!»
Luigi
osservò le copertine, una più macabra dell’altra. Lo Spettro del
Treno ad esempio sfoggiava un treno immerso nella nebbia e la
shilouette di un Toad dagli occhi luminosi che si affacciava da un
vagone, ma era forse quello meno inquietante. Sunshining pareva tutto
fuor che luminoso, e questo lo spinse a domandarsi chi fosse il gran
genio che aveva chiamato “Sole Scintillante” una storia che
pareva svolgersi praticamente solo all’ombra.
«Se
devo essere sincero, non me ne piace uno. Se proprio dobbiamo
vederli, guardiamo il Ragno Meccanico che non hai visto...»
Rosalinda
uscì dal bagno vestita per uscire, imbracciò la borsa e fece per
uscire.
Daisy
però l’artigliò prima che potesse scomparire dalla loro vista:
«Cos’è
successo di preciso al tuo dormitorio?»
«Sembra
che qualche idiota abbia fatto uno scherzo di Halloween facendo
partire l’allarme antincendio e quando ci hanno sfrattati stavano
controllando che fosse tutto apposto.»
Detto
ciò, sgusciò fuori dall’appartamentino con una strana fretta.
«Okay,
adesso possiamo iniziare!» annunciò lei, realmente eccitata.
«Mhh…
potresti farmi la cortesia di passarmi il PC? Sono un po’
impossibilitata ad afferrare e portare a zonzo cose più pesanti di
un libro in questi giorni, senza farle cadere.»
Luigi
obbedì, approfittandone, alzandosi, per togliersi la bandana e gli
stracci vari. Lo scopettone per fortuna l’aveva mollato alla
casupola degli attrezzi prima di venirsene dalla festa. Lei, d’altro
canto, si tolse la benda ritenendola solo un intralcio per il film
(finendo anche con l’esclamare “Ora ci vedo!”), ma rimase
mascherata.
Dopo
aver spento le luci ed essersi sdraiati di pancia sul largo letto
della ragazza, con davanti il computer portatile di lei, e dopo aver
inserito quel famigerato film all’interno del lettore di cd, erano
pronti.
«Bene,
preparati perché sarò un film molto
intenso»
e nel dirlo dischiuse un inquietante sorriso. Luigi deglutì, ma non
si oppose.
Si
trovava in casa di Daisy, dopo aver passato tutta la sera con Daisy,
sul letto di Daisy, a vedere un film CON Daisy. Tutto ciò gli dava,
in qualche misterioso modo, la spinta per affrontare lo spaventoso
film che sembrava non stesse aspettando altro di iniziare a muoversi
sullo schermo del PC.
«Mh…
Daisy?» sussurrò prima di iniziare.
«Che
c’è?» chiese lei con un altro sussurro, come se si stessero
scambiando informazioni top secret, mentre armeggiava con il touchpad
del computer.
«...ti
ricordi qualche settimana fa… quando ti sei tuffata nella piscina e
tutto il resto?»
Daisy
distolse lo sguardo dallo schermo, posandolo su di lui. E gli
sorrise. Una mezza risata sarcastica, quelle “alla Daisy”, ma pur
sempre un sorriso.
«Sì,
certo. E’ stato fantastico» aggiunse.
«Lo
rifarei anche domani.»
Luigi
abbassò un attimo lo sguardo, improvvisamente imbarazzato nel
trovarsi così vicino a Daisy, ad un palmo dal suo viso - dalla
sua bocca -
e con lo sguardo immerso nei suoi grandi e cristallini occhi azzurri.
«Ecco…
non vorrei… toccare tasti dolenti, ecco, ma… mi dicesti che avevi
delle angosce...»
Lo
sguardo di lei si rabbuiò per un attimo, ma rispose con un’altra
risatina, più nervosa stavolta.
«No,
vabbé… - si scostò un ciuffo di capelli che le era caduto
di fronte agli occhi, e ne approfittò per distogliere un poco lo
sguardo - niente di cui preoccuparsi.»
«...e
ora? Come stai ora?»
Daisy
fece spallucce.
«Il
piede mi tiene impegnata. Però ribadisco, niente di ché… solo
qualche astio tra me e...» ma finì la frase con un mezzo sospiro.
Luigi
sentì un groppo alla gola strozzarlo per la vergogna. Aveva messo a
disagio Daisy, possibile che non riuscisse a farne una giusta?
Un
lugubre silenzio cadde nella penombra della stanza. In quell’istante,
un lungo istante, Halloween sembrò penetrare le pareti e inglobare
la stanza. Una notte oscura e priva di stelle che, soffocante,
entrava dalla finestra aperta e gelava le anime dei due ragazzi…
«Allora…
guardiamo questo film?» Luigi cercò di spezzare l’imbarazzo
crescente che stava calando su di loro.
Daisy
annuì, e dette il via al film.
Nel
giro di un’oretta ne videro di cotte e di crude, ma mai si
sarebbero potuti immaginare cosa stesse succedendo dall’altra parte
del campus, dove si stava tenendo la sfilata di costumi…
----------------------------
Commento d'autore
Mi scuso per il ritardo, ma queste settimane sono state intense, e
purtroppo temo che lo saranno anche le prossime. Comunque sia, grazie
per aver letto il capitolo e alla prossima!
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Capitolo 10 *** 10 - [Mario, Peach] Halloween 3 ***
Capitoli di efp
[Mario,
Peach, 3^ persona]
Halloween,
sera inoltrata
Una
giovane donna sfilava in avanti e indietro per il palco allestito per
l’occasione. Sotto l’accattivante vestito da strega, l’enigmatico
sguardo di Pauline rapiva le attenzioni del pubblico e le gettava su
di sè. Con la sua suadente voce, poi, era impossibile resisterle.
«...direi
quindi di dare inizio alla sfilata in maschera di
Halloween!
Come ogni anno, il costume migliore vincerà questo premio -
l’aspirante modella alzò al cielo un cestello pieno di
scintillanti monete - ed un bacetto da parte mia, se vorrà» e con
un occhiolino malizioso, lasciò la scena al primo partecipante.
Tra
la folla, Mario osservava con ammirazione la sua vecchia amica
destreggiarsi come presentatrice. Pensava fosse portata per una cosa
del genere.
Mentre
degnava della giusta attenzione il primo partecipante - il suo amico
Wolly vestito da Zucca - una voce familiare lo chiamò.
«Mario!
E’ tutta la sera che ti aspettavo!»
Peach,
con un completino da micetta molto trandy e la ragazza che stava
diventando sua amica sbucarono dietro di lui.
«Oh,
Peach - Mario sentì le guance prendergli fuoco per la figuraccia che
aveva fatto con la ragazza - erm, buonasera.»
Vide
la fronte di Peach corrugarsi e avrebbe potuto aspettarsi che dalle
zampe paffute del costume stessero per uscire degli affilati artigli.
Ma l’altra si limitò a guardarlo in cagnesco per qualche secondo,
nonostante la luce nei suoi occhi tradisse una certa felicità nel
vederlo.
«Buonasera…
buonasera! Hai ritardato di un’ora buona!»
«Perdonami,
ho avuto un... piccolo contrattempo.»
«Piccolo
-
sottolineò Peach con ironia - e questo piccolissimo
contrattempo
era dovuto da quel… che costume è? Sei un dottore?»
Mario
si dette una rapida occhiata addosso, scuotendosi un attimo il camice
bianco che era riuscito a ricavare all’ultimo minuto.
«L’idea
iniziale era molto diversa… ma sì» a conferma della sua
affermazione tirò fuori dalla tasca larga un inquietante bisturi ed
una siringa.
«Hai
assassinato il Dottor Toadly per procurarteli?» chiese con un po’
di timidezza l’altra ragazza, indicando le macchie di sangue finto
che Mario aveva creato all’ultimo secondo spruzzandosi del ketchup
addosso.
Lui
ridacchiò in risposta, alimentando forse ulteriormente l’irritazione
di Peach, che però riuscì a calmarsi qualche secondo dopo.
«Bene,
ora siamo qui e… che ne dite di andare… - la gatta rosa si guardò
attorno - laggiù? Sembra che ci siano dei giochi a gruppi molto
più divertenti di
questa messa in scena!»
Indicò
la parte opposta alla piazza, il più lontano possibile dal palco con
Pauline.
«Oh,
a me piacerebbe guardare qualche costume della sfilata prima.»
Rispose
Mario con un mezzo sorriso, rivolgendo lo sguardo proprio a Pauline.
«Ma...»
«Anche
a me piacerebbe guardare qualche bella maschera - si unì Farfalà -
possiamo stare un po’ qui?»
«Sì…
certamente...» Peach abbassò lo sguardo, quasi volendo ignorare
l’esistenza dell’ammaliante donna in abito da strega che stava
passeggiando sui tacchi a spillo a qualche metro da lei.
«...ed
ora chiederei a tutti di accendere i vostri cellulari, ma non per
chattare su JOSHO! Entrate su Facekoop e votate i cinque costumi da
eliminare!»
Agitando
le braccia come una strega in procinto di lanciare un incantesimo,
Pauline sembrò stregare la gran folla che aveva ai suoi piedi ed
indurla a tirar fuori dalle tasche i propri cellulari, per poi
accanirsi contro i cinque costumi più brutti della sfilata fino a
quel momento.
«Okay!
- esclamò finalmente Peach - ora possiamo and-»
«Mario!
Che piacere vederti, caro.»
Pauline
le arrivò da dietro, sorpassandola con noncuranza e andando ad
abbracciare il ragazzo vestito da dottore.
«E’
un po’ che non ci incrociavamo! Come va?»
«Be’,
si studia e si cerca di sopravvivere!»
«Ovvio,
questo lo facciamo tutti! - la giovane donna, di qualche anno in più
di Mario, rise con una voce cristallina e musicale - ma a vita
sociale come sei messo?»
Mentre
i due conversavano animati da un reciproco e profondo affetto, Peach
si voltò appena verso Farfalà, sibilandole tra i denti quel che
pensava di Pauline.
«...ma
quella megera non era sul palco fino a tre secondi fa?»
Farfalà
ridacchiò sotto i baffi, per poi scostarsi un ciuffo di capelli
bianchi dagli occhi e lasciarsi ad un mezzo sospiro.
«Qualcosa
mi suggerisce che voi non andiate molto… d’accordo.»
Peach
rispose con una faccia che parlava da sola.
«Quell’oca…
si mette sempre in mezzo… appena mi vede sola con Mario...» ma non
riuscì a proseguire, e il suo sguardo s’incupì. Farfalà parve
notarlo, perché prendendole gentilmente un braccio la invitò ad
appartarsi chiedendole se voleva per caso parlarne.
«Oh,
è solo una cosa stupida - cercava di sminuire la Principessa - ma…
non so, potremmo farci un giretto alle bancarelle mentre aspettiamo
che la sfilata ricominci...»
Le
due ragazze si avviarono verso la parte sudoccidentale della grande
piazza verde, cuore del campus, dove erano state allestite da alcuni
ragazzi delle bancarelle che vendevano gadget spaventosi, accessori
per costumi e dolci più elaborati degni di veri pasticceri.
«Guarda
come sono carini!» Peach puntò il dito contro dei muffins cicciotti
ricoperti da glassa di varie forme e colore.
«Questi
con la decorazione a cuoricino demoniaco sembrano molto…
accattivanti.»
Farfalà
stava per allungarvi la mano contro, ma una voce melliflua la fermò.
«Ti
consiglio caldamente di non assaggiare questi muffin, a meno che tu
non desideri trascorrere tre giorni di patimento a rigurgitare come
fossi una camera magmatica di un vulcano in piena attività.»
Alzando
lo sguardo, sia Peach che Farfalà si ritrovarono a incrociare gli
occhi ridenti del ragazzo col volto a forma di maschera.
«Oh,
Dimensio...» Peach si ritrasse un poco dalla bancarella, come se
improvvisamente si fosse accorta di qualcosa di vearamente
spiacevole.
«Tu!»
esclamò invece Farfalà, insicura sull’essere più turbata o
felice di rivedere quello strano tipo.
«In
persona!» il ragazzo abbozzò un leggero inchino, mostrando con
orgoglio il costume da angelo caduto che indossava, con tanto di ali
nere e falcetto intagliato legato alla cintura.
«Come
posso servirvi?»
«Come…
mai questi dolci farebbero vomitare?» domandò con una marcata nota
di preoccupazione la ragazza vestita da gatto. Dimensio abbozzò un
mezzo sorrisetto prima di rispondere.
«Sono
convinto che tu conosca la tipica espressione “dolcetto o
scherzetto”. Orbene, il sottoscritto è riuscito a congiungere
sapientemente entrambe le cose per fare uno scherzetto al tuo più
odiato nemico. Ahahah!»
«Tutti?»
domandò con ancor più preoccupazione la ragazza senza costume.
Dimensio allargò il suo beffardo sorriso, sfiorando la fila di
muffins alla sua sinistra, glassati con disegni a forma di
pipistrello.
«Questi
fanno passare una deliziosa serata su un trono di porcellana, in
compagnia di lancinanti dolori addominali ed un fetore di discutibile
provenienza… se afferri cosa intendo, ah!»
Per
un attimo, un solo attimo, Peach si vide intenta a regalare uno di
quei dolcetti a Bowser. Ma scacciò subito quel malvagio pensiero.
Non poteva finire per abbassarsi a certi livelli.
«Sicuramente
è uno scherzo molto perfido… e, erh, divertente suppongo - Peach
si sentiva molto turbata dall’idea che qualcuno dei dolcetti che
aveva mangiato quella sera potessero essere stati compromessi - ma
non credi che-»
Ma
prima che potesse finire la frase, un urlo agghiacciante la fece
sobbalzare. Si voltó di scatto verso la fonte del suono, e
impallidì.
Mario
vide una lunga, ritorta zampa filiforme conficcarsi nel terreno a
pochi metri da lui, dove un attimo prima di balzare si era
effettivamente trovato. Colto da una sorda paura, aveva alzato lo
sguardo verso l’abominio, ritrovandosi ad osservare un ventre
gonfio e pulsante, dal discutibile colore verde palude, sul quale,
come su un volto, era intagliato un tremante ghigno contorto; prima
che la bestia - qualunque razza di bestia fosse - potesse
costringerlo ad arretrare ulteriormente, il ragazzo notò un altro
particolare parecchio inquietante: tra la gabbia di zampe lunghe e
contorte penzolava quello che sembrava il cadavere smembrato di
un’esile figura coperta di stracci.
Ma
Mario non aveva il tempo per soffermarsi sui particolari. Balzò con
agilità all’indietro, per due o tre volte, mentre sentiva un
freddo sudore colargli lungo le tempie e cercava di mantenere la
calma in mezzo al fiume di gente che aveva iniziato a scorrergli
confusamente intorno.
Le
grida, gli spintoni e la confusione lo distraevano, ma qualcosa,
dentro di lui, gli imponeva di rimanere e combattere quella
mostruosità che era come apparsa dal nulla.
Era
difficile dire cosa fosse successo in una manciata di secondi.
Qualcuno aveva urlato, e Mario e Pauline, voltandosi, avevano visto
una ragnatela di zampe esplodere in mezzo alla folla, per poi
districarsi e poggiarsi per terra sollevando il busto verde della
creatura. Il panico che si era generato era stato alimentato dai
movimenti bruschi e scoordinati del mostro che aveva iniziato ad
agitarsi e a rincorrere chi gli capitava sott’occhio.
«Pauline,
scappa!»
Aveva
urlato Mario, e senza rendersene conto aveva subito pensato a Peach.
Si era guardato alle spalle, sperando di scorgerla, ma in quel
momento la bestia l’aveva puntato e gli era corsa incontro.
«Che
succede qui!?» un tipo alto, simile ad un falco antropomorfo dalle
penne dorate si era fatto spazio tra la folla per raggiungere il
mostro. Voltandosi Mario aveva notato che anche il suo acerrimo
rivale Bowser era in qualche modo apparso dal nulla e teneva ben
salde le zampe in terra con gli occhi fissati sulla bestia.
«Hey
rosso - ringhiò voltando un attimo lo sguardo verso di lui -
schiacciamo quell’insetto gigante!»
La
cosa, che sembrava più simile ad un ragno, avanzò con passo incerto
verso di Bowser, che non si fece spaventare dall’altezza imponente
del mostro e gli corse incontro, infiammando le fauci.
La
bestia dondolò pericolosamente da una parte, scavalcando Bowser
all’ultimo secondo. Questo inciampò e cadde, estinguendo le fiamme
nella bocca, ma si rialzò subito.
«E
voi che state a fare lì fermi!? Non è mica una battaglia a turni
questa eh!»
Mario
e “Falkoman” (così era chiamato l’armadio di piume, una delle
più importanti icone sportive del campus) si lanciarono una rapida
occhiata complice, per poi partire all’attacco.
Peach
e Farfalà vennero sospinte dalla folla. Quasi subito si separarono,
e Peach, per evitare di essere travolta, si gettò dietro ad una
bancarella. Dimensio si era dissolto nel nulla, e lei ne approfittò
per rifugiarsi sotto il suo piccolo stand, tremante e con il cuore in
gola dalla paura.
Ogni
tanto, un profondo mugolio sembrava risuonare un inquietante
“mimimimimi” o qualcosa del genere, e il segno che quella cosa
fosse ancora lì la scuoteva ogni volta.
“Che
diamine era!? Che sta succedendo?”
Avrebbe
voluto affacciarsi, controllare cosa stava succedendo a Mario - che
aveva visto di fronte alla creatura - ma ne era impossibilitata. La
paura la bloccava, la paralizzava completamente. Improvvisamente le
venne un’idea che poteva in qualche modo essere utile per Mario.
Imponendosi con tutta sé stessa sulle sue membra, cercò con mano
tremante il cellulare sotto il costume da gatto, e tirandolo fuori
cercò di riportare alla memoria il numero della sicurezza del
campus.
“Diamine,
me lo sarò scritto in rubrica almeno!?” mentre cercava qualcosa
che riportasse la scritta “Sicurezza Campus”, “Campus Allarme”
“Campus Freddossa” o qualcosa di simile, tendeva le orecchie e i
muscoli il più possibile sull’attenti. Scorreva nervosamente
l’indice sul touchscreen, mentre sentiva qualche lacrima di paura
affiorarle al bordo degli occhi.
“Deve
esserci da qualche parte!”
Decise
di cercare su internet, ma non ebbe il tempo di aprire la pagina di
ricerca che qualcosa la spinse violentemente in avanti, facendola
rotolare di qualche metro, e subito dopo il cielo sopra di lei si
fece buio e caldo, e Peach si sentì in trappola.
Per
un attimo credette che la cosa l’avesse ingoiata in un boccone, ma
quando lo scricchiolare del legno infranto cessò definitivamente,
vide la pesante coperta scura che si era abbassata su di lei alzarsi;
guardando in alto si ritrovò a pochi centimetri dalla parte
anteriore del carapace di Bowser, che le si era gettato addosso e si
sorreggeva con i quattro arti tesi per non schiacciarla.
«Hey
- sospirò col fiato mozzo il giovane Koopa - stai bene?»
Peach
non seppe cosa dire, ma riuscì in qualche modo ad annuire. Bowser la
guardò per un secondo negli occhi ed annuì di conseguenza. Con una
forte spinta sugli avambracci la tartaruga si riportò in piedi,
voltandosi rapidamente verso la creatura dondolante, ritta sulle sei
zampe contorte ed impegnata ad osservare con curiosità i resti della
bancarella che aveva appena fatto a pezzi.
«Non
ti permetterò di prendertela con la mia dolce Peach!»
E
con un ruggito al limite dell’ira, il Principe dei Koopa si gettò
con uno scatto verso le zampe della bestia, facendola crollare a
terra. Peach, che fino a quel momento era rimasta accovacciata per
terra, sentì l’adrenalina esploderle nelle vene e con una forza
inaudita riuscì ad alzarsi ed a correre via.
Maldestramente
nascosti dietro a qualche albero, degli incoscenti erano rimasti a
filmare col telefono quello scontro epico, e Mario se n’era
accorto.
Ma
non aveva il tempo per correre da loro e urlare di mettersi in salvo.
Teneva gli occhi puntati sulla creatura dal passo incerto, che
sembrava voler aggredire ogni cosa nel suo raggio d’azione. Il
palcoscenico era ormai andato, e con lui Falkoman, che colpito ad un
ginocchio aveva solo potuto strisciare via e abbandonare il campo di
battaglia.
Il
mostro si stava accanendo contro Bowser, e quando quest’ultimo fu
riuscito a buttarlo a terra, il ragazzo mascherato da dottore spiccò
due balzi verso l’abominio per aiutare il suo rivale a bloccarlo.
«Guarda
che ce la faccio da solo, non importa che tu mi rovini la festa anche
‘stavolta Mario!» ringhiò Bowser nel vederlo.
Mario
scosse la testa, senza rispondergli, ma continuò a rimanere
aggrappato alle tre zampe nere che si stavano divincolando dal suo
lato. Con gli spasmi irregolari e spasmici di un insetto capovolto,
uniti ai forti muscoli delle zampe, era difficile trattenere a terra
quella… cosa.
Facendo
scendere appena lo sguardo verso il basso, il giovane Mario si era
accorto di un carattere ancora più inquietante della “cosa”.
Degli ingranaggi unti e scuri si stavano infatti muovendo a scatto ai
lati dell’addome del ragno, regalandogli ancor più mostruosità.
«Non…
ce la faccio!» una zampa lo schiacciò verso terra, facendogli
sbattere con forza la testa.
Per
un attimo, vide tutto nebbioso. Quando ebbe la forza di rialzare la
testa era troppo tardi. Il mostro, slegatosi dalla stretta di Bowser,
aveva alzato le due zampe più anteriori e le stava per conficcare
sopra di lui…
Ma
quello che accadde subito dopo fu parecchio strano.
Prima
che le zampe lo colpissero, un paio di braccia l’avevano afferato
da dietro… ma dietro di lui c’era solo il terreno. E
improvvisamente era come sprofondato dentro il terreno, come se
questo si fosse ad un tratto tramutato in acqua. Aveva visto le zampe
conficcarsi a pochi centimetri dai suoi occhi… ma quello che stava
vedendo era fisicamente impossibile da vedere! Era come trovarsi
sotto una spessa lastra di vetro, posta qualche metro sotto il
terreno, ed osservare il fuori da lì.
«...ti
ha colpito?» sussurrò una flebile voce al suo orecchio destro.
Mario rabbrividì e cercò di voltarsi, ritrovandosi a muoversi come
in un’invisibile sostanza gelatinosa. Si ritrovò una lunga coda
viola attorcigliata intorno a gambe e busto, e alzando lo sguardo
vide il grosso cappello di Vivian* coprire un innocente sorriso.
L’Ombra l’aveva tirato giù con sé, nascondendolo nella propria
ombra con un qualche incantesimo oscuro proprio di quella specie.
«Se
ne va… ti riporto su.»
E
con un altro, leggero sorriso, Vivian sospinse il ragazzo fuori dal
terreno. Poco dopo anche lei apparve, a fianco a lui.
La
creatura se la stava di nuovo prendendo col povero Koopa Reale, che
goffamente cercava di ribaltarla, venendo ribaltato lui a sua volta.
Facendo
schioccare le mani guantate, sull’indice destro dell’Ombra a
fianco di Mario apparve una fiammella violacea. Puntando la bestia,
Vivian stette per indirizzare il suo attacco verso i due
aggrovigliati, ma Mario la fermò.
«Non
possiamo far male a lui» ammise. Vivian annuì appena e spense
l’incantesimo.
«Come
facciamo?»
Mario
era a corto di idee. Quella cosa sembrava davvero impossibile da
battere…
Fino
a che Bowser, con uno strattone, non le troncò di netto una gamba.
Peach
era corsa verso la pineta, al limitare della piazza, verso sinistra.
Da quelle parti si trovava la piccola “caserma” di addetti alla
sicurezza del campus.
Appena
si fu ritrovata al buio degli alberi, fu costretta a rallentare il
passo per non rischiare di inciampare. In mano stringeva il
cellulare, ma quando fece per accenderlo e farsi un po’ di luce, lo
trovò con il vetro infranto in una ragnatela di frammenti.
«Santa…
Infernia, no!» sbottò, mordendosi poi il labbro e cercando di
riprendere la calma. Nascose il telefono sotto il costume, e avanzò
verso il punto in cui le sembrava ci fosse l’edificio per la
sicurezza. Non fu difficile da riconoscere. Una struttura massiccia,
dalla pianta rettangolare, simile ad un piccolo bunker; i pini la
circondavano minacciosamente e la luce dei lampioni della piazza
filtrava appena.
Peach
alzò la testa verso le piccole finestre, e le sembrò di vederle
spente.
“Oh
andiamo! Vi siete presi una vacanza per Halloween?”
Ma
tentò lo stesso. Avvicinandosi alla porta imponente - sembrava un
portone di un castello più che una porta di un edificio - cercò il
campanello nell’ombra e senza trovarlo si accinse a bussare con
forza.
Sentì
un rimbombo inquietante succedere i suoi colpi, ma nessuno venne ad
aprire.
«Magnifico.»
Scuotendo
la testa, si voltò e si strinse nelle braccia, colta nuovamente dal
terrore di quella notte. Ora che l’adrenalina stava sgusciandole
via dal corpo, la foresta di pini iniziò a sembrarle ancora più
spaventosa, e ad ogni minimo rumore veniva colta dal terrore che
fosse quel mostro.
“Spero
solo che Mario stia bene!”
E
poi un cigolare, lento e cupo, la fece sobbalzare dallo spavento.
Voltandosi verso l’uscio, si ritrovò il grosso muso azzurro del
capo della sicurezza del campus intento ad osservarla.
«Non
ci sono dolcetti per i marmocchi, questa sera.» sibilò dischiudendo
appena le fauci. Un vento freddo scosse Peach, che riuscì però a
non farsi prendere dal panico.
«Lei
è il S-Signor Freddossa, giusto?»
Il
drago sbuffò una nuvola gelida dal naso, senza rispondere.
«C’è
un enorme ragno, un mostro, che sta attaccando il campus, e… ed è
un guaio, nessuno riesce a fermarlo, e...»
«Va
bene dolcezza, intanto calmati.»
Un
leggero sorriso si disegnò sul ghigno di Freddossa, quasi
compiaciuto dalla notizia.
«Io
e i miei ragazzi stavamo giocando a briscola, ma questo sembra un bel
problema…»
Aprendo
del tutto la porta, mostrò il resto del corpo - uno scheletro nero e
contorto appena coperto da una divisa a grandezza t-rex che sanciva
il suo status di capo della sicurezza, e poi le sei piccole ali
piumate sulla schiena.
Peach
arretrò un poco. Freddossa non si vedeva spesso nel campus, ma
quando si mostrava, erano incubi per sei mesi.
«Spero
solo per te che non sia uno stupido scherzo di Halloween… o un
altro studente sparirà il 31 ottobre, quest’anno.»
Peach
si sentiva le gambe congelare, e i brividi di terrore si erano
trasformati in brividi di freddo.
«Tienile
ferme!»
«Ci
sto provando!»
«Arrivo
ad aiutarvi!»
Mario,
Bowser, Vivian e Falkoman - che zoppicante era tornato in scena -
stavano schiacciando la creatura per terra, cercando in tutti i modi
di tener ferme le quattro zampe rimaste.
Mario
era riuscita a ferirgliene un’altra, e Falkoman gliel’aveva
strappata. La creatura, dal cui addome fuoriuscivano gli ingranaggi
scuri, continuava inesorabilmente a dimenarsi come una blatta
ribaltata, senza la minima intenzione a volersi arrendere.
«Che
razza di mostro è?» Vivian faceva scoppiare piccole scintille di
fronte alla bestia quando questa aveva uno scatto troppo violento.
Mario
si guardò attorno, e vide che molti studenti si erano radunati - a
distanza di sicurezza - intorno a quella che era diventata l’arena
dello scontro.
I
professori non erano presenti, quella sera. Ed era stato questo il
problema principale. Se anche solo qualcuno come il Professor
Cannonio, il Pofessor Merlocchio o la Professoressa Spirù fossero
stati presenti, non avrebbero faticato a risolvere la situazione. Ma
il campus non era in mano alle istituzioni scolastiche; quindi non
c’era ragione per cui, anche i rettori, se ne stessero lì per
tutto il tempo.
«Mario!»
chiamò una voce femminile.
Mario
si voltò con fatica, mentre le zampe artigliate della bestia
cercavano di ferirlo.
Con
la coda dell’occhio vide Goombella venirgli incontro.
«Gli
ingranaggi! Bloccagli gli ingranaggi!»
Mario
si inginocchiò, faticando a mantenere la presa, e con una grande
forza d’animo riuscì a scrutare da più vicino dentro il ventre
forato della creatura. Gli ingranaggi erano accatastati e intrecciati
così fittamente che anche un sassolino avrebbe potuto fermarli.
«Non
ho niente con cui bloccarli!»
Ma
Falkoman, di fronte a lui, gli sghignazzò un “aspetta”, per poi
allungarsi una mano sotto il costume strappato e tirare fuori una
grossa piuma dorata.
«Prova
con questa!»
Dubbioso,
il ragazzo accettò comunque l’offerta sporgendosi oltre l’intrigo
di zampe, e riuscì ad afferrare la piuma. Aveva una costola molto
rigida e per un attimo si chiese se avrebbe potuto funzionare.
«Sbrigati
pivello! Anche io ho dei limiti, sai?» ringhió Bowser.
Abbassandosi
di nuovo, Mario sporse cautamente la penna verso le “interiora”
della creatura, reggendola per la punta. Ad un certo punto, qualcosa
si incastrò, e improvvisamente il ragno cessò di muoversi.
«Santo
Granbì!»
Bowser
si staccò dalla presa così come Vivian e come Falkoman, che crollò
a terra esausto.
«Mammamia…
- si fece sfuggire il ragazzo mascherato da dottore - è stata dura.»
Asciugandosi
la fronte, si sedette sul prato, e poco dopo un coro di voci si levò
sulla piazza del campus. I vari studenti osarono dei passi verso la
bestia e poi acclamarono Mario e gli altri con sincera ammirazione.
E
Mario non poteva nascondersi che tutto ciò gli faceva piacere.
«Va
bene, va bene, la festa è finita!» ruggì una voce gelida. Il
vociare si congelò, e Mario si alzò subito in piedi, intimorito
dalla figura imponente di Freddossa che aveva fatto la sua entrata in
scena seguita da altre guardie.
«Dovevamo
aspettarcelo che sarebbe accaduto qualcosa. La maledizione di
Halloween, no?» e poi sghignazzò. Il cerchio di curiosi si allargò
per far spazio al capo della sicurezza, seguito a debita distanza da
Peach.
«Che
cosa abbiamo qui?» sibilò il demone del ghiaccio allungando un
artiglio verso le zampe immobili del ragno, che al tocco ebbero un
sussulto spaventoso.
«Mai
visto niente del genere...»
Ma
mentre stava parlando, il ragno ebbe uno spasmo e mosse le quattro
zampe con pigra lentezza; Mario e gli altri si allontanarono
ulteriormente, con il cuore in gola e la paura che quella cosa
potesse risvegliarsi.
«Non
si capisce se sia morta o viva...» uno scagnozzo di Freddossa toccò
il busto verde con la corta mazza di legno che teneva in mano,
incuriosito più che spaventato.
«Comunque
sia - Freddossa chiuse le due mani artigliate sulle zampe della
bestia, per poi tirarla su con forza - mi occuperó di sbarazzarmene.
Non tornerà più ad infastidirvi, giovani fanciulli!» e detto
questo concluse con una roca risata al limite del sarcasmo, che non
fece nè ridere nè tranquillizzare la folla di studenti che lo
stavano osservando.
Aprendo
le sei ali, si dette un forte slancio verso l’alto, per poi volare
via nella buia notte di Halloween.
I
suoi assistenti fecero sgomberare la piazza, ordinando ai ragazzi di
andarsene nei propri dormitori.
Mentre
Mario veniva spintonato dalla folla, ancora impaurita, diretta verso
le proprie camere, vide con la coda dell’occhio la pelliccia rosa
del costume di Peach, e cercò di raggiungerla.
«Mario!»
esclamò lei nel vederlo, felice di ritrovarlo tutto intero.
«Stai
bene?»
Lui
annuì, e poi le rigirò la domanda.
«Sì,
cioè, abbastanza… - fece una breve pausa, prima di ricordarsi del
telefono rotto - certo, lui sta un po’ peggio di me… ma nel
complesso sto bene. Solo… spaventata.»
Mario
sospirò. Non sapeva cosa dire, sentiva l’adrenalina iniziare a
perdere il suo effetto, e dei forti brividi iniziarono a scuotergli
il tronco. Sentiva le mani sudate e improvvisamente fu colto da un
gran sonno.
Si
incamminò a fianco di Peach, in silenzio, verso il proprio
dormitorio.
Sarebbe
sicuramente stato un Halloween indimenticabile per gli anni futuri.
Un
silenzio inquietante faceva da padrone nella discarica. Neanche un
insetto, o lo squittire di un topo o di uno Squittix intento a
trafugare qualche pezzo di macchina ancora in funzione. Le gigantesce
ali si richiusero sulla schiena scheletrica di Freddossa, che atterrò
in mezzo a montagne di spazzatura di ogni genere.
“Guarda
te che lavoro devo fare!”
Non
aveva il tempo per lamentarsi, però In fondo, di recente era venuta
fuori quella
cosa…
una
cosa che avrebbe potuto comportargli, finalmente, un riscatto. Un
riscatto dopo anni passati nell’ombra del suo acerrimo nemico, il
Rettore Granbì.
Oh,
quella sì che sembrava un’occasione d’oro… ma per il momento
si ritrovava in una discarica con un gigantesco ragno morto tra gli
artigli. Lo mollò lì, soffiandogli una nuvoletta fredda sul corpo
dopo averlo gettato in terra.
«Ah,
anche tu uno scarafaggio rigettato dalla società, eh amico?»
Il
mostro non aveva una gran voglia di tornare a giocare a poker con i
suoi sgherri, chiuso in quel bunker fetido all’ombra dei pini e del
palazzo che ospitava il cuore dell’Università. Si sedette su un
cumulo di motori e automobili dismesse, puntando il muso verso la
luna piena che splendeva maliziosamente sopra la valle.
«Per
quanto si sforzino… creature come me e te non verranno mai
accettate in questa società governata dagli Umani e dalle creature
della luce. Dico bene?»
Il
ragno mosse un attimo una delle zampe accartocciate, senza
rispondere.
Il
drago sospirò una nuvola gelida, guardando verso il Quartiere Oscuro
- un intricato labirinto di palazzi neri e ammassati.
«La
fortuna sta per girare, però. Broooo ah ah ah ah! Devo solo
assicurarmi quella piccola stella, e allora vedremo chi si alzerà
dalle ombre per sovrastare l’intera città!»
Il
ragno più in basso ebbe uno spasmo. Il mostro non ci badò, finché
questo non prese a contercersi con violenza. Gettandogli un’occhiata
sufficiente, conscio dell’enorme potere con cui avrebbe potuto
spazzarlo via in un attimo, si limitò a frustare un attimo la coda
ossuta, aspettando che la bestiaccia si alzasse per poter porre fine
alle sue sofferenze con una sola fiatata. Questa però non si rialzò.
Rimase a contercersi, mentre il suo corpo veniva avvolto da una melma
scura e dall’aria putrida; questa avvolse completamente il ragno,
fin poi a sciogliersi lasciando dietro di sé solo una vischiosa
pozzanghera.
«Ah,
carino lo spettacolino. Ma ora credo proprio sia ora di tornare alle
nostre mansioni da comuni mortali. Ancora
per poco...»
Freddossa
aprì le sei enormi ali. Sbattendole una sola volta si ritrovò a
volare verso il campus che ormai era la sua casa da parecchi decenni.
Non
si era però accorto che dalla melma lasciata dal mostro era sorta
una figura, un esile corpicino tremante, dalle forme vagamente
umanoidi… che si era allontanata a gambe levate dalla discarica.
*Preferisco
il nome inglese di Ombretta, personaggio di “Paper
Mario e il Portale Millenario”.
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Commento d'autore
Si è conlcuso il capitlo di Halloween, purtroppo un po' in
ritardo rispetto al 31 ottobre (o in anticipo? XD), ma meglio tardi che
mai, no?
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Capitolo 11 *** 11 - [Rosalinda] ***
Capitoli di efp
[Rosalinda,
3^ persona]
Inizio
novembre, notte
Sotto
una tenda di coperte, accompagnata da una piccola torcia, Rosalinda
leggeva alla meno peggio il libro scritto in un austero funghese
medievale. Le lettere erano consumate dal tempo e la grammatica
appariva alle volte incomprensibile, addirittura più di quella di
certi individui su Facekoop.
Un
trillo allegro la fece sobbalzare dallo spavento, e per un attimo si
sentì gelare la schiena. Gettò all’aria le coperte, per poi
guardare con occhi accusatori il piccoletto rumoroso.
«Che
cosa ti ho detto prima?» sussurrò, modulando per quanto possibile
un tono amaro.
L’esserino
luminoso piroettò nell’aria, come a sottolineare il suo
menefreghismo.
«Devi
fare silenzio, okay? Non è così difficile… dormono tutti, non
vogliamo destare sospetti, giusto?»
L’altro
la guardava con i piccoli occhi neri, simili a due semi di fragola,
senza capire.
La
ragazza sospirò, poi spense la luce della torcia elettrica. Le
finestre erano sbarrate dalle persiane scure, la fessura sotto la
porta era stata tappata con un cartoncino fissato con lo scotch, e
per sicurezza ogni luce era spenta. Eppure, Rosalinda continuava a
temere per la sua privacy. Dopo tutto quello che le aveva detto il
Sig. Pennington, vedeva ogni cosa attorno a sé come una potenziale
minaccia.
E
se all’inizio aveva pensato che forse tutte quelle strambe
precauzioni potessero essere da paranoici, ora stava iniziando a
ricredersi.
“Stavo
seguendo una pista molto intricata - aveva spiegato quando lei era
andata a trovarlo in ospedale, qualche giorno dopo l’incidente -
che mi ha portato sulle tracce di questo gruppo di criminali.
Gentaglia immischiata nel contrabbando, spaccio di funghi, questo
genere di cose… be’, sembrava un caso semplice, fino a che non ho
scoperto qualcosa di più! Infatti, questi farabutti erano alla
ricerca di qualcosa. Qualcosa di inimmaginabilmente prezioso, stando
ai loro discorsi! Si erano accordati di recuperare questo qualcosa,
ma sembra che qualcuno
sia
arrivato prima di loro. Li ho seguiti per tutta la notte, ma ad un
certo punto uno di loro si è accorto di me, e pensa un po’, hanno
pensato che fossi stato io a rubare quella cosa misteriosa! Io
ovviamente ho spiegato loro che non potevo essere stato io, perché
li avevo pedinati per tutto il tempo, ma loro non mi hanno creduto e
mi hanno rivoltato la borsa, mi hanno anche rubato i soldi! E poi,
be’, poi mi hanno probabilmente dato una botta in testa, non
ricordo molto, e devono avermi gettato sotto la macchina sperando di
sbarazzarsi di me! Ma non sapevano che nessuno può sbarazzarsi di
Holmut Pennington così facilmente!”
Dopo
un’ora di racconto, nella quale Rosalinda aveva utilizzato ogni
energia per tenere alta l’attenzione, l’investigatore occasionale
aveva concluso che, secondo lui, un’organizzazione criminale ancora
più
criminale doveva aver rubato quella cosa! E, visto che, secondo lui,
i farabtutti in cui si era imbattuto non erano semplici briganti
urbani o ladruncoli da quattro soldi ma veri e propri criminali
organizzati, questi avrebbero fatto di tutto per riprendere questa
cosa a loro rubata.
A
quel punto, la ragazza si era sentita così male da rischiare di
svenire.
Era
dovuta tornare al suo dormitorio, al campus, per chiudercisi dentro e
sbarrare ogni fessura con la crescente paura di essere spiata. E
quando aveva preso il telefono con l’intento di chiamare Peach, si
era dovuta fermare un attimo a riflettere.
E
aveva capito che non avrebbe dovuto coinvolgere nessuno in quella
faccenda, neanche la sua migliore amica.
Aveva
iniziato a fare ricerche, spulciando la biblioteca scolastica con
compulsiva ossessione; aveva girato sei librerie, alla ricerca di
trattati sulle creature spaziali, e aveva cercato dei corsi
extrascolastici dedicati alle forme di vita aliene, senza però avere
successo.
Si
era intrufolata senza permesso nella casa di Peach, rubandole un
vecchio libro di favole a cui era molto affezionata, e il tutto
mentre cercava di tenere nascosto quell’affarino luccicante dagli
occhietti neri e innocenti.
Un
affarino che però sembrava capace, da solo, di gettare all’aria
ogni suo provvedimento.
«Sto
cercando solo di salvarti. E tu mi ripaghi trillando come una
campanella nel mezzo della notte?»
La
creaturina non disse niente. Si limitò ad avvicinarsi timidamente
alla ragazza, che allungò un braccio verso di lui e lo cinse
delicatamente.
Rosalinda
sentì il debole calore emanato dal corpicino pervaderla come una
sorta di energia. Quella creatura nascondeva qualcosa di magico,
sicuramente.
Abbracciandolo,
se lo cinse al busto. Con la sua debole luce, continuò a leggere il
vecchio libro per gran parte della notte.
«Allora,
che ne dici di questo?»
Infilando
una zolletta di zucchero oltre la cerniera del borsone, cercò di non
dar nell’occhio mentre cercava di offrire il dolcetto a quello
strano ospite.
In
poco tempo la ragazza dai capelli platino era arrivata alla
conclusione che il modo migliore per prendersi cura di quell’esserino
era portarselo dietro. Seppur scomodo e rischioso, rimaneva meno
pericoloso che lasciarlo nella sua camera, al dormitorio. Chiunque
avrebbe potuto facilmente fare irruzione e rapirlo, oppure lui - o
lei, qualunque cosa fosse - sarebbe potuto fuggire o farsi scoprire.
Il modo migliore per occuparsene era, per la giovane, nasconderlo
nella borsa e tenerlo costantemente sott’occhio.
Mentre
con la sinistra teneva il segno al libro che stava leggendo, faceva
attenzione alle mosse della creaturina. Sentì il flebile calore di
questo accarezzarle il palmo della mano, e poi si sentì sottrarre la
zolletta dalle dita.
«Rosy?»
Rosalinda
sobbalzò, ritirando di scatto la mano dalla borsa e alzando lo
sguardo. Si ritrovò a fissare negli occhi una Peach dall’aria
vagamente confusa.
«Oh,
ciao Peach.»
Nel
dirlo, si portò la borsa in collo.
L’altra
tentennò un attimo, guardandosi intorno, poi spostò la sedia del
tavolino e si sedette di fronte a Rosalinda.
«Be’
- inizió con tono vagamente sospettoso - ciao...»
«Sta
per caso succedendo qualcosa?» chiese con sorriso innocente lei,
iniziando a pensare ad un milione di modi nefasti con i quali Peach
avrebbe potuto carpire il suo segreto in quel momento.
«...no?
Dimmelo tu, pensavo che fossi
tu.»
Rosalinda
faceva finta di non capire, ma in realtà capiva benissimo. In quegli
ultimi giorni aveva risposto sfuggevolmente ai messaggi dell’altra,
si erano viste di rado e aveva tenuto nei suoi confronti un
atteggiamento misterioso.
«Vedi,
non voglio saltare a conclusioni affrettate… - iniziò Peach con
tono vago - ma, insomma, è una mia sensazione… o mi stai
evitando?»
Rosalinda,
distaccandosi per un attimo dall’aria composta e seria che teneva
sempre, finse un’espressione accigliata.
«Evitando?
No, no, cosa te lo fa pensare?»
Peach
iniziò ad intrecciare le dita delle mani, con visibile nervosismo.
«Sembri
un po’ strana… volevo solo sapere se va tutto bene, o per caso
c’è qualcosa che non va tra… noi.»
«Non
c’è niente che non vada tra noi! - Rosalinda sorrise, appoggiando
una mano sulla sua - Sono solo un po’ stressata in questi giorni…
sai, tra non molto avrò due esami e sto cercando di prepararmi al
meglio...»
La
ragazza avrebbe davvero voluto poter dire a Peach la verità. Peach
era la sua amica, lì al campus, e si conoscevano dalla prima
superiore. Però questo era davvero troppo complesso da spiegare… e
troppo pericoloso.
Peach,
dal canto suo, abbozzò un sorrisetto poco convinto.
«Sono
felice di non essere il problema - ridacchiò con una punta di
nervosismo nella voce - insomma, mi stavo facendo venire dei dubbi…
ma… sei davvero sicura che vada tutto bene?»
L’altra
annuì con decisione, mentre chiudeva la zip della borsa senza farsi
vedere.
«Vedi…
è che mi sembra di star sbagliando tutto con tutti, in questo
periodo...»
«Cosa
intendi?»
«Ecco,
forse l’avrai già notato, ma Daisy e io… c’è qualcosa che non
funziona più tra noi. Però la conosco da sempre e non riesco a
capire cosa la turbi… e credo di essere io il problema.»
«Non
puoi dirlo con certezza, non accollarti una colpa di cui non sei
certa» commentò lei mentre cercava di tener fermo il borsone senza
dare nell’occhio.
«Ahh,
sono abbastanza sicura di essere io che la sto facendo allontanare…
da me.»
Sospirò,
guardandosi sempre le mani. Poi alzò lo sguardo verso di lei, e
continuò.
«Poi
c’è Farfalà… non so se te l’ho fatta conoscere, mi sa di no,
ma è una nuova che sto cercando di - gesticolò in modo buffo -
“integrare” nella scuola… eppure anche lei sembra così
distaccata, come se io la… come dire, la mettessi a disagio. Non
riesco a capire se è il suo carattere o sono io che la metto
effettivamente a disagio...»
Rosalinda
iniziò a spostare lentamente la sedia. Dalla tasca aveva fatto
scivolare fuori degli spiccioli, per pagare la colazione al bar.
«...e…
anche Mario sembra evitarmi… lo vedo spesso parlare con Pauline e
inizio a pensare che...»
«No,
questo non dirlo neanche - la interruppe lei alzandosi con
discrezione - li ho osservati, non hanno niente in comune oltre che
l’amicizia. Sono amici d’infanzia, non succederà mai una cosa
del genere!»
«Come
puoi esserne certa?»
Mentre
scivolava al bancone, Rosalinda fece una pausa per pagare e poi si
voltò verso l’amica.
«Ti
faccio un esempio pratico. Ti metteresti mai con Daisy?»
«Co…
che diamine, no! Certo che no! Siamo cugine, e poi… che schifo! No,
con Daisy proprio no!»
Rosalinda
si divertì a contare il numero di “No” che Peach continuò a
sfornare per qualche secondo.
«E
non te lo dico perché non sono gay - aggiunse con voce più bassa -
ma perché Daisy… eww»
«La
tua faccia disgustata parla da sola - sorrise vagamente Rosalinda -
ed ecco la risposta alla tua domanda. Mario e Pauline andavano alla
scuola materna insieme, si conoscono da troppo tempo per piacersi…
in altri sensi!»
Peach
tirò un gran sospiro.
«Probabilmente
hai ragione - sorrise - anche se… il sentimento di gelosia che covo
sarà duro da abbattere...»
«Ricordati
sempre che Mario non ti appartiene - l’ammonì con aria da saggia
la ragazza - o finirai a pensarla come Bowser.»
L’altra
a questo nome rabbrividì.
«Non
sono come lui, lo sai bene!»
Rosalinda
imbracciò la borsa e imboccò la via d’uscita, seguita a ruota da
Peach.
«Ora…
devi perdonarmi ma devo proprio scappar-»
La
Principessa le afferrò il braccio con imprevista decisione.
«Rosy»
Peach la costrinse a voltarsi verso di lei e a guardarla negli occhi
Lei
rabbrividì nello specchiarsi nei profondi occhi dell’amica.
«Ti
hanno fatto qualcosa?» sussurrò questa.
«No,
che...»
«Seriamente
Rosy, è una questione seria.»
Rosalinda
dovette mordersi la lingua per non raccontarle tutto. Anche se dal
profondo del cuore sentiva di doversi confidare con qualcuno, non
poteva e non voleva mettere in pericolo altre persone.
«Non…
mi hanno fatto niente… suppongo, cosa intendi?»
Peach
lasciò la presa sbuffando e scuotendo la testa, indietreggiando di
qualche passo.
Si
spostò il ciuffo via dagli occhi stringendo un pugno dall’evidente
frustrazione.
«Sei
strana da… quando, due settimane fa? Quando ti è successo
l’incidente in auto e sei tornata alle tre di notte!»
Rosalinda
stava per ribattere, ma l’altra la fermò e continuò.
«Non
mi hai voluto dire cosa stesse accadendo, ora ti comporti in modo
strano, io non so più come comportarmi! Se ti hanno solo torto un
capello, e a me puoi dirlo, giuro sul Rettore della scuola che...»
«Non
mi è successo niente quella sera! E’ stato solo un incidente senza
danni, davvero, nessuno mi ha fatto niente e io non mi sono fatta
niente.»
Peach
sospirò.
«Non
mi hai ancora spiegato di preciso cosa eri andata a fare nel
Quartiere Os-»
«Shhh!»
si lasciò sfuggire lei, sull’attenti. Si guardò di sfuggita
intorno, ma nessuno dei ragazzi che scivolavano dentro e fuori la
Hall sembrava star prestando loro attenzione.
«Shhh?
Che...»
«Stavi
urlando! Vuoi spaventare tutto il campus?»
Rosalinda
si sentì in pericolo. La borsa a tracolla si mosse, e per un attimo
temette che l’amica l’avesse vista.
«Rosalinda,
ma che ti sta succedendo?»
Le
due si guardarono negli occhi per parecchi secondi. L’una
accigliata, l’altra impassibile.
«Peach!»
una voce chiamò la prima, che si voltò.
Rosalinda
ne approfittò per indietreggiare di qualche passo e tirar fuori la
bacchetta che teneva sempre nella tasca assieme al portafoglio. Un
tocco, e si fu teletrasportata via.
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Commento d'autore
Perdonatemi i ritardi, ma sono davvero impegnata in questi ultimi tempi.
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