L'ombra del passato

di afterhour
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Una missione improvvisa ***
Capitolo 2: *** 2. Il diritto di capire ***
Capitolo 3: *** 3. Più vicini ***
Capitolo 4: *** 4. Quale verità ***
Capitolo 5: *** 5. Primi passi ***
Capitolo 6: *** 6. La nuda verità ***
Capitolo 7: *** 7. Conseguenze ***
Capitolo 8: *** 8. Qualsiasi decisione è sbagliata ***
Capitolo 9: *** 9. Una fine e un inizio ***



Capitolo 1
*** 1. Una missione improvvisa ***


Per chi già mi conosce rieccomi qua. 

 

Era un bel pezzo che non scrivevo più niente, e non solo per mancanza di tempo, non ci riuscivo proprio, ma ecco che in poche settimane ho buttato giù una storia che è un po’ un esperimento stilistico: a prescindere dal risultato sono davvero felice di essere riuscita a superare quell’orrendo blocco. Non ci speravo più, ed è dura la vita senza lo sfogo della scrittura!

 

La storia si alterna tra il punto di vista di Sakura e quello di Sasuke, e in sé è breve, per cui non aspettatevi una profondità che non possiede, sviluppi lenti o chissà quale dovizia di particolari, e vi avviso che per una volta non è solo un romanzo d’amore. 

Si tratta di un universo alternativo, e né le vicende, né le capacità dei personaggi corrispondono a quelle lette nel manga (soprattutto scordatevi i superpoteri finali), lo dico perché ho dovuto includere qualche combattimento visto il tema scelto, che ho cercato di rendere breve (molto breve) e per lo meno comprensibile. 

Diciamo che almeno ci ho provato.

Spero non ci siano anche problemi tecnici, perchè ho cambiato computer e non riesco ancora ad usare il codice html come dovrei. :/

 

Buona lettura…spero che a qualcuno piaccia, e che me lo faccia sapere!

 

 

 

 

L’OMBRA DEL PASSATO

 

 

 

 

 

1. Una missione improvvisa

 

 

 

 

Sakura esce dall’ospedale dopo aver buttato a lavare il camice macchiato di sangue.

L’hokage ha richiesto la sua presenza il prima possibile (subito, ha detto ancora mezz’ora fa), ma è stata trattenuta da un’emergenza ed è in ritardo. Odia far aspettare gli altri, lo trova una mancanza di rispetto, persino quando chi l’aspetta è un ritardatario cronico, e arriva alla torre in tutta fretta. 

 

 — Scusi il ritardo! — esclama dopo aver varcato la soglia dell’ufficio, anche se è Kakashi e sembra assurdo persino dargli del lei.

 

 — Non fa niente, ti stavamo aspettando —

 

Solo in quel momento percepisce l’altra presenza nella stanza, un guizzo di chakra potente subito soppresso, e si volta di scatto a guardare.

Dietro di lei, appoggiato al muro di fianco alla porta, Sasuke Uchiha fissa dritto di fronte a sè con addosso l’aderente uniforme da Anbu, e l’aria sfinita di chi ha appena terminato una missione.

 

Lei si ritrova a studiarlo con interesse per una manciata di secondi: è un bel po’ che non lo vede se non di sfuggita, da lontano, ma non l’ha dimenticato. 

Hanno condiviso la stessa classe per anni, sono stati anche amici da bambini, fino al giorno dell’uccisione di Fugaku e Mikoto, i genitori di lui. Sono morti molti Uchiha quella notte, assassinati da un manipolo di sconosciuti per motivi altrettanto oscuri, una tragedia inspiegabile che ha segnato Sasuke assieme agli altri membri rimasti del suo clan, e che li ha isolati ancora di più dal villaggio: è da allora che dai dodici anni in poi tutti gli Uchiha vengono tolti dall’accademia ed addestrati all’interno del quartiere. 

Anche lui è sparito al di là di quei cancelli, inghiottito da quello che dal di fuori pareva un mondo fantastico, misterioso, minaccioso.

Lo ha visto talmente di rado poi, che la sua orribile cotta infantile si è affievolita. Non ancora scomparsa però, almeno a giudicare dall’improvvisa accelerazione dei battiti del cuore nel trovarselo lì, assai più alto di come lo ricordava, i capelli più lunghi, il volto così serio, così bello.

 

— Allora, stavo spiegando a Sasuke il motivo per cui in questa missione dovrai accompagnarlo anche tu —

 

La voce dell’hokage la riporta al presente, e si mette all’ascolto cacciando i piccoli, inutili sussulti del cuore.

Sasuke Uchiha fa parte dell’immaginario ormai, qualcosa di così lontano ed irraggiungibile che non fa neppure male.

Ed ora ci sono faccende più importanti di cui occuparsi.

 

A quanto pare si tratta proprio di una missione: un nobile, imparentato con lo stesso daymo, è stato rapito quella notte dai membri di una setta seguace del dio Jashin e il tempo è fondamentale, perché i cultori di quella setta sono dediti a sacrifici umani e uccidono in fretta, spesso immediatamente.

Sakura ne ha sentito parlare una volta, ma non è a conoscenza dei lugubri dettagli, e ascolta con attenzione l’analisi delle presunte capacità che alcuni sacerdoti della setta sembrano possedere.

Non dovrebbe essere difficile neutralizzarli con un Uchiha, si dice, a meno che non si rivelino immuni alle illusioni, e in ogni caso è importante non cadere in un’imboscata, o in qualche trappola, perché anche una minima perdita di sangue può complicare orribilmente le cose.

La missione è delicata, e pagata molto bene.

 

 — …dobbiamo assicurarci che l’ostaggio ritorni a casa in buone condizioni —

 

Ed ecco perché è richiesta la presenza di un medico.

 

Sasuke non commenta anche se non sembra particolarmente entusiasta della compagnia, e vista l’importanza del fattore tempo un quarto d’ora più tardi loro due si ritrovano fianco a fianco, alle porte del villaggio.

Lei è riuscita giusto ad afferrare lo zaino sempre pronto che tiene a casa, e ad infilarci dentro qualche razione di cibo e pillole per ogni evenienza: non ha fatto in tempo a mangiare molto ed avrà bisogno di tutte le sue energie.

 

Adesso è lì che soppesa il suo compagno di sottecchi: appare visibilmente stanco e teso sotto la patina di impassibile professionalità, a conferma che non ha potuto godere di alcun intervallo tra la precedente missione e questa.

Possibile che non ci fosse nessun altro da mandare al suo posto?

 

 — Sei appena tornato da una missione? — gli chiede preoccupata.

 

 — Sono perfettamente in grado di svolgere il mio lavoro — le risponde sulle difensive.

 

 — Lo so, lo so — 

 

Vorrebbe aggiungere un ma, spiegargli che in quanto medico è preoccupata per lui, non per il buon esito della missione, ma non sa se è il caso di esporre un parere che non si rivelerà gradito, lo sa, né utile, e neppure c’è il tempo.

 

Partono subito dopo, e non parlano quasi più.

Per quanto possa essere stanco Sasuke è veloce, lo è sempre stato, e lei non intende rimanere indietro, o rallentarlo, così si adegua senza fiatare al suo ritmo, per nulla sorpresa del fatto che lui non si volti mai verso di lei, o del silenzio.

Lo segue e basta, pensando che le piace il modo in cui la divisa gli aderisce addosso, che non è esattamente il pensiero più professionale del mondo, ma all’immaginazione non si comanda, e un pensiero innocuo non ha mai fatto male a nessuno. 

 

Prima o poi dovranno parlare, formulare un piano, ma al momento si avvicinano solo al luogo in cui dovrebbe essere tenuto prigioniero l’uomo. C’è un tempio dedicato a Jashin subito al di là del confine, in territorio neutrale, proprio vicino alla zona del rapimento, e da quel che ha spiegato loro Kakashi in quel periodo dell’anno viene compiuto un sacrificio rituale particolare, di massa, che prevede almeno cinque vittime. 

Finora le autorità hanno permesso che la setta agisse indisturbata, hanno lasciato correre, perché questo è un mondo crudele e le vittime non contano se le famiglie non possono pagare per la loro liberazione, ma a quanto pare ora gli idioti hanno scelto di rapire la persona sbagliata, un errore che sarà la loro fine, o almeno la fine di questa particolare cellula. In quanto agli altri, probabilmente continueranno indisturbati fino a quando non se la prenderanno con la persona sbagliata, spera presto.

 

Quel pensiero le fa corrugare la fronte: sa che il loro è un mondo imperfetto e crudele, lo ha capito crescendo, ed anche per questo ha scelto di diventare un medico: almeno, per quel che vale, può scegliere di aiutare chiunque glielo chieda, amico o nemico, che paghi o meno, senza che nessuno possa obiettare qualcosa.

 

E’ quasi notte quando si fermano, quasi a destinazione. 

Lei è stanca e affamata, ma per fortuna ha infilato in borsa le sue pillole energizzanti, e si chiede se deve offrirne una a Sasuke. Non ha più avuto modo di guardarlo in faccia, e senza accorgersene si ritrova a fissarlo con un misto di curiosità, meraviglia e preoccupazione.

 

I capelli scurissimi gli scendono disordinatamente sul bel volto e gli occhi sono ancor più intensi di come li ricorda, più penetranti, soprattutto privi di quell’innocenza che tutti loro ancora possedevano: il dolore provoca sempre cambiamenti, indurisce e fa crescere in fretta, e non le sfugge la nuova profondità di quello sguardo. In fondo il Sasuke che ricorda era un ragazzino molto intelligente, e più sensibile di quel che dava a intendere.

 

E’ lui a distogliere lo sguardo, ed è come un’incanto che si spezza.

 

Lei depone lo zaino a terra e lo apre per cercare il contenitore per pastiglie che ha portato con sé.

 

 — Ho delle pillole, ti possono aiutare a recuperare un po’ le forze — gli dice rovistando all’interno della borsa.

 

 — Non occorre, ho tutto sotto controllo —

 

 — Sì, sì, lo so, gli Uchiha sono famosi per il loro grande controllo — lo prende in giro continuando a frugare: dove sono finite? — …e se non erro anche per essere asociali e un po’ troppo arroganti —

 

Lo guarda con il dubbio di avere esagerato, e inaspettatamente lui le sorride, un sorrisetto appena accennato che gli solleva un angolo della bocca.

Il cuore ha uno strano sussulto nel petto.

 

 — Ho sentito di peggio — le replica continuando a sorridere.

 

 — E’ il prezzo della notorietà — scherza lei distogliendo lo sguardo — Almeno non parlano solo del colore dei tuoi capelli, è frustrante! —

 

  — Non mi risulta che parlino solo di quello —

 

 — Oddio, e cos’altro dicono? — fa uscire pentendosene immediatamente. Spera non si riferisca a tutte le sciocchezze che racconta Rock Lee.

 

 — Che hai raggiunto Tsunade in molti campi, anche se provieni da una famiglia senza talenti e non hai doti particolari. E che sei bella —

 

Si ritrova stupidamente ad arrossire, e riprende a rovistare, imbarazzata, finché finalmente non scova le pillole.

 

 — Non so se esserne lusingata o infastidita — borbotta tirandone fuori un paio dalla custodia, decisa a fargliele ingoiare con le cattive, se necessario — Tieni, prendile —

 

 — Non c’è tempo — le replica secco sollevandosi di scatto e guardandosi intorno. 

 

Per un momento è disorientata dall’improvviso cambio di tono, pensa che sia un modo per zittirla e metterla da parte, ma poi capisce.

 

C’è qualcosa di diverso nell’aria, negli alberi immobili e silenziosi, e riconosce quell’atmosfera di attesa, di pericolo.

 

Una frazione di secondo più tardi si scosta mentre una raffica di kunai si abbatte sul terreno al suo fianco. 

Sasuke è già balzato su un ramo sopra di loro e con un salto si affretta a seguirlo. 

Troppo tardi. 

Riesce a deviare la maggior parte degli shuriken, ma mentre si prepara alla sostituzione voltandosi in fretta, cercando con gli occhi gli assalitori, gliene arriva addosso un nugolo. Niente di grave, una ferita del genere non la ucciderà, ma le secca farsi toccare, e Kakashi ha raccomandato di non perdere sangue, nemmeno una goccia.

 

Troppo tardi a quanto pare.

 

In quel momento Sasuke le si para davanti per fermarli con un colpo della sua katana, mentre quasi contemporaneamente prova a stanare gli assalitori con il fuoco di un katon.

 

 — Sei ferita? Sta ferma qui — le ordina prima di scomparire in uno sbuffo di fumo.

Lei non intende obbedire, ovviamente, e d’istinto lo segue dietro alla fitta linea d’alberi, nella direzione da cui arriva un improvviso rumore di battaglia.

 

Lo trova più avanti, di fronte ad un paio di ninja pronti ad attaccarlo, e al di là c’è un uomo che ride, con una falce in una mano e uno shuriken macchiato di sangue nell’altra: il sacerdote, crede. Altri tre corpi giacciono a terra, morti, ne è sicura.

Non c’è tempo per controllare.

 

 — Due sono scappati verso est — l’avvisa lui senza guardarla.

 

 — Tu sei ferito? — gli chiede fermandosi dietro di lui.

 

Deve salvare l’ostaggio prima che decidano di eliminarlo, sa che è la priorità, ma è preoccupata per lui, perché lo lascia con quelli che devono essere i più pericolosi, stanco e con una possibile ferita dovuta ad un nugolo di shuriken che era diretto a lei.

 

 — Va! — 

 

E lei riprende a correre all’inseguimento dei fuggitivi, e svanisce tra gli alberi con un peso sul petto e le inutili pillole ancora strette in mano.

Le ingoia, potrebbe averne bisogno molto presto, quando l’ondata di adrenalina non sarà più sufficiente.

 

Corre più veloce che può finché non raggiunge quello che si è fermato ad aspettarla. Non la spaventa, non ha la falce, e non ha tempo di badare a lui: si limita a lanciarglisi addosso senza preavviso, e lo stende con un pugno. Subito dopo rotola a terra e si rialza con un movimento fluido, riprendendo a correre, ignorando la ferita che quel bastardo le ha inferto al fianco: se ne prenderà cura più tardi. 

Adesso scorge il grigiore del tempio più avanti, e senza pensare abbatte un pugno infuso di chakra sul terreno umido e scuro per la notte imminente. 

Una crepa si apre di fronte a lei e gli alberi ai lati franano l’uno sull’altro. Due uomini cadono dai rami e lei colpisce quello che si rialza con un calcio che lo manda a sbattere contro la parete del tempio, poi corre dentro.

 

Non si vede un accidenti lì dentro e spera che Sasuke la raggiunga presto, è preoccupata per lui, ma intanto deve cercare il prigioniero, e quando un urlo straziante rompe il silenzio si precipita in fondo al tempio. C’è uno stretto corridoio che circonda una specie di abside squadrato, e lei lo inforca senza pensare, fino ad un’angusta scala che scende ancor più nell’oscurità.

Si precipita giù e il guizzo di una fiammella, in fondo, è sufficiente per permetterle di correre fino a lì e raggiungere la stretta curva a gomito. Da lì una tenue luce diffusa le permette di vedere con chiarezza, e di muoversi agilmente lungo il corridoio che si apre su numerose stanze.

Non c’è tempo, non c’è tempo, continua a ripetersi mentre ispeziona una stanza dopo l’altra, ma quante sono?, e quando trova quella con i prigionieri si butta sull’uomo che li sta uccidendo ad uno ad uno, sgozzandoli come animali, con metodo, senza esitazione, e lo scaraventa contro il muro.

 

Libera i superstiti terrorizzati senza voltarsi a controllare se quel bastardo è morto, sa che lo è, e non prova alcun orgoglio, solo una grande amarezza.

 

Tra i vivi c’è il loro obiettivo, lo riconosce nonostante l’aria malmessa: la missione è completata, un successo, e a nessuno importa di quei poveri sconosciuti sgozzati, ma non è solo questo pensiero che l’angoscia così tanto ora.

Sasuke non l’ha ancora raggiunta.

 

Non sarebbe la procedura, ma non si ferma ad aspettare di averli messi in salvo, di averlo messo in salvo, urla di aspettare e corre indietro.

 

La maggior parte degli scontri si svolgono così, talmente frenetici e caotici che non c’è tempo per indugiare o elaborare chissà quale strategia, un momento di distrazione e hai finito di vivere.

 

Quando raggiunge Sasuke i due ninja sono morti, ma il sacerdote è riuscito a formare il cerchio di sangue attorno a sè, e lei si blocca.

 

Stupida, sapeva che si era ferito prima, per proteggerla, ne era sicura, avrebbe dovuto stare più attenta, è colpa sua.

 

 — No! — urla a Sasuke che sta comunque facendo crepitare la spada con il chidori, pronto ad attaccare.

 

 — E’ in salvo? — le chiede di rimando.

 

 — Sì, ma non puoi attaccar… —

 

Non fa in tempo a finire la frase che il sacerdote si ferisce ad un braccio, e quello di Sasuke si piega ad un angolo strano, innaturale. Nonostante il dolore che deve provare, in qualche modo mantiene la stretta sulla spada.

 

E lei è ancora immobile, impotente. 

Guarda il sacerdote con un misto di incredulità e paura, perché non può finire così, ed urla a Sasuke di stare fermo, perché riconosce i segni di un katon, e il fuoco, come qualsiasi altro attacco, gli si rivolterà contro.

 

 — Fermo! — urla ancora prima di gettarsi d’istinto contro il sacerdote.

 

Lo raggiunge contemporaneamente al katon, e forse è grazie al calore che riesce a passare attraverso il cerchio, non lo sa, ma non le importa della pelle che brucia, afferra quel bastardo per il collo e lo schiaccia a terra.

Non si volta a guardare il corpo di Sasuke che giace in quella stessa posizione, lo sa, e sedutasi sopra la schiena di quel bastardo gli piega le braccia all’indietro.

 

 — Bastardo, bastardo! — continua a sibilare senza neanche rendersene conto, e intanto gli blocca i polsi con una corda che sopprime il chakra.

 

Solo dopo che ha finito solleva la testa per vedere come sta Sasuke: è a terra, ma il tronco di un albero abbattuto le impedisce di farsi un’idea delle sue condizioni.

Non sa cosa fare, così resta lì a cavalcioni di quel bastardo finché i prigionieri non li raggiungono. 

 

 — Resisti. Prima o poi questo gioco finirà — sussurra più a se stessa che a Sasuke, che forse non è in grado di sentire — appena posso distruggo questo bastardo e vengo da te —

 

E’ una lunga notte.

 

Il sacerdote è bloccato a terra con le mani e i piedi legati, lo ha lasciato lì perché non è riuscita a spostarlo fuori dal cerchio magico, e intanto rimane accanto a Sasuke dopo avergli curato una sola ferita, la più grave. Per le altre dovranno aspettare che quella specie di magia svanisca, perchè ciò che fa a Sasuke influisce su quell’altro corpo, e deve stare attenta.

 

I prigionieri sono arrivati al villaggio più vicino ormai, al sicuro, li ha portati un suo clone, e il loro uomo ha già iniziato i preparativi per tornare a casa, ancora in stato di shock.

 

Il clone si è preso cura di lui con fermezza e gentilezza, e a dire la verità lui non sa che si tratta di un clone, e non deve saperlo, potrebbe ritenerla una mancanza di rispetto.

 

 — Resisti…resisti… — continua a sussurrare la vera lei mentre accarezza la fronte di Sasuke, imperlata di sudore e sangue.

 

Il mattino seguente il cerchio magico si è spezzato e Sasuke è ancora vivo: lo cura mentre ancora dorme, decisa a rimarginare anche i tagli minuscoli, anche le contusioni minori, o le piccole bruciature innocue. 

Le appare così vulnerabile in quel momento, così fragile, come se il tempo si fosse riavvolto donandogli per una manciata di minuti l’innocenza perduta.

E’ come un bambino tra le sue braccia.

 

Gli accarezza una guancia per eliminare un taglio minuscolo che le era sfuggito, e poi lui apre gli occhi.

 

E’ suo dovere prendersi cura di lui, ed anche una necessità, non si aspetta nè gratitudine nè ringraziamenti, però neppure il modo astioso con cui la caccia, e il fastidio con cui la tratta successivamente.

 

 — Cosa facciamo con costui? — gli chiede accennando a quella specie di sacerdote buttato lì a terra, ancora incosciente — Lo portiamo a Konoha? —

 

 — No. L’ordine è di eliminare il problema —

 

 — Non credo sia possibile eliminarlo, non so se è possibile ucciderlo, e se lo lasciamo qui si libererà prima o poi. Non voglio che riprenda ad ammazzare gente —

 

 — Gli tagliamo la testa e lo seppelliamo —

 

 — Vivo? — chiede sconcertata, perché le pare una punizione eccessivamente crudele per un essere umano, di qualunque colpa si sia macchiato.

 

 — Il protocollo lo prevede, in altri casi hanno fatto così. Torneremo a prenderlo se l’hokage lo riterrà opportuno —

 

Sanno ambedue che non sarà così.

 

 — E’ …crudele — borbotta.

 

 — Questo ammazza gente per una sua assurda religione. Non mi fa pena —

 

 — E noi ammazziamo per denaro — ribatte secca, amara.

 

Lui si volta a guardarla, è la prima volta da quando si è svegliato, e per qualche lunghissimo secondo la fissa, così intensamente.

 

Non sa assolutamente cosa stia pensando, ma non intende farsi intimidire.

 

Quando riesce a riscuotersi prende un grosso masso e lo scaglia con astio più in là, tra due alberi. Il buco che rimane dopo che lo ha sollevato è sufficiente per poterci infilare comodamente un paio di corpi. Nel frattempo l’uomo si è risvegliato, ed urla oscenità contro di loro promettendo vendette orribili anche dopo che Sasuke gli ha tagliato la testa con un colpo netto della katana, e continua persino mentre i due pezzi separati vengono scaraventati non molto gentilmente nella fossa, persino quando iniziano ad interrarli.

No, non scorderà facilmente questo momento, lo rivivrà più volte come un incubo.

 

Il loro cliente è la priorità, dice Sasuke che non pare affatto turbato quanto lei, e lo raggiungono subito dopo. Controllano che sia tutto a posto prima di congedarsi: sembra ancora scosso, ma sta già iniziando ad assumere l’aria tronfia che gli deve essere abituale, e li ringrazia con quella supponenza che probabilmente riserva a gente che ritiene al di sotto di sé.

 

Per l’intero viaggio di rientro lei e Sasuke non parlano, e non sa perché faccia così male.

Stupidi Uchiha, forse sono davvero maleducati ed arroganti come si racconta in giro.

 

Ormai sono quasi arrivati e camminano a terra per gli ultimi pochi metri, quando lui interrompe il silenzio.

 

 — Ero arrabbiato con me stesso, non con te. La mia distrazione ha messo a repentaglio la missione — le spiega mentre procedono fianco a fianco.

 

Devono essere le scuse più involute e confuse che le sia mai capitato di ascoltare, e quasi le viene da ridere. 

 

 — Eri molto stanco —

 

 — Non è una giustificazione. Se non fosse stato per te sarei morto —

 

E questo deve essere un grazie.

 

 — Lo stesso vale per me, è per proteggermi che ti sei ferito — minimizza — e poi è questo il motivo per cui le missioni le si fa in squadra, no?!—

 

 — No. Era mio compito eliminare la minaccia — insiste lui.

 

 — E chi lo dice questo? Tu? Voi Uchiha siete anche di un presuntuoso incredibile, oltre tutto il resto. O sei solo tu? Comincio a sospettarlo — ma sorride nel dirlo, e all’improvviso sorride anche lui, sempre un sorriso appena accennato, ma diverso, con ambedue gli angoli delle labbra sollevati.

 

Lo fissa stregata, e per alcuni secondi non riesce a togliergli gli occhi di dosso; è imbarazzante come qualcosa di così piccolo, banale, riesca a turbarla a quel modo.

 

Ma ormai sono a casa, la guardia al cancello fa loro un cenno, e lo salutano di rimando prima di entrare a Konoha e congedarsi.

 

Finisce così, il rapporto spetta a Sasuke, e probabilmente non lo rivedrà più per altri cinque anni.

 

Quella notte dorme male e sogna sogni confusi: forse ad un certo punto seppellisce qualcuno ma non lo ricorda, ricorda invece Sasuke. 

Lei gli sorride, cerca di parlargli, lui neanche si degna di lanciarle uno sguardo, supponente come il loro cliente, e nel sogno si sente rifiutata e offesa.

__

 

Sono passati un paio di giorni in cui ha dormito e si è riposata, ed è pronta a ritornare in ospedale.

Sasuke ha ormai consegnato il resoconto dell’operazione, e Kakashi le ha detto il giorno prima, in via confidenziale, che ha parlato così bene di lei che con una tale presentazione potrebbe sperare di essere ammessa senza fatica tra l’elite di cui sono composte le squadre Anbu.

Non le interessa andare in giro ad assassinare gente, non fa per lei, preferisce di gran lunga il lavoro in ospedale, preferisce costruire invece di distruggere, salvare invece di eliminare, curare invece di ferire.

E’ un mondo crudele il loro, e il giusto e sbagliato si perdono nella prospettiva, ma a lei interessa il bene, e in fondo non ha mai creduto ad un bene ottenuto con il male. 

 

Non che possa farci niente, sa che il loro villaggio è governato in una certa maniera, che si sostenta e sopravvive a quel modo, ma per quanto sta in lei non intende prendere parte a qualcosa che ritiene sbagliato, e purtroppo non è così stupida o cieca da obbedire senza pensare. Sicuramente non è un ninja perfetto, lo sa, in compenso non prova né disgusto né una sensazione di sfasamento nel guardarsi allo specchio. 

 

Passano altri due giorni.

Naruto è fuori villaggio e Sai è indaffarato chissà dove. Ormai li vede poco, il loro team è bello che sciolto e ognuno ha preso strade diverse. 

Un po’ le mancano quei giorni, quei due, Naruto soprattutto, che è sempre stato presente nella sua vita ed ora è spesso in giro per il mondo con Jirayia, mentre Sai, che è rimasto con loro per qualche anno dopo che è stata smantellata l’unità dei servizi segreti di cui faceva parte, la Root, ora è stato inglobato tra gli Anbu. Forse conosce Sasuke, forse no, seguono strani protocolli lì. 

 

Ricorda che nello stesso periodo in cui è stata smantellata la Root hanno cancellato anche il corpo di polizia, in conseguenza ai numerosi cambiamenti seguiti alla strage degli Uchiha. Sakura si è interessata a quella vicenda (anche a causa del suo interesse per Sasuke, non lo nega), eppure non ha mai capito appieno il susseguirsi degli avvenimenti e le motivazioni dietro a quelle decisioni: probabilmente è stata solo una scusa per accorpare sotto la stessa unità varie forze, ed impedire una loro eccessiva autonomia: ora gli Uchiha, come tutti, sono divisi tra Anbu e ninja regolari, e nessuno del consiglio degli anziani detiene quello che poteva diventare un esercito parallelo, per cui tutto sommato il villaggio ne giova, o almeno così crede lei.

 

Quella sera ha rifiutato un invito di Ino ad andare a far baldoria da qualche parte, e quasi se ne è pentita mentre esce dall’ospedale con l’unica prospettiva di tornarsene a casa e buttarsi a letto, quando scorge una figura più scura nell’ombra, e si ferma circospetta.

 

E’ Sasuke Uchiha, e lo guarda avanzare verso di lei sorpresa, e un po’ agitata suo malgrado.

 

 — Stai andando a casa? — le chiede una volta fermo di fronte a lei.

 

 — Be’, sì —

 

 — Abiti ad est dei monumenti agli hokage, giusto?! —

 

Che può rispondere. Riprende a camminare e lui la segue senza parlare, come se volesse solo accompagnarla.

 

A volte si ritrova a guardarlo con la coda dell’occhio, ancora incredula, e una strana elettricità sembra percorrere l’aria che li circonda, o forse è lei, o lui.

E’ una stupida, lo sa, ma quando le spiega che hanno bisogno di un nuovo membro nella sua squadra Anbu, e le chiede di unirsi a loro, non dice subito di no, si riserva di decidere nel giro di una settimana, o così gli racconta, la bugiarda.

In realtà è una scusa per avere l’occasione di rivederlo.

 

 

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Capitolo 2
*** 2. Il diritto di capire ***


Eccomi qua, sono stanca di rileggere e correggere. 

Non padroneggio ancora l'html come vorrei e gli spazi e le misure non sono quelli che volevo, ma ci arriverò!

 

Come ho anticipato questo capitolo è dal punto di vista di Sasuke, che visto da vicino perderà un po’ del suo fascino misterioso ma diventerà più umano e comprensibile, suppongo.

Introduce anche il tema della storia, e…vabbè, inutile che vi ripeta gli avvertimenti dell’altra volta, buona lettura, spero vi piaccia!

 

 

 

 

 

2. Il diritto di capire

 

 

 

 

 

Sasuke è seduto sul gradino che porta alla veranda, una gamba piegata verso l’esterno e l’altra stesa, appoggiata sulle assi del pavimento. Guarda fuori, fin dove il buio gli permette di vedere: il lago è solo un’ombra dai riflessi argentei, la luna una sagoma sfocata nel cielo nuvoloso.

 

Ci sono giorni in cui quello scorcio, quel lago familiare, appaiono minacciosi, in cui invece di dargli conforto generano inquietudine, ed anche se non bada molto a sensazioni e stati d’animo, oggi quelle acque sembrano sussurrargli qualcosa, forse un ammonimento, o un presagio.

Sa che sono solo assurdità.

Beve un sorso dalla tazza di the che tiene in mano, e ripensa ancora a quello che gli ha detto quel pazzo.

 

Non avrebbe dovuto farsi distrarre, e quella piccola esitazione quasi gli è stata fatale, ma non ha potuto fare a meno di ascoltarlo, e da allora quelle parole gli risuonano nell’orecchio, mentre avvenimenti mai realmente accantonati gli riaffiorano con prepotenza tra i ricordi.

 

Nella sua vita esistono un prima e un dopo, divisi nettamente da uno spartiacque cruento che ha cercato a lungo di cancellare, e che ancora, dopo anni, mantiene un alone di irrealtà.

Gli hanno sempre ripetuto che dimenticare era la cosa giusta da fare, che c’erano i sopravvissuti cui pensare, e ci ha provato, seppellendosi in missione dopo missione, obiettivo dopo obiettivo, ignorando quella crepa dentro di lui, e quella rabbia che non ha un perché, o una sua dignità, ma esiste, come esisteva la paura di quel bambino che un giorno si è ritrovato in un mondo vuoto e ostile, come esisteva l’odio per quegli esseri demoniaci che sono entrati in ogni casa del clan, del suo mondo sicuro di bambino, ed hanno scelto di assassinare alcuni membri di ciascuna famiglia, a volte tutti. A caso? Non sa, non crede, non è chiaro, perché se da una parte sono stati ammazzati molti dei loro combattenti migliori, in mezzo sono finiti anche civili, vecchi e bambini.

Non lui, non Itachi, ed ha smesso da tempo di cercare una logica nella sua sopravvivenza.

 

Ricorda vividamente le notti passate sveglio per paura che quelle creature irreali, mostruose, tornassero e uccidessero anche lui, o peggio ancora uccidessero Itachi lasciandolo completamente solo; ricorda bene il dopo: c’è voluto del tempo per abituarsi ad una vita in cui non c’era più una madre da amare, né un padre da rendere fiero un giorno, una vita in cui il mondo con tutte le sue certezze può svanire in un istante, ed anche se ormai non ha più paura dei mostri, sa che può combatterli, o della morte che prima o poi arriva, al di sotto rimane un’eco sospesa di instabilità, e a volte, anche se odia ammetterlo, un grumo invisibile di vulnerabilità.

 

Beve un ultimo sorso del the che si è raffreddato, e con impazienza aspetta Itachi, che è di ritorno dalla lunga missione che lo ha tenuto lontano per mesi.

 

Deve parlare con lui. 

Da quando quel tizio gli ha buttato lì quella frase ambigua non riesce a pensare ad altro: gli ha offerto di unirsi a lui, a quella setta di matti, ed ha aggiunto che ogni Uchiha dovrebbe farlo, per vendicarsi di quel villaggio che li odia, che li fa ammazzare tra di loro e li vuole tutti morti.

 

Ha pensato che quel pazzo vaneggiasse, eppure ha esitato, perché dentro gli si è risvegliato un dubbio solo assopito, e anche dopo, a casa, gli è rimasto appiccicato il ricordo di quella frase, assieme ad un sospetto che l’istinto gli dice di approfondire. 

 

Qualche giorno fa, durante una missione, è tornato indietro ed ha disseppellito quel pazzo.

Non è servito a niente, quello farneticava e farneticava, e alla fine, con un genjutsu, ha scoperto che le sue erano solo chiacchiere, voci senza fondamento: che in giro si diceva che il massacro degli Uchiha non sarebbe stato compiuto da qualcuno dall’esterno, ma dall’interno.

Solo voci.

Lo ha seppellito di nuovo senza badare ai suoi insulti ed è tornato a casa con quell’idea fissa in testa, perché anche se non è cambiato niente, se si tratta soltanto di voci senza fondamento, c’è una parte di lui che si è chiesta la stessa cosa per anni, soverchiata da tutti i suoi tentativi di sedarla, da anni passati sforzandosi di non voltarsi indietro, dalle voci razionali, sicure, di coloro che gli stavano intorno. 

 

Ora è venuta alla luce, e non può più ignorarla.

 

In questa settimana ha passato il poco tempo libero tentando di indagare, di capire.

 

Tralasciando i membri del clan, tra i quali nessuno pare intenzionato a ricordare, è andato a parlare con Tsunade, l’hokage precedente: le ha creduto quando ha ammesso di non averne mai saputo niente. Ha domandato anche ad un paio di Anbu in pensione che potevano essere presenti al momento del massacro.

Niente.

 

Infine, con la certezza che se si è trattato di un affare interno devono essere coinvolti quelli della Root, ha chiesto ad un loro ex membro, l’unico di cui è a conoscenza dal momento che, anche dopo lo smantellamento dell’unità, è stato mantenuto il segreto sui loro nomi. Anch’esso nega di ricordare qualcosa.

 

L’hokage di allora è morto, e Danzo, il membro del consiglio degli anziani che era a capo della Root, è intoccabile, per cui rimane un’unica opzione, dare una sbirciata negli archivi militari: lì si nascondono tutti i rapporti segreti delle unità Anbu, e lì devono essere confluiti anche quelli degli Uchiha e della Root. Solo che non gli è permesso visionare i documenti secretati, ed è quasi impossibile ottenere un’autorizzazione. 

 

Può anche provarci di nascosto se riesce ad elaborare un piano, ma al momento non sa neppure dove si trova quella parte dell’archivio, e se venisse scoperto sarebbe accusato di alto tradimento. 

 

Ed è qui che entra in gioco Sakura Haruno: è una valente combattente, affidabile, ed è in ottimi rapporti con l’hokage. Soprattutto, da quel che si dice, ha già avuto accesso in passato agli archivi segreti per una ricerca medica, e se è così può ottenere il permesso di nuovo. 

Sa di avere un qualche potere su di lei.

 

Una sua immagine, vibrante di colore, prende forma nella memoria: c’è qualcosa di inesplicabile in lei, una specie di armonia che non riesce a comprendere. 

E’ un pensiero incongruo, e per una frazione di secondo si chiede se il suo interesse per lei sia meramente utilitaristico. 

 

Non ha tempo per patetici sentimentalismi, ma sta ancora pensando a Sakura, a quello strano connubio di forza e dolcezza, quando ode dei piccoli passetti ravvicinati.

 

 — Zio! —

 

Sua nipote sta correndo verso di lui, e gli si butta al collo con un sorrisone enorme e due occhioni pieni di innocenza ed amore.

 

 — E’ tardi per te, cosa fai in piedi piccola peste? — le sussurra stringendola e accarezzandole i capelli scuri.

 

 — Aspetto il papà! Torna questa notte! —

 

 — La mamma sa che vuoi aspettarlo sveglia? —

 

Ovviamente no, dal lampo di preoccupazione e colpa che le rannuvola lo sguardo.

 

 — Non glielo diciamo, va bene? — gli sussurra adagiandosi fiduciosa sul suo grembo.

 

Sa che, per quanto gli possa sembrare lecito lasciarla sveglia un po’ di più per aspettare il padre, non spetta a lui decidere, e sa che le interferenze non sono gradite ad Izumi, la madre.

Ma Mira non vuole saperne di tornare a letto e lui neanche si sforza molto di convincerla, invece la lascia accoccolarsi meglio contro di lui sperando che si addormenti presto.

 

Sua nipote è la sua debolezza, e non riesce neppure a rammaricarsene troppo. Le vuole bene, farebbe qualsiasi cosa per lei, e lei lo adora.

 

Non è figlia di un matrimonio felice: sua cognata sembrava innamorata un tempo, ma Itachi è costantemente impegnato, e non è meno freddo con lei di quanto lo sia con la maggior parte della gente con cui ha a che fare: ha perso la ragazza che amava nella notte del massacro, e gli Uchiha sono tendenzialmente monogami, anche i più promiscui tra loro amano veramente una sola donna nella vita. Probabilmente non si sarebbe neanche mai sposato, è stata una necessità imposta dall’alto, con lo scopo di unire due rami prestigiosi della famiglia e dar vita ad una nuova generazione di Uchiha con un corredo genetico adeguato.

Anche a lui toccherà, suppone, pare che sia il modo più veloce per tornare ad essere numerosi, e forti.

 

Spera il più tardi possibile.

 

Ma poi guarda Mira, sua nipote, che è una meraviglia, anche se in una società patriarcale come la loro non risulta un erede adeguato.

Sasuke ascolta il suo chiacchiericcio con un sorriso involontario tra le labbra, e pensa che Mira sia non solo adeguata, ma anche perfetta, migliore del padre, dello zio.

 

Adesso è lì che sbadiglia e fatica a tenere gli occhi aperti, non resisterà molto: viene svegliata all’alba ogni mattina e la sera crolla prima del tramonto. 

Poco dopo gli si addormenta tra le braccia, e la riporta nell’ala della casa riservata a lei e ai suoi genitori, separata da una porta scorrevole. 

Le rimbocca le coperte con una tenerezza di cui non riesce a vergognarsi, perché Mira merita tutto, tutta la tenerezza, l’amore e la gioia del mondo. E’ l’unica che conosce a meritarlo.

 

Quando torna in cucina c’è Itachi.

 

Tutto ciò che ha dimenticato grazie alla presenza preziosa di sua nipote ritorna pressante, incombente: se c’è qualcuno  tra gli Uchiha che è a conoscenza dei segreti sordidi e degli inganni che si giocano al di sotto della superficie irreprensibile del villaggio, quello è Itachi, l’erede di Fugaku.

 

Aspetta che suo fratello si sia lavato e cambiato, intanto prepara una cena frugale per tutti e due.

 

 — Izumi? — chiede meccanicamente non appena si sono seduti in tavola.

 

 — E’ già in camera —

 

 — Mira ha provato ad aspettarti —

 

 — La vedrò domani —

 

Sasuke sa che ama profondamente la figlia anche se, per come è fatto, è raro che lo dimostri apertamente, e iniziano a mangiare senza più parlare.

 

Con suo fratello bisogna girare intorno all’argomento, difficilmente risponde ad una domanda esplicita, e lui, che di natura sarebbe più diretto, fatica a trovare il modo giusto di approcciarlo.

 

 — Stavo pensando a mamma e papà — si decide — a quella storia che sarebbe stato un gruppo di ninja fuorilegge. Non mi ha mai convinto pienamente —

 

 — Eppure è così. Li ho visti io stesso —

 

Si riferisce ai due ninja sconosciuti che sarebbero stati uccisi mentre fuggivano. Come se un paio di ninja qualunque potesse penetrare indisturbato all’interno del villaggio, nel loro quartiere, ed ammazzare metà del clan Uchiha senza difficoltà.

 

 — Dovevano essere molti di più chiaramente — insiste Itachi — gli altri sono riusciti a scappare. Da allora sono cambiate molte cose a Konoha, anche la sorveglianza esterna. Credevamo di essere al sicuro, è stato questo l’errore —

 

E’ ciò che gli hanno rifilato per anni, ma in quel momento non riesce a crederci neppure con tutta la sua buona volontà, anche solo per una questione numerica: pochi uomini non sarebbero stati sufficienti, tanti non avrebbero potuto entrare indisturbati.

 

 — Non sembra molto credibile — replica freddamente.

 

 — Può sembrare impossibile, ma è così che è andata — 

 

Fin qui sono arrivati più volte, è un discordo che hanno intavolato spesso in passato, quando lui era solo un ragazzino, e si chiudeva sempre a questo punto, con quel tono falso di condiscendenza.

 

  — Perché sei così sicuro che non ci sia qualcos’altro sotto? Un aiuto dall’interno ad esempio — chiede, e al diavolo la diplomazia.

 

Itachi poggia i bastoncini a lato del piatto e lo fissa con quella calma intensità con cui riesce quasi sempre ad avere la meglio.

 

 — Non c’è niente al di sotto, non metterti assurde e pericolose idee in testa — scandisce con fermezza.

 

  — Forse no — gli concede anche se non lo pensa affatto — ma vorrei fare lo stesso alcune ricerche, voglio vederlo con i miei occhi. Tu hai lavorato per Danzo, e puoi dirmi da dove iniziare —

 

 Itachi non si muove, imperturbato all’apparenza, ma c’è un lampo nel suo sguardo che lo tradisce.

Non è facile turbarlo, e forse anche questo è un segno, chissà di cosa, a parte del fatto che avrebbe dovuto aspettare, essere più circospetto.

 

 — E cosa penseresti di scoprire che non è stato scoperto finora? — gli risponde infine con una nota di sarcasmo — Abbiamo investigato, c’ero anch’io, ho visto. E poi sono passati tanti anni, qualsiasi traccia abbiano lasciato quei ninja ormai è svanita, non ha più senso rivangare il passato —

 

 — Lo so, ma vorrei fare lo stesso un tentativo, anche solo per una mia curiosità. Ho bisogno di capire — 

 

 — No — chiude il discorso Itachi — Non serve a niente. Lascia stare, dimentica —

 

Dimentica. E’ stanco di sentirselo ripetere, ed anche di non riuscire a parlare con lui, suo fratello, di qualcosa che li accomuna e li tocca così da vicino.

 

 — Mi spieghi perché non ti interessa scoprire come sono morti? Perché sono morti? — chiede brusco.

 

 — Perché non c’è niente da scoprire, sei solo tu che vuoi rimanere ancorato al passato con patetiche nostalgie —

 

 — Ma pensaci un… —

 

 — Basta Sasuke. Ti ho detto di lasciare perdere queste futili teorie, è un ordine — 

 

Un ordine.

Itachi tecnicamente è un suo superiore, ma qui non sono in missione e suona quasi ridicolo.

E lui non capisce questa chiusura eccessiva che non ammette alternative, non capisce questo disinteresse, se è disinteresse, perché non si tratta semplicemente di futili teorie, non è vero, né di patetiche nostalgie.

Si tratta di un diritto, il diritto di conoscere la verità, il diritto di capire, perché senza capire come può riuscire a chiudere definitivamente con il passato.

Ed è stanco di questa ferita aperta. 

   

Itachi esce subito dopo sostenendo che non ha ancora fatto il suo rapporto, e da fuori lo sente parlare con qualcuno, una donna.

 

Quando la porta si apre ed entra Sakura, scusandosi per l’orario e l’intrusione, lui è di nuovo seduto sul gradino che dalla cucina porta al giardino interno.

Lo raggiunge lì e gli si siede accanto a gambe unite senza chiedere il permesso, come se fosse la cosa più naturale del mondo. 

 

La guarda incuriosito, questa creatura dai pensieri così diversi dai suoi, così aliena.

Ha un bel profilo, nota, ed un lungo collo sottile che la fa apparire esile ed estremamente femminile.

 

 — Scusa l’orario —

 

 — No, va bene. E’ presto —

 

 — E’ la prima volta che entro dentro al vostro distretto, è una mini città nella città! Non pensavo ci fossero tanti negozi — ciancia sorridendo, e in attimo l’atmosfera è cambiata, la tensione svanita.

 

 — Una volta era anche più grande. Molti locali sono chiusi ormai —

 

 — Ma è comunque molto bello, caratteristico. Mi sono sempre chiesta perché nessuno di voi scegliesse di vivere tra noi comuni mortali. Forse ora comincio a capire —

 

 — In realtà c’è una legge che lo vieta —

 

Lo guarda stupefatta, talmente trasparente che ancora si chiede come possa essere diventata un ninja. Ma lo è, ed è brava, lo sa, lo ha visto.

 

 — Una legge che vi vieta di vivere al di fuori del distretto? Ma che razza di legge è? A chi è venuta in mente! —

 

 — Al secondo hokage a quanto pare —

 

 — E non è ancora stata tolta? E’ assurdo! — esclama indignata, lo sguardo acceso di passione. 

 

Chissà se quello sguardo, se quella passione…

 

Si forza a fissare fuori, nel vuoto, irritato da quei pensieri.

 

 — Sei qui per la risposta? — cambia argomento.

 

 — Sì — lei abbassa gli occhi, e quando li rialza sembra più giovane, e ancora più delicata — Non posso accettare, non fa per me quel tipo di vita. Diciamo che non sono il ninja perfetto che gli Anbu richiedono: so che non riuscirei ad adattarmi a certi compromessi, e probabilmente rischierei anche di compromettere alcune missioni…e mi dispiace anche di non avertelo detto subito, perché in fondo quando me l’hai chiesto già lo sapevo —

 

Ora è lui a guardarla sorpreso, e non è per il rifiuto, è per quell’onestà disarmante che gli è così nuova, che non comprende appieno. 

Non riesce a capire dov’è il trucco, perché da qualche parte ci sarà un obiettivo, uno scopo, ma non vede ombre in quello sguardo limpido, non sente inganni o ipocrisia nella voce cristallina.

 

 — Peccato — mormora solo.

 

 — Magari posso partecipare a qualche missione particolare, aiutare in altro modo. Mi piacerebbe —

 

— In realtà ci sarebbe una cosa… — 

 

Esita.

E’ troppo presto, pensa, non deve fidarsi.

 

 — Dimmi —

 

 — Mi aiuteresti a… — esita ancora — a indagare su qualcosa? Una faccenda personale —

 

 — Volentieri se posso —

 

 — Non so quanto è legale —

 

 — Ma è giusto? — chiede lei, con una lucida intelligenza che le ha già riconosciuto.

 

 — Per me lo è. Vorrei scoprire cos’è successo veramente la notte del massacro — spiega d’impulso — Sappiamo che è stato un gruppo di ninja fuorilegge, probabilmente per una vendetta — si corregge, rifilandole la scusa ufficiale — ma vorrei vedere di persona, capire se c’è dell’altro. Ci deve essere qualche documento al riguardo nell’archivio militare — 

 

Lei lo studia a lungo, un lungo sguardo aperto carico di mille sfumature, anche dubbio, ma non solo.

 

 — Cosa pensi di scoprire — va subito al dunque, e lui si volta a fissare il lago, o meglio il luogo in cui sa che si trova, solo un buco nero adesso, prima di tornare a puntare lo sguardo su di lei.

 

 — Non lo so. Probabilmente niente, ma mi aspetto di tutto, anche la possibilità di un aiuto dall’interno, persino un possibile coinvolgimento del villaggio — 

 

La scruta mentre fa uscire quelle parole, ma lei non pare oltraggiata, o incredula, solo pensierosa, per cui non si corregge.

 

 — Cercherò di scoprire qualcosa — gli promette seria, decisa.

 

Continua a fissarla cacciando un principio di emozione, e non può non notare quanto sia bella alla luce soffusa della lampada, bella come si dice in giro.

 

Lei lo guarda a sua volta a viso nudo, tutte le emozioni dispiegate, così esposta che è un invito a chinare la testa e baciarla, a sentire il sapore delle sue labbra, la consistenza della sua pelle.

 

E’ più difficile questa volta girarsi verso il lago.

 

Decidono di incontrarsi una settimana più tardi, per aggiornarsi, ma lei ancora indugia, seduta accanto a lui. Non gli importa, non ha sonno.

Gli chiede del giardino, di quella casa, di sua madre, e si riscopre a raccontarle particolari che credeva di avere dimenticato.

E’ così che li trova Itachi quando torna, perché nonostante la casa abbia due ingressi separati è da qui, da quello originale, che preferisce entrare. 

Saluta Sakura con quel suo sorriso freddo e gentile mentre la esamina attentamente, e poco dopo lei se ne va.

 

Più tardi, ormai a letto, non sa spiegarsi l’impulso improvviso che lo ha portato a scoprirsi così tanto, e si chiede se abbia fatto bene a fidarsi di lei, ma ormai è fatta, inutile rimuginare, e in fondo non è veramente preoccupato.

Non gli importa di correre dei rischi, ha così poco da perdere. 

 

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Capitolo 3
*** 3. Più vicini ***


Eccomi qua, anche in anticipo visto che mi sono beccata il primo virus di stagione e sono bloccata in casa. 

Vi ricordo che non è una storia molto lunga, ovvero le cose succedono in fretta, e vi ringrazio ancora per le recensioni! 
 

 

 

 

3. Più vicini



 





Sakura è sconcertata, perfino un po’ indignata.

Pensava fosse la cosa più semplice del mondo (in fondo, anche se per pochi minuti e con la supervisione di due Anbu, una volta è già entrata in quegli archivi per accompagnare Tsunade): vai da Kakashi, gli spieghi il problema e lui ti dà il permesso di consultare i documenti che ti interessano. Semplice. Rapido.

Invece no.

Kakashi non può darle il permesso per una ricerca del genere, ci sono segreti militari lì in mezzo, spiega, e a nessuno è permesso visionarli al di fuori di pochissimi autorizzati, e l’autorizzazione deve essere concessa sia dall’hokage che dagli anziani. Impossibile ottenerla, o quasi.

 Allora può andare a vedere lui, no?! 

No, neanche lui può consultarli, almeno così le racconta, e questo è davvero ridicolo.

A questo punto potrebbe provare ad intrufolarsi nell’archivio per conto suo, senonché da quel che ricorda non è così facile entrare di nascosto, anzi, è praticamente impossibile, ed anche tentare è rischioso: senza accorgersene potrebbe attivare dei sigilli e far scattare una qualche forma di allarme.

 

Così nel frattempo cerca tra i documenti accessibili, nella parte dell’archivio dislocata nello stesso piano dell’ufficio dell’hokage.

 

Non trova niente, ma proprio niente. 

Non c’è niente lì.

Del periodo del massacro non c’è un solo documento riguardante gli Uchiha in tutto l’archivio, nemmeno uno.

E’ strano, dovrebbe trovare qualcosa, no?!, magari qualche banale documento su qualche banale missione assegnata, anche perché Sasuke le ha spiegato che all’interno del distretto conservano solo gli atti di nascita, matrimonio e morte, che tutti i documenti, persino quelli inerenti la polizia di Konoha, che una volta era appannaggio del loro clan, sono confluiti all’interno degli archivi generali.

Invece lì non c’è niente, solo un buco di circa due anni.

 

Ne parla con Naruto la prima volta che lo incontra, spacciando quel suo improvviso interesse per una mera curiosità, come ha fatto già con Kakashi. Non che non si fidi di loro, ma sa che Sasuke non approverebbe un loro coinvolgimento. 

 

 — Mi chiedevo cosa fosse successo veramente quella notte, è ben strano se ci pensi che siano riusciti ad assaltare un intero quartiere, e a massacrare tanta gente così forte. Mi è venuto perfino il dubbio che sotto ci fosse qualche faida interna: magari qualcuno all’interno del villaggio li ha aiutati, che dici? — spiega con nonchalance restando sul vago, come se fosse un pensiero tra i tanti, una sciocchezza senza importanza che le è passata per la mente.

 

Lui le assicura che quando sarà hokage certe stronzate super segrete finiranno, e poi le dice che non è possibile che ci sia un coinvolgimento di qualcuno del villaggio, che Konoha è casa loro, ed avrà i suoi lati bui, lati che lui vuole ripulire e rischiarare, ma è come una grande famiglia, e nessuno farebbe mai qualcosa di simile ai suoi.

 

Lei non ne è così sicura, e intende parlarne con Sai non appena possibile: ha lavorato per Danzo, e benché sappia che non potrà svelarle vecchi segreti, anche volendo, vale la pena di provarci.

 

L’ideale sarebbe andare a parlare direttamente con Danzo, perché se c’è qualche sporco segreto o malefatta, sicuramente dietro si celano lui e la famigerata Root, ma ovviamente non può: con quella serpe non si può essere diretti, ed è meglio non mettergli la pulce nell’orecchio, nel caso davvero ci sia qualcosa sotto.

Deve mettere in guardia Sasuke in proposito, avvisarlo di procedere con i piedi di piombo e non rivelare a nessun altro quali siano i suoi veri dubbi. 

E’ sicura che lo sappia anche lui, ma non è abbastanza sicura che gli importi come dovrebbe di evitare conseguenze spiacevoli.

Altrimenti perché ne avrebbe parlato così facilmente con lei?

 

Vorrebbe credere in un fattore personale, che quella sottile connessione che avverte in sua presenza non sia a senso unico, e che le abbia parlato dei suoi dubbi perché si fida di lei, e solo di lei, ma non è così ingenua. 

Eppure di fatto si è fidato, no?! Di lei, di un’estranea praticamente.

Lo sa che è ridicolo ma sembra l’inizio di un legame.

 

Ripensa spesso alla sera passata insieme, agli sguardi, alle parole, e a quella tensione sottile, piacevole ed eccitante, che prova in sua presenza, e ancora una volta si chiede se è solo lei a sentirla. Di solito è brava a leggere la gente, ma quel ragazzo è un enigma (tutti gli Uchiha che ha incontrato finora sono un enigma).

Però un bell’enigma, come ha commentato Ino cui ha accennato al fatto che si sono incontrati un paio di volte dopo la missione.

Su questo non si discute, e infatti, in mezzo alle numerose incognite che l’aspettano, l’unica certezza è che da tutta questa faccenda ricaverà un grande mal di cuore.

__

 

Quasi fa un salto quando se lo trova in camera, la sera prima del loro appuntamento, seduto sul letto con l’aria di essere perfettamente a suo agio.

 

Non ha molto tempo e deve partire il giorno dopo per una missione, le spiega, per quello ha anticipato l’incontro.

 

Si siede accanto a lui ancora piuttosto agitata, e mentre gli racconta dei suoi inesistenti progressi e delle sue aleatorie supposizioni, lo studia con un interesse che non riesce a dissimulare come vorrebbe.

 

 — Mi chiedo… — gli fa titubante — e se davvero scoprissimo che dietro a tutto c’è un complotto di qualcuno del villaggio? Cosa facciamo? —

 

E’ un pensiero che non la spaventa davvero, in realtà non ha pensato molto al dopo, magari perché sotto sotto non ha mai creduto fosse possibile un reale coinvolgimento del suo villaggio.

 

 — Non lo so — le risponde, e lei gli crede.

 

Non ha commentato sull’uso del plurale, scopriamo, facciamo, ed è ridicolo che una tale sciocchezza la renda così di buon umore. 

Pensava di aver superato certe fasi, ma forse sono cicliche, come tante altre cose nella vita. 

 

Sasuke è ancora seduto in quella sua postura rilassata, scomposta, di fianco a lei, e l’intimità della circostanza la agita troppo per poter mantenere una perfetta lucidità, per cui deve esserselo sognato il momento in cui lui si volta a fissarla con una strana fiamma scura nello sguardo.

Le loro braccia si toccano a causa di un movimento involontario, e un brivido le scorre lungo la schiena. 

 

 — Vado — la saluta sollevandosi di scatto, e lei annuisce sorridendo.

 

Nei mesi successivi si incontrano spesso così, a casa sua, nel suo letto. 

Sasuke è quasi sempre occupato in missioni, non ha tempo per indagini, non ha tempo neppure per pensare, e quei loro appuntamenti sono un modo per rimanere aggiornato. 

Il fatto che spenda il suo poco prezioso tempo con lei non deve elettrizzarla troppo, è solo per sapere, si ripete quando il cuore le batte tumultuosamente per la sua vicinanza.

 

E ormai è diventata un’abitudine, ed anche una necessità quando lui si presenta ferito e sanguinante.

Niente di grave, per lo più piccole ferite dovute a disattenzione. Ha bisogno di riposo, lo sgrida, e non gli dice mai che dovrebbe andare a farsi medicare in ospedale, neanche l’unica volta in cui la ferita è un po’ più grave: sa che l’ascolterebbe, e non vuole privarsi di un’occasione per vederlo.

 

Alla luce fioca della lampada del comodino discutono dei pochi progressi che ha compiuto, dei molti progetti che le si affacciano alla mente, più o meno fattibili, delle congetture che man mano affiorano, più o meno improbabili, poi il discorso si allarga, e si ritrovano a parlare d’altro, di se stessi, di ciò che pensano.

Sasuke ha una notevole intelligenza analitica che si discorda dalla sua: non gli sfugge niente, neppure la sfumatura di un’espressione repressa, ma a volte perde il risvolto pratico, di buon senso, della soluzione più semplice.

In più il mondo interiore in cui è immerso e che lo guida è quanto più discosto dal suo possa essere: per Sakura non esiste una scala di valori così netta, lei predilige una vita armoniosa, con un equilibrio tra la sfera affettiva e quella lavorativa, ed anche nel suo ruolo in questa società cerca un equilibrio che le permetta di gioire di ciò che fa, e al contempo di sentirsi a posto con se stessa, come persona. Per questo non può far parte degli Anbu, gli spiega, e sempre per questo si ritaglia spazi per gli amici, la famiglia, ed anche per i momenti di spensieratezza e divertimento, che alla fine sono quelli che le permettono di ricaricarsi e muoversi nel mondo con più leggerezza ed allegria.

Per lui è diverso, esistono solo priorità e doveri, il divertimento è solo una perdita di tempo, e la spensieratezza un vero e proprio delitto. 

Sembra un modo di vivere così in contraddizione con il suo volto giovane e attraente, e a volte lei si chiede: se tutto ciò che fa ha uno scopo, come si collocano nella sua rigida scala di valori questi incontri tra loro?

 

Non portano a molto se li si guarda dal punto di vista della missione che si sono imposti, ma in compenso hanno costruito una sorta di complicità, una vicinanza che non è spiegabile razionalmente.

Anche fisica.

 

Dapprima lui se ne stava seduto sul letto ad un metro di distanza, ma man mano si ritrovano sempre più vicini, naturalmente, senza accorgersene.

Niente di sessuale, se ne stanno seduti vestiti di tutto punto, a parlare, ma la tensione che prova lei, solo lei?, cresce in modo esponenziale, fino a quando le diventa difficile persino averlo accanto senza provare il desiderio di toccarlo, ed allora inizia ad allontanarsi di nuovo, per poter respirare liberamente.

Ormai la sua vicinanza le provoca costanti, piccoli brividi, un minimo contatto casuale sembra scottare sulla pelle, e troppo spesso in sua presenza avverte una forma di insoddisfazione che non è puramente fisica.

A volte c’è ancora quella fiamma scura nel suo sguardo, e forse potrebbe azzardare un contatto, ma non osa, e neppure deve, lo sa: non è una persona che si butta in una relazione senza pensare, e ha paura di iniziare qualcosa che non riuscirà a gestire.

 

Quella sera non devono vedersi, lui è di nuovo in missione.

 L’ultima volta, quando gli ha esternato le sue perplessità sul susseguirsi ininterrotto di una missione dietro l’altra, le ha risposto che è abituato. Non ci vuole un esperto per capire che non può andare avanti così, e Sakura sta accarezzando l’idea di andare a discuterne personalmente con l’hokage.

 

Nel frattempo lo attende con impazienza, ed ogni sera, anche quando sa che è troppo presto, entra nella camera vuota con una punta di delusione. 

Soprattutto ora, perché finalmente, per la prima volta, ha fatto un piccolo progresso, anche se ormai pare quasi un gioco quella cosa, o meglio un pretesto.

 

Il piano, anzi, uno dei due piani, è quello di avvicinarsi a Danzo in persona. 

Ha la sua fama di medico, e tramite Sai riesce a vederlo un paio di volte.

Il piano è confuso in realtà, ma se riuscisse ad ottenere la sua fiducia potrebbe ottenere il suo permesso per la visione dei documenti secretati, e con il suo quello degli altri anziani sarebbe garantito.

Il permesso di Kakashi lo dà per scontato.

 

Si è preparata una scusa, quella di dover fare alcune ricerche mediche, ed a furia di pensarci ha imbastito una fandonia credibile su un presunto antidoto da inventare per un presunto veleno che sarebbe stato usato, guarda caso, proprio nel periodo precedente il massacro degli Uchiha. E’ un fatto reale, si è documentata, e alla fin fine un nuovo antidoto non può che rivelarsi utile, per cui non si sente affatto in colpa.

Una volta all’interno dell’archivio spera di poter frugare in giro indisturbata, ed anche se si rivelerà impossibile è comunque un tentativo concreto.

 

In realtà da quando ha rivisto Danzo, forse perchè ora è più sospettosa, non riesce a togliersi dalla testa il dubbio che anche fisicamente ci sia qualcosa di strano in lui, o meglio, nel capo e nel braccio bendati: qualsiasi sia stata la causa di qualsivoglia ferita, la necessità di tenerli ancora bendati le suona sospetta. Il fatto che le abbia rifiutato recisamente il permesso di visitarlo non fa che acuire i suoi sospetti.

 

Proprio per questo sta complottando di dare un’occhiata lì sotto in qualche modo, e dato che, un accenno qua ed uno là, ormai sta coinvolgendo un po’ tutti i suoi amici (Sasuke questo non lo deve sapere mai), sia Hinata che Neji si sono detti disponibili ad aiutarla.

Potrebbe essere considerato alto tradimento, per cui devono agire con cautela, e a dirla tutta non è facile avere un contatto casuale con quell’uomo, non sembra frequentare luoghi pubblici, ma Sakura è ottimista.

 

Quando quella sera torna a casa e si trova Sasuke in camera il cuore le sfarfalla pericolosamente nel petto. 

Sa che non va bene, sa che è quasi impossibile che un Uchiha scelga una donna al di fuori del clan, e completamente impossibile per un membro delle famiglie più potenti come lui, ed anche se ciò che prova fosse ricambiato (qualunque cosa sia, si dice nel disperato tentativo di minimizzare), non è disposta a interpretare il ruolo dell’amante nascosta, non è nella sua natura.

Eppure lui è così perfetto ai suoi occhi, che sarebbe lacerante dirgli di no nell’improbabile ipotesi che glielo chiedesse.

 

Solo quando lo guarda negli occhi si accorge di quanto è turbato, e all’improvviso le sue piccole pene d’amore non hanno più importanza.

 

 — Cosa c’è? — domanda agitata, e gli si siede accanto alla ricerca di un indizio — Sei ferito? —

 

 — No —

 

Le dita già sono sollevate mentre lo scruta attentamente alla ricerca di una possibile ferita.

 

 — Ecco — mormora sfiorandogli il collo per richiudere un piccolo taglio, non ancora tranquillizzata — cosa c’è — chiede ancora.

 

  — Niente, sono stanco —

 

Continua ad osservarlo silenziosa mentre lui si affloscia sul copriletto fresco di bucato, e rimane lì sdraiato, lo sguardo al soffitto.

Com’è bello con lo sguardo perso nel vuoto, con quell’ombra di tristezza che lo permea a volte e vorrebbe così tanto cancellargli.

 

 — Non puoi continuare così, una missione dietro l’altra — gli sussurra piegando le gambe sotto di sé, una mano che la puntella al materasso, l’altra che indugia a mezz’aria senza osare posarsi su quel viso stanco che brama di toccare.

 

 — Lo so. E’ Itachi credo. Vuole tenermi lontano, o forse sono io che vaneggio…sono così stanco a volte —

 

Sono solo poche, vaghe parole, ma sono sufficienti per lei: sa che Itachi non approva dell’indagine, sa, ha intuito, dei sospetti che Sasuke nutre al riguardo di questa chiusura, dubbi che minano la fiducia nel fratello e fanno ancor più male, perché è la sua sola famiglia, e probabilmente il suo solo legame importante.

 

Cerca i suoi occhi e vi legge stanchezza, e quella profonda tristezza che ha già notato prima, a volte. Ora la scuote nel profondo, perché quella sofferenza che può capire solo in parte, quel qualcosa di oscuro che vive dentro di lui, adesso è perfettamente visibile, come un ponte che le permette di vederlo, raggiungerlo persino, anche solo per un istante, e in quel momento è talmente evidente che quello che per lei è diventato quasi un gioco, un pretesto, per lui è un bisogno, un tentativo di capire la propria vita, di capire se stesso e il mondo, che fa paura.

L’abisso che le è permesso scorgere in quell’istante la riempie di vertigine, ma non intende ritrarsi.

 

E mentre lui la guarda a quel modo, la guarda davvero, in cerca di lei, della sua parte più intima, il cuore non accelera per la mera vicinanza fisica, è un impulso interiore che la spinge verso di lui con il desiderio potente di aiutarlo, guarirlo, di farlo felice.

 

 — Sas’ke — mormora teneramente mentre si china appena sopra di lui, le dita che tremano dalla brama di toccarlo, di farlo suo.

 

E’ lui che solleva una mano e le accarezza una guancia, lentamente, e quel fuoco nero che ha già visto altre volte nei suoi occhi sembra avvolgerla ora, e divorarla.

Cosa importa se è pericoloso.

 

Lui l’attira a sé e la bacia, appena una pressione sulle labbra, e poi un’altra, ed è così naturale, il resto, le loro bocche che si schiudono per fondersi in un contatto più profondo, lingua contro lingua.

 

 — …non so se… — riesce a far uscire quando si staccano, il respiro affannato e lo sguardo appannato.

 

 — Sssssh —

 

Non ribatte più, si lascia avvolgere dal suo abbraccio e lo bacia ancora, e ancora.

Il bisogno di fondersi con lui non accenna a placarsi, sembra solo aumentare a dismisura, e il contatto di quel corpo snello e muscoloso, della sua erezione che spinge contro di lei, non è più sufficiente, come non lo sono le loro mani che cercano la pelle sotto i vestiti.

 

E’ una necessità spogliarsi, per tentare di sentire di più, di ritrovarsi più vicini, uniti, fusi, e quando lui la fa ruotare per sollevarsi sopra di lei, il respiro ansimante, e i loro corpi nudi si toccano, lo attira a sé con impazienza, e amore.

 

Lo sente entrare in lei con un senso di vertigine, senza fiato per quell’atto animale che sembra ineluttabile, e mentre fanno l’amore, mentre lui prende possesso di lei e lei inizia a perdere se stessa, pensa confusamente che è troppo, che non le può bastare. Vorrebbe rallentare, prolungare il piacere all’infinito, ma non ci riesce, è sempre tutto troppo con lui, anche l’ebbrezza che la travolge troppo presto con un’onda improvvisa.

 

Dopo restano abbracciati ancora, a parlare, e lei continua a baciargli la pelle sudata, che sa ancora di fumo e sangue, di battaglia, mentre gli ripete di aspettare prima di agire impulsivamente, che è vicina a fare qualche scoperta.

 

 — Ho parlato con un Anbu dei più anziani — le spiega lui — dice che in quel periodo gli hanno ordinato più volte di sorvegliare il nostro quartiere. Non sa il perché, ma sembra ancora più improbabile che possa essere stato qualcuno dall’esterno con tutta quella vigilanza —

 

 — Aspetta solo un poco — insiste lei, ancora ubriaca di lui, di quel contatto — pochi giorni —

 

Non vuole che agisca di impulso, che corra dei rischi eccessivi.

Se lo scoprissero…

Solo al pensiero viene sopraffatta da una paura sconosciuta che le affanna il respiro e le chiude la gola, perché se gli succede qualcosa…

 

 — Pochi giorni, va bene? — ripete con tutta la sicurezza che riesce a fingere.

 

Lui le appoggia le labbra sulla tempia prima di scostare il braccio.

 

 — Adesso vado, è tardi — le sussurra.

 

Lo trattiene per l’avambraccio, non vuole separarsi da lui, non ancora, e lo attira a sè per stringerlo e non lasciarlo andare mai, mai.

 

Fanno l’amore ancora una volta, e la notte sembra dilatarsi e contrarsi sopra di loro, per manciate di minuti infinita, per tutti gli altri troppo breve.

 

 

 

  

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** 4. Quale verità ***


Eccomi qui.

Da questo capitolo la storia inizia ad entrare nel vivo, e nei prossimi due succederanno parecchie cose, finalmente
Vi avviso che cambierò il rating da arancione a rosso, per sicurezza, ditemi se è un problema ...comunque, sempre per quella storia dell'html, c'è un eccesso di spazi doppi che ancora non sono riuscita ad eliminare, più che altro per pigrizia suppongo.:/

A parte questo, spero che il capitolo vi piaccia, buona lettura!

 

 

 

 

4. Quale verità

 

 

 

 

 

E’ tardi, e Sasuke non dorme.

Se ne sta fuori, nel portico, ignorando le stille d’acqua che scendono dai capelli bagnati e l’esigenza del corpo di riposare.

 

Non ha mai rifiutato una missione, non gli è mai importato avere tempo per sé, anzi, meglio (odia l’ozio, il tempo libero, i pensieri vaganti), ma oggi ha parlato con l’hokage e gli ha chiesto espressamente di fermarsi per qualche giorno: ha bisogno di tempo, e di avere una mente lucida se vuole venire a capo di quella che si ostina a considerare una missione personale. 

Sa che suo fratello, in quanto leader del clan, ha a che fare con l’accumulo di missioni di quegli ultimi mesi, glielo ha confermato tra le righe lo stesso hokage, e la stanchezza gli impedisce di intendere chiaramente cosa possa significare.

 

Vorrebbe riuscire a spiegargli quella sua necessità di sapere, fargli comprendere che per lui l’incertezza in cui è vissuto finora è peggiore di qualsiasi atroce verità, ma non sa come fare, ed è stanco di aspettare: vuole finire, arrivare da qualche parte, a una qualche verità; a questo punto neanche gli importa più di esporsi troppo.

E forse è una contraddizione, ma cerca di non pensare a cosa succederà quando tutto sarà chiarito, al fatto che, se l’ipotesi che sta prendendo forma nei suoi pensieri si dovesse rivelare esatta, la verità non sarà di facile gestione e tutto il suo mondo potrebbe sgretolarsi un’altra volta.

 

Aspetterà un paio di giorni per vedere se Sakura riesce ad ottenere qualche dato in più, poi agirà.

Ha individuato un Anbu, un ex Root, che potrebbe sapere qualcosa, e sta pensando di usare lo sharingan per estrapolargli informazioni con la forza, anche se a quel modo sicuramente Danzo verrà a saperlo.

 

E’ un obiettivo che dovrebbe occupare ogni suo pensiero ed energie, e non capisce come il volto di Sakura, il corpo di Sakura, si insinuino con tale facilità tra i suoi pensieri.

Cerca di allontanarli ancora e di concentrarsi solo sull’adrenalina della caccia, ma non è facile come dovrebbe.

 

 — Sei tornato tardi questa notte —

 

Si volta in direzione della voce.

A volte non capisce perché Itachi si ostini ad usare questa entrata quando ne è stata aperta una apposta, nell’altro lato della casa: è un modo per sentirlo vicino, o per controllarlo? 

Finora non gli è mai importato, è suo fratello, colui che lo ha cresciuto, il solo punto fermo di una vita.

L’unica famiglia che gli resta.

 

Lo guarda sforzandosi di non pensare alle conseguenze che la verità avrà sul loro rapporto.

 

  — Ho chiesto qualche giorno di riposo all’hokage — risponde senza alzarsi.

 

 — Non lo hai mai fatto prima. C’entra per caso una ragazza dai capelli rosa? —

 

Pensava di essere stato discreto, ma evidentemente non lo è stato abbastanza, e si chiede cos’altro sappia suo fratello, e chi altri ne sia a conoscenza. Si dice che è preoccupato per la missione, ma è consapevole della parte di lui che non vuole che le conseguenze delle sue decisioni la tocchino: lei non ha fatto niente di male, se non provare ad aiutarlo.

 

 — …capisco perché ti piace — continua Itachi versandosi un bicchiere d’acqua — ma spero che tu sappia cosa stai facendo con lei, non sembra il genere di ragazza con cui dovresti giocare —

 

 — Lo so. E non c’è niente tra noi — mente studiandolo con cautela.

Forse è solo stanco e paranoico.

 

 — Meglio così —

 

— E tu? Ti dà fastidio che resti a casa per qualche giorno, hai paura che scopra qualcosa? — gli chiede a bruciapelo.

 

Itachi non mostra sorpresa, non mostra niente.

 

 — Non so bene a cosa ti riferisci, ma se riguarda la tua fissazione ti prego di smetterla —

 

Il bluff non ha funzionato, non che pensasse potesse funzionare.

 

 — Sas’ke — mormora Itachi sedendo accanto a lui, e mentre si appoggia allo stipite della porta sembra improvvisamente stanco quanto lui — lascia stare questa faccenda, ti prego. Te lo chiedo come un favore personale —

 

 — Non posso — replica, ed è la pura verità. Non può, non riesce più a chiudere gli occhi, a far finta di niente.

 

— Cosa cambierebbe, qualsiasi cosa scoprissi? Sono morti ormai —

 

 — Lo so, ma saprei, capirei —

 

 — Ne vale la pena? Hai davvero voglia di riaprire quella ferita? Di risentire quel dolore? —

 

No. Per niente, ma quella ferita non si è mai rimarginata del tutto, non ha mai smesso del tutto di dolere, e forse bisogna riaprirla e pulire più a fondo, o forse no, forse è solo una scusa, ma ormai ha iniziato e non può più tornare indietro.

 

 — Non ho alternative, ormai devo andare fino in fondo, capisci?! Itachi… — esita mentre guarda suo fratello, e per un momento desidera di poter davvero lasciar perdere, per lui, per non risvegliare in lui il dolore — se tu mi spiegassi… — mormora solo.

 

Improvvisamente lo sguardo di Itachi si è acceso di rosso, e il disegno interno inizia a cambiare mentre lui lo fissa stupefatto.

Non ha mai usato quegli occhi contro di lui.

 

Istintivamente il suo sharingan si attiva in difesa, ma è tardi.

 

Adesso si trova nel mezzo del distretto, è notte, quella notte maledetta, e guarda impotente mentre ninja sconosciuti entrano come ombre nelle case.

 

Lui può solo guardare, un inutile fantasma che fluttua incorporeo nel mondo dei viventi e non riesce nemmeno ad urlare, ad avvisarli del pericolo. Con orrore crescente li segue e assiste ad ogni cosa, ad ogni morte: vede assassinare gli zii a colpi di katana, sgozzare i cugini sorpresi nel sonno, e il nonno paterno, solo un vecchio, che muore dissanguato, piegato a terra come se dormisse, e poi suo padre, e sua madre, la sua dolce madre che non ha mai fatto del male, inginocchiati e giustiziati come delle bestie.

 

Ormai svuotato di emozioni continua a guardare quegli uomini che entrano nelle case e ne escono coperti del sangue della sua gente…anche due bambini trascinati fuori dal misero nascondiglio in cui avevano cercato rifugio, e una giovane donna incinta con le mani sul ventre in un inutile tentativo di proteggerlo.

 

Sono stranieri e posseggono la particolare abilità di confondersi con le ombre, completamente invisibili; bisbigliano tra loro con un accento greve, che non gli è familiare. Parlano di un’impresa epica che frutterà loro la riconoscenza dei villaggi nemici.

 

Poi tutto finisce di colpo in un silenzio irreale.

 

Subito dopo ricomincia: è costretto a vedere di nuovo morire gli zii, e i cugini, il nonno, il papà inginocchiato di fianco alla mamma, e tutti gli altri. 

Muoiono composti, come animali sacrificali, e il silenzio amplifica l’efferatezza dei gesti, di quella mattanza bestiale.   

 

E dopo ricomincia ancora.

 

Finalmente rompe l’illusione, e cade in ginocchio, stremato.

 

E’ questo che è successo? Erano davvero degli intrusi, dei banditi? Forse gli Anbu sorvegliavano il distretto per proteggerlo da una minaccia esterna di cui era giunta notizia?

 

 — Perdonami fratellino — sussurra Itachi, e sembra davvero addolorato.

 

Lui è ancora a terra, in ginocchio, e tenta invano di sollevarsi aggrappandosi alla parete.

 

Itachi lo aiuta, e sorreggendolo lo conduce fino in camera.

____

 

Si risveglia chissà quando, ancora debole, e ricorda immediatamente.

Il corpo è tutto un dolore per i postumi della violenta illusione, ma non ci bada, non importa. 

Si guarda intorno e vede suo fratello, seduto accanto a lui.

 

 — Da quanto sono a letto? —

 

 — Solo un giorno. Sei il primo che non sviene immediatamente e si riprende così presto — osserva meravigliato, forse anche con una punta di orgoglio — Perdonami, non volevo farti del male, ma non potevo usare un’illusione più debole, l’avresti bloccata istintivamente —

 

 — Non importa. Ora capisco a quale prezzo hai ottenuto quegli occhi — sussurra sollevando una mano e stringendola, per saggiare le forze: sa che le conseguenze di uno tsukuyomi di quel livello possono essere molto gravi.

 

 — No, è stato prima, quando è morto Shisui…è stato il dolore, e il senso di colpa —

 

Dolore e senso di colpa, le premesse per il mangekyou sharingan: conosce abbastanza quel dolore, quel senso di colpa per essere sopravvissuti, da non volerli sperimentare mai più, pensa chiudendo gli occhi e riaprendoli immediatamente: le immagini sono ancora troppo vivide nel buio della mente. 

 — …perché non mi hai spiegato tutto prima, perché le mezze parole, le ambiguità — mormora con stanchezza.

 

 — Ho sbagliato, ma volevo solo proteggerti. Adesso sai: non c’è niente da cercare, fratello mio, e le tue indagini possono disturbare qualcuno in alto. Si fa presto ad accusare qualcuno di tradimento, soprattutto un Uchiha. E’ per quello che tentavo di dissuaderti — fa una pausa mentre versa l’acqua della caraffa in un bicchiere, e poi, mentre glielo porge, lo guarda con un affetto familiare, che ricorda altri tempi, più felici — Se sono sembrato ambiguo, se sembrava volessi tenerti all’oscuro, mi scuso, non è così — prosegue — e le voci che parlano di complotto non sono vere, è solo che sembra impossibile che i potenti Uchiha si siano fatti sorprendere così, e si fa presto ad inventarsi un complotto —

 

 — Era una banda di cui già si conosceva l’esistenza? — chiede sollevandosi a fatica e mettendosi seduto, la testa che gira.

Appoggia la schiena alla testata del letto e sorseggia l’acqua, ancora incapace di credere che sia davvero così semplice.

Sa che non è mai così semplice.

 

 — Sì. Il loro capo covava un odio personale nei nostri confronti —

 

 — E’ morto? —

 

 — Naturalmente. E’ stato scovato ed eliminato —

 

Allora è tutto finito? Si chiede mentre rilassa le spalle doloranti.

 

 — Perché il segreto, perché non dirlo chiaramente — obietta solo.

 

 — Perché il villaggio non è intervenuto ufficialmente nella caccia, ci ha lasciati liberi di contrattaccare come volevamo, ha finto di non vedere. Eri troppo piccolo all’epoca per fartene partecipe, e poi ho pensato non avesse più importanza parlartene, che dovessimo solo dimenticare —

 

 — Capisco — mormora, e il sollievo è come un’onda che gli rilassa i muscoli e rischiara i pensieri — ma hai sbagliato, dovevi dirmelo subito —

 

 — Perdonami fratellino — ripete Itachi prima di colpirgli la fronte con l’indice e il medio, come faceva tanti anni prima, quando erano felici.

Sembra davvero addolorato.

 

Allora è finita?, si chiede. E’ così facile? 

Così…così indolore?

 

E’ ironico per uno che ha ancora impresso nella retina tutto quell’orrore e cui fa male persino piegare le dita, ma Sasuke chiude gli occhi, così debole, con la stanchezza accumulata che aggrava ogni altro sintomo, e per la prima volta dopo anni è solo un peso fisico, tollerabile.

 

Adesso non vuole pensare alla sensazione che alcuni particolari non collimino, e quando si sdraia ancora a letto si addormenta immediatamente: dorme profondamente, come non succedeva da tanto.

 

Prima di chiudere gli occhi pensa a Sakura, chissà perché, al suo sorriso luminoso.

 

Il giorno dopo si sveglia tardi, con la stanza inondata dalla luce del sole e un fagottino che si è arrampicato sul letto e lo fissa gioioso.

 

 — Zio! Sei guarito! —

 

 — Ehi, cucciolo — le sussurra ormai sveglio mentre lei gli avvolge le braccia attorno al collo tutta felice.

 

 — Eri sempre via, e poi stavi male — si lamenta con un musetto triste.

 

 — Ora sono qui — la rassicura accarezzandole la testolina.

 

Ascolta ancora assonnato il suo chiacchiericcio, e per un poco restano così, lei che saltella sul letto e gli parla di tutto ciò che le passa per la mente, lui che ancora non vuole alzarsi.

Adesso dovrebbe provare a muoversi, andare in cucina e prepararsi qualcosa da mangiare, ha fame, ma ancora indugia in quel mondo di mezzo che separa il sonno e la veglia, l’oblio e la realtà.

 

Più tardi gioca in giardino con Mira che lo ha raggiunto di nuovo: Itachi è spesso lontano, sommerso dalle mille responsabilità di capo clan, e probabilmente in qualche modo lui è diventato una seconda figura paterna per la bambina. Deve essersi spaventata in quei mesi, deve aver pensato che iniziasse a sparire anche lui, e sa cosa significa sentirsi dire che qualcuno sta male in una famiglia di ninja.

Per questo si è seduto per terra e, nonostante la spossatezza che durerà almeno qualche giorno, accetta di buon grado di partecipare a quella specie di cerimonia del the improvvisata.

 

 — Ne vuoi ancora? — gli chiede lei, solenne, mentre mescola terra ed acqua in una teiera che è una perfetta miniatura di quella che ancora possiedono in casa da qualche parte.

Ora che ci pensa non l’ha più vista da quando è morta sua madre, e si chiede se Itachi non l’abbia portata con sé nell’altra cucina che hanno aggiunto alla casa.

Sasuke all’epoca aveva già deciso di andarsene e lasciare l’intero edificio alla nuova famiglia, ma Itachi si è opposto e lo ha convinto a restare, e forse è stato un errore, forse avrebbe dovuto andarsene comunque.

Non riesce a dispiacersene troppo mentre finge di bere dalla tazzina che Mira gli porge tutta fiera.

 

Sono ancora lì che giocano quando Sakura si presenta alla porta che dalla cucina va alla veranda.

Si ferma a guardarli sorpresa per un secondo, poi si avvicina lentamente, sorridendo.

Non è il suo solito sorriso che sprizza una meravigliosa, quieta, contentezza, non riesce a nascondere bene l’ansia che deve averla spinta fin lì, e qualsiasi tentativo di celarla soccombe ogni qual volta incrocia il suo sguardo.

 

Mira la fissa incantata.

 

 — Sei…una fata? — bisbiglia titubante.

 

Il sorriso di Sakura è sincero adesso, e sembra espandersi, rallegrare anche chi le sta intorno.

 

 — No purtroppo, sono solo una kunoichi, e un dottore — 

 

 — Hai guarito tu lo zio? —

 

Lei si volta a guardarlo preoccupata.

 

 — Sto bene — la rassicura.

 

Sembra credergli, perché dopo averlo esaminato attentamente si volta verso Mira.

 

 — …e tu, sei una bellissima fatina? — le chiede.

 

 — No! Sono la signora che serve il the nella casa del the! —

 

 — Be’, mi sembra molto bello. Mi piace molto il the —

 

La nuova ospite viene invitata a sedersi con loro per partecipare al rituale, con una Mira zelante ed eccitata che chiacchiera ininterrottamente.

 

Poco dopo il gioco viene interrotto da Izumi, che si precipita verso di loro palesemente arrabbiata.

 

 — Ti ho cercata dappertutto! — sgrida la figlia mentre la prende in braccio — Guarda come ti sei conciata! Lo sai che dobbiamo andare via! E quante volte ti ho detto di non disturbare tuo zio? Deve riposare —

 

 — Non disturba — interviene lui sollevandosi a fatica.

 

Ma Izumi non ascolta, si scusa chinando il capo e si allontana con la bambina in braccio.

Mira non piange, piange raramente per la sua età, ma mentre viene portata via li guarda da sopra la spalla della madre con un’espressione disperata, sicuramente esagerata per l’occasione. Gli fa male il cuore.

 

  — Sembra adorabile — commenta Sakura che si è alzata a sua volta.

 

 — Lo è —

 

 — La devi amare molto — continua studiandolo con quel calore che riserva solo a lui — Tu stai bene? Cosa è successo? —

 

 — Niente. C’era qualcosa che volevi dirmi? — cambia argomento.

 

Sakura si fa subito seria, nervosa.

 

— Dove possiamo parlare liberamente? — gli sussurra guardando la porta.

 

Con quei colori brillanti, inusuali, sembra rendere vibrante anche l’aria attorno a lei, e per un momento pensa di portarsela in camera, di fare l’amore con lei come hanno fatto l’ultima volta, di impossessarsi di quel qualcosa che la fa lei, unica, diversa da tutti. 

Solo il pensiero lo eccita, ma sa che non è una buona idea, per più di un motivo.

 

 — Qui non ci ascolterà nessuno — le assicura. 

 

Lei sembra incerta, ma subito dopo annuisce: si fida di lui, lo legge chiaramente in quegli occhi verdi che lo guardano fiduciosi, come se fosse un altro, qualcuno di diverso, migliore, e mentre contempla il suo bel volto inquieto, e trattiene l’istinto di rassicurarla con un bacio, gli si allarga un involontario accenno di sorriso.

 

Qualsiasi cosa la preoccupi non è più così importante, pensa una parte di lui, quella che non vuole abbandonare quell’effimera pace appena ritrovata: probabilmente Danzo si è accorto di qualcosa e lei, che non è abituata ad agire nell’ombra, si è spaventata.

 In molti aspetti è ancora così pura.

 

 — E’ successo qualcosa? — chiede trattenendo il desiderio di toccarla.

 

Lei si sta guardando intorno, esitante.

E’ un pomeriggio terso e da lì si scorge nitidamente l’intero lago, fino al lembo di foresta che lo costeggia dall’altro lato. Sakura pare incantata per alcuni secondi.

 

 — E’ davvero bello qui — mormora. 

 

Lui segue la direzione dei suoi occhi cercando di vedere quello scorcio quotidiano con la sua prospettiva, senza la consapevolezza che è dal lago che sono arrivati quella notte, e che anche adesso c’è qualcuno a vigilarne il perimetro.

 — Nessuno può sentirci, vero? — gli sussurra poi.

 

 — Nessuno —

 

 — Ascolta, è importante…Danzo…— 

 

Esita ancora, e lui solleva una mano e con il pollice le sfiora il labbro inferiore, e la guancia.

Forse tutto sommato la porterà in camera.

 

— No, ascolta… è importante — gli bisbiglia scostandogli la mano — Danzo…ascolta…non so come dirlo…ci sono occhi trapiantati nel suo braccio, ed anche quello bendato, l’occhio, non è il suo —

 

La fissa per un momento senza capire, non è quello che si aspettava.

 

 — Ha uno sharingan trapiantato? — chiede incredulo.

 

 — Non uno solo, l’intero braccio è coperto d’occhi. Non siamo…non sono sicura che siano tutti sharingan, ma credo di sì. Li ha presi quel giorno, non c’è altra spiegazione, e forse ha fatto un accordo con gli Uchiha, uno segreto che conoscono in pochi, ma non capisco perché debba averli lui, perché dovrebbero aver accettato — 

 

Lei non parla più, e rimangono in silenzio, cercando di capire, mentre lo sguardo si perde tra i riflessi lucenti del lago.

 

Itachi deve avere la risposta, ci deve essere una spiegazione semplice, razionale, anche per questo, ma il disgusto non se ne vuole andare, e il passato è di nuovo un ricordo confuso da cui si allungano fitte ombre sinistre.

Può esistere un buon motivo per permettere una mostruosità del genere? E a che scopo?

 

Deve parlare subito con Itachi, e si volta per entrare.

 

  — Aspetta! — lo trattiene lei, la mano sul suo avambraccio.

 

Lo guarda preoccupata, e non dovrebbe importarle così tanto, non è la sua famiglia, non è il suo passato, la sua storia, eppure continua a trattenerlo per il braccio con quella stessa espressione tormentata e confusa che deve avere addosso lui.

 

 — Sono sicura che c’è una spiegazione, la troveremo…ma non devi…devi stare attento a Danzo — spiega concitata.

 

 — Lo so —

 

 — Non voglio che ti accada qualcosa di male —

 

Non risponde, e per alcuni istanti rimangono a fissarsi in silenzio.

C’è qualcosa di inesplicabile in lei che si insinua dentro di lui, che lo trasporta altrove e scompiglia le sue priorità, e mentre lo sguardo scende sulle sue labbra la tensione si trasforma in attesa di qualcosa, in una febbre che lo spinge a prenderle la mano e a trascinarla via, dentro casa, lungo il corridoio. 

Non dovrebbe essere quello il suo primo pensiero, e non è certo il modo migliore per recuperare le forze, ma per quanto sia sbagliato non riesce ad aspettare, e dopo aver chiuso a chiave la porta della camera l’attira a sé per baciarla, eccitato ed arrabbiato con se stesso.

 

Lei risponde al bacio e si abbandona duttile tra le sue braccia, le dita che lo stringono mentre lui le solleva la maglietta per palparle il seno nudo.

 

 — Non devi… — gli sussurra tremante.

 

Non capisce, non importa, e la bacia ancora.

 

 — …non correre rischi senza di me — lo implora tra un bacio e l’altro — …so che vuoi farlo — insiste ansimante.

 

Lui si ferma, la fronte contro la sua.

 

 — Adesso voglio solo te — le mormora prima di riprendere a baciarla.

 

E’ solo una distrazione momentanea, si dice, ma mentre lei continua a stringerlo, e il contatto dei loro corpi consuma in fretta la sua lucidità, per una frazione di secondo si chiede se non abbia ragione Itachi, se non sia sbagliato questo per lei. Se non le farà male.

 

Non riesce a concentrarsi abbastanza su questo pensiero, su nessun pensiero, baciarla non è sufficiente, e comincia a spogliarla con una fame che non può controllare, con quel desiderio di impossessarsi di lei che non sa spiegare razionalmente.

 

Lei gli ha circondato il collo con le braccia, e gli si struscia addosso spazzando via le rade briciole di ragione che gli rimanevano. Si spostano nella stanza continuando a baciarsi, toccarsi, e si ritrovano sul letto senza sapere come ci sono arrivati.

 

Ormai non registra più la stanchezza, perché la voglia di entrarle dentro gli annebbia il cervello, e la vista è piena di lei, ogni senso è pieno di lei. 

L’aiuta a sfilarsi quello che resta dei vestiti per vederla nuda, anche se non c’è il tempo né è il luogo, e continua a guardarla mentre si abbassa i pantaloni e libera l’erezione che quasi fa male, per lo sforzo che chiede al corpo indebolito, e per il desiderio.

 

E’ come un incantesimo, pensa stringendole un fianco con dita avide, impazienti, e scende sopra di lei fissandola in quegli occhi che dicono troppe cose, che lo ossessionano persino nei suoi sogni…e poi non c’è più niente, solo due corpi fusi insieme che sussultano, avvinghiati e frementi, solo lei che si arcua ansimando sotto di lui mentre le bacia i seni, e le labbra, irrealmente bella con quei capelli che nessun’altra possiede sparsi sul cuscino, e il volto perso nell’estasi.

 

Dopo rimangono sdraiati, i corpi sudati e i respiri affannati, e quando lei gli si accoccola accanto le circonda le spalle con un braccio e la stringe a sé per baciarle il capo, ancora grato.

Gli è tornato il dolore ai muscoli e se chiude gli occhi tutto comincia a girare, ma non gli importa.

 

Lei gli accarezza i capelli e lo guarda con una mescolanza di adorazione e preoccupazione, per lui, che gli smuove qualcosa dentro. 

Un calore venato di senso di colpa, e un’assurda gratitudine soffocata da una paura senza nome.

 

Ma non c’è tempo per pensarci, per capire, e adesso è meglio che Sakura se ne vada, sono stati abbastanza imprudenti per oggi.

 

 — Stai bene? Sicuro che non sei ferito? — gli sussurra amorevole.

 

 — No, no, sono solo i postumi di uno tsukuyomi — confessa senza pensare.

 

 — Cosa!? —

 

 — Ah, Itachi doveva mostrarmi qualcosa — minimizza.

 

 — E non poteva raccontartelo? E’…è come tirare un pugno in faccia ad uno per mostrargli com’è andata una rissa! — esclama esasperata. Non sa quanto è andata vicina alla verità.

Nel parlare si è sollevata sopra di lui, e fa scorrere le dita di una mano sul suo petto. Il suo chakra gli sfiora la pelle, piacevole, benevolo e familiare.

 

 — E’ prettamente debolezza e mancanza di chakra, non posso fare niente — mormora frustrata.

 

 — Non preoccuparti, non è niente. Adesso mi riposo — la rassicura con un bacio.

 

In realtà dovrebbe alzarsi, dovrebbero alzarsi ambedue. Ancora un secondo, si dice; l’attira a sè e nasconde il volto sul suo seno dicendosi che è solo per poco, che dopo la lascerà andare.

 

Si addormenta subito.

 

 Si sveglia di soprassalto, solo sul letto. 

Sa che la punta di delusione che prova è del tutto ingiustificata, ma per quanto lo irriti non riesce a sopprimerla, come non può sopprimere l’accenno di sorriso nel voltare la testa e trovarla ancora lì, in piedi di fianco al letto, vestita.

 

 — E’ meglio che vada. Tu devi dormire, riposati — gli ordina.

 

Si china per baciarlo, e gli accarezza la fronte, i capelli, con uno sguardo pieno d’amore.

 

  — Cosa facciamo? — chiede poi continuando ad accarezzarlo.

 

 — Dammi il tempo di pensarci —

 

E davvero deve pensare, decidere cosa fare: non è sicuro di volere chiedere ad Itachi, non è sicuro di potersi fidare di lui. Ha perfino il dubbio che lo tsukuyomi serva a tenerlo a letto, oltre che a convincerlo di una bugia.

E’ punto a capo con i suoi dubbi che non portano a niente, e mentre la guarda si rende conto che l’unica che gli sta veramente accanto, l’unica di cui si fida completamente è lei.

 

Per un momento questo pensiero lo spaventa, perché non è certo di capire appieno cos’è che lo lega a lei, non è certo neppure di volerlo capire, e non crede sia un bene ciò che prova. 

Sa che non è un bene: non porterà a niente, solo a rimpianto e dolore.

 

Non deve dimenticare che quando arriverà il momento di dover correre qualche grosso rischio, dovrà correrlo da solo.

 

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Capitolo 5
*** 5. Primi passi ***


Eccomi qua.

 

Dovevo dirvi un paio di cose ma adesso ne ricordo soltanto una, ehm…ossia che qui Kakashi non ha più lo sharingan. Ero indecisa ed ho cambiato più volte idea in proposito, ma alla fine mi è parso più logico così, o almeno mi andava meglio così per la storia: diciamo che con la sopravvivenza del clan certe libertà non sono permesse.

 

E poi ringrazio chi ancora mi segue, soprattutto chi recensisce, grazie mille!

 

 

 

5. Primi passi

 




Sakura si è fatta un’idea, anzi, una montagna di idee, non tutte coerenti l’una con l’altra a dire il vero.

 

Quando è tornata a casa quella sera, ancora piena di lui, di quel qualcosa che prova sempre più forte per lui (e non dovrebbe, lo sa), ha ripensato a tutto tentando di dargli un senso compiuto, ma non è facile. Non è neppure possibile a dire il vero, non con i pochi elementi che possiede, perché oggettivamente non ha un senso che qualcuno nel villaggio, al di fuori del clan, si trapianti tutti quegli sharingan.

Eppure un motivo ci sarà, e non deve essere necessariamente uno brutto, cerca di dirsi non molto convinta, in fondo anche Kakashi ne ha ricevuto uno in dono, no?!

Ma è stata un’eccezione, e di breve durata, proprio perché non poteva venire accettata dai membri del clan se ben ricorda, e comunque non è la stessa cosa di trapiantarsene un numero indefinito sul braccio e mantenere il segreto, neanche ci fosse chissà quale cospirazione al di sotto.

 

Forse è solo lei che ormai vede complotti ovunque, anzi, sicuramente è così, cerca di dirsi, ed a maggior ragione urge indagare ulteriormente, e in fretta, prima che Sasuke si lanci in qualche operazione improvvisata, impulsiva e pericolosa.

Lo sa che succederà, se lo sente più che sospettarlo, se lo sente nello stomaco, nel cuore, perchè forse non se ne rende conto neppure lui, ma Sasuke ha un bisogno estremo di verità, e non è solo il diritto di sapere cos’è successo veramente: per lui è soprattutto la necessità di comprendere il presente e coloro che gli stanno accanto.

In fondo conoscere ogni dettaglio è parte di lui, del suo modo di ragionare, del suo bisogno di controllo, ed è giusto così, lo capisce, non si può vivere serenamente in una casa piena di angoli oscuri e di sospetti.

 

Non dorme molto quella notte, e non pensa neppure un secondo a se stessa, al dolore e l’infelicità che inevitabilmente l’aspettano quando lui smetterà di avere bisogno di lei, perchè non è più lei il suo primo pensiero.

Fa paura questo, è un’enorme perdita di autonomia, ma Sakura lo accetta con sorprendente leggerezza dicendosi che ne vale la pena, per lui. 

E comunque non sa come fare per smettere.

 

Il giorno successivo, presto, perché è inutile continuare a rigirarsi nel letto senza requie, dopo aver scartato tutte le improbabili opzioni che riesce a concepire, decide di lasciar perdere Naruto, la sua prima scelta, e di andare a parlare direttamente con l’hokage. 

Preferisce vederlo all’aperto, in uno dei loro vecchi campi d’addestramento, con una scusa. Deve insistere ovviamente, essere irremovibile e pressante, Kakashi non ha molto tempo libero, ma quelle indagini l’hanno resa paranoica e teme spie e trappole dappertutto, o almeno nell’ufficio dell’hokage.

 

 — Allora, a cosa devo la rimpatriata? — le chiede Kakashi quando arriva, stranamente puntuale, guardandola di sottecchi con quell’aria sorniona — Purtroppo non ho molto tempo per rilassarmi con gli amici — l’avvisa.

 

Lo sa, ma questa non è esattamente una chiacchierata tra amici.

 

Inizia subito a parlare, a spiegare, tentando di risultare chiara e sintetica: non nomina mai Sasuke, vuole evitare di coinvolgerlo se è possibile, perciò insiste con la tesi che ha sostenuto finora ribadendo per l’ennesima volta che è iniziato tutto per una sua curiosità.

Gli parla dei sospetti, della mancanza di qualsiasi documento attinente agli Uchiha in quegli anni, del dubbio che si sia trattato di una questione interna, una vendetta magari, o un’azione fondata su qualche fine che le sfugge. Per ultimo tira fuori Danzo e ciò che nasconde dietro a quelle bende.

Non può essere giustificato da nessun intento militare, sottolinea con enfasi, e non è accettabile che nasconda un particolare così importante persino all’hokage. Non aggiunge che secondo lei c’è qualcosa di profondamente sbagliato in un procedimento del genere, ma ricorda il disgusto e l’indignazione di Neji nel descriverle quello che ha visto.

 

Kakashi non sembra colpito come dovrebbe, anche lui ha usato per qualche tempo uno sharingan che non gli apparteneva, osserva, e può esserci una spiegazione razionale per ciò che ha visto.

 

 — E quale spiegazione! — esclama accorata — Tu hai dovuto restituire il tuo, e lui gira con il braccio pieno di occhi trapiantati! — 

 

 — Possono averli ceduti gli Uchiha, ci può essere un buon motivo che non conosciamo dietro —

 

Lei scuote la testa, incredula e delusa, e fissa Kakashi, il suo primo maestro, l’uomo dalle cui labbra pendeva fino a poco tempo fa, chiedendosi fino a che punto può spingersi con lui, non più sicura del suo appoggio.

 

 — In ogni caso voglio vedere i documenti segreti — decreta con fermezza.

 

Lui sospira, e improvvisamente sembra più vecchio, disilluso, e terribilmente stanco.

 

  — Cosa pensi di scoprire, Sakura — mormora con un tono duro che gli ha già sentito usare con altri, mai con lei.

 

 — Non lo so — ammette tesa, sulle difensive. 

 

 — E io non so se posso aiutarti —

 

Ormai se l’aspettava, ed anche se si sente più sola di prima, non più a proprio agio in presenza del suo vecchio maestro, ci vuole ben altro per farla desistere, anzi, ogni ostacolo sembra generare più dubbi e renderla più ostinata. Forse non è così diversa da Sasuke come pensava.

 

 — Non sai se puoi, o se vuoi? — lo incalza — Hai così paura di quell’uomo? E’ così potente? Dimmi almeno questo: può ordinare, lui da solo, l’omicidio di cittadini di Konoha? —

 

Kakashi non la guarda negli occhi quando infine risponde.

 

 — Probabilmente aveva una certa autonomia quando era a capo della Root, anche se per un fatto del genere avrebbe dovuto almeno informare gli altri anziani e l’hokage corrente —

 

La connivenza dei membri del concilio di allora non la sorprende affatto (ha avuto modo di conoscerli un paio d’anni fa, quand’erano ancora vivi), ma non riesce a conciliare questa nuova informazione con l’immagine bonaria che ha del terzo hokage. Eppure ormai non dovrebbe meravigliarsi più di nulla, e in fondo non è così importante.

 

 — E in quanto capo della Root aveva l’autorità di ordinare che gli cedessero i loro occhi? — 

 

 — Sì, ma… —

 

 — No, niente ma. Voglio sapere se è così che è andata, e intendo andare fino in fondo, che tu mi aiuti o no — conclude sollevando la mano di fronte a sè per fermare qualsiasi sua obiezione — Per cui ti chiedo per l’ultima volta: mi aiuterai? —

 

 — Sakura… —

 

 — Mi aiuterai o no? —

 

Il suo silenzio le pare una risposta sufficiente, e ormai non prova neppure a nascondere la delusione.

 

 — Va bene allora, farò da sola —

 

 — Aspetta! Non ho detto che non ti aiuterò — la ferma mentre si sta già voltando per andarsene — Ma devi pensarci bene: se alla fine scopri che è andata proprio così? Che è stato Danzo? Cosa cambia? Certe cose è meglio lasciarle sepolte dove sono, credimi. Certe cose del passato stanno meglio sepolte. Non fai il bene di Sasuke —

 

Adesso non riesce a mascherare come vorrebbe un’espressione sorpresa, e probabilmente colpevole, ma Sasuke è il suo punto debole al momento, sospetta che lo sarà ancora a lungo, non ci può fare niente.

 

 — Cosa c’entra Sasuke — mormora con le braccia conserte e lo sguardo puntato ostinatamente alla destra di Kakashi.

 

 — So che vi vedete, e neanche questo porterà a qualcosa di buono, credimi —

 

Per il momento pensa che stia solo bluffando, ma poi le viene un dubbio: c’è qualcosa nel modo in cui la guarda, o meglio non la guarda, negli occhi: vergogna?, imbarazzo?, dispiacere? 

 

 — Come fai a saperlo, siamo…ci hai fatto spiare? —domanda incredula.

 

 — Mi dispiace, mi è stato chiesto —

 

 — Danzo? — 

 

 — Sì —

 

 — Io o Sasuke? — chiede nervosa mentre tenta di elaborare l’informazione.

 

 — Tu. Non gli ho riferito di voi — aggiunge con affetto, l’espressione più dolce.

 

Ma in quel momento non sa che farsene di quella dolcezza che sa di fiele, e si chiede se Danzo sospetti qualcosa, o semplicemente cerchi più informazioni su di lei per curiosità, o per qualche altro suo scopo, dopo i loro pochi incontri.

Le viene da rabbrividire in ogni caso.

 

 — Lo spero bene — borbotta, e fa per allontanarsi.

 

 — Dammi qualche giorno Sakura, ti aiuterò per quei documenti segreti —  

 

Lei annuisce continuando ad allontanarsi, con un nuovo peso sulle spalle.

Ogni tanto si guarda intorno per controllare se c’è qualcuno che la sta ancora seguendo, e una volta arrivata in casa butta all’aria tutto: mobili, tende, tappeti, alla ricerca di qualsiasi oggetto sospetto, non sa neppure cosa.

Non trova niente, ma non smette di sentirsi spiata.

 

Il giorno successivo lo passa in totale paranoia, sospettosa di tutto e tutti, a parte pochi vecchi amici.

Ha la tentazione di parlare con loro, di riferirgli dei suoi dubbi, ma teme di mettere in pericolo anche loro, e già forse lo ha fatto, soprattutto con Neji, che era più turbato di quel che dava a intendere per ciò che ha visto, che lei gli ha chiesto di vedere. Lo capisce, anche lui possiede degli occhi speciali che potrebbero interessare a qualcuno.

Ha tentato di rassicurarlo dicendogli che probabilmente gli occhi erano lì e Danzo non voleva sprecarli, ma è suonata ridicola anche a se stessa, e sa che cosa pensa Neji, che in ogni caso si tratta di affari da sbrigarsi all’interno del clan, che un estraneo non ha alcun diritto di impossessarsene, tantomeno di disporvi a piacimento. 

 

C’è qualcosa di sporco sotto, inutile negarlo, ed è pericolosa quest’indagine, se ne rende conto pienamente solo ora, quando realizza che la sua vita vale meno di quella di tutti quegli Uchiha, e che può essere eliminata facilmente senza suscitare lo stesso scalpore.

E’ orribile non sentirsi sicuri all’interno del proprio villaggio, di quella che ha sempre creduto fosse la sua casa.

 

In piena paranoia decide di trascrivere i suoi sospetti all’interno di diversi rotoli che affida a Katsuyu: verranno distribuiti ai suoi amici nel caso le succedesse qualcosa, e dato che la sua paranoia si è estesa a Sasuke, con lo stesso mezzo gli invia un messaggio dicendogli che entro breve dovrebbe avere delle notizie, di aspettare ad agire.

Lui non risponde, e l’attesa diventa sempre più intollerabile.

 

Quella sera si auto invita a cena dai suoi, solo perché, nella sua improvvisa consapevolezza della fragilità della vita, ha deciso di vederli più spesso, e assiste esasperata ai loro piccoli, fastidiosi litigi: si rendono conto del privilegio di essere ancora lì tutti insieme? Due, no, tre persone che si vogliono bene. Non dovrebbero sprecare il tempo a litigare e brontolare, non dovrebbero.

 

Dopo cena passeggia lentamente verso casa, pensierosa e costantemente all’erta.

Pensa a come la sua vita è cambiata, a come è svanita in fretta quella placida sicurezza di sè, del proprio posto nel mondo, che possedeva fino a non molti mesi prima.

Adesso tutto è confuso, e una parte di lei è consapevole che  davvero sarebbe meglio non sapere. 

Sicuramente non porterà a niente di buono, lo sa, solo che non può più tornare indietro, anche per se stessa: per poter ancora sentirsi a casa, e per un suo personale bisogno di chiarezza e giustizia.

 

E poi c’è lui…

Un pensiero fisso ormai, costante, attorno al quale il resto della sua vita si sta in qualche modo assestando.

Anche adesso vorrebbe così tanto vederlo che fa male fisicamente, e una volta cominciato non riesce più a smettere di pensare ai suoi baci, ai loro corpi in simbiosi.

 

Un poco si vergogna di questa instabilità emotiva, di questa forma di dipendenza. Un tempo si era illusa di riuscire a mantenere il controllo dei propri pensieri, dei propri sentimenti, e non capisce com’è arrivata a questo punto: era lì, perfettamente padrona di se stessa, e all’improvviso non lo è più…

Non riesce a importargliene abbastanza, come può importarle finché in cambio può condividere almeno ancora un istante con lui?

 

Quando torna a casa il cuore accelera i suoi battiti, un richiamo che ha imparato a riconoscere, come se al suo interno riposassero degli allarmi invisibili risvegliati dalla percezione della sua presenza.

Non è niente, bisbiglia al suo cuore, lui non c’è in camera, è troppo presto, non aspettarti niente.

Invece lui è lì.

 

Ci sono milioni di cose che deve dirgli, che ha pensato di dirgli, ma non sembra più così importante parlare mentre i loro occhi si incontrano.

Non tenta più di capire quel bisogno che le tormenta le viscere e le imprigiona il cuore, perché è più forte dei suoi pensieri.

 

Gli si siede accanto ed iniziano a baciarsi, e per un momento, o un’eternità, tutto il resto non ha più importanza.

Neppure la possibilità, pare così remota ora, che qualcuno li possa spiare.

 

Si spogliano in fretta, come se non si vedessero da tanto quando è passato appena un giorno, e poi, mentre si aggrappa alla sponda del letto, carponi, ed inizia a scivolare all’indietro sotto le sue spinte che la scuotono, mentre fanno l’amore, perché è quello che fanno, almeno per lei, si sente travolgere da tutte quelle caotiche emozioni, da quegli avvenimenti che sfuggono al controllo, da quel corpo sopra il suo, dentro al suo, che le domina i sensi, la mente e il cuore.

 

Per quello dopo non riesce a trattenere le lacrime.

 

 — Piangi? — le sussurra lui mentre la stringe tra le braccia, con una dolcezza che non l’aiuta affatto a ritrovare il controllo — Perché? —

 

 — Per tante cose — risponde asciugandosi gli occhi — perché…perché sarò così sola quando finirà tra noi — confessa in un soffio.

 

 — Lo so…anch’io — le replica distogliendo lo sguardo.

 

Lo stringe a sé ancora sopraffatta dall’emozione, le lacrime che ancora scendono: lui non ha negato che quel qualcosa che li unisce, che sente così forte, dovrà finire, ma non si aspettava che lo facesse, ed è la prima volta che capisce, con ineluttabile certezza, che anche lui prova quello che prova lei.

 

Se solo potesse bastare.

 

 — Non dovresti essere qui, devi riposarti — gli sussurra teneramente, piena d’amore.

 

 — Non sto così male se riesco a fare l’amore —

 

Vorrebbe obiettare che infatti, da un punto di vista medico, non avrebbero dovuto, ma come può ora, ancora languida e appagata dal piacere che hanno appena condiviso.

Invece continua a stringerselo, e intanto gli assicura che entro breve potrà visionare i documenti segreti, fingendo una sicurezza che non possiede, e raccomandandogli per l’ennesima volta di aspettare.

 

Non sa se confidargli che è stata seguita: chissà come potrebbe prenderla e non vuole rischiare di essere messa in disparte.

 

 — A volte ho l’impressione di essere seguita — butta là comunque.

 

 Solo un accenno perché ha troppa paura di quello che può decidere lui, ha troppo bisogno di vederlo, ma allo stesso tempo non riesce a nascondergli niente. Deve trovare un compromesso.

 

Lui non risponde subito, ma è di nuovo teso, e le raccomanda di stare attenta con quel tono di voce duro che le ricorda quella prima volta, quella prima missione: ha imparato che nasconde molte sfumature all’interno che non sempre riesce a decifrare, ma ora vi legge una forte apprensione, ed è lei a rassicurarlo con un bacio che rischia di sfociare in qualcos’altro.

Il fatto che sia così evidente la sua preoccupazione per lei la rende debole e forte allo stesso tempo.

E’ proprio così che la fa sentire lui, pensa, terribilmente debole e sorprendentemente forte.

 

Prima di accomiatarsi gli chiede ancora se sa cosa farà nel caso scoprissero quello che temono.

 

 — Non lo so — risponde, ma questa volta non è così sicura che sia la verità.

 

Il mattino seguente trova un messaggio privato nella scrivania dell’ospedale e lo apre impaziente: sa che è di Kakashi anche se è anonimo e studiatamente vago.

Dice che manca uno solo per quella cosa, che lui non può fare niente se non aspettare, e che la sera successiva parlerà ancora una volta con costui. Per un’ora, dalle sette alle otto.

Allegata, e protetta da un sigillo che si sono scambiati tempo fa per eventuali emergenze, c’è l’autorizzazione convalidata da due dei tre anziani, e Sakura passa il resto del tempo a studiare un piano per ottenere il terzo timbro con qualunque mezzo, perché è quello il messaggio sottinteso.

Non è sufficiente a restituirle piena stima e fiducia nei confronti di Kakashi, ma è un buon inizio.

 

Nel primo pomeriggio ha già un piano, da cui ha deciso di tenere fuori Sasuke: non sta ancora bene, e teme che sia troppo coinvolto per poter agire con la dovuta cautela. E forse una parte di lei vuole proteggerlo ancora un po', da quell'uomo, e da se stesso. 

In ogni caso alle sette meno un quarto del giorno successivo è già in piena azione, senza di lui.

Sta aspettando al di là del recinto che protegge il giardino della casa di Danzo; con lei ci sono Sai e Neji, e il rotolo è sigillato in un tatuaggio al polso.

 

 — Sta passando un’altra ronda, aspettiamo — mormora Neji mentre ispeziona tutt’intorno.

 

Quel posto è pesantemente sorvegliato pur trovandosi al sicuro all’interno di un villaggio ninja, e lei si chiede sempre più sospettosa cosa potrà mai temere uno che è in possesso di tutti quegli sharingan.

 

Pochi minuti dopo, non appena la ronda svolta l’angolo, Sai materializza una colomba di carta grande abbastanza per trasportare lei e Neji fino allo stretto terrazzo del primo piano: la finestra di fianco è solo accostata, o almeno così pareva dal di sotto, e la raggiungono in silenzio.

 

Probabilmente è solo un colpo di fortuna, o davvero Danzo si sente al sicuro con tutta la sorveglianza esterna, in ogni caso riescono ad entrare dalla finestra. 

Dev’essere la stanza da letto di qualcuno, probabilmente della donna che si occupa dell’andamento della casa e vive lì, come le ha rivelato Sai qualche ora prima.

Ora dovrebbe essere indaffarata in cucina, e loro sono liberi di ispezionare le camere al piano superiore.

 

Per fortuna c’è Neji con lei, perché alcuni fili invisibili di chakra bloccano le porte chiuse che si affacciano al corridoio, e non li avrebbe visti da sola: devono contorcersi lungo i muri e sul soffitto per riuscire ad evitarli.

 

Per una qualche legge di natura la porta che le interessa è sempre l’ultima, e con la circospezione con cui si sono mossi mezz’ora è già passata, non rimane molto tempo.

 

Finalmente entrano in quello che sembra essere lo studio privato, sperando che sia il posto giusto.

Neji è in piedi accanto a lei e perlustra ogni angolo della casa con il byakugan costantemente attivato, mentre lei fruga all’interno della scrivania con tutta la cautela possibile.

 

 — La donna sta salendo — l’avvisa sottovoce.

 

 — Credo di averlo trovato — replica esultante, sollevando un sigillo infuso di chakra.

 

 — Shhh…è qui fuori —

 

Si immobilizzano entrambi, cessano persino di respirare, fino a quando Neji non le fa cenno di continuare.

 

Fa uscire l’aria trattenuta, e in tutta fretta, dopo averlo estratto dal tatuaggio, srotola il contratto in cui devono apporre il timbro.

Ha studiato come falsificare la firma del chakra di Danzo, ha provato più volte.

Lei è l’esecutrice materiale, mentre Neji dovrebbe essere in grado di indirizzarla nel trasfondere la giusta quantità di chakra, perché è questione di millesimi, e solo se eseguirà la manovra con estrema precisione il sigillo si attiverà e comparirà sul documento.

Il tempo passa lentissimo, ma non si può agire in fretta.

 

 — La donna? — bisbiglia tergendosi il sudore dalla fronte.

 

 — E’ andata nella sua stanza ed è scesa di nuovo —

 

Bene, a parte che il piano ancora non funziona: a quest’ora dovrebbero aver finito, e non capisce perché quel maledetto sigillo non si attivi.

 

Non sente neppure il rumore della porta d’ingresso che si apre al piano di sotto, è Neji che le sfiora la spalla.

 

 — Non c’è più tempo, lui è tornato — l’avvisa guardando attraverso il pavimento con il byakugan.

 

 — Ancora un secondo —

 

 C’è qualcosa che non funziona, eppure sembrerebbe perfetto, in teoria sembrava perfetto, e non capisce.

 

 — Sakura… —

 

C’è una nota di allarme nella voce di Neji, e si sente in colpa per il pericolo che gli sta facendo correre, sa che cosa rischiano se vengono scoperti: un’accusa di tradimento, persino una condanna a morte.

 

 — Solo un secondo —

 

 — Sta salendo Sakura, è troppo pericoloso, dobbiamo andare —

 

Suda copiosamente e il cuore le sta scoppiando nel petto, ma non può perdere il controllo, non può arrendersi ora che ci sono quasi: sa che è la loro unica occasione.

Deve provarci fino all’ultimo, anche senza l’aiuto di Neji, che ormai controlla ossessivamente al di là dei muri della stanza.

 

 — Si comincia a intravvedere qualcosa…no, niente… — mormora frustrata.

 

 — Dobbiamo andare, non c’è più tempo —

 

 — L’ultimo tentativo —

 

 — No, è qui fuori — bisbiglia Neji, e suona così teso, quasi spaventato. 

Non lo ha mai sentito così, e un brivido di paura le scorre lungo la spina dorsale.

 

Forse non entra, si dice, forse non si accorge di loro e prosegue lungo il corridoio. 

Il cuore le batte all’impazzata.

 

La porta si spalanca e Danzo in persona si staglia sulla soglia.

 

Nello stesso istante loro due svaniscono.

 

Poco dopo camminano lungo la strada ostentando una calma invidiabile, almeno lei e Neji, perché Sai probabilmente è calmo davvero.

 

Il documento è al sicuro, e presto avrà tutti i timbri a posto, almeno spera.

Non aveva alternative in fondo, non avrebbe fatto comunque in tempo a rimettere il sigillo al suo posto, è stata costretta a portarlo con sé.

 

Sembra bruciarle all’interno del pugno chiuso, e sospetta che se lo trovassero in suo possesso la giustizierebbero all’istante, su due piedi.

Meglio non pensarci.

 

E’ ancora agitata per la scarica di adrenalina, e terribilmente nervosa, perché un conto è correre dei pericoli per compiere il proprio dovere, un conto è rischiare il marchio infamante del tradimento, e non vuole pensare alla possibilità di essere lei la causa della rovina dei suoi amici.

 

Inutile pensarci, ormai è fatta, ormai può solo proseguire ed arrivare fino in fondo.

 

Stringe con decisione quel maledetto sigillo sforzandosi di recuperare una perfetta lucidità, e intanto vaglia le varie opzioni sul da farsi: deve scegliere il luogo migliore in cui andare a finire il lavoro, ma nessuno sembra abbastanza sicuro, e non può assolutamente coinvolgere altre persone, mettere in pericolo altri amici.

Alla fine si ritrova a bussare a casa di Sasuke, con Sai e Neji al seguito.

Non è sicura che sia una buona idea, sa che non è una buona idea, ma è a corto di idee, e di tempo se Danzo scopre che il sigillo è sparito.

 

Sasuke apre la porta (grazie al cielo non è Itachi) e li studia sospettoso sulla soglia. 

Lo sguardo che le lancia ha un guizzo che non le piace per niente, sa che si sente tradito dalla presenza degli altri, e solo il pensiero che possa serbarle rancore fa più male di tutti i possibili rischi che sta correndo per lui.

 

Proprio per questo è così fredda mentre gli spiega quello che hanno appena fatto, e quello che devono riuscire a fare: con il contributo di Sasuke, del suo sharingan, hanno una chance in più, conclude, anche se non ne è affatto convinta.

 

 — Va bene, venite — 

 

Si chiudono a chiave in camera da letto e si siedono tutti e quattro sul letto, il rotolo e il timbro in mezzo a loro.

 

 — Qual è il problema? — chiede Sasuke.

 

 — Per apporre il timbro bisogna riprodurre l’impronta del chakra di Danzo — spiega Sai sorridendo, come se fosse il momento di sorridere.

 

 — E come pensate di fare? —

 

 — Sakura credeva di essere capace, evidentemente ha sopravvalutato la sua intelligenza. Dovevamo chiamare Shikamaru —

 

 — Grazie Sai, davvero — borbotta lei tentando di concentrarsi sulla sua ridicola teoria, perché adesso le sembra proprio ridicola.

Probabilmente ha davvero sopravvalutato la propria intelligenza.

 

Gli altri stanno fissando i due oggetti con i poteri oculari attivati, e infine Sasuke prende in mano il sigillo per controllarlo attentamente da vicino.

 

 — C’è già del chakra qui, no?! —

 

Neji annuisce.

 

 — E’ già infuso del chakra di Danzo, per cui in realtà non devo riprodurlo, devo solo riuscire a mescolare il mio, dargli la spinta necessaria, senza alterarlo — spiega lei — Una minuscola porzione di chakra non ha un’impronta personale, teoricamente se io riesco ad inserire quantità irrisorie, staccate, una dopo l’altra, ad un certo punto dovrei riuscirci — prosegue, non più così sicura.

 

 — Suona improbabile, ma non impossibile —

 

 — Lo pensavo anch’io —

 

 — E qual è il problema? —

 

 — Non lo so —ammette scoraggiata.

 

 — Riprova —

 

Sakura prende il sigillo e lo sistema sopra il rotolo, poi comincia a emettere chakra dalle dita, pian piano, goccia a goccia, sudando, perché è un lavoro di estrema precisione, ed è faticoso persino per lei che della precisione nell’uso del chakra ha fatto uno dei suoi punti di forza.

Gli altri tre la scrutano attenti.

 

 — Credo che le particelle si aggreghino troppo presto, non rimangono neutre per il tempo sufficiente — osserva infine Neji. 

 

 — Prova ad intervallarle con particelle dei nostri chakra, dovrebbero unirsi più lentamente, e comunque rimanere neutre più a lungo avendo caratteristiche diverse — suggerisce Sasuke.

 

E’ una buona idea, sapeva di avere scelto un ragazzo sveglio quella volta.

 

 — Proviamo — concorda più sicura.

 

Neji sfiora il sigillo da un lato, Sasuke dall’altro, e non è il momento di preoccuparsi per la debolezza del suo chakra, anche se la registra immediatamente sensibile com’è a tutto ciò che lo riguarda.

Per fortuna ne serve poco.

 

I minuti passano lentissimi mentre alterna una particella del proprio chakra con una del chakra di Neji che indirizza con precisione chirurgica sulla superficie lignea del sigillo, seguita da una di Sasuke.

Finalmente appare un’ombra sbiadita sulla carta, e poi il timbro prende forma sotto i loro occhi.

Ci sono riusciti, ed è un peccato che non possa sfogare l’euforia della vittoria con urla o abbracci che non sembrano consoni alle circostanze, alla mancanza di tempo, e alla consapevolezza dei rischi che stanno correndo.

 

  — Lo consegno subito all’hokage, e non appena mi dà il via cominciamo — conclude facendo sparire il rotolo con un puff, e senza indugio, senza più parlare, si avviano tutti verso l’uscita.

 

Arrivano alla porta d’entrata sempre in silenzio, e Sai saluta Sasuke sorridendo prima di uscire.

Neji lo segue, mentre lei tentenna, e si volta a guardarlo sperando di trovare un indizio, un lampo di calore, qualcosa che le dica che non è cambiato niente tra loro.

Sembra così lontano, e c’è così poco tempo.

Scoraggiata si volta per andarsene.

 

  — Aspetta — la trattiene lui, e il contatto delle sue dita sul polso le provoca un fremito sulla pelle, mentre il suo sguardo gelido raggela anche lei.

 

Fa cenno agli altri due di andare avanti.

 

 — Se è per loro non devi preoccuparti — gli spiega in fretta, studiando ancora il suo bel volto alla ricerca di un’ombra di quell’affetto che a volte non riesce a nasconderle — mi fido di loro come se… —

 

 — E’ per te — la interrompe con durezza — lo sai che rischi stai correndo? —

 

E’ preoccupato per lei, solo preoccupato per lei, e non appena se ne rende conto la tensione svanisce di colpo.

 

 — Non preoccuparti, sono sicura che Danzo non si è accorto di niente. Davvero, quel sigillo viene usato raramente, era tutto impolverato, non lo cercherà subito, e se non riesco a riportarlo in tempo lo seppellirò da qualche parte. Non saprà mai chi è stato a prenderlo —

 

 — E se qualcuno vi avesse visto entrare? — insiste lui.

 

 — Siamo stati attenti, e poi mica siamo entrati così, cosa credi, avevamo altre sembianze: Neji era Danzo stesso, ed io Orochimaru — spiega con un’espressione soddisfatta.

 

 — Orochimaru? — 

 

 — Sì, ci ho pensato, è l’unico che può averlo aiutato con il trapianto: prima che tradisse il villaggio lavoravano insieme ed erano in ottimi rapporti. In realtà aveva già tradito all’epoca del massacro — aggiunge — E sai una cosa? Come la mettiamo se viene fuori che un integerrimo membro del consiglio degli anziani ha mantenuto contatti con il traditore? —

 

Sasuke non risponde, la guarda soltanto con un misto di calcolo, preoccupazione, ed un’indubbia ammirazione per lei.

 

 — Non dovevi comunque correre rischi così grandi — fa uscire più dolcemente.

 

 — Mi vuoi lo stesso? — chiede d’impulso, arrossendo.

 

Spera di non essersi spinta troppo oltre.

 

 — Ancora di più — le risponde continuando a fissarla.

 

E adesso non riesce più a trattenere il sorriso, mentre il rossore che ancora le imporpora le guance rovina quella bella immagine di donna forte che si era appena cucita addosso.

Non deve essere poi così grave, almeno a giudicare da come la sta guardando Sasuke.

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** 6. La nuda verità ***


Eccomi qua, nonostante la splendida giornata…

 

Allora, non è un capitolo molto lungo ma è cruciale per la storia, e forse potevo trovare un punto migliore in cui interromperlo, ma non ci sono riuscita XD (capirete poi cosa intendo dire). Per me non è stato facile scriverne alcune parti, spero però che sia tutto chiaro, e che vi piaccia ovviamente.

Ancora grazie per le recensioni al capitolo precedente!

 

 

 

 

 

6. La nuda verità

 




Sakura se n’è andata subito dopo, e Sasuke è tornato in camera.

 

E’ da mezz’ora che cammina irrequieto, avanti e indietro per la lunghezza della stanza, tentando di processare i fatti, di mettere ordine nel guazzabuglio che è diventata quella faccenda, con annesse persone che nel migliore dei casi conosce vagamente di vista, come Neji. 

Uno Hyuuga, una famiglia con cui gli Uchiha non hanno mai avuto rapporti particolarmente amichevoli.

E quel Sai crede di averlo incontrato qualche volta tra gli Anbu, ricorda un tipo strano che gli corrisponde più o meno per corporatura.

 

Non gli piace che ci siano di mezzo anche loro, e più in generale che ci siano di mezzo altre persone, perché sono faccende delicate e personali, e perché fatica a fidarsi di sconosciuti, anzi, fatica a fidarsi della gente in genere. Tutti possono tradirti, che siano in buona o cattiva fede.

 

Eppure si è fidato di Sakura, si fida di lei, e proverà a fidarsi anche del suo giudizio. 

Non ha neppure scelta in realtà, e una parte di lui è persino sollevata al pensiero che quei due le guardino le spalle. E’ difficile ignorare i rischi che sta correndo per lui, e fatica a concentrarsi solo sui risultati quando è lei che affronta i pericoli.

 

Poco dopo riceve un suo messaggio: gli chiede di trovarsi in dieci minuti all’esterno della torre dell’hokage, nel piccolo edificio rettangolare che si trova nella parte posteriore, quella che dà su un angusto cortile.

 

Bene. Preferisce così, agire invece di struggersi con ipotesi e dubbi, ed esattamente dieci minuti più tardi si materializza sul retro dell’edificio, nell’ombra pastosa sotto lo stretto porticato in cui si scurisce la notte.

 

Si schiude una porta ben dissimulata nell’intonaco, e il volto teso di Sakura fa capolino dalla fessura facendogli segno di seguirla.

 

Come un’ombra nell’ombra la segue all’interno, e poi lungo il breve corridoio che li porta fino ad una scala a chiocciola che scende.

E’ così stretta che permette il passaggio di una sola persona per volta, e sembra senza fine alla luce scarsa di rade lampadine elettriche pendenti da fili polverosi.

 

Scendono in fretta, lei che lo precede sicura, fino a quando il rumore sommesso di voci non lo ferma. Forse lei ha intuito il suo dubbio perché si volta a guardarlo con un sorriso rassicurante.

 

 — Sono amici — bisbiglia prima di tornare a guidarlo giù nel sotterraneo.

 

Ben presto arrivano in fondo.

 

 — Ciao — lo saluta Sai con la mano, e persino Neji gli indirizza un breve cenno del capo.

 

L’hokage opta per un sguardo d’accettazione, mentre l’altro, Shikamaru se ben ricorda, un Nara che era in classe con lui all’accademia, sembra intento a studiare la porta massiccia che blocca loro la strada.

 

A quanto pare quella che doveva essere una piccola indagine segreta si sta trasformando in un evento pubblico.

 

Non ha tempo per esprimere le proprie riserve, perché Sakura si fa largo tra la sparuta truppa ammassata nello spazio esiguo, e piazzatasi di fronte alla porta estrae il permesso.

 

Dopo averlo srotolato lo fa scorrere lungo la parete, che, alla fioca luce di una lampadina agonizzante, appare tappezzata di tatuaggi intricati che proseguono sulla superficie metallica della porta. I sigilli presenti sul rotolo cominciano ad emanare una scia luminosa, che fuoriesce all’esterno e raggiunge i disegni, completandoli.

Passano pochi minuti in un silenzio greve d’attesa, e finalmente si ode lo scatto secco di un meccanismo che si sblocca.

 

 — Andiamo — sussurra lei spingendo la porta.

 

La stanza che si apre al di là è completamente buia, e non c’è ombra di elettricità: con l’aiuto di un chidori riescono ad identificare alcune torce posizionate sui muri, che Sasuke accende una per una.

 

Adesso la stanza appare per quello che è, un archivio polveroso composto da fitte librerie che arrivano fino al basso soffitto.

 

 — Speriamo non prenda fuoco tutto — borbotta qualcuno, Shikamaru probabilmente, ma non ne è sicuro, non presta molta attenzione a chi gli sta intorno mentre cerca di decifrare i codici che identificano i vari ripiani per capire da dove iniziare.

 

 — E’ una specie di codice numerico: la classificazione primaria è quella temporale. Quella secondaria divide gli avvenimenti per importanza —

 

Questa volta è sicuro che si tratti di Sikamaru. 

Non sa bene come abbia fatto ad intuire così in fretta i criteri di organizzazione, ma se ben ricorda era considerato una specie di genio a scuola, e adesso lavora per l’intelligence, lo ha incontrato qualche volta.

 

 — Da dove iniziamo? — chiede Sakura.

 

 — Lì —

 

Shikamaru indica la fila di mezzo della libreria sulla destra, e lui è il primo ad allungare la mano e ad afferrare il raccoglitore di documenti più vicino.

 

Per la mezz’ora successiva nessuno parla, tutti intenti a scartabellare fascicoli e rotoli.

Ogni tanto qualcuno starnutisce a causa della polvere.

 

 — Non c’è niente qui — conclude lui per primo, irritato.

 

Sakura alza lo sguardo dalla cartella che sta sfogliando per scrutarlo preoccupata.

 

 — Non è possibile — replica Kakashi.

 

 — No, è vero. Non c’è un solo documento riguardante il massacro — conferma Shikamaru.

 

 — Che fosse considerata una questione privata del clan? —

 

 — Assurdo, ninja nemici sono entrati nel villaggio, e se questa non è una faccenda di sicurezza pubblica non so quale possa esserlo, e in ogni caso dovrebbe ugualmente esserci qualcosa — osserva Sakura — almeno registri delle indagini, delle conclusioni a cui si è giunti —

 

 — Magari sono stati spostati per errore —

 

Shikamaru passa ad esaminare il settore adiacente, quello contenente documenti di un’epoca precedente, e tutti, tranne Sasuke, si spostano e cominciano ad estrarre rotoli a caso.

 

— Sei proprio sicuro che non ci sia un archivio da qualche parte all’interno del vostro distretto? — chiede ancora l’hokage.

 

Sasuke non risponde, a questo punto non è più sicuro di niente. 

Ripone l’ennesimo fascicolo inutile dopo averlo sfogliato per la terza volta, e intanto sfiora i solchi incisi sulla venatura del legno che incornicia quel tratto di libreria.

Sembrano profondi.

 

 — Forse c’è un’altra porta nascosta — suggerisce Shikamaru seguendo il movimento delle sue dita.

 

Si avvicinano anche gli altri, e insieme tracciano i contorni di quella che davvero potrebbe sembrare un’entrata celata dietro alla libreria.

 

Sakura prova ad individuare il meccanismo d’apertura, e quando crede di riuscirci vi accosta il permesso che ha tirato fuori di nuovo.

Niente.

 

 — Forse non è questa la serratura— borbotta — Riesci a vedere qualcosa al di là? — chiede poi a Neji.

 

  — No. Niente —

 

 Neppure lui ci riesce con lo sharingan attivato.

 

 — Siamo in un’impasse — conclude Kakashi, e quasi sembra sollevato, o è solo la sua solita espressione noncurante.

 

Ormai sono giunti fin lì, pensa lui, non se ne andrà senza risposte. Sta seriamente pensando di sfondare la parete, magari dopo aver fatto allontanare gli altri, quando Sakura tira fuori qualcosa dalla saccoccia.

 

 — Neji, Sas’ke — chiama svelta.

 

Pone il sigillo al di sopra del punto scelto, da cui effettivamente sembrano fuoriuscire dei meccanismi, e Sasuke riattiva lo sharingan.

 

Questa volta lei è sicura, veloce, ed esegue l’esatta procedura in un paio di minuti: poco dopo la porta si apre su una nicchia tappezzata di rotoli.

 

Shikamaru impreca alle sue spalle.

 

C’è spazio per una sola persona lì dentro, e Sasuke si avvicina e ne srotola uno in fretta, e poi gli altri, uno dietro l’altro, finché non comincia a trovare qualcosa di interessante.

E’ un rapporto su sospette attività illecite degli Uchiha, seguito da schede personali di ogni membro del clan, anche di suo padre, sua madre.

Man mano che legge i vari rapporti la situazione si delinea con sempre maggior chiarezza, e dopo averne memorizzato il contenuto, il cuore sempre più pesante, li porge a Sakura che è accanto a lui, che a sua volta poi li passa a Shikamaru.

 

L’ultimo è un accordo che viene siglato tra le due parti: lo legge con gli occhi appannati, perché tra i redattori c’è un nome che già sapeva di trovare, ed altri che non avrebbe mai sospettato, come quello di suo cugino Shisui, che è stato trovato misteriosamente morto qualche giorno prima del massacro.

 

Eccola la verità, nero su bianco, dolorosa come si aspettava, più di quel che si aspettava, ma è sempre così in fondo. 

Una sporca faccenda interna, come pensava lui, o piuttosto, peggio di come pensava lui, perché la parte del suo clan, della sua famiglia, che sospettava connivente è stata anche esecutrice materiale di quell’atrocità.

E’ stato Itachi ad uccidere la loro madre, il loro padre, e l’orrore di quella scoperta non è un’esplosione, uno scoppio improvviso che gli lacera qualcosa dentro, è come un liquido gelido che si espande dal cuore, gli invade il corpo e gli fa tremare le mani.

 

 — Arriva qualcuno, dobbiamo andarcene — sente la voce di Neji, lontana.

 

Percepisce appena, come in un sogno, che Sakura gli sta sussurrando qualcosa.

 

 — Andate avanti voi — la sente avvisare gli altri.

 

Dopo gli appoggia la mano sull’avambraccio.

La sua pelle è calda e la presa è ferma, salda, come se volesse ancorarlo alla realtà, ma il suo di corpo è come intorpidito e le dita continuano a tremargli.

 

 — Dobbiamo andare — gli ripete, ferma, solida accanto a lui.

 

Nella limpida confusione di quel momento, nella precisa disgregazione di tutto il suo mondo interiore, è davvero l’unico punto fermo.

 

Il rotolo che sta leggendo adesso è la copia di un ordine che Danzo ha impartito ai nuovi capi clan, in cui viene intimato loro di consegnare i cadaveri dei traditori, che per motivi di sicurezza verranno smaltiti all’interno della sede dei servizi segreti.

 

"Smaltiti" un cazzo.

 

 — Dobbiamo andare, non c’è più tempo — lo avvisa Sakura, e gli lascia il braccio per sollevarsi.

Neanche si è accorto di essersi chinato e l’improvvisa assenza di contatto lascia una percezione di vuoto, di mancanza.

Solo un secondo, poi lei lo afferra di nuovo e lo tira verso di sé.

 

 — Andiamo via —

 

 — Vai tu — 

 

 — No. Stanno arrivando! Vieni con me, ti prego —

 

L’evidente nota di allarme nella sua voce tremante, così cara, finalmente lo scuote, e una frazione di secondo più tardi si è già rialzato ed è pronto ad agire: devono andarsene immediatamente da lì, non c’è altro da scoprire.

 

Intanto il rotolo che ancora tiene stretto in pugno inizia a disgregarsi, e solo allora si accorge che gli altri documenti si sono trasformati in polvere ai suoi piedi.

 

 — Avevano un’altissima forma di sicurezza — gli spiega lei seguendo il suo sguardo.

 

Non importa: con lo sharingan ha memorizzato tutto, ogni parola, ogni singola virgola.

 

Adesso avverte la presenza di qualcuno, troppo vicina, ed è lui questa volta ad afferrare il polso di Sakura sforzandosi di elaborare un piano. 

Non è preoccupato per se stesso, a questo punto non gli importa molto di essere scoperto, od anche accusato di tradimento: al momento una rabbia sorda che sta controllando con uno sforzo immane gli urla solo di smascherare tutto, tutti, di sollevare il tavolo e rovesciarlo addosso a tutti i partecipanti di quell’orrore.

 

Ma lei no, lei non deve pagare il prezzo delle sue decisioni, delle nefandezze in cui lui è immerso, non lei. 

Per questo deve togliersi da lì e svanire senza farsi scoprire, senza far scoprire lei.

 

Si guardano negli occhi per una frazione di secondo mentre la porta viene spalancata con violenza, e quando due Anbu entrano nella stanza la trovano vuota: al loro posto due rotoli giacciono a terra.

 

Gli uomini fanno qualche passo all’interno e loro due aspettano, aggrappati al soffitto.

 

 — Ehi — li chiama Sasuke.

 

La coppia solleva la testa all’unisono, e si ritrovano catturati in un genjutsu.

 

 — Usciamo di qui — la esorta calandosi a terra.

 

Odia sentirsi debole, ma è ancora a corto di chakra, e l’uso prolungato dello sharingan, e ancora di più il genjutsu, lo hanno lasciato con ben poca energia.

 

Una frazione di secondo più tardi stanno correndo sulle scale, e subito dopo sono fuori.

 

 — Fermi! —

 

Sasuke si volta di scatto, pronto a colpire, ma una valanga di fango lo scaglia con violenza oltre la recinzione che delimita il cortile, sulla strada.

 

Con una scarica di elettricità frantuma il fango mezzo indurito che lo avvolge, ma, il tempo di sollevarsi e saltare sulla recinzione, e Sakura è ormai intrappolata da un alto muro di terra compatta, circondata da tre ninja che evitano accuratamente di voltarsi verso di lui e guardarlo negli occhi.

 

Ne riconosce due, i fratelli con la maschera della scimmia e del puma: sono Anbu pericolosi, molto veloci, e mentre il lungo arpione del primo, più affilato di qualsiasi lama, con l’uncino dilania la carne una volta estratto, la corta spada dell’altro è intrisa di un raro veleno rapido e letale.

Sta per scagliarsi contro di loro quando un’altra valanga di terra lo travolge.

 

E’ un quarto ninja, uno che non riconosce, a generarla, un ex Root suppone: se ne sta nascosto al di sotto del buio porticato, e non c’è tempo di pensare a lui, perché Sakura sta già distruggendo il muro a pugni, ignara del fatto che al di là l’aspetta la morte.

Perché mirano ad uccidere, e per qualche motivo che gli sfugge sembra che abbiano avuto ordine di uccidere proprio lei.

 

Si sforza di rimanere calmo e razionale mentre si libera del fango che lo avviluppa, sgretolandolo con più fatica questa volta: sa che deve ragionare logicamente per poter usare con precisione quel poco chakra che gli rimane, ma un sudore freddo gli scende lungo la spina dorsale, e un panico che non riesce a controllare gli impedisce di elaborare una strategia perfetta.

Si maledice per questo.

E’ colpa sua, pensa, è solo colpa sua se lei muore.

 

Le grida di stare attenta e si dice che può farcela, può ancora salvarla, ma con una lucidità febbrile, sconnessa, sa che cosa sta per succedere, e non può fare altro che assistervi.

E’ come un altro tsukuyomi, è di nuovo un fantasma che si affaccia oltre l’orlo di un abisso, impotente in quel vuoto assoluto senza appigli.

 

In quei brevi istanti interminabili, considerazioni e memorie gli si accavallano nella mente senza più coerenza, caotiche eppure così chiare, perché è talmente chiaro adesso che ha bisogno di lei, di lei che non nasconde inganni, doppie verità, che lo guarisce col solo tocco delle dita quando il controllo della ragione si attenua, e che non sa come, non capisce come, ha modificato lo scorrere dei suoi pensieri, la percezione della sua vita, e gliene ha mostrata un’altra, migliore, con un percorso che non riesce ancora a intravedere, neppure immaginare, ma per una volta si delinea limpido, colmo di promesse.

Il resto è solo una nebbia che avvolge una realtà dalle mille facce cangianti, e una serie di missioni svolte come una routine, in un ruolo che ricopre perché non può fare altro, perché non conosce altro.

 

Finalmente si è liberato del fango mentre le grida ancora di stare attenta. 

Non ha abbastanza chakra per qualcosa di più, eppure in qualche modo riesce a far crepitare tra le dita un fiacco chidori e si precipita verso di loro. 

Con un salto rimbalza contro la parete dell’archivio per schivare un’altra valanga, perché non ha il tempo né la forza di occuparsi di quel bastardo. 

 

Il chidori si affievolisce in fretta, e i movimenti non sono fluidi e veloci come dovrebbero, e ormai è tardi.

Disperato vede la scimmia perforare Sakura al fianco da parte a parte con il ferro uncinato.

 

Il puma la sta colpendo alle spalle con la lama avvelenata, e in panico totale, con gli occhi che improvvisamente bruciano, si frappone tra l’arma e Sakura.

 

 — Sas’ke! — 

 

L’urlo sembra giungere da lontano, così angosciato, e vorrebbe dirle che non importa, che deve scappare ora, mettersi in salvo, farsi aiutare prima che sia troppo tardi…che lei non deve morire, non può morire. Ma c’è qualcosa in bocca che gli impedisce di parlare, e quel bruciore agli occhi è diventato intollerabile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** 7. Conseguenze ***


Ciao! Eccomi qui di nuovo.

 

Allora, innanzitutto vi ringrazio ancora per le recensioni, mi rallegrano la vita, veramente.

E poi volevo dirvi un paio di cosette, solo che è difficile farlo senza auto spoilerarmi, e non so perché ma non mi piace mettere le note alla fine del capitolo, forse perché mi sa troppo da commiato.

Comunque…la prima cosa è una sciocchezza: volevo avvisare che il pezzo iniziale di questo capitolo non è scritto dal punto di vista di Sakura (ho messo una linea quando finisce, per dividerlo dal resto). Mi è dispiaciuto, perché mi piace che i capitoli siano omogenei, ma alla fine preferisco così, anche se ne va della simmetria della storia che mi secca molto.

Per quanto riguarda Itachi, lo so, è triste che porti anche qui questo fardello, ma la verità è che fatico ad immaginarlo senza. Nel manga non sono mai riuscita a capirlo bene, è un personaggio con tratti ambivalenti che Kishimoto non ha sbrogliato benissimo, ma scrivendo questa storia comprendo anche il perché: tutta la faccenda degli Uchiha è complicata e moralmente ambigua, come la figura di Itachi, e non è assolutamente facile sbrogliarla. Io ho faticato parecchio a trovare la soluzione migliore, e non sono affatto sicura che sia la soluzione migliore, anzi.

Chiudo qui per non annoiarvi troppo, ma ne riparlerò più avanti, spero.

Ora vi lascio al capitolo, che è di assestamento dopo tutto il parapiglia di quello precedente. Anzi, un’ultima cosa: i prossimi due capitoli sono parecchio da sistemare, conto di pubblicare puntuale domenica prossima ma non lo garantisco al cento per cento.

 

Buona lettura!

 

 

 

 

 

7. Conseguenze

 

 

 

 

Non sa quanto tempo è passato, non sa neanche se è vivo o morto e non è sicuro al momento che gli importi abbastanza.

Non sente niente in bocca e gli occhi non fanno male.

Se è morto forse rivedrà sua madre, o forse no, forse è all’inferno, che per quanto di merda possa rivelarsi non deve essere peggio di un posto in cui tutte le persone che ama sembrano confondersi tra il ruolo di vittima e quello di carnefice.

 

Però c’è Sakura, lei è diversa.

 

E’ il pensiero di lei che gli fa aprire gli occhi.

 

E’ a casa, o forse l’inferno ha assunto l’aspetto della sua stanza. In fondo da lì partono tutti i suoi incubi, passati e presenti.

 

 — Sasuke —

 

Fa fatica a voltarsi in direzione della voce, ma vede Itachi con la coda dell’occhio, e il cuore gli si stringe in una morsa.

 

 — Sakura? — chiede per prima cosa.

 

Itachi guarda dall’altra parte della stanza, e lui si volta in quella direzione: Sakura è distesa su un futon srotolato accanto al letto. Sembra dormire.

 

 — E’ rimasta a vegliarti fino a quando non è crollata —

 

 — Sta bene? —

 

 — Sì. A quanto pare conosce la tecnica di rigenerazione della dottoressa Tsunade —

 

 — Cosa è successo? — chiede registrando quell’informazione.

 

 — So solo che vi hanno portato qui in tre, privi di sensi, e che stavi morendo: sei vivo solo perché conservavo un campione di antidoto qui, all’interno del distretto, e perché Sakura si è ripresa subito ed ha estratto il veleno…i tuoi occhi? —

 

Sasuke ricorda che volevano uccidere Sakura, e sente di nuovo quel bruciore agli occhi.

 

 — Cazzo — mormora.

 

 — Non preoccuparti, ti insegnerò ad usarlo — 

 

Lui si volta di nuovo a guardare suo fratello, l’assassino dei loro genitori, e per quanto sia tutto chiaro, per quanto ci sia una logica semplice al di sotto, non riesce ancora a comprendere. Se fosse un singolo momento di follia potrebbe capirlo di più, forse perdonarlo, ma un atto premeditato implica che in determinate circostanze, che se il villaggio glielo chiedesse, chiunque sarebbe sacrificabile.

Per Sasuke, che mette i pochi affetti al di sopra di tutto, è un concetto inconcepibile.

 

 — Perché — sussurra solo.

 

Itachi lo studia col volto segnato da una notte di veglia, con quello sguardo molto più vecchio di lui e un’espressione per un istante triste, tormentata, prima di tornare schermata.

 

 — Non ho avuto scelta. L’alternativa sarebbe stata quella di una guerra civile, o di un attacco al clan che avrebbe portato al suo intero annichilimento. Saremmo morti tutti, anche i vecchi, i bambini —

 

 — Ne sono morti lo stesso —

 

 — Alcuni testimoni purtroppo, ma non tutti —

 

 — No, non tutti, ma li hai uccisi tu, hai ucciso papà, hai ucciso la mamma —

 

 — E cos’altro potevo fare? —

 

 — Non lo so. Qualsiasi altra cosa. Potevamo andarcene via tutti, fondare un nuovo villaggio. Qualsiasi cosa —

 

 — Non c’era tempo…non ho avuto scelta —

 

C’è una punta di panico nella voce di Itachi, e il tono è greve di sofferenza. 

Non lo ha mai sentito così vulnerabile, ma Sasuke non riesce più a guardarlo in faccia.

 

 — …volevo risparmiarti questo dolore — 

 

Non gli risponde. Non sa più che dire. 

Che dolore? Papà e mamma sono comunque morti, gli zii sono comunque morti, il nonno. I cugini. 

Vorrebbe chiudere gli occhi, risvegliarsi e scoprire che si è trattato di un sogno, ma non è la prima volta che sperimenta quello sfasamento con la realtà, sa bene che non ha altra possibilità se non quella di adattarsi.

Sarebbe stato meglio non sapere? 

Ma anche non sapendo i fatti non cambiano, la verità esiste anche nascosta, e genera ugualmente ombre che avvelenano il presente.

 

 — Sapevi che Danzo si è fatto trapiantare diversi Sharingan? — chiede sommesso. 

 

 — No —

 

Non sa se credergli, ma in fondo che importa. 

 

 — Ho un’altra domanda… — mormora infine — sapevi che volevano eliminare Sakura? —

 

 — Lo sospettavo —

 

Non se ne sorprende, forse è stato proprio Itachi a parlare a Danzo di lei, ma non ha la forza di chiederglielo, ed è un altro argomento su cui non è sicuro di ricevere in risposta la verità.

 

 — Mentre di me ti saresti occupato tu, giusto? — aggiunge invece.

 

 — Non ti avrei mai fatto del male. Non gli avrei mai permesso di ucciderti —

 

 — Lo so —

 

Non sa perché gli crede, in fondo che differenza c’è tra l’uccidere un fratello ed i propri genitori, ma una parte di lui si fida ancora di Itachi, e adesso non ha la forza di capire se il suo è un istinto profondo o solo un bisogno infantile.

 

Chiude gli occhi asciutti, troppo asciutti, e si gira a guardare la forma addormentata di fianco a lui. Solleva il braccio e lo allunga per toccarla, per assicurarsi che è lì, che è viva.

 

Non si volta più verso suo fratello, e rimane così. Continua a toccarla, piegato verso di lei, finché non lo sente sollevarsi ed andarsene.

______________________________________________

 

Sakura rimane immobile ancora per alcuni secondi, fingendo di dormire: li ha ascoltati parlare, ha udito il suono rotto delle loro voci, il loro dolore, e il dolore di Sasuke è in parte anche il suo dolore, l’afflizione di quella famiglia spezzata è diventata anche la sua.

Se potesse fare qualcosa per lui, alleviare il suo fardello in qualche modo.

 

Aspetta che Itachi se ne vada, solo dopo apre gli occhi.

 

Incontra quelli di Sasuke che la guardano, e gli sorride, perché è vivo, e il resto non importa, ci penserà lei a curargli le ferite, ci penserà lei a renderlo felice.

 

 — Stai bene allora — sussurra sollevandosi per avvicinarsi a lui, per poterlo toccare — ero così preoccupata — prosegue protesa su di lui, accarezzandogli i capelli mentre studia ogni particolare del suo volto. 

Sembra così stanco, e c’è qualcosa di spento nel suo sguardo che le strazia il cuore.

 — I tuoi occhi hanno qualcosa? — aggiunge ripensando a ciò che ha udito.

 

 — E’…ti spiegherò un giorno —

 

 — Ma stai bene? —

 

 — Sì. Tutto bene. E tu? — le chiede sfiorandole la fronte, al centro della quale ora spicca il byakugo che è stata costretta ad attivare la notte precedente.

 

 — Tutto bene, so cavarmela bene da sola, mio cavaliere senza macchia e senza paura —

 

Lui fa uscire un grugnito di scherno, perché ha una pessima visione di se stesso, è cieco, ma Sakura vede in lui quello che non riesce a vedersi da solo: il suo coraggio, la sua nobiltà, la sua forza straordinaria.

Continua ad accarezzargli i capelli piena di tenerezza, e poi la guancia, e controllando i parametri vitali scende giù, sotto il lenzuolo, sulla sua pelle nuda, finchè lui non si solleva seduto e non le bacia le labbra.

 

 — Non c’è tempo, o farei l’amore con te — le sussurra.

 

Sta diventando un’abitudine quella di fare l’amore mentre lui è debole, ma dubita che sia abbastanza in forze questa volta, e sta per farglielo notare quando un minuscolo topo di carta la raggiunge. Ancora è protesa verso di lui, e dopo aver letto il messaggio glielo passa riluttante. 

 

 — Vado io. Tu devi riposare, riprenderti — dichiara scostandosi. 

 

 — Non c’è tempo nemmeno per quello —

 

Cerca di protestare, di farlo ragionare, ma sa già che lui non ascolterà.

 

Poco dopo sono in piedi ambedue, Sasuke che si infila in fretta una maglietta.

 

Lei lo studia pensierosa, lisciandosi i capelli scarmigliati: fino a pochi minuti prima era così preoccupata per lui, e ancora è preoccupata, non solo per la sua salute fisica. Lui sorride appena prima di avvicinarsi e baciarla di nuovo, più a lungo questa volta.

 

 — Vi amate? — cinguetta Mira che ha fatto capolino dalla porta.

 

Si staccano in fretta, e senza dare loro il tempo di rispondere la bambina si precipita tra le braccia dello zio, con la sicurezza di chi sa che verrà sempre ben accolto.

 

Lui la solleva e la lascia stringersi a lui, con i braccini attorno al suo collo.

 

 — Devo andare via — le spiega con dolcezza, e lo sguardo si scalda, appare meno stanco, meno vuoto.

 

La bambina reclama quando la deposita a terra, e lo scruta imbronciata emettendo un mezzo sbuffo scontento.

 

 — Devo darti una cosa importante! — protesta gesticolando.

 

 — Ah sì?! Vediamo — le risponde chinandosi sui talloni per mettersi alla sua altezza, senza neppure provare a dirle di no. Sakura adora questo suo lato tenero.

 

 — E’ una cosa importante che ti serve, apri la mano però —

 

Sasuke obbedisce e la piccola, dopo aver frugato nella tasca del vestitino, gli deposita un sassolino bianco sul palmo. 

 

 — E’ un sasso magico, che ti proteggerà — dichiara solenne.

 

 — Grazie, lo apprezzo molto. Ma non serve a te? —

 

 — No! Io ho già te e il papà Itachi, tu invece non hai nessuno e ti fai male sempre! Devi stare molto più attento! — spiega infervorata — Tienilo sempre in tasca, va bene? Sempre —

 

 — Va bene allora, grazie. Lo terrò sempre con me, e starò più attento — mormora lui stringendo il sasso nella mano — Ora devo andare. La prossima volta giochiamo — le promette poi, e le tocca la fronte con due dita.

 

Quel gesto deve avere un significato particolare per Mira, perché pare soddisfatta della vaga promessa, e quando lui si solleva il suo sguardo gioioso si sposta su Sakura.

 

 — Hai una pietra preziosa sulla fronte! — esclama spalancando gli occhi.

 

Sakura le assicura che le spiegherà come ottenerla, e finalmente, a fatica, si allontanano da lei, che ancora li saluta con la manina.

 

 — E’ preoccupata per te, e non ha tutti i torti — osserva una volta in strada.

 

 — Cos’è successo all’archivio? — cambia discorso Sasuke.

 

 — Gli altri sono tornati indietro ad aiutarci, e quegli uomini si sono dileguati: credo che avessero attirato troppa attenzione con tutto quel trambusto, e probabilmente pensavano fossimo spacciati…e tu…tu… — ripete, ancora scossa al ricordo di quei momenti terribili — quello è un veleno estremamente rapido e potente, se Itachi non avesse avuto l’antidoto…non voglio neanche pensarci. Pensavo…pensavo stessi morendo — si interrompe, perché la voce ha iniziato a tremarle. 

 

 — E tu? — taglia corto lui, come se non fosse niente, come se non fosse morto un piccolo pezzo di lei quella notte.

 

 — Io sto bene, e non è facile uccidermi — gli risponde toccandosi il segno del byakugo.

 

 — Forse, ma non sei immune ai veleni —

 

 — Neppure tu. Devi smetterla di farti del male per proteggermi —

 

Vuole suonare decisa, ma adesso non riesce a non sorridergli. 

Non può non sorridergli, perché è vivo, è accanto a lei, e lei lo ama. 

Lo ama come non ha mai amato, e per questo soffre, ed è felice, come non è mai stata.

 

Ormai sono fuori dal distretto e si avviano verso la casa di Kakashi (è lì che si devono trovare). D’istinto si guardano intorno con una cautela che normalmente riserverebbero a pericolose missioni all’esterno del villaggio.

 

Abbiamo commesso alto tradimento? Si chiede, ma non si sente affatto una traditrice, e non riesce a pentirsi di avere aiutato Sasuke, pur con tutti i rischi che ha corso e ha fatto correre ai suoi amici.

E’ una giusta causa, e farebbe ben altro per lui.

 

Quando arrivano a casa di Kakashi sono quasi tutti lì, sparpagliati tra poltrone, divano e sedie: Sai con Ino, Shikamaru, Neji e Hinata. 

Manca solo Naruto.

 

Ino la chiama, e mentre Sasuke parla con l’hokage le chiede ammiccando come va tra loro due.

 

 — Ti sembra il momento? — risponde sollevando gli occhi al cielo.

 

 — E’ sempre il momento — replica l’altra con un finto tono di cospirazione, per nulla perturbata.

 

— Be’, non c’è niente da sapere — taglia corto.

 

Non è che non abbia voglia di raccontare, di sfogarsi, anche nelle attuali, pressanti circostanze, ma fin dall’inizio si sta sforzando di ignorare i tanti dubbi e timori sul futuro che quell’amore impossibile arreca con sé, e non intende portarli alla superficie proprio ora. 

 

Si è già sistemata vicino a Sasuke quando arriva Naruto tutto trafelato: dopo aver spostato uno sgabello si siede dall’altra parte di fianco a lei, alla sua destra.

 

 — Sas’ke! — esclama sporgendosi per salutarlo — ti ricordi di me? Eravamo grandi amici all’accademia! —

 

Alcuni ridacchiano, e Sasuke è troppo nervoso al momento per replicare qualcosa di più di un sommesso “idiota”, ma in un certo senso è vero, pensa lei, per quanto per lo più litigassero.

 

 — Va bene, non c’è tempo per i convenevoli. Sapete tutti perché siamo qui —

 

E’ Kakashi a parlare, seduto sulla poltrona di fronte a loro.

 

 Sakura si volta a scrutare i volti tesi dei suoi amici: l’hokage ha richiesto la presenza di ogni persona coinvolta, anche coloro cui lei ha solo accennato qualcosa, ed ora sono tutti lì, in allerta perché gli eventi di quella notte sono allarmanti, e chi non era presente evidentemente è stato informato: Ino da Sai ed Hinata da Neji.

Tutti tranne Naruto, che è appena tornato, ed è a suo beneficio, e per ricapitolare ogni punto che Kakashi accenna ad un breve riassunto.

Gli uomini di ieri notte si sono dileguati nel nulla, tutti, e non è un caso se ogni tanto Neji ed Hinata perlustrano i dintorni con il loro potere oculare attivato, un segno visibile dell’incertezza e preoccupazione che li accomunano.

 

Dai documenti che Shikamaru è riuscito a visionare prima che si incenerissero, racconta Kakashi, risulta evidente che il massacro degli Uchiha è stato eseguito da alcuni membri dello stesso clan su ordine di Danzo, per sedare sul nascere una presunta rivolta. 

Sembra così banale esposto così, e lei sbircia il profilo impassibile di Sasuke chiedendosi come possa sentirsi.

 

 — Domande? —

 

 — Una. Perché gli Uchiha avrebbero dovuto complottare una rivolta? — chiede Sai.

 

 — Non lo sappiamo, possiamo solo supporre che sia stato per sete di potere —

 

Lei continua ad osservare Sasuke con la coda dell’occhio. Sembra ancora calmo, quasi indifferente, una facciata quasi perfetta, ma lo conosce e c’è una tensione al di sotto, nei muscoli della mascella, che non le sfugge.

  

 — La verità è che non abbiamo abbastanza elementi al riguardo per farci un’idea d’insieme esaustiva— interviene Shikamaru — Può essere anche che ci fosse del malcontento tra loro o che si sentissero oppressi: mio padre raccontava che non erano ben visti, che tanta gente sospettava ci fossero loro dietro all’attacco della volpe a nove code. Ma so che Danzo non ha mai nascosto la sua diffidenza verso di loro, e ho visto i nomi degli esecutori — guarda Sasuke per una frazione di secondo — erano giovani, molto giovani, può essere anche che Danzo abbia approfittato di un certo malessere all’interno del clan per manipolarli e istillare loro la necessità di un atto estremo — 

 

Bastardo, pensa lei stringendo il pugno che vorrebbe toccare la mano di Sasuke, e per la prima volta considera la sofferenza di Itachi, il peso insopportabile che si porta sulle spalle per l’atto atroce di cui si è macchiato.

 

 — E gli occhi trapiantati? Come può arrogarsene il diritto? — interviene Neji — Per il nostro clan questo è un particolare estremamente inquietante —

 

 — Scusate, io non ci capisco niente. Ma perché? Non ha senso! Non si poteva parlare e risolvere la cosa pacificamente? — questo è Naruto ovviamente. 

Sembra scosso quanto gli altri, e le dispiace essere stata lei la causa della sua disillusione: suo padre era hokage, il suo sogno è seguire le sue orme, e per lui il villaggio ha sempre rappresentato il Bene.

 

 — Evidentemente no, almeno da quel che sappiamo — replica Shikamaru — Possiamo venire a sapere qualcosa in più dagli Uchiha, ma credo che la verità intera la conosca solo Danzo, e per come stanno le cose è probabile che se la porti nella tomba —

 

Per un poco rimangono tutti in silenzio, e una tensione palpabile aleggia nella stanza.

 

 — E allora? Cosa facciamo adesso? — 

 

 — Ecco…prima voglio che pensiate a cosa succederebbe se questi segreti venissero rivelati — prende la parola Kakashi, guardandoli uno per uno per una volta serio.

 

Nessuno replica, neppure Naruto, e nel silenzio opprimente lei trattiene ancora la tentazione di stringere la mano di Sasuke.

 

 — Ve lo spiego io — riprende Kakashi — La fiducia nel villaggio verrebbe meno, i clan inizierebbero a prendere provvedimenti, si isolerebbero, alcuni potrebbero persino considerare più sicuro andarsene, e dubito che gli Uchiha ne uscirebbero bene. La gente li guarderebbe con più sospetto e paura di prima — 

 

Il silenzio che segue adesso è ancor più opprimente, e Sakura si decide ad allungare il braccio e stringere la mano di Sasuke: lui non ricambia la stretta, ma non ritrae la mano. 

Se qualcuno degli altri nota il gesto non lo dà a vedere.

 

 — Non dovrebbe essere Sasuke a decidere? — chiede Naruto sfregandosi la nuca, e gli altri annuiscono: pare l’unica soluzione possibile, e in parte è un grande atto di fiducia, in parte le sembra comodo lasciare a lui quel peso, lavarsene le mani.

 

Per questo gli stringe le dita con disperazione, un gesto banale e insufficiente, un piccolo tentativo di fargli capire che sarà con lui fino alla fine, qualsiasi sia la sua decisione.

 

 — Devo pensarci — risponde lui, poi scosta la mano e fa per alzarsi.

 

Tutti lo imitano, ansiosi di tornare a casa.

 

 — Un momento — li ferma Sai — Dove andiamo adesso? —

 

 — Cosa vuoi dire? —

 

 — Dobbiamo nasconderci. Danzo potrebbe provare ad eliminarci ad uno ad uno, ha ancora uomini che facevano parte della Root fedeli solo a lui —

 

E’ vero, il ricordo della sera precedente è fin troppo vivido e fresco.

 

 — Ma dai! Dovrebbe ucciderci tutti! — fa Naruto scettico.

 

Sai sorride annuendo, e gli altri si guardano intorno incerti.

 

 — Potete stare da me finché non si trova una soluzione — offre Sasuke.

 

 — No, alcuni Uchiha potrebbero volerci morti quanto Danzo, per nascondere la verità — obietta Neji — Sarete ospiti della nostra famiglia. Nessuno entra inosservato nei nostri quartieri —

 

 — Non farebbero mai una cosa del genere! — replica secco Sasuke, e lei pensa a quello che ha detto Kakashi, al fatto che la verità nuocerebbe anche agli Uchiha.

 

Intanto ascolta pensierosa la discussione che ne segue, le frasi concitate: sono ninja, sono abituati al pericolo, alla morte nell’ombra, ma Konoha è casa loro, ed ora la parentesi spiacevole, l’orrore nella vita di qualcun altro che può colpire, e ferire, ma solo per lo spazio di un secondo, è diventato un pericolo reale e incombente, qualcosa che non si può lasciare al di là della porta chiusa di casa propria.

 

 — Mi spiace di avervi coinvolti ragazzi — ammette tristemente.

 

 — Io sono contento invece: c’erano altri documenti lì che mi hanno aiutato a capire alcune cose — replica ambiguamente Shikamaru.

 

 — Vale anche per me, preferisco saperle certe cose — conferma Neji.

 

 — Non sognarti di sentirti in colpa — borbotta Ino — mi sarei offesa se mi avessi tenuto fuori —

 

Hinata le sorride, Sai sembra sereno come al solito e Naruto non approva solo perché è infervorato in una fitta conversazione con Sasuke, ma di sicuro non sembra spaventato.

 

In ogni caso ormai è tardi per tornare indietro.

 

 — Dobbiamo andare — li avvisa Hinata con il byakugan attivato.

 

 — Arriva gente — conferma Neji.

 

Naruto si è avvicinato ad Hinata e le parla con quel sorriso che riserva solo a lei, e Sakura non vede l’ora di rimanere sola con Sasuke.

A quanto pare dovrà aspettare, perché quando si dividono Naruto annuncia che verrà con loro.

Gli altri seguono Neji e Hinata.

 

 — E tu? — chiede ormai sulla soglia, rivolta a Kakashi.

 

 — Io sono l’hokage, non preoccuparti per me: Danzo a suo modo ama Konoha, e io ne sono il simbolo, non mi attaccherebbe mai direttamente —

 

 — Ma… — 

 

 — Nel frattempo userò le mie notorie arti diplomatiche. Cercherò di parlare con lui, di tastare il terreno e tenerlo buono —

 

Sembra un piano accettabile, e in realtà è l’unico che hanno al momento.

 

 — Va bene, solo una domanda…dimmi la verità, sapevi già tutto? — chiede a bruciapelo.

 

 Lui esita.

 

 — Facevi un mucchio di domande — risponde infine con cautela — e quando Danzo mi ha chiesto di farti seguire ci ho riflettuto e ho messo insieme brandelli di vecchie conversazioni: lo sospettavo diciamo — 

 

 — E pensavi fosse meglio tenere tutto nascosto —

 

 — Il mio ruolo di hokage lo suggeriva —

 

E’ una frase ambigua cui penserà in seguito. Per ora si accontenta di sapere che, per quanto riluttante, è sempre stato dalla sua parte.

 

 — Sta attento — mormora con affetto.

 

— Sto sempre attento. Va ora, e non agite per il momento, per nessun motivo, mi raccomando. Ci aggiorniamo presto —

 

Lei esce in fretta per raggiungere gli altri e Sasuke si volta a guardarla: l’aspetta.

 

Naruto deve passare per casa per raccogliere le sue cose, e  loro due fanno un salto da lei.

E’ contenta di averlo accanto, soprattutto adesso che sa di essere nella lista nera di Danzo e la sua casa non le sembra più così sicura, ed è grata della possibilità di rimanere da sola con lui, anche se per pochi minuti. 

Qualcosa è cambiato tra loro dalla notte scorsa, è come se non ci fosse più bisogno di parole, di rassicurazioni, ma alcune cose devono essere dette ad alta voce.

 

 — Non è una scelta facile, per niente, non saprei cosa fare. Da un certo punto di vista mettere tutto a tacere mi sembra il male minore — comincia, china su un cassetto mentre infila della biancheria di ricambio nello zaino — ma non credo che le conseguenze sarebbero così tragiche, se decidessi di rendere pubblica ogni cosa intendo…per un po’ farebbe scalpore, ma alla fine non credo che qualcuno se ne andrebbe per questo, o che la gente se la prenderebbe con gli Uchiha. Non è colpa loro, e qualsiasi cosa avessero in mente, o… o gli sia stato ordinato di fare, qui sono le vittime, ed è giusto che Danzo paghi. Insomma…sappi che se decidi di rivelare la verità io sarò con te —

 

Ecco, era solo questo che voleva dirgli.

Lui tace, e dopo essersi sollevata si volta dalla sua parte: sembra distratto, lo sguardo perso nello scorcio di case visibile dalla finestra, ma se l’espressione del volto rimane impassibile, la postura fiera, c’è qualcosa di desolato in quello sguardo vuoto, di struggente, che la riempie di pena.

Appoggia subito lo zaino a terra per raggiungerlo, e d’impulso lo abbraccia. 

Lui si è irrigidito, e abbassa due occhi incerti, lucidi, su di lei. Non lo hai mai visto così vulnerabile, e per un momento pensa di avere sbagliato, di avere invaso uno spazio che non le apparteneva, ma poi si ritrova avviluppata dalle sue braccia.

La stringe con tale forza che le manca il respiro. 

 

 — Grazie — le sussurra all’orecchio.

 

  — Sasuke — mormora solo, e rimane così, aggrappata a lui, il cuore che rallenta piano piano nel calore sicuro del suo abbraccio.

 

Non sa bene di cosa la stia ringraziando, ma non importa in fondo, e mentre una parte di lei, la più istintiva, gode di quell’abbraccio che li unisce con la stessa intimità di un amplesso, accoglie nei pensieri, nel cuore, il peso della sua afflizione, perché non può fare altro se non condividerlo.

Non lo lascerà soffrire da solo in quel momento della vita così buio.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** 8. Qualsiasi decisione è sbagliata ***


Eccomi qua! (Ancora non ci siamo con gli spazi dell'html, ma ormai neanche ci provo più).

Il capitolo è lungo, ed alla fine ho aggiunto anche una parte dal punto di vista di Sakura, non tanto per par condicio, ma perché ho a disposizione ancora poco tempo e devo condensare parecchie cose.

Il prossimo è l’ultimo capitolo, e un po’ mi dispiace, ma al momento non ho nessuna idea per un capitolo di epilogo. :/

Come sempre un enorme grazie a chi sta seguendo tuttora la storia, e ancora di più a chi recensisce (avevo dimenticato quanto fosse stressante pubblicare!😅).
 

Buona lettura!

 

 

 

 

 

8. Qualsiasi decisione è sbagliata

 

 

 

 



Sakura dorme con lui, mentre Naruto si è piazzato con un futon nella camera accanto.

Non è mica contento di quella cosa, borbotta in riferimento alla loro sistemazione, Sakura merita un trattamento più ufficiale e decoroso, sostiene.

 

Lo pensa anche lui, ma vuole averla vicina, e vuole fare l’amore con lei, e al momento se ne frega altamente di quello che possono obiettare alcuni, o anche tutti i membri del clan.

 

Sasuke ha inviato una nota a suo fratello in cui spiega a grandi linee la situazione, o almeno quella parte di situazione di cui ritiene necessario informarlo per giustificare quella strana convivenza, e, sorprendentemente in fretta, passano cinque giorni di prigionia autoimposta all’interno delle mura del clan. 

Anche di riposo, finalmente, aggrovigliato a lei in lunghe notti tranquille. 

Non ha mai dormito così tanto, e da sveglio non ha molto tempo per pensare con loro tre forzatamente sempre insieme, ma deve ammettere che Sakura è una presenza preziosa, e Naruto non è così male: dietro l’eccesso di entusiasmo e faciloneria si nasconde la persona sincera ed affidabile che ricordava. 

 

Relegati lì non hanno niente da fare: gironzolano per il quartiere, si esercitano in semplici tecniche di taijutsu in riva al lago, ed in casa eseguono le mansioni più banali, quotidiane: puliscono, fanno la spesa, cucinano. Nessuno di loro è un granché nelle faccende domestiche, ma si arrangiano, ed è persino rilassante ritrovarsi tutti e tre in cucina cercando di imbastire qualcosa di commestibile.

 

Per lo più parlano del passato comune all’accademia, di stupidi aneddoti che pensava di avere rimosso, oppure della situazione attuale.

Naruto propone soluzioni pacifiche, improbabili, e sembra convinto che si possa sistemare ogni questione parlando, spiegandosi.

Sakura è silenziosa in quei momenti, ma ogni tanto la coglie a guardarlo pensierosa, piena di tenerezza.

 

Lui non commenta e persegue la ricerca della giusta decisione tentando di ordinare le priorità nel modo giusto, nel modo in cui sa devono essere ordinate.

 

Benché parlino poco dell’origine della situazione che si ritrovano a vivere, in Naruto, come in Sakura, c’è spesso un’ombra di indignazione che non è rivolta verso gli Uchiha, solo verso i capi del villaggio.

E’ qualcosa per cui prova un’imbarazzante gratitudine.

 

Un paio di volte Mira riesce a raggiungerli. 

Sembra felice di avere nuovi compagni di gioco, e le piacciono sia Sakura che Naruto, forse anche troppo: è quasi geloso, sarebbe geloso se non fosse che vedere Mira felice rende felice anche lui.

 

La notte si chiude in camera e fa l’amore con Sakura.

Lei si abbandona piena di passione ai suoi baci affamati, al tocco delle sue dita impazienti, e in cambio gli offre una bolla temporanea in cui placare il caos dei pensieri, ed una devozione che non riesce a dissimulare, che neppure prova a dissimulare. A volte, mentre si prende il suo corpo come si è preso tutto il resto, come si è preso il suo cuore, i suoi pensieri, e persino la tranquillità della sua vita equilibrata, prova un desiderio tale di proteggerla, di renderla felice, che tutte le priorità si confondono di nuovo, e deve ricominciare daccapo.

 

Suo fratello non si vede, ed è meglio così. Non sa ancora come affrontarlo ed è penosa persino la prospettiva di vederlo, di incrociare quello sguardo che maschera ogni pensiero, qualsiasi emozione, o pena. 

Fatica a tenere a bada i pensieri in quei giorni, ed ogni particolare può risvegliare ricordi dolorosi: spesso, anche quando cammina per le strade del suo quartiere, della sua casa, prova un improvviso disagio, e allora ogni angolo, ogni persona incontrata, diventa fonte di sofferenza, incertezza, e una velata vergogna.

 

E’ questo che siamo, metà traditori, metà fratricidi?

Meglio traditori, pensa, mentre constata amaro che si ritrova ancora pieno di domande: per quale motivo suo padre, sua madre, così dolce, volevano ribellarsi?

 

Ha trovato ben poco al riguardo tra i documenti concernenti la strage, solo nudi fatti o congetture spacciate per tali, e sa di non poter rimandare ancora a lungo un incontro con suo fratello.

 

Quella sera, dopo che ha fatto l’amore con lei, perché perdersi in lei è una delle poche cose che lo mantiene intero in quei giorni, le bacia le labbra un’ultima volta e le dice di aspettarlo.

 

Lei annuisce.

In quei giorni non parlano molto tra loro quando sono soli, e vorrebbe farle capire quanto sia preziosa la sua presenza silenziosa.

Non sa spiegarglielo a parole, così fa l’amore con lei ogni volta come se fosse l’ultima, in un goffo tentativo di mostrarle la sua gratitudine.

 

Ora attende Itachi in cucina: sa che in qualche modo lo sentirà e verrà, come sempre.

 

Quando arriva ha già versato nelle tazze il loro the preferito, quello che preparava la mamma, e sta aspettando che il suo si raffreddi seduto in tavola.

 

Itachi si mette al solito posto, di fronte a lui.

 

 — Come stai? — gli chiede studiandolo.

 

 — Bene. Tu? —

 

 — Bene —

 

Sa di mostrare un viso stanco e tirato, ma quello di suo fratello è solcato da occhiaie particolarmente profonde, e manca del consueto perfetto controllo: al di sotto dell’impassibilità emerge a tratti un violento tormento che ora è in grado di comprendere perfettamente.

Non riesce comunque a perdonarlo, non ancora.

 

 — Volevo delle delucidazioni — chiarisce con distacco.

 

 — Lo immaginavo —

 

Così gli chiede della rivolta.

Innanzitutto vuole sapere se è vero che suo padre, in quanto capo del clan, la progettava, e quando riceve la conferma vuole capire qual è il motivo che si cela al di sotto, da dove è generata quell’esigenza di rivalsa che sembra così sbagliata.

Vuole la verità, sottolinea, anche a costo di scoprire che si è trattato solo di sete di sangue.

 

Itachi narra che gli Uchiha, pur essendo tra i fondatori del villaggio, non hanno mai goduto di un vero potere politico all’interno dello stesso. Racconta del sospetto con cui venivano guardati dal secondo hokage, e della conseguente creazione del distretto che presto si è rivelato una specie di ghetto che li relegava ai confini del villaggio. Il ruolo di polizia interna li ha isolati ancora di più, spiega, e li ha resi invisi agli altri clan, che esecravano qualsiasi ingerenza esterna. Dopo l’attacco della volpe a nove code la situazione è precipitata: molti li sospettavano coinvolti, nonostante anch’essi avessero subito perdite, e da allora gli Uchiha si sono ritrovati esclusi permanentemente dalle leve del comando. All’epoca non gli era neppure permesso di arrivare ai ranghi più alti delle unità Anbu: nessun Uchiha veniva mai messo a capo di una cellula.

E’ in questo clima che il malcontento si è concretizzato ed è sfociato nella progettazione di una rivolta, un’idea sbagliata e pericolosa, che avrebbe portato ad una guerra intestina, a morte e distruzione.

 

 — Ma c’erano delle trattative in corso, vuol dire che c’era la volontà di trattare — obietta lui.

 

 — Ad un certo punto non è più stato possibile, e Danzo ha impartito l’ordine finale. Pensavo fosse l’unica soluzione possibile, la meno cruenta —

 

Sasuke non ha un verdetto per lui, né di condanna né di assoluzione, riconosce solo l’orrore della soluzione che è stata trovata, e l’ingiustizia intrinseca della situazione.

Sa che non avrebbe mai fatto la scelta di Itachi, magari sbagliando ancor di più, magari sporcandosi le mani del sangue di un maggior numero di gente innocente, ma non avrebbe mai messo il villaggio sopra la propria famiglia: in fondo, comprende, neppure lui, come Sakura, è un ninja perfetto. 

 

  — …non ti chiedo di perdonarmi, è un tormento che mi porterò sempre dentro — continua Itachi. Prende la tazza di the, la solleva, e la ripone senza neppure assaggiare.

— Cos’hai deciso di fare al riguardo? — chiede invece.

 

 — Ho un’idea, ma sto ancora valutando i pro e i contro — 

 

 — Qualsiasi sia la tua decisione, l’appoggerò —

 

E’ un po’ come passare a lui il fardello, ma gli va bene, è un fardello che ha sollecitato lui stesso ed è disposto a sopportare.

 

Non rimane più niente da chiarire, e presa ognuno la propria tazza sorseggiano il the insieme, in silenzio.

Si è raffreddato ormai, pensa lui, e non è buono come quello che preparava sua madre.

Dovrà considerare anche i suoi, dovrà chiedersi cos’è il meglio anche per loro, per la loro memoria, soprattutto dovrà considerare il futuro del clan, il futuro di Mira, dei figli che un giorno, forse, anche lui avrà.

 

Quello che lui desidera non ha importanza, neppure ciò che è giusto, e ormai sa che qualsiasi decisione lascerà l’amaro in bocca, perché non ne esiste una giusta o sbagliata. Sono tutte sbagliate in un modo o nell’altro.

 

Itachi se ne va poco dopo, la schiena dritta nonostante il peso insopportabile, come si richiede ad un Uchiha, e lui sta per tornare a dormire, o a fare l’amore, quando riceve uno dei messaggeri di carta di Sai. 

 

Dice che sono tutti in pericolo, che Danzo ha convinto gli anziani a destituire Kakashi, che potrebbe diventare lui il prossimo Hokage.

Non è sorpreso: probabilmente ha usato l’occhio di Shisui, che è in grado di modificare e controllare i pensieri. 

 

Devono trovarsi tra meno di un’ora nel distretto degli Hyuuga, e Sasuke sveglia Sakura con un bacio, e Naruto con un calcio.

 

Non è preoccupato, perché ha deciso finalmente cosa fare.

 

Un’ora più tardi sono tutti lì, compreso Kakashi. 

La tensione è palpabile nelle voci concitate, negli sguardi sospesi tra l’incredulità e l’incertezza, mentre ogni tanto qualcuno lo guarda di sottecchi.

 

 — La situazione sta precipitando — comincia Kakashi senza più nemmeno l’ombra di quella sua aria sorniona — dobbiamo prendere qualche decisione e formulare un piano, in fretta. Qualche idea? Shikamaru? —

 

 — Io ho già preso la mia decisione, e credo di avere la soluzione — lo interrompe Sasuke tastando il sassolino di Mira che tiene ancora in tasca.

 

Si voltano tutti a guardarlo, in attesa, mentre Sakura gli prende improvvisamente l’altra mano e la stringe, come ha già fatto durante l’ultimo incontro. 

Lui stacca la sua, ma sa che lei sarà con lui qualsiasi sia la sua scelta, e le sarà sempre grato per questo.

 

 — Ho deciso di non rendere pubblico ciò che abbiamo scoperto: sarebbe destabilizzante, e più negativo che positivo per la mia gente —

 

Ha pensato alla memoria dei suoi, all’impatto che la divulgazione della verità potrebbe avere sulla vita e il prestigio di Itachi, il capo clan, e un fratello cui non riesce a non volere bene nonostante tutto, ma sopra ogni cosa è stato il pensiero di Mira che lo ha portato a questa decisione, il desiderio di lasciarla crescere nell’ambiente più sereno possibile, con un padre da amare senza ombre. In questo, solo in questo, riesce a capire cos’ha spinto suo fratello a tenerlo all’oscuro.

 

Nessuno commenta, e Kakashi appare visibilmente sollevato.

 

 — Allora parlerò con Danzo, cercherò di… —

 

 — No. Non ho ancora finito — lo interrompe — Mi occuperò io di Danzo, con o senza autorizzazione. Non solo perché è giusto che paghi per ciò che ha fatto: non gli permetterò di andarsene in giro con quegli sharingan impiantati, e non posso lasciarlo vivo, è una minaccia per me, il mio clan, e voi —

 

Se deve agire senza autorizzazione, persino da ninja traditore, non si tirerà indietro, ma forse, spera, non sarà necessario.

 

Neji annuisce, Shikamaru sembra soddisfatto, l’hokage fissa a terra pensieroso, e gli altri si limitano a non commentare, ma lo guardano con un’espressione dura, determinata, di approvazione.

Solo Sakura sembra preoccupata.

 

 — Devi farlo presto — interviene Shikamaru — e non qui, bisogna attirarlo fuori dal villaggio. Così sarà più facile coprire ogni cosa — conclude rivolto a Kakashi — Sosterremo che è rimasto ucciso da ninja ignoti, diciamo che è il karma —

 

Qualcuno si lascia sfuggire una risatina nervosa, e tutti iniziano a confabulare tra di loro, a gruppetti, mentre Shikamaru discute con l’hokage.

 

Naruto decide che è giunto il momento di dargli una pacca sulla spalla, irritandolo, e Sai si avvicina con quel suo sorriso inquietante.

 

 — Sei sicuro di batterlo? — gli chiede — Tu hai solo due occhi in fondo —

 

 — Sono sicuro —

 

 — E poi lo aiuto io! — interviene Naruto.

 

 — Ed io — aggiunge Sakura con fermezza — non sognatevi neanche di considerare l’idea di lasciarmi indietro —

 

 — Ne parliamo dopo — taglia corto lui, pensando che non ha nessuna intenzione di coinvolgerli in qualcosa che può ancora concludersi in un disastro. 

 

Poco dopo Kakashi comunica ai presenti che è deciso: inviterà Danzo ad un colloquio privato al di fuori del villaggio per chiudere definitivamente la faccenda. 

Si dice convinto che l’offerta verrà accettata senza indugio, ma non nasconde l’espressione preoccupata. 

 

Al contrario Sasuke è finalmente sereno, perché la decisione è presa, e il percorso è chiaro: non ha paura, presto ucciderà Danzo e tutto sarà finito.

 

Per gli altri è diverso, non è una questione personale per loro, e legge una forte tensione negli sguardi, negli atteggiamenti.

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Sakura è appena entrata in camera, in quella che sta dividendo con lui da diversi giorni ormai, e pensierosa lo osserva chiudere la porta dietro di sé.

 

E’ tardissimo, non manca molto all’alba, ed è meglio sfruttare quelle poche ore di sonno rimaste, se ci riesce.

Si è rilassata troppo in quei giorni, si è adagiata scioccamente nella pace illusoria che quella parentesi dorata (al cui interno, solo perché erano assieme, tutto pareva possibile, persino facile) ha creato. Adesso sono di nuovo in piena emergenza, e deve pensare ad un piano, in fretta: Sasuke ha appena comunicato a lei, e agli altri, che vuole affrontare Danzo da solo, che deve affrontarlo da solo, che spetta a lui oltre a rappresentare la soluzione migliore per tutti.

Kakashi ha approvato, ma non va bene così.

Lei sa che non va bene così.

 

Ha già una mezza idea in proposito, un mezzo piano, deve solo perfezionarlo e trovare il modo per parlarne con Naruto di nascosto: non crede che Sasuke apprezzerà, ma ci sono cose più importanti della sua approvazione, e la sua vita di sicuro è una di queste.

 

 — Vai pure tu in bagno, io aspetto — gli dice seria, sbirciandolo appena.

 

 — Non preoccuparti per me — le replica mentre si sfila la maglia di dosso, perché sa leggerla come nessun altro.

 

Fosse facile.

 

Si siede sul bordo del letto e lo guarda entrare in bagno ancora tesa, pensierosa, poi richiama una lumachina e le affida un messaggio da portare a Naruto, nella stanza accanto.

 

 — Attenta a non farti scoprire — sussurra dopo averla ringraziata.

 

Nel frattempo si volta a controllare la porta accostata del bagno, per accertarsi che lui non si sia accorto di nulla. Sente l’acqua scorrere, ma non vuol dire: Sasuke è intelligente ed estremamente attento. Spera sia troppo preso dai propri pensieri per sospettare qualcosa, in ogni caso è fatta, non vuole più pensarci. Ci penserà domani.

 

E’ così stanca ora, ha sonno, e tutta la tensione di quei giorni, e dei giorni che verranno, se la sente premere sul petto.

Se per lei è un peso gravoso, non sa immaginare cosa possa essere per lui, come deve essere portare sulle spalle il peso di quel passato oscuro, e di una decisione così difficile.

E’ talmente stanca che quel pensiero le inumidisce gli occhi.

 

E’ ancora lì seduta quando lo vede uscire dal bagno: ha solo un asciugamano addosso, arrotolato precariamente in vita, e con un altro si tampona i capelli bagnati.

 

Lo ammira in silenzio, e il fuoco del suo sguardo le genera un brivido sulla pelle che cancella ogni altro pensiero. 

Sarà uno dei ricordi più belli, fare l’amore con lui, o anche solo giacere nuda tra le sue braccia, le loro membra allacciate in un nodo che li avviluppa languido. Sentirsi avvolta in quella sicurezza effimera, incantata, schermata dal mondo esterno.

Chissà cosa sarà di loro tra pochi giorni, quando in un modo o nell’altro tutto finirà.

Lei tornerà a casa, finalmente libera dall’ombra di tutti quegli intrighi, da pericoli incombenti e sospetti destabilizzanti…ma loro due? Cosa sarà di loro due?

Gli Uchiha gli imporranno di lasciarla? 

 

E’ probabile.

 

E’ un tarlo che le rode il cuore e le avvelena i pensieri, e non l’annienta solo perché ancora non concepisce che possa finire così, ma è lo scenario più realistico, inutile negarlo, e non sa come potrà separarsi da lui e rimanere intera.

Non importa, si dice, e serra il suo inutile cruccio dentro di sé, perché non può trasformarsi in un altro problema per lui, non vuole diventare un’altra scelta crudele.

 

Sasuke si avvicina, e lei fa scorrere lo sguardo sulla sua pelle; scivola giù, come la goccia d’acqua che sta scendendo sul suo torace, lungo quello splendido corpo che le è diventato così familiare, indispensabile ormai, le pare.

E’ consapevole dei suoi occhi brucianti che la scrutano, e avverte ancora quel fremito che cancella il tempo e lo spazio circostante.

 

Si alza in fretta dicendosi che non è proprio il momento di pensare alla carne, ma lui si è già spostato di fronte a lei e le sue dita la toccano, le accarezzano lentamente la spalla, il collo, la linea del viso, irradiando piccoli brividi che si espandono sulla spina dorsale, fino al ventre.

 

Sarebbe meglio andare, ma ancora indugia, ebbra della sua vicinanza, e lo guarda negli occhi senza nascondere il suo desiderio, tantomeno il suo amore. Caccia il pensiero importuno che sia temporaneo, quella paura, più assillante man mano che si avvicina la fine, di non poterlo avere mai più, di tornare a vederlo da lontano, un’ombra irraggiungibile. 

 

 — Cosa c’è — 

 

 — Sono solo stanca — risponde distogliendo lo sguardo; non è esattamente una bugia, solo una mezza verità — Vado in bagno — aggiunge sospirando.

 

Lui la trattiene per la spalla.

 

 — Sei arrabbiata? — le chiede scrutandola.

 

Non è arrabbiata, o forse sì, è difficile venire a capo delle proprie emozioni in quel momento.

 

 — Non sono arrabbiata, ma neppure contenta — prova a spiegare — …sai come la penso, non è giusto che affronti Danzo da solo — 

 

 — Sono problemi miei, devo affrontarli da solo —

 

Lo sa che lui è così, che non confida in nessuno se non se stesso, ma adesso è troppo stanca per controllare il fastidio che questo suo lato le suscita.

 

 — Pensi e agisci sempre come se fossi da solo — sbotta frustrata — …magari è la scelta migliore in prospettiva, ma abbiamo condiviso così tanto, e siamo ancora qui, insieme, anche se per poco —

 

Lui non risponde, e per un istante il terreno perde solidità e in un punto preciso del cuore le si apre uno spazio vuoto, un presagio della solitudine che arriverà: così si sentirà presto, così deve finire, lo sapeva fin dall’inizio.

 

 — Va bene, capisco — mormora solo.

 

 — …Sakura…ascolta… — le dice lui sfiorandole i capelli — dopo, quando tutto questo finisce, chiederò a Kakashi il permesso di andarmene via per qualche mese: ho bisogno di stare lontano da tutto —

 

 — Ah — fa irrigidendosi e spostando lo sguardo sulla parete di fronte — Capisco. Mi sembra una buona idea — 

 

Si sforza di mantenere ferma la voce, non vuole mostrare alcuna debolezza, a qualcosa saranno serviti, no?!, tutti quegli anni sprecati a tentare di contenere le proprie emozioni, ad essere un ninja migliore.

Ma è così difficile incontrare i suoi occhi quando le prende l’ovale del viso nel palmo della mano e la costringe a guardarlo.

Si sente avvolgere da quel fuoco nero, e c’è qualcosa nella sua espressione, una dolcezza e un calore che contraddicono le sue parole e la lasciano sospesa. Lo fissa ammaliata, così innamorata, e sente frastornata il tocco delle sue dita sulla fronte: riconosce l’intimità di quel gesto d’affetto, ma non capisce a cosa alluda.

E’ ancora più difficile quando lui appoggia le mani sui suoi fianchi e l’attira a sé.

— …mi aspetteresti? — le sussurra all’orecchio.

Le sembra di percepire il calore del suo corpo e le arriva alle narici il profumo dello shampoo che ha appena usato; le sue labbra indugiano sulla pelle delicata del collo, le sue parole la inchiodano a quel momento, a quell’emozione, e le ci vuole qualche secondo per registrare la domanda, per capire appieno il suo significato.

 

 — Io…Sas’ke — balbetta infine — …non è temporaneo? Non siamo temporanei noi due? — 

 

Lui solleva la testa.

 

 — Tu pensi che lo siamo? — ribatte.

 

 — Non è così? —

 

 — Non sei temporanea. Non lo sei più da tempo  —

 

— Ma…il clan? —

 

— Non mi importa di clan, leggi, o patrimoni genetici — le carezza la guancia e indugia con le dita tra i suoi capelli —…siamo solo io e te, se tu mi vuoi —

 

Non risponde subito, e per una frazione di secondo si bea dell’incertezza che gli legge nel volto, una piccola vendetta infantile, poi gli circonda il collo con le braccia, il cuore che batte turbinoso nel petto.

 

  — Ti voglio — risponde decisa — Ti amo — aggiunge serena.

 

Perché lo ama così tanto, non gliel’ha dimostrato abbastanza? Ed è tutto ciò che desidera, la possibilità di offrirgli intero quell’amore che ha provato invano a comprimere dentro di sè, che le gonfia il cuore per il bisogno di uscire ed espandersi fino a lui. 

Un amore che non fa male, giura a se stessa, privo di sensi di colpa, ricatti, o rimpianti, senza ombre. 

 

E per il resto…non sarà facile lottare contro le leggi del clan e del villaggio, anche quelle non scritte, ma non teme le difficoltà, non potrà essere peggio di ciò che stanno affrontando, e saranno insieme, le affronteranno insieme.

 

Lui adesso le bacia il collo a quel modo, preme addosso a lei inondandola della sua presenza, della fisicità del suo corpo e di tutto ciò che racchiude, dei suoi pensieri così diversi dai suoi, del suo passato, del suo presente, che lo rendono quello che è. 

 

 — Mi aspetterai? — le chiede di nuovo.

 

 — Ti aspetterò — dichiara quando lui solleva il volto per guardarla — ma ti prego, non farmi aspettare tanto —

 

Si fissano negli occhi e non c’è più bisogno di parole: tutto il resto, i dubbi, l'emergenza del momento, scompare.

Gli sorride mentre il cuore sussulta di gioia per quel nuovo futuro che si schiude, e lui risponde con un sorriso suo, stupendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** 9. Una fine e un inizio ***


Eccomi qua. 

In questo capitolo c’è il confronto con Danzo, e chiedo venia sin da ora per la mia incapacità nel descrivere gli scontri: mi sono sciroppata anche alcuni combattimenti per documentarmi, aiuto! ed alla fine, per usare un eufemismo, non l’ho tirata per le lunghe…onestamente non ne avevo voglia (e neanche le capacità!). 

C’è poi un ultimo incontro con Itachi, che non è ancora in pace con se stesso come quello del manga, anche perché non è morto suppongo.

Che altro dire, ah sì: in mancanza di un capitolo di epilogo ho riassunto in poche righe finali alcuni mesi, meglio di niente.
Spero il tutto risulti per lo meno decente.

I saluti alla fine!

 

 

 

 

 

9. Una fine e un inizio

 

 

 

 

 

Sasuke aggiusta impassibile la benda che gli copre il tatuaggio sul polso, e fa scorrere un’ultima volta lo sguardo lungo il perimetro della radura.

 

E’ lì che Danzo deve arrivare, non manca molto all’appuntamento.

 

Poco dopo lo vede apparire al limitare del bosco, esitare appena, ed uscire a passo deciso nello spazio aperto.

 

Non è solo come ha promesso, ci sono tre ninja con lui, e probabilmente altri sono nascosti tra gli alberi: forse ha subodorato la trappola, o forse anche lui ne ha tesa una.

Non può certo sorprendersi o indignarsi per questo.

 

Emerge a sua volta dall’ombra protettiva dei rami, ed incrocia lo sguardo beffardo di Danzo mentre gli si avvicina attraverso la spianata erbosa.

 

 — Un Uchiha. Così si trattava di una trappola — constata l’altro quasi compiaciuto.

 

Lui non risponde e continua ad avanzare.

Intanto osserva i suoi avversari considerando brevemente la strategia migliore da adottare: non deve più preoccuparsi dell’occhio di Shisui, con il mangekyou può disperdere facilmente l’illusione creata da questa versione più debole, ma ci sono altri dieci sharingan nascosti, incastonati nel braccio bendato, e per quanto il loro potere non possa essere paragonato a quello detenuto dai proprietari originali, deve stare molto attento. 

 

Gli altri ninja non lo preoccupano, anzi: riconosce i due fratelli che ora gli sbarrano la strada, sono quelli che hanno tentato di uccidere Sakura, e non gli dispiace affatto di avere l’opportunità di eliminarli assieme a Danzo.

 

Con la coda dell’occhio percepisce una fluttuazione nell’aria, e l’arpione che la scimmia gli ha lanciato contro colpisce solo lo spazio vuoto che ha lasciato. Subito dopo riappare a pochi metri di distanza dal suo avversario, e gli lancia contro due shuriken; quando l’altro li schiva con un salto, li tira indietro con dei fili invisibili, colpendolo in pieno: non intende sprecare troppa energia per annientare lui e suo fratello.

Nel frattempo l’altro, il puma, si avventa su di lui con una corsa zigzagante che non sarà sufficiente a salvarlo.

 

In un movimento fluido estrae la spada: adesso è nel pieno delle forze, non più debole come l’altra volta, e li può schiacciare facilmente con o senza quel nuovo potere che non padroneggia ancora alla perfezione, ma non vuole perdere tempo. 

Con la lama intrisa di un chidori diffuso, disperde in un istante il muro di fango che si sta abbattendo su di lui, e non serve lo sharingan per evitare l’impatto con la corta daga avvelenata del puma. Scarta appena di fianco e quando l’altro si sbilancia gli afferra il braccio piegandolo con un colpo secco ad un angolo sbagliato. Sente lo schiocco delle ossa che si spaccano e sollevatolo di peso lo scaraventa lontano, mentre forma un chidori per disintegrare la nuova onda fangosa che gli arriva da dietro. 

La scimmia si è rialzata e nonostante la ferita al fianco prova a piombargli addosso: lui ha già preso lo slancio per raggiungere il puma, che finisce con un fendente della spada trasformata in una lunga lancia elettrica, e intanto attiva quel nuovo potere oculare e intacca la scimmia col fuoco nero dell’amaterasu.

Il ninja cade a terra e gridando tenta di strapparsi le vesti per liberarsene, ma ha mirato alla pelle esposta del collo e quel fuoco non si estingue: non c’è più niente da fare.

 

L’azione è durata pochissimo, e Danzo non si è mosso. Sasuke ha spento il fuoco prima che si espanda incontrollato, e si concentra su di lui, e sull’uomo che rimane al suo fianco, quello che lancia ondate di fango: sospetta che altri siano in agguato nell’ombra, pronti ad intervenire al momento opportuno.

L’uomo del fango inizia a generare un’onda ma la estingue subito ad un cenno di Danzo.

 

 — Lascia, me ne occupo io — gli ordina facendo un passo in avanti — Sapevo che avrei dovuto sterminarvi tutti — sibila poi rivolgendosi a lui.

 

Ha iniziato a srotolare la benda che gli copre il braccio, e un occhio rosso si apre e fissa ipnotico nel nulla.

 

Sasuke lo studia apparentemente impassibile, pronto ad affrontarlo.

Una parte di lui si chiede a chi possa essere appartenuto quell’occhio, se ci sia anche quello di suo padre lì in mezzo, e un guizzo di rabbia scalfisce appena la superficie.

 

 — Ti ucciderò, lo sai, e mi impossesserò dei tuoi occhi — minaccia Danzo.

 

 — Come hai ucciso i miei genitori? — replica amaro.

 

 — Quelli non li ho uccisi io. E’ stato Itachi, tuo fratello, giusto? …un compromesso sbagliato, sarebbe stato meglio eliminarvi tutti — 

 

 — Avresti fatto meglio — concorda freddamente, e fa un passo in avanti sforzandosi di contenere quel grumo di rabbia pulsante che solo la vista di quell’uomo gli risveglia — Perché ammazzarci così? — chiede — Perché tutto quest’odio? —

 

 — Perché? Non lo hai capito? Per il villaggio. Tuo fratello lo ha capito, tutto quello che faccio è per il bene di Konoha, sempre: ho solo sventato un colpo di stato nella maniera più efficace —

 

 — Vuoi dire che non c’era un altro modo? — 

 

 — Non c’era altro modo perché siete voi: gente pericolosa, che non obbedisce, non si adatta, non rispetta i limiti: lungi dall’essere ninja perfetti, siete difettosi…e sfortunatamente avete troppo potere. Siete una minaccia per Konoha, lo siete sempre stati —

 

Non riesce a capire, probabilmente non ci riuscirà mai, riconosce solo la sua diversità da quest’uomo, un ninja perfetto forse, ma un uomo miserabile, ed è strano a pensarci, ma la rabbia invece di aumentare si sta affievolendo. Lascia il posto ad una stanchezza che non è fisica, solo interiore: è stanco di tutto questo, stanco dell’odio, della tensione, del dolore e dei ricordi, vuole finalmente riposarsi, finalmente dimenticare.

 

 — Sistemiamo la cosa in fretta — mormora più che altro a se stesso stringendo l’elsa della spada.

 

— Sì, non c’è tempo, dopo devo occuparmi di Kakashi e degli altri, finiamola in fretta…sei arrogante, come un Uchiha, ma hai solo due occhi in fondo — 

 

 — Mi bastano per ucciderti — 

 

Danzo lo guarda quasi divertito.

 

 — Davvero credi di riuscirci? — chiede — Che illuso. Sei solo, e morirai solo: la tua stessa famiglia ti ha rinnegato, e… —

 

Non termina la frase, un’improvvisa vibrazione nell’aria lo distrae.

 

Sakura appare dal nulla di fianco a lui, e dopo averlo guardato per una frazione di secondo, come per assicurarsi che stia bene, si volta a fronteggiare il nemico.

Le aveva detto di non venire e teoricamente non dovrebbe conoscere l’ubicazione dell’incontro, ma non è sorpreso, e neppure arrabbiato come pensava.

Solo preoccupato, perché come sempre la sua mera presenza altera lo schema delle priorità, ed ora dovrà pensare a proteggerla.

 

 —  Non è solo — afferma decisa lei, così bella con quello sguardo fiero, appassionato.

 

Neppure Danzo sembra sorpreso di vederla.

 

 — La traditrice, dovevo immaginarlo — annota sarcastico muovendo il braccio come per saggiarne la forza — morirai col tuo amante —

 

 — Ci sono anch’io, eh! — proclamano tre Naruto simultaneamente, parandoglisi davanti.

 

E’ un’apparizione così inaspettata che l’altro si blocca, raggelato, e la vista di quei cloni sembra finalmente scuoterlo.

 

 — Tu non dovresti stare vicino ad un Uchiha! — grida furioso, il braccio sollevato in un gesto minaccioso.

 

Sasuke guarda le iridi rosse che lo punteggiano, che roteano meccanicamente con lo sharingan attivato, e caccia il disgusto che quel braccio gli suscita, che quegli occhi gli suscitano, mentre si prepara all’offensiva controllando la posizione dell’altro ninja, e, con la coda dell’occhio, che Sakura sia al sicuro al suo fianco.

 

E’ pronto al contrattacco quando Danzo abbozza un movimento e si immobilizza a mezz’aria: qualcosa lo blocca, un’ombra, l’ombra per cui sono famosi i Nara.

 

Ad uno ad uno emergono tutti gli altri dalla foresta: Neji con Hinata, Sai, Ino e infine Shikamaru stesso.

 

Danzo e il suo uomo si voltano a guardarli increduli.

 

— Cosa… — 

 

 — Diciamo che questa è un’esecuzione e siamo qui in rappresentanza dei maggiori clan di Konoha — spiega Shikamaru, mentre Neji fa cadere a terra un corpo che ha trascinato fin lì, probabilmente uno dei ninja nascosti.

 

 — Ed io rappresento il potere centrale — conclude Kakashi avanzando per ultimo dal limitare del bosco.

 

Danzo li scruta con sdegno, ma adesso fatica a nascondere il turbamento.

 

 — Tradite tutti Konoha? — fa uscire con disprezzo.

 

 — No, tu l’hai tradita! — grida Naruto con enfasi.

 

 — Io sono Konoha, e gli Uchiha sono nostri nemici! La loro arroganza e sete di potere porterà alla distruzione del villaggio! —

 

 — Senti chi parla — bisbiglia Sakura al suo fianco, e lui non ha più voglia di ascoltare quell’uomo, tantomeno di guardare lo scempio che ha sul braccio, e fa un passo in avanti deciso a porre fine in fretta a quella farsa.

 

Lo hanno circondando ormai, quando all’improvviso Danzo scompare davanti ai loro occhi.

 

 — Non può essere una sostituzione. Cosa è successo? — chiede Shikamaru ritirando l’ombra ormai inutile.

 

 — Ha usato Izagami: è uno dei poteri oculari più forti, può trasformare gli ultimi dieci minuti di tempo in illusione — spiega Sasuke — Si può usare solo una volta e rende l’occhio inutilizzabile, ora ne hai uno in meno, vero? — conclude mentre attorno a lui si erge l’armatura violacea del susanoo. 

Appena in tempo, perché l’altro si è materializzato alle sue spalle.

 

Si volta a fronteggiarlo con l’armatura che si espande fino a formare uno spaventoso guerriero fiammeggiante.

 

 — Voi fratelli dovevate morire quella notte! — urla quel bastardo mentre tutti gli occhi, tranne uno, si spalancano —Tu… —

 

Non ha ancora finito di parlare che il susanoo si abbatte su di lui e gli trancia il braccio di netto con un colpo di spada.

 

 — Come è possibile… — fa uscire Danzo, incredulo.

 

— Che questa volta Izanagi non funzioni? Eri prigioniero di una mia illusione ed hai usato lo stesso occhio di prima pensando che fosse ancora attivo. Ma ora basta: finiamola in fretta, sono stanco di ascoltarti — conclude lui dall’interno, mentre i suoi compagni si occupano dell’altro uomo.

 

___

 

E’ stato un lavoro più pulito e veloce di quel che pensasse, e deve concede a Sakura e Naruto, ai suoi amici, aggiunge tastando in bocca il suono di quella parola desueta, che la loro presenza ha reso tutto non solo più semplice, ma anche più accettabile, più ordinato e giusto. Più sano in un certo senso.

 

Mentre predisponevano lo scenario per la copertura che avevano ideato, Shikamaru gli ha raccontato che nei rotoli che lui ha scartato quella sera, perché contenenti fatti non inerenti al suo clan, ha scovato diversi altri atti esecrabili compiuti da Danzo con la Root.

 

 — Quello sta bene morto — ha concluso freddamente.

 

Si sono allontanati da lì con un senso di giustizia compiuta che li ha in qualche modo accomunati.

 

 Adesso Sasuke è tornato da poco, si è lavato via il sudore e il residuo secco di sangue altrui, e aspetta suo fratello.

Sta ancora preparando il the quando lo vede entrare in cucina con la consueta maschera d’indifferenza.

Itachi si siede in tavola, e gli chiede se gli ospiti sono andati via.

 

Lui è ancora in piedi, sta versando l’acqua bollente nella teiera, e risponde a monosillabi.

Non parlano di Danzo anche se è sicuro che Itachi sappia qualcosa, perché suo fratello sa sempre tutto, troppo forse.

 

Sta riempiendo le tazze quando Mira irrompe nella stanza: corre incontro allo zio, ma si blocca non appena scorge la sagoma seduta di suo padre.

 

 — Padre! — esclama estasiata avvicinandosi a lui.

Si ferma prima di toccarlo, e abbozza un breve accenno ad un inchino.

 

 — Ciao Mira. Se non sbaglio tua madre non vuole che tu ti intrufoli qui a tutte le ore — 

 

 — Ma domani inizio l’accademia! — spiega lei senza riuscire a nascondere l’entusiasmo.

 

 Mira non ha mai mostrato un interesse particolare per le arti ninja, e finora hanno lasciato che vivesse la propria prima infanzia come meglio volesse, ma presto tutto cambierà per lei. Non avrà più il tempo per giocare, perché dopo la scuola dovrà seguire lezioni private all’interno del clan.

 

 — Diventerò un ninja medico! — afferma con enfasi, gli occhi che brillano.

 

 — Se avrai il talento necessario — concorda Itachi con il fantasma di un sorriso.

E’ l’unico sorriso che si concede, quello per sua figlia, l’unico possibile momento di gioia che riesce a permettersi, anche se solo per un brevissimo istante.

 

 — Lo avrò, e guarirò lo zio! E tutti! —

 

Sasuke sa che è improbabile che Mira abbia il talento necessario per diventare un ninja medico, gli Uchiha non sono portati per le arti mediche, sono nati per uccidere, non per curare.

 

Ha poggiato tre tazze in tavola e si è seduto a sua volta dopo aver sollevato la bimba ed averla sistemata su un alto sgabello che tiene solo per lei.

 

 — Sakura dice che se lo voglio veramente e se mi impegno posso fare tutto quello che voglio! — continua lei con una determinazione nuova — mi accompagni domani zio? — chiede rivolta a lui.

 

 — E la mamma? —

 

 — Non sta bene —

 

Suppone che sia per la nuova gravidanza, se ben ricorda anche quella di Mira è stata difficile.

 

 — Ti accompagnerò io stesso — interviene Itachi, e Mira sfodera un sorriso splendente di felicità, perché nonostante lo veda raramente ama profondamente suo padre, e vorrebbe così tanto renderlo fiero.

 — …ora però va a dormire — 

 

 — Posso finire il mio the? —

 

 — E’ meglio di no, domani devi alzarti presto —

 

La bambina scende da sola dallo sgabello, in silenzio: a differenza di come agisce con lo zio, obbedisce sempre senza discutere alle richieste del padre. 

 

 — Vieni — la chiama Itachi, e lei si avvicina composta — buonanotte Mira — la saluta, e con l’indice e il medio accenna ad un colpetto sulla fronte.

Mira lo fissa con il suo visetto pieno di vita, carico di quell’entusiasmo che sembra espandersi, riflettersi sulle pareti della stanza e raggiunge di rimbalzo anche le loro figure scure, opache del loro vissuto.

E’ solo un istante, Itachi torna impenetrabile e la bimba li saluta educatamente prima di correre in fondo al corridoio e svanire assieme alle scintille di gioia che porta con sé.

 

Adesso sono tornati soli, e per una manciata di minuti sorseggiano il the in silenzio.

 

 — Presto avrete bisogno di più spazio — rompe il silenzio lui — è giusto che tu abbia l’intera casa —

 

 — Ne abbiamo già discusso e… —

 

 — Me ne vado comunque — lo interrompe sollevando la mano — Tra pochi giorni, ne ho parlato già con l’hokage. Starò via per qualche mese, e quando torno mi cerco un posto fuori da qui —

 

Itachi non mostra la sorpresa che deve provare, dal momento che è sicuro che questo non possa averlo saputo, e nemmeno previsto.

 

 — Sai che non ci è permesso vivere al di fuori del distretto — obbietta solo.

 

 — Che vengano ad arrestarmi — replica lui con un ghigno. 

 

Itachi lo guarda serio e non sembra approvare, ma neppure esterna la sua contrarietà. E’ difficile leggerlo anche per lui in questi momenti.

 

 — Sei deciso, vedo — commenta austero.

 

— Sì, ho bisogno di andarmene. Verrò a trovarvi il più possibile, vorrei vedere Mira regolarmente —

 

Finiscono il the senza più parlare, ma ancora non si alzano.

 

 — Posso capire che tu voglia allontanarti da me — mormora Itachi pensieroso dopo alcuni secondi, o minuti, e un lampo di tristezza gli increspa lo sguardo e subito scompare.

 

 — No, non è quello, ti ho perdonato —

 

Non esita nel dirlo, e non c’è alcun fondo di amarezza. Lo ha perdonato perché è suo fratello, la sua unica famiglia, e perché ha capito che è stato usato da altri, che in quel momento credeva, gli è stato fatto credere, che fosse l’unica soluzione, e perché già ha pagato, sta pagando, abbastanza. Pagherà per tutta la vita.

Itachi lo fissa ancora con la sua perfetta maschera di calma apparente, ma Sasuke adesso non ha bisogno di leggere al di sotto, sa già cosa si trova lì: frammenti di emozioni mai sopite che non può più mostrare, e neppure provare, ormai sommerse da un senso di colpa onnipresente e invincibile.

 

 — Allora perché te ne vai? — chiede impassibile.

 

 — Diciamo che ho bisogno di pensare a me, e che mi sento libero di scegliere di fare quello che preferisco. Basta segregazioni, o segreti —

 

 — Ciò che ci isola è anche ciò che ci tiene compatti, se ci amalgamiamo rischiamo di perdere la nostra identità, e la nostra forza —

 

 — Pazienza. E’ il destino che aspetta tutti quanti prima o poi: famiglie, clan, nazioni —

 

 — Suppongo che tu abbia ragione, io non riesco più a distinguere tra giusto e sbagliato — mormora Itachi alzandosi — ma spero che cambi idea: questa è casa tua —

 

Sasuke lo guarda allontanarsi, le spalle immancabilmente dritte, e vorrebbe fermarlo, urlargli che gli vuole bene, rompere in qualche modo quel muro di parole non dette, e scuotere quella fittizia compostezza che li divide, ma è tutto ciò che resta a suo fratello per rimanere in piedi, non può privarlo della sua unica stampella.

In fondo, pensa, certe cose non è necessario dirle ad alta voce.

 

Due giorni dopo è pronto prima dell’alba, e mentre sta uscendo dalla porta scorge la sagoma di Itachi, sotto al portico.

Suo fratello lo guarda da lontano, senza avvicinarsi, e, forse perché gli ha fatto da padre e da madre, ha negli occhi quella stessa espressione che ha riservato alla figlia il giorno prima, quando seguiva la sua figurina che entrava eccitata in accademia, quel misto di accettazione e turbamento, orgoglio e incertezza.

Gli fa un cenno di assenso, e svanisce nell’aria fresca del mattino, mentre un principio d’alba tinge di rosa i contorni del cielo.

 

Trova Sakura ai cancelli del villaggio, quando ancora il sole si cela, protetto dall’interminabile foresta che circonda il villaggio, ma la notte è stata spazzata via dalla luce.

Si sono già salutati poche ore prima, si sono già detti tutto, e non si aspettava di trovarla lì.

 

 — Ti ho portato delle pillole per ogni evenienza — gli spiega lei tentando di mostrarsi impassibile, e gli porge un pacchetto che deve contenere almeno un centinaio pillole, date le dimensioni — le ho divise per sacchettini ed ho scritto in ognuno a cosa servono — 

 

 — Grazie — risponde prendendo il pacco.

 

 — …tre mesi allora — aggiunge apparentemente tranquilla.

 

 — Sì, tre mesi —

 

Lei solleva il volto e per una frazione di secondo lo guarda con due occhi sgranati, imploranti, bellissimi. 

 

 — …non dimenticarmi, non dimenticarti di noi due — sussurra.

Come se fosse possibile.

 

 — Non dimenticarmi nemmeno tu — risponde sentendosi invadere da una nostalgia struggente, per lei, per il suo corpo, il suo sorriso. Per quel mondo che esiste quando sono insieme — Sono solo tre mesi. Passano in fretta — e non sa se deve convincere lei o se stesso.

 

 — Sì, lo so —

 

Si stanno ancora guardando quando compare Naruto.

 

— Non sto interrompendo qualcosa, vero? — esclama intromettendosi senza nessuna remora nonostante le parole appena pronunciate — Tieni bastardo, lo hai dimenticato —

 

 — Cos’è? — chiede guardando scettico l’involto che tiene nella mano tesa.

 

 — Cos’è quell’aria sospettosa? Non è ramen, è la tua bandana con il simbolo di Konoha, me l’ha data tuo fratello…vengo da casa tua, pensavo fossi ancora lì — si giustifica ghignando.

 

Lui la accetta incerto.

 

 — E’ per ricordarti che nonostante tutto sei uno di noi —

 

 — Naruto è stato trattato male dal villaggio un tempo — spiega Sakura — ma il villaggio siamo noi, e sta a noi giovani renderlo un posto migliore —

 

Sasuke annuisce e lo infila in tasca. Cercherà di fare del suo meglio, per quanto sta in lui.

 

 — Ora vado, ci vediamo tra tre mesi — li saluta voltandosi.

 

Deve andarsene in fretta di lì, o non ci riuscirà più.

Con un salto si arrampica sul ramo dell’albero più vicino, con ancora negli occhi il volto luminoso e bellissimo della sua donna: è così che vuole ricordarla nelle lunghe notti solitarie.

 

 — Non costringermi a venirti a cercare! — gli urla dietro il suo amico quando è già così lontano da udirlo a stento. 

 

                                                                                     __________________

 

 

Tre mesi sono pochi, gli ci vorrebbero anni per imparare a conoscere i mondi diversi che incontra, ma si è riempito gli occhi di immagini indimenticabili che avrebbe voluto condividere, ed è stato quel bisogno di condivisione che lo ha riportato a casa, da Sakura.

E lei è lì, luminosa come la ricordava, così felice di vederlo che ha riempito anche lui di una contentezza euforica che non credeva di poter provare.

 

E’ di nuovo a casa, e non è difficile come pensava: le ombre si sono ritirate in qualche anfratto in cui non può vederle. Forse, sicuramente sono ancora lì, non si può dissiparle del tutto, ma è possibile tenerle a bada, e sente che può lasciare andare il passato ormai.

 

Non torna a vivere nel quartiere degli Uchiha, si ferma da Sakura per alcune notti, e dopo decidono che lei lo ospiterà fino a quando non troverà un appartamento suo.

 

Mesi più tardi è ancora a casa di Sakura. 

 

Pensano di trasferirsi in un posto più grande entro breve, e forse presto si sposeranno, se lei accetterà: una parte di lui è ancora saldamente legata alla tradizione, non gli piace quella convivenza senza un nome, soprattutto tenendo conto che al villaggio ha fatto più scalpore la loro relazione che la morte di Danzo. 

Non è certo il primo Uchiha ad innamorarsi di una persona al di fuori del clan, ma è il primo a vivere al di fuori del distretto, e per qualche motivo che gli sfugge sembrano tutti convinti che sia stata una scelta dettata dall’amore, e che lui abbia rinunciato a chissà quale ruolo tra gli Uchiha. 

C’è chi è stranamente, e assurdamente a suo vedere, entusiasta della cosa, e chi disapprova.

Non potrebbe fregargliene di meno.

 

La convivenza non è facile, se non altro perché Sakura è una persona sociale mentre lui ama la solitudine, ma hanno trovato un compromesso e adesso gli amici di lei sono anche i suoi, per cui non gli dà più così fastidio incontrarli regolarmente, compatibilmente al tipo di vita che conducono e al suo bisogno di spazi.

 

Adesso in realtà ci sono pause più o meno lunghe tra una missione e l’altra, e si è così ribaltato il suo mondo, la sua scala di valori, che tornare a casa, da lei, è diventata la parte migliore della sua vita.

E’ diverso al di fuori dall’atmosfera opprimente in cui era immerso prima, ed assapora con meraviglia l’esistenza di un altro modo, sereno, di concepire i rapporti, la vita. 

Gli dispiace solo che suo fratello non possa trovare la tranquilla felicità che ora fa parte di lui, grazie a Sakura, ma sa che non è possibile: per quanto gli altri possano perdonarlo Itachi non sarà mai in grado di perdonare se stesso, alcuni pesi sono insopportabili, alcune colpe imperdonabili, e niente è peggio di essere la causa della morte di chi si ama.

 

Quando può va a trovarlo, anche se raramente lo trova a casa: si immerge in missioni nel tentativo di seppellire ogni pensiero, come ha sempre fatto, come faceva anche lui un tempo.

 

Spera che la presenza del nuovo figlio possa aiutarlo.

La gravidanza di sua cognata è stata di quelle difficili, ancor più della prima, e il piccolo è nato prematuro, ma ora si è ripreso bene, e a lui, che non ci capisce niente di neonati, sembra bello, e forte.

Non appena può va a prendere Mira all’accademia e la porta a casa ascoltando il suo chiacchiericcio, è l’unica che gli manca terribilmente, e si chiede se un giorno anche lui…

 

Al momento è solo un pensiero lontano, una nuova, sconvolgente avventura che lo aspetta nel futuro, se Sakura vorrà.

 

 

FINE

 





Ed ecco, anche questa volta sono arrivata alla fine della storia. Oltre al piacere di scrivere dei nostri eroi, che qui ho immaginato più maturi, mi ha permesso di chiudere con alcuni dubbi che avevo in sospeso con il manga, e a prescindere dalla sua popolarità nel complesso ne sono abbastanza soddisfatta. 

Ringrazio coloro cui è piaciuta, lettori e soprattutto recensori, che mi sono stati preziosi come al solito, e chissà se ci rivedremo ancora, e soprattutto chissà quando. Non ho progetti al momento, e l’unico rimpianto che mi rimane è di non aver scritto niente ambientato nell’altro universo, quello in cui i personaggi sono l’opposto, sembrerebbe divertente! Vabbé, vedremo…ho anche scovato una vecchia lemon che non avevo più finito perché il contesto non era più in linea con il manga e all’epoca lo consideravo importante, chissà perché: se mi viene voglia la finisco. 

Intanto vi saluto. Grazie a tutti, e un enorme abbraccio da parte mia: spero che qualcosa di questa storia vi rimanga, come succede con i migliori libri, o almeno che vi siate divertiti!

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