Odi et Amo di Chiaro_di_Luna07 (/viewuser.php?uid=368929)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Prologo ***
Capitolo 2: *** 2.Deadeye-Part 1 ***
Capitolo 3: *** Deadeye-Part 2 ***
Capitolo 4: *** I will touch your heart ***
Capitolo 5: *** A dangerous pact ***
Capitolo 6: *** Her eyes touch my soul ***
Capitolo 7: *** Invisible bond ***
Capitolo 8: *** Just for once this time ***
Capitolo 9: *** A difficult decision ***
Capitolo 10: *** Lies ***
Capitolo 11: *** Confessions ***
Capitolo 12: *** Truth ***
Capitolo 1 *** 1.Prologo ***
“Siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita”, William Shakespeare, La Tempesta.
Il rintocco della campana del mezzogiorno riecheggiò per la valle, il suono arrivò attutito al giardino della villa, ma questo bastò a farla tremare. Percorse le scale con estrema rapidità, come se alle spalle l’oscurità più profonda minacciava di inghiottirla. Il ritmo frenetico dei suoi stivali fu sovrastato dal lento passo del suo aggressore. Rimase come impietrita, si voltò per un istante incontrando il suo sguardo assassino: rabbrividì, mentre il rumore del legno colpito dai tacchi degli stivali dell’uomo riecheggiava nella vuota abitazione.
Tac. Tac. Tac.
A ogni colpo percepiva l’ambiente divenire sempre più gelido e il suo cuore accelerare di uno, due battiti mentre il dolore si faceva largo nel suo petto; scappò fuori nel giardino della residenza, raggiungendo il cancello. Ogni cosa appartenente a quel luogo era intrisa di minaccia e lei doveva abbandonarlo. Un colpo della familiare arma da fuoco e il metallo gelido della recinzione vibrò violentemente sotto le sue mani: un primo proiettile era stato sparato. Il primo di quattro. Il dolore si diffuse nella sua mano dal punto sfiorato dal bossolo e da lì raggiunse il suo cuore straziato: no. Non sarebbe dovuto accadere tutto quello.
Tac. Tac. Tac.
Il rumore sottile dei tacchi portava con sé minaccia, ma anche la sofferenza di un atto che non doveva essere compiuto. Il peggiore tra tutti. Di nuovo un brivido di paura le percorse la schiena.
Tac. Tac. Tac.
Morse il labbro ricacciando indietro le lacrime, aprì il cancello, sapeva che era sbagliato, che non sarebbe dovuta scappare, ma come si sarebbe dovuta spiegare su tutto l’accaduto; lui non avrebbe compreso, non in quello stato. Una lacrima solcò la sua guancia, come la più tremenda delle falci. Con forza ricacciò indietro le altre, percorse pochi metri oltre la recinzione ma un secondo proiettile fu sparato di fronte ai suoi piedi avvertendola di non proseguire oltre; alzò lo sguardo voltandosi e affrontandolo, mossa dalla vana speranza che non fuggendo avrebbe chiarito.
- Uno – ringhiò l’aggressore.
L’uomo si immobilizzò a pochi metri di distanza da lei, non si espresse, il suo odio era più esaustivo di qualunque parola, adombrava il suo occhio scarlatto così come il lume della poca ragione rimastagli; squadrandolo sapeva che dietro quello sguardo si celava un’infinità di stati contrastanti, poteva solo immaginare i lineamenti del suo viso contratti dalla frustrazione, dalla rabbia: motivi per cui non avrebbe mai potuto comprendere in quello stato; questo bastò a dare un pretesto alle sue lacrime di tornare con forza, inumidendole gli occhi.
Dong: la campana rintoccò una seconda volta.
- Te ne prego… - supplicò lei, vedendolo avanzare.
Il suo aggressore non si scompose minimamente, le sue parole non lo toccarono affatto e a conferma di ciò fu un ulteriore passo nella sua direzione; si voltò e tentò di riprendere la sua fuga ma un altro colpo fu sparato, stavolta le sfiorò la spalla ferendola: un secondo avvertimento.
- Due – sussurrò l’uomo, facendo roteare la pistola tra le dita, scattando e afferrandola per il collo non appena lei abbassò la guardia.
In silenzio fu riportata all’interno del giardino, ove fu inchiodata al suolo con brutalità; strinse le dita intorno al suo polso per la mancanza di ossigeno, supplicandolo silenziosamente di fermarsi.
- Tre – contò, inspirando rumorosamente per poi sibilare – non avresti dovuto. Perché? –
Le sue parole si mischiarono con il rintocco della terza campana.
Sentì la presa allentarsi, per poi rabbrividire quando l’aggressore posò una mano a terra accanto al suo capo e con l’altra le puntò la pistola alla fronte. Non appena percepì il freddo metallo dell’arma sulla pelle iniziò a singhiozzare: non c'era più possibilità per rimediare?
- Non mi ripeterò due volte. Parla – ordinò l’uomo.
- Ti prego, non farlo – supplicò lei, posando una mano su quella che impugnava la pistola.
Lo vide irrigidirsi, il suo occhio scarlatto si socchiuse: non era solo lei in quello stato. Quando lo riaprì, colse la rabbia mista al profondo dolore.
- Non supplicarmi. Sai benissimo che non indulgerei – ribatté, frustrato.
Allora la donna strinse le dita intorno alle sue che attendevano sul grilletto: doveva tentare.
- Fallo – disse lei con gli occhi ricolmi di lacrime.Fu allora che la campana rintoccò l’ultima e quarta volta.
Le labbra le tremavano.
Chiuse gli occhi e attese.
Angolino dell’autrice: Ciao a tutti! È passato molto tempo dall’ultima volta che ho scelto di pubblicare una fanfiction, alla fine mi sono fatta coraggio e ho deciso di scrivere qualcosa anche io. Spero la storia possa piacervi, nel caso ci siano errori/ orrori vi prego di farmeli notare, così da poter migliorare.(❁´◡`❁) |
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Capitolo 2 *** 2.Deadeye-Part 1 ***
2.Deadeye-part 1
“Solo chi ha la forza di scrivere la parola fine può
scrivere la parola inizio.” (Lao Tzu)
Bilgewater, città portuale situata sulla Blue Flame Island a
Runeterra, è sempre stata caratterizzata da un’atmosfera di operosità: marinai
e pescatori sono sempre intenti a lavorare per permettere alle loro navi di
attraccare in porto e scaricare la merce raccolta durante le spedizioni in
aperto mare, poi venduta agli abitanti o ai paesi confinanti; i mercanti,
all’interno delle mura cittadine, occupano la maggior parte delle loro forze e
del loro tempo nella vendita competitiva del Rum, prodotto tipico dell’isola,
di cui si contano almeno cinque o sei varianti, ognuna con una sfumatura
diversa nel suo sapore, dal Rapture Rum di Miss Fortune dal gusto esotico, fino
al Black Pearl del suo rivale Gangplanck dal tipico colore scuro e riservato a
un gruppo elitario di veri intenditori. Quanto agli abitanti, gli uomini e le
donne di Bilgewater hanno un carattere molto duro e avventuriero, così come si
addice ai veri marinai, costretti a fronteggiare costantemente bestie marine e,
alcuni in particolare, i campioni della Lega; qualora uno di loro avesse un
carattere più docile e, soprattutto timoroso, o verrà inghiottito dalle
profondità marine o assumerà gli stessi tratti severi, in alcuni casi barbari,
dei suoi simili.
Mentre il vento le accarezzava la pelle delicata e liscia,
Selene ripeteva a mente queste informazioni tramandatele dal suo maestro e
successivamente ottenute in occasione di alcuni discorsi con il capitano del
vascello, Gangplanck. Da giorni la donna era in viaggio per raggiungere Ionia:
era partita dall’isola dei Guardiani, luogo posto ai confini del mondo conosciuto,
dopo che l’Ordine dei Guardiani del Cosmo aveva ricevuto una convocazione dal
consiglio di Ionia, in cui si richiedeva urgentemente l’intervento di uno dei
grandi Maestri, per discutere e fronteggiare una questione di natura segreta
quanto fondamentale al fine di preservare la pace nel regno; Selene,
apprendista e migliore studentessa dell’Ordine, era stata scelta in via del
tutto occasionale come rappresentate, a causa della convergenza di eventi
sfavorevoli, verificatisi in un breve lasso di tempo: il Sommo Maestro
dell’ordine, nonché suo padre dall’età inoltrata, non poteva lasciare il paese
per via del clima politico instabile, quindi sia per le costanti dispute con
l’Ordine di orientamento più radicale durante le sedute in Consiglio, sia a
causa di alcune malelingue che suggerivano possibili congiure contro il
sovrano; era evidente pertanto, come il Maestro delegato che doveva partire per
Ionia, di cui Selene era apprendista, così come i restanti membri della
congrega dovevano restare sull’isola al fine di indagare e trovare coloro che
dall’interno del paese, stavano organizzando un movimento sovversivo per minare
l’equilibrio, ritenuto fondamentale, del paese. Infatti l’Ordine dei Guardiani
del Cosmo, sin dai tempi più antichi, era sempre stato garante dell’ordine
nelle vare nazioni, i suoi delegati erano intervenuti nei momenti cruciali
degli scontri al fine di evitare danni di vasta portata, così come avevano
sempre mantenuto l’equilibrio stabile all’interno dell’isola senza mai adottare
manovre violente, ma tramite la benevolenza e la clemenza guadagnando in questo
modo l’approvazione del popolo; tuttavia da qualche mese a questa parte
l’Ordine aveva dovuto fronteggiare l’insorgere sia di un nuovo movimento più
radicale, i cui capi più estremisti si riteneva non fossero nativi dell’isola,
sia l’Ordine di Zwey, il quale era pronto ad adottare qualsiasi manovra pur di
carpire i segreti dell’Ordine e ottenere il potere.
L’abilità più nota dei Guardiani è legata al vivere in
perfetta armonia con l’ambiente circostante, questo conferisce loro il
controllo degli elementi e dello spazio che li circonda, qualità
necessariamente richieste dato l’importante compito da loro svolto; abilità il
cui controllo si raggiunge solo in età adulta dopo innumerevoli esperienze,
raramente in gioventù. Selene, sebbene apprendista, era stata inviata perché
secondo il suo maestro avrebbe accresciuto al meglio il controllo degli
elementi, e, casomai data la sua grande abilità, appreso il controllo dello
spazio intorno a lei; in un primo momento la ragazza si era opposta dichiarando
che tutto ciò era impossibile, tuttavia, di fronte all’espressione irremovibile
del suo superiore aveva finito per assecondare il suo volere, ricevendo tutte
le informazioni necessarie per il viaggio, partendo con il suo compagno,
Hadmon, presente in tutte le sue missioni.
Lasciatasi la tempesta alle sue spalle, Selene iniziava a
vedere oltre la nebbia il minaccioso teschio scolpito nella roccia, sovrastante
la città di Bilgewater e illuminato dal caldo sole di mezzogiorno; il porto era
costellato da innumerevoli imbarcazioni alcune legate al molo, altre già in
partenza; lentamente, non appena la nave di Gangplanck entrò in porto, si fece
largo tra i vascelli, fino a fermarsi. Dopo di che alcuni marinai scesero
subito dalla nave e molto velocemente legarono le cime alle apposite
attrezzature, attraccando in porto. Una volta che Gangplack ebbe dato l’ordine,
l’ancora fu calata in mare e la ciurma, come la passeggera furono pronti per
scendere dal vascello; lentamente Selene si avvicinò al timone della nave dove
il capitano Gangplanck dirigeva lo scarico delle merci.
-
Grazie capitano per l’ospitalità, l’Ordine e io
la ringraziamo infinitamente – disse la giovane apprendista, mentre il vento le
scompigliava appena i lunghi capelli argentei.
-
È stato un piacere, signorina Selene… adesso
dove sarà diretta? – chiese l’uomo, scrutando i suoi dolci lineamenti e,
soprattutto, gli occhi color ghiaccio.
-
Ionia. È stata richiesta la mia presenza per
trattare una questione alquanto spinosa… purtroppo non ho avuto molte
informazioni a riguardo – rispose l’altra sorridendo, sistemando la lunga
tunica rosso scarlatto, recante sulla schiena un dragone nero simbolo
dell’Ordine per indossarne il cappuccio.
-
Capisco… non so molto in materia, ma
recentemente Ionia ha dovuto fronteggiare innumerevoli stragi, tutte
architettate dal famoso quanto inquietante “Demone d’Oro”, può darsi sia solo
una leggenda, ma il Consiglio di Ionia è in subbuglio, a quanto pare non
riescono a giungere a compromessi con lui – dichiarò Gangplanck, gridando a un
marinaio di prestare attenzione alla merce che stava trasportando.
-
Verificherò personalmente cosa sta succedendo a
Ionia, grazie capitano –
-
Ah… quasi dimenticavo… tenga –
Il capitano trasse da una cassa una bottiglia del suo famoso
Rum, lo ripose all’interno di una sacca di tela e lo porse alla giovane donna,
la quale, sorridendo un po’ imbarazzata e grata, prese il tutto e lo infilò
sotto la tunica insieme alle altre due borse da viaggio.
-
Un piccolo omaggio: il Rum di mia produzione,
diffidi da imitazioni mi raccomando, questo è per veri intenditori. Sicuramente
lei è il tipo di donna che se ne intende – disse il capitano, sogghignando; le
strizzò l’occhio, facendola ridere divertita.
-
Molto gentile da parte sua, lo terrò con me come
buono auspicio; grazie –
-
Faccia attenzione; alla prossima – salutò
Gangplanck, agitando la mano nell’aria, mentre la Guardiana scendeva lungo la
passerella che congiungeva il ponte della nave con il porto.
Una volta lasciato il vascello, secondo il suo itinerario
Selene si sarebbe dovuta dirigere a Nord della città, da lì un ulteriore
vascello l’avrebbe condotta a Ionia, dopo un viaggio di circa 3 ore. Mentre
Selene, affiancata dal suo fedele compagno, attraversava Bilgewater, osservava
con un pizzico di ammirazione l’atmosfera dinamica e gioiosa della città a
partire dai bar affollati da marinai che celebravano le loro spedizioni in alto
mare; tuttavia il suo vicino sembrava non apprezzare, dato lo sguardo cupo che
trapelava dagli occhi scarlatti del dragone violaceo, sospeso nell’aria accanto
a lei.
-
Immagino che questa atmosfera non ti piaccia, eh
Hadmon? – scherzò la donna, guardandolo divertita e ricevendo un’occhiata
tutt’altro che amichevole.
-
Odio questi posti così affollati… - rispose
l’altro, con voce tetra e infastidita; poi non appena un uomo attraversò il suo
corpo etereo, riprese -… e odio soprattutto questo -
Selene rise della sua espressione scocciata, in tutti quegli
anni passati insieme a lui, aveva appreso molte cose sul suo conto, e una delle
tante era l’odio verso i luoghi ricchi di persone, dato che nel luogo in cui
loro risiedevano, vi era sempre una pacifica calma, accompagnata dagli
armoniosi suoni della natura; del resto i posti da lui amati, rispecchiavano al
meglio il suo temperamento pacato e il suo carattere introverso e, alcune
volte, scontroso. Tuttavia in rare occasioni, il dragone si era mostrato ostile
con lei, infatti, sin dal loro primo incontro nella foresta di Thyllian accanto
alla sede dell’Ordine, era nato un profondo legame di amicizia e di rispetto,
oltre che di intesa.
Quel giorno Selene aveva circa quindici anni, in occasione
di una delle sue uscite segrete al calare del sole, la giovane si era inoltrata
tra gli alberi in cerca di tranquillità, animata dalla sola volontà di
raggiungere l’albero situato al centro della radura: la magia di quell’albero
la attirava come faceva una calamita con il magnete; proseguendo però non si
era accorta di come la calda luce del sole lentamente si dissolveva per
lasciare spazio al buio della sera, pertanto era giunta di fronte all’albero
quando ormai la luna era alta in cielo e quando se ne era resa conto, era ormai
troppo tardi. In quell’occasione si era accovacciata di fronte all’albero,
posando sul tronco la sua mano sinistra, attraversata da una scritta arcaica
terminante con una cicatrice sul palmo della mano; stranamente quella sera,
insieme alla sua voglia di scoprire luoghi leggendari, a condurla per la radura
fino al suo obiettivo era stato il bruciore della sua cicatrice che cresceva
man mano che si avvicinava al grande albero. Appena posò la mano sul tronco,
sentì la magia pervaderla, seguita subito dopo da una voce profonda e rauca, di
cui non identificava la provenienza.
-
Cosa ci fa una ragazza giovane come te, nella
fortesta di Thyllian a quest’ora? Non conosci le leggende che corrono su questo
posto – chiese la voce misteriosa, maliziosamente.
-
Si, ma non le temo, io seguo solo il mio
istinto, il mio corpo e il mio intuito mi guidano, non è questo quello che fa
un Guardiano? – rispose a sua volta Selene, guardando in alto e scrutando con i
suoi occhi color ghiaccio gli innumerevoli rami che si diramavano dal tronco,
come se quell’entità misteriosa potesse essere lì; dal tono della ragazza trapelava
solo calma e serenità, non una traccia di paura.
-
Molto saggio… -
Aveva risposto la voce, materializzandosi alle sue spalle,
sovrastandola con la sua immensa mole e guardandola dall’alto dei suoi occhi
scarlatti per rifletterli nei suoi color ghiaccio; per un momento Selene aveva
mostrato un reverenziale timore di fronte all’immenso dragone etereo, le cui
squame erano violacee e il corpo rivestito di migliaia di aculei, ma
successivamente una strana forza l’aveva aiutata a sostenere lo sguardo di quella
meravigliosa bestia.
-
Non mi temi? – chiese il dragone, colpito dalla
velocità con cui il timore era svanito dai suoi occhi ghiaccio, quasi era
affascinato dalla forza che quel piccolo corpicino emanava; “la ragazza ha un
grande potenziale” rifletté.
-
Non ne ho motivo – proferì tranquillamente
Selene, sorridendogli.
-
Dovresti invece, piccoletta… – affermò l’altro
divertito.
La ragazza gli sorrise, scuotendo il capo, poi gli porse la
mano sinistra, che ora quasi pulsava fino a farle male; qualche strana forza la
spingeva a fare gesti inconsueti quanto sorprendenti. Il drago sussultò appena,
poi dal profondo delle sue fauci risalì una profonda risata.
-
Sei audace, mi piaci ragazzina… se sapessi
veramente chi sono, non saresti qui… il simbolo che hai sulla mano, è il nostro
– sussurrò il drago, piegandosi in avanti a osservare la cicatrice, poi
proseguì – chi te lo ha fatto? –
-
Non so, mia madre credo… in una notte di… -
-
… luna piena – la interruppe l’altro e dopo una
lunga pausa durante la quale continuò a squadrarla, proseguì – sei destinata a
grandi cose, piccoletta, hai un grande potenziale; io in quanto drago del Tempo
sarò contento di aiutarti –
Detto così il drago si dissolse nel nulla, materializzandosi
accanto a lei con dimensioni ridotte, si avvolse intorno alla sua mano, aprendo
la sua cicatrice, stringendo così un patto con lei che sarebbe durato per
l’eternità.
Da allora, rifletté Selene, il loro rapporto era andato solo
migliorando, lui aveva scoperto i suoi segreti più oscuri, lei i suoi; non
appena compiuto il rituale che l’aveva resa a tutti gli effetti una Guardiana,
il drago si era dissolto per riapparire sotto la forma di un affascinante
figura maschile slanciata, dai capelli corvini scarmigliati e gli occhi
scarlatti, sguardo da predatore, il fisico bel scolpito e vestito di un
aderente pantalone nero, stivali appena slacciati e una maglia nera larga dal
lungo scollo. Selene ancora ricordava, come era arrossita vistosamente alla
figura di quell’uomo dai lineamenti perfetti, suscitando una profonda e
sensuale risata di Hadmon; ancora adesso mentre passeggiava per Bilgewater, al
ricordo di quel momento arrossiva, imbarazzata della sua reazione. Il torpore
sulle sue guance non passò inosservato all’altro che la guardava, mentre
un’espressione maliziosa si dipingeva sul suo muso: aveva compreso quale idea
la agitava; solo un avvenimento poteva scatenare quella reazione.
-
Fammi indovinare i tuoi pensieri… stai
ripensando a questo? – chiese Hadmon, trasformandosi nella sua affascinante
forma umana.
Selene arrossì nuovamente alla vista di quell’uomo
affascinante e non fu l’unica, infatti alcune passanti rimasero a osservarlo e
si ridussero a sospirare; subito dopo gli rivolse uno sguardo misto tra
dolcezza e divertita, e, amichevolmente, tirò un pugno sulla sua spalla.
-
La prima indicazione del maestro era di non
attirare attenzione, Hadmon – sussurrò la ragazza, incrociando le braccia al
petto.
-
Nessuno ascolta quel vecchio… - rispose l’uomo
sogghignando –… inoltre siamo arrivati al porto Nord della città, voglio che il
consiglio di Ionia mi consideri un uomo e non venga a conoscenza della mia
natura –
-
Perché? – chiese, la donna sorpresa, fermandosi
poco prima di una grande arcata in pietra con sopra un’insegna con scritto
“NORD”.
-
Preferisco adottare qualche precauzione… -
ribatté il compagno con fare misterioso, guardando il porto che si stagliava
davanti a loro, ricolmo di imbarcazioni che disposte in mare, sembravano
formare delle linee a zig zag.
I due si trovavano in una piazza quadrata sui cui lati erano
poste arcate recanti le insegne dei quattro punti cardinali, tre dei quali,
nord, sud e ovest, conducevano al mare e uno, est, portava nella zona della
città situata nell’entroterra; la piazza era collocata geograficamente su una
piccola collina, in modo tale che da sotto le arcate si aveva una visuale
completa della strada centrale conducente alla zona imbarco; sotto il sole del
mezzogiorno, la via centrale che iniziava da sotto l’arcata e da cui si
diramavano innumerevoli vie secondarie, era animata da un gran numero di
persone intente a svolgere le loro attività e che non sembravano risentire
minimamente del caldo, i mercanti agitavano le loro merci e inseguivano i
passanti, i pirati si intrufolavano in qualche bar e qualcuno ogni tanto ne
veniva spedito fuori mal ridotto a causa di una rissa, i negozi ricolmi di
persone: quella visione corrispondeva esattamente al clima di operosità che era
stato descritto a Selene. Tuttavia, mentre passeggiava, al centro dei suoi
pensieri vi era l’affermazione di Hadmon, del resto sin da quando aveva
lasciato l’isola, una strana sensazione l’aveva accompagnata per tutto il
viaggio e continuava a farlo tuttora; si ritrovò a scrutare la figura di Hadmon
che camminava con il suo portamento dritto e sicuro, chiedendosi cosa si
agitava nella sua mente al punto tale da fargli prendere precauzioni verso il
consiglio stesso, alla fine però non trovando alcuna risposta ragionevole mise
da parte quel pensiero così come il suo strano sentore, ritenendo che fossero
inutili preoccupazioni legate alla sua ansia circa la sua inesperienza; quella
era la prima occasione in cui lei svolgeva esattamente la funzione di
Guardiana, occupandosi realmente di questioni importanti e problematiche per
una nazione, sebbene le sue abilità circa il controllo del suo potere non erano
perfezionate. Selene finì per osservare la sua figura riflessa in una vetrina
di un negozio: sotto il mantello spiccavano i suoi occhi color ghiaccio
incorniciati da folte e lunghe ciglia nere, ereditati dalla sua cara madre morta
tragicamente, il suo naso era sottile e appena all’insù mentre le sue labbra
erano color ciliegia e sottili; i suoi capelli erano argentati, lunghi e
raccolti in una coda con una ciocca liscia che le ricadeva vicino all’occhio
sinistro, infine a incorniciare il suo viso vi erano degli orecchini lunghi
neri, con al centro, sospesa, una pietra rosso scarlatto. Sotto il mantello,
indossava l’armatura che era solita portare in occasioni molto speciali: un
completo in pelle lucida incrociato sul seno e sul petto, lasciava intravedere
le sue forme, l’abito si apriva lasciando intravedere il ventre piatto, la vita
e la schiena, in modo tale che solo alcune cinghie in pelle si legassero alla
cintura e alla parte inferiore del completo; quest’ultima poi terminava con una
gonna corta leggermente asimmetrica: più lunga a sinistra e appena più corta a
destra. Infine degli stivali alti in cuoio, con sopra incise delle scritte
arcaiche e con alcuni aculei posti sul lato esterno della scarpa e dei lunghi
guanti neri, coprenti alcuni simboli sui suoi avambracci, tagliati sulle dita
con dei rinforzi in acciaio sulle nocche. Le mancava il suo elmo nascosto, che
ben definiva il suo ruolo di guardiana, un piccolo cerchietto dorato con al
centro incastonata una pietra rossa, da cui si diramavano tre lunghi corni,
incorniciati da piume nere.
Guardandosi, si rese conto di come ogni componente della sua
armatura serviva a nascondere o a incanalare il suo enorme potere: sin dalla
giovane età il suo maestro aveva riscontrato in lei la presenza di un enorme
potenziale che con il tempo l’aveva portata a controllare gli elementi
fondamentali della natura, con la componente spaziale e temporale ancora da
perfezionare; tuttavia il carattere più preoccupante delle sue capacità era nel
controllo delle arti più oscure, legate al Buio, cosa che lei a volte
difficilmente riusciva a controllare e che erano state sigillate tramite alcuni
rituali arcani i cui simboli erano incisi sulle sue braccia. Questo immenso
potere le aveva conferito il titolo di Guardiana della Notte, in molti la
temevano e bramavano il suo potere; quanto le era costato però ottenere quel
riconoscimento… e cosa aveva comportato avere quell’eccessivo potenziale,
pronto a distruggerla se si fosse distratta. Sarebbe stata capace di svolgere
il suo incarico, se lei stessa era una minaccia?
-
Finiscila di rimuginare… la puzza di fumo del
tuo cervello arriva sin qui. Siamo arrivati al porto – borbottò Hadmon accanto
a lei, posando un pugno sulla sua testa.
-
Stavo solo riflettendo… - rispose flebilmente
l’altra, cercando il vascello che a breve li avrebbe condotti a Ionia.
-
Hai guardato la tua immagine riflessa in ogni
vetrina, eri così assorta dai tuoi pensieri, che non ho potuto fare a meno di
dargli una sbirciatina – confessò il dragone; una delle sue leggendarie abilità
era quelle di leggere nella mente altrui.
-
HADMON! Quante volte ti ho detto di non farlo! –
disse duramente Selene, guardandolo lievemente infastidita.
-
I tuoi pensieri erano stampati sul tuo viso,
persino un marinaio ubriaco li avrebbe compresi… comunque perdonami, ti ho
vista molto preoccupata - si scusò l’uomo scuotendo il capo e facendo
spallucce.
-
Sta’ tranquillo… non c’è problema; stavo
pensando se riuscirò a svolgere questo incarico – sospirò l’altra, sorridendogli.
-
Abbi fiducia in te stessa, hai un potenziale
immenso e qualora questo rappresentasse un problema, sarò in grado di
sigillarlo… rilassati, ne abbiamo già parlato – affermò Hadmon, posandole una
mano sulla spalla, sorridendole affettuosamente.
Selene annuì ringraziandolo, dopo di che insieme si
diressero verso la loro nave, percorrendo la passerella dell’imbarcazione,
ritrovandosi sul ponte della nave; improvvisamente furono raggiunti dal
capitano della nave che, rivolse uno sguardo amichevole a lei e uno più serio
ad Hadmon, il quale, non fece a meno di notarlo e poi ignorarlo. Il capitano
della nave era un uomo di media statura, molto robusto, dai capelli
scarmigliati castani, con qualche ciocca argentea, il naso dritto e sottile e
gli occhi neri; sul capo aveva un cappello in cuoio nero, indossava un lungo
mantello con sotto una camicia bianca, una cinta cui era legata la sciabola e
dei lunghi pantaloni marroni con intonati gli stivali alti; nel complesso
l’uomo, il cui nome si rivelò essere William, aveva un atteggiamento molto
sicuro e duro, tale da incutere timore sia ai marinai più fannulloni sia ai più
operosi.
-
Lei deve essere la Guardiana, giusto? – chiese
cortesemente, ricevendo una risposta affermativa – mi era stato annunciato che
vi era solo una passeggera –
A quelle parole, Hadmon posò lo sguardo sul capitano,
riflettendo su quanto poco sopportasse la sua presenza, sebbene il loro
incontro fosse iniziato da un minuto scarso.
-
Esatto ma mi duole doverle annunciare che con me
ho anche il mio compagno, Hadmon… viaggia insieme a me, anche lui fa parte
dell’Ordine; spero non sia un problema… - disse la giovane, sorridendo appena.
-
Diciamo che queste inconvenienze dovrebbero
essere dette con un certo anticipo, signorina, sa… questo potrebbe comportare
un aumento nel prezzo prestabilito del viaggio… - dichiarò William, mostrando
un sorriso maligno.
-
Capisco, purtroppo non ho molti denari con me… a
noi Guardiani non ci è consentito portarne in grandi quantità – proferì Selene,
notando l’espressione di sfida di Hadmon, che sollevò appena il sopracciglio
destro guardandolo con sufficienza.
-
Allora potrebbe accettare il mio invito a cena,
se non ha denari – sussurrò l’uomo, grattandosi il mento, con finto fare
pensieroso.
-
Sarei onorato di partecipare – si intromise
Hadmon, serio in volto, di una serietà quasi inquietante, ricevendo uno sguardo
duro del capitano.
-
Non mi pare di aver richiesto la sua presenza
signor Hallan –
-
Non mi sembra che per lei sia un problema che
saliamo in due a bordo, o no? – ribatté Hadmon, posando una mano unghiata sulla
spalla del capitano, stringendo con forza; quando l’altro scosse il capo
intimorito dai suoi occhi scarlatti e i suoi incisivi pronunciati, continuò
sorridendo amabilmente – grazie, signore; se mi permette, il mio nome è Hadmon,
grazie per la sua disponibilità –
-
Siete i benvenuti, signor Hadmon… - tremò
William, congedandosi poco dopo, sfuggendo verso il timone, dato che ormai
erano pronti per partire.
Una risata accompagnò la fuga dell’uomo, Selene scosse il
capo divertita, rivolgendo un sguardo amichevole ad Hadmon, il quale di rimando
sogghignò trionfante; dopo di che si avviarono verso la stiva della nave, verso
una piccola cabina a loro riservata, posando i loro bagagli. La stanzina, di
forma rettangolare aveva due letti laterali, al centro un piccolo comodino in
legno e sopra di esso poco più in alto, una piccola finestrella circolare che
permetteva di guardare le profondità marine; tolto il mantello, Selene, lo
adagiò sul piccolo comodino, sedendosi sul letto, improvvisamente le sue membra
si sentivano stanche, del resto il viaggio precedente era durato tutta la notte
e lei aveva dormito si e no poche ore a causa delle urla dei marinai che doveva
fronteggiare la tempesta, che li aveva colti non appena avevano preso il largo.
Inoltre tenere sotto controllo il suo potere le richiedeva molto sforzo e
quindi ora più che mai, aveva bisogno di riposo, così si stese sul letto,
posando la mano sotto il cuscino, abbracciandolo.
Dal canto suo Hadmon le sorrise affettuosamente, poi non
appena si fu addormentata, si mise a osservare fuori dalla finestrella: piccoli
pesci si agitavano accanto alla nave, muovendosi in branco, ma non appena lui
posò la mano artigliata sul vetro, scapparono subito spaventati; vide i suoi
occhi scarlatti riflessi nel vetro lievemente opaco per via della salsedine, i
suoi pensieri corsero a Selene e al suo potere incontrollabile, da tempo
rifletteva su come fosse possibile che il Buio avesse scelto proprio lei come sua
Custode e non qualcun altro. Ai suoi possessori il Buio conferiva potenzialità
a dir poco che infinite, tra cui la grande abilità nel maneggiare gli elementi
basilari che un normale Guardiano avrebbe imparato a controllare in età adulta,
tuttavia questo potere immenso costava enormi sacrifici e Selene questo lo
sapeva benissimo: se lasciava che il Buio avesse la meglio, questo avrebbe
consumato la sua linfa vitale, fortunatamente sua madre stessa aveva
sacrificato la sua vita per trasferirle il potere di contrastarlo, sigillandolo
in un primo momento; sapeva che sin dalla tenera età Selene aveva dovuto sempre
far fronte alla possibilità che molti essendo attratti dal suo potere potevano
attentare alla sua vita o a quella dei suoi cari. Con quei pensieri Hadmon finì
per osservare la ragazza distesa sul letto, lui avrebbe continuato a cercare un
modo per evitare che quel potere la distruggesse, forse, pensò, con quel
viaggio, sarebbe riuscito a trovare la soluzione…
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Capitolo 3 *** Deadeye-Part 2 ***
Deadeye-part 2
La calda luce del pomeriggio, entrava dall’oblò, illuminando
l’intera stanza e svegliando Selene; Hadmon alla fine era restato tutto il
tempo sveglio di fronte alla finestrella, il suo viso era lievemente in
penombra, con gli occhi inchiodati sul fondo nero dell’oceano, come a cercare
un tesoro rarissimo, tuttavia non appena si accorse che si era messa a sedere
sul letto, il suo sguardo si posò su di lei.
- Siamo arrivati… poco fa il capitano mi ha
annunciato che stavano attraccando in porto- annunciò Hadmon, appoggiandosi al
muro con le braccia conserte.
- Non dirmi che sei rimasto lì tutto il
tempo… - disse lei, con la voce ancora assonnata.
- Non avevo bisogno di riposare e non
c’erano molte alternative… forse mi sarei potuto divertire a terrorizzare il
capitano… - scherzò l’uomo, agitando una mano nell’aria, mentre sulle sue
spalle appariva un lungo mantello scarlatto, identico a quello di Selene.
- Meglio di no – rise la giovane, indossando
la sua tunica, e afferrando la sua borsa che nascose insieme alle sue armi: due
lunghi pugnali neri, con incisioni lungo la lama e lunghe catene avvolte
intorno al manico.
Dopo che Hadmon, costretto da Selene, si era scusato per il
suo comportamento a dir poco che inquietante, erano scesi dalla nave; prima che
i due andassero via, William li aveva bloccati e si era scusato, e
amichevolmente gli aveva regalato una bottiglia di Rapture Rum: al termine del
viaggio, di quel passo, avrebbe riportato con sé una cassa di rum, pensò
ironicamente Selene.
Il porto di Ionia era meno affollato rispetto a Bilgewater,
nella sua interezza era circondato da alte mura in marmo bianco interrotte da
due imponenti arcate che permettevano di entrare e lasciare il porto; al suo
interno gli abitanti si muovevano ordinatamente e l’accesso alle imbarcazioni
era controllato da due guardie, munite di una corazza in acciaio, un elmo che
lasciava intravedere solo due occhi sottili; alle spalle stesse del porto si
poteva già osservare la fitta vegetazione di Ionia con le sue montagne
verdeggianti, da cui proveniva un intenso profumo di fiori, accompagnato da una
lieve brezza. Selene respirò a pieni polmoni l’aria fresca, finalmente dopo
tante ore di viaggio erano arrivati, perciò si diressero verso un’alta arcata
in marmo bianco, con sopra inciso ‘IONIA’, controllata da due guardie, addette
al controllo dei biglietti di coloro che intendevano lasciare il porto;
consegnati i biglietti, la guardia più alta fece cenno a una terza e furono
scortati da un ulteriore guardiano presso una piccola locandina in legno,
dall’aria molto accogliente, ove un anziano li attendeva. Dopo che l’anziano
ebbe fatto cenno con le mani, le due guardie si allontanarono, lasciandoli soli
sull’uscio della porta; Selene, come Hadmon, scrutarono attentamente la figura
che aveva davanti, l’uomo, era appena ricurvo sulla schiena, dai suoi occhi
verdi appena infossati e coperti dalle folte sopracciglia, trapelava uno
sguardo affettuoso, le sue labbra, salvo l’inferiore, erano coperte
completamente dalla lunga barba bianca che arrivava a metà torace; il suo corpo
esile, celante una grande forza interiore, era coperto da una tunica bianca,
ricca di decorazioni floreali azzurre, che arrivava fino ai piedi e si
allargava in prossimità delle ampie maniche ora unite all’altezza del petto.
- Benvenuti a Ionia, onorevoli Guardiani –
salutò cortesemente, inchinandosi – permettetemi di presentarmi, io sono Hanzai,
monaco del monastero Shojin; so che è stata richiesta la vostra presenza alla
seduta di oggi, pertanto sarò io a scortarvi fino a Navori, a sud di Ionia, e
successivamente a Tuula, dove si riunirà il Consiglio –
- La ringraziamo infinitamente, io sono
Selene e lui è Hadmon – rispose Selene, piegando il capo in segno di rispetto.
- Il consiglio di Flauren stavolta ha
inviato dei Guardiani molto giovani – sussurrò amichevolmente Hanzai,
osservandoli da sotto le folte sopracciglia.
- Il consiglio dei Guardiani si scusa
profondamente per questa inconvenienza, ma date alcune circostanze sfavorevoli,
nessun Maestro è potuto venire e hanno inviato noi. Faremo del nostro meglio –
asserì Hadmon, scrutando attentamente l’anziano.
- Ne sono certo, adesso andiamo, durante il
viaggio vi darò le informazioni di cui necessitate – concluse l’altro
sorridendo.
Dopo che entrambi ringraziarono l’anziano maestro, si
diressero verso una carrozza e silenziosamente vi entrarono; durante il
tragitto, il maestro illustrò i motivi che non erano stati specificati nella
lettera, inviata presso l’isola dei Guardiani: recentemente il Consiglio di
Ionia, facendo leva sul futuro aiuto dei Guardiani, aveva deciso di liberare il
famoso Khada Jhin, noto per la sua natura molto instabile, per porlo sotto
stretta osservanza; purtroppo però, i mesi di prigionia non avevano contribuito
a ridimensionare le sue tendenze folli, ne tantomeno le avevano acuite, anzi la
sua scarcerazione, era stata accompagnata da un comportamento insolitamente
calmo e cauto, questo era stato fonte di sospetto per il Consiglio, che temeva
di aver compiuto un passo falso. Infatti i membri ritenevano che dietro quella
calma, la sua mente meticolosa stesse elaborando un nuovo copione al fine di
realizzare un futuro scenario di morte; in vista di ciò, il Consiglio aveva
iniziato a farlo pedinare presso la sua abitazione a Tuula, seguendone tutti i
possibili spostamenti, ma nessuna prova poteva avvalorare la loro tesi, inoltre
ad accrescere il clima di tensione, vi erano stati alcuni omicidi a Zhyun di
cui non era stato trovato il responsabile. Pertanto la richiesta rivolta ai
guardiani era quella di recarsi presso l’abitazione del pistolero, e, in
cooperazione con la scuola di Shen, controllare il criminale, comunicando
eventuali progetti criminali; il tutto implicava sia il dovere di prendere
parte ai conflitti nella Landa degli Evocatori, sia Selene con Hadmon,
avrebbero dovuto ‘convivere’ con l’uomo, senza rivelare lo scopo ultimo della
missione e la loro vera identità di guardiani.
- Dobbiamo aggirarlo con l’inganno… -
commentò Selene, con un pizzico di disapprovazione, a lei non era mai piaciuta
l’idea di ingannare le persone.
- Parliamo di un criminale, folle per di più
– rispose Hanzai, serio in volto.
- Di un uomo… inoltre non possiamo
presentarci alla sua abitazione di punto in bianco - ribatté lei, con tono
duro, mantenendosi distaccata.
- Nessuno ha detto questo, delle guardie vi
scorteranno presso la residenza e annunceranno il motivo della vostra venuta:
voi sarete coloro che lo affiancheranno nel periodo della sua libertà vigilata,
al fine di valutare se può integrarsi o no nella nostra società senza recare
danni; vi fingerete membri del monastero Shojin, nascondendo la vostra identità
e i vostri legami con la scuola di Shen – chiosò Hanzai, incrociando le
braccia.
- Cosa succederà se non sarà in grado di
integrarsi? – osservò Hadmon, intervenendo per la prima volta.
- Di questo, signor Hadmon, ne discuteremo un
giorno con molta tranquillità – proferì il monaco volgendo lo sguardo fuori
dalla finestrella della carrozza, poi continuò – siamo arrivati a Tuula–
Tuula era una città di media dimensione, circondata da
verdeggianti colline e costruita alla base di un’alta montagna, sulla cui cima
si ergeva un alto arco bianco decorato da striature rosse e seguito da una
serie di ulteriori archi, costruiti nel punto in cui l’altura terminava per
lasciare spazio a un ripido dirupo, terminante in prossimità di un fiume; tali
strutture erano sospese nel vuoto e al centro presentavano una piccola frazione
di un ponte che unite alle altre, formavano il passaggio che conduceva al luogo
dove si trovava il Consiglio. Per il resto la città si sviluppava intorno a
un’ampia pagoda in stile giapponese, che spiccava per la sua altezza e la sua
bellezza, il pinnacolo terminale della pagoda, recava il simbolo di Ionia e
presentava rossi motivi floreali, motivo di contrasto con il color mogano del
legno; la pagoda era situata al centro di una piazza circolare, luogo in cui si
organizzavano spesso eventi o cerimonie, da esse poi si dipartivano a raggiera
cinque strade principali costeggiate ai lati da case in stile giapponese,
qualche piccolo dojo, tra cui una piccola sede del monastero Shojin, botteghe e
luoghi d’istruzione. Infine a ridosso della città tra le innumerevoli zone
periferiche si estendeva una strada che conduceva in una zona isolata in cui
era situata la prigione.
La carrozza li aveva lasciati di fronte un imponente portone
in legno, ove avevano comunicato le loro identità a delle guardie così, Selene
e Hadmon, avevano riposto i loro mantelli recanti l’insegna dei Guardiani,
indossandone altri semplici dal colore marrone; dopo di che avevano proseguito
per i viali secondari della città, giungendo fino alla piazza, dove si erano
fermati qualche minuto per riposarsi. A primo impatto Tuula comunicava a Selene
un profondo senso di pace, il sole delle cinque accarezzava i tetti delle case
che proiettavano le loro lunghe ombre sulle strade in ciottolato e una
piacevole brezza primaverile accarezzava il suo viso nascosto sotto il pesante
cappuccio; si ritrovò ad osservare l’alta pagoda notando le persone che
affluivano presso il luogo di culto e le altre che passeggiavano, recandosi nei
negozi situati ai margini del piazzale. Hadmon e il maestro Hanzai stavano
discutendo sui motivi che avevano spinto il Consiglio dei Guardiani a scegliere
loro come inviati speciali, il maestro chiese che tipologia di Guardiana fosse
la ragazza, dato che sull’isola vi erano diverse caste di Guardiani, e lui
rispose che lei era la rara Custode del Buio e lui aveva la funzione di
guidarla nell’apprendimento, ritenendo che il viaggio su Ionia avrebbe portato
a buoni risultati dato gli innumerevoli luoghi di potere dell’isola; Selene
osservò come da sotto il cappuccio Hanzai ascoltava attentamente il suo amico,
perciò mentre loro si riposavano ancora un po’, lei comunicò che si sarebbe
recata presso una piccola bottega, situata alle spalle della pagoda.
Appena superò l’alto edificio, fu incuriosita da un uomo
alto incappucciato, con indosso un lungo mantello nero, ricurvo su se stesso
con un enorme protuberanza sulla spalla sinistra, che si avviava con una strana
quanto elegante camminata verso una panchina in marmo distante alcuni metri dal
negozio che lei aveva puntato; distolta l’attenzione, arrivò sulla soglia del
negozio con la costante impressione di essere osservata dallo strano individuo,
così si voltò verso lo sconosciuto, scorgendo sotto il cappuccio un occhio
scarlatto, intento a guardarla: fu un istante che l’uomo si voltò in un'altra
direzione e lei ebbe il dubbio che stesse effettivamente scrutando la sua
figura. Scacciò subito dalla sua mente il pensiero e varcò l’entrata del
negozio, salutando cortesemente il giovane ragazzo dietro il bancone; scostò
appena il cappuccio lasciando scoperto appena il viso e il ciuffo che ricadeva
morbido sul suo viso, poi diede un’occhiata alla merce in vendita:
esclusivamente alimenti nella stanza in cui si trovava lei e in quella
comunicante armi e amuleti intrisi di magia. Contemporaneamente nella bottega
era entrato l’uomo misterioso e, senza che lei se ne accorgesse, si era recato
nella stanza adiacente e adesso stava scrutando i suoi lineamenti e movimenti.
Selene prese alcune bacche e pagò, poi chiese gentilmente al ragazzo se poteva
dare uno sguardo alle armi e agli amuleti ricevendo un cordiale sorriso seguito
da una risposta affermativa; non appena Selene percorse il piccolo corridoio
comunicante con la sala delle armi, notò la figura che prima aveva incontrato
di spalle e uno strano pensiero sorse nella sua mente, che la stesse seguendo?
Scosse il capo e si mise ad osservare una lunga spada di buonissima fattura,
con incisioni sul manico in pelle e sulla lama nera, allungò la mano verso
essa, incantata dalla sua bellezza, mentre la manica della tunica si scostava e
rivelava parte della sua armatura che non passò inosservata al misterioso uomo
accanto a lei.
- Signora faccia attenzione, potrebbe farsi
male se non è in grado di maneggiarla – disse il giovane da dietro il bancone.
- Non ha di che preoccuparsi, sono una
combattente – commentò la ragazza, afferrando la pesante spada e tenendola tra
le dita affusolate, accarezzandone la lama.
Selene fece per posare l’arma ma, se era stato facile
prendere l’arma altrettanto non lo era stato riporla sullo scaffale, pertanto
nei suoi vani tentativi si mise in punta di piedi ma fallì miseramente e il
cappuccio ricadde all’indietro rivelando per intero il suo capo;
improvvisamente vide il manico della spada venir sollevato da una mano, quindi
si voltò verso il suo aiutante e, con sorpresa e un pizzico di inquietudine, si
rivelò essere l’uomo misterioso; nuovamente incontrò il suo sguardo, ma
stavolta sussultò osservandolo da vicino: da sotto il cappuccio nero, si
intravedevano solo i confusi lineamenti di quella che forse doveva essere una
maschera, su cui spiccava un occhio rosso scarlatto, quasi demoniaco; ora
quell’occhio era posato su di lei, riflettendosi nelle sue pozze color
ghiaccio, come a studiarla per carpire i suoi segreti e scavare in lei, per
giungere alla sua essenza e stritolarla. Senza spiegarselo, sentì il cuore
mancare un battito per poi riprendere la sua corsa più frettolosamente, non
accorgendosi di trattenere il fiato da quando l’uomo misterioso le aveva
accarezzato casualmente la mano per sfilarle l’arma dalle mani: c’era qualcosa
di inquietante e di ipnotico nel suo sguardo che la bloccava, rendendola
vittima di quella pozza rosso sangue. La voce del commesso la riportò alla
realtà e velocemente racimolò qualche pensiero da dire in segno di
ringraziamento all’uomo che ora era immobile di fronte a lei, come ad attendere
che una sua parola, così recuperò la calma e proseguì, ma non appena fece per
parlare fu interrotta da una profonda voce maschile dal timbro melodioso,
leggermente distorto dall’ipotetica maschera.
- Va tutto bene, signorina? Ho notato che non
respirava –
Selene arrossì appena, rimproverando sé stessa per aver
permesso al suo interlocutore di capire subito il suo stato; scosse la testa
sorridendo nella sua direzione, indietreggiando di un passo.
- Si va tutto bene, mi sono solo spaventata non mi
aspettavo di trovarla così vicino a me. Ad ogni modo la ringrazio per l’aiuto –
rispose, sempre intimorita dal rosso scarlatto del suo occhio.
Per la gioia di Selene, Hadmon si materializzò sulla porta
del negozio con fare frettoloso, adocchiando subito la figura misteriosa
accanto a lei.
- Ehi Selene, dobbiamo andare – dichiarò, rivolgendole
uno sguardo interrogativo come a chiederle chi fosse l’uomo con cui parlava.
Educatamente Selene salutò l’uomo davanti a lei il quale non
rispose subito, avviandosi verso l’uscita; poi poco prima di varcare la soglia
per raggiungere l’amico che ora l’attendeva fuori, inconsciamente si voltò e lo
guardò un’ultima volta.
- Ho come il presentimento che a breve ci
rincontreremo, pertanto ometterò l’addio, Selene – proferì l’uomo misterioso,
accarezzando ogni sillaba del suo nome e continuando a osservarla intensamente.
Selene sussultò, più stava lì dentro più continuava a
sentirsi a disagio, pertanto mostrò un sorriso tirato, tirò su il cappuccio e
sgattaiolò via raggiungendo Hadmon.
- Ti vedo un po’ scossa… chi era quell’uomo?
– chiese il compagno, riprendendo a camminare verso la cima della montagna
lungo un vialetto costeggiato dal verde.
- Non lo so, ma spero di non incontrarlo più –
dichiarò Selene, aggrottando la sua fronte al pensiero dell’incontro
precedente, un’idea raccapricciante si faceva largo nella sua mente su quale
fosse la sua identità, ma lo scacciò.
***
La sede del Consiglio era una pagoda, a pianta quadrata, di
cinque piani con una base in pietra su cui poggiava l’intera struttura in legno
pregiato; interamente nascosta dalla nebbia che si levava dal fiume, era
completamente invisibile sia dal paese sia dall’arcata attraverso cui si accedeva
alla sede, in questo modo nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza di alcune
delicate attività del Consiglio. Al loro arrivo Selene e Hadmon, superarono una
porta scorrevole varcando la soglia d’accesso, ritrovandosi in un’ampia stanza,
la cui pavimentazione altro non era che un ampio tatami su cui due individui,
uno giovane e uno più anziano, erano inginocchiati in meditazione; i due
guardiani lasciarono i loro stivali accanto la porta e lasciarono le loro
tuniche ripiegate accanto ad essi, dopo di che seguirono il maestro Hanzai che
li condusse al cospetto dei due uomini, i quali si misero in piedi non appena
li videro.
- Loro sono gli esponenti di punta
dell’Ordine Kinkou, Shen l’occhio del crepuscolo e suo padre Kusho; il loro
clan si occupa di mantenere da sempre l’ordine a Ionia e sono stati coloro che
hanno imprigionato Khada Jhin. Coopererete segretamente insieme alla loro
scuola, vigilando sul criminale – annunciò il maestro, mentre Selene e Hadmon
facevano un inchino in segno di rispetto e di saluto.
- Sarà un onore lavorare insieme a voi,
Guardiani; io sono il maestro Kusho e lui è mio figlio Shen – l’anziano
signore, poco più basso di Selene si inchinò, sorridendo cordialmente.
- Siamo lusingati di fare la vostra
conoscenza, io sono Selene, Guardiana del Buio e lui è Hadmon, Custode del
Tempo – disse Selene, osservando prima il maestro e poi l’uomo alto accanto a
lui, percependo la sua natura né umana né di spirito.
- Immagino Hanzai vi abbia già descritto
cosa farete, più tardi dopo la breve riunione alcune guardie vi condurranno
verso la vostra destinazione. Grazie in anticipo per il vostro intervento –
proferì Shen rivolgendo la sua attenzione verso la donna – se mi permette,
prima dell’inizio del consiglio, vorrei darle alcune indicazioni necessarie –
- Certamente, ti prego dammi del ‘tu’ –
rispose Selene sorridendo nella sua direzione, non le erano mai piaciute le
eccessive formalità, sebbene fossero necessarie in quel caso.
Il ninja di fronte a lei annuì e, per un momento, sembrò
avesse abbandonato un po’ la sua eccessiva compostezza, così anche lui rinunciò
alle formalità dichiarando che non ci sarebbero stati problemi se lei si fosse
rivolta a lui con un semplice ‘tu’; insieme si diressero verso il verdeggiante
giardino situato dietro la pagoda, seguirono un sentiero giungendo sulla sponda
opposta a ridosso di alcuni cespugli e di un piccolo albero; la giovane
Guardiana lo osservava con espressione interrogativa mentre l’altro si
controllava le spalle: nei suoi occhi azzurri coglieva uno sguardo duro privo
di qualsiasi attaccamento al mondo terrestre. Dopo che smise di scrutare
l’ambiente circostante, rivolse la sua attenzione su di lei e il suo volto
parve rilassarsi; si era informato circa i Guardiani del Buio, scoprendo a
malincuore come il loro destino non riservava una piacevole esistenza: un unico
Guardiano del Buio ereditava un arcano e oscuro potere apparentemente senza
limiti, divenendo custode di un demone che minacciava costantemente di
divorarlo e venire allo scoperto, pertanto i maestri ponevano su di loro un
sigillo, generalmente un tatuaggio realizzato su una delle due braccia, al fine
di mantenerlo sotto controllo; purtroppo l’esercizio di alcune pratiche da
parte del Guardiano costava loro un enorme
dispendio di energie col rischio che la loro essenza venisse intaccata dal
Buio, accorciandone l’esistenza.
Un corpo così piccolo con un potenziale così grande pensò
Shen, percorrendo con gli occhi il viso della donna adesso intenta ad osservare
il paesaggio circostante, probabilmente nonostante l’allenamento intensivo cui
era sottoposto, il potere del Guardiano del Buio in giovane età poteva
diventare incontrollabile, quindi poteva immaginare la forza che la donna aveva
nel non farsi sopraffare dai compiti che doveva svolgere, cosciente che una
caduta poteva essere fatale.
- Ora che nessuno può sentirci, vorrei darti alcune
informazioni che ho appreso durante la prigionia di Khada Jhin e prima che lo
catturassi- disse Shen, facendo una breve pausa – Khada Jhin è un uomo crudele
e spietato, due delle tante caratteristiche che lo rendono un criminale
psicopatico, le cui potenzialità hanno suscitato l’interesse del Consiglio al
punto da decidere di liberarlo e assoldarlo come sicario segreto nella guerra
contro Noxus; così facendo, basandosi sul risultato del suo operato e sulla sua
collaborazione, i membri valuteranno se sarà possibile integrarlo nella società
–
Selene vide il volto di Shen contrarsi non appena illustrò
il volere del Consiglio, notò un’ombra oscurare lo sguardo dell’altro rifletté
che probabilmente lui non era d’accordo circa la scarcerazione del misterioso
assassino.
-Durante il periodo di permanenza nella sua
abitazione, in cui il vostro compito sarà quello di affiancarlo e controllarlo
nelle spedizioni, vi chiedo di prestare attenzione: le sue azioni spesso sono
folli e imprevedibili, ama terrorizzare le sue vittime, peggio di tutto
concepisce la morte come il compimento della sua opera d’arte di cui lui è
artefice, pertanto rivelate poche informazioni sul vostro conto, se non nessuna,
soprattutto sui tuoi poteri che potrebbero accendere la sua attenzione. Non
lasciarti intrappolare dalla sua rete di inganni, sa essere scaltro e riesce a
perseguire i suoi obiettivi; per anni l’ho inseguito avendo come traccia solo
la scia di cadaveri che si lasciava alle spalle e purtroppo, a mie spese, ho
constatato come la sua follia cambia radicalmente le persone intorno a lui –
- Non hai di che preoccuparti, noi Guardiani
siamo portatori di ordine e giustizia e proprio in virtù di ciò, noi non possiamo
compiere mosse false – rassicurò Selene, sorridendo affettuosamente – io sono
ancora un’apprendista, ma rispetterò ugualmente il mio compito –
- A nome di tutto il mio Ordine, vi
ringraziamo profondamente –
Shen fece un profondo inchino, mostrando la sua gratitudine,
dopo di che notando l’arrivo dei membri del Consiglio fece cenno di rientrare
nella struttura, così varcarono la soglia e Selene raggiunse Hadmon
aggiornandolo sulle nuove informazioni, per poi salire insieme al secondo piano
dove si teneva la riunione. Intorno al tavolo centrale erano disposti i membri,
Selene notò come molti fossero esponenti degli Ordini presenti sull’isola, tra
cui il maestro Hanzai; dopo un reverenziale saluto, il membro più anziano della
congrega, chiamato Klain, illustrò loro quanto Hanzai e Shen aveva già spiegato
riguardo il loro compito, dando precisazioni circa la situazione di Ionia,
attaccata improvvisamente dalle truppe di Noxus, quindi date le mire
espansionistiche della città-stato e la loro condizione di svantaggio erano
stati spinti a delegare spedizioni segrete al criminale Khada Jhin,
reclutandolo; fu imposto loro che dopo ogni spedizione era necessario fare
rapporto alla scuola di Kusho e che ogni elemento sospetto era da segnalare, al
termine della guerra si sarebbero poi compiute le relative valutazioni. Durante
la riunione una guardia consegnò ai Guardiani un piccolo fascicolo contenente
le informazioni su Khada Jhin con allegata un’immagine del volto dell’uomo e il
relativo armamentario; alla vista della prima foto Selene sussultò, la maschera
dell’uomo, intarsiata di incisioni che intersecandosi tra loro formavano ricche
decorazioni, le ricordava quella che aveva intravisto sotto il cappuccio del
suo misterioso interlocutore. Rapidamente accantonò il pensiero, concentrandosi
sul contenuto della cartella, alquanto esiguo: escluso l’armamentario e
l’approssimativa età del criminale, all’incirca trent’anni, compresi i relativi
crimini, poco se non nulla era dichiarato circa le informazioni più sensibili.
- Come potete osservare, per scarsa
inclinazione dell’interessato nelle comunicazioni, poche sono le informazioni
che abbia estrapolato sul suo conto, ma comunque le necessarie e le più
esaustive – esordì Klain, scrutando i due Guardiani.
- La ringraziamo, Sommo Maestro; saranno più
che sufficienti e se indispensabile le ricaveremo – ribatté Hadmon, serio in
volto, qualcosa si agitava nei suoi pensieri.
-Siamo noi abitanti di Ionia ad esservi
infinitamente grati; ad ogni modo, a breve, dopo il termine della seduta, delle
guardie vi scorteranno nelle vicinanze dell’abitazione di Khada Jhin.
Permettetemi di darvi un’ultima raccomandazione…- chiosò Klain, facendo una
breve pausa durante la quale scrutò seriamente i giovani davanti i suoi occhi,
poi riprese -… non lasciatevi traviare dalle passioni di quel criminale –
- Sarà fatto – concluse Hadmon, inchinandosi
di fronte al maestro, non appena sciolse il Consiglio.
Se il suo compagno era rimasto impassibile di fronte
all’espressione del sommo maestro, altrettanto non lo era stata Selene, di
fatto non appena l’anziano aveva posato gli occhi prima su di lei e poi su
Hadmon aveva sussultato, i diversi moniti che le erano stati dati l’avevano
messa in guardia e il suo intuito le aveva suggerito di prestare più che attenzione;
tutto questo la rendeva preoccupata e inquieta, considerando che lei e Hadmon
avrebbero soggiornato nella stessa
residenza con un criminale.
Al termine della riunione, indossati i loro rispettivi
mantelli e stivali, due guardie li guidarono per un lungo sentiero che
costeggiava un’alta collina verso la direzione stabilita precedentemente; senza
spiegarsene il motivo, Selene continuava a riflettere su un possibile
collegamento tra le identità dell’uomo del fascicolo e del negozio, ma non
appena vi ci si soffermava nella sua mente tuonava la voce imperiosa di Klain:
qualcosa le suggeriva che, data la sua
età più giovane rispetto a quella di Hadmon, il monito era più indirizzato a
lei; in ogni caso la probabilità che un evento simile accadesse era pressoché
nulla, pertanto presto smise di pensarci troppo. Indirizzò il suo sguardo verso
la natura circostante, il sentiero era interamente immerso nel verde, dal
fianco della collina era possibile osservare la cittadella di Tuula poco
distante. Giunti al ridosso dell’altura proseguirono per ulteriori metri,
costeggiando un lago di medie dimensioni e in prossimità di un gruppo di
cespugli le guardie si fermarono, avvertendoli che il loro incarico era
terminato e che poco più avanti sarebbero giunti a destinazione;
silenziosamente i due Guardiani seguirono il sentiero, raggiungendo una piccola
abitazione.
Il piccolo cancello in acciaio, dalle floreali decorazioni,
era stranamente aperto, questo incuriosì entrambi; Selene, dopo aver ricevuto
il consenso di Hadmon varcò insieme a lui la soglia del cancello, venendo
proiettata in un curato giardino: ricco di alberi di ciliegio i cui petali
aleggiavano dolcemente in aria, posandosi delicatamente su un letto di erba o
sulla superfice del piccolo lago posto in prossimità della recensione destra;
al centro del giardino, in armonia con l’ambiente circostante, si stagliava
l’abitazione in legno. Dall’esterno la casa si sviluppava su due piani, al
secondo un balconcino per ogni stanza, era munito di vasi con fiori di ogni fattispecie,
e, al primo piano, in prossimità dell’entrata una piccola terrazza ne
riproduceva le medesime decorazioni.
Accanto a lei Hadmon ammirava piacevolmente l’armonia e la
pace che comunicava quel posto, non coglieva nessuna nota che ne distorcesse la
perfezione, fintanto che non si volse verso Selene e ne vide l’espressione
spaventata.
Selene aveva colto la nota disarmonica, eccome se l’aveva
fatto ed essa strideva più di qualsiasi altra cosa; voltatasi verso la soglia
dell’abitazione, i suoi occhi ghiaccio avevano incontrato quello scarlatto
dell’uomo, presumibilmente Khada Jhin, intento a osservarla intensamente.
Allora aveva compreso e il suo cuore aveva mancato l’ennesimo battito.
- Assai lieto di incontrarti nuovamente, Selene. Ero in
trepidante attesa – annunciò l’uomo, appoggiato con gli avambracci alla
ringhiera in legno.
Il suo unico occhio visibile, ridottosi a una fessura,
sembrava suggerire che sul volto nascosto dall’indecifrabile maschera, si fosse
dipinta un’espressione divertita della sua reazione sconcertata. Ma Selene non
poté dirlo con certezza, solamente di una cosa era sicura, il suo era il
medesimo sguardo che sembrava scavare nelle profondità del suo animo,
carpendone l’essenza e stritolandola.
Deglutì a vuoto: lui li stava aspettando.
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Capitolo 4 *** I will touch your heart ***
cap 2 i will touch your heart
“La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la mia
solitudine che è la mia debolezza.“
(Pier Paolo Pasolini)
Quella mattina il cielo era nuvoloso e l’assenza di vento
lasciava presagire che a breve sarebbe sopraggiunta la pioggia; all’interno
dell’abitazione dell’assassino regnava il silenzio più assoluto, sebbene ogni
tanto fosse interrotto dai rumori della domestica che lavorava in cucina.
Fuori nel cortile, Selene era seduta su una sedia accanto al
piccolo laghetto e mentre affilava le sue armi lasciò che i pensieri corressero
al giorno prima quando erano giunti all’abitazione: ripensava alla sensazione
che aveva provato nel momento in cui
aveva incontrato l’unico occhio di Khada Jhin e al motivo sconosciuto per cui
si sentiva così vulnerabile di fronte al suo sguardo inquisitore; per fortuna
la domestica si era presentata poco dopo e li aveva invitati ad entrare, solo
allora che il Demone d’Oro sotto lo sguardo di lei e di quello sorpreso di
Hadmon che la osservava interrogativo, si era voltato e in silenzio si era
avviato in casa, sparendo fino alla mattina successiva. Selene sospirò
pesantemente, sarebbe stato particolarmente difficile quell’incarico, considerando
che solo a lei era stato consentito l’accesso alla Landa degli Evocatori e
doveva partecipare agli incontri supportando l’assassino. Presto a quel
pensiero si aggiunse quello del suo paese e delle tensioni interne, era
preoccupata per suo padre, considerando che in qualsiasi momento una congiura
poteva privarla del suo ultimo e più caro parente. Scansò per un momento i
pensieri e si concentrò solo sulle sue lame, il rumore metallico la rilassava e
in parte rassicurava sul fatto che in caso di pericolo si sarebbe ben difesa.
Si soffermò sulla pace di quel luogo, le piaceva particolarmente e per sua
fortuna aveva già annotato alcuni luoghi sia di allenamento sia di potere da
visitare; inoltre la vegetazione e la bellezza che caratterizzava Ionia le fece
riflettere che quel soggiorno non sarebbe stato poi così male.
Terminata l’affilatura delle lame le ripose nella fodera e
le appese alla sua cintura, si alzò dalla sedia e si incamminò verso
l’abitazione ma si bloccò non appena vide un’aquila virare e calarsi su di lei:
un messaggio da Hanzai; dalla zampa del rapace sfilò un rotolo di pergamena, lo
aprì e lesse il contenuto: il primo incarico, si trattava di prendere parte a
un conflitto nella Landa degli Evocatori nel pomeriggio, allo stesso evento a cui
avrebbe preso parte un combattente di Noxus: Dr. Mundo. In parte curiosa di
incontrare i famosi campioni della Lega e in parte spaventata dall’idea di
dover partecipare con il criminale, si avviò verso l’abitazione in silenzio;
mossa da una strana sensazione, per un singolo istante sollevò lo sguardo verso
il cielo ed ebbe l’impressione che dalla finestra del secondo piano, qualcuno
la osservasse, ma scansò subito il pensiero, dicendo a sé stessa che la sua
immaginazione le stava facendo qualche scherzo.
Varcata la soglia dell’abitazione, percorse il corridoio al
termine del quale vi era l’ampia cucina e sui cui lati si allacciavano a
sinistra l’ambiente del salone comunicante con la cucina e a destra la rampa di
scale che conduceva al secondo piano; quella mattina Hadmon si era allontanato
per comprare alcune cose ancor prima che lei si svegliasse, doveva avvisarlo
della lettera e ugualmente doveva fare con Jhin, così si affacciò in cucina;
incontrò la domestica Ana, forse lei sapeva quando sarebbe rientrato il dragone.
-Ana, sai quando tornerà Hadmon? – chiese
gentilmente, appoggiandosi allo stipite della porta.
-Il signor Hadmon mi ha detto che sarebbe
rientrato per l’ora del pranzo, posso fare qualcosa per lei? – rispose
sorridente la domestica.
Ana era di corporatura esile, slanciata e sempre solare, sul
suo viso sottile spiccavano due occhi color nocciola e le labbra carnose, aveva
lunghi capelli castani legati in una alta coda; indossava spesso un grembiule,
dei pantaloni neri con alti stivali e una maglia a collo alto bianca e
sbracciata. Il suo temperamento sempre pacato e gentile, comunicava molta
serenità a Selene e nonostante le poche parole scambiate si trovava bene in sua
compagnia.
-Ti prego dammi del tu Ana… ad ogni modo si,
dovrei riferire una cosa a Jhin, è nella sua stanza? – domandò lei, notandola
titubare appena.
-Si, posso provare a chiamarlo ma ti
sconsiglio di parlare con lui – suggerì Ana, incrociando le braccia e scuotendo
il capo.
-Perché? –
-Il signor Jhin non ama essere disturbato,
generalmente passa intere giornate nella sua stanza, l’unico momento in cui lo
incontro è per dargli i pasti, che consuma in stanza… una volta ho provato a
bussare alla sua porta in un orario diverso dal solito, ma si è soltanto
adirato –
Selene rimase un attimo in silenzio sorpresa da quelle
parole, nonostante l’idea di dovergli parlare dopo quelle informazioni la
metteva ancora più a disagio, doveva tentare, si trattava di una missione e avrebbe
fatto quel sacrificio, correndo il rischio di eventuali ire dell’uomo.
-Devo comunicargli una cosa importante,
considerando che riguarda anche lui, vado a fare un tentativo – comunicò
Selene.
-In bocca al lupo – scherzò la domestica,
sorridendole.
La guardiana rise e una volta congedatasi, salì la rampa di
scale, percorse l’ampio corridoio al termine del quale vi era la stanza
dell’uomo, finché non giunse di fronte alla porta in legno; fattasi coraggio
bussò. Seguì qualche minuto di silenzio, forse non c’era nessuno.
-Jhin, ho una comunicazione dal Consiglio – disse
Selene, bussando di nuovo, ma nessuno rispose.
Notato che la porta non era chiusa a chiave e infastidita di
dover aspettare, la aprì e varcò la soglia della stanza trovandola quasi
completamente al buio se non fosse stato per la luce che si faceva largo tra le
tende chiuse sulla finestra; fece un passo ritrovandosi nella stanza e subito
se ne pentì. Alle sue spalle la porta si richiuse, di scatto si voltò,
mettendosi sulla difensiva, pronta ad afferrare le sue armi; non appena incontrò
l’occhio scarlatto di Jhin, sussultò, spaventata dalla sua figura che più alta
di lei era appoggiata con molta disinvoltura alla parete: braccia conserte e la
sua maschera che le sorrideva in quel modo sinistro e inquietante. Il suo cuore
mancò un battito e prese ad accelerare velocemente, mentre l’altro la scrutava;
si fece coraggio e gli consegnò la pergamena.
Jhin osservò l’oggetto che Selene le stava porgendo, il modo
in cui il suo sguardo spaventato si posava su di lui, lo divertiva
particolarmente, ai suoi occhi sembrava una donna così fragile e questo
risvegliava ancor di più quel suo lato oscuro e sinistro che desiderava
mandarla in frantumi; quella seguace dell’ordine avrebbe dovuto ammaestrarlo
insieme al suo patetico amico? “Ridicolo”, pensò, ”davvero patetico”; sotto la
sua maschera si dipinse un sorriso malizioso e sadico: si sarebbe divertito, la
sua performance stavolta prevedeva un lavoro fine e crudele, avrebbe tessuto i
suoi fili invisibili intorno all’animo di lei e poi, li avrebbe tirati finché
non l’avrebbe stritolata.
-Spero sia un valido motivo per avermi
disturbato – commentò lui, prendendo la pergamena, sorprendendosi dell’espressione
di sfida dell’altra che sollevò il sopracciglio destro. “Non hai idea di chi
hai di fronte, non vorrai sfidarmi” pensò, sorridendo ancor più maliziosamente.
-Il primo incarico assegnatoci dal consiglio
– rispose Selene con voce ferma, infastidita dallo sguardo divertito che le
rivolgeva.
Letta la pergamena, Jhin rise, una profonda risata; lui
avrebbe dovuto prendere parte a uno scontro quel pomeriggio e lei sarebbe
dovuta venire; una donna che, apparentemente era così fragile, certo non
avrebbe potuto aiutarlo negli scontri, come gli era stato riferito lei
apparteneva all’ordine di Hanzai e i membri che vi appartenevano spesso non
erano ottimi combattenti. Patetico, un individuo della sua levatura non poteva
avere accanto una misera combattente, avrebbe rovinato solo la sua performance.
-Cosa c’è di così divertente? – domandò
Selene, il suo modo di relazionarsi con lei la innervosiva e allo stesso tempo,
il modo in cui la guardava la privava di ogni difesa.
-Tu dovresti venire con me? Nella Landa? –
disse Jhin, staccandosi dal muro, facendo un passo nella sua direzione e
vedendola indietreggiare verso il muro – sai almeno combattere? –
-Non sottovalutarmi – ribatté Selene,
incrociando le braccia, nell’indietreggiare quasi si era ritrovata con le
spalle al muro, così si bloccò di fronte all’uomo; quell’estrema vicinanza la
faceva sentire vulnerabile e questo la infastidiva.
-Non mi è servita un’arma per metterti con le
spalle al muro – disse Jhin con tono derisorio, poggiando una mano al muro,
assaporando la vittoria – l’ordine di Hanzai non si smentisce mai, i suoi
combattenti sono di così scarsa preparazione, così patetici. Meritate la mia
compassione –
Quelle parole bastarono a farle perdere il briciolo di
pazienza rimastale, il modo saccente con cui si rivolgeva a lei la urtava,
inoltre la facilità con cui l’aveva messa alle strette era colpa della sua
vulnerabilità di fronte allo sguardo di lui pertanto doveva agire; si dissolse
di fronte ai suoi occhi in una nube blu notte, ricomparendo alle sue spalle
dopo di che sfilò un pugnale dalla fodera e lo puntò alla sua schiena.
-Non credere di prendermi in giro così facilmente.
Non sono una combattente qualsiasi – disse Selene, vedendolo voltarsi e
poggiarsi al muro.
Rinfoderò quasi subito l’arma e distolto lo sguardo, si
avviò verso l’uscita della stanza, sotto lo sguardo inquisitore dell’altro. Aprì
la porta e, inconsciamente, si voltò un’ultima volta scoprendo che stavolta la
osservava ancor più intensamente, i suoi occhi erano inchiodati ai suoi, di
nuovo a scavare in lei.
-Prepara le tue armi migliori, oggi pomeriggio prima
di partire, pianificheremo il da farsi e testerò le tue abilità. Cerca di non
intralciarmi – disse Jhin, vedendola annuire e lasciare la stanza.
Una volta solo, si sedette su una sedia accanto alla
finestra e scrutò la vegetazione circostante, con immensa sorpresa aveva
appurato che molto probabilmente la donna non era così poco preparata come i
combattenti dell’ordine di Hanzai e questo sarebbe stato solo un vantaggio;
quella ragazza sarebbe stata piena di sorprese e metterla alle strette era
stato divertente. Sorrise di nuovo, poi si alzò, prese le sue armi e iniziò a
preparare i suoi strumenti di creazione e distruzione.
Nel frattempo Selene, una volta scese le scale si era seduta
su una poltrona in velluto nel soggiorno e lì aveva incontrato Hadmon, sdraiato
su un divano; sospirò pesantemente, quel poco tempo passato nella stanza di
Jhin le era bastato a capire che lavorare con lui sarebbe stato difficile. Ad
ogni modo si rilassò e chiamato il suo compagno gli fece vedere la pergamena;
Hadmon non sembrò apprezzare molto l’idea che lei sarebbe dovuta andare nella
Landa insieme al criminale, se fosse successo qualcosa non sarebbe potuto
intervenire. Le propose di scambiarsi con i ruoli, ma la guardiana obiettò che
solo lei poteva avere accesso alla Landa, poi ascoltò il discorso della sua
compagna sulla conversazione che aveva avuto con Khada Jhin.
-Fa attenzione, Selene –
Fu l’unica cosa che fu in grado di dire, purtroppo non aveva
informazioni sufficienti per dire con esattezza con chi avevano a che fare,
avrebbe studiato i suoi comportamenti e poi tratto le conclusioni; di una cosa
era certo: era pericoloso, quella era l’unica cosa che aveva appurato e colto
nel suo sguardo, celante silenziosamente un profondo segreto e malvagità. Era
preoccupato per i rischi che avrebbe corso Selene, così si alzò dal divano,
sfilò dalla tasca una collana con appesa una pietra violacea e gliela mise al
collo; era un amuleto magico che l’avrebbe protetta.
-Tienilo, se dovrai sfruttare le arti del
buio, questo servirà a tenere sotto controllo il demone – disse Hadmon affettuosamente,
trattenendola per le spalle.
-Grazie, Hadmon – rispose Selene,
sorridendogli di rimando.
Insieme trascorsero
le successive ore che precedevano l’ora del pranzo, Selene preparate le sue
armi, posò accanto a sé il suo elmo, poi si distese su un divano finché non si
addormentò, anche Hadmon fece lo stesso: ancora erano provati dal viaggio
precedente e la quiete del luogo era l’ideale per riposare.
Come stabilito nel pomeriggio Selene si fece trovare nel
cortile, Hadmon era seduto su un masso accanto al lago, aveva insistito perché
fosse presente anche lui dicendo che se avesse fatto mosse azzardate lo avrebbe
atterrato senza farsi scrupoli. Sull’uscio della porta dell’abitazione si
presentò Jhin, una mano teneva Sussurro e l’altra era posata su quello che era
il collo di un fucile; a camuffare il suo viso stavolta c’era un passamontagna
con un fazzoletto che copriva metà del suo volto, i suoi occhi schermati da un
paio di occhiali dalle spesse lenti, il torace coperto da un lungo scialle che lasciava intravedere una camicia bianca e
un gilet in pelle; dei lunghi pantaloni, tenuti dalla cinta in pelle cui erano
appese le fodere delle armi e degli alti stivali. Infine un largo cappello in
pelle copriva il suo capo. Con il suo incedere elegante la raggiunse fermandosi
a pochi passi di distanza, ignorando completamente la figura di Hadmon lì
accanto. Nuovamente il suo sguardo mandò a monte le difese che si era
costruita. Di nuovo quell’odiosa vulnerabilità.
-Mostrami il tuo potenziale. Lo scontro terminerà
quando mi priverai di Sussurro – disse Jhin, sparando subito un colpo nella sua
direzione – via -
Prontamente Selene schivò il colpo dissolvendosi e
riapparendo alle spalle dell’uomo, afferrò i suoi pugnali e fece per colpirlo,
ma agilmente Jhin si voltò ed evitò il fendente, poi le afferrò il polso e la
immobilizzò a terra, con una mano le bloccò la sinistra e con il tacco dello
stivale la destra; le puntò la pistola al capo, mentre esercitava una forte
pressione sui suoi polsi costringendola a lasciare le sue armi. Nuovamente lei
si dissolse, sottraendosi alla sua presa e riapparendo in piedi di fronte a
lui; il tempo che lui alzasse lo sguardo che Selene colpì la sua spalla con il
tacco dello stivale destro, facendolo cadere all’indietro, poi riprese le armi
e posata la mano a terra, con un semplice incantesimo delle radici
immobilizzarono i suoi piedi e i polsi. Mentre era concentrata a mantenere il
suo incantesimo, si inginocchiò accanto al pistolero vicino alla sua mano
sinistra che stringeva l’arma; avvicinò la mano a quella dell’uomo per
sfilargli Sussurro, ma non appena lo fece l’altro sparò un colpo, ferendole di
striscio il palmo.
Non appena fu libero, Jhin scattò in piedi e si precipitò su
Selene, nuovamente la immobilizzò a terra puntandole Sussurro sul ventre
scoperto dall’armatura ma stavolta lei puntava la lama affilata del pugnale
alla sua gola: lo scontro si era concluso in parità; quella donna era
sorprendentemente abile per essere una seguace di Hanzai, generalmente rari
membri dell’ordine erano maghi e combattenti e il fatto che lei fosse
un’eccezione, stimolava ancor di più l’interesse verso lei e le sue abilità che
ancora non aveva impiegato in battaglia. Rifletté che il modo migliore per
scoprire il suo potenziale e avvicinarla, per poi farla cedere, erano quel
genere di scontri: le avrebbe mostrato ciò che veramente il Demone d’Oro era in
grado di fare, infondendole lentamente il terrore nel corpo così come aveva
fatto con Ionia.
-Forse sarai utile, per quel minimo che
potrai fare – commentò Jhin, alzandosi in piedi e sgrullandosi di dosso la
polvere, poi elegantemente fece roteare la pistola e la ripose nel fodero in
pelle, scrutando le pozze ghiaccio della ragazza, ora intenta a sistemare le
armi.
-Con chi credi di parlare, Psycho? –
intervenne Hadmon, facendosi avanti infastidito dal modo in cui si rivolgeva a
Selene.
-Prego? – disse il criminale con voce
profonda, incrociando le braccia vedendo il suo interlocutore avvicinarsi di
qualche passo.
-Hai sentito bene, ti è stata concessa la
libertà di azione ma non di insultare la mia compagna. Assicurati di avere
coperte le spalle la prossima volta che tratterai con disprezzo Selene –
ringhiò Hadmon, poi incontrò lo sguardo di Selene che gli sorrise a mo` di
ringraziamento: quella ragazza aveva già altre responsabilità e preoccupazioni
per il suo unico padre e il suo paese, quello sconosciuto non aveva alcun
diritto di calpestarla.
-Assicurati di non diventare parte delle
mie performance – ribatté Jhin, notando l’occhiata rivolta alla donna, sorrise
maliziosamente sotto la sua maschera: un altro misero combattente che tentava
di sfidarlo, ridicolo.
-Per favore basta, abbiamo altre questioni
più importanti invece di bisticciare – si intromise Selene, percependo la
tensione salire alle stelle: Hadmon lo guardava furioso e Jhin lo osservava con
atteggiamento di sfida.
Dopo averlo squadrato un’ultima volta, Hadmon salutò la compagna
e riluttante si avviò verso l’abitazione, per quel pomeriggio avrebbe meditato
e riposato, del resto lui non aveva chiuso occhio il giorno prima né sulla nave
né durante la notte di tempesta.
Una volta rimasti soli, Selene rimase in silenzio poi
sorrise divertita dalla situazione precedente, Hadmon con il suo temperamento
scontroso con gli sconosciuti si era fatto riconoscere: come al solito;
fortunatamente però era intervenuto in suo aiuto e non si era ritrovata a dover
fronteggiare le frecciatine sprezzanti del pistolero e il suo sguardo che
scavava sempre in lei.
-Ti prego, se non sei utile in combattimento
almeno fa divertire anche me – disse tagliente il pistolero, inclinando di lato
il capo.
-Se non fossi intervenuta ho la vaga idea che
uno dei due avrebbe dato il via a una rissa – scherzò Selene, avvicinandosi
all’uomo di un passo.
Sentiva su di sé il suo sguardo sospetto, era evidente che
attendeva una sua mossa; sorridendogli posò le dita sulla sua spalla e subito sotto
il tessuto sentì i suoi muscoli irrigidirsi. Per un singolo istante la luce fu
tale che sotto le lenti riflettenti incontrò il suo occhio scarlatto che la
osservavano per quel gesto inaspettato: non c’era malizia, cattiveria o sfida
come nelle altre situazioni, ma solo sorpresa.
-Grazie per lo scontro, ho scoperto a mie
spese che le leggende su di te sono vere. Anche se un unico particolare è stato
dimenticato – disse Selene, battendo l’indice sulle sue labbra, togliendo la
mano dalla sua spalla.
-Illuminami – rispose l’altro, trovando
fastidiosamente piacevole il suo modo di fare e il suo gesto, la sua corazza di
ghiaccio si era leggermente piegata sotto il suo tocco.
-Sei permaloso, Khada Jhin – ironizzò
Selene, ridendo divertita dal suo modo di reclinare il capo.
-Per favore, risparmiami, le tue parole sono
più misere dei tuoi deboli attacchi. Incamminiamoci verso il portale di
accesso, così discutiamo della strategia da adottare–
Jhin tagliò la conversazione, i suoi occhi ghiaccio con
quella loro luminosità e serenità che lui non possedeva lo attiravano e per
quel motivo doveva mandarla in frantumi: anche loro erano ipocriti mandati dal
Consiglio; sapeva che ognuno di loro indossava una maschera e dietro quella
altre mille se ne nascondevano quindi sicuramente la sua falsa gentilezza era
solo l’ennesimo inganno.
Leggermente dispiaciuta dal suo modo di fare scontroso,
Selene rifletté che doveva esserci un modo di comunicare con lui, avrebbe
cercato di farlo pure con il più sottile; in silenzio lo seguì, nonostante
ufficialmente lei era una seguace di Hanzai, non conosceva nessuna usanza degli
Ioniani cosa sui cui si sarebbe informata, e né tantomeno conosceva la Landa o
i portali di accesso. A ritroso percorsero il sentiero che lei aveva fatto per
giungere all’abitazione, ma a meno di metà strada deviarono su un piccolo
sentiero che attraversava la foresta, ricca di alberi fioriti di ciliegio;
sollevò lo sguardo al cielo e ne contemplò la bellezza, il contrasto tra il pallido
rosa dei petali e il cielo scuro risaltava la bellezza dei fiori, ne rimase
affascinata. Sentì un rumore in lontananza e si voltò, dietro un cespuglio
scorse un cervo dalle maestose corna; quel luogo era pieno di meraviglie, i
luoghi silenziosi come quello la rilassavano, lasciando che la sua
preoccupazione per l’incarico e il suo paese passassero momentaneamente in
secondo piano.
-In cosa sei abile, Selene? In che arti sei
più specializzata – chiese Jhin, che la distolse dai suoi pensieri volendo
indagare sul suo conto.
-Sono una combattente e una maga, come
avrai già capito; farò il possibile per aiutarti in battaglia e portare a
termine l’incarico – rispose Selene, rimanendo sul vago, le arti del buio non
dovevano emergere se non per emergenza, fissando per terra preoccupata
dell’effetto che avevano su di lei.
-Combatterai al mio fianco, cerca di non
intralciarmi; se ti caccerai nei guai dovrai cavartela da sola – commentò Jhin,
giungendo a destinazione: un complesso di scogli e cascate terminanti in un
lago ampio e cristallino.
-Non avrò bisogno del tuo aiuto, so badare a
me stessa – ribatté Selene, incrociando le braccia.
I due si trovavano di fronte al lago, avrebbero dovuto
superare la cascata dietro la quale si nascondeva una piccola grotta: in fondo
ad essa avrebbero trovato il portale; Jhin agilmente saltò su uno degli scogli
e raggiunse senza alcuna difficoltà l’accesso, lasciandola indietro. Stargli
accanto le costava un immenso sforzo, qualsiasi era il suo approccio doveva
sempre ribadire la sua condizione di superiorità, era così snervante, chissà
per quanto sarebbe riuscita a sopportare i suoi modi di fare quel giorno.
Prestando attenzione Selene lo raggiunse e insieme entrarono
nella caverna; si era informata sulla Lega e a farne parte vi erano i più forti
combattenti provenienti dalle varie nazioni, quello che dovevano affrontare
loro era Dr. Mundo, diventato un serial killer a cui segretamente Noxus aveva
chiesto di assassinare un alto funzionario di Ionia il giorno successivo; le
spie del Consiglio lo avevano scoperto e subito avevano agito, quel giorno
doveva essere eliminato, l’indomani sarebbe stato troppo tardi. Essendosi
informata sulla nomea del folle dottore aveva compreso che non era un
avversario facile da sconfiggere e la sua enorme stazza e forza la preoccupava
nel caso in cui i suoi incantesimi elementali non avessero funzionato; in quel
caso sarebbe dovuta ricorrere all’uso dei poteri del Buio o temporali e i primi
erano quelli che più la spaventavano. Ad ogni modo un fattore di vantaggio era
che Dr. Mundo non conosceva la sua identità, né avrebbe riconosciuto Jhin,
mascherato in quel modo.
Giunti al termine della grotta, posarono entrambe le mani su
quella che sembrava una normale parete rocciosa, ma subito su questa emersero
in rilievo i bordi di un’alta arcata che si dispose a mo di portale d’accesso
per la Landa; insieme la varcarono e subito furono investiti da un flusso blu
elettro che li trasportò a destinazione. Selene scrutò l’ambiente circostante,
di fronte a loro si stagliava un alto cristallo luminoso, il Nexus, difeso da
due alte torri, ognuna dalla forma di un alto guardiano con una lancia o un
martello in mano; le stesse torri erano a difesa di altri cristalli più
piccoli, gli inibitori, dai quali si diramavano tre larghe vie sterrate che
conducevano ai rispettivi avversari, ognuna dotata di altre due torri.
Fattole cenno di seguirlo, insieme a Jhin corsero verso la
via all’estrema sinistra, la corsia riservata ai tiratori e ai loro aiutanti
che combattevano sempre in coppia; secondo il pistolero probabilmente avrebbero
trovato lì il loro bersaglio. Solitamente Dr. Mundo combatteva in solitudine
nella corsia della Landa più alta, però da qualche tempo il folle aveva capito
che due avversari erano meglio di un singolo per testare la sua forza e i suoi
ennesimi esperimenti sul suo corpo ormai deturpato. Purtroppo la guardiana non
aveva avuto modo di conoscere i suoi compagni poiché si erano teletrasportati
nella Landa più tardi, ma era riuscita a catturare i loro nomi: Warwick il
cacciatore sanguinario, Ziggs un piccolo furetto nonché esperto di hexplosivi,
Gangplank il flagello dei mari, ma Selene lo ricordò come il capitano gentile
che le aveva offerto il suo rum che ancora temeva di assaggiare.
Arrivata a metà corsia, attese con Jhin l’arrivo dei suoi
avversari, sentiva la preoccupazione crescere, temeva che non sarebbe riuscita
a controllare le arti del Buio al momento della necessità; sentì il demone,
sigillato in lei, fremere e mandarle un brivido lungo tutta la schiena; doveva
tranquillizzarsi, non doveva dubitare, sarebbe riuscita nell’incarico come
aveva sempre fatto.
Notata la sua espressione di spavento con lo sguardo rivolto
al suolo, Jhin si avvicinò a lei. Nemmeno iniziata la battaglia già esitava;
eppure nei suoi occhi ghiaccio non sembrò cogliere la paura dell’avversario,
c’era qualcosa di più profondo che non leggeva.
-Che ti prende? – chiese con voce profonda,
intravedendo in lontananza il tiratore avversario.
- Va tutto bene – ribatté Selene, mostrando
un sorriso tirato.
Quella falsa maschera di tranquillità costruita così
malamente sul suo viso strideva rumorosamente, sapeva che mentiva, tuttavia lui
non era interessato né dei suoi problemi né della sua incolumità, pertanto non
ci badò più di tanto e si concentrò sulla sua avversaria: Jinx; Dr. Mundo
ancora non era presente, questo era un vantaggio, per quel momento si sarebbero
occupati di lei.
-Devi immobilizzarla poi privarla delle sue
armi, poi penseremo a terminare la sua mera esistenza – ordinò Jhin, afferrando
Sussurro e dando inizio allo scontro.
-D’accordo – annuì l’altra,
tranquillizzatasi.
Velocemente Selene afferrò i suoi pugnali, lasciando che le
catene ricadessero sui suoi avambracci, poi corse verso la direzione della
ragazza; subito Jinx puntò la pistola nella direzione di Selene e sparò un
proiettile che prontamente schivò smaterializzandosi di fronte a lei e
riapparendo alle sue spalle. Con un calcio la spinse in avanti e toccato il
suolo delle lingue ghiaccio le immobilizzarono il polso della mano con cui
teneva le armi; Jhin mirò e sparò un colpo ferendo la ragazza sulla spalla,
tuttavia nel farlo intaccò il ghiaccio e questo bastò alla ragazza per liberarsi.
Rimessasi in piedi Jinx colse di sorpresa di Selene la quale si smaterializzò e
ricomparse più avanti, per sua sfortuna di fronte al punto di accesso alla
giungla; si voltò in tempo per vedere un proiettile della ragazza esplodere di
fronte a lei. Si coprì con le braccia ma non sentendo alcun dolore, si scoprì e
nel compiere i movimenti sentì il corpo incredibilmente pesante, era come se
fosse immobile.
-Allontanati, Selene – ordinò Jhin,
percependo un movimento dal cespuglio vicino all’accesso della giungla.
-Non può – urlò divertita Jinx, scoppiando in
una fragorosa risata – attacca Mundo! –
Improvvisamente dal buio della giungla si materializzò la
possente figura di Dr.Mundo, pronto a colpirla con il suo macete. Selene tentò
di muoversi ma non ci riuscì, rivolse uno sguardo preoccupato a Jhin; il
pistolero mosso da una strana forza corse nella direzione della compagna non
appena vide il mostro lanciarle la sua arma, si gettò in scivolata, la afferrò
per il polso e la tirò a terra. Presa Sussurro, scattò in piedi e sparò un
colpo nella direzione di Mundo, colpendolo gravemente sulla spalla; sorrise
vittoriosamente di fronte all’espressione furiosa del killer, il quale prese
una delle siringhe contenute nella sacchetta in pelle vicino alla cintura, poi
conficcò l’ago nella sua spalla colpita e la ferita si rimarginò nel giro di
pochi secondi.
Jhin si voltò verso Selene, riusciva a muoversi quasi con
naturalezza, perciò comprese che l’effetto del gas sparatole stava per svanire;
avrebbe temporeggiato finché non si sarebbe ripresa, nonostante fossero con le
spalle al muro e questo suscitava la sua ira. Aveva dovuto fronteggiare agli
errori della donna interrompendo il suo lavoro, presto gliel’avrebbe fatta pagare:
doveva capire la sua posizione di inferiorità, un intralcio a lui non gradito.
Rimessasi in piedi, Selene comprese che era di nuovo libera
di muoversi; di fronte a lei si sorprese nel trovare Jhin sparare nella
direzione di Mundo, difendendola. Improvvisamente il pistolero si voltò e le
rivolse uno sguardo bruciante di disprezzo e rabbia.
-Ho già fatto tanto per te, stupida incompetente,
perciò vedi di muoverti – ringhiò con tono profondo.
Quelle parole bastarono a far adirare Selene, nuovamente offesa
dal suo modo di fare saccente; vide Jhin nel voltarsi e abbassare la guardia
senza accorgersi che Mundo, supportato da Jinx, aveva colto l’occasione
lanciando il macete nella sua direzione. Prontamente lo afferrò per il braccio,
si smaterializzò e ricomparve sotto la loro torre, non prima di essere colpita
di striscio sul braccio destro rivelando i suoi sigilli. Comprese che quello
scontro doveva terminare al più presto, considerando che non tollerava più la
vicinanza con il Demone d’Oro.
-Adesso siamo pari – rispose Selene,
squadrandolo con astio.
-Ti do pochi minuti di libertà per far fuori
quella ragazza – ribatté Jhin, facendo roteare tra le mani Sussurro, montandovi
sopra un’estensione che lo rese a tutti gli effetti un fucile da distanza.
Corse nella direzione di Mundo, scivolò tra le sue gambe e
si diresse verso Jinx che nel frattempo aveva fatto fuoco nella sua direzione; fece
per colpirla in viso ma la ragazza si scansò, afferrò il suo polso e la spinse
con un calcio sotto la torre nemica. Come per incanto la torre si animò e sparò
un colpo nella sua direzione; per evitarlo Selene si dissolse in una nube e
riapparse alle spalle di Jinx, subito la colpì dietro il collo, facendole
perdere i sensi infine successivamente agitò le mani, dei simboli arcaici si
disposero a formare un sigillo che posato a terra, immobilizzò Jinx
definitivamente.
Nel frattempo Jhin aveva tenuto sotto controllo Dr.Mundo che
sotto la tempesta dei suoi proiettili si era visto costretto a fronteggiarlo,
lasciando la sua compagna; aveva osservato ogni mossa di Selene, studiando attentamente
i suoi movimenti in battaglia e i simboli sui suoi avambracci. Purtroppo per
Selene il tempo che Jhin le aveva dato non fu abbastanza e non appena si voltò
si trovò il killer a sovrastarla con la sua figura; rabbrividì prima di essere
presa per il braccio ferito ed essere scagliata a terra con violenza. Gemette
per il dolore, ma stavolta non si voltò verso il pistolero, non avrebbe chiesto
aiuto, avrebbe creato la condizione perfetta affinché il Demone lo assassinasse;
poco prima che l’altro la attaccasse, dispose le mani una sopra l’altra
pronunciò una formula arcaica e posate le mani a terra due lingue di fuoco blu
elettro, avvolsero Mundo, facendolo indietreggiare e riempendo il suo corpo di
ustioni.
Debolmente Selene si mise in ginocchio a fatica, il polso le
faceva male e si era gonfiato; vide Jhin prepararsi a lanciare il suo colpo
migliore, attendeva solo il momento giusto. Ancora stordita dal precedente
colpo, Selene non fu abbastanza veloce per schivare il colpo di Mundo che colpì
il suo viso con uno schiaffo, facendo urtare il suo viso contro la terra, successivamente
il mostro colpì con un calciò la sua caviglia destra, facendola urlare per il
dolore. La ferocia di quella creatura, non poteva essere fronteggiata con
semplici incantesimi elementali, sapeva che doveva ricorrere alle arti del
Buio, sebbene non volesse; si smaterializzò e riapparse accanto a Jhin che
subito la osservò. Per un singolo istante contraccambiò il suo sguardo,
nascosto dietro le spesse lenti ed ebbe l’impressione che l’altro le stesse
chiedendo silenziosamente se poteva proseguire nello scontro.
-Mira alle sue siringhe – disse Selene, tossendo e
asciugandosi il sangue sulle labbra; avrebbe fatto un ultimo sforzo nonostante le
condizioni del suo polso e della caviglia non fossero delle migliori.
Silenziosamente Jhin posizionò nuovamente il fucile vicino
la spalla sinistra, posò a terra il ginocchio destro e distese la gamba
sinistra; poi, mirò e con estrema precisione sparò un colpo al taschino in
pelle contenente le siringhe che esplosero, andando in frantumi.
-Riesci a combattere, senza finire a pezzi?
Dobbiamo sbrigarci – chiese il pistolero, alzando il suo sguardo dal mirino e
posandolo sulla donna accanto a lui; il sole stava tramontando e combattere
nella Landa nel buio era troppo pericoloso.
-Ci riesco – rispose Selene, sfilando da un
fodero in pelle nera un coltello con ricche incisioni sul manico e la lama in
osso.
Sotto lo sguardo attento del compagno, Selene incise la
cicatrice che recava sul palmo della mano sinistra, nel farlo da essa uscì del
sangue nero; in contemporanea il blu dei suoi occhi lasciò spazio al rosso
scarlatto, così alzò la sinistra in alto e una spirale di nubi nere si dispose
intorno alle scritte sul suo braccio, divenute ormai del medesimo colore dei
suoi occhi. Nel frattempo i sigilli sui suoi avambracci mutavano e attivavano
il loro effetto non appena faceva uso delle arti del Buio. Nel suo corpo sentì
il demone fremere così inspirò profondamente, pronunciando parole arcaiche e
lasciando che intorno a lei, lingue di oscurità dalle forme di spiriti e
dragoni eterei, convergessero nella spirale; di colpo unì le mani e la spirale
di fumo lasciò spazio a una lancia dal manico nero, al centro incastonata una
pietra scarlatta e terminante con una lunga lama: la lancia degli Abissi,
l’arma tramite la quale sfruttava il potere del demone in lei. Si alzò in
piedi, mentre vedeva Mundo correre nella sua direzione, incurante della torre
alle loro spalle.
-Preparati, avrai a disposizione una sola opportunità
– comunicò Selene, alzando la mano destra al cielo e richiamando a sé altre
spirali che si unirono a formare un imponente dragone che si dispose accanto a
lei, dispiegando le ali: Ammit, il divoratore di anime.
Affascinato dal potere che sprigionava la guardiana accanto
a lui, Jhin annuì; nessun membro dell’ordine di Hanzai aveva quelle capacità
strabilianti: doveva sapere chi era quella donna e conoscere di più
sull’immenso potere che stava mostrando di possedere. Si mise in posizione e si
preparò al fuoco. Non appena Selene, scagliò la lancia sull’uomo, trapassando
il suo torace, ordinò alla sua creatura di attaccare il loro avversario e
subito vide il dragone levarsi in cielo e piombare famelico su Dr. Mundo,
avvolgendo i suoi arti in una morsa letale; dalle ali del dragone, avvolte
intorno al corpo del killer, presero vita degli spiriti scheletrici che
trapassarono il corpo di Mundo, rimanendovi all’interno; come per magia il
killer cadde in uno stato di incoscienza. La forza del dragone fu tale da far
inginocchiare Mundo; Selene dissoltasi riapparve di fronte all’uomo. Levò la
mano sinistra in cielo, mentre piccole lingue di oscurità provenienti dal corpo
di Mundo andavano a confluire nei suoi sigilli e nella cicatrice. Avrebbe
pronunciato la formula attraverso la quale poneva fine al rito, strappando
l’anima al killer dannato e dandola in pasto al demone.
-A te, inoltratoti in una terra cui ti era vietato
l’accesso, avendo oltraggiato il custode e condannato la tua anima alla
depravazione, strappo l’essenza che ti costituisce – disse Selene, mentre le
urla degli spiriti si levavano nell’aria; sfilò la lancia dalla sua carne con
la destra e la posò a terra, seguita dal drago che si posò al suo fianco,
dispiegando le ali. Le unghie della mano sinistra, divenute presso che artigli
si strinsero intorno alla sfera oscura che si era formata sul suo palmo:
l’anima di Mundo. Proseguì – reclamo la tua anima, nonché il tuo spirito. Che
tu possa essere dannato in eterno. Ammit divorala–
Il dragone accanto a lei ruggì, il suo grido tranciò l’aria
come un fendente; Selene gli porse l’anima dell’uomo e subito il drago la
divorò. Mundo, fino ad allora in uno stato di incoscienza, gridò non appena i
denti aguzzi di Ammit incisero la sua anima. Le sue grida inumane avrebbero
fatto raggelare chiunque. Lingue di oscurità avvolsero le sue membra, una volta
che Ammit consumò il pasto si avvolse intorno alla lancia e scomparve; Selene
allora si dissolse riapparendo sotto torre, sapeva che l’altro aveva osservato
ogni movimento e avrebbe indagato, ma non c’erano state altre alternative.
-Finiscilo – ordinò Selene, iniziando a sentire il
corpo pesante per l’estremo sforzo.
Come richiesto Jhin sparò un colpo nella direzione di Mundo,
il proiettile trapassò il torace del killer il corpo ricadde, esplodendo poco
dopo e facendo ricadere l’avversario esanime a terra; riposte le armi, si
sollevò in piedi, giusto in tempo per posare il suo sguardo in quelli ancora
scarlatti lei. In quegli occhi colse solo la spietatezza, la ferocia e la
gelida indifferenza di una giustiziera spietata: un angelo sanguinario; allora
era quello il lato nascosto della giovane apparentemente tanto fragile. La vide
inginocchiarsi, lasciando la lancia a terra e iniziare a tossire violentemente;
mosso dalla stessa fastidiosa forza che lo aveva spinto a trarla in salvo, si
avvicinò a lei e non appena intravide il suo viso, scoprì che le sue labbra
erano macchiate di sangue nero e scarlatto, lo stesso della cicatrice.
-Sto bene. Ce la faccio – sussurrò Selene, scostando
la sua mano mentre la sua lancia si dissolveva; provò a mettersi in piedi, ma
fallì e cadde all’indietro.
Si sentì afferrare e poi ritrovarsi tra le braccia del
pistolero, il suo corpo era troppo debole, l’eccessivo abuso di potere l’aveva sfinita
e adesso aveva bisogno di riposare; testardamente provò ad opporsi a quella
presa esitante e delicata che la tratteneva, non intendeva sentire di nuovo le
parole di disprezzo del criminale.
-Non voglio aiuto – si ostinò Selene, ma non
appena provò a muovere la caviglia si lamentò per il dolore.
-Sei testarda, non puoi camminare e nemmeno
muovere il polso, cerca di non peggiorare le tue condizioni… per stavolta farò
un’eccezione e ti porterò io – sussurrò Jhin, passando il suo braccio destro
sotto le gambe di lei e il sinistro sotto il suo capo – tra l’altro gli altri
combattenti hanno distrutto il Nexus e si sono ritirati. Dobbiamo andarcene -
Non potendo opporsi, Selene si lasciò prendere in braccio
dall’altro; fu sollevata dalle forti braccia del Demono d’Oro e sentendosi
ormai sfinita posò il capo sul torace dell’uomo e lasciò la stanchezza
pervadere il suo corpo. Il polso e la sua caviglia le dolevano ed erano gonfi,
sapeva che l’uso di tutto quel potere aveva messo a dura prova il suo corpo, ne
avrebbe pagato le conseguenze l’indomani al risveglio. Era stata poco prudente
perché sicuramente i suoi incantesimi avevano destato i sospetti e la curiosità
del pistolero; un odioso criminale egocentrico e lunatico, prima la detestava e
poi stranamente la aiutava, come in quel momento.
-Jhin…- chiamò Selene, cullata dal battito
del cuore dell’altro.
-Che c’è? – rispose il pistolero, assorto
nei suoi pensieri: portare la giovane in braccio e permetterle di stare a una
distanza presso che nulla da lui lo destabilizzava; il calore del corpo della
donna riscaldava la sua impenetrabile armatura di ghiaccio e aculei; quel
contatto che mai si era preoccupato di avere e che aveva sempre rifiutato,
l’idea di aver scoperto che collaborare con la donna non era una minaccia per
la sua indipendenza anzi, suscitava in lui una sensazione diversa mai percepita
prima sebbene allo stesso tempo rappresentava una fonte di preoccupazione.
Abbassò lo sguardo incontrando gli occhi di Selene, non c’era alcuna traccia
nei suoi occhi della furia demoniaca che aveva colto prima, adesso colse
solamente la sincerità e la serenità riacquisita dopo lo scontro; di nuovo
quella tranquillità che lui non aveva mai posseduto. Forse lei non indossava
alcuna maschera, non era lì per cercare di ingannarlo o per privarlo della sua
indipendenza…
-Grazie, Jhin… per avermi salvatae aiutata–
sussurrò la guardiana, sorridendogli debolmente e chiudendo gli occhi.
Il pistolero rimase in silenzio, distogliendo lo sguardo;
lui era il Demono d’Oro, la gentilezza non poteva esserci nel suo cuore di
ghiaccio, si era sempre tenuto distante dalle persone; affezionarsi era per i
deboli e amare per i suicidi, rendeva la sua corazza impenetrabile
improvvisamente vulnerabile e questo significava permettere ai suoi avversari di
entrare nella sua mente e privarlo dei suoi averi, minacciando la sua
indipendenza. Tutte quelle che per lui erano sciocchezze sentimentaliste erano un
mondo lontano da lui eppure adesso quell’universo lo aveva appena sfiorato e la
semplicità con cui la sua armatura si era piegata era fastidiosamente
sorprendentemente. Chinò lo sguardo di nuovo sulla ragazza che portava in
braccio, ormai aveva perso i sensi; qualche ciocca di capelli argentei le
carezzava il viso, le labbra erano appena schiuse e macchiate di sangue e gli
occhi socchiusi. Per un breve istante rimase affascinato da quella visione, ma
non appena se ne rese conto nacque in lui un meccanismo di difesa: era una
minaccia per la sua indipendenza; lei destabilizzava quella corazza di ghiaccio
e per quello, anche se aveva il minimo potere di inciderla, doveva annientarla.
No. Nessuno avrebbe avuto la chiave di accesso ai suoi pensieri, ai suoi
segreti più reconditi.
-Ti distruggerò, angelo – sussurrò Jhin, mentre la
follia si faceva spazio nel suo cuore e nella sua mente, pianificando i suoi
scenari di terrore.
Inspirò profondamente e alzò lo sguardo al cielo. Ormai il
sole era scomparso dietro l’orizzonte lasciando spazio al blu della notte che
piano piano divorava i rimanenti raggi di luce. Così lentamente quell’oscurità
si avvolgeva intorno alla sua anima, famelica di sangue e sofferenze,
rendendola ancor più gelida; quella era la sua essenza: lui, Khada Jhin era un
predatore indipendente. La sua anima dannata i suoi segreti inaccessibili, lo
rendevano un assassino spietato e indifferente alle questioni umane; così era e
sempre sarebbe stato, avrebbe difeso la sua indipendenza e annientato ogni
ostacolo.
Un sorriso perfido e malizioso si dipinse sotto la maschera
che copriva il suo viso; profonda e minacciosa la sua risata riecheggiò
nell’aria. Arrivato al portale prima di abbandonare la Landa, si inginocchiò.
Guardò Selene, carezzando con il pollice il suo viso e nel farlo macchiò la sua
guancia del sangue delle sue precedenti vittime. Un brivido di malvagia euforia
percorse la sua schiena.
-Oh sì, mio angelo, io ti manderò in frantumi. Ti
farò danzare e cantare con me e pezzo per pezzo consumerò ogni parte di te…
pezzo dopo pezzo, te cadrai ai miei piedi come una marionetta–
Le sue ultime parole riecheggiarono nell’aria, imprimendo
quella promessa come una sorta di marchio sulla sua preda: la caccia era
iniziata. L’oscurità prevalse sulle ultime luci del giorno, sotto i suoi
occhiali il suo occhio scarlatto scrutava i lineamenti armoniosi della sua
vittima. La sua distruzione avrebbe reso la sua armatura inattaccabile e avrebbe
fatto sparire quel filo invisibile che lo aveva tirato quando la aveva salvata.
Volse il viso al
cielo e chiuse gli occhi. Un bagliore li investì e quando le luci blu elettro
si dissolsero, la Landa tornò ad essere vuota.
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Capitolo 5 *** A dangerous pact ***
cap 3 a dangerous pact
“L’odio è un veleno prezioso più caro di quello dei Borgia;
perché è fatto con il nostro sangue, la nostra salute, il nostro sonno e due
terzi del nostro amore.”
(Charles Baudelaire)
Con molta fatica, Selene riaprì gli occhi. La luce del
giorno entrava prepotentemente dalla finestra, illuminando la piccola stanza e
il letto matrimoniale su cui era sdraiata; ci mise qualche minuto prima di
rendersi conto di indossare il suo pigiama e di non avere più indosso la sua
armatura, lasciando in piena vista i suoi tatuaggi. Si stropicciò gli occhi e
riluttante si mise a sedere, spostando dalle gambe il candido lenzuolo; solo
allora si rese effettivamente conto delle fasciature che avvolgevano il polso e
la caviglia destri. I suoi muscoli erano intorpiditi e la testa le doleva,
questo era il risultato dell’abuso di potere e del fatto che ancora non era
padrona delle arti del Buio; pensò per un momento agli avvenimenti precedenti
del giorno prima, ricordava di essere caduta in uno stato di semi incoscienza e
di aver sentito delle parole indistinte del pistolero, infine solo il nero più
assoluto. Sospirò pesantemente, probabilmente avrebbe sentito i rimproveri di
Hadmon che subito si sarebbe operato per sottoporla ad allenamenti intensivi.
Si fece forza e si mise in piedi. La caviglia le doleva ma
fortunatamente riusciva a camminare, così si diresse verso lo specchio di
fronte al letto, posto vicino all’armadio in cui aveva disposto le sue cose.
Guardò la sua figura, aveva i capelli scompigliati e il viso graffiato, il
pantalone corto e grigio del pigiama e la canottiera bianca lasciavano scoperte
le sue lunghe gambe, in particolare il simbolo di Guardiana della Notte, un
dragone nero che si attorcigliava lungo il suo piede e sul cui muso spiccava un
occhio scarlatto. Le braccia nude, dal polso in su erano percorse da simboli
arcaici, ovvero i suoi sigilli. Improvvisamente si soffermò a guardare i suoi
vestiti, indossava l’intimo però una domanda sorse più spontanea di tutte: chi
l’aveva spogliata e cambiata?
Con quel pensiero in testa senza cambiarsi, si diresse verso
la porta, la aprì e lasciò la stanza; zoppicante si diresse verso le scale, e
mantenendosi al mancorrente a fatica, scese ogni singolo scalino. Dalla cucina
sentì alcune voci, così si affrettò, purtroppo però non fece attenzione e inciampò
all’ultimo scalino, cadendo in avanti; improvvisamente alle sue spalle una mano
la afferrò per il braccio e la tirò indietro, facendole riprendere
l’equilibrio. Si voltò aspettandosi di incontrare Hadmon, ma sussultò, spaventandosi
non appena incontrò l’occhio scarlatto di Jhin; la quasi familiare
vulnerabilità accompagnò il momento in cui lo vide, sospirò pesantemente,
passandosi le mani sugli occhi e riacquistando la calma.
-Sembra tu abbia appena visto un fantasma –
disse Jhin con tono derisorio, scrutando il viso pallido di lei e mantenendo la
presa.
-Non ti ho sentito arrivare… – rispose
Selene, percependo il gelo degli artigli dorati dell’altro sulla sua pelle;
proseguì abbozzando un sorriso – ad ogni modo, grazie per avermi afferrata
prima che cadessi-
- Non illuderti, sarebbe stato solo tedioso
averti tra i piedi mentre scendevo le scale, ecco tutto – commentò infastidito
l’altro, la sua armatura si era di nuovo graffiata e appena piegata nell’istante
in cui l’aveva afferrata di getto. Iniziava a odiare quell’effetto che aveva su
di lui.
Detto così, Jhin si avviò lasciandola da sola e voltandole
le spalle; l’espressione dispiaciuta sul suo viso e infastidita fu una vittoria
per lui e questo bastò a sanare i graffi sulla sua corazza. Dal canto suo
Selene, lo fissò allontanarsi e uscire dalla casa, prima mostrava la sua
gentilezza per poi ferirla, non curandosi dei suoi pensieri e prendendosi la
libertà di calpestarla in qualsiasi momento. Sospirò bruscamente e si avviò verso
la cucina, dove vide Hadmon appoggiato al davanzale in marmo intento a leggere
un giornale e Ana, leggere una lettera; non appena varcò la soglia della cucina
entrambi sollevarono lo sguardo.
-Buongiorno, Selene – disse Ana,
sorridendole affettuosamente, adoperandosi subito per prepararle la colazione.
-Ben svegliata – commentò Hadmon, piegando
le labbra in un dolce sorriso, aiutandola a sedersi.
-Buongiorno – rispose Selene, entrambi la
misero di buon umore e subito accantonò l’avvenimento precedente.
-Come è andata la missione di ieri? –
chiese Ana, notando le fasciature e i graffi sul suo viso.
-Abbiamo portato a termine l’incarico,
fortunatamente – rispose Selene, incrociando le braccia sul tavolo.
-Ieri notte mi sono preoccupata quando Jhin
ha bussato alla mia porta, svegliandomi. Non appena ti ho vista svenuta tra le
sue braccia mi sono subito adoperata per le tue ferite e cambiarti vestiti –
dichiarò Ana, dandole un caldo bicchiere di latte e alcuni biscotti, sorridendo
non appena l’altra la ringraziò.
-Anche io mi sono alzato e sono venuto a
vedere che succedeva, ho curato con la magia il tuo polso e la caviglia, adesso
è rimasto solo il livido e un po' di gonfiore – intervenne Hadmon, sedendosi
vicino a lei; non appena la notte precedente aveva visto le labbra sporche di
sangue e la cicatrice incisa aveva capito che aveva usato le arti oscure,
perciò non appena Ana li avrebbe lasciati soli avrebbe parlato privatamente con
la compagna.
-Vi ringrazio per l’aiuto. Quindi sei stata
tu Ana a cambiarmi? – domandò Selene, imbarazzata.
-Si, tranquilla. Ho lavato la tua armatura–
rise Ana, divertita dal suo viso rosso, poi prese la lettera sul tavolo e la
borsa che aveva appeso alla sedia – se mi volete scusare ragazzi io devo andare
a fare alcune commissioni, ci vediamo più tardi –
Detto così Ana si congedò, lasciando soli i due Guardiani
che la salutarono educatamente; mentre mangiava Selene scrutò Hadmon, quella
mattina indossava una maglia bianca dallo scollo largo che lasciavano
intravedere i tatuaggi nonché simboli arcaici sul suo petto; il morbido tessuto
aderiva al suo torace, mentre le maniche tirate su, lasciavano scoperti i suoi
avambracci. Aveva lunghi pantaloni neri, che aderivano ai muscoli delle sue
gambe toniche e alti stivali; un lungo cappotto nero smanicato ricadeva sul suo
corpo, con rinforzi metallici sulle spalle da cui prendevano forma dei piccoli
aculei. Infine i suoi capelli neri erano tirati indietro eccetto qualche ciuffo
che ricadeva sul suo viso. Dalla sua espressione seria comprese che c’erano alcune
cose che voleva chiederle, infatti non appena finì la colazione le disse di
andare a indossare gli abiti che presto gli avrebbe applicato un unguento in
grado di medicarle ulteriormente le ferite, poi le avrebbe dovuto parlare della
battaglia del giorno prima e di alcune questioni importanti. Non appena Selene
ebbe finito di mangiare, andò nella sua stanza, si sfilò il pigiama poi
dall’armadio prese e indossò la sua armatura secondaria ovvero una tutina nera
in pelle, col il collo alto, un ampio spacco sul seno e intrecciata sulla
schiena. Completamente smanicata lasciava in vista i suoi sigilli quindi prese
dei lunghi guanti tagliati sulle dita, con dei rinforzi metallici sulle nocche
e li indossò; si sistemò i capelli in un’alta coda e infine prese un paio di
calzini e un paio di alti stivali neri che avrebbe indossato dopo le
medicazioni di Hadmon.
Una delle doti di Hadmon, erano le magie curative e grazie a
quelle le sue ferite guarivano sempre nel giro di qualche giorno invece che
nell’arco di settimane; tuttavia doveva mantenersi sempre a riposo, qualsiasi
mossa brusca l’avrebbe riportata nelle condizioni iniziali. Date le sue
condizioni e non potendo allenarsi con il dragone, nel pomeriggio sarebbe
andata a fare una passeggiata nella foresta intorno all’abitazione e si sarebbe
rilassata da qualche parte, leggendo. Prima però doveva parlare con Hadmon,
così lasciata la stanza lo raggiunse in cucina, posati gli stivali vicino al
tavolo si sedette accanto a lui. Delicatamente le prese il piede e il polso
destro, le tolse le fasciature e da una piccola boccetta che aveva sul tavolo
prese un unguento dall’intenso profumo di lavanda e glielo applicò sui punti
lividi, finché questo non fu assorbito completamente. Infine le riavvolse le
bende, richiudendo la boccetta e infilandola in una sacchetta attaccata alla
sua cinta.
-Di cosa volevi parlarmi? – chiese Selene,
indossando i calzini e gli alti stivali in pelle.
-Seguimi, non voglio parlarne in casa –
rispose l’altro, alzandosi e dirigendosi verso l’uscita dell’abitazione.
Usciti di casa, si sedettero vicino al piccolo lago sotto un
albero di ciliegio, Hadmon controllò che nessuno ci fosse nei paraggi in
particolare Jhin, poi si preparò a parlare.
-Ieri grazie al tuo amuleto ho percepito che
hai usato le arti del Buio. Selene sai che se abusi di quel potere senza
allenarti a fondo metti a rischio la tua vita – sospirò Hadmon bruscamente,
passandosi la mano destra sugli occhi per poi inchiodarli su di lei – so che
hai richiamato a te Ammit… -
-Non ho avuto altra scelta, era una
situazione critica e non potevo contare su nessuno – ribatté Selene, facendo
spallucce; era dispiaciuta e sapeva che non era stata prudente, perché i suoi
muscoli le dolevano a causa di tutto lo sforzo cui aveva sottoposto il suo
corpo.
-I demoni che te controlli non possono essere
risvegliati senza prudenza, ognuno di loro risponde a Thànatos e rischiare di
richiamare lui significherebbe farti divorare dall’interno – continuò l’uomo,
poi vedendola chinare lo sguardo a terra, le posò la mano sinistra sul capo
sorridendole affettuosamente – se non altro sei stata brava a dominare Ammit,
brava guardiana –
Nonostante sapesse che Selene aveva fatto poca attenzione,
non riusciva ad essere troppo severo con lei; conosceva il fardello che portava
sulle spalle nell’essere la custode del Buio, nessuno era mai stato in grado di
contenere la ferocia e la sete di sangue e distruzione del demone che portava
nel suo corpo. Nessuno dei precedenti guardiani, tra cui sua madre erano mai riusciti
a sfruttare i suoi poteri senza che il mostro ne approfittasse, divorando piano
piano i loro corpi e la loro anima. Thànatos agognava a raggiungere un solo
obiettivo: riavere indietro il suo cuore e nel farlo, il guardiano doveva
stringere con lui un patto di sangue; nessuno ci aveva mai provato e lui non
intendeva lasciarlo fare a Selene, fintanto che la sua compagna non fosse stata
abbastanza forte e padrona nel dominare i demoni dell’oscurità. Da anni
ricercava nei più antichi manoscritti delle Biblioteche dei Guardiani metodi
alternativi per evitare di stipulare il patto e salvarla, tuttavia non aveva
mai trovato alcuna soluzione. Inoltre dovevano fronteggiare coloro che ambivano
a liberare il potere di Thànatos, tra cui la setta di Zwey e con buona
probabilità anche il Demone d’Oro: nel giro di poco tempo ne sarebbe rimasto
affascinato o forse già ne era attratto.
-Quando queste ferite saranno guarite,
riprenderemo ad allenarci… inoltre ieri a Tuula ho scoperto l’esistenza di una
biblioteca, credo che oggi pomeriggio mi recherò lì per continuare le mie
ricerche… – chiese gentilmente Hadmon, appoggiandosi
al tronco dell’albero.
-Hadmon, sai che non c’è alcuna soluzione…
- disse Selene, abbozzando un triste sorriso.
-Io la troverò. So cosa è successo ai tuoi
predecessori e ci deve essere un modo… c’era un guardiano a cui aveva obbedito
Thànatos, l’unico, purtroppo ancora non trovo sue testimonianze. Si dice che
abbia girato i vari continenti in cerca di una risposta e che infine l’avesse
trovata proprio qui a Ionia, quindi non mollerò la presa proprio ora. Non ti
lascerò in pasto a mio fratello- commentò Hadmon, volgendo lo sguardo verso il
cielo azzurro.
-Grazie, Hadmon... lascia che venga con te oggi
pomeriggio – disse Selene, posando una mano sulla sua spalla e appoggiandosi
sul tronco accanto a lui. Appoggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi
rilassandosi.
-No devi stare a riposo Selene, inoltre per
quel che riuscirai devi tenere d’occhio il Demone d’Oro… da stamattina è
scomparso – ribatté Hadmon, incantato dai petali che si adagiavano sul letto
d’erba – vieni, facciamo pratica sulle magie elementali–
-Va bene, poi mi lascerai riposare come si
deve? – sbuffò Selene sorridendogli.
-Può darsi pigrona – chiosò Hadmon,
sollevando un sopracciglio e mostrando un ghigno beffardo.
Sotto il sole di mezzogiorno, Selene si sfilò gli stivali e
i lunghi guanti e li depose; essere a diretto contatto con il suolo e la natura
circostante le permetteva di controllare al meglio le sue abilità, come doveva
fare un qualsiasi Guardiano. Si mise in piedi sul piede sinistro e sollevò il
destro, in contemporanea alzò la mano destra, agitò le dita e nel schioccarle
una lingua di fuoco si materializzò e avvolse il suo braccio. La fiamma
lentamente si allontanò da lei e iniziò a girarle intorno, assumendo la forma
di un piccolo drago. Successivamente la mano destra la tenne all’altezza del
seno e successivamente con la sinistra, fece un movimento in avanti come a
colpire a qualcuno e una lingua d’acqua si levò in aria e iniziò a roteare
intorno a lei. Successivamente unì le mani e parte dei due elementi si fusero
creando uno sbuffo di vapore, così prontamente Selene ci soffiò sopra e da esso
si originò un vortice di vento che si dispose insieme agli altri. Hadmon di
fronte a lei la osservava silenzioso, ormai aveva sviluppato una certa abilità
nel controllare gli elementi perciò sapeva che ciò a cui lui mirava adesso era
il controllo del Buio e non i poteri elementali. Per richiamare a sé la terra,
posò infine il piede destro a terra e delle lunghe radici verdi avvolsero il
suo tatuaggio di Guardiana del Buio. Sollevate le mani le quattro fiamme si
alzarono in aria e si disposero in cerchio; da esse presero forma quattro
dragoni eterei dal possente corpo squamato e le zampe artigliate. Più file di
aculei partivano dal capo dei draghi e si estendevano fino alla coda, ognuno
aveva imponenti corna grigie, occhi ghiaccio e immense ali.
Hadmon le sorrise e rimase contento dell’espressione soddisfatta
di Selene, che si mise a ridere: era riuscita a dominare i quattro elementi e il
fatto che fosse in grado di richiamare a sé i detentori di quel potere ne era
l’ulteriore conferma. L’altezza delle creature era di circa tre metri e a malapena
rientravano nel giardino così Selene agitò in aria la mano e i draghi si
dissolsero in fiamme che poi scomparvero. Il suo compagno le continuava a
sorridere soddisfatto, sentiva di aver raggiunto un traguardo ora doveva solo
divenire padrona del tempo e delle arti oscure e poi sarebbe stata a tutti gli
effetti la Guardiana del Buio. Indossò i suoi stivali e i suoi guanti e si
avvicinò al compagno.
-Per stavolta posso lasciarti riposare. Non
abituartici troppo- scherzò Hadmon, riavviandosi i capelli corvini.
-Hadmon, sei troppo severo con me – disse
Selene, alzando gli occhi al cielo fingendosi scocciata; con qualche difficoltà
si avviò versol’abitazione, prima che l’altro la prendesse in braccio da sotto
le gambe.
-Non credo proprio, sono troppo buono –
affermò il custode, sorridendole amichevolmente per poi metterla a sedere
sull’erba.
Nonostante Selene obiettò, Hadmon la portò fino alla sua
stanza e la adagiò sul letto; le disse che avrebbe preparato il pranzo dato che
Ana sarebbe stata fuori fino a tardo pomeriggio. Una volta sola Selene si alzò
e, preso un libro, si sedette accanto alla finestra aperta; una piacevole
brezza investì il suo viso seguita dal profumo intenso di fiori. Jhin era
scomparso nella foresta e dato il suo compito avrebbe dovuto indagare, questo
la scocciava considerato che poco tollerava la sua presenza. Per un momento
pensò quale evento passato lo avesse reso una folle furia omicida. Guardò il
cielo azzurro, voleva conoscere per guardare agli eventi da diversi punti di
vista; per quel momento però decise di mettere da parte l’idea. Ritornò a
osservare il giardino poi aprì un libro di un lontano Guardiano del Buio,
Elias, sulla dominazione delle arti oscure e iniziò a leggere le righe. I
Guardiani del Buio avevano una sorprendente abilità nel dominare le svariate
arti, purtroppo però di guardiano in guardiano arrivava un momento in cui il
demone sigillato in loro si risvegliava durante le evocazioni, piano piano
divorava il loro corpo e accorciava la loro vita. Loro non avevano lunga vita e
Hadmon negli ultimi tempi stava cercando informazioni circa il modo di
fronteggiare il problema e circa un Guardiano che era riuscito a stringere un
patto con Thanatos, trascorrendo così una vita longeva. Lette alcune pagine sul
demone Ammit, guardò fuori dalla finestra: non aveva mai voluto quell’incarico
che le aveva strappato via sua madre e costretta ad allenarsi e a stare lontana
dalle persone care per evitare che venissero coinvolte in eventuali agguati da
parte di sette segrete, come l’ordine di Zwey. Ogni anno percepiva il peso di
quel potere crescere seguita dalla paura di venir distrutta da essa. Per
fortuna aveva conosciuto Hadmon che era sempre stato al suo fianco, non
lasciandola mai sola.
Presa dai suoi pensieri non sentì la voce di Hadmon chiamarla
dal soggiorno, al punto che l’altro fu costretto a salire le scale per
avvisarla che il pranzo era pronto. Si scusò con lui, non confessò i suoi
pensieri e il dragone non parve accorgersi di nulla, fortunatamente. Prestando
attenzione Selene posò il piede a terra e si accorse che l’unguento di Hadmon
aveva fatto effetto: il dolore era quasi scomparso del tutto e poteva camminare
normalmente. Insieme scesero le scale e andarono in cucina, da cui proveniva un
buon profumo, si sedettero e iniziarono a mangiare. Non appena Selene assaggiò
la pasta, Hadmon vide il suo viso illuminarsi.
-Wow! È squisita, ti rinomino Guardiano dei
fornelli, Hadmon- scherzò Selene, divertita dalla sua espressione: aggrottò le
sopracciglia, prima che un sorriso malizioso si dipinse sulle sue labbra.
-Lasciarti preparare il pranzo, significava
intossicazione alimentare assicurata – ribatté Hadmon, addentando un’altra
forchettata di pasta.
-Ti sorprenderò un giorno vedrai – rispose
Selene, tirandogli una pacca sulla spalla nuda.
-Si avvelenandomi – rise Hadmon e la sua
risata riecheggiò profonda nella stanza, poi proseguì – appena finiamo, devo
andare alla biblioteca… –
-Penso che studierò il libro sul Guardiano
Elias, prima devo capire dove è andato Khada Jhin – affermò Selene, sospirando
pesantemente.
-Ana stamattina mi raccontava che i
precedenti membri dell’ordine di Hanzai che avevano tentato di convivere con
lui e controllarlo, erano fuggiti poco dopo tempo. Ha un profondo odio verso
Hanzai e il consiglio, nonché verso Shen… -
-Chissà cosa sarà accaduto in passato,
Hanzai ci ha detto poco sugli avvenimenti precedenti al nostro arrivo –
rifletté Selene, finendo di mangiare e posando il piatto nel lavandino,
iniziando a lavare le posate.
-Non appena ci incontreremo con lui, ci informeremo…
mi spiace doverti lasciare sola con psycho – concluse Hadmon, appoggiandosi al
bancone in marmo vicino a lei.
-Tranquillo Hadmon, mi riposerò e poi sono in
grado di difendermi – disse la guardiana, sorridendogli amichevolmente.
Finito di sistemare la cucina, Selene e Hadmon salirono le
scale, lei avrebbe fatto un bagno caldo, mentre l’altro presa una piccola sacca
in tela con all’interno manoscritti, si avviò verso l’uscita. Selene lo salutò,
dopo che l’altro si era raccomandato di chiamarlo tramite il loro patto, nel
caso di necessità. Lo vide allontanarsi, scendendo le scale, poi una volta sola
si recò nella sua stanza e prese dall’armadio un grande telo da doccia. Dopo di
che attraversò il corridoio ed entrò nel bagno posto di fronte alla stanza di
Hadmon. Il bagno era di medie dimensioni, in fondo vi era un’ampia vasca
circolare e ai lati destro e sinistro rispettivamente i sanitari e il lavabo
con lo specchio; accanto ad esso vi erano alcuni armadietti e scaffali privati.
Riempì la vasca e vi si immerse, velocemente si lavò, asciugò i capelli e
indossò la tutina.
Una volta pronta prese il libro del Guardiano, i suoi
pugnali e scese le scale. Fuori il sole era ancora alto in cielo e c’era molto
caldo ma restare sola nell’abitazione non le piaceva, così come non gradiva la
solitudine; riportava alla memoria solo ricordi non felici che lei preferiva
dimenticare. In silenzio, si avviò verso la foresta, intendeva ritornare al
punto in cui il giorno prima era entrata nella Landa degli Evocatori; così
ripercorse gli stessi sentieri, accompagnata dai sussurri del vento. Giunta a
destinazione si trovò di fronte alla cascata, si guardò intorno alla ricerca di
un posto tranquillo ove studiare e lo trovò: vicino al lago vi era un gruppo di
scogli disposti in modo tale da permetterle di sedersi e contemplare la
bellezza della natura circostante. Subito si sedette e iniziò ad analizzare il
contenuto di quelle pagine, ricche di sigilli per l’evocazione dei vari demoni
dell’oscurità.
Il tempo sembrò volare e senza accorgersene, cullata dai
suoni dell’acqua che si infrangeva sugli scogli, Selene finì per addormentarsi
con in braccio il libro. Sognò la sua isola, ritornando al momento in cui per
la prima volta aveva evocato Ammit; accanto a lei c’era Hadmon che nella sua
forma umana era sdraiato su un’amaca accanto all’entrata del dojo del maestro.
Non appena il dragone etereo si era materializzato era scattato in piedi, ma
subito il maestro gli aveva fatto cenno di stare fermo, convinto che nulla
fosse accaduto. Così fu, dopo essersi mostrato Ammit si dissolse. Nel sogno si
avvicinò ad Hadmon con in mano la lancia e improvvisamente lo trafisse in
prossimità del cuore. L’uomo si accasciò di fronte a lei, mentre il sangue macchiava
le sue dita. Paralizzata, iniziò a piangere a dirotto, subito si precipitò su
Hadmon ma non appena lo prese tra le braccia il buio più profondo la avvolse e
il dragone si dissolse tra le sue braccia.
Un vento caldo d’improvviso la avvolse e fu proiettata in
uno scenario ancor più terrificante. Di fronte a lei il palazzo reale, in
fiamme era tempestato dagli attacchi di un imponente demone. Il viso della
creatura era un teschio dalle lunghe corna su cui spiccavano due occhi viola; da
esso prendeva forma il corpo nero squamato e ricoperto di aculei e terminante
con una lunga coda. Le sue mani unghiate troncavano alberi e piante del
giardino, sottostante al palazzo. A ogni battito d’ali, una parte della
costruzione cedeva su sé stessa e migliaia di urla disperate si levavano in
aria. Il ruggito della bestia la fece rabbrividire, il mostro divorava le anime
dei guardiani, trafiggendo i loro cuori. Tentava di muoversi ma delle lingue di
oscurità la immobilizzavano. Vide il demone bloccarsi di fronte all’unico balcone
intatto della reggia, su di esso un anziano guardiano si preparava ad
affrontarlo: suo padre, Eredith. Tentò di urlare e muoversi ma nulla: era di
nuovo immobile. Sentì il suo corpo venir smosso e una profonda voce chiamarla,
aveva un timbro melodioso appena distorto; per un istante le sembrò familiare
ma non riuscì a identificarla. Le lingue abbandonarono il corpo di lei e si
mise in piedi correndo nella direzione del palazzo. Giunta vicino al demone,
chiamò il padre ora intrappolato nella stretta della creatura pronta ad
artigliare il suo cuore. Eredith le rivolse un ultimo sguardo, sorridendole poi
la bestia divorò senza alcuna pietà il suo corpo e la sua anima. Selene urlò,
scoppiando in lacrime, ma dalle sue labbra non proveniva alcun suono.
Disperata cadde
inginocchio e d’improvviso il demone che fino allora sembrava non aver fatto
caso alla sua presenza, si voltò vedendola. Prima che potesse far qualcosa, il
mostro si parò di fronte a lei e allungò i suoi lunghi artigli su di lei.
-Selene, preparati perché presto reclamerò ciò che di
diritto mi spetta – ringhiò la creatura, preparandosi a trafiggerla con
l’artiglio destro.
Conosceva alla perfezione la creatura che aveva di fronte a
lei, era quella che albergava nel suo corpo: Thanatòs, il demone sovrano dell’oscurità
e della notte. Urlò contro di lui e stavolta la sua voce uscì prepotente dalle
sue labbra come le lacrime che ora solcavano le sue guance senza fermarsi.
-Non avrai mai niente da me- sbottò la guardiana, ma
suscitò solo una profonda risata del demone.
Dal corpo di Thanatòs delle lingue oscure la avvolsero e
lentamente la trascinarono nel suo petto in prossimità del cuore. In ogni modo
la donna tentò di divincolarsi; improvvisamente l’artiglio della creatura la
trafisse da parte a parte inchiodando il suo corpo a quello di Thanatòs. Il suo
urlo tranciò l’aria, mentre lentamente veniva inglobata dal corpo della bestia.
Presto si ritrovò al suo interno e l’oscurità più profonda progressivamente la
inghiottì, mentre migliaia di anime dannate attraversavano il suo corpo. Urlò e
cercò di respirare ma nell’aprire la bocca l’oscurità si insinuò tra le sue
labbra, percorrendo la gola e poi varcando i suoi polmoni. Nuovamente si sentì strattonare,
la stessa voce di prima la chiamò, cercò aiuto ma fu tutto inutile il buio
l’aveva già avvolta: lei aveva smesso di respirare e il suo cuore era stato
ormai divorato.
Di botto Selene si svegliò, portandosi subito una mano al
petto. Il suo cuore batteva all’impazzata e respirava affannosamente,
inconsciamente nel sonno aveva trattenuto il respiro e quindi adesso aveva un
gran bisogno di ossigeno. A causa dello spavento non si era accorta della
presenza di qualcuno di fronte a lei e quando chinò il capo sul libro, scorse
dei familiari stivali dorati; alzò il capo e sussultò non appena trovò di
fronte a sé il volto mascherato di Khada Jhin. D’istinto indietreggiò di fronte
al suo occhio scarlatto, trovandosi schiacciata contro la roccia; tuttavia stavolta
nel suo sguardo non colse alcun disprezzo anzi la scrutava silenziosamente, in
attesa di una sua risposta. Perché era lì inginocchiato di fronte a lei?
-Cosa ci fai qui… - chiese Selene, prendendo
il libro e stringendolo a sé, come a difendersi dal suo sguardo divenuto più
intenso.
-Dovrei chiederlo io a te – rispose Jhin con
voce profonda, nel suo tono c’era un pizzico di ironia.
La giovane lo guardò con espressione interrogativa, era
evidente che non capiva a cosa si riferisse; si mise in piedi, incrociando le
braccia, squadrando la sua figura: il colore ghiaccio dei suoi occhi si era
tinto di una sfumatura più fredda, era come spaventata dall’incubo di cui era
stata vittima fin quando non l’aveva riportata alla realtà.
-Questo è il luogo di accesso alla Landa per molti
combattenti e nonostante siano Ioniani, tra loro ci sono alcuni poco
raccomandabili…- confessò Jhin, posando l’attenzione sullo specchio d’acqua ai
suoi piedi, sarebbe stato abbastanza noioso se fosse rimasta coinvolta in
avvenimenti spiacevoli.
Sollevatasi da terra, Selene si avvicinò di un passo
all’uomo; ormai grazie all’unguento applicato, riusciva a camminare
normalmente. Quando fu abbastanza vicina, l’altro posò l’attenzione sulla
copertina del suo libro, scrutandola attentamente. Il suo occhio parve appena
ridursi nell’osservare sospettamente il titolo “Elias, Il Guardiano”.
-Guardiani? Non dirmi che credi a queste storie.
Hanzai non aveva niente di meglio a parte consigliarti libri ridicoli –
sussurrò Jhin, posando le mani sui fianchi.
Per quanto gli riguardava, non credeva a una parola circa
l’esistenza dei Guardiani, non c’erano mai state testimonianze circa le loro
apparizioni, creature invisibili che agivano di nascosto e che vivevano in un
luogo ai confini del mondo: a dir poco che ridicolo. Vide gli occhi di lei
chiudersi e le sue labbra curvarsi verso l’alto, cosa c’era da sorridere? I
modi gentili che mostrava con chiunque e anche con lui lo infastidivano
terribilmente, nella sua mente si ripeteva che tanto la sua era l’ennesima
finzione; la donna altro non era che un’altra marionetta del Consiglio, il suo
temperamento era una messa a scena: lei era un’attrice come tutti. Lui non
sarebbe caduto nella trappola.
-A dire la verità mi interessava conoscere
qualcosa in più sulla storia dei Guardiani ne ho sentito parlare così tanto,
Hanzai non c’entra nulla nella scelta dell’argomento. Non riesci proprio a
sopportare quel povero vecchietto, eh? – scherzò Selene mentendo e inarcando un
sopracciglio, mentre incrociava le braccia.
-Trovo la compagnia di Hanzai piacevole
quanto le ortiche, lascio a te le conclusioni – ribatté il pistolero,
avviandosi verso la casa – rientriamo –
-Perché trovi ridicole queste storie? –
chiese Selene, raggiungendolo a passo veloce.
-Sono storie raccontate ai popoli per
consolarli e ritardare leggermente il fatto che a breve esaleranno il loro
ultimo respiro. Guardiani che rendono giustizia e portano dell’ordine, ma
nell’arco della mia esistenza…- commentò Jhin, il suo tono si faceva più carico
di disprezzo mentre immagini cruente che solo lui conosceva balenavano nella
sua mente -… ho avuto l’onore di poter appurare personalmente che la giustizia
è un concetto relativo e che nessuno ti salverà dall’oblio fintanto che non
sarai un automa obbediente senza intelletto-
All’udire quelle parole e il rancore che adesso esprimeva
Jhin, Selene rabbrividì, per un istante le parve di poter sfiorare l’aura di
disprezzo e odio dietro cui si celavano i suoi profondi misteri, ma subito
quella possibilità di accedervi svanì, accompagnata dal gelido silenzio del
Demone d’Oro. In verità il motivo per cui i Guardiani non si mostravano mai era
legato alle loro immense abilità che potevano attirare chiunque e mettere a
repentaglio la loro vita e soprattutto quella di chi li circondava, per questo
i custodi vivevano su un luogo posto ai confini del mondo.
-Non credi che non si mostrano per evitare di
metterci in pericolo? – chiese Selene, timorosamente, vedendolo bloccarsi.
La calda luce del pomeriggio illuminava la grigia maschera
di Khada Jhin, ma la luce era in grado di scaldare solo il suo corpo ma non la
sua gelida anima; quello che gli era stato fatto era imperdonabile e lo aveva
reso un Demone pieno di rancore e nessuno era intervenuto mentre il Consiglio di
Ionia lo distruggeva lentamente; ma da allora l’odio e la follia erano la sua
forza e alimentavano le sue azioni e presto la sete di vendetta e di
distruzione sarebbero state soddisfatte. Le favole certo non avrebbero placato
il suo riserbo.
-
Ho smesso di credere alle favole molto tempo fa,
nell’esatto istante in cui sono diventato quello che sono – sussurrò Jhin,
stringendo i pugni e voltandosi verso di lei.
Gli occhi ghiaccio di lei si posarono sui suoi e per un
momento sembrarono placare la ferocia emanata dalla sua pozza scarlatta; era
come se tentasse silenziosamente e gentilmente di accedere ai suoi segreti e
per un momento percepì la quasi familiare sensazione della sua armatura di
ghiaccio piegarsi di fronte a lei. Lui che era stato sempre un cacciatore
feroce adesso si sentiva vulnerabile di fronte a quella donna. Distolse lo
sguardo e lo rivolse in avanti, ormai erano quasi arrivati al cancello dell’abitazione.
Una volta arrivati, Selene percorse silenziosamente il
giardino, forse il Consiglio di Ionia non le aveva comunicato tutto su Khada
Jhin, in lui c’era solo rancore e lei voleva scoprire il motivo e cosa gli era
stato fatto, ma soprattutto se gli artefici erano proprio i membri del
Consiglio. Pensierosa si voltò verso il sole all’orizzonte bloccandosi di
fronte alla vista di un dragone alato spiegare le sue ali.
Davanti a lei il pistolero si bloccò e si girò nella sua
direzione; studiò i suoi lineamenti armoniosi illuminati dalla calda luce del
tardo pomeriggio su cui spiccavano le lunghe ciglia nere che incorniciavano gli
occhi e le sottili labbra rosse; curioso di sapere cosa si agitava nella sua
testa e di chiederle alcuni chiarimenti sul giorno precedente, si avvicinò di
qualche passo.
-Che posto è quello lì giù? – chiese Selene,
riflettendo che stranamente quel pomeriggio parlare con il Demone d’Oro non la
spaventava.
-La Landa degli Evocatori, è situata vicino
alle isole fluttuanti dei draghi; uno dei luoghi di potere più sacri per gli
Ioniani – rispose Jhin, vedendo gli occhi dell’altra illuminarsi.
-Ci si può accedere? – domandò Selene,
distogliendo lo sguardo dall’orizzonte e posandolo sull’altro.
-Si, ma non è affatto un luogo accogliente,
ti faresti ammazzare… si dice che solo alcuni maestri dominatori possono andare
lì e uscirne illesi, non credo che tu sia una di loro –
Detto così Jhin si voltò e fece per avviarsi verso
l’abitazione, Selene rimase per un momento in silenzio riflettendo sulle sue
parole e sugli avvenimenti del giorno precedente nella Landa; aveva bisogno di
qualcuno che gli insegnasse a muoversi in quel luogo e apprendere nuovi stili
di combattimento e l’uomo davanti a lei era l’unico che poteva insegnarglieli.
Non le piaceva molto l’idea ma quello era l’unico modo, anche in vista di
futuri incarichi, considerando che a breve ne avrebbero ricevuti altri.
-Jhin – chiamò Selene, con tono fermo.
-Che c’è? – ribatté il pistolero girandosi
e incrociando le braccia, in attesa delle sue parole.
-Insegnami a combattere come fai tu e a usare
le tue armi –
Per un istante l’occhio di Jhin parve dilatarsi appena,
seguì un momento di silenzio che fu interrotto dalla profonda risata del Demone
d’Oro.
-Non saresti all’altezza e non avrei motivo di
insegnare le mie tecniche a una seguace del Consiglio – disse Jhin,
avvicinandosi a lei con fare minaccioso. La vide indietreggiare di qualche
passo poi le afferrò il mento con la mano artigliata imprigionandolo in una
morsa – dimmi… Perché dovrei? –
Spaventata Selene sentì il cuore mancare di un battito e
accelerare velocemente, ma subito riprese il controllo di sé, non gradiva
l’idea che in futuri incarichi doveva farsi aiutare da lui cosciente del fatto
che gliel’avrebbe rinfacciato nei giorni a seguire. Lo fissò intensamente e
tentò di svincolarsi ma l’uomo la tratteneva e pretendeva una sua risposta.
-Non voglio farmi salvare da te, come è
successo nella Landa. Inoltre…– affermò Selene, scostando la sua mano quando la
presa si fece meno forte - … se può interessarti, non sono direttamente
collegata al Consiglio –
-Che intendi dire? – chiese l’altro con
circospezione, analizzando la proposta.
-Rispondo ad Hanzai e lui al Consiglio, a
loro interessano i resoconti delle missioni e sapere se puoi collaborare con
noi. Sono una specie di custode, vedila così; non vengo qui per ingannarti…-
sorrise lei, tralasciando il particolare della collaborazione con Shen.
Jhin rimase per un secondo in silenzio, se avesse accettato
sarebbe riuscito a scoprire di più sul suo conto e sui piani del consiglio.
Avrebbe iniziato a tessere la sua tela e lentamente avrebbe ottenuto da lei le
informazioni che lui cercava; forse sarebbe riuscito anche a convincerla di
schierarsi contro il Consiglio, del resto le sue abilità su cui presto avrebbe
indagato, gli erano sembrate molto utili. Sorrise sotto la sua maschera, un
sorriso malizioso e sinistro: si stava intrappolando da sola. “Povera stupida”
pensò Jhin.
-Mi hai convinto, a un solo patto però… - sussurrò
Jhin, con tono profondo e chinandosi lievemente su di lei per afferrarle con
gentilezza il mento - … tu mi insegnerai i tuoi incantesimi elementali –
Selene sentì di nuovo il cuore battere forte di fronte all’intensità
dei suoi occhi, ma stavolta sorrise divertita, sviluppare quelle abilità
richiedeva molto sforzo e alcuni requisiti indispensabili.
-A fare fatto, vediamo se saprai tenermi
testa – rispose Selene, scostando la sua mano, vedendolo voltarsi e avviarsi
verso la casa.
-Non farmi ridere. Domani mattina ti voglio
qui, staremo a vedere quanto riesci ad apprendere –
Detto così Jhin si allontanò, sollevando una mano; il
sorriso sinistro della sua maschera rifletteva quello dipintosi sul suo viso
nascosto, si dissolse dietro la porta nel buio sebbene fosse cosciente la sua
armatura di ghiaccio si era di nuovo piegata.
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Capitolo 6 *** Her eyes touch my soul ***
5.CAP 4 defintivo
“Remiamo, barche
controcorrente, risospinti senza sosta nel passato”
(Francis Scott Fitzgerald)
La mattina successiva Selene si alzò molto presto; si era
svegliata di soprassalto e non era più riuscita ad addormentarsi, quindi
silenziosamente aveva deciso di alzarsi e si era seduta in giardino a
contemplare l’alba. Con sorpresa aveva incontrato Hadmon che nella sua forma di
dragone era accucciato sotto l’albero di ciliegio. Il pomeriggio precedente
aveva discusso con lui sulla richiesta che lei aveva fatto al Demone d’Oro, la
sua reazione a quella notizia era stata dapprima un’espressione cruciata poi
dopo aveva annuito. Purtroppo non appena aveva udito la richiesta del pistolero
circa l’apprendimento degli incantesimi elementali aveva sgranato gli occhi; le
aveva chiesto il motivo per cui aveva accettato e se aveva un minimo di
coscienza che le ricordava che non era un individuo qualsiasi ma un criminale
psicopatico.
-Una mattina può essere cordiale e la successiva ti
fa imbalsamare –
Così aveva detto, ma lei gli aveva risposto che le era parso
di intravedere qualcosa di diverso in quell’uomo al di là della sua malvagità.
Hadmon sapeva bene che quando lei diceva così non c’era nulla che poteva farle
cambiare idea e soprattutto sapeva che la sua compagna riusciva a capire le
persone di fronte a lei, perciò se diceva così allora poteva fidarsi…forse. Per
cambiare discorso Selene gli aveva chiesto se aveva avuto nuove informazioni e
il dragone le aveva risposto che quel pomeriggio in realtà non era riuscito a
dedicarsi molto allo studio, aveva incontrato casualmente Hanzai che gli aveva
chiesto il resoconto della missione nella Landa e se si trovavano a loro agio.
In quell’occasione si era informato circa alcuni luoghi di potere di Ionia e Hadmon
aveva avuto l’impressione che nonostante gliene avesse indicati alcuni, su
altri era rimasto sul vago lasciando intendere che non erano posti accessibili
a tutti. Inoltre tutto a un tratto il maestro aveva cambiato argomento
consegnandogli una missiva contenente il prossimo incarico.
Non appena Selene si avvicinò ad Hadmon per accarezzare il
suo muso l’altro subito svegliò, ma alla sua vista si tranquillizzò e adagiò la
testa sulle sue gambe.
-Non riesci a dormire? – chiese Hadmon,
mantenere la sua forma umana per molto tempo richiedeva molto sforzo e quindi a
volte doveva riprendere il suo aspetto originale.
-No, c’è un incubo che non mi fa riposare…
- sussurrò Selene, aveva fatto lo stesso sogno del giorno precedente e la cosa
la preoccupava.
-Di che si tratta? – domandò Hadmon, mentre
una nube bianca lo avvolgeva e man mano che si sollevava dal suo corpo, lui
riacquistava la forma umana.
Selene gli spiegò l’incubo e Hadmon colse dal suo tono che
ciò che gli stava per spiegare non presagiva nulla di buono; l’uomo la ascoltò
in silenzio e non appena gli riferì il particolare che presto Thanatòs avrebbe
reclamato il suo cuore sussultò di botto. La guardiana si portò le gambe al
petto e le avvolse, il sole si stava facendo sempre più alto, scaldando il suo
viso; l’idea della completa distruzione dell’Isola dei Guardiani e della sua
morte la terrorizzava.
-Dannazione… dobbiamo trovare una soluzione al più
presto, a quanto pare Thanatòs si risveglierà e il giorno che lo farà non è
molto lontano da oggi. Domani dovremmo partire per l’incarico quindi oggi mi
recherò di nuovo in Biblioteca… - disse Hadmon, il suo tono tradiva la sua
espressione calma.
Il dragone era a conoscenza del fatto che più di qualche
guardiano in precedenza dopo aver avuto incubi simili era sopravvissuto per
alcuni mesi massimo un anno, Selene non sapeva questo particolare e presto
avrebbe dovuto trovare le parole per confessarglielo. Odiava con tutto sé
stesso quella situazione, Thanatòs era suo fratello ma a differenza di lui,
Hadmon aveva messo a disposizione il suo potere per aiutare i Guardiani e non
per distruggerli. Questo non faceva altro che alimentare il suo disprezzo verso
quella creatura. Era affezionato a Selene e non avrebbe mai permesso che nulla le
accadesse, non dopo aver tentato tutti i modi anche quelli proibiti; inoltre
l’espressione preoccupata che adesso aveva sul suo volto era l’ennesimo motivo
che lo spingeva a cercare disperatamente una soluzione.
-Credi che ci sarà un modo, Hadmon? – chiese la
guardiana, sentendo gli occhi inumidirsi.
Di fronte ai suoi occhi ghiaccio da cui trapelava tutto il
suo terrore, non poté non sentire una stretta al cuore, così la attirò a sé
avvolgendo un braccio intorno al suo collo; carezzò alcune ciocche di capelli
argentei per farla tranquillizzare: un modo c’era, lo avrebbe trovato e mentre
fissava il sole sorgere quel pensiero diveniva lentamente una certezza.
-Te lo giuro, non importa come ma lo
troverò. Puoi starne certa. Andrò in biblioteca non appena avremmo fatto
colazione – sussurrò Hadmon, percependo le mani di lei avvolgere la sua schiena
e affondare il viso nel suo collo.
-Grazie Hadmon… - rispose lei flebilmente,
chiudendo gli occhi confortata dalle sue parole.
Sapeva che le probabilità di riuscita nell’impresa erano
basse, ma appigliarsi al barlume di speranza e provare a credere la rincuorava,
così cullata dal cinguettio degli uccelli Selene cadde in un profondo sonno
senza sogni, sentendosi al sicuro accanto al custode del Tempo.
Più tardi Selene si svegliò sul divano con addosso un
piccolo lenzuolo bianco, volendo riposare ancora un po' si mise su un fianco e
chiuse nuovamente gli occhi. Improvvisamente prima di riaddormentarsi percepì
il rumore dei tacchi di stivali urtare contro il pavimento in legno e poco dopo
il lenzuolo le fu tolto di dosso. Infastidita e convinta fosse Hadmon si mise a
sedere per poi scattare in piedi.
-Che cavolo fai, Hadm…-
Sussultò scoprendo che l’uomo di fronte a lei era Jhin che
ora la sovrastava con la sua figura; in quel momento si rese conto
dell’effettiva differenza di altezza e di quanto fosse più bassa ed esile
rispetto all’altro.
-Desolato, non sono il tuo amato Hadmon –
scherzò il pistolero, incrociando le braccia divertito dall’espressione
assonnata e infastidita della giovane – avevamo un patto, ricordi? –
-Si certo, ma non eri obbligato a buttarmi
giù dal letto – ribatté la guardiana scocciata, avviandosi verso le scale.
-Non ho mai detto che sarei stato cordiale,
sbrigati – osservò l’uomo reclinando il capo lateralmente.
Jhin la vide sorridere e scuotere il capo, per poi salire le
scale e riscendere dopo qualche minuto con indosso l’armatura con cui aveva combattuto
nella Landa. Non appena avrebbero iniziato l’allenamento, presto le avrebbe
fatto sparire l’espressione serena che aveva. Quella mattina inoltre aveva
avuto l’immenso piacere di incontrare Hadmon e gli aveva spiegato che sarebbe
stato assente per l’intera giornata e in più gli aveva consegnato la missiva di
Hanzai, chiedendogli di darla a Selene; per quel giorno non avrebbe interferito
nei combattimenti, un tedio in meno pensò Jhin.
Insieme alla guardiana si avviarono verso il giardino e lì
il Demone d’Oro si fermò davanti a lei, slacciò il fodero della pistola e le
consegnò Sussurro, si allontanò di qualche passo e le disse di provare a
colpirlo, sparando un solo colpo. Divertito dalla sua espressione spaesata si
mise in posizione, incrociò le braccia e attese. Una profonda risata lasciò le
sue labbra non appena la ragazza premette il grilletto e l’arma rinculò,
facendole sparare il colpo un metro prima dei suoi piedi. Subito notò il viso
dell’altra incupirsi e avviarsi nella sua direzione a passo veloce.
-Non sono qui per farti divertire… - disse
Selene, imbarazzata e furiosa per la brutta figura, iniziava a odiare il
sorriso sinistro dipinto sulla sua maschera, in quel momento sembrava
addirittura schernirla.
-Vuoi ritentare da questa distanza? – ribatté
l’altro con tono derisorio, sollevando con l’indice la pistola e posizionandola
vicino al suo cuore, poi continuò – le armi non sono fatte per ferire ma per
uccidere il tuo nemico, il luogo in cui lo colpisci determinerà la modalità di
esecuzione –
-Che intendi dire? – domandò Selene,
vedendo l’altro posare l’indice artigliato sul suo cuore.
-Colpiscilo al cuore e gli donerai una morte
lunga e agonizzante, colpiscilo alla testa e gli regalerai una morte breve e
relativamente indolore – rispose Jhin, spostandosi e indicandole l’albero di
ciliegio vicino all’entrata del cancello – prendi il tronco come bersaglio –
Jhin la vide posizionarsi e tenere goffamente tra le dita
affusolate l’impugnatura della pistola, di quel passo non avrebbe imparato
molto la donna; così le sfilò l’arma dalle mani e le mostrò la giusta
posizione, la sinistra tratteneva la pistola, il braccio era completamente
disteso rivelando la sua muscolatura tonica, le gambe leggermente divaricate e
la destra posata sul fodero dell’estensione della pistola.
Selene osservò la sua figura e ne studiò i movimenti quando
sparò il colpo, colpendo il tronco in pieno; Jhin le illustrò che l’arma si
nutriva di magia, pertanto più riusciva a imprimerne e devastante sarebbe stato
l’effetto del colpo. Dopo di che gli porse Sussurro e lei provò a ripetere i
suoi movimenti, nell’eseguirli riuscì a colpire di striscio l’albero; a
innervosirla vi era lo sguardo dell’altro che la osservava intensamente e non
appena abbassò il braccio perché stanco dal peso dell’arma, subito l’altro la
costrinse a risollevarla.
-Ancora non va bene, la tua posizione è sbagliata…-
dichiarò Jhin seriamente, scuotendo il capo.
Vide l’uomo posizionarsi dietro di lei, sussultò quando
percepì il torace dell’altro aderire alla sua schiena e la famigliare
vulnerabilità prendere possesso delle sue membra. Sapeva che il Demone d’Oro
aveva notato il fatto che era tesa e questo la innervosiva ancor di più. Vide
l’altro sollevarle con la mano artigliata il braccio sinistro, poi posizionarsi
di fronte a lei, afferrarle il mento con poca delicatezza e posizionarle il
viso lungo la linea del mirino di Sussurro; con un piede scansò il suo
facendole divaricare le gambe e la poca gentilezza con cui lo fece la
infastidì, era cosciente che l’altro non le dava un minimo di speranza ma lei
non avrebbe mollato.
-Ora dovrebbe essere giusta. Ritenta, però stavolta devi
provare a imprimere la magia nel colpo, anche se ho dubbi che centrare il
bersaglio e usare la magia ti riesca facile – affermò Jhin deridendola.
Infastidita Selene sparò il colpo e il proiettile schizzò
fuori dalla canna colpendo nuovamente di striscio l’albero, stavolta imprimendo
un’incisione più profonda nel legno.
-Appunto, come immaginavo…-
Alla risata divertita dell’uomo, Selene gli rivolse un’occhiataccia
e l’altro le fece cenno di ritentare. Ormai al limite della pazienza Selene
sollevò di nuovo Sussurro, mirò al centro dell’albero e concentrandosi impresse
tutta la sua magia nera nell’arma. Con estrema sorpresa la pistola fu
attraversata da linee color ghiaccio e nere, poi sparò colpendo in pieno centro
l’albero che fu divorato da lingue di oscurità finché non scomparve
completamente.
Con immensa sorpresa Jhin osservò l’intera scena e rimase nuovamente
affascinato dal potere della sua magia oscura, in particolare dalla sua
letalità; iniziava a domandarsi da chi potesse aver appreso quelle abilità dato
che magie oscure e letali come quella di lei erano bandite da alcuni ordini,
tra cui quello che lui odiava più di tutti: l’ordine di Kusho. Il lato positivo
pensò Jhin, era che forse la ragazza non era legata a quel gruppo per il fatto
che lei padroneggiasse il genere di arti tanto odiate da Shen; nonostante tutto
trovava sospette le sue abilità e il suo legame con Ionia: non conosceva la
Lega e non ne aveva mai preso parte, non sembrava conoscere il territorio e
nemmeno le Isole Fluttuanti, famosissime tra tutti gli Ioniani. Nonostante
tutto però riconosceva la sua particolare bravura e stare in sua presenza
quella mattina non sembrava essere così fastidioso, se non altro spezzava la
monotonia delle sue giornate passate a prepararsi per le missioni del
consiglio, sistemando con cura maniacale le sue armi nel tentativo che gli
incarichi lo facessero sfuggire dalle sue ombre.
-Ehi, va tutto bene? – chiese Selene
sorridendo, vedendolo assorto nei suoi pensieri da troppo tempo.
-Si, ritenta. Devi fare molta pratica, la tua
mira è pessima…- osservò Jhin, ritornando alla realtà.
Selene proseguì l’allenamento finché il sole del mezzo
giorno non fu alto in cielo; Jhin le aveva portato un manichino su cui fare
pratica altrimenti di quel passo avrebbero distrutto ogni albero e di
conseguenza il giardino. Durante le ore di allenamento il pistolero era rimasto
ad osservarla seduto su un sasso all’ombra di un ciliegio, aveva scrutato ogni
suo movimento e posizione e questo in un primo momento l’aveva messa in
soggezione ma poi lei non ci aveva più fatto caso. La sua mira era migliorata,
riusciva a colpire il manichino ma mai i punti letali, quali la testa e il
cuore e questo la spingeva a ritentare all’infinito; di tanto in tanto Jhin si
avvicinava a lei per correggere la sua postura e in quei momenti a Selene sembrava
che la traccia di puro odio che coglieva spesso nei suoi occhi, scomparisse. A
fermare Selene fu il calore del mezzo giorno e la stanchezza nelle braccia, le
doleva la cicatrice sulla sua mano sinistra e questo significava che stava
abusando in parte delle arti oscure per usare Sussurro.
-Facciamo un tentativo – disse Jhin,
mettendosi in piedi e avvicinandosi a lei, ormai l’espressione serena della
mattina aveva lasciato spazio a quella stanca e affaticata; continuò – dammi
Sussurro -
-Che vuoi fare? – chiese Selene, guardando
la sua maschera che sorrideva minacciosa.
-Immagina di essere nella Landa, devi
disarmarmi o morirai. È importante che te riesca a essere un ottimo combattente
in qualsiasi condizioni – affermò Jhin, con tono serio se voleva apprendere da
lui allora avrebbe patito gli stessi allenamenti cui lui era stato sottoposto;
l’avrebbe fatta cedere e cadere pezzo per pezzo.
-Cosa… ma sono sfinit…- replicò Selene,
vedendolo scattare verso di lei, scagliando un pugno nella sua direzione.
Abilmente Selene schivò il colpo, rispose immobilizzando il
suo pugno e colpendolo all’altezza dello stomaco; l’uomo sembrò incassare bene
il colpo non si sbilanciò molto ma quel poco che bastò a Selene per aprire uno
spiraglio e allungare una mano al fodero della pistola. Prontamente Jhin bloccò
il suo braccio, colpì con la punta dello stivale la sua gamba che cedette. In
quel momento Selene si ritrovò in ginocchio di fronte al Demone d’Oro, sollevò
il viso incontrando il suo sguardo; per un istante Jhin si immobilizzò di
fronte alle sue pozze ghiaccio, i suoi occhi lasciarono che nella sua mente
balenassero ricordi che lui si era promesso di cancellare. Fu in quel momento
di esitazione che Selene notato il suo cambiamento, sfilò il braccio si rimise
in piedi e tirò un calcio nel suo stomaco; poi abilmente prima che l’altro
potesse reagire lo immobilizzò a terra, si preparò a scagliare un colpo sul suo
viso ma l’altro le bloccò le mani imprigionandole i polsi. Jhin serrò la
stretta fino a farle male, poi capovolse le loro posizioni immobilizzandola a
terra, sfilò Sussurro e la puntò vicino alla sua fronte. Selene con il fiato
spezzato, sentì il cuore mancare di un battito di fronte al suo sguardo feroce,
rimase immobile con la schiena premuta contro il prato.
Jhin per un istante si paralizzò di fronte ai suoi occhi di
ghiaccio che leggevano la sua anima permettendo ai suoi ricordi di riaffiorare
in superficie; chiuse gli occhi, odiava sempre più il modo in cui lei
maneggiava la sua armatura di ghiaccio, rivelando parti che non dovevano essere
né indebolite né svelate, perché subito le sue ombre arrivavano ad attaccarlo.
Aveva impiegato così tanto a costruirla e adesso come era possibile che con
molta semplicità e con poco tempo lei riusciva pian piano a sgretolarla?
-Jhin? – richiamò Selene, preoccupata per quella
posizione pericolosa.
Jhin la fissò rabbioso, in quel momento avrebbe potuto
ucciderla, eliminando in questo modo l’unica minaccia per le sue difese, ma
qualcosa di irrazionale lo fermava… non voleva uccidere quella donna, una parte
di sé non lo desiderava. Chiuse gli occhi e si mise in piedi, fece roteare la
pistola tra le mani e la ripose nel fodero, dandole le spalle. Almeno per
quella mattinata doveva andarsene, avrebbe ripreso il pomeriggio ad allenarsi;
non poteva tollerare la vicinanza e il suo passato.
-Per stamattina terminiamo qui…- sussurrò
Jhin con tono greve.
-Aspetta – disse Selene, posando una mano
sulla sua spalla ma l’altro la scansò con forza, rivolgendole uno sguardo di
puro rancore.
-Non hai alcun permesso per avvicinarti, sta’
lontana da me - ringhiò il pistolero, riprendendo a camminare verso
l’abitazione.
La guardiana lo vide entrare nell’abitazione, era rimasta
dispiaciuta e terribilmente infastidita dal suo modo di fare scorbutico, la sua
pazienza aveva un limite e uno di quei giorni gli avrebbe spiegato che non
poteva prendere le libertà che voleva con lei e trattarla come meglio
preferiva. Selene si massaggiò la fronte e sospirò bruscamente, cercò di
lasciar perdere gli ultimi avvenimenti e si diresse in casa per lavarsi e cambiarsi.
Ana non era tornata dal giorno prima, avrebbe voluto sapere volentieri che fine
aveva fatto dato che era preoccupata. L’unica persona a cui poteva rivolgersi
per chiedere informazioni era Jhin, ma date le ultime vicende e la sua estrema
simpatia, decise di rimandare al pomeriggio.
Una volta che fu ripulita, Selene si privò dell’armatura e
indossò dei vestiti comodi: dei pantaloncini corti di jeans, una canotta nera
aderente e un paio di stivali bassi color sabbia; infine legò i capelli
argentei in una morbida treccia laterale. Si guardò allo specchio e stavolta
decise di non indossare nessun tipo di indumento o di bende per coprire i
simboli che aveva sul corpo, tanto era sola e l’unico compagno in quella casa
si era ritirato in isolamento, quindi non c’era alcun rischio. Prese il libro
sui Guardiani, si sdraiò sul letto e si mise a leggere in silenzio; studiò
attentamente le pagine del libro finché non sentì le palpebre pesanti, fu
allora che si addormentò. L’allenamento e l’uso delle arti oscure per
maneggiare Sussurro l’avevano affaticata e ora necessitava di riposare più che
mai.
Nella stanza accanto Jhin era seduto vicino alla finestra, tra
le mani tratteneva la missiva di Hanzai e ne leggeva il contenuto, doveva
comunicare alla ragazza della lettera, ma in quel momento il suo rancore
gravava solo su di lei: una minaccia. Più ripensava ai suoi occhi ghiaccio
terrorizzati e più nella sua mente balenavano le immagini di quello che era
accaduto quattro anni prima per ordine del Consiglio di Ionia; la notte in cui
aveva dovuto terminare l’esistenza dell’unica persona a lui cara. Più tentava
di frantumare quella donna e più la sua armatura si rigava. In quel momento si
ritrovò a guardare con disprezzo la lettera tra mani, la ripiegò e la lanciò
sul letto; si mise a guardare fuori dalla finestra poi chiuse gli occhi imponendosi
di liberare la mente da ogni cosa.
Poche ore dopo Selene si svegliò in preda a una terribile
fame, il suo stomaco brontolava e quindi capì che si era fatta ora di mangiare;
si mise in piedi e scese le scale, recandosi in cucina. Ana ancora non era
tornata quindi molto velocemente preparò il pranzo per due: “non si sa mai se
all’eremita venga fame” pensò ironicamente. Pranzò silenziosamente ritornando
con la mente al momento in cui Jhin le aveva puntato alla fronte la pistola, al
solo pensiero rabbrividì. Nel suo occhio scarlatto aveva letto solo sentimenti
contrastanti e quando aveva provato ad immergervi i propri, era stata respinta
dalla più buia delle oscurità.
Terminato il pranzo, molto velocemente lavò il proprio
piatto rimettendolo al suo posto in un piccolo armadietto sopra il lavandino;
prima di lasciare la cucina le cadde l’occhio sul pranzo dell’uomo così lo
coprì con una scodella. Maledisse sé stessa per essere così buona con un
individuo così instabile poi prese il piatto e si avviò al secondo piano; “c’è
qualcosa che si nasconde dietro la sua maschera, un odio profondo che cela del
buono” rifletté Selene, di quel pensiero era quasi certa. Giunta di fronte alla
camera dell’uomo provò a bussare ma si accorse che la porta era solo
appoggiata; silenziosamente entrò, posò il piatto sul comodino e quando sollevò
lo sguardo solo allora si rese conto di come fosse arredata la stanza. Al
centro della stanza vi era un tre piedi con sopra appoggiato l’inizio di uno
splendido dipinto floreale su tela, vicino alla parete di sinistra vi era un
pianoforte a muro chiuso a chiave e infine una libreria costeggiante il muro
centrale e terminante vicino a un armadio posto sul muro destro. Per un momento
ricordò il giorno in cui il suo maestro le aveva insegnato a suonare il piano,
era stata una pessima allieva, inizialmente non aveva apprezzato lo strumento
ma poi se ne era innamorata; tuttavia ciò che attirò maggiormente la sua
attenzione fu il dipinto, miriadi di fiori di ciliegio, circondati da
pennellate rosso fuoco di fiamme che sembravano divorare la pianta. Un’opera
splendida ma carica di tristezza e desolazione. Fu allora che posò lo sguardo
su Jhin, era appoggiato al muro e dormiva profondamente; aveva le braccia
conserte e il capo reclinato all’indietro. In quella posizione e in quello
stato non lo avrebbe mai giudicato un uomo brutale e psicopatico, anzi…
Cogliendo l’occasione, senza far rumore si avviò verso il
dipinto e vi allungò la mano sfiorando la tela; provò a risalire alle emozioni
che erano state le artefici di quel dipinto e percepì solo rabbia, frustrazione
e rimpianto… per un singolo momento in cui nella sua mente parve prendere vita
la scena dipinta, intravide due occhi ghiaccio, forse erano i suoi, ma subito
si dissolsero e lei tornò alla realtà. Uno dei doni del Guardiano della Notte
era di riuscire a capire i sentimenti più bui che agitavano l’animo umano,
forse per quell’incarico le sarebbero tornati molto utili per indagare sul
passato dell’uomo.
Non appena l’uomo sbuffò nel sonno lei si voltò di scatto
temendo di essere colta con le mani nel sacco, ma fortunatamente Jhin si era
solo mosso e continuava a dormire profondamente. Prima di avviarsi verso l’uscita
della stanza, il suo occhio cadde sulla lettera sul letto dell’uomo; le sembrò
di intravedere una familiare scrittura e il sigillo dell’Ordine, ma per la
fretta non vi badò e lasciò la stanza.
Dopo aver preso il libro Selene e aver indossato per precauzione
la sua armatura, scese le scale, con l’intento di mettersi a studiare sul
divano nel salotto, ma non appena fu nel soggiorno incontrò Ana. Quando la
domestica la vide la salutò entusiasta dicendole che appena si sarebbe cambiata
le avrebbe dovuto proporre qualcosa a cui lei non avrebbe potuto dire di no,
dopo di che scomparve al piano di sopra lasciandola interdetta e sorpresa.
In silenzio Selene attese la ragazza seduta sul divano,
provò a sfogliare le pagine del libro ma i suoi pensieri corsero al dipinto
realizzato dall’uomo; era curiosa di sapere cosa gli fosse accaduto di così
terribile e chi erano stati gli artefici. Per un momento vide balenare di nuovo
gli occhi ghiaccio nella sua mente, poi si sentì chiamare da Ana e tornò alla
realtà. Avrebbe chiesto informazioni ad Ana mentre Jhin dormiva.
Con entusiasmo Ana la trascinò su un piccolo balconcino in fondo
al corridoio, oltre la cucina e insieme si sedettero su delle sedie a
contemplare un piccolo lago dietro la casa.
-Ho una proposta per te Selene – esordì Ana
sorridendo, facendola accomodare.
-Di che si tratta Ana? Mi stai spaventando
– disse Selene, sorpresa da tutto il suo entusiasmo.
-Una cosa per volta, intanto, tra due
settimane a Tuula si svolgerà un festival che si svolge ogni anno, prevede una
cerimonia per accogliere l’arrivo dell’estate e poi festeggiamenti. Che ne dici
di venire? So che non sei del posto però mi farebbe piacere se ci andassimo a
divertire insieme, comprese Hadmon –
-Certo sarebbe fantastico… a proposito ti è
successo qualcosa ieri sera? Ho visto che non sei più tornata– chiese la
guardiana ricordando che la sera prima non era rientrata a casa.
-Sono rimasta a Tuula a casa di una cara
amica, di tanto in tanto vengono organizzati degli eventi serali in dei locali
e ieri sera ci sono andata insieme a un gruppo di amici. Una sera ti porterò
anche a uno di queste eventi, senza Hadmon però… potresti fare conoscenze – disse
Ana sorridendo maliziosamente e tirandole una pacca sulla spalla.
Selene rise divertita, poi non appena trovò il modo chiese
alla ragazza alcune informazioni sul passato di Jhin; notò l’espressione
sorpresa dell’altra la quale incrociò le braccia e la scrutò un momento,
riflettendo sulla domanda. La domestica scosse il capo facendo spallucce.
-Purtroppo come avrai capito, lui non lascia
trapelare informazioni sul suo conto. Avevo accennato ad Hadmon che i due precedenti
seguaci avevano provato a convivere con lui ma erano fuggiti dopo pochi giorni
per via dei suoi modi violenti e imprevedibili. Non conosco nulla ma solo voci,
queste riferivano che Khada Jhin non era una persona così instabile fino a quattro
anni fa, poi qualcosa è accaduto e ha mutato la sua personalità di botto…-
dichiarò Ana, notando il volto della guardiana scurirsi.
-Capisco… i suoi dipinti? – chiese Selene,
vedendo la ragazza sgranare gli occhi.
-Hai avuto accesso alla sua stanza? –
domandò sorpresa la donna, nessuno si era mai avvicinato a Khada Jhin al punto
da osservare ciò che di lui più rivelava.
-Per portargli il pranzo, ho solo visto i
suoi dipinti e lui dormiva…-
-Sono sorpresa, non ho mai visto il Demone
d’Oro permettere a qualcuno di avvicinarsi… ad ogni modo fa attenzione Selene,
quell’uomo può avere reazioni spropositate perciò guardati bene
dall’avvicinarti a lui. In qualsiasi momento devi aspettarti qualsiasi reazione-
sussurrò Ana, incrociando le braccia, mentre il suo sguardo si incupiva – fai
attenzione al genere di domande che poni e guardati bene da mantenere certi
dettagli nascosti e soprattutto, da rivelargli anche le più semplici
informazioni personali; in ogni momento può usarle contro di te, lui ti vede
come una nemica una minaccia, perché sei un’emissaria del Consiglio. Mi è
bastato un anno in questa casa per capire queste cose –
-Farò in modo di non essere vista in questo
modo, ci deve essere qualcosa di buono in quell’uomo, riesco a percepirlo e il
mio sesto senso non sbaglia mai – disse Selene, mettendosi in piedi e
appoggiando gli avambracci sul mancorrente in legno.
Ana gli sorrise dolcemente, dicendole che era troppo buona e
che a volte non si può recuperare l’irrecuperabile e semplicemente lasciar
andare; la domestica vide l’altra scuotere il capo e ribattere con un ‘mai’,
per il Guardiano della Notte niente è oscuro al punto da non permettere
l’accesso ai più profondi sentimenti dell’uomo e sciogliere i problemi che ne
vincolano l’anima.
Ana posò gli occhi su di lei e studiò per un momento la sua
figura e i suoi tatuaggi che si intravedevano sotto l’armatura; aveva sentito
le storie sui Guardiani e mai aveva pensato di incontrarne uno, sapeva poco
sulla questione ma parlarne in casa non era prudente. Colse negli occhi della
guardiana un velo di preoccupazione, farsi carico di quella situazione certo
non era facile, così per farla svagare le disse di aspettare un minuto prima di
sparire in cucina e tornare con due bicchieri di aranciata.
Selene ringraziò, vide Ana prendere il suo libro e leggere
alcune pagine riguardanti gli incantesimi elementali e Thanatòs; notò i suoi
occhi dilatarsi appena, mentre leggeva alcune descrizioni circa la malvagità e
il potere della creatura. Poi saltò alcune pagine e lesse alcune della sezione
riguardante l’isola dei Guardiani e ne rimase meravigliata.
-È come viene descritta? – chiese curiosa
Ana, gli occhi le brillavano mentre immaginava quei luoghi fantastici.
-Ovviamente no… sono tutte favole – dichiarò
una familiare voce alle loro spalle.
Entrambe si voltarono di scatto, scorgendo la figura di
Khada Jhin appoggiata allo stipite della porta intento ad osservare Selene; Ana
scorse lo sguardo dell’uomo e per un momento le sembrò di notare una scintilla
di curiosità nel suo occhio scarlatto che mai aveva scorto in altri suoi
sguardi. Volse la sua attenzione a Selene e notò la sua tranquillità, chissà
come faceva a restare così calma quando lei era sempre intimorita dal Demone
d’Oro.
-Iniziavo a pensare che avresti rinunciato
al patto – scherzò la guardiana, mostrando un sorriso di sfida; posò gli occhi
su Ana che le lanciò un’occhiata di intesa lasciandoli soli.
-Sono un uomo di parola – affermò Jhin,
avanzando di un passo e appoggiandosi con la schiena al mancorrente vicino a
lei – allora, hai intenzione di rimanere lì o di provare a fare un miracolo per
la tua pessima mira? –
-Aspettavo solo te – osservò la ragazza,
avviandosi verso l’entrata della casa, seguita dall’uomo.
Alle sue spalle Jhin la osservava attentamente, quel
pomeriggio non ci sarebbe andato leggero come la mattina; prima di
addormentarsi aveva giurato a sé stesso di non permettere mai più ai suoi
ricordi di riaffiorare in superficie come era accaduto ore prima. Non appena
quel pensiero si fece largo nella sua mente il suo sguardo si fece carico di
disprezzo, ormai si domandava sempre con maggior frequenza come fosse possibile
che più desiderava annientarla e sempre con più frequenza la sua armatura di
ghiaccio si intaccava e indeboliva. Ci doveva essere sicuramente un punto in
cui lui sbagliava.
Giunti nel giardino Selene si fermò davanti a lui, prima di
iniziare l’uomo le porse una missiva con sopra il timbro di Hanzai; con
sorpresa la guardiana constatò che era la stessa lettera che aveva visto nella
stanza del pistolero. In essa veniva esposto l’incarico che dovevano svolgere
il giorno successivo: avrebbero dovuto scortare una carovana che sarebbe
partita l’indomani da Tuula in direzione Vindor con direzione Bastione
Immoratale; il complesso di carri trasportava una falce darkin che sarebbe
stata presa sicuramente d’assalto dai seguaci dell’Ordine dell’Ombra. Nella
missiva Hanzai spiegava che era di fondamentale importanza la riuscita di
quella missione; fallire significava lasciare in mano a Zed un’arma che avrebbe
contribuito a distruggere Ionia e in quel momento di difficoltà nello scontro
con Noxus, dovevano tenere sotto controllo le questioni interne al paese. La
mattina successiva sarebbe stato presente anche Hanzai al momento della
partenza, in modo tale da fornire più informazioni a tutti.
Purtroppo Selene non conosceva l’Ordine dell’Ombra, però
dato il nome della falce e le loro mire capì che sicuramente rappresentavano
una minaccia formidabile.
-Ordine dell’Ombra? – disse Selene, forse Jhin
aveva qualche informazione ma non appena pronunciò quelle parole l’uomo si
irrgidì.
-È un ordine capeggiato da Zed, il
fratellastro di Shen; ha sempre nutrito un certo interesse nei confronti delle
arti oscure che lo hanno spinto a separarsi dall’Ordine di Kusho e seguire una politica
completamente contraria a quella del fratello – spiegò Jhin, eliminare uno ad
uno i suoi seguaci sarebbe stato il piccolo prezzo da pagare per averlo reso il
folle omicida di Ionia.
-Per quale motivo? – chiese curiosamente la
ragazza.
-Per ottenere un potere tale da poter
sconfiggere il fratello Shen. Quando erano uniti hanno pensato di recarmi un
torto imperdonabile, in accordo con il Consiglio di Ionia; da domani potranno
star certi che la mia vendetta inizierà ad abbattersi su ognuno di loro – ringhiò
Jhin, sorridendo diabolicamente sotto la sua maschera, finalmente era giunto il
momento; con tono sprezzante continuò – sicuramente Zed sarà presente insieme
ad alcuni accoliti, anche stavolta Shen non si degna di scendere in campo, ma
preferisce muovere le sue pedine –
-Che vorresti dire? – domandò la guardiana,
preoccupata dalle sue parole ricolme di odio; cosa volevano significare?
-Niente che te potresti capire, iniziamo –
Detto così Jhin tagliò il discorso, le porse Sussurro su cui
aveva montato sopra un’estensione che la rendeva a tutti gli effetti un fucile
da distanza e le spiegò come posizionarsi nel momento in cui decideva di usare
le armi a distanza; la fece inginocchiare per posare il calcio del fucile sulla
spalla e poggiare il viso sulla canna, in modo tale da osservare il bersaglio
direttamente nel mirino dell’arma. Osservò come si era messa in posizione la
donna e notò che la sua postura non era perfettamente corretta, perciò si
inginocchiò dietro di lei e cercò di aiutarla.
Dal canto suo Selene sentì di nuovo il torace dell’altro
aderire perfettamente alla sua schiena, sussultò non appena le spostò le mani
per sistemarle correttamente sul grilletto del fucile e sulla canna. La
vicinanza la destabilizzava, questo perché in parte temeva eventuali azioni
avventate del pistolero; ancora ripensava alle parole di Ana, lei era una
nemica e ogni sua parola lui poteva usarla per ferirla e ingannarla. Possibile
che anche in quel momento avesse trovato un modo per mentirle. Senza
accorgersene, presa da quella riflessione non si era accorta che Jhin le stava
parlando; si sentì richiamare dal suo tono di voce scocciato e subito tornò
alla realtà.
-Mi stai almeno seguendo? Oppure adesso sei
diventata sorda? – chiese sarcasticamente l’uomo.
-Ero sovrappensiero… - disse Selene con un
fil di voce.
Il pistolero sbuffò e si mise in piedi, le fece cenno di
mirare a un manichino distante alcuni metri da lei e gli ordinò di colpirlo,
imprimendo la magia nel colpo. La guardiana si concentrò, attingendo ai poteri
del Buio, così strinse il fucile tra le mani e stavolta esso fu attraversato da
linee color rosso sangue e nere; sentì un brivido sinistro lungo la schiena,
sapeva che Thanatòs percepiva che lei stesse usando i suoi poteri. Nella sua
mente riecheggiò una risata maligna, subito chiuse gli occhi nel tentativo di
scacciare via la sua voce.
Nel frattempo il pistolero vedendola indugiare si mise
accanto a lei e notò i suoi occhi tingersi del medesimo colore del sangue;
studiò attentamente i suoi lineamenti e subito comprese che qualcosa non
andava, il suo sguardo assassino era lo stesso che aveva nella Landa. Chissà
cosa nascondeva. La vide chiudere gli occhi, mentre Sussurro veniva
attraversata da strane linee e le unghie di lei divenivano artigli; prima di
poterle chiedere cosa stava accadendo alla sua arma lei sparò un colpo.
Rabbrividì di fronte alla scena che vide: il proiettile a contatto con il
manichino esplose e da esso si diramarono lingue nere fiammanti che divorarono
l’oggetto; mentre le fiamme smembravano l’oggetto nell’aria si levò una risata
profonda e nell’oscurità più nera scorse due occhi scarlatti.
-Di cosa si nutre questa arma? – chiese Selene con il fiato spezzato e
affaticata.
-Magia nera… che razza di arti pratiche? –
ribatté sconcertato il pistolero sempre più curioso – di chi erano quegli occhi
e quella voce? –
Selene rimase in silenzio osservando la cenere del manichino
spargersi tra l’erba, Thanatòs era riuscito a sfuggire per un istante dal suo
controllo e si era mostrato, sebbene in una sua banale forma. Di nuovo percepì
il suo ringhio nella sua mente; improvvisamente chiuse gli occhi e portò le
mani sulle orecchie, lasciando cadere il fucile a terra. Non seppe cosa accadde
intorno a lei, ma quando riaprì gli occhi si ritrovò nell’oscurità più totale.
Di fronte a lei si materializzarono i grandi occhi scarlatti di Thanatòs e
dalla cortina di fumo nera che avvolgeva il suo corpo fuoriuscì un lungo
artiglio scheletrico.
-Ti sto aspettando, il tuo cuore sarà mio – sibilò la
creatura, ridendo mentre trapassava il suo torace – arriverà il momento in cui
userai a completo il mio potere –
Con violenza Selene fu riportata alla realtà, sentiva il
torace dolerle e d’istinto si portò una mano al cuore; tossì violentemente per
riprendere aria, mise una mano di fronte alle sue labbra e rabbrividì non
appena vide sul palmo del sangue nero. Percepì un’ondata di calore provenire
dai sigilli sulle sue braccia e poi un intenso bruciore; emise un lamento di
dolore mentre nelle sue orecchie sentiva la voce ovattata di una figura in
lontananza. Nel panico più totale vide una mano posarsi sulla sua spalla e
subito agì. Non riuscì ad identificare la figura quindi si voltò e, preso un
pugnale, scagliò un fendente contro lo sconosciuto, atterrandolo e puntando la
lama dell’arma alla sua gola.
-Non toccarmi – ringhiò Selene, stringendo
la presa.
-SELENE! FERMATI! – urlò Jhin, sul punto di
soffocare.
Improvvisamente Selene si rese conto dell’uomo che aveva
davanti era Jhin, subito mollò la presa e scattò in piedi: cosa diavolo le era
preso? Sentì gli occhi pizzicare e inumidirsi, così si portò le mani al viso in
preda al terrore e al dispiacere più totale.
-Io… i-io… il mio cuore… s-scusa, lui è qui…
il mio c-cuore – balbettò Selene scoppiando in lacrime, cedendo sulle ginocchia.
-Calmati –
Per quanto volesse negarlo per un momento aveva temuto che
la donna lo avrebbe ucciso; nei suoi occhi rosso sangue, aveva scorto solo una
implacabile furia omicida accompagnata dall’odio più profondo. Nel suo sguardo,
nella forza esercitata sul suo collo aveva colto qualcosa di disumano e giurò
che per la prima volta il Demone d’Oro aveva provato paura. Una cosa era certa:
voleva sapere di cosa si trattava. Nonostante non fosse abile in quel genere di
cose, si avvicinò alla guardiana e si inginocchiò accanto a lei; il suo lato
più oscuro si chiese cosa stesse combinando, quella era l’occasione per
demolirla definitivamente, come si era ripromesso quel pomeriggio, eppure una
piccola parte di sé lo fece titubare e cambiare idea. Maledì sé stesso: perché
adesso era accanto a quella donna, la cui misera esistenza non doveva aver
alcuna rilevanza per lui? Forse perché in parte poteva rispecchiarsi in lei,
con i suoi segreti inaccessibili e ferite profonde mai rimarginatesi. Accanto a
lui Selene continuava a balbettare la parola “cuore” in preda ai singhiozzi, le
aveva provato a dire qualche parola ma aveva fallito miseramente. Alla fine
aveva fatto un ultimo tentativo, mettendo a dura prova la sua pazienza, le
aveva posato la mano artigliata sulla spalla e aveva pronunciato il suo nome;
di scatto l’altra aveva sollevato il viso e inchiodato gli occhi ghiaccio nei
suoi.
-Cerca di calmarti. Va tutto bene –
Così aveva detto, pronunciando parole gentili che a lui
erano così aliene; tutto quello era dannatamente sbagliato. La guardiana si
tranquillizzò dopo qualche istante, in silenzio aveva asciugato le sue lacrime
e si era scusata per quell’inconveniente. “Perché ti preoccupi così tanto per
un insignificante essere?” pensò, non trovando risposta.
In estrema difficoltà nel mostrarsi così vulnerabile Selene
strinse a se le gambe, ponderò per un momento le sue parole e quando trovò il
coraggio per parlare abbozzò un triste sorriso.
-Vorrei che andasse tutto bene, ma sarebbe solo una
mera menzogna. Nel momento in cui hai posato gli occhi nelle pozze scarlatte
della notte, hai riflettuto il tuo sguardo nel fantasma di un passato lontano. Il
retaggio di una civiltà deceduta che alberga nel cuore di ogni uomo e da cui io
rifuggo costantemente – spiegò Selene, rivolgendo il viso verso il cielo poi
inchiodò gli occhi nei suoi leggendo la sua anima – tu hai scelto di convivere
con il tuo rancore, lo hai reso la tua ragione di vita, se io dovessi scegliere
di accogliere il mio, probabilmente di me ne rimarrebbe solo un lontano
ricordo. L’odio della Morte non può essere placato -
Jhin rimase in silenzio, insieme alla donna si mise in piedi
e osservò il suo viso. Le sue labbra erano piegate in un triste sorriso e gli
occhi ghiaccio sembravano aver assunto una tonalità più fredda. Le sue
enigmatiche parole lo lasciarono interdetto e pieno di interrogativi. La vide
avviarsi solitaria verso l’entrata dell’abitazione. Alle spalle della casa si
stagliavano minacciose nuvole scure, portatrici di pioggia. Mentre le parole
della donna riecheggiavano nella sua mente, di una cosa era sempre più certo:
per un istante quando il suo sguardo si era riflettuto in quello omicida di
lei, gli era parso di sfiorare il fardello demoniaco che la donna portava sulle
sue spalle e che adesso vedeva gravare sul suo fragile corpicino.
Restò in silenzio, prima che una goccia d’acqua bagnò la sua
maschera.
Occhi scarlatti e assassini balenarono nella sua mente. Avevano
scavato a fondo nella sua anima fino a sfiorarla, stavolta era stata lei a
carpire la sua essenza.
E per un istante, rabbrividì.
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Capitolo 7 *** Invisible bond ***
6. CAP 5 DEF
“L’unica emozione permanente
di un uomo inferiore è la paura – la paura dell’ignoto, del complesso,
dell’inspiegabile. Quello che lui vuole sopra ogni altra cosa è la sicurezza.”
(Henry Louis Mencken)
Dopo tre giorni di viaggio la carovana era giunta a Vindor,
da quando erano partiti Selene e Hadmon avevano un brutto presentimento circa
quel viaggio; qualche giorno prima Hanzai, prima di partire gli aveva fornito
le informazioni di cui loro non disponevano circa l’Ordine delle Ombre. Fondato
dal fratellastro di Shen, Zed, mirava a dominare le arti oscure, attraverso le
quali un giorno avrebbe sconfitto il fratello. Di recente, aveva spiegato
l’anziano, giravano voci che avesse preso sotto la sua ala un nuovo studente,
un certo Kayn, subito rivelatosi geniale e terribilmente attratto dall’arma che
loro stavano custodendo. La falce Darkin era un’arma diversa dalle altre, era a
tutti gli effetti dominata da un’entità oscura che trasformava i suoi portatori
in entità sfigurate e diaboliche, oltre a conferire enormi poteri a chi
riusciva a dominarla. Proprio per l’immenso potere sprigionato dall’arma che
non doveva cadere nelle mani dell’Ordine, se ciò fosse accaduto Zed avrebbe
avuto tra le mani un nuovo strumento per distruggere Ionia. Al termine della
loro discussione Hanzai gli aveva dato un ultimo monito vietandogli severamente
di afferrare la face, qualunque fosse stata la situazione di emergenza.
Mentre camminava Selene corse al momento in cui si erano
incontrati con Hanzai, era rimasta intimorita dal disprezzo e dal rancore
celatosi dietro gli occhi del Demone d’Oro e rivolto interamente nei confronti
del maestro e del Consiglio. Durante la discussione l’uomo non aveva proferito
parola, semplicemente era rimasto in silenzio a scrutare la figura ricurva dell’anziano,
ponderandone le parole. Ancora non riusciva a capire il motivo che lo avevano
spinto a dire quelle parole su Shen, non avevano fatto altro che confonderla
circa le intenzioni e l’onestà del Consiglio. La sua curiosità e i suoi
sospetti erano aumentati in quei giorni, voleva scoprire cosa era accaduto
quattro anni prima tra il Consiglio e Jhin e quindi il motivo di tutto il
rancore che il pistolero portava sulle spalle; anche Hadmon aveva confessato
che sarebbe stato molto interessato nell’avere più informazioni sull’argomento
e di nutrire alcuni sospetti sull’onestà del Consiglio, non tollerava le poche
informazioni che gli venivano fornite e le troppe celate.
Selene rivolse gli occhi al cielo coperto da minacciose
nuvole nere che si stagliavano sopra la valle, precedente l’arrivo al Bastione
Immortale; Hanzai le aveva spiegato che era il luogo in cui le armi proibite
venivano sigillate per sempre e custodite da un elite di guerrieri e maghi
duramente addestrati. Dall’altro lato della carovana Jhin scrutava attentamente
l’ambiente circostante, spostava i suoi occhi in fretta attento a percepire
ogni movimento sospetto; Hadmon invece era situato dietro il carro anche lui
era intento a sorvegliare la vegetazione che avvolgeva per intero la vallata.
Le prime gocce d’acqua caddero a terra, bagnando il mantello
scarlatto di Selene e presto il rumore della pioggia interruppe il sordo silenzio
che regnava nella valle; sperava che in quella missione Thanatòs non le avrebbe
creato problemi come tre giorni prima altrimenti sarebbe stato un problema in
più cui lei non sapeva trovare soluzione. Nei giorni di viaggio aveva riposato
solo poche ore e la stanchezza che gravava sul suo corpo non avrebbe di certo
aiutato nei combattimenti. Preoccupata voltò lo sguardo verso il dragone il
quale vedendola tesa le sorrise dolcemente, scuotendo il capo come per dire che
per qualsiasi cosa lui sarebbe stato presente.
Un rumore improvviso e Selene si voltò nella direzione di un
masso accanto a lei, si fermò un istante e si avvicinò di un passo; Jhin la
vide separarsi per un momento dalla carovana le chiese se qualcosa non andava
ma lei non rispose. Il carro proseguì avanti, lasciandola indietro, percepiva
la presenza di qualcosa all’interno della roccia: di qualcuno. Si avvicinò di
più e di fronte a lei si materializzò un’ombra nera da cui spuntarono due
profondi occhi blu.
-Ciao bambolina – disse una voce maschile.
Selene non fece in tempo a dare l’allarme che subito un’alta
figura maschile si materializzò davanti ai suoi occhi, fuoriuscendo dal masso.
La colpì all’altezza dello stomaco, mandandola a terra: l’assalto era
cominciato. Scattò in piedi, l’uomo di fronte a lei era scomparso, corse con
gli occhi più avanti e lo vide attraverso una parete rocciosa alle spalle di
una guardia in testa al carro, vicino ai cavalli. Non avrebbe fatto in tempo ad
avvisare Hadmon, l’accolito aveva già allungato le sue mani artigliate sul
collo dell’uomo.
Velocemente si dissolse in una nube blu notte e ricomparve
di fronte alla guardia, con un calcio la mandò a terra, subito Hadmon le urlò
qualcosa interdetto da quel gesto e non notando la figura di fronte a lei.
L’uomo si era materializzato di fronte a lei e aveva afferrato il suo collo; a
sua volta lei lo aveva colpito in viso con un pugno, mandandolo a terra.
-Hadmon, ci stanno attaccando – urlò Selene, non
accorgendosi del ragazzo di fronte a lei sfuggire, rientrando nella parete.
Alle parole di Selene, Hadmon si mise sulla difensiva e alle
spalle della carovana scorse due accoliti, Jhin sfoderò Sussurro e notò altre
due figure venire esattamente nella loro direzione, sapeva chi erano: Kayn il
nuovo e talentuoso allievo di Zed, lo stesso che aveva colpito la ragazza e un
seguace. Le guardie sfoderarono le loro spade e si disposero intorno alla
carovana.
-Hadmon difendi le spalle della carovana, io
affronterò gli altri due – disse Selene, sfoderando i suoi pugnali e avvolgendo
le catene legate al manico delle armi lungo i suoi avambracci.
Accanto a lei si avvicinò Jhin il quale aveva impugnato il
suo fucile da distanza e si era messo in ginocchio, pronto a far fuoco.
Finalmente si era creata l’occasione perfetta per dar via alla sua vendetta; le
sue mani stringevano la sua arma di distruzione, nelle sue vene scorreva l’odio
e dai suoi occhi trapelava solo la folle sete di sangue.
-Ti copro le spalle. L’uomo più a destra è
un semplice seguace, a sinistra c’è Kayn, lui è il più pericoloso: mira alla
falce. Io mi occuperò di eliminare subito l’altro, tu dovrai impedire a Kayn di
arrivare all’arma. Intesi? – spiegò Jhin, per una strana ragione non voleva che
la donna venisse eccessivamente coinvolta in tutta quella storia. La vicenda di
quattro anni fa non si sarebbe dovuta ripetere – il loro capo Zed ancora non è
arrivato, dobbiamo prendere il vantaggio ora –
-Farò il possibile – disse Selene, pronta a
correre nella direzione di Kay.
-Selene – chiamò Jhin un attimo prima di
vederla correre via; la donna si voltò sorpresa di essere chiamata per nome
gentilmente – non farti ammazzare. Fai attenzione… -
Selene rimase interdetta per un istante, poi gli sorrise e
annuì; corse nella direzione di Kayn. Tra le mani il ragazzo tratteneva una
falce dalla lunga mano, aveva il torace scoperto rivelando il suo fisico
statuario; indossava lunghi e morbidi pantaloni. I suoi occhi blu la fissavano,
mentre le sue labbra erano curvate in un ghigno di sfida; i suoi capelli
corvini rilegati in una treccia fluttuavano nell’aria. Nel complesso l’uomo che
sembrava avere la sua stessa età, circa venticinque anni, sembrava molto abile
e pericoloso pronto ad uccidere.
Di fronte a Kayn Selene lanciò il suo pugnale facendo
scorrere le catene sul suo braccio, l’altro sorrise diabolicamente schivano il
pugnale e afferrando la catena.
-Troppo facile –
Così aveva detto il combattente, ma Selene aveva sorriso
trionfante non appena aveva afferrato la catena e attirato a sé Kayn, facendolo
sbilanciare in avanti. Aveva sferrato quindi un calcio nel suo stomaco, ma subito
l’altro le aveva afferrato la gamba e fatta cadere all’indietro; l’accolito
aveva poi sollevato la falce per colpirla ma lei si era dissolta in una nube ed
era riapparsa alle sue spalle.
Colto alla sprovvista Kayn si voltato giusto in tempo per
venir colpito in viso dal tacco dello stivale di lei. Un ringhio di Hadmon fece
sollevare il viso di Selene, il suo compagno si trovava in difficoltà; tutto
questo bastò a Kayn per rimettersi in piedi e atterrare la ragazza,
immobilizzandolo le mani.
-Non puoi sfuggirmi – ringhiò Kayn,
afferrandola per il collo con i suoi artigli.
-Non ne sarei così sicuro – disse Selene
dissolvendosi e riapparendo di fronte a lui – tu non trovi? –
Detto così Selene unì le mani e pronunciò delle parole
arcaiche e subito delle lingue di oscurità avvolsero le il corpo
dell’avversario, inchiodandolo a terra. Vide Jhin accanto alla carovana in
difficoltà, alle strette con l’accolito che faceva coppia con Kayn, così eseguì
un incantesimo, toccò il terreno e delle fiamme avvolsero il seguace,
lasciandolo cadere a terra inerme.
Improvvisamente vide alle sue spalle del movimento, intuì
che Kayn si era liberato. Schivò un suo fendente, per poi rispondere colpendolo
su una spalla e ferendolo.
-Sei un’avversaria molto interessante. Mi piaci –
disse Kayn, dissolvendosi nel terreno e rispuntando alle spalle di lei.
Purtroppo Selene si era voltata troppo lentamente e
l’accolito l’aveva colpita dietro il collo, facendola cadere a terra; velocemente
si era girata, aveva unito le mani e le aveva conficcate nel terreno. Come per
incanto il tempo per Kayn sembrò rallentarsi, molto abilmente Selene lo aveva
racchiuso in una bolla temporale in cui i minuti passavano più lentamente. Riuscì
a mantenere l’incantesimo giusto il tempo necessario per rimettersi in piedi e
schivare la lama della falce che la ferì all’altezza del ventre.
Svanito l’effetto dell’incantesimo Kayn sollevò la falce e
assaggiò il suo sangue scarlatto; il sapore della sua vittima era diverso da
quello degli altri, c’era qualcosa di anormale in quella donna, poteri oscuri
simili ai suoi. Zed gli aveva spiegato che quel pomeriggio avrebbero combattuto
contro delle personalità eccezionali: i Guardiani di Flauren. Tra di loro c’era
la famosa guardiana del Buio, perciò il loro obiettivo non era solo la falce Darkin,
ma anche quello di rapirla e lui avrebbe portato egregiamente a termine
l’incarico. Velocemente si scagliò su di lei, con brutalità la colpì sulla
ferita appena infertale, la donna si piegò in avanti gemendo e cadendo in
ginocchio.
Selene sollevò gli occhi, il taglio perdeva molto sangue e
lei si stava affaticando eccessivamente; non aveva reagito prontamente a causa
della stanchezza, ora non riusciva più a muoversi per il dolore. Kayn sollevò
la falce e posizionò la lama alla base del suo collo; lei chiuse gli occhi
sentendo la falce incombere su di lei mentre una voce si fece largo nella sua
mente: “chiama il mio nome, guardiana, libera il mio potere”.
-Tu devi essere la Guardiana del Notte, non
è così? – chiese Kayn ghignando maliziosamente.
-Come fai a sapere chi sono? - disse Selene
sconcertata.
Kayn le colpì il viso con la punta dello stivale mandandola
a terra, sfilò un pugnale dalla sua cintura poi le prese la mano sinistra con
la cicatrice e vi conficcò l’arma. L’urlo di Selene tranciò l’aria e fece
voltare di scatto Jhin che subito si adoperò per aiutarla. Nel frattempo Kayn
si era dissolto in una delle pareti e si preparava a prender la falce Darkin
distruggendo la carovana.
Con un calcio Jhin si liberò dell’accolito e corse verso la
donna, le sfilò il coltello dalla mano e lo gettò via, strappò una parte della
sua casacca e la avvolse intorno alla sua mano sanguinante. Le passò un braccio
dietro al collo per sollevarle il capo, poi le colpì il viso facendole
riprender coscienza. La donna si svegliò giusto in tempo per vedere Kayn raggiungere
la carovana e allungare le mani sulla falce Darkin.
-La falce! – urlò Selene di botto
rimettendosi in piedi.
-Dannazione – imprecò Jhin, scattando verso
Kayn.
-Non toccare la falce! -
Selene vide Hadmon correre verso la falce, Kayn avrebbe
fatto prima di tutti loro, vide Jhin correre verso l’assassino; il pistolero
avrebbe fatto in tempo ma per anticiparlo avrebbe dovuto afferrare l’arma. Non
poteva accadere, sicuramente sarebbe rimasto ucciso dall’aura di malignità
della falce. Si dissolse nell’aria riapparve accanto al pistolero, lui la
guardò sorpreso, poi lo spinse via prima che potesse toccare la falce; dopo di
che la afferrò allontanando con un calcio Kayn. L’occhio sulla falce era chiuso
e Selene sentiva l’aura maligna emanata da quell’arma, temeva cosa poteva
accaderle se la impugnava troppo a lungo.
-Sei abile Guardiana –
A quelle parole di Kayn, Jhin si era voltato sconcertato e
Hadmon gli aveva rivolto un’occhiata preoccupata. Perché conosceva le loro
identità?
-Di cosa sta parlando? – chiese Jhin
sorpreso da quella rivelazione.
-Non mi aspettavo che la Guardiana della
Notte fosse così impavida, con il suo corpicino così fragile. Mi piaci sempre
di più, sei molto interessante – rise Kayn, poi guardando alle spalle di lei
continuò- tu non trovi, maestro? –
Alle spalle di Hadmon si era materializzato Zed, il quale
aveva colpito il Guardiano in viso mandandolo a terra; Jhin aveva sentito la
rabbia mista allo sconcerto ammontare dal profondo delle sue viscere, chi era
Selene e perché uno dei suoi giurati nemici conosceva la sua identità e quella
dell’amico? Tuttavia di quello se ne sarebbe occupato più tardi, in quel
momento si stava creando l’occasione per mettere in atto la sua vendetta: aveva
ucciso gli accoliti di Zed e ora mancavano solo lui è Kayn. “Finalmente” pensò
sorridendo sotto la sua maschera.
-Non mi ripeterò due volte, consegnaci la falce
Darkin – ordinò Zed, avvicinandosi alla donna.
Selene studiò l’uomo alle sue spalle, Zed era alto quanto
Jhin, indossava un’armatura in metallo sulle spalle e un elmo sul viso da cui
spiccavano due occhi scarlatti; sulle braccia aveva legate delle lunghe lame
affilate, mentre il resto del corpo era coperto da una morbida tuta nera e
rossa terminante con alti stivali in acciaio. Nonostante temesse il suo
avversario lei non avrebbe ceduto niente.
-Mai –
Detto così Zed aveva creato dei cloni d’ombra e insieme a
Kayn si era lanciato all’assalto. Mentre Hadmon si riprendeva dal colpo
precedente, Jhin si mise accanto a lei, colpì in viso Zed e ferì con un colpo
Kayn alla spalla, facendoli indietreggiare. Zed riconosciuta la sua identità,
afferrò da dietro le spalle due grandi shuriken.
-Il tuo avversario sono io, feccia – ringhiò
Jhin, sparando un ulteriore colpo nella sua direzione.
-Demone d’Oro quale onore – disse Zed con
tono derisorio.
-Ti farò rimpiangere quella notte di quattro
anni fa – sibilò Jhin, schivando le armi lanciate dall’uomo.
Detto così Jhin si era lanciato all’attacco, intrattenendo
Zed e permettendo a Selene di occuparsi di Kayn; il mietitore l’aveva guardata
con i suoi occhi blu notte, sfidandola. Solo allora aveva fatto caso che il suo
occhio sinistro era di colore scarlatto e circondato da simboli blu, gli stessi
che percorrevano il suo torace diramandosi dal braccio sinistro. Alla sua
sinistra vide Hadmon rimettersi in piedi a fatica, del resto aveva affrontato
due accoliti e ora un terzo si era presentato, pronto a sfidarlo.
-Tu non sai a cosa vai incontro, il Buio non
è qualcosa che appartiene a nessun mortale – disse Selene, percepiva la falce
tra le mani attingere ai suoi poteri.
-Tu sei una custode incapace – spiegò Kayn,
lanciandosi all’attacco.
Selene schivò i suoi attacchi con lentezza, al punto che
l’uomo agitò la falce e la ferì sull’avambraccio, rivelando i suoi sigilli;
rise vittoriosamente per poi mandarla a terra, facendole volare via dalle mani
la falce Darkin. A fatica, sotto i richiami dei due compagni, Selene aveva
sollevato gli occhi, incontrando quelli dell’avversario; si era sentita
afferrare per il collo e venir meno l’aria, quindi istintivamente aveva portato
le mani al polso di Kayn il quale stringeva sempre più la stretta.
-Pietosamente incapace direi – concluse il mietitore
lanciandola contro la carovana.
Con immensa difficoltà Selene si era rimessa in piedi, di
quel passo sarebbero stati sconfitti perciò non c’era altra alternativa se non
quella di richiamare a sé le arti oscure e sfruttarle; accanto a lei si era
materializzato Hadmon che l’aveva aiutata e le aveva chiesto se poteva
continuare a combattere, lei aveva annuito e gli aveva spiegato le sue
intenzioni. Subito il guardiano le aveva ordinato di non ricorrere
assolutamente a quei poteri, spiegandole che se gli fosse sfuggito il controllo
sul demone la sua vita sarebbe stata in pericolo o ancora peggio la sua linfa
sarebbe stata rubata dalla creatura. Selene aveva indicato Kayn prendere tra le
mani la falce e spiegato che non c’era altra soluzione se non quella; Hadmon
aveva ponderato le parole di lei e a malincuore e contrariato aveva deciso di
assecondarla, spiegandole che sarebbe intervenuto non appena lei sarebbe stata
in difficoltà.
Sulla falce Darkin si era aperto un occhio scarlatto che ora
si era posato su di lei; Selene aveva sussultato mentre sentiva il demone
dentro di lei fremere per sfuggire da sotto il suo controllo. Unì le mani e
rilasciò i sigilli sulle mani e sulle braccia; sentì il cuore mancare di un
battito e poi fu investita dal potere di Thanatòs. Le unghie delle sue mani
divennero quelle artigliate del demone, le sue dita furono percorse da line
scarlatte e nere, così come il suo corpo; sotto ai suoi occhi si disegnarono
due linee scarlatte e le pozze ghiaccio sfumarono nel colore scarlatto del
sangue. Inspirò profondamente, cercando di tenere sotto controllo la creatura
in lei che ora come non mai desiderava uscire e prendere il sopravvento;
inchiodò i suoi occhi su Kayn, Zed notò il suo cambiamento e prima di poter
avvertire Kayn, lei si era dissolta in una nube nero pece.
Sulla carovana era scesa la notte e questo aveva offerto a
Selene un incredibile vantaggio; avvolta nella notte nessuno poteva sapere dove
poteva essere, così apparve dietro ogni accolito accoltellandolo alla gola. Il
sangue delle sue vittime le macchiò le mani e il viso, la sete di sangue del
demone stava prendendo il sopravvento e lei doveva sbrigarsi a concludere
quello scontro.
Riapparve al fianco di Kayn e senza pietà artigliò il suo
torace che subito si macchiò di sangue; con un calcio lo allontanò dalla falce
che ricadde a terra. Si chinò sull’arma, incosciente di quello che le sarebbe
accaduto; lei non sapeva che Hanzai le aveva taciuto l’abilità più terrificante
tra tutte: nei loro portatori avrebbe risvegliato il loro lato più oscuro, trasformandoli
in figure demoniache e lasciando la loro coscienza in balia della loro
personalità malvagia più recondita. In lei avrebbe risvegliato qualcosa di più
potente di ogni entità demoniaca: Thanatòs.
Nel frattempo Jhin aveva avuto la meglio su Zed, ora chino a
terra con il corpo ferito dai suoi proiettili; aveva puntato la pistola al suo
cuore, pronto a privarlo della sua misera vita. La sua maschera era sporca del
sangue dell’assassino, così come i suoi artigli dorati: finalmente lo avrebbe
ucciso e vendicato il giorno in cui lui e il fratello lo avevano privato di
ogni cosa e costretto a trucidare l’unica persona che aveva mai amato. Chiuse
gli occhi e inspirò a fondo, quando li riaprì fu pronto. Stringeva con forza il
manico di Sussurro, sul suo volto si era dipinto un sorriso diabolico; nel buio
della notte illuminato dalle fiaccole delle guardie si scorgeva solo il suo
occhio scarlatto e il ghigno sinistro della sua maschera.
-Quattro –
Le ultime parole di Jhin furono un sibilo, poi premette il
grilletto; nel suo ultimo proiettile vi era tutta la rabbia, l’odio e la
disperazione di quella notte di quattro anni fa. Chiuse gli occhi, le cicatrici
che avevano deturpato il suo viso e il suo corpo bruciavano insolitamente, le stesse
ferite che Zed stesso gli aveva inferto quella notte. Il braccio dorata e
l’occhio destro di cui era stato privato dolevano per la folle euforia di
quella vendetta.
-Questo è per lei.
Per avermi trasformato in un mostro. Per aver infierito sul mio corpo. Presto
la mia ira si abbatterà su tutta Ionia, patetici scarti e il sangue scorrerà
finché la mia sete di vendetta non verrà placata. Tu sei il primo Zed, il
prossimo sarà tuo fratello e gli ipocriti del Consiglio – ringhiò Jhin.
Rivolse il viso verso il cielo, il suo corpo era bagnato
dalla fredda pioggia e la sua anima dannata per un istante aveva trovato la
pace nel vedere il corpo di Zed morto in una pozza di sangue. Chiuse gli occhi,
lasciandosi pervadere dalla tranquillità del momento. Tuttavia i suoi pensieri
furono presto interrotti da un urlo di Hadmon che lo chiamò, chiedendogli aiuto
e indicando la sua compagna; fece in tempo a voltarsi nella direzione della
donna e rabbrividì, sentendo l’urlo raggelante di Selene fendere l’aria. La
guardiana si era inginocchiata a terra e aveva gli occhi fissi su quello
scarlatto della falce Darkin mentre il suo corpo stava venendo avvolto da un
alone di oscurità; sulle sue spalle stava prendendo forma un’armatura di ossa,
mentre delle linee scarlatte si avvolgevano lungo la sua corazza in prossimità
del cuore. Scorse di nuovo i suoi occhi scarlatti e la sua furia omicida; le
labbra di lei, macchiate del sangue delle sue vittime si stavano piegando in un
sorriso diabolico rivelando i suoi denti divenuti denti lunghi e affilati, da
cui fuoriusciva un vapore rosso sangue.
-Cosa diavolo sta succedendo? – chiese Jhin,
nella guardiana non c’era più traccia della figura serena e umana dei giorni
precedenti.
-Quella non è più Selene, dobbiamo fermare
la creatura che è dentro di lei prima che la sua volontà scompaia per sempre –
disse Hadmon, la falce Darkin aveva risvegliato Thanatòs e ora controllava il
corpo della giovane. Era preoccupato per la compagna e furioso perché Hanzai
gli aveva omesso di nuovo dei particolari quando gli aveva illustrato i poteri
della falce.
-Chi siete voi? Voi siete persone fuori dalla
norma, non ho mai visto nessuno sprigionare un potere simile –
Se nei giorni precedenti Jhin aveva pensato di poter
sfruttare a suo favore quel potere, ora lo temeva più di qualsiasi altra cosa. Afferrò
il bavero della giacca del compagno che non voleva rispondere alla sua domanda,
incitandolo a parlare: lui doveva e voleva sapere chi era quella donna. Vide
l’uomo chinare il capo e chiudere gli occhi, prima di riaprirli: anche lui
aveva occhi simili a quelli della giovane. Hadmon scostò la sua mano e fece
apparire tra le mani una lunga falce bianca, attraversata da linee ghiaccio.
-Io sono il guardiano del Tempo, Selene
invece… - disse Hadmon, non doveva rivelare le loro identità eppure non c’era
altra scelta.
-Chi è? – domandò furioso il pistolero,
solo menzogne gli erano state raccontate.
-La Guardiana della Notte, la custode del
demone degli Abissi: Thanatòs; quando ci sarà l’occasione ti spiegherò ogni
cosa, ma adesso ti basta sapere che ora come ora quella creatura sta rubando la
linfa vitale di Selene. Noi dobbiamo fermarlo prima che raggiunga il suo cuore
–
-Che succede se falliamo? – chiese Jhin,
temendo la risposta.
-Selene morirà. Io posso sigillarla, ma ho
bisogno di liberarmi di Kayn –
Jhin in silenzio posò lo sguardo sulla donna di fronte a
loro, aveva afferrato per il collo il mietitore e lo aveva sbattuto a terra;
odiava quella parte di sé che voleva salvarla, la stessa che ora gli stava
facendo ricordare gli avvenimenti di quattro anni prima. Un filo invisibile
stava tirando la sua anima e lo spingeva a mettere al sicuro la vita di lei;
maledisse sé stesso per lasciarsi trasportare di nuovo dal suo stupido cuore
che proprio ora si era svegliato e gli suggeriva di strapparla a quella
creatura. Ogni istante che passava capiva sempre più che lei era identica a
lui, completava la sua personalità folle: costretta a portare un odio che non
le sarebbe mai dovuto appartenere, ma nonostante tutto l’unica che si era
sforzata ad approcciarsi e a parlargli. “Me ne pentirò” pensò Jhin, poi guardò
Hadmon e annuì. Per quanto gli facesse rabbia che gli erano state taciute le
loro identità, non riusciva ad essere freddo e spietato nei confronti di quella
donna; non voleva lasciarla a quel terribile destino. Non voleva che morisse.
Hadmon partì all’attacco e fece segno a Jhin di seguirlo,
gli disse di prestare attenzione a non farsi colpire da Selene oppure
l’oscurità lo avrebbe divorato; prima di andare il guardiano gli aveva dato un
amuleto che avrebbe dovuto applicare alle spalle della ragazza, così facendo le
avrebbe impedito di muoversi. Si diresse verso Kayn ora rimessosi in piedi,
sparò un colpo nella direzione dell’uomo, ferendolo all’altezza del ginocchio;
l’altro non parve cedere ma afferrò la falce Darkin e lo colpì all’altezza del
viso spezzando una parte della maschera e tagliando il passamontagna nero.
-Non trovi che sia una creatura bellissima,
un concentrato di pura oscurità – sibilò Kayn, sferrando un calcio sul costato
del pistolero.
-Dannato bastardo, ti metterò a tacere per
sempre –
Detto così Jhin aveva schivato un altro fendente che aveva
tagliato il suo mantello, rivelando la casacca viola sottostante; doveva
concludere quello scontro e salvare la donna, non aveva tempo da perdere con
quel ragazzino. Sparò tre colpi in direzione dell’altro, ferendolo su entrambe
le ginocchia e sulla spalla; fu allora che Kayn cadde in ginocchio. Prima di
potersi rimettere in piedi Jhin si era materializzato davanti a lui e lo aveva
colpito in viso stordendolo. Con un calcio aveva allontanato la falce Darkin da
lui: per un po' non avrebbe dato più fastidio.
-JHIN! MUOVITI! – urlò Hadmon, bloccando le mani di
Selene.
Il pistolero agì in fretta, corse alle spalle della donna,
ma Selene si voltò nella sua direzione; inchiodò gli occhi scarlatti nel suo e
lui rabbrividì. Quelle pozze rosso scarlatto stavano di nuovo scavando nella
sua anima, ma adesso gli stavano permettendo di accedere in quelle della donna:
nella sua anima lesse la disperazione più profonda, nella sua mente riecheggiarono
i singhiozzi di lei intrappolata in un vortice di urla e odio.
-Non guardarla negli occhi – ordinò Hadmon, non
riuscendo più a immobilizzare la donna – sbrigati o non faremo più in tempo –
Distolto lo sguardo Jhin applicò il medaglione sulla schiena
di Selene, fu allora che sotto l’effetto di esso Selene fu costretta a
inginocchiarsi e Hadmon colta l’occasione, aveva unito le mani rilasciando un
incantesimo che la immobilizzò subito a terra con delle forti radici. Gli occhi
rossi di Selene si posarono su Jhin, nella sua mente balenò l’immagine degli
occhi ghiaccio della ragazza e per un istante gli parve di sentire le sue urla.
Vide Hadmon inginocchiarsi accanto a lei, sollevando la falce bianca in cielo
poi la conficcò nel torace di Selene. La donna sgranò gli occhi, iniziando ad
inarcare la schiena nel vano tentativo di divincolarsi, mentre le line
scarlatte che attraversavano il suo corpo svanivano.
-Scusami Selene –
Cosi aveva detto Hadmon, per poi posare le mani a terra
facendo apparire un sigillo sul cuore della giovane; Selene si era messa a
urlare disperatamente, mentre l’armatura di ossa lasciava libero il suo corpo.
Hadmon aveva poi conficcato le unghie in prossimità del suo cuore e aveva
iniziato a recitare parole arcaiche; non si fermò quando la ragazza alzò il
tono di voce squarciando l’aria con le sue urla, supplicandolo di smetterla.
-Cosa le stai facendo? – chiese Jhin
sconvolto dalle urla disumane della donna – sta soffrendo! –
-È l’unico modo, Jhin! – urlò Hadmon,
digrignando i denti, ruotando la mano sul suo cuore mentre il sigillo si
espandeva – devo sigillare la creatura dentro di lei o morirà, lo capisci? Se
lei muore, quella creatura tonerà a piede libero e le strapperà il cuore. Metti
le mani sul sigillo, dopo di che quando te lo dirò tu spingerai le mani sul suo
cuore –
-Non prenderò parte a questa pratica
disumana! – sbottò Jhin.
-AIUTAMI! SELENE STA MORENDO! – ringhiò
Hadmon, sentendo l’energia della ragazza svanire sempre di più – ho bisogno
della tua energia per salvarla io non ne ho abbastanza. Non c’è più tempo Jhin,
quella bestia le sta divorando la linfa vitale –
Sconvolto Jhin posò le mani all’altezza del sigillo, Hadmon
muoveva le sue mani allargandolo su tutto il corpo della giovane; il guardiano
sfilò la falce dal cuore facendola dissolvere in una nube bianca e lucente. Il
pistolero posò lo sguardo sul viso della donna: i suoi occhi erano chiusi, le
sue guance bagnate dalle lacrime e le labbra appena schiuse. I suoi lineamenti
erano sconvolti dal pianto e dalla sofferenza disumana che aveva subito;
improvvisamente si accorse che la guardiana aveva smesso di respirare, avvicinò
l’orecchio alle sue labbra e ne ebbe conferma.
-Hadmon, non respira più – disse Jhin con
voce flebile. No, non di nuovo. Non avrebbe fatto morire la seconda donna tra
le sue mani – fa qualcosa! -
-Ci sto provando, manca poco – disse Hadmon,
poi non appena il sigillo si espanse su tutto il corpo urlò – ORA! –
Jhin posò con forza le mani sul cuore della giovane,
successivamente Hadmon fece altrettanto e insieme a lui il sigillo investì il
corpo di Selene, riempendola di una sottile luce eterea. Seguirono attimi di
silenzio che parvero infiniti. Hadmon aveva il capo chino sul torace della
giovane in attesa di percepire un minimo battito; Jhin scrutava il volto della
donna sperando di percepire qualche segnale che fosse viva.
Hadmon pregò di aver fatto in tempo nel salvarla, non si
sarebbe mai perdonato l’idea di averla fatta morire in una ridicola missione.
Improvvisamente sentì un primo battito, poi il secondo e il terzo. Fu allora
che tirò un sospiro di sollievo, sorridendo trionfante mentre asciugava una
piccola lacrima sulla sua guancia.
-Grazie Jhin. Grazie davvero – ripeté
Hadmon, guardandolo nel suo unico occhio – ora riesco a capire –
-Di cosa stai parlando? – chiese Jhin
perplesso; era rincuorato che la donna fosse viva. Sentiva quell’invisibile
filo attirarlo poco più alla giovane, mentre la sua anima fredda e tetra
scaldarsi appena. Cosa gli stava accadendo…
-Selene mi aveva detto di essere riuscita a
vedere oltre la tua maschera, per questo aveva accettato a insegnarti le nostre
arti. Non mi fidavo completamente delle sue parole, ma adesso capisco che aveva
ragione – spiegò Hadmon sorridendogli – grazie –
-Non sono affatto la persona che voi
credete io sia. Io sono il Demone d’Oro, non potrò mai essere buono. Un uomo
come me non conosce redenzione – disse Jhin, non c’era salvezza per la sua
anima dannata.
-Perché allora hai voluto salvarla? –
osservò seriamente Hadmon.
-Cosa vorresti dire? –
-Noi siamo una minaccia per te, stanotte
avresti avuto l’occasione per far fuori entrambi. Invece hai preferito salvare
lei e aiutare me. Perché? –
-Ancora non riesco a capirlo – disse Jhin,
mettendosi in piedi, avviandosi verso la carovana.
In realtà Jhin sapeva il motivo e ne aveva terribilmente
paura; lui piano piano si stava affezionando ai due guardiani, la sua anima e
il suo cuore squarciati quattro anni prima, avevano paura di iniziare nuovamente
ad avvicinarsi a qualcuno, in particolar modo a Selene. Ogni volta che la
armatura di ghiaccio si indeboliva il suo passato tornava all’attacco,
riportando alla mente la notte in cui era stato costretto a uccidere l’unica
donna che aveva mai provato ad amare. Lui aveva paura di avvicinarsi, temeva di
essere costretto a compiere le stesse azioni e questo lo avrebbe distrutto per
sempre. Preso dalle sue riflessioni Jhin non si era accorto che il corpo di Zed
era scomparso e quando notò questo particolare fu troppo tardi. Si voltò, vide
Zed colpire Hadmon dietro il capo, scostando il corpo dell’uomo da quello di
Selene; il maestro si chinò sulla giovane e la prese tra le braccia. L’incubo
si stava ripetendo. Si scagliò verso Zed, ma nel buio della notte non vide Kayn
apparire alle sue spalle, disarmarlo e puntargli Sussurro al capo. Morse il
labbro inferiore per la frustrazione, era in trappola e non poteva fare niente.
Vide l’assassino avvicinarsi a lui di qualche passo.
-Avresti dovuto prestare più attenzione,
Khada Jhin – spiegò Zed, ridendo vittoriosamente – che ironia, dopo quattro
anni alcune cose non sono cambiate –
-Dannato bastardo, ti ammazzerò vedrai –
ringhiò Jhin, suscitando le risate dell’altro.
-Non ci sei riuscito quattro anni fa, non ci
sei riuscito ora e mai riuscirai. Sei destinato al fallimento Khada Jhin, più
continuerai a perseverare sulla tua strada, avvicinandoti a qualcuno e più le
tue ombre divoreranno la tua anima e le persone a te vicine, perdendole per
sempre – disse Zed posando a terra Selene e inginocchiandosi di fronte a lui;
gli afferrò la maschera gettandola a terra, poi gli sollevò il passamontagna e
sorrise perfidamente sotto la sua maschera.
Umiliato Jhin non poteva reagire, sentì la rabbia ammontare,
come era possibile che chiunque si avvicinava a lui gli veniva portato via dai
piani alti di Ionia. Quella volta non sarebbe finita così, non sarebbe morto lì
quella notte; ovunque l’avrebbe portata, lui avrebbe cambiato gli eventi
impedendo che il passato si sarebbe ripetuto. Il suo viso deturpato era
completamente messo a nudo, i suoi capelli corvini tirati indietro, ricaddero
scompigliati sul suo volto; Zed conosceva l’immagine del suo viso deturpato e
quando i suoi occhi scarlatti si assottigliarono studiandolo, lui si sentì
privo di ogni difesa. Con disprezzo sputò sulla maschera dell’assassino, lo
odiava: un rancore viscerale che si sarebbe estinto solo con la sua morte. Zed
scosse il capo, poi con un gesto repentino afferrò i suoi capelli e costrinse a
piegare il capo sul viso di Selene.
-Io sono la resa dei conti Jhin. Guardala dal tuo
unico occhio, lei come Joanna sono mondi distanti anni luce da te; un’anima
turpe come la tua non potrà mai avvicinarsi a una Guardiana. Ti ho osservato in
questo tempo, non sei stato in grado di distruggerla e né tantomeno di
avvicinarla, perché tu sei un vile. Tu hai paura. Una folle e viscerale paura
di perdere la tua indipendenza, di soffrire, di confrontarti. Sei un codardo e
da schifosa feccia guarderai con i tuoi occhi il tuo fallimento – ringhiò Zed,
costringendolo a piegare ancora di più il capo non appena lui fece resistenza.
Poco distante dal viso di Selene, Jhin sentì gli occhi
pizzicare. La verità gli stava venendo schiaffata in faccia senza alcuna pietà
e la sua armatura di ghiaccio aveva iniziato a cadere a pezzi nel momento in
cui aveva posato il suo unico occhio sulla guardiana; morse le labbra, prima
che una lacrima di frustrazione rigasse la sua guancia e cadesse sulle labbra
di lei. Selene aprì appena gli occhi, inchiodandoli nel suo. Tutto quello non
sarebbe dovuto accadere, ricacciò indietro ogni lacrima e serrò la mascella.
Lui era un fallimento.
-Jhin –
Il suo nome aveva lasciato le labbra di Selene, la giovane
aveva sollevato una mano, sfiorando inconsciamente le sue labbra; sotto il suo
tocco Jhin sentì il cuore mancare di un battito e la sua armatura andare per
sempre in frantumi. Pronunciò il suo nome e si scusò, per la prima volta dopo
anni lo spietato Demone d’Oro temeva per la vita di qualcuno: Selene; la
Guardiana ancora provata dallo scontro precedente, lo guardò abbozzando un
sorriso, fu allora che giurò a sé stesso che l’avrebbe riportata indietro. A
qualsiasi costo. Vide per un ultimo istante la donna richiudere gli occhi e
cadere nel sonno profondo. Improvvisamente Zed gli afferrò il collo
costringendolo a guardarlo in viso; dagli occhi dell’assassino emergeva tutto
il disprezzo che nutriva nei suoi confronti.
-Dovresti ringraziarmi, ti sto privando di
una presenza scomoda e te mi guardi sprezzante. Dì addio all’unico barlume di
luce che avrebbe potuto salvare la tua anima tetra e maledici te stesso per
essere la causa della sua morte – concluse Zed, mettendosi in piedi e prendendo
in braccio Selene.
-No. Non di nuovo – ringhiò Jhin furioso,
vedendo l’assassino allontanarsi.
-Addio Khada Jhin. Procedi Kayn –
A quelle parole Jhin non fece in tempo ad agire che fu
colpito con violenza alla base della nuca, sentì le membra pesanti e la vista
offuscarsi: stava perdendo i sensi. Prima di chiudere definitivamente gli occhi
vide Selene tra le braccia di Zed con Kayn e la falce Darkin al suo seguito;
no, stavolta l’incubo avrebbe avuto un finale differente: l’avrebbe salvata. Di
questo ne era certo. Con quella certezza e il nome di lei sulle sue labbra
perse i sensi; sprofondando nelle tenebre profonde.
-Selene…-
I due assassini fuggirono nella notte, abbandonando la
vallata lasciando che il silenzio più profondo tornasse a regnare.
Angolino dell’autrice: Salve
a tutti, mi scuso per essere stata assente in questa settimana purtroppo è
iniziata di nuovo l’università e sono stata piena di impegni. Cercherò di
essere sempre costante con le pubblicazioni anche se non so dirvi con
precisione ogni quanto tempo pubblicherò i capitoli. Ad ogni modo sono contenta
di vedere che state crescendo in numero, spero che la fanfiction vi stia
piacendo; mi dispiace se questi ultimi due capitoli presentano imperfezioni,
purtroppo non ho avuto molto tempo per rivederli. Sto cercando di descrivere
Jhin nei suoi lati più cupi e anche un po' umani, provando a delineare il suo
passato e i motivi che lo hanno reso folle e spietato; spero solo di non uscire
troppo dalle righe. Ho lasciato appositamente i particolari del suo passato sul
vago perché li descriverò più avanti. In ogni caso spero che questi ultimi due
capitoli possano piacervi. Alla prossima! :D
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Capitolo 8 *** Just for once this time ***
7.cap6
“Noi siamo polvere e ombra.”
(Orazio)
Con immensa fatica Selene riaprì gli occhi, ci mise qualche
minuto per mettere a fuoco l’ambiente in cui si trovava: la stanza e il letto
su cui stava riposando le erano completamente sconosciuti e subito si allarmò. Mentre
scrutava quel posto ricordò gli avvenimenti della notte precedente e scattò a
sedere; nel compiere quel movimento brusco sentì girare la testa e fu costretta
a piegarsi di nuovo sul letto. Ricordava di aver ricorso alle arti del Buio,
che la falce Darkin aveva risvegliato Thanatòs e infine di essere caduta in uno
stato di semi-incoscienza; nella sua memoria balenavano solo immagini sfocate
di un uomo chino su di lei e di qualcuno che parlava. Ben presto accantonò il
pensiero, in quel momento la priorità era comprendere dove si trovava. Studiò
con maggior accortezza l’ambiente circostante: una stanza spoglia, accanto al
letto vi era un piccolo tavolino in legno su cui erano disposte le sue armi,
con vicino una sedia; una piccola finestra illuminava l’ambiente, alla sinistra
di quest’ultima vi era una porta che dava su un piccolo bagno. Con sorpresa
notò che la sua ferita era stata medicata e i suoi abiti erano puliti dal
sangue e dalla sporcizia; un’insistente quanto preoccupante pensiero si fece
largo nella sua mente: forse dopo che aveva perso i sensi, era stata portata
via dai seguaci dell’Ombra. Sebbene con molta lentezza, si mise in piedi e si
avviò timorosamente verso la finestra, si affacciò e non credette ai suoi
occhi: sotto la finestra vi erano i seguaci dell’ombra intenti ad allenarsi in
gruppo; constatò che era stata rapita, realizzando quindi che la loro missione
era fallita e la falce Darkin era stata portata via. Il suo primo pensiero fu
quello di fuggire, al come avrebbe pensato strada facendo.
Istintivamente afferrò le sue armi e corse, incurante della
stanchezza che gravava sul suo fisico; aprì la porta e percorse un lungo
corridoio che la condusse a una scalinata in legno. Scese le scale,
raggiungendo l’atrio che conduceva nel piazzale ove gli accoliti si stavano
allenando; lungo il tragitto incontrò solo un giovane che si parò lungo la sua
strada, ma che lei stordì. Varcato l’atrio alcuni accoliti si accorsero di lei,
la guardarono con espressione interrogativa; si fece largo tra la folla,
l’uscita si stagliava di fronte a lei: un alto portone con ricche decorazione
in oro. Qualcuno la riconobbe e diede l’allarme, subito i seguaci si misero
sulla sua strada per impedirle di scappare; si dissolse e riapparve alle spalle
di ognuno, prestando attenzione a non combattere, non sarebbe riuscita a
sostenere uno scontro. Sebbene con difficoltà, alla fine giunse di fronte al
portone, ma un’ombra di un combattente si materializzò di fronte a lei: Zed; i
suoi occhi scarlatti balenarono nella figura d’ombra, dal quale il combattente
prese forma.
In fretta Selene si dissolse in una nube e riapparve sopra
la cinta muraria che dava sull’esterno; un altro clone d’ombra si materializzò
di fronte a lei, stavolta lanciandole degli shuriken che lei schivò
prontamente. Alle sue spalle atterrò Zed in carne ed ossa; non fece in tempo a
voltarsi che fu afferrata per il collo e inchiodata a terra. Selene unì le mani,
pronunciò una formula arcaica, poi toccò il suolo e delle fiamme color ghiaccio
avvolsero il corpo dell’uomo che fu costretto a mollare la presa; si rimise in
piedi e corse, sfuggendo dall’altro che si era subito rimesso in piedi.
Purtroppo la ferita sul ventre iniziò a farle male e fu costretta a rallentare,
di quel passo si sarebbe riaperta e avrebbe iniziato a sanguinare copiosamente.
Di fronte a lei un'altra ombra apparve, il dolore la costrinse a
inginocchiarsi, alle sue spalle incombeva la figura minacciosa di Zed il quale
insieme alla sua ombra le puntarono le lame alla gola. Zed si scambiò con il
suo clone. Si inginocchiò di fronte a lei, afferrandole il viso e sollevandole
il mento.
-Cosa vuoi da me? Lasciami andare dannato
bastardo! – ringhiò Selene, mentre le sue mani venivano immobilizzate dal suo
clone.
-Tu mi obbedirai, che ti piaccia oppure no.
Mi mostrerai i segreti dei tuoi poteri e le tue abilità di Guardiana – spiegò
Zed afferrandola per il collo e stringendo la presa, vedendo che non proferiva
parola continuò – siamo intesi? –
-Non avrai mai niente da me – rispose
Selene, sentendo l’ossigeno venir meno e la vista offuscarsi, perdendo i sensi.
-Staremo a vedere – concluse Zed mentre sotto
il suo elmo si dipingeva un sorriso maligno.
In silenzio Zed la prese tra le braccia, riportandola nella
sua stanza; ordinò a Kayn di restare con lei e di sorvegliarla, non voleva
rischiare di farla fuggire di nuovo. Avrebbero atteso che la donna avrebbe
recuperato le forze, dopo di che le avrebbero strappato tutto il suo potere
delle arti oscure, la notte stessa.
Nella vallata il sole era ormai alto in cielo, Hadmon ancora
svenuto fu svegliato da Jhin; dallo sguardo nervoso che gli aveva rivolto aveva
capito subito che qualcosa non andava. Ricordava che la notte prima qualcuno lo
aveva colpito alle spalle, alcune voci di sottofondo e poi il buio più totale. Si
guardò intorno, notando che Selene non era lì, dove era finita? Possibile che…
-Dove è Selene? – chiese Hadmon, temendo la
risposta.
-L’hanno rapita… - disse Jhin flebilmente.
-Chi?! – domandò il dragone furioso e allo
stesso tempo frustrato dalla notizia.
-Zed e Kayn, con sé hanno portato anche la
falce Darkin. Io non sono riuscito a fermarli, hanno colpito anche me. Il loro
covo è distante dodici ore di viaggio da qui, se partiamo ora potremmo arrivare
lì stanotte –
-Perché l’hanno rapita? – domandò Hadmon,
notando che l’altro non indossava più la maschera ma solo il suo passamontagna.
-Questo devi spiegarmelo tu, io non conosco
le vostre identità –
Jhin non aveva dimenticato la rabbia della notte prima nel scoprire
le loro identità nascoste, questo significava che forse c’erano altre informazioni
che loro tacevano, e l’idea di venir ingannato lo faceva infuriare; vide l’uomo
sospirare pesantemente e rivolgere lo sguardo verso i corpi ormai morti delle
guardie. Gli disse di fargli strada e che lungo il tragitto gli avrebbe
spiegato ogni cosa.
In silenzio seguirono alcuni sentieri, addentrandosi nel
bosco; Hadmon diede un ultimo sguardo alla carovana ormai distrutta, sperò
veramente che tutto quello sarebbe finito presto e lui avrebbe riportato
indietro la compagna. Ponderò le sue parole, poi rivelò a Jhin le loro
identità, lui era il Guardiano del Tempo e la sua forma vera era quella di un
dragone, mentre Selene era la Guardiana della Notte; in un primo momento il
pistolero si era mostrato scettico a riguardo, dicendo che non era possibile, i
Guardiani non si erano mai mostrati ed erano solo figure fiabesche appartenenti
a un passato ormai lontano. Hadmon aveva ribattuto che loro agivano sempre
nell’ombra, prestando sempre attenzione a non rivelare le loro identità per evitare
che innocenti potessero essere coinvolti nelle loro missioni. Una volta
convinto il pistolero della loro identità, gli illustrò i poteri di Selene,
sapeva che il Consiglio gli aveva severamente vietato di parlare delle loro
abilità ma né lui né Selene avevano mai tollerato le menzogne. Con tono fermo
Hadmon aveva spiegato al compagno le immense abilità della donna, a partire dal
controllo degli elementi fino alle arti del buio; Jhin, rimasto sorpreso
dall’eccezionalità dei loro ruoli, gli spiegò che durante il loro primo
allenamento, aveva visto Selene sprigionare un potere letale, raccontandogli, inoltre, il momento in cui di
fronte a lui si fossero materializzati due occhi scarlatti, gli stessi di
Selene la notte precedente; fu allora che chiese al dragone cosa aveva
incontrato e perché quella donna di tanto in tanto sprigionava una furia
omicida che avrebbe terrorizzato chiunque.
Hadmon aveva chinato il capo, quella era l’ultima cosa che il
Demone d’Oro avrebbe dovuto sapere; non sapeva se poteva fidarsi di lui o meno,
del resto lo conosceva solo da poco tempo.
-Posso fidarmi di te? – chiese Hadmon, con
tono serio – voglio sapere se dopo quello che ti sto per rivelare, tu non
attaccherai Selene per ucciderla –
-Lo hai detto anche tu, se avessi voluto
uccidervi lo avrei potuto fare ieri notte. Se avessi voluto strapparle la vita,
lo avrei potuto fare dal primo momento in cui sono rimasto solo con lei –
sussurrò Jhin mentre il suo tono si faceva più greve; ripensò alle parole di
Zed: sin dal primo momento nella Landa, lui non era mai riuscito a farle del
male, tutto questo perché lui aveva paura che qualcuno si avvicinasse alla sua
figura rivelando i suoi demoni.
Vedendo che poteva fidarsi, Hadmon decise di rivelargli cosa
aveva visto e chi era effettivamente Selene; gli spiegò che in lei era stato
sigillato il demone più feroce tra tutti: Thanatòs il dio delle tenebre; gli occhi che lui aveva visto erano quelli del
suo fratello demone.
-Thanatòs fu sigillato nel suo corpo molti anni fa,
quello a cui punta è il suo cuore. Le succhierà via dal corpo ogni linfa
vitale, accorciando la sua vita finché lei non morirà; ma peggio ancora quando
lei verrà privata della sua ultima energia, lui uscirà dal suo corpo e le
strapperà il cuore. Allora completerà la sua forma e diventerà inarrestabile.
Purtroppo per Selene è già iniziato il conto alla rovescia, a partire da ieri
notte – disse Hadmon, notando lo sguardo di Jhin incupirsi.
A quelle parole il pistolero aveva deglutito a vuoto, era
inspiegabilmente preoccupato per Selene; doveva esserci un modo per salvarla. Di
nuovo quell’odioso filo invisibile lo spingeva a salvare una donna a cui lui
non si sarebbe potuto avvicinare: non voleva lasciarla al suo destino; odiava
quel cambiamento che stava avvenendo lentamente nel profondo della sua anima e
ancor di più temeva di poter scoprire il motivo di quel mutamento. Sfuggiva
ogni volta che voleva darsi una spiegazione, un gesto codardo da parte sua
eppure la terribile paura lo costringeva a rifuggire dal fronteggiare la
realtà.
-Cosa vorresti dire? – osservò Jhin, temendo
la risposta.
-A Selene manca meno di un anno di vita –
disse Hadmon chinando il capo e stringendo i pugni; quelle parole erano così
pesanti da pronunciare, al punto che quasi gli morirono in gola.
-Lei lo sa? – proferì Jhin con un fil di
voce, scioccato da quelle parole. Di nuovo. Inevitabilmente ogni persona e ogni
cosa scappavano via dalle sue mani. Sempre.
-Non ho avuto il coraggio di dirglielo… -
-Deve esserci una soluzione. Qualunque, ma
deve esserci – ribatté Jhin, doveva sapere se esisteva un modo per salvare
quella donna. Ancora una volta il filo tirava fuori sentimenti nascosti da
anni.
Hadmon spiegò che un modo c’era, rivelandogli che tempo
addietro un Guardiano del Buio era riuscito a vivere a lungo instaurando un
patto con Thanatòs e di aver trovato quella soluzione proprio a Ionia; gli
disse che l’uomo aveva lasciato scritte le informazioni in un libro, che lui
ancora non era riuscito a trovare. Jhin rimase per un istante in silenzio, gli
disse che probabilmente Hanzai conosceva quel libro e nel pronunciare le sue
parole Hadmon notò tutto il rancore che nutriva verso il maestro e il
Consiglio. Gli disse che avrebbe continuato le sue ricerche anche con l’aiuto
di Selene e il suo, se lui sarebbe mai stato disponibile.
Per la prima volta dopo anni di sofferenza e reclusione,
qualcuno si fidava delle sue parole, quella piccola e insignificante notizia
riscaldò l’anima gelida di Jhin e gli fece abbozzare un sorriso amaro sotto il
passamontagna.
-Jhin, non è la prima volta che lo noto – osservò
Hadmon, intenzionato a chiedergli cosa fosse accaduto tra lui e il Consiglio –
tu disprezzi Hanzai e il Consiglio, cosa è successo? –
Jhin chinò il capo, aveva giurato a sé stesso che gli
avvenimenti di quattro anni prima sarebbero morti con lui; nell’istante in cui
lo avevano privato di tutto lui aveva appurato che non si sarebbe potuto mai
fidare di nessuno e che mai avrebbe rivelato cosa era successo quella notte.
Ancora non era certo di potersi fidare dei due Guardiani, però decise di
provare a rivelare qualcosa, sebbene il più piccolo e sintetico dei
particolari.
-Loro… - disse Jhin, poteva sentire le ferite del suo
cuore e della sua anima riaprirsi nel provare a rievocare e descrivere gli
avvenimenti di quella notte -… mi hanno privato di ogni cosa Hadmon. In
combutta con Shen e Zed, mi hanno costretto a uccidere qualcuno a me caro.
Hanno infierito sul mio corpo, deturpandola, hanno distrutto la mia anima e mi
hanno reso il Demone che ora sono -
Hadmon rimase in silenzio, aveva sempre saputo in cuor suo
che il Consiglio non era stato onesto con loro e non gli aveva rivelato tutte le
vicende accadute tra loro e il Demone d’Oro. Avrebbe indagato a fondo e svelato
i segreti che gli erano stati nascosti; sorrise tra sé e sé, Selene aveva
ragione, dietro la maschera di quell’uomo c’era del buono. Lei era stato in
grado di vedere oltre le sue mille maschere e oltre il suo carattere schivo.
Jhin parve notare il suo sorriso e attese delle spiegazioni.
-Cosa c’è? – chiese curiosamente il
pistolero incrociando le braccia e vedendo l’altro sollevare il viso verso il
cielo azzurro.
-Una mattina, Selene mi aveva detto del
patto che aveva fatto con te; non sapeva se te eri pronto a ingannarla, io ero
convinto di sì e le avevo detto che aveva sbagliato. Lei era stata irremovibile
e mi aveva spiegato che era riuscita a vedere qualcosa in te. Non chiedermi
cosa – spiegò Hadmon, notando il suo unico occhio dilatarsi appena per la
sorpresa – il Guardiano della Notte sa leggere nel cuore degli altri e lei ha
visto qualcosa, se no non avrebbe mai accettato un patto in cui ti avrebbe
rivelato le nostre pratiche tramandate di generazione in generazione tra i
Guardiani –
-Ha visto male. In me non c’è niente che
odio. La mia anima conosce solo la sete di sangue e la vendetta– disse Jhin,
provando a mentire a sé stesso, scappando di nuovo di fronte a una eventuale
spiegazione. Aveva paura. Di nuovo le parole di Zed gli tornarono alla mente e
fu costretto a cacciarle via per non fronteggiare la realtà.
-Può darsi lei si sia sbagliata. Può darsi
di no. Io sono convinto di no – confessò Hadmon sorridendo, poi divenendo più
serio continuò – mi dispiace Jhin, per quello che ti è stato fatto –
-È stata la punizione per aver disobbedito a degli
ordini… -
Jhin scrollò le spalle, seguendo il sentiero che li avrebbe
condotti al Tempio delle Ombre. Lui non aveva rispettato gli ordini che il
Consiglio gli avevano imposto, loro, approfittandone, li aveva usati come
scusante per distruggerlo pezzo dopo pezzo.
-Riusciremo a scoprire cosa nasconde il
Consiglio. Chissà al termine di tutta questa storia, potrai venire con noi
sull’isola dei Guardiani – disse Hadmon, ridendo divertito.
-Non dire scemenze, sai anche tu che questo
è impossibile– osservò Jhin, scuotendo il capo. Una parte di lui avrebbe voluto
lasciare veramente quel paese. Non poteva negare di aver apprezzato davvero
quella proposta.
-Cosa pensi che faranno a Selene? – chiese
infine il dragone.
-Zed vorrà estrapolarle tutto il suo
potere. Conosce le modalità e non appena lei si sarà ripresa, lui cercherà in
tutti i modi di apprendere le sue abilità. In ogni caso lui non intende
lasciarla viva, probabilmente vorrà fare tutto questo durante un rituale che svolgerà
questa notte - disse Jhin con tono greve.
-Come fai a saperlo con certezza? –
-Stanotte c’è la luna piena, i seguaci
dell’ombra agiscono sempre in queste notti, amplificano il loro legame con
l’Ombra –
-Dobbiamo sbrigarci -
A quelle parole i due accelerarono il passo, sarebbero
arrivati lì la notte stessa e avrebbero atteso il momento migliore per entrare
e liberare la ragazza. Hadmon assunse la sua forma di dragone etereo. Jhin
rimase esterrefatto di fronte a quella creatura che si stagliava sopra di lui;
vide la mano artigliata del compagno allungarsi su di lui, afferrarlo e farlo
sedere sulla sua schiena. Dopo di che il dragone si librò in aria, volando più
velocemente possibile verso il Tempio.
Verso sera Selene si destò nuovamente nel suo letto, il sole
era già tramontato e fuori era calata la notte; accanto alla finestra vide Kayn
fissare l’atrio sottostante, comprendendo che non poteva fuggire nuovamente. Il
suo pensiero corse ad Hadmon e Jhin, chiedendosi se almeno loro si erano
salvati dalla furia di Thanatòs e ora stavano bene. Sperava che presto
sarebbero venuti a salvarla; nel frattempo lei avrebbe capito quali erano le intenzioni
di Zed, la fortuna voleva che lei stava tornando in forze molto velocemente,
perciò avrebbe avuto la possibilità di temporeggiare ed eventualmente sostenere
brevi scontri. Non appena si mise a sedere il mietitore si voltò e posò i suoi
occhi su di lei. Le sue armi erano poggiate sul tavolo in legno, ma non appena
l’altro notò che le stava fissando si avvicinò e vi mise sopra una mano; sul
suo viso si dipinse un ghigno divertito.
-Stavolta te ne rimarrai qui buona con me,
bambolina – disse l’uomo di fronte a lei – devi recuperare le forze per
stanotte –
-Che vorresti dire? – chiese Selene
sconcertata.
-A mezzanotte Zed ti condurrà nell’atrio e
rilascerà i tuoi poteri oscuri, per appropriarsene. Offrirà il tuo corpo alle
ombre in cambio loro gli affideranno il potere che te hai sigillato nel tuo
corpo – spiegò Kayn.
-Non sapete a cosa andate in contro. I miei
poteri non si possono controllare, verreste tutti distrutti – disse Selene
sentendo il cuore in gola per la paura.
-Tu non conosci Zed ragazzina. Lui è il
maestro delle Ombre –
-Lui è un uomo, verrebbe distrutto dalle
sue stesse ombre, dai suoi incubi –
-Staremo a vedere. Indossa questi e
preparati, il rituale inizierà a breve. Non indossare scarpe –
Con poca grazia Kayn le lanciò una lunga veste bianca di
raso. Selene fu costretta ad obbedire così andò in bagno si privò dei suoi
abiti e indossò l’abito; si guardò allo specchio: la veste si legava al collo
lasciando in piena vista la sua schiena nuda, aveva un lungo strascico e due
spacchi laterali a partire dai fianchi, lascianti in piena vista le sue gambe.
I sigilli sulle sue braccia erano completamente messi a nudo così come il suo
simbolo di Guardiana sulla caviglia. Sentì gli occhi pizzicare, aveva paura,
non voleva essere avvolta di nuovo dal vortice di oscurità di Thanatòs come la
notte precedente. Ricacciò indietro le lacrime e si fece coraggio, uscì dal
bagno in silenzio sotto lo sguardo attento di Kayn, il quale la osservò per più
di qualche istante. Girò intorno a lei e subito, in quelle vesti, si sentì estremamente
vulnerabile: Kayn incombeva su di lei con il suo sorriso da predatore. Sussultò
quando le mise una mano sulla sua schiena nuda e avvicinò moltissimo la bocca
al suo orecchio. Istintivamente si irrigidì mentre il cuore le batteva
all’impazzata: cosa voleva?
-È un peccato, una donna così bella destinata a una
morte così crudele –
Così le aveva sussurrato nell’orecchio destro, poi le aveva
messo delle catene ai polsi impedendole di muoversi; in silenzio Selene lo
aveva seguito finché non erano giunti nell’atrio. Al loro arrivo gli accoliti
si erano disposti in cerchio intorno a un piccolo altarino a forma di fiamma
posto al centro del tempio; Selene sentiva il cuore battere all’impazzata,
tremava di paura all’idea di quello che le sarebbe potuto accadere.
Improvvisamente Zed si materializzò di fronte a lei, mentre
le sue membra prendevano forma da un clone d’ombra; tra le mani tratteneva un
cofanetto nero avvolto da catene scure, lo depose sopra il piccolo altare e poi
la costrinse a mettersi in ginocchio di fronte all’oggetto.
Quando fu avviato il rituale erano circa le dieci di sera, i
seguaci dell’Ombra avevano iniziato a pronunciare delle parole confuse mentre
Zed le aveva inciso la cicatrice sul palmo della mano sinistra e aveva versato
il sangue della ferita sul cofanetto; come per incanto le catene si erano
animate e avevano lasciato l’oggetto, avvolgendo il collo di Selene. Fu allora
che lei non era riuscita a trattenere più le lacrime e queste avevano solcato
le sue guance. Cosa le stavano facendo?
Fuori dal tempio, Hadmon e Jhin erano arrivati circa un’ora
e mezza più tardi, da subito avevano sentito un coro di voci levarsi nell’aria:
quello era il segnale; Hadmon nella sua forma umana si era librato in cielo e
insieme al pistolero erano saliti sulla cinta muraria, giusto in tempo per
vedere Selene inginocchiata di fronte a un cofanetto dal quale lingue nere
fuoriuscivano e incombevano sulla donna. Dovevano sbrigarsi, Jhin aveva
spiegato ad Hadmon che se quelle lingue si fossero abbattute su di lei, sarebbe
morta e i suoi poteri sarebbero stati assorbiti da Zed.
Silenziosamente corsero lungo le mura, percorsero il
perimetro nell’ombra della notte senza essere scoperti, giungendo di fronte a
una porta che dava accesso al secondo piano della struttura, che divideva a
metà l’atrio del tempio. Varcarono la soglia e corsero velocemente; Jhin
tratteneva tra le mani Sussurro, pronto a far fuoco su Zed e Kayn. Hadmon vide
arrivare due accoliti addetti alla sorveglianza e subito li stordì, nascondendo
i loro corpi. Dalla finestra Jhin vide le nuvole diradarsi e la luna piena
illuminare con i suoi raggi l’altare al centro dell’atrio: non c’era più tempo,
dovevano sbrigarsi, le lingue di oscurità si stavano avvicinando sempre di più
sul Selene. Dopo aver fatto cenno ad Hadmon di sbrigarsi i due scesero le scale
giungendo al piano inferiore, nascondendosi dietro lo stipite della porta che
si affacciava sul cortile. Il tempo scorreva in fretta e dovevano agire veloci.
Hadmon prese un respiro profondo, aprì la mano facendo apparire la falce bianca
e iniziò a correre nella direzione di Selene mentre il pistolero gli copriva le
spalle. Falciò chiunque si mise sulla sua strada, inchiodando gli occhi sulla
Guardiana; Zed si voltò nella loro direzione scagliandosi verso il pistolero e
altrettanto fece Kayn che subito corse nella sua direzione.
Gli accoliti si allontanarono non appena Hadmon, roteando su
sé stesso scagliò un calcio sul viso di Kayn, facendolo indietreggiare;
velocemente unì le mani e le posò a terra. Delle potenti radici immobilizzarono
il suo corpo, poi con un calcio allontanò la falce Darkin da lui. L’incantesimo
lo avrebbe trattenuto il tempo necessario a salvare Selene; alle sue spalle
vide Jhin incassare un colpo in viso da Zed cadendo a terra rovinosamente,
sgranò gli occhi quando il ninja conficcò uno dei due grandi shuriken che aveva
sulle spalle nella mano sinistra. Il pistolero gli urlò di correre in fretta,
ormai mancavano pochi minuti prima che il rituale fosse compiuto; Hadmon corse
più veloce che poteva, quando giunse di fronte a Selene notò che era caduta in
uno stato di semi-incoscienza. Recise le catene che aveva sul collo, gettandole
via. Poco prima di privarla di quelle sulle mani, Zed si materializzò di fronte
a lui e lo colpì in viso, atterrandolo; a fatica Hadmon vide il ninja incombere
su di lui, mentre lingue nere iniziavano ad avvolgere il corpo di Selene. Urlò
in direzione della ragazza dicendole di fuggire ma lei rimase immobile con il
capo chino; Zed lo aveva colpito in viso con la punta in acciaio del suo
stivale, poi lo aveva afferrato per il collo e si stava preparando a colpirlo
con una delle sue affilate lame che aveva innestate sulle sue braccia.
Nel frattempo Jhin, aveva sfilato dalla sua mano lo
shuriken; la ferita aveva iniziato a sanguinare e per rimediare aveva strappato
velocemente la stoffa della sua tunica e l’aveva avvolta intorno alla mano.
Vide la luna alta in cielo e la Guardiana avvolta da una spirale di ombre;
doveva agire ora oppure non l’avrebbe potuta più salvare. Velocemente scattò
nella direzione di lei, sparò al cofanetto da cui prendevano forma le ombre,
ricadde a terra e alcune lingue si ritirarono dal corpo di Selene. Sapeva che
se ci fosse entrato in contatto difficilmente sarebbe sopravvissuto, ma ormai
non aveva più importanza; in quel momento il filo invisibile lo attirava alla donna
come non mai, tirava la sua anima e il suo cuore. Giunto quasi di fronte a lei,
si gettò in avanti prima che Zed o qualunque altro accolito potesse
intervenire; la guardiana aveva il capo chino, le ombre si stavano
riavvicinando ai sigilli che aveva sulle braccia per romperli. La afferrò tra
le sue braccia, prima che potesse essere sfiorata dalle lingue nere.
-NO! BASTARDO! – urlò Zed, vedendo davanti ai suoi
occhi il cofanetto richiudersi e le ombre ritirarsi.
Jhin atterrò sulla schiena emettendo un lamento di dolore
quando la sua mano ferita urtò sul terreno. Sollevò a fatica il capo, vedendo
Selene riprendere piano piano coscienza: l’aveva salvata. Un sospiro di
sollievo sfuggì dalle sue labbra, mentre con un braccio continuava a stringerla
a sé, non l’avrebbe lasciata morire. Per nessun motivo al mondo.
-Jhin! – esclamò Selene riprendendo
coscienza, poi notando la ferita sulla sua mano sanguinare e lui chiudere il
suo unico occhio, lo afferrò per il bavero della casacca scuotendolo appena –
svegliati! Mi senti? –
-Quanto sei rumorosa, Selene – disse lui a
fatica, ridendo e mettendosi a sedere. Vide gli occhi ghiaccio di lei posarsi
su di lui in attesa di risposta; istintivamente portò una mano sul suo viso
carezzando la sua guancia e asciugandole una lacrima – sto bene, non c’è
bisogno di preoccuparsi. Dobbiamo fuggire alla svelta con la falce –
Selene sollevò lo sguardo su Hadmon imprigionato dalla presa
di Zed; corse velocemente nella direzione del compagno e lo liberò dalla presa,
colpendo in viso l’assassino con un calcio. Il dragone ricadde a terra e iniziò
a tossire violentemente, riprendendo aria; si chinò su di lui chiedendogli se
stava bene, lui annuì; poi gli disse che lei sarebbe andata a recuperare la
falce Darkin e i suoi oggetti nella stanza in cui la tenevano prigioniera, nel
frattempo lui e Jhin avrebbero organizzato la loro fuga; così facendo avrebbe
attirato via Zed e loro avrebbero avuto libertà d’azione. Dopo di che Selene corse
verso Kayn ancora immobile a terra; afferrò la falce il cui occhio era richiuso
e si diresse verso la sua stanza.
Alle sue spalle Zed la inseguiva, ma Selene correva più
veloce: non avrebbe reso vano il sacrificio che Hadmon e Jhin avevano fatto per
salvarle la vita. Percorse in fretta le scale, giungendo di fronte alla porta
della sua stanza; la aprì e prese le sue cose, prima che Zed si presentasse
sulla soglia della porta avvicinandosi a lei. La finestra alle spalle di Selene
era aperta, gettò un’occhiata fuori nel cortile, incontrando gli occhi di
Hadmon che le fece cenno di sbrigarsi.
-Non andrai da nessuna parte, non lo
permetterò a costo di ucciderti. Voglio il tuo potere – ringhiò Zed,
avvicinandosi di alcuni passi a lei.
-Ti distruggerebbe, tu non sai cosa
potrebbe accaderti. Un corpo non allenato verrebbe divorato dall’oscurità. Non
riusciresti a controllarne la furia omicida –
-Tu menti! – sibilò afferrandola per il
collo.
-Guarda con i tuoi occhi –
Detto così Selene posò una mano sul suo cuore, entrando in
sintonia con i suoi pensieri. Gli permise di accedere per un istante alla sua
anima, lasciandogli riflettere gli occhi in quelli rossi di Thanatòs; subito
Zed allentò la stretta sul suo collo mentre nella sua mente riecheggiavano urla
di anime demoniache che minacciavano di distruggerlo. Allontanò la mano dall’altro
che respirava a fatica, poi indietreggiò di un passo.
-La sete di potere ti distruggerà– disse
Selene, mettendosi in piedi sulla finestra.
-FERMA! - ordinò Zed furioso.
Selene vide Zed sporgersi in avanti per afferrarla ma lei
prontamente si gettò all’indietro; alle sue spalle Hadmon, assunta la sua forma
di dragone, l’aveva afferrata con la coda mettendola a sedere sulla sua schiena
dietro Jhin. Vide Hadmon librarsi in cielo e lasciare il Tempio alle sue
spalle, che subito si fece sempre più lontano. Finalmente era finita ed erano
sani e salvi.
Hadmon volò fino a Vindor, la località di destinazione per
trovare una locanda e riposare fino al giorno dopo e ove consegnare la falce al
sovrano della città stessa; Selene seduta sulla schiena del dragone scrutò
silenziosamente le spalle di Jhin e la sua mano ferita ancora sanguinante; era
davvero grata a entrambi per essere venuti a salvarla. Sapeva che Jhin sin dal
primo momento non li aveva accettati, li vedeva come nemici e sicuramente
fidarsi per venire fino al Tempio e salvarla non gli era costato poco; di
questo gliene sarebbe sempre stata riconoscente. Esitante avvolse le braccia
intorno alla sua schiena, sentì l’uomo irrigidirsi per quell’improvviso
contatto, poi parve rilassarsi e non opporre alcuna resistenza; nonostante il
suo carattere odioso e il disprezzo che aveva mostrato nei suoi confronti, si
sentiva tirare verso di lui da un filo invisibile. Forse si stava affezionando,
ma sebbene sapesse che non sarebbe dovuto accadere, in quel momento non le
importava niente.
-Grazie di cuore, Jhin – sussurrò Selene.
Il pistolero sentì il fiato mozzarsi e il cuore mancare un
battito: era sbagliato, non sarebbe dovuto accadere. La sua anima veniva tirata
sempre più verso di lei, eppure lui non riusciva e non voleva opporsi a quel
filo. In quel singolo istante smise di pensare e di aver paura di quei
sentimenti che aveva giurato di aver seppellito quattro anni prima. Si voltò
verso la guardiana, lei avrebbe rischiato troppo standogli vicino, eppure pensò
che dopo quella sera, ogni volta che qualcuno avrebbe attentato alla sua vita
lui sarebbe accorso per salvarla, scacciando via ogni fantasma del passato che
minacciava di nuovo il suo presente. Man mano che quei pensieri divenivano
convinzioni, nel suo cuore si faceva largo la causa di tutti quei pensieri e ne
ebbe di nuovo paura: lui si stava inesorabilmente affezionando e sebbene
rifuggisse da quella consapevolezza, ogni volta che provava a mentire a sé
stesso il pensiero tornava più prepotente di prima. Avvolti nella brezza
notturna e dal buio della notte, Jhin pensò che forse per un momento avrebbe
smesso di scappare da sé stesso e smettere di avere paura. Volse gli occhi alla
luna, sotto il passamontagna sorrideva malinconicamente: “nemmeno io posso
fuggire” pensò. Ripose gli occhi su Selene che continuava a stringere il suo
torace, posando il viso sulla sua schiena.
Sospesi nel cielo, dove il tempo sembrava fermarsi rendendo
ogni istante eterno, Jhin lasciò che la sua anima si facesse avvolgere dalla
serenità e dalla dolcezza di quel gesto. Si sentì sollevato e tutto il dolore e
la sofferenza che gravava sul suo cuore, parve allontanarsi; c’era di più, lui
non si stava solo affezionando…
Posò una mano su quella di lei, le sue dita sfiorarono
quelle della donna e si chiusero su di esse con delicatezza estrema; la
piacevolezza di quel contatto lo sorpresero. Il ghiaccio intorno alla sua anima
si era sciolto completamente e quelle sensazioni che credeva di aver seppellito
si spandevano dalla sua mano raggiungendo il suo cuore, riscaldandolo.
Prima che la ragazza sciogliesse quell’abbraccio lui le
bloccò le mani, permettendole di riallacciarle all’altezza del suo torace. Lei
lo guardò sorpresa e lui contraccambiò il suo sguardo con uno dolce; finché
sarebbero stati lì alti in cielo, lui non sarebbe stato il freddo e calcolatore
Jhin, ma avrebbe lasciato spazio al suo lato umano.
-Resta –
Le aveva sussurrato gentilmente. Rimasero in quella
posizione per il resto del viaggio. Jhin sorrise sotto la sua maschera, non
c’era traccia di disprezzo o malignità nei suoi occhi: un qualcosa di così
alieno per lo spietato Khada Jhin.
Forse dopo quattro anni di silenzio, era riuscito a
sbloccare di nuovo il suo cuore di ghiaccio. Forse dopo quattro anni stava
provando a fidarsi di nuovo di qualcuno. Forse si stava di nuovo affezionando,
forse…
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Capitolo 9 *** A difficult decision ***
8.CAP7
“È bastato uno sguardo, o un
gesto, o un breve colloquio. La loro anima se n’è andata, per un istante, per
un’ora.”
(Søren Kierkegaard)
La mattina successiva Selene era stata costretta ad alzarsi
presto a causa di un violento conato di vomito; subito era corsa in bagno e lì
era rimasta, finché sfinita non si era appoggiata al muro con le labbra sporche
di sangue scarlatto e nero. Appena ebbe il coraggio di vedere ciò che aveva
rigettato, rabbrividì: nel sanitario vi era solo sangue; il cuore le batteva
all’impazzata mentre prendeva coscienza del fatto che la discesa lenta e
inesorabile verso la morte era iniziata. In quel momento più che mai aveva
bisogno di uscire e prendere una boccata di aria fresca; sentiva il corpo caldo
e le mani pizzicare, mentre prepotenti lacrime inondavano i suoi occhi. Deglutì
ricacciandole indietro, poi si rimise in piedi e si avviò verso il giardino che
si trovava alle spalle della locanda, quindi scese le scale, attraversò il
salottino davanti la reception e varcò la porta che si affacciava sul retro.
Nel cortile fu investita da una piacevole brezza, così richiuse il mantello che
Hadmon le aveva lasciato in camera la sera prima e si avviò verso una piccola
panchina posizionata a ridosso di un albero.
Silenziosamente si sedette e rimase a contemplare un piccolo
laghetto che si trovava a pochi metri da lei; portò le gambe al petto mentre
nella sua mente si facevano largo le preoccupazioni che aveva cercato di
scacciare nell’arco di quei giorni. Passarono pochi attimi e poi, non potendo
più contenersi, scoppiò in lacrime; odiava con tutta sé stessa l’eccezionalità
del suo ruolo che proprio ora la stava privando della sua stessa vita e della
normalità che aveva sempre agognato. Poggiò il capo al tronco dell’albero
vicino a lei e rimase ad osservare il lago, mentre le lacrime percorrevano le
sue guance, bagnando alcune ciocche di capelli e il mantello. “Perché…” si chiese
mentalmente, mentre il suo stomaco si contraeva per la frustrazione e la
desolazione. Si mise una mano di fronte agli occhi nel momento in cui riprese a
piangere, singhiozzando. Tuttavia presa come era dalle sue preoccupazioni non
si accorse che qualcuno si era avvicinato a lei.
-Selene? –
Di scatto Selene sollevò il viso e con la vista offuscata
dalle lacrime vide la figura di Jhin. Dietro la sua maschera il suo occhio
scarlatto le rivolgeva uno sguardo preoccupato, mentre il ghigno sinistro che
aveva scolpito sul viso sembrava essersi velato di malinconia e tristezza, come
se averla vista in quello stato fosse stato qualcosa di cui rammaricarsi.
-Va via…- singhiozzò Selene, nascondendo il viso.
Insolitamente dispiaciuto e preoccupato nel vederla in quello
stato, e nuovamente spinto dall’ormai familiare filo invisibile, rimase e si
chinò su di lei. Con delicatezza le scostò le mani dal viso e quando lo fece
l’altra oppose poca resistenza, lasciandogli scostare le ciocche umide che
coprivano le sue pozze ghiaccio. Scorse le sue labbra macchiate di sangue e
sentì una fitta all’altezza del cuore: stava succedendo ciò che Hadmon gli
aveva accennato. Deglutì a vuoto.
-Cosa c’è che non va Selene? – chiese
timorosamente Jhin. Ogni parola di quella frase da lui pronunciata pesava più
di un macigno: conosceva già la risposta.
-Io… il mio corpo sta morendo… - singhiozzò
Selene, asciugando le lacrime con il mantello che aveva indosso -… e io non
voglio, ho paura…-
Aveva posto un inutile domanda, solo per aver certezza di un
destino immutabile, ma ancor più dolorosa fu sentire quella risposta; per
qualche motivo remoto sentiva di essere legato a lei e quel pensiero permise al
suo cuore di prendere il sopravvento in quella situazione. Solo per quella volta le sarebbe stato accanto e l’avrebbe
sostenuta. Solo per quella volta
avrebbe messo da parte ogni rischio cui avrebbe esposto entrambi, avvicinandosi
e fidandosi di lei. Solo per quella volta
non avrebbe pensato a nessuna conseguenza. Le prese delicatamente il viso tra
le mani e con un fazzoletto le asciugò le lacrime, le sussurrò di aprire gli
occhi e di guardarlo. Non era mai stato bravo a mostrare il suo lato più umano,
perciò si lasciò guidare dall’istinto e da quell’invisibile legame, divenuto
sempre più intenso.
-Cerca di calmarti, Selene… -
-Proprio non ci riesco… mi sento così
impotente e sola… il mio corpo ha iniziato a degradarsi, il mio paese sta
venendo distrutto… - disse Selene, cadendo in ginocchio a terra di fronte a lui
-… io non posso fare niente… niente! –
A quelle parole Jhin rimase in silenzio. Solitudine. Conosceva bene così bene
quel termine, era divenuto così familiare al punto da caratterizzarlo: il gelo
che accompagnava quella parola con gli anni aveva iniziato a scorrere nelle sue
vene e aveva seppellito il suo cuore insieme ai suoi sentimenti; non poteva
abbandonarla a quel destino, non voleva, nonostante sapesse che prendendo
quella scelta avrebbe esposto entrambi. Un individuo come lui, un criminale
come lui non poteva avvicinarsi a una Guardiana; gli era stato vietato, e lui
sapeva che scotto bisognava pagare nell’infrangerlo. Non conosceva nulla sul
suo paese, però finché sarebbe stata a Ionia l’avrebbe aiutata a qualsiasi
costo.
-Selene, ascoltami – disse Jhin con tono
serio, prendendole il viso tra le mani - io ti aiuterò. Hadmon sta già cercando
una soluzione, perciò è solo una questione di tempo. Puoi star certa che non
morirai. Io non lo permetterò –
-Jhin…- sussurrò Selene, inchiodando gli
occhi nel suo. La maschera sul suo volto aveva smesso di fissarla maleficamente
e il suo occhio scarlatto la osservava trasmettendole uno strano quanto
insolito affetto.
-Hadmon mi ha spiegato chi sei e cosa ti
succederà… non lascerò che la tua vita sfumi via tra le mie mani. Non accadrà di nuovo, non con te –
Selene rimase interdetta da quelle parole, non avrebbe mai
pensato di poterle sentire da un uomo come il Demone d’Oro; istintivamente
portò le mani al suo collo, abbracciandolo. La tristezza di quel momento di
debolezza stava lentamente sfumando via e questo grazie alle parole dell’uomo
che le fecero recuperare un minimo di speranza. Al suo gesto sentì Jhin
irrigidirsi, poi posare timorosamente le mani sulla sua schiena e il capo sulla
sua spalla. Sapeva che era sbagliato, le era stato vietato di lasciarsi
affascinare da un criminale come lui, eppure in quel momento non riuscì a
cogliere nessuna nota che strideva. Si separò da lui qualche minuto dopo,
rimanendo in silenzio, notò che persino inginocchiata vi era una differenza di
altezza tra lei e il pistolero. In quel momento nello sguardo attento di Jhin
colse un magnetismo sottile che la attrasse fatalmente all’altro; per un
momento si chiese per quale motivo iniziasse a maturare più del semplice interesse
nei suoi confronti, ma presto smise di pensare e si lasciò guidare dal suo
cuore e dalla strana forza che la spingeva ad avvicinarsi all’uomo. Così portò
le mani sulla sua maschera, subito Jhin indietreggiò appena con il capo ma lei
posò le sottili dita alla base della sua maschera; non appena la sollevò per
scostarla, Jhin le afferrò il polso e lei chiese silenziosamente il permesso di
continuare. Una volta che l’altro ebbe lasciato la presa, gli tolse la maschera
e la ripose a terra; come se quella concessione gli fosse costata immenso
dolore, Jhin chiuse gli occhi e inspirò profondamente, di fatto a insaputa di
Selene così era per lui: sfilare la sua maschera significava strappare via il
suo odio, cosa a cui lui non era pronto. Con delicatezza Selene posò le mani
sul suo viso coperto dal passamontagna, senza obiettare con gli occhi chiusi
l’altro posò una guancia sulla sua mano sinistra, assecondando i suoi gesti. Quando
riaprì il suo unico occhio la guardò intensamente. Vide l’altro sollevarle il
mento e chinarsi su di lei, le sue labbra coperte erano a pochi millimetri
dalle sue e il suo cuore iniziò a battere velocemente. Selene non seppe
spiegare perfettamente il motivo per cui aveva agito istintivamente in quel
modo, sentiva solo di starsi affezionando a lui. In un istante senza potersene
capacitare Jhin le strappò un fugace bacio e, sebbene le labbra di lui fossero
coperte dal passamontagna, riuscì a percepire la loro morbidezza; leggero come
le piume il bacio durò un istante, dopo di che Jhin si separò da lei,
sollevandosi in piedi.
Jhin sapeva bene che tutto quello era sbagliato e che così
facendo aveva violato l’unico divieto impostogli: non avvicinarsi alla sua
custode, peggio ancora a una Guardiana. Se mai fosse venuto allo scoperto
quell’avvenimento, per lui non vi sarebbe stato scampo; inoltre temeva di
potersi affezionare eccessivamente, sebbene non riuscisse a frenare più di
tanto quel filo che tirava il suo cuore alla donna. Quell’avvenimento sarebbe
stato solo una piccola parentesi fuori dalla normalità, non sarebbe dovuto mai
più riaccadere dato che non voleva far correre rischi a entrambi e soprattutto
non dover ripetere le vicende del passato. Indossò la maschera e posò lo
sguardo su di lei, per un momento colse veramente la bellezza dei suoi
lineamenti, cosa cui non aveva mai fatto caso; odiava la simmetria dei bei
visi, e quello di Selene ne era la perfetta definizione, eppure nel suo volto
vi era una curiosa nota armonica che lo rendeva diverso e unico. I suoi occhi
ghiaccio lo osservavano intensamente, trasmettendogli una certa serenità che
mai aveva avuto. Sorrise sotto la maschera, nonostante avesse temuto per anni
di lasciar spazio ogni tanto al suo lato sentimentale, in quel momento sentiva
di aver meno paura; aveva finalmente appurato che lei non era una minaccia per
la sua indipendenza come aveva pensato nella Landa. Tuttavia nonostante gli
costasse una immensa difficoltà, il sottile legame tra di loro non poteva
rafforzarsi ulteriormente; avrebbe aiutato Hadmon e lei, mantenendo tutto nella
più completa indifferenza. A quell’idea sentì una fitta al cuore, quella scelta
era insolitamente dolorosa ma necessaria, nonostante nascondesse una verità
ancora più profonda: lui aveva paura di affezionarsi, del suo passato e di
poter fronteggiare i suoi fantasmi.
-Scusa… io… non volevo – disse Jhin, sentendo
qualcosa andare in frantumi non appena la ragazza mostrò un’espressione
desolata – ti metterei solo in pericolo, se dovessi affezionarmi a te… perciò
non dovrà mai riaccadere un evento del genere –
Senza parole Selene sentì la terra venir meno da sotto i
suoi piedi; stava accadendo di nuovo: prima si mostrava gentile con lei, poi tornava
indietro sui suoi passi lasciando dietro di sé una ventata di gelo e
indifferenza. In estremo imbarazzo per quella situazione e per essersi pentita di
aver mostrato una parte di sé stessa all’uomo, sentì le gote accaldarsi e la
testa girare. Odiava sé stessa per essersi fidata della sua gentilezza. Si mise
in piedi barcollando a causa della stanchezza; forse l’imbarazzo estremo e il
non potersi capacitare di quella rivelazione dopo che l’altro aveva compiuto
quel gesto d’affetto inaspettato, la fecero sentire ancor più confusa; ad
accompagnare la confusione vi fu la debolezza che prese possesso delle sue
membra, mentre vedeva la vista offuscarsi e il corpo accaldarsi sempre più.
Avrebbe voluto ribattere ma non appena aprì la bocca, cadde all’indietro; batté
seppure lievemente la testa a terra e quello bastò a farle perdere
definitivamente i sensi. Improvvisamente sprofondò nel buio più totale e i
suoni armoniosi della natura furono accompagnati presto dal più sordo dei
silenzi.
Quando Selene riaprì gli occhi, impiegò qualche minuto a
mettere a fuoco l’ambiente che la circondava; presto realizzò di trovarsi nel
letto della sua stanza, mentre un lenzuolo copriva interamente il suo corpo.
Accanto a lei vi era Hadmon che attendeva una sua mossa; era evidente che fosse
preoccupato per le sue condizioni di salute, le sue labbra erano ridotte a una
sottile linea e la sua mascella era serrata, gli occhi velati dal dispiacere e
celanti parole taciute e letali. Percependo qualcosa di umido sulla sua fronte
Selene portò la mano alla fonte di freschezza, ma Hadmon prontamente le bloccò
il polso e glielo ripose sul letto; sentiva le membra incredibilmente pesanti e
il viso accaldato.
-Ti ho messo un panno sulla fronte per farti
abbassare la febbre. Jhin mi ha detto che ti ha trovata svenuta nel giardino…-
spiegò Hadmon con voce bassa.
-Jhin? Dove… -
In quel momento Selene si bloccò ricordando il momento in
cui l’aveva baciata e poi subito allontanata; aveva mentito ad Hadmon, lui era
stato con lei non l’aveva incontrata casualmente. Sentì qualcosa all’altezza
del cuore andare in frantumi al punto che istintivamente morse il suo labbro
per trattenere le lacrime: odiava sempre più il suo modo di fare, l’aveva
risollevata e poi l’aveva fatta di nuovo crollare. Incolpò sé stessa per essere
stata così stupida da potersi fidare del pistolero e confessargli alcuni suoi
pensieri.
-Jhin si sta preparando, tra poco dovremmo
incontrare la scorta di soldati e il governatore di Vindor, cui consegneremo la
falce Darkin – disse Hadmon, aiutandola a mettersi seduta – riesci a stare in
piedi? –
-Dovrei riuscirci -
Sebbene con molta fatica Selene si mise in piedi, molto
lentamente si infilò gli alti stivali e indossò un pesante mantello; sentiva
dei brividi di freddo attraversare la sua schiena e la testa incredibilmente
pesante, aveva bisogno di riposo ma per quell’occasione avrebbe fatto
un’eccezione. Negli occhi di Hadmon colse un velo di dispiacere che li
adombrava costantemente: c’era qualcosa che le stava nascondendo? Inoltre
perché tutto a un tratto il suo corpo stava risentendo così tanto dell’uso
delle arti oscure?
-Cosa mi sta succedendo Hadmon? – chiese
Selene mentre uno strano modo all’altezza dello stomaco si veniva a creare.
-Tu stai morendo Selene… ti rimane meno di
un anno di vita o alcuni mesi. Non ho avuto il coraggio di dirtelo… non avrei
dovuto lasciarti usare le arti del buio l’altra notte, è un miracolo tu sia
viva –
-Pochi mesi… da quanto tempo lo sapevi? –
domandò Selene, le morì la voce in gola mentre la preoccupazione tornava ad
aumentare e le lacrime minacciavano di nuovo di fuoriuscire.
-Da sempre. Nel momento in cui i guardiani
della Notte iniziano ad avere incubi su Thanatòs, la loro vita diventa sempre
più in pericolo… troveremo una soluzione Selene –
-NON MENTIRMI! – sbottò Selene al limite
della pazienza: la febbre, la delusione della mattina stessa e ora quella
notizia l’avevano abbattuta – non la troveremo mai! –
-Si che la troveremo! Dobbiamo solo
sbrigarci e cercare più a fondo- ribatté Hadmon, dispiaciuto.
-Non c’è più tempo Hadmon… - balbettò
Selene mentre le lacrime rigavano il suo volto.
-Abbia fiducia in me Selene! – disse Hadmon
posandole le mani sulle spalle – c’è una soluzione e io la troverò –
Improvvisamente la porta della stanza si aprì e sulla soglia
si presentò Jhin; velocemente Selene si voltò e asciugò il suo viso, mentre Hadmon
si ricomponeva e si avvicinava al pistolero di un passo. Il pistolero notò
subito la condizione di Selene, ma non ebbe coraggio di chiedere cosa non
andava: già sapeva quale era il problema e in parte lui era responsabile del
suo stato. Cercò di accantonare il pensiero e porse al compagno la falce Darkin
avvolta da una maglia di ferro che ora tratteneva tra le mani; prima che il
dragone potesse afferrare tra le mani l’oggetto posò lo sguardo su di lui e per
un istante poté giurare che Hadmon avesse letto la sua anima, comprendendo
forse, che lui era uno dei motivi per cui la Guardiana stava soffrendo. Presto
lasciò da parte quella riflessione, dicendo che la sua mente gli stava giocando
strani scherzi; non appena l’amico prese le armi e tutti i loro bagagli, decisero
insieme di avviarsi verso l’uscita della locanda. Attese sull’uscio della porta
della stanza che i due guardiani passassero e quando fu il turno di Selene,
sentì di nuovo qualcosa andare in frantumi non appena vide lo sguardo
indifferente dell’altra. Temeva quei piccoli e deboli sentimenti che stavano
piano piano nascendo in lui, si diede del codardo decidendo per l’ennesima
volta di fuggire dal passato e dalla possibilità di fronteggiarlo. Con quei
pensieri controllò che nella stanza non ci fosse più nulla, ma prima di
lasciarla definitivamente la sua attenzione fu attirata da dello sporco nella
toilette; si avviò e rabbrividì di fronte allo scenario che si trovò di fronte:
sangue sparso per i sanitari. Sentì il fiato mozzarsi, la condizione della
guardiana era peggiore di quanto potesse immaginare e di certo lui non aveva
fatto altro che contribuire a minare la sua sicurezza. Una voce lo richiamò
alla realtà, Hadmon lo chiamava dal primo piano. Con l’immagine raccapricciante
che si lasciava alle spalle, lasciò la stanza e si avviò dai compagni.
I raggi luminosi del sole di mezzogiorno si infrangevano
sulla superficie del lago del palazzo reale, rendendo il suo scintillio simile
a quello di un cristallo. Mentre percorrevano il piccolo viale Selene osservava
l’edificio che si stagliava di fronte a loro: alto e maestoso, era interamente
realizzato in marmo bianco e arricchito da decorazioni in oro, avvolgendo le
finestre che si affacciavano sul verdeggiante giardino. Nonostante cercasse di
studiare i dettagli della struttura per svagare la mente, ritornava sempre agli
avvenimenti della mattinata e soprattutto a quel bacio rubato e le successive
parole di Jhin; al solo ricordo sentì il viso accaldarsi ancora di più e la
rabbia ammontare, era stata una stupida a poter pensare di fidarsi, altrettanto
sciocca a pensare di potersi affezionare a un uomo del genere. Improvvisamente
sentì le forze venir meno e il suo ginocchio cedette a terra; accanto a lei Jhin
si avvicinò, porgendole una mano per rimettersi in piedi, ma lei la rifiutò e
si rimise subito in piedi. Per un istante incontrò il suo sguardo stranamente
dispiaciuto, vide la mano di lui afferrarle il braccio prima che lei si
allontanasse, impedendole di proseguire. Selene guardò avanti a lei, Hadmon non
si era accorto di nulla e continuava a proseguire.
-Selene per favore…- disse Jhin, lo sguardo
dispiaciuto e rabbioso di lei facevano sì che la sua armatura si rigasse
indelebilmente.
-Non toccarmi… - sussurrò Selene, tentando
di scansare la sua mano che fu bloccata da quella dorata dell’altro.
-Tu non capisci, non voglio mettere in
pericolo nessun altro – spiegò Jhin, di nuovo: aveva paura.
-È questa la scusa dietro cui ti nascondi,
Jhin? Di cosa hai paura? –
Prima di poter ribattere, Hadmon li aveva richiamati e Selene
era sfuggita da lui; strinse i pugni e morse il suo labbro, lui aveva paura di
quei sentimenti che cercava di soffocare, non aveva coraggio di fronteggiare i fantasmi
del passato che subito avrebbero allungato i loro artigli su di lui e di lei.
No la verità era che aveva paura di innamorarsi: ”l’amore è per i suicidi” lo
aveva sempre ripetuto mentalmente, non era qualcosa che si addiceva al freddo e
solitario Demone d’Oro. Notò gli occhi di Hadmon soffermarsi su di lui,
studiando la sua figura prima di vederlo voltarsi. Avrebbe messo fine a tutta
quella storia presto. Lui doveva.
In silenzio i tre furono scortati da due guardie dal
sovrano; l’interno del palazzo era la perfetta definizione di regalità, ricche
decorazioni in oro, pavimenti realizzati interamente in marmo su cui erano
adagiati lunghi tappeti in velluto color rosso sangue, infine ad arricchire le
pareti vi erano dipinti su tela narranti le gesta di onorevoli guerrieri di
Ionia, nella loro continua difesa del paese. Giunti alla sala dei ricevimenti, le
guardie aprirono la porta e permisero loro di entrare nell’aula, ove il sovrano
seduto a una tavola ovale in legno, li attendeva insieme ad altri due soldati. Hadmon
con in mano la falce, vide l’uomo mettersi in piedi e avvicinarsi a loro, ne
studiò la figura: un uomo di mezza età, capelli castani occhi grigi, una lunga
tunica bianca con decorazioni in filo d’oro; colse subito lo sguardo sospetto
che rivolse a Jhin, era evidente che non apprezzava la sua presenza. Nonostante
ciò accantonò il pensiero, il suo obiettivo era concludere al più presto quella
trattativa e tornare a Tuula per riprendere le ricerche e far guarire Selene.
-Sono onorato di incontrare gli emissari del
Consiglio, nonché i famosi Guardiani. Permettermi di presentarmi, io sono Roak,
sovrano di Vindor – disse il re, chinando il capo in segno di rispetto.
-Lusingati di fare la vostra conoscenza, io
sono Hadmon e lei è Selene. Lui è…- disse Hadmon, presentando i suoi compagni.
-So chi è lui. Mi sorprende come possa
essere qui, lo spietato e riprovevole Demone d’Oro – osservò sprezzante Roak,
facendo cenno alle guardie di avvicinarsi.
-La prego di non mancare di rispetto a un
uomo che ha collaborato con noi nella missione – intervenne Selene,
pronunciando istintivamente quelle parole di fronte al tono sprezzante
dell’altro; allo stesso tempo guadagnò uno sguardo sorpreso di Jhin. Non seppe
perché aveva agito così nonostante gli avvenimenti, eppure non tollerava l’odio
che veniva riversato su di lui, né tantomeno tollerava la mancanza di
informazioni che le aveva fornito Hanzai lasciando correre a loro tutti i
rischi della notte precedente.
-Signorina, lei non conosce cosa ha fatto
quest’uomo a chi aveva intorno a sé. Una cane disobbediente del Consiglio, un ingranaggio
impazzito quattro anni fa che non ha fatto altro che trucidare uomini e donne
per puro piacere. Una figura dalle mille maschere ognuna con altrettante
sfaccettature, non potrà mai essere giustificata, perciò non difenda chi,
probabilmente, la sta ingannando – osservò Roak.
Jhin sentì il sangue ribollire nelle vene, odiava l’uomo di
fronte a lui che come tutti i membri del Consiglio avevano manipolato
l’incidente a loro favore, mascherando le loro sudice mani sporche del sangue
altrui. Vide lo sguardo esitante e dispiaciuto di Selene e sentì il cuore venir
trafitto da un pugnale, strinse i pugni: non avrebbe permesso che anche lei
venisse raggirata dalle menzogne del Consiglio. Vide Roak cambiare discorso e
prendere tra le mani la falce Darkin, consegnandola alle due guardie che
lasciarono la stanza. Strinse i pugni, a stento tratteneva il suo odio e la sua
rabbia. Il sovrano li ringraziò per il loro aiuto, notò Hadmon spiegare
accuratamente l’assalto alla carovana e scusarsi per la perdita delle guardie
che erano state uccise durante l’assalto; più scrutava il volto di Roak e la
sua falsa serenità più desiderava colpirlo in viso: uomini come lui e il
Consiglio avevano omesso appositamente i particolari sui poteri letali di
quella falce e il risultato era stato che Selene aveva quasi perso la vita la
notte precedente. Come quattro anni prima, i loro interessi predominavano e
loro erano semplice pedine.
-Vi ringrazio ancora per il vostro aiuto, vi
sarò infinitamente grato – disse Roak.
-Voi, avete omesso appositamente il potere
demoniaco della falce Darkin, non siamo stati avvisati dei rischi che avremmo
corso solo impugnandola. Non avete comunicato ad Hanzai che la falce, animata
da una seconda entità, sprigionava i lati più oscuri dell’uomo; i vostri
taciuti segreti hanno portato la morte dei suoi soldati e hanno messo in
pericolo la vita di una Guardiana, inoltre non ci avevate avvisato del fatto
che l’Ordine delle Ombre aveva mire non solo sulla falce ma anche su Selene. Le
solite menti ipocrite del Consiglio, non si smentiscono mai – disse Jhin,
incrociando le braccia.
Selene guardò sorpresa Jhin, sgranando gli occhi di fronte
all’affronto verbale che aveva fatto al sovrano di Vindor. Cosa gli stava
passando per la testa? In quel modo non avrebbe fatto altro che aggravare la
sua condizione, rendendo impossibile la sua liberazione definitiva. Per quanto
lei e Hadmon potevano nascondere alcuni suoi singoli comportamenti non comuni,
quell’oltraggio non sarebbe di certo passato inosservato al Consiglio,
soprattutto perché il sovrano di Vindor come emergeva dalle parole del
pistolero, era membro del Consiglio stesso. Accanto a lei Hadmon le rivolse
un’occhiata sconcertata, lei scrollò le spalle come a dire che non aveva
spiegazioni per quell’affronto. Ancor più sorprendente fu l’insolita
preoccupazione verso il Demone d’Oro. Già, perché tanta preoccupazione dopo gli
avvenimenti della mattina stessa?
-Farò finta di non aver sentito le tue
parole – rispose Roak irrigidendosi.
-Ha sentito benissimo. Sono stato più che
esaustivo nella spiegazione – sibilò minacciosamente Jhin.
-Ho riferito ad Hanzai tutti i dettagli di
mia conoscenza sulla falce Darkin. Le tue insinuazioni aggravano la tua
posizione precaria Khada Jhin, farò presente al Consiglio la tua mancanza di
rispetto nei miei confronti – osservò Roak, l’arroganza del pistolero e la sua
conoscenza su avvenimenti passati lo rendevano una presenza scomoda. Proseguì
giustificandosi – i miei soldati sono morti con onore in battaglia, il loro
sacrificio è stato necessario, come puoi accusarmi di tacere segreti che
potrebbero aver messo in pericolo le loro vite? –
-Avete agito così quattro anni fa,
manipolandomi non dubito che continuiate ancora a farlo con estranei come i
Guardiani – disse Jhin, stringendo i pugni: su di lui si sarebbe riversata la
sua rabbia, uno ad uno sarebbero caduti i membri del Consiglio e così la verità
sarebbe venuta a galla – tessete la vostra rete di menzogne, manipolando le
informazioni e le persone a vostro vantaggio –
-Non so di cosa stai parlando, evidentemente,
tutti questi anni in prigione hanno acuito la tua follia. Sono sempre stato
contrario alla tua scarcerazione, così come all’eccessiva clemenza che Shen
mostrò nella notte di quattro anni fa: tu saresti dovuto morire, punito per i
tuoi reati e la tua disobbedienza; saresti dovuto morire con lei – disse Roak,
mostrando tutto l’odio verso il Demone d’Oro.
Selene sgranò gli occhi sorpresa da quelle parole: di cosa
stavano parlando? Forse i dubbi sull’onestà del Consiglio non erano poi così
infondati. Tuttavia quello non era il momento per elaborare ipotesi, lei e
Hadmon dovevano intromettersi nella discussione prima che fosse troppo tardi.
Vide Jhin stringere i pugni e capì che si sarebbe avventato sul sovrano, ma
prima di poter agire Hadmon si era posto tra il pistolero e Roak; subito Selene
notò Jhin non fermarsi e fare un passo avanti per allungare le mani sull’uomo,
ma lei afferrò la sua mano e l’uomo subito si immobilizzò. Di nuovo un filo
invisibile l’aveva spinta a star vicino al pistolero, nonostante le
innumerevoli volte che l’aveva mandata in frantumi senza scrupoli non riusciva
a non stargli accanto. Vide Jhin chinare il capo e per un istante intrecciò lo
sguardo con il suo; l’odio nel suo unico occhio scarlatto parve svanire e i
muscoli sotto la sua mano si rilassarono.
-Per favore, mi sembra che la mia compagna
abbia già chiesto la cortesia di non mancare di rispetto a un uomo che ha
collaborato con noi. Ci scusiamo per questa situazione, la prego di perdonarci–
disse rispettosamente Hadmon, chinando il capo.
-Non avete alcuna colpa signor Hadmon. Quanto
a te Jhin – osservò Roak, avendo colto lo sguardo rancoroso dell’uomo
addolcirsi nell’incontrare quello della giovane donna – presta attenzione alle
tue parole e soprattutto a non infrangere una seconda volta i divieti imposti.
Non ci sarà perdono questa volta. Quanto a voi Guardiani, vi sono infinitamente
grato per il vostro aiuto, come segno di ringraziamento ho messo a vostra
disposizione la più grande delle mie carrozze per il viaggio di ritorno a
Tuula; grazie ancora, a nome mio e di tutta Ionia –
Con profondo rispetto Selene e Hadmon si chinarono e
ringraziarono il sovrano, dopo di che si avviarono verso l’uscita del palazzo,
lasciando alle spalle l’immensa struttura che troneggiava sulle loro piccole
figure. Alle loro spalle, dall’alto di una finestra Roak studiava la figura di
Jhin e quella della Guardiana; un sorriso sinistro si dipinse sulle sue labbra:
a quanto pare il temuto Demone aveva un punto debole nella sua corazza, chissà
se avrebbe di nuovo infranto il divieto. Iniziò a comporre una lettera il cui
destinatario era Klein, il capo del Consiglio, descrivendo l’accaduto del
pomeriggio stesso e soffermandosi soprattutto sul possibile attaccamento del
pistolero alla Guardiana; quando sollevò la penna dal foglio richiuse la
lettera e chiamò una guardia porgendogli l’oggetto e chiedendo di recapitarlo a
destinazione. Riprese ad osservare il cortile sottostante, sorrise di nuovo:”
staremo a vedere cosa sarai in grado di fare, Khada Jhin”.
Silenziosamente i tre salirono sulla carrozza e subito
rimasero sbalorditi dall’interno: morbidi e ampi sedili in velluto rosso con
cuscini del medesimo colore, tendine nere per coprire l’eventuale luce entrante
dalle finestre infine appesa al tetto della carrozza una piccola lampadina. Una
volta seduti la carrozza partì e si misero in viaggio alla volta di Tuula, li
aspettavano tre giorni di viaggio e avrebbero colto l’occasione per riposare e
guarire dalle ferite. Accanto a lei Selene sapeva che Hadmon era molto nervoso,
batteva le dita sul suo ginocchio mentre osservava la vegetazione fuori dal finestrino,
sicuramente stava cercando di trovare le parole per esprimere la sua totale
disapprovazione sull’affronto del pistolero. Di fronte a lei Jhin, si era
seduto nel punto del sedile più lontano da loro accanto alla finestrella
opposta, bruciava di odio e fissava rabbioso il cielo fuori dalla finestra.
Dopo la loro conversazione era sempre più curiosa di avere maggiori
informazioni sul Consiglio e sul fantomatico incidente; sicuramente Hadmon
nutriva il suo stesso interesse e al termine di quel viaggio ne avrebbero
discusso.
-Si può sapere cosa diavolo ti sia passato
per la testa? – chiese Hadmon non potendo trattenere il nervosismo; vedendolo
ignorarlo proseguì preoccupato– hai peggiorato la tua condizione, Jhin. Noi non
sappiamo cosa può farti il Consiglio se mai decidesse di non liberarti, in quel
caso non potremmo salvarti –
-Quell’uomo ha omesso appositamente i
particolari sulla falce, ha taciuto segreti che hanno costato quasi la vita di
Selene e causato la morte di tutti i soldati. Voi non conoscete Roak, non
conoscete un singolo membro del Consiglio per rendervi conto che vi stanno
raggirando con l’inganno, tessono i loro fili su di voi per estorcerci
qualcosa. So di essere un elemento scomodo per il Consiglio, molti di loro avrebbero
preferito uccidermi tempo addietro perché io conoscevo i loro segreti, Roak è
uno di questi. Non tollero che ci usino come pedine, che sfruttano le nostre
vite come meglio preferiscono. Infangano il passato per mascherare le loro
sudice mani sporche di sangue innocente, di orrori, e io non mi farò piegare di
nuovo – spiegò rabbioso Jhin, stringendo i pugni.
-Cosa intendi dire sul Consiglio? Cosa
stanno architettando e nascondendo? – chiese Hadmon, estremamente confuso e pieno
di domande da rivolgere a Jhin: perché il Consiglio lo voleva morto? Cosa era
accaduto quattro anni prima?
-Le nostre ombre si proiettano pesanti sul
suolo per ricordarci sempre gli errori del passato ogni qualvolta uno spiraglio
di luce illumina la nostra figura. Ognuno di loro nasconde l’anima marcia proiettando
sugli altri una luce talmente forte da accecarli e mascherando in questo modo
le loro ombre. Non so cosa stia architettando il Consiglio, so solo che la mia
vendetta si abbatterà su ognuno di loro, non mi interessa la mia situazione,
loro non sfuggiranno alla furia del Demone d’Oro: al mostro che loro stessi
hanno creato – ringhiò Jhin, sbattendo
un pugno sul sedile, il calore bruciante dell’odio scorreva nelle sue vene.
-Non puoi farlo. Prima di fare qualunque
azione, dobbiamo informarci bene sul Consiglio e sapere le versioni di entrambe
le parti… conoscere se la tua versione degli avvenimenti sia vera o reale solo
in parte – osservò Hadmon.
All’udire di quelle parole Jhin fu preso dall’ira,
nuovamente qualcuno di cui pensava potersi fidare non riponeva in lui alcuna
fiducia ed esitava: anche loro alla fin fine erano marionette del Consiglio;
una risata profonda e derisoria si levò nella carrozza, lasciando le sue
labbra. Scattò in piedi e afferrò il compagno per la giacca e lo inchiodò sul
sedile; vide Selene scattare in piedi e avvicinarsi a lui per fermarlo, ma la scansò
prepotentemente e senza accorgersene la spinse, facendole battere il capo
contro la finestra della carrozza. Nessuno capiva, nessuno lo avrebbe mai
sostenuto, ecco cosa succedeva a riporre la fiducia in qualcuno: solo ferite
sulla sua anima. “Adesso basta” pensò rabbioso Jhin.
-Ho riposto la mia fiducia in te Hadmon, ti ho
aiutato. Credi veramente che io possa mentirvi? Io non ho a cuore le vostre
patetiche vite, ho sperato in vano che foste più accorti rispetto ai precedenti
custodi invece siete ottusi e ciechi come ogni Ioniano di questa terra. Come un
illuso ho pensato che vi foste fidati di me, invece credete alle parole di
criminali che si spacciano per governatori. Patetico, veramente patetico;
chissà quanti segreti tacete anche voi come Roak e il Consiglio – sibilò Jhin a
denti stretti.
Mosso dall’ira Jhin fece per colpire con in viso Hadmon,
improvvisamente vide Selene porsi tra lui e Hadmon e il suo pugno finì per
colpire il viso di lei. Subito si ritrasse; dopo quel gesto la rabbia scemò via
lasciando spazio al dispiacere. Riprese coscienza e ragionò a mente lucida su
come stesse agendo, ma quando lo fece presto si rese conto che era troppo
tardi; ormai negli occhi di Selene, la minima di traccia di calore che aveva
scorto qualche ora prima nel palazzo era sparita dietro il gelo delle sue pozze
ghiaccio; subito iniziò a trovare un modo per rimediare all’errore compiuto. Anche
Hadmon rimase sconcertato dal suo gesto ed entrambi deglutirono a vuoto per il
silenzio in cui piombò la carrozza.
-Adesso basta! – disse Selene furiosa, guardando
entrambi, poi posò gli occhi su Jhin e proseguì – non so cosa è accaduto in
passato tra te e il Consiglio, noi non siamo marionette e abbiamo riposto in te
fiducia, mancheremo di ingegno ma prima di poter denunciare le azioni del
Consiglio dobbiamo sapere di più. So che siamo una presenza scomoda per te, non
mi interessa cosa pensi di noi o di me, ma puoi star certo che non appena tutto
questo finirà di noi non vedrai più la minima ombra e potrai tornare alla calma
delle tue giornate. Fino ad allora, sceglierete la maschera che più vi aggrada
e andrete d’accordo. Noi ci fidiamo di te Jhin, non ti abbiamo mai mentito,
contrariamente a come ci aveva chiesto il Consiglio e ti saremo sempre
infinitamente grati per l’aiuto che ci hai dato, in particolare io; perciò per
una volta puoi abbandonare la tua ira e non vederci come minacce. Noi faremo
tutto ciò che è possibile per aiutarti e svelare la verità, però dovrai
permetterci di conoscere la versione di entrambe le parti; non ci sarà bisogno
di essere prevenuti con noi, il nostro obiettivo non è raggirarti con
l’inganno. L’unica richiesta che ho da farvi è di non rendere o creare
situazioni difficili; se hai paura di poterti fidare di noi puoi non farlo,
cosicché fintanto che la nostra missione non sarà finita, vivremo come
estranei. A te la scelta –
Dopo quel discorso Selene si mise a sedere insieme agli
altri, le ultime parole che aveva pronunciato avevano fatto insolitamente male
e quello era indice che si stava affezionando a Jhin; eppure date le loro
posizioni era meglio soffocare ogni cosa sul nascere, nonostante odiasse il
dispiacere che avrebbe accompagnato tutto quello. Sentiva su di sé lo sguardo
di Jhin, in quel momento era estremamente vulnerabile e incontrare il suo
occhio scarlatto avrebbe aggravato la sua situazione, perciò posò il capo sul
finestrino e chiuse gli occhi. Una lacrima percorse la sua guancia: paura,
dolore agitavano il suo cuore e lo intrappolavano in una stretta mortale.
Temeva per la sua vita e allo stesso tempo era sempre maggiormente cosciente del
fatto che soffocare l’affetto che nutriva per Jhin sarebbe stato più che
difficile. Nascose il suo viso nel cappuccio, non voleva che nessuno vedesse in
quel momento il suo stato, nonostante quello la facesse sentire estremamente
sola; una seconda lacrima percorse la sua guancia prima che potesse sprofondare
nel sonno profondo e prima di potersi rendere conto che il filo invisibile che
la attirava al pistolero era divenuto ancora più insistente e non avrebbe più
abbandonato il suo cuore. Era troppo tardi: lei si era affezionata. Un’immagine
del bacio che le era stato strappato le balenò nella mente. Non poteva più
tornare indietro, non poteva recidere quel legame impalpabile. Non più.
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Capitolo 10 *** Lies ***
9.Cap8
“Duro? No. Sono fragile, mi creda.
Ed è la certezza della mia fragilità che mi porta a
sottrarmi ai legami.
Se mi abbandono, se mi lascio catturare, sono perduto.”
(José Saramango, “Lucernario”)
Il sole riversava i suoi caldi raggi sull’abitazione dei
Guardiani e del Demone d’Oro, illuminando l’intero giardino e riflettendosi
sullo specchio d’acqua dei piccoli laghi, in modo tale da conferire
all’ambiente circostante un’atmosfera di pace e serenità. Qualche notte prima,
i tre erano ritornati finalmente a Tuula ove si erano subito riposati e avevano
recuperato le energie; durante il tragitto non vi erano stati più alcuni
affronti verbali tra Hadmon e il pistolero, i giorni erano passati avvolti da
un profondo silenzio, durante i quali Selene di tanto in tanto si abbandonava
al flusso delle miriadi di domande che avrebbe voluto rivolgere ad Hanzai circa
il fantomatico incidente di quattro anni prima; non potendo trovare risposta
impiegava tutto il tempo a disposizione a formulare ipotesi, sperando non tanto
di trovare una soluzione, quanto di scacciare via l’immagine del bacio che le
era stato strappato e di tenere a bada i nascenti sentimenti che nutriva verso
Jhin.
In quei tre giorni di viaggio avevano avuto l’occasione di
fare tappa in piccole città, in cui si erano procurati i pasti e Hadmon aveva
recuperato le medicine necessarie a curare la febbre di Selene; le piccole
fialette che lei aveva bevuto, le avevano fatto recuperare presto le energie e
nel giro dei successivi due giorni di viaggio la malattia aveva completamente
abbandonato il suo corpo e lei era tornata in forze. Nonostante la sua veloce
ripresa Hadmon le aveva raccomandato che sarebbe dovuta stare a riposo per i
prossimi due giorni in modo tale da non avere ricadute. Durante il viaggio di
ritorno, Selene non aveva più avuto occasione di parlare con il Demone d’Oro e
lui aveva fatto il possibile per innalzare di nuovo il freddo muro e cercare di
soffocare ogni forma di affetto. Nonostante
questo l’avesse dispiaciuta Selene aveva cercato di accettare la questione e
aveva tentato di seppellire tutto.
Quella mattina Hadmon, aveva lasciato l’abitazione molto
presto per dedicarsi alle ricerche, invece Selene era stata costretta a stare a
letto e riposare dato che di tanto in tanto le venivano meno le forze; Jhin come
al suo solito era rimasto isolato nella sua stanza per la maggior parte del
tempo, entrambi i Guardiani durante la giornata che aveva seguito il loro
arrivo avevano provato ad avvicinarsi all’uomo, preoccupati per la sua salute
ma erano stati respinti bruscamente. Inoltre avrebbero dovuto trovare
l’occasione per discutere sulla versione da fornire al Consiglio, il quale il
pomeriggio stesso li aveva convocati per il resoconto della missione e per
maggiori chiarimenti circa la lettera che Roak aveva spedito a Klein; quando
quella notizia era giunta a loro, Selene e Hadmon avevano sussultato e subito
si erano preoccupati delle eventuali ripercussioni che quella missione avrebbe
avuto sulla situazione del pistolero. Purtroppo nessuno dei due Guardiani aveva
più avuto occasione di comunicare l’informazione all’uomo e Hadmon aveva
affidato il compito a Selene e nonostante la Guardiana non volesse avere a che
fare con lui, fu costretta ad accettare quell’incarico.
Così in tarda mattinata Selene, si era alzata in preda ad
uno dei suoi incubi e aveva pensato costantemente al momento opportuno per
presentarsi di fronte la porta del Demone d’Oro e spiegargli la situazione;
purtroppo, ogni volta che decideva di farsi avanti, le vicende dei giorni
precedenti la facevano dubitare e finiva per rinunciare. Alla fine si era fatta
l’ora di pranzo e lei non era riuscita a concludere nulla e aveva ripiegato sul
suo letto dove si era riposata, in preda a un’improvvisa stanchezza. Sdraiata
sulle lenzuola bianche, cercava di scacciare dalla sua mente l’immagine degli
occhi scarlatti di Thanatòs e i suoi ringhi feroci; contemplava distrattamente
il cielo azzurro che si intravedeva dalla finestra, mentre cercava di raccogliere
il coraggio di recarsi dal pistolero. Dopo qualche minuto aveva deciso di
alzarsi e agire; molto velocemente pranzò in solitudine, anche quella mattina
Ana era assente e aveva speso i giorni in cui loro erano mancati presso la sua
vera residenza a Tuula, fortunatamente sarebbe tornata la sera stessa come
aveva comunicato in una sua lettera. Dopo il pasto salì le scale e si fermò di
fronte alla porta della stanza di Jhin; prima di bussare si bloccò, doveva
farsi coraggio anche se odiava l’idea di dover conversare con lui dopo che in
quei giorni era riuscita a tornare quasi alla normalità. Prese un lungo sospiro
e picchiettò la porta due volte. Silenzio. Tentò nuovamente e subito la porta
di fronte a lei si aprì di scatto e la figura possente di Jhin si materializzò
dall’ombra della stanza.
-Cosa… - disse Jhin, bloccandosi quando vide la
guardiana di fronte a lui.
Non appena Selene vide la reazione diffidente del pistolero
indietreggiò di un passo, spaventata dal suo occhio scarlatto che ora le
rivolgeva uno sguardo affilato; in silenzio l’altro fece per richiudere la
porta, ignorando completamente la sua presenza.
-Devo parlarti…- spiegò esitante Selene.
-Non disturbarmi – ribatté seccamente Jhin.
A quella frase Selene infastidita, bloccò la porta con le
mani prima che il pistolero potesse richiuderla; la aprì e varcò la soglia: era
stanca di essere sempre trattata con disprezzo dall’uomo, in quel momento
l’avrebbe ascoltata. Il Demone d’Oro si irrigidì e si preparò ad affrontarla
verbalmente per riversare nuovamente tutto il suo odio su di lei, ma prima che
potesse proferire parola lei lo anticipò.
-Adesso mi starai a sentire, questa volta
non mi ferirai allontanandomi – disse Selene, stringendo i pugni.
-Vattene! Non voglio vederti e né sentirti,
sei solo una presenza scomoda – ringhiò Jhin, posandole una mano sulla spalla
per mandarla via con la forza.
Una rabbia viscerale alimentò le membra di Selene, non
appena l’uomo sfiorò la sua armatura lei gli afferrò il polso e glielo scansò;
se inizialmente voleva solo comunicargli il volere del Consiglio, adesso le
interessava solo di porre fine al suo modo di fare che la demoliva: odiava il
suo profondo rancore, la sua rabbia e la sua paura, e più di ogni altra cosa
non tollerava più l’idea che venisse trattata sempre come feccia.
-NON TOCCARMI! – sbottò Selene, poi vedendo
l’altro stringere i pugni, avanzò di un passo nella sua direzione e proseguì –
tu non hai nessun diritto e dico nessuno, di potermi calpestare come meglio
preferisci! Mi hai trattata come feccia, nonostante io sia venuta più volte da
te nel vano tentativo di potermi avvicinare e aiutarti, e adesso non lo farai
di nuovo! –
-Aiutarmi?! Ascolta le tue patetiche
parole, io non ho mai avuto bisogno del tuo misero aiuto. Davvero pensi che io,
il Demone d’Oro ne abbia mai necessitato?! Tu non hai idea di chi io sia…- urlò
Jhin, in preda alla rabbia; quello sarebbe stato il suo ultimo e sofferto
tentativo di allontanarla.
-Oh no, sì che lo so! Io so benissimo chi
sei Jhin, tu sei un uomo che ha paura
–
-Come osi…-
Detto così Jhin scattò in avanti e le afferrò il viso e si
chinò su di lei, improvvisamente sentiva la sua anima e il suo cuore venir
chiamati in causa: non avrebbe potuto mai ammettere quella verità.
-Ripetilo. Se hai il coraggio. Cosa dovrei
temere? Sentiamo, una patetica donna?! – sibilò minacciosamente Jhin, vedendo
l’altra scansare con forza la sua mano, ma subito lui le riafferrò il mento.
-Tu hai paura, di questo – disse Selene, posando la mano sul suo cuore e pronunciando
quelle parole che come lame incisero la sua corazza rivelando i suoi punti deboli
– tu temi di poterti avvicinare a qualcuno, a me… peggio ancora per rifuggire
da essa, calpesti gli altri così come hai fatto con me, in modo da mascherare
le tue ombre –
-Non dire idiozie, non hai idea di cosa
stai parlando. Non conosci minimante il mio passato, come pretendi ti potermi
capire anche minimamente?! – sbottò Jhin, non poteva sfuggire alla realtà.
-Non ti conosco affatto è vero. Quel poco
che ti sono stata accanto mi ha permesso di capire che te hai una profonda
paura di portare allo scoperto la tua anima tetra e piena di cicatrici; temi di
poter riporre la fiducia in qualcuno per evitare di rimanere emotivamente coinvolto
– spiegò Selene con voce rabbiosa, deglutendo a vuoto quando l’altro la mise a
muro con poca grazia.
-Non dire idiozie. Sono stanco di sentire
le tue scemenze, io non ho bisogno di sciocchi sentimentalismi, io non temo nulla – sussurrò minacciosamente
l’uomo: quelle parole erano più rivolte a sé stesso che a lei.
-Perché mi hai baciata allora? Perché subito
dopo sei sfuggito? - chiese Selene spavaldamente, notando l’altro porre le mani
sul muro in modo da non permetterle alcuna fuga.
In silenzio Jhin incassò l’affronto, lui aveva agito baciandola
perché ormai aveva finito con l’innamorarsi di lei ma subito aveva avuto paura di quel bacio, aveva capito sin
dall’inizio che significava esporre entrambi e lui temeva di affrontare i
fantasmi di un passato lontano che continuava a ricordargli che le sue mani
erano sporche di sangue innocente e indelebile. Lui aveva paura di venir
coinvolto sentimentalmente, e soprattutto di rischiare di essere costretto a ripetere
un omicidio su una donna a si sarebbe potuto legare. L’ira che lo aveva spinto
ad affrontarla verbalmente scemò via; il suo tentativo di allontanarla era
fallito e il muro che aveva eretto tra loro nei giorni precedenti si era sgretolato
completamente in quel momento: odiava il modo in cui la sua armatura era stata
di nuovo infranta eppure non poteva non lasciarsi avvolgere dalla gentilezza con
cui lei lo aveva fatto. Purtroppo prima
di poter parlare, furono interrotti dall’arrivo di Ana; si sentì mortificato
quando vide l’espressione rassegnata dell’altra che si allontanò, raggiungendo
la soglia della porta. La sua ragione gli suggeriva di rimanere in silenzio, di
tagliare ogni cosa sul nascere finché sarebbe stato in tempo, e quindi di
lasciarla andare via; sentiva il suo cuore lacerarsi all’idea di poter essere
odiato da lei, e mentre un vortice di paura e diffidenza avvolgeva la sua
mente, la sua anima gli gridava che avrebbe dovuto fermarla. La vide voltarsi
un’ultima volta e inchiodare i suoi profondi occhi color ghiaccio, e a quel
punto sussultò.
-Ad ogni modo, oggi pomeriggio il Consiglio
ci ha convocato, questo era ciò che dovevo dirti – disse Selene, voltandosi e
volgendo lo sguardo a terra – è stato tutto un errore. Avvicinarmi a te, è stato
un errore sin dall’inizio –
-Si, è così. È stato un errore –
Quelle parole risuonarono pesanti nella stanza, una menzogna
che serviva a Jhin per provare a troncare quel legame e ritornare alla
normalità; così gli aveva suggerito la sua mente, e di fronte all’espressione
desolata qualcosa all’altezza del suo cuore era andato in frantumi e lui era
stato costretto a serrare la mascella e stringere i pugni, per trattenere
quell’insolito e odioso dolore che si era fatto largo nel petto e non lo
avrebbe lasciato più andare.
La sede del Consiglio era nascosto tra le colline di Tuula;
in silenzio Hadmon, Selene e Jhin, si erano diretti nella piazza centrale della
città dove lì Hanzai aveva atteso il loro arrivo. Stranamente, contrariamente a
quanto i Guardiani si aspettavano, il maestro non mostrò alcun riserbo per come
si era evoluta la missione; non si era espresso circa l’affronto di Jhin e la
lettera del sovrano di Roak. Anzi, con il suo modo affettuoso, il maestro li
aveva salutati; il calore di Hanzai, aveva in parte risollevato Selene, ancora
turbata dalla discussione che aveva avuto con Jhin il pomeriggio stesso e
agitata all’idea che il Consiglio potesse scoprire l’inflazione che loro due avevano
commesso.
In silenzio i quattro si erano avviati verso l’alta pagoda
dove i Guardiani erano stati accolti il giorno del loro arrivo; lungo tutto il
tragitto era calato il più profondo dei silenzi, Hadmon percepiva che qualcosa
non andava: Jhin camminava alle loro spalle e fissava rancorosamente la figura
dell’anziano che ora conversava tranquillamente con Selene, riguardo il breve
soggiorno a Roak. Il suo sesto senso, che mai era caduto in errore, gli
lasciava intendere che tra la compagna e il pistolero vi fosse una sorta di
tensione, a testimonianza di ciò era l’espressione tesa di Selene che lei,
nascondeva alla perfezione, ma che lui coglieva perfettamente. Gli occhi color
ghiaccio di lei erano come velati da una pesante ombra, facendogli perdere la
luminosità che aveva avuto nei giorni precedenti; certamente lui non aveva
contribuito di fatto a migliorare il suo stato dopo averla salvata dalle
grinfie di Zed, e peggio ancora, preso dalle ricerche, non era riuscito a
cogliere un momento per stare in tranquillità con lei e scusarsi. In ugual
misura era dispiaciuto per come erano precipitati i rapporti con Jhin: dopo la
loro discussione e il ritorno a Tuula, era come se la parentesi di Vindor, in
cui il pistolero sembrava essersi aperto con loro, non fosse mai esistita e il
gelo fosse di nuovo calato tra di loro. Ormai era quasi certo che il Consiglio
nascondesse qualcosa e ad avvalorare la sua tesi, vi erano più di qualche
evento: l’eccessiva vaghezza con cui Hanzai si era riferito al libro scritto
dal Guardiano che aveva dominato Thanatòs, fino alla testimonianza del
bibliotecario che la mattina stessa gli aveva confessato che quel libro era
stato rubato e consegnato nelle mani di Noxus anni addietro; secondo alcune
voci, infatti, il Consiglio era a conoscenza del furto che avrebbe compiuto
Noxus e nonostante ciò, non era intervenuto per metterlo al sicuro, infine il
bibliotecario aveva concluso che il libro si trovava nella collezione privata
del grande giustiziere Draven perciò sarebbe stato difficile da recuperare.
Sebbene quella notizia non lo avesse scoraggiato minimamente, sapeva che il
Consiglio stesse nascondendo qualcosa, come Jhin infatti gli aveva fatto
notare, loro avevano omesso appositamente informazioni importanti sulla falce
Darkin, non si erano preoccupati di mettere in pericolo la vita di Selene e
peggio ancora, l’Ordine delle Ombre conosceva l’identità di Selene. Tuttavia il
pensiero che più premeva nella sua mente era quello legato alle parole di Jhin
stesso, circa le azioni del Consiglio e ai fantomatici avvenimenti di quattro
anni addietro; la sua curiosità era aumentata nei giorni precedenti, così come
il suo dispiacere che gli aveva fatto ammettere di essersi comportato in modo
scorretto con il Demone d’Oro e che aveva fatto nascere in lui il desiderio di
sistemare le cose e riaprire la parentesi di Vindor, restaurando la situazione
quasi amichevole che si era creata tra loro.
In quel momento Hadmon, preso dai suoi pensieri non si
accorse di essere rimasto indietro con Jhin; Hanzai e Selene erano molto più
avanti rispetto a loro, perciò il dragone colse subito l’occasione per
rimediare alla discussione che avevano avuto.
-Jhin, hai un momento? Vorrei parlarti…- disse Hadmon,
rallentando il passo.
Jhin sorpreso, rimase in silenzio e gli fece cenno di
continuare; negli occhi del compagno non riuscì a cogliere alcuna malizia, ma
solo uno sguardo limpido e sincero e questo lo sconcertò. Di nuovo la paura di
potersi fidare si fece largo in lui.
-Volevo scusarmi con te, per quanto accaduto
a Vindor. Ho rovinato ogni cosa e ho minato la fiducia che te avevi riposto in
noi, perciò scusami, spero che tu possa fidarti nuovamente di noi…- spiegò
Hadmon, volgendo gli occhi al cielo e poi inchiodandoli nel suo -… sappi che
faremo il possibile per farti scagionare, sono quasi certo il Consiglio non sia
onesto con noi e questo non posso tollerarlo –
-Sono sorpreso, perché questo cambiamento?
– chiese sospettosamente Jhin, incrociando le braccia.
-Una serie di eventi hanno alimentato dei
sospetti che ho avuto sin dal primo momento in cui siamo arrivati a Ionia, vi
spiegherò tutto quando tornerò. Accetterai le mie scuse? – domandò Hadmon.
Con immensa sorpresa Jhin vide Hadmon porgergli la mano e
sorridere nella sua direzione; la sua anima gelida si sentì tirare e decise di
riporre la fiducia nei due Guardiani, e quando strinse la sua mano, sentì il suo
fardello di segreti sanguinosi, pesare di meno sulle sue spalle.
-Lo prendo come un si – concluse raggiante
Hadmon, posando una mano sulla sua spalla.
-Non allargarti troppo, non avrai anche
intenzione di baciarmi – scherzò Jhin, posando lo sguardo sulle spalle di
Selene e sentendosi in parte dispiaciuto di nascondere al compagno il particolare
della mattina stessa.
Hadmon rise divertito e riprese a guardare il cielo azzurro,
contento di aver risolto quel piccolo diverbio tra di loro. Improvvisamente
vide un’aquila virare su di loro e scendere su di lui: un messaggero dell’Isola
dei Guardiani. Uno strano sentore si fece largo nel suo cuore mentre slacciava
la pergamena legata alla zampa dell’animale che subito volò via. Aprì il
messaggio e rabbrividì non appena lesse il contenuto; sentì il fiato mozzarsi e
la terra venire meno da sotto i suoi piedi, al punto che cadde sulle ginocchia.
Il contenuto di quella lettera non sarebbe dovuto pervenire alle mani di
Selene, almeno fino al giorno successivo. Cosa le avrebbe detto?
-Che ti prende? – chiese Jhin sconcertato dal suo
volto pallido.
Jhin vide Hadmon porgergli la pergamena, timorosamente la
prese in mano e la lesse in silenzio, paralizzandosi di fronte al contenuto; guardò
di fronte a lui la figura di Selene e il suo corpo fragile che si ergeva sotto
l’alta pagoda e sentì il cuore mancare un battito, mentre ripercorreva
mentalmente le righe di quella lettera il cui destinatario era la Guardiana
stessa.
-Hai intenzione di dirglielo? – chiese,
temendo la risposta e immaginando la reazione della donna a quella notizia.
-Fino a domani lei non dovrà saperlo – disse
Hadmon.
Improvvisamente Hanzai e Selene li richiamarono, dicendo
loro di sbrigarsi; i due si scambiarono un’ultima occhiata di intesa e si
avviarono verso il tempio, non dopo che Hadmon era rimasto sorpreso dalla
preoccupazione che Jhin aveva mostrato verso Selene e ancor di più di come la
sua espressione si fosse incupita non appena aveva notato le figure degli alti
membri del Consiglio e di Shen.
Dal secondo piano della pagoda, i due Guardiani e Jhin erano
seduti al tavolo dove si sarebbero riuniti i membri del Consiglio, in attesa
che i gran maestri discutessero della lettera di Roak. Jhin picchiettava
nervosamente la sua mano dorata sul tavolo, non appena aveva posato lo sguardo
su Shen e Klein aveva sentito la rabbia ribollire nelle vene;
contemporaneamente ad ogni minuto che passava, percepiva la preoccupazione
aumentare: lui aveva infranto il divieto di avvicinarsi a Selene, e sicuramente
Roak nella sua malizia, aveva infuso i dubbi nei membri del Consiglio che
sicuramente li avrebbero tempestati di domande. Posò l’attenzione su Selene e
ne studiò il viso, nel farlo trovò pace per un istante dalle preoccupazioni e
dalle miriadi di pensieri che attraversavano la sua mente; studiò i suoi occhi
ghiaccio, scendendo alle sue labbra, correndo con la mente al momento in cui le
aveva strappato quel rapido bacio. Nei giorni a seguire raramente era riuscito
a scacciare via quell’immagine dalla mente, nei suoi sogni la sua anima fredda
trovava pace in quel momento di calore, che però veniva presto spiazzato
dall’orrore e dal sangue; dopo quella mattina, quell’immagine era divenuta
sempre più insistente ed era stato costretto ad abbandonarsi al flusso di
sensazioni che di tanto in tanto riscaldavano il suo cuore.
Ben presto i suoi pensieri furono interrotti dall’ingresso
dei membri del Consiglio, seguiti da Shen che diedero il via alla riunione.
Inizialmente Klein, ringraziò i due Guardiani per il loro lavoro svolto e si
scusò per l’attacco alla carovana da parte di Zed che aveva quasi costato la
vita di Selene; a quel punto intervenne Shen che precisò di essere rimasto
sorpreso dal fatto che l’Ordine delle Ombre fosse a conoscenza del ruolo di
Guardiana di Selene. Hadmon spiegò che il contributo di Jhin era stato fondamentale
per il recupero della Guardiana, tuttavia i tre compagni notarono che a quelle
parole l’espressione di Shen e Klein si tramutarono in serie; prima che
qualcuno di loro potesse intervenire, Klein richiamò un successivo argomento:
l’affronto al sovrano di Vindor. A quel punto l’uomo posò gli occhi sulla
figura di Jhin situata di fronte a lui, in piedi e diametralmente opposto alla
sua posizione al tavolo. Di fronte a tutti i presenti, il capo del Consiglio lesse
la lettera e Jhin e Selene deglutirono a vuoto.
-“Sospetto un possibile attaccamento del Demone d’Oro
alla Guardiana, per favore faccia attenzione” –
Alle ultime parole di Klein, Jhin strinse i pugni e notò lo
sguardo esitante di Selene e Hadmon, preoccupati sicuramente che quella frase
avrebbe complicato la sua situazione.
-Come ha intenzione di giustificarsi? -
osservò Klein verso il pistolero.
-Non so di cosa stia parlando, io non nutro
alcun interesse nei confronti di questa donna – osservò Jhin freddamente,
pronunciare quelle parole fu particolarmente difficile.
-Lei è d’accordo signorina Selene? –
-Si, in tutto il rispetto, il sovrano Roak
si trova nel torto –
-Se proverai ad avvicinarti a lei, sai cosa
ti spetta…- intervenne Shen, dal suo tono proveniva solo rabbia.
In silenzio Hadmon e Selene, rimasero sbalorditi da quella
dichiarazione che fu subito ripresa da Klein; entrambi notarono lo sguardo di
Jhin incupirsi e lui rimanere in silenzio, incassando momentaneamente il colpo.
-In ogni caso, quanto mi preme risolvere di
più è il tuo affronto verso Roak. Non apprezzo molto le eccessive libertà che
ti prendi Demone d’Oro; esiste una gerarchia a questo mondo, un modus operandi
e delle regole da rispettare, e te sai bene che chi infrange quest’ultime viene
punito – spiegò Klein, incrociando le braccia, facendo cenno a Shen di
posizionarsi dietro il pistolero.
-Io non prendo nessuna libertà, Klein, ho
semplicemente riferito cosa era accaduto. Conosco fin troppo bene il vostro
modo di agire, nascondete particolari scomodi in modo tale da sfruttare gli
altri come pedine, per appropriarvi di manufatti che non vi spettano; celi le
tue meschine azioni dietro un falso ideale di ordine e pace nel paese, ma io so
chi sei, conosco i fiumi di sangue che indelebilmente hanno macchiato le tue
mani. Hai agito così quattro anni fa e così hai fatto recentemente, omettendo
il particolare che la falce darkin trattenuta troppo a lungo dalle mani di
Selene, avrebbe risvegliato il mostro che è in lei...- ringhiò Jhin, stringendo
i pugni e serrando la mascella per la rabbia.
-Vi avevo vietato di rivelare le vostre
identità – intervenne Shen, guardando duramente i due Guardiani.
A quelle parole Jhin comprese che anche i due Guardiani
oltre a sottostare agli ordini del Consiglio, erano in rapporti con l’Ordine di
Shen stesso; questo bastò a mandarlo su tutte le furie: era stanco delle
menzogne, di riporre la sua fiducia negli altri e vederla andare in frantumi.
Fissò rabbiosamente Hadmon e Selene, a stento tratteneva il suo odio e il
desiderio di colpire entrambi: era stato raggirato con l’inganno e alla fine
aveva finito per riporre fiducia in loro, aiutando persino il dragone a salvare
quella stupida donna di cui si stava innamorando. Era stato tradito.
-È stata una situazione di emergenza,
inoltre siamo stati attaccati da Zed, ma non eravamo stati avvisati che lui
conosceva la mia identità – spiegò Selene, deglutendo a vuoto.
-Di questo non eravamo a conoscenza nemmeno
noi, ad ogni modo di una cosa mi ero raccomandato: non rivelare la tua
identità, peggio ancora confessare che sei il detentore di Thanatòs. Quando ti
avevo parlato privatamente ti avevo fatto due richieste e speravo onestamente
che le avresti rispettate, oltre alla raccomandazione, ti avevo chiesto di non
farti ammaliare da questo uomo e attualmente non sono molto sicuro che tu non
abbia infranto il mio secondo divieto. Se Roak ha esposto la sua ipotesi è
perché ha avuto modo di notare qualcosa il giorno in cui vi ha ricevuti; se
stai nascondendo qualcosa per salvare questa feccia dalla sua punizione, posso
assicurarti che non comporterà nella di buono – disse minacciosamente Shen.
-Se dovesse accadere una cosa del genere il
Supremo Consiglio di Ionia cui rispondiamo, sarebbe inorridito e sorpreso dalla
vostra condotta signorina Selene; perciò vi pongo nuovamente la domanda di
Klein, voi siete in alcun modo, seppure minimamente, legata a questo uomo? –
domandò Kusho, incrociando le braccia.
-Vi ha già risposto, tra la mia compagna e il
Demone d’Oro non sussiste alcuna relazione. Vi prego di non prendere alcun
provvedimento su Khada Jhin, ha rispettato il suo compito ed è stato provocato
dal sovrano di Vindor al che lui ha reagito di risposta – spiegò Hadmon, nella
direzione di Kusho e Klein.
Selene ringraziò mentalmente il compagno per essere
intervenuto in suo aiuto, di fronte agli occhi meticolosi di Kusho aveva temuto
che non sarebbe riuscita a esporre una falsa versione dei fatti senza essere
scoperta; tuttavia nonostante l’intervento di Hadmon, sentiva su di sé lo
sguardo affilato del pistolero: percepiva la sua rabbia e il suo odio che di lì
a breve avrebbero preso il sopravvento. Era cosciente che il suo sguardo si
fosse incupito nel momento in cui Shen aveva parlato e rivelato il legame tra
l’Ordine di Kusho, lei e Hadmon; ricordava ancora il giorno in cui aveva
chiesto informazioni a Jhin su Zed, e lui le aveva spiegato le identità del
fratellastro e di Shen, nella sua voce e nel suo occhio scarlatto aveva colto
solo il puro odio. Lei e Hadmon avevano tradito il briciolo di fiducia che lui
aveva riposto in loro, e questo bastò a far crescere la sua preoccupazione; a
peggiorare la situazione vi era il suo sesto senso che le suggeriva che a
breve, se Shen o Kusho avrebbero continuato a parlare, Jhin avrebbe agito
istintivamente e rovinato ulteriormente la sua posizione, e per quanto volesse
negarlo, lei voleva in tutti i modi salvarlo dalla sua condizione: ne era
innamorata.
-È questa la verità signor Hadmon? – domandò
Hanzai, mentre alle sue spalle gli anziani del Consiglio annuivano come ad
appoggiare la domanda del maestro.
-Si, il sovrano Roak ha detto lui stesso
delle frasi appositamente provocatorie, che io stesso non ho apprezzato; ha
fatto riferimento ad avvenimenti passati e suggerito che Jhin sarebbe dovuto
morire quattro anni fa. Nessuno ci ha spiegato questi avvenimenti, ma ci siamo
sentiti in dovere di prendere posizione e difendere quest’uomo, non tolleriamo
l’eccessivo rancore mostrato verso di lui – commentò Hadmon, incrociando le
braccia; era quasi certo che in quella riunione nessuno tollerasse la presenza
di Jhin e peggio ancora, molti lo avrebbero preferito morto.
Per quanto Jhin odiasse doversi far difendere da coloro che
avevano tradito la sua fiducia, decise di continuare a restare in silenzio;
tuttavia a stento tollerava gli sguardi sprezzanti che ogni uomo lì presente
gli rivolgeva, soprattutto quello di Shen e Klein che con superiorità gli
rivolgevano lo stesso sguardo che aveva ricevuto il giorno dell’incidente e
quello contribuiva a far crescere in lui la sete di sangue e vendetta che
attendeva da anni. Accanto a lui, Shen era pronto ad agire se lui avesse fatto
azioni spropositate, perciò mise la mano sul fodero in pelle della pistola,
pronto ad un eventuale azione del ninja; conosceva bene il genere di punizioni
inflitte dal Consiglio, le cicatrici sul suo corpo bruciavano ancora al solo
pensiero.
I due Guardiani videro Klein e Kusho scambiarsi un’occhiata
di intesa e sospirare pesantemente, per poi rivolgersi ai presenti chiedendo se
alcuni avessero pensieri da esporre a riguardo; quando nessuno dei membri
proferì parola, allora il capo del Consiglio di Ionia decise di sciogliere la
riunione, dichiarando che non sarebbero stati presi alcuni provvedimenti sul
pistolero ma questi avrebbe dovuto prestare attenzione alle sue future azioni.
Sebbene quelle parole rincuorarono i due Guardiani, fecero adirare Shen il
quale non poté più trattenere il suo disprezzo.
-Per questa volta, ritieniti fortunato di aver avuto
un partito che ti ha salvato; ti attenderò, al tuo primo passo falso, i cani
come te, devono apprendere la disciplina o morire. Sappi che qualora ti
avvicinerai a Selene e tenterai di tessere la tua tela intorno a lei, ti farò
rimpiangere il giorno in cui non sei morto insieme a Joanna, feccia – ringhiò
Shen vicino a Jhin, in parte, provocandolo appositamente.
Persa definitivamente la pazienza, Jhin slacciò il fodero
della sua pistola, afferrò Sussurro tra le mani e la puntò contro Shen; a sua
volta il ninja, avendo capito le sue intenzioni, sfoderò la sua spada e la
puntò al suo collo.
-Come osi… - ringhiò Jhin furioso.
Prontamente i due Guardiani, scattarono per separare i due
combattenti. Per non destare sospetti, Hadmon si precipitò su Jhin e lo colpì
dietro il collo, stordendolo e facendogli perdere i sensi, mentre Selene si
pose tra i due, spostando la lama di Shen con le sue stesse mani che si
ferirono.
-Ninja del vostro Ordine, non dovrebbero
lasciarsi prendere dall’odio. Khada Jhin è sotto la nostra custodia, a nome di
entrambi, preferirei che parole di questo genere, le stesse pronunciate da
Roak, non vengano dette in nostra presenza. Noi lavoriamo per voi, ma non
tolleriamo tutto questo disprezzo – osservò Hadmon, caricandosi sulle spalle il
corpo svenuto di Jhin.
-Attenzione da che parte state; è un
battito di ciglia, e anche voi, come mio fratello, passerete dalla parte
sbagliata; questo vale soprattutto per te Selene – disse Shen, severamente.
-Ho già ribadito che nessuno di noi due
correrà questo rischio. Sia io, sia Hadmon, stiamo agendo secondo le nostre
modalità; in particolare io non ho nessun legame con quest’uomo, mi dispiace
solo che possano essere nati questi sospetti – disse Selene, mentendo: quelle
parole furono pesanti come macigni e affilate come le lame che trapassarono il
suo cuore.
-Se le vostre parole sono la verità, vi porgo
le mie sentite scuse. Hanzai ci terrà informati sui vostri progressi – concluse
Shen, rinfoderando la sua spada.
Al termine di quella discussione, Selene aiutò Hadmon a
portare Jhin verso l’abitazione poco distante da lì; purtroppo data la
posizione isolata di quest’ultima nessun mezzo li avrebbe potuti aiutare nel
trasporto del corpo dell’uomo. Accompagnati da Shen e con Klein e Hanzai al
loro seguito, Hadmon e Selene giunsero fuori dalla struttura, dove Klein li
congedò non dopo aver messo i due in guardia entrambi e detto a Selene di
prestare molta attenzione; nonostante Klein spiegò che il suo era solo un
consiglio che avrebbe contribuito ad avere vita facile nell’abitazione, Selene
giurò che lo sguardo affilato che l’uomo le rivolse e il tono severo con cui
pronunciò le sue parole, fecero apparire il suo monito simile a una minaccia.
Dopo quell’avvertimento Klein, Hanzai e Shen, rimasti ormai gli unici membri
del Consiglio, si diressero verso la carrozza che li avrebbe condotti presso la
sede segreta del Consiglio Supremo di Ionia, ove avrebbero riferito il successo
della missione; Hadmon e Selene, invece si avviarono silenziosamente verso
l’abitazione.
Di fronte a loro il sole si stava lentamente nascondendo
dietro le colline di Tuula, lasciando che il fresco e il buio serale,
avvolgesse l’intero paesaggio; Selene in cuor suo sapeva che quel pomeriggio erano
riusciti a risolvere ogni controversia grazie alla diplomazia di Hadmon, il
quale sicuramente voleva delle spiegazioni circa i sospetti che nutriva il
Consiglio su lei e Jhin.
-I sospetti del Consiglio erano fondati Selene?
Voglio dire, te ti stai affezionando a Jhin? – chiese Hadmon.
Per qualche minuto Selene rimase in silenzio, riflettendo;
poteva mentire al compagno, eppure non sarebbe stato da lei, non era in grado
di dire bugie ad Hadmon questo perché lui sapeva leggere perfettamente la sua
anima semplicemente guardando i suoi occhi ghiaccio. Tuttavia quanto accaduto
tra lei e Jhin, sebbene lei volesse negare che avesse una certa rilevanza,
proprio non ci riusciva.
-Si erano fondati – disse Selene amaramente, sentendo
gli occhi pizzicare mentre la preoccupazione e lo stress del pomeriggio
precedente lasciavano le sue stanche membra.
Silenziosamente Selene lasciò che le lacrime percorressero
le sue guance; non riuscì a placarle, sebbene odiasse mostrarsi in quella
condizione. Odiava con tutta sé stessa il suo cuore che si era innamorato di
quell’uomo, costringendola a provare un sentimento a loro proibito; odiava il
fatto che quel filo invisibile non volesse abbandonare il suo cuore, ma lo
tirava insistentemente fuori dalla sabbia sotto cui lei celava i suoi
sentimenti e peggio ancora era estremamente dispiaciuta di aver fatto passare
ad Hadmon ore di tensione a causa di un suo errore. “Perché…”si chiese
mentalmente.
-Scusami Hadmon…- sussurrò Selene, asciugando le sue
lacrime – scusa se ti ho recato tutti questi problemi oggi pomeriggio –
Accanto a lei Hadmon sorrise teneramente, le prese
gentilmente la mano mentre con l’altra teneva il corpo di Jhin; gliela strinse
calorosamente e subito lei posò gli occhi su di lui, fermandosi lungo la
strada. Non avrebbe rimproverato mai la compagna e né tantomeno limitato le sue
idee, anzi l’avrebbe difesa con ogni mezzo in suo possesso davanti al
Consiglio.
-Non dire stupidaggini, Selene. Non mi hai
dato nessun problema, mai me lo darai; se ho stipulato un patto con te ci sarà
un motivo, così avresti potuto darmi da fare per l’eternità – scherzò Hadmon,
facendola ridacchiare e tranquillizzare, poi proseguì – cerca di rilassarti,
questa piccola parentesi la conosceremo solo io e te, sappi che da me avrai
sempre e solo l’appoggio –
-Grazie Hadmon… in ogni caso, dobbiamo
indagare sull’incidente di quattro anni fa, qualcosa del Consiglio mi puzza –
osservò Selene, notando l’amico annuire.
Hadmon confessò che i suoi sospetti erano cresciuti dopo il
commento fatto da Shen su Jhin, poi cambiando argomento le disse di aver
trovato il libro che loro cercavano e a quella confessione la donna si illuminò
al punto che lasciò la presa sul braccio di Jhin e abbracciò il compagno,
ringraziandolo per tutto il suo lavoro. Il Guardiano le spiegò che il libro si
trovava a Noxus e che nell’eventualità in cui avessero ricevuto un incarico con
quella destinazione, lo avrebbero recuperato e studiato, altrimenti sarebbero
andati loro di persona al termine della loro permanenza a Ionia. L’espressione
di contentezza che si dipinse sul volto di Selene, riempì di gioia anche
l’amico il quale desiderava più di qualsiasi altra cosa salvarla dal suo
destino. Insieme ripresero a camminare e Hadmon scherzosamente colse
l’occasione per chiederle di più su cosa fosse accaduto tra lei e Jhin, ridendo
fragorosamente quando l’altra divenne rossa come un pomodoro; fu allora che
Selene gli spiegò gli avvenimenti della locanda e rise quando Hadmon sgranò gli
occhi all’udire della notizia che l’aveva baciata. Scherzare li rallegrò
entrambi, soprattutto avere del tempo da spendere insieme, cosa che non avevano
avuto da quando Hadmon aveva iniziato le sue ricerche; ormai le vicende del
pomeriggio erano acqua passata e loro ben presto arrivarono all’abitazione dove
lasciarono Jhin nella sua stanza, ancora svenuto, e poi passarono il resto
della serata in compagnia di Ana. Tuttavia sebbene passarono una serata
tranquilla, mentre osservava il cielo stellato in cuor suo Hadmon sapeva che
presto avrebbe dovuto dare consegnare a Selene la pergamena proveniente
dall’isola dei Guardiani, e mentre il buio avvolgeva la loro abitazione,
osservando la figura di Selene, sperò che il suo fragile corpicino avrebbe
retto quel fardello.
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Capitolo 11 *** Confessions ***
10.Cap9
“Sul grande orologio del tempo c’è scritta una parola sola:
ora.”
Miguel de Cervantes
Come ogni mattina, Selene si alzò quasi all’ora di pranzo,
controllò l’orario su un piccolo orologio sul comodino: era quasi mezzogiorno;
perciò decise di alzarsi e fare una passeggiata per rilassarsi e scacciare via
ogni preoccupazione inerente alla riunione del giorno prima. Si diresse verso
l’armadio e notò che appeso ad esso vi era un piccolo foglietto di carta
lasciato da Hadmon: “sarò di ritorno oggi pomeriggio sul presto così potremmo
allenarci; sono andato a raccogliere più informazioni sul libro che cerchiamo.
Ana è uscita insieme a me. A presto”. Quel biglietto la mise di buon umore e
quindi molto velocemente si vestì, indossando la sua armatura, poi prese il
libro che studiava da giorni e aprì la porta: rabbrividì.
Di fronte a lei si stagliava la figura di Jhin, con indosso
il completo che aveva portato il giorno della loro missione nella landa:
cappello in pelle, fazzoletto sul viso e occhiali dalle spesse lenti; un lungo
scialle arancione che copriva un gilet in pelle, una camicia bianca, e infine
dei lunghi pantaloni in pelle con alti stivali. Ciò che la spaventò fu in fatto
che l’uomo tratteneva tra le mani la sua pistola, pronto a far fuoco su di lei;
a confermare le sue intenzioni fu lo sguardo rabbioso e assassino che colse
sotto le spesse lenti degli occhiali di fronte al quale il suo istinto le suggerì
di fuggire. La furia omicida accompagnata all’odio dell’uomo, la terrorizzò;
lei conosceva alla perfezione il motivo di tanta sete di sangue: lei aveva
tradito la sua fiducia insieme ad Hadmon. Vide Jhin puntarle la pistola alla
fronte e posare l’indice sul grilletto. Deglutì a vuoto.
-Jhin…- balbettò Selene, il labbro inferiore
le tremava.
-Grazie per avermi risparmiato la fatica di
dover bussare alla tua misera porta. Questa sarà l’ultima volta che ti
cercherò, ora muori – ringhiò Jhin, preparandosi a far fuoco.
Il pistolero sparò il primo colpo, Selene fece giusto in
tempo a dissolversi, venir colpita di striscio dal proiettile che la ferì
lievemente sul viso e riapparire alle spalle dell’uomo; mossa dal terrore
iniziò a correre e si diresse verso le scale, mentre alle sue spalle Jhin
incombeva su di lei famelico.
Il rintocco della campana del mezzogiorno riecheggiò per la
valle, il suono arrivò attutito al giardino della villa, ma questo bastò a
farla tremare. Percorse le scale con estrema rapidità, come se alle spalle
l’oscurità più profonda minacciava di inghiottirla. Il ritmo frenetico dei suoi
stivali fu sovrastato dal lento passo del suo aggressore. Rimase come
impietrita, si voltò per un istante incontrando il suo sguardo assassino:
rabbrividì, mentre il rumore del legno colpito dai tacchi degli stivali
dell’uomo riecheggiava nella vuota abitazione.
Tac. Tac. Tac.
A ogni colpo percepiva l’ambiente divenire sempre più gelido
e il suo cuore accelerare di uno, due battiti mentre il dolore si faceva largo
nel suo petto; scappò fuori nel giardino della residenza, raggiungendo il
cancello. Ogni cosa appartenente a quel luogo era intrisa di minaccia e lei
doveva abbandonarlo. Il colpo della familiare arma da fuoco e il metallo gelido
della recinzione vibrò violentemente sotto le sue mani: un primo proiettile era
stato sparato. Il primo di tanti. Il dolore si diffuse nella sua mano dal punto
sfiorato dal bossolo e da lì raggiunse il suo cuore straziato: no. Non sarebbe
dovuto accadere tutto quello.
Tac. Tac. Tac.
Il rumore sottile dei tacchi portava con sé minaccia, ma
anche la sofferenza di un atto che non doveva essere compiuto. Il peggiore tra
tutti. Di nuovo un brivido di paura le percorse la schiena.
Tac. Tac. Tac.
Morse il labbro ricacciando indietro le lacrime, aprì il
cancello, sapeva che era sbagliato, che non sarebbe dovuta scappare, ma come si
sarebbe dovuta spiegare su tutto l’accaduto; lui non avrebbe compreso, non in
quello stato. Una lacrima, come la più tremenda delle falci, solcò la sua
guancia. Con forza ricacciò indietro le altre, percorse pochi metri oltre la
recinzione ma un secondo proiettile fu sparato di fronte ai suoi piedi
avvertendola di non proseguire oltre; alzò lo sguardo voltandosi e
affrontandolo, mossa dalla vana speranza che non fuggendo avrebbe chiarito.
-Uno – ringhiò l’aggressore.
L’uomo si immobilizzò a pochi metri di distanza da lei, non
si espresse, il suo odio era più esaustivo di qualunque parola, adombrava il
suo occhio scarlatto così come il lume della poca ragione rimastagli;
squadrandolo sapeva che dietro quello sguardo si celava un’infinità di stati
contrastanti, poteva solo immaginare i lineamenti del suo viso contratti dalla
frustrazione, dalla rabbia: motivi per cui non avrebbe mai potuto comprendere
in quello stato e questo bastò a dare un pretesto alle sue lacrime di tornare
con forza, inumidendole gli occhi.
Dong: la campana rintoccò una seconda volta.
-Te ne prego… - supplicò lei, vedendolo avanzare.
Il suo aggressore non si scompose minimamente, le sue parole
non lo toccarono affatto e a conferma di ciò fu un ulteriore passo nella sua
direzione; si voltò e tentò di riprendere la sua fuga ma un altro colpo fu
sparato, stavolta le sfiorò la spalla ferendola: un secondo avvertimento.
-Due – sussurrò l’uomo, facendo roteare la pistola
tra le dita, scattando e afferrandola per il collo non appena lei abbassò la
guardia.
In silenzio fu riportata all’interno del giardino,
trascinata per il collo e infine inchiodata al suolo con brutalità; strinse le
dita intorno al suo polso per la mancanza di ossigeno, supplicandolo
silenziosamente di fermarsi.
-Tre – contò, inspirando rumorosamente per poi
sibilare – non avresti dovuto. Perché? –
Le sue parole si mischiarono con il rintocco della terza campana.
Sentì la presa allentarsi, vedendo l’aggressore posare una
mano a terra accanto al suo capo e con l’altra puntarle la pistola alla fronte.
Percependo il freddo metallo dell’arma a contatto con la sua pelle iniziò a
singhiozzare: non c'era più possibilità di rimediare?
-Non mi ripeterò due volte. Parla – ordinò
l’uomo.
-Ti prego, non farlo – supplicò lei, posando
una mano su quella che impugnava la pistola.
Lo vide irrigidirsi, il suo occhio scarlatto si socchiuse:
non era solo lei in quello stato. Quando lo riaprì, colse la rabbia mista al
profondo dolore.
-Non supplicarmi. Sai benissimo che non indulgerei –
ribatté, frustrato.
Allora la donna strinse le dita intorno alle sue che
attendevano sul grilletto: doveva tentare.
-Fallo – disse
lei con gli occhi ricolmi di lacrime.
Fu allora che la campana rintoccò l’ultima e quarta volta.
Le labbra le tremava. Chiuse gli occhi e attese.
Jhin strinse l’impugnatura di Sussurro, morse il labbro
inferiore e strinse i pugni: “spara” ordinò mentalmente a sé stesso “elimina le
tue debolezze”. Cercò di premere con l’indice il grilletto, ma il suo cuore gli
urlava di riporre quell’arma e abbandonarsi al corso degli eventi, lasciando
alle spalle il suo odio; lui doveva porre fine a quella storia, odiava il suo
cuore e i sentimenti che nutriva verso di lei: più si opponeva a loro e più
falliva, maledicendosi ogni volta per averla allontanata quando la desiderava
vicino. Di quel passo sarebbe impazzito, eppure perché, conoscendo la fonte dei
suoi tormenti, e disponendo della possibilità di porvi fine, non riusciva a
ucciderla? Estremamente frustrato la vide chiudere gli occhi, ma non appena
notò le lacrime di lei percorrere le sue guance si sentì morire: lui non
avrebbe voluto mai farle del male. No. Doveva ucciderla. Impugnò con entrambe
le mani Sussurro e premette la pistola sulla fronte di lei. Quando contò mentalmente
fino a quattro, ma subito si rese conto che non poteva ucciderla: lui ne era
innamorato, e per quanto odiasse quel sentimento unito all’idea del legame tra
lei e Shen, non poteva sfuggire a quella realtà. Preso dalla frustrazione e
dalla rabbia, sollevò Sussurro e la ripose per poi sbattere i pugni a terra,
vicino al capo di lei.
-Perché! – urlò il pistolero, furioso con sé stesso.
Vide Selene aprire gli occhi ricolmi di lacrime e li
inchiodò su di lui: morse il suo labbro per trattenere la tristezza che i
ricordi di quattro anni prima stavano portando con sé. Lui non era in grado di
ripetere quell’omicidio, desiderava con tutto sé stesso poterla avere accanto
ma allo stesso tempo aveva paura dei suoi sentimenti, di poterla mandare in
frantumi. Si chinò su di lei, nascondendo il viso tra il collo di Selene e il
suolo.
-Ti odio… cosa mi stai facendo, Selene?! Perché mi è
così difficile starti lontano, dimmi perché?! Perché mi è impossibile costruire
dei muri e rendere inevitabile il fatto che io mi innamori anche di essi?!
Dimmelo! Odio tutto questo, perché! Tu mi fai paura e allo stesso tempo mi
salvi dai miei demoni, lo fai con una semplicità che mi spiazza… con una serenità
che non mi appartiene ma che io desidero così tanto. Non riesco a ucciderti, io
non potrei mai; questo l’ho sempre saputo e mi ha sempre spaventato – disse
Jhin, con voce rauca, mentre il dolore aveva iniziato a spandersi dal suo cuore
in tutto il corpo nel momento in cui aveva deciso di abbandonarsi alla miriade
di ricordi e alla sofferenza che questi portavano con sé; una lacrima di
frustrazione e dolore percorse il suo viso, solcandone le guance – dimmi cosa
mi stai facendo? Dimmi perché insisti a stare accanto a un mostro come me? -
In silenzio e con gli occhi ancora inumiditi dal pianto,
Selene avvolse timorosamente le spalle di Jhin; posò le dita sulla schiena di
lui e quando vide che l’altro non opponeva resistenza, la avvolse interamente
con le sue braccia. Lasciò scivolare una mano dietro il capo di lui, attendendo
che la sua rabbia scemasse via una volta per tutte. Quando il fazzoletto
bagnato dell’uomo sfiorò il suo collo, si rese conto che per la prima volta un
uomo come Jhin stava piangendo; comprese perciò che il suo dolore era più
profondo di quanto pensasse e affrontarlo non sarebbe stato affatto facile.
-Io non intendevo tradire la tua fiducia
Jhin, ma non potevo non rispettare il volere di Shen. Perdonami. Io vorrei
poterti aiutare, desidero con tutta me stessa salvarti; io mi sono…- disse Selene,
confessando ormai quei sentimenti che non poteva più nascondere.
-No. Non dirlo! Ti prego, tu non sai chi
sono, e appena scopriresti il mio passato e il mio vero volto fuggiresti.
Questo mi manderebbe in frantumi – sussurrò Jhin, in verità il suo cuore
desiderava ascoltare quelle parole che lui stesso avrebbe voluto pronunciare
così tanto.
-Io mi sono innamorata di te, Jhin. Non
riuscirei mai a sfuggire da te, pur volendo non potrei mai – confessò Selene,
sentendo le mani dell’altro passare una sotto il suo capo e una dietro la sua
schiena, avvolgendola in un timido abbraccio – scusami, non avrei mai potuto
immaginare di poterti recare tanto dolore… ho provato a non innamorarmi di te,
eppure… -
-Non ci sono riuscito… - dichiarò Jhin
concludendo la sua frase; ormai era mosso più dal suo cuore che dalla sua
mente: niente aveva più importanza ormai, se non lui e lei.
A quelle parole Selene sussultò e vide l’altro sollevarsi
sulle sue mani, e inchiodare lo sguardo nel suo. Il suo cuore aveva iniziato a
battere freneticamente quando la luce, incontrando la lente dei suoi occhiali,
aveva rivelato il suo occhio scarlatto intento ad osservarla famelicamente;
quello sarebbe stato il loro punto di non ritorno, ma sebbene questo
costituisse un pericolo per entrambi, a Selene andava bene.
-Sai cosa comporterà vero? I sospetti,
l’odio di ieri, sono solo il primo granello di una tempesta che si solleverà,
quando tutto questo verrà allo scoperto – osservò Jhin, ormai era sempre più
convinto di non poter rifiutare quei sentimenti che calorosamente avvolgevano
la sua anima. cambiandola – a quel punto, io e te che siamo un ingranaggio
impazzito, verremo separati e su di me riversate le colpe e quindi ucciso –
-So tutto questo, sono consapevole dei
rischi che corriamo; la posta in gioco è alta, ma io non voglio rinunciare–
dichiarò Selene, abbassando lo sguardo a terra prima che il suo mento venisse
sollevato verso l’alto.
-Sei disposta ad accettarlo? – chiese l’altro,
non negando che le parole di lei avevano riscaldato il suo cuore con la loro ormai
familiare delicatezza – ad accettare l’uomo che io sono? Per me non c’è
salvezza Selene… -
-Si, lo accetto – disse Selene sorridendo
dolcemente, posando una mano sul fazzoletto sul viso di lui.
Per un istante Jhin si beò di quegli occhi ghiaccio la cui
tonalità aveva assunto una nota più chiara; non poté più resistere a quei sentimenti
che erano divenuti insistenti come l’invisibile legame tra loro divenuto più
che solido. Tuttavia ancora non era pronto a mostrare per interezza il suo
viso, per paura di essere allontanato; così con delicatezza le coprì gli occhi
e spostò il fazzoletto che copriva il suo viso. Lentamente si chinò sulle
labbra di lei: per quanto tempo aveva atteso quel contatto, nei giorni
precedenti non aveva fatto altro che rifletterci sopra; istintivamente la vide
portare una mano al suo viso e carezzare la sua pelle con le dita. Con dolcezza
lasciò cullarsi da quel gesto, posandovi interamente la guancia; poi gliela
scostò immobilizzandola a terra, e posò le labbra su quelle di lei. Le lambì
con estrema gentilezza, come se lei fosse qualcosa che sarebbe potuto andare in
frantumi da un momento all’altro; lasciò che lei corresse nuovamente al suo
viso con le dita lasciandosi di nuovo cullare dalle sue carezze, finalmente
aveva ritrovato la pace che gli era mancata da anni e il suo cuore gelido e ferito
si stava risanando piano piano. Su quel bacio sigillò la sua promessa: i
fantasmi e l’odio del Consiglio non avrebbero allungato i loro artigli su di
lei e su di loro, e insieme ad essa si marchiò nel loro cuore il simbolo di un
divieto infranto che avrebbe li avrebbe perseguitati, qualora si fossero mai
esposti.
Quando Jhin si separò da lei, sistemò il suo fazzoletto e le
tolse la mano dagli occhi, sorrise sotto la maschera della sua espressione
imbarazzata e si mise in piedi, porgendole la mano per rimettersi in piedi che
lei afferrò esitante; quando la sottile mano di lei sfiorò la sua, la strinse
calorosamente e con sorpresa di entrambi si inginocchiò di fronte a lei. Per la
prima volta dopo anni, Jhin si sentì estremamente esposto e, avvolto dalle
pozze ghiaccio di lei, protetto; la sua corazza di ghiaccio andò di nuovo in
frantumi ma stavolta non sentì alcun dolore, anzi uno strano coraggio si stava
facendo largo in lui allontanando sempre più la paura che nei giorni precedenti
aveva preso possesso delle sue membra. Notò l’espressione interrogativa di
Selene cercare di comprendere le sue intenzioni, senza riuscirci.
-Insegnami ad amare, angelo – disse Jhin, chinando il
capo: solo a lei sarebbe stato possibile vedere quel suo lato umano – la mia
anima e il mio cuore sono stati divorati dall’odio in tutti questi anni, perciò
questa è la mia richiesta, la accetterai? –
Il Demone d’Oro vide Selene sorridere, le sue labbra si
piegarono assumendo quell’espressione serena che lui non aveva più avuto da
quattro anni e si rese conto della effettiva bellezza del suo viso. La vide
annuire e poi venire travolto dalla sua figura, che gli gettò le braccia al
collo; sorpreso da quel gesto inaspettato, avvolse esitante la sua schiena e
affondò il viso nei suoi capelli, inspirando a pieni polmoni il suo profumo.
-Si che accetto – disse Selene, percependo un brivido
percorrere la sua schiena quando le mani di lui carezzarono i suoi fianchi.
Quell’abbraccio durò a lungo, finché quando in lontananza
sentirono le voci di Hadmon e Ana entrambi non decisero di separarsi, valutando
che sarebbe stato opportuno attenderli in casa, fingendo che niente era
accaduto. Varcata la soglia della porta e raggiunto il salone, Jhin si sdraiò
sul divano mentre Selene percorse con gli occhi i libri disposti ordinatamente
nella libreria che copriva i muri della sala. La maggior parte di essi era di
letteratura classica e fu allora che si rese conto che sicuramente
appartenevano a Jhin.
Presto Hadmon e Ana si presentarono sulla soglia di casa e
li salutarono entrambi, non dopo essere rimasti sorpresi della presenza di Jhin
sul divano. Ancor più sconcertato fu Hadmon, sicuro che il pistolero avrebbe
reagito violentemente alla sua presenza dopo la rivelazione di ieri; ciò che lo
lasciava ancor più perplesso era l’espressione rilassata di Selene intenta a
leggere in piedi un libro di letteratura classica.
-Ok, c’è qualcosa che non va qui– osservò Hadmon,
mentre Ana andava a posare le buste con la spesa in cucina per poi tornare da
loro e sedersi in salone.
Il dragone notò Jhin sollevare a malapena il cappello per
rivolgergli un’occhiata veloce; Selene lo guardò con espressione interrogativa,
cosa stava succedendo?
-Perché sei così tranquillo? Credevo ci
avresti aggredito dopo quanto accaduto ieri, non avrei mai immaginato di
trovarti così rilassato – disse Hadmon verso Jhin.
-Di che stai parlando? – domandò Jhin,
sollevando il cappello, accavallando le gambe e incrociando le braccia.
-Avrei giurato che ci avresti puntato una pistola
alla fronte come ieri con Shen – osservò il Guardiano.
Agilmente Jhin si tirò su a sedere, afferrò Hadmon per il
collo e lo inchiodò con le spalle al muro per poi sfoderare e puntare Sussurro
alla sua fronte; l’espressione sorpresa e preoccupata del Guardiano suscitò in
lui una profonda risata.
-Se insisti posso anche premere il grilletto
– scherzò Jhin, rinfoderando Sussurro – ancora devo vendicarmi del colpo basso
che mi hai inferto ieri –
-Mi dispiace, vorremo spiegarti tutto, non
volevamo ingannarti – spiegò Hadmon ricomponendosi: era rimasto turbato da quel
suo scatto, non negando che quella sua reazione lo avesse colto alla
sprovvista.
-Selene mi ha già fornito tutte le
spiegazioni. Nonostante non possa accettare l’idea che mi sia stata nascosta
una cosa del genere, devo pur ammettere che non avreste potuto fare altrimenti
– osservò il pistolero sedendosi sul divano.
A quelle parole, Hadmon si tranquillizzò e trasse un sospiro
di sollievo, l’ultima delle cose che avrebbe voluto era inimicarsi anche Jhin
dopo le tensioni che si erano venute a creare il giorno prima col Consiglio.
Apprezzò la comprensione dell’altro e rivolse di soppiatto un’occhiata a
Selene, ringraziandola silenziosamente per lo sforzo di avergli spiegato la
situazione, sebbene non sapesse cosa effettivamente fosse accaduto la mattina
stessa. Quella mattina, Hadmon aveva incontrato Hanzai in paese e aveva chiesto
di ricevere privatamente lui e Selene il giorno successivo per discutere degli
avvenimenti in Consiglio; inoltre ancora doveva consegnare la missiva a Selene
proveniente dall’isola dei Guardiani, avrebbe dovuto prenderla in disparte
eppure ancora non aveva il coraggio di compiere quel gesto. Si ritrovò a
fissare il cielo scuro portatore di pioggia fuori dalle finestre del salotto, e
decise infine che le avrebbe consegnato la missiva seduta stante, senza esitare.
Timorosamente chiamò la compagna e insieme a lei si voltò anche Jhin il quale
intuì le sue intenzioni; le chiese di uscire fuori con lui, dovendogli parlare
di alcune notizie riguardanti l’Isola dei Guardiani. Tutti e tre notarono il
cambio di espressione di Selene, la quale abbandonò la serenità dei minuti
precedenti e divenne più seria, seguendolo in giardino. Ana fece per seguirla,
ma Jhin sollevò una mano nella sua direzione scuotendo il capo.
In silenzio Selene seguì Hadmon fuori dall’abitazione,
l’espressione tesa dell’amico la fece preoccupare particolarmente eppure non
decise di fare domande e attendere una sua mossa; mentre si dirigevano al
centro del giardino, volse lo sguardo al cielo e una piccola goccia d’acqua
bagnò la sua guancia: stava iniziando a piovere. Improvvisamente Hadmon si
fermò e si voltò verso di lei; ciò che più la turbò fu la sua espressione
addolorata e lo sguardo abbassato sulla missiva.
-Mi dispiace, Selene –
A quelle parole, Selene sentì la preoccupazione crescere e
velocemente afferrò la busta, estrasse la lettera e percorse freneticamente le
righe con gli occhi, leggendole. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime quando
lesse che l’ordine di Zwey aveva dato il via a una congiura con l’unico scopo
di uccidere suo padre e prendere il potere; nel tentativo di tenere sotto
controllo l’ordine i monaci avevano abbandonato il Re il quale era stato ferito
a morte. “Sono addolorato dall’idea di doverti comunicare la morte di tuo
padre, Selene, abbiamo fatto il possibile per salvarlo ma la ferita era troppo
profonda per essere curata in tempo. Per quanto possa essere di magra
consolazione, siamo riusciti ad allontanare l’ordine, sebbene le loro azioni
siano imperdonabili, il potere non è caduto nelle loro mani; non escludo la
possibilità che abbiano inviato dei sicari a Ionia per ucciderti o che lo
stesso Zwey si stia recando da te. “
Selene cadde in ginocchio, lasciando che la lettera precipitasse
a terra; fu un istante e poi scoppiò in lacrime, sbattendo un pugno a terra e ripiegandosi
su sé stessa. Un gemito di dolore lasciò le sue labbra e si diffuse nell’aria,
come era potuto accadere? A quel pensiero il suo pianto si fece più rumoroso e
un suo urlo tranciò l’aria, sentendo il cuore andare in frantumi al pensiero di
non essere stata presente per difendere suo padre. Tutto per il suo stupido
Demone, tutto per cercare i segreti del suo potere. Sentì le gocce di acqua
della pioggia mischiarsi con le sue lacrime e Hadmon abbracciarla calorosamente;
tuttavia nessun calore poteva raggiungere il suo cuore e la sua anima.
Sotto la pioggia scrosciante, Selene rivolse lo sguardo al
cielo nero e pianse a dirotto; Hadmon, affranto, aveva intuito la sua richiesta
e l’aveva lasciata sola con sé stessa. Incurante della gelida acqua che si
infrangeva sul suo corpo rendendo le membra di lei ghiacciate, Selene non
riusciva a bloccare il dolore e il senso di solitudine che si faceva lentamente
largo in lei; non riusciva, e mai lo avrebbe fatto, a perdonarsi l’idea di non
aver potuto far nulla per la morte di suo padre e ogni qualvolta formulava quel
pensiero le lacrime riprendevano a solcare le sue guance e i suoi gemiti si
levavano nell’aria, tranciando il silenzio tombale calato sull’abitazione. Di
fronte a lei, la lettera del suo maestro si era ormai bagnata, e l’inchiostro
era lentamente sbiadito, finché la carta non si era rovinata sotto l’acqua.
Pianse finché non ebbe più lacrime da versare; sentì alle sue spalle qualcuno
avvicinarsi con passo felpato, si voltò scorgendo la figura di Ana con un
ombrello in mano, che si inginocchiò su di lei avvolgendola in un abbraccio e invitandola
ad entrare e a tranquillizzarsi.
-No…- disse Selene, mentre le labbra e il
suo corpo avevano preso a tremare, riprendendo a piangere.
-Forza Selene, vieni dentro, se resterai
fuori ti ammalerai…- disse Ana, dispiaciuta di vedere l’amica in quelle
condizioni e addolorata per la sua perdita.
Di fronte ai ripetuti no della Guardiana, Ana abbattuta,
aveva deciso di rientrare; sulla soglia della porta Hadmon e Jhin attendevano
un suo responso. Lei scosse il capo, dispiaciuta di non essere riuscita a
portarla dentro casa; Hadmon sospirò bruscamente, morse il suo labbro e strinse
in pugni, era furioso per quanto accaduto e poteva solo immaginare la
disperazione della compagna e la sua frustrazione per non essere potuta
intervenire. Quando sarebbero tornati sull’isola avrebbero cercato l’ordine di
Zwey e l’avrebbero banditi per sempre, dato che ormai Selene era divenuta
ufficialmente la successiva erede al trono; tuttavia ora ad ostacolarli ci
sarebbero stati i sicari di Zwey e temeva una possibile reazione spropositata
di Selene alla loro vista. Accanto a sé Hadmon, vide Jhin stringere i pugni,
riusciva a percepire la frustrazione del compagno per non poter intervenire e
aiutarla; posò una mano sulla sua spalla e gli disse che per quel momento loro
non avrebbero potuto fare niente. Dal canto suo Jhin non poté ascoltare quelle
parole, conosceva fin troppo bene ogni singolo sentimento che fluiva attraverso
il corpo e la mente della ragazza e lasciarla a sé stessa, sarebbe stata
l’ultima cosa che lui avrebbe fatto; la solitudine, il dolore avevano divorato
il suo cuore per anni. Le lacrime e lo strazio che lui aveva subito, come sulle
note di un crescendo, avevano raggelato il suo cuore e lo avevano seppellito;
le urla che avevano lasciato le sue labbra quando aveva perso ogni cosa,
avevano stampato col fuoco, nella sua anima, la parola vendetta, lasciando che
la sua vita avesse come unici colori il rosso del sangue e il nero dell’odio.
Sapendo questo, non avrebbe lasciato Selene sotto la pioggia scrosciante,
nonostante lei non volesse nessuno accanto. Non avrebbe mai potuto farlo. Varcò
la soglia della porta, ma subito Hadmon afferrò il suo braccio, per dirgli di
non andare.
-Non mi interessa il suo volere, io non la
abbandonerò a sé stessa. Conosco fin troppo bene la solitudine, il dolore e
l’odio, e non permetterò che lei cada vittima della stessa trappola in cui sono
caduto io –
Detto così, Jhin non prese nessun ombrello e lasciò che la
pioggia bagnasse le sue membra, catapultandolo indietro di quattro anni al
momento in cui lui, come lei, era inginocchiato sotto la pioggia urlando. Vide
Selene ripiegata su sé stessa, con il viso nascosto tra le mani, si inginocchiò
di fronte a lei e notò la lettera ormai rovinata e sciolta dall’acqua piovana.
Selene gli disse di andare via, di voler rimanere sola di non aver bisogno
dell’aiuto di nessuno; fu a quel punto che Jhin le scostò le mani dal viso,
come la mattina alla locanda che l’aveva trovata nelle stesse condizioni. La
donna si sollevò, rivelando i suoi occhi arrossati dal pianto e le labbra divenute
violacee per via del freddo, e prima che potesse urlargli contro incitandolo ad
andar via, lui la avvolse tra le braccia, stringendola a sé; Selene provò ad
allontanarlo, ma più lei faceva forza, e più lui aumentava la presa.
-Io non ti abbandonerò Selene, per quanto tu voglia
allontanarmi io resterò qui, finché non sceglierai di rientrare con me.
Lasciati andare, angelo – disse Jhin.
Alle sue parole, Selene nascose il viso nella sua spalla e
iniziò a piangere fragorosamente, aggrappandosi alla sua camicia per paura di
crollare.
-Me lo hanno portato via, Jhin e io… io non
ho potuto fare niente per salvarlo – gemette Selene, mentre le labbra le
tremavano e furiose lacrime percorrevano le sue guance mischiandosi con la
pioggia – io non ho potuto fare niente, niente. Neanche potergli stare accanto
prima di morire... sono imperdonabile, io non potrò mai perdonarmelo, Jhin –
-Non è stata colpa tua, angelo, tu non hai
nessuna colpa. Non avresti potuto fare altrimenti… tu non hai colpe – sussurrò
il pistolero, sentendo la presa dell’altra divenire meno forte: stava perdendo
coscienza, dopo aver consumato energie sotto la pioggia gelida.
Prima che Selene cadesse sul suolo, Jhin passò le braccia
sotto le sue e la attirò a sé; sulla soglia della porta vide Hadmon avvicinarsi
insieme ad Ana sotto un ombrello. Prese in braccio il corpo inerme di Selene,
avvicinando il suo capo al suo torace e si incamminò nella direzione dei
compagni; settimane prima, nella Landa aveva trattenuto Selene tra le braccia e
aveva giurato che l’avrebbe distrutta, ora in quel momento aveva infranto quel
giuramento definitivamente, perché avrebbe raccolto i suoi pezzi, e come lei
aveva fatto con lui, l’avrebbe sostenuta. Di fronte a lui Hadmon si fermò e
rivolse a Selene uno sguardo affranto, dispiaciuto per non essere riuscito a
far nulla per l’amica.
-Mi dispiace Jhin, io non sono riuscito a
fare niente per lei, perciò ti sono infinitamente grato- disse il dragone,
prendendo tra le braccia il corpo della ragazza.
-So bene quello che lei sta vivendo, non
lascerò che il mio passato si ripeta e abbia lei come protagonista. Ho troppo a
cuore la sua vita…- spiegò Jhin, sorridendo affettuosamente sotto la sua
maschera e carezzando il viso di lei, per poi incamminarsi verso la sua stanza
per cambiarsi.
A quelle parole Hadmon, comprese che tra i due fosse nato
qualcosa di estremamente profondo e che entrambi avevano smesso di negare;
studiò le spalle del pistolero, non sapeva se avrebbe fatto del male a Selene
questo lo avrebbe valutato col tempo, tuttavia poté essere certo che quel
pomeriggio Jhin li aveva aiutati di nuovo salvando Selene da sé stessa, e di
quello gli sarebbe stato infinitamente grato per il resto dei suoi giorni.
Volse il suo sguardo a Selene, l’avrebbe sostenuta, qualsiasi cosa avrebbe
fatto Zwey e i suoi scagnozzi, i loro artigli non sarebbero giunti su di lei.
Con quel pensiero rientrò in casa insieme ad Ana, la quale disse che dovevano
farle recuperare tutto il calore e le energie spese sotto la pioggia. Insieme
entrarono nel bagno al secondo piano, Ana le sfilò l’armatura dal corpo
lasciandola in intimo; quando la domestica si accorse della presenza di Hadmon
che era lì ad aiutarla, gli disse di uscire fuori, subito l’altro arrossì per
la svista e scappò fuori con l’armatura della ragazza che stese su uno stendino
al primo piano, dopo di che iniziò a preparare degli infusi di erbe per far
recuperare le forze a tutti.
///
Quando Selene riaprì gli occhi, comprese di trovarsi nel suo
letto avvolta da una coperta che ora scaldava le sue membra infreddolite.
Abbassò lo sguardo e vide la figura di Hadmon seduta a bordo letto, in attesa
di lei che riprendesse coscienza; la morsa letale di solitudine riafferrò il
suo cuore, Hadmon intuì subito il suo stato e si sdraiò con lei nel letto,
rimanendo fuori dalle coperte. Volse lo sguardo fuori dalla finestra e si
accorse che si era fatta sera; improvvisamente il suo stomaco iniziò a
brontolare e l’amico sorrise, afferrando qualcosa dal comodino che rivelò
essere dei dolci.
-Hai dormito parecchio…- spiegò Hadmon, vedendo la
compagna mangiare velocemente i biscotti.
Selene non fu in grado di parlare, era ancora scossa dalla
notizia e addolorata dalla perdita di suo padre; non aveva più lacrime da
versare, il pianto del pomeriggio aveva consumato ogni sua energia lasciando
che il suo dolore sfociasse nella completa apatia. Hadmon accanto a lei le
porse una bevanda per recuperare le energie e lei la bevette con molta calma.
-Non immagini quanto mi addolora la notizia di tuo
padre, ma Selene devi reagire al più presto, tu devi andare avanti e non cadere
in un turbine da cui rischieresti di non uscire – disse Hadmon, vedendo la
ragazza abbassare lo sguardo.
Nuovamente Hadmon vide la compagna rimanere in silenzio, fu
allora che decise di cambiare argomento e dirle che aveva avuto modo di
contattare il suo maestro qualche giorno prima, il quale aveva chiesto di lei;
aveva colto l’occasione di ricordare alcuni piacevoli avvenimenti di loro due,
con il monaco e di tutti i guai che aveva avuto con Hadmon, ricordando il
giorno in cui lui con la sua coda aveva mandato in frantumi la piccola casetta
dell’uomo il quale li aveva poi costretti a costruirla da capo con la magia. A
quel racconto Selene abbozzò un sorriso e Hadmon decise di proseguire nei suoi
ricordi, fu a quel punto che agitò una mano e con un incantesimo proiettò sul
tetto l’immagine del giorno in cui avevano stipulato il loro patto nella
foresta di Thillian.
-Ti avrei mangiata quella notte, se non
fosse stato per la tua audacia... avevo capito subito che mi avresti dato un
sacco di guai- scherzò Hadmon, sorridendo – ricordi il giorno in cui mi
presentasti al tuo maestro? –
-Era scioccato… - disse Selene a bassa voce,
sorridendo a sua volta.
-Non siamo mai andati d’accordo, era convinto
che non sarei mai riuscito a entrare in sincronia con te. Era sempre lì che borbottava
facendomi l’interrogatorio su cosa ti insegnassi; il giorno in cui gli ho
parlato mi ha riempito di domande – disse Hadmon, suscitando una risatina
dell’altra, quello bastò a rincuorarlo – “stai proteggendo Selene vero? Non è
che me la riporti indietro a pezzettini?” Una mitragliatrice di parole…-
-Forse non ti rivolgerebbe la parola
neanche se fossi l’ultimo uomo sulla terra – osservò Selene: la morsa di dolore
e solitudine si era alleviata appena appena.
-Oh sì invece, lo farebbe per tempestarmi di
domande –
Entrambi risero di quell’osservazione, Selene posò il capo
sulla spalla di Hadmon, sentendosi lievemente rincuorata, quel che bastò per
farla tranquillizzare in quel momento. Hadmon la guardò e le carezzò il capo
affettuosamente, piegando le labbra in un sorriso lasciante trapelare tutta
l’attenzione che le stava rivolgendo; si sentì più che contento all’idea che la
compagna si sentisse un po’ meno sola in quel momento.
Restarono sdraiati a ricordare avvenimenti passati, finché
non fu l’ora di cena; nonostante Hadmon e Ana la incitarono a mangiare, Selene
non toccò cibo scusandosi con loro e dicendo che non aveva appetito. Inevitabilmente
la mente della Guardiana corse a suo padre e il suo stomaco si contrasse in una
morsa che le impedì di cenare; si scuso con entrambi abbandonando il tavolo e
dirigendosi verso il giardino della casa, aveva bisogno disperatamente di una
boccata d’aria per impedire che i sensi di colpa e la disperazione la
intrappolassero in un lungo pianto. Rimase fuori finché non fu completamente
buio e fu costretta a rientrare a causa della stanchezza e del freddo; era
circa mezzanotte quando salì le scale e incontrò Hadmon il quale le chiese se
si sentiva un po’ meglio, a quella domanda lei aveva annuito debolmente e poi
era andata a dormire. Osservando il cielo stellato fuori dalla finestra della
sua stanza, Selene riuscì a trovare pace dai suoi pensieri e si addormentò, non
dopo che una lacrima ebbe percorso le sue guance.
///
Nel cuore della notte, Selene si svegliò di soprassalto
ansimando disperatamente; di nuovo uno dei suoi incubi era tornata a
tormentarla, ricordandole che Thanatòs ancora bramava il suo cuore. Non appena
si tranquillizzò Selene, decise di scendere dal letto e andare in soggiorno a
mangiare qualcosa, dato che il suo stomaco non smetteva di brontolare.
Prestando attenzione a non far rumore, aprì la porta della sua stanza e
controllò che nessuno fosse in giro, così scese le scale e si diresse in cucina
dove mangiò alcuni biscotti; quando fu sazia, decise di recarsi sul piccolo
balcone situato sul retro della casa e affacciante su un lago. Con sorpresa
scorse la figura di Jhin seduto su una sdraio a contemplare il cielo, mentre
tra le mani tratteneva la sua maschera e non indossava alcun passamontagna;
tuttavia Selene non poté scorgere nessun particolare dei suoi capelli o del suo
viso a causa della luce lunare, che proiettata sul suo viso, lasciava in ombra
la parte restante del suo corpo. A passo felpato si avvicinò a lui, ma non
appena percorse qualche metro, Jhin si accorse di lei e indossò passamontagna e
maschera attendendo che lei lo raggiungesse.
Una volta accanto a lui, Selene si sedette su una sdraio, e
iniziò ad osservare il cielo stellato, prima che venisse presa di soprassalto
dai suoi pensieri. Mentre osservava il candido voltò lunare, sentì gli occhi
riempirsi di lacrime, che cercò subito di ricacciare indietro nel tentativo di
mantenere la calma.
-Non riesci a dormire? - chiese Jhin,
posando il suo unico occhio su di lei; la vide asciugarsi gli occhi e poi
scuotere il capo.
-Tu? – domandò esitante lei.
-Ho smesso di avere notti tranquilli da
quattro anni, perciò no, non riesco a riposare – osservò Jhin, mettendosi a
sedere e porgendole una mano – vieni qui –
Silenziosamente Selene prese la sua mano e lui l’attirò
sulle sue game, avvolgendola tra le braccia; lei chiuse gli occhi e si lasciò
cullare dal ritmo pacato del suo cuore, che scacciò via i suoi sensi di colpa e
le sue preoccupazioni.
-C’è un incubo che mi perseguita, i miei
fantasmi mi danno la caccia ogni notte e puntualmente mi sveglio di
soprassalto…- osservò Jhin, carezzando le ciocche argentee di lei.
- Come fai a viverci insieme? – chiese
Selene, volgendo gli occhi al cielo stellato.
-Smetto di pensare, angelo – sussurrò Jhin,
sollevandole il viso e chinandosi su di lei – quando non posso sfuggirgli, li
affronto –
Selene sentì il cuore accelerare quando il suo occhio
scarlatto scrutò i suoi, e in quell’istante fu certa che Jhin stesse scrutando
la sua anima; per quella sera avrebbe provato a non pensare come lui stesso gli
aveva suggerito, così portò le dita sulla maschera di lui percorrendo con gli
indici le decorazioni e il sorriso sinistro del suo volto. Era curiosa di
sapere cosa si nascondeva sotto il suo passamontagna, di conoscere di più
dell’uomo che aveva davanti.
Improvvisamente Jhin la prese in braccio, e lei sussultò
portando istintivamente le mani al suo collo. Mentre silenziosamente Jhin
saliva le scale, portandola al secondo piano, Selene posò il capo sotto il
mento di lui, piacevolmente cullata dai suoi respiri e dai suoi battiti
regolari; il pistolero era molto più alto di lei, e osservare ogni cosa dalla
sua prospettiva le faceva riscoprire particolari nuovi di un mondo già studiato
da altre prospettive.
-Dove mi stai portando? – chiese a bassa voce Selene,
quando la mise giù di fronte l’entrata della camera da letto di lui.
Senza rispondere lui la fece entrare e richiuse la porta
alle loro spalle; la stanza era illuminata dai candidi raggi lunari i quali
proiettavano la loro luce sul letto matrimoniale. Selene vide l’altro chiudere
le tende, lasciando che venissero entrambi avvolti dal buio della notte,
successivamente lo sentì posare la sua maschera e il suo passamontagna,
privarsi degli alti stivali e poi attirarla sul letto insieme a lui; Selene
sentì il cuore battere freneticamente quando si trovò con il viso a pochi
millimetri dal suo.
-Jhin, cosa hai…- chiese Selene, sentendo
l’altro sorridere sulle sue labbra.
-Farti smettere di pensare angelo – sussurrò
Jhin, prima di dare un dolce bacio e poi avvolgerla tra le sue braccia.
Selene portò le mani sul suo viso, le permise per qualche
istante di percorrere le sue labbra seguendo le linee di una cicatrice profonda
che percorreva il labbro superiore sinistro giungendo fino all’occhio sinistro
dell’uomo, ora chiuso. Sentì Jhin sospirare profondamente quando lei scorse
un’ulteriore cicatrice sul suo zigomo destro; carezzò i suoi capelli e mentre
compiva ogni singolo gesto, provò a immaginare come potesse essere il suo
volto: la piega delle labbra, il naso, il taglio degli occhi, il colore dei
suoi capelli…
-Vorrei poter vedere il tuo viso, Jhin –
sussurrò Selene, scorrendo l’indice sinistro sul suo naso e poi sulle sue
labbra, fino ad arrivare al suo collo ove le sembrò di scorgere ulteriori
cicatrici.
-Non sai cosa mi chiedi, Angelo…- disse
Jhin, bloccandole le mani e posando la fronte sulla sua – sotto la mia
maschera, si nasconde rabbia, odio, disprezzo, frustrazione di anni passati in
solitudine e io non voglio che tu possa allontanarti dopo aver conosciuto ogni
singolo lato di me stesso e visto il mio volto -
-Aspetterò Jhin, e quando sarai pronto io
sarò qui ad aspettarti. Non potrei allontanarmi – osservò Selene, sentendo
l’altro abbozzare un dolce sorriso.
Estremamente sorpreso da quelle parole Jhin sentì di essere
più al sicuro e di non aver compiuto alcun errore nel mostrare un’altra piccola
parte di sé, nonostante questo gli costasse molto. Avvolse Selene tra le sue
braccia, come fosse qualcosa di estremamente prezioso che sarebbe potuto andare
in frantumi di lì a pochi istanti; le carezzò i capelli e lei si strinse contro
il suo torace e lui si sentì più completo.
-Grazie angelo…Ora voglio che tu smetta di pensare
insieme a me, questa notte nessun fantasma allungherà gli artigli su me o te –
sussurrò Jhin, sentendo l’altra rilassarsi e lasciarsi avvolgere dal sonno.
Qualche istante dopo anche lui cadde tra le braccia di
Morfeo, ma a differenza delle precedenti notti insonni, fredde e solitarie,
sentì la sua anima gelida e il suo cuore lacerato, risanati dall’estremo calore
di quell’abbraccio; per la prima volta dopo anni poté trovare pace e prendere
sonno in tranquillità. Così avvolto da quell’insolito affetto che per tanti
anni era stata una parola aliena per Khada Jhin, lui si addormentò: smettendo
di pensare insieme a lei.
Per un istante. Per una notte…
Piccolo angolino dell’autrice: Ciao a tutti! Mi scuso per il
grande ritardo con cui ho pubblicato questi ultimi capitoli, purtroppo a causa
dei mille mila impegni non ho avuto molto tempo da dedicare alla fanfiction;
tuttavia sto riprendendo a scrivere e farò il possibile per essere puntuale
nelle pubblicazioni, perlomeno non aggiornando i capitoli troppo tardi. Vorrei
ringraziare chiunque stia seguendo la mia storia, sono molto contenta di vedere
che la state seguendo TT-TT . Vi lascio con questo capitolo un po’ troppo
arcobaleno e pony e spero possa piacervi. Detto questo, buonanotte! :D
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Capitolo 12 *** Truth ***
11.CAP10
“Voi conoscerete la verità,
e la verità vi renderà folli.”
(Aldous Huxley)
Assorto nei suoi pensieri, Klein osservava distrattamente il
paesaggio verdeggiante di Ionia sfrecciare davanti ai suoi occhi; il giorno
prima era partito da Tuula insieme a Shen e Hanzai, con destinazione la sede
segreta dell’alto Consiglio di Ionia, ove avrebbe riferito presto il resoconto
della riunione precedente; tuttavia Hanzai si era separato da loro, poco dopo
che i Guardiani li avevano lasciati soli, dichiarando che avrebbe dovuto
occuparsi di alcune questioni e sarebbe partito con un giorno di ritardo.
Sapeva che qualcosa gli stava sfuggendo dalle mani, così come era accaduto
quattro anni prima, eppure non riusciva ad identificare l’ingranaggio impazzito
che avrebbe rischiato di rovinare quell’equilibrio che lui e Roak stavano
cercando di mantenere durante la guerra. Improvvisamente il flusso dei suoi
pensieri fu interrotto dalla fermata brusca della carrozza; estremamente
infastidito e convinto che ad interrompere il suo viaggio fosse stato un futile
motivo, scese dalla carrozza seguito da Shen per andare a parlare con il
conducente. Si accorse che intorno alla carrozza si era creata una strana
foschia oscura e si era levato un insolito vento gelido; Klein rabbrividì
quando scorse il cocchiere chino su sé stesso, come fosse svenuto e i cavalli e
Shen trovarsi nello stesso stato dell’uomo.
Di fronte ai suoi occhi, dalla foschia oscura prese forma un
uomo incappucciato; spaventato e percepita la minaccia, Klein fece per scappare
ma il suo corpo non rispose ai suoi ordini e fu costretto a vedere la figura
avvicinarsi e allungare una mano artigliata sulla sua spalla.
-Non abbia così fretta, mio caro Klein… –
La voce dell’uomo era profonda e rauca, al punto che ogni
parola sembrava fendere l’aria circostante; sotto il cappuccio Klein scorse due
occhi scarlatti, spietati e emananti una insaziabile sete di sangue, le labbra
dell’individuo erano curvate verso l’alto e nel momento in cui aveva parlato,
avevano rivelato due lunghi incisivi affilati come quelli di un demone. Klein
riuscì a intravedere una lunga treccia di capelli sotto il cappuccio e alcune
ciocche nere come gli abissi ricadere sul viso dello sconosciuto; tuttavia un
particolare che lo sorprese fu il suo mantello, aveva la stessa forma e gli
stessi intarsi di quello dei due Guardiani, ma di colore nero e con sopra la
decorazione di un enorme teschio a forma di un ariete: che fosse un Guardiano?
-Sei un Guardiano? – chiese titubante Klein.
-Non le ho permesso di farmi domande, Klein.
Avrà ogni spiegazione durante il viaggio –
A quelle parole l’uomo lo incitò a rientrare nella carrozza,
insieme a Shen il cui corpo svenuto si muoveva per effetto di uno strano
incanto e quando la porta della carrozza fu richiusa, con un abile schiocco di
dita, il suo incantesimo si sciolse e il mezzo riprese il suo viaggio. Klein
rimase in silenzio, mentre scrutava i tatuaggi che l’uomo aveva sulle sue mani:
chi era? Il suo istinto lo spinse a indagare sulle sue intenzioni.
-Cosa vuoi da me? –
-Io? Io sono qui per proporle un patto – rispose l’uomo ghignando malvagiamente.
Quella mattina le strade di Tuula erano affollate da miriadi
di persone che si spostavano da un negozio a un altro; Hadmon e Selene
passeggiavano in tranquillità per le vie del paesino, aventi come unica
destinazione il piccolo dojo del maestro Hanzai, situato alle spalle della
piazza su cui si ergeva l’alta pagoda al centro di Tuula. Ana aveva spiegato
loro che nei due giorni a seguire ci sarebbe stato il festival per festeggiare
l’arrivo dell’estate in occasione del raro evento della luna di Sangue;
pertanto in quell’occasione ogni abitante acquistava degli abiti caratteristici
e addobbi in occasione dei festeggiamenti. Selene guardò Hadmon e sorrise della
sua espressione crucciata, come al solito odiava i posti affollati e
soprattutto essere spintonato costantemente dai passanti intenti a superarli.
Il dragone sbuffò e lei riprese ad osservare il cielo azzurro, correndo con la
mente alla mattina stessa; infatti con immensa sorpresa, al momento del suo
risveglio Selene si era accorta di essere sdraiata nel suo letto, al punto che
aveva dubitato di aver passato la notte insieme al pistolero. Tuttavia non
appena era uscita dalla sua stanza con indosso il suo mantello e la sua
armatura, aveva incontrato Jhin il quale l’aveva saluta gentilmente e le aveva
chiesto come si sentiva quella mattina stessa. Sebbene Selene sentisse ancora
il peso della notizia di suo padre gravare pesantemente sul suo cuore, aveva
confessato con estremo imbarazzo, che quella notte, in cui aveva smesso di
formulare pensieri l’aveva risollevata molto; quella mattina infatti, si
sentiva un po' più tranquilla e non poteva negare che, sebbene quel lato umano
di Jhin l’avesse estremamente sorpresa, l’aveva allo stesso tempo avvolta con
un calore che fino ad alcuni giorni fa non gli avrebbe mai attribuito. Tuttavia
la notizia di suo padre l’aveva sconvolta e sebbene desiderasse vendicare la
sua morte, doveva cercare di farsi coraggio e proseguire sulla sua strada,
nonostante compisse un immenso sforzo nel trattenere le sue lacrime e impedire
che la tristezza si facesse largo in lei.
Poco prima di arrivare presso l’abitazione di Hanzai, Hadmon
si voltò come se alle loro spalle una presenza oscura li stesse osservando
silenziosamente, seguendoli. Selene parve percepire la sua preoccupazione, e si
voltò nella sua direzione, chiedendogli se anche lui aveva percepito la strana
presenza di qualcuno che li stesse seguendo; di tutta risposta Hadmon aveva
annuito, fermandosi qualche minuto di fronte all’entrata del dojo di Hanzai.
-Qualcuno dell’Ordine di Zwey è arrivato
a Ionia, e ha intenzione di seguirci fino a casa- osservò Hadmon, comunicando
la notizia a Selene tramite le sue abilità telecinetiche.
Selene annuì e chinò il capo, sentendo la tristezza e il
dolore del giorno precedenti tramutarsi in rabbia; Hadmon le pose una mano
sulla spalla e la avvicinò al suo petto, prima di sussurrarle che la vendetta
non avrebbe colmato il suo vuoto. Selene nascose il viso nell’incavo del collo
di lui e sospirò pesantemente: aveva ragione il suo compagno, lei ormai era la
sovrana dell’Isola e non poteva abbandonarsi all’ira. Quando fu più tranquilla
si separò dall’amico e lo ringraziò per le sue parole, in risposta Hadmon le
sorrise dolcemente e poi bussò alla porta di Hanzai.
Di fronte a loro si materializzò la figura del maestro, il
quale sorrise affettuosamente non appena li vide, invitandoli subito ad
entrare. L’interno del dojo prevedeva un morbido tatami su cui era disposto un
tavolino con sopra delle tazze per il tè e ai lati di quello che doveva essere
il salotto vi erano due porte scorrevoli: una conducente alla cucina e l’altra
alla stanza da letto. Sulle pareti vi erano decorazioni floreali e infine
opposta all’entrata vi era l’accesso a un piccolo giardino con al centro un
lago. Selene e Hadmon apprezzarono la semplicità del luogo e la pace che esso
trasmetteva; così in silenzio si sedettero a terra su dei cuscini, di fronte al
tavolino e Hanzai si mise di fronte a loro.
-
Vi ho chiamati qui per porgermi le mie scuse per
quanto accaduto ieri- osservò Hanzai, sorseggiando del tè – purtroppo la guerra
sta creando molte tensioni interne al Consiglio Supremo, Klein dal canto suo
teme di poter fallire e di aver compiuto un errore liberando il Demone d’Oro.
Shen invece non ha mai tollerato la sua scarcerazione, non ha mai accettato la
sua presenza, per lui doveva morire quattro anni fa –
Di fronte alle ultime parole di Hanzai, Selene e Hadmon si
scambiarono un’occhiata di intesa: quello era il momento per chiedere maggiori
chiarimenti circa il fantomatico incidente di quattro anni prima.
-Cosa è accaduto quattro anni fa? –
chiese Hadmon, incrociando le braccia.
-Un incidente che ha coinvolto
Jhin, Shen e Zed… nella notte di quattro anni fa, Khada Jhin che era al
servizio del Consiglio e di Klein fu punito per aver infranto un divieto che
gli era stato imposto…- disse Hanzai a grandi linee, indeciso se rivelare o meno
le vicende di quella notte.
-Chi è Joanna? – chiese Selene,
ricordando le parole di Roak e Shen – sia il sovrano di Vindor sia Shen la
hanno citata ieri nelle loro frasi –
Dopo un breve periodo di silenzio Hanzai sospirò e decise di parlare.
-Temo di non potervi nascondere più
nulla. Quattro anni fa, vi era una donna di Ionia accusata dal Consiglio di
spionaggio per conto di Noxus, il suo nome era Joanna; a priori nessuno di noi
sapeva se l’accusa fosse fondata o meno, ma gli anziani del Consiglio Supremo,
ci ordinarono di tenerla sotto controllo e il compito fu affidato a Khada Jhin.
In collaborazione con l’ordine di Kusho, Jhin eseguì quanto gli veniva
richiesto, cercava di estrapolare alcune informazioni circa il ruolo della
donna a Ionia; gli fu imposto un unico divieto, nessuna forma di affetto si
sarebbe dovuta formare tra lui e Joanna…-
A quelle ultime parole, Selene deglutì a vuoto sentendo come
un groppo all’altezza della gola che non riusciva a mandare giù: un’insolita
gelosia si era fatta largo nel suo cuore insieme a un immenso dispiacere.
-… Già potete immaginare che questo
divieto fu infranto da entrambi; inizialmente Jhin si presentò da me
spiegandomi che le accuse che erano state fatte a Joanna erano infondate e mi
supplicò di sollevarle da lei. Shen che era presente insieme a me, replicò che
quella richiesta era inaccettabile e che prima Klein stesso avrebbe dovuto
verificare le sue parole; Shen e Jhin non hanno mai avuto buoni rapporti se non
conflittuali, inutile dire di Zed e Jhin. Era una fredda mattina di dicembre,
Jhin si presentò nuovamente da me, chiedendo spiegazioni sulla condanna a morte
di Joanna: Klein per non correre alcun rischio insieme a Roak, avevano deciso
di ucciderla. Fu a quel punto che mi confessò di aver infranto il divieto e
quindi, di non poter eseguire l’eventuale ordine di giustiziarla. Il pomeriggio
stesso io mi presentai in Consiglio e cercai di convincere tutti i presenti che
non era una buona scelta, ma nessuno mi diede ascolto e nel tentativo di
smuovere i loro gelidi cuori, dichiarai che tra i due era ormai nato un legame
profondo di affetto. A quella notizia Zed, Shen e Kusho trasalirono e Klein
ordinò subito di giustiziare la donna la notte stessa, a farlo sarebbe dovuto
essere Jhin…-
-Perché ucciderla? Se non era
veramente una spia perché Klein non ha scelto di fidarsi di lui? - chiese Hadmon sconcertato.
-Il potere mio caro Hadmon, ci
trasforma, ci rende bestie e ci fa commettere errori che si imprimono nella
nostra carne a vita. Klein quella sera ordinò di fronte a tutti, che se Khada
Jhin non fosse stato in grado di giustiziarla allora sarebbe dovuto essere
punito per le sue azioni scorrette ed eventualmente ucciso. Quando rientrai al
tramonto Jhin si ripresentò da me chiedendomi se la riunione era andata a buon
fine, ma quando comunicai il verdetto lui fu preso dalla rabbia e dal
disprezzo, mi accusò di aver rivelato una confidenza a Klein e di aver tradito
la sua fiducia; dopo di che tornò alla sua abitazione…-
-Cosa accadde quella notte? –
incalzò Selene, sentendo il groppo in gola divenire più pesante.
-Personalmente non so cosa accadde di
preciso, questo può solo descrivertelo Khada Jhin stesso; so che quella notte
Joanna fu assassinata. Quella notte non morì solo un’innocente, ma nacque il
Demone d’Oro; Jhin non perdonò mai le nostre azioni, come biasimarlo, e su
ognuno di noi fece cadere il suo marchio che si estinguerà solo con la morte.
Quella notte, lo abbiamo privato di ogni cosa, abbiamo distrutto un uomo e
abbiamo creato un mostro, il cui estro artistico avrebbe trovato sfogo solo
nella morte dei marchiati. Nei successivi anni Jhin assassinò molteplici membri
del Consiglio, trucidò le loro famiglie; la sua sete omicida e la sua follia,
trovavano pace solo con la morte. Presto iniziò a uccidere anche innocenti,
finché non si diffuse il terrore in tutta Ionia, se la patria che lui aveva
servito lo aveva privato di tutto allora su di essa si sarebbe riversata tutta
la sua rabbia; Shen, Zed e Kusho gli diedero la caccia per anni, finché non lo
catturarono e lo imprigionarono. Nel periodo di prigionia, non so dirti che
trattamento gli fu riservato, posso solo immaginare… tuttavia in quegli anni la
follia di Khada Jhin colpì anche il fratello di Shen, il quale già avviato alle
arti oscure, nel momento in cui seppe che Jhin non sarebbe stato ucciso lasciò
l’ordine; Kusho perse la sua luminosità in tutti quegli anni di ricerca e Shen,
riversò su di lui tutto il suo odio, giurando che non l’avrebbe mai perdonato. Successivamente
Jhin rimase in prigione per due anni, non rivelò niente di sé stesso e non
permetteva a nessuno di avvicinarsi; il continuo lo potete già immaginare:
Noxus ha continuato nella sua guerra e continuerà finché noi non cadremmo in
ginocchio, pertanto Klein sollecitato dal Consiglio Supremo, scelse di
liberarlo e di richiamare qualcuno che potesse sorvegliarlo adeguatamente. Qui
entrate in scena voi, miei cari Guardiani e il resto della storia lo conosciamo
tutti e tre…-
Hadmon e Selene rimasero sconvolti dal racconto
dell’anziano, entrambi ebbero conferma che il Consiglio di Ionia non era stato
così onesto con loro; Selene trovò imperdonabili le azioni di Klein contro
Jhin, in quel momento si sentiva estremamente dispiaciuta per la volta in cui
aveva accusato Jhin di essere un vigliacco nell’averla allontanata. Sebbene
volesse chiedergli cosa fosse accaduto la notte dell’incidente, in quel momento
non riusciva a non trattenere la rabbia per quegli omicidi commessi: poteva
solo immaginare tutto il dolore che aveva provato e che lui stesso diceva di
conoscere così bene. Accanto a lei Hadmon aveva stretto i pugni per trattenere
la rabbia nell’essere stati usati come pedine, senza aver avuto precedentemente
le spiegazioni che gli spettavano di diritto; avrebbe dovuto credere a Jhin sin
dal primo istante in cui aveva detto che Klein nascondeva le sue mani sporche
di sangue e li manipolava come pedine.
-Questa cosa è inaccettabile! Come avete
osato?! – esclamò Selene, sorprendendo Hadmon per la sua reazione.
-Klein è accecato dal potere,
attende di essere nominato membro del Consiglio Supremo, e nel frattempo ogni
minimo rischio lo sopprime sul nascere anche se non ce ne è bisogno – sussurrò
Hanzai dispiaciuto.
-Cosa farete a Jhin quando il nostro
incarico sarà terminato? - chiese Hadmon.
Per qualche minuto Hanzai rimase in silenzio e i due
Guardiani compresero le intenzioni di Klein circa la vita di Jhin; Selene sentì
gli occhi pizzicare e delle lacrime furiose percorsero le sue guance: non
voleva perdere anche lui oltre a suo padre. Hadmon vide il suo dispiacere e le
passò una mano dietro le spalle per rassicurarla, riconoscendo che anche lui
non avrebbe mai permesso che Jhin venisse ucciso.
-No… non potete farlo! Non avete il
diritto così come non avreste dovuto tenerci all’oscuro di tutto, manipolandoci
come burattini! – disse Selene, mettendosi in piedi.
-Selene mi ascolti, Klein agirà
così ma noi troveremo il modo di non far accadere una cosa del genere. Ho un
debito aperto con quell’uomo, devo ripagarlo, e io stesso non posso tollerare
una tale crudeltà – osservò Hanzai.
-Come intendete agire? – chiese
Hadmon, apprezzando le parole della compagna.
-Per ora attenderemo una mossa di Klein,
vedremo cosa dirà il Consiglio Superiore; successivamente studieremo
l’evoluzione degli eventi e agiremo. In ogni caso bisognerà aspettare, nel
frattempo dovrete svolgere il prossimo incarico –
Hanzai porse una missiva a entrambi e Hadmon la prese,
infilandola in una tasca nella lunga giacca di pelle che indossava. Il maestro
spiegò loro che quell’incarico era di importanza fondamentale, il successo di
quella missione avrebbe potuto cambiare le sorti del paese e anche salvare Jhin
dal suo destino. A quelle parole entrambi si illuminarono e la loro espressione
soddisfatta fece sorridere l’anziano, il quale curvò le labbra sotto i pesanti
e lunghi baffi bianchi.
In silenzio li accompagnò all’uscita, spiegando che quella
mattina stessa sarebbe partito e avrebbe preso parte il giorno successivo alla
riunione del Consiglio Supremo, promettendo loro che avrebbe fatto il possibile
per mettere una buona parola a favore del pistolero. I due Guardiani lo
ringraziarono e si congedarono, non appena furono sulla soglia della porta, prima
che andassero via Hanzai li richiamò un’ultima volta.
-Fate attenzione –
-Stia tranquillo, grazie ancora
per il suo aiuto. Prenda questo – osservò Hadmon, porgendogli un amuleto con
sopra un occhio scarlatto e la scaglia violacea di un drago -per qualsiasi
cosa, può richiamarci con questo. Lo usi in caso di pericolo e nel caso
necessiti del nostro aiuto –
-Lo farò, grazie mille. Fate un buon
rientro – disse Hanzai, posando una mano sulle spalle di entrambi per poi
congedarli definitivamente.
Mentre passeggiavano per i viali della città Selene e Hadmon
discussero sulle parole di Hanzai; in cuor suo Hadmon sapeva che la compagna
ancora stava riflettendo sulla probabile condanna a morte di Jhin, di fatto lui
conosceva troppi particolari scomodi che Klein non avrebbe mai voluto far
venire a galla, alcuni dei quali loro non conoscevano proprio. Sebbene come
Guardiani avessero il divieto di interferire in questioni strettamente
politiche non legate all’ordine del paese stesso, non avrebbero potuto lasciare
che potesse accadere una cosa del genere, nonostante le azioni di entrambe le
parti fossero state poco corrette.
Improvvisamente Selene, mentre passeggiava si ritrovò
avvolta dalle tenebre e posta di fronte agli occhi scarlatti Thanatòs; deglutì
a vuoto e si fece coraggio nell’affrontarlo: cosa voleva da lei? La creatura
allungò la sua mano artigliata su di lei, ma bloccò il suo artiglio pronto a
perforare il suo cuore. Non ancora, non le avrebbe strappato il suo cuore.
-Sei audace rispetto alle ultime volte,
Selene – ringhiò la creatura, mostrando il suo ghigno diabolico e i suoi denti
affilati come lame.
-Cosa vuoi da me? – domandò
Selene, voleva sapere di più sul patto che avrebbe dovuto stringere con lui.
-Parlare, stranamente a quanto tu possa
pensare – osservò Thanatòs, assumendo una forma umana e avvicinandosi a lei.
Di fronte a lei, il Demone prese le forme di un uomo alto e
slanciato, il viso sottile su cui spiccavano gli occhi scarlatti, naso all’insù
e sottili labbra come lo stelo di una rosa; infine morbidi e scarmigliati
capelli corvini lunghi fino alle spalle, ricadevano sul viso. Indosso aveva un
lungo mantello nero e un cappuccio, lasciando in vista il suo torace su cui
spiccava un grande amuleto alato con al centro un occhio rosso sangue, infine
aderenti pantaloni neri e alti stivali su cui erano fissati affilati aculei;
sulle braccia vi erano avvolte lunghe catene e sotto esse spiccavano i tatuaggi
che lei stessa aveva, ovvero i suoi sigilli. A partire da essi si diramavano
sul suo collo lunghe scritte arcaiche rosso sangue; improvvisamente Thanatòs
sollevò la mano e fece apparire lo scettro degli abissi, e contemporaneamente
ad esso apparve il cranio di un dragone sul suo capo e sulle sue spalle, e la
spina ossuta e la coda della bestia lunga fino al fondoschiena. Sebbene Selene
non avesse abbandonato la difensiva, rimase estremamente sorpresa dalla
rivelazione del Demone e dal fatto che questi si fosse mostrato a lei nella sua
forma umana; fu un istante e lo ritrovò di fronte a sé, lei indietreggiò
impaurita.
-Non ti darò il mio cuore – disse
Selene, vedendo l’altro ridere divertito.
-Non mi interessa in questo
momento, mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro – ribatté la creatura,
scuotendo il capo e proseguendo – Zwey è a Ionia, ti sta raggiungendo e mira a
prendere possesso di me. Non intendo cadere nelle mani di quel pazzo, perciò
sarò disposto a collaborare con te finché non lo faremo fuori. Dopo di che il
tuo cuore mi spetterà di diritto, nel frattempo avrai a disposizione il mio
potere –
-Sai bene che non posso farne
uso? Morirei e farei il tuo gioco –
-Posso offrirti la vendetta
Selene, la sua morte e la sua testa su un piatto d’argento, se solo me lo
chiedessi – disse Thanatòs ghignando maliziosamente.
-Non ne ho bisogno, grazie –
-Non puoi mentirmi, conosco il
tuo cuore meglio di chiunque altro e so che desideri ucciderlo. Non è così
Selene? Non puoi mentire al dio della morte – ringhiò l’uomo, afferrandole il
mento con la mano artigliata.
-Ti sbagli! Non voglio vendetta, voglio
solo che paghi per tutti i crimini che ha commesso e lo farò senza cadere vittima
dei tuoi tranelli – disse Selene, poi afferrò il suo cappuccio – se avrai
intenzione di collaborare con me senza che tu mi uccida, allora stipulerò un
patto con te –
Thanatòs sgranò gli occhi, sorpreso dalla estrema audacia di
Selene; rise per l’immenso coraggio della donna nel parlare di pratiche che lei
non conosceva minimamente.
-Non conosci affatto cosa stai
chiedendo, non sei in grado di reggere il mio potere e tutto il dolore e la
sofferenza che io stesso ho patito per anni. A malapena riesci a reggere la tua
–
-Non sottovalutarmi, sono disposta a
sostenere ogni peso, pur di collaborare con te. Io non ho intenzione di morire
e lasciare il mio paese in mano a un folle, te non hai intenzione di essere
sigillato di nuovo in un corpo di un altro Guardiano –
Nuovamente il Demone rimase in silenzio; negli occhi
ghiaccio di lei colse la risolutezza, così incrociò le braccia e rifletté su
quella proposta. La sua forza di volontà le ricordò l’unico Guardiano che aveva
provato ad avvicinarsi a lui e a quel pensiero sorrise tra sé e sé; l’altra
parve notare il suo sorriso e rimase sorpresa, temendo di essere presa di nuovo
in giro da lui. Incrociò le braccia e scosse il capo, porgendole lo scettro.
-Hai perfettamente ragione. Staremo a
vedere cosa sei in grado di fare Selene, mi piace la tua determinazione… mi
dovrai convincere, nel frattempo voglio provare a collaborare con te ma sappi
che un passo falso e io ti divorerò – disse minacciosamente sorridendo e
mostrando i suoi incisivi lunghi e affilati.
-Come saprò che lo farai? –
chiese di getto Selene, afferrando la sua mano e percependo il suo potere
iniziare a pervaderla.
-Lo sto già facendo… - rispose l’altro
consegnandogli la sua arma: il primo passo del contratto – corri alla tua casa
ragazzina, i sicari di Zwey la stanno invadendo e assassineranno chiunque li
intralcerà. La domestica e l’altro umano non possono fermarli -
Detto così la creatura scomparse, Selene afferrò il suo
scettro e sentì parte del potere di lui fluire attraverso il suo corpo a
partire dalle cicatrici; di botto fu riportata alla realtà e si accorse che
erano quasi arrivati a destinazione. Improvvisamente si accorse che Hadmon
l’aveva chiamata per tutto il tempo che era rimasta intrappolata davanti a
Thanatòs e subito si voltò.
-Selene, ti senti bene? Sei rimasta in
silenzio tutto il tempo – osservò Hadmon.
-Ti spiegherò tutto più tardi, Thanatòs mi ha
detto che i sicari di Zwey hanno raggiunto la nostra casa. Probabilmente l’uomo
che ci seguiva ha capito dove abitiamo – disse Selene, sentendo la
preoccupazione e la rabbia montare in lei.
Molto velocemente Hadmon, agitò la mano destra finché non
apparirono simboli arcaici che si deposero a terra; fu un istante e una nube
blu notte li avvolse e furono teletrasportati di fronte all’entrata della casa.
Selene corse all’interno della casa giusto in tempo per vedere un accolito
incappucciato allungare il suo coltello su Ana, posta di spalle e incurante del
pericolo dietro di lei; Hadmon si voltò rimanendo sull’uscio della porta
scorgendo tre figure mascherate materializzarsi da portali rosso fuoco e
correre nella sua direzione. Nel frattempo Selene aveva sfoderato i suoi
pugnali, con un calcio aveva colpito il capo dell’assassino e poi lo aveva
colpito alla gola senza pietà; sentiva la rabbia scorrere nelle sue vene, mista
all’odio: non avrebbe permesso a nessuno di loro di portargli via altre persone
a lei care. Ana non appena si era accorta di lei e del corpo sanguinante
dell’uomo aveva gridato per lo spavento; Selene le diede indicazioni di chiudersi
nella sua stanza, lì sarebbe stata al sicuro e lei, lacrimante, la prese subito
in parola.
-Selene! –
Sull’entrata di casa Hadmon la chiamò frettolosamente, lei
corse da lui giusto in tempo per vedere al centro del giardino i tre seguaci di
Zwey correre verso di loro e sfoderare le loro armi; improvvisamente entrambi
videro i tre uomini inciampare in una trappola sotto i loro piedi a forma di
fiore di loto. I loro piedi erano stati trapassati da uno dei petali in
acciaio, dopo di che il fiore aveva iniziato a roteare su sé stesso finché poi
non era esploso ferendoli con i suoi petali mortali; gli accoliti presi dalle
ferite sanguinanti sulle loro gambe, rimasero immobili non accorgendosi di
qualcuno che dall’alto della abitazione era pronto a far fuoco su di loro.
Selene comprese che era opera di Jhin e si voltò verso la finestra della sua
stanza che dava sul giardino, si era affacciato: aveva messo un piede sul bordo
della finestra, imbracciato la sua arma dopo di che aveva fatto fuoco sui tre
uomini colpendoli in testa. I tre accoliti ricaddero all’indietro, privi di
vita e con metà cranio distrutto dall’esplosione dei proiettili. Purtroppo però
lo scontro era appena iniziato; infatti non appena Jhin li raggiunse, di fronte
a loro apparve un portale da cui si materializzò il sicario più fidato di Zwey:
Ethan, l’uomo a cui venivano commissionati i lavori più crudeli e difficili.
Sebbene Selene avesse promesso a sé stessa di non farsi prendere dalla rabbia,
non appena lo vide, l’odio e la furia si fecero largo in lei: voleva la sua
testa e la sua anima che avrebbe dato in pasto a Thanatòs. Strinse i pugni sui
suoi pugnali, quando vide l’altro togliere il suo cappuccio e rivelare la sua
identità; Ethan era alto e aveva un fisico ben allenato su cui aderiva la
casacca nera dell’Ordine di Zwey, i suoi occhi ambrati erano attraversati da
simboli arcaici, così come il suo naso perfettamente dritto e le sue labbra.
Inoltre indossava un lungo mantello nero sotto cui erano nascosti la cintura
con le sue spade, i pantaloni in pelle e alti stivali in cuoio. Selene sapeva
che i simboli che aveva sparsi su tutto il corpo erano sinonimo del fatto che
anche lui era stato inizializzato da tempo al rito oscuro di Zwey, attraverso
il quale i suoi adepti ricevevano poteri incommensurabili a patto che la loro
vita venisse risucchiata piano piano dal sigillo, finché poi la loro anima non
cadeva nelle mani di Zwey stesso che le divorava, potenziandosi. Di fatto
l’unico suo scopo era di diventare talmente potente da poter controllare
Thanatòs anche contro il volere del demone stesso, ma questo lei non lo avrebbe
permesso.
-Attendevo da tempo di incontrarti, mia cara regina –
disse Ethan, sollevando le braccia e creando dei portali da cui si
materializzarono due bestie oscure alte e dall’aspetto mostruoso: occhi rossi,
denti affilati, muso lungo simile a quello di un lupo, lunghe corna e un corpo
robusto su cui aderiva un’armatura ricca di aculei – è un peccato doverti
uccidere, così come Zwey ha fatto con tuo padre –
Selene serrò la mascella e sentì gli occhi pizzicare per le
lacrime; avrebbe posto fine al ciclo di violenza e morte che era nato con
l’ordine di Zwey, per quanto dolore e sacrificio potesse costarle avrebbe
terminato le loro esistenze e con loro i riti proibiti che praticavano. Avrebbe
affrontato da sola Ethan, mentre i suoi compagni avrebbero affrontato le
bestie; voleva vendicare la morte di suo padre, fargli pagare per averla
privata di un affetto a lei così caro.
-Mi occuperò io di lui – disse Selene,
facendo un passo avanti.
-Selene, è rischioso…– obiettò Hadmon, prima
di essere interrotto da Jhin il quale aveva sollevato una mano nella sua
direzione e aveva scosso il capo.
Jhin conosceva alla perfezione i sentimenti che agitavano il
cuore di Selene; il tentativo di contenere la rabbia e l’odio, la coscienza che
la vendetta dava solo origine a un ciclo di morte, insoddisfazione e dolore, e
che di certo non avrebbe riportato in vita i morti. Sapeva che lei stava
scacciando via quei pensieri nel tentativo di contenere la sofferenza, eppure
rimase sorpreso dalla sua espressione calma e decisione che aveva dipinte sul
volto mentre fronteggiava l’assassino. In cuor suo sperava solo che non avrebbe
rischiato la vita in quello scontro, e se fosse accaduto lui avrebbe fatto il
possibile per aiutarla.
Prima di proseguire oltre Selene sentì la voce di Thanatòs
nella sua mente chiamarla ma differentemente dalle altre volte il suo tono di
voce non era ammaliatore bensì quasi amichevole. Percepì i suoi sigilli
bruciare e da essi vide levarsi un fumo nero da cui prese forma la figura umana
del Demone che si manifestò in piedi di fronte a lei. Hadmon fissò il fratello
con occhi sgranati, non avrebbe creduto di poterlo vedere lì in quella
situazione.
- Cosa diavolo ci fai qui tu? – chiese Hadmon,
sulla difensiva, vedendo il fratello sollevare una mano e rivolgersi alla
Guardiana.
-Per questa volta collaborerò con te Selene,
ma dato che io e te non abbiamo un patto sfrutterai il mio potere per un tempo
limitato prima che il tuo corpo possa risentirne – spiegò Thanatòs, lasciando
apparire nella sua mano il coltello in manico d’osso che aveva anche Selene –
termineremo lo scontro prima che scada il tempo –
Detto così il Demone prese la mano sinistra di Selene su cui
era presente la cicatrice tramite la quale evocava le creature sotto il suo
dominio, la incise e si portò alle labbra la mano per berne il sangue; la
Guardiana sussultò non appena l’altro, inciso il suo palmo della mano la costrinse
a bere il suo sangue dal colore nero pece. Fu un istante e non appena fluì nel
suo corpo, percepì la gola e i sigilli bruciare; di fronte a lei il Demone
sorrise e si dissolse in una nube nera per prendere la forma di un’armatura di
ossa: il teschio di un dragone sul capo, la lunga spina dorsale disposta sulla
schiena con tanto di coda affilata, un mantello nero con cappuccio che copriva
il suo capo e i suoi capelli argentei con alcune ciocche divenute nero pece; i
suoi occhi erano divenuti del colore del sangue e sotto di essi si erano
definite lunghe linee scarlatte e nere che si estendevano lungo le sue guance
per giungere fino al collo; infine le sue unghie erano divenute lunghe e
affilate come quelle del Demone e tra le sue mani era apparso lo scettro degli
Abissi. Selene percepiva il suo corpo più leggero e allo stesso tempo più
forte, una sensazione diversa da quando Thanatòs aveva preso possesso del suo
corpo, di fatto stavolta le anime contenute nel corpo del Demone non
minacciavano di inghiottirla, anzi non ne avvertiva la presenza. Osservò le sue
mani, su di esse i sigilli si erano espansi e avevano assunto una tonalità rosso
fuoco, ed erano arrivati fino al suo viso; strinse lo scettro e si preparò ad affrontare
il suo avversario. “Cerca di far valere il mio sforzo di lavorare con te ragazzina,
non voglio finire nelle mani di un pazzo” disse Thanatòs, solo lei poteva
ascoltarlo “non sottovalutarlo, il suo corpo è potenziato dai riti che Zwey ha
compiuto su di lui, se dovesse rubare tramite le sue katane il tuo sangue,
potrebbe avviare il rito tramite il quale strapperebbe il mio potere”.
-Selene ti senti bene? Che sta succedendo? -
chiese Hadmon, ancora sorpreso e preoccupato per l’amica: perché suo fratello
di punto in bianco collaborava con loro? Che stesse tendendo uno dei suoi
trabocchetti?
-Si, ti spiegherò tutto più tardi per
adesso fidati di me; sarete in grado di tenere a bada le sue bestie? – domandò la
donna.
-Considerale già morte – disse il pistolero
accanto a lei, impugnando la sua arma.
Sebbene quello non fosse il momento più opportuno, aveva
percepito una strana gelosia ribollire nelle vene nel momento in cui quella
creatura aveva stretto quel patto quasi “intimo” con Selene; nonostante non
fosse una minaccia dal momento in cui lui non era un uomo vero e proprio,
l’idea che quella creatura come Hadmon potesse conoscere i lati più nascosti e
personali della Guardiana faceva crescere in lui un’insolita quanto conosciuta
gelosia accompagnata al desiderio di possessione, ad essa relegata. Tuttavia
nonostante quei sentimenti che aveva seppellito quattro anni addietro,
riconosceva che accanto ad essi era rimasto estremamente affascinato e sorpreso
dall’immenso potere e dalla spaventosa furia omicida della creatura e adesso di
Selene. In cuor suo sperava che lei non avesse rischiato la vita come la notte
in cui avevano affrontato Zed, non avrebbe sopportato di perderla o che la sua
vita si potesse infrangere con lui lì presente a difenderla.
-Te sei un’anima morta Selene e io avrò il piacere di
far morire la Morte stessa, abominio – disse sprezzante Ethan.
Senza dire nulla Selene scattò nella sua direzione dando
inizio allo scontro; con estrema velocità corse nella sua direzione e si
preparò a colpire il suo collo con i suoi lunghi artigli, ma l’altro agitò le
spade e la costrinse a pararsi dai suoi fendenti tramite lo scettro. L’uomo si
era scoperto, così lei approfittò per colpirlo sul costato, facendolo
indietreggiare e fu a quel punto che l’uomo posò a terra le sue mani e con un
incantesimo creò una serie di catene che si avvolsero intorno al collo di lei
costringendola a inginocchiarsi; poco prima che potesse trafiggerla con le sue
katane, lei si dissolse in una nube riapparendo alle sue spalle. L’assassino
non fece in tempo a voltarsi che fu colpito in pieno dallo scettro affilato che
ferì il suo torace; successivamente con un calcio lo spedì a terra e posate le
mani a terra delle ossa presero forma dal terreno e avvolsero il suo corpo in
una morsa letale. Camminò nella sua direzione posando un piede sulla sua ferita
e vi affondò il tacco degli stivali, l’uomo gemette di dolore e ghignò
maleficamente. Di fronte a quel sorriso sentì la rabbia crescere in lei e
afferrò il suo viso con la sua mano artigliata, gli avrebbe strappato l’anima e
consegnata a Thanatòs stesso che avrebbe provveduto a divorarla.
Nel frattempo Hadmon e Jhin stavano combattendo contro le
due bestie; Hadmon si era destreggiato tra i pugni della creatura, mettendola
spesso in difficoltà tramite i suoi incantesimi temporali. La sua innata
abilità di dominare il tempo, gli permetteva di racchiudere il demone in una
bolla ove il tempo sembrava raggelarsi per sempre e lui ne approfittava per
infliggergli colpi mortali; tuttavia il potere curativo dell’avversario lo
salvava di volta in volta, finché non comprese il segreto dietro l’immortalità
della creatura: esso altro non era che una gemma situata sotto la corazza, in
prossimità del cuore. Purtroppo non appena lo notò, la creatura sembrò
comprendere le sue intenzioni e non appena lui si distrasse lo afferrò per la
gamba e lo lanciò a terra per poi gettarsi su di lui immobilizzandolo; vicino a
lui, Jhin lo aveva salvato sparando un colpo con il suo fucile a distanza sulla
schiena della bestia, la quale si era voltata e insieme al suo fratello lo
avevano preso di mira.
-Mira al loro cuore! È il loro punto debole – urlò
Hadmon, rimettendosi in piedi e correndo a salvarlo.
Alle strette il pistolero cercò di elaborare qualcosa
velocemente e agì subito; le due creature, una alle sue spalle e una di fronte
a lui, correvano nella sua direzione, così corse nella direzione della seconda
smontò Sussurro dalla canna del fucile a distanza, ricaricò i proiettili e
quando fu abbastanza vicino scivolò tra le sue gambe. Fu un istante, quando fu
tra le sue gambe, mirò nello lo spiraglio tra armatura e corpo del demone e
sparò; il colpo esplose non appena urtò la gemma sul suo cuore che all’impatto
esplose. La prima bestia cadde a terra senza vita e lui si rialzò da terra con
l’aiuto di Hadmon; rifletté che quelle creature erano fuori dal normale, nel
combatterle sia lui che il dragone avevano riportato diverse ferite, Hadmon gli
aveva detto poco prima della battaglia che se solo avessero preso il suo sangue
gli avrebbero prosciugato la linfa vitale nel corso del combattimento perciò
dovevano evitare il corpo a corpo. Entrambi videro la bestia fermarsi e
guardare nella direzione del suo padrone e poi nella loro, istantaneamente Jhin
comprese le sue intenzioni: Selene. Il tempo di voltarsi che la bestia corse
nella direzione di lei, e lui scattò senza pensarci minimamente.
-Selene! Spostati – urlò il pistolero, la bestia
sarebbe arrivata prima di lui doveva farcela; la creatura si era già preparata
a colpirla.
Selene non fece in tempo a sollevare il capo che vide la
creatura incombere su di lei; deglutì a vuoto preparandosi a incassare il
colpo. Improvvisamente vide Jhin saltare sulle sue spalle, e sparare un colpo
sul suo capo stordendolo.
-Lanciami la tua arma! – gli ordinò l’uomo.
Selene la lanciò e lui la afferrò al volo: rabbrividì,
quello scettro sembrasse pesare come un macigno e sprigionare un potere letale
che lui non avrebbe potuto sostenere per più di pochi secondi; senza pensare
alle miriadi di urla che stavano venendo rievocate dall’arma nella sua mente, si
calò su di lui e lasciandosi cadere colpì la gemma sotto l’armatura; mentre la
creatura era caduta a terra e aveva rilanciato lo scettro all’altra, Ethan si
era liberato dall’incantesimo e aveva colpito subito Selene, avventandosi sul
pistolero. Con violenza lo aveva colpito col l’elsa della spada sul torace e
gettato a terra; l’altro aveva tossito violentemente e aveva ringhiato quando
l’altro aveva conficcato una katana nella sua mano, impedendogli di muoversi e
preparandosi ad avviare su di lui il rito tramite il quale gli avrebbe rubato
l’anima.
Subito Hadmon insieme a Selene si erano diretti verso di
lui: uno con la sua falce e l’altra con lo scettro degli Abissi. Subito le
catene avvolsero il corpo di Jhin e lungo di esse una polvere rosso sangue
iniziò a levarsi dalle sue membra per convergere nei simboli sulle mani
dell’assassino. Sotto l’effetto del rituale Jhin sentì la sua coscienza venir
meno, mentre le urla delle sue vittime rimbombavano nella sua mente mentre
veniva avvolto dal buio più totale.
-Allontanati! – ringhiò Hadmon, colpendolo alle
spalle e costringendolo ad allontanarsi dal corpo di Jhin che fu subito
liberato dalle catene.
Tramite quel rituale fallito Ethan era riuscito a carpire
molte informazioni su di lui, era riuscito a leggere la sua anima e a
comprendere che era lacerata da rimorso e odio e il suo cuore era ormai devoto
alla Guardiana; avrebbe potuto sfruttare quelle informazioni a suo vantaggio.
Ciò che lo preoccupava di più era il potere della ragazza che a quanto sembrava
era riuscita a giungere a un accordo con Thanatòs; l’aveva sottovalutata e
aveva rischiato di soccombere a inizio scontro, perciò come primo obiettivo
avrebbero dovuto mettere per primi le mani sul libro che l’avrebbe guidata a
stipulare un patto con lui. Sorrise maleficamente, quelle informazioni per lui
erano una grande vittoria, decise così di ritornare indietro e aperto un
portale di fronte a lui vi scappò dentro prima che Selene potesse raggiungerlo.
La Guardiana vide l’uomo dissolversi di fronte a loro, ma
lei estremamente preoccupata per il compagno ferito aveva rinunciato sin
dall’inizio a rincorrerlo; insieme ad Hadmon si erano inginocchiati vicino al
pistolero il quale ancora non era rinvenuto dal sonno. Selene pregò che per
quanto breve, il rituale non avesse intaccato la sua anima con il suo potere
oscuro; sentì gli occhi pizzicare, presa dalla sua rabbia aveva abbassato la
guardia e il pistolero aveva dovuto rimediare al suo errore rischiando la vita.
Lo chiamò quando una lacrima rigò la sua guancia e finì per bagnare la sua
maschera; l’armatura sul suo corpo si era dissolta in una nube nera e lei aveva
sentito gravare la stanchezza sul suo corpo. Accanto a lei Hadmon, aveva
continuato a chiamare il compagno insistentemente e scuotendolo.
Improvvisamente Jhin tossì violentemente e riprese
coscienza, accorgendosi subito della Guardiana che ora lo osservava con gli
occhi ricolmi di lacrime; accanto a lei aveva visto Hadmon trarre un sospiro di
sollievo che si era massaggiato la fronte scaricando la tensione dei momenti
precedenti. Sotto la maschera sorrise alla loro vista, se qualche settimana
prima gli avessero detto che quel giorno lui si sarebbe affezionato così tanto
a loro, non vi avrebbe creduto, invece in quel momento non vi era cosa più
vera.
-Siete così rumorosi – scherzò Jhin,
mettendosi in piedi.
-Scusaci, non saresti dovuto rimanere
coinvolto – disse Hadmon, incrociando le braccia.
-Colpa della mia distrazione…- commentò
Selene, estremamente mortificata.
-Va tutto bene… non credo che possa essere
riuscito a fare molto se mi sono risvegliato - rispose lui, bendando la ferita
sanguinante sulla mano.
Selene lo aiutò nel sistemare momentaneamente la ferita e
sia lui che Hadmon colsero l’estremo dispiacere negli occhi di lei; con
sorpresa vide il dragone scuotere il capo e passare un braccio dietro le spalle
di lei, cercando di farla rilassare ora che tutto era finito. Nuovamente sentì
il sangue bruciare nelle sue vene, ma era qualcosa di diverso dalla rabbia o
dall’odio, era qualcosa che aveva giurato di aver seppellito tempo addietro: la
gelosia. Deglutì cercando di allontanare quelle sensazioni a lui così aliene,
ma non appena lo faceva queste tornavano con maggiore insistenza; non appena il
viso di lei riprese a sorridere per merito del dragone, fu costretto a
stringere i pugni per rimanere indifferente a quella loro profonda amicizia.
Lei era e doveva essere sua…
-Hai molto da spiegarmi Selene…- disse
Hadmon, incrociando le braccia.
-Quando avremmo sistemato tutto ti spiegherò
ogni cosa, prima dobbiamo pulire il sangue in cucina e recuperare Ana – disse
la giovane, notando lo sguardo affilato di Jhin perforare i suoi occhi; si
sentì senza difese di fronte al suo occhio scarlatto che la scrutava. Fu un
attimo e lui distolse lo sguardo, avrebbe fatto domande più tardi, del resto il
giorno prima si erano accordati che si sarebbero dovuti incontrare solo di notte
tutto per non destare sospetti.
Prima che Hadmon potesse posarle di nuovo la mano sulle
spalle, Jhin avanzò di un passo e si pose tra di loro, invitandoli a sbrigarsi
a mettere tutto a posto prima che qualcuno potesse notare il sangue sparso per
il giardino e i cadaveri dei combattenti, presenze alquanto insolite per una
casa di campagna. Hadmon parve notare la rigidezza del compagno ma non ci fece
caso, dicendo a sé stesso che era solo una sua parvenza; Selene invece rimase
incuriosita dal suo comportamento e allo stesso tempo lievemente preoccupata,
uno strano nodo si era creato all’altezza del suo stomaco e non l’avrebbe
lasciata finché non gli avrebbe parlato. Così in silenzio, presa dalle
riflessioni sulla battaglia precedente e sul comportamento di Jhin, iniziò a
sistemare i corpi degli accoliti; un fremito sinistro percorse la sua schiena
quando tocco il primo cadavere che si dissolse sotto il suo tocco mortale. Quel
pomeriggio, lo scontro non era finito in parità, lei era stata sconfitta: Ethan
aveva raccolto informazioni su di loro e avrebbe fatto di tutto per mettere le
mani sul libro prima di loro, Jhin aveva quasi rischiato la vita e lei sentiva
come un vuoto nel suo cuore, creatosi non appena la rabbia e l’odio avevano
abbandonato il suo corpo, nonostante lei avesse contenuto ogni forma di rancore
e furia per non farsi trasportare dalle emozioni. “È così che ci si sente
allora…” pensò Selene, volgendo lo sguardo al cielo azzurro; il sole riversava
i suoi caldi raggi sul suo viso, riscaldandola; promise a sé stessa di non
farsi prendere più dal desiderio di vendetta, di certo il sangue non avrebbe
colmato il vuoto lasciato dalla morte di suo padre: a quel pensiero i suoi
occhi si inumidirono nuovamente e una sua lacrima si infranse al suolo. Non sarebbe
stata sconfitta nuovamente e non avrebbe più esposto i suoi compagni, sarebbe
stata disposta a tutto anche a caricarsi il fardello di quella battaglia che
ormai si protraeva da millenni sulla sua isola. Non sarebbe caduta, non più.
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