Odi et Amo

di Chiaro_di_Luna07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Prologo ***
Capitolo 2: *** 2.Deadeye-Part 1 ***
Capitolo 3: *** Deadeye-Part 2 ***
Capitolo 4: *** I will touch your heart ***
Capitolo 5: *** A dangerous pact ***
Capitolo 6: *** Her eyes touch my soul ***
Capitolo 7: *** Invisible bond ***
Capitolo 8: *** Just for once this time ***
Capitolo 9: *** A difficult decision ***
Capitolo 10: *** Lies ***
Capitolo 11: *** Confessions ***
Capitolo 12: *** Truth ***



Capitolo 1
*** 1.Prologo ***


“Siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita”, William Shakespeare, La Tempesta.
 
Il rintocco della campana del mezzogiorno riecheggiò per la valle, il suono arrivò attutito al giardino della villa, ma questo bastò a farla tremare. Percorse le scale con estrema rapidità, come se alle spalle l’oscurità più profonda minacciava di inghiottirla. Il ritmo frenetico dei suoi stivali fu sovrastato dal lento passo del suo aggressore. Rimase come impietrita, si voltò per un istante incontrando il suo sguardo assassino: rabbrividì, mentre il rumore del legno colpito dai tacchi degli stivali dell’uomo riecheggiava nella vuota abitazione.
Tac. Tac. Tac.
A ogni colpo percepiva l’ambiente divenire sempre più gelido e il suo cuore accelerare di uno, due battiti mentre il dolore si faceva largo nel suo petto; scappò fuori nel giardino della residenza, raggiungendo il cancello. Ogni cosa appartenente a quel luogo era intrisa di minaccia e lei doveva abbandonarlo. Un colpo della familiare arma da fuoco e il metallo gelido della recinzione vibrò violentemente sotto le sue mani: un primo proiettile era stato sparato. Il primo di quattro. Il dolore si diffuse nella sua mano dal punto sfiorato dal bossolo e da lì raggiunse il suo cuore straziato: no. Non sarebbe dovuto accadere tutto quello.
Tac. Tac. Tac.
Il rumore sottile dei tacchi portava con sé minaccia, ma anche la sofferenza di un atto che non doveva essere compiuto. Il peggiore tra tutti. Di nuovo un brivido di paura le percorse la schiena.
Tac. Tac. Tac.
Morse il labbro ricacciando indietro le lacrime, aprì il cancello, sapeva che era sbagliato, che non sarebbe dovuta scappare, ma come si sarebbe dovuta spiegare su tutto l’accaduto; lui non avrebbe compreso, non in quello stato. Una lacrima solcò la sua guancia, come la più tremenda delle falci. Con forza ricacciò indietro le altre, percorse pochi metri oltre la recinzione ma un secondo proiettile fu sparato di fronte ai suoi piedi avvertendola di non proseguire oltre; alzò lo sguardo voltandosi e affrontandolo, mossa dalla vana speranza che non fuggendo avrebbe chiarito.
        - Uno – ringhiò l’aggressore.
L’uomo si immobilizzò a pochi metri di distanza da lei, non si espresse, il suo odio era più esaustivo di qualunque parola, adombrava il suo occhio scarlatto così come il lume della poca ragione rimastagli; squadrandolo sapeva che dietro quello sguardo si celava un’infinità di stati contrastanti, poteva solo immaginare i lineamenti del suo viso contratti dalla frustrazione, dalla rabbia: motivi per cui non avrebbe mai potuto comprendere in quello stato; questo bastò a dare un pretesto alle sue lacrime di tornare con forza, inumidendole gli occhi.
Dong: la campana rintoccò una seconda volta.
        - Te ne prego… - supplicò lei, vedendolo avanzare.
Il suo aggressore non si scompose minimamente, le sue parole non lo toccarono affatto e a conferma di ciò fu un ulteriore passo nella sua direzione; si voltò e tentò di riprendere la sua fuga ma un altro colpo fu sparato, stavolta le sfiorò la spalla ferendola: un secondo avvertimento.
        - Due – sussurrò l’uomo, facendo roteare la pistola tra le dita, scattando e afferrandola per il collo non appena lei abbassò la guardia.
In silenzio fu riportata all’interno del giardino, ove fu inchiodata al suolo con brutalità; strinse le dita intorno al suo polso per la mancanza di ossigeno, supplicandolo silenziosamente di fermarsi.
        - Tre – contò, inspirando rumorosamente per poi sibilare – non avresti dovuto. Perché? –
Le sue parole si mischiarono con il rintocco della terza campana.
Sentì la presa allentarsi, per poi rabbrividire quando l’aggressore posò una mano a terra accanto al suo capo e con l’altra le puntò la pistola alla fronte. Non appena percepì il freddo metallo dell’arma sulla pelle iniziò a singhiozzare: non c'era più possibilità per rimediare?
        - Non mi ripeterò due volte. Parla – ordinò l’uomo.
        - Ti prego, non farlo – supplicò lei, posando una mano su quella che impugnava la pistola.
Lo vide irrigidirsi, il suo occhio scarlatto si socchiuse: non era solo lei in quello stato. Quando lo riaprì, colse la rabbia mista al profondo dolore.
        - Non supplicarmi. Sai benissimo che non indulgerei – ribatté, frustrato.
Allora la donna strinse le dita intorno alle sue che attendevano sul grilletto: doveva tentare.
        - Fallo –  disse lei con gli occhi ricolmi di lacrime.Fu allora che la campana rintoccò l’ultima e quarta volta.
Le labbra le tremavano.
Chiuse gli occhi e attese.
 
 
 
 
 
Angolino dell’autrice: Ciao a tutti! È passato molto tempo dall’ultima volta che ho scelto di pubblicare una fanfiction, alla fine mi sono fatta coraggio e ho deciso di scrivere qualcosa anche io. Spero la storia possa piacervi, nel caso ci siano errori/ orrori vi prego di farmeli notare, così da poter migliorare.(❁´◡`❁)

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Capitolo 2
*** 2.Deadeye-Part 1 ***


2.Deadeye-part 1

“Solo chi ha la forza di scrivere la parola fine può scrivere la parola inizio.” (Lao Tzu)

 

Bilgewater, città portuale situata sulla Blue Flame Island a Runeterra, è sempre stata caratterizzata da un’atmosfera di operosità: marinai e pescatori sono sempre intenti a lavorare per permettere alle loro navi di attraccare in porto e scaricare la merce raccolta durante le spedizioni in aperto mare, poi venduta agli abitanti o ai paesi confinanti; i mercanti, all’interno delle mura cittadine, occupano la maggior parte delle loro forze e del loro tempo nella vendita competitiva del Rum, prodotto tipico dell’isola, di cui si contano almeno cinque o sei varianti, ognuna con una sfumatura diversa nel suo sapore, dal Rapture Rum di Miss Fortune dal gusto esotico, fino al Black Pearl del suo rivale Gangplanck dal tipico colore scuro e riservato a un gruppo elitario di veri intenditori. Quanto agli abitanti, gli uomini e le donne di Bilgewater hanno un carattere molto duro e avventuriero, così come si addice ai veri marinai, costretti a fronteggiare costantemente bestie marine e, alcuni in particolare, i campioni della Lega; qualora uno di loro avesse un carattere più docile e, soprattutto timoroso, o verrà inghiottito dalle profondità marine o assumerà gli stessi tratti severi, in alcuni casi barbari, dei suoi simili.

Mentre il vento le accarezzava la pelle delicata e liscia, Selene ripeteva a mente queste informazioni tramandatele dal suo maestro e successivamente ottenute in occasione di alcuni discorsi con il capitano del vascello, Gangplanck. Da giorni la donna era in viaggio per raggiungere Ionia: era partita dall’isola dei Guardiani, luogo posto ai confini del mondo conosciuto, dopo che l’Ordine dei Guardiani del Cosmo aveva ricevuto una convocazione dal consiglio di Ionia, in cui si richiedeva urgentemente l’intervento di uno dei grandi Maestri, per discutere e fronteggiare una questione di natura segreta quanto fondamentale al fine di preservare la pace nel regno; Selene, apprendista e migliore studentessa dell’Ordine, era stata scelta in via del tutto occasionale come rappresentate, a causa della convergenza di eventi sfavorevoli, verificatisi in un breve lasso di tempo: il Sommo Maestro dell’ordine, nonché suo padre dall’età inoltrata, non poteva lasciare il paese per via del clima politico instabile, quindi sia per le costanti dispute con l’Ordine di orientamento più radicale durante le sedute in Consiglio, sia a causa di alcune malelingue che suggerivano possibili congiure contro il sovrano; era evidente pertanto, come il Maestro delegato che doveva partire per Ionia, di cui Selene era apprendista, così come i restanti membri della congrega dovevano restare sull’isola al fine di indagare e trovare coloro che dall’interno del paese, stavano organizzando un movimento sovversivo per minare l’equilibrio, ritenuto fondamentale, del paese. Infatti l’Ordine dei Guardiani del Cosmo, sin dai tempi più antichi, era sempre stato garante dell’ordine nelle vare nazioni, i suoi delegati erano intervenuti nei momenti cruciali degli scontri al fine di evitare danni di vasta portata, così come avevano sempre mantenuto l’equilibrio stabile all’interno dell’isola senza mai adottare manovre violente, ma tramite la benevolenza e la clemenza guadagnando in questo modo l’approvazione del popolo; tuttavia da qualche mese a questa parte l’Ordine aveva dovuto fronteggiare l’insorgere sia di un nuovo movimento più radicale, i cui capi più estremisti si riteneva non fossero nativi dell’isola, sia l’Ordine di Zwey, il quale era pronto ad adottare qualsiasi manovra pur di carpire i segreti dell’Ordine e ottenere il potere.

L’abilità più nota dei Guardiani è legata al vivere in perfetta armonia con l’ambiente circostante, questo conferisce loro il controllo degli elementi e dello spazio che li circonda, qualità necessariamente richieste dato l’importante compito da loro svolto; abilità il cui controllo si raggiunge solo in età adulta dopo innumerevoli esperienze, raramente in gioventù. Selene, sebbene apprendista, era stata inviata perché secondo il suo maestro avrebbe accresciuto al meglio il controllo degli elementi, e, casomai data la sua grande abilità, appreso il controllo dello spazio intorno a lei; in un primo momento la ragazza si era opposta dichiarando che tutto ciò era impossibile, tuttavia, di fronte all’espressione irremovibile del suo superiore aveva finito per assecondare il suo volere, ricevendo tutte le informazioni necessarie per il viaggio, partendo con il suo compagno, Hadmon, presente in tutte le sue missioni.

Lasciatasi la tempesta alle sue spalle, Selene iniziava a vedere oltre la nebbia il minaccioso teschio scolpito nella roccia, sovrastante la città di Bilgewater e illuminato dal caldo sole di mezzogiorno; il porto era costellato da innumerevoli imbarcazioni alcune legate al molo, altre già in partenza; lentamente, non appena la nave di Gangplanck entrò in porto, si fece largo tra i vascelli, fino a fermarsi. Dopo di che alcuni marinai scesero subito dalla nave e molto velocemente legarono le cime alle apposite attrezzature, attraccando in porto. Una volta che Gangplack ebbe dato l’ordine, l’ancora fu calata in mare e la ciurma, come la passeggera furono pronti per scendere dal vascello; lentamente Selene si avvicinò al timone della nave dove il capitano Gangplanck dirigeva lo scarico delle merci.

-          Grazie capitano per l’ospitalità, l’Ordine e io la ringraziamo infinitamente – disse la giovane apprendista, mentre il vento le scompigliava appena i lunghi capelli argentei.

-          È stato un piacere, signorina Selene… adesso dove sarà diretta? – chiese l’uomo, scrutando i suoi dolci lineamenti e, soprattutto, gli occhi color ghiaccio.

-          Ionia. È stata richiesta la mia presenza per trattare una questione alquanto spinosa… purtroppo non ho avuto molte informazioni a riguardo – rispose l’altra sorridendo, sistemando la lunga tunica rosso scarlatto, recante sulla schiena un dragone nero simbolo dell’Ordine per indossarne il cappuccio.

-          Capisco… non so molto in materia, ma recentemente Ionia ha dovuto fronteggiare innumerevoli stragi, tutte architettate dal famoso quanto inquietante “Demone d’Oro”, può darsi sia solo una leggenda, ma il Consiglio di Ionia è in subbuglio, a quanto pare non riescono a giungere a compromessi con lui – dichiarò Gangplanck, gridando a un marinaio di prestare attenzione alla merce che stava trasportando.

-          Verificherò personalmente cosa sta succedendo a Ionia, grazie capitano –

-          Ah… quasi dimenticavo… tenga –

Il capitano trasse da una cassa una bottiglia del suo famoso Rum, lo ripose all’interno di una sacca di tela e lo porse alla giovane donna, la quale, sorridendo un po’ imbarazzata e grata, prese il tutto e lo infilò sotto la tunica insieme alle altre due borse da viaggio.

-          Un piccolo omaggio: il Rum di mia produzione, diffidi da imitazioni mi raccomando, questo è per veri intenditori. Sicuramente lei è il tipo di donna che se ne intende – disse il capitano, sogghignando; le strizzò l’occhio, facendola ridere divertita.

-          Molto gentile da parte sua, lo terrò con me come buono auspicio; grazie –

-          Faccia attenzione; alla prossima – salutò Gangplanck, agitando la mano nell’aria, mentre la Guardiana scendeva lungo la passerella che congiungeva il ponte della nave con il porto.

Una volta lasciato il vascello, secondo il suo itinerario Selene si sarebbe dovuta dirigere a Nord della città, da lì un ulteriore vascello l’avrebbe condotta a Ionia, dopo un viaggio di circa 3 ore. Mentre Selene, affiancata dal suo fedele compagno, attraversava Bilgewater, osservava con un pizzico di ammirazione l’atmosfera dinamica e gioiosa della città a partire dai bar affollati da marinai che celebravano le loro spedizioni in alto mare; tuttavia il suo vicino sembrava non apprezzare, dato lo sguardo cupo che trapelava dagli occhi scarlatti del dragone violaceo, sospeso nell’aria accanto a lei.

-          Immagino che questa atmosfera non ti piaccia, eh Hadmon? – scherzò la donna, guardandolo divertita e ricevendo un’occhiata tutt’altro che amichevole.

-          Odio questi posti così affollati… - rispose l’altro, con voce tetra e infastidita; poi non appena un uomo attraversò il suo corpo etereo, riprese -… e odio soprattutto questo -

Selene rise della sua espressione scocciata, in tutti quegli anni passati insieme a lui, aveva appreso molte cose sul suo conto, e una delle tante era l’odio verso i luoghi ricchi di persone, dato che nel luogo in cui loro risiedevano, vi era sempre una pacifica calma, accompagnata dagli armoniosi suoni della natura; del resto i posti da lui amati, rispecchiavano al meglio il suo temperamento pacato e il suo carattere introverso e, alcune volte, scontroso. Tuttavia in rare occasioni, il dragone si era mostrato ostile con lei, infatti, sin dal loro primo incontro nella foresta di Thyllian accanto alla sede dell’Ordine, era nato un profondo legame di amicizia e di rispetto, oltre che di intesa.

Quel giorno Selene aveva circa quindici anni, in occasione di una delle sue uscite segrete al calare del sole, la giovane si era inoltrata tra gli alberi in cerca di tranquillità, animata dalla sola volontà di raggiungere l’albero situato al centro della radura: la magia di quell’albero la attirava come faceva una calamita con il magnete; proseguendo però non si era accorta di come la calda luce del sole lentamente si dissolveva per lasciare spazio al buio della sera, pertanto era giunta di fronte all’albero quando ormai la luna era alta in cielo e quando se ne era resa conto, era ormai troppo tardi. In quell’occasione si era accovacciata di fronte all’albero, posando sul tronco la sua mano sinistra, attraversata da una scritta arcaica terminante con una cicatrice sul palmo della mano; stranamente quella sera, insieme alla sua voglia di scoprire luoghi leggendari, a condurla per la radura fino al suo obiettivo era stato il bruciore della sua cicatrice che cresceva man mano che si avvicinava al grande albero. Appena posò la mano sul tronco, sentì la magia pervaderla, seguita subito dopo da una voce profonda e rauca, di cui non identificava la provenienza.

-          Cosa ci fa una ragazza giovane come te, nella fortesta di Thyllian a quest’ora? Non conosci le leggende che corrono su questo posto – chiese la voce misteriosa, maliziosamente.

-          Si, ma non le temo, io seguo solo il mio istinto, il mio corpo e il mio intuito mi guidano, non è questo quello che fa un Guardiano? – rispose a sua volta Selene, guardando in alto e scrutando con i suoi occhi color ghiaccio gli innumerevoli rami che si diramavano dal tronco, come se quell’entità misteriosa potesse essere lì; dal tono della ragazza trapelava solo calma e serenità, non una traccia di paura.

-          Molto saggio… -

Aveva risposto la voce, materializzandosi alle sue spalle, sovrastandola con la sua immensa mole e guardandola dall’alto dei suoi occhi scarlatti per rifletterli nei suoi color ghiaccio; per un momento Selene aveva mostrato un reverenziale timore di fronte all’immenso dragone etereo, le cui squame erano violacee e il corpo rivestito di migliaia di aculei, ma successivamente una strana forza l’aveva aiutata a sostenere lo sguardo di quella meravigliosa bestia.

-          Non mi temi? – chiese il dragone, colpito dalla velocità con cui il timore era svanito dai suoi occhi ghiaccio, quasi era affascinato dalla forza che quel piccolo corpicino emanava; “la ragazza ha un grande potenziale” rifletté.

-          Non ne ho motivo – proferì tranquillamente Selene, sorridendogli.

-          Dovresti invece, piccoletta… – affermò l’altro divertito.

La ragazza gli sorrise, scuotendo il capo, poi gli porse la mano sinistra, che ora quasi pulsava fino a farle male; qualche strana forza la spingeva a fare gesti inconsueti quanto sorprendenti. Il drago sussultò appena, poi dal profondo delle sue fauci risalì una profonda risata.

-          Sei audace, mi piaci ragazzina… se sapessi veramente chi sono, non saresti qui… il simbolo che hai sulla mano, è il nostro – sussurrò il drago, piegandosi in avanti a osservare la cicatrice, poi proseguì – chi te lo ha fatto? –

-          Non so, mia madre credo… in una notte di… -

-          … luna piena – la interruppe l’altro e dopo una lunga pausa durante la quale continuò a squadrarla, proseguì – sei destinata a grandi cose, piccoletta, hai un grande potenziale; io in quanto drago del Tempo sarò contento di aiutarti –

Detto così il drago si dissolse nel nulla, materializzandosi accanto a lei con dimensioni ridotte, si avvolse intorno alla sua mano, aprendo la sua cicatrice, stringendo così un patto con lei che sarebbe durato per l’eternità.

Da allora, rifletté Selene, il loro rapporto era andato solo migliorando, lui aveva scoperto i suoi segreti più oscuri, lei i suoi; non appena compiuto il rituale che l’aveva resa a tutti gli effetti una Guardiana, il drago si era dissolto per riapparire sotto la forma di un affascinante figura maschile slanciata, dai capelli corvini scarmigliati e gli occhi scarlatti, sguardo da predatore, il fisico bel scolpito e vestito di un aderente pantalone nero, stivali appena slacciati e una maglia nera larga dal lungo scollo. Selene ancora ricordava, come era arrossita vistosamente alla figura di quell’uomo dai lineamenti perfetti, suscitando una profonda e sensuale risata di Hadmon; ancora adesso mentre passeggiava per Bilgewater, al ricordo di quel momento arrossiva, imbarazzata della sua reazione. Il torpore sulle sue guance non passò inosservato all’altro che la guardava, mentre un’espressione maliziosa si dipingeva sul suo muso: aveva compreso quale idea la agitava; solo un avvenimento poteva scatenare quella reazione.

-          Fammi indovinare i tuoi pensieri… stai ripensando a questo? – chiese Hadmon, trasformandosi nella sua affascinante forma umana.

Selene arrossì nuovamente alla vista di quell’uomo affascinante e non fu l’unica, infatti alcune passanti rimasero a osservarlo e si ridussero a sospirare; subito dopo gli rivolse uno sguardo misto tra dolcezza e divertita, e, amichevolmente, tirò un pugno sulla sua spalla.

-          La prima indicazione del maestro era di non attirare attenzione, Hadmon – sussurrò la ragazza, incrociando le braccia al petto.

-          Nessuno ascolta quel vecchio… - rispose l’uomo sogghignando –… inoltre siamo arrivati al porto Nord della città, voglio che il consiglio di Ionia mi consideri un uomo e non venga a conoscenza della mia natura –

-          Perché? – chiese, la donna sorpresa, fermandosi poco prima di una grande arcata in pietra con sopra un’insegna con scritto “NORD”.

-          Preferisco adottare qualche precauzione… - ribatté il compagno con fare misterioso, guardando il porto che si stagliava davanti a loro, ricolmo di imbarcazioni che disposte in mare, sembravano formare delle linee a zig zag.

I due si trovavano in una piazza quadrata sui cui lati erano poste arcate recanti le insegne dei quattro punti cardinali, tre dei quali, nord, sud e ovest, conducevano al mare e uno, est, portava nella zona della città situata nell’entroterra; la piazza era collocata geograficamente su una piccola collina, in modo tale che da sotto le arcate si aveva una visuale completa della strada centrale conducente alla zona imbarco; sotto il sole del mezzogiorno, la via centrale che iniziava da sotto l’arcata e da cui si diramavano innumerevoli vie secondarie, era animata da un gran numero di persone intente a svolgere le loro attività e che non sembravano risentire minimamente del caldo, i mercanti agitavano le loro merci e inseguivano i passanti, i pirati si intrufolavano in qualche bar e qualcuno ogni tanto ne veniva spedito fuori mal ridotto a causa di una rissa, i negozi ricolmi di persone: quella visione corrispondeva esattamente al clima di operosità che era stato descritto a Selene. Tuttavia, mentre passeggiava, al centro dei suoi pensieri vi era l’affermazione di Hadmon, del resto sin da quando aveva lasciato l’isola, una strana sensazione l’aveva accompagnata per tutto il viaggio e continuava a farlo tuttora; si ritrovò a scrutare la figura di Hadmon che camminava con il suo portamento dritto e sicuro, chiedendosi cosa si agitava nella sua mente al punto tale da fargli prendere precauzioni verso il consiglio stesso, alla fine però non trovando alcuna risposta ragionevole mise da parte quel pensiero così come il suo strano sentore, ritenendo che fossero inutili preoccupazioni legate alla sua ansia circa la sua inesperienza; quella era la prima occasione in cui lei svolgeva esattamente la funzione di Guardiana, occupandosi realmente di questioni importanti e problematiche per una nazione, sebbene le sue abilità circa il controllo del suo potere non erano perfezionate. Selene finì per osservare la sua figura riflessa in una vetrina di un negozio: sotto il mantello spiccavano i suoi occhi color ghiaccio incorniciati da folte e lunghe ciglia nere, ereditati dalla sua cara madre morta tragicamente, il suo naso era sottile e appena all’insù mentre le sue labbra erano color ciliegia e sottili; i suoi capelli erano argentati, lunghi e raccolti in una coda con una ciocca liscia che le ricadeva vicino all’occhio sinistro, infine a incorniciare il suo viso vi erano degli orecchini lunghi neri, con al centro, sospesa, una pietra rosso scarlatto. Sotto il mantello, indossava l’armatura che era solita portare in occasioni molto speciali: un completo in pelle lucida incrociato sul seno e sul petto, lasciava intravedere le sue forme, l’abito si apriva lasciando intravedere il ventre piatto, la vita e la schiena, in modo tale che solo alcune cinghie in pelle si legassero alla cintura e alla parte inferiore del completo; quest’ultima poi terminava con una gonna corta leggermente asimmetrica: più lunga a sinistra e appena più corta a destra. Infine degli stivali alti in cuoio, con sopra incise delle scritte arcaiche e con alcuni aculei posti sul lato esterno della scarpa e dei lunghi guanti neri, coprenti alcuni simboli sui suoi avambracci, tagliati sulle dita con dei rinforzi in acciaio sulle nocche. Le mancava il suo elmo nascosto, che ben definiva il suo ruolo di guardiana, un piccolo cerchietto dorato con al centro incastonata una pietra rossa, da cui si diramavano tre lunghi corni, incorniciati da piume nere.

Guardandosi, si rese conto di come ogni componente della sua armatura serviva a nascondere o a incanalare il suo enorme potere: sin dalla giovane età il suo maestro aveva riscontrato in lei la presenza di un enorme potenziale che con il tempo l’aveva portata a controllare gli elementi fondamentali della natura, con la componente spaziale e temporale ancora da perfezionare; tuttavia il carattere più preoccupante delle sue capacità era nel controllo delle arti più oscure, legate al Buio, cosa che lei a volte difficilmente riusciva a controllare e che erano state sigillate tramite alcuni rituali arcani i cui simboli erano incisi sulle sue braccia. Questo immenso potere le aveva conferito il titolo di Guardiana della Notte, in molti la temevano e bramavano il suo potere; quanto le era costato però ottenere quel riconoscimento… e cosa aveva comportato avere quell’eccessivo potenziale, pronto a distruggerla se si fosse distratta. Sarebbe stata capace di svolgere il suo incarico, se lei stessa era una minaccia?

-          Finiscila di rimuginare… la puzza di fumo del tuo cervello arriva sin qui. Siamo arrivati al porto – borbottò Hadmon accanto a lei, posando un pugno sulla sua testa.

-          Stavo solo riflettendo… - rispose flebilmente l’altra, cercando il vascello che a breve li avrebbe condotti a Ionia.

-          Hai guardato la tua immagine riflessa in ogni vetrina, eri così assorta dai tuoi pensieri, che non ho potuto fare a meno di dargli una sbirciatina – confessò il dragone; una delle sue leggendarie abilità era quelle di leggere nella mente altrui.

-          HADMON! Quante volte ti ho detto di non farlo! – disse duramente Selene, guardandolo lievemente infastidita.

-          I tuoi pensieri erano stampati sul tuo viso, persino un marinaio ubriaco li avrebbe compresi… comunque perdonami, ti ho vista molto preoccupata - si scusò l’uomo scuotendo il capo e facendo spallucce.

-          Sta’ tranquillo… non c’è problema; stavo pensando se riuscirò a svolgere questo incarico – sospirò l’altra, sorridendogli.

-          Abbi fiducia in te stessa, hai un potenziale immenso e qualora questo rappresentasse un problema, sarò in grado di sigillarlo… rilassati, ne abbiamo già parlato – affermò Hadmon, posandole una mano sulla spalla, sorridendole affettuosamente.

Selene annuì ringraziandolo, dopo di che insieme si diressero verso la loro nave, percorrendo la passerella dell’imbarcazione, ritrovandosi sul ponte della nave; improvvisamente furono raggiunti dal capitano della nave che, rivolse uno sguardo amichevole a lei e uno più serio ad Hadmon, il quale, non fece a meno di notarlo e poi ignorarlo. Il capitano della nave era un uomo di media statura, molto robusto, dai capelli scarmigliati castani, con qualche ciocca argentea, il naso dritto e sottile e gli occhi neri; sul capo aveva un cappello in cuoio nero, indossava un lungo mantello con sotto una camicia bianca, una cinta cui era legata la sciabola e dei lunghi pantaloni marroni con intonati gli stivali alti; nel complesso l’uomo, il cui nome si rivelò essere William, aveva un atteggiamento molto sicuro e duro, tale da incutere timore sia ai marinai più fannulloni sia ai più operosi.

-          Lei deve essere la Guardiana, giusto? – chiese cortesemente, ricevendo una risposta affermativa – mi era stato annunciato che vi era solo una passeggera –

A quelle parole, Hadmon posò lo sguardo sul capitano, riflettendo su quanto poco sopportasse la sua presenza, sebbene il loro incontro fosse iniziato da un minuto scarso.

-          Esatto ma mi duole doverle annunciare che con me ho anche il mio compagno, Hadmon… viaggia insieme a me, anche lui fa parte dell’Ordine; spero non sia un problema… - disse la giovane, sorridendo appena.

-          Diciamo che queste inconvenienze dovrebbero essere dette con un certo anticipo, signorina, sa… questo potrebbe comportare un aumento nel prezzo prestabilito del viaggio… - dichiarò William, mostrando un sorriso maligno.

-          Capisco, purtroppo non ho molti denari con me… a noi Guardiani non ci è consentito portarne in grandi quantità – proferì Selene, notando l’espressione di sfida di Hadmon, che sollevò appena il sopracciglio destro guardandolo con sufficienza.

-          Allora potrebbe accettare il mio invito a cena, se non ha denari – sussurrò l’uomo, grattandosi il mento, con finto fare pensieroso.

-          Sarei onorato di partecipare – si intromise Hadmon, serio in volto, di una serietà quasi inquietante, ricevendo uno sguardo duro del capitano.

-          Non mi pare di aver richiesto la sua presenza signor Hallan –

-          Non mi sembra che per lei sia un problema che saliamo in due a bordo, o no? – ribatté Hadmon, posando una mano unghiata sulla spalla del capitano, stringendo con forza; quando l’altro scosse il capo intimorito dai suoi occhi scarlatti e i suoi incisivi pronunciati, continuò sorridendo amabilmente – grazie, signore; se mi permette, il mio nome è Hadmon, grazie per la sua disponibilità –

-          Siete i benvenuti, signor Hadmon… - tremò William, congedandosi poco dopo, sfuggendo verso il timone, dato che ormai erano pronti per partire.

Una risata accompagnò la fuga dell’uomo, Selene scosse il capo divertita, rivolgendo un sguardo amichevole ad Hadmon, il quale di rimando sogghignò trionfante; dopo di che si avviarono verso la stiva della nave, verso una piccola cabina a loro riservata, posando i loro bagagli. La stanzina, di forma rettangolare aveva due letti laterali, al centro un piccolo comodino in legno e sopra di esso poco più in alto, una piccola finestrella circolare che permetteva di guardare le profondità marine; tolto il mantello, Selene, lo adagiò sul piccolo comodino, sedendosi sul letto, improvvisamente le sue membra si sentivano stanche, del resto il viaggio precedente era durato tutta la notte e lei aveva dormito si e no poche ore a causa delle urla dei marinai che doveva fronteggiare la tempesta, che li aveva colti non appena avevano preso il largo. Inoltre tenere sotto controllo il suo potere le richiedeva molto sforzo e quindi ora più che mai, aveva bisogno di riposo, così si stese sul letto, posando la mano sotto il cuscino, abbracciandolo.

Dal canto suo Hadmon le sorrise affettuosamente, poi non appena si fu addormentata, si mise a osservare fuori dalla finestrella: piccoli pesci si agitavano accanto alla nave, muovendosi in branco, ma non appena lui posò la mano artigliata sul vetro, scapparono subito spaventati; vide i suoi occhi scarlatti riflessi nel vetro lievemente opaco per via della salsedine, i suoi pensieri corsero a Selene e al suo potere incontrollabile, da tempo rifletteva su come fosse possibile che il Buio avesse scelto proprio lei come sua Custode e non qualcun altro. Ai suoi possessori il Buio conferiva potenzialità a dir poco che infinite, tra cui la grande abilità nel maneggiare gli elementi basilari che un normale Guardiano avrebbe imparato a controllare in età adulta, tuttavia questo potere immenso costava enormi sacrifici e Selene questo lo sapeva benissimo: se lasciava che il Buio avesse la meglio, questo avrebbe consumato la sua linfa vitale, fortunatamente sua madre stessa aveva sacrificato la sua vita per trasferirle il potere di contrastarlo, sigillandolo in un primo momento; sapeva che sin dalla tenera età Selene aveva dovuto sempre far fronte alla possibilità che molti essendo attratti dal suo potere potevano attentare alla sua vita o a quella dei suoi cari. Con quei pensieri Hadmon finì per osservare la ragazza distesa sul letto, lui avrebbe continuato a cercare un modo per evitare che quel potere la distruggesse, forse, pensò, con quel viaggio, sarebbe riuscito a trovare la soluzione…

 

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Capitolo 3
*** Deadeye-Part 2 ***


Deadeye-part 2

La calda luce del pomeriggio, entrava dall’oblò, illuminando l’intera stanza e svegliando Selene; Hadmon alla fine era restato tutto il tempo sveglio di fronte alla finestrella, il suo viso era lievemente in penombra, con gli occhi inchiodati sul fondo nero dell’oceano, come a cercare un tesoro rarissimo, tuttavia non appena si accorse che si era messa a sedere sul letto, il suo sguardo si posò su di lei.

- Siamo arrivati… poco fa il capitano mi ha annunciato che stavano attraccando in porto- annunciò Hadmon, appoggiandosi al muro con le braccia conserte.

- Non dirmi che sei rimasto lì tutto il tempo… - disse lei, con la voce ancora assonnata.

- Non avevo bisogno di riposare e non c’erano molte alternative… forse mi sarei potuto divertire a terrorizzare il capitano… - scherzò l’uomo, agitando una mano nell’aria, mentre sulle sue spalle appariva un lungo mantello scarlatto, identico a quello di Selene.

- Meglio di no – rise la giovane, indossando la sua tunica, e afferrando la sua borsa che nascose insieme alle sue armi: due lunghi pugnali neri, con incisioni lungo la lama e lunghe catene avvolte intorno al manico.

Dopo che Hadmon, costretto da Selene, si era scusato per il suo comportamento a dir poco che inquietante, erano scesi dalla nave; prima che i due andassero via, William li aveva bloccati e si era scusato, e amichevolmente gli aveva regalato una bottiglia di Rapture Rum: al termine del viaggio, di quel passo, avrebbe riportato con sé una cassa di rum, pensò ironicamente Selene.

Il porto di Ionia era meno affollato rispetto a Bilgewater, nella sua interezza era circondato da alte mura in marmo bianco interrotte da due imponenti arcate che permettevano di entrare e lasciare il porto; al suo interno gli abitanti si muovevano ordinatamente e l’accesso alle imbarcazioni era controllato da due guardie, munite di una corazza in acciaio, un elmo che lasciava intravedere solo due occhi sottili; alle spalle stesse del porto si poteva già osservare la fitta vegetazione di Ionia con le sue montagne verdeggianti, da cui proveniva un intenso profumo di fiori, accompagnato da una lieve brezza. Selene respirò a pieni polmoni l’aria fresca, finalmente dopo tante ore di viaggio erano arrivati, perciò si diressero verso un’alta arcata in marmo bianco, con sopra inciso ‘IONIA’, controllata da due guardie, addette al controllo dei biglietti di coloro che intendevano lasciare il porto; consegnati i biglietti, la guardia più alta fece cenno a una terza e furono scortati da un ulteriore guardiano presso una piccola locandina in legno, dall’aria molto accogliente, ove un anziano li attendeva. Dopo che l’anziano ebbe fatto cenno con le mani, le due guardie si allontanarono, lasciandoli soli sull’uscio della porta; Selene, come Hadmon, scrutarono attentamente la figura che aveva davanti, l’uomo, era appena ricurvo sulla schiena, dai suoi occhi verdi appena infossati e coperti dalle folte sopracciglia, trapelava uno sguardo affettuoso, le sue labbra, salvo l’inferiore, erano coperte completamente dalla lunga barba bianca che arrivava a metà torace; il suo corpo esile, celante una grande forza interiore, era coperto da una tunica bianca, ricca di decorazioni floreali azzurre, che arrivava fino ai piedi e si allargava in prossimità delle ampie maniche ora unite all’altezza del petto.

- Benvenuti a Ionia, onorevoli Guardiani – salutò cortesemente, inchinandosi – permettetemi di presentarmi, io sono Hanzai, monaco del monastero Shojin; so che è stata richiesta la vostra presenza alla seduta di oggi, pertanto sarò io a scortarvi fino a Navori, a sud di Ionia, e successivamente a Tuula, dove si riunirà il Consiglio –

- La ringraziamo infinitamente, io sono Selene e lui è Hadmon – rispose Selene, piegando il capo in segno di rispetto.

- Il consiglio di Flauren stavolta ha inviato dei Guardiani molto giovani – sussurrò amichevolmente Hanzai, osservandoli da sotto le folte sopracciglia.

- Il consiglio dei Guardiani si scusa profondamente per questa inconvenienza, ma date alcune circostanze sfavorevoli, nessun Maestro è potuto venire e hanno inviato noi. Faremo del nostro meglio – asserì Hadmon, scrutando attentamente l’anziano.

- Ne sono certo, adesso andiamo, durante il viaggio vi darò le informazioni di cui necessitate – concluse l’altro sorridendo.

Dopo che entrambi ringraziarono l’anziano maestro, si diressero verso una carrozza e silenziosamente vi entrarono; durante il tragitto, il maestro illustrò i motivi che non erano stati specificati nella lettera, inviata presso l’isola dei Guardiani: recentemente il Consiglio di Ionia, facendo leva sul futuro aiuto dei Guardiani, aveva deciso di liberare il famoso Khada Jhin, noto per la sua natura molto instabile, per porlo sotto stretta osservanza; purtroppo però, i mesi di prigionia non avevano contribuito a ridimensionare le sue tendenze folli, ne tantomeno le avevano acuite, anzi la sua scarcerazione, era stata accompagnata da un comportamento insolitamente calmo e cauto, questo era stato fonte di sospetto per il Consiglio, che temeva di aver compiuto un passo falso. Infatti i membri ritenevano che dietro quella calma, la sua mente meticolosa stesse elaborando un nuovo copione al fine di realizzare un futuro scenario di morte; in vista di ciò, il Consiglio aveva iniziato a farlo pedinare presso la sua abitazione a Tuula, seguendone tutti i possibili spostamenti, ma nessuna prova poteva avvalorare la loro tesi, inoltre ad accrescere il clima di tensione, vi erano stati alcuni omicidi a Zhyun di cui non era stato trovato il responsabile. Pertanto la richiesta rivolta ai guardiani era quella di recarsi presso l’abitazione del pistolero, e, in cooperazione con la scuola di Shen, controllare il criminale, comunicando eventuali progetti criminali; il tutto implicava sia il dovere di prendere parte ai conflitti nella Landa degli Evocatori, sia Selene con Hadmon, avrebbero dovuto ‘convivere’ con l’uomo, senza rivelare lo scopo ultimo della missione e la loro vera identità di guardiani.

- Dobbiamo aggirarlo con l’inganno… - commentò Selene, con un pizzico di disapprovazione, a lei non era mai piaciuta l’idea di ingannare le persone.

- Parliamo di un criminale, folle per di più – rispose Hanzai, serio in volto.

- Di un uomo… inoltre non possiamo presentarci alla sua abitazione di punto in bianco - ribatté lei, con tono duro, mantenendosi distaccata.

- Nessuno ha detto questo, delle guardie vi scorteranno presso la residenza e annunceranno il motivo della vostra venuta: voi sarete coloro che lo affiancheranno nel periodo della sua libertà vigilata, al fine di valutare se può integrarsi o no nella nostra società senza recare danni; vi fingerete membri del monastero Shojin, nascondendo la vostra identità e i vostri legami con la scuola di Shen – chiosò Hanzai, incrociando le braccia.

- Cosa succederà se non sarà in grado di integrarsi? – osservò Hadmon, intervenendo per la prima volta.

- Di questo, signor Hadmon, ne discuteremo un giorno con molta tranquillità – proferì il monaco volgendo lo sguardo fuori dalla finestrella della carrozza, poi continuò – siamo arrivati a Tuula–

Tuula era una città di media dimensione, circondata da verdeggianti colline e costruita alla base di un’alta montagna, sulla cui cima si ergeva un alto arco bianco decorato da striature rosse e seguito da una serie di ulteriori archi, costruiti nel punto in cui l’altura terminava per lasciare spazio a un ripido dirupo, terminante in prossimità di un fiume; tali strutture erano sospese nel vuoto e al centro presentavano una piccola frazione di un ponte che unite alle altre, formavano il passaggio che conduceva al luogo dove si trovava il Consiglio. Per il resto la città si sviluppava intorno a un’ampia pagoda in stile giapponese, che spiccava per la sua altezza e la sua bellezza, il pinnacolo terminale della pagoda, recava il simbolo di Ionia e presentava rossi motivi floreali, motivo di contrasto con il color mogano del legno; la pagoda era situata al centro di una piazza circolare, luogo in cui si organizzavano spesso eventi o cerimonie, da esse poi si dipartivano a raggiera cinque strade principali costeggiate ai lati da case in stile giapponese, qualche piccolo dojo, tra cui una piccola sede del monastero Shojin, botteghe e luoghi d’istruzione. Infine a ridosso della città tra le innumerevoli zone periferiche si estendeva una strada che conduceva in una zona isolata in cui era situata la prigione.

La carrozza li aveva lasciati di fronte un imponente portone in legno, ove avevano comunicato le loro identità a delle guardie così, Selene e Hadmon, avevano riposto i loro mantelli recanti l’insegna dei Guardiani, indossandone altri semplici dal colore marrone; dopo di che avevano proseguito per i viali secondari della città, giungendo fino alla piazza, dove si erano fermati qualche minuto per riposarsi. A primo impatto Tuula comunicava a Selene un profondo senso di pace, il sole delle cinque accarezzava i tetti delle case che proiettavano le loro lunghe ombre sulle strade in ciottolato e una piacevole brezza primaverile accarezzava il suo viso nascosto sotto il pesante cappuccio; si ritrovò ad osservare l’alta pagoda notando le persone che affluivano presso il luogo di culto e le altre che passeggiavano, recandosi nei negozi situati ai margini del piazzale. Hadmon e il maestro Hanzai stavano discutendo sui motivi che avevano spinto il Consiglio dei Guardiani a scegliere loro come inviati speciali, il maestro chiese che tipologia di Guardiana fosse la ragazza, dato che sull’isola vi erano diverse caste di Guardiani, e lui rispose che lei era la rara Custode del Buio e lui aveva la funzione di guidarla nell’apprendimento, ritenendo che il viaggio su Ionia avrebbe portato a buoni risultati dato gli innumerevoli luoghi di potere dell’isola; Selene osservò come da sotto il cappuccio Hanzai ascoltava attentamente il suo amico, perciò mentre loro si riposavano ancora un po’, lei comunicò che si sarebbe recata presso una piccola bottega, situata alle spalle della pagoda.

Appena superò l’alto edificio, fu incuriosita da un uomo alto incappucciato, con indosso un lungo mantello nero, ricurvo su se stesso con un enorme protuberanza sulla spalla sinistra, che si avviava con una strana quanto elegante camminata verso una panchina in marmo distante alcuni metri dal negozio che lei aveva puntato; distolta l’attenzione, arrivò sulla soglia del negozio con la costante impressione di essere osservata dallo strano individuo, così si voltò verso lo sconosciuto, scorgendo sotto il cappuccio un occhio scarlatto, intento a guardarla: fu un istante che l’uomo si voltò in un'altra direzione e lei ebbe il dubbio che stesse effettivamente scrutando la sua figura. Scacciò subito dalla sua mente il pensiero e varcò l’entrata del negozio, salutando cortesemente il giovane ragazzo dietro il bancone; scostò appena il cappuccio lasciando scoperto appena il viso e il ciuffo che ricadeva morbido sul suo viso, poi diede un’occhiata alla merce in vendita: esclusivamente alimenti nella stanza in cui si trovava lei e in quella comunicante armi e amuleti intrisi di magia. Contemporaneamente nella bottega era entrato l’uomo misterioso e, senza che lei se ne accorgesse, si era recato nella stanza adiacente e adesso stava scrutando i suoi lineamenti e movimenti. Selene prese alcune bacche e pagò, poi chiese gentilmente al ragazzo se poteva dare uno sguardo alle armi e agli amuleti ricevendo un cordiale sorriso seguito da una risposta affermativa; non appena Selene percorse il piccolo corridoio comunicante con la sala delle armi, notò la figura che prima aveva incontrato di spalle e uno strano pensiero sorse nella sua mente, che la stesse seguendo? Scosse il capo e si mise ad osservare una lunga spada di buonissima fattura, con incisioni sul manico in pelle e sulla lama nera, allungò la mano verso essa, incantata dalla sua bellezza, mentre la manica della tunica si scostava e rivelava parte della sua armatura che non passò inosservata al misterioso uomo accanto a lei.

- Signora faccia attenzione, potrebbe farsi male se non è in grado di maneggiarla – disse il giovane da dietro il bancone.

- Non ha di che preoccuparsi, sono una combattente – commentò la ragazza, afferrando la pesante spada e tenendola tra le dita affusolate, accarezzandone la lama.

Selene fece per posare l’arma ma, se era stato facile prendere l’arma altrettanto non lo era stato riporla sullo scaffale, pertanto nei suoi vani tentativi si mise in punta di piedi ma fallì miseramente e il cappuccio ricadde all’indietro rivelando per intero il suo capo; improvvisamente vide il manico della spada venir sollevato da una mano, quindi si voltò verso il suo aiutante e, con sorpresa e un pizzico di inquietudine, si rivelò essere l’uomo misterioso; nuovamente incontrò il suo sguardo, ma stavolta sussultò osservandolo da vicino: da sotto il cappuccio nero, si intravedevano solo i confusi lineamenti di quella che forse doveva essere una maschera, su cui spiccava un occhio rosso scarlatto, quasi demoniaco; ora quell’occhio era posato su di lei, riflettendosi nelle sue pozze color ghiaccio, come a studiarla per carpire i suoi segreti e scavare in lei, per giungere alla sua essenza e stritolarla. Senza spiegarselo, sentì il cuore mancare un battito per poi riprendere la sua corsa più frettolosamente, non accorgendosi di trattenere il fiato da quando l’uomo misterioso le aveva accarezzato casualmente la mano per sfilarle l’arma dalle mani: c’era qualcosa di inquietante e di ipnotico nel suo sguardo che la bloccava, rendendola vittima di quella pozza rosso sangue. La voce del commesso la riportò alla realtà e velocemente racimolò qualche pensiero da dire in segno di ringraziamento all’uomo che ora era immobile di fronte a lei, come ad attendere che una sua parola, così recuperò la calma e proseguì, ma non appena fece per parlare fu interrotta da una profonda voce maschile dal timbro melodioso, leggermente distorto dall’ipotetica maschera.

- Va tutto bene, signorina? Ho notato che non respirava –

Selene arrossì appena, rimproverando sé stessa per aver permesso al suo interlocutore di capire subito il suo stato; scosse la testa sorridendo nella sua direzione, indietreggiando di un passo.

- Si va tutto bene, mi sono solo spaventata non mi aspettavo di trovarla così vicino a me. Ad ogni modo la ringrazio per l’aiuto – rispose, sempre intimorita dal rosso scarlatto del suo occhio.

Per la gioia di Selene, Hadmon si materializzò sulla porta del negozio con fare frettoloso, adocchiando subito la figura misteriosa accanto a lei.

- Ehi Selene, dobbiamo andare – dichiarò, rivolgendole uno sguardo interrogativo come a chiederle chi fosse l’uomo con cui parlava.

Educatamente Selene salutò l’uomo davanti a lei il quale non rispose subito, avviandosi verso l’uscita; poi poco prima di varcare la soglia per raggiungere l’amico che ora l’attendeva fuori, inconsciamente si voltò e lo guardò un’ultima volta.

- Ho come il presentimento che a breve ci rincontreremo, pertanto ometterò l’addio, Selene – proferì l’uomo misterioso, accarezzando ogni sillaba del suo nome e continuando a osservarla intensamente.

Selene sussultò, più stava lì dentro più continuava a sentirsi a disagio, pertanto mostrò un sorriso tirato, tirò su il cappuccio e sgattaiolò via raggiungendo Hadmon.

- Ti vedo un po’ scossa… chi era quell’uomo? – chiese il compagno, riprendendo a camminare verso la cima della montagna lungo un vialetto costeggiato dal verde.

- Non lo so, ma spero di non incontrarlo più – dichiarò Selene, aggrottando la sua fronte al pensiero dell’incontro precedente, un’idea raccapricciante si faceva largo nella sua mente su quale fosse la sua identità, ma lo scacciò.

***

La sede del Consiglio era una pagoda, a pianta quadrata, di cinque piani con una base in pietra su cui poggiava l’intera struttura in legno pregiato; interamente nascosta dalla nebbia che si levava dal fiume, era completamente invisibile sia dal paese sia dall’arcata attraverso cui si accedeva alla sede, in questo modo nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza di alcune delicate attività del Consiglio. Al loro arrivo Selene e Hadmon, superarono una porta scorrevole varcando la soglia d’accesso, ritrovandosi in un’ampia stanza, la cui pavimentazione altro non era che un ampio tatami su cui due individui, uno giovane e uno più anziano, erano inginocchiati in meditazione; i due guardiani lasciarono i loro stivali accanto la porta e lasciarono le loro tuniche ripiegate accanto ad essi, dopo di che seguirono il maestro Hanzai che li condusse al cospetto dei due uomini, i quali si misero in piedi non appena li videro.

- Loro sono gli esponenti di punta dell’Ordine Kinkou, Shen l’occhio del crepuscolo e suo padre Kusho; il loro clan si occupa di mantenere da sempre l’ordine a Ionia e sono stati coloro che hanno imprigionato Khada Jhin. Coopererete segretamente insieme alla loro scuola, vigilando sul criminale – annunciò il maestro, mentre Selene e Hadmon facevano un inchino in segno di rispetto e di saluto.

- Sarà un onore lavorare insieme a voi, Guardiani; io sono il maestro Kusho e lui è mio figlio Shen – l’anziano signore, poco più basso di Selene si inchinò, sorridendo cordialmente.

- Siamo lusingati di fare la vostra conoscenza, io sono Selene, Guardiana del Buio e lui è Hadmon, Custode del Tempo – disse Selene, osservando prima il maestro e poi l’uomo alto accanto a lui, percependo la sua natura né umana né di spirito.

- Immagino Hanzai vi abbia già descritto cosa farete, più tardi dopo la breve riunione alcune guardie vi condurranno verso la vostra destinazione. Grazie in anticipo per il vostro intervento – proferì Shen rivolgendo la sua attenzione verso la donna – se mi permette, prima dell’inizio del consiglio, vorrei darle alcune indicazioni necessarie –

- Certamente, ti prego dammi del ‘tu’ – rispose Selene sorridendo nella sua direzione, non le erano mai piaciute le eccessive formalità, sebbene fossero necessarie in quel caso.

Il ninja di fronte a lei annuì e, per un momento, sembrò avesse abbandonato un po’ la sua eccessiva compostezza, così anche lui rinunciò alle formalità dichiarando che non ci sarebbero stati problemi se lei si fosse rivolta a lui con un semplice ‘tu’; insieme si diressero verso il verdeggiante giardino situato dietro la pagoda, seguirono un sentiero giungendo sulla sponda opposta a ridosso di alcuni cespugli e di un piccolo albero; la giovane Guardiana lo osservava con espressione interrogativa mentre l’altro si controllava le spalle: nei suoi occhi azzurri coglieva uno sguardo duro privo di qualsiasi attaccamento al mondo terrestre. Dopo che smise di scrutare l’ambiente circostante, rivolse la sua attenzione su di lei e il suo volto parve rilassarsi; si era informato circa i Guardiani del Buio, scoprendo a malincuore come il loro destino non riservava una piacevole esistenza: un unico Guardiano del Buio ereditava un arcano e oscuro potere apparentemente senza limiti, divenendo custode di un demone che minacciava costantemente di divorarlo e venire allo scoperto, pertanto i maestri ponevano su di loro un sigillo, generalmente un tatuaggio realizzato su una delle due braccia, al fine di mantenerlo sotto controllo; purtroppo l’esercizio di alcune pratiche da parte del Guardiano costava  loro un enorme dispendio di energie col rischio che la loro essenza venisse intaccata dal Buio, accorciandone l’esistenza.

Un corpo così piccolo con un potenziale così grande pensò Shen, percorrendo con gli occhi il viso della donna adesso intenta ad osservare il paesaggio circostante, probabilmente nonostante l’allenamento intensivo cui era sottoposto, il potere del Guardiano del Buio in giovane età poteva diventare incontrollabile, quindi poteva immaginare la forza che la donna aveva nel non farsi sopraffare dai compiti che doveva svolgere, cosciente che una caduta poteva essere fatale.

- Ora che nessuno può sentirci, vorrei darti alcune informazioni che ho appreso durante la prigionia di Khada Jhin e prima che lo catturassi- disse Shen, facendo una breve pausa – Khada Jhin è un uomo crudele e spietato, due delle tante caratteristiche che lo rendono un criminale psicopatico, le cui potenzialità hanno suscitato l’interesse del Consiglio al punto da decidere di liberarlo e assoldarlo come sicario segreto nella guerra contro Noxus; così facendo, basandosi sul risultato del suo operato e sulla sua collaborazione, i membri valuteranno se sarà possibile integrarlo nella società –

Selene vide il volto di Shen contrarsi non appena illustrò il volere del Consiglio, notò un’ombra oscurare lo sguardo dell’altro rifletté che probabilmente lui non era d’accordo circa la scarcerazione del misterioso assassino.

-Durante il periodo di permanenza nella sua abitazione, in cui il vostro compito sarà quello di affiancarlo e controllarlo nelle spedizioni, vi chiedo di prestare attenzione: le sue azioni spesso sono folli e imprevedibili, ama terrorizzare le sue vittime, peggio di tutto concepisce la morte come il compimento della sua opera d’arte di cui lui è artefice, pertanto rivelate poche informazioni sul vostro conto, se non nessuna, soprattutto sui tuoi poteri che potrebbero accendere la sua attenzione. Non lasciarti intrappolare dalla sua rete di inganni, sa essere scaltro e riesce a perseguire i suoi obiettivi; per anni l’ho inseguito avendo come traccia solo la scia di cadaveri che si lasciava alle spalle e purtroppo, a mie spese, ho constatato come la sua follia cambia radicalmente le persone intorno a lui –

- Non hai di che preoccuparti, noi Guardiani siamo portatori di ordine e giustizia e proprio in virtù di ciò, noi non possiamo compiere mosse false – rassicurò Selene, sorridendo affettuosamente – io sono ancora un’apprendista, ma rispetterò ugualmente il mio compito –

- A nome di tutto il mio Ordine, vi ringraziamo profondamente –

Shen fece un profondo inchino, mostrando la sua gratitudine, dopo di che notando l’arrivo dei membri del Consiglio fece cenno di rientrare nella struttura, così varcarono la soglia e Selene raggiunse Hadmon aggiornandolo sulle nuove informazioni, per poi salire insieme al secondo piano dove si teneva la riunione. Intorno al tavolo centrale erano disposti i membri, Selene notò come molti fossero esponenti degli Ordini presenti sull’isola, tra cui il maestro Hanzai; dopo un reverenziale saluto, il membro più anziano della congrega, chiamato Klain, illustrò loro quanto Hanzai e Shen aveva già spiegato riguardo il loro compito, dando precisazioni circa la situazione di Ionia, attaccata improvvisamente dalle truppe di Noxus, quindi date le mire espansionistiche della città-stato e la loro condizione di svantaggio erano stati spinti a delegare spedizioni segrete al criminale Khada Jhin, reclutandolo; fu imposto loro che dopo ogni spedizione era necessario fare rapporto alla scuola di Kusho e che ogni elemento sospetto era da segnalare, al termine della guerra si sarebbero poi compiute le relative valutazioni. Durante la riunione una guardia consegnò ai Guardiani un piccolo fascicolo contenente le informazioni su Khada Jhin con allegata un’immagine del volto dell’uomo e il relativo armamentario; alla vista della prima foto Selene sussultò, la maschera dell’uomo, intarsiata di incisioni che intersecandosi tra loro formavano ricche decorazioni, le ricordava quella che aveva intravisto sotto il cappuccio del suo misterioso interlocutore. Rapidamente accantonò il pensiero, concentrandosi sul contenuto della cartella, alquanto esiguo: escluso l’armamentario e l’approssimativa età del criminale, all’incirca trent’anni, compresi i relativi crimini, poco se non nulla era dichiarato circa le informazioni più sensibili.

- Come potete osservare, per scarsa inclinazione dell’interessato nelle comunicazioni, poche sono le informazioni che abbia estrapolato sul suo conto, ma comunque le necessarie e le più esaustive – esordì Klain, scrutando i due Guardiani.

- La ringraziamo, Sommo Maestro; saranno più che sufficienti e se indispensabile le ricaveremo – ribatté Hadmon, serio in volto, qualcosa si agitava nei suoi pensieri.

-Siamo noi abitanti di Ionia ad esservi infinitamente grati; ad ogni modo, a breve, dopo il termine della seduta, delle guardie vi scorteranno nelle vicinanze dell’abitazione di Khada Jhin. Permettetemi di darvi un’ultima raccomandazione…- chiosò Klain, facendo una breve pausa durante la quale scrutò seriamente i giovani davanti i suoi occhi, poi riprese -… non lasciatevi traviare dalle passioni di quel criminale –

- Sarà fatto – concluse Hadmon, inchinandosi di fronte al maestro, non appena sciolse il Consiglio.

Se il suo compagno era rimasto impassibile di fronte all’espressione del sommo maestro, altrettanto non lo era stata Selene, di fatto non appena l’anziano aveva posato gli occhi prima su di lei e poi su Hadmon aveva sussultato, i diversi moniti che le erano stati dati l’avevano messa in guardia e il suo intuito le aveva suggerito di prestare più che attenzione; tutto questo la rendeva preoccupata e inquieta, considerando che lei e Hadmon avrebbero soggiornato  nella stessa residenza con un criminale.

Al termine della riunione, indossati i loro rispettivi mantelli e stivali, due guardie li guidarono per un lungo sentiero che costeggiava un’alta collina verso la direzione stabilita precedentemente; senza spiegarsene il motivo, Selene continuava a riflettere su un possibile collegamento tra le identità dell’uomo del fascicolo e del negozio, ma non appena vi ci si soffermava nella sua mente tuonava la voce imperiosa di Klain: qualcosa le suggeriva  che, data la sua età più giovane rispetto a quella di Hadmon, il monito era più indirizzato a lei; in ogni caso la probabilità che un evento simile accadesse era pressoché nulla, pertanto presto smise di pensarci troppo. Indirizzò il suo sguardo verso la natura circostante, il sentiero era interamente immerso nel verde, dal fianco della collina era possibile osservare la cittadella di Tuula poco distante. Giunti al ridosso dell’altura proseguirono per ulteriori metri, costeggiando un lago di medie dimensioni e in prossimità di un gruppo di cespugli le guardie si fermarono, avvertendoli che il loro incarico era terminato e che poco più avanti sarebbero giunti a destinazione; silenziosamente i due Guardiani seguirono il sentiero, raggiungendo una piccola abitazione.

Il piccolo cancello in acciaio, dalle floreali decorazioni, era stranamente aperto, questo incuriosì entrambi; Selene, dopo aver ricevuto il consenso di Hadmon varcò insieme a lui la soglia del cancello, venendo proiettata in un curato giardino: ricco di alberi di ciliegio i cui petali aleggiavano dolcemente in aria, posandosi delicatamente su un letto di erba o sulla superfice del piccolo lago posto in prossimità della recensione destra; al centro del giardino, in armonia con l’ambiente circostante, si stagliava l’abitazione in legno. Dall’esterno la casa si sviluppava su due piani, al secondo un balconcino per ogni stanza, era munito di vasi con fiori di ogni fattispecie, e, al primo piano, in prossimità dell’entrata una piccola terrazza ne riproduceva le medesime decorazioni.

Accanto a lei Hadmon ammirava piacevolmente l’armonia e la pace che comunicava quel posto, non coglieva nessuna nota che ne distorcesse la perfezione, fintanto che non si volse verso Selene e ne vide l’espressione spaventata.

Selene aveva colto la nota disarmonica, eccome se l’aveva fatto ed essa strideva più di qualsiasi altra cosa; voltatasi verso la soglia dell’abitazione, i suoi occhi ghiaccio avevano incontrato quello scarlatto dell’uomo, presumibilmente Khada Jhin, intento a osservarla intensamente. Allora aveva compreso e il suo cuore aveva mancato l’ennesimo battito.

- Assai lieto di incontrarti nuovamente, Selene. Ero in trepidante attesa – annunciò l’uomo, appoggiato con gli avambracci alla ringhiera in legno.

Il suo unico occhio visibile, ridottosi a una fessura, sembrava suggerire che sul volto nascosto dall’indecifrabile maschera, si fosse dipinta un’espressione divertita della sua reazione sconcertata. Ma Selene non poté dirlo con certezza, solamente di una cosa era sicura, il suo era il medesimo sguardo che sembrava scavare nelle profondità del suo animo, carpendone l’essenza e stritolandola.

Deglutì a vuoto: lui li stava aspettando.

 

 

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Capitolo 4
*** I will touch your heart ***


cap 2 i will touch your heart

“La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la mia solitudine che è la mia debolezza.“

(Pier Paolo Pasolini)

 

 

Quella mattina il cielo era nuvoloso e l’assenza di vento lasciava presagire che a breve sarebbe sopraggiunta la pioggia; all’interno dell’abitazione dell’assassino regnava il silenzio più assoluto, sebbene ogni tanto fosse interrotto dai rumori della domestica che lavorava in cucina.

Fuori nel cortile, Selene era seduta su una sedia accanto al piccolo laghetto e mentre affilava le sue armi lasciò che i pensieri corressero al giorno prima quando erano giunti all’abitazione: ripensava alla sensazione che aveva provato nel  momento in cui aveva incontrato l’unico occhio di Khada Jhin e al motivo sconosciuto per cui si sentiva così vulnerabile di fronte al suo sguardo inquisitore; per fortuna la domestica si era presentata poco dopo e li aveva invitati ad entrare, solo allora che il Demone d’Oro sotto lo sguardo di lei e di quello sorpreso di Hadmon che la osservava interrogativo, si era voltato e in silenzio si era avviato in casa, sparendo fino alla mattina successiva. Selene sospirò pesantemente, sarebbe stato particolarmente difficile quell’incarico, considerando che solo a lei era stato consentito l’accesso alla Landa degli Evocatori e doveva partecipare agli incontri supportando l’assassino. Presto a quel pensiero si aggiunse quello del suo paese e delle tensioni interne, era preoccupata per suo padre, considerando che in qualsiasi momento una congiura poteva privarla del suo ultimo e più caro parente. Scansò per un momento i pensieri e si concentrò solo sulle sue lame, il rumore metallico la rilassava e in parte rassicurava sul fatto che in caso di pericolo si sarebbe ben difesa. Si soffermò sulla pace di quel luogo, le piaceva particolarmente e per sua fortuna aveva già annotato alcuni luoghi sia di allenamento sia di potere da visitare; inoltre la vegetazione e la bellezza che caratterizzava Ionia le fece riflettere che quel soggiorno non sarebbe stato poi così male.

Terminata l’affilatura delle lame le ripose nella fodera e le appese alla sua cintura, si alzò dalla sedia e si incamminò verso l’abitazione ma si bloccò non appena vide un’aquila virare e calarsi su di lei: un messaggio da Hanzai; dalla zampa del rapace sfilò un rotolo di pergamena, lo aprì e lesse il contenuto: il primo incarico, si trattava di prendere parte a un conflitto nella Landa degli Evocatori nel pomeriggio, allo stesso evento a cui avrebbe preso parte un combattente di Noxus: Dr. Mundo. In parte curiosa di incontrare i famosi campioni della Lega e in parte spaventata dall’idea di dover partecipare con il criminale, si avviò verso l’abitazione in silenzio; mossa da una strana sensazione, per un singolo istante sollevò lo sguardo verso il cielo ed ebbe l’impressione che dalla finestra del secondo piano, qualcuno la osservasse, ma scansò subito il pensiero, dicendo a sé stessa che la sua immaginazione le stava facendo qualche scherzo.

Varcata la soglia dell’abitazione, percorse il corridoio al termine del quale vi era l’ampia cucina e sui cui lati si allacciavano a sinistra l’ambiente del salone comunicante con la cucina e a destra la rampa di scale che conduceva al secondo piano; quella mattina Hadmon si era allontanato per comprare alcune cose ancor prima che lei si svegliasse, doveva avvisarlo della lettera e ugualmente doveva fare con Jhin, così si affacciò in cucina; incontrò la domestica Ana, forse lei sapeva quando sarebbe rientrato il dragone.

-Ana, sai quando tornerà Hadmon? – chiese gentilmente, appoggiandosi allo stipite della porta.

-Il signor Hadmon mi ha detto che sarebbe rientrato per l’ora del pranzo, posso fare qualcosa per lei? – rispose sorridente la domestica.

Ana era di corporatura esile, slanciata e sempre solare, sul suo viso sottile spiccavano due occhi color nocciola e le labbra carnose, aveva lunghi capelli castani legati in una alta coda; indossava spesso un grembiule, dei pantaloni neri con alti stivali e una maglia a collo alto bianca e sbracciata. Il suo temperamento sempre pacato e gentile, comunicava molta serenità a Selene e nonostante le poche parole scambiate si trovava bene in sua compagnia.

-Ti prego dammi del tu Ana… ad ogni modo si, dovrei riferire una cosa a Jhin, è nella sua stanza? – domandò lei, notandola titubare appena.

-Si, posso provare a chiamarlo ma ti sconsiglio di parlare con lui – suggerì Ana, incrociando le braccia e scuotendo il capo.

-Perché? –

-Il signor Jhin non ama essere disturbato, generalmente passa intere giornate nella sua stanza, l’unico momento in cui lo incontro è per dargli i pasti, che consuma in stanza… una volta ho provato a bussare alla sua porta in un orario diverso dal solito, ma si è soltanto adirato –

Selene rimase un attimo in silenzio sorpresa da quelle parole, nonostante l’idea di dovergli parlare dopo quelle informazioni la metteva ancora più a disagio, doveva tentare, si trattava di una missione e avrebbe fatto quel sacrificio, correndo il rischio di eventuali ire dell’uomo.

-Devo comunicargli una cosa importante, considerando che riguarda anche lui, vado a fare un tentativo – comunicò Selene.

-In bocca al lupo – scherzò la domestica, sorridendole.

La guardiana rise e una volta congedatasi, salì la rampa di scale, percorse l’ampio corridoio al termine del quale vi era la stanza dell’uomo, finché non giunse di fronte alla porta in legno; fattasi coraggio bussò. Seguì qualche minuto di silenzio, forse non c’era nessuno.

-Jhin, ho una comunicazione dal Consiglio – disse Selene, bussando di nuovo, ma nessuno rispose.

Notato che la porta non era chiusa a chiave e infastidita di dover aspettare, la aprì e varcò la soglia della stanza trovandola quasi completamente al buio se non fosse stato per la luce che si faceva largo tra le tende chiuse sulla finestra; fece un passo ritrovandosi nella stanza e subito se ne pentì. Alle sue spalle la porta si richiuse, di scatto si voltò, mettendosi sulla difensiva, pronta ad afferrare le sue armi; non appena incontrò l’occhio scarlatto di Jhin, sussultò, spaventata dalla sua figura che più alta di lei era appoggiata con molta disinvoltura alla parete: braccia conserte e la sua maschera che le sorrideva in quel modo sinistro e inquietante. Il suo cuore mancò un battito e prese ad accelerare velocemente, mentre l’altro la scrutava; si fece coraggio e gli consegnò la pergamena.

Jhin osservò l’oggetto che Selene le stava porgendo, il modo in cui il suo sguardo spaventato si posava su di lui, lo divertiva particolarmente, ai suoi occhi sembrava una donna così fragile e questo risvegliava ancor di più quel suo lato oscuro e sinistro che desiderava mandarla in frantumi; quella seguace dell’ordine avrebbe dovuto ammaestrarlo insieme al suo patetico amico? “Ridicolo”, pensò, ”davvero patetico”; sotto la sua maschera si dipinse un sorriso malizioso e sadico: si sarebbe divertito, la sua performance stavolta prevedeva un lavoro fine e crudele, avrebbe tessuto i suoi fili invisibili intorno all’animo di lei e poi, li avrebbe tirati finché non l’avrebbe stritolata.

-Spero sia un valido motivo per avermi disturbato – commentò lui, prendendo la pergamena, sorprendendosi dell’espressione di sfida dell’altra che sollevò il sopracciglio destro. “Non hai idea di chi hai di fronte, non vorrai sfidarmi” pensò, sorridendo ancor più maliziosamente.

-Il primo incarico assegnatoci dal consiglio – rispose Selene con voce ferma, infastidita dallo sguardo divertito che le rivolgeva.

Letta la pergamena, Jhin rise, una profonda risata; lui avrebbe dovuto prendere parte a uno scontro quel pomeriggio e lei sarebbe dovuta venire; una donna che, apparentemente era così fragile, certo non avrebbe potuto aiutarlo negli scontri, come gli era stato riferito lei apparteneva all’ordine di Hanzai e i membri che vi appartenevano spesso non erano ottimi combattenti. Patetico, un individuo della sua levatura non poteva avere accanto una misera combattente, avrebbe rovinato solo la sua performance.

-Cosa c’è di così divertente? – domandò Selene, il suo modo di relazionarsi con lei la innervosiva e allo stesso tempo, il modo in cui la guardava la privava di ogni difesa.

-Tu dovresti venire con me? Nella Landa? – disse Jhin, staccandosi dal muro, facendo un passo nella sua direzione e vedendola indietreggiare verso il muro – sai almeno combattere? –

-Non sottovalutarmi – ribatté Selene, incrociando le braccia, nell’indietreggiare quasi si era ritrovata con le spalle al muro, così si bloccò di fronte all’uomo; quell’estrema vicinanza la faceva sentire vulnerabile e questo la infastidiva.

-Non mi è servita un’arma per metterti con le spalle al muro – disse Jhin con tono derisorio, poggiando una mano al muro, assaporando la vittoria – l’ordine di Hanzai non si smentisce mai, i suoi combattenti sono di così scarsa preparazione, così patetici. Meritate la mia compassione –

Quelle parole bastarono a farle perdere il briciolo di pazienza rimastale, il modo saccente con cui si rivolgeva a lei la urtava, inoltre la facilità con cui l’aveva messa alle strette era colpa della sua vulnerabilità di fronte allo sguardo di lui pertanto doveva agire; si dissolse di fronte ai suoi occhi in una nube blu notte, ricomparendo alle sue spalle dopo di che sfilò un pugnale dalla fodera e lo puntò alla sua schiena.

-Non credere di prendermi in giro così facilmente. Non sono una combattente qualsiasi – disse Selene, vedendolo voltarsi e poggiarsi al muro.

Rinfoderò quasi subito l’arma e distolto lo sguardo, si avviò verso l’uscita della stanza, sotto lo sguardo inquisitore dell’altro. Aprì la porta e, inconsciamente, si voltò un’ultima volta scoprendo che stavolta la osservava ancor più intensamente, i suoi occhi erano inchiodati ai suoi, di nuovo a scavare in lei.

-Prepara le tue armi migliori, oggi pomeriggio prima di partire, pianificheremo il da farsi e testerò le tue abilità. Cerca di non intralciarmi – disse Jhin, vedendola annuire e lasciare la stanza.

Una volta solo, si sedette su una sedia accanto alla finestra e scrutò la vegetazione circostante, con immensa sorpresa aveva appurato che molto probabilmente la donna non era così poco preparata come i combattenti dell’ordine di Hanzai e questo sarebbe stato solo un vantaggio; quella ragazza sarebbe stata piena di sorprese e metterla alle strette era stato divertente. Sorrise di nuovo, poi si alzò, prese le sue armi e iniziò a preparare i suoi strumenti di creazione e distruzione.

Nel frattempo Selene, una volta scese le scale si era seduta su una poltrona in velluto nel soggiorno e lì aveva incontrato Hadmon, sdraiato su un divano; sospirò pesantemente, quel poco tempo passato nella stanza di Jhin le era bastato a capire che lavorare con lui sarebbe stato difficile. Ad ogni modo si rilassò e chiamato il suo compagno gli fece vedere la pergamena; Hadmon non sembrò apprezzare molto l’idea che lei sarebbe dovuta andare nella Landa insieme al criminale, se fosse successo qualcosa non sarebbe potuto intervenire. Le propose di scambiarsi con i ruoli, ma la guardiana obiettò che solo lei poteva avere accesso alla Landa, poi ascoltò il discorso della sua compagna sulla conversazione che aveva avuto con Khada Jhin.

-Fa attenzione, Selene –

Fu l’unica cosa che fu in grado di dire, purtroppo non aveva informazioni sufficienti per dire con esattezza con chi avevano a che fare, avrebbe studiato i suoi comportamenti e poi tratto le conclusioni; di una cosa era certo: era pericoloso, quella era l’unica cosa che aveva appurato e colto nel suo sguardo, celante silenziosamente un profondo segreto e malvagità. Era preoccupato per i rischi che avrebbe corso Selene, così si alzò dal divano, sfilò dalla tasca una collana con appesa una pietra violacea e gliela mise al collo; era un amuleto magico che l’avrebbe protetta.

-Tienilo, se dovrai sfruttare le arti del buio, questo servirà a tenere sotto controllo il demone – disse Hadmon affettuosamente, trattenendola per le spalle.

-Grazie, Hadmon – rispose Selene, sorridendogli di rimando.

 Insieme trascorsero le successive ore che precedevano l’ora del pranzo, Selene preparate le sue armi, posò accanto a sé il suo elmo, poi si distese su un divano finché non si addormentò, anche Hadmon fece lo stesso: ancora erano provati dal viaggio precedente e la quiete del luogo era l’ideale per riposare.

 

 

Come stabilito nel pomeriggio Selene si fece trovare nel cortile, Hadmon era seduto su un masso accanto al lago, aveva insistito perché fosse presente anche lui dicendo che se avesse fatto mosse azzardate lo avrebbe atterrato senza farsi scrupoli. Sull’uscio della porta dell’abitazione si presentò Jhin, una mano teneva Sussurro e l’altra era posata su quello che era il collo di un fucile; a camuffare il suo viso stavolta c’era un passamontagna con un fazzoletto che copriva metà del suo volto, i suoi occhi schermati da un paio di occhiali dalle spesse lenti, il torace coperto da un lungo scialle  che lasciava intravedere una camicia bianca e un gilet in pelle; dei lunghi pantaloni, tenuti dalla cinta in pelle cui erano appese le fodere delle armi e degli alti stivali. Infine un largo cappello in pelle copriva il suo capo. Con il suo incedere elegante la raggiunse fermandosi a pochi passi di distanza, ignorando completamente la figura di Hadmon lì accanto. Nuovamente il suo sguardo mandò a monte le difese che si era costruita. Di nuovo quell’odiosa vulnerabilità.

-Mostrami il tuo potenziale. Lo scontro terminerà quando mi priverai di Sussurro – disse Jhin, sparando subito un colpo nella sua direzione – via -

Prontamente Selene schivò il colpo dissolvendosi e riapparendo alle spalle dell’uomo, afferrò i suoi pugnali e fece per colpirlo, ma agilmente Jhin si voltò ed evitò il fendente, poi le afferrò il polso e la immobilizzò a terra, con una mano le bloccò la sinistra e con il tacco dello stivale la destra; le puntò la pistola al capo, mentre esercitava una forte pressione sui suoi polsi costringendola a lasciare le sue armi. Nuovamente lei si dissolse, sottraendosi alla sua presa e riapparendo in piedi di fronte a lui; il tempo che lui alzasse lo sguardo che Selene colpì la sua spalla con il tacco dello stivale destro, facendolo cadere all’indietro, poi riprese le armi e posata la mano a terra, con un semplice incantesimo delle radici immobilizzarono i suoi piedi e i polsi. Mentre era concentrata a mantenere il suo incantesimo, si inginocchiò accanto al pistolero vicino alla sua mano sinistra che stringeva l’arma; avvicinò la mano a quella dell’uomo per sfilargli Sussurro, ma non appena lo fece l’altro sparò un colpo, ferendole di striscio il palmo.

Non appena fu libero, Jhin scattò in piedi e si precipitò su Selene, nuovamente la immobilizzò a terra puntandole Sussurro sul ventre scoperto dall’armatura ma stavolta lei puntava la lama affilata del pugnale alla sua gola: lo scontro si era concluso in parità; quella donna era sorprendentemente abile per essere una seguace di Hanzai, generalmente rari membri dell’ordine erano maghi e combattenti e il fatto che lei fosse un’eccezione, stimolava ancor di più l’interesse verso lei e le sue abilità che ancora non aveva impiegato in battaglia. Rifletté che il modo migliore per scoprire il suo potenziale e avvicinarla, per poi farla cedere, erano quel genere di scontri: le avrebbe mostrato ciò che veramente il Demone d’Oro era in grado di fare, infondendole lentamente il terrore nel corpo così come aveva fatto con Ionia.

-Forse sarai utile, per quel minimo che potrai fare – commentò Jhin, alzandosi in piedi e sgrullandosi di dosso la polvere, poi elegantemente fece roteare la pistola e la ripose nel fodero in pelle, scrutando le pozze ghiaccio della ragazza, ora intenta a sistemare le armi.

-Con chi credi di parlare, Psycho? – intervenne Hadmon, facendosi avanti infastidito dal modo in cui si rivolgeva a Selene.

-Prego? – disse il criminale con voce profonda, incrociando le braccia vedendo il suo interlocutore avvicinarsi di qualche passo.

-Hai sentito bene, ti è stata concessa la libertà di azione ma non di insultare la mia compagna. Assicurati di avere coperte le spalle la prossima volta che tratterai con disprezzo Selene – ringhiò Hadmon, poi incontrò lo sguardo di Selene che gli sorrise a mo` di ringraziamento: quella ragazza aveva già altre responsabilità e preoccupazioni per il suo unico padre e il suo paese, quello sconosciuto non aveva alcun diritto di calpestarla.

-Assicurati di non diventare parte delle mie performance – ribatté Jhin, notando l’occhiata rivolta alla donna, sorrise maliziosamente sotto la sua maschera: un altro misero combattente che tentava di sfidarlo, ridicolo.

-Per favore basta, abbiamo altre questioni più importanti invece di bisticciare – si intromise Selene, percependo la tensione salire alle stelle: Hadmon lo guardava furioso e Jhin lo osservava con atteggiamento di sfida.

Dopo averlo squadrato un’ultima volta, Hadmon salutò la compagna e riluttante si avviò verso l’abitazione, per quel pomeriggio avrebbe meditato e riposato, del resto lui non aveva chiuso occhio il giorno prima né sulla nave né durante la notte di tempesta.

Una volta rimasti soli, Selene rimase in silenzio poi sorrise divertita dalla situazione precedente, Hadmon con il suo temperamento scontroso con gli sconosciuti si era fatto riconoscere: come al solito; fortunatamente però era intervenuto in suo aiuto e non si era ritrovata a dover fronteggiare le frecciatine sprezzanti del pistolero e il suo sguardo che scavava sempre in lei.

-Ti prego, se non sei utile in combattimento almeno fa divertire anche me – disse tagliente il pistolero, inclinando di lato il capo.

-Se non fossi intervenuta ho la vaga idea che uno dei due avrebbe dato il via a una rissa – scherzò Selene, avvicinandosi all’uomo di un passo.

Sentiva su di sé il suo sguardo sospetto, era evidente che attendeva una sua mossa; sorridendogli posò le dita sulla sua spalla e subito sotto il tessuto sentì i suoi muscoli irrigidirsi. Per un singolo istante la luce fu tale che sotto le lenti riflettenti incontrò il suo occhio scarlatto che la osservavano per quel gesto inaspettato: non c’era malizia, cattiveria o sfida come nelle altre situazioni, ma solo sorpresa.

-Grazie per lo scontro, ho scoperto a mie spese che le leggende su di te sono vere. Anche se un unico particolare è stato dimenticato – disse Selene, battendo l’indice sulle sue labbra, togliendo la mano dalla sua spalla.

-Illuminami – rispose l’altro, trovando fastidiosamente piacevole il suo modo di fare e il suo gesto, la sua corazza di ghiaccio si era leggermente piegata sotto il suo tocco.

-Sei permaloso, Khada Jhin – ironizzò Selene, ridendo divertita dal suo modo di reclinare il capo.

-Per favore, risparmiami, le tue parole sono più misere dei tuoi deboli attacchi. Incamminiamoci verso il portale di accesso, così discutiamo della strategia da adottare–

Jhin tagliò la conversazione, i suoi occhi ghiaccio con quella loro luminosità e serenità che lui non possedeva lo attiravano e per quel motivo doveva mandarla in frantumi: anche loro erano ipocriti mandati dal Consiglio; sapeva che ognuno di loro indossava una maschera e dietro quella altre mille se ne nascondevano quindi sicuramente la sua falsa gentilezza era solo l’ennesimo inganno.

Leggermente dispiaciuta dal suo modo di fare scontroso, Selene rifletté che doveva esserci un modo di comunicare con lui, avrebbe cercato di farlo pure con il più sottile; in silenzio lo seguì, nonostante ufficialmente lei era una seguace di Hanzai, non conosceva nessuna usanza degli Ioniani cosa sui cui si sarebbe informata, e né tantomeno conosceva la Landa o i portali di accesso. A ritroso percorsero il sentiero che lei aveva fatto per giungere all’abitazione, ma a meno di metà strada deviarono su un piccolo sentiero che attraversava la foresta, ricca di alberi fioriti di ciliegio; sollevò lo sguardo al cielo e ne contemplò la bellezza, il contrasto tra il pallido rosa dei petali e il cielo scuro risaltava la bellezza dei fiori, ne rimase affascinata. Sentì un rumore in lontananza e si voltò, dietro un cespuglio scorse un cervo dalle maestose corna; quel luogo era pieno di meraviglie, i luoghi silenziosi come quello la rilassavano, lasciando che la sua preoccupazione per l’incarico e il suo paese passassero momentaneamente in secondo piano.

-In cosa sei abile, Selene? In che arti sei più specializzata – chiese Jhin, che la distolse dai suoi pensieri volendo indagare sul suo conto.

-Sono una combattente e una maga, come avrai già capito; farò il possibile per aiutarti in battaglia e portare a termine l’incarico – rispose Selene, rimanendo sul vago, le arti del buio non dovevano emergere se non per emergenza, fissando per terra preoccupata dell’effetto che avevano su di lei.

-Combatterai al mio fianco, cerca di non intralciarmi; se ti caccerai nei guai dovrai cavartela da sola – commentò Jhin, giungendo a destinazione: un complesso di scogli e cascate terminanti in un lago ampio e cristallino.

-Non avrò bisogno del tuo aiuto, so badare a me stessa – ribatté Selene, incrociando le braccia.

I due si trovavano di fronte al lago, avrebbero dovuto superare la cascata dietro la quale si nascondeva una piccola grotta: in fondo ad essa avrebbero trovato il portale; Jhin agilmente saltò su uno degli scogli e raggiunse senza alcuna difficoltà l’accesso, lasciandola indietro. Stargli accanto le costava un immenso sforzo, qualsiasi era il suo approccio doveva sempre ribadire la sua condizione di superiorità, era così snervante, chissà per quanto sarebbe riuscita a sopportare i suoi modi di fare quel giorno.

Prestando attenzione Selene lo raggiunse e insieme entrarono nella caverna; si era informata sulla Lega e a farne parte vi erano i più forti combattenti provenienti dalle varie nazioni, quello che dovevano affrontare loro era Dr. Mundo, diventato un serial killer a cui segretamente Noxus aveva chiesto di assassinare un alto funzionario di Ionia il giorno successivo; le spie del Consiglio lo avevano scoperto e subito avevano agito, quel giorno doveva essere eliminato, l’indomani sarebbe stato troppo tardi. Essendosi informata sulla nomea del folle dottore aveva compreso che non era un avversario facile da sconfiggere e la sua enorme stazza e forza la preoccupava nel caso in cui i suoi incantesimi elementali non avessero funzionato; in quel caso sarebbe dovuta ricorrere all’uso dei poteri del Buio o temporali e i primi erano quelli che più la spaventavano. Ad ogni modo un fattore di vantaggio era che Dr. Mundo non conosceva la sua identità, né avrebbe riconosciuto Jhin, mascherato in quel modo.

Giunti al termine della grotta, posarono entrambe le mani su quella che sembrava una normale parete rocciosa, ma subito su questa emersero in rilievo i bordi di un’alta arcata che si dispose a mo di portale d’accesso per la Landa; insieme la varcarono e subito furono investiti da un flusso blu elettro che li trasportò a destinazione. Selene scrutò l’ambiente circostante, di fronte a loro si stagliava un alto cristallo luminoso, il Nexus, difeso da due alte torri, ognuna dalla forma di un alto guardiano con una lancia o un martello in mano; le stesse torri erano a difesa di altri cristalli più piccoli, gli inibitori, dai quali si diramavano tre larghe vie sterrate che conducevano ai rispettivi avversari, ognuna dotata di altre due torri.

Fattole cenno di seguirlo, insieme a Jhin corsero verso la via all’estrema sinistra, la corsia riservata ai tiratori e ai loro aiutanti che combattevano sempre in coppia; secondo il pistolero probabilmente avrebbero trovato lì il loro bersaglio. Solitamente Dr. Mundo combatteva in solitudine nella corsia della Landa più alta, però da qualche tempo il folle aveva capito che due avversari erano meglio di un singolo per testare la sua forza e i suoi ennesimi esperimenti sul suo corpo ormai deturpato. Purtroppo la guardiana non aveva avuto modo di conoscere i suoi compagni poiché si erano teletrasportati nella Landa più tardi, ma era riuscita a catturare i loro nomi: Warwick il cacciatore sanguinario, Ziggs un piccolo furetto nonché esperto di hexplosivi, Gangplank il flagello dei mari, ma Selene lo ricordò come il capitano gentile che le aveva offerto il suo rum che ancora temeva di assaggiare.

Arrivata a metà corsia, attese con Jhin l’arrivo dei suoi avversari, sentiva la preoccupazione crescere, temeva che non sarebbe riuscita a controllare le arti del Buio al momento della necessità; sentì il demone, sigillato in lei, fremere e mandarle un brivido lungo tutta la schiena; doveva tranquillizzarsi, non doveva dubitare, sarebbe riuscita nell’incarico come aveva sempre fatto.

Notata la sua espressione di spavento con lo sguardo rivolto al suolo, Jhin si avvicinò a lei. Nemmeno iniziata la battaglia già esitava; eppure nei suoi occhi ghiaccio non sembrò cogliere la paura dell’avversario, c’era qualcosa di più profondo che non leggeva.

-Che ti prende? – chiese con voce profonda, intravedendo in lontananza il tiratore avversario.

- Va tutto bene – ribatté Selene, mostrando un sorriso tirato.

Quella falsa maschera di tranquillità costruita così malamente sul suo viso strideva rumorosamente, sapeva che mentiva, tuttavia lui non era interessato né dei suoi problemi né della sua incolumità, pertanto non ci badò più di tanto e si concentrò sulla sua avversaria: Jinx; Dr. Mundo ancora non era presente, questo era un vantaggio, per quel momento si sarebbero occupati di lei.

-Devi immobilizzarla poi privarla delle sue armi, poi penseremo a terminare la sua mera esistenza – ordinò Jhin, afferrando Sussurro e dando inizio allo scontro.

-D’accordo – annuì l’altra, tranquillizzatasi.

Velocemente Selene afferrò i suoi pugnali, lasciando che le catene ricadessero sui suoi avambracci, poi corse verso la direzione della ragazza; subito Jinx puntò la pistola nella direzione di Selene e sparò un proiettile che prontamente schivò smaterializzandosi di fronte a lei e riapparendo alle sue spalle. Con un calcio la spinse in avanti e toccato il suolo delle lingue ghiaccio le immobilizzarono il polso della mano con cui teneva le armi; Jhin mirò e sparò un colpo ferendo la ragazza sulla spalla, tuttavia nel farlo intaccò il ghiaccio e questo bastò alla ragazza per liberarsi. Rimessasi in piedi Jinx colse di sorpresa di Selene la quale si smaterializzò e ricomparse più avanti, per sua sfortuna di fronte al punto di accesso alla giungla; si voltò in tempo per vedere un proiettile della ragazza esplodere di fronte a lei. Si coprì con le braccia ma non sentendo alcun dolore, si scoprì e nel compiere i movimenti sentì il corpo incredibilmente pesante, era come se fosse immobile.

-Allontanati, Selene – ordinò Jhin, percependo un movimento dal cespuglio vicino all’accesso della giungla.

-Non può – urlò divertita Jinx, scoppiando in una fragorosa risata – attacca Mundo! –

Improvvisamente dal buio della giungla si materializzò la possente figura di Dr.Mundo, pronto a colpirla con il suo macete. Selene tentò di muoversi ma non ci riuscì, rivolse uno sguardo preoccupato a Jhin; il pistolero mosso da una strana forza corse nella direzione della compagna non appena vide il mostro lanciarle la sua arma, si gettò in scivolata, la afferrò per il polso e la tirò a terra. Presa Sussurro, scattò in piedi e sparò un colpo nella direzione di Mundo, colpendolo gravemente sulla spalla; sorrise vittoriosamente di fronte all’espressione furiosa del killer, il quale prese una delle siringhe contenute nella sacchetta in pelle vicino alla cintura, poi conficcò l’ago nella sua spalla colpita e la ferita si rimarginò nel giro di pochi secondi.

Jhin si voltò verso Selene, riusciva a muoversi quasi con naturalezza, perciò comprese che l’effetto del gas sparatole stava per svanire; avrebbe temporeggiato finché non si sarebbe ripresa, nonostante fossero con le spalle al muro e questo suscitava la sua ira. Aveva dovuto fronteggiare agli errori della donna interrompendo il suo lavoro, presto gliel’avrebbe fatta pagare: doveva capire la sua posizione di inferiorità, un intralcio a lui non gradito.

Rimessasi in piedi, Selene comprese che era di nuovo libera di muoversi; di fronte a lei si sorprese nel trovare Jhin sparare nella direzione di Mundo, difendendola. Improvvisamente il pistolero si voltò e le rivolse uno sguardo bruciante di disprezzo e rabbia.

-Ho già fatto tanto per te, stupida incompetente, perciò vedi di muoverti – ringhiò con tono profondo.

Quelle parole bastarono a far adirare Selene, nuovamente offesa dal suo modo di fare saccente; vide Jhin nel voltarsi e abbassare la guardia senza accorgersi che Mundo, supportato da Jinx, aveva colto l’occasione lanciando il macete nella sua direzione. Prontamente lo afferrò per il braccio, si smaterializzò e ricomparve sotto la loro torre, non prima di essere colpita di striscio sul braccio destro rivelando i suoi sigilli. Comprese che quello scontro doveva terminare al più presto, considerando che non tollerava più la vicinanza con il Demone d’Oro.

-Adesso siamo pari – rispose Selene, squadrandolo con astio.

-Ti do pochi minuti di libertà per far fuori quella ragazza – ribatté Jhin, facendo roteare tra le mani Sussurro, montandovi sopra un’estensione che lo rese a tutti gli effetti un fucile da distanza.

Corse nella direzione di Mundo, scivolò tra le sue gambe e si diresse verso Jinx che nel frattempo aveva fatto fuoco nella sua direzione; fece per colpirla in viso ma la ragazza si scansò, afferrò il suo polso e la spinse con un calcio sotto la torre nemica. Come per incanto la torre si animò e sparò un colpo nella sua direzione; per evitarlo Selene si dissolse in una nube e riapparse alle spalle di Jinx, subito la colpì dietro il collo, facendole perdere i sensi infine successivamente agitò le mani, dei simboli arcaici si disposero a formare un sigillo che posato a terra, immobilizzò Jinx definitivamente.

Nel frattempo Jhin aveva tenuto sotto controllo Dr.Mundo che sotto la tempesta dei suoi proiettili si era visto costretto a fronteggiarlo, lasciando la sua compagna; aveva osservato ogni mossa di Selene, studiando attentamente i suoi movimenti in battaglia e i simboli sui suoi avambracci. Purtroppo per Selene il tempo che Jhin le aveva dato non fu abbastanza e non appena si voltò si trovò il killer a sovrastarla con la sua figura; rabbrividì prima di essere presa per il braccio ferito ed essere scagliata a terra con violenza. Gemette per il dolore, ma stavolta non si voltò verso il pistolero, non avrebbe chiesto aiuto, avrebbe creato la condizione perfetta affinché il Demone lo assassinasse; poco prima che l’altro la attaccasse, dispose le mani una sopra l’altra pronunciò una formula arcaica e posate le mani a terra due lingue di fuoco blu elettro, avvolsero Mundo, facendolo indietreggiare e riempendo il suo corpo di ustioni.

Debolmente Selene si mise in ginocchio a fatica, il polso le faceva male e si era gonfiato; vide Jhin prepararsi a lanciare il suo colpo migliore, attendeva solo il momento giusto. Ancora stordita dal precedente colpo, Selene non fu abbastanza veloce per schivare il colpo di Mundo che colpì il suo viso con uno schiaffo, facendo urtare il suo viso contro la terra, successivamente il mostro colpì con un calciò la sua caviglia destra, facendola urlare per il dolore. La ferocia di quella creatura, non poteva essere fronteggiata con semplici incantesimi elementali, sapeva che doveva ricorrere alle arti del Buio, sebbene non volesse; si smaterializzò e riapparse accanto a Jhin che subito la osservò. Per un singolo istante contraccambiò il suo sguardo, nascosto dietro le spesse lenti ed ebbe l’impressione che l’altro le stesse chiedendo silenziosamente se poteva proseguire nello scontro.

-Mira alle sue siringhe – disse Selene, tossendo e asciugandosi il sangue sulle labbra; avrebbe fatto un ultimo sforzo nonostante le condizioni del suo polso e della caviglia non fossero delle migliori.

Silenziosamente Jhin posizionò nuovamente il fucile vicino la spalla sinistra, posò a terra il ginocchio destro e distese la gamba sinistra; poi, mirò e con estrema precisione sparò un colpo al taschino in pelle contenente le siringhe che esplosero, andando in frantumi.

-Riesci a combattere, senza finire a pezzi? Dobbiamo sbrigarci – chiese il pistolero, alzando il suo sguardo dal mirino e posandolo sulla donna accanto a lui; il sole stava tramontando e combattere nella Landa nel buio era troppo pericoloso.

-Ci riesco – rispose Selene, sfilando da un fodero in pelle nera un coltello con ricche incisioni sul manico e la lama in osso.

Sotto lo sguardo attento del compagno, Selene incise la cicatrice che recava sul palmo della mano sinistra, nel farlo da essa uscì del sangue nero; in contemporanea il blu dei suoi occhi lasciò spazio al rosso scarlatto, così alzò la sinistra in alto e una spirale di nubi nere si dispose intorno alle scritte sul suo braccio, divenute ormai del medesimo colore dei suoi occhi. Nel frattempo i sigilli sui suoi avambracci mutavano e attivavano il loro effetto non appena faceva uso delle arti del Buio. Nel suo corpo sentì il demone fremere così inspirò profondamente, pronunciando parole arcaiche e lasciando che intorno a lei, lingue di oscurità dalle forme di spiriti e dragoni eterei, convergessero nella spirale; di colpo unì le mani e la spirale di fumo lasciò spazio a una lancia dal manico nero, al centro incastonata una pietra scarlatta e terminante con una lunga lama: la lancia degli Abissi, l’arma tramite la quale sfruttava il potere del demone in lei. Si alzò in piedi, mentre vedeva Mundo correre nella sua direzione, incurante della torre alle loro spalle.

-Preparati, avrai a disposizione una sola opportunità – comunicò Selene, alzando la mano destra al cielo e richiamando a sé altre spirali che si unirono a formare un imponente dragone che si dispose accanto a lei, dispiegando le ali: Ammit, il divoratore di anime.

Affascinato dal potere che sprigionava la guardiana accanto a lui, Jhin annuì; nessun membro dell’ordine di Hanzai aveva quelle capacità strabilianti: doveva sapere chi era quella donna e conoscere di più sull’immenso potere che stava mostrando di possedere. Si mise in posizione e si preparò al fuoco. Non appena Selene, scagliò la lancia sull’uomo, trapassando il suo torace, ordinò alla sua creatura di attaccare il loro avversario e subito vide il dragone levarsi in cielo e piombare famelico su Dr. Mundo, avvolgendo i suoi arti in una morsa letale; dalle ali del dragone, avvolte intorno al corpo del killer, presero vita degli spiriti scheletrici che trapassarono il corpo di Mundo, rimanendovi all’interno; come per magia il killer cadde in uno stato di incoscienza. La forza del dragone fu tale da far inginocchiare Mundo; Selene dissoltasi riapparve di fronte all’uomo. Levò la mano sinistra in cielo, mentre piccole lingue di oscurità provenienti dal corpo di Mundo andavano a confluire nei suoi sigilli e nella cicatrice. Avrebbe pronunciato la formula attraverso la quale poneva fine al rito, strappando l’anima al killer dannato e dandola in pasto al demone.

-A te, inoltratoti in una terra cui ti era vietato l’accesso, avendo oltraggiato il custode e condannato la tua anima alla depravazione, strappo l’essenza che ti costituisce – disse Selene, mentre le urla degli spiriti si levavano nell’aria; sfilò la lancia dalla sua carne con la destra e la posò a terra, seguita dal drago che si posò al suo fianco, dispiegando le ali. Le unghie della mano sinistra, divenute presso che artigli si strinsero intorno alla sfera oscura che si era formata sul suo palmo: l’anima di Mundo. Proseguì – reclamo la tua anima, nonché il tuo spirito. Che tu possa essere dannato in eterno. Ammit divorala–

Il dragone accanto a lei ruggì, il suo grido tranciò l’aria come un fendente; Selene gli porse l’anima dell’uomo e subito il drago la divorò. Mundo, fino ad allora in uno stato di incoscienza, gridò non appena i denti aguzzi di Ammit incisero la sua anima. Le sue grida inumane avrebbero fatto raggelare chiunque. Lingue di oscurità avvolsero le sue membra, una volta che Ammit consumò il pasto si avvolse intorno alla lancia e scomparve; Selene allora si dissolse riapparendo sotto torre, sapeva che l’altro aveva osservato ogni movimento e avrebbe indagato, ma non c’erano state altre alternative.

-Finiscilo – ordinò Selene, iniziando a sentire il corpo pesante per l’estremo sforzo.

Come richiesto Jhin sparò un colpo nella direzione di Mundo, il proiettile trapassò il torace del killer il corpo ricadde, esplodendo poco dopo e facendo ricadere l’avversario esanime a terra; riposte le armi, si sollevò in piedi, giusto in tempo per posare il suo sguardo in quelli ancora scarlatti lei. In quegli occhi colse solo la spietatezza, la ferocia e la gelida indifferenza di una giustiziera spietata: un angelo sanguinario; allora era quello il lato nascosto della giovane apparentemente tanto fragile. La vide inginocchiarsi, lasciando la lancia a terra e iniziare a tossire violentemente; mosso dalla stessa fastidiosa forza che lo aveva spinto a trarla in salvo, si avvicinò a lei e non appena intravide il suo viso, scoprì che le sue labbra erano macchiate di sangue nero e scarlatto, lo stesso della cicatrice.

-Sto bene. Ce la faccio – sussurrò Selene, scostando la sua mano mentre la sua lancia si dissolveva; provò a mettersi in piedi, ma fallì e cadde all’indietro.

Si sentì afferrare e poi ritrovarsi tra le braccia del pistolero, il suo corpo era troppo debole, l’eccessivo abuso di potere l’aveva sfinita e adesso aveva bisogno di riposare; testardamente provò ad opporsi a quella presa esitante e delicata che la tratteneva, non intendeva sentire di nuovo le parole di disprezzo del criminale.

-Non voglio aiuto – si ostinò Selene, ma non appena provò a muovere la caviglia si lamentò per il dolore.

-Sei testarda, non puoi camminare e nemmeno muovere il polso, cerca di non peggiorare le tue condizioni… per stavolta farò un’eccezione e ti porterò io – sussurrò Jhin, passando il suo braccio destro sotto le gambe di lei e il sinistro sotto il suo capo – tra l’altro gli altri combattenti hanno distrutto il Nexus e si sono ritirati. Dobbiamo andarcene -

Non potendo opporsi, Selene si lasciò prendere in braccio dall’altro; fu sollevata dalle forti braccia del Demono d’Oro e sentendosi ormai sfinita posò il capo sul torace dell’uomo e lasciò la stanchezza pervadere il suo corpo. Il polso e la sua caviglia le dolevano ed erano gonfi, sapeva che l’uso di tutto quel potere aveva messo a dura prova il suo corpo, ne avrebbe pagato le conseguenze l’indomani al risveglio. Era stata poco prudente perché sicuramente i suoi incantesimi avevano destato i sospetti e la curiosità del pistolero; un odioso criminale egocentrico e lunatico, prima la detestava e poi stranamente la aiutava, come in quel momento.

-Jhin…- chiamò Selene, cullata dal battito del cuore dell’altro.

-Che c’è? – rispose il pistolero, assorto nei suoi pensieri: portare la giovane in braccio e permetterle di stare a una distanza presso che nulla da lui lo destabilizzava; il calore del corpo della donna riscaldava la sua impenetrabile armatura di ghiaccio e aculei; quel contatto che mai si era preoccupato di avere e che aveva sempre rifiutato, l’idea di aver scoperto che collaborare con la donna non era una minaccia per la sua indipendenza anzi, suscitava in lui una sensazione diversa mai percepita prima sebbene allo stesso tempo rappresentava una fonte di preoccupazione. Abbassò lo sguardo incontrando gli occhi di Selene, non c’era alcuna traccia nei suoi occhi della furia demoniaca che aveva colto prima, adesso colse solamente la sincerità e la serenità riacquisita dopo lo scontro; di nuovo quella tranquillità che lui non aveva mai posseduto. Forse lei non indossava alcuna maschera, non era lì per cercare di ingannarlo o per privarlo della sua indipendenza…

-Grazie, Jhin… per avermi salvatae aiutata– sussurrò la guardiana, sorridendogli debolmente e chiudendo gli occhi.

Il pistolero rimase in silenzio, distogliendo lo sguardo; lui era il Demono d’Oro, la gentilezza non poteva esserci nel suo cuore di ghiaccio, si era sempre tenuto distante dalle persone; affezionarsi era per i deboli e amare per i suicidi, rendeva la sua corazza impenetrabile improvvisamente vulnerabile e questo significava permettere ai suoi avversari di entrare nella sua mente e privarlo dei suoi averi, minacciando la sua indipendenza. Tutte quelle che per lui erano sciocchezze sentimentaliste erano un mondo lontano da lui eppure adesso quell’universo lo aveva appena sfiorato e la semplicità con cui la sua armatura si era piegata era fastidiosamente sorprendentemente. Chinò lo sguardo di nuovo sulla ragazza che portava in braccio, ormai aveva perso i sensi; qualche ciocca di capelli argentei le carezzava il viso, le labbra erano appena schiuse e macchiate di sangue e gli occhi socchiusi. Per un breve istante rimase affascinato da quella visione, ma non appena se ne rese conto nacque in lui un meccanismo di difesa: era una minaccia per la sua indipendenza; lei destabilizzava quella corazza di ghiaccio e per quello, anche se aveva il minimo potere di inciderla, doveva annientarla. No. Nessuno avrebbe avuto la chiave di accesso ai suoi pensieri, ai suoi segreti più reconditi.

-Ti distruggerò, angelo – sussurrò Jhin, mentre la follia si faceva spazio nel suo cuore e nella sua mente, pianificando i suoi scenari di terrore.

Inspirò profondamente e alzò lo sguardo al cielo. Ormai il sole era scomparso dietro l’orizzonte lasciando spazio al blu della notte che piano piano divorava i rimanenti raggi di luce. Così lentamente quell’oscurità si avvolgeva intorno alla sua anima, famelica di sangue e sofferenze, rendendola ancor più gelida; quella era la sua essenza: lui, Khada Jhin era un predatore indipendente. La sua anima dannata i suoi segreti inaccessibili, lo rendevano un assassino spietato e indifferente alle questioni umane; così era e sempre sarebbe stato, avrebbe difeso la sua indipendenza e annientato ogni ostacolo.

Un sorriso perfido e malizioso si dipinse sotto la maschera che copriva il suo viso; profonda e minacciosa la sua risata riecheggiò nell’aria. Arrivato al portale prima di abbandonare la Landa, si inginocchiò. Guardò Selene, carezzando con il pollice il suo viso e nel farlo macchiò la sua guancia del sangue delle sue precedenti vittime. Un brivido di malvagia euforia percorse la sua schiena.

-Oh sì, mio angelo, io ti manderò in frantumi. Ti farò danzare e cantare con me e pezzo per pezzo consumerò ogni parte di te… pezzo dopo pezzo, te cadrai ai miei piedi come una marionetta–

Le sue ultime parole riecheggiarono nell’aria, imprimendo quella promessa come una sorta di marchio sulla sua preda: la caccia era iniziata. L’oscurità prevalse sulle ultime luci del giorno, sotto i suoi occhiali il suo occhio scarlatto scrutava i lineamenti armoniosi della sua vittima. La sua distruzione avrebbe reso la sua armatura inattaccabile e avrebbe fatto sparire quel filo invisibile che lo aveva tirato quando la aveva salvata.

 Volse il viso al cielo e chiuse gli occhi. Un bagliore li investì e quando le luci blu elettro si dissolsero, la Landa tornò ad essere vuota.

 

 

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Capitolo 5
*** A dangerous pact ***


cap 3 a dangerous pact

“L’odio è un veleno prezioso più caro di quello dei Borgia; perché è fatto con il nostro sangue, la nostra salute, il nostro sonno e due terzi del nostro amore.”

(Charles Baudelaire)

 

Con molta fatica, Selene riaprì gli occhi. La luce del giorno entrava prepotentemente dalla finestra, illuminando la piccola stanza e il letto matrimoniale su cui era sdraiata; ci mise qualche minuto prima di rendersi conto di indossare il suo pigiama e di non avere più indosso la sua armatura, lasciando in piena vista i suoi tatuaggi. Si stropicciò gli occhi e riluttante si mise a sedere, spostando dalle gambe il candido lenzuolo; solo allora si rese effettivamente conto delle fasciature che avvolgevano il polso e la caviglia destri. I suoi muscoli erano intorpiditi e la testa le doleva, questo era il risultato dell’abuso di potere e del fatto che ancora non era padrona delle arti del Buio; pensò per un momento agli avvenimenti precedenti del giorno prima, ricordava di essere caduta in uno stato di semi incoscienza e di aver sentito delle parole indistinte del pistolero, infine solo il nero più assoluto. Sospirò pesantemente, probabilmente avrebbe sentito i rimproveri di Hadmon che subito si sarebbe operato per sottoporla ad allenamenti intensivi.

Si fece forza e si mise in piedi. La caviglia le doleva ma fortunatamente riusciva a camminare, così si diresse verso lo specchio di fronte al letto, posto vicino all’armadio in cui aveva disposto le sue cose. Guardò la sua figura, aveva i capelli scompigliati e il viso graffiato, il pantalone corto e grigio del pigiama e la canottiera bianca lasciavano scoperte le sue lunghe gambe, in particolare il simbolo di Guardiana della Notte, un dragone nero che si attorcigliava lungo il suo piede e sul cui muso spiccava un occhio scarlatto. Le braccia nude, dal polso in su erano percorse da simboli arcaici, ovvero i suoi sigilli. Improvvisamente si soffermò a guardare i suoi vestiti, indossava l’intimo però una domanda sorse più spontanea di tutte: chi l’aveva spogliata e cambiata?

Con quel pensiero in testa senza cambiarsi, si diresse verso la porta, la aprì e lasciò la stanza; zoppicante si diresse verso le scale, e mantenendosi al mancorrente a fatica, scese ogni singolo scalino. Dalla cucina sentì alcune voci, così si affrettò, purtroppo però non fece attenzione e inciampò all’ultimo scalino, cadendo in avanti; improvvisamente alle sue spalle una mano la afferrò per il braccio e la tirò indietro, facendole riprendere l’equilibrio. Si voltò aspettandosi di incontrare Hadmon, ma sussultò, spaventandosi non appena incontrò l’occhio scarlatto di Jhin; la quasi familiare vulnerabilità accompagnò il momento in cui lo vide, sospirò pesantemente, passandosi le mani sugli occhi e riacquistando la calma.

-Sembra tu abbia appena visto un fantasma – disse Jhin con tono derisorio, scrutando il viso pallido di lei e mantenendo la presa.

-Non ti ho sentito arrivare… – rispose Selene, percependo il gelo degli artigli dorati dell’altro sulla sua pelle; proseguì abbozzando un sorriso – ad ogni modo, grazie per avermi afferrata prima che cadessi-

- Non illuderti, sarebbe stato solo tedioso averti tra i piedi mentre scendevo le scale, ecco tutto – commentò infastidito l’altro, la sua armatura si era di nuovo graffiata e appena piegata nell’istante in cui l’aveva afferrata di getto. Iniziava a odiare quell’effetto che aveva su di lui.

Detto così, Jhin si avviò lasciandola da sola e voltandole le spalle; l’espressione dispiaciuta sul suo viso e infastidita fu una vittoria per lui e questo bastò a sanare i graffi sulla sua corazza. Dal canto suo Selene, lo fissò allontanarsi e uscire dalla casa, prima mostrava la sua gentilezza per poi ferirla, non curandosi dei suoi pensieri e prendendosi la libertà di calpestarla in qualsiasi momento. Sospirò bruscamente e si avviò verso la cucina, dove vide Hadmon appoggiato al davanzale in marmo intento a leggere un giornale e Ana, leggere una lettera; non appena varcò la soglia della cucina entrambi sollevarono lo sguardo.

-Buongiorno, Selene – disse Ana, sorridendole affettuosamente, adoperandosi subito per prepararle la colazione.

-Ben svegliata – commentò Hadmon, piegando le labbra in un dolce sorriso, aiutandola a sedersi.

-Buongiorno – rispose Selene, entrambi la misero di buon umore e subito accantonò l’avvenimento precedente.

-Come è andata la missione di ieri? – chiese Ana, notando le fasciature e i graffi sul suo viso.

-Abbiamo portato a termine l’incarico, fortunatamente – rispose Selene, incrociando le braccia sul tavolo.

-Ieri notte mi sono preoccupata quando Jhin ha bussato alla mia porta, svegliandomi. Non appena ti ho vista svenuta tra le sue braccia mi sono subito adoperata per le tue ferite e cambiarti vestiti – dichiarò Ana, dandole un caldo bicchiere di latte e alcuni biscotti, sorridendo non appena l’altra la ringraziò.

-Anche io mi sono alzato e sono venuto a vedere che succedeva, ho curato con la magia il tuo polso e la caviglia, adesso è rimasto solo il livido e un po' di gonfiore – intervenne Hadmon, sedendosi vicino a lei; non appena la notte precedente aveva visto le labbra sporche di sangue e la cicatrice incisa aveva capito che aveva usato le arti oscure, perciò non appena Ana li avrebbe lasciati soli avrebbe parlato privatamente con la compagna.

-Vi ringrazio per l’aiuto. Quindi sei stata tu Ana a cambiarmi? – domandò Selene, imbarazzata.

-Si, tranquilla. Ho lavato la tua armatura– rise Ana, divertita dal suo viso rosso, poi prese la lettera sul tavolo e la borsa che aveva appeso alla sedia – se mi volete scusare ragazzi io devo andare a fare alcune commissioni, ci vediamo più tardi –

Detto così Ana si congedò, lasciando soli i due Guardiani che la salutarono educatamente; mentre mangiava Selene scrutò Hadmon, quella mattina indossava una maglia bianca dallo scollo largo che lasciavano intravedere i tatuaggi nonché simboli arcaici sul suo petto; il morbido tessuto aderiva al suo torace, mentre le maniche tirate su, lasciavano scoperti i suoi avambracci. Aveva lunghi pantaloni neri, che aderivano ai muscoli delle sue gambe toniche e alti stivali; un lungo cappotto nero smanicato ricadeva sul suo corpo, con rinforzi metallici sulle spalle da cui prendevano forma dei piccoli aculei. Infine i suoi capelli neri erano tirati indietro eccetto qualche ciuffo che ricadeva sul suo viso. Dalla sua espressione seria comprese che c’erano alcune cose che voleva chiederle, infatti non appena finì la colazione le disse di andare a indossare gli abiti che presto gli avrebbe applicato un unguento in grado di medicarle ulteriormente le ferite, poi le avrebbe dovuto parlare della battaglia del giorno prima e di alcune questioni importanti. Non appena Selene ebbe finito di mangiare, andò nella sua stanza, si sfilò il pigiama poi dall’armadio prese e indossò la sua armatura secondaria ovvero una tutina nera in pelle, col il collo alto, un ampio spacco sul seno e intrecciata sulla schiena. Completamente smanicata lasciava in vista i suoi sigilli quindi prese dei lunghi guanti tagliati sulle dita, con dei rinforzi metallici sulle nocche e li indossò; si sistemò i capelli in un’alta coda e infine prese un paio di calzini e un paio di alti stivali neri che avrebbe indossato dopo le medicazioni di Hadmon.

Una delle doti di Hadmon, erano le magie curative e grazie a quelle le sue ferite guarivano sempre nel giro di qualche giorno invece che nell’arco di settimane; tuttavia doveva mantenersi sempre a riposo, qualsiasi mossa brusca l’avrebbe riportata nelle condizioni iniziali. Date le sue condizioni e non potendo allenarsi con il dragone, nel pomeriggio sarebbe andata a fare una passeggiata nella foresta intorno all’abitazione e si sarebbe rilassata da qualche parte, leggendo. Prima però doveva parlare con Hadmon, così lasciata la stanza lo raggiunse in cucina, posati gli stivali vicino al tavolo si sedette accanto a lui. Delicatamente le prese il piede e il polso destro, le tolse le fasciature e da una piccola boccetta che aveva sul tavolo prese un unguento dall’intenso profumo di lavanda e glielo applicò sui punti lividi, finché questo non fu assorbito completamente. Infine le riavvolse le bende, richiudendo la boccetta e infilandola in una sacchetta attaccata alla sua cinta.

-Di cosa volevi parlarmi? – chiese Selene, indossando i calzini e gli alti stivali in pelle.

-Seguimi, non voglio parlarne in casa – rispose l’altro, alzandosi e dirigendosi verso l’uscita dell’abitazione.

Usciti di casa, si sedettero vicino al piccolo lago sotto un albero di ciliegio, Hadmon controllò che nessuno ci fosse nei paraggi in particolare Jhin, poi si preparò a parlare.

-Ieri grazie al tuo amuleto ho percepito che hai usato le arti del Buio. Selene sai che se abusi di quel potere senza allenarti a fondo metti a rischio la tua vita – sospirò Hadmon bruscamente, passandosi la mano destra sugli occhi per poi inchiodarli su di lei – so che hai richiamato a te Ammit… -

-Non ho avuto altra scelta, era una situazione critica e non potevo contare su nessuno – ribatté Selene, facendo spallucce; era dispiaciuta e sapeva che non era stata prudente, perché i suoi muscoli le dolevano a causa di tutto lo sforzo cui aveva sottoposto il suo corpo.

-I demoni che te controlli non possono essere risvegliati senza prudenza, ognuno di loro risponde a Thànatos e rischiare di richiamare lui significherebbe farti divorare dall’interno – continuò l’uomo, poi vedendola chinare lo sguardo a terra, le posò la mano sinistra sul capo sorridendole affettuosamente – se non altro sei stata brava a dominare Ammit, brava guardiana –

Nonostante sapesse che Selene aveva fatto poca attenzione, non riusciva ad essere troppo severo con lei; conosceva il fardello che portava sulle spalle nell’essere la custode del Buio, nessuno era mai stato in grado di contenere la ferocia e la sete di sangue e distruzione del demone che portava nel suo corpo. Nessuno dei precedenti guardiani, tra cui sua madre erano mai riusciti a sfruttare i suoi poteri senza che il mostro ne approfittasse, divorando piano piano i loro corpi e la loro anima. Thànatos agognava a raggiungere un solo obiettivo: riavere indietro il suo cuore e nel farlo, il guardiano doveva stringere con lui un patto di sangue; nessuno ci aveva mai provato e lui non intendeva lasciarlo fare a Selene, fintanto che la sua compagna non fosse stata abbastanza forte e padrona nel dominare i demoni dell’oscurità. Da anni ricercava nei più antichi manoscritti delle Biblioteche dei Guardiani metodi alternativi per evitare di stipulare il patto e salvarla, tuttavia non aveva mai trovato alcuna soluzione. Inoltre dovevano fronteggiare coloro che ambivano a liberare il potere di Thànatos, tra cui la setta di Zwey e con buona probabilità anche il Demone d’Oro: nel giro di poco tempo ne sarebbe rimasto affascinato o forse già ne era attratto.

-Quando queste ferite saranno guarite, riprenderemo ad allenarci… inoltre ieri a Tuula ho scoperto l’esistenza di una biblioteca, credo che oggi pomeriggio mi recherò lì per continuare le mie ricerche…  – chiese gentilmente Hadmon, appoggiandosi al tronco dell’albero.

-Hadmon, sai che non c’è alcuna soluzione… - disse Selene, abbozzando un triste sorriso.

-Io la troverò. So cosa è successo ai tuoi predecessori e ci deve essere un modo… c’era un guardiano a cui aveva obbedito Thànatos, l’unico, purtroppo ancora non trovo sue testimonianze. Si dice che abbia girato i vari continenti in cerca di una risposta e che infine l’avesse trovata proprio qui a Ionia, quindi non mollerò la presa proprio ora. Non ti lascerò in pasto a mio fratello- commentò Hadmon, volgendo lo sguardo verso il cielo azzurro.

-Grazie, Hadmon... lascia che venga con te oggi pomeriggio – disse Selene, posando una mano sulla sua spalla e appoggiandosi sul tronco accanto a lui. Appoggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi rilassandosi.

-No devi stare a riposo Selene, inoltre per quel che riuscirai devi tenere d’occhio il Demone d’Oro… da stamattina è scomparso – ribatté Hadmon, incantato dai petali che si adagiavano sul letto d’erba – vieni, facciamo pratica sulle magie elementali–

-Va bene, poi mi lascerai riposare come si deve? – sbuffò Selene sorridendogli.

-Può darsi pigrona – chiosò Hadmon, sollevando un sopracciglio e mostrando un ghigno beffardo.

Sotto il sole di mezzogiorno, Selene si sfilò gli stivali e i lunghi guanti e li depose; essere a diretto contatto con il suolo e la natura circostante le permetteva di controllare al meglio le sue abilità, come doveva fare un qualsiasi Guardiano. Si mise in piedi sul piede sinistro e sollevò il destro, in contemporanea alzò la mano destra, agitò le dita e nel schioccarle una lingua di fuoco si materializzò e avvolse il suo braccio. La fiamma lentamente si allontanò da lei e iniziò a girarle intorno, assumendo la forma di un piccolo drago. Successivamente la mano destra la tenne all’altezza del seno e successivamente con la sinistra, fece un movimento in avanti come a colpire a qualcuno e una lingua d’acqua si levò in aria e iniziò a roteare intorno a lei. Successivamente unì le mani e parte dei due elementi si fusero creando uno sbuffo di vapore, così prontamente Selene ci soffiò sopra e da esso si originò un vortice di vento che si dispose insieme agli altri. Hadmon di fronte a lei la osservava silenzioso, ormai aveva sviluppato una certa abilità nel controllare gli elementi perciò sapeva che ciò a cui lui mirava adesso era il controllo del Buio e non i poteri elementali. Per richiamare a sé la terra, posò infine il piede destro a terra e delle lunghe radici verdi avvolsero il suo tatuaggio di Guardiana del Buio. Sollevate le mani le quattro fiamme si alzarono in aria e si disposero in cerchio; da esse presero forma quattro dragoni eterei dal possente corpo squamato e le zampe artigliate. Più file di aculei partivano dal capo dei draghi e si estendevano fino alla coda, ognuno aveva imponenti corna grigie, occhi ghiaccio e immense ali.

Hadmon le sorrise e rimase contento dell’espressione soddisfatta di Selene, che si mise a ridere: era riuscita a dominare i quattro elementi e il fatto che fosse in grado di richiamare a sé i detentori di quel potere ne era l’ulteriore conferma. L’altezza delle creature era di circa tre metri e a malapena rientravano nel giardino così Selene agitò in aria la mano e i draghi si dissolsero in fiamme che poi scomparvero. Il suo compagno le continuava a sorridere soddisfatto, sentiva di aver raggiunto un traguardo ora doveva solo divenire padrona del tempo e delle arti oscure e poi sarebbe stata a tutti gli effetti la Guardiana del Buio. Indossò i suoi stivali e i suoi guanti e si avvicinò al compagno.

-Per stavolta posso lasciarti riposare. Non abituartici troppo- scherzò Hadmon, riavviandosi i capelli corvini.

-Hadmon, sei troppo severo con me – disse Selene, alzando gli occhi al cielo fingendosi scocciata; con qualche difficoltà si avviò versol’abitazione, prima che l’altro la prendesse in braccio da sotto le gambe.

-Non credo proprio, sono troppo buono – affermò il custode, sorridendole amichevolmente per poi metterla a sedere sull’erba.

Nonostante Selene obiettò, Hadmon la portò fino alla sua stanza e la adagiò sul letto; le disse che avrebbe preparato il pranzo dato che Ana sarebbe stata fuori fino a tardo pomeriggio. Una volta sola Selene si alzò e, preso un libro, si sedette accanto alla finestra aperta; una piacevole brezza investì il suo viso seguita dal profumo intenso di fiori. Jhin era scomparso nella foresta e dato il suo compito avrebbe dovuto indagare, questo la scocciava considerato che poco tollerava la sua presenza. Per un momento pensò quale evento passato lo avesse reso una folle furia omicida. Guardò il cielo azzurro, voleva conoscere per guardare agli eventi da diversi punti di vista; per quel momento però decise di mettere da parte l’idea. Ritornò a osservare il giardino poi aprì un libro di un lontano Guardiano del Buio, Elias, sulla dominazione delle arti oscure e iniziò a leggere le righe. I Guardiani del Buio avevano una sorprendente abilità nel dominare le svariate arti, purtroppo però di guardiano in guardiano arrivava un momento in cui il demone sigillato in loro si risvegliava durante le evocazioni, piano piano divorava il loro corpo e accorciava la loro vita. Loro non avevano lunga vita e Hadmon negli ultimi tempi stava cercando informazioni circa il modo di fronteggiare il problema e circa un Guardiano che era riuscito a stringere un patto con Thanatos, trascorrendo così una vita longeva. Lette alcune pagine sul demone Ammit, guardò fuori dalla finestra: non aveva mai voluto quell’incarico che le aveva strappato via sua madre e costretta ad allenarsi e a stare lontana dalle persone care per evitare che venissero coinvolte in eventuali agguati da parte di sette segrete, come l’ordine di Zwey. Ogni anno percepiva il peso di quel potere crescere seguita dalla paura di venir distrutta da essa. Per fortuna aveva conosciuto Hadmon che era sempre stato al suo fianco, non lasciandola mai sola.

Presa dai suoi pensieri non sentì la voce di Hadmon chiamarla dal soggiorno, al punto che l’altro fu costretto a salire le scale per avvisarla che il pranzo era pronto. Si scusò con lui, non confessò i suoi pensieri e il dragone non parve accorgersi di nulla, fortunatamente. Prestando attenzione Selene posò il piede a terra e si accorse che l’unguento di Hadmon aveva fatto effetto: il dolore era quasi scomparso del tutto e poteva camminare normalmente. Insieme scesero le scale e andarono in cucina, da cui proveniva un buon profumo, si sedettero e iniziarono a mangiare. Non appena Selene assaggiò la pasta, Hadmon vide il suo viso illuminarsi.

-Wow! È squisita, ti rinomino Guardiano dei fornelli, Hadmon- scherzò Selene, divertita dalla sua espressione: aggrottò le sopracciglia, prima che un sorriso malizioso si dipinse sulle sue labbra.

-Lasciarti preparare il pranzo, significava intossicazione alimentare assicurata – ribatté Hadmon, addentando un’altra forchettata di pasta.

-Ti sorprenderò un giorno vedrai – rispose Selene, tirandogli una pacca sulla spalla nuda.

-Si avvelenandomi – rise Hadmon e la sua risata riecheggiò profonda nella stanza, poi proseguì – appena finiamo, devo andare alla biblioteca… –

-Penso che studierò il libro sul Guardiano Elias, prima devo capire dove è andato Khada Jhin – affermò Selene, sospirando pesantemente.

-Ana stamattina mi raccontava che i precedenti membri dell’ordine di Hanzai che avevano tentato di convivere con lui e controllarlo, erano fuggiti poco dopo tempo. Ha un profondo odio verso Hanzai e il consiglio, nonché verso Shen… -

-Chissà cosa sarà accaduto in passato, Hanzai ci ha detto poco sugli avvenimenti precedenti al nostro arrivo – rifletté Selene, finendo di mangiare e posando il piatto nel lavandino, iniziando a lavare le posate.

-Non appena ci incontreremo con lui, ci informeremo… mi spiace doverti lasciare sola con psycho – concluse Hadmon, appoggiandosi al bancone in marmo vicino a lei.

-Tranquillo Hadmon, mi riposerò e poi sono in grado di difendermi – disse la guardiana, sorridendogli amichevolmente.

Finito di sistemare la cucina, Selene e Hadmon salirono le scale, lei avrebbe fatto un bagno caldo, mentre l’altro presa una piccola sacca in tela con all’interno manoscritti, si avviò verso l’uscita. Selene lo salutò, dopo che l’altro si era raccomandato di chiamarlo tramite il loro patto, nel caso di necessità. Lo vide allontanarsi, scendendo le scale, poi una volta sola si recò nella sua stanza e prese dall’armadio un grande telo da doccia. Dopo di che attraversò il corridoio ed entrò nel bagno posto di fronte alla stanza di Hadmon. Il bagno era di medie dimensioni, in fondo vi era un’ampia vasca circolare e ai lati destro e sinistro rispettivamente i sanitari e il lavabo con lo specchio; accanto ad esso vi erano alcuni armadietti e scaffali privati. Riempì la vasca e vi si immerse, velocemente si lavò, asciugò i capelli e indossò la tutina.

Una volta pronta prese il libro del Guardiano, i suoi pugnali e scese le scale. Fuori il sole era ancora alto in cielo e c’era molto caldo ma restare sola nell’abitazione non le piaceva, così come non gradiva la solitudine; riportava alla memoria solo ricordi non felici che lei preferiva dimenticare. In silenzio, si avviò verso la foresta, intendeva ritornare al punto in cui il giorno prima era entrata nella Landa degli Evocatori; così ripercorse gli stessi sentieri, accompagnata dai sussurri del vento. Giunta a destinazione si trovò di fronte alla cascata, si guardò intorno alla ricerca di un posto tranquillo ove studiare e lo trovò: vicino al lago vi era un gruppo di scogli disposti in modo tale da permetterle di sedersi e contemplare la bellezza della natura circostante. Subito si sedette e iniziò ad analizzare il contenuto di quelle pagine, ricche di sigilli per l’evocazione dei vari demoni dell’oscurità.

Il tempo sembrò volare e senza accorgersene, cullata dai suoni dell’acqua che si infrangeva sugli scogli, Selene finì per addormentarsi con in braccio il libro. Sognò la sua isola, ritornando al momento in cui per la prima volta aveva evocato Ammit; accanto a lei c’era Hadmon che nella sua forma umana era sdraiato su un’amaca accanto all’entrata del dojo del maestro. Non appena il dragone etereo si era materializzato era scattato in piedi, ma subito il maestro gli aveva fatto cenno di stare fermo, convinto che nulla fosse accaduto. Così fu, dopo essersi mostrato Ammit si dissolse. Nel sogno si avvicinò ad Hadmon con in mano la lancia e improvvisamente lo trafisse in prossimità del cuore. L’uomo si accasciò di fronte a lei, mentre il sangue macchiava le sue dita. Paralizzata, iniziò a piangere a dirotto, subito si precipitò su Hadmon ma non appena lo prese tra le braccia il buio più profondo la avvolse e il dragone si dissolse tra le sue braccia.

Un vento caldo d’improvviso la avvolse e fu proiettata in uno scenario ancor più terrificante. Di fronte a lei il palazzo reale, in fiamme era tempestato dagli attacchi di un imponente demone. Il viso della creatura era un teschio dalle lunghe corna su cui spiccavano due occhi viola; da esso prendeva forma il corpo nero squamato e ricoperto di aculei e terminante con una lunga coda. Le sue mani unghiate troncavano alberi e piante del giardino, sottostante al palazzo. A ogni battito d’ali, una parte della costruzione cedeva su sé stessa e migliaia di urla disperate si levavano in aria. Il ruggito della bestia la fece rabbrividire, il mostro divorava le anime dei guardiani, trafiggendo i loro cuori. Tentava di muoversi ma delle lingue di oscurità la immobilizzavano. Vide il demone bloccarsi di fronte all’unico balcone intatto della reggia, su di esso un anziano guardiano si preparava ad affrontarlo: suo padre, Eredith. Tentò di urlare e muoversi ma nulla: era di nuovo immobile. Sentì il suo corpo venir smosso e una profonda voce chiamarla, aveva un timbro melodioso appena distorto; per un istante le sembrò familiare ma non riuscì a identificarla. Le lingue abbandonarono il corpo di lei e si mise in piedi correndo nella direzione del palazzo. Giunta vicino al demone, chiamò il padre ora intrappolato nella stretta della creatura pronta ad artigliare il suo cuore. Eredith le rivolse un ultimo sguardo, sorridendole poi la bestia divorò senza alcuna pietà il suo corpo e la sua anima. Selene urlò, scoppiando in lacrime, ma dalle sue labbra non proveniva alcun suono.

 Disperata cadde inginocchio e d’improvviso il demone che fino allora sembrava non aver fatto caso alla sua presenza, si voltò vedendola. Prima che potesse far qualcosa, il mostro si parò di fronte a lei e allungò i suoi lunghi artigli su di lei.

-Selene, preparati perché presto reclamerò ciò che di diritto mi spetta – ringhiò la creatura, preparandosi a trafiggerla con l’artiglio destro.

Conosceva alla perfezione la creatura che aveva di fronte a lei, era quella che albergava nel suo corpo: Thanatòs, il demone sovrano dell’oscurità e della notte. Urlò contro di lui e stavolta la sua voce uscì prepotente dalle sue labbra come le lacrime che ora solcavano le sue guance senza fermarsi.

-Non avrai mai niente da me- sbottò la guardiana, ma suscitò solo una profonda risata del demone.

Dal corpo di Thanatòs delle lingue oscure la avvolsero e lentamente la trascinarono nel suo petto in prossimità del cuore. In ogni modo la donna tentò di divincolarsi; improvvisamente l’artiglio della creatura la trafisse da parte a parte inchiodando il suo corpo a quello di Thanatòs. Il suo urlo tranciò l’aria, mentre lentamente veniva inglobata dal corpo della bestia. Presto si ritrovò al suo interno e l’oscurità più profonda progressivamente la inghiottì, mentre migliaia di anime dannate attraversavano il suo corpo. Urlò e cercò di respirare ma nell’aprire la bocca l’oscurità si insinuò tra le sue labbra, percorrendo la gola e poi varcando i suoi polmoni. Nuovamente si sentì strattonare, la stessa voce di prima la chiamò, cercò aiuto ma fu tutto inutile il buio l’aveva già avvolta: lei aveva smesso di respirare e il suo cuore era stato ormai divorato.

Di botto Selene si svegliò, portandosi subito una mano al petto. Il suo cuore batteva all’impazzata e respirava affannosamente, inconsciamente nel sonno aveva trattenuto il respiro e quindi adesso aveva un gran bisogno di ossigeno. A causa dello spavento non si era accorta della presenza di qualcuno di fronte a lei e quando chinò il capo sul libro, scorse dei familiari stivali dorati; alzò il capo e sussultò non appena trovò di fronte a sé il volto mascherato di Khada Jhin. D’istinto indietreggiò di fronte al suo occhio scarlatto, trovandosi schiacciata contro la roccia; tuttavia stavolta nel suo sguardo non colse alcun disprezzo anzi la scrutava silenziosamente, in attesa di una sua risposta. Perché era lì inginocchiato di fronte a lei?

-Cosa ci fai qui… - chiese Selene, prendendo il libro e stringendolo a sé, come a difendersi dal suo sguardo divenuto più intenso.

-Dovrei chiederlo io a te – rispose Jhin con voce profonda, nel suo tono c’era un pizzico di ironia.

La giovane lo guardò con espressione interrogativa, era evidente che non capiva a cosa si riferisse; si mise in piedi, incrociando le braccia, squadrando la sua figura: il colore ghiaccio dei suoi occhi si era tinto di una sfumatura più fredda, era come spaventata dall’incubo di cui era stata vittima fin quando non l’aveva riportata alla realtà.

-Questo è il luogo di accesso alla Landa per molti combattenti e nonostante siano Ioniani, tra loro ci sono alcuni poco raccomandabili…- confessò Jhin, posando l’attenzione sullo specchio d’acqua ai suoi piedi, sarebbe stato abbastanza noioso se fosse rimasta coinvolta in avvenimenti spiacevoli.

Sollevatasi da terra, Selene si avvicinò di un passo all’uomo; ormai grazie all’unguento applicato, riusciva a camminare normalmente. Quando fu abbastanza vicina, l’altro posò l’attenzione sulla copertina del suo libro, scrutandola attentamente. Il suo occhio parve appena ridursi nell’osservare sospettamente il titolo “Elias, Il Guardiano”.

-Guardiani? Non dirmi che credi a queste storie. Hanzai non aveva niente di meglio a parte consigliarti libri ridicoli – sussurrò Jhin, posando le mani sui fianchi.

Per quanto gli riguardava, non credeva a una parola circa l’esistenza dei Guardiani, non c’erano mai state testimonianze circa le loro apparizioni, creature invisibili che agivano di nascosto e che vivevano in un luogo ai confini del mondo: a dir poco che ridicolo. Vide gli occhi di lei chiudersi e le sue labbra curvarsi verso l’alto, cosa c’era da sorridere? I modi gentili che mostrava con chiunque e anche con lui lo infastidivano terribilmente, nella sua mente si ripeteva che tanto la sua era l’ennesima finzione; la donna altro non era che un’altra marionetta del Consiglio, il suo temperamento era una messa a scena: lei era un’attrice come tutti. Lui non sarebbe caduto nella trappola.

-A dire la verità mi interessava conoscere qualcosa in più sulla storia dei Guardiani ne ho sentito parlare così tanto, Hanzai non c’entra nulla nella scelta dell’argomento. Non riesci proprio a sopportare quel povero vecchietto, eh? – scherzò Selene mentendo e inarcando un sopracciglio, mentre incrociava le braccia.

-Trovo la compagnia di Hanzai piacevole quanto le ortiche, lascio a te le conclusioni – ribatté il pistolero, avviandosi verso la casa – rientriamo –

-Perché trovi ridicole queste storie? – chiese Selene, raggiungendolo a passo veloce.

-Sono storie raccontate ai popoli per consolarli e ritardare leggermente il fatto che a breve esaleranno il loro ultimo respiro. Guardiani che rendono giustizia e portano dell’ordine, ma nell’arco della mia esistenza…- commentò Jhin, il suo tono si faceva più carico di disprezzo mentre immagini cruente che solo lui conosceva balenavano nella sua mente -… ho avuto l’onore di poter appurare personalmente che la giustizia è un concetto relativo e che nessuno ti salverà dall’oblio fintanto che non sarai un automa obbediente senza intelletto-

All’udire quelle parole e il rancore che adesso esprimeva Jhin, Selene rabbrividì, per un istante le parve di poter sfiorare l’aura di disprezzo e odio dietro cui si celavano i suoi profondi misteri, ma subito quella possibilità di accedervi svanì, accompagnata dal gelido silenzio del Demone d’Oro. In verità il motivo per cui i Guardiani non si mostravano mai era legato alle loro immense abilità che potevano attirare chiunque e mettere a repentaglio la loro vita e soprattutto quella di chi li circondava, per questo i custodi vivevano su un luogo posto ai confini del mondo.

-Non credi che non si mostrano per evitare di metterci in pericolo? – chiese Selene, timorosamente, vedendolo bloccarsi.

La calda luce del pomeriggio illuminava la grigia maschera di Khada Jhin, ma la luce era in grado di scaldare solo il suo corpo ma non la sua gelida anima; quello che gli era stato fatto era imperdonabile e lo aveva reso un Demone pieno di rancore e nessuno era intervenuto mentre il Consiglio di Ionia lo distruggeva lentamente; ma da allora l’odio e la follia erano la sua forza e alimentavano le sue azioni e presto la sete di vendetta e di distruzione sarebbero state soddisfatte. Le favole certo non avrebbero placato il suo riserbo.

-          Ho smesso di credere alle favole molto tempo fa, nell’esatto istante in cui sono diventato quello che sono – sussurrò Jhin, stringendo i pugni e voltandosi verso di lei.

Gli occhi ghiaccio di lei si posarono sui suoi e per un momento sembrarono placare la ferocia emanata dalla sua pozza scarlatta; era come se tentasse silenziosamente e gentilmente di accedere ai suoi segreti e per un momento percepì la quasi familiare sensazione della sua armatura di ghiaccio piegarsi di fronte a lei. Lui che era stato sempre un cacciatore feroce adesso si sentiva vulnerabile di fronte a quella donna. Distolse lo sguardo e lo rivolse in avanti, ormai erano quasi arrivati al cancello dell’abitazione.

Una volta arrivati, Selene percorse silenziosamente il giardino, forse il Consiglio di Ionia non le aveva comunicato tutto su Khada Jhin, in lui c’era solo rancore e lei voleva scoprire il motivo e cosa gli era stato fatto, ma soprattutto se gli artefici erano proprio i membri del Consiglio. Pensierosa si voltò verso il sole all’orizzonte bloccandosi di fronte alla vista di un dragone alato spiegare le sue ali.

Davanti a lei il pistolero si bloccò e si girò nella sua direzione; studiò i suoi lineamenti armoniosi illuminati dalla calda luce del tardo pomeriggio su cui spiccavano le lunghe ciglia nere che incorniciavano gli occhi e le sottili labbra rosse; curioso di sapere cosa si agitava nella sua testa e di chiederle alcuni chiarimenti sul giorno precedente, si avvicinò di qualche passo.

-Che posto è quello lì giù? – chiese Selene, riflettendo che stranamente quel pomeriggio parlare con il Demone d’Oro non la spaventava.

-La Landa degli Evocatori, è situata vicino alle isole fluttuanti dei draghi; uno dei luoghi di potere più sacri per gli Ioniani – rispose Jhin, vedendo gli occhi dell’altra illuminarsi.

-Ci si può accedere? – domandò Selene, distogliendo lo sguardo dall’orizzonte e posandolo sull’altro.

-Si, ma non è affatto un luogo accogliente, ti faresti ammazzare… si dice che solo alcuni maestri dominatori possono andare lì e uscirne illesi, non credo che tu sia una di loro –

Detto così Jhin si voltò e fece per avviarsi verso l’abitazione, Selene rimase per un momento in silenzio riflettendo sulle sue parole e sugli avvenimenti del giorno precedente nella Landa; aveva bisogno di qualcuno che gli insegnasse a muoversi in quel luogo e apprendere nuovi stili di combattimento e l’uomo davanti a lei era l’unico che poteva insegnarglieli. Non le piaceva molto l’idea ma quello era l’unico modo, anche in vista di futuri incarichi, considerando che a breve ne avrebbero ricevuti altri.

-Jhin – chiamò Selene, con tono fermo.

-Che c’è? – ribatté il pistolero girandosi e incrociando le braccia, in attesa delle sue parole.

-Insegnami a combattere come fai tu e a usare le tue armi –

Per un istante l’occhio di Jhin parve dilatarsi appena, seguì un momento di silenzio che fu interrotto dalla profonda risata del Demone d’Oro.

-Non saresti all’altezza e non avrei motivo di insegnare le mie tecniche a una seguace del Consiglio – disse Jhin, avvicinandosi a lei con fare minaccioso. La vide indietreggiare di qualche passo poi le afferrò il mento con la mano artigliata imprigionandolo in una morsa – dimmi… Perché dovrei? –

Spaventata Selene sentì il cuore mancare di un battito e accelerare velocemente, ma subito riprese il controllo di sé, non gradiva l’idea che in futuri incarichi doveva farsi aiutare da lui cosciente del fatto che gliel’avrebbe rinfacciato nei giorni a seguire. Lo fissò intensamente e tentò di svincolarsi ma l’uomo la tratteneva e pretendeva una sua risposta.

-Non voglio farmi salvare da te, come è successo nella Landa. Inoltre…– affermò Selene, scostando la sua mano quando la presa si fece meno forte - … se può interessarti, non sono direttamente collegata al Consiglio –

-Che intendi dire? – chiese l’altro con circospezione, analizzando la proposta.

-Rispondo ad Hanzai e lui al Consiglio, a loro interessano i resoconti delle missioni e sapere se puoi collaborare con noi. Sono una specie di custode, vedila così; non vengo qui per ingannarti…- sorrise lei, tralasciando il particolare della collaborazione con Shen.

Jhin rimase per un secondo in silenzio, se avesse accettato sarebbe riuscito a scoprire di più sul suo conto e sui piani del consiglio. Avrebbe iniziato a tessere la sua tela e lentamente avrebbe ottenuto da lei le informazioni che lui cercava; forse sarebbe riuscito anche a convincerla di schierarsi contro il Consiglio, del resto le sue abilità su cui presto avrebbe indagato, gli erano sembrate molto utili. Sorrise sotto la sua maschera, un sorriso malizioso e sinistro: si stava intrappolando da sola. “Povera stupida” pensò Jhin.

-Mi hai convinto, a un solo patto però… - sussurrò Jhin, con tono profondo e chinandosi lievemente su di lei per afferrarle con gentilezza il mento - … tu mi insegnerai i tuoi incantesimi elementali –

Selene sentì di nuovo il cuore battere forte di fronte all’intensità dei suoi occhi, ma stavolta sorrise divertita, sviluppare quelle abilità richiedeva molto sforzo e alcuni requisiti indispensabili.

-A fare fatto, vediamo se saprai tenermi testa – rispose Selene, scostando la sua mano, vedendolo voltarsi e avviarsi verso la casa.

-Non farmi ridere. Domani mattina ti voglio qui, staremo a vedere quanto riesci ad apprendere –

Detto così Jhin si allontanò, sollevando una mano; il sorriso sinistro della sua maschera rifletteva quello dipintosi sul suo viso nascosto, si dissolse dietro la porta nel buio sebbene fosse cosciente la sua armatura di ghiaccio si era di nuovo piegata.

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Capitolo 6
*** Her eyes touch my soul ***


5.CAP 4 defintivo

 “Remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato”

(Francis Scott Fitzgerald)

La mattina successiva Selene si alzò molto presto; si era svegliata di soprassalto e non era più riuscita ad addormentarsi, quindi silenziosamente aveva deciso di alzarsi e si era seduta in giardino a contemplare l’alba. Con sorpresa aveva incontrato Hadmon che nella sua forma di dragone era accucciato sotto l’albero di ciliegio. Il pomeriggio precedente aveva discusso con lui sulla richiesta che lei aveva fatto al Demone d’Oro, la sua reazione a quella notizia era stata dapprima un’espressione cruciata poi dopo aveva annuito. Purtroppo non appena aveva udito la richiesta del pistolero circa l’apprendimento degli incantesimi elementali aveva sgranato gli occhi; le aveva chiesto il motivo per cui aveva accettato e se aveva un minimo di coscienza che le ricordava che non era un individuo qualsiasi ma un criminale psicopatico.

-Una mattina può essere cordiale e la successiva ti fa imbalsamare –

Così aveva detto, ma lei gli aveva risposto che le era parso di intravedere qualcosa di diverso in quell’uomo al di là della sua malvagità. Hadmon sapeva bene che quando lei diceva così non c’era nulla che poteva farle cambiare idea e soprattutto sapeva che la sua compagna riusciva a capire le persone di fronte a lei, perciò se diceva così allora poteva fidarsi…forse. Per cambiare discorso Selene gli aveva chiesto se aveva avuto nuove informazioni e il dragone le aveva risposto che quel pomeriggio in realtà non era riuscito a dedicarsi molto allo studio, aveva incontrato casualmente Hanzai che gli aveva chiesto il resoconto della missione nella Landa e se si trovavano a loro agio. In quell’occasione si era informato circa alcuni luoghi di potere di Ionia e Hadmon aveva avuto l’impressione che nonostante gliene avesse indicati alcuni, su altri era rimasto sul vago lasciando intendere che non erano posti accessibili a tutti. Inoltre tutto a un tratto il maestro aveva cambiato argomento consegnandogli una missiva contenente il prossimo incarico.

Non appena Selene si avvicinò ad Hadmon per accarezzare il suo muso l’altro subito svegliò, ma alla sua vista si tranquillizzò e adagiò la testa sulle sue gambe.

-Non riesci a dormire? – chiese Hadmon, mantenere la sua forma umana per molto tempo richiedeva molto sforzo e quindi a volte doveva riprendere il suo aspetto originale.

-No, c’è un incubo che non mi fa riposare… - sussurrò Selene, aveva fatto lo stesso sogno del giorno precedente e la cosa la preoccupava.

-Di che si tratta? – domandò Hadmon, mentre una nube bianca lo avvolgeva e man mano che si sollevava dal suo corpo, lui riacquistava la forma umana.

Selene gli spiegò l’incubo e Hadmon colse dal suo tono che ciò che gli stava per spiegare non presagiva nulla di buono; l’uomo la ascoltò in silenzio e non appena gli riferì il particolare che presto Thanatòs avrebbe reclamato il suo cuore sussultò di botto. La guardiana si portò le gambe al petto e le avvolse, il sole si stava facendo sempre più alto, scaldando il suo viso; l’idea della completa distruzione dell’Isola dei Guardiani e della sua morte la terrorizzava.

-Dannazione… dobbiamo trovare una soluzione al più presto, a quanto pare Thanatòs si risveglierà e il giorno che lo farà non è molto lontano da oggi. Domani dovremmo partire per l’incarico quindi oggi mi recherò di nuovo in Biblioteca… - disse Hadmon, il suo tono tradiva la sua espressione calma.

Il dragone era a conoscenza del fatto che più di qualche guardiano in precedenza dopo aver avuto incubi simili era sopravvissuto per alcuni mesi massimo un anno, Selene non sapeva questo particolare e presto avrebbe dovuto trovare le parole per confessarglielo. Odiava con tutto sé stesso quella situazione, Thanatòs era suo fratello ma a differenza di lui, Hadmon aveva messo a disposizione il suo potere per aiutare i Guardiani e non per distruggerli. Questo non faceva altro che alimentare il suo disprezzo verso quella creatura. Era affezionato a Selene e non avrebbe mai permesso che nulla le accadesse, non dopo aver tentato tutti i modi anche quelli proibiti; inoltre l’espressione preoccupata che adesso aveva sul suo volto era l’ennesimo motivo che lo spingeva a cercare disperatamente una soluzione.

-Credi che ci sarà un modo, Hadmon? – chiese la guardiana, sentendo gli occhi inumidirsi.

Di fronte ai suoi occhi ghiaccio da cui trapelava tutto il suo terrore, non poté non sentire una stretta al cuore, così la attirò a sé avvolgendo un braccio intorno al suo collo; carezzò alcune ciocche di capelli argentei per farla tranquillizzare: un modo c’era, lo avrebbe trovato e mentre fissava il sole sorgere quel pensiero diveniva lentamente una certezza.

-Te lo giuro, non importa come ma lo troverò. Puoi starne certa. Andrò in biblioteca non appena avremmo fatto colazione – sussurrò Hadmon, percependo le mani di lei avvolgere la sua schiena e affondare il viso nel suo collo.

-Grazie Hadmon… - rispose lei flebilmente, chiudendo gli occhi confortata dalle sue parole.

Sapeva che le probabilità di riuscita nell’impresa erano basse, ma appigliarsi al barlume di speranza e provare a credere la rincuorava, così cullata dal cinguettio degli uccelli Selene cadde in un profondo sonno senza sogni, sentendosi al sicuro accanto al custode del Tempo.

 

 

Più tardi Selene si svegliò sul divano con addosso un piccolo lenzuolo bianco, volendo riposare ancora un po' si mise su un fianco e chiuse nuovamente gli occhi. Improvvisamente prima di riaddormentarsi percepì il rumore dei tacchi di stivali urtare contro il pavimento in legno e poco dopo il lenzuolo le fu tolto di dosso. Infastidita e convinta fosse Hadmon si mise a sedere per poi scattare in piedi.

-Che cavolo fai, Hadm…-

Sussultò scoprendo che l’uomo di fronte a lei era Jhin che ora la sovrastava con la sua figura; in quel momento si rese conto dell’effettiva differenza di altezza e di quanto fosse più bassa ed esile rispetto all’altro.

-Desolato, non sono il tuo amato Hadmon – scherzò il pistolero, incrociando le braccia divertito dall’espressione assonnata e infastidita della giovane – avevamo un patto, ricordi? –

-Si certo, ma non eri obbligato a buttarmi giù dal letto – ribatté la guardiana scocciata, avviandosi verso le scale.

-Non ho mai detto che sarei stato cordiale, sbrigati – osservò l’uomo reclinando il capo lateralmente.

Jhin la vide sorridere e scuotere il capo, per poi salire le scale e riscendere dopo qualche minuto con indosso l’armatura con cui aveva combattuto nella Landa. Non appena avrebbero iniziato l’allenamento, presto le avrebbe fatto sparire l’espressione serena che aveva. Quella mattina inoltre aveva avuto l’immenso piacere di incontrare Hadmon e gli aveva spiegato che sarebbe stato assente per l’intera giornata e in più gli aveva consegnato la missiva di Hanzai, chiedendogli di darla a Selene; per quel giorno non avrebbe interferito nei combattimenti, un tedio in meno pensò Jhin.

Insieme alla guardiana si avviarono verso il giardino e lì il Demone d’Oro si fermò davanti a lei, slacciò il fodero della pistola e le consegnò Sussurro, si allontanò di qualche passo e le disse di provare a colpirlo, sparando un solo colpo. Divertito dalla sua espressione spaesata si mise in posizione, incrociò le braccia e attese. Una profonda risata lasciò le sue labbra non appena la ragazza premette il grilletto e l’arma rinculò, facendole sparare il colpo un metro prima dei suoi piedi. Subito notò il viso dell’altra incupirsi e avviarsi nella sua direzione a passo veloce.

-Non sono qui per farti divertire… - disse Selene, imbarazzata e furiosa per la brutta figura, iniziava a odiare il sorriso sinistro dipinto sulla sua maschera, in quel momento sembrava addirittura schernirla.

-Vuoi ritentare da questa distanza? – ribatté l’altro con tono derisorio, sollevando con l’indice la pistola e posizionandola vicino al suo cuore, poi continuò – le armi non sono fatte per ferire ma per uccidere il tuo nemico, il luogo in cui lo colpisci determinerà la modalità di esecuzione –

-Che intendi dire? – domandò Selene, vedendo l’altro posare l’indice artigliato sul suo cuore.

-Colpiscilo al cuore e gli donerai una morte lunga e agonizzante, colpiscilo alla testa e gli regalerai una morte breve e relativamente indolore – rispose Jhin, spostandosi e indicandole l’albero di ciliegio vicino all’entrata del cancello – prendi il tronco come bersaglio –

Jhin la vide posizionarsi e tenere goffamente tra le dita affusolate l’impugnatura della pistola, di quel passo non avrebbe imparato molto la donna; così le sfilò l’arma dalle mani e le mostrò la giusta posizione, la sinistra tratteneva la pistola, il braccio era completamente disteso rivelando la sua muscolatura tonica, le gambe leggermente divaricate e la destra posata sul fodero dell’estensione della pistola.

Selene osservò la sua figura e ne studiò i movimenti quando sparò il colpo, colpendo il tronco in pieno; Jhin le illustrò che l’arma si nutriva di magia, pertanto più riusciva a imprimerne e devastante sarebbe stato l’effetto del colpo. Dopo di che gli porse Sussurro e lei provò a ripetere i suoi movimenti, nell’eseguirli riuscì a colpire di striscio l’albero; a innervosirla vi era lo sguardo dell’altro che la osservava intensamente e non appena abbassò il braccio perché stanco dal peso dell’arma, subito l’altro la costrinse a risollevarla.

-Ancora non va bene, la tua posizione è sbagliata…- dichiarò Jhin seriamente, scuotendo il capo.

Vide l’uomo posizionarsi dietro di lei, sussultò quando percepì il torace dell’altro aderire alla sua schiena e la famigliare vulnerabilità prendere possesso delle sue membra. Sapeva che il Demone d’Oro aveva notato il fatto che era tesa e questo la innervosiva ancor di più. Vide l’altro sollevarle con la mano artigliata il braccio sinistro, poi posizionarsi di fronte a lei, afferrarle il mento con poca delicatezza e posizionarle il viso lungo la linea del mirino di Sussurro; con un piede scansò il suo facendole divaricare le gambe e la poca gentilezza con cui lo fece la infastidì, era cosciente che l’altro non le dava un minimo di speranza ma lei non avrebbe mollato.

-Ora dovrebbe essere giusta. Ritenta, però stavolta devi provare a imprimere la magia nel colpo, anche se ho dubbi che centrare il bersaglio e usare la magia ti riesca facile – affermò Jhin deridendola.

Infastidita Selene sparò il colpo e il proiettile schizzò fuori dalla canna colpendo nuovamente di striscio l’albero, stavolta imprimendo un’incisione più profonda nel legno.

-Appunto, come immaginavo…-

Alla risata divertita dell’uomo, Selene gli rivolse un’occhiataccia e l’altro le fece cenno di ritentare. Ormai al limite della pazienza Selene sollevò di nuovo Sussurro, mirò al centro dell’albero e concentrandosi impresse tutta la sua magia nera nell’arma. Con estrema sorpresa la pistola fu attraversata da linee color ghiaccio e nere, poi sparò colpendo in pieno centro l’albero che fu divorato da lingue di oscurità finché non scomparve completamente.

Con immensa sorpresa Jhin osservò l’intera scena e rimase nuovamente affascinato dal potere della sua magia oscura, in particolare dalla sua letalità; iniziava a domandarsi da chi potesse aver appreso quelle abilità dato che magie oscure e letali come quella di lei erano bandite da alcuni ordini, tra cui quello che lui odiava più di tutti: l’ordine di Kusho. Il lato positivo pensò Jhin, era che forse la ragazza non era legata a quel gruppo per il fatto che lei padroneggiasse il genere di arti tanto odiate da Shen; nonostante tutto trovava sospette le sue abilità e il suo legame con Ionia: non conosceva la Lega e non ne aveva mai preso parte, non sembrava conoscere il territorio e nemmeno le Isole Fluttuanti, famosissime tra tutti gli Ioniani. Nonostante tutto però riconosceva la sua particolare bravura e stare in sua presenza quella mattina non sembrava essere così fastidioso, se non altro spezzava la monotonia delle sue giornate passate a prepararsi per le missioni del consiglio, sistemando con cura maniacale le sue armi nel tentativo che gli incarichi lo facessero sfuggire dalle sue ombre.

-Ehi, va tutto bene? – chiese Selene sorridendo, vedendolo assorto nei suoi pensieri da troppo tempo.

-Si, ritenta. Devi fare molta pratica, la tua mira è pessima…- osservò Jhin, ritornando alla realtà.

Selene proseguì l’allenamento finché il sole del mezzo giorno non fu alto in cielo; Jhin le aveva portato un manichino su cui fare pratica altrimenti di quel passo avrebbero distrutto ogni albero e di conseguenza il giardino. Durante le ore di allenamento il pistolero era rimasto ad osservarla seduto su un sasso all’ombra di un ciliegio, aveva scrutato ogni suo movimento e posizione e questo in un primo momento l’aveva messa in soggezione ma poi lei non ci aveva più fatto caso. La sua mira era migliorata, riusciva a colpire il manichino ma mai i punti letali, quali la testa e il cuore e questo la spingeva a ritentare all’infinito; di tanto in tanto Jhin si avvicinava a lei per correggere la sua postura e in quei momenti a Selene sembrava che la traccia di puro odio che coglieva spesso nei suoi occhi, scomparisse. A fermare Selene fu il calore del mezzo giorno e la stanchezza nelle braccia, le doleva la cicatrice sulla sua mano sinistra e questo significava che stava abusando in parte delle arti oscure per usare Sussurro.

-Facciamo un tentativo – disse Jhin, mettendosi in piedi e avvicinandosi a lei, ormai l’espressione serena della mattina aveva lasciato spazio a quella stanca e affaticata; continuò – dammi Sussurro -

-Che vuoi fare? – chiese Selene, guardando la sua maschera che sorrideva minacciosa.

-Immagina di essere nella Landa, devi disarmarmi o morirai. È importante che te riesca a essere un ottimo combattente in qualsiasi condizioni – affermò Jhin, con tono serio se voleva apprendere da lui allora avrebbe patito gli stessi allenamenti cui lui era stato sottoposto; l’avrebbe fatta cedere e cadere pezzo per pezzo.

-Cosa… ma sono sfinit…- replicò Selene, vedendolo scattare verso di lei, scagliando un pugno nella sua direzione.

Abilmente Selene schivò il colpo, rispose immobilizzando il suo pugno e colpendolo all’altezza dello stomaco; l’uomo sembrò incassare bene il colpo non si sbilanciò molto ma quel poco che bastò a Selene per aprire uno spiraglio e allungare una mano al fodero della pistola. Prontamente Jhin bloccò il suo braccio, colpì con la punta dello stivale la sua gamba che cedette. In quel momento Selene si ritrovò in ginocchio di fronte al Demone d’Oro, sollevò il viso incontrando il suo sguardo; per un istante Jhin si immobilizzò di fronte alle sue pozze ghiaccio, i suoi occhi lasciarono che nella sua mente balenassero ricordi che lui si era promesso di cancellare. Fu in quel momento di esitazione che Selene notato il suo cambiamento, sfilò il braccio si rimise in piedi e tirò un calcio nel suo stomaco; poi abilmente prima che l’altro potesse reagire lo immobilizzò a terra, si preparò a scagliare un colpo sul suo viso ma l’altro le bloccò le mani imprigionandole i polsi. Jhin serrò la stretta fino a farle male, poi capovolse le loro posizioni immobilizzandola a terra, sfilò Sussurro e la puntò vicino alla sua fronte. Selene con il fiato spezzato, sentì il cuore mancare di un battito di fronte al suo sguardo feroce, rimase immobile con la schiena premuta contro il prato.

Jhin per un istante si paralizzò di fronte ai suoi occhi di ghiaccio che leggevano la sua anima permettendo ai suoi ricordi di riaffiorare in superficie; chiuse gli occhi, odiava sempre più il modo in cui lei maneggiava la sua armatura di ghiaccio, rivelando parti che non dovevano essere né indebolite né svelate, perché subito le sue ombre arrivavano ad attaccarlo. Aveva impiegato così tanto a costruirla e adesso come era possibile che con molta semplicità e con poco tempo lei riusciva pian piano a sgretolarla?

-Jhin? – richiamò Selene, preoccupata per quella posizione pericolosa.

Jhin la fissò rabbioso, in quel momento avrebbe potuto ucciderla, eliminando in questo modo l’unica minaccia per le sue difese, ma qualcosa di irrazionale lo fermava… non voleva uccidere quella donna, una parte di sé non lo desiderava. Chiuse gli occhi e si mise in piedi, fece roteare la pistola tra le mani e la ripose nel fodero, dandole le spalle. Almeno per quella mattinata doveva andarsene, avrebbe ripreso il pomeriggio ad allenarsi; non poteva tollerare la vicinanza e il suo passato.

-Per stamattina terminiamo qui…- sussurrò Jhin con tono greve.

-Aspetta – disse Selene, posando una mano sulla sua spalla ma l’altro la scansò con forza, rivolgendole uno sguardo di puro rancore.

-Non hai alcun permesso per avvicinarti, sta’ lontana da me - ringhiò il pistolero, riprendendo a camminare verso l’abitazione.

La guardiana lo vide entrare nell’abitazione, era rimasta dispiaciuta e terribilmente infastidita dal suo modo di fare scorbutico, la sua pazienza aveva un limite e uno di quei giorni gli avrebbe spiegato che non poteva prendere le libertà che voleva con lei e trattarla come meglio preferiva. Selene si massaggiò la fronte e sospirò bruscamente, cercò di lasciar perdere gli ultimi avvenimenti e si diresse in casa per lavarsi e cambiarsi. Ana non era tornata dal giorno prima, avrebbe voluto sapere volentieri che fine aveva fatto dato che era preoccupata. L’unica persona a cui poteva rivolgersi per chiedere informazioni era Jhin, ma date le ultime vicende e la sua estrema simpatia, decise di rimandare al pomeriggio.

Una volta che fu ripulita, Selene si privò dell’armatura e indossò dei vestiti comodi: dei pantaloncini corti di jeans, una canotta nera aderente e un paio di stivali bassi color sabbia; infine legò i capelli argentei in una morbida treccia laterale. Si guardò allo specchio e stavolta decise di non indossare nessun tipo di indumento o di bende per coprire i simboli che aveva sul corpo, tanto era sola e l’unico compagno in quella casa si era ritirato in isolamento, quindi non c’era alcun rischio. Prese il libro sui Guardiani, si sdraiò sul letto e si mise a leggere in silenzio; studiò attentamente le pagine del libro finché non sentì le palpebre pesanti, fu allora che si addormentò. L’allenamento e l’uso delle arti oscure per maneggiare Sussurro l’avevano affaticata e ora necessitava di riposare più che mai.

Nella stanza accanto Jhin era seduto vicino alla finestra, tra le mani tratteneva la missiva di Hanzai e ne leggeva il contenuto, doveva comunicare alla ragazza della lettera, ma in quel momento il suo rancore gravava solo su di lei: una minaccia. Più ripensava ai suoi occhi ghiaccio terrorizzati e più nella sua mente balenavano le immagini di quello che era accaduto quattro anni prima per ordine del Consiglio di Ionia; la notte in cui aveva dovuto terminare l’esistenza dell’unica persona a lui cara. Più tentava di frantumare quella donna e più la sua armatura si rigava. In quel momento si ritrovò a guardare con disprezzo la lettera tra mani, la ripiegò e la lanciò sul letto; si mise a guardare fuori dalla finestra poi chiuse gli occhi imponendosi di liberare la mente da ogni cosa.

 

Poche ore dopo Selene si svegliò in preda a una terribile fame, il suo stomaco brontolava e quindi capì che si era fatta ora di mangiare; si mise in piedi e scese le scale, recandosi in cucina. Ana ancora non era tornata quindi molto velocemente preparò il pranzo per due: “non si sa mai se all’eremita venga fame” pensò ironicamente. Pranzò silenziosamente ritornando con la mente al momento in cui Jhin le aveva puntato alla fronte la pistola, al solo pensiero rabbrividì. Nel suo occhio scarlatto aveva letto solo sentimenti contrastanti e quando aveva provato ad immergervi i propri, era stata respinta dalla più buia delle oscurità.

Terminato il pranzo, molto velocemente lavò il proprio piatto rimettendolo al suo posto in un piccolo armadietto sopra il lavandino; prima di lasciare la cucina le cadde l’occhio sul pranzo dell’uomo così lo coprì con una scodella. Maledisse sé stessa per essere così buona con un individuo così instabile poi prese il piatto e si avviò al secondo piano; “c’è qualcosa che si nasconde dietro la sua maschera, un odio profondo che cela del buono” rifletté Selene, di quel pensiero era quasi certa. Giunta di fronte alla camera dell’uomo provò a bussare ma si accorse che la porta era solo appoggiata; silenziosamente entrò, posò il piatto sul comodino e quando sollevò lo sguardo solo allora si rese conto di come fosse arredata la stanza. Al centro della stanza vi era un tre piedi con sopra appoggiato l’inizio di uno splendido dipinto floreale su tela, vicino alla parete di sinistra vi era un pianoforte a muro chiuso a chiave e infine una libreria costeggiante il muro centrale e terminante vicino a un armadio posto sul muro destro. Per un momento ricordò il giorno in cui il suo maestro le aveva insegnato a suonare il piano, era stata una pessima allieva, inizialmente non aveva apprezzato lo strumento ma poi se ne era innamorata; tuttavia ciò che attirò maggiormente la sua attenzione fu il dipinto, miriadi di fiori di ciliegio, circondati da pennellate rosso fuoco di fiamme che sembravano divorare la pianta. Un’opera splendida ma carica di tristezza e desolazione. Fu allora che posò lo sguardo su Jhin, era appoggiato al muro e dormiva profondamente; aveva le braccia conserte e il capo reclinato all’indietro. In quella posizione e in quello stato non lo avrebbe mai giudicato un uomo brutale e psicopatico, anzi…

Cogliendo l’occasione, senza far rumore si avviò verso il dipinto e vi allungò la mano sfiorando la tela; provò a risalire alle emozioni che erano state le artefici di quel dipinto e percepì solo rabbia, frustrazione e rimpianto… per un singolo momento in cui nella sua mente parve prendere vita la scena dipinta, intravide due occhi ghiaccio, forse erano i suoi, ma subito si dissolsero e lei tornò alla realtà. Uno dei doni del Guardiano della Notte era di riuscire a capire i sentimenti più bui che agitavano l’animo umano, forse per quell’incarico le sarebbero tornati molto utili per indagare sul passato dell’uomo.

Non appena l’uomo sbuffò nel sonno lei si voltò di scatto temendo di essere colta con le mani nel sacco, ma fortunatamente Jhin si era solo mosso e continuava a dormire profondamente. Prima di avviarsi verso l’uscita della stanza, il suo occhio cadde sulla lettera sul letto dell’uomo; le sembrò di intravedere una familiare scrittura e il sigillo dell’Ordine, ma per la fretta non vi badò e lasciò la stanza.

Dopo aver preso il libro Selene e aver indossato per precauzione la sua armatura, scese le scale, con l’intento di mettersi a studiare sul divano nel salotto, ma non appena fu nel soggiorno incontrò Ana. Quando la domestica la vide la salutò entusiasta dicendole che appena si sarebbe cambiata le avrebbe dovuto proporre qualcosa a cui lei non avrebbe potuto dire di no, dopo di che scomparve al piano di sopra lasciandola interdetta e sorpresa.

In silenzio Selene attese la ragazza seduta sul divano, provò a sfogliare le pagine del libro ma i suoi pensieri corsero al dipinto realizzato dall’uomo; era curiosa di sapere cosa gli fosse accaduto di così terribile e chi erano stati gli artefici. Per un momento vide balenare di nuovo gli occhi ghiaccio nella sua mente, poi si sentì chiamare da Ana e tornò alla realtà. Avrebbe chiesto informazioni ad Ana mentre Jhin dormiva.

Con entusiasmo Ana la trascinò su un piccolo balconcino in fondo al corridoio, oltre la cucina e insieme si sedettero su delle sedie a contemplare un piccolo lago dietro la casa.

-Ho una proposta per te Selene – esordì Ana sorridendo, facendola accomodare.

-Di che si tratta Ana? Mi stai spaventando – disse Selene, sorpresa da tutto il suo entusiasmo.

-Una cosa per volta, intanto, tra due settimane a Tuula si svolgerà un festival che si svolge ogni anno, prevede una cerimonia per accogliere l’arrivo dell’estate e poi festeggiamenti. Che ne dici di venire? So che non sei del posto però mi farebbe piacere se ci andassimo a divertire insieme, comprese Hadmon –

-Certo sarebbe fantastico… a proposito ti è successo qualcosa ieri sera? Ho visto che non sei più tornata– chiese la guardiana ricordando che la sera prima non era rientrata a casa.

-Sono rimasta a Tuula a casa di una cara amica, di tanto in tanto vengono organizzati degli eventi serali in dei locali e ieri sera ci sono andata insieme a un gruppo di amici. Una sera ti porterò anche a uno di queste eventi, senza Hadmon però… potresti fare conoscenze – disse Ana sorridendo maliziosamente e tirandole una pacca sulla spalla.

Selene rise divertita, poi non appena trovò il modo chiese alla ragazza alcune informazioni sul passato di Jhin; notò l’espressione sorpresa dell’altra la quale incrociò le braccia e la scrutò un momento, riflettendo sulla domanda. La domestica scosse il capo facendo spallucce.

-Purtroppo come avrai capito, lui non lascia trapelare informazioni sul suo conto. Avevo accennato ad Hadmon che i due precedenti seguaci avevano provato a convivere con lui ma erano fuggiti dopo pochi giorni per via dei suoi modi violenti e imprevedibili. Non conosco nulla ma solo voci, queste riferivano che Khada Jhin non era una persona così instabile fino a quattro anni fa, poi qualcosa è accaduto e ha mutato la sua personalità di botto…- dichiarò Ana, notando il volto della guardiana scurirsi.

-Capisco… i suoi dipinti? – chiese Selene, vedendo la ragazza sgranare gli occhi.

-Hai avuto accesso alla sua stanza? – domandò sorpresa la donna, nessuno si era mai avvicinato a Khada Jhin al punto da osservare ciò che di lui più rivelava.

-Per portargli il pranzo, ho solo visto i suoi dipinti e lui dormiva…-

-Sono sorpresa, non ho mai visto il Demone d’Oro permettere a qualcuno di avvicinarsi… ad ogni modo fa attenzione Selene, quell’uomo può avere reazioni spropositate perciò guardati bene dall’avvicinarti a lui. In qualsiasi momento devi aspettarti qualsiasi reazione- sussurrò Ana, incrociando le braccia, mentre il suo sguardo si incupiva – fai attenzione al genere di domande che poni e guardati bene da mantenere certi dettagli nascosti e soprattutto, da rivelargli anche le più semplici informazioni personali; in ogni momento può usarle contro di te, lui ti vede come una nemica una minaccia, perché sei un’emissaria del Consiglio. Mi è bastato un anno in questa casa per capire queste cose –

-Farò in modo di non essere vista in questo modo, ci deve essere qualcosa di buono in quell’uomo, riesco a percepirlo e il mio sesto senso non sbaglia mai – disse Selene, mettendosi in piedi e appoggiando gli avambracci sul mancorrente in legno.

Ana gli sorrise dolcemente, dicendole che era troppo buona e che a volte non si può recuperare l’irrecuperabile e semplicemente lasciar andare; la domestica vide l’altra scuotere il capo e ribattere con un ‘mai’, per il Guardiano della Notte niente è oscuro al punto da non permettere l’accesso ai più profondi sentimenti dell’uomo e sciogliere i problemi che ne vincolano l’anima.

Ana posò gli occhi su di lei e studiò per un momento la sua figura e i suoi tatuaggi che si intravedevano sotto l’armatura; aveva sentito le storie sui Guardiani e mai aveva pensato di incontrarne uno, sapeva poco sulla questione ma parlarne in casa non era prudente. Colse negli occhi della guardiana un velo di preoccupazione, farsi carico di quella situazione certo non era facile, così per farla svagare le disse di aspettare un minuto prima di sparire in cucina e tornare con due bicchieri di aranciata.

Selene ringraziò, vide Ana prendere il suo libro e leggere alcune pagine riguardanti gli incantesimi elementali e Thanatòs; notò i suoi occhi dilatarsi appena, mentre leggeva alcune descrizioni circa la malvagità e il potere della creatura. Poi saltò alcune pagine e lesse alcune della sezione riguardante l’isola dei Guardiani e ne rimase meravigliata.

-È come viene descritta? – chiese curiosa Ana, gli occhi le brillavano mentre immaginava quei luoghi fantastici.

-Ovviamente no… sono tutte favole – dichiarò una familiare voce alle loro spalle.

Entrambe si voltarono di scatto, scorgendo la figura di Khada Jhin appoggiata allo stipite della porta intento ad osservare Selene; Ana scorse lo sguardo dell’uomo e per un momento le sembrò di notare una scintilla di curiosità nel suo occhio scarlatto che mai aveva scorto in altri suoi sguardi. Volse la sua attenzione a Selene e notò la sua tranquillità, chissà come faceva a restare così calma quando lei era sempre intimorita dal Demone d’Oro.

-Iniziavo a pensare che avresti rinunciato al patto – scherzò la guardiana, mostrando un sorriso di sfida; posò gli occhi su Ana che le lanciò un’occhiata di intesa lasciandoli soli.

-Sono un uomo di parola – affermò Jhin, avanzando di un passo e appoggiandosi con la schiena al mancorrente vicino a lei – allora, hai intenzione di rimanere lì o di provare a fare un miracolo per la tua pessima mira? –

-Aspettavo solo te – osservò la ragazza, avviandosi verso l’entrata della casa, seguita dall’uomo.

Alle sue spalle Jhin la osservava attentamente, quel pomeriggio non ci sarebbe andato leggero come la mattina; prima di addormentarsi aveva giurato a sé stesso di non permettere mai più ai suoi ricordi di riaffiorare in superficie come era accaduto ore prima. Non appena quel pensiero si fece largo nella sua mente il suo sguardo si fece carico di disprezzo, ormai si domandava sempre con maggior frequenza come fosse possibile che più desiderava annientarla e sempre con più frequenza la sua armatura di ghiaccio si intaccava e indeboliva. Ci doveva essere sicuramente un punto in cui lui sbagliava.

Giunti nel giardino Selene si fermò davanti a lui, prima di iniziare l’uomo le porse una missiva con sopra il timbro di Hanzai; con sorpresa la guardiana constatò che era la stessa lettera che aveva visto nella stanza del pistolero. In essa veniva esposto l’incarico che dovevano svolgere il giorno successivo: avrebbero dovuto scortare una carovana che sarebbe partita l’indomani da Tuula in direzione Vindor con direzione Bastione Immoratale; il complesso di carri trasportava una falce darkin che sarebbe stata presa sicuramente d’assalto dai seguaci dell’Ordine dell’Ombra. Nella missiva Hanzai spiegava che era di fondamentale importanza la riuscita di quella missione; fallire significava lasciare in mano a Zed un’arma che avrebbe contribuito a distruggere Ionia e in quel momento di difficoltà nello scontro con Noxus, dovevano tenere sotto controllo le questioni interne al paese. La mattina successiva sarebbe stato presente anche Hanzai al momento della partenza, in modo tale da fornire più informazioni a tutti.

Purtroppo Selene non conosceva l’Ordine dell’Ombra, però dato il nome della falce e le loro mire capì che sicuramente rappresentavano una minaccia formidabile.

-Ordine dell’Ombra? – disse Selene, forse Jhin aveva qualche informazione ma non appena pronunciò quelle parole l’uomo si irrgidì.

-È un ordine capeggiato da Zed, il fratellastro di Shen; ha sempre nutrito un certo interesse nei confronti delle arti oscure che lo hanno spinto a separarsi dall’Ordine di Kusho e seguire una politica completamente contraria a quella del fratello – spiegò Jhin, eliminare uno ad uno i suoi seguaci sarebbe stato il piccolo prezzo da pagare per averlo reso il folle omicida di Ionia.

-Per quale motivo? – chiese curiosamente la ragazza.

-Per ottenere un potere tale da poter sconfiggere il fratello Shen. Quando erano uniti hanno pensato di recarmi un torto imperdonabile, in accordo con il Consiglio di Ionia; da domani potranno star certi che la mia vendetta inizierà ad abbattersi su ognuno di loro – ringhiò Jhin, sorridendo diabolicamente sotto la sua maschera, finalmente era giunto il momento; con tono sprezzante continuò – sicuramente Zed sarà presente insieme ad alcuni accoliti, anche stavolta Shen non si degna di scendere in campo, ma preferisce muovere le sue pedine –

-Che vorresti dire? – domandò la guardiana, preoccupata dalle sue parole ricolme di odio; cosa volevano significare?

-Niente che te potresti capire, iniziamo –

Detto così Jhin tagliò il discorso, le porse Sussurro su cui aveva montato sopra un’estensione che la rendeva a tutti gli effetti un fucile da distanza e le spiegò come posizionarsi nel momento in cui decideva di usare le armi a distanza; la fece inginocchiare per posare il calcio del fucile sulla spalla e poggiare il viso sulla canna, in modo tale da osservare il bersaglio direttamente nel mirino dell’arma. Osservò come si era messa in posizione la donna e notò che la sua postura non era perfettamente corretta, perciò si inginocchiò dietro di lei e cercò di aiutarla.

Dal canto suo Selene sentì di nuovo il torace dell’altro aderire perfettamente alla sua schiena, sussultò non appena le spostò le mani per sistemarle correttamente sul grilletto del fucile e sulla canna. La vicinanza la destabilizzava, questo perché in parte temeva eventuali azioni avventate del pistolero; ancora ripensava alle parole di Ana, lei era una nemica e ogni sua parola lui poteva usarla per ferirla e ingannarla. Possibile che anche in quel momento avesse trovato un modo per mentirle. Senza accorgersene, presa da quella riflessione non si era accorta che Jhin le stava parlando; si sentì richiamare dal suo tono di voce scocciato e subito tornò alla realtà.

-Mi stai almeno seguendo? Oppure adesso sei diventata sorda? – chiese sarcasticamente l’uomo.

-Ero sovrappensiero… - disse Selene con un fil di voce.

Il pistolero sbuffò e si mise in piedi, le fece cenno di mirare a un manichino distante alcuni metri da lei e gli ordinò di colpirlo, imprimendo la magia nel colpo. La guardiana si concentrò, attingendo ai poteri del Buio, così strinse il fucile tra le mani e stavolta esso fu attraversato da linee color rosso sangue e nere; sentì un brivido sinistro lungo la schiena, sapeva che Thanatòs percepiva che lei stesse usando i suoi poteri. Nella sua mente riecheggiò una risata maligna, subito chiuse gli occhi nel tentativo di scacciare via la sua voce.

Nel frattempo il pistolero vedendola indugiare si mise accanto a lei e notò i suoi occhi tingersi del medesimo colore del sangue; studiò attentamente i suoi lineamenti e subito comprese che qualcosa non andava, il suo sguardo assassino era lo stesso che aveva nella Landa. Chissà cosa nascondeva. La vide chiudere gli occhi, mentre Sussurro veniva attraversata da strane linee e le unghie di lei divenivano artigli; prima di poterle chiedere cosa stava accadendo alla sua arma lei sparò un colpo. Rabbrividì di fronte alla scena che vide: il proiettile a contatto con il manichino esplose e da esso si diramarono lingue nere fiammanti che divorarono l’oggetto; mentre le fiamme smembravano l’oggetto nell’aria si levò una risata profonda e nell’oscurità più nera scorse due occhi scarlatti.

-Di cosa si nutre questa arma? –  chiese Selene con il fiato spezzato e affaticata.

-Magia nera… che razza di arti pratiche? – ribatté sconcertato il pistolero sempre più curioso – di chi erano quegli occhi e quella voce? –

Selene rimase in silenzio osservando la cenere del manichino spargersi tra l’erba, Thanatòs era riuscito a sfuggire per un istante dal suo controllo e si era mostrato, sebbene in una sua banale forma. Di nuovo percepì il suo ringhio nella sua mente; improvvisamente chiuse gli occhi e portò le mani sulle orecchie, lasciando cadere il fucile a terra. Non seppe cosa accadde intorno a lei, ma quando riaprì gli occhi si ritrovò nell’oscurità più totale. Di fronte a lei si materializzarono i grandi occhi scarlatti di Thanatòs e dalla cortina di fumo nera che avvolgeva il suo corpo fuoriuscì un lungo artiglio scheletrico.

-Ti sto aspettando, il tuo cuore sarà mio – sibilò la creatura, ridendo mentre trapassava il suo torace – arriverà il momento in cui userai a completo il mio potere –

Con violenza Selene fu riportata alla realtà, sentiva il torace dolerle e d’istinto si portò una mano al cuore; tossì violentemente per riprendere aria, mise una mano di fronte alle sue labbra e rabbrividì non appena vide sul palmo del sangue nero. Percepì un’ondata di calore provenire dai sigilli sulle sue braccia e poi un intenso bruciore; emise un lamento di dolore mentre nelle sue orecchie sentiva la voce ovattata di una figura in lontananza. Nel panico più totale vide una mano posarsi sulla sua spalla e subito agì. Non riuscì ad identificare la figura quindi si voltò e, preso un pugnale, scagliò un fendente contro lo sconosciuto, atterrandolo e puntando la lama dell’arma alla sua gola.

-Non toccarmi – ringhiò Selene, stringendo la presa.

-SELENE! FERMATI! – urlò Jhin, sul punto di soffocare.

Improvvisamente Selene si rese conto dell’uomo che aveva davanti era Jhin, subito mollò la presa e scattò in piedi: cosa diavolo le era preso? Sentì gli occhi pizzicare e inumidirsi, così si portò le mani al viso in preda al terrore e al dispiacere più totale.

-Io… i-io… il mio cuore… s-scusa, lui è qui… il mio c-cuore – balbettò Selene scoppiando in lacrime, cedendo sulle ginocchia.

-Calmati –

Per quanto volesse negarlo per un momento aveva temuto che la donna lo avrebbe ucciso; nei suoi occhi rosso sangue, aveva scorto solo una implacabile furia omicida accompagnata dall’odio più profondo. Nel suo sguardo, nella forza esercitata sul suo collo aveva colto qualcosa di disumano e giurò che per la prima volta il Demone d’Oro aveva provato paura. Una cosa era certa: voleva sapere di cosa si trattava. Nonostante non fosse abile in quel genere di cose, si avvicinò alla guardiana e si inginocchiò accanto a lei; il suo lato più oscuro si chiese cosa stesse combinando, quella era l’occasione per demolirla definitivamente, come si era ripromesso quel pomeriggio, eppure una piccola parte di sé lo fece titubare e cambiare idea. Maledì sé stesso: perché adesso era accanto a quella donna, la cui misera esistenza non doveva aver alcuna rilevanza per lui? Forse perché in parte poteva rispecchiarsi in lei, con i suoi segreti inaccessibili e ferite profonde mai rimarginatesi. Accanto a lui Selene continuava a balbettare la parola “cuore” in preda ai singhiozzi, le aveva provato a dire qualche parola ma aveva fallito miseramente. Alla fine aveva fatto un ultimo tentativo, mettendo a dura prova la sua pazienza, le aveva posato la mano artigliata sulla spalla e aveva pronunciato il suo nome; di scatto l’altra aveva sollevato il viso e inchiodato gli occhi ghiaccio nei suoi.

-Cerca di calmarti. Va tutto bene –

Così aveva detto, pronunciando parole gentili che a lui erano così aliene; tutto quello era dannatamente sbagliato. La guardiana si tranquillizzò dopo qualche istante, in silenzio aveva asciugato le sue lacrime e si era scusata per quell’inconveniente. “Perché ti preoccupi così tanto per un insignificante essere?” pensò, non trovando risposta.

In estrema difficoltà nel mostrarsi così vulnerabile Selene strinse a se le gambe, ponderò per un momento le sue parole e quando trovò il coraggio per parlare abbozzò un triste sorriso.

-Vorrei che andasse tutto bene, ma sarebbe solo una mera menzogna. Nel momento in cui hai posato gli occhi nelle pozze scarlatte della notte, hai riflettuto il tuo sguardo nel fantasma di un passato lontano. Il retaggio di una civiltà deceduta che alberga nel cuore di ogni uomo e da cui io rifuggo costantemente – spiegò Selene, rivolgendo il viso verso il cielo poi inchiodò gli occhi nei suoi leggendo la sua anima – tu hai scelto di convivere con il tuo rancore, lo hai reso la tua ragione di vita, se io dovessi scegliere di accogliere il mio, probabilmente di me ne rimarrebbe solo un lontano ricordo. L’odio della Morte non può essere placato -

Jhin rimase in silenzio, insieme alla donna si mise in piedi e osservò il suo viso. Le sue labbra erano piegate in un triste sorriso e gli occhi ghiaccio sembravano aver assunto una tonalità più fredda. Le sue enigmatiche parole lo lasciarono interdetto e pieno di interrogativi. La vide avviarsi solitaria verso l’entrata dell’abitazione. Alle spalle della casa si stagliavano minacciose nuvole scure, portatrici di pioggia. Mentre le parole della donna riecheggiavano nella sua mente, di una cosa era sempre più certo: per un istante quando il suo sguardo si era riflettuto in quello omicida di lei, gli era parso di sfiorare il fardello demoniaco che la donna portava sulle sue spalle e che adesso vedeva gravare sul suo fragile corpicino.

Restò in silenzio, prima che una goccia d’acqua bagnò la sua maschera.

Occhi scarlatti e assassini balenarono nella sua mente. Avevano scavato a fondo nella sua anima fino a sfiorarla, stavolta era stata lei a carpire la sua essenza.

E per un istante, rabbrividì.

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Capitolo 7
*** Invisible bond ***


6. CAP 5 DEF

“L’unica emozione permanente di un uomo inferiore è la paura – la paura dell’ignoto, del complesso, dell’inspiegabile. Quello che lui vuole sopra ogni altra cosa è la sicurezza.”
(Henry Louis Mencken)

 

Dopo tre giorni di viaggio la carovana era giunta a Vindor, da quando erano partiti Selene e Hadmon avevano un brutto presentimento circa quel viaggio; qualche giorno prima Hanzai, prima di partire gli aveva fornito le informazioni di cui loro non disponevano circa l’Ordine delle Ombre. Fondato dal fratellastro di Shen, Zed, mirava a dominare le arti oscure, attraverso le quali un giorno avrebbe sconfitto il fratello. Di recente, aveva spiegato l’anziano, giravano voci che avesse preso sotto la sua ala un nuovo studente, un certo Kayn, subito rivelatosi geniale e terribilmente attratto dall’arma che loro stavano custodendo. La falce Darkin era un’arma diversa dalle altre, era a tutti gli effetti dominata da un’entità oscura che trasformava i suoi portatori in entità sfigurate e diaboliche, oltre a conferire enormi poteri a chi riusciva a dominarla. Proprio per l’immenso potere sprigionato dall’arma che non doveva cadere nelle mani dell’Ordine, se ciò fosse accaduto Zed avrebbe avuto tra le mani un nuovo strumento per distruggere Ionia. Al termine della loro discussione Hanzai gli aveva dato un ultimo monito vietandogli severamente di afferrare la face, qualunque fosse stata la situazione di emergenza.

Mentre camminava Selene corse al momento in cui si erano incontrati con Hanzai, era rimasta intimorita dal disprezzo e dal rancore celatosi dietro gli occhi del Demone d’Oro e rivolto interamente nei confronti del maestro e del Consiglio. Durante la discussione l’uomo non aveva proferito parola, semplicemente era rimasto in silenzio a scrutare la figura ricurva dell’anziano, ponderandone le parole. Ancora non riusciva a capire il motivo che lo avevano spinto a dire quelle parole su Shen, non avevano fatto altro che confonderla circa le intenzioni e l’onestà del Consiglio. La sua curiosità e i suoi sospetti erano aumentati in quei giorni, voleva scoprire cosa era accaduto quattro anni prima tra il Consiglio e Jhin e quindi il motivo di tutto il rancore che il pistolero portava sulle spalle; anche Hadmon aveva confessato che sarebbe stato molto interessato nell’avere più informazioni sull’argomento e di nutrire alcuni sospetti sull’onestà del Consiglio, non tollerava le poche informazioni che gli venivano fornite e le troppe celate.

Selene rivolse gli occhi al cielo coperto da minacciose nuvole nere che si stagliavano sopra la valle, precedente l’arrivo al Bastione Immortale; Hanzai le aveva spiegato che era il luogo in cui le armi proibite venivano sigillate per sempre e custodite da un elite di guerrieri e maghi duramente addestrati. Dall’altro lato della carovana Jhin scrutava attentamente l’ambiente circostante, spostava i suoi occhi in fretta attento a percepire ogni movimento sospetto; Hadmon invece era situato dietro il carro anche lui era intento a sorvegliare la vegetazione che avvolgeva per intero la vallata.

Le prime gocce d’acqua caddero a terra, bagnando il mantello scarlatto di Selene e presto il rumore della pioggia interruppe il sordo silenzio che regnava nella valle; sperava che in quella missione Thanatòs non le avrebbe creato problemi come tre giorni prima altrimenti sarebbe stato un problema in più cui lei non sapeva trovare soluzione. Nei giorni di viaggio aveva riposato solo poche ore e la stanchezza che gravava sul suo corpo non avrebbe di certo aiutato nei combattimenti. Preoccupata voltò lo sguardo verso il dragone il quale vedendola tesa le sorrise dolcemente, scuotendo il capo come per dire che per qualsiasi cosa lui sarebbe stato presente.

Un rumore improvviso e Selene si voltò nella direzione di un masso accanto a lei, si fermò un istante e si avvicinò di un passo; Jhin la vide separarsi per un momento dalla carovana le chiese se qualcosa non andava ma lei non rispose. Il carro proseguì avanti, lasciandola indietro, percepiva la presenza di qualcosa all’interno della roccia: di qualcuno. Si avvicinò di più e di fronte a lei si materializzò un’ombra nera da cui spuntarono due profondi occhi blu.

-Ciao bambolina – disse una voce maschile.

Selene non fece in tempo a dare l’allarme che subito un’alta figura maschile si materializzò davanti ai suoi occhi, fuoriuscendo dal masso. La colpì all’altezza dello stomaco, mandandola a terra: l’assalto era cominciato. Scattò in piedi, l’uomo di fronte a lei era scomparso, corse con gli occhi più avanti e lo vide attraverso una parete rocciosa alle spalle di una guardia in testa al carro, vicino ai cavalli. Non avrebbe fatto in tempo ad avvisare Hadmon, l’accolito aveva già allungato le sue mani artigliate sul collo dell’uomo.

Velocemente si dissolse in una nube blu notte e ricomparve di fronte alla guardia, con un calcio la mandò a terra, subito Hadmon le urlò qualcosa interdetto da quel gesto e non notando la figura di fronte a lei. L’uomo si era materializzato di fronte a lei e aveva afferrato il suo collo; a sua volta lei lo aveva colpito in viso con un pugno, mandandolo a terra.

-Hadmon, ci stanno attaccando – urlò Selene, non accorgendosi del ragazzo di fronte a lei sfuggire, rientrando nella parete.

Alle parole di Selene, Hadmon si mise sulla difensiva e alle spalle della carovana scorse due accoliti, Jhin sfoderò Sussurro e notò altre due figure venire esattamente nella loro direzione, sapeva chi erano: Kayn il nuovo e talentuoso allievo di Zed, lo stesso che aveva colpito la ragazza e un seguace. Le guardie sfoderarono le loro spade e si disposero intorno alla carovana.

-Hadmon difendi le spalle della carovana, io affronterò gli altri due – disse Selene, sfoderando i suoi pugnali e avvolgendo le catene legate al manico delle armi lungo i suoi avambracci.

Accanto a lei si avvicinò Jhin il quale aveva impugnato il suo fucile da distanza e si era messo in ginocchio, pronto a far fuoco. Finalmente si era creata l’occasione perfetta per dar via alla sua vendetta; le sue mani stringevano la sua arma di distruzione, nelle sue vene scorreva l’odio e dai suoi occhi trapelava solo la folle sete di sangue.

-Ti copro le spalle. L’uomo più a destra è un semplice seguace, a sinistra c’è Kayn, lui è il più pericoloso: mira alla falce. Io mi occuperò di eliminare subito l’altro, tu dovrai impedire a Kayn di arrivare all’arma. Intesi? – spiegò Jhin, per una strana ragione non voleva che la donna venisse eccessivamente coinvolta in tutta quella storia. La vicenda di quattro anni fa non si sarebbe dovuta ripetere – il loro capo Zed ancora non è arrivato, dobbiamo prendere il vantaggio ora –

-Farò il possibile – disse Selene, pronta a correre nella direzione di Kay.

-Selene – chiamò Jhin un attimo prima di vederla correre via; la donna si voltò sorpresa di essere chiamata per nome gentilmente – non farti ammazzare. Fai attenzione… -

Selene rimase interdetta per un istante, poi gli sorrise e annuì; corse nella direzione di Kayn. Tra le mani il ragazzo tratteneva una falce dalla lunga mano, aveva il torace scoperto rivelando il suo fisico statuario; indossava lunghi e morbidi pantaloni. I suoi occhi blu la fissavano, mentre le sue labbra erano curvate in un ghigno di sfida; i suoi capelli corvini rilegati in una treccia fluttuavano nell’aria. Nel complesso l’uomo che sembrava avere la sua stessa età, circa venticinque anni, sembrava molto abile e pericoloso pronto ad uccidere.

Di fronte a Kayn Selene lanciò il suo pugnale facendo scorrere le catene sul suo braccio, l’altro sorrise diabolicamente schivano il pugnale e afferrando la catena.

-Troppo facile –

Così aveva detto il combattente, ma Selene aveva sorriso trionfante non appena aveva afferrato la catena e attirato a sé Kayn, facendolo sbilanciare in avanti. Aveva sferrato quindi un calcio nel suo stomaco, ma subito l’altro le aveva afferrato la gamba e fatta cadere all’indietro; l’accolito aveva poi sollevato la falce per colpirla ma lei si era dissolta in una nube ed era riapparsa alle sue spalle.

Colto alla sprovvista Kayn si voltato giusto in tempo per venir colpito in viso dal tacco dello stivale di lei. Un ringhio di Hadmon fece sollevare il viso di Selene, il suo compagno si trovava in difficoltà; tutto questo bastò a Kayn per rimettersi in piedi e atterrare la ragazza, immobilizzandolo le mani.

-Non puoi sfuggirmi – ringhiò Kayn, afferrandola per il collo con i suoi artigli.

-Non ne sarei così sicuro – disse Selene dissolvendosi e riapparendo di fronte a lui – tu non trovi? –

Detto così Selene unì le mani e pronunciò delle parole arcaiche e subito delle lingue di oscurità avvolsero le il corpo dell’avversario, inchiodandolo a terra. Vide Jhin accanto alla carovana in difficoltà, alle strette con l’accolito che faceva coppia con Kayn, così eseguì un incantesimo, toccò il terreno e delle fiamme avvolsero il seguace, lasciandolo cadere a terra inerme.

Improvvisamente vide alle sue spalle del movimento, intuì che Kayn si era liberato. Schivò un suo fendente, per poi rispondere colpendolo su una spalla e ferendolo.

-Sei un’avversaria molto interessante. Mi piaci – disse Kayn, dissolvendosi nel terreno e rispuntando alle spalle di lei.

Purtroppo Selene si era voltata troppo lentamente e l’accolito l’aveva colpita dietro il collo, facendola cadere a terra; velocemente si era girata, aveva unito le mani e le aveva conficcate nel terreno. Come per incanto il tempo per Kayn sembrò rallentarsi, molto abilmente Selene lo aveva racchiuso in una bolla temporale in cui i minuti passavano più lentamente. Riuscì a mantenere l’incantesimo giusto il tempo necessario per rimettersi in piedi e schivare la lama della falce che la ferì all’altezza del ventre.

Svanito l’effetto dell’incantesimo Kayn sollevò la falce e assaggiò il suo sangue scarlatto; il sapore della sua vittima era diverso da quello degli altri, c’era qualcosa di anormale in quella donna, poteri oscuri simili ai suoi. Zed gli aveva spiegato che quel pomeriggio avrebbero combattuto contro delle personalità eccezionali: i Guardiani di Flauren. Tra di loro c’era la famosa guardiana del Buio, perciò il loro obiettivo non era solo la falce Darkin, ma anche quello di rapirla e lui avrebbe portato egregiamente a termine l’incarico. Velocemente si scagliò su di lei, con brutalità la colpì sulla ferita appena infertale, la donna si piegò in avanti gemendo e cadendo in ginocchio.

Selene sollevò gli occhi, il taglio perdeva molto sangue e lei si stava affaticando eccessivamente; non aveva reagito prontamente a causa della stanchezza, ora non riusciva più a muoversi per il dolore. Kayn sollevò la falce e posizionò la lama alla base del suo collo; lei chiuse gli occhi sentendo la falce incombere su di lei mentre una voce si fece largo nella sua mente: “chiama il mio nome, guardiana, libera il mio potere”. 

-Tu devi essere la Guardiana del Notte, non è così? – chiese Kayn ghignando maliziosamente.

-Come fai a sapere chi sono? - disse Selene sconcertata.

Kayn le colpì il viso con la punta dello stivale mandandola a terra, sfilò un pugnale dalla sua cintura poi le prese la mano sinistra con la cicatrice e vi conficcò l’arma. L’urlo di Selene tranciò l’aria e fece voltare di scatto Jhin che subito si adoperò per aiutarla. Nel frattempo Kayn si era dissolto in una delle pareti e si preparava a prender la falce Darkin distruggendo la carovana.

Con un calcio Jhin si liberò dell’accolito e corse verso la donna, le sfilò il coltello dalla mano e lo gettò via, strappò una parte della sua casacca e la avvolse intorno alla sua mano sanguinante. Le passò un braccio dietro al collo per sollevarle il capo, poi le colpì il viso facendole riprender coscienza. La donna si svegliò giusto in tempo per vedere Kayn raggiungere la carovana e allungare le mani sulla falce Darkin.

-La falce! – urlò Selene di botto rimettendosi in piedi.

-Dannazione – imprecò Jhin, scattando verso Kayn.

-Non toccare la falce! -

Selene vide Hadmon correre verso la falce, Kayn avrebbe fatto prima di tutti loro, vide Jhin correre verso l’assassino; il pistolero avrebbe fatto in tempo ma per anticiparlo avrebbe dovuto afferrare l’arma. Non poteva accadere, sicuramente sarebbe rimasto ucciso dall’aura di malignità della falce. Si dissolse nell’aria riapparve accanto al pistolero, lui la guardò sorpreso, poi lo spinse via prima che potesse toccare la falce; dopo di che la afferrò allontanando con un calcio Kayn. L’occhio sulla falce era chiuso e Selene sentiva l’aura maligna emanata da quell’arma, temeva cosa poteva accaderle se la impugnava troppo a lungo.

-Sei abile Guardiana –

A quelle parole di Kayn, Jhin si era voltato sconcertato e Hadmon gli aveva rivolto un’occhiata preoccupata. Perché conosceva le loro identità?

-Di cosa sta parlando? – chiese Jhin sorpreso da quella rivelazione.

-Non mi aspettavo che la Guardiana della Notte fosse così impavida, con il suo corpicino così fragile. Mi piaci sempre di più, sei molto interessante – rise Kayn, poi guardando alle spalle di lei continuò- tu non trovi, maestro? –

Alle spalle di Hadmon si era materializzato Zed, il quale aveva colpito il Guardiano in viso mandandolo a terra; Jhin aveva sentito la rabbia mista allo sconcerto ammontare dal profondo delle sue viscere, chi era Selene e perché uno dei suoi giurati nemici conosceva la sua identità e quella dell’amico? Tuttavia di quello se ne sarebbe occupato più tardi, in quel momento si stava creando l’occasione per mettere in atto la sua vendetta: aveva ucciso gli accoliti di Zed e ora mancavano solo lui è Kayn. “Finalmente” pensò sorridendo sotto la sua maschera.

-Non mi ripeterò due volte, consegnaci la falce Darkin – ordinò Zed, avvicinandosi alla donna.

Selene studiò l’uomo alle sue spalle, Zed era alto quanto Jhin, indossava un’armatura in metallo sulle spalle e un elmo sul viso da cui spiccavano due occhi scarlatti; sulle braccia aveva legate delle lunghe lame affilate, mentre il resto del corpo era coperto da una morbida tuta nera e rossa terminante con alti stivali in acciaio. Nonostante temesse il suo avversario lei non avrebbe ceduto niente.

-Mai –

Detto così Zed aveva creato dei cloni d’ombra e insieme a Kayn si era lanciato all’assalto. Mentre Hadmon si riprendeva dal colpo precedente, Jhin si mise accanto a lei, colpì in viso Zed e ferì con un colpo Kayn alla spalla, facendoli indietreggiare. Zed riconosciuta la sua identità, afferrò da dietro le spalle due grandi shuriken.

-Il tuo avversario sono io, feccia – ringhiò Jhin, sparando un ulteriore colpo nella sua direzione.

-Demone d’Oro quale onore – disse Zed con tono derisorio.

-Ti farò rimpiangere quella notte di quattro anni fa – sibilò Jhin, schivando le armi lanciate dall’uomo.

Detto così Jhin si era lanciato all’attacco, intrattenendo Zed e permettendo a Selene di occuparsi di Kayn; il mietitore l’aveva guardata con i suoi occhi blu notte, sfidandola. Solo allora aveva fatto caso che il suo occhio sinistro era di colore scarlatto e circondato da simboli blu, gli stessi che percorrevano il suo torace diramandosi dal braccio sinistro. Alla sua sinistra vide Hadmon rimettersi in piedi a fatica, del resto aveva affrontato due accoliti e ora un terzo si era presentato, pronto a sfidarlo.

-Tu non sai a cosa vai incontro, il Buio non è qualcosa che appartiene a nessun mortale – disse Selene, percepiva la falce tra le mani attingere ai suoi poteri.

-Tu sei una custode incapace – spiegò Kayn, lanciandosi all’attacco.

Selene schivò i suoi attacchi con lentezza, al punto che l’uomo agitò la falce e la ferì sull’avambraccio, rivelando i suoi sigilli; rise vittoriosamente per poi mandarla a terra, facendole volare via dalle mani la falce Darkin. A fatica, sotto i richiami dei due compagni, Selene aveva sollevato gli occhi, incontrando quelli dell’avversario; si era sentita afferrare per il collo e venir meno l’aria, quindi istintivamente aveva portato le mani al polso di Kayn il quale stringeva sempre più la stretta.

-Pietosamente incapace direi – concluse il mietitore lanciandola contro la carovana.

Con immensa difficoltà Selene si era rimessa in piedi, di quel passo sarebbero stati sconfitti perciò non c’era altra alternativa se non quella di richiamare a sé le arti oscure e sfruttarle; accanto a lei si era materializzato Hadmon che l’aveva aiutata e le aveva chiesto se poteva continuare a combattere, lei aveva annuito e gli aveva spiegato le sue intenzioni. Subito il guardiano le aveva ordinato di non ricorrere assolutamente a quei poteri, spiegandole che se gli fosse sfuggito il controllo sul demone la sua vita sarebbe stata in pericolo o ancora peggio la sua linfa sarebbe stata rubata dalla creatura. Selene aveva indicato Kayn prendere tra le mani la falce e spiegato che non c’era altra soluzione se non quella; Hadmon aveva ponderato le parole di lei e a malincuore e contrariato aveva deciso di assecondarla, spiegandole che sarebbe intervenuto non appena lei sarebbe stata in difficoltà.

Sulla falce Darkin si era aperto un occhio scarlatto che ora si era posato su di lei; Selene aveva sussultato mentre sentiva il demone dentro di lei fremere per sfuggire da sotto il suo controllo. Unì le mani e rilasciò i sigilli sulle mani e sulle braccia; sentì il cuore mancare di un battito e poi fu investita dal potere di Thanatòs. Le unghie delle sue mani divennero quelle artigliate del demone, le sue dita furono percorse da line scarlatte e nere, così come il suo corpo; sotto ai suoi occhi si disegnarono due linee scarlatte e le pozze ghiaccio sfumarono nel colore scarlatto del sangue. Inspirò profondamente, cercando di tenere sotto controllo la creatura in lei che ora come non mai desiderava uscire e prendere il sopravvento; inchiodò i suoi occhi su Kayn, Zed notò il suo cambiamento e prima di poter avvertire Kayn, lei si era dissolta in una nube nero pece.

Sulla carovana era scesa la notte e questo aveva offerto a Selene un incredibile vantaggio; avvolta nella notte nessuno poteva sapere dove poteva essere, così apparve dietro ogni accolito accoltellandolo alla gola. Il sangue delle sue vittime le macchiò le mani e il viso, la sete di sangue del demone stava prendendo il sopravvento e lei doveva sbrigarsi a concludere quello scontro.

Riapparve al fianco di Kayn e senza pietà artigliò il suo torace che subito si macchiò di sangue; con un calcio lo allontanò dalla falce che ricadde a terra. Si chinò sull’arma, incosciente di quello che le sarebbe accaduto; lei non sapeva che Hanzai le aveva taciuto l’abilità più terrificante tra tutte: nei loro portatori avrebbe risvegliato il loro lato più oscuro, trasformandoli in figure demoniache e lasciando la loro coscienza in balia della loro personalità malvagia più recondita. In lei avrebbe risvegliato qualcosa di più potente di ogni entità demoniaca: Thanatòs.

Nel frattempo Jhin aveva avuto la meglio su Zed, ora chino a terra con il corpo ferito dai suoi proiettili; aveva puntato la pistola al suo cuore, pronto a privarlo della sua misera vita. La sua maschera era sporca del sangue dell’assassino, così come i suoi artigli dorati: finalmente lo avrebbe ucciso e vendicato il giorno in cui lui e il fratello lo avevano privato di ogni cosa e costretto a trucidare l’unica persona che aveva mai amato. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo, quando li riaprì fu pronto. Stringeva con forza il manico di Sussurro, sul suo volto si era dipinto un sorriso diabolico; nel buio della notte illuminato dalle fiaccole delle guardie si scorgeva solo il suo occhio scarlatto e il ghigno sinistro della sua maschera.

-Quattro –

Le ultime parole di Jhin furono un sibilo, poi premette il grilletto; nel suo ultimo proiettile vi era tutta la rabbia, l’odio e la disperazione di quella notte di quattro anni fa. Chiuse gli occhi, le cicatrici che avevano deturpato il suo viso e il suo corpo bruciavano insolitamente, le stesse ferite che Zed stesso gli aveva inferto quella notte. Il braccio dorata e l’occhio destro di cui era stato privato dolevano per la folle euforia di quella vendetta.

-Questo è per lei. Per avermi trasformato in un mostro. Per aver infierito sul mio corpo. Presto la mia ira si abbatterà su tutta Ionia, patetici scarti e il sangue scorrerà finché la mia sete di vendetta non verrà placata. Tu sei il primo Zed, il prossimo sarà tuo fratello e gli ipocriti del Consiglio – ringhiò Jhin.

Rivolse il viso verso il cielo, il suo corpo era bagnato dalla fredda pioggia e la sua anima dannata per un istante aveva trovato la pace nel vedere il corpo di Zed morto in una pozza di sangue. Chiuse gli occhi, lasciandosi pervadere dalla tranquillità del momento. Tuttavia i suoi pensieri furono presto interrotti da un urlo di Hadmon che lo chiamò, chiedendogli aiuto e indicando la sua compagna; fece in tempo a voltarsi nella direzione della donna e rabbrividì, sentendo l’urlo raggelante di Selene fendere l’aria. La guardiana si era inginocchiata a terra e aveva gli occhi fissi su quello scarlatto della falce Darkin mentre il suo corpo stava venendo avvolto da un alone di oscurità; sulle sue spalle stava prendendo forma un’armatura di ossa, mentre delle linee scarlatte si avvolgevano lungo la sua corazza in prossimità del cuore. Scorse di nuovo i suoi occhi scarlatti e la sua furia omicida; le labbra di lei, macchiate del sangue delle sue vittime si stavano piegando in un sorriso diabolico rivelando i suoi denti divenuti denti lunghi e affilati, da cui fuoriusciva un vapore rosso sangue.

-Cosa diavolo sta succedendo? – chiese Jhin, nella guardiana non c’era più traccia della figura serena e umana dei giorni precedenti.

-Quella non è più Selene, dobbiamo fermare la creatura che è dentro di lei prima che la sua volontà scompaia per sempre – disse Hadmon, la falce Darkin aveva risvegliato Thanatòs e ora controllava il corpo della giovane. Era preoccupato per la compagna e furioso perché Hanzai gli aveva omesso di nuovo dei particolari quando gli aveva illustrato i poteri della falce.

-Chi siete voi? Voi siete persone fuori dalla norma, non ho mai visto nessuno sprigionare un potere simile –

Se nei giorni precedenti Jhin aveva pensato di poter sfruttare a suo favore quel potere, ora lo temeva più di qualsiasi altra cosa. Afferrò il bavero della giacca del compagno che non voleva rispondere alla sua domanda, incitandolo a parlare: lui doveva e voleva sapere chi era quella donna. Vide l’uomo chinare il capo e chiudere gli occhi, prima di riaprirli: anche lui aveva occhi simili a quelli della giovane. Hadmon scostò la sua mano e fece apparire tra le mani una lunga falce bianca, attraversata da linee ghiaccio.

-Io sono il guardiano del Tempo, Selene invece… - disse Hadmon, non doveva rivelare le loro identità eppure non c’era altra scelta.

-Chi è? – domandò furioso il pistolero, solo menzogne gli erano state raccontate.

-La Guardiana della Notte, la custode del demone degli Abissi: Thanatòs; quando ci sarà l’occasione ti spiegherò ogni cosa, ma adesso ti basta sapere che ora come ora quella creatura sta rubando la linfa vitale di Selene. Noi dobbiamo fermarlo prima che raggiunga il suo cuore –

-Che succede se falliamo? – chiese Jhin, temendo la risposta.

-Selene morirà. Io posso sigillarla, ma ho bisogno di liberarmi di Kayn –

Jhin in silenzio posò lo sguardo sulla donna di fronte a loro, aveva afferrato per il collo il mietitore e lo aveva sbattuto a terra; odiava quella parte di sé che voleva salvarla, la stessa che ora gli stava facendo ricordare gli avvenimenti di quattro anni prima. Un filo invisibile stava tirando la sua anima e lo spingeva a mettere al sicuro la vita di lei; maledisse sé stesso per lasciarsi trasportare di nuovo dal suo stupido cuore che proprio ora si era svegliato e gli suggeriva di strapparla a quella creatura. Ogni istante che passava capiva sempre più che lei era identica a lui, completava la sua personalità folle: costretta a portare un odio che non le sarebbe mai dovuto appartenere, ma nonostante tutto l’unica che si era sforzata ad approcciarsi e a parlargli. “Me ne pentirò” pensò Jhin, poi guardò Hadmon e annuì. Per quanto gli facesse rabbia che gli erano state taciute le loro identità, non riusciva ad essere freddo e spietato nei confronti di quella donna; non voleva lasciarla a quel terribile destino. Non voleva che morisse.

Hadmon partì all’attacco e fece segno a Jhin di seguirlo, gli disse di prestare attenzione a non farsi colpire da Selene oppure l’oscurità lo avrebbe divorato; prima di andare il guardiano gli aveva dato un amuleto che avrebbe dovuto applicare alle spalle della ragazza, così facendo le avrebbe impedito di muoversi. Si diresse verso Kayn ora rimessosi in piedi, sparò un colpo nella direzione dell’uomo, ferendolo all’altezza del ginocchio; l’altro non parve cedere ma afferrò la falce Darkin e lo colpì all’altezza del viso spezzando una parte della maschera e tagliando il passamontagna nero.

-Non trovi che sia una creatura bellissima, un concentrato di pura oscurità – sibilò Kayn, sferrando un calcio sul costato del pistolero.

-Dannato bastardo, ti metterò a tacere per sempre –

Detto così Jhin aveva schivato un altro fendente che aveva tagliato il suo mantello, rivelando la casacca viola sottostante; doveva concludere quello scontro e salvare la donna, non aveva tempo da perdere con quel ragazzino. Sparò tre colpi in direzione dell’altro, ferendolo su entrambe le ginocchia e sulla spalla; fu allora che Kayn cadde in ginocchio. Prima di potersi rimettere in piedi Jhin si era materializzato davanti a lui e lo aveva colpito in viso stordendolo. Con un calcio aveva allontanato la falce Darkin da lui: per un po' non avrebbe dato più fastidio.

-JHIN! MUOVITI! – urlò Hadmon, bloccando le mani di Selene.

Il pistolero agì in fretta, corse alle spalle della donna, ma Selene si voltò nella sua direzione; inchiodò gli occhi scarlatti nel suo e lui rabbrividì. Quelle pozze rosso scarlatto stavano di nuovo scavando nella sua anima, ma adesso gli stavano permettendo di accedere in quelle della donna: nella sua anima lesse la disperazione più profonda, nella sua mente riecheggiarono i singhiozzi di lei intrappolata in un vortice di urla e odio.

-Non guardarla negli occhi – ordinò Hadmon, non riuscendo più a immobilizzare la donna – sbrigati o non faremo più in tempo –

Distolto lo sguardo Jhin applicò il medaglione sulla schiena di Selene, fu allora che sotto l’effetto di esso Selene fu costretta a inginocchiarsi e Hadmon colta l’occasione, aveva unito le mani rilasciando un incantesimo che la immobilizzò subito a terra con delle forti radici. Gli occhi rossi di Selene si posarono su Jhin, nella sua mente balenò l’immagine degli occhi ghiaccio della ragazza e per un istante gli parve di sentire le sue urla. Vide Hadmon inginocchiarsi accanto a lei, sollevando la falce bianca in cielo poi la conficcò nel torace di Selene. La donna sgranò gli occhi, iniziando ad inarcare la schiena nel vano tentativo di divincolarsi, mentre le line scarlatte che attraversavano il suo corpo svanivano.

-Scusami Selene –

Cosi aveva detto Hadmon, per poi posare le mani a terra facendo apparire un sigillo sul cuore della giovane; Selene si era messa a urlare disperatamente, mentre l’armatura di ossa lasciava libero il suo corpo. Hadmon aveva poi conficcato le unghie in prossimità del suo cuore e aveva iniziato a recitare parole arcaiche; non si fermò quando la ragazza alzò il tono di voce squarciando l’aria con le sue urla, supplicandolo di smetterla.

-Cosa le stai facendo? – chiese Jhin sconvolto dalle urla disumane della donna – sta soffrendo! –

-È l’unico modo, Jhin! – urlò Hadmon, digrignando i denti, ruotando la mano sul suo cuore mentre il sigillo si espandeva – devo sigillare la creatura dentro di lei o morirà, lo capisci? Se lei muore, quella creatura tonerà a piede libero e le strapperà il cuore. Metti le mani sul sigillo, dopo di che quando te lo dirò tu spingerai le mani sul suo cuore –

-Non prenderò parte a questa pratica disumana! – sbottò Jhin.

-AIUTAMI! SELENE STA MORENDO! – ringhiò Hadmon, sentendo l’energia della ragazza svanire sempre di più – ho bisogno della tua energia per salvarla io non ne ho abbastanza. Non c’è più tempo Jhin, quella bestia le sta divorando la linfa vitale –

Sconvolto Jhin posò le mani all’altezza del sigillo, Hadmon muoveva le sue mani allargandolo su tutto il corpo della giovane; il guardiano sfilò la falce dal cuore facendola dissolvere in una nube bianca e lucente. Il pistolero posò lo sguardo sul viso della donna: i suoi occhi erano chiusi, le sue guance bagnate dalle lacrime e le labbra appena schiuse. I suoi lineamenti erano sconvolti dal pianto e dalla sofferenza disumana che aveva subito; improvvisamente si accorse che la guardiana aveva smesso di respirare, avvicinò l’orecchio alle sue labbra e ne ebbe conferma.

-Hadmon, non respira più – disse Jhin con voce flebile. No, non di nuovo. Non avrebbe fatto morire la seconda donna tra le sue mani – fa qualcosa! -

-Ci sto provando, manca poco – disse Hadmon, poi non appena il sigillo si espanse su tutto il corpo urlò – ORA! –

Jhin posò con forza le mani sul cuore della giovane, successivamente Hadmon fece altrettanto e insieme a lui il sigillo investì il corpo di Selene, riempendola di una sottile luce eterea. Seguirono attimi di silenzio che parvero infiniti. Hadmon aveva il capo chino sul torace della giovane in attesa di percepire un minimo battito; Jhin scrutava il volto della donna sperando di percepire qualche segnale che fosse viva.

Hadmon pregò di aver fatto in tempo nel salvarla, non si sarebbe mai perdonato l’idea di averla fatta morire in una ridicola missione. Improvvisamente sentì un primo battito, poi il secondo e il terzo. Fu allora che tirò un sospiro di sollievo, sorridendo trionfante mentre asciugava una piccola lacrima sulla sua guancia.

-Grazie Jhin. Grazie davvero – ripeté Hadmon, guardandolo nel suo unico occhio – ora riesco a capire –

-Di cosa stai parlando? – chiese Jhin perplesso; era rincuorato che la donna fosse viva. Sentiva quell’invisibile filo attirarlo poco più alla giovane, mentre la sua anima fredda e tetra scaldarsi appena. Cosa gli stava accadendo…

-Selene mi aveva detto di essere riuscita a vedere oltre la tua maschera, per questo aveva accettato a insegnarti le nostre arti. Non mi fidavo completamente delle sue parole, ma adesso capisco che aveva ragione – spiegò Hadmon sorridendogli – grazie –

-Non sono affatto la persona che voi credete io sia. Io sono il Demone d’Oro, non potrò mai essere buono. Un uomo come me non conosce redenzione – disse Jhin, non c’era salvezza per la sua anima dannata.

-Perché allora hai voluto salvarla? – osservò seriamente Hadmon.

-Cosa vorresti dire? –

-Noi siamo una minaccia per te, stanotte avresti avuto l’occasione per far fuori entrambi. Invece hai preferito salvare lei e aiutare me. Perché? –

-Ancora non riesco a capirlo – disse Jhin, mettendosi in piedi, avviandosi verso la carovana.

In realtà Jhin sapeva il motivo e ne aveva terribilmente paura; lui piano piano si stava affezionando ai due guardiani, la sua anima e il suo cuore squarciati quattro anni prima, avevano paura di iniziare nuovamente ad avvicinarsi a qualcuno, in particolar modo a Selene. Ogni volta che la armatura di ghiaccio si indeboliva il suo passato tornava all’attacco, riportando alla mente la notte in cui era stato costretto a uccidere l’unica donna che aveva mai provato ad amare. Lui aveva paura di avvicinarsi, temeva di essere costretto a compiere le stesse azioni e questo lo avrebbe distrutto per sempre. Preso dalle sue riflessioni Jhin non si era accorto che il corpo di Zed era scomparso e quando notò questo particolare fu troppo tardi. Si voltò, vide Zed colpire Hadmon dietro il capo, scostando il corpo dell’uomo da quello di Selene; il maestro si chinò sulla giovane e la prese tra le braccia. L’incubo si stava ripetendo. Si scagliò verso Zed, ma nel buio della notte non vide Kayn apparire alle sue spalle, disarmarlo e puntargli Sussurro al capo. Morse il labbro inferiore per la frustrazione, era in trappola e non poteva fare niente. Vide l’assassino avvicinarsi a lui di qualche passo.

-Avresti dovuto prestare più attenzione, Khada Jhin – spiegò Zed, ridendo vittoriosamente – che ironia, dopo quattro anni alcune cose non sono cambiate –

-Dannato bastardo, ti ammazzerò vedrai – ringhiò Jhin, suscitando le risate dell’altro.

-Non ci sei riuscito quattro anni fa, non ci sei riuscito ora e mai riuscirai. Sei destinato al fallimento Khada Jhin, più continuerai a perseverare sulla tua strada, avvicinandoti a qualcuno e più le tue ombre divoreranno la tua anima e le persone a te vicine, perdendole per sempre – disse Zed posando a terra Selene e inginocchiandosi di fronte a lui; gli afferrò la maschera gettandola a terra, poi gli sollevò il passamontagna e sorrise perfidamente sotto la sua maschera.

Umiliato Jhin non poteva reagire, sentì la rabbia ammontare, come era possibile che chiunque si avvicinava a lui gli veniva portato via dai piani alti di Ionia. Quella volta non sarebbe finita così, non sarebbe morto lì quella notte; ovunque l’avrebbe portata, lui avrebbe cambiato gli eventi impedendo che il passato si sarebbe ripetuto. Il suo viso deturpato era completamente messo a nudo, i suoi capelli corvini tirati indietro, ricaddero scompigliati sul suo volto; Zed conosceva l’immagine del suo viso deturpato e quando i suoi occhi scarlatti si assottigliarono studiandolo, lui si sentì privo di ogni difesa. Con disprezzo sputò sulla maschera dell’assassino, lo odiava: un rancore viscerale che si sarebbe estinto solo con la sua morte. Zed scosse il capo, poi con un gesto repentino afferrò i suoi capelli e costrinse a piegare il capo sul viso di Selene.

-Io sono la resa dei conti Jhin. Guardala dal tuo unico occhio, lei come Joanna sono mondi distanti anni luce da te; un’anima turpe come la tua non potrà mai avvicinarsi a una Guardiana. Ti ho osservato in questo tempo, non sei stato in grado di distruggerla e né tantomeno di avvicinarla, perché tu sei un vile. Tu hai paura. Una folle e viscerale paura di perdere la tua indipendenza, di soffrire, di confrontarti. Sei un codardo e da schifosa feccia guarderai con i tuoi occhi il tuo fallimento – ringhiò Zed, costringendolo a piegare ancora di più il capo non appena lui fece resistenza.

Poco distante dal viso di Selene, Jhin sentì gli occhi pizzicare. La verità gli stava venendo schiaffata in faccia senza alcuna pietà e la sua armatura di ghiaccio aveva iniziato a cadere a pezzi nel momento in cui aveva posato il suo unico occhio sulla guardiana; morse le labbra, prima che una lacrima di frustrazione rigasse la sua guancia e cadesse sulle labbra di lei. Selene aprì appena gli occhi, inchiodandoli nel suo. Tutto quello non sarebbe dovuto accadere, ricacciò indietro ogni lacrima e serrò la mascella. Lui era un fallimento.

-Jhin –

Il suo nome aveva lasciato le labbra di Selene, la giovane aveva sollevato una mano, sfiorando inconsciamente le sue labbra; sotto il suo tocco Jhin sentì il cuore mancare di un battito e la sua armatura andare per sempre in frantumi. Pronunciò il suo nome e si scusò, per la prima volta dopo anni lo spietato Demone d’Oro temeva per la vita di qualcuno: Selene; la Guardiana ancora provata dallo scontro precedente, lo guardò abbozzando un sorriso, fu allora che giurò a sé stesso che l’avrebbe riportata indietro. A qualsiasi costo. Vide per un ultimo istante la donna richiudere gli occhi e cadere nel sonno profondo. Improvvisamente Zed gli afferrò il collo costringendolo a guardarlo in viso; dagli occhi dell’assassino emergeva tutto il disprezzo che nutriva nei suoi confronti.

-Dovresti ringraziarmi, ti sto privando di una presenza scomoda e te mi guardi sprezzante. Dì addio all’unico barlume di luce che avrebbe potuto salvare la tua anima tetra e maledici te stesso per essere la causa della sua morte – concluse Zed, mettendosi in piedi e prendendo in braccio Selene.

-No. Non di nuovo – ringhiò Jhin furioso, vedendo l’assassino allontanarsi.

-Addio Khada Jhin. Procedi Kayn –

A quelle parole Jhin non fece in tempo ad agire che fu colpito con violenza alla base della nuca, sentì le membra pesanti e la vista offuscarsi: stava perdendo i sensi. Prima di chiudere definitivamente gli occhi vide Selene tra le braccia di Zed con Kayn e la falce Darkin al suo seguito; no, stavolta l’incubo avrebbe avuto un finale differente: l’avrebbe salvata. Di questo ne era certo. Con quella certezza e il nome di lei sulle sue labbra perse i sensi; sprofondando nelle tenebre profonde.

-Selene…-

I due assassini fuggirono nella notte, abbandonando la vallata lasciando che il silenzio più profondo tornasse a regnare.

 

 

 

 

 

Angolino dell’autrice: Salve a tutti, mi scuso per essere stata assente in questa settimana purtroppo è iniziata di nuovo l’università e sono stata piena di impegni. Cercherò di essere sempre costante con le pubblicazioni anche se non so dirvi con precisione ogni quanto tempo pubblicherò i capitoli. Ad ogni modo sono contenta di vedere che state crescendo in numero, spero che la fanfiction vi stia piacendo; mi dispiace se questi ultimi due capitoli presentano imperfezioni, purtroppo non ho avuto molto tempo per rivederli. Sto cercando di descrivere Jhin nei suoi lati più cupi e anche un po' umani, provando a delineare il suo passato e i motivi che lo hanno reso folle e spietato; spero solo di non uscire troppo dalle righe. Ho lasciato appositamente i particolari del suo passato sul vago perché li descriverò più avanti. In ogni caso spero che questi ultimi due capitoli possano piacervi. Alla prossima! :D

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Capitolo 8
*** Just for once this time ***


7.cap6

“Noi siamo polvere e ombra.”
(Orazio)

 

Con immensa fatica Selene riaprì gli occhi, ci mise qualche minuto per mettere a fuoco l’ambiente in cui si trovava: la stanza e il letto su cui stava riposando le erano completamente sconosciuti e subito si allarmò. Mentre scrutava quel posto ricordò gli avvenimenti della notte precedente e scattò a sedere; nel compiere quel movimento brusco sentì girare la testa e fu costretta a piegarsi di nuovo sul letto. Ricordava di aver ricorso alle arti del Buio, che la falce Darkin aveva risvegliato Thanatòs e infine di essere caduta in uno stato di semi-incoscienza; nella sua memoria balenavano solo immagini sfocate di un uomo chino su di lei e di qualcuno che parlava. Ben presto accantonò il pensiero, in quel momento la priorità era comprendere dove si trovava. Studiò con maggior accortezza l’ambiente circostante: una stanza spoglia, accanto al letto vi era un piccolo tavolino in legno su cui erano disposte le sue armi, con vicino una sedia; una piccola finestra illuminava l’ambiente, alla sinistra di quest’ultima vi era una porta che dava su un piccolo bagno. Con sorpresa notò che la sua ferita era stata medicata e i suoi abiti erano puliti dal sangue e dalla sporcizia; un’insistente quanto preoccupante pensiero si fece largo nella sua mente: forse dopo che aveva perso i sensi, era stata portata via dai seguaci dell’Ombra. Sebbene con molta lentezza, si mise in piedi e si avviò timorosamente verso la finestra, si affacciò e non credette ai suoi occhi: sotto la finestra vi erano i seguaci dell’ombra intenti ad allenarsi in gruppo; constatò che era stata rapita, realizzando quindi che la loro missione era fallita e la falce Darkin era stata portata via. Il suo primo pensiero fu quello di fuggire, al come avrebbe pensato strada facendo.

Istintivamente afferrò le sue armi e corse, incurante della stanchezza che gravava sul suo fisico; aprì la porta e percorse un lungo corridoio che la condusse a una scalinata in legno. Scese le scale, raggiungendo l’atrio che conduceva nel piazzale ove gli accoliti si stavano allenando; lungo il tragitto incontrò solo un giovane che si parò lungo la sua strada, ma che lei stordì. Varcato l’atrio alcuni accoliti si accorsero di lei, la guardarono con espressione interrogativa; si fece largo tra la folla, l’uscita si stagliava di fronte a lei: un alto portone con ricche decorazione in oro. Qualcuno la riconobbe e diede l’allarme, subito i seguaci si misero sulla sua strada per impedirle di scappare; si dissolse e riapparve alle spalle di ognuno, prestando attenzione a non combattere, non sarebbe riuscita a sostenere uno scontro. Sebbene con difficoltà, alla fine giunse di fronte al portone, ma un’ombra di un combattente si materializzò di fronte a lei: Zed; i suoi occhi scarlatti balenarono nella figura d’ombra, dal quale il combattente prese forma.

In fretta Selene si dissolse in una nube e riapparve sopra la cinta muraria che dava sull’esterno; un altro clone d’ombra si materializzò di fronte a lei, stavolta lanciandole degli shuriken che lei schivò prontamente. Alle sue spalle atterrò Zed in carne ed ossa; non fece in tempo a voltarsi che fu afferrata per il collo e inchiodata a terra. Selene unì le mani, pronunciò una formula arcaica, poi toccò il suolo e delle fiamme color ghiaccio avvolsero il corpo dell’uomo che fu costretto a mollare la presa; si rimise in piedi e corse, sfuggendo dall’altro che si era subito rimesso in piedi. Purtroppo la ferita sul ventre iniziò a farle male e fu costretta a rallentare, di quel passo si sarebbe riaperta e avrebbe iniziato a sanguinare copiosamente. Di fronte a lei un'altra ombra apparve, il dolore la costrinse a inginocchiarsi, alle sue spalle incombeva la figura minacciosa di Zed il quale insieme alla sua ombra le puntarono le lame alla gola. Zed si scambiò con il suo clone. Si inginocchiò di fronte a lei, afferrandole il viso e sollevandole il mento.

-Cosa vuoi da me? Lasciami andare dannato bastardo! – ringhiò Selene, mentre le sue mani venivano immobilizzate dal suo clone.

-Tu mi obbedirai, che ti piaccia oppure no. Mi mostrerai i segreti dei tuoi poteri e le tue abilità di Guardiana – spiegò Zed afferrandola per il collo e stringendo la presa, vedendo che non proferiva parola continuò – siamo intesi? –

-Non avrai mai niente da me – rispose Selene, sentendo l’ossigeno venir meno e la vista offuscarsi, perdendo i sensi.

-Staremo a vedere – concluse Zed mentre sotto il suo elmo si dipingeva un sorriso maligno.

In silenzio Zed la prese tra le braccia, riportandola nella sua stanza; ordinò a Kayn di restare con lei e di sorvegliarla, non voleva rischiare di farla fuggire di nuovo. Avrebbero atteso che la donna avrebbe recuperato le forze, dopo di che le avrebbero strappato tutto il suo potere delle arti oscure, la notte stessa.

 

 

Nella vallata il sole era ormai alto in cielo, Hadmon ancora svenuto fu svegliato da Jhin; dallo sguardo nervoso che gli aveva rivolto aveva capito subito che qualcosa non andava. Ricordava che la notte prima qualcuno lo aveva colpito alle spalle, alcune voci di sottofondo e poi il buio più totale. Si guardò intorno, notando che Selene non era lì, dove era finita? Possibile che…

-Dove è Selene? – chiese Hadmon, temendo la risposta.

-L’hanno rapita… - disse Jhin flebilmente.

-Chi?! – domandò il dragone furioso e allo stesso tempo frustrato dalla notizia.

-Zed e Kayn, con sé hanno portato anche la falce Darkin. Io non sono riuscito a fermarli, hanno colpito anche me. Il loro covo è distante dodici ore di viaggio da qui, se partiamo ora potremmo arrivare lì stanotte –

-Perché l’hanno rapita? – domandò Hadmon, notando che l’altro non indossava più la maschera ma solo il suo passamontagna.

-Questo devi spiegarmelo tu, io non conosco le vostre identità –

Jhin non aveva dimenticato la rabbia della notte prima nel scoprire le loro identità nascoste, questo significava che forse c’erano altre informazioni che loro tacevano, e l’idea di venir ingannato lo faceva infuriare; vide l’uomo sospirare pesantemente e rivolgere lo sguardo verso i corpi ormai morti delle guardie. Gli disse di fargli strada e che lungo il tragitto gli avrebbe spiegato ogni cosa.

In silenzio seguirono alcuni sentieri, addentrandosi nel bosco; Hadmon diede un ultimo sguardo alla carovana ormai distrutta, sperò veramente che tutto quello sarebbe finito presto e lui avrebbe riportato indietro la compagna. Ponderò le sue parole, poi rivelò a Jhin le loro identità, lui era il Guardiano del Tempo e la sua forma vera era quella di un dragone, mentre Selene era la Guardiana della Notte; in un primo momento il pistolero si era mostrato scettico a riguardo, dicendo che non era possibile, i Guardiani non si erano mai mostrati ed erano solo figure fiabesche appartenenti a un passato ormai lontano. Hadmon aveva ribattuto che loro agivano sempre nell’ombra, prestando sempre attenzione a non rivelare le loro identità per evitare che innocenti potessero essere coinvolti nelle loro missioni. Una volta convinto il pistolero della loro identità, gli illustrò i poteri di Selene, sapeva che il Consiglio gli aveva severamente vietato di parlare delle loro abilità ma né lui né Selene avevano mai tollerato le menzogne. Con tono fermo Hadmon aveva spiegato al compagno le immense abilità della donna, a partire dal controllo degli elementi fino alle arti del buio; Jhin, rimasto sorpreso dall’eccezionalità dei loro ruoli, gli spiegò che durante il loro primo allenamento, aveva visto Selene sprigionare un potere letale,  raccontandogli, inoltre, il momento in cui di fronte a lui si fossero materializzati due occhi scarlatti, gli stessi di Selene la notte precedente; fu allora che chiese al dragone cosa aveva incontrato e perché quella donna di tanto in tanto sprigionava una furia omicida che avrebbe terrorizzato chiunque.

Hadmon aveva chinato il capo, quella era l’ultima cosa che il Demone d’Oro avrebbe dovuto sapere; non sapeva se poteva fidarsi di lui o meno, del resto lo conosceva solo da poco tempo.

-Posso fidarmi di te? – chiese Hadmon, con tono serio – voglio sapere se dopo quello che ti sto per rivelare, tu non attaccherai Selene per ucciderla –

-Lo hai detto anche tu, se avessi voluto uccidervi lo avrei potuto fare ieri notte. Se avessi voluto strapparle la vita, lo avrei potuto fare dal primo momento in cui sono rimasto solo con lei – sussurrò Jhin mentre il suo tono si faceva più greve; ripensò alle parole di Zed: sin dal primo momento nella Landa, lui non era mai riuscito a farle del male, tutto questo perché lui aveva paura che qualcuno si avvicinasse alla sua figura rivelando i suoi demoni.

Vedendo che poteva fidarsi, Hadmon decise di rivelargli cosa aveva visto e chi era effettivamente Selene; gli spiegò che in lei era stato sigillato il demone più feroce tra tutti: Thanatòs il dio delle tenebre;  gli occhi che lui aveva visto erano quelli del suo fratello demone.

-Thanatòs fu sigillato nel suo corpo molti anni fa, quello a cui punta è il suo cuore. Le succhierà via dal corpo ogni linfa vitale, accorciando la sua vita finché lei non morirà; ma peggio ancora quando lei verrà privata della sua ultima energia, lui uscirà dal suo corpo e le strapperà il cuore. Allora completerà la sua forma e diventerà inarrestabile. Purtroppo per Selene è già iniziato il conto alla rovescia, a partire da ieri notte – disse Hadmon, notando lo sguardo di Jhin incupirsi.

A quelle parole il pistolero aveva deglutito a vuoto, era inspiegabilmente preoccupato per Selene; doveva esserci un modo per salvarla. Di nuovo quell’odioso filo invisibile lo spingeva a salvare una donna a cui lui non si sarebbe potuto avvicinare: non voleva lasciarla al suo destino; odiava quel cambiamento che stava avvenendo lentamente nel profondo della sua anima e ancor di più temeva di poter scoprire il motivo di quel mutamento. Sfuggiva ogni volta che voleva darsi una spiegazione, un gesto codardo da parte sua eppure la terribile paura lo costringeva a rifuggire dal fronteggiare la realtà.

-Cosa vorresti dire? – osservò Jhin, temendo la risposta.

-A Selene manca meno di un anno di vita – disse Hadmon chinando il capo e stringendo i pugni; quelle parole erano così pesanti da pronunciare, al punto che quasi gli morirono in gola.

-Lei lo sa? – proferì Jhin con un fil di voce, scioccato da quelle parole. Di nuovo. Inevitabilmente ogni persona e ogni cosa scappavano via dalle sue mani. Sempre.

-Non ho avuto il coraggio di dirglielo… -

-Deve esserci una soluzione. Qualunque, ma deve esserci – ribatté Jhin, doveva sapere se esisteva un modo per salvare quella donna. Ancora una volta il filo tirava fuori sentimenti nascosti da anni.

Hadmon spiegò che un modo c’era, rivelandogli che tempo addietro un Guardiano del Buio era riuscito a vivere a lungo instaurando un patto con Thanatòs e di aver trovato quella soluzione proprio a Ionia; gli disse che l’uomo aveva lasciato scritte le informazioni in un libro, che lui ancora non era riuscito a trovare. Jhin rimase per un istante in silenzio, gli disse che probabilmente Hanzai conosceva quel libro e nel pronunciare le sue parole Hadmon notò tutto il rancore che nutriva verso il maestro e il Consiglio. Gli disse che avrebbe continuato le sue ricerche anche con l’aiuto di Selene e il suo, se lui sarebbe mai stato disponibile.

Per la prima volta dopo anni di sofferenza e reclusione, qualcuno si fidava delle sue parole, quella piccola e insignificante notizia riscaldò l’anima gelida di Jhin e gli fece abbozzare un sorriso amaro sotto il passamontagna.

-Jhin, non è la prima volta che lo noto – osservò Hadmon, intenzionato a chiedergli cosa fosse accaduto tra lui e il Consiglio – tu disprezzi Hanzai e il Consiglio, cosa è successo? –

Jhin chinò il capo, aveva giurato a sé stesso che gli avvenimenti di quattro anni prima sarebbero morti con lui; nell’istante in cui lo avevano privato di tutto lui aveva appurato che non si sarebbe potuto mai fidare di nessuno e che mai avrebbe rivelato cosa era successo quella notte. Ancora non era certo di potersi fidare dei due Guardiani, però decise di provare a rivelare qualcosa, sebbene il più piccolo e sintetico dei particolari.

-Loro… - disse Jhin, poteva sentire le ferite del suo cuore e della sua anima riaprirsi nel provare a rievocare e descrivere gli avvenimenti di quella notte -… mi hanno privato di ogni cosa Hadmon. In combutta con Shen e Zed, mi hanno costretto a uccidere qualcuno a me caro. Hanno infierito sul mio corpo, deturpandola, hanno distrutto la mia anima e mi hanno reso il Demone che ora sono -

Hadmon rimase in silenzio, aveva sempre saputo in cuor suo che il Consiglio non era stato onesto con loro e non gli aveva rivelato tutte le vicende accadute tra loro e il Demone d’Oro. Avrebbe indagato a fondo e svelato i segreti che gli erano stati nascosti; sorrise tra sé e sé, Selene aveva ragione, dietro la maschera di quell’uomo c’era del buono. Lei era stato in grado di vedere oltre le sue mille maschere e oltre il suo carattere schivo. Jhin parve notare il suo sorriso e attese delle spiegazioni.

-Cosa c’è? – chiese curiosamente il pistolero incrociando le braccia e vedendo l’altro sollevare il viso verso il cielo azzurro.

-Una mattina, Selene mi aveva detto del patto che aveva fatto con te; non sapeva se te eri pronto a ingannarla, io ero convinto di sì e le avevo detto che aveva sbagliato. Lei era stata irremovibile e mi aveva spiegato che era riuscita a vedere qualcosa in te. Non chiedermi cosa – spiegò Hadmon, notando il suo unico occhio dilatarsi appena per la sorpresa – il Guardiano della Notte sa leggere nel cuore degli altri e lei ha visto qualcosa, se no non avrebbe mai accettato un patto in cui ti avrebbe rivelato le nostre pratiche tramandate di generazione in generazione tra i Guardiani –

-Ha visto male. In me non c’è niente che odio. La mia anima conosce solo la sete di sangue e la vendetta– disse Jhin, provando a mentire a sé stesso, scappando di nuovo di fronte a una eventuale spiegazione. Aveva paura. Di nuovo le parole di Zed gli tornarono alla mente e fu costretto a cacciarle via per non fronteggiare la realtà.

-Può darsi lei si sia sbagliata. Può darsi di no. Io sono convinto di no – confessò Hadmon sorridendo, poi divenendo più serio continuò – mi dispiace Jhin, per quello che ti è stato fatto –

-È stata la punizione per aver disobbedito a degli ordini… -

Jhin scrollò le spalle, seguendo il sentiero che li avrebbe condotti al Tempio delle Ombre. Lui non aveva rispettato gli ordini che il Consiglio gli avevano imposto, loro, approfittandone, li aveva usati come scusante per distruggerlo pezzo dopo pezzo.

-Riusciremo a scoprire cosa nasconde il Consiglio. Chissà al termine di tutta questa storia, potrai venire con noi sull’isola dei Guardiani – disse Hadmon, ridendo divertito.

-Non dire scemenze, sai anche tu che questo è impossibile– osservò Jhin, scuotendo il capo. Una parte di lui avrebbe voluto lasciare veramente quel paese. Non poteva negare di aver apprezzato davvero quella proposta.

-Cosa pensi che faranno a Selene? – chiese infine il dragone.

-Zed vorrà estrapolarle tutto il suo potere. Conosce le modalità e non appena lei si sarà ripresa, lui cercherà in tutti i modi di apprendere le sue abilità. In ogni caso lui non intende lasciarla viva, probabilmente vorrà fare tutto questo durante un rituale che svolgerà questa notte - disse Jhin con tono greve.

-Come fai a saperlo con certezza? –

-Stanotte c’è la luna piena, i seguaci dell’ombra agiscono sempre in queste notti, amplificano il loro legame con l’Ombra –

-Dobbiamo sbrigarci -

A quelle parole i due accelerarono il passo, sarebbero arrivati lì la notte stessa e avrebbero atteso il momento migliore per entrare e liberare la ragazza. Hadmon assunse la sua forma di dragone etereo. Jhin rimase esterrefatto di fronte a quella creatura che si stagliava sopra di lui; vide la mano artigliata del compagno allungarsi su di lui, afferrarlo e farlo sedere sulla sua schiena. Dopo di che il dragone si librò in aria, volando più velocemente possibile verso il Tempio.

 

 

Verso sera Selene si destò nuovamente nel suo letto, il sole era già tramontato e fuori era calata la notte; accanto alla finestra vide Kayn fissare l’atrio sottostante, comprendendo che non poteva fuggire nuovamente. Il suo pensiero corse ad Hadmon e Jhin, chiedendosi se almeno loro si erano salvati dalla furia di Thanatòs e ora stavano bene. Sperava che presto sarebbero venuti a salvarla; nel frattempo lei avrebbe capito quali erano le intenzioni di Zed, la fortuna voleva che lei stava tornando in forze molto velocemente, perciò avrebbe avuto la possibilità di temporeggiare ed eventualmente sostenere brevi scontri. Non appena si mise a sedere il mietitore si voltò e posò i suoi occhi su di lei. Le sue armi erano poggiate sul tavolo in legno, ma non appena l’altro notò che le stava fissando si avvicinò e vi mise sopra una mano; sul suo viso si dipinse un ghigno divertito.

-Stavolta te ne rimarrai qui buona con me, bambolina – disse l’uomo di fronte a lei – devi recuperare le forze per stanotte –

-Che vorresti dire? – chiese Selene sconcertata.

-A mezzanotte Zed ti condurrà nell’atrio e rilascerà i tuoi poteri oscuri, per appropriarsene. Offrirà il tuo corpo alle ombre in cambio loro gli affideranno il potere che te hai sigillato nel tuo corpo – spiegò Kayn.

-Non sapete a cosa andate in contro. I miei poteri non si possono controllare, verreste tutti distrutti – disse Selene sentendo il cuore in gola per la paura.

-Tu non conosci Zed ragazzina. Lui è il maestro delle Ombre –

-Lui è un uomo, verrebbe distrutto dalle sue stesse ombre, dai suoi incubi –

-Staremo a vedere. Indossa questi e preparati, il rituale inizierà a breve. Non indossare scarpe –

Con poca grazia Kayn le lanciò una lunga veste bianca di raso. Selene fu costretta ad obbedire così andò in bagno si privò dei suoi abiti e indossò l’abito; si guardò allo specchio: la veste si legava al collo lasciando in piena vista la sua schiena nuda, aveva un lungo strascico e due spacchi laterali a partire dai fianchi, lascianti in piena vista le sue gambe. I sigilli sulle sue braccia erano completamente messi a nudo così come il suo simbolo di Guardiana sulla caviglia. Sentì gli occhi pizzicare, aveva paura, non voleva essere avvolta di nuovo dal vortice di oscurità di Thanatòs come la notte precedente. Ricacciò indietro le lacrime e si fece coraggio, uscì dal bagno in silenzio sotto lo sguardo attento di Kayn, il quale la osservò per più di qualche istante. Girò intorno a lei e subito, in quelle vesti, si sentì estremamente vulnerabile: Kayn incombeva su di lei con il suo sorriso da predatore. Sussultò quando le mise una mano sulla sua schiena nuda e avvicinò moltissimo la bocca al suo orecchio. Istintivamente si irrigidì mentre il cuore le batteva all’impazzata: cosa voleva?

-È un peccato, una donna così bella destinata a una morte così crudele –

Così le aveva sussurrato nell’orecchio destro, poi le aveva messo delle catene ai polsi impedendole di muoversi; in silenzio Selene lo aveva seguito finché non erano giunti nell’atrio. Al loro arrivo gli accoliti si erano disposti in cerchio intorno a un piccolo altarino a forma di fiamma posto al centro del tempio; Selene sentiva il cuore battere all’impazzata, tremava di paura all’idea di quello che le sarebbe potuto accadere.

Improvvisamente Zed si materializzò di fronte a lei, mentre le sue membra prendevano forma da un clone d’ombra; tra le mani tratteneva un cofanetto nero avvolto da catene scure, lo depose sopra il piccolo altare e poi la costrinse a mettersi in ginocchio di fronte all’oggetto.

Quando fu avviato il rituale erano circa le dieci di sera, i seguaci dell’Ombra avevano iniziato a pronunciare delle parole confuse mentre Zed le aveva inciso la cicatrice sul palmo della mano sinistra e aveva versato il sangue della ferita sul cofanetto; come per incanto le catene si erano animate e avevano lasciato l’oggetto, avvolgendo il collo di Selene. Fu allora che lei non era riuscita a trattenere più le lacrime e queste avevano solcato le sue guance. Cosa le stavano facendo?

 

 

Fuori dal tempio, Hadmon e Jhin erano arrivati circa un’ora e mezza più tardi, da subito avevano sentito un coro di voci levarsi nell’aria: quello era il segnale; Hadmon nella sua forma umana si era librato in cielo e insieme al pistolero erano saliti sulla cinta muraria, giusto in tempo per vedere Selene inginocchiata di fronte a un cofanetto dal quale lingue nere fuoriuscivano e incombevano sulla donna. Dovevano sbrigarsi, Jhin aveva spiegato ad Hadmon che se quelle lingue si fossero abbattute su di lei, sarebbe morta e i suoi poteri sarebbero stati assorbiti da Zed.

Silenziosamente corsero lungo le mura, percorsero il perimetro nell’ombra della notte senza essere scoperti, giungendo di fronte a una porta che dava accesso al secondo piano della struttura, che divideva a metà l’atrio del tempio. Varcarono la soglia e corsero velocemente; Jhin tratteneva tra le mani Sussurro, pronto a far fuoco su Zed e Kayn. Hadmon vide arrivare due accoliti addetti alla sorveglianza e subito li stordì, nascondendo i loro corpi. Dalla finestra Jhin vide le nuvole diradarsi e la luna piena illuminare con i suoi raggi l’altare al centro dell’atrio: non c’era più tempo, dovevano sbrigarsi, le lingue di oscurità si stavano avvicinando sempre di più sul Selene. Dopo aver fatto cenno ad Hadmon di sbrigarsi i due scesero le scale giungendo al piano inferiore, nascondendosi dietro lo stipite della porta che si affacciava sul cortile. Il tempo scorreva in fretta e dovevano agire veloci. Hadmon prese un respiro profondo, aprì la mano facendo apparire la falce bianca e iniziò a correre nella direzione di Selene mentre il pistolero gli copriva le spalle. Falciò chiunque si mise sulla sua strada, inchiodando gli occhi sulla Guardiana; Zed si voltò nella loro direzione scagliandosi verso il pistolero e altrettanto fece Kayn che subito corse nella sua direzione.

Gli accoliti si allontanarono non appena Hadmon, roteando su sé stesso scagliò un calcio sul viso di Kayn, facendolo indietreggiare; velocemente unì le mani e le posò a terra. Delle potenti radici immobilizzarono il suo corpo, poi con un calcio allontanò la falce Darkin da lui. L’incantesimo lo avrebbe trattenuto il tempo necessario a salvare Selene; alle sue spalle vide Jhin incassare un colpo in viso da Zed cadendo a terra rovinosamente, sgranò gli occhi quando il ninja conficcò uno dei due grandi shuriken che aveva sulle spalle nella mano sinistra. Il pistolero gli urlò di correre in fretta, ormai mancavano pochi minuti prima che il rituale fosse compiuto; Hadmon corse più veloce che poteva, quando giunse di fronte a Selene notò che era caduta in uno stato di semi-incoscienza. Recise le catene che aveva sul collo, gettandole via. Poco prima di privarla di quelle sulle mani, Zed si materializzò di fronte a lui e lo colpì in viso, atterrandolo; a fatica Hadmon vide il ninja incombere su di lui, mentre lingue nere iniziavano ad avvolgere il corpo di Selene. Urlò in direzione della ragazza dicendole di fuggire ma lei rimase immobile con il capo chino; Zed lo aveva colpito in viso con la punta in acciaio del suo stivale, poi lo aveva afferrato per il collo e si stava preparando a colpirlo con una delle sue affilate lame che aveva innestate sulle sue braccia.

Nel frattempo Jhin, aveva sfilato dalla sua mano lo shuriken; la ferita aveva iniziato a sanguinare e per rimediare aveva strappato velocemente la stoffa della sua tunica e l’aveva avvolta intorno alla mano. Vide la luna alta in cielo e la Guardiana avvolta da una spirale di ombre; doveva agire ora oppure non l’avrebbe potuta più salvare. Velocemente scattò nella direzione di lei, sparò al cofanetto da cui prendevano forma le ombre, ricadde a terra e alcune lingue si ritirarono dal corpo di Selene. Sapeva che se ci fosse entrato in contatto difficilmente sarebbe sopravvissuto, ma ormai non aveva più importanza; in quel momento il filo invisibile lo attirava alla donna come non mai, tirava la sua anima e il suo cuore. Giunto quasi di fronte a lei, si gettò in avanti prima che Zed o qualunque altro accolito potesse intervenire; la guardiana aveva il capo chino, le ombre si stavano riavvicinando ai sigilli che aveva sulle braccia per romperli. La afferrò tra le sue braccia, prima che potesse essere sfiorata dalle lingue nere.

-NO! BASTARDO! – urlò Zed, vedendo davanti ai suoi occhi il cofanetto richiudersi e le ombre ritirarsi.

Jhin atterrò sulla schiena emettendo un lamento di dolore quando la sua mano ferita urtò sul terreno. Sollevò a fatica il capo, vedendo Selene riprendere piano piano coscienza: l’aveva salvata. Un sospiro di sollievo sfuggì dalle sue labbra, mentre con un braccio continuava a stringerla a sé, non l’avrebbe lasciata morire. Per nessun motivo al mondo.

-Jhin! – esclamò Selene riprendendo coscienza, poi notando la ferita sulla sua mano sanguinare e lui chiudere il suo unico occhio, lo afferrò per il bavero della casacca scuotendolo appena – svegliati! Mi senti? –

-Quanto sei rumorosa, Selene – disse lui a fatica, ridendo e mettendosi a sedere. Vide gli occhi ghiaccio di lei posarsi su di lui in attesa di risposta; istintivamente portò una mano sul suo viso carezzando la sua guancia e asciugandole una lacrima – sto bene, non c’è bisogno di preoccuparsi. Dobbiamo fuggire alla svelta con la falce –

Selene sollevò lo sguardo su Hadmon imprigionato dalla presa di Zed; corse velocemente nella direzione del compagno e lo liberò dalla presa, colpendo in viso l’assassino con un calcio. Il dragone ricadde a terra e iniziò a tossire violentemente, riprendendo aria; si chinò su di lui chiedendogli se stava bene, lui annuì; poi gli disse che lei sarebbe andata a recuperare la falce Darkin e i suoi oggetti nella stanza in cui la tenevano prigioniera, nel frattempo lui e Jhin avrebbero organizzato la loro fuga; così facendo avrebbe attirato via Zed e loro avrebbero avuto libertà d’azione. Dopo di che Selene corse verso Kayn ancora immobile a terra; afferrò la falce il cui occhio era richiuso e si diresse verso la sua stanza.

Alle sue spalle Zed la inseguiva, ma Selene correva più veloce: non avrebbe reso vano il sacrificio che Hadmon e Jhin avevano fatto per salvarle la vita. Percorse in fretta le scale, giungendo di fronte alla porta della sua stanza; la aprì e prese le sue cose, prima che Zed si presentasse sulla soglia della porta avvicinandosi a lei. La finestra alle spalle di Selene era aperta, gettò un’occhiata fuori nel cortile, incontrando gli occhi di Hadmon che le fece cenno di sbrigarsi.

-Non andrai da nessuna parte, non lo permetterò a costo di ucciderti. Voglio il tuo potere – ringhiò Zed, avvicinandosi di alcuni passi a lei.

-Ti distruggerebbe, tu non sai cosa potrebbe accaderti. Un corpo non allenato verrebbe divorato dall’oscurità. Non riusciresti a controllarne la furia omicida –

-Tu menti! – sibilò afferrandola per il collo.

-Guarda con i tuoi occhi –

Detto così Selene posò una mano sul suo cuore, entrando in sintonia con i suoi pensieri. Gli permise di accedere per un istante alla sua anima, lasciandogli riflettere gli occhi in quelli rossi di Thanatòs; subito Zed allentò la stretta sul suo collo mentre nella sua mente riecheggiavano urla di anime demoniache che minacciavano di distruggerlo. Allontanò la mano dall’altro che respirava a fatica, poi indietreggiò di un passo.

-La sete di potere ti distruggerà– disse Selene, mettendosi in piedi sulla finestra.

-FERMA! - ordinò Zed furioso.

Selene vide Zed sporgersi in avanti per afferrarla ma lei prontamente si gettò all’indietro; alle sue spalle Hadmon, assunta la sua forma di dragone, l’aveva afferrata con la coda mettendola a sedere sulla sua schiena dietro Jhin. Vide Hadmon librarsi in cielo e lasciare il Tempio alle sue spalle, che subito si fece sempre più lontano. Finalmente era finita ed erano sani e salvi.

Hadmon volò fino a Vindor, la località di destinazione per trovare una locanda e riposare fino al giorno dopo e ove consegnare la falce al sovrano della città stessa; Selene seduta sulla schiena del dragone scrutò silenziosamente le spalle di Jhin e la sua mano ferita ancora sanguinante; era davvero grata a entrambi per essere venuti a salvarla. Sapeva che Jhin sin dal primo momento non li aveva accettati, li vedeva come nemici e sicuramente fidarsi per venire fino al Tempio e salvarla non gli era costato poco; di questo gliene sarebbe sempre stata riconoscente. Esitante avvolse le braccia intorno alla sua schiena, sentì l’uomo irrigidirsi per quell’improvviso contatto, poi parve rilassarsi e non opporre alcuna resistenza; nonostante il suo carattere odioso e il disprezzo che aveva mostrato nei suoi confronti, si sentiva tirare verso di lui da un filo invisibile. Forse si stava affezionando, ma sebbene sapesse che non sarebbe dovuto accadere, in quel momento non le importava niente.

-Grazie di cuore, Jhin – sussurrò Selene.

Il pistolero sentì il fiato mozzarsi e il cuore mancare un battito: era sbagliato, non sarebbe dovuto accadere. La sua anima veniva tirata sempre più verso di lei, eppure lui non riusciva e non voleva opporsi a quel filo. In quel singolo istante smise di pensare e di aver paura di quei sentimenti che aveva giurato di aver seppellito quattro anni prima. Si voltò verso la guardiana, lei avrebbe rischiato troppo standogli vicino, eppure pensò che dopo quella sera, ogni volta che qualcuno avrebbe attentato alla sua vita lui sarebbe accorso per salvarla, scacciando via ogni fantasma del passato che minacciava di nuovo il suo presente. Man mano che quei pensieri divenivano convinzioni, nel suo cuore si faceva largo la causa di tutti quei pensieri e ne ebbe di nuovo paura: lui si stava inesorabilmente affezionando e sebbene rifuggisse da quella consapevolezza, ogni volta che provava a mentire a sé stesso il pensiero tornava più prepotente di prima. Avvolti nella brezza notturna e dal buio della notte, Jhin pensò che forse per un momento avrebbe smesso di scappare da sé stesso e smettere di avere paura. Volse gli occhi alla luna, sotto il passamontagna sorrideva malinconicamente: “nemmeno io posso fuggire” pensò. Ripose gli occhi su Selene che continuava a stringere il suo torace, posando il viso sulla sua schiena.

Sospesi nel cielo, dove il tempo sembrava fermarsi rendendo ogni istante eterno, Jhin lasciò che la sua anima si facesse avvolgere dalla serenità e dalla dolcezza di quel gesto. Si sentì sollevato e tutto il dolore e la sofferenza che gravava sul suo cuore, parve allontanarsi; c’era di più, lui non si stava solo affezionando…

Posò una mano su quella di lei, le sue dita sfiorarono quelle della donna e si chiusero su di esse con delicatezza estrema; la piacevolezza di quel contatto lo sorpresero. Il ghiaccio intorno alla sua anima si era sciolto completamente e quelle sensazioni che credeva di aver seppellito si spandevano dalla sua mano raggiungendo il suo cuore, riscaldandolo.

Prima che la ragazza sciogliesse quell’abbraccio lui le bloccò le mani, permettendole di riallacciarle all’altezza del suo torace. Lei lo guardò sorpresa e lui contraccambiò il suo sguardo con uno dolce; finché sarebbero stati lì alti in cielo, lui non sarebbe stato il freddo e calcolatore Jhin, ma avrebbe lasciato spazio al suo lato umano.

-Resta –

Le aveva sussurrato gentilmente. Rimasero in quella posizione per il resto del viaggio. Jhin sorrise sotto la sua maschera, non c’era traccia di disprezzo o malignità nei suoi occhi: un qualcosa di così alieno per lo spietato Khada Jhin.

Forse dopo quattro anni di silenzio, era riuscito a sbloccare di nuovo il suo cuore di ghiaccio. Forse dopo quattro anni stava provando a fidarsi di nuovo di qualcuno. Forse si stava di nuovo affezionando, forse…

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Capitolo 9
*** A difficult decision ***


8.CAP7

“È bastato uno sguardo, o un gesto, o un breve colloquio. La loro anima se n’è andata, per un istante, per un’ora.
(Søren Kierkegaard)

 

La mattina successiva Selene era stata costretta ad alzarsi presto a causa di un violento conato di vomito; subito era corsa in bagno e lì era rimasta, finché sfinita non si era appoggiata al muro con le labbra sporche di sangue scarlatto e nero. Appena ebbe il coraggio di vedere ciò che aveva rigettato, rabbrividì: nel sanitario vi era solo sangue; il cuore le batteva all’impazzata mentre prendeva coscienza del fatto che la discesa lenta e inesorabile verso la morte era iniziata. In quel momento più che mai aveva bisogno di uscire e prendere una boccata di aria fresca; sentiva il corpo caldo e le mani pizzicare, mentre prepotenti lacrime inondavano i suoi occhi. Deglutì ricacciandole indietro, poi si rimise in piedi e si avviò verso il giardino che si trovava alle spalle della locanda, quindi scese le scale, attraversò il salottino davanti la reception e varcò la porta che si affacciava sul retro. Nel cortile fu investita da una piacevole brezza, così richiuse il mantello che Hadmon le aveva lasciato in camera la sera prima e si avviò verso una piccola panchina posizionata a ridosso di un albero.

Silenziosamente si sedette e rimase a contemplare un piccolo laghetto che si trovava a pochi metri da lei; portò le gambe al petto mentre nella sua mente si facevano largo le preoccupazioni che aveva cercato di scacciare nell’arco di quei giorni. Passarono pochi attimi e poi, non potendo più contenersi, scoppiò in lacrime; odiava con tutta sé stessa l’eccezionalità del suo ruolo che proprio ora la stava privando della sua stessa vita e della normalità che aveva sempre agognato. Poggiò il capo al tronco dell’albero vicino a lei e rimase ad osservare il lago, mentre le lacrime percorrevano le sue guance, bagnando alcune ciocche di capelli e il mantello. “Perché…” si chiese mentalmente, mentre il suo stomaco si contraeva per la frustrazione e la desolazione. Si mise una mano di fronte agli occhi nel momento in cui riprese a piangere, singhiozzando. Tuttavia presa come era dalle sue preoccupazioni non si accorse che qualcuno si era avvicinato a lei.

-Selene? –

Di scatto Selene sollevò il viso e con la vista offuscata dalle lacrime vide la figura di Jhin. Dietro la sua maschera il suo occhio scarlatto le rivolgeva uno sguardo preoccupato, mentre il ghigno sinistro che aveva scolpito sul viso sembrava essersi velato di malinconia e tristezza, come se averla vista in quello stato fosse stato qualcosa di cui rammaricarsi.

-Va via…- singhiozzò Selene, nascondendo il viso.

Insolitamente dispiaciuto e preoccupato nel vederla in quello stato, e nuovamente spinto dall’ormai familiare filo invisibile, rimase e si chinò su di lei. Con delicatezza le scostò le mani dal viso e quando lo fece l’altra oppose poca resistenza, lasciandogli scostare le ciocche umide che coprivano le sue pozze ghiaccio. Scorse le sue labbra macchiate di sangue e sentì una fitta all’altezza del cuore: stava succedendo ciò che Hadmon gli aveva accennato. Deglutì a vuoto.

-Cosa c’è che non va Selene? – chiese timorosamente Jhin. Ogni parola di quella frase da lui pronunciata pesava più di un macigno: conosceva già la risposta.

-Io… il mio corpo sta morendo… - singhiozzò Selene, asciugando le lacrime con il mantello che aveva indosso -… e io non voglio, ho paura…-

Aveva posto un inutile domanda, solo per aver certezza di un destino immutabile, ma ancor più dolorosa fu sentire quella risposta; per qualche motivo remoto sentiva di essere legato a lei e quel pensiero permise al suo cuore di prendere il sopravvento in quella situazione. Solo per quella volta le sarebbe stato accanto e l’avrebbe sostenuta. Solo per quella volta avrebbe messo da parte ogni rischio cui avrebbe esposto entrambi, avvicinandosi e fidandosi di lei. Solo per quella volta non avrebbe pensato a nessuna conseguenza. Le prese delicatamente il viso tra le mani e con un fazzoletto le asciugò le lacrime, le sussurrò di aprire gli occhi e di guardarlo. Non era mai stato bravo a mostrare il suo lato più umano, perciò si lasciò guidare dall’istinto e da quell’invisibile legame, divenuto sempre più intenso.

-Cerca di calmarti, Selene… -

-Proprio non ci riesco… mi sento così impotente e sola… il mio corpo ha iniziato a degradarsi, il mio paese sta venendo distrutto… - disse Selene, cadendo in ginocchio a terra di fronte a lui -… io non posso fare niente… niente! –

A quelle parole Jhin rimase in silenzio. Solitudine. Conosceva bene così bene quel termine, era divenuto così familiare al punto da caratterizzarlo: il gelo che accompagnava quella parola con gli anni aveva iniziato a scorrere nelle sue vene e aveva seppellito il suo cuore insieme ai suoi sentimenti; non poteva abbandonarla a quel destino, non voleva, nonostante sapesse che prendendo quella scelta avrebbe esposto entrambi. Un individuo come lui, un criminale come lui non poteva avvicinarsi a una Guardiana; gli era stato vietato, e lui sapeva che scotto bisognava pagare nell’infrangerlo. Non conosceva nulla sul suo paese, però finché sarebbe stata a Ionia l’avrebbe aiutata a qualsiasi costo.

-Selene, ascoltami – disse Jhin con tono serio, prendendole il viso tra le mani - io ti aiuterò. Hadmon sta già cercando una soluzione, perciò è solo una questione di tempo. Puoi star certa che non morirai. Io non lo permetterò –

-Jhin…- sussurrò Selene, inchiodando gli occhi nel suo. La maschera sul suo volto aveva smesso di fissarla maleficamente e il suo occhio scarlatto la osservava trasmettendole uno strano quanto insolito affetto.

-Hadmon mi ha spiegato chi sei e cosa ti succederà… non lascerò che la tua vita sfumi via tra le mie mani. Non accadrà di nuovo, non con te –

Selene rimase interdetta da quelle parole, non avrebbe mai pensato di poterle sentire da un uomo come il Demone d’Oro; istintivamente portò le mani al suo collo, abbracciandolo. La tristezza di quel momento di debolezza stava lentamente sfumando via e questo grazie alle parole dell’uomo che le fecero recuperare un minimo di speranza. Al suo gesto sentì Jhin irrigidirsi, poi posare timorosamente le mani sulla sua schiena e il capo sulla sua spalla. Sapeva che era sbagliato, le era stato vietato di lasciarsi affascinare da un criminale come lui, eppure in quel momento non riuscì a cogliere nessuna nota che strideva. Si separò da lui qualche minuto dopo, rimanendo in silenzio, notò che persino inginocchiata vi era una differenza di altezza tra lei e il pistolero. In quel momento nello sguardo attento di Jhin colse un magnetismo sottile che la attrasse fatalmente all’altro; per un momento si chiese per quale motivo iniziasse a maturare più del semplice interesse nei suoi confronti, ma presto smise di pensare e si lasciò guidare dal suo cuore e dalla strana forza che la spingeva ad avvicinarsi all’uomo. Così portò le mani sulla sua maschera, subito Jhin indietreggiò appena con il capo ma lei posò le sottili dita alla base della sua maschera; non appena la sollevò per scostarla, Jhin le afferrò il polso e lei chiese silenziosamente il permesso di continuare. Una volta che l’altro ebbe lasciato la presa, gli tolse la maschera e la ripose a terra; come se quella concessione gli fosse costata immenso dolore, Jhin chiuse gli occhi e inspirò profondamente, di fatto a insaputa di Selene così era per lui: sfilare la sua maschera significava strappare via il suo odio, cosa a cui lui non era pronto. Con delicatezza Selene posò le mani sul suo viso coperto dal passamontagna, senza obiettare con gli occhi chiusi l’altro posò una guancia sulla sua mano sinistra, assecondando i suoi gesti. Quando riaprì il suo unico occhio la guardò intensamente. Vide l’altro sollevarle il mento e chinarsi su di lei, le sue labbra coperte erano a pochi millimetri dalle sue e il suo cuore iniziò a battere velocemente. Selene non seppe spiegare perfettamente il motivo per cui aveva agito istintivamente in quel modo, sentiva solo di starsi affezionando a lui. In un istante senza potersene capacitare Jhin le strappò un fugace bacio e, sebbene le labbra di lui fossero coperte dal passamontagna, riuscì a percepire la loro morbidezza; leggero come le piume il bacio durò un istante, dopo di che Jhin si separò da lei, sollevandosi in piedi.

Jhin sapeva bene che tutto quello era sbagliato e che così facendo aveva violato l’unico divieto impostogli: non avvicinarsi alla sua custode, peggio ancora a una Guardiana. Se mai fosse venuto allo scoperto quell’avvenimento, per lui non vi sarebbe stato scampo; inoltre temeva di potersi affezionare eccessivamente, sebbene non riuscisse a frenare più di tanto quel filo che tirava il suo cuore alla donna. Quell’avvenimento sarebbe stato solo una piccola parentesi fuori dalla normalità, non sarebbe dovuto mai più riaccadere dato che non voleva far correre rischi a entrambi e soprattutto non dover ripetere le vicende del passato. Indossò la maschera e posò lo sguardo su di lei, per un momento colse veramente la bellezza dei suoi lineamenti, cosa cui non aveva mai fatto caso; odiava la simmetria dei bei visi, e quello di Selene ne era la perfetta definizione, eppure nel suo volto vi era una curiosa nota armonica che lo rendeva diverso e unico. I suoi occhi ghiaccio lo osservavano intensamente, trasmettendogli una certa serenità che mai aveva avuto. Sorrise sotto la maschera, nonostante avesse temuto per anni di lasciar spazio ogni tanto al suo lato sentimentale, in quel momento sentiva di aver meno paura; aveva finalmente appurato che lei non era una minaccia per la sua indipendenza come aveva pensato nella Landa. Tuttavia nonostante gli costasse una immensa difficoltà, il sottile legame tra di loro non poteva rafforzarsi ulteriormente; avrebbe aiutato Hadmon e lei, mantenendo tutto nella più completa indifferenza. A quell’idea sentì una fitta al cuore, quella scelta era insolitamente dolorosa ma necessaria, nonostante nascondesse una verità ancora più profonda: lui aveva paura di affezionarsi, del suo passato e di poter fronteggiare i suoi fantasmi.

-Scusa… io… non volevo – disse Jhin, sentendo qualcosa andare in frantumi non appena la ragazza mostrò un’espressione desolata – ti metterei solo in pericolo, se dovessi affezionarmi a te… perciò non dovrà mai riaccadere un evento del genere –

Senza parole Selene sentì la terra venir meno da sotto i suoi piedi; stava accadendo di nuovo: prima si mostrava gentile con lei, poi tornava indietro sui suoi passi lasciando dietro di sé una ventata di gelo e indifferenza. In estremo imbarazzo per quella situazione e per essersi pentita di aver mostrato una parte di sé stessa all’uomo, sentì le gote accaldarsi e la testa girare. Odiava sé stessa per essersi fidata della sua gentilezza. Si mise in piedi barcollando a causa della stanchezza; forse l’imbarazzo estremo e il non potersi capacitare di quella rivelazione dopo che l’altro aveva compiuto quel gesto d’affetto inaspettato, la fecero sentire ancor più confusa; ad accompagnare la confusione vi fu la debolezza che prese possesso delle sue membra, mentre vedeva la vista offuscarsi e il corpo accaldarsi sempre più. Avrebbe voluto ribattere ma non appena aprì la bocca, cadde all’indietro; batté seppure lievemente la testa a terra e quello bastò a farle perdere definitivamente i sensi. Improvvisamente sprofondò nel buio più totale e i suoni armoniosi della natura furono accompagnati presto dal più sordo dei silenzi.

 

 

 

Quando Selene riaprì gli occhi, impiegò qualche minuto a mettere a fuoco l’ambiente che la circondava; presto realizzò di trovarsi nel letto della sua stanza, mentre un lenzuolo copriva interamente il suo corpo. Accanto a lei vi era Hadmon che attendeva una sua mossa; era evidente che fosse preoccupato per le sue condizioni di salute, le sue labbra erano ridotte a una sottile linea e la sua mascella era serrata, gli occhi velati dal dispiacere e celanti parole taciute e letali. Percependo qualcosa di umido sulla sua fronte Selene portò la mano alla fonte di freschezza, ma Hadmon prontamente le bloccò il polso e glielo ripose sul letto; sentiva le membra incredibilmente pesanti e il viso accaldato.

-Ti ho messo un panno sulla fronte per farti abbassare la febbre. Jhin mi ha detto che ti ha trovata svenuta nel giardino…- spiegò Hadmon con voce bassa.

-Jhin? Dove… -

In quel momento Selene si bloccò ricordando il momento in cui l’aveva baciata e poi subito allontanata; aveva mentito ad Hadmon, lui era stato con lei non l’aveva incontrata casualmente. Sentì qualcosa all’altezza del cuore andare in frantumi al punto che istintivamente morse il suo labbro per trattenere le lacrime: odiava sempre più il suo modo di fare, l’aveva risollevata e poi l’aveva fatta di nuovo crollare. Incolpò sé stessa per essere stata così stupida da potersi fidare del pistolero e confessargli alcuni suoi pensieri.

-Jhin si sta preparando, tra poco dovremmo incontrare la scorta di soldati e il governatore di Vindor, cui consegneremo la falce Darkin – disse Hadmon, aiutandola a mettersi seduta – riesci a stare in piedi? –

-Dovrei riuscirci -

Sebbene con molta fatica Selene si mise in piedi, molto lentamente si infilò gli alti stivali e indossò un pesante mantello; sentiva dei brividi di freddo attraversare la sua schiena e la testa incredibilmente pesante, aveva bisogno di riposo ma per quell’occasione avrebbe fatto un’eccezione. Negli occhi di Hadmon colse un velo di dispiacere che li adombrava costantemente: c’era qualcosa che le stava nascondendo? Inoltre perché tutto a un tratto il suo corpo stava risentendo così tanto dell’uso delle arti oscure?

-Cosa mi sta succedendo Hadmon? – chiese Selene mentre uno strano modo all’altezza dello stomaco si veniva a creare.

-Tu stai morendo Selene… ti rimane meno di un anno di vita o alcuni mesi. Non ho avuto il coraggio di dirtelo… non avrei dovuto lasciarti usare le arti del buio l’altra notte, è un miracolo tu sia viva –

-Pochi mesi… da quanto tempo lo sapevi? – domandò Selene, le morì la voce in gola mentre la preoccupazione tornava ad aumentare e le lacrime minacciavano di nuovo di fuoriuscire.

-Da sempre. Nel momento in cui i guardiani della Notte iniziano ad avere incubi su Thanatòs, la loro vita diventa sempre più in pericolo… troveremo una soluzione Selene –

-NON MENTIRMI! – sbottò Selene al limite della pazienza: la febbre, la delusione della mattina stessa e ora quella notizia l’avevano abbattuta – non la troveremo mai! –

-Si che la troveremo! Dobbiamo solo sbrigarci e cercare più a fondo- ribatté Hadmon, dispiaciuto.

-Non c’è più tempo Hadmon… - balbettò Selene mentre le lacrime rigavano il suo volto.

-Abbia fiducia in me Selene! – disse Hadmon posandole le mani sulle spalle – c’è una soluzione e io la troverò –

Improvvisamente la porta della stanza si aprì e sulla soglia si presentò Jhin; velocemente Selene si voltò e asciugò il suo viso, mentre Hadmon si ricomponeva e si avvicinava al pistolero di un passo. Il pistolero notò subito la condizione di Selene, ma non ebbe coraggio di chiedere cosa non andava: già sapeva quale era il problema e in parte lui era responsabile del suo stato. Cercò di accantonare il pensiero e porse al compagno la falce Darkin avvolta da una maglia di ferro che ora tratteneva tra le mani; prima che il dragone potesse afferrare tra le mani l’oggetto posò lo sguardo su di lui e per un istante poté giurare che Hadmon avesse letto la sua anima, comprendendo forse, che lui era uno dei motivi per cui la Guardiana stava soffrendo. Presto lasciò da parte quella riflessione, dicendo che la sua mente gli stava giocando strani scherzi; non appena l’amico prese le armi e tutti i loro bagagli, decisero insieme di avviarsi verso l’uscita della locanda. Attese sull’uscio della porta della stanza che i due guardiani passassero e quando fu il turno di Selene, sentì di nuovo qualcosa andare in frantumi non appena vide lo sguardo indifferente dell’altra. Temeva quei piccoli e deboli sentimenti che stavano piano piano nascendo in lui, si diede del codardo decidendo per l’ennesima volta di fuggire dal passato e dalla possibilità di fronteggiarlo. Con quei pensieri controllò che nella stanza non ci fosse più nulla, ma prima di lasciarla definitivamente la sua attenzione fu attirata da dello sporco nella toilette; si avviò e rabbrividì di fronte allo scenario che si trovò di fronte: sangue sparso per i sanitari. Sentì il fiato mozzarsi, la condizione della guardiana era peggiore di quanto potesse immaginare e di certo lui non aveva fatto altro che contribuire a minare la sua sicurezza. Una voce lo richiamò alla realtà, Hadmon lo chiamava dal primo piano. Con l’immagine raccapricciante che si lasciava alle spalle, lasciò la stanza e si avviò dai compagni.

 

I raggi luminosi del sole di mezzogiorno si infrangevano sulla superficie del lago del palazzo reale, rendendo il suo scintillio simile a quello di un cristallo. Mentre percorrevano il piccolo viale Selene osservava l’edificio che si stagliava di fronte a loro: alto e maestoso, era interamente realizzato in marmo bianco e arricchito da decorazioni in oro, avvolgendo le finestre che si affacciavano sul verdeggiante giardino. Nonostante cercasse di studiare i dettagli della struttura per svagare la mente, ritornava sempre agli avvenimenti della mattinata e soprattutto a quel bacio rubato e le successive parole di Jhin; al solo ricordo sentì il viso accaldarsi ancora di più e la rabbia ammontare, era stata una stupida a poter pensare di fidarsi, altrettanto sciocca a pensare di potersi affezionare a un uomo del genere. Improvvisamente sentì le forze venir meno e il suo ginocchio cedette a terra; accanto a lei Jhin si avvicinò, porgendole una mano per rimettersi in piedi, ma lei la rifiutò e si rimise subito in piedi. Per un istante incontrò il suo sguardo stranamente dispiaciuto, vide la mano di lui afferrarle il braccio prima che lei si allontanasse, impedendole di proseguire. Selene guardò avanti a lei, Hadmon non si era accorto di nulla e continuava a proseguire.

-Selene per favore…- disse Jhin, lo sguardo dispiaciuto e rabbioso di lei facevano sì che la sua armatura si rigasse indelebilmente.

-Non toccarmi… - sussurrò Selene, tentando di scansare la sua mano che fu bloccata da quella dorata dell’altro.

-Tu non capisci, non voglio mettere in pericolo nessun altro – spiegò Jhin, di nuovo: aveva paura.

-È questa la scusa dietro cui ti nascondi, Jhin? Di cosa hai paura? –

Prima di poter ribattere, Hadmon li aveva richiamati e Selene era sfuggita da lui; strinse i pugni e morse il suo labbro, lui aveva paura di quei sentimenti che cercava di soffocare, non aveva coraggio di fronteggiare i fantasmi del passato che subito avrebbero allungato i loro artigli su di lui e di lei. No la verità era che aveva paura di innamorarsi: ”l’amore è per i suicidi” lo aveva sempre ripetuto mentalmente, non era qualcosa che si addiceva al freddo e solitario Demone d’Oro. Notò gli occhi di Hadmon soffermarsi su di lui, studiando la sua figura prima di vederlo voltarsi. Avrebbe messo fine a tutta quella storia presto. Lui doveva.

In silenzio i tre furono scortati da due guardie dal sovrano; l’interno del palazzo era la perfetta definizione di regalità, ricche decorazioni in oro, pavimenti realizzati interamente in marmo su cui erano adagiati lunghi tappeti in velluto color rosso sangue, infine ad arricchire le pareti vi erano dipinti su tela narranti le gesta di onorevoli guerrieri di Ionia, nella loro continua difesa del paese. Giunti alla sala dei ricevimenti, le guardie aprirono la porta e permisero loro di entrare nell’aula, ove il sovrano seduto a una tavola ovale in legno, li attendeva insieme ad altri due soldati. Hadmon con in mano la falce, vide l’uomo mettersi in piedi e avvicinarsi a loro, ne studiò la figura: un uomo di mezza età, capelli castani occhi grigi, una lunga tunica bianca con decorazioni in filo d’oro; colse subito lo sguardo sospetto che rivolse a Jhin, era evidente che non apprezzava la sua presenza. Nonostante ciò accantonò il pensiero, il suo obiettivo era concludere al più presto quella trattativa e tornare a Tuula per riprendere le ricerche e far guarire Selene.

-Sono onorato di incontrare gli emissari del Consiglio, nonché i famosi Guardiani. Permettermi di presentarmi, io sono Roak, sovrano di Vindor – disse il re, chinando il capo in segno di rispetto.

-Lusingati di fare la vostra conoscenza, io sono Hadmon e lei è Selene. Lui è…- disse Hadmon, presentando i suoi compagni.

-So chi è lui. Mi sorprende come possa essere qui, lo spietato e riprovevole Demone d’Oro – osservò sprezzante Roak, facendo cenno alle guardie di avvicinarsi.

-La prego di non mancare di rispetto a un uomo che ha collaborato con noi nella missione – intervenne Selene, pronunciando istintivamente quelle parole di fronte al tono sprezzante dell’altro; allo stesso tempo guadagnò uno sguardo sorpreso di Jhin. Non seppe perché aveva agito così nonostante gli avvenimenti, eppure non tollerava l’odio che veniva riversato su di lui, né tantomeno tollerava la mancanza di informazioni che le aveva fornito Hanzai lasciando correre a loro tutti i rischi della notte precedente.

-Signorina, lei non conosce cosa ha fatto quest’uomo a chi aveva intorno a sé. Una cane disobbediente del Consiglio, un ingranaggio impazzito quattro anni fa che non ha fatto altro che trucidare uomini e donne per puro piacere. Una figura dalle mille maschere ognuna con altrettante sfaccettature, non potrà mai essere giustificata, perciò non difenda chi, probabilmente, la sta ingannando – osservò Roak.

Jhin sentì il sangue ribollire nelle vene, odiava l’uomo di fronte a lui che come tutti i membri del Consiglio avevano manipolato l’incidente a loro favore, mascherando le loro sudice mani sporche del sangue altrui. Vide lo sguardo esitante e dispiaciuto di Selene e sentì il cuore venir trafitto da un pugnale, strinse i pugni: non avrebbe permesso che anche lei venisse raggirata dalle menzogne del Consiglio. Vide Roak cambiare discorso e prendere tra le mani la falce Darkin, consegnandola alle due guardie che lasciarono la stanza. Strinse i pugni, a stento tratteneva il suo odio e la sua rabbia. Il sovrano li ringraziò per il loro aiuto, notò Hadmon spiegare accuratamente l’assalto alla carovana e scusarsi per la perdita delle guardie che erano state uccise durante l’assalto; più scrutava il volto di Roak e la sua falsa serenità più desiderava colpirlo in viso: uomini come lui e il Consiglio avevano omesso appositamente i particolari sui poteri letali di quella falce e il risultato era stato che Selene aveva quasi perso la vita la notte precedente. Come quattro anni prima, i loro interessi predominavano e loro erano semplice pedine.

-Vi ringrazio ancora per il vostro aiuto, vi sarò infinitamente grato – disse Roak.

-Voi, avete omesso appositamente il potere demoniaco della falce Darkin, non siamo stati avvisati dei rischi che avremmo corso solo impugnandola. Non avete comunicato ad Hanzai che la falce, animata da una seconda entità, sprigionava i lati più oscuri dell’uomo; i vostri taciuti segreti hanno portato la morte dei suoi soldati e hanno messo in pericolo la vita di una Guardiana, inoltre non ci avevate avvisato del fatto che l’Ordine delle Ombre aveva mire non solo sulla falce ma anche su Selene. Le solite menti ipocrite del Consiglio, non si smentiscono mai – disse Jhin, incrociando le braccia.

Selene guardò sorpresa Jhin, sgranando gli occhi di fronte all’affronto verbale che aveva fatto al sovrano di Vindor. Cosa gli stava passando per la testa? In quel modo non avrebbe fatto altro che aggravare la sua condizione, rendendo impossibile la sua liberazione definitiva. Per quanto lei e Hadmon potevano nascondere alcuni suoi singoli comportamenti non comuni, quell’oltraggio non sarebbe di certo passato inosservato al Consiglio, soprattutto perché il sovrano di Vindor come emergeva dalle parole del pistolero, era membro del Consiglio stesso. Accanto a lei Hadmon le rivolse un’occhiata sconcertata, lei scrollò le spalle come a dire che non aveva spiegazioni per quell’affronto. Ancor più sorprendente fu l’insolita preoccupazione verso il Demone d’Oro. Già, perché tanta preoccupazione dopo gli avvenimenti della mattina stessa?

-Farò finta di non aver sentito le tue parole – rispose Roak irrigidendosi.

-Ha sentito benissimo. Sono stato più che esaustivo nella spiegazione – sibilò minacciosamente Jhin.

-Ho riferito ad Hanzai tutti i dettagli di mia conoscenza sulla falce Darkin. Le tue insinuazioni aggravano la tua posizione precaria Khada Jhin, farò presente al Consiglio la tua mancanza di rispetto nei miei confronti – osservò Roak, l’arroganza del pistolero e la sua conoscenza su avvenimenti passati lo rendevano una presenza scomoda. Proseguì giustificandosi – i miei soldati sono morti con onore in battaglia, il loro sacrificio è stato necessario, come puoi accusarmi di tacere segreti che potrebbero aver messo in pericolo le loro vite? –

-Avete agito così quattro anni fa, manipolandomi non dubito che continuiate ancora a farlo con estranei come i Guardiani – disse Jhin, stringendo i pugni: su di lui si sarebbe riversata la sua rabbia, uno ad uno sarebbero caduti i membri del Consiglio e così la verità sarebbe venuta a galla – tessete la vostra rete di menzogne, manipolando le informazioni e le persone a vostro vantaggio –

-Non so di cosa stai parlando, evidentemente, tutti questi anni in prigione hanno acuito la tua follia. Sono sempre stato contrario alla tua scarcerazione, così come all’eccessiva clemenza che Shen mostrò nella notte di quattro anni fa: tu saresti dovuto morire, punito per i tuoi reati e la tua disobbedienza; saresti dovuto morire con lei – disse Roak, mostrando tutto l’odio verso il Demone d’Oro.

Selene sgranò gli occhi sorpresa da quelle parole: di cosa stavano parlando? Forse i dubbi sull’onestà del Consiglio non erano poi così infondati. Tuttavia quello non era il momento per elaborare ipotesi, lei e Hadmon dovevano intromettersi nella discussione prima che fosse troppo tardi. Vide Jhin stringere i pugni e capì che si sarebbe avventato sul sovrano, ma prima di poter agire Hadmon si era posto tra il pistolero e Roak; subito Selene notò Jhin non fermarsi e fare un passo avanti per allungare le mani sull’uomo, ma lei afferrò la sua mano e l’uomo subito si immobilizzò. Di nuovo un filo invisibile l’aveva spinta a star vicino al pistolero, nonostante le innumerevoli volte che l’aveva mandata in frantumi senza scrupoli non riusciva a non stargli accanto. Vide Jhin chinare il capo e per un istante intrecciò lo sguardo con il suo; l’odio nel suo unico occhio scarlatto parve svanire e i muscoli sotto la sua mano si rilassarono.

-Per favore, mi sembra che la mia compagna abbia già chiesto la cortesia di non mancare di rispetto a un uomo che ha collaborato con noi. Ci scusiamo per questa situazione, la prego di perdonarci– disse rispettosamente Hadmon, chinando il capo.

-Non avete alcuna colpa signor Hadmon. Quanto a te Jhin – osservò Roak, avendo colto lo sguardo rancoroso dell’uomo addolcirsi nell’incontrare quello della giovane donna – presta attenzione alle tue parole e soprattutto a non infrangere una seconda volta i divieti imposti. Non ci sarà perdono questa volta. Quanto a voi Guardiani, vi sono infinitamente grato per il vostro aiuto, come segno di ringraziamento ho messo a vostra disposizione la più grande delle mie carrozze per il viaggio di ritorno a Tuula; grazie ancora, a nome mio e di tutta Ionia –

Con profondo rispetto Selene e Hadmon si chinarono e ringraziarono il sovrano, dopo di che si avviarono verso l’uscita del palazzo, lasciando alle spalle l’immensa struttura che troneggiava sulle loro piccole figure. Alle loro spalle, dall’alto di una finestra Roak studiava la figura di Jhin e quella della Guardiana; un sorriso sinistro si dipinse sulle sue labbra: a quanto pare il temuto Demone aveva un punto debole nella sua corazza, chissà se avrebbe di nuovo infranto il divieto. Iniziò a comporre una lettera il cui destinatario era Klein, il capo del Consiglio, descrivendo l’accaduto del pomeriggio stesso e soffermandosi soprattutto sul possibile attaccamento del pistolero alla Guardiana; quando sollevò la penna dal foglio richiuse la lettera e chiamò una guardia porgendogli l’oggetto e chiedendo di recapitarlo a destinazione. Riprese ad osservare il cortile sottostante, sorrise di nuovo:” staremo a vedere cosa sarai in grado di fare, Khada Jhin”.

 

Silenziosamente i tre salirono sulla carrozza e subito rimasero sbalorditi dall’interno: morbidi e ampi sedili in velluto rosso con cuscini del medesimo colore, tendine nere per coprire l’eventuale luce entrante dalle finestre infine appesa al tetto della carrozza una piccola lampadina. Una volta seduti la carrozza partì e si misero in viaggio alla volta di Tuula, li aspettavano tre giorni di viaggio e avrebbero colto l’occasione per riposare e guarire dalle ferite. Accanto a lei Selene sapeva che Hadmon era molto nervoso, batteva le dita sul suo ginocchio mentre osservava la vegetazione fuori dal finestrino, sicuramente stava cercando di trovare le parole per esprimere la sua totale disapprovazione sull’affronto del pistolero. Di fronte a lei Jhin, si era seduto nel punto del sedile più lontano da loro accanto alla finestrella opposta, bruciava di odio e fissava rabbioso il cielo fuori dalla finestra. Dopo la loro conversazione era sempre più curiosa di avere maggiori informazioni sul Consiglio e sul fantomatico incidente; sicuramente Hadmon nutriva il suo stesso interesse e al termine di quel viaggio ne avrebbero discusso.

-Si può sapere cosa diavolo ti sia passato per la testa? – chiese Hadmon non potendo trattenere il nervosismo; vedendolo ignorarlo proseguì preoccupato– hai peggiorato la tua condizione, Jhin. Noi non sappiamo cosa può farti il Consiglio se mai decidesse di non liberarti, in quel caso non potremmo salvarti –

-Quell’uomo ha omesso appositamente i particolari sulla falce, ha taciuto segreti che hanno costato quasi la vita di Selene e causato la morte di tutti i soldati. Voi non conoscete Roak, non conoscete un singolo membro del Consiglio per rendervi conto che vi stanno raggirando con l’inganno, tessono i loro fili su di voi per estorcerci qualcosa. So di essere un elemento scomodo per il Consiglio, molti di loro avrebbero preferito uccidermi tempo addietro perché io conoscevo i loro segreti, Roak è uno di questi. Non tollero che ci usino come pedine, che sfruttano le nostre vite come meglio preferiscono. Infangano il passato per mascherare le loro sudice mani sporche di sangue innocente, di orrori, e io non mi farò piegare di nuovo – spiegò rabbioso Jhin, stringendo i pugni.

-Cosa intendi dire sul Consiglio? Cosa stanno architettando e nascondendo? – chiese Hadmon, estremamente confuso e pieno di domande da rivolgere a Jhin: perché il Consiglio lo voleva morto? Cosa era accaduto quattro anni prima?

-Le nostre ombre si proiettano pesanti sul suolo per ricordarci sempre gli errori del passato ogni qualvolta uno spiraglio di luce illumina la nostra figura. Ognuno di loro nasconde l’anima marcia proiettando sugli altri una luce talmente forte da accecarli e mascherando in questo modo le loro ombre. Non so cosa stia architettando il Consiglio, so solo che la mia vendetta si abbatterà su ognuno di loro, non mi interessa la mia situazione, loro non sfuggiranno alla furia del Demone d’Oro: al mostro che loro stessi hanno creato –  ringhiò Jhin, sbattendo un pugno sul sedile, il calore bruciante dell’odio scorreva nelle sue vene.

-Non puoi farlo. Prima di fare qualunque azione, dobbiamo informarci bene sul Consiglio e sapere le versioni di entrambe le parti… conoscere se la tua versione degli avvenimenti sia vera o reale solo in parte – osservò Hadmon.

All’udire di quelle parole Jhin fu preso dall’ira, nuovamente qualcuno di cui pensava potersi fidare non riponeva in lui alcuna fiducia ed esitava: anche loro alla fin fine erano marionette del Consiglio; una risata profonda e derisoria si levò nella carrozza, lasciando le sue labbra. Scattò in piedi e afferrò il compagno per la giacca e lo inchiodò sul sedile; vide Selene scattare in piedi e avvicinarsi a lui per fermarlo, ma la scansò prepotentemente e senza accorgersene la spinse, facendole battere il capo contro la finestra della carrozza. Nessuno capiva, nessuno lo avrebbe mai sostenuto, ecco cosa succedeva a riporre la fiducia in qualcuno: solo ferite sulla sua anima. “Adesso basta” pensò rabbioso Jhin.

-Ho riposto la mia fiducia in te Hadmon, ti ho aiutato. Credi veramente che io possa mentirvi? Io non ho a cuore le vostre patetiche vite, ho sperato in vano che foste più accorti rispetto ai precedenti custodi invece siete ottusi e ciechi come ogni Ioniano di questa terra. Come un illuso ho pensato che vi foste fidati di me, invece credete alle parole di criminali che si spacciano per governatori. Patetico, veramente patetico; chissà quanti segreti tacete anche voi come Roak e il Consiglio – sibilò Jhin a denti stretti.

Mosso dall’ira Jhin fece per colpire con in viso Hadmon, improvvisamente vide Selene porsi tra lui e Hadmon e il suo pugno finì per colpire il viso di lei. Subito si ritrasse; dopo quel gesto la rabbia scemò via lasciando spazio al dispiacere. Riprese coscienza e ragionò a mente lucida su come stesse agendo, ma quando lo fece presto si rese conto che era troppo tardi; ormai negli occhi di Selene, la minima di traccia di calore che aveva scorto qualche ora prima nel palazzo era sparita dietro il gelo delle sue pozze ghiaccio; subito iniziò a trovare un modo per rimediare all’errore compiuto. Anche Hadmon rimase sconcertato dal suo gesto ed entrambi deglutirono a vuoto per il silenzio in cui piombò la carrozza.

-Adesso basta! – disse Selene furiosa, guardando entrambi, poi posò gli occhi su Jhin e proseguì – non so cosa è accaduto in passato tra te e il Consiglio, noi non siamo marionette e abbiamo riposto in te fiducia, mancheremo di ingegno ma prima di poter denunciare le azioni del Consiglio dobbiamo sapere di più. So che siamo una presenza scomoda per te, non mi interessa cosa pensi di noi o di me, ma puoi star certo che non appena tutto questo finirà di noi non vedrai più la minima ombra e potrai tornare alla calma delle tue giornate. Fino ad allora, sceglierete la maschera che più vi aggrada e andrete d’accordo. Noi ci fidiamo di te Jhin, non ti abbiamo mai mentito, contrariamente a come ci aveva chiesto il Consiglio e ti saremo sempre infinitamente grati per l’aiuto che ci hai dato, in particolare io; perciò per una volta puoi abbandonare la tua ira e non vederci come minacce. Noi faremo tutto ciò che è possibile per aiutarti e svelare la verità, però dovrai permetterci di conoscere la versione di entrambe le parti; non ci sarà bisogno di essere prevenuti con noi, il nostro obiettivo non è raggirarti con l’inganno. L’unica richiesta che ho da farvi è di non rendere o creare situazioni difficili; se hai paura di poterti fidare di noi puoi non farlo, cosicché fintanto che la nostra missione non sarà finita, vivremo come estranei. A te la scelta –

Dopo quel discorso Selene si mise a sedere insieme agli altri, le ultime parole che aveva pronunciato avevano fatto insolitamente male e quello era indice che si stava affezionando a Jhin; eppure date le loro posizioni era meglio soffocare ogni cosa sul nascere, nonostante odiasse il dispiacere che avrebbe accompagnato tutto quello. Sentiva su di sé lo sguardo di Jhin, in quel momento era estremamente vulnerabile e incontrare il suo occhio scarlatto avrebbe aggravato la sua situazione, perciò posò il capo sul finestrino e chiuse gli occhi. Una lacrima percorse la sua guancia: paura, dolore agitavano il suo cuore e lo intrappolavano in una stretta mortale. Temeva per la sua vita e allo stesso tempo era sempre maggiormente cosciente del fatto che soffocare l’affetto che nutriva per Jhin sarebbe stato più che difficile. Nascose il suo viso nel cappuccio, non voleva che nessuno vedesse in quel momento il suo stato, nonostante quello la facesse sentire estremamente sola; una seconda lacrima percorse la sua guancia prima che potesse sprofondare nel sonno profondo e prima di potersi rendere conto che il filo invisibile che la attirava al pistolero era divenuto ancora più insistente e non avrebbe più abbandonato il suo cuore. Era troppo tardi: lei si era affezionata. Un’immagine del bacio che le era stato strappato le balenò nella mente. Non poteva più tornare indietro, non poteva recidere quel legame impalpabile. Non più.

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Capitolo 10
*** Lies ***


9.Cap8

“Duro? No. Sono fragile, mi creda.

Ed è la certezza della mia fragilità che mi porta a sottrarmi ai legami.

Se mi abbandono, se mi lascio catturare, sono perduto.” (José Saramango, “Lucernario”)

 

 

Il sole riversava i suoi caldi raggi sull’abitazione dei Guardiani e del Demone d’Oro, illuminando l’intero giardino e riflettendosi sullo specchio d’acqua dei piccoli laghi, in modo tale da conferire all’ambiente circostante un’atmosfera di pace e serenità. Qualche notte prima, i tre erano ritornati finalmente a Tuula ove si erano subito riposati e avevano recuperato le energie; durante il tragitto non vi erano stati più alcuni affronti verbali tra Hadmon e il pistolero, i giorni erano passati avvolti da un profondo silenzio, durante i quali Selene di tanto in tanto si abbandonava al flusso delle miriadi di domande che avrebbe voluto rivolgere ad Hanzai circa il fantomatico incidente di quattro anni prima; non potendo trovare risposta impiegava tutto il tempo a disposizione a formulare ipotesi, sperando non tanto di trovare una soluzione, quanto di scacciare via l’immagine del bacio che le era stato strappato e di tenere a bada i nascenti sentimenti che nutriva verso Jhin.

In quei tre giorni di viaggio avevano avuto l’occasione di fare tappa in piccole città, in cui si erano procurati i pasti e Hadmon aveva recuperato le medicine necessarie a curare la febbre di Selene; le piccole fialette che lei aveva bevuto, le avevano fatto recuperare presto le energie e nel giro dei successivi due giorni di viaggio la malattia aveva completamente abbandonato il suo corpo e lei era tornata in forze. Nonostante la sua veloce ripresa Hadmon le aveva raccomandato che sarebbe dovuta stare a riposo per i prossimi due giorni in modo tale da non avere ricadute. Durante il viaggio di ritorno, Selene non aveva più avuto occasione di parlare con il Demone d’Oro e lui aveva fatto il possibile per innalzare di nuovo il freddo muro e cercare di soffocare ogni forma di affetto.  Nonostante questo l’avesse dispiaciuta Selene aveva cercato di accettare la questione e aveva tentato di seppellire tutto.  

Quella mattina Hadmon, aveva lasciato l’abitazione molto presto per dedicarsi alle ricerche, invece Selene era stata costretta a stare a letto e riposare dato che di tanto in tanto le venivano meno le forze; Jhin come al suo solito era rimasto isolato nella sua stanza per la maggior parte del tempo, entrambi i Guardiani durante la giornata che aveva seguito il loro arrivo avevano provato ad avvicinarsi all’uomo, preoccupati per la sua salute ma erano stati respinti bruscamente. Inoltre avrebbero dovuto trovare l’occasione per discutere sulla versione da fornire al Consiglio, il quale il pomeriggio stesso li aveva convocati per il resoconto della missione e per maggiori chiarimenti circa la lettera che Roak aveva spedito a Klein; quando quella notizia era giunta a loro, Selene e Hadmon avevano sussultato e subito si erano preoccupati delle eventuali ripercussioni che quella missione avrebbe avuto sulla situazione del pistolero. Purtroppo nessuno dei due Guardiani aveva più avuto occasione di comunicare l’informazione all’uomo e Hadmon aveva affidato il compito a Selene e nonostante la Guardiana non volesse avere a che fare con lui, fu costretta ad accettare quell’incarico.  

Così in tarda mattinata Selene, si era alzata in preda ad uno dei suoi incubi e aveva pensato costantemente al momento opportuno per presentarsi di fronte la porta del Demone d’Oro e spiegargli la situazione; purtroppo, ogni volta che decideva di farsi avanti, le vicende dei giorni precedenti la facevano dubitare e finiva per rinunciare. Alla fine si era fatta l’ora di pranzo e lei non era riuscita a concludere nulla e aveva ripiegato sul suo letto dove si era riposata, in preda a un’improvvisa stanchezza. Sdraiata sulle lenzuola bianche, cercava di scacciare dalla sua mente l’immagine degli occhi scarlatti di Thanatòs e i suoi ringhi feroci; contemplava distrattamente il cielo azzurro che si intravedeva dalla finestra, mentre cercava di raccogliere il coraggio di recarsi dal pistolero. Dopo qualche minuto aveva deciso di alzarsi e agire; molto velocemente pranzò in solitudine, anche quella mattina Ana era assente e aveva speso i giorni in cui loro erano mancati presso la sua vera residenza a Tuula, fortunatamente sarebbe tornata la sera stessa come aveva comunicato in una sua lettera. Dopo il pasto salì le scale e si fermò di fronte alla porta della stanza di Jhin; prima di bussare si bloccò, doveva farsi coraggio anche se odiava l’idea di dover conversare con lui dopo che in quei giorni era riuscita a tornare quasi alla normalità. Prese un lungo sospiro e picchiettò la porta due volte. Silenzio. Tentò nuovamente e subito la porta di fronte a lei si aprì di scatto e la figura possente di Jhin si materializzò dall’ombra della stanza.

-Cosa… - disse Jhin, bloccandosi quando vide la guardiana di fronte a lui.

Non appena Selene vide la reazione diffidente del pistolero indietreggiò di un passo, spaventata dal suo occhio scarlatto che ora le rivolgeva uno sguardo affilato; in silenzio l’altro fece per richiudere la porta, ignorando completamente la sua presenza.

-Devo parlarti…- spiegò esitante Selene.

-Non disturbarmi – ribatté seccamente Jhin.

A quella frase Selene infastidita, bloccò la porta con le mani prima che il pistolero potesse richiuderla; la aprì e varcò la soglia: era stanca di essere sempre trattata con disprezzo dall’uomo, in quel momento l’avrebbe ascoltata. Il Demone d’Oro si irrigidì e si preparò ad affrontarla verbalmente per riversare nuovamente tutto il suo odio su di lei, ma prima che potesse proferire parola lei lo anticipò.

-Adesso mi starai a sentire, questa volta non mi ferirai allontanandomi – disse Selene, stringendo i pugni.

-Vattene! Non voglio vederti e né sentirti, sei solo una presenza scomoda – ringhiò Jhin, posandole una mano sulla spalla per mandarla via con la forza.

Una rabbia viscerale alimentò le membra di Selene, non appena l’uomo sfiorò la sua armatura lei gli afferrò il polso e glielo scansò; se inizialmente voleva solo comunicargli il volere del Consiglio, adesso le interessava solo di porre fine al suo modo di fare che la demoliva: odiava il suo profondo rancore, la sua rabbia e la sua paura, e più di ogni altra cosa non tollerava più l’idea che venisse trattata sempre come feccia.

-NON TOCCARMI! – sbottò Selene, poi vedendo l’altro stringere i pugni, avanzò di un passo nella sua direzione e proseguì – tu non hai nessun diritto e dico nessuno, di potermi calpestare come meglio preferisci! Mi hai trattata come feccia, nonostante io sia venuta più volte da te nel vano tentativo di potermi avvicinare e aiutarti, e adesso non lo farai di nuovo! –

-Aiutarmi?! Ascolta le tue patetiche parole, io non ho mai avuto bisogno del tuo misero aiuto. Davvero pensi che io, il Demone d’Oro ne abbia mai necessitato?! Tu non hai idea di chi io sia…- urlò Jhin, in preda alla rabbia; quello sarebbe stato il suo ultimo e sofferto tentativo di allontanarla.

-Oh no, sì che lo so! Io so benissimo chi sei Jhin, tu sei un uomo che ha paura

-Come osi…-

Detto così Jhin scattò in avanti e le afferrò il viso e si chinò su di lei, improvvisamente sentiva la sua anima e il suo cuore venir chiamati in causa: non avrebbe potuto mai ammettere quella verità.

-Ripetilo. Se hai il coraggio. Cosa dovrei temere? Sentiamo, una patetica donna?! – sibilò minacciosamente Jhin, vedendo l’altra scansare con forza la sua mano, ma subito lui le riafferrò il mento.

-Tu hai paura, di questo – disse Selene, posando la mano sul suo cuore e pronunciando quelle parole che come lame incisero la sua corazza rivelando i suoi punti deboli – tu temi di poterti avvicinare a qualcuno, a me… peggio ancora per rifuggire da essa, calpesti gli altri così come hai fatto con me, in modo da mascherare le tue ombre –

-Non dire idiozie, non hai idea di cosa stai parlando. Non conosci minimante il mio passato, come pretendi ti potermi capire anche minimamente?! – sbottò Jhin, non poteva sfuggire alla realtà.

-Non ti conosco affatto è vero. Quel poco che ti sono stata accanto mi ha permesso di capire che te hai una profonda paura di portare allo scoperto la tua anima tetra e piena di cicatrici; temi di poter riporre la fiducia in qualcuno per evitare di rimanere emotivamente coinvolto – spiegò Selene con voce rabbiosa, deglutendo a vuoto quando l’altro la mise a muro con poca grazia.

-Non dire idiozie. Sono stanco di sentire le tue scemenze, io non ho bisogno di sciocchi sentimentalismi, io non temo nulla – sussurrò minacciosamente l’uomo: quelle parole erano più rivolte a sé stesso che a lei.

-Perché mi hai baciata allora? Perché subito dopo sei sfuggito? - chiese Selene spavaldamente, notando l’altro porre le mani sul muro in modo da non permetterle alcuna fuga.

In silenzio Jhin incassò l’affronto, lui aveva agito baciandola perché ormai aveva finito con l’innamorarsi di lei ma subito aveva avuto paura di quel bacio, aveva capito sin dall’inizio che significava esporre entrambi e lui temeva di affrontare i fantasmi di un passato lontano che continuava a ricordargli che le sue mani erano sporche di sangue innocente e indelebile. Lui aveva paura di venir coinvolto sentimentalmente, e soprattutto di rischiare di essere costretto a ripetere un omicidio su una donna a si sarebbe potuto legare. L’ira che lo aveva spinto ad affrontarla verbalmente scemò via; il suo tentativo di allontanarla era fallito e il muro che aveva eretto tra loro nei giorni precedenti si era sgretolato completamente in quel momento: odiava il modo in cui la sua armatura era stata di nuovo infranta eppure non poteva non lasciarsi avvolgere dalla gentilezza con cui lei lo aveva fatto.  Purtroppo prima di poter parlare, furono interrotti dall’arrivo di Ana; si sentì mortificato quando vide l’espressione rassegnata dell’altra che si allontanò, raggiungendo la soglia della porta. La sua ragione gli suggeriva di rimanere in silenzio, di tagliare ogni cosa sul nascere finché sarebbe stato in tempo, e quindi di lasciarla andare via; sentiva il suo cuore lacerarsi all’idea di poter essere odiato da lei, e mentre un vortice di paura e diffidenza avvolgeva la sua mente, la sua anima gli gridava che avrebbe dovuto fermarla. La vide voltarsi un’ultima volta e inchiodare i suoi profondi occhi color ghiaccio, e a quel punto sussultò.

-Ad ogni modo, oggi pomeriggio il Consiglio ci ha convocato, questo era ciò che dovevo dirti – disse Selene, voltandosi e volgendo lo sguardo a terra – è stato tutto un errore. Avvicinarmi a te, è stato un errore sin dall’inizio –

-Si, è così. È stato un errore –

Quelle parole risuonarono pesanti nella stanza, una menzogna che serviva a Jhin per provare a troncare quel legame e ritornare alla normalità; così gli aveva suggerito la sua mente, e di fronte all’espressione desolata qualcosa all’altezza del suo cuore era andato in frantumi e lui era stato costretto a serrare la mascella e stringere i pugni, per trattenere quell’insolito e odioso dolore che si era fatto largo nel petto e non lo avrebbe lasciato più andare.

 

 

 

La sede del Consiglio era nascosto tra le colline di Tuula; in silenzio Hadmon, Selene e Jhin, si erano diretti nella piazza centrale della città dove lì Hanzai aveva atteso il loro arrivo. Stranamente, contrariamente a quanto i Guardiani si aspettavano, il maestro non mostrò alcun riserbo per come si era evoluta la missione; non si era espresso circa l’affronto di Jhin e la lettera del sovrano di Roak. Anzi, con il suo modo affettuoso, il maestro li aveva salutati; il calore di Hanzai, aveva in parte risollevato Selene, ancora turbata dalla discussione che aveva avuto con Jhin il pomeriggio stesso e agitata all’idea che il Consiglio potesse scoprire l’inflazione che loro due avevano commesso.

In silenzio i quattro si erano avviati verso l’alta pagoda dove i Guardiani erano stati accolti il giorno del loro arrivo; lungo tutto il tragitto era calato il più profondo dei silenzi, Hadmon percepiva che qualcosa non andava: Jhin camminava alle loro spalle e fissava rancorosamente la figura dell’anziano che ora conversava tranquillamente con Selene, riguardo il breve soggiorno a Roak. Il suo sesto senso, che mai era caduto in errore, gli lasciava intendere che tra la compagna e il pistolero vi fosse una sorta di tensione, a testimonianza di ciò era l’espressione tesa di Selene che lei, nascondeva alla perfezione, ma che lui coglieva perfettamente. Gli occhi color ghiaccio di lei erano come velati da una pesante ombra, facendogli perdere la luminosità che aveva avuto nei giorni precedenti; certamente lui non aveva contribuito di fatto a migliorare il suo stato dopo averla salvata dalle grinfie di Zed, e peggio ancora, preso dalle ricerche, non era riuscito a cogliere un momento per stare in tranquillità con lei e scusarsi. In ugual misura era dispiaciuto per come erano precipitati i rapporti con Jhin: dopo la loro discussione e il ritorno a Tuula, era come se la parentesi di Vindor, in cui il pistolero sembrava essersi aperto con loro, non fosse mai esistita e il gelo fosse di nuovo calato tra di loro. Ormai era quasi certo che il Consiglio nascondesse qualcosa e ad avvalorare la sua tesi, vi erano più di qualche evento: l’eccessiva vaghezza con cui Hanzai si era riferito al libro scritto dal Guardiano che aveva dominato Thanatòs, fino alla testimonianza del bibliotecario che la mattina stessa gli aveva confessato che quel libro era stato rubato e consegnato nelle mani di Noxus anni addietro; secondo alcune voci, infatti, il Consiglio era a conoscenza del furto che avrebbe compiuto Noxus e nonostante ciò, non era intervenuto per metterlo al sicuro, infine il bibliotecario aveva concluso che il libro si trovava nella collezione privata del grande giustiziere Draven perciò sarebbe stato difficile da recuperare. Sebbene quella notizia non lo avesse scoraggiato minimamente, sapeva che il Consiglio stesse nascondendo qualcosa, come Jhin infatti gli aveva fatto notare, loro avevano omesso appositamente informazioni importanti sulla falce Darkin, non si erano preoccupati di mettere in pericolo la vita di Selene e peggio ancora, l’Ordine delle Ombre conosceva l’identità di Selene. Tuttavia il pensiero che più premeva nella sua mente era quello legato alle parole di Jhin stesso, circa le azioni del Consiglio e ai fantomatici avvenimenti di quattro anni addietro; la sua curiosità era aumentata nei giorni precedenti, così come il suo dispiacere che gli aveva fatto ammettere di essersi comportato in modo scorretto con il Demone d’Oro e che aveva fatto nascere in lui il desiderio di sistemare le cose e riaprire la parentesi di Vindor, restaurando la situazione quasi amichevole che si era creata tra loro.

In quel momento Hadmon, preso dai suoi pensieri non si accorse di essere rimasto indietro con Jhin; Hanzai e Selene erano molto più avanti rispetto a loro, perciò il dragone colse subito l’occasione per rimediare alla discussione che avevano avuto.

-Jhin, hai un momento? Vorrei parlarti…- disse Hadmon, rallentando il passo.

Jhin sorpreso, rimase in silenzio e gli fece cenno di continuare; negli occhi del compagno non riuscì a cogliere alcuna malizia, ma solo uno sguardo limpido e sincero e questo lo sconcertò. Di nuovo la paura di potersi fidare si fece largo in lui.

-Volevo scusarmi con te, per quanto accaduto a Vindor. Ho rovinato ogni cosa e ho minato la fiducia che te avevi riposto in noi, perciò scusami, spero che tu possa fidarti nuovamente di noi…- spiegò Hadmon, volgendo gli occhi al cielo e poi inchiodandoli nel suo -… sappi che faremo il possibile per farti scagionare, sono quasi certo il Consiglio non sia onesto con noi e questo non posso tollerarlo –

-Sono sorpreso, perché questo cambiamento? – chiese sospettosamente Jhin, incrociando le braccia.

-Una serie di eventi hanno alimentato dei sospetti che ho avuto sin dal primo momento in cui siamo arrivati a Ionia, vi spiegherò tutto quando tornerò. Accetterai le mie scuse? – domandò Hadmon.

Con immensa sorpresa Jhin vide Hadmon porgergli la mano e sorridere nella sua direzione; la sua anima gelida si sentì tirare e decise di riporre la fiducia nei due Guardiani, e quando strinse la sua mano, sentì il suo fardello di segreti sanguinosi, pesare di meno sulle sue spalle.

-Lo prendo come un si – concluse raggiante Hadmon, posando una mano sulla sua spalla.

-Non allargarti troppo, non avrai anche intenzione di baciarmi – scherzò Jhin, posando lo sguardo sulle spalle di Selene e sentendosi in parte dispiaciuto di nascondere al compagno il particolare della mattina stessa.

Hadmon rise divertito e riprese a guardare il cielo azzurro, contento di aver risolto quel piccolo diverbio tra di loro. Improvvisamente vide un’aquila virare su di loro e scendere su di lui: un messaggero dell’Isola dei Guardiani. Uno strano sentore si fece largo nel suo cuore mentre slacciava la pergamena legata alla zampa dell’animale che subito volò via. Aprì il messaggio e rabbrividì non appena lesse il contenuto; sentì il fiato mozzarsi e la terra venire meno da sotto i suoi piedi, al punto che cadde sulle ginocchia. Il contenuto di quella lettera non sarebbe dovuto pervenire alle mani di Selene, almeno fino al giorno successivo. Cosa le avrebbe detto?

-Che ti prende? – chiese Jhin sconcertato dal suo volto pallido.

Jhin vide Hadmon porgergli la pergamena, timorosamente la prese in mano e la lesse in silenzio, paralizzandosi di fronte al contenuto; guardò di fronte a lui la figura di Selene e il suo corpo fragile che si ergeva sotto l’alta pagoda e sentì il cuore mancare un battito, mentre ripercorreva mentalmente le righe di quella lettera il cui destinatario era la Guardiana stessa.

-Hai intenzione di dirglielo? – chiese, temendo la risposta e immaginando la reazione della donna a quella notizia.

-Fino a domani lei non dovrà saperlo – disse Hadmon.

Improvvisamente Hanzai e Selene li richiamarono, dicendo loro di sbrigarsi; i due si scambiarono un’ultima occhiata di intesa e si avviarono verso il tempio, non dopo che Hadmon era rimasto sorpreso dalla preoccupazione che Jhin aveva mostrato verso Selene e ancor di più di come la sua espressione si fosse incupita non appena aveva notato le figure degli alti membri del Consiglio e di Shen.

 

 

Dal secondo piano della pagoda, i due Guardiani e Jhin erano seduti al tavolo dove si sarebbero riuniti i membri del Consiglio, in attesa che i gran maestri discutessero della lettera di Roak. Jhin picchiettava nervosamente la sua mano dorata sul tavolo, non appena aveva posato lo sguardo su Shen e Klein aveva sentito la rabbia ribollire nelle vene; contemporaneamente ad ogni minuto che passava, percepiva la preoccupazione aumentare: lui aveva infranto il divieto di avvicinarsi a Selene, e sicuramente Roak nella sua malizia, aveva infuso i dubbi nei membri del Consiglio che sicuramente li avrebbero tempestati di domande. Posò l’attenzione su Selene e ne studiò il viso, nel farlo trovò pace per un istante dalle preoccupazioni e dalle miriadi di pensieri che attraversavano la sua mente; studiò i suoi occhi ghiaccio, scendendo alle sue labbra, correndo con la mente al momento in cui le aveva strappato quel rapido bacio. Nei giorni a seguire raramente era riuscito a scacciare via quell’immagine dalla mente, nei suoi sogni la sua anima fredda trovava pace in quel momento di calore, che però veniva presto spiazzato dall’orrore e dal sangue; dopo quella mattina, quell’immagine era divenuta sempre più insistente ed era stato costretto ad abbandonarsi al flusso di sensazioni che di tanto in tanto riscaldavano il suo cuore.

Ben presto i suoi pensieri furono interrotti dall’ingresso dei membri del Consiglio, seguiti da Shen che diedero il via alla riunione. Inizialmente Klein, ringraziò i due Guardiani per il loro lavoro svolto e si scusò per l’attacco alla carovana da parte di Zed che aveva quasi costato la vita di Selene; a quel punto intervenne Shen che precisò di essere rimasto sorpreso dal fatto che l’Ordine delle Ombre fosse a conoscenza del ruolo di Guardiana di Selene. Hadmon spiegò che il contributo di Jhin era stato fondamentale per il recupero della Guardiana, tuttavia i tre compagni notarono che a quelle parole l’espressione di Shen e Klein si tramutarono in serie; prima che qualcuno di loro potesse intervenire, Klein richiamò un successivo argomento: l’affronto al sovrano di Vindor. A quel punto l’uomo posò gli occhi sulla figura di Jhin situata di fronte a lui, in piedi e diametralmente opposto alla sua posizione al tavolo. Di fronte a tutti i presenti, il capo del Consiglio lesse la lettera e Jhin e Selene deglutirono a vuoto.

-“Sospetto un possibile attaccamento del Demone d’Oro alla Guardiana, per favore faccia attenzione” –

Alle ultime parole di Klein, Jhin strinse i pugni e notò lo sguardo esitante di Selene e Hadmon, preoccupati sicuramente che quella frase avrebbe complicato la sua situazione.

-Come ha intenzione di giustificarsi? - osservò Klein verso il pistolero.

-Non so di cosa stia parlando, io non nutro alcun interesse nei confronti di questa donna – osservò Jhin freddamente, pronunciare quelle parole fu particolarmente difficile.

-Lei è d’accordo signorina Selene? –

-Si, in tutto il rispetto, il sovrano Roak si trova nel torto –

-Se proverai ad avvicinarti a lei, sai cosa ti spetta…- intervenne Shen, dal suo tono proveniva solo rabbia.

In silenzio Hadmon e Selene, rimasero sbalorditi da quella dichiarazione che fu subito ripresa da Klein; entrambi notarono lo sguardo di Jhin incupirsi e lui rimanere in silenzio, incassando momentaneamente il colpo.

-In ogni caso, quanto mi preme risolvere di più è il tuo affronto verso Roak. Non apprezzo molto le eccessive libertà che ti prendi Demone d’Oro; esiste una gerarchia a questo mondo, un modus operandi e delle regole da rispettare, e te sai bene che chi infrange quest’ultime viene punito – spiegò Klein, incrociando le braccia, facendo cenno a Shen di posizionarsi dietro il pistolero.

-Io non prendo nessuna libertà, Klein, ho semplicemente riferito cosa era accaduto. Conosco fin troppo bene il vostro modo di agire, nascondete particolari scomodi in modo tale da sfruttare gli altri come pedine, per appropriarvi di manufatti che non vi spettano; celi le tue meschine azioni dietro un falso ideale di ordine e pace nel paese, ma io so chi sei, conosco i fiumi di sangue che indelebilmente hanno macchiato le tue mani. Hai agito così quattro anni fa e così hai fatto recentemente, omettendo il particolare che la falce darkin trattenuta troppo a lungo dalle mani di Selene, avrebbe risvegliato il mostro che è in lei...- ringhiò Jhin, stringendo i pugni e serrando la mascella per la rabbia.

-Vi avevo vietato di rivelare le vostre identità – intervenne Shen, guardando duramente i due Guardiani.

A quelle parole Jhin comprese che anche i due Guardiani oltre a sottostare agli ordini del Consiglio, erano in rapporti con l’Ordine di Shen stesso; questo bastò a mandarlo su tutte le furie: era stanco delle menzogne, di riporre la sua fiducia negli altri e vederla andare in frantumi. Fissò rabbiosamente Hadmon e Selene, a stento tratteneva il suo odio e il desiderio di colpire entrambi: era stato raggirato con l’inganno e alla fine aveva finito per riporre fiducia in loro, aiutando persino il dragone a salvare quella stupida donna di cui si stava innamorando. Era stato tradito.

-È stata una situazione di emergenza, inoltre siamo stati attaccati da Zed, ma non eravamo stati avvisati che lui conosceva la mia identità – spiegò Selene, deglutendo a vuoto.

-Di questo non eravamo a conoscenza nemmeno noi, ad ogni modo di una cosa mi ero raccomandato: non rivelare la tua identità, peggio ancora confessare che sei il detentore di Thanatòs. Quando ti avevo parlato privatamente ti avevo fatto due richieste e speravo onestamente che le avresti rispettate, oltre alla raccomandazione, ti avevo chiesto di non farti ammaliare da questo uomo e attualmente non sono molto sicuro che tu non abbia infranto il mio secondo divieto. Se Roak ha esposto la sua ipotesi è perché ha avuto modo di notare qualcosa il giorno in cui vi ha ricevuti; se stai nascondendo qualcosa per salvare questa feccia dalla sua punizione, posso assicurarti che non comporterà nella di buono – disse minacciosamente Shen.

-Se dovesse accadere una cosa del genere il Supremo Consiglio di Ionia cui rispondiamo, sarebbe inorridito e sorpreso dalla vostra condotta signorina Selene; perciò vi pongo nuovamente la domanda di Klein, voi siete in alcun modo, seppure minimamente, legata a questo uomo? – domandò Kusho, incrociando le braccia.

-Vi ha già risposto, tra la mia compagna e il Demone d’Oro non sussiste alcuna relazione. Vi prego di non prendere alcun provvedimento su Khada Jhin, ha rispettato il suo compito ed è stato provocato dal sovrano di Vindor al che lui ha reagito di risposta – spiegò Hadmon, nella direzione di Kusho e Klein.

Selene ringraziò mentalmente il compagno per essere intervenuto in suo aiuto, di fronte agli occhi meticolosi di Kusho aveva temuto che non sarebbe riuscita a esporre una falsa versione dei fatti senza essere scoperta; tuttavia nonostante l’intervento di Hadmon, sentiva su di sé lo sguardo affilato del pistolero: percepiva la sua rabbia e il suo odio che di lì a breve avrebbero preso il sopravvento. Era cosciente che il suo sguardo si fosse incupito nel momento in cui Shen aveva parlato e rivelato il legame tra l’Ordine di Kusho, lei e Hadmon; ricordava ancora il giorno in cui aveva chiesto informazioni a Jhin su Zed, e lui le aveva spiegato le identità del fratellastro e di Shen, nella sua voce e nel suo occhio scarlatto aveva colto solo il puro odio. Lei e Hadmon avevano tradito il briciolo di fiducia che lui aveva riposto in loro, e questo bastò a far crescere la sua preoccupazione; a peggiorare la situazione vi era il suo sesto senso che le suggeriva che a breve, se Shen o Kusho avrebbero continuato a parlare, Jhin avrebbe agito istintivamente e rovinato ulteriormente la sua posizione, e per quanto volesse negarlo, lei voleva in tutti i modi salvarlo dalla sua condizione: ne era innamorata.

-È questa la verità signor Hadmon? – domandò Hanzai, mentre alle sue spalle gli anziani del Consiglio annuivano come ad appoggiare la domanda del maestro.

-Si, il sovrano Roak ha detto lui stesso delle frasi appositamente provocatorie, che io stesso non ho apprezzato; ha fatto riferimento ad avvenimenti passati e suggerito che Jhin sarebbe dovuto morire quattro anni fa. Nessuno ci ha spiegato questi avvenimenti, ma ci siamo sentiti in dovere di prendere posizione e difendere quest’uomo, non tolleriamo l’eccessivo rancore mostrato verso di lui – commentò Hadmon, incrociando le braccia; era quasi certo che in quella riunione nessuno tollerasse la presenza di Jhin e peggio ancora, molti lo avrebbero preferito morto.

Per quanto Jhin odiasse doversi far difendere da coloro che avevano tradito la sua fiducia, decise di continuare a restare in silenzio; tuttavia a stento tollerava gli sguardi sprezzanti che ogni uomo lì presente gli rivolgeva, soprattutto quello di Shen e Klein che con superiorità gli rivolgevano lo stesso sguardo che aveva ricevuto il giorno dell’incidente e quello contribuiva a far crescere in lui la sete di sangue e vendetta che attendeva da anni. Accanto a lui, Shen era pronto ad agire se lui avesse fatto azioni spropositate, perciò mise la mano sul fodero in pelle della pistola, pronto ad un eventuale azione del ninja; conosceva bene il genere di punizioni inflitte dal Consiglio, le cicatrici sul suo corpo bruciavano ancora al solo pensiero.

I due Guardiani videro Klein e Kusho scambiarsi un’occhiata di intesa e sospirare pesantemente, per poi rivolgersi ai presenti chiedendo se alcuni avessero pensieri da esporre a riguardo; quando nessuno dei membri proferì parola, allora il capo del Consiglio di Ionia decise di sciogliere la riunione, dichiarando che non sarebbero stati presi alcuni provvedimenti sul pistolero ma questi avrebbe dovuto prestare attenzione alle sue future azioni. Sebbene quelle parole rincuorarono i due Guardiani, fecero adirare Shen il quale non poté più trattenere il suo disprezzo.

-Per questa volta, ritieniti fortunato di aver avuto un partito che ti ha salvato; ti attenderò, al tuo primo passo falso, i cani come te, devono apprendere la disciplina o morire. Sappi che qualora ti avvicinerai a Selene e tenterai di tessere la tua tela intorno a lei, ti farò rimpiangere il giorno in cui non sei morto insieme a Joanna, feccia – ringhiò Shen vicino a Jhin, in parte, provocandolo appositamente.

Persa definitivamente la pazienza, Jhin slacciò il fodero della sua pistola, afferrò Sussurro tra le mani e la puntò contro Shen; a sua volta il ninja, avendo capito le sue intenzioni, sfoderò la sua spada e la puntò al suo collo.

-Come osi… - ringhiò Jhin furioso.

Prontamente i due Guardiani, scattarono per separare i due combattenti. Per non destare sospetti, Hadmon si precipitò su Jhin e lo colpì dietro il collo, stordendolo e facendogli perdere i sensi, mentre Selene si pose tra i due, spostando la lama di Shen con le sue stesse mani che si ferirono.

-Ninja del vostro Ordine, non dovrebbero lasciarsi prendere dall’odio. Khada Jhin è sotto la nostra custodia, a nome di entrambi, preferirei che parole di questo genere, le stesse pronunciate da Roak, non vengano dette in nostra presenza. Noi lavoriamo per voi, ma non tolleriamo tutto questo disprezzo – osservò Hadmon, caricandosi sulle spalle il corpo svenuto di Jhin.

-Attenzione da che parte state; è un battito di ciglia, e anche voi, come mio fratello, passerete dalla parte sbagliata; questo vale soprattutto per te Selene – disse Shen, severamente.

-Ho già ribadito che nessuno di noi due correrà questo rischio. Sia io, sia Hadmon, stiamo agendo secondo le nostre modalità; in particolare io non ho nessun legame con quest’uomo, mi dispiace solo che possano essere nati questi sospetti – disse Selene, mentendo: quelle parole furono pesanti come macigni e affilate come le lame che trapassarono il suo cuore.

-Se le vostre parole sono la verità, vi porgo le mie sentite scuse. Hanzai ci terrà informati sui vostri progressi – concluse Shen, rinfoderando la sua spada.

Al termine di quella discussione, Selene aiutò Hadmon a portare Jhin verso l’abitazione poco distante da lì; purtroppo data la posizione isolata di quest’ultima nessun mezzo li avrebbe potuti aiutare nel trasporto del corpo dell’uomo. Accompagnati da Shen e con Klein e Hanzai al loro seguito, Hadmon e Selene giunsero fuori dalla struttura, dove Klein li congedò non dopo aver messo i due in guardia entrambi e detto a Selene di prestare molta attenzione; nonostante Klein spiegò che il suo era solo un consiglio che avrebbe contribuito ad avere vita facile nell’abitazione, Selene giurò che lo sguardo affilato che l’uomo le rivolse e il tono severo con cui pronunciò le sue parole, fecero apparire il suo monito simile a una minaccia. Dopo quell’avvertimento Klein, Hanzai e Shen, rimasti ormai gli unici membri del Consiglio, si diressero verso la carrozza che li avrebbe condotti presso la sede segreta del Consiglio Supremo di Ionia, ove avrebbero riferito il successo della missione; Hadmon e Selene, invece si avviarono silenziosamente verso l’abitazione.

Di fronte a loro il sole si stava lentamente nascondendo dietro le colline di Tuula, lasciando che il fresco e il buio serale, avvolgesse l’intero paesaggio; Selene in cuor suo sapeva che quel pomeriggio erano riusciti a risolvere ogni controversia grazie alla diplomazia di Hadmon, il quale sicuramente voleva delle spiegazioni circa i sospetti che nutriva il Consiglio su lei e Jhin.

-I sospetti del Consiglio erano fondati Selene? Voglio dire, te ti stai affezionando a Jhin? – chiese Hadmon.

Per qualche minuto Selene rimase in silenzio, riflettendo; poteva mentire al compagno, eppure non sarebbe stato da lei, non era in grado di dire bugie ad Hadmon questo perché lui sapeva leggere perfettamente la sua anima semplicemente guardando i suoi occhi ghiaccio. Tuttavia quanto accaduto tra lei e Jhin, sebbene lei volesse negare che avesse una certa rilevanza, proprio non ci riusciva.

-Si erano fondati – disse Selene amaramente, sentendo gli occhi pizzicare mentre la preoccupazione e lo stress del pomeriggio precedente lasciavano le sue stanche membra.

Silenziosamente Selene lasciò che le lacrime percorressero le sue guance; non riuscì a placarle, sebbene odiasse mostrarsi in quella condizione. Odiava con tutta sé stessa il suo cuore che si era innamorato di quell’uomo, costringendola a provare un sentimento a loro proibito; odiava il fatto che quel filo invisibile non volesse abbandonare il suo cuore, ma lo tirava insistentemente fuori dalla sabbia sotto cui lei celava i suoi sentimenti e peggio ancora era estremamente dispiaciuta di aver fatto passare ad Hadmon ore di tensione a causa di un suo errore. “Perché…”si chiese mentalmente.

-Scusami Hadmon…- sussurrò Selene, asciugando le sue lacrime – scusa se ti ho recato tutti questi problemi oggi pomeriggio –

Accanto a lei Hadmon sorrise teneramente, le prese gentilmente la mano mentre con l’altra teneva il corpo di Jhin; gliela strinse calorosamente e subito lei posò gli occhi su di lui, fermandosi lungo la strada. Non avrebbe rimproverato mai la compagna e né tantomeno limitato le sue idee, anzi l’avrebbe difesa con ogni mezzo in suo possesso davanti al Consiglio.

-Non dire stupidaggini, Selene. Non mi hai dato nessun problema, mai me lo darai; se ho stipulato un patto con te ci sarà un motivo, così avresti potuto darmi da fare per l’eternità – scherzò Hadmon, facendola ridacchiare e tranquillizzare, poi proseguì – cerca di rilassarti, questa piccola parentesi la conosceremo solo io e te, sappi che da me avrai sempre e solo l’appoggio –

-Grazie Hadmon… in ogni caso, dobbiamo indagare sull’incidente di quattro anni fa, qualcosa del Consiglio mi puzza – osservò Selene, notando l’amico annuire.

Hadmon confessò che i suoi sospetti erano cresciuti dopo il commento fatto da Shen su Jhin, poi cambiando argomento le disse di aver trovato il libro che loro cercavano e a quella confessione la donna si illuminò al punto che lasciò la presa sul braccio di Jhin e abbracciò il compagno, ringraziandolo per tutto il suo lavoro. Il Guardiano le spiegò che il libro si trovava a Noxus e che nell’eventualità in cui avessero ricevuto un incarico con quella destinazione, lo avrebbero recuperato e studiato, altrimenti sarebbero andati loro di persona al termine della loro permanenza a Ionia. L’espressione di contentezza che si dipinse sul volto di Selene, riempì di gioia anche l’amico il quale desiderava più di qualsiasi altra cosa salvarla dal suo destino. Insieme ripresero a camminare e Hadmon scherzosamente colse l’occasione per chiederle di più su cosa fosse accaduto tra lei e Jhin, ridendo fragorosamente quando l’altra divenne rossa come un pomodoro; fu allora che Selene gli spiegò gli avvenimenti della locanda e rise quando Hadmon sgranò gli occhi all’udire della notizia che l’aveva baciata. Scherzare li rallegrò entrambi, soprattutto avere del tempo da spendere insieme, cosa che non avevano avuto da quando Hadmon aveva iniziato le sue ricerche; ormai le vicende del pomeriggio erano acqua passata e loro ben presto arrivarono all’abitazione dove lasciarono Jhin nella sua stanza, ancora svenuto, e poi passarono il resto della serata in compagnia di Ana. Tuttavia sebbene passarono una serata tranquilla, mentre osservava il cielo stellato in cuor suo Hadmon sapeva che presto avrebbe dovuto dare consegnare a Selene la pergamena proveniente dall’isola dei Guardiani, e mentre il buio avvolgeva la loro abitazione, osservando la figura di Selene, sperò che il suo fragile corpicino avrebbe retto quel fardello.

 

 

 

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Capitolo 11
*** Confessions ***


10.Cap9

“Sul grande orologio del tempo c’è scritta una parola sola: ora.”

Miguel de Cervantes

 

Come ogni mattina, Selene si alzò quasi all’ora di pranzo, controllò l’orario su un piccolo orologio sul comodino: era quasi mezzogiorno; perciò decise di alzarsi e fare una passeggiata per rilassarsi e scacciare via ogni preoccupazione inerente alla riunione del giorno prima. Si diresse verso l’armadio e notò che appeso ad esso vi era un piccolo foglietto di carta lasciato da Hadmon: “sarò di ritorno oggi pomeriggio sul presto così potremmo allenarci; sono andato a raccogliere più informazioni sul libro che cerchiamo. Ana è uscita insieme a me. A presto”. Quel biglietto la mise di buon umore e quindi molto velocemente si vestì, indossando la sua armatura, poi prese il libro che studiava da giorni e aprì la porta: rabbrividì.

Di fronte a lei si stagliava la figura di Jhin, con indosso il completo che aveva portato il giorno della loro missione nella landa: cappello in pelle, fazzoletto sul viso e occhiali dalle spesse lenti; un lungo scialle arancione che copriva un gilet in pelle, una camicia bianca, e infine dei lunghi pantaloni in pelle con alti stivali. Ciò che la spaventò fu in fatto che l’uomo tratteneva tra le mani la sua pistola, pronto a far fuoco su di lei; a confermare le sue intenzioni fu lo sguardo rabbioso e assassino che colse sotto le spesse lenti degli occhiali di fronte al quale il suo istinto le suggerì di fuggire. La furia omicida accompagnata all’odio dell’uomo, la terrorizzò; lei conosceva alla perfezione il motivo di tanta sete di sangue: lei aveva tradito la sua fiducia insieme ad Hadmon. Vide Jhin puntarle la pistola alla fronte e posare l’indice sul grilletto. Deglutì a vuoto.

-Jhin…- balbettò Selene, il labbro inferiore le tremava.

-Grazie per avermi risparmiato la fatica di dover bussare alla tua misera porta. Questa sarà l’ultima volta che ti cercherò, ora muori – ringhiò Jhin, preparandosi a far fuoco.

Il pistolero sparò il primo colpo, Selene fece giusto in tempo a dissolversi, venir colpita di striscio dal proiettile che la ferì lievemente sul viso e riapparire alle spalle dell’uomo; mossa dal terrore iniziò a correre e si diresse verso le scale, mentre alle sue spalle Jhin incombeva su di lei famelico.

Il rintocco della campana del mezzogiorno riecheggiò per la valle, il suono arrivò attutito al giardino della villa, ma questo bastò a farla tremare. Percorse le scale con estrema rapidità, come se alle spalle l’oscurità più profonda minacciava di inghiottirla. Il ritmo frenetico dei suoi stivali fu sovrastato dal lento passo del suo aggressore. Rimase come impietrita, si voltò per un istante incontrando il suo sguardo assassino: rabbrividì, mentre il rumore del legno colpito dai tacchi degli stivali dell’uomo riecheggiava nella vuota abitazione.

Tac. Tac. Tac.

A ogni colpo percepiva l’ambiente divenire sempre più gelido e il suo cuore accelerare di uno, due battiti mentre il dolore si faceva largo nel suo petto; scappò fuori nel giardino della residenza, raggiungendo il cancello. Ogni cosa appartenente a quel luogo era intrisa di minaccia e lei doveva abbandonarlo. Il colpo della familiare arma da fuoco e il metallo gelido della recinzione vibrò violentemente sotto le sue mani: un primo proiettile era stato sparato. Il primo di tanti. Il dolore si diffuse nella sua mano dal punto sfiorato dal bossolo e da lì raggiunse il suo cuore straziato: no. Non sarebbe dovuto accadere tutto quello.

Tac. Tac. Tac.

Il rumore sottile dei tacchi portava con sé minaccia, ma anche la sofferenza di un atto che non doveva essere compiuto. Il peggiore tra tutti. Di nuovo un brivido di paura le percorse la schiena.

Tac. Tac. Tac.

Morse il labbro ricacciando indietro le lacrime, aprì il cancello, sapeva che era sbagliato, che non sarebbe dovuta scappare, ma come si sarebbe dovuta spiegare su tutto l’accaduto; lui non avrebbe compreso, non in quello stato. Una lacrima, come la più tremenda delle falci, solcò la sua guancia. Con forza ricacciò indietro le altre, percorse pochi metri oltre la recinzione ma un secondo proiettile fu sparato di fronte ai suoi piedi avvertendola di non proseguire oltre; alzò lo sguardo voltandosi e affrontandolo, mossa dalla vana speranza che non fuggendo avrebbe chiarito.

-Uno – ringhiò l’aggressore.

L’uomo si immobilizzò a pochi metri di distanza da lei, non si espresse, il suo odio era più esaustivo di qualunque parola, adombrava il suo occhio scarlatto così come il lume della poca ragione rimastagli; squadrandolo sapeva che dietro quello sguardo si celava un’infinità di stati contrastanti, poteva solo immaginare i lineamenti del suo viso contratti dalla frustrazione, dalla rabbia: motivi per cui non avrebbe mai potuto comprendere in quello stato e questo bastò a dare un pretesto alle sue lacrime di tornare con forza, inumidendole gli occhi.

Dong: la campana rintoccò una seconda volta.

-Te ne prego… - supplicò lei, vedendolo avanzare.

Il suo aggressore non si scompose minimamente, le sue parole non lo toccarono affatto e a conferma di ciò fu un ulteriore passo nella sua direzione; si voltò e tentò di riprendere la sua fuga ma un altro colpo fu sparato, stavolta le sfiorò la spalla ferendola: un secondo avvertimento.

-Due – sussurrò l’uomo, facendo roteare la pistola tra le dita, scattando e afferrandola per il collo non appena lei abbassò la guardia.

In silenzio fu riportata all’interno del giardino, trascinata per il collo e infine inchiodata al suolo con brutalità; strinse le dita intorno al suo polso per la mancanza di ossigeno, supplicandolo silenziosamente di fermarsi.

-Tre – contò, inspirando rumorosamente per poi sibilare – non avresti dovuto. Perché? –

Le sue parole si mischiarono con il rintocco della terza campana.

Sentì la presa allentarsi, vedendo l’aggressore posare una mano a terra accanto al suo capo e con l’altra puntarle la pistola alla fronte. Percependo il freddo metallo dell’arma a contatto con la sua pelle iniziò a singhiozzare: non c'era più possibilità di rimediare?

-Non mi ripeterò due volte. Parla – ordinò l’uomo.

-Ti prego, non farlo – supplicò lei, posando una mano su quella che impugnava la pistola.

Lo vide irrigidirsi, il suo occhio scarlatto si socchiuse: non era solo lei in quello stato. Quando lo riaprì, colse la rabbia mista al profondo dolore.

-Non supplicarmi. Sai benissimo che non indulgerei – ribatté, frustrato.

Allora la donna strinse le dita intorno alle sue che attendevano sul grilletto: doveva tentare.

-Fallo –  disse lei con gli occhi ricolmi di lacrime.

Fu allora che la campana rintoccò l’ultima e quarta volta. Le labbra le tremava. Chiuse gli occhi e attese.

Jhin strinse l’impugnatura di Sussurro, morse il labbro inferiore e strinse i pugni: “spara” ordinò mentalmente a sé stesso “elimina le tue debolezze”. Cercò di premere con l’indice il grilletto, ma il suo cuore gli urlava di riporre quell’arma e abbandonarsi al corso degli eventi, lasciando alle spalle il suo odio; lui doveva porre fine a quella storia, odiava il suo cuore e i sentimenti che nutriva verso di lei: più si opponeva a loro e più falliva, maledicendosi ogni volta per averla allontanata quando la desiderava vicino. Di quel passo sarebbe impazzito, eppure perché, conoscendo la fonte dei suoi tormenti, e disponendo della possibilità di porvi fine, non riusciva a ucciderla? Estremamente frustrato la vide chiudere gli occhi, ma non appena notò le lacrime di lei percorrere le sue guance si sentì morire: lui non avrebbe voluto mai farle del male. No. Doveva ucciderla. Impugnò con entrambe le mani Sussurro e premette la pistola sulla fronte di lei. Quando contò mentalmente fino a quattro, ma subito si rese conto che non poteva ucciderla: lui ne era innamorato, e per quanto odiasse quel sentimento unito all’idea del legame tra lei e Shen, non poteva sfuggire a quella realtà. Preso dalla frustrazione e dalla rabbia, sollevò Sussurro e la ripose per poi sbattere i pugni a terra, vicino al capo di lei.

-Perché! – urlò il pistolero, furioso con sé stesso.

Vide Selene aprire gli occhi ricolmi di lacrime e li inchiodò su di lui: morse il suo labbro per trattenere la tristezza che i ricordi di quattro anni prima stavano portando con sé. Lui non era in grado di ripetere quell’omicidio, desiderava con tutto sé stesso poterla avere accanto ma allo stesso tempo aveva paura dei suoi sentimenti, di poterla mandare in frantumi. Si chinò su di lei, nascondendo il viso tra il collo di Selene e il suolo.

-Ti odio… cosa mi stai facendo, Selene?! Perché mi è così difficile starti lontano, dimmi perché?! Perché mi è impossibile costruire dei muri e rendere inevitabile il fatto che io mi innamori anche di essi?! Dimmelo! Odio tutto questo, perché! Tu mi fai paura e allo stesso tempo mi salvi dai miei demoni, lo fai con una semplicità che mi spiazza… con una serenità che non mi appartiene ma che io desidero così tanto. Non riesco a ucciderti, io non potrei mai; questo l’ho sempre saputo e mi ha sempre spaventato – disse Jhin, con voce rauca, mentre il dolore aveva iniziato a spandersi dal suo cuore in tutto il corpo nel momento in cui aveva deciso di abbandonarsi alla miriade di ricordi e alla sofferenza che questi portavano con sé; una lacrima di frustrazione e dolore percorse il suo viso, solcandone le guance – dimmi cosa mi stai facendo? Dimmi perché insisti a stare accanto a un mostro come me? -

In silenzio e con gli occhi ancora inumiditi dal pianto, Selene avvolse timorosamente le spalle di Jhin; posò le dita sulla schiena di lui e quando vide che l’altro non opponeva resistenza, la avvolse interamente con le sue braccia. Lasciò scivolare una mano dietro il capo di lui, attendendo che la sua rabbia scemasse via una volta per tutte. Quando il fazzoletto bagnato dell’uomo sfiorò il suo collo, si rese conto che per la prima volta un uomo come Jhin stava piangendo; comprese perciò che il suo dolore era più profondo di quanto pensasse e affrontarlo non sarebbe stato affatto facile.

-Io non intendevo tradire la tua fiducia Jhin, ma non potevo non rispettare il volere di Shen. Perdonami. Io vorrei poterti aiutare, desidero con tutta me stessa salvarti; io mi sono…- disse Selene, confessando ormai quei sentimenti che non poteva più nascondere.

-No. Non dirlo! Ti prego, tu non sai chi sono, e appena scopriresti il mio passato e il mio vero volto fuggiresti. Questo mi manderebbe in frantumi – sussurrò Jhin, in verità il suo cuore desiderava ascoltare quelle parole che lui stesso avrebbe voluto pronunciare così tanto.

-Io mi sono innamorata di te, Jhin. Non riuscirei mai a sfuggire da te, pur volendo non potrei mai – confessò Selene, sentendo le mani dell’altro passare una sotto il suo capo e una dietro la sua schiena, avvolgendola in un timido abbraccio – scusami, non avrei mai potuto immaginare di poterti recare tanto dolore… ho provato a non innamorarmi di te, eppure… -

-Non ci sono riuscito… - dichiarò Jhin concludendo la sua frase; ormai era mosso più dal suo cuore che dalla sua mente: niente aveva più importanza ormai, se non lui e lei.

A quelle parole Selene sussultò e vide l’altro sollevarsi sulle sue mani, e inchiodare lo sguardo nel suo. Il suo cuore aveva iniziato a battere freneticamente quando la luce, incontrando la lente dei suoi occhiali, aveva rivelato il suo occhio scarlatto intento ad osservarla famelicamente; quello sarebbe stato il loro punto di non ritorno, ma sebbene questo costituisse un pericolo per entrambi, a Selene andava bene.

-Sai cosa comporterà vero? I sospetti, l’odio di ieri, sono solo il primo granello di una tempesta che si solleverà, quando tutto questo verrà allo scoperto – osservò Jhin, ormai era sempre più convinto di non poter rifiutare quei sentimenti che calorosamente avvolgevano la sua anima. cambiandola – a quel punto, io e te che siamo un ingranaggio impazzito, verremo separati e su di me riversate le colpe e quindi ucciso –

-So tutto questo, sono consapevole dei rischi che corriamo; la posta in gioco è alta, ma io non voglio rinunciare– dichiarò Selene, abbassando lo sguardo a terra prima che il suo mento venisse sollevato verso l’alto.

-Sei disposta ad accettarlo? – chiese l’altro, non negando che le parole di lei avevano riscaldato il suo cuore con la loro ormai familiare delicatezza – ad accettare l’uomo che io sono? Per me non c’è salvezza Selene… -

-Si, lo accetto – disse Selene sorridendo dolcemente, posando una mano sul fazzoletto sul viso di lui.

Per un istante Jhin si beò di quegli occhi ghiaccio la cui tonalità aveva assunto una nota più chiara; non poté più resistere a quei sentimenti che erano divenuti insistenti come l’invisibile legame tra loro divenuto più che solido. Tuttavia ancora non era pronto a mostrare per interezza il suo viso, per paura di essere allontanato; così con delicatezza le coprì gli occhi e spostò il fazzoletto che copriva il suo viso. Lentamente si chinò sulle labbra di lei: per quanto tempo aveva atteso quel contatto, nei giorni precedenti non aveva fatto altro che rifletterci sopra; istintivamente la vide portare una mano al suo viso e carezzare la sua pelle con le dita. Con dolcezza lasciò cullarsi da quel gesto, posandovi interamente la guancia; poi gliela scostò immobilizzandola a terra, e posò le labbra su quelle di lei. Le lambì con estrema gentilezza, come se lei fosse qualcosa che sarebbe potuto andare in frantumi da un momento all’altro; lasciò che lei corresse nuovamente al suo viso con le dita lasciandosi di nuovo cullare dalle sue carezze, finalmente aveva ritrovato la pace che gli era mancata da anni e il suo cuore gelido e ferito si stava risanando piano piano. Su quel bacio sigillò la sua promessa: i fantasmi e l’odio del Consiglio non avrebbero allungato i loro artigli su di lei e su di loro, e insieme ad essa si marchiò nel loro cuore il simbolo di un divieto infranto che avrebbe li avrebbe perseguitati, qualora si fossero mai esposti.

Quando Jhin si separò da lei, sistemò il suo fazzoletto e le tolse la mano dagli occhi, sorrise sotto la maschera della sua espressione imbarazzata e si mise in piedi, porgendole la mano per rimettersi in piedi che lei afferrò esitante; quando la sottile mano di lei sfiorò la sua, la strinse calorosamente e con sorpresa di entrambi si inginocchiò di fronte a lei. Per la prima volta dopo anni, Jhin si sentì estremamente esposto e, avvolto dalle pozze ghiaccio di lei, protetto; la sua corazza di ghiaccio andò di nuovo in frantumi ma stavolta non sentì alcun dolore, anzi uno strano coraggio si stava facendo largo in lui allontanando sempre più la paura che nei giorni precedenti aveva preso possesso delle sue membra. Notò l’espressione interrogativa di Selene cercare di comprendere le sue intenzioni, senza riuscirci.

-Insegnami ad amare, angelo – disse Jhin, chinando il capo: solo a lei sarebbe stato possibile vedere quel suo lato umano – la mia anima e il mio cuore sono stati divorati dall’odio in tutti questi anni, perciò questa è la mia richiesta, la accetterai? –

Il Demone d’Oro vide Selene sorridere, le sue labbra si piegarono assumendo quell’espressione serena che lui non aveva più avuto da quattro anni e si rese conto della effettiva bellezza del suo viso. La vide annuire e poi venire travolto dalla sua figura, che gli gettò le braccia al collo; sorpreso da quel gesto inaspettato, avvolse esitante la sua schiena e affondò il viso nei suoi capelli, inspirando a pieni polmoni il suo profumo.

-Si che accetto – disse Selene, percependo un brivido percorrere la sua schiena quando le mani di lui carezzarono i suoi fianchi.

Quell’abbraccio durò a lungo, finché quando in lontananza sentirono le voci di Hadmon e Ana entrambi non decisero di separarsi, valutando che sarebbe stato opportuno attenderli in casa, fingendo che niente era accaduto. Varcata la soglia della porta e raggiunto il salone, Jhin si sdraiò sul divano mentre Selene percorse con gli occhi i libri disposti ordinatamente nella libreria che copriva i muri della sala. La maggior parte di essi era di letteratura classica e fu allora che si rese conto che sicuramente appartenevano a Jhin.

Presto Hadmon e Ana si presentarono sulla soglia di casa e li salutarono entrambi, non dopo essere rimasti sorpresi della presenza di Jhin sul divano. Ancor più sconcertato fu Hadmon, sicuro che il pistolero avrebbe reagito violentemente alla sua presenza dopo la rivelazione di ieri; ciò che lo lasciava ancor più perplesso era l’espressione rilassata di Selene intenta a leggere in piedi un libro di letteratura classica.

-Ok, c’è qualcosa che non va qui– osservò Hadmon, mentre Ana andava a posare le buste con la spesa in cucina per poi tornare da loro e sedersi in salone.

Il dragone notò Jhin sollevare a malapena il cappello per rivolgergli un’occhiata veloce; Selene lo guardò con espressione interrogativa, cosa stava succedendo?

-Perché sei così tranquillo? Credevo ci avresti aggredito dopo quanto accaduto ieri, non avrei mai immaginato di trovarti così rilassato – disse Hadmon verso Jhin.

-Di che stai parlando? – domandò Jhin, sollevando il cappello, accavallando le gambe e incrociando le braccia.

-Avrei giurato che ci avresti puntato una pistola alla fronte come ieri con Shen – osservò il Guardiano.

Agilmente Jhin si tirò su a sedere, afferrò Hadmon per il collo e lo inchiodò con le spalle al muro per poi sfoderare e puntare Sussurro alla sua fronte; l’espressione sorpresa e preoccupata del Guardiano suscitò in lui una profonda risata.

-Se insisti posso anche premere il grilletto – scherzò Jhin, rinfoderando Sussurro – ancora devo vendicarmi del colpo basso che mi hai inferto ieri –

-Mi dispiace, vorremo spiegarti tutto, non volevamo ingannarti – spiegò Hadmon ricomponendosi: era rimasto turbato da quel suo scatto, non negando che quella sua reazione lo avesse colto alla sprovvista.

-Selene mi ha già fornito tutte le spiegazioni. Nonostante non possa accettare l’idea che mi sia stata nascosta una cosa del genere, devo pur ammettere che non avreste potuto fare altrimenti – osservò il pistolero sedendosi sul divano.

A quelle parole, Hadmon si tranquillizzò e trasse un sospiro di sollievo, l’ultima delle cose che avrebbe voluto era inimicarsi anche Jhin dopo le tensioni che si erano venute a creare il giorno prima col Consiglio. Apprezzò la comprensione dell’altro e rivolse di soppiatto un’occhiata a Selene, ringraziandola silenziosamente per lo sforzo di avergli spiegato la situazione, sebbene non sapesse cosa effettivamente fosse accaduto la mattina stessa. Quella mattina, Hadmon aveva incontrato Hanzai in paese e aveva chiesto di ricevere privatamente lui e Selene il giorno successivo per discutere degli avvenimenti in Consiglio; inoltre ancora doveva consegnare la missiva a Selene proveniente dall’isola dei Guardiani, avrebbe dovuto prenderla in disparte eppure ancora non aveva il coraggio di compiere quel gesto. Si ritrovò a fissare il cielo scuro portatore di pioggia fuori dalle finestre del salotto, e decise infine che le avrebbe consegnato la missiva seduta stante, senza esitare. Timorosamente chiamò la compagna e insieme a lei si voltò anche Jhin il quale intuì le sue intenzioni; le chiese di uscire fuori con lui, dovendogli parlare di alcune notizie riguardanti l’Isola dei Guardiani. Tutti e tre notarono il cambio di espressione di Selene, la quale abbandonò la serenità dei minuti precedenti e divenne più seria, seguendolo in giardino. Ana fece per seguirla, ma Jhin sollevò una mano nella sua direzione scuotendo il capo.

In silenzio Selene seguì Hadmon fuori dall’abitazione, l’espressione tesa dell’amico la fece preoccupare particolarmente eppure non decise di fare domande e attendere una sua mossa; mentre si dirigevano al centro del giardino, volse lo sguardo al cielo e una piccola goccia d’acqua bagnò la sua guancia: stava iniziando a piovere. Improvvisamente Hadmon si fermò e si voltò verso di lei; ciò che più la turbò fu la sua espressione addolorata e lo sguardo abbassato sulla missiva.

-Mi dispiace, Selene –

A quelle parole, Selene sentì la preoccupazione crescere e velocemente afferrò la busta, estrasse la lettera e percorse freneticamente le righe con gli occhi, leggendole. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime quando lesse che l’ordine di Zwey aveva dato il via a una congiura con l’unico scopo di uccidere suo padre e prendere il potere; nel tentativo di tenere sotto controllo l’ordine i monaci avevano abbandonato il Re il quale era stato ferito a morte. “Sono addolorato dall’idea di doverti comunicare la morte di tuo padre, Selene, abbiamo fatto il possibile per salvarlo ma la ferita era troppo profonda per essere curata in tempo. Per quanto possa essere di magra consolazione, siamo riusciti ad allontanare l’ordine, sebbene le loro azioni siano imperdonabili, il potere non è caduto nelle loro mani; non escludo la possibilità che abbiano inviato dei sicari a Ionia per ucciderti o che lo stesso Zwey si stia recando da te. “

Selene cadde in ginocchio, lasciando che la lettera precipitasse a terra; fu un istante e poi scoppiò in lacrime, sbattendo un pugno a terra e ripiegandosi su sé stessa. Un gemito di dolore lasciò le sue labbra e si diffuse nell’aria, come era potuto accadere? A quel pensiero il suo pianto si fece più rumoroso e un suo urlo tranciò l’aria, sentendo il cuore andare in frantumi al pensiero di non essere stata presente per difendere suo padre. Tutto per il suo stupido Demone, tutto per cercare i segreti del suo potere. Sentì le gocce di acqua della pioggia mischiarsi con le sue lacrime e Hadmon abbracciarla calorosamente; tuttavia nessun calore poteva raggiungere il suo cuore e la sua anima.

Sotto la pioggia scrosciante, Selene rivolse lo sguardo al cielo nero e pianse a dirotto; Hadmon, affranto, aveva intuito la sua richiesta e l’aveva lasciata sola con sé stessa. Incurante della gelida acqua che si infrangeva sul suo corpo rendendo le membra di lei ghiacciate, Selene non riusciva a bloccare il dolore e il senso di solitudine che si faceva lentamente largo in lei; non riusciva, e mai lo avrebbe fatto, a perdonarsi l’idea di non aver potuto far nulla per la morte di suo padre e ogni qualvolta formulava quel pensiero le lacrime riprendevano a solcare le sue guance e i suoi gemiti si levavano nell’aria, tranciando il silenzio tombale calato sull’abitazione. Di fronte a lei, la lettera del suo maestro si era ormai bagnata, e l’inchiostro era lentamente sbiadito, finché la carta non si era rovinata sotto l’acqua. Pianse finché non ebbe più lacrime da versare; sentì alle sue spalle qualcuno avvicinarsi con passo felpato, si voltò scorgendo la figura di Ana con un ombrello in mano, che si inginocchiò su di lei avvolgendola in un abbraccio e invitandola ad entrare e a tranquillizzarsi.

-No…- disse Selene, mentre le labbra e il suo corpo avevano preso a tremare, riprendendo a piangere.

-Forza Selene, vieni dentro, se resterai fuori ti ammalerai…- disse Ana, dispiaciuta di vedere l’amica in quelle condizioni e addolorata per la sua perdita.

Di fronte ai ripetuti no della Guardiana, Ana abbattuta, aveva deciso di rientrare; sulla soglia della porta Hadmon e Jhin attendevano un suo responso. Lei scosse il capo, dispiaciuta di non essere riuscita a portarla dentro casa; Hadmon sospirò bruscamente, morse il suo labbro e strinse in pugni, era furioso per quanto accaduto e poteva solo immaginare la disperazione della compagna e la sua frustrazione per non essere potuta intervenire. Quando sarebbero tornati sull’isola avrebbero cercato l’ordine di Zwey e l’avrebbero banditi per sempre, dato che ormai Selene era divenuta ufficialmente la successiva erede al trono; tuttavia ora ad ostacolarli ci sarebbero stati i sicari di Zwey e temeva una possibile reazione spropositata di Selene alla loro vista. Accanto a sé Hadmon, vide Jhin stringere i pugni, riusciva a percepire la frustrazione del compagno per non poter intervenire e aiutarla; posò una mano sulla sua spalla e gli disse che per quel momento loro non avrebbero potuto fare niente. Dal canto suo Jhin non poté ascoltare quelle parole, conosceva fin troppo bene ogni singolo sentimento che fluiva attraverso il corpo e la mente della ragazza e lasciarla a sé stessa, sarebbe stata l’ultima cosa che lui avrebbe fatto; la solitudine, il dolore avevano divorato il suo cuore per anni. Le lacrime e lo strazio che lui aveva subito, come sulle note di un crescendo, avevano raggelato il suo cuore e lo avevano seppellito; le urla che avevano lasciato le sue labbra quando aveva perso ogni cosa, avevano stampato col fuoco, nella sua anima, la parola vendetta, lasciando che la sua vita avesse come unici colori il rosso del sangue e il nero dell’odio. Sapendo questo, non avrebbe lasciato Selene sotto la pioggia scrosciante, nonostante lei non volesse nessuno accanto. Non avrebbe mai potuto farlo. Varcò la soglia della porta, ma subito Hadmon afferrò il suo braccio, per dirgli di non andare.

-Non mi interessa il suo volere, io non la abbandonerò a sé stessa. Conosco fin troppo bene la solitudine, il dolore e l’odio, e non permetterò che lei cada vittima della stessa trappola in cui sono caduto io –

Detto così, Jhin non prese nessun ombrello e lasciò che la pioggia bagnasse le sue membra, catapultandolo indietro di quattro anni al momento in cui lui, come lei, era inginocchiato sotto la pioggia urlando. Vide Selene ripiegata su sé stessa, con il viso nascosto tra le mani, si inginocchiò di fronte a lei e notò la lettera ormai rovinata e sciolta dall’acqua piovana. Selene gli disse di andare via, di voler rimanere sola di non aver bisogno dell’aiuto di nessuno; fu a quel punto che Jhin le scostò le mani dal viso, come la mattina alla locanda che l’aveva trovata nelle stesse condizioni. La donna si sollevò, rivelando i suoi occhi arrossati dal pianto e le labbra divenute violacee per via del freddo, e prima che potesse urlargli contro incitandolo ad andar via, lui la avvolse tra le braccia, stringendola a sé; Selene provò ad allontanarlo, ma più lei faceva forza, e più lui aumentava la presa.

-Io non ti abbandonerò Selene, per quanto tu voglia allontanarmi io resterò qui, finché non sceglierai di rientrare con me. Lasciati andare, angelo – disse Jhin.

Alle sue parole, Selene nascose il viso nella sua spalla e iniziò a piangere fragorosamente, aggrappandosi alla sua camicia per paura di crollare.

-Me lo hanno portato via, Jhin e io… io non ho potuto fare niente per salvarlo – gemette Selene, mentre le labbra le tremavano e furiose lacrime percorrevano le sue guance mischiandosi con la pioggia – io non ho potuto fare niente, niente. Neanche potergli stare accanto prima di morire... sono imperdonabile, io non potrò mai perdonarmelo, Jhin –

-Non è stata colpa tua, angelo, tu non hai nessuna colpa. Non avresti potuto fare altrimenti… tu non hai colpe – sussurrò il pistolero, sentendo la presa dell’altra divenire meno forte: stava perdendo coscienza, dopo aver consumato energie sotto la pioggia gelida.

Prima che Selene cadesse sul suolo, Jhin passò le braccia sotto le sue e la attirò a sé; sulla soglia della porta vide Hadmon avvicinarsi insieme ad Ana sotto un ombrello. Prese in braccio il corpo inerme di Selene, avvicinando il suo capo al suo torace e si incamminò nella direzione dei compagni; settimane prima, nella Landa aveva trattenuto Selene tra le braccia e aveva giurato che l’avrebbe distrutta, ora in quel momento aveva infranto quel giuramento definitivamente, perché avrebbe raccolto i suoi pezzi, e come lei aveva fatto con lui, l’avrebbe sostenuta. Di fronte a lui Hadmon si fermò e rivolse a Selene uno sguardo affranto, dispiaciuto per non essere riuscito a far nulla per l’amica.

-Mi dispiace Jhin, io non sono riuscito a fare niente per lei, perciò ti sono infinitamente grato- disse il dragone, prendendo tra le braccia il corpo della ragazza.

-So bene quello che lei sta vivendo, non lascerò che il mio passato si ripeta e abbia lei come protagonista. Ho troppo a cuore la sua vita…- spiegò Jhin, sorridendo affettuosamente sotto la sua maschera e carezzando il viso di lei, per poi incamminarsi verso la sua stanza per cambiarsi.

A quelle parole Hadmon, comprese che tra i due fosse nato qualcosa di estremamente profondo e che entrambi avevano smesso di negare; studiò le spalle del pistolero, non sapeva se avrebbe fatto del male a Selene questo lo avrebbe valutato col tempo, tuttavia poté essere certo che quel pomeriggio Jhin li aveva aiutati di nuovo salvando Selene da sé stessa, e di quello gli sarebbe stato infinitamente grato per il resto dei suoi giorni. Volse il suo sguardo a Selene, l’avrebbe sostenuta, qualsiasi cosa avrebbe fatto Zwey e i suoi scagnozzi, i loro artigli non sarebbero giunti su di lei. Con quel pensiero rientrò in casa insieme ad Ana, la quale disse che dovevano farle recuperare tutto il calore e le energie spese sotto la pioggia. Insieme entrarono nel bagno al secondo piano, Ana le sfilò l’armatura dal corpo lasciandola in intimo; quando la domestica si accorse della presenza di Hadmon che era lì ad aiutarla, gli disse di uscire fuori, subito l’altro arrossì per la svista e scappò fuori con l’armatura della ragazza che stese su uno stendino al primo piano, dopo di che iniziò a preparare degli infusi di erbe per far recuperare le forze a tutti.

///

 

Quando Selene riaprì gli occhi, comprese di trovarsi nel suo letto avvolta da una coperta che ora scaldava le sue membra infreddolite. Abbassò lo sguardo e vide la figura di Hadmon seduta a bordo letto, in attesa di lei che riprendesse coscienza; la morsa letale di solitudine riafferrò il suo cuore, Hadmon intuì subito il suo stato e si sdraiò con lei nel letto, rimanendo fuori dalle coperte. Volse lo sguardo fuori dalla finestra e si accorse che si era fatta sera; improvvisamente il suo stomaco iniziò a brontolare e l’amico sorrise, afferrando qualcosa dal comodino che rivelò essere dei dolci.

-Hai dormito parecchio…- spiegò Hadmon, vedendo la compagna mangiare velocemente i biscotti.

Selene non fu in grado di parlare, era ancora scossa dalla notizia e addolorata dalla perdita di suo padre; non aveva più lacrime da versare, il pianto del pomeriggio aveva consumato ogni sua energia lasciando che il suo dolore sfociasse nella completa apatia. Hadmon accanto a lei le porse una bevanda per recuperare le energie e lei la bevette con molta calma.

-Non immagini quanto mi addolora la notizia di tuo padre, ma Selene devi reagire al più presto, tu devi andare avanti e non cadere in un turbine da cui rischieresti di non uscire – disse Hadmon, vedendo la ragazza abbassare lo sguardo.

Nuovamente Hadmon vide la compagna rimanere in silenzio, fu allora che decise di cambiare argomento e dirle che aveva avuto modo di contattare il suo maestro qualche giorno prima, il quale aveva chiesto di lei; aveva colto l’occasione di ricordare alcuni piacevoli avvenimenti di loro due, con il monaco e di tutti i guai che aveva avuto con Hadmon, ricordando il giorno in cui lui con la sua coda aveva mandato in frantumi la piccola casetta dell’uomo il quale li aveva poi costretti a costruirla da capo con la magia. A quel racconto Selene abbozzò un sorriso e Hadmon decise di proseguire nei suoi ricordi, fu a quel punto che agitò una mano e con un incantesimo proiettò sul tetto l’immagine del giorno in cui avevano stipulato il loro patto nella foresta di Thillian.

-Ti avrei mangiata quella notte, se non fosse stato per la tua audacia... avevo capito subito che mi avresti dato un sacco di guai- scherzò Hadmon, sorridendo – ricordi il giorno in cui mi presentasti al tuo maestro? –

-Era scioccato… - disse Selene a bassa voce, sorridendo a sua volta.

-Non siamo mai andati d’accordo, era convinto che non sarei mai riuscito a entrare in sincronia con te. Era sempre lì che borbottava facendomi l’interrogatorio su cosa ti insegnassi; il giorno in cui gli ho parlato mi ha riempito di domande – disse Hadmon, suscitando una risatina dell’altra, quello bastò a rincuorarlo – “stai proteggendo Selene vero? Non è che me la riporti indietro a pezzettini?” Una mitragliatrice di parole…-

-Forse non ti rivolgerebbe la parola neanche se fossi l’ultimo uomo sulla terra – osservò Selene: la morsa di dolore e solitudine si era alleviata appena appena.

-Oh sì invece, lo farebbe per tempestarmi di domande –

Entrambi risero di quell’osservazione, Selene posò il capo sulla spalla di Hadmon, sentendosi lievemente rincuorata, quel che bastò per farla tranquillizzare in quel momento. Hadmon la guardò e le carezzò il capo affettuosamente, piegando le labbra in un sorriso lasciante trapelare tutta l’attenzione che le stava rivolgendo; si sentì più che contento all’idea che la compagna si sentisse un po’ meno sola in quel momento.

Restarono sdraiati a ricordare avvenimenti passati, finché non fu l’ora di cena; nonostante Hadmon e Ana la incitarono a mangiare, Selene non toccò cibo scusandosi con loro e dicendo che non aveva appetito. Inevitabilmente la mente della Guardiana corse a suo padre e il suo stomaco si contrasse in una morsa che le impedì di cenare; si scuso con entrambi abbandonando il tavolo e dirigendosi verso il giardino della casa, aveva bisogno disperatamente di una boccata d’aria per impedire che i sensi di colpa e la disperazione la intrappolassero in un lungo pianto. Rimase fuori finché non fu completamente buio e fu costretta a rientrare a causa della stanchezza e del freddo; era circa mezzanotte quando salì le scale e incontrò Hadmon il quale le chiese se si sentiva un po’ meglio, a quella domanda lei aveva annuito debolmente e poi era andata a dormire. Osservando il cielo stellato fuori dalla finestra della sua stanza, Selene riuscì a trovare pace dai suoi pensieri e si addormentò, non dopo che una lacrima ebbe percorso le sue guance.

///

 

Nel cuore della notte, Selene si svegliò di soprassalto ansimando disperatamente; di nuovo uno dei suoi incubi era tornata a tormentarla, ricordandole che Thanatòs ancora bramava il suo cuore. Non appena si tranquillizzò Selene, decise di scendere dal letto e andare in soggiorno a mangiare qualcosa, dato che il suo stomaco non smetteva di brontolare. Prestando attenzione a non far rumore, aprì la porta della sua stanza e controllò che nessuno fosse in giro, così scese le scale e si diresse in cucina dove mangiò alcuni biscotti; quando fu sazia, decise di recarsi sul piccolo balcone situato sul retro della casa e affacciante su un lago. Con sorpresa scorse la figura di Jhin seduto su una sdraio a contemplare il cielo, mentre tra le mani tratteneva la sua maschera e non indossava alcun passamontagna; tuttavia Selene non poté scorgere nessun particolare dei suoi capelli o del suo viso a causa della luce lunare, che proiettata sul suo viso, lasciava in ombra la parte restante del suo corpo. A passo felpato si avvicinò a lui, ma non appena percorse qualche metro, Jhin si accorse di lei e indossò passamontagna e maschera attendendo che lei lo raggiungesse.

Una volta accanto a lui, Selene si sedette su una sdraio, e iniziò ad osservare il cielo stellato, prima che venisse presa di soprassalto dai suoi pensieri. Mentre osservava il candido voltò lunare, sentì gli occhi riempirsi di lacrime, che cercò subito di ricacciare indietro nel tentativo di mantenere la calma.

-Non riesci a dormire? - chiese Jhin, posando il suo unico occhio su di lei; la vide asciugarsi gli occhi e poi scuotere il capo.

-Tu? – domandò esitante lei.

-Ho smesso di avere notti tranquilli da quattro anni, perciò no, non riesco a riposare – osservò Jhin, mettendosi a sedere e porgendole una mano – vieni qui –

Silenziosamente Selene prese la sua mano e lui l’attirò sulle sue game, avvolgendola tra le braccia; lei chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal ritmo pacato del suo cuore, che scacciò via i suoi sensi di colpa e le sue preoccupazioni.

-C’è un incubo che mi perseguita, i miei fantasmi mi danno la caccia ogni notte e puntualmente mi sveglio di soprassalto…- osservò Jhin, carezzando le ciocche argentee di lei.

- Come fai a viverci insieme? – chiese Selene, volgendo gli occhi al cielo stellato.

-Smetto di pensare, angelo – sussurrò Jhin, sollevandole il viso e chinandosi su di lei – quando non posso sfuggirgli, li affronto –

Selene sentì il cuore accelerare quando il suo occhio scarlatto scrutò i suoi, e in quell’istante fu certa che Jhin stesse scrutando la sua anima; per quella sera avrebbe provato a non pensare come lui stesso gli aveva suggerito, così portò le dita sulla maschera di lui percorrendo con gli indici le decorazioni e il sorriso sinistro del suo volto. Era curiosa di sapere cosa si nascondeva sotto il suo passamontagna, di conoscere di più dell’uomo che aveva davanti.

Improvvisamente Jhin la prese in braccio, e lei sussultò portando istintivamente le mani al suo collo. Mentre silenziosamente Jhin saliva le scale, portandola al secondo piano, Selene posò il capo sotto il mento di lui, piacevolmente cullata dai suoi respiri e dai suoi battiti regolari; il pistolero era molto più alto di lei, e osservare ogni cosa dalla sua prospettiva le faceva riscoprire particolari nuovi di un mondo già studiato da altre prospettive.

-Dove mi stai portando? – chiese a bassa voce Selene, quando la mise giù di fronte l’entrata della camera da letto di lui.

Senza rispondere lui la fece entrare e richiuse la porta alle loro spalle; la stanza era illuminata dai candidi raggi lunari i quali proiettavano la loro luce sul letto matrimoniale. Selene vide l’altro chiudere le tende, lasciando che venissero entrambi avvolti dal buio della notte, successivamente lo sentì posare la sua maschera e il suo passamontagna, privarsi degli alti stivali e poi attirarla sul letto insieme a lui; Selene sentì il cuore battere freneticamente quando si trovò con il viso a pochi millimetri dal suo.

-Jhin, cosa hai…- chiese Selene, sentendo l’altro sorridere sulle sue labbra.

-Farti smettere di pensare angelo – sussurrò Jhin, prima di dare un dolce bacio e poi avvolgerla tra le sue braccia.

Selene portò le mani sul suo viso, le permise per qualche istante di percorrere le sue labbra seguendo le linee di una cicatrice profonda che percorreva il labbro superiore sinistro giungendo fino all’occhio sinistro dell’uomo, ora chiuso. Sentì Jhin sospirare profondamente quando lei scorse un’ulteriore cicatrice sul suo zigomo destro; carezzò i suoi capelli e mentre compiva ogni singolo gesto, provò a immaginare come potesse essere il suo volto: la piega delle labbra, il naso, il taglio degli occhi, il colore dei suoi capelli…

-Vorrei poter vedere il tuo viso, Jhin – sussurrò Selene, scorrendo l’indice sinistro sul suo naso e poi sulle sue labbra, fino ad arrivare al suo collo ove le sembrò di scorgere ulteriori cicatrici.

-Non sai cosa mi chiedi, Angelo…- disse Jhin, bloccandole le mani e posando la fronte sulla sua – sotto la mia maschera, si nasconde rabbia, odio, disprezzo, frustrazione di anni passati in solitudine e io non voglio che tu possa allontanarti dopo aver conosciuto ogni singolo lato di me stesso e visto il mio volto -

-Aspetterò Jhin, e quando sarai pronto io sarò qui ad aspettarti. Non potrei allontanarmi – osservò Selene, sentendo l’altro abbozzare un dolce sorriso.

Estremamente sorpreso da quelle parole Jhin sentì di essere più al sicuro e di non aver compiuto alcun errore nel mostrare un’altra piccola parte di sé, nonostante questo gli costasse molto. Avvolse Selene tra le sue braccia, come fosse qualcosa di estremamente prezioso che sarebbe potuto andare in frantumi di lì a pochi istanti; le carezzò i capelli e lei si strinse contro il suo torace e lui si sentì più completo.

-Grazie angelo…Ora voglio che tu smetta di pensare insieme a me, questa notte nessun fantasma allungherà gli artigli su me o te – sussurrò Jhin, sentendo l’altra rilassarsi e lasciarsi avvolgere dal sonno.

Qualche istante dopo anche lui cadde tra le braccia di Morfeo, ma a differenza delle precedenti notti insonni, fredde e solitarie, sentì la sua anima gelida e il suo cuore lacerato, risanati dall’estremo calore di quell’abbraccio; per la prima volta dopo anni poté trovare pace e prendere sonno in tranquillità. Così avvolto da quell’insolito affetto che per tanti anni era stata una parola aliena per Khada Jhin, lui si addormentò: smettendo di pensare insieme a lei.

Per un istante. Per una notte…

 

 

Piccolo angolino dell’autrice: Ciao a tutti! Mi scuso per il grande ritardo con cui ho pubblicato questi ultimi capitoli, purtroppo a causa dei mille mila impegni non ho avuto molto tempo da dedicare alla fanfiction; tuttavia sto riprendendo a scrivere e farò il possibile per essere puntuale nelle pubblicazioni, perlomeno non aggiornando i capitoli troppo tardi. Vorrei ringraziare chiunque stia seguendo la mia storia, sono molto contenta di vedere che la state seguendo TT-TT . Vi lascio con questo capitolo un po’ troppo arcobaleno e pony e spero possa piacervi. Detto questo, buonanotte! :D

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Capitolo 12
*** Truth ***


11.CAP10

“Voi conoscerete la verità, e la verità vi renderà folli.
(Aldous Huxley)

 

Assorto nei suoi pensieri, Klein osservava distrattamente il paesaggio verdeggiante di Ionia sfrecciare davanti ai suoi occhi; il giorno prima era partito da Tuula insieme a Shen e Hanzai, con destinazione la sede segreta dell’alto Consiglio di Ionia, ove avrebbe riferito presto il resoconto della riunione precedente; tuttavia Hanzai si era separato da loro, poco dopo che i Guardiani li avevano lasciati soli, dichiarando che avrebbe dovuto occuparsi di alcune questioni e sarebbe partito con un giorno di ritardo. Sapeva che qualcosa gli stava sfuggendo dalle mani, così come era accaduto quattro anni prima, eppure non riusciva ad identificare l’ingranaggio impazzito che avrebbe rischiato di rovinare quell’equilibrio che lui e Roak stavano cercando di mantenere durante la guerra. Improvvisamente il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dalla fermata brusca della carrozza; estremamente infastidito e convinto che ad interrompere il suo viaggio fosse stato un futile motivo, scese dalla carrozza seguito da Shen per andare a parlare con il conducente. Si accorse che intorno alla carrozza si era creata una strana foschia oscura e si era levato un insolito vento gelido; Klein rabbrividì quando scorse il cocchiere chino su sé stesso, come fosse svenuto e i cavalli e Shen trovarsi nello stesso stato dell’uomo.

Di fronte ai suoi occhi, dalla foschia oscura prese forma un uomo incappucciato; spaventato e percepita la minaccia, Klein fece per scappare ma il suo corpo non rispose ai suoi ordini e fu costretto a vedere la figura avvicinarsi e allungare una mano artigliata sulla sua spalla.

-Non abbia così fretta, mio caro Klein… –

La voce dell’uomo era profonda e rauca, al punto che ogni parola sembrava fendere l’aria circostante; sotto il cappuccio Klein scorse due occhi scarlatti, spietati e emananti una insaziabile sete di sangue, le labbra dell’individuo erano curvate verso l’alto e nel momento in cui aveva parlato, avevano rivelato due lunghi incisivi affilati come quelli di un demone. Klein riuscì a intravedere una lunga treccia di capelli sotto il cappuccio e alcune ciocche nere come gli abissi ricadere sul viso dello sconosciuto; tuttavia un particolare che lo sorprese fu il suo mantello, aveva la stessa forma e gli stessi intarsi di quello dei due Guardiani, ma di colore nero e con sopra la decorazione di un enorme teschio a forma di un ariete: che fosse un Guardiano?

-Sei un Guardiano? – chiese titubante Klein.

-Non le ho permesso di farmi domande, Klein. Avrà ogni spiegazione durante il viaggio –

A quelle parole l’uomo lo incitò a rientrare nella carrozza, insieme a Shen il cui corpo svenuto si muoveva per effetto di uno strano incanto e quando la porta della carrozza fu richiusa, con un abile schiocco di dita, il suo incantesimo si sciolse e il mezzo riprese il suo viaggio. Klein rimase in silenzio, mentre scrutava i tatuaggi che l’uomo aveva sulle sue mani: chi era? Il suo istinto lo spinse a indagare sulle sue intenzioni.

-Cosa vuoi da me? –

-Io? Io sono qui per proporle un patto – rispose l’uomo ghignando malvagiamente.

 

 

 

Quella mattina le strade di Tuula erano affollate da miriadi di persone che si spostavano da un negozio a un altro; Hadmon e Selene passeggiavano in tranquillità per le vie del paesino, aventi come unica destinazione il piccolo dojo del maestro Hanzai, situato alle spalle della piazza su cui si ergeva l’alta pagoda al centro di Tuula. Ana aveva spiegato loro che nei due giorni a seguire ci sarebbe stato il festival per festeggiare l’arrivo dell’estate in occasione del raro evento della luna di Sangue; pertanto in quell’occasione ogni abitante acquistava degli abiti caratteristici e addobbi in occasione dei festeggiamenti. Selene guardò Hadmon e sorrise della sua espressione crucciata, come al solito odiava i posti affollati e soprattutto essere spintonato costantemente dai passanti intenti a superarli. Il dragone sbuffò e lei riprese ad osservare il cielo azzurro, correndo con la mente alla mattina stessa; infatti con immensa sorpresa, al momento del suo risveglio Selene si era accorta di essere sdraiata nel suo letto, al punto che aveva dubitato di aver passato la notte insieme al pistolero. Tuttavia non appena era uscita dalla sua stanza con indosso il suo mantello e la sua armatura, aveva incontrato Jhin il quale l’aveva saluta gentilmente e le aveva chiesto come si sentiva quella mattina stessa. Sebbene Selene sentisse ancora il peso della notizia di suo padre gravare pesantemente sul suo cuore, aveva confessato con estremo imbarazzo, che quella notte, in cui aveva smesso di formulare pensieri l’aveva risollevata molto; quella mattina infatti, si sentiva un po' più tranquilla e non poteva negare che, sebbene quel lato umano di Jhin l’avesse estremamente sorpresa, l’aveva allo stesso tempo avvolta con un calore che fino ad alcuni giorni fa non gli avrebbe mai attribuito. Tuttavia la notizia di suo padre l’aveva sconvolta e sebbene desiderasse vendicare la sua morte, doveva cercare di farsi coraggio e proseguire sulla sua strada, nonostante compisse un immenso sforzo nel trattenere le sue lacrime e impedire che la tristezza si facesse largo in lei.

Poco prima di arrivare presso l’abitazione di Hanzai, Hadmon si voltò come se alle loro spalle una presenza oscura li stesse osservando silenziosamente, seguendoli. Selene parve percepire la sua preoccupazione, e si voltò nella sua direzione, chiedendogli se anche lui aveva percepito la strana presenza di qualcuno che li stesse seguendo; di tutta risposta Hadmon aveva annuito, fermandosi qualche minuto di fronte all’entrata del dojo di Hanzai.

-Qualcuno dell’Ordine di Zwey è arrivato a Ionia, e ha intenzione di seguirci fino a casa- osservò Hadmon, comunicando la notizia a Selene tramite le sue abilità telecinetiche.

Selene annuì e chinò il capo, sentendo la tristezza e il dolore del giorno precedenti tramutarsi in rabbia; Hadmon le pose una mano sulla spalla e la avvicinò al suo petto, prima di sussurrarle che la vendetta non avrebbe colmato il suo vuoto. Selene nascose il viso nell’incavo del collo di lui e sospirò pesantemente: aveva ragione il suo compagno, lei ormai era la sovrana dell’Isola e non poteva abbandonarsi all’ira. Quando fu più tranquilla si separò dall’amico e lo ringraziò per le sue parole, in risposta Hadmon le sorrise dolcemente e poi bussò alla porta di Hanzai.

Di fronte a loro si materializzò la figura del maestro, il quale sorrise affettuosamente non appena li vide, invitandoli subito ad entrare. L’interno del dojo prevedeva un morbido tatami su cui era disposto un tavolino con sopra delle tazze per il tè e ai lati di quello che doveva essere il salotto vi erano due porte scorrevoli: una conducente alla cucina e l’altra alla stanza da letto. Sulle pareti vi erano decorazioni floreali e infine opposta all’entrata vi era l’accesso a un piccolo giardino con al centro un lago. Selene e Hadmon apprezzarono la semplicità del luogo e la pace che esso trasmetteva; così in silenzio si sedettero a terra su dei cuscini, di fronte al tavolino e Hanzai si mise di fronte a loro.

-          Vi ho chiamati qui per porgermi le mie scuse per quanto accaduto ieri- osservò Hanzai, sorseggiando del tè – purtroppo la guerra sta creando molte tensioni interne al Consiglio Supremo, Klein dal canto suo teme di poter fallire e di aver compiuto un errore liberando il Demone d’Oro. Shen invece non ha mai tollerato la sua scarcerazione, non ha mai accettato la sua presenza, per lui doveva morire quattro anni fa –

Di fronte alle ultime parole di Hanzai, Selene e Hadmon si scambiarono un’occhiata di intesa: quello era il momento per chiedere maggiori chiarimenti circa il fantomatico incidente di quattro anni prima.

-Cosa è accaduto quattro anni fa? – chiese Hadmon, incrociando le braccia.

-Un incidente che ha coinvolto Jhin, Shen e Zed… nella notte di quattro anni fa, Khada Jhin che era al servizio del Consiglio e di Klein fu punito per aver infranto un divieto che gli era stato imposto…- disse Hanzai a grandi linee, indeciso se rivelare o meno le vicende di quella notte.

-Chi è Joanna? – chiese Selene, ricordando le parole di Roak e Shen – sia il sovrano di Vindor sia Shen la hanno citata ieri nelle loro frasi –

Dopo un breve periodo di silenzio Hanzai sospirò e decise di parlare.

-Temo di non potervi nascondere più nulla. Quattro anni fa, vi era una donna di Ionia accusata dal Consiglio di spionaggio per conto di Noxus, il suo nome era Joanna; a priori nessuno di noi sapeva se l’accusa fosse fondata o meno, ma gli anziani del Consiglio Supremo, ci ordinarono di tenerla sotto controllo e il compito fu affidato a Khada Jhin. In collaborazione con l’ordine di Kusho, Jhin eseguì quanto gli veniva richiesto, cercava di estrapolare alcune informazioni circa il ruolo della donna a Ionia; gli fu imposto un unico divieto, nessuna forma di affetto si sarebbe dovuta formare tra lui e Joanna…-

A quelle ultime parole, Selene deglutì a vuoto sentendo come un groppo all’altezza della gola che non riusciva a mandare giù: un’insolita gelosia si era fatta largo nel suo cuore insieme a un immenso dispiacere.

-… Già potete immaginare che questo divieto fu infranto da entrambi; inizialmente Jhin si presentò da me spiegandomi che le accuse che erano state fatte a Joanna erano infondate e mi supplicò di sollevarle da lei. Shen che era presente insieme a me, replicò che quella richiesta era inaccettabile e che prima Klein stesso avrebbe dovuto verificare le sue parole; Shen e Jhin non hanno mai avuto buoni rapporti se non conflittuali, inutile dire di Zed e Jhin. Era una fredda mattina di dicembre, Jhin si presentò nuovamente da me, chiedendo spiegazioni sulla condanna a morte di Joanna: Klein per non correre alcun rischio insieme a Roak, avevano deciso di ucciderla. Fu a quel punto che mi confessò di aver infranto il divieto e quindi, di non poter eseguire l’eventuale ordine di giustiziarla. Il pomeriggio stesso io mi presentai in Consiglio e cercai di convincere tutti i presenti che non era una buona scelta, ma nessuno mi diede ascolto e nel tentativo di smuovere i loro gelidi cuori, dichiarai che tra i due era ormai nato un legame profondo di affetto. A quella notizia Zed, Shen e Kusho trasalirono e Klein ordinò subito di giustiziare la donna la notte stessa, a farlo sarebbe dovuto essere Jhin…-

-Perché ucciderla? Se non era veramente una spia perché Klein non ha scelto di fidarsi di lui? -  chiese Hadmon sconcertato.

-Il potere mio caro Hadmon, ci trasforma, ci rende bestie e ci fa commettere errori che si imprimono nella nostra carne a vita. Klein quella sera ordinò di fronte a tutti, che se Khada Jhin non fosse stato in grado di giustiziarla allora sarebbe dovuto essere punito per le sue azioni scorrette ed eventualmente ucciso. Quando rientrai al tramonto Jhin si ripresentò da me chiedendomi se la riunione era andata a buon fine, ma quando comunicai il verdetto lui fu preso dalla rabbia e dal disprezzo, mi accusò di aver rivelato una confidenza a Klein e di aver tradito la sua fiducia; dopo di che tornò alla sua abitazione…-

-Cosa accadde quella notte? – incalzò Selene, sentendo il groppo in gola divenire più pesante.

-Personalmente non so cosa accadde di preciso, questo può solo descrivertelo Khada Jhin stesso; so che quella notte Joanna fu assassinata. Quella notte non morì solo un’innocente, ma nacque il Demone d’Oro; Jhin non perdonò mai le nostre azioni, come biasimarlo, e su ognuno di noi fece cadere il suo marchio che si estinguerà solo con la morte. Quella notte, lo abbiamo privato di ogni cosa, abbiamo distrutto un uomo e abbiamo creato un mostro, il cui estro artistico avrebbe trovato sfogo solo nella morte dei marchiati. Nei successivi anni Jhin assassinò molteplici membri del Consiglio, trucidò le loro famiglie; la sua sete omicida e la sua follia, trovavano pace solo con la morte. Presto iniziò a uccidere anche innocenti, finché non si diffuse il terrore in tutta Ionia, se la patria che lui aveva servito lo aveva privato di tutto allora su di essa si sarebbe riversata tutta la sua rabbia; Shen, Zed e Kusho gli diedero la caccia per anni, finché non lo catturarono e lo imprigionarono. Nel periodo di prigionia, non so dirti che trattamento gli fu riservato, posso solo immaginare… tuttavia in quegli anni la follia di Khada Jhin colpì anche il fratello di Shen, il quale già avviato alle arti oscure, nel momento in cui seppe che Jhin non sarebbe stato ucciso lasciò l’ordine; Kusho perse la sua luminosità in tutti quegli anni di ricerca e Shen, riversò su di lui tutto il suo odio, giurando che non l’avrebbe mai perdonato. Successivamente Jhin rimase in prigione per due anni, non rivelò niente di sé stesso e non permetteva a nessuno di avvicinarsi; il continuo lo potete già immaginare: Noxus ha continuato nella sua guerra e continuerà finché noi non cadremmo in ginocchio, pertanto Klein sollecitato dal Consiglio Supremo, scelse di liberarlo e di richiamare qualcuno che potesse sorvegliarlo adeguatamente. Qui entrate in scena voi, miei cari Guardiani e il resto della storia lo conosciamo tutti e tre…-

Hadmon e Selene rimasero sconvolti dal racconto dell’anziano, entrambi ebbero conferma che il Consiglio di Ionia non era stato così onesto con loro; Selene trovò imperdonabili le azioni di Klein contro Jhin, in quel momento si sentiva estremamente dispiaciuta per la volta in cui aveva accusato Jhin di essere un vigliacco nell’averla allontanata. Sebbene volesse chiedergli cosa fosse accaduto la notte dell’incidente, in quel momento non riusciva a non trattenere la rabbia per quegli omicidi commessi: poteva solo immaginare tutto il dolore che aveva provato e che lui stesso diceva di conoscere così bene. Accanto a lei Hadmon aveva stretto i pugni per trattenere la rabbia nell’essere stati usati come pedine, senza aver avuto precedentemente le spiegazioni che gli spettavano di diritto; avrebbe dovuto credere a Jhin sin dal primo istante in cui aveva detto che Klein nascondeva le sue mani sporche di sangue e li manipolava come pedine.

-Questa cosa è inaccettabile! Come avete osato?! – esclamò Selene, sorprendendo Hadmon per la sua reazione.

-Klein è accecato dal potere, attende di essere nominato membro del Consiglio Supremo, e nel frattempo ogni minimo rischio lo sopprime sul nascere anche se non ce ne è bisogno – sussurrò Hanzai dispiaciuto.

-Cosa farete a Jhin quando il nostro incarico sarà terminato? - chiese Hadmon.

Per qualche minuto Hanzai rimase in silenzio e i due Guardiani compresero le intenzioni di Klein circa la vita di Jhin; Selene sentì gli occhi pizzicare e delle lacrime furiose percorsero le sue guance: non voleva perdere anche lui oltre a suo padre. Hadmon vide il suo dispiacere e le passò una mano dietro le spalle per rassicurarla, riconoscendo che anche lui non avrebbe mai permesso che Jhin venisse ucciso.

-No… non potete farlo! Non avete il diritto così come non avreste dovuto tenerci all’oscuro di tutto, manipolandoci come burattini! – disse Selene, mettendosi in piedi.

-Selene mi ascolti, Klein agirà così ma noi troveremo il modo di non far accadere una cosa del genere. Ho un debito aperto con quell’uomo, devo ripagarlo, e io stesso non posso tollerare una tale crudeltà – osservò Hanzai.

-Come intendete agire? – chiese Hadmon, apprezzando le parole della compagna.

-Per ora attenderemo una mossa di Klein, vedremo cosa dirà il Consiglio Superiore; successivamente studieremo l’evoluzione degli eventi e agiremo. In ogni caso bisognerà aspettare, nel frattempo dovrete svolgere il prossimo incarico –

Hanzai porse una missiva a entrambi e Hadmon la prese, infilandola in una tasca nella lunga giacca di pelle che indossava. Il maestro spiegò loro che quell’incarico era di importanza fondamentale, il successo di quella missione avrebbe potuto cambiare le sorti del paese e anche salvare Jhin dal suo destino. A quelle parole entrambi si illuminarono e la loro espressione soddisfatta fece sorridere l’anziano, il quale curvò le labbra sotto i pesanti e lunghi baffi bianchi.

In silenzio li accompagnò all’uscita, spiegando che quella mattina stessa sarebbe partito e avrebbe preso parte il giorno successivo alla riunione del Consiglio Supremo, promettendo loro che avrebbe fatto il possibile per mettere una buona parola a favore del pistolero. I due Guardiani lo ringraziarono e si congedarono, non appena furono sulla soglia della porta, prima che andassero via Hanzai li richiamò un’ultima volta.

-Fate attenzione –

-Stia tranquillo, grazie ancora per il suo aiuto. Prenda questo – osservò Hadmon, porgendogli un amuleto con sopra un occhio scarlatto e la scaglia violacea di un drago -per qualsiasi cosa, può richiamarci con questo. Lo usi in caso di pericolo e nel caso necessiti del nostro aiuto –

-Lo farò, grazie mille. Fate un buon rientro – disse Hanzai, posando una mano sulle spalle di entrambi per poi congedarli definitivamente.

Mentre passeggiavano per i viali della città Selene e Hadmon discussero sulle parole di Hanzai; in cuor suo Hadmon sapeva che la compagna ancora stava riflettendo sulla probabile condanna a morte di Jhin, di fatto lui conosceva troppi particolari scomodi che Klein non avrebbe mai voluto far venire a galla, alcuni dei quali loro non conoscevano proprio. Sebbene come Guardiani avessero il divieto di interferire in questioni strettamente politiche non legate all’ordine del paese stesso, non avrebbero potuto lasciare che potesse accadere una cosa del genere, nonostante le azioni di entrambe le parti fossero state poco corrette.

Improvvisamente Selene, mentre passeggiava si ritrovò avvolta dalle tenebre e posta di fronte agli occhi scarlatti Thanatòs; deglutì a vuoto e si fece coraggio nell’affrontarlo: cosa voleva da lei? La creatura allungò la sua mano artigliata su di lei, ma bloccò il suo artiglio pronto a perforare il suo cuore. Non ancora, non le avrebbe strappato il suo cuore.

-Sei audace rispetto alle ultime volte, Selene – ringhiò la creatura, mostrando il suo ghigno diabolico e i suoi denti affilati come lame.

-Cosa vuoi da me? – domandò Selene, voleva sapere di più sul patto che avrebbe dovuto stringere con lui.

-Parlare, stranamente a quanto tu possa pensare – osservò Thanatòs, assumendo una forma umana e avvicinandosi a lei.

Di fronte a lei, il Demone prese le forme di un uomo alto e slanciato, il viso sottile su cui spiccavano gli occhi scarlatti, naso all’insù e sottili labbra come lo stelo di una rosa; infine morbidi e scarmigliati capelli corvini lunghi fino alle spalle, ricadevano sul viso. Indosso aveva un lungo mantello nero e un cappuccio, lasciando in vista il suo torace su cui spiccava un grande amuleto alato con al centro un occhio rosso sangue, infine aderenti pantaloni neri e alti stivali su cui erano fissati affilati aculei; sulle braccia vi erano avvolte lunghe catene e sotto esse spiccavano i tatuaggi che lei stessa aveva, ovvero i suoi sigilli. A partire da essi si diramavano sul suo collo lunghe scritte arcaiche rosso sangue; improvvisamente Thanatòs sollevò la mano e fece apparire lo scettro degli abissi, e contemporaneamente ad esso apparve il cranio di un dragone sul suo capo e sulle sue spalle, e la spina ossuta e la coda della bestia lunga fino al fondoschiena. Sebbene Selene non avesse abbandonato la difensiva, rimase estremamente sorpresa dalla rivelazione del Demone e dal fatto che questi si fosse mostrato a lei nella sua forma umana; fu un istante e lo ritrovò di fronte a sé, lei indietreggiò impaurita.

-Non ti darò il mio cuore – disse Selene, vedendo l’altro ridere divertito.

-Non mi interessa in questo momento, mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro – ribatté la creatura, scuotendo il capo e proseguendo – Zwey è a Ionia, ti sta raggiungendo e mira a prendere possesso di me. Non intendo cadere nelle mani di quel pazzo, perciò sarò disposto a collaborare con te finché non lo faremo fuori. Dopo di che il tuo cuore mi spetterà di diritto, nel frattempo avrai a disposizione il mio potere –

-Sai bene che non posso farne uso? Morirei e farei il tuo gioco –

-Posso offrirti la vendetta Selene, la sua morte e la sua testa su un piatto d’argento, se solo me lo chiedessi – disse Thanatòs ghignando maliziosamente.

-Non ne ho bisogno, grazie –

-Non puoi mentirmi, conosco il tuo cuore meglio di chiunque altro e so che desideri ucciderlo. Non è così Selene? Non puoi mentire al dio della morte – ringhiò l’uomo, afferrandole il mento con la mano artigliata.

-Ti sbagli! Non voglio vendetta, voglio solo che paghi per tutti i crimini che ha commesso e lo farò senza cadere vittima dei tuoi tranelli – disse Selene, poi afferrò il suo cappuccio – se avrai intenzione di collaborare con me senza che tu mi uccida, allora stipulerò un patto con te –

Thanatòs sgranò gli occhi, sorpreso dalla estrema audacia di Selene; rise per l’immenso coraggio della donna nel parlare di pratiche che lei non conosceva minimamente.

-Non conosci affatto cosa stai chiedendo, non sei in grado di reggere il mio potere e tutto il dolore e la sofferenza che io stesso ho patito per anni. A malapena riesci a reggere la tua –

-Non sottovalutarmi, sono disposta a sostenere ogni peso, pur di collaborare con te. Io non ho intenzione di morire e lasciare il mio paese in mano a un folle, te non hai intenzione di essere sigillato di nuovo in un corpo di un altro Guardiano –

Nuovamente il Demone rimase in silenzio; negli occhi ghiaccio di lei colse la risolutezza, così incrociò le braccia e rifletté su quella proposta. La sua forza di volontà le ricordò l’unico Guardiano che aveva provato ad avvicinarsi a lui e a quel pensiero sorrise tra sé e sé; l’altra parve notare il suo sorriso e rimase sorpresa, temendo di essere presa di nuovo in giro da lui. Incrociò le braccia e scosse il capo, porgendole lo scettro.

-Hai perfettamente ragione. Staremo a vedere cosa sei in grado di fare Selene, mi piace la tua determinazione… mi dovrai convincere, nel frattempo voglio provare a collaborare con te ma sappi che un passo falso e io ti divorerò – disse minacciosamente sorridendo e mostrando i suoi incisivi lunghi e affilati.

-Come saprò che lo farai? – chiese di getto Selene, afferrando la sua mano e percependo il suo potere iniziare a pervaderla.

-Lo sto già facendo… - rispose l’altro consegnandogli la sua arma: il primo passo del contratto – corri alla tua casa ragazzina, i sicari di Zwey la stanno invadendo e assassineranno chiunque li intralcerà. La domestica e l’altro umano non possono fermarli -

Detto così la creatura scomparse, Selene afferrò il suo scettro e sentì parte del potere di lui fluire attraverso il suo corpo a partire dalle cicatrici; di botto fu riportata alla realtà e si accorse che erano quasi arrivati a destinazione. Improvvisamente si accorse che Hadmon l’aveva chiamata per tutto il tempo che era rimasta intrappolata davanti a Thanatòs e subito si voltò.

-Selene, ti senti bene? Sei rimasta in silenzio tutto il tempo – osservò Hadmon.

-Ti spiegherò tutto più tardi, Thanatòs mi ha detto che i sicari di Zwey hanno raggiunto la nostra casa. Probabilmente l’uomo che ci seguiva ha capito dove abitiamo – disse Selene, sentendo la preoccupazione e la rabbia montare in lei.

Molto velocemente Hadmon, agitò la mano destra finché non apparirono simboli arcaici che si deposero a terra; fu un istante e una nube blu notte li avvolse e furono teletrasportati di fronte all’entrata della casa. Selene corse all’interno della casa giusto in tempo per vedere un accolito incappucciato allungare il suo coltello su Ana, posta di spalle e incurante del pericolo dietro di lei; Hadmon si voltò rimanendo sull’uscio della porta scorgendo tre figure mascherate materializzarsi da portali rosso fuoco e correre nella sua direzione. Nel frattempo Selene aveva sfoderato i suoi pugnali, con un calcio aveva colpito il capo dell’assassino e poi lo aveva colpito alla gola senza pietà; sentiva la rabbia scorrere nelle sue vene, mista all’odio: non avrebbe permesso a nessuno di loro di portargli via altre persone a lei care. Ana non appena si era accorta di lei e del corpo sanguinante dell’uomo aveva gridato per lo spavento; Selene le diede indicazioni di chiudersi nella sua stanza, lì sarebbe stata al sicuro e lei, lacrimante, la prese subito in parola.

-Selene! –

Sull’entrata di casa Hadmon la chiamò frettolosamente, lei corse da lui giusto in tempo per vedere al centro del giardino i tre seguaci di Zwey correre verso di loro e sfoderare le loro armi; improvvisamente entrambi videro i tre uomini inciampare in una trappola sotto i loro piedi a forma di fiore di loto. I loro piedi erano stati trapassati da uno dei petali in acciaio, dopo di che il fiore aveva iniziato a roteare su sé stesso finché poi non era esploso ferendoli con i suoi petali mortali; gli accoliti presi dalle ferite sanguinanti sulle loro gambe, rimasero immobili non accorgendosi di qualcuno che dall’alto della abitazione era pronto a far fuoco su di loro. Selene comprese che era opera di Jhin e si voltò verso la finestra della sua stanza che dava sul giardino, si era affacciato: aveva messo un piede sul bordo della finestra, imbracciato la sua arma dopo di che aveva fatto fuoco sui tre uomini colpendoli in testa. I tre accoliti ricaddero all’indietro, privi di vita e con metà cranio distrutto dall’esplosione dei proiettili. Purtroppo però lo scontro era appena iniziato; infatti non appena Jhin li raggiunse, di fronte a loro apparve un portale da cui si materializzò il sicario più fidato di Zwey: Ethan, l’uomo a cui venivano commissionati i lavori più crudeli e difficili. Sebbene Selene avesse promesso a sé stessa di non farsi prendere dalla rabbia, non appena lo vide, l’odio e la furia si fecero largo in lei: voleva la sua testa e la sua anima che avrebbe dato in pasto a Thanatòs. Strinse i pugni sui suoi pugnali, quando vide l’altro togliere il suo cappuccio e rivelare la sua identità; Ethan era alto e aveva un fisico ben allenato su cui aderiva la casacca nera dell’Ordine di Zwey, i suoi occhi ambrati erano attraversati da simboli arcaici, così come il suo naso perfettamente dritto e le sue labbra. Inoltre indossava un lungo mantello nero sotto cui erano nascosti la cintura con le sue spade, i pantaloni in pelle e alti stivali in cuoio. Selene sapeva che i simboli che aveva sparsi su tutto il corpo erano sinonimo del fatto che anche lui era stato inizializzato da tempo al rito oscuro di Zwey, attraverso il quale i suoi adepti ricevevano poteri incommensurabili a patto che la loro vita venisse risucchiata piano piano dal sigillo, finché poi la loro anima non cadeva nelle mani di Zwey stesso che le divorava, potenziandosi. Di fatto l’unico suo scopo era di diventare talmente potente da poter controllare Thanatòs anche contro il volere del demone stesso, ma questo lei non lo avrebbe permesso.

-Attendevo da tempo di incontrarti, mia cara regina – disse Ethan, sollevando le braccia e creando dei portali da cui si materializzarono due bestie oscure alte e dall’aspetto mostruoso: occhi rossi, denti affilati, muso lungo simile a quello di un lupo, lunghe corna e un corpo robusto su cui aderiva un’armatura ricca di aculei – è un peccato doverti uccidere, così come Zwey ha fatto con tuo padre –

Selene serrò la mascella e sentì gli occhi pizzicare per le lacrime; avrebbe posto fine al ciclo di violenza e morte che era nato con l’ordine di Zwey, per quanto dolore e sacrificio potesse costarle avrebbe terminato le loro esistenze e con loro i riti proibiti che praticavano. Avrebbe affrontato da sola Ethan, mentre i suoi compagni avrebbero affrontato le bestie; voleva vendicare la morte di suo padre, fargli pagare per averla privata di un affetto a lei così caro.

-Mi occuperò io di lui – disse Selene, facendo un passo avanti.

-Selene, è rischioso…– obiettò Hadmon, prima di essere interrotto da Jhin il quale aveva sollevato una mano nella sua direzione e aveva scosso il capo.

Jhin conosceva alla perfezione i sentimenti che agitavano il cuore di Selene; il tentativo di contenere la rabbia e l’odio, la coscienza che la vendetta dava solo origine a un ciclo di morte, insoddisfazione e dolore, e che di certo non avrebbe riportato in vita i morti. Sapeva che lei stava scacciando via quei pensieri nel tentativo di contenere la sofferenza, eppure rimase sorpreso dalla sua espressione calma e decisione che aveva dipinte sul volto mentre fronteggiava l’assassino. In cuor suo sperava solo che non avrebbe rischiato la vita in quello scontro, e se fosse accaduto lui avrebbe fatto il possibile per aiutarla.

Prima di proseguire oltre Selene sentì la voce di Thanatòs nella sua mente chiamarla ma differentemente dalle altre volte il suo tono di voce non era ammaliatore bensì quasi amichevole. Percepì i suoi sigilli bruciare e da essi vide levarsi un fumo nero da cui prese forma la figura umana del Demone che si manifestò in piedi di fronte a lei. Hadmon fissò il fratello con occhi sgranati, non avrebbe creduto di poterlo vedere lì in quella situazione.

- Cosa diavolo ci fai qui tu? – chiese Hadmon, sulla difensiva, vedendo il fratello sollevare una mano e rivolgersi alla Guardiana.

-Per questa volta collaborerò con te Selene, ma dato che io e te non abbiamo un patto sfrutterai il mio potere per un tempo limitato prima che il tuo corpo possa risentirne – spiegò Thanatòs, lasciando apparire nella sua mano il coltello in manico d’osso che aveva anche Selene – termineremo lo scontro prima che scada il tempo –

Detto così il Demone prese la mano sinistra di Selene su cui era presente la cicatrice tramite la quale evocava le creature sotto il suo dominio, la incise e si portò alle labbra la mano per berne il sangue; la Guardiana sussultò non appena l’altro, inciso il suo palmo della mano la costrinse a bere il suo sangue dal colore nero pece. Fu un istante e non appena fluì nel suo corpo, percepì la gola e i sigilli bruciare; di fronte a lei il Demone sorrise e si dissolse in una nube nera per prendere la forma di un’armatura di ossa: il teschio di un dragone sul capo, la lunga spina dorsale disposta sulla schiena con tanto di coda affilata, un mantello nero con cappuccio che copriva il suo capo e i suoi capelli argentei con alcune ciocche divenute nero pece; i suoi occhi erano divenuti del colore del sangue e sotto di essi si erano definite lunghe linee scarlatte e nere che si estendevano lungo le sue guance per giungere fino al collo; infine le sue unghie erano divenute lunghe e affilate come quelle del Demone e tra le sue mani era apparso lo scettro degli Abissi. Selene percepiva il suo corpo più leggero e allo stesso tempo più forte, una sensazione diversa da quando Thanatòs aveva preso possesso del suo corpo, di fatto stavolta le anime contenute nel corpo del Demone non minacciavano di inghiottirla, anzi non ne avvertiva la presenza. Osservò le sue mani, su di esse i sigilli si erano espansi e avevano assunto una tonalità rosso fuoco, ed erano arrivati fino al suo viso; strinse lo scettro e si preparò ad affrontare il suo avversario. “Cerca di far valere il mio sforzo di lavorare con te ragazzina, non voglio finire nelle mani di un pazzo” disse Thanatòs, solo lei poteva ascoltarlo “non sottovalutarlo, il suo corpo è potenziato dai riti che Zwey ha compiuto su di lui, se dovesse rubare tramite le sue katane il tuo sangue, potrebbe avviare il rito tramite il quale strapperebbe il mio potere”.

-Selene ti senti bene? Che sta succedendo? - chiese Hadmon, ancora sorpreso e preoccupato per l’amica: perché suo fratello di punto in bianco collaborava con loro? Che stesse tendendo uno dei suoi trabocchetti?

-Si, ti spiegherò tutto più tardi per adesso fidati di me; sarete in grado di tenere a bada le sue bestie? – domandò la donna.

-Considerale già morte – disse il pistolero accanto a lei, impugnando la sua arma.

Sebbene quello non fosse il momento più opportuno, aveva percepito una strana gelosia ribollire nelle vene nel momento in cui quella creatura aveva stretto quel patto quasi “intimo” con Selene; nonostante non fosse una minaccia dal momento in cui lui non era un uomo vero e proprio, l’idea che quella creatura come Hadmon potesse conoscere i lati più nascosti e personali della Guardiana faceva crescere in lui un’insolita quanto conosciuta gelosia accompagnata al desiderio di possessione, ad essa relegata. Tuttavia nonostante quei sentimenti che aveva seppellito quattro anni addietro, riconosceva che accanto ad essi era rimasto estremamente affascinato e sorpreso dall’immenso potere e dalla spaventosa furia omicida della creatura e adesso di Selene. In cuor suo sperava che lei non avesse rischiato la vita come la notte in cui avevano affrontato Zed, non avrebbe sopportato di perderla o che la sua vita si potesse infrangere con lui lì presente a difenderla.

-Te sei un’anima morta Selene e io avrò il piacere di far morire la Morte stessa, abominio – disse sprezzante Ethan.

Senza dire nulla Selene scattò nella sua direzione dando inizio allo scontro; con estrema velocità corse nella sua direzione e si preparò a colpire il suo collo con i suoi lunghi artigli, ma l’altro agitò le spade e la costrinse a pararsi dai suoi fendenti tramite lo scettro. L’uomo si era scoperto, così lei approfittò per colpirlo sul costato, facendolo indietreggiare e fu a quel punto che l’uomo posò a terra le sue mani e con un incantesimo creò una serie di catene che si avvolsero intorno al collo di lei costringendola a inginocchiarsi; poco prima che potesse trafiggerla con le sue katane, lei si dissolse in una nube riapparendo alle sue spalle. L’assassino non fece in tempo a voltarsi che fu colpito in pieno dallo scettro affilato che ferì il suo torace; successivamente con un calcio lo spedì a terra e posate le mani a terra delle ossa presero forma dal terreno e avvolsero il suo corpo in una morsa letale. Camminò nella sua direzione posando un piede sulla sua ferita e vi affondò il tacco degli stivali, l’uomo gemette di dolore e ghignò maleficamente. Di fronte a quel sorriso sentì la rabbia crescere in lei e afferrò il suo viso con la sua mano artigliata, gli avrebbe strappato l’anima e consegnata a Thanatòs stesso che avrebbe provveduto a divorarla.

Nel frattempo Hadmon e Jhin stavano combattendo contro le due bestie; Hadmon si era destreggiato tra i pugni della creatura, mettendola spesso in difficoltà tramite i suoi incantesimi temporali. La sua innata abilità di dominare il tempo, gli permetteva di racchiudere il demone in una bolla ove il tempo sembrava raggelarsi per sempre e lui ne approfittava per infliggergli colpi mortali; tuttavia il potere curativo dell’avversario lo salvava di volta in volta, finché non comprese il segreto dietro l’immortalità della creatura: esso altro non era che una gemma situata sotto la corazza, in prossimità del cuore. Purtroppo non appena lo notò, la creatura sembrò comprendere le sue intenzioni e non appena lui si distrasse lo afferrò per la gamba e lo lanciò a terra per poi gettarsi su di lui immobilizzandolo; vicino a lui, Jhin lo aveva salvato sparando un colpo con il suo fucile a distanza sulla schiena della bestia, la quale si era voltata e insieme al suo fratello lo avevano preso di mira.

-Mira al loro cuore! È il loro punto debole – urlò Hadmon, rimettendosi in piedi e correndo a salvarlo.

Alle strette il pistolero cercò di elaborare qualcosa velocemente e agì subito; le due creature, una alle sue spalle e una di fronte a lui, correvano nella sua direzione, così corse nella direzione della seconda smontò Sussurro dalla canna del fucile a distanza, ricaricò i proiettili e quando fu abbastanza vicino scivolò tra le sue gambe. Fu un istante, quando fu tra le sue gambe, mirò nello lo spiraglio tra armatura e corpo del demone e sparò; il colpo esplose non appena urtò la gemma sul suo cuore che all’impatto esplose. La prima bestia cadde a terra senza vita e lui si rialzò da terra con l’aiuto di Hadmon; rifletté che quelle creature erano fuori dal normale, nel combatterle sia lui che il dragone avevano riportato diverse ferite, Hadmon gli aveva detto poco prima della battaglia che se solo avessero preso il suo sangue gli avrebbero prosciugato la linfa vitale nel corso del combattimento perciò dovevano evitare il corpo a corpo. Entrambi videro la bestia fermarsi e guardare nella direzione del suo padrone e poi nella loro, istantaneamente Jhin comprese le sue intenzioni: Selene. Il tempo di voltarsi che la bestia corse nella direzione di lei, e lui scattò senza pensarci minimamente.

-Selene! Spostati – urlò il pistolero, la bestia sarebbe arrivata prima di lui doveva farcela; la creatura si era già preparata a colpirla.

Selene non fece in tempo a sollevare il capo che vide la creatura incombere su di lei; deglutì a vuoto preparandosi a incassare il colpo. Improvvisamente vide Jhin saltare sulle sue spalle, e sparare un colpo sul suo capo stordendolo.

-Lanciami la tua arma! – gli ordinò l’uomo.

Selene la lanciò e lui la afferrò al volo: rabbrividì, quello scettro sembrasse pesare come un macigno e sprigionare un potere letale che lui non avrebbe potuto sostenere per più di pochi secondi; senza pensare alle miriadi di urla che stavano venendo rievocate dall’arma nella sua mente, si calò su di lui e lasciandosi cadere colpì la gemma sotto l’armatura; mentre la creatura era caduta a terra e aveva rilanciato lo scettro all’altra, Ethan si era liberato dall’incantesimo e aveva colpito subito Selene, avventandosi sul pistolero. Con violenza lo aveva colpito col l’elsa della spada sul torace e gettato a terra; l’altro aveva tossito violentemente e aveva ringhiato quando l’altro aveva conficcato una katana nella sua mano, impedendogli di muoversi e preparandosi ad avviare su di lui il rito tramite il quale gli avrebbe rubato l’anima.

Subito Hadmon insieme a Selene si erano diretti verso di lui: uno con la sua falce e l’altra con lo scettro degli Abissi. Subito le catene avvolsero il corpo di Jhin e lungo di esse una polvere rosso sangue iniziò a levarsi dalle sue membra per convergere nei simboli sulle mani dell’assassino. Sotto l’effetto del rituale Jhin sentì la sua coscienza venir meno, mentre le urla delle sue vittime rimbombavano nella sua mente mentre veniva avvolto dal buio più totale.

-Allontanati! – ringhiò Hadmon, colpendolo alle spalle e costringendolo ad allontanarsi dal corpo di Jhin che fu subito liberato dalle catene.

Tramite quel rituale fallito Ethan era riuscito a carpire molte informazioni su di lui, era riuscito a leggere la sua anima e a comprendere che era lacerata da rimorso e odio e il suo cuore era ormai devoto alla Guardiana; avrebbe potuto sfruttare quelle informazioni a suo vantaggio. Ciò che lo preoccupava di più era il potere della ragazza che a quanto sembrava era riuscita a giungere a un accordo con Thanatòs; l’aveva sottovalutata e aveva rischiato di soccombere a inizio scontro, perciò come primo obiettivo avrebbero dovuto mettere per primi le mani sul libro che l’avrebbe guidata a stipulare un patto con lui. Sorrise maleficamente, quelle informazioni per lui erano una grande vittoria, decise così di ritornare indietro e aperto un portale di fronte a lui vi scappò dentro prima che Selene potesse raggiungerlo.

La Guardiana vide l’uomo dissolversi di fronte a loro, ma lei estremamente preoccupata per il compagno ferito aveva rinunciato sin dall’inizio a rincorrerlo; insieme ad Hadmon si erano inginocchiati vicino al pistolero il quale ancora non era rinvenuto dal sonno. Selene pregò che per quanto breve, il rituale non avesse intaccato la sua anima con il suo potere oscuro; sentì gli occhi pizzicare, presa dalla sua rabbia aveva abbassato la guardia e il pistolero aveva dovuto rimediare al suo errore rischiando la vita. Lo chiamò quando una lacrima rigò la sua guancia e finì per bagnare la sua maschera; l’armatura sul suo corpo si era dissolta in una nube nera e lei aveva sentito gravare la stanchezza sul suo corpo. Accanto a lei Hadmon, aveva continuato a chiamare il compagno insistentemente e scuotendolo.

Improvvisamente Jhin tossì violentemente e riprese coscienza, accorgendosi subito della Guardiana che ora lo osservava con gli occhi ricolmi di lacrime; accanto a lei aveva visto Hadmon trarre un sospiro di sollievo che si era massaggiato la fronte scaricando la tensione dei momenti precedenti. Sotto la maschera sorrise alla loro vista, se qualche settimana prima gli avessero detto che quel giorno lui si sarebbe affezionato così tanto a loro, non vi avrebbe creduto, invece in quel momento non vi era cosa più vera.

-Siete così rumorosi – scherzò Jhin, mettendosi in piedi.

-Scusaci, non saresti dovuto rimanere coinvolto – disse Hadmon, incrociando le braccia.

-Colpa della mia distrazione…- commentò Selene, estremamente mortificata.

-Va tutto bene… non credo che possa essere riuscito a fare molto se mi sono risvegliato - rispose lui, bendando la ferita sanguinante sulla mano.

Selene lo aiutò nel sistemare momentaneamente la ferita e sia lui che Hadmon colsero l’estremo dispiacere negli occhi di lei; con sorpresa vide il dragone scuotere il capo e passare un braccio dietro le spalle di lei, cercando di farla rilassare ora che tutto era finito. Nuovamente sentì il sangue bruciare nelle sue vene, ma era qualcosa di diverso dalla rabbia o dall’odio, era qualcosa che aveva giurato di aver seppellito tempo addietro: la gelosia. Deglutì cercando di allontanare quelle sensazioni a lui così aliene, ma non appena lo faceva queste tornavano con maggiore insistenza; non appena il viso di lei riprese a sorridere per merito del dragone, fu costretto a stringere i pugni per rimanere indifferente a quella loro profonda amicizia. Lei era e doveva essere sua…

-Hai molto da spiegarmi Selene…- disse Hadmon, incrociando le braccia.

-Quando avremmo sistemato tutto ti spiegherò ogni cosa, prima dobbiamo pulire il sangue in cucina e recuperare Ana – disse la giovane, notando lo sguardo affilato di Jhin perforare i suoi occhi; si sentì senza difese di fronte al suo occhio scarlatto che la scrutava. Fu un attimo e lui distolse lo sguardo, avrebbe fatto domande più tardi, del resto il giorno prima si erano accordati che si sarebbero dovuti incontrare solo di notte tutto per non destare sospetti.

Prima che Hadmon potesse posarle di nuovo la mano sulle spalle, Jhin avanzò di un passo e si pose tra di loro, invitandoli a sbrigarsi a mettere tutto a posto prima che qualcuno potesse notare il sangue sparso per il giardino e i cadaveri dei combattenti, presenze alquanto insolite per una casa di campagna. Hadmon parve notare la rigidezza del compagno ma non ci fece caso, dicendo a sé stesso che era solo una sua parvenza; Selene invece rimase incuriosita dal suo comportamento e allo stesso tempo lievemente preoccupata, uno strano nodo si era creato all’altezza del suo stomaco e non l’avrebbe lasciata finché non gli avrebbe parlato. Così in silenzio, presa dalle riflessioni sulla battaglia precedente e sul comportamento di Jhin, iniziò a sistemare i corpi degli accoliti; un fremito sinistro percorse la sua schiena quando tocco il primo cadavere che si dissolse sotto il suo tocco mortale. Quel pomeriggio, lo scontro non era finito in parità, lei era stata sconfitta: Ethan aveva raccolto informazioni su di loro e avrebbe fatto di tutto per mettere le mani sul libro prima di loro, Jhin aveva quasi rischiato la vita e lei sentiva come un vuoto nel suo cuore, creatosi non appena la rabbia e l’odio avevano abbandonato il suo corpo, nonostante lei avesse contenuto ogni forma di rancore e furia per non farsi trasportare dalle emozioni. “È così che ci si sente allora…” pensò Selene, volgendo lo sguardo al cielo azzurro; il sole riversava i suoi caldi raggi sul suo viso, riscaldandola; promise a sé stessa di non farsi prendere più dal desiderio di vendetta, di certo il sangue non avrebbe colmato il vuoto lasciato dalla morte di suo padre: a quel pensiero i suoi occhi si inumidirono nuovamente e una sua lacrima si infranse al suolo. Non sarebbe stata sconfitta nuovamente e non avrebbe più esposto i suoi compagni, sarebbe stata disposta a tutto anche a caricarsi il fardello di quella battaglia che ormai si protraeva da millenni sulla sua isola. Non sarebbe caduta, non più.

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