Righa

di mari05
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***
Capitolo 24: *** 24 ***
Capitolo 25: *** 25 ***
Capitolo 26: *** 26 ***
Capitolo 27: *** 27 ***
Capitolo 28: *** 28 ***
Capitolo 29: *** 29 ***
Capitolo 30: *** 30 ***
Capitolo 31: *** 31 ***
Capitolo 32: *** 32 ***
Capitolo 33: *** 33 ***
Capitolo 34: *** 34 ***
Capitolo 35: *** 35 ***
Capitolo 36: *** 36 ***
Capitolo 37: *** 37 ***
Capitolo 38: *** 37 ***
Capitolo 39: *** 38 ***
Capitolo 40: *** 40 ***
Capitolo 41: *** RINGRAZIAMENTI ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Righa

 

A Mariachiara
(per essere così vicina)
 
 
 
 
Alla professoressa Paola F.

 

1



Il treno per il King’s era in ritardo, questa volta.
Sebbene Wren fosse nettamente in anticipo rispetto agli orari del treno, aveva notato che questa volta era davvero in ritardo e che probabilmente avrebbe dovuto fare ricorso al signor Patten (il rettore dell’istituto)  quando fosse arrivata.
Durante quel periodo interminabile in cui aspettava che il treno arrivasse, Wren si aggiustò la gonnellina a pieghe con i colori del King’s (il giallo e il blu) e passò una buona mezz’ora ad ripulire gli occhialoni dalle lenti spesse che portava a ridosso dei due splendenti occhi verdi.
Si sistemò più e più volte lo chignon alto che imprigionava i riccioli dorati, come le era stato consigliato, e, infine, rilesse la lettera di raccomandazione che avrebbe dovuto dare alla signora Breakwell (la vicepreside) quando sarebbe arrivata.
 
 
Egregia sig.ra Breakwell,
volevo informarla sul fatto che la signorina Stone
dovrà conseguire la sua carica di maga con lezioni private
dopo l’accaduto dell’anno scorso.
Spero capirà,

Sig.ra Bellnorris
 
Ovviamente Wren non andava fiera di aver fatto esplodere accidentalmente l’aula di pozioni mentre cercava di inviare tramite il teletrasporto un bigliettino a Jeff Kinney. E ovviamente non avrebbe voluto che la professoressa Baron ci rimettesse la pelle, ma il processo era ormai passato e la sua vergogna estinta da un pezzo.
Però, quando ripensava a come le persone le avevano parlato dopo l’accaduto, a come l’aveva guardata la Bellnorris,la sua educatrice, con quegli occhi carichi di disprezzo e anche di aspettative fallite…
Mentre ripensava a questo, Wren vide passare accanto a lei un veicolo giallo limone con su scritto con grafia disordinata con un pennarello indelebile:
 
Servizio trasporto Maghi
 
Nell’auto un giovanotto dalla pelle olivastra e dai capelli corvini sedeva al posto del guidatore con aria più assonnata che volenterosa.
Voltò la testa verso di lei, e, con un sorriso sornione sulle labbra, le disse: –A bordo, signorina Stone.
–E il treno?     Domandò lei, aggrottando la fronte con aria curiosa.
–Per lei è stato scelto un veicolo più… adeguato alla sua situazione.        Sentenziò il tipo.
Eccoci di nuovo. Al fatto di aver ucciso un professore.
–Senta, – disse, mentre avanzava verso di lui, gli occhi che mandavano bagliori rossastri, –avrò pure ammazzato uno dei vostri, ma sono pur sempre un’alunna. E perciò mi aspetto lo stesso trattamento degli altri, bello o brutto che sia. Quindi non salirò fino a quando non mi troverò davanti il solito treno, quello che mi ha accompagnato al King’s per tutti questi anni.
Il tipo al volante alzò un sopracciglio, stupito.
–Be’, se proprio vuole…
Stava quasi per lasciarla lì, sola come un cane, quando una voce proveniente dal sedile posteriore (che era stato intelligentemente oscurato) non disse: –Lasciala fare, Al. È solo un po’ arrabbiata.
Il finestrino si abbassò, e comparve la faccia della signorina Harvey, la sua prof di volo sulla scopa.
–Signorina Harvey! Che ci fa qui?
–Be’, avevo immaginato che avresti opposto resistenza al salire su quest’auto, per questo mi sono proposta di accompagnarti. Così… per renderti più facile la cosa.
Wren rifletté sulle parole della signorina Harvey, e, anche se non avrebbe voluto, salì sull’auto.
 
Quando finalmente raggiunsero il cancello di ferro laccato che racchiudeva il King’s, Wren aveva ormai saputo di ogni amore fallito di Al, e la testa pareva scoppiarle.
Aveva chiesto alla professoressa Harvey se voleva consegnare lei la lettera alla Breakwell, ma questa aveva rifiutato, dicendole che erano faccende private.
Il cancello si aprì con un cigolio malinconico, e l’auto attraversò il vialetto destinato anticamente alle carrozze.
Anche se frequentava quella scuola già da tre anni, Wren si impressionava sempre di più davanti all’imponente edificio che la sovrastava in quel momento.
Davanti a lei c’erano le Torri Angeliche, chiamate così perché erano fatte di un materiale talmente splendente che sembrava soprannaturale, che venivano abbellite da bandierine dei colori della scuola. Sul lato sinistro delle torri c’era la cappella Settima, dalla quale fuoriuscivano continuamente  pennacchi di fumi scarlatti.
Tutt’attorno c’era il Bosco del Vento, dove, anche se in lontananza di un decametro buono, si sentivano voci lamentose e malinconiche che cercavano invano di trascinare i prossimi avventori tra di loro.
Il vialetto dove ora stavano guidando sorgeva proprio in mezzo al Prato Verde, come fosse un fiume, e tutti i fiumiciattoli suoi affluenti erano i vialetti più piccoli che lo circondavano.
Salirono sul ponte Nuovo, che li separava dal fossato Incandescente, fecero un giro intorno alla collina Sperduta, dove sorgeva l’abbazia Patten, dedicata alla ricca famiglia dei Patten, che presidiava la scuola fin dal XX secolo.
Poi passarono davanti al Piangendo, l’edificio che ospitava le ragazze più nobili e ricche, e davanti al Mirabolum, dove vivevano i ragazzi.
Infine c’era il padiglione della mensa, accerchiato da colonne e addobbato da striscioni e banderuole.
Una cosa che Wren non aveva ancora notato era come i ragazzi da fuori guardassero male l’auto, come se dentro ci fosse un mostro anziché una ragazza come loro.
Quando arrivò al suo appartamento (che si trovava proprio sotto al tetto delle Torri Angeliche), disfò lentamente i bagagli e poi si sedette sul letto, intenta a guardare il suo comodino, che, al contrario di quello degli altri, era vuoto e immacolato come se lì non ci abitasse nessuno.
Si voltò a guardare il letto davanti al suo, il cui comodino era pieno zeppo di roba, come ad esempio una barretta al coccolato e burro d’arachidi che probabilmente era lì dall’anno prima.
Probabilmente Steve era con le sue amiche ad ubriacarsi, visto che la cena era finita già da un pezzo.
Wren tirò un respiro di sollievo al pensiero della sua compagna di stanza via almeno per un’ora.
Steve aveva i capelli rossi e mossi, occhi verdissimi e un viso cosparso di lentiggini, che puntualmente venivano coperte da uno strato di fondotinta e terra.
Quando non c’era, Wren assaporava la solitudine come se fosse una deliziosa torta al cioccolato che mangiava piano, fino a quando Steve non tornava e non le rovinava di nuovo la vita.
Pensare alla sua vita era come piantarsi un paletto nel cuore, invece. Ripensare a come avesse distrutto tutto, a come fosse stata chiusa per mesi in uno studio, a come tutti si fossero allontanati da lei tranne… be’, tranne Carter.
Carter era stato il suo migliore amico dal primo anno (da quando avevano 12 anni) e il suo migliore amico fino ad allora, quando ne avevano 16.
Aveva la pelle scura ma non troppo, nello stile “messicano” e aveva una miriade di ricci neri che andavano a coprire gli occhi castano scuro. Era sempre stato il primo della classe in tutto, da scienze della magia a la predizione del futuro, e riceveva sempre le cariche più illustri quando giungeva il tempo della premiazione.
Lui ovviamente si giustificava con lei dicendo che era solo perché la bisnonna di uno dei suoi parenti più lontani era la preside della scuola, e perché fu proprio lei a far cambiare il nome dell’istituto da Lions’ a King’s. Non a caso il cognome di Carter era King’s, ma Wren non sembrava farci caso. Le piaceva troppo, e poi era il suo migliore amico da sempre.
Chiuse la porta della sua camera e scese lentamente le scale, attenta a non farsi vedere da nessuno.
Lei doveva vederlo.
Stare con lui.
Era ormai sicura che tutti fossero o ad una festa o nelle loro camere, per cui oltrepassato il Prato Verde corse tranquilla fino al Mirabolum, salì le scale e si ritrovò davanti
all’appartamento di Carter.
Il cuore saltò un battito quando sentì appoggiando l’orecchio alla porta che non c’era nessuno.
Nessun pericolo.
Bussò.
Gli aprì Carter, con una rivista di magia (il Logogrifo) in mano. Quando alzò lo sguardo per vederla, spalancò gli occhi e fece un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.
–Wren!
Gettò immediatamente la rivista a terra e l’abbracciò sollevandole la gonna più del dovuto.
Wren sorrise, e per poco non le caddero gli occhiali durante l’abbraccio che lui le stava dando.
Quando Carter si staccò, il sorriso gli si spense dalla faccia e tutt’a un tratto si fece severo.
–Pensavo non venissi più. Che ti avessero cacciata. Sul treno non ti ho vista da nessuna parte, ho telefonato la Bellnorris, ma niente! Che ci fai qui?
–Meglio che ne parliamo dentro.            Disse Wren, facendolo arretrare con uno spintone molto simile ad un abbraccio.

Si sedettero sul letto di Carter, e lui le avvolse un braccio attorno alle spalle. Era caldo, e quando respirava lei poteva sentire l’odore del suo denitrifico: cannella e anice stellato.
–Comunque?   La esortò lui, incitandola con un abbraccio.
–E comunque…– disse Wren, cercando le parole giuste, –non volevano che io salissi sul treno per via dell’accaduto dell’anno scorso. Sai? Quando uccisi la Baron.
Carter annuì sempre più confuso.
–E poi ho una lettera della Bellnorris dove chiedo (sotto ordine dei giudici) di avere lezioni private anziché con un gruppo classe. Tutto qui.
Carter spostò immediatamente il braccio dalle spalle di Wren, tutt’a un tratto arrabbiato.
–Tutto qui? –chiese, –tu hai un incidente (un purissimo incidente, dannazione) e vieni trattata come un mutante? Non sei pericolosa!
–Potrebbe ripetersi.
Carter sbuffò. –Certo. E chi dei giudici ti ha obbligata a chiedere l’esilio?
–Non è un esilio, stupido.
Carter si avvicinò di nuovo a lei, di nuovo caldo.
–Quelli della Congrega di destra. Vogliono che io non… non dia problemi, ecco.
–Loro sono il problema.
Wren rise.
–Domani porterò la richiesta alla Breakwell. Spero accetti  che abbia firmato la Bellnorris al posto di un genitore.
–Lo accetterà.
–E come fai a dirlo?
–Tu non ce li hai, dei genitori.

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Capitolo 2
*** 2 ***


2



Wren salutò Carter, quella mattina, e si diresse all’ufficio della professoressa Breakwell con la sua lettera.
Camminava lentamente, quasi assaporando il pavimento di marmo splendidamente lucidato, dentro il quale si poteva specchiare.
Superò velocemente la segreteria e si diresse all’ufficio della vicepreside.
I muri erano abbelliti da quadri rappresentanti tutti i presidi del King’s.
Il King’s era un collegio per poveri mortali nell’epoca ottocentesca, che ancor prima era un convento di soli amanuensi risalente all’epoca tardo-medievale. Poi successivamente era stato ristrutturato e fatto diventare il King’s, quando oramai erano entrate in vigore le auto, poco prima della prima guerra mondiale.
Wren osservò attentamente il quadro del signor Patten, un uomo dai gettonati baffetti color cenere e dai capelli che formavano una zazzera incolta.
Wren rifletté prima di bussare alla porta in legno laccato della signorina Breakwell.
E se non avesse accettato la sua richiesta? E se avesse voluto la firma di un genitore anziché di una tutrice legale?
Be’, semplicemente Wren non poteva farlo firmare ai genitori perché non aveva la più pallida idea di chi fossero e di dove si trovassero.
Ma sì, avrebbe accettato. Dopo l’accaduto alla signorina Baron, la Breakwell aveva fatto di tutto per allontanarla dal gruppo classe, trovando ragioni inutili e arrampicandosi sugli specchi.
Bussò, e il rumore della sua mano risuonò come un gong sulla porta.
Poco dopo aprì la signorina Breakwell.
La signorina Abby Breakwell inizialmente era solo un membro della Triade, la comunità che favoriva la magia, e poi era stata dichiarata vicepreside dopo la morte improvvisa del mago che la precedeva.
Aveva i capelli neri acconciati in una crocchia e gli occhi profondi come due pozzi di notte. Si ostinava ad indossare camicette e minigonne attillate e a portare quel paio di occhiali con l’estremità appuntita, credendo di essere così sexy e focosa.
La Breakwell era sola come un cane.
–Wren!    Disse con tono allarmato mascherato da un sorriso forzato. Credette di non essere vista, ma Wren notò che aveva chiuso la porta senza chiuderla a chiave come sempre per avere un passaggio in caso d’incendio o esplosione.
–Allora… Che cosa vuoi dirmi?
Wren le porse la lettera. –Volevo chiedere dei corsi privati anziché con un gruppo classe.
La Breakwell maneggiò per un po’ la lettera, la guardò per un instante, e a Wren sembrò di vedere gli ingranaggi del suo cervello che si muovevano.
–Wren, cara. – disse, appoggiandosi alla poltrona di velluto dietro di lei. Sembrava nervosa, –Lo sai che questo non si può fare, vero?
–Lo so. Solo volevo avere un po’ più di tempo per… per pensare all’accaduto dell’anno scorso.
–Senti, io lo so che a te dispiace di tutto questo e non vorresti abbandonare così gli studi (e i tuoi amici) ma credo che il modo migliore per integrare una ragazzina in difficoltà sia…
–Ragazzina in  difficoltà? Ho sedici anni, diamine, e non sono per niente in difficoltà.
–Wren, lasciami finire. Quello che stavo dicendo è…
–No. – la interruppe di nuovo Wren, con un improvviso mal di stomaco, –io le ho semplicemente detto che o ottengo lo studio privato oppure niente. Capisce? Non mi serve sapere cosa è meglio per me, perché ne sono completamente consenziente. Ora mi dica, posso?
La Breakwell la osservò per due minuti buoni, e poi subito disse: –Va bene. Se credi che l’allontanamento da tutti sia la cosa giusta semplicemente perché potresti compiere uno sbaglio, fa come ti pare. Sappi solamente che non è la scelta giusta.
–Non mi importa.
E se ne uscì facendo sbattere la porta.
Mentre camminava verso le Torri Angeliche, ebbe una gran voglia di andare a fare visita a Carter, visto che si sarebbero incontrati solo all’ora di pranzo e lei aveva un forte bisogno di qualcuno.
Lo trovò sul Prato Verde, immerso nella lettura di Noi Siamo Infinito di Stephen Chbosky.
–Lo sai che Sam e Charlie si separano? – disse Wren venendogli in contro.
Carter alzò il capo, ancora assorto nei suoi pensieri, –Lo spoiler me l’ha già fatto Sue. E tu lo sai che Augustus muore?
Wren abbozzò un sorriso. Era ormai da tempo che entrambi si tartassavano di spoiler su libri che avevano già letto, e la cosa bella era che nessuno si arrabbiava per questo, anzi, rideva.
–Com’è andata con la Breakwell?   Disse Carter esortandola a sedersi.
Wren si sistemò. L’erba era fredda e umida sotto di lei.
–Bene, credo. Inizialmente non voleva che io lo facessi, ma poi ha detto “va bene” e io me ne sono andata. Devo solo parlarne alla Harvey.
Notando che man mano il sorriso di Carter si era spento, Wren gli mise un braccio attorno alle spalle e gli disse: –Non ti preoccupare, Cart. È tutto a posto. Ci vedremo in altri momenti, no?
Cercò di fargli tornare il sorriso sulle labbra, ma lui aveva gli occhi da una parte completamente diversa. “Chissà a cosa starà pensando”, si chiese lei.
La speranza che in qualche modo Carter fosse innamorato di lei ormai si era fatta spenta ed era sbiadita col tempo. Tra i due c’erano sempre stati corteggiamenti, ma mai seri. Anche se Wren aveva sperato che fossero così.
–Va be’, – disse lui, spezzando così la tensione, –ci vedremo, no? E poi questa cosa l’anno prossimo sarà finita, credo.
“Certo”, pensò Wren, mentre cercava di rilassarsi. Carter le aveva appena messo un braccio attorno alla vita, e lei soffocava a stento una risatina.

A lezione di scopa c’era solo lei, naturalmente. Si erano ritrovate vicino al padiglione della mensa, visto che intanto si erano stanziati lì dei ragazzi del primo anno che giocavano a calcio.
La signorina Harvey era in classica tenuta da scopa: una tutina simile a quella dei sub (dello stesso tessuto) di colore rossa e marrone, due occhialini da aviatore e uno spesso e pesante mantello nero con lo stemma del King’s (un leone che mangia una stella) appuntato sopra.
La signorina Harvey pareva distante, quel giorno, ma ben presto Wren capì che si sentiva a disagio a stare con lei.
La guardava con occhi quasi chiusi, cercando di ispezionarla e di capire il suo problema.
Però tutte le sensazioni cattive furono scacciate in una sola mossa dalla scopa, che la faceva librare in cielo come fosse una farfalla, dati i colori insoliti della tenuta.
Dopo aver fatto tre giri di prova, la Harley le passò arco e frecce e la indirizzò sul primo bersaglio.
Il combattimento con la scopa era fondamentale per un mago, perché potevi essere attaccato in ogni momento.
Scoccò la freccia, e questa si posizionò al centro del bersaglio.
–Brava! – le gridò la Harvey, e le passò un arco più duro e meno maneggevole.
Wren lo incurvò verso il bersaglio, che questa volta era più lontano. Tirò la freccia, e questa stracciò il bersaglio.
La Harvey la guardò con ammirazione.
Ora le passò un arco quasi inutilizzabile (d’ebano, si presumeva dal colore) e una freccia con la punta d’argento rivestita di cuoio.
Per Wren era quasi impossibile tendere quell’affare in terra, figuriamoci sulla scopa! Cercò in tutti i modi ti incurvarlo, di curvare anche con la scopa, ma niente: era come cercare di ammorbidire il cemento.
Scoccò la freccia, che non superò un metro di distanza.
La Harvey non era delusa. Le diede una pacca sulla spalla, indirizzandola al padiglione della mensa.
–Ci riproverai domani. 

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Capitolo 3
*** 3 ***


3



Il padiglione era gremito di gente.
Durante gli scorsi anni non era mai accaduto che così tanti maghi si ritrovassero tutti a mangiare sotto lo stesso tetto nello stesso momento, e quindi per Wren fu strano vedere tutti lì.
Si era seduta il più lontano possibile dal centro sala, per non fare del male a tanti se fosse esplosa. Lei e Carter quindi si erano seduti sotto una finestra, e il vento gelido penetrava loro i vestiti.
Carter si era riempito il piatto con pollo caramellato e salsa di funghi e cipolle, mentre Wren aveva il piatto ricolmo di riso e salmone affumicato.
Prese un po’ di burro e ricoprì uno scone al cioccolato bianco e noci, una specialità del King’s.
Lanciò un’occhiata a Carter, che intanto leggeva Noi Siamo Infinito con una gran foga. Sembrava distante, teso, quasi non volesse avere un rapporto con lei.
–Tutto bene?   Gli chiese, appoggiandogli una mano sulla schiena. Lui si voltò e le rivolse uno di quei sorrisi “alla Carter” quei sorrisi che riempivano quasi tutta la faccia, quei sorrisi così veri che la portavano sulle montagne russe.
–Sì, solo che non ho ancora saputo quanto ho preso all’esame di pozioni e sono un po’ agitato.
–Ah. A che punto sei arrivato?        Chiese, addentando lo scone.
–Charlie è in ospedale. E tu?
Wren notò che il segnalibro che stava usando era una loro foto al lago Semerwater, l’estate prima del suo terzo anno scolastico.
–Augustus ha  appena detto ad Hazel che ha il cancro.
–Brutta scena, eh?
–Be’, in realtà non tanto. Loro si amano ancora.
Carter rise. Posò il libro e prese un altro po’ di pollo e lo colmò di salsa ai funghi e cipolle.
–Com’è andata a lezione di scopa? Le chiese tra un boccone e l’altro.
Wren faceva ad un certo punto fatica a deglutire. –La Harvey mi ha dato tre archi differenti, e io dovevo centrare il bersaglio, solo che all’ultimo l’ho mancato. La prof non mi è sembrata delusa, però.
–Fortunata te! La Stitch ogni volta che cadi dalla scopa ti urla “fallito! Miserabile!  Disgraziato!” be’, ma che posso pretendere? Tu sei ad un livello superiore…
Wren gli rifilò un calciò e lui sussultò fra le risate.
–Wren?
–Sì?
–Lo sai che sto scherzando, vero? Le persone non diventano speciali perché uccidono qualcuno.
–E c’era bisogno di dirmelo? La Stitch ha ragione, sei un disgraziato, Carter!
E insieme si alzarono, diretti al Prato Verde.


Quando andò in camera a prepararsi alla lezione di rune antiche, Steve era in camera sua.
Si stava pettinando i capelli scarlatti davanti allo specchio vicino alla porta. Era solo in reggiseno e mutande. Wren capì che stava per uscire con Jon perché sul letto erano piegati dei vestiti (gonna blu e camicetta bianca) e degli stivali di camoscio, inappropriati per una lezione di scopa.
–Ieri non sei tornata in camera.      Le disse mentre cominciava a spogliarsi.
–Sono stata con Jon e Randy. Problemi?
–Certo che no.
Steve si voltò a guardarla quando era solo in biancheria, e, nel notare che era tutta sudata, le rivolse un ghigno.
–Che ci fai conciata così? Hai fatto una bella corsetta?
–Sono stata a lezione di scopa.
–Ah.
Dopodiché Wren prese l’uniforme e corse in bagno, pronta a sfuggire a quella presuntuosa figlia di papà che condivideva la stanza con lei.
In bagno pensò molto al signor Patten e al fatto che non si era fatto vivo né il primo giorno per darle il benvenuto (come faceva sempre) né quel giorno, e la cosa la preoccupava.
Ogni volta che il signor Patten mancava, allora voleva dire che stava architettando qualcosa, che fosse personale o no non importava.
Un anno mancò per circa un mese perché aveva lasciato un documento antico su un’isola deserta durante una crociera, e aveva dovuto combattere contro una tigre che se n’era impossessata per riprendersela.
Un'altra volta fu via per circa due settimane perché dei demoni del fuoco avevano attaccato la scuola e si erano portati via una vetrata antica ed insostituibile, e il signor Patten era volato fino alla loro tana per riappropriarsene.
Ora quella vetrata si chiama “vetrata Patten”, perché il signor Patten tornò a scuola completamente distrutto e con una gran rabbia, e quindi la Breakwell lo calmò dedicandogli la vetrata.
Sì, il signor Patten era davvero suscettibile.
Qunado uscì dalla doccia, Steve non c’era più, e Wren assaporò la tanto attesa solitudine.
Uscì di casa e si indirizzò alla cappella Settima, dove l’attendeva la professoressa Baubon.
La professoressa Baubon era grassa e bassa, e bastava una “a” di troppo per farla infuriare.
–Salve, –disse mentre Wren entrò, –spero che il fatto che tu debba prendere ad un certo punto lezioni private sia per qualche motivo utile, perché ho dovuto dedicarti ben tre quarti della mia pausa lavorativa pomeridiana.
La professoressa Baubon s’incamminò per la sala in cui vi erano solo loro due e le porse un libro rilegato dalla copertina azzurra, con su scritto
 
Rune antiche: come usarle o
come distruggersi
 
Wren soppesò il libro, che quell’anno era diverso, ma poi si corresse:
era lei ad essere diversa.
–Allora, – disse la prof avvicinandosi, –le rune antiche servono per evocare spiriti e demoni anche senza una bacchetta, ma necessitano di essere imparate per essere usate a dovere. Quindi… signorina Stone, qual è la runa che serve per evocare il fuoco?
Wren si riscosse. –Shedmud, prof.
E disegnò una specie di “x” con dei prolungamenti orizzontali alle estremità.
–Bene; e qual è quella per evocare l’acqua?
Wren rifletté un attimo prima di dire –Shiushe.
E disegnò una goccia d’acqua con un fiore dentro.
–Molto bene. E quella per evocare la morte?
Hashtale.
Questa volta non disegnò niente, perché aveva paura di uccidere qualcuno.


Le rune funzionano solo se vengono sia recitate che disegnate, altrimenti non esce un incantesimo abbastanza potente.
Se qualcuno dicesse Hashtale e non disegnasse la runa e poi la indirizzasse davanti a qualcuno, questi si ritroverà solo con un leggero mal di testa o con un dolore al fianco.
Quando la lezione finì, Wren salutò la professoressa Baubon e andò al padiglione della mensa, dove l’aspettava Carter per l’ora del tè.
–Allora, –disse lui mentre addolciva il proprio tè con miele e latte, –com’è andata la lezione?
Wren riempì la sua tazza con lo stemma del King’s con del tè verde nel quale mise un po’ di zucchero.
–La Baubon non sembrava molto felice di vedermi.
–Era una grande amica della Baron.
–Lo so, però…– Wren sistemò le braccia sul tavolo, pensierosa, –credo che l’unica ad incitarmi nonostante l’assassinio della Baron sia la Harvey. Però… non sono poi così brava nella scopa, no?
–Certo che sei brava.       Disse Carter, cingendole la vita con un braccio.
Wren notò che si era cambiato per la lezione di lingua: aveva un maglione con i colori del King’s e dei pantaloni grigi e un paio di mocassini color prugna.
–Hai visto qualcuno?      Disse Wren scostandosi dal suo abbraccio improvvisato.
–Be’, la Smith ci tiene molto all’eleganza.
–Ah, davvero?
Carter voltò il viso da un’altra parte. Era evidente che si vedeva con qualcuno, ma non voleva dirglielo.
–Cart, – disse lei, appoggiandosi a lui, –a me non dispiace se frequenti qualcuna. Solo perché siamo grandi amici non significa…
–Wren, davvero. Lei per ora non vuole… sbandierarlo ai quattro venti, non so se mi spiego. Non vuole che la gente lo sappia.
–Io sono la gente?           Domandò lei, quasi sghignazzando.
–No, certo che no. È che… non so…
Wren sorrise, –Non c’è bisogno di giustificarsi, Cart. Hai sedici anni. Va tutto bene, non sono gelosa.
–Ah, sì? Per te va bene?
–Certo.
Carter sorrise, e, piano, si scostò da lei, e si diresse verso l’uscita.
“Com’è bello,” pensò lei, mentre lo rimirava desiderosa e con un pizzico d’invidia per la fortunata che se l’era preso.

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Capitolo 4
*** 4 ***


4


Era il suo giorno libero.

E voleva trascorrerlo a non fare niente.
 
Ogni settimana per gli studenti del King’s c’era un giorno di riposo e di completo distacco dagli studi:
gli studenti potevano uscire dalla scuola e visitare la città;
potevano andare a dormire da amici o a mangiare una pizza;
potevano sbaciucchiarsi con i propri fidanzati senza che nessuno dicesse niente.
Wren Stone bussò alla porta di Carter, e, non appena lui aprì, uscirono dalla scuola percorrendo uno stretto labirinto di viali, aggirando il Prato Verde.
Il Mirabolum non solo era il luogo in cui alloggiavano i ragazzi, ma era anche dove ogni anno si riuniva la Triade per annunciare un verdetto, qualunque esso sia.
Camminarono mano nella mano fino a trovarsi davanti all’uscita pedonale del King’s, e varcarono la soglia, assaporando l’aria non pulita che l’edificio magico-scolastico non lasciava entrare attraverso le sue imponenti mura.
La prima volta che Wren si ritrovò al King’s, le dissero che era come una cupola che non si faceva vedere dai mortali e che non lasciava entrare alcun tipo di sostanza nociva.
Wren non ci aveva creduto, ma, il suo primo giorno libero, aveva chiaramente confrontato lo smog di Londra con l’aria pulitissima del King’s.
Camminarono per Craig’s Ct e accerchiarono il South African High Commision Home Affairs Consular Section, nonché base generale della Triade dal 1788, chiamata dai maghi SSAACH (sac)
Mangiarono un panino  in un ristorantino poco caro di fronte al sac.
–Bello, eh?      Disse Carter, addentando il suo panino al roast-beef.
–Già.               Wren diede un morso al suo panino vegetariano, e le sue papille gustative esplosero quando la sua lingua venne a contatto con la senape e gli asparagi.
–Stare qui a non fare niente, senza uccidere nessuno…
–Ma sta’ un po’ zitto, Cart.
Carter abbozzò una risata divertita.
–Sai, –disse, incrociando le dita nelle sue, –era da tempo che non ci vedevamo così, senza alcuna pretesa.
La squadrò con lo sguardo.
Wren aveva un maglioncino corto di colore rosa antico e pantaloncini strappati di un azzurro chiarissimo, aveva le lenti lucidate e una lunga treccia a spina di pesce, talmente ben fatta che i riccioli erano quasi inesistenti.
Wren non lo avrebbe ammesso mai, ma era ricorsa alla magia per vestirsi e per l’acconciatura.
Era talmente agitata per quella mattinata insieme che aveva chiesto persino a Steve di aiutarla, cosa non da poco.
Infine, la magia le aveva fatto la treccia e la sua compagna di stanza le aveva preso i vestiti.
–Hai ancora fame?          Le chiese Carter quando uscirono dal locale.
–Ho ancora spazio per un gelato con crêpes.
–Ah, certo.
Andarono in una gelateria a prendere una gigantesca ciotola di gelato e si abbuffarono di crêpes in un bar vicino alla gelateria.
Si sedettero su una panchina di fronte al Victoria Memorial e cominciarono a mangiare come se fosse il loro ultimo giorno.
–Sai, – diceva Carter tra un boccone e l’altro, –sarebbe anche bello trasferirsi qui finiti gli studi.
–Fra due anni, certo.
–Però…
–Però cosa?
Carter la guardò. –E se non ci vedessimo più?
–Non preoccuparti. Da quest’anno sei così… apprensivo.
Gli occhi di Cart erano fissi sul Victoria Memorial, come se cercasse un briciolo di normalità in quel mondo strampalato.
–è solo che… Quest’estate degli uomini sono entrati in casa. Volevano mio padre, che è andato con loro.
–Davvero?
Carter annuì. Era strano parlare di una cosa del genere con lui, soprattutto perché non sapeva di cosa stessero parlando.
–Erano in cerca dell’erede.
–Oh.
Erano anni che si cercava un erede per il signor Patten, un briciolo di magia imparentata con lui per la carica di preside.
Il King’s aveva una tradizione che non poteva essere spezzata.
Il preside, alla propria morte, non avrebbe dovuto decidere lui il prossimo preside, ma lo sarebbe stato il suo parente più prossimo.
Se non ci fosse stato nessun parente, allora si sarebbe ricorsi ad un duello, ma quella era l’ultima delle alternative.
E, ora, quando il preside aveva raggiunto la veneranda età di 64 anni (che per lui non pesava affatto, visto che andava ancora in cerca di avventure e di una ragazza), tutti erano in cerca di una parentela.
Il problema era che il signor Patten era solo al mondo. Nessuno, nessuno era imparentato con lui, e tutti i suoi cugini, fratelli e zii erano morti.
–Chi parteciperà al duello?
–Tutti figli di papà. Mio padre mi ha perfino proposto di parteciparci. Ma io ho detto di no.
–Perché?
–Perché t’immagini me che prendo il posto del professor Patten, che è stato come un… un padre, per me?
–Dovresti farti i baffetti.
–Non ci penso proprio.
Risero entrambi, e Wren si appoggiò al braccio muscoloso di Cart.
–Che volevano da tuo padre?
–Volevano che truccasse il duello. Vogliono trovare un erede prima di una guerra tra clan.
Certo. Clan di famiglie in cerca di gloria.
–E come avrebbe dovuto fare tuo padre?
–Lo sai, lui lavora per la Triade. Avrebbe dovuto opporsi al duello e proporre qualcun altro o una tregua. Ma lui ha detto di no. L’hanno portato via.
Lo sguardo di Cart era vuoto.
–La cosa più brutta? Era che li aveva mandati il signor Patten, sicuro. Non facevano parte della Triade.
–Come fai a saperlo?
–I loro occhi, Wren. Avresti dovuto vederli. I loro occhi erano neri.

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Capitolo 5
*** 5 ***


5



Dopo la loro chiacchierata, le giornate passarono veloci come una folata di vento.
Lunedì. Martedì. Mercoledì.
E poi di nuovo Lunedì. Martedì. Mercoledì.
Wren si esercitava nella scopa, anche se non era ancora riuscita a tendere l’arco. Ogni giorno si esercitava per due o tre ore, e un giorno la Harvey le propose anche di partecipare al campionato, ma lei disse di no, perché era ancora molto presa dalla faccenda dell’arco.
Conobbe la sua nuova professoressa di pozioni, la signorina Bellwater, una donna piccola e minuta dai capelli biondissimi acconciati in un taglio alto molto bizzarro.
Portava degli occhialoni giganteschi e vestiti molto piccoli, e non si arrabbiava mai.
L’unica pecca era che era sempre guardinga quando si trattava di istruirla nella pratica: si allontanava ogni volta che faceva bollire qualcosa nel pentolone o tagliava le coscette di rana con un coltellaccio.
Dopo questo, Wren se la passava bene.
Si era iscritta ad un corso di scrittura magica, dove alla fine avrebbero pubblicato un libro di testo.
Aveva finito di leggere Colpa delle Stelle, ed era passata a Eleanor & Park, ma era decisa ad accantonarlo per un po’ perché era molto impegnata con le lezioni.
Non vedeva da quasi due settimane Carter, che in ogni giorno libero andava o a far visita ai genitori o a spasso con la sua ragazza, e questa cosa non le piaceva.
Un giorno Sue l’aveva invitata a passare con lui una giornata sulle montagne del Bellirfe, nel regno dei nani.
Si erano incamminati su per un pendio impervio e avevano colto i funghi.
Sue era appassionato di piante, e l’anno prima aveva ottenuto la licenza di prendere funghi perché si era dichiarato un “micologo alle basi”.
Sue aveva i capelli neri e gli occhi smeraldini. Non frequentava quasi nessun corso con Carter, ma i due erano diventati amici prima ancora di andare al King’s.
Sue non aveva una ragazza, ma andava dietro alla ragazza di Bob, una certa Samanta, che aveva deciso di intraprendere gli sudi geologici.
Un giorno vide Carter, ma era così distratto che aveva trovato una scusa (“oh! si sono già fatte le quattro, devo muovermi se voglio finire la ricerca di rune antiche!”) ed era scappata in camera, dove si era nascosta per non destare sospetta.
Aveva fatto visita alla signora Bellnorris nell’Hampshire, dove questa aveva la tenuta di campagna nella quale Wren andava ogni estate.
–Perché non resti un po’ qui? Le chiese.
–Signorina, devo continuare a studiare. La professoressa Bellwater vuole farmi cambiare il calderone da una misura standard ad una large.
–Ah, molto bene! E che mi dici di Carter?
Wren si era incupita. Non voleva pensare al suo ragazzo immaginario/migliore amico/ in stato di friend zone che l’aveva acquartierata per una che non volava neanche farle conoscere.
Decise allora di mentire per non farla preoccupare. –Bene, sta passando molto tempo da i suoi.
–Ah, i signori Jones sono così protettivi nei riguardi del figlio, no?
–Già.
Dopo aver bevuto il tè allo zenzero e limone e aver visto una puntata di Grey’s Anatomy Wren tornò al King’s, dove riprese le lezioni.
Lunedì. Martedì. Mercoledì. Tutto si ripeteva così.
Un giorno si era decisa a parlare con Carter.
Si erano stesi sul Prato Verde, lei accoccolata tra il braccio e l’ascella di lui.
–Mi sei mancato.
–Ah, sì?
Wren sorrise.
–Sei stato tutto il tempo via. Pensavo quasi non volessi stare con me.
–ah, non preoccuparti. È che lei non vuole che gli altri sappiano di noi e quindi ci vediamo solo nel tempo libero.
Wren aggrottò la fronte. Ecco perché non si vedevano più.
–E tuo padre?
–Ancora via. Mia madre è parecchio preoccupata, sono passato da lei la scorsa settimana e non faceva che lavorare a maglia. È stato uno strazio, ti giuro.
Wren rise prima di commentare. –Poverina.
–Be’, –sentenziò Cart avvolgendole la vita in un abbraccio precario, –gli uomini hanno mandato un paio di lettere a mia madre dicendole di non preoccuparsi perché non gli stavano facendo niente di male, ma lei non ci crede. A dire la verità neanche io ci credo più di tanto.
Wren si limitò a ridire. –Poverina.
Cart sorrise.
Era da tempo che Wren non lo vedeva sorridere.
La calma che li avvolgeva fu ad un certo punto spezzata da lo squillo di un telefono, quello di Carter.
–Pronto, amore? – disse, mentre si alzava e velocemente salutava Wren, –certo, certo. Dove vuoi che ci incontriamo? A me va benissimo. Okay. Grazie.
Chiuse la telefonata quando ormai Wren non lo ascoltava più. Si alzò e se ne andò con una fitta al cuore, lasciando zaino  e libri lì ad aspettare di essere rubati.
Giovedì. Giovedì.
Sì, giovedì era forse il giorno peggiore, perché era il suo giorno libero e Wren era costretta ad osservare Carter che se ne andava.
Poi di sera Carter ritornava, ed era sempre troppo stanco per passare un po’ di tempo con lei.
Venerdì. Venerdì.
Forse venerdì era il giorno migliore, perché si allenava a scopa per ben 5 ore, e la Harvey applaudiva quando faceva centro.
Wren aveva deciso di esercitarsi di più sull’arco di media grandezza, così che quando sarebbe stato il momento avrebbe saputo utilizzare l’arco d’ebano.
La Harvey non criticava la sua scelta. Sembrava quasi assecondare il fatto che Wren volesse precisare la curvatura dell’arco, così che sarebbe stata impeccabile al momento della curvatura dell’altro.
I giorni passarono così, tra una lezione e l’altra, tra uno sguardo fugace e l’altro, fino a quando non spezzò quell’equilibrio precario con una rissa in mensa.
Visto che Carter portava con sé il cibo dopo averlo preso al buffet per mangiare con la sua ragazza, Wren rimaneva o sola a mangiare davanti alla finestra o con quelli di scrittura magica, di cui, ovviamente, faceva parte anche Steve.
Da quando si era iscritta la corso, Steve non aveva fatto altro che rifilarle occhiate di traverso o sguardi infuocati, ma mai, mai erano arrivate alle mani.
La professoressa Robinson rimaneva con loro la maggior parte del tempo, pure in  mensa, per cui per loro era quasi impossibile uccidersi a vicenda, ma quel martedì, be’, quel martedì Wren e Steve si menarono proprio lì.
La Robinson non era potuta venire perché accompagnava la classe di storia della magia al sac, e quindi loro stavano mangiando da sole.
Wren si sedette accanto a Lory, una ragazza promettente dell’est di Londra.
Stava annaffiando il pasticcio di carne con un po’ di soda quando Steve le disse:
–Come va col fidanzatino?
Lei si era girata. –Dici a me?
–Be’, sei l’unica ad andare dietro ad uno senza neanche mai baciarlo, no? O c’è un club di zitelle qui a scuola di cui non sono al corrente.
–Zitta, non sono affari tuoi.
–“Carter, Carter, ti amo” dici nel sonno. Carter quello che gioca ad hockey sul prato?
–Steve, senti, per quanto tu possa essere spregevole e giuliva, ora stai esagerando.
–Ah, sì? “Baciami, Cart, baciami!” non dici questo nel sonno?
–Non faccio così!
A questo punto Steve si era alzata, la treccia a mezzo centimetro dalla brocca di succo di frutta.
–Certo che fai così. Sei così sola e zitella che neanche te ne accorgi.
–Basta, Steve. Aveva detto Lory in sua difesa.
–Stai zitta, non c’entri tu. “Carter, Carter, ti amo!”
Le guance di Wren erano in fiamme. Se avesse continuato così, ben presto si sarebbe ritrovata con dei connotati nuovi, quella lì.
–Smettila.        Le ripeté.
–E sennò? Chiami il tuo fidanzatino?
In quel momento, Wren prese la brocca di succo di frutta e gliela gettò in faccia.
–Va’ all’inferno!       Schiamazzò Steve, facendo una specie di giravolta su sé stessa e saltellando.
–Va all’inferno tu.
Steve le si parò davanti, e le prese il maglione tra le mani.
Wren la spinse, e Steve gridò nel trovarsi a terra in una pozza di succo di frutta.
–Che succede? Gridò una voce dietro di lei.
La Harvey era entrata dopo aver sentito le urla, e spalancò gli occhi nel vedere Steve a terra e Wren davanti a lei.
–Wren… subito in presidenza.
 
L’ufficio del preside Patten era gigantesco rispetto a quello della signorina Breakwell, ma non si era ancora fatto vivo dopo una buona mezz’ora d’attesa.
 
 
Con lei c’era la Harvey, che aveva in faccia uno sguardo tra il deluso e l’arrabbiato.
Quando entrò il signor Patten, era sera e la Harvey si era seduta su una poltrona.
–Bene, – disse, accomodandosi con una certa difficoltà sulla poltrona gigantesca della scrivania riservata solo e solamente a lui, –Signorina Harvey, le dispiace lasciarci soli?
La prof fece un cenno col capo ed uscì dall’ufficio con passo leggero.
Quando se ne andò, il signor Patten si fece serio.
–Allora, –disse, mentre piano si alzava dalla sedia e si posizionava davanti ad una libreria, –credo di non voler sapere come mai tu e la tua compagna di stanza vi siate picchiate a pranzo, per cui non verrai punita per questo.
Wren s’illuminò. –Davvero?
–Sì.
Sorrise. Aveva uno sguardo vagamente perso nei suoi pensieri, e sopracciglia ispide e folte.
–Comunque. Credo che tu sappia che io sono in cerca di un erede per la presidenza di quest’istituto.
Come poteva non saperlo? Se ne parlava da anni.
–Devi sapere che qualche settimana fa mi sono ammalato di una grave malattia che probabilmente mi lascerà solo un mese di vita.
Wren aggrottò la fronte.
–Quindi è importantissimo trovare una parentela. Sposarmi è troppo tardi. Avere un figlio? Neanche per sogno. C’è solo un rimedio.
Wren era curiosa tanto quanto confusa. –E quale?
Il signor Patten le si avvicinò.
–Mia sorella Anya, che riposi in pace, un giorno conobbe un giovine proveniente dall’America, e fu amore a prima vista.  Ben presto, mia sorella si ritrovò incinta, ma i due erano ancora troppo giovani per una relazione stabile. Pur sapendo che il nascituro sarebbe stato un mago, lo mandarono a crescere via da loro, e da quel momento io l’ho controllato. Ora quel ragazzo si chiama Elia, e ha un paio di anni più di te. Voglio che tu lo trovi e che lo porti da me prima del duello.
A Wren sembrava quasi impossibile tutto questo. Che poteva importare a lei?
–Mi scusi, ma che cosa ci guadagno io ?
Il signor Patten sorrise. –Be’, la fama. Non credi sia importante, ora come ora? Hai ucciso una professoressa, se porti Elia al King’s sarai come un’eroina. Ci pensi?
Ad un certo punto immagini di fama e di gloria si materializzarono davanti agli occhi di Wren, che cominciò a pensare che quell’idea non fosse poi così cattiva.
–Va bene, – disse alzandosi, –ma come faccio a trovare questo Elia?
–La Triade conserva da anni un amuleto in grado di osservare le persone in lontananza (il Righa), dovrai andare lì e rubarlo, e, detto questo, ti saranno assegnati due accompagnatori.
–Come faccio a rubarlo?
–Be’, questo sta da te.

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Capitolo 6
*** 6 ***


6



Il sac era un edificio gigantesco che agli occhi di tutti era anche un po’ vecchiotto, ma per i maghi era il centro della vita sociale ed economica dei maghi inglesi.
Il sac aveva due piani riservati alla banca e tre a i notai, uno per gli avvocati e l’ultimo per la Triade, l’associazione che tutela la magia.
Wren varcò la soglia dell’edificio col cuore in gola: come faceva a rubare il Righa?
Il signor Patten le aveva detto che era un amuleto a forma di triangolo legato ad uno spago nero da avvolgere al collo; era fatto con una pietra nerissima e levigata e aveva un buco al centro.
Wren salì i primi sei piani in ascensore, e poi l’ultimo a piedi per non farsi vedere. Quello della Triade era il piano più lussuoso di tutti. Colonne in marmo bianco erano disposte ai lati di un ampio corridoio accerchiato da più porte. L’ultima porta era gigantesca e più bella delle altre. Probabilmente era l’ingresso della sala principale della Triade.
Il signor Patten le aveva consigliato di andare a controllare nel caveau, visto che il Righa era un amuleto potentissimo.
Il caveau era in un altro corridoio più moderno e riservato, con le pareti di metallo e il pavimento grigio di cemento.
Alla fine di esso c’era una porta circolare che si poteva aprire con un semplice incantesimo di costrizione, visto che tutti quelli più complessi venivano rilevati da un radar apposito.
La porta si spalancò. Wren si guardò indietro più di una volta prima di entrarci e di chiuderla alle proprie spalle.
Il caveau era di forma quadrata e piuttosto piccolo, circondato da scaffali di roba impilata una sopra l’altra. Al centro c’era un tavolo zeppo di scatoline di cartone e documenti.
Quello era il caveau più conosciuto di tutta l’Inghilterra?
Wren si guardò attorno, scoprendo che il Righa non era lì.
Uscì piano dal caveau, aspettandosi la solita solitudine…
–Che ci fa qui, signorina?               Disse un uomo armato fino ai denti e con una bacchetta di frassino legata alla cintura.
–Mi sono persa, e ho trovato la porta aperta.
–Mi scusi, chi è lei?
Il cuore di Wren batteva all’impazzata. Ora che diceva?
–Io… io sono la sorella della signorina Breakwell, devo recapitarle  un dono importantissimo. Sono una ricercatrice, sa?
–Ah sì? E che cosa studia?
Le mani di Wren sudavano più di un fiume in piena.
–Be’, amuleti e oggetti fantastici di edifici magici come il sac.
–Ah, allora è una persona importante.
–Già. Visto che questo è evidentemente un edificio molto… ehm… storico e ricco, credevo di trovarci almeno, che so… un amuleto. Ma non c’è nulla. Per cui me ne andrò a dare a mia sorella il dono che le ho fatto dall’India e me ne andrò.
E, detto questo, camminò con passo svelto superando la guardia.
–Aspetti! –disse questa, che evidentemente aveva acquisito un debole per lei, –non è affatto vero che qui non c’è niente. Anzi, custodiamo il Righa, un importantissimo amuleto.
–E dov’è?
–Be’, signorina, era troppo facile sistemarlo in un caveau qualsiasi! L’abbiamo donato alla signora Fairview, la moglie del capo della Triade. Mi pare che oggi assista alla riunione.
–Va bene. Be’… allora ciao.
La guardia rimase lì a fissarla per tutto il tempo.


Mentre camminava per i corridoi del sac, Wren riuscì a scorgere tutti i membri della Triade che si affrettavano ad entrare nella sala dalla porta gigantesca.
Vide anche la signora Fairview e il marito, il signor Roland.
La signora Fairview era una donna alta e molto bella, che quel giorno indossava una camicia con uno scollo che mostrava il suo decolleté e un paio di pantaloni bianchi. Portava anche il Righa a mo’ di collana.
Wren si infilò in un paio di corridoi per non farsi vedere.
Mentre la signora Fairview si sedeva nella sala della riunione col marito, Wren scese rapidamente le scale, e si ritrovò in un’ampia sala che prima non aveva trovato. Lì c’era una mappa che rappresentava ogni piano del sac, solo che lì ce n’era uno in più, un seminterrato. Dato che non era stato citato da nessuna parte, Wren pensò che potesse esserci qualcosa d’interessante.
Scese le scale rapidissima, fino ad arrivare ad una porticina nel seminterrato. La aprì.
Si trovò in una sala gigantesca dal pavimento e dalle pareti in roccia, come in un castello medievale.
Da un corridoio provenivano in certi momenti sbuffi di fumo e fiamme a malapena percepibili.
–Che c’è là dentro?
Wren avrebbe voluto andarsene da lì. Scappare.
Ma non poteva. No, non poteva se voleva riacquistare la fama al King’s.
Si avvicinò piano al corridoio e lo percorse col cuore in gola.
Ora era in una stanza più piccola adibita a sgabuzzino, con una porta aperta su una parete.
Varcò la soglia della porta e si ritrovò davanti alla cosa più bella che avesse mai visto.
–Un drago!      Gridò Wren saltellando dalla gioia.
Davanti a lei c’era una creatura simile ad un gigantesco serpente squamoso dai colori cangianti, che possedeva delle ali quasi di plastica di un colore roseo e bronzeo.
Il drago esalava in alcuni momenti sbuffi di fumo e in altri fiammate vere e proprie.
Prima non se n’era accorta, ma Wren ora poteva leggere su una targhetta un nome: Bessie.
–Bessie, – le disse, avvicinandosi, –vuoi venire con me?
Il drago si voltò verso di lei  e dilatò le narici.
–Eh, lo vuoi?
Wren aveva un piano.

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Capitolo 7
*** 7 ***


7



Irrompere in una riunione della Triade sul dorso di un drago gigantesco era stato fin’ora il massimo della giornata.
Mentre quelli della Triade parlavano e discutevano di magia, Wren sfondò una finestra ed entrò con Bessie nella sala delle riunioni.
Avendo sfondato una finestra, aveva creato molto scalpore. I maghi avevano gridato come matti e si erano rifugiati sotto le loro sedie, mentre il signor Roland e la moglie rimanevano in piedi.
Wren compì circa tre giri intorno al signor Roland, che gridò come un matto e che cercò di proteggere la moglie mantenendola per i fianchi.
Wren si guardò attorno: la gente gridava come matta, e lei avrebbe voluto farla smettere…
–Non voglio farvi del male!    Gridò accerchiando un paio di persone.
Poi rivolse Bessie verso la signora Fairview.
Cercò di essere calma, per non incuterle timore.
–Non  voglio farle niente! – ululò, mentre la signora Fairview si nascondeva dietro una poltrona, –Voglio solo il suo amuleto. Mi serve per garantire un futuro al King’s!
La signora Fairview continuava a gridare, gridare gridare… era impossibile per Wren farla stare zitta.
Allora decise di agguantarla per la vita e di prenderla per la collana, cosa che in effetti fece.
E poi volò via, verso il firmamento.

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Capitolo 8
*** 8 ***


8



Tutto era così… strambo. Sbiadito.
Wren aveva provato a guardare nel Righa anche per un solo istante, ed era rimasta bruciata dalla sua essenza, tanto che era stata costretta a coprirsi gli occhi con le mani.
Non avrebbe mai saputo definire cosa si provava nel guardare all’interno del  Righa.
Forza? No. Felicità? Non proprio. Potenza? Forse. Ma tutte le emozioni che ti travolgevano nel momento in cui posavi l’occhio nel foro dell’amuleto era strane, quasi… quasi estranee al mondo normale, ecco.
Wren volò per circa due ore prima di arrivare al King’s. Scoprì ben presto che un drago è molto più lento di quel che si pensa.
Arrivata al King’s si posizionò proprio nel bel mezzo del Prato Verde, senza ammazzare nessuno, ovvio. La gente la guardava con un misto di rabbia e paura allo stesso tempo, e lei temeva di spaventarli, di lasciarli andare via.
Corse nell’ufficio del preside con l’amuleto in mano.
–Signor Patten!       Gridò mentre avanzava verso il suo ufficio.
Bussò.
Bussò.
Bussò.
Il signor Patten non apriva.
Bussò.
Bussò.
Bussò.
Al settimo colpo di mano contro la porta, Wren decise che l’avrebbe sfondata.
Piombò con la schiena sulla porta, che sotto il suo peso crollò immediatamente.
Nell’ufficio non c’era nessuno. E nemmeno nella stanza privata.
Wren setacciò le camere del preside Patten per mezz’ora prima di trovare il coraggio di aprire la sua camera privata, dove non entrava mai nessuno a differenza di lui.
Esitò prima di aprire la porta.
E se fosse stato lì a dormire e il fatto che lei avesse aperto la porta lo avrebbe fatto infuriare a tal punto di espellerla?
E se fosse scappato e di lei non ne volesse sapere più niente?
“Devo per forza,” si disse, “è per riconquistare la mia fama”. E aprì la porta.
 
 
 
Un attimo prima di dichiarare la morte improvvisa del signor Patten, Wren aveva creduto davvero che fosse scappato.
Ma poi, nel vederlo lì, morto, con il sangue rappreso che gorgogliava nella sua gola, Wren ebbe un colpo al cuore.
Gridò talmente forte che i muri sembravano rompersi.
Ululò con così tanta foga che immediatamente la professoressa Harvey si precipitò da lei.
Urlò con così tanto spavento che dovettero sedarla per farla stare meglio.
E nei suoi sogni non faceva che pensare al signor Patten.
Morto.
E defunto.


–Credo che noi dobbiamo parlare.  Le disse Cart dopo il funerale.
C’era una pioggia terribile, quel giorno.
L’acqua batteva inesorabile contro i vetri delle vetrate dell’abbazia Patten, e faceva un freddo gelido.
Quasi quasi, Wren pensò che era perché il signor Patten era morto.
–Che cosa vuoi?      Domandò immersa nei suoi pensieri.
–Voglio semplicemente sapere come stai.
–E la tua ragazza? Non è qui al funerale?
–Lei. Ah, be’… lei c’è, ma non vuole che ci vedano insieme.
Wren si voltò, le lacrime agli occhi. –Che razza di relazione è? Tu mi dici sempre tutto, e ora? Che mi nascondi?
Carter si fece più cupo.
–So di averti trascurato nell’ultimo periodo. Però… però è stato perché questa è la mia prima relazione, ed è tutto così… diverso.
–Ah, sì?
–Per questo… be’, per questo vorrei che tu venissi a casa mia per Natale.
–Ma è tra un mese.
–Lo so. È che… tu mi manchi, Wren.
La avvolse con un abbraccio caldo.
–Va bene.
Si voltò verso di lui, e in quell’istante ebbe voglia di baciarlo, ma si trattenne, perché sapeva che lui aveva una ragazza e lei era solo d’intralcio.
–Cart?
–Sì?
–Possiamo parlare? Ti devo dire una cosa importante.
–Dimmi.
–Non qui. In camera tua.
 
Era tempo che Wren  non entrava in camera di Cart.
Era tutto uguale: gli stessi mobili antichi, lo stesso letto gigantesco, lo stesso forno a microonde che Carter aveva portato di nascosto da casa dei suoi.
Tutto era così normale che quasi Wren si sentì di nuovo a casa.
Ma non era a casa.
Dopo quelle attenzioni così precarie che Carter le aveva rifilato e la morte del signor Patten, tutto era così… strano.
Diverso.
Si sedettero sul divanetto accanto al tavolino e cominciarono a parlare.
–Allora…                Da dove poteva iniziare?
–Il signor Patten, circa un paio di giorni prima di morire, mi ha parlato di una cosa nel suo studio.
Carter aggrottò la fronte.
–Ha detto che per fermare la guerra io avrei… avrei dovuto trovare il suo erede, un suo lontano parente.  Mi ha detto di spiarlo tramite il Righa, e mi ha detto di rubarlo.
–A che cosa vuoi arrivare?
–Il signor Patten mi ha detto che avrei avuto bisogno di qualche accompagnatore, ma non mi ha rivelato chi.
Carter era ancora lontano, quell’espressione vuota che le rifilava sempre quando lei lo esortava a fare qualcosa.
–E quindi?
–E quindi io avrei scelto te.
Carter era sorpreso tanto quanto stufato.
–Senti… io non posso.
–Cosa?
–Tu sei la mia migliore amica, certo, ma… che dico alla mia, ehm, ragazza?
–Ma è per me. Per la mia fama.
–E a lei che dico?
–La farai venire con noi.
Carter aveva l’aria di uno con le mani legate.
–Carter… c’è un motivo per cui non mi vuoi far conoscere la tua ragazza?
Cart la guardò, l’espressione sinceramente scossa e triste.
–Lei non vuole. E sinceramente nemmeno io.
–Cart, – disse Wren, appoggiando la mano sulla sua, che era calda, –siamo amici da quando avevamo dodici anni. La possiamo smettere di fare tutti questi giri di parole?
Carter la guardò, e per un attimo Wren pensò che fosse tutto finto, solo per farla sentire sola.
“è uno scherzo,” avrebbe potuto dire lui, e poi “io amo solo te”.
Ma quello sguardo, quel velo di tristezza negli occhi… erano vuoti come quelli del signor Patten dopo la sua morte.
–Perché la mia ragazza è un ragazzo.      Sussurrò lui, e per un attimo Wren avrebbe preferito non saperlo.
 
–Che significa? – attaccò lei, d’un tratto alzandosi e camminando per la stanza, –che non ti fidi di me?
–No, certo che mi fido, – disse lui, alzandosi, –solo che non so bene cosa fare in una situazione del genere.
–Accettarla?
–Sembra facile per te, – sbottò lui, –tu credi che qualcosa possa essere o bianco o nero, senza sfumature intermedie. Ti rendi conto di quanto io mi sia sentito… strano?
–Come vi siete conosciuti?
–A lezione di pozioni, l’anno scorso.
Wren annuì, e si risedette.
–Certo. State insieme da un anno?
–No, – si giustificò lui, –solo da un paio di mesi. Prima eravamo solo… amici, ecco, ma poi è successo qualcosa. Siamo diventati più che amici.
–E perché non me l’hai detto?!       Gridò Wren, al colmo della rabbia.
–Perché tu non facevi altro che deprimerti! Da quando hai ucciso la Baron, sei sempre distante, distaccata, nervosa… io non ti capisco più!
–Ah, scusa se sono un po’ triste perché una madre (una moglie) è morta a causa mia!
–Potresti almeno accettarlo, no? Non devi per forza cambiare corsi solamente per paura di ammazzare la gente. Eri solo inesperta, punto.
–Tu dici? Credi che io riesca ad accettare il fatto che una donna sia morta perché io non so fare una pozione? Come credi che possa…
Sentì le lacrime che le sgorgavano sulle guance, che ricadevano copiose sulla sua pelle, il loro sapore salato, tutte le sensazioni che aveva provato alla morte del signor Patten e della Baron… era troppo, perfino per una nevrotica come lei.
–Fai finta che io non ti abbia proposto niente. Ma sappi che io lo voglio conoscere, il tuo fidanzato.
E, detto questo, uscì dalla stanza.

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Capitolo 9
*** 9 ***


9



Passarono i giorni. Le ore. I minuti. I secondi. E Wren e Cart non si parlavano neanche più.
Wren custodiva il Righa all’interno del suo comodino, e non voleva sentirne parlare.
Si diceva del furto di un amuleto preziosissimo, ma nessuno era riuscito a vedere la sua faccia, per cui quella di una sedicenne dai capelli biondi che era entrata al sac con un drago scarlatto era una teoria piuttosto inverosimile.
Il drago ce lo avevano loro, ovvio. Ben nascosto nelle segrete, certamente.
E il signor Patten riposava in pace, mentre nella mente di Wren v’era un vero e proprio conflitto civile.
 
Stava guardando la tv quando qualcuno bussò alla porta.
Wren posò la tazza di tè e aprì sbuffando.
Si ritrovò davanti un ragazzo dai capelli castano scuro e con un bel paio di occhi verdi, verdissimi, di un bel color smeraldo.
Portava una t-shirt dei Led Zeppelin e jeans strappati, una felpa nera col cappuccio e un paio di Stan Smith di marca ai piedi.
Quando era il proprio giorno libero ci si poteva vestire come si voleva, ribellandosi completamente alla divisa.
E quel ragazzo stava facendo un ammutinamento in piena regola, perché né pantaloni strappati e né t-shirt erano ammessi durante le giornate di lezione.
–Ehm…– cominciò lui con imbarazzo, –io sono Jessie. Il, ehm… fidanzato di… Cart. Possiamo parlare?
Wren alzò un sopracciglio. –Scusa?
–Sono il fidanzato di Cart. Possiamo parlare?
Wren non si accorse di aver detto di sì fino a quando non se lo ritrovò in camera.
 
–Allora… come mai sei qua?
Disse Wren, passandogli una tazza fumante di tè verde.
Jessie si era seduto ai piedi del letto di Steve, e sorseggiava con calma la bevanda.
Aveva disteso le gambe, e solo allora Wren si accorse che era tremendamente sexy.
A sentire la domanda, Jessie alzò gli occhi verso di lei e rispose: –Dopo il vostro litigio, Cart era agitato e teso. Voglio solo che la nostra relazione torni come prima.
Wren incrociò le gambe sebbene portasse la gonna. Sapeva che Jessie (un gay) non avrebbe mai chinato la testa per guardare cosa c’era sotto.
–Com’è? Cart, intendo.
Jessie si stupì ben poco della domanda. Alzò gli occhi al cielo, e poi disse. –Quando è con me dice cose che neanche immagini. Parla molto più spontaneamente. Secondo me sapeva di essere gay da sempre, anche se non lo ammette.
Dopo un po’ di sorsi ripeté –è così diverso! Più… più bello, ecco.
–Quando è con te è più bello?
–Già. È così vero.
Wren annuì, anche se non sapeva di cosa stesse parlando Jessie.
–Vuole dirti che gli piacerebbe andare in missione, – continuò lui, massaggiandosi la nuca. Sembrava che ogni suo movimento fosse programmato per farla arrossire, –perché suo padre è stato coinvolto inutilmente. E io do il mio consenso.
Wren lo squadrò.
–E se morisse?        Disse poi Wren, quasi per dissuaderlo.
–Be’, io ti squarterò viva fino a quando non troverò i polmoni e poi ti spremerò come un limone. Intesi?
Wren alzò un sopracciglio.
–Intesi.
Jessie si alzò, soddisfatto. Stava quasi per andarsene quando si fermò e disse: –Mi dispiace per il preside Patten. Ho saputo che sei… che sei stata tu a trovarlo morto.
–Non ti preoccupare, – mormorò lei di rimando, –sono abituata alla morte.

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Capitolo 10
*** 10 ***


10


L’ultima lezione prima di partire fu quella di scopa.
La Harvey non era più furiosa per la rissa con Steve, anzi, dopo la morte del signor Patten e del suo ritrovamento la guardava con rispetto ed ansia insieme, e Wren si limitava ad arrossire.
–Vediamo se riesci a tendere l’arco d’ebano, eh?
Le disse, porgendole l’arco.
Wren lo toccò e cercò di tenderlo in un primo momento, ma non aveva fatto esercizio quindi era tutto più difficile.
Così restituì l’arco a la Harvey e si esercitò di nuovo con quello più maneggevole.


–Ho saputo che andrai in missione per conto del preside.     Disse la Harvey mentre lei scoccava la freccia.
–Ah…sì. Però non credo andremo presto in missione. Devo ancora imparare ad usare il Righa, e poi il signor Patten mi ha detto che avrei dovuto avere degli accompagnatori… per ora siamo solo in due.
–Tu e chi?
–Io e Cart.
La Harvey annuì. Poi le ordinò di fare un giro intorno al perimetro della scuola prima di prendere l’arco di ebano.
Mentre girava a vuoto attorno alle mura di cinta, Wren rifletté molto sul fatto che la Harvey la volesse accompagnare. Non avrebbe fatto tante domande, altrimenti, no?


Appena tornata dal giro, Wren si sistemò la coda di cavallo e prese l’arco, che tutt’a un tratto era diventato più leggero.
Lo tese, lo sguardo fisso sul bersaglio che si trovava a pochi metri più avanti.
Era troppo duro. Ancora troppo duro per essere maneggiato da una come lei.
–Guarda dritto il bersaglio, – le disse la Harvey, mentre tranquillamente saliva su una scopa e volava verso di lei. Le prese il polso e lo aggiustò quando era troppo calante. –poi non pensare più. Pensa solo e solamente a scoccare la freccia. Tendi al massimo l’arco, perché e più duro e quindi la freccia va meno lontano.
Poi la lasciò andare.
La freccia sembrò scomparire per un istante, e per un attimo Wren credette di aver sbagliato mira, di aver mandato tutto a rotoli, poi questa si raddrizzò grazie al vento e andò a finire proprio al centro del bersaglio, sul pallino rosso, ma non si fermò, lo perforò, lo trapassò come una spada lacera la pelle, e poi cadde a terra come un corpo morto dopo una vita passata a vincere.
–O mio Dio, – Wren si passò le mani fra i capelli, senza credere a quello che aveva appena fatto.
Anche la Harvey aveva una buona dose di sorpresa.
–Brava!    Gridò, e poi la fece scendere.


Le mattinate passarono veloci come un razzo e Wren e Cart ancora non sapevano cosa fare. Wren aveva provato più volte a guardare dentro il Righa, ma la maggior parte delle volte sveniva o scoppiava in un bagno di lacrime.
Le Breakwell le disse di sbrigarsi se volevano partire, oppure sarebbero rimasti lì al King’s a non fare niente.
Una sera, mentre Wren metteva i vestiti per il viaggio in un capiente borsone a tracolla e si appendeva il Righa al collo, sentì qualcuno che la toccava da dietro.
Si voltò, e spalancò gli occhi dalla sorpresa quando guardò Steve lì davanti a lei.
–è colpa mia, vero? – disse, e solo ora Wren si accorse che aveva le lacrime agli occhi, –sono stata io a provocarti, mandandoti dal preside. Se non fosse stato per me, non ti avrebbe mai dato l’incarico e sarebbe morto dopo!
Wren spalancò gli occhi.
–Steve… –disse, appoggiandole una mano sulla spalla. –Tu non hai niente a che fare con questa faccenda. Io l’avrei fatto comunque. Lui mi avrebbe chiamato comunque. Fine della storia.
Ma Steve continuava a piangere, Wren non l’aveva mai vista così. La fece sedere sul suo letto e le disse: –Non puoi passare il quarto anno così, a deprimerti  per la morte del preside. Non… non fa niente, mi avrebbe chiamato in ogni caso.
–E se muori?
–E se muoio? Per la miseria, Steve! Da quando ti interesso?
Steve la tirò a sé e la fece sedere sul letto accanto a lei.
–Ti prego, fammi venire con te.
–Con me? Steve, cerchiamo di ammazzarci anche ad un solo centimetro di distanza, e tu vorresti venire con me? Pensa al condividere la tenda, le bisacce, i tascapani… Sarebbe l’impossibile per te.
Steve la guardava proprio come aveva fatto la signorina Harvey quando era venuta a prenderla dall’infermeria dopo l’incidente con la professoressa Baron.
Aveva quello sguardo tra il deluso e il preoccupato, come se volesse lasciarla a sé ma allo stesso tempo non voleva abbandonarla neanche per un minuto.
Wren non poteva sopportare quello sguardo.
Si massaggiò i capelli che le ricadevano morbidi sulle spalle e guardò Steve.
–Se mi prometti che non farai niente di stupido o di altezzoso contro di me, allora potrai venire.
Steve cominciò ad annuire, ed era talmente convinta che Wren dovette preparale la borsa come una babysitter, perché lei non face altro che farle promesse del tipo: “non ti lascerò andare nemmeno un instante! Ti pulirò la biancheria sporca! Ti proteggerò con tutti gli incantesimi anti-tasso che conosco!” ed era talmente presa che a notte fonda prima di partire si era dimenticata di preparare la valigia.
–Buonanotte. – Le sussurrò Wren mentre si infilava sotto le coperte.

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Capitolo 11
*** 11 ***


11



Sembrava di essere in un dipinto: nuvole gigantesche e bianchissime erano come panna nel cielo azzurrissimo, il sole brillava come un fulmine in una tempesta e squarciava la calma di quel giorno apparentemente perfetto come un pugnale lacera la carne.
Infatti sembrava tutto perfetto, ma non era così.
Quando a Wren avevano detto che sarebbero partiti con l’aereo, aveva sospirato di gioia. Si era immaginata mille volte di volare fino a dove aveva predetto il Righa a dorso di Bessy, e volare in aereo era un po’ come sentirsi Madonna in mezzo ai lebbrosi.
Ma quando aveva messo piede su quell’affare di metallo placcato in azzurro e bianco, aveva cacciato dentro al suo stomaco un conato di vomito: essendo la prima volta in cui lei andava in aereo, non aveva constatato che probabilmente avrebbe sofferto di mal d’aria.
Proprio per questo aveva assegnato il compito di guardare all’interno del Righa a Carter, che, non appena fossero arrivati all’aeroporto di Parigi, li avrebbe portati dove avrebbero voluto.
Wren si era messa il più possibile all’interno dell’aereo per non guardare quei finestrini infernali che la circondavano come una tribù di cannibali.
Mentre cercava di seguire il film che davano sulla tv dell’aereo, sentì un colpo dietro la schiena proveniente dal sedile di dietro: si voltò e vide un ragazzino dai capelli castani e dagli occhi verdissimi che portava un berretto con sopra una girandola e che continuava a darle calci al sedile quasi fosse il suo passatempo preferito.
Wren lanciò un’occhiata a Steve, e pensò che fino al giorno prima era stata la sua peggior nemica dopo la stampa, ma poi quella sera era cambiato tutto: era stato come se si fosse decisa a fare un puzzle rimasto buttato in un cassetto per anni incastrando male i pezzi.
–Vuoi finirla? – disse con tono irritato al ragazzino, che scosse la testa con foga.
A quel punto intervenne quella che era probabilmente era la madre del ragazzino: aveva lunghi (lunghissimi) capelli ramati e un naso aquilino sovrastato da due giganteschi e rotondi occhi verdi che ricordavano la melma di una palude. Quando le sorrise, Wren poté vedere i denti gialli e incrostati di tartaro che padroneggiavano una bocca gigantesca piena di aculei che partivano dalle gengive.
–Scusa mio figlio, – disse mostrando ancora di più la sua bizzarra dentatura giallognola, –è così iperattivo. Ho cercato di fargli passare il tempo in tutti i modi possibili, ma a lui non bastano. A quanto pare a un debole per te.
Il bambino sorrise e Wren scoprì con ben poca sorpresa che anche lui aveva dei canini giganteschi ed incisivi della grandezza di un coltello.
–Non… non fa niente, non si preoccupi, – disse Wren cercando di chiudere il discorso. Un conato di vomito e poi un altro la rendevano spossata ed iperattiva, e non le piaceva attaccar briga con una donna dai denti giganteschi e affilati.
Dormì per circa dieci minuti, ma il suo sonno fu interrotto da un avviso del comandante, che, con voce sibilante che scandiva con molta forza le “s”, diceva:
–Informiamo i passeggeri che il viaggio sarà un po’ turbolento a causa di un guasto improvviso ai motori e per via di una tempesta proveniente dall’est. Nel caso l’aereo precipiti, consigliamo di…
Il comandante non finì la frase, perché la corrente si arrestò di colpo e l’aereo cominciò a cadere nel vuoto. Le hostess consigliavano vivamente di prendere le bombolette d’ossigeno sopra ai sedili, e Wren stava eseguendo l’ordine quando si sentì stringere al collo da una mano piena di artigli e aculei.
–Non ti muovi di qui, signorina.            Sibilò la donna con i denti affilati da dietro.
–Wren! – la ragazza sentì la voce di Carter, e cercò di girarsi, ma la donna saldò ancora di più la presa e le impossibilitò i movimenti.
–Che cosa vuoi?
–Solamente il Righa, tesoro.
–No ce l’ho.
–Non mentire, Stone. È comparso su tutti i giornali. Il nostro padrone vorrà sia il Righa che te. Di sicuro vorrà  farti delle domande. Partiamo dalla prima: quali sono le tue ultime parole?
Padrone?
Le unghie si conficcavano nella carne con una forza tale che goccioline sparse di sangue guizzavano dalle ferite di Wren.
Rimorchiò un po’ di forza per gridare “Carter!” ed immediatamente sentì dei passi svelti verso di lei.
Si sentiva cadere. Si sentiva morire.
L’aereo continuava a precipitare, e Wren era quasi sicura che Carter e Steve fossero dietro di loro.
Si sentì in dovere di fare qualcosa. Un incantesimo. Qualunque cosa.
Attinse a tutta la forza che aveva in corpo per pronunciare un’unica, una sola parola: –Jodhuense!
Evocare una runa senza disegnarla era un po’ come camminare senza piedi, ma a Wren non importava. Aveva ancora gli artigli di quella vecchia conficcati nel collo e non sapeva dove fossero Cart e Steve.
Non successe niente. Neanche quando Wren lo ripeté a volume più alto, e neanche quando lo gridò.
L’aereo continuava a precipitare. A precipitare.


 

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Capitolo 12
*** 12 ***


12



Non ti ho mai vista, ma sembri messa bene.
Neanche quando ho sconfitto Bellamy mi hanno permesso di vederti. E questo mi fa incavolare tanto quanto un piatto di minestra fredda.
Però non ho mai dimenticato i tuoi riccioli biondi, i tuoi occhi verdissimi, le lenti spesse degli occhiali.
Tuo padre diceva che eri bellissima. Pure quando ho visto la vita scivolare via dai suoi occhi ho notato l’ammirazione che aveva per te.
“Un giorno farà grandi cose,” mi diceva mentre ti prendeva in braccio.
Io annuivo. Eri la mia luce.
Quando ho ucciso Bellamy, credevo che almeno mi avessero permesso di osservarti nell’incubatrice. Da fuori. Senza fare rumore.
E invece no. Io ero una maga che aveva tradito il voto e che ora era sposata con un mortale, non me lo avrebbero mai permesso.
Ma che potevo farci io, se l’amavo? Se mi piacevano i suoi occhi castani? E i suoi riccioli biondi?
Non dimenticherò mai quando Vlad mi ha detto che tu eri viva. Ho pianto quando mi ha detto che eri una maga di prima categoria. Quanto sarebbero stati fieri i miei di vederti!
Sarebbero ancora vivi e vegeti se non fosse stata colpa mia. Se non avessi sposato Cart.

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Capitolo 13
*** 13 ***


13



Wren si ritrovò stesa su un letto con addosso solo la biancheria intima e un paio di bende attorno al collo.
Guardò la stanza dov’era capitata: attorno a lei erano posizionati mobili e divanetti in malo modo, e c’era pochissima luce.
Un fioco bagliore proveniva da un corridoio stretto e lungo che Wren  non ebbe il coraggio di percorrere. Rimase stesa su letto e cercò di addormentarsi, di scacciare via i pensieri sul signor Patten, su Steve, su Cart, sull’aereo.
–L’aereo!         Gridò sobbalzando improvvisamente. Il vomito le risalì lungo la gola e Wren cacciò via tutto quello che c’era. Al termine si sentiva sporca e con un saporaccio in bocca.
Si ristese a letto e tentò con scarsi risultati di dormire.
Non le importava di sapere dov’era capitata. Voleva solo dormire.


–Sei sveglia, – le disse un ragazzo mentre le posava una spugna calda sulla fronte.
Wren aprì un occhio e poi un altro, e cercò di mettere a fuoco il viso del ragazzo.
Il tipo aveva i capelli neri che gli arrivavano alle orecchie e gli occhi azzurri, come se fosse rimasto troppo tempo a guardare le nuvole e queste si fossero impresse nell’iride.
Si sedette e fu travolta dalla nausea, così decise saggiamente di rimettersi stesa.
–Va tutto bene, – le sussurrava lui mentre la bagnava con la spugna.
Quando fu un po’ più lucida, il ragazzo le porse la mano e disse:
–Io sono Elia. Vi ho trovato vicino ad un sacco di fumo e ho deciso di curarvi.
–Che fine hanno fatto Carter e Steve?
Elia abbozzò un sorriso. –Be’, loro erano messi meglio, quindi li ho assegnati ad un paio di tirocinanti.
–Tirocinanti?
Elia per un po’ sembrò sorpreso di ricevere quella domanda, ma poi si riscosse. –Giusto, – disse mentre la aiutava ad alzarsi e poi a vestirsi,
–sei capitata in una “colonia” del sac. Credo tu sia una maga. Vero? Ho sentito il tuo odore.
–Ho un odore specifico?
–Be’, quando qualcuno fa un incantesimo, c’è un odore che li riveste. Tu… tu odori di giglio appena sbocciato.
–Ah sì? E tu?
–Io di legno essiccato.
Wren provò ad immaginarsi l’odore del legno essiccato. Sarebbe stato bello sentirlo.
Si appoggiò ad un muro e scrutò Elia con i suoi grandi e chiari occhi verdi.
–Fai parte della Triade? La vicepreside della mia scuola è un membro. Lavora al sac.
–Ah sì?
Wren annuì.
Elia le si avvicinò e le porse il Righa.
–Il ragazzo dai riccioli scuri (Hai detto che si chiama Carter?) voleva che io ti dessi questo. Che cos’è?
Wren afferrò l’amuleto e se lo appese al collo.
–Un amuleto. Si chiama Righa. Per ora non so ancora come usarlo.
–Ha la faccia conosciuta.
–Ah sì?
–Già.
Elia si guardò attorno e poi le posò una mano sulla spalla.
–Vuoi andare a mangiare, eh?
Wren annuì, e il ragazzo carino che l’aveva curata l’accompagnò alla sala da pranzo.

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Capitolo 14
*** 14 ***


14




Wren non pensava che il sac avesse così tanti membri.

La Breakwell le aveva detto che prima era pieno di membri, ma che dopo la seconda guerra mondiale si era arrestato per un po’.

Invece ora che Wren guardava la sala da pranzo allestita come un tempio buddhista, i membri (tra i 12 e i 20 anni) erano tantissimi, circa trecento solo in quella stanza.

–Lo so, – le sussurrò Elia mentre la portava al buffet, –siamo in tanti.

Mentre Wren si riempiva il piatto con couscous e mandorle tostate, sentì qualcuno che le posava le mani sulla vita e che l’abbracciava delicatamente, come un ragazzo fa con la propria fidanzata.

Si voltò e vide Carter, e per un attimo le sembrò che tra di loro non fosse cambiato nulla. Come se lui non fosse stato gay, come se il suo ragazzo non fosse venuto da lei prima del viaggio.

–Come stai?    Le chiese, massaggiandole i capelli ricci e ribelli.

–Niente male.

–Quando hai finito puoi venire a sederti con me e Steve. Siamo là, vedi?     E le indicò un grande tavolo alla quale sedeva Steve, che si era procurata un taglio sulla guancia, ma oltre a quello stava benone.

–Ok. Lo farò.

Si scostò dolcemente per non suscitare amarezza in Carter, e arrossì quando vide che Elia li guardava.

Quando Carter se ne fu andato, Elia le sussurrò in un orecchio:

–Che bella coppia.

–Noi… noi non siamo fidanzati. Lui… è già impegnato.

–Con una più bella di te?

–Con uno più bello di me.

Elia aggrottò per un attimo la fronte e poi disse: –Oh. Non… non lo sapevo.

–Non ti preoccupare. Dopo un po’ ci si abitua.

Wren si mise nel piatto una porzione di pollo alla paprika che condì con un fiume di salsa piccante. Poi attraversò la mensa per dirigersi al tavolo dove Carter e Steve stavano mangiando.

Non appena la vide, Steve si alzò e arricciò il naso, poi corrugò la fronte e le disse: –Come ti senti?

Wren era perplessa. –Come dovrei sentirmi?

–Siamo volati giù da un aereo mentre tu pronunciavi un incantesimo in rune. Credo che tu sia… stanca, almeno.

Wren scosse la testa. –Non mi pare. Quanto ho dormito, precisamente?

–Tredici ore e diciotto minuti.

Detto questo, Steve le prese il vassoio e lo adagiò sul tavolo.

Wren aprì un attimo la bocca per rifilarle qualche commento spregevole, ma poi si ricordò della chiacchierata che aveva fatto con lei prima di partire.

Sapeva che era ancora fragile per l’accaduto e che le aveva promesso di essere al suo fianco in ogni momento.

–Grazie.

Si sedette e addentò il pollo, che era cotto alla perfezione.

Mangiò il couscous mentre Carter le riferiva l’accaduto:

erano caduti dall’aereo e Wren era svenuta all’istante. Avevano chiamato aiuto, e probabilmente Elia era accorso dopo averli sentiti gridare.

L’aveva presa in braccio e portata al sac, mentre due ragazzine li aiutavano a camminare verso la sede della Triade. Lì li avevano curati, ed era venuto perfino uno psicologo a parlare con loro.

Il problema era che i mostri erano completamente scomparsi. Materializzati.

–è colpa mia, – sussurrò Wren, distante, mentre si massaggiava l’amuleto, – se non fosse stato per colpa mia, per il fatto che non so un tubo di magia, non saremo crollati. Ho provato a non farci cadere. Non ci sono riuscita.

–Non è colpa tua, – le disse Carter, mentre le stringeva la mano con la sua, che era salda e forte.

In quel momento il viso aveva assunto un colorito dorato a causa della luce del sole che le ampie finestre trapelavano.

–Tu sei stata bravissima, Wren.

–è vero.   Le disse Steve, appoggiandole una mano sulla spalla.

–Tu dici? – chiese Wren a Cart ignorando completamente Steve.

–Io dico.

In quel momento, Steve non sembrava più importare. Era un ricordo vago, un ostacolo minuscolo che si trovava alla sua destra, mentre lei osservava con foga immensa le rosee labbra di Carter.

“Ti amo”, avrebbe voluto dire, ma Cart che cosa avrebbe detto.

In quel momento, però, nulla sembrava importare.

 

 

Mentre andava a letto, chiacchierò un po’ con Carter di ciò che dovevano scoprire.

Cart fece comparire una lavagna davanti a loro, e con il dito e il minimo sforzo scrisse:

Ciò che non sappiamo: come il signor Patten sia morto, come funziona il Righa, chi ha mandato i mostri sull’aereo, chi erano i poliziotti dagli occhi neri che perseguitano mio padre, chi sia Elia.

Poi:

Cose che sappiamo:

Questa colonna era rimasta vuota, e nessuno fu in grado di riempirla.

Wren girò la lavagna e con il suo ditino tracciò una linea rossa che andava ad unire due parole:



Poliziotti                                          Mostri



 

 

Poi Carter col suo dito tracciò un punto interrogativo che si trovava proprio sopra ad un'altra scritta:







Poliziotti                         Mostri



             Capo?





–Secondo te chi è il loro capo?       Chiese Carter squadrandola dall’alto in basso.

–Non ne ho idea.

Carter si appoggiò un po’ a lei e poi sussurrò: –Buonanotte, piccola.

Wren si scostò.

–Da quando mi chiami piccola?

–Da quando hai tre mesi, dodici minuti e quattro secondi in meno a me.

–Ah sì?    Sospirò Wren ridacchiando.

–Buonanotte, piccola.

–Buonanotte.

E se ne andò.

 

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Capitolo 15
*** 15 ***


15



Mentre si rigirava pensierosa nel letto immersa nei suoi pensieri, Wren sentì dei passi fuori dalla sua stanza.
Sentì lo scricchiolio del legno sotto la porta, e poi la maniglia che veniva girata. Si nascose sotto le coperte e aspettò di vedere chi fosse il suo omicida.
La porta si aprì, e un ombra si distese sopra di lei, le scostò le coperte dalla faccia e le suscitò uno stupore tale che Wren si alzò subito a sedere e si coprì di nuovo col copriletto.
–Elia?
Davanti a lei c’era Elia, che la scrutava con i suoi gelidi occhi azzurri.
–Dobbiamo parlare.        E, detto questo, le prese le braccia e l’aiutò a scendere dal letto.
Uscirono dalla sua stanza e andarono in una sala circolare senza soffitto, impreziosita da bellissimi mosaici.
–Questo è il padiglione. – disse Elia, e le indicò una fessura nel muro, –da lì si può vedere tutta Bristol.
Wren si scostò d’improvviso. –Siamo così vicino a Londra?
Elia aggrottò la fronte, i suoi occhi azzurri sembravano diamanti appena trovati.
–Sì, perché?
–Perché io sono di Londra! E mi aspettavo che per un viaggio così lungo fossimo arrivati chissà dove.
–Dove volevate andare voi tre?
Wren sospirò. –A Parigi.
–A fare che?
–Lì avremo saputo che fare. Avremo preso un po’ di tempo per cercare di imparare ad usare il Righa, per capire perlomeno cosa fare.
–Avete una missione da portare a termine?
Wren alzò gli occhi al cielo, che era nerissimo e puntellato di stelle quasi fossero lentiggini.
–Hai presente il signor Patten, il preside del King’s?
Elia annuì.
–Stiamo cercando il suo erede.
–Ah.
–A questo serve il Righa. L’ho rubato ad una al sac, ma nessuno si è insospettito, almeno credo.
Elia rise.
Le labbra rosee e morbide che si aprivano e chiudevano mentre rideva al suono delle libellule che si posavano sulle loro mani, i capelli nerissimi che muovevano mossi dal vento.
Wren si era persa in quella risata, quel suono così soave e… interessante.
–Sai, – disse, appoggiandosi alla sua spalla, –ho accettato questa missione solo per… per riscattarmi. Tu non mi conosci, ma se sapessi quanto mi sono comportata male in tutto questo tempo, perché ho deciso di accettare tutto questo, te ne andresti.
–Strano sentirlo da una che mi conosce da qualche ora.
Wren rise, anche se sapeva che le prime lacrime stavano cominciando a scendere.
–Guardami.
Elia la prese per il mento e la portò vicinissimo, le loro labbra quasi a contatto, il nodo che Wren aveva in gola che diventava sempre più ingestibile.
–Nessuno meriterà le tue lacrime, ok? Non mi interessa se tu sotto sotto sei una persona cattiva. Io ti ho salvata. E non voglio saperne del tuo lurido passato. Ricomincia da qui.
Wren non se ne accorse, ma era già addormentata tra le sue braccia.
Elia la portò in camera e le rimboccò le coperte.
–Fa’ un fischio se devi piangere ancora.
E se ne andò.
 
La mattina seguente Carter e Steve entrarono nella sua camera e la svegliarono.
–Ehi dormigliona! Sveglia!      Le gridò divertita Steve mentre le buttava in faccia un cuscino e premeva contro la sua faccia.
Wren nella sua mente imprecava come un ragazzo a cui è appena finito il cellulare nel gabinetto, mentre Carter le levò via le coperte e cominciò a farle il solletico.
Non appena Steve sembrò allentare la presa, Wren si tolse il cuscino di faccia e gridò: –Bastardi! – ma sapeva anche lei che non l’avrebbero mai presa sul serio perché stava ridendo come una matta.
–Sveglia!
Wren si sistemò un po’ i capelli e poi uscì dalla sua camera mentre Steve e Carter le camminavano dietro.
Elia si fece vivo solo in mensa, quando Wren stava mangiando come un porcellino il suo piatto di scones e bacon.
–Quanto mangi, Stone.   Le sussurrò Steve nell’orecchie.
–Allora, – disse Elia non appena fu seduto al tavolo col suo piatto pieno di pancetta abbrustolita.
–Quando siete pronti per partire?
–Mmm… non so. Credo che Wren debba prima esercitarsi con il Righa e con la magia. E poi nel combattimento.
–Io so già usare l’arco sulla scopa.
Elia aggrottò la fronte. Aveva uno sguardo diverso da quello della sera prima. Probabilmente lo riservava solo a lei.
–L’arco sulla scopa? Se vuoi abbiamo un po’ d’archi nella sala d’addestramento dilettanti. Per la scopa devo chiedere a McKenzie, la nostra insegnante di combattimento.
Wren non voleva avere l’aria della bambina viziata. Aveva solo detto di saper andare sulla scopa, tutto qui.
Quando finirono di mangiare, Elia li portò al laghetto, dove, muniti di resistenti tute nere e di canoe di un materiale strano ed imprecisato, pagaiarono sereni.
Erano circondati da palme da dattero (cosa strana a Bristol) e piante erbacee che in camera da  letto avrebbero dato un fastidio immane, ma che invece lì davano un senso di calma e di pace continua.
Il sole era quasi nascosto dagli alberi, e il vento era del tutto inesistente. Qualche volta incontravano altri della Triade, che remavano con le loro canoe in cerca di un luogo dove attraccare.
Quando furono giunti a mezzogiorno, i tre decisero di tornare indietro per uno spuntino.
Anche se il pranzo si sarebbe svolto circa un’ora dopo, la mensa dove erano entrati (il sac di Bristol ne vantava almeno tre) c’erano un sacco di maghi che non solo mangiavano e si dissetavano, ma che facevano anche incantesimi al cibo, alle piante, alla luce del sole.
Si sedettero ad un tavolino basso che si trovava accanto ad un’ampia finestra.
–Che bel posto, – sospirò pensieroso Cart mentre si stendeva sul triclinio dov’era seduto, –fosse per me rimarrei qui tutto il tempo, anziché continuare questa missione!
Wren lo guardò con occhi sornioni e disse ai due: –Be’, sappiate che tra un po’ dovremmo partire. Non appena avrò saputo usare il Righa, ce ne andremo, e chi s’è visto s’è visto, ok? Non possiamo rimanere qui per sempre. Infatti oggi aveva intenzione di chiedere ad Elia se è disposto a darmi qualche lezione privata su come si usa questo coso. Credo ne sappia più di quanto voglia farci credere.
–Mmm…– borbottò Steve, mentre addentava il sandwich al formaggio che si era preparata, –a me piace qui.
–Infatti. Non possiamo rimanerci almeno…  che so, un mese?
–Un mese? Ma state scherzando? E se qualcuno attaccasse la scuola? A proposito, Carter, hai notizie di tuo padre?
Carter si scurì in viso. –Mia madre è preoccupata. I poliziotti dagli occhi neri continuano a perseguitarci, e hanno pure minacciato di denunciarci o ucciderci…
–Dobbiamo risolvere il tutto al più presto. Se attaccassero la scuola… Non so che farei. E, cosa ancora peggiore, se non riprendessi la mia fama… sarei la prima a piantarsi una bacchetta alla testa.

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Capitolo 16
*** 16 ***


16



Ero solo una ragazzina quando mi spiegarono perché i maghi non potevano sposare i mortali.
“è semplice”, mi spiegava mia madre mentre cucinava le crêpes salate, “i mortali non sono alla nostra altezza. Se qualcuno si sposasse con un mortale e avrebbe con lui dei figli… sarebbe raccapricciante, no?”
Io annuivo, perché sapevo che era la giusta cosa da fare. Ma quando l’ho visto… quegli occhi bellissimi, profondi, in cui potevo perdermi in un batter d’occhio, i capelli, morbidi, che mi piacevano da toccare e da accarezzare, e soprattutto la sua risata, genuina, piena di umanità, cosa del tutto assente in me, una… una maga, ecco.
Quando nascesti tu, non potei nascondere questo a Bellamy. Sapevo già come avrebbe reagito, ma a me non importava; eri bellissima, gli occhi di tua madre, i capelli folti e bellissimi, quelli di tuo padre.
Quel giorno, m’avvicinai di soppiatto a lui, a scuola, e gli chiesi se potevo parlargli in privato.

“C’è qualcosa che non va?” mi chiese lui, mentre io senza ascoltarlo lo tiravo per un braccio e lo spingevo verso un enorme quercia che ci separava completamente dagli altri, a scuola.
“Devo dirti una cosa. Riguarda… riguarda Cart.”
Bellamy s’irrigidì.
“Chi? Quell’insulso mortale che t’avevo detto di bidonare? Proprio lui?”
Io cercai di giustificarmi, di dirgli almeno perché non avevo eseguito i suoi ordini. Bellamy era mio amico, ma quella era la mia vita.
Solo la mia.
“Bellamy, non ti scaldare… è solo che… che è nata una persona.”
Bellamy imbiancò.
“Chi è il padre?”
Deglutii. L’aria era del tutto scomparsa, il sudore che prevaleva su di me. Avevo solo bisogno di respirare, di prendere un po’ d’aria… e invece no. Feci il grande passo.
“Lui” mormorai, e non mi accorsi nemmeno di Bellamy che my gettava contro la quercia, i capelli castano scuro, liscissimi, che si fondevano ai miei, di un color nocciola.
“Ti avevo detto di non frequentarlo!”
mi gridò contro, e mi spinse sempre di più contro la quercia, le mani che premevano sulle mie spalle per mantenermi ancorata all’albero.
Sentivo il suo fiato sul collo. Sobbalzai quando mi prese per i polsi e mi spinse ancora di più contro l’albero, l’aria improvvisamente rarefatta che era diventata inesistente.
“Lo sai che cosa succede se uno studente del King’s sta con un mortale? Eh, lo sai?”
Deglutii, e mi accorsi che quasi tutta la scuola ci stava osservando, ma nessuno osava intervenire. Avevano tutti paura di Bellamy.
Ad un certo punto spuntò tra la folla di studenti una chioma rossa, inconfondibile.
Era Vlad, che immediatamente si mise dietro a Bellamy e gli disse: “Lasciala o t’ammazzo.”
La voce gli tremava, però incuteva lo stesso un certo timore.
Bellamy continuò a pressare, continuò, fino a quando Vlad non lo prese per la vita e lo scaraventò a terra.
Non me lo aspettavo da lui. Era uno mingherlino e piuttosto gracile, ma era riuscito a spingere uno che giocava a tiro con l’arco dall’età di cinque anni.
Come prova del fatto che si era sforzato tantissimo, gli zigomi alti erano imperlati di sudore e gli occhiali gli ricadevano sul naso, storti e sporchi.
“Se la tocchi un’altra volta t’ammazzo!”
Intanto, Bellamy rimaneva quasi immobile a terra. Evidentemente, Vlad aveva infuso un po’ di potere nella sua spinta, e Bellamy s’era ferito.
Si rialzò a fatica e notai che aveva la camicia e il maglione intrisi di sangue.
“Lo sai che potrebbe essere nato un mezzosangue?” mormorò squadrando prima me e poi Vlad.
“Credo che Hope ne sia perfettamente a conoscenza.”
e, detto questo, mi prese per la vita e mi abbracciò, mentre Bellamy gridava come un ossesso.
“Le regole sono queste! Se qualcuno s’è innamorato d’un mortale dev’essere punito! Non si può tollerale!”
Cominciai a singhiozzare, e, più lentamente, a piangere.
Avevo ancora la bacchetta nella tasca della borsa. Potevo usarla per materializzarmi, per scappare.
Io e Vlad non c’accorgemmo di Bellamy che mi si avvicinava e che lentamente mi spingeva a terra. I capelli lunghi e scuri gli svolazzavano come se fosse stato posseduto dal demonio, era tristissimo guardare quella scena con i miei occhi.
Io, Hope Stone, ero stata la donna più fortunata del mondo, perché avevo trovato l’amore e questo m’aveva donato un figlio. Ero stata la donna più felice del mondo, perché i miei amici non mi avevano abbandonato mai.
Tirai fuori la bacchetta proprio nel momento in cui Bellamy mi s’avventò contro, e gridai:
“C’est la vie!”
Ai tempi mi piaceva tanto usare formule in francese, perché anche se stavi lanciando un incantesimo mortale (come quello che avevo appena lanciato) era tutto più elegante.
Fatto sta che Bellamy cadde a terra come uno stoccafisso, e dalla bocca cominciò ad uscire tantissimo sangue, talmente tanto che la folla di studenti cominciò ad urlare ed attirò l’attenzione di alcuni professori (tra cui il signor Patten e la Breakwell) che non appena videro l’accaduto sbiancarono e chiesero subito chi fosse stato.
Io alzai la mano, le lacrime avevano preso possesso del mio corpo.
La Breakwell mi abbracciò da dietro mentre il signor Patten esaminava il corpo, e quando fece segno di “negativo”, ovviamente riferito al fatto che Bellamy era morto, dimenticai tutto: dimenticai completamente Vlad che mi consolava, la Breakwell, gli studenti, il professor Patten; in quel momento cacciai un urlo talmente forte, che, lo giuro su di te, Wren, sono sicura che tuo padre mi abbia sentito.

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Capitolo 17
*** 17 ***


17



Lezione di tiro con l’arco.
Nel pomeriggio, Wren si era avvicinata a McKenzie e le aveva chiesto se poteva allenarsi con lei.
McKenzie aveva i capelli dorati e liscissimi, che portava normali sulle spalle, e occhi azzurrissimi che ricordavano il cielo.
–Certo, – le rispose con quella sua voce priva di accento, –se sei pronta possiamo andarci anche ora.
Wren annuì, e insieme andarono nella sala d’allenamento.
La sala era quadrangolare, allestita da pupazzi per l’allenamento e da tappeti appositi per la lotta.
Alcune pareti erano foderate da cuscinetti di gomma, mentre c’erano specchi appesi ad altre.
Wren si massaggiò i capelli e si posizionò accanto ad un fantoccio che serviva nella lotta libera.
Stava per adoperare quello, quando McKenzie le portò uno spadone in bronzo lungo circa un metro con l’elsa protetta dal cuoio.
Wren non aveva mai preso una spada, e infatti subito McKenzie le corresse la postura e l’impugnatura.
Poi McKenzie prese un altro spadone e si preparò per combattere.
–Non ho mai combattuto con una spada, – sentenziò Wren mentre McKenzie si posizionava davanti a lei e la scrutava con i suoi occhi azzurri.
–Non fa niente. Non conta. Ma se vorrai uscire di qui per portare a termine la tua missione, dovrai saper combattere.
–Elia te ne ha parlato?
Improvvisamente McKenzie arrossì e distolse lo sguardo. –Lui… sì, me l’ha accennato. Comunque, adesso metti un piede avanti (quello con cui non prendi la spada) e uno indietro. Poi fa un piccolo saltello e cambia posizione. Alterna le gambe e sporgiti leggermente verso l’avversario (io). Oltre ad imparare come si fa una stoccata, devi anche osservare come io mi proteggo e paro i tuoi colpi. Ok?
Wren annuì.
Si posizionò come aveva detto McKenzie e poi cambiò posizione slanciandosi in avanti. McKenzie le fece cadere la spada come se fosse stata di burro.
–Devi perfezionare la mira.
–Ok.
Wren si rimise come prima, si preparò, e poi infine mise in atto quello che McKenzie le aveva detto, ma neanche in quel momento riuscì a colpirla: ella era troppo forte e veloce, si muoveva ad una velocità tale che per Wren fu impossibile fenderla con la spada.
–Devi essere più precisa, – le disse McKenzie, mentre si metteva dietro di lei e la prendeva per i fianchi, –se tiri un colpo così debole, anche un poppante potrebbe resisterti. Devi essere forte, decisa, precisa. Ok? Riprova.
Le passò una mano sulla gamba facendola piazzare proprio nel punto in cui prima le aveva indicato di metterla, e le appoggiò l’altra sulla spalla. Le sussurrò nell’ orecchio quello che doveva fare per l’ennesima volta, e poi si posizionò davanti a lei.
Mise le braccia in stile “Titanic” e disse: –Colpiscimi.
Wren esitò. –E se sbaglio di nuovo?
–Colpiscimi. Forza.
Wren fece quello che McKenzie le aveva detto, ma ancora una volta non ci riuscì. La spada era diventata estremamente pesante, talmente greve che per la ragazza era difficile anche solo impugnarla.
La lanciò a terra in malo modo.
–Perché dev’essere così difficile? Non si può tirare e basta?
McKenzie sorrise e le si avvicinò lentamente.
Le girò attorno. –Non potrai mai colpirmi, eh, Wren? Non ce la farai mai, sei troppo debole.
Wren la guardò e disse: –Che intendi dire?
Che significava? Che era troppo debole e gracile per una cosa del genere?
–Semplicemente intendo dire che non dovevi chiedermi di darti una mano se sapevi che eri troppo debole per reggere anche una spada così leggera.
Wren la guardò. McKenzie evitava il suo sguardo e  continuava a camminare, a volteggiare  come una ballerina attorno a lei, quasi si divertisse a farle del male.
La temperatura sembrò salire improvvisamente quando McKenzie le si accostò all’orecchio e le sussurrò: –Ti consiglio un po’ di modestia, la prossima volta.
Un impeto d’ira riscosse Wren, prendendola per le viscere. Sollevò con una mossa fulminea la spada, e con uno slancio si piazzò proprio davanti a lei, la spada a mezzo millimetro dal petto della ragazza, che la squadrava con occhi illuminati per lo stupore e l’ammirazione.
Con calma, McKenzie indietreggiò, raccolse la sua spada e la rimise al suo posto.
–Devi solo calibrare le emozioni. Tutto qui.
E, con leggerezza tale che una folata di vento avrebbe potuto spazzarla via, se ne andò, lasciando Wren ad esercitarsi.

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Capitolo 18
*** 18 ***


18



A cena, raccontò a Cart e a Steve cos’era successo.
Narrò di come McKenzie l’aveva manovrata per farla combattere meglio, e di come poi se ne fosse andata senza degnarla di uno sguardo.
Si bloccò quando scorse Elia e McKenzie che parlavano, uno davanti all’altra, proprio dall’altro lato della mensa.
Quando aveva accennato ad Elia, McKenzie aveva arrossito. E se i due fossero fidanzati?
Quanti anni poteva avere Elia? Sedici, come lei? O diciotto?
Distolse lo sguardo quando vide che i due si prendevano per mano.
Sorridevano.
–Wren? Wren?  La chiamò Cart, sfiorandole il palmo della mano.
–Eh?  Riuscì a dire lei.
–Io e Steve ti stavamo dicendo che ho chiesto ad Elia se potevo fare un po’ di esercizio con il Righa… così, per esercitarmi. Mi ha detto di sì, e che da domani potrò cominciare le mie lezioni con Paula, la maga “addestratrice” della sede.
Wren annuì per non mortificarlo, ma aveva ancora la mente da un’altra parte.
Se Elia e McKenzie stavano insieme, perché non lo avevano manifestato prima? E perché Elia le aveva asciugato le lacrime, quella notte, quando erano arrivati?
“Nessuno meriterà le tue lacrime”, aveva detto?
Sì, le pareva proprio di sì.
 
Quando finirono di mangiare, Wren tornò in camera sua senza salutare nessuno e si distese sul letto,con la testa immersa in mille pensieri.
Posò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi, e proprio in quel momento cominciò il suo incubo.
 
Si trovava di nuovo al King’s, solo che molti edifici non c’erano e il prato era ricoperto di fiori che non si vedevano da tantissimo dopo la bonifica dei giardini.
Spostò lo sguardo verso un albero, e lì vide un corpo senza vita.
Era un ragazzo alto, con gli occhi scuri e i capelli neri come la pece che gli ricadevano come vermi lungo le spalle muscolose.
Il sangue scarlatto si era rappreso attorno alla sua bocca e alla sua pancia, e un mucchio di mosche volava sopra di lui.

“Chi sei?” cercò di dire, ma si accorse che
1) nessuno poteva sentirla,
2) non c’era anima viva.

“Chi sei?” tentò di urlare, ma la sua voce era come risucchiata dal vento, che la portava a destra e a manca, nascondendola come fa una mamma che ha paura che qualcuno rapisca il suo piccolo.
Si avvicinò di più al corpo, e esaminò la sua ferita. Non c’era l’ombra di un taglio, e questo la innervosì.
Magia.
C’era odore di magia, lì attorno.
La magia odorava di cocco e vaniglia, un odore stucchevole, talmente forte che dovette tapparsi il naso.
L’odore divenne così forte che dovette coprirsi l’intera faccia.
Non riusciva quasi a respirare.
La magia –il suo odore
era insopportabile. I polmoni stavano per esplodere.
L’aria era quasi sparita. La magia stava risucchiando tutto.
Tutto.
Tutto.

Wren si svegliò di soprassalto, con la maglietta del pigiama impregnata di sudore e gli occhi colmi di lacrime.

Si guardò attorno. Il buio abbracciava la stanza e la rendeva paurosa quanto un mostro che s’annida sotto il letto, e che, di notte, spunta fuori, pronto ad ucciderti e a cibarsi con le tue viscere.
Deglutì, ma questo si rese difficile quando sentì lo scricchiolio della porta davanti a lei.
Vide l’uscio che pian piano s’apriva, e, prudente, si nascose sotto le coperte, simulando il suo sonno.
La luce inondò la camera quando degli esseri scuri aprirono la porta, entrarono e perlustravano l’ambiente.
Il cuore di Wren batteva all’impazzata, ma finse di star dormendo e tentò di essere il più calma possibile.
L’essere le sollevò pian piano la coperta dal volto, e in quel momento Wren temette la sua fine.
–è viva, – disse, voltandosi verso la creatura ch’era dietro di lui, –il sogno non l’ha spaventata abbastanza. È troppo potente.
Wren sentì un ringhio, poi uno sputo, e infine i passi della seconda creatura, che s’avvicinava al suo letto e che diceva: –Provvederemo, non ti preoccupare. Questa notte  sarà la peggiore della sua vita.


Wren si svegliò di buon’ora, si vestì e andò a fare colazione.
Non aveva ancora ben capito cos’era successo la sera prima, ma questo l’aveva spaventata a morte.
E se quelle creature d’ombra si fossero vendicate? Era ovvio che erano state loro a farle venire quell’incubo tremendo. E se avessero ucciso qualcuno? Se stessero programmando la sua morte, in quel preciso istante, seduti sulle loro sedie fatte di femori e teschi mentre sorseggiano le loro bevande analcoliche di bulbi oculari?
Le sembrò di vedere meno gente, quella mattina. Tutto era stranamente sbiadito, e i movimenti delle persone per lei erano difficili da interpretare.
In mensa, si sedette i mezzo a Cart e Steve e aggrottò la fronte.
–Ragazzi, – disse, guardandosi attorno con gli occhi di una che si è appena svegliata la mattina, –dove sono tutti?
–Prima ci ha parlato Elia, – le disse Steve mentre raccoglieva i suoi ispidi capelli rossi in una treccia, –ha detto che ieri notte qualcuno ha forzato le serrature degli edifici e ha rapito dei maghi, che, presi alla sprovvista, non hanno saputo difendersi. Alcuni sono in infermeria, si sono salvati. Ma molti sono scomparsi.
La conversazione fu interrotta proprio da Elia, che spalancò la porta della mensa e con fare repentino si diresse proprio da loro.
Era pallido e aveva le borse sotto gli occhi. Aveva un graffio che gli percorreva la guancia e il braccio fasciato.
Guardò Wren e disse: –Li hai visti?
Wren si sentì sorpresa di aver ricevuto quella domanda, senza nessun saluto, senza preamboli. Elia non le era mai parso un ragazzo così… inadeguato, ecco.
Alzò lentamente lo sguardo, ma poi subito lo distolse quando vide l’espressione di Elia: era arrabbiato e aveva passato una notte insonne.
–Allora?          Disse lui con la voce più alta, questa volta.
Wren deglutì. Non sapeva cosa dire.
–Maledizione, – Elia piazzò il braccio non ferito sul tavolo su cui stavano mangiando con talmente tanta forza che rovesciò un bicchiere pieno di succo di frutta, –capisci che sono scomparsi dei ragazzi, eh? Dei maghi innocenti. Non ti importa di loro? Eh? RISPONDI!
Le si avvicinò con tanta rabbia che Cart dovette mettersi in mezzo.
–Elia, se non ti risponde probabilmente non sono affari tuoi, oppure non sa neanche di che cosa parli.
Elia deglutì.
–Be’, la signorina dovrà sputare il rospo. Li hai visti? Se sì, com’erano fatti? Li hai visti in faccia? Hai cercato di combatterli? Ti hanno fatto qualcosa?
–Sono entrati in camera mia.          Mormorò lei, mentre cercava di nascondersi dietro la schiena robusta di Carter.
Elia spalancò gli occhi, e subito dopo aggrottò la fronte.
–Sono venuti per me, – disse lei tra i singhiozzi.
Non si era accorta di star piangendo. Che stupida.
–Ho finto di dormire mentre uno di loro mi levava le coperte e mi osservava. Ha detto al suo compagno che l’incubo che avevo appena fatto non era stato abbastanza efficace. E l’altro ha detto che me l’avrebbe fatta pagare.
Deglutì di nuovo.
Elia sembrò per un attimo calmarsi. Le posò una mano sulla spalla e disse: –Credo sia giunto il momento che voi andiate. Continuate la vostra missione.
Wren annuì, mentre Steve protestava. –E come faremo con il Righa?  Chiese lei, sciogliendosi la treccia.
–Be’… ci ho pensato un po’, e credo che… che sarebbe il caso che io venissi con voi. Lascerò tutta questa faccenda dei mostri a McKenzie, è di fiducia.

Carter lo guardò. –Ci spiace, – cominciò, –ma noi non possiamo…
–Sì.          Disse Wren, scostandosi da Cart e guardando Elia dritto negli occhi.
–Per me va bene, – sussurrò Steve con un’alzata di spalle.
Carter le guardò come se fossero due pazze. –Ma… a noi hanno detto che dovevamo essere in tre. Che farebbe la Harvey se lo sapesse?
–Ma la Harvey non lo saprà.
–Ma…
–è deciso? – li interruppe Elia, con un mezzo sorriso. Come poteva un ragazzo che cinque minuti prima era una furia a essere così felice?  –Va bene! Ci vediamo stasera con i bagagli, ok?
Stava per andarsene, quando Steve lo fermò e gli disse: –Ma noi non ne abbiamo nemmeno uno, ricordi? Li abbiamo persi tutti a causa dell’incidente aereo.
–Ah. Allora… allora porterò qualcosa per voi. Vestiti e cambi per il viaggio. Va bene?
Wren annuì, anche se Cart scuoteva la testa come se avesse uno scoiattolo che gli danzava tra i capelli.


Wren vide McKenzie, prima di partire.
–Ciao, – disse lei distrattamente non appena la vide.
Erano nell’armeria, dove venivano riposte tutte le armi. La sala era piccola e buia, completamente piena di spade, spadoni e spadini, di pugnali, di coltelli, di tagliacarte.
–Elia mi ha detto che oggi partite.
Wren annuì.
Non si era accorta del colorito rossastro di McKenzie fino a quando quest’ultima non le disse: –Fai attenzione con lui, okay?
Wren rimase stupita per quella richiesta.
Per un attimo ci fu un silenzio imbarazzante che veniva riempito solamente dallo scrosciare dell’acqua che zampillava nella fontanella lì vicino e dalle armi che qualche volta cadevano a terra per via del vento.
–Senti, – disse Wren avvicinandosi di più a McKenzie, che aveva posato lo sguardo su un pettirosso che si era adagiato morente su un rametto depositato a terra, –Perché ieri mi hai detto quelle cose?
McKenzie sospirò. –Perché sei forte, Wren. Non ho mai visto una persona che usa una runa per salvarsi da un incidente aereo, e sono rimasta stupefatta del fatto che tu sia rimasta immobile e impassibile davanti a quegli uomini, ieri sera. Solo che… solo che tu credi talmente poco in te stessa che non riesci neanche a maneggiare uno spadino come quello. Ho voluto darti un po’ di carica per vedere quello che facevi. Ovviamente non la penso così sul tuo conto. Non ti avrei mai dato della debole.
Wren aggrottò la fronte. Posò anch’essa lo sguardo sul passerotto morente, ma poi lo distolse immediatamente.
–Credi sia il caso che mi porti l’arco? Lo uso da più tempo della spada, e sono… sono più sicura di me quando scocco le frecce.
–Fa come vuoi. Ti dico solo che secondo me sei più portata per le lame che per le frecce.
E, detto questo, fece per andarsene, ma Wren la bloccò.
–Un’altra cosa… Tu ed Elia…?
McKenzie ci mise un po’ per capire la domanda, e, quando la comprese, sospirò.
–A me piacerebbe, e sì, siamo amici, ma… ma non fino a quel punto. Comunque, se vuoi provarci un po’ con lui… non mi dai fastidio. Mi ha confessato che ha un debole per te.
Wren rise sommessamente.
–Oggi era un po’ frustrato, non credi?
–Già. Ha combattuto tutta la notte contro quegli uomini, e quando ha saputo che eri tu la causa della loro venuta… diciamo che non l’ha presa bene.
Wren abbassò il capo, in imbarazzo. McKenzie le posò un braccio attorno alla vita e disse: –Parliamo un po’ di Cart. Ti piace, eh?
–Be’… lui non è propriamente il mio tipo.
–Ma lo è stato, no?
–Sì. A lungo. Ma ora è finita.
McKenzie annuì. Posò per l’ultima volta lo sguardo sul passerotto morente e poi si dileguò, lasciando Wren a seppellire il suo cadavere.

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Capitolo 19
*** 19 ***


19



Verso le sei del pomeriggio, tutti e quattro si riunirono in un ampio e verdeggiante giardino affianco all’armeria  per il viaggio.
Cart aveva appeso al collo il Righa, che alla luce del sole risplendeva quanto un milione di pagliuzze d’oro, mentre Steve aveva attaccato alla cintura la sua bacchetta magica.
Elia era forse il più carico di tutti: era venuto munito di uno zaino che conteneva i vestiti, di un altro che invece racchiudeva il cibo, e un borsello dove conservava amuleti, bacchette di riserva e pozioni.
Wren si chiese se in quel borsello ci fossero anche delle rune per lei, per permetterle di continuare gli studi in questo campo, ma non ebbe il coraggio di domandare.
In quanto a Wren, le uniche cose che si era portata erano la sua bacchetta e l’arco: anche se McKenzie gliel’aveva consigliato vivamente, aveva deciso di accantonare lo spadone per un po’ per concentrarsi non più sull’allenamento ma sulla lotta vera e propria.
–Allora, – disse Elia, con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro per l’emozione, –avevo pensato di andare a Cambridge per un po’. Lì c’è un concentramento minore di magia, quindi potremo allenarci e studiare i nostri nemici senza essere scoperti.
Cart aggrottò la fronte. –Come mai c’è meno magia?
Elia sembrò sorpreso della domanda. –Ma quanti anni avete?
–Sedici, – sentenziò Carter senza problemi.
–Be’, allora non lo avete ancora studiato in Storia della Magia… comunque, lì vi è un forte concentramento di alberi, sapete? Anche se non sembra vero, questi con i loro rami impediscono che le ondate naturali di magia che provengono dal cielo entrino nella città.
–Quindi non possiamo neanche noi fare magie?    Chiese Wren, perplessa.
Non le sembrava quasi vero: come potevano dei semplici alberi scacciare la magia? E se nel corso del tempo la gente decidesse di tagliarli?
–Non esattamente. Non essendo provenienti dal cielo, gli alberi ci permettono di entrare, e ci proteggono dalla magia potente che invece arriva proprio dall’alto. È chiaro?
Wren annuì, anche se non le sembrava molto logico.
–Bene! Ora direi di andare alla stazione per prendere il treno. Che ne dite?
Steve alzò la mano, quasi fosse in classe. –Io ho fame.
–Be’… ci fermeremo da un fast food prima di partire.
Wren e Carter annuirono e per un attimo i loro sguardi si incrociarono.
–Andiamo.
 
Il fast food nel quale erano capitati era una stanzetta quadrata dalle pareti rosse e gialle, con il pavimento rivestito di moquette e dai tavoli e dalle sedie neri come la pece.
Si sedettero ad un tavolino vicino alla porta, cosicché se un mostro o chicchessia avesse voluto assalirli, sarebbero potuti scappare tranquillamente.
Un ragazzo di circa sedici anni dagli ispidi capelli biondi andò da loro per le ordinazioni, e circa un quarto d’ora dopo stavano già addentando i loro panini.
L’unico che non stava mangiando era Elia, che si guardava attorno con aria disgustata, oscillando ogni tanto la testa con disapprovazione.
–Perché non mangi?       Gli chiese Wren, mentre ingurgitava il suo panino con doppio hamburger e salsa piccante.
–Be’, dalle mie parti si mangia roba un po’ più salutare.
–Aspetta… non sei mai stato in un fast food?        Domandò all’improvviso Steve, mentre Wren la squadrava con sguardo feroce per zittirla.
–Ehm… una volta solamente, e non è stata una bella esperienza.
Carter e Wren annuirono. Poi ricominciarono a mangiare.


Usciti dal fast food, si sedettero su una panchina che si trovava davanti a uno dei treni.
Mentre attendevano, Wren squadrò per bene la stazione: si trovava forse in uno dei luoghi più grandi che conosceva dopo il King’s e l’aeroporto.
– Ragazzi, – disse Carter mentre il loro treno arrivava, –credo sia il caso di informare la scuola.
–è vero, – confermò Wren massaggiandosi i capelli, –credo che i nostri insegnanti lo vogliano sapere.
Elia sbuffò. –Va bene, ma in treno non fatevi sentire. – e, detto questo, porse a Wren un cellulare e si diresse verso il treno.
I tre lo seguirono.

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Capitolo 20
*** 20 ***


20



–Certo, professoressa. No, ma si figuri. Ovviamente. Staremo attenti. È un tipo… a posto, direi. Certo, certo. Ci vediamo.      Wren terminò la telefonata e si sedette accanto a Cart, nel posto che le era riservato.
Quando avevano preso i biglietti per la stazione, non si erano resi conto del fatto che il quattro posti erano divisi in un due coppie: una che sarebbe stata formata da Steve ed Elia, ed un’altra che invece che sarebbe stata composta da Wren e Carter, anche se Wren avrebbe preferito stare con Elia per potergli parlare del suo incubo e della missione.
Mentre squadrava il Righa, che teneva assicurato al collo come una vera e propria collana, Carter le appoggiò delicatamente la mano sulla spalla e le disse: –Sono sicuro del fatto che sei curiosa di sapere come andrà a finire tutto ciò.
Wren lo guardò con occhi truci e mormorò: –Voglio che finisca e basta. Non voglio sapere perché. Mi basta che finisca.
Carter aggrottò la fronte, gli occhi che sembravano lontani miglia.
–Nessuna notizia di mio padre. A parere di mia madre, a) l’hanno ucciso e non vogliono ridarcelo o b) sta ancora da loro, ma questo è meno probabile, o anche c) questo è solo un sogno e prima o poi ci sveglieremo.
Wren lo squadrò, un fuocherello le divampava nel petto. –Tu dici? Il  signor Patten è morto, hanno sequestrato tuo padre, dei mostri ci hanno assalito e io non sono riuscita a sconfiggerli e dei tipi sono entrati nella mia stanza per vedere se ero morta per bene, e per di più siamo bloccati assieme alla mia compagna di stanza e ad un hippie, con un amuleto che non sappiamo usare e con le idee meno chiare di un vetro lercio. Credi che tutto questo possa essere un sogno? Spero che tua madre abbia ragione, perché ne abbiamo perse fin troppe di persone fin ora.
–Come la Baron.
Wren distolse lo sguardo. Aveva cancellato la morte della Baron dalla lista perché non voleva parlarne, ma Carter glielo aveva servito su un piatto d’argento.
Scosse la mano per sviare l’argomento e si appoggiò allo schienale del suo sedile.
Carter sembrò non volerla pressare molto, per cui a Wren parve una buona idea appoggiare la testa sulla sua spalla e chiudere per un attimo gli occhi.
Quando la situazione le sembrò calmarsi, alzò la testa all’altezza dell’orecchio di Carter e disse: –Non ti piace Elia, vero?
Carter deglutì prima di sussurrare: –Be’, non è che non mi piaccia. – dovette deglutire di nuovo prima di proseguire, –è che… a volte si intromette in cose che non lo riguardano. E poi si sopravvaluta. Pensa di essere un po’… il capo di tutti noi, no?
Wren scosse la testa divertita. –No.
–Be’, secondo me sì.
Carter aveva assunto l’aria di uno che voleva sfogarsi, e per calmarlo Wren gli appoggiò una mano sul petto, che era caldo ma allo stesso tempo soffice.
Mentre rimanevano in quella posizione, il treno sorpassò una radura immensa che Wren non aveva mai visto. Quest’ultima era ricoperta di arbusti dai toni rossi, arancioni e gialli, che lentamente facevano spazio a gradazioni come il marroncino e il marrone.
–Carter, – sussurrò infine Wren, irrigidendosi, –Lo sai che ti voglio bene, vero?
–Certo. E so anche che sei stanca e che hai bisogno di dormire. Riposati.
E, detto questo, lasciò che si appoggiasse delicatamente sulla sua spalla e che trovasse posto per dormire nell’incavo creatosi tra il collo e la spalla.
–Ti voglio bene, – mormorò di nuovo, nella speranza che quelle parole gli arrivassero fino al cuore e che lo scaldassero, rendendolo più umano.
Dopodiché, sprofondò in un sonno profondissimo.

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Capitolo 21
*** 21 ***


21



Era prevedibile che svenissi.
Ovvio, mi avevano detto che fino a quando non avessi parlato, avrei fatto sciopero della fame.
Ed è quello che feci.
Rimasi seduta sulla mia sedia nella mia celletta per circa una settimana, fino a quando due guardie in borghese non vennero a prendermi.
Tutte e due avevano gli occhi distanti, quasi del tutto coperti dal loro cappellino rosso.
“Che volete?” domandai mentre mi prendevano per le braccia e mi portavano di peso in una stanza più grande, questa volta con le pareti completamente rosse e vuote, con una grata sul pavimento che permetteva lo scolo di acqua o sangue.
Non mi risposero mai, ma lo dedussi da sola.
Mentre stavo seduta per terra, un uomo entrò nella stanza.
Aveva i capelli completamente bianchi e portava una giacca grigia di tessuto a prima vista costoso.
Mi si accovacciò davanti e mi toccò la guancia.
Io sussultai. Anche se apparentemente sembrava una carezza, quando quell’azione finì era come se fossi appena stata picchiata violentemente.
“Oh, Hope. Bella e intelligente. Non potevi fare prima a metterti con mio figlio?” l’uomo aveva assunto un’aria pietosa e commiserevole, molto più umana.
Io continuavo a stare zitta.
Anche se non lo davo a vedere, gli ingranaggi del mio cervello si muovevano alla velocità della luce per capire chi fosse quell’uomo.
Tutt’a un tratto, fu quasi come se una luce mi investì.
“Lei è il padre di Bellamy. Suo figlio… suo figlio è morto.” Costatai davanti a lui, cosa piuttosto stupida visto che lui da padre ovviamente lo sapeva già.
“Già,” disse lui scostandomi una ciocca di capelli dal viso, “è morto perché tu e quell’infame di Vladimir vi siete messi a fare i vostri giochetti, escludendolo.”
Vladimir.
Era da circa un mese che non lo vedevo,che non sentivo parlare di lui. Chissà se il padre di Bellamy l’avesse già portato dove ero io ora.
“Voglio tanto sapere,” disse poi, scrutandosi le dita con attenzione, “Che cosa c’era in quel mortale di tanto bello da farti incuriosire così tanto. Ora sei incinta di una… come posso dire? Impura. Se uscirai viva di qui
–lo disse con una serietà tale che mi parse più un augurio che un intimidazione– come farai a crescerla? Le persone ti guarderanno male. Tutti quanti ti escluderanno. E sarai sola.
Prima di quella frase, avevo lasciato passare tutte le intimidazioni dell’uomo come burro sciolto che percorre un tagliere, ma non appena sentii quest’ultima mi bloccai.
“Che significa che sarò sola?” domandai.
“Be’,”disse lui, “credi che ti lasceranno vivere con un mortale? Oh, non credo proprio.”
“Che ne sarà di lui?”
“Ah,” l’uomo fece una faccia triste, “lui morirà.”

Se ne andò, lasciandomi lì, ad urlare imprecazioni di ogni genere.
Credevo che la morte di tuo padre sarebbe stata la cosa peggiore;
ma non ero minimamente preparata a quello che sarebbe successo poi.


 

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Capitolo 22
*** 22 ***


22



Quando arrivarono a Cambridge, il cielo si era tinto rosso, giallo e arancione, e piccoli stormi di uccellini svolazzavano qua e là pigolando e cinguettando.
–Sembra il paradiso, – mormorò Steve mentre guardava gli uccellini coprendosi gli occhi con una mano.
–Assolutamente sì, – Elia sorrise mostrando i denti bianchissimi, –questo posto è il paradiso per ogni genere di mago! Se si sa dove andare, ovviamente.
–In che senso?        Chiese Wren mentre teneva il passo ad Elia, che camminava veloce e che non si fermava davanti a nessuno.
–Qui c’è una comunità per maghi?  Tirò ad indovinare Carter, che guardò le altre due con aria di sfida quando Elia sentenziò: –Anche se qui i maghi non vengono visti né rintracciati, coloro che facevano uso di magia si sono sentiti in dovere di… “creare” una piccola comunità segreta (di cui nessuno è a conoscenza a parte alcuni maghi della Triade e del King’s) per parlare delle novità che stanno accadendo nel mondo dei maghi e per ospitarne alcuni in difficoltà.
–Ma come fanno ad ospitare gente se nessuno sa dell’esistenza della comunità?
Elia si girò verso di lei con lo sguardo di un professore piuttosto confuso e arrabbiato: –Primaditutto, – disse tutto d’un fiato mentre costeggiavano un piccolo laghetto abitato da anatroccoli, –       questa comunità si chiama  Priorato di Sion.
Carter spalancò gli occhi.
–Come quello de “Il Codice Da Vinci”?
Elia abbozzò un sorriso. –Be’, diciamo che quello che conoscete voi è… una brutta copia del Priorato, infatti l’originale ed inimitabile è stato creato proprio qui, da un gruppo di maghi che infine si divise. Coloro che hanno abbandonato il Priorato hanno formato la Triade, mentre gli altri sono rimasti qui e anno fatto su famiglia. Per cui non vi sconvolgete se molti dei membri attuali sono sull’ottantina.
Wren alzò le sopracciglia con un misto di sorpresa e scocciatura. Cosa assai poco credibile, non aveva mai né visto né letto Il Codice Da Vinci, e le risultava molto ma molto difficile immaginarsi un’associazione di cui non aveva mai sentito parlare.


 
Intanto i quattro proseguirono con la loro passeggiata.
Superarono palazzi antichi di mattoni scuri, casette che ricordavano vagamente quelle dei Puffi e chiese che le facevano pensare al King’s.
Non le sembrava vero, ma quello scenario così vicino a Londra era uno dei più grandi centri di magia del mondo, o almeno secondo il parere di Elia.
Camminarono ancora un po’ prima di arrivare ad un palazzo che ricordava più degli altri una casa d’epoca Vittoriana.
Il palazzo era di mattoni colorati di un rosa pastello che sembrava essere stato messo ieri, le finestre erano gigantesche e bianche, che ricordavano vagamente quelle di Buckingham Palace, a Londra, il giardinetto davanti (cosa piuttosto strana per una casa inglese) era ben curato e ospitava cespugli di fiori profumatissimi e giulivi nanetti da giardino.
Quando si ritrovò davanti al palazzo, Wren aggrottò la fronte. Anche se quel luogo era così ordinario e… perfetto, c’era qualcosa di sbagliato, qualcosa che l’attraeva lì.
Come facevano gli uomini normali a non notarlo? Ah, sì, qui rientravano gli alberi. Gli alberi.
–Ora che facciamo? – chiese Steve massaggiandosi le tempie.
Elia si girò verso di lei. –Ora entriamo.
–Così? Senza alcun invito né niente?      Carter era sorpreso e sconcertato allo stesso tempo.
–Loro accettano chiunque. – e, detto questo, spalancò la porta del palazzo e fu inghiottito dalle tenebre.


 
Wren non se lo aspettava.
Be’, sì, certo, si aspettava un po’ di non omogeneità con l’esterno per via del fatto che i normali non dovessero sapere cosa succedeva all’interno del palazzo, ma lo scenario che si trovava davanti ai suoi occhi era strano quanto non prendere il tè delle cinque o andare a dormire d’estate con i calzini.
La sala in cui si trovavano era come divisa in due: la prima parte, dove si trovavano loro ora, era buia e dava l’effetto di un lungo corridoio o di un pozzo senza fondo, mentre la seconda era più luminosa e arredata sorprendentemente bene.
Era come un salottino di una normale casetta inglese, ma qua e là c’erano oggetti che di sicuro una brava signora britannica non si sarebbe mai sognata di avere, ovvero un porta bacchette, un albero magico (una quercia, forse?) incastonato al muro dalla quale pendevano delle pietre preziose e una bacheca-lavagna dove venivano appuntati gli incantesimi del giorno.
Per esempio, quel dì v’era segnato sopra un incantesimo di trasformazione che né Wren né i suoi amici avevano mai visto né sentito: Osar non nuoce.
Wren diede una leggera gomitata a Elia, per richiamare la sua attenzione sulla lavagna.
–Che incantesimo è?
Elia aveva un’espressione superiore. –Non è un incantesimo. È una filastrocca magica.
–E che differenza c’è? Si azzardò a chiedere Steve.
Elia roteò gli occhi con fare di superiorità. –A volte mi dimentico che state ancora studiando! Comunque, le filastrocche non sono dei veri e propri incantesimi, bensì formule che se pronunciate da una persona qualunque, non portano a niente, ma se pronunciate dal creatore stesso della formula o da un suo parente funzionano. Non sapete quante discendenze abbiamo scoperto grazie a questo metodo!
Carter guardò Wren, sorpreso. –Ne avevi mai sentito parlare? – le sussurrò nell’orecchio mentre camminavano per uno stretto e buio corridoio.
–No. Però credo che per avere solo due anni in più a noi due è un po’ saputello.
Mentre camminavano, Steve le fece notare che da tutte le porte chiuse che fiancheggiavano il corridoio provenivano rumori strani e ambigui, talvolta violenti, altre volte assomigliavano al dolce suono di un arpa o di un flauto traverso.
Si fermarono davanti ad una porta più grande delle altre, fatta di legno scuro che in gran parte dell’entrata era marcio, i cui cardini erano arrugginiti e tutti bucherellati.
–Da quanto non fanno una ristrutturazione? – domandò Wren sottovoce ai suoi due amici.
–Credo da un po’. – rispose Carter, guardandosi intorno, –da quel che credo, i cardini sono fatti di ferro, e il fatto che siano arrugginiti mi fa preoccupare. Non toccateli.
A Wren piaceva quando Cart si prendeva cura di lei: era come il padre che non aveva mai conosciuto.
Elia bussò lentamente alla porta, una, due, tre volte, fino a quando non si sentì un rumore di passi e la voce roca di quello che sembrava un vecchietto che domandava: –Parola d’ordine?
Elia ammutolì per un poco, evidentemente ricordando a malapena quest’ultima. Infine, si appoggiò delicatamente alla porta e sussurrò, come se qualcuno potesse sentirlo e sottrargli quell’inestimabile parola: Sophie Neveu.
Dopo una serie di rumori che ricordavano molto dei lucchetti che s’aprivano e che cadevano a terra, la porta si spalancò.
Davanti a loro c’era un vecchietto basso e magrolino, con i capelli folti e argentei che copriva sotto l’ampia tesa del cappello, che a malapena faceva intravedere gli occhi color nocciola.
–Elia! Bienvenido entre nosotros! Entra, dai!
Da quello che era riuscita a capire, Wren dedusse che quell’uomo era spagnolo.
Entrati nella stanza, Steve sussurrò a Carter e Wren: –Chi è Sophie Neveu?
–Hai presente il Codice Da Vinci?
Steve sbuffò. –Ho capito…
E detto questo si mise dietro a Elia, che intanto chiacchierava con il vecchio in spagnolo.
Da quello che le sembrava di capire, stava raccontando del loro viaggio e dei loro scopi.
–Aspetta, aspetta! Lascia che mi presenti, io sono Rocío, capo del Priorato di Sion! E voi come vi chiamate?
–Wren
–Steve
–Carter.
–Oh, ma che bei nomi! Dai, venite! Vi do un pasto caldo da mangiare!


Wren avrebbe voluto tornarsene al King’s.
Oppure al sac, lì almeno non si annoiava a morte.
In due ore aveva conosciuto almeno una centinaia di vecchietti che girovagava per il palazzo, alcuni che giocavano a carte, altri in sedia a rotelle, altri ancora che cercavano di spostare vasi dipinti con la mente, invano.
Quando li aveva portati alle loro stanze, al piano superiore, Wren aveva tirato un sospiro di sollievo.
Ma aveva sbuffato quando Rocío aveva affermato che le camere erano miste.
–Che cosa?! – gridò Carter, la stessa espressione di un padre che non vuol far dormire la propria figlia con un estraneo.
–Be’, chico, questo posto e per uomini e donne. Secoli fa fu progettato solo per coniugi, per cui se due persone dello stesso sesso provassero a entrare nella stanza, be’, non potrebbero. La casa non lo ammette. Todo claro?
Wren notò che lo sguardo di Carter si era fatto più vuoto, anzi, ricolmo di tristezza. Sapeva a cosa stava pensando. Stava pensando a Jessie, e al fatto che se avessero cercato aiuto lì nessuno li avrebbe accolti.
–Bene! Scelgo io! – e, con uno strattone, spedì Elia e Wren da una parte e Carter e Steve da un’altra.


Dopo cena, non ci fu neanche il tempo per parlare tutti e quattro assieme. Rocío, manco fosse un padre, li aveva mandati a dormire mentre gli altri vecchietti giocavano a bingo o a carte.
Wren si stese da una parte del letto matrimoniale su cui lei ed Elia avrebbero dovuto dormire, e sospirò.
–Questo posto è uno strazio.
Elia accennò un sorrisetto. –Sono solo un po’ all’antica, – e si distese anche lui sulla sua parte di letto.
–All’antica… alla preistorica, direi!
Entrambi risero.
Elia sospirò.
–Come va col Righa?
Wren l’aveva appoggiato sul comodino accanto a lei, e si fermò per un attimo a guardarlo.
–Non serve a niente. Non capisco perché il signor Patten me l’abbia rifilato.
–Dà un po’ qua. – disse Elia, e poi si sporse verso la parte opposta del letto (dove c’era lei) per prendere l’amuleto.
Wren arrossì. Elia le stava praticamente sopra… dallo scollo della maglietta che si era abbassato durante i movimenti, si riuscivano a intravedere i muscoli.
Dopo circa un millesimo secondo in quella posizione così stramba, Elia si ristese sulla sua parte di letto, senza ombra di imbarazzo.
–Vediamo un po’. Si sfregò l’amuleto tra le mani, notando che non faceva effetto.
Wren si avvicinò un po’ di più vicino a lui per vederlo, ma con delusione: il Righa non faceva niente.
–Sai, – disse Elia, appoggiando il Righa sul suo comodino, –credo che te l’abbia dato per… per non so, qualcosa che succederà poi.
–Tu dici?
Elia annuì.
Ci fu un minuto interminabile di silenzio, nella quale Elia guardò il soffitto e il lampadario, come se stesse pensando ad un modo per far stare meglio Wren.
–Sai una cosa? –disse dopo un po’, –chissene di tutti questi amuleti. Lo stiamo cercando, no? Il signor Patten può accontentarsi.
Davanti agli occhi di Wren ballavano le immagini del signor Patten morto, col sangue che gli colava dalla bocca, gli occhi vuoti, i capelli sporchi e le braccia aperte.
Strizzò gli occhi, cercando di cacciare indietro le lacrime.
–Ehi, – sussurrò con tono dolce Elia, –Su, su, non piangere. Si risolverà tutto, okay?
Wren si coprì la faccia con le mani, e si girò dall’altra parte. Sperava che Elia non sentisse i suoi singhiozzi, ma capì che li aveva uditi quando l’abbracciò da dietro e le mormorò di stare calma.
–Va bene, va tutto bene. Non è stata colpa tua se è morto.
Wren si levò le mani dalla faccia e lo guardò con occhi imploranti.
–Puoi andartene?
Elia aggrottò la fronte. –Cosa?
–Io… ho bisogno di stare da sola. Esci. Fatti un giro. Voglio… voglio riposare un po’.
Elia si staccò, la bocca aperta come se volesse dire qualcosa. Invece di alzarsi e uscire, rimase lì a guardare il vuoto.
–Senti, io…
Wren non poté terminare la frase.
Elia si mise davanti a lei, e posò le  labbra sulle sue.
Wren spalancò gli occhi ancora pieni di lacrime, ma poi subito li richiuse, gustandosi quelle labbra morbidissime e calde.
Rimasero in quella posizione per un po’, fino a quando Elia non si staccò e disse: –Se devi soffrire, non farlo da sola.
Le massaggiò i capelli con la sua mano, quella mano dalle dita lunghe e affusolate che districavano con estrema leggerezza i nodi della sua chioma bionda, che la fecero sorridere quando le posò un dito sulle labbra e poi lo tirò indietro, pronto per darle un altro bacio.
E questa volta fu perfino meglio del primo.

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Capitolo 23
*** 23 ***


23



Si svegliarono in piena notte, col rumore delle catene.
Fuori faceva freddo, anche se la sera prima si stava bene come in un pomeriggio primaverile: fuori c’era un po’ di pioggerella e tirava tanto di quel vento che Wren aveva (inconsciamente) preso tutte le coperte che coprivano Elia  e le arrotolò attorno al suo corpo, lasciando Elia senza nulla, a tremare.
Ma non fu il freddo polare a svegliare i due ragazzi nel bel mezzo della notte, bensì il frastuono dei pesanti anelli che formavano la catena che cadevano a terra.
Quel rumore avrebbe svegliato un elefante.
Wren si mise subito a sedere sul letto, spintonando Elia con la mano, cercando di farlo svegliare.
Solo dopo egli aprì gli occhi, ma si ritrovò immediatamente una mano posata sulla bocca.
“Silenzio” mimò con le labbra Wren prima di levargli la mano dalla bocca.
Era quasi irreale il fatto che la sera prima i due si fossero baciati e quelle labbra si fossero posate sulla sua pelle.
Elia era ancora assonnato, ma recepì il messaggio.
Il rumore di catene divenne quasi insopportabile, e la paura prese il sopravvento quando la maniglia della loro porta cominciò a girare.
Wren rimase lì, paralizzata dalla paura, con Elia che sembrava una statua di marmo accanto, mentre una donna entrava nella stanza.
Era chiaramente un fantasma.
La pelle diafana era paragonabile ad un bicchiere di latte, gli occhi erano vitrei e la corporatura era quella di uno scheletro.
Bensì non furono quelle caratteristiche a far fermare il respiro ai due, ma lo fecero le pesanti manette di ferro che sbattevano a terra con forza e lo sguardo tagliente e dolce allo stesso tempo.
Il fantasma squadrò Elia per un attimo prima di posare gli occhi vuoti su Wren.
–Figlia mia, – sussurrò, e in quel momento Wren avrebbe voluto morire.

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Capitolo 24
*** 24 ***


24



–M-mamma? – Wren era senza parole. Quella era sua madre? Era lei quella di cui tanto parlava la Bellnorris, la bellissima donna dai capelli ramati che l’aveva abbandonata? Non poteva crederci. Com’era morta?
Sentì le lacrime scenderle copiose lungo le guance, e Elia le cinse le spalle con un braccio.
Il fantasma annuì.
–Scusa se mi sono fatta attendere, ma vorrei chiarirti le idee sulla tua missione, e su quello che sta succedendo al King’s.
Wren aggrottò la fronte. Sua madre, che non aveva mai visto, era venuta dopo sedici anni a dire alla figlia che cosa doveva fare durante una stupida missione?
–Non abbiamo bisogno del tuo aiuto. Mormorò, e in quel momento sentì Elia che deglutiva.
Aveva paura,forse?
Lo sguardo della madre si raggelò.
–E invece sì. Ascoltami e non fare la stupida.
–Prima, – Wren serrò i denti per nascondere il tremore al labbro, –voglio che tu mi dica una cosa un po’ più importante.
–Non essere sciocca, Wren! Tra poco il velo che mi separa dai mortali si inspessirà e io dovrò tornare dall’altra parte! Io…
–Perché mi hai abbandonata?
Wren sentì il cuore spezzarsi nello stesso momento il cui la madre sorrise.
–Non ti ho abbandonata, piccola. Sono loro che mi hanno portato via da te.
–E mio padre?
Lo sguardo del fantasma era diventato più triste non appena Wren lo domandò.
–Te lo dirò se sopravvivi a questa missione. È più pericoloso di quanto tu creda. Il Professor Patten sapeva delle tue capacità ben prima della mia morte, lui sapeva cosa sarebbe successo.
–E che è successo?
Ad Elia tremavano i denti. Si guardava attorno, come se non sapesse di preciso dove mettersi, ed infine decise di sedersi sul bordo del letto a fissare il pavimento.
–Quando nascesti, il fatto che tuo padre fosse un mortale e io una studentessa di magia creò il devasto più totale. Vladimir, un mio compagno di scuola, era l’unico che non mi guardava con odio per quello che era successo. Bellamy, invece, mi trovava ripugnante. Un giorno mi si avventò contro e Vladimir dovette ucciderlo.
Il mio sogno! Pensò Wren.
–Questa cosa creò più scalpore di qualsiasi altro avvenimento successo tra quelle mura.
Tra l’altro, Bellamy era uno dei maghi in lizza per diventare il nuovo preside del King’s. Quando seppe della sua morte, suo padre si arrabbiò talmente tanto da sottrarti a me, e mi portò via con sé.
Prima, però, uccise Vladimir e non mi fece più avere notizie di tuo padre.
Voleva che mi scusassi e che diventassi sua schiava, per ripagare la morte di suo figlio, ma io ho negato, fino a quando non mi ha ucciso.
Ora i fantasmi di Bellamy e di suo padre hanno formato un esercito di maghi oscuri e mostri, e stanno preparando un attacco al castello, hanno perfino rapito persone per il loro scopo.
–Il padre di Carter. Disse Wren rivolta ad Elia.
–Si presenteranno al torneo, e lì minacceranno la scuola, e, se questi ultimi non vogliono dare loro ciò che vogliono, ci sarà una carneficina.
–Perché il signor Patten non l’avrebbe avvertita? Domandò Elia, perplesso.
Solo in quel momento la madre di Wren sembrò notarlo.
–Oh, tu non sai neanche minimamente di chi tu possa essere, giovane. Io ti conobbi tanto tempo fa. – disse il fantasma rivolto ad Elia.
Poi, questa volta guardando Wren. –Mi raccomando, tienitelo stretto, lui non è come credi.
E, detto questo, scomparve in una nube di vapore.
I due maghi si fissarono per un eternità prima di andare a dormire.

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Capitolo 25
*** 25 ***


25



Il giorno seguente, a colazione, né Elia né Wren erano particolarmente chiacchieroni.
Stavano mangiando del porridge seduti a tavola con Carter, Steve, Rocío e un altro tipo il cui nome, se Wren l’aveva ben capito, era Fofiño.
Mentre Carter e Steve litigavano per il fatto che Steve mentre dormiva si dimenava e tirava calci come un ninja, Elia si accostò a Wren e le sussurrò: –Non ne abbiamo ancora parlato.
E di cosa? Del bacio o del fantasma della madre che si era presentato in camera loro e che aveva stravolto completamente la loro missione?
–Di cosa?
–Di entrambe le cose.
–Ho deciso di parlare del fantasma a Cart e Steve dopo pranzo.
–E del…
–Non è stato niente. Wren si voltò dall’altra parte.
Elia rimase zitto per un po’, ma poi le si avvicinò e le chiese: –Avevi mai baciato qualcuno, prima?
No. Avrebbe voluto dire. Ma come l’avrebbe presa? E se gli avesse detto che per lei era stato bellissimo, che si era sentita come se il proprio cervello si fosse sciolto e poi si fosse fuso con il cuore? Che avrebbe pensato!
–Allora? Lentamente, Elia avvicinò la mano alla sua e gliela strinse, ma il contatto durò poco, perché Wren si scostò subito.
–Perché?
Elia aggrottò la fronte.
–Perché cosa?
–Perché mi hai…– Wren si guardò attorno, –Baciata, ecco.
Elia sembrava sorpreso.
–Io… volevo farlo da un po’.
–E hai scelto proprio il momento in cui io stavo piangendo per ciò che era successo? Hai un tempismo ottimo, guarda.
Elia le si avvicinò sempre di più, e Wren si sentì avvampare.
–Dimmi che ti è piaciuto.
–NON MI È PIACIUTO!
Wren aveva alzato troppo la voce. Tutti quanti, compresi Cart e Steve, si girarono a guardarli. A guardare loro.
Con un grumo ribollente di rabbia che le premeva nel petto, Wren si alzò e disse, sempre rivolta a Elia.
–Non mi è piaciuto affatto, e gradirei che la prossima volta ti informi su cosa prova quella persona prima di baciarla!
E se ne andò, con tutti che la guardavano.


Steve bussò alla porta della camera di Wren dopo qualche minuto. Probabilmente  aveva fatto qualche incantesimo temporaneo alla porta, perché riuscì a entrare senza problemi.
–Wren. – disse, sedendosi sul letto. –Che cos’è successo ieri? Tu ed Elia… be’, l’avete fatto, vero?
Wren sgranò gli occhi. –Certo che no!
–E allora come spieghi la scenata di poco fa?
Wren incrociò le braccia. –Mi ha baciata. Tutto qui.
–E tu eri… d’accordo?
Scosse la testa.
Steve le si avvicinò di più, facendo traballare il materasso. –Senti, a me puoi dirlo. Siamo state in camera per tre anni… Cavolo, lui ti piace?
Si sentì come se il cuore le fosse sceso fino all’intestino. Se lo sentiva di piombo, troppo pesante per essere contenuto. Ma, se lo avesse lasciato andare, sapeva dove sarebbe andato.
–è carino. Ma… è troppo grande, troppo stupido e…
–Troppo bello.  Steve finì la frase per lei.
Wren annuì.
–Quando mi ha baciata, stavamo quasi per litigare. Capisci? Lui… poi ha colazione mi ha detto che lo voleva fare da tempo, forse da quando mi ha spogliata, dopo essere caduta dall’aereo.
–Ti ha… cosa?
–Non mi ha levato i vestiti né fatto brutte cose, solo che… durante il sonno post-incidente, sono rimasta in intimo tutto il tempo. E lui era con me.
Steve alzò le sopracciglia, imbarazzata.
–Ora sta parlando con Carter. Credo che sia piuttosto arrabbiato.
–Chi? Elia?
–No. Carter. Tu per lui sei… la sua piccola principessina, e, diciamo- cielo, non avevi mai baciato nessuno, vero?
Wren rimase a bocca aperta.
–E a te che importa? Ti prego, se sei qui per ricordarmi quanto tu sia meglio di me, puoi anche tornartene al King’s.
–Ma non te la prendere così! Non ho detto niente di male. Ti volevo solo consigliare…
Wren era piena di rabbia. –Chi cazzo te l’ha dato il permesso di darmi consigli sulla mia vita? Eh? Io? Non credo proprio! E se tanto vuoi saperlo, no, non ho mai baciato nessuno, e a me non piace Elia, anzi, lo odio, lo odio, lo odio tanto!
–Grazie mille.
Wren si girò immediatamente.
Sulla soglia, c’era Elia, con le mani in tasca e l’aria di uno che avrebbe volentieri tentato il suicidio.
–Io… Elia…
–Se hai pensato di me questo per tutto il tempo, potevi risparmiarmi di venire qui.
–Venire qui?
–Eh certo! – Elia fece un passo in avanti, la fronte aggrottata, –Da quando sei precipitata da quell’aereo, sei sempre stata il centro del mondo. Del mio mondo. Non sai quante volte ti ho sognato in slip e reggiseno, e quanto ho meditato questo bacio! Sono venuto con voi perché… perché non riesco a staccarmi da te, e…
Okay. Ora stava letteralmente piangendo.
–Meglio che me ne vada.
Disse in un soffio, e poi si diresse nel corridoio.
Wren si precipitò verso di lui.
–Aspetta! Ti prego, almeno dammi una risposta.
–A che cosa? – sbottò lui.
–Perché ti piaccio?
Questa domanda lo lasciò di sasso.
–Perché tra tutte queste maghe e streghe, sei l’unica che non porta quasi mai con sé la bacchetta, e che si sottovaluta così tanto da non capire che lei è una delle ragazze più potenti del mondo. E io mi odio per essermi messo in mezzo. Scusa.

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Capitolo 26
*** 26 ***


26



Elia aveva fatto le valigie quel giorno stesso e se n’era andato.
Wren aveva tentato di trattenerlo, ma lui non volle sentire ragioni, e li lasciò lì da soli.
Carter le appoggiava la mano sulla spalla mentre le lacrime le scendevano lungo le guance, e le diceva che non era colpa sua.
–Eccome se lo è. – aveva gridato a quel punto Wren. –Lui… lui mi amava!
Il volto di Carter si rabbuiò.
–Era solo un po’… come posso dire… aveva solo voglia di spassarsela con qualcuno, ecco. E ci ha lasciato qui. Ora.
–è vero! – disse Steve risentita. –Ora dove andiamo?
–Ragazzi. Devo raccontarvi una cosa. – disse ad un certo punto Wren, e detto questo, tutti e tre si sedettero su un tavolo non occupato da vecchietti.
Lì raccontò loro ciò che era successo.
–Quindi…– disse Cart, appoggiando una mano sulla sua.
–Quindi il fantasma di mia madre ci ha detto contro chi stiamo lottando.
–Ma tu… tu sapevi che era… morta?  Chiese Steve, curiosa tanto quanto a disagio.
–No. Non sapevo neanche com’era fatta. Avrebbero potuto piazzarmi davanti Merilyn Monroe e io avrei pensato fosse lei.
D’un tratto, tra i tre si inspessì un velo d’imbarazzo.
–Per questo… per questo vorrei tornare al King’s, chiarire le cose e combattere. Tanto non lo troveremo.
–Chi ti dice che non lo troveremo?
Wren roteò gli occhi.
–Si è capito, ragazzi. Il Righa non funziona. E non voglio girare tutta l’Inghilterra per trovare una persona che non conosciamo neanche!
Si alzò, e si precipitò in camera e nascose la testa sotto il cuscino, cercando di far cessare la voce rotta di Elia che le diceva che l’amava.
Secondo lei non era solamente perché voleva spassarsela.
Che fai, per avere dei baci che potresti tranquillamente ricevere da qualcun altro ti immischi in una faccenda pericolosa tanto quanto importante?
Be’, Wren non l’avrebbe fatto.
Prese il Righa dal comodino, lo strofinò con le mani e si concentrò. Niente.
Assolutamente niente.

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Capitolo 27
*** 27 ***


Per tutto il viaggio di ritorno, Wren non fece che pensare al King’s.
Avevano preso un treno apparentemente non infestato da mostri demoniaci, e ora si dirigevano verso la loro scuola.
Di nuovo.
Quanto era cambiata dal primo anno in cui era andata lì. La Bellnorris, prima di portarla al King’s, le aveva detto che il posto in cui sarebbe andata era un posto per ragazzini speciali come lei, e che non avrebbe dovuto avere paura.
Quando si ritrovò tra pozioni, rune e gare di tiro con l’arco sulla scopa, a Wren sembrò di trovarsi tra le pagine di Harry Potter.
Ah, quanto lo capiva, Harry! Non l’aveva mica voluto, proprio come lei. Cioè, sì, lei aveva accettato l’impresa solo per la sua fama, ma era stata scelta molto prima da persone che ancora abitavano la scuola, e da altre che erano morte tempo prima.
Si appoggiò al finestrino e cercò di soffocare l’urlo di rabbia che stava per uscire.
Perché proprio lei? Perché? Se non fosse stato per sua madre e per il signor Patten, non avrebbe mollato Elia, e ora sarebbe stata con lui, in una delle stanze del King’s e si sarebbe gustata le sue bellissime labbra.
Sì, le era piaciuto. E anche molto.


Si appoggiò a Carter, che stava accanto, e cercò di riposare, ma lui continuava a chiederle informazioni su sua madre.
Anche se non lo dava a vedere, si capiva che era preoccupato per lei.
Anche se Elia non gli stava particolarmente simpatico, non poteva negare a Wren di stare con lui, visto che si era definito off-limits.
–Quindi non te la ricordavi? – chiese.
–E come avrei potuto? Non l’ho mai quasi vista.
–E lei che ha detto?
–Si è dimostrata molto poco partecipe alla mia vita.
–Ah.
–Che cosa credevi? Che avrebbe detto “Oh, mio amore, finalmente ti vedo!” Credo che mi abbia spiato così tanto sotto forma di fantasma che quando mi ha visto di persona non è rimasta scioccata.
–Che brutto.
–Già.
–Ed Elia?
–Be’, lui è stato… fermo, ecco. Ma poi mia madre gli ha detto che lui era diverso da ciò che pensavo.
–In che senso?
–E io che ne so? Se n’è andata prima che io potessi chiederle qualcos’altro.
–Forse intendeva il fatto che ti amava.
–Non credo.
–E perché no?
–Secondo te una che non mi ha neanche chiesto come stavo si sarebbe preoccupata di questo? Secondo me ha qualcosa di speciale.
–Oltre al fatto che è innamorato di te?
–Ma smettila!
La signora avanti si girò per zittirli.
–Wren?
–Sì?
–Tu lo ami?
Che avrebbe dovuto rispondere? Sì, certo, le piaceva, ma… amare?
–Non lo so.
–Be’… se posso dire la mia, sappi che secondo me stareste bene insieme.
–Tipo tu e Jessie?
Carter accennò un sorriso imbarazzato.
–Sì.
–Sai, – disse Wren, mentre piano si stendeva sulle sue gambe. Questo non lo mise in imbarazzo. Anzi. –Credo che quando torneremo, sarò più sola di prima.
Carter aggrottò la fronte.
–Cosa te lo fa pensare?
Wren chiuse gli occhi.
–Be’, vediamo un po’… ho ucciso una professoressa, ho trovato il preside della nostra scuola morto in camera da letto e ho fallito miseramente nella missione. Tu che dici?
Cart esitò.
La guardò, e in quell’istante Wren si ricordò quanto fossero belli i suoi occhi.
–Basta sentirsi in colpa per ciò di cui non si è colpevoli. Per favore, smettila di addossarti tutte le colpe di cui non solo tu fai parte, okay? Mi fa morire.
Wren tornò a sedere, e distolse lo sguardo dal suo viso ipnotico, di cui era sicura che in quel momento la stesse fissando.
–Tu non puoi capire.
Fu l’unica cosa che disse, prima di rimanere immobile e impassibile davanti al finestrino.

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Capitolo 28
*** 28 ***


Quando arrivarono al King’s, Wren se lo aspettava molto peggio. Pensava che gli edifici fossero completamente crollati, o che, perlomeno, un drago sputafuoco si fosse piazzato davanti a loro e che non li avesse fatti entrare. Anzi, la situazione era anche abbastanza normale: semplicemente non c’era nessuno fuori a leggere, esercitarsi con gli incantesimi, e non v’era traccia di mago nell’aerea ti tiro con l’arco sulla scopa. Steve, Wren e Carter oltrepassarono velocemente gli edifici e si fiondarono nelle aule. La prima era pericolosamente vuota, mentre le altre erano come al solito: i soliti studenti e i soliti professori, tutti che studiavano e facevano come se niente fosse. Entrarono in una delle aule e chiesero al professore che c’era in classe dove fosse la Harvey. –Aula 316. Sta sostituendo. Corsero verso l’aula, e il cuore di Wren fece una capriola quando vide la Harvey che insegnava normalmente agli studenti. Wren esitò un po’ prima di entrare. Si girò verso Cart e Steve, che stavano dietro di lei, e disse: –Voi rimanete qua, okay? Detto questo, spalancò la porta dell’aula. –Wren? La Harvey era sorpresa tanto quanto gli studenti di vederla. –Io… dovrei parlarle. In privato. La Harvey diede un’ultima occhiata ai giovani maghi che stavano davanti a lei prima di uscire dall’aula. –Allora? Che ci fai qui? Carter e Steve si erano seduti su una panca di marmo a qualche metro lontano da loro, e la Harvey non sembrò vederli. –Io, Steve e Carter forse… forse abbiamo capito chi ha ucciso il signor Patten. La Harvey aprì la bocca, scettica. –E l’erede? Ecco. Cosa avrebbe potuto dire? –Il Righa non funziona. Pensavo che fosse come un… navigatore, ma non ci è servito a niente. La Harvey era pensierosa. Come biasimarla? Era rimasta lì tutto il tempo a torcersi le mani e ad aspettare l’erede del preside che alla fine non era neanche venuto? –Che cosa avete scoperto? –disse dopo un sospiro. –Tanto tempo fa, quando mia madre andava a scuola… –Aspetta. Centra con tua madre? Ma tu non la conosci nemmeno! –Le spiegherò tutto più tardi. Prima… prima vorrei raccontarle cosa è successo. La Harvey annuì. –Racconta. –Mia madre… lei si era, ecco, innamorata di un uomo che non era un mago, e dopo qualche tempo che uscivano insieme di nascosto, nacqui io. Ovviamente il fatto che fossi nata da un mortale e una maga creò molto scalpore, e… mia madre non era vista con molta felicità. Un giorno, un tipo di nome Bellamy si avventò contro mia madre e dovettero ucciderlo. Il padre di Bellamy, per vendetta, uccise mia madre, e tutti la dimenticarono. Io fui data alla signorina Bellnorris e il resto del mondo continuò con le loro vite. La Harvey sembrava stupita quanto sconcertata da quello che le era appena stato rivelato. –E questo che centra con il King’s? Tua madre è morta. –Be’, quando il padre di Bellamy morì, si alleò col fantasma di suo figlio per scatenare una guerra contro la scuola. Infatti, Bellamy era uno dei maghi in lizza per diventare preside. Hanno ucciso il signor Patten e ora… e ora si muovono verso di noi. L’unico modo per fermarli era trovare l’erede, ma non ci siamo riusciti. Ora dovremmo solo… aspettare, ecco. E capire come funziona quell’aggeggio. La Harvey sospirò. –Questo esercito che si muove verso la scuola… da chi è formato,precisamente? –Da mostri. La Harvey impallidì. –Vieni, devi esporre i tuoi pensieri anche alla Breakwell. Passarono i giorni, e tutto tornò alla calma di sempre, solo che ora Wren era sempre all’erta e non riusciva a dormire. Ogni volta che chiudeva occhio, davanti a lei si piazzava la sagoma sbiadita di Elia o quella fumeggiante della madre, che ripeteva sempre le stesse parole. Steve aveva preso un po’ le distanze, ora che si ritrovava nella sua cerchia di amici. E i suoi amici erano i suoi nemici. Le poche volte in cui parlavano era quando stavano per andare a dormire, ma erano sempre troppo stanche per dire granché. Quando Carter vide di nuovo Jessie, Wren assistette a tutta la scena. Jessie gli si era gettato sopra, gli aveva messo le braccia al collo e gli aveva dato un lungo bacio alla francese. Anche se non doveva, Wren ne fu gelosa. Lei intanto non aveva nessuno con cui parlare. L’avevano ritirata da tutti i corsi, ma senza mandarla a casa. Passava tutta la giornata ad esercitarsi con la spada e a vedere come funzionasse il Righa. L’aveva cercato ovunque. In ogni libro. Ma solo pochi di questi erano riusciti a spiegarle appieno cosa significasse “usare” il Righa. Una volta, mentre sfogliava pigramente le pagine di un volumone gigantesco risalente a chissà qualche età storica, Wren s’imbatté in un articolo molto interessante scritto da un certo Jimmy Smurphy riguardo all’argomento. –Il Righa è un potente amuleto in grado di fare tutto ciò che il proprietario di quest’ultimo desidera. Ha una forma triangolare, con la quale si dice si possa vedere il mondo. Di solito, viene tramandato da generazione in generazione al fine scopo di apprendere le arti magiche senza sforzi e pericoli. Bensì, il Righa anni orsono venne usato anche per combattere, poiché è in grado di creare qualsiasi cosa il proprietario desideri. C’erano altre tre pagine dedicate all’argomento, ma questo fu quello che stupì di più Wren. Girò tra le mani il libro, e lesse la piccola biografia dell’autore. Era nato e viveva in Inghilterra. E dove viveva? A Bristol. Wren sentì un brivido percorrerle la schiena. Non si era dimenticata quella volta in cui Elia le aveva fatto vedere Bristol dall’alto. E Bristol era proprio dove voleva andare. –Quindi, se troviamo questo tipo, lui ci può dire come si fa ad usare il Righa? Figo. – disse Carter a mensa, mentre riempiva il suo piatto di riso e frutta al buffet. Era strano come il sac a Bristol li avesse istigati ad una dieta più salutare. Si sedettero ad un tavolo, e poco dopo si aggiunse anche Jessie. Steve se ne stava seduta al tavolo dall’altra parte della stanza con i suoi amici, e parlava e scherzava come se non fosse mai andata via di lì. –Cosa è figo? Chiese Jessie mentre rubava dell’uva a Carter, che intanto cercava di riprendersela. –Abbiamo capito come funziona il Righa. Forse. –Ah. – Jessie si rabbuiò. –Quindi vuol dire che partite di nuovo? Wren esitò. –Forse. Probabilmente partirò da sola. Carter si girò verso di lei. –Cosa? –Parto da sola. Intanto Jessie gli rubò dell’altra uva, ma questa volta Cart lo lasciò fare. –Non se ne parla neanche! Tu, da sola, con il Righa e un sacco di mostri che ti vogliono morta? Non se ne parla. –Cart… voglio solo dire che…– Wren assaporò il suo porridge e sorrise. –che non ci rimettiate tutti quanti. –Ma noi non ci rimettiamo. – disse lui. –E invece sì,Steve sta con i suoi amici, tu invece stai con Jessie… io sono, be’, quella sacrificabile. Le dispiaceva dirlo, ma era proprio quello che pensava. Lo pensava da tempo. –Questo non è vero. – il tono di voce di Carter si fece più alto, più arrabbiato. Alcuni maghi si girarono a guardarli e mormorarono tra loro. –Certo che è vero. Tu hai Jessie, Steve ha i suoi amici… io chi ho, invece? Jessie e Cart ammutolirono per un po’. –Hai me. –Non dire stupidaggini. –Non sto dicendo niente di stupido. –E invece sì! –E invece no! Si erano alzati. Li stava fissando mezza mensa. –Credi che mi piaccia stare qui a vedervi sbaciucchiare mentre il mio solo ed unico passatempo è arrovellarmi il cervello cercando di capire a che cosa serve quel coso? Sembra che da quando siamo tornati tutto sia normale, e che io sia l’unica che si deve caricare di tutto quanto! Che ti ho scelto a fare, se non fai quello che devi? Stava piangendo. “Dio, ti prego, dimmi che non mi stanno guardando”. E invece sì. Tutti quanti tenevano gli occhi fissi su di lei, perfino Steve, che le rivolgeva occhiate fugaci cercando di capire cosa stesse succedendo. –Sei uno stronzo. Se ne andò.

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Capitolo 29
*** 29 ***


–Che stai facendo? Non dirmi che te ne vai.
Steve era entrata in camera proprio nel momento in cui Wren stava scendendo dalla finestra.
–Io… no. Sto andando… a fare jogging.
–Con uno zaino e in tenuta ninja?
Steve incrociò le braccia. Wren risalì e si mise davanti a lei.
–Forse ho capito come funziona il Righa. Però devo andare a Bristol. Ti prego, ti prego, non dire a nessuno che me ne sono andata. Fai l’indifferente.
–Certo che no! Non te ne vai a Bristol da sola!
–E perché no?
Wren si guardò attorno, come se qualcuno potesse spiarle.
–Perché moriresti. Ecco.
Wren sbuffò. Steve, la ragazza che fino a qualche settimana prima la odiava, ora si prendeva cura di lei?
–E da quando di importa?
–Da sempre.
–Certo.
Steve aggrottò la fronte.
–Che cosa vorresti insinuare?
–Niente. Semplicemente che da quando sei qui non fai altro che stare con i tuoi stupidi amichetti, e non ti importa minimamente di che cosa stia succedendo a me!
–A te? E perché dovrei? Da quando siamo tornati qui stai sempre là, seduta sul tuo letto, a leggere cose sul Righa, come se questa cosa ti importasse davvero.
–Ci va mia madre di mezzo.  Wren alzò il mento, cercando di non piangere.
–Come al solito! Wren qui, Wren là… mi sembra solo che tu voglia richiamare le attenzioni così.
–Non è vero!
–E allora perché non ci hai fatto venire con te, mentre parlavi con la Harvey? Ah, è vero, perché tu ci hai scelto. Io e Carter ci siamo inginocchiati e ti abbiamo chiesto se eravamo degni di stare con te, e tu ci hai permesso di lustrarti le scarpe.
–Smettila!
–No! Secondo te non mi sono accorta di quanto tu cerchi perennemente le attenzioni altrui? Di come continui a inciampare sui tuoi sbagli solo per poi ricevere le carezze e le coccole di Carter o di Elia? Ma smettila!
–Smettila tu!
–NO!
–Finiscila!
–E sennò che mi fai? Dai, parla. Qualcuno qui cerca solo di proteggerti, e tu lo tratti come uno zerbino.


Wren ribolliva di rabbia. Non poteva fermarsi a discutere.
–Io me ne vado.


Prese il treno per Bristol qualche ora dopo. Aveva fatto l’autostop per tutta l’autostrada, ed era stata scambiata anche per qualcos’altro, quando finalmente non aveva trovato una donna disposta ad accompagnarla.
Mentre la gentile signora la accompagnava alla stazione, Wren continuava a pensare a quello che le aveva detto Steve.
Non l’aveva mica trattata da zerbino! O forse…? Be’, ora non voleva pensarci. Doveva andare da Jimmy Smurphy.
Sapeva che abitava in una strada di nome Bath Street, ma non sapeva precisamente in quale delle case. Avrebbe chiesto in giro.
Durante il viaggio in treno, stranamente non fu attaccata da nessuno. Anzi, riuscì anche a dormire bene.
Un paio di volte fu chiamata da Cart. Ma non rispose.
Poi sempre Carter le mandò un messaggio:
Cart: Ti prego, dimmi che sei viva.
Wren sorrise. Com’era dolce!
Wren: Viva e vegeta.
Due minuti dopo Carter la richiamò.
–Perché non hai risposto?  Chiese arrabbiato.
–Non sapevo cosa dirti.
–Be’, forse un “Carter, sono scappata dalla scuola e sto andando da un tipo che probabilmente è morto da sola. DA SOLA!
–Carter! Smettila!
Ci fu una pausa interminabile.
–Mi manchi. E sono preoccupato.
–Non ti preoccupare. Ti chiamo dopo, sono arrivata.


In realtà non era arrivata. Mancavano ancora una ventina di minuti, ma lo aveva detto perché non sopportava l’idea di dover dire a Carter che il fatto che fosse a Bristol l’eccitava.
Ovvio che le era piaciuto. Il bacio.
Non aveva mai baciato nessuno prima, e, le rare volte in cui pensava, anni prima, aveva desiderato di baciare Carter, ma non era successo.
Elia era così… bello. Aveva una bellezza molto più convenzionale di Cart.
Elia aveva i capelli neri mossi e spettinati; Carter aveva un cespuglio di morbidi ricci castani.
Elia aveva gli occhi chiari, di un verde irreale, talmente bello che spesso Wren ci si perdeva dentro; Cart aveva gli occhi color nocciola, che ricordavano vagamente quelli di un cerbiatto.
Elia era grande, esperto e maturo; Carter assomigliava spesso ad un secondo padre.
Non che Cart non le piacesse, anzi, aveva fantasticato per anni su cosa si potesse trovare sotto il pantalone, ma Elia era… diverso. Era il tipo di persona con la quale sai di poter vivere per sempre.
Tra l’altro, il fatto che fosse innamorato di lei rendeva le cose ancora più semplici. Però se ne era andato, ecco, e lei era sola.
Né Cart né Elia la volevano.
Dopo venti minuti, Wren scese dal treno. Era arrivata a Bristol.
Ma dove doveva andare?

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Capitolo 30
*** 30 ***


Arrivare a Bath Street fu semplice e gratificante. Trovare Jimmy Murphy un po’ meno.
Aveva chiesto ovunque.
–Sa dove vive Jimmy Murphy?
–Ehi, mi scusi! Sa dove abita Jimmy Murphy?
–Come fa a non conoscerlo? Abita qui!
–Jimmy? Signor Murphy?
Alla fine decise di guardare i citofoni di ogni palazzo e i nomi delle famiglie scritti sulle porte.
Bath Street era quasi terminata quando, scritto sulla porta di legno chiaro di una casetta altrettanto chiara, Wren individuò:
 
Casa Murphy
Ora, poteva essere chiunque. Poteva trovarsi davanti ad un maniaco, o ad uno scrittore, o ad un mago di serie B, però Wren rimase ferma.
Esitò prima di bussare al campanello.
Aprì un uomo troppo giovane per aver scritto un articolo sul Righa.
Wren d’un tratto sentì la gola secca.
–Jimmy Murphy?
Squadrò per bene il ragazzo prima di parlare.
Indossava dei semplici pantaloni neri e un maglione natalizio, aveva occhiali grandi quanto quelli di Wren e i capelli mossi che gli ricadevano sul viso.
–Mio nonno si chiamava così. Io sono Wes.
Era ovvio! Come poteva anche solo pensare di trovare un uomo vissuto così indietro nel tempo?
Wes la esaminò da l’alto al basso.
Wren era sicura che avesse intuito che era una maga.
–Senta, – disse dopo un po’. –suo nonno scrisse anni fa un articolo su un amuleto, il Righa.
Wes sembrava confuso quanto curioso.
–E allora?
–Io ho il Righa.
Wes ci rimase di sasso.
Si chinò verso di lei, gli occhi azzurri spalancati, e disse: –come ha fatto a possederlo? È  stato dimenticato. Da tutti.
Wren gli mostrò la collana da cui pendeva l’amuleto.
–Me ne ha parlato il signor Patten prima di morire.
Wes aprì la bocca.
–Il signor… Patten, il preside della scuola…?
–Esattamente.
Wes deglutì. –Morto?
–Già.
Wes si guardò intorno prima di avvicinarsi a Wren.
–Entra.
Entrarono in casa, e subito Wren si accomodò su un morbido divanetto rosso.
Wes le offrì del tè.
Lei lo accettò.
Tra un sorso e l’altro, Wes le spiegò alcune cose basilari sul Righa, come si manteneva e cose così.
–E poi, – disse, accavallando le gambe, –passiamo ai fatti. Tu non sai come si usa, vero?
Wren annuì.
–Guarda. – Wes le tolse il Righa di mano, poi girovagò per un attimo.
Wren aveva paura che potesse rubarglielo.
Poco dopo tornò con una foto di una famiglia.
Wren riuscì a scorgere Wes da piccolo (era quasi impossibile non riconoscerlo, aveva gli stessi occhiali e capelli) e altre persone attorno a lui.
–Questa, – disse poi, indicando la foto, –è la mia famiglia. E quello è Jimmy Murphy.
Indicò un uomo alto, mingherlino, dai grossi baffi a manubrio e con un naso gigantesco e gli occhialetti.
–Ora, io voglio vedere mio nonno. Ma come faccio?
Wren era confusa. –Non ne ho idea.
–Be’, mi basta posizionare il Righa su di lui e pensarci con tutta la mia forza di volontà.
Wes chiuse gli occhi, e come per magia (anzi, effettivamente per magia) sopra al Righa scorsero immagini dello stesso uomo, ma più giovane, poi più vecchio, e infine nella tomba, con un paio di mosche che gli girava attorno.
Wren era a bocca aperta. Possibile che la risposta fosse stata così vicina a lei ma al contempo così lontana? Non ci poteva credere!
–Ma…– cominciò, distraendo Wes dalla magia. Le immagini di Jimmy Murphy scomparvero.
–E se io non avessi visto di persona chi voglio trovare?
Wes esitò prima di parlare.
–Devi semplicemente andare nel posto che più ti fa pensare a lui. E allora arriverai.
–Grazie! Davvero, grazie mille.
Wren si alzò e uscì, radiosa e con il vento che le spazzava via i capelli.
–Buona fortuna!   Le gridò dietro Wes, mentre lei correva piena di gioia.
Ce l’aveva fatta.

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Capitolo 31
*** 31 ***


Wren stava correndo, quando le sue forze cedettero.
Stava quasi per tornare al King’s, avrebbe dormito su qualche panchina e poi sarebbe andata alla stazione, se non si fosse trovata una mano sulla bocca e un uomo scuro davanti.
Era lo stesso uomo che si era presentato in camera sua durante la notte, la sua ultima notte al sac.
Quell’uomo le faceva paura più di chiunque altro.
–Ehi signorina, – le sussurrò nell’orecchio mentre cercava di dimenarsi, –eccoti ritrovata.
Le assestò un calcio alle costole.
Wren cadde a terra, senza fiato.
Lentamente, si girò verso l’uomo, e disse: –Io so chi sei.
L’uomo sorrise. –E certo che lo sai. Quella puttana di tua madre ti ha raccontato tutto.
Wren cominciò a indietreggiare sull’asfalto, non riusciva ad alzarsi.
L’uomo l’afferrò per un braccio e se la riportò vicino alla bocca.
–Non tornerai più al King’s. Mai più.
Wren cercò di dimenarsi, ma la presa di quell’essere era ferrea.
Gli diede un calcio da dietro, ma servì solo ad allentare per poco la stretta.
–Non ci provare, eh!
L’uomo la spintonò di nuovo a terra, e lei cadde di lato, rovinosamente.
Le si stracciarono le calze e la gonna si  sporcò di terra. La camicetta si aprì, e lei rimase solo con il reggiseno.
–Che cosa vuoi da me?
Sentì il sapore amaro del sangue espandersi in bocca.
L’uomo avanzò verso di lei, osservava il corpo messo in mostra come se fosse stato un manichino.
Wren deglutì.
–Non sai da quanto ti cercavo! Prima al King’s, poi in quella specie di moschea di serie B e poi qui. Ah, non sai quanto sei sciocca!
Wren gli rispose con un grido pieno di rabbia.
Si alzò, e indietreggiò sempre di più, impacciata, cercando di riabbottonarsi la camicetta.
–Ti sei sempre portato dietro quel ragazzo, com’è che si chiamava? Ah, Elia. Senza sapere ovviamente che lui è potente quasi quanto te!
Wren cercò di colpirlo, ma lui la avvolse in una stretta di ferro, rompendole almeno un paio di costole.
Wren gridò per il dolore.
L’uomo la scaraventò a terra, di nuovo, di nuovo ancora, fino a quando Wren non fu sicura che il suo corpo fosse solo una chiazza di sangue.
–Stronzo! – gli gridò.
Cercò di attingere alla magia, ma era tanto, davvero tanto che non la usava.
–Come mi hai chiamato? Ah, non vedo l’ora di tagliarti quella tua bella gola quando, tra due giorni al massimo, saremo alla tua scuola di serie B a spaccare un po’ di denti.
Wren vide letteralmente la rabbia scorrergli dalla testa fino alle braccia.
Le si piazzò sopra, e cominciò a colpirla, di nuovo, sulla pancia, poi sulle gambe, poi sul petto, sulla faccia, ovunque.
Le si allontanò dopo poco, e la lasciò per qualche istante a gemere.
Wren non riusciva neanche a respirare, era come se sopra di lei si trovasse un pezzo di cemento.
Cercò di gridare, ma non ne aveva la forza.
Cercò di alzarsi, ma restò stabile solo per qualche attimo.
–Ti sei presa gioco di noi per tutto il tempo. Come se il male non esistesse! Adesso guardati, mentre muori, qui, da sola.
Scandì le parole così bene che per un secondo Wren ritrovò la forza.
Indietreggiò lentamente, i vestiti sporchi di sangue, le mani insanguinate che strusciavano contro l’asfalto e che facevano malissimo.
E poi lui.
Come poteva morire così? Era da idioti. Che cosa avrebbero detto i suoi amici? E nel mondo mortale, quando l’avrebbero trovata?
“Ragazza morta molestata” già si immaginava il titolo di giornale.
Era la fine.
L’uomo si avvicinava pericolosamente, ora aveva un coltello in mano.
–Arrivederci…– disse, prima di cadere a terra svenuto.
Wren rimase senza fiato.
Che cosa era appena successo?
Wren si avvicinò incredula verso l’uomo, ma si girò di scatto quando sentì una voce familiare. –Non toccare più la mia ragazza. Intesi?
Era Elia.
Wren si accasciò a terra, stupita e stanca al tempo stesso.
Cercò di parlare, ma di bocca le uscirono solo dei gemiti incomprensibili.
Elia le si avvicinò immediatamente, gli occhi preoccupati e pieni li lacrime.
–Wren…
Passò una mano sulle ferite, e Wren non riuscì a respirare mentre le toccava quelle sul petto.
Delicatamente, la prese in braccio, e camminò lentamente  verso la fine della strada.
Wren cercò di muoversi, di piangere, di parlare, di interagire, ma l’unica cosa che ottenne fu un altro gemito.
Aprì la bocca.
Gli occhiali erano rotti, ci vedeva a malapena.
Era quasi buio, non c’era nessuno a parte lei, e ovviamente, Elia.
Si fermarono per un minuto su una panchina accanto ad un parchetto.
Elia la stese delicatamente e le massaggiò le spalle.
Sì. Stava effettivamente piangendo.
Wren trovò un po’ di forza per dire qualcosa, un mormorio quasi impercettibile, –Ti amo– sussurrò.
Elia sorrise.
La riprese in braccio e la lasciò per un po’ seduta su un divanetto mentre prenotava una stanza in un hotel di lusso.
Il tipo alla reception squadrò Wren e storse il naso, e poi, rivolto ad Elia, disse:
–Le mando un infermiere fra venti minuti?
Elia annuì.
Dopo venti minuti Wren si trovava stesa sul letto, curata e pulita,  ed Elia stava accanto a lei.
Aveva dormito un po’, per cui ora riusciva a parlare.
–Che ci facevi lì? – chiese, mentre sorseggiava un tè che Elia le aveva preparato col bollitore dell’hotel.
Elia rimase per un po’ immobile, poi si voltò verso di lei.
–Prima voglio sapere perché quel tizio ti stava riempiendo di botte.
Wren si mise in una posizione più comoda, e più vicina a lui.
–Era lo stesso che è entrato in camera mia mentre dormivo.
Improvvisamente, rughe immaginarie comparvero sul volto di Elia.
–è lo stesso che ha rapito gli altri maghi al sac, allora. – tutto quell’interesse sul sac le dava fastidio.
Era lei quella che era stata picchiata, era lei la protagonista in quel momento.
–Sì.
Si sporse verso di lui, uno sforzo tale che le si fermò il respiro per un attimo. Elia sembrò allarmato.
–Perché eri lì? Disse con voce strozzata.
Elia si guardò attorno.
–Perché… mi odierai e scapperai via appena te lo dirò.
–Non è vero.
Elia si voltò di scatto verso di lei. Sembrava arrabbiato, come se tutto quello che aveva fatto per lei non fosse servito a niente.
–E se ti dicessi che ti ho mandato di nascosto una magia di localizzazione  per sapere come stavi?
Wren aggrottò la fronte.
–Che… che cosa?
–Ecco.
Elia incrociò le braccia.
–Non appena ho visto quell’uomo davanti a te, ho temuto il peggio. Ho chiesto a McKenzie di localizzare la strada immediatamente, ma sono arrivato troppo tardi. Tu eri già a terra piena di lividi.
Oh.
Elia le si avvicinò sempre di più, tanto che Wren poteva sentire l’odore della sua magia. Legna essiccata.
–Era vero, quello che hai detto sulla panchina, o eri solo scioccata?
Wren ci rifletté un po’. A cosa si riferiva? Ai gemiti che l’avevano fatta sembrare tremendamente stupida, o al “Ti amo” che aveva pronunciato in quel debolissimo attimo di forze?
–Ti amo. – disse con più convinzione che aveva in corpo.
Elia fece un sorriso a trentadue denti.
–Ti amo anch’io.
Il bacio fu inaspettato.
Elia le si fiondò addosso, e la baciò con tanta foga che a Wren fece male la mascella.
Si stese sul letto, Elia che le stava sopra, proprio come la notte in cui l’aveva baciata per la prima volta.
Diamine, era tutto così bello.
Se Wren non avesse provato dolore.
Era appena stata picchiata a sangue da un uomo sconosciuto, e le costole, l’intero corpo era in fiamme.
–Basta, basta. – sussurrò, e Elia si mise a sedere, in imbarazzo.
–Ti senti bene?
Wren respirava a fatica.
–Al più grosso ci pensiamo dopo, okay? Ora voglio solo dormire.
Elia le diede un bacetto sulla guancia e si stese sulla sua parte di letto.
Wren passò tutta la notte a fantasticare su di lui.

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Capitolo 32
*** 32 ***


Il giorno dopo, Wren raccontò a Elia del perché era Bristol.
–Quindi sai come funziona? – si limitò a domandare lui mentre intrecciava le dita nelle sue, le afferrava la testa e la baciava.
Furono interrotti dal cellulare di Wren.
Era Cart.
–Pronto?
–NON MI HAI CHIAMATO.
Wren abbozzò un sorriso. Com’era bello sentirlo di nuovo.
–Ho avuto un… contrattempo.
–Che significa?
–Che un uomo… va be’, te lo spiego tornata al King’s. Ho capito tutto. Ah, e con me c’è Elia.
Elia mimò un saluto da pagliaccio.
–Ah.        Carter sembrava seccato.
–Steve è molto arrabbiata con te. Dice che quando torni ti ammazza.
–E la Harvey?
–E ti pare? È su tutte le furie!
Wren rise, e Elia le si appoggiò sulla spalla, ma questo durò poco, visto che le faceva ancora male tutto il corpo.
–E l’esercito?
La voce di Carter si incupì.
–Non ne sappiamo ancora nulla. Ma l’aria è diventata di piombo. Molti dicono che arriveranno tra poco.
–Tra due giorni.
Carter tacque per due minuti pieni.
–E quindi… non tornerai?
–Certo che torno. Oggi. Con Elia.
–Ah. Okay.
Attaccò lui per primo.
Wren si girò verso Elia.
–Mi hai appena invitato nella tua scuola?
–Esattamente.
Disse, prima di baciarlo di nuovo.

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Capitolo 33
*** 33 ***


–Wren! Che ci fai qui? E chi è quello?
Le gridò dietro la Harvey mentre a grandi passi percorreva con Elia il sentiero che passava nel bel mezzo del prato verde.
Ben presto a loro si unì Carter, in divisa, e poi Jessie, vestito con una tuta sportiva della Adidas, e infine Steve, che brandiva insulti verso Wren come una spada, molto, molto tagliente.
Wren si fermò di colpo.
Dove dovevano andare?
Al Piangendo, forse?
Alla cappella Settima?
Alle Torri?
Nel bosco?
Nella…
–L’Abbazia Patten! – gridò ad un certo punto.
Gli altri quattro si guardarono. –Che?
–è lì! Il posto dove dobbiamo andare! Che mi ricorda il signor Patten!
E, detto questo, corse verso l’Abbazia, mentre gli altri la seguivano arrancando.
Anche se non era guarita del tutto e la corsa la stava quasi del tutto prosciugando delle forze, Wren finse di stare bene.
Si fermò davanti all’entrata e sospirò.
Ce la stava facendo.
Dopo quello le sarebbe bastato andare dall’erede, prenderlo per la maglietta e portarlo lì, dove avrebbe fatto il culo a Bellamy e a suo padre.
Entrò nell’Abbazia e si sfilò il Righa dal collo.
Lo mantenne e gridò: –Erede! Fatti vedere!
La sua voce vacillò leggermente quando si accorse che non stava accadendo nulla.
–Erede? Fatti vedere!
Era del tutto senza forse. Cadde rovinosamente a terra, ed Elia si precipitò verso di lei.
–Dovrebbe… dovrebbe funzionare…
Poi una lampadina si accese sulla sua mente.
E se quello non fosse il posto giusto? Wes aveva detto che doveva andare nel posto più vicino alla persona che voleva evocare.
La camera da letto.
Era lì che l’aveva visto morto, dove aveva gridato, doveva per forza essere quello il posto.
–La camera da letto… del signor Patten… è il posto giusto.
Se lo sentiva dentro.
Doveva funzionare.
Elia, con l’aiuto non molto ben accetto di Carter, trasportò Wren fino alla camera da letto del signor Patten, che era rimata spaventosamente come settimane prima.
Il corpo del signor Patten ovviamente non c’era, ma Wren se lo immaginava lì, ancora coperto di sangue e con le mosche che gli volavano pericolosamente attorno alla bocca.
–Vuoi che ti lasciamo da sola…?– le chiese Carter mentre la appoggiava ad una sedia.
Aveva la fronte imperlata di sudore.
–No.
Prese con cautela il Righa, e pensò.
Pensò a quando era arrivata per la prima volta al King’s, dopo che la Bellnorris le aveva fatto capire che lei era speciale.
Pensò a quando incontrò Carter e pensò che fosse carino da morire, con i due denti davanti che mancavano.
Pensò alla Harvey, che le dava lezioni di tiro con l’arco sulla scopa, alla Baron, che la fissava con sguardo vuoto, alla Breakwell, a Steve, a Jessie, al bacio, all’uomo, alle sue costole rotte, e, infine, al professor Patten.
E fu lì che accadde qualcosa.
Davanti al Righa scivolavano immagini.
Era l’erede.
I capelli neri spazzati dal vento, gli occhi verde smeraldo e il sorriso da mozzare il fiato.
Le candeline sulla torta che in totale erano diciotto, la ragazza dai capelli biondi dietro di lui, il paesaggio attorno, i vestiti… tutto era così… familiare.
Tutti dietro di lei la guardavano, con la bocca aperta.
–Non può essere…
Wren si voltò verso Elia, che aveva gli occhi pieni di lacrime e che si guardava di continuo le mani, spaventato da sé stesso.
–Elia… tu… sei sempre stato qui! Wren si alzò dalla sedia e camminò zoppicando verso di lui.
–Tu… sei l’erede!
Elia scosse il capo, le lacrime gli rigavano le guance.
–Non è vero! Lui non può…
–E invece sì!
Elia gridò.
–No! Io non voglio, okay? NON VOGLIO!
Elia si appoggiò alla parete, senza fiato.
–Elia, – Wren gli si avvicinò e gli parlò con la voce più dolce che potesse trovare, –tu… tu mi puoi salvare. Puoi salvare me. Non sei curioso di vedere la Wren di prima? Non l’hai mai vista.
Carter e Jessie si tenevano per mano, Steve aveva incrociato le braccia, pensierosa e sconcertata.
Elia deglutì a fatica.
–Io… tu mi piaci così.
La sua voce era rotta, come se fosse appena morto qualcuno, cosa che in effetti era vera.
Era morta l’idea che Elia si era fatto di sé.
–Elia.
Anche Wren stava piangendo.
Si avvicinò sempre di più ad Elia, fino a quando non furono fronte contro fronte.
–No.
–Elia…
Elia la guardava, gli occhi fragili.
–No, ti prego…
–Elia.
–No!
La scansò e si sedette a terra, si coprì il viso con le mani e pianse.
–Non voglio ammazzare nessuno.
–Non ce n’è bisogno.
Wren si sedette a terra con difficoltà. Anche se le faceva male sedersi così, in una posizione così scomoda, non si alzò.
–Se tu mi aiuti, noi… noi potremo baciarci, ancora e ancora, e tu potrai toccarmi, e io non ti dirò nulla.
Elia singhiozzò e alzò la testa.
–Elia, io ti amo. Tu mi ami?
Elia accennò un minuscolo ed impercettibile sorriso.
–Per favore, Elia, aiutami.
Elia si asciugò le lacrime.
L’aveva convinto.
Si alzò, e poi aiutò Wren ad alzarsi.
–A patto che tu mi faccia vedere la vecchia Wren.
Wren ridacchiò. –E se non ti piace?
Elia aveva lo sguardo perso, ma almeno Wren l’aveva convinto.
–Di quello parliamo dopo. E poi, – disse asciugandosi l’ultima lacrima, –non potrai essere peggio di così, vero?
Wren rise e lo baciò, ma questa volta solo perché non voleva farlo sentire solo.

 

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Capitolo 34
*** 34 ***


Nel giro di poche ore si parlava solo e solamente di Elia.
La Breakwell gli aveva assegnato una stanza nel Mirabolum, e lui non aveva protestato.
Sembrava sconvolto.
Dopo cena, alla quale ovviamente lui non si era presentato, Wren bussò alla sua porta, e subito Elia aprì.
–Wren. Che ci fai qui? Con quello che hai fatto oggi, dovresti riposare.
Sembrava così calmo ora.
–Non sei venuto a cena, quindi mi sono preoccupata.
Elia si grattò la nuca.
–Non sapevo dov’era.
Wren sapeva che stava mentendo.
Buttò l’occhio alle spalle di Elia, e vide un bel divano giallo e un letto apparentemente comodo.
–Posso entrare?
Elia sorrise. –Sì.


Si stesero sul letto, e Wren fece apparire del gelato in coppa gigante alle amarene, che gustarono assieme.
Parlarono del più e del meno, si baciarono un paio di volte, e, quando ebbero finito il gelato, si guardarono per un quarto d’ora buono.
Wren non si era accorta di quanto Elia fosse bello per tutto quel tempo.
Prima, l’aveva sempre reputato nella media, ma ora che lo guardava meglio dovette ammettere che era mozzafiato.
Le labbra sembravano morbidissime, e quando si incurvavano in un sorriso, erano ancora più belle e facevano sorridere anche lei.
Il naso era all’insù, con le narici piccole, talmente piccole che Wren si chiese come facesse a respirare.
Ma la cosa più bella erano gli occhi.
Grandi, verdi, pieni di vita, pieni di colore.
Wren avrebbe potuto guardare quegli occhi per tutto il giorno senza stancarsi, perché in ogni posizioni in cui ti mettevi questi ultimi assumevano un colore diverso.
–Sei bellissimo. – disse baciandolo.
Evidentemente lui non si aspettava che gli sarebbe andata sopra, perché quando questo accadde, lui disse –Woaa– in un sospiro.
Wren sorrise e si levò gli occhiali nel modo più sensuale possibile.
Gli passò le mani sulla camicia, e sentì i muscoli sotto di essa.
Elia sorrise, e le mise una mano sotto la camicetta e le toccò il reggiseno, che lei aveva strategicamente abbinato alle mutandine.
Wren gli passo una mano tra i capelli e si abbassò verso di lui, e lo baciò con talmente tanta foga che Elia dovette fermarla per un momento per riprendere fiato.
–Ti amo.
Disse, e lo ripeté in ogni momento, anche quando lui le levò i vestiti e rimasero seminudi, stesi sul letto.
Non sarebbero andati oltre, ma questa cosa di essere così vicini l’uno all’altra rendeva ogni cellula del corpo di Wren di fuoco.
Si addormentò in camera di Elia quel giorno, e fu la cosa più bella del mondo.


 

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Capitolo 35
*** 35 ***


Il mattino dopo, Elia fu chiamato personalmente dalla Breakwell per allenarsi, e quest’ultima si ritrovò davanti Elia e Wren seminudi, avvinghiati, quando aprì la porta per venirlo a prendere.
–Signori! Gridò, e questo li fece svegliare e mettere a sedere. SI coprirono immediatamente con le coperte e sussurrarono qualche scusa mentre la Breakwell gli ordinava di rivestirsi.
–Mai, mai e mai più! Ci siamo chiariti? Se questa scuola sopravvive al duello, fra due giorni, sarete entrambi in punizione. Intesi?
Elia e Wren annuirono, al massimo dell’imbarazzo.


Poco dopo Elia se ne andò col Righa e la lasciò da sola.
Wren si rivestì e andò in camera sua, dove trovò Steve con le braccia incrociate che la aspettava appena entrata.
–DOVE SEI STATA? – le gridò non appena entrò.
Wren non poté fare a meno di sorridere.
Steve ci mise un po’ per capire. Quando ci arrivò, cominciò a gridare: –ODDIO! HAI DORMITO CON ELIA!
–Shhh. Ci ha scoperti la Breakwell stamattina.
Steve cominciò a ridere e a parodiare come fossero stati assieme tutta la notte.
–Smettila. – Wren le lanciò un cuscino, giocosa.
–O mio dio. Hai dormito con lui. Sei stata letteralmente con un ragazzo.
Wren sorrise.
–Dobbiamo festeggiare!
Steve tirò da sotto il letto due lattine di Coca Cola e ne passò una a Wren.
–O mio fottuto dio. E lui?
–Be’, lui… era felice, ecco.
Ad un certo punto, Steve scoppiò a ridere.
–La Breakwell non ti farà avvicinare neanche di un millimetro a lui.
–Eh già.
Steve si stese sul letto, sognante.
–La mia migliore amica ha un ragazzo.
Wren si girò di scatto verso di lei.
–Cosa?
Steve si avvicinò a lei e ripeté: –La mia migliore amica.
Wren aggrottò la fronte.
–Sei seria?
–Mai stata più seria di così.
Wren sorrise.
–Ti voglio bene.   Riuscì a sussurrare.
–Ti voglio bene anch’io.

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Capitolo 36
*** 36 ***


Wren vide Elia solo dopo l’allenamento, ovvero a cena. Si era appena fatto la doccia e la barba, per cui profumava di pulito e lavanda. Poco dopo si unirono anche Jessie, Cart e Steve. –Allora, – disse Steve, con la bocca piena, –ti piace la scuola? Elia scosse la testa. –Possibile che qui tutto sia così… forzato? Wren aggrottò la fronte. –Forzato? –Esattamente. – Elia le baciò la fronte, cosa che fece arrossire Carter. –Tutti mi dicono cosa devo fare, come devo farlo, se devo farlo… Jessie sorrise: –Semplicemente perché sei il prescelto. Ancora non ci credo. Elia sbuffò. –Non vi sembra un po’ eccessivo? Cioè, essere l’erede non è poi chissà che cosa. –Salve! – disse con tono civettuolo una tipa che stava passando di lì con un gruppo di altre ragazze. La tipa si soffermò un attimo su Elia e sbottonò di un altro bottone la camicia. –Finalmente la conosco… Elia distolse lo sguardo, a disagio. –Vai via, Lucilla, – l’ammonì Steve. Lucilla fece una finta faccia triste, e Wren strinse la mano ad Elia. –Cosa vuoi, rossa? Semplicemente stavo dicendo al nostro ospite che se non gli piacciono gli ordini può venire da me… –è già impegnato. – disse Wren sorridendo, e mostrò le loro mani intrecciate. Elia aveva l’espressione preoccupata. –Bene! – Lucilla aveva l’aria di una che aveva appena ricevuto una tegola in testa. –Se gli va comunque di fare un salto nella mia stanza… è la 366. E se andò. –Chi era quella? – chiesero contemporaneamente Elia, Carter e Jessie. –Lucilla, – sibilò Steve. –una vipera accalappia uomini. Sarà stata con una decina di ragazzi diversi questo mese. Elia alzò le sopracciglia, in imbarazzo. –Le ragazze qui sono tutte delle civette? – chiese sorridendo. –Be’, io e Steve non lo siamo, – disse Wren, appoggiandosi alla sua spalla. –Ovvio. – disse lui ridacchiando. Quella sera Wren non riuscì a dormire. Dopo cena, era andata immediatamente a dormire, perché il giorno dopo avrebbe dovuto parlare con gli studenti del King’s a proposito del duello che si sarebbe svolto il giorno dopo. Mentalmente, mentre teneva la testa premuta contro il cuscino, ripeteva il discorso, e si immaginava i ragazzi davanti a lei. Era strano come ora le cose si stessero muovendo in fretta. Da quando quell’uomo l’aveva picchiata, il mondo sembrava scivolarle addosso,come tutto quello che stava accadendo fosse diventato leggero come una nuvola. Il mattino seguente, la Breakwell, accompagnata da una dell’ultimo anno, Keeley, aprì la porta della sua camera e le disse di prepararsi. –Ah, menomale che non sei con un ragazzo. – disse mentre Wren si spazzolava i denti. Prima di uscire, lasciò un biglietto a Steve dove le diceva che stava andando a parlare con gli studenti. La Breakwell e Keeley la accompagnarono alla cappella Settima, dove erano stipati almeno cinquecento studenti, compresi Cart, Jessie e Elia, in prima fila, pronti ad ascoltarla. Wren si sistemò il colletto della polo blu che portava quel giorno e giocherellò col lembo della gonna gialla a pieghe che stava indossando. Tutti ammutolirono quando si alzò e fece un incantesimo per amplificare la sua voce. –Bene, – disse, ma, prima di essere sicura di quello che stava per dire, dovette deglutire un paio di volte. –Credo che ormai tutti voi siate venuti a conoscenza del duello –della battaglia–che ci sarà domani. Ora, voglio prima di tutto informarvi su chi dovremo combattere. Gli studenti si guardarono allarmati. Un ragazzo in una delle ultime file alzò la mano: –Quindi anche noi dovremmo combattere? Vedendo che Wren non rispondeva, tutti quanti cominciarono a gridare, a protestare, a dire che loro non erano preparati ad una cosa del genere e che dovevano avere il consenso dei genitori. –C’è un esercito da combattere! – gridò ad un certo punto Wren. Cercò l’aiuto di Carter con lo sguardo, ma lui era confuso come lei. –Ragazzi, vi prego, ascoltatemi, – disse, cercando di calmare gli studenti, che per un po’ le prestarono attenzione, –anche se abbiamo qui l’erede, dovremo combattere. Loro hanno un esercito più preparato di noi. Ci sono persone, là fuori, che fanno cose che voi neanche immaginate. Questa scuola dovrebbe farci diventare più maturi, e questo è il momento migliore per provarlo. Una ragazza,questa volta, alzò la mano e disse: –E se moriamo? Partirono altre grida, strepitii, urla, e Wren fu costretta a chiedere l’intervento della Breakwell. –RAGAZZI! – gridò lei, e tutta la folla ammutolì. La Breakwell le disse di proseguire. –Potete si o no informare i vostri genitori, ma per favore, abbiamo bisogno di più maghi possibili per fermare l’attacco alla scuola. Intesi? Keeley si fece avanti. –Chi combatterà con noi e renderà onore alla nostra scuola? Un centinaio di mani si alzarono. Wren tirò un sospiro di sollievo. In prima fila, Elia si guardava attorno, preoccupato. Wren gli lanciò uno sguardo fugace, e lui disse: –Non sono abbastanza. Wren scrollò le spalle. –Quindi deduco che il resto tornerà a casa. Per coloro che vogliono ancora stare a scuola, rimanete qui, per favore, e mettetevi in fila. Per coloro che invece se ne andranno, andate a preparare le valige, il treno arriverà fra un’ora circa. Wren si ricordò dell’ultima volta in cui aveva preso il treno che portava al King’s. Aveva appena ammazzato un professore. Ed era sicura che l’indomani ne sarebbero morti altri. L’allenamento durò fino a dopo cena. I cento ragazzi che erano rimasti erano tutti piuttosto simpatici (tutti a parte Lucilla, ovviamente, che era rimasta solo per fare la corte ad Elia, che cercava di staccarsi da lei rivolgendo a Wren occhiate disperate) ed intelligenti. Alcuni erano del primo anno (cosa che sorprese molto Carter e Wren) e il restante erano del quarto e sesto anno. Gli unici dell’ultimo anno erano Keeley e una decina circa di altri ragazzi. Come professori, c’era la Harvey, ovviamente, la Breakwell, il professor Gouthrie, che insegnava storia della magia elfica, la professoressa Baubon e qualche supplente di cui non ricordava il nome. Erano in pochi rispetto a tutte le persone che facevano parte dell’esercito. Ma erano preparati. Wren si esercitò finalmente con la spada, il tiro con l’arco, la scopa, le rune e il Righa, ovviamente. Con il Righa fece apparire delle armi sufficienti e soddisfacenti per tutti, una cinquantina di armature, degli archi e dei fantocci per esercitarsi. Mentre prendeva a pugni un fantoccio e lo faceva cadere a terra, Wren si accorse che Elia se ne stava seduto su un gradino e cercava di respirare regolarmente. Wren abbandonò immediatamente il fantoccio per andare da lui, e, non appena lo salutò e lui alzò lo sguardo, si accorse che stava piangendo. –Ehi, – disse sedendosi accanto a lui. –che succede? –Io… io non so se sarò all’altezza. Elia continuava a fissare il pavimento, gli occhi pieni di preoccupazione, –ancora non posso credere che sono un suo parente. E che sono il protagonista di tutto ciò. Wren rise piano, triste. –Be’, uno come te non poteva che non avere la parte del protagonista, no? – lo guardò fisso negli occhi e con un gesto plateale gli mostrò tutto quello che era davanti a lui. –guarda tutto ciò. Non sei da solo! Ci siamo noi con te. Ci siamo sempre stati. Detto questo si accoccolò sulla sua spalla. Elia sorrise. –Ti amo– sussurrò prima di baciarla. “Ti amo anch’io” pensò lei.

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Capitolo 37
*** 37 ***


Wren fu svegliata da qualcuno che le scrollava le spalle. Inizialmente, pensò fossero gli uomini di Bellamy e suo padre che erano venuti a prenderla.
Invece, quando si girò spaventata verso il suo presunto aggressore, si trovò davanti Carter, pallido come un lenzuolo.
–Che succede…?     Chiese, stropicciandosi gli occhi e mettendosi gli occhiali.
–Sono arrivati. – sussurrò lui in un soffio, –aspettiamo solo te.
Wren si guardò attorno. Dov’era Steve? Probabilmente era andata a combattere.
Wren si vestì il più in fretta possibile, prese il Righa e si precipitò fuori, sul Ponte Nuovo, dove tutti quanti, compreso Elia, formavano una catena umana davanti ad una grande chiazza nera, che vista più da vicino si vedeva fosse un esercito.
Elia si voltò verso di lei.
Sembrava non aver dormito per niente, e quando lei gli disse che l’amava, non rispose.
–Bene! – gridò poi, rivolta a tutti i ragazzi dietro di lei. –Sapete cosa dovete fare. Steve e Jessie distribuiranno le spade, gli archi e le armature. Dateci dentro!
Dopo un paio di minuti, Wren si ritrovò con una spada in mano, un arco e una faretra in spalla e un elmetto che la faceva sembrare più grande di quello che già non fosse.
Prese il Righa in mano e lo guardò attentamente.
Come poteva quell’amuleto essere così potente ma al contempo così piccolo?
Era magico e fantastico.
Wren guardò i ragazzi dietro di lei. In prima fila c’erano Carter e Jessie che si prendevano per mano, e, più indietro, c’era Steve, che distribuiva le armature e le armi a tutti.
E poi c’era lei, al fianco del ragazzo che amava.
Questa volta, quando gli disse che lo amava, lui rispose, e la baciò, la baciò talmente intensamente che ogni cellula del suo corpo cominciò a tremare.
L’esercito avanzava imperturbabile, e solo quando si trovò davanti a grandi uomini con le armature scure capì che la battaglia era iniziata.
Elia era rimasto sul Ponte Nuovo, paralizzato ma allo stesso tempo forte.
Wren lo salutò da lontano, ma lui non la vide.
Si voltò verso la calca, prese la spada e cominciò a tirare fendenti alla rinfusa, sperando di colpire qualcuno, ma si accorse che così avrebbe potuto colpire uno dei suoi.
Così decise che si sarebbe messa su una colonna e avrebbe colpito con l’arco. Era molto più brava in questo che con la spada.
Davanti a lei le armature argentee si mescolarono a quelle nere dei nemici, e Wren seppe cosa fare. Tirò tante di quelle frecce in un solo momento che la maggior parte di tutte le armature in una decina di minuti era cosparsa di rosso.
Scese giù dalla colonna e si gettò l’arco alle spalle. Prese la spada, e mise al tappeto un paio di soldati che cercavano di placcarla.
Più il là Carter combatteva contro una decina di soldati messi insieme, una cosa ammirevole.
Lui si voltò per un attimo a guardarla e sorrise.
Lei sorrise a sua volta.
Si guardò attorno, e vide che Elia era ancora lì, sul Ponte, paralizzato dalla paura.
Wren cercò di attirare il suo sguardo, ma non ci riuscì.
Serviva un modo, un modo qualunque, per farlo sbloccare.
Poi ci arrivò.
Si ricordò del drago che aveva incontrato al sac di Londra, e decise che un guerriero alato sarebbe stato comodo.
Si nascose dietro il ponte, in un angolo, mentre una ventina di soldati si scagliava verso di lei. Li scacciò con la spada.
Prese il Righa. Le tremavano le mani.
Ripensò al drago, a come l’avesse aiutata a prendere il Righa, ci  pensò, ci ripensò, fino a quando non sentì delle urla e un ruggito feroce.
Era arrivato.
Uscì immediatamente dal suo nascondiglio e si piazzò davanti al drago, che ricordò si chiamasse Bessie, e disse: –Ehi! Vieni qui! Ti ricordi di me?
–Wren! – gridò Jessie in lontananza. –come ci sei riuscita?
Wren non fece neanche in tempo a rispondere che vide una spada trafiggergli il corpo.
Gridò, attirando così l’attenzione di Carter e Steve, che non avevano capito cosa stesse succedendo, e si precipitò da Jessie, che era caduto a terra in una pozza di sangue.
–Aiutatemi! Aiutatemi!   Urlò.
Steve, non appena vide il corpo di Jessie disse: –Oddio. Carter…
Quando Carter arrivò, spalancò gli occhi e la bocca. –Jessie…
si inginocchiò davanti al fidanzato, che respirava a malapena, a cui rimanevano pochi secondi.
–Cart…– singhiozzò lui.
–Jessie.
Ora sia Carter che Jessie stavano piangendo.
–Ti prego, non mi lasciare.
Disse Cart, posando la sua fronte su quella calda di Jessie.
Jessie singhiozzò qualcosa di incomprensibile, e Carter pianse.
Posò le labbra sulle sue un’ultima volta.
Quando si alzò, davanti a lui c’era un corpo senza vita, completamente svuotato dell’anima.
–Carter…– disse Wren appoggiando una mano sulla spalla dell’amico, che però si era fatto rigido e freddo come la pietra.
–Li ammazzo. Li ammazzo tutti.
Disse lui, prima di catapultarsi sulla folla uccidendo tutti.


Wren caricò il corpo senza vita di Jessie su Bessie, e le disse di portarlo in camera sua.
Il drago obbedì.
Wren si girò verso la battaglia.
Possibile che si sentisse così in colpa?

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Capitolo 38
*** 37 ***


Wren fu svegliata da qualcuno che le scrollava le spalle. Inizialmente, pensò fossero gli uomini di Bellamy e suo padre che erano venuti a prenderla.
Invece, quando si girò spaventata verso il suo presunto aggressore, si trovò davanti Carter, pallido come un lenzuolo.
–Che succede…?     Chiese, stropicciandosi gli occhi e mettendosi gli occhiali.
–Sono arrivati. – sussurrò lui in un soffio, –aspettiamo solo te.
Wren si guardò attorno. Dov’era Steve? Probabilmente era andata a combattere.
Wren si vestì il più in fretta possibile, prese il Righa e si precipitò fuori, sul Ponte Nuovo, dove tutti quanti, compreso Elia, formavano una catena umana davanti ad una grande chiazza nera, che vista più da vicino si vedeva fosse un esercito.
Elia si voltò verso di lei.
Sembrava non aver dormito per niente, e quando lei gli disse che l’amava, non rispose.
–Bene! – gridò poi, rivolta a tutti i ragazzi dietro di lei. –Sapete cosa dovete fare. Steve e Jessie distribuiranno le spade, gli archi e le armature. Dateci dentro!
Dopo un paio di minuti, Wren si ritrovò con una spada in mano, un arco e una faretra in spalla e un elmetto che la faceva sembrare più grande di quello che già non fosse.
Prese il Righa in mano e lo guardò attentamente.
Come poteva quell’amuleto essere così potente ma al contempo così piccolo?
Era magico e fantastico.
Wren guardò i ragazzi dietro di lei. In prima fila c’erano Carter e Jessie che si prendevano per mano, e, più indietro, c’era Steve, che distribuiva le armature e le armi a tutti.
E poi c’era lei, al fianco del ragazzo che amava.
Questa volta, quando gli disse che lo amava, lui rispose, e la baciò, la baciò talmente intensamente che ogni cellula del suo corpo cominciò a tremare.
L’esercito avanzava imperturbabile, e solo quando si trovò davanti a grandi uomini con le armature scure capì che la battaglia era iniziata.
Elia era rimasto sul Ponte Nuovo, paralizzato ma allo stesso tempo forte.
Wren lo salutò da lontano, ma lui non la vide.
Si voltò verso la calca, prese la spada e cominciò a tirare fendenti alla rinfusa, sperando di colpire qualcuno, ma si accorse che così avrebbe potuto colpire uno dei suoi.
Così decise che si sarebbe messa su una colonna e avrebbe colpito con l’arco. Era molto più brava in questo che con la spada.
Davanti a lei le armature argentee si mescolarono a quelle nere dei nemici, e Wren seppe cosa fare. Tirò tante di quelle frecce in un solo momento che la maggior parte di tutte le armature in una decina di minuti era cosparsa di rosso.
Scese giù dalla colonna e si gettò l’arco alle spalle. Prese la spada, e mise al tappeto un paio di soldati che cercavano di placcarla.
Più il là Carter combatteva contro una decina di soldati messi insieme, una cosa ammirevole.
Lui si voltò per un attimo a guardarla e sorrise.
Lei sorrise a sua volta.
Si guardò attorno, e vide che Elia era ancora lì, sul Ponte, paralizzato dalla paura.
Wren cercò di attirare il suo sguardo, ma non ci riuscì.
Serviva un modo, un modo qualunque, per farlo sbloccare.
Poi ci arrivò.
Si ricordò del drago che aveva incontrato al sac di Londra, e decise che un guerriero alato sarebbe stato comodo.
Si nascose dietro il ponte, in un angolo, mentre una ventina di soldati si scagliava verso di lei. Li scacciò con la spada.
Prese il Righa. Le tremavano le mani.
Ripensò al drago, a come l’avesse aiutata a prendere il Righa, ci  pensò, ci ripensò, fino a quando non sentì delle urla e un ruggito feroce.
Era arrivato.
Uscì immediatamente dal suo nascondiglio e si piazzò davanti al drago, che ricordò si chiamasse Bessie, e disse: –Ehi! Vieni qui! Ti ricordi di me?
–Wren! – gridò Jessie in lontananza. –come ci sei riuscita?
Wren non fece neanche in tempo a rispondere che vide una spada trafiggergli il corpo.
Gridò, attirando così l’attenzione di Carter e Steve, che non avevano capito cosa stesse succedendo, e si precipitò da Jessie, che era caduto a terra in una pozza di sangue.
–Aiutatemi! Aiutatemi!   Urlò.
Steve, non appena vide il corpo di Jessie disse: –Oddio. Carter…
Quando Carter arrivò, spalancò gli occhi e la bocca. –Jessie…
si inginocchiò davanti al fidanzato, che respirava a malapena, a cui rimanevano pochi secondi.
–Cart…– singhiozzò lui.
–Jessie.
Ora sia Carter che Jessie stavano piangendo.
–Ti prego, non mi lasciare.
Disse Cart, posando la sua fronte su quella calda di Jessie.
Jessie singhiozzò qualcosa di incomprensibile, e Carter pianse.
Posò le labbra sulle sue un’ultima volta.
Quando si alzò, davanti a lui c’era un corpo senza vita, completamente svuotato dell’anima.
–Carter…– disse Wren appoggiando una mano sulla spalla dell’amico, che però si era fatto rigido e freddo come la pietra.
–Li ammazzo. Li ammazzo tutti.
Disse lui, prima di catapultarsi sulla folla uccidendo tutti.


Wren caricò il corpo senza vita di Jessie su Bessie, e le disse di portarlo in camera sua.
Il drago obbedì.
Wren si girò verso la battaglia.
Possibile che si sentisse così in colpa?

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Capitolo 39
*** 38 ***


La battaglia continuò per circa due ore, e fortunatamente non morì nessun’altro.
Carter fece a pezzi quasi tutti i soldati, ma non appena ne uccideva uno, ne comparivano altri dieci.
Bessie tornò in battaglia e Wren volò fino a Elia, sul Ponte.
–Elia. –
Elia si girò verso di lei, pallido, e scosse la testa.
–Vogliono me.
Wren gli si avvicino sempre di più, la fronte aggrottata, le lacrime agli occhi.
–No, Elia, non vogliono te. Loro non sanno chi sei.
Elia aprì la bocca.
Wren allora si tolse il Righa di mano e glielo diede, poi gli chiuse la mano a pugno e disse:
–Ti amo, e mi raccomando, fai uscire qualcosa di forte.
Elia era incredulo quanto sicuro di quello che stava succedendo.
Annuì, e poi la baciò.
Baciarsi lì, sul Ponte, con la morte sotto di loro e il cielo tinto di rosso, il sangue dei soldati uccisi, fu la cosa più romantica che avesse fatto.


Wren combatté come non mai.
Aveva recuperato un altro arco, e ora scagliava frecce a tutti i soldati che cercavano di avvicinarsi al suo ragazzo.
Elia faceva uscire dall’amuleto qualsiasi cosa gli fosse stata utile per distruggere qualcuno: una catapulta, un pugnale avvelenato che lanciò sulla folla e che uccise ben tre soldati contemporaneamente, un cannone che sparava ogni quindici minuti palle infuocate.
Wren non sapeva chi stesse vincendo, ma le sembrava di essere dalla parte vincente.
Si scontrò contro due soldati abbastanza scarsi, e si stava giusto chiedendo dove fosse il suo aggressore quando l’uomo le si piazzò davanti.
–Buongiorno, signorina Stone. Ci rivediamo, eh?
Ad un certo punto tutto il dolore che gli aveva provocato l’ultima volta ricomparve.
Le sembrò quasi di risentire i lividi formarsi, i tagli riaprirsi, il sangue colare di nuovo.
Cadde a terra, ma non riuscì ad alzarsi. Quell’uomo era forte sia mentalmente che fisicamente, Wren sapeva che gli stava facendo qualcosa.
Qualcosa di magico.
–Addio, signorina Stone. Farai la fine di tua madre.
L’uomo prese un pugnale piccolo e luccicante, lo alzò, e le avrebbe dato il colpo di grazia, se non se ne fosse trovato uno nello stomaco.
–Cristo santo, – disse Steve, mentre sfilava il pugnale dall’uomo, che intanto era caduto morto a terra, –quanto puzza questo qui.
Wren sorrise da stesa, ma il sorriso durò poco, visto subito gridò –Steve!
Una spada trafisse Steve, che cadde in ginocchio.
Wren si mise in ginocchio e strisciò verso Steve, la cui bocca era piena di sangue.
–Steve… Steve, ti prego, rimani qui.
Le raccolse i capelli.
Steve cercò di sorridere, ma il suo sorriso si trasformò in una smorfia di dolore.
Wren cercò di riportarla in vita spingendo sul cuore, ma si era solo sporcata le mani di sangue.
Si alzò, anche se era troppo debole per fare qualsiasi cosa.
Guardò per l’ultima volta Steve, e, a pieni polmoni, gridò, gridò e gridò ancora, e uccise tanti di quei soldati che quando quasi tutti erano morti non se ne accorse neanche.
E non si accorse neanche della grossa nuvola nera che volava verso di loro.
Guardò Carter, poi Elia.
Le erano rimasti solo loro.
E non poteva perderli.
Salì in groppa a Bessie, e volò verso la nuvola.
Ci girò attorno, ma era troppo difficile capire cosa fosse.
Quando capì, cadde quasi da Bessie.
Quella nuvola aveva una faccia.
Anzi, ne aveva due.
Quando le due facce la guardarono, Wren sentì un forte stridio nelle orecchie, e poi una risata, un’altra, e un’altra ancora.
Dentro la sua testa sentiva cose che aveva pensato così tante volte…
Sei diversa, sei sbagliata.
–No! – gridò lei, tappandosi le orecchie.
Guardò sotto, e vedere Carter che lottava come un soldato le diede quel po’ di forza per sostenere quei pensieri che si erano fatti strada nella sua mente senza che nessuno lo sapesse.
L’hai uccisa a posta. Tu la volevi morta.
Wren scosse la testa, piangendo.
Tua madre non era molto diversa da te.
Wren aprì gli occhi; ecco che cos’era quella nuvola scura.
Bellamy. E suo padre.
“Scappa.” Le ripeteva il suo cervello, ma il suo corpo rimaneva lì, fermo, attratto da quelli che erano i fantasmi che avevano tormentato sua madre prima che diventasse una di loro.
Non poteva scappare. Doveva dirgliene quattro.
–Io non ho paura! – urlò, mentre nella sua mente tutti quei pensieri che si espandevano come petrolio si ritiravano.
Una risata.
Questa volta Wren fu sicura che tutti l’avessero sentita.
Elia alzò lo sguardo verso di lei e spalancò la bocca.
–Wren! – gridò.
Ma Wren non voleva sentirlo.
Sotto di lei si stava svolgendo una battaglia, mentre dentro di lei il petrolio stava cercando di prenderla tutta.
E ci riuscì, per un secondo o poco più, in cui Wren giurò di aver sentito i suoi occhi, quegli occhi che a Elia piacevano tanto e che facevano divertire Carter, diventare neri.
Perse la prese su Bessie e precipitò nel vuoto.
sei una bambina. Come potevi credere di fermarci?
Wren si tappò le orecchie e gridò mentre sentiva il peso dell’aria spingerla a terra.
Sentì Carter gridare il suo nome.
Cadde a terra, e rimase lì bloccata, col fiato fermo a metà.
Spalancò gli occhi.
La nuvola si stava avvicinando. Proprio verso di lei.
Non poteva abbandonare.
No che non poteva.
Aveva appena perso Jessie e Steve, e, anche se le mancavano, non poteva raggiungerli. Non era quello il modo che aveva pensato per morire.
Morirai, torturata, sventrata, uccisa, proprio come tua madre. E perché? Perché ha voluto cambiare le regole. Proprio come hai fatto tu.
Wren aprì la bocca, anche se sapeva che non doveva farlo.
La nuvola, l’ombra, le entrò dentro.
Quello che provò fu un misto di dolore, angoscia, rabbia e paura messi insieme.
Non sapeva come definirlo.
Era come se si stesse scolando bottiglie di acqua sporca e putrida una dopo l’altra, e, anche se sapeva che era la cosa più sbagliata del mondo, non si fermò, perché ormai aveva iniziato e la sua bocca non sembrava essere in grado di richiudersi.
Mentre rigurgitava quel male puro, un bagliore e poi un grido squarciarono il cielo.
Con quel poco di forza che le rimaneva, Wren si voltò, e vide che davanti alla nuvola c’era Elia, con l’amuleto in mano.
Quello che venne dopo fu perfino peggiore.
Si sentì come se avesse appena vomitato qualcosa, cosa che effettivamente era vera, visto che la nuvola stava pian piano uscendo da lei.
Tu.  Disse, e Wren fu abbastanza sicura che pure Elia potesse sentirlo.
–Se non vi spiace, io sarei il preside di questa scuola, e vuoi non mi sembrate miei alunni. – disse lui.
TU! La voce rimbombava nelle orecchie di Wren, come una grande gran cassa in grado di riprodurre i suoni della voce umana.
Si rannicchiò su sé stessa e pianse tappandosi le orecchie.
Elia le volse uno sguardo, ma tornò di nuovo a fissare i due fantasmi.
–Non mi sembra educato entrare così nella mia scuola, ad uccidere i miei studenti. Non credete?
Detto questo, prese il Righa e se lo portò al petto.
Inspiegabilmente, l’amuleto era luminoso e spaventoso, cosa estranea a Wren completamente.
–Ora dovrò punirvi.
L’odore di legna bruciata riempì l’aria, e Wren percepì la magia.
–Avete fatto del male alla mia ragazza. Io la amo. E voi non dovevate neanche torcerle un capello.
Lentamente, Wren si accorse che tutti gli studenti, i professori e pure Carter si misero in cerchio attorno ad Elia, che, guardandoli, sorrise.
–Addio!
Una luce accecante si rifletté ovunque. Tutti si coprirono gli occhi tranne Elia e la nuvola, che intanto gridava e cercava di liberarsi da quello che Elia gli stava facendo.
Wren aprì gli occhi e vide la nuvola che man mano si rimpiccioliva, come se fosse stata intrappolata da corde invisibili.
Un’altra cosa Wren notò, ovvero che Elia stava man mano impallidendo.
Mentre il mostro (perché solo un mostro era, nient’altro) si rimpiccioliva sempre di più, pure lui era sempre più incerto, e quando Bellamy e suo padre scomparirono del tutto, lui cadde a terra, dolorante.
–Elia! – gridò Wren, che ritrovò per un attimo la forza di avvicinarsi a lui e aiutarlo.
Elia sorrideva, ma si vedeva benissimo che era stanco morto.
–Ci sono riuscito, eh, pasticcino? Ti ho salvato.
–Non chiamarmi pasticcino! – urlò lei, le lacrime che le scorrevano copiose lungo le guancie.
–Ora fammi… fammi vedere la vecchia Wren. Sono curioso di vederla.
Wren scosse la testa. –è qui. E ti ama.
Elia alzò il volto e sorrise. –Sapevo come sarebbe finito. La professoressa Breakwell me l’aveva detto.
In quel momento, Wren capì perché Elia non si era mosso di un centimetro dal Ponte, perché fosse così agitato da non riuscire a combattere, il giorno prima.
La Breakwell gliel’aveva detto. Gli aveva detto di fare così. Per questo lui aveva detto che a scuola tutto era forzato. Perché la Breakwell lo aveva costretto a fare una cosa che non voleva.
Ed era tutta colpa sua.
–Chissà come sono le stelle viste da vicino, – singhiozzò lui abbozzando un sorriso storto.
Ma Wren non lo sentiva.
Vedeva solo la Breakwell.
–Lei…
La professoressa indietreggiò.
–Ho dovuto…
–Sta morendo! – Wren si alzò su tutte le furie. Aveva il viso rigato di lacrime e il volto rosso.
–Volevi salvare la scuola o no? Tu non saresti stata in grado di farlo, lui sì!
Wren strappò di mano ad Elia, che stava guardando il cielo con occhi quasi vuoti, e disse:
–Vuole vedere cosa so fare? Nessuno le aveva detto di dare al mio ragazzo idee suicide!
La Breakwell deglutì.
Wren prese il Righa e pensò.
Pensò talmente intensamente cosa voleva, ovvero che Elia fosse vivo e la Breakwell stesa a terra morta, e semplicemente questo accadde.
La Breakwell cadde in ginocchio, e tutti gli studenti si spostarono quando videro il sangue, mentre Elia ricominciò a respirare.
–Wren…– disse la Breakwell senza fiato, –sei tu il vero pericolo.
E cadde a terra morta.
Wren lasciò cadere il Righa a terra e si coprì il viso con le mani.
Carter la prese per le spalle e le disse: –tranquilla, va tutto bene.
Intanto, Elia si alzò, si guardò le mani e aggrottò la fronte.
Wren si girò verso di lei.
Elia guardò la Breakwell, poi Wren.
Wren si divincolò dalla presa di Carter e corse ad abbracciare Elia, che le disse: –Non importa, piccola, non importa.
Wren era piena di lacrime. Non riusciva quasi a respirare.
–Ti amo.
–Ti amo anch’io.
 

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Capitolo 40
*** 40 ***


I giorni passarono in fretta, al King’s.
Evidentemente non passarono proprio.
Wren dovette andare direttamente al tribunale del sac per il suo processo.
Avendo ucciso di proposito un membro della Triade, tutto era molto più grave, ma alla fine quelli del sac convennero che stava solo cercando di salvare un altro membro.
Uscì pulita dalla situazione, ma, quando tornò a scuola, le sembrò tutto diverso.
Ora che non c’era più Steve, e non c’era neanche Jessie, era tutto così… strano, ecco.
Decise dopo tre settimane di lasciare la scuola.
Aveva capito che non faceva per lei.
Carter rimase lì dov’era. Cominciò ad uscire con un ragazzo di nome Martin. Era carino, seppure non fosse bello e sexy come Jessie. Di suo padre non si sentì più parlare.
E Wren volle lasciargli del tempo da solo.
Wren fece visita alla Bellnorris assieme ad Elia, e lì insieme decisero che avrebbero affittato un appartamento a Londra, abbastanza vicino al King’s per vedere Carter ma anche vicino alla stazione per poter andare a Bristol, quando Elia ne avrebbe sentito la mancanza.
Un giorno, Wren stava riprendendo Eleanor & Park da dov’era rimasta, quando Elia entrò in salotto e la baciò.
La prese in braccio, e continuarono a baciarsi, lei avvinghiata a lui e viceversa.
–Finalmente, finalmente la vedo.
Wren si staccò un attimo.
–Cosa?
–La vecchia Wren.
Wren riprese a baciarlo, e, per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, non temette di mostrare la cara e vecchia Wren.

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Capitolo 41
*** RINGRAZIAMENTI ***


Sinceramente, quando ho finito questo romanzo e ho digitato l’ultima lettera, mi sono chiesta chi potesse rientrare nella lista di coloro che mi avevano aiutato, e, quando ho appurato che quest’ultima si limitava a pochi nomi o niente, mi sono sentita molto cattiva.
Poi ho letto i ringraziamenti degli altri libri e ho notato che tutti ringraziavano le stesse persone, ovvero quelle che c’erano state sempre, ma non negli ambiti del libro, negli ambiti della loro vita, e ho pensato: “ma perché li ringraziano se non hanno fatto niente per loro?”. Cioè, non credo che il cugino del migliore amico della madre possa essere stato granché d’aiuto. Anzi, per me sono stati anche un po’ una distrazione, visto che ogni dieci minuti mi scriveva qualcuno o veniva una persona a parlare con me.
Quindi ora vorrei ringraziare solo le persone più importanti, quelle che sapevano che avrei scritto un libro, e non le persone che mi gironzolavano attorno, perché, per quanto io voglia loro bene, non mi sono state un granché d’aiuto.
Ringrazierò per prima la professoressa Paola F, che è stata la mia fonte di ispirazione in ogni momento, che mi ha aiutato sempre, anche se probabilmente non leggerà mai questo libro o non se n’è accorta; grazie a lei le mie idee hanno finalmente, dopo almeno un anno di blocco dello scrittore, preso vita, e non so se incontrerò qualcun altro così importante per me.
Poi vorrei ringraziare una persona molto importante per me, senza la quale la mia passione per la scrittura non sarebbe mai maturata, o addirittura cominciata, ovvero Rick Riordan, lo scrittore e mio eroe che mi ha fatto innamorare a tal punto dei libri che ho deciso di scriverne uno.
E, infine, vorrei ringraziare una sfilza di persone che sicuramente non leggerà questo libro, perché semplicemente non esiste, ovvero Percy, Annabeth, Leo, Nico, Frank, Hazel, Jason, Piper, Reyna, Chirone, Sally, Charlie, Sam, Patrick, Carter, Sadie, Magnus, Sophie, Josh, Nicholas, Perenelle, Cath, Levi, Reagan, Simon, Baz, Penelope, Agatha, l’Arcimago, Keeley, Jesse, Levi (di nuovo, ma gli autori non si decidono a usare nomi diversi per libri diversi), il mio amatissimo Étienne, Anna, Meredith, Josh (lo so, l’ho scritto di nuovo, compatitemi), Rashmi, Celeana, Sam, Dorian, Chaol, Nehemia, Eleanor, Park, Meggie, Mo, Elinor, Dita di Polvere, Eragon, Lester  e tutti i personaggi dei libri che leggerò, che mi faranno piangere o ridere. Senza di loro non sarei mai arrivata fin qui.

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