The Stormy Road to Canterlot - Fanfic Edition

di Debby_Gatta_The_Best
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incubo ***
Capitolo 2: *** Sole e Nebbia ***
Capitolo 3: *** Ombra e Fulmine ***



Capitolo 1
*** Incubo ***


Capitoli di efp

La debole magia del suo corno illuminava a malapena le nude pareti della grotta; l’oscurità densa e compatta la costringevano a procedere lentamente, tastando con lo zoccolo ogni metro che faceva prima di avanzare. Era già inciampata una volta, ed uno sperone di roccia le aveva graffiato il ginocchio destro. Più avanzava, più lo sentiva bruciare.

Ma la sua determinazione era tanta, e comunque non avrebbe dovuto mancare ancora molto - quella con cui si stava esercitando con Spring Rain e Glitter Drops era una palla grossa e pesante, non poteva essere rotolata via come una pallina da tennis!

L’unica cosa buona di quell’immensa grotta era la sua linearità. La piccola pony non aveva dovuto confrontarsi con un bivio o con dei bruschi cambiamenti di percorso, giusto una leggera curva che era peró bastata a impedirle la visuale dell’entrata. Da quel punto si era fatto tutto più buio e silenzioso, ma la bambina aveva la sensazione di esserci quasi.

“Non può distare molto di più - si disse mentre controllava in quel metro quadrato di grotta - deve essersi fermata da queste parti…”

Mentre zampettava cautamente in cerca della palla, si ritrovò a fissare due profondi solchi impressi nella roccia. Lì per lì non capì di cosa si trattasse, ma quando un malsano odore di putrido le pizzicò il naso, tutto si fece drasticamente più chiaro.

Voltando la testa, si ritrovò ad osservare un mucchietto di tranci di carne andati a male, pezzi di animali che un tempo dovevano essere stati anche parecchio grandi. Subito le prese un blocco allo stomaco, e sentì le sue zampe pietrificarsi per un attimo, e la criniera rizzarlese addosso.

Qualche animale molto grosso doveva abitare quella grotta, qualcosa di abbastanza grosso da poter incidere con unghie e zanne le pareti della caverna, qualcosa di abbastanza pericoloso e forte da poter abbattere un cervo e farlo a pezzi.

La puledrina sentì un sudore freddo scenderle lungo le tempie e un brivido passarle rapido per la spina dorsale. Si sentì mancare, per un attimo, e credette di star per svenire. Ma in qualche modo, riuscì a sopravvalere sulla paura e a spostarsi di un passo in avanti.

“Qualsiasi cosa sia… - ignorò i solchi per terra e cercò di non pensare al fetore - non può essere qui dentro, adesso… la palla l’avrebbe svegliato, no? Quindi se non ho ancora visto niente significa che non è in casa…”

Mentre provava a convincersi a non aver paura, con lo zoccolo toccò qualcosa nel buio, e quel contatto le fece prendere uno spavento non da poco. Balzò all’indietro soffocando un gridolino, con il cuore in petto che le martellava come un tamburo impazzito. Ma abbassando la testa per illuminare la zona, si lasciò andare ad un sospiro di sollievo quando vide che aveva urtato proprio la palla che stava cercando.

«Ah… finalmente...» sospirò sotto voce a sé stessa, con le zampe che ancora le tremavano dallo spavento.

Utilizzò una magia di levitazione, con la quale era piuttosto brava, e sollevò la palla gialla e rossa all’altezza della sua testa.

«Bene - bisbigliava con un impercettibile tono di voce - bene, eccoci qui. Ora… ora faremo meglio ad andarcene...»

Ma sentì le sue gambe resisterle, di nuovo. Il cuore le era ripreso a batterle con forsennazione. Rizzò le orecchie, credendo di aver sentito qualcosa.

«...Non era niente...» si disse, ma intensificò la magia del corno per fare più luce.

Con gli occhi sgranati, scrutava l’ombra informe davanti a lei, con il terrore di scorgere un qualche movimento.

Con un’enorme forza di volontà, staccò una zampa posteriore da terra, con l’intento di indietreggiare, ma un nuovo rantolo la gelò.

Un cupo brontolio, per un attimo, aveva rotto il silenzio.

Davanti a sé, credette di aver visto qualcosa muoversi. Appoggiò la zampa in terra, e combattendo la paralisi iniziò a sgusciare lentissimamente indietro. Con le orecchie ancora ben dritte, i sensi acutizzati, indietreggiava lentamente facendo attenzione a non far rumore. Ma qualcosa nel buio lo fece al posto suo. Vide della pagliuzza volarle davanti agli occhi, e qui la pony lanciò un gridolino. Poi un altro, profondo muguglio, un borbottare soffuso che ricordava il russare di un drago.

“Ma i draghi vivono in montagna… di solito” cercava di rassicurarsi lei, senza molti risultati.

Sapeva che la cosa più logica da fare, nella posizione in cui si trovava, sarebbe stata voltarsi e correre - i pony vantavano una muscolatura perfetta per correre velocemente e per lunghe distanze, era risaputo che spesso si salvassero scappando quando in difficoltà. Ma era al buio, in una grotta dal pavimento instabile e aspro, e correndo avrebbe potuto attirare con più facilità l’attenzione di qualsiasi-cosa-si-nascondesse-lì su di sè.

Un altro borbottio, più lungo e acuto, e poi un paio di brillanti occhi gialli le apparvero improvvisamente davanti.

L’unicorno strillò, lasciando cadere la palla e voltandosi nello stesso momento in cui l’Ursa Minor si stava alzando in tutta la sua imponenza ruggendo all’intrusa.

Non potè avanzare di tre passi che una potente zampata la investì, lanciandola dall’altra parte della grotta - momenti di panico in cui non sentì il terreno sotto i piedi - per poi farla schiantare contro la dura roccia. Picchiò la testa con violenza, e per un attimo perse i sensi. Appena riaprì gli occhi vide la gigantesca figura dell’orsa fissarla a qualche metro di distanza, mentre avanzava verso di lei con pesanti passi. E appena realizzò di essere ancora viva, nonostante l’ingente colpo che avesse preso, riuscì ad alzarsi e a trottare verso l’uscita.

Sentiva l’adrenalina, venutale in soccorso, bruciarle nelle vene, mentre il respiro le si spezzava in petto e lacrime di dolore iniziavano ad affiorarle al bordo degli occhi. L’Ursa dietro di lei continuò ad inseguirla, ma lei non si guardò mai indietro, correndo il più velocemente possibile completamente alla cieca.

Per un paio di volte inciampò e subito si rialzò. Non stette a pensare al dolore del ginocchio, al bruciore dei polmoni che aveva in petto, la ferita che le aveva inferto la gigantesca bestia con i suoi artigli. Continuava a correre, con la testa libera da ogni pensiero, e corse fino ad intravedere l’uscita. Corse verso la luce, con le lacrime agli occhi, intravedendo le shilouette dei suoi due amici.

«Scappate! - sentì sgorgarle dal profondo della gola - scappate! C’è un’Ursa Minor!»

Poi uscì alla luce. E tutto si fece bianco.


La giovane unicorno si svegliò di colpo, con il cuore in gola. Era la terza volta che si svegliava quella notte. Rabbrividì, nascosta sotto le coperte, e sempre con la mente annebbiata iniziò ad interrogarsi se tutti quei sogni, in realtà, non fossero altro che sogni. Una silenziosa speranza che iniziò ad affiorarle nel petto. Non era così raro che dei sogni si spacciassero per realtà, e che fosse impossibile stabilire chiaramente se fossero sogni o realtà, appena svegliati.

Nascondendo anche a sé stessa la sua idea, con la paura che potesse trattarsi di una vana speranza, scivolò silenziosamente già dal letto. Sentì subito il ginocchio farle male, ma non volle rinunciare alla sua speranza. Magari era solo un crampo dovuto ad una posizione strana che aveva assunto nel sonno. Avanzò, attenta a non far rumore per svegliare i suoi, verso il bagno. Entrò a testa bassa, senza il coraggio di guardarsi allo specchio. Sentiva il suo giovane cuore robarle in petto, dicendole che era la verità, che era successo davvero. Ogni fibra del suo corpo iniziò a ricordarsi della giornata precedente. Ogni ferita iniziò a pulsare con dolore, l’occhio martoriato continuava a lacrimare. Lei non si arrese, nonostante sentisse il suo volto venire rigato da lacrime amare. Accese la luce, ad occhi chiusi, e si portò davanti allo specchio. Alzò lo sguardo con vaga fierezza, come per ricordarsi che era coraggiosa e non doveva temere la verità. Poi aprì gli occhi.

Si ritrovò di fronte un piccolo pony, impaurito e sperduto, dal manto prugna strappato in alcuni punti, parti che erano state fasciate con bende candide. Vide il volto di una giovane puledra, la sua aria distrutta, i suoi capelli spettinati. Vide l’occhio destro, ancora rosso, attraversato di netto da una mostruosa cicatrice rosea; rammentò le parole del dottore: “E’ un vero miracolo che tu ci veda ancora! Non preoccuparti, la vista tornerà come nuova in una manciata di giorni”.

Ma se le ferite potevano rimarginarsi, le cicatrici smettere di bruciare, il suo occhio tornare a funzionare… poteva il suo corno ricrescere?

Un moncone puntuto, ecco cosa vide. Il suo corno spezzato, o il rimasuglio di quello che era stato il suo corno. Sentì un brivido scuoterla nel profondo. Poi il primo singhiozzo, poi un altro. Vide la sua immagine riflessa mordersi le labbra per non riprendere a piangere, come aveva fatto per tutta la sera, dopo che si era accorta della perdita. Ma non poteva fermarsi, non ne era capace. Vide le prime lacrime scenderle copiose sulle guance, e a quel punto abbassò lo sguardo, chiuse gli occhi e pianse, prima in silenzio, poi scossa da singhiozzi sempre più prepotenti. Pianse per dei minuti.

Continuò a piangere quando, impauriti, i suoi genitori erano accorsi per vedere cosa fosse successo. Continuò a piangere quando suo padre la prese sotto una zampa per dirle che sarebbe andato tutto bene, continuò a piangere quando anche sua madre l’abbracciò. Un vuoto profondo era l’unica cosa che provava in quel momento. Un dirupo oscuro che non avrebbe più smesso di allargarsi per molto tempo, e che mai si sarebbe rimarginato del tutto.




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Commento d'autore
Da anni grandissima fan dei My Little Pony, tento oggi di approdare su questo lato di EFP dedicato ai pony colorati più famosi del mondo.
Dopo un periodo di piattezza, la magnificenza di Tempest Shadow mi ha fatto riscoprire il magico mondo dei pony. E la sua triste storia passata mi ha acceso per la prima volta l'idea di scrivervi sopra una fan fiction - mai avevo scritto qualcosa sui Pony, se non sporadici fumetti!

Spero che la storia sia di vostro gradimento. Qui allego il link del libro da cui ho tratto ispirazione, un estratto offerto dalla Hasbro sulla storia di questa magnifica villain:

https://www.hasbro.com/common/assets/image/Printables/f0c7980050569047f5de28496ca8092b/99141fe650569047f5a192596fd00d7b/991A025850569047F5CFEE3FE09E84AD.pdf

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Capitolo 2
*** Sole e Nebbia ***


Capitoli di efp

Era un grigio pomeriggio quando la pony sentì qualcuno bussare alla porta. Sua madre era uscita da poco e quindi pensò che forse si era dimenticata qualcosa a casa. Scese dal letto sul quale si era messa a leggere un libro di narrativa e zampettò verso la porta in soggiorno. L’aprì senza pensarci due volte, ma quando vide chi si ritrovò davanti per poco non la richiuse di colpo dalla sorpresa.

«Hey… - borbottò Glitter Drops con un sorriso il più possibile sincero - come… come va?»

Lei si affacciò appena verso l’amica e l’amico che erano venuti a trovarla, evitando di guardarli in faccia.

«Be’, come al solito…»

«Abbiamo sentito che ieri è tornato il dottore a visitarti - provò ad iniziare Spring Rain - e… ci siamo chiesti se...»

«Non è cambiato nulla» tagliò bruscamente lei, accostando un po’ di più la porta.

«Emm, ma è ancora presto» continuò il puledro, ma Glitter Drops lo zittì con una gomitata prima che potesse continuare.

«Senti… ci chiedevamo se avessi voglia di venire a fare una passeggiata con noi...»

La giovane puledra indietreggiò, come per declinare silenziosamente l’invito, ma Spring Rain avanzò di un passo cercando di convincerla.

«Pensavamo che ti avrebbe fatto bene un po’ di aria fresca, sai, è un po’ che non esci...»

«E poi l’esonero da scuola durerà altre due settimane, giusto? - domandò la puledra dal manto acqua marina, senza aspettarsi una risposta - quindi magari non ti farebbe male uscire un po’ con noi…»

Lei non era sicura se volesse o no uscire. Dal giorno della caverna non era più messo piede fuori casa, e pochissimi pony nel villaggio sapevano della sua situazione e del suo handicap, e lei voleva che la notizia continuasse a non essere divulgata. Temeva più di ogni altra cosa che la diceria dell’unicorno-senza-corno si spargesse per tutto il paese.

«Non lo so… stavo studiando per non rimanere indietro… magari un’altra volta...» mentì, cercando di richiudere la porta, ma Glitter Drops le balzò dentro casa, seguita a ruota dall’amico.

«Andiamo, non puoi chiuderti per sempre in casa!»

Questa volta il suo tono era serio e il suo sguardo non lasciava spazio a risposte negative.

«Chiuderti in te stessa non ti farà bene… - procedette con tono più pacato il pony azzurro - finirai per isolarti e sentirti sempre triste.»

La giovane pony si trovò sotto la pressione dei due sguardi preoccupati dei suoi amici. Spostò lo sguardo verso il basso per non guardarli in volto, ma in cuor suo sentiva che stavano dicendono la verità.

Glitter Drops e Spring Rain erano venuti a trovarla spesso i primi giorni, ma poi lei aveva iniziato a mandarli via con delle scuse, troppo impaurita per confrontarsi con loro o con qualunque altro pony. Era diventata taciturna anche con i suoi genitori, nonostante questi fossero molto apprensivi e avessero cercato in ogni modo di farla stare meglio. All’idea di continuare a passare le giornate in camera sua per il resto della vita, la pony avvertì un brivido di disgusto, e prese la sua decisione.

«Va bene… vengo con voi...»

Spring Rain e Glitter Drops si guardarono in faccia allargando entrambi dei grandi sorrisi, emozionati per la riuscita della loro impresa.

«Bene! Anche perché conosco un posto magnifico dove mangiare dei dolci buonissimi! Non vedo l’ora di portarvici!» esclamò Spring Rain già degustando col pensiero qualche dolcetto autunnale.

«Aspettate - chiarì però lei - non voglio farmi vedere...»

Non riuscì a finire la frase, sentendo dentro di sé il petto scuotersi in un mezzo singhiozzo che fece di tutto per mascherare.

«Non voglio mostrarmi… col corno in queste condizioni» ammise alla fine con molta fatica. Glitter Drops le si avvicinò per cingerla con uno zoccolo, dicendole che non doveva preoccuparsi.

«Ho un’idea. Basterà un bel cappellino, e nessuno noterà niente.»

«Sì, ci sono molti cappelli fantastici da indossare d’autunno!» confermò Spring Rain annuendo con fare meccanico.

«Uhm… penso che mia mamma abbia dei cappelli che non usa più...»

«Bene, andiamo a prenderne uno in prestito allora!»

La puledrina color prugna guidò i due amici in camera dei suoi, dove un grosso armadio in noce copriva la parete opposta al letto matrimoniale. La puledra aprì le ante, e con una scaletta Glitter Drops salì il più in alto possibile per cercare qualche cappello adatto.

Spring Rain si era invece avvicinato al letto di coperte rosse, adocchiando il libro che stava leggendo la sua amica.

«Ah, e questo sarebbe studiare?» commentò con malizia sfogliando un paio di pagine del romanzo.

«E’ ripasso della lingua!» si giustificò scherzando lei. Per la prima volta dopo giorni un sorriso spontaneo le era apparso sulle labbra, e sia lei che Spring Rain ridacchiarono per qualche secondo.

«Hey, voi due, laggiù! - la puledra dal manto acqua marina sventolò una zampa sopra le teste dei due amici, prima di prendere un cappello e lanciarlo sul letto - che ne dite di questo?»

Il cappello era di paglia, dipinto di un delicato rosa chiaro e adornato di fiorellini color pastello dalle varie forme e dimensioni.

«Non so… - la pony si tirò indietro i capelli dall’acconciatura focosa - dite che mi starebbe bene?»

«Provatelo, no?»

Spring Rain afferrò il cappello con la bocca e lo pose con gentilezza sulla testa della sua amica, che se lo aggiustò per coprire il corno spezzato.

«A parer mio ti sta d’incanto!» commentò estasiata Glitter Drops nel vederla.

«Come dice lei!» le diede man forte il ragazzo.

«Su, guardati allo specchio!»

L’amica, che era stata a casa sua un sacco di volte, la condusse allo specchio più vicino invitandola a specchiarsi. Lei ubbidì e alzò lo sguardo con una punta di timore. Si vide più convinta dell’ultima volta che aveva avuto il coraggio di guardarsi allo specchio, e con quel delizioso cappellino a coprirle il corno, non le venne neanche da piangere. Sembrava che il problema fosse sparito, o che non fosse mai esistito. L’unica testimonianza di quello che aveva passato rimaneva la lunga cicatrice sull’occhio destro, ma in cuor suo ci stava pian piano facendo l’abitudine.

«Vedi? Perfetta! Non si vede niente!»

Spring Rain trotterellò a fianco delle due amiche, impaziente di uscire di casa.

«Che dici - domandò con premura Glitter Drops guardandola negli occhi - ci proviamo?»

Lei annuì con convinzione.


Il paesino per fortuna era tranquillo e pieno di persone cordiali. Mentre attraversavano la via principale alcuni pony che conosceva di vista la salutarono con sincera allegria, e lei ricambiava con timidezza.

Non si sentiva molto più sè stessa. Fino a qualche settimana prima era stata il pony più coraggioso del villaggio, vivace e un po’ sfrontata alle volte, ma la situazione che stava passando la faceva sentire piccola e fragile. Peró i pony che vide non sembravano accorgersi di niente, e questo la tirò un po’ su. Non voleva mostrarsi debole di fronte agli altri.

«Allora, non so se siete mai stati in questa pasticceria, vi assicuro che è la fine del mondo!» annunciò ad un certo punto il puledro indicando un piccolo edificio. Fuori aveva dei tavolini che lo facevano assomigliare ad un grazioso ristorante, e dalle porte usciva un meraviglioso profumo di dolci. La giovane unicorno avanzò qualche passo, guidata dal magnifico aroma, dimenticandosi per un attimo la sua sofferenza e pensando invece a cosa avrebbe potuto mangiare per merenda.

«Sembra carino!» commentò Glitter Drops sedendosi ad un tavolino.

«Ci mettiamo qua fuori? Sta uscendo anche il sole!»

«Per me va bene.»

«Anche per me - si intromise Spring Rain - che ne dite, vi posso offrire qualcosa a sorpresa?»

«Non so se fidarmi di te...»

Glitter Drops gli lanciò un mezzo sguardo malizioso, ma lui si mise a ridere.

«Dai su, lo sapete che sono un buon gustaio, vi prendo qualcosa di delizioso!»

«Basta che non sia qualcosa alle more - ammonì la giovane puledra - sai bene che non le sopporto.»

Spring Rain posò al tavolo lo zainetto che si stava portando dietro e corse dentro alla pasticceria.

Glitter Drops si voltò verso la sua amica, sforzandosi di farla sorridere.

«Non è una bella giornata? Io adoro il venticello autunnale e le foglie che cadono! Hanno tanti bei colori… sai, un anno mi piacerebbe partecipare alla Corsa delle Foglie!»

«Sarebbe una bella esperienza immagino. Io farò il tifo per te per tutto il tempo!»

Glitter Drops ridacchiò, per poi spiegarle che non si trattava di una competizione e non le interessava arrivare prima.

«Sarebbe comunque qualcosa di cui andare fieri...» cercò di convincerla lei.

«Sai invece una cosa di cui dovresti andare tu fiera?» la interrogò l’amica, guardandola negli occhi.

«Di cosa?»

«Di quella.»

Glitter Drops indicó con lo zoccolo l’occhio dell’amica, riferendosi alla cicatrice.

Lei si sentí un attimo a disagio, e si abbassò ulteriormente il cappello sulla faccia.

«Non credo che sia qualcosa di cui vantarsi...» borbottò ferita, distogliendo lo sguardo.

«Non è una bella cosa, ma puoi sfoggiarla come ferita di guerra!»

La giovane unicorno osservò l’amica che stava dicendo cavolate, ma credette di intuire che lo stava facendo per tirarla su di morale.

«Devo ammettere che non ti sta troppo male.»

«Tu… dici?»

Istintivamente se la toccò, e la sentì bruciare appena. Si stava ancora rimarginando per bene.

Glitter Drops annuì.

«Certo, non averla sarebbe stato meglio… ma ora che ce l’hai, puoi vantarti del tuo coraggio e del tuo eroismo sfoggiandola. A livello estetico è una bella cicatrice.»

Forse la sua amica era diventata stupida, pensò lei, o forse semplicemente continuava ad essere troppo pesante e priva di tatto quando provava a consolare qualcuno, come era sempre stata. Ma nonostante tutto, i suoi discorsi riuscirono a strapparle un sorriso. Forse la sua amica aveva ragione. Forse doveva solo riuscire ad accettare la cosa e a convertirla in un vantaggio.

Ma mai avrebbe accettato di aver perso il suo corno.

Ricordandosene, si rabbuiò e abbassò lo sguardo, sospirando.

Spring Rain tornò da loro facendo levitare con la sua magia azzurra un vassoio pieno di leccornie.

«Che ne pensate? Vi assicuro che sono buonissimi!»

Afferrò un bignè e se lo divorò in un sol boccone.

«Tutta questa roba ti sarà costata una fortuna!»

«Non puoi offrircela tutta, lascia che ti paghi la mia parte!»

Ma il giovane declinò le offerte.

«Tranquille, il pasticcere è un mio amico e mi ha offerto questo delizioso vassoio! Ringraziate lui se dovete ringraziare qualcuno!»

I tre puledri passarono una buona mezz’oretta a degustare le crostate di fichi, le mele caramellate, i bignè alla crema, i tortini alla frutta… parlarono del più e del meno, dell’autunno, di cosa stavano facendo a scuola i due amici, della Corsa delle Foglie di quell’anno… parlarono di molte cose, ma non toccarono l’argomento corno-spezzato della loro amica, e questo a lei non dispiacque affatto.


Finita la merenda, i giovani pony si incamminarono verso il centro.

«Oh cara, che bel cappello!» notò la fioraia nel voltarsi verso la puledra.

«La ringrazio Moonglow!» rispose lei alzando uno zoccolo in segno di saluto.

«Sapete… - confessò ad un certo punto - in effetti… uscire un po’ mi sta facendo bene… mi sento più tranquilla.»

«Sono felice che tu stia meglio.»

Spring Rain e Glitter Drops le sorrisero, mentre la stavano pian piano scortando verso uno degli spazi verdi del paese.

Un sofficee venticello le accarezzò la criniera, e il sole che dei pegasus pony avevano liberato dalle nuvole la stava adesso riscaldando coi suoi tiepidi raggi autunnali. Fuori dal borgo di case a trullo del suo paese, molte morbide colline deliziavano lo sguardo degli abitanti. Nella stessa cittadina si trovavano dei lotti verdi, piccoli parchi pubblici dove solitamente i giovani pony andavano a giocare o chi ne aveva portava i propri animali domestici a fare una passeggiata. Glitter Drops e Spring Rain indirizzarono la loro amica proprio in uno di questi.

«Qui al parco?»

Domandò lei sorpresa, guardandosi intorno. Sembrava che non ci fosse altro pony nel parco a quell’ora del giorno.

«Sì - Spring Rain le fece strada verso il centro del prato - non c’è nessuno, vedi?»

«Ho notato...»

«Ecco - iniziò Glitter Drops - io e Spring stavamo pensando ad una cosa...»

Il puledro azzurro accese il corno ed estrasse dal proprio zaino una palla verde e gialla, grande quanto le loro teste.

«Che ne dici di provare?»

Glitter Drops e Spring Rain la guardarono con serietà, aspettandosi una sua risposta.

Dapprima lei non capì, ma dopo qualche secondo realizzò che stavano parlando del suo corno.

«Cosa...!? No… non credo che sarebbe una buona idea...»

Iniziò a scuotere la testa, indietreggiando come per allontanarsi da quell’offerta.

«Hey… - cercò di tranquillizzarla la sua amica - tentar non nuoce, no?»

«Non uso il mio corno dal giorno dell’incidente - cercò di difendersi lei - non so neanche se funzionerà! Probabilmente non riuscirò neanche ad accenderlo...»

Sentì la sua gola bruciare mentre pronunciava queste parole, come se fossero state affilate come lamette e l’avessero graffiata nell’uscire. Sentì una lacrima affiorarle all’occhio destro, ma se la asciugò prima che i suoi amici potessero notarla.

«Non ricordi il nostro patto?» provò allora Spring Rain avanzando di qualche passo.

«Sì, il nostro patto - ribadì Glitter Drops sfoggiando un mesto sorriso - un giorno tutti e tre saremo andati alla Scuola per Unicorni Dotati di Princess Celestia!»

Lei abbassò la testa, sentendo una morsa di delusione stringerle il cuore. Avrebbero dovuto provare ad entrare quello stesso anno, si erano ripromessi più volte. Ogni autunno si svolgevano dei test d’ingresso a Canterlot, che avrebbero potuto garantire l’accesso alla Scuola ai piccoli unicorni prodigi. Lei, Spring Rain e in seguito Glitter Drops avevano deciso che sarebbero entrati in quella Scuola, ad ogni costo, e dal giorno in cui avevano stipulato il patto si erano allenati costantemente con la magia, migliorando di giorno in giorno.

L’ultima volta che si erano allenati, però, nel loro posto segreto - una radura rigogliosa nel mezzo della scura Evefree Forset - era successo il disastro, e da quel giorno l’argomento non era più saltato fuori. Fino ad ora.

«Comunque il tuo corno ricrescerà - la cercava di convincere l’amico - ma nel frattempo, magari, funziona lo stesso!»

«Andiamo, cosa potrebbe succedere?»

Lei rimase a guardare in basso per un po’, poi alzò la testa e si guardò intorno. Non c’era nessuno nei dintorni. Nessuno che avrebbe potuto vederla col corno spezzato, nessuno che avrebbe potuto ridere di lei.

Gonfiò il petto, cercando di farsi coraggio, e poi rispose.

«...va bene. Ci proverò.»

I suoi due amici esultarono di gioia, scambiandosi occhiate entusiaste. Glitter Drops scivolò alla sinistra dell’amica e Spring Rain le posò la palla davanti, prima di indietreggiare di qualche passo.

«Quando ti senti pronta, prova a sollevarla.»

La giovane unicorno inspirò profondamente, poi si tolse il cappello a fiori che l’aveva protetta da sguardi indiscreti fino a quel momento.

Piantò gli zoccoli ben nel terreno, puntanto il moncone del corno verso la palla, dopodiché provò ad accenderlo.

Erano passate alcune settimane dall’incidente, e quando riprovò a farlo brillare sentì solo un forte bruciore.

«...non sta succedendo niente...» borbottò, delusa.

In cuor suo aveva sperato di riuscire almeno ad accenderlo.

«Hey, non buttarti giù così! Sei solo un po’ fuori allenamento, prova a metterci più grinta!»

Il volto speranzoso del suo amico riuscì a riaccenderle la speranza. Annuì, con più decisione, e riprovò. Si sforzò non come se avesse dovuto sollevare una palla, ma come se volesse sollevare un grosso e pesante macigno. Ad occhi chiusi, sentì il suo corno iniziare a bruciare, ma oltre a questo avvertì qualcos’altro. Come una scossa, che percorse la leggera frattura alla base del moncone. Rabbrividì, sforzandosi di aprire gli occhi, ma non volle spegnere il corno. Stava succedendo qualcosa, e forse se si fosse sforzata ancora di più sarebbe riuscita a farlo rifunzionare. Si concentrò mettendoci l’anima, con lo sguardo fisso verso la palla che sbeffaggemente la stava come sfidando. Intensificò il flusso magico, e sentì una scintilla scaturire dal pezzo di corno. Poi un’altra. Poi un’altra ancora.

«Vai, continua così!» esultò la sua amica al suo fianco.

«Ci stai riuscendo!»

Ma c’era qualcosa che non andava. Quelle scintille bruciavano, il suo corno bruciava, e soprattutto erano azzurre, non viola. La sua magia era viola, questa era celeste e molto più brillante.

«Non… non riesco a indirizzarla… - ansimò - non riesco a...»

Ma in quel momento sentì uno scoppio. I suoi amici urlarono dallo spavento, indietreggiando, quando un fascio di scintille e fulmini investì il pallone e tutto il terreno lì attorno, bruciando l’erba e le foglie secche cosparse per terra.

«Non posso fermarla!» urlò, presa dal panico, mentre saette azzurre continuavano ininterrottamente a esplodere  davanti a lei e ai suoi amici. Glitter Drops si voltò e corse via, verso gli alberi che circondavano il parco, mentre Spring Rain rimase immobile a fissarla per qualche altro secondo.

Lei sentiva il proprio moncone bruciare terribilmente, e la testa iniziò a girarle violentemente. Cercò di allontanarsi dai suoi amici, ma inciampò e cadde. Sentì una voce urlare, e il cuore le balzò in petto per la paura di aver urtato uno dei suoi due amici. Cercava di spegnere quel maledetto corno in tutti i modi, ma senza riuscirsi da sola alla fine conficcò la faccia dentro il terriccio del parco, sperando che il terreno le potesse venire in soccorso. Nonostante sembrasse strano, funzionò.

La scarica si estinse, il suo corno iniziò a pulsare dal dolore, ma smise di bruciare. Con gli occhi chiusi, il volto rigato dalle lacrime, rimase ferma in quella scomoda posizione per qualche secondo.

Quando finalmente si decise ad alzare lo sguardo,  si ritrovò di fronte ad uno spettacolo spaventoso: un cerchio d’erba completamente bruciato, con qualche filo scuro che spuntava qua e là; la palla era stata sbalzata lontano. Di fronte al luogo del delitto, il suo giovane amico giaceva a qualche metro di distanza, sull’erba. Immobile.

“L’ho ucciso!” fu il suo primo pensiero. Una ragnatela di orrore iniziò ad espandersi per ogni cellula del suo corpo, sentiva il petto scuoterlese di singhiozzi confusi, impauriti, le gambe tremarle come non mai. Provò ad avvicinarsi. Lo vide muoversi, mugolare. Ma ormai era terrorizzata e troppo scossa per potersi calmare.

«Non volevo! Mi dispiace, non volevo!» mugolò tra un singhiozzo e l’altro, mentre lacrime salate le scorrevano lungo il giovane muso.

«Non era quello che volevo… mi dispiace… non so cosa sia successo...»

Cercò di offrire uno zoccolo tremante all’amico, che però si alzò senza accettare il suo aiuto, guardandola per un attimo con gli occhi colmi di paura. Aveva indietreggiato di qualche passo, guardandole il corno come per accertarsi che fosse veramente spento.

«Non… non è stata colpa tua...» ma nonostante cercasse di farla star meglio, il tono di Spring Rain tradiva la paura che stava ancora provando.

«Spring! - urlò Glitter Drops uscendo dal suo nascondiglio - Stai bene? E’ stato un bel volo!»

“Un bel volo?” si chiese lei, col terrore di scoprire cosa significasse. Aveva sbalzato via il suo amico con un fulmine?

«Sì… sì, sto bene… è stato spaventoso, più che altro...»

Glitter Drops abbracciò il suo amico, e poi voltò lo sguardo verso di lei.

«Mi dispiace così tanto… è… qualcosa nel mio corno… non funziona più come dovrebbe, non riuscivo a controllarlo e...»

«Non importa - la interruppe con un certo distacco Glitter Drops - è meglio se torniamo a casa adesso.»

La giovane unicorno ci asciugò le lacrime, cercando di smettere di tremare. La testa le faceva ancora male, ma la cosa più dolorosa era vedere i suoi amici guardarla in quel modo, guardarla come se fosse una sorta di belva pericolosa. Mentre seguiva a distanza i due pony, sentiva dentro di lei sfilacciarsi, passo dopo passo, l’amicizia che l’aveva legata sin dall’infanzia ai suoi due migliori amici.

Li sentiva distanti, come se una coltre di nebbia fosse scesa tra lei e Glitter Drops e Spring Rain.

Mentre avanzava a testa bassa, con il cappello calato sul viso, sentiva che niente sarebbe stato più come prima. Se fino a quel giorno aveva segretamente coltivato la speranza che il suo corno potesse tornare a funzionare, potesse ricrescere… adesso, come schiacciata da un pesante macigno, anche la sua ultima speranza era andata in pezzi. E oltre a quella, anche il legame che l’aveva legata teneramente ai suoi amici si stava incrinando, lo poteva quasi avvertire fisicamente.

Il vuoto dentro di lei continuava ad allargarsi, inesorabilmente.





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Commento d'autore
Il secondo capitolo della fan fiction basata sull'estratto di "The Stormy Road to Canterlot". Mi farebbe molto piacere sentire dei vostri pareri con delle recensioni!

Spero che la storia sia di vostro gradimento. Qui allego il link del libro da cui ho tratto ispirazione, un estratto offerto dalla Hasbro sulla storia di questa magnifica villain:

 https://www.hasbro.com/common/assets/image/Printables/f0c7980050569047f5de28496ca8092b/99141fe650569047f5a192596fd00d7b/991A025850569047F5CFEE3FE09E84AD.pdf


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Capitolo 3
*** Ombra e Fulmine ***


Capitoli di efp

Il vento scuoteva i rami degli alberi con innata prepotenza. Un lampo azzurro illuminò la stanza, e la pony sobbalzò nel letto.

“Calmati, è solo un temporale” si disse, cercando di richiudere gli occhi.

Fuori, sembrava il finimondo. I pegasus avevano previsto una tempesta per quella notte, per rinvigorire i fiumi che con l’estate erano andati pian piano a seccarsi. Nessun pony avrebbe rischiato se fosse rimasto chiuso in casa a dormire, quella notte. Ma lei non riusciva a chiuedere occhio.

Da quando i lampi avevano iniziato a esplodere nel cielo, la giovane unicorno si era svegliata per poi non riuscire più ad addormentarsi.

I suoi dormivano beatamente nella camera accanto, senza accorgersi di niente.

Lei si era accoccolata sotto le coperte, dando la schiena alla finestra. Davanti a sè vedeva accendersi, a intervalli regolari, le ombre scure degli alberi piegati come fili d’erba sotto il vento freddo del temporale. Un canto cupo, misterioso e potente graffiava le pareti della casa, e una pioggia fitta rimbalzava sul tetto scuro in una monotona sinfonia.

La pony raccolse le quattro zampe sul petto, come a proteggersi dai fulmini e dal rombo che li seguiva.

Rimase immobile, per alcune ore, a fissare il muro e la sua stanza in ombra. Abbassando le orecchie quando si prospettava un tuono, sgomberando la mente e ascoltanto, quando lo sentiva, il suo debole respiro.

Ad un certo punto si addormentò.


Erano passati lunghi e interminabili giorni, poi tediose settimane, poi mesi. Lunghi mesi, vuoti e intrinsi di solitudine.

Era tornata a scuola, i primi tempi con il cappello in testa, ma dopo poco si era dovuta arrendere alla realtà e si era mostrata, un lunedì, senza nessun copricapo che potesse celare la sua posizione. I suoi compagni non erano sembrati troppo sorpresi, e così la maestra. Probabilmente avevano già sentito delle voci, ma ormai a lei non importava più di tanto.

Nei mesi seguenti aveva reimparato a scrivere con la bocca - era molto più scomodo che scrivere con la magia, una volta che avevi imparato a direzionare la matita, ma non era impossibile. Glitter Drops e Spring Rain continuavano a parlarle, ma sempre di argomenti privi di un vero significato. Non giocavano più insieme. A volte venivano a casa sua per sentire come stava e per fare merenda insieme, ma non avevano più parlato della sua condizione.

I suoi altri compagni si erano inizialmente presi gioco di lei, ma un giorno, colta dall’ira più profonda, si era voltata di scatto verso quelli che stavano ridendo del suo corno in quel momento e aveva fatto brillare il suo moncone di corno, illuminando per un attimo il cielo con un fulmine azzurro. Da quel momento nessuno ebbe più da ridire, ma nessuno cercò neanche più di avvicinarsele.

Quando entrava in classe, o in un negozio, o usciva in piazza, i pony che abitavano lì si voltavano preoccupati verso di lei, le parlavano con timore, cercavano di mantenersi distanti.

Gli unici che continuavano a credere in lei erano i suoi genitori, che con il tempo si erano però fatti sempre più apprensivi e soffocanti.

«Non voglio parlarne» rispondeva ogniqualvolta loro cercassero di riaprire la conversazione.

Avevano cercato per villaggi e villaggi, erano anche andati a Canterlot a chiedere di un qualche dottore in grado di poterle curare il corno, ma sembrava che nessuno fosse capace di aiutarla. Sua madre era anche andata a parlare con una strana Zebra che abitava nella Everfree Forest, rinomata per i suoi potenti infusi magici e le sue cure esotiche, ma anche questa aveva risposto che su una frattura del genere si poteva fare molto poco.

Le stagioni erano pian piano ruotate. Era passato all’incirca un anno e qualche mese. La puledra dal manto bordeaux era cresciuta parecchio in un anno - i bambini, si sa, crescono velocemente. Era alzata di parecchi centimetri e si prospettava che sarebbe diventata alta come un pony di taglia media, come suo padre. Era cresciuta spiritualmente, con tutti i libri di autori stranieri che aveva letto durante i suoi pomeriggi di solitudine. Aveva appreso di terre lontane, terre infernali e desolate, montagne aspre tana di Ippogrifi e di altre creature mai viste in Equestria. Aveva letto di Centauri e di Lynel, di Gargoyle, di una landa di fuoco casa di draghi feroci, al confine con la terra di Celestia. Aveva letto storie di creature abitanti della luna, che creavano i sogni da regalare ai pony della terra, e a volte era rimasta sveglia di notte ad osservare il candido globo, chiedendosi se anche la Puledra della Luna si sentisse sola come si sentiva lei in quel momento.

Qualcosa, però, era andato a crepare nel tempo. Quel vuoto profondo che aveva iniziato a crescerle dentro continuava ad avanzare, dentro di lei, e diventava più pesante giorno dopo giorno. Se prima era stata una pony solare e spavalda, ora si sentiva irascibile e arrogante, fragile e quindi impaurita che altri potessero ferirla ulteriormente. Aveva iniziato a chiudersi in un guscio di falsi sorrisi e di freddo distacco, che la stavano finendo di allontanare dai suoi ultimi contatti.


Quel pomeriggio, il giorno seguente alla tempesta, la puledra si era ritrovata a sfogliare distrattamente un libro di cucina. Per distrarsi dai pensieri sul suo corno si era, con il tempo, imposta di non pensarci più, e aveva cercato altre attività e esperienze da provare per poterci non pensare. Una flebile, magra luce di speranza brillava forse ancora nel suo animo ormai oscurato, la speranza che un giorno qualcuno avrebbe potuto aggiustarle il corno, o che glielo avrebbe potuto far ricrescere, ma era un sentimento così sottile e fragile che l’altra parte di lei, quella fredda e insensibile, riusciva a nascondere senza troppi problemi.

I suoi se ne erano andati per alcuni giorni, e quindi poteva approfittarne per cucinarsi qualche manicaretto piccante, visto che sia a sua madre che a suo padre quel genere di cibo non piaceva molto.

Mentre cercava un qualcosa a base di peperoni e peperoncino, magari una zuppa o una torta salata, sentì bussare alla porta. Subito il cuore le ebbe un balzo. Non si aspettava di ricevere visite, ed aveva il timore di sapere di chi potesse trattarsi. Aprì la porta, con la lentezza di chi già sa cosa si aspetta.

«Em… ciao» la salutarono Glitter Drops e Spring Rain. La prima era rimasta bassina, ma il suo giovane corno era notevolmente allungato rispetto all’anno passato, e oltre a quello la puledrina si era fatta crescere i capelli chiari fino alla base del collo. Il loro amico invece era alzato di qualche centimetro, e le zampe e il collo si erano affusolati con la crescita facendolo sembrare più alto e grande di quello che fosse.

«Ciao» salutò lei in risposta, aprendo la porta per rimanere lì sull’uscio.

I suoi due compagni si lanciarono uno sguardo strano. Lei non capì. Forse, dopo mesi e mesi di silenzio, erano venuti lì quel giorno per chiederle come stava. Iniziò a rombarle il cuore in petto, e subito si mise a formulare una serie di risposte e discorsi con i quali avrebbe potuto rispondere alle scomode domande.

“Be’, sembra che per adesso non si possa fare niente…” oppure “Qualcuno mi ha suggerito di inviare una lettera alla Principessa, ma sono sicura che sia troppo impegnata per queste cose…” oppure “Ah, non saprei, è un po’ che non sento il dottore…”. Ma non ci fu bisogno che lei rispondesse.

«Siamo qui per dirti una cosa...» iniziò Spring Rain, evitando il suo sguardo.

«Sì. Ecco… - Glitter Drops cercò le parole giuste, e poi lo disse tutto d’un fiato - siamo stati ammessi alla Scuola per Unicorni Dotati di Princess Celestia.»

«Esatto. Le lezioni iniziano da primavera.»

«Volevamo dirtelo prima che lo venissi a sapere da qualche altro pony.»

La giovane unicorno sentì il cuore ghiacciarsele, e così il sorriso sul suo volto. Si sforzò comunque di mostrarsi felice, nonostante improvvisamente si sentisse debole e ferita.

«Oh.. ohh! Ma è… è magnifico!»

Glitter Drops allargò un sorriso compiaciuto.

«Sono felice che tu l’abbia presa bene...»

«Temevamo che… insomma...»

«No, no… va tutto bene, davvero» mentì con un sorriso tirato.

«Ma… comunque non preoccuparti, continueremo a venirti a trovare!» si sbrigò a chiarire il puledro azzurro.

«E siamo sicuri che anche tu verrai con noi. Il prossimo anno, quando… ti sarà ricresciuto il corno»

La puledra si sentì tremendamente a disagio di fronte ai suoi ormai ex amici. Sospirò, annuendo senza convinzione, e poi cercò di scacciarli con una scusa.

«Perdonatemi, ora devo tornare a… cucinare. E’ stato un piacere vedervi… e buona fortuna alla Scuola.»

«Faremo una buona parola per te!»

Glitter Drops e Spring Rain non furono restii ad andarsene. Fecero retromarcia dopo averla salutata, e le augurarono un buon pranzo.

La pony richiuse la porta dietro di sè. Si sedette, sentendosi per un attimo completamente vuota, abbandonata, completamente sola.

Poi iniziò a piangere, sola nella stanza, con il cuore a pezzi.



Glitter Drops e Spring Rain erano partiti da una settimana, senza neanche salutare.

La giovane unicorno non aveva provato niente quando aveva saputo della loro partenza. Anzi, per un attimo ne era stata quasi sollevata.

In fondo, era grazie a loro che aveva perso il suo corno. Erano stati loro a spronarla a riprendere quella dannata palla, quel dannato giorno.

“Sei la pony più coraggiosa che conosciamo!”

“Racconto sempre di te ai miei amici!”

“Sì - pensò lei - bella scusa.”

E intanto quella ad averci rimesso era stata lei. Poi, che altro? L’avevano abbandonata nel momento del bisogno. Avevano fatto finta che non fosse successo niente, ma pian piano l’avevano lasciata alle spalle per farsi nuovi amici. Avevano rotto il patto che avevano stipulato da piccoli. Se n’erano andati a Canterlot, la splendente città, senza di lei.

Un altro temporale stava imperversando, quella sera. I suoi erano via, di nuovo, per chissà quanti giorni.

Era sola in casa, sola con il temporale che imperversava sopra il villaggio. Un lampo illuminò il cielo. Lei era affacciata dal balcone della camera dei suoi. Non temeva più i fulmini.

Lei stessa faceva parte di quella tempesta. Il suo animo era stato sbattuto come quegli alberi fragili che il vento stava scuotendo, ma ora si era sopraelevato, diventando più simile ai nuvoloni neri sopra la sua testa. La sua magia le era stata strappata. Ma le rimaneva ancora qualcosa. Le rimaneva un potente e pericoloso potere, un potere legato ai letali fulmini che il suo corno non riusciva a canalizzare per trasformare in magia. Le rimanevano le cicatrici di un passato ingiusto e insensibile, sulla pelle e nel cuore. Cicatrici che avrebbero dimostrato al mondo la sua forza di spirito.

Un fulmine colpì a pochi metri da casa sua. Un rombo potente scosse le case lì attorno, ma lei non si fece intimidire. In risposta accese il suo corno, puntando lo sguardo verso l’alto, e come a sfidare il cielo nero e le nubi tempestose, fece scintillare nel cielo una scarica azzurra.

“Non ti temo. E non temerò nient’altro, da ora in avanti.”

La pioggia si fece più intensa, e la giovane pony rientrò in casa. Ma non ci sarebbe rimasta ancora a lungo.

Preparò uno zaino, vi mise dentro una sacca di monete e poco altro. Scrisse una lettera sintetica e fredda che lasciò sul tavolo. Rovistò tra i vecchi indumenti di suo padre fino a trovare un pesante mantello marrone con cappuccio, se lo gettò sulla schiena e prese lo zaino. Si avvicinò alla porta di casa, e per un attimo, un solo attimo, esitò.

Un gomitolo di pensieri iniziò a sciogliersi nella sua mente, dubbi e paure passate. Ma si sforzò di ignorarli, li represse con violenza nei meandri più oscuri della sua anima. Li gettò tutti dentro il dirupo che si era aperto dentro di lei. Aprì la porta a fatica, per via del vento. Uscì sotto la pioggia.

“Nessuno mi accetterà mai qui” pensava mentre si lasciava la casa alle spalle

“Nessuno può capire quello che ho passato” pensava, mentre si lasciava il villaggio alle spalle.

“E allora, io non avrò bisogno di nessuno.”

Si tirò il cappuccio sopra la testa. Ormai era tutt’uno con la tempesta e con le ombre del suo passato, le cicatrici che avrebbero definito chi sarebbe diventata.


Tempest Shadow si lasciò alle spalle la sua vecchia vita, quella notte, per iniziarne una nuova. Non si voltò neanche una volta.



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Commento d'autore

E così finisce l'inizio della storia di Tempest, rivisitata in chiave fan fiction. Probabilmente molti di voi non avranno voluto rovinarsi il film, ma spero vivamente che dopo l'uscita in Italia verrete a leggerla e vi piacerà, sono piuttosto compiaciuta di com'è venuta e sarei felice di sapere che qualcuno di voi l'ha apprezzata, in qualche modo ;)
Lasciate una recensione se vi è piaciuta, ciao!


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