Trecento metri

di AlessiaDettaAlex
(/viewuser.php?uid=75809)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 o Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 o Calura estiva ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 o Di fronte al mare ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 o Propositi scolastici ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 o A dieci centimetri scatta il bacio ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 o Stati di confusione ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 o Triangolo ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 o Mia figlia, la mia ragazza e la mia migliore amica ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 o Maggiore età ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 o Fidanzamento ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 o Perché tremi? ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 o Prologo ***


Capitolo 1 o Prologo

Il mio nome è Alessia, detta Alex, e in questa storia racconterò di me e della mia migliore amica Elena, detta Lyn. Partendo dalla considerazione che a nessuno importerà della storia di una diciottenne qualunque alle prese con le sue crisi adolescenziali, scrivo questo misto di ricordi confusi in parte per me stessa, in parte perché chi leggerà queste vicende girando sul mio computer quando non ci sarò più non faccia i miei stessi errori.
 
All’inizio di questo racconto dovevo compiere ancora diciotto anni – anche se adesso non ne ho molti di più – e avevo una vita piuttosto vivace, almeno per i miei standard: cori in cui cantare, una chitarra per suonare, la passione per il disegno, la scrittura, il computer e un gruppo d’amici veri dalle abitudini sobrie. Ma come ho già anticipato all’inizio, in questo scritto parlerò in particolare della storia di me e di Lyn, della nostra millenaria amicizia e degli avvenimenti che l’hanno sconvolta.
Io e lei siamo sempre state molto legate, dove con legate intendo anche fisicamente: infatti bastava un nonnulla e finivamo spesso e volentieri l’una tra le braccia dell’altra a scambiarci esagerate effusioni. Giorgia, altra mia carissima e folle amica, mi aveva sempre avvertito di non fare queste scenate in pubblico perché risultava davvero ambiguo a vedersi. Ma io non ci davo troppo peso, se avevo Lyn mi bastava così. Che il “pubblico” andasse pure a farsi fottere. Laura, d’altra parte, nella sua pacatezza leggendaria, una volta aveva persino affermato che sembrava mi fossi innamorata di lei. Le solite fesserie di chi non ha il coraggio dichiararsi al ragazzo che ama e per consolarsi va a inventarsi storielle sulle proprie amiche. Ma come si sa, il meglio in questi casi viene proprio dagli amici maschi: i cari Marco e Daniele, infatti, anziché farsi strane congetture, mi prendevano semplicemente in giro per il fatto che fossi così brava a strusciarmi addosso alle persone ma nonostante ciò non avessi trovato ancora un ragazzo. Beata semplicità maschile.

La verità è che a me non è mai importato nulla dei ragazzi. Non che non mi sia innamorata almeno una volta, anzi; ma il ragazzo in questione era a sua volta così innamorato di me che non è potuta andare avanti. È paradossale: si sa che senza amore una storia è destinata a finire, eppure lo stesso accade quando si ama troppo. In quest’ultimo caso ho imparato che dimenticandosi di se stessi si rischia di farsi pericolosamente male. Perciò quando i sentimenti diventano brucianti vuol dire che è arrivato il momento di farsi un bel tuffo nel mare gelido. Altrimenti muori.
Per Lyn è tutta un’altra storia: lei ama tutti e nessuno. Basta che un ragazzo abbia un minimo di fisico ben strutturato e un viso da cucciolo e lei impazzisce letteralmente; gli corre dietro per mesi senza mai fare reali passi avanti, se non qualche sterile conversazione su facebook. A quel punto si stufa e passa al prossimo. È perennemente in cerca del suo principe azzurro.
Fisicamente, comunque, è davvero perfetta: ha biondi capelli lunghi e curatissimi che incorniciano un viso dai lineamenti dolci con due occhi luminosi e verdi al pari di smeraldi; un sorriso che ti toglie il fiato e uno sguardo sempre perso nei suoi sogni ad occhi aperti. Veste sempre abiti leggeri, femminili, con colori vivi e freschi che si addicono terribilmente alla sua continua ricerca di bellezza ed esperienze nuove. Insomma, una vera principessa. Infatti è anche leggermente vanitosa, maliziosa e testarda. Quel tanto che basta a rendermela davvero adorabile.
Io, d’altra parte, sono tutto il contrario: capelli ricci e castani lunghi fino alle spalle, perennemente in disordine, che ricadono su un viso pallido come una pezza e occhi scuri spesso semichiusi non si sa bene per quale motivo; ho sentito dire che le iridi scure esprimano molte più emozioni di quelle chiare; talvolta penso che i miei occhi siano l’unica cosa che davvero risalta nel mio viso smagrito, senza grazia. Anche il mio modo di vestire è abbastanza sgraziato: non esco di casa senza i fedeli jeans e le scarpe da ginnastica, oltre che una tra la mia vasta scelta di felpe dai colori scuri in cui mi rinchiudo per tutto il giorno. A dispetto della prima impressione da emo maschiaccio, in realtà sfoggio spesso e volentieri un carattere allegro ed esuberante – nonché infantile – tanto da essermi meritata il titolo, che mi gioco con Giorgia, di “pagliaccio del gruppo”. Ma come tutte le brave protagoniste complessate di un libro ho anch’io la mia doppia personalità. Anche se può non sembrare – dovrebbe, visto che sto scrivendo un’autobiografia – sono sempre stata una persona molto riflessiva e malinconicamente solitaria, tratto che conservo dall’infanzia e di cui sono tutto sommato molto gelosa.
Sì, in conclusione sono tutto il contrario di quella principessa di Lyn.

Non vi ho ancora detto il fattore più entusiasmante: abito a trecento metri di distanza dalla mia migliore amica. A separarci sono solo poche costruzioni, che includono anche una piazzetta popolata esclusivamente da tredicenni sempre con un pallone da calcio sotto braccio. E da noi due. A tutt’oggi non so dire se questa spropositata e assolutamente non ricercata vicinanza sia stata decisiva per i fatti che mi hanno poi ribaltato la vita. Di certo un suo peso per me l’aveva.




Spazio dell'autrice
Salve a tutti! Credo che nessuno di quelli che mi conoscono almeno un po' si sarebbero aspettati da me una storia del genere. Eppure eccomi qua. Sappiate che se deciderete di seguirmi sarà triste, molto triste. Perché triste è la vicenda a cui mi ispiro. Spero che apprezzerete questo umile tentativo di "romanzo" drammatico. Una delle prime lunghe originali che pubblico.
Aspetto commenti,
Videl

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 o Calura estiva ***


Capitolo 2 o Calura estiva

Quell’estate, che adesso mi sembra così lontana, fu la più bella della mia vita. Raggiunse il suo culmine la notte di ferragosto, quando di fronte ad un’alba spettacolare sulla spiaggia abbiamo cominciato a cantare. Sì, a cantare tutti insieme. C’è chi si sbronza, chi si butta in mare; noi cantavamo.
Laura era visibilmente commossa. Noi sorridemmo. Quando succedeva qualcosa di bello era sempre la prima a finire in lacrime. Al contrario, dei suoi dolori non piangeva mai; si rinchiudeva in un silenzio criptico dal quale non accettava di essere risvegliata se non da Giorgia, l’unica in grado di sbloccarla. E da Marco, l’amico che amava.
«Bene, chi ha voglia di farsi un giro al bar per la colazione?» iniziò Daniele, i cui pensieri prima o poi finivano sempre sul cibo. E come dargli torto? Io fui la prima ad accettare l’invito.
«Io ci sto!»
«Sì, ho una fame che non ci vedo!» mi affiancò Giorgia, passandomi un braccio intorno alle spalle e sorridendo largamente. E uno dopo l’altro ci vennero tutti dietro.
Seduti sui tavolinetti tondi del bar, Marco pensò bene di rompere il silenzio creatosi per via della stanchezza con una domanda intelligente:
«Voi come siete messi con i compiti delle vacanze?»
Calò un silenzio di tomba. Giorgia sbadigliò rumorosamente.
Forse è il caso che vi faccia una piccola digressione sulle nostre età. Io dovevo cominciare il quinto anno del liceo e lo stesso Giorgia e Marco. Daniele avrebbe dovuto iniziare l’università e al momento era l’unico patentato del gruppo. Lyn e Laura invece erano un anno dietro di me. Come rendimento io e Giorgia eravamo in una fascia medio-alta, Marco era un disastro e Laura una secchiona. Lyn si impegnava sempre tanto, ma spesso non riusciva ad ottenere buoni risultati. La scuola era uno dei suoi punti deboli. Daniele invece era uscito con un voto davvero eccellente alla maturità.
«Io mi tiro fuori dalla conversazione» fece infatti quest’ultimo.
«Non sai quanto ti invidio, Dan» sospirò Marco giocherellando con la schiuma del cappuccino col cucchiaino. Lyn intervenne.
«Io con i compiti sono ancora in alto mare…»
«E non sei l’unica, Elena…» bisbigliò Laura, come per paura di farsi sentire.
«Cosa? Tu?!» la incalzai io. Lei arrossì e abbassò lo sguardo sul suo tè al limone.
«Non sono riuscita a finire tutto per via della stagione in gelateria… ma conto di concludere entro questa settimana» Giorgia ridacchiò.
«Ecco, mi pareva! Alex, carissima, ignoriamo questi poveracci che si fanno un mazzo con lo studio estivo e andiamo a farci una passeggiata, da brave scansafatiche!» fece alzandosi in piedi. Io la imitai e dandomi un’aria oltremodo saccente incrociai le braccia al petto.
«Andiamo, Gio, facciamoci largo!»
La presi sottobraccio e marciammo fiere di fronte agli altri che ci guardavano divertiti, finché non mi sentii afferrata per la maglia e trattenuta.
«Dove credi di andare, Alex?»
Mi voltai: Lyn aveva parlato. E quando dico che “Lyn aveva parlato” intendo che la sua parola per me è l’inizio dei guai.
«Elena, vieni anche tu con noi?» strillò Giorgia tutta plateale.
«No, non direi. E anzi, Alex resterà con me a studiare. Per tutto il resto del mese. Se vuoi sei invitata anche tu!»
«No, no, io ci rinuncio!» si affrettò a rispondere buttandosi a sedere tra Marco e Daniele, che nel frattempo se la ridevano tranquillamente. Lyn smise di lanciarle occhiatacce e si rivolse a me.
«Alex…?» mi incitò tenendosi stretta al bordo della mia maglia. Io sospirai – mi accorsi che gli altri ci stavano fissando in silenzio, quasi stessero guardando il dialogo comico di un telefilm – e poi mi arresi.
«Sì, ci metteremo a studiare, promesso. Ma non oggi! Oggi è festa, cavolo!»
«Ovvio che no, scema»
Mi tirò con uno strattone sulla sedia e ricominciammo a ridere e scherzare insieme.
Quel giorno fu interamente entusiasmante: in seguito, usufruendo della mobilità di Daniele, organizzammo un pic-nic su un prato e giocammo insieme a pallavolo tutto il pomeriggio. E Lyn era raggiante. Mi accorsi che la trovavo incredibilmente bella quando si divertiva. Ora che ci penso, è stata una cosa che di lei mi colpiva anche a quattordici anni, quando ci siamo conosciute. In quel primo giorno insieme le diedi il soprannome di Lyn, che uso solo io tra le persone che lei conosce. E ci arrivai seguendo un mio personale e creativo – più o meno – percorso mentale: da Elena a Lena, poi inglesizzato in Len e infine reso più carino e femminile in Lyn. Quando glielo spiegai ricordo che si mise a ridere come una pazza. Io la guardavo interrogativa, temendo che mi prendesse per matta. Ma poi mi disse che amava il mio modo di trovare soprannomi e accettò di farsi chiamare così. Mi rese molto felice: nessuno aveva mai amato qualcosa di me; a quel tempo io ero una ragazzina sola.

In una calda mattina di fine agosto mi ritrovai alle nove con lo zaino in spalla – pieno dei volumi ingombranti di filosofia e letteratura italiana – fuori da casa mia. Due minuti a piedi e suonai il campanello di casa di Lyn. Dopo qualche secondo la porta si aprì e la biondina appoggiata sullo stipite mi squadrò.
«Io a te qui non ti ci voglio» asserì.
«Ehi!» mi lamentai io.
«Scherzo, entra e fa come ti pare»
«Come sempre, del resto» ridacchiai.
Effettivamente casa sua – linda e curata come lei – è sempre stata un po’ come la mia seconda abitazione. Ci passavo così tanto tempo che spesso dimenticavo che mamma mi avrebbe uccisa se non fossi tornata nella mia vera dimora per cena entro tre secondi. Ma lì ci stavo veramente troppo bene.
Ci stabilimmo sul tavolo della cucina, l’una di fronte all’altra.
«Che ti sei portata?»
«Le solite cose: letteratura e filosofia»
«Ma tu matematica non la fai proprio mai?»
«Non è colpa mia se non faccio il liceo scientifico come te, Lyn!» replicai dandole un calcio molto leggero sulla gamba da sotto il tavolo. No, non ero proprio in grado di farle del male. Lei lo sapeva. E ci marciava.
«Mentre viceversa» continuai io, forte della mia sapienza in materia, «tu l’aiuto per italiano lo chiedi sempre a me»
«Sai com’è, non avendo nessuno di meglio!» mi punzecchiò.
La odiavo quando faceva così. Sapevo in cuor mio che alla fine avrebbe avuto ragione lei e questo mi scocciava tremendamente. E mi divertiva allo stesso tempo.
«Se per meglio intendi un fusto ventenne universitario che dà ripetizioni di italiano alle belle ragazze liceali, giuro che alzo il fondoschiena ed esco da questa casa!»
Lei si mise a ridere. Poi si rivolse al libro e fece per ricominciare a studiare, gettandomi un’ultima occhiata soddisfatta – non so neanche per cosa – e sorridendomi. Le sorrisi a mia volta e tornai su Pascal.
Riuscimmo a studiare seriamente per giusto un’oretta, in seguito alla quale Lyn cominciò a dare segni di cedimento.
«Alex, vieni a vedere lo smalto che ho comprato ieri!» gongolò infatti.
«Ma ti pare il momento?»
Io cercavo in tutti i modi di dare l’idea della ragazza più grande e più diligente che desiderava studiare, ma la verità di fondo era che io volevo essere disturbata.
«Dai vieni!» fece infine lei drizzandosi in piedi e strattonandomi per un braccio.
Sospirai rassegnata mentre mi conduceva in camera sua. Io mi sedetti sul letto e lei, dopo aver afferrato ciò che voleva mostrarmi, si gettò sulla sedia della scrivania, trascinandola di fronte a me.
Per un quarto d’ora buono mi snocciolò – non senza dovizia di dettagli inutili – tutta la storia del primo incontro con quegli smalti, come se ne fosse innamorata e come fosse riuscita a comprarli. Io annuivo di tanto in tanto, percependo che quello non era proprio il mio mondo per quanto mi sforzassi di apprezzarlo. A un certo punto, vedendomi con la testa altrove, si interruppe.
«Questa conversazione non ti sposta di un millimetro, eh?»
«Non fraintendermi, Lyn, non è che io sia distratta perché non mi importa quel che dici, ma semplicemente perché non capisco niente di smalti»
«Cioè in pratica non mi stai ascoltando» concluse lei capendo solo quello che le interessava capire, «quindi mi ritengo offesa»
Incrociò le braccia al petto e si voltò leggermente a destra, negandomi lo sguardo. La fissai a bocca semiaperta: perché si divertiva sempre così tanto a stuzzicarmi? Saltai giù dal letto e avvicinandomi le scompigliai i capelli, cosa che suscitò il suo disappunto.
«E smettila, finta offesa!» scherzai.
Lei si rizzò in piedi, posò le mani sulle mie spalle e mi spinse in basso delicatamente fino a farmi sedere di nuovo sul letto; mi incatenò con lo sguardo alcuni secondi e poi mi buttò direttamente giù sulla schiena, mettendosi a cavalcioni su di me. Sì, sapevo perfettamente cosa volesse dire questo atteggiamento: adesso voglio te.
Non ricordo bene quand’è stata la prima volta che ci siamo scambiate tante effusioni tutte insieme. Credo sia stato graduale… e credo anche sia stata colpa mia. Lei è in perenne mancanza d’affetto per via del suo desiderio di avere un ragazzo. Io sono sempre stata molto affettuosa con le mie amiche più strette. Quindi, semplicemente, io giorno dopo giorno le dimostravo con abbracci o carezze che le volevo bene, lei ebbe sempre più bisogno della mia affettuosità che veniva a colmare quel suo desiderio d’amore e alla fine siamo arrivate a quello che questa storia racconta. Me la spiego così. Dopo anni, questo meccanismo psicologico in entrambe era diventato così inarrestabile che dai semplici abbracci di quando avevamo quindici anni eravamo passate a quello che stavamo facendo quel giorno d’estate sul quel letto a quasi diciotto.
Lyn, avvicinando il viso al mio, mi baciò la fronte. Io sorrisi e con uno scatto repentino ribaltai la situazione: ora che ero sopra e libera nei movimenti le sfiorai il collo col naso e poi le lasciai lì un leggero bacio. Rabbrividì. Se c’era una cosa a cui non poteva resistere erano i baci sul collo. Continuai a posarle le labbra ovunque sul suo collo scoperto, caldo per via dei trenta gradi di quella mattina. O per via di quello che le stavo facendo. Continuando a stringerla mi ritrovai lentamente stesa al suo fianco, mentre sentivo la sua mano iniziare ad accarezzarmi la schiena sotto la maglia. Continuai a baciarla arrivando fin sotto il mento, i nostri corpi a stretto contatto tra loro; poi lei mi bloccò posandomi una mano sulla sulle labbra:
«Alex»
«Sì?»
«Ti voglio bene»
Le sorrisi dolcemente, sfiorandole il naso con il mio.
«Anche io… tanto».





Angolo della scrittrice.
Ebbene, eccomi col secondo capitolo (li ho già scritti tutti fino al 4, che sto completando...). Finalmente comincia un po' di racconto vero. Ringrazio infinitamente chi segue e recensisce questa storia, che credevo (sinceramente) non avrebbe mai avuto qualcuno disposto a seguirla! Spero che l'ironica pacatezza di Alex nel raccontare la sua vicenda si stata di vostro gradimento.
Al prossimo,
Videl

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 o Di fronte al mare ***


Capitolo 3 o Di fronte al mare

Giorgia, sdraiata sul lettino e sfoggiando i suoi nuovi occhiali da sole, mi guardò di striscio mentre io, spalle all’ombrellone e sguardo perso nel mare, bevevo avidamente un tè al limone.
«Ehi, Alex, tutto a posto?»
Ovviamente dovevo avere una faccia poco tranquilla per suscitare una domanda simile. Ma sulle prime, a me, sembrò un dubbio del tutto infondato.
«Certo!», mi voltai verso di lei, «Perché me lo chiedi?»
Lei alzò le spalle.
«È da venti minuti che sei lì con quella faccia a fissare Elena»
«Cosa? Lyn? No, che stai dicendo… non stavo fissando Lyn! Fisso il mare, piuttosto»
L’affermazione, non so perché, mi punse sul vivo. Ma per la verità stavo davvero fissando il mare. Che proprio sulla mia linea visiva ci fosse Lyn in acqua a fare il bagno con Laura era del tutto casuale.
«Ah ok», rispose atona lei, «per un attimo ho creduto che aveste litigato di brutto e che tu fossi in soprappensiero per questo»
Stavolta mi girai con tutto il busto verso Giorgia.
«No, ma figurati! Con lei è tutto a posto»
Questa è un’altra nostra particolarità: io e Lyn abbiamo due caratteri tendenzialmente opposti e la pensiamo in maniera diversa su parecchie questioni. Inoltre siamo da sempre due testarde; il che coincide con lo scoppio frequente di litigi. Se dovessi fare un excursus della mia vita fino ad ora, potrei benissimo affermare che la mia migliore amica è la persona con cui ho più litigato in assoluto. E anche con maggiore aggressività. Tra me e lei non ci sono sconti, mai.
«Siete davvero accanite voi due. Non so ancora quale forza vi tenga così unite nonostante tutti i problemi che vi create»
Ritornai a guardare il mare in silenzio, sorridendo tra me e me. Poi lei aggiunse:
«Non è che è amore?»
«Eh?»
«Ti sei innamorata di Elena?»
Io feci una smorfia di disgusto, scioccata.
«Stai scherzando? Mi bastava Laura, non ti ci mettere anche tu adesso!»
«Ma io ne sono sempre stata convinta. Solo che non te l’ho mai detto» rise stiracchiandosi sulla sdraio.
Lasciai andare un sospiro di incredulità mista a rassegnazione.
«Che amica sincera che sei, Gio» ironizzai.
«Faccio del mio meglio, mia cara»
Non fece in tempo a concludere la frase che Lyn e Laura, zuppe come biscotti, corsero sotto l’ombrellone gridando cose incomprensibili, forse rese ebbre dalla sensazione di freddo sulla pelle in piena estate.
«Ehi, via di qui, non schizzate!» si lamentò Giorgia da dietro gli occhiali da sole.
Laura si ritrasse immediatamente con l’asciugamano, pudica e rispettosa com’era. Lyn era di tutt’altro avviso.
«Nessuno vuole un po’ di fresco?»
Alzai la mano, naturalmente.
Lyn sfoderò il suo sorriso migliore e mi abbracciò avendo cura di spandere bene le gocce d’acqua per tutta la mia schiena, partendo dalle spalle. Mi si dipinse involontariamente in viso una smorfia di sorpresa a contatto con la sua pelle bagnata e gelida. Ma mi abituai in fretta.
Poi si staccò, mi posò un bacio sulla guancia e corse insieme a Laura sotto le docce dello stabilimento balneare; a metà tragitto la vidi però fermarsi, voltarsi di nuovo verso di me e, usando le mani come altoparlanti, gridare:
«Quando finisco qui prendiamo subito le bici e torniamo a casa!»
Io le feci cenno di assenso con una mano e la osservai scomparire dietro gli spogliatoi.
Già, bici. Il bello di abitare a tre minuti dalla spiaggia.
In quel momento arrivò Marco accompagnato per mano da un bambino di massimo nove anni.
«Ehi ragazze!»
«Salve!»
«Ohi, Marco, tu non stavi con la tua famiglia stamattina?» giunse subito al punto Giorgia.
«Sì, infatti vi presento Luca, il mio fratellino» disse dando una spintarella al piccolo tutto imbarazzato.
Giorgia finalmente saltò giù da quella maledetta sdraio e si mise ad accarezzare e a fare domande stupide a Luca, più spaventato che mai. Io risi, gustandomi ancora sorso per sorso il mio tè. Poi improvvisamente Marco chiese:
«A proposito, dove sono le altre? C’è Laura?»
Giorgia rispose senza neanche staccare gli occhi da suo fratello.
«Sì, e appena saprà che l’hai cercata sverrà, tanto è cotta di te»
Io sputai tutto insieme il tè di cui mi ero appena riempita la bocca.
«Giorgia!» dissi lanciandole occhiate che avevano come scopo farle capire la cavolata che aveva appena fatto.
«Non prendetemi in giro» ci interruppe Marco.
Io lo guardai confusa. E stavolta lo stesso fece la mia amica con gli occhiali da sole. Continuò:
«Non raccontatemi balle. Io non le interesso…»
Lo disse con un filo di tristezza, quasi gli dispiacesse. Giorgia lo fulminò con lo sguardo.
«Perché non ci provi tu con lei, allora, visto che sei ugualmente cotto?»
Aveva fatto di nuovo centro, la ragazza. Marco balbettò qualcosa di veramente sconnesso e poi, traviando un po’ il discorso, riuscì ad allontanarsi definitivamente da noi.
«Maschi…» fu l’ultimo commento di Giorgia prima di rimettersi stesa al sole mentre io mi appoggiavo di nuovo all’ombrellone, finendo finalmente il tè.

Quella sera Lyn decise di uscire. Era prevista un’entusiasmante uscita di gruppo ma, uno dopo l’altro, tutti gli altri ci avevano dato buca. Compresa l’improbabile Giorgia.
Così ci ritrovammo io e lei, piantate sul lungomare del nostro paesetto, alle dieci di sera. Io indossavo una camicetta semplice con dei pantaloni neri, lei un vestitino verde che le stava d’incanto.
«Che schifo essere solo in due» commentò Lyn a un certo punto.
«Ma se una delle due sono io cambia tutto!» feci baldanzosa.
Al che mi arrivò uno schiaffetto di disapprovazione dietro la nuca.
«Abbassa la cresta!»
Io, per tutta risposta, piagnucolai. Lei sorrise rassegnata all’idea di dover combattere per sempre con un’eterna bambina, anche se avevo un anno in più di lei – o sei mesi, come le piaceva ricordarmi.
Dopo qualche vasca su e giù per le bancarelle del mercatino serale, decidemmo di sederci sul muretto che separava la strada dalla spiaggia, rivolte verso il mare. Di notte la spiaggia incuteva davvero timore. Tutto quel nero dava l’impressione vertiginosa del risucchio; ciononostante io amavo passeggiare sulla battigia notturna. Peccato che Lyn non fosse dello stesso parere.
«Fa paura» mormorò infatti.
Io mi voltai verso di lei e sorrisi.
«Figurati, è così suggestivo»
«Non molto… riesci ad immaginarti gli strani tipi che gironzolano laggiù?»
«Io gli strani tipi me li mangio a colazione. Non sono certo loro a spaventarmi!»
La mia migliore amica sbuffò.
«La solita che si atteggia da coraggiosa»
Sorrisi benignamente, conscia del fatto che lei non avrebbe mai preso sul serio le mie parole. D’altronde non l’aveva mai fatto. Eppure io volevo sfidarle davvero quelle tenebre. Volevo sfidare apertamente i fantomatici ubriaconi strafatti che se ne vanno a zonzo a importunare gente a caso. Perché avrei dovuto aver paura di loro? Forse perché sono una ragazza? Beh, questa era la giustificazione che più odiavo al mondo. La gente mi giudica imprudente quando parlo di queste cose, ma il mio orgoglio mi impedisce di rimangiarmi quello che dico. Il mio orgoglio mi impedisce di piegarmi di fronte a uno che vuol far del male a me o alle persone che amo. Mi impedisce di riconoscere di essere inferiore e succube a qualcuno. Soprattutto a uno stupido maschio. Essendo l’orgoglio a guidarmi, sbaglio, lo so. Ma questo tratto di me non so se riuscirò mai a cambiarlo. Ora come ora, sarebbe anche inutile.
«Comunque» ricominciò Lyn, «devo dirti che l’altro giorno in spiaggia ho incontrato uno che era davvero figo»
«E questo adesso chi è?»
«So solo che si chiama Riccardo e fa il bagnino lì. L’ho visto anche a scuola, quindi fa il mio stesso liceo»
«Ottimo, adesso che l’hai adocchiato la sua privacy è minacciata»
Con questo mi beccai un altro ceffone sulla nuca. Era piuttosto palese che lo facessi apposta per farmi malmenare: in fondo era divertente.
«Devi vederlo, Alex, è davvero bello!»
«Non ne dubito, ma voglio proprio vedere se sarà l’uomo della tua vita»
«Ma io non cerco l’uomo della mia vita»
A tali parole la guardai inarcando un sopracciglio.
«Come? Non sei tu quella in continua ricerca del principe azzurro?»
Lei alzò le spalle.
«Sì, ma non deve essere per forza per sempre»
«Che vuoi dire?»
«Che io voglio qualcuno da amare adesso, anche se non sarà quello giusto per la mia vita. Mi basta che sia giusto per me in questo momento»
«Ma quando ti innamori desideri che sia per sempre!»
«Sì, ma per come la vedo io, alla nostra età se la storia finisce non fa niente»
«Non capisco»
«Ecco, voglio solo delle esperienze, non mi servono impegni seri»
Continuavo a non capire. Risposi mugolando dallo sforzo di cercare di entrare in quell’ottica.
Per me non funzionava così. Se dovevo amare qualcuno, volevo che fosse quello giusto e subito. Avevo bisogno di quello specifico legame affettivo per sempre. Non avrei sopportato di amare allo stesso modo persone diverse anche se in momenti diversi. Da un certo punto di vista, necessitavo di fedeltà.
Lei rise vedendomi accigliata.
«Lascia perdere, Alex!»
Io le feci una faccia da cucciolo smarrito e lei mi diede una carezza per consolarmi. Quei suoi gesti erano un toccasana per il mio cuore; riuscivano sempre a curare qualsiasi ferita. Qualsiasi.
Appoggiò la testa alla mia spalla e io le presi la mano, accarezzandola. E rimanemmo così a chiacchierare per il resto della serata.





Angolo di Glo.
Orbene! Ecco un altro capitoletto. Spero che sia di vostro gradimento... recensite in tanti e Alex sarà felice, credo.
Videl.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 o Propositi scolastici ***


Capitolo 4 o Propositi scolastici

Primo giorno di scuola. L’ultimo della mia vita, a meno che non fossi stata bocciata alla maturità. Quando arrivai alla fermata dell’autobus Lyn era già lì ad aspettarmi.
«Pronta a ricominciare?» le chiesi, sicura di sapere la risposta.
«Assolutamente no»
Centro!
«E tu pronta ad iniziare il quinto anno?» chiese a sua volta.
«Più o meno!»
Arrivò l’autobus e ci sedemmo ai soliti posti. Lei cominciò a raccontarmi di tutto quello che aveva scoperto su Riccardo. Sarei voluta scendere dall’autobus in quel momento, piuttosto. Era veramente troppo prolissa quando parlava di ragazzi! Un argomento che, al pari degli smalti, neanche mi entusiasmava così tanto. Ma essendo io la sua migliore amica era giusto che ne parlasse con me.
Di tanto in tanto annuivo, giusto per farle capire che la stavo seguendo, e sorridevo alla vista dei suoi occhi luminosi al pensiero di quel ragazzo sconosciuto. Pensai che si era presa proprio una bella cotta. Mi appariva davvero ingenua in quei momenti.
«Secondo te come faccio a parlarci?» mi domandò improvvisamente.
Io rimasi un attimo senza parole, non aspettandomi la domanda.
«Non ne ho la più pallida idea. Non è che puoi andare lì, davanti alla classe di uno del quinto e semplicemente presentarti»
«Eh, appunto» si lamentò.
«Non lo so… ma non lo spiare troppo quando sei a scuola! Ricorda che stai lì per studiare!» la ammonii io, atteggiandomi da mamma.
Lei sbuffò e fece segno d’assenso con poca convinzione. Io le diedi una spintarella scherzosa con la spalla e lei mi sorrise.
Fu in quel momento che mi accorsi che la mia fermata era ormai giunta. La salutai con un rapido bacio sulla guancia e mi fiondai verso le porte dell’autobus evitando per poco di rimanerci incastrata. Iniziavo bene.

Il telefono di casa squillò e mi bastò un’occhiata per riconoscerne il numero: Giorgia. Sinceramente, dopo un difficile inizio di scuola – tutti i professori si erano già lanciati nelle spiegazioni, ansiati dagli assurdi programmi scolastici – mi serviva proprio una chiacchierata con la mia socia in follie preferita.
«Pronto!»
«Ohi Alex, com’è andata stamattina?»
«Arrivi sempre dritta al punto tu, eh? Non c’è male, ma sento già di star per impazzire»
Lei rise di gusto. Cosa ci trovasse di divertente non me lo sapevo spiegare.
«Mai peggio di me, mia cara! Pensa, primo giorno di scuola e mi sono già ammalata»
«Come scusa?» esclamai un po’ troppo forte io.
«Alla quarta ora mi hanno riportato a casa quasi in ambulanza per un potente attacco di virus intestinale!»
Lo diceva ridendo. Non posso tutt’ora crederci.
«Ma che schifo! Pensi che si attaccherà via telefono? Presto, allontanati dal ricevitore!»
«Probabilmente sì, quindi preparati»
Io sospirai con disappunto. Riusciva a scherzare anche da malata.
«Comunque il reale motivo per cui ti chiamavo è che, appena starò meglio, voglio studiare con te tutti i pomeriggi! Così ci prepariamo per bene per la maturità»
«Ci sto! Io non vedo l’ora di fare l’esame; credo che ci divertiremo un sacco»
«Senza alcun dubbio!» rispose allegra lei.
Quindi ci salutammo, dandoci appuntamento per i prossimi giorni.
Su questo andavamo proprio d’accordo. Ci aspettavamo entrambe grandi cose dalla maturità; sarebbe stato bello viverla come possibilità di dimostrare ai professori quello che eravamo davvero. Ecco, per noi la maturità non era obbligo, fatica o lotta contro gli insegnanti. Almeno a me, di tutto questo, non fregava niente. Io volevo solo dimostrare ai miei professori di essere cresciuta davvero in questi cinque anni. Volevo dimostrargli di essere diventata grande, anche grazie a loro. L’esame della maturità sarebbe stata la ciliegina sulla torta di un anno pieno di grandi scoperte e gioie. Non volevo perdermi niente di quello che la scuola avrebbe avuto da propormi.
Il telefono squillò di nuovo; e stavolta era un numero che conoscevo molto meglio di quello di Giorgia.
«Pronto, Lyn!»
«Alex! Lo sai che se i volti di un ragazzo e una ragazza stanno a meno di dieci centimetri di distanza scatta il bacio?»
«È una probabilità che ti sei appena inventata, giusto?»
«Zitta e vediamoci alla piazzetta alle quattro e un quarto, ok?»
«Ok»
Neanche il tempo di salutare che mi aveva chiuso il telefono in faccia. Quella ragazza era davvero un uragano. Meccanicamente presi la mia giacca di jeans – anche se sapevo che non sarebbe servita col caldo che faceva ancora a metà settembre – e mi infilai le scarpe, attendendo sul divano l’orario predefinito. Quando arrivai all’amata piazzetta tra le nostre case lei ancora non era arrivata, ovviamente.
No, non ci riusciva proprio ad essere puntuale. Neanche quando l’orario se lo sceglieva da sola. In compenso, seguiva una formula ordinata di ritardo: l’ultimo orario annunciato più un quarto d’ora. Il che vuol dire che sarebbe arrivata per le quattro e mezza. Infatti, dopo aver ciondolato su un’altalena scassata per quindici minuti, la vidi arrivare da lontano. Puntuale nel suo ritardo, come sempre.
«Cos’era quell’assurdità che mi hai detto al telefono?» la incalzai io.
Lei sorrise.
«Non è un’assurdità, l’ho letto da una parte»
«Facebook?»
«Sì»
«Allora è un’assurdità»
Lyn rise divertita mentre io la guardavo come si guarda una bambina credulona. E sì che tra le due ho sempre pensato di essere io quella ingenua.
«Secondo me è possibile… e mi piacerebbe proprio sperimentare se a dieci centimetri scatta il bacio come dicono» fece lei sognante mentre saliva sulla torretta dello scivolo di legno passando per le scalette. Io, ben più spericolata, saltai sul tubo d’acciaio a spirale che arrivava fino in cima e con un’agile arrampicata la raggiunsi, sedendomi accanto a lei.
«A dieci centimetri scatta il bacio…» ripetei io tra me e me, fingendo di rifletterci su.
«Comunque se lo vuoi sapere oggi a scuola è andata da schifo. I miei compagni sono i soliti stupidi, non cambiano proprio mai»
Io mi voltai preoccupata verso di lei.
«Hanno già ricominciato a romperti le scatole?»
«Ovvio»
Le passai un braccio intorno alle spalle e l’avvicinai a me, sfoggiando il mio sorriso più superbo.
«Se osano continuare a disturbarti chiamami, che li spezzo uno a uno!» gridai alzando un pugno in aria e sbattendolo puntualmente su una trave di legno sopra la mia testa. Mi ritrassi immediatamente dal dolore. Che pessima figura! Lei nel frattempo era scoppiata in una fragorosa risata a metà tra lo scherno e la tenerezza che probabilmente le facevo; ma appena mi vide col viso triste e le nocche rosse e pulsanti mi si avvicinò, mi fece una carezza, poi prese la mia mano e posò un bacio sul punto dolorante.
«Va meglio?» disse dolcemente.
Annuii con una faccia che sembrava di un gatto a cui avevano pestato la coda.
«Se già adesso fai così mi sa che non resisterai molto contro i grossi maschi della mia classe!» constatò lei.
Ma io ero testarda.
«E invece ti proteggerò io, vedrai! Non c’è maschio che possa spaventarmi»
«Se lo dici tu»
Io le feci segno di vittoria, cercando inutilmente di riscattarmi dalla figuraccia precedentemente fatta. Dopo un po’ di silenzio lei ricominciò:
«Ti devo dire alcune cose su Riccardo!»
«Aspetta, ferma un attimo!» la bloccai io.
«Che c’è?»
«Questi giorni vuoi studiare insieme a me e Giorgia? Così stiamo al passo con le spiegazioni sin da subito!»
Vidi che il viso le si illuminava e capii di averle proposto qualcosa di suo gradimento.
«Chiamatemi e io verrò!»
«Bene, adesso vai pure avanti»
Lyn si mise seduta comodamente appoggiando la schiena alla parete legnosa. Prese un bel respiro e cominciò a raccontare. Sarebbe stato un lungo pomeriggio.





Note di AngelVidel14.
Buon giorno a tutti!
Sinceramente, sono molto soddisfatta di questo capitolo. Boh, mi sembra essenziale, divertente e illuminante insieme.
Alex: i complimenti vanno a me perché le memorie sono le mie, mia cara.
Videl: errore! Tu sei solo un personaggio nelle mie mani ù_ù
Alex: sono gli scrittori ad essere pedine in mano dei loro personaggi >_> IO detto quello che è successo! E tu scrivi.
Videl: D:
Pertanto, Alex vi porge i suoi più sinceri saluti e spera che apprezziate quest'altro capitoletto della sua vita.
Vi saluta anche me medesima!
P.s. a dieci centimetri scatta il bacio. E' stato verificato dai ricercatori Oral-B.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 o A dieci centimetri scatta il bacio ***


Capitolo 5 o A dieci centimetri scatta il bacio


Quel sabato sera Marco era andato al cinema con Laura. Non potevo crederci, stava facendo sul serio! Non pensavo che qualcuno avrebbe mai avuto il coraggio di dare retta a un consiglio di Giorgia. Certo, in realtà il tutto si era svolto sotto la maschera del “ci hanno dato tutti buca e quindi siamo rimasti solo io e te”, ma ero consapevole del fatto che a quei due piccioncini sarebbe andato bene anche così. Chissà se avevano sperimentato che a dieci centimetri scatta il bacio.
Una cosa era certa: io, quel giorno, lo sperimentai eccome. E mi ricordo ogni particolare come se fosse ieri.
Era di domenica, il venticinque di settembre, festa del santo arcangelo a cui era intitolato il nostro quartiere, San Michele. Per l’occasione, i parrocchiani nel pomeriggio avrebbero organizzato una festicciola alla piazzetta. Mia madre era fuori tutto il giorno ad assistere a un evento al palazzetto dello sport in cui, tra l’altro, sarebbe intervenuto anche il cantante Nek; lei mi aveva invitata, anche perché avrebbe sicuramente cantato E da qui, la mia preferita. Ma io rifiutai visto che quel pomeriggio avevo in progetto una giornata di studio con Giorgia e Lyn.
Ero rimasta fino all’ora di pranzo a farmi raccontare per telefono da Giorgia cosa avevano combinato Laura e Marco la sera prima; il resoconto, a dire il vero, era piuttosto deludente:
«Laura è stata tutto il tempo incastrata come un diamante nella poltrona del cinema; e non si è fatta neanche mai sfiorare da Marco. L’ho sentito stamattina e mi ha detto che ci ha provato in tutti i modi ad accostarsi a lei o a intavolare una conversazione quantomeno stimolante, ma niente. Laura ieri sera era più fredda di un ghiacciolo» aveva concluso Giorgia, visibilmente irritata dalla mancanza di spirito di intraprendenza della nostra timida amica.
Dopo qualche ultimo scambio di battute – in cui Giorgia si era riproposta di sentire al più presto la versione del racconto di Laura – ci eravamo lasciate.
Le quattro erano l’orario previsto perché sia Giorgia che Lyn arrivassero a casa mia. In puntuale ritardo, Lyn arrivò alle quattro e un quarto. Ma Giorgia si era ancora fatta viva.
Aprii il portone di casa mia, pronta ad accogliere la mia migliore amica.
«Salve, piccoletta!» la salutai, usando un altro nomignolo con cui adoravo apostrofarla.
«Ciao!» fece lei abbracciandomi, «Oggi devo fare inglese, quindi sbrighiamoci così poi andiamo alla festa di San Michele a mangiare qualcosa!»
Io annuii e l’accompagnai in camera mia. Arrivate lì ci sedemmo sul letto e cominciammo a chiacchierare per far passare il tempo nell’attesa di Giorgia.
Le raccontai di cosa stava facendo mia madre, di Nek e di quanto mi sarebbe piaciuto andarlo a sentire live, soprattutto per quella sua canzone che adoravo. Lei comincio a canticchiare il ritornello di E da qui, sbagliando qualche parola qua e là. Quando vide che la stavo guardando di storto per gli errori, si buttò all’indietro sul mio letto e mi tirò con sé.
«Dai, vieni qui» sussurrò, prima di abbracciarmi forte.
La prima cosa che pensai era che quello non era male come passatempo nell’attesa di Giorgia. L’una affianco all’altra, ci stringemmo accarezzandoci a vicenda. E dopo qualche minuto ci eravamo già dimenticate della nostra amica ritardataria. Ci eravamo dimenticate anche del resto del mondo, suppongo. O almeno io sì.
Passammo su quel letto credo più o meno un’oretta intera. Quando le posai un bacio sulla punta del naso, lei mi disse:
«Alex… se facciamo così tra noi, ti immagini cosa possiamo combinare con i nostri fidanzati?»
Io ridacchiai, fingendo che mi interessasse una simile opzione.
«Non ne ho la più pallida idea e non lo voglio sapere».
Se c’è una cosa che proprio non sopportavo, era che molto spesso in questi momenti lei si immaginava che al posto mio ci fosse un ragazzo. E me lo diceva pure! No, dico, almeno che se lo tenesse per sé. Il punto era che io, invece, avevo tutt’altri pensieri: se abbracciavo lei, pensavo solo a lei. Niente e nessuno poteva distrarmi da quel corpo, dal suo profumo così familiare, così ipnotico. Lo conoscevo a memoria il profumo di Lyn. Era profumo di casa, un odore che mi faceva sciogliere il cuore. Se chiudo gli occhi e mi concentro riesco a sentirlo anche adesso, a più di un anno di distanza.
Lyn mi sorrise teneramente. Poi, con un gesto che parlava da solo, piegò la testa da un lato e chiuse gli occhi, aspettando che io mi buttassi sulla pelle del suo collo. Scossi la testa sorridendo. Pensai che probabilmente la stavo proprio viziando. E acconsentii al suo desiderio.
Credo che fossero le cinque e mezza, ormai, quando ci ritrovammo stese l’una affianco all’altra, di nuovo. Stanche e accaldate come se avessimo fatto chissà cosa. Eravamo abbracciate in una maniera a dir poco assurda: incollate dal petto al ventre l’una all’altra, le nostre gambe incrociate tra loro per potersi sistemare meglio. Tenevamo chiusi gli occhi e i nostri visi sentivano l’uno il respiro dell’altro. Ogni tanto ci scambiavamo qualche bacio sull’unico lembo di pelle fruibile da entrambe: la punta del naso o il mento. Rimanemmo così per molto tempo, entro il quale ogni tanto io riaprivo gli occhi per spiare il suo viso rilassato, bellissimo, che accennava un leggero sorriso, a pochi centimetri dal mio. E se capitava che mentre la osservavo aprisse gli occhi anche lei, distoglievo lo sguardo cercando di non mostrare il mio palese imbarazzo; imbarazzo poi di non so che cosa, visto che quella era ordinaria amministrazione tra noi.
Nel silenzio più assoluto ci avvicinammo ancora un po’. A un tratto, dopo esserci godute quel momento di pace, lei aprì gli occhi e mi sorrise; io ricambiai. Poi sentenziò:
«Questi sono molto meno di dieci centimetri»
Io risi nervosamente.
«Saranno sì e no dieci millimetri» constatai, con la voce che tremava.
Lyn mi incatenò un attimo nei suoi occhi verde smeraldo, poi abbassò le palpebre. Si avvicinò un altro po’ trascinando la testa sul morbido cuscino e io la seguii. Sentivo il suo respiro lieve sulle mie labbra e il mio cuore accelerò improvvisamente.
«Due millimetri» sussurrai io, più per aiutarmi ad auto-realizzare cosa stava per succedere piuttosto che per farlo sapere a lei.
Con gli occhi chiusi, sentii alla fine che le sue labbra sfioravano le mie, lasciandoci un bacio leggero.
Fu quello il momento in cui per la prima volta mi sentii con lo stomaco totalmente sottosopra.
Quel millesimo di secondo, così nitido nei miei ricordi, fu l’inizio della fine.
In quell’unico tocco è racchiuso il significato terribile e meraviglioso di questa storia.
«Zero» mormorò lei, lapidaria, contando quei millimetri che non c’erano più tra noi.
Dopo quel primo momento, continuò a lasciarmi piccoli baci sulle labbra e così decisi di rispondere anche io. Continuammo in questo modo per più di un’altra mezzora credo, con sempre più convinzione, con sempre meno timidezza. Ma non andammo mai oltre il bacio a stampo.
«Mi sa che Giorgia ci ha dato buca, eh?» chiese lei.
«Credo proprio di sì…» risposi prendendo a baciarle anche le guance e ogni altro millimetro del suo volto, per poi tornare sulla sua bocca.
A un certo punto, non ricordo neanche come, smettemmo. Io mi misi a sedere sul letto, coi capelli e i vestiti più sfatti che se avessi lottato contro un branco di lupi famelici. Lei si alzò direttamente in piedi, sistemandosi la maglia.
«Vado in bagno» disse semplicemente.
Io, dopo qualche secondo di riflessione personale, mi alzai e andai alla finestra, piuttosto confusa. Quando lei ritornò – di nuovo totalmente in ordine come il suo solito – mi fissò a fondo e poi mi sorrise, forse un po’ imbarazzata. E meno male! Avevo cominciato a pensare che lei non provasse alcun disagio a baciare una ragazza. Perché, mi ritrovai nuovamente a realizzare, aveva baciato una ragazza. Aveva baciato me. Lyn mi si avvicinò e passò le sue braccia intorno al mio collo, stringendosi a me.
«Sto cominciando a prenderci gusto» affermò, prima di lasciarmi nuovamente un bacio a stampo mentre io la guardavo a occhi sbarrati, più rossa di un pomodoro maturo.
«Ok, diciamo che oggi non ho né studiato né ascoltato Nek» feci io, cercando di darmi di nuovo il contegno che sentivo di aver completamente perso con la mia faccia color porpora e i capelli da pazza. Un pomodoro con la criniera.
Lei allora mi fece segno di aspettare, come se avesse appena avuto una grande idea. Si piazzò a sedere sulla scrivania di fronte al mio computer e fece partire la canzone che avrei voluto sentire. Io, contenta come una bambina, mi posizionai dietro di lei e incrociai le braccia al suo petto, poggiando il mento tra i suoi capelli. Alle parole “gli sguardi e quell’attimo prima di un bacio”, io e Lyn riducemmo di nuovo a zero la distanza tra i nostri visi. Poi rimanemmo abbracciate a cantare insieme il resto della canzone.

Verso le sette uscii con lei per riaccompagnarla a casa, anche se erano solo pochi passi. Il silenzio si era completamente impossessato di noi; ma era un silenzio solo apparente. Nella mia testa frullavano mille domande veloci e a tratti sovrapposte. Avevo una confusione incredibile. Tutto questo sembrava un sogno, un bel sogno dal quale mi sarei dovuta svegliare di lì a poco. Era come se qualche desiderio oscuro e profondo della mia anima fosse improvvisamente stato realizzato e mi sentissi completamente stordita da quest’evento inaspettato. Il chiasso dentro di me strideva fastidiosamente con quello della piazzetta in festa per San Michele, a cui passammo davanti senza nemmeno voltarci a guardare. Giunte alla porta di casa sua, Lyn mi sorrise. Sembrava che le parole uscissero dalla sua bocca con difficoltà.
«Allora ci vediamo domani mattina in autobus»
«Sì, a domani!»
«Ciao»
«Ciao»
E la porta si chiuse. In quel momento mi vibrò il cellulare nella tasca. Un messaggio di Giorgia:
Alex, scusami, alla fine non sono riuscita a venire per vari problemi. Mi dispiace non avertelo detto prima, ma spero abbiate studiato anche senza di me!
Rilessi più volte l’ultima parte del messaggio, mettendomi a ridere ogni volta da sola in mezzo alla strada.
Quella sera continuai ad avere un sorriso perenne stampato in viso sia a cena che durante il dopocena, tanto che mia madre si preoccupò non poco per me. A fine serata, poi, stesa sul mio letto, trovai difficile persino prendere sonno; quelle lenzuola avevano ancora l’odore di Lyn, il sapore delle sue labbra. Se chiudevo gli occhi rivedevo me e lei durante quel pomeriggio.
E Lyn non mi lasciò in pace neanche la notte: quando riuscii ad addormentarmi, infatti, sognai il suo volto acceso e i suoi occhi smeraldo.




Note di Videl
Giorno. Ed ecco che si va al cuore della vicenda...
Alex: cuore è dir poco...
Autrice: non ti preoccupare, carissima, ci sarà riscatto anche per te!
Alex: davvero?
Autrice: no. Aspetta... non eri tu che dettavi la vicenda? <_< *si è persa*

Beh, è pure più lungo degli altri capitoli. E solo per qualche oretta di letto. Bah, mi sento soddisfatta. Spero che la lenta morte dei neuroni di Alex sia tangibile in questo capitolo.
Auf wiedersehen!
Videl
P.s.: non sono responsabile di varie coscienze turbate da questo capitolo xD

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 o Stati di confusione ***


Capitolo 6 o Stati di confusione

La settimana successiva fu un disastro a livello scolastico. Non che non mi impegnassi: tutti i migliori propositi c’erano; ma dalla mattina alla sera il pensiero di quella domenica non mi lasciava. Ogni giorno ripercorrevo mentalmente le frasi che ci eravamo dette, i gesti fatti, le sensazioni provate. In particolare le mattinate a scuola seguivano uno schema preciso: mi alzavo con in testa Lyn, in autobus parlavo con Lyn e in classe stavo seduta immobile con il mento appoggiato ai palmi delle mani, gli occhi fissi nel vuoto e un sorriso ebete mentre pensavo a Lyn. Lo so, è un po’ monotono. Il punto era che, semplicemente, non riuscivo a concentrarmi su nulla; non importava quanto mi ci impegnassi, quanto mi piacesse la materia, quanto amassi il professore. Alla fine il pensiero ritornava sempre sulla mia migliore amica.
Al che decisi che dovevo fare un patto col mio cervello: smettere di distrarmi e iniziare a razionalizzare ciò che era successo quella domenica. Dovevo prendermi del tempo per capirlo, giudicarlo e infine accettarlo. Solo così potevo evitare che Lyn si impossessasse della mia testa mentre studiavo Foscolo. A tal fine, mi ritrovai come prima cosa a cercare di capire se ciò che era successo fosse normale o anormale.
Avevo baciato la mia migliore amica. Beh, detto così, suonava proprio anormale; ma d’altra parte non c’è mai stato niente di normale nel nostro rapporto. Alla fine conclusi che poteva essere lecito che due amiche si baciassero. Può capitare, una volta. Fa parte delle esperienze... adolescenziali? Ovviamente non mi azzardai a prendere in considerazione l’ipotesi di essermi innamorata di lei: non credevo che l’omosessualità esistesse; per me era solo l’esito di autoconvinzione di chi ci pensa aprioristicamente. Questa era la mia ipotesi, e non ero disposta ad abbandonarla. Non ancora.
Fatto sta che mi accorsi di qualcosa di cui non volevo accorgermi: desideravo di nuovo le sue labbra. E quando lo realizzai ero lì, rigida come un palo, col telefono attaccato all’orecchio destro mentre sentivo il racconto di Laura rispetto alla sua serata romantica con Marco. Il che fa riflette su quanto io stessi realmente ad ascoltarla.
«Alex, hai capito quello che ho detto?»
Ripiombai sul pianeta Terra con la stessa delicatezza di un meteorite.
«Eh…? Sì, certo»
«Sei sicura?»
«No, in realtà no» mi arresi.
«Hai qualche problema?»
Il suo tono di voce era cambiato. Si sentiva che era davvero preoccupata per me. Avrei voluto dirle: “sì, il mio problema è che Lyn mi ha baciata e non so cosa diavolo pensare”.
«Tranquilla, il mio problema è solo che la professoressa di italiano spiega troppe cose insieme!» dissi invece.
Lei rise, non cogliendo la menzogna abilmente intessuta; o meglio, non cogliendo la sconnessione più totale tra il mio cervello e la mia lingua.
«Scusa… potresti raccontarmi tutto dall’inizio?» mormorai imbarazzata e dispiaciuta.
E lei riprese. A quanto pare Giorgia aveva ragione: questa ragazza mancava totalmente di spirito di iniziativa. Mi raccontò che non aveva mai neanche guardato Marco per oltre cinque secondi di fila per paura che lui ne provasse fastidio e aveva rifiutato qualsiasi contatto fisico. Non si era minimamente accorta di tutto quello che lui stava facendo per conquistarla. Non riuscivo a crederci.
Intimandola di cogliere più al volo queste opportunità, chiusi la telefonata. Tanto ci saremmo viste di lì a un’ora: quello era il giorno della partenza di Daniele per l’università e saremmo andati tutti a casa sua per salutarlo. Prima di allora potevo riprendere tranquillamente le mie riflessioni metafisiche.

Daniele avrebbe lasciato la città alle sei. Dovevamo essere da lui per le quattro e mezza. Io e Lyn, come da regola, arrivammo alle quattro e tre quarti.
«Ciao Alex!» esclamò Giorgia abbracciandomi forte.
«Ehi Gio» le risposi, un po’ più apatica del solito.
Salutai con dei baci sulla guancia sia Marco che Daniele, soffermandomi un po’ di più su Laura. Lo stesso fece Lyn.
Ci sedemmo tutti intorno a un tavolo, dove il padrone di casa aveva preparato una sontuosa merenda per salutarci. Giorgia, ovviamente, ci si fiondò, mentre Laura era rimasta un po’ sulle sue a spiare Marco che raccattava dolcetti e chiacchierava con Daniele. Io non avevo fame. I miei occhi balzavano di qua e di là sulla tavolata, posandosi ora su una fetta di torta, ora sulla bottiglia di aranciata, ora sul viso di Lyn. Già, perché alla fine tornavo sempre lì.
A dare una svolta al pomeriggio fu Marco che, dal nulla, gridò:
«Avanti, Dan, facci un discorso!»
L’idea piacque a tutti e ottenne subito il silenzio degli altri. Daniele tossicchiò.
«Bene, siamo qui riuniti oggi per celebrare la mia partenza per l’università…»
«Sì, ma taglia corto!» urlò qualcuno dal pubblico, più probabilmente Giorgia.
Partì una risatina generale.
«Ok, va bene!» ricominciò Daniele, ridacchiando a sua volta, «Come sapete tra poco me ne andrò e con questo pomeriggio insieme volevo dirvi che gli anni passati con voi sono stati i più belli della mia vita; stare in vostra compagnia è stata un’esperienza unica… e unica in tutti i sensi» si voltò verso Marco, fece per accennargli a qualche cavolata fatta insieme e scoppiammo di nuovo tutti a ridere. Poi continuò:
«Quindi questo è il mio modo di ringraziarvi di cuore e di augurarvi un buon primo quadrimestre scolastico, nell’attesa di rivederci tutti durante le vacanze di Natale!»
Lui posò lo sguardo su ognuno di noi e, quando giunse a me, strizzò l’occhio. Non diedi troppo peso a quella mossa che aveva fatto solo nei miei riguardi – perché, tanto per cambiare, stavo giusto pensando a quanto fosse bella Lyn mentre rideva – e gli sorrisi a vicenda.
Il pomeriggio si concluse con un brindisi e un applauso, oltre che con tanti abbracci e auguri per l’università.

Divertente, gioioso e commovente. Così avrei potuto definire quel pomeriggio. Peccato, però, che io fossi ancora con la testa tra le nuvole, non accennando, tra l’altro, a scendere.
Daniele, un mio carissimo amico, partiva e io mi ritrovavo a pensare a una ragazza. Probabilmente avrei dovuto godermi di più quel che stava succedendo, eppure l’unico sentimento che provavo era una gioia inarrestabile quando guardavo Lyn. Ero semplicemente, visibilmente, inguaribilmente contenta; e tutto ciò per un semplice bacio. Ma perché?
Improvvisamente mi ritornò alla mente un fatto.
C’era stata una volta, nel mio remoto passato, in cui avevo desiderato una cosa simile: dovevamo aver avuto sì e no sedici anni. Lyn era seduta su un divano e io ero stesa con la testa appoggiata alle sue gambe. Mi aveva annunciato che sarebbe andata una settimana in montagna con la sua famiglia. Io l’avevo guardata triste, contrariata dal fatto di non poterla vedere per sette lunghi giorni; allora lei, per salutarmi, si era chinata su di me e mi aveva stampato un bacio in fronte. Quella sera, sul mio letto, ricordo di aver immaginato come sarebbe stato se quel bacio me l’avesse posato sulle labbra. E ricordo anche di essermi data della stupida subito dopo averlo pensato. Allora mi sembrava un pensiero del tutto innocente – in realtà speravo di ignorarne la gravità semplicemente dimenticandomene –, ma se avessi saputo cosa sarebbe successo tra noi a qualche anno dopo, credo che a quei primi sintomi mi sarei già fatta un paio di domande.
Sotto quest’aspetto poteva essere vero che fossi felice perché era venuto a realizzarsi un mio sogno nascosto. Ma a questo punto il problema era alla base: qual era il motivo per cui avevo questo tipo di desiderio da oltre due anni?
Prima che potessi inserirmi in una più ampia speculazione sul senso della vita – l’ennesima di quei giorni – l’arrivo di un messaggio mi distrasse. Era Daniele. E il messaggio recitava più o meno così:
Ciao, Alessia. Uso il tuo nome per intero perché è davvero bello e ti ridona quella grazia tutta femminile che il nomignolo di “Alex”, devo dire, ti strappa via con forza. Oggi avrei voluto parlarti di una cosa molto importante, ma alla fine ci ho rinunciato perché sembravi piuttosto distratta… perciò quello che la mia voce non è riuscita a dirti, te lo dirà questo messaggio: tu mi piaci tantissimo, Alessia. Se mai vorrai dare una chance a questo ragazzo innamorato sarò felice di accoglierla. Aspetto la tua risposta! Daniele
La prima cosa che mi venne in mente fu: “Alessia chi?” Una volta realizzato che quello era il mio vero nome, passai al livello successivo: Daniele mi aveva confessato che gli piacevo. Ok, di per sé era scioccante, lo ammetto. Poi però riflettei sulla mia situazione: da una parte c’era la questione di Lyn che avrebbe potuto prendere una brutta piega; dall’altra c’era Daniele, un ragazzo dolcissimo, incredibilmente protettivo e anche carino. Perché non dargli la chance che mi chiedeva? Poteva essere una buona idea. Così, gli risposi.
Ciao Dani! Ti ringrazio per le belle parole che mi hai dedicato; credo che accetterò la tua proposta: ti darò una possibilità per conquistarmi. Voglio vedere come finirà. Alessia
No, proprio non mi capacitavo di dovermi firmare “Alessia”. Questo, a dire il vero, era già un punto a suo sfavore: io non ero Alessia. O meglio, io non ero quello che il nome Alessia rappresentava per lui. Io ero Alex. Perché in quel momento trovavo la mia vera me solo nell’essere Alex, cioè, a conti fatti, in tutto ciò che era il contrario della grazia femminile che lui aveva detto di cercare in me. Ma io non ci feci più di tanto caso e gli lasciai comunque una possibilità.
In fondo, pensavo, ci sarebbe potuto essere solo da guadagnare.





Angolo dell'autrice.
Dopo il capitolo 5, questa storia era destinata a cambiare. Perché Alex si ritrova a cambiare. Come avete visto anche qui, la riflessione avrà uno spazio importante nei capitoli che Alex scrive... e che io, come semplice depositaria delle sue esperienze, qui vi ripropongo. Spero vi sia piaciuto questo nuovo capitolo!
Videl

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 o Triangolo ***


Capitolo 7 o Triangolo

Passata quella prima settimana all’insegna della confusione e di una certa aspettativa che non si sarebbe però realizzata, – nei fatti pendevo, letteralmente, dalle sue labbra – mi ritrovai, il martedì della settimana dopo, contemporaneamente con un amico che mi corteggiava e con cui ero spesso al telefono e un’amica che corteggiavo io, sebbene del tutto involontariamente. La cosa che mi destabilizzava maggiormente era che dopo quella domenica io e lei, di quel piccolo dettaglio, non ne avevamo più fatto minimamente cenno. Come se quello che era successo fosse qualcosa di cui non chiedersi il perché. Una parentesi come tante. E a me questo non stava bene. Avevo bisogno di farle capire, in modo diretto o indiretto, che io non mi ero dimenticata di quel bacio; ma allo stesso tempo mi chiedevo se invece lei l’avesse fatto.
Con questi pensieri mi tenevo compagnia mentre stavo aggrappata al palo dell’autobus dell’una e mezza, munita di cuffiette e piazzata davanti all’uscita. Osservavo distrattamente gli alberi che mi sfrecciavano di fronte, le colline accarezzate dal venticello di inizio ottobre e qualche pallida nuvola sparsa qua e là. E di nuovo, quando mi apparve l’immagine di me e lei sul letto di casa mia, scossi la testa avvampando. Riuscivo a scaldarmi le guance solo pensandoci.
In quel momento mi vibrò il cellulare in tasca; quando lo afferrai e lessi il nome ebbi un tuffo al cuore: Lyn.
«Pronto?»
«Ehi! Ti va di venire a studiare a casa mia oggi pomeriggio? Hai da fare molto?»
«Devo solo ripassare gli appunti di storia per il compito di sabato, quindi posso venire»
«Bene! A che ora facciamo?»
Sembrava davvero serena. Ma possibile che fossi solo io quella rimasta sconvolta?
«Tra le tre e mezza e le quattro va bene?»
«Benissimo, ma più le quattro che le tre e mezza!»
«D’accordo!» risi io, avendo ben presente la sua – e la mia – pigrizia.
«A dopo!»
«Sì, ciao»
Chiusi la chiamata e rialzai lo sguardo davanti a me: le colline e gli alberi avevano ormai lasciato il posto alle case e alle varie costruzioni della città. Lo stesso era accaduto dentro di me: il mondo fatato dell’immaginazione aveva lasciato il posto alla concretezza di quella chiamata e del pomeriggio che ne sarebbe derivato. In quell’istante mi accorsi che da quell’incontro io mi aspettavo davvero qualcosa. E sapevo bene anche cosa.

Avete presente quella strana sensazione di quando fissate un bel pezzo di carne come se fosse fatto di pietra? Lui è lì, ben cotto, e vi fissa. È lì per voi, ma voi vorreste vomitare solo al pensiero di mangiarlo.
E io lo guardavo così, con gli occhi vacui e un bel laccio stretto intorno alla bocca dello stomaco. Come se avessi già delle pietre in pancia e non volessi mangiarne delle altre. A dire il vero non mettevo niente sotto i denti da quella mattina, quindi non riuscivo a capire cosa potessi avere nello stomaco di così pesante da farmi schifare persino una succosa bistecca; con molta probabilità c’erano delle farfalle, ma, come già detto, non l’avrei mai ammesso. Come spesso accadeva in quegli ultimi giorni, finsi di addentare la carne di fronte a mia madre che mi guardava per poi sputarla dentro un fazzoletto. Non potevo proprio farcela. Se Giorgia mi avesse vista in questo stato, credo mi avrebbe bombardata di ipotesi alquanto scomode; e avrebbe avuto ragione.
Per questo, dopo aver miracolosamente finito il mio pranzo, mi rifugiai in camera mia a prepararmi per andare da Lyn. Alle due e mezza. Quando l’appuntamento era fissato per quasi le quattro. No, evidentemente non stavo bene. La cosa divertente è che i sintomi erano piuttosto inconfondibili: perdita dell’appetito, sorriso perenne, testa fra le nuvole … e io continuavo a sostenere che fosse tutto a posto, tutto come prima. Come prima del venticinque di settembre.
Mi diedi una rapida sistemata ai capelli e infilai il quaderno di storia, l’astuccio e il diario dentro uno zaino azzurro di piccole dimensioni. Così, seduta sul divano a guardare la televisione, aspettai le quattro.
Quando finalmente uscii di casa inspirai a fondo la prima aria autunnale, poi percorsi di fretta i trecento metri tra le nostre case. Ero davvero desiderosa di rivederla. Come se non l’avessi già vista quella mattina in autobus. Per questo, quando aprendo la porta mi ritrovai davanti il suo sorriso radioso, il mio cuore perse un battito.

«Ehi Alex!» mi chiamò lei dopo un quarto d’ora di studio.
«Che c’è?»
«Hai sentito di Laura e Marco?»
«Altroché. Al cinema è andata da schifo»
«Ma no! Non quello! Quello è stato più di una settimana fa, ormai!» replicò lei.
Giusto! Anche il nostro bacio è stato più di una settimana fa, lo sai, vero?
«Allora non conosco le news» mi limitai a dire io, continuando imperterrita a evidenziare gli appunti riguardanti la crisi che faceva da sfondo alla cosiddetta “Belle Epoque”, all’alba della prima guerra mondiale. Il mio cervello però si era bloccato varie righe più in su, nel momento in cui avevo sentito da Lyn la locuzione temporale “più di una settimana fa”.
«Marco ha in progetto di portarla a fare un giro in moto con lui una sera; mi immagino già la reazione di Laura»
Dio, che amico romantico che avevamo. Fantasticando sulla scena ridacchiai tra me e me.
«Spero per loro che vada tutto bene! Adesso però studiamo, dai» puntualizzai io, accorgendomi che nel frattempo avevo già ricominciato a rievocare il nostro pomeriggio di “studio” domenicale.
Lei come prima risposta sbuffò; poi, quando sfogliando il diario si accorse di quanto fossero vicine le interrogazioni, si buttò con impegno sul libro. E io feci lo stesso.
Arrivammo a quasi un’ora e mezza di studio di fila, quando improvvisamente lei mi parlò di Riccardo. Ecco, non mi capacitavo nemmeno del perché pensasse ancora a lui. Cioè, dopo quel bacio io mi ero dimenticata persino dell’esistenza dei maschi; tutti tranne Daniele, certo, con cui si stava instaurando un bellissimo rapporto.
«Sai» fece lei ad un tratto, «ieri sera mi sono immaginata di baciarlo»
A quelle parole persi una buona metà dei miei neuroni. Risi nel mondo più falso che avevo nel mio repertorio. E senza neanche farlo apposta.
«Davvero? Ma che bello…» dissi, tutto tranne che sincera.
Stavo cercando in ogni modo di essere felice per la sua nuova, grande cotta; ma in realtà mi sembrava volessero tirarmi giù il cuore a forza. Lyn mi sorrise e poi chinò la testa sul libro, forse tornando a fantasticare su Riccardo.
Pensandoci in quel momento, mi accorsi di un fatto: lei non era mai stata fidanzata; per cui nessuno aveva mai sfiorato quelle labbra, tenuto stretto a sé su un letto quel corpo. Tutto questo l’avevo invece fatto io. In pratica, le avevo rubato il suo primo bacio, quello che lei teneva stretta per il suo ragazzo dei sogni.
«Scusami» mi uscì a un tratto, flebilmente, dal silenzio.
La mia migliore amica si voltò verso di me sorpresa, mentre io tenevo gli occhi bassi per l’imbarazzo. Come darsi la zappa sui piedi da sola con una parola di troppo: un manuale di Alessia detta Alex. Ed è subito best seller.
«Mi dispiace» aggiunsi, stavolta con più decisione.
«E di che?» fece lei, confusa.
«Mi dispiace di averti rubato il tuo primo bacio» dissi tutto d’un fiato, pregando che capisse al volo.
Ma lei apparve ancor più confusa e io mi sentii la faccia andare in fiamme. Odiavo l’idea di doverglielo spiegare.
«Che vuoi dire?»
Cominciai a giocherellare un po’ troppo freneticamente con l’evidenziatore giallo che tenevo in mano.
«Sì… insomma, due domeniche fa, quando io e te a casa mia ci siamo… baciate» feci con molta meno decisione di quando avevo cominciato.
Sentii che rideva, capendo finalmente di cosa stavo parlando. Arrossii il triplo.
«Ma quello non lo considero un bacio vero!»
Una coltellata dritta in petto. Eh?
«Beh, era comunque la prima volta per te»
«Sì, ma tranquilla! Non è un problema» esclamò lei, per nulla turbata.
Questa cosa mi faceva arrabbiare. È vero, io ci avevo dato troppo peso, ma lei gliene dava davvero troppo poco!
Ritornai a fissare il libro con l’espressione ancora piena di sensi di colpa. Al che Lyn, vedendomi così crucciata, mi sorrise lascivamente, afferrò il mio braccio, mi tirò a sé e mi baciò. Di nuovo. Quando ci staccammo mi resi conto di due cose: primo, avevo perso l’ultima metà salva dei miei neuroni; secondo, avevo la faccia di una che aveva appena visitato il paradiso. Pronunciai velocemente un «ok, va bene!» e lei attaccò ridere.
«Cos’è, ti sono già spariti i sensi di colpa?» mi chiese, mordendosi il labbro inferiore.
Io biascicai qualcosa di sconnesso mentre prendevo a fissare la penna, il quaderno, il tavolo, la finestra – qualsiasi cosa pur di non guardarla in faccia. Risi imbarazzata quando i suoi occhi si posarono soddisfatti su di me. Avevo già totalmente dimenticato qualsiasi emozione negativa. E così, per quel che potevo riuscire a fare da quel momento, tornai a studiare.

Quella sera aspettavo una chiamata di Daniele. Una come tante altre, che come al solito sarebbe durata più di un’ora. Quando arrivò mi si dipinse un sorriso sul viso.
Parlare con lui mi divertiva troppo. Quei giorni l’avevo conosciuto meglio e più a fondo di quanto avessi fatto negli anni passati in qualità di mio amico. Era un tipo dall’ironia geniale: le sue uscite comiche mi provocavano risate di almeno dieci minuti. Avevo scoperto anche che era un ragazzo molto premuroso: spesso mi diceva di quanto si preoccupasse per me e che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vedermi felice. Tutto ciò mi inteneriva al punto di non farmi mai prendere una posizione decisiva su quello che era il nostro rapporto.
Verso mezzanotte e un quarto decidemmo di chiudere la chiamata. O meglio io, che il giorno dopo avrei avuto scuola, decisi di concludere.
«Dai, Dani, fammi andare!»
«Di già?»
«Come di già? Il mio cellulare segna due ore e un quarto di telefonata! Ok che non paghi, ma…»
«Va bene, mi tocca salutarti…»
Io risi rassegnata. Finiva sempre così.
«Buonanotte, Dani!»
«Mi saluti solo così?» mi chiese, fingendosi triste.
«Ti voglio bene! Buonanotte!» replicai io divertita, addolcendo anche il tono.
«Ti voglio tanto bene anche io, Ale! Fai sogni d’oro!» rispose lui con la stessa dolcezza.
«Grazie, a presto»
«Sì, ciao!» e chiusi di netto, sbadigliando.
Dieci minuti dopo, infilandomi il pigiama, pensai che non mi dispiaceva per niente questa nuova vita. Baciare la mia migliore amica e flirtare con il mio migliore amico. Alla fine, dalla semplicità con cui si svolgevano le cose, sembrava che tutto dovesse risolversi per il meglio.
Solo in seguito dovetti accorgermi che il mio cuore non riusciva a reggere la situazione. Voleva che io decidessi una volta per tutte.
O lui, o lei.





Note dell'Autrice con la A maiuscola. (sssè)
Bene, direi che questo capitolo mi piace. Come avrete notato sto cercando di pubblicare a un ritmo base di "un capitolo ogni due giorni", ma non so se resisterò a lungo... fino a qualche giorno fa ero di un capitolo avanti rispetto alle pubblicazioni. Adesso invece devo ancora iniziare a scrivere l'8. Colpa della sessione d'esami xD

Cooooomunque. Ragazzi, ditemi che la parte del pezzo di carne non è geniale. Mi mettevo a ridere da sola mentre scrivevo xD
Alex: smettila di vantarti!
Autrice: e chi saresti, tu, per dirmi cosa devo fare?
Lyn: finitela immediatamente tutt'e due!!!!»
Alex&Autrice: sì, signora!! O.O
Alex: lei è quella dispotica che mi sottomette D: [cit. Ellie_la maga]
Ahahaha. Comunque spero davvero che vi sia piaciuto questo seguito. Ne devono capitare ancora a bizzeffe, non ci sperate che sia una storia così semplice. Ringrazio i gentilissimi commenti di chi segue con passione!
Al prossimo,
Videl.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 o Mia figlia, la mia ragazza e la mia migliore amica ***


Capitolo 8 o Mia figlia, la mia ragazza e la mia migliore amica

«Alex! È un sacco che non ci si vede!» trillò un’allegra Giorgia alle mie spalle.
«Sai com’è, ultimamente non hai fatto altro che darci buca» commentai io, dedicandole un’occhiata innervosita. Lei ridacchiò cavandosela con un piccolo “già, scusa”, poi mi prese sottobraccio.
Effettivamente era da molto che non uscivamo tutti insieme. Quel sabato sera l’occasione si era presentata e noi l’avevamo colta al volo: eravamo io, Lyn, Giorgia, Laura e Marco.
Nell’ultimo periodo aveva piovuto spesso e l’aria si era parecchio raffreddata. Quel fine settimana però era tornato uno spruzzo dell’estate appena passata, visibile nel cielo blu, acceso dal sole grande e caldo e le luminose e limpide stelle di quella sera. Il clima era gradevole e allo stesso tempo nell’aria c’era odore d’inverno. È un odore che riconosco sin da quando ero bambina, quello dell’inverno, perché sa di aria frizzantina e neve; e di legna bruciacchiata nel camino.
Laura, tra una chiacchiera e un’altra, improvvisamente mi chiese:
«Alex! Ma tu ti stai sentendo con Daniele e non ce lo dici?!»
«Cosa?! Alex? Con Dani?» intervenne incuriosita Giorgia.
Io sorrisi un po’ imbarazzata, poi annuii. Laura continuò:
«Ho saputo da Elena che lui si è dichiarato il giorno in cui è partito per l’università e da allora state spesso al telefono insieme!»
Al che Giorgia si infiammò.
«E tu quando pensi di dirmelo, il giorno del vostro matrimonio?»
«Eh? Cosa?» deglutii io, lievemente rossa in viso, «No, ma quale matrimonio! Non volevo sparpagliarlo troppo in giro perché non sapevo come sarebbe andata a finire!» conclusi spostando lo sguardo altrove; cioè su Lyn.
«Quindi… la mia carissima Alex si sente con Daniele e io l’ho dovuto sapere da Laura che l’ha saputo da Elena. Devi dirle anche a noi certe cose, mica solo alla tua amante!» sbottò Giorgia, fingendosi stizzita. O forse lo era davvero.
Fatto sta che, sentendo definire Lyn come “la mia amante”, arrossii peggio di quanto avessi fatto parlando di Daniele.
«Amante?! E comunque tu» feci riferendomi direttamente alla mia migliore amica, «non dovresti far circolare certe notizie senza il mio consenso!» mi lamentai puntandole un dito addosso.
Lyn non si pose nemmeno il problema di rispondermi e piuttosto passò ai fatti: intrecciò le dita della sua mano con le mie e si strinse a me, dandomi una leggera spintarella. Per molti una banalità, ma per me era una tecnica affettuosa di altissimo livello per costringermi a capitolare. E le riuscì.
«Io già lo sapevo» si intromise Marco.
Giorgia lo guardò stranita e lui, catturata l’attenzione necessaria, decise di spiegarsi.
«Sapevo che Daniele si sarebbe dichiarato, so della sua cotta per Alex da circa un anno ormai»
«Un anno?!» gridarono Giorgia e Laura quasi in sincrono.
Beh, questo era sfuggito anche a me. Camminando, mentre Marco cominciava a raccontarci quello che aveva sempre saputo, io mi accorsi di avere ancora la mano di Lyn nella mia. E mi accorsi anche che pensando a questo dettaglio mi ero già persa metà del racconto del nostro amico.
Alla fine della serata, una cosa la compresi: Daniele faceva sul serio e non mi avrebbe lasciata andare tanto facilmente. Beh, ne ero lusingata. Ma tutto qui. In quel momento però lo presi come un segno del destino: io e lui dovevamo stare insieme.
Il destino nel frattempo aveva deciso di unire anche altre due persone: Laura e Marco, infatti, si erano avvicinati sempre di più durante la serata – partendo inizialmente dalla scusa della mia “storia” con Daniele – e alla fine si erano ritrovati persino a camminare qualche metro dietro di noi senza accorgersene. Chiacchieravano fitti, con l’aria di essersi dimenticati dei loro amici.
«Forse è la volta buona che Laura si è decisa a darsi da fare» commentò Giorgia con finta stizza.
«Spero per lei che sia così, ma io non ci conterei troppo!» le rispose Lyn.
Io ascoltavo senza esprimermi, come al mio solito, e diedi segno di aver capito solo quando Lyn mi annunciò che suo padre sarebbe presto arrivato per portare a casa me e lei. La serata era proprio volata.
Ora che tutti sapevano che mi sentivo con Daniele pensai che mi avrebbero fatto una testa come un pallone con questa storia. Accartocciata come una foglia sui sedili posteriori dell’auto del padre di Lyn, cominciai a far spaziare la mia sempre desta fantasia su campi finora poco battuti: quello che provava Daniele, come saremmo stati se ci fossimo fidanzati vista la lontananza e soprattutto se mi piaceva davvero. Anzi, che come persona mi piacesse lo sapevo perfettamente, altrimenti non avrei mai fatto telefonate record con lui. Il problema era se lo amassi. Riflettendoci più attentamente mi venne in mente però che il vero dilemma era se amassi Lyn.
«Ehi Alex!» chiamò lei dai sedili anteriori.
Scossi la testa bruscamente, cestinando l’ultimo dubbio che mi era sorto.
«Tu cosa pensi della coppietta ufficiale della serata?»
«Ma sì, direi che è superfluo chiederselo… sappiamo perfettamente che prima o poi finiranno insieme» tagliai corto io non sentendo il bisogno di discuterne.
Sinceramente cominciavo ad averne abbastanza di “coppiette” e affini.
«Ehi, quanta fretta di saltare alle conclusioni!»
Io sorrisi riparata nell’ombra della macchina, e poi asserii:
«Quelle che ci facciamo sono soltanto inutili congetture… dovremmo fare più economia del tempo»
«Ma sentila! Sembri mia madre»
«Io sono tua madre»
Lei scoppiò in una risata.
«Va bene, d’ora in poi ti chiamerò “mamma”»
«Brava figlia!» conclusi divertita io.
Arrivata a casa salutai con un bacio sulla guancia la mia nuova figlioletta e scesi dall’auto ringraziando.
Lyn, mia figlia. Pensandoci bene alle volte non era poi così lontano dalla verità.

Distesa sul letto di camera mia fissavo il grosso calendario che stava appeso a un lato della scrivania. Scorsi pian piano i giorni che mancavano ai miei diciotto anni: dieci. Poi afferrai il cellulare e lessi l’orario, contando mentalmente i minuti che mancavano all’arrivo di Lyn a casa mia: dieci. Una costante interessante visto che a dieci centimetri scatta il bacio, come avevamo avuto modo di constatare. Sorrisi tra me e me. Sfogliai il quadernino sgualcito che tenevo in una mano, in cui si intravedevano appunti presi fin troppo superficialmente a scuola, e giunsi all’ultima pagina: i miei occhi balzarono qua e là su tre disegni. Disegni indiscutibilmente ambigui in cui le protagoniste erano sempre due ragazze in atteggiamenti intimi. Li avevo ideati a scuola, tra un appunto e l’altro, mentre cercavo di esplicitare quello che provavo quando pensavo a Lyn; e quello era ciò che era venuto fuori. A fine lavoro, accorgendomi di cosa avessi disegnato, avevo piazzato delle brevi didascalie che alludessero al fatto che fossero solo rapporti di amicizia.
Chiusi con un botto sordo il quaderno e mi girai da un lato sbuffando. Certe cose non sono comprese nel pacchetto “amicizia”, non c’era giustificazione didascalica che tenesse. In quel momento mi accorsi di non trovare neanche così orribile l’idea di potermi essere innamorata di Lyn; l’unico effetto che un tale pensiero aveva su di me era una sensazione di calore diffusa tra petto e viso e l’incurvamento dell’angolo sinistro della bocca, in una specie di pudico sorriso. Ma poi c’era quel “no” che mi risuonava imperioso nella testa, scuoteva ogni fibra del mio corpo, ogni nervo o muscolo, pronto a scontrarsi con un eventuale cedimento di forza di volontà. Pronto ad intervenire se avessi cominciato ad insinuare seriamente di amarla. E quella ragazza certo non mi aiutava, visto che mi trattava come se fossi la sua fidanzata.
Quando arrivò a casa mia eravamo davvero intenzionate a studiare, al contrario di molte altre volte. Peccato solo che passata la prima ora lei trovò più divertente stuzzicarmi mandandomi messaggi minatori su angoli di carta strappati e pizzicandomi i fianchi – dove ho sempre sofferto terribilmente il solletico – se mi azzardavo a risponderle male. Eravamo già arrivate al momento “pausa”, a quanto pare.
«Piantala!» sbottai io ridendo e piangendo insieme a causa del solletico.
Siccome lei non cessava di torturarmi decisi che era arrivato il momento di reagire: le afferrai prontamente le braccia e la bloccai, poi avvicinai il mio viso al suo con sguardo di sfida.
«Avanti» sussurrò lei, incitandomi a non so che cosa di preciso.
Ma forse il suo obiettivo era proprio sottolineare l’ambiguità della situazione. Fatto sta che io lo presi come un ordine e schiacciai le mie labbra contro le sue senza pensarci troppo.
«Il giorno del mio compleanno da te voglio solo una cosa: un pomeriggio in cui tu sei unicamente mia» le dissi staccandomi.
Ero piacevolmente sorpresa della sicurezza che avevo ostentato. Lei sorrise scuotendo la testa.
«Mi hai preso per la tua ragazza forse?»
«Sì, tu sei la mia ragazza»
«Non ero tua figlia?»
Io scoppiai a ridere, pensando alla pazza idea che mi era balenata in testa. Perché quella che mi guidava era sicuramente la follia. L’amore rende folli.
«Tu sei mia figlia, la mia ragazza e la mia migliore amica» mi fermai un attimo per immergermi nei suoi occhi verdi, poi continuai: «giusto?»
Lei mi lasciò un bacio a fior di labbra, con una dolcezza che solitamente non era sua.
«Giusto»
Il dubbio che da settimane mi torturava stava gridando di voler uscire dalle troppo strette pareti del mio cuore. Provai a negarlo a me stessa un’ultima volta, con forza e ostinazione, mentre la guardavo dritta negli occhi: “No, io non ti amo”. Ma stavolta sentii che quella menzogna, solo a pensarla, mi avvelenava il petto, opprimendolo.
Sì, era proprio la follia a guidarmi. Non poteva esserci nient’altro che giustificasse una cosa del genere. Io l’amavo davvero, e finalmente era chiaro.
Pazza Alex.





Note dell'autrice.
Rieccomi dopo un lungo periodo di pausa! Questo capitolo è stato proprio sudato, infatti ho l'impressione che non sia il massimo. Da adesso le cose si fanno più complicate perché è difficile capire come giostrare gli avvenimenti che ho in testa... spero di riuscirci senza troppi problemi D:
Ahahaha a metà capitolo, mentre scrivevo, io mi sono immaginata Alex mascherata alla Dart Vader che dice: "Io sono tua madre!" LOL solo io posso farmi storielle mentali sulle mie stesse storie ahahah
Beh, attendo i vostri sempre gentilissimi giudizi!
Videl

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 o Maggiore età ***


Capitolo 9 o Maggiore età

Sono sempre stata troppo pigra per vestire i panni dell’eroina di un libro. O forse il problema è che molto spesso non ho fatto altro che seguire a testa bassa il copione del personaggio sconfitto: da bambina ero la pezza da piedi di tutti i miei compagni di classe, maschi e femmine. Le mie stesse poche amiche si toglievano e rimettevano le loro maschere cariche di menzogne: a un tempo si divertivano insieme a me e l’attimo dopo si divertivano alle mie spalle, unendosi a una schiera di aguzzini che, per una bambina di otto anni, avevano atteggiamenti fin troppo crudeli.
Io ero sola. Eppure c’è stato il giorno in cui anche io ho potuto vedere la luce: quel giorno una ragazza bionda con due occhi smeraldo tese la mano verso di me e mi rialzò. E insieme a lei un gruppo di ragazzi e ragazze per cui io, per la prima volta, ero davvero importante. Per cui ero una vera amica.
E adesso questo. Mi ero appena innamorata di Lyn: non riuscivo a togliermelo dalla testa. La stessa ragazza che cinque anni prima mi aveva offerto la sua amicizia, tendendomi la mano. Un sorriso perenne solcava il mio viso, i miei occhi brillavano ogni giorno di contentezza. Persino l’arrivo del mio diciottesimo compleanno, quell’ottobre, mi faceva gioire solo nella misura in cui c’era Lyn con me a festeggiarlo. Tutta quella dipendenza non avrebbe portato a nulla di buono, me lo sentivo. Ma l’uomo è fatto così: anche intuendo che c’è qualcosa di tremendamente sbagliato in quello che fa, è così inebriato dalle sensazioni che lo pervadono sul momento che finché non scivola e sbatte la faccia per terra non dà retta davvero a quello che gli dice il cuore. E ormai il danno era compiuto: mi sentivo come l’eroina di una storia, nel suo massimo climax, coperta di gloria e promesse fantastiche ma poi – e dovetti accorgermene – menzognere per il futuro.
Il giorno del mio compleanno fui sul punto di saltarle davvero addosso. Lyn si presentò quel pomeriggio a casa mia sbattendomi sul muso un rotolo di carta legato con un nastrino rosso lucido. Stavo per replicare qualcosa quando lei mi anticipò:
«Aprilo e leggilo ad alta voce. Tutto»
Come per uno spiacevole sospetto, rabbrividii al sentire quel “tutto” così calcato. Quando era secca e lapidaria nelle sue esclamazioni la fregatura era all’angolo: e solitamente quella che ci rimetteva ero io, la sua cara migliore amica.
Inspirai a fondo, sciolsi il fiocco vermiglio – non senza difficoltà – e mi ritrovai davanti a uno spettacolo che mi fece venir voglia di piangere: un lunghissimo papiro di lettere colorate che aspettavano solo di essere lette.
«Devo leggerlo tutto?» deglutii.
«Tutto» riaffermò sorridendo malignamente.
Sospirai. Beh, il giorno del mio diciottesimo compleanno me lo sarei dovuta aspettare un tiro del genere. Soprattutto da Lyn. Le sorrisi rassegnata, per quanto potesse irritarmi il fatto che avesse tirato fuori anche una videocamera digitale e me la stesse puntando addosso.
La lettera, a dirla tutta, era davvero commovente. La cosa mi stupì non tanto perché ritenessi Lyn incapace di esprimere quanto ci tenesse a me, ma piuttosto perché lei solitamente non si sarebbe mai arrischiata a scrivere una lettera così lunga, considerato il rapporto problematico che ha con l’italiano. Basti pensare che non c’era volta in cui lei non mancasse di chiedere consiglio a me quando aveva da fare qualche saggio breve per casa, quasi fino a implorarmi di scriverlo io stessa – cosa che comunque rifiutavo di fare. Notevole, dunque, che lei si fosse piantata di fronte a un collage di fogli attaccati in verticale con un pennarello colorato in mano pronta a riempirli tutti della lettera d’auguri che stavo leggendo.
«Qui hai lasciato un’acca» annotai io, secca.
«Alex, non rompere e continua a leggere…» replicò lei, piccata.
Risi di gusto, ma poi arrossii, vedendomi puntata contro ancora la videocamera. O forse perché puntato contro di me c’era prima di tutto lo sguardo di Lyn.
Quando arrivai alla fine della lettera, quasi piansi. Dico quasi perché non sono il tipo di persona che riesce a commuoversi tanto facilmente, soprattutto se osservata – o peggio, registrata. Fatto sta che non sapevo cosa dire e volsi con affetto lo sguardo a lei, che subito spense quel maledetto arnese e mi sorrise a sua volta. Non trovai le parole per ringraziare e risolsi così semplicemente di abbracciarla.
«Tanti auguri Alex! Ora che hai raggiunto la maggiore età sei ufficialmente un pericolo pubblico. Ti manca solo la patente per essere davvero un ordigno vagante!».

Scuola guida, ore sette e mezza del pomeriggio. Per l’appunto mi trovavo quella sera lì ad apprendere il minimo necessario affinché lo Stato mi concedesse la sopra citata e tanto agognata patente.
Il nostro istruttore era un invasato nullafacente di quarant’anni con una giovane fidanzata di venticinque. Sulla sua testa era in atto la lunga e solenne avanzata della fronte a causa della calvizie, che a breve l’avrebbe portato sicuramente a mettersi parrucche stravaganti per poter continuare ad andare ai concerti di qualche rock band fingendosi un ragazzino di quindici anni. Ma se c’è una cosa che davvero mi è rimasta impressa di lui – oltre la chitarra elettrica che ostentava sempre nell’aula dove facevamo lezione e che mi interessava dal momento che io suonavo la classica – è il sottile, fastidioso, pungente sarcasmo che il più delle volte mi faceva venir voglia di alzarmi dalla sedia e andarmene prima della fine della lezione. Ma, avendo mia madre pagato fior di quattrini per farmi seguire quel maledetto corso, mi guardai sempre bene dall’andarmene. Così sbuffavo e incassavo.
Nella maggior parte dei casi alla fine della scuola guida finivo col chiamare Daniele per farmi consolare. Lo stesso feci la sera del mio compleanno. Non a caso, tra l’altro, poiché il fato volle che lui compisse gli anni esattamente il giorno dopo il mio.
Parlammo del più e del meno, raccontandoci di patenti, università e professori; a volte, tra un argomento e l’altro, trionfavano dei vuoti di silenzio piuttosto imbarazzanti, con il respiro mozzo di lui che cercava di tirar fuori qualche parola, probabilmente troppo compromettente per essere detta con tranquillità. Spesso, nei nostri discorsi, capitava che facesse tentativi di dichiararmi il suo amore e io lo lasciavo fare. Avevo cominciato a considerarlo come la mia unica ancora di salvezza. Salvezza da cosa? Da Lyn, ovviamente.
«Vorrei essere lì con te oggi che compi diciotto anni» sussurrò ad un certo punto.
Io mi sentii terribilmente mortificata: ad essere sincera a me non interessava che venisse, ma per lo stretto rapporto che ormai si era instaurato tra di noi mentii:
«Anch’io…»
La verità è che avevo semplicemente paura di quello che avevo scoperto di provare per Lyn. In realtà avevo paura anche di quello che provava Daniele; cominciavo a sentire, pian piano, che quel ragazzo faceva sul serio. E io? Io lo degradavo al livello di “alternativa obbligata” alla mia migliore amica. Mi chiesi molte volte, quel giorno, se fosse giusto trattarlo in quel modo; ma spesso mi ritrovavo a pensare che non avevo altra scelta se volevo liberarmi dell’ossessione per Lyn. Lei era il mio paradiso e il mio inferno, avevo il terrore di starci insieme ma nello stesso tempo non c’era cosa che desiderassi di più, o più ardentemente, nella mia vita. Tutto ciò mi destabilizzava enormemente, e sapevo che chi ne stava facendo le spese era proprio lui. Eppure non riuscivo a farci niente.
Alla fine della serata, scoccata la mezzanotte, gli feci a mia volta gli auguri.
«Tanti auguri, Dani!» gridai nel ricevitore.
«È appena finito l’unico giorno dell’anno in cui io e te abbiamo la stessa età… ora sono di nuovo più grande io» puntualizzò in risposta.
Io mi finsi scocciata per riuscire a intavolare l’ultima finta litigata della serata e lui colse al volo il guanto della sfida. Alla fine concludemmo non prima dell’una di notte, salutandoci con un reciproco “ti voglio bene”. Poco dopo aver messo in carica il mio telefono avevo già dimenticato l’intera conversazione e stavo piuttosto progettando la bellissima festa di compleanno che avevo fissato per il sabato: mi sorprendo tutt’ora di quanto qualsiasi stupidaggine mi distraesse velocemente dal pensiero di Daniele. Probabilmente questa è la dimostrazione che la nostra è una storia che non è mai davvero esistita.
Dopo essermi infilata sotto le coperte del mio letto ripensai a Lyn, ai suoi occhi smeraldo e al pomeriggio insieme che mi doveva per il mio compleanno e che non c’era ancora stato. E mi addormentai – ahimè – con un sorriso ebete stampato sul volto.




 
NdA
E dopo molto tempo rieccomi qui a pubblicare il nono capitolo di questa storia infinita... non pensavo di riuscire davvero a pubblicare ancora qualcosa xD
Recensite, cari!
Alex
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 o Fidanzamento ***


Capitolo 10 o Fidanzamento

Epica.
Ecco come avrei potuto definire la festa di compleanno che di lì a poche ore avrebbe radunato tutti gli amici più cari che avevo in un unico luogo. E tutti lì a festeggiare me e la mia maggiore età.
L’ansia da preparativi che affliggeva me e mia madre in quelle ore non riusciva ad intaccare minimamente le rosee aspettative che nutrivo per quella serata. Potrei dire che ci fosse un’unica cosa che mi inquietava solo a pensarci: l’idea che tutti quelli che conoscevo mi avrebbero vista con un vestito. E i capelli lisci. E anche dei tacchi. Dio, e che tacchi! Purtroppo mia madre mi aveva obbligata a comprarli nel momento stesso in cui acquistammo il vestito e in fondo me lo sarei dovuta aspettare, ma mi era ancora difficile realizzarlo.
A pensarci con attenzione ciò che davvero mi disturbava nel profondo era il pensiero che Lyn mi avrebbe vista così: una gioia ai suoi occhi, un martirio ai miei, perché avere un paio di trampoli sotto i piedi e un gonnellino che lasciava scoperto più del dovuto mi impediva di propormi per quella serata come suo cavaliere. Senza parlare del trucco!
Ma le sorprese che mi attendevano si palesarono ben prima dell’inizio della festa.
Per la precisione a un certo punto del pomeriggio mi ritrovai Giorgia e Lyn attaccate al campanello di casa mia, armate di benda e un ghigno malefico.
«Ehi Alex!» cominciò Lyn appoggiandosi al cancelletto.
«Abbiamo una sorpresina per te, dovrai essere rapita», continuò Giorgia.
Già me lo immaginavo: io bendata e legata come un pollo a fare bungee jumping giù dal tredicesimo piano del grattacielo del lungomare.
Gio mi tenne ferma per le braccia e Lyn da dietro mi bendò legandomi ben stretta. Persino in quell’occasione avvertii il sangue guizzarmi nelle vene al tocco delle dita di Lyn sul mio viso; respirai il suo profumo e quell’istante divenne eternità. Ma venne il momento di scendere dalle nuvole quando mi sentii spinta dentro una macchina – probabilmente guidata da uno dei loro genitori – mentre loro si sedevano una davanti e l’altra accanto a me. Le portiere sbatterono con forza e solo da quel suono intuii che Lyn non era quella accanto a me.
«Alex, non puoi immaginare neanche lontanamente cosa ti abbiamo combinato…» fece Giorgia al mio fianco.
«Mi auguro per voi che non sia niente che mi rovini i capelli appena piastrati…»
No, cioè, quasi non potevo crederci di averlo detto.
«Eh?!» esalò Lyn, «Gio, ma siamo sicure di aver preso l’Alessia giusta? Non la riconosco»
«Come mi hai chiamata? Alessia?! Lyn, sono io a non riconoscere te»
Ci fu una pausa in cui l’unico suono imperante era quello dell’acceleratore appena schiacciato da chi guidava.
«Ma davvero ti stai preoccupando per i tuoi capelli?»
Mi innervosii e sbuffai.
«Ho pagato quasi quaranta euro per questa piega imbarazzante, almeno falla arrivare alla festa!»
Sentii la mano confortante di Giorgia posarsi sulla mia spalla.
«Stai tranquilla, non ti getteremo in mare… forse»
E ridacchiarono.
In quel momento ebbi chiara una cosa: fortunatamente si compiono diciotto anni una volta sola.
Passarono circa dieci minuti prima di sentire la macchina parcheggiare e i miei aguzzini tirarmi su dal sedile. Mi presero sotto braccio e mi condussero all’interno di un edificio. Cercai di memorizzare ogni singolo suono che giungeva da quel nuovo ambiente, per riuscire ad identificarlo in qualche modo, ma non mi riuscì.
«Questo posto puzza di ospedale…» feci arricciando il naso.
«Errore… altrimenti sarei già svenuta» commentò Lyn.
Effettivamente era così. Lyn odiava gli ospedali. O meglio, non è che li odiasse per principio, ma ogni volta che ci entrava, dopo aver aspirato a lungo l’odore acre dei disinfettanti misto al sangue rappreso, sveniva. Era matematico: non riusciva a stare in piedi per più di cinque minuti. Io, sinceramente, non l’avevo mai vista svenire; ma devo ammettere che a sentirmelo raccontare sembrava una scena piuttosto esilarante. Ora non so se mi metterei a ridere se la vedessi svenire di fronte a me.
Fatto sta che mi ritrovai improvvisamente seduta su quello che doveva essere un morbido divano. Prima di poter cominciare a tastare curiosa l’ambiente intorno a me – ignorando di proposito l’eventualità di fare brutte figure con della ipotetica gente presente – una delle mie due accompagnatrici mi levò la benda.
«Dove siamo?»
Non riuscii a riconoscere il posto. Mi giravo, spaesata, cercando un appiglio in qualche angolo particolare o in qualche segno che fosse significativo, ma niente. Era del tutto simile a un salotto, ma di quelli lussuosi, con al centro due lunghi divani perpendicolari di velluto rosso, piante sgargianti ad ogni angolo e scalinate che partivano vicino a un bancone di legno, in cui un omino incravattato sorrideva nella nostra direzione; quel particolare mi fece pensare alla hall di un albergo, ma mi servivano degli altri elementi per esserne sicura. In quel punto la puzza di prima si trasformava in odore di pulito misto a quello pungente del legno degli antichi mobili intarsiati, affianco ai divani. Un intruglio che, a dire il vero, mi disgustava.
Le ragazze mi si pararono di fronte e mi consegnarono una lettera, scritta con una grafia minuta ma riconoscibile. Capii subito di cosa si trattava.
La lessi tutta d’un soffio, sorridendo alle dolci parole di Daniele nei miei confronti. Quel ragazzo mi stupiva sempre con la sua sincerità e apertura totale. Sembrava che non gli importasse troppo dei miei dubbi o delle mie difficoltà, lui mi amava e basta. Finché esistevo a lui andava bene così.
«Alex, guarda un po’ chi c’è…»
Giorgia mi risvegliò dalle mie riflessioni. Alzai lo sguardo e lo indirizzai verso le mie migliori amiche: dietro di loro, con una valigia e uno zaino sulle spalle, tutto trafelato ma con un sorriso luminoso, c’era Daniele.
«Dani, tu… sei nel bel mezzo del periodo delle lezioni in università… che ci fai qui?!» sbarrai gli occhi, con le mani che mi tremavano.
Lui si avvicinò, lasciando a terra i bagagli. Si fermò di fronte a me e mi tese la mano che io afferrai prontamente per alzarmi.
«Sono qui per te, per la tua festa»
Sentii il cuore balzarmi in gola e non potei fare a meno di abbracciarlo con forza, gesto che lui doveva aver sicuramente apprezzato.
«Oltretutto questo in cui siamo ora è l’hotel dove alloggerò stanotte, prima di ripartire domani»
«Hotel? Ma tu abiti qui! Perché sei in un hotel quando puoi tornare a casa tua?»
«Perché… a dire il vero i miei non lo sanno, non gli ho detto nulla» ridacchiò colpevole.
«Che cosa?» esalai io.
Lyn mi venne affianco e mi tirò una gomitata.
«Su, Alex, non fare la difficile… ha risparmiato per un mese solo per potersi permettere questa scappatella oggi e venire da te, ovviamente con la nostra cooperazione» strizzò l’occhio a Giorgia.
«Non posso crederci… voi siete tutti pazzi!»
Non sapevo se ridere o piangere. Nel dubbio, mi buttai nuovamente tra le braccia di Daniele, affondando il viso sulla sua felpa calda.

A un’ora dall’inizio della festa era tutto pronto.
Mia madre posizionò sul tavolino gli ultimi tramezzini rimasti mentre io facevo prove di camminata coi tacchi su e giù per la stanza d’oratorio che avrebbe accolto i miei ospiti. Il mio vestito aderente, verde acqua, accompagnava perfettamente le forme del mio corpo magro. Sospirai e con l’indice e il medio spostai una ciocca di capelli lisci dietro l’orecchio, su cui risplendeva un orecchino a stella dorato. Gli stivaletti neri con tacco dieci erano piuttosto belli, dovevo ammetterlo, ma già sentivo che non sarei durata molto prima di scambiarli con le ballerine di riserva che avevo giudiziosamente portato. Il filo di matita, il rossetto e l’ombretto verdino che mi mascheravano di finta perfezione il viso, erano la ciliegina sulla torta.
Ma quando la festa iniziò, ogni preoccupazione sparì.
Rividi persone che avevano segnato la mia infanzia, amicizie che avevano attraversato parte della mia adolescenza e i cugini con cui ogni anno, la notte di Natale, giocavo a “dodici tocchi a mezzanotte” a casa di nostra nonna. Dovetti anche prendere coscienza delle persone che, seppur care, quella sera non sarebbero potute esserci.
Lyn – accompagnata dal resto del gruppetto – arrivò in ritardo, ma questo non mi stupì. Mi meravigliai piuttosto che indossasse dei pantaloni. Certo, eleganti, ma pur sempre dei pantaloni.
«Ehi, piccoletta», la incalzai tentando di darmi un tono da playboy, «il mondo si è ribaltato? Io in gonna e tu in pantaloni?»
«Sì, guarda, non sai quanto ho dovuto sudare oggi pomeriggio per prepararti gli scherzi – a quella parola deglutii – e alla fine non ho fatto in tempo a comprarmi un vestito nuovo come avrei voluto».
«Se ti può consolare, sei bellissima lo stesso» feci accarezzandola col pollice e l’indice sotto il mento.
«Lo so» civettò lei, lanciandomi uno sguardo che mi mozzò il fiato.
Proprio in quel momento una mano grande si posò sulla mia spalla, obbligandomi a voltarmi stizzita. Ma incrociare il viso di Dani mi addolcì immediatamente.
«Alessia, sei così bella stasera! Non ho parole» mormorò lui emozionato.
Io gettai un’ultima occhiatina di congedo a Lyn e poi feci un inchino sgraziato verso il ragazzo che mi aveva rivolto la parola.
«Ti ringrazio!»
«Vorresti ballare con me?»
«Su una canzone di Lady Gaga? Se proprio ci tieni…» ridacchiai io, ascoltando il brano appena partito dalla riproduzione casuale della playlist scelta apposta per la serata.
«Beh, meglio di niente» fece lui tendendomi la mano.
Faticai a dire sì. Soprattutto perché ero davanti a Lyn e non avevo pianificato di dovermi mostrare, oltre che in abiti femminili, anche accondiscendente verso un uomo. Questo fatto mi faceva piangere il cuore.
Al contrario, gli invitati alla mia festa sembrarono apprezzare quella che definivano la “coppia della serata”. Dopo un giro di balli scatenati, infatti, avevo dietro di me una fila di amiche pettegole che cercavano a tutti i costi di tirarmi fuori con le pinze chi fosse e cosa rappresentasse per me quel bel ragazzo moro con cui avevo ballato buona parte della serata.
Mi tolsi da quella situazione imbarazzante solo con l’inizio degli scherzi organizzati per me. Ma, per contro, fu l’apoteosi della vergogna: mi ritrovai a fare cose indecenti come gattonare per terra – vestita com’ero – mentre imitavo un lupo, a ballare danze hawaiane travestita da giapponese, a suonare una chitarra con le corde scordate – mi piangono ancora le orecchie – e a giocare a mosca cieca tastando malamente le facce ai miei ospiti. Alla fine di tutto ciò il premio per il mio coraggio era il regalo: un computer portatile, che mi sarebbe certamente servito sia per la maturità che per l’università.
Quando arrivammo alla torta ero già piuttosto stanca – tornavo lucida solo quando dovevo fare le foto con Lyn – e la festa finì tanto velocemente quanto era iniziata.
Dopo altre mille formalità i miei ospiti se ne andarono uno dopo l’altro, salutandomi con baci e auguri. Ma prima che potessi dirmi pronta per andare a dormire, Daniele mi prese per la mano e mi sussurrò all’orecchio:
«Ho bisogno di parlati. Possiamo uscire un attimo?»
Mi si mozzò il respiro all’istante. Senza capirne il perché, temevo quello che mi avrebbe detto.
Fuori dall’oratorio adibito a salone da feste c’era un giardino verdeggiante e un vialetto di ciottoli che brillavano al chiaro di luna. Alberi di specie diverse incorniciavano il perimetro e i lati della stradina, immobili a causa dell’aria stabile e gelida delle tre del mattino. Io mi strinsi istintivamente nel mio cappotto nero, mentre Daniele mi passava una mano intorno alle spalle. Ci fermammo a sedere su di una panchina di legno nascosta tra due giovani cespugli.
Lui cominciò a sorridere ansiosamente, tastandosi una tasca con le mani tremanti.
«Io non ho partecipato con gli altri al tuo regalo di compleanno, perché ci tenevo a fartene uno personalmente» iniziò rompendo il silenzio glaciale.
Lo guardai interrogativa mentre tirava fuori una scatolina quadrata di colore verde scuro, avvolta da un nastrino dorato. Mi mancò il fiato per la seconda volta.
«No, Dani, non dovevi!»
«Certo che dovevo. Aprilo!»
Gli sorrisi con dolcezza e feci come mi era stato detto. Sciolsi il nastro e aprii la scatola: all’interno c’era una catenina dorata col ciondolo a forma di cuore, tutto incastonato di brillantini azzurri.
«È bellissimo! Grazie!»
«Ti piace? Ero indeciso se prendertelo rosa o blu… ma poi ho deciso per il blu!»
«E hai fatto benissimo visto che non sopporto il rosa»
Lui rise per scaricare la tensione rimasta e lo stesso feci anche io. Quando ci quietammo i nostri sguardi rimasero incatenati per un tempo indeterminato. Quando notai che teneva gli occhi fissi nei miei con aria sognante mi affrettai a distogliere lo sguardo per l’imbarazzo.
«Alessia»
Intrecciai tra loro le dita delle mie mani e mi sforzai a rialzare gli occhi verso di lui.
«Ti amo»
Rimasi a bocca semiaperta. Mi aveva comprato una bellissima collana, spendendo non so quanto; era venuto da lontano per la festa del mio diciottesimo compleanno, alloggiando in un albergo nonostante quella fosse anche la sua città natale; e ora era qui, di fronte a me, a consegnarmi a cuore aperto tutto quello che provava, a metterlo nelle mie mani, trattandomi però con rispetto, senza la pretesa di ricevere qualcosa in cambio.
Al pensiero di tutto questo sentii un groppo alla gola e la forza di gravità che mi pressava il petto. Scambiai tutto questo per amore.
«Anche io…» sussurrai, ritraendomi però subito al contatto coi suoi occhi scuri.
Daniele sembrò non scomporsi e mi accarezzò una guancia con la mano; avvertii la leggera pressione delle sue dita, che mi incitavano ad alzare il viso. Io mi lasciai guidare dal suo tocco.
Lui mi baciò.
Fu un contatto non più lungo di qualche secondo, sobrio, purissimo: una semplice aderenza fra labbra. Quando mi lasciò, osservò:
«Non ti facevo così timida»
Il mio grugnito di disappunto lo fece sorridere, e il suo sorriso mi mandò a fuoco le guance.
«Da oggi quindi stiamo insieme?» chiese lui.
«Sì, proviamoci» dissi io, con fermezza.
Il secondo dopo, però, non ero più così certa di ciò che avevo fatto e detto. Ma, come al solito, di fronte a lui ignorai la morsa al cuore che mi diceva con chiarezza disarmante che quello non era ciò che volevo.
«Devo andare a casa, Dani»
«E io devo tornare in hotel»
«Domani non potrò venire a salutarti quando partirai… perciò fai buon viaggio»
«Mi dispiace non poterti rivedere» il suo sguardo si era scurito all’improvviso e prese le mie mani nelle sue, «ma se deve essere così… a presto, Alessia».
Io mi alzai e lui con me. Lo abbracciai affondando il viso gonfio delle lacrime che trattenevo sulla sua giacca nera, intrisa del suo profumo.
Era un profumo tutto maschile. Era così diverso da quello di Lyn. Le sue mani grandi e ruvide, le sue braccia muscolose e la pelle dura erano così diverse da quelle di lei. Diverse dal suo viso morbido, la sua pelle liscia e il suo corpo sinuoso dalle forme eleganti. E quel bacio… realizzai che era diverso anche baciare un ragazzo rispetto a una ragazza. Lyn era tutta un’altra cosa.
Accorgendomi di quei pensieri mi strinsi nelle spalle e feci sparire completamente la mia testa tra le sue braccia. Quando Daniele mi lasciò, ricacciai con rabbia le lacrime che spingevano per uscire. Lui non si meritava tutto questo. Per quella volta, solo per quella volta, volevo smettere di pensare. Smettere di paragonare sempre tutto a lei.
A dire il vero, mi opprimeva tutto di quella situazione; e soprattutto il dover prendere atto che ora avevo ufficialmente un fidanzato. Repressi con tutta la forza di volontà che avevo quel senso di schiacciamento, quelle lacrime amare, quella rabbia e quel dolore che provavo pensando al mio nuovo ragazzo, e mi auto-convinsi che era giusto così.
Ormai sapevo che l’unica strada che potevo seguire per evitare di ferirmi era smettere di amare Lyn. E il più velocemente possibile.





 
NoteDiGlo.
Beh, sì sono tornata.
Mi dispiace per voi, ma questa storia non la mollo, è troppo importante, dovessi finirla anche tra vent'anni >_<
Detto ciò... AUGURATE TUTTI BUON COMPLEANNO IN RITARDO AD ALEX!
Alex: potevi anche risparmiartelo!
Autora: cos'è, sei infastidita perché ti ho fatto mette con Dan? ;3
Alex: nosonoinfastiditaperchénonmihaifattomettereconLyn, va benissimo così, figurati.
Autora: qualcuno le faccia un massaggino, ne ha bisogno questa povera ragazza.

Se non siete completamente spariti, che ne dite di commentare? *O*
Gracias,
Videl.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 o Perché tremi? ***


Capitolo 11 o Perché tremi?

Non appena mia madre venne a sapere del mio fidanzamento con Daniele fu la mia rovina: cominciò a intervenire quando eravamo al telefono insieme, a fare battutine a ogni ora del giorno e, peggior cosa di tutte, a considerarlo già come suo genero. Ai suoi occhi ero evidentemente il tipo di ragazza che difficilmente trovava un fidanzato, e quindi quando capitava bisognava festeggiare.
Un appunto mentale: mai far intervenire i genitori nelle relazioni dei figli.
Io passai i giorni successivi a vivere una doppia vita: da una parte quella ufficiale, in cui io ero felicemente fidanzata con Daniele e il mondo era tutto rose e fiori in vista del nostro futuro e tanto augurato matrimonio. Dall’altra quella sotterranea, in cui io baciavo Lyn e mi chiedevo come fosse possibile che solo lei riuscisse a farmi quell’effetto. A farmi stare male e bene insieme. Mi accorsi di questo, sopra ogni cosa: lei aveva il potere di decidere della mia felicità. È una cosa disgustosa, lo so. Mai permettere a qualcuno di diventare la tua felicità, perché quel qualcuno potrebbe fare quello che vuole di questo potere. Però era oggettivamente così.
Laura e Marco, i miei cari amici innamorati, stavano facendo dei passi avanti nel frattempo. Si avvicinavano spesso e volentieri, si parlavano, si cercavano. Si vedeva lontano un miglio che si volevano. Li invidiavo: loro erano certi di quel che facevano. Loro si amavano e saperlo perfettamente di farlo, tra non molto si sarebbero dichiarati e la loro certezza sarebbe cresciuta. Io invece stavo con un ragazzo che non amavo e amavo una ragazza che non dovevo amare. Li guardavo, uscendo, e mi veniva quasi da odiarli. Sembrava tutto così semplice visto dalla loro prospettiva.
Lyn, neanche a dirlo, continuava a provarci gusto a saltarmi addosso. Mi chiesi più volte cosa ci trovasse di tanto divertente a baciare me, quando sognava di aggrapparsi alle labbra di un altro.
«Alex, che hai questo periodo? Non sembri neanche più tu»
E se era Giorgia a dirlo, era grave.
«Ma nulla, è l’impegno della scuola, tante questioni…»
«Sei sempre con la testa fra le nuvole, altro che impegni e questioni! Non credere che non abbia capito cosa sta succedendo tra te e Lyn»
Io sbiancai. Cos’è che avrebbe capito?
«Di che parli?»
Nonostante il mio tentativo di mostrarmi calma e perfettamente padrona della situazione, la voce mi uscì dalla gola tremante e insicura.
«Del fatto che ultimamente siete ancora più appiccicate. E tu sei fidanzata con Dani. Stai attenta a quel che fai, gli altri si stanno tutti chiedendo che cosa avete. Sembra che non possiate vivere l’una senza l’altra! Cioè, questo anche prima, ma ora state esagerando!» concluse.
A quelle parole mi salii montare una rabbia nuova, scattai sulla difensiva e il mio tono si fece graffiante.
«Non stiamo facendo nulla. È tutto normale e non c’è niente da dire»
Giorgia ammutolì per vari secondi al sentire la durezza con cui avevo dato la mia risposta. Però, in qualche modo, sembravo averla convinta a lasciar correre.
«Come vuoi».
Strinsi i pugni, ancora più infastidita. Non sopportavo che qualcuno pretendesse di conoscermi meglio di quanto facessi io. Ho sempre odiato gli occhi della gente puntati su di me quando non ero espressamente io a richiederlo. E non concepivo che la gente potesse sparare giudizi sul rapporto mio con Lyn. Quella era una questione nostra.
Ma la verità è che mi ero arrabbiata perché lei aveva rigirato il coltello nella piaga, indovinando senza dubbio alcuno che la ferita era proprio quella.

Un venerdì pomeriggio Lyn irruppe a casa mia con sguardo trionfante, pronta a dimostrarmi come sarebbe stata una brava allieva di latino. Ovviamente l’insegnante ero io. Non che me ne intendessi così tanto, ma sicuramente avevo più esperienza io in fatto di versioni che lei.
Il piano era semplice: studiare insieme fino alle sette, poi lei sarebbe tornata a casa e io sarei andata al corso di scuola guida, che iniziava alle sette e mezza. Le pecche di questo piano: non considerare la presenza molesta di altra gente in casa che ha poi finito per relegare me e lei in camera mia.
A studiare sul letto.
E noi non possiamo studiare sul letto.
Tanto che appena ci siamo chiuse la porta alle spalle Lyn ha finito per buttare all’aria il libro di latino e aggrapparsi a me con sguardo tutt’altro che pudico.
«Lyn, no, prima il latino!» la rimproverai, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi.
Non sapevo nemmeno dove avessi trovato la forza di dirle di no.
«E va bene…» sbuffò lei, stendendosi sul mio letto a pancia in giù con davanti il libro.
Io sospirai e finii con buttarmi a sedere per terra appoggiata con la schiena al mio materasso.
Leggeva ad alta voce, mentre io l’aiutavo ad analizzare le frasi e i vari elementi da tradurre. Siamo andate avanti così per un po’ di tempo, con lei che traduceva allungata in posizioni improbabili sul mio letto e io che fissavo sempre e solo il libro per non cadere in tentazione. A un certo punto ridacchiò, prese a fissarmi più del dovuto mentre le spiegavo come riconoscere un ablativo assoluto e cominciò a farmi il solletico. Quando poi mi chiuse la bocca con un bacio, capii che era davvero finita e buttai a terra definitivamente i libri di latino.
Ancora una volta eravamo solo io e lei.
Stavolta eravamo abbastanza esperte l’una del corpo dell’altra da non lasciarci sorprendere dalla timidezza. Sapevo perfettamente come muovermi e cosa la facesse impazzire e questo mandava me ancor più fuori di testa. La follia del potere. Ci baciavamo e rimanevamo unite fino a sentirci mancare il fiato. Le accarezzavo tutto il corpo mentre lei intrecciava le mani attorno al mio collo.
«Incredibile, sto davvero tra le tue braccia» mi sussurrò lei a un certo punto.
Effettivamente, essendo io un po’ più gracile di lei, suonava strano. Io però la sovrastavo e la tenevo stretta a me con una sicurezza che doveva averla sorpresa. Sorrisi e le accarezzai i capelli.
«Non capita mai, eh?»
«Non lo credevo possibile» ridacchiò lei.
A quel punto mi stesi al suo fianco e la baciai con meno foga e più dolcezza. Sembrava quasi che Lyn mi avesse prosciugato tutte le energie. Chiudemmo gli occhi, fronte contro fronte.
«Alex, perché tremi?»
Ah, bene. Non mi ero nemmeno accorta fino a quel momento che il mio corpo aveva deciso di fare un po’ quello che gli pareva: ero scossa da lievi tremiti che partivano dalla nuca e arrivavano fino in fondo alla schiena. Non avendoci fatto caso, quella domanda mi spiazzò. Giusto, perché tremavo?
«Ho… solo un po’ di freddo» mi uscì.
Lei mi guardò inarcando un sopracciglio.
Sì, beh, era poco credibile visto tutto l’esercizio fisico che avevamo fatto finora. Ma lei sembrò crederci, visto che fece cadere l’argomento e si strinse di più a me. Le accarezzavo la schiena lentamente mentre riflettevo su quelle parole. Dovevo ammettere che era piuttosto strano. Tremavo come una foglia, con lei tra le mie braccia. Chiusi gli occhi e cercai con tutta me stessa di mantenere fermo il mio corpo, con scarsi risultati. Sospirai. Probabilmente era la troppa adrenalina in corpo a giocarmi brutti scherzi. Accarezzai la guancia di Lyn con il pollice della mano sinistra; fui tentata di dirle una cosa come “ehi, amica! Vuoi sentire una cosa divertente? Mi sono presa una cotta per te! Ridicolo, vero?” ma il poco buonsenso rimastomi mi trattenne. Ad ogni modo mentre pensavo a queste cose dovevo avere una faccia piuttosto buffa – o piuttosto penosa – perché la mia migliore amica rise.
«A che pensi?»
«A nulla... a te»
«Allora non è nulla» puntualizzò.
Sorrisi mesta, poi guardai l'orologio sul mio comodino.
«Dovresti andare, tra poco ho scuola guida»
Ci alzammo e ci sistemammo in silenzio, scambiandoci di tanto in tanto qualche sguardo fugace. Davanti alla porta di casa mia madre ci fermò.
«Elena, vai via? Com'è andata?»
Io mi intromisi e risposi per lei:
«Benone, siamo riuscite a fare qualche versione. Facciamo un pezzo di strada insieme e poi vado a scuola guida. Ciao!»«Arrivederci!» salutò Lyn.

Uscimmo, e dopo averla salutata rimasi qualche secondo in più a guadare la sua schiena diventare sempre più piccola in lontananza. Ripensai alle parole che mi aveva detto Giorgia. Saremmo dovute essere molto più caute d’ora in poi; di certo non era intenzione nostra che la gente sapesse quanto ambigua si era fatta la nostra relazione. E soprattutto quanto confuso fosse il mio cervello.
Ma più del mio cervello, era Lyn ciò che mi lasciava degli interessanti punti interrogativi. Non riuscivo assolutamente a capacitarmi di come riuscisse a prendere la situazione così... sottogamba? Con ingenuità? Era quasi inquietante, aveva sempre lo sguardo impassibile da bambola perennemente serena. Mai, mai una volta l’ho vista dubitare di quello che stava facendo. Mai una volta confusa, mai una volta che si fermasse, mi prendesse per le spalle e mi dicesse: “stop! Alex, ma che diavolo stiamo facendo? Che sta succedendo tra noi?”, mentre io l’avrei già fatto un miliardo di volte se non fosse che ero terrorizzata dal pensiero che potesse cambiare il nostro rapporto. E, diciamocelo, a me il nostro rapporto così com’era piaceva da matti.
Scossi la testa e proseguii per la mia strada, cuffie nelle orecchie. Meglio rimandare.
Rimandare è sempre stato quello che so fare meglio.
Rimandare finché a un certo punto non ti crollano le travi del tuo mondo di plastica addosso.



 


Note dell'autrice.
Ehm... ciao? Non so bene cosa dire in questi casi. E con "in questi casi" intendo quando non ci si fa sentire per tre lunghi anni e il pubblico della tua storia probabilmente sarà andato in Erasmus su Marte, perché in tre anni tutto può succedere.
Succede anche che io non so più la stessa di quando avevo bisogno di scrivere questa storia. Ho iniziato a scriverla proprio per catarsi, per dare un senso a quello che avevo vissuto nel lontano a.s. 2011/2012, quando si svolgono i fatti narrati. Io sono cambiata, ho vissuto molte altre storie, sono cresciuta. E ho lasciato da parte il progetto di questa storia. Ultimamente però l'ho riletto, perché volevo sapere che ne pensava una mia amica. Allora ho visto che era una buona storia, scritta in maniera interessante, che poteva ancora dare tanto a me e a chi la leggeva. Ho deciso di riprenderla, quindi, sebbene abbia scoperto che scavare nella memoria per rievocare quei fatti faccia ancora un pochino male. Forse è per quello che avevo smesso di scriverla. Ma penso sia arrivato il momento di concludere la mia prima long originale, che ne dite? Una specie di libro. Il mio primo libro originale.
Scusate il papiro, probabilmente volevo solo giustificarmi per l'assenza e ciaone. Spero che qualcuno torni a leggere e a recensire, adoravo i trip mentali dei miei vecchi recensori che, tanto quanto me che vivevo i fatti, non capivano assolutamente un cazzo di quello che stava succedendo nella testa di Lyn! Ahahahah.
Grazie e alla prossima!
Alex

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1537855