Figlia del Lupo

di Amatus
(/viewuser.php?uid=921049)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lasciare il branco ***
Capitolo 2: *** Seguire la traccia ***
Capitolo 3: *** Cercando una tana ***
Capitolo 4: *** Nuove ombre, nuovi odori ***
Capitolo 5: *** Richiami nella tormenta ***
Capitolo 6: *** In lotta con il passato ***
Capitolo 7: *** Capi Branco ***
Capitolo 8: *** Slanci ed errori - Parte I ***
Capitolo 9: *** Slanci ed errori - Parte II ***
Capitolo 10: *** Notti di caccia ***
Capitolo 11: *** Segreti svelati ***
Capitolo 12: *** Confondere le tracce ***
Capitolo 13: *** Sentieri intricati ***
Capitolo 14: *** La fine della pista ***
Capitolo 15: *** Leccarsi le Ferite ***
Capitolo 16: *** Immagini Riflesse ***
Capitolo 17: *** Niente è inevitabile ***
Capitolo 18: *** Lupi solitari - parte I ***
Capitolo 19: *** Lupi solitari - parte II ***
Capitolo 20: *** Cambiamenti ***
Capitolo 21: *** Principi e Definizioni ***
Capitolo 22: *** Cuore di Lupo ***
Capitolo 23: *** Cuccioli che crescono ***
Capitolo 24: *** Vir Abelasan ***
Capitolo 25: *** Vir Assan ***
Capitolo 26: *** Vir Bor'Assan ***
Capitolo 27: *** Vir Banal'ras - Parte I ***
Capitolo 28: *** Vir Banal'ras - Parte II ***



Capitolo 1
*** Lasciare il branco ***


Lasciare il Branco
 

All stories are about wolves. All worth repeating, that is. Anything else is sentimental drivel. …Think about it.
There's escaping from the wolves, fighting the wolves, capturing the wolves, taming the wolves.
Being thrown to the wolves, or throwing others to the wolves so the wolves will eat them instead of you. Running with the wolf pack. Turning into a wolf.
Best of all, turning into the head wolf. No other decent stories exist.  

Margaret Atwood, The Blind Assassin.

 

 

I

Le voci del campo si perdevano ormai lontane. L’unico rumore che la accompagnava era quello dei suoi passi, pesanti ma rapidi che affondavano nel fango.
I cespugli le si impigliavano nei vestiti e la graffiavano, il sudore a contatto con l'aria fredda e umida della serata le gelava la pelle. Ma niente contava ora. Era libera e niente al mondo l’avrebbe convinta a tornare indietro.
La giornata era stata fredda e piovosa e la notte si preannunciava peggiore. Lena rimpianse in quel momento il suo mantello nuovo, che era rimasto dimenticato, nel suo aravel. Se fosse tornata indietro per recuperarlo qualcuno sicuramente l’avrebbe notata, e avrebbe fatto domande. Lena non era brava a mentire, avrebbe senza dubbio destato sospetti.
C’era della poesia però nel pensare a quel bel mantello foderato di pelliccia di fennec all’asciutto e al caldo nel baule, era un po’ come un custode grigio negli anni successivi ad un flagello: dimenticato presto, inutile, ai margini della storia. Era quello il destino a cui Lena aspirava, e sorrise a quel pensiero. Ma subito la rabbia, come un lampo le illuminò i pensieri. Imprecò realizzando che Tallis probabilmente se ne sarebbe appropriato, come di tutto il resto, d'altronde. Prese a camminare più velocemente a correre quasi, la rabbia la spingeva e mascherava la fatica. Ogni passo che la allontanava dal campo le dava la sensazione di poter allontanare anche tutta la rabbia, il dolore e i soprusi della sua giovinezza.
La notte aveva coperto le sue tracce finora ma presto sarebbe arrivata l’alba e le forze iniziavano ad abbandonarla. Ora che l’eccitazione per la fuga svaniva e la rabbia scemava, la fatica iniziava farsi sentire prepotente. 
Scelse un albero su cui arrampicarsi non sembrasse troppo difficile con le poche forze a sua disposizione, e come giaciglio individuò un ramo robusto e stabile. Si addormentò all'istante e sognò, cosa che non le accadeva da tempo immemorabile.
Nel sogno si aggirava in una città che non aveva mai visto, in tutta onestà Lena non aveva mai visitato una vera città. Aveva visto da lontano qualche villaggio al limitare delle foreste, ma non aveva mai camminato tra le vie e le case degli shem'len. 

Eppure il sogno le sembrò del tutto credibile. Lei camminava con passo fiero e sicuro per una via angusta, fiancheggiata da palazzi imponenti le cui facciate di pietra e legno erano finemente intagliate e intarsiate di ematite e vetriolo blu.
Sentiva chiaramente che era la strada a guidarla, non aveva facoltà di scelta nel percorso, ma questo non la faceva sentire in trappola o impedita, non sapeva dove stava andando ma camminava sicura. Una presenza alle sue spalle la osservava, una bestia, un segugio o forse un orso. Non poteva vederne lo sguardo ma lo sentiva feroce e questo per qualche motivo la faceva sentire al sicuro anziché spaventarla. La strada terminava bruscamente con una maestosa porta di pietra, gli intagli su questa formavano una figura incerta, forse un uomo, forse un animale rampante, ad un tratto esattamente al centro dell'unico occhio visibile apparve una luce intensa e spettrale. La porta si stava aprendo e la bestia alle sue spalle si preparava ad attaccare, ma chi? 
“Fen'len! Fen’len! Che ci fai lì? Vieni giù!”
Una voce la trascinò fuori dal sogno e per un attimo la paura rischiò di farle perdere l’equilibrio. Nella confusione tra il sonno e la veglia infatti, si era manifestato improvviso il timore che la fuga facesse parte del sogno e che, aprendo gli occhi, avrebbe riconosciuto le assi del vecchio aravel trovandosi di nuovo in trappola. 
Con un riflesso fulmineo riuscì ad aggrapparsi al ramo e a riposizionarsi saldamente cavalcioni su di esso. Ritrovata la stabilità, poté permettersi di guardarsi intorno e capire a chi appartenesse quella voce. 
Guardando in basso, riconobbe Valais che la osservava con una smorfia divertita. 
“Che ci fai qui? Questo posto è fin troppo lontano, anche per te! Scendi, Galenon vorrà parlarti “
Conosceva Valais, era inutile discutere con lui, era uno sciocco presuntuoso, sarebbe stato meglio seguirlo e parlare con Galenon, anche se la cosa la spaventava un po'.
Si ricordava dell'ultima volta che aveva discusso con Valais, dovevano essere passati all’incirca 10 anni. Quello sciocco per ingraziarsi la nuova guardiana avrebbe fatto di tutto e quella volta Lena lo aveva sentito raccontare menzogne riguardo Ar’Galen, il vecchio guardiano che a quel tempo era morto da poco. La discussione, a mala pena iniziata, era finita con loro due che si picchiavano nella polvere. Qualche giorno dopo Valais, che non aveva apprezzato un occhio nero fin troppo visibile, aveva fatto in modo di incontrarla lontana dal campo con alcuni suoi amici. Il punto di forza di Lena era la velocità, chi si era allenato o battuto con lei, sapeva bene di non poter sconfiggere ciò che non riusciva a colpire. Inoltre, testarda come pochi, non si arrendeva facilmente allo sfinimento prendendo il suo rivale per stanchezza quando non riusciva a superarlo in agilità.
Quel pomeriggio in quattro la attendevano in una radura lontana dal campo e ciascuno di loro sapeva cosa aspettarsi. Riuscirono a bloccarla e Valais poté avere così la sua rivincita, la rivincita di un vigliacco. Da quel giorno Lena non aveva più rivolto la parola a nessuno di loro, cosa nient’affatto semplice, in un clan ridotto all’osso in cui si contano poco più di una ventina di giovani e non più 60 persone in tutto.
Da quel giorno soprattutto, aveva iniziato a portare sempre con sé le sue zanne. 
“Allora Figlia del Lupo ti sei persa? “ Lena lo guardò di traverso senza aprire bocca. 
“Non importa, se non parlerai con me lo farai con Galenon. Ti consiglio di non farlo innervosire, mancano solo pochi giorni al consiglio e dobbiamo affrettarci. Non abbiamo tempo da perdere con gente come te.”
Il piccolo accampamento era ormai smontato, le tende erano ripiegate e Galenon stesso si stava occupando di disperdere i resti del bivacco. 
“Da’len che ci fai così lontana dal campo?” Chiese l'anziano ma Lena non rispose e tenne lo sguardo basso. 
“Quando ieri abbiamo lasciato il campo tu eri lì, devi aver camminato tutta la notte! I tuoi vagabondaggi ti hanno portato in un posto pericoloso, siamo vicini ai villaggi degli shem'len lo sai?”  Lena annuì senza cambiare la sua posa.

Menia, si arrabbiava sempre così tanto per quel suo atteggiamento.
“Non sei più una bambina e ci tieni ad essere trattata di conseguenza, quindi smetti di comportarti come se lo fossi ancora!” Le ripeteva di continuo e ovviamente aveva ragione. Come sempre. Una stretta al cuore le fece quasi mancare il respiro, non doveva pensare a lei, non ancora, era ancora troppo vicina e la ferita era troppo recente.

Le parole dell'anziano la strapparono alla fitta di dolore: “Cosa devo fare con te da'len? Non ho soldati o esploratori a cui affidarti, dovrai tornare indietro da sola.”
“Non tornerò! Ho lasciato il campo di mia volontà e non tornerò indietro.”
Quella che sarebbe dovuta suonare come fermezza, risuonava alle orecchie stesse di Lena come il capriccio di un bambino troppo testardo.
“Che sciocchezze bambina, non sai che il mondo è in subbuglio? Maghi e templari si danno battaglia nei villaggi e nei boschi, i signori degli uomini hanno abbandonato ogni pudore e ormai si combattono a viso aperto. Ogni strada è un campo di battaglia, neanche questi boschi sono ormai sicuri. Non è il momento migliore per uno dei tuoi colpi di testa.” 
Cercare di rispondere con fermezza non aveva prodotto i frutti sperati, Lena quindi optò di nuovo per un silenzio scontroso, sperando che l'urgenza della missione l’avrebbe presto liberata da quell'interrogatorio. Pazienza, Menia avrebbe avuto qualcosa in più da rimproverarle. 
“Da’len” disse invece Galenon, “Non posso lasciar vagare da sola una come te in un posto così pericoloso, finiresti senza dubbio per cacciarti nei guai”. 
“Oh! La Figlia del Lupo sa senz'altro difendersi da sé, ha le sue zanne e i suoi artigli.” La voce di un esploratore raggiunse forse per sbaglio le loro orecchie, mentre gli altri ridacchiavano sotto i baffi dandosi di gomito.

-Come essere ancora nell’aravel dei bambini. Finchè rimarrò con loro non cambierà mai niente-, pensò Lena.
Galenon lanciò all’esploratore uno sguardo gelido e disse: “Lena verrà con noi.”
“Non può! La nostra è una missione di vitale importanza, finirà per mettersi nei guai o ci farà scoprire, e in ogni caso attirerà su di noi la cattiva sorte.” Ora era il turno di Valais di comportarsi in modo infantile. A Lena ricordava quei bambini costretti da un adulto a condividere il giocattolo preferito e questo la divertiva non poco.
“Così ho deciso. Due lame in più ci faranno comodo, i sentieri sono pericolosi in questi tempi. Vuoi forse discutere con me, da’len?”
Galenon la stava difendendo, era una sensazione nuova per Lena, Nessuno aveva più preso le sue difese da quando il vecchio Ar’Galen era morto. Forse per questo motivo non seppe reagire alla proposta, pensò semplicemente che sarebbe potuta fuggire in qualunque momento e che in fondo la carovana aveva la sua stessa destinazione. 
Il suo piano era semplice quanto vago: avrebbe raggiunto il conclave, avrebbe cercato i custodi grigi, si sarebbe arruolata e avrebbe servito uno scopo fino alla fine dei suoi giorni. Quando aveva lasciato il campo si era ripromessa di seguire le tracce della piccola delegazione fin nei pressi del tempio degli shem'len, ovviamente lei non conosceva la strada. Evidentemente però la notte precedente si era avvicinata troppo ed era stata scoperta.
A pensarci bene era piacevole poter passare le notti umide che la separavano dalla meta, vicino ad un bivacco piuttosto che al freddo su un albero, e magari se avesse avuto fortuna avrebbe trascorso qualche ora in una tenda. Poi il suo sguardo si posò su Valais, il viaggio non sarebbe stato poi così semplice. 
Il manipolo si mise in movimento, Galenon apriva la strada seguito da Valais ancora immusonito per la decisione dell'anziano, lei seguiva Valais senza sollevare lo sguardo da terra, dietro di lei una cacciatrice copriva le tracce del gruppo, l’altro esploratore era invece da qualche parte a fare da vedetta per il gruppo.  L'aria era pesante, nessuno parlava, ciascuno perso dietro i propri dissapori. 
La missione di quella delegazione era effettivamente molto delicata. Da mesi le comunicazioni tra Clan si erano fatte più frequenti, Lena si era spesso chiesta il perché di così tanti messaggeri e all’improvviso era stato annunciato quel viaggio. La guardiana aveva messo al corrente il clan di quanto stava accadendo: la Chiesa aveva perso il potere che per anni aveva sopito le tensioni fra maghi e templari, arrivavano notizie di città distrutte dalla magia e di circoli interi annientati da templari corrotti. La Divina, nel tentativo di riportare un poco di ordine in quel mondo consumato dal caos, aveva indetto un sacro concilio invitando templari e maghi a deporre le armi e a sedersi attorno ad un tavolo. A quel punto i vari clan dalish che si erano a lungo interrogati su quale potesse essere il proprio ruolo, avevano deciso di inviare ciascuno una piccola delegazione nei pressi del tempio in cui si sarebbe tenuto il conclave, cercando di ottenere quante più informazioni possibile. I dalish erano abituati da tempo immemore ad osservare con timore i grandi eventi che sconvolgevano il mondo degli uomini, come  halla che mantengono sempre un occhio vigile ed un orecchio teso a percepire i movimenti dei lupi, così i dalish sanno di doversi aspettare il peggio dai mutamenti dei comportamenti degli uomini e di dover essere sempre pronti.

Il conclave si sarebbe tenuto in un villaggio chiamato Haven, tra le Montagne Gelide, l'incontro dei clan dalish si sarebbe tenuto nei pressi e probabilmente qualcuno sarebbe stato mandato a spiare gli umani.
Lena sapeva che i custodi grigi sarebbero stati presenti, quella era un’occasione imperdibile.
Il viaggio durò ancora un paio di giorni, giorni di lunghi silenzi per Lena. Era abituata ad essere guardata con circospezione e disprezzo ma essere costretta a passare così tanto tempo con così poche persone era difficile anche per lei. Aveva sempre detto a se stessa di non aver bisogno di nessuno, ma questo poteva dirlo con maggior convinzione quando Menia e Tallis nonostante tutto erano con lei. Avrebbe scambiato il calore di quel fuoco per una carezza, un sorriso o anche solo uno sguardo di Menia. E nonostante Tallis sapesse essere davvero irritante a volte, nessuno la faceva divertire come lui, nessuno la infiammava come lui sapeva fare, nessuno sapeva farle riconoscere la sua stessa forza meglio di Tallis. Lena quella sera dopo tre lunghi ed estenuanti giorni di marcia, avrebbe solo voluto il tepore di una voce amica. Ma anche Menia e Tallis infine l’avevano tradita, era di nuovo sola, come quando Ar’Galen era morto e l’unico conforto in cui poteva sperare era il sonno.
Galenon si sedette accanto a lei, mentre tutti gli altri come al solito erano seduti dall’altra parte del fuoco.
“Da’len, siamo quasi arrivati, domani saremo nei pressi Haven.” Lena annuì continuando a guardare verso le fiamme, combattendo con il fumo che le bruciava gli occhi.
“Molti clan si sono dati convegno, dalish da ogni parte del Thedas. Molti hanno usanze diverse dalle nostre, molti clan vivono vicino al mare, altri tra le montagne, alcuni addirittura commerciano con gli uomini ed hanno grandi conoscenze.Tutti loro sono la tua gente.”
Lena che inizialmente non riusciva a capire l’intento di quel discorso, a quelle ultime parole credette di vedere qualcosa dietro le parole dell’anziano. Distogliendo lo sguardo dal fuoco lo guardò dritto negli occhi
“Da’len, hai la possibilità per la prima volta di conoscere altri clan. Magari a questo ti ha portato la tua via, il tuo sentiero forse ti porta lontana dal clan in cui sei nata, non per questo smetteresti di essere una di noi.” E dopo un lungo momento di pausa aggiunse: “Ar’Galen era saggio e aveva visto in te qualcosa che con la sua morte si è eclissato. Forse hai solo bisogno di seguire la tua strada. Tutti hanno diritto di essere felici”
Lena lo guardava ormai ad occhi sgranati, sorpresa e colpita. Non riusciva a comprendere se quelle parole fossero l’ennesimo sopruso o finalmente un gesto gentile da parte di qualcuno del suo clan. Galenon voleva scacciarla o davvero metterla in salvo?
“Lena, vai a dormire ora, domani sarà una lunga giornata, loro tre faranno i turni di guardia questa notte, prendi una tenda.”
Nessuno la chiamava più con il suo vero nome da moltissimo tempo e come se fosse nuovamente immersa nei giorni lontani dell’infanzia, si alzò obbediente e entrò in tenda augurando all’anziano la buona notte.
 
 

 


II
 
I primi clan iniziavano ad arrivare e la radura si riempiva di parole antiche, vuote, inespressive che suonavano alle sue orecchie come un vecchio corno di guerra sfiatato. Le parole antiche poi si mescolavano con le nuove dando vita ad un impasto posticcio e svilente per lui che era costretto ad ascoltarle. I suoni e gli odori erano stonati e non facevano altro che farlo sentire fuori posto, lontano da casa, e come se non bastasse in tutta questa confusione gli era impossibile riposare.

Ma se c’era una cosa che davvero trovava intollerabile era la luce. La luce gli feriva gli occhi come il primo giorno in cui li aveva aperti su questo nuovo mondo. Gli sembrava che niente fosse davvero delineato e definito, i contorni delle cose gli sfuggivano. L'emicrania era ormai una compagna costante e inopportuna. A volte, come gli abitanti di un villaggio che sorge nei pressi di un torrente, non notano il rumore che fa questo nel suo scorrere, così il suo mal di testa diveniva una presenza dimenticabile. Altre volte invece era potente e intollerabile come in quel momento.
Aveva voglia di dormire e di allontanarsi da tutto quello dando così sollievo alla testa, ma non sarebbe riuscito ad addormentarsi in questo stato. Raccolse il suo piccolo fardello e si allontanò dalla radura.
Sapeva di non poter stare via troppo a lungo, entro sera tutte le delegazioni dei clan sarebbero arrivate e aveva bisogno di raccogliere tutte le informazioni possibili.
Doversi mescolare tra questi primitivi era per lui insopportabile, tronfi nella loro ignoranza usavano storie e parole come i bambini che giocano ad indossare i vestiti degli adulti. Solo che per loro non era un gioco e si gloriavano anzi dell’immagine che avevano di loro stessi ma che ai suoi occhi appariva così ridicola da spingerlo a disprezzarli.
Avrebbe preferito mescolarsi con i servitori e con gli elfi delle enclavi ma doversi inchinare ad un umano andava oltre tutto ciò che era pronto ad imporsi.
Camminare lo avrebbe aiutato a rilassarsi e a lasciare andare la mente, e se anche non avesse funzionato senza dubbio lo avrebbe stancato, rendendo più facile e piacevole il suo riposo.
Dormire e sognare lo faceva sentire meno solo, ritrovava le voci, gli odori e le luci a lui familiari, poteva rilassarsi e pensare lucidamente solo nel sogno. Durante la veglia il suo unico pensiero era potersi addormentare e tornare, seppure per poco e in un modo del tutto peculiare, a casa.
Questa volta non doveva essere lontano dal suo obiettivo, voci affidabili dicevano di aver visto il ladro nei dintorni, era sicuramente attirato da tutto quel trambusto che gli umani stavano creando. Il ladro cercava ciò che invece lui rifuggiva, avrebbe pagato anche per questo, momento per momento.
Ormai era ad un passo dal riuscire nella sua impresa ma qualcosa dentro di lui continuava a ripetergli che la vittoria era lontana, che sarebbe rimasto bloccato in questo limbo per sempre, scontando così gli errori e la superbia. Sarebbe morto da solo, lontano dal suo amato mondo, circondato da bestie inconsapevoli e accecato da quel dolore lancinante alla testa.
Ma riconosceva in questi suoi pensieri i sussurri subdoli della paura e della disperazione. Non avrebbe ceduto.
Avrebbe dato qualunque cosa in quel momento per sentire il calore di una mano amica, per essere abbracciato e consolato, per lenire un poco quel profondo senso di solitudine così disarmante.
Ma non era il tempo della consolazione, questo era il tempo per la battaglia, e ogni buon soldato sa seppellire infondo al cuore passione ed amore per alimentare con queste il furore nella lotta e la sete di vittoria. Una volta al sicuro, può togliere l’armatura e iniziare ad accudire la sua passione per la bellezza, la delicatezza e lo stupore per quel mondo che ha salvato, sacrificando per un po’ la parte più bella di sé.
La sua lunga camminata lo aveva portato lontano dall’accampamento e ormai si approssimava la notte. Era tempo di tornare indietro, non poteva permettersi di perdere una sola parola, non poteva lasciarsi sfuggire il ladro un’altra volta. Era ora di mettere fine a tutto quello.
Fece per tornare sui suoi passi, quando un rumore attirò la sua attenzione.  In lontananza poteva scorgere una delegazione che, probabilmente in ritardo, cercava di raggiungere il concilio. Avrebbero dovuto percorrere la stessa strada.

Rimase quindi in silenzio nascosto dal gioco di ombre dell’ultima luce della sera e dalla vegetazione piuttosto fitta. Era a malapena riuscito a calmarsi, non avrebbe rinunciato a qualche attimo in più di pace percorrendo la strada con quel manipolo di primitivi. 
Rimase a guardarli mentre sfilavano davanti al suo nascondiglio, li avrebbe seguiti a breve distanza. Il piccolo gruppo era formato da un anziano e tre giovani elfi. Le due giovani femmine portavano delle armi e camminavano aprendo e chiudendo la piccola carovana, i due maschi, il giovane e l'anziano erano invece disarmati. 
Guardandoli sfilare non era certo a chi di loro dovesse essere rivolta maggiormente la sua pietà. Era peggiore la condizione dei due diplomatici arroganti e convinti di poter parlare per l'antico popolo, o quella delle due guerriere, ridotte alla funzione per la quale erano probabilmente state cresciute, niente di più di quell'arco o di quei pugnali di cui si armavano. 
Vite inutili, non degne di essere vissute. Se solo avessero avuto modo di percepire la mediocrità della propria condizione, forse avrebbero sperimentato la forza redentrice della disperazione. Ma erano ottusi e sarebbero macerati nella propria supponenza. 
Tornato al campo trovò i fuochi accesi e un gran fermento. 
Scelse un posto accanto al fuoco abbastanza defilato da non essere disturbato ma non troppo da non riuscire ad ascoltare le chiacchiere di anziani ed esploratori. 
Dopo qualche ora, la discussione stava finalmente entrando nel vivo, la luce del fuoco era quasi piacevole ai suoi occhi e il mal di testa si era fatto lieve. 
Durante la serata alcune voci in particolare attrassero la sua attenzione. Provenivano da un gruppo di tende non lontane dal suo bivacco, non riusciva a comprendere il motivo del contendere ma era chiaro che si stava consumando un’accesa discussione.
Si mise attentamente in ascolto.
“Galenon, non può rimanere qui. Hai voluto portarla con noi, ma ora?  Non può girare tranquillamente per il campo, non dovrebbe essere vista qui, finirà senza dubbio per portare disgrazia a questo consiglio e a noi in particolare.”
“Da’len, sai che lei non apprezza la compagnia, basterà lasciarla stare e non ci accorgeremo neanche della sua presenza, finirà per passare le sue giornate nei boschi, come al solito.”
“Ma la Figlia del Lupo non può essere vista in un posto come questo.”
“Valais, sai che quel soprannome non ha significato fuori del nostro clan, se cercherai di trattarla come una di noi, cosa che a quanto pare ti risulta difficile, nessuno oserà trattarla diversamente, in segno di rispetto.”
“E i suoi vallaslin? Se qualche anziano dovesse riconoscerli? Se dovessero sapere che abbiamo portato ad un consiglio una consacrata a Fen’Harel? In molti potrebbero prenderlo come un oltraggio, contesterebbero le nostre buone intenzioni, e metterebbero in dubbio la nostra parola.”
 
Solas era sconvolto, quali altre aberrazioni avrebbe dovuto conoscere in quel mondo mal nato? Vallaslin in onore di Fen’Harel? Qualcuno era stato marchiato da quei sudici tatuaggi, in onore del Lupo! Alle sue orecchie quelle parole stridevano drammaticamente. La testa improvvisamente iniziò a pulsare con nuovo impeto, credeva di impazzire, si alzò in fretta raccolse le sue poche cose e si allontanò dal campo. Non importava cosa avrebbe perso, non poteva sopportare la presenza di quei barbari per un solo istante in più. Rimpianse i suoi poteri ancora una volta, avesse potuto polverizzare in un solo colpo quei cani rabbiosi lo avrebbe fatto, con grande soddisfazione e con poco rimorso.
Camminando, l’aria fresca raffreddò i suoi propositi incendiari, ringraziò di non avere avuto i suoi poteri. Secoli di storia non gli avevano ancora insegnato a controllare i suoi istinti. Avrebbe trovato un altro modo, per il momento voleva solo addormentarsi e sognare. Magari allontanandosi un po’ di più dall’accampamento di quei dalish, non avrebbe sopportato una loro interferenza nei suoi sogni.

 


Ho ripreso la revisione di questa storia, ho il dubbio che mi troverò ad inserire un capitolo in più, ma non lo so ancora con certezza, vedremo. Intanto i capitoli rivisti si potranno distinguere grazie ad una citazione di apertura.
A chi passa di qui per la prima volta: grazie per il tempo che dedichi a questa storia! Questa la mia prima storia pubblicata e posso dire con emozione di essere giunta fino alla fine, quindi quella che hai tra le mani, con i suoi alti e i suoi bassi, è una storia completa. Non è una storia di grandi pretese e so che ha molte pecche, ma spero ti possa far compagnia per un po'.
Enjoy!

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Seguire la traccia ***


Seguire la traccia

On the ragged edge of the world I'll roam, and the home of the wolf shall be my home.
Robert W. Service , The Nostomaniac 

 
 
III
 “Va bene, lascia però che sia io a parlarle.”
Lena si era allontanata poco prima per raccogliere un poco di legna e ritornata all’accampamento aveva sentito la discussione tra Galenon e Valais.
Il fascio di legna le era caduto dalle braccia, la rabbia era esplosa come un incendio estivo. Per così tanto tempo aveva subito senza rispondere all’ingiustizia ma ora, all’improvviso, tutto gli era apparso con chiarezza.
Qualcuno aveva deciso per lei in che modo sarebbe dovuta andare la sua vita. La sua unica colpa era stata quella di essere una bambina irrequieta e nonostante questo era rimasta la pupilla del vecchio Guardiano. Quando Istimaethoriel, aveva preso il suo posto, aveva dimostrato poca pazienza nei confronti dell’impertinenza di Lena e aveva potuto lasciare libero sfogo a tutta la sua antipatia nei suoi confronti.
La nuova Guardiana non aveva mai compreso l’attenzione e l’affetto  che Gisharel riservava a quella fastidiosa ragazzina. Istimaethoriel era stata la sua prima per anni, lo aveva servito lealmente ed era stata pronta,  ubbidiente e rispettosa, ma il Guardiano non aveva mai dimostrato per lei l’affetto paterno che sembrava riservare alla piccola irriverente Lena.
La donna aveva cercato durante i suoi lunghi anni come Seconda di accattivarsi la simpatia della bambina, ma i vezzi e i mezzucci che sembravano andare a segno con gli altri, su Lena non avevano avuto alcun effetto se non quello di rendere ancor più odiosa la presenza ipocrita di quella donna. Così, alla morte di Gisharel, Lena giovane adolescente era stata abbandonata ad un dolore che non aveva mai conosciuto e che non sapeva gestire. La sua tendenza ad isolarsi e il suo brutto carattere giocarono in favore della Guardiana, che non dovette faticare troppo per convincere tutti a consacrare quella ragazzina al dio degli inganni. Mentre i suoi coetanei ricevevano i segni di Mythal, Sylaise o Andruil lei veniva marchiata con il segno del Temibile Lupo.
Solo Tallis e Menia erano rimasti al suo fianco ma quando il clan li aveva chiamati a compiere una scelta, anche loro l’avevano tradita. Tutte le promesse erano state infrante e il loro amore così vitale fino al giorno prima era stato relegato al ruolo di sogno infantile: bello ma impossibile, adatto solo ai giovani cuori degli adolescenti. Così Menia era stata nominata prima della Guardiana, Tallis capo dei cacciatori e Lena era rimasta miseramente sola.
Ora, così lontano dal clan,  Valais aveva combattuto e vinto per togliere a Lena lo spiraglio che Galenon aveva aperto per lei.
Lena aveva riflettuto per tutto il giorno sulla proposta dell’anziano, l’idea di poter rimanere nei boschi e poter cominciare una nuova vita tra la sua gente era allettante. Aveva deciso di provare a parlare con qualcuno, cercare di capire se ciò che Galenon le aveva prospettato potesse in qualche modo essere realizzabile. Le parole che l’avevano raggiunta l’avevano invece fatta scontrare nuovamente con la realtà. Non c’era possibilità di salvezza per lei se non quella che si sarebbe potuta costruire con le sue stesse mani.
Lena vide Galenon uscire dalla tenda. Per un istante si guardarono negli occhi, poi Lena si voltò e iniziò a correre.
Il bosco era buio  e lei non conosceva i suoi sentieri, ma non importava, sapeva che il tempio era in alto, lo aveva visto arrivando dominare la valle, quindi prese a salire. Davanti a sé intravide una figura, lasciò il sentiero per non doversi imbattere in nessuno e iniziò ad inerpicarsi lungo il fianco della montagna. La salita era difficoltosa, il terreno reso morbido dall’umidità franava sotto i suoi piedi, iniziò quindi ad arrampicarsi aiutandosi con le mani.
Raggiunto il crinale vide pararsi davanti a sé un enorme portone di legno. Il sentiero che lo raggiungeva era ben illuminato da fiaccole che sembravano ardere per magia. Nonostante fosse notte vi era un gran trambusto, diversi gruppi di persone sostavano nei pressi del cancello, forse in attesa di entrare o forse solo per scambiarsi saluti e convenevoli. Rimase ad osservare. C’erano due guardie su un lato del cancello che chiacchieravano tranquillamente e giocavano a scacchi, non sembravano far caso a chi entrava o usciva, dovevano essersi abituati all’andirivieni ed evidentemente il loro compito non era quello di interdire l’accesso. Sarebbe probabilmente risultato difficile capire chi dovesse entrare e chi no, ormai tutti i maghi erano apostati e si parlava da tempo di templari corrotti, dover decidere chi poteva entrare e chi doveva rimanere fuori avrebbe senza dubbio scatenato delle sommosse.
Lena fu grata per quel lassismo e si avvicinò al cancello cercando di farsi notare il meno possibile.
Una volta dentro ebbe appena il tempo di stupirsi della grandezza della sala in cui era entrata.
La sala infatti era ricolma di persone, sentiva parlare con accenti che non riconosceva, vedeva vestiti e maschere che sembravano ridicole nella loro magnificenza. Cercò rapidamente di individuare una via di fuga da quella sala, c’era troppa gente e sembrava mancare l’aria.
Doveva assolutamente trovare un posto in cui nascondersi per riordinare le idee, non voleva essere scoperta e catturata proprio ora che era così vicina al suo obiettivo.
Si rese conto ben presto che la sua presenza risultava invisibile. Si ricordò quanto il vecchio Guardiano le aveva raccontato degli elfi di città. Si guardò attorno e vide effettivamente diversi elfi aggirarsi per la stanza con dei vassoi pieni di bevande e cibo e con lo sguardo rivolto fisso verso il pavimento. Gli umani sembravano vedere solo i vassoi e non coloro che li portavano.
Una giovane elfa però incrociò il suo sguardo e le si avvicinò appena le fu possibile liberarsi di quegli umani affamati che circondavano ciascun vassoio come un branco di lupi.
 “Come sei conciata! Se Tissa dovesse vederti finiresti nei guai. Torna verso le nostre stanze e datti una sistemata.”
Lena rimase a fissarla con gli occhi spalancati e senza sapere cosa dire, poi si guardò le mani graffiate e sporche di terra e di erba, e i vestiti strappati, il viso e i capelli non dovevano essere da meno.
“Che succede ti sei persa? Da questa parte, muoviti!” Con impeto la giovane elfa la trascinò verso una porticina sul lato del salone e quasi ve la lanciò all’interno.
Finalmente era lontana dalla folla, quei corridoi erano stretti e bui ma servivano allo scopo di trovare un poco di tranquillità. Ringraziò mentalmente quell’elfa brusca e premurosa e iniziò a muoversi. Non sapeva dove andare. Iniziò a girovagare tra i cunicoli sperando di riuscire a trovare le stanze dei Custodi, o il cortile in cui erano accampati.
Continuò a girare per quelle che le sembrarono delle ore, evitò diverse volte dei servitori indaffarati, finché anche sulle sale più affollate iniziò a calare una calma rassicurante.
Svoltando nell'ennesimo corridoio, l’attenzione di Lena fu attirata dalla voce di una donna.
Si mise in ascolto e sentì di nuovo la voce, sembrava stesse chiedendo aiuto. Cercò di avvicinarsi, ma si trovò persa in un vero labirinto, poteva solo affidarsi al proprio udito. Aprì una serie di porte e attraverso due sale grandi e spoglie, da sotto una porta vide infine provenire una luce fioca, sentì delle voci basse e risolute e poi di nuovo una voce disperata di donna. Aprì la porta: “Che cosa succede qui?!”
Venne travolta da una luce intensa. Poi più niente.
 
 
 
 
 

 
 IV
L’esplosione era stata terribile e aveva travolto gran parte della vallata. Solas non si sarebbe stupito scoprendo che il piccolo accampamento alle pendici del monte era stato spazzato via.
Non aveva alcun dubbio che la colpa fosse del ladro. Si era allontanato troppo presto, anche se la sua fuga si era dimostrata provvidenziale non poteva perdonarsi di non essere stato lì. Forse lui avrebbe potuto fermarlo ma ormai era tardi e doveva trovare un altro modo per rendersi utile.
La notte stessa si era recato sul luogo dell’esplosione, aveva aiutato medicando i feriti e rimuovendo qualche frana che impediva il progredire dei soccorsi. A nessuno sembrava importare che lui fosse un apostata.
Quando la situazione sembrò essersi regolarizzata, tutti rivolsero gli occhi al cielo e vi trovarono la disperazione. Un enorme squarcio dilaniava il cielo e sputava sulla terra ogni genere di orrore.
Una volta raggiunta Haven si cercò di fare ordine nel caos e a Solas giunse la notizia che il varco aveva rispedito indietro qualcuno e che forse era ancora vivo.
Seppur cercando di rendersi utile aveva fatto attenzione a rimanere in disparte, invisibile per quanto possibile, ma a quella notizia non avrebbe potuto rimanere indifferente.
Sarebbe potuto essere il ladro ad essere stato mandato indietro, avrebbe potuto avere la sua sfera con sé.
Si presentò all’ingresso della chiesa e per la prima volta da quando era arrivato venne travolto da una serie infinita di domande. Infine lo condussero quasi come un prigioniero davanti ad una donna con i capelli rossi dalla voce gentile e lo sguardo tagliente.
Cercò di spiegare quali fossero le proprie conoscenze, cercò di far capire che poteva rendersi utile. Quella donna, sebbene non desse segno di avere fiducia in lui, sembrava nella posizione di chi non può lasciarsi sfuggire nessuna occasione.
Scrisse un rapido appunto che consegnò alla guardia che lo accompagnava e lo spedì dalla “cercatrice”. La cercatrice in questione si rivelò ancor più diffidente della rossa, ma sembrava più preoccupata dell’altra per lo svolgersi di quei terribili eventi.
“So che non ho nessun diritto di chiedervi di fidarvi di me. Io non sono altri che un apostata e per di più un elfo, ma se avessi avuto cattive intenzioni non mi sarei lasciato condurre qui come un prigioniero. C’è un buco nel cielo io posso studiarlo e mettere a vostra disposizione le mie conoscenze. Qui non è rimasto nulla da distruggere, se fossi un ribelle dirigerei la mia magia verso bersagli più significativi.”
La cercatrice lo studiò per un po’ e poi prese una decisione che sembrò costargli parecchia fatica.
“Vieni, devo mostrarti qualcosa.” Poi fermandosi all’improvviso aggiunse: “Basta che io abbia il sospetto che stai per fare un passo falso e ti ritroverai la mia spada alla gola.”
Solas la guardò dritta negli occhi. Non mentiva. Fece un cenno di assenso con il capo e si preparò a seguirla. Scesero nei sotterranei della chiesa ed entrarono in una piccola cella.
Una giovane elfa era sdraiata su un giaciglio di paglia e incatenata al muro. Non era certo il suo ladro. Aveva sprecato tempo prezioso, doveva rimettersi subito in viaggio.
Una luce verde ed accecante improvvisamente lampeggiò attorno alla figura svenuta e la cercatrice lesse lo stupore nell’espressione dell’elfo.
“Alcuni soldati l’hanno vista uscire dallo squarcio, alcuni giurano di averla vista accompagnata dalla figura di una donna. E’ tutto ciò che rimane dell’esplosione, dobbiamo farle riprendere conoscenza, dobbiamo sapere se è stata una vittima fortunata o la mente dietro tutta questa tragedia.”
Solas si avvicinò al corpo svenuto. La luce sembrava provenire dalla mano, non appena la sfiorò la luce si fece più intensa e l’elfa gemette per il dolore.
Riconosceva quella luce ma non poteva credere ai suoi occhi. Aveva bisogno di studiare a fondo quella mano, quel segno. La prigioniera invece aveva bisogno di coperte, si gelava lì dentro.
La cercatrice, che come seppe in seguito si chiamava Cassandra, andò a cercare delle coperte e lasciò la guardia con lui.
Lui si sedette al fianco della prigioniera. Come poteva la magia della sua sfera essere lì sulla mano di quell’elfa e soprattutto come poteva lei essere ancora viva? La guardò attentamente, il viso contratto mostrava chiaramente il suo dolore ma anche la lotta che stava conducendo contro quel male che era così vicino a spezzarla.
Solas doveva trovare il modo di arginare la magia, doveva poter parlare con lei e capire cosa era successo, dov’era la sua sfera, dove il ladro e perché parte della sua magia era ora letteralmente nelle sue mani?
Cercò di contenere l’impeto del male con un incantesimo, ma non sapeva se sarebbe bastato, era ancora troppo debole, combattere contro la sua stessa magia sembrava improbabile.
Recitò anche qualche incantesimo di guarigione, avrebbero dato alla sventurata un po’ di tempo in più. Poi si mise a pensare continuando ad osservare il marchio che bruciava e consumava quella mano. Si rese conto con stupore che la mano e la sua proprietaria, risultavano ai suoi occhi perfettamente definite, non c’era traccia del tremolio che circondava qualunque altra cosa. Anche il mal di testa era praticamente svanito, poteva finalmente pensare lucidamente, era una sensazione meravigliosa.
“Hai un’aria così sollevata perché finalmente la Cercatrice ti ha lasciato solo? Succede anche a me. Tutte le volte. Ma non abituarti, è più doloroso ogni volta che torna.”
Solas si voltò e dietro di lui vide un nano dalla faccia gioviale.
“Varric Tethras al vostro servizio.” Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative da non sapere come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome, quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie, non avevano avuto alcun significato per così lungo tempo. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
“Come sta?” Chiese il nano avvicinandosi al giaciglio dell’elfa, il suo sguardo sembrava sinceramente preoccupato. Solas si voltò di nuovo a guardare la sua paziente.
“Non lo so. Credo sia stabile, ma non ho modo di verificarlo e soprattutto non so se e come riprenderà conoscenza”
“Amico, non farti sentire dalla Cercatrice, ho il sospetto che tu sia qui solo perché spera di poter usare ciò che sai.”
“E tu perché sei qui?” Chiese Solas quasi senza rendersene conto.
“Beh per lo stesso motivo. Se posso fare qualcosa per te o per lei, fammi sapere. Questo posto è una vera noia, avere un compito qualsiasi allieterebbe la mia giornata.”
“Potrebbero essere utili degli impiastri curativi.”
Con un cenno di assenso il nano dal sorriso sornione se ne andò, improvviso e inatteso come era arrivato, come un attore compare sul palco ed esaurita la sua parte torna dietro le quinte.
Lasciato di nuovo solo, fatta eccezione per la guardia, si rimise a studiare il marchio. Aveva notato che le pulsazioni erano regolari e che dopo il suo ultimo incantesimo sembravano essere meno dolorose. Decise che avrebbe dovuto studiare lo squarcio nel cielo per capire di più su quella mano. Le due cose dovevano essere strettamente collegate.
 
*
Erano giorni che la sua attenzione si divideva tra la prigioniera e il buco nel cielo, le sue giornate trascorrevano tutte uguali, impiastri curativi e tentativi vani di stabilizzare gli squarci che continuavano ad aprirsi attorno ad Haven.
Ogni giorno che passava gli portava via un po’ di speranza. Solas iniziava a credere che la sua presenza lì fosse completamente inutile e le silenziose recriminazioni che la cercatrice gli lanciava con ogni sguardo non rendevano più piacevole la sua permanenza. Proprio quella mattina però aveva ricevuto la notizia che la prigioniera si era risvegliata e che sembrava aver recuperato le forze, se non la memoria. In quel momento Cassandra e Leliana la stavano interrogando, Solas provava quasi pietà per lei. Non era riuscito a convincere le due donne a liberare il suo corpo inerte dalle catene, di sicuro non avrebbero dimostrato maggior buon cuore nei suoi confronti ora che poteva muoversi.
 Solas tornò a pensare al suo piano. Se le sue teorie riguardo il marchio sulla mano della prigioniera fossero risultate sbagliate, sarebbe fuggito quella stessa notte e avrebbe ripreso la caccia per proprio conto. In un modo o nell’altro tutto quell’orrore doveva finire.
I pensieri continuavano a fluire mentre una nuova ondata di demoni fuoriusciva dal piccolo squarcio. Quelle ondate potevano andare avanti per ore e poi placarsi per giorni ma la minaccia era sempre presente. Varric era al suo fianco con quella sua strana balestra che lui trattava come fosse una figlia, o forse un’amante. Negli ultimi giorni Varric era stato un compagno costante e piacevole, era tranquillo e accogliente, come se il suo cuore battesse più lento del normale e per questo tutto attorno a lui dovesse adeguarsi al suo ritmo. Era piacevole averlo attorno nei momenti di tranquillità ma in battaglia diventata insostituibile, la sua balestra non sbagliava mai un colpo e più di una volta Solas si era trovato a dovergli la vita.
D’un tratto sentì alle sue spalle il verso stridulo di un’ombra, ormai le battaglie erano divenute routine ed era facile distrarsi. Chiuse d’istinto gli occhi come per prepararsi al colpo e iniziando a recitare un incantesimo per il contrattacco. Invece del colpo sentì il demone gridare di nuovo, e girandosi lo vide dissolversi nell’aria.
La prigioniera era lì in piedi accanto a lui, due pugnali sguainati e pronta alla battaglia.
Solas senza pensarci due volte le afferrò un polso e lei con lo sguardo e la ferocia di una belva chiusa in un angolo si preparò a liberarsi da quell’aggressione, usando il pugnale se necessario.
“Presto prima che ne arrivino altri! Dobbiamo almeno provare”. Ripensando all'accaduto a mente fredda Solas si rese conto della propria avventatezza, l'elfa avrebbe potuto facilmente staccargli una mano di netto o piantargli un pugnale in gola. Invece evidentemente quelle parole bastarono a convincerla o forse in battaglia il semplice parlare anziché colpire risulta un atteggiamento degno di fiducia. In ogni caso lei abbassò il pugnale e si lasciò trascinare verso lo squarcio.
Solas afferrò più saldamente il polso della prigioniera e alzò il palmo della mano di lei verso lo squarcio.
Funzionava. Lo squarcio si stava chiudendo. Sarebbe potuto restare.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cercando una tana ***


Cercando una tana
 
Non sempre una bugia, ripetuta cento, mille, un milione di volte diventa verità: neppure sui lupi.
 
V
Erano passati pochi mesi da quando la sua vita era cambiata all’improvviso. Era passata dall’essere la reietta di un minuscolo clan dalish, ad essere accusata di aver aperto un buco nel cielo ed infine era stata chiamata Araldo di una divinità in cui non aveva mai creduto. Vedere la situazione nel suo insieme le dava un senso di vertigine. Eppure era successo tutto in modo così naturale! Non aveva percepito il cambiamento come accade con le stagioni, una mattina aveva aperto la finestra della sua stanza e aveva scoperto che l’estate era arrivata. Si era fermata forse per un istante a chiedersi cosa ne fosse stato degli elfi accampati ai piedi della montagna, ma la verità era che non le interessava, questo faceva di lei un mostro? Forse, ma la sua nuova vita era iniziata e non aveva nessuna intenzione di voltarsi indietro. La strana cosa che aveva scoperto sulla sua mano al risveglio le era ormai divenuta quasi familiare, il dolore era del tutto passato e fatta eccezione per quello strano formicolio che la prendeva in presenza dei varchi o di un certo tipo di magia, era del tutto inerte.
Tutto quel parlare di divinità, di destino e di responsabilità la metteva ovviamente in imbarazzo ma il resto era incredibile.
Per la prima volta in vita sua le sembrava di poter abbassare le difese, rinfoderare gli artigli e stare tranquilla.
All’inizio non era stato facile. Cassandra sembrava così intransigente! Si erano scontrate spesso nei primi giorni ma non le aveva mai mancato di rispetto, anzi, poteva supporre che quella donna così severa avesse per lei un pizzico di ammirazione.
Lena non dubitava di poter contare sulla sua lealtà. Cassandra era una donna d’onore, sembrava forgiata nell’acciaio ma allo stesso tempo era facile sentire la passione ardere dentro di lei. Lena aveva iniziato a riporre fiducia nella cercatrice grazie soprattutto al fuoco che sentiva scorrere nelle sue vene e che la guidava più spesso del dovuto nelle sue decisioni. In fondo era grazie al suo temperamento se Lena era ancora viva e libera. Le persone ardimentose ispiravano in lei fiducia, soprattutto quelle come Cassandra guidate da ideali che trascendono le mere questioni umane. Le persone passionali quando commettono errori lo fanno per rispondere alla necessità di fare la cosa che, nel momento contingente, sembra la scelta migliore, sono quindi profondamente buone e questa caratteristica era per Lena preziosissima. Per questo prestava particolare attenzione ai suoi consigli, le piaceva anche ascoltare le storie del suo passato e della sua terra lontana che Lena immaginava aspra e grigia, perennemente avvolta da tempeste. Nonostante tutte le proteste, Cassandra non fu mai in grado di estirpare quell’immagine dalla sua testa.
I tre consiglieri, assieme ai quali davanti ai suoi occhi increduli Cassandra aveva rifondato l’Inquisizione, erano invece di tutt’altra fattura.
Leliana la terrorizzava, non riuscire a capire cosa le passasse per la mente la metteva a disagio ma in quei rari momenti in cui riusciva a cogliere anche solo il frammento di un pensiero, la sua spietatezza la faceva gelare. Non poteva negare che Leliana avesse sofferto e stesse ancora soffrendo molto, ma più di una volta si chiese se tutto quel dolore non stesse giocando con lei sulla soglia della pazzia. Più di una volta si era trovata a dover fare la voce grossa per bloccare i suoi ordini, spesso inutilmente sanguinarii, e ogni volta si era chiesta se non fosse più saggio lasciare quella donna spietata portare avanti le cose a modo suo. Immaginava che sarebbe bastato un sussurro dell’Usignolo e lei sarebbe scomparsa misteriosamente, probabilmente tutti avrebbero pensato ad una sua fuga e il suo corpo invece sarebbe finito sul fondo di una scarpata. Ma finché la sua opinione veniva richiesta lei si sentiva tenuta a a parlare sinceramente e a non nascondere nulla.
Neanche con Josephine riusciva a mai a sentirsi completamente a proprio agio. Era gentile e disponibile, le riservava sempre attenzioni particolari ma Lena si domandava sempre se tutte quelle carinerie non fossero parte di un suo preciso incantesimo, come i maghi che creano immagini illusorie per disorientare il nemico. Era sempre sulle spine quando si trovava nel suo salotto, più di quanto non fosse nell’affrontare un demone. Dopotutto lei riusciva con un sorriso, una parola gentile e qualche lettera a tenere a bada tutta la nobiltà del Thedas. Se l’Inquisizione aveva potuto stabilire i propri quartieri ad Haven senza che nessuno arrivasse a scacciarli, non era che per merito suo.
A non ispirarle di certo timore o soggezione era il comandante Cullen, diversamente da quanto si sarebbe pensato a prima vista, quell'uomo altero dall'aria marziale non riusciva a suscitare in lei altro se non tedio sconfinato. Lena non era mai riuscita spendere con lui che pochi momenti, il tempo necessario per sbrigare le formalità e alla prima occasione utile batteva in ritirata. Non credeva di aver mai incontrato nessuno più noioso e con meno senso dell’umorismo di quel soldato. Soldato era l’unico modo in cui riusciva a pensare a lui e questo la infastidiva.
Fortunatamente Cullen aveva il suo contraltare: Varric.
Se era riuscita  nei suoi primi giorni a non farsi uccidere era senza dubbio merito suo. Appena arrivata Lena aveva messo in atto tutti quei meccanismi che le erano così naturali quando era con il suo clan: sguardo torvo, risposte taglienti e una diffidenza assoluta. Lui era riuscito a ingannare con ironia e dedizione tutte le sue difese e all’improvviso Lena non era più in grado di lasciare il suo fianco, passava con lui tutto il tempo che poteva. Quando era ad Haven era più facile trovarla alla taverna con Varric che nel proprio alloggio, quando era costretta a lasciare il villaggio per qualche missione faceva di tutto per poter viaggiare con il nano, anche se lui si lamentava sempre di tutto: il clima, gli odori, gli animali, una volta lo aveva addirittura sentito lamentarsi dell’erba!
Varric aveva sempre qualche storia incredibile da raccontare e Lena aveva presto imparato a capire che ogni storia raccontava qualcosa per nascondere molto altro. Era incuriosita da quel nano che era stato così bravo da far cadere le sue maschere ma che portava con disinvoltura le proprie. Varric si lamentava spesso di tutte le domande che Lena gli rivolgeva ma lei sapeva che non ne era mai davvero infastidito. Ogni domanda elusa era per Lena una possibilità per conoscere un po’ di più quel nano così gioviale, ma che aveva nel fondo degli occhi un dolore inespresso. Cercò di prendere esempio da lui, di certo lei non era l’unica persona ad aver sofferto in questo mondo, cosa le dava il diritto di far pesare sugli altri il proprio dolore? Far sentire gli altri a proprio agio, fare in modo che ci fosse allegria anche nei momenti più difficili, questo Varric sapeva farlo molto bene, ma lei poteva trovare un suo modo per mettere da parte se stessa e divenire un po’ più accogliente nei confronti degli altri. E cercò di farlo. Sfruttò la sua curiosità e il suo acume per riuscire a far emergere la parte migliore delle persone che incontrava, invece di lasciarsi spaventare dalle loro ruvidezze.
Solo con Vivienne questo suo atteggiamento non diede buoni frutti.
Quella donna la guardava dall’alto in basso come se stesse parlando ad un cane anziché ad una persona in carne ed ossa. L’impressione che ne ricavava Lena era che quando Vivienne era costretta a rivolgerle la parola non vedesse altro di lei se non quel marchio sulla mano che, secondo i suoi piani, le avrebbe potuto aprire qualunque porta.
Inizialmente anche Solas le aveva dato la stessa impressione.
Nei primi giorni della sua permanenza ad Haven, Solas le aveva rivolto la parola solo per avere notizie di quanto era accaduto durante e dopo l’esplosione, ma alla notizia della sua amnesia sembrava aver perso qualunque interesse nei suoi confronti. Dal canto suo Lena si sentiva ancor più diffidente nei confronti dell’elfo che nei confronti di chiunque altro. Le parole di Valais di quell’ultima notte le erano rimaste scolpite nella mente. Se qualcuno avesse riconosciuto i suoi tatuaggi? Quell’elfo sembrava conoscere moltissime cose, se avesse scoperto la sua infamia? La maggior parte degli umani non credeva alle vecchie leggende, nessuno credeva all’esistenza di Fen’harel, ma non sarebbe bastato sapere che i suoi simili, che credevano invece negli antichi dei, non l’avessero ritenuta degna di nessun altro dio? Avrebbero iniziato a farsi domande, avrebbero ricominciato a guardarla circospetti, ciò che stava cercando di costruire e preservare con tutte le sue forze sarebbe crollato.
Così cercava di evitare quello strano elfo il più possibile ma non poteva negare di esserne incuriosita. Non era evidentemente un elfo di città ma non portava i vallaslin. Era un elfo ma non aveva riconosciuto in lui nessuno dei tratti caratteristici del linguaggio o delle abitudini di questi.
Durante i molti scontri si erano scambiati qualche parola, avevano trascorso lunghe ore attorno al fuoco in quelle notti nelle Terre Centrali così tranquille da far dimenticare che il mondo stava per essere risucchiato in un grosso buco. Non sembrava che lui avesse dato peso ai suoi tatuaggi, così un giorno particolarmente tranquillo Lena si era decisa ad andare da lui a fare due chiacchiere.
Aveva scoperto cose incredibili, non avrebbe mai potuto immaginare che un solo elfo potesse avere così tanta conoscenza. Oltre che dai racconti sui suoi viaggi, riguardo i quali lui non lesinava mai parole, Lena era affascinata dalla sua vita lontana dai clan ma anche dalle enclavi, avrebbe voluto saperne di più ma su quell’argomento Solas era piuttosto riservato. Avrebbe dovuto fare con lui come con Varric, avrebbe dovuto lasciare loro il tempo di disfarsi di tutte le difese, avrebbe dovuto guadagnare la loro fiducia, ma sapeva che c’era del buio dentro di loro e oltre ad esserne incuriosita ne era anche affascinata.
Anche con Sera all’inizio era stata dura, in questo caso era lei ad avere pregiudizi sugli elfi ma quando ebbero parlato un po’ Sera dovette riconoscere che lei non era poi così “elfica” e che quindi aveva il suo permesso per offrirle da bere ogni tanto. Una gentile concessione, non vi erano dubbi, ma Lena era profondamente divertita da quel suo essere fuori da ogni schema e non diede il minimo peso ai suoi modi.
 
In quei giorni si trovavano in missione nelle terre centrali. Leliana aveva ricevuto la notizia che un Custode Grigio  era stato avvistato in quella zona, e aveva preparato una missione per trovarlo e interrogarlo. I Custodi Grigi sembravano infatti essere scomparsi misteriosamente subito dopo l’esplosione al conclave, nessuno aveva loro notizie da mesi e la comparsa di un custode isolato sembrava quanto meno provvidenziale. O sospetto, come aveva fatto notare Cassandra.
Avevano trascorso la nottata in un accampamento vicino al lago Superiore, era lì che gli agenti di Leliana dicevano di aver localizzato il Custode. Varric continuava a lamentarsi, due notti spese all’addiaccio per lui erano troppe, Lena invece era felice di essere all’aperto, non fosse stato per la pazzia che imperversava in quelle terre sarebbe rimasta lì fuori più a lungo. Magari avrebbe seguito l’esploratrice Harding in qualcuna delle sue missioni quando tutto fosse tornato alla normalità. Per il momento c’era troppo da fare, lì, ad Haven e in praticamente mezzo Thedas. Le scampagnate avrebbero dovuto aspettare.
Si svegliarono di buon mattino quel giorno e si misero subito in cammino, Cassandra era nervosa e Varric per distrarla aveva iniziato a punzecchiare Solas, che dal canto suo sembrava completamente impermeabile alle provocazioni del nano.
Non camminavano da molto quando giunsero nei pressi di una vecchia capanna proprio sulle rive del lago. Accanto alla capanna una manciata di uomini si stava allenando all’uso della spada in un’arena improvvisata. Gli uomini sembravano stanchi e spaventati, avevano l’aria di chi impugna una spada per la prima volta, più concentrati nel cercare di non ferirsi da soli che nel combattere.
Con loro vi era un uomo che portava sull’armatura consunta le insegne dei custodi grigi. Doveva essere lui, lo avevano trovato.
Si avvicinarono e Lena lo chiamò “Blackwall? Custode Blackwall?”
L’uomo sorpreso si voltò verso di lei, strinse di più la spada che aveva in mano e si diresse verso di lei con una furia inaspettata.
Lena sentì Cassandra sguainare la propria spada.
“Cosa ci fate qui? Chi siete?” Tuonò l’uomo andandosi a piantare dritto in faccia a colei che lo aveva interpellato, rivolgendo all’elfa uno sguardo carico di odio. Lena stava per parlare e Cassandra per passare all’attacco, quando il Custode con un gesto rapido, alzò il braccio con cui stringeva lo scudo e lo portò davanti a Lena in un gesto difensivo. Una freccia si piantò sullo scudo.
Per un istante Lena restò a guardare l’uomo che era passato in un secondo dal volerla uccidere al salvarle la vita.
“Aiutateci, o andatevene” Disse di nuovo l’uomo in tono brusco.
La battaglia fu rapida, i briganti che li avevano assaliti erano, come molti altri che Lena aveva incontrato in precedenza, male addestrati e probabilmente stremati dalla fame, un altro triste sintomo del caos imperante.
Il custode lasciò liberi di tornare a casa gli uomini che stava addestrando, non erano pronti ma erano armati e avevano combattuto la loro prima battaglia, era molto più di quanto potesse dire la maggior parte degli altri contadini e allevatori che vivevano nei dintorni.
Gli agenti dell’Inquisizione rivolsero al custode molte domande ma ottennero risposte deludenti. Blackwall non aveva avuto contatti con altri custodi negli ultimi mesi e non sapeva nulla della loro scomparsa. La loro missione si era rivelata un buco nell’acqua.
Mentre s’incamminavano per tornare ad Haven la voce del custode li fermò.
“Inquisizione? Avete detto di essere agenti dell’Inquisizione? Ho sentito parlare di voi. So che avete fatto molto per la gente di queste parti, molto più di chiunque altro. Ed io…beh, viaggio da solo da troppo tempo e forse un Custode Grigio potrebbe esservi d'aiuto.”
L’uomo parlava con il fare di un veterano che ha visto tante battaglie da non ricordare più per cosa aveva iniziato a combattere ma pronunciò quelle parole guardando Lena dritta negli occhi e lei si sentì persa per un istante dentro il suo sguardo grigio, adombrato e profondissimo, fu come se il suo cuore mancasse un battito. Aveva trovato il suo Custode alla fine.
 
VI
 
Doveva ammetterlo, la vita ad Haven nonostante tutto era piacevole.
La vicinanza dello squarcio gettava su tutto una luce inquietante ma che i suoi occhi riuscivano a sopportare meglio. Il lavoro era duro ma la compagnia era piacevole.
Aveva allacciato dei buoni rapporti con Varric e per quanto possibile con Cassandra, anche quel nuovo arrivato, il qunari che si faceva chiamare Iron Bull, era per lui una presenza controversa e affascinante. Un piccolo colosso con delle corna imponenti, una benda sull’occhio e la voce cavernosa di un orso, ma dallo sguardo gentile e sincero. Una spia ma leale e fedele ai suoi compagni. Un osservatore acuto ma mai giudicante. Un piccolo capolavoro della natura e Solas non poteva far altro che ammirarlo.
Ma chi davvero aveva attirato la sua attenzione era la giovane elfa con la mano marchiata dall’antica magia.
Inizialmente era stato del tutto indifferente alla sua presenza, aveva visto fin troppi dalish negli ultimi tempi e la loro sola  presenza lo rivoltava. Ma con il tempo la giovane lo aveva sorpreso. Era curiosa, rivolgeva domande a tutti, era evidentemente affamata di conoscenza. Le sue osservazioni erano acute, più di una volta lo avevano spiazzato e si era trovato ad osservare fatti e avvenimenti da un punto di vista a lui del tutto nuovo, suggeritogli da un commento o da una intuizione dell’elfa.
Inoltre non faticava ad ammetterlo, la sua figura era graziosa e i suoi movimenti armonici come una danza. Quando combatteva era letale e aggraziata allo stesso tempo, una vera gioia per gli occhi. Era tanto tempo che a Solas non era concesso un passatempo così innocuo e piacevole e non aveva intenzione di privarsene. Si gingillava con il pensiero di lei così come avrebbe osservato durante una fiera di paese quegli artisti che fabbricano enormi bolle variopinte utilizzando corda e sapone. E’ piacevole stare ad osservare la luce che gioca con quella fragile ed eclettica creazione, ma il vero piacere sta nel suo essere un piacere del tutto effimero, la bolla è destinata a scoppiare nel giro di pochi piacevoli momenti. Nessuno passerebbe anni ad osservare la stessa bolla di sapone, nessuno per questa verrebbe distolto dalla propria occupazione troppo a lungo.
Era incuriosito dalla rabbia che la ragazza sembrava provare nei confronti dei suoi simili, aveva creduto che tutti i dalish fossero ossessionati dalla loro idea di preservare radici antiche e dimenticate, ma lei voleva lasciarsi alle spalle tutto. E non che il passato non le interessasse, rimaneva per ore ad ascoltare ammaliata i suoi racconti, semplicemente non sembrava apprezzare quella che doveva a buon diritto essere la sua gente.
La sua presenza però gli era gradita per un motivo in particolare. La luce della sua mano, che aveva in quel primo giorno placato finalmente il suo mal di testa, aveva mantenuto il suo potere, quando lei era nei paraggi la sua emicrania scemava pian piano fino a scomparire. 
La sua presenza nei suoi alloggi quel giorno era davvero provvidenziale. Nonostante fossero ad Haven quel mattino era stato svegliato dalla netta sensazione che la sua testa stesse per esplodere in una palla di fuoco e la sensazione non lo aveva abbandonato fino alla tarda mattinata, quando colei che tutti ormai chiamavano l’Araldo era passata da lui per chiacchierare un po’. Gli altri la chiamavano araldo ma forse nessuno del suo ristretto entourage. Varric non faceva che chiamarla Ragazzina, per uno sciocco gioco tra loro per cui lei fingeva di arrabbiarsi e lui di essere un saggio vegliardo. Bull, aveva preso a chiamarla Boss, era l’Inquisizione ad occuparsi delle loro paghe, ma era con lei che aveva stretto un patto. Per lui invece lei era da subito stata semplicemente da’len. Aveva fatto molta attenzione in principio ad evitare l’antico linguaggio, non voleva far nascere sospetti ma aveva ben presto capito che nei suoi momenti di rabbia era impossibile evitare che  le antiche parole gli salissero alle labbra. E a quanto pareva anche nei momenti d’intimità. Nessuno sembrava farci caso, i dalish usavano infatti le loro scarse conoscenze dell’antica lingua nelle stesse occasioni. Era interessante soffermarsi a pensare come mai proprio quelle parole non fossero andate perdute. L’idea che Solas se ne era fatto era che le parole del cuore, nel bene o nel male, fossero rimaste attaccate a quella gente e che fossero l’unico legame rimasto con il suo mondo.
Avrebbe voluto condividere con la sua ospite le sue riflessioni ma sembrava nervosa quel giorno, distratta. Continuava a fissare la tazza con all’interno quello che lui giudicava un terribile infuso, senza però assaggiarne neanche una goccia.
“Cosa c’è da’len? Qualcosa ti turba? Sono arrivate nuove brutte notizie?”
“E’ arrivata una lettera dal mio clan.” Rispose lei con aria sdegnata, “Chiedono il mio rilascio. Credono che l’Inquisizione mi abbia presa come prigioniera e mi vorrebbero indietro”
C’era disgusto nelle sue parole e Solas poteva leggerlo chiaramente. “Non è la reazione che ti saresti aspettata? Non li hai contattati da quando sei arrivata qui, non credi sia giustificabile la loro preoccupazione?”
Solas vide chiaramente quei begli occhi di un verde intenso scintillare di rabbia, rabbia diretta solamente a lui.
“Non si sono mai preoccupati per me una sola volta in tutta la mia vita! E ora scrivono dando per scontato che il mio ruolo in tutto questo non sia che quello della criminale! Vogliono trascinarmi nel fango e riportarmi indietro a quello che loro ritengono essere il mio posto!”
Solas lasciò che lo sfogo si esaurisse, prima o poi avrebbe capito cosa quella giovane aveva dovuto subire nel suo clan, non si aspettava nulla di buono da un branco di primitivi ma non era ancora arrivato il momento di fare domande.
“Scusami.” La ragazza sembrava aver ripreso il controllo ed era visibilmente imbarazzata.
Solas le sorrise ed iniziò a raccontarle la storia di un’antica e nobile famiglia e del loro tentativo di tenere nascosto un figlio cadetto che iniziava sviluppare notevoli doti magiche. Raccontò di come fossero arrivati a nasconderlo ed incatenarlo nelle segrete del palazzo, prima che il ragazzo riuscisse finalmente a guadagnarsi la libertà. Alla fine della sua storia la ragazza sembrava più tranquilla.
“Ma serannas." disse l’elfa rivolgendogli un sorriso di gratitudine. Era raro sentirle pronunciare le antiche parole e Solas lo trovò sorprendentemente piacevole.
“Ora devo andare, Josephine inizierà a darmi la caccia con i mabari se non mi lascio trovare.”
“Non sapevo di essere complice di una fuggitiva” rispose Solas sorridendo. Intanto la ragazza si era alzata e stava per uscire dalla piccola casa di pietra. Sulla soglia si fermò, si voltò e chiese: “Solas sai il nuovo arrivato, il custode? Come ti sembra? Cosa ne pensi?” La domanda uscì dalle sue labbra tutta d’un fiato come se l’avesse preparata in precedenza.
Solas ci pensò su per un attimo. Chissà come mai quella domanda. La ragazza aveva forse visto qualcosa che a lui era sfuggito?
“Non saprei da’len, ci siamo a malapena rivolti la parola ma sembra un uomo onorevole. Si vede che ha combattuto molte battaglie, deve aver visto molti orrori. Ma se è qui a combattere al nostro fianco vuol dire che l’orrore non lo ha ancora travolto, probabilmente crede ancora che questo mondo possa essere salvato. Non so se questo risponde alla tua domanda.”
“Grazie Solas.” Lei gli rivolse un altro sorriso ed uscì. Solas si fermò a riflettere sulle sue stesse parole. “Se quell’uomo combatte perché crede ci sia ancora speranza per il mondo, io per cosa combatto?”. Quella domanda gli restò a fior di labbra. Scosse la testa, non era quello il momento. Per ora dovevano ricucire quello strappo nel cielo. Un passo alla volta.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Nuove ombre, nuovi odori ***


Nuovo ombre, nuovi odori
Il lupo urlava sotto le foglie 
Sputando le piume più belle
Del suo pasto di polli:
 Come lui mi consumo. 
Arthur Rimbaud

 

VII
Per tutta la giornata Leliana e Cullen avevano continuato a battibeccare riguardo i maledettissimi maghi e templari. Era ormai tempo di prendere una decisione. Il buco nel cielo andava richiuso e servivano alleati, ma soprattutto dopo ciò che era accaduto a Val Royeaux, era necessario prendere posizione una volta per tutte. Tutti ovviamente si aspettavano che Lena condividesse la sua opinione in proposito.
A lei non andavano a genio i templari, aveva sentito troppe delle storie di Varric riguardo il disastro di Kirkwall per credere di potersi fidare di loro. Ma temeva i maghi, sapeva di cosa un singolo mago poteva essere capace, non osava immaginare cosa potesse fare uno squadrone di maghi arrabbiati e senza vincoli. 
Aveva imparato però che non bastava affidarsi alle proprie sensazioni quando si trovava lì dentro. Doveva pensare a quale sarebbe stata la mossa migliore per l'intera Inquisizione. 
E non c'erano dubbi sul fatto che fosse il compito più difficile da affrontare. In ogni caso non sarebbero arrivati ad una decisione quella sera, e nonostante le proteste del comandante Cullen, stabilirono di aggiornare la riunione all’indomani mattina.
Uscita dalla chiesa, Lena respirò a pieni polmoni l’aria frizzante delle Montagne Gelide e un briciolo di energia sembrò tornare a scorrerle nelle vene.
Camminò a passi lenti nella semi oscurità della notte che si approssimava, si lasciò alle spalle le fortificazioni e si sedette su una cassa nello spiazzo in cui di giorno le nuove reclute conducevano  l’addestramento.
Una figura dal passo lento e le spalle curve si stava avvicinando, non le fu difficile riconoscervi Blackwall.
Il Custode si era unito ai ranghi dell’Inquisizione da qualche tempo e avevano avuto diverse occasione per spendere del tempo assieme, sia in missione che lì nel piccolo villaggio, raramente si erano però ritrovati da soli.
Quell’uomo aveva per Lena un fascino magnetico, non poteva stare ad ascoltarlo senza perdersi tra le increspature di quelle belle labbra che sembravano contrastare con l’oscurità del resto del suo viso.
Varric l’aveva notato e più di una volta le aveva rivolto occhiate furbe ed allusive ma aveva suo malgrado scoperto che non era semplice farla arrossire.
Il custode era un uomo silenzioso, quasi goffo quando si trattava di stare in compagnia, parlava raramente di sé anche se aveva a volte raccontato qualche aneddoto divertente legato ad un tempo che sembrava passato da millenni. Lena aveva notato che Sera aveva su di lui un effetto distensivo, quando erano insieme era facile vederlo ridere di gusto e abbandonare quell’aria di chi ha combattuto una battaglia di troppo. Le piaceva vederli insieme, il sorriso del custode era raro e avvolgente, così si era ritrovata a trascorrere diverse serate in disparte ad osservare i due indugiare su aneddoti assurdi e turpiloqui irripetibili solo per poter cogliere quella perla così rara e attraente.
Per quanto riguardava l’atteggiamento nei suoi confronti, Lena non poteva non notare come si irrigidisse quando lei era presente. Sembrava quasi voler recuperare il contegno del soldato ogni volta che lei gli si faceva vicino, nonostante fosse stato in alcune occasioni particolarmente galante, Lena aveva la netta impressione che facesse di tutto per mantenere le distanze.
“My Lady, cosa fate qui fuori a quest’ora? Tra poco i cancelli saranno chiusi, sarà meglio che rientriate.”
“Avevo bisogno di prendere una boccata d’aria fresca. La serata è così bella che è un vero peccato trascorrerla in taverna o accanto al fuoco” Lena sorrise e fece cenno al custode di raggiungerla.
L’uomo si avvicinò e si fermò in imbarazzo come combattuto se sedersi accanto a lei o rimanere in piedi. Alla fine si sedette in silenzio appoggiando la sua spalla contro quella di lei. Rimasero per un po’ a fissare il cielo farsi sempre più scuro, poi il custode sospirò e Lena si voltò a guardarlo.
Ad eccezione di quel primo giorno in cui lui l’aveva quasi abbracciata proteggendola con lo scudo, non erano mai stati così vicini. Lena poteva sentire per la prima volta il suo profumo: sapeva di cuoio, di ferro e di caldo. Il suo profilo visto così da vicino, in contrasto con il cielo scuro della sera sembrava dipinto. Lunghi solchi segnavano la sua fronte e il contorno dei suoi occhi, per la prima volta Lena si ritrovò a chiedersi quanti anni avesse.
“My Lady, mi state fissando. C’è qualcosa che non va?”
“Scusami” fu tutto ciò che Lena riuscì a dire visibilmente in difficoltà.
“Voi dovete scusarmi, è passato così tanto tempo dall’ultima volta che mi sono trovato in compagnia di una donna da aver dimenticato come ci si comporta. E voi siete senza dubbio più bella delle donne con cui ero solito accompagnarmi”
A Lena mancò il fiato per un istante, anche per lei era passato tanto tempo dall’ultima volta che qualcuno le aveva rivolto un complimento. Forse nessuno le aveva mai rivolto un complimento di questo tipo, talmente galante e composto da non lasciare spazio a repliche, era brava però a dissimulare l’emozione.
“Potresti iniziare non trattandomi sempre come se fossi un tuo superiore. Potresti lasciarmi avvicinare.”
A queste parole il custode sembrò quasi scattare sull’attenti, si alzò in piedi all’improvviso e guardandola negli occhi con uno sguardo severo disse: “Probabilmente non ricordo come ci si comporta, ma alcune cose non si possono dimenticare. Riconosco i vostri sguardi e il vostro… trasporto nei miei confronti. Incoraggiarlo sarebbe inopportuno. Anzi non dovrei neanche essere qui. Perdonatemi.” In un istante il custode si era incamminato verso le palizzate che difendevano il villaggio ed era scomparso dalla sua vista.
Lena era con difficoltà riuscita a capire cosa fosse accaduto ma in conclusione era rimasta seduta lì fuori, da sola, in una serata che fino ad un attimo prima sembrava mite, ma che attimo dopo attimo si rivelava di un freddo pungente.
Era ora di entrare in taverna, sperando che la puzza di alcol e sudore cancellasse il buon profumo in cui pochi istanti prima si era persa.
Blackwall era già lì con Sera e Iron Bull.
Lei si sedette in un angolo con un bicchiere di sidro come d’abitudine e rimase ad osservare quell’uomo così affascinante che senza dubbio l’aveva notata e che la stava ignorando.
"Ehi ragazzina, che fai qui in un angolino tutta sola? Ricordi di giorni passati? Ti sei di nuovo trasformata nel rospo del “nessuno mi capisce, tutti mi odiano, crepino tutti”? Devo dirlo, non è il lato di te che preferisco”
Lena sollevò un sopracciglio divertita, il cattivo umore scompariva non appena il nano le si avvicinava
“Ero in attesa del nano migliore della compagnia!” Varric si mise a sedere e ordinò una birra. Iniziò a chiacchierare di qualcosa accaduto quel giorno tra il fabbro e una sorella della chiesa ma ben presto Lena sentì il nano farsi silenzioso e fissarla con aria divertita.
“Sembra che in quell’angolo della taverna ci sia qualcosa che continua ad attirare la tua attenzione. Al tuo tavolo c’è il nano più affascinante del Thedas e tu non lo degni di uno sguardo. Chissà se riesco ad indovinare cosa ti distrae…”
“Sai cosa si dice di chi non sa farsi i fatti suoi?” Lena si voltò verso il nano con uno sguardo che voleva essere di rimprovero, ma che fece scoppiare Varric in una fragorosa risata.
“Sai cosa si dice di voi elfi delle foreste da queste parti?” Lena scosse la testa attendendo il resto della storia “Non sai cosa si racconta delle ragazzine elfiche? Soprattutto di quelle impegnate a salvare il mondo a cui ronzano intorno vecchi Custodi Grigi con la faccia da eroi tenebrosi?”
“Afferrato. Puoi fermarti così. Nessuno ronza attorno a nessuno, certamente non nel modo che immagini tu”
“Non immagino niente, ragazzina” riprese Varric con un tono più serio di quanto Lena si sarebbe aspettata “Dico solo che dovresti essere lì e non qui da sola in un angolino. Qualunque cosa accada, in tutto questo casino, meriti di trascorrere una serata senza pensare a come poter ricucire lo strappo nel cielo. E se quel custode, noioso come un cantore stonato ti distrae, allora ben venga. Dei tuoi gusti potremo sempre discutere più avanti.”
Lena lo guardava con aria divertita ma in qualche modo, tra una battuta e l’altra, Varric aveva come sempre colto nel segno.
“Quel noioso custode, come lo chiami tu, non ha nessuna voglia di trascorrere con me la serata. Evidentemente tu sei più dedito alla causa di quanto non lo sia lui, quindi spetterà a te il difficile compito di farmi distrarre” disse Lena ridendo e bevendo un lungo sorso di sidro.
“Se quel custode non desidera più di ogni altra cosa trascorrere la serata con te, io ho un prato di margherite anziché peli sul petto! Quello sciocco è solo troppo noioso per lasciarsi andare: la sua missione, il suo codice d’onore e altre sciocchezze del genere. Mi sembra di poter sentire i suoi pensieri. Mi ricorda davvero molto un vecchio amico”
“Quello che ha fatto saltare in aria la chiesa di Kirkwall?” Lena lo chiese di getto ma si pentì, non appena vide gli occhi di Varric assottigliarsi come per effetto di un dolore improvviso e lancinante, ma che il nano nascose abilmente dietro il suo sorriso migliore.
“No, il biondino non era affatto noioso, tutt’altro! Se Hawke non se ne fosse innamorata senza dubbio lo avrei fatto io.” Disse nascondendo con un’altra risata lo stesso dolore. “Il nostro Custode mi ricorda il caro Sebastian Vael, attuale principe della ridente Portobrullo. Il biondino pazzo e divertente è diventato un fuggitivo e il chierichetto triste e noioso si è ritrovato principe. La vita è ingiusta ragazzina.”
“Lo so mio caro Varric. Alla tua salute” e finì con un ultimo lunghissimo sorso il sidro che aveva nel bicchiere. Per quella sera sarebbe rimasta con Varric, aveva vanificato i suoi sforzi per tenere sepolti i brutti pensieri, ora era compito suo risollevargli il morale.
 
 
 
 
 
  
 
VIII
Dopo i fatti di Redcliffe, su Haven era sceso un pesante manto di sgomento. Anche le canzoni del bardo alla taverna si erano fatte più cupe e spaventose.
L’umore dei soldati era pessimo, erano spaventati e lo nascondevano dietro un’irascibilità incontrollata.
Nascevano liti per delle sciocchezze e spesso i soldati si azzuffavano senza che nessuno intervenisse perché i più consideravano quegli sfoghi animaleschi un buon modo per allentare le tensioni. Solas era sconvolto dalla reazione degli uomini. Si dimostravano deboli, disorganizzati, preda dei loro istinti più bassi. Era una vergogna pensare che fossero loro i padroni del mondo e ancor di più lo disgustava l’idea che lui avesse bisogno di loro.
La giovane elfa era tornata da Redcliffe distrutta. Anche Solas era stato lì e aveva combattuto al suo fianco ma ciò che la ragazza e quell’eccentrico mago Tevinter avevano visto superava ogni terrore immaginabile. Lui li aveva visti scomparire in un varco, non aveva avuto neanche il tempo di comprendere la gravità dell’accaduto che i due erano ricomparsi. Erano feriti e spossati, e Solas aveva potuto leggere negli occhi dell’elfa un'angoscia impietosa.
Avevano parlato dell’accaduto per quasi tutta la notte successiva. Avevano visto un terribile futuro, avevano assistito alle sofferenze di un mondo condannato ad una fine inevitabile. Avevano visto il ladro realizzare il folle sogno di distruggere tutto ciò  che lo aveva illuso e tradito e per far questo aveva utilizzato una forza terribile. La forza che aveva rubato e che Solas, in quel momento come mai prima, voleva fortemente indietro. Non voleva portare sulle spalle la colpa per le sofferenze di questo mondo, questo mondo non lo meritava.
Quella notte, nessuno era riuscito a prendere sonno, l’indomani sarebbero dovuti tornare ad Haven e avrebbero dovuto raccontare a tutti l’accaduto. Per descrivere un pericolo così devastante non esistevano parole.
 Neanche l’Araldo di Andraste, poteva passare indenne per quella prova. Solas aveva desiderato che Varric fosse lì per poter risollevare un poco il morale della ragazza. La vedeva pensierosa, chissà cosa poteva passarle per la testa. Si sentiva impotente? Spaventata? Si sentiva responsabile? Avrebbe tanto voluto poterle essere d’aiuto, avrebbe voluto trovare le parole giuste per farla sentire al sicuro, per allontanare i pensieri angosciosi anche solo per pochi istanti e per farle credere, anche mentendo, che tutto sarebbe tornato alla normalità. Ma lui non conosceva quelle parole.
Qualcuno quella notte però aveva dimostrato di conoscerle. Il Custode viaggiava con loro e Solas aveva provato una stretta al cuore che non si aspettava quando lo vide avvicinarsi alla giovane donna. L’uomo sembrava sicuro di ciò che andava dicendo: parlava di speranza, di coraggio e di lotta. Solas vide l’elfa ascoltarlo assorta e poi sorridere debolmente, vide l’uomo circondarle infine le spalle con un braccio. Lei sembrava quasi scomparire in quell’abbraccio, l’impressione che ne ebbe Solas fu che lei cercasse quasi di non respirare nel tentativo di tenere cristallizzato quell’attimo.
Il mago capì solo in quell’istante la domanda che lei gli aveva rivolto un pomeriggio di qualche tempo prima. Non era preoccupata, era affascinata.
Tornati ad Haven le loro pessime aspettative sul futuro avevano evidentemente influenzato l’umore di tutta la piccola comunità.
L’elfa aveva riguadagnato in modo un po’ forzato il buon umore, sentiva la responsabilità di ciò che le si stringeva attorno. Gli uomini e le donne che si radunavano ad Haven lo facevano spinti dall’ammirazione nei confronti dell’Araldo. Le sue imprese, venivano raccontate ormai in tutto il Ferelden e anche Orlais iniziava a subire il fascino di quei racconti. Solas sapeva che la ragazza avrebbe stretto i denti e avrebbe sfoggiato il sorriso migliore, era il minimo che potesse fare per quella gente, avevano tutti bisogno di speranza per riprendere il controllo e  prepararsi alla prova ormai imminente.
I maghi di Redcliffe infatti erano ormai giunti ad Haven, era quindi questione di giorni, e avrebbero fatto la loro mossa nel tentativo di chiudere il grosso squarcio nel cielo.
Solas contava le ore che mancavano a quell’evento.
L’idea di lasciare Haven si faceva per lui sempre più urgente, aspettare ancora dopo ciò che era accaduto sarebbe stato avventato. Il ladro giorno dopo giorno rendeva più reale il futuro spaventoso che l’elfa e il mago avevano visto. Fermarlo era sua precisa responsabilità.
Inoltre faticava ad ammettere a se stesso che quel posto aveva perso un po’ della sua dolcezza, da quando l’araldo aveva iniziato spendere tanto del suo tempo vicino alla fucina con quel custode. Era un uomo piuttosto gretto, senza dubbio aveva visto molte battaglie e aveva condotto una vita onorevole, ma tutto il suo essere si limitava a quello. Solas non immaginava di cosa i due potessero parlare così a lungo. Dubitava che l’uomo avesse mai preso in mano un libro o avesse mai atteso ad attività più raffinate che non fossero i bagordi di una locanda. Come poteva soddisfare la mente laboriosa della giovane elfa?
Si iniziava a chiacchierare di quell’intesa e aveva sentito Dorian, il mago del Tevinter, rivolgere le stesse domande a Varric. Evidentemente non era l’unico a pensarla così. Ma forse Varric aveva ragione, in tutto quel caos forse non era un tipo di intesa intellettuale che la ragazza cercava, forse aveva bisogno d’altro.  
C’erano dei momenti in cui Solas si vergognava dei suoi stessi pensieri. Il suo giudizio mancava forse di oggettività?
Sentiva il sangue scorrere più velocemente in quei momenti. Soffermarsi sul pensiero della giovane e bella elfa, non era più così lieve e piacevole, le idee correvano veloci e i pensieri si affastellavano caoticamente. Forse aveva perso il controllo di ciò che all’inizio doveva essere solo un innocente passatempo.
Forse infine allontanarsi da Haven era davvero la cosa migliore da fare.
Avrebbero ricucito il cielo e sarebbe andato via da lì. Sarebbe tornato tranquillo e si sarebbe potuto dedicare di nuovo ed unicamente alla sua missione. Era ora di dare un taglio alle distrazioni.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Richiami nella tormenta ***


Richiami nella tormenta


A wolf is used to winter. This is not the first winter a wolf has lived through.
Will Grave
 
IX
Un grido dovuto alla fatica più che al dolore e Lena cadde in ginocchio. I maghi avevano dato tutto il supporto possibile e avevano fatto la loro parte al meglio guidati dal vigile Solas. Era tutto nelle sue mani ora. Doveva resistere ancora per poco. Percepiva chiaramente lo squarcio cedere, doveva solo riuscire a mantenere la presa. La mano le pulsava, il braccio era attraversato da continui spasmi che provocavano un dolore sempre più intenso e sempre più esteso. Lena sentiva le fitte farsi strada nel suo corpo: prima la spalla, poi il collo, poi il petto. Si domandava cosa sarebbe successo se le pulsazioni di quella strana e dolorosa energia avessero in fine raggiunto il cuore. Ma fortunatamente non ebbe modo di verificare. Con un lampo accecante e un’onda d'urto potentissima lo squarcio si richiuse su se stesso. Lena fu gettata con forza contro la parete rocciosa che si stagliava alle sue spalle. Cassandra e Solas arrivarono trafelati, temendo il peggio. 
Lena, stordita e dolorante ma ancora tutta d'un pezzo, cercò con difficoltà di rialzarsi indirizzando ai due soccorritori un sorriso trionfante. 
“Ci siamo riusciti! È fatta!” Lena poteva con difficoltà trattenere l'emozione. Il cielo era tornato normale, non si notava ormai che un piccolo segno lì dove prima si apriva l'enorme squarcio. Ed era anche un po' merito suo. 
Cassandra l'aiutò a rimettersi in piedi e s'incamminarono verso Haven, potevano fare ritorno da vincitori. 
Lena dovette fermarsi lungo la strada, aveva una gamba dolorante e una ferita alla testa che non smetteva di sanguinare. Si sedette su una grossa roccia e mentre Cassandra tornava velocemente verso Haven per avvisare tutti che niente di grave era accaduto, il mago rimase per medicare la giovane elfa. 
Solas fermò con un incantesimo il sangue che continuava ad uscire copioso. Di solito uno strano formicolio partiva dalla sua mano e le attraversava tutto il corpo ogni volta che il mago usava su di lei uno dei suoi incantesimi, questa volta invece una nuova scossa più forte delle precedenti le attraversò la parte sinistra del busto. Il sangue si era fermato ma il dolore l’aveva quasi paralizzata.
“Cosa è successo?” Chiese Solas allarmato. 
“Tu sei il guaritore e l'esperto di questa roba luminosa, perché lo chiedi a me?” Rispose Lena con un tono che voleva risultare ironico ma che le uscì tra i denti stretti dal dolore come un ringhio. 
“Non posso curarti se questo è l’effetto che ti fanno i miei incantesimi. Deve essere successo qualcosa al marchio, curandoti rischio di rafforzarlo. Se il marchio crescesse ancora, potrebbe destabilizzarsi e potrebbe richiedere più energie” si fermò ad osservarla cercando di valutare le condizioni della sua paziente e aggiunse: “non credo che tu sia abbastanza forte per questo.” Lena assunse di proposito un’espressione risentita. Un mago preoccupato non era utile, meglio cercare di rassicurarlo e quello di prendersi bonariamente gioco di lui era, secondo Lena, il modo più rapido.
“Grazie per aver rovinato uno dei momenti più esaltanti della mia vita!” Disse con tono quasi teatrale. “Se non è sufficiente chiudere un buco nel cielo per ricevere un apprezzamento da te, mi chiedo cosa potrei mai fare. Voi elfi, tutti uguali! Trovate sempre qualcosa di cui lamentarvi!” La scenata sembrò sortire l'effetto desiderato. “Mi sembri perfettamente in te. Passare tanto tempo con Varric ti sta corrompendo sempre di più” disse Solas ridendo. La sua risata era cristallina e piacevole. Il sorriso illuminava il volto dell'elfo e distendeva i suoi tratti in un’espressione dolce e affabile. Ogni volta che lo vedeva ridere Lena rimaneva affascinata da lui, come se per un attimo quell’elfo così sostenuto abbassasse le proprie difese e lasciasse intravedere il suo vero aspetto.
Sebbene questo non accadesse così spesso, Lena non avrebbe descritto l’elfo come una persona eccessivamente seria, come invece facevano gli altri, specialmente Varric. Lei non aveva mai avuto quell’impressione, capiva anzi che sebbene ci fossero delle differenze tra Varric e Solas, non riusciva a vederli troppo distanti l’uno dall’altro. L’elfo era senza dubbio più scostante anche se, superata la diffidenza iniziale, sapeva essere affabile, cordiale e premuroso. Il nano invece, apparentemente più aperto e amichevole, nascondeva in sé qualcosa a cui non permetteva a nessuno di avvicinarsi. Erano entrambi misteriosi e affascinanti. Lena sapeva che erano loro due i veri pilastri di quel piccolo entourage, uno per la sua sapienza e l’altro per la sua arguzia, entrambi per la dedizione con cui si donavano agli altri. Sapeva soprattutto che per lei erano pian piano diventati davvero preziosi.
Solas si fece serio all’improvviso e come capitava ogni volta, Lena vide il suo volto trasformarsi di nuovo. La sua espressione amichevole si eclissò all’improvviso dietro la solita maschera di gravità. “Sai non credevo che lo avrei mai detto ma sono felice di aver combattuto accanto ad una dalish.”
Lena era sorpresa e spiazzata da quelle parole ma Solas continuava a fissarla, qualcosa lo turbava.
“Credevo di essere io ad aver preso un colpo alla testa, sei sicuro di stare bene?”
Solas che fino a quel momento era rimasto in piedi accanto a lei, piegò un ginocchio a terra e si portò dritto davanti a lei.
Gli occhi di Solas si fecero più cupi e profondi del solito, Lena non riusciva a capire cosa passasse nella sua testa stava iniziando a preoccuparla. L’elfo le accarezzò il viso con infinita dolcezza e disse: “Forse hai ragione da’len, ma volevo che sapessi che condividere una parte del mio cammino con te è stato sorprendente.”
Lena capiva che c’era qualcosa che le stava sfuggendo, la tristezza del mago in quel momento sembrava senza fondo e Lena aveva paura di vederlo annegare. “Parli come se non dovessimo più vederci.” Lena aveva cercato il suo tono più allegro, ma la voce uscì in modo approssimativo, quasi strozzato
“Capiterà un giorno da’len. Questa Inquisizione non è il mio esercito e la guerra della chiesa degli umani non è la mia guerra. Ho compiti che mi attendono altrove.” Dicendo questo l’elfo si era rimesso in piedi e le aveva voltato le spalle.
Lena sentì il respiro fermarsi in gola. Non aveva mai pensato al dopo. Ciascuno dei suoi compagni sarebbe tornato alla propria vita e lei? Cosa avrebbe fatto? Ora che il buco nel cielo non c'era più? Chiusi gli ultimi squarci, l’Inquisizione non avrebbe più avuto bisogno di lei. L’avrebbe rimandata dal suo clan?
Si rimise in piedi. Alla fin fine l’incantesimo di Solas aveva fatto effetto ed era ora di tornare al villaggio. La gamba doleva ancora ma l’avrebbe ignorata. Voleva tornare tra i suoi, nella confusione, non voleva pensare. S’incamminò zoppicando ma l’elfo la raggiunse, si avvicinò, si fece passare il braccio di lei attorno al collo e la strinse alla vita per sorreggerla.
Arrivarono ad Haven in silenzio, senza neanche guardarsi. Solas accompagnò Lena dall’erborista, qualche impiastro avrebbe dato sollievo alla sua gamba. Le augurò la buonanotte bofonchiando tra i denti e uscì in fretta.
I pochi minuti che l’impiastro curativo impiegò a fare il suo effetto, sembrarono a Lena i più lunghi della sua vita.
Cosa era venuto in mente a quel mago? Perché portarle alla mente quei pensieri tristi proprio ora? Quello doveva essere il loro momento, era il loro trionfo. Quello sciocco aveva avvelenato la sua grande vittoria con poche gocce di disperazione.
Agli inferi lui e tutti gli altri.
Non avrebbe permesso a nessuno di rovinare quell’attimo perfetto. Domani forse sarebbe tornata a quei pensieri tristi ma quella sera aveva tutta l’intenzione di seppellirli, anche sotto litri di sidro se necessario.
Si alzò e uscì in fretta dalla capanna dell’erborista ringraziando appena. Camminava spedita e a testa bassa e svoltando l’angolo della taverna rischiò di schiantarsi contro qualcuno che procedeva nella direzione opposta. Fortunatamente i suoi riflessi erano eccellenti. Blackwall era fermo a meno di un passo da lei.
Il custode la afferrò per le spalle. “Stai bene? Cassandra ha detto che eri ferita e Solas è venuto a dirci che eri arrivata e che ti stavano medicando.”
Lena era sorpresa, nonostante si fossero molto avvicinati negli ultimi tempi, era la prima volta che si rivolgeva a lei dandogli del tu.
“Sto bene, ma VOI piuttosto?” Aveva deciso che si sarebbe divertita quella sera e allora perché non provocare un pochino quel Custode così sfuggente.
Blackwall sembrava in imbarazzo per essere stato colto in fallo, ma Lena gli sorrise e lui si rilassò.
“Aspettami qui, vuoi?” chiese Lena, e quando il custode rispose di sì con un cenno della testa l’elfa s’intrufolò nella locanda cercando di sfuggire l’attenzione di tutti. Arrivò al bancone, prese di nascosto una bottiglia di vino e fece per uscire. Varric la vide, ma lei lo implorò con lo sguardo di non chiamarla ad alta voce. Il nano sembrò capire, e lei se ne andò indisturbata.
Il custode era fermo dove lo aveva lasciato. “Vuoi farmi compagnia vicino al fuoco? Ho bisogno di un momento prima di tuffarmi nella confusione. Offro da bere.” Lena mostrò al custode la refurtiva sorridendo.
“Fatemi strada, my lady.” Lena avrebbe giurato di sentire dell’ironia quella volta in quell’appellativo così formale che lui era solito rivolgerle.
Si sedettero accanto ad un fuoco che normalmente rimaneva sempre accesso. Era esattamente al centro del villaggio ed era il posto preferito di Varric, diceva che stando lì poteva ricevere ogni giorno la sua dose d’ispirazione. O di pettegolezzi, che alla fin fine erano la stessa cosa.
Si sedettero, Lena aprì la bottiglia e mimando un inchino con braccia e busto la porse a Blackwall. “Per voi, My lord”
Il custode prese la bottiglia ridendo, ne bevve un lungo sorso e la restituì all’elfa.
“Sapete non dovreste prendervi gioco di me”
“E perché non dovrei?”
“E’ una questione di saggezza, sono più grosso di voi, e sono armato”
“Sono armata anche io e in più ho ragione. Questo mi dà decisamente un vantaggio”
L’elfa si fermò a scrutare l’uomo. La luce delle fiamme danzava sulla sua armatura. Si chiese come mai la stesse ancora indossando, forse temeva di dover intervenire nel caso in cui lei e i maghi avessero fallito. Si ritrovò a pensare a come dovesse essere il suo corpo sotto l’armatura: le cicatrici, il profumo, il sapore della sua pelle. Si sentiva inebriata da quel pensiero eppure non aveva ancora bevuto neanche un goccio di vino. Rimediò immediatamente. Immaginò il sapore intenso del vino mescolarsi a quello di lui.
 Avevano passato lunghe giornate insieme negli ultimi tempi. Era stata sempre lei a cercarlo, si era sentita un po’ ridicola a volte ma al custode facevano piacere le sue visite e la sua compagnia e oramai non lo negava più. Inizialmente era convinta che il custode fosse infastidito dal suo modo di fare, dopotutto le aveva detto chiaramente di non gradire le sue attenzioni, ma sempre più spesso le sue azioni e i suoi sguardi contraddicevano le sue parole. Quello strano gioco fatto di momentanei avvicinamenti e di fughe improvvise la riempiva di energie, leniva il dolore che era costretta ad affrontare sui numerosi campi di battaglia che continuavano ad aprirsi, era un balsamo speziato e corroborante che le donava ogni giorno nuova forza. Spesso la sola presenza del custode, come in quel momento, la faceva sentire pronta a tutto. Era come la strana eccitazione del combattimento che nasconde il dolore e la fatica. Anche in quel momento, anche dopo una lunga battaglia, anche dopo aver realizzato che non poteva andare tutto bene, come tutti continuavano falsamente a ripeterle, sentiva scorrere nelle vene l’ardore e la forza. 
“Non dovreste essere qui, ma dentro a festeggiare con i vostri uomini.” La voce roca del custode la distolse dai suoi pensieri.
“Tutti questi divieti. Non credo sia la serata giusta. Non ho guadagnato il diritto di infrangere qualche regola questa sera?”
“Ho la sensazione che voi non facciate altro nella vita. Da quando vi conosco non avete perso occasione di infrangere norme e regole, sovvertendo il punto di vista di molti.”  E dopo una breve pausa aggiunse: “Il mio prima di tutti.”
“Mi fa piacere che tu lo abbia notato.” Disse Lena sorridendo furbescamente. “Ma tu? Esistono regole a cui non ti sottometti?”
Il custode la fissò serio per un momento. “Mi sembra piuttosto evidente che non dovrei essere qui con voi. Vedete, so essere trasgressivo anche io, checché ne dica Varric.” Blackwall tornò a sorridere e si sporse verso di lei per prendere dell’altro vino.
Lena anziché porgergli il vino, afferrò la sua mano. Non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare.
“Io credo che non dovresti fingere che fra noi ci sia una distanza che non esiste.”
Blackwall la guardò con il suo solito sguardo severo. Ogni volta che cercava di fare un passo nella sua direzione lui la respingeva con quello sguardo. Ma quella volta Lena non si lasciò spaventare, quella sera non aveva niente da perdere. Si tirò su in ginocchio sedendosi dietro sui talloni, sempre senza lasciare andare la mano dell’uomo. La sollevò invece e se la appoggiò sulla guancia. Come era diverso il suo tocco da quello di Solas. La sua mano era più grande, meno calda e meno gentile ma più forte e decisa, poteva sentire contro la sua pelle i segni che il costante utilizzo della spada aveva lasciato.
Chiuse gli occhi per un istante, e quando li riaprì lo sguardo severo di Blackwall era stato sostituito da uno sguardo nuovo che non conosceva, ma che poteva chiaramente interpretare. Varric aveva ragione quindi, lui voleva averla vicina tanto quanto lei voleva lui. Lena aveva lasciato andare la mano del custode ma lui non l’aveva spostata, era ancora lì appoggiata contro il suo viso.
“Siete così bella. Davvero. Non dovrei.”
Lena afferrando il braccio di lui, lo trascinò a sé e posò le sue labbra su quelle dell’uomo. Un solo istante e nell’aria iniziò a diffondersi l’allarme generale. Qualcosa si stava avvicinando. Scattarono entrambi in piedi, erano vicini alle porte del villaggio e vi si diressero immediatamente. Qualcuno stava bussando dall’altro lato. Lena senza pensarci due volte diede ordine di aprire, sentiva su di sé lo sguardo di disapprovazione del custode ma lo ignorò. Nello spiraglio appena aperto Lena vide un ragazzo, smunto e malconcio, il viso quasi completamente nascosto da un grosso cappello sdrucito.
Il ragazzo era terribilmente allarmato: “Presto! I templari rossi. Stanno arrivando”
 


 
 
  
X
Era successo tutto così in fretta.
Solas si era lasciato alle spalle la ragazza, era andato alla taverna e aveva avvisato personalmente il custode della situazione. Sapeva che lui si sarebbe preso cura di lei. Sapeva che lei ne aveva bisogno. Poi era tornato in fretta nella sua capanna, aveva raccolto le sue cose. Le aveva detto addio. Lo aveva fatto a modo suo, forse lei non aveva capito ma lo avrebbe fatto. Sentiva ancora sulle mani il tocco di quella pelle morbida e contro il suo corpo il calore e l’odore di lei. Per lui era decisamente l’ora di andare.
Poi l’allarme, la battaglia. Il drago. Il ladro.
Haven era stata sepolta dalla neve. Non riusciva a capire come quello sciocco ottuso di Cullen avesse acconsentito ad un piano tanto folle e soprattutto, come avevano potuto Varric e Cassandra non opporsi? Come aveva potuto Blackwall.
Era arrabbiato con tutti loro. Ma lo era ancora di più con se stesso. Se fosse stato con loro anziché pronto alla fuga, forse avrebbe convinto l’elfa dell’assurdità di quel piano.
Forse il ladro vedendolo e riconoscendolo sarebbe fuggito. O forse avrebbe rivolto la sua furia contro di lui anziché contro la giovane elfa. Invece era uscito troppo tardi dalla sua capanna ed era rimasto invischiato in una serie di combattimenti nei pressi della chiesa mentre lei affrontava quella minaccia da sola e lontana da lui.
I racconti riguardo quella battaglia erano frammentari. Sembrava che il Ladro o l’ Antico, come lo chiamavano gli altri, fosse apparso all’improvviso a cavallo di quello che tutti ritenevano essere un arcidemone.
Aveva cercato di riprendersi il marchio. Nessuno sapeva se ci fosse riuscito ma ora tutti sapevano che quel marchio non era un dono di Andraste ma una magia antica e potente che lei aveva in qualche modo rubato all’Antico. Nessuno sapeva se l’araldo fosse ancora vivo.
Avevano lasciato quell’avventata giovane elfa fare di testa sua e lei aveva deciso di sacrificare se stessa per salvare gli altri. Sconsiderata e testarda. E ora si trovavano nel mezzo del nulla, in un accampamento di fortuna, circondati dalla neve, senza sapere cosa fare.
Cassandra, Leliana e Cullen non facevano altro che discutere da quando si erano accampati. Il morale era a terra. Molti erano caduti ad Haven e non c’era nessun araldo che potesse incarnare le speranze di un futuro meno buio.
Solas era combattuto sul da farsi. Non poteva rimanere a lungo, il Ladro poteva essere tornato in possesso della sua magia e quindi potevano essere in pericolo in quel momento più che mai. Ma non sapeva come affrontare quel dolore da solo. Un tempo lontanissimo aveva perso tutto e si era trovato solo. In confronto la perdita di una sola persona non avrebbe dovuto turbarlo così tanto eppure non poteva pensare di lasciare l’accampamento. Non ancora.
La sera dopo il loro arrivo in quel posto alcune sentinelle diedero l’allarme. Erano senza dubbio esausti ma con i nervi a fior di pelle e in un istante tutti furono armati e pronti a combattere.
Dalla neve si materializzò invece pian piano il profilo del Custode Grigio, portava tra le braccia qualcosa. Solas riconobbe immediatamente il suo fardello. Non appena superarono la cortina di neve infatti, il dolore che aveva di nuovo afferrato la tua testa svanì di colpo. L’araldo era tornato e aveva ancora con sé la sua magia.
Solas si fece incontro al custode e lo guidò verso la sua tenda.
L’elfa doveva essere quasi assiderata oltre che stremata dalla battaglia. Il custode la distese su una piccola brandina all’interno della tenda e rimase immobile ad osservare il mago prestarle le prime cure.
Solas non sapeva se intervenire direttamente con la magia, l’ultima volta il suo incantesimo di guarigione aveva avuto un effetto indesiderato, in questo caso le sue forze potevano non essere sufficienti a sopportare il dolore.
“Come sta?” chiese il custode preoccupato.
“Non starà meglio se rimani fermo a fissarla. Renditi utile e vai a cercare delle coperte. Porta anche qualche pozione curativa.”
Senza proferire parola Blackwall uscì dalla tenda. Non voleva essere scortese con il Custode ma la sua presenza lo infastidiva.
Avvicinò alla brandina il piccolo braciere che scaldava l’interno della tenda. Sfiorò la mano della ragazza: era ghiacciata. Non poté trattenersi dallo stringerla con entrambe le mani e portarla accanto alla bocca per cercare di scaldarla con il proprio respiro. Era sciocco, lo sapeva, ma la felicità di averla ritrovata era più forte di ogni altra cosa. Lei era lì, era viva. Il ladro non era riuscito a strapparle il marchio, questo voleva dire che c’era ancora speranza.
In quel momento Solas vide che l’elfa stava cercando a fatica di aprire gli occhi, le strinse la mano un po’ più forte e si chinò su di lei.
Lei sorrise debolmente riconoscendo gli occhi dell’amico. “Sei qui” disse con voce flebile, “non sei andato via. Rimarrai con me?”
Solas sentì qualcosa dentro di sé sciogliersi a quelle parole. Quell’elfa era davvero piena di sorprese. Aveva davvero capito tutto ed era ora tanto presente a se stessa da ricordarsene, da avere una parola gentile per lui dopo tutto quello che aveva passato. E voleva che lui le rimanesse accanto. Solas sentiva un calore confortevole crescergli dentro. “Riposati e non preoccuparti di niente. Sarò qui quando ti sveglierai.” Le posò un leggero bacio sulla fronte e si rialzò.
Fermo all’ingresso della tenda vi era Blackwall che lo fissava con sguardo inquisitorio.
Solas non aveva tempo per le sciocche recriminazioni dell’uomo. Prese dalle sue mani coperte e pozioni e tornò ad occuparsi della sua paziente. Blackwall non accennava ad andarsene né a parlare. Continuava solo a fissarlo, forse cercando di studiare le sue intenzioni. Solo pochi minuti prima Solas avrebbe aggredito l’uomo accusandolo dell’accaduto, ma ora non importava. Lei stava bene, cercava di prendersi cura di lui, nonostante le sue condizioni. Il cuore dell’elfo era colmo di gioia, gratitudine e tenerezza come non gli capitava da tempo immemore. Non vi era spazio per nient’altro.
“Non c’è bisogno che tu rimanga qui. Ti manderò a chiamare appena si sveglierà.” Solas cercò di usare il suo tono più conciliante, ma il custode non sembrava apprezzare. Rimase fermo ancora un po’ poi uscì improvvisamente senza fiatare.
Solas, lasciato solo, si accasciò a terra accanto alla sua paziente, appoggiò la testa contro la brandina e chiuse gli occhi.
Era felice. Come era possibile? Tutto si faceva più difficile. Eppure andava bene così.
Iniziò a pensare a cosa potesse aspettarlo in futuro. Due anime lottavano in lui. Da una parte c’era il bisogno di portare a termine la sua missione. Quanti fratelli soffrivano a causa sua? Quanto triste e senza vita era diventato quel mondo? Non era suo preciso dovere ristabilire l’ordine? Ma d’altro canto, lei aveva bisogno di lui.
Questa nuova consapevolezza annientava il suo giudizio e l’euforia di cui si inebriava lo spaventava.
Ma in fondo quale modo migliore per raggiungere il ladro se non quello di rimanere accanto a quell’elfa? Lei aveva qualcosa che lui voleva. Il ladro sarebbe tornato a cercarla e questa volta lui sarebbe rimasto accanto a lei. Nel frattempo avrebbe potuto iniziare a tessere una rete tra i suoi fratelli perduti. Avrebbe iniziato a radunare le forze e quando sarebbe tornato in possesso della sua magia, sarebbe stato in grado di portare in salvo schiavi e sofferenti, come aveva fatto a lungo in un altro tempo.
La sua mente lavorava freneticamente. L’Inquisizione doveva diventare potente e lui avrebbe potuto sfruttare così le sue maglie.
Per cominciare c’era bisogno di una roccaforte, e lui conosceva il posto adatto.
Poi avrebbero dovuto scegliere un leader, probabilmente Cassandra sarebbe stata la persona adatta. E infine dovevano solo continuare a fare ciò che avevano fatto fino a quel momento. Lui avrebbe continuato a combattere accanto all’elfa e quando il Ladro fosse tornato sulla loro strada, lui avrebbe potuto riprendersi la sua sfera. Le cose si sarebbero sistemate da sole.
La ragazza alle sue spalle cercò di muoversi ed emise un lieve gemito. Lui si voltò e si ritrovò a fissare quel bel volto, dai lineamenti perfetti, immobile a meno di un palmo dal suo. Poteva sentire il respiro di lei sul proprio viso. L’istinto di baciarla era quasi insopprimibile. Questo lo spaventava. Non sapeva cosa sarebbe potuto succedere se quella passione, invece che rimanere celata, fosse stata portata alla luce. Erano millenni che non provava niente di simile e temeva di soccombere. Non era per quello che aveva cercato di fuggire da Haven in quella triste notte? Poi gli tornò alla mente l’immagine irata del custode. Era evidente che c’era qualcosa che stava nascendo tra i due. Invece di lasciarsi andare ad atteggiamenti meschini come gli era capitato la notte di Redcliffe, doveva vedere quel loro rapporto come un’ancora di salvezza. Anche se la sua passione avesse preso il sopravvento, la giovane elfa era troppo presa da Blackwall per nutrire interesse nei suoi confronti o anche solo per notare il suo trasporto verso di lei. Solas aveva così la possibilità di rimanerle accanto senza rischi. Al momento giusto sarebbe andato via ma solo quando lei fosse tornata ad essere davvero al sicuro, lei avrebbe sempre potuto pensare a lui come ad un amico rimasto fedele fino alla fine.
Tutti questi pensieri lo rasserenarono, poteva perseguire la sua missione e concedersi un po’ di felicità allo stesso tempo.
Si addormentò stanco ma tranquillo, finalmente.
Delle voci lo svegliarono all’improvviso, sembrava che l’intero accampamento stesse cantando. La branda accanto a lui era vuota, l’elfa doveva essere uscita in silenzio. Si accorse di avere addosso una pesante coperta, doveva essere stata una premura della giovane.
Uscì dalla tenda e vide che erano tutti radunati attorno a lei. L’araldo era tornato, ora tutto si sarebbe sistemato, sembravano crederlo con convinzione. L’alba sarebbe tornata, continuavano a cantarlo rincuorandosi così l’un l’altro.
Incrociò lo sguardo dell’amica. Lei gli si avvicinò.
“Mi concedi un momento?” era il momento di trovare una base per avviare tutti i suoi progetti. Era il momento di donare una casa all’Inquisizione.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** In lotta con il passato ***


In lotta col passato
 
Even if it is a gray wolf or an old wolf, it has the pride of a wolf.
 
 
XI
Dopo lunghi giorni di marcia finalmente erano giunti in vista della fortezza. Era davvero magnifica come Solas l'aveva descritta. 
Imponente e maestosa faceva capolino tra montagne impervie. Non si poteva non domandarsi chi e come avesse potuto costruire una tale grandiosa opera in un posto del genere. 
Non fu necessario molto tempo per capire che nonostante fosse in vista, ancora alcuni giorni di marcia separavano il gruppo dalla sua meta. 
Nonostante anzi l’avanzare della carovana, la distanza sembrava non diminuire affatto.  Il gruppo si era fatto giorno dopo giorno, sempre più silenzioso e la vista della roccaforte, sebbene inizialmente avesse scatenato l'euforia, aveva ben presto scaturito l'effetto opposto spostando sempre in là di qualche giorno la meta tanto desiderata.
Fortunatamente il gruppo poteva contare sulla presenza di Varric e di Iron Bull con le sue Furie. 
Varric non perdeva occasione per indispettire Cassandra. Lena capiva che Varric la faceva oggetto di tante indesiderate attenzioni perché molti guardavano alla Cercatrice come a una bilancia per valutare la situazione. Una Cassandra sconfortata avrebbe portato l’intera carovana a perdersi d’animo. Lena supponeva che anche Cassandra comprendesse le intenzioni del nano, dopotutto non lo aveva ancora scaraventato giù da un dirupo.
 Le Furie dal canto loro facevano di tutto per rendersi utili. Aiutavano i più stanchi, si facevano carico dei bagagli più pesanti e non smettevano mai di cantare o di ridere neanche per un momento. 
“Questa maledetta canzone non mi uscirà mai più dalla testa!” Dorian protestò in direzione del Toro, che per tutta risposta si unì al coro dei suoi. 
Il mago non era abituato a camminare così a lungo e in condizioni così disagevoli. Era stremato, ma non avrebbe dato segni di cedimento. Il suo orgoglio lo avrebbe probabilmente ucciso prima. 
Solas che apriva la strada, sembrava invece non soffrire affatto la lunga marcia. Il suo passo leggero non era mutato dal primo giorno e anche il suo umore era rimasto immutato. Era stato come sempre molto gentile con tutti anche se non proprio cordiale, aveva raccontato a Lena molte storie su quel posto che gli antichi elfi chiamavano Tarasyl’an Te’las e che l’impero aveva poi rinominato Skyhold. 
Lena non poteva non chiedersi in che angolo remoto avesse nascosto tutta la tristezza che le aveva mostrato la notte dell’attacco e di cui sembrava non rimanere traccia. 
Dorian non aveva lasciato il fianco di Lena neanche per un istante da quando erano partiti e lei gliene era particolarmente grata. 
Era bello averlo accanto. Era divertente e intelligente, aveva una cultura e una sapienza seconde solo a quelle di Solas, ma stare con lui era più semplice. Dorian era piacevole in compagnia e profondo nei ragionamenti, si divertiva a prenderla in giro e a stuzzicarla come Varric faceva con Cassandra. 
Stare con lui era rilassante, non c’erano ombre in lui, non era necessario essere sempre attenti nel decifrare il suo comportamento. Non che fosse completamente privo di difese, ma il suo atteggiamento pomposo non aveva effetto su Lena, che era riuscita facilmente a leggere al di là di quell’artificio. Sapeva che il suo passato non era stato solo frivolezza e agio, come alcuni sembravano credere, ma questo non lo aveva trasformato in una persona rancorosa o malinconica. Era anzi diventato una persona consapevole che non tutto può andare bene nella vita, che ci sono sofferenze con cui dover fare i conti, ma non per questo la vita diviene meno degna di essere vissuta. E Lena amava il suo ottimismo latente, la sua facile euforia che non diventava mai sguaiata o frivola.
Inoltre la presenza del mago aveva dissuaso conversazioni che in quel momento sarebbero in ogni caso state fuori luogo e Lena era grata anche per questo. 
Blackwall le si era avvicinato una sola volta per avere notizie riguardo la sua salute, poi più niente. Lo aveva visto più di una volta rivolgerle sguardi torvi da lontano, ma quello non era un buon momento per i drammi personali. Tutte quelle persone, stremate e infreddolite contavano su di lei. Seguivano Solas perché avevano fiducia in lei. Dopo quanto accaduto ad Haven anche i più scettici le avevano accordato fiducia, il suo ritorno aveva un che di mistico e miracoloso per quella gente e nessuno voleva sapere quanto invece ci fosse di terreno. Nessuno chiedeva delle lunghissime ore di marcia in mezzo alla neve e della voglia sempre più prepotente di lasciarsi andare. Nessuno voleva sapere del desiderio di arrendersi semplicemente al sonno. Che morte dolce sarebbe stata!
Quel marchio sulla sua mano, che quello strano ed orribile mostro aveva cercato di strapparle con la forza, era in qualche modo mutato e le era stato d’aiuto negli scontri contro i demoni che aveva incontrato lungo la strada. Ma si era rivelato completamente inutile nella lotta contro la debolezza che cresceva sempre di più. Anche se tutti si rifiutavano di ammetterlo non vi era nulla di divino in quel marchio, perché non vi era nulla di divino nel suo spaventoso proprietario.
Ironia della sorte, per superare la lotta contro il desiderio di arrendersi aveva dovuto fare ricorso ai demoni che vivevano dentro di lei. Il bisogno di dimostrare a chi non aveva mai creduto in lei che la sua forza era grande, e allo stesso tempo, la volontà di non deludere le persone che invece avevano riposto in lei tante delle loro speranze l’avevano tenuta vigile.
Dopo tutto ciò che era riuscita a superare, ora doveva rimanere concentrata e presente a se stessa, tutto il resto avrebbe dovuto attendere.
La giornata volgeva al termine, Solas diede ordine alla carovana di fermarsi e accamparsi. Quella sera, il calare del sole aveva mostrato all’Inquisizione intera, la bellezza per la quale ciascuno aveva combattuto e rischiato di morire. 
Il sole scendendo alle spalle di Skyhold, donava al cielo sfumature dal rosa intenso all’indaco, nessuno poteva fare a meno di ammirare quello spettacolo che scaldava il cuore e riempiva gli animi di speranza. I falò vennero accesi in fretta, il campo fu sistemato e ben presto tutti furono seduti attorno ai bivacchi mangiando, bevendo e raccontando storie. 
Dorian, Solas, Varric e Cassandra erano seduti attorno allo stesso fuoco di Lena. Il gruppetto era piuttosto silenzioso, si scambiavano poche parole, ciascuno rincorreva i propri pensieri abbandonandosi infine alla stanchezza.
Poco lontani da loro le Furie, Sera e Blackwall erano invece probabilmente già ubriachi e producevano il doppio del rumore del resto della compagnia. 
Dorian lanciò uno sguardo di disappunto verso quella cerchia rumorosa poi si accostò all’orecchio dell’elfa e disse quasi in un sospiro: “Credo tu mi debba delle spiegazioni, in accordo con ciò che vedo, sto rischiando la vita. Merito almeno di sapere il perché.” Il sorriso sornione del mago sorprese Lena che faticava a comprendere le sue parole. 
Dorian allora circondò le spalle dell’elfa con un braccio e la fece voltare leggermente, fino ad arrivare a guardare il falò rumoroso accanto al loro. Lena vide lo sguardo del custode farsi di fuoco. Ebbe un brivido, era odio quello che leggeva nei suoi occhi? Cosa aveva fatto? 
“Allora, devo temere di essere accoltellato nel sonno o credi di riuscire a tenere a bada il tuo bruto?”
“Non so cosa ho fatto, non so perché è così arrabbiato. Quando siamo partiti mi sembrava tranquillo. E poi, perché dovrebbe avercela con te?”
Varric che non si era lasciato sfuggire la conversazione, scoppiò a ridere e disse: “Non è arrabbiato, ragazzina. Il tuo Custode è solo geloso. E il nostro Sparkler qui (così Varric, che aveva un soprannome per tutti, aveva rinominato Dorian), ha ragione. Non sei tu a dover temere la sua reazione. Credo invece che se potesse mettere le mani su di lui, il nostro mago se la vedrebbe davvero male.”
Lena si rabbuiò “La gelosia non esiste!” disse quasi ringhiando. Il piccolo gruppetto rimase in ascolto aspettando che l’elfa spiegasse come mai quella teoria la facesse così tanto accalorare.
“È semplicemente un sentimento che non esiste. Nasconde sempre altro, più profondo o più egoista. E spero che siate in errore.”
“Ragazzina è più complicato di così. La gelosia ti consuma. Non è un sentimento nobile, ma esiste. Sono felice per te se non hai mai avuto modo di sperimentarla, ma è reale e dolorosa. Sapere che la persona che ami non sarà mai tra le tue braccia, che condivide i piccoli gesti d’intimità con qualcuno che non sei tu, si sveglia accanto a qualcun altro, racconta le sue giornate a qualcuno che non ti assomiglia neanche, non sorride per te. Tutto questo consuma ogni altro sentimento, consuma ogni fibra di te e ti lascia incapace di provare qualunque altra cosa.”
Lena non aveva mai visto Varric così profondamente coinvolto dalle sue stesse parole. Questa volta non raccontava una storia, parlava di sé. Cassandra lo guardava intensamente cercando di capire se fosse serio. Solas sembrava leggere dentro ciascuna delle sue parole, addentrandosi di più ad ogni sillaba pronunciata dal nano. 
"Ma questa non è gelosia. Mi dispiace Varric, è amore. È ciò che prova chi, innamorato, è costretto a rimanere lontano dall’oggetto del suo desiderio. Cosa c’entra questo con la gelosia? Parli di gelosia solo perché c’è qualcun altro? Vuoi forse dire che questo sentimento è legato a quel qualcuno? Se non avesse un altro, ma comunque non fosse con te, cambierebbe qualcosa? E se lei potesse essere accanto a te, conterebbe davvero che avesse qualcun altro nella sua vita?” 
Varric, guardò l’elfa per un istante, e poi strinse gli occhi, in quell’espressione di dolore che Lena gli aveva visto altre volte. Infine rispose semplicemente: “No”
La discussione aveva improvvisamente preso toni più personali e tutti trattenevano il fiato attorno al falò.
"Volete dire che non vi creerebbe problemi scoprire che la persona che amate, ama qualcun altro?” La voce veniva dalle loro spalle. Evidentemente, il custode aveva lasciato il suo falò e si era avvicinato a loro, che presi dalla conversazione, non gli avevano prestato attenzione.
“Se quella persona è davvero innamorata di me? No. Non mi interessa” Lena aveva alzato il viso verso di lui e risposto con impeto.
Varric era rimasto in silenzio, era seccato ed imbarazzato, probabilmente non si era aspettato di essere trascinato in una discussione così personale e di certo non gradiva avere un pubblico in quel momento.
“Sono solo parole le vostre, la realtà sarebbe ben diversa. Una situazione del genere vi spezzerebbe il cuore o vi farebbe infuriare” Le ultime parole del custode erano chiaramente rivolte a Dorian che si era armato per l’occasione del suo sorriso più affascinante e provocatorio.
In Lena invece si faceva strada una furia sempre più incontrollata: “Non puoi sapere qual è la mia storia, non ti permetto di giudicare. Non sai di chi sono stata innamorata, cosa mi ha fatto infuriare e cosa mi ha spezzato il cuore. Se ti dicessi che sono innamorata da sempre di una ragazza incredibile che mi amava a sua volta e che amava però anche un ragazzo che era innamorato di me? Niente di tutto questo mi ha mai spezzato il cuore. Lo hanno fatto l’avidità e la volontà di possesso. E soprattutto, lo ha fatto la mancanza di giudizio nello sputare sentenze sugli altri, nel voler dare etichette per semplificare ciò che è complesso. Questo mi ha spezzato il cuore. E temo continuerà a farlo perché le persone preferiscono rimanere piccole piccole, piuttosto che apprezzare ed accettare la grandezza, la varietà e la bellezza che c’è nel mondo.”
Dicendo queste cose Lena sentiva il suo viso diventare di fuoco. Attorno a lei era calato il silenzio.
“Scusatemi, non volevo dare giudizi e non avrei dovuto interferire in una discussione evidentemente privata. Perdonatemi.” Blackwall era sbiancato in volto, le parole di Lena avevano evidentemente colpito nel segno e ne era contenta. Non poteva sopportare l’idea che il suo custode potesse avere dell’amore un’idea così ristretta. Era sicura che ci fosse altro nascosto dietro le parole di lui. Avrebbe pian piano scoperto anche quello. Per il momento l’importante era mettere in chiaro le cose.
Distolse lo sguardo dalle spalle del custode che si allontanava e lo riportò verso il falò, Solas teneva lo sguardo fisso sul fuoco, Cassandra la guardava a bocca aperta e tutta rossa in viso, Varric e Dorian invece sembravano piuttosto divertiti.
“Brava la nostra ragazzina, ha rimesso quel Custode al suo posto. Sparkler, non credo dovrai preoccuparti della tua sicurezza per un po’, il nostro eroe starà in un angolino con la coda tra le gambe per molto tempo, se il mio istinto non sbaglia.”
“Scusami Varric, ma più che sul Custode, ero concentrato sulla confessione della nostra piccola orecchie a punta. Sai che vogliamo i dettagli non è vero?”
“Non siete preparati per i dettagli.” Rispose Lena con fare malizioso, scoppiando a ridere subito dopo.
Quella risata aveva un che di liberatorio.
“Forza andate a dormire, faccio io il primo turno di guardia.” Lena sapeva che in ogni caso non sarebbe riuscita a dormire quella notte.
I suoi compagni sia alzarono pian piano, raccogliendo ciascuno le poche cose che avevano e dirigendosi uno ad uno verso le tende.
Per ultimo si alzò Solas che in quella strana serata non aveva detto una sola parola.
Le passò accanto e le accarezzò la testa: “Buona notte da’len. Sei una continua e piacevole sorpresa.” Lena lo guardò gli sorrise e gli augurò la buona notte.
Il campo si stava svuotando, solo poche sentinelle attorno al falò erano ancora sveglie, proprio come lei.
La notte era magnifica, aiutava lo scorrere infinito dei pensieri. Era tanto tempo che non pensava a Menia. Pensare a lei non era più così doloroso, ma la sua voce le mancava terribilmente. Chissà cosa stava facendo ora. Era finalmente felice assieme a Tallis? E lui? Si era finalmente davvero innamorato di lei come tutti si auguravano da tempo?
Lena lasciò andare lo sguardo sul paesaggio che le si stagliava davanti. L’indomani probabilmente avrebbero raggiunto Skyhold, una nuova avventura sarebbe iniziata. Lena come al solito avrebbe portato con sé tutto, dicendosi invece di aver lasciato tutto alle spalle. Sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe fatto i conti con il proprio passato. Ma non ora. Tutto ciò che poteva fare in quel momento era continuare a portare con sé il proprio pesante bagaglio aspettando il momento giusto per poter fare pulizia, buttare le vecchie cose superflue e far davvero spazio alle nuove.

 
 
 
 
 

XII
Skyhold era diversa da come la ricordava. Le sue mura erano coperte di rampicanti e le sue sale maestose avevano in troppi punti ceduto all’incalzare del tempo.
La sua atmosfera era però immutata. Nei corridoi e nel bel chiostro Solas poteva sentire odori e voci di tempi antichi. Dall’alto delle mura poteva immaginare il mondo come lo ricordava ai tempi della sua giovinezza, quando tutto sembrava così facile e le imprese, anche le più semplici come tendere la mano ad uno schiavo, lo riempivano di immensa soddisfazione.
Ora invece niente era semplice, ogni sua azione lo faceva sentire meno soddisfatto di sé. Sapeva di agire per il meglio, ma sentiva che ogni sussurro, ogni fugace stretta di mano, ogni messaggio che lasciava Skyhold, lo rendevano una persona peggiore.
Quella notte di perfetta felicità, quando aveva ritrovato la sua giovane elfa, sembrava perdersi lontana nella memoria come tutte le cose belle del suo passato. In quel campo circondato dalla neve la sua mente inebriata dalla felicità aveva dato adito a progetti che non avevano trovato riscontro nel reale svolgimento degli eventi. L’Inquisizione stava davvero diventando una potenza nel Thedas e stava dispiegando le sue forze in tutto il continente. Le sue maglie stavano infittendosi e Solas aveva trovato il modo perfetto di sfruttarle, ma ciò che non aveva calcolato era l’avventatezza degli uomini. O forse il loro buon cuore. Essi infatti non avevano scelto Cassandra come leader di questa risorta e più potente Inquisizione. Avevano invece scelto l’araldo di Andraste, colei che li aveva portati in salvo, colei che aveva una volta di più acceso le loro speranze. La giovane elfa sbucata dal nulla aveva saputo guadagnarsi il rispetto di tutta quella gente, aveva vinto la diffidenza legata alla sua razza e al suo status. Aveva vinto e lui era rimasto spiazzato. Non aveva immaginato di dover ingannare proprio lei. L’idea di dover lavorare alle spalle di Cassandra non lo inorgogliva, ma la consapevolezza di dover invece ingannare proprio la sua giovane amica lo riempiva di disgusto per se stesso.
Quella notte aveva immaginato addirittura di poterla far entrare a far parte del suo piano, un giorno. Ma stando così le cose era impossibile. Ogni giorno che passava il suo tradimento prendeva forma sempre di più. E giorno dopo giorno Solas sentiva di perdere contatto con se stesso. Si chiedeva se ciò che andava architettando fosse giusto o meno, ma poi ascoltava i sospiri di Skyhold e il suo dovere tornava ad ardere lucente di fronte a lui.
Inoltre da quando era stata ufficialmente nominata Inquisitore, l’elfa sembrava aver abbandonato quei tratti infantili cha a volte ad Haven si vedevano emergere, soprattutto quando era arrabbiata o si sentiva in difficoltà. Era diventata più attenta e riflessiva, nelle decisioni da prendere e nell’atteggiamento nei confronti degli alleati era più posata e più equilibrata, in battaglia era forse divenuta ancora più letale. Forse sentiva il bisogno di lasciare libero sfogo al suo temperamento ardimentoso ora che non si permetteva più di farlo in altri modi o forse gli intensi allenamenti a cui Blackwall e Cassandra avevano deciso di sottoporla stavano dando i loro frutti.
Nell’insieme, agli occhi di Solas l’Inquisitore aveva guadagnato fascino e carisma, e la giovane elfa di cui si era invaghito aveva lasciato il posto ad un’elfa adulta e consapevole, che giorno dopo giorno diveniva sempre più degna del suo amore.
La prima volta che si era trovato a pensare che forse ciò che provava per lei stava lentamente tramutandosi in qualcosa di più profondo, erano appena arrivati a Skyhold e si era spaventato al punto da lasciare la fortezza nella notte. Scendendo però la ripida scalinata per dirigersi verso il ponte levatoio fu intercettato da Cole. Il ragazzo, se così poteva essere chiamato, si era unito a loro la notte di Haven ed era stato un aiuto prezioso ed un compagno interessante. Il ragazzo lo faceva sentire a casa più di ogni altra cosa al mondo, ancor più di Skyhold. Cole era fuori posto esattamente come lui, perché come lui era sospeso tra due mondi, metà ragazzo e metà spirito. Era una creatura buona ed affascinante.
Quella notte, mentre cercava ancora una volta di fuggire, il ragazzo lo invitò a passeggiare con lui sulle mura. Cole sapeva leggere i pensieri più profondi, sepolti nell’animo di chi aveva davanti, e la paura di Solas era così evidente che doveva gridare alle orecchie del povero spirito.
Le parole di conforto di quel ragazzo, non lo avrebbero danneggiato, convinse quindi se stesso ad ascoltarlo.
Il ragazzo, invece, raccontò del suo amico Rhys, di come avesse dovuto impegnarsi per conquistare la sua fiducia e di come alla fine lui e la sua compagna templare, fossero rimasti sconvolti scoprendo quale fosse la sua vera natura.
Se solo lui fosse stato in grado di spiegare prima che loro lo scoprissero da soli. Se solo non avesse avuto paura. Se avesse avuto più fiducia nel suo amico.
Neanche lo spirito aveva infondo parole per lui. Forse non riusciva a leggere nella sua mente. Solas stava per salutare il ragazzo e riprendere la sua fuga ma il ragazzo gli mise una mano sulla spalla.
“Lei è una luce radiosa, riscalda e rischiara. Tutti sono importanti per lei, persino io. Non devo perdere nessuno, non posso, non voglio. Loro sono crudeli, scherniscono, sviliscono, ma qui c’è pace. Nessuno ferisce. Tutti sono importanti. Solas dice che mi lascerà, e gli altri? Io dove andrò quando sarò sola? Non devo perdere nessuno. Lei non deve soffrire.”
Dicendo queste parole, il ragazzo aveva abbassato la testa fino a nascondere il volto dietro il grande cappello.
Solas era un po’ seccato dalle parole del ragazzo, possibile che non meritasse un po’ di compassione, neanche dallo spirito più caritatevole che poteva esistere?
“Lei non merita di soffrire, è vero, ma perché le tue parole sono per lei e non per me? Se sai cosa mi agita i pensieri, perché non hai una parola gentile per me?”
“Le parole che sono per te non le ascolti. Lei invece ti rende migliore”
Non lasciando il tempo all’elfo di capire il senso di ciò che aveva appena detto, il ragazzo sparì come se non fosse mai stato lì. Ma Solas tornò nella sua stanza e si ripromise di non tentare più la fuga fino a che tutto non fosse finito. Amare non era poi la fine del mondo. Era stato innamorato tante volte nella vita, sarebbe sopravvissuto anche quella volta.
Solas si era ritrovato a pensare a quella notte sorridendo. Mentre seduto nella sua stanza preferita di Skyhold guardava l’Inquisitore affannarsi nel tentativo di far sentire tutti a proprio agio in quella che era ancora considerata la loro nuova casa. Aveva per tutti una parola gentile o severa, in base a ciò che meritavano. Niente sfuggiva al suo controllo, né i rifornimenti né i lavori di ristrutturazione. E soprattutto i suoi amici, trovava sempre del tempo per assicurarsi che tutti loro stessero bene, per spendere un po’ del suo tempo con loro, perché nessuno potesse dubitare che per lei, loro erano importanti.
Tutti erano importanti per lei.
Non doveva soffrire.
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capi Branco ***


Capi branco

For the strength of the pack is the wolf, and the strength of the wolf is the pack.
Rudyard Kipling
 
 
XIII
Inquisitore.
Che cosa significava quella parola?
Che cosa era diventata? Era davvero diversa dall’elfa sperduta che aveva raggiunto Haven chissà come? Eppure quella gente aveva messo la propria vita nelle sue mani. Pensare di dover ricoprire questa nuova carica le faceva girare la testa e venire la nausea. Quante persone sarebbero potute morire per un suo ordine avventato? Ora capiva le parole e le paure di Cassandra e senza dubbio capiva il suo sollievo ora che quelle responsabilità l’avevano lasciata.
Cassandra le aveva raccontato storie riguardo la vecchia Inquisizione, le aveva raccontato dell’Inquisitore Ameridan.
Che tipo di Inquisitore sarebbe stata lei, invece? Un’elfa che conosceva poco o niente della politica del Thedas. Era cresciuta in un clan isolato dal mondo, conosceva solo vecchie leggende, inutili ai fini di governare quella mostruosa macchina che l’Inquisizione rischiava di diventare.
Josephine, Dorian e Solas avrebbero dovuto insegnarle tutto ciò che sapevano, da quel momento in avanti. Poiché doveva essere un leader voleva essere un leader consapevole. Doveva ammansire il suo impeto e non lasciarsi governare dall’ardore ma dalla ragione e dal senso della giustizia. Ma da dove cominciare? Aveva bisogno di tutto l’aiuto che i suoi compagni potevano darle.
Erano a Skyhold ormai da qualche tempo, poche settimane in realtà, ma il tempo sembrava dilatarsi in quei giorni, le giornate erano colme di impegni e sembravano non finire mai. Lo studio, la pianificazione di nuovi interventi al tavolo della guerra, le udienze con potenziali nuovi alleati o futuri nemici e come se non bastasse Cassandra e Blackwall le avevano imposto un assurdo allenamento che la sfiancava. I due guerrieri ritenevano che la sua tecnica di combattimento fosse quella di un giocatore d’azzardo, funzionava solo finché la sorte rimaneva dalla sua. Sfruttare l’agilità per sfuggire i colpi non poteva bastare, non era abituata a subirne e i due sostenevano che un solo colpo ben assestato sarebbe stato sufficiente ad ucciderla. Secondo i due guerrieri imparare il modo migliore per incassare un colpo, quali parti del corpo proteggere, quali poter esporre, comprendere la direzione e le forza di un fendente, usare le lame per deviare i colpi più infidi, poteva salvarle la vita come e meglio di uno scudo. Lena usciva malconcia da quegli allenamenti e doveva ogni volta affidarsi alle mani esperte di Solas o di Dorian per tornare in forma. Fortunatamente Solas era di nuovo in grado di curarla. Per un qualche strano motivo il marchio era tornato a reagire normalmente alla magia dell’elfo e invece di procurarle il dolore infernale della notte di Haven, aveva ripreso a farle il solletico.
Ma la prova più dura che aveva dovuto superare da quando erano arrivati a Skyhold, era stata senza dubbio il doversi scontrare con Vivienne. La maga non le era mai andata a genio, era arrogante, supponente e Lena non sopportava la sua aria di superiorità. Sapeva che la sua antipatia era ampiamente corrisposta, ma un po’ per l’abilità di Lena di evitare le persone ritenute fastidiose, un po’ per la melliflua gentilezza della maga, erano riuscite a non arrivare mai ad uno scontro aperto. Si erano studiate a lungo, evitate il più possibile, ma arrivate a Skyhold non avevano più potuto evitare di dare il via alle ostilità.
E l’elemento di rottura era stato il povero Cole.
A sentire la maga, il ragazzo era una creatura demoniaca e quindi pericolosa da cui guardarsi bene e di cui liberarsi il prima possibile.
Lena non riusciva a liberarsi dell’idea che la paura che Vivienne provava nei confronti del ragazzo fosse da imputare al suo potere di leggere nella mente delle persone. Cosa c’è di più terrificante per una persona così abituata alle falsità e alle scaltre manipolazioni del Gioco, di qualcuno in grado di leggere oltre ogni falso sorriso, ogni falso complimento, ogni parola detta per dissimulare altro?
Lena credeva in realtà che la vita della maga fosse triste e solitaria, quella donna aveva dovuto sacrificare se stessa alla propria immagine di “Dama di ferro” e probabilmente la capacità di Cole di mettere ciascuno di fronte ai propri pensieri più profondi, avrebbe potuto distruggere l’attento lavoro di anni.
Ma per quando potesse comprendere la solitudine e la paura, Lena non riusciva a provare pietà per la maga.
Riusciva invece ad immedesimarsi perfettamente con Cole.
Lena poteva sentire sulla sua stessa pelle l’ingiustizia di quanto stava accadendo. Il giudizio era legato alle idee e ai pregiudizi degli osservatori e non a ciò che il ragazzo aveva dimostrato di essere o di saper fare. Anche Solas, che aveva preso le sue parti, si richiamava ad un principio generale, non guardava a Cole come individuo.
Fortunatamente Varric era dalla sua parte, dalla parte del ragazzo, e questo le dava coraggio. Era stata nominata Inquisitore da così poche ore da non comprenderne ancora il significato, eppure si era sentita in dovere di usare la sua autorità per riportare un po’ di equilibrio in quella situazione.
“L’Inquisizione non ha chiuso le porte di fronte a nessuno, finora, e di certo non inizierà in questo momento. Chiunque non sia d’accordo con questa politica può liberamente andarsene, come liberamente è venuto. Cole resterà con noi finché vorrà, come ciascuno di voi.”
Lena aveva detto le ultime parole con impeto lanciando a Vivienne una sfida che, fortunatamente, la maga si guardò bene dal raccogliere. Una volta calato il silenzio Lena poté girare sui tacchi e allontanarsi velocemente, con le gambe e le mani che tremavano per la rabbia e l’emozione. Che tipo di leader sarebbe stata? L’Inquisizione sarebbe sopravvissuta alla sua guida o si sarebbe presto sfaldata tra le sue mani?
“Vieni ragazzina, ti offro da bere, credo tu debba buttare giù qualcosa di forte prima di svenire. Hai visto che faccia ha fatto la Dama di Ferro? Dovrai guardarti le spalle per il resto della tua vita, ma ne è senza dubbio valsa la pena”
“Grazie Varric, tu sì che sai come rincuorare le persone” e dopo averci pensato un poco aggiunse “Accidenti, tenterà davvero di uccidermi!”
“Puoi giurarci, ragazzina. Ma a proposito di omicidi, vieni, devo raccontarti una cosa. Questa volta non credo che qualcuno o qualcosa potrà impedire alla Cercatrice di buttarmi giù da un torrione.”
 
***
 
Lena si sentiva nervosa come una ragazzina mentre saliva le scale che conducevano sulle mura. Aveva detto che doveva parlarle. Lei sapeva il perché.
Varric era stato piuttosto elusivo ma lei aveva intuito la verità, ed ora eccola lì, come una scolaretta ad un esame.
Li vide da lontano, Varric era raggiante ma cercava di nasconderlo. Stupido orgoglio. La sua accompagnatrice invece, beh. Era ancora lontana da lei, ma Lena si accorgeva chiaramente di stare posando lo sguardo su una delle donne più belle e affascinanti che avesse mai incontrato.
Era alta, robusta, aveva dei corti capelli corvini che incorniciavano un viso dalla pelle candida e i lineamenti marcati. Come se stesse osservando un quadro, man mano che si avvicinava Lena poteva scorgere nuovi dettagli: una cicatrice sul naso, gli zigomi alti, le labbra incredibilmente rosse, il ghigno beffardo che le increspava, ed infine gli occhi. Gli occhi di quella donna erano colmi e profondissimi, di un azzurro accecante, quasi irreale.
Lena vide che anche la donna l’aveva notata e la stava fissando mentre si avvicinava. Era l’Inquisitore, non poteva innervosirsi in quel modo davanti ad un potenziale alleato.
Ma quell’alleato era Hawke, aveva sentito talmente tante storie su di lei da ritenerla quasi una leggenda. E oltre le storie Lena sapeva che Hawke occupava un posto speciale nel cuore di Varric e avrebbe fatto di tutto per colpirla positivamente. Sapeva che era sciocco, ma non poteva non pensare che se fosse piaciuta ad Hawke sarebbe piaciuta un po’ di più anche a Varric
Gli occhi della campionessa la scrutavano beffardi. Cosa poteva vedere in lei quella donna?
Seguendo lo sguardo di Hawke, Varric si accorse della sua presenza. "Bene ragazzina, come ti dicevo questa volta la cercatrice mi getterà giù dalla torre più alta. Spero ne valga la pena. Hawke, lei è l'Inquisitore" 
Hawke continuava a guardarla senza aprire bocca. Sembrava soppesare le parole di Varric, come a voler far rientrare la figura che aveva davanti nella definizione che il nano aveva dato di lei. 
“Di certo non si può dire che la tua vita sia diventata banale senza di me” disse finalmente Hawke rivolta al nano. Poi tendendo la mano disse a Lena “Non siete come mi aspettavo Inquisitore, ma è un piacere conoscervi.” 
“Voi invece siete esattamente come Varric vi ha dipinta, Campionessa.” Rispose Lena stringendo la mano della donna.
“Campionessa. È passata una vita dall'ultima volta che sono stata chiamata così.” Hawke fece un gesto con la mano come a voler scacciare un insetto o un pensiero fastidioso, poi continuò: “Credo che abbiamo un problema comune, ditemi tutto ciò che sapete e io vi dirò cosa ho scoperto e cosa spero di scoprire.” 
Varric si sedette su di uno scalino e rimase ad osservare le due donne parlare. Parlarono a lungo. Parlarono dei Custodi Grigi scomparsi, dell’antico o Corypheus, come Varric e Hawke chiamavano l’orribile mostro che erano convinti di aver ucciso in un tempo lontano, ma che invece avevano probabilmente aiutato a fuggire da una prigione costruita su misura per lui. Parlarono del marchio dell’Inquisitore, della distruzione di Haven, del futuro che Lena e Dorian avevano visto a  Redcliffe e che era probabilmente ancora una minaccia concreta per tutti loro. Poi l’elfa, come suo solito, rivolse ad Hawke tantissime domande. Su Kirkwall, la distruzione della chiesa, la sua fuga, Anders. 
Era convinta che Varric sarebbe intervenuto in difesa della sua amica fermando quel fiume impetuoso di domande, invece rimase in silenzio, in ascolto come se per la prima volta sentisse raccontare quelle storie. 
Lena poteva vedere nascosta dietro la fermezza della donna un dolore sepolto e forse la volontà di espiazione.
La campionessa, rispose a tutte le domande minuziosamente e con distacco, come raccontasse la storia di qualcun altro, solo quando iniziò a parlare di Anders, Lena poté notare un certo trasporto.
“Come sta il biondino?” Varric si era unito al coro delle domande cogliendo l’Inquisitore di sorpresa.
“Non lo so, ogni giorno che passa fatico di più a distinguere lui da Giustizia. Aspetto ormai con rassegnazione il giorno in cui l’Anders che ho conosciuto scomparirà del tutto.”
Il tono distaccato aveva lasciato il posto ad un racconto molto più intimo, una confidenza tra amici. Lena si sentiva ormai fuori posto. Prese congedo dai due con la promessa che avrebbe raggiunto Hawke nel punto da lei indicato il più presto possibile.
Varric le rivolse uno sguardo di gratitudine e tornò a concentrarsi sulla sua vecchia amica.
Lena ridiscese dal torrione e si immerse di nuovo nelle frenetiche attività di Skyhold, un temporale si stava avvicinando e l’aria si faceva elettrica. Niente in confronto alla tempesta che si sarebbe scatenata di lì a breve, non appena la notizia di quell’incontro fosse giunto alle orecchie di Cassandra. Ma in quel momento non le importava. Hawke aveva lasciato in lei l’impressione di aver vissuto, anche solo per pochi minuti, all’interno di uno dei racconti di Varric.
 
  
 
 
 
 
XIV
I giorni a Skyhold trascorrevano tra mille impegni.
I suoi contatti, discreti e capaci reclutavano ogni giorno nuovi elfi volenterosi di dare il proprio contributo alla causa. Non era difficile immaginare quali fossero le terribili condizioni in cui quei fratelli dispersi erano costretti a vivere dal momento che una via di scampo, per quanto pericolosa ed incerta fosse, era per loro preferibile ad una vita ordinaria. Ed era in Orlais che i suoi agenti trovavano l’accoglienza più calorosa. Tempo prima infatti era scoppiata nelle enclavi una feroce rivolta contro la nobiltà, che era però stata repressa con la spada e le fiamme dall’Imperatrice in persona. Era felice che proprio in quelle vie e in quelle città che portavano ancora nomi elfici, la sua gente potesse alzare la testa ed iniziare a liberarsi del giogo che gli umani avevano loro imposto da così lunghi secoli.
Più di una volta si era trovato a pensare al suo vecchio amico Felassan. Nei giorni che furono, egli era stato per lunghissimo tempo uno dei suoi agenti più fidati, oltre che un amico sincero. Era stato uno schiavo nel vecchio mondo, uno dei primi a cui Solas aveva offerto la libertà e lui aveva saputo come mettere a frutto il nuovo dono. Solas era rimasto colpito dal rifiuto del suo amico di liberarsi dei suoi tatuaggi. Li portava anzi con orgoglio. “Se non sei mai stato schiavo, non puoi davvero apprezzare la libertà” era solito ripetere “questi marchi mi ricordano da dove vengo e per cosa combatto.”  Era caparbio e leale, una natura giocosa e vigile al tempo stesso. Solas si era sorpreso a volte nel ritrovarlo nel Toro.
Al suo risveglio dopo i lunghi anni di sonno era stato Felassan ad iniziarlo a quel nuovo mondo e a sorreggerlo nel momento in cui dovette rassegnarsi ad affrontarne gli orrori.
Felassan aveva giocato sapientemente la sua parte negli eventi che avevano scosso l’Orlais. Era divenuto amico, tutore e guida di una giovane elfa di città. Un’elfa che aveva saputo abilmente indirizzare verso una posizione di potere. Oltre ogni aspettativa, la giovane era divenuta capo spia, consigliera ed amante dell’Imperatrice in persona. Purtroppo, Felassan aveva perso la sua lucidità nel rapporto con la sua protetta. Lei era pian piano divenuta nel suo cuore più importante della missione e nel difenderla era arrivato a tradire la causa.
Ripensando a cosa era accaduto, Solas non poteva non sentire un brivido corrergli lungo la schiena.
Le ultime parole dell’amico continuavano a tormentarlo “Lei merita un’opportunità, perché non lasciarla provare. Sai, loro sono più forti di quanto immagini.”
Se avesse ascoltato ora quelle parole? Non avrebbe riconosciuto in esse un briciolo di verità?
Era terribile pensare che forse il suo vecchio compagno era morto perché aveva compreso prima e meglio di lui, una verità che pian piano andava svelandosi anche ai suoi occhi. Un altro terribile crimine da aggiungere ad una già lunga lista e di cui continuare a pentirsi per l’eternità.
Intanto però la sua vita a Skyhold doveva proseguire e come sempre dolore e senso di colpa andavano sepolti lontano da occhi indiscreti.
Aveva trascorso in quel posto lunghi anni nella sua giovinezza e aggirarsi tra quelle mura era un costante dolore così acuto e sottile, da tramutarsi facilmente nella dolce agonia della malinconia. Il velo era sottile e molte voci lo accompagnavano lo consigliavano e gli tenevano compagnia nelle sue ore di veglia. Di notte poi i suoi sogni erano vividi come non mai.
Si aggrappava a quel dolore e a quel senso di colpevolezza come ad una scialuppa ogni volta che l’Inquisitore si faceva troppo vicina. Sapeva di essere osservato tra quelle mura, sperava che aggrapparsi alle voci e ai suoni del mondo perduto lo avrebbe tenuto lontano dall’errore in cui Felassan era invece incappato. Decise che aveva bisogno di tenersi occupato e l’occasione si presentò a breve. Ritrovò infatti la grande rotonda che una volta riportava dipinte le imprese dell’antico popolo. Ora quegli stessi muri avevano perso il loro colore, e Solas decise di dedicarsi a restituire, almeno a quel piccolo pezzo di mondo, l’antico splendore. Ma non appena si apprestava a dipingere, le voci sussurravano alle sue orecchie le storie dell'Inquisitore. Quella in fondo era la sua fortezza e quei dipinti dovevano essere la sua storia. Così le sue giornate presero a dividersi tra sussurri segreti e pittura. Le voci solitamente lo tenevano concentrato, ma quando narravano la storia dell’Inquisitore lui non poteva fare a meno che sovrapporre alle storie che ascoltava le mille immagini dell’elfa che aveva raccolto nei lunghi giorni di crescente familiarità.
Ascoltava le storie delle sue battaglie e non poteva non pensare al suo sguardo feroce prima dell’assalto. Voci narravano del buco nel cielo e lui pensava alle molte domande di lei, ai suoi occhi curiosi al suo sorriso improvviso, ai suoi piccoli gesti di tenerezza così naturali e così travolgenti allo stesso tempo.
Inoltre l’elfa aveva preso l’abitudine di dividere il suo tempo dedicato allo studio tra Dorian e lo stesso Solas. Non era raro quindi vedere la ragazza seduta su una panca con le spalle appoggiate al muro della rotonda. Sulle sue ginocchia era
 perennemente aperto uno dei grossi codici che Solas selezionava per lei. Passava delle ore immersa nella lettura rivolgendo di tanto in tanto domande all’elfo che cercava, spesso con pessimi risultati, di concentrarsi sulla pittura anziché sul bel viso assorto dell’Inquisitore.
Da quando aveva incontrato la campionessa di Kirkwall la giovane era rimasta rapita dalle sue storie. Si era messa quindi alla ricerca di volumi che potessero spiegare il mistero di Corypheus. Solas era come sempre affascinato dalla sua dedizione ma conoscendo l’intuito della sua giovane amica, temeva ciò che avrebbe potuto scoprire. Così aveva deciso di tentare una nuova strada.
“Ci sono altri modi per scoprire storie nascoste e apprendere dal passato. Non tutto è scritto nei libri.”
Con quelle poche parole aveva destato l’interesse della ragazza che lo fissava in attesa che lui dicesse di più.
“La campionessa è stata qui, le mura di questa fortezza sono in grado di assorbire ricordi come nessun altro posto al mondo. E in più il nostro amico Varric è senza dubbio una fonte inesauribile di storie. Potremmo provare a sperimentare i loro ricordi. Chissà che non riusciamo a scoprire qualcosa che è sfuggito loro”
L’Inquisitore sembrava combattuta, evidentemente c’era qualcosa che frenava la sua curiosità. Infine chiese: “Puoi farlo davvero?”
“Io posso farlo e credo di poter accompagnare anche te in questo viaggio. Ho solo bisogno di alcune componenti alchemiche e di un po’ di tempo per preparare il tutto. Se vuoi posso iniziare a lavorarci. Non so cosa riusciremo a scoprire, ma male che vada avrai intrapreso il tuo primo viaggio nell’Oblio. Non ti incuriosisce?”
“Certo, moltissimo. Solo non mi sembra corretto frugare tra i ricordi dei miei amici. Tra i ricordi di Varric. È diverso esplorare le memorie di uomini morti da secoli o esplorare ricordi che sono ancora in grado di far soffrire o gioire i tuoi stessi compagni, non credi?”
“Hai ragione da’len, chiederemo loro il permesso e se ce lo concederanno procederemo in questa direzione. Ti sembra abbastanza corretto in questo modo?”
La ragazza gli rivolse il suo sorriso migliore, era davvero emozionata all’idea di immergersi nell’Oblio? Come sarebbe stato poter essere lì con lei?
Forse l’emozione che leggeva nel volto della ragazza, non era altro che il riflesso della sua. Forse non era stata una buona idea.
Si sedette sulla panca accanto a lei e prese il libro dalle gambe della ragazza, iniziò a sfogliarlo e prese a leggere per lei. Sapeva che all’Inquisitore piaceva ascoltare il suono della sua voce, lei lo aveva affermato più volte senza imbarazzo e senza malizia.
Non era la prima volta che leggeva per lei, ma quella volta l’elfa si accoccolò contro il suo braccio appoggiando la testa sulla sua spalla. I suoi capelli, rossi come brace ardente, gli solleticavano il viso. Solas leggeva, ma il senso di ciò che andava leggendo gli sfuggiva completamente. Cercava con tutto se stesso di dare ascolto a quelle voci che si facevano sempre più indistinte e lontane, mentre il profumo fresco di lei lo ubriacava. Si accorse, dopo non molto, che la ragazza si era arresa al sonno. Doveva essere davvero stanca, le sue responsabilità non le concedevano neanche un minuto.
Cercando di muoversi il meno possibile chiuse il libro e lo appoggiò sul tavolo accanto alla panca. Poi prese ad osservare la sua giovane amica. I suoi lineamenti erano distesi e sereni, era un vero piacere rimanere a guardarla. Le prese la mano marchiata e l’accarezzo gentilmente, come ogni volta il marchio reagì debolmente al suo tocco.
In quel momento nella rotonda entrò Varric. Rimase visibilmente sorpreso dal quadretto che si trovò davanti e rivolse un sorrisetto malizioso al mago, che per tutta risposta, scosse l’Inquisitore e la fece svegliare.
“Hai studiato abbastanza per oggi” le disse sorridendo debolmente.
Lei si alzò ancora intontita dal sonno e uscì in direzione delle cucine. Aveva sicuramente voglia di un tè. Passando accanto a Varric lo salutò appena appoggiandogli una mano sulla spalla.
Il nano stava per lasciare anch’egli la rotonda quando si fermò preso da un ripensamento.
“Quella ragazzina ha già abbastanza guai di cui preoccuparsi. Eviterei di creargliene altri, non credi?”
“Sono d’accordo con te Varric”. Il nano si allontanò e Solas rimase ad osservare i dipinti che man mano prendevano forma.
Non avevano tutti abbastanza guai? Perché complicare tutto? Il nano come al solito aveva ragione.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Slanci ed errori - Parte I ***


Nota dell’autore: Non mi piace intervenire in apertura o chiusura dei capitoli, ma per questa volta mi sento di dover fare un’eccezione. Solitamente infatti ogni capitolo della storia pubblicata fin qui, vede due diversi punti di vista, quello dell’inquisitore e quello di Solas. Essendo il prossimo capitolo piuttosto consistente, sia come intensità che come lunghezza, ho deciso di dividerlo. Non sono ancora del tutto convinta della scelta. In ogni caso per il momento ecco la prima parte. Per non lasciare le due parti della storia troppo distanti, credo che potrei pubblicare la seconda parte già domani o dopodomani. Buona lettura a chi ha la pazienza e la voglia di continuare a seguirmi.
 
 
Slanci ed Errori 
Parte I
 
An old wolf has good senses. An old wolf has tricks.

XV
Quel pomeriggio era stata convocata d’urgenza al tavolo della guerra. Josephine le aveva comunicato emozionata di aver ricevuto un invito da parte del granduca Gaspard de Chalon, cugino dell’imperatrice e aspirante al trono di quest’ultima, per un ballo che si sarebbe tenuto di lì a poche settimane ad Halamshiral. Quel ballo era l’occasione per l’Orlais di negoziare la pace dopo la sanguinosa guerra civile scoppiata ormai quasi un anno prima. Sarebbe stato il momento perfetto per Corypheus per fare la sua mossa per destabilizzare l’impero e senza dubbio sarebbe stato il momento perfetto per l’Inquisizione per rafforzare la propria influenza.
Ma l’emozione di Josephine sembrava più rivolta all’idea di poter partecipare ad un grande ballo dopo tanti anni. Iniziò a parlare di sete e crinoline, di un abito adatto all’Inquisitore e di alcune lezioni che l’Inquisitore avrebbe dovuto necessariamente imparare per evitare di essere ostracizzata dalla nobiltà di corte.
Cullen sembrava nauseato all’idea di dover partecipare ad un evento di questo tipo e per una volta Lena si sentì di simpatizzare con il comandante.
Leliana appariva emozionata come Josephine ma sembrava evidente che covasse anche alcune preoccupazioni legate all’evento. Infine portò all’attenzione dei presenti i suoi pensieri. Lena rimase spiazzata a sentire le parole della rossa. Non erano intrighi politici o i rischi della missione a preoccuparla, bensì la vita privata dell’Inquisitore.
Leliana le aveva riferito di alcune voci che la dicevano particolarmente vicina al custode Blackwall.
“Comprenderete, Inquisitore, che avete un ruolo importante ora. Siete un punto di riferimento per molti e la vostra vita privata interessa il Thedas quanto le vostre imprese in battaglia. Siete riuscita a diventare ciò che siete perché molti hanno pensato a voi come un’emanazione divina. Dare adito a pettegolezzi vi riporta su un piano squisitamente umano e i vostri nemici, capirete, non aspettano altro. Dovete fare in modo che questo tipo di voci non disturbino la vostra immagine. Se non siete in grado di tenere segreti i vostri incontri più intimi, vi pregherei di astenervene completamente”
Lena non sapeva come rispondere a quelle parole che la riempivano al tempo stesso di imbarazzo e di sdegno. La rabbia le montava dentro e le aveva fatto stringere i pugni un poco di più ad ogni sua parola. Non aveva nessuna intenzione di consegnare la sua vita nelle mani di quella donna spietata.
“Ho compreso le vostre motivazioni. Agirò comunque come riterrò più giusto”
“L’Inquisizione è l’importante. L’Inquisitore è solo uno strumento, non dimenticatevene”
Josephine cercò con i suoi modi concilianti di ammansire Lena addolcendo le parole di Leliana, ma era evidente che anche lei la pensava allo stesso modo. Cullen probabilmente non aveva mai preso in considerazione l’ipotesi che lei potesse provare dei sentimenti, se ne stava in silenzio in un angolo impacciato e imbarazzato.
Lena si voltò e uscì dalla sala senza salutare. Era davvero furiosa.
Sapeva che Dorian la stava aspettando in biblioteca, ma non riusciva a pensare di potersi sedere a leggere in quel momento, sperava che l’amico preso dalle sue letture non notasse la sua assenza e le parve una circostanza abbastanza plausibile.
Uscì verso il cortile, accanto alla taverna vide le Furie intente ad allenarsi, Krem li guidava sbraitando. Lena sperò di potersi unire a loro ma la sera si approssimava e alla spicciolata i soldati del piccolo manipolo stavano lasciando le armi per dedicarsi alle attività meno faticose che li attendevano all’interno taverna.
Krem si offrì di rimanere lì fuori ancora un po’, ma Lena sapeva che parlava solo per gentilezza. Dopo una intensa giornata di addestramento meritava anche lui di sedersi e bere una birra con i suoi uomini.
Sfoderò quindi i pugnali e iniziò a picchiare con quelli contro i manichini d’addestramento. Aveva bisogno di sfogare tutta la rabbia e di sentirsi stanca e senza forze. Andò avanti per un po' ma cresceva solo la sua frustrazione, non la fatica.
“My Lady, non è un po’ tardi per l’addestramento?”
A quella voce Lena si sentì pietrificare. Di tutte le persone con cui avrebbe voluto parlare in quel momento, il custode era senz’altro l’ultimo della lista.
Senza neanche voltarsi riprese a picchiare violentemente contro il fantoccio ridotto ormai ad una carcassa.
L’ultimo colpo sferrato da Lena si fermò però con un clangore inaspettato a poca distanza dal manichino. Il custode aveva sguainato la spada e l’aveva usata per parare il suo ultimo fendente.
“Se proprio volete prendervela con qualcuno, fatelo con chi può rispondere ai vostri colpi. Dà molta più soddisfazione.”
Blackwall la studiava divertito. Lena rimase a fissarlo per un secondo poi rispose: “D’accordo, ma non voglio sentire parlare delle vostre stupide regole, combatterò a modo mio.” Il custode assentì con un cenno. “E non possiamo rimanere qui.” Lena aveva aggiunto le ultime parole titubante.
Il custode si incamminò e l’elfa lo seguì senza parlare. L’uomo si diresse verso le stalle, lì aveva allestito una piccola arena di addestramento in cui poter combattere per proprio conto, lontano dalle nuove reclute.
Il custode non disse una parola, assunse solo una posizione di difesa e la sfidò ad attaccarlo facendo roteare la spada con un movimento del polso.
Lena sentì la furia farsi strada di nuovo e attaccò il custode con impeto. L’uomo era attento, riusciva facilmente a deviare i suoi attacchi, Lena aumentò quindi la velocità e l’intensità dei colpi. Come presa da una danza frenetica sfruttava ogni spiraglio lasciato dalla difesa del custode. Saltava agilmente alle sue spalle o rotolava di lato per raggiungere il fianco lasciato scoperto dallo scudo. Fu ben presto chiaro ad entrambi che se si fossero trovati in un vero combattimento, il custode sarebbe stato probabilmente già ucciso.
Lena aveva ormai il fiato corto e il sudore le imperlava la fronte, il custode rimaneva invece calmo e ben piantato a terra e sfruttò con maestria l’attimo che Lena si era concessa per riprendere fiato. Le assestò un unico controllatissimo colpo di scudo e l’elfa si trovò atterrata senza riuscire a capire la dinamica dell’azione.
“Vedete? Basta un unico colpo ben assestato, per questo io e Cassandra teniamo così tanto ai vostri allenamenti.”
“Ma non avresti avuto la possibilità di sferrare quell’unico colpo. In battaglia saresti già stato ucciso almeno cinque volte.”
“In battaglia non ci si trova mai a combattere uno contro uno, my lady. Per ogni soldato ucciso, avreste rischiato di essere colpita da altri dieci uomini.”
Non aveva voglia di discutere con l’uomo in quel momento, aveva voglia di concentrarsi sul proprio respiro che andava regolarizzandosi e sul proprio battito ancora accelerato dallo sforzo. Invece di rialzarsi portò le braccia dietro la testa e si sdraiò a terra.
L’aria le riempiva i polmoni con regolarità, smorzando pian piano il fuoco che era divampato dentro di lei.
Chiuse gli occhi per un attimo e quando li riaprì il cielo aveva iniziato a mutare colore. Il rosso del tramonto si era fatto più cupo, lasciando striature color vinaccia nel blu intenso che si apriva la strada.
“Grazie” disse Lena “ne avevo bisogno. Ma non voglio trattenerti, saranno già tutti in taverna.”
Per tutta risposta l’elfa sentì Blackwall sedersi accanto a lei. Non si erano ancora rivolti una parola dopo la discussione avuta la notte prima di raggiungere Skyhold e non erano più stati soli dopo la notte della distruzione di Haven. Lena sentì che quello era il momento peggiore per mettere a fuoco la situazione.
Era rimasta sdraiata a fissare il cielo, ma poteva sentire lo sguardo del custode su di sé e temeva che il suo cuore potesse riprendere ad accelerare.
“Credo di dovervi ancora delle scuse, il mio comportamento durante il viaggio che ci ha condotto qui è stato deplorevole. Non credo di avere giustificazioni ma vi chiedo di perdonarmi”
Lena sentiva tutto il peso di quell’inutile formalità. Come era stanca di tutti quegli stupidi discorsi da shem’len!  Non credeva che avrebbe mai potuto pensare una cosa del genere, ma in quel momento avrebbe davvero apprezzato la spregiudicatezza e la sfrontatezza di Tallis. Al posto di Blackwall il suo vecchio amico avrebbe probabilmente fatto un commento sgradevole, si sarebbero azzuffati e ella fine si sarebbero ritrovati a baciarsi nel prato, probabilmente riprendendo a litigare subito dopo. Ma niente di tutto quello sarebbe stato forzato, finto o frutto di inutili convenzioni. Tutto quel manierismo dietro cui Blackwall si nascondeva,  era invece ipocrita e ridicolo. Dopotutto lei aveva da sempre reso chiaro cosa pensava del custode e lui aveva ormai smesso di nascondere il piacere che provava in sua compagnia. Si era lasciato baciare, per quanto fugace potesse essere stato quel momento, e come se non bastasse si era lasciato andare ad una reazione emotiva talmente palese da scatenare chiacchiere e risate. Ed ora era lì a darle inutilmente del voi, a parlarle come se avesse avuto davanti l’imperatrice di Orlais invece della donna che probabilmente avrebbe voluto stringere tra le braccia. Lena si chiese se davvero valesse la pena continuare a lottare per questo.
Leliana aveva creduto di poter governare la sua vita privata, l’aveva umiliata davanti al consiglio di guerra, l’aveva trattata da bambina. E per cosa? Per un fuggevole bacio dato a fior di labbra?
Si alzò, sentiva che la rabbia sarebbe cresciuta di nuovo se non si fosse allontanata in fretta.
“Scusami. Devo andare.”  Lasciò il custode seduto a terra e se ne andò senza guardarlo in volto.
Si mise alla ricerca di Dorian, voleva chiedergli scusa per aver mancato all’impegno preso e aveva voglia di rilassarsi, di ridere.
Lo trovò in taverna.
“Eccola qui!  Il nostro Inquisitore che non ha più tempo per gli amici. Dimmi, lo sai che ti ho aspettata per tutto il pomeriggio. Per farti perdonare dovrai offrire da bere, e ho intenzione di bere molto!”
Lena si sedette accanto all’amico sorridendo. Era di questo che aveva bisogno.
Chiacchierarono a lungo ridendo, non accennando mai neanche per una volta alle loro responsabilità, alla guerra, al dovere.
Entrambi bevvero molto e iniziarono a raccontarsi gli ultimi pettegolezzi riguardanti i consiglieri, l’esploratrice Harding, la bella cameriera dai capelli rossi che tanto piaceva ad Iron Bull. Lena accennò brevemente alle parole di Leliana e insieme ne risero a lungo. La presenza dell’amico, una generosa dose di vino e tante risate erano riuscite finalmente ad esorcizzare la terribile sensazione di essere stata presa in trappola. Finalmente si faceva tardi, la taverna era meno rumorosa ma Lena non aveva ancora voglia di andare a dormire. Dorian sedeva ancora accanto a lei e continuava a raccontare storie ed aneddoti sconvenienti. Il mago in quel momento stava sussurrando qualcosa all’orecchio di Lena e lei rideva divertita, quando la sua attenzione fu catturata dalla scura presenza del custode. Era stato seduto per tutta la sera in disparte, più silenzioso del solito ed ora si era invece avvicinato e fissava l’elfa con uno sguardo arcigno. Non appena Lena ebbe posato lo sguardo sul Custode questi le volse le spalle e uscì dalla taverna con passo impetuoso.
“Accidenti! Sembra che il tuo Custode sia di nuovo strisciato fuori dal suo angolino. Inquisitore, richiedo formalmente una scorta armata.”
Lena dette uno un colpetto sulla nuca del mago e si alzò.
Non aveva voglia di lasciare la serenità di quel luogo, ma sapeva di non poter lasciar correre. Questi erano gli atteggiamenti che l’avevano messa nei guai e per quanto contro voglia, doveva chiarire la situazione. Salutò Dorian che continuava a ridacchiare sotto i baffi e uscì cercando di raggiungere il custode.
Doveva essere corso via perché l’elfa non riusciva a vederlo nel grande piazzale davanti alla taverna.
Scese verso la segheria, era lì che il Custode passava tutto il suo tempo, vi aveva anche improvvisato una stanza da letto, rifiutando una vera camera nel corpo principale della fortezza.
Infatti lo trovò lì. Era seduto su un grosso ciocco di legno, e stava facendo la punta ad un bastone con un pugnale.
Lena si avvicinò. Si trovavano poco distanti dalla piccola arena in cui alcune ore prima avevano lottato.
“Ti stavo cercando, ti ho visto fuggire arrabbiato dalla taverna. Cos’è successo?”
“Ti assicuro che non è un buon momento.” Il custode rispose brusco e lanciò con rabbia il bastone che stava intagliando verso un cespuglio. Con la pacatezza erano scomparsi anche i suoi modi formali. Si alzò all’improvviso e si incamminò furente verso le mura.
Quando le fu accanto, Lena gli afferrò una mano cercando di trattenerlo. Era arrivato il momento di fare due chiacchiere.
Il custode non sembrava però dello stesso parere, con uno scatto d’ira le prese il polso lo torse all’indietro costringendola a lasciargli andare la mano. Poi le chiese a denti stretti “Si può sapere cosa vuoi da me?”
Lena cercava di liberarsi dalla stretta di lui ma il custode, lasciato andare il polso, le torse il braccio dietro la schiena e si avvicinò così tanto a lei da bloccarla contro il proprio corpo. Lena aveva smesso di dimenarsi. Lui era troppo vicino e lei aveva smesso anche di pensare.
Il custode ripeté la domanda.
“Credevo di aver reso piuttosto chiaro che cosa voglio. Chi non è altrettanto sicuro di ciò che vuole, sembri tu, ma non te ne ho mai chiesto conto.” Lena parlava in un soffio, sostenendo con forza lo sguardo del custode e cercando di mantenere il controllo del proprio respiro, che si stava facendo accelerato. “Ha ragione Varric, sei solo una ragazzina. Una ragazzina volubile!”
Lena animata dall’ insulto fece un nuovo movimento improvviso con il braccio e un passo indietro liberandosi dalla vicinanza ipnotica del custode “Sono forse una ragazzina ma sei tu a temere me, non il contrario”.
“E questo è il tuo errore più grave, dovresti temermi, non sai di cosa sono capace.” La voce del custode si era fatta più profonda e aveva abbandonato le note più rancorose. Lena studiò per un attimo i lineamenti del custode, li vide distendersi e assumere una più familiare aria afflitta. Non riusciva a capire l’atteggiamento dell’uomo: contro cosa combatteva? Eppure non poteva impedirsi di provare una profonda tenerezza per quel suo atteggiamento, come di chi porta su di sé le colpe del mondo intero.
Lena fece di nuovo un passo avanti tornando ad aderire con il proprio corpo a quello del custode dicendo: “Eppure sono qui.”
Questa volta  l’uomo la strinse a sé e appoggiò la fronte contro quella della ragazza.
Lena sentiva il respiro caldo di lui sul proprio viso. Anche lui sembrava emozionato, il suo respiro era spezzato e rapido come quello di lei. L’elfa sollevò il mento cercando le labbra dell’uomo ma quello si fece indietro di scatto, tornando a fissarla negli occhi con uno sguardo accusatorio.
“Fino a quando sarai qui? Finché quel tuo damerino del Tevinter non ti reclamerà indietro?”
Lei non sapeva se arrabbiarsi o ridere delle sciocche recriminazioni dell’uomo.
“Chi è il ragazzino volubile adesso? Volubile e cieco!”
Lena voleva allontanarsi, ma il custode non la lasciò andare.
Sorrideva ora e Lena suo malgrado rispose al sorriso.
Nonostante tutto, essere lì tra le braccia di quell’uomo, era per lei una sensazione impagabile. Erano immersi nel buio di Skyhold, Lena riusciva a malapena a distinguere il profilo del suo Custode ma il suo profumo era quasi palpabile, sentiva le gambe divenirle molli e un calore insopportabile crescerle dentro. Avrebbe voluto baciarlo più di ogni altra cosa al mondo, respirare il suo respiro, conoscere finalmente il suo sapore, ma aveva paura di muoversi, non voleva rovinare quel momento rischiando di fare qualcosa che avrebbe potuto spaventare il custode. “Ragazzino volubile” disse di nuovo. E appoggiò la testa contro la sua spalla.
Lena sentì il custode affondare la testa nei suoi capelli e respirare a fondo, poi le sollevò il mento con due dita portandola a guardarlo negli occhi.
“Non la passerò liscia neanche una volta con te, vero?”
“Non credo” rispose lei sorridendo “però sai già che sarò sempre onesta. Anche crudelmente onesta”
Vide lo sguardo dell’uomo incupirsi improvvisamente. Aveva di nuovo detto qualcosa di sbagliato?
“Piccola mia, sai che non posso darti ciò che cerchi?”
“Cosa ne sai di che ciò cerco?” Lena vedeva di nuovo il Custode irrigidirsi, sebbene non l’avesse ancora allontanata da sé di un solo pollice.
“Tu non sai di cosa posso essere capace” l’uomo ripeteva quelle parole per la seconda volta, “tu credi di conoscermi, ma è solo un’ombra o un’idea quella da cui ti senti attratta. Se ti lascio avvicinare, ti farò male.” Il custode aveva liberato Lena dal suo abbraccio e aveva fatto un passo indietro. Le sue spalle si erano incurvate e la testa si era abbassata, come un fantoccio svuotato all’improvviso.
“Io so difendermi e te l’ho dimostrato, lascia che sia io a preoccuparmi delle ferite che potrei o non potrei ricevere. Tu preoccupati delle tue.”
“Tu credi di essere forte ma non puoi saperlo in realtà. Anche in questa situazione, come in combattimento, sei solo una giocatrice d’azzardo, basterebbe un colpo ben assestato per farti finire a terra.”
Il custode disse queste parole sorridendo ma Lena questa volta non rispose al sorriso. Era seccata dal suo atteggiamento, un’altra persona che cercava di sostituirsi a lei nel prendere decisioni, non poteva sopportarlo. Con un balzo e uno scatto si piazzò alle spalle del custode e con un unico movimento preciso, colpì il retro delle gambe dell’uomo che preso di sorpresa cadde in ginocchio. Lena allora lo afferrò per il collo puntandogli uno dei suoi pugnali alla gola.
“Non ho bisogno del tuo aiuto so difendermi da sola, anche da te se necessario.” La voce dell’elfa era feroce, ma poi riprese con maggior dolcezza: “solo che non voglio.”
Lena allentò la presa e si accorse di aver premuto il pugnale con troppa foga. Alcune gocce di sangue fuoriuscivano da un piccolo taglio sulla gola dell’uomo e il suo primo istinto fu quello di premervi sopra le labbra.  Non lo soppresse.
Scivolò lentamente di fronte a Blackwall, baciò delicatamente la ferita e leccò via il sangue dalla gola dell’uomo. Aveva sentito un lungo fremito precorrere la pelle del Custode al contatto con le sue labbra, con la sua lingua. Non temendo più la sua reazione Lena risalì fino a trovare la bocca dell’uomo. Il custode si aggrappò a lei come se fosse l’ultimo appiglio sull’orlo di un precipizio. Quella volta nulla era giunto a distrarli da loro stessi, finalmente potevano perdersi l’uno nel respiro dell’altra con l’urgenza di chi, dopo una lunga immersione nella profondità del mare, riesce finalmente a raggiungere la superficie. Fu un bacio estenuante. Lena aspettava quel momento dal primo giorno in cui aveva visto il custode ed ora ne era rimasta stordita come dopo un colpo inaspettato preso in battaglia. Erano immobili in ginocchio uno davanti all’altra. Lei riusciva a percepire solo la testa pulsare al ritmo del suo cuore e gli occhi del custode scrutarla con un desiderio che non credeva avrebbe mai visto svelato.
L’uomo si alzò in piedi e tenendola per mano la indusse a seguirlo. Entrarono nella segheria, lì dentro il buio era ancora più fitto, neanche la luce delle stelle li raggiungeva.
Il custode continuava a guidarla, le fece salire delle scale, Lena sapeva che lì doveva esserci la stanza del custode e sentì il cuore rimbombarle più forte nella testa.
La fece sedere a terra e le disse piano di aspettare un momento, lasciandole un altro caldissimo bacio sulle labbra.
Sentì il custode armeggiare con qualcosa poi vide una grande finestra aprirsi sul soffitto della piccola stanza.
“So che non dobbiamo essere visti insieme, ma volevo rimanere a guardare le stelle con te.”
Lena pensò che Leliana doveva aver parlato anche con lui, ma non importava in quel momento. Blackwall aveva preso una coperta e si era steso accanto a lei.
Si sdraiò anche lei adagiando la testa sulla spalla dell’uomo, le loro mani si erano trovate e non smettevano di tormentarsi. Lena aveva voglia di lasciare andare la mano sul torace di lui, disegnare una mappa mentale delle sue cicatrici e dei suoi muscoli tesi ma voleva lasciare che fosse il custode a dettare il ritmo della loro scoperta reciproca, non voleva spaventarlo. Quel momento per lei era nettare purissimo, lo avrebbe assaporato goccia a goccia.
Il custode aveva passato un braccio dietro alla sua testa e ora con la mano libera giocava con i suoi capelli.
“Sai, ho pensato molto all’ultima notte ad Haven.” Il custode aveva lo sguardo fisso verso il cielo “Quando pensavo di averti persa e anche dopo, non riuscivo a togliermi dalla testa le tue labbra, la tua pelle.”
Lena non riusciva a credere alle proprie orecchie. Si tirò su puntellandosi con un gomito e posò una mano sul viso del custode, lo spinse dolcemente a girarsi fino a poter incrociare il suo sguardo. L’uomo afferrando la mano dell’elfa la spostò dalla sua guancia per portarsela alla bocca, la baciò chiudendo gli occhi.
“Davvero, non dovrei, ma non so più come fare per impedirmi di pensare a te costantemente”
Lena si chinò su di lui e disse praticamente contro le sue labbra “Per favore, solo per questa sera, smetti di essere il custode senza macchia e senza paura. Sii solo te stesso.” Le sue parole ebbero sul custode un effetto insperato. Il suo sguardo si fece acceso, quasi febbricitante, la sua vicinanza lo inebriava come lei era inebriata dal corpo di lui e questa volta il custode non accennava a volerlo nascondere. Sembrò finalmente abbandonare ogni timore ed ogni remora arrendendosi tra le sue mani. Lena si sentì altrettanto libera di assecondare i propri desideri. Sollevò la casacca del custode e poté finalmente toccare, baciare e assaggiare la sua pelle nuda. Il custode però, con un gesto rapido, si portò sopra di lei, spingendola a terra e bloccandole le mani. Lena si chiese per un istante come mai non volesse essere toccato, ma in quel momento non era più in grado di pensare. Lasciò il Custode guidare quel suo assalto, si abbandonò tra le sue mani che finalmente iniziavano a scoprire il suo corpo. Finalmente il desiderio che da troppo tempo li consumava era libero di divampare. Per quella notte nessuno dei due avrebbe più guardato le stelle.
 
La mattina successiva alle prime luci dell’alba Lena si era svegliata infreddolita. In quella misera stanzetta si gelava, meglio sarebbe stato per il custode vivere costantemente in una tenda. Lena si alzò a sedere, vide il volto sereno del custode ancora immerso nel sonno. Per un istante venne afferrata dalla gelida consapevolezza di aver commesso un errore davvero gravissimo.
Aveva abbattuto tutte le difese del custode ma non sapeva quale sarebbe stato il prezzo da pagare. Il prezzo che lui avrebbe dovuto pagare.
Era stata egoista nel portare avanti quello sciocco inseguimento? Non sarebbe stato meglio lasciare l’uomo vivere in pace la sua vita, anziché tormentarlo per poi dover mettere freni e paletti a qualunque tipo di rapporto avrebbero mai potuto costruire da lì in avanti?
Il terrore si faceva strada dentro di lei. Si alzò in fretta, raccolse i vestiti sparsi attorno a loro, si vestì ed uscì evitando di fare il minimo rumore. Rientrando nella sala principale di Skyhold, la voce di Varric le diede il buon giorno.
“Brava la nostra ragazzina. Chissà da dove vieni?” La osservò meglio per un istante e poi con un’aria fintamente scandalizzata disse: “Non vorrai mica dirmi che proprio il giorno in cui Usignolo ti dice di stare alla larga dal nostro eroe, tu finisci per passare la notte con lui?”
“Immagino di dover strappare la lingua a Dorian. Così, per precauzione.” rispose Lena caustica.
“Mi sembra giusto. Sappi invece che il mio silenzio è in vendita, potresti comprarlo raccontandomi cosa è successo. E soprattutto spiegandomi perché invece di essere finalmente contenta, te ne vai in giro con quest’aria colpevole”.
Era impossibile nascondere qualcosa a Varric. “Va bene, ma ho bisogno di un tè. Molto forte. Temo che questa sarà una giornata lunghissima.”

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Slanci ed errori - Parte II ***


Come preannunciato, ecco la seconda parte di questo lungo capitolo. L’aggiornamento come dicevo è stato un po’ più ravvicinato del solito. Le storie del mio inquisitore e di Solas, dovrebbero viaggiare in parallelo, e l’idea di lasciarle separate per troppo tempo non mi piace. In particolare tengo molto a questa parte della storia e non vedevo l’ora di pubblicarla. Varric è il mio personaggio preferito in tutta la serie, e volevo rendergli giustizia dedicandogli un capitolo. Per questo ho ripreso una missione secondaria di DA:II. Varric, è per me il protagonista assoluto del secondo capitolo della saga, e anche se la mia storia è ambientata dopo, non potevo lasciare il mio nano adorato, sullo sfondo a fare da tappezzeria. Spero solo di non aver fatto un disastro. Enjoy it.
 
 
Slanci ed errori
Parte II

 
La paura non è così difficile da capire. Dopo tutto, non siamo stati tutti spaventati da bambini?
Nulla è cambiato ciò che ci spaventa oggi è esattamente la stessa cosa che ci spaventava ieri.
E’ solo un lupo diverso.
Alfred Hitchcock

 

XVI
Varric si era mostrato collaborativo e aveva dato il suo permesso sorprendendo Solas. Non si aspettava che il nano avrebbe ceduto tanto facilmente. Probabilmente non aveva idea di che cosa l'oblio potesse nascondere. O rivelare. In ogni caso Solas aveva messo a punto tutti i preparativi ed ora, emozionato come non gli capitava da anni, camminava verso le stanze dell'Inquisitore. Quelle stanze erano sempre aperte per tutti, anche lui era stato lì qualche volta. Ma la prospettiva di essere lì da solo con lei, addormentarsi al suo fianco e soprattutto risvegliarsi con lei in un uovo mondo, nel proprio mondo, lo faceva sentire ebbro. 
“Che sto facendo! Neanche da giovane sarei corso incontro alla rovina con maggiore entusiasmo!” 
Ma i suoi stessi rimproveri rimbalzavano tra le idee senza lasciare nessuna traccia. Niente poteva frenare il suo cuore che in quel momento volava leggero, come se non avesse affatto subito l'affanno dei secoli. Si sentiva come un bambino eccitato alla prospettiva di infrangere le regole degli adulti. Sa che verrà punito, ma non può fare a meno di sentirsi un eroe o un pirata che corre verso l’avventura. 
Bussò sul battente della porta aperta e attese il gentile invito provenire dall'interno della stanza. Quel posto profumava di lei, di narciso appena raccolto e di neve fresca. 
“Buon pomeriggio da'len.” non poteva impedirsi di sorridere. 
“Quanto entusiasmo quest’oggi Chuckles.” La voce del nano lo fece trasalire non si aspettava di trovare qualcun altro lì in quel momento.  Il nano poteva leggergli dentro e raggelò con uno sguardo il suo entusiasmo.
“Quindi spiegami, devo solo stare qui e guardarvi dormire? Posso almeno prendere qualcosa da leggere o invitare Sparkler e il Piccoletto per una partita?”
“In realtà, non c'è alcun bisogno che tu stia qui. I tuoi ricordi non ti seguono come un’ombra, potremmo addentrarci in essi anche se tu  fossi nelle profondità di Orzammar. E poi c’è bisogno di tranquillità.”
Solas si accorse di aver risposto forse con troppa foga e il sorriso sornione del nano lo confermò. Doveva controllarsi. Non serviva aggiungere i pettegolezzi alla lunga lista di cose sconvenienti, quella intera faccenda era già complicata così com'era. 
Lei però era una vera visione quel giorno. Aveva smesso per una volta la sua inseparabile armatura di cuoio, indossava una leggera casacca di un verde intenso e dei semplici pantaloni che disegnavano perfettamente le sue gambe agili e sottili.
Anche i folti capelli rossi, erano sciolti e le ricadevano ribelli sulle spalle.
Le notti in accampamento o le fredde giornate di Haven, non le avevano evidentemente mai permesso di indossare qualcosa di più leggero o di più comodo, e vederla per la prima volta senza le solite bardature fece mancare il respiro a Solas che rimase a guardarla imbambolato un momento di troppo.
“Chuckles, mi sembri distratto, non vuoi mica rimandare il tutto ad un momento migliore?” Il nano parlava in modo ironico, ma il mago poteva avvertire una certa ruvidezza nel suo tono. 
Alle ultime parole del nano Lena si era fatta scura in volto. Che anche lei fosse sulle spine per quella loro piccola avventura?
“E’ tutto pronto. Puoi prendere un bicchiere da’len?”
L’elfa, che probabilmente vedendo la determinazione dell’amico era tornata a rasserenarsi,  prese dallo scrittoio un bicchiere e glielo porse. In un piccolo otre il mago aveva portato una pozione in grado di favorire il sonno e soprattutto i sogni. Ne versò un poco e poi restituì il bicchiere all’elfa che osservava con vigile curiosità ogni sua mossa.
“Devi berla tutta e poi sdraiarti e rilassarti.”
“Solas?” Sentire il suo nome pronunciato da lei era come sentirsi di nuovo a casa. Come poteva combattere contro tutto quello?
“Come farò a trovarti quando sarò lì?”
“Ti troverò io, da’len, stai tranquilla.”
“Eh… beh, come farò a sapere che sei proprio tu e non… beh… un demone?”
Era strano vedere l’elfa esitare. Normalmente era caparbia e avventata, anche quando aveva paura preferiva balzare nella difficoltà anziché rimanere a contemplare le possibilità. Spesso assecondando l’idea del momento finiva sulla via sbagliata, ma era abbastanza avveduta da tornare in dietro sui propri passi, pronta anche a chiedere scusa se necessario, ma sempre senza imbarazzo o rimorso. 
Quella volta invece sembrava timorosa come una bambina portata davanti ad un gruppo di adulti sconosciuti. Vederla così riempiva il cuore di Solas di tenerezza. “Da’len non preoccuparti, non ti accadrà niente. Te lo prometto.”
Dicendo quelle parole Solas non aveva saputo trattenere una carezza. La pelle della ragazza andava a fuoco, non era difficile riconoscere anche in lei un’emozione crescente. Ma come doveva essere diverso ciò che si agitava nel cuore della giovane elfa da ciò che invece scombussolava il suo senso del giudizio.
L’elfa bevve obbediente la pozione sedendosi sul bordo del letto. Solas le prese il bicchiere vuoto dalle mani e lo appoggiò sullo scrittoio. Il nano era seduto lì e lo scrutava ora con sguardo severo, aveva forse anche lui gli stessi timori dell’Inquisitore? Ma Solas non aveva tempo per lui ora.
“Da’len, devi stenderti, tra poco la pozione farà effetto.” Si stese e Solas si sedette accanto a lei. L’elfa cercò la sua mano e la strinse forte. Aveva davvero paura?
Con la mano lasciata libera da quella stretta che faceva vibrare ogni sua corda, Solas iniziò ad accarezzare gentilmente la testa dell’elfa che si addormentò presto.
“Ehi, mago” la voce di Varric era questa volta davvero graffiante. Non lo aveva mai chiamato in quel modo e Solas poteva coglierne ogni sfumatura sgradevole: “sei sicuro di ciò che fai? Sai che stai giocando ad un gioco molto pericoloso? ”
“Non preoccuparti, so quello che faccio. Lei è al sicuro. Non è una preda interessante per i demoni, non ha nulla che loro potrebbero desiderare.”
“I demoni non sono la mia sola preoccupazione. Chuckles, non sono cieco. Non so cosa ti passi per la testa, anche se forse posso immaginarlo. Fai molta attenzione. Sappiamo entrambi che non c’è alcuna necessità di imbarcarsi in qualcosa di inutilmente doloroso, non trovi?”
“Ti assicuro durgen’len, che non sai niente. Ed ora se non c’è altro, lei mi sta aspettando.”  Non si stese accanto a lei come avrebbe voluto, prese una coperta e si sdraiò invece ai piedi del letto. Si addormentò in un attimo.
Lei era lí. 
Una vera visione. Nel mondo della veglia la sua presenza era vibrante e conturbante, ma lì risplendeva. Letteralmente. I suoi vallaslin rispondevano alla magia dell'oblio illuminandosi leggermente. 
Gli elaborati segni che incorniciavano i due grandi occhi verdi, avevano di questi il colore e ne assecondavano la forma esaltandone la profondità. 
Chiunque avesse disegnato quei segni sul viso della ragazza lo aveva fatto senza dubbio con lo scopo di esaltarne la bellezza che al tempo doveva essere in boccio. 
“Solas va tutto bene?” Ancora il suo nome. In quel posto la sua voce assumeva toni freschi e lieti come un temporale estivo. 
“Certo da'len. Tu come ti senti?”
“Bene. Normale. Non è ciò che mi aspettavo. Sembra che il paesaggio che ci circonda sia assolutamente normale. Credibile. Solo la luce ha qualcosa di particolare. Non saprei spiegare è come se tutto fosse più nitido e meno chiaro allo stesso tempo”
Solas sorrise delle considerazioni della ragazza. Si guardò attorno, dovevano trovarsi nei pressi di Kirkwall. Si vedeva il mare non troppo distante e una grande città si stendeva ai piedi della collina sulla quale si trovavano. Si misero in marcia verso la città e proprio come succede nei sogni gli spostamenti sembravano perdere di coerenza. Prendendo una svolta del sentiero infatti si trovarono in mezzo al caos cittadino. 
Subito dopo scendendo delle scale si trovarono davanti ad un grande albero ricoperto di segni che avevano tutta l’aria di essere elfici. Dovevano essere giunti nell’enclave di Kirkwall e si era fatta improvvisamente notte.
Non vi era nessuno per le strade. Le case piccole e malridotte avevano porte e finestre sprangate. Da una sola casa proveniva una fioca luce. Non fu difficile capire che quella doveva essere la direzione da seguire.
All’interno della casa videro Hawke e Varric. Con loro vi era anche un uomo alto dai lunghi capelli biondi e raccolti che indossava una malconcia tunica da mago, e un elfo con un enorme spada appesa alla schiena e strani segni che sembravano attraversargli il corpo. 
“Non possono vederci?” la voce dell’Inquisitore uscì in un sussurro.
“Non ci vedono, ma potrebbero percepirci, soprattutto il mago. Potrebbe avvertire la nostra presenza come quella di uno spirito. Ma non preoccuparti.”
Assieme ai quattro compagni c’erano due elfe e un ragazzo addormentato.
La più anziana delle elfe stava parlando di un rituale, di un viaggio nell’oblio e della necessità di eliminare i demoni che evidentemente stavano tenendo prigioniero il ragazzo.
Solas sentì Lena farsi ancora più vicina e aggrapparsi quasi al suo braccio.
“Da’len che succede?” Lo sguardo della ragazza era smarrito
“Non lo so all’improvviso ho iniziato ad avere paura. Ma è come se non riconoscessi ciò che provo. E’ come se questa paura non fosse la mia.”
Solas strinse la mano dell’elfa e si addentrarono di più nella catapecchia. Questa si trasformò improvvisamente in un grande palazzo dai contorni sfocati. “Siamo entrati nel sogno del ragazzo. Stiamo facendo lo stesso viaggio che hanno fatto Varric e i suoi compagni.”
L’Inquisitore assentì titubante. Si sentivano delle voci provenire da una stanza vicina.
All’interno della stanza Hawke e gli altri stavano fronteggiando un demone. Questo stava bisbigliando suadente alle menti dei compagni di Hawke. Quando parlò a Varric, Solas poté vedere il nano mutare espressione. Vide le sue labbra contrarsi in un ghigno crudele che non gli aveva mai visto. Si avvicinò al demone, imbracciò Bianca e iniziò a sparare. In direzione di Hawke. Varric stava combattendo i suoi amici. Solas stentava a credere ai suoi occhi. Si voltò per cogliere la reazione dell’elfa a quella svolta inaspettata che gli eventi stavano prendendo. Lei fissava la scena pietrificata come non accorgendosi che lacrime copiose avevano iniziato a rigarle le guance.
“Venhan che succede? ” Le parole uscirono da sole prima che Solas potesse fermarle. Si morse la lingua. Ma si avvide ben presto che l’elfa non riusciva a prestare attenzione ad altro che non fosse la scena che si stava consumando davanti ai loro occhi.
Vide Hawke sferrare il colpo fatale nei confronti di Varric. Il pugnale della donna si conficcò nella schiena del nano, che si accasciò a terra e svanì nel nulla.
L’intera scena svanì con lui. Si ritrovarono in una bettola puzzolente. Varric era seduto da solo ad un grosso tavolo e beveva in silenzio. L’Inquisitore continuava a fissare davanti a sé senza fermare le lacrime.
“Sento ciò che prova lui.” Disse lei all’improvviso alzando lo sguardo verso Solas. “Posso provare ciò che prova Varric. Ed è terribile. Non c’è nessuno che lo consoli. Ha tradito la sua amica più cara. Si vergogna. Non merita il suo affetto. Non merita l’affetto di nessuno”.
Rimase in silenzio per un momento poi riprese: “Solas possiamo andarcene?”
“Certo da’len. Devi solo svegliarti”
Solas si risvegliò nella stanza dell’Inquisitore. Balzò in piedi e si avvicinò all’elfa che stava lentamente risvegliandosi.
Si accorse che Varric non era più nella stanza. Si sedette sul letto accanto alla giovane e le prese la mano.
“Varric!” furono le prime parole accorate che l’elfa pronunciò e che dispersero completamente il torpore del sonno.
Si mise a sedere. Le lacrime continuavano a scorrere anche in questo mondo. Lei con un gesto brusco ed orgoglioso le asciugò via col dorso della mano e fissò gli occhi lucidi sul viso del mago.
 "Che cosa è successo? Perché abbiamo visto questi ricordi? Cosa centra questo con Corypheus? Perché ho sentito le sue emozioni? Perché... "
L'ultimo interrogativo rimase in sospeso interrotto da un singhiozzo che l'Inquisitore non seppe reprimere. 
“Da'len mi dispiace.”
Cercò di abbracciare la ragazza che però si ribellò alla sua tenerezza. 
“No! Lui non aveva nessuno a consolarlo.”
Solas rimase ad osservarla impotente. L'aveva delusa. Varric aveva avuto ragione. L'aveva a messa in pericolo in un modo che non sospettava. L'elfa si asciugò ancora le lacrime cercando di riprendere il controllo. 
Poi con tono deciso disse ancora “Voglio sapere tutto. Spiegami cosa è successo.” 
“Questo che abbiamo appena visto è evidentemente il ricordo più potente che Varric porta con sé. Probabilmente a causa del senso di colpa. Servirebbe più tempo per immergerci di più nei suoi ricordi e trovare ciò che ci serve. Mi dispiace, non so perché hai potuto sentire i suoi sentimenti.”
“Ma ho sempre saputo che i nani non hanno collegamento con l'oblio, come è possibile che i suoi ricordi siano così netti e vividi?” L'elfa cercava disperatamente di ricondurre tutto ciò che aveva vissuto su un piano razionale, qualcosa che fosse in grado di controllare. Solas riconosceva quel modo di agire, era la sua stessa arma, la più sicura con cui si fosse mai difeso da se stesso. Vedere la sua amica agire allo stesso modo lo riempì di sconforto. Diversa è la curiosità spontanea di chi è affamato di sapere o la necessità di conoscere per ricondurre sotto il proprio controllo ciò che spaventa. La stava forse influenzando al punto da farla divenire man mano sempre più simile a sé? Nonostante l’oscurità che celava dentro, l’elfa aveva una fede incrollabile nel proprio istinto e, a modo suo, aveva fede negli altri. La combinazione di questi due aspetti la rendeva arguta e profonda nell’osservazione di chi le stava davanti, facendo della sua empatia un’arma irresistibile per gli amici e disorientante per i nemici. Solas temeva che spingendola a doversi difendere dai propri sentimenti l’avrebbe portata a perdere questa sua capacità. Avrebbe rigettato l’istinto e sarebbe divenuta fredda, razionale e calcolatrice. Come lui. Togliere a quell’animo giovane la speranza e la vitalità sarebbe stata la colpa peggiore di cui macchiarsi. Tutti i suoi crimini impallidivano di fronte a quello.
Davanti alla sua esitazione l’Inquisitore si era fatta impaziente, esigeva delle risposte.
“L’oblio è più complesso di quanto comunemente si sappia. Dire che i nani non vi siano in connessione è solo una semplificazione. Immagina l’oblio come un viandante che di notte al buio guardi attraverso i vetri illuminati di una taverna. Lui potrà osservare tutto non visto. Solo i più accorti potrebbero notarlo, gli altri a meno che lui non cerchi di attirare la loro attenzione, continuerebbero tranquilli ad ignorarlo. Poi c'è chi ubriaco dorme appoggiato ad un tavolo. Il nostro viandante potrebbe tirare sassi contro queste persone e loro continuerebbero a dormire. Ecco loro sono i nani. Ma questo non vuol dire che possano sfuggire allo sguardo di chi osserva. Gli spiriti che plasmano l’oblio sono attratti dalle forti emozioni di chi vive oltre il velo, che essi ne siano consapevoli oppure no. Ed evidentemente ciò che ha provato Varric in quel momento è stato così dirompete da lasciare un segno netto e da riuscire addirittura a far breccia nei tuoi stessi sentimenti.”
Lena aveva ripreso il controllo e sembrava cercare di elaborare ciò che Solas andava dicendo.
“Da’len, ir abelas.”
L’elfa sembrò ignorare completamente le sue parole e disse invece: “Credi che dovrei parlarne con lui?”
“Non lo so. Non posso esserti d’aiuto. Il vostro rapporto vi appartiene. Io non so dire cosa sia meglio. So però che la tua onestà è importante per te. Mentire proprio a lui forse sarebbe inutilmente doloroso.”
“Ciascuno porta dentro dolori che nasconde, non è il dolore o la paura di esso che può spingerci a prendere decisioni giuste.” Le parole dell’elfa erano fredde, dure e allo stesso tempo incredibilmente controllate.
“Dimostri una saggezza che va ben oltre la tua età e la tua condizione. Non c’è niente che io possa insegnarti.”
L’Inquisitore sembrava persa dietro pensieri che per Solas restavano insondabili, non dava segno di accorgersi della presenza del mago. Si alzò dal letto e si diresse allo scrittoio. Poi si mosse di nuovo. Si andò piazzare davanti a Solas e lo fissò per un istante quasi come se stentasse a riconoscerlo poi disse in un tono gelido che non le apparteneva “Puoi chiedere a Varric di venire da me?”
Solas assentì ed uscì dalla stanza dell’Inquisitore. Con la sua sola presenza era riuscito inquinare la vitalità della sua preziosissima amica. Era in cerca di un modo per porre un freno ai suoi stessi sentimenti? Lo aveva finalmente trovato. Niente lo spaventava di più dell’idea di poter infettare con la sua presenza la forza dirompete di quella giovane vita. Concentrarsi su questo sarebbe stato il miglior deterrente. Non avrebbe più ceduto ai desideri della passione. Si sarebbe aggrappato a questa paura per riacquisire il controllo e tornare a concentrarsi esclusivamente sulla propria missione, ristabilendo tra sé e l’Inquisitore la giusta e conveniente distanza.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Notti di caccia ***


Notti di caccia
 
In your eyes, there's a heavy blue
One to love and one to lose
Sweet divine, a heavy truth
Water or wine, don't make me choose
(Wolves Serena Gomez)

 
 
XVII
Erano arrivati a Crestwood il giorno precedente. Non avevano più dovuto fronteggiare così tanti non morti da quando avevano lasciato la Palude Desolata. Eppure dall’alto delle colline, quel posto mostrava tutto il suo terribile splendore. Era per la bellezza di questi posti, che continuavano a combattere?
Avevano trovato una caverna che un tempo probabilmente era servita da base per alcuni contrabbandieri, e avevano deciso di sfruttarla per accamparsi. Lena si era allontanata un poco dall’accampamento per cercare qualcosa da cacciare, la zona era mediamente sicura, e la sera stava scendendo placida. Le piaceva rimanere all’aperto di notte, poter cacciare e passeggiare sotto le stelle la faceva sentire piena di energie. Quando erano fuori in missione come quella notte, poteva dimenticare lo studio, le responsabilità e l’addestramento. Poteva correre nel bosco e dimenticare tutto. In quel momento poi aveva decisamente bisogno di tempo per sé, doveva pensare. A causa della sua avventatezza aveva preso una situazione disperata e l’aveva resa ancor più complessa.
Era così felice di potersi allontanare un po’ da Skyhold, inizialmente! Sperava disperatamente di poter prendere una breve pausa dalla tormenta di sentimenti che si era abbattuta su di lei nelle ultime settimane. Non aveva abbastanza energie per poter affrontare sia la fine del mondo che la complessità delle emozioni che le sue relazioni andavano disseppellendo.
Per il momento preferiva dover bruciare non morti che dover far chiarezza su ciò che provava. Quindi si era tuffata a capofitto su quella missione, ma nel progettarla il suo entusiasmo si era andato spegnendo sempre di più. Mettendo insieme le varie istanze, si era trovata a dover viaggiare con Blackwall, Solas e Varric, in barba alla sua voglia di mettere distanza tra sé e i propri problemi.
Ciò che la faceva sentire più a disagio era la situazione con Varric, sapeva che era solo questione di tempo e che tutto si sarebbe sistemato, ma le mancava poter stare semplicemente con il suo amico, senza complicazioni. A dire il vero, il nano aveva presto riacquisito il controllo di sé stesso ed era tornato ad essere il sereno e posato Varric che Lena aveva conosciuto, ma per lei era ancora difficile incrociare il suo volto sorridente e non ripensare ai suoi occhi lucidi e allo sguardo addolorato che aveva visto poco tempo addietro.
Appena tornata da quel folle viaggio nell’oblio, aveva raccontato al nano tutto ciò che aveva visto e sentito. Erano rimasti a lungo seduti una accanto all’atro in silenzio. Varric aveva infine confessato di portare quella colpa come una macchia indelebile. Dopo quella notte a Kirkwall si era sentito debole per la prima volta in vita sua, e aveva iniziato a dubitare della propria capacità di saper essere un amico leale. Aveva dubitato addirittura di essere in grado di voler davvero bene a qualcuno, Hawke lo aveva perdonato prima che lui fosse capace di chiedere scusa, ma questo non lo aveva aiutato.
“Io ho sentito tutto ciò che hai provato tu, la paura, il desiderio di vendetta, il dolore e la delusione per te stesso. Ho provato tutto, ho fatto le tue scelte con te, e non credo tu abbia nulla da doverti perdonare, Varric”. Il nano era rimasto sgomento, poi, sebbene serbando il solito contegno, si era quasi commosso, e Lena era stata presa da un carosello di emozioni da cui credeva di non essere ancora riuscita a scendere.
 E allora meglio la caccia, correre dietro alla preda fino a sfiancarsi e tornare al campo sudata e distrutta. La stanchezza ha il nobile pregio di ridimensionare tutto, ogni questione grande e piccola riprende il giusto posto nell’ordine delle cose. In questo sperava Lena quella notte, ma avrebbe avuto bisogno di abbattere un esercito di draghi, per essere stanca al punto giusto. Non era infatti solo da Varric che cercava di fuggire, anche Solas la rendeva nervosa.
Forse con il mago le cose erano leggermente più distese, ma si sentiva in difetto con lui esattamente come credeva di esserlo con Varric.
Solas aveva riposto fiducia in lei, le aveva permesso di accompagnarlo in uno dei suoi viaggi nell’oblio e lei era riuscita a rovinare tutto.
Era così emozionata prima di partire! Le sembrava di essere una bambina accettata in via eccezionale nel mondo degli adulti, quindi era determinata ad apprendere da quel viaggio il più possibile, così da poter avere qualcosa in più da condividere con Solas.
E lui era così contento, così luminoso e sorridente prima della partenza, e lì in quello strano mondo lui era perfettamente padrone di sé e di ciò che lo circondava. Si approcciava confidente alle regole di quel mondo all’apparenza così simile al nostro, ma in sostanza radicalmente diverso. Non credeva di aver mai visto Solas tanto a suo agio come in quel poco tempo trascorso con lui nell’oblio. Se nel mondo della veglia, lui era per Lena un punto di riferimento prezioso, nell’oblio era stato una roccia ed un porto sicuro. E nonostante la sua presenza forte e rassicurante, lei aveva perso il controllo.
Non sapeva perché, ma l’essere crollata proprio davanti a Solas la metteva in difficoltà, sapeva che il mago aveva grande fiducia in lei, la credeva degna della sua compagnia e probabilmente con il suo fare puerile lo aveva invece fatto ricredere.
L’elfo aveva in effetti preso le distanze dopo quell’episodio.
All’inizio era stata lei a scacciarlo, era sconvolta da ciò che aveva visto e era delusa da se stessa per non essere stata in grado di controllarsi. Non sopportava l’idea che Solas la vedesse piangere. Non piangeva da anni, probabilmente dalla morte del vecchio custode. Perché aveva dovuto piangere di nuovo, a distanza di così tanto tempo, proprio davanti a lui?
Ma passato quel primo momento avrebbe voluto poter dimostrare all’amico che non era debole, che era ancora la persona in cui lui aveva creduto, che aveva ritenuto degna della sua fiducia fino a condurla nell’oblio. Ma l’elfo era divenuto sfuggente, non era mai stato scortese, ma aveva dimostrato di non avere tempo per lei. E lei si era rassegnata all’evidenza.
Fortunatamente però in tutta questa giostra di dolore e delusione, una piccola luce si era accesa a portare speranza all’inquisitore. Dopo essere fuggita spaventata da Blackwall, il custode, per la prima volta da quando quella loro strana relazione era iniziata, aveva fatto un passo verso di lei. I loro ruoli, invertiti per un attimo, avevano portato Lena a fuggire e Blackwall all’inseguimento, ma Lena era una preda assai più semplice e una volta rassicurata, era rimasta lì tra le braccia del suo cacciatore senza alcun rimorso. Temeva infatti inizialmente di aver trascinato Blackwall in qualcosa che avrebbe finito per ferire l’uomo già evidentemente provato dalla vita. Non poteva offrirgli infatti una relazione normale, i consiglieri non credevano che l’inquisizione potesse sopportare un tale fardello e soprattutto aveva l’impressione che il custode fosse abituato a donne e relazioni molto diverse da lei o da ciò che lei poteva offrirgli. Blackwall le fece notare  come le sue paure fossero le stesse che anche lui nutriva, ma era innegabile che in quel momento nulla contava di più della voglia di gettarsi a capofitto l’uno nell’altra. Era un sogno folle forse, ma non vi avrebbero rinunciato facilmente.
Pensando al suo bel custode riusciva a dissipare le nubi più scure, e anche quella notte il pensiero di lui, riuscì dove la fatica della caccia aveva fallito.
Quantomeno la caccia era stata fortunata. Era riuscita a tendere un agguato ad un giovane montone augusto, quindi avrebbero avuto dell’ottima carne alla brace per cena. Trascinare il pesante animale era stata la parte più difficile dell’intera faccenda, ma era ormai nei pressi della caverna. Sperava di trovare un fuoco alto e una buona brace, sperava magari che frugando tra la merce lasciata indietro dai contrabbandieri, i suoi compagni avessero trovato qualcosa di buono da bere.
“My lady siete qui, stavate tardando ed ero preoccupato”
“Non c’è nessuno qui intorno, rilassati” cercando di riprendere fiato, Lena lasciò cadere a terra il montone e si appoggiò su una grossa roccia. Il custode stava per prendere il montone e rimettersi in cammino, ma l’elfa gli fece cenno di aspettare e di sedersi accanto a lei. Il custode obbedì con solerzia.
“Sei stata via per molto, temevo ti fosse successo qualcosa. Va meglio così?”
L’elfa annuì divertita. Lasciò il suo appoggio e si spostò di fronte al custode che la abbracciò rivolgendole un sorriso pieno di tenerezza. Lena non era ancora abituata a vedere il custode rispondere con tanta dolcezza ai suoi gesti d’affetto. Era stata respinta per così tanto tempo che in fondo in fondo si aspettava sempre di essere allontanata, così, ogni volta che il custode rispondeva invece ai suoi slanci, il suo cuore esultava sorpreso. Essere lontana da Skyhold voleva dire anche potersi permettere un po’ di libertà, non dover essere sempre attenti, distanti e sostenuti e Lena aveva intenzione di godere appieno di questa rara occasione.
“Rimaniamo qui, non torniamo all’accampamento per questa notte” Lena rideva ma non credeva così folle quella proposta.
“Potremmo my lady, ma dovremmo mangiare un intero montone in due, e io rischierei di doverti dividere con qualche non morto. Preferirei averti tutta per me al sicuro in una tenda.”
Lena rise e baciò il custode. Lui rispose a quel bacio e la strinse ancora di più contro di sé. Un rumore secco li distolse per un momento l’una dall’altro. Il custode non aveva liberato Lena dal suo abbraccio, quindi tutto ciò che lei riuscì a vedere fu Solas allontanarsi in fretta ed in imbarazzo.
L’istinto di Lena fu quello di allontanarsi dall’uomo ma lui non la lasciò andare.
“Non preoccuparti. Non credo che tornerà” il custode aveva ora un sorriso malizioso sulle labbra.
“Non mi preoccupa ciò che ha visto, mi fido di lui, so che non parlerà. Sono solo preoccupata per la sua reazione, le cose si sono un po’ complicate tra noi ultimamente”
“Allora tanto meglio.” lo sguardo del custode si era rabbuiato “è bene che sappia come stanno le cose, così da non farsi venire strane idee”
“Non dovresti dare retta alle chiacchiere di Varric” la voce dell’Inquisitore si era fatta severa “e sai che queste tue reazioni sono assurde”
“Non ho bisogno di dare ascolto a Varric per accorgermi delle occhiate che ti lancia. Ma non posso biasimarlo” il custode accompagnò le sue parole con una carezza e un bacio alla base del collo.
Lena capiva che il custode stava cercando di ammansirla. E ci stava riuscendo. Non voleva lasciar correre, ma rimanendo lì in pochi minuti non sarebbe più riuscita neanche a ricordare l’episodio, quindi si allontanò dal custode
“Dobbiamo tornare, altrimenti mangeremo all’alba”
Divisero il pesante carico e in un baleno furono all’accampamento.
Solas non c’era, cucinarono e mangiarono senza di lui e quando fu il momento si andare a dormire non era ancora tornato.
Lena iniziava ad essere preoccupata. Non poteva non pensare che se fosse successo qualcosa al suo amico, sarebbe stata colpa sua.
Non credeva che Solas, come Varric andava ripetendo da un po’: "si fosse preso una cotta per lei" . Non riusciva neanche ad immaginare che l’elfo l’avesse mai vista come appartenente alla sua stessa specie. Non si sarebbe stupita scoprendo che Solas intrattenesse una relazione di lunga data con lo spirito stesso dell’amore, se mai ne fosse esistito uno. Lei non era che una ragazzina, come Varric non mancava mai di ricordarle, e se lo era ai suoi occhi, cosa poteva essere agli occhi di quella elfo che sembrava conoscere ogni cosa, essere passato attraverso qualunque esperienza e aver avuto come maestri gli spiriti della saggezza e della sapienza?
No. Questa volta Varric sbagliava, l’amore non aveva niente a che vedere con tutto questo. Però Lena riconosceva che ci fosse un legame profondo tra loro. Un legame unico e prezioso, ed era in qualche modo convinta che fosse per lei che Solas era rimasto dopo la distruzione di Haven. Ricordava ancora le sue parole: “Sarò qui quando ti sveglierai. Non preoccuparti di niente”. Erano suonate alle sue orecchie come una promessa. Lui aveva visto la sua paura più profonda, aveva guardato dentro quell’oscurità che lei aveva celato a fatica, e se ne era fatto carico. Era forse per quella promessa che era rimasto? Si sentiva responsabile per lei? E non era per questo legame che si era sentita così in dovere di non deluderlo?
Si sorprese a pensare che tutte quelle elucubrazioni potevano benissimo essere frutto della sua sola fantasia. Ma poi vide Solas tornare all’accampamento e sorriderle stanco. L’elfo colse forse il suo sguardo pensieroso, perché le disse guardandola negli occhi:“Non volevo farti preoccupare, da’len. Mi dispiace, mi sono addormentato”. La sua voce era di nuovo tranquilla e calda come prima dell’incidente nell’oblio. Le sue parole erano solo per lei. Non aveva immaginato niente.
 Tutto quello non aveva niente a che fare con l’amore, era un patto, un sodalizio, un incontro. Come poteva qualcuno che non fossero loro due capire il loro rapporto? Ma non importava, forse tutto era semplicemente tornato normale ora. Varric si offrì per il primo turno di guardia.
Blackwall la guardava imbronciato dall’altro lato del fuoco, era ora di andare a dormire e di allontanare tutti i timori dal cuore del suo bel custode. Si alzò in piedi e augurò a tutti la buona notte, poi si diresse verso la tenda lanciando uno sguardo complice al custode, che la seguì senza dire una parola.
Una volta dentro la tenda, il custode chiese a bassa voce: “Credi davvero, sia il caso? Non dovremmo essere più discreti?”
Per tutta risposta Lena iniziò a togliere il pettorale dell’armatura del custode, passando poi al giaco ed infine alla casacca. Liberato il torace dell’uomo dai tanti strati che lo difendevano in battaglia, iniziò a baciargli la schiena, le spalle, il collo gli si portò poi davanti e si sistemò cavalcioni sopradi lui. Lo spinse indietro forzandolo a sdraiarsi e dall’alto lo guardò sorridente dicendo:“Tu cosa ne pensi?”
 
 
 
 
XVIII
Il gran giorno del ballo era arrivato. I consiglieri fremevano nell’ansia dell’organizzazione. Tutta l’inquisizione si sarebbe mobilitata per quel grande evento e anche Solas era preso da mille invisibili preparativi.
Vedeva nella corte Orlaisiana la più grande opportunità di espansione della sua rete invisibile. Occhi ed orecchie dentro ogni luminosa sala da ballo e dietro ogni paravento ricamato, nell’intimità delle stanze da letto. Gli uomini, ciechi, lasciavano che quelli che loro consideravano alla stregua di animali domestici, controllassero ogni più piccolo gesto della loro vita. Mettevano nelle mani dei silenziosi servitori le loro debolezze più pudiche e i vizi più osceni, non accorgendosi di mostrare fatalmente il fianco ad una forza che se opportunamente risvegliata sarebbe divenuta soverchiante.
E Solas intendeva risvegliare l’ardore in quelle coscienze mai davvero sopite.
Attorno a sé vedeva tutti affannarsi nei preparativi di cerimoniali e carrozze e non poteva non tornare con il pensiero a quando anche lui in un tempo spensierato, si intratteneva in simili divertimenti. La strana eccitazione che nasceva nel sapere che dietro ogni gesto poteva nascondersi qualunque cosa, una semplice promessa di un piacere proibito, o un ordine fatale che avrebbe potuto rovesciare una nazione, o decretare la morte di un rivale. Solas ricordava come partecipare ad un ballo ai suoi tempi volesse dire sfidare se stesso, acuire i sensi e prestare attenzione ad ogni particolare, cercare di leggere ogni sguardo, o cercare di sfuggirne il più possibile. Ma soprattutto ricordava la gioia leggera del ballo. Era bello lasciare andare i propri pensieri assieme al proprio corpo nel ritmo attento della danza. Posare lo sguardo su un sorriso innocente, sentire tra le mani la forza di una giovinezza che andava sbocciando in tutto il suo splendore. Quante giovani elfe avevano danzato tra le sue braccia, portate dal suo passo sicuro?
Ma quel ballo sarebbe stato diverso da quelli che ricordava con nostalgia, quella notte non ci sarebbero state sete tra le sue mani. Era un elfo, e difficilmente sarebbe stato accolto a palazzo come ospite gradito. Se non si fosse presentato come agente dell’Inquisizione, lo avrebbero probabilmente spedito nelle cucine e impiegato come garzone. Erano quegli uomini ad essere i veri ladri, si erano appropriati di una vita che per secoli era appartenuta alla sua gente. Ne avevano mantenuto tradizioni e cerimonie, dimenticando a chi dovessero tanta mondanità e tanto sfarzo. Solas a quel pensiero sentiva l’orgoglio avvelenare i pensieri e lasciargli in bocca un sapore amaro di sconfitta e impotenza. Ma come un improvviso baleno la sua mente fu illuminata da un altro pensiero, molto più piacevole anche se altrettanto letale. Cosa avrebbe indossato l’Inquisitore quella notte? Si sarebbe davvero lasciata stringere in un corsetto e avvolgere in sete colorate? Se avesse potuto perdersi nel turbine della danza con lei, non avrebbe chiuso un occhio sulle sue responsabilità anche solo per quella notte, abbandonandosi a quel piacere perduto, che con lei avrebbe senza dubbio acquisito un sapore nuovo, sconosciuto e lucente?
Ma se qualcuno avesse  potuto bearsi del sorriso e del tocco dell’Inquisitore durante quel gran ballo, di sicuro non sarebbe stato lui.
Solas non poteva più ignorare che il custode avesse infine preso possesso a pieno titolo del cuore della sua bella dalish.
Una sorta di pudore aveva trattenuto l’Inquisitore dal condividere con lui, i mutamenti del proprio cuore. Ogni tanto il timore di essersi tradito lo afferrava, ripensava a quel momento nell’oblio in cui le parole segrete del suo cuore erano uscite dalla sua bocca con troppa intraprendenza. Ma si ingannava tormentandosi inutilmente. La sua amica non aveva condiviso le sue confidenze con lui, perché non c’è modo di dare voce alla gioia travolgente che accompagna la scoperta di uno sguardo tanto a lungo sospirato e alla fine ottenuto. L’Inquisitore era evidentemente annegata nella felicità di vedere ricambiato il suo slancio e tutto il resto del mondo era scomparso. Nei suoi occhi poteva leggere chiaramente la serenità di un cuore finalmente accolto, e la quiete di un desiderio appagato. Questo aveva in qualche modo spinto il mago a rivedere il suo proposito di allontanarla da sé. La sua bella elfa non era rimasta poi così bruciata da quel viaggio nell’oblio, si era dimostrata forte e forse quel sentimento ricambiato le aveva donato nuova energia e nuova fiducia. Il custode con il suo fare semplice ma impetuoso aveva distrutto le paure della sua dolce amica e avrebbe probabilmente continuato a farlo. Solas non doveva più temere che la propria influenza su di lei la portasse a cambiare, a sfiorire. Poteva riprendere a starle vicino senza temere di farle del male. E così fece, pian piano, in silenzio si era allontanato, con passo leggero sarebbe tornato. Sarebbe tornato al suo fianco, avrebbe continuato a rubare per sé piccoli momenti di tenerezza che solo lui avrebbe conservato nel cuore e nella mente, a volte anche troppo a lungo, soprattutto nelle lunghe notti solitarie in cui ultimamente il sonno gli sfuggiva, allontanando così l’unico riparo da quel mondo per lui così sbagliato.
L’insonnia per il mago era una sofferenza nuova. L’aveva sperimentata per la prima volta quella notte stranamente fredda, in cui vide l’inquisitore e il custode sfuggire al suo sguardo rifugiandosi insieme in una tenda.
Quella notte aveva visto per la prima volta la sua bella amica tra le braccia del custode. Aveva visto i loro corpi fondersi l’uno nell’altro e i due visi vicini, aveva immaginato le labbra tanto sospirate dischiudersi per quelle fameliche di lui. Tutto il suo essere aveva sussultato per un attimo. Un passo falso e aveva attirato l’attenzione del custode, che gli aveva lanciato addosso il suo sguardo come un guanto di sfida e aveva piegato le labbra in un sorriso trionfante. L’uomo aveva evidentemente capito cosa Solas cercava di celare a se stesso e agli altri. Lo aveva capito forse quella notte, in cui la ragazza giaceva priva di sensi nella sua tenda, quando lo aveva visto abbandonarsi a gesti di tenerezza che non avrebbe mai osato ripetere? O lo aveva capito dopo, svelando i pensieri dietro i suoi sguardi? Non si può nascondere niente ad una natura timorosa e gelosa, pronto a leggere segnali anche lì dove non ve ne sono.
Come poteva pretendere, quell’uomo gretto, di controllare la  natura libera e splendente dell’Inquisitore? Ma il custode non comprendeva la natura di lei, non sapeva quale gemma preziosa avesse la fortuna di avere tra le mani.
Quella notte Solas aveva subito ceduto all’idea che non avrebbe potuto chiudere occhio. Dette presto il cambio a Varric, e rimase a combattere tra il calore del fuoco che ardeva sul suo viso e il gelo del vento che gli intirizziva la schiena, così come combatteva con ciò che si agitava dentro di lui. Sdraiato in silenzio nella tenda infatti, non aveva potuto non udire i sospiri provenire dalla tenda dei due amanti e ne aveva ascoltato per pochi istanti i gemiti soffocati. Aveva riconosciuto la voce di lei, non aveva distinto le sue parole ma quel timbro diverso dal solito, reso un po’ più roco e profondo dalla situazione, lo aveva turbato così tanto da costringerlo ad uscire in fretta da quella tenda che si stava facendo soffocante. Sotto le stelle quella sera, aveva avuto tutto il tempo per tormentare la propria immaginazione ricostruendo ciò che quella voce poteva stare a significare, delineando nella sua mente, con la tempra sadica del boia, le circostanze che avevano indotto quei gemiti e quei sospiri che gli avevano riempito le orecchie per un attimo di troppo. Sapeva che con la luce del sole avrebbe ripreso il controllo, ma quella notte la sua mente costruì immagini di lei che avrebbero continuato a perseguitarlo anche nei giorni, e soprattutto nelle notti, a venire.
All’alba aveva visto la testa fiammante della sua giovane amica sbucare presto dalla tenda, gli occhi cerchiati tradivano i pochi momenti di sonno che quella notte le aveva concesso. Quando lo vide sorrise per lui, spazzando via le angosce della notte. La ragazza aveva una pesante coperta sulle spalle, si avvicinò al fuoco ravvivando un poco le fiamme, e poi gli si sedette accanto condividendo con lui la coperta calda. Rimasero in silenzio a guardare il sole illuminare il lago, che riluceva del cupo bagliore di uno squarcio che non erano ancora riusciti a raggiungere. Quel momento fu solo loro. Solas sapeva che ciò che c’era tra loro era prezioso e importante nel cuore della giovane elfa come nel suo, e avrebbe fatto di tutto perché quel loro legame potesse sopravvivere alla sua sciocca fantasia e ai suoi desideri sconvenienti. Pensò ancora per un attimo al custode che probabilmente in quel momento giaceva soddisfatto e addormentato nella tenda che doveva essere pregna dell’odore di lei, se lui fosse stato un poco più degno dell’elfa, sarebbe stato molto più facile rassegnarsi a tutto quello.
 
Si era fatta l’ora di andare, Solas aveva raggiunto Varric in una grande sala e aspettava con una certa emozione di veder comparire l’Inquisitore. Il nano negli ultimi tempi aveva iniziato a comportarsi in modo diverso dal solito, sebbene fosse sempre gioviale, Solas lo aveva visto farsi più attento, aveva l’impressione che spiasse ogni sua mossa, e cercasse di leggere le intenzioni dietro ogni suo gesto. Era diventato più protettivo del solito nei confronti dell’elfa, e Solas poteva bene immaginare che avesse a che fare con ciò che lei aveva visto e sentito nell’oblio.
Stava ascoltando il nano e Dorian chiacchierare del più e del meno in tono leggero e familiare, quando si accorse che Josephine e l’Inquisitore si stavano avvicinando.
Josephine aveva una smorfia capricciosa sul viso, era evidentemente infastidita da qualcosa. Solas immaginò che dovesse essere a causa dei vestiti che stava indossando. Le due donne indossavano un’identica uniforme di un rosso intenso e l’Inquisitore aveva un sorrisetto furbo e soddisfatto. Solas immaginò le due donne discutere e la giovane elfa avere la meglio sull’altra. Josephine aveva preparato per settimane abiti di mussola dalle lunghe gonne, che l’Inquisitore aveva sempre guardato con una certa diffidenza, arrivati al dunque aveva saputo, evidentemente, far valere le proprie ragioni.
Tutti indossavano la stessa uniforme formale, Inquisitore compreso e Solas era incredibilmente orgoglioso della scelta dell’elfa. Presentarsi a palazzo vestiti tutti nello stesso modo, avrebbe dato un chiaro messaggio a chiunque cercasse di leggere le loro intenzioni. L’Inquisizione, non distingueva per razza o per rango, chiunque, come la giovane dalish, avrebbe potuto ricoprire la carica più adatta in base alle proprie capacità e non per diritto di nascita. Elfo e umano potevano affermare di avere pienamente la stessa dignità, così come il ricco mercante e la ladra di strada.
Fare il loro ingresso tutti insieme nelle grandi sale del palazzo d’inverno di Halamshiral, aveva provocato l’effetto che Solas aveva sperato. I nobili erano scandalizzati e i servitori guardavano incuriositi. Nel corso della sera i servitori più attenti videro dame e signori inchinarsi davanti ad una giovane elfa dal portamento nobile ed orgoglioso. Videro quella stessa elfa non abbassare lo sguardo davanti a nessuno, essere ricevuta dall’imperatrice, ballare assieme alla contessa Florianne, ed infine strabiliare l’intera corte sventando una trama losca, volta a destabilizzare l’impero. Solas non avrebbe potuto sperare in niente di più dirompente. La nottata era stata un vero successo, solo la lama del rimorso che pungolava da qualche parte dentro di lui, aveva inacidito il sapore della sua vittoria. La prima volta si era palesata sottoforma di brivido lungo la schiena, quando un’elfa guardinga aveva attraversato la sala davanti a lui, ignorandolo, parlottando di nascosto con i servitori e poi scomparendo nell’ombra. Quell’elfa doveva essere la protetta di Felassan, l’amante dell’imperatrice. Briala. Solas, aveva visto l’ardore nel suo sguardo e aveva ripensato alle parole del suo amico, morto per mano sua, per difendere quella passione.  La seconda volta quella lama velenosa che covava dentro di lui, aveva messo a segno un colpo preciso che gli aveva fatto stringere il cuore. Si trovò infatti a pensare che la sua dolce amica era stata inconsapevolmente la sua più preziosa agente, giovando alla sua causa in una sola notte, più di quanto altri fidati agenti avevano fatto nel corso dei secoli. Era però diventato bravo ormai ad escludere dai pensieri quella parte così dolorosa, si ripeteva in ogni occasione che avrebbe trovato il modo per risolvere la situazione. Infondo lavoravano ancora avendo uno scopo comune, quindi poteva illudersi per il momento, di non stare tradendo la sua amica, in futuro poi, le cose sarebbero potute cambiare.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Segreti svelati ***


Segreti Svelati
 
 
Con il giusto lupo al tuo fianco qualunque foresta, di notte, è piena di rivelazioni.
(Fabrizio Caramagna)

 


XIX
Lena aveva ancora nella testa i colori e i suoni di quel grande palazzo. Aveva sentito dire da Leliana e Josephine che i balli in Orlais potevano essere letali, ma nessuno l’aveva preparata a quello che aveva visto. Aveva scoperto e sventato congiure, tradimenti e lotte intestine. Aveva imposto la collaborazione a quelle tre serpi, che avrebbero probabilmente continuato a cercare di accoltellarsi a vicenda di lì in avanti. Ma non aveva avuto cuore di mettere l’impero nelle mani di uno solo di quei crudeli imbroglioni. Sperava che sotto l’occhio vigile l’uno dell’altro, sarebbero riusciti a tenere a freno le proprie debolezze e a lavorare per quello che sarebbe dovuto essere il bene dell’impero.
Non appena mise piede a Skyhold ricevette, assieme agli aggiornamenti, la notizia che un’altra lettera dal suo clan era arrivata in sua assenza. Solas era con lei e sembrava aver compreso al volo la situazione, fu lui infatti a chiedere a Leliana il permesso di poter leggere in privato la lettera. La donna accettò senza esitare, Lena era convinta che in ogni caso ne conoscesse già il contenuto.
Poi Solas si offrì di accompagnarla nelle sue stanze e rimanere con lei mentre leggeva. Lena era contenta di aver finalmente ritrovato il suo amico, le faceva piacere la sua sollecitudine ed era sicura che avrebbe avuto bisogno di qualcuno con cui poter condividere qualunque cosa avesse trovato in quella lettera. Solas era senza dubbio la persona più adatta a questo scopo.
L’elfa si sedette sul bordo del letto e iniziò a leggere. Parola dopo parola la rabbia cresceva di più dentro di lei, tanto da accecarla.
Quell’orribile e ipocrita elfa aveva farcito la lettera di complimenti e false carinerie, che erano per Lena più sgradevoli di un insulto. Le poche righe erano senza dubbio per l’Inquisitore, non per la bambina che la guardiana aveva visto crescere senza dimostrarle mai un briciolo di empatia. Ora che aveva un titolo ed un esercito, Lena era divenuta degna della gentilezza dei Lavellan, quando era solo una ragazzina spaventata invece, aveva meritato il loro marchio. Non riuscì a trattenersi dallo strappare quella pagina piena di veleno.
“Da’len?”.
“Non chiamarmi così! Non ora!” Lena dovette stringere i pugni un po’ di più stropicciando i pezzi di quella lettera odiosa. Chiuse gli occhi per un istante. Si ricordava bene di quando Solas aveva iniziato a chiamarla così e ricordava anche che la prima volta era rimasta interdetta. Gli anziani del suo clan erano soliti rivolgersi a lei e agli altri giovani in quel modo, e sentire anche lontano dal proprio clan quelle parole, la disturbava. Pronunciata dall’amico però, l’antica lingua aveva un sapore diverso e ben presto prese confidenza con quel nomignolo gentile, infondo non era molto diverso dal “ragazzina”che le aveva affibbiato Varric.
Ma la guardiana non l’aveva mai chiamata così. Era stata l’unica, tra gli anziani, ad usare per lei il titolo che i giovani le avevano dato per schernirla. Fen’len, figlia del lupo, così l’aveva sempre chiamata quella donna, anche prima che le fossero imposti i vallaslin. Ed ora in quella lettera, aveva osato usare un nome che per Lena era divenuto tanto caro. Non doveva permetterle di rovinare una sola virgola della sua nuova vita.
“Scusami, non volevo prendermela con te. E’ che ho appena letto le stesse parole su questa lettera, non vorrei mai dover associare qualcuno di voi a loro”
“Cosa dice la lettera?”
“Hanno bisogno del mio aiuto. Per questo mi scrivono.” Lena non aveva voglia di ripetere quelle parole, quindi mise tra le mani dell’amico i due pezzi della lettera stracciata e si alzò. Si appoggiò alla finestra e rimase a guardare fuori.
“Mi dispiace, credo che ci sia qualcosa che non riesco a comprendere. Questa lettera sembra scritta in modo garbato e rispettoso, però ha provocato la tua rabbia più sincera. Cosa ci leggi tu?”
“Istimaethoriel, la guardiana, non è che un’arrivista manipolatrice. Sarebbe capace di giurare di aver visto il sole sorgere di notte, se questo potesse essere utile ai suoi scopi, e ben presto i suoi protetti inizierebbero a credere che sia la verità, e che anzi, anche loro erano presenti all’evento. Sa bene che i suoi trucchetti con me non hanno mai funzionato, ma è abbastanza furba da sapere che non posso essere sola a guidare l’inquisizione. Leggendo questa lettera, chiunque penserebbe a lei come una guardiana amorevole e premurosa, e nel caso in cui decidessi di non aiutarli, ne uscirei come un mostro.”
“Da’len, perché dovresti decidere di non aiutarli?” Solas si era avvicinato a lei e la scrutava ora guardandola negli occhi.
“Perché?! Per quale motivo dovrei decidere il contrario, semmai! Non sono mai stati la mia gente! Nel momento in cui sono riuscita a fuggire, ho bruciato ogni ponte, ho giurato a me stessa che non sarei mai tornata indietro, che non avrei più permesso neanche al mio pensiero di tornare a loro! Se fossi morta nell’esplosione del tempio o mi fossi ritrovata da sola in qualche enclave di una grande città, non si sarebbero ricordati della mia esistenza neanche per un momento!”
Lena sentiva di non riuscire più a controllare tutta quella rabbia, aveva pronunciato quelle ultime parole quasi urlando. Solas la guardava allibito: “Da’len, cosa ti hanno fatto?”
Lena sapeva che il mago tratteneva da lungo tempo quella domanda. Avrebbe voluto poter rispondere semplicemente, ma il dolore era bloccato dentro di lei e aveva paura di cosa sarebbe successo se gli avesse permesso di uscire. Solas la guardava attento, era davvero preoccupato per lei, chissà cosa aveva già capito semplicemente osservandola. Prese coraggio e iniziò a parlare, cercando il modo migliore per farsi comprendere: “Sai per tanto tempo non avrei saputo come rispondere alla tua domanda, ed anche ora non mi è facile. Da quando lei è divenuta guardiana la mia vita è stata un inferno. Ero molto legata al vecchio guardiano, e non apprezzai niente di ciò che fece al suo posto. Ma era brava a farsi ben volere dagli altri, riusciva a presentare le proprie decisioni in modo che fossero gradite a tutti. La mia voce era la sola fuori dal coro, ma ero poco più di una bambina al tempo, la mia voce contava davvero poco. Eppure la guardiana non apprezzava essere contraddetta, ben presto sfruttò il mio brutto carattere per isolarmi e in breve tempo per tutti non fui altro che…” Lena s’interruppe improvvisamente, la paura l’aveva bloccata ma Solas la osservava curioso. Riprese cercando di cambiare strada, non voleva arrivare a dover parlare di quello: “La mia vita, dopo morte del vecchio guardiano, è stata profondamente influenzata dal giudizio che il mio clan aveva di me e quel giudizio era incredibilmente ingiusto, solo che io non lo sapevo e mi sono pian piano trasformata in ciò che loro credevano che io fossi. Se uno specchio desse costantemente di te un'immagine sbagliata, a lungo andare sarebbe difficile capire in cosa quell'immagine differisce dalla realtà, e alla fine aderiresti tuo malgrado a quello che vedi. Per anni il mio clan mi ha dipinto come un essere selvatico, impossibile da avvicinare e da addomesticare, una persona caparbia e incapace di ascoltare, forse non troppo intelligente, sicuramente non adatta ad intessere relazioni. Mi sono convinta infine, di essere davvero così. Poi ho trovato voi, e ho scoperto invece di apprezzare la buona compagnia, di essere attenta ai bisogni altrui e ho scoperto ad esempio di essere una persona affettuosa. Prima di rispecchiarmi nei vostri occhi non sapevo di essere così, anche se non esserlo mi rendeva infelice” Parlando Lena aveva afferrato la mano dell’amico e aveva iniziato a giocherellare nervosamente con le sue dita.
“Per questo hai deciso di fuggire?” 
Lena si sentì arrossire violentemente, lasciò andare la mano dell’elfo e fece qualche passo verso il balcone. Appoggiò le mani al parapetto e lasciò lo sguardo vagare verso le montagne che dominavano oltre le mura della fortezza.
“No. Non è per questo.”
Solas l’aveva seguita, si appoggiò contro la balaustra dando le spalle all’orizzonte. La guardava dritta in volto, doveva aver notato il suo rossore. 
"Ero innamorata, mi sono sentita tradita e sono fuggita. Lo so è infantile, me ne vergogno"
Lena sentiva il rossore aumentare, Solas la fissava senza aprire bocca. Cosa stava pensando di lei in quel momento? Dopo la scenata che aveva fatto a Blackwall sulla gelosia e riguardo i suoi rapporti passati, Solas si era detto piacevolmente sorpreso da lei. Ora cosa avrebbe pensato? E se avesse frainteso tutto?  Inoltre dopo l’incidente nell’oblio, voleva davvero evitare che l’amico potesse pensare a lei come incoerente, puerile o incostante. Lena sentiva crescere il bisogno di spiegare, non voleva essere fraintesa, non voleva allontanare nuovamente da sé l'elfo, non voleva che lui rivedesse il suo giudizio su di lei. Di nuovo, non voleva deluderlo.
“E’ complicato da spiegare, mi sono sentita tradita perché le persone che amavo hanno tradito tutto ciò in cui credevo e in cui anche loro avevano giurato di credere. Per questo sono fuggita, e allontanatami dal clan, ho capito tutte le ingiustizie e le violenze subite. E’ stato un atto infantile ma si è rivelata la cosa giusta da fare”
Lena non riusciva a sostenere lo sguardo intenso dell’amico, che rimaneva in silenzio. Solas le si  avvicinò ancora di più e le prese il volto tra le mani costringendola ad alzare lo sguardo su di lui. Continuava a guardarla, quasi come se la vedesse per la prima volta e la stesse studiando. Lena riusciva a mala pena a trattenere l'emozione, le sue mani e la sua voce iniziarono a tremare. 
“Sono fuggita dal mio campo per questo, ma arrivata ad Haven ho capito di dover fuggire da tutto se volevo una possibilità di vivere una vita che fosse davvero solo mia, per un attimo ho creduto di poter trovare un altro clan, ma mi è stato reso fin troppo chiaro che non sarebbe cambiato nulla. Per fare in modo che potessi non dimenticare mai la mia posizione, hanno impresso su di me un marchio impossibile da rimuovere, hanno fatto in modo che qualunque dalish vedendomi potesse riconoscere ciò che loro credevano di vedere in me”. All’improvviso sentì di non voler più mentire, quindi confessò di getto: “Io sono stata consacrata a Fen'Harel, i miei vallaslin sono un tributo al dio degli inganni. Io sono la figlia del lupo” 
Lena vide Solas lasciare andare il suo viso e abbandonare le braccia lungo i fianchi. Lì dove le mani bollenti dell’ elfo si erano posate con dolcezza sentì un gelo improvviso. 
Lesse nello sguardo dell’amico, il disgusto e il disprezzo. 
Era finita. Il suo marchio l'aveva seguita fin qui. Aveva distrutto l'unica cosa bella della sua vita, avrebbe cancellato ogni ricordo di quella nuova Lena. Se quella era stata la reazione di chi dichiarava di disprezzare la cultura dalish, che cosa avrebbero pensato gli altri?
Sarebbe tornata ad essere sola, sarebbe tornata ad essere qualcosa che non voleva. Perché aveva parlato? Si allontanò. Non voleva rimanere lì, non voleva vedere quell’espressione sul volto di Solas. Rientrò nella sua stanza e si guardò intorno. Aveva uno scopo, lo avrebbe portato a termine, anche da sola, anche tra il disprezzo di tutti. Era forte, lo era sempre stata. Sarebbe sopravvissuta di nuovo. 
Scese veloce le scale, voleva uscire da quella stanza, voleva lasciare la fortezza per un po’, aveva voglia di bere fino a svenire e dormire fino a dimenticare qualunque cosa. Che la odiassero tutti. 
All'improvviso sentì qualcuno afferrarle la mano, Solas l'aveva raggiunta e la trattenne. Il suo sguardo era di fuoco e quando iniziò a parlare le sue parole avevano un tono appassionato che non gli aveva mai sentito.
“Non devi mai dubitare di te stessa, e non vergognarti mai di ciò che sei. Quei segni sul tuo viso non significano nulla per me e non significheranno nulla per nessun altro qui. Non ci sono antiche sciocchezze, che possano farci cambiare idea su di te.
Ma ci sarà sempre qualcuno che cercherà di screditarti, molti continueranno a fare di tutto per affossarti, devi essere forte, ti affibbieranno ruoli e nomi che non ti appartengono, cercheranno di gettare discredito su ciascuna delle tue buone azioni, ma questo solo perché sei troppo per loro. Non devi lasciarti vincere”
Lena sentì Solas afferrarle anche l’altra mano e stringerle insieme, non vi era più disprezzo nei suoi occhi ma qualcosa che Lena non fu in grado di decifrare.
“Hanno cercato a lungo di soffocare il fuoco che brucia dentro di te, ma finalmente è libero di divampare e tu puoi splendere con tutta la tua terribile forza. Qualunque cosa accada non dimenticarti chi sei, ora che lo hai scoperto e che hai capito di cosa sei capace non tornare indietro.” A quelle parole Lena si abbandonò contro la spalla dell’elfo abbracciandolo con gratitudine. L’amico preso di sorpresa, s’irrigidì per un attimo, ma poi rispose al suo abbraccio e prese teneramente ad accarezzarle la testa e la schiena.
Lena non si aspettava tanta partecipazione da parte del mago. Quelle parole erano state dette con passione e trasporto, il suo amico aveva completamente abbandonato quel suo atteggiamento sostenuto e si era invece infiammato di sdegno. Lena aveva sempre sospettato che ci fosse una brace ardente dietro quell’apparente algida serenità, ma vederlo incendiarsi in sua difesa la fece sentire confusa ed emozionata. “Ma serannas” non sapeva perché ma quelle parole le uscivano spesso nell’antica lingua, soprattutto se rivolte a Solas. Rimase ad ascoltare il ritmo del proprio cuore fondersi con quello dell’amico.
Chiuse gli occhi e inspirò a fondo quel profumo così rilassante e familiare. “Li aiuterò. Io non sono come loro, non li abbandonerò. Credi che potrò farlo senza dovermi mettere direttamente in contatto con loro?”
La risposta dell’amico risuonò nelle sue orecchie direttamente dal torace, come se fosse davvero il suo cuore a parlarle.
“Mia piccola saggia dalish, tu puoi fare tutto, hai un esercito ai tuoi piedi! Qualunque cosa deciderai sarà senza dubbio la cosa giusta”.
Solas continuava ad accarezzarla, e Lena si faceva più placida carezza dopo carezza. Sentiva un calore confortevole crescerle dentro, non avrebbe più voluto lasciare le braccia dell’amico.
 
 
 
XX
Il destino sapeva avere un’ironia davvero feroce.
A Solas tornò in mente la notte in cui il tempio era esploso, sembrava trascorsa una vita da quei giorni. Si ricordò di come avesse lasciato indignato e furente il campo dalish, dopo aver sentito ciò che alle sue orecchie era suonato come la più spregevole delle eresie. Vallaslin in onore di Fen’Harel, in onore del Temibile Lupo, che aveva fatto del poter di rimuovere quei marchi offensivi, una bandiera di libertà. Come avevano potuto quei bruti ignoranti, mal giudicare quei segni fino a quel punto?
Come avevano potuto offendere così il bel viso della sua dolce amica. Si ricordava di aver pensato che, nonostante il loro significato, quei segni erano in grado di esaltarne ancor più la bellezza, ma ora che li  vedeva con gli occhi di lei ne comprendeva il terribile affronto. Proprio lei era costretta a portare quel marchio tanto odiato. Tra tanti dalish, proprio lei doveva essere il simbolo vivente della stoltezza del suo popolo.
E nonostante tutto, alcuni agenti di Leliana erano impegnati in una missione in difesa di quei selvaggi.
L’Inquisitore era infatti stata di parola. Quel pomeriggio, mentre la teneva stretta a sé, aveva detto, con la testa appoggiata contro il suo cuore, che li avrebbe aiutati ma che non lo avrebbe fatto in prima persona. Solas tremava ripensando a quei pochi momenti, a quanto fosse stato vicino dal tradirsi definitivamente, a come il calore del corpo di lei contro il suo, avesse per un attimo obliato il resto del mondo, dandogli le vertigini.
Ma il momento era passato, ed ora erano impegnati una missione che lo interessava molto.
Dorian aveva infatti preso contatti con alcuni contrabbandieri del suo paese, che avevano assicurato di poter procurare informazioni riguardanti Corypheus. Gli agenti dell’inquisizione avevano scoperto che le origini di quel peculiare prole oscura si perdevano indietro nell’antico Tevinter e i contatti del mago, giuravano di poter risalire alla sua famiglia e alla sua storia.
Un piccolo baule pieno di antichi tomi stava viaggiando in quel momento in direzione di Kirkwall, Solas non voleva perdere l'occasione di vagliarne i contenuti.
L’inquisizione aveva discusso a lungo su come affrontare quella missione. Leliana avrebbe voluto mandare alcuni suoi agenti, Josephine non aveva contatti a Kirkwall ma ne aveva a Starkhaven e sarebbero potuti essere d’aiuto. Cullen, sosteneva la necessità di non affidare a terzi una missione tanto delicata e l'Inquisitore si trovò d’accordo con il comandante.
Il luogo e la natura della missione rendeva la maggior parte del ristretto entourage dell’elfa poco adatto al ruolo. Se avessero saputo di avere a che fare con l’Inquisizione, i contrabbandieri sarebbero fuggiti. C’era bisogno di qualcuno che sapesse tenere un basso profilo, che non fosse conosciuto in città e che fosse in grado di mantenere la calma. Facendo le deduzioni del caso gli unici adatti alla missione risultarono Cole, l’Inquisitore e lo stesso Solas. Il mago aveva temuto di dover viaggiare con Blackwall, ma fortunatamente la mancanza di autocontrollo dell’uomo in quella occasione aveva giocato in suo favore.
Poter viaggiare solo con Cole e la sua giovane amica, lo metteva di ottimo umore. Conversare con il ragazzo era sempre un’occasione per scoprire cose nuove e per condividere opinioni riguardo quel mondo diviso su cui lui aveva ancora molti dubbi. Viaggiare con lei era semplicemente tutto ciò che poteva desiderare. Lontana da Skyhold, tra i boschi, l’Inquisitore si animava di una luce nuova, gli occhi splendevano intensi, le sue guance si coloravano e si coprivano di piccole graziosissime lentiggini. Lontana dalle tante responsabilità, si trasformava effettivamente e per un poco in una giovane dalish, conservando però di quell’odioso popolo, solo i tratti più affascinanti e vagamente esotici.
Due giorni di cammino li separavano dalla costa e da lì avrebbero preso una nave che li avrebbe velocemente condotti a Kirkwall.
Speravano di essere di ritorno a Skyhold dopo non più di 6 o sette giorni. Altre missioni li attendevano, e più di ogni altra cosa l’Inquisitore era impaziente di raggiungere Hawke, che aveva dato finalmente notizia di sé e del custode con cui era in contatto.
Con l’approssimarsi delle tenebre, dopo una lunga giornata di cammino, la compagnia si era fatta laconica e ciascuno sedeva perso nei propri pensieri.
“È piacevole stare con te, in questi giorni il tuo cuore canta. E’ come sdraiarsi su un prato in piena estate ad ascoltarle i grilli”. Cole aveva parlato all’improvviso, rivolto alla ragazza. 
Lena gli sorrise con dolcezza “Grazie Cole, stare con te è sempre piacevole”
“Grazie. Lo credi davvero”
Quella del ragazzo non era una domanda. Effettivamente trascorrere del tempo con Cole era estremamente piacevole, lo spirito era attento a tutto, fin nei minimi dettagli e sapeva farsi carico di chiunque gli stesse accanto. Viaggiare con lui voleva dire potersi abbandonare completamente nelle sue mani e lasciarsi curare dalle sue parole e dalle sue silenziose premure. Solas si trovò a pensare che dovesse essere ancor più piacevole stare con lui per chi non aveva segreti da nascondere. In sua compagnia, il mago era invece costretto a mantenere una certa concentrazione, per impedire che le sue memorie più profonde turbassero l’amico. Doveva con rammarico riconoscere che le sue, non erano pene che il ragazzo potesse lenire.
“Dovresti ringraziare Solas, se stai così bene con me, credo sia merito suo se il mio umore è così buono” L’inquisitore aveva parlato in modo molto serio cercando lo sguardo del mago. Solas rimase interdetto, cosa voleva dire? Stava cercando un modo per nascondere la sua storia con Blackwall al ragazzo? Non poteva aver così mal giudicato il ragazzo da pensare di poterlo fare. 
“Non credo che Cole possa rimanere sconvolto nel conoscere la verità” Solas sentiva di essere stato un po’ troppo rigido nel tono, ma non erano espedienti degni della sua amica quelli, e lui se ne sentiva un poco deluso.
Lena lo guardava ora con aria interrogativa. Era strano per loro non comprendersi al volo. 
“Ma questa è la verità. Tu sei stato accogliente e paziente con me, più di chiunque altro. Mi hai ascoltata senza giudicare e mi hai fatto finalmente sentire in pace con me stessa. Ora sento di non dover più nascondere o temere nulla. Tu cosa intendi?”
Solas era imbarazzato. 
“Veramente credevo riguardasse il custode. Sai…vi ho visti insieme”. Pronunciando quelle parole Solas sentì un brivido percorrergli la schiena, e dovette fare uno sforzo enorme per ricacciare indietro immagini inadeguate. Si era aspettato di vedere arrossire l’amica, invece lei scoppiò in un’allegra risata. “Potresti avere ragione. Per favore non raccontategli che non ho pensato a lui, ne farebbe un dramma”
“Sei felice?” Solas lo chiese a bruciapelo, e fu scosso nell’ascoltare il suono di quelle parole, come se non fosse stata la sua stessa voce a pronunciarle.
“Credo di sì” La ragazza aveva risposto con semplicità, guardandolo dritto negli occhi. Questo poteva bastare. Rimase per un po’ a guardare il fuoco danzare all’interno del piccolo circolo di pietre, ma era ormai giunta l’ora di andare a dormire e Solas fu colto impreparato. Cole non aveva bisogno di dormire e si offrì quindi di rimanere di guardia per l’intera nottata. Il mago sentiva la bocca farsi asciutta e la gola stringersi fino a fargli mancare il respiro. L’elfa si alzò stiracchiando pigramente le braccia e le spalle, augurò la buona notte e scomparve all’interno della tenda, lui era invece rimasto pietrificato davanti al fuoco.
“Non hai sonno?” La voce di Cole lo raggiunse da una distanza che sembrava incolmabile. Faticò a prestare attenzione alle parole dell’ amico. Poi risoluto, non volendo che le sue parole giungessero alle orecchie dell’Inquisitore, sussurrò: “Credo che dormirò qui accanto al fuoco questa notte” Avrebbe voluto aggiungere un qualche tipo di giustificazione, ma desistette. Con Cole non era necessario.
“La notte è lunga, il sonno è di conforto, ma sfugge. Immagini proibite. Non devo pensarla. Il suo profumo mi stordisce, la sua pelle calda. Vattene dalla mia testa. Restami accanto. Mi basta una carezza, uno sguardo”
Solas chiuse gli occhi, cercando di celare più a fondo quei pensieri, non voleva che Cole frugasse in essi, anche per quelli non vi era sollievo.
Il ragazzo riprese: “Io non posso alleviare questo dolore, ma lei sì. Perché non vai da lei?”
Lo sguardo di Cole era limpido e sincero, era probabile che non mentisse, che non comprendesse davvero la complessità della situazione. Gli rivolse un sorriso amaro e disse “Non posso. Lei non può fare niente per me. Averla accanto non aiuterebbe, passerei inutilmente un’altra notte insonne. Ho bisogno di riposare invece”
“Non capisco” Cole sapeva essere irritante a volte, su questo doveva concordare con Blackwall.
“Lei non vuole le mie carezze e i miei sguardi, sono la pelle e il profumo di qualcun altro quelli per cui sospira, starle accanto sarebbe una tortura” Solas aveva faticato a mantenere basso il proprio tono di voce pronunciando quelle ultime parole. Cole rimase in silenzio, pensieroso forse. Il mago cercò un mantello in cui avvolgersi e si sdraiò, sperando che la carezza del fuoco lo aiutasse ad addormentarsi.
“I suoi occhi scrutano, le sue parole curano, le sue braccia proteggono. Tienimi tra le tue braccia ancora un poco, non allontanarmi. Il suo profumo è un balsamo. Come farò quando andrà via? Ma lui rimarrà, lo ha promesso. Quando mi sveglierò sarà qui per me” Solas chiuse gli occhi, non riconosceva in quelle parole del ragazzo i propri pensieri. Possibile fossero quelli dell’elfa? Riconosceva, le parole della promessa che lui le aveva fatto. Che quei pensieri fossero per lui?
Un nuovo tipo di confusione lo afferrò. Poteva davvero la sua bella amica, pensare a lui con tanta tenerezza? Cosa sarebbe accaduto se un giorno si fosse accorto che quella splendida giovane creatura, ricambiava anche solo un briciolo dei sentimenti che lui provava per lei? No, sarebbe stato semplicemente terribile. Poteva rischiare tutto finché la posta in gioco era il suo cuore, il suo dolore, non avrebbe mai potuto rischiare quelli dell’amica. Si addormentò a fatica e quando si risvegliò con le prime luci dell’alba, si sentì più stanco di quando si era coricato. Due grandi occhi verdi, luminosi e sorridenti lo guardavano divertiti. “Buon giorno! Ti sei addormentato qui fuori ieri sera” e dopo un momento aggiunse “Non ti hanno mai detto, che con l’avanzare dell’età non si possono più passare le notti sotto le stelle? E’ per questo che portiamo le tende!” La giovane doveva aver capito che la sua schiena era dolorante e che muovere anche solo un dito quella mattina, era per lui una vera sofferenza. La sua bella dalish era accovacciata accanto a lui con un’aria canzonatoria che lo mise subito di buon umore, nonostante il malessere fisico.
Il sole come al solito allontanava tutte le ombre. Era sopravvissuto alla prima notte lì fuori con la sua dolcissima torturatrice.
Si misero in viaggio e sul far della sera raggiunsero la costa. Era stata una giornata serena, fatta di poche chiacchiere e di lunghi confortevoli silenzi. Rimediarono a fatica un passaggio su un piccolo mercantile,viaggiare in incognito era difficile per due elfi e un ragazzino che sembrava appena uscito dai vicoli più malfamati di chissà quale grande città. Non vi erano cuccette per loro, il capitano disse bruscamente che avrebbero dovuto accontentarsi della stiva. Solas tratteneva a stento la rabbia per quell’atteggiamento immotivatamente ostile, Cole e Lena invece sembravano non dare peso ai modi di quell’uomo superbo, entrambi non avevano mai preso una nave prima di allora ed erano evidentemente emozionati.
Per l’Inquisitore l’emozione svanì presto. Levati gli ormeggi infatti, divenne piuttosto chiaro che l’elfa soffrisse tremendamente il mal di mare. Il viaggio sarebbe durato tutta la notte e per buona parte della mattinata successiva e Solas immaginò che non sarebbe stato un viaggio piacevole.
Il colorito pallido della pelle della sua bella dalish, aveva lasciato il posto ad un incarnato livido, quasi grigiastro. Gli occhi le si arrossarono a causa dei continui conati e i capelli le si incollarono alla pelle del volto, gelida ma sudata.
Solas aveva tentato di tutto per farla stare meglio ma nessun incantesimo sembrava avere effetto.
“Cole cosa si prova ad essere te?” Solas intuì che l’elfa stesse cercando di tranquillizzare Cole che la guardava afflitto senza sapere come intervenire, ma il ragazzo non aveva intenzione di collaborare: “Cosa si prova ad essere te?” ripetè.
L’inquisitore lo guardò, il viso disfatto ma lo sguardo divertito “Al momento uno schifezza. Preferirei essere uno spirito, gli spiriti non soffrono il mal di mare”
“No non lo soffrono. Ma ci sono molte cose per cui non soffrono. Se vivi troppo a lungo, dimentichi cose come la sofferenza, la compassione, l’empatia. Perdi i dettagli nella visione d’insieme”
“Ma è l’insieme che conta, infondo” Solas aveva risposto d’istinto, e vide il viso del ragazzo contorcersi in una smorfia di sdegno e disgusto
“No! I dettagli sono l’importante. I crampi della fame, la tensione di un desiderio, la gioia della partenza. Una volta credevo ci fosse solo l’insieme. Il buio e la disperazione, una vita non degna di essere vissuta. Poi ho visto i dettagli e mi hanno abbagliato. Un sorriso, il profumo del pane tostato, il tono familiare di una voce gentile, queste cose contano. Senza i dettagli c’è solo nebbia, se c’è angoscia c’è solo quella. Ho tolto tante vite per questo. Se dovessi dimenticarlo di nuovo fermatemi”
Solas chiese ancora: “Come hai fatto a capire tutto questo?”
“Ho trovato degli amici”
Era semplice. Un ragionamento lineare. Ma se i dettagli corrompessero l’insieme anziché nobilitarlo? Non è forse giusto in questo caso debellare interamente la piaga?
Cole lo guardava in tralice come tante volte, e Solas si sforzò di allontanare da sé quei pensieri. Il ragazzo non doveva vedere.
Alla fine anche l’Inquisitore si era addormentata e Solas aveva potuto chiudere gli occhi su quella strana nottata.
Una volta sbarcati, l’Inquisitore tornò presto in forma e poterono finalmente dare inizio alla loro missione.
I due contrabbandieri erano attesi per l’indomani, ma era fondamentale una rapida ispezione del luogo dello scambio, non conoscevano la città ed era importante capire cosa si sarebbero dovuti aspettare.
Girando tra le strade di Kirkwall, a Solas apparve lampante il banale errore di valutazione in cui l’inquisizione intera era incappata affidando loro quella missione. Kirkwall era una terra di schiavisti. Sebbene la schiavitù fosse stata abolita in città, carichi di elfi lasciavano regolarmente la città alla volta del Tevinter. Loro si aggiravano senza vessilli e nascondendo le armi, Cole poteva passare inosservato, ma due elfi da soli, relativamente ben vestiti e apparentemente forti, fieri e in buona salute, erano destinati a dare nell’occhio. Non fu difficile infatti notare sguardi calcolatori farsi apertamente insistenti. Solas si fece sempre più inquieto con il proseguire del giorno, propose quindi di trovare una locanda prima che divenisse buio. Dovettero faticare non poco per ottenere una stanza in una delle peggiori bettole della città inferiore, e dovettero pagarla più del doppio del normale valore. Anche questo, Solas poteva immaginare, avrebbe attirato sguardi.
Mangiarono uno stufato annacquato ed insipido di cui gli ingredienti rimasero fortunatamente sconosciuti e si ritirarono in fretta nella stanzetta. Era misera e sporca come il mago si era aspettato, ma sembrava avere un buon chiavistello. Ed era un lusso a cui non avrebbe rinunciato in quelle condizioni. La piccola candela che l’oste gli aveva consegnato si sarebbe consumata presto, al buio la stanza sarebbe stata accettabile.
“Abbiamo bisogno di abiti meno appariscenti” L’Inquisitore aveva probabilmente fatto le sue stesse osservazioni.
“Io posso trovarne” disse Cole. “Domani mattina ve ne farò trovare di nuovi”
Il ragazzo si sedette davanti alla piccola finestrella e si mise a studiare la strada. Ogni tanto riportava brandelli di pensieri di qualche passante. La fame e il freddo erano senza dubbio il problema ricorrente in quelle vie e Solas non poteva esserne stupito. Quanti fratelli vivevano in quelle condizioni, ritenendosi magari fortunati per non essere finiti in catene, schiavi di qualche arrogante magister?
La sua bella e libera dalish di contro, era sdraiata sul misero lettino e fissava il soffitto con aria assorta. Chissà cosa pensava? Era preoccupata per la missione? O forse anche lei rifletteva sul destino della sua gente? Infondo se non fosse rimasta coinvolta nell’esplosione del tempio, sarebbe potuta  finire anche lei in un’enclave, vivendo ora nelle stesse condizioni di quei poveretti lì fuori. O peggio. Solas sapeva che una bellezza come la sua non sarebbe passata inosservata troppo a lungo. Non voleva soffermarsi su quegli oscuri pensieri. Anche solo poter immaginare una fine del genere per la sua amica lo faceva ribollire di rabbia, rafforzando ancor di più i suoi propositi  sovversivi.
“E’ tardi” disse per allontanare i terribili pensieri “domani sarà una giornata faticosa. Dobbiamo riposare”
Prese una coperta lurida e sdrucita e si preparò a sdraiarsi ai piedi del letto. “Buonanotte da’len”
Lo sguardo le cadde sulla giovane elfa, che alle sue parole si era fatta su un lato del piccolo letto, aspettandosi probabilmente di doverlo condividere con lui. La vista di Solas si annebbiò per un momento. Come se non avesse notato il gesto dell’amica sistemò la coperta a terra.  “Che fai? C’è spazio per entrambi nel letto” La guardò. Solas non sapeva cosa l’elfa avesse visto nel suo sguardo ma improvvisamente sembrò in imbarazzo. “Forza, non essere sciocco, se possiamo condividere una tenda possiamo condividere il letto.”
Il volto dell’elfa si imporporò all’improvviso. Aveva forse realizzato che poteva esserci un motivo se lui aveva trascorso la notte accanto al fuoco, anziché nella tenda? Sembrò però superare presto la confusione: “E comunque, se qualcuno deve dormire a terra, non vedo perché dovresti essere tu” Il viso di lei aveva ripreso il normale colorito, ed ora gli occhi ardevano per il disappunto. Solas la vide prendere un’altra coperta e sistemarsi a terra accanto a lui. “Buona notte” le parole uscirono come un graffio. Solas si trovò davanti la massa di capelli dell’elfa. Non poté che sorridere della sua testardaggine. Si alzò, spinse l’elfa a girarsi verso di lui e la sollevò tra le braccia. Lei accennò appena a ribellarsi. Nel giro di un attimo, la sistemò sul letto e si sdraiò accanto a lei, augurandole di nuovo la buona notte e dandole le spalle. Solas fissava lo sguardo dritto davanti a sé, attento a non muovere un muscolo, come se il più piccolo movimento avesse potuto svelare i suoi pensieri all’amica. Un minuto dopo, l’elfa con un movimento lento si rannicchiò contro la sua schiena. Poteva sentire il respiro di lei condensarsi sulla sua casacca all’altezza delle scapole, era tentato di girarsi ed abbracciarla. Ma riuscì a resistere. Almeno per un po’. Poi la notte sopraggiunse come sempre a scompaginare i pensieri. L’istinto era più forte della ragione. Si voltò e si trovò davanti due grandi occhi incredibilmente vigili. Sembrava essere stata colta di sorpresa, forse anche lei si aspettava di trovare l’altro addormentato. Senza che nessuno dei due dicesse una parola, Solas fece passare un braccio attorno al collo dell’elfa, che adagiò la testa sul suo petto. Lui la strinse in silenzio e lei posò una mano sul suo cuore. Senza dubbio avrebbe percepito il martellare del suo battito, ma non poteva fare niente per impedirlo.
Solas non avrebbe saputo dire per quanto tempo era rimasto sveglio ad assaporare quel momento sublime inebriandosi del calore di lei, cercando di rimanere ancor più immobile di prima, per paura di tradire il desiderio struggente che si era impadronito di lui. Infine doveva essersi abbandonato al sonno, perché si risvegliò la mattina successiva, in quella stessa identica posizione. La luce che filtrava tra i battenti giocava con i riccioli rossi di lei. Solas sentiva su di sé la colpa di una notte proibita, senza che quella notte ci fosse effettivamente stata. Cercò di scivolare lentamente fuori da quell’abbraccio nocivo, il braccio immobilizzato tanto a lungo formicolava fastidiosamente. Cole aveva compiuto la sua missione, sul bordo del letto erano ripiegati due abiti consunti. Solas si era completamente dimenticato di lui per tutta la notte, chissà cosa doveva aver visto, cosa doveva aver sentito. Si stupì di vedere la giovane elfa dormire ancora, era sempre stata ben più che mattiniera, la guardò per un istante. Non poteva rimanere ancora nella stanza, doveva uscire, doveva respirare dell’aria che non fosse colma dell’odore di lei. Quella mattina non sarebbe bastata la luce del sole per dissipare la nebbia dei suoi tormenti. Avrebbe avuto bisogno anche lui di una tazza di tè. Solo che lui odiava il tè.
Si sedette ad un tavolo e ordinò l’orribile bevanda. La servirono con del pane stantio e lui lo sbocconcellò per un po’ senza prestare davvero attenzione al suo sapore atroce. Ben presto l’elfa lo raggiunse, aveva l’impressione che dentro quegli abiti così miseri la sua bellezza risaltasse ancora di più, come per contrasto. Fecero colazione in silenzio, poi uscendo dalla locanda ritrovarono Cole e si diressero al luogo dell’appuntamento. Una piazzetta nel quartiere del porto, chiusa su tre lati e raggiungibile da un unico strettissimo vicolo. Nonostante le apparenze, vi era un buon via vai. Sulla piazzetta affacciavano numerosi magazzini e tutti dovevano avere un secondo accesso probabilmente sul mare.
Vi erano anche due guardie e Solas si tranquillizzò vedendole. L’elfa era appoggiata con le spalle al muro di un vecchio magazzino, aveva il cappuccio del logoro mantello ben tirato sulla testa, doveva avere dei pugnali da qualche parte, ma erano evidentemente ben nascosti. Le due guardie iniziarono a passeggiare davanti a loro e Solas capì presto che la sua bella accompagnatrice aveva destato l’attenzione dei due uomini. I suoi sensi si fecero all’erta. I due uomini si fermarono alla fine a pochi passi da loro e iniziarono a parlottare, lanciarono commenti sgradevoli in direzione della sua amica, che continuò a tenere un’aria apparentemente disinvolta.
“Guardala bene, non è un’elfa delle enclavi, ha quegli strani tatuaggi. Deve essere una dalish, sai cosa si dice di quelle selvagge? Un mio amico ne ha trovata una in un bordello una volta” continuarono a confabulare per un po’ accompagnando alle orribili parole, gesti volgari. Ad un tratto i due risero fragorosamente e si avvicinarono di un passo. Solas vide la mascella della sua amica contrarsi, doveva costarle tantissimo mantenere quell’aria impassibile. Quando uno dei due uomini si rivolse direttamente all’amica, Solas sentì le mani formicolare ed una scintilla attraversargli il palmo. Il fuoco dentro di lui stava prendendo il sopravvento. Lei gli afferrò la mano, come per nasconderla, e si strinse un poco di più a lui. Lui la abbracciò di rimando, ma questa dovette sembrare una provocazione ai due uomini che iniziarono coll’insultare anche lui e passarono poi più apertamente all’azione. Uno dei due spintonò Solas facendolo allontanare da lei. L’altro afferrò Lena per la vita e se la attirò contro il bacino. Solas non riuscì a fermarsi. Un onda di energia lasciò la sua mano, e forte come un pugno colpì l’uomo che aveva afferrato l’Inquisitore. “Un mago!” I ricordi della distruzione della chiesa erano chiaramente ancora freschi nelle menti dei cittadini di Kirkwall, perché all’udire quel grido si scatenò il terrore generale. Le guardie sfoderarono le spade e presto altri quattro soldati si unirono ai primi due. A  quel punto Lena si tolse il mantello e alzò in alto la mano marchiata che riluceva di una luce verdognola. “Sono l’Inquisitore. Questo mago è con me. Eravamo in missione, e questi due soldati hanno fatto saltare la nostra copertura importunandoci. Lasciateci andare, o dovrete vedervela con il nostro esercito, e suppongo anche con il vostro capitano”. Solas vedendo la reazione dei soldati, suppose che i soldati temessero maggiormente la vecchia amica di Varric che l’esercito dell’Inquisizione. In tutta quella confusione Cole era rimasto un osservatore non visto ma ora gli si  fece accanto per accertarsi che stesse bene, doveva aver sentito la sua furia. La missione era fallita, i contrabbandieri non sarebbero usciti allo scoperto dopo quel marasma. Questo significava però poter tornare in fretta verso Skyhold. Grazie all’intervento del capitano delle guardie, ottennero un passaggio su una nave passeggeri diretta verso il Ferelden. Ognuno di loro ebbe una piccolissima cabina tutta per sé. L’inquisitore riuscì a rimediare una pozione che la fece addormentare non appena messo piede sulla nave e Solas poté riposare.
Il viaggio di ritorno fu tranquillo. L’inquisitore era silenziosa, persa dietro i propri pensieri, e Solas si intrattenne a lungo con Cole. Avevano ancora una notte da trascorrere lontani da Skyhold, e l’inquisitore la passò accanto al fuoco. Solas non disse niente, e si sistemò in tenda, riuscendo comunque a dormire pochissimo. Il giorno seguente finalmente fecero ritorno a Skyhold. Tutto poteva ricominciare a scorrere normalmente.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Confondere le tracce ***


XXI
“Sei davvero un piccolo demonietto!”
La voce di Blackwall era roca e profonda. Il custode aveva ancora il respiro corto e non smetteva di baciare la nuca e la schiena di Lena, né di accarezzare la sua pelle nuda. 
L'elfa giaceva languida su un fianco e si beava delle carezze dell'uomo. Aveva accolto le sue parole con piacevole sorpresa, il custode era infatti solitamente silenzioso in quei momenti e Lena apprezzava molto quel piccolo gesto di apertura. 
“Sai non dovresti scherzare troppo su questo punto. In molti giurano di avermi vista uscire da uno di quegli squarci, potrei benissimo essere un demone”.
Blackwall rise. Come era bella la sua risata quando erano soli. Era così diversa da quella che Lena gli aveva visto nelle lunghe serate passate in taverna, meno chiassosa, più posata, più profonda, più vera. 
“Se fossi davvero un demone, vedrei spiegate molte cose. Ad esempio riguardo il perché tu sia così diversa da tutte le donne che ho conosciuto”
“Sai che possono esserci due facili spiegazioni per questo? Potresti aver conosciuto molte poche donne, o aver avuto amanti sempre troppo simili”
Blackwall rise ancora. “Effettivamente non ho mai dato peso alla varietà”
“Ed io che credevo che i custodi facessero un vita quasi monastica”
“Ho avuto una vita prima di diventare custode” disse lui con improvvisa freddezza, poi riprese con un tono più morbido: “Ma tu? Non riesco a togliermi dalla testa l’immagine di un viso infuriato che mi grida contro di un amore turbolento e contrastato. Qual è la tua storia demonietto? Cosa ti ha portato fino a me?”
Lena si rabbuiò per un attimo. L’immagine di Menia le si era affacciata alla mente e per quanto cercasse di scacciarla, due grandi occhi scuri e profondissimi continuavano a scrutarla.
“E’ una storia triste. Non credo sia adatta a questo momento”
“Non ci sarà mai un momento migliore. Ora sono talmente felice da poter affrontare qualunque cosa”
Lena si voltò per poter guardare il custode negli occhi. 
L’uomo aveva nei profondi occhi grigi una placida serenità, i lineamenti erano distesi e la sua pelle ancora umida di sudore riluceva leggermente al tenue chiarore della candela. 
Lena con la punta delle dita iniziò a disegnare volute e ghirigori sul torace del custode, che chiuse gli occhi e si abbandonò a quel piacere così innocente e intimo. Preparandosi a raccontare appoggiò la testa contro la spalla del custode. Solo per un attimo, le tornò alla mente una spalla diversa, nascosta sotto una stoffa ruvida, e un odore confortante, respirato al buio di una stanzetta sudicia. Perché proprio in quel momento? Scacciò il pensiero in profondità e si abbandonò ad altri ricordi, più vecchi, meno imprudenti. Prese a raccontare della sua infanzia tranquilla e allegra. Raccontò di Menia, di come quella bambina tanto responsabile e assennata fosse lentamente entrata nella sua vita e nel suo cuore, lasciandovi un segno indelebile. 
La scoperta di avere dei poteri magici, l’aveva probabilmente costretta a crescere in fretta ed era diventata la compagna perfetta per la scapestrata, piccola Lena. Al contrario della sua amica, lei era rimasta bambina anche troppo a lungo. Erano già quasi adolescenti e Menia era ancora costretta, pressoché ogni giorno, a fare pratica di arti curative su di lei, per evitarle di essere punita dagli adulti o per evitare che orgogliosa ed ostinata portasse in giro le sue ferite come una bandiera. 
Con lei tutto era stato spontaneo e naturale. Così la notte in cui Menia, intimorita dalla tempesta, si era stretta a lei sotto le coperte e aveva per la prima volta posato le labbra sulle sue, Lena aveva pensato che non potesse esserci niente di più giusto, naturale e piacevole. Aveva scoperto di amare il sapore caldo e dolce dell'amica, come  amava la frutta essiccata che a volte gli anziani le regalavano nei giorni di festa. 
La loro relazione era cresciuta pian piano, mano a mano che loro divenivano grandi. Avevano iniziato a scoprire il proprio corpo scoprendo quello dell'altra, le carezze si erano lentamente fatte più consapevoli così come lo diventavano i desideri e avevano presto scoperto di non poter fare a meno l'una dell'altra. 
Menia era stata tutto per lei per così tanto tempo, che a volte non si capacitava, ancora oggi, che lei non fosse più parte della sua vita. 
Lena si era fatta sempre più malinconica man mano che andava avanti con il racconto. Blackwall doveva averlo capito, perché interruppe improvvisamente il flusso delle parole “Ma avevi parlato anche di un ragazzo. C’è stato anche un ragazzo, vero? Io non sono il primo?” gli occhi di Blackwall erano tornati ad accendersi, e la sua voce sembrava vibrare di un’eccitazione, che Lena non riusciva comprendere.
“Cambierebbe qualcosa se fosse così?” Il volto del custode si era imporporato all’improvviso
“Ho davvero l’impressione di parlare con un bambino a volte. Vorrei davvero sapere che tipo di donne hai frequentato finora”"
“Dame orlaisiane per lo più,  o qualche giovinetta dei liberi confini. Ma è passato molto tempo, potrebbero essere cambiate alcune cose. Sicuramente non avevo mai conosciuto una dalish”
Lena sentì un fastidio senza nome farsi strada nella sua testa. Non voleva dargli peso, non voleva puntare l'attenzione sul modo superficiale che l’uomo aveva a volte nel giudicare le cose. Non voleva litigare in quel momento e allora riprese a raccontare. 

Tallis era un ragazzino fastidioso, sapeva sempre come provocarla e farla uscire fuori dai gangheri. Le zuffe che ne scaturivano erano la causa più frequente che spingeva Lena ad aver bisogno delle cure di Menia. 
E man mano che crescevano il suo modo di essere irritante e provocatorio diveniva più accurato, andava sempre più a colpire nel segno. 
Menia, che aveva sempre avuto per Tallis un’attenzione speciale, aveva iniziato a capire che quel modo scientifico di contrariare la sua amica, doveva prevedere un’accurata osservazione ed uno studio costante. Non fu difficile per lei capire che l’unico ragazzo che avesse mai attirato il suo interesse, era in realtà innamorato della ragazza che era sua migliore amica e sua amante. 
Lena non era mai riuscita a capire cosa Menia trovasse in quel ragazzino pestifero, finché un giorno non li vide chiacchierare da soli. Quando era con lei, Tallis aveva un altro sguardo, il suo sorriso non aveva niente di irrisorio, la ascoltava attento quasi rapito dalle parole di lei. Quella notte Menia le confessò di essere innamorata di lui. Non era strano tra la sua gente ammettere di poter essere innamorati di più persone. Riconoscere che i sentimenti non seguono strade tracciate da regole sociali, era forse uno dei punti di forza della sua gente, ed infondo non vi è popolo al mondo che possa negarlo. Se il cuore non seguisse strade uniche ed imperscrutabili, se fosse prono al sentire comune, non ci sarebbe bisogno di leggi e contratti che lo vincolino e lo forzino verso ciò che la società ritiene accettabile. Vero è che l’amore è un sentimento complesso e non è da tutti saperlo riconoscere e gestire, cercando di non mancare mai di rispetto all’altro. Per questo spesso erano gli adulti a dover fare i conti con i complessi sentieri che il cuore percorre, ma Lena sapeva che Menia aveva sempre avuto una saggezza che andava oltre la sua età e neanche per un momento aveva pensato che l’amore di lei per Tallis, avrebbe intralciato il loro bel rapporto. Loro due si amavano in un modo unico e profondo, nessuno avrebbe mai potuto allontanarle. E ripensandoci anche a distanza di anni, non era certo stato l’amore di Menia per Tallis ad allontanarle.
Quella notte Menia le fece promettere che avrebbe cercato di conoscerlo meglio e di non allontanarlo. 
Poco tempo dopo il vecchio guardiano morì e la sua vita iniziò a cambiare radicalmente. Menia diventò il suo baluardo nei confronti del resto del mondo. Tallis fu l’unico a non cambiare atteggiamento verso di lei, continuando a battersi con lei per delle sciocchezze come aveva sempre fatto. Fu lui che, proprio in quei giorni, iniziò a chiamarla Fen’len, ma a quel tempo non aveva ancora i suoi tatuaggi e il suo nomignolo allora le era sembrato quasi apprezzabile. I lupi erano animali selvaggi, sì, ma senza dubbio fieri e degni di rispetto.
Il giorno dei funerali Lena fuggì dal campo. Era notte fonda quando vide Tallis sbucare dai cespugli. L’accusò di essere una codarda, di aver abbandonato il guardiano nel suo ultimo viaggio, le disse che da quel momento in poi gli altri l’avrebbero trattata per quello che aveva dimostrato di essere. Lena ricordava la furia con cui lo aveva colpito. Lui non si era difeso, la lasciò sfogare e quando lei si fu infine accasciata ai suoi piedi in lacrime, l’aveva presa tra le braccia e l’aveva baciata. Non riusciva a non pensare ad un bacio di Tallis che non avesse il sapore delle lacrime o del sangue. 
Da quel giorno i tre erano divenuti inseparabili. Menia e Tallis avevano fatto tutto quanto era in loro potere per farla sentire protetta e per combattere quel suo brutto carattere, Lena aveva fatto qualunque cosa per loro, grata del loro affetto, come di un dono immeritato. Fino al momento in cui anche loro l’avevano abbandonata. 
“Sai” proseguì Lena “è stato sciocco, ma anche quando loro hanno scelto una vita normale nel clan, posizioni di prestigio e un amore banale, io ho trovato nei nostri sogni la risposta a tutto. Menia ed io per tante notti avevamo immaginato che un custode grigio bello e tenebroso arrivasse nel nostro clan, ci vedesse e scoprendo in noi qualcosa di unico, decidesse di portarci via verso avventure inimmaginabili, come era successo all’eroe del Ferelden. Quando loro hanno tradito i nostri sogni, ho pensato che avrei potuto raggiungere i custodi e acciuffare da sola una possibilità di fuga. 
Vedendoti per la prima volta, quando mi hai salvato da quella freccia che non avevo sentito arrivare, ho creduto che finalmente il destino avesse messo sulla mia strada il mio bel custode. Un custode onesto e generoso disposto a salvarmi, da me stessa. L’ho dovuto rincorrere per un po’ ma alla fine ne è valsa la pena.” Lena era tornata sorridente, pronunciando quelle ultime frasi. Poi aggiunse, facendosi più seria: “Ed io, ora, non devo più fuggire da nulla”.
Era felice di aver raccontato tutto, si sentiva di aver finalmente esorcizzato il suo passato. Ora poteva guardarsi indietro senza timore.  Alzò lo sguardo verso Blackwall e rimase gelata. 
Il custode non aveva più l’aria rilassata di pochi istanti prima. Aveva indossato un’espressione che Lena aveva sperato di non dover rivedere mai più sul suo volto. I suoi lineamenti erano contratti, lo sguardo meditabondo e severo. Un attimo dopo era in piedi. Aveva indossato velocemente dei pantaloni ed ora la fissava dall'alto con aria triste e colpevole, bello da togliere il fiato. 
“Che succede?” chiese Lena preoccupata
“Niente. Ho bisogno di aria” si buttò addosso una casacca ed uscì senza aggiungere una parola. 
Lena si rivestì in fretta e lo seguì. Lo cercò per un po’ ed infine lo trovò alla taverna, seduto davanti ad un bicchiere troppo grande, di un liquore troppo forte e già mezzo vuoto. 
“My lady, non dovevate seguirmi”
Lena rimase a guardarlo. Sembrava afflitto e gli occhi erano lucidi, non capiva se per il bruciore eccessivo di ciò che stava bevendo o per un pianto trattenuto a stento. A cosa era dovuto quel turbamento? 
“Ricordate quando vi ho detto di fare attenzione a me e voi non avete voluto prestarmi ascolto? Vi avevo detto di non essere ciò che voi credevate.” La voce del custode tremava, strinse la mano attorno al bicchiere e buttò giù un sorso di quell’intruglio imbevibile. Quando riprese a parlare, la voce era più sicura e aveva abbandonato la formalità che le riservava in pubblico “Tu hai visto in me ciò che sognavi, non ciò che realmente sono. Ma hai fatto così tanto per me, la tua sola presenza mi ha reso una persona migliore. Meriti quell'uomo. Lo meriti davvero ed io voglio assomigliare un po’ a quel custode che hai sognato, voglio meritare il tuo affetto”
Appoggiò sul tavolo le sue ali al valore, distintivo dei custodi grigi recuperato durante una missione lungo la Costa Tempestosa. Lena ricordava come il custode fosse rimasto turbato da quel ritrovamento, e ancora oggi non poteva spiegarsi il perché. Blackwall fece per uscire dalla taverna. Lena cercò di trattenerlo ma lui le rivolse uno sguardo pieno di tenerezza e tristezza con la silenziosa preghiera di lasciarlo andare. 
Lena si sedette. Rimase a guardare la mostrina, sentendo il freddo di quel pezzo di metallo passarle direttamente dalla punta delle dita alle ossa. 
 
 
 
 
 
 
 
XXII
Sull’Inquisizione si era appena abbattuta una tempesta. Una tempesta silenziosa, attraverso la quale tutti erano apparentemente passati indenni. Ma Solas sapeva bene che questa era solo l’apparenza.
Il custode grigio, era scomparso improvvisamente una notte. Il giorno dopo l’Inquisitore, era partita assieme a Varric, Dorian e Sera,
nessuno aveva detto una parola, ma i consiglieri continuavano ad affaccendarsi. Solas non aveva mai visto così tanti corvi attraversare il cielo di Skyhold, infine anche Cullen era partito.
Qualche giorno dopo il custode fece ritorno in catene e venne sottoposto al giudizio dell’Inquisitore.
Solas era nella sala del trono durante quella terribile udienza, e i suoi occhi non lasciarono il volto dell’elfa neanche per un istante. La sua espressione era impassibile, aveva indossato la maschera delle grandi occasioni. Neanche l’ombra di un’emozione attraversò il bel viso composto, ma il mago non poté non notare un guizzo negli occhi della ragazza nel momento in cui dovette pronunciare la sua sentenza. Solas non avrebbe saputo dire se fosse dolore o vendetta, ma non vi era alcun dubbio che pronunciare quelle parole doveva esserle costato un’immensa fatica. Il bugiardo era stato condannato a divenire ciò che aveva giurato di essere. Alla fine di tutto, quando la minaccia sarebbe stata debellata, lui sarebbe stato consegnato nelle mani dei custodi grigi.
Anche in questo caso Solas non sapeva distinguere se fosse stata la pietà o il disprezzo a muovere l’elfa.
L’imputato prese infine la parola: “My lady, solo un’ultima cosa. La mia devozione nei vostri confronti è sempre stata autentica, rimetto nelle vostre mani anche questa. Sarò al vostro servizio per sempre, con la mia spada e con il mio cuore”. Quell’uomo che ai suoi occhi si era fatto ancor più spregevole, riuscì in un attimo e con quelle poche frasi a peggiorare la sua situazione, offendere l’Inquisitore e far infuriare i consiglieri.
“La vostra devozione, non può e non deve essere oggetto di questa assemblea. Siete congedato. Prendetevi il tempo che serve per riflettere sulla vostra pena”. Queste ultime parole dell’elfa stillavano rancore e indignazione, su questo Solas era certo di non avere dubbi.
L’Inquisitore, scomparvre per il resto della giornata, Varric doveva essere rimasto al suo fianco per tutto il tempo.
Il giorno successivo l’elfa aveva ripreso il suo addestramento ma era Cassandra a condurlo ora, non più il custode.
Quelle giornate furono caratterizzate da un immobilità di cristallo. Gli occhi e le orecchie di sorella Usignolo erano più attente che mai, l’attività frenetica doveva essere nascosta dietro un apparente stallo, quindi il lavoro degli agenti di Leliana era stato strenuo. Solas non avrebbe osato neanche respirare in una situazione del genere, nascondere delle spie sotto il naso della mano sinistra della divina era già un impresa, ma farlo quando i suoi sensi erano più che mai all’erta sarebbe stato a dir poco autolesionista. Ridotto all’inattività, Solas ebbe quindi tutto il tempo per riflettere e nutrire con nuova linfa i propri sensi di colpa. L’Inquisitore era davvero condannata ad ignorare la vera natura di coloro che lei considerava amici? Come di consueto cercò di allontanare i cattivi pensieri dedicandosi alla pittura e alla lettura. Scoprì quanto fosse piacevole trascorrere le tiepide mattinate nel cortile interno della fortezza. Era un posto raccolto e intimo, che invogliava alla riflessione, alla preghiera, avrebbe detto qualcuno a cui fosse concesso avere ancora fede in qualcosa. 
La mattinata, quel giorno, era particolarmente piacevole. Un sole caldo splendeva sul piccolo giardino e il silenzio attorno era quasi assoluto. Dopo il gran ballo di Halamshiral, Skyhold era stata presa d’assalto da nobili ansiosi di essere visti in compagnia, o più facilmente nelle vicinanze, dell'ormai celebre Inquisitore. Molti venivano a portare il proprio tributo, ora che essere vicini all’Inquisizione significava poter salire sul carro dei vincitori, e a differenza di quanti si univano in principio, spinti solo dalla voglia di fare la propria parte o dall'urgenza di rendere il mondo più sicuro, magari per qualcuno di caro, gli alleati arrivati negli ultimi tempi erano particolarmente rumorosi. 
Per questo Solas era piacevolmente sorpreso di trovare un angolo di pace nel centro della fortezza. 
“Un grosso libro sulle ginocchia e lo sguardo che vaga lontano, qui qualcuno ha voglia di passare per un intellettuale” una voce un poco aspra lo aveva strappato alle sue riflessioni. Non era una voce familiare eppure una nota nascosta aveva risvegliato ricordi che Solas faticava a mettere a fuoco. Davanti a sé vide la donna che aveva fatto ritorno con loro dal palazzo dell'Imperatrice. 
Leliana si era detta preoccupata nell’accogliere quella nuova alleata, avevano avuto modo di combattere insieme in un tempo lontano e non la riteneva affidabile. A corte si raccontavano storie di possessione e di sortilegi, si diceva che Celine fosse rimasta letteralmente stregata da quella donna sbucata dal nulla.
Solas era curioso di sapere cosa mai in quella donna potesse suscitare tanto odio e tanta diffidenza, si era ripromesso quindi di scambiare qualche parola con lei, ma quella era effettivamente la prima volta che ne aveva l’occasione.
“E’ raro ultimamente trovare un poco di pace, e sono convinto che la lettura sia un ottimo deterrente per i seccatori”
La donna gli rivolse uno sguardo ironico “Mi dispiace, credo dovrete cambiare strategia, evidentemente non funziona con tutti i seccatori”
“Chi vi dice, che siate tra questi. Dama Morrigan, vero? Non ci siamo ancora presentati” Dicendo queste parole Solas chiuse il libro e fece spazio sulla panca di pietra anche per la donna.
“Voi invece dovete essere il sognatore. Nessuno parlava di voi a corte, nessuno sembrava conoscervi e questo ha destato il mio interesse. Un mago con il vostro potere in questi tempi dovrebbe ricoprire una posizione di prestigio, oppure essere sotto stretta sorveglianza”
“Non ambisco al potere e di certo non amo le catene. Sono piuttosto soddisfatto di poter essere qui con l’Inquisizione, che per finora mi ha permesso di tenermi lontano da entrambi. Ma voi? Devo confessare che voi avete destato il mio interesse per il motivo opposto. Ho sentito talmente tanto parlare di voi, che mi sarei aspettato di vedervi aggirare per la fortezza avvolta dalle fiamme, invece siete qui da quasi un mese e siete rimasta sempre placida e serena, cosa nascondete?” La donna rise divertita e per un attimo un frammento di memoria si cristallizzò nella mente del mago che non riuscì però a trattenere il ricordo. La osservò meglio. Quella donna aveva uno strano fascino, i suoi occhi ambrati erano belli ed intelligenti, ma nascondevano qualcosa di pericoloso, ricordavano gli occhi di un serpente o più verosimilmente di un drago.
Parlarono a lungo, lei era arguta e colta, e Solas apprezzò il suo senso dell’umorismo. Si scambiarono pareri sull’Inquisizione e sul suo nemico. La maga sembrava conoscere molto più di quanto si sarebbe aspettato da un umano.
“Bene, bene. Chi abbiamo qui? Hai già finito di studiare?” Un ragazzino dai corti capelli scuri, si stava avvicinando, Morrigan presentò il nuovo arrivato come suo figlio, Kieran, ma il mago aveva smesso di prestare attenzione. Le ultime parole della donna lo avevano aiutato a rimettere insieme i frammenti di ricordi ed ora Solas la fissava con occhi sgranati.
Gli occhi, la voce, la risata e soprattutto la presenza di spirito, come aveva fatto a non riconoscere in quella maga i tratti tanto familiari. Madre e figlio ora erano completamente presi l’uno dall’altra e Solas aveva la possibilità di osservare i tratti della donna con maggiore attenzione. Ne riconobbe l’espressione amorevole, la fermezza e l’ardore. Negli sguardi che rivolgeva al figlio poteva leggere amore incondizionato e la determinazione di preservare quell’amore a qualunque costo. Nei suoi occhi rivedeva Mythal.
Un dolore tanto acuto da fargli stringere gli occhi gli attraversò la testa come un dardo. “Va tutto bene?” Morrigan doveva aver notato la sua espressione.
Quella voce però, in quel momento, non poteva che portare altro dolore. Chiese scusa e si allontanò in fretta.
Quegli occhi! Come aveva potuto non riconoscerli immediatamente? Era davvero così lontano da casa da non riconoscere gli occhi di Mythal? Per quanto potesse aver assunto forme diverse, lontane da quelle che conosceva, come aveva potuto non rivedere in quella donna il riflesso della sua amica? Non si era mai sentito così perso, così solo. Avrebbe dato qualunque cosa in quel momento per poter parlare con lei, con la vera Mythal. Possibile che fino a quel momento fosse riuscito a seppellire così a fondo la malinconia per la sua preziosa amica? Chi era diventato? Aver combattuto così a lungo aveva forse allontanato da lui il significato della lotta, trasformandolo in una belva che continua a dimenarsi spinta dal furore cieco del sangue e della battaglia, senza sapere perché? E’ vero, non lottava per lei, ma senza dubbio Mythal incarnava tutto ciò che aveva giurato di proteggere e di vendicare. Come aveva potuto dimenticarsi di lei? Seguendo i propri pensieri, aveva continuato a camminare velocemente e aveva ormai raggiunto un punto delle mura ancora diroccato e in disuso. Si fermò inspirando a fondo l’aria fresca delle montagne. Il vento era sempre forte sulle mura e Solas si auspicava che potesse portare via i cattivi pensieri. Sebbene non potesse contare sulla possibilità di obliare completamente quelle riflessioni, pensare a quell’incontro lasciando le emozioni da parte, lo aiutò a focalizzare la situazione. Mai nulla era lasciato al caso con Mythal. Ripensò sorridendo alla loro giovinezza, erano soliti dire che contro di lei fosse inutile giocare: gli scacchi, le carte, le sciarade, non vi era gioco in cui lei non potesse sbaragliare tutti gli altri. Probabilmente, tempo indietro, la sua amica aveva fatto la sua mossa, aveva messo in moto gli eventi ed era rimasta a vedere cosa il gioco le avrebbe portato indietro. Forse la presenza di quella strega proprio in quel posto, poteva non essere un caso.  Il potere del mago non era sufficiente per poter rintracciare la sua amica, e forse anche lei era presa nelle maglie di quel mondo, impossibilitata a giocare la sua parte apertamente. Ma un frammento di Mythal, era ora accanto a lui, come poteva non leggervi dietro un segno, un messaggio addirittura?
 Forse lei era più vicina di quanto potesse immaginare. Forse presto avrebbe potuto rivederla.
 

 
Eccomi qui, devo accompagnare questo capitolo con alcune spiegazioni.
Prima di tutto, il personaggio di Tallis. Ovviamente il nome non è casuale, volevo in qualche modo omaggiare un personaggio che trovo intrigante e con grandi potenzialità. Ho dato il suo nome ad un personaggio maschile per evitare fraintendimenti, ovviamente il “mio” Tallis, non è quella Tallis, e il nome mi sembrava adatto ad entrambi i generi.
Seconda cosa, questo e il prossimo capitolo sono sfasati rispetto alla linea temporale del videogioco. Così solo per dire che lo so, ma avevo bisogno per la mia storia di mettere le cose in un altro ordine.
Ho cambiato altre cose senza segnalarle (tutte le scene canoniche della storia d’amore con Blackwall, ad esempio), ma questa volta mi sembrava il caso. In “Qui giace l’abisso” Blackwall ha un ruolo importante come custode grigio ed essersi già rivelato forse non funziona. Ma funziona per questa storia, quindi pace ;). Probabilmente qui non ci sono persone fissate con queste minuzie (giustamente, mi sento di dire, una storia è una storia), ma io un po' lo sono quindi lo faccio presente.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Sentieri intricati ***


Questo nuovo capitolo arriva con qualche difficoltà. E' stato visto e rivisto fino allo sfinimento, è arrivato un pochino in ritardo e come se non bastasse, ieri sera mi sono resa conto di averne messo online una vecchia versione. L'ho rimosso appena ho notato l'errore. Forse l'universo sta cercando di mandarmi un segnale, ma io lo ignoro e vado dritta per la mia strada.
Ne approfitto per ringraziare quanti continuano a leggere e a seguire nonostante la mia "logorrea grafica", verrete ricompensati dal karma per la vostra costanza con abbondanti dosi di pane e nutella.





XXIII
Varric era felice come un bambino da quando avevano lasciato Skyhold. Erano diretti verso Hawke e questo lo metteva di ottimo umore.
Anche Lena si sentiva finalmente serena. La compagnia dell’amico aiutava, così come aiutava l’essere riuscita a prendere le distanze da Skyhold. Aveva lasciato lì Blackwall, con le sue bugie e il suo fascino che rendeva difficile assecondare ciò che sarebbe stato ragionevole. La sua testa le urlava di gettare fuori dalla sua vita quel dannato bugiardo, ma nel momento in cui lui si faceva vicino, non importava più nulla. Lei era arrabbiata, si sentiva tradita, ma il falso custode riusciva con la sua sola presenza a dissolvere tutto. Era andata da lui una mattina, ci era andata armata, pronta a difendersi come aveva giurato che avrebbe fatto, ma davanti si trovò un uomo carico di rimorsi e prono al suo volere. Non era quello l’uomo che conosceva, non era quello l’uomo che desiderava. Lei aveva gridato contro di lui la sua delusione, e per un attimo il custode si era infiammato rispondendo alle accuse di lei. Lena lo aveva riconosciuto e non aveva potuto allontanarlo sé. Si era trovata a stringere il custode tra le braccia, lo aveva baciato e aveva sentito il volto di lui bagnarsi di lacrime.
Le cose si erano complicate.
Ma davanti al fuoco quella notte, ascoltando Varric raccontare le sue storie migliori, tutto quello si perdeva lontano, come un incubo che lascia al risveglio una sensazione sgradevole ma imprecisata.
Dormirono poco, Varric era troppo elettrizzato per arrendersi al sonno e a Lena piaceva lasciarsi trascinare dal suo entusiasmo. Si chiese più volte durante la notte, quanto intensamente il nano dovesse sentire la mancanza della sua amica, ma si guardò bene dal rivolgergli quella domanda. Bull e Dorian poi, trascorsero gran parte della nottata a scambiarsi insulti sottili. Avere un vint e un qunari attorno allo stesso fuoco era tanto insolito quanto divertente.
Solo a notte inoltrata sull’accampamento scese finalmente il silenzio.
Il mattino seguente smontarono in fretta il campo e si misero in cammino. Hawke li attendeva sulle colline nei pressi di Crestwood. Il suo volto era più stanco e più smunto rispetto a quello che Lena riusciva a ricordare, la Campionessa spiegò che erano in fuga da giorni e che il custode era ricercato per aver disobbedito agli ordini dei suoi superiori. La donna li guidò all’interno di una caverna.
 Era buia e sembrava scendere in profondità, Lena si aspettava di sentire Varric lamentarsi come al solito, ma quella volta rimase stranamente silenzioso. La stretta galleria si apriva all’improvviso e lo slargo che si andava formando era ben illuminato. Guardandosi attorno Lena poté notare un piccolo giaciglio, delle bottiglie vuote e diversi cumuli di immondizia, il custode doveva nascondersi lì dentro da molti giorni. L’elfa si sentì in colpa per essersi fatta attendere così a lungo.
Qualcosa si mosse e Lena posò il suo sguardo su un uomo molto alto, capelli scuri, sguardo limpido e severo, un uomo che sfoderata una spada la puntò contro la sua gola. Hawke dovette intervenire per tranquillizzare il custode, che lunghi giorni di fuga avevano reso ben più che guardingo. Lena lo osservò per alcuni istanti, era sicura che ogni linea di quel volto nascondesse una storia.
“Custode Loghain MacTir” si presentò mettendo via la spada. Quel nome non suonava nuovo alle sue orecchie, il quinto flagello era stato argomento di studio per Lena e ben conosceva il nome del traditore.
“Conosco ciascuno dei nomi con i quali sono stato chiamato” il custode doveva aver letto la sua espressione “Non fatevene un cruccio. Non ho mai aspirato agli onori e alla gloria, neanche nei migliori giorni della mia giovinezza. Non importa quale idea abbiate su di me, purché prestiate fede alle mie parole. Abbiamo un nemico comune e ho fatto delle scoperte allarmanti.”
Lena ascoltò con attenzione tutto ciò che il custode aveva da dire. Raccontò di come i custodi in quel periodo stessero tenendo uno strano comportamento. Riferì degli assurdi propositi della comandante Clarel, di come avesse deciso di porre fine, una volta per tutte, alle minacce del flagello, seguendo il folle piano di trovare ed uccidere gli antichi Dei prima che questi potessero avere la possibilità di risvegliarsi. Brandelli di memoria tornarono alla mente di Lena, doveva aver letto da qualche parte di una comandante che diversi anni prima aveva tentato la stessa impresa, rischiando ben più che la propria vita e dando forse il via agli avvenimenti che avevano portato al quinto flagello. L’uomo raccontò anche di come Corypheus stesse portando i custodi alla pazzia, facendo risuonare contemporaneamente nella testa di tutti la Chiamata.
“La Chiamata, è il lento richiamo che spinge il custode verso la fine della propria vita. Tutti sono condannati a sentirla prima o poi. Inizia come un lamento lontano e sommesso, ineffabile. Si nasconde nella testa degli uomini come la strana sensazione di essere osservati che fa voltare la testa alla ricerca di una presenza che non esiste. Poi il richiamo si fa impellente, diviene sempre più forte, un grido che dice chiaramente che la fine è vicina e che è giunto il momento per il custode di morire con onore e di ritirarsi nelle vie profonde.” il custode aveva pronunciato quelle ultime parole come nascondendo un desiderio. Lena si chiese se quella del custode fosse voglia di redenzione o il desiderio di chiudere gli occhi su quel mondo che aveva perso ogni attrattiva.
L’elfa non poté che ringraziare silenziosamente per le bugie del suo custode. Blackwall avrebbe rischiato di finire indifeso tra le grinfie del nemico, se fosse stato un vero custode. Poi sentì il rimorso affondarle lentamente radici velenose nello stomaco, Corypheus stava ora propagando innaturalmente la Chiamata, ma quella rimaneva comunque una fine naturale e inevitabile per i custodi, anche senza l’intervento di quel mostro. Condannando il suo custode ad unirsi effettivamente all’ordine, non lo aveva condannato prima o poi a quella fine orribile?
“La stai sentendo anche tu?”, la voce di Hawke giunse preoccupata alle orecchie di Lena. Il custode non negò, ma parve sereno.
“So che molti custodi si stanno riunendo all’ Accesso Occidentale, presso un’antica torre cerimoniale Tevinter. Non ne conosco le intenzioni quindi mi sto recando lì. Attenderò i rinforzi dell’Inquisizione finché sarà possibile, ma farò la mia mossa in ogni caso, se e quando sarà necessario”.
Lena rifletté per un attimo, avrebbe dovuto ascoltare il parere dei suoi consiglieri prima di agire. Avrebbe dovuto fare ritorno a Skyhold prima di gettarsi in quella nuova avventura, ma lo sguardo determinato del custode la faceva sentire combattuta, sapeva che quell’uomo stava rischiando tutto. Aveva disobbedito al suo Ordine, sfidando coloro che, sebbene non lo avessero mai davvero perdonato per quello che vedevano come un terribile tradimento, erano ormai l’unica famiglia che gli fosse concesso avere. Nei suoi occhi era facile riconoscere la luce che illumina i pensieri di chi ormai non ha nulla da perdere e Lena temeva l’avventatezza a cui questi pensieri potevano condurre. Non temeva solo per il custode, l’intera missione avrebbe potuto risentirne. In un attimo la decisione fu presa: “Non dovrete attendere l’arrivo dell’Inquisizione. Verremo con voi.” Lo sguardo le cadde su Varric, almeno qualcuno, in tutta l’Inquisizione, sarebbe stato entusiasta della sua decisione.
Fecero una rapida sosta a Caer Bronach per recuperare i rifornimenti necessari al lungo viaggio e Lena poté mandare un messaggio a Skyhold, comunicando la sua decisione. Calcolò che le possibilità di fallire quella missione erano abbastanza elevate e che poteva sperare con buone probabilità, di non dover rispondere a Leliana di quella sua decisione impulsiva. Varric e Dorian avevano anche già scommesso contro di lei. Dorian aveva puntato 5 sovrane sulla sua morte in combattimento, Varric ne aveva scommesse 5 che sarebbe stata invece Usignolo ad avere la soddisfazione di rispedire la sua anima al Creatore. Poteva quanto meno consolarsi con la buona compagnia.
Il viaggio fu effettivamente molto lungo. Lena ebbe modo di studiare attentamente Hawke e Loghain e ne ebbe delle impressioni discordanti. Doveva ammettere che Hawke fosse davvero la compagna perfetta per Varric, sprezzante, ironica, sempre pronta alla baruffa. Una vera iniezione di energia. Ma anche lei come il suo amico nascondeva in profondità un dolore. Si ripromise di chiedere al nano alla prima occasione utile, se non fosse lei la persona di cui lui aveva parlato con tanto calore, la notte prima di raggiungere Skyhold. Era forse Hawke, che Varric desiderava invano?
Il custode invece era stato schivo e silenzioso per tutto il viaggio, lo sguardo torvo era la sua armatura e i suoi pensieri lo portavano molto lontano da quella piccola compagnia. Erano ormai in vista della distesa desertica che doveva essere la loro meta, quando Lena si fece coraggio e si avvicinò a Loghain.
“Avete detto di conoscere tutti i nomi che in molti vi hanno affibbiato dopo Ostagar, ma per quanto riguarda i nomi che avete avuto prima di allora? Ho letto molte cose su vecchi libri, e non sono tutte negative. Alcuni parlano di voi come di un eroe.”
Loghain le rivolse uno sguardo arcigno e fece accelerare il passo al suo cavallo, lasciando Lena senza una risposta.
In breve tempo raggiunsero i pressi della torre cerimoniale di cui Loghain aveva parlato. L’Inquisitore percepiva un’aria elettrica e carica di tensione, era chiaro che ci fosse qualcosa di poco chiaro in atto tra quelle mura. Bull fremeva, non sopportava l’idea di dover affrontare qualcosa che forse la sua lama non poteva abbattere. Avrebbe senza dubbio preferito combattere contro un drago che contro qualche assurdo rituale. Lena era sicura che il grosso qunari fosse decisamente spaventato, ma non lo avrebbe mai ammesso, soprattutto avendo intorno Dorian pronto a farsi beffe di lui.
Entrarono e lo spettacolo che li attendeva li fece rabbrividire. Un nutrito numero di custodi grigi era affiancato da altrettanti demoni, apparentemente sotto il loro controllo. Un mago gridava, evidentemente in preda all’orrore davanti a quello spettacolo raccapricciante ed uno dei suoi fratelli mise a tacere le sue grida piantandogli un pugnale nello stomaco. Il sangue che ne fluì sprigionò il suo terribile potere, aprendo le porte di questo mondo ad un altro abominio.
Ecco l’armata di demoni che Lena e Dorian avevano visto nell’orribile futuro di Redcliffe.
Erimond, un pusillanime al diretto comando di Corypheus, sembrava guidare la marmaglia di sbandati. Loghain non attese un momento per fronteggiarlo, sperando forse di rendere palese la follia di quegli atti agli occhi dei suoi confratelli. Fu però ben presto chiaro come non fosse rimasta un’oncia di volontà in quei custodi svuotati e ridotti a semplici marionette.
Lo scontro fu inevitabile e cruento. Custodi e demoni erano in numero almeno doppio rispetto alla piccola compagnia, ma non fu difficile per l’Inquisizione e i suoi alleati avere la meglio su quei fantocci senza volontà. Finito lo scontro Erimond era scomparso.
Avevano scoperto cosa Corypheus avesse in mente, avevano scoperto anche quali strumenti avesse messo in campo, rimaneva da decidere come agire. Loghain parlò di una vecchia fortezza dei custodi grigi, Adamant, che si trovava proprio lì in quel territorio, lontano forse non più di un giorno a cavallo. Hawke e Iron Bull concordavano sul fatto che prima di prendere qualunque decisione fosse necessario riposare, la sera si stava avvicinando e avevano tutti bisogno di riprendersi dopo quello scontro brutale. Mentre s’incamminavano fuori dalla torre, ormai coperta del sangue di tanti custodi, Dorian si accostò a Lena sussurrando: “Sai che se non dovessimo fare ritorno a Skyhold neanche questa volta, dovrai pregare Corypheus di avere pietà di te e darti il colpo di grazia? Quanto meno io lo farei, piuttosto che dover affrontare Leliana e Cassandra”.
Lena rifletté un poco sul consiglio dell’amico “Credo tu abbia ragione, anche se so che parli così solo per non perdere un’altra scommessa contro Varric” Entrambi sorrisero stanchi, seguendo la compagnia che si muoveva lenta e silenziosa.
Si accamparono. Lena comunicò agli altri la decisione di fare ritorno a Skyhold prima di proseguire con le indagini. I rituali avevano probabilmente già avuto luogo, era quindi ipotizzabile che avrebbero avuto bisogno dell’intero esercito dell’Inquisizione per mettere fine a quella follia.
Loghain apparve un poco deluso, ma Lena non poteva credere che non comprendesse la necessità di prendere quella decisione.
La sera proseguì piuttosto allegra, alla fin fine la prospettiva di tornare a casa era ormai gradita a tutti.
Hawke avrebbe fatto ritorno con loro e Lena aveva cercato di convincere anche Loghain ad unirsi a loro, ma non era riuscita ad avere la meglio su quell’uomo fiero e scontroso. Era seduto esattamente di fronte a lei, dall’altra parte del bivacco e Lena si accorse che la stava fissando, stava cercando di valutarla probabilmente. Sostenne il suo sguardo a lungo e alla fine il custode parlò: “Non ho mai avuto un buon rapporto con quelli della vostra razza” disse asciutto “non mi fido di quelli come voi, ho sempre creduto che gli orecchie a punta avessero un animo contorto, sempre pronto all’inganno e alla manipolazione.”
“Dovete aver conosciuto il mio clan” lo interruppe Lena caustica, cercando di sorridere.
“Non credo, ma ho comunque motivo di essere diffidente.”
Lena dovette prendere atto che il senso dell’umorismo non fosse un punto di forza del guerriero.
“Sono ormai troppo vecchio per combattere con i miei pregiudizi, ma non posso non riconoscere che la vostra missione vi porta sulla mia stessa strada e che voi perseguiate con dedizione i vostri obiettivi. Non ho idea di quali siano i vostri fini personali, quali vantaggi speriate di trarne, ma per il momento ho deciso di prestare fede alla vostra parola. Vi aspetterò, aspetterò il vostro esercito e voglio credere che l’urgenza della missione incontri il vostro interesse”
“Non ho alcun interesse, se non quello che spinge anche voi: fermare una creatura mostruosa e fuori di senno. Certo avere salva la vita, non mi dispiacerebbe, ma posso scendere a compromessi su questo punto”
“Siete brava a parlare, e il vostro carisma è innegabile. Questo, mi dispiace dirlo, vi rende pericolosa ai miei occhi. Ho conosciuto qualcuno come voi tanti anni fa, ed ha portato la rovina in molte vite. In ogni caso sono un uomo di parola. Farò quanto promesso, confidando che anche voi facciate lo stesso”
Lena non disse una parola, assentì e rimase a riflettere sulle parole dell’uomo. Quell’avventura stava portando sulla sua strada persone travolte dal destino, che avevano vissuto le proprie vite al meglio delle loro possibilità e che continuavano a farlo, convivendo con dolori ed errori che ne avevano plasmato gli animi. Le tornò in mente un sogno fatto molto tempo indietro, durante la prima notte di fuga dal suo clan. Una strada veniva verso di lei, senza che fosse lei a sceglierla. Si ricordò il sogno come non le era mai accaduto prima, come se lo stesse vivendo di nuovo. La belva, la città. La riconosceva ora, era forse Val Royeaux? Il gigantesco portone davanti a sé da cui filtrava una luce che sembrava quella di uno squarcio, la belva alle sue spalle pronta ad attaccare. O a difenderla? Perché era convinta che l’avrebbe difesa?
Si svegliò all’improvviso, l’alba mandava i primi bagliori. Si era addormentata accanto al fuoco e di fronte a lei Loghain portava a termine il proprio turno di guardia. Aveva il viso assorto, meno rigido di come era abituata a vederlo. Doveva essere perso in un  tempo lontano. Non aveva motivo di crederlo, ma non riusciva a vedere negli occhi chiari di quell’uomo l’onta del tradimento. Il suo spirito era onesto, brusco magari, ma proprio per questo non riusciva ad attribuirgli la malizia dell’inganno. Probabilmente aveva in passato fatto scelte difficili e aveva sbagliato, ne pagava però il prezzo da molto tempo con la sua stessa vita. Ad un tratto le tornò in mente il suo custode che l’aspettava a Skyhold, avrebbe dovuto parlare con lui, era forse lei a dovergli delle scuse? In ogni caso avrebbero dovuto parlare a lungo.
 
 
 
 
XXIV
L’Inquisitore, era stata via molto a lungo e i consiglieri non sembravano esserne molto contenti.
Al ritorno la ragazza lo aveva salutato con gioia ma il suo sorriso si era scontrato con il muro che Solas aveva iniziato ad erigere dopo il viaggio a Kirkwall e che grazie ai lunghi giorni di lontananza era riuscito a rinforzare e rendere, a suo avviso, invalicabile.
Aveva avuto il tempo per riflettere lucidamente. Ritrovare l’ombra di Mythal in quel mondo, lo aveva finalmente aiutato a rivedere l’ultimo periodo della sua vita sotto una luce diversa, più razionale.
Era stato innegabilmente sciocco e debole, troppo indulgente con se stesso e decisamente incauto nel lasciarsi andare ad emozioni e sensazioni che soffocava invece da secoli. Era stato il Temibile Lupo troppo a lungo, accettare quel titolo e nascondere se stesso sotto una pesante pelliccia, aveva pian piano allontanato Solas da Fen’Harel. Per quanto strenuamente avesse cercato di combattere per smascherare i falsi dei, aveva infine perso se stesso per divenire un dio a sua volta.
Come a colui che si erge a simbolo non è permesso cercare affinità ed affetti, così un dio non può cercare comunanza e intimità, è troppo lo spazio che divide il simbolo dai suoi pari e per un dio non esistono pari.
Avvicinandosi all'Inquisizione era stato costretto a tornare semplicemente Solas e il desiderio di non dover essere nient’altro per qualche tempo, si era subdolamente impossessato di lui.
Non aveva trovato niente di più naturale che abbandonarsi ai piccoli piaceri innocenti di una vita normale. Il buon cibo, il buon vino, l’accenno di una serena amicizia, il tocco fresco e leggero di una mano amorevole.
Per quanto tempo la devozione o l’odio avevano allontanato da lui anche il più insignificante contatto fisico?
Si ricordava dei primi contatti con quella strana dalish. Aveva spesso tenuto la mano di lei tra le sue, ma solo come fosse un oggetto da aggiustare, non c’era nulla del contatto tra pari in quel suo approccio clinico. L’elfa invece aveva una corporeità istintiva, quasi animale, il suo modo di approcciarsi agli altri coinvolgeva tutti i sensi, e per lui starle accanto era stato come tuffarsi tra le rapide di un fiume. Ciò che per lei era un gesto naturale ed insignificante, per lui era una boccata di ossigeno puro, che lo confondeva e gli dava alla testa.
Aveva pian piano imparato a ricambiare con naturalezza le piccole tenerezze che lei riservava ai suoi amici, beandosi di quella vicinanza per lei probabilmente marginale, ma che lo riportava in contatto con l’elfo che era un tempo e che per lungo tempo era rimasto dimenticato. Tutto quel sentimentalismo e tutta la nostalgia gli erano ora esplosi tra le mani. Le parole di Cole durante il viaggio a Kirkwall, più che una notte trascorsa stringendo l’elfa tra le braccia, avevano segnato un punto di svolta incontrovertibile. Non doveva permettere che lei si avvicinasse troppo. Le parole dello spirito avevano rivelato alcuni pensieri dell'elfa che Solas era determinato ad estirpare sul nascere.
Troppo aveva concesso a sé stesso e a quella giovane dalish. Presto o tardi avrebbe dovuto indossare di nuovo la logora pelliccia di lupo e in quel momento lei sarebbe dovuta essere lontana. Sarebbe dovuta essere al sicuro.
 
Passati due giorni dal ritorno dell’Inquisitore, Solas trovò una figura raggomitolata su una panca della rotonda. Appena lo sentì entrare, l’elfa balzò in piedi e i suoi occhi assunsero l’espressione fiera che le vedeva spesso in battaglia.
“Buon pomeriggio da’len. Non è un po’ tardi per studiare? Credevo fossi con Dorian o al tavolo della guerra.”
Sembrava infastidita dai convenevoli, trasse un lungo respiro e poi disse: “Ti devo delle scuse. Mi dispiace. Farò in modo che non capiti più.”
Solas rimase a guardarla interdetto, non riusciva davvero a capire il senso delle parole dell’elfa. Prima ancora di avere il tempo di pronunciare una sillaba, l’Inquisitore rincarò: “Non sono qui per discutere. Queste sono le mie scuse, fanne ciò che vuoi.”
Solas sorrise di quel modo bizzarro di scusarsi che non prevedeva replica ed evidentemente non prevedeva un rifiuto. Vedendolo sorridere, anche il volto dell’elfa si rilassò. Era un’offerta di pace, ma cosa dicevano di lei quelle scuse? Non era certo di poterle accettare. “Ho molto da raccontarti riguardo il mio viaggio, verrai a mangiare un boccone con me in taverna, questa sera?”.
 “Da’len, non credo sia il caso.” Solas vide sul volto della sua bella dalish l’arrivo improvviso della tempesta.
 “Ti ho fatto una promessa e io sono solita tenere fede alla mia parola, cosa vuoi di più?”
“Non ti ho chiesto delle scuse o delle promesse. Se c’è qualcosa che credi sia importante farmi sapere possiamo parlarne ora.”
L’elfa lasciò la rotonda senza aggiungere una parola.
Sentì un dolore indecifrabile afferrargli la testa. Non era la sua solita emicrania, era un dolore diverso, come di un colpo ricevuto in battaglia. Era stato ingiusto con lei. Per quanto in passato, non avesse potuto raccontare interamente la verità, Solas aveva sempre cercato di non mentirle, aveva nascosto il necessario ma si era sforzato di rimanere onesto. Una mente come quella della ragazza non meritava altro che la verità. Anche in quel momento.
Non avrebbe potuto spiegarle tutto, ma non meritava di essere allontanata senza una giusta spiegazione.
Avrebbe dovuto incontrarla in un luogo a lui più familiare, un luogo in cui fosse stato facile per lui rimanere concentrato.
Un posto che fosse in grado di evocare le responsabilità legate al ruolo di lei, in modo che lei potesse comprendere la necessità di tenere presente la causa al di sopra di ogni altra cosa.
 
Vedere Haven era stato più emozionante di quanto si fosse aspettato. Lei continuava a guardarsi attorno stupita, sembrava aver dimenticato il loro diverbio e non dava segno di aver realizzato di trovarsi in un sogno.
“Ti ho mai raccontato dei tuoi primi giorni ad Haven?” l’elfa lo guardò con lo sguardo curioso che le conosceva e scosse la testa, attendendo di ascoltare la sua storia. Il mago raccontava mentre passeggiavano tra le strade deserte, il profumo che li accompagnava era davvero il profumo di Haven, neve fresca e legna arsa. L’elfa lo condusse alla capanna dove lui era solito alloggiare.
“Amavo questo posto” disse lei “avevo l’impressione, stando qui, che nessuno sarebbe giunto a disturbarmi. Devo confessare che quando capivo che le aspettative su di me iniziavano a crescere senza controllo o quando avevo bisogno di un momento per prendere fiato, venivo a nascondermi qui, solo per avere un po’ di tempo per riflettere senza pressione. Era come se il tuo alloggio avesse uno schermo magico contro le seccature”
“Da’len questo solo perché molti mi temevano e nessuno apprezzava molto la mia compagnia quindi tutti si tenevano alla larga dai miei alloggi” Solas non potè fare a meno di sorridere. Le cose non stavano andando come si sarebbe aspettato, lei aveva la capacità di sconvolgere sempre i suoi piani. Perché non era arrabbiata? Come era riuscita a prendere in mano la situazione portando la discussione su loro due anziché sull’Inquisizione?
Solas si appoggiò con una spalla contro la capanna e lasciò lo sguardo vagare su Haven, il cielo aveva il colore terrificante ma familiare conferitogli dallo squarcio. I suoi ricordi galoppavano. Aveva bisogno di rimanere concentrato.
“Sai io temevo te invece. Ad essere onesti è capitato una sola volta, ma è servito da monito” c’era una verità innegabile in quelle parole, ma non una di quelle che Solas aveva intenzione di rivelare.
“La prima volta che ti ho vista vigile è stato durante una battaglia, ero così preso dall’idea di sapere se avresti davvero potuto chiudere lo squarcio, che ti ho afferrata istintivamente per un polso. Credo di aver rischiato di essere pugnalato senza pietà. Sarebbe stata una grande morte per uno studioso: deceduto sul campo nel tentativo di dimostrare una teoria. Sarei divenuto un esempio per molti. Quello doveva essere l’ultimo tentativo. Se anche tu avessi fallito, sarei fuggito. Ma tu non fallisti ed io non venni pugnalato, dimostrasti anzi, di avere la chiave della nostra salvezza nelle tue mani ed è ancora lì”
L’elfa gli si era avvicinata ed era ora a meno di un passo da lui, aveva dimenticato quanto le fosse apparsa splendida durante la loro prima escursione nell’Oblio. Era così vicina, probabilmente non lo sarebbe più stata dopo quel loro incontro. Le afferrò la mano marchiata e la osservò, le sarebbe mancato il tocco della sua pelle. Quando non erano insieme, chiudendo gli occhi la sensazione soffice e calda della pelle di lei era la prima cosa che sentiva sotto le dita, come se la sua memoria non volesse lasciarla andare. Trattenne ancora un po’ la mano di lei nella propria e disse quasi tra sé: “In quel momento ho sentito il mondo intero cambiare.”
Alzò lo sguardo dalla mano e trovò i due begli occhi di lei ad un palmo da sé. Solas si trovò costretto a lasciarle andare la mano e fare un passo indietro per cercare di riprendere fiato, l’aria sembrava essersi rarefatta. Era ora di tornare indietro.
“Che cosa vuoi dire?” Chiese lei facendo di nuovo un passo avanti. Era venuto qui per poter condividere con l’elfa l’onere di tenere a bada qualunque cosa stesse nascendo tra loro due, si trovava invece messo con le spalle al muro, aveva parlato troppo e lo aveva fatto senza riflettere. Ma in fondo una verità valeva l’altra. Forse lasciare emergere ciò che portava nascosto nel cuore avrebbe fatto spaventare la giovane che avrebbe deciso autonomamente di allontanarsi da lui, ristabilendo le giuste le distanze.
La guardò per un istante, i suoi occhi in quel posto erano così belli che rischiò di perdersi.
“Tu cambi tutto”
Abbassò lo sguardo per un attimo e prima che potesse rendersi conto di quanto stava accadendo, quella ragazzina lo stava baciando. Le sue labbra erano incredibilmente morbide, il suo respiro era caldo e delicato, fu solo un attimo. Lo sguardo di Solas era annebbiato, la testa non smetteva di girare. Cosa era successo? Ora lei lo fissava con sguardo dubbioso, forse colpevole. Il mago comprese all’istante che la ragazza era sul punto di allontanarsi da lui, ma non sapeva in che modo reagire. Aveva paura che se si fosse mosso, il suo corpo avrebbe smesso di rispondere alla mente. Lei lo aveva baciato. Era possibile? Lo aveva davvero baciato! La ragazza si stava allontanando. La sua ragione era in panne e l’istinto ne approfittò per poter prendere il sopravvento. Avanzò verso di lei, la afferrò per la vita e la trascinò a sé, la guardò negli occhi per la frazione di un istante e nello sguardo di lei vide di nuovo la paura e la colpa. Ma vi era anche altro. Era forse possibile che fosse desiderio? Non si diede il tempo per elaborare una risposta, la strinse un po’ di più e la baciò. Se quello di prima era stato un bacio timoroso e appena accennato, questa volta Solas temette invece di perdervi il respiro. Non una sola idea stava attraversando la sua mente, in lui c’era spazio solo per il sapore di lei che così a lungo aveva tormentato la sua fantasia durante le notti insonni. Nella sua lunga vita mai aveva assaggiato un frutto tanto invitante, o così credeva, consumato com’era da quella danza conturbante. Realizzare che, lontana dal respingerlo, anche lei assaporava con dedizione il momento, gli fece tremare le gambe. Una nebbia bollente e soffocante stava afferrando la sua mente. Si allontanò appena un poco dalla ragazza. Solo quel tanto che bastava per permettere alle fronti di appoggiarsi l’una all’altra, ai nasi di sfiorarsi e alle bocche di cercarsi senza possibilità di trovarsi di nuovo. Solas aveva gli occhi serrati e cercava di riacquistare il controllo, ma pensare sembrava improponibile. Allontanò un poco il viso da lei e aprì gli occhi cercando il suo sguardo. Gli occhi erano lucidi e infiammati, i tatuaggi brillavano con forza, non era mai stata così bella ai suoi occhi e non poteva negare di leggere sul volto di lei il suo stesso desiderio. La baciò ancora, assaporando questa volta con più attenzione quel momento. Il tepore e soprattutto l’odore della ragazza lo trascinava in dietro di secoli, lo faceva sentire ancora giovane, nuovo ad ogni esperienza. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che era stato baciato con tanto impeto? Si era mai sentito così perso, disarmato e indifeso dopo un solo bacio? Era il sapore della disperazione o dell’Oblio quello che credeva di riconoscere? Aveva bisogno di sapere che quanto stava vivendo fosse indiscutibilmente vero. Sentiva il corpo della sua amica aderire sempre di più al proprio, la sentiva tremare, sentiva il suo profumo farsi più intenso, sentiva che anche lei stava lentamente perdendo il controllo. Questo fu sufficiente per riguadagnare coscienza di sé. All’improvviso il suo cuore mutò e si trovò a desiderare che tutto quello fosse solo un altro dei suoi sogni. Si allontanò di nuovo dalle labbra della ragazza, questa volta con estrema fatica. Chiuse gli occhi ed inspirò a fondo. “Scusami” disse Solas senza aprire gli occhi, cercando di seppellire in fondo a se stesso tutte le immagini e i desideri che si affollavano nella sua mente “Questo non è giusto. Non dovremmo. Neanche qui” con uno sforzo di cui non si sarebbe mai creduto capace allontanò da sé la ragazza e le sussurrò di svegliarsi.
 
Si risvegliò nella semioscurità propria stanza. Era certo che la sua dolce amica sarebbe balzata lì in un attimo alla ricerca di una spiegazione che lui non era in grado di darle. Quanto a lungo si era ingannato credendo di poter vivere tutto quello a cuor leggero? E pensare che Cole e Varric avevano cercato di avvisarlo. Era stato uno sciocco. Avrebbe avuto tempo per recriminare a se stesso ogni singolo errore ma ora era necessario ricomporsi e sistemare sul volto la solita maschera di contegno e pacatezza.
Non passò molto tempo e Solas sentì un tocco leggero bussare alla porta. Aprì. Lei era lì davanti confusa e agitata proprio come lui. Si fece da parte per invitarla ad entrare e si rese conto solo in quell’istante, che lei non era mai stata lì dentro prima di allora. La vide infatti guardarsi intorno incuriosita e fermarsi infine ad osservare la brace ardere nel basso camino che riscaldava e rischiarava debolmente la stanza. Era una tortura vederla sfuggire il suo sguardo, lei che così fiera, non aveva abbassato gli occhi né davanti all’imperatrice, né davanti ai molti nemici che si era trovata a fronteggiare, lo faceva ora davanti a lui. Si era aspettato di vederla indignata e arrabbiata, invece sembrava in imbarazzo. Non avrebbe mai capito come funzionava l’imbarazzo nella testa di quella dalish.
Prese coraggio: “Hai dormito bene?” Voleva essere ironico, ma la voce gli uscì titubante ed imbarazzata.
Lei lo notò, alzò finalmente gli occhi e li fissò nei suoi. Si trovò a pensare che se in quel momento lei lo avesse baciato di nuovo, avrebbe confessato tutto e gettato la sua missione alle ortiche. Fortunatamente lei non si mosse “E’ stato sorprendente. In molti modi. Non credevo fossimo in un sogno, non credevo che alcune sensazioni potessero essere così… reali”
Solas si ritrovò a ridere nervoso “Quello è stato un errore di un momento, un impulso che non avrei dovuto assecondare”
“Mi dispiace, ti avevo appena fatto una promessa e non sono stata capace di mantenerla. Puoi perdonarmi?”
Solas sorrise di nuovo. Aveva l’impressione che anche qui, nella sua stanza, i tatuaggi della ragazza brillassero debolmente, ma era piuttosto certo di essere sveglio ora.
“Posso chiederti una cosa? Perché tu mi hai… perché non mi hai allontanata?”
Era giunta inevitabilmente alla giusta conclusione.
“Potrei farti la stessa esatta domanda, ma dubito che avere queste risposte ci gioverebbe in alcun modo. Posso dirti con certezza, che il sogno è il posto in cui mi sento più a mio agio, tutto è più facile per me in quel mondo, anche lasciarmi andare all’istinto di un attimo, ma difficilmente mi lascio sopraffare da ciò che vi avviene. Credo dal canto mio, che saremo sufficientemente al sicuro finché saremo certi di essere svegli”
Aveva parlato con pacatezza e presenza di spirito, la sua bella dalish lo stava studiando cercando di interpretare le sue parole. Poteva essere abbastanza soddisfatto di sé. Ora doveva solo far uscire in fretta la ragazza da quella stanza.
“Al sicuro da cosa? Non mi sembravi spaventato, io di certo non lo ero” Lei non era evidentemente altrettanto soddisfatta. Non gli avrebbe permesso di cavarsela con poche parole ben studiate. L’elfa parlando si era avvicinata di un passo dando a Solas la sensazione di essere sotto minaccia.
“E’ vero, nel sogno non lo ero e non lo eri neanche tu, ma quando ho aperto la porta eri intimorita, e credo che tu lo sia anche ora. Io non sono bravo nel gestire questo tipo di complicazioni, sono a fatica riuscito ad immaginare di poter chiamare qualcuno amico, dopo così tanti anni di solitudine. Sarebbe sciocco voler dare spazio a emozioni effimere, rischiando di perdere tutto e di ferire molti, non solo noi due.” Solas era stupito di se stesso nello scoprirsi tanto onesto. A differenza di quanto detto prima, non vi era una sola sfumatura di menzogna nelle sue parole, e ovviamente funzionarono. Lo sguardo della sua amica era ora limpido, tranquillo e deciso. I tatuaggi non splendevano più e la sua bella bocca si andava piegando in un flebile sorriso. Poi aggrottò la fronte pensierosa “Come fai ad essere certo che siano solo emozioni legate ad un attimo di sbandamento?”
Perché non posso permettere che diventino altro, Venhan. Ma le parole rimasero nei suoi pensieri, sorrise invece eludendo l'ennesima domanda.
“Ora da’len, credo sia il caso che tu vada. Devi riposare e anche io. Avremo tempo e modo, se vorrai, di discuterne ancora”
Con un gesto naturale che non seppe trattenere, accarezzò il volto della ragazza percorrendone il profilo dal lobo dell’ orecchio fino al mento. Questa volta fu certo di vedere i suoi tatuaggi illuminarsi per un istante e sentì un leggero fremito sotto le dita. Ritirò veloce la mano e si diresse verso la porta. La aprì e non appena la sua amica fu uscita, la richiuse in fretta alle sue spalle. Era stata una disfatta. Non vi era possibilità alcuna che quella notte sarebbe riuscito a riposare.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** La fine della pista ***


XXV
Era ferma con il libro sulle gambe e continuava a fissare il muro.

L'elfa non riusciva a non pensare agli avvenimenti confusi che si erano succeduti dal suo ritorno a Skyhold, a volte pensava che la vita fosse più facile là fuori tra demoni e nonmorti, anziché dentro le mura della fortezza. Doveva ammettere però, di non fare assolutamente nulla per rendere la propria vita meno complessa. Come se dover proteggere il mondo da una fine impellente non fosse sufficiente.

Era stata lontana per diverse settimane e la prima cosa che aveva visto una volta messo piede a Skyhold era stato il volto emaciato del custode, sembrava non avesse dormito per giorni, la sua espressione tradiva il sollievo che aveva provato nel vederla tornare sana e salva.

Era rimasto in disparte ed una volta sinceratosi della sua salute si era allontanato in silenzio, cercando di tornare nell’ombra. Forse era ancora commossa dalla presenza di un altro custode, altrettanto disperato ed abbandonato ai rimorsi, ma davanti a quella scena era rimasta senza difese. Aveva affidato Hawke a Josephine e senza neanche togliersi di dosso la polvere del viaggio, era scesa verso le stalle.

Aveva trovato Blackwall intento ad intagliare un piccolo grifone a dondolo. Era rimasta ad osservarlo per un poco quando il custode l’aveva sorpresa chiedendole: “Inquisitore, vi serve qualcosa?”

L’uomo l’aveva evidentemente sentita arrivare ma non aveva alzato lo sguardo né aveva smesso di lavorare al piccolo giocattolo di legno.

“Inquisitore?” Aveva ripetuto incredula. Sentendo la sua voce Blackwall era rimasto con lo scalpello in aria e le mani paralizzate ma non aveva alzato lo sguardo verso di lei.

“Mi fa piacere sapere che siete tornati tutti sani e salvi. Ho visto che la Campionessa è con voi. Varric ne sarà felice”

Blackwall aveva continuato a parlare per un po’ e Lena non era riuscita a fare altro se non guardarlo interdetta. L’uomo era tranquillo e distante, non la guardava e le parlava del più o del meno come avrebbe fatto con lo stalliere.

Alla fine aveva dovuto interrompere quel fiume di inezie: “Ho pensato molto a te durante la missione.”

Blackwall era ammutolito e aveva posato gli stumenti che stringeva tra le mani, sul tavolo da lavoro. Ripensando a quel momento la stretta allo stomaco che aveva avvertito di fronte al custode tornava a contorcerle le interiora.

Lena sentiva ancora sulla pelle la decisione che l’aveva spinta ad avvicinarsi silenziosamente al custode e ad abbracciarlo appoggiando il viso contro la sua schiena. Ora come in quel momento desiderava intensamente poter sentire la pelle nuda dell’uomo contro il proprio viso. Come amava la sua schiena ampia e tesa, i fianchi stretti, le spalle imponenti, adorava addormentarsi su di essa.

Un brivido la percorse al pensiero di come il custode si era portato la sua mano alla bocca. Ne aveva baciato il palmo, poi il polso, aveva allentato infine la presa delle sue braccia e si era girato dentro quell'abbraccio che era allo stesso tempo assolutamente giusto e mortalmente sbagliato. L’aveva guardata dritta negli occhi. Lena aveva riconosciuto il dolore, ma il senso di colpa era sparito. Era finalmente un uomo libero quello con cui aveva a che fare. Lui aveva detto con un filo di voce: “Non può essere tutto così semplice. Non posso avere la mia vita, il tuo perdono e il tuo amore come se niente fosse accaduto.”

Lena aveva riconosciuto la verità nelle parole del custode, eppure era lì, e non avrebbe voluto essere in nessun altro posto. Non poteva sapere cosa sarebbe accaduto tra loro, ma infondo non poteva saperlo neanche prima. Aveva dato a lungo la caccia ad uomo bugiardo, perché negarsi ora la possibilità di imparare a conoscere l’uomo onesto? Non poteva sapere come sarebbe andata a finire ma perché non tentare?

Se era davvero convinta di questi pensieri, cosa le era saltato in testa in quell’assurdo sogno, tra le strade di Haven?

 

“La sapienza non si acquisisce per contatto, orecchie a punta, non lo sai?” Dorian la fissava più preoccupato che divertito. Erano in quel vecchio studio polveroso da un po’ alla ricerca di informazioni riguardanti il rituale che Corypheus stava portando avanti. Lena era sicura di aver letto da qualche parte qualcosa riguardante l’innaturale propagarsi della Chiamata e voleva cercare di capirne di più. Ma trovare qualcosa in quel posto era davvero difficile e la polvere stava iniziando ad irritare i nasi e gli occhi dei due studiosi. “Non sei molto d’aiuto oggi, forse dovremmo davvero chiedere a Solas di darci una mano”

“No!” la risposta di Lena era stata precipitosa e Dorian sorrise curioso.

“Non è da te rifiutare la sua compagnia, cosa è successo?” Lena abbassò gli occhi sul libro, ma sapeva che Dorian non le avrebbe permesso di cambiare argomento tanto facilmente.

“Cosa ha combinato il tuo amichetto?” Lena rimase in silenzio. Perché tutti continuavano a pensare che fosse lui il problema? Qualunque cosa fosse accaduta tra loro era stata senz’altro colpa sua. Lei aveva sempre pensato al suo amico come qualcuno al di sopra di tutto. Forse quello era stato il suo errore peggiore, crederlo distante ed irraggiungibile. Non aveva mai pensato che le loro naturali tenerezze o tutto il tempo speso assieme avessero mai potuto cambiare qualcosa nella vita di lui. Si era abbandonata all’illusione che fosse solo lei a guadagnare da quella relazione, che fosse la presenza di lui a cambiare il suo mondo e non il contrario. E quando lui l’aveva smentita, i suoi pensieri si erano incastrati. Il castello di carte che aveva costruito attorno alla loro relazione si era disfatto. Lui non era un'essenza astratta come gli spiriti di cui parlava. Era una realtà tangibile e corporea, fatta di passioni e di impulsi da cui lei si era lasciata volentieri sopraffare. Tutto questo non aveva senso. Aveva superato ogni confine che Solas avesse mai stabilito tra sé e chiunque altro e non avrebbe mai potuto mentire abbastanza a se stessa dicendo di non averlo fatto consapevolmente. Aveva sempre voluto potergli essere davvero vicina, poter entrare nel suo mondo sbaragliare le sue difese, conoscere tutto di lui e sentirsi considerata sua pari. Non avrebbe mai immaginato che il mago potesse pensare a lei come oggetto di passioni inconfessate, ma aveva sempre sperato di poter essere considerata degna dell'intimità che, giorno dopo giorno, cresceva tra loro. Non era tanto ingenua da non riconoscere le responsabilità del mago, tutte quelle maschere che usava per tenere gli altri a distanza iniziavano ad divenire superflue e un tantino ipocrite. Ma riconosceva il diritto di Solas a voler conservare i propri spazi.

Dorian chiuse il libro e si mise in ascolto, era impossibile eludere le sue domande.

“L’ho baciato.” Pronunciare quelle parole era sembrato semplice. In fondo si trattava di un bacio, non era un grande affare, parlavano ogni giorno di fine del mondo e della distruzione dell’umanità, un bacio non era che un'inezia nell'economia del tutto. Poi le tornò in mente l’attimo in cui Solas l’aveva afferrata per non lasciarla andare via, il suo sguardo, l'ebbrezza dell'abbandono. Dove aveva nascosto quei sentimenti fin ora? Solas era stato per lei amico e maestro, punto di riferimento saldo nel marasma di avvenimenti che si erano susseguiti da Haven l’aveva accolta, le aveva insegnato molto, si era preso cura di lei. Possibile che quella passione fosse cresciuta dentro di lei senza che lei se ne rendesse conto?

“Perché?” Dorian aveva evidentemente superato la sorpresa.

“Non lo so. Davvero non lo so. Eravamo così vicini, lui stava parlando e prima di capirne il perché, lo stavo baciando.”

“Era evidentemente un modo per zittirlo, posso capirlo. Anzi me ne ricorderò ed userò lo stesso sistema la prossima volta che inizierà uno dei suoi monologhi riguardo gli schiavi, gli elfi e la crudeltà del Tevinter.”

Lena non poté che scoppiare a ridere.

“E il custode?” Riprese Dorian facendosi serio. Lena rimase in silenzio per un po’ poi trasse un sospiro e disse “Non so neanche questo. Avevamo appena raggiunto un equilibrio. Ora ho mandato all’aria ogni cosa. Sono certa che non la prenderà bene.”

“Non lasciarti condizionare da lui, non è un che un bugiardo spocchioso. Non ha fatto altro che giudicare tutti dall’alto della sua superiorità morale da quando è arrivato, per poi rivelarsi un mercenario Orlaisiano. Se solo ripenso a tutte le volte che mi ha insultato per la mia vita comoda e per le ricchezze della mia famiglia! Avrei voglia di andare a prenderlo a pugni!”

“Lo so, anzi ho sempre visto chiaramente la sua superficialità e il suo modo convenzionale di giudicare a volte alcune cose. Ma il Blackwall che conosco è buono, generoso, valoroso e...”

“Attraente” Ovviamente il mago aveva colto nel segno. Non era solo attraente era magnetico ed irresistibile per lei.

Aveva effettivamente confuso un poco i piani delle relazioni, e si era lasciata stordire dal progredire degli eventi.

Aveva concesso all'uomo affascinante e inaffidabile una fiducia ingiustificabile, mentre si era abbandonata ad una passione irrazionale nei confronti di colui che riteneva amico e mentore. Ed ora avrebbe dovuto trovare un modo per gestire la confusione.

Lena alzò lo sguardo su Dorian, il suo sorriso ironico era una benedizione.

“Promettimi solo che quando ne parlerai con quel borioso bugiardo mi permetterai di assistere.”

“Al momento sto progettando di non tornare viva da Adamant ma se qualcosa dovesse andare storto, potremo riparlarne”

Tornarono entrambi con i nasi nei libri, per quel giorno la fine del mondo tornava a richiedere tutta la loro attenzione.



XXVI
Erano riusciti a lasciarsi alle spalle quell’orribile incubo. Adamant era stata riconquistata, Clarel era morta e il ladro era in fuga.

Avrebbero potuto rifiatare ora, ma Solas aveva la netta sensazione che il lato peggiore di quella faccenda non si fosse ancora mostrato.

Tanto era andato perso in quel viaggio, e tutti avrebbero dovuto fare i conti con ciò che l’Incubo aveva loro riservato.

L’inattività che segue la battaglia sarebbe stata in quell’occasione una pessima alleata ma non avevano purtroppo possibilità di scelta. La battaglia li aveva fiaccati, non sarebbero riusciti a tornare operativi prima di qualche giorno. Se quel posto non avesse spaventato così tanto i soldati, probabilmente non avrebbero neanche lasciato Adamant. Si sistemarono invece in un forte poco distante. Il paesaggio dell’Accesso Occidentale, rendeva quella forzata inattività ancor più gravosa. Un’infinita distesa sabbiosa si perdeva in lontananza, l’unico elemento di rottura era creato da una lunga e profonda frattura nel terreno che attraversava il deserto come una cicatrice. Proprio in quella frattura erano caduti durante lo scontro con il drago, sopravvivendo al salto solo grazie all’inconsapevole intervento dell’Inquisitore, che li aveva salvati da una caduta mortale trascinandoli fisicamente nell’Oblio. Oblio, mai nome fu più consono per un posto. Non vi era nulla in quel luogo che potesse ricordare l’antico regno, eppure Solas sapeva che la sua bellezza doveva pur celarsi ancora da qualche parte. Così come qualcosa di bello, seppur sbiadito e privo di vita, era rimasto nel mondo della veglia, frammenti del vero mondo dovevano essere rimasti anche al di là del velo. Felassan aveva raccontato di averli visti, rovine antiche ma ancora grandiose, bellissime e potenti. Quello che un tempo era stato il suo regno, il regno del Temibile Lupo, doveva essere ancora da qualche parte. Era necessario riuscire a recuperare la chiave dell’Eluvian che la protetta di Felassan aveva rubato. Avrebbe potuto avere bisogno di una via di fuga presto o tardi.

Certo la bellezza non poteva essere cercata nel regno dell’incubo e della paura, infatti ciò che trovarono non fu che terrore e disperazione.

L’animo non conosce distinzione tra i due mondi a cavallo del velo, ciò che lo spirito aveva vissuto nell’oblio, non rimaneva relegato in quel mondo. Solas si trovò a pensare che l’animo fosse la dimostrazione che il mondo non fosse fatto per essere diviso, esso necessita di complessità e in quel mondo impoverito, fosse del sogno o della veglia, sbiadiva e perdeva coscienza di sé. Gli abitanti di quel mondo infatti altro non sono che pallidi spettri, così poco in contatto con loro stessi da ricordare quei maghi condannati al rito della calma, inconsapevoli e in balia di emozioni che non sanno riconoscere e quindi gestire. Per questo i demoni operano indisturbati in questo mondo. Se avessero misura del proprio animo saprebbero vedere il mondo per ciò che è e operare in esso con pienezza, offrirebbero quindi a questo mondo diviso una possibilità. Eppure nessuno era in grado di comprendere questa semplice verità. Nessuno?

Solas si guardò attorno, ognuno dei suoi compagni portava con sé la paura o il senso di colpa che il demone aveva sapientemente instillato nei loro cuori. Cassandra era rimasta in un angolo immersa nella preghiera da quando avevano fatto ritorno. Senza la sua fede la donna avrebbe ceduto e sarebbe stata la disfatta per l’intera Inquisizione. Solas sperava che la forza di volontà della cercatrice avesse infine la meglio sulla disperazione.

Varric non era più stato visto senza un boccale di birra tra le mani da quando erano arrivati nel forte. Il nano aveva barattato la sua allegria con uno stordimento velenoso, il suo spirito con un sarcasmo acido e sprezzante. Giocare con il senso di colpa che lo accompagnava era stato fin troppo facile per il demone. Solas non riusciva ad immaginare come il nano sarebbe potuto sopravvivere se fosse stata Hawke a rimanere nell’Oblio anziché il custode.

L’Inquisitore sembrava senza dubbio pensierosa, ma non angosciata. Diventava sempre più brava a nascondere le proprie emozioni, doveva riconoscerlo.

La vide mentre guardava il panorama appoggiata al parapetto di una torretta.

Dalla notte di Haven, i due amici avevano accuratamente evitato di rimanere da soli, Solas si sarebbe aspettato di vedere l'elfa tornare alla carica con domande e magari riecriminazioni, invece era rimasta lontana, silenziosa e indifferente. La delusione aveva presto lasciato il posto alla gratitudine. La distanza aiutava a focalizzare l'attenzione su ciò che davvero era importante. Solas non poteva che apprezzare l'atteggiamento dell'amica, sebbene il semplice guardarla risvegliasse in lui un misto di dolore e desiderio che faticava ad ignorare.

Le si avvicinò comunque cercando di non pensare a nient'altro che al terribile incubo di cui erano stati preda, doveva sapere come stava. Doveva sapere quali danni l'Inquisitore avesse riportato entrando in contatto con il demone. Era preoccupato per lei.

“Per quanto tu possa sforzare gli occhi dubito che riuscirai a vedere seppur il minimo cambiamento” l’amica sorrise alle sue parole senza guardarlo.

“Lo immagino, ma non voglio distrarmi. Potrebbe succedere qualcosa proprio nel momento in cui distolgo lo sguardo. Perché deve pur accadere qualcosa, questo posto non può essere così costantemente e mortalmente noioso”

“Potresti avere ragione, ma credo che dopo una battaglia e la comparsa di un arcidemone, questa landa desolata non avrà altra azione da offrire per un po’. Almeno non da questa parte del velo.”

Solas aveva aggiunto queste ultime parole di proposito per avere la possibilità di studiare la reazione dell’elfa. Lei lo guardò ma la sua espressione rimase impassibile.

Non era abituato a vederla distante, era davvero complicato avere a che fare con lei quando aveva motivo di chiudere a qualcuno l’accesso e Solas si trovava in quella posizione per la prima volta. Pensò che un approccio diretto potesse essere la mossa migliore.

“Da’len, come stai? Non hai parlato con nessuno da quando siamo tornati.”

Lei lo fissò “Neanche tu lo hai fatto e sei il solo che avrebbe bisogno di raccontare cosa ha sentito, per poter ricevere comprensione e conforto.” Solas non trattenne un sorriso, ovviamente la sua bella amica aveva colto nel segno. Il demone aveva riservato per lui delle orribili parole nell’antica lingua e nessuno ne aveva fortunatamente compreso il senso.

“Niente è inevitabile.” A quelle parole Solas sussultò, aveva forse la giovane elfa compreso il messaggio del demone?

La guardò inquisitorio finché non lei riprese a parlare: “Non è forse ciò che tu hai detto al demone? Niente è inevitabile. Sono parole interessanti.”

Interessanti, sepolte così in profondità da essere una litania nel suo cuore e nella sua mente. Nulla è inevitabile, ogni cosa è riconducibile ad una scelta, tutto può essere fatto. E disfatto. Quanta fede aveva avuto in queste parole in passato e quanta gliene rimaneva oramai?

Non era riuscito a convincere se stesso della verità di quella frase quando si trovava nel regno del demone e non ne era maggiormente convinto ora.

“Non volevo alimentare le tue angosce, mi dispiace. Ma sei tu che sei venuto a cercarmi. Non avresti dovuto farlo se non avevi voglia di parlare.”

“Hai ragione da’len. Cosa vuoi sapere?”

“Non conosco l’antica lingua bene come te, ma ho avuto l’impressione che ti chiamasse harellan, bugiardo, traditore, e che parlasse di te o del tuo orgoglio, che sono poi la stessa cosa.”

“Sei davvero incredibile! Credo tu sia l’unica capace di rendere un insulto così diretto, tanto sottilmente divertente.” Il mago non trattenne infatti un’allegra risata che suonò stranamente fuori luogo in quelle ore e in quel posto.

“Non era quello che intendevo, mi riferivo ovviamente al tuo nome e al suo significato. Comunque se anche avessi voluto intendere altro, non sarebbe stato un insulto, ma la semplice enunciazione un dato di fatto. E ti sfido a contraddirmi.” La sua risata aveva avuto un effetto benefico sull’Inquisitore che sembrava più rilassata e lo guardava ora con aria irriverente. Alla fin fine non era riuscito ad ottenere una sola parola da lei, ma ritenne più opportuno cambiare argomento prima di dover dare ulteriori spiegazioni.

“Cosa hai deciso infine, riguardo i custodi? Entro questa sera è attesa una tua risposta.” Vide l’elfa rabbuiarsi, forse si ingannava, forse non era il demone a ghermire i suoi pensieri, ma tutto il resto. Infondo anche se ridotta all’inoperosità l’Inquisitore rimaneva sempre in carica, e infinite responsabilità ricadevano su di lei.

“Rimarranno!” Lo disse con un tono deciso e piantando lo sguardo nel suo, come volesse sfidarlo a contraddirla. Lo conosceva bene infondo.

“E’ una decisione folle, quegli sciocchi hanno aperto le porte di questo mondo ad un esercito di demoni e per quale motivo? La loro stoltezza, la loro debolezza. Hanno dimostrato di non essere degni di fiducia!”

“C’è chi direbbe la stessa cosa di voi maghi.” Lo sguardo dell’elfa era tagliente, la voce controllata, stava evidentemente prendendo molto sul serio il suo ruolo in questo momento, non si poteva dire che apprezzasse essere contraddetta. Solas non era però da meno.

“Non essere cieca, in questo caso non è una questione di possibilità, loro hanno già effettivamente tradito il proprio ruolo, hanno già fatto la propria scelta”

“Ed è stata quella di schierarsi con noi.”

“Solo per paura! Il tuo esercito era lì in forze, il loro comandante chiaramente fuori di senno, quale scelta avevano? Hanno scelto le proprie vite, non una causa giusta. Se qualcuno offrisse loro domani lo stesso patto, lo accetterebbero. Il loro scopo è quello di mettere fine al flagello e questo li rende ottusi. Tutto il resto per loro è irrilevante!” Solas vibrava per lo sforzo di tenere a bada la propria rabbia. Caparbia ragazzina, non vedeva il rischio che stava correndo? Era più importante uscire trionfante da quel loro sciocco scontro che ammettere di correre un rischio tanto grave? Era evidente che in quella sua caparbietà vi era qualcosa di diverso. Lei aveva sempre fatto affidamento sul giudizio del mago, ed ora invece lo stava sfidando deliberatamente. Voleva davvero che le tensioni tra loro influenzassero il destino del mondo? Non poteva permetterlo. “Non puoi prendere una decisione del genere a cuor leggero, non puoi lasciarti guidare da motivazioni futili, non puoi lasciarti guidare dai sentimenti o dall’istinto”

“Sono molte le cose che non posso fare, stando al tuo giudizio. Resta da vedere se le mie intenzioni siano davvero quelle che tu mi attribuisci.”

Anche l’elfa stava iniziando a scaldarsi, perdendo lentamente l’aria da leader composto. Quella era forse la prima volta che si trovavano così apertamente in disaccordo.

“Questa tua decisione non ha nulla di consapevole! I custodi non sono altro che delle marionette nelle mani di Corypheus, non puoi lasciare che combattano al tuo fianco!”

“E’ grazie ad una di quelle marionette, se siamo ancora vivi! Il coraggio di un custode ha salvato il Thedas ancora una volta, non fosse stato per Loghain, Corypheus avrebbe la sua armata di demoni. Non intendo offendere la sua memoria e rendere vano il suo sacrificio. Questa è la mia decisione e non è più oggetto di discussione!” Alla fine anche la ragazza aveva ceduto alla rabbia. Avevano entrambi alzato la voce e nel silenzio che ne era seguito, Solas percepì i respiri trattenuti di quelli che loro malgrado avevano assistito allo scontro. Lei si era allontanata in fretta lasciandolo solo ad osservare il deserto e a riflettere su ciò che era appena accaduto.

Il mago doveva ammettere di aver sbagliato di nuovo. Era affrettato nel dare giudizi su di lei quando le loro opinioni divergevano. Il suo orgoglio, probabilmente era quello a spingerlo a sminuire l’Inquisitore, ad attribuirle giudizi superficiali e sbrigativi. Doveva ammettere di voler disperatamente essere deluso da quella ragazza. Ma lei ogni volta lo sorprendeva.

L’elfa sentiva la responsabilità di quel sacrificio, sentiva di dover rendere giustizia alla morte di un uomo onorevole e lui le aveva invece addossato pensieri meschini e infantili. Sentiva di doverle chiedere scusa.

Lasciò trascorrere qualche ora e decise di tornare a parlarle dopo l’annuncio ufficiale.

Affiancata da Cullen l’elfa sembrava scomparire, l’attenzione dei soldati era tutta rivolta verso l’uomo massiccio dall’armatura scintillante. Poi l’elfa minuta e sfuggente prese la parola, e tutti trattennero il fiato. In quanto a grinta, tempra e carisma, non era certo seconda a nessuno. Quegli uomini sarebbero partiti alla conquista della Città Nera se lei lo avesse chiesto, come aveva fatto la giovane e selvaggia dalish a trasformarsi in una leader tanto capace?

I Custodi sarebbero rimasti e Hawke sarebbe partita immediatamente alla volta di Weisshaupt per relazionare riguardo l’accaduto. Non era rimasto nessun altro a poterlo fare. Solas immaginò che quella sera Varric avrebbe bevuto ancor di più.

L’atmosfera era strana tutti avevano voglia di rilassarsi, e per questo si respirava un’aria di festa che risultava però forzata. I soldati dell’Inquisizione erano timorosi, preoccupati riguardo quei nuovi alleati potenzialmente letali. I custodi erano evidentemente smarriti, i loro comandanti erano morti, non avevano uno scopo e non avevano un leader, fatta eccezione per la giovane dalish con la quale erano evidentemente in debito. Erano tutti riuniti in piccoli gruppi sforzandosi di essere allegri, l’alcol fortunatamente non mancava e sembrava scorrere copioso portando via con sé i timori più profondi.

Solas si guardò attorno e vide l’Inquisitore e Varric defilati rispetto agli altri gruppi. Sedevano su delle casse e bevevano scambiandosi poche parole. Si avvicinò.

“Da’len, permetti una parola?” L’elfa lo guardò, aveva lo sguardo annebbiato dalla stanchezza e forse dall’alcol.

“Non mi sembra un buon momento mago, ripassa domani.” Le parole di Varric suonavano sprezzanti, e nel pronunciarle il nano non lo aveva guardato, aveva piuttosto rivolto lo sguardo verso la ragazza.

Ma l’elfa era già in piedi. “Torno subito Varric, dammi solo un momento”

Si allontanarono dal cortile, il resto della fortezza era deserto e quasi completamente buio. Si lasciò guidare dall’amica che si fermò lungo un’ampia scalinata fiocamente illuminata. La osservò per un momento, aveva portato con sé un grosso boccale di legno e ne beveva ad intervalli regolari, il mago lo prese dalle sue mani e lo appoggiò a terra, sorpreso dalla mancata ribellione di lei a quel gesto invadente. Forse era consapevole di aver bevuto troppo. “Volevo solo chiederti scusa. Non era mia intenzione allontanarti da Varric per troppo tempo, so che lui ha bisogno di te questa sera”

“Lui non ha bisogno di me, semplicemente apprezza la mia compagnia. E’ così che funziona tra amici.”

Solas credeva di non sbagliare leggendo una stoccata nei suoi confronti in quell’ultima frase. Decise di ignorarla e riprese: “Volevo chiederti scusa per prima. Non approvo la tua scelta ma non ho motivo di credere che non sia una scelta ragionevole e motivata, dovrei avere più fiducia nella tua capacità di giudizio”

“Dovresti avere più fiducia in me” non c’era rabbia nella voce dell’elfa, ma era ben lontana dall’accettare le scuse.

Varric aveva ragione come al solito, non era un buon momento per parlare, lo disse all’elfa e fece per andarsene ma lei con uno scatto gli sbarrò la strada. Nello spostamento l’elfa aveva urtato il boccale che si era rovesciato e rotolava ora lungo le scale. Era molto, troppo vicina, sentiva il suo profumo mescolato a quello dell'alcol, fece un passo in dietro.

“Sei un ipocrita” la voce dell’elfa era perfettamente controllata e Solas si sentì gelare. “Non fai altro che nascondere ciò che sei, ciò che provi, ciò che pensi. Ogni volta che ti capita di mostrare la tua vera natura ti affanni poi per correre ai ripari, nascondendo, mistificando, manipolando. Se avessi fiducia in me è di questo che ti scuseresti.”

Solas si sentì per un attimo messo alle strette “Credi di sapere qual è la mia vera natura? Devo dire che sai davvero dare troppo credito a te stessa a volte” l’elfo si pentì di quelle parole nell’istante stesso in cui lasciarono la sua bocca, cercò un modo per riprendersi “Anche io ho dei dubbi su quale sia la mia stessa natura.”

“Non vedi? Puoi raccontare e raccontarti ciò che vuoi ma nel tuo impeto di quest’oggi, nella reazione orgogliosa che hai appena avuto, nella tenerezza, nella passione, io ti vedo e ti riconosco. Tutte le altre sono maschere ed io non ho mai fatto nulla per meritarle”

Quegli occhi così belli lo avevano davvero guardato in profondità, era terrorizzato da tutto ciò che avrebbero potuto vedere e allo stesso tempo era così affascinato dalla sagacia di quella dalish. Eppure sapeva di non poter lasciare spiragli.

“Quindi infine è questo. Il problema riguarda il nostro rapporto? Le tue aspettative deluse? Mi dispiace, ma non credo che sia giusto lasciare che questioni private interferiscano con le nostre missioni. Questa tua reazione conferma la necessità di delimitare confini riconoscibili.”

“Questo è ridicolo, non vuoi dare ascolto alle mie parole. E se anche la voglia di starti accanto giocasse la sua parte in ciò che ti ho detto, quale sarebbe il problema?”

Solas trasse un respiro profondo prima di rispondere, vedeva la verità dietro ogni parola della ragazza, ma non doveva cedere: “Devi domare il tuo cuore e i tuoi istinti, io farò lo stesso, allora sarà tutto più semplice, allora tornerai a vedere le cose con chiarezza”

L’elfa lo guardò con disgusto e si allontanò senza aggiungere una parola. Vederla allontanarsi era allo stesso tempo un sollievo e un dolore indescrivibile. Era davvero tutto finito?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Leccarsi le Ferite ***


XXVII
La prima cosa di cui fu consapevole quella mattina, fu il terribile sapore acre che il vino aveva lasciato nella sua bocca. Non appena tentò di muoversi lo stomaco iniziò a gorgogliare facendole tornare alla mente i terribili momenti trascorsi nella stiva di una nave.
La testa le pulsava incessantemente, era davvero molto tempo che non beveva così tanto. Riuscì con fatica a tirarsi su a sedere, quel tanto che bastava per guardarsi attorno. Si trovava nel cortile della fortezza, si era addormentata vicino a casse e sacche di provviste, Varric non doveva essere troppo lontano, non lo vedeva ma lo sentiva russare. Il sole iniziava pian piano ad alzarsi su quella distesa di sabbia e il caldo era già soffocante.
Lena cercò di mettersi in piedi, ma un nuovo conato trattenuto a stento le fece cambiare idea, si trascinò fino a raggiungere un mucchio di sacchi e si appoggiò ad essi con la schiena. Rimase a lungo ad osservare le ombre ritirarsi pian piano.
La testa era confusa e i pensieri appannati, ma per quanto vino e liquore fosse riuscita ad ingerire la notte precedente, non era stato sufficiente a cancellare dalla sua testa neanche una virgola di quanto accaduto in quei giorni. Era ancora tutto inciso nella sua memoria. Gli sguardi spaventati dei suoi compagni dopo aver ascoltato le parole del demone, le bruciavano nella mente. Aveva visto la paura crescere dentro di loro, li aveva visti chiudersi in loro stessi uno ad uno. Ricordava anche le parole che il demone aveva rivolto contro di lei sebbene non ne fosse rimasta turbata, era abituata ad essere derisa e sminuita da tutta la vita, era riuscita a ridere delle parole del demone e ne era orgogliosa. Anche per lei, però, l’oblio aveva tessuto un tormento adeguato e non poteva incolpare il demone per questo, solo se stessa.
Chi le aveva dato il potere o l'arroganza di scegliere la vita e la morte per un individuo? Ragionando razionalmente sapeva che Hawke e Loghain si sarebbero fatti uccidere entrambi se non fosse intervenuta prontamente, ma non poteva negare che non ci fosse nulla di razionale nel modo in cui aveva preso quella terribile decisione, vi era anzi una buona dose di egoismo. Lena aveva realizzato in un attimo che se avesse lasciato Hawke morire nell'Oblio, non avrebbe più potuto guardare Varric negli occhi. E per questo un buon uomo era morto, un custode coraggioso aveva sacrificato se stesso.
Persa in quella terra sbagliata, non aveva pensato neanche per un momento alle proprie responsabilità, non aveva pensato all'Inquisizione, al bene del mondo, alla cosa giusta da fare. Aveva chiuso gli occhi e aveva rivisto lo sguardo addolorato di Varric, aveva per un istante riassaporato le emozioni del nano, che così violentemente la avevano assalita in un sogno di tanto tempo prima, aveva sfiorato di nuovo il suo dolore e semplicemente non aveva potuto fare altro che riportare Hawke da lui.
Si era costretta a guardare Loghain negli occhi, lui l’aveva ringraziata, aveva infine reso omaggio all’Inquisitore riconoscendole integrità e forza d’animo e lei era rimasta a guardarlo correre incontro alla morte. Era restata fino al momento in cui rimanere ancora avrebbe significato vanificare il sacrificio del guerriero. Aveva guardato per imprimere nella memoria il proprio crimine, per non poter dimenticare un giorno, che un uomo valoroso era morto a causa sua.
Tornata aveva guardato Varric negli occhi e gli aveva sorriso, lui non poteva e non doveva sapere. Si chiese quanto tempo sarebbe passato prima di potersi guardare allo specchio con la stessa sicurezza.
 
Il sole continuava ad alzarsi, presto la avrebbe raggiunta.
Vide un ammasso di stracci che riconobbe come Varric, muoversi ed infine sollevare la testa e guardarsi intorno disorientato.
“Buon giorno, mastro Tethras.”
Il nano strizzò gli occhi, cercando di capire da dove venisse la voce, individuata l’elfa si alzò a fatica e si trascinò verso di lei, andandosi a sedere al suo fianco all’ombra delle mura.
“Parla per te ragazzina, siamo nel mezzo del nulla, fa già un fottutissimo caldo e la mia testa sta per scoppiare. Direi che non ha niente di buono questo giorno!” Varric si era seduto contro un grosso sacco, vi aveva appoggiato la testa e chiuso gli occhi. Era strano vedere il nano la mattina dopo una sbronza, reggeva perfettamente l’alcol e non lo aveva mai visto bere tanto da stare così male.
“E’ bello vedere come le notti in accampamento non smettano mai di metterti di buon umore!” disse Lena ironica, per tutta risposta Varric allungò una mano dietro la testa verso l’apertura del sacco, ne trasse una patata e la lanciò contro l’elfa, nonostante lo stordimento lei riuscì ad evitare che le colpisse il naso.
“Promettimi che mi impedirai di toccare anche il più misero goccio di birra per almeno un mese.” La voce di Varric era roca e impastata, ma sembrava serio.
“Non credo sia così difficile, probabilmente ieri sera abbiamo prosciugato le riserve di alcol dell’intero Accesso Occidentale.”
Varric si concesse un mezzo sorriso, piegò di nuovo in dietro la testa e chiudendo gli occhi chiese: “Tu come stai?”
“Come se avessi preso la peggiore sbornia della mia vita.”
Varric aprì un occhio e la guardò di traverso: “Ricordi niente di ieri sera?”
Lena fece di sì con la testa e chiuse anche lei gli occhi. La serata precedente era impressa a fuoco nella sua memoria come tutto il resto.
Era così arrabbiata con Solas,  eppure sapeva che almeno in parte l’amico aveva ragione.
Aveva visto giusto, la sua decisione riguardo i custodi era stata istintiva e irrazionale, aveva senza dubbio molto, troppo di personale. Ma come poteva pensare che avesse a che fare con loro due? Che scarsa considerazione doveva avere di lei?
La aveva più o meno direttamente accusata di usare quella storia per rivalersi contro di lui. Chi potrebbe mai fare una cosa del genere? La conosceva davvero così poco? La giudicava tanto infantile? A cosa erano servite le lunghe ore trascorse insieme, le confidenze, tutto ciò che avevano condiviso e affrontato insieme se a lui era bastato un misero errore, la debolezza di un momento, per perdere completamente la stima che diceva di avere per lei.
Lena doveva ammettere di non essere stata onesta con lui, tornati dall’Oblio lo aveva tenuto a distanza, lo aveva evitato, si era rifugiata in Varric, per cercare in lui la conferma di aver fatto la cosa giusta o quanto meno per trovare una giustificazione per il proprio orribile crimine.
Comunque non avrebbe potuto affrontare Solas, come avrebbe potuto capire quell'elfo così razionale, la sua decisione? Lei aveva messo da parte il senno e fatto una scelta seguendo solo l’istinto. Di nuovo, e lui l’avrebbe senza dubbio giudicata duramente. Ma non avrebbe permesso a quell’elfo di confezionare giudizi per qualcosa che non poteva comprendere. Come poteva sapere cosa aveva provato lei davanti al dovere di scegliere tra due mali atroci? Come poteva capire chi non era stato costretto dal fato a trovarsi nella sua stessa posizione, cosa si provava a condannare qualcuno nella speranza di poter salvare qualcun altro?
Solas non avrebbe capito e lei lo avrebbe odiato per il suo giudizio superficiale. E allora meglio non offrire all’amico quell’occasione.
Meglio lasciargli credere che il problema fosse lei, il suo cuore lunatico, la sua irruenza e il suo orgoglio, piuttosto che permettergli di guardare dentro la sua colpa. Preferiva essere accusata immeritatamente di un errore insensato, che dava di lei un’immagine ridicola, ma che era pronta a sopportare e a combattere, anziché essere condannata con superficialità per una colpa che lei stessa non sapeva perdonarsi.
Infondo andava bene così. Avrebbero finito con il complicarsi la vita a vicenda, in questo modo invece ciascuno poteva tornare tranquillamente per la propria strada e magari il loro rapporto sarebbe tornato a distendersi, prima o poi.
 
“Ragazzina, è andata così male?” La voce preoccupata di Varric la distolse da quei pensieri tristi e la riportò al presente.
“Non c’è nessuno come me capace di prendere una brutta situazione e farla diventare pessima.”
“Non ci scommetterei fossi in te, ne ho conosciuti di combina guai nella mia vita! Finché non fai scoppiare una guerra o esplodere qualcosa, ai miei occhi rimani una principiante.” Varric aveva recuperato un tono più lieve rispetto ai giorni precedenti, l’incubo si stava allontanando, almeno dai suoi pensieri. “Ho già cercato di metterti in guardia, ma tu sei più testarda della cercatrice. Qualunque cosa stia accadendo tra te e il simpaticone, fai attenzione.”
Lena si sentì esasperata dalla situazione, nessuno voleva riconoscere la dinamica del suo rapporto con Solas, nessuno voleva vedere che ancora una volta non era lei ad essere la preda in pericolo.
“Perché continuate tutti a credere che sia io quella da difendere in questa storia. Vai a parlare con lui e digli di fare attenzione, di starmi lontano, di non cacciarsi nei guai, perché a quanto pare sono io ad essere pericolosa.”
Lena aveva risposto di getto, ma Varric non sembrava scosso dalla sua reazione, il nano aveva anzi sorriso senza guardarla.
“Solas non è Anders!” Queste ultime parole lasciarono la sua bocca prima che l’elfa potesse impedirselo. Si rese conto di essere incredibilmente stanca, di desiderare immensamente un solo istante di pace, senza la costrizione e il peso delle responsabilità, senza l’angoscia di commettere errori che sarebbero risultati fatali per l’intero Thedas, senza dover essere necessariamente sotto gli occhi di tutti. Desiderò di poter essere di nuovo semplicemente triste, spaventata, arrabbiata o debole. Invece tutto quello era stipato e compresso dentro di lei ed ora aveva trovato sfogo nel modo peggiore.
Varric sollevò la testa e le rivolse uno sguardo gelido: “E tu certamente non sei Hawke.”
La voce del nano era suonata spietata alle orecchie di Lena. Lo vide alzarsi e allontanarsi da lei senza aggiungere una parola.
Era stata una sciocca, aveva capito i timori del suo amico e li aveva usati contro di lui, smascherandoli in modo meschino. Ovviamente Varric non aveva apprezzato.
Desiderò per un attimo essere il tipo di combina guai capace di far saltare in aria le cose o di scatenare guerriglie, invece era destinata ad essere una persona capace di generare caos nelle proprie questioni private, dispensando pace e ordine solo a chi era in grado di rimanere sufficientemente lontano da lei.
Varric aveva ragione non c’era assolutamente nulla di buono in quel giorno.
 
La fortezza stava pian piano prendendo vita, iniziava una nuova giornata e qualunque pensiero la angosciasse doveva essere seppellito in profondità, l’Inquisitore doveva salire sul palco, Lena avrebbe dovuto attendere momenti migliori per tornare alla ribalta.
Cullen la trovò in fretta, aveva come al solito mille questioni da sottoporle, ma la più interessante quella mattina riguardava il loro ritorno a Skyhold, gli uomini sarebbero stati felici, ma questo voleva dire decidere riguardo l’assegnazione dei custodi.
Si affidò ciecamente ai consigli del comandante, non sarebbe stata in grado comunque di scegliere razionalmente.
Si concentrò invece su gli ordini di approvvigionamento, sui rapporti degli esploratori e sulle manovre necessarie per riportare il grosso delle truppe verso Skyhold, il viaggio sarebbe stato lungo ed era necessario prevedere delle soste adeguate lungo il cammino. Muovere un intero contingente avrebbe richiesto un’ottima organizzazione.
La mattinata trascorse lenta e noiosa tra logistica e rapporti. Cullen sembrava il solo del suo entourage più ristretto ad essere rimasto in circolazione e Lena dovette riconoscere che il suo atteggiamento distaccato da bravo soldato fosse esattamente ciò di cui aveva bisogno.
Nel primo pomeriggio l’Inquisitore notò Varric gironzolare nella grande sala, nell’angolo della quale si trovava il tavolo del comandante.
Si aggirava come un gatto nelle cucine, tentando di rimanere inosservato e avvicinandosi a poco a poco al proprio obiettivo.
 “Ricciolino, anche se i tuoi poteri ti permettono di non mangiare, non puoi affamare l’Inquisitore. Non vorrai farla tornare pelle e ossa come quando è arrivata da noi?”
“Accidenti, si è fatto tardi. Mi dispiace Inquisitore, non me ne sono reso conto. Sei affamata? Sei stanca?”
“Tranquillo, Varric ti sta solo prendendo in giro. Sto bene, anche se devo ammettere che una pausa non mi dispiacerebbe.”
Cullen annuì e si allontanò per cercare qualcosa da mangiare.
Lena e Varric lasciati soli si guardarono negli occhi per un istante.
“Mi dispiace, ho detto una cosa orribile, non volevo. Puoi perdonarmi?” Lena aveva parlato d’un fiato felice di poter chiedere scusa.
Varric rispose con una sonora risata “Ragazzina, abbiamo solo discusso, non mi sembra una cosa così grave. Doveva succedere prima o poi. Io potrei litigare anche con me stesso se passassi troppo tempo da solo in mia compagnia. E’ per questo che scrivo.”
Lena sorrise. All’improvviso si sentiva più leggera.
“E poi avevi colto nel segno. Se dovessi serbare rancore verso tutti coloro che mi abbiano fatto notare una verità che volevo ignorare, probabilmente ora potrei parlare solo con Bianca. E non posso esserne certo.”
Lena sorrise ancora e abbracciò l'amico con gratitudine.
“Va bene, va bene” disse Varric cercando di liberarsi dall'abbraccio dell'elfa, “Non c’è bisogno di fare tante storie. Promettimi solo che prima di fare esplodere una cosa qualunque ne parlerai con me ok?”
Lena liberò Varric dall’abbraccio e lo guardò grata e divertita.
“E comunque sappi, ragazzina, che io faccio il tifo per il custode.”
“Fare il tifo per il bugiardo assassino, è senza dubbio da te.”
“Nessuno di noi qui è una persona per bene. Siamo qui per questo, per far sì che le persone per bene possano rimanere al sicuro nelle loro case. Quindi, meglio sapere con chi hai a che fare, no? Fossi in te mi chiederei cosa abbia da nascondere dal canto suo, il nostro mago per bene
Lena ebbe l’impressione che avrebbe avuto tempo per riflettere sulle parole dell’amico, ma Cullen era di ritorno. La pausa era finita c’erano doveri a cui doveva dedicarsi ed ora lo avrebbe fatto con un poco più di serenità.
 
 



XXVIII 
 Camminavano da molto tempo, aprendo la strada al contingente che li seguiva ad almeno un giorno di distanza. Il loro compito era quello di prendere accordi con mercanti, nobili e borgomastri per rendere il più agevole possibile il passaggio delle truppe. L’Inquisitore voleva evitare di indispettire qualche umano spocchioso, passando attraverso terre e possedimenti senza averne il permesso. Di contro non voleva rischiare che i soldati facessero man bassa di ciò che trovavano nei territori attraversati. L’urgenza della battaglia aveva permesso di essere meno formali nello spostare i soldati da Skyhold e dalle varie roccaforti fino all’Approccio Occidentale, Josephine e Leliana avevano fatto il proprio dovere disseminando la notizia di un esercito di demoni che si raccoglieva ad Adamant, nessuno aveva cercato di fermare le forze dell’Inquisizione. Ma gi umani hanno una memoria breve e non sono inclini alla riconoscenza, non avrebbero trovato altrettanta benevolenza sulla via del ritorno.
Il viaggio proseguiva quindi lentamente ma era oramai quasi giunto alla fine. Solas era particolarmente lieto di poter far ritorno a Skyhold. Tornare alla base significava riguadagnare tempo e spazio per sé. Essere costretti a vivere gomito a gomito con un gruppo tanto ristretto stava diventando soffocante per il mago, abituato dal tempo a beneficiare del proprio isolamento.
Solas si trovò a riflettere su quanto insistente si facesse sentire il peso della solitudine in quel momento. Non era rimasto da solo neanche per un istante da quando erano in viaggio eppure si sentiva tremendamente solo e a disagio.
La persona con cui avrebbe avuto voglia di chiacchierare per poter condividere il proprio stato d’animo, era in realtà l’unica a non rivolgergli la parola.
Varric non aveva perso una sola occasione per punzecchiarlo e alla fine Cassandra si era dimostrata l’unica compagna piacevole
Da quando era diventato tanto importante il piacere di viaggiare in buona compagnia?
Quella sera come ogni altra sera, dopo aver mangiato qualcosa Solas si era seduto un poco discosto dal fuoco, abbastanza da essere defilato ma non troppo da rimanere al buio. Aveva tratto dalla sacca un piccolo fascio di fogli e una scatolina di legno in cui erano conservati dei carboncini. Ne scelse uno ed iniziò a disegnare. Aveva scoperto di trovare più stimolante poter disegnare lontano da Skyhold, non vi erano voci che lo guidassero, era libero di ritrarre ciò che la sua mente e i suoi occhi gli suggerivano ed era incredibilmente rasserenante poter seguire, anche se in modo così circoscritto, nient’altro che i propri desideri.
Nei giorni passati aveva fatto dei veloci schizzi di ciò che avevano visto durante il giorno: uno strano druffalo, un’antica costruzione elfica, un albero particolarmente maestoso. Quella sera iniziò invece con il dipingere i suoi compagni.
Sapeva dove i pensieri erano intenzionati a condurlo, ma a quel desiderio non avrebbe ceduto, non sarebbe stato giusto, neanche qui. Un sorriso gli sorse alle labbra a quel pensiero e un brivido gli percorse il corpo. Troppo spesso le immagini di Haven tornavano a tormentarlo, ora che aveva avuto un assaggio di ciò che bramava, tenere a freno l’immaginazione era divenuto sempre più difficile.
Prese a disegnare il profilo scolpito di Cassandra, era difficile rendere sulla carta la sua forza che non aveva nulla di brutale ma che aveva origine anzi dal suo cuore, dalla sua fede.
Era alle prese con gli zigomi della donna quando una voce ruppe la sua concentrazione.
“Non ti ho mai visto disegnare in missione, prima di questi giorni”
L’Inquisitore si era avvicinata un poco,  rimanendo però accostata al fuoco, sufficientemente lontana da lui.
“E’ solo un passatempo per tenere occupate le mani e la testa. In realtà preferisco la pittura al disegno”
Stavano parlando per la prima volta dalla notte della loro discussione. Entrambi sembravano guardinghi, come due cani che si studino a distanza senza avere il coraggio di avvicinarsi o la voglia di ringhiarsi. Solas sollevò per un momento lo sguardo dal foglio, l’elfa non lo guardava, guardava il fuoco, ma mentre osservava il suo profilo così familiare, lei parlò di nuovo: “Quando hai iniziato a dipingere? Perché?” la sua voce era atona, seria, lontana. Non vi era nulla dell’allegra curiosità con cui era solita rivolgergli le domande. Eppure Solas leggeva una piccola tregua dietro le parole dell’elfa.
“Ho iniziato a dipingere tantissimo tempo fa, ero davvero molto giovane al tempo. Temevo che invecchiando avrei dimenticato ciò che vedevo, ciò che incontravo sul mio cammino. Temevo che avrei dimenticato soprattutto i sentimenti legati a ciò che scoprivo. Fosse stato amore, frustrazione, rabbia, indignazione, volevo che tutto potesse rimanere cristallizzato, temevo che con il tempo mi sarei abituato all’orrore, all’ingiustizia, al calore. Il tempo corrode e corrompe, volevo che ogni sensazione rimanesse invece inviolata tanto da poter suscitare ogni volta la medesima reazione.”
L’inquisitore aveva alzato lo sguardo e lo guardava interdetta. “Come dicevo, ero giovane, non era un buon piano. Però continuare a dipingere mi aiuta ancora, soprattutto quando le idee in testa si confondono. Ogni immagine è fatta di linee, smembrare un immagine per poterla ricreare su di un muro o su un foglio mi dà un senso di ordine e di solidità. Placa le ansie del vecchio come placava quelle del giovane, anche se per motivi diversi.”
Aveva parlato semplicemente, aveva detto tutta la verità. Era rilassante farlo, era una gioia farlo con lei. Realizzò di aver parlato di sé come di un vecchio e realizzò in un attimo di aver detto troppo. Vide lo sguardo dell’Inquisitore attraversato da una domanda. Era sempre riuscito fino a quel momento ad evitare qualsiasi riferimento alla propria età ed ora aveva invece con poche parole, aperto la strada a quell’interrogativo. Non voleva mentire. Era un rifiuto assoluto, quindi corse ai ripari, rivolgendo all’amica la prima domanda che gli venne alla mente, sperando di spostare la sua attenzione.
“E tu? Avevi qualche passatempo prima di diventare la salvatrice del mondo?”
Vide l’elfa fallire nel tentativo di reprimere un sorriso. Era ancora giustamente arrabbiata. E allora perché lo cercava? E lui perché ne era così contento?
“Avrai forse notato che so leggere...”
Solas realizzò all’improvviso che l’alfabetizzazione non era un tratto comune per un dalish. Saper leggere e scrivere è spesso prerogativa esclusiva dei guardiani e dei loro Primi. Gli altri imparano difficilmente e con maggior difficoltà continuano a leggere durante l'età adulta, dopotutto i libri sono oggetti rari nelle foreste.
Eppure non aveva mai pensato a quell’abilità dell’Inquisitore come ad un dono speciale. Era così abituato a vederla emergere dalla massa ignorante che formava la sua gente, che non aveva mai pensato che lei fosse destinata a rimanere analfabeta. Ciò che lui aveva considerato assolutamente scontato, era invece di per sé un tratto speciale della giovane elfa, qualcosa che aveva concorso a renderla così vera e viva ai suoi occhi.
Superata la sorpresa per la propria superficialità, Solas si ritrovò ingenuamente a chiedere: “Quindi imparare a leggere è stato il tuo passatempo?”
La ragazza non trattenne una risata leggera, questa volta. Doveva sembrare uno sciocco ai suoi occhi.
“No, il guardiano mi insegnò a leggere e scrivere quando ero bambina. Lo insegnò a me come a molti dei miei coetanei, tutti coloro che ne avevano voglia potevano imparare. Dopo la sua morte leggere diventò un modo per rimanere legata a lui, per evadere e per sfidare la guardiana, decisa a difendere la capacità di leggere e scrivere come suo privilegio esclusivo.”
Solas fu forse ingannato dal chiarore del fuoco ma ebbe l’impressione di vedere l’Inquisitore arrossire quando con un filo di voce aggiunse: “A volte scrivevo anche, ma non dirlo a Varric.”
Solas sorrise dolcemente alle parole della ragazza. Era davvero un mistero inspiegabile la strana creatura che si trovava davanti. In quel momento avrebbe detto di lei che non fosse nient'altro che una bambina, costretta ad affrontare qualcosa più grande di lei. Ma l'aveva vista combattere con la forza e la ferocia di un lupo, aveva conosciuto la sua determinazione e la sua saggezza. Aveva ammirato la dedizione con cui si era donata alla causa, imparando a domare la propria irruenza. Era diventata una leader eccellente, attenta e giusta. Eppure aveva saputo mantenersi fedele a sé stessa. Avrebbe avuto così tanto da imparare da lei. Come poteva essere così vera? Come poteva ergersi al di sopra di tutti gli altri. Quale straordinario caso l’aveva portata proprio da lui?
O forse Fellassan aveva ragione? Forse lei non era l’eccezione, forse davvero in queste creature vi era molto di più di quanto lui non fosse disposto ad ammettere.
“Come eri prima di arrivare qui? Il marchio, l’Inquisizione, tutto questo ti ha cambiata in qualche modo?” Non seppe trattenersi dal rivolgere ad alta voce la domanda che lo tormentava e la ragazza lo fissò cercando di coglierne il significato profondo.
“Mi sembra una domanda sciocca. Come potrebbe tutto questo non avermi cambiata o fatta crescere? Sarei dovuta essere blocco di pietra per non lasciarmi modellare dagli avvenimenti che abbiamo vissuto. E come ben sai anche la pietra con pazienza e costanza si lascia levigare. Se vuoi sapere invece se  la magia del marchio possa  avermi cambiata in qualche modo, non credo di poterti rispondere. Anche se fosse non credo potrei esserne consapevole”
Gli occhi dell’elfa non lo lasciarono, continuavano a studiare le sue intenzioni.
“Dimentico troppo spesso quanto tu sia saggia, mia giovane amica.”
Si guardarono negli occhi per un momento. Di nuovo i tatuaggi della giovane dalish sembrarono emanare un fioco bagliore.
Le si avvicinò per cercare di osservare meglio lo strano fenomeno.
Prese il volto della ragazza tra le mani e si mise ad osservarne i tatuaggi. Non aveva mai visto una reazione del genere, non avrebbero dovuto brillare eppure mentre li osservava divenivano sempre più luminosi.
Incrociò per un attimo lo sguardo della giovane. Sembrava spaventata o a disagio, lasciò andare il suo viso e subito lei si allontanò trascinandosi a sedere un poco più indietro. Lo guardava interdetta e intimorita e i tatuaggi brillavano con forza.
Si rese conto di aver lasciato troppo spazio al suo interesse clinico dando luogo ad una situazione imbarazzante. Doveva spiegare.
“Da'len i tuoi tatuaggi si illuminano. Non credo dovrebbero farlo. È la prima volta che vedo una reazione del genere. Ti capita spesso?”
L'elfa scosse la testa, sembrava stupita quanto lui. “Non che io sappia, è la prima volta che qualcuno me lo fa notare.”
La giovane si toccò il viso come se potesse sentire al tatto qualche mutamento sulla pelle. I vallaslin circondavano i suoi occhi, era impossibile per lei vedere la loro reazione senza uno specchio.
“La prima volta l’ho notato nei sogni, credevo fosse una reazione dovuta al marchio. Ma deve essere qualcosa di diverso, perché ora non può essere l’influenza dell’Oblio a farli illuminare così come quella notte nella mia stanza...” lasciò la frase in sospeso.
La conversazione aveva preso una piega inaspettata e meglio sarebbe stato per entrambi interrompersi lì.
L’elfa dimostrò prontezza di spirito rivolgendosi verso i due compagni che sedevano entrambi immersi nella lettura dall’altra parte del fuoco.
“Varric vedi qualcosa di strano sulla mia faccia?”
“Certo ragazzina vedo...” ma il commento presumibilmente ironico gli morì in gola quando ebbe alzato lo sguardo sul viso dell’Inquisitore.
“Per le tette di Andraste, ti stai trasformando in una fiaccola di Velfuoco! Hey, Chuckles, è tutto normale?”
“Non saprei Varric, ma non ha l’aria di essere pericoloso.”
Mentre parlavano i tatuaggi dell’elfa erano tornati normali.
“Ragazzina, devi decisamente capire come funziona questa cosa, potrebbe essere molto utile in quelle dannate caverne piene di dannatissimi ragni giganti”
Solas si trovò ad allentare la tensione concedendosi una breve risata. Scambiò ancora uno sguardo con l’Inquisitore che si alzò in fretta augurò la buona notte e si andò a rifugiare in una tenda.
Solas invece riprese fogli e carboncini, e iniziò a tratteggiare il motivo dei tatuaggi della giovane amica. Avrebbe resistito alla tentazione di disegnare il suoi tratti graziosi, ma poteva concedersi il lusso di disegnare i suoi vallaslin, giustificando il gesto come puro interesse speculativo.
“Cosa disegni, Chuckles?”
Varric si era avvicinato a lui ed ora era accosciato dietro le sue spalle e sbirciava i suoi fogli. Cassandra doveva aver raggiunto l’Inquisitore in tenda.
“Sei piuttosto accurato, devi aver studiato questi segni con grande attenzione.” Il sorriso del nano era allusivo, ma non vi erano nelle sue parole la diffidenza e la ruvidezza che Solas vi aveva letto in passato.
“Ti ringrazio, non sapevo fossi un esperto di arte pittorica. Mi fa piacere sapere di non incorrere nel tuo giudizio critico. Non più quanto meno.” Solas era contento di aver invertito i ruoli e di poter essere lui a stuzzicare il nano per una volta.
“Non correre troppo. Di certo non hai la mia benedizione, ma alla fine che cosa ne so io di arte pittorica. Sono un cantastorie non un pittore. Sono bravo a immaginare situazioni, trame e svolte improvvise. Mi siedo qui a guardarti e immagino che tipo di personaggio potresti essere in uno dei miei libri, e ahimè, non riesco a vedere altro che un eroe tragico. Quelli come te integerrimi e inflessibili sono sempre destinati a fini sciocche e inutili, che sono quelle che di solito strappano una lacrima ai lettori.
Ma per una misera lacrima il personaggio deve attraversare mille tormenti. Perdonami quindi se cerco di tenere questo tipo di personaggi lontano dalle mie storie, lontani dai miei personaggi preferiti. Ma anche i personaggi dei libri non fanno mai quello che desidero per loro. Quindi so bene quando semplicemente è il caso di assecondare gli eventi.”
“Se avessi la metà della tua saggezza, Varric, non staremmo facendo questa conversazione. Stai tranquillo, il mio personaggio non è stato scritto per assecondare gli eventi, purtroppo. Puoi dormire sereno. Farò io il primo turno di guardia”
Lo sguardo che il nano gli rivolse prima di ritirarsi in tenda sembrava molto poco convinto dalle sue parole, ma era piacevole sapere di non avere più un nemico in Varric, la giovialità del nano era corroborante e lui aveva davvero bisogno di alleviare un poco l’amarezza delle ferite.



 

Due parole su questo capitolo. 
Devo dire che scriverlo mi è piaciuto molto, non sono certa del risultato, ma immaginare i postumi sull'inquisitore della terribile scelta fatta nell'oblio mi ha affascinato molto. Così come immaginare i motivi che hanno spinto Solas a dipingere.
E' un capitolo particolare, non accade molto, ma nel mio modo di vedere la storia, è un punto di partenza per l'evoluzione dei personaggi. E' un po' come se con questo capitolo si chiudesse il primo libro della storia e iniziasse il secondo.
I tatuaggi avranno poi un significato particolare nel procedere della storia e mi sembrava giusto arrivare al giro di boa, dando la giusta attenzione anche a questi.
Mi sono divertita ad autocitarmi (il riferimento all'inquisitore pelle e ossa appena arrivata ad Haven, è preso dalla flashfic Leggere i Pensieri,della raccolta Coi Piedi per Terra) so che è una cosa triste, ma ho da poco scritto una serie di mini storie su Varric e scrivendo del suo incontro con l'inquisitore, ho immaginato fosse proprio il suo incontro con Lena. Mi piace l'idea d ipoter in futuro scrivere, scollegate da questa long, altre scene che per amor di "brevità" ho tralasciato, ma che nella mia testa hanno già un posto all'interno della storia, come fossero già parte del mio "canon".

Per concludere devo purtroppo annunciare una piccola pausa. Vivere e lavorare in un luogo per vacanzieri, significa lavorare il doppio quando tutti gli altri riposano.
Quindi temo che non riuscirò a pubblicare un nuovo capitolo fin dopo Ferragosto. "Wait for me, I'll be back"
Buone vacanze a chi ha la bontà di leggere ancora i miei sproloqui.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Immagini Riflesse ***


XXIX
Si svegliò all’improvviso in preda al terrore più puro. Si toccò il viso, era bagnato di sudore e presumibilmente di lacrime. Sperò di non aver gridato di nuovo. Si guardò attorno, non aveva disturbato nessuno, tutti dormivano sereni nei letti a castello della piccola stanza della locanda.
Avevano raggiunto l’ultimo villaggio prima di inerpicarsi sul sentiero che li avrebbe condotti a Skyhold. Le Furie e Varric avevano insistito per ritardare di un un giorno il ritorno alla forezza. Il viaggio dall’Accesso Occidentale era stato lungo e difficile, ormai la maggior parte delle truppe erano tornate al proprio posto, solo l’enturage dell’Inquisitore e le Furie erano ancora sulla via del ritorno. Il loro ritorno alla base era stato rallentato da alcuni piccoli incidenti di percorso: qualche squarcio da dover richiudere, alcuni rifugiati che avevano smarrito la strada, un gruppo di briganti tanto sfortunato da imbattersi contemporaneamente nella squadra mercenaria più temuta dell’intero Thedas e nelle forze dell’Inquisizione. Risolti i piccoli problemi, l’intero gruppo si era ritrovato alle pendici del sentiero e avevano approfittato del momento di relativa quiete per spendere una sera in una delle nuove taverne nate su quella strada.
La sera precedente, l’Inquisitore e Cassandra aveva indugiato nell’osservare come fosse gratificante vedere che l’Inquisizione aveva modi insperati di riportare un poco di pace nel mondo. Villaggi e strade che un tempo erano stati abbandonati o erano caduti in disuso, ora fiorivano di nuovo e donavano a contadini e piccoli mercanti, la possibilità di una vita decorosa.
 
Per quanto Lena si sforzasse di trattenere questi pensieri lieti, l’incubo che l’aveva fatta svegliare in preda al terrore, tornava prepotente a pretendere la sua attenzione.
Gocce di sudore gelido le percorrevano la schiena. Gli occhi duri e profondi del custode che aveva abbandonato nell’Oblio tornavano a tormentarla ogni notte da quando avevano lasciato l’Accesso Occidentale. Ogni notte il sogno era diverso, ma tutti avevano lo stesso protagonista.
Questa notte, Lena aveva sognato la foresta in cui era cresciuta, aveva sognato il suo clan nei giorni lontani dell’infanzia. Si trovava vicina ad un torrente, sdraiata a terra a guardare le nuvole. Sentiva di dover essere felice, ma qualcosa le impediva di esserlo. Il sole splendeva, gli uccelli cantavano eppure lei sapeva che qualcosa di oscuro e pericoloso si stava avvicinando, nonostante questo non poteva alzarsi.
Tra le fronde qualcosa si mosse e all’improvviso un ragno enorme iniziò a calare su di lei dall’alto dei rami, oscurando pian piano il sole ma rifrangendone la luce donando alla foresta intera un inquietante colore rossastro. Aveva visto altrove quella luce, ma non riusciva a ricordare dove.
Sentiva molte voci familiari intimarle di non muoversi. Riconobbe la voce di Dorian e quella della guardiana Ismaethoriel, la voce di Menia e quella di Leliana. Tutti ripetevano la stessa frase: “Non muoverti. Non ancora. Rimani a guardare.”
E nonostante tutti gli sforzi Lena non riusciva a muovere un solo muscolo.
Il ragno era ormai vicinissimo, poteva sentire il puzzo del suo veleno e una zampa stava per toccarle il viso. All’improvviso però la creatura venne colpita da qualcosa e ristette immobile fissandola con un gran numero di occhi dall’aspetto troppo umano per essere gli occhi di una bestia. Lena poteva vedere una se stessa bambina specchiarsi in ciascuno di quegli occhi. D’improvviso gli occhi iniziarono a sanguinare, grosse lacrime di sangue le caddero sul volto.
Un’altra voce attirò la sua attenzione e Lena fu finalmente libera di alzarsi. Il guardiano la chiamava e lei gli corse incontro piangendo di gioia. Gli alberi della foresta erano stati rimpiazzati da alte torri rosse, e il sentiero diveniva sempre più angusto stretto com’era tra queste torri. L’anziano elfo teneva in mano qualcosa che stava usando come scudo. Lena continuava a correre verso di lui, e pian piano riconobbe una testa d’uomo nell’oggetto impugnato dal guardiano.
La testa aveva lunghi capelli neri, non aveva occhi e sembrava essere stata rosicchiata fino all’osso da qualche orribile bestia. Non vi era ormai più pelle attorno al teschio, nonostante questo Lena sapeva che la testa apparteneva al Custode Loghain Mac Tir.
Ne riconosceva la voce, poichè era il teschio a parlare non il vecchio guardiano. L’elfo taceva e piangeva e la sua bocca e il suo viso erano lordi di sangue.
Quando infine l’anziano aprì la bocca, all’interno di questa Lena vide i due occhi azzurri del custode.
A questo punto si era svegliata. Ora seduta sul letto non riusciva a smettere di tremare, Varric che dormiva sopra di lei aveva iniziato ad agitarsi.
L’elfa sgusciò silenziosa fuori dal letto e dalla stanza. Era ancora notte fonda, ma sperava di trovare un fuoco acceso al piano inferiore.
L’ampia sala era deserta, anche l’ostessa doveva essere a dormire da un po’, la brace era però ancora ardente. Lena non impiegò molto a ravvivare le fiamme nel grande cammino, si sedette poi a terra davanti a questo appoggiando la schiena contro una grande poltrona e tirando le ginocchia al petto.
Non voleva pensare all’incubo, ma non riusciva ad impedirselo. A sua memoria non aveva mai sognato il vecchio guardiano fino a quella notte e questo aveva reso il suo sogno ancor più agghiacciante.
Avrebbe dovuto farsi coraggio e parlare a Solas di quei sogni, sicuramente lui avrebbe saputo come aiutarla.
Nel frattempo il calore del fuoco stava lentamente calmando il tremore che la scuoteva e i muscoli potevano tornare a rilassarsi.
“Che succede? Stai bene?”
La voce calda del custode la avvolse, ma come per cotrasto il suo corpo riprese a tremare.
L’uomo le fu accanto in pochi passi, ma sembrava interdetto, non capiva cosa fosse accaduto o forse semplicemente non sapeva come comportarsi, infine si sedette accanto a lei.
“Ti ho sentita sgattaiolare fuori dalla stanza, volevo solo assicurarmi che fosse tutto in ordine.” Le parole di Blackwall suonavano come delle giustificazioni, ma Lena non riusciva a concentrarsi sulle parole dell’uomo.
“Stai tremando, hai freddo? Stai male?” Ora sembrava allarmato. Lena temeva che se avesse cercato di parlare avrebbe iniziato a piangere e non poteva piangere davanti al custode. Lentamente si lasciò scivolare verso il basso. Appoggiò la testa sulle gambe dell’uomo e si rannicchiò contro di lui.
Le mani del guerriero lentamente presero ad accarezzarle la testa, le spalle, la schiena.
Rimasero in silenzio a lungo, guardando i ciocchi di legna consumarsi nel cammino.
“Scusami, ho fatto un brutto sogno.” Disse infine l’elfa, senza alzare la testa. Aveva finalmente ripreso il controllo ed ora era dispiaciuta di aver fatto preoccupare l’uomo, di averlo svegliato, di averlo tenuto così a lungo lontano dal letto.
Si tirò su a sedere. Blackwall non aveva spostato la mano che riposava sul fianco di lei ed ora il suo braccio la stringeva trattenendola contro di lui.
L’uomo la guardò negli occhi e chiese di nuovo “Come stai?” Davanti al suo silenzio riprese: “So che sono successe delle cose orribili ad Adamant. So che abbiamo perso molti uomini. Per favore, parlami. Come stai?”
Per la domanda del custode non vi erano risposte, ma era l’unico ad averla posta nel modo giusto. Chi era stato con lei ad Adamant o nell’Oblio, non faceva domande, perso dietro al proprio terrore. Chi ne faceva, traeva conclusioni sbagliate accecato dalla propria paura, come aveva fatto Solas. Chi non vi era stato invece parlava di demoni e arcidemoni, senza comprendere cosa fosse davvero accaduto. Blackwall aveva invece parlato dei molti uomini caduti in quella folle missione. Non poteva sapere cosa le opprimesse il cuore, ma aveva parlato da comandante, da soldato e aveva letto bene il suo dolore.
“Abbiamo perso molti uomini. Abbiamo perso uomini valorosi.” Rimase un momento in silenzio, considerando le proprie parole. Molti erano morti per l’Inquisizione in passato, ma nel proprio egoismo, non aveva mai considerato quelle vite. Si erano spente lontano da lei, lontane dai suoi occhi, non aveva sentito le loro grida. Al tavolo della guerra sapeva di avere in pugno la vita di molti uomini, sapeva che una decisione sbagliata sarebbe costata molto, ma sapeva che quelle vite erano necessarie per la loro causa. Sapeva che erano necessari dei sacrifici al fine di riportare l’ordine, al fine di creare un mondo migliore per ciascuno. Sapeva quale fosse il costo, ma non era mai stata presente nel momento in cui la loro causa richiedeva il proprio tributo. Ad Adamant invece aveva visto veri uomini e vere donne andare alla carica invocando il suo nome, invocando l’Araldo, li aveva visti morire rivolgendo a lei l’ultima preghiera. Ad Adamant aveva visto finalmente cosa significasse davvero combattere per l’Inquisizione.
Non solo. Aveva sacrificato per la propria sopravvivenza e per la propria pace, la vita di qualcuno che niente aveva a che fare con quella causa. Il custode non era sacrificabile, non era un soldato tra tanti, aveva una sua propria missione, un suo scopo, una vita che non le appartenava. Eppure aveva lasciato che morisse per lei. Gli aveva chiesto di morire per lei.
Lo aveva ucciso.
Se qualcuno poteva comprendere quel dolore era il guerriero accanto a lei. Nessuno meglio di lui poteva sapere cosa significasse prendere una vita innocente e portarne sulla pelle le conseguenze.
“Abbiamo perso Loghain” aggiunse infine “e’ stata colpa mia. Io l’ho lasciato morire.” Lena non abbassò lo sguardo pronunciando le ultime parole. Desiderava che qualcuno potesse infine riconoscere la sua colpa. Aveva scelto di mantenere il silenzio fino a quel momento, ma ora finalmente poteva parlare.
Lesse un dolore profondo negli occhi del falso custode. Le afferrò il viso con entrambe le mani, non aveva parole per lei ma nei suoi occhi Lena poteva leggere un’ondata di genuina compassione. Lui sapeva. Lui capiva. Non poteva perdonarla, non poteva condannarla. Poteva solo ascoltare e accogliere le sue parole, riconoscere lo stesso dolore e condividerlo.
Il custode avvicinò il viso al suo e Lena si lasciò baciare. Era un bacio amaro, non vi era desiderio o passione, ma solo quello stesso dolore che lei aveva riversato su di lui.
“Non c’è perdono, non cercarlo, non ne troverai. Ma non c’è neanche condanna. Potrei dirti di cercare conforto nella fede, Cassandra lo farebbe e avrebbe ragione, ma io non ne ho mai trovato.” Il custode la fissava come combattuto se parlare ancora o tacere e infine rimase in silenzio.
Lena si trovò a sorridere amaramente “In cosa dovrei avere fede? Andraste? Il Creatore? Non sono nulla per me se non dei nomi che aggravano la mia colpa, un bagaglio troppo pesante da portare, un bagaglio che non ho mai voluto ma dal quale non posso liberarmi, non più oramai. Le divinità della mia gente?Come potrei avere fede in loro? Il dio che dovrebbe vegliare su di me è un dio crudele, egoista, noncurante del destino del suo popolo, odiato dagli altri numi. Se anche esistessero, gli dei non avrebbero che occhi malevoli per me. No, la fede non è un’opzione per me.”
“Io ho trovato conforto in te. La mia fede in te mi ha dato sollievo. La mia colpa è ancora lì, ma tu me l’hai resa sopportabile.” Le parole di Blackwall la gelarono.
Lena realizzò in un istante di essere stata profondamente ingiusta. Ingiusta nel voler riversare su qualcun altro la propria colpa, nel volersi sentire accomunata a qualcuno in un delitto orribile, colpendo il custode lì dove era più vulnerabile.
E come un torrente che rompe gli argini, la consapevolezza inondò la sua mente. Improvvisamente comprese di essere stata ingiusta in molti modi. Ingiusta e meschina. Aveva condannato l’atteggiamento grezzo del custode, i suoi modi e i suoi giudizi superficiali, ma nei suoi confronti lei non era stata da meno. Lo aveva giudicato con superficialità, aveva tratto vantaggio da una presunta e inconfessata superiorità morale. Lo aveva sminuito. Lo aveva tradito.
Lui aveva confessato le sue colpe senza paura, era corso incontro alla propria condanna. Lei si era prima erta a giudice ed ora, era  pronta a trascinare l’uomo di nuovo nel fango con lei. Cosa aveva creduto di fare? Aveva forse pensato che il guerriero non avrebbe compreso il suo dolore? Che non se ne sarebbe fatto carico? Aveva creduto che lui non potesse essere all’altezza di quel dolore? Invece l’uomo aveva compreso, si era preso cura di lei, si era offerto completamente a lei senza riserve, nonostante tutto.
Blackwall, la guardava ora con rinnovato ardore, lui l’amava. Lo vedeva chiaramente, questo sarebbe stato un altro dei crimini che Lena poteva ascrivere a proprio carico.
“Mi dispiace.”
Il guerriero la guardava dubbioso “Per cosa?”
“Ho sbagliato così tanto, non saprei da cosa cominciare. Io non ho mai compreso quanto fossi... Non ti ho mai valutato per ciò che sei davvero.” L’uomo la guardava interdetto. Come poteva capire quell’uomo così devoto, quanto lei gli avesse mancato di rispetto? Cosa poteva dire? Non voleva che le sue parole lo facessero sentire colpevole, o che lo sminuissero, o peggio che suonassero alle sue orecchie vuote come un’orribile scusa: non è colpa tua, sono io...
Nel momento in cui la sua bocca si aprì di nuovo per parlare seppe esattamente cosa dire: “Solas.”
Una sola parola, un solo nome, era bastato. Il custode in un attimo aveva presumibilmente costruito attorno a quel nome, un ingorgo di fantasie, assolutamente sbagliate, ma che agirono su di lui come un bagno in un torrente ghiacciato. Il suo sguardo si era adombrato, le mani che la stringevano l’avevano lasciata, all’improvviso il suo intero corpo sembrava rattrappirsi nello sforzo di allontanarsi da lei disgustato. In un attimo era in piedi.
Rimase a guardarla dall’alto, imponente e solenne come un boia. Poi girò sui tacchi e si allontanò.
Lena era di nuovo sola davanti al grande camino, le fiamme erano ormai basse e la brace spargeva sulla sala un colore cupo. Rimase lì seduta fino al mattino. L’ostessa fu la prima ad entrare nella sala, le portò silenziosa una tazza di tè. Non sembrò particolarmente stupita, doveva essere abituata a trovare ubriaconi incalliti o sprovveduti passeggeri addormentati sul pavimento della sua locanda. Riconosceva l’odore della disperazione e non se ne lasciava insozzare.
Poco dopo anche Solas fece la sua comparsa nella grande sala, mattiniero come al solito. La vide e le si avvicinò.
“Da’len...” ma le parole gli morirono in gola. Lena pensò di aver spaventato l’amico con la brutta cera del proprio volto e si sforzò di sorridere.
“Hai fatto ancora brutti sogni?” La domanda era piena di gravità, come la voce di un guaritore che interroghi il proprio paziente riguardo sintomi preoccupanti.
Lena era sorpresa, non aveva parlato con nessuno dei propri incubi fino a quella notte.
“Ti ho sentita gridare nel sonno alcune notti fa e Cassandra mi ha assicurato che non era la prima volta. Avrei voluto parlartene ma non sapevo...” di nuovo le parole gli mancarono.
“Sì, un brutto sogno. Puoi aiutarmi? Ho bisogno di riposare, ma non riesco.”
Solas annuì semplicemente senza fare altre domande. “Ho un rimedio adatto, ma dovremo prima raggiungere Skyhold, è probabile che tu dorma a lungo dopo aver bevuto l’intruglio, preferirei che che tu fossi al sicuro prima.”
Le parole dell’elfo scendevano come miele sul suo cuore dolorante. Aveva allontanato da sè Blackwall e ne rimpiangeva già i modi semplici e diretti, la sensualità, il suo modo tenero di prendersi cura di lei, la sua risata. Ora l’elfo medicava con poche parole le sue ferite. Non poteva permettere a se stessa di ferire Solas come aveva ferito Blackwall. Era andata già ben oltre qualunque limite fosse stato stabilito. I due uomini avevano alzato muri tra loro stessi e gli altri e lei aveva lavorato strenuamente per abbattere le loro difese. Per cosa? Il buon custode era rimasto disarmato e ferito nel modo peggiore, a Solas, se non avesse preso le giuste precauzioni, non sarebbe spettato un destino migliore.
Mormorò un grazie e si alzò in piedi, salendo in fretta verso le stanze. Aveva bisogno di sciacquare via con acqua gelida i pensieri della notte. I suoi compagni dormivano ancora. Avrebbe vegliato su di loro in silenzio d’ora in avanti.
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
  XXX
Skyhold era tranquilla, addormentata. Non si udivano il clangore delle spade o le urla dei soldati, anche i mercanti tacevano. Solas aveva l’impressione che persino i cavalli rispettassero in silenzio l’atmosfera quasi sacra che ristagnava nella fortezza da quando tutti avevano fatto ritorno.
Le ferite venivano medicate senza fretta, che fossero legate al fisico o alla mente, nessuno aveva troppa premura di tornare davvero in salute. Rimettersi in forma avrebbe significato essere costretti ad affrontare di nuovo quel mondo corrotto. Poter rimanere per un breve periodo tra quelle mura imponenti, dava a ciascuno la sensazione di poter dimenticare la follia e la violenza, la paura e la morte. Erano al sicuro. Erano circondati da amici. Potevano finalmente riposare.
Solas poteva facilmente approfittare di quella calma ovattata. Aveva iniziato da tempo a radunare le proprie pedine, e finalmente era pronto a fare la sua mossa. Non poteva essere certo che fosse la mossa vincente, ma avrebbe senza dubbio tenuto sotto scacco per un po’ l’intero Thedas.
Se i suoi calcoli si fossero dimostrati esatti una lettera sarebbe giunta a Skyhold ben presto, una lettera che avrebbe cambiato gli equilibri, aprendo la partita a nuove possibilità.
Solas sapeva di dover ringraziare l’Inquisitore anche per questo. Era stata lei a suggerire l’idea. Ne aveva parlato tempo indietro proponendo la questione con la leggerezza di uno scherzo. Lui aveva continuato a rimuginare sulle sue parole, soppesandole e considerando le molte implicazioni, fino a saggiarne la concretezza, fino a dispiegare un piano che potesse rendere la facezia un obiettivo reale.
Proprio in questi giorni in cui ciascuno sembrava sonnecchiare come un gatto in un cortile soleggiato, il mago avrebbe avuto il proprio responso.
Quel giorno l’elfo aveva trascorso l’intera mattinata nella rotonda con occhi attenti ed orecchie tese, deciso a non perdere un solo dettaglio dell’intenso via vai di corvi che continuava costante sopra la sua testa. Solas credeva che solo quelle creature e lui stesso in tutta Skyhold stessero ancora attendendo al proprio dovere, tutti gli altri come ammaliati da un incantesimo si lasciavano cullare dal primo sole estivo.
Doveva essere da poco passata l’ora del pranzo perché dalle cucine iniziava a provenire lo sciabordio di acqua e il rumore del cozzare delle stoviglie nell’acquaio. Anziché disturbare, il suono dava all’atmosfera innaturalmente rilassata, un’aria familiare, che rendeva tutto ancor più placido.
Solas insofferente, decise che avrebbe potuto prendersi una pausa. Qualche occhio o qualche orecchio più pazienti dei suoi, avrebbe in seguito riferito riguardo le comunicazione giunte in sua assenza.
Uscì dalla rotonda e si diresse verso le mura, voleva passeggiare, voleva allontanarsi da quella bambagia soffocante che sembrava renderlo ogni momento più nervoso.
Camminò veloce e si arrampicò su di un torrione ancora semi diroccato, raggiungendo la cima con il fiato corto e con la stessa sensazione frustrante che lo rendeva incapace di rimanere fermo.
Si impose di fermarsi ad osservare la vallata. Le montagne imponenti nascondevano l’orizzonte e delle nubi minacciose si addensavano in lontananza. Il respiro iniziava a tornare regolare ma il battito rimaneva fin troppo veloce e lo poteva udire rimbombare forte nelle orecchie. Sentiva una smania incontrollata impossessarsi di ogni suo muscolo, le articolazioni fremevano come dopo un’immobilità prolungata. Avrebbe avuto voglia di correre a perdifiato.
Ma perché?
Solas non capiva, aveva cercato in vano calma e pace per tutta la vita, aveva agognato momenti di serenità, aveva lottato per raggiungere equilibrio e stabilità anche in questo mondo nato per errore, e quando finalmente il fato concedeva una breve tregua, tutto il suo essere scalpitava rifiutando il riposo.
Doveva forse riconoscere in quel suo stato d’animo un sintomo del proprio rimorso? Sentiva la pace di quei giorni additarlo e marchiarlo come intruso?
Non aveva voglia di pensare. Non voleva meditare, riflettere o sognare. Voleva correre. Voleva gridare. Voleva risvegliare l’intera fortezza dall’insano torpore che l’aveva avvolta. Avevano tutti un lavoro da fare. Ridiscese in fretta dal torrione.
Continuò a percorrere a passi lunghi e quasi furiosi le alte mura difensive di Skyhold.
Skyhold,  Tarasyl'an Te'las, grande era il nome di quella forteza e i suoi abitanti dovevano esserne degni. Sorreggere il cielo, proteggere il mondo, come potevano farlo questi deboli e molli shemlen. Si guardava attorno ed una rabbia irragionevole cresceva dentro di lui. Non voleva analizzarne le cause, voleva assaporare la rabbia montargli dentro, avrebbe voluto lasciarla sfogare. Avrebbe voluto avere di nuovo i propri poteri, non per ferire qualcuno, ma per poter far uscire tutta quell’energia che si andava accumulando dentro di lui. Avrebbe voluto trovarsi in battaglia e poter sfogare così la propria rabbia. Dietro il fuoco che cresceva dentro la sua testa sentiva la ragione dirgli che non era contro coloro che lo circondavano che avrebbe voluto rivolgere quell’energia. E allora contro chi? Contro se stesso?
Un tocco leggero si posò sulla sua spalla e lui si voltò in quella direzione quasi ringhiando, sperando di trovare qualcuno dei suoi agenti da poter quanto meno rimproverare.
Invece fu il  viso dell’Inquisitore quello che si trovò davanti. L’elfa che per un istante sembrò spaventata si ricompose immediatamente.
“Non volevo disturbarti ma ho visto  che ti stavi aggirando come una furia, cosa è successo?”
Solas si sentì in trappola per un momento. Cercò di respirare a fondo ma l’aria non dette sollievo ai polmoni. Le idee rimanevano confuse. Perché proprio lei?
Non parlavano da giorni. Nella rotonda c’era un rimedio contro gli incubi che la aspettava, ma lei continuava ad evitarlo. L’aveva vista da lontano passare in punta di piedi come a voler evitare di destare la sua attenzione. Da giorni l’elfa evitava anche solo di incrociare il suo sguardo. Giorni di quiete, di bevute e di tempo libero e non aveva messo piede nella rotonda neanche per un istante. Aveva sentito la sua voce scendere leggera dal piano superiore, doveva aver speso molto tempo con il mago del Tevinter, doveva aver ogni volta fatto in modo di evitare di passare davanti a lui.
Era ciò che aveva desiderato, aveva forse il diritto di sentirsi ferito dall’atteggiamento di lei? Ovviamente no, ma di tanti momenti, senza dubbio più adeguati, quella dannatissima dalish doveva scegliere questo per rivolgergli la parola?
Rimaneva immobile e lo fissava accigliata, sembrava preoccupata. “Che succede?” Chiese ancora.
“Ti sembra strano vedere qualcuno fare effettivamente qualcosa mentre tutti dormono?” La risposta di Solas era stata caustica e ringhiata tra i denti, mentre un ghigno gli torceva le labbra. La rabbia aveva iniziato a fluire fuori dalla sua bocca insieme al suo cinico sarcasmo e il mago non fece nessuno sforzo per trattenersi. Aggiunse anzi: “la tua Inquisizione si prende una vacanza mentre la gente continua a morire per le strade e un pazzo che si proclama Dio va in giro a seminare caos. Un vero esercito di codardi, rinchiuso tra queste mura a leccarsi le ferite. Non siete degni di questo posto, nessuno di voi lo è.”
“Solas credo tu stia esagerando, dimmi cosa sta succedendo.” L’Inquisitore sembrava perfettamente controllata. Aveva assunto le sembianze del capo, la sua espressione non aveva niente della giovane elfa di pochi istanti prima.
“Ecco il leader dell’Inquisizione! Non sono io ad avere bisogno della tua guida ma quegli sbandati che chiami i tuoi uomini. Credevo foste forti, credevo avreste lottato, invece siete facili alla disperazione e all’ira come qualunque shemlen. Anche tu lo sei. Non sei diversa da nessuno di loro. Sei una vera delusione.”
Solas aveva degli ottimi riflessi, ma quelli dell’elfa erano migliori. La ragazza ricordava nella grazia e nella velocità dei movimenti, i cacciatori dei tempi antichi, il loro sangue scorreva senza dubbio nel suo corpo. Il pensiero raggiunse la sua testa nell’istante in cui il pugno dell’Inquisitore colpiva la sua mascella. Solas si portò entrambe le mani al viso e prese a massaggiarsi la parte dolorante.
Era sconvolto dal modo in cui la ragazza aveva reagito. Aveva cercato di ferirla, aveva lasciato che la rabbia che portava dentro trovasse libero sfogo contro di lei. Si aspettava di vederla infuriata, ma lei lo aveva sorpreso di nuovo. Il cuore del mago iniziava finalmente a rallentare, alzò lo sguardo cercando gli occhi dell’elfa. La ragazza non sembrava arrabbiata e neanche turbata, Solas poté leggere nei suoi occhi forse solo una vaga preoccupazione.
Si lasciò cadere a terra e si sedette appoggiando le spalle contro il parapetto, chiudendo gli occhi e assecondando il proprio respiro.
Quando li riaprì vide che l’elfa si era seduta di fronte a lui e lo osservava attentamente.
Il mago sentiva il corpo finalmente rilassato, i muscoli doloranti come dopo uno sforzo estenuante. Si accorse, grazie al sollievo che lo avvolse, del dissolversi di una terribile emicrania che doveva perseguitarlo da giorni e che ora finalmente lo stava abbandonando, permettendo ai pensieri di tornare a fluire limpidi.
Guardò di nuovo l’elfa negli occhi.
“Va meglio ora?” Sembrava divertita.
“Mi dispiace.” Non disse altro, ma l’elfa non sembrava in cerca di scuse.
Rimasero per un po’ seduti in silenzio a guardare il cielo. Solas si era seduto rivolgendo le spalle alla vallata ma poteva sentire l’odore della tempesta avvicinarsi.
“Credo sia meglio che tu rientri, tra poco pioverà.” Non era pronto ad alzarsi ma non voleva trattenere l’elfa lì fuori con lui.
“Mi piace la pioggia.” La ragazza aveva parlato continuando a fissare il cielo, osservando probabilmente l’avvicinarsi delle nubi.
Si sentivano già i tuoni rombare sommessi.
“Mi hai spaventato poco fa. Prima delle sciocchezze sull’Inquisizione. Il tuo sguardo era... C’era una luce...” Rimase in silenzio per un poco sforzandosi di trovare le parole. “Non aveva nulla di normale. Vuoi dirmi cosa succede?” Davanti al suo silenzio l’elfa aggiunse con un tono più freddo: “Se dovessi diventare un pericolo, dovrei saperlo. Non sono pronta a mettere in pericolo nessun altro dei miei uomini sbandati.”
Nessun altro. Le parole stridettero per un attimo nella testa del mago, poi la crudele ironia delle parole dell’Inquisitore ebbe il sopravvento e permise alla tensione restante, di sciogliersi dentro una cupa risata.
“Certo che sono un pericolo. Non mi viene in mente uno solo dei nostri compagni che non sia un pericolo. E tu sei il pericolo più grande di tutti. Il potere che tieni tra le mani è più grande di quanto qualunque mortale possa riuscire a comprendere.”
Si piegò in avanti, prese la mano marchiata di lei tra le proprie e aggiunse: “E tutti sono pronti a prostrarsi davanti a te e ad accrescere il tuo potere, cosa ne farai sta solo a te deciderlo. Non ti sembra pericoloso? Potresti con una parola distruggere un villaggio o addirittura una nazione. Se credi che io sia un pericolo, ebbene, la mia vita è nelle tue mani, come quella di molti altri.”
Solas nel pronunciare quelle parole, si trovò a desiderare intensamente che fossero la verità. Finalmente capiva. Era stanco. Era stanco di combattere, di lottare, di seguire un sentiero che giorno dopo giorno sentiva meno suo. Era stanco di mentire e di dover rinunciare a ciò che il suo cuore bramava con ardore. Avrebbe voluto potersi riposare con gli altri, rilassarsi, lasciarsi andare, bere, ridere, flirtare.
Era stanco di dover vestire un nome che non sentiva più proprio, che non significava più nulla. L’Inquisitore aveva ora il potere sufficiente, era intelligente e attenta, se lei avesse sposato la sua causa, lui avrebbe potuto smettere di essere un dio, avrebbe potuto tornare ad essere un umile mago, un servitore se necessario. Sì, avrebbe potuto servire quella giovane elfa, compassionevole e giusta, avrebbe potuto abbandonarsi a lei completamente.
La guardò ancora un momento. Il suo sguardo sembrava ora colmo di disprezzo. Erano lacrime quelle trattenute a stento nei suoi occhi?
Lei si alzò di scatto e lui la seguì.
Le cose orribili che aveva detto su di lei e sull’Inquisizione in un momento di rabbia non l’avevano scossa minimamente e quelle ultime parole, che altro non erano se non un tributo alla sua grandezza, l’avevano invece quasi indotta alle lacrime. Perché?
Si avvicinò a lei e stringendole le spalle, la spinse a voltarsi verso di lui. Ora lo sguardo era duro, le lacrime erano state ricacciate indietro.
“Credi di sapere molte cose, ma non è così. Non sai cosa vuol dire avere questo potere tra le mani. Non sai cosa vuol dire essere l’Araldo. Io non lo voglio questo potere, non l’ho mai voluto, ed ora lo voglio meno che mai. Man mano che questo potere cresce le persone che amo si allontanano.” Un barlume di speranza si accese nel cuore di Solas.  Avrebbe la giovane dalish, potuto davvero capire?
“E’ vero, è triste, ma è giusto. Quando avrai preso le distanze da tutti, allora potrai fare le tue scelte liberamente, anche le più difficili.” Solas avrebbe voluto dirle che sapeva di cosa stava parlando, che quel sentiero era giusto anche se difficile, che lui però le sarebbe rimasto accanto.
“Quando sarò sola, per chi salverò questo mondo? Come farò a sapere se le mie azioni sono giuste? Come farò a sapere che non ho perso di vista ciò che conta davvero?”
Sorprendente, come sempre. Solas dovette arrendersi ancora una volta a quella giovane dalish. Comprese che se anche avesse avuto il coraggio di lasciare il proprio egoismo prendere il sopravvento, se anche avesse deciso di farsi da parte e lasciare che fosse lei a prendere il comando, che fosse lei a guidare tutti verso un nuovo mondo, più giusto e più libero, non sarebbe stato possibile. Lei non avrebbe mai potuto prendere il suo posto. Lei era già al suo posto, ma aveva scelto di non diventare come lui. Anche il mondo a cui aspirava era diverso dal suo. Il suo sentiero diverso. Si augurò per un istante che quel sentiero potesse procurarle meno dolore di quanto lui ne avesse dovuto affrontare seguendo il proprio. I loro sentieri divergevano lì, quel giorno. Due falsi dei uno di fronte all’altra. Solas sentì una stilettata al cuore. Credeva di aver già sofferto abbastanza, ma la saggezza popolare avverte che non c’è mai limite al peggio. Strinse l’elfa tra le braccia, per nascondere il proprio volto al suo sguardo attento e per potersi sostenere contro l’esile corpo di lei, che affrontava il suo stesso destino scegliendo una via di saggezza che lui aveva presto abbandonato.
“Mia saggia, giovane amica, potrai mai perdonarmi?” Un sussurro sfuggì dalle sue labbra mentre una pioggia lenta iniziava a cadere su di loro.
La ragazza, che fino a quel momento era rimasta rigida tra le sue braccia, si abbandonò all’abbraccio, iniziò ad accarezzare con dolcezza la schiena dell’amico e prese a ripetere come una nenia: “Va tutto bene. Andrà tutto bene.”
Le gocce di pioggia cadevano grandi, pesanti e sempre più fitte. Solas si allontanò dalla ragazza per poter tornare a guardarla negli occhi. Poteva forse non essere troppo tardi per lui? Lei era finalmente a tutti gli effetti una sua pari. Avrebbe potuto capire? Avrebbe potuto accettare la verità? Se lei fosse stata in grado di comprendere, lui avrebbe potuto condividere il sentiero con una sua pari, avrebbero potuto insieme inventare un’altra via, avrebbero insieme disegnato un nuovo mondo. Prese il volto di lei tra le mani, era caldo nonostante l’acqua avesse iniziato a grondarle dai capelli lungo le guance e lungo il naso. Avrebbe voluto bere la pioggia dalle sue labbra. Cercò di avvicinarsi al viso della ragazza, ma questa con un gesto rapido si liberò della sua stretta, si fece indietro e scosse la testa guardandolo negli occhi. Una nuova fitta attraversò il vecchio cuore dell’elfo. Aveva avuto una possibilità di divergere dal triste destino che aveva scelto per sé. Quell’elfa poteva essere il sentiero nuovo ed inesplorato, e lui l’aveva fatta fuggire.
“Vieni, andiamo a bere qualcosa, ne abbiamo entrambi bisogno.” Lo sguardo dell’elfa era gentile e Solas si lasciò guidare da lei, verso la taverna. Proprio lì, inaspettatamente, lo raggiunse la notizia che attendeva dalla mattina e Varric fu il messaggero involontario del suo trionfo.
“Ehi ragazzina, sai la novità?”
“No Varric, ma dammi almeno il tempo di asciugarmi.”
“Mettiti davanti al fuoco ed ascolta, è la notizia più improbabile che ti capiterà di ricevere d’ora in avanti.”
Solas e Lena si misero davanti al grande camino, cercando di scrollarsi di dosso l’acqua in eccesso sotto lo sguardo irritato dell’oste.
“Lo dici ogni volta, ed ogni volta capita qualcosa di orribile che ti smentisce.”
“Ragazzina di poca fede! Quelle vecchie suore polverose di Val Royeaux hanno finalmente fatto dei nomi per l’elezione della nuova divina. Dicono che verrà scelta tra le fila dell’Inquisizione. Indovina di chi si tratta?”
“Madre Giselle?”
“Usignolo!” Varric sorrise sornione davanti allo sguardo stupito dell’Inquisitore e poi aggiunse: “Ma non è tutto, la contendente di Usignolo sarà niente meno che la nostra beneamata Cercatrice.” Varric non trattenne una risata chiassosa che incontrò la risposta disgustata della cercatrice stessa.
 
Solas era rimasto in silenzio. Non si aspettava che avrebbero fatto il nome di Leliana, Cassandra era senza dubbio più semplice da controllare, ma dopotutto quello era un ottimo inizio. Avrebbe solo dovuto trovare il modo di far pendere la bilancia dalla parte della Cercatrice ed era certo di poterlo fare agilmente.
Il chiacchiericcio esplose allegro, ognuno aveva qualcosa da dire. Solas si sedette davanti al fuoco e rimase ad osservare la scena, combattuto tra la soddisfazione di essere riuscito a mettere a segno un’altra mossa vincente e la sensazione di stare sprofondando sempre di più in una fossa scomoda che continuava a scavare per sè con le proprie mani.

 

Un po' come nel film The BlairWitch Project, ora dovrei iniziare a chiedere scusa. "Chiedo scusa a tutti".
Non ho scritto niente per una mesata e poi torno con questo, mi dispiace. Ringrazio tutti coloro che in questo periodo di silenzio hanno letto, commentato o semplicemente preferito. Grazie davvero.
Per quanti avranno la forza di superare questo capitolo un po' triste, posso assicurare  che non sarà sempre così, ma la mia è una Lavellan, non potete sperare che le cose vadano proprio bene bene...
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Niente è inevitabile ***


Ops, i did it again.
Scusate ieri sera ho caricato il capitolo non aggiornato, l'ho tolto appena me ne sono accorta. 
Mi scuso anche per il ritardo, purtroppo per un po' sarà così un po' di casini mi tengono lontana dalla tastiera.
Grazie in anticipo a chi la avrà pazienza di continuare a leggermi.



XXXI
Nonostante l’approssimarsi dell’estate, l’aria delle Montagne Gelide non diveniva mai davvero calda soprattutto in prima mattina.
Lena amava anche questo aspetto di quella vecchia fortezza. Amava guardare gli alti picchi prendere colore a poco a poco con le prime luci dell’alba, amava l’aria fredda che la faceva rabbrividire, rendendola consapevole del proprio corpo nonostante il languore del risveglio.
Amava tutto di quel posto.
Quella mattina le prime luci dell’alba la avevano sorpresa ancora sveglia, le capitava sempre più spesso ultimamente, così si era avvolta in una pesante coperta ed era uscita sul balcone, cercando di scacciare con il freddo la fatica dell’ennesima notte insonne.
La giornata a Skyhold iniziava molto presto e Lena sapeva di non dover attendere molto prima di poter scendere e trovare una buona colazione fumante già pronta per lei.
Sapeva che non ci sarebbero state molte altre giornate di tranquillità, presto avrebbe dovuto lasciare la fortezza, missioni importanti l’avrebbero presto portata lontano, un mondo in rovina continuava ad attendere il suo intervento e Lena non avrebbe potuto rimandare oltre. D’altronde non avrebbe voluto.
Respirò ancora una volta a pieni polmoni l’aria frizzante delle montagne e sentì una nuova energia pervaderla. Rientrò nella stanza e lui era lì. Quando era arrivato? Come aveva fatto ad entrare in silenzio senza farsi notare? E soprattutto, cosa ci faceva? Era appoggiato contro una libreria e la guardava divertito.
“Cosa fai qui? E’ successo qualcosa?” Credeva di essere serena invece le parole le uscirono a fatica.
Era stata colta di sorpresa, cosa voleva a quell'ora? Non era solito per lui entrare nelle sue stanze, vi era entrato di rado e solo con qualche ragione precisa. In quel momento invece non sembrava avesse premura di fare una qualunque cosa. Rimaneva fermo, e la osservava in un modo che la metteva a disagio. Non la aveva mai guardata in quel modo.
“Va tutto bene? Posso fare qualcosa per te?” Anche queste parole stentarono ad uscire come se fossero consapevoli della loro inadeguatezza.
“No da'len, avevo solo voglia di vederti.”
C'era qualcosa di stonato nella sua voce. Lo osservò meglio. Gli occhi azzurri e vivaci dell’elfo erano fissi su di lei, ne seguivano vigili ogni piccolo movimento, la bocca era lievemente piegata in una smorfia divertita e irriverente. Il suo sguardo fu attratto, come le era accaduto spesso ultimamente, dalla piccola fossetta che divideva a metà il mento del mago. Per un istante la mente di Lena fu attraversata dalla voglia di mordere quel segno così invitante. Come poteva essere cambiato così profondamente il suo spirito? Fino a qualche tempo prima non avrebbe mai osato un pensiero del genere.
Avrebbe voluto dire qualcosa per uscire dal l’imbarazzo ma la sua mente non riusciva a produrre nulla di utile. L’elfo si mosse all’improvviso e subito fu contro di lei. Il suo sguardo continuava a studiarla. Gli occhi di lui ora erano vicinissimi, aveva già visto quello sguardo. Lui l’aveva guardata così per un istante in passato poi l’aveva baciata o aveva tentato di farlo. Ora invece rimaneva immobile, il suo volto la sfiorava ma non sembrava intenzionato a spingersi oltre, era forse  rimasto scottato dal fatto che lei si era allontanata, raffreddando il suo impeto qualche giorno prima?
Anche fosse stata la verità, non lo diede a vedere. Sollevò invece una mano e prese ad accarezzarla lentamente, dalla punta di un orecchio scese giù seguendo la linea del volto. Con un dito le accarezzò la gola fino ad arrivare allo scollo della leggera casacca che fungeva da camicia da notte, andando a disegnare delicatamente la linea della clavicola. Lena si accorse di aver lasciato cadere la pesante coperta anche se non riusciva a ricordare quando né come, solo si accorse che il freddo si era fatto pungente e che i brividi dovuti all’aria del mattino iniziavano a mescolarsi a quelli dati dalle mani dell’elfo. Si sentiva paralizzata. Si accorse che le dita del mago stavano iniziando a farsi strada sotto la casacca. Sentiva il suo tocco gentile sulla schiena nuda, la mano era fredda e a contatto con la sua pelle, bruciava come neve. La mano, seguendo la linea della colonna era risalita su fino alla nuca ed ora sentiva le unghie dell’amico giocare sulla pelle particolarmente sensibile del collo. La casacca era stata sollevata nella manovra ed ora il suo addome in parte scoperto premeva contro la stoffa ruvida della casacca del mago. Gli occhi di lui si spostavano famelici dalle sue labbra ai suoi occhi. Dopo un momento Solas lasciò scivolare di nuovo la mano sulla sua schiena, fino a scendere in basso al limite di questa e strinse forte intrappolandola contro di sé. Si piegò su di lei. Lena si aspettava di sentire le labbra di lui contro le proprie invece l’elfo fece scivolare la bocca lungo il percorso che le sue dita avevano seguito in precedenza, dalla punta di un orecchio in basso fino alla base del collo e poi di nuovo su baciando, mordendo.
Lena era persa tra le braccia dell’amico, la ragione in panne, cercò di liberare il torace di lui dalla lunga camicia e lo spinse verso il letto. Lui si sedette e la trattenne per guardarla ancora. All’improvviso il suo sguardo si fece serio. Lena sapeva cosa stava per dire ma non voleva ascoltare. Lo baciò d’istinto per tappargli la bocca ed evitare di ascoltare di nuovo quelle parole, che risuonavano comunque e ancora nella sua testa: “Scusa, non dovremmo, neanche qui.”
Si svegliò all’improvviso nella sua stanza buia. Era ancora notte e lei doveva essersi addormentata sul sofà nell’angolo della stanza. Il fuoco era ormai spento, e i suoi occhi faticarono un poco ad abituarsi all’oscurità. In quei brevi istanti gli altri sensi si sostituirono alla vista restituendole ancore il calore delle sensazioni sperimentate nel sogno. Faticava a riprendere il controllo, la sua pelle bruciava ancora per quelle carezze. Poi la ragione tornò lucida. Solas era entrato di nuovo nei suoi sogni senza permesso. L’aveva inizialmente rimproverata  di non saper tenere a bada l’istinto e proprio quando lei aveva preso la decisione di non lasciare che, qualunque cosa provasse per lui, le permettesse di ferire l’amico,  lui l’aveva trascinata nell’Oblio per un secondo round di qualcosa di non ben precisato. Per cosa poi? Aveva di nuovo infiammato la sua fantasia per lasciarla frustrata con delle parole senza significato e senza darle possibilità di dire la sua. Quello era il suo mondo e tutto seguiva le sue regole. Non poteva permettere che le cose prendessero questa piega, non poteva lasciare che le loro fantasie prendessero il sopravvento, non voleva correre il rischio di ferire e perdere definitivamente anche lui.
Il mago aveva speso delle belle parole per convincerla a non dare spazio a quell’istinto che sembrava continuare a trascinarli l’uno verso l’altra nonostante tutto. Nonostante sembrasse improbabile e inopportuno, nonostante evidentemente sfidasse la ragione di entrambi. Era lampante che nessuno dei due ritenesse praticabile la strada che li avrebbe condotti ad abbandonarsi a questo desiderio incomprensibile, e allora perché concedersi questi momenti così coinvolgenti e rendere tutto incredibilmente più difficile? Si lanciò fuori dalla stanza per raggiungere i quartieri del mago. Solas avrebbe dovuto ascoltarla. Pretendeva una spiegazione questa volta. Un dubbio rallentò i suoi passi, quale spiegazione aveva da offrire, lei? Come aveva potuto essere così docile sotto il suo tocco? Le tornarono alla mente gli occhi di Solas come le erano apparsi qualche giorno prima, quando lo aveva incontrato sulle mura di Skyhold. Aveva davvero avuto paura, il volto dell’amico era completamente trasformato, vi aveva letto una ferocia implacabile e negli occhi vi era una luce indefinibile che nascondeva lo sguardo. Lena aveva iniziato a temere che l’elfo si fosse infine lasciato corrompere da qualche demone, ma non aveva mezzi per indagare e non era ancora disposta a tradirlo. Se si fosse diffusa la voce di una simile possibilità, per quanto remota, la fortezza sarebbe sprofondata nel caos e Solas sarebbe stato imprigionato. O peggio.
Le tornò in mente il suo strano atteggiamento, la sua rabbia e il suo impeto. Le tornò in mente il momento in cui dopo tutto i suoi occhi si erano fatti di nuovo tristi, pericolosamente vicini. La pioggia scorreva sul volto dell’amico come lacrime, Lena lo aveva sentito vicino come non accadeva da tempo, aveva dovuto far ricorso a tutta la forza di volontà per allontanarsi da lui. Quella stessa forza di volontà che evidentemente quella notte l’aveva abbandonata.
Forse anche la tenerezza a cui si era abbandonato era frutto di un’influenza demoniaca. Lui sempre così controllato si era improvvisamente lasciato andare ad una baraonda di emozioni, rabbia, recriminazione, passione. Forse anche l’impeto di quella notte era frutto di un influsso esterno. In ogni caso le doveva delle spiegazioni.
 Per raggiungere la stanza di Solas era necessario uscire lungo un corridoio esterno, il freddo era pungente e riportò sulla sua pelle il ricordo di brividi diversi. Si strinse nelle braccia rimproverandosi mentalmente per non aver indossato nulla di più pesante. L’irritazione la infiammava però e il freddo non avrebbe spento il suo furore. Raggiunse la porta della stanza dell’elfo e bussò, prima delicatamente poi non ricevendo risposta bussò con più forza. Non avrebbe lasciato il tempo all’elfo di preparare una scusa valida per quella sua inaspettata iniziativa. Il mago arrivò finalmente alla porta e non appena ebbe aperto Lena si intrufolò all’interno. Solas sembrava allarmato e sorpreso, continuava a guardarsi attorno e a sfuggire il suo sguardo, sembrava in imbarazzo. Questo placò un poco l’elfa che ebbe la forza di lasciare andare un rimprovero a malapena percettibile: “Non avresti dovuto e lo sai. Lo sappiamo entrambi. Dimmi solo perché?”
 “Cosa succede?” La confusione aveva preso il posto dell’imbarazzo sul volto del mago.
“Solas, ho finalmente capito le tue riserve riguardo noi due, qualunque cosa questo significhi. Ho capito di dovermi rassegnare all’idea che un certo tipo di coinvolgimento sia pericoloso, per tutti. Credo che la nostra amicizia e la nostra missione siano più importanti di questi pochi momenti di confusione, per quanto piacevoli possano essere, e credo che tu la pensi allo stesso modo. Ora come ora, credo che ci sia qualcosa che non ti permetta di pensare liberamente e sono preoccupata.”
“Da’len non capisco, ti assicuro che io non...” Lena sentì l’irritazione infiammarla di nuovo di fronte al tentativo inutile del mago di giustificarsi.
“Tu cosa? Certo, la responsabilità di quanto è accaduto è anche mia, ma sei stato tu ad entrare nel mio sogno, se non volevi che le cose diventassero troppo intime perché sei venuto? Ti senti forse in diritto di mettere alla prova la mia forza di volontà? Credi che io sia disposta ad essere uno dei tuoi esperimenti? Non so in quale guaio tu sia andato a cacciarti, ma se vuoi il mio aiuto devi rimanere fuori dai miei sogni. Non posso essere d’aiuto se non sono in grado di ragionare lucidamente ed evidentemente il sogno è un territorio insidioso per entrambi.” Solas continuava a fissarla in silenzio. Stava studiando le sue parole. Poi si avvicinò di un passo con fare incerto. “Credo che tu abbia semplicemente sognato. Io non ero con te, ero a malapena addormentato, non ho idea di cosa tu abbia visto nel sogno. Mi dispiace da'len.” Solas la guardava ora affranto. Per un istante la mente di Lena vacillò, era la verità?
“Da’len, credo sia meglio che tu vada.” Lena si avviò in silenzio verso la porta senza sollevare lo sguardo da terra. Era quasi fuori quando sentì l’elfo afferrarle il polso, il tocco rovente le fece correre un brivido inopportuno lungo la schiena. Lo guardò negli occhi. Il suo sguardo era caldo e cordiale quando disse: “Va tutto bene. Non preoccuparti.”
Lena si liberò con un gesto rapido e un po’ troppo brusco della stretta del mago, si sentiva morire di vergogna. Non solo aveva sognato Solas in un modo tanto sensuale da esserne ancora scossa, era anche corsa in camera sua per informarlo del fatto e lui ora cercava con dolcezza di non farla sentire una sciocca, con pessimi risultati peraltro. “Ir abelas, non sarei dovuta venire qui. Dimentica quanto ti ho detto, te ne prego.”
Lena lasciò la stanza dell’amico e si affrettò, corse quasi, cercando di raggiungere la solitudine della propria camera.
Avrebbe voluto nascondersi per sempre in un tunnel profondissimo per non rischiare di incrociare di nuovo lo sguardo dell’amico.
Chiuse la porta della stanza alle sue spalle con il chiavistello, non ricordava di averlo mai fatto prima e si sedette sul letto sperando che il sole rallentasse la propria corsa e che l’alba arrivasse in ritardo quel giorno. Ma fu puntuale come al solito. Si trattenne nelle proprie stanze più a lungo del solito, rimase finché non fu certa che tardando ancora la sua assenza avrebbe iniziato a destare sospetti e preoccupazione.
Si vestì di tutto punto quel giorno, indossò anche l’armatura sebbene non avesse in programma di lasciare la fortezza.
E alla fine si costrinse ad uscire. La prima cosa che vide non appena aprì la porta del suo alloggio fu l’elfo seduto su uno dei gradini della bassa scalinata che portava al trono. Solas la vide non appena aprì la porta e le si fece incontro.
Il suo sguardo era stravolto, probabilmente non aveva chiuso occhio quella notte, dopo la sua visita. Ma c’era qualcos’altro sembrava allarmato.
“Da’len, mi dispiace disturbarti così presto ma non saprei a chi altro rivolgermi.”
Nelle sue parole non vi era traccia di imbarazzo o della tensione che si era creata tra loro nell’ultimo periodo. Solas era sconvolto, per quanto quell’elfo si permettesse di esserlo, ed era lì in cerca del suo aiuto. Lena spazzò via con quel pensiero la vergogna e l’indecisione, il suo amico aveva bisogno di lei, era venuto in cerca del suo aiuto e sapeva quanto questo dovesse essergli costato.
“Dimmi tutto.”
“Credo che una mia amica sia in pericolo, puoi aiutarmi a rintracciarla?”
Lena lo guardò attentamente, quell’elfo così orgoglioso era immobile davanti a lei, come in attesa di giudizio, aveva messo da parte quanto di superbo rimaneva in lui alla ricerca di una parola amica, di conforto forse e lei non avrebbe potuto che fare quanto in suo potere per aiutarlo.
“Certo, spiegami e capiremo insieme cosa fare.”


 
XXXVI
La notte era scesa da molto con tutto il silenzio e la calma delle migliori notti d’estate. L’aria profumava, il cielo era limpido e fitto di stelle, la natura intera sembrava adoperarsi per mostrare il proprio lato più accattivante. Non era una notte bella come quella del mondo antico, ma le assomigliava molto.
Solas lo sapeva eppure la paura che stringeva il suo animo non gli permetteva di godere davvero di tanta bellezza.
Nei suoi pensieri vorticavano solo oscuri presagi e un terrore incontrollato. Non si ricordava di aver avuto così tanta paura in passato.
Come poteva ancora temere la solitudine dopo tanti anni? Eppure sapeva bene, che l’idea di perdere Saggezza lo sconcertava proprio per questo, sarebbe stato definitivamente solo. Era effettivamente circondato da collaboratori, sarebbe stato più giusto parlare di servitori anche se non sarebbe mai stato in grado di ammetterlo, ma nessuno di loro poteva essere chiamato amico. Sapeva di non poter certo parlare di una presenza costante, riguardo Saggezza, ma lo spirito non era mai troppo lontano e sapeva sempre come essergli vicina ogni volta che lui ne aveva bisogno. Non vi era dubbio che in quel momento avesse bisogno di lei.
Lo squarcio nel cielo aveva reso per molti mesi difficile la comunicazione tra loro, ma raggiunta Skyhold, le visite dell’amica erano divenute più frequenti, a lungo aveva condiviso con lei i dubbi riguardo il proprio cammino. Saggezza era convinta, come il demone incontrato ad Adamant, che nulla fosse inevitabile e che non esistesse cammino che sia definitivo finché non venga percorso. Avevano discusso a lungo sul futuro di questo mondo. Saggezza era certa che una volta che fosse tornato in possesso della sfera, sarebbe stato in grado di agire in modo differente rispetto a quanto fatto secoli prima. Era convinta che insieme avrebbero trovato il modo migliore per far convivere i due mondi. Secondo la sua opinione, non solo l’antico mondo sarebbe potuto risorgere, ma avrebbe potuto abbracciare il bello che l’antico errore aveva creato assieme al nuovo mondo. Saggezza era pronta ad accompagnarlo e a guidarlo lungo questo cammino. Con lei, Solas sapeva di non essere solo, sapeva di poter resistere. Cosa avrebbe fatto se le fosse accaduto qualcosa? Cosa avrebbe fatto se anche lei lo avesse lasciato solo? Non doveva pensarci. Banal Nadas.
Cercò di concentrarsi invece su una presenza rassicurante e molto più vicina. Non era abituato a pensare a quegli shemlen come a vere persone, figurarsi riuscire a pensare a uno di loro come un amico. Eppure in cerca di conforto il pensiero raggiungeva sempre lei. Lei era viva e reale, non avrebbe saputo negarlo, lei era ciò che più le ricordava un amico da tempo immemore. Per quanto affetto e stima lo avessero legato a Felassan, il loro rapporto non aveva mai potuto prescindere da una indiscutibile subalternità. Con la giovane dalish, invece non era mai stato così. Non appena aveva aperto gli occhi, tutto il suo essere aveva reclamato dignità e libertà. Non avrebbe accettato di essere sottoposta a nessuno e questo aveva acceso la sua curiosità in passato, la sua passione poi.
Non sapeva dire quanto fosse grato all’Inquisitore per aver allestito in fretta e furia quella missione senza fare troppe domande e cercando di dare meno spiegazioni possibili ai consiglieri. Qualunque cosa fosse accaduta finora o sarebbe accaduta di lì in avanti, lei aveva dato prova di essere davvero un’amica e date le circostanze saperlo si rivelava incredibilmente rassicurante.
La notte era profonda, ma l’alba non poteva ormai essere lontana, quando un rumore proveniente dalle tende lo trascinò fuori dai propri pensieri. Afferrò il bastone, i suoi sensi erano all’erta e qualunque suono lo allarmava. Iniziò a sussurrare un incantesimo di protezione che non portò a termine quando vide sbucare da una tenda la testa della giovane dalish.
Il mago tornò a rilassarsi e riappoggiò il bastone a terra, non troppo lontano da sé.
“Va tutto bene, mi dispiace averti spaventato.”
La voce della ragazza era bassa ma non sembrava intaccata dal sonno, doveva aver dormito poco. Il suo sguardo preoccupato gli scaldò il cuore. “Manca ancora qualche ora all’alba, potresti entrare in tenda e dormire un poco. Ti farebbe bene, e magari potresti provare ancora a metterti in contatto con la tua amica.”
Solas rimase in silenzio ad osservare la ragazza avvicinarsi al fuoco e sedersi poco distante da lui.
“Non dormi almeno da due notti, non ti fa bene.” Era molto preoccupata e Solas si sentì in colpa per questo e per quanto bene in realtà lo facesse sentire quella dimostrazione di cura e affetto. Quanto spesso si sentiva in colpa davanti a lei o anche solo pensando a lei?
La ragazza rimase in silenzio a fissare il fuoco.
“Da’len anche tu hai bisogno di dormire, torna in tenda, io non riuscirei comunque ad addormentarmi e almeno uno di noi dovrebbe essere riposato e lucido domani. Non sappiamo con cosa avremo a che fare.”
“Dorian e Bull dormono tranquilli, temo dovremo accontentarci del loro riposo.”
“Hai ancora problemi con i brutti sogni? Credevo fossero passati.”
Vide il viso della ragazza farsi di fuoco all’improvviso e comprese il proprio errore, era davvero bravo a comportarsi da sciocco con lei.
“Voglio dire, dal momento che non hai più preso il rimedio che ho preparato per te, credevo che gli incubi fossero passati.”
“Lascia stare.” La ragazza aveva voltato il viso nella speranza forse di nascondere l’imbarazzo.
Come poteva ogni volta mancare di riguardo nei suoi confronti? Era assurdo come si sentisse all’improvviso impacciato, con lei riusciva sempre a sbagliare qualcosa ultimamente. In realtà da Haven in poi aveva sbagliato tutto con lei. Si alzò in piedi, voleva poter fare qualcosa per rimediare, voleva che lei tornasse a sentirsi a proprio agio. Voleva ripagare la cura e l’attenzione di cui lei aveva dato prova in quei giorni, mostrandole quanto anche lui tenesse a lei, nonostante la manifesta incapacità di dimostrarlo.
“Se non riesci a dormire vieni, facciamo due passi. L’aria della notte è confortante e schiarisce i pensieri.”
La ragazza lo seguì docilmente, silenziosa ed assorta.
Non si allontanarono dall’accampamento, solo raggiunsero la sponda del fiume che scorreva nelle vicinanze e rimasero ad ascoltare la corrente coprire con il proprio scrosciare i loro pensieri affannati. A Solas sembrò che la notte si fosse improvvisamente fatta più bella.
Guardò la ragazza in piedi accanto a lui, d’istinto si portò le braccia dietro la schiena e si afferrò con forza le mani. Quel movimento era pian piano diventato un’abitudine che si reiterava quando era in compagnia dell’elfa, come se quella posizione gli impedisse di fare gesti inopportuni, come se le sue stesse mani si impedissero a vicenda di lasciarsi andare a gesti di affetto che non avrebbe saputo come trattenere altrimenti. Quando qualche notte prima la ragazza aveva fatto irruzione nella sua stanza, Solas aveva stretto le mani così forte da lasciare lividi segni su di un polso. Sentire ora il dolore di quei segni lo fece tornare indietro a quella notte, all’imbarazzo che aveva provato vedendo materializzarsi l’oggetto dei suoi pensieri notturni, quegli stessi pensieri che non lo lasciavano dormire. Le parole gli sorsero alle labbra da sole: “Da’len anche io ti ho sognata spesso. Più spesso di quanto non sia disposto ad ammettere. Non avertelo confessato non mi rende meno ridicolo ai miei occhi, non mi mette meno in imbarazzo davanti a te.”
L’elfa sollevò su di lui due occhi stupiti.
“Aver scelto un percorso diverso non significa poter completamente soffocare i nostri desideri, per quanto nascosti possano rimanere. Eppure hai ragione, anche io credo che ci siano faccende più importanti al momento. In altre circostanze le cosa sarebbero potute essere diverse. In un altro mondo lo sarebbero state sicuramente. In questo mondo, in queste circostanze, siamo più importanti l’uno per l’altra rimanendo ciò che siamo, non trovi?”
La ragazza lo fissò per un tempo che sembrò incalcolabile. Avrebbe detto che lo aveva guardato trattenendo il respiro e forse anche lui aveva fatto lo stesso, alla fine annuì scettica. I tatuaggi sul suo volto avevano preso a brillare lievemente. Solas serrò la presa sulle mani dietro la schiena e distolse lo sguardo.
L’alba li sorprese l’una accanto all’altro ciascuno immerso nei propri pensieri, un poco più vicini di quanto la notte li avesse lasciati.
 
 
Il piccolo gruppo riprese il cammino di buon’ora, l’Inquisitore apriva la strada seguendo attentamente la mappa. Dorian e Il Toro camminavano stranamente silenziosi, Solas sapeva di dover ringraziare la ragazza anche per quella compagnia discreta. Cole si era offerto di accompagnarli, ma l’elfa lo aveva convinto a rimanere alla base e Solas non poteva esserne che sollevato. Non si sentiva affatto capace di tenere a freno i propri pensieri in quel momento e avere attorno lo spirito lo avrebbe messo in difficoltà. Ma più di ogni altra cosa aveva apprezzato che la ragazza avesse deciso, forse per la prima volta, di viaggiare senza Varric. Non era per l’assenza del nano in sé, ma per il significato del gesto. La sua giovane amica doveva aver pensato che l’irriverenza del nano sarebbe stata per lui, in questa occasione, decisamente sgradevole e aveva deciso di partire senza di lui, per quanto questo inevitabilmente le costasse fatica. Se le circostanze fossero state diverse, Solas avrebbe indugiato più a lungo e con uno spirito più tenero, sull’ennesima premurosa attenzione che la ragazza gli aveva riservato. In quel momento invece il suo unico pensiero era quello di trovare Saggezza e di assicurarsi che stesse bene. L’Inquisitore fermò con un cenno il procedere della marcia, scese da cavallo e si accovacciò accanto ad un cespuglio. C’era qualcosa a terra che aveva attirato la sua attenzione, quando si voltò il suo sguardo era preoccupato e moto triste. Solas si precipitò al suo fianco. 
“No, no! Non è possibile. Non può essere.”
L’angoscia portò fuori quelle parole come una preghiera. Vi erano resti umani accanto al cespuglio, il cadavere era fresco e portava il segno di bruciature magiche. Folgori avrebbe detto, se avesse dovuto indovinarne la natura. 
Il peggiore scenario si dipinse nella sua testa e gli mise le ali ai piedi. L’Inquisitore lo seguiva dappresso. Nel momento in cui il suo cuore perse un battito sentì chiaramente l’elfa stringergli la mano. La sua vecchia e cara amica, il sublime spirito della saggezza era stata trascinata in questo mondo e costretta ad agire contro la propria natura. Dello spirito pacato e disponibile che conosceva, non era rimasta che un’ombra mutata in un mostro irrefrenabile. Un demone aveva preso il posto della sua vecchia amica. 
 Uno spaurito gruppo di maghi si fece loro incontro chiedendo aiuto. Solas sentì il dolore e la frustrazione di secoli mutarsi in rabbia e farsi incontenibile. Ci volle tutta la forza del Toro e la presenza di spirito dell’Inquisitore per trattenerlo. Dorian infine propose una soluzione che la sua mente confusa non era stata in grado di immaginare.
Cercarono di spezzare l’incantesimo che teneva prigioniera la sua amica e la strategia sembrò efficace, almeno in un primo momento.
Il demone mutò di nuovo, ma invece che tornare ad essere lo spirito che ben conosceva, Solas si trovò davanti un pallido spettro. Le si gettò incontro, prese le sue mani e le accarezzò il volto stravolto, non più di un alito di vita la tratteneva lì. Con le ultime forze gli rivolse poche parole e ripeté per l’ultima volta lo stesso avviso: niente è inevitabile. Ed in un secondo era scomparsa per sempre.
L’ultimo legame con suo vecchio mondo, l’ultimo essere che sentiva affine, l’unico in grado di consigliarlo con pazienza e rigore era scomparso per sempre. La rabbia tornò a crescere. Secoli di ingiustizie perpetrate e subite erano incarnate ora da quei miseri agglomerati di ossa e carne, senza cervello e senza anima, che osservavano la scena poco distanti da lui. Qualcuno avrebbe pagato per l’assurdità di quel mondo, per la crudeltà e l’ignoranza, qualcuno avrebbe dovuto pagare anche per i suoi stessi errori e quei maghi erano al momento i candidati ideali. Si erano macchiati di un crimine orribile. Avevano ucciso uno spirito bello e raro, avevano privato il mondo di una tale ricchezza in tempi in cui il suo apporto era più che mai necessario. In più avevano preso la sua solitudine e la avevano trasformata in un isolamento ancor peggiore, niente era rimasto per lui a causa loro. Avrebbero pagato, pagato con sofferenze indicibili. Con tutta la furia che aveva in corpo si diresse verso di loro. Sentì la rabbia e la violenza amplificare i propri poteri, si sentì potente, imbattibile come una volta. Un incantesimo terribile stava per lasciare le sue mani quando il viso dell’Inquisitore si frappose tra lui e le sue prede.
“Non interferire, pagheranno per ciò che hanno fatto.” Si accorse che la propria voce si era fatta cavernosa ed inquietante, la ragazza lo guardava spaventata. Dorian le fu accanto in un momento con fare difensivo. Bull osservava invece la scena senza intervenire, doveva riconoscere le ragioni che lo spingevano a cercare così ardentemente la vendetta. 
Con un movimento improvviso rilasciò un’onda di energia che scagliò a terra Dorian e l’Inquisitore ed una fiamma intensa partì subito dopo dalle sue mani, per andare a consumare carne ed ossa di quei maghi ignoranti ed arroganti.
La prima cosa che udì distintamente sopra le grida di dolore dei malcapitati, fu la voce irata della dalish che gli si piantò addosso afferrandolo per le vesti all’altezza del petto.
“Cosa ti è saltato in mente? Hai completamente perso la ragione, sei fuori controllo!”
Lo sguardo della ragazza era spaventato ed addolorato e contraddiceva il tono delle sue parole. Solas non poteva e non voleva gestire in quel momento le reazioni dei compagni, tanto meno quelli dell’Inquisitore. Allontanò gentilmente ma con decisione la ragazza da sé e iniziò a camminare in fretta.
La destinazione non era importante, doveva andare via. Fortunatamente nessuno lo seguì.
Seguì il corso del fiume fino a raggiungere un grande lago. Sarebbe apparso magnifico ad occhi meno appannati dal dolore, Solas ne era consapevole, ma lo degnò appena di uno sguardo indifferente e si infilò in una piccola e scura caverna che si apriva nelle vicinanze della riva. Quanta bellezza sprecata vi era in questo mondo?
Aveva intensione di dormire e sognare tanto profondamente da riuscire a trovare un’eco della sua amica. C’erano così tante cose che avrebbe voluto chiederle, così tanto di cui discutere. Ad esempio sapeva di non aver mai parlato con lei dell’Inquisitore. Il pensiero lo abbandonò in fretta sommerso da idee terribilmente più oscure. Senza l’aiuto della sua amica come avrebbe trovato il giusto cammino per riportare in dietro il vecchio mondo senza distruggere quello nuovo?
La sua strada diveniva sempre più difficile e lui si sentiva sempre più solo. Non riusciva a accettare il fatto di aver perso ancora qualcuno, ancora probabilmente per colpa sua. Si addormentò e dormì un sonno travagliato, cercò a lungo Saggezza, ma la sua amica sembrava scomparsa anche dal mondo del sogno.
I due mondi divenivano per lui sempre più simili, freddi, inospitali e tristemente solitari.
 

 
*Banal Nadas: la traduzione è ancora incerta ma io ho preso per buona la teoria secondo la quale starebbe a significare appunto "niente è inevitabile"

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Lupi solitari - parte I ***


Solo due parole in apertura. Come è accaduto un'altra volta in passato, mi trovo a voler dividere questo capitolo in due parti. In questa prima parte ci sarà quindi solo il punto di vista dell'Inquisitore, nella seconda parte quello di Solas. Credo siano piuttosto densi e ho paura che uninendoli diventino semplicemente troppo. Non sono ancora convinta che questa soluzione mi piaccia, ma niente mi vieta in futuro di riunirli in un solo capitolo. La seconda parte potrebbe essere pubblicata già domani o dopodomani. Chiedo scusa per la lunga attesa, spero di riuscire a rientrare nei ranghi, almeno per un po', prossimamente.


XXXIII
“Ehi, boss. Vieni a mangiare.”
La voce calda e preoccupata del Toro l’aveva distolta dalla raffica di pensieri che la teneva soggiogata da quando Solas aveva lasciato la compagnia. L’odore di carne arrostita e tuberi alla brace la raggiunse all’improvviso, come portato dalle parole del qunari e lo stomaco rispose torcendosi violentemente. “Mi spiace, non ho fame.”
“Continuare a fissare il sentiero non lo farà tornare prima, e per quanto eccentrici siano i gusti di quell’elfo, di certo lasciarti morire di fame non ti renderà più attraente.”
Lena rivolse uno sguardo di fuoco a Dorian e lui scosse la testa stringendosi nelle spalle, come a giustificarsi e a volerla rassicurare riguardo il proprio silenzio.
“Boss, avrei capito che voi due orecchie a punta nascondete qualcosa, anche senza l’occhio che mi rimane e se mi avessero strappato entrambe le orecchie.” Lena notò qualcosa nello sguardo che i due compagni si scambiarono, ma non riuscì a concentrarsi abbastanza per decifrarlo. Dorian rise sotto i baffi mentre Il Toro proseguiva: “Non vorrai certo dire che doveva rimanere un segreto? Comunque tornerà appena avrà sbollito la rabbia.”
Lena avrebbe voluto avere la stessa sicurezza del qunari, ma sapeva bene, meglio di chiunque altro, quanto la presenza del mago tra i ranghi dell’Inquisizione fosse da sempre appesa ad un filo sottilissimo e temeva che quell’ultimo incidente avesse fatto pendere l’ago della bilancia verso un’irreversibile fuga.
“Ehi” la voce del mago era seria e profonda, “abbiamo fatto il possibile, e Solas non può non saperlo. Ha solo bisogno di tempo per metabolizzare l’accaduto, non potrebbe mai abbandonarci finché il pericolo è ancora presente. Non potrebbe mai abbandonare te, lo sai fin troppo bene.”
Le parole di Dorian erano controllate e di una lucidità monumentale. Era vero, Solas infondo aveva promesso, sarebbe tornato.
Annuì placida alle parole dell’amico e si avvicinò al falò, approfittando almeno della loro piacevole compagnia, se non del pasto appetitoso che avevano preparato. Mentre mangiavano la luce del sole fu oscurata improvvisamente dall’arrivo repentino di una tempesta. Le pianure assunsero in un momento delle tonalità cupe che conferivano all’ambiente un’aria mistica e le grandi statue, nei pressi delle quali il piccolo gruppo si era accampato, avevano ora, d’improvviso, un aspetto maestoso e inquietante. Non appena l’aria già elettrica fu attraversata dal primo fulmine e il silenzio della pianura fu scosso dal rombo di un tuono, il qunari e il mago alzarono contemporaneamente uno sguardo allarmato su Lena.  I due compagni si aspettavano che lei facesse qualcosa di sciocco e questo la fece sentire autorizzata a seguire il proprio istinto. Infondo chi era lei per deludere le aspettative dei compagni?
Si alzò e disse semplicemente: “Non mi allontanerò molto, lo prometto.”
Dorian sembrò pronto a protestare ma il Toro lo trattenne con un gesto. “Boss, cerca di tornare prima che faccia buio.”
Lena annuì riconoscente in direzione del qunari e si allontanò in fretta dall’accampamento. 
Prese a correre tra la bassa vegetazione della pianura, non aveva idea di dove andare. Sebbene non avesse mai dovuto mettersi sulle tracce del mago, Lena era certa che lui fosse in grado di dissolversi completamente, cancellando ogni segno del proprio passaggio. Ben presto il suo istinto fu confermato dai fatti. Continuava ad osservare le boscaglia e gli stradelli di terra battuta e sassi, riusciva a distinguere diverse tracce di animali e alcune impronte confuse di quelli che sembravano essere cacciatori dalish, ma dell’elfo non era rimasto nulla. Più si allontanava dall’accampamento e dalle parole sicure dei compagni più la sua mente si confondeva e la paura si faceva strada tra i suoi pensieri. Se lui fosse andato via, se l’avesse lasciata sola, se fosse infine venuto meno alla promessa, lei avrebbe di nuovo dovuto fronteggiare l’eventualità di perdere tutto. Irrazionalmente quella promessa era per Lena un baluardo contro una paura profonda che riguardava la sua intera vita, non solo il rapporto con il mago. Era terrorizzata dall’idea di dover realizzare che tutto ciò che riguardava l’Inquisizione e quella pagina della sua vita così significativa, intensa e ricca, non fosse che una breve parentesi e che ben presto avrebbe dovuto allontanarsi dai nuovi compagni, che invece non vedevano l’ora che tutta quella storia finisse per tornare ciascuno alla propria vita. Lena sapeva quanto fosse sciocco usare poche parole, dette forse con una certa superficialità, per nascondere un problema ben più profondo e concreto e con il quale un giorno avrebbe dovuto necessariamente fare i conti. Fatto sta che fino a quel momento aveva funzionato, quindi se voleva uscire dall’impasse in cui si trovava, doveva tornare a confidare in qualcosa che l’aiutasse a tenere a bada la paura. Cercò di focalizzarsi sulle parole di Dorian, sulla convinzione di Bull, sugli sguardi allegri e l’accoglienza calorosa che Solas era solito riservarle, ogni volta che si recava da lui. Ogni volta, fino a qualche tempo indietro. Scosse la testa per scacciare quell’ultimo pensiero, si mise a riflettere sulla situazione attuale e comprese in un attimo di dover ricorrere ad un altro tipo di espedienti se voleva rintracciare l’amico, l’addestramento da cacciatrice le sarebbe stato completamente inutile in questa occasione. Si fermò e si guardò attorno cercando di cogliere particolari del paesaggio che colpissero la sua immaginazione. Smise di guardare a terra o di cercare arbusti intaccati dal passaggio dell’amico, si concentrò invece sull’insieme. Dimenticò l’addestramento e fece ricorso a tutto ciò che sapeva del mago. Tentò di guardare con occhi nuovi la boscaglia aprirsi davanti a lei, lo sguardo le cadde su un vecchio albero caduto, un ramo che avrebbe dovuto ormai essere morto portava invece i freschi germogli della bella stagione. Lena si mosse in quella direzione e vide in lontananza vecchie rovine quasi completamente sommerse dalla vegetazione, si mise in marcia per raggiungerle. Raggiunto l’ammasso di erba, pietra e legno si guardò attorno, un lago che rifletteva nei colori e nel moto la tempesta che si approssimava, si stendeva ai piedi delle vecchie rovine. Rimase a guardare lontano, poi si accorse di un passaggio che si apriva verso il basso, un cunicolo stretto e buio che scompariva nelle profondità delle rovine. Ristette esitante, indecisa se addentrarsi sotto terra oppure no, poi si diresse sicura verso le rive del lago. Un costone di roccia si alzava in lontananza prese a camminare sempre più lentamente in quella direzione. Una serie di piccole grotte si apriva sul fianco tagliato della collina, Lena era certa, come se vedesse effettivamente quel luogo attraverso gli occhi del mago, che non poteva esserci posto più adatto per lui dove ritirarsi a sognare, alla disperata ricerca dell’amica scomparsa. 
Ispezionò qualcuna delle grotte senza trovarvi nulla più di resti maleodoranti di animali e quando infine la sua ricerca diede buoni frutti, un’improvvisa incertezza prese il posto dell’esultanza. Ora che lo aveva trovato e che evidentemente era al sicuro come i suoi compagni le avevano ripetuto fino allo stremo, cosa avrebbe potuto fare? 
Il mago dormiva e Lena fu tentata di tornare sui propri passi prima di essere sorpresa dall’amico, ma qualcosa la spinse invece ad entrare. C’era un debole fuoco che bruciava appena dentro la caverna e sparse attorno al mago vi erano delle provviste abbandonate.  Lena sorrise riconoscendo l’espediente di cui Solas le aveva parlato un tempo e riguardo il quale lei si era detta piuttosto scettica. Possibile che bastasse lasciare sparsi attorno pane e formaggio o qualche pezzo di carne essiccata per evitare di essere divorati dagli animali selvatici? Fino a quel momento la ragazza aveva spesso avuto il dubbio che il mago si prendesse gioco di lei raccontando quelle storie, ora doveva invece ricredersi smentita com’era da un’innegabile evidenza
Si sedette accanto all’elfo sorridendo dei propri pensieri e rimase a guardarlo cercando di immaginare cosa avrebbe potuto dirgli una volta che si fosse svegliato, ma non ebbe molto tempo per riflettere. Ben presto l’elfo, probabilmente cosciente di una presenza accanto a lui, aprì gli occhi, la vide e le sorrise. Niente poteva essere più spiazzante per lei. Si sarebbe aspettata di vederlo arrabbiato o infastidito o nel migliore dei casi di vederlo prendere le distanze e farsi incredibilmente formale. Invece Solas le sorrise dolcemente e questo la lasciò senza parole. 
Era seduta abbastanza vicina e quindi poté facilmente afferrargli una mano. Quel gesto per lei era sempre stato ridicolmente importante, come se afferrare la mano dell’amico fosse un gesto in grado di confermare la realtà. Poter fisicamente sentire la presenza dell’amico accanto a sé attraverso un contatto tanto semplice, le aveva dato forza, coraggio, era stata in grado grazie a quel gesto, di attingere alla propria saggezza più profonda, sepolta sotto tutto l’irrefrenabile istinto che l’aveva sempre contraddistinta, quel gesto aveva placato le sue paure, e lenito il suo dolore.
Credeva di ricordare la sensazione di quei primi tocchi come un’eco, il ricordo confuso di quando lui aveva afferrato la sua mano per studiarne il marchio, mentre lei lottava incosciente per rimanere in vita, come se il suo tocco avesse avuto il potere di trattenerla.
Quando la loro amicizia era in boccio e il loro legame stava iniziando a definirsi, aveva visto l’amico reagire con una vaga tensione al suo gesto, ma alla fine anche Solas vi aveva preso confidenza e lui stesso cercava spesso quel tipo di contatto innocente e intimo, quanto meno prima che le cose tra loro divenissero più complicate. 
Come accadeva a volte, anche in questo caso il marchio reagì al tocco della mano calda dell’elfo e Lena assaporò la sensazione di un leggero formicolio che le risalì dal palmo della mano fin su alla base del collo.  Come faceva l’elfo ad essere sempre così caldo? Si era addormentato sul terreno umido di una caverna, fuori si avvicinava la tempesta e l’aria si faceva fredda, eppure la mano dell’amico era calda come al solito. 
“Da’len.” Solas continuava a sorridere e la guardava curioso. Non poteva continuare a perdersi dietro i propri pensieri. Doveva trovare qualcosa da dire. Infine decise che la verità sarebbe stata la scelta migliore.
“Mi dispiace averti disturbato. Ero preoccupata, il cielo promette tempesta, e avevo paura che ti ritrovassi nei guai.”
Solas si sollevò appena puntellandosi sui gomiti e stringendo la sua mano con più forza. 
“La tempesta? Il tempo mi sembra ciò che di più clemente si trova in queste pianure. Da’len perché sei qui?”
“Ero davvero preoccupata.” Lena sapeva di non mentire, ma sapeva bene di stare nascondendo almeno una parte di verità.
“Sarei tornato comunque. Non potrei lasciarti finché la minaccia non sia completamente debellata.”
Lena abbassò lo sguardo. Certo, la verità. 
“Hai trovato la tua amica?”
“Il posto nell’oblio dove eravamo soliti incontrarci è vuoto. Non tornerà, non in una forma che sarò in grado di riconoscere. E sicuramente lei non potrà riconoscere me come amico. Purtroppo i ricordi che hanno dato forma al suo spirito sono morti con lei. Un giorno qualcosa di simile nascerà di nuovo, un nuovo spirito di saggezza, semplicemente non sarà lei.”
Lena sentiva tutto il peso del dolore del suo amico, poteva sentire la sua solitudine, il suo grido inespresso. Sentiva la propria inopportuna intromissione in quel momento difficile. Rivolse un altro sguardo all’elfo ancora semi sdraiato davanti a lei, il suo sorriso era sincero, non a caso era stata la prima reazione nella confusione del risveglio. La ragazza capì quindi di cosa l’amico avesse davvero bisogno, nonostante lo negasse anche a se stesso. “Non devi affrontare questo dolore da solo. Non sei più solo, io sono con te.”
Solas necessitava di conforto, quel conforto che per anni gli era mancato, era solo da troppo tempo. Vide gli occhi di lui accendersi e si accorse di aver detto troppo, ma non tentò di correggersi, infondo aveva davvero detto la verità, questa volta. Quindi ripeté semplicemente: “Non sei più solo.”
Lena vide gli occhi dell’amico spalancarsi e avrebbe giurato di vederli riempirsi di lacrime per un momento, ma subito dopo lo sguardo tornò limpido e un sorriso più luminoso del solito si fece strada sul suo volto. 
“Devo davvero abituarmi all’idea di non essere solo vero? E’ passato così tanto tempo dall’ultima volta che ho potuto davvero contare su qualcuno. Perdonami, è un esercizio difficile, ma ho fiducia in te. Davvero.”
Lena non rispose un nodo le bloccava la gola, annuì semplicemente e sorrise. Non c’era bisogno di parlare infondo. Lena rimase a guardare Solas tirarsi su a sedere e lasciare andare la sua mano, era ora di andare per lei. Si alzò e disse: “Ora posso andare, se vuoi ti aspetteremo all’accampamento, in caso contrario ci rivedremo a Skyhold”
Solas sembrò stranamente deluso e Lena si affrettò ad aggiungere: “Non voglio dire che devi rimanere se non vuoi. Credevo solo che avessi ancora bisogno di tempo e non volevo interferire.”
Per tutta risposta l’elfo sorrise e si alzò, prese il bastone e la bisaccia e fu pronto ad incamminarsi. 
Non erano lontani dall’accampamento ma procedevano molto lentamente ciascuno inseguendo i propri pensieri, entrambi sembravano non preoccuparsi affatto, ora, della tempesta in arrivo. 
Lena si sentiva incredibilmente tesa, sentiva il peso di quel silenzio e della compagnia del mago. Vi era così tanto in sospeso tra loro che l’aria stessa sembrava crepitare ad ogni sguardo. “Da’len, i tuoi tatuaggi si illuminano di nuovo.” 
Lena abbassò la testa d’istinto come se quello avesse potuto nascondere il suo viso all’amico. La ragazza temeva che quella strana reazione fosse legata in qualche modo a Solas o alla sua magia, ma voleva farsi un’idea più chiara della questione, prima di condividere con lui quella teoria. Un rumore improvviso richiamò la sua attenzione, era un rumore leggero ma inconfondibile, qualcuno li stava seguendo. Alzò una mano e Solas si fermò senza fare domande. Lena si mise in ascolto e comprese di essere incappata in un errore, non erano stati seguiti bensì circondati. Mise immediatamente mano ai pugnali e il mago imitandola afferrò il bastone. 
“Venavis1, da’len. Abbassate le armi, non vi accadrà nulla”
Sei esploratori sbucarono dai loro nascondigli, archi tesi e frecce incoccate, mentre un settimo, colui che aveva parlato, si fece avanti disarmato: “Ar’din nuvenin na’din, aneth ara.2
Lena sebbene diffidente rinfoderò le armi, per quanto veloci e potenti lei e Solas potessero essere assieme, avevano puntate addosso fin troppe frecce, non sarebbe stato saggio tentare altre mosse. Fu sollevata vedendo Solas lasciare che l’energia incanalata nel bastone si dissolvesse e  che il grosso cristallo che vi splendeva sulla cima tornasse lentamente ad essere una pietra inerte.
“Portate i vessilli di una forza  shem’len, e il nostro clan ha già sofferto abbastanza, ma se iniziamo a diffidare del nostro stesso popolo i nostri giorni saranno ancora più infelici. Dimmi da’len cosa vi spinge qui, con queste insegne sulle vesti?”
Lena rispose con tutta l’autorità di cui era capace “Io sono l’Inquisitore, non veniamo qui per creare problemi, non avete nulla da temere.”
L’elfo la guardò con sospetto poi il suo sguardo cadde sul marchio che scintillava debolmente. “Tu sei Lavellan? Molte parole sono state dette su di te in questi tempi. Il nostro guardiano gradirebbe molto incontrarti. Ci seguirete al nostro campo?”
Era molto tempo che nessuno la chiamava più con il nome del suo clan, nei giorni lontani di Haven qualcuno aveva provato, ma ben presto aveva rinunciato. Lena sentì ora un pugno acido perforargli lo stomaco. Lei non era una Lavellan, non lo era mai stata. Scambiò un veloce sguardo con Solas, l’elfo la riportò alla realtà. Non era quello il momento per lasciarsi guidare dal risentimento. Dette fondo a tutta la forza di volontà che possedeva e rispose con il tono sicuro e calmo del leader: “Lo faremo, se potremo venire tra voi come ospiti e non come prigionieri.” L’elfo fece un gesto e i suoi compagni abbassarono gli archi che li tenevano ancora sotto tiro. Poi Lena aggiunse: “E comunque non sono Lavellan, sono l’Inquisitore.”
L’elfo le fece strada senza aggiungere altro e la ragazza lo seguì. Non poteva vederlo, ma Lena indovinò un sorriso divertito sul volto di Solas, che continuava a seguire gli eventi senza pronunciare una parola.
 
 
 

 
 
1 Venavis: Fermi
2 Ar’din nuvenin na’din, aneth ara: Non vogliamo ferirvi, benvenuti. Aneth ara è un saluto che i dalish usano tra loro, difficilmente con chi non è del "popolo". Letteralmente significa "il mio posto sicuro". 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Lupi solitari - parte II ***


XXXIV
Dalish. Ancora una volta quegli insulsi dalish.
Il fastidio di Solas in questo caso aveva però molto poco a che fare con principi e visioni del mondo, doveva ammetterlo. La sua dolce amica aveva appena spazzato via tutte le sue paure con poche parole. Il terrore di essere solo era irrazionalmente svanito, perché lei aveva detto di essergli accanto. Solas aveva sentito il proprio cuore scaldarsi riconoscendo la verità di quelle parole, ma allora doveva permetterle di vedere, di conoscere e poi di scegliere liberamente. Con tutte le creature al mondo a cui aveva fatto dono della libertà, non poteva sottrarre proprio alla sua preziosissima amica l’opportunità di conoscere la verità e decidere da sola il proprio destino. Certo sarebbe stato un processo lento, nessuno può accettare che la propria idea del mondo venga sovvertita in un istante, nessuno potrebbe accettare una verità troppo lontana da sé, per quanto abbia una mente acuta e cuore aperto ai cambiamenti. Erano questi i pensieri che intrattenevano ed eccitavano la sua mente quando quegli sciocchi soldatini si erano fatti avanti sperando di poterli prendere di sorpresa.
Si ritrovavano ora seduti in un misero accampamento circondati da carri malandati e maleodoranti. Tutto era ammantato di miseria e disperazione, più che gli eredi dell’antico popolo sembravano relitti lasciati indietro da tempi inclementi, spaventati dal mondo e dalle intemperie, con una sola preghiera negli occhi: “Lasciateci in pace, non fateci del male.” Per la prima volta e per pochi istanti, Solas si sentì solidale con loro, con i giovani costretti a questa vita senza un vero ideale che nobilitasse tanti stenti; solidale con i bambini inconsapevoli ancora di avere davanti a loro una vita da prede in fuga; solidale con chi, per sfuggire alle catene della schiavitù, aveva imboccato un sentiero tetro che portava ciascuno ad essere schiavo dei propri bisogni materiali, rinunciando autonomamente a ciò che eleva lo spirito e rende una vita degna di essere vissuta. Poveri figli del suo stesso errore. Come al solito più disprezzava coloro che si ergevano a capi, più era disposto a mostrare pietà per coloro che vivevano da sottoposti, e per quanto potessero riempirsi la bocca di parole che non comprendevano, quei poveri elfi erano semplici sudditi, guidati da un Guardiano ignorante e cieco. La storia si ripeteva ancora. Tutto era cambiato, ma niente era cambiato davvero, nonostante tutto ciò che era stato sacrificato.
Intanto la tempesta si era scatenata come preannunciato e Solas e la sua amica erano bloccati sotto un grosso tendone al centro del campo. L’Inquisitore era riuscita a parlare con qualcuno a cui affidare un messaggio per i compagni rimasti all’accampamento, non sapevano se sarebbero stati raggiunti o se i due avrebbero invece deciso di rimanere all’asciutto nelle tende, ma Solas si trovò inaspettatamente a sperare di vederli arrivare presto. Dopo quel breve contatto con gli abitanti del campo, nessuno si era più occupato di loro e i due amici erano rimasti ad attendere al freddo ed esposti all’umidità. La giovane spazientita si apprestò ad accendere un fuoco, ma la poca legna nei dintorni era infradiciata dalla pioggia e ancor più dalla costanza dell’umidità in quella regione. Il mago, nonostante sapesse quanto l’Inquisitore odiasse quel tipo di interferenze, cercò di rendersi utile con un piccolo incantesimo che permise al fuoco di iniziare a scoppiettare timidamente. Lo sguardo che la ragazza gli lanciò fu per un attimo carico di rimprovero, ma si sciolse presto e un’espressione soffice ne prese facilmente il posto.
Dopo un tempo che sembrò lunghissimo, durante il quale i due compagni non si scambiarono quasi una parola, il Guardiano del clan ebbe finalmente la buona creanza di accoglierli ufficialmente.
Il vecchio elfo era poco più di un capo tribù, non vi erano differenza tra questi selvaggi e gli Avvar, i bruti delle montagne. Il Guardiano era vestito con capi vistosi ma di pessima fattura, borioso e saccente come ogni altro dalish che avesse mai incontrato.
Quasi come ogni altro dalish, si trovò a pensare, comparando anche semplicemente l’apparenza ampollosa del vecchio elfo e la presenza fiera e naturale della sua bella amica.
“Benvenuti fratelli, sono lieto di potervi accogliere nel nostro campo.”
Qualunque buon ospite avrebbe parlato di umile campo, pensò Solas infastidito.
“E’ un onore per noi averti qui da’len, abbiamo sentito parlare molto di te”
Inquisitore, non da’len, pensò ancora Solas irritato, cosa gli fa credere di potersi prendere tanta confidenza con qualcuno così palesemente superiore a lui in spirito e condizione?
“Siamo fortunati ad essere vostri ospiti con un tempo così inclemente, spero che i nostri compagni e il vostro messaggero possano raggiungerci presto.” L’elfa sembrava perfettamente a proprio agio nell’affrontare quei convenevoli.
“Potrete cenare con noi se vorrete, la nostra mensa è modesta ma sono i nostri cacciatori a provvedere ai nostri bisogni e devo supporre che sia molto tempo che non mangiate della carne appena cacciata.”
Insopportabile arrogante.
“In realtà passiamo molto del nostro tempo in missione in territori come questo e per mangiare spesso preferiamo la caccia alle provviste. Quindi grazie per la cortesia, ma non potremmo mai dare fondo alle vostre scorte con la nostra presenza, la vostra mensa è modesta avete detto, meglio serbare le fatiche dei cacciatori per il clan. Noi abbiamo comunque già mangiato per oggi, non preoccuparti hahren
Piccola scaltra, aveva rimesso al proprio posto quel vecchio borioso con tanta cortesia da non lasciare spazio a nessun tipo di risposta. Aveva con una sola frase ristabilito la propria autorevolezza e messo in luce la miseria in cui quei bruti vivevano. Le lezioni di Josephine si rivelavano davvero utili. Solas ricordava un tempo in cui la dalish che era in lei avrebbe preso il sopravvento rispondendo all’insulto con rabbia e irruenza, ora invece aveva semplicemente avuto la meglio. Senza conseguenze.
Il Guardiano si affrettò infatti a cambiare argomento: “Da’len sappiamo tutto di te, ma chi è il tuo compagno? Non porta i marchi del nostro popolo, è forse uno degli schiavi degli shem’len?”
Solas vide il disappunto fare capolino sul viso dell’amica, ma fu brava ancora una volta a mantenere il controllo. “Solas è uno dei pilastri dell’Inquisizione, è nato in un villaggio del nord ed è sempre vissuto libero.”
“Siamo gli ultimi elvhen e non saremo mai più sottomessi.” disse Solas scimmiottando una delle frasi che aveva sentito ripetere ritualmente da quel branco di selvaggi. L’Inquisitore cercò a fatica di reprimere una risata, mentre lui si trovò a pensare che nonostante quelle parole fossero state pronunciate con intento provocatorio si dimostravano nel profondo ironicamente ed innegabilmente vere, tanto adatte a lui quanto poco lo erano a quei bambini certi di conoscere tutto riguardo come va il mondo.
“Mai più.” Rispose con una gravità che non poté che risultare ridicola ai due compagni e l’Inquisitore dovette simulare un attacco convulso di tosse per mascherare una risata insopprimibile.
Come erano finiti con il giocare il ruolo dei discoli davanti al capo villaggio? Però Solas doveva ammettere di apprezzare il ruolo e l’aria di complicità che poteva chiaramente respirare, sentiva di essere tornato ragazzo e di poter comportarsi da monello come era solito fare in giorni lontanissimi. E sentiva di essere vicino come non mai alla ragazza che aveva accanto. Vicino in modo spontaneo e sconsiderato, proprio come due ragazzi che si affacciano all’amore e alla vita per la prima volta. Sciocchi!
“E i tuoi vallaslin, da’len? Non credo di riconoscerli, il tuo clan ci ha scritto qualcosa in proposito, ma non credo di aver dato sufficientemente attenzione a questo dettaglio.”
Fenedhis! Solas vide la mascella dell’Inquisitore contrarsi e le mani serrarsi a pugno, Solas comprese che le indicazioni di Josephine erano state completamente obliate dalle parole del vecchio. Per quanto non gli sarebbe dispiaciuto vedere quel campo raso al suolo e dato alle fiamme, per il bene dell’Inquisitore si sentì in dovere di  intervenire in qualche modo.
“I vallaslin dell’Inquisitore non sono dedicati a nessun dio, ma all’antico popolo. Solo le guide del popolo avevano quei marchi nei tempi antichi, per questo oggi se ne è persa quasi completamente notizia, solo pochissimi giovani, non più di una manciata per ogni generazione, meritano di portare questi segni ed in questo caso la scelta si è rivelata profetica.”
Il vecchio elfo non avrebbe mai ammesso di ignorare una vecchia leggenda, quindi semplicemente tacque e la ragazza sembrò rilassarsi un poco sebbene la sua voce tremasse ancora di rabbia quando disse: “Posso chiedere come mai il mio clan vi ha scritto?”
“Ma come non lo sai? E’ in cerca di protezione, sta pianificando di lasciare gli altipiani di Urthemiel e di muoversi a est, pare che non sia più al sicuro in quel territorio. Mi chiedo in effetti come mai l’Inquisitore non sia in grado di fornire protezione al suo stesso clan.”
Di nuovo l’Inquisitore stava lasciando il posto ad una giovane elfa infuriata, Solas intervenne ancora una volta: “L’Inquisizione sta facendo il possibile per i Lavellan. Speriamo che tutto si concluda per il meglio.”
L’arrivo dei due compagni risultò provvidenziale, fatte le dovute presentazioni il guardiano diede prova di non gradire la presenza di un mago del Tevinter e tolse il disturbo con la massima fretta.
Il fuoco magico bruciava ancora allegro e aveva ormai asciugato il terreno nei dintorni, i compagni poterono quindi sedersi tranquilli senza temere il fango. La pioggia cadeva ancora con violenza e Dorian e Il Toro erano giunti al campo piuttosto inumiditi nonostante un incantesimo del mago li avesse protetti dallo scrosciare fragoroso della pioggia per gran parte del tragitto.
“Dorian, abbiamo decisamente fatto la scelta peggiore venendo qui. Il nostro accampamento è in un punto ben più riparato e molto meno fangoso.”
“E nonostante questo bestione e le discutibili abitudini igieniche di Solas, il nostro campo puzza innegabilmente meno.” Aggiunse ironico il mago, ignorando il qunari e rivolgendosi invece all’Inquisitore che però non rise della battuta dell’amico. Disse semplicemente: “Mi dispiace, sareste dovuti rimanere all’accampamento, volevo solo farvi avere notizie e non farvi preoccupare.”
“Credi forse che ti avremmo lasciato in questo posto orribile e puzzolente tutta sola? Ora avrò tantissimo di cui lamentarmi e tu sarai obbligata a starmi a sentire. Ne è valsa senza dubbio la pena.” Disse Dorian  ammiccando, poi aggiunse con maggior serietà: “L’importante è riuscire ad andare via al più presto.”
“Anche io vorrei potermi allontanare da qui il prima possibile. Ormai però abbiamo accettato il loro invito, non possiamo fuggire così, nel bel mezzo di un temporale tra l’altro. Dovremo aspettare che il guardiano ci presenti al clan e questo non avverrà prima che la tempesta sia passata.”
Solas stava per aggiungere qualcosa che avvalorasse le parole dell’Inquisitore, ma i due nuovi arrivati si scambiarono uno sguardo complice e rivolsero verso di lui la loro ironica attenzione.
“Bene vedo che la nostra orecchie a punta è stata piuttosto convincente. Sono certo che abbia usato le sue argomentazioni più valide per convincerti a tornare indietro con lei.”
Ecco aveva di nuovo ceduto il ruolo di ragazzino impertinente a quel Vint. “Non ti conviene usare quel nomignolo quando sei circondato da arcieri dalle orecchie a punta, loro potrebbero non cogliere l’ironia.”
Bull non disse nulla ma il modo in cui il grosso guerriero lo guardò lo fece sentire in imbarazzo quanto e più delle parole di Dorian. Maledetto qunari.
La sua bella amica rideva però divertita ora, e Solas si arrese ai commenti sconvenienti del mago dato che questi erano in grado di allontanare la tempesta dai pensieri della ragazza.
Una bambina si avvicinò titubante alla combriccola che si era fatta rumorosa. Portava con sé un piccolo calderone pieno di zuppa fumante che i genitori avevano preparato ed offerto, ma che erano fin troppo pavidi per consegnare di persona.
Accettarono il dono di buon grado. Nonostante il fuoco, il freddo e l’umidità stavano penetrando nei loro abiti e nelle loro ossa, un pasto caldo avrebbe reso sopportabile il tempo che li separava dal momento in cui avrebbero potuto lasciare il campo.
“Ehi, orecchie a punta, non ci hai mai detto nulla della tua famiglia, parli sempre solo del tuo clan, ma i tuoi genitori?” Dorian doveva essere incuriosito dalla bambina che aveva parlato di Mamae e Babae e aveva concepito una domanda del tipo che solo lui era solito rivolgere all’Inquisitore. E come sempre l’Inquisitore aveva risposto senza il minimo turbamento. Vi era qualcosa di speciale tra loro due. Tutto era naturale tra loro, non vi era imbarazzo o riserbo, ma un perfetto equilibrio di confidenza e riguardo. Solas fu un poco invidioso del coraggio e della confidenza che quel modo diretto di porre domande molto intime, dimostrava.
“Ogni clan ha consuetudini diverse riguardo i mille aspetti della vita, usanze che vanno dal commercio alla caccia, dai rapporti con gli altri clan e gli umani fino ai rapporti all’interno del clan. Il mio ha una struttura del tutto particolare.” Iniziò a raccontare la giovane, “sai il detto per cui per crescere un bambino serve un villaggio? Ecco il mio clan ha un rispetto letterale per quel detto. I bambini crescono tutti insieme nell’aravel dei piccoli, gli adulti sono tutti egualmente responsabili di ciascuno di quei bambini. Ovviamente gli adulti sanno chi ha fisicamente dato alla luce ciascun bambino, e a volte anche i piccoli lo sanno, ma alla fin fine non conta molto perché tutti sono semplicemente figli del clan.”
Il viso di Dorian aveva un’espressione sconvolta “Amica mia, lo credo bene che la tua infanzia sia stata un trauma per te! Che razza di selvaggi potrebbe mettere in pratica una tale innaturale pratica.”
“Veramente, non ho mai pensato che fosse una pratica da disprezzare, tutt’altro. Trovo piuttosto razionale che in una piccola comunità ciascuno sia responsabile del bene delle generazioni future e ti assicuro che finché è stato il Guardiano a dettare il tenore dei rapporti all’interno del clan, la mia infanzia è stata piuttosto serena. Immagina di vedere moltiplicato l’affetto e la cura, le ramanzine e i riconoscimenti. Immagina poi di avere un posto davvero tuo, non degli adulti, ma solo tuo e dei tuoi coetanei. L’aravel dei bambini, è un regno magico, un giorno nave dei pirati, il giorno dopo fortezza dei Custodi Grigi. Dal punto di vista di un bambino è quanto di meglio si possa immaginare. E anche adesso guardando a quel tipo di educazione non posso che vederne i lati positivi. In un villaggio troverai sempre qualcuno in grado di comprendere le tue inclinazioni, di assecondarle nel caso siano positive o di limitarle nel caso siano dannose. Quando gli adulti responsabili sono solo due è piuttosto probabile che nascano incomprensioni e frustrazioni, ad un’educazione condivisa invece non si sfugge e ogni bambino ha tutte le possibilità per poter dare il meglio di sé.”
Dorian non sembrava convinto dalle parole della ragazza e Solas si trovò invece a pensare a quanto nella loro ignoranza i membri del clan Lavellan avessero saputo mantenere vivo lo spirito dei tempi antichi, soprattutto quando si parlava di relazioni.
La sua giovane amica aveva avuto grandi privilegi, nonostante tutto, crescendo in quel clan.
Andarono avanti a chiacchierare a lungo e la pioggia non accennava a smettere, la notte avanzava quando una giovane si avvicinò loro e li invitò a seguirla. La tempesta non si placava ed il clan stava loro offrendo riparo per la notte, la ragazza li condusse davanti ad un aravel consegnò loro delle pelli con cui coprirsi e tornò a ripararsi nel caldo del proprio carro.
I quattro compagni entrarono e Solas notò subito il turbamento della giovane dalish, immaginò quanti sgradevoli ricordi il semplice entrare in uno di questi strani carri doveva riportarle alla mente e sentì una voglia insopprimibile di stringerla a sé e farla sentire al sicuro.
La ragazza era sbiancata in volto e non riusciva a muovere più di un passo verso l’interno.
“Ehi, se vuoi possiamo tornare all’accampamento, che si dannino questi straccioni, un nemico in più o in meno potrebbe non fare una grande differenza.” Dorian doveva aver fatto le sue stesse riflessioni e Solas non poté che concordare con lui.
“Datemi solo un momento. Sistematevi, vi raggiungerò tra breve. Non vi preoccupate.” Dette queste poche parole, l’Inquisitore uscì dall’aravel.
Solas fece per seguirla ma Il Toro lo bloccò: “Hai avuto il tuo spazio per riflettere, ora è il suo turno, lasciala sola per un po’, poi potrai andare a cercarla. Ad ogni modo credo che dovreste rivedere la vostra idea di preliminari.”
Il mago e il qunari scoppiarono all’unisono in una fragorosa risata che Solas ignorò senza fatica, era inutile ribattere, non avrebbe fatto altro che alimentare quelle chiacchiere da comari.
Il tempo passava e l’Inquisitore non accennava a rientrare, infine Solas stanco di aspettare si lanciò fuori dall’aravel ignorando i commenti dei compagni. Appena fuori dalla porta rischiò di inciampare proprio nella sua bella amica. Era raggomitolata sulle scalette del carrozzone, cercando di rimanere all’asciutto sotto la striminzita tettoia che ne riparava l’entrata.
“Sei qui.”
“Sì sono qui, mi spiace non volevo farti preoccupare.”
“Ti stai bagnando, non credi sia meglio rientrare?”
“Tra un momento.” La ragazza aveva parlato senza convinzione quindi Solas decise di sedersi accanto a lei.
“Possiamo andare via in qualunque momento. Non sei prigioniera. Dormire in uno di questi strambi carri non significa tornare indietro.”
La ragazza gli rivolse un mezzo sorriso, ma Solas non avrebbe comunque avuto dubbi sul fatto di aver colto nel segno.
L’elfa lasciò andare le gambe che teneva strette contro il petto e liberò le braccia che erano allacciate attorno alle ginocchia. A Solas sembrò che abbassasse la guardia e tornasse a respirare libera.
“Hai lo strano potere di ricordarmi costantemente chi sono. Se venissi con me credo che potrei addirittura incontrare il mio clan.” Solas sentì il suo vecchio cuore affaticato esultare di nuovo alle parole dell’amica.
“Se vorrai, sarò con te.” L’elfa lo guardò con gratitudine poi un dolore improvviso le attraversò il volto.
“Credo di doverlo fare davvero. Non posso permettere che continuino a seminare dubbi su di me, ne va del bene dell’intera Inquisizione.”
Come per nascondersi dalle sue stesse parole la ragazza portò di nuovo le ginocchia al petto assumendo quella posizione che per lei doveva essere di difesa ma che la faceva risultare agli occhi del mago incredibilmente vulnerabile, ben lontana dall’essere la giovane caparbia che lui era convinto di conoscere.
Condividevano un malridotto gradino di legno piuttosto stretto, quindi non fu difficile per Solas far passare un braccio attorno alle spalle della sua bella amica e stringerla a sé con decisione. Lena perdette quasi l’equilibrio ma allungata una gamba fino a poter toccare con il piede un gradino più in basso si stabilizzò e non fece niente per sottrarsi all’abbraccio dell’amico.
“Grazie anche per prima, per aver mentito per me riguardo i miei vallaslin. Lo apprezzo molto.”
L’odore dei capelli della ragazza si confondeva con l’odore della pioggia, e Solas ubriacato da entrambi percepì appena l’osservazione dell’amica. Ne colse il significato profondo con qualche attimo di ritardo. Rifletté brevemente e poi disse, dopo quella che gli sembrò una pausa eccessivamente lunga: “In realtà non ho mentito, non su tutto quantomeno.” Lo aveva detto, alla fine poteva iniziare con il rivelare alla ragazza una piccolissima verità. La ragazza aveva sollevato la testa dalla sua spalla e lo fissava ora incuriosita.
“Sai che non credo negli antichi dei, ma sono certo che ogni storia ogni leggenda abbia in sé una scintilla di verità. Nei miei lunghi viaggi ho sentito raccontare molte storie, alcune storie narrano del Temibile Lupo come il dio degli inganni, il dio che si è ribellato e ha imprigionato i suoi simili per brama di potere, il dio di cui il tuo popolo conosce la storia. Ma ci sono anche altre voci, che raccontano di una ribellione contro questi presunti dei. Parlano di un cosiddetto dio che si oppose ai potenti in difesa della sua gente, degli ultimi, degli schiavi. Se fosse così, di questo dio porteresti il marchio, sarebbe quindi davvero il marchio del popolo. In generale credo che il significato di quei segni sia ben lontano da quello che i dalish attribuiscono loro, ma questa è una storia adatta ad altri tempi.”
Gli occhi dell’elfa brillavano di meraviglia e probabilmente di commozione. Poteva davvero la verità giovarle così tanto? Un’espressione furba si dipinse sul suo volto quando disse piena di una convinzione teatrale: “Ma nella vecchia Arlathan, non vi erano schiavi. Tutto era scintillante, dalle strade agli abiti, dai gioielli alle mense. L’aria era più dolce e l’acqua più pura, anche la puzza di cane bagnato ero più piacevole ad Arlathan.” Solas era divertito dall’irriverenza della giovane nei confronti delle vecchie leggende, ma allo stesso tempo era rammaricato dal fatto che lei non avesse davvero idea di quali meraviglie vi fossero in quel mondo antico. Avrebbe dato tutti i suoi anni per poter mostrare all’amica anche solo un assaggio di quel mondo in cui spiriti ed elfi gareggiavano in saggezza e creatività, in cui la luce era limpida e la guerra ancora una minaccia lontana. Ma era di verità che stavano parlando quindi doveva mettere da parte la propria malinconia, e raccontare la verità sull’antico mondo, epurata dai sentimentalismi e dalla patina del tempo che sbiadisce i ricordi e getta una luce più indulgente sul passato.
“Mia giovane amica, chi credi che pulisse le strade di Arlathan? Chi credi si occupasse di preparare deliziose pietanze e di ripulire le cucine? Chi intesseva le belle vesti e chi forgiava i gioielli? Chi se non gli schiavi?”
“Ho sempre creduto che la magia fosse la risposta a tutte le esigenze.”
“Non posso credere che tu sia davvero tanto ingenua.”
Un sorriso sorse sulle belle labbra, davvero avrebbe accettato la verità con tanta semplicità?
“Se il tempo che fu viene rimpianto con tanto struggimento nonostante molti di noi fossero schiavi anche allora, quella città deve essere stata davvero esemplare.” Solas sorrise ancora. Arlathan, il mondo antico, era davvero una società da prendere ad esempio? Non del tutto, per questo era stato costretto a distruggerlo. E allora perché la sua lotta non poteva ancora dirsi conclusa? Quel mondo che lui aveva annientato, era infondo degno e meritevole. Questo invece? Riflesso negli occhi di quell’elfa così speciale, anche questo mondo sembrava degno e meritevole. Eppure questo mondo non era reale, Solas lo sapeva. Lui aveva creato questo mondo, e lo aveva fatto per errore. Lei avrebbe dovuto avere la forza per riconoscere la verità. Aveva riconosciuto quei primi frammenti e ne aveva riso. Certo era di storie che credeva di parlare la ragazza accanto a lui, niente che lei potesse davvero riconoscere come verità, eppure la sua irriverenza poteva essere un buon punto di partenza. Nella versione delle vecchie leggende che la sua gente aveva tramandato, la ragazza non trovava elementi divini o leggi inamovibili. Avrebbe potuto accettare quindi una verità dissacrante meglio di qualunque altro triste bigotto immerso animo e corpo in una realtà posticcia, avrebbe potuto meglio di chiunque altro, conoscere la verità sul vecchio mondo e confrontarlo con questo nuovo e magari avrebbe potuto essere d’aiuto nella costruzione del mondo che sarebbe venuto. Ma c’era tempo per tutto quello. E Solas ora non aveva più fretta oramai. Non era più solo.
“Vieni da’len, è davvero l’ora di rientrare.”
“Ho paura di quali orribili incubi potrebbero raggiungermi se dovessi addormentarmi qui dentro. Lasciami qui e vai a dormire non preoccuparti, una notte insonne in più non mi ucciderà.”
Quello dei sogni era senz’altro un territorio delicato per loro, quindi Solas trasse un lungo respiro prima di dire timidamente: “Se me lo permetti potrei prendermi cura dei tuoi sogni questa notte.”
L’Inquisitore gli scoccò uno sguardo scettico, ma qualcosa nell’espressione di Solas dovette farle cambiare idea. Si alzò ed entrò nell’aravel.
Si sistemarono nel poco spazio rimasto, Il Toro e Dorian dormivano curiosamente vicini occupando comunque una buona porzione del carro. Solas si sedette con le gambe incrociate e la schiena appoggiata ad una parete di legno. Arrotolò il mantello facendo attenzione a ripiegare all’interno la parte più fredda e umida, e se lo appoggiò sulle gambe, poi fece cenno all’Inquisitore di sdraiarsi invitandola ad appoggiare la testa sul mantello.
La ragazza si dimostrò ubbidiente, si sdraiò su un fianco e si lasciò coprire con una delle pesanti pelli a disposizione. Il mago iniziò ad accarezzarle la testa. “Chiudi gli occhi” sussurrò Solas, “e non preoccuparti di nulla, non avrai niente da temere questa notte. Neanche da me.”
La ragazza sorrise senza aprire gli occhi e disse: “Non ho paura di te.”
Anche Solas sorrise, sebbene la ragazza non potesse vederlo. “Ora dormi.”  Ma altre parole salivano alle labbra direttamente dal cuore e in quel giorno di verità, Solas decise di non frenarle: “Buonanotte, vhenan.”
L’elfa aprì gli occhi a quelle parole e cercò il suo sguardo. Lui sorrise e le accarezzò il viso, lei gli prese una mano e la trattenne tra le proprie. Si addormentò con un’espressione serena sul volto, mentre lui sussurrava le parole di un’antica ninna nanna:
Tel’enfenim, da’len
Irassal ma ghilas
Ma garas mir renan
Ara ma’athlan vhenas
Ara ma’athlan vhenas1

 
 
 
 
1Ninnananna dalish, tradotta approssimativamente dall’inglese:
Non temere, piccola
Dovunque andrai
Segui la mia voce
Ti riporterà a casa
Ti riporterà a casa

 
Ecco anche la seconda parte di questo lungo capitolo.
Solo una nota che riguarda il riferimento al luogo di provenienza del clan Lavellan. So che secondo il canon il clan proviene dai liberi confini, ma il mio clan è evidentemente piuttosto fuori canon, quindi ho deciso di dargli anche una collocazione geografica diversa. L'Altopiano di Urthumiel è un luogo che appare solo nella mappa del Thedas (estremo sud occidentale della mappa al confine con l'Orlais). Mi risulta che nessun gioco, romanzo, fumetto o altro abbia mai fatto menzione di questo luogo, mi sembrava quindi perfetto. Inoltre il nome mi piaceva, quindi eccolo qui.
Grazie come sempre a chi nonostante le lunghe pause e gli sproloqui continua a seguire questa storia. Grazie davvero.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Cambiamenti ***


XXXV

Un lieve fastidio al collo la riportò lentamente dal mondo del sogno a quello della veglia, era da molto tempo che questo passaggio avveniva in modo violento e traumatico accompagnato da orribili incubi a cui Lena non vedeva l'ora di sfuggire.
Quella mattina invece, si concesse il lusso di assaporare il lento svanire del sonno e l'approssimarsi incerto di sensazioni morbide e piacevoli. Un intenso profumo di legno si mescolava perfettamente con un odore avvolgente e familiare e un insolito cuscino le accarezzava il volto. Socchiuse appena gli occhi ed una fioca luce ambrata illuminò l'interno dell'aravel riportandole alla mente gli eventi della notte appena trascorsa. Si voltò sulla schiena e si ritrovò a guardare da sotto in su il volto addormentato di Solas. Il mago dormiva con la testa e le spalle appoggiate contro la parete di legno e Lena si accorse che sotto il morbido cuscino vi erano ancora le gambe incrociate dell'elfo.
Cercò di alzarsi con tutta l'attenzione di cui era capace, cercando di non disturbare il sonno tranquillo dell'amico. Doveva aver passato delle nottate ben peggiori se, nonostante la posizione senza dubbio scomoda e il freddo che doveva aver patito, l'espressione sul suo viso si manteneva serena e rilassata.
Riuscì a sollevarsi e a sedersi accanto a lui senza disturbarne il sonno e ne approfittò per studiare le linee di quel volto che giorno dopo giorno prendevano per lei sfumature più intense. Ne osservò i contorni marcati, gli zigomi forti e il mento affilato, ma soprattutto l'attirarono le lunghe ciglia che abbassate, nascondevano i due occhi incredibilmente chiari del mago.
Lena non sarebbe mai stata stanca di guardare il mondo attraverso la luce che quegli occhi così belli sapevano gettare su ogni cosa. Gli occhi più di qualunque altra cosa, rendevano Solas diverso da ogni altro elfo. Gli elfi che Lena aveva conosciuto avevano caratteristici occhi grandi e tendenzialmente tondeggianti, sospettava che fosse anche per questi, oltre ovviamente che per le orecchie, che gli umani si riferivano agli elfi delle enclavi con l'offensivo nome di conigli. Ma gli occhi di Solas erano diversi, sottili e allungati, espressivi e volitivi, avevano in sé un che di ferino. Per Lena era stata una sfida riuscire a riconoscerne i mutamenti, come un contadino che legga nei segni del cielo il buono e il cattivo tempo. Aveva imparato a riconoscere il cambiamento, spesso repentino, tra lo sguardo severo e pericoloso della belva che osserva la propria preda e lo sguardo dell'animale domestico che chiede fiducioso calore e affetto. Ma soprattutto aveva imparato a riconoscere il dolore in quello sguardo. Un dolore profondo e disperato che spesso l'amico nascondeva con un moto d'orgoglio.
Quel pensiero le strinse il cuore. Lena avrebbe dato qualunque cosa, per poter alleviare un poco quel dolore che le rimaneva sconosciuto, avrebbe voluto potersi prendere cura di lui e poter lenire le sue ferite.

D'improvviso gli occhi oggetto di tanta attenzione si aprirono e Lena presa alla sprovvista sobbalzò e si ritrasse impercettibilmente.

“Buon giorno ma venhan.”
Le parole le rimbombarono nella testa e le scesero nello stomaco facendolo torcere dall'emozione.
Non aveva mai sentito pronunciare quelle parole prima d'allora, prima della notte precedente, ma inspiegabilmente ne conosceva perfettamente il significato. Conosceva il peso e l'importanza di quelle parole soprattutto perché pronunciate da Solas. I dalish usavano le antiche parole, come delle vuote formule da ripetere durante un rito, al contrario Solas le usava più spesso per esprimere ciò che sentiva profondamente radicato dentro di lui. Un brivido la percorse a quel pensiero.
Solas allungò prima una gamba poi l'altra, cercando probabilmente di scacciare l'intorpidimento, poi la guardò di nuovo e le sorrise, di un sorriso leggero che illuminava per intero il suo viso.
Un'emozione incontrollabile l'aveva afferrata, sentiva la testa completamente sommersa dalla bambagia, i pensieri frenetici e caotici non riuscivano a trovare un filo coerente. A cosa doveva tutta questa emozione?
Attrazione? Aveva provato attrazione in passato, ma non si era mai sentita tanto offuscata nel giudizio, neanche con Blackwall. Amore? Era stata innamorata ma non si era mai infiammata in quel modo, neanche con Menia.
“Venhan, i tuoi tatuaggi, di nuovo.”
Doveva dire qualcosa: “E' colpa tua.” Ma fu subito chiaro che avrebbe dovuto dire qualcosa di diverso, non era certo il modo migliore per uscire d'impaccio, cercò di rimediare: “Ho notato che accade solo quando siamo insieme, deve essere in qualche modo collegato alla tua magia, all'Ancora, non lo so. E' solo una teoria.”
Si accorse chiaramente di aver fatto una sciocchezza, gli occhi di Solas iniziarono a studiarla attenti e il suo sguardo intenso, ben lungi dallo spezzare la tensione, la gettò ancora più profondamente in uno stato di confusione ingestibile.
Poi qualcosa cambiò nel suo sguardo, tutto il suo viso mutò lasciando il posto ad una ben nota espressione addolorata. Lena si sentì profondamente in colpa, avrebbe dovuto fare qualcosa per rimediare. Si accostò all'amico ancor di più, gli prese il volto tra le mani e appoggiò la propria fronte contro la sua.
"Mi dispiace,non avrei dovuto dire quelle cose. Va tutto bene.” Il respiro del mago era bollente e Lena serrò gli occhi cercando di non perdere il controllo, ma anche il mago parlò infine, con una voce profonda che la colpì con la violenza di uno schiaffo: “Non riesco a dimenticare quel bacio.”

Allontanò la testa da quella di lui, per poterne coglierne lo sguardo e ciò che vide diede fondo al poco che restava del suo autocontrollo. Gli occhi del mago erano accesi e rimanevano fissi sulle sue labbra, il martellare del cuore si era fatto assordante.
“So che è sbagliato, so che non dovrei, ma perderti sarebbe...”
Solas non terminò la frase. Lena si sentì trascinare verso di lui con una forza che non si sarebbe aspettata e per un momento fu consapevole solo del respiro di fuoco del mago.
La bocca di lui era famelica e Lena si rese conto eccitata e spaventata che si sarebbe volentieri lasciata sbranare da quella bocca, senza smettere per un attimo di desiderarla.
Quando riprese possesso delle proprie labbra e del proprio respiro Lena si accorse di essere inginocchiata davanti all'elfo. Le gambe di lui erano distese sotto di lei e le sue mani la trattenevano, saldamente posate all'altezza delle anche. Un calore insopportabile era sceso su entrambi arrossando anche il volto del mago che rimaneva però perfettamente controllato. Solas sembrava essere completamente a proprio agio, Lena lo aveva visto tanto rilassato solo nell'oblio, cosa significava? C'erano infinite domande che le si affollavano in testa e un calore incontrollabile le bruciava il viso, cedette facilmente a quest'ultimo, spaventata dalla possibilità che Solas si ritraesse difronte alla sua curiosità.
Si chinò su di lui e iniziò a baciarne con lentezza le linee del viso, il dorso del naso, la fossetta del mento poi scese lungo la gola fino ad arrivare al petto attraverso il largo scollo della casacca. Lo baciò a lungo con dedizione e pazienza come se scoprendo il corpo dell'elfo, Lena avesse la possibilità di conoscere il mondo intero. Ad un tratto Solas si lasciò sfuggire un gemito leggero e a quel punto la sua voce roca risuonò delicata nell'aravel.
Venavis Venhan, ma enaste.1Le parole del mago l'avevano colpita, sembravano essere state pronunciate dal profondo del cuore, come una richiesta d'aiuto. Le fu naturale tanto assecondarne il volere quanto rispondere con l'antica lingua.
Ma nuvenin, ir abelas.2
Non amava usare quelle parole che sentiva vuote. Non aveva mai sentito malinconia per un mondo finito in polvere da troppo tempo, ma scoprendolo attraverso gli occhi e le parole di Solas, quel mondo acquisiva un'anima viva. Avesse avuto padronanza della lingua degli antenati, non ne avrebbe usata nessun altra, in quel momento. Quei suoni antichi sembravano gli unici adatti ad esprimere quelle sensazioni del tutto nuove.
Na tel abelas, venhan3. Le antiche parole pronunciate da te sono come miele versato in una coppa di ottimo vino. Dovresti usarle più spesso.”
Lena sorrise prima di rispondere: “Mi prenderesti in giro, non conosco la lingua bene come te e non mancheresti mai di farmelo notare.”
“Hai ragione, ma così impareresti.”
Lena colse tutta l'ironia nascosta dietro le parole dell'elfo e rise di una risata liberatoria che portò via con sé tutta la tensione.
“Dovremmo andare ora, non dobbiamo dare a Dorian e Bull altri motivi per prendersi gioco di noi, credo ne abbiano già a sufficienza.” Dicendo queste parole Solas si alzò e offrì entrambe le mani a Lena per aiutarla. Una volta in piedi, il mago la strinse a sé e le sussurrò tra i capelli: “Non avrei mai creduto che qualcosa in questo mondo potesse essere tanto vero. Non avrei mai creduto che qualcuno potesse essere tanto vivo. Ma mi sbagliavo, mi capita spesso con te.” Vi era qualcosa di sbagliato in quelle parole, ma Lena scelse deliberatamente di ignorarlo. Sapeva che niente era davvero cambiato, ma era consapevole anche che nulla sarebbe più stato lo stesso, avrebbe avuto molto tempo per comprendere tutte le implicazioni positive e negative di quei cambiamenti, per ora la voce avvolgente, la pelle morbida e le labbra calde dell'amico sarebbero state le risposte di cui accontentarsi.

 

 

 

XXXVI

Il sole estivo a Skyhold era tiepido e piacevole, l'intera fortezza sembrava voler assecondare il suo buon umore latente e Solas si lasciava cullare da tanta serenità senza affannarsi a darle un nome. 
I suoi agenti avevano lavorato bene durante la sua assenza ed erano finalmente riusciti a tornare in possesso della chiave d'accesso al crocevia che Felassan scioccamente aveva lasciato nelle mani della giovane elfa amante dell'imperatrice. 
Essere tornato in possesso della chiave significava essere tornato libero, poteva infatti finalmente tornare nel suo regno e iniziare a rendere concreti gli sforzi di quegli ultimi anni. Un fastidio sottile come un rumore di fondo, disturbava il fluire dei pensieri ma Solas cercava di ignorarlo con ogni mezzo. Era difficile sfuggire la consapevolezza che essere finalmente libero di andare, lo costringeva a trovare motivazioni per rimanere. Motivazioni razionali ed accettabili. 
Cercò di tornare a concentrarsi sul semplice compito che lo attendeva in quel momento, pensare troppo in prospettiva non poteva aiutare. Lasciò l'aria tiepida e piacevole e tornò tra le spesse mura della fortezza. Era riuscito a trovare un antico manufatto in grado di preservare uno spirito da qualunque tipo di vincolo magico ed era pronto ad usarlo su Cole. Il giovane amico aveva infatti chiesto il suo aiuto in proposito e finalmente Solas era pronto per procedere. 
Belle labbra lambite appena, cambiamenti da combattere. Basta! Non voglio combattere, non più.”
Le parole di Cole era comparse nella rotonda prima ancora della sua forma stranamente evanescente.
Lo spirito aveva dato voce ai pensieri nascosti nella testa di Solas, rendendoli reali. Il mago avrebbe voluto poter procrastinare ancora un po', avrebbe preferito ostinarsi ad ignorare qualunque spiacevole implicazione. Avrebbe voluto arrendersi alla propria momentanea felicità, lasciarsi rischiarare dalla sua luce ed illudersi per un poco di potersi arrendere davanti a tanta bellezza. Invece le poche parole dello spirito avevano fatto venire a galla il nome esatto dei suoi problemi, impedendogli di godere, sebbene per poco tempo, della semplice gioia di ritrovarsi tra le mani una gemma rara, anche se incredibilmente fragile.
“Puoi smettere di combattere. Cosa te lo impedisce?”
Le parole del ragazzo lo colpirono di nuovo. Non doveva permettergli di sapere, quanto meno non prima che l'Inquisitore stesso fosse venuta a conoscenza della verità. In ogni caso Cole non avrebbe capito, avrebbe cercato un modo per combatterlo, e avrebbe finito col trasformarsi in qualcosa di terribile. Solas non voleva essere responsabile della corruzione di uno spirito tanto bello, era stanco di essere causa di brutture.
Si arrese e disse semplicemente la verità: “Amico mio, purtroppo non ho scelta, ma non ho desiderio di proseguire su questo argomento.”
Lasciò calare il silenzio e si concentrò sull'incantamento che andava preparando. Si concentrò sulla magia che fluiva all'interno del suo corpo e attraverso esso. Sentire il proprio corpo tanto strettamente collegato a ciò che di immutabile vi era nel mondo aveva solitamente il potere di calmarlo, in questa occasione invece il fluire dell'energia risvegliò i suoi sensi in subbuglio.
Probabilmente la sua giovane amica aveva ragione. Una strana connessione esisteva tra i segni sul viso di lei e la magia che scorreva nel corpo del mago, probabilmente a causa dell'Ancora. Sentiva un'insolita comunanza di sensazioni tra il vibrare della magia tra le sue mani e il formicolio prodotto stringendo tra queste la mano marchiata dell'Inquisitore. Possibile che il marchio stesse in qualche modo agendo su di loro? Possibile addirittura che quella strana attrazione, tanto sconvolgente e tanto inaspettata fosse in qualche modo causata dalla sua stessa magia?
Una scintilla seguita da una piccola e controllata esplosione lo fece tornare a concentrarsi interamente sull'amuleto e sul ragazzo spaventato che lo indossava.
“Che cosa è successo?” Cole lo guardava con gli occhi sgranati e fiduciosi di un bambino spaventato. Ma Solas non aveva risposte da dare. Si era distratto. Aveva distrutto un antico manufatto e messo in pericolo il suo amico.
Tutto gli stava ormai sfuggendo di mano.
Varric e l'Inquisitore in persona, si precipitarono all'interno della rotonda probabilmente attirati dal rumore improvviso.
“Che succede?” La voce del era quella del leader, ma la preoccupazione nei suoi occhi tradiva la giovane elfa.
“Solas ha cercato di aiutarmi, ma non ci è riuscito. Qualcuno mi userà come quei custodi hanno usato i molti spiriti di Adamant.”
Due paia di occhi indagatori si posarono su di lui. Il nano e l'elfa aspettavano da lui una spiegazione, cosa poteva dire? Avrebbe dovuto confessare di essersi distratto?Avrebbe dovuto dire alla ragazza che il fluire della magia era ormai collegato alle sensazione che le mani e la bocca di lei avevano lasciato sul suo corpo, tanto da distoglierlo dall'incarico e rischiare l'incolumità del compagno?
“L'amuleto impedisce allo spirito che lo indossa di essere vincolato, ma per funzionare deve essere caricato magicamente, ho tentato, ma...”
Solas iniziò a giustificarsi, come meglio poteva, ma inaspettatamente Varric accorse in suo aiuto: “Come può funzionare sul ragazzo un amuleto per demoni. Lui non è un demone. Niente corna, niente artigli, nessuna intenzione di ucciderci. Chuckles è evidente che hai affrontato la questione dal punto di vista sbagliato.” Solas mise da parte la paura di essere scoperto in difetto, e lasciò parlare il proprio orgoglio: “Non ho mai parlato di demone ed ho affrontato la situazione nell'unico modo possibile, nonostante le apparenze, Cole rimane uno spirito.”
“Uno spirito incredibilmente simile ad una persona!”
I toni si stavano scaldando e Cole sembrava disperato.
“Non importa, devi risolverlo, non voglio che mi mutino, non voglio che mi usino.”
“Tranquillo ragazzo, Chuckles troverà un modo per aggiustare tutto.” L'Inquisitore facendo eco alle parole di Varric, si portò vicino allo spirito e gli rivolse un solo sguardo. Cole doveva aver riconosciuto una promessa nello sguardo della ragazza, o forse aveva letto nella sua mente e vi aveva trovato qualcosa di rassicurante, qualunque cosa fosse, fu comunque sufficiente a calmare il ragazzo e a farlo allontanare, fiducioso del fatto che i suoi compagni avrebbero trovato una soluzione, o in ogni caso avrebbero continuato a vegliare su di lui. C'era innegabilmente qualcosa di unico in lei.
Spostando lo sguardo dalla giovane incrociò quello poco amichevole di Varric.
“Cosa credi di fare con il ragazzo? E' venuto in questo mondo per essere qualcosa di diverso, ed ora chiede il tuo aiuto. Come puoi ignorare i suoi desideri?”
“Cole è uno spirito e devo aiutarlo per quello che è. Non basta desiderarlo per mutare la propria natura, è una cosa che devi imparare ad accettare, Durgen'len4.”
Lo sguardo del nano si era assottigliato, stava per ribattere, presumibilmente in modo velenoso, ma l'Inquisitore lo batté sul tempo.
“Lo credi davvero?” La domanda era posta con una serietà che non lasciava scampo.
“Non si può mutare ciò che si è, ognuno di noi ha un ruolo in questo mondo, Cole è uno spirito buono e compassionevole, se anche lui potesse mutare la propria natura, il mondo sarebbe meno ricco senza di lui.”
“Non è vero. Cole come chiunque altro, può sfuggire al proprio ruolo, se questo lo rende migliore. A volte siamo semplicemente di più rispetto ciò a cui ci sentiamo destinati. Perché qualcuno dovrebbe sottostare ad un ruolo che non sente più proprio? Non sarebbe semplicemente più efficiente se potesse essere libero di essere e di fare ciò che ritiene più giusto per sé, innanzitutto? Io sono una prova vivente che si può sfuggire al proprio destino in molti modi. Perché Cole non dovrebbe avere la mia stessa possibilità?”
Era una verità così bella e liberatoria, Solas avrebbe voluto poterla credere vera anche per sé.
“Da'len, sono belle parole le tue, ma non tutti hanno la tua fortuna, molti sono schiavi di responsabilità più grandi di loro, inseguire la propria felicità sarebbe semplicemente un atto egoistico. Non tutti possono sfuggire a ciò che sono.”
L'espressione dei due compagni si era fatta interrogativa e si accorse di aver parlato troppo quando l'Inquisitore chiese: “Stiamo ancora parlando di Cole, o abbiamo cambiato argomento? Perchè devo confessare di essermi persa.”
Varric ridacchiò per un poco, poi lasciando la stanza disse: “Lascia a me il ragazzo, mago, mi sembra che tu abbia altro a cui pensare.”
I begli occhi dell'Inquisitore erano ora fissi nei suoi, e chiedevano una spiegazione.
“Mi dispiace, i miei sono solo pensieri. Non credo che Cole possa essere altro da ciò che è e non credo che qualora lo fosse, questo lo renderebbe felice.”
La ragazza considerò pensierosa le sue parole prima di chiedere: “Tu? Cosa vorresti essere?”
Non vi era domanda che Solas avrebbe potuto temere maggiormente. Cosa avrebbe voluto essere? Non avrebbe voluto essere un dio, aveva rifuggito il ruolo per la sua intera esistenza, ma non aveva potuto fare niente in proposito, ora che poteva finalmente essere solo un mago, era invece costretto da responsabilità e senso di colpa a riappropriarsi di quel fardello tanto ingombrante. Proprio ora poi, che questo assurdo mondo aveva portato tra le sue braccia qualcosa di tanto bello e prezioso. Eppure non vi era bellezza o gioia in grado di obliare il male che aveva commesso. Non avrebbe avuto pace, non avrebbe meritato riposo, finché i torti commessi non fossero stati ripagati.
Gli occhi della ragazza si erano incupiti come a voler fare da specchio ai pensieri di Solas.
“Venhan, vorrei poter essere semplicemente me stesso.”




1 Venavis Venhan, ma enaste:  Ferma cuore mio, te ne prego.
Ma nuvenin, ir abelas: come desideri, mi dispiace.
3 Na tel abelas:
non essere spiacente.
4 Durgen'len: figlio della pietra.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Principi e Definizioni ***


XXXVII

I giorni scorrevano per Lena come sabbia in una clessidra, lasciandole dentro un senso di urgenza che non sapeva domare o anche solo comprendere. Questo l'aveva portata a riempire le proprie giornate con la sciocca pretesa di prolungarle il più possibile e con l'effettivo risultato di non lasciarsi il tempo di pensare. Tra un rapido sonno agitato e l'altro le sue ore si affollavano di innumerevoli impegni e le notti la sorprendevano in taverna impegnata in lunghe ed accalorate discussioni o in infinite bevute. Tra i suoi nuovi appuntamenti fissi, a darle maggiore soddisfazione erano i colloqui con la strega umana che l'aveva seguita da Halamshiral.
Lena non provava certo per la donna la stessa avversione di Leliana, ma neanche lei avrebbe potuto dire di riporre in Morrigan la massima fiducia. Non riusciva infatti a liberarsi della sensazione che ci fosse qualcosa nascosto dietro quegli occhi d'ambra, tanto belli quanto irriverenti. Ma la curiosità l'aveva spinta ad ignorare la diffidenza e la donna armata di ironia e irriverenza aveva presto guadagnato la sua simpatia. Povera Cassandra, Lena sapeva di non fare molto per dissipare i suoi timori. La cercatrice continuava a ripeterle che la curiosità l'avrebbe uccisa prima o poi e probabilmente aveva ragione. Ma infondo c'erano cose peggiori che minacciavano di ucciderla ad ogni svolta, essere uccisa per qualcosa che riteneva piacevole era il meglio che Lena potesse augurarsi.
Durante uno di questi colloqui la strega le fece visitare un posto molto simile all'Oblio, sebbene tutto risultasse in quello strano posto più sfocato di quanto Lena potesse ricordare dalle sue precedenti incursioni oltre il Velo.
Percorrendo quelle vie sbiadite l'impressione fu quella di un posto a cui qualcuno avesse sottratto una scintilla di vita e fosse quindi condannato ad estinguersi lentamente. Un senso di profonda tristezza la colse quel giorno e la strega non le fu d'aiuto. Secondo la sua opinione infatti tutto ciò che di magico e fuori dal comune poteva esserci un giorno, stava ora lentamente abbandonando questo mondo. Alcune cose perché naturalmente destinate ad estinguersi come i grifoni, altre estirpate invece intenzionalmente perché ritenute pericolose, fuori controllo o semplicemente troppo diverse, come i draghi, i maghi o gli elfi. Morrigan la convinse nonostante la tristezza o forse grazie a questa, a mettersi in marcia per trovare una delle ultime vie d'accesso a quel mondo morente per proteggerlo dalle mire di Coripheus e quindi da una fine certa.
Quella notte Lena aveva bevuto di più per allontanare pensieri troppo intricati e tristi e Varric aveva dovuto accompagnarla quasi di peso in una stanza della locanda, poiché non sarebbe stata in grado di tornare nel suo alloggio con le proprie gambe. Era forse per questo che le era così difficile quella mattina concentrarsi sull'addestramento di Cassandra.
La cercatrice continuava a picchiare con impeto e per quanto Lena facesse di tutto per richiamare alla mente i molti insegnamenti, il suo corpo sembrava non obbedire.
Un fendente stava calando con forza contro la sua spalla destra e lei non poté impedirsi di evitarlo con un balzo, anziché pararlo con le lame, come la donna senza dubbio si aspettava.
“Si può sapere cosa ti prende?!” Cassandra aveva infine ceduto esasperata. “Dove hai la testa oggi? E’ evidente che non hai voglia di proseguire l’addestramento ed io non ho tempo da perdere! Abbiamo un’importante missione da preparare e se non hai intenzione di prendere sul serio quello che stiamo facendo, allora preferisco dedicarmi ad altro, a Cullen potrebbe servire il mio aiuto.”
Lena si scusò ed assunse nuovamente la posizione di difesa, riuscì ad incassare bene alcuni colpi, Cassandra sembrò abbastanza soddisfatta da portare avanti l’addestramento.
L'Inquisitore continuava ad essere perseguitata da troppi pensieri. Non la lasciava in particolare l'immagine di quel mondo morente che la sua mente stanca continuava a collegare al mondo al di là del tempo in cui lei e Dorian si erano imbattuti molti mesi addietro nel castello di Redcliffe. Continuava a vedere infinite somiglianze tra il mondo in cui Coripheus aveva infine realizzato il suo piano e il mondo al di là dello specchio che Morrigan le aveva mostrato. Ricordava quanto vividi fossero i colori, gli odori e i sapori persino, nella Haven in cui Solas l'aveva condotta o quanto profonde fossero le emozioni nel sogno di Varric. Nel Crocevia invece, così la strega aveva chiamato quel posto sbiadito, anche il suo stesso cuore sembrava ingrigirsi e perdere il proprio ardore, a rimanere in quel posto troppo a lungo Lena era certa sarebbe man mano impallidita anche lei come il resto. Ricordava la sensazione di orrore e rabbia che l'aveva afferrata invece nel castello di Redcliffe in quel mondo che grazie a lei non esisteva più. Ricordava che l'orrore di quel mondo le era penetrato nel cuore e nelle ossa. Ricordava i suoi compagni, sbagliati, diversi da quelli che conosceva, ormai corrotti non dal lyrium rosso, ma forse proprio da quel mondo. Le tornarono alla mente gli sguardi di Varric e Solas privi di speranza e calore, ricordò che non le era costato alcuna fatica distruggere quel mondo. Era sbagliato, era impossibile non riconoscerlo. Ed ora però tornava a considerare la realtà di quel mondo, poteva quello essere reale quanto questo in cui lei ora viveva, quanto quello oltre l'eluvian? Cosa definisce la realtà di un mondo? Cosa lo rende degno di esistere? Ogni mondo, ogni tempo agisce su coloro che lo vivono, questo mondo potrebbe stare agendo su di lei e su tutti i suoi abitanti in modi che nessuno sarebbe in grado di riconoscere. Il Solas e il Varric di Redcliffe privi di speranza e alternative, riconoscevano quel mondo come l'unico possibile e non avrebbero potuto sperimentarne nessun altro. Forse lei si ostinava a preferire il suo mondo, a volerlo salvare perché era l'unico che conosceva, ma in che modo questo mondo la stava corrompendo?
Domande sciocche e assurde. Ma quando i suoi pensieri la liberarono era ormai troppo tardi.
Un colpo improvviso raggiunse la gamba dell’elfa. Cassandra, contando su una sua reazione, non aveva trattenuto la spada che affondò nella gamba dell’Inquisitore. Lena cadde a terra sanguinante.
“Ti avevo detto di sospendere l’allenamento! Come hai potuto non vedere arrivare quel colpo!” Cassandra era arrabbiata e preoccupata, Lena sapeva che quella poteva essere una combinazione letale.
“E’ solo un graffio stai tranquilla e non è stata colpa tua. Mi sono distratta”
La ragazza si rese conto di aver detto una frase di troppo. Cassandra iniziò ad inveire: “Sai cosa sarebbe accaduto se ti fossi distratta così in battaglia? Per amore del Creatore! Saresti morta! Ecco cosa sarebbe accaduto! Se non ti è rimasto un briciolo di amor proprio, pensa almeno alle tue responsabilità!” Continuò a sbraitare per un po’ attirando gli sguardi di coloro che in quella tiepida mattinata si attardavano nel cortile. Lena non poteva che essere divertita da quella scenata, ma sapeva che lasciarsi sfuggire un sorriso sarebbe stata una dichiarazione di guerra.
“Il sole splende, il mondo è in pericolo e la cercatrice sbraita. Un’altra monotona giornata a Skyhold.” Varric come molti altri si stava godendo la scena e forse alla fine aveva avuto pietà dell’elfa. Lui sapeva meglio di chiunque altro quanto Cassandra potesse andare per le lunghe con le sue ramanzine, soprattutto quando era sinceramente preoccupata.
“Coraggio Cercatrice, potrai continuare a gridare più tardi, non vorrai mica lasciare dissanguare l’Inquisitore, che ne sarebbe delle sue responsabilità?”
La cercatrice alzò gli occhi al cielo infastidita, ma si lasciò convincere dal nano. Come sempre d’altronde.
“Va bene vado a cercare Solas o Dorian.”
“Non ce n’è bisogno, è solo un graffio. Vado in infermeria, sarà sufficiente un impiastro e sarò come nuova.”
Cassandra non era evidentemente soddisfatta della decisione ma anche lei sapeva quando desistere, neanche con tutte le grida del mondo avrebbe fatto cambiare idea all’Inquisitore che in fatto di testardaggine non era seconda a nessuno, neanche alla stessa Cassandra.
Lena si appoggiò al nano e zoppicò verso l’infermeria.
“Va bene ragazzina, vuoi dirmi che sta succedendo?”
Lena si fermò e lo guardò negli occhi. Il suo sguardo era preoccupato. Cosa poteva dirgli? Non riconosceva i suoi stessi timori. Certo la fine del mondo la preoccupava, ma non era quella ad averli spinti tutti in quell'assurda avventura fin dal principio? Eppure per lei all'improvviso era diventato tutto reale, non si trattava più di una vaga e distante minaccia ma di una possibilità reale. Non era più una dalish in fuga felice di aver trovato una casa, era diventata oramai a tutti gli effetti l'Inquisitore e questo voleva dire che il suo mondo in un modo o nell'altro era agli sgoccioli. Ecco l'angoscia, i timori, la febbre di voler consumare i giorni fino all'ultimo battito.
Lo sguardo del nano si era fatto più cupo, non sapendo cosa dire lo spinse a camminare ancora. Arrivarono in infermeria dove una sorella si prese cura in fretta della sua gamba, tornando poi ad occuparsi di feriti più gravi.
Varric continuava a scrutarla ripetendo silenziosamente la stessa domanda.
“Varric succede che sono l'Inquisitore, e che tutto questo maledetto mondo dipende da me.”
Il nano strinse gli occhi alle sue parole. Era infastidito o addolorato?
“Bambina mia, questo stramaledetto mondo ha sempre bisogno di eroi perché nessuno è pronto a prendersi mai la responsabilità di niente. Tu non fai niente di eccezionale, semplicemente riconosci che qualcuno deve pur prendersela la responsabilità per questo fottutissimo mondo, fai solo quello che nessuno ha il coraggio di fare. Ma non puoi accollarti le responsabilità di chi si tira in dietro e rimane a guardare, che Andraste li fulmini tutti se hanno il coraggio di dire che è colpa tua se le cose vanno male. Non sono che vigliacchi!”
L'emozione nelle parole del nano era palpabile e Lena sentì una morsa afferrarle lo stomaco. Varric le era accanto, appoggiato contro lo stesso tavolaccio su cui lei era seduta, sollevò una mano e gli accarezzò il viso, si sentiva in dovere di rasserenarlo ma non sapeva come fare. “Mi dispiace, non volevo farti preoccupare. È solo un momento, ho dormito poco in questi giorni e le idee si confondono nella testa.”
“Ragazzina smettila di fare così! Lì fuori puoi anche essere l'Inquisitore, l'Araldo o il Creatore in persona per quanto mi riguarda, ma qui no. Smetti di difenderci tutti, hai bisogno di essere triste, spaventata o arrabbiata come tutti noi, non puoi proteggerci da questo. Al diavolo le raccomandazioni di Usignolo almeno finché sei qui, almeno finché sei con me non devi fingere che sia tutto a posto. Ciascuno fa i conti con la propria tristezza, lo farò anche io, non può anche questo essere una tua responsabilità.”
Lena sorrise infine e abbracciò l'amico che per una volta non si ritrasse e non protestò per quel gesto di affetto.
Appena fu libero dall'abbraccio Varric si avviò verso l'uscita dell'infermeria. “Oggi avrai sicuramente da fare ma questa sera ti aspetto per giocare, ci saranno tutti.” Poi accennò un inchino e aggiunse ghignando: “Vostra Inquisitorialità.” Lena afferrò un rotolo di garza e glielo lanciò contro mentre il nano si affrettava ad uscire.
I pensieri cupi si erano diradati, ma il senso di urgenza era sempre in agguato era tempo di recarsi al tavolo della guerra.



 

XXXVIII

Delle grida indistinte risuonarono dal grande atrio fin nella rotonda, distogliendo Solas dalla pittura.
Posò pennello e tavolozza e con il viso sporco di colore si affacciò nella sala principale della fortezza per capire cos'altro stesse accadendo di nuovo. Di sicuro non c'era di che annoiarsi in quella fortezza. Non appena ebbe messo piede nella sala principale s'imbatté in un Varric incuriosito quanto lui, oltre che in numerosi altri personaggi tutti attirati dall'insolito schiamazzare.
“Nel nome di Andraste! Non ti rendi conto che questa è pura follia!”
La voce del comandante raggiunse i presenti in modo più distinto questa volta, la furiosa lite si stava evidentemente facendo più vicina.
“Dieci a uno che è con l'Inquisitore che è così arrabbiato il ricciolino.” Varric gli si era avvicinato e si preparava a godersi la scena. Non ci volle molto prima che i fatti potessero confermare teoria del nano. La voce chiara dell'elfa infatti fece presto da contro canto a quella baritonale del comandate.
“Questa è la mia missione, non manderò nessuno a morire al posto mio.”
“Ma tu sei l'Inquisitore! Hai un esercito pronto a combattere per te, Skyhold è piena di gente che è venuta qui perché pronta a morire per te!”
“Puoi rispedire tutti a casa per quanto mi riguarda!”
Gridando queste ultime parole l'Inquisitore aveva fatto il suo ingresso nella sala del trono e si era trovata addosso tutti gli occhi dei presenti.
“Comunque questa è la mia decisione” aggiunse tra i denti abbassando di molto il tono della voce, “sono l'Inquisitore, lo hai detto tu, quindi sta a me decidere.”
Passò accanto a Solas e Varric come una furia e senza degnarli di uno sguardo. La videro scomparire in direzione della rotonda ma nessuno dei due mosse un passo per seguirla.
“Cosa c'è? Nessuno di voi ha di meglio da fare? In quel caso ci sono le stalle da pulire!” Cullen stava sbraitando ora contro i presenti, Solas non aveva mai visto il comandante tanto infuriato ed era uno spettacolo che lo lasciava interdetto. Si sentì afferrare per un braccio dal nano e si lasciò guidare lontano dal comandante, al sicuro dentro la rotonda. Il nano si premurò di chiudere bene la porta come se quello avesse potuto proteggerli dalla furia di Cullen. Nella stanza non vi era traccia dell'elfa.
“Ehi Chuckles, non fare quella faccia, mamma e papà litigano, ma ti vogliono comunque molto bene.”
Solas sorrise lievemente alle parole del nano ribattendo semplicemente: “Mi domando cosa abbia scatenato una tale furia.”
“Sono pronto a scommettere di nuovo che sia colpa della ragazzina. C'è da dire che per far perdere il controllo al comandante in quel modo deve aver superato se stessa. Che ne dici di andare a cercarla e farle i complimenti?”
Solas annuì appena e imboccò sicuro le scale che scendevano verso la vecchia biblioteca. Aveva sperato di poter intraprendere la ricerca per proprio conto, ma Varric, evidentemente molto preoccupato, non aveva alcuna intenzione di lasciarlo solo. E in effetti perché avrebbe dovuto? Da quando avevano fatto ritorno a Skyhold lui e l'Inquisitore si erano scambiati poco più che qualche parola, avevano fatto attenzione a non rimanere mai soli e non avevano più menzionato quanto accaduto all'accampamento dalish. Nulla era apparentemente cambiato tra loro, né Varric né chiunque altro avrebbe potuto indovinare come effettivamente stessero le cose, neanche lui a dirla tutta avrebbe saputo farlo. Ma Solas sapeva di non provare più quella strana irritazione che lo afferrava quando lei rimaneva lontana per molto tempo, accidentalmente o di proposito che fosse; sapeva di aver smesso di trattenere gli sguardi o i sorrisi in presenza dell'elfa ed era sicuro al di là di ogni ragionevolezza che, nonostante la distanza fisica, loro due non fossero mai stati tanto vicini. Si sentiva sicuro e sereno, sebbene i fatti non sostenessero questa sua sensazione. Da quanto tempo l'istinto non prendeva il sopravvento sulla sua mente?
Camminando erano nel frattempo giunti all'ingresso della vecchia biblioteca. Come si era aspettato la ragazza era lì tra mucchi polverosi di libri, più concentrata a tirare calci e pugni contro la grossa scrivania che a leggere.
“Non ora!” Furono le parole che li accolsero non appena ebbero messo piede nella stanza angusta.
“Non siamo qui per te ragazzina, siamo venuti a portare in salvo lo scrittoio. E' un antico pezzo di artigianato elfico e sai quanto Chuckles tenga a questa roba.”
Non fu necessario aspettare che la ragazza si voltasse, Solas sapeva benissimo che le parole del nano avevano appena avuto la meglio sul suo malumore.
Le si fece vicino e lo sguardo che la ragazza alzò su di lui era più calmo di quanto non si fosse aspettato. Il potere di Varric su di lei era innegabile. Ora doveva dirsi grato di non essere stato lasciato da solo in quella missione, lui avrebbe senza dubbio detto qualcosa di sbagliato attirando su di sé la furia della giovane.
“Il comandante non può capire, ma io so di non avere alternative.”
Le parole dell'elfa avevano il sapore amaro di scuse non dovute e Solas ne fu intenerito. “Da'len, perché non ci spieghi cosa è successo?”
Varric intanto aveva fatto il giro attorno al tavolone e si era accomodato sulla grossa sedia che si trovava proprio davanti a Solas.
Il nano con un gesto plateale, si portò le mani dietro la tesa e appoggiò entrambi i piedi sullo scrittoio.
La giovane rivolse a Varric un'occhiataccia sardonica. “Che c'è?” Rispose il nano interpretando lo sguardo della ragazza, “ormai per colpa tua è diventato un pezzo da rigattiere, lasciami mettere comodo.”
Ridacchiando sommessamente e scuotendo la testa anche l'Inquisitore si sistemò sullo scrittoio lasciando che solo una delle sue gambe penzolasse fuori dal bordo, in modo che potesse guardare in viso entrambe i suoi amici.
C'era qualcosa nel volto della ragazza che emergeva ormai in rare occasioni e che Solas si accorse di amare irrazionalmente. Nella semi oscurità di quella stanzina, circondata solo da amici fedeli, l'Inquisitore spariva completamente, il viso della ragazza si rilassava e sebbene comparissero i segni della stanchezza e della tristezza, Solas poteva vedere che quel viso era vero, giusto, e che la vita che vi scorreva era quanto di più reale avesse mai incontrato. Questo ogni volta lo spaventava e lo attraeva incondizionatamente.
“E' giunta una lettera dal clan dalish delle Sacre Pianure.” L'elfa aveva iniziato a parlare e Solas cercò di concentrarsi su quelle parole.
“Parla di un attacco che dovrebbe aver distrutto gran parte delle difese del mio clan. Il guardiano si è detto amareggiato dalla mancanza di sostegno dell'Inquisizione ai Lavellan. Minacciano di dichiarare l'Inquisizione nemica dei Dalish.”
“Diciamo che loro rischiano di dover fare una lunga fila prima che arrivi il loro turno di provare a farci fuori e che noi dopotutto potremmo non notare la differenza.” Le parole leggere di Varric contrastarono con il suo sguardo evidentemente adirato.
L'Inquisitore non si lasciò fermare dalle considerazioni di spirito dell'amico e riprese: “Il problema è che non abbiamo notizie dagli esploratori che abbiamo mandato in missione e la guardiana Istimaethoriel preferisce evidentemente poter gettare discredito sull'Inquisizione piuttosto che comunicare con noi.”
“Vuoi andare da loro?” Le intenzioni della ragazza erano lampanti per Solas che ne capiva però anche ogni triste implicazione.
“Non voglio mandare nessun altro, i nostri esploratori potrebbero essere tutti morti, non posso permettere che altri rischino la stessa fine per colpa mia. Questa non è la guerra dell'Inquisizione, è solo la mia vecchia vita che mi reclama e devo trovare il modo di mettere le cose a posto prima che l'intera Inquisizione ne risenta.”
La ragazza aveva parlato tenendo gli occhi fissi sullo scrittoio ed ora li aveva alzati cercando forse approvazione in quelli di Solas. Il mago non poté che farlesi più vicino e prenderle le mani.
“Vhenan verrò con te, lo sai.”
Solas poteva sentire su di sé lo sguardo divertito del nano ma non gli diede peso, poi un rumore improvviso distolse la sua attenzione dai begli occhi dell'elfa. Varric aveva lasciato cadere pesantemente le gambe dalla scrivania e ora era in piedi davanti a loro e li fissava.
“Ho rischiato di morire per molto meno, verrò anch'io. A meno che questa non sia una scusa per voi piccioncini per rimanere da soli.”
L'Inquisitore sorrise alle parole del nano e Solas si ritrasse invece imbarazzato.
“Rilassati Chuckles.”
Varric gli passò accanto e gli batté un colpo non troppo delicato sulla spalla prima di uscire dalla biblioteca. Rimasero soli. Molti pensieri si affollavano nella mente di Solas, ne colse uno, il meno insidioso. “Hai tutto il mio supporto, ma le truppe sono già mobilitate, a giorni inizieranno la marcia verso le Selve Arboree, credi di poter abbandonare i tuoi uomini?”
La maschera dell'Inquisitore fece per un momento capolino sul bel volto della ragazza. “No, non potrei. Viaggeremo veloci, avremo i cavalli migliori e un piccolo gruppo si muove dieci volte più veloce di un esercito. Conto di riuscire ad arrivare sul posto assieme al grosso delle truppe. Sarà un viaggio difficile, riposeremo solo lo stretto indispensabile, non avremo tempo da perdere. Ne parlerò ancora anche con Varric, capirò se vorrete tirarvi indietro.”
Solas la guardò negli occhi senza dire una parola. Un lungo silenzio scese su di loro caldo e morbido come un mantello. Poi il mago l'abbracciò e la tenne stretta contro di sé a lungo prima di permetterle di tornare ai suoi doveri. Lei si lasciò andare tra le sue braccia, tranquilla. Erano davvero vicini, anche senza bisogno di dire una parola, anche senza bisogno di dover definire quel rapporto in alcun modo. E Solas era felice, non si può combattere contro qualcosa a cui non si sa dare un nome.


 


Finalmente torno ad aggiornare questa storia. Ho pubblicato altro nel frattempo, ma per rimettere insieme tutto il materiale che ho prodotto per questa storia ho bisogno di prendermi il giusto tempo e soprattutto ho bisogno della concentrazione adatta. Certo lo so, non è la Montagna Incantata, ma è la mia prima storia "pubblicata" e ci tengo molto. Spero di riuscire a fare bene fino alla fine anche se questo dovesse significare continuare a pubblicare una volta al mese come sto facendo ultimamente. Ma ci stiamo avvicinando, non temete.
Grazie come sempre a chi ha la pazienza di leggere.
Buone feste, visto che ormai a forza di tirare tardi si è fatto il 24 Dicembre ^-^

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Cuore di Lupo ***


XXXIX

“Verrò con te.”
La voce la aveva colpita come una lama attraverso l'oscurità. L'ora era tarda e le candele che illuminavano solitamente la grande sala centrale della fortezza erano ormai spente, solo i fuochi nei grandi camini offrivano un poco di chiarore donando allo stesso tempo alla stanza ombre mobili e insidiose.
Lena era rientrata un po' stordita dalla confusione e dal vino, ma non aveva bisogno di luce o lucidità per dare un volto a quella voce roca e profonda.
Si voltò in direzione del suono e una massa scura le si fece incontro appena più consistente dell'ombra che lo ammantava.
L'emozione le aveva tolto la voce, si era accorta solo in quel momento di sentire terribilmente la mancanza di quei toni caldi e profondissimi, l'uomo dovette interpretare il suo silenzio come una domanda, perché ripeté facendosi vicino: “So che domani mattina partirai, verrò con te.”
Lena trasse un lungo respiro prima di rispondere, cercando con pessimi risultati di frenare il tremore della propria voce. “Le truppe si metteranno presto in movimento, ci rivedremo alle Selve Arboree poco prima della battaglia, non devi preoccuparti.”
Lo sguardo grigio dell'uomo sembrava danzare con il chiarore del fuoco. “Non ti sto chiedendo il permesso. Sono solo venuto ad informarti.”
Insopportabile arrogante, sapeva suo malgrado come risvegliare il suo orgoglio e tirarle fuori la peggioredelle  reazioni.
“Dovremo viaggiare veloci e siamo già un buon numero, non possiamo essere rallentati. Preparati per la battaglia e tieniti pronto, ti farò sapere quando avrò bisogno di te.”
Lena sentiva la propria agitazione stridere con il contegno calmo dell'uomo che si limitò a farsi più vicino ancora di un passo arrivando a sovrastarla completamente. Non lo ricordava così imponente, erano le ombre o quel senso di inquietudine che l'aveva afferrata a ingannare la sua percezione?
“Dovrai legarmi e gettarmi in una segreta per impedirmi di venire con te.”
La voce si era fatta ancora più bassa e decisa, e il viso del guerriero si era fatto ormai tanto vicino da poterne cogliere distintamente ogni linea.
“Potrei farlo.” Rispose senza convinzione, lasciandosi anzi sfuggire un tono ironico che l'uomo non mancò di cogliere. Un sorriso appena accennato gli increspò le labbra e Lena dovette ammettere la sconfitta.
“E sia. Ma sappi che sarà davvero un viaggio stremante, non potremo permetterci soste.”
Il guerriero parve soddisfatto, dismise l'aria minacciosa, si rilassò e fece un passo indietro. Fu Lena a questo punto a farsi più vicina e Blackwall rispose irrigidendosi e sputando fuori una domanda che sapeva di bile: “L'elfo, verrà anche lui?”
Lena rimase gelata. Niente era cambiato da quella notte trascorsa sul pavimento freddo di una locanda. Non avevano più parlato, riconosceva nello sguardo dell'uomo lo stesso identico disgusto, riconosceva la sua rabbia. Ricordò cosa aveva celato dietro una bugia che ormai aveva preso contorni di verità e fece per allontanarsi in silenzio. Sapeva di essere la principale responsabile per la direzione che quella relazione aveva preso e sapeva di dover ormai mantenere fede alle proprie bugie per evitare verità più dolorose, più spiacevoli. Girò sui tacchi per allontanarsi ma una mano più grande di quello che poteva ricordare le afferrò un gomito. Fu facile sentirne la stretta nervosa attraverso la stoffa sottile. Lena desiderò per un istante di poter fuggire, di potersi nascondere nelle ombre come a volte le capitava in battaglia. Ma la stretta era salda, e lei vi si era arresa ancor prima di provare a combattere.
“Non importa.” La voce era meno rabbiosa, più calda e la bocca che aveva pronunciato quelle poche parole era pericolosamente vicina al suo orecchio.
“Ho capito che davvero non mi importa. Voglio averti vicino, non importa se un mago del Tevinter o un elfo apostata o chi per loro passeranno la notte con te. Posso convivere con questo, ma ti voglio vicina, mi manchi.”
Lena voltò il capo appena il necessario per arrivare ad incrociare gli occhi grigi dell'uomo. Le sue parole non rispecchiavano la rabbia e il disgusto ancora presenti nel suo sguardo. Aveva malgiudicato il custode sotto molti punti di vista, ma non aveva fallito nell'individuare in lui una natura gelosa, gli errori passati la portavano però a giudicare il fatto con una maggiore apertura. Se quella era infatti la natura del custode, non aveva alcun diritto lei di definirla sbagliata. Poteva non apprezzare il giudizio implicito nelle sue parole, ma non aveva alcun diritto di imporre al custode una relazione che per lui sarebbe inevitabilmente risultata sbagliata, questa volta però voleva essere sincera. Allungò una mano per accarezzare il viso segnato dell'uomo: “Non è vero che non ti importa, ma io purtroppo non ho che questo da offrire.” Il custode aveva ormai perso la sua calma e disse trattenendo la rabbia tra i denti “Mettimi alla prova.”
“Da quando sono qui non ho mai speso la notte con altri che con te.” Il volto del custode si rischiarò per un attimo, poi la consapevolezza lo incupì di nuovo. “Non è con il sesso che misuro l'intensità o la profondità di un rapporto. Il sesso per me non è diritto di proprietà, né tanto meno può esserlo l'amore. Mi dispiace. So che per te, semplicemente, è diverso.”
La mascella dell'uomo si contrasse tanto che Lena temette di sentire il rumore dei denti spezzarsi.
La presa sul suo gomito si era allentata Lena ne approfittò per liberarsi e allontanarsi dall'uomo. “Si parte all'alba, se sei deciso a venire con noi, farai bene ad essere pronto, non aspetterò nessuno.”

 

****

Il giorno della partenza era sgattaiolata fuori dal proprio alloggio come un ladro con il timore di dover affrontare lo sguardo di rimprovero, o peggio di delusione, di guardie e soldati. Non avrebbero certo compreso il suo modo di agire, si sarebbero forse sentiti traditi o abbandonati. L'Inquisitore partiva per raggiungere il proprio clan quando lo scontro diretto contro il nemico era alle porte. Aveva già dovuto affrontare le rimostranze del Toro e di Cassandra, non avrebbe potuto sostenere la delusione di nessun altro.
La presenza imprevista del custode aveva fatto nascere dei sorrisi ironici sul volto di Varric e di Dorian che si erano scambiati velate battutine riguardo il viaggiare leggeri e i bagagli ingombranti che Lena aveva volutamente ignorato. Solas era invece sereno come sempre negli ultimi tempi, non aveva dato mostra di essere infastidito dalla presenza dell'uomo e il suo sorriso tranquillo aveva alleggerito il senso di colpa. 
Avevano cavalcato a lungo, giorni interi senza soste, se non quando i cavalli stremati, con la schiuma alla bocca e i fianchi tremanti, non ne esigevano una. Il viaggio era proceduto più velocemente di quanto non si fosse aspettata e anche più serenamente. I momenti che non trascorrevano al galoppo, i cinque godevano della reciproca compagnia, il gruppo e la stanchezza erano in grado di allentare le più complesse tensioni. 
Più si avvicinavano all'obiettivo più prendeva piede nei pensieri di Lena, il timore dei giorni futuri, dell'incontro con il clan, con la Guardiana, con Menia. I giorni si facevano mano a mano sempre più corti per lei, e il desiderio che quel viaggio non giungesse al termine diveniva un bisogno quasi fisico. Le notti spese attorno al fuoco le offrivano lo spettacolo dei suoi compagni addormentati e davano nuova linfa alla sua angoscia.
Si pentì di aver insistito per lasciare a casa le tende, un peso inutile senza dubbio, ma forse nell'intimità della tenda avrebbe trovato conforto. Desiderava un sonno pacifico come quello che Solas le aveva donato in quell'aravel umido, ma non aveva cuore di chiedere nulla all'elfo. Lo vedeva tremare ogni volta che gli si faceva troppo vicino. Quel suo gesto, quell'afferrarsi le mani dietro la schiena era forse un modo per nasconderle il tremore e quindi l'emozione? Non avrebbe forzato i tempi o spinto l'elfo a qualcosa che lo avrebbe fatto sentire a disagio. La sua presenza era tutto ciò di cui lei aveva bisogno, lui era lì per lei e non poteva esserne più consapevole. Non avrebbe forzato la mano rischiando di rovinare quel legame meraviglioso e fragile come una gemma di vetro soffiato. 

L'allungarsi delle ombre segnava anche quel giorno l'approssimarsi del momento della sosta. Scelsero un posto adatto al bivacco e si fermarono concedendo a loro stessi e soprattutto ai cavalli il meritato riposo. Accesero un gran fuoco e rimasero per un po' a guardare le fiamme, troppo stanchi anche solo al pensiero di mangiare. Man mano che il calore scioglieva i muscoli delle gambe tormentati dalle lunghe cavalcate, la compagnia si faceva allegra.
“Allora orecchie a punta, dovremmo ormai essere vicini, o sbaglio? Ci avevi promesso un posto incantevole e freddo. L'incanto mi sfugge ma senza dubbio il freddo lo abbiamo trovato.” Dorian in piedi accanto lei cercava disperatamente di scaldarsi le mani protendendole verso la fiamma. Le scoccò uno sguardo capace probabilmente di leggere dentro le sue paure perché si affrettò ad aggiungere in tono leggero: “E' arrivato il momento di studiare qualcosa per infastidire la Guardiana. Qualche idea?”
“Ti assicuro Dorian che il semplice fatto di essere qui con voi, e con le insegne dell'Inquisizione rappresenterà un fastidio notevole per lei.”
“Va bene, ma quello non richiede nessun tipo di impegno e non è divertente, dovremmo proprio inventarci qualcosa. Sai, quando ero costretto a tornare a casa escogitavo sempre qualcosa che desse ai miei genitori un buon motivo per rimpiangere di avermi fatto tornare e per avere molta fretta di vedermi andare via. Ad esempio ora sarei felice di poter tornare a Qarinus solo per poter rendere noto a tutti che, non solo l'adorato rampollo non ricompenserà i propri cari portando avanti il nome della famiglia, ma anzi, farei un vezzo del poter informare lo stuolo di leccapiedi che circonda la mia famiglia, che la speranza della casata Pavus preferisce spendere le notti con un nemico dell'impero, un triviale qunari, piuttosto che con una delle brave fanciulle che cercano sempre di propinarmi. Sarei certo così di non dovermi subire inutili cene o balli noiosi per almeno 200 anni.” Lena rise fino a sentire la tensione sciogliersi del tutto. Era il modo più allegro e diretto che il mago aveva per dirle che sapeva cosa stava passando e che senza dubbio ne sarebbe uscita. Se lui lo aveva fatto, poteva farlo anche lei. Si avvicinò all'amico che le fece passare un braccio attorno alle spalle e le stampò un bacio sulla tempia. Il timore ormai familiare di poter un giorno, ormai sempre più vicino, perdere tutto quello, fece capolino tra i pensieri di Lena, ma lo allontanò in fretta stringendosi un poco di più all'amico.
“Potrei presentarti come il mio compagno, non so se l'effetto sarebbe lo stesso, ma senza dubbio l'idea che io possa aver ammaliato un magister la riempirebbe di terrore.”
“Primo: non sono un magister. Secondo, amica mia, hai saltato qualche bagno di troppo per rendere davvero credibile la cosa. Il mio ineluttabile fascino, di contro, farebbe sorgere facilmente sospetti.”
Ridendo Lena si allontanò dall'amico, era ora di mangiare qualcosa e di prepararsi per la notte. Raggiunse le bisacce che erano rimaste vicino ai cavalli, per trarne le razioni sufficienti per la cena, ma qualcosa la bloccò all'improvviso. 
“Spendere così tanto tempo tra gli shem, ti ha rammollito Fen'len.”
Un fremito la percorse, anche se non avrebbe saputo dire se fosse dovuto alla freccia puntata contro la sua nuca o alla voce tagliente che aveva raggiunto le sue orecchie. In un battito di ciglia Lena fu testimone della reazione repentina dei suoi compagni. Solas e Dorian avevano impugnato il bastone e avevano iniziato a recitare incantesimi di qualche tipo, il suono inconfondibile della spada estratta dal fodero la raggiunse assieme ad un ringhio del custode e Bianca tra le braccia di Varric era già pronta per cantare la propria canzone. Fece appena in tempo a pronunciare una sola parola prima che la battaglia sfuggisse al suo controllo.
“Fermi.” Come cristallizzati in un attimo, i compagni la fissarono, con le armi pronte a colpire, trattenuti appena nell'impeto della lotta. Lena si voltò, e con un solo gesto rapido e fluido come lo scatto di un serpente sguainò un pugnale e lo puntò alla gola dell'assalitore. Ora poteva sentire chiaramente il metallo della punta della freccia contro la propria gola, e assaporò per intero il gusto della sfida. Era molto tempo che non le accadeva, gli scontri che aveva dovuto affrontare da quando era giunta ad Haven erano stati una faccenda da prendere gravemente sul serio, aveva dimenticato la leggera e spregiudicata eccitazione del combattimento, aveva dimenticato il tempo in cui la sfida, per quanto pericolosa non rappresentava nient'altro che un affermazione edonistica di sé. Ora invece un ghigno sprezzante le era sorto spontaneamente alle labbra e lo sguardo che sosteneva senza paura la stava guidando verso quell'ebbrezza dimenticata.
“Nonostante sia rammollita non riesci ancora ad avere la meglio su di me.”
L'arciere sorrise e ritrasse l'arma. “Mi sei mancata Fen'len.”
Se l'eccitazione della lotta inattesa aveva acceso una parte di Lena che a lungo era rimasta sopita, l'atteggiamento amichevole dell'elfo aveva ora risvegliato in lei tutti i timori e tutto l'astio che l'avevano un giorno portata a fuggire dalla sua gente.
“Dai un taglio ai convenevoli Tallis, perché siete qui?”
Ad un gesto dell'elfo sbucarono dalla boscaglia tre cacciatori con gli archi abbassati ma le frecce ancora incoccate. Lena rinfoderò il pugnale e si voltò verso i compagni: “Va tutto bene, a quanto pare siamo giunti a destinazione.”
Incrociò per un attimo lo sguardo di Blackwall e vi riconobbe senza fatica rancore e disgusto.
“I nostri esploratori hanno rilevato la vostra presenza da qualche giorno e la Guardiana ci ha mandato ad accogliervi. Siete i benvenuti nel territorio del clan Lavellan. Abbiamo il compito di scortarvi fin nei pressi del campo, dista ancora almeno un giorno di cammino quindi se volete possiamo metterci in marcia immediatamente.”
Tallis aveva parlato con un tono cerimonioso che non gli apparteneva e che Lena lesse come indisponente.
“Se l'intento era quello di accoglierci, perché ha mandato voi?”
Vide gli occhi di Tallis fiammeggiare e la sua espressione mutare soddisfatta, come di chi abbia appena messo a segno un colpo vincente.
“La Guardiana avrebbe volentieri mandato la sua Prima ad accogliervi, ma non voleva creare inutile tensione o imbarazzo.”
Il colpo in effetti l'aveva raggiunta come un pugno diretto allo stomaco. Sapeva che l'accortezza della guardiana non era dovuto ad altro che alla volontà di essere presente durante il loro primo incontro. Doveva dubitare della reazione di Menia per quanto riguardava il loro rapporto, o doveva temere l'influenza dell'Inquisitore su di lei, in ogni caso Lena ne fu ben più che grata. Non riusciva a immaginare cosa avrebbe provato se anziché essere sorpresa alle spalle da Tallis, avesse visto Menia venirle incontro lungo il sentiero.
L'elfo manteneva sul viso un insopportabile sorriso sardonico, che Lena era tentata di strappargli via a suon di pugni, si voltò invece dandogli le spalle e tornando vicina ai suoi compagni. “Abbiamo viaggiato tutto il giorno, i cavalli sono stremati. Riposeremo qui per questa notte e domani vi seguiremo al campo.” Non aggiunse una parola d'invito ma non sembrò servire. Lena vide i tre cacciatori fare ritorno nella boscaglia e Tallis avvicinarsi al fuoco.
“Fen'len, non vuoi fare le presentazioni?”

La partita iniziava in quel momento e lei doveva essere brava nel giocare solo le mosse migliori.

 

 

 

 

XL

La notte si era improvvisamente cristallizzata, quel dalish era giunto a scompaginare l'equilibrio e Solas ne era inaspettatamente infastidito.
Il viaggio era stato per lui sorprendentemente piacevole, nonostante la fatica e i ritmi forzati era tornato a sperimentare un senso di comunità e vicinanza che credeva destinato a rimanere sepolto nel passato, come molti aspetti della sua vita. Evidentemente doveva continuare ad essere sorpreso da questo mondo, forse semplicemente, la vicinanza della sua dolce amica aveva iniziato a gettare una luce più viva su tutto ciò che la circondava.
Quella sera attorno al fuoco furono dette poche parole, persino Varric si era trincerato dietro un silenzio scontroso. Tutti sentivano di dover in qualche modo tutelare l'Inquisitore in quella che doveva essere per lei una battaglia difficile. Ma tutti sapevano di non poter fare molto. Il dalish era esattamente come l'Inquisitore lo aveva dipinto, arrogante e indisponente, un sorriso provocatorio era costantemente stampato sul suo viso. Solas riusciva a fatica a sopprimere la voglia di scagliargli contro una scarica di fulmini e liberarsi così definitivamente di quel ghigno insopportabile. Avrebbe voluto farsi vicino all'elfa, ma non voleva dare modo a quel bifolco di usare il suo affetto per ferire la ragazza. Blackwall al contrario non si era dimostrato tanto avveduto. Aveva ceduto all'istinto di starle vicino. Invidiava un poco quel suo modo così fisico di manifestare i propri sentimenti. Da questo punto di vista doveva ammettere che l'uomo era molto più simile all'Inquisitore di quanto lui stesso fosse.
Eppure se avesse potuto lasciarsi andare all'istinto e al desiderio, sapeva che il guerriero non sarebbe apparso che come un ragazzino pudico e impacciato. Ma per quanta fatica gli costasse, non poteva. Non voleva. Se vi era una possibilità su un milione che lei potesse rimanere al suo fianco nel suo progetto di un nuovo mondo, non l'avrebbe sprecata mentendole o approfittando di lei. Non avrebbe commesso lo stesso errore del custode. L'uomo si era intrufolato nel cuore e nel letto di lei, indossando una maschera ed era stato il tradimento e la mancanza di fiducia che avevano distrutto il loro rapporto. Solas aveva la speranza di poter evitare lo stesso errore. Aveva sempre rifuggito la menzogna con la sua bella amica. Aveva sì, lasciato molte zone di ombra, ma non aveva detto una parola che potesse essere reputata falsa. Aveva ceduto purtroppo a momenti di tenerezza che non aveva saputo frenare e temeva di potersi dimostrare debole nuovamente, in futuro, ma non avrebbe osato più di quello. Non avrebbe permesso all'elfa di amare una maschera. Avrebbe dovuto scegliere consapevolmente di amarlo con tutto ciò che questo comportava. Avrebbe dovuto conoscere la sua vera natura e decidere di accettarla, prima che lui potesse cedere al proprio desiderio. Non l'avrebbe tradita. Non avrebbe approfittato oltre della sua fiducia. Per quanto il desiderio di stringerla tra le braccia e permettere alle mani curiose di scoprire il bel corpo di lei fosse bruciante, non avrebbe ceduto. Per lui una tale intimità, dimenticata per secoli, avrebbe significato cedere tutto se stesso. avrebbe quindi perso completamente se stesso in lei o non l'avrebbe avuta affatto. Questi pensieri risultavano incredibilmente inopportuni in quel momento e fortunatamente l'ennesimo battibecco tra l'Inquisitore e il dalish lo distrasse prima che potessero farsi più imbarazzanti.
“Fen'len vedo che ti sei circondata di uno stuolo di uomini di ogni tipo e forma. Ti piace ancora avere la possibilità di scegliere.”
Solas vide il proprio disprezzo specchiarsi nel furore dell'elfa. “Non vedo come la cosa potrebbe interessarti. Sei addolorato di non essere in lizza?”
Le parole piene di rancore suonavano stranamente maligne, non riconosceva quell'attitudine nell'elfa e ne era spiazzato.
“Al contrario, sono lusingato nel vedere con quanta energia cerchi di buttarti il passato alle spalle.”
L'elfa non fece in tempo a ribattere. Blackwall doveva aver esaurito la propria scorta di pacatezza e la sua reazione esplose violenta.
“Senti coniglio, nessuno ti ha invitato ad unirti a noi. Torna nel buco dal quale sei uscito se ci tieni ad avere ancora quelle tue brutte orecchie attaccate alla testa.”
Il sorriso sul viso dell'elfo era ora trionfante. Solas comprese la strategia e non poté che esserne affascinato, quel dalish era più furbo di quanto non dimostrasse. Rimpianse l'assenza di Iron Bull, lui avrebbe senza dubbio saputo tener testa a quella piccola serpe.
“Quindi il cane da guardia deve essere il tuo favorito. Hai scelto un bel tipo. Uno che dimostra di avere rispetto per le tue origini. Era da molto tempo che nessuno mi chiamava coniglio, deve essere un tipo raffinato.”
L'elfo aveva parlato rivolgendosi all'Inquisitore, senza degnare il guerriero di un solo sguardo. Fu la frazione di un attimo e Solas vide l'uomo balzare in piedi, afferrare il dalish per il collo e tirarlo su da terra, con il timore e la speranza che il guerriero desse davvero il colpo di grazia a quell'omuncolo insopportabile. La ragazza fu in piedi quasi contemporaneamente.
“Blackwall lascialo!” L'uomo spostò su di lei lo sguardo adirato e spinse via l'elfo con tanta forza da farlo finire a terra, prima di scomparire con passi furiosi tra la boscaglia.

“Quando torno non voglio trovarti qui.” Le parole dell'Inquisitore erano fredde e taglienti come una lama. Poi anche lei si allontanò lasciando la compagnia attonita come degli spettatori a teatro, sorpresi da una svolta inaspettata nella rappresentazione.
“Smilzo, credo sarebbe meglio che ti dimostrassi obbediente. Vattene, da bravo, prima di farti male davvero.” Era stato Varric ora a parlare con tono pungente. Il dalish ammaccato e impolverato ma con il solito sorriso persistente sul volto, si alzò e con fare cerimonioso augurò la buona notte, prima di lasciarli finalmente da soli accanto al fuoco. 
Era stato un breve temporale estivo, il passaggio di quel dalish aveva fatto scendere un gelo inatteso e per cui i compagni non si sentivano preparati. Nessuno aveva voglia di commentare il fatto e ciascuno era perso dietro le prospettive che quel breve incontro apriva sui giorni a venire. 
La notte avanzava e né l'Inquisitore né il guerriero sembravano fare ritorno. Solas notò più di una volta lo sguardo inquieto di Dorian posarsi su di lui. Aveva imparato suo malgrado a riconoscere i meriti di quel mago umano. Aveva imparato ad apprezzarne l'arguzia e la sapienza così come l'ironia e l'impudenza. Si era reso conto di aver riso molto in quei lunghi giorni di viaggio, più di quanto non gli capitasse ormai da molto tempo, per merito del mago tanto quanto di Varric. Eppure in quel momento, quel ricordo sembrava lontano come la sua vecchia vita.
“Torneranno presto.” La voce di Dorian infine spezzò il silenzio e smantellò l'ultima resistenza di Solas. Doveva riconoscere che anche quell'improbabile compagno, quel discendente di una stirpe di usurpatori, di sciacalli, era ormai diventato fin troppo simile ad un amico. Doveva davvero rassegnarsi ad essere smentito continuamente in tutto ciò che costruiva le sue convinzioni.
“Non preoccuparti Dorian. Prepariamoci per la notte, credo siamo tutti ben più che consapevoli che l'Inquisitore è in grado di cavarsela in queste circostanze.”
I tre compagni estrassero pelli e coperte dalle grosse bisacce e si sistemarono attorno al fuoco. Ciascuno sul proprio giaciglio guardava la notte passare attraverso lo scorrere imperturbabile delle stelle. Solas sapeva che non avrebbero chiuso occhio fino al ritorno dei due compagni.
Quando l'Inquisitore sbucò finalmente dalla boscaglia era sola. Solas si tirò su a sedere, Dorian e Varric, seppure svegli, finsero il contrario. La ragazza si accucciò accanto a lui e lo studiò per un po'. Il suo volto era stanco, come dopo una lunga lotta, gli occhi ardenti erano l'unico indizio di vita che rimaneva nei suoi tratti, sembrava volergli rivolgere una domanda, ma rimaneva in silenzio. Guardò i compagni addormentati, o sedicenti tali, poi gli prese la mano e si alzò in piedi. Solas la imitò senza dire una parola. Fecero pochi passi, il chiarore del fuoco riusciva ancora a raggiungerli, la ragazza sperava forse in un poco di intimità, ma probabilmente non voleva rischiare di imbattersi nelle sentinelle dalish. Gli lasciò andare la mano e solo a quel punto Solas parlò: “Dimmi, da'len.” Le parole snocciolate con un'intenzionale lentezza accompagnarono il movimento altrettanto lento di una mano ad afferrare l'altra dietro la schiena, in un gesto ormai consueto. L'elfa lo guardò negli occhi per un istante prima di rispondere. Solas in quegli occhi poteva vedere dispiegarsi per intero la propria rovina, ma non aveva ormai più armi per combatterla, poteva solo scegliere in che modo servirla.
“Non abbiamo avuto modo di parlare da quando abbiamo lasciato Skyhold. Non ho idea di cosa tu stia pensando di me in questi giorni. Puoi chiedermi ciò che vuoi, ma vorrei che sapessi che non ti ho mai mentito con una parola o con un solo gesto. Mi credi?”
Solas sapeva che la ragazza si riferiva a Blackwall. In quei giorni lo aveva visto osservare cupo i movimenti dell'Inquisitore e li aveva a volte sorpresi a scambiarsi sguardi che sembravano voler incendiare la distanza che li separava. Ma di certo non poteva dirsi geloso, qualunque cosa ci fosse tra la sua bella elfa e quel rozzo bugiardo, aveva smesso di infastidirlo nell'attimo esatto in cui lei aveva riversato sullo stesso Solas un'inspiegabile ma concreta passione. Quando lei, persa in un sogno quanto mai reale, lo aveva sorpreso baciandolo con uno slancio pieno di tenerezza, il custode aveva smesso di infastidirlo con la sua presenza.
“Non mi devi alcuna spiegazione.” L'emozione lo aveva improvvisamente privato della sua proverbiale eloquenza.
“Non so cosa ci sia fra me e Blackwall, ma non posso e non voglio negare che qualcosa effettivamente esiste. Ma non ha niente a che fare con...” Solas vide chiaramente un “noi” morirle sulle labbra. C'era davvero un “noi” che lo riguardava nel cuore di lei, quindi. La consapevolezza era lieve e piacevole come un bacio a fior di labbra e lo portò a colmare la distanza tra loro, le mani rimanevano però ancorate dietro la schiena, gli occhi fissi in quelli di lei. “Ciò che c'è tra voi non mi riguarda e non mi impensierisce. Venhan dovresti concedermi un poco più di credito.” Il volto della ragazza si illuminò sotto il doppio effetto di un un sorriso appena accennato e del chiarore prodotto dai tatuaggi. Solas non trattenne più le mani e due dita curiose presero a tracciare le linee lucenti.
“I Vallaslin?” la voce dell'elfa era incerta, e lui rispose alla domanda con un semplice gesto della testa.
“Credo di aver capito cosa li fa risplendere, anche se non posso sapere il perché.” Esitò un momento e sfuggì il suo sguardo. Quando lo rialzò su di lui gli occhi erano ardenti e i tatuaggi brillavano con forza.
“Si illuminano quando mi sei vicino, quando ti vorrei più vicino. Quando vorrei...” esitò solo per un attimo, un attimo in cui Solas sentì le gambe farsi molli, poi concluse decisa: “te.”
Solas sentiva tutta la propria cautela abbandonarlo, sentiva i buoni propositi sfuggirgli tra le mani. Le dita accarezzavano la pelle morbida del volto della ragazza, ne inspirava il profumo e i begli occhi accesi avallavano la confessione appena fatta. Lei lo desiderava. Più il suo volto si faceva bello, rischiarato da quello strano incantamento, più lei lo desiderava. Come poteva resistere ad una rivelazione tanto semplice e travolgente? 
Il rumore prodotto dal custode di ritorno dal bosco, lo strappò a quella malia. Riportò svelto le mani dietro alla schiena, strinse forte fino a farsi male, fino ad allontanare da sé pensieri insidiosi. Poi sorrise alla ragazza. I tatuaggi erano tornati quasi completamente inerti, ma gli occhi apparivano ancora febbricitanti. “E' ora di andare a dormire, Venhan. Ci attendono delle giornate difficili.”


 


Ecco qui un nuovo capitolo a distanza, questa volta, esattamente di un mese. Questo capitolo e il prossimo sono completamente fuori canon. Nel senso che riguardano strettamente il mio inquisitore e il suo clan. Mi sono ispirata solo parzialmente alle missioni del tavolo della guerra, quelle secondo le quali il clan potrebbe essere salvato o distrutto completamente. Spero che non risulti noioso o troppo fuori contesto. Dopo il prossimo capitolo torneremo in carreggiata dritti dritti verso la conclusione. Non faccio promesse ma il prossimo capitolo potrebbe arrivare un po' prima rispetto a quanto accade ultimamente.
Grazie a chi segue, silenziosamente o meno. Questa storia ha raggiunto un numero di preferiti/seguiti che non mi sarei mai aspettata e che non sono certa di meritare. In ogni caso grazie, grazie.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Cuccioli che crescono ***


XLI

Appena il fuoco fu spento e i resti dispersi, Tallis e i suoi uomini sbucarono di nuovo dal bosco. L'elfo sembrava rilassato e riposato e Lena fu irritata al pensiero di come il suo viso dovesse invece apparire disfatto, in seguito all'ennesima notte di sonno agitato. Doveva ammettere di aver dormito un poco, quella notte, ma aveva fatto sogni turbolenti che non le avevano concesso riposo.
Aveva finalmente avuto il coraggio di fronteggiare sia Blackwall che Solas, lo aveva fatto nella stessa notte, la notte peggiore che avrebbe potuto scegliere e il risultato l'aveva lasciata interdetta. Blackwall sebbene fosse inizialmente infuriato, aveva poi iniziato a ragionare con equilibrio e lucidità. Le aveva detto chiaramente di aver riconosciuto, grazie a Tallis, di non essere capace di far fronte alla situazione. Non era capace di tenere a freno il sentimento di rancore e di rabbia al pensiero che lei non fosse solo sua. Lena non aveva potuto ribattere, sebbene fosse sconcertata dall'idea che quell'uomo potesse pensare alla donna che amava, davvero come a una proprietà. Eppure lui aveva giurato di amarla, aveva giurato che avrebbe continuato a farlo e sapeva che anche lei provava qualcosa per lui. Le sarebbe rimasto accanto, qualcosa poteva cambiare, la mente di lui o il cuore di lei. Lena non poteva che essere d'accordo con la decisione del custode, sapeva che lui non avrebbe potuto combattere la sua natura, come lei non era affatto intenzionata a combattere la propria, dubitava però che le cose potessero davvero cambiare.
Solas invece aveva reagito esattamente come lei aveva immaginato e sperato. Era stata lei a non reagire come previsto. Come le era saltato in mente di dire quelle cose all'elfo? Non era neanche certa che fosse la verità, lui ovviamente si era spaventato e non era quello il momento di mettere in difficoltà i suoi compagni, aveva bisogno di loro. Prima che il sole fosse calato su quel giorno, avrebbe dovuto tenere testa al suo passato e dimostrare, prima che a chiunque altro a se stessa, di essersi lasciata tutto alle spalle, di essere finalmente diventata grande, di essere davvero forte.
Si misero in cammino, Lena e i suoi compagni condussero i cavalli per le redini, felici di poter camminare per un poco anziché issarsi nuovamente su una sella ormai mortalmente scomoda.
“Fen'len hai davvero una brutta cera, non hai chiuso occhio questa notte?” Il primo commento impertinente di Tallis risuonò tra la compagnia silenziosa, come un buongiorno.
“Dormirò quando tornerò a Skyhold.” Rispose asciutta, non resistendo all'impulso di ferire. Voleva che fosse chiaro che quella non era casa sua, che casa sua l'aspettava molto lontana da lì. Non stava tornando, era una straniera in visita.
“Se hai bisogno di aiuto per rilassarti, sai di poter fare affidamento su di me.”
Una raffica di occhiatacce si fissò all'istante sull'elfo che scoppiò a ridere e Lena ne fu stranamente contagiata. La tensione era tangibile e come sempre Tallis era capace di irrompere in quelle situazioni e di creare scompiglio, finché l'attenzione non andava a cadere su di lui e nel bene o nel male, il problema veniva accantonato. Poteva forse nascondersi della gentilezza in quel modo di fare fastidioso?
Camminarono a lungo, chiacchierarono poco e quando furono affamati, i cacciatori riuscirono con dei colpi precisi a tirare giù dagli alberi dei frutti all'apparenza legnosi ma con piccoli semi nascosti all'interno, i quali si rivelarono molto nutrienti oltre che particolarmente buoni. Lena richiamò alla mente le lunghe giornate d'estate in cui aveva condiviso quegli stessi frutti con il giovane elfo che le era accanto e che ora reclamava, con un semplice gesto, quella stessa familiarità che non aveva in passato esitato a tradire.
Lena afferrò dalle mani di Tallis il grosso frutto legnoso e si voltò per condividerlo con Dorian.
“Orecchie a punta, come mai tu non hai uno di quegli archi? Sembrano piuttosto utili e ho sentito dire che sono l'arma preferita dalla tua razza. Persino Sera ne ha uno.”
Lena gli lanciò un'occhiata divertita, ma si irrigidì quando fu Tallis a rispondere rapido alla domanda: “Quante volte hai sentito lo stesso rimprovero Fen'len? Hai mai pensato che anche uno shem potesse ripeterti le stesse parole?”
Ignorando il suo commento Lena si rivolse a Dorian: “Mi ci vedi a rimanere ferma ad aspettare che la preda entri nel mio raggio d'azione? Morirei di noia o mi addormenterei prima di scoccare il colpo. Io sono per l'azione, lascio le retrovie a chi è più prudente e avveduto di me.” Chiese mentalmente scusa a Varric e scoccò un'occhiata di sfida a Tallis, sapeva che avrebbe compreso, sapeva che avrebbe interpretato nel modo giusto quell'insulto velato. Lui era stato prudente, assennato, conforme e codardo.
Prima della fuga era riuscita almeno a parlare con lui, se non con Menia e gli aveva proclamato il proprio disprezzo. Tallis aveva difeso la scelta che lui e Menia avevano fatto, usando assennatezza e prudenza come giustificazioni, giurando che era stato anche per lei che avevano accettato la proposta della Guardiana. Lena gli aveva risposto che con la sua prudenza non avrebbe saputo che farsene ma Tallis era stato inamovibile quella volta.
La Guardiana aveva offerto a Tallis di entrare a far parte del consiglio come guida dei cacciatori e aveva proposto a Menia di divenire Prima del clan, a patto che questa avesse onorato le tradizioni. Era stata una mossa perfetta per la Guardiana, ma almeno di questo Lena non riusciva a ritenerla responsabile. Erano i suoi amici ad averla tradita in quel caso.
Erano in pochi a sposarsi ormai nel clan Lavellan ma il Primo del clan doveva farlo, il futuro del clan era nelle sue mani e per tradizione doveva avere un compagno o una compagna che tutto il clan potesse riconoscere e che fosse in grado di assicurare una discendenza. I suoi amici non avevano vacillato neanche per un attimo, avevano accettato le posizioni offerte, una nuova casa e la nuova condizione. Avevano accettato di sposarsi e di divenire il nuovo faro del clan, l'ombra che la loro amicizia con la Figlia del Lupo gettava sulle loro vite non poteva avere spazio.
Lena non aveva mai preteso che Menia rinunciasse a quel ruolo che tanto aveva desiderato, ma sapeva bene che avrebbe potuto opporsi alla Guardiana, avrebbe potuto superare la tradizione. Come Prima sarebbe stato un suo inalienabile diritto.
Si sarebbe anche accontentata di essere resa partecipe della decisione o di essere quanto meno informata personalmente dell'accaduto. Invece un pomeriggio come tanti, un paio di ragazze erano entrate all'improvviso nel loro aravel portando via le cose di Menia e Tallis, dando a tutti l'annuncio che con la luna nuova si sarebbero celebrate le nozze e lasciando Lena sola a condividere il grande aravel con persone che non facevano un segreto del disprezzo che provavano per lei.
Se Menia avesse avuto il coraggio di parlarle, Lena avrebbe compreso, avrebbe accettato la decisione senza dire una parola, non era mai riuscita a rifiutare niente alla sua amica, d'altronde. Avrebbe forse lasciato il clan in ogni caso, ma lo avrebbe fatto per lei, non per fuggire da lei.
Voleva abbandonare quella tormenta di pensieri e quindi tornò a puntare gli occhi sul viso scuro del mago.
“In ogni caso non mi sembra di essere il perfetto specchio delle tradizioni dalish, perché ti stupisci?”
“Amica mia, tu sei la cosa più vicina a un dalish che io conosca, perdona la mia curiosità. Non si vedono molti membri dell'antico popolo in giro per le strade di Minrathous.”
Solas a quel punto fece sentire la sua voce per la prima volta da quando Tallis e i suoi si erano uniti al gruppo.
“In realtà ve ne sono ma voi li chiamate schiavi.” L'elfo le lanciò uno sguardo divertito e Lena sorrise ma distolse in fretta lo sguardo. Era troppo presto e non voleva farsi sorprendere in imbarazzo da Tallis, non era pronta a dargli in pasto nient'altro.
“Devo ammettere che hai trovato un bel gruppo.” L'arciere si era avvicinato mentre Dorian e Solas battibeccavano tra loro, aveva abbassato la voce e per una volta non suonò molesto, Lena sorrise e rispose con schiettezza: “Sono il mio clan.”
Dopo ancora qualche ora di cammino, Tallis li fece fermare, non vi erano tracce del campo ma Lena non ne fu stupita.
Ai mercanti con cui a volte il clan commerciava non era permesso avvicinarsi al villaggio e Istimaethoriel avrebbe fatto qualunque cosa per farla sentire un'estranea.
“Dovete accamparvi qui e non potrete allontanarvi troppo. Noi saremo di guardia e potremo provvedere ai vostri pasti. Intanto avviseremo la Guardiana del vostro arrivo. Fen'len, temo valga anche per te.”
Lena annuì indifferente nascondendo il disappunto. Aveva sentito un torrente scorrere nelle vicinanze e avrebbe adorato potersi immergere nelle acque gelide per lavare via la polvere e la stanchezza del lungo viaggio.
“E quanto è grande il nostro recinto, di grazia? Dovrò liberare la mia vescica davanti a voi o credete che possa allontanarmi un pochino? Inoltre sarete voi a fare un po' di legna per il fuoco? Nel caso gradirei anche pasticcini e cioccolata calda.” Varric insofferente alle limitazioni per natura, aveva iniziato con il solito infinito flusso di lamentele.
“Figlio della pietra, i tuoi bisogni non ci interessano. Puoi allontanarti quanto lo desideri, quando ti ritroverai con una freccia nella pancia capirai che ti sei allontanato troppo.”
“Una freccia nella pancia? Mi era sembrato di capire che foste abili arcieri ma se scegliete un bersaglio tanto facile come farò a capire che siete voi e non un bambino che fa pratica? Mi sarei aspettato una minaccia più sofisticata, ma si sa le aspettative non portano altro che delusione.” Fece spallucce e si inoltrò un poco nel bosco tornando poco dopo con una fascina ordinata tra le braccia. Per quanto odiasse la vita all'aria aperta, Varric aveva tutte le doti e le abilità per essere un perfetto uomo dei boschi.
Nel frattempo i dalish si erano dileguati e loro erano rimasti finalmente tranquilli a godere della reciproca compagnia.

Anche la Guardiana fece infine la sua comparsa.
Non era invecchiata di un giorno, Lena avrebbe detto anzi che il tempo avesse avuto un influsso benefico sul suo aspetto. I lunghi capelli castani ben raccolti in una crocchia ordinata, lo sguardo sicuro e fiero di chi non ha nulla da temere, il portamento semplice e composto come si addice ad ogni buon guardiano. Lena poteva sentire il disgusto salirle alla bocca, guardava la perfetta rappresentazione che aveva davanti e la sua attenzione era completamente catturata dal sorriso che deformava innaturalmente il viso della donna.
Andaran atish’an. È bello vedere un halla smarrito far ritorno al proprio branco, da'len.” La Guardiana aveva uno sguardo crudele negli occhi che rendeva le parole gentili incredibilmente inquietanti. Fece scorrere lo sguardo sui suoi compagni e aggiunse con una nota di dispetto: “Devo dire però che non hai certo appreso il riguardo nei confronti del tuo clan, in questi tempi di lontananza. Come hai potuto portare tra noi un mago Tevinter e uno schiavo degli shem'len? Non hai perso il gusto per la villania e le provocazioni, devo dire."
Lena deglutì a fatica gli innumerevoli insulti che la donna aveva saputo rivolgerle con poche frasi.
"Ho portato con me i miei uomini migliori, non intendo in nessun modo mancare di riguardo a voi o al vostro clan, così come sono certa voi non avrete intenzione di mancare di rispetto nei loro confronti e nei confronti dell'Inquisizione."
"Capirai però, da'len, che non mi è permesso accoglierti come vorrei, non posso spaventare i tuoi fratelli imponendo loro una presenza poco gradita"
Lena sentiva nelle note melliflue della voce della Guardiana, qualcosa che la fece pensare a Vivienne. Aveva imparato come rimettere al proprio posto persone di quella risma.
"Se la presenza dell'Inquisizione è sgradita allora dovrò a malincuore tornare indietro e portare via le truppe superstiti, non voglio che il clan si spaventi troppo." Il volto della Guardiana fiammeggiò di rabbia e Lena riconobbe finalmente quello sguardo come familiare.
"Bene da'len, troveremo senza dubbio un accordo, non vorresti seguirmi all'accampamento intanto? Lascia che i tuoi uomini si mettano a loro agio e vieni ad incontrare i tuoi fratelli."
Un brivido la percorse all'improvviso ma prima che potesse dire una sola parola, la voce di Blackwall giunse imponente e secca: "Siamo qui per difendere l'Inquisitore, non andrà da nessuna parte senza di noi. Se non possiamo entrare nel villaggio, allora dovremo incontrarci qui.”
La Guardiana era evidentemente indispettita ma sistemò sul viso la sua espressione leziosa e suadente dicendo: "Siamo la sua gente, la sua famiglia, nessuno di noi potrebbe mai farle del male." Poi con un brusco cambio di tono che fece tornare Lena ai peggiori giorni della sua adolescenza aggiunse: "cosa hai raccontato su di noi, fen'len? Non hai perso l'abitudine di raccontare bugie, a quanto pare."
"Inquisitore." Era di Dorian questa volta la voce, e la guardiana apparve per un momento decisamente spaventata. "Vi rivolgerete a lei chiamandola con il titolo che le è proprio oppure temo che non ci saranno incontri di alcun tipo."
La voce della Guardiana si fece sottile come un sibilo: “Hai ancora bisogno di qualcuno che ti difenda da me? Puoi avere tutti i titoli altisonanti che vuoi, ma per me rimarrai la Figlia del Lupo finché non dimostrerai il contrario. Vediamoci qui, lontani dal Clan, è perfetto per me, io non ho paura di te, non hai alcun potere.”
Lena sostenne lo sguardo velenoso della donna senza aprire bocca, finché questa si voltò e se ne andò. Era fin troppo chiaro ciò che era accaduto, la Guardiana aveva vinto la prima battaglia.
Fu la mano tozza di Varric a posarsi sulla sua spalla e fu il suo sorriso che Lena incontrò appena fu in grado di sollevare lo sguardo da terra, un sorriso le affiorò di rimando, timido sulle labbra.
“Mi ha incastrata” disse Lena, “quella strega mi ha messa nella posizione di fare esattamente ciò che vuole. Posso decidere di rimanere qui e lasciarle raccontare al clan, ai clan, ciò che le tornerà più utile, oppure di affrontarli da sola. Suppongo che abbia in serbo un piano perfetto in entrambi i casi. Posso solo scegliere come andare incontro alla disfatta.”
“Ragazzina una scelta ce l'hai. Vuoi essere tu a fare la differenza o vuoi che sia lei a condurre il gioco? Non sei più una bambina. Prendi in mano la situazione, oppure ci avrai trascinati qui a fare da bambinai. Speravo di accompagnare un'amica a liberarsi dei fantasmi del proprio passato, non di portare una bambina viziata a reclamare delle scuse.”
Lena sentì quelle parole bruciarle dentro, fissò lo sguardo in quello del nano, fece un gesto di assenso e si allontanò senza voltarsi. Avrebbe preso in mano la situazione.
Non dovette fare troppa strada prima di imbattersi in uno degli uomini di Tallis. L'elfo portava il nome di Ilen, Lena lo ricordava come un ragazzino massiccio e scaltro, lo ricordava più bravo nel tirare pugni che frecce e la sua abilità con le lame era pressoché ridicola. Si trovò a pensare, trovandosi davanti quel giovane elfo più grosso della maggioranza dei suoi simili, che sarebbe probabilmente stato un buon templare se ne avesse avuto la possibilità.
“Fen'len, non puoi avvicinarti al campo armata, dovrai consegnare a me le tue zanne.”
Lena lo squadrò divertita, ricordava di averlo visto spesso piangere accorato, almeno una volta ricordò di essere stata responsabile per quelle lacrime. Fece scivolare rapidamente i pugnali fuori del fodero e li puntò contro l'elfo che sgranò gli occhi spaventato, poi, dopo un lungo istante che Lena assaporò con gusto, porse le impugnature alla presa incerta del cacciatore. Ilen si assicurò i pugnali alla cintura e senza rivolgerle più uno sguardo le fece strada verso il campo.
Ad ogni passo la ragazza sentiva il cuore battere violentemente in petto, aveva ceduto le lame per il puro piacere di dimostrare di non aver paura di nulla, ed ora il suo stupido orgoglio le si ritorceva contro, come al solito.
Tornare in quel posto l'aveva fatta regredire ai tempi precedenti ad Haven. L'Inquisitore che era diventata non avrebbe mai ceduto così scioccamente ad un impulso tanto infantile. Sapeva di non dover temere un assalto fisico, i suoi pugnali non le sarebbero stati d'aiuto in nessun caso, ma farsi strada verso il clan senza difese la faceva sentire nuda.
Raggiunsero infine il campo. Lena non riconosceva esattamente il posto, non si erano mai fermati in quel luogo quando lei era ancora con il clan, ma tutto il resto era più che familiare, sembrava un frammento di memoria cristallizzato nella roccia. La disposizione degli aravel, le cucine allestite al centro del campo e approntate con ingegnose strutture di legno, le persone, i colori, gli odori, tutto era esattamente uguale a ciò che ricordava.
Quando si fece avanti guidata da Ilen, gli occhi di quanti erano presenti si puntarono su di lei e le bocche si chiusero.
“Aspetta qui”, disse la sua guida in un sussurro e si allontanò verso l'aravel della Guardiana. Dopo pochi minuti fu Menia ad uscirne.
Le gambe di Lena si fecero molli e il respiro le rimase bloccato in gola tanto a lungo da farle credere che sarebbe soffocata lì, in quel momento.
La Guardiana la seguiva dappresso, la superò e venne a piazzarsi davanti a lei lasciando Menia letteralmente nella sua ombra. La donna disse qualcosa che Lena non riuscì ad afferrare, cercava lo sguardo di Menia, ma questo la fuggiva insistentemente.
La ragazza teneva gli occhi a terra o fissi sulla nuca della Guardiana, non la guardò neanche una volta.
“Fen'Len, parlo con te. Vuoi degnarmi della tua attenzione?”
Ora che solo il clan era testimone dei loro scambi, i modi della Guardiana erano tornati rudi e sgarbati come li conosceva, Lena riportò il proprio sguardo sulla figura indispettita della donna che riprese a parlare.
“Stavo dicendo. Sono lieta di vedere che hai accettato il nostro invito. Questa sera si terrà il consiglio degli anziani e vi sarai ammessa in via straordinaria. Nel frattempo sei libera di rimanere nel campo, fintanto che le tue armi saranno sotto custodia. Sentiti libera di fare un bagno.” Lo sguardo della Guardiana fugò ogni dubbio, non c'era cortesia ma offesa nel suo ultimo invito.
“I miei uomini sono rimasti nel bosco e credo gradirebbero anche loro potersi rinfrescare e rilassare. Dai ordine ai tuoi di lasciarli raggiungere il torrente, sono uomini di parola, non entreranno nel campo se non gli è permesso.”
La Guardiana mostrò tutto il proprio disprezzo con le parole e lo sguardo che le rivolse: “Figlia del Lupo, sei stata abituata a dare ordini a quanto sento, ma noi non abbiamo mai obbedito ai signori degli shem'len, non vedo perché dovremmo iniziare con te.”
Ma dopo appena un istante aggiunse: “I tuoi uomini sono liberi di andare dove vogliono purché non ci infastidiscano e non si intromettano nelle nostre faccende. Farò avere loro questo messaggio. Ora se vuoi scusarmi, ho urgenti faccende da sbrigare.”
Si voltò per allontanarsi e la Prima fece la stessa cosa, Lena non resistette all'impulso di chiamarla: “Menia”, disse semplicemente e la voce le uscì come una preghiera.
La ragazza si immobilizzò ma a voltarsi fu la Guardiana che rispose secca: “Il consiglio si terrà al calar del sole, allora potrai porci tutte le domande che vorrai. Fino ad allora non voglio che ci importuni con la tua presenza. Hai reso ben chiaro a tutti di non essere più parte di questo clan, attieniti a questa tua decisione.”
Menia continuò a non concederle un solo sguardo, limitandosi a seguire in silenzio la Guardiana che si allontanava verso il proprio aravel.
Il campo era avvolto in un lugubre silenzio e Lena non poté fare altro se non allontanarsi e scendere verso il torrente, seguendo per una volta di buon grado il consiglio della Guardiana. Un bagno avrebbe schiarito le idee e rinfrancato il corpo.
Il rumore della corrente fu la sua guida e arrivata sulle sponde si sedette a guardare lo scorrere dell'acqua. La sua testa si era improvvisamente svuotata, non pensava nulla, non sentiva nulla. “Se questa è la tua idea di bagno, lo credo bene che tu abbia questo aspetto sciatto.”
“Ti assicuro Tallis, che non è un buon momento.”
“Neanche se ti dicessi che ti ho riportato le tue zanne?”
“Non ho intenzione di contravvenire alle regole imposte dalla Guardiana, non le darò modo di rendere questo assurdo viaggio completamente inutile.”
Tallis le si sedette accanto e prese a lanciare distrattamente sassi nella corrente. Dopo un poco chiese con un tono che Lena non seppe decifrare: “Cosa speri di ottenere da questa visita?”
Le parole dell'elfo erano stranamente serie e forse un poco tristi, Lena stentava a riconoscerlo dietro quell'espressione tanto nuova per lei, ma decise di parlare francamente: “Vorrei solo portare avanti il mio compito senza ulteriori problemi; vorrei che i miei uomini non morissero a causa mia; vorrei potermi guardare indietro senza rancore; vorrei che voi per me non diveniste un ennesimo rimpianto. Il pericolo che correte è reale, lo credo, in molti vorrebbero farmi del male e non si lasceranno certo fermare dalla vostra estraneità agli eventi, ma mi rifiuto di vedere la mia gente morire per voi mentre la Guardiana fa di tutto per insozzare il nome dell'Inquisizione. Non ci tengo a veder crescere la lista dei miei nemici ma, se devo annoverarvi tra questi, non sacrificherò in vostra difesa altre vite leali ed innocenti. Dovete scegliere da che parte stare.”
Tallis a quelle parole era divenuto ancora più cupo. “Non c'è neanche una piccola parte di te che è tornata per restare? Per Menia. Per me.”
Lena era incredula, guardò l'elfo che intanto le aveva afferrato la mano marchiata e la osservava curioso.
“Ti fa male?” Aggiunse poco dopo, come avendo rinunciato ad una risposta alla domanda precedente.
“Non più.” Lena non sapeva cosa aspettarsi da quella conversazione, si lasciò andare alla deriva tra le parole di Tallis, sperando di trovare in qualche modo il filo dei pensieri dell'elfo e in parte cullandosi in quel senso di familiarità sorprendentemente piacevole.
“Questa cosa così piccola ha cambiato la tua vita, posso credere che sia un po' merito mio?”
A quelle parole la ragazza strattonò la mano togliendola alle cure dell'amico. Lo sguardo che le rivolse sembrava provenire da profondità immense e buie.
“Come vanno le cose qui? Come state?” Lena voleva assolutamente allontanare da sé quello sguardo.
Tallis parlò per un po' ricominciando a lanciare sassi nel torrente, raccontò di come le cose fossero proseguite serenamente dopo la sua partenza e di come, fatta eccezione per le recenti minacce, il clan avesse vissuto un periodo di relativa pace e prosperità. Lena sentiva un fastidio indecifrato crescerle dentro, ma qualcosa nella voce di Tallis la mantenne calma. L'espressione di lui continuava ad avere una sfumatura stranamente avvilita.
“Ma allora qual è il problema?” Un sorriso amaro gli sorse alle labbra e Lena comprese, stupefatta. “Sei ancora innamorato di me?” Si accorse un attimo troppo tardi che avrebbe forse dovuto evitare una simile domanda, infatti l'aria irriverente tornò sul viso di Tallis, segno che le sue difese erano tornate alte a separarli.
“Questo ti stupisce Fen'Len? Non siamo tutti bravi come te a voltare le spalle alle persone che hanno significato così tanto nella nostra vita. Ma non preoccuparti posso imparare.”
“Parli di voltare le spalle? Non osare affibbiarmi colpe che non ho. Tu e Menia vi siete sbarazzati di me. Sarei dovuta rimanere obbediente in un angolo a giocare ancora la parte dello scemo del villaggio, mentre voi guadagnavate la stima del clan ripudiando ciò che sono stata per voi? Rinnegando tutto ciò in cui avevamo giurato di credere?”
“Sciocca, cosa credi che avremmo fatto con quel potere e con quella stima? Sei tu ad averci traditi, sei tu a non aver avuto fiducia in noi!”
I toni si erano alzati e Lena fece lo stesso, non intendeva rimanere seduta accanto quell'elfo mentre riversava su di lei accuse orribili. “Non ti permetto di accusarmi, io avevo solo voi nel clan e voi lo avete sempre saputo.”
“Non sono che le recriminazioni di una bambina queste. Sei grande ormai, non puoi continuare a nasconderti. Tu sei andata avanti, sei a capo dell'esercito più temuto dell'intero Thedas, hai una nuova famiglia e nuovi amori. Noi siamo qui, io sono qui, ancora ancorato al tuo ricordo. Questi sono i fatti e parlano chiaro riguardo chi abbia tradito chi.”
Lena si allontanò veloce senza aggiungere una sola parola. Quelle parole erano menzogne, menzogne raccontate ad arte per renderla vulnerabile, per impietosirla, per renderle più difficile l'incontro che l'attendeva. Oppure no? Era vero? Era stata una bambina gelosa del successo dei suoi amici? Aveva tradito coloro che aveva giurato di amare? Menia era davvero arrabbiata con lei e per questo non le aveva rivolto uno sguardo durante quel loro primo incontro?
Aveva camminato in fretta fino a raggiungere un'ansa del fiume, si concesse finalmente un veloce bagno nell'acqua gelida. Il freddo aveva davvero rinfrancato il corpo, ma i pensieri continuavano a correre impazziti, le toglievano il fiato. Nonostante fosse ormai completamente rivestita e calda, il tremore non l'abbandonava. Il sole iniziava a calare e di lì a breve il consiglio sarebbe iniziato. Non sarebbe riuscita ad andare da sola. Corse verso l'accampamento dei suoi compagni. Avrebbe portato con sé l'unico che il suo clan non avrebbe potuto rifiutare.


 

XLII

Il tramonto era vicino e i quattro compagni cercavano di ingannare l'attesa ognuno a modo suo. Solas stringeva tra le mani la scatola con i piccoli pezzi di carbone e si preparava a disegnare quando la ragazza si presentò tra loro. Era l'ombra di se stessa, un'espressione terrorizzata le deformava il volto che il colore aveva abbandonato completamente.
Solas era certo che sarebbe svenuta da un momento all'altro, invece la sua voce uscì piuttosto sicura quando gli chiese di accompagnarla. Non rispose neanche, si alzò semplicemente in piedi e si preparò a seguirla. Entrambi ignorarono gli sguardi dei compagni allontanandosi.
Un dalish sbarrò loro la strada proprio alle porte dell'accampamento, ma la ragazza fece la voce grossa e quello si fece da parte. Un furore selvaggio sembrava essersi impadronito di lei, ricordava l'elfa spaventata e feroce che era arrivata ad Haven tanto tempo prima. Era bastata meno di una giornata per riportarla ad essere ciò che aveva impiegato più di un anno a scrollarsi di dosso.
C'era un crocchio piuttosto numeroso attorno al fuoco e tutti ammutolirono alla loro comparsa. Cinque persone erano sedute a terra attorno al bivacco, tra questi Solas riconobbe la Guardiana che a vederli si alzò in piedi irata. “Come sempre porti la vergogna in questo clan, Figlia del Lupo!” Quel nomignolo bruciava nelle orecchie di Solas come veleno.
“Solas è uno dei miei uomini, ma è anche uno del popolo, merita di essere qui come tutti i presenti. Assisterà al consiglio come tutti gli altri, non parlerà, non creerà problemi. E' un suo diritto. E mio diritto è avere un amico accanto.”
Il viso della ragazza era illuminato dal fuoco e dalla furia, la Guardiana rispose tornando a sedere docilmente, dando così il proprio benestare. Lena lo guardò negli occhi e poi si sedette a sua volta, lui cercò di rimanerle il più vicino possibile, voleva che lei potesse sentire la sua presenza, il suo calore. Non aveva idea di cosa l'avesse scossa a tal punto, ma era deciso a rimanerle accanto e ad esserle di supporto in qualunque modo.
La Guardiana iniziò a parlare e Solas si prese il tempo per studiare i membri di quel consiglio. Seduti attorno al fuoco vi erano cinque dalish oltre all'Inquisitore, cinque fantocci, pensò Solas. Vi era la Guardiana e l'irritante cacciatore che li aveva accolti e guidati fin lì, due anziani dalle facce piuttosto scontrose e una ragazza, che Solas immaginò essere la Prima della guardiana, l'amante della giovane elfa seduta ai suoi piedi. Era forse a causa della ragazza che l'Inquisitore era tornata al campo contro ogni previsione e aveva chiesto il suo aiuto? La studiò per un attimo. Doveva ammettere che fosse molto bella, capelli corvini, grandi occhi scuri e una bella bocca rossa e carnosa. La sua era una bellezza sfrontata, molto più palese di quella dell'Inquisitore ma non vi era traccia di vita negli occhi di lei. Non era niente più di una bellissima bambola, per lui. Eppure la sua giovane amica ne era stata innamorata, doveva nascondere qualcosa che lui non poteva cogliere. La ragazza rimase in silenzio molto a lungo, lo sguardo quasi sempre rivolto verso il fuoco, lo alzò per qualche istante su di lui, sembrò leggergli dentro, ma fu solo un attimo e Solas rimase con una fastidiosa e indecifrata sensazione, niente di più.
Poi l'Inquisitore parlò e tutti gli occhi si fissarono su di lei. Lui la vide risplendere negli occhi di tutti.
“Ho compreso che non vi sono superstiti tra gli esploratori che ho inviato e anche qualora vi fossero, sono dispersi. La situazione è delicata e non voglio che vi venga fatto del male in nome mio. Le mie truppe sono pronte a difendervi e a scortarvi in un posto più sicuro. Ma non posso chiedere ai miei uomini di morire per qualcuno che potrebbe rivelarsi nemico dell'Inquisizione. Non vorrei considerarvi miei nemici. Voi ci considerate tali?”
Fu Menia a rispondere alle parole dell'Inquisitore e Solas vide la sua giovane amica reagire con un fremito a quella voce delicata.
“Non abbiamo mai potuto fidarci delle forze degli shem'len. Sappiamo di dover diffidare delle loro parole, sappiamo che laddove parlano di lealtà nascondo tradimento. Come possiamo fidarci di questa Inquisizione?”
“Non basta che io sia qui?” Non era più l'Inquisitore a parlare, Solas ne riconobbe le inflessioni più dolci che lui aveva conosciuto solo in momenti di preziosissima intimità.
Lo sguardo scuro della Prima si fece tagliente. “La parola della Figlia del Lupo, non ha valore per noi più di quella di uno shem'len.”
Solas non riusciva a vedere l'Inquisitore in volto ma poteva indovinarne l'espressione e i pensieri. Immaginò il dolore profondo che quelle parole potevano aver suscitato. Ricordava dalle parole della sua amica come Menia fosse stata l'unica a non aver mai usato per lei quel nomignolo offensivo, questo cambiamento l'avrebbe ferita più di qualunque altra cosa. Avrebbe dato tutto per poter rivelare a quei bruti che il Lupo era tra loro e che avevano sbagliato a importunare quella giovane, tanto più che la ritenevano una sua protetta. Avrebbe spazzato via quel branco di ignoranti una volta per tutte. Invece fece tacere quei propositi incendiari e si fece più vicino alla bella amica, tanto che lei poté appoggiare la schiena tremante contro le sue gambe.
“Bene, la mia parola non conta, ma i miei soldati vi sono preziosi. Dovete solo scegliere se essere amici dell'Inquisizione o essere nostri nemici. Nel primo caso, devono cessare le comunicazioni diffamanti verso gli altri clan. Nel secondo caso, la vostra sopravvivenza non sarà più una nostra responsabilità.”
“Queste sono le parole della Figlia del Lupo, un vile ricatto nei confronti della sua gente, la gente che l'ha allevata e amata.” Era stata la Guardiana a parlare ma la Prima rincarò subito la dose.
“La Figlia del Lupo è una bambina capricciosa, non accetta che il suo clan possa essere libero e orgoglioso, non accetta che il clan rifiuti di dipendere da lei. Non è protezione che cerchiamo, ma dignità. Invece di riconoscere che stiamo combattendo i tuoi nemici a causa tua, vieni qui e ci minacci, ci ricatti, ci vorresti tuoi schiavi.”
La ragazza aveva alzato la voce e il suo volto si era infiammato, gli occhi improvvisamente vivaci e mobili erano fissi in quelli dell'Inquisitore che a quelle parole scattò in piedi, costringendolo a fare qualche passo indietro. Solas vide chiaramente il cacciatore di nome Tallis abbassare la testa e chiudere gli occhi, nel gesto di chi si prepara a ricevere un colpo.
“Bene, avete fatto di tutto perché a presentarsi davanti a voi non fosse altro che la Figlia del Lupo. Ebbene eccola, sono io. Da oggi vestirò il marchio che voi mi avete affibbiato, come un vessillo e che sia di monito ai miei nemici! Nessuno calpesterà mai più la Figlia del Lupo. Del Temibile Lupo porterò su di voi la giustizia. Ho un compito da portare a termine e non vi permetterò di interferire, non lascerò uno solo dei miei uomini morire per causa vostra. Giuro qui, oggi, davanti a tutti che il mio esercito raderà al suolo questo clan qualora una sola parola di affronto dovesse nuovamente lasciare le vostre labbra. Giuro davanti al clan che la Figlia del Lupo vi farà infine assaggiare il rancore e l'odio con cui è stata allevata, vi giuro che non vedrete una nuova alba semmai oserete sfidarmi ancora. Sapete che il Temibile Lupo mantiene sempre la sua parola ed io sarò la sua degna portavoce. Pregate che io non fiuti mai più le vostre tracce!”
Ad un interminabile istante di silenzio assoluto, seguì lo strepitio confuso di voci sguaiate. Solas e l'Inquisitore si trovarono in un istante circondati da una piccola folla urlante. Il mago iniziò a temere il peggio e si preparò a lanciare un qualche incantesimo che li facesse uscire d'impaccio, ma non fece in tempo a pronunciare una sola parola. Un'onda di energia si liberò dalla mano della ragazza e tutti, lui compreso, furono sbalzati lontani da lei. Dopo un attimo di stordimento la vide farglisi vicina, porgergli la mano e aiutarlo a rialzarsi. Si allontanarono insieme dal campo tra lo sgomento generale. Solas non aveva ancora detto una sola parola, ma quando fece per aprire bocca le parole gli morirono in gola. Il viso della ragazza, illuminato dalla luce spettrale della luna, era rigato da lacrime copiose e un'espressione disperata aveva preso il posto del furore. Non disse nulla allora, la fermò e la abbracciò con fermezza. Lei cercò prima di liberarsi dimenandosi con forza, poi si lasciò andare a singhiozzi angoscianti. Non l'aveva mai vista così e non sapeva cosa fare. Rimase immobile finché lei non sembrò essersi tranquillizzata. Sentì la casacca inzuppata di lacrime farsi fredda non appena la giovane sollevò la testa.
Nessuno dei due disse una sola parola e ripresero a camminare. Erano nei pressi dell'accampamento quando una voce si alzò dal fitto della foresta. Una voce delicata ma decisa.
“Lena?” Era strano per Solas sentire pronunciare quel nome, tra i ranghi dell'Inquisizione solo Cassandra la chiamava così e non molto frequentemente, fu quindi stranamente emozionante sentirlo pronunciare ad alta voce e con un tono tale che Solas non si sarebbe permesso neanche nelle più dolci fantasie.
La ragazza si immobilizzò. Nel chiarore appena accennato il suo viso era di nuovo diventato di fuoco. La figura che si fece avanti corrispondeva a quella della Prima. I suoi movimenti, e Solas non poté non notarlo, erano molto più eleganti di quelli dell'Inquisitore, il passo sinuoso di una pantera ma senza un accenno di minaccia. Quella ragazza era semplicemente e naturalmente sensuale, Solas ne rimase ipnotizzato.
“Lena.” Di nuovo quel nome. La ragazza avvicinandosi porse all'Inquisitore due pugnali, osservandoli attentamente Solas li riconobbe, appartenevano alla sua amica che li afferrò e li rinfoderò con i soliti movimenti veloci.
C'era una differenza innegabile tra le due ragazze. La maga era sensuale, bellissima ed elegante, l'altra a confronto, appariva acerba, ancora non propriamente donna. Una pantera dal manto perfetto e un cucciolo dal pelo arruffato. Poi la sua giovane amica ebbe un sussulto e con uno scatto afferrò la maga decisa ad allontanarsi senza aggiungere una parola. Lo sguardo sul  viso dell'Inquisitore dava compiutezza al resto e a quel punto la beffa fu completa. Solas vide la bella pantera fronteggiata da un giovane lupo pieno di passione ed orgoglio, un giovane lupo con gli occhi infiammati e il cuore ardente.
Quel giovane lupo alla fine si rivolse a lui: “Vai avanti, Solas, per favore. Ti raggiungerò subito. Non preoccuparti.” Davanti alla sua titubanza la ragazza gli rivolse uno sguardo e dietro il fuoco Solas lesse una preghiera che non ebbe cuore di ignorare.
Si lasciò le due ragazze-belve alle spalle e si trovò da solo con i suoi pensieri. La giovane dalish che aveva conquistato il suo cuore era davvero la Figlia del Lupo. Riconosceva in lei il suo stesso orgoglio, la sua stessa spietatezza, la sua irrefrenabile passione. Avrebbe infine condiviso anche il suo triste destino? Quei pensieri lo addoloravano, non avrebbe voluto vedere lo sguardo della sua dolce amica mutare, plasmato dal rancore e dal senso di colpa, avrebbe voluto poter allontanare da lei il destino che spetta agli animi passionali, che si gettano senza riserve nei propri progetti, rimanendo svuotati e tristi al volgere della fortuna. Ma quel potere non era nelle sue mani.
Quel mondo corrotto, però, lo era. Quel mondo era chiaramente un errore anche per lei, o forse era lei ad essere splendidamente sbagliata in quel caos. In ogni caso le avrebbe fatto dono di un mondo nuovo, un mondo in cui anche lei avrebbe potuto essere se stessa al massimo delle sue possibilità.



Andaran atish’an: Entrate in questo posto in pace oppure Entrate in pace in questo posto, un posto di pace.


 


Con questo capitolo finisce la digressione sul mio clan Lavellan. Mi piace pensare che il giudizio sull'Inquisitore a questo punto non sia poi così netto. Mi piacerebbe che un po' del grigio della moralità dei personaggi di DA possa pervadere anche la mia Lavellan, e che magari venisse da chiedersi se la ragione sia dalla parte del clan o dell'inquisitore, ma non sono certa di essere riuscita a centrare l'obiettivo.  Se qualcuno avesse voglia di condividere il suo punto di vista in merito ne sarei infinitamente grata. Il capitolo è davvero lungo questa volta quindi do un taglio alle ciance.
Alla prossima.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Vir Abelasan ***


XLIII

Quella notte Lena era caduta in un sonno profondissimo, senza sogni e senza sollievo. Al risveglio ebbe la sensazione che il cuore le si fosse trasformato in una pietra, aveva in petto un peso opprimente che rendeva difficile anche solo respirare. Cercò comunque di allontanare le domande e la pietà offrendo ai compagni il meglio di sé. Solas che aveva assistito al suo scatto di orgoglio, alle sue minacce e che aveva accolto le sue lacrime, rispose alla dimostrazione con un certo scetticismo ma Lena non concesse niente di più, neanche a lui. Era ferma nella convinzione che non avrebbe mai condiviso con nessuno le parole che aveva scambiato la notte precedente con Menia. Quell'addio, per quanto terribile, sarebbe stato l'ultimo ricordo capace di legarla a lei e lo avrebbe custodito in segreto, assieme allo spaventoso dubbio di essere lei la colpevole per tutto, di essere lei ad aver tradito e dimenticato. Ma anche fosse stata un'amica e un'amante terribile, ora era altro e non poteva lasciare che autocommiserazione e senso di colpa fossero causa di altri crimini. L'Inquisizione non era un mezzo di espiazione ma un bene da proteggere e Lena lo avrebbe fatto a discapito di tutto.
Il viaggio di ritorno, seppure più breve, fu ancor più serrato per volontà stessa dell'Inquisitore. Aveva l'impressione che la terra bruciasse sotto i suoi piedi e sperava che, quanta più distanza fosse riuscita a mettere tra sé e il suo clan, tanto più la costante sensazione di insofferenza e inadeguatezza avrebbe lasciato il posto ad un poco di serenità. Sperava inoltre che, una volta raggiunte le Selve Arboree e guadagnato il centro della battaglia, la lotta e la presenza del nemico avrebbero aiutato a ridimensionare il resto.
Ne ebbe conferma quando lungo la strada s'imbatterono in uno squarcio rigurgitante demoni e sentì il cuore battere di nuovo, vivo, non più una pietra fredda e inerte. Il sangue aveva ricominciato a pulsarle nelle vene e si era gettata contro i demoni con una furia disperata che le valse il rimprovero dei compagni a battaglia finita. L'avevano accusata di incoscienza, di aver rischiato più del necessario per uno scontro che invece sarebbe ormai dovuto essere semplice routine. Quello scontro era però stato per Lena l'occasione per rientrare in contatto con se stessa.
Aveva vestito molti nomi nella sua vita, era stata Lena per pochissimo tempo e per ancor meno persone, era divenuta l'Araldo e l'Inquisitore per una moltitudine indefinita, così numerosa da non riuscire a tenerne il conto, aveva indossato felice nomignoli che sapevano di vicinanza e calore ed infine aveva preso su di sé l'unico nome da cui per tutta la vita aveva cercato di fuggire.
Si era arresa proclamandosi da sola Figlia del Lupo. Le avevano dato quel nome come un insulto, come uno maledizione e lei lo aveva usato come un vessillo dietro cui nascondere la crudeltà delle proprie azioni. Avrebbe potuto usarlo ancora in futuro per mantenere invece linda l'immagine dell'Inquisitore. L'Inquisitore era un simbolo di speranza, da difendere e da far brillare. E perché no, era un abito confortevole da vestire. Lei era la Figlia del Lupo, ma vestire i panni dell'Inquisitore la faceva sentire meno disgustata di sé, avrebbe quindi lottato per difendere l'Inquisizione e tutto ciò che rappresentava.
Durante il viaggio il sonno le sfuggì di nuovo e all'alba di quello che speravano sarebbe stato l'ultimo giorno di cammino, Varric la sorprese sveglia a fissare il fuoco. Il nano iniziò in silenzio a preparare una scarna colazione, le razioni di carne secca e gallette erano ormai quasi del tutto esaurite, quindi scaldò sul fuoco un'orribile brodaglia di radici e coniglio avanzata dalla sera precedente, quando fu calda ne offrì una tazza a Lena che rifiutò storcendo il naso.
“Ragazzina il tuo sguardo è spaventoso. E' più feroce di quello che ti ho visto la prima volta che ci siamo incontrati e considera che allora credevo che tu fossi una specie di spirito-bestia pronta a sbranarci. Che succede?” La voce di Varric sembrava provenire da distanze infinite e Lena non riusciva ad immaginare una risposta. Varric la guardò assottigliando lo sguardo, cosa vedeva? Chi vedeva? Lena si accorse di non temere niente quando erano quegli occhi a studiarla, non avrebbe trovato nessun tipo di giudizio in quello sguardo, e questo le dette un poco di respiro.
“Varric, perché non mi chiami mai per nome? Non lo hai mai fatto.”
Il nano sorrise. “Voi eroi avete sempre richieste assurde. Se ti avessi sempre chiamato per nome, stai sicura che mi avresti chiesto un soprannome. Hawke lo ha fatto.”
L'espressione di Lena doveva aver raccontato qualcosa all'amico che riprese a parlare come giustificandosi: “I nomi portano con loro delle storie nascoste, storie potenti senza dubbio, ma troppo spesso immutabili. Molti hanno bisogno di nomi nuovi per immaginare di poter vivere storie diverse, quando ti ho conosciuto ho avuto l'impressione che tu avessi questo bisogno, ma se vuoi inizierò a chiamarti con il tuo nome.”
“No, non importa, era solo una curiosità. Ho pensato molto al mio nome, nessuno lo userà più probabilmente.”
“Non mi è sembrato che la tua gente lo usasse più di quanto lo usiamo noi. Su cosa ti stai arrovellando, ragazzina?” Lena sorrise senza rispondere.
Dettero la sveglia ai compagni e si gettarono al galoppo. Speravano di riuscire a raggiungere il grosso delle forze dell'Inquisizione entro sera. I cavalli furono spronati più del solito, e le forze di tutti furono messe a dura prova ma poco dopo il tramonto la meta era finalmente raggiunta.
Il loro arrivo fu accolto festosamente, vi era un sapore familiare nel benvenuto che fu loro riservato, le Furie erano allegre e pronte alla baldoria appoggiate come sempre da Sera, Cassandra ringraziò il creatore abbracciando Lena con un calore che non si sarebbe aspettata. Persino Cole fu contento di trascorrere del tempo in compagnia sebbene fosse Il Toro a sembrare il più felice tra tutti. Lena si accorse di aver sentito la mancanza di ciascuno di loro.
Vi era insieme la gioia di essersi ritrovati e l'allegria disperata che sempre precede le battaglie decisive ma i festeggiamenti non durarono a lungo, Dorian e Il Toro furono i primi a lasciare la compagnia e ben presto molti altri si ritirarono per prepararsi al meglio per la battaglia, chi confidando nel sonno o nella preghiera, chi celebrando la vita tra le braccia di un amante.
Lena si trattenne accanto al grande falò molto a lungo, certa di non trovare conforto nel sonno ed essendo altrettanto consapevole della solitudine della sua tenda. Quando la confusione fu scemata del tutto, fu raggiunta dalla strega umana. Morrigan la informò che sarebbe andata con loro l'indomani. Gli esploratori avevano riportato notizie riguardo le rovine sostenendo che fosse il tempio di Mythal quello in cui stavano per introdursi e lei sarebbe stata felice di scoprirne i segreti oltre che di rendersi utile. Avere accanto quella donna era particolarmente piacevole ma quella notte Lena avrebbe probabilmente apprezzato la compagnia di chiunque altro con la stessa gratitudine.
“Solo alla vigilia di grandi battaglie ho visto un cielo tanto bello.” La strega fissava effettivamente il cielo ammaliata.
“Una leggenda del mio popolo dice che Falon'Din fa splendere le stelle più belle su coloro che sono in bilico tra la vita e la morte cosicché la bellezza e la luce guidino i loro spiriti a scegliere la via giusta, quale che sia.”
Un sorriso ironico rischiarò il volto della donna. “Posso credere più facilmente che il mondo si prenda gioco di chi va a morire in battaglia mostrando il lato migliore di sé e rendendo chiaro a cosa si rischia di dover rinunciare. Ma i soldati raramente guardano il cielo e continuano a lottare a testa bassa per qualcuno o qualcosa che spesso non merita il loro sacrificio.” Abbassò lo sguardo penetrante sull'Inquisitore e poi riprese a parlare: “Questi uomini sono qui già da qualche giorno. In quanti credi siano già morti? In quanti credi moriranno? E chi invocheranno secondo te nei loro ultimi istanti? Andraste? Il Creatore? O colei che hanno seguito con identica fede nella loro ultima battaglia?”
Lena conosceva la triste risposta, sapeva che il sangue che imbrattava le sue mani era sempre più copioso, ma non aveva via di scampo ormai. Davanti al suo silenzio la strega sembrò intenerita per un attimo: “Perché sei tornata? Eri tra la tua gente, lontana dalla battaglia, finalmente lontana da tutto questo. Perché sei qui? Per cosa combatti?”
“Non ero tra la mia gente, sono solo andata a pronunciare un'ennesima sentenza di morte, ora sono tornata.” Ma Lena si pentì di aver detto così tanto, di aver mostrato troppo di sé alla donna ed aggiunse con un tono più leggero: “Se devo fallire voglio farlo in grande stile, quando hai la possibilità di deludere migliaia di persone perché accontentarsi di deluderne solo una decina? Inoltre sono curiosa di vedere come andrà a finire, se il mondo sta per essere distrutto voglio avere un posto in prima fila.”
La donna sorrise e si congedò da lei augurando la buona notte. Anche Lena si convinse infine a raggiungere la tenda, sdraiandosi avrebbe quanto meno rilassato i muscoli della schiena distrutti dai lunghi giorni trascorsi a cavallo. Trovò però un'ombra in attesa accanto alla sua tenda. Solas le si fece incontro non appena la vide.
“Da'len, mi concederesti un momento?” Lena desiderò improvvisamente di rimanere sola. Avrebbe voluto essere sola tanto a lungo da poter dimenticare ogni cosa, responsabilità, tradimenti, delusione, paura. Solas prese invece il suo silenzio per un invito a proseguire. “E' una notte importante questa e il giorno di domani lo sarà altrettanto. Non posso pensare di affrontare una battaglia che potrebbe essere la nostra ultima, senza averti parlato. Ci sono cose che dovresti sapere.”
“Temo di sapere di cosa si tratta e vorrei poter aspettare la fine della battaglia per discuterne.”
L'elfo vacillò per un momento, ma poi riprese confidente “Permettimi di dissentire, vhenan.”
Lena non voleva davvero dover fare i conti con emozioni e sentimenti, doveva e voleva essere nient'altro che l'Inquisitore, una battaglia l'attendeva e non desiderava altro che sentire la foga del combattimento incendiarle le vene. Cercò quindi di usare il tono più distaccato possibile dicendo: “Sei deluso, spaventato e impietosito da ciò che hai visto durante il viaggio. Sei pentito per l'intimità che si è creata tra noi. Non ti chiedo di dimenticare ma preferirei ascoltare queste cose dalla tua voce dopo la battaglia, e se non dovessi vivere abbastanza potrei dire che non tutto il male viene per nuocere.”
Solas scoppiò in una risata che sorprese la ragazza. Le si avvicinò, le mani, per una volta non trattenute dietro la schiena, le cinsero la vita.
“Avevo ragione di dissentire. Ciò che volevo dirti è molto lontano da tutto questo, ma evidente questa sera richiede altre spiegazioni. Cosa ti fa credere che io possa pensare di te cose tanto orribili?”
Le mani dell'elfo la trascinarono verso di lui, lei cedette senza un accenno di ribellione. La battaglia purtroppo non era la sola cosa capace di infiammarla e nonostante le buone intenzioni, sentì il peso nel petto sciogliersi nell'abbraccio caldo del mago. Gli occhi dell'elfo erano tranquilli e limpidi, si sentì fiduciosa ancora una volta. Aveva letto da qualche parte che la follia si manifesta nel perseverare nella stessa azione aspettandosi ogni volta risultati differenti, in quel momento Lena si sentì sulla soglia della follia. Ogni volta che si era fidata di qualcuno, era stata tradita, in un modo o nell'altro. Dopo aver affrontato il tradimento più doloroso di tutti, quello della ragazza che era stata parte di lei così profondamente da riuscire a volte a distinguere a malapena i limiti tra sé e lei, ora il suo cuore batteva fiducioso tra le braccia di uno sconosciuto. Era decisamente folle. 
“Vhenan, ti sei comportata con coraggio e nobiltà d'animo. Hai saputo tenere fede a te stessa e questo è il risultato più difficile da ottenere. Essere fedeli a se stessi spesso richiede grandi sacrifici. Non tutti possono comprendere il significato di azioni che potrebbero sembrare orribili ma che sono in realtà semplicemente necessarie. Io sono orgoglioso di te ora più che mai, e ti sono grato per avermi portato con te davanti al tuo clan. Ti ho vista splendere in tutta la tua forza ed è stato magnifico.”
Lena s'irrigidì tra le sue braccia, il calore che aveva pian piano iniziato a sciogliere i suoi muscoli l'abbandonò di colpo tramutandola in una statua. “Hai ascoltato le mie parole crudeli, sei stato testimone della mia terribile promessa, mi hai sentito giurare davanti ad un dio in cui non credo che avrei distrutto il mio clan, la mia famiglia. Credi forse che questo sia qualcosa di cui essere orgogliosi?”
Solas non sembrava intenzionato a lasciarla andare, lo sguardo gli si fece più intenso e quegli occhi solitamente così chiari acquisirono i riflessi profondi della notte.
“Da'len, nonostante quelle parole ti abbiano dipinto come un mostro, nonostante abbiano ferito te più profondamente di chiunque altro, nonostante il fatto che mettere in atto una promessa così crudele potrebbe ucciderti, tu hai comunque compiuto il tuo dovere. Hai fatto la cosa giusta, non per te, ma per il mondo intero. Hai messo il bene comune davanti al tuo, rinunciando a tutto qualora fosse necessario. E' un gesto nobile.”
“E' un gesto presuntuoso. Non sta a me decidere quali vite contano di più. E' stato un gesto egoista, perché ho preferito le vite di persone che mi amano e mi sono fedeli, alle vite di coloro che invece non mi hanno mai apprezzato. Direi che è facile nascondersi dietro un bene più grande, in questo caso.”
Solas si scurì in volto e solo allora si allontanò da lei di un passo, allentando la presa attorno alla sua vita. Un vuoto improvviso la fece vacillare, Menia aveva ragione era sua la responsabilità, continuava ad allontanare da sé le persone che amava.
“Un vecchio detto dice che le mani più sporche di sangue sono quelle del guaritore. Il guaritore non può salvare tutti, non è una scelta arrogante la sua, ma necessaria. E anche scegliesse di salvare chi gli sta vicino, compirebbe forse un terribile peccato? Non ha diritto di amare anche il guaritore, nonostante le sue mani siano lorde di sangue? Non merita una carezza gentile e uno sguardo tenero?”
La solita espressione triste si era stampata sul volto del mago che sembrava ora parlare tra sé anziché con lei. Gli afferrò il viso con entrambi le mani e lo costrinse a guardarla di nuovo.
“Lasciami alleviare il tuo dolore”, disse Lena semplicemente. Se doveva essere una guaritrice avrebbe davvero voluto iniziare alleviando il male di quel mago così stranamente prezioso. L'elfo appoggiò la fronte contro la sua, le parole che seguirono bruciarono contro la pelle della ragazza come un alito di fuoco.
“Non questa notte, vhenan. Abbiamo bisogno di riposare ed è già tardi. Le tue parole sono già un balsamo per le mie ferite. Ma serannas.” Tacque per un momento. Lena allontanò la testa e lo guardò negli occhi, vi lesse un dolore tutto nuovo quando lo udì aggiungere in un sussurro: “Ma'arlath”.
Le posò un leggero bacio su una guancia e si allontanò. Lena rimase immobile per un lungo momento spiazzata dall'intera conversazione e da quelle ultime parole in particolare.
Entrò in tenda prima di dover cedere ad un istinto irrazionale, sapeva che se avesse seguito Solas nella sua tenda, lui non l'avrebbe allontanata quella volta. Forse anche il mago sperava infondo che il suo essere tanto sconsiderata avrebbe infine avuto la meglio. Le notti che precedono le grandi battaglie hanno visto spesso unioni improbabili, volubili e senza significato ma tra loro sarebbe stato tutto troppo complesso. Meglio rimanere in tenda, cercare di riposare e aspettare la battaglia con cuore traboccante di ansia e aspettative.

 

 

XLIV
Abelas, dolore, sofferenza, strazio. Quanti nomi conosceva per quel sentimento che accompagnava i suoi passi da troppo tempo?
Per un poco, un battito di ciglia nella sua sconfinata esistenza, si era illuso di poter essere felice. Era stato uno sciocco, un uomo che per un instante crede di poter fermare il tempo e vivere della gioia data dalla vista di un bel fiore, dimenticando la guerra che ruggisce attorno a lui. Ora davanti ad un viso davvero troppo simile al suo, il tempo ricominciava a scorrere portando via l'illusione di un attimo. Quell'elfo vestiva il proprio nome in modo impeccabile, era uno spirito fiero e antico, gli occhi lasciavano trapelare la sofferenza accumulata in lunghi secoli di disillusione. Ad ogni risveglio quegli occhi contemplavano l'avanzare della corruzione nel mondo, la sua memoria doveva essere come una galleria di quadri raffiguranti solo perdita, distruzione e rovina.
Abelas. Solas credeva di conoscere ogni terribile sfaccettatura del dolore, credeva di averne studiato nei secoli ogni ansito, ogni sfumatura, eppure davanti a quell'elfo si sentiva alla stregua di un bambino capriccioso. Abelas e i suoi elfi erano costretti da secoli in quel tempio obbligati a difendere strenuamente un sapere prezioso, relitto dimenticato di una grandezza perduta. Solas ne riconobbe la maestà, la lealtà ad un dovere più grandi di loro, riconobbe in lui ciò che in questo nuovo mondo non era riuscito a trovare, ma ne riconobbe anche l'impotenza. Le pietre fredde del tempio di Mythal avevano protetto quel sapere antico pur non essendo in grado di donargli una nuova vita, nel frattempo il mondo attorno era tanto cambiato da non rappresentare altro che minaccia.
Anche la bella dalish che aveva saputo conquistare il cuore di Solas, era davanti a quegli elfi niente più che una un pericolo a causa della propria ignoranza. Vedere Abelas fronteggiare con supponenza l'Inquisitore riempì il cuore di Solas di un dolore nuovo. Lei si era dimostrata degna, aveva seguito senza esitazioni il vir abelasan, si era dimostrata rispettosa e intelligente, come sempre.
La sola esistenza di quegli elfi doveva significare per lei vedere andare in fumo tutte le certezze date dalla sua educazione dalla sua conoscenza ma aveva fatto fronte a tutto quello con coraggio e naturalezza. Aveva rivolto ad Abelas tante domande e le uniche risposte ottenute erano state arroganti e sprezzanti. L'elfo aveva, come Solas una volta, rifiutato di essere accomunato a lei e ai suoi simili, le orecchie a punta non erano un tratto sufficiente per potersi dire fratelli, lei come gli altri non era che una shem'len. Abelas non vedeva nella bella inquisitrice ciò che Solas vedeva, chi dei due poteva dirsi in errore?
Solas ricordava di aver pensato le stesse cose riguardo quella dalish un tempo lontano, ma poi tutto era cambiato. Il mondo intero.
Ora ogni mossa che Solas riusciva ad immaginare per un prossimo futuro aveva il sapore del tradimento. Avrebbe tradito quei fratelli cercando di proteggere una shem'len e avrebbe tradito quello spirito raro e meraviglioso, cercando di restituire la dignità dovuta a quei soldati ormai stanchi e disperati. In ogni caso avrebbe tradito una parte di sé.
Vedere la ragazza meravigliarsi davanti allo splendore del tempio, era una tortura. Era in grado di cogliere la grandezza al di là della superficie dorata, come al solito il suo spirito acuto era sorprendente, poteva un essere ridotto alla calma vedere così in profondità, comprendere, sentire con tanta intensità?
Solas si sentì spezzato nell'ascoltare, ripetute dalla chiara voce di lei, le parole di una storia che lui aveva raccontato una notte. Si sentì trascinato indietro in un campo dalish, sentì sulle braccia l'umidità di una notte gelida e nel cuore il calore dei suoi baci.
Si erano infatti imbattuti in una statua raffigurante un lupo e Dorian aveva iniziato a chiedersi come mai la statua del dio degli inganni si trovasse nel tempio della dea della giustizia.
"Forse Fen'harel, non è quello di cui la mia gente parla. Forse come su molte altre cose i dalish sono in errore. Secondo alcune storie Fen'harel potrebbe essere il dio del popolo ed essendo Mythal protettrice della giustizia e della nostra gente, l'accostamento delle due statue sarebbe tutt'altro che paradossale.” A quelle parole la ragazza lanciò uno sguardo in direzione di Solas che ancora una volta dovette riconoscere la sconfitta.
Attraversarono il tempio protetti e guidati dai guardiani, penetrarono profondità inesplorate da secoli e giunsero nel cuore del tempio. Lo splendore che si spalancò davanti ai loro occhi lasciò tutti senza fiato. Solas sentì il cuore incrinarsi al cospetto di tanta bellezza, quel posto sapeva di casa, ogni odore, ogni sfumatura anche la luce era giusta. Era inequivocabilmente casa. Una malinconia sterminata lo fece lottare contro lacrime difficili da controllare. Sentiva la mancanza del suo mondo, del suo tempo, di una lotta giusta e semplice. Sentiva la mancanza di amici e fratelli che fossero davvero uguali a lui, che non fossero minacciati dalla sua presenza. Avrebbe voluto riavvolgere il tempo e tornare ai giorni precedenti alla guerra, quando il mondo era davvero degno di essere vissuto. La consapevolezza di essere studiato da due bellissimi occhi verdi lo aiutò a ricacciare indietro le lacrime e a schermire i pensieri. La lotta che li attendeva fece il resto. I templari rossi erano riusciti a penetrare nel tempio con la forza ed ora erano pronti a profanare quel posto tanto bello da essere sacro.
Solas si gettò nella battaglia con foga, sentì con un brivido il risvegliarsi degli antichi poteri. Non avrebbe permesso a quegli essere indegni di distruggere ciò che rimaneva tanto fedele al mondo antico. A costo di pagarne in seguito le conseguenze, non si trattenne, sentì il mana scorrere nelle vene e bruciare la pelle, respirò la potenza del dio che per tanto tempo era rimasta sopita.
Quel Samson di cui tanto aveva sentito parlare dal comandante Cullen, aveva acquisito poteri corrotti che lo rendevano quasi invincibile, ma non avrebbe comunque dovuto sfidare la furia di un dio. Solas iniziò a prosciugare la fonte che dava potenza all'inutile soldato. Assorbendo l'energia dei cristalli poteva sentire accrescere il proprio potere. Si fermò appena in tempo, prima di ucciderlo, prima di prosciugare completamente l'energia vitale dell'uomo tramutandolo in una statua. Prima che i suoi compagni potessero iniziare a farsi domande. Non poté assaporare il piacere del potere ritrovato. Una lotta diversa prese il posto di quella combattuta con spade e bastoni. Abelas era pronto a rimanere fedele al proprio dovere fino alla fine. Avrebbe distrutto il pozzo e con questo qualunque speranza per l'Inquisizione di riuscire ad uccidere Coripheus. Tornato stabile il potere, avrebbe potuto occuparsi del Ladro senza difficoltà, ma come dirlo all'Inquisitore? Come rivelarsi in quel momento? Decise quindi di tacere, come troppo spesso aveva fatto in passato.
Vedere Abelas costretto a piegare la testa davanti all'Inquisitore trafisse Solas con un misto di orgoglio e sgomento. Il mondo era così corrotto da costringere un vero elfo a sottomettersi al volere di un'ignorante dalish? Eppure quella non era la prova che quella particolare dalish non fosse poi così insignificante?
Il suo silenzio non poteva rimanere privo di conseguenze per sempre e Solas iniziò a dover fare i conti con le sue scelte. La sua bella amica, nonostante le proteste di tutti, aveva attinto al Pozzo del Dolore, contro ogni previsione aveva reagito prontamente e aveva guidato tutti ancora una volta lontano dalla minaccia. Giunti a Skyhold con un passo, sentirono l'eluvian infrangersi alle loro spalle e il grido frustrato del Ladro risuonare tra le sale di pietra, poi l'Inquisitore era caduta a terra priva di sensi.
Ora Solas si sentiva l'animo diviso tra la paura di vedere la bella dalish perdere il senno a causa del sapere acquisito, senza dubbio non adatto alla mente di un mortale, e il terrore di cosa lo spirito sorprendente della ragazza avesse potuto apprendere e comprendere. Solo il senso di colpa era capace di tenere insieme il suo animo impedendogli di strapparsi dilaniato da pulsioni che spingevano in direzioni opposte.

Da quando un paio di giorni prima avevano fatto ritorno Solas era rimasto confinato nella sua stanza. Era buia e piccola, non aveva mai trascorso troppo tempo lì dentro ma in quel momento sembrava il solo posto sicuro. Ora che la fortezza era quasi deserta, non avendo le truppe ancora fatto ritorno, le voci antiche erano più forti che mai e gli impedivano di riflettere con chiarezza e tranquillità sui passi futuri. Aveva riconquistato i poteri, aveva scoperto nuovi fratelli sperduti come lui in quel mondo. Avrebbe potuto affrontare il ladro con le sue sole forze, avrebbe potuto abbandonare l'Inquisizione in quel momento ma non riusciva a convincersi ad andarsene. Aveva promesso di rimanere accanto all'Inquisitore fino alla fine della lotta e la lotta poteva dirsi ormai conclusa, eppure indugiava ancora e pensava.
Nel fioco chiarore della sua stanzetta aveva l'impressione di poter tenere a bada le voci concedendosi ancora qualche ora di riflessione. Come avrebbe desiderato il consiglio di Saggezza in quel momento. Ma la sua amica non esisteva più, era solo come era sempre stato, come sarebbe stato per sempre.
Un colpo leggero alla porta lo strappò da quei pensieri cupi. Poche persone erano rimaste nella fortezza e solo una avrebbe avuto il coraggio di bussare alla sua porta. Non si alzò. Rimase immobile ad ascoltare per molto tempo. Non seguì alcun rumore, meglio così.
Solo a tarda notte Solas decise di uscire dalla stanza per cercare qualcosa da mangiare nelle cucine ormai deserte, ma aperta la porta della stanza trovò un fagotto abbandonato accanto allo stipite. Abituando gli occhi all'oscurità riconobbe in quell'ombra scura la massa indistinta dei capelli dell'Inquisitore. Era rimasta lì fuori per tutto quel tempo. Tenerezza e colpa si rincorsero di nuovo nella testa di Solas. Si inginocchiò accanto alla ragazza e le sussurrò di svegliarsi, mentre ne accarezza la testa con mano leggera.
“Sei tornato.” Il sorriso intorpidito dal sonno spuntò sul viso della ragazza e Solas ancora una volta seppe di essere perduto. Non disse niente l'aiutò ad alzarsi e la fece entrare nella stanza. Questa volta la ragazza sembrava a suo agio lì dentro, si sedette sul letto e lo guardò studiandolo. Cosa si aspettava? Il confuso insieme di paura e dolore esplose incontrollato in una forma che lo sorprese.
“Perché non mi hai dato ascolto? Perché fai sempre di testa tua? Irresponsabile e irrazionale!” La ragazza lo guardava senza mutare espressione. Possibile che lei si aspettasse esattamente questa reazione da lui? Possibile che lo conoscesse così bene?
“Non sai cosa possa voler dire essere vincolati da tanto potere! Non hai visto quale terribile destino hanno dovuto affrontare Abelas e i suoi? Sai cosa vuol dire rinunciare alla propria libertà?” La ragazza lo guardò ancora per un poco in silenzio prima di dire calma: “Tu non credi negli dei, cosa temi?”
Sicuramente la follia non aveva afferrato la sua mente, era in grado come sempre di metterlo alle strette.
“Non credo che siano dei, certo, ma credo nella loro esistenza. Potrebbero essere spiriti, maghi o esseri di qualche natura, le leggende affondano sempre radici nella verità.” Lo sguardo sorpreso di lei rivelò tutto ciò che Solas sperava di sapere. Non aveva visto niente che avrebbe potuto ritenere pericoloso. La paura lo abbandonò per un attimo e lo spinse a riversare su di lei i dubbi sul futuro che lo affliggevano. Non era Saggezza, ma aveva dimostrato di guardare la realtà da una prospettiva unica e Solas sentiva di avere bisogno di tutto l'aiuto possibile.
“Quando Corypheus sarà sconfitto, cosa farai con il potere che ti è stato concesso?”
“Vorrei solo che le cose cambiassero per il meglio, vorrei poter vedere un mondo nuovo. Con o senza Corypheus, questo mondo ha tante storture, se potessi con il mio agire risanare qualche ingiustizia, per quanto piccola possa essere, avrei reso giustizia a questo potere che mi è capitato tra le mani.”
“E se ti svegliassi un giorno scoprendo che il mondo che speri di costruire è peggiore di quello che ti sei lasciata alle spalle?” Quelle parole erano tanto vicine ad una confessione da lasciare tremanti la bocca del mago.
Di contro la voce della dalish era serena e cristallina, quasi divertita: “Cosa dovrei fare? Tirerei un gran sospiro, mi rimboccherei le maniche e ricomincerei.”
I dubbi di Solas si infransero contro il sorriso ottimista della ragazza. L'errore per lei non era una condizione definitiva, era naturale, una semplice fase di un percorso. Era così piacevole poter vedere ancora una volta le cose attraverso i suoi giovani occhi. Poteva anche il suo errore essere espiato grazie a quell'energia fresca e indomabile?
Nel frattempo la ragazza si era alzata, era ora molto vicina e lo guardava preoccupata. “La battaglia è passata, le truppe non faranno ritorno per qualche tempo, anche Cullen, Leliana e gli altri non saranno di ritorno prima di qualche giorno. Non abbiamo mai avuto tanto tempo. Vuoi lasciarti curare?”
Sì. Solas, voleva farlo, non c'era niente che avrebbe voluto di più. Ma le voci di Skyhold erano assordanti. Tutto si confondeva nella sua testa. Prima della battaglia era stato pronto a raccontare ogni cosa ma dopo aver visto Abelas, tutto era cambiato. Ad ogni passo le idee di Solas sembravano sovvertirsi, doveva prendere tempo ed allontanarsi dal vorticare delle voci.
“Vuoi venire con me? C'è un posto che vorrei mostrarti.” Davanti allo sguardo interdetto della ragazza aggiunse: “Un posto fisico, ci arriveremo con una giornata di cammino.” Vide il volto della ragazza illuminarsi. Era felice? Era forse quello l'ennesimo errore di valutazione?
Mangiarono qualcosa e lasciarono la fortezza alle prime luci dell'alba. L'intenzione di Solas era quello di guadagnare tempo e riflettere con calma lontano da Skyhold, ma si scoprì felice e questo sommerse tutto il resto come una marea inaspettata. Parlarono poco durante la strada, godendo dei rumori del sentiero e della reciproca compagnia. Solas rifletteva sul significato di quella breve escursione. Avrebbe davvero raccontato la verità? Se lo avesse fatto sarebbe stato per potersi allontanare da lei o per poterle rimanere accanto? La ragazza avrebbe accettato la sua natura? E poi? Cosa sperava di ottenere? Lo avrebbe lasciato andare senza recriminazioni? O si sarebbe offerta di combattere al suo fianco? E lui avrebbe permesso che peccati tanto orribili ricadessero su di lei?
Quando il sole scese li sorprese ancora per strada. I loro passi erano stati forse volutamente lenti e avevano approfittato di quella breve escursione per recuperare erbe e minerali sempre preziosi per l'Inquisizione, cercando forse un modo per giustificare la libertà che si erano presi, per giustificare tanta imprevista felicità. Si fermarono incerti, non erano mai stati soli così a lungo, non avevano mai dovuto affrontare una notte di quel tipo. L'imbarazzo dette voce a chiacchiere leggere, il silenzio li spaventava.
Trovarono una piccola caverna in cui avrebbero potuto passare la notte. Non avevano portato una tenda, non pensando di dover trascorrere la notte all'aperto e in ogni caso una tenda avrebbe fornito un'intimità insopportabile. Solas lasciò che la ragazza accendesse il fuoco e prese raccontare di antiche battaglie guardando il cielo scurirsi fuori dalla caverna. Era pronto per trascorrere un'altra notte sotto le stelle, un'altra notte che gli avrebbe fatto rimpiangere un giorno questo mondo, che rimanendo accanto a lei sembrava sempre meno sbagliato.
D'un tratto vide la bella amica arrivare con passo leggero verso di lui. Era raggiante, volò tra le sue braccia come se quello fosse il suo posto, l'unico nell'intero mondo, e Solas non poté che accoglierla. Era bella la spontaneità di quei gesti, la loro familiarità. Solas si trovò a desiderare che quella potesse essere la normalità. Per un attimo il desiderio di dire la verità sovrastò ogni altra cosa e il pensiero si sentì abbastanza spavaldo da guardare al futuro.
Avrebbero raggiunto le cascate tanto care per lui in un'altra vita. In riva al piccolo lago era solito accogliere coloro che, fuggiti dai padroni, cercavano rifugio tra le sue schiere. In quel luogo molti elfi avevano conosciuto per la prima volta la libertà. Doveva ammettere che era stata una scelta indulgente. In quel posto il Temibile Lupo aveva vissuto solo i momenti migliori, era stato il liberatore, il dio degli ultimi, quel luogo non aveva mai conosciuto il dio vendicativo e spietato che era diventato in seguito. Quello sarebbe stato il posto migliore per dire la verità. Sarebbe stato accolto come lui aveva in passato accolto molti e come ora aveva accolto lei tra le sue braccia. La strinse un poco e lei alzò gli occhi luminosi su di lui posandogli un bacio improvviso sulle labbra. Un bacio leggero che sapeva di promesse dolcissime, senza urgenza. I loro baci erano stati fino a quel momento uno stormire di emozioni impossibili da frenare, ora invece non c'era pressione, non c'era traccia di timore. Era un bacio paziente e fiducioso un bacio pieno d'amore. Quella constatazione lo fece sentire euforico e rise piano contro le labbra della sua bella amica. “Cosa ti fa sorridere?”
“Niente”, rispose semplicemente ed appoggiò di nuovo le labbra contro quelle della ragazza. Poi aggiunse: “Dovremmo mangiare”, ma non accennò a muoversi più di quanto fece lei. 
“Non ho fame, non ho voglia di mangiare.”
“E di cosa avresti voglia?”
“Di correre, di combattere, di nuotare in un torrente gelido.”
Solas rise ancora. “Abbiamo costeggiato un torrente non dovrebbe essere troppo lontano. Puoi andare a nuotare se vuoi.”
“Tu verresti con me?” La voce di lei si era fatta improvvisamente più bassa e i suoi modi seppure mantenendosi allegri, diventarono incredibilmente suadenti. Solas la trovava irresistibile.
La risata scrosciante di lei accompagnò quei pensieri. “Sei diventato tutto rosso fino alla punta delle orecchie!”
Solas avrebbe voluto raccogliere la provocazione e dimostrarle che crederlo tanto inibito poteva dimostrarsi pericoloso, ma si impose si essere paziente rispondendo con un sorriso alla risata di lei. Si sedettero vicino al fuoco, chiacchierarono a lungo di giorni passati e dei compagni, Solas accennò anche a qualche vago ricordo della sua giovinezza. Era così piacevole condividere con lei il suo passato!
Quando fu ora di andare a dormire Solas lanciò alcune barriere all'ingresso della caverna, sistemò legna in abbondanza sul fuoco e si fece strada verso l'interno. La bella amica stava togliendo l'armatura di cuoio, sapeva che quell'accorgimento non poteva che essere in suo onore, non l'aveva mai vista toglierla lontana da Skyhold. Il respiro gli restò in gola.
Si avvicinò alla ragazza che gli dava le spalle intenta a slacciare uno schiniere. Nella manovra la tunica dal largo scollo era calata indietro sulla schiena, lasciando scoperta la base del collo solitamente ben coperta. Solas fu sorpreso nel vedere dei vallaslin anche in quella parte del corpo. Si avvicinò per esaminare il disegno e lo vide scendere tra le scapole scomparendo sotto le fasce che stringevano il seno. Sentì un brivido percorrere la pelle della ragazza sotto il tocco di dita leggere.
“Credevo che i tuoi Vallaslin si fermassero al viso.” Posò un bacio sulla pelle segnata seguendo le linee del disegno e sentendo altri brividi rincorrere il primo.
La ragazza chiuse gli occhi e disse: “Quelle sul mio volto sono le orecchie del lupo, sulla schiena c'è la sua coda. Ti piace?” Solas evitò di rispondere alla domanda. Amava quei segni sul corpo, tanto quanto amava i segni sul viso, ma rimanevano un insulto.
“Mi chiedo se anche questi si illuminano come quelli sul viso.”
“Non dovrebbe essere troppo difficile scoprirlo.” La voce era tornata bassa, la ragazza si era voltata per fronteggiarlo e lo baciò partendo dal collo fin su a raggiungere le labbra con trasporto crescente. La stoffa leggera della sua tunica, lasciava scoprire alle mani curiose di Solas morbidezze e calore fino ad allora solo immaginate.
Approfittò con uno sforzo notevole di un istante di lucidità, fermò le mani sui fianchi di lei e allontanò le labbra, tornando a respirare per un istante aria che non avesse il suo calore e il suo profumo. Quell'aria fresca era veleno in confronto alla dolcezza del respiro di lei. “Venhan, so di non averne il diritto, ma devo chiederti ancora un poco di pazienza.” Il sorriso di lei era rassegnato più che allegro. Solas sentì di aver riportato a galla ferite passate e se ne rattristò. “Mi dispiace, puoi fidarti di me una volta ancora?”
Lei non rispose assentì con un cenno del capo e appoggiò la fronte contro la sua spalla, per rifiatare probabilmente e riprendere il controllo. I tatuaggi brillavano con forza, anche quello sulla schiena era illuminato. Quando il bagliore si fu attenuato la ragazza si allontanò da lui di un passo. Strinse i lacci della tunica attorno al collo tornando così a nascondere la coda del lupo, poi si sedette accanto al fuoco preparandosi per la notte. Lo guardò con i suoi begli occhi grandi e profondi facendo segno di sdraiarsi accanto a lei. Solas esitò per un istante. “Non sono così pericolosa. Abbiamo già dormito vicini in passato, non ricordi?”
“Piuttosto bene.” Ricordava i dettagli più dolorosi di quella notte e la frustrazione della mattina seguente, ricordava il timore la voglia di allontanarsi, e ricordava come quella notte li avesse condotti infine ad Haven. Nel sedersi vide i tatuaggi di lei illuminarsi di nuovo, come se avesse potuto seguire il filo dei suoi pensieri. Baciò il suo viso laddove quei segni offensivi facevano ora bella mostra di loro, lei chiuse gli occhi e i tatuaggi divennero ancor più brillanti. Se era vero ciò che lei aveva detto riguardo alla strana reazione dei vallaslin quello era di certo un invito difficile da ignorare. Si sdraiò su una vecchia coperta e trascinò giù con lui la bella amica. “Buona notte Solas.” Disse appoggiando la testa sulla sua spalla. “Buona notte venhan.” Sapeva che non avrebbe dormito quella notte, ma questa volta il tormento era dolce.
Le sue mani accarezzavano la pelle morbida della ragazza sotto la tunica ruvida e i capelli di lei solleticavano il viso. Ad un tratto la voce di lei, poco più di un sussurro, lo fece trasalire: “Ar'lath, vhenan'ara.”
Quelle parole colavano come acido nel suo cuore, aggiungendo una pietra inamovibile nel groviglio delle sue riflessioni, senso di colpa su senso di colpa. Lei lo amava. Si era potuto illudere fino a quel momento sperando che quel sentimento potesse essere passeggero, ma in quelle parole riconosceva la verità. Poteva essere possibile?
Aprì gli occhi e vide il tenue bagliore dei vallaslin illuminare il viso della dolce amica. D'improvviso una consapevolezza ancor più terribile lo investì come un torrente in piena. La chiave di tutto potevano essere quei segni sul suo viso. I vallaslin erano incantamenti potenti in passato ma Solas non aveva mai pensato che potessero rappresentare ancora un vincolo reale. Sapeva bene che i suoi simili avevano in un tempo lontano usato quei simboli per distinguere gli schiavi, come in giorni recenti fanno invece gli allevatori di druffali o di montoni, per evitare che altri si approprino di capi di bestiame che non gli appartengono.
Un marchio di proprietà, quello dei vallaslin, in grado di vincolare attraverso la magia un essere vivente alla volontà del proprio padrone. Uno schiavo marchiato non aveva la fortuna del druffalo intraprendete. Quest'ultimo può infatti, una volta sfuggito alle recinzioni, sperare in una vita di prati sconfinati e priva di giogo, lo schiavo a cui venivano imposti i vallaslin, invece, non aveva possibilità di sottrarsi al volere del padrone, per questo quello di rimuovere quel marchio e il vincolo che portava con sé era invariabilmente il primo atto di liberazione di cui Fen'Harel faceva dono ai suoi protetti, per questo era divenuto un simbolo del Temibile Lupo.
Ora, l'aberrazione che il clan della sua dolce amica era riuscito a perpetrare, aveva incontrato l'ironia del fato. In altre circostanze avrebbe riso di quell'iniziativa irrispettosa, ma davanti ai suoi occhi poteva vedere un'elfa marchiata in nome di Fen'Harel stringere tra le mani la magia del Lupo stesso e questa non poteva essere una coincidenza da ignorare. Poteva la sua magia aver risvegliato quei segni altrimenti inerti? Poteva la sua preziosa amica essere vittima di un incantamento che la vincolava alla sua volontà? Potevano i sentimenti e la passione che lei aveva dimostrato di provare non essere altro che la risposta involontaria al desiderio che lui aveva sentito crescere dentro di sé?
Certo, i sentimenti che lei aveva sentito nascere all'improvviso, non potevano essere altro che uno specchio dei suoi. La ragazza gli si era fatta vicina ed era rimasta vittima dei desideri del Temibile Lupo. Per questo i vallaslin reagivano alla sua vicinanza, per questo un desiderio improvviso e improbabile si era impossessato della ragazza. Per questo dichiarava il suo amore, dopo che lui era stato tanto avventato da fare lo stesso. Questa spiegazione tanto razionale e posata aderiva perfettamente agli eventi ed era calata sul cuore di Solas, come la cenere che all'alba ricopre un falò rimasto incustodito.
Non avrebbero dormito comunque e rimandare la decisione era inutile.
“Vieni Venhan, meriti la verità.” Lei si alzò sorpresa, ma comunque serena, non l'avrebbe più vista tanto felice comunque fossero andate le cose.
S'incamminarono, Solas non le concesse neanche il tempo di rimettere l'armatura. I suoi poteri erano tornati, non avrebbe comunque avuto niente da temere rimanendo con lui. Raggiunsero la radura in breve tempo, ma più si facevano vicini, più Solas rallentava il proprio passo. Cosa sarebbe accaduto, una volta rimossi quei marchi dal suo viso? Guardandosi indietro avrebbe rimpianto di essersi lasciata avvicinare dal temibile Lupo? A quel punto non avrebbe potuto evitare di dare spiegazioni. Avrebbe dovuto spiegare il perché di quel cambiamento repentino nel cuore di lei. E allora lei forse non sarebbe stata più così ben disposta ad accettarlo. Ma andava fatto.
Strinse ancora una volta la mano di lei tra le sue, assaporando per un'ultima volta la sua vicinanza, poi si contrinse a parlare: “Continuo a pensare ad un modo che sappia dimostrarti quanto tu sia preziosa per me.”
“Io lo so Solas, non ho bisogno di parole o definizioni. Tu sei prezioso per me allo stesso modo.”
Quelle parole erano fiele, niente di tutto quello poteva essere vero, non era che l'ombra di una felicità troppo grande, un fantasma. Aveva creduto di poter meritare un tale destino ed ovviamente si era ingannato. Parlò di getto: “L'unico dono che posso farti è quello della libertà e questa non può che passare per la verità.”
Le parlò dei vallaslin, dei padroni e degli schiavi dei tempi antichi, lei ascoltava imperturbabile. Evitò di accennare alla propria natura, lo avrebbe fatto dopo, una volta che l'incantamento fosse stato spezzato.
“Non mi stupisce che il mio popolo abbia frainteso anche questo.”
“Conosco un incantesimo in grado di rimuovere i marchi.”
La dalish accolse la notizia con gravità. “Se me lo avessi detto quando ci siamo conosciuti avrei accettato ad occhi chiusi e te ne sarei stata grata per sempre, ora non so cosa rispondere.”
Solas fu spiazzato dalla reazione della ragazza, come sempre. Pensava non avrebbe trovato resistenze davanti ad una proposta del genere, l'idea che potesse invece scegliere di continuare a vestire quei segni così odiati lo disorientò. “Ma sono un insulto a te e allo stesso Fen'Harel”, si lasciò sfuggire alla fine.
“E' vero, lo era, ma ho trasformato l'insulto in un simbolo di orgoglio. L'ho fatto anche grazie a te. Per il resto, non importa, non mi sono mai preoccupata del volere degli antichi dei.”
“Ma potresti essere vincolata al Temibile Lupo.”
“Sono molti gli dei che sperano di soggiogarmi, a quanto pare. Se ciò che hai raccontato di Fen'harel è vero, potrei preferirlo a molti altri. Se Fen'harel mi ha reso ciò che sono, gli sono grata. Non m'importa essere vista come strumento del male se gli effetti delle mie azioni sono buoni, non mi importa di essere additata come crudele se ciò che faccio è per il meglio. Persino tu hai detto di essere orgoglioso di me e so che ricevere la tua ammirazione è molto difficile. Se ciò che sono è anche frutto di questi marchi allora mi sono ancor più preziosi. Ci ho messo una vita ad accettare ciò che sono, ora mi vado finalmente bene così.”
Le prese il volto tra le mani la guardò negli occhi. Non si sarebbe aspettato di riconoscere ancora una volta tanta saggezza in lei. Lui non era tanto saggio, non potevano essere frutto della sua influenza quei pensieri.
“Sei perfetta così come sei. Non credevo davvero di poter trovare tanta bellezza in questo mondo, il tuo spirito è unico e meraviglioso. Ar lath, ma Venhan.”
Quelle parole trascinarono con loro tutta la tristezza accumulata dentro per secoli. Non poteva rimanerle accanto rischiando di vincolarla al suo volere ma allo stesso tempo non aveva il diritto di distruggere un animo tanto valoroso insidiando il dubbio che ciò che aveva raggiunto non fosse interamente meritato.
Era innegabile, il suo era uno spirito raro era quindi dovere degno di un dio difenderlo da tutto. Da lui, prima di tutto. Non aveva alcun diritto di distruggere le sue difese, si era illuso di poter condividere il percorso con qualcuno, ma si era ingannato, il destino del Lupo è quello di lottare da solo. Era grato di aver potuto condividere una parte della strada con lei, ma ora era diventata più importante di ogni cosa, così importante che l'unico modo per rispettare il suo spirito sarebbe stato quello di renderla davvero libera.
I loro sentieri si dividevano ineluttabilmente in quel momento, in quel luogo che aveva visto il Temibile Lupo rifulgere in tutta la sua potenza e che vedeva ora Solas spezzato e sconfitto.
Non poteva convincersi però lasciarla andare, la baciò con un ultimo assalto disperato come se con un bacio fosse in grado di cancellare il resto del mondo, ma quando senza fiato aveva dovuto lasciare le labbra della donna amata, il mondo era ancora lì. Non aveva avuto bisogno dei sussurri di Skyhold o del senso di colpa per fare la cosa giusta. Aveva alla fine semplicemente dovuto dare ascolto a quel sentimento che aveva combattuto tanto a lungo. L'amore che provava per lei lo stava riportando sulla giusta strada. Poteva quindi essere tanto sbagliato?
Scacciò i pensieri stringendo gli occhi e liberando dall'abbraccio la bella elfa che lo guardava ammaliata.
“Venhan, dobbiamo tornare. Mi dispiace, la lotta sta arrivando alla fine ed io non ti distrarrò più dai tuoi doveri, l'ho già fatto fin troppo.” Non bastò l'aver ritrovato poteri per pronunciare quelle parole con fermezza, senza tremiti, non sarebbe bastata tutta la forza racchiusa nel mondo.
“Solas cosa vuoi dire?” Solo il silenzio rispose a quella domanda. Non aveva parole per esprimere una sentenza tanto terribile per lei e per se stesso. Cercò semplicemente di allontanarsi ma lei lo afferrò per le spalle.
“Non siamo in un sogno qui, non è il tuo regno, devi darmi delle risposte.” Lo sguardo di lei sembrava terrorizzato.
“Non sarei mai dovuto giungere così lontano. Mi dispiace, non era mia intenzione ferirti, non lo è mai stata.”
“Solas qualunque sia il problema, ti assicuro, possiamo affrontarlo insieme.” La supplica nei suoi occhi gli spezzò il cuore. “Venhan. Mi spiace, semplicemente non posso, in un altro mondo...”
Si allontanò da quel luogo troppo in fretta, senza pensare a nulla. Non poteva voltarsi indietro, ciò che rimaneva del Temibile Lupo stava ora sgorgando dagli occhi di Solas, lasciando sul suo viso lunghi solchi che avrebbero lasciato il segno molto a lungo. Per sempre forse.


 

Vir'Abelasan: nel gioco traduce letteralmente Well of Sorrow, cioè il pozzo del dolore. Ma alcuni siti inglesi che si occupano del linguaggio elfico di DA, riportano di alcuni altri Vir, tradotti in quel caso come sentiero, come filosofia volendo. In questo caso è quest'ultima accezione che do al titolo, cioè Via del Dolore.
Ma serannas: Grazie
Ma'Arlath: Amore mio
Ar lath: Ti amo
Vhenan'ara: Letteralmente desiderio del cuore. A me suona una cosa come “tesoro” ma meno smielato. In italiano non si usa “desiderio” come nomignolo, ma sarebbe perfetto nella sfumatura che vorrei dare.

 



Mi scuso per questo lunghissimo capitolo, ma ormai siamo davvero alla fine e non mi andava di spezzare la storia come ho fatto altre volte in passato.  Rimettere insieme gli ultimi capitoli (ne restano due, più forse un bonus, ma non so ancora se inserirlo qui o pubblicarlo come one shot) è una gran fatica è molto triste, ovviamente ma non sono certa di trovare il giusto equilibrio senza scadere nel melenso. Intanto però pubblico, altrimenti potrei non uscirne più e una volta conclusa la rivedrò magari anche grazie a qualche consiglio, riuscirò a risistemare alcune cose che non mi convincono.
Intanto grazie come sempre a chi legge. Grazie. Non mi odiate troppo, lo so è uno strazio, ma la mia Lavellan soffre tanto, è giusto che soffriamo un po' anche noi.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Vir Assan ***


Vir Assan - The way of the Arrow, fly straight and do not waver
 
XLV

Lena non aveva più lasciato le stanze di Varric da quando aveva fatto ritorno a Skyhold. Non riusciva a comprendere quanto accaduto, il frenetico susseguirsi di una felicità sconosciuta e di una disperazione sconfinata l'aveva lasciata frastornata, incapace di reagire perché incapace di comprendere.
Di ritorno dallo strano viaggio, intrapreso con Solas e concluso da sola, Lena aveva imboccato decisa l'ingresso della stanza dell'amico, si era raggomitolata sulla grande poltrona tanto cara a Varric ed era rimasta lì, senza parlare e senza muoversi per quasi due giorni, senza versare neanche una lacrima. Le spiegazioni erano arrivate col tempo e centellinate, come se ogni parola pronunciata strappasse a Lena un pezzo di sé. Varric era stato paziente ed accogliente come sempre, l'aveva lasciata prendersi i suoi tempi e gestire il dolore a suo modo, avrebbe potuto sommergerla con fiumi di “te l'avevo detto” ma non pronunciò una parola che non fosse colma di comprensione e di calore. Lena non si chiese dove il nano avesse riposto il suo innato sarcasmo, ma più avanti le capitò di pensarci.
La testa continuava a riempirsi di pensieri che non sempre Lena era in grado di distinguere, sentiva voci lontane e indistinte ripetere parole senza significato confondersi con la sua voce chiara e persistente che continuava a ripetere la stessa domanda: perché?
Nei rari momenti in cui il sonno aveva avuto la meglio le voci si erano fate più forti, mostrando immagini confuse, e dando ordini imprecisi ai quali Lena non avrebbe saputo come obbedire.
La terza mattina Varric rientrò nella stanza portando un vassoio pieno di biscotti, frutta e focacce, lo posò su un basso tavolino accanto alla poltrona e si sedette su un bracciolo di questa. Fece passare un braccio attorno alle spalle di Lena che si accasciò sulla sua spalla e il nano le stampò un bacio sulla testa, era divenuto stranamente affettuoso in quei giorni e i suoi gesti erano in grado di scaldare il cuore affaticato di Lena.
“Buongiorno ragazzina, come stai? Sei riuscita a dormire un pochino?”
Lena eluse la domanda e disse invece decisa: “So che i consiglieri hanno fatto ritorno durante la notte, devo incontrare Leliana e Cullen e ho bisogni di parlare con Morrigan, se vorrà ancora aiutarmi. Ci sono cose che devo chiarire e ci sono mosse da programmare.”
“Bene. Però dovresti mangiare qualcosa prima.”
“Non ho fame, ma vorrei davvero poter fare un bagno. Potrei farlo qui? Poi me ne andrò, tornerò nelle mie stanze, ti restituirò la tua poltrona.” Pronunciò l'ultima frase accompagnata da un flebile sorriso a cui Varric rispose illuminandosi con gioia. Si mise subito all'opera, chiese dell'acqua calda e nell'attesa fece sistemare la tinozza dietro un paravento.
“È bello vederti recuperare le forze ed è bello avere indietro la mia poltrona.”
Lena si alzò tentennante come scoprendo la capacità di camminare per la prima volta. Raggiunto il paravento si spogliò con lentezza togliendo ogni indumento come un serpente si disfa di una muta ormai vecchia e altrettanto lentamente si immerse nell'acqua calda. La voce di Varric che ciarlava leggero la raggiungeva dall'altra parte della stanza ma sembrava provenire da miglia e miglia di distanza. Piegò le ginocchia il più possibile per arrivare ad immergere completamente la testa, l'acqua nelle orecchie ovattava i rumori e ripuliva i pensieri.
Le voci nella testa avevano finito per soffocare il resto, avevano urgenza di farsi ascoltare, di farsi obbedire. Ormai non solo la sua vita, anche i suoi pensieri avevano iniziato a non appartenerle più e questo era per Lena stranamente rilassante.
Uscì dalla piccola vasca e guardò disgustata i vestiti sparsi a terra, non sarebbe rientrata nella sua vecchia pelle. Si avvolse in un telo continuando a gocciolare sul pavimento freddo, Varric le aveva fatto portare dei vestiti puliti li indossò in fretta e senza troppa cura, era ora di tornare a lavoro, allacciò sulla lunga tunica la cintura a cui erano fermati i suoi pugnali e fu pronta per uscire.
Ringraziò Varric e lo abbracciò come se a quel saluto fosse dovuto seguire un lunghissimo viaggio, come se la promessa di rivedersi per cena in taverna non dovesse mai essere mantenuta. Varric le rivolse ancora una volta lo sguardo pieno di tenerezza che solo in quegli strani giorni le aveva riservato, Lena avrebbe voluto lasciarlo con una battuta che fosse in grado di ristabilire la normalità, di cancellare quello sguardo dai suoi occhi, avrebbe voluto trovare qualcosa da dire che facesse tornare sul viso dell'amico l'irriverenza di sempre ma le parole le sfuggirono, le voci nella testa erano sempre più esigenti. Si voltò senza dire nulla ed uscì dalla stanza del nano.
Si sarebbe aspettata di essere investita dalla luce del sole, ma il cielo era coperto e solo una luce fioca entrava da una finestrella in fondo allo stretto corridoio con l'unico effetto di far sembrare tutto più angusto e soffocante.
Si diresse decisa verso la sala dei consiglieri certa di trovare tutti già in attesa ma entrata nella grande stanza vi trovò solamente Leliana. Qualcosa non andava, come mai Cullen non era lì?
Lo sguardo della donna era tagliente come e più del solito, sembrava preoccupata. Con poche parole dure come pietra spiegò che il figlio della strega era scomparso e Morrigan si era messa sulle sue tracce sconvolta.
“Inquisitore,” disse ancora Leliana prima di lasciarla andare “Se la strega dovesse creare problemi, spero agirai per il bene dell'Inquisizione. La lotta non è ancora finita, le istanze personali devono rimanere circoscritte, almeno finché il nemico non sarà sconfitto. Questo vale per ciascuno di noi”
Lena uscì senza mostrare di aver compreso le parole della donna, sapeva bene che erano rivolte a lei più che alla strega ma non aveva bisogno di rimbrotti per sapere quale fosse il suo dovere.
Seguendo le voci nella testa che le indicavano la via, attraversò la sala centrale come una furia, non voleva rischiare di incontrare nessuno, si intrufolò nella stanzetta in cui l'Eluvian di solito riposava inerte e che quella volta era invece illuminata dal suo strano bagliore, Morrigan doveva essere entrata lì dentro. Trasse un lungo respiro ricacciando indietro ricordi spaventosi e affidandosi unicamente alle voci insistenti che le chiedevano di attraversare lo specchio, obbedì entrandovi con passo deciso. Non poteva immaginare cosa avrebbe trovato dall'altra parte. Non poteva credere che la poca fede che aveva nelle storie dell'antico popolo sarebbe stata messa in discussione con tanta forza e che le sue convinzioni a riguardo, già piuttosto labili, sarebbero state stracciate come carta vecchia.
Non poteva certo supporre che attraversando lo specchio avrebbe trovato Mythal. Quante domande avrebbe voluto rivolgerle, ma quella donna aggressiva e irrispettosa non avrebbe risposto quindi Lena si limitò ad ascoltare. Una volta fatto ritorno tutto ciò che aveva visto fino a quel momento iniziò a riprendere forma nella sua mente. I Numi adorati dalla sua gente non avevano che una scintilla di divinità, donata loro dalla magia più che da una natura ultraterrena, non aveva mai avuto fede e ora sentiva a buon diritto di essere nel giusto. Mythal era solo una donna, una maga potente certo, ma pur sempre una donna. Come Abelas anche lei era rimasta in silenzio a guardare gli elfi essere resi schiavi o rifugiarsi nei boschi come bestie, tutti coloro che avrebbero dovuto ergersi come protettori del popolo, avevano invece riso delle difficoltà della sua gente, avevano volto lo sguardo altrove. Mythal, madre degli elfi, era stata uccisa e il suo spirito era entrato in una donna senza scrupoli che usava il corpo delle sue figlie per mantenersi in vita. Questa era la sua giustizia.
Per un istante le tornarono alla mente parole confuse che dipingevano Fen'harel come il dio del popolo, se solo lui aveva a cuore la sua gente era forse per questo stato additato come traditore? E che fine aveva poi fatto? Aveva anche lui infine abbandonato il popolo? In materia di fede era sempre stata piuttosto scettica, ma quelle nuove scoperte rimettevano tutto in discussione, per la prima volta provava indignazione per il destino della sua gente. Se gli dei erano reali, gli elfi erano davvero stati abbandonati e non meritavano quindi il terribile destino che la storia aveva loro risevato.
Un'incoerente voglia di rivalsa la rendeva ansiosa di condividere con i consiglieri le nuove scoperte. Erano umani, la loro stirpe aveva combattuto per secoli per negare l'esistenza degli antichi dei e ora le donava un piacere sadico poter provare loro il terribile errore. Cullen, Josephine e Leliana erano in attesa di notizie e Lena li accontentò senza dilungarsi troppo in spiegazioni, lo stupore di quegli umani non la interessava, il loro mondo cambiava sotto i colpi sferrati dalle sue parole ma non c'era pietà nella sua voce ma una malcelata ferocia.
“Sorella Usignolo, suggerisce di lasciare da parte le questioni personali, i dubbi e le incertezze. Abbiamo un compito. Abbiamo un drago da trovare e domare.”
Vide lo sguardo del comandante accendersi “Non vorrai dare ascolto a quella strega? Come facciamo a sapere che non sia in combutta con il nemico?”
“Le parole di spiriti antichi parlano nella mia testa, le voci del pozzo dicono che posso e devo fidarmi, inoltre quella con cui ho parlato è Mythal come dubitare della guardiana della giustizia.”
Lena non era certa che che i consiglieri potessero cogliere il sarcasmo acido delle sue parole, ma non fece niente per fermarle. Cullen accennò una replica ma ingoiò le proteste, non aveva mai avuto la meglio su di lei e non l'avrebbe avuta quella volta. Lasciò ai consiglieri la gestione dei preparativi per la missione che non sarebbe iniziata prima del giorno successivo, dopo di che fu libera.
Un tempo infinito sembrava stendersi davanti a lei.
Come se la memoria si rifiutasse di funzionare a dovere, un pensiero continuava ad affacciarsi alla sua mente a intervalli regolari. Affiorava lieve e piacevole da lontano, come un'eco di un ricordo felice. Aveva incontrato Mythal, avrebbe dovuto parlarne con... E subito la memoria meschina riprendeva il controllo, un attimo troppo tardi pronta a strappare quel pensiero sul nascere, mai un istante prima. Si ritrovava all'improvviso con un'intera giornata tra le mani senza sapere che farne.
Leliana arrivò a toglierla d'impaccio con un messaggio ricevuto, a suo dire, in quel momento. 
Uno degli esploratori scomparsi durante la missione in aiuto del clan Lavellan era stato liberato dopo un lungo periodo di prigionia e scriveva per informare che il suo clan era stato distrutto.  Un certo Duca Antoine aveva avuto la sua rivincita, a quanto pareva, spinto da Coripheus o da un genuino razzismo Lena non avrebbe potuto dirlo.
“Non dobbiamo lasciarci distrarre da questioni personali, giusto?” 
“Esatto.” rispose Leliana con consueto il tono controllato e lo sguardo stranamente  inquietante che la contraddistingueva.
Lena si allontanò con un senso insopprimibile di disgusto ma era la donna a disgustarla non la notizia che le aveva portato. L'informazione infatti la lasciò quasi indifferente, prona al volere della sorte, incapace di lottare ancora. Sentiva un vago rimorso ma non riusciva a dare corpo al sentimento, ogni emozione sembrava repressa, stipata nell'angolo più profondo della sua coscienza.

Si diresse spedita in taverna e la bottiglia di sidro era ormai vuota per metà quando la voce profonda del Toro la distolse da sé.
“Boss, non è presto per bere? Che ci fai qui?”
Lena non rispose, continuando a bere tranquillamente, lo sguardo piantato testardamente sul piano scalfito del tavolo.
“Se vuoi bere qualcosa di forte lascia da parte quel succo di frutta e tieni questo.”
Così dicendo posò sul tavolo un piccolo otre che una volta stappato lasciò uscire un liquido scuro e denso dall'odore pungente. L'elfa bevve senza pensarci due volte e quando una tosse impetuosa la scosse non poté impedirsi di incrociare lo sguardo divertito del qunari e ridere della propria difficoltà. Tutt'altro che demoralizzata bevve un altro sorso di quel veleno tossendo ancora, la gola in fiamme e il respiro strozzato.
“Alla salute Boss! Tranquilla, dopo le prime tre o quattro volte ci farai l'abitudine.”
“Credo mi bastino un paio di sorsi per farmi essere più brilla di quanto vorrei.”
“Una bella sbronza non ha mai ucciso nessuno, magari ferito gravemente sì, ma ucciso mai. E tu sembri averne decisamente bisogno.”
Lena si attaccò per la terza volta al piccolo otre riuscendo questa volta a trattenere la tosse almeno per un po'. Il qunari aveva lo stesso sguardo che gli si poteva vedere in battaglia: attento e divertito. Evidentemente la stava studiando. L'elfa sentiva la testa ronzare, temeva che se si fosse alzata in quel momento sarebbe rovinata a terra, quindi rimase.
“Come fate voi qunari a sapere che quello che fate è davvero la cosa giusta?”
“E' con un Tal Vashot che stai parlando, io non so più se ciò che faccio sia giusto o meno, non più di quanto lo sappia tu.”
“Ed era più facile prima? Il Qun ha davvero una risposta a tutto?”
“La vita secondo il Qun è semplice e giusta. Sai qual è il tuo dovere, sai cosa devi fare, sai che il prezzo che paghi per le tue azioni è sempre ripagato da un bene superiore. Ora posso solo cercare di divertirmi evitando il più possibile situazioni che mi ingarbuglino la testa. Una vita piuttosto semplice anche questa e di questi tempi potrei dire particolarmente piacevole.”
Effettivamente Lena sapeva che nonostante il continuo mascherare e nascondere Dorian era molto felice e non era difficile immaginare che il Toro dovesse esserlo altrettanto, in modo più semplice e diretto probabilmente.
“Ma sei libero finalmente, dovrebbe essere un sollievo.”
“Tu non mi sembri godere molto della tua libertà.” Il qunari come al solito aveva visto bene. “Come ti ha aiutato la tua presunta libertà? Hai mai fatto una scelta che non fosse condizionata dalla necessità o dalle aspettative di qualcuno? La differenza tra chi segue il Qun e chi non lo fa è che il qunari vede la strada che sta percorrendo per intero, non può scegliere le svolte nel sentiero ma sa esattamente dove sta andando, gli altri seguono ad ogni svolta una legge non scritta che non li rende più liberi ma che presto o tardi li fa smarrire.”
“Bull, credo tu abbia ragione e credo di essermi persa. Credi che se avessi seguito il qun ora, saprei che lasciar morire il mio clan è stata la cosa giusta? Che essere davvero e definitivamente sola è a il prezzo da pagare per servire un bene più grande? Che la mia rabbia, il mio dolore, sono solo incidenti di percorso necessari per riuscire a rimanere sulla giusta strada?”
“Boss, mi stai chiedendo se le tue azioni sono giuste o inevitabili? Se è un assoluzione che cerchi, dovresti andare da una delle tante madri della chiesa che vagano incomprensibilmente per questa fortezza. Io non ho assoluzioni da dispensare né condanne. Credo che tu abbia fatto ciò che potevi, non è cercando giustificazioni per le tue azioni che il loro risultato cambierà, quindi a che pro continuare a pensare al perché? Se fossi certa di aver fatto la cosa giusta, soffriresti meno per la morte del tuo clan? E' il senso di colpa a fregarvi tutti. Per quanto vi sentiate liberi di scegliere, il senso di colpa annulla completamente ogni vostra libertà. Forse questa è la cosa peggiore dell'essere un tal vashot, o un bas nel tuo caso.” Il Toro fece una pausa per bere un goccio dell'orribile liquore che sembrava non avere alcun effetto su di lui e poi riprese: “C'è una massima a cui chiunque abbia mai combattuto nel Seheron si attiene rigidamente: se sei perso nella nebbia o nella foresta il modo più sicuro per ritrovare la strada sta nel proseguire sempre nella stessa direzione, in questo modo prima o poi troverai il limite della foresta. Ti assicuro che questa direttiva ha salvato la vita a più di una delle mie vecchie conoscenze, è un atteggiamento più saggio di quanto non sembri. Cambiando direzione ad ogni svolta rischi di non rivedere più la luce oltre il fitto del bosco. Non importa se la strada presa è la più difficile, la più lunga o la più pericolosa, è l'unica che puoi seguire se non vuoi continuare a tornare continuamente sui tuoi passi.”
Lena rimase per un po' in silenzio senza alzare lo sguardo dal tavolaccio.
“Anche i dalish hanno un principio piuttosto simile a questo, è uno dei tre principi su cui si fonda il sentiero del cacciatore. Viene chiamato Vir Assan, la via della freccia: vola dritto e non tentennare.” Alzò lo sguardo sull'occhio limpido e pacifico del qunari, sorrise e aggiunse: “Per ora la mia strada mi porta a domare un drago, verrai con me?”
“Ci sono sentieri che promettono di essere più divertenti di altri, e sai che non potrei mai rifiutare una proposta del genere”

 

 

 

XLIV

L'intera Inquisizione era presa da un fervore folle e frenetico, l'Inquisitore aveva domato un drago, Varric e Il Toro avevano alimentato quell'insana euforia con racconti mirabolanti, l'eccitazione per la battaglia appena vinta aveva fatto il resto. A Solas sembrava di essere circondato da invasati assetati di battaglia e di sangue, per la prima volta da quando si era unito all'inquisizione sentì tutto il peso di essere circondato da soldati. La sua strada lo avrebbe portato a circondarsi ancora di animi bellicosi chissà per quanto tempo, eppure il suo spirito non agognava altro che pace e sapere. Da quando le truppe avevano iniziato a far ritorno alla fortezza, Solas era rimasto testardamente chiuso nella rotonda, studiando antichi libri che avrebbero permesso all'Inquisitore di affrontare lo scontro finale.
Quel lavoro poteva sembrare inutile, ma in qualche modo era necessario. Sapeva infatti di avere ormai recuperato il potere di controllare la sfera, i suoi poteri potevano dirsi quasi del tutto risvegliati, eppure Solas era convinto di non poter affrontare il Ladro in prima persona. Il suo pensiero razionale suggeriva che essere riconosciuto nel pieno delle forze avrebbe spinto il ladro alla fuga, rischiando così di perdere le sue tracce per chissà quanto tempo. Le voci di Skyhold, però, additavano il piano come frutto dei suoi timori ed effettivamente Solas non poteva negare la paura di vedere se stesso rispecchiato in quel volto mostruoso, in cosa erano poi dissimili lui e quell'orribile bestia? Non era forse più mostruoso lui deciso a perseguire il suo compito nonostante questo significasse ferire le persone che amava? Non era più colpevole lui che riconosceva ora, malgrado tutto, le bellezze e i pregi di questo mondo? Ma non avrebbe commesso gli stessi errori del passato, non avrebbe lasciato morire di stenti o di paura persone innocenti. Grazie all'esperienza, avrebbe sfruttato la sfera in modo che il cambiamento non risultasse brutale e netto. Avrebbe accompagnato il passaggio con più cura, non avrebbe lasciato dietro di sé una scia di sangue più lunga del necessario, avrebbe evitato inutile sofferenza. Doveva solo riavere la sua sfera e tutto sarebbe tornato in ordine, tutto avrebbe riavuto senso. Finalmente spiriti quieti e benevoli sarebbero tornati ad essere i suoi compagni e lui avrebbe posato per sempre le armi non avrebbe più dovuto combattere, avrebbe potuto leccarsi le ferite, risanare il proprio cuore, si sarebbe potuto persino permettere il lusso dell'autocommiserazione. Avrebbe potuto tormentare il proprio cuore con ricordi e sensazioni che non sarebbero tornate, ma il dolore del suo cuore avrebbe avuto come sfondo un mondo vero, bello, sterminato e pieno di infinite possibilità. Ma questo sarebbe potuto essere solo in futuro, per il momento c'era ancora una missione da portare a termine.
Continuava ad evitare il pensiero della notte trascorsa tra le montagne assieme all'Inquisitore, continuava a temere e ad attendere trepidante il momento in cui lei sarebbe apparsa nella rotonda per parlare con lui. Era rimasta lontana, come lui aveva immaginato, e questo era stato un bene per tutti sebbene l'emicrania che puntuale come sempre era tornata a tormentarlo sembrava voler rimarcare la sua perdita.
Attese molti giorni prima di scorgere la sua figura, la vide per un attimo appoggiata alla balaustra davanti alla biblioteca in cui Dorian passava gran parte del suo tempo. Il suono della sua voce lo colpì particolarmente, era una voce controllata e determinata un suono che aveva sentito solo in battaglia. Ignorò il crepitio del proprio cuore, riprese a leggere uno dei messaggi cifrati ricevuti da uno dei suoi agenti. Ormai non dipingeva più da giorni ma non riusciva a lasciare la rotonda. Avrebbe potuto tranquillamente rimanere nella propria stanzetta, evitando così inutili rischi e soprattutto evitando la possibilità di imbattersi in lei, ma le sue gambe sembravano ostinate nel rimanere all'interno della rotonda, anche quando si allontanavano era solo per poco, in un modo o nell'altro riuscivano sempre a ricondurlo lì dentro. Era piena notte quando l'Inquisitore fece finalmente il suo ingresso. Erano passate settimane interminabili dal loro ultimo incontro. Solas aveva la testa pesante e gli occhi continuavano a chiudersi sopra un grosso librone, ma quando il passo leggero di lei attrasse la sua attenzione la testa tornò improvvisamente lucida e lui si trovò in piedi in un attimo come saltando sull'attenti, le mani accuratamente ancorate dietro la schiena.
“Posso fare qualcosa per te, Inquisitore?” Quelle parole affondarono nella sua carne con tutta la loro ipocrisia, ma vide la giovane elfa rimanere imperturbabile, una statua di cera. Cosa aveva fatto?
“Siamo alla ricerca del quartier generale di Corypheus, non dobbiamo lasciargli il tempo di organizzare le forze, dobbiamo trovarlo e sconfiggerlo una volta per tutte. Hai forse raccolto informazioni a riguardo?”
“Un'ora strana per discutere strategie di guerra, non ti pare?” Il pensiero di lasciar correre aveva attraversato la sua mente ma non era riuscito a trattenerlo. Vide gli occhi dell'Inquisitore accendersi di rabbia per un istante.
“Non sarei dovuta venire. Buona notte.” La ragazza si stava allontanando e la mente del mago sovrappose a quella scene diverse, ricordi confusi, il dolore prese il sopravvento.
“Da'len.” Avrebbe dovuto lasciarla allontanare, lasciare che i loro cuori soffrissero in silenzio e rimarginassero le loro ferite lontano l'uno dall'altra, invece era un debole. Voleva averla vicina ancora per un po', voleva ascoltare ancora la sua voce cercando in quei toni freddi richiami a parole delicate e suoni morbidi che in un passato non troppo lontano gli avevano accarezzato la mente. “Ho saputo del tuo clan, non ho parole per esprimere il mio rammarico.”
La ragazza era ferma si voltò appena e lo fissò con uno sguardo duro e impenetrabile.
“Perché?” La domanda era incoerente e lasciò Solas senza parole.
“Perché?” Ripeté ancora una volta la ragazza e Solas non poté più mentire a sé stesso sapeva perfettamente cosa la ragazza stesse chiedendo. Le mentì apertamente per la prima volta da quando l'aveva conosciuta: “Dopo la battaglia, quando il nemico sarà sconfitto potrai rivolgermi qualunque domanda. Ora ogni domanda ne genererebbe di nuove, e non faremmo altro che farci ancora più male. Lasciamo tacere i nostri cuori per un po', la guerra non è mai teatro adatto a sentimenti delicati, inevitabilmente questi rimangono vittime dell'orrore che li circonda.”
La ragazza si allontanò lentamente con passo pesante come se fosse costretta a portare con sé il peso insostenibile di quelle parole.
Non parlarono più.
Pochi giorni dopo il nemico trovò loro, probabilmente cercando lo stesso vantaggio che l'Inquisizione aveva sperato di guadagnare. L'esercito era infatti ancora disorganico e nessuno era davvero pronto ad una nuova battaglia in quel momento.

Solas rimase impotente a guardare l'Inquisitore affrontare la battaglia senza esitazione e senza timore. Quando il Ladro la strappò alla sua vista un terrore irrazionale lo colse e fu il primo a mettersi all'inseguimento. Un'intera ala della fortezza era stata spostata in alto sulle montagne le forze dell'Inquisizione non potevano raggiungerla l'Inquisitore era sola contro quel mostro fatta eccezione per i pochi compagni che le erano rimasti accanto.
Solas era venuto meno alla propria promessa, aveva giurato che le sarebbe rimasto vicino fino alla fine della battaglia invece aveva mentito, lei ora stava affrontando la minaccia senza di lui. Senza pensare, mettendo a tacere la propria ragione e i propri timori si gettò all'inseguimento. L'aria gelida delle montagne bruciava nei polmoni man a mano che la folle corsa rendeva il respiro più rapido. Ogni idea spazzata via dal pensiero di lei, ancora una volta, solo lei, la sua vita in pericolo, il tradimento, il dolore che le aveva procurato. Doveva raggiungerla e proteggerla, doveva fare ammenda. Ombre e demoni cercarono di sbarrargli la strada ma nulla poteva rallentarlo. La strada era scoscesa e più di una volta si trovò ginocchia terra sopra il sentiero sdrucciolevole. Ogni volta rialzarsi era doloroso ed inevitabile. Corse per un tempo che sembrò infinito. Quando raggiunse il centro della battaglia ebbe modo di vedere la sua bella dalish ergersi contro il nemico in tutta la sua grandezza. Il Ladro era piegato, spezzato, umiliato dalla maestosità di lei. Con una forza che non le apparteneva la vide bandire quel mostro dalla realtà, esiliato per sempre nel nulla.
Era ammaliato da tanta potenza, l'esile corpo di lei scosso dal respiro affannoso, lo sguardo acceso dalla battaglia. Solas lasciò vagare lo sguardo era sola, il suo destino era compiuto. Fece per avvicinarsi a lei quando la sua attenzione venne attirata da uno spettacolo ben più triste e decisamente sconvolgente. La sua sfera era rotta.
Si inginocchiò accanto ai resti fumanti del manufatto, tutte le sue speranze giacevano inerti, distrutte tra le sue mani con i resti della sfera. Tutto il suo potere era inutile senza la sfera, aveva sbagliato tutto di nuovo e ora tutte le strade si chiudevano davanti a lui. Aveva perso di vista la realtà, si era lasciato corrompere da se stesso e aveva di nuovo condannato il mondo. Una mano delicata si posò sulla sua spalla bruciando come il rimorso e la rabbia che sentiva verso se stesso.
"Mi dispiace. So quanto fosse importante per te.” La voce era tornata calda, la voce che conosceva e che l'aveva portato a questo.

“Non è colpa tua.” La risposta in contrasto suonava fredda come la notte, un gelo che portava con sé distanze incolmabili ma che era carico di verità. La colpa non poteva che essere di Solas, la colpa di tutto. Si era lasciato ingannare da quel mondo, da lei, sacrificando al proprio egoismo la vita di molti.
Si alzò in piedi Si trovò a fronteggiare gli occhi limpidi e vivi della ragazza. Era così ingiusto, non era per dare spazio a verità sublimi come la bellezza di quegli occhi che continuava a lottare? E allora perché continuava ad essere tutto sbagliato? Non poteva rimanere sotto la malia di quegli occhi si voltò.
“Qualunque cosa accada d'ora in avanti sappi che quello che c'è stato tra noi, quello che provo per te è vero. L'unica cosa che sono certo sia vera.” Solas si allontanò senza guardarsi indietro neanche una volta, senza fermarsi senza rallentare la marcia. Doveva lasciare quel mondo e continuare dritto per la sua strada. Il compito si faceva più arduo ora, doveva trovare il modo per rimpiazzare il potere della sfera. Aveva bisogno di un nuovo piano e di infinito più potere. Sapeva perfettamente dove trovare entrambi. Aveva bisogno della sua vecchia amica. Era ora di tornare a casa.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Vir Bor'Assan ***


Questa volta mi trovo a scrivere due parole in apertura e una nota/confessione alla fine.
Per cominciare una giustificazione (della serie: non è come sembra, posso spiegare): so che questo sarebbe dovuto essere l'ultimo capitolo, ma nonostante abbia tagliato tantissimo e malgrado la lunghezza notevole, non sono riuscita a farci stare tutto. Ho dovuto allungare di un capitolo che spero arriverà entro un mesetto.
Sono felice di avercela quasi fatta nonostante la fatica di quest'ultimo periodo. So che gli ultimi capitoli sono un pochino sottotono e a volte, rileggendo alcuni passaggi al volo, vedo degli errori orribili che non sempre ho il tempo di sistemare. Prometto però che non appena avrò finito di pubblicare anche l'ultimo capitolo mi metterò a revisionare tutto, storia e formattazione. Per quanto semplice sia questa storia, ci tengo molto, voglio vederla finita e sto impiegando tutto il poco tempo a disposizione per cercare di farlo al meglio. Ringrazio ancora chiunque abbia avuto la pazienza e il coraggio di arrivare fin qui.

 

 

Vir Bor'assan, the Way of the Bow: bend but never break.

XLVII

La vittoria era stata grandiosa, la prospettiva della pace finalmente a portata di mano rendeva gli uomini ebbri di felicità.
Un senso di liberazione e leggerezza aveva afferrato anche l'Inquisitore che aveva festeggiato tutta la notte insieme ai compagni e si era ritirata nella propria stanza solo alle prime luci dell'alba.
L'aria frizzante della prima mattina si era fatta strada nella stanza spingendola ad uscire sul balcone per respirare un poco quella nuova aria che sapeva di vittoria e di promesse. Era una grande vittoria per il Thedas, una vittoria per l'Inquisizione, una vittoria per l'Inquisitore.
Ma Lena lontana da soldati e compagni aveva tolto l'armatura e posato le armi, l'Inquisitore riposava dietro insegne dismesse e Lena doveva fare i conti con se stessa.
Aveva appena finito di celebrare il grande risultato e già sui volti degli amici aveva letto il desiderio di dimenticare quel capitolo delle loro vite. Ciascuno si era detto disposto a rimanere nei paraggi ancora per un poco, a disposizione come sempre, ma Lena sapeva che quelle promesse tradivano il desiderio di fare ritorno alle proprie vite, alle proprie case. Lei al contrario non aveva mai desiderato tornare indietro e non avrebbe mentito a se stessa pretendendo il contrario, ma a al di là della sua volontà oramai non c'era più un clan a cui fare ritorno.
Le luci e i suoni della festa sembravano già lontanissimi, un buio sconfinato si apriva davanti a lei. Rientrò, si rannicchiò sul piccolo sofà e chiuse gli occhi. Il sonno la spaventava, ma la veglia non prometteva pensieri migliori in quel momento. La prima immagine che le sorse alla mente fu quella di Menia con gli occhi colmi di lacrime come le era apparsa l'ultima volta che l' aveva vista, i due occhi scuri dell'elfa erano pieni di dolore e rimorso, specchio esatto dei suoi. Non avrebbe mai più rivisto quegli occhi e non ne avrebbe mai più trovati di simili. Quell'ultima notte si erano dette addio, sapevano entrambe che non si sarebbero più riviste ma Lena avrebbe senza dubbio scommesso sulla propria morte, non su quella dell'amica. Invece lei non c'era più. Eppure quel senso di solitudine era irrazionale. Era ormai rassegnata all'idea che Menia non facesse più parte della sua vita, ma sapere che la sua bella amica semplicemente non esisteva più allargava il vuoto che la sua assenza le aveva lasciato in petto moltiplicando i rimorsi e rendendo il dolore semplicemente inevitabile.
E Tallis? Lui l'aveva amata come forse nessuno aveva mai fatto, lei era stata avara di affetto e gratitudine nei suoi confronti, aveva approfittato della presenza di Menia per sfuggire qualunque responsabilità nei confronti di quell'elfo fedele.
Fen'len, lo aveva davvero meritato quel nome e in quel momento lo dimostrava più che mai, il proprio egoismo era infatti la cosa peggiore da accettare e la rendeva disgustata di sé. L'intero clan Lavellan era stato distrutto, erano tutti morti e lei riusciva a pensare solo al senso di vuoto e inadeguatezza che la morte di due sole persone le lasciava dentro. E tutti gli altri? I ragazzini innocenti che lei aveva conosciuto a malapena ma che non aveva comunque esitato a condannare?
Ora invece l'intero Thedas la idolatrava come la salvatrice. Non era che un impostore, un falso dio come Corypheus, un mostro era appena morto ma un altro sopravviveva. Lena continuava a chiedersi cosa avrebbe fatto al posto di quel mostro se avesse avuto tra le mani lo stesso potere. Corypheus non aveva fatto altro che lottare per un mondo che credeva giusto e inevitabile, lei non avrebbe fatto lo stesso? Il mondo che senza esitazioni aveva distrutto a Redcliffe un anno prima, non ne era forse la prova?
Sera aveva ragione nel dire che cose brutte accadono alle brutte persone, Lena si sarebbe ritrovata sola di lì a poco ed evidentemente era quello il destino che meritava. La sua famiglia, o la cosa più simile ad una famiglia che poteva sperare di avere, era morta a causa sua, i suoi amici avrebbero ben presto iniziato ad allontanarsi da lei, neanche neanche colui che aveva giurato di amarla le era rimasto accanto un minuto in più rispetto a quanto promesso scomparendo senza dire addio. Non era più una bambina, non poteva continuare a credersi una vittima innocente e che le sue sciagure fossero tutta colpa di qualcun altro.
Avrebbe desiderato poter piangere fino ad addormentarsi ma non c'era dolore nei suoi pensieri solo una spietata consapevolezza. Appoggiò la testa sulle ginocchia e attese l'alba, quando i primi rumori risvegliarono la fortezza indossò l'armatura e le insegne dell'Inquisizione e uscì per affrontare un nuovo giorno da Inquisitore.
I giorni e i mesi si susseguirono lenti e identici gli uni agli altri. Skyhold si andava lentamente svuotando, anche i suoi compagni andavano e venivano con pause che li portavano sempre più a lungo lontani dalla fortezza.
Blackwall e Il Toro si dimostrarono gli abitanti più ostinati. Blackwall continuava ad attendere notizie riguardo la sua iniziazione come custode, ma l'ordine stava attraversando un periodo piuttosto burrascoso e l'Unione di un singolo soldato non sembrava essere in cima alla lista dei pensieri di qualcuno. Il Toro invece odiava allontanarsi troppo da Skyhold, costantemente fiducioso di poter vedere arrivare all'improvviso un certo mago dal Tevinter. Per questo le missioni delle furie non duravano mai troppo a lungo e non li portavano mai troppo lontano. Lena era felice della loro presenza rumorosa, era piacevole annebbiare i pensieri con l'alcol e con la loro euforica compagnia.
Aveva anche iniziato a cercare la compagnia dei suoi simili, c'erano molti elfi tra le fila dell'Inquisizione ma lei non aveva mai fraternizzato con loro più di quanto non avesse fatto con il resto delle truppe. Nei lunghi giorni trascorsi alla fortezza invece riscoprì il piacere di conoscere il destino di coloro che iniziava a pensare come la sua gente. Si aggirava per la fortezza cogliendo ogni occasione per fare domande e poter ascoltare le storie dei suoi compagni. Passò molto tempo nelle cucine, tra i mercanti e persino con gli agenti di Leliana. All'iniziale imbarazzo era seguita una crescente familiarità che aveva inevitabilmente dato via libera a valanghe di domande. Tutti erano curiosi riguardo la vita dell'Inquisitore. I dalish chiedevano del suo clan, gli elfi di città erano incuriositi dalla vita nomade, tutti erano concordi nel voler conoscere ogni dettaglio riguardo i suoi incontri con gli antichi elfi nel tempio di Mythal nonché del suo ormai leggendario incontro con la dea stessa. Ascoltando le sue storie molti avevano deciso di prendere le distanze da lei e spesso dalla stessa Inquisizione, rigettando come menzogne racconti che stravolgevano completamente un'idea antica del mondo. Altri avevano invece accolto con speranza e fame di novità quelle verità tanto incredibili.
Lena aveva smesso di nascondere la natura dei propri vallaslin non risparmiando ipotesi che stravolgevano la figura dell'antico dio degli inganni, ottenendo all'incirca le stesse reazioni che i racconti su Mythal avevano suscitato: diffidenza e incredulità da parte di alcuni, curiosità e sorpresa da parte di altri. Questa sua riscoperta delle proprie origini la portò ben presto ai ferri corti con Sera la quale rese man mano le sue assenze sempre più lunghe e le divertenti lettere sconclusionate sempre più rare.
Una volta superata il timore iniziale nei confronti della più stretta collaboratrice di Leliana, scoprì in Charter lo stesso miscuglio di diffidenza, curiosità e speranze nei confronti degli elfi che aveva trovato in se stessa. Appena le rispettive missioni lo permettevano erano solite bere insieme in taverna confrontando esperienze e visioni del “popolo” finendo ben presto per apprezzare la reciproca compagnia. A volte la stessa Usignolo si univa a loro dimostrandosi riguardo alla questione della discriminazione e della schiavitù ben più radicale delle due elfe.

Fu per scortare la futura divina dalla fortezza fino a Val Royeaux che si ritrovarono tutti dopo molto tempo e il viaggio si trasformò presto in una festa.
Lena era felice, felice come non era più stata da lunghissimo tempo. Varric e Dorian furono al suo fianco per l'intero viaggio prendendosi gioco di tutti soprattutto della futura divina.
“Cercatrice, mi hanno detto che la tua prima disposizione come divina riguarderà la sostituzione degli aspersori con dei pratici randelli che le sorelle potranno usare a loro piacimento quando qualcuno dovesse dire qualcosa di troppo stupido o fastidioso.” Varric accompagnò le parole con un'occhiata ammiccante e 
Cassandra come al solito alzò gli occhi al cielo senza rispondere ma non riuscendo questa volta a mascherare un sorriso.
Varric incoraggiato dal cedimento infierì sulla preda: 
“Ammetti che sentirai la mia mancanza cercatrice. Se lo farai verrò a trovarti ogni tanto.”
“Potrai venire a trovarmi solo dopo che tutti gli aspersori saranno stati opportunamente sostituiti.”
“Bene. L'ispirazione è una bestia capricciosa, magari durante uno dei miei viaggi a Val Royeaux potrei decidere di scrivere un libro sulla vita segreta della Divina, non si sa mai.”
Il verso disgustato che seguì fu invece piuttosto sincero e scatenò l'ilarità dell'intero gruppetto.
Con l'approssimarsi della sera raggiunsero un piccolo villaggio e si prepararono a passare la notte in locanda, cosa per cui Varric si disse oltremodo grato.
La serata si rivelò particolarmente piacevole eppure Lena non poteva fare a meno di sentirsi fuori posto. Era stata l'Inquisitore troppo a lungo da finire per aderire a modi di fare asettici che le erano estranei, lungo la strada era stato facile rilassarsi, ma ora la situazione riportava alla mente le tante notti passate in taverna, riportava alla mente giorni lontani e diversi in cui lei era diversa, tutto sembrava gridare quanto quella familiarità fosse finta o nella migliore delle ipotesi effimera.
Si era trovata presto in disparte ad osservare i suoi compagni godendo del riflesso della loro allegria incapace però di viverla in prima persona. Varric le lanciava ogni tanto uno sguardo preoccupato che lei cercava di fugare con il suo sorriso migliore. Alla fine decise di uscire per fare due passi. Non appena fuori inspirò a pieni polmoni, non era l'aria fresca delle Montagne Gelide ma senza dubbio era piacevole essere all'aperto le sembrava di tornare a respirare davvero dopo lungo tempo, un altro motivo per sentirsi in colpa, i suoi amici erano finalmente con lei e lei li evitava.
“Vi disturbo?” La voce del custode era calma e calda e Lena sentì un brivido correrle lungo la schiena. Si voltò appena verso di lui prima di iniziare a camminare lentamente, il custode prese il silenzio per un invito e la seguì.
“Speravo che la compagnia vi avrebbe rasserenata ma non avete affatto un'aria felice. C'è qualcosa che posso fare per voi?”
“No Blackwall, ti ringrazio, sto bene. Torna pure con gli altri, sarò di ritorno tra un attimo.” Ma il custode non sembrava intenzionato a tornare in locanda incamminandosi invece al suo fianco. Lena si sorprese a serrare i pugni infastidita dalla presenza del custode. Erano lontani i tempi in cui avrebbe elemosinato tante attenzioni da parte sua, perché?
“Dopo l'incoronazione della Divina l'Inquisizione potrà prendersi una pausa, credo che non avremo altri incarichi ufficiali per un po'. Cosa farai?” La voce del custode suonava spavalda e Lena si chiese dove fosse finita tutta la distanza e la formalità? Che fine aveva fatto quel “voi” che la ragazza percepiva ora come una trincea rassicurante?
“Nessuna autorità ci ha affidato incarichi ufficiali in passato e non lo faranno ora. Sono ancora l'Inquisitore c'è ancora un bel po' di lavoro per me da queste parti, squarci da chiudere banditi da prendere in custodia, disperati da aiutare. Poi si vedrà. Magari mi ritroverò a vivere da furfante in un'enclave di una grande città o forse troverò finalmente spazio tra ranghi dei custodi grigi, ma la vedo una possibilità sempre più remota.”
“Sarebbe innegabilmente romantico. Una vita spesa lottando spalla a spalla e una morte identica che ci attende inevitabilmente troppo presto. Se questo fosse uno dei libri di Varric probabilmente sarebbe il finale perfetto per i nostri personaggi.” C'era una lieve nota di rancore nelle parole del custode, le stava rinfacciando la decisione con cui aveva disposto della sua vita condannandolo rendere vera la propria bugia?
“Senza dubbio meno romantico che rimanere a penzolare da una forca in un giorno di pioggia.” Il rimorso ormai permeava qualunque sensazione e non avrebbe permesso al Custode di usarlo contro di lei. Rallentò e fece per tornare sui propri passi, non voleva rimanere lì fuori con l'uomo in quel momento. Lena aveva la sensazione che tutto fosse sbagliato, nessuno dei due era al proprio posto e la situazione la metteva a disagio. Il custode sembrava però pensarla diversamente e le afferrò un braccio per impedirle di tornare indietro.
“Non credi di aver pianto troppo a lungo la perdita di qualcuno che forse non ti meritava?”
Una rabbia controllata saliva lenta alla testa di Lena. Poté assaporarne ogni sfumatura, godere della forza che sembrava fluirle nelle vene, la lasciò salire finché non seppe di aver taciuto troppo a lungo.
“E chi sarebbe questo qualcuno? Il mio clan? I tanti soldati morti in mio nome? O forse sono i miei amici, nella compagnia dei quali ho scoperto cosa fosse una famiglia e che ora tornano ad una vita che mi chiude fuori?. Chi di loro non merita il mio dolore?” La voce era tagliente e controllata e Lena si sentì rinvigorita dall'imbarazzo che velò il volto del custode.
“Mi dispiace, non volevo.”
Ma Lena sentiva ormai l'ebbrezza della lotta renderla spietata e quindi continuò: “Ti riferivi forse a Solas? Hai stabilito un termine entro il quale smettere di sentire la sua mancanza ed è finalmente venuto il momento di riscattare la tua preda? E allora forza, vieni a reclamare ciò che ritieni tuo!”
La voce dell'elfa si era fatta sempre più bassa e il volto sempre più vicino a quello del custode. Quando afferrò il collo della sua casacca per trascinarlo vicino il custode sembrò annaspare alla ricerca di aria. Lena lo lasciò andare e sputò fuori con sufficienza: “Niente è cambiato, continui a non sapere quello che vuoi.”

Fece per allontanarsi ma in un istante il custode era contro di lei e senza sapere come si ritrovò spalle al muro contro una stamberga di pietra che sorgeva sul ciglio della strada.
“Non prenderti gioco di me Inquisitore. Ti ho chiesto scusa, non avrei dovuto parlare in quel modo, ma è vero, il mago è lontano non c'è più motivo per noi di non poter avere ciò che abbiamo a lungo desiderato.” Il respiro dell'uomo era spezzato e bruciava contro la pelle di lei. Le parole erano uscite come il lamento di un orso, Lena sentiva una vaga paura mescolarsi ad un rabbia ormai incontrollabile. Un pensiero le attraversò la mente per un attimo: solo la rabbia e la paura sarebbero state in grado in futuro di farle provare qualcosa che non fosse rimorso e dolore? Scacciò il pensiero sentendo un sapore metallico in bocca, sapore di sangue, da dove veniva? Aprì la bocca per parlare e solo allora si accorse di avere affondato i denti in un labbro.

“Perché dovrei volerti ora? Quando ti desideravo più di ogni altra cosa mi hai tenuto lontana, mi hai mentito e infine mi hai respinta perché non ero ciò che volevi, perché non potevi sopportare che non ti appartenessi. Ed ora? Cosa è cambiato? Lui non c'è più ma questo non ti rende più padrone di me di quanto fossi prima. Mi dispiace, non sono quel tipo di persona e tu hai dimostrato più volte di non apprezzare ciò che sono, non fingerò di essere diversa solo perché la situazione è diversa.”
“Non mi interessano tutte queste storie, voglio solo rimanerti accanto.”
Lena sciolse la tensione in una risata irrefrenabile che spinse il custode a fare un passo indietro lasciando la ragazza libera di muoversi, un freddo improvviso la colse.
“Come dicevo le cose non cambiano, sei un bugiardo e rimarrai un bugiardo perché non sei capace di non mentire a te stesso. Ora se vuoi scusarmi i miei amici mi aspettano.” Si allontanò cercando di mantenere il passo fermo nonostante sentisse le gambe tremare. Tornò in taverna, mancava l'aria in quel posto. La compagnia nel frattempo si era sciolta, molti avevano raggiunto i letti, stanchi per il lungo viaggio. Varric era ancora seduto al tavolo e chiacchierava allegramente con Dorian, Sera dormiva sdraiata su una panca, evidentemente troppo ubriaca per raggiungere il letto e Il Toro osservava la discussione dei due amici comodamente sprofondato in una poltrona. Lena raggiunse la panca su cui Varric era seduto e si accasciò accanto a lui, spalla contro spalla.
“Ragazzina, sembra non averti giovato l'aria aperta.” Come al solito non una sola espressione sfuggiva all'occhio vigile del nano.
“Si fanno degli incontri sfortunati di notte in questa città.”
Dorian, tanto attento quanto il nano, era sempre solerte nel dimostrare quanto disprezzasse il custode e anche in quell'occasione fece in modo di non risparmiarsi: “Se qualcuno deve prendere a calci nel sedere quel cialtrone permetti che sia io farlo, per favore.” 

Lena sorrise e rispose: “Credo di aver vinto questo privilegio la prima volta che sono andata a letto con lui.”
“D'accordo orecchie a punta, ma allora non rinuncerò alla sadica soddisfazione di dire: te l'avevo detto!”
“Temo, mio caro, che dovrai metterti in coda, ti terrò un posto subito dopo Varric. Evidentemente non sono brava a riconoscere i buoni consigli.” Lena si sforzava di ridere ma uno sguardo attento di Varric la fece sentire immediatamente smascherata.
La serata proseguì tranquilla ancora per un po', quando infine Lena si alzò per andare a dormire il custode non era ancora tornato.
La stanza che condividevano era grande, ingombra di letti a castello e piena di spifferi che rendevano l'aria quanto meno respirabile se non propriamente fresca. Lena si arrampicò su uno dei letti lasciati liberi e si sdraiò. Il labbro in cui aveva affondato i denti si andava gonfiando, nell'attesa del sonno che continuava a sfuggire, torturò la ferita con la lingua e con i denti assaporando l'acuirsi e il diradarsi continuo del dolore, finché, grazie forse ai respiri tranquilli dei suoi compagni, si addormentò e si abbandono ad un sogno che era rimasto dimenticato per molto tempo.

Le strade di Val Royeaux si aprivano davanti a lei ma questa volta sentiva la propria volontà e il proprio desiderio di arrivare in fondo, non era più la strada a scorrere sotto i suoi piedi ma erano le sue gambe a macinare il sentiero a falcate sempre più lunghe finché non si ritrovò a correre.
Vedeva già il grosso portone in lontananza e la luce di uno squarcio illuminarne i contorni quando si accorse di qualcosa di strano. Non sentiva la presenza della belva vicino a lei. Arrivò al portone e poté specchiarsi sulla superficie lucida della facciata. La belva non c'era più perché lei stessa era diventata la belva. Due occhi di lupo la fissavano riflessi nella porta e nell'istante in cui il portone iniziò ad aprirsi si rese conto di stringere qualcosa tra le fauci e il sapore di sangue le avvolse la lingua. Era pronta a battersi contro qualunque cosa avrebbe oltrepassato quella soglia, il sapore di sangue la rendeva impaziente della battaglia. Il portone si aprì infine e Lena vide, al di là di questo, stagliarsi un lupo molto più grande di lei, la paura lasciò presto il posto a qualcosa di diverso. Il lupo era fermo e la guardava, Lena a zanne scoperte studiava il nuovo arrivato, c'erano troppi occhi sulla sua testa, quello non era un lupo qualsiasi, era il Temibile Lupo. Era fermo e la osservava, cosa voleva? Era lì per sbranarla o per portarla con sé?

Lena si svegliò di soprassalto, la stanza era ancora immersa nel buio. Le tante storie del suo clan le tornarono alla mente, era pericoloso dicevano, sognare il Temibile Lupo, i sogni mettono Fen'harel sulle tracce del sognatore e una volta fiutata la preda il lupo non la lascia andare. Eppure lo sguardo negli occhi della bestia per quanto inquietante non sembrava feroce. Cosa avrebbe potuto volere Fen'Harel da lei? Troppe storie si affastellavano nella mente ancora stordita dal sonno. Era venuto a reclamare uno schiavo marchiato che gli apparteneva? E quel servo era stato degno del suo padrone? E cosa significava essere degno di Fen'Harel? La crudeltà e la violenza delle sue azioni avevano reso onore al Temibile Lupo oppure il protettore del popolo era indignato dal suo operato ed era venuto a chiedere conto delle sue azioni? In ogni caso non c'era speranza per lei.
Un terrore irrazionale l'afferrò all'improvviso e la trascinò giù dal letto. Qualcuno si mosse nel letto sotto a quello che lei aveva occupato.
“Ragazzina che succede?” La voce di Varric era un sussurro roco e impastato di sonno.
“Ho solo fatto un brutto sogno, stai tranquillo.” Lena si accostò al letto dell'amico e cercando di riprendere coraggio sedette a terra appoggiando la schiena contro il montante di legno. La grossa mano del nano le raggiunse la testa in una carezza un po' goffa.
“Posso rimanere qui per un po'?”
“Vieni qui e cerca di riposare.” Varric si era spostato su un lato del letto lasciando spazio per lei e Lena non si fece ripetere l'invito. Si sdraiò accanto all'amico con il dubbio che lui non si fosse mai davvero svegliato. Varric allargò un braccio verso di lei e la ragazza posò la testa sulla sua spalla rannicchiandosi contro il corpo tozzo dell'amico. Regolarizzò il respiro seguendo quello tranquillo di Varric che era all'istante ripiombato in un sonno sereno e presto anche lei si assopì e dormì tranquilla fino al mattino.
Aprì gli occhi sulla stanza tenuemente illuminata e il sorriso gentile di Varric gli diede il buongiorno.
“Ben svegliata ragazzina. Lieto che tu abbia riposato, infine. Ora sono libero di andare o devo pagare un riscatto?”

Lena sorrise tirandosi su a sedere. “Beh ti lascio andare se prometti ti portarmi una tazza di tè a letto.”
“Non se ne parla neanche, giù dal letto e pronti alla marcia, la cercatrice starà già sbraitando che siamo in ritardo.”
E in effetti Cassandra, più nervosa per l'approssimarsi del grande giorno che per la situazione effettiva, era già pronta e sbraitava cercando di mettere fretta ai compagni, senza peraltro ottenere alcun risultato.
Lena si sentiva riposata e piena di energia come non le capitava da molto e si sentì tanto coraggiosa da sfidare la furia di Cassandra augurandole il buongiorno con un bacio sulla guancia, solo l'imbarazzo riuscì a lavare via dal volto della cercatrice un'espressione sbalordita e confusa, tanto bastò per scatenare il buonumore nella compagnia e mettere a tacere per un po' le ansie della donna.
Quando furono pronti ad andare trovarono Blackwall fuori dalla locanda, più torvo che mai e pronto a seguire la compagnia in silenzio e a testa bassa. Lena cercò di ignorare la sua presenza scura per l'intero viaggio e avrebbe avuto successo se non fosse stato per uno dei soliti battibecchi con Dorian.
“Se hai qualcosa da dire mago, fallo e basta, altrimenti lasciami stare.” Blackwall aveva iniziato a sbraitare improvvisamente attirando l'attenzione di tutti, Lena aveva perso l'inizio della discussione ma non sembrava avere un oggetto particolare se non la loro reciproca antipatia.
“Se avessi qualcosa da dire che tu fossi in grado di capire, fidati, lo farei.”
“Mi sarei aspettato qualcosa di più da qualcuno che fa continuamente vanto della propria intelligenza.”
“Io invece non mi aspetto niente meno che un inutile tentativo di provocare da un bruto come te.”
“Ehi smettetela voi due, siete maschi lo abbiamo capito.” Sera aveva interrotto il battibecco con una risata, non sospettando che le cose avessero appena iniziato a volgere di male in peggio.
Blackwall sembrava non voler lasciar placare gli animi e aggiunse abbassando la voce, ma premurandosi comunque che tutti potessero sentirlo: “Maschi, beh, io lo sonosicuramente!”1
Lena aveva assistito alla scena piuttosto annoiata, discussioni simili si erano ripetute infinite volte, ma in quell'istante realizzò quanto l'intera situazione stesse per sfuggire a tutti di mano. Vide il volto di Dorian imporporarsi di rabbia e il custode sfidarlo con uno sguardo impertinente, ma ciò che davvero le provocò un moto di allarme fu il sommesso grugnito che sfuggì dalle labbra del Toro, un rumore a metà tra il ringhiare di un lupo e il brontolio di un temporale in arrivo. Vide prepararsi fiamme e lame.
“Questo è il meglio che sai fare, fottuto bugiardo che non...” Dorian aveva risposto con rabbia malcelata all'insulto e Lena, con uno sforzo che le parve soverchiante, si sistemò sul viso la maschera dell'Inquisitore bloccando sul nascere lo sfogo del mago.

“Basta così!” La sua voce suonò stranamente artefatta e lo sfoggio di autorità decisamente fuori luogo, nulla di tutto quello era reale, ma funzionò come se lo fosse. Tutti tacquero. Forse loro non erano più in grado di riconoscere l'inganno, forse lei era diventata troppo brava nel recitare quella parte. Non aveva mai sentito la mancanza di Solas come in quel momento, lui non si sarebbe lasciato ingannare.
Un solo sguardo verso il custode e vide di nuovo l'uomo vergognarsi di se stesso come la notte precedente, questo bastava. Riprese la marcia a passo spedito. La conversazione stentò per un po' poi timidamente riprese corpo, qualche miglio più avanti l'incidente era apparentemente superato sebbene ve ne rimassero evidenti tracce nello sguardo torvo del custode, nel malumore acido di Dorian e nella sensazione di delusione che Lena non poteva impedirsi di provare nei confronti del Custode e che aveva il retrogusto amaro del tradimento.
Quando a sera inoltrata raggiunsero Val Royeaux non c'era traccia dell'atmosfera familiare della notte precedente, ma quella notte era per Cassandra e tutti fecero del proprio meglio per allontanare ansie e paure dalla mente della cercatrice.
Ciò che l'attendeva non poteva essere affrontato con spada e scudo e la donna si sentiva indifesa. Lena rimase al suo fianco il più a lungo possibile, la luna splendeva alta e le due donne si trovarono a camminare per le vie deserte della città. Cassandra osservava la notte come se quella dovesse essere l'ultima della sua vita e per Lena non fu difficile immaginare che in un certo senso lo fosse.
“Cosa si prova ad avere per le mani così tanto potere e così tanta responsabilità?” Si erano fermate su una terrazza che si affacciava sul lago e ora Cassandra lasciava lo sguardo vagare in attesa di una risposta o forse semplicemente inseguendo i propri pensieri.
Lena rifletté un poco prima di rispondere: “È terrificante, ma non conosco nessuno che sappia affrontare la paura meglio di te.”
“Quello che è successo oggi, il modo in cui sei stata costretta a reagire. Questo è ciò che mi spaventa di più, se tutti iniziassero a trattarmi sempre e solo come Divina, di chi potrei fidarmi, chi mi direbbe che sono sulla strada sbagliata?” Le parole di Cassandra erano pugno in pieno volto, ma Lena fu brava a mettere da parte le proprie paure, per una volta.
“Tu sei stata la mia guida così a lungo che mi sento sciocca a dirti queste cose ma, se lo vorrai, in me troverai sempre un orecchio lieto di ascoltare e una bocca pronta a parlare onestamente, sempre più incline alle beffe che ai complimenti.” La cercatrice accennò un sorriso e Lena si sentì incoraggiata a proseguire: “Inoltre sai bene che Leliana rimarrà al tuo fianco e certo non lesinerà consigli e opinioni. Spero solo che tu sappia ascoltarli prima di trovarti con un pugnale nella schiena.”
Quella notte la Cercatrice era meno incline del solito ad apprezzare l'ironia e Lena se ne accorse tardi, quando ormai lo sguardo della donna si era fatto fosco, sommerso di nuovo di preoccupazioni.
“Cass, io non metterei la mia vita nelle mani di nessun altro con la stessa fiducia che ripongo in te, non solo per la tua forza e per il tuo senso di giustizia ma anche perché tu avresti potuto prendere il mio posto se solo avessi voluto e non lo hai fatto. Chiunque sappia rinunciare al potere con tanta semplicità merita di ottenere potere, e tu lo meriti, nessuno saprebbe fare di meglio al tuo posto.”
“Sai perché sono stata tanto pronta a prendere le tue difese e a battermi per te all'inizio? Perché vedevo in te molto di ciò che sono. Vedevo la tua difficoltà, la tua paura, la tua rabbia ed era naturale sentirle come mie. Ora capisco che divenire Inquisitore ti ha inevitabilmente cambiata, nel bene e nel male, e temo un giorno di non sapermi più riconoscere.”
Lena sorrise pensando a quanto vere fossero le parole della cercatrice, le due donne potevano dirsi senza dubbio molto simili, nessun altro oltre forse la stessa Lena avrebbe sputato in faccia a qualcuno una verità tanto dura con la stessa naturalezza.
“Tu hai qualcosa che purtroppo a me manca e che ti rende incredibilmente più forte: tu hai la tua fede incrollabile. Non sottovalutarla, voi che avete fede rischiate spesso di darla per scontata, di non riconoscere la forza che vi dona. Tu sai che esiste qualcosa o qualcuno in grado di indicarti il sentiero e che rimane un esempio stabile di giustizia e benevolenza, è desolante invece avere la certezza che non ci sia altro oltre ciò che puoi vedere e toccare. Quando le tue azioni seguono solo il tuo giudizio, non hai altra guida che te stesso, nessun altro da biasimare nell'errore, nessuno a cui rivolgerti implorando perdono. Tu sei più forte di me e farai senza dubbio meglio.”
Cassandra sorrise a quelle parole e abbracciò Lena con tanta forza da toglierle il fiato.
Tornarono indietro in silenzio e non appena raggiunsero il palazzo che li ospitava si separarono per recarsi ciascuna nella propria stanza.

Quella notte Fen'harel apparve di nuovo nei sogni dell'elfa. Non si trattava del solito sogno e le strade di Val Royeaux erano state sostituite da una fitta foresta. Sapeva di avere ancora le sembianze di un lupo e sentiva i muscoli tesi nella volontà di correre ma i tanti rampicanti e la fitta vegetazione le impedivano i movimenti. Con i fianchi e il muso feriti e graffiati riuscì finalmente a raggiungere una radura. Era pronta infine a gettarsi in una corsa a perdifiato quando scorse da lontano il Temibile Lupo. Trattenne lo scatto e si avvicinò furtiva, passo felpato e ventre a terra, voleva poter vedere senza essere vista. Cosa l'attraesse della terribile bestia era un mistero a cui la ragione non sapeva dare risposta. Il Temibile Lupo era sdraiato sulla riva di uno specchio d'acqua e fissava la propria immagine immobile come una statua, Lena aveva già visto quel luogo ma la memoria sembrava non assisterla in quel sogno.
Sfruttò il rumore prodotto dalla piccola cascata che si gettava nel laghetto per farsi ancora più vicina, si sdraiò infine tra i cespugli ed osservò.
Era davvero una bestia maestosa, il manto nero splendeva come seta al chiarore della luna riflettendo i foschi colori della notte. I numerosi occhi erano inquietanti eppure non bestiali, al contrario il terrore che scatenavano nasceva forse dal loro essere assolutamente intelligenti, allo stesso tempo attraenti e crudeli, come il mare in tempesta che invita i più temerari a gettarsi tra i flutti sfidando la corrente per la soddisfazione di domare o quanto meno di essere parte di tanta potenza.
Un rumore forse attrasse l'attenzione della bestia e gli occhi si fecero sottili, concentrati. In quel momento Lena capì, erano gli stessi occhi che aveva visto sul volto dei tanti demoni della superbia che si era trovata ad affrontare. Condividevano forse la stessa natura? Fen'harel, l'ingannatore poteva non essere altro che un demone molto potente? Niente l'avrebbe sconvolta oramai, ma certo quel nuovo pensiero rendeva impellente la fuga, non voleva essere scovata da un demone in un sogno, non era una maga, ma è difficile dire di cosa i demoni possano davvero essere capaci. Si allontanò in silenzio finché non fu certa di essere sufficientemente lontana dal Lupo e poi si gettò finalmente nella corsa tanto sospirata, la foresta diradava e Lena si accorse che la luna aveva ripreso a splendere su di lei, sentì l'istinto di ululare e non lo soppresse, una sensazione di libertà assoluta la pervase. Desiderò di poter rimanere in quel sogno per sempre e solo allora si accorse di quanto stranamente lucida fosse la sua mente in quel momento.

Si svegliò di soprassalto il cuore impazzito come dopo una vera corsa. Il sole iniziava a spuntare era il momento di alzarsi e affrontare la giornata. Prima di sera Cassandra sarebbe diventata la Divina Victoria.

 

 

 

XLVIII

Solitamente odiava dover lasciare il Crocevia, non appena metteva piede al di là dell'eluvian la sua terribile emicrania, compagna fedele, tornava a tormentarlo, da quando poi un altro spirito si era unito al suo il dolore era cresciuto tanto quanto il suo potere. Quello era, però, un grande giorno e non sarebbe mancato per nulla al mondo.
Per quanto i suoi agenti fossero accurati nei loro rapporti aveva bisogno di respirare il fermento del popolo per decifrarne le sfumature e poter prevedere i cambiamenti. Inoltre l'orgoglio lo spingeva ad assistere in prima persona ad una delle più grandi vittorie ottenute da quando aveva di nuovo aperto gli occhi su questo mondo. Riuscire ad influenzare l'elezione della nuova Divina dava la giusta misura di quanto la sua rete avesse stretto le proprie maglie, nulla poteva accadere nel Thedas meridionale senza che Fen'Harel avesse voce in capitolo.
Eppure i suoi collaboratori sembravano non essere altrettanto entusiasti riguardo alla sua volontà di festeggiare il traguardo raggiunto.
Abelas sebbene inizialmente reticente aveva finito per conquistare un posto di rilievo tra le fila del Temibile Lupo, rifiutava ancora di lasciare il Crocevia e di avere a che fare direttamente con gli shem'len, ma i suoi consigli erano stati spesso molto utili per Solas. In quel caso invece il consiglio dell'antico servitore di Mythal fu ignorato senza scrupoli. Abelas si era infatti detto piuttosto preoccupato all'idea che Solas si recasse personalmente a Val Royeaux, agenti dell'Inquisizione e l'Inquisitore stessa avrebbero assistito all'incoronazione della Divina e secondo la sentinella la sua frivola escursione rappresentava un inutile rischio.
Solas aveva ignorato consigli più saggi e non rimpianse di poter ignorare anche questo.
Per quanto il dolore alla testa fosse quasi disorientante, poter girare per le strade di una città qualunque indossando umili vesti era rinfrancante. Era tornato a vestire la pelliccia del Lupo e, con la comparsa di Fen'Harel, Solas era stato ricacciato in un angolo e messo a tacere con tutto il bagaglio di dolore e rimpianti che avrebbero senza dubbio reso più impervio il percorso del Temibile Lupo.
Poter dismettere il suo nome per qualche ora era piacevole così come sentire l'eccitazione del pericolo. Era innegabile che il lungo periodo vissuto con l'Inquisizione aveva risvegliato la sua parte più impulsiva e avventata, togliendo qualche migliaio di anni al suo animo affannato. Poteva immaginarsi giovane girare per le strade di Arlathan con gli stessi sentimenti in petto e con lo stesso brivido di paura ed eccitazione che gli correva ora lungo la schiena. Non aveva alcuna intenzione di farsi troppo vicino al centro città, voleva al contrario poter rimanere ai margini, nei bassifondi e captare quale fosse l'umore del popolo in merito all'elezione. Un elfo guardingo e incappucciato non attirava l'attenzione in quei giorni e in quei luoghi. chevalier e templari sarebbero stati occupati altrove, la sua incursione poteva dirsi quindi estremamente sicura. Vagò per un poco senza meta fermandosi di tanto in tanto ad origliare le conversazioni dei passanti. Più o meno tutti si dicevano fiduciosi che le cose potessero davvero iniziare a cambiare grazie alla nuova Divina. Solas fu inaspettatamente lieto di sapere quanta fiducia la gente riponesse in Cassandra. La donna meritava effettivamente il ruolo che ricopriva, dovunque venisse il potere che le era ora consegnato era certo che nessuno come lei avrebbe potuto gestirlo nel migliore dei modi. Avrebbe ispirato gli uomini con il suo coraggio anche nei giorni bui che sarebbero venuti, sarebbe stata una solida fortezza in cui rifugiarsi aspettando la fine.
Certo doveva ammettere che era stato facile infiltrare tra i servitori della Divina le sue spie, alcuni degli uomini di Skyhold avevano in passato guadagnato il favore della cercatrice ed erano ora accolti con calore al servizio della Divina, ma, al di là del favorevole tornaconto personale, la scelta era stata felice e accolta con benevolenza e Solas non poteva che esserne orgoglioso.
Ma la cosa che lo stupì e lo inorgoglì maggiormente fu sentire quella povera gente invocare il nome dell'Inquisitore come di una salvatrice. Aveva ricevuto molti rapporti a riguardo ma ascoltare con le proprie orecchie come la sua giovane amica fosse in grado di infiammare le speranze degli ultimi era allo stesso tempo inebriante e doloroso. Le storie che aveva ascoltato parlavano di un Inquisitore sempre più attenta alle sorti del suo popolo. I suoi agenti raccontavano che quando le sue missioni lo consentivano, l'Inquisitore non mancava mai di visitare le enclavi di grandi e piccole città. Durante le sue visite l'elfa non portava pietà e carità come a volte alcuni politicanti avevano fatto, lei portava parole di speranza e orgoglio che risvegliavano sussurri di ribellioni. Voci non confermate sostenevano che l'Inquisizione stesse armando gli elfi di Halamshiral e delle maggiori enclavi elfiche del Thedas. Le spie smentivano fortemente quest'ultimo punto ma non potevano negare la crescente consapevolezza e le sporadiche insurrezioni che sempre più spesso seguivano le visite dell'Inquisitore. Per questo gli arle fereldiani, che rispetto ai nobili dell'Orlais meno dovevano all'Inquisizione in termini politici, iniziarono a temere, mormorare e a volte ad osteggiare apertamente l'operato dell'Inquisitore.
Solar, seppure orgoglioso di sapere la sua amica lottare per il benessere del suo popolo, rimaneva interdetto e impensierito temendo che le loro strade rischiassero di incontrarsi troppo presto e in modi che non aveva saputo prevedere.
Quando il pomeriggio volse al termine trovò rifugio in una taverna, ordinò del sidro e si sedette in un angolo. Poteva osservare, non visto, il via vai degli avventori e prese nota di quanto accadeva, le voci riguardo l'Inquisizione e la Divina si rincorrevano anche lì dentro. Si stava rivelando una serata interessante e proficua e anche stranamente piacevole, quando una figura attrasse la sua attenzione e per un istante rischiò di tradirsi. Varric aveva fatto il suo ingresso nella locanda e per un momento la sua mente si rifiutò di notare l'incongruità della situazione. Era del tutto normale anzi vedere quel volto sereno entrare in locanda, a Solas parve di avere avuto l'istinto di chiamarlo per farsi raggiungere al tavolo. Fortunatamente la realtà si sovrappose prontamente all'eco di una consuetudine ormai superata, Solas si sistemò meglio il cappuccio sulla testa abbassando gli occhi e rimanendo in attesa. Cosa faceva il nano in quel posto? Lo vide ordinare un boccale di birra e raggiungere un tavolo. Accidenti a Varric e alla sua assurda predilezione per posti luridi e malfamati come quello! A pensarci bene quello era esattamente il posto in cui si sarebbe aspettato di trovarlo, come aveva potuto non pensarci prima? Rimase ad osservare cercando il momento migliore per guadagnare l'uscita senza essere notato.
All'improvviso l'elfo sentì la propria emicrania dissolversi e un gelo colmo di terrore fece contrarre il suo stomaco. Non aveva il coraggio di alzare gli occhi dal tavolo, sapeva cosa avrebbe visto sollevando lo sguardo, la luce che la ragazza portava con sé non poteva che tradire la sua presenza. Terrore ed eccitazione gareggiarono nel suo cuore accelerando il battito, non era questo il brivido che stava cercando? E non era questo ad aver guidato giustamente i timori di Abelas?
Afferrò il boccale quasi vuoto e bevve un lungo sorso per darsi coraggio. Sfruttò la parziale copertura che il boccale offriva al suo volto per sollevare lo sguardo e vide davanti a sé il profilo dell'Inquisitore. Lo stomaco si torse ancora e la gola si chiuse, Solas tossì fuori il sidro che rischiava di soffocarlo. Tornò ad abbassare il capo temendo di essere stato scoperto e attese per un momento che sembrò lunghissimo. Immaginò il gelo delle lame dell'Inquisitore puntate contro la gola e la sua voce gelida intimargli di alzarsi. Ma niente accadde e Solas poté timorosamente risollevare lo sguardo lasciandolo vagare sul profilo di lei, così dolorosamente familiare. Il naso minuto, i lineamenti morbidi che tradivano la sua giovane età, la massa indomabile dei capelli lasciata insolitamente sciolta, tutto aveva un'inconfondibile sfumatura che sapeva di casa. I vallaslin attirarono la sua attenzione più di ogni altra cosa, aveva tracciato quei segni con la punta delle dita più di una volta, li aveva studiati attentamente, li aveva visti brillare fiocamente. Brillare per lui.
Il nodo alla gola aveva iniziato a dolere e l'aria stessa faticava a farsi strada.
Era stato così bravo a schermire i ricordi e a chiuderla fuori dalla sua vita! Solo di notte, prima di addormentarsi o nei suoi sogni più profondi l'immagine di lei tornava a volte a tormentarlo, ma ora averla di nuovo accanto rendeva inutile tutti i suoi sforzi. Niente era cambiato dentro di lui. Il dubbio che i sentimenti di lei non fossero reali non cambiava le cose, il fatto che lei avesse a tutti gli effetti distrutto la sua sfera e reso incredibilmente più difficile la sua missione, non cambiava niente. La distanza che lui aveva messo tra loro non contava nulla. Era bastato uno sguardo e il suo cuore era tornato a gemere per il desiderio di lei.
Fenedhis. Avrebbe dovuto dare ascolto ad Abelas.
Erano così tante le cose che la distanza non poteva mitigare oltre ai desideri del suo cuore, il suo compito rimaneva immutato e senza la sua sfera il processo sarebbe stato incredibilmente più violento, non importava la distanza, anche lei avrebbe sofferto del cambiamento; nonostante la distanza, Solas era certo che prima o poi lei avrebbe scoperto il suo piano ed eventualmente la sua natura e lui sarebbe diventato suo nemico. La distanza non era quindi una solida difesa, ma sentiva comunque l'irrazionale urgenza di allontanarsi da lì.
Alzò di nuovo gli occhi sui due amici che continuavano a parlare piano attorno ad un tavolo non così lontano da lui. Avrebbe potuto alzarsi e raggiungerli in pochi passi, avrebbe potuto parlare con lei, spiegare tutto e pregarla di aiutarlo a trovare una soluzione. Lei avrebbe finalmente potuto alleviare la sua pena, si sarebbe lasciato curare da lei a forza di baci e carezze, avrebbe potuto finalmente concedersi di amarla come aveva sempre desiderato. Ma tutto quello non era che il sogno di un ingenuo e lui aveva troppe migliaia di anni sulle spalle per potersi permettere una simile ingenuità.
Lo sguardo di lei era triste quello del nano preoccupato. Solas ricordò i timori della ragazza, ricordò la notte della distruzione di Haven giorni lontani relegati in un altra vita. Doveva sentirsi terribilmente sola ormai. Più di un anno era trascorso da quando Corypheus era stato sconfitto e da quando lui era fuggito, non dubitava che fosse già venuto il momento per l'entourage dell'Inquisitore di tornare alle proprie vite e lei aveva probabilmente dovuto affrontare la solitudine che tanto temeva. Chissà se l'impossibilità di tornare nel proprio clan tra gente che l'aveva tanto disprezzata era stato per lei un sollievo o un tormento. Era per superare la perdita del suo clan che si era gettata nella causa dell'emancipazione degli elfi?
Un uomo completamente ubriaco urtò un tavolo rovesciando il contenuto di un boccale su un avventore, la baruffa che ne scaturì offrì a Solas l'occasione perfetta per lasciare la locanda. Una volta fuori non si concesse troppo tempo, era rischioso rimanere nei paraggi. Camminò veloce fino a raggiungere la riva del lago, cercando nella corsa di seminare i pensieri che però ostinati lo seguirono fin dentro la caverna in cui era conservato uno degli eluvian.
Oltrepassare lo specchio e raggiungere il rifugio fu un sollievo. Abelas lo accolse con le ultime novità, che Solas non aveva però alcuna voglia di ascoltare.
“La missione si è rivelata utile come vi aspettavate?” Il sarcasmo della sentinella non era affatto sottile e Solas non era dell'umore adatto per essere infastidito.
“Venavis Abelas, se ti aspetti un riconoscimento per la tua lungimiranza hai sbagliato momento. Ho bisogno di un bagno e di riposo, è facile dimenticare quanto tetro, sporco e opprimente sia quel mondo, credo di aver facilmente perso l'abitudine ad esso.”
“E affollato, suppongo.” Da quando l'uso dell'ironia era diventato tanto naturale per quell'elfo? Evidentemente era stato un cattivo maestro per lui.
Si allontanò senza rispondere. La torre in cui avevano costruito il loro rifugio era ancora parzialmente diroccata ma era stato possibile ricavare un buon numero di stanze e soprattutto un grande refettorio che dava cibo e riparo a molti elfi che potevano finalmente fare ritorno a casa.
La sua stanza era piccola e semplice, non dissimile da quella che aveva occupato a Skyhold, ma era perfetta allo scopo di provvedere ad un poco di intimità. Era ironico pensare che nonostante quanto profondamente si sentisse solo fosse costantemente in cerca di altra solitudine. Preparò un bagno e lasciò che l'acqua sciogliesse i pensieri. Come aveva temuto un solo pensiero tornava ostinato alla sua mente. Due occhi verdi incredibilmente tristi pungolavano il suo senso di colpa sempre troppo lesto a risvegliarsi.
Aveva faticato così tanto ad allontanarla dalla mente ed eccola di nuovo lì vigile e presente con occhi pronti a scrutare ad intuire una verità che sarebbe dovuta rimanere imperscrutabile ma che in qualche modo era sempre alla sua portata. Quante volte subito dopo aver lasciato Skyhold si era chiesto cosa lei avrebbe pensato del suo modo di agire? Una lite tra due agenti, una nuova recluta da accogliere tra i ranghi, un obiettivo da definire e subito la sua mente correva a lei. La sua mancanza di fiducia l'avrebbe fatta infuriare, avrebbe riso invece della pomposità con cui era intervenuto nella discussione, avrebbe acutamente individuato nel piano un punto debole che a tutti loro continuava a sfuggire. La sua presenza lo aveva perseguitato a lungo, aveva resistito con estrema fatica alla voglia di farle visita in sogno, eppure alla fine il suo compito aveva avuto il sopravvento. Lei era rimasta come l'eco lontana di un dolore che torna a tormentare senza svelare interamente la propria natura, confusa e intrecciata con le tante altre cose che lo addoloravano e per cui si sentiva colpevole. Rivederla aveva però vanificato tutti i suoi sforzi. Maledetto Abelas, aveva avuto ragione e senza dubbio non avrebbe mancato di farglielo notare.
L'acqua era ormai diventata fredda, uscì dal tino e si avvolse in un telo asciugandosi con lentezza. Studiò il proprio corpo nel piccolo specchio accostato alla parete: nuove cicatrici si sovrapponevano quasi ogni giorno a cicatrici vecchie le cui battaglie si perdevano ormai nella memoria. Quelle cicatrici e gli occhi cupi che lo stavano scrutando erano i soli segni delle tante ere che quel corpo aveva attraversato, non fosse stato per quei due segni del tempo non avrebbe potuto distinguere il suo corpo di oggi da quello giovane che calcava le strade dell'antico mondo. Un pensiero sadico e sottile come un ago si insinuò nella sua mente.
In tempi lontani a quel corpo non erano mai mancati baci e carezze così come le sue mani e la sua bocca non ne erano state avare, ora invece bramava il più casto contatto come un assetato nel deserto anela al pozzo che potrebbe salvargli la vita. Le mani di una fin troppo giovane dalish erano state le ultime a posarsi su quel corpo, ma quelle carezze fuggevoli non erano state neanche lontanamente sufficienti. Solas sospettava che in realtà non ne avrebbe mai avuto abbastanza di lei.
Ma il suo corpo menzognero era un monito oltre che un fardello. Se anche avesse voluto cedere al dolce desiderio di lei, anche avesse voltato le spalle a tutte le sue responsabilità e deciso di vivere in questo mondo distorto e corrotto accanto alla sua preziosissima amica, quel corpo avrebbe ogni giorno sottolineato l'innegabile verità, lei un giorno sarebbe morta e lui non avrebbe invece dimostrato un solo anno in più. Volse lo sguardo allo specchio e indossò la vecchia casacca. Era un sentimentalismo infantile ed indegno di lui, ma ora che era tornato ad indossare i panni del dio, provava un piacere intenso nel coricarsi indossando le vesti che erano state dell'apostata. Si gettò sul letto sospirando. Il bagno lungi dall'allontanare i pensieri aveva risvegliato in lui desideri insidiosi.
Il solo pensiero che un giorno la sua bella amica potesse semplicemente cessare di esistere era terrificante. Ed era colpa sua. L'anima che abitava in quella giovane e saggia elfa era senza dubbio antica, avrebbe meritato i privilegi che in tanti avevano invece avuto immeritatamente, le sue azioni avevano privato quell'anima degna del dono di una vita sconfinata oltre a privarla della conoscenza che derivava dalla connessione con l'Oblio. Si era spesso chiesto con quanta abilità la sua fantasia arguta avrebbe piegato il mana alla sua volontà se avesse potuto entrare in contatto con la magia che scorreva nelle sue vene.
Un colpo alla porta lo trascinò di nuovo alla realtà. Non voleva vedere nessuno, voleva poter indugiare ancora un poco in quei pensieri egoisti. Ancora un colpo questa volta più leggero, chiunque fosse non voleva davvero disturbare, evidentemente non era nulla di urgente e poteva attendere. Un pensiero assurdo affondò come una lama nel suo stomaco. Non poteva essere lei. Durante i giorni trascorsi con l'Inquisizione solo lei bussava alla sua porta. Il buio confondeva i contorni della stanza ed era facile poter immaginare di essere di nuovo tornato nella stanzina di Skyhold, immaginare che il tocco leggero sulla porta fosse il suo. Rivide la sua bella figura entrare incerta nella stanza, il bel volto illuminato tenuemente dal bagliore dei vallaslin e provò lo stesso intenso desiderio che lo aveva in passato portato così vicino alla rovina. Tutto sarebbe andato storto se avesse ceduto, ma tra la disfatta e la rovina nel mezzo ci sarebbe stata lei.
Poteva ancora sentire sulla pelle le sue carezze incerte, poteva sentire il marchio sulla mano di lei formicolare piacevolmente sulla sua nuca, le labbra morbide sul suo collo, i lunghi fremiti trattenuti appena. Poteva sentire in lei lo stesso desiderio, la stessa fame.
Solas cercò con un respiro profondo di rallentare la corsa impazzita del sangue nelle vene.
La sua bella amica non si era mai tirata indietro era sempre stato lui ad allontanarla, ogni volta con la mente un poco più offuscata. Ed ora lo rimpiangeva amaramente. Era stato difficile voltare le spalle a quella pelle morbida e profumata, era stato quasi impossibile frenare i baci e le carezze, mettere distanza tra i loro corpi quando il suo unico desiderio sarebbe stato quello di farsi ancor più vicino, baciare ogni più piccola parte di quel corpo, vedendo i vallaslin sul suo volto illuminarsi sempre di più e percorrendo le linee impresse nella sua schiena fino a sentirla gemere il suo nome.

“Solas?” L'eco della voce nota lo costrinse ad aprire gli occhi.
Fenedhis. Doveva essersi addormentato senza rendersene conto. Si guardò attorno e si rese conto di trovarsi nella caverna in cui aveva trascorso l'ultima notte con lei, era sempre riuscito a rimanere lontano da luoghi tanto pericolosi durante le sue peregrinazioni nell'oblio, quella volta era stato colto di sorpresa.
“Solas?”
Si voltò e lei era lì, il volto illuminato come ogni volta nell'oblio. Era davvero lei o solo una proiezione della sua immaginazione? Istintivamente guardò le proprie vesti, erano quelle che lei poteva riconoscere, sospirò sollevato.
“Solas?” Ancora il suo nome sulle sue labbra, i suoi occhi colmi di emozione. Fece un passo verso di lui e poi ristette indecisa.
“Sei davvero tu? Stai bene? Sei al sicuro?”
Il cuore gli balzò in gola, non c'erano recriminazioni o accuse nel cuore di lei, solo preoccupazione. Quella reazione non era certo una che la sua mente potesse immaginare. Doveva essere davvero lei. E lui doveva allontanarsi.
Doveva svegliarsi, doveva andare via da lì. Lei doveva aver affrontato gli stessi sforzi per dimenticarsi di lui e lui aveva vanificato tutto. “Non ti farò domande se non vuoi, non cercherò di sapere dove sei, dimmi solo, te ne prego, stai bene?”
La fuga non sarebbe stata sufficiente, l'aveva trascinata in quel sogno ora doveva prendersene cura, doveva permetterle di riguadagnare serenità. Pensò ad un posto felice in cui lei avrebbe potuto dimenticare gli affanni. La taverna di Skyhold sembrava il posto migliore, la musica del menestrello e le voci degli amici l'avrebbero aiutata, plasmò con la propria memoria il luogo caro.
“Solas!” di nuovo la sua voce.
“Perdonami venhan.” Lo disse sorridendo prima di svanire per lasciare il posto ai nuovi luoghi e ai nuovi odori. Rimase ad osservarla. Si aggirava confusa tra i tavoli, la vide salire per raggiungere il solito tavolo, il consueto vociare e la musica accompagnavano i passi della ragazza, si sedette poggiando la testa sulle braccia e pianse. Solas sentì di nuovo l'aculeo del rimorso pungere e spargere il suo veleno.
Come poteva essere stato così sciocco! Erano le persone ad aver reso prezioso quel luogo ed ora probabilmente la ragazza non poteva non sentire il peso della solitudine.
“Non piangere venhan, non sei sola.” Era di nuovo comparso al suo fianco, le si era fatto vicino ma non era abbastanza sicuro di sé da concedersi di toccarla.
L'ambiente intorno a loro cambiò di nuovo. Le aveva promesso che un giorno le avrebbe mostrato lo splendore di Arlathan, non ci sarebbe stato momento migliore per mantenere la sua promessa.
Con gli occhi ancora velati di lacrime la ragazza iniziò a guardarsi intorno e lo stupore ben presto prese il posto della disperazione.
“Questo è il posto a cui appartieni, il posto di cui sei degna.”
La ragazza gli scoccò un'occhiata colma di domande, ma Solas non sostenne il suo sguardo e iniziò a camminare. La ragazza camminava silenziosa al suo fianco guardandosi intorno piena di meraviglia, superato il timore iniziale prese ad aggirarsi con maggior sicurezza per le strade pronta a seguire la propria curiosità voltandosi di tanto in tanto per scambiare con Solas uno sguardo complice e felice. Ad un tratto ciò che vide davanti a sé gettò il mago nella confusione più buia e lo spaventò tanto da privarlo di tutta la sua razionalità. La ragazza che si aggirava per l'antica città di Arlathan aveva improvvisamente acquisito delle sembianze che non le appartenevano. Al posto del bel corpo della ragazza c'era ora un giovane lupo dal manto fulvo. Non poteva essere possibile, solo i somniari sono in grado di cambiare il proprio corpo all'interno dei sogni, e non solo la dalish non aveva il potere di un sognatore, non era neanche una maga. Anche quello doveva essere un effetto indesiderato dell'ancora. Guardò a bocca aperta l'animale per alcuni istanti. Lo aveva già incontrato in un sogno, lo aveva scambiato per uno spirito e lo aveva ignorato, poteva invece essere lei? Lei era stata in grado di farsi strada verso di lui all'interno di un sogno? Non era possibile. All'improvviso si sentì in pericolo. Come poteva celarsi tanto potere dietro un'apparenza inerte? Era vero aveva iniziato da molto a considerare quella dalish decisamente viva e reale, la considerava degna dell'antico mondo ma da questo a riconoscere in lei una vera connessione con l'antico popolo il passo era decisamente troppo lungo e del tutto azzardato. Con la sua sola presenza era riuscita a stravolgere l'idea che si era fatto del nuovo mondo ma non poteva accettare che potesse mettere in discussione davvero tutto, il mondo antico, il mondo del sogno, la natura della magia.
La ragazza-lupo stava intanto tornando verso di lui e facendoglisi vicina recuperò la sua forma umana apparentemente inconsapevole.
“E' bellissimo, ti ringrazio.” Dovette notare la sua espressione allarmata perché aggiunse subito: “So che devi andare, ma sarebbe bello se tornassi a farmi visita ogni tanto. Avrei così tante cose da raccontarti.”
Solas strinse gli occhi per allontanare un dolore indefinito. Non riuscì a trattenere una carezza e vide la ragazza tremare. Era sempre stato lui a tremare per il tocco di lei, mai il contrario. Era ora di andare. Lasciò la ragazza in quel sogno dandole la possibilità di esplorare l'antica città e svanì mentre lei correva lontana alla ricerca di nuove meraviglie. Sperava che al risveglio avrebbe potuto pensare al loro incontro solo come al frutto della sua fantasia, infondo sapeva bene che in passato le era già accaduto.

Dal canto suo lui avrebbe dovuto fare i conti con una verità che rischiava di destabilizzare tutte le sue certezze. Avrebbe dovuto fare ricerche, chiedere consiglio e trovare una spiegazione. Non si sarebbe fermato finché non avesse trovato una spiegazione razionale e accettabile capace di ricondurre la bella dalish ad una realtà accettabile e prevedibile, non poteva permetterle di rimanere una freccia vagante, era troppo pericolosa. Ma per quanto letale e dastabilizzante potesse essere quella fraccia, rimaneva la sua freccia -ma da'assan- e in un angolo remoto, lontano dai suoi pensieri più razionali, Solas sapeva che era piacevole scoprire che lei possedeva ancora il potere di di cambiare tutto ancora una volta, l'intero mondo.

Si risvegliò nella stanza illuminata dalla prima luce dell'alba. Qualcuno bussava di nuovo alla sua porta, con più insistenza questa volta. Gettò uno sguardo desolato al proprio mantello e aprì la porta.
“Mi dispiace disturbare.” A dispetto del suo tono formale lo sguardo negli occhi di Abelas tradiva l'esatto contrario. “E' arrivato un messaggio da Tarasyl'an Tel'as, l'agente sospetta che alcune spie dei qunari possano aver infiltrato le schiere dell'Inquisizione, accenna ad un piano inquietante ma non ha voluto dare informazioni più dettagliate per iscritto, chiede il permesso di tornare per potervi parlare di persona.” Solas fece un cenno di assenso.
“Ti raggiungerò subito.” Detto questo chiuse la porta si spogliò degli abiti dell'apostata e li ripiegò attentamente sistemandoli sopra il cuscino. Si rivestì, si gettò il manto del Lupo sulle spalle e uscì, evitando accuratamente di guardarsi allo specchio.

 

Fenedhis: imprecazione generica e indefinita. 
Vanavis: Basta
Ma da'assan: mia piccola freccia.


1: Il dialogo tra Dorian, Blackwall e Sera è davvero presente nel gioco più o meno in questi termini e l'ho tristemente scoperto durante la mia prima partita. Avevo intrapreso la romance con Blackwall e questo scambio mi ha talmente innervosita da farmi ricaricare la partita dalla sua quest personale e mettere fine alla relazione. So che nella mente dei programmatori probabilmente l'insulto non era relativo alla sessualità di Dorian ma al problema che Blackwall sembra avere con i ricchi e l'ostentazione del lusso (anche a causa del suo passato), ma il mettere in dubbio la mascolinità (o la femminilità in caso di una ragazza) di una persona omosessuale è uno degli insulti che ritengo più beceri e siccome alla fine mi sembrava coerente con il personaggio di Blackwall (anche pensando alla sua amicizia con Sera), non sono più riuscita ad averlo attorno, figuriamoci a pensarlo come romance. Volevo assolutamente inserirlo nella storia, un po' perché è una sfaccettatura interessante, a mio avviso, un po' per un senso di rivincita nei confronti del personaggio. Mannaggio-a-lui, mi piaceva tanto e poi mi delude così! Vabbè una spiegazione decisamente non richiesta, però ci sono un sacco di cose che ho inserito nella storia che poi non ho spiegato per non essere prolissa, questa volta non potevo evitare. Perdonatemi questa piccola soddisfazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Vir Banal'ras - Parte I ***


Non ci credevo più neanche io, ma sono arrivata alla fine di questa storia. Non so se sia rimasto ancora qualcuno a leggere o se nel frattempo la gente si è fatta grande, è diventata seria e ha smesso di perdere tempo con le fanfiction, però per me è una grande soddisfazione poter dire di essere arrivata alla fine. Come ho fatto altre volte ho diviso il capitolo in due parti perchè sarebbe stato davvero troppo lungo per essere lasciato intero. La seconda parte arriverà domani in giornata. Grazie a quanti passeranno da queste parti, Dareth Shiral.




Vir Banal'ras the way of the shadow

 

XLIX

“Sospetto che tu abbia delle domande.”
Neanche in un momento come quello aveva saputo mettere da parte quella maledetta ironia e nonostante tutto era lei che continuava a passare per quella incapace di riconoscere quando il tempo per gli scherzi era finito.
Era scintillante nella sua armatura dorata, sembrava più alto, più potente e incredibilmente più vecchio. Fu un attimo, di nuovo un lampo improvviso e un dolore accecante, Lena si ritrovò in ginocchio questa volta. Come il vento che si alza rapido e rischiara il cielo, così in un attimo il dolore scomparve e questa volta completamente, l'ancora sembrava tornata inerte, il dolore persistente che l'aveva accompagnata nell'ultimo periodo sembrava scomparso improvvisamente. Una semplice occhiata e la mano che tentava di ucciderla si era placata, come poco prima uno sguardo e la qunari che era andata così vicina all'ucciderli tutti era stata tramutata in pietra, e non era sola. Non le piaceva che lui avesse tutto quel potere su ciò che minacciava di ucciderla e quello sguardo la disturbava, lo aveva visto in passato una volta e aveva creduto che fosse posseduto da qualche terribile spirito, invece forse era lui stesso il terribile spirito.
Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi del mago tornati normali e ora assurdamente vicini. Il mago si era inginocchiato davanti a lei e la scrutava ora allarmato, a Lena mancò l'aria, Solas aveva fatto qualcosa per alleviare il suo dolore, ma abbandonandosi come al solito al contegno del medico aveva dimenticato di prendere in considerazione la situazione. Lena riusciva a sentire l'odore della sua pelle, non era in grado di distogliere lo sguardo dai suoi occhi chiari di cui aveva così tanto sentito la mancanza e l'istinto le diceva di dimenticare ogni cosa e baciarlo.
Una mano di Solas si bloccò improvvisamente nel gesto di posarsi sul viso di lei, un brivido percorse la schiena di Lena come se quella mano si fosse effettivamente posata sulla sua pelle. Avrebbe voluto afferrare quella mano e portarsela al viso, chiudere gli occhi e respirare a fondo l'odore familiare di lui, ma un timore tutto nuovo la bloccava.
“Non è una misura definitiva, ma dovrebbe farci guadagnare un po' di tempo.” La voce calda e controllata di Solas la fece tornare in sé, si riportò in piedi e il mago fece lo stesso.
“Tu sei Fen'Harel, tu sei il Temibile Lupo.” Un moto di soddisfazione la riscaldò nel vedere la sorpresa dipingersi sul volto del mago. Quel dubbio l'aveva tormentata durante tutto quello strano viaggio, gli agenti qunari continuavano a parlare dell'Inquisizione come di agenti di Fen'harel, gli scritti in cui si erano imbattuti avevano fatto crescere i sospetti, ma gli affreschi avevano sollevato domande più di ogni altra cosa. Avrebbe riconosciuto quella tecnica ovunque, la mano che aveva fatto quei dipinti era mutata nel tempo, ma era troppo simile per non essere la stessa. Lo aveva osservato dipingere per lunghe ore, troppe per potersi ingannare, anche in tempi lontani e non sospetti quando essere colta ad osservarlo risvegliava in lei un imbarazzo che non sapeva identificare. Era stato così bravo lui a riconoscere i propri sentimenti e a nasconderli, lei non era mai stata brava con queste cose.
Anche ora la sorpresa dipinta sul suo volto fu allontanata in fretta e se Lena non fosse stata abituata da una lunga consuetudine a leggere ogni segno appena percettibile sul bel volto del mago, si sarebbe forse lasciata ingannare dal sorriso leggero che in un attimo aveva preso il posto dello stupore e dalle parole gentili che seguirono.
“La tua intelligenza come al solito ti fa onore.”
“Diciamo che essermi trovata faccia a faccia con Mythal mi ha aiutata a tenere la mente aperta a nuove possibilità.”
Lo vide serrare le mani dietro alla schiena e guardare lontano mentre riprendeva i fili di un discorso che sembrava aver già provato molte volte. Lena si chiese se fosse davvero diretto a lei o se non fosse che una spettatrice casuale.
“Fui solo Solas in principio, Fen'Harel venne dopo un insulto che trasformai in uno stendardo.”
Lena riconobbe le parole che lei stessa aveva pronunciato alcuni anni prima e vide un lampo di complicità negli occhi tristi del mago.
“Non avrei voluto vederti subire lo stesso destino, ma tu sei stata più abile di me nel gestire le conseguenze delle tue azione o forse sei stata più fortunata.”
Fortuna? Osava parlare di fortuna? La faccia tosta dell'elfo le toglieva le parole, Lena sapeva che se avesse aperto bocca avrebbe iniziato a gridare. O a piangere. Quindi tacque.
Solas parlò a lungo svelando davanti a lei i misteri del passato, i segreti dimenticati del mondo antico. Parlò senza guardarla, finché non fece cenno all'immortalità perduta della sua gente. Un rammarico profondo si dipinse sul volto del mago quando i suoi occhi chiari incrociarono quelli stupiti dell'elfa.
“Ho reso libera la mia gente, ma facendolo li ho separati dalla loro stessa natura, li ho costretti a mutare.”

Per sottrarsi a quello sguardo angosciato Lena si sforzò di parlare “Questo è il passato, cosa accadrà in futuro?”
“Venhan, credi che io sia tanto avventato da svelare a te i miei piani?”
Un sorriso leggero aveva spazzato via la tristezza, la dolcezza delle sue parole non combaciava con la freddezza del suo tono. Non avrebbe dovuto fare appello al suo cuore, non poteva credere che si sarebbe lasciata manipolare così facilmente. O forse lo faceva perché sapeva di poter avere successo?
“Il fatto che tu abbia dei piani che non vuoi condividere mi sembra di per sé abbastanza allarmante.”
“Trovarti davanti al Temibile Lupo delle leggende del tuo popolo non è forse sufficiente?”
“È tornato ad essere il mio popolo, ora? Credevo sapessi che le leggende dalish non significano molto per me.”
“Com'è la maledizione dalish? Che il Temibile Lupo ti prenda. Non ti spaventa neanche un po'?” Quel suo modo di giocare con lei era nuovo e un po' inquietante, ma non poteva non riconoscere che fosse quanto meno autentico. Aveva rimosso ogni maschera, non ne aveva più bisogno, e improvvisamente Lena ebbe paura. Era davvero l'antico dio degli inganni l'elfo che la guardava divertito in quel momento? Si sentì in trappola per un attimo e questo l'aiutò a reagire.
“Hai imparato dei trucchi interessanti,” disse l'elfa sprezzante indicando con un gesto la statua della viddasala, “ma non credo di avere niente da temere da te.”
E il dio tornò ad essere per un istante l'apostata, lo sguardo smarrito e le mani tremanti lo tradirono, ma Lena fece un passo nella sua direzione mettendolo in fuga.
“Hai ragione, non devi temere, farò quanto in mio potere per tenerti al sicuro il più a lungo possibile.”
Erano parole stonate e fecero scattare un allarme nella testa della ragazza: “Solas, cosa hai in mente?” La testa affollata da oscuri presagi, possibile che nelle leggende ci fosse infine un fondo di verità?
“Gli elfi hanno sofferto troppo a lungo a causa del mio errore, la grandezza dell'antico popolo deve essere restaurata.” Lo sguardo era triste ma la voce indurita dalla risolutezza: “Non importa quale sarà il costo.”
Lena lo guardò a lungo senza dire una parola, lui non osava rivolgerle uno sguardo. Infine tutto era chiaro, il suo contegno schivo, la testarda ostinazione a non intessere legami, la forza con cui l'aveva tenuta lontana. Questo mondo era sbagliato, lui lo aveva creato mettendo fine a tutto ciò che riteneva bello e degno di essere salvato, lo aveva fatto per preservare quella bellezza, che aveva invece visto distrutta dalle sue azioni sconsiderate. Ora capiva il dolore che affiorava nei suo occhi ogni volta che gli si faceva vicina. Ora che finalmente comprendeva tutto, lui sconvolgeva di nuovo le carte in gioco, che cos'era quella nuova pazzia? Cosa stava cercando di dirle?
Gli si avvicinò e lo afferrò per una spalla nascosta sotto un armatura sottile e fredda, costringendolo a voltarsi verso di lei. Qualcosa dentro di lei le ingiungeva di non fare domande, ma mise immediatamente a tacere quella voce.
“Se vuoi combattere per dare dignità agli elfi, sarò con te. Ho visto cose spaventose da quando sei andato via, sono pronta a intraprendere questa lotta una volta che l'Inquisizione sarà smantellata. Permettimi di lottare al tuo fianco, o per te.”
Lo sguardo che seguì le sue parole le spezzò il cuore. I due occhi chiari del mago, erano colmi di lacrime, ma neanche una rigò il bel volto dell'elfo, il dolore come sempre rimaneva confinato ai suoi occhi senza che lui si permettesse di lasciarlo andare.
“Venhan, questo non è possibile. Il sentiero che percorro porta ad una fine inevitabile ed è cosparso di sangue, per nulla al mondo ti lascerei portare una tale colpa.” Davanti al suo sgomento Solas si sentì in dovere di spiegare ancora “Il velo ha distrutto l'antico mondo ed è solo abbattendolo che potrò vederlo risorgere. Vorrei che tu potessi vedere: Vir Dirthara, l'antica biblioteca, la magia e la bellezza, nessuno più di te sarebbe in grado di apprezzare tanto splendore, nessuno più di te ne sarebbe degno. Vorrei che ci fosse un modo per te di lasciare illesa questo mondo sbagliato, non c'è niente per te qui.” 
“Come puoi nascondere dietro alle lusinghe dei propositi tanto distruttivi. Sei impazzito? Non umiliare me e quello che provo per te cercando di ricavarne un vantaggio. Non lo merito e comunque non funziona.”
Solas la guardò costernato “Non era mia intenzione Venhan.”
La confusione e la paura esplosero in Lena in un moto di rabbia, come le accadeva fin troppo spesso: “Non chiamarmi così. Non puoi dire che sono il tuo cuore e continuare ad allontanarmi, non puoi chiamarmi il tuo rifugio, la tua casa e cercare di distruggere il mio mondo, il mondo per cui ho sacrificato tutto. Tu hai lottato al mio fianco, hai fatto tanto affinché a Corypheus fosse impedito di raggiungere il tuo stesso obiettivo, perché? Che senso ha? Vuoi dare vita a nuove leggende? Fen'harel il distruttore di mondi? Perché hai fatto tanto per proteggere questo mondo se la tua intenzione è sempre stata quella di vederlo bruciare?”
“Perché non sono un mostro!” Il moto d'orgoglio si sciolse in un attimo nel dolore più sincero e Lena sentì il cuore liquefarsi. “Ho sperato ci fossero altre strade, ma non ne ho trovate.”
“Possiamo cercarne insieme.”
“Vorrei fosse possibile. Hai dovuto subire i miei errori fin troppo, non permetterò che tu venga macchiata della mia colpa.”
Lena si fece ancora più vicina, poteva sentire l'odore dell'elfo, quello come il suo sguardo triste non era cambiato affatto, avrebbe potuto riconoscerlo anche solo da quello. Sollevò una mano fino a portarla sul volto del mago e lo vide chiudere gli occhi abbandonandosi a quella carezza. Sciocco e testardo, come sempre.
“Guardami.” Quando il mago riaprì gli occhi continuò: “È alla figlia del lupo che stai parlando, non dimenticare. Hai mai sentito dire che le colpe dei padri ricadono sui figli? Ho abbracciato il mio destino quando ho condannato a morte la mia gente, non sono un dio, ma nel mio piccolo ho distrutto un intero mondo, dovrò convivere con la colpa che tu lo voglia o no. Lasciami venire con te, cercheremo un'altra strada e se davvero non dovessimo trovarne, beh allora vedremo.”
“Io percorro il Din'Ashiral, c'è solo la morte su questo sentiero e non voglio che tu veda ciò che diventerò.”
“Arrogante e testardo. Distruggerai l'intero mondo per provare la tua grandezza, per non ammettere che potresti essere in errore, per non riconoscere che qualcun altro potrebbe riuscire dove tu hai fallito?”
Ma sentì la voce mancarle quando l'ancora tornò a reclamare attenzione e lei finì di nuovo ginocchia a terra sovrastata da troppi tipi di dolore.
“Ci è rimasto poco tempo, averti trascinata qui, mi dà almeno la possibilità di rimediare ad uno dei miei tanti errori. Non morirai, almeno per ora.”
Ma Lena era sorda alle parole del mago, sconvolta dal folle piano che le aveva appena confidato. Solas era una natura gentile, lo aveva visto prendersi cura di malati e derelitti, lo aveva visto battersi per difendere schiavi e servitori, non poteva davvero pensare di distruggere tutto.
Non poteva lasciarlo andare via. Lui si era accosciato davanti a lei e lo afferrò per un braccio con tutta la forza che aveva.
“La morte di questo mondo non può essere una risposta.”
“Non è una buona risposta, è vero. Ma a volte le scelte terribili sono le uniche che ci rimangono”
“Non farlo, non costringermi a combatterti. Se continuerai l'unica scelta che mi rimarrà sarà quella di fermarti.”
“So che ci proverai. Ma per ora permettimi di prendermi cura di te.” Una luce inquietante oscurò di nuovo il suo sguardo e Lena sentì il dolore abbandonare la sua mano. Se avesse prestato maggiore attenzione avrebbe notato che il dolore non era la sola sensazione scomparsa, ma gli occhi dell'elfo erano tornati normali ed erano fissi nei suoi. Lui sembrava riluttante ad andare e Lena sapeva che non avrebbe potuto perdere l'occasione di dire qualche parola in più. Non poteva essere completamente sordo alla ragione. Ma la gola era chiusa e pronunciare anche solo una parola sembrava impossibile. Quando Solas accennò a muoversi riuscì a pronunciare in un sussurro “Sila: Banal Nadas.”
L'elfo si fermò e la guardò ancora per un momento. Perché la stava baciando? Non poteva davvero credere di amarla. Eppure erano lacrime quelle che bagnavano infine il volto dell'elfo, poteva sentirle bagnare anche il suo viso. Ma dopo un attimo lui era scomparso attraverso lo specchio. Fu solo dopo un lungo momento che si accorse che la sua mano era stata tramutata in pietra e che stava iniziando a sgretolarsi.
Si guardò attorno, la statua della viddasala torreggiava poco distante e a valle poteva vedere i molti guerrieri che avevano subito il suo stesso destino. Come poteva essere sconfitto qualcuno con un tale potere. Come poteva essere fermato un uomo con tanti rimpianti e più nulla da perdere? Era ora di tornare indietro e cercare un modo per raccontare a tutti la verità.

---------------------------------------------------

 

Skyhold si andava svuotando, presto la fortezza sarebbe tornata preda della polvere e delle ingiurie del tempo o magari il suo proprietario sarebbe tornato a reclamarla. Non lo aveva ringraziato per il castello, era stato davvero maleducato da parte sua.
L'Inquisizione era ormai smantellata, Leliana era rimasta contrariata dalla sua scelta, non aveva apprezzato che lei rinunciasse ad un esercito e a preziose alleanze, ma Lena sapeva che quella lotta non avrebbe portato niente di buono. Era giusto mantenere l'Inquisizione pulita, un simbolo di onore e protezione che sarebbe rimasto incorrotto nel tempo. E forse, anche se non lo avrebbe ammesso neanche a se stessa, non riusciva a pensare di poter combattere con un esercito contro di lui. Di certo non è con la forza che si sconfigge un dio.
Quello sarebbe dovuto essere il suo ultimo giorno a Skyhold, ormai non rimanevano più di una dozzina di persone nell'intera fortezza, ma erano giorni che rimandava la partenza e avrebbe potuto trascorrere un'altra notte in quel posto senza sentirsi troppo in colpa. Era decisa a viaggiare da sola, nonostante le proteste di Leliana e della divina in persona. Avere a che fare con Cassandra stava diventando sempre più un'impresa da quando la sua testardaggine poteva essere mascherata da volere divino, ma Lena avrebbe mentito dicendo che non trovava divertente poter discutere con la Divina.
Charter l'aspettava con la bisaccia pronta sulla soglia della sala grande e vedendola si accigliò, doveva aver capito con uno sguardo le sue intenzioni. “Non dirmi che non stiamo partendo?”
Lena sorrise: “Oh sì mia cara, tu stai partendo. Io ti raggiungerò sulla strada.”
“Non pensarci nemmeno, Leliana vorrà la mia testa se ti permetto di viaggiare da sola.”
“E allora tu non dirglielo, sei tu i suoi occhi qui, a meno che non debba temere di essere spiata da qualcun altro. Se tu non parli, di certo non lo farò io. Vinciamo entrambi.”
“Lena, non voglio lasciarti qui.” Il tono della ragazza si era fatto serio. Lena era ormai affezionata a quella strana elfa, era divertente e sopra le righe, irriverente e intelligente si era dimostrata una compagna perfetta quando tutti avevano lasciato Skyhold, ma anche lei aveva una sua vita, nonostante Leliana sembrasse dimenticarsene. Quando gli elfi del Thedas avevano iniziato a dileguarsi Lena aveva temuto che anche la sua nuova amica li avrebbe seguiti, ma lei era rimasta e questo voleva senza dubbio significare due cose: la prima che sarebbe rimasta nei paraggi ancora a lungo ed era piacevole per Lena sapere di poter fare affidamento su qualcuno, ma la seconda era buia e problematica. La scomparsa degli alfi aveva senza dubbio a che fare con luie di certo lui non avrebbe permesso alla fedele assistente della mano sinistra della divina di unirsi alle sue file, proprio come non lo aveva permesso a lei.
Con tono più dolce Lena cercò di confortare l'amica “Non preoccuparti, le strade sono sicure qui oramai. Vi raggiungerò non appena saremo a valle. Credo che Tessa sia felice di averti tutta per lei per un poco, non vorrai mica che inizi ad odiarmi? Sa essere pericolosa la tua ragazza, in caso tu non te ne fossi accorta.”
Charter non era riuscita a trattenere un sorriso, Lena sapeva di averla avuta vinta, come al solito con lei.
“Se ti fai uccidere per strada verrò a prendere a calci il sedere del tuo cadavere.” L'abbracciò e la guardò allontanarsi. Nel cortile inferiore Tessa aspettava l'elfa, le due donne si scambiarono poche parole poi la brunetta si voltò verso di lei e agitò una mano in segno di saluto. Si allontanarono seguite dagli ultimi rimasti, qualche soldato, un paio di cuochi e una guaritrice. Skyhold sarebbe stata solo sua per quella giornata.
Si aggirò per la fortezza silenziosa, i suoi passi leggeri rimbombavano tra le mura ormai vuote. Quella era stata casa sua, per poco tempo è vero, ma pensandoci bene era stato l'unico posto che avrebbe potuto chiamare così. I tempi a venire le avrebbero portato altre case, altri luoghi a cui fare ritorno, ma quella era stata la prima. Varric le aveva donato una casa a Kirkwall e l'idea che la volesse vicina le aveva scaldato il cuore più del gesto in sé. Lena era felice di poter vivere vicino al suo amico, ma sapeva anche che la fine dell'Inquisizione non segnava l'ingresso in una stagione più tranquilla della sua vita. Doveva avere occhi ed orecchie ovunque e mettere radici in un solo posto era per lei praticamente impossibile. Kirkwall sarebbe stato senza dubbio un punto strategico per tenere le comunicazioni con il Tevinter, ma era lontana da Val Royeaux. Per questo Lena aveva chiesto di poter avere un letto nella nuova Haven ancora in via di ricostruzione. Nessuno era ancora incline a rifiutarle nulla, la memoria dell'Inquisizione e della fine del mondo era ancora vicina ma chissà cosa avrebbero detto sapendo che fermare di nuovo la fine del mondo non la vedeva così convinta questa volta. Ora che il nemico non era un mostro, la sua determinazione vacillava.
Si aggirò per un poco nella grande sala centrale combattendo con poca convinzione contro la voglia di dirigersi alla rotonda, e ben presto smise di lottare. Non vi era più neanche lo schiamazzare dei corvi a distogliere i pensieri e Lena se ne lasciò sommergere guidata dalla strana arrendevolezza frutto della malinconia.
Conosceva quegli affreschi meglio del loro stesso autore, ma ne studiò comunque le pennellate e lo stile, soprattutto ancora una volta cercò di penetrarne il significato. Vi era una confessione nascosta, era ovvio, indizi sapientemente mescolati per ingannare. Aveva guardato affascinata il simbolo dell'inquisizione circondato dai lupi, era convinta che quei lupi fossero lì come guardiani, come le statue messe a protezione delle anime dei guerrieri nelle Tombe di Smeraldo. Sbagliava, quei lupi non erano lì come guardiani ma come spie.
Quegli affreschi erano specchio dei dubbi del loro autore, inizialmente aveva provato forse a in modo contorto a confessare, poi aveva rinunciato, troppo preso dalla sua missione e anche gli indizi erano man mano venuti meno. Forse lui aveva cercato di metterla alla prova, ma lei sorda al suo messaggio di aiuto lo aveva deluso e lui aveva desistito.
Lena si accostò infine all'ultimo affresco, quello lasciato incompleto, ne tracciò le linee con un dito, più di ogni altro affresco quelle linee abbozzate le davano l'impressione di essere vive, poteva vederne lo svolgersi attento, i tratti controllati, poteva illudersi osservandolo che l'autore sarebbe tornato da un momento all'altro per portare a termine la sua opera. E forse lo avrebbe fatto, quella era la sua fortezza infondo. Forse lui era lì da qualche parte in attesa che lei liberasse la strada per tornare ad occupare ciò che gli apparteneva, non era forse per questo che non riusciva ad allontanarsi da quelle mura?
Quello sciocco testardo e presuntuoso aveva bisogno di qualcuno che avesse il coraggio di contraddirlo, e, se aveva imparato a conoscerlo un po', sapeva che si sarebbe invece circondato solo di persone pronte ad obbedire senza fare troppe domande. Immaginava che tipo di leader sarebbe potuto essere anche avendolo conosciuto solo come gregario, o forse proprio grazie a questo. Cosa a spettarsi di diverso da qualcuno che porta il nome di Orgoglio?
Lena si sedette infine su una panca accostata alla parete, tirò su le ginocchia al petto e vi appoggiò sopra il mento continuando a guardarsi intorno, non trascorse molto tempo prima di accorgersi di essersi addormentata. I sogni non erano più in grado di ingannarla, in questi infatti aveva ancora entrambe le mani.
Si guardò attorno curiosa, si trovava ancora nella stanza in cui si era assopita ma gli affreschi erano cambiati e la luce era diversa, la luna rischiarava la sala non più il pallido sole autunnale. Le capitava spesso ultimamente di perdersi nei sogni tra antiche memorie, Morrigan le aveva spiegato irritata che il Pozzo doveva aver avuto effetto sulla sua mente in modi imperscrutabili e aveva aggiunto la consueta sequela di insulti nei confronti del suo intelletto limitato. Nonostante il giudizio della strega, l'intelletto limitato le permise comunque di comprendere facilmente dove si trovasse. Non si trovava a Skyhold bensì a Tarasyl'an Te'las, non era più a casa, era arrivata nella tana del Lupo.
Quando si trovava in questi sogni così lucidi la forma di lupo la faceva sentire più a suo agio, avere quattro zampe era meno doloroso che avere indietro la sua mano per qualche momento sempre troppo fugace. In questo sogno in particolare la forma del lupo le sembrò particolarmente coerente, barattò quindi il corpo dell'elfa con quello agile della bestia e uscì dalla rotonda in direzione della sala centrale con passo felpato. Tutto era silenzioso proprio come lo aveva lasciato nel mondo della veglia. La fortezza sembrava altrettanto solitaria sebbene meno antica. Il silenzio era talmente assoluto da permetterle di udire gli artigli ticchettare debolmente sul pavimento di pietra. La sala centrale era a soqquadro sembrava si fosse appena consumata una terribile battaglia, era ingombra di numerosi cadaveri e imbrattata di tanto sangue da dare a Lena il voltastomaco, l'odore di sangue era tanto intenso da soffocarla. Si fece strada verso il cortile alla ricerca di aria fresca e una volta fuori assistette alla fine.
Nel centro del cortile c'era lui, teneva in alto la sua sfera ed era avvolto dalla luce di quello che lei riconosceva come uno squarcio ma che probabilmente era nient'altro che il velo. Il mondo si divideva in quel momento, in quel posto davanti ai suoi occhi. Grida a migliaia le riempirono le orecchie tanto che che si costrinse a tornare umana nella speranza di affievolire i propri sensi, ma non sembrò funzionare.
Si prese la testa tra le mani cercando di tapparsi le orecchie e di affievolire il rumore che rimase però assordante. Fu un momento lunghissimo, poi una luce l'accecò e quando riuscì ad aprire gli occhi di nuovo tutto taceva, solo un sibilo persistente risuonava nelle sue orecchie come a seguito di un'esplosione. Si fece strada stordita verso il cortile scendendo a fatica le scale. Nel posto che lei conosceva come arena di addestramento vi era ora un alone scuro circolare come la terra bruciata da una palla di fuoco, ma non vi era traccia di fuoco solo uno strano residuo magico che rendeva l'aria fosca. Lena continuava a camminare addentrandosi nel fitto cumulo di polvere e pulviscolo magico stentando sempre di più a vedere, infine riconobbe una sagoma e seppe all'istante di cosa si trattava. Lui era lì, la sua sfera poco distante da lui emanava un fioco bagliore e sembrava stesse rinchiudendosi da sola in una sorta di barriera magica. Lena si avvicinò al corpo senza vita. Vestiva la stessa armatura scintillante che gli aveva visto al di là dell'eluvian, la stessa pelliccia di lupo, la stessa maestosità, solo il suo volto era diverso, non vi era vita ma neanche dolore. Era bello e perfetto come una statua, Lena si sedette accanto al corpo prese a delineare con un dito il bel volto, come poco prima aveva fatto con le linee dell'affresco. Ad un tratto le sovvenne l'idea che rimanere lì significava correre un grave rischio. Quello era Fen'Harel, aveva appena compiuto un grande sacrificio, le sue sentinelle sarebbero giunte a breve a difendere il corpo del loro padrone. Ma non si mosse, rimase immobile a studiare quel volto cercando di comprendere a fondo la situazione. Trascorsero lunghi minuti, forse anche di più e Lena continuava a sentire solo il silenzio e il ronzio nella sua testa che le stava scatenando una terribile emicrania. Era innegabile, in quel posto non vi era più nessuno vivo. Il cuore le si strinse e ripensò al demone della paura affrontato molti anni addietro nell'oblio. Quell'essere abietto aveva individuato la paura di morire da solo come la più grande paura di quell'elfo immortale che ora giaceva incosciente davanti a lei. Questa era quindi la materializzazione della sua paura? Aveva creato da solo e per se stesso il mondo più spaventoso possibile. Lena all'improvviso credette di capire, non era ostinato o presuntuoso era terrorizzato e le persone fanno cose folli quando sono spaventate. E lei avrebbe dovuto dare la caccia ad una belva terrorizzata, esiste forse qualcosa di più pericoloso? Lena seppe tutto all'improvviso, guardando al passato seppe leggere nel proprio futuro. I loro sentieri erano collegati indistricabilmente e questo poteva significare solo una condanna per entrambi. La sua paura era morire da solo, quella di Lena era quella di vivere da sola, entrambi avevano forgiato il proprio destino in modo da veder realizzate le paure più profonde. Lena avrebbe vissuto una vita precaria continuamente in bilico, senza radici e senza legami, avrebbe visto la fine nel successo della sua missione o nel suo fallimento. Avrebbe potuto distruggere la sua preda e perdere in questo modo l'ultimo pezzetto della sua umanità trasformandosi in colui al quale dava la caccia, o lasciarlo vincere e guardare morire tutti quelli che amava. Lui di contro amava solo lei in questo mondo, il suo successo o la sua sconfitta lo avrebbero ugualmente condannato a morire da solo. Erano entrambi destinati a divenire ciò che la sua gente a ragione temeva: Is ghi'mya sasha. Colui che caccia da solo.
Un sospiro lasciò la bocca dell'elfo, Lena si riscosse e ricordò che quel sogno era il territorio del vero Solas, non di quello addormentato davanti a lei, doveva allontanarsi, doveva risvegliarsi e prepararsi ad affrontare la caccia.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Vir Banal'ras - Parte II ***


L

Quel sentiero gli era ormai divenuto familiare, da mesi attraversava il bosco quasi ogni giorno con la dedizione di un vero scolaro. L'emicrania era sempre in agguato, ma in qualche modo era divenuto piacevole avere di nuovo una connessione con il mondo al di là del velo. Inizialmente era stata l'ebbrezza della sfida a guidarlo ma non poteva negare di essere ormai stranamente affezionato a quel mago così unico. Questa missione era nata come una scommessa e sapeva bene quanto Abelas disapprovasse, era una puntata irragionevole ma se si fosse dimostrata vincente sarebbe stato un passo più vicino alla vittoria. Non era mai stato un giocatore cauto, non era capace di risparmiarsi, era arrivato un tempo a farsi paria tra i paria per sposare la loro causa e questo gli era costato tutto, da allora credeva di aver appreso la lezione, le circostanze lo additavano invece come uno studente indisciplinato. Dopo tutto non era mai stato docile, non importava quanto inevitabile potessero essere gli eventi, non vi si sarebbe rassegnato e questa volta non sarebbe stato diverso.
Ma per quanto terribile si prospettasse la strada perseguita, Solas era determinato a renderla meno dolorosa possibile o forse il suo orgoglio lo spingeva a mettersi al riparo da qualunque recriminazione. Qualunque? Non si ingannava forse cercando di generalizzare quell'idea? Non era la prospettiva della resa dei conti con una persona in particolare che lo spingeva a voler dimostrare a tutti i costi di essere nel giusto? E quale mezzo migliore per provare la rettitudine del proprio agire che avere al suo fianco Giustizia a consigliarlo? Purtroppo il vecchio spirito era imprigionato da molti anni in una forma umana e per avvicinarlo era necessario avere a che fare con il vecchio amico di Varric.
A ben pensare erano piuttosto evidenti i motivi che avevano spinto Abelas ad essere contrario alla missione ma i preparativi erano stati minuziosi, i suoi agenti avevano tenuto d'occhio il mago per mesi, nessuna comunicazione lo raggiungeva tra le montagne fatta eccezione per qualche breve nota della Campionessa che rimaneva però lontana, trattenuta da qualche misteriosa missione su cui altri avrebbero presto dovuto indagare. Tutto era stato pianificato in modo da minimizzare i rischi e quando dopo anni di approcci cauti, controlli accurati e prove superate, una vecchia compagna di Anders si era unita alla sua gente, Solas aveva colto l'occasione per mettere in atto il piano che serbava ormai da troppo tempo.
Sperava di poter separare lo spirito dal mago senza troppi danni, ma sapeva anche che Giustizia sarebbe stato la priorità in caso di problemi. Forse per questo il tempo che lo separava dal raggiungimento dell'obiettivo continuava a dilatarsi.
Aveva guadagnato la fiducia del mago da molto ormai, avrebbe potuto portare a termine il rituale da diverso tempo ma continuava a rimandare senza darsi spiegazioni convincenti.
Si era avvicinato al mago con la scusa di voler apprendere le arti curative e la diffidenza dell'uomo era stata vinta presto grazie ad una storia confezionata ad arte, come al solito non troppo lontana dalla realtà. Solas aveva raccontato all'uomo che la sua gente soffriva per i terribili soprusi di alcuni malvagi signori, si era dipinto come un sobillatore, aveva raccontato di come avesse portato la sua gente a ribellarsi peggiorando però di molto la loro condizione. Costretto alla fuga, si era messo alla disperata ricerca di un modo per espiare le proprie colpe, sarebbe tornato tra la sua gente solo dopo aver appreso le arti curative così da poter riparare ai propri danni guarendo un ferito alla volta. La triste storia fece facilmente breccia nel cuore del mago che lo accolse in casa sua iniziando ad insegnare quanto conosceva di erbe e incantesimi. L'uomo si rivelò incredibilmente piacevole, un dolore evidente accompagnava ogni suo gesto e segnava i suoi tratti, ma faceva quanto in suo potere per tenerlo a freno e per risultare allegro e piacevole per il suo nuovo allievo. Solas si lasciò toccare da quella gentilezza e dalla cura che il biondino gli aveva riservato. Il tempo speso con l'Inquisizione aveva irrimediabilmente intenerito il suo cuore.
Quel giorno sarebbe però stato l'ultimo, aveva intenzione di raccontare la verità al mago e di eseguire il rituale quella sera stessa. Erano troppe notti ormai che sognava un giovane lupo dargli la caccia, sapeva chi si nascondeva dietro quella forma. Ciò che continuava ad ignorare era il come quella dalish avesse ottenuto il potere di mutare forma e di rintracciare altri nei sogni, non chiunque altro poi, quella ragazzina aveva il potere di rintracciare lui, Fen'harel, nei sogni. Quei dannatissimi marchi dovevano essere collegati in qualche modo al suo potere, l'ancora li aveva risvegliati e ora probabilmente la ragazza aveva trovato il modo per rendere quella connessione biunivoca. Avrebbe dovuto toglierli quando ne aveva avuto l'occasione, avrebbe evitato molti problemi di diversa natura.
Il sentiero lo condusse ad una piccola radura nella quale sorgeva la casupola del mago. Lui era fuori intento a spaccare della legna e quando lo vide lo salutò con la solita cordialità: “Amico mio speravo davvero di vederti oggi, abbiamo degli ospiti, vieni voglio presentarti.”
Non era raro che il mago ospitasse ogni genere di derelitti: contadini ammalati, maghi in fuga, elfi sfuggiti ai padroni, una volta aveva trovato sdraiato sul lettino improvvisato addirittura un templare ferito, ma sapeva che quest'oggi avrebbe trovato una giovane elfa nella capanna. La sua agente aveva il compito, di rassicurare il mago e convincerlo delle buone intenzioni di Solas qualora la sua fiducia in lui avesse dovuto vacillare.
Solas seguì il mago all'interno e vi trovò la giovane elfa alle prese con alcune fiale, lo salutò impacciata rischiando di far cadere a terra l'intera farmacia del guaritore. Solas non capiva come potesse qualcuno essere tanto potente e tanto goffo allo stesso tempo, quella ragazza sarebbe stata un vero pericolo se non avesse avuto un ottimo controllo dei suoi poteri.
“Merril, lascia a me.” L'uomo intervenne pronto evitando la catastrofe, poi invitando i suoi ospiti a sedere fece le presentazioni e si accinse a preparare loro del tè. Mise il bollitore sul fuoco che scoppiettava allegro nel focolare e poggiò sul tavolo tre tazze, rozze ma pulite.
“Sai che non bevo tè.”
“Non è per te, aspetto altri ospiti.” Solas aveva parlato con familiarità ma il tono freddo con cui il mago aveva risposto lo aveva messo stranamente in allarme. Non ebbe però tempo di focalizzare i motivi della sua preoccupazione perché dalla porta come chiamata a fare la sua comparsa entrò lei. Solas si sentì scattare in piedi prima ancora di realizzare cosa stesse facendo. L'unica stanza di quella casa era stretta ed ora decisamente affollata, Solas si sentiva in trappola, si sentiva soffocare. Avrebbe voluto uscire, ma lei ferma sulla porta gli sbarrava la strada. Il suo viso era una maschera impenetrabile, ma i suoi occhi sembravano febbricitanti, li vide assumere un'espressione nota quando la sentì dire: “Sospetto tu abbia delle domande.”
Era caduto in trappola e lei si stava prendendo gioco di lui. Sì guardò attorno sbigottito, Anders evitava il suo sguardo e Merril bisbigliava con qualcuno. Solo allora Solas realizzò che assieme alla ragazza, anche Varric aveva fatto il suo ingresso nella casetta e confabulava ora con quella che lui aveva creduto essere una sua agente.
Cercò di riacquistare un poco di contegno e si preparò a fronteggiare la sua nemica più temibile.
“Sei stata scaltra devo ammetterlo, non mi aspettavo di trovarti qui. Devo immaginare che ci sia un esercito qui fuori pronto a catturarmi?” L'idea lo aveva appena sfiorato ma non lo spaventava quanto la prospettiva di dover rimanere ancora con lei in quella stanza.
“Sai che non mi piace mandare a morire i miei uomini, ci siamo solo noi.” Si studiarono per un poco e Solas si accorse di fare fatica a deglutire. Non avrebbe fatto domande, non le avrebbe dato tanta soddisfazione. Dopo poco la ragazza distolse lo sguardo e riprese a parlare: “Sappiamo cosa progetti di fare e siamo d'accordo con te. Abbiamo lo stesso obiettivo e abbiamo ritenuto che tu ci fossi utile.” La ragazza riportò lo sguardo su di lui solo per aggiungere sprezzante: “Mi dispiace non avere un castello da darti in cambio, ma puoi avere questa casa se vuoi, dopo che Anders sarà tornato in salute.” Questa volta Solas non seppe trattenere un sorriso, quella giovane caparbia era maestra nell'arte della provocazione, doveva ammetterlo.
“Questo non spiega comunque perché siete qui, sono vostro prigioniero?” Solas ripagò con lo stesso tono di sfida la giovane che gli sbarrava la strada.
“Vogliamo solo assicurarci che nulla di brutto accada ad Anders. E finché i nostri sentieri conducono nella stessa direzione non sei nostro prigioniero, solo nostro ospite. Sappiamo che la tua gente aspetta il tuo ritorno entro due giorni, quindi direi che è il momento di metterci a lavoro.”
Solas le voltò le spalle studiò il viso di Merril, gli occhi enormi dell'elfa sembravano colmi di imbarazzo, come aveva fatto quell'elfa imbranata a prendersi gioco di lui e di tutti i suoi agenti? Era forse possibile che avesse recitato per tutto quel tempo? Cosa nascondeva in realtà sotto quell'apparenza innocente? Aveva vissuto con loro per anni senza destare il più piccolo sospetto, era stata obbediente e anche spietata all'occorrenza, aveva dato prova innumerevoli volte di essere dedita alla causa, aveva affrontato e superato prove più dure di chiunque altro, perché i sospetti su di lei erano numerosi, ma lei aveva sbaragliato qualunque incertezza. Ora davanti ai suoi occhi sembrava sentirsi in colpa, ma non avrebbe avuto pietà di lei, avrebbe pagato per il colpo inferto alla sua gente e al suo orgoglio. Non le avrebbe permesso di parlare. Lasciò la rabbia salire accompagnata dal mana, ma davanti agli occhi che iniziavano a velarsi vide comparire il bel volto di lei. “Dovrai uccidere me prima di chiunque altro. Loro sono qui su mio ordine, quindi se vuoi farci entrare nella tua collezione di statue dovrai iniziare da me.” Gli occhi duri e calmi della ragazza lo gelarono, era pronta davvero a farsi uccidere? Era pronta a morire per mano sua? O semplicemente sapeva che non avrebbe mai avuto la forza di farle del male? Lasciò andare i propositi di vendetta per il momento. Avevano effettivamente il medesimo scopo, poteva sopportare una temporanea e urticante umiliazione in cambio dell'aiuto di Giustizia. E anche lui poteva alla fine avere qualche asso nella manica per riportare in equilibrio la situazione, anche lei si sarebbe pentita di avergli teso una trappola.
Si sedette al tavolo e spiegò brevemente il rituale. Per separare lo spirito dal corpo era necessario che l'ospite raggiungesse uno stato di inerzia assoluta così da permettere ai due spiriti di separarrsi. Questo significava innanzitutto ridurre Anders ad uno stato di incoscienza paragonabile alla morte, Solas avrebbe poi usato un incantesimo simile a quello utilizzato dai guaritori per separare il sangue dal veleno che lo infetta, solo infine quando le due entità fossero divenute distinguibili allora Solas si sarebbe fatto tramite per permettere a Giustizia di attingere alle forze oltre il velo per recuperare interamente la sua forma spirituale e lo avrebbe guidato allora verso l'oblio.
“Mago, non ti sembra di dimenticare qualcosa?” La voce ruvida del nano si fece sentire per la prima volta e incrociando il suo sguardo Solas poté riconoscere un disprezzo puro e cristallino, perfetto specchio della naturale affabilità che Varric solitamente dimostrava e di cui evidentemente Solas non era più ritenuto degno.
“Se il rituale dovesse andare a buon fine, basterà interrompere la condizione di stasi di Anders, con qualche pozione e un po' di riposo tornerà in forma in pochi giorni. Ma il rituale ha margini di errore, la vostra spia non vi ha parlato delle possibilità di insuccesso?”
Merril evitò accuratamente lo sguardo di tutti, ma fu il mago a prendere la parola: “Voglio farlo! La decisione è di Giustizia e mia, di nessun altro, e noi siamo entrambi d'accordo. A ciò che siamo è stato permesso di perdurare fin troppo, qualunque siano le conseguenze il nostro tempo deve finire, se non dovessi sopravvivere avrò finalmente espiato tutti i miei peccati.”
Solas accolse la volontà del mago e diede istruzioni perché la branda dei pazienti fosse approntata e la stanza riscaldata il più possibile, poi fece per uscire, ma ancora una volta due occhi verdi gli si pararono davanti a sbarrargli la strada, il suo orgoglio riprese ad ululare ferito nella sua testa, rendendolo feroce. Le si fece pericolosamente vicino e con gli occhi fissi in quelli di lei disse in tono calmo e profondo: “Ci sono componenti da recuperare, hai detto di avere fretta, quindi dovresti lasciarmi uscire. Puoi venire con me se no hai fiducia in me, o se gradisci ancora la mia compagnia.” Si inebriò dello smarrimento che la colse e del fremito che riuscì a percepire. Senza dire una parola lei si scostò per lasciarlo passare liberando appena lo spazio della porta. Passarle accanto fu doloroso come strapparsi la pelle, quel profumo non l'avrebbe lasciato per giorni. Quello doveva ammetterlo era un gioco che entrambi avrebbero potuto giocare, avrebbe fatto bene a tenersene lontano, ma aveva annusato la sfida e tirarsi indietro sarebbe stato incredibilmente difficile.
Si inoltrò nel bosco e la ragazza lo seguì in silenzio. Si voltò irato con l'intento di sputare fuori un commento velenoso ma si trattenne sorpreso. La ragazza, il sentiero, il bosco, tutto aveva contorni più nitidi e l'emicrania era scomparsa, possibile che quella dalish avesse ancora potere su di lui nonostante non avesse più l'ancora? Si ritrovò a studiarla immobile. La manica vuota pendeva inerte al suo fianco e Solas si sentì sopraffatto dal rimorso. La ragazza non portava armi con sé, come avrebbe potuto brandire i suoi pugnali in quelle condizioni? L'aveva resa indifesa.
“Come stai?” Chiese intenerito. La ragazza per la prima volta sembrò davvero spaventata, le si avvicinò e prese tra le mani il braccio mutilato: “Mi dispiace, avrei voluto ci fosse un altro modo.”
Lei si ritrasse di scatto dicendo: “Come fai a sapere che non ci fosse un'altra strada? Che non ci sia un'altra strada.” Lo sguardo era duro, ma non c'era alcuna accusa, era lo sguardo severo che le aveva visto altre volte, lo sguardo dell'Inquisitore.
Eluse la domanda e chiese ancora: “Non hai i tuoi pugnali, non è pericoloso per te avventurarti nei boschi senza difese?”
“Dagna ha costruito per me una protesi meccanica azionata da qualche tipo di runa, non ne so molto, ma funziona bene e mi permette di combattere. Non è molto confortevole e preferisco non indossarla se non è necessario e senza i pugnali mi sono inutili. Ma non sono cose che dovrei raccontare al nemico, giusto?” Solas non seppe dire se con l'ironia la ragazza cercasse di ristabilire le distanze oppure di nascondere un dolore profondo, ma aveva visto uno spiraglio e non avrebbe mollato facilmente.
Si rimise in cammino e poco dopo con una studiata leggerezza riprese: “Se sei qui disarmata e senza esercito evidentemente non mi pensi davvero come un nemico, mi fa piacere.”
“Non sei un nemico che può essere sconfitto con le armi, questo è certo. Anche fossi venuta qui con un esercito nulla ti avrebbe impedito di uccidermi e allora perché rischiare la vita di molti altri?”
Le parole della ragazza erano incredibilmente controllate, sapeva che avrebbe potuto ucciderla con uno sguardo, sapeva che non lo avrebbe mai fatto. Era lui ad essere impotente davanti a lei.
Recuperare l'occorrente richiese molto tempo e quando si prepararono a fare ritorno alla capanna il sole iniziava a calare. Solas sentiva la consuetudine di lunghi giorni trascorsi con lei riaffacciarsi alla mente, aveva lentamente iniziato a riconoscere gesti e sguardi, nonostante il lunghi anni di lontananza i loro gesti sembravano armonizzarsi perfettamente e senza il minimo sforzo. Dovette costringersi a ricordare che la ragazza al suo fianco era il nemico e non la dolce amica di un tempo. Sulla strada del ritorno la voglia di cancellare quelle sensazioni ipnotiche lo spinse a rubare a lei la parte del provocatore.
“Devo ammettere che ti sei dimostrata un'allieva incredibilmente capace. Sei riuscita ad infiltrarti tra i miei agenti senza che io sospettassi nulla. Ma hai permesso alla tua amica di correre un grave pericolo, chi la difenderà ora?”
“Merril si è offerta liberamente per questa missione. Ha lasciato la capanna appena noi ci siamo allontanati, questo dovrebbe darle tempo.”
“Il tempo, da'len, è l'unica cosa che non mi manca.” Si fermò sbarrando la strada all'elfa che lo seguiva dappresso, si girò a fronteggiarla e disse: “Hai sacrificato una giovane intelligente e piena di fiducia alla tua causa. Ti stai trasformando in me.”
Lo sguardo della ragazza ardeva nella sfida, lui si fece un passo più vicino arrivando ad un palmo da lei. Il suo profumo era stordente ma il suo sguardo confuso lo inebriava di vittoria, era in vantaggio e ne avrebbe approfittato. Sollevò una mano e con un dito le sfiorò il viso, vide i tatuaggi illuminarsi e sorrise divertito: “Dovendo affrontare così tanti cambiamenti, sarai felice di sapere che qualcosa in te non è mutato.” davanti al suo sguardo stupito si chinò su di lei per sussurrare al suo orecchio: “I tuoi tatuaggi, da'len.”
Lei si portò la mano al viso e poi come riscossa dai propri pensieri si fece avanti all'improvviso urtandolo e superandolo a passi lunghi dirigendosi in fretta verso la capanna del mago. Con quella mossa era decisamente passato in vantaggio, se fosse stato attento e non si fosse lasciato sorprendere, entro la fine di quella giornata avrebbe potuto mangiare la regina.
Si accinse a preparare la pozione necessaria per rendere Anders incosciente, come anticipato dalla ragazza non vi era traccia di Merril nella capanna. Sapevano che la presenza della maga non li avrebbe aiutati, non c'era modo per lei, per potente che fosse, di contrastare la sua magia, guadagnare tempo era tutto ciò che quella piccola traditrice avrebbe potuto fare, ma per quanto lontano potesse fuggire lui avrebbe fiutato di nuovo le sue tracce presto o tardi e allora avrebbe pagato per il suo tradimento.
Anders aveva intanto iniziato a svolgere un altro tipo di preparativi, lo vide chiudere una lettera e consegnarla nelle mani di Varric.
“Se qualcosa dovesse andare storto sai cosa fare.” Poi i tre cospiratori uscirono dalla capanna lasciandolo lì ad ultimare i preparativi. Stupito vide il nano rientrare da solo e mettersi a studiare le sue mosse. Il suo sguardo ostile come sempre lo faceva sentire a disagio: “Sono io ad essere stato preso in trappola qui, sto facendo solo ciò che voi mi avete chiesto. Anders è d'accordo, cosa vuoi da me Varric?
“Credi davvero che possa fidarmi di te? Perché lo fai?” Le parole del nano erano caustiche. A volte in passato aveva ripensato alle allegre chiacchiere di Varric e alla sua piacevole compagnia con malinconia, il suo disprezzo ora spazzava via tutto e Solas non poté non sentire un dolore indefinito, che si premurò di allontanare immediatamente.
“Perché lui acconsente?”
“Lo fa per lei ottuso che non sei altro, lo fa per Hawke, per tornare ad essere solo lui, per poter affrontare da solo le conseguenze di ciò che ha fatto.”
“Io ho bisogno di Giustizia al mio fianco.” Disse Solas onestamente.
“Ho visto di cosa è capace, ho visto come ha trasformato il mio amico, dubito che tu abbia bisogno di questo. Sei già come lui, senza bisogno di aiuto.” Ma Solas non aveva bisogno dell'approvazione del nano e appena Anders fu rientrato il rituale ebbe inizio.
Aveva avuto modo di mettere in atto qualcosa di simile in passato, ma era un altro mondo e un tempo lontano, non avrebbe saputo dire se anche qui avrebbe avuto effetto. La sua bella amica si era seduta in un angolo e osservava le sue mosse in silenzio. Sentire i suoi occhi addosso lo faceva sentire stranamente emozionato, si sentiva giovane e vanesio, non stava solo portando a termine una missione, stava cercando di farsi vedere da lei sotto la migliore luce possibile.
In realtà poteva solo dare il via al al processo che una volta iniziato sarebbe stato molto lungo e sarebbe proceduto senza il suo aiuto. Anders bevve la pozione che lo fece addormentare quasi all'istante, Solas osservò il suo respiro farsi sempre più rado fino a scomparire quasi del tutto, il colore abbandonò il volto dell'uomo e ben presto non rimase che una maschera di morte. Solas vide Varric farsi inquieto, continuava a portare lo sguardo sul volto esangue dell'amico e poi a voltarsi bruscamente, doveva essere un'agonia per lui vedere il mago in quelle condizioni. Solas disegnò a terra, sotto la branda, un glifo di stasi e poi lanciò l'incantesimo che avrebbe permesso ai due spiriti di dividersi. L'incantamento richiese più potere di quanto si sarebbe aspettato, Solas si scostò appena dalla branda e si mise a sedere. I due compagni lo fissavano e l'impazienza di Varric bruciò sul tempo la domanda che sicuramente anche lei tratteneva ora tra le labbra: “Quindi?”
Solas a fatica mise insieme le energie per rispondere: “Non c'è che da aspettare, quando lo spirito di Giustizia sarà separato da quello di Anders potrò riportarlo nell'Oblio e voi potrete riportare in vita il vostro amico. Questa è la fase cruciale se la divisione dovesse avvenire senza difficoltà, tutto andrà per il meglio.”
“Possiamo fare qualcosa?”
“Dovete solo aspettare.” Era stata lei a porre la domanda questa volta e lui aveva risposto aspramente senza volerlo. La voce chiara della ragazza affondava in lui con prepotenza ora che si sentiva più debole, doveva dormire e sperare che quella piccola infingarda non lo pugnalasse nel sonno. Si alzò a fatica dalla sedia e si avvicinò alla porta. Ancora lei: “Dove vai?”
“Non c'è bisogno di me ora.”
“Te ne vai quindi?” La voce della ragazza sembrava allarmata, lui sentì il peso di quel timore e lo comprese. Era irrazionale e istintivo, lei temeva di vederlo uscire e scomparire di nuovo eppure erano lì a fronteggiarsi come nemici.
“Puoi venire con me e controllarmi se vuoi, ho solo bisogno di aria.” Lei lo seguì di nuovo in silenzio, lo irritava tutto in quella situazione, la propria impotenza, la propria ingenuità, l'arroganza di lei, il desiderio che ancora provava per quella piccola dalish, il desiderio che vedeva riflesso identico nei suoi occhi.
Avrebbe bruciato il mondo anche solo per poter uscire da quell'ingorgo di pensieri e sensazioni ma doveva lasciare sopiti i propositi incendiari e quindi sfogò su di lei la propria frustrazione: “Sei tu l'impostore qui, perché dovrei essere io a non meritare fiducia? Tu controlli ogni mio passo aspettando il tranello dopo aver infiltrato le tue spie tra la mia gente, dopo avermi ingannato e teso una trappola, dopo aver probabilmente acquisito informazioni su di me per anni. Dimmi non ti sembra ipocrita da parte tua?”

“Non direi, sei tu quello che progetta un genocidio senza mostrare di provare pietà o rimorso.”
“La pietà, la compassione, certo! Sono sentimenti nobili e facili quando non devi fare i conti con gli effetti che quella pietà produce! Fra cinquanta anni tu non sarai altro che un ricordo ma io dovrò affrontare ogni giorno per l'eternità questo mondo deforme sapendo che ne sono l'artefice. In quanti dovranno soffrire e morire e per quanto tempo prima di diventare degni della tua nobile pietà? O meritano la tua pietà solo coloro che ti riveriscono come la salvatrice? Sei sorda ai lamenti di tutti gli altri come io sono cieco davanti al tentativo di questo mondo di Calma di dimostrarsi reale. Siamo uguali io e te!” Tacque e si accorse di essere rimasto senza fiato nello sforzo di mettere insieme quelle parole e di placare nel contempo la propria rabbia, si sentì vacillare e la ragazza gli fu accanto in un soffio aiutandolo a recuperare l'equilibrio. Lo aiutò a sedersi su un grosso tronco non ancora tagliato ma che era stato trasportato lì probabilmente dal mago con l'aiuto di qualche incantesimo. Si sedette e studiò il profilo della ragazza seduta accanto a lui, nel buio della notte le linee del suo viso si stagliavano appena nell'ombra, solo le stelle illuminavano la notte, la luna già nascosta dalle montagne. La fatica lo confondeva e il calore della ragazza al suo fianco lo inteneriva. Parlò di nuovo, senza rabbia questa volta: “In una cosa siamo diversi, io non ti disprezzo. Ancora una volta vorrei avere la tua saggezza, venhan.”
La vide irrigidirsi e poi senza guardarlo disse: “Non chiamarmi così.” Ma nonostante la durezza delle parole, il tono era del tutto simile ad una supplica. Le prese la mano e la indusse a guardarlo, subito i tatuaggi di lei baluginarono nel buio. Le sovvenne all'improvviso che lei non conosceva ancora l'esatta natura di quei marchi, aveva il potere di spezzare quel legame così doloroso per entrambe, lei sarebbe stata libera da quei sentimenti che la ferivano e lui sarebbe finalmente stato al sicuro dallo strano potere che lei aveva dimostrato di avere. Era arrivato il momento di dire finalmente tutta la verità.

“Cosa desideri, venhan?” Il suo sguardo si velò di dolore ma la voce uscì di nuovo pulita e sicura: “Poterti convincere che altre strade sono possibili o nella peggiore delle ipotesi poterti fermare senza doverci necessariamente distruggere a vicenda.”
Non avrebbe dovuto più essere una sorpresa la sua capacità di stupirlo eppure ogni volta lo spiazzava.
“Non vorresti dimenticare ciò che c'è tra noi? Sarebbe molto più facile affrontare ciò che ci riserva il futuro.”
“Questo è sempre stato il tuo desiderio, non il mio. Perché credi che io sia qui?” Ancora una volta non seppe rispondere, non poteva darle ciò che desiderava, ma ancora una volta poteva offrirle la verità.
“Ricordi ciò che ti raccontai riguardo i tuoi Vallaslin?” Una fitta di dolore attraversò lo sguardo della ragazza e Solas l'accolse come un sì. “Ho motivo di credere che l'ancora abbia riattivato i tuoi marchi e che questi ti abbiano fatto entrare in connessione con me, sono i marchi di Fen'harel quelli che porti. Temo che quelli ti abbiano portato a condividere i miei desideri e i miei sentimenti, se spezzassi questa connessione, tu saresti libera, non saresti più succube di ciò che provo per te.”
Un'espressione di disgusto si dipinse sul bel viso. “Stai forse dicendo che tutto ciò che provo per te non è reale?” Solas si sentì scioccamente elettrizzato dalla semplice confessione che aveva lasciato le labbra della bella dalish, non aveva parlato al passato ma al presente.
“Mi spiace da'len, ho cercato di dirtelo in passato ma...” la ragazza lo interruppe bruscamente senza lasciargli il tempo di spiegare.
“Vuoi dire che non hai mai creduto che i miei sentimenti per te fossero reali?”
“No, ho realizzato che le cose potessero essere in questo modo la notte che abbiamo trascorso da soli tra le montagne. Ti avrei raccontato la verità se avessi accettato di rimuovere i tatuaggi, ma mi hai sorpreso e non ho saputo dirti nulla.”
La ragazza rifletté per un poco e poi disse decisa: “Fallo ora.”
Il dolore affondò nel cuore del mago, nonostante quanto affermato poco prima era pronta in realtà a liberarsi di lui. Non era in grado di leggere l'espressione sul bel viso ma senza dubbio non sembrava provare rimorso. Stringeva ancora la sua mano nella propria, la trattenne e si alzò incamminandosi nel bosco. Si inoltrò un poco per non rischiare di essere disturbato da Varric, raggiunto un piccolo spiazzo lontano dal sentiero si inginocchiò e guidò lei a fare lo stesso. Erano uno di fronte all'altra il chiarore delle stelle illuminava le loro sagome e i tatuaggi rischiaravano il volto della ragazza, lo prese tra le mani e lei chiuse gli occhi per un istante. I tatuaggi brillarono con più intensità li avrebbe visti brillare per lui per l'ultima volta. Solas si sentì impotente, non poteva perderla. Per quanto posticcio e indotto tutto quello fosse per lei, per lui rimaneva incredibilmente reale, uno spiraglio di speranza, l'unico rimasto nel buio del suo futuro. Ma lei meritava di essere libera. Tracciò quei simboli con la punta delle dita un'ultima volta poi accostò a questi i palmi delle mani e lasciò il mana fluire. L'incantesimo era semplice, non avrebbe richiesto che un briciolo del suo ritrovato potere eppure lo lasciò svuotato e Solas poté darne la colpa al rituale appena condotto. Appena fu in grado di aprire di nuovo gli occhi guardò il volto disadorno della ragazza, era bellissima, perfetta. “Ar lasa mala revas. Sei libera, non sei più la Figlia del Lupo, potrai essere solo Lena d'ora in poi.” Pronunciava in quel momento per la prima volta il suo nome e aveva sulle sue labbra un gusto agrodolce.
Lo sguardo di lei aveva profondità nuove e sembrava deciso a non lasciarlo andare. I due begli occhi verdi erano fissi nei suoi quando disse: “Come hai potuto pensare che tutto questo non fosse vero? Come hai potuto avere così poca fiducia in me? Quante bugie hai raccontato a te stesso?”

Solas era stupito e non riusciva a comprendere, si era sottoposta all'incantesimo per dimostrargli che aveva torto? Era confuso e all'improvviso non era più in grado di sostenere il suo sguardo.
“Guardami!” Gli ingiunse lei e sollevando lo sguardo riconobbe la propria bugia. Non era stato quello l'ennesimo tentativo di sminuirla e di renderla meno degna di quanto in realtà non fosse? Era stato cieco e sciocco. Si alzò cercando di allontanarsi da lei ma lei lo raggiunse e lo costrinse a guardarla. Cercando di allontanarsi da lei si trovò presto con le spalle contro un albero impossibilitato a muovere un solo passo e lei con gli occhi di fuoco si faceva sempre più vicina.
“Cosa stai facendo?” Chiese Solas tanto spaventato da poter chiedere con lo stesso tono allarmato: Chi sei? Che cosa vuoi?
Ma lei annullando le distanze tra loro rispose con rabbia: “Sto aspettando che tu mi dica di fermarmi.”
Lo guardò per un istante, Solas sentiva l'urgenza di parlare, di allontanarsi ma non riuscì a lasciare andare una sola sillaba e la ragazza lo baciò. Una sensualità e una passione rabbiosa la spingevano e Solas si sentiva impotente, non avrebbe potuto allontanarla neanche se avesse voluto. E in ogni caso decisamente non voleva. Un turbine di labbra e mani, di denti e pelle, sentiva la pelle di lei tra le dita, il suo sapore, il suo odore, era perduto ed era felice, se non fosse riuscito ad avere altro avrebbe avuto almeno lei anche se solo per quella notte. Sentì la mano di lei farsi strada sotto l'ormai logora casacca, il calore della pelle in contrasto con il freddo della notte moltiplicò i brividi. La aiutò a liberarlo dell'inutile indumento e rimasto a torso nudo poté sentire la corteccia dell'albero graffiargli la schiena e la morbidezza ipnotizzante della ragazza contro il suo petto. Lei gli aveva lasciato andare le labbra e lui respirava ora l'aria attraverso i suoi capelli mentre vorace lei torturava deliziosamente il suo collo, la sua gola, il suo petto. Non riuscì a reprimere un gemito quando sentì la mano di lei farsi strada impudentemente verso il basso. Non più un solo pensiero poteva far breccia nella sua mente, niente l'avrebbe distratto da lei o dal bel corpo acceso che aveva tra le mani, era perduto e rassegnato quando lei all'improvviso fece un passo indietro. Lui poté guardarla in volto, era illuminato dalla luce dei vallaslin. Come era possibile? Ma la ragione non obbediva, non importava voleva solo che lei tornasse ad aderire a lui, voleva sentirla vicina, molto più vicina. Fece un passo verso di lei ma lei si allontanò di nuovo.
“Non ci sono divieti che ti trattengono ora?”
Parlare era difficile ma lei continuava sfuggirlo e avrebbe detto qualunque cosa per tornare ad affogare in lei: “Ora sai chi sono e non sei più vincolata a me.”

“Non lo sono mai stata, ma tu non hai creduto in me neanche per un istante.” Si allontanò senza aggiungere nulla.
Solas piantato in asso nel bosco si accasciò a terra con la schiena contro lo stesso albero concentrato nel recuperare il controllo del proprio corpo teso nel desiderio di lei, noncurante dell'umidità che calava lenta a raffreddare il suo ardore. Si addormentò, fu Varric a trovarlo era ancora notte ma il volto allarmato del nano diceva che c'era bisogno di lui. Si alzò in fretta e si preparò a seguirlo, quando il nano fece un passo indietro e si chinò per raccogliere qualcosa in un cespuglio Solas si accorse di essere ancora semi svestito.
“Rivestiti rubacuori, non vorrai mica combinare altri guai.” Varric gli lanciò la casacca e Solas rivestendosi annotò mentalmente che la preoccupazione non aveva effetti sull'indole beffarda del nano.
Nella capanna, la ragazza era seduta in un angolo e non alzò lo sguardo quando lo sentì rientrare. I tatuaggi, sebbene i segni fossero più lievi facevano ancora bella mostra sul bel viso di lei, niente avrebbe potuto sconvolgerlo di più.
Anders sul malfermo lettino sudava copiosamente e il suo corpo era interamente circondato da una strana aura magica. Era il momento, avvisò i compagni ed iniziò a recitare l'incantesimo che avrebbe separato Giustizia dal mago. Entrò in contatto con lo spirito che avrebbe dovuto attingere alla sua energia per farsi strada nell'oblio. Ma quando la sua mente entrò in contatto con quella di giustizia, Solas seppe immediatamente che qualcosa non andava. Lo spirito era troppo forte e lui troppo debole, doveva aver assorbito l'energia vitale del mago per possedere ancora così tanta forza dopo un rituale tanto faticoso. All'improvviso Solas comprese di essere stato ingannato di nuovo. Giustizia toccò la sua mente e gli mostrò immagini orribili di battaglie future, cadaveri su cadaveri intrecciati in una catasta raccapricciante. Gli mostrò innocenti smarriti e terrorizzati chiedere aiuto a un lupo pronto a maciullarli tra zanne già insanguinate. E infine lei, smembrata dai suoi stessi seguaci, usata come vessillo contro di lui e poi arsa sulla pira con milioni di altri morti.
Non era la prima volta che assisteva alla distruzione, ma era la prima volta che gli veniva mostrata per mano di Giustizia.
Un istante ancora e vide la sua gente ugualmente trucidata, le immagini erano meno cruente ma più vere e quindi ancor più dolorose. Vide Abelas combattere qualcuno che aveva le sembianze di Cullen, lo vide resistere a lungo e poi soccombere, lo vide morire finalmente sereno. Giustizia gli mostrò la sua fortezza in fiamme e poté ascoltare le grida straziate di coloro che avevano confidato in lui. Vide i resti dell'antico mondo ridotto in cenere. Anche Skyhold bruciava, l'eluvian distrutto i suoi dipinti ridotti in fumo come la storia che narravano.
Si accorse d'improvviso di poter sentire sulla pelle il calore del fuoco e nelle narici l'odore del fumo, non era una visione, tutto quello era reale. Potevano aver approfittato della sua lontananza per lanciare un attacco alla sua roccaforte? Vide maghi vestiti secondo l'orrida moda del Tevinter, erano in gran numero, vide soldati senza vessilli, vide innumerevoli assassini apparire alle spalle di elfi indifesi e poi tornare a nascondersi nelle ombre lasciandosi dietro una scia di sangue e sgomento, vide la distruzione della sua gente, di nuovo.
Si sentì spezzato, piegato cadde ginocchia a terra e supplicò Giustizia di lasciarlo andare.
“Ho lasciato che un mortale mi ancorasse alla sua causa, ho sperimentato l'orrore di questo mondo e ne sono rimasto corrotto. Ora che l'uomo ha deciso di dare la sua vita per lasciarmi recuperare la mia essenza non permetterò che nessun altro mi renda servo della propria causa. Ho conosciuto il mondo del velo e mi ha trasformato in Vendetta, non ti aiuterò a costruire un mondo che mi trasformi in Espiazione. Io sono Giustizia!”

La voce di tuono dello spirito lo fece sentire piccolo e indifeso, si sentì tornato bambino ed ebbe l'istinto di nascondersi in un cantuccio per sfuggire ai rimproveri degli adulti, chiuse gli occhi d'istinto e quando li riaprì era solo. Non aveva mai visto quel posto, ma sapeva di essere in un sogno. Si guardò attorno, si trovava all'ingresso di una costruzione imponente, non propriamente bella, ma neanche sgradevole, sembrava una fortezza, ma non aveva in realtà mura di cinta o ponti levatoi, un grande cortile si estendeva attorno a lui e una piccola fontana basculante, fatta interamente di legno, scandiva il tempo con rintocchi e scrosci precisi. Ogni cosa sembrava essere pregna di colore, tutto sembrava stranamente intenso anche se questa luce non feriva gli occhi.
Una sagoma nota si avvicinava lentamente con passo felpato. Il lupo fulvo si fermò ad una certa distanza da lui, si sedette e i due rimasero a fronteggiarsi per un po'. Solas non voleva ammettere che lei potesse avere delle risposte per lui, quello era il suo mondo, il mondo del sogno gli apparteneva non avrebbe chiesto spiegazioni a lei. Lentamente il lupo mutò nella bella forma della sua amica che lo osservava seduta a terra a gambe incrociate, Solas si sedette imitando il suo contegno.
“Sai perché siamo qui?” chiese lei con una voce tanto profonda che sarebbe potuta giungere dal fondo di un pozzo. Solas si prese del tempo per studiarla meglio, il suo volto era deformato da un dolore nuovo, il verde dei suoi occhi si era fatto più cupo, non vi era più luce, doveva essere uno scherzo giocato da quello strano posto.
“Siamo nel regno di Giustizia?” Chiese infine Solas mettendo a tacere il proprio orgoglio. La ragazza annuì poi si alzò e si avvicinò per sedersi proprio di fronte a lui. Visti da vicino i suoi occhi sembravano uno spazio vuoto pronto a risucchiarlo al loro interno, era una visione inquietante e Solas dovette distogliere lo sguardo.
“Il rituale è andato a buon fine. Giustizia è libero.” Dopo un momento di pausa aggiunse in un sospiro: “ha preso il tuo posto.”
Solas rimase per un attimo senza parole, possibile che avessero trovato il modo di bandirlo dal mondo come lui un giorno aveva fatto con i falsi dei? “Cosa vuoi dire?”
“Dorian e suoi si sono dati molto da fare in questi anni, sono riusciti a rubare alcuni dei rituali segreti di cui Morrigan era custode e alla fine sono riusciti a creare una trappola perfetta. Il corpo di Anders era incantato e quando hai lanciato il primo incantesimo la magia ha iniziato ad agire su di te come un veleno. Lui spiegherebbe tutto questo molto meglio di me.”
Ma Solas comprese comunque: la debolezza, lo smarrimento, era tutto fin troppo chiaro e lei era stata la sua esca. Si era lasciato distrarre da lei e aveva abbassato la guardia.
a c'era un'altra domanda che lo tormentava: “E tu? Perché sei qui?” ma nel momento in cui la domanda lasciò le sue labbra la risposta lo colpì improvvisa. L'incantesimo che aveva lanciato su di lei doveva averla infettata.

“Sembra che i nostri desideri debbano rimanere inesauditi. Probabilmente è ciò che entrambi meritiamo.” Non una nota di ironia aveva alleggerito il tono lapidario della ragazza e Solas sentì il cuore ancor più pesante. Non avrebbe mai pensato di potersi sentire peggio eppure continuava ad essere sorpreso dagli eventi.
“Ciò che giustizia mi ha mostrato, è tutto vero? La mia roccaforte è bruciata e i miei uomini sono morti?”
Lei non rispose subito, annuì e abbassò il capo guardandosi entrambe le mani. Un dono di quello strano sogno.
“Il guaritore ha le mani sporche di sangue.” Alzò di nuovo quel nuovo sguardo inquietante su di lui prima di aggiungere: “Anche il macellaio, è facile ingannarsi quindi.” Abbassò di nuovo gli occhi e proseguì: “Giustizia prenderà il tuo posto e cercherà di portare in salvo i superstiti di entrambe le fazioni. Il tuo corpo tornerà a riposare nell'Uthenera, tu potrai tornarne in possesso e Giustizia sarà libero di fare ritorno nel suo regno. Nel frattempo faremo meglio a metterci comodi, Dorian mi ha assicurato che nessuno sarebbe stato in grado di lasciare questo posto fino al ritorno di Giustizia.”
Solas si sentì stanco di lottare, niente aveva importanza, il suo tempo era finito, Giustizia avrebbe portato un equilibrio nuovo in quel mondo abominevole e lui avrebbe chiuso gli occhi su quell'orrore, forse per sempre, i suoi errori lo avrebbero seppellito. Ma lei?
“Cosa accadrà a te?”
“Io non sarei dovuta essere qui, ma alla fine mi sembra che ci sia un'ironica giustizia in questo. La mia anima e il mio corpo non sono immortali come i tuoi. Sospetto che il mio corpo sia già morto, non so cosa sarà del mio spirito. Se è vero come dici che è collegato al tuo forse dipende da te.”
Nonostante l'orrore creato e subito forse alla fine avrebbe sfuggito la sua paura più grande, forse infine non sarebbe morto da solo.

 

-------------

 

In quella città come in ogni altra c'erano troppe luci, troppi rumori, gli orrendi veicoli che riempivano le strade avevano anche l'effetto di avvelenare l'aria e il cielo non smetteva un istante di vomitare acqua colma di quello stesso veleno. Immergersi in queste strade caotiche era una terribile esperienza, ma trovare spazi tranquilli era sempre più difficile. Non vi erano più foreste o spazi aperti, gli uomini si stringevano sempre più l'uno all'altro per paura di essere lasciati soli con i propri pensieri, con i propri demoni. Eppure innumerevoli demoni facevano bella mostra di loro dietro ogni vetrina e su ogni manifesto pubblicitario, quel mondo era riuscito infine a corrompere ogni cosa. Guardò con la coda dell'occhio la ragazza che camminava accanto a lui infagottata dentro una giacca scura incapace di proteggerla dalla pioggia. Per quanto il suo aspetto fosse diverso aveva ancora il potere di rendere accettabile ciò che la circondava, forse  poteva esserci ancora una pallida speranza, nonostante tutto.
Svoltarono in una stradina secondaria e inciamparono in una donnina ben vestita e dall'aria per bene.

“Conoscete la buona notizia?” La voce stridula della donna ferì le sue orecchie, ne aveva abbastanza di quelle sciocchezze, quel mondo era pieno di gente che andava predicando che il mondo era salvo, la magia debellata perché i salvatori avevano finalmente liberato tutti dal peccato e dalla piaga magica. Cercò di ignorarla e di continuare dritto per la sua strada ma la donnina insistente gli lasciò tra le mani un opuscolo. Continuarono a camminare e la ragazza accanto a lui gli strappò di mano il ridicolo pamphlet.
“Ha donato sua figlia per liberarci dai nostri peccati.” Lesse ad alta voce e poi lasciò andare una risata allegra, nonostante tutto anche lei come quel mondo non sarebbe mai cambiata, prendeva tutto con leggerezza.
Arrivarono infine a destinazione bussarono sulla porticina di metallo che chiudeva la via.
Una donna dagli occhi d'ambra aprì e li squadrò per bene prima di lasciarli entrare: “Bene, bene. Chi abbiamo qui? Vi siete fatti attendere ma ora la festa può finalmente iniziare.”

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3410841