Anything could Happen -Re: Between Light and Darkness

di LaRagazzaCheNonEsiste
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Prologue: “The beginning of the end.”
 
Lo chiamavano “Centro di Recupero e Correzione” ed esso era una struttura alla quale si poteva risalire solamente analizzando documenti strettamente riservati, solitamente relativi alle richieste dal punto di vista monetario che l’Accademia faceva al governo: parte di quei fondi, come si scoprì assai più tardi, erano destinati al sostenimento di quell’edificio in rovina non troppo lontano dalla periferia di Tokyo. Inizialmente di quel luogo non si sapeva assolutamente nulla, ma un giorno uno dei membri delle Abilità Pericolose spiattellò tutta la faccenda ad un suo senpai e, nel giro di pochi giorni, la questione era nota a tutta l’Alice Academy. Ciò che però effettivamente giungeva alle orecchie degli studenti era un grande pettegolezzo, ingigantito dalle parole di troppe persone, che risultò essere così poco credibile da far cadere l’intera questione nel dimenticatoio, cosa che fu possibile anche grazie all’aiuto degli insegnanti che premettero affinché  questa diventasse una semplice leggenda metropolitana.
Che tutta quella storia fosse vera Narumi lo avrebbe scoperto molto tempo dopo a seguito di scrupolose indagini, aiutato anche da diversi ragazzi dei vari gruppi di Abilità, indignati dal fatto che la loro scuola, la loro casa, avesse per lungo tempo ritenuto quel postaccio un luogo di vitale importanza e necessario quando qualcuno tendeva ad ignorare troppo le regole.
Andare in quel luogo però non significava “ricevere una punizione”, significava essere fatti lentamente a pezzi fino a quando non si aveva la decenza di togliersi la vita e se si sopravviveva non si era più gli stessi: ma a lui andava bene così.
 
[***]

L’ufficio del preside del Dipartimento Elementare consisteva in una stanza grande, ma sostanzialmente spoglia: le pareti scure non erano in alcun modo decorate, come il pavimento di mogano del resto, e gli unici mobili presenti erano la libreria e la vecchia scrivania dato che la poltrona di velluto era stata gentilmente concessa alla signorina Koizumi sotto sua richiesta.
Kuonji sedeva sulla sedia ed osservava il calice di vino vuoto con un’espressione stranamente seria che mal si sposava col volto da bambino che si ritrovava, lo stesso volto che, oltre gli occhi color smeraldo, celava quello che oramai doveva essere un uomo che aveva superato la settantina, o almeno questo era quello che Rei Serio sapeva sul suo conto, che era già troppo considerando lo scarso interesse che l’insegnante delle Abilità Pericolose nutriva per il suo superiore.
-E quindi a tuo parere sarebbe meglio farla stare con gli altri?-, il preside sollevò lo sguardo verso Persona.
Per Kuonji quell’uomo dal cappotto nero e dalla maschera bianca non era altro che una delle pedine più importanti della sua scacchiera: un eccellente collaboratore, tendenzialmente taciturno e poco incline a mettere il naso in affari che non lo riguardavano, che portava sempre a termine con successo gli incarichi che gli venivano assegnati, in un modo o nell’altro. Onestamente non gli premeva sapere quali fossero i suoi metodi considerando che questi portavano buoni risultati.
Ma la questione di quella ragazza era qualcosa di ben più complesso.
-Ritengo-, cominciò Serio, -che il suo Alice dell’Annullamento non possa svilupparsi pienamente fino a quando non entrerà in contatto con abilità ben più potenti di un banale Alice dell’Illusione. Le Abilità Latenti non risultano essere utili per una situazione del genere, soprattutto se il nostro obiettivo è quel che lei sa, signore. Il punto è che utilizzare il mio potere andrebbe a creare un rischio che non possiamo correre-.
L’Alice della Corrosione, un’abilità che se fuori controllo può causare la morte di una persona con un semplice tocco, non a caso Persona risultava essere l’essere umano che più faceva uso di strumenti contenitivi: gli anelli, gli orecchini, la stessa maschera aveva uno scopo di contenimento.
-La signorina Koizumi è dell’avviso che tali provvedimenti non siano affatto necessari-.
-Signore, con tutto il rispetto per la mia superiore, ritengo che il mio giudizio in merito abbia un peso maggiore: sono il responsabile del caso Sakura da sedici anni e ho avuto la possibilità di studiare al meglio la situazione. La signorina Koizumi non ha dati a sufficienza per sapere cosa sia effettivamente meglio per la riuscita del progetto-.
Questo Kuonji lo aveva pensato, ci aveva riflettuto più volte da quando la fidata compagna era venuta a fargli rapporto sulla questione e, per quanto ritenesse Luna degna della sua piena fiducia, si era reso conto di non poter dare troppo peso alle sue parole, non sapendo che in ballo c’erano altre questioni, ferite ancora aperte...come la sua del resto.
“Azumi...”
Il preside del Dipartimento Elementare annuì distrattamente e si alzò dalla sedia mostrando al suo interlocutore un sorriso accondiscendente, uno di quelli che Rei detestava.
-Provvederò a farla inserire fra gli studenti del Dipartimento Superiore. Quando il fascicolo con i suoi dati sarà pronto te lo farò recapitare affinché tu possa dare delle direttive chiare alla piccola Mikan-.
-Non la deluderò signore-.
-So che non lo farai-.
 
 
Angolo Autrice
(perché la sottoscritta lo riteneva opportuno):
E dopo settimane passate a pensare a COME iniziare questa cosa (perché chiamarla storia sarebbe un atto di narcisismo) finalmente ho messo le mani sulla tastiera e ho scritto (l’avessi mai fatto).
Ecco la piega che vuole prendere il mio reupload, una piega piuttosto seria ed un poco più chiara (perché nessuno aveva mai capito nulla in quella storia) ma diversa dal punto di vista narrativo: in che senso? Ho scoperto di non riuscire più a scrivere usando la prima persona (colpa del carissimo Paul Auster che col suo libro mi ha fatto amare la narrazione in terza persona), spero comunque che apprezziate la cosa.
Un ultimo appunto prima di lasciarvi: questo è un capitolo introduttivo, in quanto la narrazione sarà incentrata sui due protagonisti per eccellenza, ma purtroppo queste tre personcine rivestono ruoli assai importanti e quindi SI, DOVEVO METTERLI NEL PROLOGO. OKAY?! Okay. *sono pazza*
Aspetto con ansia le vostre recensioni e no non sarò puntuale con la pubblicazione perché le idee non le ho sempre.
Sayonara miei prodi.

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Capitolo 2
*** I ***


I

“It’s strange to be alive”
 
La luce del sole era quel che la svegliava al mattino da quando aveva sei anni, quando aveva appreso per puro caso che lasciare le tapparelle della finestra aperte, cosa severamente proibita da parte della signorina Koizumi, permetteva ad un raggio caldo di sfiorarle il viso e di farla destare dal suo sonno inondando lentamente la sua piccola stanza con un qualcosa di accecante, diverso da quel qualcosa che permetteva alle lampadine di svolgere il medesimo compito. Da quando aveva fatto questa scoperta non aveva mai smesso di alzarsi all’alba, poggiando i piedi nudi sul freddo pavimento per poi avvicinarsi verso la finestra e aprirla quel poco che bastava per far passare la gelida aria del mattino, così poteva godere di quella luce che amava, l’unica cosa che la facesse sentire bene. Ogni tanto puntava gli occhi nocciola oltre il davanzale, osservando il silenzioso paesaggio deserto e spoglio ed immaginando cosa dovesse esserci oltre, lontano da quel posto dove viveva da anni ed anni senza capire effettivamente perché, per quale motivo le fosse toccata quella sorte, cosa aveva fatto per meritarsela soprattutto, e a risponderle a quei suoi quesiti c’era solo il vento che delicatamente le scompigliava i lunghi capelli castano chiaro e le arrossava appena il naso e le gote.
Assurdo ma vero, la ragazza non aveva mai pensato di scappare, una voce nella sua testa le diceva che non era il caso, voce che ogni tanto aveva il tono della signorina Koizumi e altre volte quello di Persona, per poi concretizzarsi in immagini confusionarie che di concreto avevano solo il dolore che entrambi le avrebbero potuto infliggere se avesse anche solo provato a mettere una mano fuori da quella struttura, dalla sua prigione.
Perché Mikan lo sapeva quanto potevano far male entrambi, seppur in modi diversi.
Perché lei ricordava ancora il male infertole quando aveva solo otto anni, o il peggiore, provato quando ne aveva nove, e alla base di tutto c’era solo un’immensa crudeltà da parte di entrambi i suoi carnefici.

 
Anche quella mattina fu costretta a chiudere prima la finestra e poi le tapparelle, facendo sprofondare la stanza nell’oscurità più profonda. Attese che gli occhi si abituassero al buio e trattenne l’istinto di buttare un occhio sotto al letto in ferro, cercando qualche mostro inesistente prima di rimettersi sotto quelle lenzuola fin troppo leggere per il freddo della fine di ottobre, e quando fu di nuovo su quel materasso scomodo iniziò a fissare il soffitto contando i secondi che passavano: Persona era sempre puntuale, non dissimile in questo da un coniglietto bianco col panciotto che da piccola aveva conosciuto fra le pagine di uno strambo libro per bambini che le avevano dato per imparare proprio a leggere e che ancora teneva nascosto sotto il cuscino affinché non lo buttassero come avevano fatto con praticamente tutto il resto.
Ed infatti alle 6:30 sentì la chiave mentre veniva inserita nella toppa e veniva fatta girare sbloccando la serratura. Serrò gli occhi affinché non si accorgesse che era già sveglia, ascoltando il rumore della porta che si apriva e dei passi pesanti che rimbombavano nella stanza, socchiudendo le palpebre solo quando la lampadina emise la sua bianca luce artificiale, ed era questo che segnava l’inizio della sua giornata. Non ricordava che essa fosse stata diversa in tutti i sedici anni della sua vita mal vissuta, eccetto per quelle poche volte in cui Serio era dovuto mancare per motivi a lei ignoti e Luna, col suo sorriso ricco di una gioia perversa, era venuta a farle quelle sue visite, e che Dio le fosse testimone quando diceva che ciò che quella donna le fece fu sempre e comunque più orribile di qualsiasi dolore causato da Persona.
Solitamente si doveva alzare dal letto, salutare l’insegnante delle Abilità Pericolose con un inchino e afferrare quell’unico cambio che poteva indossare. La tappa successiva era la camminata con la scorta verso il bagno, dove si faceva una doccia fredda, non di rado cadendo nella doccia causandosi ferite non di poco conto, vuoi per la malnutrizione o per la scarsa forza nelle ossa causata dal poco allenamento e dalla scarsa esposizione all’ambiente esterno, e si vestiva il più rapidamente che poteva. Al mattino non mangiava: veniva presa per i capelli e trascinata nella Camera Oscura e là iniziava il primo atto, il prologo dell’incubo, all’interno del quale gli indiscussi protagonisti erano l’uomo incappucciato dall’altra parte della stanza (separato dalla giovane con un vetro) e le illusioni generate dal suo Alice.
Cosa effettivamente fosse un Alice a Mikan fu chiaro sin da subito, stranamente, e lo capì ancor meglio quando tutti iniziarono a pretendere che anche lei lo fosse, perché venne sommersa di volumi e volumi dedicati all’insegnamento di cosa fosse quel potere. Ciò che invece non riusciva a capire era come potessero pretendere che lei fosse un soggetto tanto particolare quando non aveva mai manifestato nessun sintomo del caso e come potessero pensare che quelle immagini raccapriccianti che le venivano mostrate potessero in qualche modo cambiare le cose. Di certo non aveva mai pensato che a terminare per un momento la vita di quegli scheletri che le stringevano la gola, o il fluire del sangue che sgorgava dal pavimento e le macchiava le mani, o ancora del muoversi nella sua bocca di tutti quegli animali pelosi che sapevano di cadavere  sui quali si posavano vespe affamate apparse da chissà dove non fosse stato il proprietario dell’abilità che li generava ma lei. E come avrebbe potuto del resto? Lei che nel frattempo era soffocata dalla paura, dalle lacrime che le inondavano il viso, dai singhiozzi che violentemente le scuotevano il corpo e dalla morsa che le stringeva la gola mentre il cervello chiedeva pietà, non riuscendo a concretizzare quel desiderio in un urlo di terrore.
Dopo la Camera Oscura semplicemente Mikan smetteva di pensare, tutto diventava nero. Qualcosa le veniva fatto ingerire a forza e che spesso veniva rimesso sul pavimento con conseguenti botte da parte degli sgherri di Serio, che ne avevano abbastanza di quella mocciosa...non tanto da risparmiarle quello che la signorina Koizumi aveva dato loro il permesso di fare da quella fatidica sera, la sera del suo nono compleanno. Lei non era mai senziente eppure ricordava quelle cose, quelle cose brutte, quegli uomini che la toccavano e la spogliavano, quel dolore lancinante e il freddo del pavimento su cui l’avevano lasciata a lavoro finito...ed ora che stava diventando una donna gli abusi stavano diventando più frequenti e lei pian piano si spegneva, come la fiammella di una candela in balia del vento.
La giornata finiva nella sua stanza, nel suo letto, a volte con i polsi legati a delle flebo per prendere il nutrimento minimo necessario per farla sopravvivere, dove passava del tempo (minuti o ore, non avrebbe saputo dirlo) con gli occhi vacui rivolti verso il pavimento a godersi quei pochi istanti di libertà, mentre realizzava che nel giro di poche ore sarebbe iniziato un nuovo giorno.
E non è mai un buon giorno.
Quella mattina il tempo si fermò improvvisamente, quel fiume rapido che non aspettava mai nessuno per una volta aveva arrestato il suo corso in quella sua piccola stanza bianca e dalle pareti spoglie, con un solo letto ed un vecchio libraccio sotto al cuscino, quello stesso luogo dove viveva da sedici anni: Persona sulla porta, mentre lei alzava in capo dopo l’inchino di consuetudine, gettò una scatola davanti ai suoi piedi per poi voltarsi di spalle.
-Niente doccia stamattina, Mikan. Hai dieci minuti per metterti ciò che troverai là dentro. Oggi cambi aria-.
E quelle parole bastarono per svegliarla dopo anni di nulla.
 
Le scarpe nere erano stranamente formali e forse un poco più grandi del necessario, come quasi tutto fatta eccezione per le calze scure probabilmente: la gonna scozzese beige e nera era tenuta dalla cintura, necessaria per non fargliela calare, la camicia bianca l’aveva sistemata alla meglio, come le era sembrato più giusto, mentre la cravatta non era neppure riuscita a capire a cosa servisse, tanto che l’aveva ignorata mettendosi subito la giacca nera dalle rifiniture color oro sulla quale erano già state appuntate tre buffe stelline dorate. La divisa del dipartimento Superiore non era forse quella più adatta a lei, ma il fatto che fosse un poco larga aiutava a nascondere il fatto che fosse sottopeso e il suo seno pressoché inesistente, per questo l’avrebbe sempre apprezzata più di qualsiasi altro indumento. Si sistemò i lunghi capelli, pettinandoseli con la sua vecchia spazzola ed infine raccolse le sue poche cose mettendole in uno zaino che aveva trovato sempre nella scatola assieme ad una chiave, che tenne pur non conoscendo cosa questa aprisse.
Dire che fosse esterrefatta era un eufemismo, felice no, non ancora almeno, ma non aveva la benché minima idea di cosa stesse accadendo così all’improvviso.
Quando mai Rei Serio, l’inquietante carnefice dalla maschera bianca, le aveva dato qualcosa di simile?
Uscì titubante dalla stanza, a capo basso, segno che era spaventata ed obbedì a Persona quando le fece freddamente cenno di seguirla lungo il corridoio, iniziando a percorrere il lato della struttura dove abitava che non aveva mai visitato, anzi, le era stato severamente proibito ed il perché lo capì quando giunsero dinnanzi ad un portone sigillato che venne aperto solo quando l’insegnante delle Abilità Pericolose passò sullo scanner la tessera di riconoscimento. Ma perché Mikan comprese il motivo per il quale nessuno l’aveva mai portata in quella zona? Perché oltre quella porta chiusa la sedicenne vide l’esterno e quasi pianse dalla gioia quando venne spinta fuori e si ritrovò con i piedi sulla vera terra e quando il mondo esterno, per la prima volta, travolse tutto il suo corpo donandogli una strana energia, e sì che allora capì di essere viva e quanto quella sensazione fosse bella e strana, maledettamente strana.
-Muoviti. Non ho tutto il giorno-, queste parole la riportarono alla realtà e subito un macigno di insicurezze le crollò sulle spalle.
Come puoi pensare che tu sia libera? Pensi che ti concederanno mai questo lusso? E perché dovrebbero? Ti stanno portando in una nuova prigione, magari più attrezzata di questa, chissà. Lo scoprirai quando ti picchieranno di nuovo fino a quando non sputerai sangue perché proverai a sfuggire a quegli uomini che ti trattano come una bambola, o quando ti porteranno in una nuova stanza delle illusioni, magari stavolta legandoti ad una sedia per farti subire meglio. A loro piaci vulnerabile Mikan, a loro piaci come canarino in gabbia e nulla cambierà.
Seguendo l’uomo dalla maschera bianca, salì su una lussuosa macchina nera dai finestrini oscurati, macchina che lei non capiva cosa fosse e che temeva essere uno strumento di tortura o qualcosa di simile, tanto che, seduta sui sedili di pelle nera, teneva gli occhi nocciola sbarrati fissi sulle lunghe dita che stringevano nervosamente la stoffa della gonna, con una tale forza che le nocche erano sbiancate. Si allarmò quando l’autista mise in moto l’automobile e sobbalzò spaventata quando Persona lanciò sul posto libero fra loro due un fascicolo col nome della ragazza.
-Ora ti illustrerò ciò che accadrà d’ora in poi-.


Angolo Autrice [perché la sottoscritta ha voglia di perdere tempo]

Le persone che conosco dicono che odio i miei personaggi (il che è vero) e quindi mi sono detta “Bah, nella prima versione soffriva troppo poco la cara Mikan. Semplici illusioni un poco inquietanti? Ti pare bastino?”.
E quindi sì, sono passata allo stupro.
Perché?
Perché se Dio esiste mi ha fatta nascere stronza.

  

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Capitolo 3
*** II ***


II
 
“How a flower looks like”
 
 -Fratellone?-.
-Uhm?-.
Era tardi e se il padre li avesse beccati in giardino li avrebbe rimproverati, sebbene Natsume sapesse bene che non sarebbe mai riuscito ad essere così severo. Non era cosa adatta a lui, e d’altronde l’uomo lo diceva sempre che, nel bene e nel male, quella che in quella casa aveva sempre portato i pantaloni era la madre dei due ragazzi.
Aoi giocherellò con i fili d’erba del prato facendoseli passare fra le dita delle pallide e piccole mani mentre gli occhi color rubino venivano coperti dalle morbide ciocche corvine dei suoi folti capelli, all’epoca leggermente lunghi, forse poco oltre le spalle. Era tale e quale al fratello più grande che in quel momento la stava osservando in silenzio, in attesa della sua domanda.
-Perché non possiamo rimanere nello stesso posto? Perché dobbiamo sempre cambiare casa?-.
Il ragazzo, che ancora non aveva compiuto otto anni, non si sorprese del fatto che la sorellina, di soli quattro anni del resto, non sapesse nulla a riguardo e per un poco evitò di rispondere al suo quesito, gli occhi puntati sulla pallida luna come se essa, assieme alle stelle, avesse potuto dargli le parole giuste da dire. Ma come al solito nulla disse quella fonte di luce notturna che da sempre è appesa al cielo e il corvino si fece sfuggire un lieve sospiro da quelle labbra su cui raramente si scorgeva un sorriso.
-Perché altrimenti ci porterebbero in un posto lontani da papà e dal resto del mondo-.
-E perché?-.
-Perché siamo diversi-.
-Ed è una cosa cattiva?-.
Natsume si avvicinò a lei e le scompigliò i capelli con una mano, forse in un vano tentativo di farle interrompere quello che rischiava di diventare un flusso di domande senza fine, ma la più piccola gli prese il polso fra i piccoli palmi, le guance gonfie e le sopracciglia leggermente corrugate.
Il fratello non trattenne quel sorriso che gli venne più che spontaneo e, con la poca forza delle sue braccia, se la mise sulle gambe.
-Quando saremo più grandi troveremo tutte le risposte. Ora non te le so dire, Aoi-.
Glielo disse con un’aria seria, tanto che la più piccola non insistette e si limitò ad annuire con il capo. Dopo non molto appoggiò la testa contro la spalla del fratello maggiore mentre veniva colta dalla stanchezza che, con uno sbadiglio della corvina, annunciava la sua presenza.
-Insieme?-.
-Insieme-.
 
[***]
 
L’inverno in Giappone sa essere pungente e, sebbene Tokyo non fosse avvolta dal gelo come Sapporo (capoluogo della prefettura di Hokkaidō), quel mattino uscire senza una giacca pesante era a dir poco impensabile. D’altronde le previsioni annunciavano che c’era da aspettarsi una nevicata nel giro di pochi giorni o al massimo una settimana, ma all’Alice Academy cose come la televisione erano impensabili persino per uno studente avente la Special Star.
Fu a causa di una corrente fredda che gli provocò brividi lungo tutta la spina dorsale che Natsume Hyūga si svegliò dal suo sonno e subito socchiuse gli occhi rosso rubino ancora stanchi a causa del mancato sonno della notte precedente. Nulla di troppo strano per quel periodo: Persona era letteralmente sparito dalla circolazione per due settimane intere, lasciando il posto alla Koizumi che, vuoi per la noia vuoi per il disprezzo verso tutto ciò che riguardava Rei Serio, li aveva ridotti allo stremo con un numero di missioni filate inconcepibile. Il corvino aveva contato le sue poco prima di crollare per la troppa stanchezza e, se la memoria non lo ingannava, era arrivato a farne una trentina, con neanche un’ora di pausa fra l’una e l’altra che, per chi aveva un Alice di tipo Illimitato, significava sfidare il proprio corpo a piegarsi fino a quando non si spezzava.
Forse però, in fin dei conti, il sedicenne sperava che il suo fisico collassasse del tutto affinché potesse morire in pace, ma lasciarsi abbracciare dalla morte in quel momento era fuori discussione: doveva ancora risolvere alcuni problemi, sistemare delle cose, e solo poi avrebbe potuto lasciare che quella piccola scintilla di vita dentro di lui si spegnesse al più debole soffio del vento. Quantomeno tutto quel dolore sarebbe finito, fisico o mentale che fosse.
Si passò una mano sul viso pallido, gli occhi segnati da due ombre scure per la mancanza di sonno, e sbuffò infastidito da quel maledetto inverno che non gli aveva concesso neppure quel poco riposo che aveva tanto richiesto. Non avrebbe mai ammesso che se la fosse cercata uscendo senza giacca, ma solo con la camicia bianca e stropicciata i cui bottoni all’altezza del colletto, fra l’altro, non erano neppure chiusi, i pantaloni a scacchi beige della divisa del dipartimento superiore e con quelle scarpe troppo eleganti che avrebbe volentieri incenerito con il suo Alice per il semplice gusto di eliminare quel dettaglio troppo perfetto. Perché in quel dannato posto tutto doveva essere perfetto sotto ogni punto di vista, tutto doveva rispettare le apparenze, sorreggere la maschera che l’Accademia si era meticolosamente costruita nel corso degli anni mentre, di nascosto, ragazzi e ragazze, bambini e bambine, sputavano sangue, versavano lacrime, nascondevano le ferite che si erano procurati, spesso tanto gravi da farli zoppicare o, alle volte direttamente costringerli a letto per una settimana o più; quegli stessi ragazzi soffrivano e quasi si facevano sanguinare quando, nella notte, li coglieva impreparati un incubo, spesso il ricordo di un’azione compiuta, una missione compiuta, e continuavano a farsi involontariamente del male fino a quando, abituatisi al dolore, non smettevano di provare emozioni concrete.
Che quel Dio di cui tutti parlavano gli fosse testimone quando diceva che, se avesse potuto, avrebbe volentieri raso al suolo quella schifosa scuola, distruggendola fino a quando non ne fosse rimasto neppure il più piccolo granello di polvere.
Appoggiò nuovamente la testa contro la corteccia di quel ciliegio ora spoglio dove da sempre veniva a rifugiarsi quando voleva stare da solo, alle volte con una rivista o un fumetto, soprattutto quando era più piccolo, o, più spesso quando divenne più grande, un libro o un oggetto casuale con cui tenersi occupato. Solo Luca Nogi, il suo migliore amico, sapeva che quando il corvino non era a lezione si trovava in quel luogo nascosto dagli alberi e forse, o almeno così gli era parso di capire, ne era a conoscenza anche Hotaru Imai che certo non aveva nulla di meglio da fare se non mettere il naso in affari che non la riguardavano. Rispettava quella ragazza dagli occhi ametista per la sua intelligenza e riservatezza, ma certo non per il suo essere tanto impicciona tanto che una volta aveva discusso aspramente con la corvina e solo dopo qualche commento sulla “curiosità degli scienziati” dell’amico da Feromone Animale era riuscito a far pace con lei, per quanto ad entrambi non potesse importare di meno del fatto che avessero risolto la questione. Perlomeno, nonostante ella avesse una sorta di gioia perversa nel divulgare informazioni personali sul conto di tutti, nessuno era venuto a conoscenza di quale fosse “il suo posto” cosa che, per uno dei ragazzi più popolari dell’intera Accademia, risultava essere ben più che positiva. A stento riusciva a trattenersi dal fare fuori Sumire e tutte le altre ragazze facenti parte del suo fanclub durante le ore scolastiche, figurarsi se queste fossero venute ad infastidirlo quando aveva la luna storta.
Il ragazzo spostò gli occhi color fuoco verso la maschera da gatto nero che giaceva al suo fianco e subito dovette trattenere l’istinto di mandare a fuoco quel vecchio strumento di contenimento che gli aveva affibbiato quel nomignolo che tanto lo infastidiva: Kuro Neko, gatto nero appunto. La sollevò dal prato sul quale giaceva ancora qualche foglia secca che qualcuno si era dimenticato di togliere e la osservò con freddezza, ricordandosi anche di come, anni prima, la vista di quell’oggetto gli causasse così tanta rabbia da fargli bruciare involontariamente gli oggetti che lo circondavano. Gli faceva ancora ribollire il sangue nelle vene, ma nulla più. Quando un suo compagno delle Abilità Pericolose lo aveva notato aveva ridacchiato divertito dalla cosa, mormorandogli un “Quanta poca determinazione che hai, gattino~”. Nessuno osò più fare commenti riguardo a Natsume quando lo stesso ragazzo, il giorno dopo, si ritrovò in ospedale con gravissime ustioni su tutto il corpo.
Interruppe il flusso dei suoi pensieri quando udì dei passi leggeri non troppo lontani da lui che a stento era riuscito a sentire nonostante l’orecchio attento. Diede la colpa alla stanchezza, al fatto che certo dopo aver consumato tutta quell’energia non potesse essere al massimo della sua forma, ma del resto non poteva immaginare che fosse un miracolo che i passi di quella persona avessero emesso anche solo un piccolo suono date le sue condizioni fisiche a dir poco precarie.
Si sforzò di alzarsi e si dovette sorreggere per un poco con il tronco dell’albero prima di potersi muovere senza dover temere in una caduta improvvisa. L’istinto gli disse di tenersi pronto ad usare il suo Alice e subito, senza pensarci troppo, fece apparire una piccola fiamma nel palmo della sua mano, cercando di evitare che le scintille infuocate cadessero sul prato o finissero contro gli alberi: era troppo debole per contenere un incendio causato dal proprio potere distruttivo. I passi si fecero più vicini ed anche più rapidi e subito il ragazzo si diresse verso essi, il cuore che pompava il sangue troppo velocemente e gli dava l’impressione d’avere l’organo in questione in gola.
Normalmente non si sarebbe mai lanciato con il suo Alice contro un qualcuno di cui non conosceva neppure l’identità perché avrebbe rischiato di far del male ad un innocente, ma in quel momento davvero non stava ragionando tanto che, vista un’ombra proiettata da dietro un albero, si scagliò contro essa puntando la fiamma verso il suo corpo.
Nella foga del momento neppure si accorse che il suo fuoco si spense poco prima di sfiorare la pelle di quella ragazza.
La vide cadere all’indietro, per fortuna senza sbattere la testa, e appena fu in grado di mettersi seduta indietreggiò spaventata, con l’aria di chi ha appena visto un fantasma, stessa aria che aveva Natsume che però, in fin dei conti, ne aveva tutto il diritto: quella ragazza dai lunghi capelli color miele e dagli occhi nocciola pareva davvero lo spettro di sé stessa. Era pallida, il viso dai bei lineamenti, ma asciutto come quello di chi non mangia da secoli, le gambe così esili da sembrare solo ossa coperte dalle calze nere, le occhiaie più scure delle sue sotto i grandi occhi che, spalancati, lo fissavano con terrore mentre il corpo era scosso da violenti brividi, causati forse anche dal gelo invernale che stava facendo congelare le ossa di entrambi; intorno al collo aveva delle bende e queste si potevano scorgere anche sull’esile polso che spuntava dalle maniche troppo larghe della giacca che indossava. Tre stelle appuntate ad essa che, con i suoi colori, segnava l’appartenenza della sua proprietaria al dipartimento superiore, peccato che il corvino non l’avesse mai vista neppure una volta e, dato che mai gli era capitato di incontrare un Alice per la prima volta quando questi era così grande, per un momento pensò davvero che la stanchezza gli avesse giocato un tiro mancino e che lui stesse vedendo davvero una sorta di Yokai.
Provò a fare un passo verso di lei e subito la vide strizzare gli occhi con forza, mentre delle lacrime iniziavano a formarsi al lato di questi e, temendo di averle fatto male, più per le conseguenze che avrebbe dovuto affrontare che per una reale preoccupazione per la condizione fisica di quella ragazzina spaurita, si chinò di fronte a lei, esaminandola con occhio attento cercando qualche ferita superficiale o il segno di un’ustione. Non vide nulla di tutto ciò e così pensò che si fosse fatta male a qualche osso considerando quel fisico che aveva, troppo debole persino per il più piccolo movimento, ma certo non poteva scoprirlo con un’occhiata superficiale e aveva compreso da subito che, fin quando non si fosse calmata, gli sarebbe stato impossibile anche sfiorarle una punta dei capelli senza farla scoppiare a piangere ed urlare.
Sospirò, forse anche per il fastidio che gli stava dando quella situazione.
-Ehi, piantala, non voglio farti nulla. Ti ho “colto alla sprovvista” perché...insomma...ti ho confusa per qualcun altro-, una pessima bugia ma non gli veniva in mente nulla di meglio, -Ora dimmi se ti fa male da qualche parte: se sei caduta male potresti esserti presa una distorsione o cazzate simili, ma non ti posso far zoppicare per tutta l’Accademia-.
La vide scuotere violentemente la testa mentre teneva le labbra serrate.
-Potresti anche rispondermi a parole se il gatto non ti ha mangiato la lingua, sai?-.
Il silenzio calò su entrambi e la ragazza, ora con gli occhi aperti, si era stretta le ginocchia al petto e continuava a fissare il prato come se fosse la cosa più interessante del mondo. In quel momento, guardandola, nella mente del ragazzo riapparve il ricordo della sua sorellina che guardava quelle cose tanto stupide e banali con gli stessi occhi trasognanti, anche quando quei rubini erano pieni di lacrime. E allora il ragazzo lo pensò davvero che entrambe quelle ragazze fossero state splendidi fiori di cui nessuno si era curato, tanto che gli uomini avevano continuato a pestarle fino a quando non avevano rischiato di spezzarne il gambo ed ucciderle, e da quel giorno quelle creature dai petali bianchi e candidi come neve vivevano in quel limbo fra la vita e la morte sperando che qualcosa potesse cambiare. Ma lo represse subito quel pensiero, così repentinamente che, anni dopo, non ne ebbe più memoria.
-...s-sto bene-.
Natsume quasi non si rese conto del fatto che ella avesse parlato tanto era debole la sua voce che, in quel momento, era uscita in quello che poteva essere poco più che un sussurro.
Cogliendola di sorpresa e facendola sussultare, il ragazzo la prese per il polso e si alzò sollevando anche la ragazza dagli occhi color nocciola, e si sorprese nel sentire quanto poco pesasse. La esaminò da capo a piedi, constatando che non gli aveva mentito e che riusciva a stare in piedi sulle sue gambe, e subito dopo mise le mani nelle tasche dei pantaloni della propria divisa.
-Pare tu sia stata sincera, comunque quale dovrebbe essere il tuo nome?-.
La vide esitare prima di rispondere.
-Mikan... M-Mikan S-Sakura...-.
-Io sono Natsume, Natsume Hyūga-.

 
Angolo Autrice [perché devo giustificarmi per la mia assenza]
 
Due rette parallele sono due insiemi infiniti di punti appartenenti ad uno stesso piano che non si intersecano mai fra di loro. Data la retta a (che chiameremo LaRagazzaCheNonEsiste), e la retta b (che chiameremo puntualità) disegnale facendo in modo che risultino parallele.
Credo di aver spiegato nel modo più semplice possibile la questione-
In ogni caso chiedo venia per la lunga assenza, ma vado in quel brutto posto chiamato Liceo Classico dove si devono studiare materie UTILISSIME come il Latino ed il Greco e quindi, soprattutto a causa della scuola, ho avuto pochissimo tempo libero negli ultimi mesi.
Per una serie di fortunati eventi, e di alcune canzoni che cascavano a fagiolo, ho avuto tutto il tempo di farmi venire un’idea e di scriverla. In ogni caso ringrazio tutti coloro che stanno seguendo questa storia, significa molto per me.
Ultime informazioni di servizio: nonostante a nessuno potrà fregare nulla di quanto sto per dire, volevo informarvi che le canzoni sopra citate da cui sto prendendo ispirazione per “il carattere” dei nostri due protagonisti hanno lo stesso titolo ma cantanti e testo diverso. Per Natsume mi sto basando su Human di Krewella (versione Nightstep), mentre per Mikan Human di Christina Perri.
Inoltre “Luca Nogi” non è un errore di battitura, questo perché in realtà è il modo corretto di scrivere il suo nome. Il ragazzo infatti ha la madre Francese e il padre Giapponese, per cui il suo nome è occidentale e il cognome Giapponese per ovvie ragioni. Nel doppiaggio italiano dell’anime e in alcune versioni inglesi/americane dei manga è arrivato il nome “Ruka” perché è così che viene scritto in Giappone, in quanto lì il suono della “L” e quello della “R” per certi versi si equivalgono. Una rapida ricerca in internet vi darà una spiegazione più accurata di quest’ultimo dettaglio.
Ultima cosa ma non per importanza: nella storia al momento ci troviamo nel mese di dicembre, questo perché 1º- Non mi volevo complicare la vita con il compleanno di Natsume (27 novembre) e 2º- Se fosse stata a gennaio avremmo avuto Mikan già di 17 anni e la cosa mi dava altamente fastidio.
Dopo questo capitolo molto bello (ma anche no), io vi saluto.
A presto (ma anche no parte due), Sayonara miei prodi!
 
LaRagazzaCheNonEsiste
 

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