Commemorative Stone

di acchiappanuvole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il vertice del triangolo ***
Capitolo 3: *** Satsuki e Ren ***
Capitolo 4: *** strada a senso unico ***
Capitolo 5: *** tempo ***
Capitolo 6: *** Rancore ***
Capitolo 7: *** Un bacio diverso ***
Capitolo 8: *** Quello che resta non detto ***
Capitolo 9: *** Dietro lenti colorate ***
Capitolo 10: *** Vento di settembre ***
Capitolo 11: *** Bang Bang ***
Capitolo 12: *** Black Roses ***
Capitolo 13: *** Famiglia: Asami e Naoki ***
Capitolo 14: *** Una via di fuga ***
Capitolo 15: *** La vita come una scusa ***
Capitolo 16: *** 16 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


" Una voce graffiante, calda e sofferta. Una voce che parlava di troppe cose. Di sogni infranti come specchi e di legami perduti nella marea del tempo".
 
La fermata di  Angel è la sua preferita. Non è un luogo particolare, non ci sono attrattive e, anche se ce ne fossero, a lei non importerebbero. Angel è un nome. Uno dei tanti nomi onomatopeici che caratterizzato Londra.
Londra rediviva. Il passato non l'ha sconfitta e tutte le volte che si è trovata in macerie Londra ha sempre saputo rialzarsi, ripristinarsi.
Una Lady molto orgogliosa.
Reira pensa che le piacerebbe avere anche solo la metà di una forza simile. Ma è più facile nascondere le lacrime sotto la pioggia e passare fra la gente come un'ombra, estranearsi per non sentire che il vuoto si fa ogni giorno più grande e ogni giorno più difficile da sopportare. Attende la risalita della scala mobile, qualche inglese con troppa fretta la urta dal lato sinistro della scala, e Reira osserva questo tram tram perpetuo tentando d'immaginarsi le vite di tutti quegli sconosciuti senza nome che la circondano ignari. Sulle pareti dell'underground fanno bella mostra manifesti colorati dei più svariati musical; è facile lasciarsi distrarre dai colori sgargianti pieni di belle promesse mentre la scala  ha terminato la sua risalita rischiando di farla inciampare all'ultimo. Dalle gallerie asettiche percorse da gente a maree contrarie, il suono di una chitarra rimbalza sui muri scrostati, vortica nell'aria respirata mille e mille volte, si espande come un richiamo che Reira segue accompagnata sempre da quella infantile, folle, speranza che cancella le leggi divine, le riduce a incubi dai quali è possibile svegliarsi e ritrovare ciò che si credeva perduto.
Le dita del ragazzo percorrono le corde della chitarra con sicurezza, è assorto dal suono del suo strumento, lo ama come solo un musicista può amare quella miracolosa estensione sonora della propria anima. Reira lo fissa cercando di tracciare nei contorni di quel viso dei tratti familiari, ma è impossibile.
-You don't really care for music, do ya?-
E' una voce bassa e profonda quella che canta, e Reira sussulta perché quella strofa le suona più come una domanda diretta, come se quello sconosciuto, che nemmeno la guarda e probabilmente non ha  realizzato la sua presenza, le offrisse la chiave di un’esistenza che lei non ha mai voluto realmente fermarsi a considerare. Troppa la paura di affrontarne tutti gli errori commessi, le illusioni mai sopite, l’amore doloroso mai saziato.
-…love is not a victory march, it’s a cold and it’s a broken hallelujah-
Lascia scivolare dieci sterline nella custodia aperta della chitarra e nemmeno allora il musicista alza lo sguardo su di lei e questo, in qualche strano modo, la ferisce. Come un contatto mancato, qualcosa di importante non avvenuto.
 Si stringe nelle spalle e si allontana, accelera il passo velocemente, il percorso labirintico che si snoda nelle viscere delle città, i suoi treni che sopraggiungono carichi di disparata umanità. Reira ritorna sui suoi passi, non varca l’uscita di Angel. D’improvviso la necessità di raggiungere un altro luogo, un altro rifugio si fa impellente. Attende sulla linea gialla, il treno si ferma, le porte si spalancano di fronte a lei con un lieve spostamento d’aria. Reira non si muove, dietro la musica l’insegue ancora, le persone la schivano per salire sul treno, qualcuno con un’occhiata contrariata. E Reira pensa di voler tornare ad Hyde Park Corner, conta le fermate, le linee da cambiare… Tutto questo eppure il corpo non obbedisce. La porta si chiude a pochi centimetri dal suo viso, qualcuno la tira leggermente indietro poiché rimanere così vicino ai binari è pericoloso.
 
You don’t really care for  music, do ya?
 
 





-Che cosa dice?-  saltella sul bordo del Serpentine lanciando pezzetti di biscotti secchi alle anatre affamate. Lui la osserva, ne studia i cambiamenti che in lei sono così repentini, come guizzi di luce impossibili da catturare. Sotto il cappello i lunghi capelli neri scendono sulla schiena in una piccola cascata d’ebano, in quel cappotto, troppo grande per la sua figura minuta, sembra una bambina nei vestiti di un adulto. Come un gioco, così la sua presenza vivace rende improvvisamente più colorato il pomeriggio autunnale di Londra.
-Allora, cosa dice?-
-Ormai dovresti masticare un po’ di inglese- ribatte lui, seduto sulla panchina di legno. Lo schienale porta incisi alcuni nomi incorniciati da cuori.
- Il fatto è che quando sto lontana per tanto tempo lo dimentico. Non lo faccio apposta, ma il significato di alcune parole mi sfugge- lancia un biscotto oltre la testa delle grosse oche, verso un cigno nero tenuto in disparte. Il becco rosso sfiora l’acqua accogliendo l’imprevisto dono.
- Li adoro- esclama- E credo che piacciano molto anche a mamma-
-Cosa?-
- I cigni neri-
E anche lui osserva quel grosso uccello solitario, le piume pece in contrasto con gli occhi ed il becco rosso.
-Penso che in un certo senso le ricordino lei- continua liberandosi del sacchettino ormai contenente solo briciole.
-Uff, che cosa non le ricorda lei?!-
- Non essere cattivo-
- Qui non è questione di cattiveria ma di realismo-
Lei lo guarda e sorride, un sorriso che lui riconosce, il medesimo riflesso – Hai sempre parlato da adulto. Tutte le volte mi fai sentire così piccola-
-E’ perché sono il più grande-
- Solo di un anno- Satsuki ribatte con una linguaccia. Le oche reclamano ancora, e lei piroettando prima su se stessa le saluta con la mano – Per oggi dovrete portare pazienza, ma prometto che tornerò a trovarvi domani con qualcosaltro di buono-.
-Lo sai che non dovresti dar loro da mangiare-
Un’occhiata esasperata – Ren, ti rendi conto che mi riprendi per qualsiasi cosa-
-Perché sei una zuccona. E’ indubbio che tu e mamma abbiate lo stesso dna-
- E questo cosa vorrebbe dire?- Satuski si aggrappa al braccio del fratello, ma gli occhi di Ren sono distanti e guardano cose che Satsuki non riesce a comprendere.
- Farò quindici anni tra due settimane- dice allentando un po’ la presa dalla manica ruvida della giacca di Ren. – Vorrei che tu e papà ci foste-
- Papà non si perderebbe mai il tuo compleanno-
-E tu?-
-Nemmeno io-
-Questo vuol dire che ritornerai in Giappone!- Satsuki sorride, un senso di gioia risale nel suo petto come una piccola marea – Mamma sarà così felice-
- Mi fa piacere rivedere tutti, e poi ci sono delle cose che ho lasciato là e che voglio riprendere. Sebbene abbia chiesto a mamma di spedirmele lei si è sempre “dimenticata”-.
E così com’era venuta la gioia di Satsuki defluisce nell’amarezza – Vuol dire che non ti fermerai?-
-Ne abbiamo parlato un sacco di volte-
-No- Satsuki scuote la testa impedendogli di proseguire – Avevi detto che avresti frequentato il liceo a Tokyo-
-Satsuki-
- Lo avevi detto! E con questo anche papà potrebbe decidere di tornare a casa-
Ren si scosta malamente – Perché credi ancora che quei due possano tornare insieme? Dopo tutto questo tempo. Sei davvero ingenua-.
E stavolta è Satsuki a fronteggiarlo, le labbra contratte ed il volto arrossato – E’ così sciocco sperare che la mia famiglia possa riunirsi! Perché non posso? Perché dobbiamo vivere così lontani l’uno dall’altra. Addormentarmi chiedendomi cosa starai facendo, se stai bene, se papà sta bene… Io non ce la faccio più a vivere così. Non riesco a capire perché tu sia così arrabbiato, perché non mi parli, non mi dici cosa ti passa per la testa- e le lacrime non si trattengono, scivolano lungo le guance e Satsuki le detesta, vuole reprimerle ma il risultato è l’opposto. Con le mani inguantate si copre gli occhi, i denti mordono le labbra screpolate. C’è il rumore di ali che sbattono sull’acqua, di bambini che giocano in lontananza, il contatto rumoroso delle suole di chi fa jogging. E poi ci sono le braccia di Ren che l’avvolgono, la stringono forte, il profumo delicato di suo fratello e i capelli che le solleticano la fronte. Succedeva anche in passato. Quando Ren la portava in quello stesso parco durante le vacanze di primavera, e Satsuki piangeva ogni qualvolta si avvicinava la data della partenza, significava una nuova separazione e una nuova attesa. Anche allora Ren l’abbracciava in quello stesso modo.
-Scusami Satsuki, hai un fratello che a volte è un vero idiota-
-Puoi ben dirlo- singhiozza lei e il volto di Ren s’illumina finalmente di un sorriso.
- Ti farò un bel regalo vedrai-
- A me basta che tu ci sia, non mi interessa il regalo-
-Vorrebbe dire signorina Ichinose che non le interessa la nuova composizione che ho realizzato esclusivamente per lei?!-
Satsuki si scosta e lo guarda sorpresa, il naso un po’ gocciolante e gli occhi arrossati spalancati di stupore
-Hai scritto una canzone solo per me?-
-Mh mh-
- Dove si parla di me?-
- Probabile-
Lo abbraccia nuovamente, talmente forte che Ren deve trattenere il respiro.
-Suonala ora ti prego-
-Assolutamente no, devi pazientare-
- Ti prego ti prego-
- Satsuki!-
- Va bene, va bene… Allora suonami qualcos’altro-
Ren obbedisce. Tira fuori la chitarra dalla custodia e siede sotto uno dei grossi alberi dalle foglie arancioni.
-Vediamo se ora capisci le parole-
La dita di Ren sfiorano con sicurezza le corde della chitarra, il suo viso si concentra e i suoi occhi si immergono in quel mondo che Satsuki desidera ma che gli è precluso.
 
-I heard there was a secret chord 
That david played and it pleased the lord 
But you don't really care for music, do you 
Well it goes like this the fourth, the fifth 
The minor fall and the major lift 
The baffled king composing hallelujah- 


 
E’ calda la voce di Ren, non ha una forte estensione, ma è quasi un sussuro nel vento di quel pomeriggio d’autunno
-….Well, maybe there's a god above 
But all i've ever learned from love 
Was how to shoot somebody who outdrew you 
It's not a cry that you hear at night 
It's not somebody who's seen the light 
It's a cold and it's a broken hallelujah-
 
Satsuki comprende le parole, in quella lingua così lontana dalla loro città natale ma che suo fratello conosce come se fosse nata insieme a lui. Quelle parole sono tristi, e Satsuki piange ancora in silenzio sperando che Ren non se ne accorga.

 

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Capitolo 2
*** Il vertice del triangolo ***


Ruin
Il contatto con il bordo caldo della tazza le da un piacevole tepore, il colore scuro del liquido le ricorda occhi lontani, persi  in qualche dimensione straniera che tuttavia  non la lascia ancora sconfitta in quella che, per tutti quegli anni, è stata una ricerca senza risultati. Ma ora non può pensare a Nana, deve chiuderla dietro una preziosa porta, una porta pesante. Solo per poco. Solo per poco. Satsuki compirà 15 anni a breve e lei è fermamente decisa a prepararle una magnifica festa. Le cucirà uno yukata  nuovo, di quelli adatti ad una signorina, e sa già che sua figlia sarà splendida. Poggia la tazza, lo sguardo vaga per il grande appartamento, si sofferma su una porta chiusa ed il cuore le batte un po’ più forte.  Le succede sempre, con quella strana aspettativa di poter aprire quella stessa porta e trovarlo seduto sul letto, con la sua fedele chitarra a comporre qualche splendida melodia. E’ una delusione infantile invece quella che l’accompagna ogni giorno, quando varca davvero quella soglia, per  pulire, appendere l’ennesimo poster senza nemmeno essere certa corrisponda ai suoi gusti. Ren la fissa da sopra la spalliera del letto, ha lo sguardo che Nana amava tanto, la bocca accenna un sorriso ironico.
-Sono una madre tanto disastrosa, Ren?- e non è certa di averlo chiesto a quel fantasma  o a suo figlio.
Ma ci sarà tempo per parlare, perché stavolta è sicura: Ren rientrerà per il compleanno della sorella. Potranno stare tutti e quattro insieme, passeggiare per le vie del centro,cenare al ristorante, come una vera famiglia. Sa già che non potrà far a meno di pavoneggiarsi, di essere fiera nel guardare i suoi bambini. Terrà stretta la mano di Satsuki, e si aggrapperà al braccio di Ren come una teenager innamorata. E poi… Poi forse riuscirà ad incontrare lo sguardo di suo marito, quello sguardo distante, distaccato, uno sguardo che tante volte ha odiato. Che strano tipo di amore è il suo.
Controlla l’orologio. L’ora giusta per poter chiamare. Impugna la cornetta e attende un poco, forse una qualche forma di coraggio, prima di comporre il numero.  Riesce a udire la voce di Takumi, la sente nella mente, bassa e profonda,  un po’ assonnata. O forse sarà direttamente Ren a rispondere?
-Pronto-
Hachi si morde le labbra, stringe più forte la cornetta e per un attimo la voce le si blocca in gola in modo fastidioso.
-Pronto?-
-Ssi… Pronto, Reira sono Nana-.
Ed anche dall’altro capo del telefono c’è un istante di silenzio, o così le è sembrato.
-Nana, come stai?- la voce di Reira è dolce, conciliante, ma fredda come una carezza invernale.
-Molto bene, ti ringrazio- si sforza di sorridere come se l’altra potesse vederla – E tu?-
-Non mi lamento. Vuoi parlare con Takumi?-
-In verità cercavo Ren, ma se Takumi è lì…-
- Deve ancora rientrare, ma Ren è qui. Solo un istante…- 
Ascolta i passi di Reira allontanarsi, rumori indistinti, e quel primo fastidio tenta di sciogliersi, deve concentrarsi su Ren, su tutte le cose che vuole chiedergli, dirgli quanto sia felice che abbia deciso di rientrare.
-Nana-
-Sì?-
-Mi dispiace ma è sotto la doccia, mi ha detto che ti richiamerà  domani-
-Oh, capisco-  ma in realtà non è così. Hachi non capisce. E’ la terza volta in una settimana che Ren schiva le sue telefonate.
- Vuoi  lasciargli detto qualcosa?-
-Come sta?- Hachi incalza, vorrebbe dirle , chiederle tante altre cose, ma trattiene, trattiene come gli eventi le hanno insegnato a fare.
-Non preoccuparti, sta benone-
Ancora quella frase, ripetuta tutte le altre volte da Takumi.
-Bene, allora digli di chiamarmi assolutamente domani. Io voglio sentire la sua voce.-
-Certamente-
-Saluta anche Takumi-
Hachi non attende risposta, chiude la comunicazione, e forse Reira si sarà offesa, forse si aspettava conversassero come lontane amiche. Ma sa che non è così. Reira non vedeva l’ora di chiudere la comunicazione tanto quanto lei.
Se fosse ancora una stupida ragazzetta, ora probabilmente chiamerebbe Junko per renderla partecipe di quell’ennesimo colpo al cuore. Ma è una donna. Una madre.  E domani Ren chiamerà. Non c’è motivo di piangere ora.
 
Blindness
-Non puoi continuare a non voler rispondere, la fai soffrire- Reira è seduta sul grosso divano nero del salotto. I capelli, raccolti in una lunga treccia, le danno un’aria più matura, più malinconica. In alto, sopra la fronte, qualche filo bianco fa capolino fra i capelli ramati.
Ren la osserva, le è sempre piaciuto osservarla, con quella curiosità un po’ bambina, un po’ affascinata che colloca Reira nella semplicità perfetta di una parola: bella.
-Domani la chiamerò. Stasera non sapevo che dirle-.
-Nana vuole semplicemente sentire la tua voce, poco importa quale sia l’argomento di conversazione. Le manchi molto e lo sai. Inoltre a breve sarà il compleanno di Satsuki, vorrà di certo coinvolgerti nei preparativi-.
-Verrai anche tu?- Ren le siede accanto, Reira accenna un sorriso carezzandogli la guancia
-Sai che non amo tornare in Giappone. Voglio bene a Satsuki, ma non me la sento di rientrare-
-Credi che mamma non sarebbe contenta?-
Reira scosta la mano, è sorpresa dall’improvviso cambio di tono – Sai bene che non si tratta di questo, Ren-.
Il ragazzo distoglie lo sguardo – Si lo so- improvvisamente si sente nervoso – Vorrei rimanere qui anch’io-
-Non dire sciocchezze!- e Reira gli da una sberletta –Satsuki ci tiene molto che tu ci sia. E anche se fai il duro sono certa che anche tu vuoi essere presente alla sua festa-.
- E papà?-
 - Takumi ha già prenotato i biglietti-
- Non ti sentirai sola?-
-Cosa credi sia una nonnina?! Starò benone-  ma mentre lo dice Reira ha smesso di guardalo, i suoi occhi vagano su quella stanza minimale, priva di qualsiasi calore. Non può fare a meno di dirsi che rispecchia l’anima del proprietario. – Inoltre ci sono delle faccende che devo sbrigare- conclude addossando meglio la schiena al cuscino compatto.
- E che faccende sarebbero?-
La donna strabuzza gli occhi – Sei peggio di una madre- ridacchia notando un lieve rossore colorare le guance del ragazzo – Una donna potrà avere i suoi segreti-.
-Qui tutti in realtà non fanno altro che avere segreti, è come vivere in una stupida soap opera- e la può sentire la rabbia graffiare parole apparentemente calme,i pugni di Ren stringersi un po’ a voler fermare emozioni che non desidera manifestare.
- Perché dici questo?- e Reira è combattuta su come agire. Abbracciarlo come una madre premurosa o trattarlo al pari di un adulto. Ma come può lei, bambina mai adulta, essere credibile in un ruolo tanto complicato.
- Non importa- Ren sospira, i tratti del viso si distendono, ricompone una perfetta maschera di placida parvenza.
-Ren, l’adolescenza è un periodo molto difficile. Probabilmente il più difficile. Io lo ricordo bene. C’erano volte che ce l’avevo col mondo intero, non comprendevo il comportamento di mia madre e …-
-Amavi senza essere corrisposta-
Reira s’irrigidisce, sente freddo, si volta verso la finestra sorprendendosi di trovarla chiusa. Che sciocca.
-Ciascuno si innamora e succede talvolta di non essere corrisposti. Ad esempio quando Yasu non fece nulla per fermarmi dalla mia intenzione di partire per Tokio, beh, pensai che alla fine il mio amore non doveva essere poi molto corrisposto. Per non parlare di tutte le cotte avute al liceo. Che c’è?-
Ren sorride, la guarda con una tenerezza tale che Reira è costretta a distogliere lo sguardo imbarazzata. Conosce quello sguardo. E’ lo sguardo di Ren. Così simile allo sguardo di quel giorno…
“Dopotutto Reira, la cosa alla quale davvero non vuoi rinunciare, è rimanere al fianco di Takumi”.
 
-Sei bella Reira- è un tono privo di malizia quello di Ren –Ti guardavo per quello-.
Reira sa che sta mentendo ma accetta di buon grado quella virata improvvisa che le permette di non affrontare acque troppo profonde  e pericolose. Gonfia le guance come quando era bambina e lo scruta sottecchi con teatrale rimprovero – Non ti starai innamorando di me ragazzino?! Sono troppo vecchia!-
Ren  raccoglie la sfida – Questo è vero-
-Impudente, somigli tutto a tuo padre- sbotta lei sentendosi un pochino offesa nella vanità.
-Lo pensi davvero?-
-Mh?-
-Pensi davvero che io gli somigli?-
E c’è una strana ansia nella voce di Ren, una richiesta negli occhi che Reira non riesce ad interpretare. L’ingenuità di Ren non è mai esistita sul volto di Takumi, nemmeno quando erano bambini.
-Sei suo figlio dopotutto- mormora  come se l’argomento d’improvviso la infastidisse; stringe le spalle e cerca un qualsiasi appiglio di fuga che le permetta di schivare qualunque argomento Ren voglia toccare al riguardo.
- Vorrei che tu lo ripetessi- Ren è risoluto, improvvisamente adulto, non si cura del palese impaccio che la donna non riesce a nascondere.
Reria sospira, le spalle al muro e la mente aggrovigliata –Che cosa?-
-Quello che hai appena detto, vorrei lo ripetessi-
-Ren…-
-Per favore-
-Sei suo figlio dopotutto- la voce di Reira questa volta è chiara, dura anche se non era nelle sue intenzioni. Lascia il divano, resta immobile un istante prima di fissare l’orologio appeso alla parete. E’ un orologio assurdo, di quelli che puoi trovare solo a Camden Town, uno dei luoghi preferiti di Ren.
-E’ tardi, meglio che vada-
-Non rimani a cena?-
-No- Reira recupera il cappotto, l’idea di veder rientrare Takumi d’improvviso la terrorizza, vuole scappare e rimanere allo stesso tempo. La medesima sensazione provata pochi giorni prima alla fermata di Angel.
Ren l’affianca, le sfiora il braccio e Reira sussulta scossa all’improvviso dalle sue ansie.
-Mi dispiace- sussurra Ren
-Perché?- Reira lo fissa esasperata – Perché ti dispiace, Ren? –
- Ho imparato che cambi improvvisamente umore quando si parla di qualcosa che ha a che fare con papà, e so il perché. Non avrei dovuto-.
-Stavamo parlando di te non di tuo padre- improvvisamente si sente più calma, lo sguardo di Ren è tornato ad essere quello di un bambino  che attende una sgridata.
- In verità credo che non si parli mai veramente di me-
E’ sorpresa da quell’ennesima uscita. Ren è esattamente come il mare. Un secondo calmo e splendente sotto i raggi del sole, ti invoglia ad immergerti nelle sue acque chiare, certa di poter scorgere il fondo bianco. Ma d’un tratto quello stesso mare diventa nero e tempestoso, travolge e rende sempre più difficile il riuscire a rimanere a galla.
Ren e il mare. Sono sempre stati correlati, da sempre. Reira lo sa. Se vuole parlare con Ren deve raggiungere il mare, il mare d’inverno. Non è difficile, può raggiungere Brighton e trovarsi di fronte la distesa dell’oceano. Poca importa se è un oceano diverso, Ren è dentro le profondità di ogni mare e può ascoltarla.
-Ti sei sentito trascurato, lo so. Se me ne fossi accorta prima, se fossi stata più matura avrei potuto aiutarti-.
-Non è stata colpa tua, Reira-
-Invece sì, stavi venendo a prendermi. E’ stata colpa mia. Volevo rimanere lontana da lui e sono stata egoista e tu hai pagato il mio egoismo-.
Ren abbassa gli occhi, il viso è pallido e la mano malferma quando la poggia sulla spalla di Reira.
-Reira siediti, non volevo sconvolgerti. Sono stato stupido. Vuoi che suoni qualcosa? Qualcosa che ti piaccia, qualcosa che tu possa cantare -.
-No, io…Sono stanca, vorrei dormire. Devo tornare a casa. Credo di dover chiamare mia madre, mi sembra di averglielo promesso-.
-Puoi chiamarla anche da qui. Vorrei che tu rimanessi, stare solo  non mi piace. A breve arriverà anche Naoki. Lo aspettiamo insieme-.
Ren le prende la mano, è fredda tanto quanto la sua, riconduce Reira al divano, la aiuta a sedersi lentamente. Reira appoggia istintivamente la guancia sulla spalla del ragazzo, si sente improvvisamente esausta. Sa che è successo qualcosa, qualcosa di sbagliato, ma non riesce a metterlo a fuoco, a ricordalo.
-Perdonami Ren, sono solo stanca-.
-Lo so, riposati. Io starò qui con te-
Reira ha gli occhi chiusi ma sorride, è un sogno dolce quello che l’accoglie, deve riposare. Solo per un po’.
 
 
 
 
 
Soul in a bottle
Ha telefonato ad un negozio di forniture per ufficio per comprare una di quelle macchinette che riducono la carta in mille pezzi, tanti coriandoli piccolissimi. La osserva divorare vorace i fogli, uno dopo l’altro, così come la vita fa con i giorni degli esseri umani.  Forse è una questione di ordine. 
Seduto alla scrivania, un pacchetto di Gitanes vuoto e una tazza di caffè ormai freddo a ornare una triste distesa di documenti.  Ne prova improvvisamente nausea, il desiderio di evadere può risolversi anche solo guardando fuori dalla finestra. C’è chi porta il cane a passeggio, chi va in bici, chi in skateboard.
Alcuni ragazzi con l’aria da teppisti parlottano tra loro. Nonostante continui a fissarli, non sono quelle le persone che vede. Ma una distesa di volti perduti, di luoghi dove ha vissuto ed il mare di un’infanzia sepolta, dove finiti i giochi ha imparato a pensare soltanto a se stesso.
E’ tutto quello che resta. Una regione remota dei sogni. Un luogo imprevedibile, anche se ripetitivo, enigmatico e terribile, anche se benigno, come sono sempre i sogni.
Il tizio dai lunghi capelli e l’aria spavalda ne sapeva qualcosa. Un sogno lungo un’eternità. Ha passato trent’anni della sua vita in quel modo e, senza dubbio, potrebbe affrontarne tantissimi altri con la stessa incongrua facilità.
E , comunque, non ha molta scelta.
Deve farlo per non dover guardare.  Perché se sei condannato a guardare la tua immagine in uno specchio, sei condannato a guardare tutto per sempre, senza poter più intervenire. Questo, si dice, è il sostanziale e patetico significato della sua vita.
Il bambino sulla spiaggia e l’uomo che è ora in quale punto preciso di tutta la storia sono diventati due entità separate?
Sarebbe utile tornare indietro  per poterlo chiedere. Sa già come andrebbe. Si avvicinerebbe a quel ragazzino dall’aria imbronciata guardandolo dall’alto in basso.
Esordirebbe con un –Ehi, teppistello!- mostrandosi davanti a lui con un completo nero e scarpe firmate che affondano nella sabbia – Guardami. Ti piace quello che sei diventato?Ne sei soddisfatto?-
E forse quel Takumi bambino farebbe una smorfia disgustata, o più semplicemente scrollerebbe le spalle ribattendo – Affari tuoi,amico-.
Lo diverte immaginare una scena simile.  E’ terrificante ma riassume tutto il suo essere. Per questo non vuole più guardare. Non vuole più guardarsi. Guardare lo schifo che hai davanti ogni singolo giorno della tua vita.
Probabilmente aveva già smesso di farlo quando in un remoto passato aveva preso in considerazione la possibilità di uccidere suo padre. Era stato il pensiero di un momento, ma comunque formulato.
Onestamente, siamo certi che gli esseri umani vogliano sempre guardare e capire?
Takumi pensa a quando ha visto sua madre morire. 
Ha visto anche le mani di un uomo che lo hanno malmenato per buona parte della sua infanzia.
Ha visto i suoi progetti cadere in bidoni di spazzatura, e ha visto se stesso rifugiarsi nell’indifferenza umana e nell’ego, forse solo per paura. Paura di essere malmenato di nuovo. Paura di guardare.
Cazzo. Guardare.
Nel primo cassetto a sinistra custodisce una foto.  Ren e Satsuki  durante il tanabata. Sono vicini l’uno all’altra; Satsuki sorride, ha una yukata nuovo e dei fermagli a forma di farfalla dei quali va molto orgogliosa.  Ren le tiene la mano, non indossa l’abito tradizionale, ma una t-shirt dei Sex Pistols e dei jeans slavati.  Sorride a sua volta in direzione dell’obiettivo mentre dietro la luce aurea dei fuochi d’artificio rende quell’immagine un perfetto istante congelato al tempo.
Takumi li ama. Ne è pienamente capace ed è il primo a stupirsene.
Quando li ha tenuti in braccio per la prima volta, in entrambe le occasioni non ha potuto fare a meno di pensare “ Sono miei. Sono il mio sangue”.  Non si sarebbe mai creduto capace di pensare qualcosa del genere, proprio lui che non aveva mai dato importanza ai legami di sangue, almeno fino a quel momento.  Ma questo invece che spingerlo sulle rive della coscienza e del buon senso, non aveva fatto altro che spingerlo ulteriormente tra le braccia del lavoro.
Il lavoro come un rifugio.
Non sono predisposto a fare nient’altro. Sono composto da troppi pezzi sbagliati. Il modo in cui sono stati assemblati hanno reso il mio essere come la vetrata opaca del grande atrio delle scuole medie. Non c’è voluto molto a mandarla in frantumi. Era vetro scadente, anche se a vederlo da fuori lo avresti giudicato infrangibile”.
Fuori c’è poca luce e sta iniziando a piovere.  In strada sono rimasti solo due ragazzi in skate e una donna che cammina velocemente riparandosi la testa dalla pioggia con un giornale. Mentre cammina svelta non cede alla tentazione di lanciare sguardi alle vetrine. Un po’ per i vestiti un po’ per controllare la propria immagine. La cosa lo fa sorridere. Lo fa ricordare.
Nana e quel suo modo dolce e frivolo, i sorrisi ancora ingenui prima che il diavolo tentatore con i capelli lunghi, il basso e la cura del sesso le tendesse la mano per offrirle la mela. Solo mordendola si è accorta di quanto acerbo fosse quel frutto.
E’ così. Takumi ne è consapevole. Non è mai stato in grado di donare frutti dolci a nessuno. E’ una constatazione difficile da non fare. Non ha ancora capito come sono andate veramente le cose e probabilmente non lo capirà mai.
Nana avrebbe potuto accusarlo di essere sempre impaziente e detestabile, ogni volta che in quegli anni di improbabile matrimonio tentava di parlare con lui. Di lui. Di loro.
Avrebbe potuto, ma non ne è stata in grado.
Ed ora il senso di colpa, per tutto quello che ha fatto e per tutto quello che non è stato in grado di fare, lo coglie come un assassino nascosto nel buio.
Ci sono state troppe omissioni.
Sentirsi in colpa non serve a nulla e soprattutto non cambia i fatti.
Takumi è sempre stato un sognatore realista.
Il cellulare squilla. Deve cambiare la suoneria, è tremenda.  Sul display compare il nome di Ren. Lampeggia su di  uno sfondo totalmente nero, come un monito.
-Papà…-
Inzialmente Takumi fatica a riconoscere la voce di suo figlio, suona così adulta e distante.
-Dimmi pure- non ci sono saluti e convenevoli, non con Ren.
-Ho bisogno che torni a casa-
Takumi distoglie lo sguardo dalla finestra. La pioggia è più forte, uno scrosciare fastidioso.
-E’ successo qualcosa? Stai bene?-
-Si tratta di Reira-
Takumi aderisce la schiena alla sedia, chiude gli occhi per un istante prima di riprendere il controllo della propria voce.
-Ho capito, arriverò a breve. Non preoccuparti-.
- Grazie- è un sussurro prima che la comunicazione si interrompa.
I vetri gocciolanti impediscono ogni visuale, ma Takumi intravede la propria immagine sulla superficie trasparente.  Sa anche senza vederli che i suoi occhi sono nuovamente freddi, nuovamente distanti.
Non c’è mai stata nobiltà d’animo. Solo interesse personale.  Ha chiuso la sua anima in una bottiglia lasciata a galleggiare in una pozza d’acqua stagnante. Ce l’ha messa lui e lì ha deciso di lasciarla.
 
 
 

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Capitolo 3
*** Satsuki e Ren ***


Picchietta nervosamente la penna sulla carta mentre ogni poco lo sguardo si fissa sull’orologio posto sopra la lavagna. Il tempo sembra non voler far passare quella maledetta ora di matematica.  La professoressa Himoto, 27 anni, viso magro e capelli perennemente raccolti a chignon, incarna il classico stereotipo di professoressa di matematica. Compie evoluzioni con il gesso sopra la superficie verde della lavagna, cerchia numeri e ogni parola che le esce dalla bocca per Satsuki suona come una lingua straniera. Ci sono cose più piacevoli sulle quali concentrarsi; la lista degli inviti di compleanno ad esempio, oppure Joji Namura seduto in seconda fila, ultimo banco a destra. E’ bello e ombroso come un personaggio manga, bravo nello sport, pessimo nel relazionarsi col prossimo.  Hiroki invece,ultima fila, vanta anche lui un aspetto che, è certa, anche sua madre approverebbe. E’ estroverso e manco a dirlo tutte gli muoiono dietro. Ogni tanto le sorride,ma Satsuki non riesce a far altro che arrossire come un papavero e voltarsi dall’altro lato. E’ una vera frana, 15 anni  a breve e ancora nessun amore.  Spalanca un po’ di più gli occhi guardando in che condizioni ha ridotto il foglio di quaderno. Sopra al blando inizio d’equazione fa bella mostra un cuore, ripassato più volte.  Il nome, scritto senza pensarci, al centro la costringe a coprire il foglio con ambo le mani. Le guance le sono roventi  e la voce fastidiosa dell’insegnante sembra divenire sempre più distante.
-Sei stata con la testa per aria durante tutta l’ora-
- Non per tutta l’ora!-
- D’accordo. Allora per cinquanta minuti, va meglio?-
Satsuki annuisce riponendo i libri nella cartella –Sì, suona meglio-
-Tieni- Ko le sbatte sulla testa un quaderno. – Copia gli appunti questo pomeriggio o rischierai di lasciare il foglio in bianco nel prossimo compito. A meno che questo non preveda un cuore e il nome “Shin” scritto ovunque-.
-Ko sei tremenda!-
- Sono la voce della tua coscienza, è diverso-.
- Anche se copio gli appunti non capirò comunque un tubo, devi venire a casa mia e spiegarmi tutti quei segni assurdi-.
-Troppo facile-
- Che vuol dire?-
-Che la prossima volta dovrai restare attenta perché non ho intenzione di passare il pomeriggio a riparare alla tua distrazione. Dovresti già ringraziarmi per gli appunti-.
-Ma che razza di amica saresti!-
-La migliore- Ko sorride e quando lo fa ha lo spiacevole difetto di rendersi perdonabile.
- Va beh, ma almeno puoi venire ad aiutarmi ad avere qualche idea per il compleanno- .
-Credevo organizzasse tutto tua madre-
- Siamo giunte ad un accordo collaborativo-
-Ottanta lei e venti tu?!-
-Precisamente. Però, insomma, 15 anni sono importanti, e non voglio una festa troppo da ragazzina. Mi piacerebbe qualche locale, tutti i miei amici. Ma mamma e papà hanno fatto ostruzionismo fin da subito. Pare che gli adulti siano contrari al divertimento-
-Saranno solo preoccupati di quello che puoi combinare-
- Esattamente da che parte stai?-
- Satsuki, l’idea del locale è solo un cliché con il quale quelli della nostra età credono di essere più adulti di quel che sono. Essere circondata dalle persone che ti vogliono bene trovo sia un modo molto più maturo di festeggiare. E sono certa che ci sarà da divertirsi ugualmente-
-Tu mi fai paura. Comunque non fraintendere, sono felice della festa. Potrò vedere mio padre e Ren, già questo è un bellissimo regalo-
-Sono fiera di te-
Satsuki arrossisce. Apprezza Ko, perché sa che ogni parola che dice nasce da un moto sincero.  Si sono conosciute durante l’ultimo anno delle medie. Ko ha un’indole da maschiaccio in paradosso con l’incredibile femminilità che emana. Sembra più grande dei suoi quindici anni, e negli occhi ha una consapevolezza che Satsuki invidia. Talvolta le fa venire in mente Ren. Tutti e due hanno una maturità alla quale Satsuki aspira fortemente. Tuttavia il fatto di essere protetta e coccolata da entrambi non le dispiace. Probabilmente suo fratello ha ragione, Satsuki e sua madre si somigliano molto.
Raggiungono la fermata dell’autobus, altri studenti sono già ammucchiati nelle zone relative alle porte degli autobus.
-Ci toccherà stare in piedi anche oggi- borbotta Satsuki contrariata.
-Se ci metti sempre una vita per mettere quattro cose nello zaino non puoi aspettarti che questo risultato-
Satsuki incassa, obbiettare sarebbe controproducente e, comunque, inutile.
-Verrà anche lui alla festa?-
-Mh?-
-Il ragazzo “incastrato” nel cuore del tuo quaderno di matematica-
-Shin non ha mai saltato il mio compleanno!-
-Credevo fosse a Kyoto per le riprese-
-Mi ha promesso che ci sarà-
-Beh è il tuo fratellino maggiore, dopotutto- ride Ko pizzicando una guancia alla compagna.
- Ancora con questa storia?! E’ mia madre che giocava a fare la mamma con lui-
-Però lui ti reputa la sua sorellina no?!-
Gli occhi di Satsuki si abbassano al marciapiede. Ko comprende di aver varcato un confine delicato.
-Satsuki? Non arrabbiarti stavo solo scherzando!-
Lei scuote il capo – In realtà hai detto una verità come sempre. E’ la cosa  di te che più amo e detesto insieme. E’ sciocco ma talvolta preferirei che tu mi concedessi qualche falsa speranza-
E Ko sospira – Non posso concederti illusioni che poi ti porterebbero a soffrire. E’ normale infatuarsi di una persona più grande alla nostra età-
-Shin c’è sempre stato- ribatté lei mordendosi il labbro inferiore
-Lo so-
- Io credo di avere una cotta per lui da quando avevo sette anni. Non scherzo. Ho sempre voluto crescere in fretta per poter essere notata da lui.-
Ko le carezza la testa schioccandole poi un bacio sulla guancia – Io sono sicura che vivrai un bellissimo amore. Porta pazienza-
-Non so se posso fidarmi di un sentimento simile. E se poi mi accadesse quello che è successo ai miei?-
-Satsuki devi distaccarti dal passato di chi ti sta intorno-
-Come?- chiede Satsuki – Ci sono cresciuta in mezzo. Sia io che Ren siamo cresciuti nelle rovine del passato altrui. E per quanto cerchi di convincermi del contrario questa cosa mi condiziona.-
Ko non ribatte. Sa che sarebbe sbagliato. In lontananza la sagoma dell’autobus si avvicina. Ko la osserva e pensa amaramente che anche l’adolescenza è un autobus sgangherato con solo posti in piedi.


Takumi poggia la tazza di tè davanti al figlio. Sono entrambi seduti al tavolo della cucina. Nella stanza si sente solo il ticchettare dell’orologio a muro e il rumore del traffico esterno.
-Credo di aver parlato troppo- mormora Ren senza alzare lo sguardo – Era sconvolta-
-Non è colpa tua. I medici hanno detto che è normale avere qualche piccola ricaduta dopo lo stato depressivo che ha passato- l’uomo sorseggia il liquido ambrato lanciando un’occhiata in direzione del soggiorno. –Dovresti piuttosto essere consapevole di essere stato il merito dei suoi miglioramenti in questi anni-
Ren accenna un sorriso che gli ravviva gli occhi. Si decide a fissare lo sguardo in quello del padre. Lo apprezza per il suo controllo, per la sua capacità di riuscire sempre ad alleviare i pesi che lo tormentano. Tuttavia,da qualche tempo, Ren si è reso conto che suo padre cela una pesante stanchezza alla quale fa fronte con sempre maggior fatica.
-Quando vorresti partire per il Giappone?- chiede Ren prendendo tra le mani la tazza calda.
-Perché usi il singolare?- Takumi lo osserva sottecchi. Conosce Ren, e sa che nulla di quello che esce dalla sua bocca è mai gettato al caso.
-Il fatto è che non trovo giusto lasciare Reira qui sola. Così vorrei rimanere con lei.-
Takumi non si scompone –Reira è una donna adulta ed inoltre ci sarà Naoki qui-
-Naoki tiene molto a Satsuki, credo vorrebbe partecipare anche lui al compleanno… -
Ren non riesce più  a mantenere lo sguardo, lo sente cadere sotto quello di Takumi.
-Vuoi dirmi che tu non ci tieni?-
-Non ho detto questo!- si sbriga a replicare il giovane Ichinose
- Beh però è quello che sembra. E’ capitato altre volte che noi fossimo a Tokyo e Reira qui sola. Non è accaduto nulla di terribile se non ricordo male-
Ren si morde le labbra, la sua sicurezza vacilla. Gli accade sempre quando lo ha di fronte.
Takumi abbandona ogni rigidità. Allunga un braccio e sposta una ciocca di capelli dalla fronte di Ren.
-Che cos’è che ti fa paura, Ren?-
Il mio nome, ad esempio, mi fa paura.
Il mio sangue mi fa paura
-Niente papà, perché pensi che io abbia paura?-
 -So che non rispondi alle telefonate di tua madre;  Yasu mi ha detto che eviti spesso di parlare anche con lui e Nobu. Fin’ora non ho mai voluto chiederti nulla perché ti conosco, so che se c’è qualcosa che ti turba solitamente me ne parli di tua sponte. Ma non stavolta  a quanto pare-.
Ren alza le spalle – Sono stato impegnato con la band, poi la scuola… Non sono bravo ad organizzarmi, accumulo tutto e questo è il risultato-.
-Mh, qualcosa da tua madre dovevi pur aver preso!- ride Takumi non badando alla faccia contrariata del figlio. –Tuttavia stavolta non mi farò arginare dalle scuse. Se non vuoi tornare in Giappone vorrei tu mi dicessi il perché-
Ren scuote il capo – E’ Londra la mia città…-
-Staremo via una settimana, tra viaggio aereo e tutto il resto vedrai quanto velocemente ti passerà il tempo-
-Te l’ho detto non voglio che Reira rimanga sola.-
-Parlerò con Mari e le chiederò di controllare che tutto vada bene. Vive accanto a Reira e sono ottime amiche, sarà ben lieta di tenerle compagnia-
-La tratti sempre come una bambina!- la voce di Ren è più alta di un tono.
- Ne sei certo? Non sei tu quello che vuole a tutti i costi farle da baby sitter rifiutandosi di considerare che Reira è una donna perfettamente in grado di prendersi cura di sé!?-
La sedia di Ren si sposta violentemente all’indietro – E allora se è perfettamente in grado di prendersi cura di sé perché hai voluto portarla qui! Perché le sei stato dietro fino ad ora! Hai lasciato la mamma per vivere qui e non dirmi che Reira non c’entra in tutto questo!-
Ren ha il respiro affannato, gli occhi sono lucidi ma non lasciano trasparire lacrime.
Takumi avverte un nodo in gola – C’entra solo in parte, Ren. E tu lo sai-.
L’uomo osserva il corpo del figlio scosso da un leggero tremito. Si alza a sua volta  e gli si avvicina, Ren non arretra, lascia che le braccia ti Takumi lo avvolgano come quando era bambino.
-Ho paura che partendo non sarò più in grado di tornare, non sarò più io. Lo so che ti sembrerà stupido. Ci sono dei motivi ma non mi sento di parlartene ora.-
Takumi lo scosta quel tanto da poterlo guardare in faccia – Ren, io non sono certo il miglior modello di padre che tu potessi meritare. Ma fin da subito io e te siamo stati una squadra, abbiamo avuto un rapporto paritario. Sei mio figlio e se c’è una cosa che posso giurarti è che non permetterò mai e poi mai che qualcosa di qualunque natura possa farti del male. Questo viaggio è un motivo di festa e di unione della nostra sgangherata famiglia. Ed io, come tua madre e tua sorella, voglio che tu ci sia. Perfino Reira si arrabbierebbe molto se tu non partissi.-
Ren vorrebbe trovare altre motivazioni, ma il ricordo della speranza negli occhi di Satsuki lo costringe a reprimere il suo agognato proposito.
-Va bene- mormora ricevendo un sorriso di approvazione da parte di Takumi.
-Hai sentito Reira?- dice l’uomo rivolgendosi all’entrata del soggiorno. Reira, rossa in viso come una bimba appena scoperta dopo un misfatto, fa capolino da dietro la porta. Ren arrossisce a sua volta prima di fissare stralunato nuovamente Takumi .
-Co…come facevi a sapere che ero lì?- domanda la donna evitando in tutti i modi di incrociare gli occhi di uno dei due.
- Scordi sempre che ti conosco molto bene- ribatte Takumi tornando a sedersi.
-E’ quello che ti piace credere!- esclama Reira con una linguaccia – Comunque tuo padre ha ragione, Ren. In un certo senso mi reputo quasi offesa di questa scarsa fiducia nei miei riguardi.-
Nuovamente padrona di sé, Reira ruba del tè dalla tazza del ragazzino – Anzi, non vedo l’ora che mi lasciate un po’ di respiro.-
Ren non dice nulla. Osserva muto la scena. Reria che recita la  parte di sorellina minore di fronte all’uomo che non ha fatto che amare per tutta la sua vita.
“Fossi stata tu mia madre sarebbe stato tutto più semplice” pensa il ragazzo e un istante dopo si vergogna di quel pensiero. Immagina gli occhi di sua madre colmi di lacrime per quell’ennesimo rifiuto, quell’accusa dalla quale Ren non riesce ad assolverla.
-Piuttosto che regalo le farete?-
Takumi lancia un’occhiata rapida a Reira, stavolta lei sostiene lo sguardo –Pensavo un viaggio studio negli Stati Uniti.-
La donna è sorpresa – Un viaggio studio?-
-Sì. Ho sempre trovato che unire l’utile al dilettevole sia una mossa vincente-
-Credi che Satsuki sarà d’accordo?-
-Beh ha quindici anni, direi che è il regalo giusto per una signorina-
- Avrei giurato che tu fossi un padre molto protettivo e geloso, Takumi-
L’uomo annuisce – Lo sono. Per questo ho scelto la scuola migliore. E poi so di poter contare su Ren-
Ren, inebetito dal solito teatrino di adulti incomprensibili, sobbalza –In che senso?-
-Boston!- esclama Takumi – Berklee College of Music-
-Co…cosa?-
Il padre sorride – Credevo fosse un tuo sogno.-
-Ssì- Ren è incredulo – Ma si tratta di un’università-
-Che fornisce corsi preparatori di orientamento per giovani studenti che un domani vorranno frequentarla-
-Hai pensato proprio a tutto- replica amara Reria – Vuoi tenerli lontani?-
-Non dire idiozie!- la voce dell’uomo è severa – Voglio solo che cambino un po’ di aria da tutta questa pantomima nella quale sono costretti a stare-
-Mi stai rimproverando, Takumi?-
Ren ancora frastornato dalla proposta cerca di conciliare – Per favore non mettevi a litigare-
-Non è nelle mie intenzioni. E comunque non è un obbligo solo una proposta-
-Tu sei d’accordo, Ren?- chiede Reira apprensiva
-Sì- e la sicurezza con cui ha pronunciato quel sì spiazza Ren stesso –Sì, mi piacerebbe!-
Takumi sorride sornione verso Reira – Visto?-
-E Nana che dirà di questa tua iniziativa? Immagino che, tanto per cambiare, tu non l’abbai messa al corrente.-
-Ren, visto che si è fatto tardi e dopo quanto a dormito sono certo Reira avrà fame, che dici di scendere a comprare qualcosa da mettere sotto i denti!?-
Ren comprende le intenzioni del padre ma preferirebbe non lasciarli soli. Sente di aver ferito nuovamente Reira, non volutamente certo, ma per Ren non è mai stato possibile anteporla a Takumi.
-Farò in fretta- dice, come a volerla rassicurare. Ma Reria si limita ad annuire con un sorriso terribilmente finto.

Nella stanza si sente ancora il ticchettare dell’orologio. Reria è rimasta in piedi, alla destra di Takumi, che invece seguita a sorseggiare il tè con una tranquillità che alla donna da poco a poco sui nervi.
-Perché non lo hai detto a Nana?-
-Gliene parlerò quando saremo in Giappone-
-Cioè quando avrai persuaso entrambi i tuoi figli che andarsene è la cosa migliore-
-Ora come ora è la cosa migliore- il tono di Takumi pare non concedere repliche, ma Reira non vuole certo arrendersi.
-Le spezzerai nuovamente il cuore allontanandoli da lei-
- Io non ho nessuna intenzione di allontanarli da lei! Non l’ho fatto in passato e non intendo farlo ora! Ren ha deciso autonomamente di vivere qui. E a parte questo, se vuoi che sia del tutto onesto, credo che a Nana non dispiacerà riavere la propria libertà per tornare a recitare il ruolo che tanto le piace!- Takumi parla con rabbia. Reira può percepirlo dal vibrare della sua voce. Potrebbe indovinare ogni movimento del suo viso anche senza guardarlo.
-Quello della vedova che attende che il suo perduto amore ritorni dal passato-
-Se tu l’avessi aiutata a cercarla…-
-A nessuno di voi è mai venuto in mente che la Osaki abbia voluto sparire proprio per non essere ritrovata!-
-Questa è la tua visione cinica Takumi. Dopo che Nana ha perso Ren ogni sua ragione di vita è sprofondata nel mare insieme a lui.  Il solo modo per sopravvivere è scappare e cambiare totalmente. Ammesso che questo sia realmente possibile. Io non ne sono mai stata in grado- Reira asciuga le lacrime che le bagnano le guance  –Non ti ho mai chiesto di portami qui e nemmeno di farmi da balia-
Takumi sbuffa – Ti prego smettiamola con questa storia-
-No!- grida la donna – Questa storia non smette mai, non te ne rendi conto?!-
-E tu Reira!? Sei stata tu a venire qui. Sei stata tu a prendermi la mano supplicandomi di non lasciarti quando la follia aveva preso il sopravvento, ricordi? –
-Smettila!- il respiro di Reira è in affanno –Ti prego smettila. Conosco bene i miei errori. Anche prima, ho spaventato Ren. Non ricordo come ma so di averlo fatto. Poi mi sono addormentata. Non capisco mai quando sogno e quando sono sveglia.  Tutto quello che ho tentato di afferrare nella mia vita mi è sempre fuggito fra le dita- si fa più piccola. Takumi la ricorda nella sua camera di bambina quando i giochi erano un mondo di salvezza, ogni  illusione una possibilità. –  Pensavo che crescendo sarei cambiata. Invece sono esattamente uguale alla principessa dei Trapnest-
-Quello che non ho mai capito, Reira…- Takumi si alza, l’accarezza sul viso con un fare paterno simile a quello usato poco prima con Ren. Sente il corpo di Reira rabbrividire, irrigidirsi, attendere, sperare…
-Non ho mai capito perché hai voluto precluderti ogni felicità per immolarti al mio egoismo. Ora ti carichi di ogni colpa, saresti capace di dire che perfino la fame nel mondo è colpa tua- la mano si ferma sul viso, ne sfiora i contorni.
-Il problema è che non hai mai creduto ai miei sentimenti. Non hai mai voluto accorgertene. Ed io sono diventata identica a te. Sono una tua emanazione, ho finito con lo smarrire me stessa-.

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** strada a senso unico ***


~~Flash back
Era una cosa che aveva sempre detestato, ma che per necessità era stato costretto ad imparare.  La nonna gli aveva insegnato come si doveva squamare e pulire il pesce; come le aragoste dovevano essere immerse in una tinozza di acqua bollente. Bisognava ucciderle così: scottandole.
Poi c’erano le cozze da pulire e ogni altro genere di frutti di mare da cucinare. Sua madre diceva sempre che quel cibo era un piacere e un’arte, ma comportava la morte, una morte violenta. Takumi si era immaginato tante volte di essere al posto di una di quelle aragoste, dimenandosi nell’acqua bollente con la sola speranza che la fine sopraggiunga il prima possibile.
A suo padre probabilmente sarebbe piaciuto fargli fare la fine di uno di quei crostacei.
-Takumi!-
Sbuffò al richiamo della sorella. Sapeva che aspettavano la visita dei nuovi vicini; una donna giovane che si era da poco trasferita lì vicino assieme alla figlia di sette anni. La signora Ichinose non aveva risparmiato l’arringa di comportarsi bene, essere gentile, sorridere, giocare con la mocciosa e bla bla.
Non nascondendo l’insofferenza, Takumi trovò distrazione in una confezione di succo al pomodoro, sforzandosi di trasformare le labbra imbronciate in qualcosa di più simile ad un sorriso di cortesia.
-Oh, eccoti qui!- la madre si portò’ alle sue spalle spingendolo verso l’ingresso dove stavano la donna e la bambina.
-Questo è il mio figlio minore, Takumi. Takumi queste sono la signora Serizawa e sua figlia-
Il ragazzino fece un cenno di saluto con la testa, squadrando la bambina che gli stava di fronte e trovando il modo in cui lo guardava a dir poco fastidioso.
Serizawa disse qualcosa alla bambina in una lingua che Takumi non capiva e, studiando meglio la mocciosa, gli fu subito noto che fosse meticcia.
Lei gli sorrise –Piacere sono Layla! Layla Serizawa!-
A quel punto sua sorella iniziò un fiume in piena di domande alla volta della ragazzina che però non sembrò certo a suo agio da quella moltitudine di frasi.
La signora Serizawa disse che sua figlia si chiamava Reria e ancora non sapeva parlare il giapponese; aveva tentato di farle fare amicizia con altri bambini che abitavano nei dintorni, ma i risultati non erano stati dei migliori.
Takumi intuì la minaccia e fu pronto a defilarsi, ma sua sorella fu decisamente più veloce di lui.
-Non c’è problema! Takumi sarà ben contento di aiutarla e magari di darle una mano anche con la nostra lingua-.
No! Avrebbe voluto gridare Takumi. No! E poi ancora no! Ne aveva già abbastanza di problemi senza doversene accollare altri.
-Ti sarei veramente grata, Takumi- nemmeno Serizawa concedeva molte vie di fuga, e sapeva che se avesse rifiutato la punizione sarebbe stata imminente e dolorosa. Annuì distrattamente e la bambina che, fino a quel momento se n’era rimasta ferma e composta accanto alla madre, si staccò dalla mano materna stampando un bacio sulla guancia di Takumi.
Il danno era fatto.
+++
-Layla- la ragazzina gli camminava al fianco, lamentandosi e piagnucolando – Sono mesi che te lo ripeto! Il mio nome è Layla non Reira!-
-Sono abituato a chiamarti Reria, perciò non vedo perché dovrei darmi ulteriori noie ad imparare un altro nome-
-Imparare!?- Reira batté un piede a terra con rabbia – E’ così semplice! Come può non rimanerti in testa?-
-Perché la mia testa è già piena di altre cose ben più importanti. E comunque Reira mi piace di più-
-Ti odio quando fai così!-
-Bene. Allora la prossima volta che ti prenderanno in giro arrangiati da sola!-
-Questo è un ricatto!-
-No, da oggi in poi devi imparare a farti valere e ad essere più indipendente da me. Io non posso starti appresso per sempre-.
-…Ti peso così tanto?-
Il ragazzino sbuffò spazientito velocizzando l’andatura, era comunque sciocco illudersi che Reira desistesse con facilità.
-Mi hai sentito Takumi!-
-Sì ti ho sentito-
-E allora perché non rispondi!-
-Perché se non sei stupida la risposta la conosci già-
Reira imbronciò il viso e gonfiò le guance –Io non sono stupida-
-Appunto, quindi vedi di non diventarlo ora-
Sapeva essere davvero snervante quando ci si metteva. Oltretutto era così appiccicosa.
-Come una cozza sullo scoglio- mormorò tra sé Takumi, fermandosi un istante dopo. Reira non lo aveva seguito e stava ancora ferma con gli occhi lucidi e i piedi ancorati al suolo come fossero stati improvvisamente di piombo.
-Che fai? E’ tardi ed io devo essere a casa prima che faccia buio altrimenti me le suonano, lo sai-.
La ragazzina scosse la testa. Non aveva intenzione di muoversi.
-D’accordo. Restatene lì sola. Io vado-
Si sentì tirare per la manica, poi qualcosa gli si addossò contro. Reira teneva il viso premuto contro la sua schiena e le sue piccole mani erano arpionate alla sua maglietta scura. Singhiozzava pur sforzandosi in tutti i modi di non piangere.
-Takumi sospirò sonoramente –Non devi piangere-
-Non piango-
-Mi stai inzuppando la schiena-
-Takumi è arrabbiato con Reira? Perché è goffa e parla male e tutti la prendono in giro. Così a Takumi tocca sempre venire a salvarla-
-Non sono arrabbiato, e dopotutto sei una bambina e le bambine frignano sempre-
-Tu non piangi mai?- chiese ingenuamente
-No!- fu la risposta secca – E’ uno spreco di tempo e serve solo a gonfiare gli occhi come palloncini-
-Oh- Reira si stropicciò gli occhi ordinando mentalmente alle proprie lacrime di smettere di uscire
-I miei occhi sono due palloncini?- lo scrutò con gli occhi arrossati e Takumi non poté fare a meno di sorridere. Tutto sommato quella mocciosa  appiccicosa risvegliava in lui una strana tenerezza.
-I tuoi occhi sono belli come sempre- l’aveva sentito dire in qualche film e pareva che bastasse una frase simile a far star buone le donne.  Tuttavia dirlo a Reira era stato spontaneo e sincero.
Lei sorrise aggrappandosi al suo braccio, nuovamente contenta.

****

~~Arrivati in prossimità del controllo bagagli Reira posa delicatamente un bacio sulla fronte di Ren.
-Fai buon viaggio e abbraccia forte Satsuki di parte mia- dice sorridendo.
Al suo fianco Naoki imita il sorriso, ma nasconde qualcosa dietro le lenti rosa degli occhiali, uno sguardo che solo Takumi riesce a decifrare.
-Porterò la lettera a tua figlia, Naoki-  assicura – Ti ho promesso di farlo e lo farò-
-Beh le tue promesse non valgono mai un granché- scherza il biondo – Ma voglio darti fiducia-
-Grazie tante-
-Ehi Ren salutami Yasu! E dì a Satsuki che lo zio le vuole sempre un gran bene!-
Ren annuisce mentre Naoki gli si avvicina con fare più confidenziale – E abbraccia Nana. Lo farai per me, vero?-
Il ragazzo abbassa gli occhi un istante prima di annuire – Certo-
-Saremo di ritorno la prossima settimana, voi due cercate di non mettervi nei casini- Takumi lancia un’occhiata a Naoki, dopodiché si avvicina a Reira porgendole le chiavi – Sono quelle di casa in caso tu preferissi dormire lì-
 –Ti ringrazio ma starò benissimo anche a casa mia-
-Prendile ugualmente-
 E Reira obbedisce, pone la mano per ricevere quel piccolo mazzo di chiavi tenute insieme da un portachiavi dalla forma indefinibile. Sfiora le dita dell’uomo e, per un unico pazzo istante, è tentata di stringerle; se con rabbia o con disperazione non le è chiaro.
Un secondo dopo Takumi ha già imboccato la fila del controllo. Ren lo segue poco dopo, titubante come se stesse per imboccare una strada che non consente ritorno.
-Ren muoviti!- lo richiama il padre
Il ragazzo muove qualche passo. Poggia il bagaglio sul rullo.
-Deve togliere tutti gli oggetti metallici. Ha cellulare, pc?-
Il suono della voce dell’addetto alla sicurezza risulta come un disco gracchiante, fastidioso e incomprensibile.
-Ragazzo hai sentito che ho detto?-
Dall’altra parte Takumi ha passato il controllo del metal detector non notando il figlio fermo come una statua di sale, totalmente sordo alle parole dello spazientito addetto.
-E’ suo figlio?- chiede una donna che ha appena finito di riprendere i propri bagagli
-Prego?-
Lei si limita ad indicare.
-Ren! Ma che fai!-
-Mi spiace signore ma non può tornare dall’altra parte-
-E’ mio figlio-
-E allora gli dica di muoversi!-
-Se lei mi fa passare! Tanto ci devo ripassare comunque da qui mi ricontrollerete!-
-Sta facendo perdere tempo a noi e agli altri passeggeri-
-Al diavolo!- Takumi raggiunge Ren e l’aggressività si smorza non appena la faccia pallida del ragazzo si leva verso di lui.
-Cosa c’è Ren? -
-Non lo so- sussurra – Voglio rimanere qui!-
Takumi, armandosi di tutto il tatto che gli è possibile, stringe ambo le mani sulle spalle del ragazzo.
-Ren andrà tutto bene. Se c’è qualcosa che ti fa paura la affronteremo insieme. Ren guardami!-
-E se tu poi non lo volessi?-
Takumi inarca le sopracciglia senza capire – Di cosa parli?-
-Signore la prego di rimettervi in fila!-
-Mi dia un secondo!-
-O vi mettete in fila oppure saremo costretti a portavi nell’area sicurezza-
Ren sembra riaversi –Scusami- dice d’improvviso avviandosi al controllo. Takumi rimane per qualche istante imbambolato a guardare il figlio svolgere le  procedure. Si muove come un automa, d’improvviso piccolo e vuoto.
-Un po’ di panico può capitare- sorride un’addetta forzatamente comprensiva.
Ma Takumi ha capito che non si tratta né di panico né di qualsiasi comune turba  del periodo adolescenziale. C’è una crepa dentro Ren, qualcosa che si sta rompendo poco a poco e lui non può permettersi di  restare a guardare.
*****
-Quello è molto carino!-
-Dici?-
Annuisce –Fa molto Satsuki!-
-Non è troppo adulto?-
Misato sghignazza – Giuro che mai e poi mai avrei pensato di sentirti dire una cosa simile!-
Shin scrolla le spalle – E’ la mia sorellina. La vedo sempre come una bimba-
-E’ il dramma di voi fratelli- Misato risulta malinconica e senza dire altro si avvia sola verso la cassa.
Shin la imita.  La commessa prepara un bel pacchetto, un fiocco sgargiante fa mostra sulla scatola.
Fuori dal negozio il pomeriggio è tiepido, un cielo terso si scontra con il cemento degli alti palazzi. Shin accende una sigaretta –  Continuo a pensare che quel vestito rosso sia troppo adulto-
-Puoi ancora cambiarlo- suggerisce Misato – Anche se, personalmente, lo trovo carino-
Shin la guarda sottecchi – Ne vorresti uno anche tu?-
-Fatico a ricordare l’ultima volta che qualcuno mi ha regalato qualcosa-
-E’ un modo per dire sì?-
La ragazza scuote il capo – E’ una constatazione. E poi preferisco farli i regali piuttosto che riceverli. Mi da soddisfazione-.
-Perfetto perché io adoro ricevere regali. Questo ormai lo dovresti sapere-
Misato gli ruba la sigaretta portandola alle labbra per fare un tiro – Proprio non ci si riesce- dice espirando una piccola nuvola di fumo.
Shin riprende possesso della black stones – Vorrei che tu non fumassi-
La ragazza porta una ciocca scura dietro l’orecchio – Queste sigarette in particolare o qualsiasi marca?-
-Smettila Misato!-
-Allora gettala!
Shin punta lo sguardo azzurro in quello nero della ragazza. E’ sorpreso.
-Vedi? Non ci riesci- si morde le labbra – Nessuno di noi ci riesce-
La sigaretta finisce a terra, calpestata sotto l’anfibio di Shin.  Misato non cambia espressione. Si limita ad alzare le spalle, come se anche quel gesto, l’ennesimo da parte di Shin in quel carosello di passato dal quale nessuno si azzardava a scendere, non potesse mutare nulla.
-Giovedì terminerò le riprese-
-Lo so- atona – Sono io che curo la tua agenda-
-E spesso fai dei gran casini. Mai inorridirebbe!- cerca di buttarla sull’ironico ma senza risultato.
- Mi sto dando da fare Shin! Riconoscilo una volta tanto!-
-Io lo riconosco- si era fatto serio – Sei tu che non te ne accorgi-
-Già, come no!-
-Perché vuoi ad ogni costo farci litigare?! Quando fai così somigli…-
-Dillo! A chi assomiglio?-
-Adesso basta. Se vuoi fare i capricci  io me ne giro al largo-
La ragazza lo fronteggia – Credevo te ne intendessi dei capricci delle donne!-
Shin non ribatte ma la guarda. Grintosa un attimo prima e ferita un secondo dopo.
-Scusami. Oggi non so che mi prende. Hai ragione sto cercando di litigare, sto cercando di farmi cacciare…-
-Perché?-
-E’ questo il punto- Misato si stringe nelle spalle, i lunghi capelli bruni ricadono sul viso, come un piccolo sipario calato sugli occhi –Non lo so-
Shin lascia a terra la borsa contenente il pacchetto regalo. Un abbraccio, un bacio, tenerezza e rabbia. Perché Misato seguita a punire gli altri con il solo obbiettivo di punire sé stessa.

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Capitolo 5
*** tempo ***


Nelle mille luci di Shibuya la gente si riversa sulle strade a maree contrarie, colori sgargianti e chiacchierii allegri a fare da sottofondo al mite arrivo della primavera. Satsuki si aggrappa al braccio del padre, ride ed indica vetrine, parla velocemente e con entusiasmo lanciando di tanto in tanto occhiate alle sue spalle per scorgere le due figure che camminano vicine pochi passi indietro. Hachi ricambia il sorriso della figlia, osserva le spalle forti di Takumi e poi, quasi con timidezza, volge lo sguardo al giovane ragazzo che le cammina accanto. Non poteva credere a quanto fosse cresciuto in pochi mesi, quando l’aveva scorto all’uscita del terminal aveva quasi dovuto trattenere il respiro. Ren. Il suo bellissimo Ren.  Gli era letteralmente volata tra le braccia senza poter trattenere l’emozione.
“Sei la solita piagnona” aveva mormorato lui con gentilezza ricambiando in modo un po’ goffo quell’abbraccio.  E per Hachi quell’agognato momento avrebbe potuto durare anche in eterno. Ma poi i loro corpi si erano allontanati e le distanze si erano ristabilite. Tuttavia ora che gli cammina vicino non può fare a meno di sentirsi orgogliosa, sorridere dolcemente e seguitare a guardarlo.
-Cosa c’è?- domanda Ren avvertendo gli occhi della madre puntati addosso.
Hachi arrossisce – Nulla è che stavo pensando a quanto sei cresciuto, sei alto come me!-
-Non che ci volesse molto- sogghigna Ren suscitando un’espressione un po’ stizzita in Hachi.
-L’influenza di tuo padre si fa sentire un po’ troppo. Ad ogni modo sei sempre più bello-
-Lo dici perché sei mia madre-
-Assolutamente no! Lo dico perché è la pura verità- ed Hachi sembra una bambina mentre esterna decisa la sua affermazione.
-Buon sangue non mente- ribatté Takumi volgendo loro un’occhiata – Sono figli miei, dopotutto-
-Guarda che li ho fatti io!-
-Si ma è il seme quello che conta-
Hachi è paonazza, Satsuki fa una smorfia e strattona il padre – Basta vi prego è imbarazzante!-
-Tu non gli dici nulla, Ren?!- ma non c’è traccia di divertimento sulla faccia del ragazzo che seguita a guardare davanti a sé con uno sguardo indefinito.
-Ren?-
- Stai continuando a disegnare Yukata?- volutamente il discorso vuole virare su altro.
Hachi annuisce –Certo, sai che mi piace molto e rende bene-
-Già-
Ma pare non ci sia altro da dire. D’improvviso l’entusiasmo di Hachi, tutte le domande con le quali voleva inondare Ren sprofondano in un mare di amarezza.
-Che dite mangiamo qualcosa?- Satsuki continua a sorridere troppo felice di aver intorno la sua famiglia per poter badare alle ombre di quella fotografia opaca.
La ragazza indica la cima di un grattacielo –Lassù c’è un ristorante panoramico. Me ne ha parlato Shin-
-Shin?- e il tono di Takumi nasconde una nota di disapprovazione alla quale Satsuki cerca subito di rimediare
-Si, ti ricordi mamma?- chiamando in aiuto i soccorsi Satsuki lascia la palla a sua madre che abituata alla complicità con la figlia annuisce senza titubanza.
-Ce ne ha parlato quest’estate ma non abbiamo mai avuto il tempo di andarci-
-Non sembra affatto male- prosegue Satsuki lasciando la presa sul braccio di Takumi per affiancare Ren.
-Somiglia a quello dove abbiamo festeggiato il tuo settimo compleanno, ricordi Ren!?-
Ren osserva la sorella e annuisce -  Eri una pulce all’epoca. Una pulce coi codini-
-Ripeti un po’!-
-Vediamo chi arriva prima all’ascensore, voglio vedere se quelle gambette sanno correre-
Tra una risata di Ren e i rimproveri di Satsuki, Hachi osserva i suoi figli allontanarsi di corsa verso l’entrata del grattacielo.
-Come i bambini- sospira sconsolato Takumi
-Voleva un pretesto per allontanarsi da me- mormora Hachi, ora sola accanto a quello che sulla carta è ancora suo marito.
-Stanno solo giocando-
- Non mi ha richiamato una sola volta nonostante tutti i messaggi che gli ho lasciato-
-E’ molto occupato con la band, la scuola-
-Ma immagino che con Reira parli…- ed è la prima volta che Hachi riesce a guardare diritto gli occhi dell’uomo che ha sposato. Sono l’uno accanto all’altra e tuttavia lei lo avverte sempre più lontano.
- Nana perché non cerchiamo di passare una serata tranquilla senza dover per forza discutere-
-Sono più di quattro mesi che non lo vedo non ti pare naturale che io voglia sapere!-
Takumi  si sfiora la fronte con le dita in un gesto esasperato -  Appunto ed ora lui è qui e hai tempo di chiedergli tutto quello che vuoi-
Ma Hachi sa che non sarà così, che superare le mura oltre le quali Ren si rifugia è, da troppi anni, un’impresa sempre più difficile.
-Almeno con te si confida? Ha una strana malinconia negli occhi-
Takumi ora è serio –L’ha sempre avuta- una lunga pausa –ma ultimamente c’è qualcosa che lo turba profondamente e voglio scoprire di che si tratta. Ren non è solito tenermi nascoste le cose, per questo sono preoccupato-
Ed Hachi avverte un brivido mentre con sorpresa rivolge nuovamente lo sguardo verso Takumi. Ricorda bene il giorno di tanti anni prima quando le aveva consigliato di dire a Nana di rimanere vicina a Ren, poco prima del terribile incidente.
-Vorrei che tu mi dicessi tutto- rimuove a stento l’istinto di stringere il braccio dell’uomo.
-E’ questo il punto, non ne so più di te.  Ma ora siamo qui insieme e credo che sia un’ottima occasione per aiutare i nostri figli, non credi? Siamo noi gli adulti ora- ed è un sorriso rassicurante quello che compare sulle labbra di Takumi ed Hachi sa che quel sorriso significa determinazione, significa soluzione. In questo Takumi non ha mai mancato le sue aspettative.
-Allora vi muovete!- Satsuki si sbraccia dall’interno dell’ascensore mentre un Ren scocciato impedisce alla porta di chiudersi. Hachi si sente più fiduciosa, al di là di tutti i loro problemi, lei e Takumi sono genitori, conoscono i loro figli e possono trovare insieme il sistema per aiutarli da qualunque cosa li angosci. Almeno questa è la sua speranza.

L’appartamento al terzo piano di una graziosa palazzina. C’è profumo d’incenso, l’interno è luminoso ed un grande acquario fa bella mostra di sé proprio al centro del salotto. Miu è soddisfatta di quella sistemazione, le piace poter definire quel luogo accogliente “la sua casa”, un rifugio sicuro da amare e curare. Sposta una scatola di stoffe su di un grande tavolo, sopra c’è una macchina da cucire vintage, cartamodelli, nastri colorati… ogni cosa in un ordine prestabilito e mai casuale. Miu adora l’ordine, è il contrasto con il disordine che è stata la sua vita prima del cambiamento, prima di Yasu. Yasu che sfoglia il giornale seduto sul grande divano bianco, l’unica cosa minimal di tutta la casa. Miu ogni tanto lo osserva di sottecchi, quando il suo viso è concentrato, la fronte lievemente corrugata, le dita lunghe trattengono la carta sottile con una curiosa gentilezza. Ama tutto di Yasu. Da sempre. Non avrebbe mai creduto in tutta la sua vita di poter essere così certa di qualcosa. Il giorno del matrimonio, quando aveva pronunciato il suo sì, l’aveva sentito prima pronunciare dal cuore con una fermezza tale da toglierle il respiro.
-Sono tanto interessante?- Yasu non alza lo sguardo ma sorride immaginando la faccia sorpresa della moglie per essere stata scoperta il quel suo studio fintamente casuale.
-Mi piace guardarti- ribatte lei iniziando ad armeggiare con una stoffa cremisi.
-Perché sono bello- Yasu ripone il giornale, lascia il divano e le cinge le spalle –Altrimenti perché mi avresti sposato?-
-Eh ormai sono dieci anni che me lo chiedo. Accidenti quanto sono vecchia!- e nel dirlo Miu si fa improvvisamente triste. La consapevolezza della propria età la divora, sebbene ancora avvenente, il tempo le sfugge dalle dita trascinandola in una strana spirale di malinconia. Yasu è più giovane, non sembra cambiato di una virgola dal loro primo incontro. Spesso, con vergogna, le capita di cercare di immaginare che aspetto avrà Nana. La sua bellezza sarà rimasta inalterata? E Yasu si sarà mai fatto la stessa domanda? Nonostante tutto quel tempo Miu si riscopre ancora gelosa di un fantasma. Ha pregato tanto che Nana tornasse tanto quanto ha sempre sperato di non rivederla mai più.
-Sono meschina- mormora mentre Yasu le bacia una tempia coperta appena dai corti capelli
- Se tu sei meschina allora io sono pieno di capelli- ribatte stringendola più forte.
-Tu mi hai sempre reso più nobile di quel che sono realmente, Yasu. Ho un sacco di difetti e pensieri dei quali talvolta mi vergogno-
-Sei umana, Miu. Come tutti. Non ho mai pensato a te come un essere di perfezione, grazie al cielo. Tuttavia non sono molti quelli che ammetterebbero “pensieri malevoli”-
-Nemmeno tu?-
-Io non ne faccio, sono troppo pigro in questo-
Miu sorride scrollando le spalle – Voglio preparare un obi per Sachiko, ti piace questa tinta?-
-E’ da signorina-
-Appunto-
- E’ incredibile che sia così cresciuta- e la voce di Yasu tradisce una nota di tristezza. Miu talvolta si domanda se il marito soffra del fatto di non avere figli propri e se ne sente in colpa. Miu non ha mai sentito in se il desiderio di maternità e, seppur non esprimendolo, è certo che Yasu abbia compreso e appoggiato in silenzio questa sua decisione. Si era sempre detta che ci sarebbe stato tempo, ma il tempo era passato troppo in fretta per riuscire anche solo a rendersene conto.
-Comunque sono felice che la famiglia si sia riunita-
Miu annuisce – Sachiko non stava più nella pelle al pensiero di rivedere Ren e Takumi. Nonostante la lontananza è sempre stata legata tantissimo ad entrambi-
Yasu accende una sigaretta cercando di ignorare la smorfia contrariata di Miu – Su Takumi si  possono dire molte cose ma non che non ami profondamente i suoi figli. Ho finito sempre per rispettarlo quel pazzoide-
Miu sfila la sigaretta dalle dita di Yasu – Basta così, ti fanno male-
-Lo sai che poi finirò col fumarle di nascosto, vero?-
-Almeno comprane di più leggere-
Yasu distoglie lo sguardo per un istante, un istante che non sfugge a Miu – Ho sempre fumato queste e continuerò. Purtroppo sono abitudinario-
-Pare lo sia anche Shin, mi domando perché- e Miu restituisce la sigaretta. E’ in collera e Yasu lo sa.
-Miu, questo  non significa quel che pensi-
- E cosa penso?- lo sfida, il tono di voce è calmo ma gli occhi dicono altro.
-Non è solo per Nana, ho iniziato a fumarle da prima di conoscerla. Ren una volta me ne rubò una e…ricordo tossì per un bel po’ dicendomi che facevano schifo. E’ il ricordo più vivo che ho di queste stupide sigarette, capisci?-
E Miu è amareggiata, si sente ancora una volta stupida per quella maledetta gelosia. –Perdonami, non lo sapevo. Non me ne avevi mai parlato-
Yasu torna a sorridere –E’ tutto okay, e comunque dopo tutto questo tempo mi piace sapere che sei ancora gelosa del tuo attempato maritino-
-Il fatto è che… mi viene facile sentirmi in collera con Nana…ed anche con voi. Una volta l’ho detto ad Hachiko ma la sua reazione è stata talmente  dolorosa che non mi sono più azzardata ad aggiungere altro. E’ solo che la sparizione di Nana ha segnato così profondamente tutte le vostre vite. L’ho sempre trovata profondamente egoista-
Yasu le sfiora le labbra con le sue, dopodiché la fissa, con quella solita aria da padre che tenta di far ragionare un bambino impulsivo –Siamo stati tutti egoisti, nessuno escluso-
-Già- Miu si dichiara sconfitta – è vero, come al solito hai ragione-  torna al suo obi ed un istante dopo lo mette da parte –azzurro- esclama – preferisco sia azzurro, come un cielo senza nuvole-

 

 

La questione delle età è un po’ complessa ma, se Miu alla sua prima apparizione aveva 27 anni, ho calcolato che nel presente creato dalla Yaza dovessero essere passati almeno 6 anni ( credo sia questa l’età di Ren…ma potrebbe essere anche 8… a giustificare il fatto che gironzola per Londra da solo ^^”) dunque Miu ne avrebbe 33 e se da quel presente arriviamo a quello della fic con un balzo di 10 anni, beh, va da sé che l’età è di 43!! Miu la vita comincia a 40 anni ricordalo!!!

 

 

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Capitolo 6
*** Rancore ***


“I need your love. I'm broken rose
Oh baby, help me from frozen pain
with your smile, your eyes,
and sing me, just for me”


 -I need your love…I’m broken rose…oh baby help me from frozen pain…-
-Misato!-
La ragazza alza lo sguardo, I suoi occhi sono lievemente lucidi ma non danno l’idea di aver ceduto al pianto, toglie gli auricolari lentamente, investita dai suoni del giorno, dalla realtà dalla quale molto spesso si estranea.
-E’ molto che aspetti?-
Misato scuote la testa e sorride –no, non preoccuparti-
-Che ascoltavi?- Chikage non aspetta la risposta, le siede accanto rubando un auricolare dal suo grembo, la voce calda e roca arriva a segno e la ragazza è costretta ad abbassare lo sguardo –Oh…-
Misato si concede una risatina –Mi aspettavo un rimprovero- e Chikage alza le spalle in risposta riponendo l’auricolare – è successo qualcosa?- chiede invece scrutando con attenzione l’amica. Riceve un piccolo biglietto  di colore azzurro con sopra un minuscolo fiocco di tonalità più intensa.
-Lo hanno chiamato Ryo. Effettivamente suona bene, Ryo Uehara-  Misato armeggia con il cellulare mostrando a Chikage la fotografia del neonato –è davvero minuscolo, non trovi?-
- Si è davvero piccino- mormora Chikage senza sapere cos’altro aggiungere.
-Non ti devi preoccupare per me Chi, in realtà sono felice per loro. Quando Takahiro me lo detto ieri mattina ho potuto percepire una gioia incredibile nella sua voce, questo non può che farmi piacere-
-Tua madre lo ha visto?-
-Ah figurati! L’ultima volta che si è degnata di farci sapere di essere viva è stato lo scorso Natale. L’ho odiata per parecchio tempo, ma ora credo sia solo una donna molto fragile e sotto tanti aspetti immatura. Mh, ma tra un’ora probabilmente la detesterò di nuovo, ultimamente sono parecchio altalenante nei sentimenti. Tu piuttosto come mai hai finito così presto?-
E Chikage sbuffa rassegnata – Da oggi sono disoccupata-
-Cosa!?-
-Già, pare che ormai io sia troppo “vecchia” per lavorare in un Maid Café.  Ad ogni modo non è che la cosa mi dispiaccia, ero stufa di sorridere in continuazione e ripetere fino alla nausea le stesse idiozie. E’ stato divertente fintanto è durato ma di certo non mi mancherà- e mima un saluto da maid con canzoncina annessa –hapi hapi sayonara!-
Misato ride finalmente più serena. Lei e Chikage sono amiche da molto tempo sebbene la vita di entrambe abbia preso strade e modi d’essere differenti – sarà difficile immaginarti senza quelle uniformi-
-E’ la cosa che più mi dispiace perché ci sono affezionata. Poco male potrò dedicarmi alle mie creazioni. Non te l’ho detto prima perché non sapevo come sarebbe andata ma non ce la faccio più a tenerlo per me- prende un grande respiro – Il mese scorso ho inviato alcuni dei miei disegni alla Happy Berry e mi hanno convocata per un colloquio il prossimo lunedì!-
-Chi ma è fantastico!-  Misato l’abbraccia come quando erano due adolescenti chiuse dentro una cameretta dalle pareti rosate e lo stereo a tutto volume, le foto dei Blast ed il poster della band appesi alla parete.
-Calma è solo un colloquio non è certo detto che mi prendano-
-Ma se sei bravissima!-
Chikage fa una smorfia – Guarda che lo so benedissimo che lo stile della Happy Berry a te non piace!-
-Cosa centra?! Conosco il tuo talento e sarebbero dei pazzi a non prenderti!-
-Beh vedremo, tu piuttosto come te la cavi?-
Misato distoglie lo sguardo  -Racimolo abbastanza per l’affitto  e il companatico-
-Lo sai che l’offerta di stare da me è sempre valida-
-Lo so e ti ringrazio ma per ora va bene così. Mi divido tra diversi lavoretti, e comunque ultimamente fare l’assistente di un personaggio tv si sta verificando positiva-
-Vivete insieme?-
-Non è quello che pensi, Chi, davvero- Misato è pallida, le labbra tinte di rossetto scuro risaltano ancora di più la carnagione diafana, il viso un po’ stanco. Misato sembra cresciuta incredibilmente, non c’è più traccia in lei della ragazzina spensierata delle superiori.
- Pensi ancora che la cosa mi faccia soffrire? Era una cotta da ragazzina!- Chikage alza le mani costernata – A chi non è successo di innamorarsi del bel faccino di una band!?!-
Ma Misato non pare convinta di tanta ostentata sicurezza –Sia come sia, io e Shin non stiamo insieme. Siamo solo coinquilini, lui è libero di potare le sue donne nella sua stanza ed io di farmi gli affari miei. Ogni tanto ci scappa qualche effusione, ma credo che il nostro sia solo un bisogno. E’ strano a dirsi ma ci  siamo scoperti molto simili-
-So che a breve la sua “sorellina” compirà gli anni-
Misato annuisce distratta –Sì, la stessa età che avevamo noi quando…beh quando è successo tutto il casino-
-Satsuki mi sembra una ragazza felice- frase di circostanza nella vana speranza che Misato non torni a soffermarsi sul passato – è anche molto carina, una volta è venuta al Café con una sua amica. Ha preso la bellezza della madre ed il fascino paterno-
-Non saprei, non frequento molto la famiglia Ichinose. Tutto quello che so deriva dai racconti di Shin, lui è molto legato sia a Satsuki che alla madre-
-E questo ti infastidisce!?-
Misato la fissa con sorpresa ma Chikage ha un’espressione indefinibile –Santo cielo no!- esclama la Uehara  -la situazione  famigliare di Shin fa più schifo della mia e quindi sono felice che abbia un qualche surrogato al quale far riferimento-
-Meno male che siete solo coinquilini- Chikage è stizzita
-Quella gelosa sei tu Chi, ammettilo!- Misato ride e Chikage le da un pizzicotto
-Beh, vivi con uno schianto di ragazzo, primo grande amore platonico della mia giovinezza, ovvio che sia un po’ invidiosa-
-Senti perché non vieni a cena da me una di queste sere, sarebbe una buona occasione per rivederlo e farci quattro chiacchiere. Ormai non sei più una timida ragazzina-
-Oh sarei impacciata tanto quanto lo ero dieci anni fa! No, preferisco starmene con i piedi per terra. Se me ne innamorassi sarebbe un bel problema, anche perché credo impossibile che Shin non abbia qualcuno!-
-Ne ha molte e nessuna- ribatte Misato – i fantasmi sono difficile da ignorare nonostante il tempo passi inesorabile-
-Fantasmi?-
Misato scuote il capo –lascia perdere. Andiamo a prenderci un gelato!-


Hachi tasta l’acqua nella vasca, versa l’essenza di bergamotto, un’abitudine che negli anni non ha mai cambiato, la temperatura è giusta, gli asciugamani morbidi e puliti corredati in un tenue color azzurro sono sistemati sul ripiano accanto. Il vapore caldo espande presto il profumo di bergamotto e Hachi gioisce quasi infantilmente del risultato delle sue perfette attenzioni da donna di casa. Esce dal grande bagno, i figli e Takumi sono seduti al tavolo della cucina, Satsuki parla entusiasta delle sue giornate, del corso di danza e design che segue due volte alla settimana, della sua amica Ko che la riprende sempre. “Ko è la mia Jun!” esclama lanciando un’occhiata vivace in direzione della madre. Takumi sorride e Ren fa altrettanto rimproverandola per la sua eccessiva loquacità. Hachi osserva quella che è la sua famiglia ed in cuor suo la serenità e la gioia prendono il sopravvento su tutti i dubbi e le realtà accumulate. Vorrebbe fosse sempre così, sempre nella sua immaginazione lei e Takumi sono un’amorevole coppia dedita ai figli, alla quotidianità semplice e felice.
-Ren ti ho preparato il bagno- dice raggiungendoli con aria soddisfatta – ti ho anche lasciato degli asciugamani puliti sul ripiano accanto al lavandino-
-Non occorreva mamma-
-Figurati! Lo faccio con piacere!-
Ren distoglie lo sguardo – Il fatto è che preferirei fare una doccia, non amo restare immerso nell’acqua calda-
-Ma…ma ti farà bene ed è più rilassante. Da piccolo ti piaceva-
-Ti confondi con Satsuki o con te stessa, e poi davvero preferisco fare una doccia-
-Io non capisco…sono stata a preparare tutto…sono certa che dopo ti sentirai meglio-
Lo sguardo di Ren è spazientito e Takumi percepisce che la pazienza del figlio potrebbe incrinarsi in modo molto brusco.
-Ai ragazzi piace di più fare la doccia, lo scroscio dell’acqua, la rapidità, il darsi a intrattenimenti piacevoli…- fa un occhiolino che Ren rimprovera con un’occhiataccia – invece gli uomini adulti adorano immergere le loro stressate membra nei caldi effluvi di vapore…quindi approfitto e, se non ti infastidisce, vado a mettermi in vasca al posto del nostro piccolo diavoletto-
Hachi è sconfortata ma Takumi l’ha appena salvata da un sicuro litigio per un motivo decisamente futile.
-Come volete. Ren allora ti aiuto a disfare i bagagli- prosegue la donna dirigendosi verso la stanza.
-Posso fare da solo- il ragazzo si alza dalla sedia recuperando  un grosso borsone – non serve che ti scomodi-
-Va bene- Hachi non ribatte più, fissa la schiena del figlio allontanarsi e chiudersi la porta della stanza alle spalle. 
-Non prendertela mamma- Satsuki le sorride – sai che Ren ama arrangiarsi, ormai è abituato così, Inoltre sarà sicuramente stanco dal lungo viaggio, domani sono certa che sarà meno nervoso-
Hachi annuisce ma non è rassicurata dalle parole della figlia, è chiaro che Ren evita di rimanere solo con lei anche per pochi minuti e questo le lacera il cuore non poco.


Jun ripone il pennello nella scatola, con sguardo critico ed attento osserva il suo operato e ciò che vede la soddisfa. –Bene è finito- proclama mentre Kyosuke le cinge le spalla con ambo le braccia.
-Bel lavoro!-
-Lo so bene- sorride lei ricevendo un bacio schioccato sulla tempia. Per il compleanno di Satsuki , Jun le regalerà un ritratto. Ci ha lavorato per settimane senza sosta, nonostante gli orari proibitivi del lavoro e tutte le faccende. Nel ritratto Satsuki corre sulle rive del  Tamagawa dove ogni anno si svolge la festa di fine estate. I capelli scuri sono scomposti dal vento, il vestito color ciliegia risalta la carnagione perlata e i profondi occhi scuri, vivi e vivaci, pieni di sogni e aspettative.
-Somiglia a Nana- commenta Jun quasi con nostalgia. La Nana del liceo, piena di sogni e capace di innamorarsi ogni settimana, la Nana che sognava una vita spensierata degna del più romantico dei fotoromanzi, la sua sciocca, infantile, dolcissima Nana. Jun scaccia la nostalgia con un gesto infastidito della mano e un lieve bruciore agli angoli degli occhi.
-Sono certo che le piacerà- Kyosuke libera la moglie dall’abbraccio per dedicarsi agli udon quasi pronti. Il profumo è allettante e Jun  si compiace dalla ormai sempre maggior bravura del compagno.
-E tu che le regalerai?- chiede sedendosi al tavolo della cucina.
-Una lauta busta di compleanno-
-I soldi facili non vanno bene, in questo modo crescerà viziata come Nana- borbotta Jun scatenando il sorriso ironico di Kyosuke  -credo che per Satsuki i soldi saranno l’ultimo dei problemi-
-Beh non va bene! Confido che almeno Takumi faccia comprendere presto ai suoi figli  che bisogna imparare a guadagnarsi da vivere –
-Non c’è già la zia Jun che li redarguisce in questo senso come un vecchio disco rotto!?-
Jun non si scompone – Sorvolerò su “zia” e “vecchio”. Quando Satsuki è qui voglio che comprenda che ottenere dei risultati con le proprie forze è molto più soddisfacente che trovarsi la pappa pronta-
-Come ti pare. Ora però mangiamo. Undon con gamberi e verdure! Ormai sono uno chef dato che in questa settimana hai disdegnato i fornelli-
-Trattasi di rapporto paritario caro il mio Kyosuke-
-Si capo. Pronta piuttosto per la festa? Nana è elettrizzata come se fosse lei la quindicenne e non Satsuki-
- E’ tipico di Nana, ma penso che questo giorno dell’anno sia il suo preferito dato che è uno dei pochi in cui la famiglia è riunita e così anche i suoi amici. Mi domando soltanto che genere di copione seguiranno Nobu e Takumi quest’anno…-
Kyosuke risucchia uno spaghetto inarcando un sopracciglio – Lo stesso che seguono  da quindici anni a questa parte immagino-
-Non lo so. Nobu e Nana sono molto più vicini ultimamente e a Natale non mi è sfuggito che Takumi aveva meno self-control del solito.  Era profondamente infastidito e credo che dipendesse molto dalla presenza di Nobu-
-Stai diventando una pettegolona, Jun-
- Sono solo preoccupata. Non vorrei che ci fosse altra baraonda nella vita di Nana, il problema è che non riesce a staccarsi dal fantasma della Osaki e dalle macerie del suo matrimonio. Le ho suggerito più volte di divorziare i rifarsi una vita-
-Sei gelosa?- Kyosuke mira al bersaglio
-Di chi?-
-Della Osaki, so che sotto sotto non le hai mai perdonato il fatto di averti portato via Nana. Eri tu la sua migliore amica dopotutto-
Jun si concede un sospiro spazientito – Stai cercando di farmi innervosire con questi ragionamenti da adolescente?! Io detesto solo vedere Nana soffrire, tutto qui. La rimprovero ma sai bene quanto tengo a lei-
-Lo so, e proprio per questo dovresti rispettare le sue scelte. Se Nana non vuole divorziare deve avere dei validi motivi. Nemmeno Takumi ha mai parlato di divorzio quindi qualcosa che li lega c’è ancora-
-Il senso del dovere verso i figli, Kyosuke-
-Non credo si tratti solo di questo. Ad ogni modo ribadisco che non sono affari nostri-
-Da quando mi fai da coscienza?- Jun si rilassa, apprezza quando Kyosuke ripristina il buon senso, la riporta sul binario della loro vita escludendo terzi. Ma la preoccupazione per Nana rimane.
-Io sono da sempre il tuo grillo parlante, caro amore mio-
-Attento perché nella favola il grillo finisce spiaccicato- e con una smorfia beffarda Jun si concentra sul cibo.


Hachi bussa timidamente –Ren vuoi del tè prima di andare a dormire?- chiede attraverso la porta, oltre essa il suono della chitarra si interrompe. Ren apre la porta, porta solo i jeans, il petto nudo rivela la sua magrezza. Si nutrirà come si deve in Inghilterra? Hachi non può fare a meno di chiederselo.
-No ti ringrazio mamma, prendo solo una bottiglietta d’acqua dal frigo- la sorpassa dirigendosi verso l’open space della cucina. Satsuki è seduta sul grande divano, divora biscotti al cacao e tiene gli occhi incollati al televisore.  Ren recupera una bottiglietta lanciando un’occhiata distratta al televisore.
-Ma tu guarda!- esclama divertito avvicinandosi al divano. Satsuki non distoglie lo sguardo dal televisore, ha le guance arrossate e gli occhi sognanti. – Terra chiama Satsuki!-
Non ottenendo risultati il ragazzo le si avvicina sussurrandole all’orecchio – Vedo che la cotta non ti è passata!?-
-Ren!- Satsuki sobbalza –che…che modi sono!- color pomodoro la ragazze si rannicchia su sé stessa.
-Dico che stai guardando Shin come si guarda un cremino al cioccolato-
-Finiscila! E’…è solo che la sua recitazione è molto coinvolgente –
-Ahah, la recitazione come no!-
-Mammaaa Ren mi prende in giro!!-
-Suvvia Satsuki non fare la bambina- Hachi è ben felice di poter essere presa in causa dai suoi due bambini  dispettosi.
-E tu Ren non prenderla in giro, lo sai che Satsuki ha sempre avuto un debole per Shin-
-Mamma!-
-E’ la verità tesoro!-
-Sì ma che diritto hai di sbandierarla ai quattro venti, non ti racconterò più nulla!-
-Eddai stavo scherzando- con dolcezza Ren pone un bacio sulla guancia della sorella per poi dirigersi nuovamente verso la camera.
Hachi d’impulso lo afferra per la mano – Ren perché non rimani qui con noi, potremmo stare sul divano e guardare lo sceneggiato tutti insieme- e gli occhi di Hachi sono speranzosi e pieni di aspettativa. Un’aspettativa che Ren infrange un istante dopo.
-No mamma, devo provare delle nuove canzoni, e poi vorrei riposare sono stanco dal viaggio-
-Cinque minuti-
-Magari domani. C’è invece una cosa che vorrei chiederti…-
-Certo-
-L’appartamento 707… mi chiedevo se potresti lasciarmi la chiave per questa settimana. Solitamente io suono fino a tardi e finirei col disturbarvi, là invece avrei più libertà per gestirmi-
Hachi rilascia la mano del figlio, d’improvviso sente freddo. E’ sconcertata.
-Ci vediamo poche volte l’anno e tu vuoi dormire da un’altra parte?-
-Sarebbe solo per la notte, durante il giorno rimarrei con voi e tutto il resto-
Ma Hachi non vuole essere comprensiva questa volta, non vuole soddisfare la richiesta di Ren, solo un’altra scusa per rimanerle lontano, così come non vuole che nessuno scombini ciò che lei mantiene inalterato in quell’appartamento da oltre quindici anni.
-No, mi dispiace, non posso-
-Non farei nulla di…-
-Ho detto no!-
Ed è Ren stavolta a rimanere sconcertato, prima di piegare le labbra in un sorriso derisorio –Hai paura che possa alterare il tuo sacro santuario!?-
La freddezza di quelle parole arriva come una secchiata d’acqua gelida – L’appartamento è mio e ne faccio ciò che voglio. Se dico che resterai qui così sarà!-
Ren incassa ma non senza prima replicare – Sia mai che tu non anteponga i tuoi fantasmi alla tua famiglia- così dicendo la porta di Ren sbatte, di nuovo una barriera fisica ed emotiva a dividerlo da sua madre.
E Hachi la sente la disperazione salire, la crudeltà di quelle parole colpirla ancora e ancora, Satsuki tenta di avvicinarsi ma Hachi la precede dirigendosi verso la porta del figlio, aprendola con il cuore in tumulto e gli occhi lucidi.
-Ren io…- ma si blocca poco dopo l’uscio. Ren è seduto a terra, la chitarra poggiata sulle gambe ed il poster di Ren Honjo accartocciato poco distante. Sulla parete dove stava appeso è possibile notare un rettangolo di coloro più scuro.
-Cos…cosa hai fatto?-
Tutti gli oggetti della stanza non ci sono più, finiti dentro nei cassetti o sotto il letto.
-Cosa hai fatto!- grida la donna recuperando il poster, cercando di risistemarlo alla meno peggio.
-Chi ti ha dato il permesso di…-
Ren si alza e la fronteggia – Questa è la mia stanza, giusto!? Sarò libero di farci quello che voglio, come togliere quel maledetto poster, esattamente come tu fai quel che vuoi nel tuo fottuto appartamento!-
-Smettetela!- grida Satsuki mentre Hachi stavolta non riesce a trattenere e schiaffeggia il figlio con rabbia.
Ren tiene il volto girato da un lato, il colpo è stato forte. La prima sberla mai ricevuta da sua madre. La guancia è arrossata.  Hachi ha il respiro affannato, la mano le brucia, il cuore batte forte, gli occhi sono pieni di lacrime.
-Ren- mormora piena di dispiacere –mi dispiace…tesoro io…non volevo…davvero io non…-
-Lasciami in pace- anche quello di Ren è un sussurro che poi si trasforma in un grido –lasciami in pace!-
-Ora basta- è una voce più bassa e autoritaria quella che si frappone tra Hachi e il figlio.
-Chiedi scusa a tua madre- Takumi lo fissa, il volto impassibile, la voce calma e fredda –subito!-
-Scusami…scusami mamma- poi gli occhi di Ren si rianimano –ed ora potete lasciarmi solo?-
Takumi guida una scioccata Hachi fuori dalla stanza, pone una mano sulla spalla di Satsuki. La porta è chiusa. Un’altra volta.

 

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Capitolo 7
*** Un bacio diverso ***


From: Sa-chan
“…domani alle 19.00, mamma è più
agitata di me! (>_<’)”
Un bacio :*


-Se vuoi posso parlare con lo sceneggiatore e chiedergli di smussare questa parte-
-Non è il caso, va bene così-
-Non mentirmi, Shin. So benissimo che così non va bene-
-Negli ultimi anni ho visto davvero un sacco di  cose, Mai, e dubito che la sceneggiatura di questo film possa  traumatizzarmi. Davvero stai tranquilla. Dopotutto è un bel passo per me, dagli AV alle soap opera ed ora addirittura a roba impegnata. Non ce l’avrei fatta senza di te-
-Certo che ce l’avresti fatta. Io sono solo una manager senza pretese-
-Uff, è sempre stata la tua pecca quella di annegarti nella  modestia-
- Ad ogni modo voglio che stanotte tu ci dorma sopra e rifletta su quel copione, lo sai che quando mi impunto posso far cambiare idea perfino al Papa-
-Ti adoro ragazza quando fai l’agguerrita, è molto sexy! Andiamo a cenare insieme?-
-Mi spiace ma devo supervisionare il girato di oggi e temo non potrò farti compagnia-
-E tipo la terza volta che mi tiri pacco nelle ultime due settimane-
- Prometto che la settimana prossima troverò il tempo. Intanto approfitta per riposare-
-Agli ordini boss!-
-Shin sono seria riguardo quanto detto-
-Lo so e lo sono anch’io. In realtà la vedo un’occasione e un modo sublimale di pensare ai miei genitori come se fossero personaggi inventati. Non preoccuparti per me, Mai-


Non ho mai parlato apertamente del mio passato, credo che certe cose vadano confinate in luoghi dove meno gente possibile possa andare a cercarle. E’ una protezione. Un modo per guardare avanti. Non dico sia giusto ma non dico nemmeno sia sbagliato. E’ solo un modo, un modo come un altro. La tematica che tratta il copione che ho in mano vuole un po’ mettermi a confronto con un’infanzia sbrindellata in striscioline di tempo che ora come ora non mi va di ricucire. L’immagine che ne emerge è quella di mia madre. Un’immagine sbiadita perché osservata attraverso l’opaco specchio del ricordo. “You’re not mine” sembra una canzone. La colonna sonora della mia vita, un dono lontano dato da una donna lontana.
Era diventata pallida e magra, nulla a che vedere con l’elegante e metallica abbronzatura da lampada con la quale Elin Larsoon Okazaki si preparava per qualche settimana, in un’altra vita, a dare il benvenuto all’estate isterica di Stoccolma. Mia madre non cessava di parlare con lo strano linguaggio di coloro che si sono perduti per sempre. Afflitta da quella che i romanzi dell’Ottocento romanticamente definivano “malattia dello spirito”.
Nei rari momenti di lucidità, prima di essere confinata in una casa di cura dove andavo a trovarla nel fine settimana, lei mi chiedeva di mio padre e mi ripeteva continuamente che “avevo avuto un’infanzia privilegiata”, senza rendersi conto che ero ancora un bambino. Poi mi mostrava i quadri astratti che dipingeva in giardino. Lei pensava che fossero figurativi, ma aveva dei dubbi sul fatto che quella macchia turchese –sosteneva si trattasse di mio fratello- le fosse venuta bene, che somigliasse al modello originale “l’elefante che ho dipinto vicino a tuo fratello, no,no,no…non è il dio indiano Ganesh: è Dumbo!” mi spiegava mia madre. Io annuivo senza ascoltarla troppo, la qualità del suo dolore era così magistrale che cercavo di pensare ad altro e guardavo fisso il cartello con l’infermiera che imponeva il silenzio con un indice sulle labbra. Un silenzio artificiale. Quel silenzio sottovuoto degli ospedali con cui si cerca di far dimenticare ai malati il salutare e rinvigorente rumore del mondo esterno.  Terminato il breve programma durante il quale la sua antenna sembrava in grado di emettere e captare segnali più o meno leggibili, per quanto difficilmente credibili, mia madre tornava alla consueta staticità. Tornava al rumore bianco di una follia dalla quale mi salutava con il più dolce dei sorrisi. D’accordo, una storia tragica, gran bel momento da rievocare quando si fosse trattato di sedurre, anni più tardi, senza averne troppa voglia, la figlia traviata di qualche magnate del petrolio; ma non potrei mai definire una cosa simile “un’infanzia privilegiata”, così come non potrei mai svendere mia madre per un paradiso di poche ore; eppure…
Una notte mia madre fuggì dalla sua elegante stanza della prestigiosa clinica e, senza che nessuno riuscisse a spiegarsi come avesse fatto, riuscì ad arrivare a piedi fino a casa e a gettarsi nella nostra piscina. Una sirena che desidera ad ogni costo annegare. Tutto questo accadde il giorno del mio decimo compleanno, un giorno come un altro, nel quale mio padre non aveva risparmiato di ribadire che le condizioni psicofisiche di mia madre erano peggiorate da quando mi aveva messo al mondo.  Ricordo che in televisione davano il primo lancio spaziale con un viaggiatore commerciale a bordo, il giornalista Toyohiro Akiyama* ; la domestica che all’epoca si prendeva cura di me si dichiarò “troppo spaventata per guardare…qualcosa andrà storto e la luna ci cadrà addosso” si affacciò alla finestra e vide che l’acqua della piscina si agitava come se bollisse. Una piscina piena fino all’orlo, una piscina imbalsamata d’acqua, improvvisamente viva.
Lei ed io tirammo fuori mia madre e la stendemmo sull’erba e la guardammo morire come una medusa mentre sentivamo il canto dei grilli e la sirena dell’ambulanza, sempre più vicina, sempre più inutile, e la domestica continuava a ripetere “l’avevo detto, l’avevo detto”.
In quel momento pensai che non sarebbe stato poi così male se tutto fosse finito quella notte: se davvero si fosse alterato il ritmo delle maree per colpa dell’invasione degli uomini lassù; se la sinfonia di un cataclisma universale avesse fatto da contrappunto alla mia tragedia da camera. Mia madre diceva qualcosa a voce molto bassa e io avvicinai l’orecchio alla sua bocca e allora me lo disse e lo sentii. Mia madre ripeteva “You’re not mine…You’re not mine” con voce fredda e senza passione. Poi, devo pensare che fu a causa dello spasmo primo e ultimo della morte e non il prorompere di un odio segreto, mi morse la guancia. Svenni nell’attimo estremo in cui mia madre esalava l’ultimo respiro. Persi i sensi e trovai il sogno di un mondo dove io non esistevo. Un mondo migliore. Un mondo normale come quello di qualsiasi bambino normale.
E’ stato molto più semplice scappare da tutto questo piuttosto che farci i conti. O meglio è stato necessario scappare. Diventare adulto prima di esserlo per davvero, cercare calore in donne che dicevano di amarmi ma delle quali non mi sono mai innamorato.  A parte te Reira, certo.  E tuttavia, tutta questa storia, è solo mia e mia rimane. Qui la confido per la prima ed ultima volta.


Il treno è stramente affollato per quell’ora di sera, pare ci sia una famosa band straniera che si esibirà al Tokyo Dome e nell’aria si respira una certa frenesia.  Misato è schiacciata tra alcuni passeggeri, quando finalmente raggiunge la sua fermata deve farsi largo non poco per riuscire a scendere prima che la porta automatica si richiuda. L’aria di maggio è piacevole, tiepida sulla pelle, il periodo dell’anno che Misato preferisce. Prende del sushi da sporto in uno dei chioschi lungo la via di casa, una porzione soltanto poiché è certa che Shin cenerà fuori e molto probabilmente passerà da qualche altra parte l’intera nottata. L’idea di avere l’appartamento solo per sé la rassicura. L’appartamento è il 205 , terzo piano di una graziosa palazzina di recente costruzione; Misato evita l’ascensore, non sopporta quella scatola claustrofobica, sale velocemente le scale. Non guarda la posta, sa già che per lei non ci sarà nulla. L’appartamento è spazioso, Shin può permettersi l’affitto e lei contribuisce il più possibile, la cucina è angusta ma, nonostante figlia di un ristoratore, Misato non ha alcuna passione per la cucina e lo stesso vale per il suo coinquilino. Il cibo è per di più da sporto o surgelato. Il salotto invece è spazioso, Shin ha voluto un grande divano scuro in netto contrasto con le misure piuttosto modeste del televisore. Misato vi si abbandona sopra, la scatola di sushi sulle ginocchia, accende il televisore e spegne la luce della stanza, il volume completamente azzerato. A Misato non interessano le immagini, le piace solo quel bagliore azzurrognolo che assume la stanza, le ricorda la luce degli acquari, le piacciono molto ma non sa dirsi il motivo, forse perché il resto del mondo può rimanere al di fuori, separato da vetro e acqua, silenzio e tempo. Mangia appena due bocconi di sushi prima di metterlo da parte, l’appetito negli ultimi giorni è nettamente diminuito;  distrattamente gli occhi incontrano lo schermo, Misato trattiene il respiro. Un vecchio video dei Trapnest. Recorded butterflies. Pur non sentendo la canzone e non alzando il volume, Misato riconosce benissimo le immagini. Ren toglie gli occhiali scuri, la guarda,  impugna la Gibson…Misato cambia canale; si riscopre le guance umide e si da della sciocca, quello non dovrebbe essere il suo dolore, quello è il dolore di Nana, un dolore che sua sorella porta con sé probabilmente ogni giorno come un anello nuziale al dito, e Misato si chiede in quale modo si può sopravvivere al dolore, all’assenza di chi si è amato sapendo che non esiste condizione che possa riparare un vuoto simile. La serratura scatta, l’oscurità azzurra della stanza viene annullata dalla forte luce della lampada, Shin è in piedi sulla porta che l’osserva –Che fai al buio?- dice ponendo un grosso borsone sul pavimento.
Misato si asciuga gli occhi rapidamente – Guardavo la tv- dice senza rivolgergli reale attenzione.
-Senza volume?-
-Provo ad immaginare i dialoghi-
E Shin comprende che sottolineare la stranezza della cosa sarebbe del tutto inutile.
-Lo fai anche quando ci sono in onda io?-
-No-
-Ah meno male-
-Non ti guardo proprio- Misato ride e Shin sfodera una maschera di non curanza per non darle compiacimento.
-Sushi?- chiede indicando la scatola abbandonata al fianco della ragazza.
-Così pare-
-Non lo finisci?-
-No-
E senza aspettare altro Shin le siede accanto recuperando la scatola per mangiarne il contenuto.
-Serviti pure mi raccomando!-
-Hai detto  che non lo finisci-
-Piuttosto perché sei già di ritorno?-
-Le riprese sono finite prima e Mai mi ha rispedito a casa. Domani avrò una giornata piuttosto impegnativa,quindi mi spiace  averti rotto le uova nel paniere. Aspetti qualcuno?-
Misato ne è risentita – Quando mai ho portato gente in casa tua, Shin! Io non sono come te!-
-Mica te lo vieto-
-Grazie tante ma no!-
Shin sorride, gli piace punzecchiarla, notare in lei la stessa espressione di Nana quando infastidita e poterne però cogliere le differenze che in Misato sono addolcite, più ingenue e fragili. Condividono l’appartamento da quasi un paio d’anni e Shin fatica a ricordare  le scorribande serali alcoliche prima dell’arrivo della ragazza.
-Hai visto Chikage oggi?-
La ragazza annuisce e al pensiero dell’amica gli occhi si addolciscono – sì, diventa sempre più carina, faticheresti a riconoscerla da quanto è cambiata-
-Le persone non cambiano mai, fingono solo di farlo- lapidario Shin più rivolto a sé stesso che alla sua interlocutrice.
-Come ti pare, comunque ha ottenuto un colloquio alla Happy Berry, un marchio piuttosto famoso qui in Giappone-
-Sì, conosco Miwako Sakurada la direttrice creativa del marchio, potrei metterci una buona parola- Shin trangugia un boccone di sushi – ho posato per la loro linea estiva maschile lo scorso anno-
Misato lo ascolta distrattamente – Credo che Chikage preferisca essere scelta per il suo talento e non per raccomandazione-
-Mi hai frainteso, e comunque la Happy Berry è un’azienda seria, Mikako Koda non permetterebbe mai che qualcuno venisse preso nel suo marchio su raccomandazione, su questo posso metterci la mano sul fuoco. Il mio era solo un suggerimento per dare qualche referenza, tutto qua-
-Allora lo riferirò a Chikage e poi ti farò sapere, potrebbe essere anche l’occasione che vi rivediate, è passato molto tempo dall’ultima volta-
Shin annuisce distratto – Certo, mi farebbe piacere. Non vuoi nemmeno questo con il salmone?-
Sulle labbra di Misato si dipinge un sorriso divertito – Come mai tanto appetito? Hai fatto porcellate sul set?!-
Il ragazzo la fissa con finta aria scandalizzata – Affatto, mi hanno dato addirittura un ruolo molto serio e sfogliando il copione non ho ancora trovato una sola scena di sesso. Non vorrei che questo compromettesse la mia immagine-
-Scemo- Misato si sporge dal divano lanciando uno sguardo al borsone che Shin ha abbandonato a terra – è lì dentro?-
-Non ti do il permesso di frugare tra le mie cose- dice con voce calma e ironica.
Misato lo ignora dirigendosi verso la borsa con una certa impazienza –Dove?-
-Io e te parliamo un linguaggio decisamente differente-
-Dove?-
-Tascone laterale-
Misato sorride –Vedi che era semplice!- e Shin sospira esasperato in risposta.


-Il tuo personaggio indaga sul suicidio della madre-
-Già, è un ruolo piuttosto profondo pieno di flash back e roba simile, credo possa riscuotere successo-
- E tu te la senti di interpretarlo?-
-E’ lavoro, Misato, solo lavoro-
-Non conosco bene i dettagli della tua storia, Shin, ma… non credi che rievocare un dolore non sia la cosa giusta in questo momento-
-E quando può essere il momento?! Tu ed io sappiamo bene come gira il mondo, che non tutte le situazioni sono idilliache. Ieri ti sei arrabbiata perché nessuno di noi riesce a liberarsi del proprio passato, ma mi è venuto il sospetto che nessuno di noi lo voglia veramente-
- Io voglio! Voglio liberarmi di tutto quello che è successo, di mia madre, di Nana, di Takahiro e…-
-Perché non sei andata in ospedale a vedere il bambino?-
- Non lo voglio vedere-
-Hai paura-
-No! Certo che no!-
-E allora perché?-
-Non sono affari tuoi, lasciami in pace!-
- Lo vedi, continuiamo a nasconderci-
Misato si morde le labbra, la rabbia le fa tremare il corpo come un colpo d’aria gelida
-Hai ragione ma… non riuscirei a tollerarlo. Finché siamo distanti va bene, finché mi manda foto per telefono della sua famiglia a me sta bene. Ma non so come reagirei se dovessi trovarmelo di fronte. Vederlo con il bambino tra le braccia, la moglie accanto. Forse sono pazza ma ho paura che finirei col rovinare tutto. Sto cercando di proteggerlo da me e sto cercando di proteggere me stessa-
Shin l’abbraccia, se la stringe contro – E’ lo stesso motivo per il quale cambi canale quando vedi Ren o Nana-
Misato piange e la debolezza di quel momento la fa vergognare profondamente – Mi stavi guardando?-
-Mi dispiace-
- Forse se avessi detto la verità a Nana, magari le cose sarebbero andate diversamente-
-Questo non puoi saperlo-
-Ma posso sentirlo. E mi detesto per questo-
-Non è cercando di emularla che arriverai a capirla, Misato-
Misato si distacca bruscamente – Pensi che io stia cercando di emularla? E tu non fai forse la stessa cosa con Ren!? Non mettere sul piano le debolezze degli altri per nascondere le tue, Shin! Non sopporto tutto il tuo self-control, quel modo distaccato di guardare il mondo. Perché non parliamo di Reira! Perché non parliamo di quel copione!-
-In questo somigli a tua sorella veramente. Tenti di dirigere il colpo su qualcun altro quando per te è troppo da sopportare-
Misato si alza, con un colpo brusco fa volare la scatola del sushi che rovina sul pavimento – Non parlare di Nana!-
-Di cosa vuoi parlare allora, di me? Eccomi! Sono esattamente quello che vedi e rispecchio ogni meschinità che pensi. Sono scappato dalla morte di mia madre, dalla mia famiglia, dal dolore di Ren e dalla donna che amavo… mi chiedi se un copione mi farà rendere più consapevole di questo? Ne sono già consapevole benissimo!-
Misato avverte il cuore fare male ma non può placarsi – E quindi questa cos’è una gara a chi di noi ha paura d’essere il meno incompreso?! –
Anche Shin ora si alza, le sta di fronte, i lineamenti tesi – sei tu che giochi a fare l’incompresa e ti terrorizza il fatto che qualcuno invece possa capirti!-
-E saresti tu questo qualcuno?! Mister me ne faccio una a sera per non pensare a quanto disgraziata è la mia vita!-
-Va al diavolo Misato!-
-Vacci tu al diavolo! E’ come se ci stessimo riflettendo nello stesso specchio con la pretesa di essere ognuno dal lato giusto ed io sono stanca! Stanca! Stanc…-
E’ la mano di Shin a stringere con forza e rabbia i capelli neri dietro la nuca, a premere con insistenza le labbra sulle sue, a farla cadere e schiacciarla sotto il suo peso senza che la bocca si allontani dalla sua. E Misato si ritrova a stringerlo forte per le spalle, a sentire la testa dolore e girare e confondersi in un misto di rabbia, malinconia e dolcezza. Shin è intossicante, i suoi occhi sono un mare nordico, la linea sottile del dolore e della salvezza. E stanotte Misato desidera sia salvezza, desidera essere salvata, ed è proprio quando risponde con la stessa irruenza a quel bacio che Shin si allontana da lei. Il tempo di comprendere, di aprire appena gli occhi, di allentare la presa e anelare di affogare di nuovo nel mare.
-Possiamo andare di là, o qui, anche qui va bene- e a quel sussurro di Misato, Shin scuote il capo e si allontana definitivamente.
-Perché?- domanda lei sollevandosi appena da quel vortice di confusione – Perché non possiamo andare oltre?-
-Perché non è la cosa giusta- ribatte lui freddo
E Misato è stordita – La cosa giusta? Io non cerco amore o idiozie da ragazzine! Shin perché non posso essere esattamente come tutte le altre donne che porti qui!?- e quella supplica di Misato per Shin è sintomo di ulteriore rabbia.
-Se davvero hai bisogno di una risposta, Misato,allora è anche il caso che da oggi in poi cerchi un altro luogo dove vivere-




Note: Fortuna che avevo detto che avrei scritto un capitolo più leggero rispetto al precedente ^^” .
In realtà volevo introdurre personaggi a noi noti che non hanno ancora fatto la loro comparsa, tuttavia ho pensato sarebbe stato meglio mettere sul piatto alcune situazioni prima di proseguire.  Il fattore scatenante è stata un’immagine di Shin da adulto, sfido chiunque a non aver pensato la prima volta “cavolo ma è Ren!” ed ho creduto non potesse trattarsi di una casualità. Dopotutto Ren è sempre stato l’idolo di Shin e nel caso specifico ho voluto metterlo a confronto con Misato che già da ragazzina rivelava alcune caratteristiche simili a Nana. Con questo non voglio dire che tra loro potrà esserci un risvolto romantico, non ho ancora le idee chiare su questo punto @_@
Comunque mi piaceva l’idea di utilizzarli come “sottostoria” insieme ad altre che apprenderete a breve. Nel manga la Yazawa ha dato ad intendere che l’infanzia di Shin sia stata molto travagliata, con una madre suicida ed il resto della famiglia che praticamente lo disconosce come membro, ho voluto darne così una mia versione sottolineando come però Shin sia tra i più ermetici personaggi del manga.  Misato invece mi pare più emotiva, fino a quanto ci è stato dato di vedere nel manga la situazione famigliare l’ha parecchio sconvolta, non ultimo l’amore per il fratello maggiore. Probabilmente un brother complex  dal quale non è ancora pienamente uscita.  Ho fatto fare un’apparizione lampo a Mai della quale ho comunque intenzione di trattare perché sarà un’importante tassello della vicenda.

 

 

 

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Capitolo 8
*** Quello che resta non detto ***


-E tua madre come l’ha presa?-
-Si sforza di sorridere e di comportarsi come sempre ma anche ieri sera l’ho trovata a piangere in silenzio mentre affettava le verdure per la cena. Ren si è scusato diverse volte, sia con lei che con me. Ma davvero stavolta non riesco a passarci sopra. Tu non hai visto i suoi occhi Ko. Erano…erano pieni di qualcosa che…non so…mi ha fatto paura. Mancano solo due giorni al mio compleanno e ho come la sensazione sarà un disastro- Satsuki si dondola lentamente sull’altalena del parco, fissa la punta delle scarpe come se sopra la superficie lucida della vernice potesse apparire il riflesso scuro di una qualche soluzione.
-A volte Satsuki quando si è arrabbiati si dicono cose che in realtà non si pensa veramente. Forse il problema di Ren non è tua madre, forse c’è qualcos’altro che lo tormenta- la voce di Ko è ferma e adulta, ma questo non provoca in Satsuki alcun tipo di consolazione.
- E cosa?! Una volta si confidava con me ora invece mi tratta come fossi scema e non mi accorgessi che c’è qualcosa che lo fa soffrire. Che cavolo di famiglia che mi ritrovo!-
Ko si dondola a sua volta cercando parole che non arrivano con la rapidità che vorrebbe, così restano in silenzio per un po’. Davanti a loro alcune giovani madri accompagnano i bambini sulle giostrine, li guardano apprensive mentre scendono lo scivolo o corrono accanto allo stagno delle ninfee. Quelle donne vivono per i loro figli e Ko si sente improvvisamente inadatta alla prospettiva di un simile futuro.
-Fare la madre è di certo complicato- mormora attirando ugualmente l’attenzione di Satsuki –io la mia non  ho avuto il tempo di poterla conoscere ed ho sempre reputato l’attuale compagna di mio padre come la mia mamma a tutti gli effetti. Ma ultimamente penso spesso alla mia vera mamma, a come sia stato difficile per lei sapere di dovermi lasciare, di non potermi crescere. Non l’ho miticizzata, non credo sarebbe stata una donna esemplare e priva di difetti. Perché non è che quando si diventa genitori si cessa anche di essere degli esseri umani, no? Si può sbagliare pur mettendoci tutte le buone intenzioni. Io sono certa che tua madre ha fatto del suo meglio e vi ami entrambi visceralmente; quindi come ci sono arrivata io ad una simile conclusione non credi che anche Ren potrebbe?-
Satsuki si stringe nelle spalle, d’improvviso Ko le pare avanti anni luce rispetto a lei, quella pacata maturità che la caratterizza sembra assolutamente desiderabile agli occhi di una ragazzina quale Satsuki si sente, come fosse in difetto.
-Sai Ko, penso che a Ren farebbe davvero bene avere un’amica come te. Io non sarei mai capace di parlare in modo tanto maturo, so solo lagnarmi e pestare i piedi-
Ko abbandona l’altalena posizionandosi davanti a Satsuki, si china leggermente e le sorride, un sorriso così bello che Satsuki si ritrova ad arrossire.
-Sei  solo un po’ insicura Satsuki, e questo in te è assolutamente adorabile perché ti rende ancora più speciale. Sono certa che dentro di te ci sono parole talmente belle che annebbierebbero le mie in un batter di ciglia-
-Tu mi sopravvaluti- risponde impacciata.
- No, sei tu che ti sottovaluti. Ed ora non dovremmo andare a cercare un vestito per la festa?-
Satsuki alza il capo di scatto a quella dimenticata rivelazione – Oddio è vero! E alle 19.00 dobbiamo essere a Shibuya per  il brindisi con Shin e gli altri- e scatta in piedi afferrando la mano di Ko, le rivolge uno sguardo grato ed insieme si dirigono all’uscita del parco. Almeno per ora, Satsuki ha deciso, accantonerà l’ombra grigia degli eventi.



Il locale è frequentato da pochi abitudinari, seduto al bancone Takumi sorseggia un whisky senza particolare entusiasmo; di tanto in tanto lascia vagare lo sguardo sulla distesa di bottiglie alle spalle del  barman, un tripudio di etichette e colori. Accanto a lui Yasu ha terminato la seconda sigaretta.
-Aveva una voce entusiasta l’ultima volta che l’ho sentita- dice facendo cenno al cameriere di allungargli il solito – nessuna increspatura in superficie- prosegue mentre il bicchiere davanti a lui è di nuovo pieno.
-Tipico, se vuole manifestare falsa allegria e spensieratezza ormai è maestra- Takumi si concede uno sbuffo sconsolato – dopotutto è una caratteristica comune di molti bambini-
Yasu abbozza un sorriso – Sembra che stai parlando davvero di una bambina-
-Perché Reira non è forse una bambina?!- e stavolta a Yasu non può sfuggire una sfumatura amara nel tono dell’uomo che ostenta una sicurezza ormai con troppe crepe.
- Sarebbe più corretto dire che tu l’hai sempre reputata una bambina. Ormai ho rinunciato a capire il meccanismo labirintico del vostro rapporto-
-Credo che siamo in due- Takumi termina il whisky, agli angoli degli occhi piccole rughe rivelano l’irruenza degli eventi che, con buona pace degli scettici, sono riusciti a scalfire anche la corazza impenetrabile che Takumi ha sempre lucidato nel corso degli anni.
-Che mi dici di Nana?- e Yasu sa che il terzo grado non rientra nelle grazie di Takumi, tanto quanto nemmeno lui è avvezzo a penetrare nei fatti degli altri a meno che non siano questi ultimi a domandargli aiuto.
-Sei tu Yasu che dovresti dirmi qualcosa di Nana, il nostro rapporto si limita ad una telefonata al giorno e sorrisi di circostanza nelle varie ricorrenze. Sono certo che con qualcun altro ha un rapporto decisamente più profondo- e se non fosse sicuro del contrario quella di Takumi potrebbe chiamarsi semplicemente gelosia.
-Non credo tu possa permetterti di biasimarla. Quanto a Nobu…beh Nobu è Nobu- ed è intimamente divertito Yasu nel vedere lo scetticismo sulla faccia dell’altro.
-Non capisco dove vuoi andare a parare. Ma ad ogni modo ha poca importanza, più passa il tempo e più mi rendo conto che abbiamo passato più di un decennio a girare su noi stessi. Forse se Nana mi dicesse chiaro e tondo quel che vuole un passo avanti in qualche direzione lo faremmo-
-Magari anche lei si aspetta la stessa cosa-
E Takumi si concede una lieve risata – Tu sai sempre mirare al bersaglio, eh pelato?! Tu guarda se è proprio di te che devo avere soggezione-
Yasu sposta gli occhiali scuri, i flash back del passato scorrono oltre lenti scure fotogramma per fotogramma.
-Sei anche il primo uomo di cui sono mai stato geloso- e quella rivelazione è inaspettata soprattutto se fatta uscire dalle labbra di uno come Takumi. – Hai violato il candore della mia sorellina. Ti avrei attaccato al muro quella volta- ora anche Takumi rivede gli stessi fotogrammi pur sapendo di non poter porre nessuna modifica alla regia. – Per quanto riguarda Nana certamente il mio ideale di donna non aveva niente a che fare con lei.  Mi piacevano un po’ spudorate, mondane, senza la pretesa di una relazione fissa. Poi è arrivata Nana, tutta fibrillante, famelica di emozioni, con l’interesse sincero che nutre per gli altri esseri umani, con quelle ferite sempre aperte ma con la folle certezza che ci si possa salvare, in qualche modo, da questo vuoto infinito che c’è-
- Una bella gatta da pelare-
-Puoi ben dirlo. E all’inizio ho pensato: ma che vuole questa da me? Ci vado a letto un paio di volte e poi ciao, chi si è visto si è visto.-
Yasu sorride, nonostante la voce di Takumi non si sia mai permessa un’incrinatura, un tono intimo, un accenno d’emozione.
-Invece sono ancora qui. Le avrò messo mille corna, forse me le avrà messe anche lei, ci siamo lasciati, ripresi, di nuovo lasciati. Non volevo proprio farmene una ragione che mi avesse messo in trappola. E tuttavia non mi bastava proprio. Le ho detto fin da subito che le sarebbe sempre sembrato di stare con qualcuno che non è esattamente capace di esserci. Ma lei ha accettato questo così come io ho accettato che, anche se Nana non c’entra proprio niente con quello che immaginavo giusto per me, bene, in qualche modo è diventata indispensabile- finalmente nella pasta della voce di Takumi si è aperto uno spiraglio, è durato un istante.
- Caspita Takumi sembra quasi tu stia parlando d’amore- e Takumi non la regge più l’ironia di Yasu sebbene quel tipo sembri avere sempre fottutamente ragione.
-Se vuoi ti rispondo di sì. Ma sta qui il bandolo della matassa, non lo so perché dovrei amare Nana. Ti risponderei per come le sta lo yukata che tua moglie le ha regalato al compleanno, per come viene quando facciamo l’amore, perché ama i nostri figli. E di cose del genere che ti devi fidare, giusto?-
Un altro whisky, le luci del locale sempre più soffuse.
-Non so più cosa pretendo Yasu. A volte mi dico che non ho mai avuto modo di essere un bambino quando era il mio turno e quindi la devo far pagare al mondo, come se fosse colpa degli altri il fatto di essere cresciuto in una famiglia di merda. E’ ipocrita e semplicistico da parte mia. Ed ora che sono io dall’altra parte della barricata ho il terrore che Ren o Satsuki possano fare gli stessi pensieri.-
-Fino ad ora mi pare tu abbia fatto un buon lavoro con i tuoi figli-
Takumi alza le spalle – Se avessi fatto un buon lavoro non starei a girare da una parte all’altra del mondo, e forse Ren non ce l’avrebbe tanto con sua madre. Ne beviamo un altro? O forse non è il caso, tra un’ora c’è il brindisi in onore di Satsuki. Perché fare il brindisi con due giorni di anticipo?! Un altro mistero di Nana-
Yasu fa cenno al barista. In certe circostanze l’alcol non basta mai.


 
Se Hachiko potesse chiudere in uno scrigno tutti gli attimi che come onde ritornano alla sua memoria, allora anche quello potrebbe aggiungersi a quella infinita collezione di istanti. Il piede in fallo, lo sbilanciamento in avanti e una mano pronta ad afferrarla per impedirle di rovinare a terra. Tutto intorno voci, sussurri, e la luce del sole che scompare dietro ai grandi edifici di Tokyo.
-Tutto bene?- domanda lui, tenendola ancora saldamente per il braccio. E Hachi vorrebbe dirgli che no non va tutto bene, non c’è proprio nulla che va bene, vorrebbe abbandonarsi contro il suo petto e piangere e piangere, supplicarlo di portarla via, di riportarla indietro di un numero imprecisato di anni, ad un pontile sul Tanagawa in una sera d’estate con la voce calda di Nana a fare da sottofondo a quella dichiarazione lontana persa nella brezza del vento.
-Si, tutto bene. Non so nemmeno come ho fatto ad inciampare- si scusa Hachi riprendendo l’equilibrio permettendo a Nobu di poterla liberare da quella presa gentile e paradossalmente dolorosa. Lui annuisce, uno strano imbarazzo si dipinge nei suoi occhi, distrae lo sguardo sulla lista che tiene in mano e che ha ancora molte voci da spuntare.
- Ci mancano i festoni, i bicchieri con…le farfalle?-
Hachi annuisce – Sai a Satsuki piacciono molto ed ho pensato sarebbe stato carino usarle come tema per il suo compleanno. Nei miei pellegrinaggi a negozi ne ho scoperto uno carinissimo che hanno aperto da poco, avevano dei meravigliosi bicchieri con farfalle azzurre, ne vorrei ordinare due scatole piene. Dici che riusciranno a consegnarmeli per la data esatta?- Hachi assume un’espressione corrucciata mentre pensa all’eventualità che i suoi programmi per la festa possano non andare tutti come si è prefissata.
-Basterà chiedere, non preoccuparti- Nobu la incoraggia, dopo poco indica una vetrina dove fanno bella mostra un paio di orecchini proprio a farfalla.
-Ed io ho anche trovato il mio regalo!- esclama trascinando Hachiko nel negozio. La commessa è giovane, vestita alla moda e con un sorriso gentile, quanto basta per suscitare in Hachi una lieve invidia davanti a tanta spudorata gioventù.
-Posso aiutarvi?- domanda la ragazza e Nobu le indica subito gli orecchini nella vetrina.
-Hachi li proveresti?-
-Io?-
-Certo! Tu e Satsuki siete identiche così posso assicurarmi che l’effetto sia quello che mi immagino-
E Hachi obbedisce come fosse lei l’adolescente entusiasta per quel regalo. Gli orecchini non sono vistosi, rifiniti con eleganza, hanno meravigliosi cristalli dalle sfumature tenui che, ne è certa, risalteranno tantissimo in contrasto con i capelli corvini della figlia.
-Ti stanno benissimo- proclama Nobu con dolcezza, e Hachi arrossisce, guarda lo specchio e sfiora con le dita uno degli orecchini. In quel riflesso l’anello nuziale che porta al dito scintilla colpito da un fendente di luce esterna e subito lei ritrae la mano come fosse stata scottata. Toglie gli orecchini e con voce più neutra assicura a Nobu che Satsuki sarà entusiasta del regalo.
Il pomeriggio prosegue così, tra un negozio e l’altro, a parlare del più o del meno sorseggiando caffè in una prestigiosa caffetteria. Sono i momenti che Hachiko preferisce, lontano dalla realtà pesante che la circonda.
-Ora me lo dici che è successo?- Nobu ripone la tazzina e la guarda. Hachi è sopresa, credeva di aver dissimulato i suoi stati d’animo con maestria ma a quanto pare Nobu la conosce troppo bene per poter essere ingannato. Nonostante il suo viso si sia fatto più maturo, e i capelli biondi siano scomparsi lasciando posto a una pettinatura più morbida e scura, lei non può fare a meno di rivederlo sempre uguale, sempre il solito meraviglioso Nobu. Il suo Nobu.
-E’ così evidente?- mormora lei rassegnata
- A me sì-
E sconfitta Hachi si decide a parlare di Ren, di quello che è successo e di quanto questo la porti a soffrire.
-Non hai mai provato a chiedergliene il motivo?-
Hachi annuisce – Provo in continuazione a parlare con lui ma non c’è nulla da fare, mi evita o si chiude nel silenzio-
-Vuoi che ci provi io?-
Ed Hachi lo guarda sorpresa mentre lui rifugge quell’improvvisa attenzione.
-Sai potrei proporgli di farci una suonata insieme come ai vecchi tempi e approfittare di questo per parlare con lui, magari tra uomini riesce più facile aprirsi a determinate cose-
-Se non l’ha fatto con Takumi dubito si aprirà con te- ed è un istante prima che Hachi si renda conto di quanto ha appena detto, di quanto stupida e crudele sia stata quella affermazione che le è uscita dalle labbra senza pensarci.
-Nobu io…-
Nobu è chiaramente ferito ma alza una mano facendole segno di non preoccuparsi.
-E’ tutto a posto, capisco. Takumi dopotutto è suo padre ed io non posso mettermi certo al suo livello-
Hachi scuote il capo detestandosi profondamente – Lo sai che non è questo che volevo dire. Ren ti vuole bene e…sicuramente parlerà con te…oddio quanto sono stupida!- e mentre lo dice Hachi si morde le labbra e giocherella nervosa con la pietra dell’anello, quell’anello che Nobu detesta tanto.
-Lo porterai per sempre, non è vero? – è la prima volta che Nobu trova il coraggio di porle quella domanda; si era immaginato un altro luogo, un’altra situazione, un altro tono ma la vita, ormai lo ha imparato, non è mai come uno se la immagina.
Hachi non risponde, d’improvviso il diamante montato sull’anello sembra pesare terribilmente.
-E’ solo per lei o c’è qualcos’altro?-
Sono tante le emozioni che l’attraversano, si alternano velocemente come guizzi di luce, si riflettono negli occhi e poi scompaiono nella profondità del rimpianto.
-A volte immagino che anche Nana continui a portare quell’anello uguale al mio. Perché non dovrebbe dopotutto è stato un regalo di Ren?! E quindi anche se non so dove sia, come stia vivendo, se pensi ancora a me, a tutti noi, mi dico che porta al dito un anello uguale a questo e in qualche modo questo la rende più vicina, più raggiungibile. E’ stupido forse ma non posso fare a meno di sperare sia così. Ne ho bisogno, capisci?-
E forse è lo stesso rimpianto quello che ora attraversa lo sguardo di Nobu e lo fa annuire comprensivo.
-Sì lo capisco. Scusami-
E d’impulso Hachi allunga una mano verso quella di lui, la stringe come se attraverso quel contatto tutto quello che non è mai stato detto potesse emergere e trasferirsi in Nobu senza necessità di parole.  Rimangono così, in silenzio, sospesi ancora e ancora nella loro eterna incognita che non conosce risposte definitive.
“E’ solo per lei o c’è qualcos’altro?”
Quella domanda rimbomba ancora nel petto e nella testa di Hachi, si colora di nuovi significati, di ammissioni che lei per prima non vuole ammettere a se stessa.

 

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Capitolo 9
*** Dietro lenti colorate ***


 

Quando l’acqua bolle, allora si può buttare il riso, bisogna prestare attenzione per fare in modo che non si cuocia troppo né troppo poco. Quando c’è scritta una data sul cartone del latte e quella data viene superata, significa che il latte non è più buono. Quando si attraversa la strada bisogna prestare molta attenzione, mai essere sbadati e assicurarsi di attraversare sempre sulle strisce. Sua madre le ha insegnato tutte queste cose, le ha anche insegnato a non fidarsi mai degli sconosciuti, a non mangiare troppe merendine e a non bere cose gasate. Ma lei quando è con suo padre trasgredisce sempre a quella raccomandazione perché papà le fa l’occhiolino e dice “è un nostro segreto non lo diremo a mamma”. A lei non piace tenere i segreti, i segreti hanno qualcosa di cattivo, qualcosa che non sa capire ma che costringono sua madre ad avere spesso un’aria triste e malinconica, e quando lei le chiede cosa non vada sua madre sempre le risponde “è un segreto” per poi prenderla sulle ginocchia e raccontarle favole di ragazze che perdono scarpette di vetro sulle scalinate di grandi castelli con un principe che poi le cerca per poterle sposare e farle vivere sempre felici e contente.
-Ma il principe come fa a sapere se la ragazza a cui mette la scarpetta è proprio quella del ballo?- chiedeva e sua madre fingeva di rifletterci per poi esclamare –perché è una scarpetta magica e va bene solo a lei!-
Tutto questo era molto divertente ma in qualche modo suonava strano che due si dovessero sposare per una questione di scarpe…
Ad ogni modo nella sua immaginazione probabilmente anche mamma e papà si erano conosciuti allo stesso modo. Mamma doveva indossare un abito bellissimo, come quello della foto che tiene sul tavolino del salotto, e suo padre deve averla amata subito al primo sguardo. Altro che scarpe! Chi poteva scordarsi un viso così bello!?
Da quando aveva compiuto otto anni però, la storia era cambiata. Sua madre non parlava più di quella principessa, o di quell’altra che mangiava la mela e veniva svegliata con un bacio. No.
“Lo sai cosa penso, tesoro” diceva mentre riempiva la ciotola di cristallo di caramelle colorate e poi la poneva al centro della tavola “ penso che se anche il principe azzurro non fosse arrivato, Cenerentola si sarebbe stancata di pulire la casa delle sue sorellastre e Biancaneve non avrebbe dormito in eterno. Dopotutto nessuno ti dice come sia stata la vita di Cenerentola da sposata, si pensa sia stata felice e contenta solo perché il bellone di turno le ha messo una scarpa al piede e l’anello al dito. Ma poi? Dai retta a me che lo so bene come gira il mondo, meno hai a che fare con gli uomini meglio è. Realizza da sola i tuoi sogni, lo farei, vero stella mia?”
E lei annuiva senza aver ben chiaro che cosa sua madre volesse realmente dire.  Non era forse felice di stare con papà? Papà che era così bello e solare e le portava sempre dei bellissimi regali. Papà che era molto meglio dei principi azzurri della tv.
Seduta alla scrivania della sua camera ha deciso di creare una bella collana con tutte le perline colorate che papà le ha regalato. Ne farà una speciale e sa già a chi regalarla. Resta solo da decidere che tipo di pendente usare, quello a cuore o a stella? Dubbiosa si reca nella stanza della madre, c’è sempre un buon profumo, lei lo chiama “  paradiso” ed ogni tanto gliene mette qualche goccia sui polsi, appena appena, perché è roba da signorine grandi. Tutto nella stanza della mamma le piace, dai grandi cuscini con le rouge, alla scatola piena di gioie, ai rossetti che, come soldatini in fila, fanno bella mostra sotto la specchiera. Anche adesso lei se ne sta mettendo uno color ciliegia sulle labbra, risalta sulla bella carnagione, i capelli raccolti in fili ramati e tenuti fermi da un fermaglio a conchiglia. Di tanto in tanto lancia delle strane occhiate alla lettera aperta che tiene di lato, fermata proprio dalla boccetta di “Paradiso”.
-Mamma!- trova coraggio e supera la porta. Sua madre sussulta appena, e prima di voltarsi richiude la lettera velocemente.
-Dimmi tesoro- le sorride con il rossetto un po’ sbavato appena sopra il labbro superiore.
-Preferisci il pendente a cuore o a stella?- glieli mostra entrambi, scrutando con curiosità il foglio richiuso.
-A stella tesoro. A mamma le stelle sono sempre piaciute-
-Che c’è scritto lì?- indica la lettera e sua madre si fa un po’ seria prima di rispondere che non è nulla di importante.
-E’ di papà?-
Annuisce dopo un lungo istante –Sì-
-Posso leggerla?-
-La leggeremo insieme più tardi-
-Che dice? Viene a trovarci? Quando potrò vederlo?- saltella sul posto, sa che non potrà aspettare sera per leggerla.
-Presto tesoro. Ma intanto perché non finisci la collana, è un regalo immagino-
-Sì, è per Sa-chan! Poi mi aiuti a farne un pacchettino? Vorrei fosse una bella confezione, so che non posso andare al compleanno però…però vorrei che avesse ugualmente il mio regalo-
-Certo, faremo in modo di farglielo avere. Ora vai a terminare, dopodiché usciremo a fare un po’ di spesa, potremmo prendere un film a noleggio, ti piacerebbe?-
Certo che sì! Adora quando sono insieme sul divano, mamma prepara le tisane profumate e lei può accoccolarsi accanto, farsi accarezzare la testa e commentare  le immagini del film. E dopo tutto questo potranno leggere insieme della lettera di papà.
Se mentre esce dalla stanza Momo-chan si fosse accorta dell’espressione di sua madre, forse il suo entusiasmo si sarebbe smorzato, lasciando posto ad una strana angoscia che la sua giovane età ancora non saprebbe definire.
Guarda la propria immagine nello specchio, il rossetto sbavato, le occhiaie sotto gli occhi, qualche filo bianco a screziare la perfezione del ramato. Sono cose senza importanza queste, non importano più da diverso tempo, perché ora ci sono priorità maggiori e qualcosa di buono che solo ed unico nella vita le ha dato gioia. Non sa quale sia la cosa giusta da fare, non sa cosa penserà sua figlia quando, in un domani non lontano, conoscerà il suo passato e forse la biasimerà e se ne vergognerà. Asami se lo chiede ogni giorno, ne ha paura ogni giorno. Riprende in mano la lettera, segue la calligrafia un po’ pomposa, le parole d’inchiostro l’una in fila all’altra. Che sia mai stato amore? Curiosità e ripiego. Questa è la realtà che le pesa nel cuore, e la vita presenta il conto.


I bicchieri tintinnano, pieni di vino dalle bollicine perlate o di succo di frutta alla fragola, si incontrano l’uno con l’altro producendo quel suono che sa di festa, di allegria, di un istante che in quel momento è solo per lei. Tutte le persone della sua vita sono intorno a lei, le sorridono, le dicono che quel vestito blu le sta divinamente, che il tempo passa ma lei rimarrà per sempre la loro Sa-chan. Satsuki ringrazia, arrossisce ai complementi, parla a ruota libera, con gioia e a volte con imbarazzo. Adora quella ricorrenza, sua madre l’ha ideata per lei, due giorni prima dell’effettiva data perché “porta bene alla faccia del grande demone celeste!”.
“Vedi Sa-chan, due giorni prima che venissi al mondo ci siamo ritrovati nella stanza 707 ed io ho brindato con del succo di frutta alla fragola, avevo intorno l’affetto dei miei amici e sapevo che la mia bambina sarebbe stata meravigliosa!”
 Satsuki ama farsi ripetere quell’aneddoto ancora e ancora, la fa sentire un po’ speciale, un po’ unica. Piroetta e la gonna del vestito si apre ad ombrello tra gli entusiasmi di Miu e Mai che le fanno i complimenti per l’ottima scelta. Accanto alla vetrata del locale suo padre e Yasu stanno conversando, mentre dal lato opposto Nobu scatta fotografie. Sa bene che lui e suo padre finiranno con l’ignorarsi, ma stavolta ha deciso di non darvi peso e farsela andare bene. Cerca sua madre con lo sguardo e la ritrova vicino a Shin. Lei gli sta sistemando la giacca e probabilmente starà rimproverandolo per l’ennesimo pearcing che lei disapprova. Sua madre potrà pensarla come vuole ma per Satsuki  Shin è l’emblema della perfezione; quando lo guarda qualcosa di caldo le esplode nello stomaco, il viso sembra rovente tanto da chiedersi se il rossore arrivi fin alla punta delle orecchie. Lui è stato il primo a dirle che quel vestito le donava,  quanto fosse bella, due parole sufficienti per farle spiccare il volo. E allora che Nobu e papà si evitino, che mamma la ricopra di attenzioni come avesse ancora cinque anni. Tutto questo va bene se Shin le sorride. Più tardi scriverà a Ko per aggiornarla su quegli sguardi di dolcezza che il suo non-fratellino dedica solo a lei.
“Peccato che tu non sia potuta venire, dovresti vedere quanto è bello!” sa già che scriverà qualcosa di simile con mille emoticon con gli occhi a cuoricino.
Il flash di una macchina fotografica e Nobu dietro l’obbiettivo che la lusinga a posare per qualche altro scatto ricordo. –Ma sei la stessa bambina alla quale regalavo le bambole?-chiede riponendo la macchina per stringersela contro. Satsuki vuole bene a Nobu, è un caro amico di mamma ed è sempre stato gentile con lei, sebbene sia chiaro che Nobu abbia qualcosa contro Takumi e non lo apprezzi nemmeno un po’. Una circostanza che Satsuki ha sempre trovato dolorosa e non di facile gestione.
“papà ti da fastidio se voglio bene a Nobu?” Satsuki ricorda di averglielo domandato una volta e sua padre l’aveva guardata un po’ sorpreso prima di assumere un’aria comprensiva.
“Certo che non mi da fastidio, Satsuki” non aveva aggiunto altro e Satsuki l’aveva preso in parola senza mettere mai in dubbio quella concessione. Almeno fino a quel momento.

Shin annuisce mentre Hachi gli ripete per l’ennesima volta di smetterla di riempirsi di metallo, e lui ride delle premure della sua mammina.
-Ah, non so proprio che fare con te- commenta Hachi portandosi una ciocca sfuggita alle forcine dietro l’orecchio. – Verrai anche alla festa di compleanno ufficiale, vero?- chiede pur sapendo che la risposta di Shin sarà positiva.
-Porterai qualcuno con te?- indaga socchiudendo appena gli occhi nello scrutarlo.
-Per “qualcuno” intendi una ragazza?- la stuzzica con finta innocenza.
-Qualcuno è qualcuno. Giusto per sapere quanti bicchieri devo ordinare- si giustifica lei lanciando poi un’occhiata apprensiva verso Satsuki che, ne è certa, finirebbe rintanata nel bagno in lacrime se Shin si presentasse con qualcuna delle sue fiamme.
-Tranquilla ho intenzione di portare solo me stesso. Inizialmente volevo trascinare anche Misato ma abbiamo avuto qualche divergenza d’opinione- e al nome di Misato Hachi si fa improvvisamente curiosa e,forse perché quella ragazza somiglia così tanto a Nana, desiderosa di vederla.
-Che è successo? Le hai fatto qualcosa?-
Shin ne è risentito -  Perché pensi che io le abbia fatto qualcosa!? La verità è che Misato a volte è uguale a Nana e trae conclusioni senza riflettere- ma Shin si pente di quell’affermazione perché ora il viso della sua “mamma” è adombrato.
-Hachi non fare così, devi sorridere, cosa penserà Satsuki?- le pone le mani sulle spalle ed Hachiko sembra riaversi.
-Vero, devo essere felice per la mia bambina-
Lui annuisce per guardarsi poi intorno – a proposito dov’è finito Ren? Non sono riuscito a scambiarci nemmeno una parola-
Difficile per Hachi dissimulare, ma facendosi coraggio si sforza di alzare le spalle –mah,  sai che è un’anima in pena-
Shin comprende ma non commenta, si offre di cercarlo, un modo anche per non rimanere troppo nella stessa stanza con Takumi e risvegliare ricordi e domande che ogni tanto lo colgono come coltellate a tradimento.
Adiacente alla sala principale c’è una terrazza, bisogna superare una porta a vetri ed un numero non precisato di vasi e piante per raggiungerla. Sotto ad esse il quartiere di Shibuya brulica d vita e luci. Shin prende un profondo respiro, solo pochi istanti perché sa che Satsuki si accorgerà a breve della sua assenza. Si da una rapida occhiata intorno, abbastanza per cogliere nell’oscurità della sera il rossastro della nicotina bruciante; si avvicina lentamente e Ren sussulta  per essere stato sorpreso con “le mani nel sacco”.
-Oi- Shin gli si fa vicino – te lo dico per esperienza, quello è un gran brutto vizio-
Ren distoglie lo sguardo – se vuoi farmi la paternale sei la persona meno adatta- pungente e ironico Ren, Shin accenna un sorriso, si appoggia al muro accanto al ragazzo e accende a sua volta una sigaretta.
-La festa ti annoia?- chiede Ren non proprio felice di condividere con qualcun altro il suo momento di evasione.
-Una festa per Satsuki non potrebbe mai annoiarmi, mi stavo solo chiedendo dove fossi finito-
-Beh bingo mi hai trovato!- un’altra boccata di fumo e un lieve colpo di tosse –volevo rimanere un po’ da solo, sorridere a ripetizione non è il mio forte-
-Nemmeno il mio sebbene mi riesca bene, ma quando sei circondato dalle persone che ti vogliono bene sorridere dovrebbe essere una cosa spontanea- la frecciata arriva perché Ren abbassa lo sguardo con fare colpevole. Si è ripromesso di dimostrarsi entusiasta per Satsuki, di rivangare momenti passati con allegria, stare alle battute e ai brindisi. Ma è difficile. Tutti quei fantasmi sono riuniti lì, lo circondano e gli ricordano quello che Ren vorrebbe gettare dietro una porta e chiudere definitivamente.
-Allora sei felice di vivere a Londra?- e in quel momento è in qualche modo lieto che Shin cambi argomento, che gli consenta di gettarsi in superficiali discorsi sulla vita nella capitale inglese, sulle possibilità che offre nonostante quella pioggerella perenne che per settimane talvolta non ti consente di vedere il sole.
-Satsuki mi ha detto che hai una band-
Ren annuisce e finalmente sorride sincero – The Hectis. Orami suoniamo insieme da oltre un anno e devo dire che si è creato un buon affiatamento-
Shin spegne il mozzicone liberando i polmoni dall’ultimo fumo – suonare è una cosa che manca molto anche a me. Chitarra giusto?-
-Già, ma me la cavo anche con il basso. Papà me ne ha comprato uno per potermi esercitare, ma la chitarra ha un’anima diversa e la preferisco-
-Beh sei proprio un piccolo Honjo in erba, non c’è che dire!- è innocente la frase di Shin ma dal modo in cui Ren lo guarda pare che la sua uscita abbia risvegliato qualcosa di molto infelice.
-Giusto, una pietra commemorativa vivente, no!?- è sebbene il tono di Ren sia privo di particolare inflessione, quella frase gli è uscita con una profonda avversione, qualcosa che Shin ha sentito arrivare come uno schiaffo.
-Non stavo dicendo questo, Ren. Credevo che…-
-Già beh voi tutti credete un sacco di cose, vi riempite la bocca di un sacco di parole… ad ogni modo se stai girando attorno a me per sapere qualcosa di Reira , invece di alzare una fottuta cornetta del telefono, posso dirti che sta come al solito, tra cedimenti emotivi e l’eterno amore non corrisposto per mio padre. Altro? Vuoi sapere se ti pensa? Onestamente non ne ho idea! Ma infognati come siete tutti nel vostro passato può anche essere probabile!- un fiume in piena, una rabbia che Shin non avrebbe mai creduto possibile, e lo destabilizza, lo lascia muto in preda allo sconcerto, a qualcosa che gli batte fastidiosamente in petto e lo ritrova privo di difese. Ren dal canto suo ha il viso arrossato, come se tutto quello che le sue labbra non sono riuscite a trattenere gli avesse provocato un tremendo sforzo; gli occhi sono lucidi, la sigaretta giace ancora accesa ai suoi piedi, e lui la calpesta con violenza per sfogare il pentimento e impedirsi di piangere come un poppante.
-Ren ti stavo cercando-
Il ragazzo si volta, Takumi è a pochi passi, troneggia su di loro e lancia un’occhiata significativa a Shin –Satsuki si sta domandando dove siete finiti, e se non sbaglio io e te Ren abbiamo una sorpresa per lei, non te ne sei scordato, vero?-
Ren scuote la testa e si passa il braccio sugli occhi per cancellare quelle gocce fastidiose che bruciano e non devono scendere. Shin gli pone una mano sulla spalla e dice solo “ci vediamo dentro” e Ren non sa cosa leggervi in quella frase, non sa cosa leggere nel passo di Shin, nel modo in cui si sfiora la fronte come a voler cacciare qualcosa.
Quando rimangono soli, Takumi gli si mette a fianco e non dice nulla, aspetta che sia suo figlio a voler parlare, se e come avrà voglia di farlo.
-Ora arrivo papà- dice solo, ma Takumi non si scosta, ne accenna a volerlo lasciare solo.
-Ren so che questo non è il posto né tanto meno il momento, ma non puoi andare avanti così, io e te abbiamo sempre parlato e cercato insieme delle soluzioni. Perché credi che stavolta non potrei aiutarti?-
E Ren si abbandona contro di lui come se l’equilibrio venisse meno.
-Ho detto a Shin un mucchio di cose che non avrei dovuto dire. L’ho fatto anche con mamma, no? Io non voglio ferire di proposito, ma ho tanta rabbia e paura e… –
-E mi vuoi dire cosa ti fa paura?-
-No-
Takumi sospira contrariato – ah sei peggio di me! Pensi di poter risolvere tutto da solo ma finirà che diventerai cinico come il sottoscritto. E tu sei molto migliore di me, Ren.  Tutti abbiamo qualcosa che ci fa paura, qualcosa che non sappiamo spiegare. Io e tua madre vogliamo solo aiutarti-
Ren lascia che lo sguardo si perda sul pavimento scuro – Lo so-
-E allora perché fai di tutto per impedircelo?-
-Te l’ho detto ho paura-
-… ti sei innamorato di Shin per caso?-
Ren si distacca e strabuzza gli occhi credendo di aver capito male –Eh?!?-
Takumi alza le spalle – E’ un bel ragazzo, ambiguo, a me è sempre stato sulle scatole ma sono di mentalità aperta e credimi che l’unica cosa che voglio e saperti felici-
Ren è incredulo ma non può fare a meno di scoppiare a ridere e questo rasserena Takumi.
-Non ci ho azzeccato?- e Ren capisce quell’espressione canzonatoria fatta per stemperare gli animi.
-Direi di no- ribatte ancora ridendo –ma sono lieto di sapere che sei di larghe vedute-
Takumi gli scombina i capelli come faceva quando Ren era solo un bambino che portava sempre con sé una chitarra più grande di lui.
-E’ qualcosa che riguarda me a farti paura? Per questo non vuoi parlarmene?-
Ren ha un nodo in gola, può sfuggire al mondo, proteggersi dietro il mantello dell’apparenza ma, da sempre, sfuggire agli occhi di suo padre, al modo che lui solo ha di scrutarlo dentro, riesce quasi impossibile.
-Come hai detto tu questo non è il luogo né il momento. Ora voglio sorridere e tornare da Satsuki, voglio suonare per lei-
Takumi vorrebbe invece seguitare a indagare, come se perso quell’istante non fosse più possibile averne un altro. Ma Satsuki aspetta e Ren ha smesso di piangere. Tutto dovrà essere rimandato a dopo la serata.

 

Camden Town è la zona di Londra che Naoki preferisce in assoluto; passa con disinvoltura da una bancarella all’altra, da un negozio all’altro, potrebbe ormai percorrere ad occhi chiusi lo Stables Market  senza stancarsene mai. Da dietro le lenti colorate degli occhiali il mondo di Naoki si è prodigato nel glam a dispetto di tutto il resto. In una giornata di nuvole come quella, grigia e alternata da brevi momenti di pioggia, le lenti rosa rendono il tutto una composizione degna della copertina di un album di Ziggy Stardust. Perché se il mondo si consegna grigio tu puoi decidere di guardarlo attraverso un paio di ray ban pink mirror e la giornata, a parere di Naoiki, può cambiare notevolmente.
-Reira guarda che meraviglia quella borsa psichedelica!- Naoki trascina Reira per  un braccio verso una vetrina super allestita, dall’interno un giradischi anni 70 inonda l’aria con la voce di Bowie “…perché possiamo essere eroi, solo per un giorno”  e quello per l’ex batterista dei Trapnest è un segno del destino.
-Sono più di due ore che mi stai facendo girare in mezzo a tutto questo. Avevi promesso che saremmo arrivati a Regent’s Park  e avremmo fatto merenda in riva al lago- Reira sbuffa esausta dalla confusione e dall’eccessivo entusiasmo di Naoiki.
- Trovo che un posto come questo sia molto meglio che deprimersi in un parco! Avanti respira l’atmosfera di Camden!- e Reira a quell’ennesimo rifiuto di accontentarla s’imbroncia come una ragazzina – l’atmosfera di Camden è uno specchietto per le allodole! Se credi di ritrovare l’autenticità degli anni settanta sei un ingenuo, Naoki. Qui è tutto in mano alla grande distribuzione e all’abbordaggio dei turisti. Se tu vuoi rimanere qui fa pure io mi avvio verso la Pagoda- e Reira non vuol sentire ragione tanto che, a malincuore, Naoki è costretto a raggiungerla ed accompagnarla lungo le rive del canale.
-A quest’ora il brindisi in onore di Satsuki starà per finire, a Tokyo è passata la mezzanotte. E’ un peccato tu non vi abbia mai partecipato, ormai è una ricorrenza-
Reira si ferma, lo guarda e non capisce se quell’uomo che le saltella a fianco dai tempi delle medie faccia veramente finta di non comprenderla o, insospettabilmente, nasconda un lato sadico che le riversa addosso con l’aria da bambino ingenuo.
-Mi prendi in giro?- Reira si stringe nel trench color carta da zucchero, d’improvviso sembra più piccola.
-Sto solo dicendo che ti stai perdendo un sacco di cose e da diversi anni- Naoki ora è serio, solleva gli occhiali ed il mondo cambia in un lampo, grigio di nubi stagliato a far da sfondo al pallore di Reira.
-Proprio tu dici questo! Tu che conosci bene ogni cosa, tu che fai da spola tra me e Nana senza mai…oh al diavolo! Vattene da tua figlia invece di esiliarti qui per comodità!- e quell’affermazione non lo lascia indifferente, stavolta non ci saranno “scusami facciamo pace”.
-Siete tu e Takumi quelli in esilio! Anzi a ben vedere sei tu quella che ci ha costretti in questa situazione!- e se Naoki si è pentito di quanto appena detto non lo da a vedere. E’ stanco di recitare la parte del giullare che assiste al casino nella vita dei suoi amici come una figurina a margine, come qualcuno a cui non dare importanza. Naoki ha sempre fatto dell’allegria la miglior arma ai cataclismi della vita, ma pare che nessuno abbia capito che da tali cataclismi Naoki non è assolutamente immune. Anche lui è cresciuto in una famiglia che ha disapprovato le  sue scelte, anche lui ha perso un caro amico in quel maledetto incidente! Ha visto naufragare il sogno di una vita esattamente come lo hanno visto Reira e Takumi, è stato solo ingenuo a sperare che quel sogno potesse ricomporsi e nascere a nuova vita. Ma agli occhi di tutti Naoki è sempre stato l’equivalente di un bambinone, una sciupa femmine che non spezza mai il cuore perché, andiamo, è troppo carino per avercela con lui! Le ferite degli altri hanno sempre avuto più valenza delle sue.
Reira muove le labbra ma è incapace di produrre alcun suono, il senso di colpa le si rovescia addosso nuovamente come una colata di cemento, la tiene immobile e senza appigli. Da tutti si sarebbe aspettata un simile rimprovero ma non da Naoki, Naoki che è sempre stato un sorriso di conforto e una carezza sulla schiena. Se ora anche lui la lapida che cosa le resta?
-So…sono la causa di tutto…è colpa mia se…- ma non riesce a proseguire e Naoki le si avvicina, la scrolla lievemente per un braccio animato da una rabbia che non conosce.
-Oh per l’amor di Dio Reira! Finiscila di piangerti addosso!- è un rimprovero fatto con lo stesso tono che un padre userebbe nei confronti di un figlio, eppure, Naoki si sorprende a pensarlo, non ha mai usato un tono simile con Momo-chan. Si tira Reira contro, l’abbraccia, le sussurra tra i capelli di stare calma, che non è colpa di nessuno se non  degli eventi se tutti loro sono barche alla deriva impossibilitate a raggiungere un qualsiasi porto. Reira trema, affonda il viso nel petto ampio dell’uomo, stringe gli occhi perché ogni nuovo pianto equivale a un’altra distruzione. Consolazione che il cielo abbia deciso di vomitare acqua in modo sempre più intenso, le persone attorno a loro corrono, si riparano con ombrelli e giornali, fuggono lasciandoli lì, immobili ad abbracciarsi. Non è lo stesso abbraccio che Ren le diede e che Reira non dimenticherà mai, non è nemmeno come l’abbraccio di Takumi, più sicuro e al contempo distaccato. No, l’abbraccio di Naoki è gentile, lieve come un fazzoletto passato sul viso, comprensivo di una comprensione costruita.
-Ho scritto una lettera, Reira-chan, ha parole tanto stupide e piene di false speranze. Ho sbagliato tutto anch’io, e non ho riflessi colorati nei quali potermi nascondere. Non più-.


Altro aggiornamento perché, non so, mi è venuto un po’ di getto e volevo ad ogni costo inserire un personaggio che nel presente dipinto dalla Yazawa sembrava essere scomparso ma che mi ha fatto chiedere: “ che fine ha fatto Asami?” ed ho azzardato una risposta. ^^”

p.s. ho usato qualche citazione iniziale ispirandomi ad un libro della Mazzantini.

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Capitolo 10
*** Vento di settembre ***


Non posso vivere solo di sogni! Se non posso incontrarlo morirò di solitudine”
“Non permetterò mai che questo accada”
-Reira e Takumi dal manga Nana-


*****
L’aveva spinta oltre la porta, due passi soltanto per poter lasciare il mondo al di fuori di quella stanza, due passi è quanto le sue gambe avevano potuto concedersi prima di lasciarla senza equilibrio, svuotata di ogni forza. Quante volte? Le chiedeva la testa, domandava urlando il cuore, quante volte? Troppe e troppe volte. Questa era la risposta. Troppe volte aveva immaginato, sognato, sperato. La prima volta, potrebbe ricordala come fosse ieri, era stata al secondo anno di liceo, quando non bastava più immaginare solo baci e carezze. Al secondo anno Takumi era ancora più bello e ancora più distante. Teneva per mano una ragazza che sotto l’uniforme non poteva nascondere di essere già una donna sbocciata,  così sicura, lo baciava davanti a tutti senza alcuna remora. Tanti spettegolavano, le ragazze più disinibite durante la pausa pranzo azzardavano ipotesi di incontri clandestini negli anfratti più defilati della scuola. Le mani di Takumi lungo quel corpo di donna, sorpassavano l’ingombro dei vestiti, raggiungevano punti proibiti, mani intrecciate, sospiri affannati, gemiti… tutto questo accadeva con un’altra. Reira resisteva impassibile finché non varcava il cancello di casa, finché sua madre truccata e vestita ogni sera con un abito diverso le diceva “ben tornata!La cena è in caldo. Non aspettarmi alzata”; doveva resistere ancora un po’ prima di potersi gettare sul letto, affondare il volto contro il cuscino gridando e piangendo. E mentre lei piangeva Takumi tradiva quel suo sentimento ancora e ancora e ancora…
C’era stata una prima volta anche per lei, certo. Mani gentili, calde parole rassicuranti. Yasu era così diverso da Takumi. E mentre aveva chiuso gli occhi e si era fatta baciare, spogliare con impaccio e imbarazzo su quel divano, la mente ancora l’aveva riportata ad immaginare un altro volto, un altro sorriso… un tipo di sorriso che non arrivava mai.
Takumi la stringe senza smettere di baciarla, Reira si aggrappa all’impermeabile, chiude con forza le mani sulla stoffa per assicurarsi che sia vero, non l’ennesimo sogno, l’ennesima illusione che svanirà con le prime luci del mattino. L’uomo che la sta baciando è lo stesso che Reira ama da ché ne ha memoria.  Ma non può essere possibile. Perché l’uomo che ama è sposato e presto avrà un figlio, un idillio nel quale lei non è ammessa. Eppure sono le sue braccia quelle che la adagiano sul letto, quelle che sussurrano “non ti lascerò mai sola” , e se c’è pietà in quell’affermazione Reira non vuole coglierla, non desidera più guardare tra le pieghe di quel momento. Quelle sono le carezze, il tocco caldo che voleva, quelli sono gli occhi che la guardano, così immersi nei suoi che le sembra di non poter più respirare. La libera dell’accappatoio e Reira copre con improvviso pudore il seno, stringe le gambe bianche scatenando un sorriso di tenerezza sul viso di Takumi; la principessa dei Trapnest teme il confronto con le altre donne, quella sicurezza, quella sensualità che non possiede, quella capacità a lei sconosciuta di soddisfare un uomo . Reira ha solo il suo amore e una disperazione che si trascina dietro da troppi anni. Takumi le bacia le lacrime, sussurra ancora qualcosa che lei, assordata dal rumore del proprio cuore, non riesce a comprendere. Conosce ogni cosa di Takumi, le sue espressioni, la sua collera, la sua indifferenza, conosce il suo passato ed il suo presente…eppure quando anche il suo corpo è nudo, quando si adagia sul suo premendosi con delicata irruenza, tutto questo è una cosa così nuova, così diversa da qualsiasi sogno mai fatto poiché vera, reale, capace di annientare tutto il resto. Reira risponde a quel contatto con un ardore che non credeva potesse appartenerle, quell’amore così disperato che la porta a stringere fra le dita, con forza, i capelli scuri di lui, premere la sua bocca contro la sua come fosse l’unica fonte di vita. E allora si disintegri il mondo! Cada e si rompa! Tutto ha cessato di avere importanza, tutti facciano quel diavolo che vogliono! L’universo possa frantumarsi! Ci sono solo loro due, amanti pieni di colpe e di biasimi, non importa! A Reira non importa. Vuole solo quel momento, le spetta di diritto, lo ha atteso, desiderato, l’uomo che ama solo per lei, qui e adesso
.
*****

-Reira-san ma che bel pacchetto!- Mari ammira la carta pregiata con la quale Reira ha avvolto il regalo.
-Grazie Mari-chan, ho trovato questa particolare carta in un negozio di Neal’s Yard. Girando per Londra si scoprono sempre posti nuovi.-
-Cosa contiene?- domanda curiosa quell’amica che, nonostante tanto tempo passato insieme, non smette di chiamarla “Reira-san”.
-Un cappello all’ultima moda. Penso piacerà a Satsuki. Mi auguro solo che arrivi in tempo, avrei dovuto spedirlo prima- commenta rammaricata finendo di aggiustare il fiocco –il fatto è che non  avevo pensato di regalarle nulla, come me ne fossi dimenticata. Sono stupida, vero Mari-chan!? Avrei dovuto comprarlo prima e darlo a Takumi, non spedirlo ora con la certezza che arriverà dopo il compleanno-
-Non importa, Satsuki sarà felice ugualmente. E’ insieme alla sua famiglia, ai suoi amici, sono certa non farà caso al fatto che il regalo arrivi con qualche giorno di ritardo-
-Già, Mari-chan, non ci farà caso- Reira sorride, un sorriso che non arriva agli occhi.


Satsuki si abbandona stremata sul copriletto toile de jouy, nonostante la stanchezza gli occhi le brillano ancora per l’emozione della serata. Libera i capelli dai nastri, li lascia cadere pesanti e scomposti sul cuscino, spalanca la braccia e sorride.  Una serata magica, si dice rivivendo gli attimi fotogramma per fotogramma. E non è ancora il mio compleanno! Satsuki ride, sospira nuovamente, tutti gli occhi erano per lei, tutti i sorrisi, tutto l’affetto. Ed il momento magico in cui suo padre e Ren, armati di chitarra, le hanno dedicato la sua canzone preferita. Ren così bello, suo padre sempre affascinante mentre con quella voce calda cantava “…I can’t do anything but I’d do anything for you…I can’t do anything except be in love with you…” e Satsuki si era ritrovata le lacrime a dipingerle gli occhi, tutti erano rimasti in silenzio, l’atmosfera era così intima e unica. Sua madre le aveva stretto la mano mentre a sua volta guardava suo figlio e Takumi creare quella magia, così orgogliosa e commessa da singhiozzare come una ragazzina. Satsuki aveva rivolto lo sguardo a Shin, seduto accanto a Mai, guardava quel duo con una sorta di intricata ammirazione, e Satsuki per un istante aveva immaginato la sala vuota, la musica accarezzarla mentre Shin la faceva ballare e le diceva “sei così bella Satsuki”. Il cuore aveva perso un battito a immaginare una scena simile. Poteva osare sperare? C’era qualcuno più speciale di lei nel cuore di Shin? Anche lui aveva conosciuto un amore travagliato come quello della canzone? Satsuki stringe al petto il grosso coniglio di peluche che Yasu le ha regalato. Né Namura né Hiroki  possono competere con Shin. E Satsuki vorrebbe dirglielo, vorrebbe dirgli: “aspettami Shin perché crescerò in fretta, aspettami perché diventerò la ragazza per te, e ti amerò Shin, è così facile amarti…lo faccio da sempre” arrossisce affondando il viso contro il pelo bianco e azzurro del coniglio.

Ko sei sveglia? Non riesco a prendere sonno (>_<)!”
“Lasciami immaginare di chi sarà mai la colpa! XP”
“Domani dovrai stare a sentire tutto quello che ho da dirti capito!”
“Farò questo sacrificio^^” Ora dormi Satsuki sono le 2 @_@!!!Buona notte”
“Buona Notte :*”


Hachi libera i capelli dallo chignon, si aggira scalza nel suo abito da sera per richiudere tutte le sovra tende del salone. La serata è riuscita bene, anche meglio delle aspettative che si era proposta, tutti sono stati bene o perlomeno così è sembrato, nonostante tutto. Anche lei è stata bene, immersa in quel contesto era arrivata anche a dirsi che tutti gli sbagli e gli eventi del passato non contavano più, che prendersela troppo a cuore non risolve nulla ecc. ecc.
Un mantra che aveva funzionato per almeno mezzora.
Takumi la raggiunge di lì a poco, siede sul divano  abbandonandosi sopra con un sospiro liberatorio –i nostri pargoli sembrano dormire tranquilli nelle loro camerette- dice abbozzando un sorriso da papà soddisfatto. Hachi lo spia di sottecchi, ha un colorito migliore da quando è tornato in Giappone, un aria più serena.
-Vuoi che prepari del tè?- azzarda lei con impaccio. E’ la prima volta da quando lui e Ren sono tornati che Hachi si ritrova sola con suo marito.
-No ti ringrazio, ho buttato giù abbastanza roba liquida stasera. Rimango qui un istante e poi vado a dormire-
-Il letto nella stanza degli ospiti non è molto comodo, sono settimane che mi dico di far cambiare il materasso e poi finisce che puntualmente me ne dimentico-
Takumi alza le spalle –non fa nulla, io ad addormentarmi non ho mai avuto problemi- lo sguardo si sofferma su Hachi, fasciata in quell’abito color indaco, le guance un po’ arrossate. Takumi sorride con tenerezza e questo non le sfugge.
-Che c’è? Hai qualcosa da ridire sul mio abbigliamento?- sulla difensiva Hachi pronta a sentirsi dire che il vestito stringe sui fianchi o rimane largo sul seno.
Takumi alza entrambe la mani come un criminale davanti ad un poliziotto armato – non mi azzarderei mai!- ride –anzi stavo pensando che ti sta molto bene. Ricordo perfettamente il giorno in cui te l’ho regalato. Sembravi una bambina la notte di Natale-
Hachi ricambia il sorriso, siede a sua volta sul divano, lasciando uno spazio vuoto tra lei e l’uomo che solo le ha mai messo un anello al dito.
-Avevamo appena avuto Ren, mi pare fossero passati appena quattro  di mesi. Era così piccino che temevo sempre potesse cadermi o rompersi come fosse stato di cristallo. Ero davvero una madre impacciata, al contrario tuo. Lo prendevi in braccio con una sicurezza tale che sembrava l’avessi sempre fatto-
Takumi segue il medesimo ricordo – non so perché, mi è sempre venuto naturale, come se fin da principio il mio compito fosse stato quello di proteggerlo, non credo di aver mai sentito una sensazione tanto forte-
Nemmeno Hachiko ricordava di aver mai provato sensazioni simili.  Il giorno che Takumi aveva ricordato era uno dei tanti cristallizzato nelle mente di Hachi. Una sera di settembre, l’aria ancora tiepida, le finestre aperta sulla sera illuminata di Shirogane. Nella camera a fiorellini, la culla bianca al centro, Hachi rimirava il suo bambino. Un fagottino di capelli nocciola, le manine strette a pugno, la boccuccia socchiusa al sonno. Non aveva mai immaginato si potesse amare tanto qualcosa ed esserne al contempo terrorizzati.


From Hachi
To Nana

Nana, sono qui circondata dalle cose della mia vecchia stanza e guardo il mio bambino.
Ho il cuore che mi batte forte e sono felice tanto quanto ho paura.
Non sono arrabbiata perché non sei venuta in ospedale.
Te lo scrivo da mesi e continuerò a farlo.
Ren è così bello e vorrei tu venissi qui a vederlo.
Vorrei tu venissi qui a dirmi che andrà tutto bene.
Ti prego Nana.

-Appena possibile però questa carta da parati la cambiamo- Takumi le era scivolato silenziosamente alle spalle, tanto che nel sussulto Hachiko aveva lasciato cadere il cellulare. Takumi l’aveva fissato un istante e nei suoi occhi era apparso qualcosa, un’espressione rapida che Hachi non avrebbe saputo decifrare.
“Crederà che abbia scritto a Nobu?”
-Si, ho chiamato Jun e ha detto che se vogliamo personalizzerà lei le pareti della stanza-
-Vieni di là con me un attimo- le aveva detto in tono neutro –Ren dorme puoi staccarti da lui per qualche minuto-
-Ma se si sveglia e non mi trova accanto!?-
-Lo sentiremo di sicuro. Ora vieni-
L’aveva accompagnata in salotto, sul tavolino in cristallo c’era un grosso pacco. Takumi l’aveva incoraggiata ad aprirlo ed Hachi non se lo era fatto ripetere, con la stessa curiosità bambina che da sempre la caratterizzava, aveva rimosso con frenetica gentilezza la carta panna ed il nastro di raso. Aprendo la scatola la bocca le si era spalancata e gli occhi lasciavano intendere che quel dono era più che gradito. L’abito color indaco firmato, quello che aveva visto in una delle innumerevoli riviste sfogliate nella solitudine di quell’enorme appartamento, proprio quell’abito sulla quale aveva fantasticato, ora era lì davanti  a lei, per lei.
-Omioddio!- l’aveva tolto dalla scatola con la stessa reverenza di una sacerdotessa davanti a qualche sacra reliquia –allora  te ne ricordavi!? Omioddio!- e la gioia di Hachi aveva contagiato anche Takumi, non fosse stato che un istante dopo gli occhi della sua mogliettina si erano riempiti di lacrime e le labbra si erano piegate in una smorfia.
-Sei crudele!- aveva esclamato inginocchiandosi a terra con il vestito stretto al petto – Un mostro!-
E Takumi incredulo aveva dovuto dare la colpa ad ormoni eventualmente non ancora smaltiti per giustificare una scena tanto assurda.
-Non ci entrerò mai!- eccola la frustrazione.
-Beh ora come ora no di certo, ma io invece lo prenderei come incentivo per rimetterti in forma. Ad essere onesti te l’ho regalato proprio per questo-
-Demonio!- aveva brontolato lei recuperando dopo poco un po’ di compostezza. Il siparietto pareva terminato, Hachi esausta si era abbandonata sulla poltrona, lo sguardo un po’ assente e le mani strette l’una all’altra appoggiate in grembo.
- Nana andrà tutto bene- Takumi le aveva poggiato una mano sulle sue, il tepore di quel contatto l’aveva rasserenata, così com’era accaduto quando lui si era offerto di riconoscere il bambino. – Non gli faremo mancare nulla, faremo di tutto perché cresca sereno-
Hachi aveva annuito – spero sia così. Voglio essere una super mamma ma…- si era addossata a lui, ancora una volta si aggrappava a quell’uomo che l’aveva salvata dalla sua incapacità di imboccare il sentiero giusto. Almeno questo era quello che si sentiva di dover credere.
-Hai affrontato tutto questo a testa alta, sei stata bravissima nonostante tutto quello che è successo, Nana, io sono sicuro che sarai un’ottima madre- e Hachi l’aveva baciato, supplicandolo con il cuore di non abbandonarla mai, di salvarla ancora e sempre.
-Satsuki- aveva mormorato contro il petto di Takumi –Satsuki era il nome che Ren aveva scelto. Ero così certa sarebbe stata femmina- e Takumi non comprende se Hachi parla con il rammarico di chi non ha potuto mantenere una promessa o se la sua è solo malinconia passeggera
.

-Non è stata quella notte che abbiamo concepito Satsuki, giusto?- Takumi ridesta Hachi dai ricordi, lei lo osserva per un istante, sovrappone l’immagine del passato con quella attuale, ne ricrea i contorni e li rende tangibili.
-No, non quella notte. Satsuki è stata concepita il sette settembre. Figurati se potevo scordarlo-  ride malinconica Hachi.
-Ed ora ha quindici anni… cavolo sentici siamo proprio come due vecchi genitori!- sbotta Takumi –non avrei mai pensato che un giorno sarei arrivato a detestare il passare del tempo-
-Fin che si è giovani il tempo è un concetto relativo- Hachi assume un’aria professorale che non può che scatenare ilarità.
-Ad ogni modo abbiamo due splendidi figli. Satsuki è sempre più bella e vitale e Ren…hai sentito come suona quella chitarra!? Eccezionale!- e l’orgoglio accende gli occhi di Takumi come una miccia improvvisa.
-So bene che ha talento, lo ha sempre avuto fin da piccolo. Stasera non ho potuto fare a meno di piangere, inorgoglirmi e al contempo rimpiangere quando lo cullavo cantando la samba della coccinella- una piccola pausa prima di affrontare l’argomento che la tormenta – ti ha detto qualcosa?-
-Takumi scuote il capo –No, qualcosa lo blocca a confidarsi con me-
Hachi prende coraggio –Takumi… stavo pensando che…se fosse Nobu a tentare di parlare con lui?-
-Nobu!?-  e Hachi lo sa che è collera quella che piega le labbra di Takumi in una linea sottile.
- Nobu ci sa fare, è abituato a parlare con ragazzi giovani, alla Live House gestisce un sacco di ragazzi con delle difficoltà. Inoltre sai che tiene a Ren, è stato il primo ad insegnarli a tenere in mano una chitarra e …-
-E cosa!- Takumi abbandona il divano, si alza in piedi incapace di contenere il nervosismo.
-Lo dico solo per il bene di Ren, non ha niente a che fare con quello che credi tu-
-Davvero?! E allora perché non Yasu? Onestamente lo trovo molto più adatto ad affrontare problemi o prendersi delle responsabilità a differenza del tuo Nobu-
Hachi si alza a sua volta –Io voglio solo sapere cosa succede a mio figlio, questo non ha nulla a che vedere con me, te o Nobu!-
-A me pare proprio il contrario! Se vuoi il bene di Ren potevi pensarci prima, Nana-
-Che…che vuoi dire?! Devi rinfacciarmi qualcosa? Proprio tu!- Hachi è paonazza, da quanti anni rimandano quel confronto?
-Sia chiaro Nana, a me non importa con chi vai a letto o che genere di relazione hai con lui ma capisco quel che stai cercando di fare e se credi me ne starò buono in un angolo a guardare ti sbagli-
-Certo che non te ne importa! Te ne fosse importato ora non vivremmo ognuno all’altro capo del globo ed io non dovrei aspettare mesi per poter vedere insieme i miei figli-
-Ti ho proposto mille volte di venire a vivere a Londra!-
-Certo! Io insieme a te e Reira! Il tuo harem giusto!?- Hachi barcolla, torna a sedere sul divano, il respiro le manca, gli occhi le bruciano ma stavolta non darà la soddisfazione di piangere ancora. Non davanti a lui.
-Mi hai chiesto un parere Nana, e la mia risposta è no, non voglio sia Nobu a parlare con mio figlio. Buonanotte-
-Tuo figlio…Nobu potrebbe avere gli stessi tuoi diritti, Takumi-
Ed ora Takumi è immobile, incrocia gli occhi della donna che ha sposato, soppesa il veleno di quelle parole quasi incredulo del fatto che siano potute uscire da quelle labbra.
Nobu può avere i suoi stessi diritti? No, non li ha!
Takumi lo pensa ma non ribatte, si allontana, lascia il salotto, lascia la donna che ha sposato su quel divano, la mano premuta sulla bocca per non far udire i singhiozzi che ora non può più trattenere, le lacrime che non smettono di percorrerle le guance. Come con quei bicchieri con le fragole di tanti anni prima, Hachi raccoglie per l’ennesima volta i cocci rotti della sua vita.

Note: la prima parte è venuta spontanea, fa riferimento alla scena del manga in cui Takumi “consola” Reira e mi sono sempre chiesta che cosa abbia provato lei in quel momento, un momento che sicuramente ha atteso una vita. La canzone che ho fatto cantare a Takumi è “Romeo and Juliet” dei Dire Straits  , che essendo una canzone che mi piace molto ho finito per farla diventare la preferita di Satsuki. Certo gusti un po’ demodé per un’attuale adolescente però mi sono detta che Satsuki è praticamente cresciuta in mezzo alla musica e quindi abbia una visione piuttosto ampia in materia ^^”

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Capitolo 11
*** Bang Bang ***


Le luci dei riflettori colorati si spengono sopra la sua testa, un buio improvviso che nel giro di pochi istanti lascia spazio a fredde luci biancastre. Le telecamere si riposizionano, il via vai sotto al palco vocifera, sposta oggetti, non si cura più di lei. Asami si stringe le braccia al petto, il suo vestito colorato sembra l’unica nota viva in quel set di poche pretese. Scende dal palco, il manager l’affianca ma intanto parla al telefono, non la guarda, sembra risentito. Una volta chiusa la telefonata le comunica con voce secca e distante che alla fine della settimana Asami dovrà trovarsi un altro lavoro, il suo show è stato cancellato. “Il mondo delle Idol è troppo competitivo, Asami. Inoltre  qualcosa in te sembra non piacere al nostro target di pubblico e noi non possiamo permetterci di deludere i nostri spettatori. “ Così aveva detto di riferire il presidente, con la stessa nonchalance con cui si chiede a qualcuno di portare fuori la spazzatura, per loro Asami era una bambolina come ce ne sono mille, una di quelle con il meccanismo a molla che cantano e ballano ma valgono pochi yen. Non gliene importa niente che sotto il leggero vestito rosa shocking, sotto la piccola armatura di ossa, l’anima di Asami si stia sgretolando in frammenti sempre più piccoli.
“Mi dispiace, Matsumoto-san, lo sai che ti sono affezionato e cercherò di trovarti qualche altro ingaggio. Purtroppo per il momento sarò molto occupato per il lancio di un nuovo idol, Hiroshi Miyamoto, un ragazzo di incredibile talento. Ma se dovesse saltar fuori qualcosa…”
E Asami guarda le labbra del suo manager muoversi, emettere parole che lei afferra qui e là e che sanno solo di “è stato bello ma ora non sei più utile, arrangiati.” Lui la fissa ancora, poi sorride, le si avvicina, si accosta a lei sfiorandole il seno “però, lo sai, ci sono altri sistemi per entrare in questo tipo di settore.” Accenna a toccarla e Asami si ritrae, il corpo è gelido, le lacrime le bruciano gli occhi ma lei è orgogliosa, oh sì che lo è! In quel momento deve esserlo, deve tenersi premuta contro, a pugni stretti,quella dignità che sola le resta.  Gli alti palazzi dello studio televisivo sono giganti grigi lasciati alle spalle in uno scrosciare di pioggia, e lei è infagottata in un cappottino leggero, fradicia e con pochi soldi rimasti, basteranno ancora per un mese di affitto, e poi? Asami ha diciassette anni e nessun posto in cui tornare. Casa è una costruzione tradizionale, abitata da una famiglia severamente  tradizionale che l’ha ripudiata già da tempo. Che direbbe suo padre se la vedesse così, con quel vestitino scollato nascosto a malapena da un cappottino  piumato?  Quel padre padrone che ha visto disonorato il suo sacro tempio di immacolata perfezione. Asami si asciuga con rabbia gli occhi, lascia che la pioggia lavi via quel malessere nero che le invade il petto come qualcosa di denso e soffocante. “Scendi pure pioggia, scroscia su di me sempre più forte! Regalami una febbre talmente alta che mi impedisca di pensare,di soffrire pateticamente per tutto questo.”


“Juliet says, hey it’s Romeo, you nearly gave me a heart attack, he’s underneath the window, she’s singing, hey la , my boyfriend’s back…”

-Pare che siamo allegre stamattina-
-Oh eccome! Ho quindici anni!- Satsuki saltella, ha superato definitivamente la porta dell’infanzia per entrare nel fantastico mondo delle serie tv adolescenziali con amori all’orizzonte, melodrammatiche sofferenze e sentimenti vari talmente amplificati da darti il capogiro.
- E’ così entusiasmante crescere?- domanda Ren mentre l’aiuta a tenere una grossa borsa con dentro una scatola da pasticceria con misure non certo modeste.
Satsuki lo guarda sottecchi, stavolta non si farà rovinare i piani dal quel lunatico di suo fratello, sbuffa appena e poi con un sorriso pieno risponde con un semplice –la vita è entusiasmante, Ren!- e lui non può fare altro che fare chapeau alla vitalità che Satsuki emana e che, suo malgrado, finisce per contagiare chi le sta intorno.
-Piuttosto non capisco perché tu non voglia festeggiare il tuo di compleanno!- borbotta – è triste-
Ren scrolla le spalle – Non è triste è solo che…non lo so… vedo il compleanno solo come una meta per essere sempre più vicini all’indipendenza, e questo mi piace ma lo considero un dato di fatto non qualcosa che merita una torta con candeline.-
Satsuki scuote il capo –Sai di essere senza speranza, vero?-
Ren ride – ne sono pienamente consapevole. Comunque i miei compagni della band mi hanno festeggiato, abbiamo bevuto alcolici sottobanco e la sera papà mi ha portato fuori a cena in un locale assurdo di Shoreditch. Dovresti vederlo Satsuki, è una street art infinita!-
Satsuki si rabbuia davanti all’improvviso entusiasmo del fratello – ed il fatto che né io né mamma fossimo presenti a te non ha fatto effetto…-
Ren rischia di far cadere il sacchetto – lo sai che non è così, abbiamo fatto la telefonata più divertente mai esistita direi- ma la cosa non ha nulla di consolante.
-Come se fosse la stessa cosa- Satsuki rallenta il passo – quel giorno io e mamma abbiamo fatto i koinobori, mettendo il tuo in cima, anche sopra a quello di papà, aveva dei colori bellissimi. Lo abbiamo messo sul terrazzo, di lontano si vedevano i fuochi d’artificio, come se quella celebrazione fosse solo per te. Ho gridato “buon compleanno Ren” così forte che d’un tratto ho creduto che la mia voce potesse superare oceano e continenti e arrivare fino a Londra da te.- gli occhi di Satsuki sono un po’ lucidi ora – vorrei capire perché sei così arrabbiato con il mondo, Ren. Davvero lo vorrei.-
-Satsuki…- ed ora Ren la guarda con aria colpevole, indeciso se stringerla forte e dirle che gli dispiace, gli dispiace davvero, che ci sono ombre dalle quali non riesce a scappare, domande che ha paura di porre e che lo fanno ritrarre, nascondere dietro corazze da poco. Ma Satsuki lo solleva da tutto questo riprendendo a camminare –non voglio essere triste oggi, e non devi esserlo nemmeno tu. Promesso?-
-Promesso- il sorriso di Ren è bello, si confonde con i raggi del sole e Satsuki se ne sente riscaldata. Quando giungono davanti alla palazzina Satsuki fa un bel respiro –Sali con me? Sono sempre un po’ impacciata in certe situazioni- arrossisce e Ren la rassicura di rimando.

Quando il campanello suona Asami sussulta, ha appena finito di riporre il bucato, i capelli le scendono disordinati sfuggendo alla presa labile del fermaglio. Momo-chan contempla un manga per bambini e sembra non essersi accorta del suono del citofono. Asami guarda lo schermo della piccola telecamera, deglutisce e volge un’occhiata a sua figlia. Senza rispondere preme il pulsante nero, lo preme con forza e può immaginare il suono di scatto, il cigolio della porta d’ingresso, i passi nell’androne e poi lungo le scale. Conta fino a dieci, toglie il fermaglio e ravviva alla meno peggio i capelli, sfodera il miglior sorriso ed apre la porta.
-Ichinose-chan!- esclama in realtà senza nemmeno guardare la ragazza che un po’ impacciata tende a nascondersi dietro le spalle del fratello maggiore, – ci sei anche tu Ren, è tantissimo che non ti vedo! Sei davvero cresciuto!- sembra che il tono di Asami sia volutamente squillante, Momo-chan si ridesta, lentamente si alza per poi realizzare chi è venuto a trovarla.
-Sa-chan!- le corre incontro e Satsuki sembra rilassarsi quando la piccola di casa l’abbraccia con decisione .
-Sono così contenta che tu sia venuta a trovarmi e…- la bambina si blocca, piroetta su stessa e scompare lungo il corridoio lasciando Satsuki e Ren ancora sulla porta.
-Prego entrate, perdonate il disordine, ho ancora molte cose da riordinare.-
-Perdonaci tu Matsumoto-san, siamo venuti qui senza alcun preavviso- si scusa Satsuki – volevo portare questa torta a Momo-chan-
-Non dovevi certo disturbarti, ma ti ringrazio è una sorpresa gradita- Asami si china un poco verso di lei baciando l’aria accanto alle sue guance –tanti auguri Satsuki-chan!-  e Satsuki è lieta che la donna si rivolga a lei in modo più confidenziale.
-Preparo del buon tè!- e di lì a poco Momo-chan rispunta con in mano un pacchettino colorato che pone a Satsuki con la solennità con cui si pone un gioiello prezioso –per te Sa-chan! Buon compleanno!-
C’è un entusiasmo infantile in tutto quello che si sussegue; Satsuki che apre il suo regalo, la collana di perline con il pendente a stella, il suo sincero abbraccio a Momo-chan, le loro chiacchiere vivaci sul sofà mentre sorseggiano il tè di sicomoro e mangiano i cookies colorati. Asami le osserva seduta al tavolo del soggiorno, di fronte a lei Ren fa lo stesso. Commentano la vivacità delle due ragazzine, la calura afosa di Tokyo ed il tempo inclemente di Londra. Ren parla scorrevolmente, con una confidenza distaccatamente  reverenziale che Asami si dice aver imparato probabilmente da Takumi. Di tanto in tanto prova ad osservarlo, ad indovinare i tratti della madre e soprattutto quelli del padre…ma il dolore di scoprire qualcosa che non le piacerebbe le punge lo stomaco come uno spillone rovente.
-Scusa per questa irruzione Matsumoto-san,-  Ren la ridesta dai suoi pensieri  - ma Satsuki ci teneva molto a vedere tua figlia.-
Asami sorride – te l’ho già detto, non è affatto un disturbo. E ti prego non chiamarmi Matsumoto-san, mi fa sentire una vecchia megera-
Ren arrossisce lievemente ed Asami non può fare a meno di chiedersi se quel ragazzo educato ma dall’aria impertinente pensi al suo passato, a Yuri Kosaka e tutto quello che rappresentava. Asami sa che la sua è paranoia, sa che in realtà lo spettro di Yuri perseguita lei e soltanto lei.
-Siete cresciuti molto entrambi- dice quasi malinconicamente cercando di non badare allo scorrere del tempo che giorno dopo giorno cambia i suoi tratti e la lascia in disparte dal mondo –tu in particolare, hai lo sguardo già adulto. Quella metamorfosi che tocca tutti durante l’adolescenza, qualcosa di malsanamente Kafkiano non trovi!?- che ne pensi ragazzino, ti piace questa citazione falsamente intellettuale di un ex attrice di film per adulti? Asami morde il pensiero e sorseggia altro tè.
- In realtà non mi sento molto cambiato, in un certo senso credo di essere stato un po’ “vecchio” anche da bambino-
-Accidenti Ren, se avessi un bel po’ di anni di meno probabilmente ti corteggerei, sembri più maturo di un uomo fatto e finito. O perlomeno più maturo degli uomini con cui ho avuto a che fare io- Asami sospira teatralmente – avrai un sacco di corteggiatrici- strizza un occhio e si diverte a vedere l’ingenuità di Ren ricomparire sotto il mantello della parvenza troppo adulta.
-Sì ma ultimamente ho altro per la testa- ed il giovane Ichinose si rifugia nel liquido ambrato per non essere costretto a proseguire quella linea di conversazione.
Asami sorride con tenerezza e prima di accorgersene si ritrova Momo-chan addossata contro, la bambina le schiocca un bacio sulla guancia prima di richiedere a gran voce il taglio della torta. Asami segue il suo ruolo di brava mamma, sistema i piattini, posate, fa sedere Satsuki a capotavola, pone la torta davanti a lei e Momo-chan che scalpita nel vedere quella composizione di cioccolato creata dalla migliore cake designer di Shirogane . E’ impeccabile Asami in quei movimenti automatici, mentre applaude all’affondo del coltello nella glassa, canta tanti auguri e dispone le fette di torta nei piatti, la torta di Satsuki Ichinose, la figlia di Nana Komatsu. Vorrebbe ridere Asami, perdersi in soliloqui sull’ironia amara del destino, ma deve tenere duro e sorridere fino alla fine della giornata.

 

Bang bang, he shot me down
Bang bang, I hit the grown
Bang bang, that awful sound
Bang bang, my baby shot me down


“resta sempre accanto a me”

Asami non sa quando ha provato una sensazione simile, forse mai. Ci si dovrebbe ricordare di un baratro che ti si apre sotto i piedi e ti inghiotte, no? Nemmeno quel giorno fuori dallo studio televisivo, quando le avevano dato il ben servito, si era sentita così. Rimane in piedi, ferma, in quella stanza piccola che odora di pasti consumati in fretta e di detergente per corde di chitarra. Lui sta appoggiato alla finestra, non la guarda, tiene il viso puntato in direzione del cielo sporco oltre il vetro; ha i capelli bagnati da una doccia veloce, gocciolanti sulle tempie in piccole ciocche più scure. L’unica nota di colore è la scritta magenta sulla maglietta dei Clash.
-Lo sai è molto difficile per me- le sta dicendo, quel tono un po’ afflitto, pacato ma convinto, e Asami è tentata di premersi le mani sulle orecchie e dirgli di tacere, di non andare oltre. Difficile? Cosa significa difficile?
Nobu ora la guarda, e la guarda negli occhi ma forse non la vede, non davvero. E’ arrabbiato per la sua ultima scenata di gelosia? Per come lo ha colto a guardare la moglie di Takumi, per come i loro occhi finiscono sempre per incontrarsi, sfiorarsi, per come la presenza di quella donna fa variare il suo umore, lo porta distante e lei si ritrova a diventare nulla più che un corpo per sfogarsi. Yuri Kosaka certo. Yuri Kosaka anche per lui.
-Non può più andare avanti tra di noi Asami, mi dispiace- ed è come se lui le avesse puntato contro la pistola e avesse preso perfettamente la mira sapendo esattamente in quale punto sparare. Bang Bang. La ringraziamo signorina Matsumoto, le faremo sapere. Scartata ancora, Asami, scartata ancora dalla vita, dall’uomo che le ha scritto, solo poche settimane fa, quel messaggio “resta sempre con me”. Così ha scritto, è certa di non averlo sognato, è lì sul display del telefono, basta accenderlo ed è lì.
-E’…è per il contratto?...Non lo manterrò! Recederò oggi stesso, non mi importa se dovrò pagare, se questo mi chiuderà ogni porta del mondo dello spettacolo, non me ne importa niente!-
Nobu scuote la testa – ti ho già detto che quando si prende un impegno è da professionisti rispettarlo fino alla fine.-
Trema Asami, lei non è forse un impegno? Un impegno che lui non ha intenzione di rispettare.
-Se è il mio lavoro il problema…- Asami tenta ancora, non gliene importa nulla di Yuri Kosaka, lei in realtà detesta Yuri Kosaka, detesta la meccanicità di quegli atti senza amore, un amore che Asami credeva di non poter mai conoscere fintanto che quel ragazzo con la chitarra non è entrato nella sua vita. Ed ora? Ora vuole distruggerla così? Lasciarla così?

-Te l’ho sempre detto Asami che il tuo lavoro non è mai stato un problema per me-
Non conta niente che tu venga toccata da altri uomini, a lui non importa. Ma ora realizza che non è per amore, non è perché Nobu sa scindere Asami da Yuri, no. E’ perché Asami Matsumoto non è Nana Komatsu. La verità improvvisa di quella considerazione le fa stringere gli occhi. “Non piangere Asami, non davanti ad un uomo, non davanti all’ennesima bugia di un uomo”  la testa lo grida ma quello che stritola il cuore è ben diverso, più forte e non arginabile.
-Già, non è mai stato un problema. Nemmeno il fatto che io abbia firmato il contratto per te  è mai stato un problema, dopotutto ti ho assicurato un alibi, una via di fuga. Se avessi lasciato tutto per amore sarebbe stata una complicazione troppo grande per te, vero?!-
Nobu è stagliato contro quel vetro, quel cielo cupo, un giudice che ha proclamato la sua sentenza, ed il suo silenzio è più eloquente di qualunque discorso.
“Resta sempre accanto a me”
Che beffa! O è colpa di quella donna? Se quella donna non fosse rispuntata così prepotentemente lui l’avrebbe lasciata ugualmente?
Asami non può dirlo ma è chiaro che il suo è un amore a senso unico, che per Nobu la tenerezza e l’affetto dati non hanno nulla a che vedere con un sentimento ben più complesso. E lei forse lo ha sempre saputo . Fissa un istante il soffitto, reclina la testa all’indietro come se con quel gesto anche le lacrime potessero rientrare nel disgraziato mare dei suoi occhi nocciola. Controlla il respiro e chiede a Yuri di aiutarla, di prendere il posto di Asami, Asami nuda dei suoi sentimenti, e rivolgersi a quell’uomo che la fronteggia muto con lo stesso scherno di cui solo Yuri è capace. Può fingere, certo che può! Chi meglio di lei può?!
-Come ti pare. Sei consapevole che il fatto che lei sia qui non ha nulla a che fare con te?! Lei è qui per Nana!-
Forse ora Nobu è pronto a ribattere ma lei non permetterà questo lusso. A lei ora i riflettori, a lei ora la scena madre.
- E poi tornerà da Takumi. Come darle torto, dopotutto. Un uomo è molto meglio di un moccioso che non sa fare altro che piangersi addosso. Un uomo che sa prendersi delle responsabilità è molto meglio di uno che fugge, si convince di essere la vittima e per passare il tempo inganna un’altra persona per sentirsi meno miserabile di quello che è. Non è certo stupida la moglie di Takumi!-

Ed ora che la rabbia infiamma lo sguardo di Nobu lei dovrebbe sentirsi vittoriosa; lo ha ferito, lo ha ferito terribilmente,  ne è consapevole e dovrebbe sentirsi appagata. Ma Asami ama Nobu. Lo ama per davvero, ama quella sua innocenza, quel suo sorridere nonostante tutto, quel suo dare incondizionato anche a coloro che non lo meritano.  E lo odia perché non le lascia possibilità, perché non accetta quell’amore che lei disperatamente avrebbe offerto senza remore. Era nato tutto come un gioco, è vero. Sedurre il biondino dei Blast, annientare la noia del dormitorio, flirtare con altri e stuzzicarlo. Ma Nobu era diverso. Nobu era un nuovo mondo che Asami, nel fittizio scenario della sua vita, non aveva mai conosciuto. Nobu era la possibilità di cambiare, la possibilità di essere migliore.
-Dì qualcosa maledizione!- urla nuovamente priva di difese e se la rabbia di Nobu si è trasformata in compassione questo lei non lo vuole vedere.
-Mi dispiace, Asami-
E quel mi dispiace è peggio di qualsiasi furioso litigio, un “mi dispiace” non lascia margine di speranza. Si volta Asami, allunga una mano verso la maniglia della porta con l’impeto di chi esce da un’uscita di sicurezza durante un incendio; tutto è così surreale e ovattato che riesce appena a sbatterla alle spalle e percorrere pochi metri del corridoio prima di abbandonarsi contro una parete.



Note: Dunque, so che forse in questo capitolo ci si sarebbe aspettati un proseguo del precedente ma ci tenevo che a questo punto anche la carta Asami venisse svelata.
Ovviamente non sappiamo nulla delle reali intenzioni della Yazawa riguardo questo personaggio ed il suo rapporto con Nobu, ma dato che nel presente Asami non ci viene mai mostrata tutto lascia intendere che le cose tra i due siano finite. Mi sembrava più logico fosse Nobu a interrompere la relazione dato che, visto anche l’ultimo numero del manga, è palese che sia innamorato di Hachi e che l’affetto provato per Asami non sia equiparabile. Mentre credo invece che Asami ami realmente Nobu, mi sembra piuttosto evidente ^^”. E qui ho voluto tirare un po’ le orecchie al biondino dei Blast proprio per quel messaggio che effettivamente nel manga scrive ma che poi perde reale valenza di fronte all’arrivo di Hachi. Asami è uno di quei personaggi che all’inizio non mi faceva né caldo né freddo ma poi, al pari di tutti gli altri personaggi della Yazawa, è uscita fuori la sua complessità e fragilità ed ho cambiato opinione. Mi è dispiaciuto insomma vederla soffrire.
Mi ero prefissata di fare un multi aggiornamento ma purtroppo non mi è stato possibile conto tuttavia di aggiornare in tempi brevi.
Grazie come sempre per il vostro prezioso sostegno.
A presto.

*Hiroshy Miyamoto è il protagonista maschile del manga Ballade Made Soba ni Ite, uno dei primi manga della Yazawa
* I koinobori sono quei pesci di carta tipici della festa dei bambini, dato che ipotizzo Ren sia nato il 5 maggio giorno della festa dei bambini, come Hachi sperava
* Bang Bang è una canzone di Nancy Sinatra

 

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Capitolo 12
*** Black Roses ***




Era successo così, mentre saliva le scale del Jackson, una prima avvisaglia poi un dolore più intenso. Si era abbracciata il ventre, quel ventre  così grande e duro come un pallone di cuoio, le ginocchia l’avevano sorretta a malapena ed un brivido gelido le aveva percorso la schiena come una scossa. Aggrappata alla ringhiera, aveva iniziato a respirare, come le avevano insegnato, cercare di mantenere la calma, chiedere aiuto. “Non ora Satsuki, non ora…” aveva supplicato con il pensiero, “non ora”, ma la creatura dentro di lei sembrava desiderosa di venire al mondo; un’altra fitta, stavolta tenere il gemito le era stato impossibile. Alzando lo sguardo verso la strada aveva sperato di scorgere qualcuno, poi si era voltata, imponendosi la forza per raggiungere la porta del locale. Il dolore tuttavia sembrava intensificarsi, la ricerca del cellulare nella borsa risultava un’impresa epica. Uno squillo a vuoto, due, tre…la segreteria telefonica. Hachi si morse il labbro, un moto di rabbia e frustrazione le sporcò gli occhi, suo marito troppo impegnato in qualche motivo di lavoro per poter rispondere al telefono. Con un profondo respiro, il cuore che batteva a mille, selezionò un secondo numero. Anche in questo caso la sola voce che l’accolse fu quella della segreteria. “Nana sono Hachi…io…sono al Jackson e credo che ci siamo…ho paura Nana, ti prego vieni da me.” Forse per una magnanimità del grande demone celeste, la porta del Jackson si aprì rivelando l’immagine di Koichi, e per Hachiko fu l’equivalente dell’apparizione di un angelo.
“Nana che succede?” il ragazzo la raggiunse sulle scale e lei fu sollevata di aggrapparsi al suo braccio, spiegare la situazione, vederlo impallidire e aiutarla ad entrare nel locale. 
L’aveva fatta sedere su una delle poltroncine, le aveva intimato di stare calma, poi si era precipitato a chiamare un’ambulanza. Intanto, travolta dal panico, Hachi si era accorta dell’acqua che le scivolava lungo le gambe, un primo moto di vergogna e poi di paura, la vacillante imposizione di cercare di calmarsi. Di nuovo ricorse al cellulare e quando Junko rispose non poté fare a meno di scoppiare in lacrime terrorizzata supplicando l’amica di aiutarla.
L’ambulanza era arrivata piuttosto in fretta, e qualche minuto dopo, all’ingresso dell’ospedale, Hachi era stata grata di scorgere la figura di Jun raggiungerla in modo trafelato, avvicinarsi alla barella e stringerle forte la mano con parole rassicuranti. Hachi non ricorda molto del seguito, soltanto le pareti asettiche della stanza, ed il dolore continuo delle contrazioni, sembravano non voler finire mai. Di tanto in tanto, sfinita, volgeva lo sguardo alla porta bianca della stanza, la continua speranza che Nana vi facesse irruzione, sbraitasse dietro a medico e infermieri intimandoli di darsi da fare. Quell’immagine la rassicurava.
“Nana respira” Junko non le aveva mai lasciato la mano “così, brava. Andrà tutto bene. Ho chiamato tua madre, si sono già messi in viaggio.”
“Arriveranno quando Satsuki sarà già nata.” Mormorò malinconicamente per poi strozzare un gridolino all’ennesimo colpo.
“Non so se riuscirò a farcela, Jun.”
“La solita pappamolla, non sei la prima a partorire e non sarai l’ultima, invece di dire stupidaggine continua la respirazione.”
E in quel momento Hachi avrebbe volentieri mandato al diavolo l’amica, lei che ne sapeva di quel che si prova?!  Tenta di concentrarsi sul respiro, di seguire la voce di Jun, ma la paura  cresce in petto con vigore sempre maggiore.
“Mi faccia passare!”
Una voce perentoria, il soprabito scuro.
“Alla buon’ora.” Sopira Jun lasciandole la mano. E Hachi tenta di afferrare l’aria accanto a sé, Takumi ora l’affianca e la sua mano grande avvolge la sua, la tiene saldamente. Hachi piange, è venuto a salvarla ancora una volta.
“Takumi…Takumi..” chiama spaventata, “e se non ne fossi in grado? Se non fossi una buona madre?”
“E’ un po’ tardi per queste considerazioni mi pare.”
E avrebbe voluto incenerirlo se il dolore non le avesse smorzato le parole sostituite ad un gemito.
“Satsuki pare non vedere l’ora di vederti e anch’io onestamente non vedo l’ora di avere tra le braccia la nostra bambina.”
Nostra.
Il suono di quella parola è così bello da farla sorridere tra le lacrime.
“Andrà tutto bene, entrerò con te okay? E ti terrò la mano tutto il tempo, sarò lì con te.”
Hachiko annuisce, volge un’occhiata a Junko con gratitudine, sa che è merito suo se Takumi ora si trova lì.
“Non ci saranno videocamere o roba simile ad immortalare l’evento, vero?” chiede perplessa.
“Santo cielo no! Sono un ragazzo sensibile non ho nessuno intenzione di immortalare una scena splatter.”
E vedendola assumere una colorazione grigiastra Takumi comprende che la battuta non è stata gradita.
“Voglio andare a casa!”
“Nana non fare la mocciosa.”
“Bella forza te ne stai lì a sindacare mentre io sono qui che…oddio mio che male!”
“Facciamo così, durante il parto potrai inveire contro di me quanto vorrai.”
“Quanto voglio?”
“Garantito.”
“E se iniziassi ora?”
“Non ti allargare.” E all’ennesima stretta e contorsione Takumi si rivolge ad un’infermiera. C’è un via vai di camici azzurrini intorno al letto di Nana, la stanno preparando, la incoraggiano, ora dipende tutto da lei. Solo da lei.


“Mi dispiace…mi dispiace io…non avrei dovuto dire quelle cose.”
“Non è tanto importante il fatto che tu le abbia dette quanto il fatto che tu possa pensarle per davvero. Potrei darti un milione di attenuanti su tutto, Nana. Ma non sui nostri figli, questo no, non posso proprio.”
“Forse volevo solo ferirti,” la voce esce stanca, arresa, “tu con me ci sei riuscito così tante volte che…”
“…volevi rendermi il favore” Takumi fa una pausa, ancora non si volta, “forse anch’io volevo solo ferirti, siamo pari in questo.”
Nana passa una mano sulla stoffa  come a voler lisciare le pieghe invisibili del lenzuolo, quanto tempo è passato dall’ultima volta che sono stati insieme in quel letto? La penombra a riparare da sguardi che potrebbero dirsi troppo, rinfacciarsi troppe cose.
Le spalle di Takumi sono forti, Nana ne conosce la tensione sotto la stoffa scura della camicia, quel suo stare sempre in posizione eretta come il pennone maestro di una nave. Si domanda se quelle spalle siano mai state sul punto di cedere, di rinunciare a tutto, di lasciare andare tutto, compreso il gigantesco orgoglio. Forse Takumi può esserne stato tentato. Forse, chissà. Vorrebbe chiederglielo, vorrebbe chiedere tante cose; chiudere a doppia mandata la porta di quella stanza e con essa il mondo, ogni cosa, e avere la libertà di conoscerlo, conoscere per davvero suo marito. Non parlerebbe d’amore, poiché l’amore ancora la confonde, non saprebbe dire come inizia e ancor meno come finisce, il perché finisce, il quando finisce. Se tutto potesse rimanere come il primo giorno, il primo momento. Così perfetto da sembrare finto.  Una stupida ragazza che affetta pomodori in un’atmosfera festosa, un ragazzo bellissimo, idolo dell’adolescenza, che esprime un commento tanto semplice e banale su una verdura altrettanto banale. Sulle labbra di Nana si abbozza un sorriso a quel ricordo, il cuore le era battuto forte tutta la sera da impedirle di dormire.
“I pomodori. A Takumi piacciono i pomodori.”
Il primo bacio, rapido e improvviso, davanti ad un semaforo, l’euforia improvvisa e la conseguente consapevolezza di essere una delle tante. Eppure…
“Mi hai mai amato, Takumi?” e si sorprende lei stessa dalla lucidità della domanda, del modo in cui le parole le siano uscite dalle labbra senza alcuna difficoltà.
Finalmente scorge una reazione, lui si volta, la guarda attraverso la semi oscurità della stanza e lei si ritrova a trattenere il fiato come si trattasse di una lunga, infinita apnea. Lui è così serio, la fronte corrugata e gli occhi che la scrutano, affondano, forse a cercare una Nana Komatsu che non esiste più.
“Non è difficile innamorarsi di te, Nana. ”
Nana riprende a respirare, elabora quanto appena detto, lo ingloba dentro di sé, non sa che sapore dargli. Dolce e amaro. Sì, un sapore simile. Sa maledettamente di rimpianto, di vuoto, lo stesso che li separa anche ora,  un vuoto che Nana vorrebbe colmare, abbracciandolo da dietro, nascondendo il viso contro quella schiena forte.
“Nana credo che il modo migliore per parlare con Ren sia farlo insieme. Fino ad ora abbiamo sempre percorso binari paralleli con entrambi i nostri figli, se parlassimo loro francamente sono certo che si confiderebbero. Non credi?”
Nana accoglie quel repentino cambio d’argomento, ancora una volta Takumi la porta lontana da loro, dalla loro storia, e le restituisce una strada franca, una fuga sibillina. Ren e Satsuki prima di ogni altra cosa. E lei sa  che non c’è nulla di più giusto.
“ Vorrei che però tu non mi remassi contro, Takumi. Tengo alla felicità dei nostri figli più che a qualsiasi altra cosa, lo sai.”
Takumi annuisce, “lo so e appunto per questo ti sto proponendo collaborazione.”
Takumi non accenna a Nobu, ha eliminato anche solo la possibilità di una simile richiesta. “E’ meglio andare a dormire. Scusa se sono entrato in questa stanza, l’ho fatto senza pensare.” Si alza, percorre i pochi passi che lo separano dalla porta.
“Puoi restare…” la voce di Hachi è sottile ma perfettamente udibile “è la nostra stanza.”
“Nana…”
“Siamo ancora sposati, dopotutto. Nessuno avrebbe nulla da ridire.” E sembra voler convincere più sé stessa che lui.
“Il problema è che non mi fido sufficientemente di me stesso.”
“Bella novità” sospira lei,“ io invece ora mi fido sufficientemente di me stessa per dirti che se vuoi rimanere qui io…io sono d’accordo.”
E le piace leggere quell’espressione vagamente sorpresa e smarrita sul volto del marito. Quegli occhi che si fanno un po’ più dolci quando si piega su di lei sfiorandole la fronte con le labbra.
“Buona notte, Nana.”



L’appartamento di Chikage è piccolo ma ben arredato, colori tenui e buon gusto, una mite pacatezza d’insieme. Misato sorride, tutto rispecchia pienamente il carattere della sua migliore amica.
“Per ora devo farti dormire su questo futon ma appena possibile potremo andare a cercare insieme un bel letto.”  Propone,quasi imbarazzata, per non poterle dare una sistemazione migliore.
“Così è perfetto Chi, non preoccuparti. E poi non ho intenzione di disturbarti per molto, sono già alla ricerca di un appartamento.”
Chikage non ne sembra entusiasta, “lo sai che per me non è affatto un disturbo. Ho sempre sperato che un giorno saremmo state coinquiline. Mi rendo conto che qui è troppo piccolo, ma se il colloquio alla Happy Berry andasse bene… potremmo cercare insieme un appartamento più grande, non trovi?”
Misato annuisce con dolcezza, ma si è resa conto di essersi trasformata in un’anima troppo solitaria che esige uno spazio tutto suo.
“Non mi vuoi proprio dire che è successo con Shin?”
“Divergenze di opinioni, l’atmosfera si stava facendo pensante” taglia corto iniziando a sistemare i pochi vestiti all’interno dell’armadio. “Che buon profumo.”
Chiakage le mostra un sacchettino color malva “è essenza di zagara, me ne sono innamorata. Volevo proporre un vestito primaverile utilizzando i filamenti di questa particolare pianta per dare un effetto profumato al tutto; certo sarebbe solo per la passerella, i filamenti sono simili alla seta e potrei utilizzarli in quantità limitata, senza contare che il profumo finirebbe con lo smorzarsi poco a poco. Però mi pare un’idea creativa…o forse sono solo folle.” Ride impacciata come se avesse detto qualcosa di sciocco.
“Invidio così tanto la tua creatività,” e Misato è profondamente sincera, “trasmetti così tanta passione, mentre mi parlavi ti brillavano gli occhi.”
“Misato anche tu sei creativa.” Chikage le si avvicina, “scrivi testi bellissimi.”
“Oh per favore!” sbuffa “ sono paranoie adolescenziali che non portano da nessuna parte. L’unica arte in cui eccello è il disordine. In quello sono maestra.”
Chiakage scuote la testa con fare rassegnato, “la verità è che hai poca fiducia nelle tue capacità, e questo è un male.”
“Sì, mamma”
“Non prendermi in giro! Accidenti è tardi, se perdo anche questo lavoretto part-time finirò sotto i ponti. Al ritorno prenderò qualcosa da sporto.”
“Penso io alla cena, non preoccuparti.”
Chiakage fa per protestare ma infine desiste. Raccoglie velocemente i capelli in una coda, sembra ancora una ragazzina, il viso pulito, le guance un po’ arrossate. Saluta e scompare oltre la porta fiorata.
Misato ora è sola in un ambiente troppo dolce per il suo umore. Rimane immobile al centro della stanza, su una parete Chikage ha messo insieme un significativo numero di polaroid che ritraggono i momenti più disparati.  In alto a sinistra, risalta una loro foto di ragazzine. Chikage timida e composta, con lo sguardo sereno dietro le lenti degli occhiali, e lei agitata e ribelle in quegli abiti punk così simili a quelli di Nana. Quanto desiderava emularla a quei tempi.
Il campanello suona, Misato sussulta, osserva la porta ed il campanello suona ancora.
“Scommetto che hai dimenticato le chiavi!” esclama mentre la apre. Ma la persona che si trova davanti non è certo Chikage.
“…perché sei qui?”
Shin la sta fissando, c’è qualcosa di simile al rimprovero in quegli occhi.
“Mai mi ha detto che ti sei trasferita qui, oltretutto sei ancora la mia assistente e manchi dal set già da un paio di giorni.”
Misato arretra di un passo, “mi dispiace ho intenzione di dare le dimissioni oggi stesso.”
“Non le accetto.” E il tono è così freddo che Misato se ne sorprende.
“Non spetta a te ma alla Shikai accettarle o meno.”
“Di fatto tu sei la mia assistente ne consegue che sono io ad avere l’ultima parola.”
Misato sospira esasperata con la forte tentazione di chiudergli la porta sul muso.
“Dimmelo francamente vuoi punirmi?”
“No, voglio impedirti di fare stupidaggini. E comunque potresti farmi entrare non è carino tenere un ragazzo sulla porta, soprattutto quando si è preso un pomeriggio libero per avere a che fare con l’insubordinazione di una sua dipendente.”
“Prego?!” Misato strabuzza gli occhi, Shin la spinge da parte entrando nell’appartamento.
“Ehi io non ti ho dato il permesso di entrare!”
“Sono certo che Chikage non avrebbe nulla in contrario.” Strizza l’occhio con ironica seduzione, “è carino qui.”
“Sì può sapere che vuoi!?”
Shin le porge un’agenda, una semplice copertina nera a custodire un buon numero di fogli.
“L’avevi lasciata da me.”
Misato arrossisce recuperando l’oggetto. “Non me ne ero accorta…grazie.”
“Sono dei bei testi.”
“Tu…tu li hai letti?”
“Non è stato intenzionale, giuro.”
“Figuriamoci.” Misato gli gira attorno, si abbandona su di una poltrona  improvvisamente priva di forze. “come se potessi fidarmi delle tue “non intenzioni”.”
Shin sorride, le siede di fronte, liberandosi del cappello che fino a pochi istanti prima gli adombrava gli occhi.
“Diciamo che non avevo intenzione di leggerlo quanto tu non avevi intenzione di lasciarlo da me.”
“Credi lo abbia fatto apposta?”
Shin alza le spalle, “io una volta lasciavo un oggetto al quale tenevo molto nella stanza di qualcuno fingendo di dimenticarmene. Vecchia scuola.”
Misato accenna un sorriso, “già. Non avrei mai avuto il coraggio di chiederti di persona di leggerlo. Dall’altra parte però non avrei potuto immaginarmi nessun altro che avrebbe potuto darmi un giudizio sincero.”
“Black Roses parla di tua madre, vero?”
Misato annuisce, “volevo far sgorgare le parole di Nana, mi sono immedesimata in lei nel tentativo di scrivere quel testo. Ma poi il mio sentire ha preso il sopravvento e così…”
“E così hai fatto uscire i tuoi sentimenti. Cantala.”
“Che?”
“Qui, adesso, per me.”
“ Te lo puoi scordare!”
“Andiamo Misato, hai scritto testo e musica. Ed io ora voglio sentire la tua voce.”
Misato scuote lentamente il capo, non ha mai cantato davanti a qualcun altro, le sue sono sempre state melodie solitarie rivolte ai fantasmi della vita. Nana, la sua forza fragile, una barca alla deriva sotto l’inclemente scroscio della pioggia; non le era stato dato di poterla conoscere, di poterla abbracciare e chiamare nee-san, cosa che probabilmente Nana avrebbe scherzosamente disapprovato. Misuzu. Misuzu è il nome di un’estranea, di una madre dai mille retroscena, troppe maschere dietro le quali non si riesce più a riconoscere un volto vero. E’ pensando a Misuzu che Misato ha scritto la canzone. Abbozza un sorriso amaro realizzando che le due figure femminili più importanti della sua vita hanno qualcosa che le accomuna: la fuga davanti agli eventi. Non saprebbe dire dove è una e dove è l’altra, le immagina solitarie su traghetti stranieri mentre attraversano acque grigie cariche di rimpianti e malinconie, ma questo non la compassiona, anzi, suscita solo rabbia.
Sprofonda un po’ nel cuscino di piuma e con consapevolezza nuova impugna la vecchia chitarra acustica, regalo di un padre distrutto dal tradimento della moglie, qualche accordo per dare la giusta tonalità.
“L’ho pensata accompagnata da un pianoforte,” dice prima di intonare la prima strofa.
Posso vedere i tuoi occhi fissi nei miei,
ma è un campo di battaglia e tu sei dall’altra parte.
Sai scagliarmi addosso parole più affilate di un coltello,
e lasciarmi al gelo di un’altra casa in fiamme.
Mi nascondo, mi nascondo a guardare i ponti bruciare.
Mi nascondo, che altro potrei fare?
Ora tu mi porti solamente rose nere che diventano
polvere una volta afferrate.
Ora mi porti solamente rose nere sotto il tuo
incantesimo.
 Me li ha ripetuti per due volte tutti i tuoi buoni consigli
ma non riuscivo a comprendere che ero annebbiata dalle tue
bugie.
Finirai col fumare, ha detto, stai alla larga da quel ragazzo perché
porta guai.
Mi nascondo, mi nascondo a guardare i ponti bruciare.
E ne ho abbastanza di essere quella giusta,
raccogliendo i pezzi di ciò che è andato in frantumi.
Ne ho abbastanza di essere obbediente,
chi mi dirà un falso ti voglio bene?
Me ne sto andando.
Ora tu mi porti solamente rose nere che diventano
polvere una volta afferrate.
Ora tu mi porti rose nere ma io non sono più
sotto il tuo incantesimo.”*

C’è una lacrima solitaria sulla guancia di Misato, una lacrima che Shin si china a raccogliere a fior di labbra, con una dolcezza che persino lui si sorprende di possedere. Ed è meravigliosa Misato in quel momento, libera delle sue pene, con gli occhi lucidi e le labbra increspate di emozioni troppe volte trattenute.
“Devi far ascoltare la tua voce, Misato.”
“Non sono come Nana, non ce la farei ad affrontare un palco e tutto il resto.”
Shin le prende la mano, “Nana voleva fare musica per riscattarsi della vita avuta, tu hai l’anima che canta ed è un peccato continuare a tenerla rinchiusa in gabbia, ti pare?”
Un’occhiata torva, “Shinichi Okazaki non siamo in uno dei tuoi sceneggiati.”
Shin si allontana non nascondendo una certa soddisfazione per aver centrato il bersaglio, “certo, in uno sceneggiato non mi sarei perso troppo i dolcezze e parole, avrai detto una grossa banalità e poi probabilmente saremmo finiti a letto. Invece sto parlando seriamente, farai una demo di questa canzone ed io la proporrò alla casa discografica.”
“Perché ti sta tanto a cuore? Visto e considerato poi quello che è successo tra noi…”
E la domanda lo sorprende perché non ha una risposta. Una vera risposta.
“ Non lo so perché ci tengo, “ ammette “ma è così, qualcosa in contrario?”
Misato sospira, e in quel sospiro libera la tensione e la gratitudine. “No. Niente in contrario.”

Il Casba uno dei locali più trendy di Shibuya, Satsuki ha insistito sull’influenza paterna per poterne affittare una delle grandi stanze orientali, uno spazio capiente adatto per ospitare tutti i suoi amici. Satsuki sorride all’arrivo di ogni invitato, gli amici più intimi e i compagni di classe; arrossisce quando Hiroki le bacia le guance consegnando il regalo, si sente orgogliosa sentendo Izumi Aino, la ragazza più popolare della classe, proclamarsi soddisfatta per la location. Dispensa ringraziamenti a tutti, da brava padrona di casa, è una quindicenne ora, avvolta nel vestitino cobalto, i capelli raccolti che la fanno sentire donna adulta. Una sicurezza che vacilla quando Ko fa il suo ingresso vestita in look boy, i capelli mogano tagliati corti ed un filo di trucco che le conferisce un’aria più matura. Ko non si atteggia, è sé stessa, si muove con sicurezza ed un tratto a Satsuki appare anni luce da lei e tutti gli altri compagni. Si abbracciano, chiacchierano per qualche istante, Ko le tiene la mano, calda e un po’ sudata.
“Sei nervosa?”
“Un pochino, sono venuti tutti, mi sento un po’ sotto esame,” ammette Satsuki.
“Non devi, è la tua festa e siamo qui tutti per questo. Non vedo adulti a guardia di noi scapestrati…”
Satsuki sospira, “ci sono ci sono, sono radunati in una saletta qui accanto, è il patto che ho fatto con mamma. Loro mi lasciano campo libero a patto di poter venire a dare una sbirciatina ogni tanto. In realtà non ero contraria al fatto che stessero qui con noi ma…” si avvicina all’orecchio di Ko, “in classe ho sentito Izumi dire che avere degli adulti al proprio quindicesimo è l’equivalente di qualsiasi festa per bambini.”
“Da quando ti preme tanto assecondare le opinioni di una come Izumi!?”
Satsuki fa spallucce, “non lo so, mi ha fatto sentire inadeguata.”
Ko assume un’espressione materna che a Satsuki provoca un lieve fastidio, come se la sua amica fosse sempre su un gradino più alto rispetto a lei. Il primo giorno di scuola, quando l’aveva scorta per la prima volta, quell’aria cool e distaccata l’aveva affascinata subito. Ko doveva essere così sicura di sé, giudicava il mondo con maturità e distacco, per questo Satsuki ne era rimasta così colpita. Ma ora quel senso di inferiorità le pizzica gli angoli degli occhi. Si allontana con una scusa, deve salutare un po’ di gente e soprattutto…soprattutto scorgere la persona che più d’ogni altra desidera vedere.

Si fa largo tra gli invitati, sistema la gonna del vestito, controlla che i capelli siano ancora in ordine. Shin è fermo sulla porta, sta parlando con Nobu; Satsuki allarga un sincero sorriso, pochi passi ancora prima di fermarsi di colpo. Accanto a Shin c’è una ragazza, Satsuki la conosce, è Misato la sorella di Nana. Non ci sarebbe nulla di male nella sua presenza, ma alla ragazzina non sfugge la mano di Shin appoggiata sulla spalla di lei, di tanto in tanto sembra esercitare una lieve pressione, un gesto protettivo che fa leggermente arrossire le guance di Misato. Così bella Misato, così simile alla foto della Osaki che sua madre custodisce gelosamente. Di fronte a lei che fine fa una quindicenne con troppi sogni e poca concretezza? Satsuki arretra, si nasconde nel nugolo di compagni che ballano e schiamazzano, improvvisamente innervosita dalla loro presenza. Vuole restare sola. Svicola il loro entusiasmo, deve raggiungere il bagno e prega dentro sé che Ko non la veda, o perlomeno abbia la buona grazia di non seguirla, non sopporterebbe nemmeno lei.
Ko non la vede, in verità non vede nessuno, tutti i presenti sono festanti che lei invidia e ai quali sente di non appartenere. Sorseggia dell’aranciata, il forte suono della musica le fa fischiare le orecchie e necessitare una boccata d’aria. Tenta di individuare Satsuki ma sa che la sua amica si starà divertendo con l’energia e la gioia di vivere  che da sempre la caratterizzano. Ne era rimasta affascinata fin dalla prima volta che si erano conosciute, lo sguardo innocente di Satsuki, il suo sorriso e la tendenza a trovare sempre il lato positivo nelle cose. Ko avrebbe dato qualunque cosa per avere un po’ di quella positività, di quella gioia. Non era mai stata abile nel fare amicizia, una timida insicurezza di fondo che mascherava dietro una corazza più dura. Le altre ragazze si trovavano in soggezione vicino a lei, la guardavano come si guarda qualcosa che non si riesce a comprendere, a distinguere. Desistevano lasciandola al suo mondo. Ma Satsuki no. Satsuki si era imposta nel suo cuore con una semplicità tale che adorarla era stato inevitabile.
Sospira individuando una porta finestra che permette un po’ di solitudine. L’aria esterna è piacevole ma le increspa leggermente la pelle. Intorno le luci di Tokyo avvolgono i suoi pensieri, abbagliano con il loro artificiale splendore, ma Ko vorrebbe che ogni cose si spegnesse per lasciare campo libero alle sole stelle, alla loro presenza distante e rassicurante. Guardare quel cielo colmo di fiammelle tremolanti e poter respirare, un lungo profondo respiro liberatorio.
“Non ti piace la festa?”
Sussulta voltandosi di colpo. Ren ha appena attraversato la porta, l’affianca senza guardarla direttamente. Ko segue con lo sguardo la medesima non direzione.
“Purtroppo non so stare molto in mezzo alla gente.” risponde con tono neutro.
“Idem.” Ren ora la guarda, sembra studiarla con discrezione e questo la spaventa.
“E’ da un po’ che non ci si vedeva, ti sei deciso a tornare in Giappone.”
“Ripartiremo dopo domani. Londra è la mia casa, qui…”
“Qui ti fa paura.”
Un lieve sorriso dipinge le labbra del ragazzo, “dimenticavo che hai la vocazione alla psicologia.”
“Scusami, tento sempre di analizzare gli altri, come se questo mi aiutasse a comprendere meglio. Mio padre mi dice spesso che sono vecchia per la mia età,” fa una smorfia, “che è come dire che sono tremendamente noiosa.”
“Uhm credo che sia più o meno quello che pensano di me anche i membri della mia famiglia.”
“Quindi siamo noiosi.”
“Già.”
“E spaventati.”
Ed è nella naturalezza con cui Ko lo ammette che Ren si trova spaesato e tuttavia l’affermazione in se stessa non lo destabilizza, come se la presenza della ragazza potesse mitigare il tumulto che si trascina dietro.
“Londra deve essere molto bella, qualche volta immagino di salire su un aereo e lasciarmi tutto alle spalle. Ricominciare da capo. Poi mi rendo conto che sarei sempre io e probabilmente il mio modo di essere non varierebbe, non cambierebbe niente. Questa età è davvero uno schifo, non vedo l’ora di essere più adulta e vedere le cose sotto una luce diversa, adesso anche le banalità sembrano insormontabili.”
“Non è che gli adulti siano meglio, anzi…per esperienza direi che sono molto più problematici di noi.”
Ko sorride, ed è bella quell’improvvisa luce che le accende il viso. “Non sono mai salita su un aereo.”
“Mai?”
“Mai. Quindi uno dei miei passatempi è andare all’aeroporto.”
E lo sguardo perplesso di Ren non la demoralizza, anzi la diverte.
“Prendo la metropolitana e scendo all’aeroporto, almeno una volta a settimana. Dico a tutti che vado in palestra per giustificare di avere con me un borsone che mi da l’idea del bagaglio,” indica un punto indefinito oltre lo skyline della città, “quando sono lì osservo gli aerei che partono, guardo il tabellone delle destinazioni e ne scelgo una. Non fare quella faccia, è così pazza come cosa?”
“Oddio di certo è insolita.”
“Fin da piccola per me gli aerei erano una cosa che si vedeva in cielo. Lontanissimi. Quasi invisibili. Più rumore che materia. Per questo già allora scappavo da scuola e me ne andavo all’aeroporto a vederli decollare e atterrare. Quel momento perfetto in cui abbandonano la pista, in cui si disinteressano dell’attrazione della terra…io li guardo salire e mi dico sì sì…un giorno ci sarò anch’io lì dentro. In prima classe.”
Arrossisce, come se si rendesse conto di aver rivelato troppo di sé stessa, come se un giudizio negativo dovesse improvvisamente investirla. Ma negli occhi di Ren c’è dolcezza, forse sorpresa, ma nulla che lasci intendere che la reputi una svitata osservatrice di aerei.
“Io invece scappo da scuola per andare al mare.” Dice invece, “prendo un treno fino a Brighton, una delle località di mare più vicine alla città, e me ne sto lì in contemplazione. E’ un po’ come se il mare mi chiamasse, immagino di immergermi, di sprofondare dolcemente sul fondo, osservare la luce del sole attraverso l’acqua, le scie schiumose delle barche…mi fa sentire protetto.”
“Come in un ventre materno.”
Il volto di Ren si incupisce un po’, “può darsi. Mia madre mi ha detto che quando ero nel suo ventre non mi facevo mai sentire, non calciavo nemmeno. Mio padre prendeva la chitarra, sedeva accanto a lei e suonava per me e solo allora io palesavo la mia inconsapevole presenza. Premevo appena sul ventre, “una carezza”, dice mia madre. Ovviamente non ne ho memoria e può darsi si siano inventati tutto di sana pianta.”
“Perché dovrebbero?”
Ren sospira teatralmente, “non so se hai presente ma i miei vivono la rappresentazione di un dramma da una decina d’anni a questa parte. Non so distinguere se quello che esce dalle loro bocche sia verità o l’idea di una verità. Immaginarli vicini sul divano in un’idilliaca rappresentazione di vita coniugale è surreale.”
Rimangono entrambi in silenzio per qualche istante, sotto di loro vortica un traffico composto, coppie per mano sullo sfondo di vetrine colorate.
“Posso accompagnarti?” Ren rompe il silenzio, le sue dita battono uno strano ritmo nervoso sulla balaustra in ferro.
“Accompagnarmi?”
“All’aeroporto. Potremmo scegliere insieme una meta, qualche posto talmente distante da dare l’idea che un ritorno sia impossibile.”
“Sei serio?” Ko sembra allibita.
“Serissimo. Sgattaioliamo via, nessuno farà caso a noi.”
“Ma è la festa di Satsuki.”
“Ritorneremo prima che se ne accorga.”
“Impossibile.”
Ren si allontana dalla balaustra e le porge la mano, la sta invitando a seguirlo, a lasciarsi andare, ad allontanarsi dalla festa della sua migliore amica per fingere di poter scappare lontano, mano nella mano.
E razionalmente Ko sa che è sbagliato, sa che Satsuki lo reputerebbe un terribile tradimento…o forse no? Vacilla, volge un’occhiata all’interno, la pista da ballo, le luci, il divertimento. Afferra la mano di Ren, quella strana affinità che la ipnotizza e le promette un’evasione da tutto il resto.


Note: E’ passato un bel po’ dall’ultima volta che ho aggiornato e me ne scuso. Se ancora non lo sapete vi posto qui una notizia che,come è successo a me, vi farà felicissime!!!
A seguito di ciò ho intenzione di concludere questa fan fiction per il mese di ottobre, quindi gli aggiornamenti saranno più rapidi e ci avvieremo a conclusione.
Qualche precisazione dovuta:
volevo ridare un po’ di impronta musicale anche alla mia fic per richiamare ancor meglio il mondo di Nana. Ovviamente il testo della canzone “Black Roses” non è mio ma appartiene alla serie televisiva “Nashville”. Ho tradotto il testo in italiano per rendere un po’ più chiara l’idea ( anche se tradotti i testi perdono molto del loro appeal) e qui trovate l’interpretazione originale.
La prima volta che ho sentito questa canzone l’ho subito associata a Nana, ma la voce dell’interprete Clare Bowen è molto differente da quella della Tsuchiya così ho pensato che potesse essere adatta a Misato. E’ vero che non conosciamo la voce della sorella di Nana ma, nel mio immaginario, è una voce più dolce rispetto a quella della Osaki.  Scusate dunque se mi sono presa questa libertà.
Il Casba è un locale effettivamente esistente a Tokyo ed è molto conosciuto perché frequentato principalmente dall’ambiente della moda, cosa che ho trovato il linea con le passioni della Yazawa.  Ovviamente essendo un posto frequentato principalmente nell’after dinner e in tarda serata dubito che si svolgano compleanni per quindicenni XDD ( ma magari con una buona parola e soprattutto un buon esborso da parte dell’ex leader dei Trapnes chissà…XDDD) quindi è un’altra libera concessione che mi sono presa.

 

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Capitolo 13
*** Famiglia: Asami e Naoki ***


 
Quando Naoki vede la porta di fronte a lui aprirsi lentamente le lancette dell’orologio segnano le una del mattino. Asami si affaccia, sembra sorpresa, i segni della mancanza di sonno le adombrano gli occhi.
“ Che ci fai qui?”
“Scusami per l’ora ma appena atterrato non ho potuto fare a meno di precipitarmi qui. Mi fai entrare?”
Asami  emette un sospiro rassegnato per poi scostarsi e lasciare che Naoki varchi l’ingresso dell’appartamento.
“Ti avviso che sta dormendo da un pezzo e non voglio la svegli, domani mattina deve andare a scuola.”
“Mi accontenterò di guardarla mentre dorme.”
“ Vuoi del tè?”
Naoki scuote leggermente il capo, Asami ne coglie tutta la stanchezza, il lungo viaggio certo, ma anche una cortina di pensieri che stranamente adombrano gli occhi di un uomo falsamente allegro.
Lo segue con lo sguardo mentre raggiunge il corridoio accostandosi alla porta color panna della camera di Momo-chan, la socchiude, l’interno è illuminato da una lampada azzurrina che funge da deterrente alla paura del buio. Avanza lentamente, si inginocchia accanto al letto, la bambina dorme profondamente stretta all’immancabile gatto di pelouche che Naoki le aveva portato nella sua ultima visita. Sorride l’ex batterista dei Trapnest, ama quella bambina nonostante le sue qualità paterne abbiano lasciato molto a desiderare. E’ facile capitare una volta ogni tanto, portare regali per colmare la pesantezza di un’assenza, e Momo-chan lo ha sempre accolto con il sorriso, un sorriso simile al suo. Quando crescerà quel sorriso resterà ancora?

Naoki odia gli ospedali, quella sospensione temporale, quell’odore di disinfettanti e malattia, quell’incrociarsi di gente a testa bassa, carrelli cigolanti, corridoi asettici e infiniti. In quel momento prova un vago senso di disagio, ha un mazzo di fiori in mano, fiori sgargianti, fiori che probabilmente non piaceranno a Reira. Quei colori sembrano fare a pugni con l’ambiente circostante, l’ultima volta che si era ritrovato a camminare con dei fiori in un ospedale era stato quell’orribile giorno di marzo. Come uno stupido era entrato nella camera mortuaria con dei lilium, Takumi lo aveva guardato con perplessità prima di lasciarlo solo a dare l’ultimo saluto a Ren. La stoffa bianca che copriva il viso di Ren era stata rimossa e Naoki si era sentito cedere, ma non aveva distolto lo sguardo. Non c’era più nulla da vedere. Non c’era più Ren. E forse lo aveva realizzato davvero solo in quel momento.
Quando Takumi era rientrato, Naoki stava ancora ritto e rigido come una statua di sale, i fiori lasciati a terra, le lacrime a tormentargli gli occhi. Takumi lo aveva affiancato, piegandosi poi su Ren per ricoprirne il volto. “Non dobbiamo permettere che lei lo veda.” E non era certo difficile comprendere si stesse riferendo a Reira. “Ne rimarrebbe scioccata.”
E Naoki aveva obbedito, glielo aveva impedito. Ma Reira ne era rimasta ugualmente sconvolta.
Raggiunge la stanza, Reira è seduta sul letto, lo sguardo perso oltre il vetro della finestra. Naoki sorride, sfodera la sua migliore positività.
“Buongiorno!” esclama avvicinandosi al letto.
“ Sta piovendo,” ribatte la ragazza, “dov’è Takumi?”
“Sarà qui a breve, intanto ci sono io a farti compagnia. Guarda che ti ho portato!”
Reira osserva i fiori, sorride, e indica un vaso posto  sopra uno sgangherato mobiletto, “mettili lì, grazie.”
“Come stai oggi? Hai mangiato?”
“ Takumi mi ha costretto. Detesto il cibo che danno qui.”
“Lo sai vero che non mi è vietato portarti qualcosa di più commestibile, cosa ti andrebbe?”
Reira alza le spalle, “ quelle patatine che mangiavamo spesso in quel pub a Carnaby. Erano favolose. Invidio Ren, ne starà mangiando a vagonate. Trovo che potrebbe almeno telefonarmi, da quando sono qui non si è mai fatto sentire. Tu sai qualcosa?”
Naoki deglutisce nervosamente, Reira è imbronciata e lui vorrebbe supplicarla di smetterla, smetterla con quella tortura, smettere di negare la realtà. Le fa pena e rabbia allo stesso tempo.
“Sta meglio, la riabilitazione richiede tempo lo sai.”
“Già. Devo essere comprensiva. “
“ Se continui a non mangiare però quando tornerà faticherà a riconoscerti, e ti troverà più vecchia.”
“Vecchia!?”
“ L’eccessiva magrezza accentua le rughe mia cara.”
“Sei orribile a dirmi simili cattiverie” la ragazza nasconde il viso sotto il lenzuolo come una bambina.
“State facendo già i capricci voi due?”
E’ un sollievo sentire quella voce, Naoki vorrebbe quasi abbracciare Yasu e dirgli grazie. Naoki non è mai stato bravo a dissimulare la propria emotività, a volte si sente in difetto rispetto alla prontezza di spirito di Takumi o Yasu, come se loro fossero molto più adulti e lui ancora il ragazzino che corre loro appresso.
“Naoki hai un aspetto orribile, stai male?” e senza aspettare risposta Yasu gli preme una mano sulla fronte sentenziando una febbre inesistente. “Faresti bene ad andare a riposare. Che succede se poi l’attacchi a Reira, come minimo Takumi ti ammazzerebbe.”
“Io…”
“Vai, rimango io con la principessa.”
Yasu gli sta proponendo una via di fuga, tutti i buoni propositi che Naoki aveva fatto, la capacità di sostenere l’instabilità di Reira sono svaniti non appena ha messo piede in quella stanza, e Yasu lo ha capito e gli sta indicando una ritirata dignitosa.
“Hai ragione” Naoki si volta verso Reira “scusami ma davvero non mi sento bene.”
Reira si scuote leggermente come se avesse compreso la presenza del ragazzo solo in quel momento, “e allora che fai ancora qui!? Fila!” la principessa dei Trapnest indica la porta e poi sorride, “rimane il pelatone con me, non preoccuparti.”
Naoki annuisce, saluta velocemente e scappa, scappa da quel luogo, da quell’odore di sofferenza, da ricordi che non vuole ricordare.  Quando finalmente raggiunge l’uscita trae un profondo respiro lasciando che l’aria gelida che odora di imminente neve scavi nei polmoni restituendoli ossigeno. Si incammina lungo la strada, il cappello calato per nascondere a fan e paparazzi la sua presenza, sorprendentemente la gente è troppo contrariata dal cattivo tempo per fare caso a lui. Pochi isolati e l’ingresso del Malik lo accoglie come un rifugio, non è solito bere da solo e perlopiù nel pomeriggio, ma questa volta andrà bene così. L’atmosfera è soffusa, ci sono poche persone, perlopiù uomini d’affari intenti a perdere lo sguardo nei loro tablet. Naoki si avvicina al bancone, ordina un bourbon, che a lui nemmeno piace ma trova che possa essere sufficientemente forte per non stare più a pensare.  A due sgabelli da lui qualcun altro sembra voler trovare rifugio in un liquido ambrato, una donna dal rossetto slavato e i capelli scomposti dall’umidità. Quando alza il braccio chiedendo un altro bicchiere, il barman scuote la testa con diniego.
“Guarda che ho intenzione di pagarlo!” sbotta la ragazza “credi non abbia i soldi!?”
“Credo abbia bevuto abbastanza signorina, questo è un luogo rispettabile e pertanto la invito ad andarsene.”
“Questo è un locale ed io sono una cliente, se non mi servi subito un altro bicchiere farò un bel discorsetto al tuo titolare e poi vedremo…”
“Non mi costringa a chiamare la sicurezza.”
“Ehi amico non c’è bisogno di chiamare nessuno, la signorina è con me.” Naoki si avvicina ai due in un gesto istintivo, nemmeno si era reso conto di aver parlato.
“Ma signore…”
“Sono un cliente abituale e garantisco io per la signorina.”
Il barman titubante si limita ad annuire senza particolare convinzione. Ed ora? Naoki sembra aver perso il suo selfcontrol.
“Guarda guarda ho un cavalier servente” la voce della ragazza è di chiaro scherno e solo in quel momento Naoki la riconosce.
“Yuri…”
“Il mio nome è Asami” distoglie lo sguardo, “allora mi versi da bere o no?”
“Perché sei qui non dovresti essere al lavoro?”
“Cos’è conosci l’agenda dei miei impegni!?”
“ No, non direi.”
“Sono qui perché voi uomini fate tutti schifo e volevo marinare nell’alcol quel poco di orgoglio che mi è rimasto.”
“Hai litigato con Nobu?”
E Asami gli rivolge un’occhiata offesa “e tu che ne sai di Nobu?”
Naoki alza le spalle “beh Yasu mi aveva accennato che state insieme…dalla sera della festa di compleanno di Reira se non sbaglio.”
“Quel Yasu è peggio di una pettegola di condominio.”
“In realtà ero stato io a fargli qualche domanda” ride impacciato, “quella sera avevamo bevuto qualcosa insieme ricordi? Poi sei sparita. Ci sono rimasto un po’ male.”
La bocca di Asami si chiude a cuoricino in un finto gesto compassionevole “oh poverino ci sei rimasto male, immagino volessi giocare con Yuri vero?!”
Ed effettivamente quando quella sera alla festa si era ritrovato davanti  Yuri Kosaka in seducente abito rosso il suo pensiero non era certo stato casto. Insomma quella era Yuri Kosaka! Una leggenda tra i maschietti.
“Mi dispiace che tu e Nobu abbiate litigato” ecco un altro tentativo di fuga.
“Non abbiamo litigato mi ha scaricato. Ora che la moglie di Takumi è in pianta stabile al dormitorio al piccolo Nobu non serve più un giocattolo come me.”
Il bourbon prende il condotto sbagliato e Naoki tossisce violentemente “Sta..stai dicendo che Hachiko tradisce Takumi!? Ma ma come? E poi è praticamente prossima al parto!”
Asami gli da due ben assestate pacche sulla schiena “ non è necessario ci sia un tradimento fisico, quello mentale basta e avanza. Nobu è innamorato di quella donna e a me non resta che farmene una ragione.”
“Questo è un bel problema.” Riflette Naoki, non si era mai soffermato a pensare che la corolla di candida purezza con la quale aveva rivestito Hachi nascondesse striature molto meno caste. Ma Naoki ha sempre faticato a riconoscere il difetto nelle vite altrui.
“Temi uno scandalo?” Asami ride fissando il fondo del bicchiere “tanto ormai siete alla frutta, il vostro istrionico chitarrista è morto, la punta di diamante fa la psicopatica in ospedale e Takumi si starà affannando nel tentativo di rimettere insieme i cocci. Non credo che un eventuale divorzio peserebbe su di lui più di quanto gli pesi tutta questa situazione.”
E’ puro veleno quello che esce dalla bocca di Asami, veleno del quale si pente un istante dopo quando il suo sguardo si sposta su di lui e l’espressione che vede è di una tristezza tale da farla sentire in colpa. Si era ritrovata a volerlo utilizzare come capro espiatorio, un bersaglio simbolico per punire Nobu, gli uomini in generale o forse, più semplicemente, punire solo se stessa.
Senza che il barman presti attenzione Asami si sporge sul bancone recuperando una bottiglia di vodka e un bicchiere pulito, lo pone davanti a Naoki e versa il liquido limpido come acqua innocente fino all’orlo. Dopodiché riempie il suo, accostandolo a quello del ragazzo.
“Quando la vita ti rigetta questo è il miglior sistema per riderle in faccia. Kampai!”


Era iniziato tutto da quel "kampai" esclamato con amarezza. Asami aveva fretta di togliersi l’odore di Nobu di dosso,  voleva illudersi di poterlo cancellare come si cancella una macchia da un vestito ignorando quanto indelebile potesse essere. Anche Naoki voleva cancellare qualcosa, l’incertezza del futuro, il buio pesante e il vuoto lacerante che lascia un lutto, la convinzione totale che nulla può più essere come prima e che quella voragine all’altezza dello stomaco non se ne andrà mai. Ubriachi di alcol e tristezza avevano finito col fare sesso nel bagno del locale, rapidi e incoscienti come due ragazzini. Doveva fermarsi tutto lì, evaporare nell’alcol, il patetico epilogo di una giornata patetica. Invece era andata avanti, occasionalmente, alle ore più stupide, nei momenti più inopportuni. Quando la vita degli altri li soffocava nei rimpianti, Asami componeva il numero, bastavano un “dove sei?” e un “arrivo” e quel che doveva succedere succedeva. Vivere a Tokyo era diventato impossibile per lei, ricordi, volti, tutto insopportabile. Aveva lasciato il lavoro, dimissioni che le erano costate un sacco di soldi e biasimo, il primo tentativo di chiudere Yuri Kosaka dentro un baule e non farla mai più uscire. Aveva cambiato pettinatura, gettato i vestiti del passato e indossato gli anonimi panni del futuro. Un appartamento vicino Kyoto, senza televisione, senza agganci con il prossimo, di giorno sentiva di poter rimettere tutti i pezzi della sua vita insieme e di notte di ritrovava a piangere come un’adolescente, nell’ombra della stanza componeva il numero di telefono solo per sentire quella stupida frase “pensione Terashima buonasera” e poi riattaccare. Tre anni passati così, lavorando in una piccola profumeria, spruzzando profumi dolciastri su donne di mezza età, consigliando il makeup più adeguato sempre con la segreta paura di venire riconosciuta.
E Naoki sulla porta in un giorno come tanti, i capelli chiari ma non più di quel biondo vistoso, occhiali grigi a schermargli occhi bisognosi di attenzione. Erano passati diversi mesi dall’ultima volta, erano successe tante cose che Naoki teneva sulla lingua e che Asami non voleva ascoltare. L’aveva fatto entrare in quel piccolo appartamento, aveva messo a bollire l’acqua e l’aveva baciato, una, due, più volte. “Non parlare non voglio sapere” gli aveva sussurrato, “non voglio sapere nulla.”  E Naoki aveva annuito, non aveva parlato, si era limitato a ricambiare quelle attenzioni, se l’era stretta contro e lei l’aveva guidato verso il futon “sono finiti i tempi dei letti alla francese” aveva detto facendo ridere Naoki contro le sue labbra. Quella sera l’avevano fatto in modo diverso, come due fidanzati di vecchia data colmi di nostalgia l’uno dell’altra, e Asami se lo chiede ancora se nel suo inconscio non avesse premeditato tutto, non avesse desiderato una svolta immodificabile. I preservativi erano rimasti chiusi nel cassetto e la pillola anticoncezionale era ormai stata archiviata da un paio di mesi. Era sempre stata una donna pratica, attenta, aveva sempre vissuto l’amore con la frivolezza di una ragazzina, la possibilità di una famiglia non era mai stata tangibile, come un sogno lontano e fumoso. Ma quella notte era stato diverso, gli occhi di Naoki, così diversi da quelli di Nobu, erano stati un mare calmo e malinconico al quale aveva sentito di potersi abbandonare, non importava dove quella corrente placida l’avrebbe portata, non importava se poche ore dopo se ne sarebbe pentita, in quel momento non importava niente.

“Non sei passato alla festa?”
“A quest’ora sarà probabilmente finita, andrò a trovare Satsuki domani. Tenevo di più a venire qui e vedervi.”
Asami annuisce distratta, “ è molto brava a scuola, le insegnanti le hanno fatto molti complimenti, dicono che pur essendo esuberante è educata e partecipativa.”
“Parli di Momo?”
Asami sbuffa “ e di chi altri?!”
Naoki solleva le spalle “stavamo parlando di Satsuki per questo ho creduto che…”
“ Tieni più alla figlia di Takumi che alla tua?”
Naoki sbuffa contrariato “non dire idiozie, Momo è la cosa più importante per me.”
“Già, visto il tempo che passi a Londra a fare da balia a tutti i derelitti della tua vita mi pare davvero evidente quanto tu tenga  a Momo.” È in collera Asami, ha alzato la voce senza volerlo. “Scusami” dice infine rifugiando le labbra nella tazza di tè.
“Asami ascolta…”
Ma lei lo interrompe alzando una mano “so quello che stai per dire, ti ho sempre detto che non avevi obblighi nei miei riguardi e non ho intenzione di rimangiarmelo.”
Quando i loro occhi si incontrano Asami è sorpresa di vedere rabbia agitarsi in quelli di Naoki, tiene le mani serrate a pugno sul tavolo e la scruta come a volerle consultare l’anima.
“Mi domando se hai letto la lettera che ti ho scritto o l’hai archiviata come hai fatto con le altre. Dato che non rispondi mai alle miei chiamate o alle mail sono talmente naive da credere che almeno un pezzo di carta trovato distrattamente nella cassetta della posta ti venga la curiosità di leggerlo.”
“L’ho letta.” Conferma Asami stringendo più forte la tazza.
“ Quando ti proposi di sposarmi dicesti che ci dovevi pensare. Quando ti chiesi di venire via con me anche allora mi dicesti che dovevi pensarci e io ho rispettato ogni volta ogni tuo tentativo di fuga.”
Asami si agita nervosa “non sono mai fuggita.” E Naoki sorride amaramente.
“ Sei fuggita ogni volta, Asami. Non potevo certo obbligarti ad amarmi ma pensavo che col tempo avresti voluto provare a ritenerci una famiglia.”
“Adesso sarebbe solo colpa mia? Avessi voluto starci davvero vicino non te ne saresti andato oltreoceano a cercare quella donna, a prenderti cura di persone che non dovrebbero essere nessuno in confronto a tua figlia.”
Naoki annuisce “io non sono esente da colpe e lo riconosco, ma ammetti che non mi hai mai veramente voluto nella tua vita, non hai mai voluto mi prendessi cura di te.”
Asami si alza, lo scatto rapido fa quasi cadere la sedia “ e perché avresti dovuto!? Non voglio essere l’obbligo di nessuno io!”
Anche Naoki si alza, la fronteggia ed è la prima volta “ti è mai venuto il sospetto che io ti ami, Asami?”
“Oh certo, questa è la miglior uscita che potevi fare.”
Ma Naoki non arretra “ tu lo hai sempre saputo ed è questo che ti ha fatto paura.”
“Andavamo a letto insieme non c’era altro, pensi davvero che potrei credere ad una simile sparata? A distanza di quanti anni poi!”
“C’era molto altro altrimenti non avremmo concepito Momochan, pensi davvero che fossi così idiota da non rendermene conto? Lo abbiamo voluto insieme, te lo avrò scritto un’infinità di volte.”
“Abbassa la voce Momo potrebbe sentire.”
“Dimmi qual è la verità. E ancora per via di Terashima, sul serio?”
“Non voglio fare questa conversazione, sono stanca e ho voglia di dormire, Momo domani ha scuola e tu te ne devi andare in albergo.” Muove qualche passo ma Naoki non sembra intenzionato a lasciarla andare.
“Rispondimi. Sono stanco di assecondare gli egoismi del prossimo, il mio incluso, perciò stavolta non ti lascerò fuggire, non lascerò cadere la cosa per l’ennesima volta.”
“ E cosa vuoi che ti dica!”
“La verità. E’ per Nobu?”
Asami piange, si sente stanca, stanca di fingere e le braccia di Naoki si avvicinano ma lei le allontana.
“Per Nobu ma non nel senso che credi.”
“ E per cosa?” la voce di Naoki è più dolce ora e questo la innervosisce maggiormente.
“Siete tutti così bravi con le vostre belle parole le vostre buone intenzioni a priori e poi…”
“Poi?”
“Desideravo Momo, la volevo davvero. Volevo…”
“Una famiglia?”
“ Forse volevo solo sapere cosa si prova, sapere che avrei potuto essere migliore di quel che ero,” arretra di qualche passo “mi riscoprivo ad aspettare che tu chiamassi, a chiedermi quando ti avrei rivisto davanti a quella maledetta porta, sapere che saresti venuto per me, anche solo per poche ore.”
“ E perché tutte le volte mi cacciavi?”
Si morde le labbra Asami, la diga contenitiva delle sue emozioni si sfalda in un lamento “ dovevo farlo io prima di rischiare lo facessi tu!”
“Asami”
“Non commiserarmi! Tutto ma non commiserarmi! Capisci non avrei accettato di essere messa alla porta un’altra volta, di essere abbandonata di nuovo… non potevo rischiare. Non l’avrei retto. La cosa più importante era occuparmi di Momo, non farle conoscere la vigliaccheria degli uomini, insegnarle che possiamo bastare a noi stesse.”
Piange Asami, piange come non era mia riuscita a fare prima, si sente debole, libera e miserabile insieme. Naoki l’abbraccia, la stringe tanto che Asami quasi non trova respiro.
“Sei una stupida” dice pieno di rabbia e malinconia “lo siamo tutti e due. Ma non mi farò scacciare stavolta, ti sia chiaro!” e Asami si abbandona, a l’odore di Naoki, quell’odore che sa di miglia aeree e di pensieri mai espressi, di lontananze e ingenuità. Ha sempre preferito considerarlo come un ripiego Asami piuttosto di considerare di avere bisogno di lui, aver bisogno di volergli bene.
“Mà…” la voce assonnata fa eco nel corridoio e Momochan è lì in piedi davanti a loro, sbatte le palpebre come a volersi accertare di essere sveglia o di stare ancora dormendo. Due passi timidi prima di correre verso i suoi genitori e abbracciarli entrambi. Papà ora è tornato, è con mamma. Non ci può essere sogno più bello.


Note: dopo tempo immemore riprendo questa fan fiction, l’avevo trascurata perché l’ispirazione non tornava e non volevo forzarmi a scrivere senza sentimento. Adesso Nana è tornata a far breccia nel mio cuore ed io voglio porre fine a “Commemorative Stone”. Avevo lasciato Satsuki ad un compleanno non troppo felice, ma prima di riprendere il filo principale ci tenevo a risolvere alcune situazioni di personaggi più marginali, e questi due mi stavano particolarmente a cuore. Certo non è un happy ending ma mi piace considerare quello tra Naoki e Asami un tentativo di “happy beginning”.
Ringrazio Placebo che non si è dimenticata di questa storia e spero perdonerà questa mia assenza dal fandom di Nana.

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Capitolo 14
*** Una via di fuga ***


 

Sai Nana, ho sempre creduto che una donna una volta diventata madre si trasformi in qualcosa di infallibile e incorruttibile guidata dal buon senso e amore incondizionato. Sono stata ingenua ancora una volta.
 
“Questa è follia.”  Ko ancora non può credere di aver abbandonato la festa della sua migliore amica per giocare alla fuggitiva nell’aeroporto di Haneda. E’ stato del tutto irrazionale da parte sua e pur rendendosene conto non riesce a fare a meno di seguire la schiena di Ren,  vederlo muoversi agevolmente tra gente con carrelli carichi di valigie, tabelloni, ragazze che promuovono prodotti da viaggio agghindate in sgargianti abiti accesi.  Immersa in quel via vai di viaggiatori  percepisce una strana adrenalina, l’illusione di poter scegliere una meta qualunque e partire. Ren si è fermato, ha il viso leggermente alzato per consultare i voli in partenza che si susseguono sul grosso monitor. Si volta verso di lei sorridente “allora dove andiamo?”
“In Europa!” Ko lo affianca, ha il viso acceso di aspettativa mentre scorre i nomi di tutte quelle città straniere, “ non saprei scegliere…Parigi?”
“Sei romantica” scherza Ren facendola arrossire.
“E’ che è la città dell’impressionismo, di Victor Hugo…io adoro Victor Hugo.”
“Parigi sia. Il volo parte tra una quindicina di minuti, vedi?” Ren indica l’orario dopodiché le prende la mano, una pressione lieve per condurla con sé.
“Dove andiamo?”
“Ad alzarci in volo.”  E non le lascia il tempo di capire mentre salgono le scale mobili di corsa, sorpassano volti stanchi, lingue differenti. Quando raggiungono la terrazza esterna il viso di Ko è investito dall’aria calda e dal rumore dei propulsori  in accensione. Sotto di loro un grosso Jumbo si sta muovendo sulla pista, un mastodonte per il quale è impossibile non chiedersi come faccia a stare in aria come la più leggera delle farfalle.
Ko si affaccia dalla balaustra a vetri, le luci della pista le confondono gli occhi mentre l’aereo prende la sua corsa e arrivato in fondo si solleva portando con sé tanti sconosciuti uniti dalla stessa meta. Il cuore le fa un saltello, come se si sentisse a bordo a sua volta, l’improvvisa sensazione di alzarsi da terra e puntare dritti verso il velo scuro della notte.
“Non ero mai salita sulla terrazza di un aeroporto” si accosta a Ren il quale fa segno di non riuscire a sentirla a causa del rumore dei motori sottostanti, lei si fa più vicina “solitamente guardavo le partenza da oltre la recinzione delle piste, da qui la prospettiva è migliore.”
Ren annuisce per poi farle segno di sedersi con lui verso l’interno; appena oltre la porta automatica un distributore di panini e bibite fa da benefattore alla loro fame. Si siedono per terra, con due nikuman, un pacchetto di Poki e due bottigliette di watermelon milk che Ren giudica stomachevole dopo il primo assaggio.
“Solo a voi ragazze può piacere questa roba dolciastra.”
“ Ti assicuro che  è apprezzato da ambo i sessi, sei tu che ormai hai preso gusti esteri.”
“Se per gusti esteri intendi la Coca Cola allora sì, posso darti ragione.”
Rimangono entrambi in silenzio ed è Ko che sente per prima l’esigenza di parlare ancora, di non lasciare spazio al silenzio che la imbarazza nonostante quella loro vicinanza sia rassicurante e piacevole.
“Parti sempre da qui?” chiede.
“No, solitamente mio padre preferisce Narita, ci sono più voli. Però la prima volta che sono andato in Inghilterra siamo partiti da qui, io avevo sei anni ed ero terrorizzato,” ammette sbocconcellando un pezzo di avocado fuoriuscito dalla protezione del pane.
“Avevi paura di volare?”
Ren annuisce “ mia madre non aveva mai fatto viaggi lunghi, così la sera prima della partenza la sentii lamentarsi con la sua amica Jun: “il grande demone celeste farà cadere l’aereo vedrai” piagnucolava come una bambina. Fu sufficiente per convincermi che avesse ragione.”
“Il grande demone celeste?”
Ren ride “ non sai che tutta la vita della famiglia Ichinose è regolata dagli  umori del Grande Demone Celeste!?
Ko lo fissa senza capire.
“E’ un’invenzione di mia madre, una sorta di entità che fa il bello e il cattivo tempo nella vita delle persone, sostanzialmente porta sfortuna o si accanisce con coincidenze assurde.”
“Parli seriamente?”
“Certo! Satsuki non te ne ha mai parlato?”
“Beh ogni tanto dice qualcosa in proposito però credevo fosse un personaggio di qualche manga. Sai che Satsuki divora manga come non ci fosse domani.”
“Vagamente,sì” ride “ ad ogni modo anch’io inizialmente credevo che questo demone esistesse per davvero così quando fummo al gate iniziai a piangere, non volevo saperne di salire. Satsuki per reazione iniziò a piangere a sua volta, insomma una scena penosa.”
“E come è andata a finire?”
Il volto di Ren si fa più dolce, un po’ malinconico “mio padre mi prese in braccio dicendomi che nessun demone era più forte di lui, che non avrebbe permesso ci succedesse niente. Non credo furono realmente le sue parole a rassicurarmi quanto la sua presenza, quella sicurezza che ha sempre emanato. Credo che sia io che Satsuki pensassimo che accanto a lui non poteva davvero succederci nulla.”
“Lo pensi ancora?”
Ren alza le spalle “non so più a che penso ultimamente. Però stasera sto bene, mi piace stare qui e mi piace ci sia tu.”
Ko accenna una lieve smorfia “ suona una frase da seduttore consumato.”
“Mh, anche questo l’ho imparato da mio padre.”
“Ad ogni modo non mi hai ancora detto quale sarà la nostra prima tappa una volta arrivati a Parigi.”
“Ti confesso di non sapere nulla di Parigi.”
“Povera me, che compagno di viaggio mi ritrovo!”
“Uno che vuole scoprire insieme a te quello che non conosce.”


Non avrebbe mai creduto possibile che un giorno sarebbe successo anche a lei, fino ad allora quella situazione patetica l’aveva fatta sorridere nei film per teenager quando sai che di lì a poco accadrà qualcosa a risollevare i dispiaceri della giovane protagonista chiusa nei bagni pubblici della festa. Satsuki fissa la porta magenta del gabinetto, un cubicolo di un metro bordato di specchi che non la risparmiano da quel primo trucco colante sotto agli occhi, la musica della festa è un sottofondo ovattato lasciato a compagni di classe che evidentemente sono troppo presi dal divertimento per chiedersi dove sia finita la festeggiata. Recupera un altro pezzo di carta igienica per tamponarsi le guance bagnate ma se possibile il riflesso nello specchio le risulta ancora più insopportabile. Dov’è Ko? Avrebbe bisogno di lei…ma subito scuote il capo immaginando un eventuale rimprovero, un “te l’avevo detto che era sciocco innamorarsi di un ragazzo più grande.” Ed è quello che prova in quel momento, in quel gabinetto con quei maledetti specchi, si sente sciocca e più che mai infantile.  Il paragone non regge, Satsuki rivede Misato, la sorella di Nana, quella Nana che sua madre osanna e che tutti sembrano portarsi dietro come il più indimenticabile dei fantasmi; le ciglia folte, i capelli scuri che cadono morbidi sulle spalle, quelle labbra rosse, lo sguardo sicuro. Come potrebbe Shin avere occhi per una sciocca quindicenne quando al suo fianco c’è una donna così bella?
Un rumore, la porta che si apre, l’acqua del lavandino inizia a scorrere. Satsuki trattiene il respiro, non vuole che la vedano ridotta così, diventerebbe lo zimbello della classe, già immagina quella pettegola di Minako Yoshi sparlare di lei con le compagne più cool della sezione. Si affaccia appena allo spioncino, quel tanto che basta per avere la visuale del grande specchio posto sopra i lavabi, il viso della donna che le da le spalle è ben visibile sulla superficie impeccabile che riflette proprio, ironia malevola, Misato Uehara. Si sta sciacquando il viso, lo rialza e si osserva con un’espressione malinconica mentre le gocce le scivolano lungo il viso sgocciolando nel lavabo, il rossetto è sbavato in una macchia rossa intorno alle labbra che Misato si affretta a togliere quasi con rabbia.
“Satsuki!”
La ragazzina sobbalza quando sua madre entra nel bagno chiamandola, due passi indietro per addossarsi alla parete del gabinetto. “Misato hai visto Satsuki? Non riesco a trovarla e a breve ci sarà il taglio della torta,” Misato scuote il capo asciugandosi alla bene e meglio con una salvietta di carta, “hai guardato sul terrazzo? Prima ho visto alcuni ragazzi uscire forse Satsuki è con loro.”
“Vado a controllare.  A proposito volevo dirti che sono felice tu sia venuta questa sera,” Hachi sorride sincera “non abbiamo molte occasioni di vederci.”
“E’ vero, è passato molto tempo dall’ultima volta.” Misato ricorda una giornata estiva sulle rive del Tanagawa, Shin l’aveva trascinata a comprare i tanzaku  per poi deviare verso quella palazzina in stile occidentale, con i mattoncini rossi e nessun ascensore.
“I tanzaku che decora Hachiko sono decisamente meglio di quelli che vendono in giro, fidati.”
Misato non saprebbe dire se quella di Shin fosse stata una banale scusa per mostrarle l’appartamento 707, l’appartamento dove sua sorella era vissuta.  Un luogo semplice con una grande finestra sotto la quale era posto un tavolo. Ricorda bene la disposizione dei bambù sopra la superficie del legno, Nana Komatsu indossava un kimono, i capelli raccolti la facevano sembrare più vecchia della sua reale età. Si erano viste poche volte, mai realmente conosciute ma quella volta Nana l’aveva abbracciata d’impulso, si era stretta a lei forse per quel aspetto acerbo eppure così simile alla sua mai scordata amica, e Misato aveva sentito fluire dentro di sé una malinconia così potente da inumidirle gli occhi.
“Shin non è solito portare le ragazze alle feste, deve tenere molto a te,” esordisce Hachi affiancandola per lavarsi le mani “ed io ne sono felice, mi fa piacere vederlo nuovamente interessarsi a qualcuno.”
“Beh in realtà Shin ha un modo tutto suo di interessarsi alle persone” sorride Misato “si è messo in testa di farmi cantare ma sono più che certa che il suo piano fallirà all’origine.”
“Tu canti?” Hachi è sorpresa “e la…”
“No, non assomiglia alla voce di Nana,” Misato l’anticipa senza volere “la mia non è roca e sensuale come la sua purtroppo.”
“Oh,” Hachi sembra per un istante delusa, “ma devi essere comunque bravissima se Shin si è preso la briga di farti sfondare! Pigro com’è quel ragazzo se ha deciso di appoggiarti significa che ne vale certamente la pena. Dopotutto buon sangue non mente.”
“Vedremo, sono troppo timida e schiva per pensare di salire su un palco o roba simile, preferirei comporre per qualcun altro.”
“Ma se hai una bella voce sarebbe un vero spreco. Dovresti parlare con Ren, so che detta così sembro la classica madre che innalza il figlio ma è davvero bravo e Takumi mi ha confermato che scrive dei pezzi davvero interessanti, potrebbe nascere un bel sodalizio! Pensa che addirittura Reira canta solo se è mio figlio a suona e…” d’un tratto Hachi si blocca quando sente la gelosia mordere allo stomaco della sua ingenuità. Perché ha tirato fuori Reira in quel modo?
“Nana stai bene?”
“Si, si certo. Scusami è che a volte inizio a parlare e non so smettere. Ma chiamami pure Hachi, okay? Come avrai notato quasi nessuno mi chiama Nana.”
“Ad essere sincera,” Misato fa una breve pausa, “vorrei continuare a chiamarti così, mi piace pronunciare questo nome al presente e non solo al passato, sempre che questo non ti infastidisca.”
Hachi scuote il capo visibilmente commossa “certo che no, anzi quello che hai detto è molto bello.”
“Vado a vedere se Satsuki è sul terrazzo” Misato rompe il silenzio “così ti do una mano a cercarla.”
Non aspetta replica, come se il bisogno di allontanarsi per non piangere entrambe fosse impellente. Una volta sola Hachi osserva la sua immagine  nello specchio “Nana” sussurra quasi in una solennità religiosa; è in quel momento che nota la porta di uno dei gabinetti alle sue spalle chiusa ed arrossisce al pensiero che qualcuno abbia ascoltato la conversazione avvenuta poco prima. Ma poi il presentimento dentro di lei si trasforma quasi in certezza.
“Satsuki?”
Un singhiozzo strozzato ed Hachi è certa che sua figlia sia lì, “Satsuki che fai chiusa qui? Stai male?Satsuki!”
“Non urlare ti sento benissimo!”
Il gancio che teneva la porta viene tolto e Hachi può vedere la figlia addossata alla parete, gli occhi sporchi di mascara colato e lacrime.
“Satsuki…”
“Per favore non dire niente mi sento già abbastanza stupida senza che tu dica qualcosa.”
“Ma…perché sei in questo stato…che è successo?”
“Nulla.”
“Come nulla?”
“Nulla che possa turbarvi, dopotutto siete tutti così felici di vederlo di nuovo interessato a qualcuno.”
E Hachi comprende senza che sia necessario dire altro.
“Tesoro…”
“Ora mi dirai le solite banalità che dicono tutti, che troverò qualcun altro, che sono ancora così giovane e che questa non è che un’infatuazione adolescenziale…”
Hachi sospira prendendole delicatamente la mano per attirarla a sé “potrei dirti effettivamente queste cose perché sono vere ma so come ci si sente quando si è innamorati di qualcuno e questo qualcuno purtroppo non ci vede allo stesso modo, quindi ti dirò che farà male per un po’ e ti sembrerà di non poter più volere bene a nessun altro e che nessuno potrà mai prendere il posto di questa persona nel tuo cuore,” un velo malinconico sulle labbra ed Hachi, la stringe più forte “ma sai noi esseri umani siamo strani e ti capita d’improvviso di provare gli stessi sentimenti per qualcun altro e ricaderci di nuovo  e allora tutto il dolore provato prima diventa solo un ricordo.”
“ A te è accaduto questo?”
“Diciamo che se mi somigli ti accadrà spesso” ride.
“Ti è successo con papà?”
Hachi tentenna ma deve mostrarsi una donna adulta davanti ad una ragazzina “ con tuo padre come ben sai è stato tutto complicato, ma l’ho amato certo…l’ho amato molto.”
“Ed ora?”
“Satsuki…”
“Rispondi, ed ora?”
“Ed ora è ancora complicato.”
Satsuki si allontana “certo, figurarsi.”
“Tesoro lo sai che nella nostra famiglia le cose sono difficile.”
“Perché fate di tutto per renderle difficili e alla fine io e Ren ci finiamo in mezzo. Non voglio avere un futuro così! Io…perché non mi guarda? E’ perché sono più piccola? Perché non sono bella come Misato?”
“Ti ha sempre visto come la sua sorellina, per lui sei più importante di qualsiasi ragazza, non…non potrebbe mai guardarti in modo diverso.”
“ Ma io non sono sua sorella!”

 



 

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Capitolo 15
*** La vita come una scusa ***


Ko si rannicchia un po’ contro il finestrino mentre la grossa Mercedes nera attraversa le vie di Tokio, Ren è addossato al vetro opposto, il silenzio è pesante fintanto che non è il ragazzo stesso, lanciando uno sguardo verso lo specchietto retrovisore, a mormorare un “mi dispiace” che si perde sospeso per qualche istante.  La luce rossa di un semaforo si riflette nell’abitacolo ricordando un vago effetto da film anni 80, qualcosa di un po’ sinistro e posticcio che conferisce al profilo di Takumi una luce grottesca.
“Questa volta non te la caverai con un mi dispiace.” Ribatte l’uomo premendo con nervosismo sull’acceleratore allo scatto del verde, “non puoi fare sempre quello che ti pare fregandotene del prossimo che, nel caso specifico, è tua sorella.”
“Non volevo certo ferirla, saremmo rientrati prima che qualcuno si accorgesse della nostra assenza.”
“Che è esattamente quello che è successo, giusto!?”
Ko si sporge un poco, ha le mani fredde ed un peso che le preme sullo stomaco “signor Ichinose la colpa è anche mia.”
“Non ne dubito,” lapidario Takumi “certe cose meglio farle con intelligenza o evitare proprio di farle.”
A Ko non sfugge la mano di Ren premuta sul sedile, stretta sulla pelle nera in maniera così forte da piegarla in tante piccole grinze. Non c’è tempo per ribattere altro, l’auto sosta davanti al locale, fermi all’entrata è facile distinguere Yasu e Nobu; Takumi scende sbattendo lo sportello e facendo segno ai due ragazzi di seguirlo, “ecco i fuggitivi” sbotta rientrando nel locale lasciandoli immobili come statue al fianco dell’auto.
“State bene?” chiede Nobu e gli viene istintivo poggiare una mano sulla spalla rigida di Ren attendendo risposta, il ragazzo si limita ad annuire distogliendo lo sguardo con amarezza ed un istante dopo Hachiko giunge trafelata, fermandosi un passo dietro a Nobu quasi indecisa sul da farsi non fosse per quel lieve tremore che la scuote tutta, un passo avanti e Ren avverte il veloce colpo sulla guancia, non forte ma la pelle sembra bruciare in profondità.
Ko china la testa “mi dispiace signora Ichinose, non se la prenda solo con Ren è stata anche colpa mia.”
“Ci penseranno i tuoi genitori” replica la donna “non vi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello che qualcuno potesse preoccuparsi?”
Gli occhi di Ko si velano di lacrime “posso…posso vedere Satsuki?”
“Satsuki è a casa con Miu dato che era piuttosto agitata, come tutti noi dopotutto.” Yasu accende una sigaretta “ad ogni modo credo sia inutile stare a processarli ora, sono quasi le due del mattino e faremmo meglio ad andarcene tutti a dormire, dopo un buon sonno le cose si possono giudicare sotto una miglior prospettiva. Hanno fatto una bravata più o meno come è capitato a tutti noi, direi che non è il caso di farne un dramma.”
Nobu sorride rassicurante in direzione di Hachi “quello che importa è che stanno entrambi bene e tutto si è risolto nel migliore dei modi.  Come ha detto Yasu meglio andare tutti a farci un buon sonno, penserò io a riaccompagnare Ko a casa.”
Hachi sospira come se la tensione trattenuta fino a quel momento le si sciogliesse addosso in una colata stanca, “dov’è finito Takumi?”
“Credo sia andato al bar a farsi un goccetto tranquillizzante.”
“Ti sbagli pelato ho solo bevuto un bicchiere d’acqua e pagato gli strascichi di questa disastrosa festa,” rivolge un’occhiata a Ren, uno sguardo stanco che lo intima a risalire in macchina, “vi ringrazio per essere rimasti fino a quest’ora e scusate ancora la stupidità di mio figlio.”
Takumi non si perde in altri convenevoli ed Hachi a sua volta lo imita, Ko e Ren si guardano attraverso il vetro del finestrino e lei può chiaramente leggere un “ti chiedo scusa” su quelle labbra piegate in una linea sottile.
Poi è solo silenzio, altre strade da attraversare per raggiungere il quartiere di Shirogane, altre luci che sfilano davanti agli occhi di Ren. Da bambino si incantava ad osservare la brulicante vita che si muoveva tra le vetrine illuminate del centro, indicava persone e cose e dava loro nomi immaginari e storie immaginarie…ora vede solo ombre senza volto.
“Ren perché lo hai fatto?” Hachi si volta a guardarlo e Ren può chiaramente leggere la preoccupazione sul pallore del volto della madre, ogni camuffamento colorato ne è stato totalmente assorbito.
“Non lo so” risponde il ragazzo ed è la verità poiché non c’è una spiegazione differente da quell’impellente desiderio di fuga che aveva provato.
“Ci stai punendo?” prosegue Hachi e Ren rabbrividisce inconsapevolmente.
“Perché dovrei?”
“Dimmelo tu Ren, credo ci siano molte cose delle quali vorresti parlare e penso sia il momento di farlo, siamo la tua famiglia e vogliamo solo il meglio per te.”
“Lascialo perdere” Takumi le lancia un’occhiata “ora come ora non merita alcun tipo di considerazione.”
“Ed invece credo sia il momento giusto!”
“Beh allora aspettata di arrivare a casa e chiudere il sipario su questa giornata.”
“Sei stato tu a dire che dovevamo affrontare il discorso!”
“So quel che ho detto ma ti garantisco che non è questo il momento.”
“E quando? Sappiamo benissimo che si chiuderà a riccio nuovamente ed ad ogni modo, tanto perché lo sappiate entrambi, Ren non ritornerà in Inghilterra, non ho intenzione di separarmi da lui nuovamente.”
“Ti ho detto che non ne dobbiamo parlare in questo momento, okay?”
“So benissimo che avete l’aereo di ritorno domani sera.”
“C’è un solo biglietto ed è il mio, avevo già valutato l’idea di lasciare qui Ren!”
“Smettetela…smettetela…smettetela!” è un vetro che va in frantumi la voce di Ren, “fate sempre così come se io non ci fossi, come se io non potessi sentirvi! Ma io ci sono, sono qui maledizione! Cosa significa che rimarrò qui!?”
“Esattamente quel che ho detto.” Takumi parcheggia l’auto, lo sfavillante condominio è a pochi passi da loro come uno sfondo inopportuno. “
“Ho parecchio lavoro da sbrigare e non ho il tempo di stare dietro ai tuoi colpi di testa. Credo sia giunto il momento che tu trascorra del tempo qui insieme a tua madre e Satsuki.”
Ren si sporge in avanti, poggia una mano sulla spalla del padre affinché si volti a guardarlo “dimentichi la scuola e la band! Non puoi prendere queste decisioni senza consultami!”
“Tecnicamente posso ragazzino, dato che fino alla maggiore età rimani sotto la mia giurisdizione ciò implica che farai quanto dico.”
“Ti vuoi liberare di me!?”
“Pensala come ti pare.”
Ren allenta la presa, un’espressione incredula gli si dipinge sul volto, ma questo non pare sortire alcun effetto poiché Takumi scende dall’auto senza prestargli ulteriore attenzione. Ora è da solo con sua madre, sua madre che esita a scendere, che non lo guarda sebbene vorrebbe.
“Tuo padre ha ragione, forse è meglio rimandare le discussioni a domani.”
 
 
Satsuki ha le braccia strette intorno al cuscino, gli occhi ormai asciutti rivelano però il gonfiore dovuto al lungo piangere. Il cellulare squilla di continuo, ma Satsuki non risponde alle chiamate di Ko, si sente ferita e sa che un susseguirsi di scuse non farebbero altro che peggiorare la situazione. Avverte la porta d’ingresso aprirsi, voci sussurrate, altre porte che si aprono e chiudono.  I suoi sono rientrati e probabilmente Ren è con loro, fissa lo sguardo sul legno chiaro della porta, la vede socchiudersi e chiude gli occhi di scatto fingendo di dormire. La porta si apre, dei passi, qualcuno le siede accanto, un lieve spostamento d’aria, Satsuki resta immobile, non ha intenzione di ascoltare suo fratello, non stasera. Ma la voce che le giunge all’orecchio è più bassa e profonda, è la voce di suo padre.
“Mi dispiace principessa, ma ci rifaremo vedrai.”  
 Satsuki stringe le palpebre, “mi sento umiliata, è stato tutto un disastro” riesce a dire  “ sarò lo zimbello della scuola per chissà quanto.”
“Lo zimbello della scuola? Quanti dei tuoi compagni possono vantarsi di aver festeggiato il quindicesimo compleanno in uno dei locali più fighi di Tokio? Io ho visto ragazzini che ballavano e si divertivano, al massimo potranno parlar male di tuo fratello.”
Satsuki accenna un sorriso “mi pare il minimo.”  Siede accanto al padre poggiando la fronte contro la sua spalla “come sono stati i tuoi quindici anni papà? Cosa pensavi allora?”
Takumi sospira “tu non sai quanto vecchio mi faccia sentire questa domanda.”
“Non sei vecchio…”
“Eppure mi sembra siano passate mille vite da allora. Onestamente non ho mai festeggiato un compleanno, diciamo che a casa mia non si usava, ma è probabile io abbia passato il tempo da qualche parte a suonare con la band dell’epoca o a bere un po’ di alcol clandestino.”
“Precoce.”
“Stupido più che altro e tu non prenderla come giustificante per imitarmi, fino ai 21 al massimo puoi bere lo champagne per bambini.”
Satsuki sospira “ tranquillo non ho nessuna velleità da alcolista” il viso le si rattrista di nuovo “devi proprio partire domani?”
“Vuoi venire con me?”
La ragazzina si rianima “ e che faccio con la scuola?”
“Beh hai ancora una settimana di vacanza, potremmo girare per Londra, vedere musical… per quanto riguarda lo shopping Reira sarebbe ben contenta di farti da cicerone.”
“Mi piacerebbe” Satsuki si scosta “ma perché non possiamo vivere qui tutti insieme? Non posso credere che qui non troveresti lavoro.”
“E’ complicato.”
“Pare che tu e mamma abbiate lo stesso identico copione. E’ complicato. Che cosa è complicato?”
“Lo sai bene Satsuki, purtroppo quando si è adulti non si fa altro che incasinarsi la vita, ci si fa del male e spesso inconsapevolmente lo si fa anche ad altri. Vedi siamo tutti un gran branco di egoisti…”
Satsuki scuote il capo “ tu e mamma vi amate ancora?”
Takumi rimane in silenzio, “non so darti una risposta.”
“E’ semplice: o si o no! E non dirmi che è complicato perché mi metto ad urlare!”
“Vedi a quindici anni i sentimenti possono essere netti, ma da adulti ci sono un sacco di zone grigie, c’ un vissuto, ci sono delle situazioni…”
“Papà non sei mai stato vago nelle tue risposte, la giornata è stata già orrenda vedi di non metterci la ciliegina.”
“Io amo la mia famiglia. Credi che questo basti?”
“Comincia a non bastare più se domani prendi e te ne ritorni dall’altra parte del mondo.”
E per la prima volta Satsuki può vedere il rimpianto sul volto di suo padre, gli solca la fronte e gli spegne gli occhi scuri, occhi come i suoi; quante volte le era stato ricordato quando somigliasse a suo padre e lei, fin da bambina, ne andava fiera. Il mio papà è bello, il mio papà è un musicista, il mio papà vive oltre l’oceano in una città che si chiama Londra. Questa era stata la cantilena quando era bambina, suo padre visto come un eroe che riportava da quella città sconosciuta regali su regali, ma che poi lasciava il vuoto incolmabile di un’assenza incomprensibile. Ora Satsuki ha quindici anni e non può più raccontarsi favole, un regalo non può risollevare la pesantezza della mancanza, una carezza non può consolare, una frase fatta non stempera la rabbia. Così Takumi se la stringe contro, non dice nulla, l’abbraccia e in quell’abbraccio Satsuki è certa di sentire un abbandono, non è suo padre che la sta consolando ma lei che sta sostenendo lui.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** 16 ***


16
 
Hachi sorseggia un bicchiere d’acqua, il display del cellulare segna le tre del mattino ma il sonno non vuole proprio saperne di coglierla; si aggira per la grande cucina indecisa sul da farsi, combattuta tra il voler buttare giù suo figlio dal letto per chiarire le cose una volta per tutte ed il prendere la porta e vagare per le strade fino ad arrivare alla stanza 707. Sa che lì riuscirebbe a dormire, è già successo altre volte, bastava chiudere gli occhi per fare un salto di oltre dieci anni indietro, pensare a Nana che dorme nella stanza accanto, al vestitino carino da indossare l’indomani per andare al lavoro, il pomeriggio in sala prove passato a sfuggire arrossendo agli sguardi di Nobu. E poi pensare alla cena, una tavola tanto piccola per un gruppo così vario di persone, e poi…poi i fuochi d’artificio, piccole scintille che Nobu e Shin avrebbero acceso, qualche lattina di birra e grandi progetti per il futuro enunciati sotto un cielo di fine estate.
Si vuota dell’altra acqua dandosi della stupida, i sogni fanno più male che altro, il passato è talmente desiderabile e malinconico che le provoca un fastidioso groppo in gola, per quanto possa riproiettare la spensieratezza dei suoi vent’anni la realtà è così lontana, così diversa… non avrebbe mai potuto neanche lontanamente immaginare che il treno preso in quella notte di un lontano inverno l’avrebbe condotta ad un presente impossibile da contemplare.
“Sei ancora sveglia.”
Hachi annuisce svogliatamente “non riesco a dormire,” riempie un altro bicchiere  porgendolo al marito “nemmeno tu a quanto vedo.”
“In realtà mi ero addormentato in camera di Satsuki senza nemmeno rendermene conto.”
“Come sta?”
“E’ più matura di quel che crediamo, vedrai che dimenticata questa serata tornerà vivace come sempre.”
“Dicevi seriamente prima?”
Takumi la fissa perplesso “rinfrescami la memoria…”
“Hai intenzione di lasciare qui Ren per davvero?”
“Credevo fosse quello che volevi.”
“Infatti.”
“Anche se, ad essere onesti, dovremmo lasciare che sia lui a decidere.”
Hachi scuote il capo, “sceglierebbe di partire e non avremmo risolto nulla.”
“Senti Nana c’è una cosa che devo dirti…”
Improvvisamente Hachi s’irrigidisce, uno strano presentimento le fa battere il cuore più forte, le parole di Jun le rimbombano nella testa come un presagio:
“prima o poi sarà lui a chiederti il divorzio. Credi che a Londra non si sia rifatto una vita? E se non ricordo male laggiù c’è anche Reira.”
Takumi le si avvicina “avrei già voluto dirtelo quando siamo arrivati ma diciamo che non c’è stata occasione.”
“O è più corretto dire che non hai voluto trovarla l’occasione.”
A quella risposta tagliente Takumi alza gli occhi al cielo, sua moglie è sul piede di guerra e lui non è particolarmente propenso a fare da parafulmini.
“L’orario è infelice, ne riparliamo domani.”
“No dimmelo ora, ora ce l’hai l’occasione,” e tuttavia Hachi si pente un istante dopo di quell’improvviso moto di coraggio. Si domanda che reazione potrà avere, forse si sentirà liberata da un legame che non avrebbe mai dovuto esserci fin dall’inizio, forse è il solo modo per far sì che tutto vada a posto, che le loro vite continuino senza il fardello di quel matrimonio disastroso. Ren e Satsuki capiranno, d’altronde hanno vissuto per anni con due genitori di fatto separati. Ma pur dandosi tutte queste ragioni il cuore martella più forte, la costringe ad arretrare, a fingere di essere, in qualche misura, distaccata da qualunque cosa l’uomo che ha davanti potrebbe dirle.
“Voi donne siete terribili e Reira mi aveva avvertito che la faccenda non ti avrebbe entusiasmata.”
Hachi stringe più forte i pugni, quel nome balza fuori così tra di loro, così come è sempre balzato fuori, l’immagine di quella donna sempre frapposta a loro due.
“Reira? Avete deciso la data?”
Takumi pare non capire “la data? In realtà volevo prima discuterne con te, sempre se sei d’accordo.”
“Come fai a chiedermelo così!”
“Aspetta Nana perché esattamente non so di cosa stiamo parlando, Ren ti ha già accennato la cosa quindi?”
“Ren?” Hachi è allibita “quindi è questo che vuoi fare, lasciare qui Ren per qualche tempo in modo da poter sbrigare le tue faccende private con lei per poi portamelo via? Non vi darò mio figlio, fatevene uno vostro!”
“Cos’è il teatro dell’assurdo? Di che stai parlando?”
“No tu di cosa stai parlando!”
“Del viaggio in America che ho intenzione di far fare ai nostri figli, vorrei che Ren frequentasse la Berklee School per qualche mese, potrebbe essere un eventuale orientamento sulle sue decisioni future e Satsuki potrebbe andare con lui per un viaggio studio, a Boston ci sono scuole eccellenti…mi ascolti?”
Hachi non ascolta, si porta una mano al petto come se avesse ricominciato a respirare solo in quel momento, ma dura poco, quel tempo sufficiente a realizzare quanto suo marito ha appena detto.
“Vorresti allontanarli entrambi?”
Takumi la prende per mano costringendola a sedersi, ora sono ai due lati del tavolo l’uno di fronte all’altro.
“Diamoci una calmata e respiriamo, sarebbe solo per un paio di mesi, onestamente allontanarli dal ginepraio delle nostre vite la reputo una cosa salutare. Insomma un sacco di ragazzi fanno dei viaggi studio non è certo la fine del mondo. Non l’avresti fatto anche tu avendone la possibilità?”
“Il punto è che prima di decidere certe cose dovresti parlarmene, se ora io fossi contraria ferirei Ren che, immagino, sia entusiasta di partire.”
“Ed il fatto che sia entusiasta dovrebbe renderti felice.”
Hachi scuote il capo “il punto è che…è troppo fragile in questo momento, lo vedi anche tu. C’è un problema, un problema che lo tormenta ed io non voglio certo lasciarlo partire senza sapere di cosa si tratta.”
“Guarda che partirebbe la prossima estate, credo che di tempo per chiarire prima di allora ce ne sia, lo lascio qui apposta per questo.”
“Mentre tu te ne scappi.”
“Ancora con questo discorso? Mi pare di non essere mai scappato di fronte alle responsabilità verso i miei figli.”
“Ah no?” ed Hachi sente le lacrime inclementi bagnarle il viso “chi è che di noi due vive a Londra?”
“Sei ingiusta Nana, lo sappiamo benissimo entrambi per quale motivo non sei voluta venire a vivere con me.”
“Perché non sono mai stata la donna in cima ai tuoi pensieri, per quanto tu possa negarlo dimmi da chi sei sempre accorso in tutti questi anni!?”
Takumi si alza “è inutile ragionare con te, vaneggi e la verità è che vivi nell’attesa che un fantasma ritorni, non desideri ne aspetti altro; quella specie di santuario che seguiti a tenere immutato e spacci per appartamento ne è una prova evidente. Se almeno in questa attesa ti decidessi a metterti con Nobu, continuate da anni a scambiarvi sguardi colmi di rimpianto ed ancora mi domando cosa ti impedisca di coronare la vostra unione, e non dire che sono io perché mentiresti sapendo di mentire.”
Hachi non ce la fa più, d’improvviso si sente stanca, quella disperazione nera che era riuscita ad arginare ora la risucchia facendola scoppiare in lacrime. Takumi le si avvicina, pare pentito, le poggia una mano sulla spalla “Nana tranquillizzati, mi spiace ho esagerato. Purtroppo non siamo mai stati bravi a comunicare io e te…Nana?”
Ma Hachi lo spinge via, alzandosi in piedi per battergli i pugni contro il petto con una rabbia esausta, “come ho fatto ad innamorarmi di un uomo crudele come te! Come! Come!”
 

“E’ proprio ora che io me ne ritorni a casa, Chiaki sarà preoccupata.”
Misato recupera la giacca di pelle abbandonata su di una sedia del soggiorno “credo che abbiamo analizzato un numero sufficiente dei mie testi depressivi.”
“Potresti fermarti a dormire qui, sono praticamente le quattro del mattino, non mi va che giri per strada a quest’ora.”
“Ti preoccupi per me?” Misato lo guarda con sarcasmo ma il viso di Shin è inusualmente serio.
“Sì mi preoccupo.”
La ragazza distoglie lo sguardo “non ce n’è bisogno.”
“Hai paura che ti salti addosso?”
Misato sorride stancamente, ritorna sui suoi passi sedendosi sul vecchio sofà accanto a Shin, l’odore della sigaretta accesa che il ragazzo tiene tra le dita si mischia al profumo della colonia, è un profumo forte che però la tranquillizza, sarebbe bello dormire avvolta in quel profumo.
“Siamo proprio due barche alla deriva io e te,” mormora poggiando la testa sulla spalla di lui “o forse siamo semplicemente terrorizzati all’idea di trovare un porto in cui approdare definitivamente. Chissà cosa o chi stiamo aspettando…”
 Shin tira un’altra boccata di fumo, “abbiamo troppi fantasmi ingombranti,” e forse lo sta dicendo a sé stesso “sempre il solito discorso.”
Misato non cambia posizione “ma sarà davvero così? Saranno davvero i fantasmi a pesarci addosso o a lungo andare è diventata una scusa? Potremmo andare e fare qualunque cosa ed invece ci muoviamo come pesci nello stesso acquario.”
Shin le bacia una tempia “vuoi fare psicanalisi a queste ore? E’ sexy in un certo senso.”
“Parlo seriamente,” è un rimprovero ed ora lo fissa negli occhi, Shin ricorda che Nana aveva quello stesso identico sguardo.
“C’è un posto dove voglio andare…è un viaggio che rimando da una vita. Dovevo andarci con uno di quei fantasmi ma la cosa non è mai andata in porto.”
“Dove?”
“In Svezia. Verresti con me?”
Misato è sorpresa, confusa rivolge lo sguardo ad un mappamondo che Shin tiene su di una mensola sopra il televisore, si alza per andare a recuperarlo e sorridente lo porge al ragazzo “quando si dice tenere il mondo tra le mani.” Si risiede accanto a lui osservando il mappamondo che Shin fa girare, l’Asia passa velocemente ed ecco che Shin indica un piccolo Stato “qui.”
“La città delle sirene” e mentre lo dice Misato sembra una bambina, il suo entusiasmo è sincero, “sei nato a Stoccolma giusto?”
“Così dice il mio passaporto, “preme la sigaretta nel posa cenere.
“Potremmo scriverci una canzone sopra, è poetico.”
“Questi tuoi sprazzi di romanticismo sono inquietanti.”
“Perché? Io sono fondamentalmente romantica.”
“E melodrammatica.”
“Quando mai sarei melodrammatica?”
Ma Shin non risponde, si limita ad avvicinarsi ed appoggiare le labbra contro le sue, un bacio casto che Misato ricambia, sa che Shin non andrebbe oltre, pertanto trattiene l’impulso di gettargli le braccia intorno al collo e chiedere di più.
“Lo dicevi sul serio?” chiede una volta che il ragazzo si allontana.
“Che sei melodrammatica?”
“Scemo. Della Svezia, lo dicevi sul serio?”
Shin non distoglie lo sguardo “sì, lo dico sul serio. Avevi ragione riguardo al copione ed hai ragione riguardo all’assuefazione al passato, assuefarsi è più facile e non cambierà mai se non si decide, quantomeno, di provarci. Quindi voglio tornare al punto di partenza. Ho una ventina di giorni prima dell’inizio delle riprese.”
“Quindi sarebbe una partenza imminente.”
“Ti tiri indietro?”
“Ti piacerebbe. Ormai hai lanciato il sasso e non puoi più nascondere la mano.”
 
 
Hachi si rigira tra le lenzuola, uno spicchio di luce dalla finestra taglia la stanza come una ferita, la testa un po’ le duole, scorge i vestiti sparsi sul pavimento e si rannicchia di più prima di avere il coraggio di voltarsi. Non era la prima volta, anche in passato era successo, un litigio, la rabbia reciproca, il pianto, un bacio. Avevano concepito Satsuki nello stesso identico modo. Ma stavolta non può addossare la responsabilità a Takumi, lo ha chiamato uomo crudele più volte, lo ha colpito e lui l’ha lasciata fare. Stavolta era stata lei a prendere l’iniziativa, si era sollevata in punta di piedi battendogli ancora i pugni contro al petto e lo aveva baciato. A pensarci fa quasi fatica a riconoscersi in quello slancio di iniziativa, e lui forse aveva provato a scostarsi, a dirle che sarebbero andati incontro all’ennesimo disastro, ma lei era troppo arrabbiata per capire. Aveva in quella casa tutti i pezzi della sua famiglia, pezzi sparsi come i vetri di un bicchiere appena rotto. Come si può aggiustare il vetro?  Le erano tornati alle mente quei bicchieri con le fragole sovrapposti sul pavimento della stanza 707. Tante schegge che lei si era inginocchiata a raccogliere ferendosi le ginocchia e le mani, nel ventre la vita di Ren che cominciava a formarsi, mentre fuori sua madre si disperava di quanto aveva appena perso. E poi era arrivato Takumi a rimproverarla, a farla rialzare e a sciacquarle vie tutte quelle piccole schegge incastonate nella pelle. Quante volte aveva dovuto salvarla seppur controvoglia.
Ed ora quelle stesse schegge sono i membri della sua famiglia, sono i suoi figli e quell’uomo. Come si può ricomporre il vetro? Esiste un modo? Ed è giusto aggiustare qualcosa che si è frantumato da tempo?
Avverte un lieve movimento ed istintivamente si volta, Takumi è in piedi nell’atto di allontanarsi, il corpo nudo rivela dei segni sulla schiena ed Hachi arrossisce come una ragazzina, lui non si è ancora accorto che lei è sveglia e questo potrebbe permetterle di rimettersi giù e fingere di dormire, potrebbero lasciar scivolare l’accaduto come negli anni hanno lasciato scivolare nel non detto tante altre cose.
“Scappi?”
Takumi si volta a fissarla, non sembra sorpreso.
“Devo preparare la mia roba, ho il volo nel pomeriggio.”
“Quindi ho ragione, scappi.”
Lo sente sospirare ed abbandonarsi a sedere sul letto, sembra un padre esasperato da una bambina.
“No Nana, se tu vuoi che rimanga rimarrò.”
“Qui non si tratta di me ma di Ren.”
“Certo,” scettico volge lo sguardo alla sveglia “sono le 7.00 direi che potremmo buttarlo giù dal letto legarlo ad una sedia e obbligarlo a dirci perché ha deciso di far esplodere il periodo nero dell’adolescenza proprio in questi giorni.”
“Vuoi che riprendiamo da dove abbiamo lasciato ieri sera!” Hachi trema di nervosismo e l’accenno di sorriso di Takumi non l’aiuta.
“Se intendi la seconda parte a me sta bene.”
“Finiscila.”
Nonostante tenti di dissimularlo Hachi vorrebbe parlare con suo marito di quanto accaduto, del perché siano finiti a letto nonostante non facciano altro che rinfacciarsi i rispettivi errori, del perché Takumi ad un certo punto l’abbia stretta a sé talmente forte da toglierle il respiro.
“Credimi non sto sottovalutando la cosa e mi pento di quello che ho detto a Ren ieri sera, ho sbagliato a rimandare, il momento di parlare era quello.”
Tentenna Hachiko, raramente Takumi manifesta ripensamenti sulle sue azioni.
“Posticiperò il volo quel tanto che servirà per risolvere questa situazione.”
 
 
 

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