15/08/2010 Il giorno dell'addio

di Nina Ninetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'è qualcosa... ***
Capitolo 2: *** Vuoi uscire con me? ***
Capitolo 3: *** Ferragosto di stelle e gelato ***



Capitolo 1
*** C'è qualcosa... ***


 

15/08/2010
Il giorno dell'addio

 
 

 
"Il brutto dei cuori spezzati è questo:
che non ci puoi buttare sopra l'acqua ossigenata
e soffiare mentre le bollicine camminano sulla ferita
che puoi solo tenerti i cocci.
E non ci stanno operazioni e non ci stanno medicine
che li possono rimettere insieme,
te lo devi tenere così il tuo cuore, rotto."
 
 

Prologo

 
Lo sento.
Il suo respiro caldo sulla pelle, sul collo, mi fruscia fin nell'orecchio e io mi sto eccitando come non mai. La mia schiena finisce contro il muro, mentre le nostre labbra s'incontrano voraci e bramose di desiderio, poi le sue scendono lungo la curva del mio collo scoperto per risalire fino ai lobi, giocherellando con gli orecchini di perle. La mia bocca è serrata a trattenere un gemito di piacere, gli occhi socchiusi; con le mani gli accarezzo i capelli: sono morbidi nonostante il gel.
Ha la pelle dorata dal sole.
Mi avvinghio alla sua schiena mentre mi trasporta in camera, dove ad attenderci c'è un letto coperto solo da lenzuola. Mi adagia delicatamente e lo osservo disfarsi della maglia con un colpo sicuro. Sorrido tra me e me: non è per niente il mio tipo. I biondini con la barbetta e i capelli sistemati stile "figli di papà", sempre con quella puzza sotto al naso, non mi hanno mai attratto.
Qualche parente/conoscente direbbe che è solo l'ennesimo capriccio per soddisfare un ego smisurato.
Balle!
Intanto lui increspa gli angoli della bocca con fare accattivante, raggiungendomi carponi riprende da dove aveva interrotto. Con i polpastrelli delineo la forma perfetta della sua schiena, avvertendo i muscoli contrarsi nei movimenti. Le nostre gambe si sono intrecciate automaticamente, a incastro. Mi bacia come se fosse l'ultimo bacio della nostra vita, le sue mani sono ovunque, mi toccano e mi accarezzano senza criterio.
Fuori comincia ad albeggiare, la città si risveglia e un nuovo giorno sorge per il resto dell’umanità; per me invece non c’è distinzione fra notte e alba, buio e luce hanno un continuum temporale imprescindibile.
Questa stanza non esiste.
Il mondo fuori non esiste.
Gli altri esseri umani non esistono.
La guerra non esiste.
L'intera galassia non esiste.
Ci siamo solo io e lui: uno straniero conosciuto in una notte d'estate in discoteca. I suoi piani, per stasera, sono anche i miei.
Fanculo il resto! Fanculo tutti!
Mi viene in mente il verso di una canzone che amo: so need your love, so fuck you all.*
 
Studia il mio corpo senza troppi complimenti, sdraiato sul letto dove abbiamo appena consumato la nostra lussuria, è coperto fino al bacino dal lenzuolo, si sorregge sul gomito destro e sogghigna. Infilo i decolté neri, chiudo l'ultimo bottone dei jeans, alzo il capo e riavvio i capelli, pettinandoli alla bell'e meglio con le mani. Lui continua a fissarmi sornione, fingo di non accorgermene, quando dice:
«Non conosco neanche il tuo nome.»
«E a cosa ti serve sapere come mi chiamo?»
Lui fa spallucce e io so che lo ha chiesto semplicemente per non essere etichettato come il classico stronzo da “una botta e via”. Quello che lui non sa è che a me non frega un corno di che tipo sia. Santo o bestia personalmente non cambia niente.
Esco dalla stanza e i tacchi rimbombano nell'appartamento dallo stile moderno e scarno. Recupero la borsa che avevo lasciato cadere all'entrata, lui arriva alle spalle e mi afferra da dietro, annusa il mio profumo: l'odore dolce del balsamo che uso per i capelli. Odio queste smancerie, tuttavia sto al gioco: quantomeno ha avuto la decenza di indossare un paio di pantaloncini. Mi invita a voltarmi e io faccio una piroetta su me stessa ritrovandomi a un palmo dal suo viso. Ha due occhi castani espressivi e profondi.
«Finisce così, dunque?» Il suo italiano non è perfetto, ma comprensibile quanto basta. «Né un nome da ricordare, né un numero di telefono da chiamare... nada?»
Sorrido. Nada? Che sia sudamericano?
Gli accarezzo una guancia e avvicinando pericolosamente le mie labbra alle sue bisbiglio:
«Nada de nada» lui schiude le labbra, in attesa di un ultimo bacio che non giungerà mai. «Adios!» Mi libero diligentemente dal suo abbraccio e dico addio a lui e al suo bilocale, accompagnata dal ticchettio delle mie scarpe sul pavimento.
 

Capitolo 1.
C'è qualcosa...

 
Adoro starmene seduta sul davanzale della finestra a fissare il mondo fuori. Mi piace osservare le persone, che esemplari strani. Si affaticano tutto il giorno, una vita intera, per raggiungere i loro obiettivi, spesso surreali e impossibili. E poi, cosa ne rimane?
Che stupidi!
Mangio un'altra cucchiaiata di gelato all'amarena. Il mio preferito.
Le luci dei lampioni in strada sono accese, finalmente il sole è tramontato oltre le montagne a ovest e le stelle hanno fatto capolino alle loro spalle.
Mi manca il mare, ovviamente, ma i grilli e le cicale mi tengono compagnia con il loro allegro chiacchiericcio. Non credevo che l'estate milanese avesse gli stessi profumi e i medesimi sottofondi di quelli pugliesi.
Se mi manchi casa?
A volte sì, altre no.
A 23 anni suonati non saper cosa farne della propria vita non è molto... come direbbe mio padre? Ah sì, non è molto "soddisfacente". Mi sembra ancora di sentirlo quando rientravo in piena notte e lui mi aspettava nel salone, con l'abatjour accesa a leggere l'ennesimo libro:
«Liliana Rizzo, un'altra giornata buttata. Non deve essere molto soddisfacente.»
No, non lo è.
Odo dabbasso voci sommesse e qualche risata, tintinnii di bicchieri e posate e la mia pancia, laggiù, brontola indignata. Vuole mangiare, ma io non ho voglia di andare alla festa. Per questa sera mi farò bastare il gelato.
Qualcuno bussa alla porta e, senza neanche aspettare una risposta, entra. Non mi volto a guardare chi sia, lo so già! È lei. La regina del castello. Mia cognata Beatrice. Qualche passo ed è dinnanzi a me, a guardarmi con le braccia incrociate sotto al seno; fingo che non ci sia.
«Non sei ancora vestita? La festa è iniziata da un'ora almeno!»
«Io non vengo. Mi scoccio.»
Si avvicina minacciosa, per poco non rischio di baciarla quando mi volto a guardarla. È furiosa, mi strappa il barattolo di gelato - vuoto per metà - dalle mani.
«Ascoltami bene ragazzina: tuo fratello non merita questo atteggiamento strafottente da parte tua! Ringrazia il cielo che hai lui, altrimenti a quest'ora saresti già rinchiusa in qualche centro di recupero, in mezzo a drogati e donnacce di ogni genere!» Non abbasso lo sguardo e non lo fa neppure lei.
La verità è che la odio! Chi è lei per giudicare la mia vita e le mie scelte? Solo perché è la moglie di mio fratello non ha il diritto di parlarmi così.
Brutta megera meschina!
«Mettiti qualcosa di decente addosso e vieni giù! Se tra mezz'ora non ti vedo arrivare tornerò a prenderti, dovessi trascinarti anche così conciata» mi guarda come si farebbe con un barbone.
Cos'ha contro la canotta di Hello Kitty e gli shorts a pois di cotone?
Se ne va, ondeggiando a destra e a manca il suo bacino fasciato da un tubino scuro, sbattendo la porta dietro di sé e portandosi via il mio gelato.
Odiosa!
Inconsciamente giocherello con gli orecchini di perle che Antonio mi regalò al mio diciottesimo compleanno. Da allora non le ho più tolte, mi trasmettono sicurezza e protezione. Non lo ammetterò mai, ma forse Beatrice ha ragione. Dove sarei oggi senza di lui? Forse merita davvero che scenda a presenziare alla sua festa di compleanno.
 
Qualche minuto dopo sto scendendo le scale aggrappata al corrimano e subito mia cognata mi viene incontro, in agguato come un giaguaro. Mi prende sotto braccio e mi accompagna da mio fratello. Qualcuno ci saluta durante il tragitto, ma non conosco nessuno. Beatrice mi consiglia di sorridere di tanto in tanto e io le do ascolto: sorrido cinica e chiedo se così va bene. Il mio sorriso è più falso dei gioielli comprati in bigiotteria. Lei scuote il capo, evidentemente non è soddisfatta del mio splendido sorriso falsato. Pazienza, sopravvivrò.
Antonio è lì, sta parlando con alcuni signori ben vestiti, ma quando ci vede gentilmente se ne libera per raggiungerci. È contento, lo percepisco all'istante, forse non si aspettava di vedermi in mezzo alla “Milano da bere”. Mi abbraccia forte e io ricambio di conseguenza. Inizio a pensare che quasi quasi ho fatto bene a presenziare alla sua festa di compleanno. Gli stampo un bacio sulla guancia e gli rivolgo i miei migliori auguri, prendendolo un po' in giro per la vecchiaia che avanza. Beatrice ci interrompe, sembra sollevata anche lei e per un attimo mi pento delle cattiverie che ho pensato poco prima, quindi ci saluta proseguendo il suo compito di regina e intrattenitrice.
Antonio mi passa un braccio intorno alle spalle e insieme passeggiamo dove ci sono meno ospiti. Mi da un bacio sulla testa ringraziandomi di aver abbandonato il mio bunker per l'occasione. Sorrido alle sue frecciatine mentre addento una pizzetta tonda, con la speranza che la pancia si zittisca almeno un po'.
«Direttore! I nostri auguri!»
«Ragazzi! Benvenuti!»
Smack! Smack!
Baci e bacini.
Mi volto incuriosita, consapevole che mio fratello è il dirigente di una nota società di telefonia milanese.
Adesso sono di fronte a loro, tre ragazzi semplici e dall'aria simpatica e...
O-H- M-I-O D-I-O!
È lui, ne sono sicura, è lo sconosciuto, straniero, estraneo, forse sudamericano con cui sono andata a letto la scorsa notte. È lui! Per come mi sta guardando non può essere altrimenti. Distolgo lo sguardo all'istante, ma lui non smette di fissarmi.
Idiota! Idiota! Idiota! Smetti di fissarmi come un ebete!
«Ah ragazzi!» Esordisce mio fratello, passandomi una mano intorno alla vita. «Posso presentarvi mia sorella Lily. Lily, lascia che ti presenti tre dei miei migliori e più promettenti stagisti: Claudio, Mirko e Sergio»
Sergio?
Sorrido di circostanza, quando in realtà vorrei fuggire lontano e fabbricare una macchina del tempo per evitare di fare quello che ho fatto con... Sergio?
Alzo le dita in segno di saluto e ho quasi paura che possano tremare. Loro sono molto garbati, rispondono al mio saluto e quello di mezzo mi porge la mano.
«Ciao! Io sono Mirko.»
«Lily, piacere» credo di stare arrossendo come una quindicenne.
«Direttore Rizzo, non ci aveva mai detto di avere una sorellina così carina.» Claudio affonda il coltello nella piaga senza pietà.
Sorridono. Claudio e Mirko e mio fratello scherzano tra loro, tuttavia l'altro ragazzo è impassibile, di stucco, e io mi sento sempre più morire dentro.
Se Antonio lo sapesse...
Trovo una scusa banale e mi dileguo. Ho il bisogno di scappare via o rischio l'autocombustione. Aumento il ritmo dei passi poco a poco, fino a sparire al loro raggio visivo. Mi nascondo in cucina, insieme a tante cose buone da mangiare, ma ormai la fame si è dissolta, come d'incanto. Mi aggrappo al tavolo prendendo grandi boccate d'ossigeno per rallentare i battiti del cuore.
 
 
«Ah ragazzi!» Esordisce Antonio Rizzo, lasciando scivolare una mano intorno alla vita della fanciulla che gli è accanto. «Posso presentarvi mia sorella Lily. Lily, lascia che ti presenti tre dei miei migliori e più promettenti tirocinanti: Claudio, Mirko e Sergio».
È lei, per forza. I suoi lunghi riccioli biondi li riconoscerebbe fra mille, nonostante li tenga intrecciati da un lato. Le perle alle orecchie… Ed è la sorella del suo capo! Spera in cuor suo che Antonio sia un tipo moderno e con larghe vedute o è spacciato.
Lei è sbiancata quando l'ha notato e questo gli ha dato conferma dei suoi timori.
Lily: questo il suo nome. Lo stesso nome che non aveva voluto rivelargli la notte precedente, dopo che...
Accidenti! Non riesce a toglierle gli occhi di dosso, non riesce a smettere di immaginarsela nuda sotto di lui mentre...
Accidenti!
Ed è la sorellina del suo direttore.
Ha la bocca secca e le mani sudate, è nervoso. La sente scusarsi e allontanarsi accennando un inchino, quando finalmente scompare alla sua vista il sangue riprende a scorrergli nelle vene. Si intromette nel discorso dei suoi compagni e colleghi, tentando di nascondere l'imbarazzo, eppure quando anche Antonio Rizzo si allontana non riesce a trattenersi.
Mirko gli passa un braccio intorno alle spalle, sta ridendo con Claudio per un avvenimento accaduto quel giorno in azienda e gli chiede un parere. Il ragazzo dagli occhi color nocciola, espressivi e profondi, deglutisce e alza su di loro uno sguardo torvo.
«Oh, ma che hai? Sei strano...»
«Temo di essermi portato a letto la sorella del capo» dice tutto d'un fiato.
Mirko e Claudio si scambiano un'occhiata fugace.
«No, scusa, che significa?»
«Significa che mi sono fatto sua sorella!»
Non è nella sua indole essere volgare o urlare ai quattro venti le sue gesta sotto le lenzuola, ma questa volta è diverso, prova il bisogno impellente di dirlo a qualcuno. Mirko e Claudio scoppiano in una risata fragorosa. È assurdo. Ascoltano il racconto del loro malcapitato compagno e se all'inizio si trattengono dal ridergli in faccia, adesso è praticamente impossibile. Sergio corruga la fronte, non gli piace che si rida di lui, eppure alla fine non può che unirsi a loro: fra tutte le fanciulle che popolavano la discoteca, lui ha beccato l'unica che avrebbe dovuto evitare.
D'altronde era così bella.
Fa promettere ad entrambi di non spifferare quella storia in giro, glielo fa giurare fino allo sfinimento: non sa se può fidarsi di quei due, li conosce solo da qualche mese. In ogni caso decide di riporre in loro la sua fiducia.
«Devi parlarle» Sergio guarda Claudio perplesso. «Devi essere sicuro che anche lei, come te, ha a cuore questo segreto.»
«Giusto!» Interviene Mirko. «Pensa se lei rivelasse tutto al capo. Sai che bella figura de mierda!» Non riesce a trattenere un altro attacco d'ilarità e si scusa, beccandosi un'occhiataccia da parte dell'amico e collega Sergio. Quest'ultimo non ha alcuna voglia di parlarle, ma riconosce che il ragionamento dei suoi compagni non è del tutto sbagliato. La cerca con lo sguardo fra gli invitati, senza riuscire ad adocchiarla e - in fondo - si sente un po' sollevato, conscio che il fattaccio è stato solo rimandato. Per ora preferisce godersi la festa di compleanno sgranocchiando qualcosa in tranquillità.
 
 
Dalla rampa delle scale ho tutto sotto controllo. Posso osservare le persone senza che loro si accorgano di me. È perfetto.
Lui è ancora in sala, lo vedo in compagnia di altre persone, ci sono anche Mirko e Claudio. Ride e scherza e adesso sta dando dei buffetti sulla nuca a un ragazzo che non conosco, questi finge di essere infastidito e gli prende il capo sotto il braccio. Lui, Sergio, se ne libera e ridono insieme.
È diverso.
Non è la persona che questa notte mi ha avvicinato in discoteca, né quella che mi ha fatto sua, né tanto meno il ragazzo scioccato di poco prima, quando mio fratello ci ha presentati.
Non mi piace. Non mi piacciono i tipi come lui, perfetti da capo a piedi, sempre composti, con i capelli chiari e la barbetta curata, la pelle leggermente abbronzata, gli occhi vivaci e gioviali.
Non mi piacciono i tipi come lui, eppure c'è qualcosa che...
Avverto un improvviso senso di vuoto nello stomaco - la sensazione delle sue mani sulla mia pelle, della sua bocca che bramosa cerca la mia, di lui dentro di me - mi travolge e mi spaventa insieme. Sto qui a fissarlo da qualche minuto: è un po' come vedere qualcosa di orribile da cui vorresti distogliere lo sguardo, ma sei incapace di farlo.
Non mi piacciono i tipi come lui, eppure mi attrae come una calamita.
C'è qualcosa...
 

 
Il navigatore di bordo della sua Peugeot gli dice che tra qualche minuto scatterà la mezzanotte e che ci sono 27°.
L'estate è ormai inoltrata, di giorno le vie infuocate del capoluogo lombardo sono semideserte, le finestre dei palazzi sprangate, mentre nell'aria si sente il ronzio dei motori dei condizionatori.
Fra una decina di giorni tornerà a casa per le vacanze, ma per adesso Sergio desidera solo raggiungere il suo bilocale milanese, spogliarsi e sdraiarsi sul letto, chiudere gli occhi e dormire, dormire, dormire.
È inquieto.
Sono giorni che sta seriamente soppesando l'idea di prendere in disparte Antonio Rizzo e raccontargli l'accaduto. È diventato un pensiero fisso, come un tarlo che picchia in testa, giorno e notte, senza tregua.
Mirko e Claudio gliel'hanno fortemente sconsigliato: taci, l’hanno ammonito, osserva l'evolversi della situazione, gli hanno detto, convinti che questa storia sarebbe scemata, sgonfiandosi come un palloncino.
«Quando vuoi che ti capiti di rincontrarla, dai stai tranquillo!»
Queste erano state le ultime parole pronunciate da Claudio nel lounge bar sui Navigli, dove hanno trascorso la serata sorseggiando mojito e sgranocchiando stuzzichini.
In fondo era vero. Si era trattato solo della storia di una notte e lì sarebbe finita. Inutile crucciarsi per qualcosa che non avrebbe avuto un seguito.
Perché non doveva avere un seguito!
Il semaforo indica rosso, Sergio frena lentamente e lascia che l'auto si rilassassi in folle. Il motore ronfa come un gattone addormentato, il volume della musica diminuisce di conseguenza. Alla sua destra l'entrata di un disco-pub è popolato da una ventina di persone, inconsciamente li osserva, la mente altrove. E la vede.
Accidenti! È lei! Di nuovo.
 
Fumo che esce, fumo che entra.
«Ehi, bambola!»
Mi volto nella direzione da cui è provenuta la voce. Un uomo di mezza età, con folti capelli biondi pettinati alla Big Jim, mi sorride sornione. Ho un moto di vomito e mi sforzo di non esternarlo. Voltandomi dall'altro lato inspiro altro fumo dalla sigaretta consumata a metà. Espiro.
«Oh oh, sei scontrosa» mi si piazza davanti e la sua giacchetta verde pisello è come un pugno nell'occhio. «Mi piace.»
Sbuffo, scocciata e schifata allo stesso tempo. Perché non posso fumarmi una sigaretta in santa pace e crogiolarmi nei miei noiosi pensieri?
«Vattene» gli dico, senza troppi giri di parole.
Ancora quel ghigno. Sento che se continuasse così potrei anche picchiarlo a sangue. Si passa la lingua flaccida sulle labbra ruvide, da vecchio, e rabbrividisco.
Che schifo!
Faccio per allontanarmi, ma lui è veloce e scaltro e mi blocca il passaggio con un braccio. La giacca che indossa si apre, lasciando intravedere una camicia a quadri gialli e verdi.
Questa è un'offesa al buon stile!
Continua a guardarmi con occhio languido, tamburellando le dita sul muro, lo stesso che mi ha sorretta fino a qualche secondo prima. Non mi arrendo, provo a svignarmela a sinistra e, in men che non si dica, sono in trappola.
Ho paura.
Nessuno ci guarda, poche e insignificanti persone sconosciute pensano ai fatti propri. E fanno bene. Ma io ho paura. Mi schiaccio sempre più contro il muro, se potessi mi fonderei con le pareti di cemento freddo e imbrattate di vernice.
Ho paura.
Vorrei gridare di lasciarmi andare, ho solo ventitre anni, ma la mia gola ha deciso di scioperare ed emette solo insulsi gorgoglii.
Ho paura.
Ho paura che mi possa sfiorare con le sue mani luride; ho paura che voglia baciarmi e al solo pensiero inorridisco. Gli vedo muovere le labbra, dice qualcosa però la sua voce mi arriva ovattata, da lontano, intuisco solo poche parole, tra le quali “sei davvero bella! Posso offrirti un caffè? Posso baciarti?”
Cielo, no!
Si avvicina, lo vedo socchiudere le palpebre e fare il muso a cuoricino. Ho il cuore che pompa come un matto, lo stomaco sottosopra, le gambe mi tremano e le lacrime sono imminenti. Stringo i pugni e volto il viso prima a destra, poi a sinistra. Ho gli occhi chiusi. Destra, sinistra, destra, sinistra, destra e mi blocca. Le sue mani mi afferrano il viso, le sento sulle mie guance disgustosamente appiccicaticce e stringono forte per limitare ogni movimento.
Mi bacia e la voglia di piangere aumenta.
Le sue labbra toccano le mie e io ho voglia di lavarmi con l'acido solforico.
Mi aggrappo ai suoi polsi e inizio a fare forza per togliermelo di dosso, in questo momento mi pento di non aver seguito un corso di arti marziali o di difesa personale.
Poi qualcosa si frappone tra noi. Apro gli occhi appena in tempo per vedere una mano sulla sua faccia spingerlo all'indietro, lontano da me.
Chiunque sia è un angelo.
Mi volto a guardarlo e resto di stucco: non è un angelo. È Sergio.
«Ehi!» L'uomo si sta rivolgendo al ragazzo che si è messo fra noi, lo scruta meglio e probabilmente si rende conto che se ci intraprendesse uno scontro avrebbe la peggio, per questo ammutolisce e se ne va con la coda fra le gambe. Sergio non smette di fissare il vecchio - con indosso la giacca color pisello e i pantaloni attillati di un rosa acceso - fin quando non entra nel locale. Solo allora cinge le mie spalle con un braccio, mentre mi guida fino alla sua auto. Apre lo sportello della Peugeot e vi salgo in silenzio, quasi intimidita. Il tonfo della portiera che si chiude mi fa sobbalzare, ho l'impressione che abbia usato più forza del dovuto. Tiro una boccata d'aria mentre lui fa il giro e sale in macchina, quindi avvia il motore e partiamo.
 
Mi sento agitata, triste, rabbiosa.
Sollevata.
Percorriamo diversi metri in un cocciuto silenzio monastico, provo un disagio profondo e non è da me. Lo studio di soppiatto: indossa una felpa scura e jeans più chiari, il suo viso sembra stanco. Tanto stanco. La barbetta, che di solito porta curata, urge di qualche accorgimento, il ciuffo chiaro è un po' scompigliato. Questo look dimesso mi aiuta a vedere un lato di Sergio che non conosco. Lui rotea appena gli occhi verso di me e d'istinto abbasso lo sguardo sulle dita che ho in grembo: le nocche sono diventate bianche, tanta è la pressione che sto esercitando sulle mani. Una strana sensazione di colpevolezza mi travolge, non so il motivo.
Gli vorrei chiedere scusa. Si, ma per cosa?
Questo mutismo è insopportabile, mi sta rosicando il cervello. Devo dire qualcosa prima che scoppi.
Pensa Lily! Pensa!
«È una bella macchina.»
«Già.»
Tace.
Silenzio maledetto!
Accidenti, continuo a fissarlo senza trovare nulla d'intelligente da dire.
Che si aspetti dei ringraziamenti?
Cos'hai tu? Cosa c'è in te che mi attrae come un insetto nella tela di un ragno?
Lo osservo ed è come se ogni volta scoprissi segreti in lui che mi erano stati celati fino a quel momento: i suoi occhi castani sono fissi sulla strada; i capelli chiari hanno riflessi color miele (mi sembra ancora di sentirne la morbidezza fra le dita); le sue mani curate sono ben salde sul volante (ricordo perfettamente il loro tocco delicato ma deciso sulle mie membra nude).
Cielo e che voglia di fare l'amore con lui! Di baciarlo e sfiorarlo e...
Non resisto. È come se il mio corpo non rispondesse più ai comandi che gli vengono impartiti. Come in un sogno mi sporgo su di lui, bisbigliandogli all'orecchio che, se vuole, potrei ringraziarlo di avermi salvato dal lupo cattivo. Lascio che la mia mano gli corra per la coscia, fino a sfiorarlo lì. Lui sussulta e mi allontana con garbo, accennando un sorriso sarcastico.
«Abbiamo già fatto abbastanza io e te per rischiare di rovinarci l'esistenza e la carriera. Penso che possa bastare.»
Mi raggomitolo sul sedile e taccio per tutto il tragitto che mi riconduce a casa di mio fratello. Guardo l'ora: mezzanotte e venti. Di sicuro mi faranno un'altra ramanzina, lui e sua moglie.
Che palle!
Voglio fuggire!
Voglio andare lontano, in un paese dove nessuno può dirmi cosa fare o cosa non fare.
Voglio morire e reincarnarmi in un uccello. Libero e con le ali per volare.
Voglio Sergio!
 
 
«Se vuoi potrei ringraziarti per avermi salvato dal lupo cattivo.»
È la voce di una sirena che lo strega con il suo canto ammaliatore. Cosa non le farebbe se solo potesse dare libero sfogo alle sue fantasie più recondite, fino all'ultima goccia di energia che ha nel corpo.
Si stringe al volante con maggiore forza. Sente la necessità di afferrarsi letteralmente a qualcosa di solido, per evitare di prenderle il viso tra le mani e divorarle le labbra, spingendo la lingua fin dentro la sua bocca.
Ma non può, è un ragazzo di venticinque anni a cui è stato insegnato a distinguere il bene dal male, ed è consapevole che lei è il male in quel momento della sua vita.
Istintivamente l'allontana quando avverte una leggera pressione sul basso ventre.
Dannazione quanto è caparbia!
«Abbiamo già fatto abbastanza io e te per rischiare di rovinarci l'esistenza e la carriera. Penso che possa bastare.»
Lei tace, la vede raggomitolarsi al suo posto e per la prima volta gli appare come una ventenne qualunque, spoglia della sua sicurezza e della sua tracotanza. Per la prima volta gli sembra disarmata e trattiene l'istinto che ha di avvolgerla in un abbraccio protettivo.
Ogni contatto con lei è pericoloso.
 
È il direttore in persona ad aprire l'uscio di casa. Ha un'aria imbronciata e seccata. Li osserva con fare interrogativo ed è Sergio il primo a prendere coraggio, mentre Lily è ferma qualche passo più indietro, timorosa forse della reazione di suo fratello.
«Direttore, scusi per l'ora, ci siamo incontrati al pub e ho pensato di darle un passaggio...» lascia la frase in sospeso, con quella sua cadenza latina a cui Lily non è ancora avvezza.
Antonio guarda sua sorella che se ne sta a capo chino, poi spalanca la porta d'ingresso e le fa cenno di entrare. La ragazza esegue diligentemente l'ordine, i capelli le ondeggiano sulla schiena e il loro profumo di balsamo alla vaniglia giunge a Sergio in modo così intenso che quasi gli provoca un capogiro.
«Vai subito a casa. Non mi piace che i miei ragazzi facciano tardi la sera.»
«Certo direttore!»
La porta si richiude, ma il giovane ragazzo si sofferma sullo zerbino per qualche secondo ancora, alza gli occhi alle finestre che affacciano su quel lato della casa, chiedendosi se la sua camera sia tra quelle, se lei sia lì, dietro uno di quei vetri ad osservarlo andare via.
 
Sento lo sguardo indagatore di mio fratello su di me e vorrei sparire. Dissolvermi come nebbia.
Mi odio! Quando lo deludo mi odio con tutta me stessa.
Mi intrufolo all'interno della casa quando mi fa cenno di entrare, come un ladro, a testa bassa. Salgo le scale velocemente, gradino dopo gradino, togliendomi le scarpe per evitare che i tacchi riecheggino nell'ambiente addormentato. Finalmente sono nella mia camera. Sento il colpo sordo della porta che da basso si chiude e mi avvicino alla finestra, sbirciando oltre le tende.
Sergio guarda all'insù e mi chiedo se stia cercando me. Tuttavia una vocina in fondo alla mente mi ammonisce, ricordandomi che solo qualche minuto prima sono stata respinta. Lo vedo salire in macchina e allontanarsi percorrendo strade deserte.
Addio Sergio.
 

 

*"Ho bisogno del vostro amore, ma anche che ve ne andiate tutti a fanculo!"
      - tratto dal testo "Come Undone" di Robbie Williams
 
 
 

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Capitolo 2
*** Vuoi uscire con me? ***


Capitolo 2
Vuoi uscire con me?

 
Beve in un solo sorso lo spumante nel bicchiere, sentendo le bollicine in fondo alla gola sprizzare come matte. Si guarda intorno con fare circospetto e lo vede, finalmente il direttore è arrivato in compagnia di sua moglie e... accidenti, lei non c'è!
Si sporge appena per migliorare la visibilità. Lo vede stringere mani ai presenti, sorridere con il suo solito fare gentile e riservato, mentre tiene la propria consorte a braccetto, ma di Lily neanche l'ombra.
Una signorina con un vassoio colmo di calici di champagne gli passa accanto e lui ne prende uno al volo. La cameriera si volta a guardarlo stralunata, Sergio alza il bicchiere in segno di saluto, accennando un inchino con il capo. Lei arrossisce e si allontana. Anche questo lo ingurgita in un colpo e di nuovo è invaso dal suo sapore amaro.
E amaro è anche il suo cuore.
«Vacci piano, eroe!» Mirko gli batte una mano sulla spalla.
Il collega gli parla, sebbene non riesca a smettere di pensarla, qualcuno si aggrega alla chiacchierata, intanto lui si pente di non aver dato ascolto al suo istinto l'ultima volta che erano stati da soli, in macchina, quando lei... accidenti! Intorno si è formato un bel gruppetto, ma Sergio è lontano anni luce. Si è innescato uno strano e incoerente meccanismo nel suo inconscio: più non poteva averla e più la desiderava; più passavano i giorni senza vederla, privi di sue notizie, più cresceva il desiderio di incontrarla. Anche solo per un istante, un attimo fugace, un saluto, uno sguardo rubato.
Poi qualcosa attira la sua attenzione, destandolo dai quei pensieri martellanti. Si scusa con i presenti, afferra un ultimo bicchiere di champagne e lo butta giù, porgendo a Mirko il calice vuoto. Quest'ultimo lo vede farsi spazio tra la gente con una certa urgenza: inizia a temere il peggio.
 
Accendo la sigaretta e tiro una lunga boccata di fumo. Il viso si contrae in una smorfia: non mi sono ancora abituata al sapore acre, nonostante fumi ormai da mesi. Quand'è che ho iniziato? Ah si, dopo Natale.
Il cielo è puntellato di stelle. Mi chiedo se anche giù, in Puglia, dalla finestra di casa mia si possa ammirare lo stesso spettacolo. Tiro un'altra boccata dalla cicca. Certo che no: l'estate in quella parte di mondo ha tutto un altro sapore; un altro odore; un altro panorama. Ricordo i primi giorni di luglio trascorsi qui, quando non faceva che piovere, in questa città che inizio a odiare con tutta me stessa. Questa città che non mi ha portato nulla di buono, che mi ha regalato Sergio e che poi ha deciso di togliermi.
Ho passato le ultime due settimane riversa sui libri, a fingere di imparare qualcosa da quelle pagine che, seppur fossero state scritte in arabo, non me ne sarei accorta. Sempre più spesso mi sono ritrovata a fissare il muro, dove mi pareva di rivedere il suo volto, come un fotogramma proiettato.
I giorni sono trascorsi tutti uguali: uggiosi e noiosi. Persa nei miei ricordi più recenti sentivo una morsa allo stomaco e il cuore fare un balzo in avanti. Mi sono chiesta preoccupata se questo si possa chiamare Amore.
Mi sento come un'adolescente alla sua prima cotta e mi detesto per questo.
Io non sono così!
Dannato lui! Dannata me!
Più mi sforzo di portare la mia mente altrove, lontana da lui e dai brividi che mi procura il suo ricordo, più mi rendo conto che mi manca. Giorno dopo giorno mi sono sentita sprofondare in un pozzo buio e freddo, intrappolata in una stretta malinconica che non riesco a spiegarmi (o non voglio farlo).
Non ho voglia di tornare dentro e prendere parte alla noiosa cerimonia di chiusura dell'anno commerciale dell'azienda, di cui mio fratello è direttore della succursale milanese. Già, Antonio, il pupillo di mamma e papà. Il figlio che ogni genitori desidererebbe avere. Se non fossi stata sua sorella sarebbe stato tutto più semplice con Sergio.
Alzo gli occhi alle stelle, un puntino lontano si muove lampeggiando. Mi domando dove vada quell'aereo, se voli abbastanza lontano da potermi portare con sé e salvarmi.
Avverto dei passi, mi volto di scatto temendo che mio fratello mi sorprenda a fumare - e allora di male in peggio! Invece è lui. Sergio. È proprio davanti a me, in smoking blu notte e camicia chiara è dannatamente affascinante. Diverso.
Quante facce di te che ancora non conosco mi nascondi?
Chi sei in realtà?
Perché io ancora non l'ho capito.
 
Una figura esile se ne sta dinnanzi al parapetto a fumare una sigaretta. Indossa un abito che le svolazzava contro gambe lunghe e filiformi, i capelli sono raccolti in uno chignon sul capo. Sergio muove i primi passi nella sua direzione, il cuore gli pulsa in petto, spaventato dall'eventualità che non sia Lily e che abbia preso un abbaglio. Ci manca solo che inizi ad avere miraggi di lei. Quando è ormai alle sue spalle la vede voltarsi di scatto, quasi spaurita, come un bambino colto in flagrante a rubare caramelle.
Che voglia maledetta di abbracciarla, di stringerla forte, di baciarla.
«Non era mia intenzione spaventarti...» le dice, interrompendo un iniziale momento di imbarazzo. La ragazza torna a guardare il cielo, dandogli la schiena.
«Non è mai tua intenzione...» risponde.
Deve ammetterlo: questa non l'ha capita. Si sposta in avanti e le punta lo sguardo dritto negli occhi. Lily gli lancia un'occhiata furtiva, poi riprende a fissare il paesaggio notturno, fatto di luci e sogni. Inspira una boccata di fumo lasciandolo libero di vagare nell'aria.
Sergio incrocia le braccia sul petto e si puntella alla ringhiera del terrazzo. Accenna un sorriso beffardo. Si sente bene adesso, è quello di sempre, baldanzoso e giocoso. E sa che si sentirebbe ancora meglio ad averla tra le sue braccia.
«Excusa, tesoro, no intiendo» le sorride per farsi beffe di lei.
«Lascia perdere»
«¿No hablas español?»
Lily non risponde, una profonda ruga è apparsa sulla sua fronte e Sergio scoppia a ridere come un matto, lei lo scruta interdetta. Le chiede perdono un paio di volte, prima di proseguire.
«Non parli spagnolo? Ma dai, tutti lo conoscono» si asciuga le lacrime agli angoli degli occhi con il dorso della mano e intanto aspetta la sua risposta, che non tarda ad arrivare.
«No caro, quello è l'inglese.»
«Lo spagnolo è la lingua più parlata al mondo, non lo sai?»
Lily fa spallucce e tira una nuova boccata di fumo.
«Credo che in realtà sia il cinese» dopo un attimo di esitazione sorridono entrambi. L'atmosfera si è sciolta, l'imbarazzo iniziale sembra essere evaporato. Lui si sposta in avanti, fermandosi ad una distanza pericolosa, le toglie la sigaretta dalle mani e se la porta alle labbra, inspirando profondamente. Il filtro è umido e inizia a temere che questa volta i suoi nervi non saranno saldi come l'ultima volta che si sono incontrati. Caccia il fumo da una fessura laterale delle labbra, per evitare che le finisca in faccia.
«Da dove vieni? Barcellona?»
«Siviglia.»
«È la stessa cosa» Lily assume di nuovo quell'aria di sufficienza di poco fa, è il suo modo di nascondere l'imbarazzo probabilmente. O di stuzzicare. O entrambe, chissà. Il tono di Sergio però è mutato, il sorriso è scomparso e inspira di nuovo il fumo.
«No, non è la stessa cosa» getta la sigaretta nel vuoto alle sue spalle prima di passarle un braccio intorno alla vita, attirandola a sé. Lancia un'occhiata sulla sinistra e nota una piccola costruzione in cemento, la porta di ferro sembra socchiusa. Quindi torna a guardarla negli occhi, ha gli stessi occhi di suo fratello Antonio Rizzo: di ghiaccio. E ha labbra particolarmente invitanti, rosee e carnose.
«E tu dovresti sapere quello che mi differenzia da quei cabron...»
Le bocche sono così vicine adesso che tutta l'attenzione è concentrata su di loro, il parlare è solo un effetto consequenziale. Lei gli passa entrambe le braccia intorno al collo.
«L'avrò dimenticato...» ribatte.
Sergio abbozza un sorriso sghembo.
 
È lui. Non ci credo! È qui davanti a me! Dice che non era sua intenzione spaventarmi e io ho voglia di saltargli al collo e dirgli che se tutti gli spaventi procurassero le emozioni che mi travolgono in questo momento, allora passerei la mia vita a essere spaventata. Invece gli do le spalle e affermo che lui non ha mai nessuna intenzione, lasciando la frase in sospeso.
Stupida bocca che non sta' mai zitta! Stupida testa che trova sempre un pretesto per essere scortese. Eppure lui è qui che mi guarda dritto negli occhi e faccio fatica a reggermi sulle gambe tremanti.
Chi sei? Cosa mi ha fatto?
Ride come un matto. Ride perché crede che non conosca lo spagnolo. Non sarò una cima nella sua lingua, ma il problema principale è che mi ha mandato in pappa il cervello. Ride e vorrei prenderlo a schiaffi. Ride e vorrei stare abbracciata a lui in una notte fredda e piovosa. Tiro un'altra boccata di fumo - tanto per prendere tempo - recitando la parte di quella che se ne infischia di tutto e di tutti.
La parte della Lily che ero prima di incontrarlo, insomma.
Si muove verso di me e io non posso fare altro che fissarlo come un'ebete e chiedermi cosa stia facendo.
Cosa fai, Sergio? Che vuoi da me? Perché io?
Prende la sigaretta e la tiene tra indice e pollice prima di portarsela alle labbra, inspirando. Non smette di guardarmi con quell'aria da furbetto e mi rendo conto che non sono poi così forte come credo, che fatico a stargli dietro e a resistere ai miei istinti.
«Da dove vieni? Barcellona?»
«Siviglia.»
«È la stessa cosa.»
«Non è la stessa cosa...» dice e il suo viso è cosi vicino al mio che mi manca l'aria. «E tu dovresti sapere quello che mi differenzia da quei cabron...»
La voglia di lui - di noi - cresce, è così forte da essere palpabile. Mi ci aggrappo passandogli le braccia dietro alla nuca.
«L'avrò dimenticato...» mi sento dire lontana, da un altro pianeta. Il suo sorriso sbilenco abbatte ogni mia barriera. Gli afferro il viso tra le mani e schiaccio le labbra sulle sue che subito reagiscono al bacio. Le lingue si fondono e si avvicendano come fossero due corpi autonomi, dimentico tutto ciò che mi circonda: i pensieri brutti, i dubbi, le paure, le incertezze.
Baciarlo mi sembra la cosa più naturale di questo mondo.
 
Lily è a pochi centimetri, gli occhi azzurri sono velati, pare abbia la mente altrove. Forse sta immaginando quello che desidera anche lui. Baciami, le vorrebbe dire, baciami perché io non lo farò per primo. Baciami, perché in realtà sono un vigliacco. Baciami e poi lascia che ci pensi io.
Lo bacia e il mondo che lo circonda scompare, la mente si svuota dopo aver ottenuto ciò che voleva. L'afferra per il polso e la trascina con sé, fino oltre la porticina di ferro. Si ritrovano all'interno di uno spazio angusto che odora di chiuso, l'aria calda e umida è quasi irrespirabile. Quando gli occhi si sono abituati al buio scorgono le sagome di scope e secchi, alcune pile di sedie sono state abbandonate contro la parete in muratura, una sorta di banco da scuola giace isolato alla loro destra. Sergio riprende da dove aveva interrotto, baciandola con una tale voracità da spaventarlo. Non ha mai desiderato nulla come desidera lei.
«Stai giocando con il fuoco, lo sai?» Le sussurra.
«Allora spero di bruciarmi presto.»
«Sei già cotta» il ragazzo sorride contro le sue labbra. «Sei cotta de me» Lily fa per replicare, ma lui prontamente le chiude la bocca con un nuovo e irruento bacio.
Adesso è lì, tra le sue braccia, e non lascerà che quel sogno svanisca senza appagare la volontà di entrambi. Adesso è lì ed è tutta sua. Solo sua.
La pretende.
 
Le sue mani mi tengono per i fianchi, seguendo la linea della silhouette. Ho la schiena leggermente inarcata all'indietro e il suo corpo è riverso sul mio. Mi afferro a lui circondandogli il collo con un braccio, mentre con l'altra mano gli accarezzo la guancia. Le nostre labbra sono incollate e nell'aria silenziosa si distingue nettamente il suono vischioso dei baci. Il suo sapore di alcool - sembra spumante - si mischia al mio, a quello della sigaretta che lui stesso ha gettato nel vuoto pocanzi. Mi sospinge verso la parete di quel piccolo sgabuzzino e sento le scope e i secchi rovesciarsi alle mie spalle. Né io né lui ce ne curiamo. Siamo impegnati in altre faccende.
Do not disturb, please!
La mia schiena è appiccicata al muro e le nostre bocche non si arrestano neanche per un secondo, nemmeno per prendere fiato. Gli avvinghio il bacino con la gamba sinistra e subito la sua mano furtiva non perde tempo a carezzarmela. Avverto il tocco dapprima delicato sulla stoffa setosa dell'abito, poi la presa si fa più salda e impetuosa. È come se quella mano - la sua mano - non si accontentasse più di lisciare il morbido tessuto: cerca, desidera, esige! E io ho tanta voglia di appagarla.
Gli allento il nodo alla cravatta, senza fermarmi dal baciarlo, gli slaccio la camicia un bottone dopo l'altro. Le mie mani sanno già cosa fare, lo hanno agognato per così tante notti e ora che sono a pochi millimetri dall'obiettivo quasi tremano a contatto con la sua pelle nuda.
È come una droga. Il mio timore è quello di non riuscire più a farne a meno.
Lui deve aver avvertito il mio turbamento improvviso perché rallenta l'andamento, stuzzicandomi il labbro inferiore:
«Se vuoi, mi fermo» il suo respiro è caldo, affannoso ed eccitante e risveglia in me i sensi affievoliti, scacciando ogni sorta di paura.
«No» sussurro. «No, ti prego...»
Ho bisogno di te, di sentirti, di viverti, vorrei aggiungere.
Lui mi solleva di peso con una facilità tale che mi sorprende e mi mette a sedere sul tavolo alla nostra destra. Prende a baciarmi il collo, a mordermi l'orecchio, la barbetta mi solletica la pelle e ogni singolo muscolo si scioglie.
D'improvviso la musica di una suoneria ci fa trasalire, il suo cellulare strimpella dalla tasca dei pantaloni classici. Mi dà le spalle mentre risponde, lo osservo passarsi una mano sul volto.
«Ok! Dammi un minuto e sono da voi.»
Conversazione chiusa.
Si riallaccia i bottoni, si rifà il nodo alla cravatta e infine si acconcia il ciuffo; io intanto mi ricompongo alla bell'è meglio. Lui non dice una parola e io faccio altrettanto. Ho il cuore che batte come non mai, mi sento tanto stupida adesso.
Apre la porta e si arresta così di colpo che per poco non gli finisco contro. Mirko è proprio di fronte a noi, il cellulare con il quale ha chiamato Sergio ancora in una mano, scuote il capo venendoci incontro: è furioso.
Come diavolo ci siamo finiti in questa situazione?
 
«Siete due deficienti o cosa?» La voce di Mirko non è alta, ma carica di rabbia e indignazione. Sergio gli si avvicina scuotendo entrambi gli indici.
«No, no! Aspetta! Noi non-»
«Allora non hai capito? Non la devi toccare, non la devi neanche guardare! Lei per te non esiste!»
Non esiste?
Sergio è a testa bassa, le braccia lungo i fianchi. Chiedergli di non sfiorarla, di non guardare i suoi occhi, i suoi capelli color oro, il suo viso candido e delicato, è come chiedergli di smettere di respirare. Oltre, c'è solo la morte.
Avverte la presenza della ragazza alle spalle, muta e immobile come una statua di marmo, vorrebbe voltarsi per dirle qualcosa o semplicemente tenerle la mano, ma non osa.
«Ti vuoi far cacciare dall'azienda?» Mirko continua imperterrito.
Da lontano si ode la porta della sala che si apre sulla terrazza, Antonio fa capolino oltre di essa e si guarda intorno, sorridendo quando avvista il suo obiettivo. A grandi passi si avvicina ai tre ragazzi, spalancando le braccia in direzione di Lily.
«Oh eccoti! Ti ho cercata ovunque!» Lei si lascia abbracciare da suo fratello che le stampa un bacio sui capelli, prima di afferrare una spalla di Sergio, scuotendolo leggermente continua a sorridere. «Ehi ragazzi! Tutto bene? Non abituatevi troppo a queste serate mondane. Domani si torna in ufficio, dobbiamo chiudere la trattativa con i cinesi» strizza l'occhio, è su di giri.
«Certo direttore» Sergio accenna un sorriso tirato e alza gli occhi, inevitabilmente la vede. Lily si cinge la vita con le proprie braccia; suo fratello la tiene stretta a sé, con un braccio sulle spalle. Si sente in colpa nei confronti di quell'uomo che ripone in lui ogni fiducia, tuttavia non riesce a vedere altro se non la ragazza.
«Andiamo dentro» le dice Antonio. «Voglio presentarti un po' di gente» quindi si rivolge ai due stagisti. «Il presidente sta per tenere il discorso di ringraziamento, non dovreste perdervelo perché non vi ricapiterà più di ricevere un apprezzamento da lui» Antonio ride, la sua voleva essere una battuta, ma Mirko è sbrigativo e secco nella risposta. Il direttore Rizzo lo fissa per qualche secondo, qualcosa nella sua voce gli attiva un campanello d'allarme, però decide di lasciar correre, annuendo e avviandosi verso l'entrata della sala, portando con sé la sua adorata sorellina.
Mirko fissa Sergio, ma il giovane collega non ricambia ostinandosi a tenere il capo chino e gli occhi castani fissi sulle mattonelle di ceramica decorata del terrazzo, allora inizia un monologo di cui lo spagnolo afferra solo una minima parte.
«Credevo ne avessimo già parlato, con Claudio anche. Non fa per te, lascia stare. Cazzo, ma quante ragazze là fuori farebbero a gara per stare con te, perché ti devi ostinare con l'unica che ti è proibita? Non ti accorgi come se la tiene stretta?» Si porta le mani sulla testa. «Se sapesse... se solo sapesse! Ti sei scopato sua sorella!»
«Non me la sono scopata!» Solo ora Sergio alza lo sguardo, contrariato. La definizione che ha dato della loro notte insieme non gli piace, per niente.
«Avete fatto sesso, avete fatto l'amore, siete andati a letto insieme. Dillo come vuoi, ma il risultato non cambia e nonostante tutto insisti, continui. E se vi vedesse qualcuno, se qui fuori non ci fossi stato io, ma il direttore ad esempio? Vuoi distruggerti la carriera?»
No, non voleva annientare anni e anni di studi e gavetta e lontananza dalla famiglia che lo avevano portato dove era adesso. Ma lei non era nei suoi piani quando aveva cominciato la scalata e vi era giunta come un uragano, scombussolando un equilibrio che aveva conquistato nel tempo. Sarebbe stato semplice, in realtà, tutto facile se non fosse stato per quel piccolo particolare che la vedeva come parente stretta dell'uomo da cui dipendeva il suo futuro.
«La inviterò a uscire!» Esclama con forza, quasi parlando fra sé e Mirko fa fatica a recepire il messaggio.
«Come?» Alza un sopracciglio, sperando di aver capito male. Aveva inteso perfettamente invece, adesso Sergio lo sta guardando come chi ha rivelato il mistero del mondo.
«La inviterò ad uscire con me. Cena e poi la riporto a casa, ci andremo piano. Te lo prometto».
Mirko si passa una mano sul viso, evidentemente incerto su quell'idea, fa per esternare il suo parere discordante, ma l'amico gli batte una mano sulla spalla con un sorriso felice sul volto, s'incammina perciò lungo il terrazzo, verso l'interno della sala.
 
Non riesco a smettere di pensare alle parole di Mirko "non la devi toccare, non la devi neanche guadare. Lei per te non esiste!"
Il mio corpo è percorso da brividi.
Mi sembra ancora di sentire la sua mano lungo la coscia: è come se quella parte del mio corpo fosse indolenzita. E i baci, le nostre labbra, la sensazione della barbetta contro il collo nudo: è una voglia appagata solo per metà. È un cioccolatino assaggiato e mai mangiato.
Come un cecchino scruto l'ambiente, lui non c'è.
Non è rientrato o è andato a casa?
Dove sei Sergio?
Quante volte ancora ti dovrò dire addio?
Sento la necessità di parlargli, senza dovergli dire realmente qualcosa.
Antonio è qui accanto, mi sta dicendo che le persone dinnanzi a noi sono i pilastri dell'azienda, i cosiddetti "senatori". Sorrido educata.
Non me ne può fregar di meno di chi sono questi!
Sergio non c'è e io sto male!
Mio fratello sta dicendo a questi signori agghindati in abiti scuri di scusarmi, sono una ragazza intelligente, ma gli affari non sono mai stati il mio punto forte.
Un ragazzo alto e piacente si accosta ad Antonio e adesso si stringono le mani.
Si volta verso di me e sorride. Ha un sorriso particolarmente dolce e incantevole. Mi porge la mano e mi dice che si chiama Alessandro. Mi presento e Antonio non perde tempo a sottolineare che sono sua sorella. Lui lo guarda con l'aria di un quindicenne perbene, senza mollare la stretta.
«Direttore» esordisce e io penso: eccone un altro. C'è qualche ragazzo di cui mio fratello non sia il capo, in giro per il mondo?
«Posso invitare la sua Lily a ballare un lento con me?»
Lo fisso incredula. Mi ha invitato a danzare con lui senza temere l'ira funesta di Antonio? Mi prende un improvviso attacco d'ilarità che mi sforzo di soffocare.
«Ale!» Lo ammonisce Antonio che sorride divertito. «Solo un ballo però!»
Alessandro risponde al sorriso, ringraziandolo per il permesso concessogli.
Ci spostiamo insieme verso la pista da ballo, qui una band suona una musica dolce e mielosa. Mi attira delicatamente a sé, ancora tenendomi per mano, mentre avverto la leggera pressione delle sue dita sulla schiena.
Lo osservo meglio: ha i capelli castani lunghi sulla nuca, un sorriso da favola e due occhi dolcissimi. È alto, le spalle larghe e in quell'abito da sera farebbe invidia a qualsiasi fotomodello.
Non ci credo. Sono abbracciata a lui che reincarna in pieno il mio tipo ideale e non smetto di pensare a Sergio e alle sue mani, alla sua bocca, al suo odore, al suo accento latino.
Alessandro sorride e io ricambio imbarazzata, ha denti bianchi e perfetti.
Perché mi sento come se stessi tradendo qualcuno?
Forse perché sto davvero tradendo qualcuno: me.
«E così sei la sorella del direttore Rizzo.»
«Già» sono nervosa. Seguo i suoi movimenti lenti e altalenanti e sento una sorta di agitazione montarmi dentro. Lui mi parla e io annuisco, lui sorride e io lo imito. Sono ansiosa e ben presto intuisco il motivo.
I suoi occhi color nocciola mi stanno fissando da lontano. Beve un sorso di spumante e mi accorgo che il bicchiere nascondeva un ghigno ambiguo. È solo, Mirko non è più con lui. È solo e mi punta il suo sguardo contro, con le labbra all'insù.
Alessandro sussurra qualcosa al mio orecchio, ma io non distinguo più la sua voce dalla musica di sottofondo.
Vedo solo lui, Sergio.
Lo vedo mentre lascia il calice sul tavolo al quale sta appoggiato, lo vedo incamminarsi nella mia direzione, mentre si aggiusta il colletto della camicia bianca e i polsini della giacca, il ciuffo chiaro è tornato in ordine. Non smette di fissarmi. Non smette di sorridermi.
Non smettere mai di farlo, Sergio.
 
Rientra in sala e la vede abbracciata ad Alessandro, un collega di qualche anno più grande. Balla e la stringe. Balla e gli sussurra qualcosa all'orecchio. Balla e Sergio vorrebbe rapirla, per portarla in un posto non troppo distante a concludere quello che avevano iniziato insieme nello sgabuzzino.
Si sofferma ad osservarla per un po', mentre sorseggia champagne da un calice che gli è stato gentilmente offerto da un cameriere. Non smetterebbe mai di guardarla, la sua immagine gli stuzzica la mente e le emozioni più profonde. È dannatamente perfetta. Ed era dannatamente perfetta l'atmosfera in quello stanzino, dove era arrivato a tanto così dall'averla di nuovo.
Lo ha visto. Lily si è accorta di lui e adesso nascondersi non ha più senso. Ingoia fino all'ultima goccia di spumante, abbandonando il bicchiere dietro di sé, distrattamente. Uno, due, tre passi e le gambe si muovono verso di lei come spinte da una forza superiore, si acconcia il collo rigido della camicia e i polsini della giacca nera.
I loro sguardi si fondono a un palmo di distanza e la sua mente spicca un balzo nel vuoto: la prende, la stringe, la bacia sulla bocca, sugli zigomi, sul collo. Guardi, direttore, guardi: io e sua sorella ci desideriamo tremendamente e non sono più disposto a rinunciare a lei. Alessandro gli chiede cosa succeda e Sergio ritorna con i piedi sulla terra ferma.
«Excusa, Ale» gli risponde, senza staccarle gli occhi di dosso s'intrufola tra i due con grande maestria. «Permetti?!» Conclude, prendendo il suo posto. Alessandro fa per replicare, ma si accorge che nessuno gli bada più. Si allontana scuotendo il capo.
 
Mi tiene entrambe sui fianchi, le mie invece s'intrecciano dietro la sua nuca. Sorrido e lui mi chiede cos'abbia. Gli rispondo che non ho niente.
In verità sono felice, ma preferisco tenerlo per me.
Sorrido per nascondere le paure che si accavallano: ho paura che possa vederci mio fratello, ho paura di quello che sto provando, ho paura che non resista alla voglia matta di baciarlo.
Ho paura di questa felicità che provo.
I nostri corpi si toccano e si sfiorano e si muovono all'unisono. Non è come ballare con Alessandro, io e Sergio non stiamo ballando, è come se facessimo l'amore ogni volta che siamo vicini.
Restiamo in silenzio per un po', non riesco più a reggere il suo sguardo. Lo abbraccio e gli poso il mento sulla spalla, ma il suo respiro finisce direttamente sul mio collo nudo e la situazione non migliora. Poi dice qualcosa e io lo fisso stralunata.
Mi stupisce ogni volta che lo incontro. Mi confonde e mi destabilizza e mi sembra di dover ricominciare sempre d'accapo con lui.
È affascinante, è sportivo, è intraprendente, è timido, è virile, è dolce, è spiritoso, è arrogante, è un ottimo amante.
Lui è tutto questo insieme e , insieme, non è niente di tutto ciò.
 
L'esile bacino di Lily muovendosi, nel suo moto lento e ondoso, gli sfiora il ventre e lui vorrebbe tanto pensare ad altro, ma è troppo difficile. Quella ragazza lo eccita come se fosse un ragazzino alle prime scoperte sessuali, ma è un uomo adulto adesso e deve saper trattenere i suoi istinti.
Sa che non fa bene a nessuno dei due stare abbracciati lì, in mezzo alla sala, sotto gli occhi di tutti, però non riesce a lasciarla andare. Non riesce a staccarsi da lei.
Lo abbraccia e il profumo delicato della sua pelle lo inebria. Prende una grande boccata di quell'odore alla vaniglia che la contraddistingue e sottovoce le chiede:
«Vuoi uscire con me?»
Lily alza il capo e lo fissa interdetta. Sergio comprende che non se lo aspettava, l'ha spiazzata. Le sorride e si vede a baciarla quando lei accetterà l'invito. Tuttavia la risposta tarda ad arrivare. Si sono fermati dal ballare, i loro corpi sono perfettamente immobili, gli occhi dell'uno in quelli dell'altra. Lui la scuote con delicatezza.
«¿Todo bien?»
 
«Vuoi uscire con me?»
Lo fisso e penso che mi stia prendendo in giro.
Lo fisso e ho la mente svuotata come un sacco di patate.
E lui ha quell'espressione da ebete che prenderei a schiaffi.
Uscire? In che senso uscire?
«¿Todo bien?»
Come? Perché mi parla in questa lingua che non comprendo.
«Che intendi per...”uscire”?» Gli chiedo e lo vedo sorridere divertito.
È la seconda volta stasera che ride di me.
«Di solito voi italiani cosa fate durante un appuntamento?» Continua a sghignazzare e io continuo a non capire. «Mangiate? Andate al cinema? Al pub? A ballare?»
Lo guardo con fare interrogativo. È un appuntamento vero.
Quali sono le tue intenzioni con me, Sergio? Cosa vuoi in realtà?
Non attende la mia risposta. Mi dice solo che il giorno successivo mi aspetterà alla fermata della metro vicino casa di Antonio alle 19.
Mi bacia una guancia, il suo tocco è lungo e delicato. Si allontana, lasciandomi da sola in mezzo ad altre coppie che, come noi, forse fingono di ballare. Lì, dove si sono posate le sue labbra, sento la pelle rinata e in fiamme. Inconsciamente accarezzo proprio quella parte di volto. Me ne resto così, imbambolata, ancora per un po'.
 
Antonio Rizzo, da poco promosso direttore di una delle multinazionali più famose nel campo della telefonia mobile, ha visto tutto. Antonio Rizzo ha assistito al “ballo” tra sua sorella e uno dei suoi più promettenti tirocinanti: lo Spagnolo, come lo chiama lui affettuosamente.
Antonio Rizzo ha osservato la scena dei sussurri e degli sguardi languidi, stringendo i pugni al contatto tra i due ragazzi.
Antonio Rizzo comincia a insospettirsi e infastidirsi.
 

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Capitolo 3
*** Ferragosto di stelle e gelato ***


Capitolo 3
Ferragosto di stelle e gelato

 
 
Lei è li, davanti a lui e ride, gesticola, parla, racconta, narra l'assurda scenetta di poco prima, nel locale dove hanno consumato una cena, come una vera coppietta.
Lei è tutta su di giri, non fa che muoversi nel piccolo spazio disegnato dal suo abbraccio e lui la fissa ammaliato, sorridendole e annuendo al suo racconto quasi surreale.
Lei è lì, con una coppa di gelato all'amarena che continua a passarsi da una mano all'altra. Dice che sia il suo preferito, che ne mangerebbe a quintali ogni giorno, ma intanto non l'ha ancora toccato e sembra in procinto di sciogliersi. Sergio non può fare a meno di scrutarle il viso: ha la pelle bianca come latte, gli zigomi leggermente rosati, due occhi azzurri e labbra rosse che adesso si muovono frenetiche nell'atto di parlare. Vorrebbe zittirle con un bacio, ma si astiene. Gli piace starle abbracciato e ascoltare il suono della sua voce allegra e po' infantile.
La macchina è spenta e Sergio ha approfittato del muso anteriore per adagiarvisi, ha le gambe leggermente divaricate e Lily gli è di fronte, le cinge la vita mentre parla, parla, parla. E ride e va bene così.
Tutto intorno è immobile, ogni cosa ha assunto una leggera sfumatura rosata. Le sagome degli alberi che li circondano sulla collinetta sembrano tante statuine di cui si ode solo il fruscio delle foglie, mosse da un leggero venticello. Oltre la collina un precipizio e in lontananza la città che inizia a illuminarsi. Se fossero esperti del capoluogo lombardo potrebbero distinguere chiaramente il Castello Sforzesco, il Duomo, i Navigli. Invece semplicemente si godono il panorama. Sopra di loro un manto striato di rosa ricorda un dipinto impressionista che copre tutto, come una cupola, come l'ala protettrice di una mamma. È uno spettacolo della natura: il sole tramonta oltre le montagne, muto e placido, intanto il primo puntino luminoso risplende in un mare color pesca.
Lei si volta a guardarlo, la coppetta di gelato ancora nella mano sinistra ha ormai davvero raggiunto lo stato liquido. Ha promesso a Mirko che l'avrebbe riaccompagnata a casa dopo cena: niente sesso, niente preliminari, nessun contatto fisico in pratica e lui vuole mantenere la parola data.
O, perlomeno, sta facendo del suo meglio.
 
Osservo il panorama che il tramonto ci sta regalando. Non mi ero mai resa conto di quanto fosse bella Milano, finora.
Che pace!
Lo guardo come se non mi fossi accorta della sua presenza fino a quel momento. Ha lo sguardo alto e fiero fisso su di me, due occhi castani vispi e profondi nei quali credo di essermi persa fin dalla prima notte, ciglia folte e lunghe, i capelli chiari tirati dietro al capo e trattenuti in un codino, i lati della testa rasati, la barba curata gli delinea perfettamente quel sorrisetto di scherno che sempre lo accompagna. Le labbra, le sue labbra...
«Lo so che sono bellissimo, ma se smettessi di fissarmi...» mi coglie in flagrante. Avvampò e mi guardo i piedi.
Che figura di merda!
Sergio intinge l'indice nella mia coppetta di gelato e poi me lo spalma sulla punta del naso, non ho neanche il tempo di chiedergli cosa faccia che lo ha già leccato via.
«Mmm, anche se sciolto è ancora buono» dice e lo rifà, di nuovo mi sporca il naso di gelato all'amarena e lo tira via con un colpo secco di labbra. «Si, è proprio buono.»
D'istinto gli passo due dita impregnate di gelato sulle labbra, peccato che lui sia lesto a pulirsele con la lingua. Sorride ancora, affermando che non ci sono dubbi: quel gelato è la fine del mondo!
«Lo vuoi assaggiare?» Mi chiede, come se non lo avessi già mangiato prima. Faccio per rispondergli, ma lui prende il mio viso fra le mani e mi bacia. Sento le sue dita scorrere fra i lunghi riccioli biondi, la bocca contro la mia, il suo sapore che sa di gelato all'amarena.
Lascio cadere la coppetta sul prato e mi afferro a lui che a fior di labbra mi dice di rientrare in macchina. Eseguo senza replicare.
 
Nell'abitacolo della Peugeot riprendono da dove avevano interrotto, ma d'improvviso lui si allontana piano, scuotendo il capo. Si accorge dall'espressione intristita di Lily e se ne dispiace: non vuole offenderla, però deve riportarla a casa. L'ha promesso. Mette in accensione la macchina che romba seccata. Sente il suo sguardo di ghiaccio puntatogli addosso, non può farci niente. Improvvisamente l'aria si è fatta irrespirabile, fa maledettamente caldo per essere ormai sera, anche il 14 agosto.
Sta cercando di sostituire il pensiero che ha di loro due soli, in auto, in un luogo deserto e un panorama mozzafiato con il tridente CASA-DIRETTORE-PROMESSA.
Lei adagia la mano sulla sua, che ancora tiene le chiavi nella serratura della macchina, con un colpo secco spegne il motore e il silenzio invade l'abitacolo. Sergio non osa voltarsi a guardarla, perché sa che a quel punto non le resisterebbe. Ma aveva dimenticato quanto difficile fosse da domare quella ragazza.
«Non ti piaccio più?»
Sergio stringe i pugni.
«Ti accompagno a casa. È meglio.»
Lily spalanca gli occhi.
Cosa diavolo significa “è meglio”?
La ragazza scavalca i sedili anteriori per atterrare su quelli posteriori. Questa volta lui si gira di scatto. Finalmente ha attirato la sua attenzione e gli sorride ammaliante.
«Che stai facendo?» Sbotta il ragazzo spagnolo
Lei inizia con il togliersi i sandali ai piedi.
«Secondo te?»
Sergio si posa una mano sul viso e scuote il capo bisbigliando:
«No, Lily, por favor
La ragazza in un attimo si abbassa le spalline del vestito, mostrando l'intimo scuro. Lui  sbircia attraverso le dita dischiuse, continuando a scuotere il capo. Il sorriso accattivante di lei non accenna a diminuire, neanche quando si lascia scivolare una spallina del reggiseno da una spalla, poi dall'altra. Sergio apre lo sportello dell'auto e scende, sbattendolo con forza.
Lily rimane così, immobile come un'ebete e tale si sente.
Poi di colpo la portiera posteriore si spalanca e lei sobbalza quando lo vede rientrare, ha smesso la sua espressione maliziosa e adesso sembra quasi spaurita e un po' confusa.
E a lui piace sempre di più.
«Mi hai fatto prendere un colpo!» esclama, tenendo un palmo sul petto nudo, dove il cuore pulsa impazzito.
Sergio non le chiede scusa per lo spavento procuratole, piuttosto la sovrasta con il suo fisico e prende a morsicarle il collo, appena sotto l'orecchio, ai morsi si alternano baci umidi e respiri caldi.
«Togliamo questo, perché non ci serve» continua, slacciando il gancetto del reggiseno, mentre avverte lievi gemiti di piacere provenire dal fondo della gola di Lily «E infine...»
 
È dentro di me e ogni mio muscolo si scioglie e si concede a lui.
Mi sussurra qualcosa che faccio fatica a comprendere, sono totalmente persa e presa da lui, dal suo odore, dai suoi baci, dal suo andirivieni dentro di me, dalle sue spalle forti che mi stringono.
Quanto vorrei che il tempo arrestasse la sua corsa inesorabile.
Mi bacia con delicatezza ancora una volta.
Un ultimo bacio che sigilla il rapporto appena consumato.
«Te adoro» sussurra e non riesco a trattenere un sorriso di gioia.
Siamo qui, insieme, nell'abitacolo della sua macchina grondante di ricordi e desideri esauditi. Siamo qui, come in una trincea che ci ripara e protegge dal mondo che è lì fuori e aspetta paziente il momento in cui abbandoneremo il nostro rifugio per attaccarci.
Siamo nel nostro microcosmo perfetto.
È la nostra “Isola che non c'è”.
 
Aspiro una lunga boccata di fumo che rilascio oltre il finestrino aperto. Chino la testa e vedo il suo viso, ha un'espressione serena e le palpebre abbassate. Il suo capo è adagiato sulle mie gambe nude e le nostre mani sono intrecciate sul suo addome. Posso sentire i battiti regolari del cuore. Apre lentamente gli occhi e mi accorgo che sono leggermente lucidi, le sue labbra si distendono in un sorriso che stenta a trattenere.
«Si?» non ce la fa e sorride e io lo ricambio
«Conosci Peter Pan?» Gli chiedo
«Chi?»
«Peter pan? Capitan Uncino? L'Isola che non c'è?» Lo vedo riflettere
«Mmm... no.»
Rido e volto lo sguardo alle stelle che risplendono in alto, nel cielo senza nuvole, aspirando ancora dalla sigaretta.
«Niente, lascia stare.»
È tutto così dannatamente idilliaco che tremo al pensiero di dover sciogliere quell'incantesimo. Vorrei che questa sigaretta fosse infinita, perché so che nel momento in cui si spegnerà dovremo tornare alla vita reale e non mi va.
Vorrei che ci fosse, da qualche parte, il tasto rewind per rivivere fino alla nausea questa serata perfetta.
Lui ha di nuovo chiuso gli occhi e adesso gioca con le dita della mia mano.
«Posso farti una domanda?» chiede senza sollevare le palpebre e non attende neanche la mia risposta «Quegli orecchini sono così importanti per te? Li indossi sempre.»
«Sono un regalo di Antonio e sì… » ammetto con un sospiro «Sono molto importanti.»
Qualche secondo dopo Sergio si rimette seduto e mi dice che è ora. Dobbiamo andare. Avrei fatto meglio a non nominare mio fratello, credo…
 
Accosta diligentemente la macchina al marciapiede. Sulla destra torreggia la casa del direttore Rizzo, le luci sono spente, eccetto quella al piano terra.
La guarda seduta al suo fianco: stringe le mani sulla borsa con veemenza e si morsica il labbro inferiore coi denti. Poggia la propria mano sulle sue, sono gelide, lei non si volta a guardarlo, continua a fissare la casa che attende di vederla rientrare, come una caverna buia, di cui non si conoscono le sorprese che riserva.
Lily spezza il silenzio con un timbro pacato:
«Antonio mi sta aspettando sveglio. E se lui... ?»
«E se lui niente» la interrompe Sergio, sfiorandole il mento con le dita per voltarla verso di sé. «Gli spiegheremo la situazione» sono a un palmo di distanza. «Prima o poi dovremo farlo.»
Lei non risponde, lo fissa, poi lo bacia.
 
Non è un bacio come i precedenti, è totalmente diverso.
È dolce e delicato e mi trasmette una profonda calma.
Lo sto amando.
È strano, ma questo pensiero non mi spaventa più. E forse dovrebbe.
Scendo dall'auto a malincuore, già mi manca il nostro stare vicini. Chiudo lo sportello e mi dirigo verso l'uscio di casa, intuisco che lui è ancora lì poiché non ho sentito la macchina allontanarsi, ma non oso voltarmi.
Entro e chiudo la porta alle mie spalle e solo allora sento il rombo dell’auto sempre più lontano, fino a non sentirlo più.
Avanzo di qualche metro e Antonio è lì, ad attendermi, proprio come mi aspettavo. È seduto sulla sua poltrona preferita a leggere il giornale del giorno precedente.
Ricorda maledettamente mio padre!
Mi guarda ammutolito e io gli sorrido, o perlomeno cerco di farlo. Alzo una mano in segno di saluto e faccio per avviarmi al piano di sopra, quando chiede:
«Dove sei stata?» Il suo tono è incolore, il cuore prende a martellarmi nel petto come un pazzo. Ho le vertigini.
«In giro» gli rispondo vagamente, avanzando di qualche scalino, ma lui prosegue e io sono costretta a fermarmi di nuovo. Cosa darei per teletrasportarmi nella mia camera, lontano da quegli occhi di ghiaccio che mi esaminano.
«Con chi?»
Cazzo! Lo sa! Mio fratello lo sa!
Con dipinto sul volto il sorriso migliore (spero che lo sia, non ho avuto tempo di fare le prove allo specchio) mi volto indietro.
«Con amici.»
Non risponde. Mi studia con il suo sguardo indagatore: è come se vorrebbe frugarmi dentro per leggere le verità che celo.
Devo dileguarmi o avrò un crollo nervoso. Gli auguro la buona notte e riprendo la scalata verso la salvezza, quasi correndo.
«Perlomeno te lo ha detto che ha un figlio?»
No. Non l'ha fatto.
È come se il mio spirito avesse abbandonato il corpo, svuotandolo di ogni emozione e sensazione. Non provo nulla, assolutamente niente. Mi congedo con una buona notte biascicata e mi vedo salire le scale, gradino dopo gradino, come un automa.
È inaspettatamente indolore.
Che bel Ferragosto di merda!
 
 
15 agosto 2010. E chi se lo scorda più un ferragosto come questo!
Il sole è caldo.
Il mio cuore no.
Mi sento sola.
Sono sola.
Con il mio dolore.
Sono ferma, immobile, davanti casa sua da non so quanto tempo.
Secondi, minuti, ore: per me non fa più alcuna differenza. Il salto nel burrone, in cui sono sprofondata questa notte, non si ciba del tempo.
Ho le braccia distese lungo il corpo, lo sguardo alto a fissare la finestra della sua camera da letto, nascosta dalle tende tirate, il sole mi sbatte addosso con tutta la sua forza.
Allora perché dei brividi mi attraversano il corpo come scariche elettriche?
Ho attorcigliato i capelli sul capo: tenerli sciolti non ha più senso.
«Prima di tutto, sciogli i capelli, sempre. Sei più bella» mi aveva detto la sera precedente, quando ero salita in auto. Quel ricordo non mi tocca, è lontano, mi sembra la vita di un'altra persona. Non la mia.
Allora perché sto trattenendo, a stento, le lacrime?
Ha un figlio.
Ha un figlio.
Ha un figlio.
C'è stato un momento in cui quel pensiero mi ha abbandonato?
No, non c'è stato. Avrei voluto, ma non è accaduto.
Credevo di conoscerlo e invece non so niente di lui, e questa è la cosa che più mi fa male. Tanto.
Infine decido a salire i pochi gradini che mi condurranno a lui e al nostro addio.
 
È muta.
A volte Sergio ha quasi la sensazione che non respiri nemmeno. Da quando è comparsa sul pianerottolo di casa ha avuto la costanza di tacere per quasi mezz'ora. Dopo i primi vani tentativi di sciogliere quel silenzio copioso, si è arreso.
Il piccolo bilocale è in disordine, immerso nella penombra. Si è appena svegliato, perciò si prepara un caffè per sé e anche uno per lei, nonostante non abbia risposto alla domanda se ne desiderasse. Lily è ancora ferma al centro del piccolo ingresso e Sergio non riesce a capire se stia entrando o uscendo. Di sicuro il giorno di Ferragosto non si aspettava iniziasse così, e pensare che aveva anche rinunciato a tornare in Spagna per trascorrerlo con lei.
«Okey! ¿Que sucede?» Afferma d'improvviso. Fa qualche passo verso la sua direzione, si sforza di tenere un tono basso e cordiale, ma sente l'agitazione impossessarsi della ragione. Fa per cingerle la vita, ma lei glielo impedisce indietreggiando.
«Hai un figlio...»
Sergio non comprende se quella sua frase sia una domanda o un'affermazione. Balbetta.
«S-sì...»
«Sì?» ripete lei, con le guance che iniziano a colorirsi. «SÌ? COSA SIGNIFICA "SÌ"?»
Sta urlando e gesticolando. Lui le prende i polsi e, con tutta la delicatezza di cui è dotato, la porta con sé, verso il divano.
«Vieni, siediti e parliamone con calma...»
Sono nei pressi del piccolo divano a due posti, color verde oliva. Con un gesto furioso Lily si libera dalla sua presa. È andata, non riesce più a fermarsi.
«Hai un figlio e non mi hai detto niente. Mai! In tutti questi giorni che... che...» si porta le mani sulla testa «Oddio! Non ci posso credere! Un figlio!»
«Te lo avrei detto presto...»
«PRESTO? Che razza di concezione avete voi spagnoli del significato di "presto"?» Esclama. «E tua moglie? La tua compagna? Chi è? Dov'è? Magari sei ancora impegnato con lei e io sono stata per te solo una puttanella...»
Sergio le si accosta, la sua espressione è mutata, quasi aggressiva.
 
Trovate il tasto pausa e premetelo, vi prego.
Ho paura di impazzire e di non riuscire a trattenermi più. Sono come un fiume in piena che straripa e trascina tutto via con sé.
«Hai un figlio e non mi hai detto niente. Mai! In tutti questi giorni che... che...» mi porto le mani sui capelli, ho l'istinto di strapparmeli uno a uno. Aria. Ho bisogno di respirare. «Oddio! Non ci posso credere! Un figlio!»
Non riesco a dire altro: figlio qua, figlio là.
«Te lo avrei detto presto...»
«PRESTO? Che razza di concezione avete voi spagnoli del significato di "presto"?»
Vorrei strozzarlo a mani nude.
« E tua moglie? La tua compagna? Chi è? Dov'è?»
In quel momento metto a fuoco una verità lacerante che mi assale e destabilizza: il problema, per me, non è il fatto che lui abbia un figlio, bensì l'ipotesi che possa avere una moglie.
Un'altra donna.
Cosa ti aspettavi Lily? Uno vergine?
«Magari sei ancora impegnato con lei e io sono stata per te solo una puttanella...»
L'espressione che ha sul viso muta, lo vedo a occhio nudo. Mi si avvicina, è a un centimetro, però non mi tocca.
«Non dire mai più una cosa del genere. Non devi neanche pensarla» usa l'imperativo con un tono così duro che mai gli avevo sentito prima. Poi continua: «Mio figlio si chiama Alonso...» e mi mostra il nome tatuato sull'avambraccio che avevo già notato, ma che non mi aveva incuriosito, accidenti a me! «E si, sta con la mamma, però non ho più nessuna relazione con lei.»
Non lo so cosa mi prende.
Una cosa è certa, nessun pensiero coerente mi attraversa la mente in questo momento.
Non sono io. Mi sembra di star guardando la scena di un film.
Alzo una mano e lo schiaffeggio.
Un unico schiaffo che - per me - vale più di cento, mille, milioni di parole.
Uno schiaffo rabbioso il cui tonfo rimbomba tutto intorno e nella mia testa. Forte, come la sirena di un'automobile violata.
Tuttavia, l'unica cosa a essere stata violata è il nostro amore.
 
Uno schiaffo?
Perché Lily? Perché?
Rabbia, nausea, dolore, collera, adrenalina, tutte queste emozioni gli ballano dentro, ma una su tutte lo spaventa e insieme lo eccita.
Il desiderio che ha di lei.
Stringe i pugni lungo i fianchi. La guancia gli duole e si sta leggermente arrossando sotto la barba. Con uno scatto felino le chiude le mani intorno i polsi, questa volta con maggior forza, e la sospinge verso la parete. Attira le braccia di lei dietro la sua schiena, senza liberarle, e le preme le labbra sulla bocca.
Sente inizialmente la volontà di Lily opporsi a quel contatto fisico, poi cede e il bacio si tramuta in un vortice di sensazioni ed emozioni profonde e sconcertanti. Avverte le difese crollare e la lascia libera, cosicché le sue mani possano muoversi ansiogene su tutto il corpo. Dalla bocca scende lungo la curva del collo e la sente sussurrare con affanno.
«Mi hai tradito...»
Lui arresta la sua corsa trepidante e la guarda con fare interrogativo. Lily ha gli occhi umidi e lucidi.
«No, non è vero. Ma cosa...» tenta di abbozzare un sorriso
«Si» prosegue lei. «Hai tradito la mia fiducia...» gli accarezza la guancia schiaffeggiata con mano tremante. «Torno al mio paese. Torno a Lecce. Antonio mi rispedisce a casa.»
Sergio scuote il capo a bocca aperta. Non capisce.
«Per lui sono stata un fallimento» gli sorride tristemente mentre una lacrima le riga il volto. «Auguri per tutto, amore mio» conclude, sfiorandogli le labbra.
Lui non si smuove di un millimetro.
Le parole di Lily gli sembrano surreali e impossibili.
Già, impossibili.
Cosa  dice? Andare via? E dove?
Il suo bacio è lieve e casto. Puro.
È impietrito, riceve quest'ultima carezza senza battere ciglio, come un vegetale. Sente il suo corpo scivolargli tra le dita, senza avere la forza di afferrarlo e trattenerlo, di stringerlo a sé. Ode il tonfo della porta d'ingresso che si chiude e si ritrova da solo, nel suo bilocale italiano a fissare la parete.
Si sposta nella camera da letto e tira fuori la valigia dall'armadio, la apre e comincia a riversare dentro abiti alla rinfusa: è stato lontano dalla sua patria e da Alonso per troppo tempo.
Un pensiero però lo coglie alla sprovvista: non le ha nemmeno detto addio.
 
 
 
Epilogo
 
UN ANNO DOPO
15 agosto 2011
 
Mi bacia a timbro sulle labbra, mi da appuntamento a domani e si allontana, sciogliendo le nostre mani intrecciate.
Resto ancora un po' qui fuori, a respirare a pieni polmoni la brezza marina che soffia da est. Il cielo è puntellato di stelle, il sole è ormai tramontato oltre l’orizzonte.
Accendo una sigaretta e tiro una lunga boccata di fumo.
Sono tornata nel mio paese natio da circa un anno. A volte mi sembra di non averlo mai lasciato, altre notti, invece, sogno di essere ancora lassù, circondata dal caldo afoso e da gelati all'amarena.
Ho un ragazzo. L'ho conosciuto a un corso universitario per laureandi in giurisprudenza, da qualche settimana abbiamo iniziato a uscire insieme. È simpatico, moro con gli occhi chiari, un sorriso smagliante ed è molto garbato nei modi. Non ha neanche cercato di portarmi a letto finora. È il mio tipo ideale, insomma, l'uomo che ho sempre sognato da bambina. Mi trasmette serenità.
Mio fratello Antonio non ha più toccato l'argomento e non l'ha fatto neanche sua moglie Beatrice, per questo credo che non le abbia detto niente e non posso che essergli grata.
Per tutto.
È a lui che devo il raggiungimento del primo traguardo della vita: la laurea. E alle sue perle che mi hanno dato la forza di arrivare fino alla fine, riuscendo a trasformare le giornate in qualcosa di "soddisfacente", a rendere orgogliosi di me mamma e papà - soprattutto il secondo. Ad avere un fidanzato... onesto.
Eppure, ci sono giorni che quando cala la notte mi sento sola, come se mi fosse stata strappata via una parte di me.

 
“Quando la buia notte
sembra infinita, ti prego,
ricordati di me”

 
 
È la frase che si può leggere all’inizio della mia tesi di laurea, perché in fondo è anche un po’ grazie a Sergio se oggi sono qui…
Ci sono notti in cui chiudo gli occhi e mi vedo salire su un treno per tornare a riabbracciarlo, anche solo per un attimo; per baciarlo ancora e sentire il tocco caldo delle sue labbra sulle mie; il solletico della barbetta sulla pelle del viso. Solo per stringermi di nuovo a lui e sentirmi protetta fra le sue braccia forti; per inebriarmi del suo profumo che, oramai, ho quasi dimenticato.
Ma non il suo ricordo... di quello no, non riesco a liberarmene.
 

FINE
 

 

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