Indigo Children

di Pk_01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: l'incidente ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Birre, D&D e Mal di Testa ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: San Valentino ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: l'incidente ***


CAPITOLO 1: L'INCIDENTE

 

 

 

Da qualche parte degli Stati Uniti, Settembre 1966

 

 

"Dottor Brenner, ha visto gli ultimi risultati del test?"

 

"Sì, li ho visti. Semplicemente straordinario."

 

"Più che straordinario, lo definirei terrificante. Il soggetto ha un potenziale troppo elevato. Ci troviamo di fronte a qualcosa che va ben oltre le nostre aspettative. Senza tenere conto che è ancora un ragazzino. I suoi poteri sono destinati ad aumentare una volta passata l'adolescenza. Temo che ormai sia impossibile riuscire a tenerlo sotto controllo."

 

"A quanto pare la dose del siero NK-1 somministrata è risultata essere eccessiva. Questo sarà un dato da tenere altamente in considerazione per i prossimi soggetti."

 

"Prossimi soggetti? Ha intenzione di procedere con la sperimentazione, dottore?"

 

"Il Progetto Indigo Children è la nostra punta di diamante, dottor Samson. Le alte sfere del governo si aspettano dei risultati da noi, ed io non ho la benchè minima intenzione di deluderli. La sperimentazione continuerà."

 

Il dottor Samson chinò il capo. Brenner aveva amicizie molto influenti, inoltre era il suo diretto superiore, non poteva assolutamente contraddirlo.

 

"E per quanto riguarda il soggetto? Ha intenzione di sopprimerlo?"

 

"Non credo sia necessario. Lo metteremo in animazione sospesa, fino a quando non saremo in grado di gestire i suoi poteri."

 

Samson guardò attraverso la spessa parete di vetro della stanza dove si trovavano lui e Brenner.

 

"Sempre se ne saremo mai in grado."

 

Marzo 1967

 

"A tutte le unità, codice rosso, ripeto, codice rosso! Il soggetto si trova nel corridoio 14! Tutti i soldati convergano in quella direzione!"

 

La base era nel caos più totale. Era un continuo viavai di uomini in camice e soldati in uniforme, armi in pugno, che correvano in ogni direzione. Il dottor Samson dalla sala di controllo tentava, non senza qualche difficoltà, di coordinare le varie operazioni.

 

"Tutto il personale medico si diriga verso le uscite di sicurezza più vicine a loro per evacuare la base! Evitate ogni contatto visivo con il soggetto, ripeto, evitate assolutamente ogni contatto visivo con il soggetto!"

 

C'erano già stati dei morti. Quattro medici che erano presenti nella camera di stasi al momento dell'incidente, più una decina di soldati che erano accorsi non appena era scattato l'allarme. Samson temeva che il numero sarebbe aumentato in breve tempo. Uno dei telefoni nella sala di controllò iniziò a suonare. Il dottore afferrò la cornetta e se la portò all'orecchio, intuendo chi potesse essere l'interlocutore dall'altro capo.

 

"Che cosa sta succedendo?" la voce di Brenner era calma, ciò nonostante si poteva percepire una vena di nervosismo nella sua voce. Samson sapeva bene che il suo superiore odiava che qualcosa non andasse secondo i suoi piani, e ciò che stava accadendo nella base era decisamente fuori da ogni schema previsto.

 

"C'è stato un incidente. Nella camera di stasi. Un improvviso blackout ha tolto energia alla capsula di ibernazione per una decina di minuti."

 

"Sarebbe dovuto entrare in funzione il generatore di emergenza. Avevamo previsto una tale evenienza."

 

"Purtroppo non è stato così. Il generatore di emergenza non si è avviato in tempo e quindi.." Samson non ebbe bisogno di concludere la frase per fare intendere a Brenner che cosa fosse successo.

 

"Lo voglio vivo."

 

"Ma dottore.."

 

"Vivo, Samson. Parto subito."

 

La conversazione si interruppe bruscamente. Il dottore si accasciò sulla sedia. Come diavolo pensava Brenner di poter prendere vivo quel.. mostro? Si accese nervosamente una sigaretta e tornò a fissare i monitor. I soldati stavano arrivando al corridoio 14. Prese in mano il microfono e pigiò un pulsante.

 

"A tutte le unità, siete in avvicinamento al soggetto. Sparate per ferirlo. Prendetelo vivo, ripeto, prendetelo vivo."

 

Tolse il dito dal pulsante per interrompere la comunicazione.

 

"E che Dio vi aiuti." mormorò, continuando a fumare.

 

Il capitano Wilkes era nervoso. Non aveva abbastanza informazioni sul soggetto per poterlo affrontare al meglio assieme alla sua squadra, ai soldati non venivano fornite informazioni su ciò che avveniva in quella base. Loro dovevano solo intervenire qualora avvenissero degli incidenti e risolverli nel modo più efficiente possibile, ubbidendo agli ordini. E gli ordini stavolta erano di prendere quello stronzetto vivo. Sarebbe stato molto più facile piazzargli una pallottola in fronte e tanti saluti, ma a quanto pare a qualche testa d'uovo dei piani alti il fuggitivo interessava troppo per volerlo vedere morto. Guardò gli altri uomini che erano con lui, facendo loro cenno di seguirlo facendo il minimo rumore possibile. Alla prossima svolta a destra si sarebbero trovati di fronte al loro obiettivo.

 

"Ricordatevi di mirare in zone non vitali, ragazzi. E non guardatelo negli occhi, per nessuna ragione."

 

"Perchè, capitano?" fece una recluta, un ragazzo sui vent'anni.

 

"Non me lo hanno detto. Tu vedi di obbedire e basta."

 

Erano in prossimità dell'incrocio. Tolsero la sicura ai loro fucili e si prepararono a svoltare. Non appena entrati nel corridoio 14, individuarono subito il soggetto. Stava davanti a loro, a circa cinque metri di distanza. Era vestito di un semplice camice ospedaliero verde, completamente bagnato. Nessuno si azzardò a guardarlo in volto.

 

"Mani in alto!" abbaiò Wilkes, puntando il fucile all'altezza delle gambe.

 

Una pallottola nella coscia gli avrebbe fatto perdere un po' della sua irruenza. Un altro uomo prese in mano un paio di manette e una benda nera.

 

Accadde tutto in un istante.

 

Le armi dei soldati scivolarono via dalle loro mani, per poi volare alle spalle del fuggitivo, che in tutto questo tempo non si era mosso di un millimetro.

 

"Merda.." mormorò la recluta di prima.

 

Il loro obiettivo alzò una mano verso di loro. Il giovane soldato si portò le mani al collo, come se qualcuno lo stesse soffocando. Gli altri soldati iniziarono a farsi prendere dal panico. Due di loro si avvicinarono al loro compagno agonizzante, cercando di aiutarlo, mentre alcuni si dettero alla fuga. Un'altra mano alzata, e i loro corpi iniziarono a levitare. La mano si contrasse, e gli uomini che avevano tentato la fuga cominciarono a cozzare contro le pareti ed il soffitto, simili a palline impazzite di un flipper. Dopo una decina di secondi, caddero a terra, privi di vita. Wilkes estrasse dalla fondina che teneva legata in vita una pistola.

 

"Continuate a sparare!"

 

Esplose alcuni colpi in direzione dell'assalitore. Non fece caso se le pallottole avrebbero potuto ucciderlo o meno. Qui si trattava di mettere in gioco la sua vita e quella dei suoi uomini.

 

Una forza invisibile, scaturita da chissà dove, lo scaraventò a terra assieme ai suoi compagni. La pistola volò via chissà dove. In pochi secondi si ritrovò a fissare due occhi azzurri, privi di ogni sentimento.

 

"Maledizione.."

 

La testa iniziò a pulsargli, come se qualcuno gli avesse ficcato dentro un gigantesco cuore che pompava litri e litri di sangue al secondo. Sentì qualcosa di umido e caldo bagnarli il naso e le orecchie. Stava perdendo sangue. Provò a tirare un pugno per allontanare l'avversario, ma le sue membra sembravano non rispondere ai comandi che il cervello cercava di impartire loro. Era completamente paralizzato. Una voce infantile, ma che stava iniziando a diventare quella di un adulto si fece strada tra le pulsazioni nella sua testa.

 

"Uomo cattivo.."

 

Una arteria cerebrale si ruppe. Poi un'altra. In pochi istanti, il capitano Wilkes ebbe qualcosa come cinque aneurismi cerebrali rotti. Rimase a terra immobile, mentre il sangue continuava a colargli dal naso e dalle orecchie. Il suo assassino si rialzò con calma, fissando i soldati ancora in vita, paralizzati dal terrore. Alzò entrambe le mani.

 

"Anche voi uomini cattivi.."

 

Urla, lamenti, e poi più nulla.

 

"Lei è un incompetente, dottor Samson." Brenner fissava gelido il suo sottoposto. "Si rende conto di quello che ha fatto?"

 

L'uomo spense l'ennesima sigaretta di quella lunga nottata. Era l'unico sopravvissuto della base di ricerca, fatta eccezione per coloro che erano riusciti a fuggire. L'essere rimasto chiuso nella sala di controllo gli aveva permesso di rimanere in vita.

 

"Abbiamo fatto il possibile, dottore.."

 

"E non è stato abbastanza. Dobbiamo recuperarlo a tutti i costi, maledizione!"

 

"Ci troviamo vicino ad un fiume, potrebbe avere preso quella strada ed essere già a chilometri da qui.."

 

"Non mi importa. Lo trovi, Samson, o sarà peggio per lei."

 

Brenner prese la sua giacca, la infilò e fece per andarsene.

 

"Dovremmo avvisare il Generale Hopkins di tutto questo.."

 

Il suo superiore si voltò per squadrarlo.

 

"Ci parlerò io con il generale. Gli dirò che c'è stato un incidente e che il soggetto è stato ucciso durante le operazioni di recupero."

 

"Ma dottore.."

 

"Se il generale dovesse scoprire che il soggetto è fuggito e noi non siamo riusciti a catturarlo farebbe chiudere immediatamente il progetto Indigo Children. Non posso permetterlo. Questo è il sogno della mia vita, e non sarà certo un piccolo incidente a fermarmi."

 

Quarantasette morti. Questo era ciò che Brenner definiva "un piccolo incidente". Quell'uomo avrebbe guardato bruciare il mondo intero, pur di realizzare i suoi progetti.

 

"E come farò a trovare il ragazzo?"

 

"Le farò avere una nuova squadra. Persone addestrate, in grado di gestire situazioni come queste. Lasci fare a me."

 

Uscito Brenner dalla stanza, Samson si accese un'altra sigaretta. Cercò di convincersi che presto sarebbe tutto finito, ma qualcosa dentro di sè gli diceva che quello era solo l'inizio.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Birre, D&D e Mal di Testa ***


CAPITOLO 2: BIRRE, D&D E MAL DI TESTA

 

 

 

Hawkins, 10 Febbraio 1985. Ore 16:45.

 

Jim Hopper parcheggiò il fuoristrada della polizia nei pressi dell'Halloran's, il suo pub preferito. Gettò dal finestrino il mozzicone della sigaretta, spense il motore e scese dal veicolo. Inspirò profondamente l'aria fredda di quel pomeriggio invernale, stiracchiandosi la schiena. La ragazzina era a giocare con i suoi amici, in ufficio tutte le pratiche erano state evase, e a quanto pareva nessuno nella cittadina dell'Indiana dove cercava di amministrare nel miglior modo possibile la sua funzione di sceriffo aveva intenzione di farlo ammattire ulteriormente per quella giornata. Una birra e due chiacchiere con il vecchio Dick erano proprio quello che ci voleva. Si diresse verso il locale con fare lento e aprì la porta a vetri, giusto in tempo per intercettare un piccolo litigio del proprietario con uno degli avventori.

 

"Ascoltami bene, ragazzino, col cavolo che ti servo una birra!"

 

"Mi scusi, ma non vedo quale sia il problema."

 

"Non vedi quale sia il problema? Questa è bella! Sei minorenne, cocco, quindi o ordini qualcosa di analcolico o vedi di filartene dal mio locale!"

 

"Guardi che ho trentadue anni.."

 

"Sì, certo! E la mia povera mamma, Dio l'abbia in gloria, era Mae West! Sparisci!"

 

Il ragazzo si passò una mano fra i lunghi capelli castani, sbuffando. Aprì la cerniera della sua giacca imbottita, armeggiando alla ricerca di qualcosa.

 

"Ogni volta la stessa storia.." mormorò tra sè e sè.

 

Tirò fuori dal giaccone un portafogli di pelle marrone, lo aprì e tirò fuori un rettangolo plastificato, che porse al barista.

 

"Questa è la mia patente di guida. Controlli pure la data di nascita."

 

Dick Halloran prese il documento con aria scettica e iniziò a scrutarlo attentamente.

 

"Dunque, vediamo.. Richard Bateman, nato a Bangor, Maine, il 10 Marzo.. 1953?"

 

Il cliente incrociò le braccia, accennando un sorriso.

 

"È ciò che sto cercando di dirle da almeno dieci minuti."

 

"E chi mi dice che questa patente non sia falsa?"

 

"Oh, per l'amor del cielo! Falsificherei dei documenti per una cazzo di birra?"

 

"Che sta succedendo?" Hopper decise che era il caso di intervenire. Si avvicinò al bancone, togliendosi il cappello e appoggiandoglielo sopra.

 

"Oh, sceriffo, è arrivato giusto in tempo! Dia un'occhiata a questa patente e mi dica se le sembra vera o meno!"

 

L'uomo prese in mano la tessera e la guardò. Non c'erano dubbi: era vera al cento per cento. Restituì la patente al giovane.

 

"Il ragazzo dice la verità, Dick. Portagli quella birra. Garantisco io per lui."

 

"Va bene, sceriffo, se lo dice lei mi fido!"

 

Mentre l'uomo spillava la birra, il ragazzo si avvicinò ad Hopper.

 

"Grazie mille, temevo che mi avrebbe fatto morire di sete! Posso offrirle qualcosa per sdebitarmi del suo aiuto?" chiese, sfoggiando un sorriso amabile.

 

"Se proprio insisti.. Una birra anche per me, Dick. Offre il ragazzo."

 

"Arriva subito, sceriffo!"

 

I due avventori rimasero ad osservarsi per alcuni secondi.

 

"Oh, ma che maleducato, non mi sono nemmeno presentato!" esordì il più giovane, tendendo la mano al secondo. "Richard Bateman, molto piacere!"

 

Hopper fece altrettanto, notando un certo vigore nella sua stretta di mano.

 

"Jim Hopper, sceriffo di Hawkins."

 

Halloran arrivò con due boccali di birra. Ognuno prese il proprio e bevvero insieme alcune lunghe sorsate. Dopo essersi asciugato il labbro con il dorso della mano, il poliziotto squadrò Richard attentamente.

 

"Che cosa la porta nella nostra cittadina, signor Bateman?"

 

Anche se non era in servizio, l'indole del piedipiatti emergeva prontamente in qualunque occasione.

 

"Mi sono trasferito ad Hawkins da circa una settimana. Lunedì inizierò il mio nuovo lavoro qui in paese."

 

"Ah sì? E che genere di lavoro, se non sono troppo indiscreto?"

 

"Non si preoccupi, non lo è affatto. Sarò il nuovo medico di famiglia al posto del dottor Gardener."

 

Hopper annuì. Sapeva del pensionamento dell'anziano dottore, che era per inciso il suo medico di fiducia. Inoltre Gardener gli aveva riferito che il suo sostituto sarebbe stato un giovane medico molto in gamba. Jim sperava di incontrarlo a breve, ma non si sarebbe mai aspettato così presto.

 

"Harold ha detto che lei è un ottimo medico, dottor Bateman."

 

Il ragazzo arrossì e finì la sua birra.

 

"Il dottor Gardener è molto gentile. Diciamo che cerco di dare il massimo nel mio lavoro. Sceriffo, le andrebbe un altro giro? Offro io, naturalmente." disse, notando il bicchiere quasi vuoto di Hopper.

 

L'uomo alzò un sopracciglio.

 

"Per essere un dottore beve parecchio, considerato che sono le cinque del pomeriggio. Non trova?"

 

"Oggi è il mio giorno libero, è solo per questo che mi sto concedendo qualche birra. Quando lavoro non mi azzardo a toccare nemmeno un goccio di alcol. D'altro canto, ognuno di noi ha i suoi piccoli vizi, dico bene, sceriffo?"

 

Hopper pensò ai suoi, di piccoli vizi. Da quando aveva iniziato ad occuparsi di Undici aveva ridotto drasticamente l'uso di alcolici, ma per quanto riguardava le sigarette, beh, quella era una battaglia che non aveva la benchè minima intenzione di iniziare nemmeno. Finì in due sorsi ciò che rimaneva della sua birra e appoggiò il boccale sul bancone in legno.

 

"Dice bene, dottore. Vada per un altro giro."

 

Ore 18:30

 

"Molto bene, ragazzi. Davanti a voi si estende un corridoio illuminato debolmente da alcune torce su entrambi i lati. Un forte odore di muffa e putrefazione vi assale le narici. In fondo al corridoio riuscite ad intravedere un'enorme porta in legno. Cosa fate?"

 

Mike guardò i suoi amici con fare interrogativo, in attesa di una loro risposta. Gran parte del suo volto era coperto dal voluminoso Manuale del Dungeon Master che teneva stretto fra le mani.

 

"Che domande, avanziamo!" esordì Dustin, cacciandosi in bocca una manciata di patatine.

 

"Aspetta." lo fermò Will. "E se ci fossero delle trappole?"

 

"Sì, è vero, e se ci fossero delle trappole?" gli fece eco Lucas, mentre rigirava fra le mani una matita. "Non ti ricordi cos'è successo l'ultima volta? Hai quasi rischiato di rimanerci secco per quel dannato trabocchetto!"

 

Il ragazzino si battè una mano sulla fronte.

 

"Cavolo, avete ragione! Quando ho calpestato quella mattonella che ha fatto aprire una botola con sotto tutte quelle punte acuminate! Se non avessi fatto un buon tiro sui riflessi a quest'ora sarei morto stecchito!"

 

"Ok, allora che facciamo?" Chiese Max, guardando i suoi compagni.

 

"Cerchiamo se ci sono delle trappole!" propose Will

 

Un coro di approvazione si levò dal gruppo di giocatori.

 

"Ok, chi si occupa di cercare le trappole?" Mike prese i dadi per la prova.

 

"Ci penso io, sono la migliore nel farlo, dammi qua" disse Max, tendendo la mano.

 

Nella campagna di Dungeons&Dragons aveva scelto come classe il ladro, ed una delle abilità tipiche di quella categoria era proprio lo scovare meccanismi nascosti.

 

"D'accordo." Mike le porse i dadi. "Classe di difficoltà quattordici. Buona fortuna."

 

La ragazzina prese un dado a venti facce, iniziò a scuoterlo dentro la mano, e lo lanciò. Tutti si accalcarono per guardare il risultato.

 

Venti.

 

Un coro di grida di gioia proruppe nello scantinato di casa Wheeler. Soltanto Undici non prese parte ai festeggiamenti, ma si limitò ad un piccolo sorriso. Anche se aveva iniziato a capire dal ballo d'inverno che Max non le avrebbe portato via l'affetto di Mike, faticava ancora a relazionarsi con la giovane dai capelli rossi.

 

"Va bene, va bene, calmatevi tutti!" Il giovane master cercò di riportare ordine nella combriccola. "Ottimo tiro, Max. Dunque, esplori il corridoio palmo a palmo, mattonella per mattonella, e.."

 

Tutti rimasero con il fiato sospeso.

 

"Non ci sono trappole."

 

"Accidenti, un venti sprecato per nulla!" sbuffò Dustin, sistemandosi il cappello che portava immancabilmente in testa.

 

"Non è stato inutile, se ci fossero state e non avessimo controllato a quest'ora saremmo tutti in un mare di guai!" lo rimproverò Will.

 

"Sarà.." il ragazzino non era ancora del tutto convinto.

 

"Dai ragazzi, continuiamo, a breve mio fratello verrà a prendermi e voglio sapere che cavolo c'è oltre quella porta!"

 

"Ok, Max. Mike, Percorriamo tutto il corridoio, arriviamo alla porta, la apriamo ed entriamo dentro!"

 

"Va bene. Vi ritrovate in una grotta delle dimensioni di una cattedrale. Il numero di torce è maggiore, quindi riuscite a vedere molto più distintamente. L'odore di putrefazione è fortissimo. Attorno a voi ci sono decine di cadaveri in decomposizione, mentre al centro della sala c'è un enorme tesoro!"

 

Dustin e Lucas si diedero il cinque.

 

"Evvai, ce l'abbiamo fatta!"

 

Mike alzò la mano per interromperli.

 

"Tuttavia, non riuscite a fare nemmeno un passo verso il bottino, che davanti a voi compare.."

 

Mise una mano nel sacchetto delle miniature per cercare il mostro da fare affrontare ai suoi amici, senza mostrarglielo ancora. Tirò fuori una statuetta e aprì la mano.

 

Il Demogorgone.

 

No, decisamente lui e i suoi amici ne avevano già affrontati fin troppi di Demogorgoni. E non in un gioco di ruolo, ma nella vita reale. Rimise la miniatura nel sacchetto.

 

"Scusate, ho sbagliato mostro."

 

Rovistò ancora un po' nel sacchetto di tela e tirò fuori nuovamente la mano.

 

Questo andrà benissimo.

 

"Un drago nero!"

 

Tutti fissarono la statuetta del mostro appoggiata al centro del tavolo da Mike. Dustin fece un fischio sommesso.

 

"Cavolo.."

 

"Ok, tirate tutti per l'iniziativa."

 

I vari componenti del party tirarono il dado a venti facce per vedere chi avrebbe attaccato per primo. Per ultimo tirò Mike per vedere quando avrebbe attaccato il drago. Undici totalizzò il punteggio più alto.

 

"Undi, tocca a te. Cosa vuoi fare?" le chiese Mike.

 

"Disintegrazione!" si intromise Dustin. "Disintegralo!"

 

"Sì, Undi, lancia Disintegrazione!" si unì a lui Lucas.

 

Undici era la maga del gruppo, e possedeva una nutrita schiera di incantesimi. Disintegrazione era quello più potente.

 

"Ragazzi, aspettate, Undi può lanciare Disintegrazione solo una volta al giorno, se il drago passa il tiro salvezza e non si disintegra avrà sprecato un turno per niente e non potrà usare quell'incantesimo per ventiquattro ore! Forse sarebbe meglio usare qualche altro incantesimo, tipo Palla di Fuoco.." Will cercava di fare ragionare i suoi amici.

 

D'altronde, se lo chiamavano Will il Saggio un motivo c'era. Purtroppo per lui, gli altri non sembravano del suo parere, e continuavano ad urlare "Disintegrazione! Disintegrazione!". Il ragazzino si mise le mani nei capelli. Quando si mettevano in testa un'idea, non c'era verso di fargliela cambiare. Nel mentre la ragazza oggetto di questa discussione li guardava sorridendo.

 

"Va bene." disse, puntando gli occhi su Mike. "Lancio Disintegrazione."

 

La sua decisione venne accolta da urla di giubilo e fischi da parte di Dustin e Lucas.

 

"Vai Undi, fallo secco!"

 

"Riducilo ad un cumulo di cenere!"

 

Mike prese il dado per effettuare il tiro salvezza del drago nero. Sperò per i suoi amici che fallisse, altrimenti per loro sarebbero stati guai guai grossi. Lanciò.

 

"Il drago.. Resiste all'incantesimo di disintegrazione."

 

"Merda secca!" proruppe Dustin.

 

"Lo hai detto, amico." mormorò Lucas.

 

"Che vi avevo detto?" rincarò Will, in panico.

 

Undi fece uno sguardo triste. Tutti si voltarono verso di lei.

 

"Hey, non è mica colpa tua!" le disse Dustin, battendola una mano sulla spalla. "I draghi sono fortissimi, dovevamo aspettarcelo che riuscisse a salvarsi dalla Disintegrazione!"

 

"Non ti preoccupare, Undi, riusciremo comunque a batterlo questo lucertolone!" Max le rivolse un sorriso confortante. "Tutti insieme."

 

La ragazzina fece un timido sorriso di rimando.

 

"Sì. Insieme."

 

Un insistente bussare alla porta dello scantinato interruppe il momento di solidarietà del gruppo.

 

"Maxine, è arrivato tuo fratello, ha detto che ti aspetta fuori in macchina!"

 

"Va bene, Signora Wheeler, arrivo subito!"

 

Sebbene i rapporti fra Max e Billy fossero nettamente migliorati da quando la ragazzina gli aveva intimato con una mazza da baseball piena di chiodi di smetterla di tormentare lei ed i suoi amici, sapeva che non era il caso di tirare troppo la corda con il ragazzo. Ed una delle cose che Billy odiava di più al mondo era stare ad aspettare la sorellastra. Si alzò dalla sedia e recuperò in fretta le sue cose.

 

"Ciao ragazzi, ci vediamo domani a scuola!"

 

Si avvicinò a Lucas e gli diede un veloce bacio sulle labbra. Gli altri distolsero pudicamente lo sguardo.

 

"Ciao Max, a domani!" fecero in coro, mentre la ragazza spariva in una nuvola di capelli rossi.

 

"Beh, a questo punto andrò anche io." disse Dustin, accartocciando il sacchetto di patatine ormai vuoto e gettandolo nel cestino al suo fianco. "Will, Lucas, venite anche voi?"

 

"Ok, Dustin."

 

"Per me va bene. Ho detto a mio fratello che mi avreste accompagnato voi a casa. Vi secca?"

 

"Ma ti pare? Forza Will, andiamo! Ciao Mike, ciao Undi!"

 

I due ragazzi rimasti salutarono gli amici, per poi rimanere soli. Stettero a guardarsi per alcuni minuti, senza proferire parola. Per loro non era mai stato un problema, riuscivano a godere l'uno della compagnia dell'altra solo tramite lo stare insieme. Fu Undici a rompere il silenzio.

 

"Mike.. Ho sbagliato prima?"

 

Il ragazzo le prese le mani.

 

"No, Undi, te lo hanno anche detto gli altri! Il drago nero è una creatura fortissima e tu sei una brava giocatrice, non hai sbagliato nulla!"

 

Lei gli sorrise dolcemente.

 

"Mike, io.."

 

Improvvisamente si portò le mani alla testa. Il ragazzo le si avvicinò preoccupato.

 

"Undi, che succede?"

 

"Niente, la testa.. Mi fa un po' male. Vado un attimo in bagno."

 

Mentre la ragazzina saliva le scale per andare al piano terra, Mike si ritrovò a fissarla con fare apprensivo. Da un po' di tempo Undici aveva frequenti mal di testa. La giovane minimizzava questi fatti, e non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con Hopper, il quale era diventato a tutti gli effetti il suo nuovo padre. Si augurò che fossero davvero dei semplici mal di testa e nulla di più serio. Se fossero continuati, l'avrebbe convinta a parlare con lo sceriffo.

 

Il contatto del viso con l'acqua fredda mitigò la sensazione dolorosa che le pervadeva il cranio. Undici chiuse l'acqua, si asciugò il viso e si guardò allo specchio. I suoi capelli continuavano a crescere, ormai orano quasi della stessa lunghezza di quelli di Mike.. Il pensiero del ragazzo le fece perdere un battito del cuore. Stare accanto a lui la faceva stare bene. Anche stare con Hopper, con Joyce e con i suoi amici la faceva stare bene, ma con Mike.. Con lui era diverso. Era questo quello che chiamavano amore?

 

Una fitta più forte delle altre la fece cadere in ginocchio. Calde lacrime le rigarono il viso, ma si costrinse a non urlare. Non voleva fare preoccupare Mike. Si tastò il naso, sentendoselo umido.

 

Sangue.

 

Da quando aveva chiuso la porta di accesso al Sottosopra, circa tre mesi prima, erano comparsi i dolori alla testa. Ed ogni tanto perdeva sangue dal naso, come quando utilizzava i suoi poteri. Solo che da allora non li aveva più utilizzati. Che cosa le stava succedendo? Era spaventata, ma ancora di più aveva timore di parlarne con Hopper. Chissà come avrebbe reagito a questa notizia..

 

Un discreto bussare interruppe il flusso dei suoi pensieri.

 

"Jane? Jane, tesoro, va tutto bene?"

 

Nessuno, al di fuori dei suoi amici, la chiamava Undici. Per tutti era Jane Hopper, figlia adottiva di Jim Hopper, sceriffo di Hawkins, Indiana. L'uomo era riuscito ad ottenere un certificato di nascita per la ragazza da parte del dottor Owens, il direttore dell'Hawkins National Laboratory, la struttura che l'aveva tenuta segregata per i primi dodici anni della sua vita. Adesso era libera. Libera dal suo padre biologico, il dottor Brenner, libera da tutti quegli uomini cattivi, libera perfino dalle creature del Sottosopra, che aveva sigillato per sempre nella loro dimensione grazie ai suoi poteri psichici. Pregò silenziosamente di essere il prima possibile altrettanto libera da questi mal di testa che l'affliggevano.

 

"Sì signora Wheeler, tutto bene."

 

"C'è tuo padre qui fuori, non farlo aspettare!"

 

"Solo un attimo."

 

Si asciugò il sangue con il dorso della mano, un gesto per lei abituale, si lavò le mani ed uscì dal bagno. Salutò Mike e sua madre, si infilò il pesante cappotto di lana e uscì di casa. Salì in macchina dello sceriffo e si allacciò la cintura.

 

"Ciao, ragazzina. Come è andata oggi?"

 

"Molto bene."

 

"Ottimo. Hai fame? Stasera per cena ci sono i burritos. E dopo per dolce i waffles."

 

Undi sorrise. Hopper sapeva come metterla di buon umore. Sperò solo che il mal di testa non le rovinasse la cena.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: San Valentino ***


CAPITOLO 3: SAN VALENTINO

 

 

Hawkins, 14 Febbraio 1985. Ore 10:00.

 

 

"Non credo di potercela fare, ragazzi." mormorò Lucas, stringendo tra le mani un misterioso biglietto.

 

"Stai scherzando? Cosa c'è di così difficile? È la tua ragazza!"

 

"La fai facile, Dustin, tu non devi consegnare nessun biglietto di San Valentino!"

 

"Questo lo dici tu, amico." rispose il ragazzo sornione.

 

Will e Mike smisero di togliersi i vestiti e si guardarono tra loro, perplessi. Avevano appena finito la lezione di scienze con il professor Clarke, e si trovavano nello spogliatoio della scuola, pronti ad iniziare le due ore di ginnastica. Era dall'inizio della mattinata che Lucas li stava tormentando sul come e quando consegnare il biglietto di San Valentino a Max, e non sapevano più in quale modo tranquillizzare l'amico. E adesso Dustin se ne usciva con quella storia che anche lui aveva un biglietto da consegnare.

 

"Chi è la tua ragazza, Dustin?" chiese Mike, infilandosi un paio di calzoncini corti.

 

Il ragazzo lo guardò per alcuni istanti.

 

"Beh.. Nessuna di importante."

 

"Come sarebbe a dire 'nessuna di importante'?" domandò Will alzando un sopracciglio. "Se non lo fosse non le avresti comprato un biglietto per San Valentino!"

 

"Ok, è importante, però.. Non è importante. Davvero."

 

I suoi tre amici lo guardavano con fare stranito.

 

"Tu sei tutto strano." sentenziò Lucas, allacciandosi le scarpe da ginnastica.

 

"Parla quello che si fa problemi con la sua fidanzata.."

 

"Byers, Wheeler, Henderson, Sinclair! Avete finito di cambiarvi? Mancate solo voi all'appello! Vedete di muovervi!"

 

"Sì signor Hopkins, arriviamo!" risposero in coro.

 

L'insegnante di educazione fisica chiuse la porta dello spogliatoio con un colpo secco.

 

"Ne parliamo finita la lezione, va bene?" Lucas ripose il biglietto nel suo zaino.

 

"D'accordo, anche perchè qualcosa mi dice che ci servirà tutto il fiato possibile in queste due ore. Hopkins odia i ritardatari." mormorò Will, passandosi le mani fra i capelli.

 

 

Ore 11:30

 

 

Joyce Byers finì di impilare alcune pesanti scatole nel magazzino del Melvald's General Store. Si stiracchiò la schiena, sopprimendo uno sbadiglio. Quella notte non aveva dormito un granchè bene, e la mattinata al negozio era stata sfiancante, un continuo viavai di persone che venivano a comprare i più disparati oggetti da regalare alle proprie mogli e ai propri mariti in occasione della festa degli innamorati.

 

Si ritrovò a pensare a Bob.

 

Il suo compagno era ormai morto da circa tre mesi, dilaniato dalle orribili creature del Sottosopra durante la loro fuga dall'Hawkins National Laboratory, e Joyce non aveva potuto fare nulla per salvarlo, trascinata via dall'amico Hopper per evitare che facesse la stessa fine del suo fidanzato. Era riuscita in qualche modo ad elaborare il lutto, soprattutto grazie al fatto di essere riuscita a salvare suo figlio Will dalla possessione di una di quelle infernali creature, tuttavia ogni tanto il dolore tornava a farle visita, e quale occasione migliore che il giorno di San Valentino? Sentì gli occhi inumidirsi, ma si impose di non piangere. Aveva già versato fin troppe lacrime da un anno a questa parte. Prima la scomparsa di Will, poi la sua possessione, infine la morte di Bob. Era decisamente troppo.

 

Il suono del campanello appeso sopra la porta di ingresso del negozio annunciò l'arrivo di un nuovo cliente.

 

Joyce uscì dal magazzino per accogliere il nuovo avventore. Si trovò di fronte un ragazzo da capelli castani, legati in una coda. Doveva avere cinque o sei anni in più di Johnathan, il suo figlio maggiore. Indossava un semplice paio di jeans blu, un pesante maglione nero, e una lunga sciarpa di lana dello stesso colore. Gli occhi, di un verde cupo, si muovevano in tutte le direzioni, animati da una vivace curiosità. Teneva stretta nella mano destra una valigetta consunta di pelle marrone.

 

"Buongiorno." esordì la donna, sfoggiando un sorriso stanco. "Desidera?"

 

Il ragazzo le restituì il sorriso, amplificandolo di una decina di volte.

 

"Buongiorno.." strizzò le palpebre per leggere il nome sulla targhetta appesa al suo pullover grigio. ".. Joyce. Splendido nome. Io sono Richard, molto lieto. Stavo cercando un walkman. Il mio sfortunatamente si è rotto durante il trasloco. Può aiutarmi?"

 

"Certamente, mi segua."

 

Joyce accompagnò il ragazzo in un angolo del negozio, dove erano impilati una decina di mangianastri portatili della Sony. Richard li esaminò tutti attentamente.

 

"Perfetto, prendo questo nero. Avete anche le batterie?"

 

"In fondo a destra, vicino ai cacciaviti."

 

Una volta recuperate le pile, Richard portò i suoi acquisti in cassa, dove Joyce battè i due articoli.

 

"Fanno quarantasei dollari e settantacinque centesimi."

 

Il ragazzo le porse una banconota da cinquanta dollari.

 

"Tenga pure il resto." le rispose sorridendo.

 

"Grazie.. Ah, quasi dimenticavo, oggi diamo in omaggio ai nostri clienti un biglietto di San Valentino da regalare al proprio compagno o alla propria compagna. Lo vuole?"

 

Richard scoppiò in una risata genuina.

 

"La ringrazio, ma non mi serve. Sono in città da meno di due settimane, inoltre non mi ritengo così attraente da potere interessare a qualche ragazza. Lo tenga lei, può darlo a suo marito, o al suo fidanzato.."

 

Il sorriso del ragazzo si spense quando vide Joyce abbassare lo sguardo.

 

"Accidenti, temo di avere fatto una gaffe enorme.. Mi perdoni, Joyce."

 

"Va tutto bene, non si preoccupi." minimizzò lei con un cenno della mano. "È solo che.. È solo che è una cosa piuttosto recente."

 

"Mi dispiace. Credo di poterla capire. Ho perso i miei genitori circa due anni fa, eppure il dolore che provo per la loro scomparsa non accenna a diminuire con il tempo.. Per certe cose non esiste una cura, per quanto la gente si prodighi ad affermare il contrario."

 

"Già.."

 

"Spero che un giorno possa riuscire a colmare il vuoto che sente dentro, Joyce. Glielo auguro con tutto il cuore."

 

"Grazie, Richard. Lei è molto gentile."

 

Il ragazzo diede uno sguardo all'orologio che portava al polso.

 

"Cavolo, è tardissimo! Ho ancora tre visite da fare e questi pazienti si trovano dall'altro capo della città! Se non mi sbrigo mi faranno la pelle!" si incamminò verso l'uscita del Melvald's General Store, per poi voltarsi verso la donna. "È stato un piacere conoscerla, Joyce. Buona giornata e buon lavoro!"

 

"Grazie, anche a lei! Buona giornata!"

 

Mentre Richard si incamminava lungo il marciapiede, Joyce riflettè sulle parole dette dal ragazzo. Pazienti? Possibile che un ragazzo così giovane fosse già un dottore? Poi si ricordò della conversazione che aveva udito fra due anziane signore nel negozio, le quali elogiavano le capacità del nuovo medico di Hawkins, che aveva sostituito il dottor Gardener, e che non dimostrava minimamente i suoi trentadue anni. A quanto pare aveva appena conosciuto il dottor Bateman.

 

Ore 13:00

 

"Allora Lucas, si può sapere che cosa devi dirmi di così importante? Devo tornare a casa e se Billy non mi vede arrivare si incazzerà di brutto!"

 

"Adesso te lo dico, questione di pochi minuti.."

 

Il ragazzo aveva portato Max sul retro del cortile della scuola, lontano da occhi indiscreti. Lui e i suoi amici avevano deciso che quello fosse il piano più congeniale. Adesso non restava altro da fare che prendere il coraggio a due mani e consegnarle quel dannato biglietto.

 

Forza, cretino di un Sinclair, daglielo!

 

"Allora?" lo incalzò la rossa, sbuffando e incrociando le braccia.

 

"Sì.. Ecco, io.."

 

"Lucas, il troppo correre durante educazione fisica ti ha fatto venire un ictus che non riesci più a parlare normalmente? Ti vuoi muovere?"

 

Se c'era una qualità della quale Max era carente, quella era decisamente la pazienza. Lucas inspirò profondamente, prese il suo zaino, lo aprì, tirò fuori una busta bianca e la consegnò alla ragazza, tenendola con entrambe le mani e guardando fisso in basso.

 

"Io.. Volevo darti questa."

 

Incuriosita, Max prese la busta e la aprì. Dentro c'era un semplice cartoncino rosso, piegato a metà. Al suo interno c'era un ritratto della ragazza, opera sicuramente di Will, e una scritta:

 

Alla più brava giocatrice di Dig Dug del mondo. Buon San Valentino. Lucas

 

Max fissò il biglietto, incapace di parlare.

 

"Non.. Non ti piace?" chiese il ragazzo, in un evidente stato di agitazione.

 

La giovane gli buttò le braccia al collo, facendolo quasi rovinare a terra.

 

"Oh, Lucas.. Grazie, è bellissimo.."

 

Rimasero abbracciati silenziosamente per qualche minuto, per poi scambiarsi un tenero bacio sulle labbra.

 

Lucas Sinclair non lo seppe mai, ma quel giorno rischiò seriamente di finire all'ospedale.

 

Billy Hargrove camminava a passo spedito verso Max e Lucas, aprendo e chiudendo le mani nervosamente. Era rientrato a scuola per cercare la ragazza, e l'aveva trovata appartata insieme a lui in quell'angolino del cortile. Aveva iniziato a vedere rosso. Si trovava ad una ventina di metri da loro, e i due ragazzi non lo avevano ancora notato. Certo, impegnati com'erano ad abbracciarsi e sbaciucchiarsi. Aveva deciso di permettere alla sua sorellastra di frequentare quei quattro deficienti dei suoi amici, certo, ma da qui ad iniziare una relazione con uno di loro. Per giunta con il peggiore che potesse scegliere. Il suo respiro si fece più affannoso. Avrebbe dato a quel moccioso una lezione coi fiocchi.

 

Un mese a fissare il soffitto di una camera dell'ospedale e a mangiare cibi con una cannuccia ti schiariranno le idee su quali ragazze abbordare, Sinclair.

 

Due mani sconosciute lo afferrarono per le spalle e lo trascirarono in un vicoletto laterale formato dall'edificio scolastico principale e la palestra.

 

"Non penserai mica di rovinare questo splendido momento a tua sorella, vero?"

 

"Levati dalle palle, Harrington. Non sono affari che ti riguardano. E Max non è mia sorella."

 

Il ragazzo fece per divincolarsi, ma Steve lo tenne inchiodato contro il muro.

 

"Oh, invece credo proprio che mi riguardino. Lucas è un mio amico, così come Max."

 

"Beh, Max è sotto la mia tutela, e non le permetterò mai di uscire con.."

 

"Con un negro? È questo che volevi dire?" Il ragazzo fissava Billy con fare severo.

 

"Togliti di mezzo, Harrington."

 

"Non ci penso nemmeno."

 

Il ragazzo prese a divincolarsi.

 

"Ti ho già pestato una volta. Farlo una seconda non mi cambierà la vita."

 

"Tu credi? La volta scorsa eravamo da soli a casa di Will Byers. Ora siamo a scuola, Billy. Ci sono ancora tutti i professori in giro. Stavolta potresti non cavartela così facilmente. E non penso che a tuo padre farebbe piacere che suo figlio si sia messo nei guai facendo a cazzotti prima con un suo coetaneo e poi con un ragazzino di tredici anni."

 

Al sentire nominare il genitore, Billy si fermò. Diede un colpo al petto di Steve, facendolo andare a sbattere contro l'altro lato del vicolo. Si passò nervosamente le mani fra i capelli biondi.

 

"Per stavolta tu e il tuo amichetto dalla pelle scura ve la siete scampata, Harrington. Ma tra me e te non è finita, ricordatelo." gli disse gelido, puntandogli il dito contro.

 

Si incamminò poi con fare nervoso verso l'uscita del vicolo.

 

Guardò verso il cortile. Di Max e Lucas non c'era traccia. Probabilmente la ragazza lo stava aspettando dalla macchina. Si accese una sigaretta.

 

"Merda.." mormorò, sbuffando fumo dalle narici. Si diresse verso il parcheggio della scuola.

 

Ore 13:05

 

 

"Ciao Dustin! Dove sono Mike e gli altri?"

 

"Ciao! Ehm.. Loro sono.. Ancora in palestra."

 

"In palestra? Ma le lezioni sono finite mezz'ora fa!"

 

"Sì, però.. Il signor Hopkins li ha messi in punizione. Devono fare cinquanta giri di pista. Quando sono andato via io erano appena al decimo."

 

Aveva intimato ai suoi compagni di non seguirlo, pena la perdita del loro legame di amicizia. Era una cosa che doveva fare da solo, e l'avrebbe fatta da solo.

 

"Ah.. Avevi bisogno di qualcosa?"

 

"In realtà sì.. Puoi venire con me nell'aula del club dei radioamatori, per favore?"

 

La ragazza lo guardò perplessa. Lui pregò dentro di sè che accettasse l'invito.

 

"Ok, andiamo."

 

Mentre Dustin faceva i salti di gioia internamente, i due ragazzi si diressero verso l'aula.

 

"Allora, che cosa c'è?" chiese lei sorridendo una volta dentro la stanza.

 

Il giovane prese un sacchetto incartato dal tavolo posto al centro dell'aula e glielo porse. Attaccato al sacchetto c'era un biglietto.

 

"Io.. Tieni. È per te."

 

La giovane rimase interdetta. Capì subito il motivo di quel regalo.

 

"Dustin, io.."

 

"Tranquilla Nancy, non preoccuparti. Non è come pensi. Sei la sorella di Mike e la ragazza del fratello di Will, due dei miei migliori amici. Non potrei mai vederti come una ragazza da corteggiare. Ma volevo comunque farti questo regalo. È una cosa da nulla, ma spero che apprezzerai."

 

La ragazza prese il sacchetto e lo aprì. Era pieno di dolci di ogni tipo. Sorrise dolcemente. Aprì il biglietto.

 

"Alla ballerina più bella della Hawkins High School. Grazie per quella splendida serata di Dicembre." lesse ad alta voce. Guardò il ragazzino negli occhi. "Oh, Dustin.."

 

"Nessuna ha accettato di danzare con me al ballo d'inverno. Soltanto tu lo hai fatto. Mi hai fatto sentire importante. Mi hai fatto sentire.. Normale." disse lui, guardandosi i piedi e calcandosi il berretto fino all'altezza degli occhi.

 

Nancy gli si avvicinò, gli tolse il cappellino e gli diede un bacio sulla fronte, facendolo arrossire visibilmente.

 

"Confermo quanto ho detto quella sera, Dustin." disse, sorridendo maliziosamente. "Tra qualche anno le ragazze cadranno letteralmente ai tuoi piedi!"

 

Il ragazzo le sorrise di rimando.

 

"Dici sul serio?"

 

"Ne sono certa!"

 

Gli porse il sacchetto dei dolciumi.

 

"Che ne dici se ce ne mangiamo un po' insieme, io e te, nella tranquillità di quest'aula?"

 

"Ci sto!" le rispose, tirando fuori una barretta di cioccolato e iniziando a scartarla.

 

Ore 16:38

 

I due ragazzi stavano l'una tra le braccia dell'altro, seduti sui sedili posteriori della macchina di lui. Erano andati a fare una piccola gita fuori porta, ed ora si trovavano su una delle colline che circondavano Hawkins, lontani da tutto e da tutti, in cerca di un po' di pace e di intimità. La radio stava passando Keep on Loving You dei REO Speedwagon. Johnathan aveva creato quella musicassetta come regalo di San Valentino per Nancy, mentre la ragazza le aveva regalato una decina di rullini per la sua inseparabile macchina fotografica. Nel mentre Kevin Cronin cantava alla radio:

 

Non voglio dormire

Voglio solo continuare ad amarti

Tesoro, continuerò ad amarti ancora

perchè è l'unica cosa che voglio fare

Non voglio dormire

Voglio solo continuare ad amarti.

 

"Anche io voglio continuare ad amarti, Nancy." le disse il ragazzo baciandola sulle labbra.

 

Si erano inseguiti, cercati per più di un anno, reprimendo i sentimenti che provavano uno per l'altra, fino a quella notte passata a casa di Murray Bauman, l'investigatore privato che li aveva aiutati a far scoppiare lo scandalo dell'Hawkins National Laboratory, dove avevano finalmente gettato via tutte le maschere, tutte le frasi non dette, per abbandonarsi alle voci dei propri cuori.

 

Nancy si fece piccola fra le braccia di lui. Con Johnathan riusciva a sentirsi felice, quella felicità che aveva a lungo cercato, inutilmente, durante la sua relazione con Steve. Non che non volesse bene al ragazzo, ma la loro relazione sembrava come costruita su un set cinematografico, bella solo all'apparenza ma scarna internamente. Con il giovane Byers invece la ragazza era riuscita ad afferrare l'intima essenza di cosa significasse amare una persona.

 

"Ah, a proposito" le chiese lui con fare curioso. "Mi hanno detto che oggi a scuola Dustin ti ha chiesto di andare con lui per una cosa.. Che cosa voleva?"

 

La ragazza represse un sorriso.

 

"Non mi dirai che sei geloso."

 

"Per nulla, so che Dustin è molto maturo per la sua età, e non credo che farebbe mai una cosa del genere. Ero solo curioso, tutto qua."

 

"Beh, mi dispiace Johnathan Byers, ma quello che doveva dirmi Dustin è una cosa privata. Quindi non posso dirtela. Ti basti sapere che puoi stare tranquillo." rispose lei, baciandolo sulle labbra.

 

Non voleva che nessuno venisse a sapere il gesto del ragazzino. Se nemmeno i suoi più cari amici ne erano a conoscenza, evidentemente non ci teneva che la cosa fosse di pubblico dominio.

 

Johnathan sorrise. Da quando era fidanzato con Nancy il suo umore era nettamente migliorato.

 

"D'accordo. Ma qualcosa mi dice che tra qualche anno dovrò iniziare a preoccuparmi che Dustin Henderson ti possa portare via da me."

 

"Stupido."

 

La musicassetta intanto era finita, e il sole aveva iniziato a tramontare. Nancy aveva promesso a sua madre che sarebbe tornata a casa presto per aiutarla a badare alla piccola Holly, e Johnathan doveva ancora finire di studiare alcune pagine per l'interrogazione di matematica che lo avrebbe atteso il giorno dopo. Decisero così di avviarsi in città. Il ragazzò girò la chiave nella toppa facendo accendere il motore, e l'auto cominciò a scendere dalla collina.

 

Ore 19:00

 

Joyce Byers era seduta sul divano a fumare una sigaretta. Will era stato invitato a mangiare a casa di Dustin, mentre Johnathan era dovuto uscire per fare un lavoretto, un servizio fotografico di una festa di compleanno di una bambina di dieci anni. La casa era completamente silenziosa, non aveva nemmeno acceso la televisione o la radio. Voleva stare da sola con i suoi pensieri. Di solito a quell'ora Bob sarebbe arrivato a casa sua, per cenare insieme poi guardare sul divano un film, una di quelle commedie che a lui piacevano tanto, per poi tornare a casa, non prima di averla abbracciata e baciata come solo lui sapeva fare..

 

Il dottor Bateman le aveva augurato quella mattinata di riuscire a colmare quel vuoto dentro al suo cuore. Ma come? Come poteva cancellare tutti i bei momenti passati con una persona così speciale come Bob? Ripensò alla proposta che le aveva fatto l'uomo solo qualche settimana prima che morisse, quella di trasferirsi assieme ai suoi figli nel Maine. Se solo avessero potuto farlo prima di rimanere intrappolati in quel maledetto laboratorio, in balia di quelle creature demoniache..

 

La donna non ce la fece più.

 

Cominciò a singhiozzare, le lacrime che scorrevano senza freni lungo il volto magro, la sigaretta tra le dita ormai spenta. Rimase sul divano a piangere per circa un quarto d'ora, fino a quando un bussare famigliare alla sua porta non la distolse dai suoi pensieri. Si asciugò in fretta gli occhi, si alzò dal divano ed andò ad aprire.

 

"Ciao, Joyce."

 

Jim Hopper non si preoccupò di chiedere alla donna come stesse. I suoi occhi rossi e gonfi davano all'uomo una risposta più che eloquente.

 

"Hopper. Vieni, entra."

 

Lo sceriffo si accomodò, togliendosi il cappello.

 

"Dove sono i ragazzi?"

 

"Will è a cena da Dustin, e Johnathan sta lavorando.. Jane invece?"

 

"Oh, lei.. Lei è con Mike, in questo momento."

 

La donna si ritrovò a sorridere.

 

"Il loro primo appuntamento, eh?"

 

Hopper si grattò la testa, tirò fuori il pacchetto di sigarette e se ne accese una.

 

"Così pare.. Diavolo, è una ragazzina, è rimasta chiusa in quel cazzo di laboratorio tutti quegli anni, è giusto che impari a scoprire cosa significhi avere degli amici, divertirsi, avere una famiglia, essere amata! Per quanto ne possano sapere dell'amore a quell'età.."

 

"Tutti quei ragazzi hanno affrontato cose ben più grandi di loro da un anno a questa parte. Sicuramente sono in grado di comprendere molto più facilmente cose complesse come i sentimenti rispetto agli altri loro coetanei."

 

"Già, forse hai ragione tu. Piuttosto, ero passato per vedere come stessi."

 

"Direi che lo hai capito non appena ti ho aperto la porta."

 

Jim rimase in silenzio, continuando a fumare.

 

"Ci sto provando ad andare avanti Hopper, dico sul serio." continuò Joyce. "Solo che.. Il modo in cui è morto Bob.. I progetti che avevamo in mente.. Dio, è tutto così straziante.."

 

"Lo so."

 

L'uomo poteva capirla meglio di chiunque altro. Aveva perso Sara, la sua bambina, per colpa del cancro che l'aveva divorata lentamente, giorno dopo giorno. Assieme a lei Hopper aveva sepolto una buona parte del suo cuore. Eppure lo sceriffo era riuscito ad andare avanti. Nonostante l'alcol, nonostante le sigarette, era riuscito lentamente a risalire il baratro nel quale era sprofondato. Fino a quando la piccola Undici non era entrata nella sua vita, facendogli riprovare l'emozione di essere di nuovo padre. Joyce si strinse al vecchio amico d'infanzia.

 

"Come si fa ad andare avanti, Hopper?" chiese sospirando.

 

"Giorno per giorno." ribattè lui, stringendola a sè. "Prendendosi ripetutamente a botte con questo schifo di vita, e rialzandosi ogni volta per continuare il match."

 

Rimasero abbracciati per un po', in silenzio. Fu Hopper a prendere la parola per primo.

 

"Mettiti la giacca. Ti porto a mangiare fuori."

 

"Jim, io.."

 

"Niente storie. Non ti lascio qui da sola con i tuoi pensieri. Vai a prendere la giacca, io ti aspetto qui."

 

L'Halloran's era quasi pieno, tuttavia riuscirono a rimediare un tavolo per due persone. Joyce notò molti sguardi su di loro, ma Jim sembrava non farci caso. Ordinarono entrambi una semplice bistecca di manzo con contorno di patatine fritte e una birra, e cominciarono a mangiare. Ogni tanto si ritrovarono a ricordare i loro momenti passati insieme al liceo, e Joyce si ritrovò in più occasioni a ridere sinceramente. Ad un certo punto, lo sceriffo posò il boccale di birra e guardò l'amica dritta negli occhi.

 

"Joyce, secondo te sono un buon padre per Jane?" chiese.

 

La donna smise di mangiare le sue patatine e gli prese la grossa mano.

 

"Jim, ma che domande fai? Sei un ottimo genitore! Ti sei preso cura di quella ragazzina per un anno intero, nascondendola agli occhi del governo, e sei riuscito con la tua tenacia a renderla legalmente tua figlia a tutti gli effetti!"

 

"È solo.." mormorò lui "È solo che a volte non so come comportarmi. Avevo quasi dimenticato come si facesse il padre. Inoltre non ho mai avuto una figlia dell'età di Jane. E certe notti ho paura, Joyce. Paura di perderla come ho perso Sara. Di non essere in grado di proteggerla come non sono stato in grado di farlo con lei." Strinse più forte la mano della donna.

 

"Hopper.. L'hai protetta da qualunque pericolo fino a questo momento, sono sicura che continuerai a farlo più che egregiamente. Giorno per giorno. Proprio come hai detto tu."

 

Jim sorrise.

 

"Giorno per giorno."

 

"Buonasera, sceriffo Hopper! Anche lei da queste parti vedo!"

 

La voce di Richard Bateman distolse i due amici dalla loro conversazione, facendoli lasciare la stretta di mano. Il giovane medico si avvicinò al tavolo dei due, una bottiglia di birra in una mano e un hamburger parzialmente mangiato nell'altra. Si voltò verso la donna e sorrise.

 

"Oh, Joyce, buonasera! Non l'avevo riconosciuta di spalle, mi perdoni."

 

"Buonasera, Richard."

 

"Spero di non avere interrotto una conversazione importante."

 

"No, no, si figuri."

 

Il ragazzo notò l'evidente imbarazzo di lei. Le rivolse un sorriso rassicurante.

 

"Stia tranquilla, Joyce. So riconoscere quando qualcuno mi racconta una bugia o meno. E stamattina al negozio lei era più che sincera. Inoltre si vede lontano un miglio che lei e lo sceriffo Hopper siete solo buoni amici."

 

Diede un morso al suo panino.

 

"So cosa sta pensando" riprese, continuando a masticare. "Dire determinate frasi circa il vuoto che ha nel cuore e poi uscire a cena con un uomo la sera di San Valentino può sembrare una cosa ipocrita agli occhi degli altri. Tuttavia io non la penso così. In fondo l'amicizia, quella sincera intendo, non è forse essa stessa una forma di amore, una delle più sincere?"

 

Joyce lo fissava attonita. Si sentiva come un libro aperto agli occhi di Richard, pronto a sfogliare ogni singola pagina della sua anima. Hopper guardava anche lui il dottore, incapace di replicare.

 

"Accidenti, temo di avervi messo ulteriormente in imbarazzo." si scusò il giovane, finendo rapidamente l'hamburger e la birra. "Vi prego di scusarmi. È che nonostante il mio lavoro mi porti a contatto con decine di persone ogni giorno, per ora non sono ancora riuscito a farmi delle amicizie qui ad Hawkins. Voi siete le uniche due persone con le quali ho potuto intavolare un discorso diverso dal formulare diagnosi e prescrivere farmaci e quando vi ho visti.. Beh, ho pensato ingenuamente di scambiare due parole con voi. Senza pensare che magari avevate degli affari vostri di cui parlare. Come avrete potuto notare, sono una persona piuttosto socievole, talvolta logorroica, e la solitudine mi pesa un po'. A tal punto da dimenticare le buone maniere."

 

Gettò i resti della sua cena nel cestino accanto al bancone del bar e tornò al tavolo dei due.

 

"Sceriffo Hopper, Joyce.. Spero di non avervi disturbato oltremodo."

 

"Nessun problema, dottore." rispose Jim accennando un sorriso. Aveva intuito che il ragazzo non voleva essere inopportuno, ma semplicemente desideroso di staccare la spina in un modo diverso dal bersi qualcosa all'Halloran's. "Anzi, quando vorrà offrirmi una birra sarò ben lieto di accettare il suo invito!"

 

Il ragazzo sorrise.

 

"Davvero Richard, non si preoccupi." si inserì Joyce. "Ha fatto bene a passare a salutarci. Ci ha fatto piacere vederla."

 

"Grazie, Joyce. D'altronde, si è sempre contenti di vedere noi medici al di fuori del loro ambulatorio, piuttosto che dentro. È un indice di buona salute per i pazienti. Adesso vi prego di scusarmi, ma si sta facendo tardi e non voglio fare aspettare il mio amore."

 

Fece per incamminarsi verso l'uscita del bar.

 

"Il suo amore? Ma non ci ha appena detto che non conosceva nessuno? Allora ha una ragazza!" chiese Joyce, dubbiosa.

 

Il ragazzo si voltò, sorridendole.

 

"Peggio. Ho una gatta. Ed è molto esigente circa gli orari riguardanti il cibo."

 

Ore 20:30

 

Passeggiavano mano nella mano lungo Witcham Street, lentamente. Erano andati a prendere una cioccolata calda alla caffetteria lungo la Jackson dopo cena, e avevano deciso di fare una camminata prima di ritornare a casa. Avevano ancora circa mezz'ora di tempo. Mike decise che era quello il momento opportuno. Si fermò sul marciapiede illuminato dalla luce dei lampioni, e così fece anche la ragazza.

 

"Undi?"

 

"Sì, Mike?"

 

"C'è.. C'è una cosa che vorrei darti."

 

Mise nelle mani della giovane un piccolo pacchetto. Lei lo guardò incuriosita.

 

"Posso aprirlo?"

 

"Certo, è per te!"

 

Undici scartò il regalo sorridendo. Dentro la scatoletta c'era la miniatura di un elfo dai colori sgargianti che reggeva una bacchetta magica, pronto a scagliare un incantesimo. Come il suo personaggio di Dungeons & Dragons. Lei la guardò estasiata.

 

"Mike.. È bellissima!"

 

Il ragazzo alzò di colpo le sopracciglia, come se si fosse ricordato di qualcosa di molto importante. Tirò fuori da una tasca del suo piumino imbottito una busta bianca.

 

"Tieni." disse porgendogliela. "Stavo dimenticando questo."

 

Lei la aprì. Dentro c'era un semplice biglietto bianco, con quattro cuori rossi disegnati agli angoli, e al centro una dedica:

 

A Undi,

La maga più forte di tutto il regno.

Buon San Valentino.

Mike.

 

"San.. Valentino?" chiese, incuriosita.

 

"Sì, San Valentino è.. Beh è.. La festa degli innamorati, ecco." Mike cercava, con scarsi risultati, di non arrossire di fronte a lei.

 

"Innamorati.. È quando due persone si vogliono bene? Come due amici?"

 

"Non proprio.. Quando si è innamorati ci si vuole ancora più bene di come quando si è amici."

 

"Credo di capire.. Tu sei innamorato di me, Mike?"

 

"S-sì, Undi.. E tu?"

 

"Sì, sono innamorata di te, Mike." le rispose sorridendo.

 

Rimasero a guardarsi negli occhi per alcuni secondi, prima di avvicinarsi e scambiarsi un bacio sulle labbra.

 

"Ma guardate un po'! Mike Wheeler che bacia una ragazza! E noi che pensavamo che fossi fidanzato con quello zombie di Will Byers!"

 

Mike si staccò di scatto da Undici per vedere chi aveva parlato, anche se temeva di aver riconosciuto quella voce.

 

A circa dieci metri da loro stavano tre ragazzi avvolti in giubbini neri imbottiti e jeans dello stesso colore. Ai piedi calzavano anfibi militari. Ronald Kennings, Andrew Malloy e Daniel Finch. Frequentavano l'ultimo anno della Hawkins High School, anche se tutti e tre avevano dovuto ripetere un anno per i loro pessimi voti e la loro condotta scolastica non propriamente ammirevole. Avevano preso di mira Mike e i suoi amici sin dai primi giorni dal loro arrivo alla scuola, e non mancavano mai di inventarsi qualche insulto o qualche scherzo ai loro danni. Il trio guardava i due ragazzi con fare divertito, le mani in tasca.

 

"Dove hai lasciato la tua fidanzatina cadavere, frocetto?" chiese Andrew.

 

"Lasciaci in pace, Malloy." disse Mike, cercando di mantenere la calma.

 

"Lasciaci in pace, Malloy! Siamo due povere ragazzine indifese!" lo scimmiottò Kennings, scatenando l'ilarità generale.

 

Il ragazzino prese Undici per un braccio.

 

"Vieni, andiamo via."

 

Fecero per passare in mezzo ai bulli, quando Daniel sbarrò loro la strada.

 

"Non così in fretta, frocetto."

 

I due si ritrovarono accerchiati.

 

"Se vuoi passare di qua devi pagare il pedaggio, Wheeler."

 

"Va bene, ragazzi. Va bene." Mike frugò nelle sue tasche, alla ricerca di quanto gli era rimasto dei soldi per la cioccolata calda. Trovò due banconote spiegazzate da un dollaro e le porse a Ronald, che attendeva con la mano tesa. Questi guardò il misero bottino incredulo.

 

"Tutto qui?" ribattè schifato. "Sei proprio un pezzente!"

 

Si avvicinò ad Undici e cominciò a squadrarla.

 

"E tu, signorina? Quanto hai da darci per pagare il pedaggio?" chiese sogghignando.

 

Lei sostenne il suo sguardo con fare deciso.

 

"Idiota." disse atona.

 

Il ragazzo rimase di stucco. I suoi due compari si misero a ridere, per poi essere messi a tacere da un suo sguardo. Ronald avvicinò il suo viso a pochi centimetri da quello della giovane.

 

"Che cosa hai detto, scusa? Non ho sentito bene."

 

"Idiota." ripetè lei, senza scomporsi minimamente.

 

Kennings le diede uno spintone, mandandola indietro di un paio di metri. Undici riuscì a mantenere l'equilibrio a fatica.

 

"Bene ragazzi, sembra che la mocciosa abbia bisogno di un corso accellerato di buone maniere!" disse rivolgendosi ai suoi amici. "E noi siamo pronti a darglielo, dico bene?"

 

Andrew e Daniel annuirono, per poi avvicinarsi assieme a lui verso la ragazza. Mike si mise in mezzo a loro.

 

"Togliti dalle palle, Wheeler."

 

"Lasciala stare."

 

"Vuoi che lasci in pace la tua amichetta? Ma bene, sembra che anche tu in fondo in fondo abbia le palle! Fammi vedere di cosa sei capace!"

 

Il bullo diede un colpo al petto del ragazzo, che vacillò vistosamente. Mantenendosi in equilibrio, Mike contrattaccò gettandosi su di lui con tutto il peso del suo corpo, ottenendo come risultato di mandare all'indietro Kennings di una ventina di centimetri. Questi rispose con un pugno che centrò il tredicenne in pieno volto. Nell'occhio sinistro di Mike esplosero una miriade di puntini rossi, accompagnati da un dolore sordo. Cadde a terra, incapace di aprire le palpebre dal lato colpito. Malloy e Finch si diedero il cinque ridendo, mentre Ronald si sistemava il giubbotto.

 

"Molto bene. E adesso che la questione con te è chiusa, passiamo alla mocciosa. Ma che diavolo..?"

 

Davanti a lui stava Undici, gli occhi ridotti a due fessure, cariche di odio, i pugni stretti fino a fare sbiancare le nocche.

 

Avevano deriso Mike, gli avevano fatto del male.

 

E questo non lo poteva permettere.

 

Alzò la mano verso i tre ragazzi, pronta a scatenare il suo potere contro di loro. Lo sentì fluire dalla sua mente, incanalarsi verso il suo braccio, fino ad arrivare alla punta delle dita, in procinto di esplodere.

 

Poi venne il dolore.

 

Cadde in ginocchio, con la testa in fiamme che pulsava all'impazzata. Un rivolo di sangue caldo le scorreva lungo il labbro superiore. Che cosa stava succedendo?

 

No, non adesso..

 

I teppisti si guardarono l'un l'altro, per poi scoppiare in una fragorosa risata.

 

"Ma che cazzo credeva di fare?" chiese Malloy, tenendosi la pancia.

 

"Voleva spaventarci, credo!"

 

"Questa è tutta matta! D'altronde, solo una sciroccata poteva uscire con quell'invertebrato di Wheeler!"

 

Ronald si avvicinò ad Undici, la afferrò per il bavero del cappotto beige che indossava e la tirò in piedi, incurante dell'emicrania che la stava affliggendo.

 

"Molto bene signorina." ringhiò "Adesso comincia la lezione!"

 

"Bene bene, che cosa abbiamo qui? Tre bulletti di periferia che se la prendono con due ragazzini! No, no, no, non si fa ragazzi! Vostra madre non vi ha insegnato le buone maniere?"

 

I ragazzi si girarono. A parlare era stato un giovane poco più grande di loro. Portava appese al collo un paio di cuffie per Walkman, dalle quali uscivano le note di Another One Bites the Dust dei Queen a tutto volume.

 

"E tu chi cazzo sei?" chiese Kennings bellicoso.

 

"Uno che non sopporta vedere degli stronzi prendersela con i più piccoli." rispose il nuovo arrivato sorridendo e spegnendo il mangiacassette.

 

"Beh, vedi di girare al largo, amico. Questi non sono affari che ti riguardano!"

 

Il ragazzo tirò fuori dalla tasca dei suoi jeans un pacchetto di sigarette e se ne accese una.

 

"Invece" replicò espirando lentamente il fumo "Credo proprio che mi riguardino eccome. Lasciate in pace quei ragazzini e filate, prima che perda la pazienza."

 

"Come vuoi, stronzo. Te la sei cercata."

 

Ronald fece un cenno con il capo ad Andrew. Questi si avvicinò al ragazzo, che continuava tranquillamente a fumare, e cercò di assestargli un pugno.

 

Il suo avversario fu più veloce.

 

Presa la sigaretta con tre dita e la spense con chirurgica precisione sulla fronte del ragazzo, esattamente al centro di essa. Mentre Malloy si portava le mani al volto gridando di dolore, l'altro ruotò su sè stesso, colpendolo con un calcio sulla tempia sinistra. Il giovane cadde a terra come una bambola di stracci. Finch partì subito all'attacco, tentando di colpire lo sconosciuto. Ma questi, dopo avere evitato con facilità due suoi ganci, lo mandò al tappeto con un singolo pugno alla mandibola. Kennings lasciò andare Undici, che cadde a terra massaggiandosi le tempie. Tirato fuori un coltello a serramanico e fattolo scattare, si avvicinò al suo avversario.

 

"Adesso ti apro in due, sacco di merda."

 

Il sorriso del ragazzo, che non lo aveva mai abbandonato per tutta la durata degli scontri, svanì di colpo. Il suo sguardo si fece improvvisamente serio.

 

"Metti via quel coltello. Immediatamente." gli intimò.

 

"Cosa c'è, adesso fai meno il gradasso?" Ronald lo provocava, facendo ondeggiare la lama.

 

"Ti ho detto di metterlo via. Prima che qualcuno si faccia male sul serio."

 

"Oh, certo, qui qualcuno si farà del male. E quel qualcuno sarai tu."

 

"Ascoltami bene, razza di imbecille. Ho impiegato meno di un secondo a stendere quei rifiuti umani che tu chiami amici. Con un solo colpo ciascuno. Tu prova ad usare quel cazzo di coltello e ti assicuro che domani tutta la città di Hawkins sarà tappezzata dei tuoi annunci mortuari. E non sarà una morte piacevole, la tua. Ci puoi scommettere."

 

Il ragazzo fissava dritto negli occhi Ronald con fare truce. Questi provò a sostenere il suo sguardo, ma dopo pochi secondi si ritrovò a tremare. Quel tizio riusciva ad incutergli un autentico terrore.

 

"Ma che cazzo.." provò a dire impaurito.

 

"Metti. Via. Il coltello. Ora."

 

Il ragazzo ubbidì.

 

"Adesso prendi i tuoi compari e sparisci dalla mia vista."

 

Ronald fece per avvicinarsi ai suoi amici, quando una mano lo afferrò per il giubbino. Si ritrovò a reprimere un grido.

 

"Un'ultima cosa. Hai rubato qualcosa a quei due?"

 

Il ragazzo tirò fuori i due dollari di Mike. L'altro glieli sfilò delicatamente dalla mano.

 

"Molto bene. Adesso filate."

 

Mentre il bullo faceva rinvenire i suoi compagni e gli aiutava ad alzarsi, l'altro ragazzo si avvicinò ad Undici e, chinatosi, le tese la mano.

 

"Stai bene, ragazzina?"

 

"Credo.. Credo di sì." rispose confusa. Il dolore alla testa le era finalmente passato, ma si sentiva profondamente spossata, come se avesse corso per una decina di chilometri.

 

"E quel sangue? Ti hanno picchiato?" chiese lui indicandole il labbro.

 

La ragazza si passò velocemente il dorso della mano sul volto.

 

"No.. Non è niente. Ogni tanto mi succede."

 

"Capisco. Probabilmente il freddo e la paura devono aver contribuito a far sì che qualche capillare del naso si rompesse. È abbastanza comune, specie in inverno." le spiegò, mentre la aiutava a mettersi in piedi. "Adesso diamo un'occhiata al tuo amico, che ne dici?"

 

Il pensiero di Mike riattivò completamente Undici. Corse verso il ragazzo, chiamandolo per nome. Lui stava seduto a terra, ancora intontito per il colpo ricevuto, tentando invano di aprire l'occhio che stava già iniziando a gonfiarsi. Il loro giovane soccorritore gli si avvicinò.

 

"E tu come stai, giovanotto?"

 

"La testa.. Mi fa un male cane. E anche l'occhio. Non riesco ad aprirlo."

 

"Aspetta, fammi dare un'occhiata."

 

Il ragazzo lo squadrò attentamente.

 

"Ti viene da vomitare? Ci vedi doppio? Sai che giorno è oggi? Sai in che città ci troviamo? E in quale Stato?"

 

Dopo che Mike ebbe risposto alle sue domande, il giovane lo aiutò ad alzarsi.

 

"Stai tranquillo, non è niente di grave. Hai solo preso una brutta botta. Ti rimarrà l'occhio nero per circa dieci, quindici giorni, ma non credo che avrai conseguenze a lungo termine. Quello che ti serve adesso è un buon antidolorifico e una borsa del ghiaccio da mettere sul viso. Sentirai già un netto miglioramento dopo queste due cose."

 

"Grazie. Appena arriveremo a casa, farò come hai detto."

 

"Dove abiti?"

 

"In Lantham Road."

 

"Stai scherzando? È a più di mezz'ora di cammino da qui! Non se ne parla assolutamente! Facciamo così," propose "Io abito esattamente in quella casa bianca laggiù. Venite dentro, prendete qualcosa di caldo, io nel frattempo ti do l'antidolorifico, la borsa del ghiaccio, e avviso i tuoi genitori di venirti a prendere. Non mi va di farti fare tutta quella strada a piedi con il male che ti tormenta. Affare fatto?"

 

Mike strinse la mano che le venne offerta.

 

"D'accordo."

 

"Molto bene. Seguitemi."

 

Arrivati alla porta di casa, il giovane tirò fuori una chiave, la inserì nella toppa e fece scattare la serratura.

 

"Ah, a proposito." disse rivolgendosi ai due ragazzi sorridendo. "Io mi chiamo Richard, molto piacere."

 

La casa del dottor Bateman era una modesta villetta a due piani. Quello inferiore fungeva da ambulatorio con annessa sala di attesa, mentre tramite una porta si accedeva ad una scala in legno che conduceva all'abitazione vera e propria. Non appena entrarono nella casa del ragazzo, furono accolti da una grossa gatta completamente nera e dagli occhi gialli, che continuava a strusciarsi contro Richard, Mike ed Undici, senza smettere per un secondo di miagolare.

 

"Spero non abbiate paura degli animali." si scusò il giovane, prendendo in braccio il felino. "Questa palla di pelo non sa cosa significhi la buona educazione, ed è sempre in cerca di cibo e di coccole verso chiunque le capiti a tiro."

 

Undici si avvicinò alla gatta, accarezzandola timidamente. Questa rispose leccandole insistentemente la mano.

 

"È molto bella." disse sorridendo. "Come si chiama?"

 

"Il suo nome è Selina."

 

"Come Selina Kyle, la Catwoman di Batman?" chiese Mike.

 

"Precisamente." rispose Richard sorridendo.

 

Messa giù Selina, andò nella cucina comunicante con il soggiorno, dove prese da un ripiano un sacchetto di croccantini. In un lampo la gatta fu al suo fianco.

 

"Tieni, pozzo senza fondo. Lo so che stasera mangi più tardi del solito ma come vedi abbiamo ospiti." le disse versandogliene una manciata nella ciotola vicino al lavello.

 

Mentre Selina mangiava avidamente la sua cena, Richard aprì un'anta, tirò fuori due tazze capienti e un pentolino e li appoggiò sul tavolo. Preso un cartone di latte dal frigorifero, riempì il pentolino e lo mise a scaldare sul fornello.

 

"Mettetevi comodi, ragazzi. Io intanto scendo un attimo in ambulatorio a prenderti un antidolorifico, Mike. Nel frattempo, prendi pure la borsa del ghiaccio. Si trova nel freezer. Fai come se fossi a casa tua."

 

Il contatto gelido della borsa con l'occhio tumefatto fu un vero sollievo per il ragazzo. Seduti sul divano, dettero un'occhiata all'appartamento. C'era una grossa libreria, piena di romanzi horror, tra i quali Mike riconobbe molti di Stephen King. Appesi ad una parete della sala stavano un foglio con dei segni che sembravano esseri caratteri giapponesi ed un poster di Freddie Mercury, più alcuni quadri che nè lui, nè Undici riuscirono a ricondurre all'autore. Richard tornò con in mano una pillola bianca.

 

"Ok campione, ingoia questa e vedrai che fra poco andrà meglio." disse a Mike porgendogli il medicinale.

 

Si diresse poi verso la cucina, per spegnere il fornello e versare il latte nelle tazze. Ci versò dentrò due generose cucchiaiate di miele e rimescolò.

 

"Ok, venite pure, il latte è pronto! Spero che vi piaccia dolce. Ah Mike, dammi il numero di telefono di casa tua per favore, così chiamo i tuoi genitori per farvi venire a prendere."

 

Mentre i due ragazzi sorseggiavano il loro latte, Richard compose il numero di casa Wheeler.

 

"Pronto, casa Wheeler? Buonasera, sono il dottor Richard Bateman, mi scuso innanzitutto per l'orario della chiamata.. Volevo solo avvisarvi che vostro figlio Mike e la sua amica Jane si trovano a casa mia.. Hanno avuto un piccolo incidente.. No, no, niente di grave, stia tranquilla signora.. Dei teppisti li avevano aggrediti ma fortunatamente passavo di lì e li ho cacciati.. No, davvero signora Wheeler, Mike ha soltanto un occhio nero, vedrà che tempo due settimane e tornerà come nuovo! Certo, le do subito l'indirizzo.. Witcham Street numero 20.. Tra un quarto d'ora? Certo, nessun problema! Si figuri, chiunque lo avrebbe fatto! Arrivederci signora!"

 

Riagganciò la cornetta e tornò in cucina.

 

"Tua mamma ha detto che manderà tua sorella a prenderti." disse a Mike. "Come va la testa?"

 

"Molto meglio, dottore, grazie."

 

"Mi fa piacere."

 

Il giovane guardò Undici che stava finendo il suo latte.

 

"Jane, non mi hai ancora detto il tuo cognome."

 

"Hopper, dottore. Jane Hopper."

 

"Aspetta.. Non sarai per caso la figlia di Jim Hopper, lo sceriffo?"

 

La ragazza annuì.

 

"Ma tu guarda i casi della vita! Ho incrociato tuo padre proprio questa sera! Salutamelo quando lo vedrai."

 

"Va bene."

 

Rimasero a parlare del più e del meno, fino a quando il campanello di casa Bateman suonò. Richard scese ad aprire la porta.

 

"Tu devi essere Nancy, giusto? Richard Bateman, piacere."

 

"Piacere mio, dottore. Mike e Jane sono di sopra?"

 

"Certo, sali pure!"

 

Quando la ragazza vide il fratello, gli corse incontrò e lo abbracciò forte.

 

"Stai tranquilla, come ho già detto a tua madre si tratta solo di un occhio nero. Mi spiace soltanto di non essere passato prima per impedire che quei disgraziati picchiassero Mike."

 

"Non importa, dottore. È stato fantastico comunque."

 

"Figurati, dovere. Vi accompagno alla macchina."

 

Mentre si posizionavano sui sedili posteriori, Undici cominciò a tastarsi freneticamente le tasche del cappotto.

 

"Che succede?" chiese Mike.

 

"Il tuo biglietto.. Non lo trovo più!"

 

"Aspetta, Jane." si intromise Richard. "Il biglietto che stai cercando è bianco con dei cuori rossi agli angoli?"

 

"Sì!"

 

"Lo hai dimenticato sul divano in casa mia. Te lo vado a prendere."

 

Tornato giù rapidamente, il giovane porse ad Undici il biglietto che cercava. Lei se lo strinse al petto.

 

"Mi raccomando, non perderlo. Buonanotte ragazzi."

 

"Buonanotte, dottore. E grazie ancora!"

 

Richard guardò la macchina partire e scomparire nella via. Salito in casa, si stese sul divano. Selina gli saltò sulle ginocchia e si accoccolò a lui, iniziando a fare le fusa. Il ragazzo la accarezzò pigramente. La sua curiosità, come al solito, lo conduceva a porsi domande delle quali spesso non riusciva a trovare risposta. Nel prendere il biglietto che Jane aveva dimenticato in casa, il suo occhio era caduto su quello che c'era scritto sopra. Il nome l'aveva in particolar modo colpito.

 

Undi.

 

Perchè quel soprannome? Perchè non dedicare quella lettera di San Valentino a Jane, come sarebbe stato logico?

 

La maga più forte di tutto il regno.

 

Probabilmente lei e Mike giocavano a Dungeons & Dragons, e Undi era il nome che Jane aveva scelto per il suo personaggio, una maga appunto.

 

Anche Richard aveva giocato spesso a quel gioco di ruolo con i suoi compagni di università. Certo, lui sceglieva nomi un pochino più carini per i suoi personaggi.. Sbadigliò sonoramente. Era stata una giornata decisamente stancante. E quella a venire non sarebbe stata certo da meno. Doveva riposare. Si alzò dal divano, prendendo in braccio la sua gatta. Il suo pensiero andò ancora per una volta a Mike e a "Undi".

 

"Tu che dici, Selina? Pensi che li rivedremo?" chiese al felino guardandola negli occhi gialli.

 

Lei rispose con un miagolio sommesso.

 

"Se lo dici tu.. Forza piccola, andiamo a dormire." disse dirigendosi verso la camera da letto.

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