Vita e destino

di Janey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Sul fondo del male ***
Capitolo 2: *** Preludio ***
Capitolo 3: *** Giorno maledetto, parte prima ***
Capitolo 4: *** Giorno maledetto, parte seconda ***
Capitolo 5: *** Giorno maledetto, parte terza ***
Capitolo 6: *** Non c'è futuro ***
Capitolo 7: *** Rette ***
Capitolo 8: *** Tutto ha una fine. Posso farcela. Posso farcela. Posso farcela. ***
Capitolo 9: *** Bunker ***
Capitolo 10: *** Non perdere altro tempo ***
Capitolo 11: *** Augurami la buonanotte ***
Capitolo 12: *** Sto diventando più intelligente, ogni giorno sempre di più ***
Capitolo 13: *** Mors tua ***
Capitolo 14: *** La tempesta ***



Capitolo 1
*** Prologo: Sul fondo del male ***


Sul fondo del male

"Non credo che un mondo senza il male, per quanto possibile, sarebbe stato preferibile al nostro. Altrimenti vivremo in quello. Si deve, quindi, necessariamente credere che la presenza del male produca il bene più grande, altrimenti il male non sarebbe stato permesso".

- Gottfried Wilhelm Leibniz

 

                        Due giorni prima della Mietitura



Killian Boston, sindaco, Distretto 9



Un altro anno è passato e noi siamo ancora al punto di partenza. Nulla è cambiato da quelli precedenti e niente cambierà dai prossimi. Anche questa volta ventiquattro innocenti dovranno andare al patibolo e noi non potremo fare nulla, se non stare a guardare, impotenti. Dio solo sa quanto ho sperato, in tutti questi anni, in un cambiamento, in una redenzione o in maniera più drastica in una rivoluzione. Ma ormai sono convinto che le cose non muteranno mai più: il meccanismo va avanti da troppi anni e se qualcosa doveva essere fatto per impedire di portare avanti questo abominio sarebbe successo poco tempo dopo la fine degli Anni Bui, non ora, a distanza di quarant’anni.

Controvoglia apro il registro che si trova si fronte a me sulla scrivania. Ogni anno, quando si avvicina il periodo della Mietitura e degli Hunger Games, in quanto sindaco del distretto, sono costretto a consultare il registro per controllare che tutto sia perfetto.
Un misto di rabbia e rassegnazione si impossessa di me mentre sfoglio le pagine sulle quali ci sono scritti i nomi, l’età e il sesso di tutti i ragazzi e le ragazze che tra due giorni si dovranno presentare all’estrazione. Molti di questi ragazzi non li conosco, ma alcuni so benissimo chi sono: ci sono le figlie di mia sorella; i fratelli Ryder, che lavorano ininterrottamente ai campi per sfamare l’intera famiglia; il figlio del mio migliore amico; le gemelle Ives… Solamente il mio cognome non compare mai nell’elenco perché io e mia moglie Blight abbiamo deciso che non avremo mai avuto figli: non volevamo rovinare l’adolescenza di un eventuale nostro figlio con il terrore di venire estratto per i Giochi.

Di scatto chiudo il quaderno, irritato, e mi alzo dalla sedia. Mi volto verso la grande vetrata alle mie spalle che da sugli sterminati campi di grano, dove intravedo delle persone dalle spalle curve lavorare.
Dopodomani un ragazzo e una ragazza, che potrebbero essere i figli di qualcuno laggiù nei campi e di qualcuno a me vicino, partiranno per andare a morire lasciando dietro di loro cuori infranti e sogni spezzati. Chiunque salirà su quel treno infrangerà anche il mio cuore, perché non posso fare a meno di sentirmi in colpa anch’io per quello che sta succedendo.
Mi sono candidato sindaco perché credevo di poter cambiare le cose e di fare qualcosa per aiutare la mia gente e il mio distretto, avevo ancora fiducia nell’umanità, pensavo in una risoluzione, ma ero solamente un giovane inesperto che non sapeva niente del mondo e della sua corruzione. Ero pieno di ideali che non sono riuscito a realizzare. Sono solamente un povero fallito, uno strumento di Capitol City che si è cacciato in qualcosa di più grande di lui.

Vivo in un mondo orrendo dove regna il male e io non posso fare niente per fare la differenza.


Banshee Blake, accompagnatrice, Capitol City


Sistemo al meglio la mia nuova parrucca lilla: per l’occasione ho optato per un completo non troppo sgargiante, ma per le tonalità pastello. Non voglio dare l’impressione di essere l’ennesimo stereotipo della frivola accompagnatrice.
È da una vita che aspetto questo momento e finalmente ce l’ho fatta. Nonostante l’opposizione della mia famiglia agli Hunger Games, sono riuscita a realizzare il mio sogno di lavorare qui, a contatto con tutta questa gente.

Busso alla porta con decisione: oggi si decide il mio destino.
Entro nella stanza, decorata con sfarzo e ostentazione, in perfetto stile Capitol. Davanti a un imponente quadro che raffigura la nostra meravigliosa città, c’è una scrivania dove mi attende un uomo dai capelli neri: il primo stratega.
“Prego, signorina Blake, accomodatevi”, mi invita lui mostrandomi una sedia dalla parte opposta della scrivania. Educatamente accetto la sua cortesia e mi siedo di fronte a lui, cercando di mostrare sicurezza e affidabilità.
“Nonostante il volere contrario della vostra famiglia, oggi siete qui”, continua lui mentre giocherella con una penna.
“Non mi importa dell’opinione della mia famiglia: questa è la mia vita, decido io”, comunico cercando di dimenticare il litigio che ho avuto con i miei genitori quando gli ho detto ciò che avrei voluto fare.
Per tutta risposta il signor West mi sorride e decide finalmente di guardarmi. Bene, devo aver catturato la sua attenzione.
“Quindi voi siete qui per prendere il posto dell’accompagnatrice del Distretto 5, erro?”.
“No, signore. Mi è stato comunicato che la signorina Doyle si era licenziata e che volevano offrire a me il suo posto”, dico con la voce piena di orgoglio. Deve sapere che sono la migliore.
“Perché volete fare l’accompagnatrice?”, mi domanda lui, inclinando leggermente la testa di lato.
“Il mondo degli Hunger Games mi ha sempre affascinato, ma più che altro ho scelto di fare questo lavoro per conoscere gente di altri distretti”.
“Mi piacete, signorina Blake. Siete determinata e affascinante e credo che questo lavoro sarà perfetto per voi”, mi sorride alzandosi e allungandomi la mano. Le nostre mani si stringono e io sfodero uno dei miei sorrisi migliori.
“Le Mietiture saranno tra due giorni e per allora voi dovrete aver preparato un discorso sull’origine di Panem e dei Giochi. Mi raccomando, dovrete essere simpatica e accattivante”, mi suggerisce il signor West mentre mi accompagna alla porta.
"Certo, lo so bene”, lo lascio finire per educazione ma non posso nascondere che la sua ultima affermazione ha fatto crescere in me una certa irritazione. Insomma, io sono stata scelta tra decine di candidate! Sono la migliore, nessuno mi deve dare lezioni su come fare il lavoro dei miei sogni!
“Ci si vede tra due giorni, signorina Blake. Buona fortuna”, mi congeda lui prima di chiudere la porta.
“Arrivederci, signor West”, lo saluto con un leggero cenno del capo.

Ce l’ho fatta. Non mi interessa il parere dei miei genitori, oggi tutti i miei desideri sono diventati realtà. Sorrido. Si va in scena.



Angolo autrice
Questa è la mia prima fanfiction e spero che questo piccolo prologo sia stato di vostro gradimento. Spero che a questa interattiva partecipiate in tanti e con entusiasmo!

Per partecipare le regole sono semplici:
1. Massimo due tributi a testa (anche dello stesso distretto e dello stesso sesso).
2. Mi dovete comunicare i tributi che volete prenotare scrivendomeli nella recensione.
3. Le schede me le dovete mandare tramite messaggio privato solo dopo che avrete ricevuto il mio consenso.
4. Avete tempo fino al 15 settembre per inviarmi le schede

Nome:
Cognome:
Età:
Distretto:
Sesso:
Descrizione fisica:
Descrizione caratteriale:
Famiglia:
Eventuali amici/ nemici:
Eventuale interesse romantico:
Punti di forza:
Punti deboli:
Volontario? Se si, perché?:
Armi:

Distretto 1: entrambi occupati
Distretto 2: entrambi occupati
Distretto 3: entrambi occupati
Distretto 4: libera la ragazza
Distretto 5: entrambi occupati
Distretto 6: entrambi occupati
Distretto 7: entrambi occupati
Distretto 8: entrambi occupati
Distretto 9: entrambi occupati
Distretto 10: entrambi occupati
Distretto 11: entrambi occupati
Distretto 12: entrambi occupati

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Capitolo 2
*** Preludio ***


                                     Preludio


 
Sera prima della Mietitura



Galen Willblast, Distretto 1


Schiaccio con impazienza il tasto del telecomando per tornare sul canale principale. Sullo schermo appare un uomo vestito in modo vistoso che sta fissando un punto imprecisato di fronte a lui: “Mia figlia è morta per questa nazione, e anche se nulla potrà restituirmela, sarò per sempre fiera di lei”, continua l’attore. Subito dopo partono i titoli di coda, per quello che sembra essere l’ennesimo telefilm di Capitol City sulla rivolta e gli Anni Bui. 
La qualità pare abbastanza scadente, così come la frase finale, che non è particolarmente brillante o innovativa, anche se in essa è racchiusa tutta l’essenza degli Hunger Games.

I titolo di coda continuano a scorrere sullo schermo, mentre sull’orologio appeso alla parete le lancette segnano le nove di sera: ancora non è iniziato. Sbuffo contrariato e mi appoggio sullo schienale del divano. Credo di non aver mai provato così tanta ansia per una Mietitura in tutta la mia vita. In genere sono sempre abbastanza rilassato, sono un Favorito, ma questa volta la situazione è sicuramente molto diversa. Domani tutti gli occhi saranno puntati su di me quando griderò in modo teatrale “Mi offro volontario come tributo!”. Ogni mio movimento dovrà essere calcolato nei minimi particolari, non posso permettermi di fallire. 
Scuoto la testa, cercando di allontanare questi pensieri negativi.
Non mi devo preoccupare, realizzerò il sogno della mia vita, sarò considerato un eroe, vincerò e tutti mi adoreranno. Sarà semplicemente perfetto.

Finalmente è partita la pubblicità: dopo avrà inizio il consueto discorso del Presidente Snow sugli Hunger Games. Ogni anno è simile, ma è sempre un’emozione ascoltare il perché di tutto questo. Pace, unione e sacrificio. Credo non ci siano parole più adatte per descrivere il significato dei Giochi. È un onore per me poter rappresentare il mio distretto e se anche dovessi morire, sarò felice perché avrò fatto il bene del mio Paese. 
Sento qualcuno sedersi accanto a me, probabilmente ero troppo assorto nei miei pensieri per accorgermi che mia madre era entrata nella stanza. 
“È iniziato?”, mi domanda lei.
“No, non ancora”,  rispondo sempre più nervoso. Ora stanno pubblicizzando un film sulla vita e l’ascesa al potere del Presidente Snow. Al diavolo! Si può sapere quando hanno intenzione di iniziare?  
“Pensi ancora di offrirti volontario domani?”, mi interroga sempre lei, con uno strano tono nella voce che non mi piace per niente.    
“Certo”, replico irrigidendomi. Mi dispiace far preoccupare i miei genitori, sono i migliori, ma non posso di certo rinunciare al mio più grande desiderio per loro.          
“Spero solo tu abbia una vaga idea di cosa stai andando incontro”,  conclude lei tornando a guardare assorta lo schermo. “Dov’è papà?”, chiedo cercando di risollevare un po’ l’atmosfera generale. Questa è la mia ultima serata insieme a loro e non siamo mai stati separati per più di un giorno, non voglio serbare un brutto ricordo di questa notte al Distretto 1. 
“È nel suo studio, ma dovrebbe arrivare, ormai”.
                                             
Lo schermo della TV si fa improvvisamente nero e subito dopo parte l’inno nazionale. La maestosa aquila dorata circondata da una corona di alloro compare, per poi lasciare il posto a una grande veduta di Capitol City. Le telecamere inquadrano il Palazzo Presidenziale, lussuoso, imponente e illuminato da uno spettacolo di luci mozzafiato.         
Mio padre ci raggiunge giusto in tempo per vedere il Presidente che saluta la folla. “Popolo di Panem, domani avranno luogo le Mietiture per la Quarantesima Edizione degli Hunger Games: possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!”, inizia lui, venendo accolto da uno scrosciante applauso del pubblico.

Dimentico la spiacevole conversazione avuta con mia madre e tutti i miei dubbi in proposito, perché non posso fare a meno di sorridere. Domani la mia vita cambierà per sempre.


Darlene Watson, Distretto 5


“Sono tutte delle stronzate. Non una singola parola è vera”, esordisce mio padre.                                                    
“Maxwell, ti prego, non osare quel tono in casa!”, lo rimprovera mia madre. Da quando è morto Raphael sono tutti e due più tesi e nervosi e il loro rancore nei confronti della capitale non ha fatto altro che aumentare. Gli Hunger Games ci avranno anche dato una bella casa e soldi a palate eliminando ogni nostro problema economico, ma ci hanno anche tolto tanto: hanno spezzato la vita di mio fratello Raphael e rovinato l’esistenza a Daniel.
“… Per quanto duro e terribile possa sembrare all’apparenza, sacrificare degli adolescenti non è un prezzo così alto per evitare lo scoppio di una nuova guerra e per preservare la pace”, continua il Presidente. Papà ha ragione, sono tutte della bugie: la pace non può essere preservata con il sangue e con il terrore.

Stringo forte la mano di Iris, seduta di fianco a me. Negli ultimi anni le Mietiture sono diventate un incubo per noi: ogni volta viene estratta una persona a noi cara, come Raphael e Daniel. Spero con tutta me stessa che domani le cose vadano un po’ meglio, non sopporterei di vedere o Iris o Lana o James partire di nuovo su quello stesso treno. Chissà cosa si prova però nel prendere un treno, Daniel mi ha detto che vengono tutti dal Distretto 6 e che sfrecciano veloci come il vento… 
Sento l’irrefrenabile impulso di sorridere. Sto solo sognando, non uscirò mai da qua, ci posso scommettere. 
Avverto un dolore acuto al braccio e mi volto verso la mia gemella. Mi sta guardando torva, come al solito. “Ti sembra il caso di sorridere?”, mi sgrida lei. Solo allora noto che anche mia madre mi sta guardando con rimprovero, mentre Daniel mi fissa malinconico. Non capisco che diavolo ho combinato, stavo solo pensando a cosa si prova a salire su un treno…
“… Queste morti possono portare dolore e sofferenza, ma è sicuramente un giusto tributo da pagare e guaribile con il tempo…”, riprende allora il Presidente Snow, facendo riferimento ai ragazzi e alle ragazze morti durante i Giochi. Cavolo, che figura di merda.
“Scusate, io stavo pensando ad altro…”, balbetto cercando di scusarmi. Come ho potuto distrarmi in un punto così dolente alla mia famiglia?!
“E ti sembra il momento di pensare ad altro, Darlene?”, continua Iris, esasperata. Uffa, quando fa così mi manda su di giri. È mia sorella e le voglio bene, ma quando ha questo atteggiamento è davvero pesante.
“Ho detto che mi dispiace!”, esclamo spazientita.   
 “Basta! Ma vi rendete conto? Siete due insensibili, discutere per queste cose!”, tuona mia madre. Non l’ho mai vista così arrabbiata, mi fa quasi paura.
“Ivy, calmati, sono delle ragazze, scommetto che non era loro intenzione”, suggerisce mio padre, cercando di mediare.    
“Calmarmi?! Io ho perso un figlio in questi maledettissimi giochi! Anzi, due!”, grida mia madre, gettando sul pavimento il bicchiere pieno d’acqua che stava tenendo in mano prima. Il bicchiere si frantuma e i cocci di vetro si spargono per terra, mentre l’acqua bagna il tappeto. Jane, che fino a quel momento prima era stata silenziosa, incomincia a piangere. La mamma continua a sfogarsi, sovrastando le parole del Presidente, per poi scoppiare in lacrime davanti a tutti noi. Credo di non aver mai visto nulla del genere, mamma non è mai stata presa da un impeto di rabbia come adesso. Non so cosa dire o cosa fare, se non guardare tutto a bocca aperta. Mi sento terribilmente in colpa per averla fatta piangere, io stavo solo sognando i treni…

“Ragazzi, andate a letto, tutti”, ci intima nostro padre, mentre va ad abbracciare la mamma. Tutti e quattro ubbidiamo in silenzio e ci dirigiamo verso le scale, con Jane ancora in lacrime.                   
Prima di salire sento il Presidente concludere il suo discorso, “Felici Hunger Games, e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!”.


Julivan Sanchez, Distretto 8


Sbadiglio rumorosamente, coprendomi la bocca con la mano. Guardo di sottecchi mio padre, sperando di aver catturato la sua attenzione. No, ha ancora gli occhi puntati sul Presidente. Forse devo provare a sbadigliare più forte, magari si volta. Di solito acconsente sempre alle mie richieste. 

Sto per aprire di nuovo la bocca, ma lui mi ferma prima. “La pianti?”, mi ammonisce senza staccare gli occhi dalla TV . Che palle, si può sapere cosa c’è di così tanto importante in quel discorso? Ogni anno è uguale, ogni anno ti ripetono le stesse menzogne. Se siamo davvero contro Capitol e i Giochi perché la sera prima della Mietitura tutta Panem è sintonizzata su quel canale? Basta, mi rifiuto di stare a sentire altre ipocrisie.    
                
Giro la sedia a rotelle e mi avvicino alla porta. “Dove vai?”, chiede papà. Evidentemente è riuscito ad accorgersi che me ne stavo andando.
“Fuori”, rispondo proprio sull’uscio. Non è perché sono paralizzato allora sono costretto a stare in casa. 
“Julivan, non è la notte adatta per uscire per uno…”, si ferma in tempo per evitare di dire qualcosa che mi avrebbe fatto incazzare non poco. È raro che mi arrabbi per qualcosa, ma quando vengo trattato come un povero quindicenne paralitico proprio non ce la faccio a stare zitto.    
“Io. Esco.”, ripeto scandendo le parole.  
“Fa come diavolo ti pare”, controbatte lui, tornando a sentire il discorso.

Mi fermo nello spiazzo erboso di fronte a casa. Si sta bene, l’aria è fresca e per strada non c’è nessuno. Saranno tutti in casa a rincretinirsi con le balle della capitale.     
Io proprio non capisco perché non facciamo qualcosa. Non dico che sia facile, ma stare a guardare non cambierà le cose. Noi parliamo e parliamo, ma poi? Ci riduciamo a maledirli e a piangere.  
Mi colpisco la coscia, ma non sento assolutamente nulla, come se non mi fossi mai tirato un pugno. Gli altri, che possono camminare, saltare, ballare e correre perché stanno seduti? La vita è movimento, ma loro stanno fermi a ubbidire, come dei morti.

Sospiro, se solo potessi camminare… Scuoto la testa. Io non camminerò mai, ma non per questo mi  devo scoraggiare. Forse tutto sarà più difficile, però ci riuscirò comunque. Dimostrerò a tutti che la mia malattia non è un impedimento, ma un motivo in più per vivere e andare avanti.
Alla faccia di tutti gli abitanti del Distretto 8, che mi guardano con pietà e commiserazione!      
Sento le guance tirarmi e le mie labbra allargarsi in un sorriso. Un giorno compirò diciotto anni, sarò libero dalla Mietitura e… e… e poi? Non posso lavorare, alla fabbrica tessile non assumono presone con problemi fisici…
No, non ci devo pensare! Io farò qualcosa di utile, non sono un peso! Mi dispiace solo per il mio vecchio, che dovrò lasciare solo. È buono e gli voglio bene, anche se è davvero pesante a volte. Ma sono sicuro che capirà e mi lascerà andare per la mia strada.

Alzo gli occhi al cielo, limpido e stellato. Nonostante tutto, questa è una bellissima serata.


Max Garrison, Distretto 10


Spingo il pulsante sulla torcia per controllare che funzioni: un fascio di luce mi investe in pieno, illuminandomi il volto. Ok, questa va. Verifico il funzionamento anche delle altre e tutte sembrano andare. Perfetto, credo che ci aspetti una bellissima caccia questa sera.
 Infilo le quattro torce nello zaino ed esco dalla mia camera. In salotto trovo mia madre intenta a guardare la televisione. Prendo la giacca appoggiata sulla sedia e mi avvicino alla porta, “Io esco con i miei amici, mamma”, le comunico cercando di richiamare la sua attenzione.
Lei si volta e mi guarda ansiosa, come al solito. “Non sarebbe meglio stare a casa, Max? Il discorso incomincerà a breve”, mi ricorda lei. Sbuffo annoiato, sapevo che sarebbe stata contraria. Da quando ho preso quella polmonite non mi lascia vivere in pace, ma se continua così morirà di crepacuore. Pensa se venissi scelto per gli Hunger Games, eh? Come penserebbe di cavarsela?
“Mamma, ti prego”, cerco di convincerla. Non ho proprio voglia di stare ad ascoltare il monologo del Presidente, e poi ho i miei amici che mi aspettano. 
“E va bene, vai. Hai preso la giacca, però? Farà un gran freddo fuori”, continua lei, stressante come pochi.  
“Si, mamma, si”, la tranquillizzo mostrandole la giacca. La saluto ed esco, finalmente libero. Mi incammino verso i confini del distretto, sorpassando fattorie e pascoli. Il 10 è davvero buio di notte, non un lampione ad illuminare le strade, se non proprio nel centro del Distretto. Meglio, renderà la nostra ricerca ancora più realistica.             
Per le strade incontro pochissime persone, saranno tutti in casa ad ascoltare il discorso di Snow sulle Mietiture e gli Hunger Games. Poi io non capisco, ogni anno è uguale, che senso ha stare ad ascoltarlo sempre? Dovrebbero rinnovarlo, ma si vede che a Capitol sono a corto di frasi fatte. Sorrido, questa sarebbe piaciuta a Naso, mi devo ricordare di dirgliela.

Continuo a camminare ancora per qualche minuto in mezzo ai pascoli, per poi raggiungere una casa diroccata. Ad aspettarmi trovo la mia banda al completo.
“Sei in ritardo, Cespuglio”, mi fa notare lo Spilungone.
“Colpa di mia madre”, mi giustifico mentre sistemo i miei spessi occhiali.
“Allora iniziamo?”, ci esorta Naso, impaziente. 
Io, lo Spilungone, Naso e Fulvio ci dirigiamo all’interno della casa, con le torce accese. “L’edificio è abbandonato da anni a causa di un incendio che l’ha ridotto a una struttura pericolante”, ci istruisce Fulvio, pragmatico come sempre. 
 “Secondo voi ci saranno dei fantasmi qui?”, domanda entusiasta Naso.
“Perché non dovrebbero esserci? Ha tutti i fattori per essere una casa infestata dagli spiriti”, replico indicando una parete resa nera dal fumo su cui sono appesi i resti di quello che un tempo doveva essere un quadro. I miei compagni sorridono e poi tutti e quattro incominciamo ad esplorare il piano terra.
 Della casa non rimane tanto, qualche trave sconnessa e alcuni mobili marciti. Tutto è nero, dal colore dei pochi arredi rimasti all’atmosfera, e non si può non sentire la presenza della morte. Non credo che nel disastro siano morte delle persone, però il solo pensiero di essere qua intrappolati e bruciare vivi tra le fiamme…                             

Improvvisamente mi balena un’idea in testa. Lascio andare avanti i miei compagni, mentre io mi infilo in un corridoio parallelo al salotto. Tra un po’ dovrebbero accorgersi che non ci sono più.
“Dov’è Cespuglio?”, la voce di Fulvio conferma tutte le mie teorie. Continuo a camminare per il corridoio e arrivo alle scale, da lì riesco a vedere i miei compagni guardarsi intorno e illuminare  tratti della stanza con le torce.
“Quell’idiota avrà deciso di farsi un giro in solitaria”, dice lo Spilungone. Non c’è bisogno di offendere, ma gliela farò pagare.
“Ehi, vieni fuori, imbecille! Max, può essere pericoloso!”, mi chiama Naso ma decido di non rispondere. Vedrai che spavento che gli farò prendere.
“Dove può essersi cacciato?”, chiede agitato lo Spilungone.
  “Proviamo ad andare di là”, suggerisce Naso indicando le scale che portano al piano di sopra, dove mi sono nascosto io.   
Tutti e tre si dirigono verso le scale, ma quando arrivano si fermano. Avranno capito che non posso essere salito siccome il legno è marcio, o i gradini si sarebbero frantumati.    
Sono tutti voltati, ma quello più vicino a me è Fulvio. Ora. Lo afferro per le spalle e lo spingo a terra, lui urla per poi cadere sul pavimento. Naso e lo Spilungone si voltano, e le loro facce preoccupate mi fanno scoppiare dalle risate. Anche loro due si uniscono a me, mentre Fulvio ci guarda male.  
“Non è divertente, è stato uno scherzo terribilmente banale”, borbotta lui mentre si rialza. 
“Tu sta zitto, che te la sei fatta sotto”, lo apostrofo, “e poi in mancanza di un fantasma ho dovuto fare da sostituto”.
Tutti e quattro torniamo a ridere, perfino Fulvio. 
                                                                         
Vederli così mi fa sentire immensamente felice. È solo grazie a loro se riesco a dimenticare gli Hunger Games, domani e lo schifo che mi circonda. Riempiono le mie giornate, e non so cosa sarebbe la mia vita senza di loro.
 
 
 
Angolo autrice

Pensavo di pubblicare domani, invece ce l’ho fatta oggi.
Ho deciso di scrivere un altro capitolo prima dell’estrazione perché volevo approfondire quelli che erano i sentimenti degli abitanti dei distretti la sera prima delle Mietiture, ma prometto che nel prossimo capitolo ci saranno.

Alla prossima!


P. S Mi scuso per l'impaginazione orrenda...

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Capitolo 3
*** Giorno maledetto, parte prima ***


 

Giorno maledetto

 

Giorno della Mietitura

 
Shine Lewis, Distretto 1

Non posso non notare lo sguardo di disappunto di mia madre quando mi presento in salotto pronta per la Mietitura. So che odia il mio modo di vestirmi, anzi odia tutto di me. Non mi sopporta semplicemente perché non sono la figlia dei suoi sogni, graziosa e femminile.

“Non sarebbe meglio indossare qualcosa di più appropriato, tesoro?”, domanda lei, toccandosi il collier di diamanti, ultimo regalo di papà.Viscida e studiata fino all’inverosimile.
Per tutta risposta sistemo al meglio la mia t-shirt preferita, nera con un gran pipistrello, con il solo scopo di irritarla ancora di più.
                         
“Io mi trovo benissimo così, mamma”, replico, con un sorriso falso almeno quanto il suo.                                                
“Ma se venissi scelta, quell’orribile maglietta sarà sotto gli occhi di tutti”,  cerca di farmi ragionare. Sgrano gli occhi. Non credevo che la superficialità di mia madre potesse arrivare fino a questo punto. Insomma, la cosa più importante dell’estrazione è l’abito che indossi?
“Tanto non andrò ai Giochi”, taglio corto. A differenza di molti adolescenti qui all’1, non ho nessun desiderio di partecipare “all’evento dell’anno”.  Non è che mi sia mai preoccupata molto, però. C’è sempre qualche megalomane desideroso di mettersi in mostra.


Arrivano anche mio padre e Sun, tirati a lucido per l’occasione. Come è vestita mia sorella è a dir poco sconvolgente: indossa un abito color crema abbinato a dei guanti e i capelli sono intrecciati con fiocchi e perline. Sembra pronta per il matrimonio, eppure a solo tredici anni. È una bambola nelle mani di quei due, pronti a manovrarla a loro piacimento. Come vorrei che imponesse la sua volontà.
  “Andiamo?”, ci esorta nostro padre, sempre pronto a mettere in mostra la sua ricchezza. 
Sento i loro occhi puntati su di me per tutto il tragitto. Vorrei mandarli a quel paese apertamente, ma mi rendo conto che ci sono dei limiti, soprattutto oggi. Questo non è un giorno come gli altri.
    Le strade sono addobbate a festa, con striscioni rosso fuoco sui quali è stampata la grande aquila dorata; tutti sono vestiti elegantemente e chiacchierano allegri, sicuri della futura vittoria del distretto; eppure c’è qualcosa di anomalo e fatiscente, non so cosa, ma sento che stride con la spensieratezza generale. Fa sembrare il tutto come una falsa montatura.

“Io vado”, dico sbrigativa ai miei. Meno sto con loro meglio è, anche con mia sorella.                               
Mi faccio strada tra la calca di persone, sperando di incrociare i miei amici. Dopo poco arrivo al centro del Distretto 1, dove è stato montato il palco e qualcuno è già nella rispettiva colonna. Mi dirigo verso quella maschile e fortunatamente li trovo.
“Ehi, Shine!”, mi chiama Rigel, facendo segno con il braccio di avvicinarmi. Sorrido, felice di aver finalmente trovato le uniche persone che mi fanno sentire bene. Preferisco di gran lunga la compagnia maschile, li sento più vicini a me e al mio modo di essere.
Per i minuti successivi parliamo del più e del meno, però prima o poi l’argomento ricade inevitabilmente sugli Hunger Games. Anche se fortunatamente neanche i miei amici sono dei pazzi con manie suicida.
“Chi si offrirà quest’anno?”, chiede Nike.
“Per i ragazzi sicuramente Galen Willblast, ho sentito che all’Accademia è il migliore”, risponde Rigel. È un classico: ogni anno spingono il loro studente migliore a farsi volontario per avere più possibilità di vittoria.
“Rosebriar Remington è la prima tra le ragazze, ma non credo voglia andare agli Hunger Games”, dice Zeus, guardandomi.
Faccio spallucce, ci sarà sicuramente qualche altra esibizionista.

Purtroppo viene il momento di separarci e io mi sistemo tra le fila delle sedicenni.
L’accompagnatrice, Xayde, arriva sul palco spumeggiante e concitata come al solito. Seguono il noiosissimo discorso sull’ “origine di questa gloriosa nazione e di quello che è adesso” e il video di propaganda. Sbadiglio per la maggior parte del tempo, guadagnandomi parecchie occhiatacce da parte delle mie vicine. Non che me ne freghi più di tanto.
“E ora estraiamo il nome della fortunata!”,  esclama Xayde mentre si avvicina alla boccia e pesca il nome. Ci mette un’eternità di tempo ad aprire il biglietto, e sento la folla agitarsi.
“Shine Lewis”. Queste due parole mi colpiscono come un pugno allo stomaco e il mondo mi vacilla attorno per qualche secondo. Mi devo calmare, tanto a breve qualcuno prenderà il mio posto.
Mi avvicino lentamente al palco, ma nessuno si offre volontario. Il Distretto 1 è per la prima volta senza una volontaria? Di solito fanno a gara per salire quassù, come mai oggi non c’è nessuno? Vi auguro di bruciare tutti all’inferno, stronzi.
Ormai sono accanto a Xayde, non posso più tornare indietro.
 “Il giovane fortunato è invece…”, continua lei per creare suspense. 
“Mi offro volontario come tributo!”, esclama un ragazzo dai capelli castani che esce dalla colonna dei diciottenni. Si presenta come Galen Willblast. Sorrido amara, Zeus aveva proprio ragione.

Entrambi veniamo scortati verso il Palazzo di Giustizia, ma prima che le porte si chiudano lancio uno sguardo verso la sezione maschile.


Theo Luge, Distretto 2 


“Sai bene cosa devi fare, vero?”.
“Certo, papà”, rispondo. Negli ultimi anni, da quando ho iniziato l’Accademia, la questione dell’offrirsi volontario è stato il suo unico motivo di vita: non fa altro che parlarmi dei Giochi e della gloria che portano. Queste settimane sono state davvero infernali, poi. Ogni momento era buono per stressarmi sulle tattiche da adottare e allenarmi con la lancia.
“Sono davvero fiero di te”, dice abbracciandomi, ma io ricambio freddamente la sua stretta. “Vincendo gli Hunger Games tutti i tuoi sogni diventeranno realtà”, continua sornione. Certo, tutti i suoi sogni. Lui dice che il suo più grande errore è stato quello di non aver fatto in tempo a offrirsi volontario, ed è per questo che riflette su me e su Atene questo suo rammarico. Vuole vederci entrambi vittoriosi, ma io so che le reali motivazioni sono altre. Può fingere quando vuole, però non inganna me, o mia mamma. Questa è solo una sua macchinazione per arrivare ad altro.

Fortunatamente ci stacchiamo e veniamo raggiunti da mia sorella e da mia mamma. La prima è rilassata, incurante di cosa sta succedendo. Mia mamma invece ha inteso tutto. So che ha discusso con papà per farlo ragionare e fargli capire che il suo piano era folle, ma non c’è stato niente da fare. Però non ce l’ho con lei, è una donna forte e merita un uomo migliore di papà.

“Ci sbrighiamo?”, mi domanda raggiante Atene. L’unica cosa positiva è che per ora le manovre di mio padre hanno avuto a che fare solo con me. Se faccio questo è solo per evitare a lei di provare lo stesso incubo che ho passato io in questi anni. Poco dopo raggiungiamo la piazza principale e io e mia sorella ci posizioniamo nelle rispettive colonne.
Io mi colloco tra i più grandi e incomincio a chiacchierare con qualche mio compagno di scuola. Non che mi interessi molto la conversazione, ma devo trovare un modo di occupare i minuti che mancano all’inizio della Mietitura. Sento un’ansia terribile corrodermi dentro, voglio soltanto che tutto questo finisca. Finalmente l’accompagnatrice arriva sul palco: indossa un vaporoso abito verde mela con delle stravaganti scarpe rosse. Twilight non è di certo la migliore accompagnatrice del mondo, ma ormai il Distretto 2 è affezionato a lei. Inizia il discorso della sindachessa sul significato di questa giornata e sulla sua sacralità per il distretto e per tutta Panem. Certo, oggi è un giorno speciale: ventiquattro vite stanno per essere sconvolte, tra cui la mia.
“Bene, ora è arrivato il momento di scegliere i due fortunati che rappresenteranno il Distretto 2 alla Quarantesima Edizione degli Hunger Games!”, riprende garrula l’accompagnatrice. Pesca un piccolo biglietto dalla sommità e ritorna al microfono. Spero tanto che non sia Atene, altrimenti sarebbe davvero un gran casino.
“Nyx Baxter”. Non ho idea di ci sia questa ragazza, ma fortunatamente non è mia sorella. Evidentemente qualcuno non la pensa come me.
“Mi offro volontaria!”, urla un’altra. Non riesco ad associare questa voce a nessun volto, ma sento levarsi un certo brusio dalla folla così decido di guardare anch’io. La ragazza è una mia coetanea piuttosto carina dagli occhi celesti con addosso una vistosa parrucca gialla limone che le arriva alle spalle ed è truccata come una capitolina. Quando arriva sul palco Twilight le chiede perché si è offerta volontaria e lei risponde da copione: “Per il successo”.
“E perché sei vestita così, cara?”, continua l’accompagnatrice squadrando Phyllis Levit dalla testa ai piedi.
"Perché volevo ricordare mia mamma”, è la sua enigmatica risposta. Che strano soggetto, sarà meglio tenerla d'occhio.
"E ora i ragazzi!", esclama estasiata l'accompagnatrice.
È il mio momento. “Mi offro volontario anch’io!”, grido a pieni polmoni alzando il braccio. Salgo veloce sul palco, accanto all’altro tributo.
“Fantastico, altri due volontari! Come ti chiami, tesoro?”, mi domanda curiosa l’accompagnatrice.
“Theo Luge”, mi presento. Da quassù riesco a vedere mio padre che fischia e applaude, mentre mia madre è scura in volto.
                              
Io e Phyllis ci stringiamo la mano, mentre l’inno suona in sottofondo.
Vorrei che questo giorno non fosse mai arrivato.


Aaron Joshua Sanders, Distretto 3


 Sento qualcuno scuotermi con insistenza la spalla. All’inizio cerco di ignorarlo, ma poi sono costretto ad aprire gli occhi. Trovo davanti a me mio fratello Howard, vestito con la camicia riservata a questo giorno speciale. Già, la Mietitura… Questi due anni sono passati davvero in fretta, mi sembra ieri che tutto abbia incominciato a crollarmi addosso, sempre questo stesso giorno.
               
Mi alzo dal letto e mi vesto velocemente con un paio di pantaloni neri e una camicia bianca. Insieme a Howard ci dirigiamo verso la cucina, dove c’è la nostra famiglia al completo ad aspettarci: per l’occasione si è unito alla colazione anche John, nonostante abiti da solo e sia libero dall’estrazione. La sera della sua ultima Mietitura avevamo preparato tutto per festeggiare con una semplice cenetta di famiglia, era invitata anche Amy e invece… Quella notte ero distrutto, non riuscivo a dire niente. Non ho mai pianto così tanto in tutta la mia vita.

L’atmosfera generale è davvero molto tesa, nessuno apre bocca, troppo nervosi per quello che ci attende.
L’unico che non si rende conto del giorno che è oggi è Gregory, che biascica allegro e sorride a tutti noi. Quando è nato ero davvero felice, malgrado tutto il casino che la sua nascita aveva comportato: lo scandalo, le scenate dei genitori di Amy per la sua gravidanza, l’iniziale distacco di tutta la mia famiglia. Fortunatamente c’era il mio amore e insieme siamo riusciti a superare tutto e a ristabilire dei rapporti civili con le nostre famiglie.

“Aaron, Howard, è meglio che vi sbrighiate”, ci suggerisce nostro padre, prendendo dal centro della tavola un pezzo secco di pane.
Mio fratello è il primo ad alzarsi e io lo seguo a ruota. La mamma si avvicina a noi due e ci abbraccia entrambi. “Noi vi raggiungiamo dopo, ok?”, ci assicura. Passa dolcemente una mano fra i miei capelli neri e sorride, malinconica. “Questo è il tuo ultimo anno”, mi sussurra per infondermi il coraggio di andare avanti. Ormai non so più che senso abbia la mia vita senza Amy, mi resta solo Gregory, suo unico ricordo.  
Prima di uscire do un piccolo bacio sulla fronte al mio bambino, promettendogli di tornare da lui dopo.
Fuori le strade sono piene di adolescenti che si dirigono verso il centro del distretto, dove è stato allestito il palco. Molti procedono in gruppi o a coppie, stingendosi le mani e sorreggendosi l’un l’altro.
Io e Howard andiamo insieme, silenziosi, attraverso le vie polverose e anonime del 3. Sui muri delle case sono stati appesi striscioni rosso fuoco inneggianti a Capitol e alla sua potenza. Vogliono far sembrare tutto come un grande momento di festa, anche se l’effetto è l’esatto contrario: ovunque si possono percepire la rabbia, la paura e la desolazione.
Presto raggiungiamo la piazza e io e mio fratello ci dirigiamo nelle rispettive file, dei diciottenni e dei sedicenni. Prima però ci stringiamo in un abbraccio. “Vedrai che andrà tutto bene”, mi consola lui. Vorrei tanto dargli ragione, ma da quando è morta la mia ragazza non credo più in niente. 
Poco dopo le porte del Palazzo di Giustizia si aprono ed escono il sindaco, sua moglie, i tre mentori e infine l’accompagnatrice. Il pubblico, a cui si sono aggiunti anche i genitori,  fa un forzato applauso diretto a Minta, la nostra capitolina da ormai sette anni. 
Il discorso seguente praticamente non lo seguo, tanto ormai lo so a memoria, ma presto arriva il momento dell’estrazione. La sezione femminile non mi interessa più di tanto, l’unica persona a cui tenevo l’ho persa due anni fa.
“Shirley Anderson”. Una dodicenne magrolina dai capelli neri si avvicina tremante al palco, mentre la folla bisbiglia in sottofondo. 
“Mi offro volontaria!”, urla una mia coetanea dai capelli rossi che prende il posto di Shirley ferma e sicura.
“Conosci quella bambina?”, domanda Minta, emozionata dallo sviluppo che sta prendendo la Mietitura.
"No, ma mi sembrava ingiusto far partecipare una dodicenne. Il mio nome è Arienne Selene Dioneide”, continua lei glaciale. 
“Bene, ora è il turno dei ragazzi!”. Minta si avvicina alla boccia e pesca un biglietto. Chiudo gli occhi. È la mia ultima volta, è la mia ultima volta.
“Howard Sanders”. Riapro gli occhi, non può essere successo davvero. No, no! Non ancora! Prima Amy, ora mio fratello, che vedo andare incerto verso il palco. Per la seconda volta gli Hunger Games mi strapperanno una persona che amo e io non lo potrò impedire… No, non è ancora detto. Per Amy non ho potuto fare niente, ma forse per Howard sono ancora in tempo a fare qualcosa.
Non ripeterò lo stesso errore due volte.
“Mi offro volontario ai Giochi!”.


Gabriel Perseus Morgan, Distretto 4


Il 4 è l’unico distretto in tutta Panem che si affaccia sul mare. Un po’ di tempo fa non ci davo tanta importanza, ma ora credo che senza di esso non potrei vivere: non c’è niente di più bello e poetico di questa grande distesa che si espande a vista d’occhio.  
Dopo la scuola vengo qui spesso, con il mio quaderno e la mia penna. Mi siedo dove capita, su un masso sporgente oppure sulla sabbia, e libero tutte le mie idee su quel foglio. Non hanno un ordine preciso, ma sono alla rinfusa, così come affiorano nella mia mente.
Il mio critico letterario è sicuramente Amber, a cui dedico tutti i miei racconti e le mie poesie. È la mia fonte d’ispirazione, come il mare.  
Lei dice che sono tutti molto belli, anche se folli. Secondo lei io sogno troppo in grande per i canoni di questa nazione e che se continuo con queste idee non combinerò mai nulla. Probabilmente ha ragione, dato che non sono ancora riuscito a realizzare nessuno dei miei progetti, ma sono sicuro che ci riuscirò. L’importante è porsi un obbiettivo.

Stringo forte la sua mano, grato di condividere questo momento con lei. Sento però che è agitata, e che qualcosa le impedisce di rilassarsi, nonostante la calma del luogo. 
Per quanto cerchiamo di distrarci, il pensiero della Mietitura incombe sempre su di noi. Anch’io cerco di pensarci il meno possibile siccome credo che questo evento non meriti troppo tempo della mia vita. Ho qualcosa di meglio da fare.
“Ci sediamo?”, le domando.
“Gabriel, ormai manca poco. E poi ci sporchiamo tutti”, obbietta lei scuotendo la testa.
Ignoro le sue proteste e mi siedo sulla sabbia. Chi se ne frega se dopo sarò insabbiato. Devo forse rendere conto a una massa di pazzi invasati? Tanto sono già soggetto alle critiche altrui.
“Secondo te c’è qualcosa oltre a Panem?”, le chiedo. Non sapere se esiste qualcosa al di fuori di questa nazione mi ha sempre intrigato e affascinato tantissimo. Magari ci sono altri Stati e altre persone. Chissà se sono a conoscenza degli Hunger Games. Cosa ne penseranno?
“Sarebbe fantastico prendere una nave e partire”, continuo fissando la linea che separa il cielo e il mare.
“Partire? E per dove?”, mi interroga leggermente divertita la mia fidanzata.
“Non lo so. Ciò che conta è partire, non trovi?”, rispondo enigmatico.
Lei sorride deliziata. “Sei senza speranza”, mi prende  in giro Amber.
“Forse”, replico alzandomi.

Mi rendo conto anch’io che è davvero tempo di andare ed entrambi ci dirigiamo verso la piazza principale. Quando arriviamo il discorso dell’accompagnatrice è già iniziamo e ci dirigiamo silenziosi verso le nostre postazioni.
Presto arriva anche il momento dell’estrazione. Spero solo che non sia Amber, sono sicuro che non reggerei a saperla là dentro.
“Mi offro volontaria!”, urla una sedicenne dai lunghi capelli neri. Tiro un egoistico sospiro di sollievo. Sicuramente a questa Prudence Emerson avranno fatto il lavaggio del cervello. È la classica Favorita, non sa nemmeno perché si sta offrendo volontaria. Gli hanno imposto di fare così e lei ha ubbidito. Di certo non sbaglio a sognare un altro posto diverso da Panem. 
Improvvisamente il ragazzo di fianco a me mi tira una gomitata. Mi sembra di averlo già visto nella mia scuola, ma non ci ho mai parlato. Cosa vuole?
“C’è Gabriel Perseus Morgan?”, chiede Lizbeth rivolta al pubblico. Il mio cervello ci mette un secondo a realizzare cosa è successo. Io non voglio andare agli Hunger Games! Ci deve essere un errore, senz'altro!

Vedo dei pacificatori avvicinarsi minacciosi, pronti a portarmi sul palco con la forza se necessario. Mi devo sbrigare o potrei compromettere le cose irrimediabilmente. Mi faccio largo tra la folla, ma finisco per inciampare e sbattere contro un ragazzo. Balbetto delle scuse e mi avvicino al palco, mentre sento il pubblico bisbigliare. Staranno sicuramente parlando male di me, come al solito. Ma come posso dargli torto questa volta dopo la figuraccia che ho fatto in diretta nazionale?  Avrò sicuramente dato l’immagine di un avversario temibile e addio sponsor!
“Ora che il qui presente Gabriel ha avuto la decenza di unirsi a noi, chiedo se ci sono volontari”, commenta maligna Lizbeth.
La mia delusione è immensa quando vedo che nessuno si offre per prendere il mio posto. Sapevo che ero criticato per il mio modo di essere, ma fino a questo punto? Sospiro, ormai sono dentro. L’unica cosa positiva è che Amber è salva e con i suoi insegnamenti forse ce la potrei fare. Non è ancora tutto perduto.

Da qui si vede il mare, e nonostante fosse solo stamattina, mi sembra già passato un secolo. Non voglio che questa sia l’ultima volta che cammino sulla spiaggia con Amber.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    
 
 
Ecco i primi tributi. 
D’ora in poi metterò sempre la collocazione temporale perché mi fa tanto da ansioso conto alla rovescia. ^^
Ciao!
P. S. Prudence dal Distretto 4 l’ho creata io, siccome la scheda purtroppo non mi è arrivata.

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Capitolo 4
*** Giorno maledetto, parte seconda ***


    Giorno maledetto

 
Giorno della Mietitura
 


Kai, Distretto 5


Un cenno del capo di Aleksandr costringe tutto il gruppo a fermarsi. Restiamo immobili, per quel lasso di tempo necessario a captare qualsiasi rumore. I secondi passano, ma non si sente nulla. Falso allarme.
Aleksandr muove la mano, segno di procedere. Tutti e quattro avanziamo, compatti e silenziosi in mezzo al bosco. Ci muoviamo agili e sinuosi tra gli alberi, cercando di non farci notare. Se ci scoprissero sarebbe la fine, non solo per me, ma anche per tutti gli altri: non credo che i nostri ideali e la nostra missione facciano comodo alle alte sfere di Capitol e a Snow.
Girare in quattro è pericoloso, soprattutto perché questa faccenda riguarda me in particolare. Più volte ho pregato i miei compagni di aspettarmi nascosti nella boscaglia, e che muovermi da solo sarebbe stato meno rischioso, ma loro non hanno voluto sentire ragioni: siamo una squadra e dove va uno vanno tutti.
Ormai siamo arrivati al confine: un prato incolto e la recinzione ci separano dal mio vecchio distretto.
“Pronto per una rimpatriata, Kai?”, mi canzona Ardee, beffarda.
“Sicuro”, rispondo bisbigliando. Le scompiglio poi la zazzera di capelli neri solo per il gusto di farla innervosire, ma anche per smorzare l’atmosfera. La mia amica mi fa la linguaccia per poi tornare a scrutare l’orizzonte.
Fortunatamente non c’è nessuno: non è conveniente gironzolare attorno alla recinzione o potresti finire nei guai, sospettato di volerla manomettere e di voler dartela a gambe. Ecco perché non ci sono case qui intorno. Oggi poi è il giorno meno indicato per stare qua, con i Pacificatori ovunque.
La prima a partire è Juno: in un paio di minuti attraversa di corsa il prato ed entra nel Distretto 5. La vediamo piegarsi agile tra i fili elettrici e nascondersi dietro una camionetta dei Pacificatori parcheggiata.
“Ora, Kai”, mi ordina Aleksandr. Mi copro il viso con il cappuccio della felpa e incomincio a correre, raggiungendo in poco tempo Juno. Poco dopo si aggregano anche i nostri due amici e tutti e quattro ci addentriamo per le vie del distretto, mischiandoci agli adolescenti che si stanno dirigendo alla Mietitura.
“Certo che il 5 è proprio brutto”, commenta Ardee senza peli sulla lingua, fissando le imponenti pale eoliche che si stagliano contro il cielo grigio. Devo ammettere che ha ragione, ma non le darò questa soddisfazione.
“Detto da una che è cresciuta in mezzo ai campi non mi pare molto convincente”, la stuzzico.
“Ehi, non ti permetto di insultare il Distretto 9!”, esclama scherzando a voce un po’ troppo alta la mia amica, difendendo il luogo in cui lei e Aleksandr sono cresciuti.
“State zitti, per favore!”, esclama spazientito il fratello di Ardee.
“Guastafeste”, si lamenta la sorella.
                                     
Ormai siamo arrivati alla piazza principale: tutti i ragazzi sono disposti nelle rispettive file e le figure importanti sono appena entrate. Io, Ardee, Aleksandr e Juno ci mescoliamo ai non estraibili, in mezzo alla folla degli adulti, tanto nessuno di noi rischia più.
“Hai la trottola, Juno?", le chiedo. Per tutta risposta lei estrae da una tasca una piccola trottola con dei deliziosi colori brillanti che io nascondo nella felpa. Quando la Mietitura sarà terminata e Kea sarà salva, insieme ci dirigeremo a casa sua e io lascerò questo giocattolo sul suo davanzale. È il nostro segreto: significa che sono tornato al Distretto 5 e che sono ancora vivo. Vorrei tanto ritrovare il coraggio di chiederle scusa per averla abbandonata e per averle fatto affrontare tutto da sola, ma ogni volta rimando sempre. Così le lascio questo simbolo. Dovrei parlare anche con Steffon e ringraziarlo, ma mi vergogno di tornare anche da lui. Sono sicuro che entrambi mi odino, ma come biasimarli? Da quella notte non mi sono più fatto vedere per anni.

Ardee mi richiama all’ordine con una leggera gomitata. “Ci sono volontari?”, domanda la nuova accompagnatrice. Nessuno si fa avanti e la capitolina si vede costretta ha pescare un nome dalla boccia di vetro.
“Lana Filbert”. Fortunatamente non è Kea, ma una quindicenne che si avvicina piangendo al palco.
“No, Lana! Mi offro volontaria al suo posto!”, esclama un’altra ragazza dai capelli castani.
“Bene, come ti chiami?”, domanda entusiasta Banshee al nuovo tributo, appena giunge sul palco.
“Darlene Watson”, risponde apatica lei.
Vedo Aleksandr mordersi il labbro, sinceramente preso dal gesto della ragazza. Direi che ce ne possiamo anche andare, non ha più senso stare qua e poi dobbiamo raggiungere l’appartamento di Kea.
“Lorin Alakai”, chiama Banshee riferendosi alla sezione maschile. Improvvisamente mi fermo, mentre i miei compagni mi guardano straniti.
“Kai, muoviti!”, mi riprende Ardee tirandomi per il braccio, ma non la sento.
“C’è Lorin?”, domanda di nuovo la capitolina, mentre il pubblico si agita.
“Kai, che succede?”, mi interroga preoccupato Aleksandr e anche Juno mi guarda dubbiosa.
“Fuori il tributo!”, sbraita quello che deve essere il capo dei Pacificatori. Mi devo muovere o saremo davvero spacciati, io, i miei compagni e anche Kea.

Solo non credevo che dopo tutti questi anni il mio nome fosse ancora nella boccia della Mietitura.


Lily Mackenzie, Distretto 6


Sarah si lega i lunghi capelli neri in una coda bassa e io decido di fare altrettanto.
Non ho la benché minima idea di come ci si comporti ad una Mietitura: tutte le altre volte ho partecipato come spettatrice, stretta tra papà e Jason, ma mai come sorteggiabile. Non sono per niente pronta, ho una paura assurda
Mia sorella ha cercato di consolarmi in ogni modo, dicendomi che la prima volta è la più terribile, ma poi ti abitui. Forse per lei è facile parlare dato che questo è il suo ultimo anno, non come me, che è da una settimana che non riesco a chiudere occhio.
Stringo forte il mio orsacchiotto, sperando di rivederlo al più presto, e insieme a Sarah ci dirigiamo all’ingresso di casa. Sono già tutti pronti, manca solo la mamma.
“Dov’è la mamma?”, chiedo guardandomi intorno. Oggi è un giorno importante per me, perché non c’è?
“Mamma non verrà, Lily”, mi risponde fredda Sarah. Ogni volta che si parla di lei si irrigidisce, strano.

Nonostante sia presto, le strade sono affollate di adolescenti e adulti che procedono in gruppi. Molti piangono sommessamente, altri parlano in continuazione per cercare di scaricare la tensione e la paura. In ogni angolo Pacificatori armati in divisa bianca pronti a sparare su chiunque tenti di fare resistenza e di non andare alla Mietitura.   Più siamo vicini e più sento l’ansia salirmi dentro. Mi stringo forte a Sarah, cercando la sua protezione. Come posso passare i prossimi sette anni della mia vita così? Non è giusto, io non voglio vivere nel terrore!
Ormai siamo arrivati alla grande piazza e molti sono già in fila che attendono tremanti. Improvvisamente incomincio a respirare pesantemente e avverto gli occhi bruciarmi. Non voglio andare, voglio solo tornare a casa. Voglio andare indietro all’anno scorso, quando avevo ancora undici anni e tutto ciò mi sembrava lontano.
“Lily, non farti prendere dal panico”, mi sussurra mio padre, che si è chinato alla mia altezza. “Prima ci sarà il discorso dell’accompagnatrice e dopo l’estrazione. Durerà poco, dieci minuti al massimo”, mi consola lui.
Annuisco dubbiosa. Come posso reggere dieci minuti di pura paura?
Ci salutiamo tutti e io seguo dei miei compagni di classe verso la sezione dei dodicenni. Dopo qualche interminabile minuto arriva sul palco la capitolina, Raven, la stessa dell’anno scorso. Fortunatamente i colori del suo abito riescono a distrarmi per un po’: indossa un vestito molto strano con delle coloratissime fantasie geometriche e una parrucca rosso fuoco. Mi è sempre piaciuta la moda di Capitol, la trovo allegra e divertente.
Raven fa partire un lunghissimo video e nonostante tutti i miei sforzi non riesco a comprenderlo tutto. È pieno di paroloni ed è noioso. La mia amica di fianco a me mi dice che sta spiegando la storia di Panem. Io faccio spallucce, odio la storia.
Presto arriva il momento del sorteggio e tutta la paura di prima ritorna, anche se quest’anno Raven decide di partire dai ragazzi. Spero tanto che non sia Thomas, o nessun altro dei miei amici.
“James Gallagher”. Un quindicenne dai capelli castani si avvicina al palco imprecando a mezza voce. Noto che mentre cammina traballa un po’ e mi accorgo che porta un gesso su una gamba. Mi dispiace, soprattutto per il fatto che conciato così non ha speranze.
“Mi offro volontario!”, grida un altro ragazzo. Sento levarsi un certo rumore dal pubblico e dopo capisco il perché. A parlare è stato un mio coetaneo abbastanza simile al tributo, che si dirige veloce al palco, ignorando lo sguardo furibondo del ragazzo col gesso.
“Che bambino coraggioso! Come ti chiami?”, domanda Raven, allungando il microfono al ragazzino.
“Theodore Gallagher”, risponde lui, con voce limpida.
“Bene, Theodore, ora possiamo scegliere la fanciulla che verrà con te a Capitol City”, continua l’accompagnatrice sorridendo al pubblico e avvicinandosi alla boccia.
Il cuore mi batte all’impazzata, ma cerco di rilassarmi. Tra poco i dieci minuti finiranno.
“Lily Mackenzie”. Le ragazzine intorno a me si allontanano lasciandomi lo spazio necessario per avvicinarmi al palco. Mi guardo intorno, non posso essere veramente io. È uno scherzo. Ho solo dodici anni, non so maneggiare un’arma, non so uccidere! Sono spacciata!
Incomincio a singhiozzare e mi faccio strada tra le mie coetanee. Nessuno però si fa avanti, non c’è nessuno che possa salvarmi. Sono sola, mi hanno tutti abbandonata.
“Mi offro volontaria!”, urla qualcuno con una voce terribilmente familiare. Mi volto, ormai sulle scale. Per poco non cado a terra e  fortunatamente mi aggrappo alla balaustra.
Sarah mi supera e prende posto vicino a Theodore e Raven e io incomincio a piangere senza ritegno. Se mia sorella morirà sarà solo colpa mia.
 
 
Allie Veniur, Distretto 7


Adoro il bosco. L’ombra degli alberi e la sua dolce tranquillità lo rendono un luogo davvero speciale. Qui, nel verde, tutto sembra più brillante; contrariamente al grigio e all’anonimità che dominano il distretto. Qui mi sento sollevata e riesco per un attimo ad allontanarmi psicologicamente da quel buco di disperati che è il 7.
Passeggiare da sola mi ha sempre aiutato a distendere i nervi: è bella la solitudine, non devi rendere conto a nessuno perché non ci sono amici da tradire o persone da deludere. Certo non ho problemi a chiacchierare amichevolmente con i miei coetanei, ma non è che ci possiamo definire amici. Ormai sono abituata a questo stile di vita, solitario e spartano, dopotutto è da anni che me la cavo così.

Decido di andarmene, però. Non è furbo girare per troppo tempo nei boschi fuori dall’orario di lavoro. Già ho dovuto mostrare il permesso per entrare e se tra un po’ non mi ripresento al posto di blocco verranno a prendermi con la forza i Pacificatori per scortarmi alla Mietitura. Sarebbe molto più facile prendere e scappare, e chiudere per sempre con questa immondizia, ma non è una scelta molto onorevole. Ho sempre affrontato i problemi, non posso fuggire. Affronterò anche gli Hunger Games, se necessario. Tanto lo so che tocca a me, ho un sacco di tessere con il mio nome.

Al posto di blocco ci saranno una cinquantina di Pacificatori armati fino ai denti. Prevedibile: nel giorno della Mietitura la tensione è alle stelle.
Mostro il permesso e rientro nei confini del Distretto 7: percorro veloce le strade e raggiungo casa mia. Vivendo da sola non ho bisogno di tanto spazio, quindi tre stanze possono bastare.  Vado in bagno e mi lavo velocemente, poi mi pettino i capelli biondi e indosso il mio semplice vestito turchese. Sono pronta.
Quando torno fuori è già pieno di gente che si dirige in massa verso la piazza principale. Mi unisco anch’io al fiume compatto di persone e in una quindicina di minuti arriviamo a destinazione.
Accanto a me, nella colonna delle sedicenni, ci sono un paio di mie compagne di scuola e iniziamo a parlare amichevolmente insieme per allentare l’atmosfera.
Le porte si aprono improvvisamente e le figure di spicco vengono accolte da uno spento applauso del pubblico. La prima a parlare è la sindachessa, che presenta i mentori e la capitolina.
“Sono così felice di passare un altro anno qui con voi al lussureggiante Distretto 7!”, esclama Kitty, falsa come pochi a questo mondo. Tutti sanno che non le è andata giù per il fatto che dall’1 l’hanno trasferita qua, e che fa ogni cosa in suo potere per tornare al suo “splendente passato”.
Il suo video e il suo discorso sono pallosi come al solito e le lacrime lasciano presto il posto a sbadigli di noia.
Spero che questa pagliacciata finisca il prima possibile, soprattutto perché credo di non aver mai sentito così tante ruffianate in un colpo solo in tutti i miei sedici anni di vita.
“Ora scegliamo i due fortunati che rappresenteranno il Distretto 7 alla Quarantesima Edizione degli Hunger Games di Panem! Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!”, riprende Kitty avvicinandosi pericolosamente alla boccia delle ragazze. Le mani tornano a cercarsi e le lacrime riprendono a scendere sulle guance. Vorrei avere un’ultima possibilità, ma so che tra poco sarà annunciato il mio nome. Ho così tanti bigliettini con il mio nome che mi viene da pensare che nella boccia ci sia solamente il mio.
La capitolina ha già aperto il foglietto, ma vuole creare suspense. Leggi quel cavolo di nome!
“Allie Veniur”. Come volevasi dimostrare. Mi avvicino impassibile al palco, da qui in poi dovrò apparire temibile e valorosa. So su chi puntare.
“Liam Harris”, è il secondo nome che Kitty annuncia al pubblico. Un timidissimo dodicenne dai capelli neri si sistema di fianco a me e all’accompagnatrice, mentre Kitty lo guarda insoddisfatta. Starà già pensando alle probabilità di vittoria che abbiamo io e questo bambino, e lui non deve essere proprio il tributo più adatto per sopravvivere ai Giochi.
“Bene, cari, potete stringervi la mano. E ora intoniamo l’inno nazionale”, ordina solenne la capitolina.
Stringo la piccola mano di Liam, mentre lui evita di guardarmi in faccia.

Gli Hunger Games sono l’ennesima sfida, ma ne uscirò. Come ho sempre fatto. 

 
Kim McFire, Distretto 8                                                                                    

“Non riesco a credere che siamo di nuovo qua!”, esclama sconsolato Nexus.
“Pensa che almeno questo è il nostro ultimo anno”, lo consola Cressida, la fidanzata.
“Cosa vuol dire? Abbiamo ancora più possibilità di essere estratti”, controbatte Bromo, col suo solito ottimismo.
“Piantala di fare l’uccello del malaugurio, Bromo, ti prego”, lo ammonisce Tryphena.
I miei amici continuano a battibeccare ancora per qualche minuto sulla possibilità che abbiamo di venire estratti o meno e io li lascio sfogarsi il più possibile: finché non danno mi danno fastidio a me va bene.
Guardo l’orologio e noto che mancano dieci minuti all’inizio della Mietitura. E noi dobbiamo ancora registrarci. Se facciamo tardi giuro che li ammazzo.
“Ragazzi, se non ci muoviamo ci tocca passare la serata fustigati al palo”, comunico mostrando l’orologio.
“Cacchio, Kim, potevi dirlo prima!”, impreca Nexus sgranando gli occhi e tirando per la mano la fidanzata.
“Ecco, lo sapevo!”, è il commento di Bromo. Questo suo atteggiamento mi da sui nervi e sarei tentata di colpirlo, ma mi trattengo. Dopotutto è uno dei miei migliori amici.
“Scusate, è che mi sembravate immersi in una profondissima conversazione e non volevo disturbare”, affermo sorridendo maliziosa. Lui diventa ancora più nervoso e decide di seguire Nexus e Cressida verso la piazza principale dell’8.
“Scema, muoviti!”, mi riprende ridendo Tryphena. Fortuna che sono io la leader di questo gruppo di disgraziati, sennò chissà che fine avrebbero fatto senza di me! Li ho anche appena salvati da una nottata in prigione.

In tempo lampo ci registriamo e ci posizioniamo nelle rispettive file. Io e le mie amiche abbiamo giusto in tempo preso posto tra le diciottenni che l’accompagnatrice arriva sul palco. Sorrido, grazie a me è tutto sotto controllo. Ora dobbiamo solo trovare un modo per sfangare le prossime ore.
Video e discorsi pallosi si susseguono per non so quanto tempo. La nostra capitolina, Rio, è poi particolarmente sadica nella sua ignoranza, siccome costringe tutti noi a stare ad ascoltare monologhi prolissi quando vorremo solamente concludere il tutto e andarcene a casa.
“Questa volta partiremo dai ragazzi. Credo che qualche volta sia giusto cambiare”, allude lei, credendosi spiritosa. Come se a noi interessasse a chi firma prima la condanna a morte.
Ti prego, non Nexus. E neanche Bromo, anche se gli Hunger Games mi libererebbero dalla sua presenza. Sorrido, mi sa che dopo glielo dirò. Non vedo l’ora di veder il suo volto paonazzo.
“Julivan Sanchez”. Mi alzo sulle punte dei piedi per vedere il tributo e mi accorgo con orrore che è un povero quindicenne sulla sedia a rotelle.
Un uomo (probabilmente il padre), si fa avanti chiamando il figlio, ma viene malamente fermato con un pugno nello stomaco dai Pacificatori. Vedo il ragazzo avvicinarsi al palco spingendo da solo la carrozzella e fermarsi dubbioso alle scale. Non può salire, devono aiutarlo. Gli stessi Pacificatori di prima lo raggiungono e lo sollevano controvoglia, come un inutile peso morto.
I soldati arrivano sul palco e mollano la carrozzella di fianco a Rio, che guarda imbarazzata la scena. Il povero Julivan è accanto alla capitolina a stento trattiene le lacrime.
Sputo per terra, come si può ammettere una cosa simile?
“Bene, ora possiamo passare alle signorine!”, sorride Rio, ma si può notare che il suo umore non è più quello di prima. Sa di aver appena commesso una mostruosità, e se ne rende conto. Sa di aver condannato a morte uno che non ha nessun futuro e che ha sbattuto in faccia all'intera nazione la sventura di questo ragazzo.
“Kim McFire”. Cosa? Ha detto davvero il mio nome? Mi guardo intorno e gli occhi pieni di lacrime di Cressida e Tryphena mi confermano tutto. E ora che diavolo faccio? Sono fottuta, non ho speranze! Lavoro in una fabbrica tessile, non ho mai toccato un’arma in tutta la mia vita.
Mi faccio largo tra le ragazze, spingendo da una parte quelle che mi stanno tra i piedi e presto sono accanto a Rio e a Julivan. Sento l’impulso di spaccare tutto, ma mi rendo conto che non sarebbe una mossa strategica. Ormai sono coinvolta in questo terribile sistema, devo pensare a tutte le mie azioni future.

Non posso fallire, assolutamente.
 
 
 



Quarto faticosissimo capitolo. La prossima volta ci saranno le ultime mietiture.
Alla prossima!               
           

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Capitolo 5
*** Giorno maledetto, parte terza ***


Giorno maledetto

 
Giorno della Mietitura
 


Amy Martin, Distretto 9


“Un’ultima volta e poi sarò libera”, sospira Lea, “mi sembra un sogno!”. Sarebbe davvero fantastico, Lea ha ragione, peccato che a me mancano ancora quattro anni per essere libera.
“Io ormai ho chiuso da due anni con questa storia”, commenta Sophie, l’unica davvero salva tra tutte noi.
“Stasera dobbiamo festeggiare, allora!”, esclama solare Moon, sempre pronta a divertirsi. Fare una festa? Non mi sembra proprio il caso, vorrei ricordare a tutte che siamo ancora a rischio estrazione, ma forse a loro piace vedere il bicchiere mezzo pieno. 
“Guardate, vi piace?”, domanda Lea a tutte noi, mostrandoci il fermaglio che è riuscita a racimolare lei al mercato. 
“Ma è una farfalla!”, nota Moon, rigirando tra le mani l’oggetto di un bel colore celeste.
“Esatto,”, conferma Lea soddisfatta, “non è deliziosa!”.
“Posso vederla?”, domando a mia sorella. È una spilla molto semplice e carina, ma non facevo Lea così idealista.
“L’hai scelta apposta?”, le chiedo. Lei mi guarda titubante, forse non dovevo farle questa domanda. Magari non conosce il significato che è legato alla farfalla…
“Perché apposta?”, mi domanda.
“Beh, la farfalla è il simbolo della libertà…”, le spiego. Sophie e Moon incominciano a sghignazzare, divertite dalla figuraccia di Lea. Mi dispiace, non era mia intenzione metterla in difficoltà. Abbasso lo sguardo imbarazzata, ora Lea sarà arrabbiata. 
“Allora è tutto legato!”, riprende lei per niente turbata.
“Come fai a saperlo, Amy?”, mi interroga curiosa Sophie.
“Io ho letto un libro…”, bisbiglio. A Panem non è visto molto bene chi legge dei libri, difatti sono davvero pochi quelli che li posseggono. Questo testo me l’aveva prestato un mio compagno di classe che aveva probabilmente qualche parente importante: solo loro ce li hanno. Mi ricordo che mi ero innamorata di quella storia e dei suoi personaggi. Mi si era spezzato il cuore una volta che l’avevo finito e che era venuto il momento di restituirlo… 
“Speriamo che allora ci porti fortuna”, ci augura Moon. Alzo lo sguardo verso il grande orologio del Palazzo di Giustizia: mancano dieci minuti all’inizio, è tempo di separarci. Ci stringiamo in un unico abbraccio e io prendo posto tra le quattordicenni, vicino ad alcune mie compagne di classe. Tutte mi salutano cordiali e poi riprendono la loro conversazione. Vorrei tanto unirmi a loro, in fondo sono ragazze simpatiche, ma mi vergogno, ho paura di non avere niente da dire con loro e di essere solo il terzo incomodo. Eppure in quel gruppo c’è anche la mia compagna di banco, sono sicura che mi accoglierebbero. Dovrei solo tentare…

Le porte si aprono e ad uno ad uno escono tutti i rappresentanti del Distretto 9: il primo è il sindaco, il signor Boston; seguito dai quattro mentori e dall’accompagnatrice. Betelgeuse indossa un vestito bellissimo tutto viola e al collo porta un diamante che splende luminoso, deve essere un chiaro richiamo al suo nome. Dicono che sia molto materna e che si affezioni veramente ai due tributi, anche se certo non voglio avere l’onore di conoscerla.
“Una volta Panem non esisteva: al posto sorgeva un continente chiamato Nord America, ma venne distrutto”, esordisce lei, intenta a raccontare la storia che tutti noi abbiamo ascoltato più di una volta. “Quel posto venne cancellato dalla faccia della Terra ma subentrammo noi, cittadini di quello che in futuro sarebbe stato Panem. Con costanza e passione costruimmo un nuovo Stato, ma non era lo stesso che noi oggi conosciamo. La Panem di adesso è il prodotto di lotte e tanta sofferenza, così come gli Hunger Games. Noi non torneremo mai più alle condizioni originarie e quindi dobbiamo costruirne delle nuove e gli Hunger Games ci aiuteranno a farlo. Pace, unione e sacrificio, necessari alla costruzione di una nuova nazione”, termina Betelgeuse.
Il silenzio è calato tra la folla: tutti sanno cosa sta per succedere. Il rumore dei tacchi di Betelgeuse rimbomba nella piazza mentre lei si avvicina alla boccia delle ragazze.
“Per questa edizione, concorrerà nei Giochi…”, desidero con tutta me stessa che la capitolina legga quel nome al più presto, così la chiudiamo qua, ma allo stesso tempo spero che non lo legga. Ho paura.
“…Amy Martin”, sono le sue fatidiche parole. Il mio cuore perde un battito: c’erano solo tre biglietti con il mio nome. Perché?
Tutte le ragazze intorno a me mi fanno strada e io mi posiziono accanto a Betelgeuse. Mi asciugo una lacrima, non mi interessa se i miei avversari mi vedranno così e penseranno che sono già un cadavere ambulante. Voglio solo piangere.
“L’altro concorrente sarà Jacob Blackthorn”, annuncia solenne l’accompagnatrice. Un sedicenne dagli occhi marroni si avvicina al palco e si ferma accanto a me.

Tutta la piazza incomincia a intonare l’inno di Panem e anch’io mi ritrovo a cantarlo, nonostante tutto. Ripenso al discorso di Betelgeuse, sono riusciti a controllare anche le nostre menti.


Greg Grint, Distretto 10


Secondo le stupide leggi di Panem io mi dovrei unire alla sezione femminile per l’estrazione. Perché? Non è che siccome ho un corpo da ragazza allora questo vuol dire che io lo sia anche dentro. Io sono un ragazzo, è così difficile da capire? Probabilmente gli abitanti di Panem sono tutti delle teste bacate.  Non sono dei progressis... progre…? Mi ricordo che a scuola la professoressa ci  aveva insegnato due parole che indicavano queste condizioni. Chi guarda al futuro e chi invece al passato. Cacchio, come si diceva? Ecco, ci sono! Sono dei conservatori! Si, era proprio così. I conservatori e gli altri.
Povera prof. Show, brutalmente fucilata in piazza per averci insegnato queste due parole. 
        
“Ehi, Chuck, Nancy, vi ricordate della prof. Show? Come aveva chiamato quelli che guardano al futuro?”, chiedo ai miei amici. Mi sembra un bel gesto per onorare la sua memoria non dimenticare queste due parole.
“Gli indovini?”, risponde Chuck. Sbuffo spazientito. No, non è quella la parola. Spero che Nancy riesca a darmi una risposta migliore.
“No, Chuck, non quel futuro”, prende la parola la mia amica. “Quelli del passato erano i conservatori, ma gli altri… Iniziava con la “p”, giusto?”.
In tre non riusciamo a trovare una risposta, è inutile scervellarsi. Progre…? Maledizione, non ricordo.
Mi copro il viso col cappuccio, cercando di nascondere il più possibile i miei grandi occhi azzurri. Nonostante tutti gli sforzi che faccio per camuffare questi miei tratti femminili, ci sono cose che proprio non riesco a mascherare: gli occhi, le mani e le spalle restano sempre quelli di una ragazza, purtroppo.
“Chuck, cerca di coprirmi per bene questa volta!”, lo avverto. Tutte le volte che ho tentato di infiltrarmi nella sezione maschile mi hanno sempre beccato. Oggi riuscirò a fregarli, però, ne sono certo. Sarò il tributo maschile del Distretto 10 e finalmente potrò diventare quello che sono per davvero. Vincerò, sono forte, giusto?
“Ciao, Nancy. Vienimi a salutare dopo”, raccomando alla mia amica
“Certo, Greg”, mi assicura lei mentre si allontana zoppicando.
Io e Chuck incominciamo a camminare svelti verso la colonna dei diciassettenni, lui davanti e io dietro. Cammino a capo chino cercando di farmi vedere il meno possibile e incredibilmente riusciamo a mischiarci ai nostri coetanei. Chuck alza il pollice in segno di vittoria. Per tutti questi anni ho tentato invano di venire qua e oggi c’è l’ho fatta! È un segno del destino, vincerò!
Poco dopo arriva sul palco l’accompagnatrice, Didone, che fa partire il lunghissimo video di propaganda.
“Ora che sappiamo il perché di tutto questo, possiamo anche passare all’estrazione”, annuncia pomposa la capitolina. Ok, è il mio momento.
“Mi offro volontario agli Hunger Games!”, esclamo determinato.
“Che entusiasmo che c’è qui al Distretto 10! Vieni, caro, sali pure!”, mi incoraggia a salire Didone.
Presto sono accanto a lei, ma il suo sguardo, da orgoglioso e concitato, si trasforma in un’espressione di pieno disprezzo.
“Ma tu sei una ragazza!”, esclama inorridita. No! Perché è così difficile? Non si vede che sono un maschio?!
“No! Mi chiamo Greg Grint!”, sbraito con le lacrime agli occhi.
“Non farmi ridere: il tuo nome non mi interessa, ma so solo che sarai il tributo femminile per i Quarantesimi Hunger Games”, sentenzia squadrandomi dall’altro al basso.
Sento una rabbia cieca e primitiva ribollirmi dentro e l’aggredisco. Mi scaglio contro di lei: la voglio vedere morta! Non può capire il dramma che mi porto dietro da anni, è come tutti gli altri. Insensibile, frivola e senza pietà. Contrariamente a quanto mi aspettassi, Didone riesce a bloccarmi  e le sue unghie smaltate di oro mi graffiano il braccio. Sento due Pacificatori portarmi via di peso e immobilizzarmi. Didone mi sorride arrogante e si sistema il costoso abito verde smeraldo.
“Bene, ora che questa signorina rappresenterà il Distretto 10 a questa edizione possiamo anche scegliere il tributo maschile”, continua lei, avvicinandosi alla boccia dei ragazzi. Maledetta, sono io quel tributo!
“Max Garrison”. Un tredicenne dai capelli ricci si avvicina incerto al palco, lanciano numerose occhiate alle sue spalle. Una donna deve essere appena svenuta. Didone fa numerose domande al ragazzino e lui risponde in modo educato, sempre guardando la folla che si è riunita attorno alla donna a terra.
La capitolina ordina di fare partire l’inno di Panem e tutti lo cantano solenni. Contrariamente alla tradizione, Didone non dice a me e a Max di stringerci la mano. Vuole la guerra dall’inizio? L’accontenterò.                                                                         

Ester Kingariss, Distretto 11


Io e Judie imbocchiamo una lunga e stretta via poco lontano dalla farmacia della signora Brady e ci incamminiamo verso casa della nostra amica. Procediamo rapide sul cemento pieno di buche e sporcizia, strette tra due fila di case dall’aspetto logoro e dismesso. Sotto miseri pergolati costruiti con materiale di recupero, ci sono adulti dai volti scarni e ragazzini cenciosi in attesa dell’ inizio della Mietitura.
Per tutto il tragitto sento i loro occhi puntati su noi due: sono sguardi indagatori, siccome non ci riconoscono come abitanti della via. Mi fanno paura, mi danno l’idea che tutte quelle vite siano appese a un filo, inevitabilmente sospese su un baratro. È questo l’effetto che fa Panem alle persone? Se è davvero così, non voglio cadere anch’io in questo abisso fatto di desolazione e miseria.             

Afferro il polso di mia sorella intimandole di muoversi. Voglio vedere Flame, lei è l’unica con cui riesco a sentirmi veramente spensierata. Spero tanto che la sua compagnia possa addolcire la giornata, che come inizio non è dei migliori.
Appena arriviamo ad una casa non tanto diversa delle altre ma con un aspetto meno triste e trasandato, busso forte alla porta. Ad aprirmi c’è il signor Fealton, con il suo sorriso malinconico e i suoi capelli già tendenti al grigio, nonostante  abbia solo una cinquantina d’anni. Non c’è poi così tanto da meravigliarsi, un anno a Panem vale almeno come cinque anni di vita.
“Ciao, Ester. Ciao, Judie. Le ragazze dovrebbero essere pronte, ma potete accomodarvi intanto”. Entrambe lo seguiamo all’interno della casa e raggiungiamo il piccolo salone, che funge anche da sala da pranzo e cucina.
“Ehi, Ester!”, esclama Flame, alzandosi vistosamente dalla sedia di legno.
“Ciao, ragazze”, ci saluta Lia, sua sorella maggiore.
“Mamma, noi andiamo”, comunica Flame mentre si unisce a me e a Judie.
“Si, Flame. Buona fortuna”,  ci augura lei leggermente commossa.
Io, Ester, Judie e Lia siamo ormai sulla porta quando mi viene in mente dell’invito di nostra madre. Che idiota che sono!
“Ah, signora Fealton! Dopo la Mietitura siete invitati a festeggiare a casa nostra. Siamo riusciti a comprare addirittura le ciliegie!”, esclamo canticchiando l’ultima frase. So che Flame le adora, e anche la piccola Beatrix.
“Perfetto, cara. Ci saremo, vero Beatrix?”, domanda alla sorellina di Flame e Lia, che sta scoprendo in questi giorni le Mietiture e gli Hunger Games. Poverina, mi ricordo che anch’io ero traumatizzata la prima volta che ne sentii parlare.
La strada del ritorno è stranamente più piacevole rispetto all’andata. Che buffo, sarà la presenza di Lia e di Flame. Le loro battute riportano l’allegria e per tutto il tragitto parliamo di feste e ciliegie.
Ormai siamo però arrivate alla piazza principale del Distretto 11 e siamo costrette a separarci, ognuna nelle rispettive colonne. Io e Flame ci posizioniamo tra le quindicenni e poco dopo salgono sul palco il sindaco, i mentori e l’accompagnatrice, Solovet.
Il suo vestito è veramente ridicolo decorato con righe e pois bianchi, viola e dorati, ma mi mette di buon umore e lo faccio notare a Flame. Per tutto il tempo del discorso e del video io e lei prendiamo in giro il vestito della capitolina e la sua parrucca celeste.
“Il ragazzo che parteciperà alla Quarantesima Edizione degli Hunger Games è… Creedence Ramsay! Possa la buona sorte essere sempre a tuo favore!”, esclama solenne Solovet, mentre un quattordicenne magrolino si avvicina al palco.
“Invece per le ragazze abbiamo..”. Penso al ridicole vestito di Solovet, alla festa e alle ciliegie. Non io, ti prego.
“Judie Kingariss! Possa la buona sorte essere sempre a tuo favore!”, dichiara di nuovo l’accompagnatrice.
Mi copro la bocca con le mani, non può essere. Vedo Judie andare tremante verso il pubblico, mentre Flame mi stringe forte la mano. Sento il mio cuore e la mia mente squarciarsi in un dubbio insormontabile. Non posso stare a guardare indifferente mentre mia sorella muore, io devo fare qualcosa per salvarla. Mi devo offrire: è l’unica drammatica soluzione. Però io no voglio andare, non voglio morire. Non voglio offrirmi. Ho solo quindici anni e tutta una vita davanti. Però non posso non fare nulla! Io devo, è il mio compito di sorella maggiore…
“Mi offro volontaria!”. Queste tre parole mi riempiono il cuore di gioia. C’è una volontaria! Non ci posso credere! Grazie, grazie chiunque tu sia! Judie è salva. Flame e Lia sono salve. Sono salva!
Mi volto per festeggiare con Flame, ma noto che non è più accanto a me. Mi guardo intorno e la vedo sul palco, accanto a Creedence e Solovet.
“Mi offro volontaria!”. La frase mi colpisce in pieno facendomi capire la crudele e veritiera realtà. Crollo a terra. Che cosa ho combinato?


Marco Milani, Distretto 12


Il venditore di mele è davvero un idiota: sta sempre a lamentarsi della sua vita con il suo cane pulcioso. Lo si sente fin da qua a piagnucolare sui prezzi che salgono mentre di merce ce ne è sempre meno.
Monta il suo carretto e si siede su un secchio di latta, poi siccome nessuno compra le sue mele passa le sue giornate a criticare l’economia di Panem con il cane che si porta sempre addietro. Discute per ore e ore e a volte riesce a fermare anche qualcuno per raccontargli le sue strampalate teorie. Mi sorprende che i Pacificatori non l’abbiano ancora fatto fuori, dopotutto sta criticando il governo di Capitol, ma forse nessuno si preoccupa di lui perché tutti sanno che non sarebbe in grado di fare niente. Insomma, come può essere credibile uno che parla di economia a un cane? È solo uno stupido animale che non capisce un accidente! Poi forse non l’hanno fatto sparire dalla circolazione perché non sta direttamente insultando Capitol City e il Presidente Snow, ma la loro economia. Non interessa a nessuno, tutto qui ruota sugli Hunger Games.
L’ennesimo ragazzino passa veloce  accanto alla bancarella e ruba una mela rossissima. Lui non si accorge di nulla, troppo occupato a parlare di altro. Che cretino, ma è quello che si merita per la sua stupidità. Sorrido, gli sta proprio bene. Che gli freghino tutto, gli ingenui non meritano nulla.
Mi alzo dal marciapiede e mi dirigo verso il bancone. Allungo fulmineo il braccio e afferro una mela verde. Me ne vado addentando il frutto succoso. Sono riuscito a fregarlo, ben gli sta.

Poco dopo tempo raggiungo la piazza del Distretto 12, già piena di gente. Sono tutti qua riuniti, tanto questo posto è un buco.
Prendo posto tra i diciassettenni, mentre  tutti quelli intorno incominciano a bisbigliare e a guardarmi male.
“Che cazzo avete da bisbigliare?”, domando brusco ad un gruppo di loro. Se hanno qualcosa da dirmi che me lo dicano in faccia. Li ammazzerò di pugni, vedrai poi chi l’avrà vinta.
“Scusa”, incomincia uno di loro, “è che ci sembri un po’ basso per avere diciassette anni”, si scusa lui.
“E invece ho proprio diciassette anni come te”, assicuro io cercando di finirla il primo possibile. Odio essere così basso, tutti mi scambiano per un tredicenne. Ma non ci posso fare niente, quindi va bene così. 
Il pubblico degli adulti incomincia ad applaudire le figure di spicco che sono appena entrate e noi adolescenti li seguiamo a ruota.
“Questo è un altro anno per me al Distretto 12 ed è davvero emozionante!”, esclama la capitolina sperando di scaldare la folla. Il suo nome non me lo ricordo, ma tanto non è importante.
“Come tutti ben sapete, quarant’anni fa ci fu una terribile rivolta che portò morte e distruzione…”, riprende lei, seguendo il programma da copione. Io non ascolto neanche una parola, tanto è una storia già sentita un miliardo di volte, non mi interessa.
“La giovane fortunata che parteciperà a questa edizione è… Priscilla Lark!”, chiama l’accompagnatrice. Chissà chi è questa ragazza, deve essere molto conosciuta siccome un discreto brusio si è levato dal pubblico.
“Mi offro volontaria al suo posto!”, esclama qualcun'altra. Che noia, ci diamo una mossa? Devo andare in bagno.
“Il giovane è invece… Marco Milani!”. Cavolo, che sfortuna maledetta. Questa non ci voleva. Mi faccio strada tra i miei coetanei e salgo sul palco accanto alla capitolina e all’altra ragazza volontaria.
Dagli auto parlanti suona l’inno nazionale. Vedo che l’accompagnatrice è diventata tutta rossa per l’imbarazzo siccome la melodia è molto disturbata e dagli apparecchi esce solamente un rumore fastidioso. Mi copro le orecchie con le mani, è troppo snervante, mi da fastidio!
“Spegni!”, le urlo. Lei mi guarda scioccata, non aspettandosi sicuramente questa reazione. “Ti ho detto di spegnere! Non lo sopporto!”, continuo, tappandomi le orecchie sempre più forte.
Lei decide di eseguire, troppo spaventata. O forse imbarazzata, non lo so. Sta di fatto che con questa figuraccia si è giocata il posto di accompagnatrice. Ne sono felice, è quello che si merita per avermi fatto sorbire questo suono martellante.
Qualcuno del pubblico sta invece sghignazzando, soddisfatto del fallimento della capitale, mentre la capitolina zittisce finalmente gli auto parlanti. Peccato, niente più inno!
Anche l’altro tributo sta sorridendo e si avvicina a me. “Anch’io non ne potevo più, ma non avevo il coraggio di farglielo notare. Grazie davvero!”, mi ringrazia lei divertita dall’intera scena.
“Figurati”, rispondo imbarazzato. È la prima che qualcuno si rivolge a me con così tanta gentilezza. Sembra avere la mia stessa età e sono felice che sia la mia compagna di sventura. È l’unica cosa positiva della giornata, peccato che non mi ricordi il suo nome, è una ragazza simpatica e mi sembra importante sapere come si chiami.
“Io sono Marco”, mi presento allungando la mano, senza che nessuno mi abbia ordinato di farlo.
“Lo so”, risponde lei, per poi scoppiare in una risata un po’ forzata. Che idiota che sono! Sono stato chiamato quassù una decina di minuti fa, è chiaro che lo sappia! Chissà cosa penserà sapendo che io non mi ricordo il suo…
“Comunque, io mi chiamo Artemide”, continua lei, stringendo la mia mano. È bella la sua, calda e delicata.

Forse non mi è andata così male: andrò a Capitol e abbandonerò il Distretto 12, vincerò e avrò un sacco di soldi e ho anche appena conosciuto Artemide. Poteva andare sicuramente peggio.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      
 
 
 
Finalmente le Mietiture sono finite… Nel prossimo capitolo ci saranno i saluti, una delle mie parti preferite *^*           
Come Prudence, Creedence è un mio tributo. Per la cronaca, io darò sempre la precedenza ai vostri personaggi, quindi non saranno così essenziali per la trama.
Alla prossima!

Comunque, ecco uno schema riassuntivo:
 
DISTRETTO 1                       Galen Willblast, 18 anni                            Shine Lewis, 16 anni
DISTRETTO 2                      Theo Luge, 18 anni                                     Phyllis Levit, 18 anni
DISTRETTO 3                      Aaron Joshua Sanders, 18 anni               Arienne Selene Dioneide, 18 anni
DISTRETTO 4                      Gabriel Perseus Morgan, 17 anni             Prudence Emerson, 16 anni
DISTRETTO 5                      Lorin Alakai, 18 anni                                  Darlene Watson, 15 anni
DISTRETTO 6                      Theodore Gallagher, 12 anni                     Sarah Diane Mackenzie, 18 anni
DISTRETTO 7                      Liam Harris, 12 anni                                   Allie Veniur, 16 anni                 
DISTRETTO 8                     Julivan Sánchez, 15 anni                             Kim McFire, 18 anni
DISTRETTO 9                     Jacob Blackthorn, 16 anni                          Amy Martin, 14 anni
DISTRETTO 10                   Max Garrison, 13 anni                                 Greg Grint, 17 anni
DISTRETTO 11                    Creedence Ramsay, 14 anni                        Flame Fealton, 15 anni
DISTRETTO 12                    Marco Milani, 17 anni                                  Artemide, 17 anni

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Capitolo 6
*** Non c'è futuro ***


Non c’è futuro

 

Meno cinque giorni agli Hunger Games
 



Medea Jenkins, Distretto 2

  
Mi butto sulla poltrona rossa di fianco alla finestra e mi tolgo la parrucca gialla, mentre i miei capelli castani mi ricadono sulle spalle. Ci sono riuscita, non posso più tornare indietro, d’ora in poi questo sarà un percorso in salita verso la soluzione finale. Vincere gli Hunger Games mi permetterà di raggiungere il mio obbiettivo, e portare a termine ciò che è stato iniziato.
Mi porto una mano sul cuore, mi batte a mille. Sento ancora l’adrenalina scorrermi dentro, non ce la faccio a stare ferma. Ho bisogno di qualcosa che mi aiuti a distrarmi mentre attendo l’arrivo Aiden e Ainslee. Devo impegnare la mia mente, devo mettere in ordine qualcosa.
Mi alzo e mi avvicino alla imponente libreria che sta proprio di fronte a me e faccio scorrere le dita sui dorsi dei libri: sono numerosissimi dalle copertine decorate e floreali. Peccato solo che non siano in un giusto ordine cromatico: ad uno ad uno li sfilo dallo scaffale e li dispongo in uno schema più corretto. Una volta che ho inserito anche l’ultimo, lilla con delle piume bianche sulla copertina, osservo il mio operato: ora stanno decisamente meglio, con i colori che variano dal rosso fino al viola, in tutte le loro sfumature. Non mi fa lo stesso effetto che con i miei smalti, ma il principio dopotutto è lo stesso. Fantastico, ora sono davvero sistemati con precisione.
Avverto dei passi veloci provenire dal corridoio, stanno arrivando, finalmente. La porta dello studio si apre ed entrano i miei amici, con i loro capelli biondi e le loro lentiggini. Il primo che mi viene incontro è Aiden, come al solito, sempre più precipitoso ed espansivo.
“Hai fatto un figurone, Phyllis!”, esclama lui.  Sorrido, ringraziandolo, anche se in realtà per me non è fondamentale la loro opinione a riguardo: sono miei amici, è chiaro che tifino per me. Ciò che ora conta è il parere del mentore e del pubblico di Capitol, la mia vittoria dipenderà anche da questo.
“È opera tua questa?”, mi domanda Ainslee, avvicinandosi alla libreria. Sapevo che l’avrebbe notato, ormai non abbiamo segreti tra di noi, conosce tutte le mie manie, come quella di sistemare gli oggetti. “È un po’ inquietante”, commenta lei, scambiando di posto due libri e rovinando la sequenza perfetta di colori. No, forse è bella anche così la libreria, con i due manuali fuori posto. Dà l’idea di qualcosa che sta al di fuori degli schemi. Sorrido divertita, in fin dei conti è proprio come me.
“Promettici che tornerai”, mi supplica Ainslee con le lacrime agli occhi. È strano vederla piangere, lei è una ragazza rigida e introversa, a differenza del fratello. La stringo forte, mentre avverto gli occhi bruciarmi. So che mi mancheranno tantissimo e che anche loro soffriranno a vedermi là, ma tutto questo lo faccio anche per loro. Lotto perché conoscano un mondo migliore, senza ipocrisia e tutto l’orrore che contraddistingue Panem.
“Certo, Ainslee”, le assicuro, “pace, unione e sacrificio”. Loro credono che mi sia offerta volontaria per la gloria, non sanno le mie reali motivazioni, ma una volta che sarò tornata gli spiegherò tutto. Lo devono sapere e forse potrebbero anche decidere di aiutarmi.
“Pace, unione e sacrificio”, ripete lei, recitando il motto di Panem e avvicinandosi alla porta, non dopo aver lanciato un’occhiata complice al fratello.
Io e Aiden restiamo soli, e solo adesso mi accorgo che è arrossito da quando la sorella se n’è andata. Il tempo passa e tra un po’ sarà scaduto, perché non si sbriga a dirmi quello che mi deve dire? Incrocio le braccia, sto diventando nervosa.
“Volevi dirmi qualcosa, Aiden?”, lo incoraggio.
“Ecco, vedi, Phyllis…”, tenta di spiegarmi lui, diventando sempre più rosso, ma le parole gli muoiono sulla bocca.
“Aiden, ci conosciamo da anni ormai! Che c’è, ti vergogni?”, lo prendo in giro sperando di farlo andare avanti, ma lui non sembra apprezzare.
“Io… te lo dirò al tuo ritorno”, termina lui tutto d’un fiato. Sospiro, mi sa che mi devo accontentare.
“Ok, ma dopo non avrai più scuse!”, esclamo, mentre un Pacificatore entra nella stanza e ci annuncia che il nostro tempo è scaduto.

Io e Aiden usciamo dal Palazzo di Giustizia, dove ci raggiunge anche Ainslee. Li saluto un’ultima volta e intanto un Pacificatore mi accompagna alla macchina dove mi attende anche l’altro tributo. La portiera si chiude e il veicolo parte, dirigendosi alla stazione e lasciandoci alle spalle il Palazzo di Giustizia, il Distretto 2 e Ainslee e Aiden.
Guardo fuori dal finestrino, mentre Twilight incomincia a descriverci la capitale, il suo lusso e la sua lucentezza. Io non la sto ad ascoltare, tanto conosco già tutto ciò che mi sta raccontando. Chissà come sarà cambiata Capitol in tutti questi anni.


Darlene Watson, Distretto 5


Saranno arrabbiati, molto. Qui non è una questione di onore, ma di sopravvivenza, e io ho appena messo a rischio la mia. Però non potevo neanche sacrificare quella di Lana, ho agito di impulso e non ho riflettuto.
Penso solo che saranno venti minuti molto difficili, infernali direi. Ho paura soprattutto per il confronto con mia mamma: ripenso alla sua scenata di ieri sera, al mio stupore e alla sua disperazione per la morte di Raphael. È tutto un ripetersi di ciò che è successo ben quattro anni fa: lui che viene estratto, noi che lo salutiamo, le sue promesse e la sua morte. È tutto uguale, l’unica differenza è che Raphael era stato estratto, così come Daniel, mentre io sono qua volontaria. Se non mi uccideranno agli Hunger Games lo faranno loro, ne sono certa. Avverto numerosi passi al di là della porta e mi volto, stanno arrivando. Sono nella merda, letteralmente.
La prima a entrare è mia mamma, che mi colpisce forte alla guancia. ”Sei una stupida, una stupida!”, mi urla contro, mentre mio padre la allontana da me.
“Ivy, basta!”, la trattiene lui, cercando di bloccarle le braccia che lei agita furiosa.
“Che c’è, Maxwell, mi dirai di rilassarmi? Io non voglio stare calma! State tutti contribuendo a rovinarmi la vita!”, sbraita in preda ad un attacco d’ira. Jane si rifugia da Daniel, nascondendo il viso tra le sua braccia e anche Iris si allontana spaventata.
“Sentite…”, esordisco cercando di assumere un tono fermo e autoritario. Dio mio, che cosa ho fatto? Forse… No, gli amici non si abbandonano, mai.
“No, Darlene, sta zitta. Hai già fatto abbastanza”, mi ammonisce glaciale mio padre. Mia madre ha finalmente smesso di gridare furiosa e si è seduta sul divano floreale di fianco alla scrivania.
“Ora parlo io. Nessuno avrà pietà per te e neanche tu dovrai averne, nulla di nuovo. Esisti solo tu, gli altri non ci sono”, mi istruisce severo. “Hai anche la fortuna di avere tuo fratello come mentore”. È mostruoso, come si può ragionare così? A scapito di quell’altro povero ragazzo che mi ha fatto una tenerezza assurda? Ha fatto male vedere i suoi amici così disperati per la sua estrazione....
“Ma, papà, come posso…”, tento di spiegare con gli occhi che mi bruciano.
“La tua vita o la loro?”, mi domanda retorico.
Sospiro. “La mia”, bisbiglio abbassando lo sguardo. Dovrò accettarlo, che mi piaccia o no.
“La tua generosità ti ucciderà”, afferma mia madre. Tutti e cinque ci voltiamo verso di lei, cosa ha appena detto
“Sappiamo come è andata, Raphael è stato altruista e buono e cosa ha ottenuto in cambio? Tu farai la stessa fine”, conclude. Nella sua voce non c’è più rabbia o disperazione, ma solo odio. Si sta sgretolando, e io non ho fatto nulla per impedirlo, anzi ho partecipato alla sua distruzione.
“Darlene non è Raphael, lei tornerà”, controbatte Iris, completamente in lacrime. “Ne sono sicura, è così, vero?”, continua rivolgendosi verso di me. Annuisco debolmente, vergognandomi profondamente di tutte le volte in cui l’ho mandata a quel paese per la sua puntigliosità.
“Tempo scaduto”, annuncia un Pacificatore interrompendo la tragedia. Tutti mi abbracciano, poi escono.

Mi volto verso la finestra e appoggio le mani sulla fronte. Perché mi sono offerta?! Forse a quest’ora non sarei qua, ma… ci sarebbe Lana. Scuoto la testa, non posso pensare a questi termini disumani anche con la mia amica. Guardo l’orologio, tra un po’dovrebbero arrivare.   La porta si apre per la seconda volta e compaiono Lana e James, entrambi sconvolti. La prima che mi corre incontro è la sorella, che mi abbraccia stretta.
“Lana, non piangere”, la consolo asciugandole le lacrime.
“E come potrei? Se poi penso a quello che dovrai affrontare e ciò che è già successo alla tua famiglia, mi sento ancora più colpevole”, mi spiega. Non ci credo. Io l’ho fatto per lei, per la nostra amicizia! Non sa dirmi nient’altro?
“Basta, non ne posso più”, supplico esasperata.
“Che c’è, ti aspettavi forse un “grazie per esserti offerta volontaria al mio posto”?”, mi rimprovera staccandosi da me. “Credi che ora io sia più sollevata? Che ti sia grata?”, mi domanda sibilando le frasi.
“Ora stai esagerando, Lana”, mi difende James, ma non lo ascolto, questa è una questione tra noi due.
“Ti ho appena salvato la vita!”, le ricordo incominciando ad arrabbiarmi.
“Ma come pensi che passerei il resto della mia vita se tu dovessi morire? Ti avrei per sempre sulla coscienza! Darlene, ma ci hai riflettuto?!”, mi accusa puntandomi il dito contro.
La sua dichiarazione mi ferisce profondamente, e io che credevo…
“Ora vi lascio soli”, sospira Lana, “ti chiedo di tornare comunque, Darlene. Fallo per me, per James, per la tua famiglia e per te stessa”. Lei esce dalla stanza, abbandonandomi con questo monito.

“Tu cosa hai da rimproverarmi invece?”, domando a James sulla difensiva. Lui non replica, si limita a piangere in silenzio. Restiamo così per qualche secondo, ma non ne posso più di questa tranquillità snervante.
“Abbracciami”, gli ordino e lui ubbidisce.


Theodore Gallagher, Distretto 6


Cammino avanti e indietro per il salotto lanciando numerose occhiate all’orologio a pendolo, incastrato tra due librerie. Nella mia mente continua a ricrearsi l’immagine di mio fratello con il volto rabbioso per la mia decisione.
Scuoto la testa, è stata una mia scelta quella di prendere il suo posto, Jamie non mi può dire davvero nulla. Ho dodici anni, sono perfettamente in grado di intendere e di volere, mica sono come lui, che fa le cose alla cavolo. Ho agito nel giusto, questa volta sono io dalla parte della ragione.
La porta si apre e ad uno ad uno entrano i miei famigliari e dalle loro facce più o meno furiose o più o meno disperate, posso solo dedurre che non l’hanno presa benissimo. Certo me lo immaginavo, ma qual era l’alternativa? Jamie sicuramente spacciato oppure io con qualche speranza?
“Ti sei bevuto il cervello, Teddy? Che cosa hai fatto?!”, mi grida contro lui, come mi aspettavo. Se non avesse il gesso alla gamba probabilmente mi sarebbe già saltato addosso. 
“Non potevo lasciarti andare! Saresti morto!”, controbatto cercando di assumere il tono più convincente e autorevole possibile.             

“Non hai risolto la situazione, così sei tu quello in pericolo!”, continua lui con le lacrime agli occhi incapace di sentire qualsiasi ragione. Sapevo che avrebbe reagito così male con tutte le paranoie che ha. Sospiro mentre lo guardo sedersi sulla poltrona verde non riuscendo a sopportare il dolore alla gamba. Be’, almeno è ancora vivo.
“Teddy, sei stato coraggioso e meritevole, ma…”, esordisce Cherry cercando si trovare le parole giuste “hai dodici anni e…”, tenta di terminare ma la frase le muore in bocca.
“E ventitré avversari la cui maggior parte saranno più grande di te”, conclude Jamie guadagnandosi un’occhiata fulminante da parte di nostra sorella.
“Sono io il maggiore, dovevo essere io ad offrirmi al posto tuo!”, ricomincia mio fratello che probabilmente non ha ancora accettato il tutto. Che centra se è lui il maggiore? In questo caso ero io che dovevo salvare lui.
“Perché, Theodore? Tanto è finito tutto per me: con una gamba ridotta così non posso lavorare e dopo quell’incidente anche la mia reputazione è stata rovinata! Dovevo andare io”, sbraita Jamie, incapace di accettare lo stato delle cose.
“James, basta!”, lo zittisce Cherry. “Theodore”, incomincia lei autorevole stringendomi le mani tra le sue “possiamo solo dirti di stare attento, e di non fidarti di nessuno, ti prego”, mi istruisce lei profondamente commossa.
“Sì, te lo prometto”, la consolo abbracciandola. Mica sono stupido, lo so che devo stare in guardia, non voglio deludere i miei fratelli. 
“C’è un’altra visita!”, esclama un Pacificatore aprendo all’improvviso la porta del salone. Abbraccio tutti: Cherry; poi Dara e Petra, che mi tempestano di domande su dove io stia andando; bacio sulla guancia il piccolo Axell e infine vado da James, che mi guarda duro.

Una volta che se ne sono tutti andati mi sistemo la maglietta e mi do un’aggiustata ai capelli, purtroppo nella stanza non c’è uno specchio, ma spero di essere comunque presentabile per l’arrivo di Nyssa. Sono certo che verrà.
Poco dopo la vedo entrare e non mi è mai sembrata così carina, con i gli occhi scuri e le guance leggermente rosse.
“Ti sono venuta a salutare, Theo”, inizia lei chiamandomi con un soprannome più maturo: ho dodici anni e Teddy è un nomignolo per i bambini.
“Ciao, Nyssa”, rispondo anch’io. Mi devo fare coraggio, ora o mai più. Lei guarda veloce l’orologio e si avvicina a me. Manca poco tempo, mi devo muovere.
“Mi giuri che tornerai? Ricordati che dobbiamo finire quella recita insieme”, mi dice lei con il sorriso più bello che abbia mai visto.
“Certo che te lo giuro”, replico mostrando un sorriso spavaldo. Il tempo è sempre meno, il suono del pendolo rimbomba nella stanza come promemoria per ciò che ci attende. “Una volta che tornerò, Nyssa, vuoi diventare la mia fidanzata?”, le domando diretto. Finalmente ce l’ho fatta, questo era il momento giusto.
Lei rimane pietrificata per qualche secondo poi la sua risata sovrasta il ticchettio delle lancette. Aggrotto le sopracciglia, perché sta ridendo? È una cosa seria, è il nostro futuro!
“Ci penserò, Theo, tu impegnati a tornare”, mi lascia lei, stampandomi un bacio sulla guancia. Non era la risposta che mi aspettavo, ma va bene comunque. Non mi ha detto “no” e poi io tornerò per lei.

L’ultimo ad arrivare è Yero e la cosa mi riempie di orgoglio. Vuol dire che con questo mio gesto sono anche riuscito a catturare l’attenzione di uno furbo e ingegnoso come lui.
“Be’, Theodore, cosa posso dire? Buona fortuna”, mi augura lui sorridendo amaro e porgendomi una pinza da lavoro.
“Ti aspettiamo”, mi saluta lui con queste parole. Lo guardo uscire mentre la porta si richiude alle sue spalle.
Due Pacificatori mi accompagnano al treno dove ad attendarmi ci sono Raven, il mentore e l’altro tributo. L’entrata del treno si apre automatica, mostrandoci uno scorcio dell’interno, arredato con lusso ed eleganza. Ok, si comincia.                                                                                                
Jacob Blackthorn, Distretto 9


Non  posso mollare tutti in venti minuti, è impossibile. Abbandonare i miei amici, la mia famiglia e Lena in così poco tempo? Mi rifiuto. Ma cosa posso fare, questa potrebbe anche essere l’ultima volta che li vedrò e se solo ci penso…
Tra tutti i ragazzi che ci sono al Distretto 9 perché sono stato scelto io?! No me lo meritavo proprio. Ricaccio indietro le lacrime, la mia famiglia non deve assolutamente vedermi piangere, mi sfogherò più tardi, con Kevin, Xavier e Lena.
La porta si apre per la prima volta e appaiono mamma, papà ed Emma, che è la prima a corrermi in contro. Mi stringe forte alla vita, poi solleva il suo il suo viso sottile e mostra in un allegro sorriso la finestrella al posto degli incisivi.
“Parti?”, mi chiede curiosa, “Vai alla capitale, vero?”.
“Si, Volpe, visiterò Capitol”, le spiego cercando di nasconderle la verità della mia partenza. Ha solo sette anni e per lei i termini “Mietitura” e “Hunger Games” non significano nulla, se non qualcosa che è stato accennato ogni tanto durante l’anno. Per ora è meglio che non sappia niente, magari più avanti se non dovessi tornare, ma ora bisogna mentire.
“Mi porterai qualcosa?”, mi domanda speranzosa, alzandosi in punta di piedi.
“Sì, ti porterò un bellissimo braccialetto”, le assicuro mostrandomi il più sicuro e rilassato possibile, anche se dentro di me mi sento esplodere.
“Ma poi torni, non vai a vivere là”, mi interroga leggermente più dubbiosa.
Il mio cuore perde un battito, e ora cosa le rispondo? Cerco i miei genitori con lo sguardo e loro annuiscono debolmente. “Certo, Emma, tornerò da te”, la rassicuro.
Mi stacco da lei e vado ad abbracciare i mei genitori, prima mia madre e sento le lacrime corrermi giù dalle guance. Basta, è inutile lottare.
“Devi essere forte, Jacob, e trovarti un alleato”, mi consiglia lei, accarezzandomi la schiena.
“Anche voi”, le ricordo facendo riferimento alla peggiore delle ipotesi. La sento irrigidirsi e poi rilassarsi nuovamente, forse accettando anche quest’altra terribile opzione. Poi vado da mio padre, che mi pare invecchiato in un colpo solo.
“Tu devi metterci tutto te stesso, però”, mi incoraggia lui. “Ne hai tutte le capacità”, continua lui sorridendo malinconico.
Mi volto verso Emma, che intanto si è seduta sul divano blu e sta ammirando la stanza. “Se dovessi morire, spiegatele cosa sono gli Hunger Games”. Loro annuiscono, poi un Pacificatore li trascina fuori dalla stanza, lasciandomi solo. Ora ci saranno i miei amici e anche con loro sarà un’impresa, ma riuscirò sicuramente a confidarmi meglio. La porta si apre per la seconda volta e compaiono Kevin e Xavier. 
“Noi…”, inizia Kevin, cercando una frase adatta.
“Non c’è nulla da dire”, lo interrompo. Loro abbassano lo sguardo affranti e neanche Xavier, che ha sempre la battuta pronta, riesce a controbattere. Mi viene quasi da sorridere, sono proprio messo male.
“Non so se ce la potrò fare”, riprendo riuscendo finalmente a confidarmi, “avrò ventitré avversari, anche più forti di me, e non so cacciare né pescare. Non sono bello o particolarmente carismatico: non ho tratti che mi potrebbero rendere popolare tra gli sponsor”.
“Non puoi ragionare così però, Jacob!”, mi rimprovera Xavier, “Ok, forse non sarai il tributo più ricercato, ma se ti trovi un alleato fedele potresti anche farcela: sai usare la falce e sai riconoscere le piante. Non è abbastanza?”, mi domanda retorico lui.
“Agli Hunger Games si basa tutto sulla fama!”, controbatto sull’orlo della disperazione. Non capiscono che sono un uomo morto, spacciato, defunto? Un cadavere che cammina!
“Sì, ma contano anche altre cose, che tu possiedi: l’arma, le tecniche di sopravvivenza e il sangue freddo”, mi elenca Kevin.
“Sangue freddo? Per uccidere dei ragazzi che non ho mai visto?”, domando accusatorio. Loro si guardano per un secondo, poi Kevin riprende la parola: “Sì”, conclude lui.
L’ennesima guardia sbuca fuori dalla porta intimando ai miei amici di uscire. “Ci vediamo presto, Jacob”, mi saluta Xavier.

Per ultima entra Lena, completamente in lacrime. La consolo, cercando di rassicurarla, anche se lei non vuole sentire ragioni.
“Li devi uccidere tutti!”, mi supplica lei tra il pianto e le grida. Ogni mio tentativo è vano, però. Non so più cosa inventarmi, ho tentato di tutto, ma cosa si può dire in casi come questo?
“Farò tutto il possibile, Lena, non posso prometterti altro”, termino. Lei mi guarda allibita per poi coprirsi la faccia con le mani. I suoi singhiozzi mi lacerano il cuore, ma non posso farci più niente.
“Lena, se io dovessi morire, tu devi trovarti un altro ragazzo: non vivere per sempre nel mio ricordo, ok?”, le dico.

La bacio, cercando per dimenticare per un momento il futuro, che forse neanche esiste. 
 
 
 
 
 
 
Capitolo drammatico, solo non credevo che le famiglie avrebbero reagito in modo festoso pensando al gesto eroico dei figli(e)/ amici/ fidanzati(e).
Ho pubblicato presto perché volevo rimediare al ritardo dell’altra volta.
Ciao!                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

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Capitolo 7
*** Rette ***


                           

   Rette

                                                                                                         

 
 
Meno quattro giorni agli Hunger Games
 


Liam Harris, Distretto 7


Un corpulento Pacificatore piomba senza preavviso nella stanza intimando alla mia famiglia di uscire, il tempo è appena scaduto.
Più lui cerca di staccarmi dai miei genitori più io tento di stringerli forti: so che non li rivedrò ancora e pure loro lo sanno. Non c’è mai stato un dodicenne come vincitore e io di certo non sarò il primo, ma solamente uno dei tanti.
Il Pacificatore mi afferra con tutte e due e le braccia e riesce a staccarmi da mia mamma. L’ultima cosa che sento dire da loro è un consiglio oppure una supplica ormai impercettibile gridata da mio padre "Impegnati!". 

L’uomo mi stringe forte il braccio e mi trascina di peso per tutto il corridoio del Palazzo di Giustizia, ignorando profondamente tutte le mie suppliche e le mie lacrime.
“Muoviti, non ho tempo da perdere con te!”, mi sibila lui, facendo sempre più pressione sul braccio.
La sua minaccia ha l’effetto contrario e incomincio a singhiozzare sempre più forte e intanto raggiungiamo il grande atrio: ai lati ci sono sue file di bianche colonne e numerose sedie di legno, semplici ma eleganti. Al cento del grande spazio ci sono tre donne, che riconosco essere l’altro tributo, Kitty e la mentore. 
La seconda mi guarda riprovevole una volta che il Pacificatore mi ha accompagnato da loro. “Asciugati il naso, moccioso”, mi sgrida l’accompagnatrice con la bocca piegata in una smorfia di disgusto. Cerco di fare il meglio possibile asciugandomi il naso e gli occhi con la manica della camicia, anche se si rivela del tutto inutile siccome ora è la mia maglietta a essere impresentabile.
“Non così, incapace!”.
“Vuoi chiudere quella bocca! Non lo vedi che è solo un bambino!”, mi difende la ragazza che è stata scelta insieme a me, anche se ora non mi ricordo il suo nome.
"Basta, ora non è il momento. Allie, chiedi scusa a Kitty, e tu, Kitty, non rivolgerti mai più in questo modo a Liam, sei totalmente incapace di comprendere anche un minimo la sua situazione”, interviene autorevole la mentore.
“Ma chi sei tu per dirmi queste cose?!”, esclama furibonda l’accompagnatrice, mentre il suo volto diventa di mille colori.
“Posso  dirti tutto ciò che mi pare dato che senza di me tu saresti stata licenziata. Se non avessi vinto cinque anni fa e non avessi riabilitato il tuo nome di accompagnatrice a quest’ora saresti già stata dimenticata”, ribatte la mentore guardando Kitty con aria di sfida. Un sorriso si increspa sulle labbra di Allie mentre la capitolina ci rivolge uno sguardo truce. Ben ti sta, brutta strega!

 

Le porte del Palazzo di Giustizia vengono aperte da alcuni Pacificatori e tutti e quattro scendiamo per la scalinata diretti al treno che ci porterà a Capitol City. Intorno a noi ci sono gruppi di persone che stanno assistendo alla nostra partenza, e tra di loro trovo anche la mia famiglia. Tomas tiene lo sguardo basso, sentendosi troppo colpevole per non essersi offerto volontario. Me lo ha confessato prima: aveva pensato di prendere il mio posto, ma poi aveva avuto paura e quindi…
Non ho avuto il coraggio di dirgli che anch’io avevo sperato che si offrisse volontario per me, dopotutto è mio fratello maggiore, ma cosa posso pretendere?

La porta automatica di un vagone  si apre e uno dopo l’altro saliamo. Poco dopo il treno parte a tutta velocità e noi seguiamo la mentore in uno scompartimento arredato con tantissime portone verdi e alcuni divani molto lunghi.
“Sediamoci qua”, consiglia lei, indicando quattro poltrone disposte una di fronte all’altra. “Io mi chiamo Remember e sono qui per aiutarvi. Arrivati a Capitol ci sarà la sfilata e poi gli allenamenti, la sessione privata e infine le interviste: in ogni campo dovrete dare il meglio di voi per fare colpo sugli sponsor”, ci istruisce Remember, ripetendo quel discorso che deve avere già fatto parecchie volte. “Mi raccomando: gentilezza, fascino e audacia”.  Gentilezza? Fascino e audacia? Stiamo scherzando?
“Ci possiamo trovare anche degli alleati?”, domanda Allie.
“Sicuro”, risponde la giovane donna, “anzi, sarebbe meglio”.
“Ma possiamo scegliere tra tutti?”.
“Si, tra tutti, ma dovrete essere molto attenti e selettivi”. Che strane domande, possibile che lei abbia già in mente qualcuno? Ma come è possibile dato che le repliche saranno stasera?

 

Improvvisamente davanti a noi compare una recinzione di filo spinato e due torrette bianche circondate da Pacificatori e alcune camionette.
“Cos’è?”, chiedo a Remember.
“Il confine del Distretto 7”, mi risponde lei, guardando malinconica la recinzione.
“Quali sono i distretti che confinano con il 7?”, domanda Allie, ammirando il panorama fuori dal finestrino.
“Nessuno”, risponde enigmatica la mentore.
“Come nessuno?”, la interrogo sempre più incuriosito e anche la mia compagna si fa più attenta.
“I distretti non confinano tra di loro, ma vengono separati da vaste aree che non appartengono a nessuno”, spiega Kitty.
“E cosa c’è in queste zone?”.
“Città”, continua Remember , “il mondo prima di Panem”.

 
 Arienne Selene Dioneide, tributo del Distretto 3, treno


 “Certo che voi tre siete proprio una compagnia fantastica!”, commenta ironica Minta, allargando le braccia in modo teatrale.
“Perdonaci, Minta, è che non siamo dell’umore”, si scusa il nostro mentore.
“Non c’è da stupirsi, me lo ripeti ogni anno, vero Uranus?”, replica sorridendo beffarda. Il mentore abbasso lo sguardo e borbotta qualcosa imbarazzato. Viene anche a me da sorridere, però: non la facevo così sveglia e perspicace, Minta.

L’accompagnatrice mi fa l’occhiolino in segno di complicità e poi decide di sedersi sull’enorme divano di pelle nera. Ogni sua mossa è calcolata nei minimi particolari, dal modo in cui si siede a come muove le mani e il capo, ma non per questo i suoi movimenti risultano rigidi o impacciati, anzi, sono eleganti e sinuosi. Per lei deve essere facile siccome ha passato tutta la sua vita in un luogo altolocato come Capitol.
Continua ad osservarci: prima Uranus, che sta sfogliando una rivista di architettura; poi Aaron, che sta scrivendo qualcosa su dei fogli, e infine posa il suo sguardo su di me. I suoi occhi mi danno fastidio, però, sono penetranti e inquisitori. E pensare che alle Mietiture avevo catalogato Minta come “capitolina con poco sale in testa e frivole manie”! Tutt’altro! Questa è una donna di potere.

"Le repliche non dovrebbero iniziare tra poco?”, domando con la speranza di distrarre Minta dall’osservarci tutti ad uno ad uno.
Il mentore da un’occhiata veloce all’orologio da polso “Sì, tra cinque minuti”, risponde prendendo il telecomando e accendendo la televisione. “Il momento delle Mietiture è estremamente importante perché avete l’opportunità di farvi un’idea dei vostri avversari”, ci ripete lui. Devo ammettere che Minta ha ragione, Uranus ripete sempre le stesse cose. Anch’io mi ridurrò così una volta tornata a casa? A un automa che ripete sempre le stesse frasi di rito?
“Ma è solo un’opinione”, obbietta l’altro ragazzo.
“A volte le prime impressioni possono essere le più azzeccate”, risponde enigmatica Minta.

 
Sullo schermo della TV compaiono i due presentatori, Cesar Flickerman e Claudius Templesmith, che incominciano a fare aneddoti scherzosi e commenti per scaldare il pubblico in attesa dell’inizio del programma.
"Direi che è arrivato il momento di mostrare agli abitanti di Panem i nuovi tributi! Scommetto che moriranno tutti dalla voglia di vederli!”, esclama concitato Cesar.
“Sì, e direi che possiamo partire dal Distretto 1”, conclude Claudius e poco dopo la scena cambia, mostrando una veduta della piazza.
Come al solito c’è un volontario e una ragazza con una maglietta veramente brutta; dal 2 una ragazza con una parrucca giallissima e truccata in modo vivace; poi la scena si sposta su me e Aaron: entrambi rivediamo la chiamata dell’accompagnatrice e infine il nostro gesto di offrici volontari.
“Siete stati bravi, e poi siete volontari: un altro punto in favore per voi”, commenta con un leggero sorriso il mentore.
Dal 4 c’è un ragazzo che fa una figuraccia in diretta nazionale; nel 5 invece scoppia un mezzo casino: a parte le urla isteriche di una donna, suscita particolare attenzione il caso del ragazzo: passano diversi minuti senza che succeda niente, poi il capo dei Pacificatori sale sul palco e chiede se ci sono altre persone che portano lo stesso cognome di questo Lorin Alakai. Si fa avanti una ragazza dai diciottenni e pochi secondi dopo viene violentemente afferrata da alcuni Pacificatori. Il capo (che intanto è sceso dal palco) estrae una pistola e la punta dritta nella fronte della sventurata. “Se il tributo non si va avanti, qui al Distretto 5 oggi ci sarà un cadavere in più!”, sbraita contro la folla. Dopo un po' un ragazzo si fa avanti a fatica, cercando di liberarsi dagli amici che tentano di fermarlo inutilmente.
“Interessante”, commenta Minta. Devo ammettere che è stato qualcosa che non mi era mai capitato di vedere.
Dal Distretto 8 c’è invece un quindicenne sulla sedia a rotelle. “È possibile?”, domando inorridita.
“Nulla ti vieta di partecipare agli Hunger Games”, risponde Uranus.
Volontari e non si susseguono fino al 10, quando la ragazza tenta di aggredire e uccidere la capitolina. “Ah! Avrà davvero un bel daffare Didone!”, esclama divertita l’accompagnatrice.
E infine il Distretto 12, che per l’ennesima volta è lo zimbello dell’intera nazione. 
                                                                                               
“Sono state delle Mietiture…particolari”, riprende la parola Cesar, facendo sicuramente riferimento alle Mietiture del 2, del 5, dell’8 e del 10.
Mi alzo scocciata. “Dove vai, Arienne?”, mi chiede il mentore.
“A dormire”, rispondo brusca. Che senso ha continuare a guardare? Stasera io e Aaron non siamo stati nessuno, solo gli ennesime volontari. Ce ne sono tanti in ogni edizioni e a grandi linee tutti per gli stessi motivi. A Capitol interessa forse se con il nostro gesto abbiamo salvato delle vite?                                                                                                     

Artemide White, tributo del Distretto 12, treno
 


La tavola è abbastanza lunga ed è interamente di vetro: è la prima volta che ne vedo una, nel Distretto 12 sono tutte di legno scadente oppure di compensato, mentre questa è così bella, così splendente…
La luce che entra dal finestrino si riflette nel complicato lampadario di cristallo che pende dall’alto e crea delicati giochi di luce che si riproducono nella parete metallizzata.
Intorno al tavolo ci sono sei sedie e all’estremità opposta del vagone c’è un comodissimo divano a righe bianche e celesti, accompagnato da altre due poltrone del medesimo tessuto e un tavolino pieno di riviste. La tavola e il salottino sono separati da una fila di imponenti piante dalle foglie verdissime e larghe. E pensare che questo è solo lo scompartimento di un treno!

“Buongiorno, Artemide!”, mi saluta allegra Swan, la nostra accompagnatrice e mentore, siccome il 12 è l’unico distretto in tutta Panem a non aver ancora avuto un vincitore. Magari potrei essere io la prima...
“Serviti pure”, mi sorride amorevole, mentre con la mano indica i dolci sulla tavola. Cavolo, credo di non averne mai visti così tanti in tutta la mia vita: cup-cake decorati con figure di zucchero e perline, pasticcini e torte coloratissime e glassate. Decido di assaggiarne una completamente rosa e ricoperta di margherite. È fantastica, soffice e dolce.
Poco dopo riempio il piatto con ogni sorta di dolce, devo mettere su qualche chilo. Come mi hanno consigliato i miei genitori… Erano piuttosto arrabbiati, anche lo zio mi ha rimproverata: dicevano che non mi dovevo offrire e che dovevo ignorare quella ragazzina cieca che avevano appena chiamato. Ma come potevo? La mia coscienza ha avuto la meglio e… e ora mi trovo qua. È stata carina quella ragazza, però, mi è venuta a salutare e mi ha anche assicurato che farà il tifo per me. Come è andata è andata, ora mi devo solo impegnare a vincere.

Swan mi guarda con rimprovero, mentre la porta automatica del vagone si apre. Marco entra nel salottino e la nostra mentore abbassa lo sguardo, memore della figuraccia dell’altro giorno. Invece di sedersi accanto a Swan, che sta a capotavola, il mio compagno di sventura prende posto accanto a me, facendo stridere la sedia contro il pavimento. Lui mi sorride, mentre prende un pasticcino dal vassoio argentato. Mi piace Marco, certo è un po’ scontroso e maleducato, ma con me si è mostrato cortese. E poi ieri mi ha fatto ridere, quanto ha gridato a Swan di spegnere gli altoparlanti, oppure quanto ha fatto quella gaffe dimenticandosi il mio nome: avevo capito che non se lo ricordava e che cercava di nasconderlo per non fare una figuraccia.

“Allora, ragazzi, tra qualche ora dovremmo essere arrivati a Capitol City e lì verrete affidati al vostro staff, che vi preparerà per la sfilata di stasera”, ci spiega la mentore, sempre più emozionata mano a mano che ci avviciniamo.

“Grazie per tutte queste informazioni, Swan”, la ringrazio cercando di essere il più gentile possibile dato che sarà compito suo poi parlare di noi al pubblico e agli sponsor, facendo risultare le nostre qualità.                                  
“Non abbiamo bisogno di questi consigli”, controbatte Marco, che evidentemente non ha ancora compreso l’importanza di essere educati con Swan. Gli pesto il piede, sperando di farlo zittire.
“Come, prego?”, domanda la capitolina diventando sempre più rossa. No, no! Non possiamo farcela nemica! Già ci deve aver preso un po’ in antipatia per la faccenda di ieri.
“Ecco, vedi, Swan, Marco  non intendeva offenderti…”, le spiego cercando di essere credibile.
“E invece sì”, continua lui, comportandosi come un bambino che fa i capricci. La mentore si alza di scatto, facendo stridere la sedia.
“Se sapete come cavarvela da soli, allora qui non c’è più bisogno di me!”, esclama allontanandosi inviperita dallo scompartimento.
Ti faccio i miei complimenti! Ora mi spieghi come facciamo?!” , mi rivolgo a lui alterata, una volta che la nostra ex-mentore è uscita. Sto aspettando una spiegazione.
“L’ha detto lei stessa: ce la caviamo da soli”, continua lui pacato. Basta, è meglio che ripari a questo casino. Mi alzo anch’io e mi avvicino alla porta automatica.
“Dove vai?”, mi chiede allarmata una voce alle mie spalle.
“Secondo te? A riparare al disastro che hai combinato”, rispondo con un tono sempre più acuto.
Lui abbassa il capo, forse sinceramente dispiaciuto. “Scusa, è che...”, riprende lui cercando le parole giuste, “non sopportavo più la sua ipocrisia. Vederla allegra mentre noi rischiamo di morire mi ha fatto perdere le staffe, Artemide”, mi spiega.
Le sue parole mi fanno riflettere: rivedo Swan parlarci solo di sfilate e gioielli, di onore e gloria per il vincitore. Niente umanità o compassione. Mi volto verso il mio compagno e lo guardo per un po’. In fondo in fondo non ha tutti i torti.
“Sai, Marco, forse hai ragione: non abbiamo bisogno di lei, ce la possiamo fare benissimo noi due”.
 

Julivan Sánchez, tributo del Distretto 8, treno

Vedo il paesaggio scorrere al di fuori del finestrino: prati incolti di un verde scuro si alternano a zone cementificate dove sorgono gli scheletri fatiscenti di alcuni grattaceli, simbolo di quello che era il mondo prima di Panem.
Le immagini arrivano confuse ai miei occhi e poi si concretizzano in una frazione di secondo, per ritornare infine confuse una volta superato il mio campo visivo. 
Il treno è un’esperienza fantastica, è la prima volta che ne prendo uno e per essere precisi, è la prima volta che salgo su un mezzo di trasporto. Non ho ancora capito esattamente come funzioni, cioè, io sono fermo, come il divano e la libreria, ma il treno si sta muovendo. Come è possibile? Forse per capirlo meglio dovrei essere in grado di camminare.

È da quanto siamo partiti che me ne sto qui attaccato con gli occhi sul finestrino, non vedo l’ora di vedere Capitol. O meglio, non vedo l’ora di vedere Capitol come città, anche perché quello che mi aspetta non sarà per nulla piacevole.
Mi tornano in mente i pensieri che ho avuto la sera prima della Mietitura, al mio desiderio di raggiungere un giorno quell’indipendenza fisica che hanno le persone senza handicap, e di essere in grado di badare a me stesso senza l’aiuto di mio padre. Volevo dimostrare a tutti che ero capace di vivere onestamente e di saper fare qualcosa di utile, anche senza l’uso delle gambe. Ma ora sono arrivati gli Hunger Games e io sono in un netto e mostruoso svantaggio. Come ha detto papà, devo trovare un alleato fedele e gentile, che sappia vedere in me come una possibilità, non come l’ennesimo peso.


Improvvisamente la porta automatica si apre e nello scompartimento entrano Rio, la mentore e Kim. Tutte mi imitano e rivolgono il loro sguardo al paesaggio al di fuori del finestrino.
“Stiamo arrivando”, ribadisce Kayoko. Rio incomincia ad agitarsi sempre di più e Kim ha il naso premuto contro il vetro.
Il treno attraversa dei binari costruiti su una passerella sull’acqua, e davanti a noi si erge la capitale, circondata da imponenti montagne sulle cui cime si intravede ancora della neve. Siamo sempre più vicini e il cuore mi batte forte, me lo sento rimbombare nel petto.
Enormi palazzi dalle linee eleganti e geometriche si alternano a grattaceli futuristici sulle cui pareti brillano spot pubblicitari dai colori quasi accecanti. Gli edifici sono grigi, ma a differenza di quello opaco e smorto che domina il Distretto 8, quello di Capitol City è luminoso e argenteo, dalle superfici metallizzate che riflette la luce del sole.
Gli hovercraft volano veloci nel cielo e planano sulle stazioni di atterraggio posizionate sul tetto degli edifici più colossali.
La passerella è quasi finita e il treno sta per entrare nella città, ma prima passiamo accanto a fontane di marmo bianco posizionate alle porte della capitale che raffigurano mostri marini e dei mitologici e dalle loro bocche escono getti d’acqua che si alternano in fantasiosi giochi d’acqua. È fantastica, è il simbolo del progresso e dell’ostentazione insieme.

Il mezzo rallenta sempre di più e si ferma in una stazione, dove ad accoglierci ci sono centinaia di capitolini. Appena vedono il treno, la folla si fionda nella nostra direzione, acclamandoci e battendo le mani. 
Tutti indossano abiti che riflettono il carattere della città: assurdi, pomposi e decorati eccessivamente. Mi sembra un po’ strano che questi completi vengano creati dagli abitanti dell’8, che contrariamente vestono con colori neutri.
“Allora, ragazzi, so che tutto ciò potrà sembrarvi inutile, oltre che crudele”, incomincia Kayoko “ma sarà di estrema importanza per ottenere sponsor in seguito. Quindi sorridete e siate gentile, con i vostri stilisti e con il pubblico”, conclude poi.
Rio supera tutti e tre e si avvicina sinuosa al portello. Sorride, in fin dei conti questo è un anno come gli altri per lei. 
Lentamente avvicina la mano al bottone di apertura della porta e ci guarda ad uno ad uno negli occhi: “Questo è per voi”, afferma schiacciando il pulsante.

 
Flame Fealton, tributo del Distretto 11, Capitol City


La porta automatica del vagone si apre e la nostra uscita è accolta da una selva di fischi e applausi. La folla grida il nostro nome: sento chiamarmi da tutte le parti e ruoto la testa in ogni direzione, dove il pubblico sta aprendo un passaggio per farci passare. È la prima volta che vedo così tante persone così accalcate, neanche alla Mietitura del Distretto 11 ce ne sono così tante!
Io, Creedence, Solovet e il nostro mentore ci facciamo largo tra lo stretto sentiero che si è aperto: intorno a noi i capitolini sono tutti vestiti in modo diverso e i colori sono davvero tantissimi, dalle molteplici sfumature, da farti quasi venire mal di testa. Rosa shocking, giallo canarino, turchese e verde brillante: credo di non aver mai visto nulla di più bello.
Numerose braccia coperte da guanti e gioielli si allungano per stringere le nostre mani e augurarci “felici Hunger Games”, mentre alcuni giornalisti fanno veloci domande a Solovet e ad Antares. In particolare gli abitanti si rivolgono a me, facendomi i complimenti per il mio eroico gesto di prendere il posto di quell’altra ragazza che era stata estratta. Sorrido educatamente ringraziandoli per il loro supporto.        “Perché li stai ringraziando?”, mi domanda sottovoce Creedence.
"Non gli sono veramente grata”, obbietto. “È che…”.
"Allora potresti evitare di fingere”, continua lui, ignorando la mano tesa di una giovane donna.
Sospiro, è stato proprio ieri quanto ho sentito un discorso dello stesso tipo: “non fidarti di nessuno e promettici che tornerai”. Povera Ester, mi dispiace averla fatto piangere così tanto, ma questo l’ho fatto solo per lei, più che per Judie. Ieri, quando alla Mietitura mi ha stretto fortissimo la mano, ho capito che era tormentata da questo dubbio. La vedevo mentre l’incertezza e i sensi di colpa la stavano divorando, così non ho resistito e mi sono offerta al posto di sua sorella…
Mi dispiace anche per Lia, che mi ha urlato contro per cinque minuti buoni. Ora mi devo solo impegnare, ed essere gentile con il pubblico fa parte della mia strategia per ottenere almeno un minimo il loro favore. Ce l’ha spiegato prima Antares, che qui agli Hunger Games funziona in questo modo.

“Prego, ragazzi”, ci sorride amorevole Solovet, aprendo la portiera di una macchina bianca, pronta a portarci al centro immagine.
I sedili sono comodi e di pelle nera e ci sono anche degli enormi finestrini. Muoio dalla voglia di vedere Capitol: dal treno non ho potuto vederla siccome l’ultimo tratto del viaggio che ci ha portato alla stazione l’abbiamo fatto attraversando un tunnel.
Il veicolo sfreccia veloce tra le strade della città, attraversando spettacolari grattacieli e piazze monumentali.
“Cos’è quello, Solovet?”, chiede Creedence, che nonostante tutti i suoi propositi deve essere rimasto affascinato dalla capitale.
“È un parco”, spiega sorridendo la nostra accompagnatrice. Guardo sulla destra anch’io e noto un cancello di bronzo e intorno una recinzione del medesimo colore. Riesco a intravedere alberi altissimi e piante stranissime con fiori dalle forme particolari. Vengo dal distretto dell’agricoltura e non ho mai visto piante del genere!
“Solovet, ma quelle piante non esistono in natura!”, esclamo. Non mi sto sbagliando, ne sono certa.
Il mentore ride, e anche la capitolina “Hai ragione, Flame: quelle piante sono state create in laboratorio, la maggior parte. Altre invece sono state costruite seguendo il modello di elementi che sono scomparsi dopo i disastri naturali che hanno sconvolto il pianeta”, ci spiega Antares.
Guardo allibita il parco. Piante artificiali? Devo ammettere che alcune però sono davvero interessanti. “E cos’è quell’albero altissimo?”, chiedo, indicando una pianta dal fusto leggermente ricurvo e dalle foglie larghe e appuntite.
“È una palma: una volta esistevano veramente, quella è solo una ricostruzione. Altre invece sono state completamente inventate”, ci spiega Solovet.
“E poi?”, chiedo sempre più interessata.
“E poi cosa?”.
“Cosa è stato inventato e cosa è stato solo ricreato?”.
“Non lo so”.
“Come non lo sai?”.
“Non posso sapere tutto: un sacco di cose sono state ricostruite, come la palma, altre sono state ideate da noi”.
“E quindi altre cose sono andate perdute?”. 
“Tantissime. Toccherà a te capire se quelle cose sono vere oppure sono frutto di una macchinazione umana”. 


 
 
 
 
Ho tre cose da chiarire:


So che il PoV di Liam doveva essere ambientato nel capitol precedente, ma ho deciso di svilupparlo qua

Marco e Artemide non hanno un mentore altrimenti voi avreste dedotto che sarebbero sicuramente morti (la Collins spiega che ci sono stati due mentori per il Distretto 12, Haymitch e un altro, e se io avessi introdotto il “primo mentore del 12” voi avreste dedotto il loro destino) Ora, invece, Marco o Artemide potrebbero diventare il primo mentore del Distretto 12


So che le mie risposte alle vostre recensioni  possano sembrare ripetitive e noiose, ma per una mia questione di principio io DEVO rispondere alle domande degli altri. (sì, sono maniacale)
 

Grazie (tanto per cambiare!) e alla prossima!
 
                                                                                                                              
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            
 

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Capitolo 8
*** Tutto ha una fine. Posso farcela. Posso farcela. Posso farcela. ***


Tutto ha una fine. Posso farcela. Posso farcela. Posso farcela.

 



Meno quattro giorni agli Hunger Games
 



Amy Martin, tributo del Distretto 9, Capitol City


“Amy, Jacob, mi raccomando, siate accondiscendenti; non rifiutate mai ciò che vi viene proposto”, si raccomanda severa Betelgeuse per un’ultima volta. Io e il mio compagno annuiamo all’unisono, cercando di fare tesoro di ogni sua singola parola. Non che sia una novità; però, qui tutto ti sembra più significativo e determinante, anche una banalità come l’essere gentili. Tutto diventa più degno di nota quando sei a un passo dalla fine.
“Ragazzi, loro saranno i vostri stilisti”, dice Quadrophenia, la mentore, presentandoci un uomo e una donna truccati pesantemente.
“Tu devi essere Amy, giusto?”, domanda la donna, una signora sui trent’anni con i capelli più azzurri che abbia mai visto. “Io sono Myricae, vorresti seguirmi?”, mi domanda dolce, stringendomi la mano e accompagnandomi per il corridoio.
“Allora, ti piace Capitol City?”, mi domanda la mia stilista, facendomi strada tra una moltitudine di persone dai capelli colorati, ma riesco anche a distinguere degli adolescenti dallo sguardo smarrito e un colorito pallido. Ogni volta che li incrocio distolgo velocemente lo sguardo.
“Io non sono molto abituata a città così grandi…”, inizio cercando di dare voce a tutte le emozioni che ho provato vedendo la capitale. “È davvero… impressionante”, concludo con un’unica parola.
La stilista sorride alla mia goffaggine. “Devo dire che Capitol ti ha proprio lasciata senza parole!”, esclama Myricae, prendendomi velatamente in giro.
“È diversa dal Distretto 9”, continuo, sperando di rimediare almeno un minimo alla figuraccia. Credo di essere completamente rossa fino alla punta delle orecchie.
“Questo è poco ma sicuro. Sai, per il tuo costume – prego, gira pure a destra –, ho deciso di ispirarmi al tuo distretto”, continua lei, avvicinandosi a una porta che si apre automatica.
Tutti si ispirano ai distretti per creare i costumi. Ma non glielo dico, devo fare come a detto Betelgeuse.
Myricae sposta un paravento bianco e mi mostra il mio vestito per la parata di stasera: un semplice abito di raso color grano con delle rose bianche stampate sopra, senza scarpe.
“Che ne dici, Amy, ti piace?”, mi chiede tutta soddisfatta Myricae. Annuisco e il mio sorriso illumina di gioia il volto della mia stilista.
Poco dopo sono già pronta per la sfilata e insieme ci dirigiamo verso il grande spiazzo dove sono stati posizionati tutti i carri. Riesco a scorgere Betelgeuse e Quadrophenia, accanto a un carro con le rifiniture di bronzo e i cavalli marroni.
Non c’è via vai di persone, né confusione, però. Forse è troppo presto. Ci sono solamente i due tributi del Distretto 10, e un gruppetto più in la formato da due donne che stanno litigando. Quella più giovane, che indossa un abito verde decorato lateralmente con delle piume e collane di perline attaccate alla vita, riesco ad associarla alla ragazza del Distretto 7, mentre l’altra, quella più anziana, all’accompagnatrice.
Stanno cercando di mantenere un tono di voce abbastanza basso per non farsi sentire, ma è impossibile non cogliere i paroloni lanciati dalla ragazza bionda.
Accanto a loro, anche se un po’ in disparte, c’è un ragazzino che sembra più piccolo di me. Si guarda intorno pieno di soggezione e gira la testa in modo frenetico, chinando molto spesso il capo. Sorrido, mia fa dolcezza, ma è triste. Terribilmente triste. Il tributo nota che lo sto osservando e io allargo sempre di più il mio sorriso, non so perché, forse perché al di fuori di qua avrei reagito così. Anche lui sorride imbarazzato, ma poi viene richiamato all’ordina dalla capitolina gracchiante.
“Sul carro dovrete salutare la folla e sorridere, o almeno provare di essere felici e onorati”, ci suggerisce Quadrophenia. Anche Jacob e il suo stilista si sono aggiunti a noi, e il mio compagno indossa un abito simile al mio.
“Quanto manca?”, chiede Myricae.
Betelgeuse controlla una sorta di orologio disegnato sulla sua pelle. “Venti minuti”.
Venti minuti? Chiudo gli occhi, posso farcela. Tutto ha una fine, anche questo incubo.                                                                                                                          

Max Garrison, tributo del Distretto 10, Capitol City


Greg continua a stare seduta sul bordo del carro, mangiandosi le unghie per il nervosismo. Non me lo sarei aspettato, da lei: in fondo quando si è offerta volontaria sapeva benissimo a cosa sarebbe andata incontro. Però vedere i Giochi sullo schermo è diverso da essere uno dei partecipanti. Alzo le spalle, affari suoi.
Ora sono anch’io parte degli Hunger Games, però. Cavolo, che sfiga assurda. Se non mi avesse rimproverato il ragazzino accanto a me probabilmente sarei rimasto lì a guardarmi intorno imbambolato. Semplicemente, non ci potevo credere. E non ci credo nemmeno ora.
L’atmosfera si sta facendo sempre più insopportabile: sto crepando dal caldo e grondo sudore. Il gilet di cuoio non aiuta, e nemmeno questo enorme cappello marroncino. Non capisco se è davvero caldo, oppure se sono solo io a sentirlo.
Guardo Greg, si sta ancora mangiando le unghie. Lei nota che la sto osservando e allora io le sorrido educato, in fondo è la mia compagna di distretto, devo essere gentile con lei. Devo tentare di instaurare una conversazione.
“Come mai ti sei offerta volontaria?”, le chiedo. In tutto questo tempo non ho ancora capito come mai abbia deciso di partecipare di sua spontanea volontà.
“Fatti miei, microbo”, mi risponde guardandomi con astio. 
“Mi chiamo Max. Tu piuttosto, qual è il tuo vero nome?”, la interrogo sempre più curioso. Per conoscersi bisogna prima di tutto sapere come ci si chiama, e non ci vuole un genio per capire che Greg non è il suo vero nome, insomma lei è una ragazza. Si vede, per quanto tenti dinasconderlo.
“Ma come ti permetti!”, esclama lei alzandosi di colpo, completamente rossa in viso e con gli occhi carichi di rabbia. “Ti riempio di botte!”, continua stringendo i pugni.
“Brava, ora te la prendi con i più deboli?”, domanda una voce fredda e spavalda alle mie spalle. Didone si avvicina a me e a Greg, seguita dallo staff di preparazione e dal mentore.
“Va a farti fottere”, risponde sempre più collerica la mia compagna.
La mentore scuote la testa e sorride compiaciuta. “Sai che sei davvero bella con quel costume, Greg”, si rivolge a lei Didone, stranamente amabile e sottolineando con voga l’aggettivo “bella”. Non capisco perché Greg l’abbia presa così male, però, in fondo le ha fatto un complimento. È solo dopo che realizzo: Didone l’avrà anche chiamata con il suo nome, ma si è rivolta a lei al femminile. Significa che qualunque sia il suo nome, per lei resta sempre una ragazza.
Vorrei rispondere come si deve alla capitolina, ma mi rendo conto che non ne ho alcun diritto siccome fino a tre secondi fa mi sono rivolto anch’io al femminile pensando a lei.
“Qual è il tuo vero nome?”. Dio mio, se sono idiota.

Didone finalmente si allontana e si avvicina al carro del Distretto 5, incominciando a parlare con l’accompagnatrice, una donna che sembra su venticinque-trent’anni. Mi soffermo di più sui due tributi, quelli che saranno i due avversari. Loro si che hanno un costume figo, non come il nostro da cowboy: entrambi indossano un impermeabile di plastica trasparente e sotto portano dei semplici pantaloni neri e una maglietta del medesimo colore, dove sono stampati dei fulmini che si propagano partendo dalla spalla e hanno gli occhi completamente cerchiati di brillantini.
Sicuramente il completo sarebbe piaciuto anche ai miei amici, ci piacciono queste cose. I fulmini, i temporali, i fantasmi e le case infestate. Chissà se guardando i loro costumi penseranno alla nostra ultima caccia ai fantasmi, al mio scherzo cretino e a me. Improvvisamente sento qualcosa di strano dentro di me, come un grosso peso nel petto e nella gola. Che strano, sarà stato pensare al Distretto 10. Anche se sono certo che tutti a casa staranno facendo il tifo, mamma, Fulvio, lo Spilungone, Naso e Cristal. Non che lei abbia un vero motivo per tifare per me, ma credere che stia dalla mia parte mi rincuora e mi fa pensare a una speranza.
Greg mi strappa dal mio mondo dei sogni e mi tira sul carro afferrandomi per il braccio.
“Spicciati, microbo”, mi ordina.
Il caldo continua ad aumentare, non è un bel segno. L’unica cosa positiva è che durerà poco, credo.


Aaron Joshua Sanders, tributo del Distretto 3, Capitol City


Mi asciugo con il dorso della mano una goccia di sudore che mi cola sulla fronte. Non potrebbero abbassare il riscaldamento? Apro un bottone della camicia, sperando di respirare un po’ meglio. Ci metto un po’ più del dovuto, però, non credevo fosse così complicato sfilare un bottone a forma di 1. “Vedrai che capolavoro!”, aveva strillato entusiasta Jayne, la mia stilista. “Al posto di semplici bottoni avrai un codice binario, 0 e 1. Che ne dici?”. È stata un’idea originale, ma dubito che sarà notata.

“I tributi sono pregati di salire sui rispettivi carri”, ordina una voce metallica e distorta. Io e Arienne saliamo quasi contemporaneamente, insieme agli altri tributi. Solo i Favoriti restano ancora giù, come per mostrare la loro spavalderia e superiorità. Non so davvero cosa pensare di loro: alcuni di loro sembrano i classici tributi temibili, ma gli altri restano un mistero. Il ragazzo del 4, che mi sembra tutto tranne che un Favorito; quella dell’1, che alla chiamata del suo nome sembrava sconvolta; la ragazza del 2, che assomiglia lei stessa a  un’abitante di Capitol o il ragazzo, la cui gioia nell’offrirsi traspariva da tutti i pori. Devo ammettere che mi fanno più paura loro che il ragazzo dell’1 e la tipa del 4.
Anche loro decidono di montare, però. Quelli del 2 si posizionano proprio davanti a noi, e anche loro sembrano indossare un costume incomprensibile: portano pantaloni bianchi immacolati e una giacca blu con le spalle decorate d’oro e rosso e numerose medagliette e stemmi colorati attaccati sul davanti. Che cosa sarebbero, dei Pacificatori del passato?
Improvvisamente il loro carro si allontana e poco dopo anche il nostro. Appena usciamo dal centro estetico e diventiamo visibili, sento il pubblico esplodere in un boato di eccitazione: mani che applaudono, fischi da ogni parte e braccia che si allungano verso di noi.
La folla continua ad acclamare me e Arienne e i tributi che escono a poco a poco, chiamandoci e ammirando i nostri costumi. I capitolini sono ai lati del grande viale, tenuti da transenne e numerosi Pacificatori, e insieme formano una interminabile fila variegata dove è possibile distinguere volti incorniciati da fiori e occhi decorati da paillettes.
Discosto lo sguardo e mi concentro sulla strada di fronte a me, dove tra poco di dovrebbe vedere il Palazzo Presidenziale.
 “Tutto ok?”, mi chiede Arienne, parlandomi per la prima volta da non so quanto tempo.
“Sì, perché?”, chiedo un po’ ostile.
Lei alza le spalle, facendo muovere i lunghi capelli rossi, dove alcune ciocche sono state decorate di argento.
Forse sarò stato un po’ brusco, ma non mi importa. Io e lei non è che siamo legati perché veniamo dallo stesso distretto, è un’avversaria esattamente come tutti gli altri. L’ho promesso ai miei genitori, a John e a Howard, e nel mio cuore l’ho promesso anche a Gregory e Amy. Sembra quasi uno scherzo che io venga qua esattamente dopo due anni dalla sua morte.

Il nostro carro continua a procedere seguendo quelli dei Favoriti attraverso la strada principale di Capitol, sorpassando enormi grattaceli e strutture avveniristiche. Questo è il vero Distretto 3. Qui la tecnologia ha davvero fatto qualcosa, non come ha casa. Potremmo essere il distretto più potente di tutta Panem con i nostri computer, i nostri esplosivi e i nostri apparecchi, eppure siamo ridotti a uno stato di schiavitù continua. L’ennesima beffa del destino, che ha deciso di dare il potere a Capitol City e ai suoi abitanti.

Poco dopo raggiungiamo una piazza vastissima dove domina un palazzo con un lungo porticato pieno di colonne. Sul terrazzo di ferro battuto si intravede un uomo dalla barba bianca e una rosa all’occhiello. I cavalli rallentano e accanto a noi si posizionano i tributi del Distretto 4, vestiti di blu e con una corona di perle bianche, ambrate e nere.
Gli applausi diventano sempre più insistenti e le grida esaltate della gente rimbombano nella piazza, mentre il cielo diventa sembra più scuro.
“Benvenuti, alla Quarantesima Edizione degli Hunger Games di Panem”, inizia il Presidente Snow, apprestandosi a recitare il classico discorso. “Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!”. Ennesimo esulto della folla. Quando finirà quest’umiliazione? Non ne posso più, è anche peggio di quanto mi aspettassi.


Kim McFire, tributo del Distretto 8, Capitol City


Il Presidente Snow alza una mano in senso di monito e tutti gli spettatori si zittiscono. Migliaia di teste sono rivolte verso il terrazzo, e anche le nostre di noi tributi. Un silenzio carico di impazienza e aspettative aleggia nella vasta piazza, tutti pendono dalle labbra di quell’uomo, noi compresi.
“Tributi, questa è la prima tappa del vostro percorso che vi permetterà di contribuire alla gloria e all’unità di questa illustre Nazione.
“Per quarant’anni siamo stati capaci di mantenere la pace e sviluppare le più sofisticate tecnologie: tutto ciò grazie alla nostra costanza e perseveranza, alla nostra forza e determinazione, ma anche per merito degli Hunger Games. Ci hanno permesso di realizzare un’utopia che solo quarant’anni fa ci sembrava irraggiungibile”.
Il Presidente Snow interrompe un attimo il suo discorso propagandistico, lasciandoci il tempo di soppesare le sue parole e riflettere su ciò che è appena stato detto. O più semplicemente per allungare quest’agonia, lui sa che ci stiamo rodendo dentro e che ogni sua parola aumenta il nostro odio. Nei suoi confronti, soprattutto. Ma lui non fa altro che alimentarlo perché sa che non potremo mai prendercela con lui, ma che tutto questo risentimento lo sfogheremo tra di noi nell’arena, scannandoci a vicenda. È tutto un piano calcolato nei più infidi dettagli.

“Ventitré di voi moriranno, ma…”. Ma il vostro sacrificio non sarà vano, perché avrete partecipato alla salvaguardia della sicurezza e della pace, di nuove vite e tempi migliori. Lo sappiamo, ogni singolo anno è la stessa ipocrita storia. Non ha alcun senso ascoltare, anzi, è meglio che utilizzi questo tempo per farmi un’altra opinione dei miei avversari. Dopotutto questa è la prima volta che li vedo in carne e ossa.
Ho bisogno di alleati, magari anche più di uno. E magari anche le cui abilità compensino le mie mancanze. Qualcuno di forte, fedele, gentile e intelligente, ma non furbo. I furbi sono solamente problematici.
Guardando le Mietiture nella replica ho già fatto una prima scrematura: niente Favoriti, quelli del Distretto 5 mi sono sembrati troppo impulsivi e quelli del 10…be’, si è visto. Ne ho eliminati anche altri, tra cui Julivan. Mi dispiace, ma non posso. Non è perché sono la sua compagna di distretto allora sono legata a lui, vero? Mi sento egoista, ma voglio solamente tornare dai miei genitori, dai Cressida, da Tryphena, da Nexus e anche da Bromo. Julivan sarebbe solamente un peso. È brutto, ma è semplicemente così.
Forse la ragazza dal Distretto 12, rispecchia tutte le mie prerogative. Certo si è offerta volontaria, il che mostra una certa intemperanza, però… Mi volto indietro verso il suo carro, l’ultimo. Nemmeno lei sta ascoltando, ma sta ridacchiando con il suo compagno,  quello che ha avuto un attacco di nervi. Entrambi portano la classica tuta nera dei minatori, però in una versione più elegante, con i bordini rifiniti e i bottoni dorati.

“…Speriamo che questa edizione sia fantastica e indimenticabile come le altre. Eroismo, coraggio e forza”.
“Eroismo!”, esclama incredulo Julivan. “Kim, ma ci credi?”, chiede rivolgendosi a me.
“Scusa, non stavo ascoltando”, rispondo sbrigativa, ho voglia di tutto fuorché di parlare.
“Non hai idea di quante cretinate abbiano detto! Seriamente”, continua lui divertito e indignato allo stesso tempo. Ecco una nota positiva di Julivan: non si perde mai d’animo.
“Hai idea di quanto manchi?”, gli domando. Sto scoppiando sotto gli innumerevoli strati di questo vestito ottocentesco.
“Che ne so! Qui non fanno altro che tirarla per le lunghe”, commenta.
Sollevo un po’ il piede destro e muovo la caviglia, queste scarpe strette e piene di lacci fanno un male assurdo.
Mi viene da ridere. “E pensa che questo non è neanche il peggio!”.


Sarah Diane Mackenzie, tributo del Distretto 6, Capitol City


“Felici Hunger Games, e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!”, conclude il Presidente Snow con la solita frase di rito. Il pubblico esplode in un boato di eccitazione: la Quarantesima Edizione inizia ora. E ci sono anch’io.
Appena il Presidente si ritira nel suo palazzo, come telecomandati, i cavalli ripartono e si posizionano in fila gli uni dietro gli altri: davanti a noi il Distretto 5, dietro il 7.
I carri superano gli appartamenti di Snow ed escono dalla piazza, percorrendo l’ultimo tratto di viale. Qui la folla è decisamente minore, sono tutti sotto il palazzo del Presidente, dove si può godere della vista migliore per ammirare i tributi e i loro costumi. Noi tributi e i nostri costumi. Che odio, credo che la parte della sfilata sia una delle peggiori di tutto il programma, quasi a pari merito con l’arena. Non ho mai provato così tanta vergogna e rabbia alla stesso tempo. Umiliazione, nel vero senso della parola.
“Come ti è sembrata?”, mi domanda Theodore, accanto a me. È buffo, la saetta rossa, gialla e blu che gli hanno dipinto sul viso si sta sfacendo tutta. Ma credo anche la mia, sento continuamente delle gocce che mi scivolano sul viso. Sarà questo costume tutto grigio e aderente.
“Cosa?”.
“Capitol, la sfilata!”, sbuffa lui alzando gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più scontata del mondo.
“Uno schifo”, rispondo scatenando il lui un certo stupore.
“Io non intendevo cosa si fa a Capitol City, ma com’è. Io ho adorato tutti quei grattaceli, e gli hai visti gli hovercraft? Ti rendi conto che li facciamo noi!”, esclama con voce piena di orgoglio e ammirazione. Forse il signorino non ha ben capito cosa gli capiterà da qui a qualche giorno.
"A me hanno fatto comunque schifo”, ripeto.
“Uffa, Sarah, sto solo cercando di guardare Capitol da un’altra prospettiva!”, continua il ragazzino, asciugandosi il trucco che continua a colargli e togliendosene una buona parte. 

La conversazione muore lì, ma intanto noi siamo sempre più vicini agli appartamenti dei tributi.
Presto un enorme edificio compare all’orizzonte, con una ventina di piani e finestre lineari.
Passiamo sotto  una grande arcata e poi i cavalli si fermano in uno spiazzo interno alla struttura. Tutti i carri si posiziono a una certa distanza e poco dopo ognuno viene raggiunto dai propri stilisti, mentori e accompagnatrici.
Intravedo la mia “squadra” farsi largo tra il via vai di gente e poi congiungersi a noi.
“Siete stati bravi, complimenti”, si congratula Raven, con sguardo fiero.
“Sicuramente qualcuno vi avrà notato, tra gli sponsor e il pubblico”, ci assicura War, il nostro mentore. Io e Theodore lo ringraziamo per il supporto con un cenno del capo, sapendo quanto tutto questo sia duro anche per lui.
“Vi siete tolti tutto il trucco!”, ci rimprovera invece il nostro stilista, dalla sensibilità disarmante.
Il mio compagno alza le spalle, in segno di menefreghismo, scatenando in Bellerofonte un attacco di nervi.
Li lascio sfogare da soli, dissociandomi completamente dal battibecco appena sorto. Cerco più che altro di ricavare qualche dettaglio sugli altri tributi. Purtroppo durante la replica delle Mietiture non ho potuto farmi molte idee, credo che quest’anno ci siano parecchi soggetti strani. Il misterioso ragazzo dal 5, la ragazza del 7 che sembrava sapesse già della sua estrazione, il disabile dall’8, la pazza dal Distretto 10 e il ragazzo con i nervi a fior di pelle dal 12 sono solo alcuni. Per non parlare dei Favoriti! Da qui riesco a intravedere solo quelli del Distretto 1, entrambi vestiti con abiti da sera e le mani interamente ricoperte da brillantini. Ce la farei ad entrare nella loro alleanza? Così tutto sarebbe più facile…
“Ehi, Sarah!”, mi richiama una voce maschile alle mie spalle. Mi volto e ritorno verso il mio gruppo.
“Venite, vi faccio vedere i vostri appartamenti per i prossimi tre giorni, fono all’inizio dei Giochi”, ci spiega Raven, guidandoci verso un lungo corridoio dopo in fondo c’è un ascensore.
Fino ai Giochi… Quattro giorni.
 
 



L’arena è sempre più vicina, pace all’anima loro.
Ho fatto qualche conto e ho notato che mancano una ventina di capitoli all’epilogo. Mi sono sentita male, non so come farò.
Vi piace il titolo? La frase viene da un libro che ho letto e amato parecchio, “Bunker Diary”.                                                                                    
Alla prossima!
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

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Capitolo 9
*** Bunker ***


Bunker

 


Meno tre giorni agli Hunger Games
 



Theo Luge, tributo del Distretto 2, Capitol City


La sala è talmente grande che sembra infinita. Una quantità immensa di postazioni si alternano tra di loro di ogni genere e specificità: ci sono quelle per sopravvivenza, quelle per la costruzione di esplosivi e armi rudimentali, quelle per l’esercitazione e infine quelle per la simulazione. Le pareti si propagano anch’esse all’infinito e sono tutte dipinte di grigio metallizzato, talmente lucido che riesco quasi a specchiarmici su; la totale assenza di finestre permette solamente l’utilizzo di luci a neon che emanano una luce sterile e malata; l’unica via di comunicazione con una forma esterna è l’ascensore, sorvegliato da due Pacificatori e l’inquietante sottofondo di oggetti che cadono e lame che stridono rende l’atmosfera ancora più invivibile.
Sono qua solamente da venti minuti e mi è venuto già mal di testa. Fantastico, direi. Ed è da venti minuti esatti che stiamo provando la simulazioni di combattimento con alcuni manichini. La maggior parte dei tributi è affollata nelle sezioni di sopravvivenza, mentre i più coraggiosi si cimentano nell’utilizzo delle armi, ma nessuno viene qua. Caso particolare il ragazzo del Distretto 5, a cui l’istruttore sta urlando isterico qualcosa.
L’ennesima testa di manichino rotola ai nostri piedi, mentre Prudence ci guarda con aria di superiorità e soddisfazione. La conosco da appena due giorni e già non la sopporto, non fa altro che discorsi arroganti e superficiali.
“Allora, chi è il prossimo?”, domanda la mia alleata, rivolgendosi a noi altri e muovendo tra le mani la scimitarra.
“Basta, Prudence, a cosa ti serve massacrare dei manichini?”, domanda Galen, la cui cosa sta innervosendo parecchio.
“A terrorizzare i miei avversari!”, risponde alterata lei.
“Be’, li hai terrorizzati abbastanza, ora proviamo altre cose”, ordina Galen, facendo segno a tutti di muoversi.
“Chi cazzo sei per dirmi cosa devo fare o no?”, domanda velenosa Prudence, puntando il tridente contro il mio alleato.
“Il tuo leader, una persona abbastanza intelligente da dirti che siccome abbiamo già esperienza con le armi, sarebbe necessario allenarsi con qualcos’altro!”, controbatte lui. È la goccia che fa traboccare il vaso. Prudence stringe gli occhi in due minuscole fessure, ma non incomincia a urlare come una matta o a pendere a botte Galen, anzi. Gli si avvicina veloce e gli punta la lama della scimitarra all’altezza della gola. Faccio per muovermi verso di lui, ma Phyllis mi blocca.
“Come vuoi, signore. Abbiamo una reputazione da mantenere ed è per questo che non pianto in asso la tua stupida combriccola, ma non sarò mai una tua pedina, intesi?”, domanda lei, facendo sempre più pressione sul suo collo, tant’è qualche goccia rossa incomincia a scendere.
“Sicuro”, assicura lui, mostrando un falsissimo sorriso a Prudence. Lei lo fissa ancora in cagnesco, poi allontana la lama e chiede all’istruttore di portare altri manichini.
Shine e Gabriel ci guardano scioccati per qualche istante poi decidono anche loro di andarsene per la loro strada. Restiamo solo in tre: io, Phyllis e Galen. Eravamo in sei e ora? Nessuno ha ancora abbandonato questa alleanza, ma è come se lo fosse. Ognuno per conto suo. Questa cosa non può durare in arena, mi sento che non porterà a nulla di buono.
“Voi andate in qualche postazione, io vi raggiungo dopo”, ci suggerisce Galen, dirigendosi alla sezione di medicamento per fermare il sangue che esce dal taglio.
Io e Phyllis ci dirigiamo verso la postazione di riconoscimento delle piante, dove l’istruttrice sta spiegando qualcosa alla timida ragazza del Distretto 5. Appena ci aggiungiamo lei ci guarda con un misto di sorpresa e spavento, poi torna a svolgere il suo lavoro.
“Che scenata, eh?”, esordisce Phyllis, sperando di iniziare così una conversazione.
Sbuffo divertito. “Sono tutti matti”, rispondo. “Si offrono volontari per la gloria, non mi sembra molto normale”, le faccio notare, accorgendomi troppo tardi della gaffe. Le ho appena dato della pazza! Idiota, idiota!
Inaspettatamente lei mi sorride divertita. “Quindi neanche tu sei qua per la gloria?”, mi domanda lei. “No”, rispondo abbassando lo sguardo sui mucchietti di piante disposti di fronte a me. Lei ha la gentilezza di non indagare oltre, ma quel “neanche” continua a frullarmi nella testa. Perché “neanche tu”?
Poco dopo ci raggiunge anche Galen, allontanando definitivamente una terrorizzata ragazza del Distretto 5.
“Riconoscimento delle piante?”, ci domanda lui, squadrando i diversi tipi di erbe e soluzioni.
“Non siamo pratici in questo campo”, dice accondiscendente Phyllis. Io e Galen sorridiamo entrambi, memori della scenata di poco prima.
“Sarà l’alleanza più disastrosa di sempre”, confessa lui poco dopo.
“No, ci siamo ancora tu, io, Theo, Shine e Gabriel”, lo consola Phyllis, cercando di risollevare l’atmosfera.
“Shine e Gabriel è come se non ci fossero!”, controbatte lui, giocando con le piante e mischiando totalmente quelle velenose e quelle commestibili.
“Be’, allora saremo solamente noi tre. Dov’è il problema?”, chiedo. Ce la possiamo fare, davvero. Non abbiamo bisogno di una pazza e di due inetti. Loro due sorridono, accogliendo questa nuova opportunità. È fatta.
                                                                                                                                                                                                                                                                          
 

Meno due giorni agli Hunger Games
 


Jacob Blackthorn, tributo del Distretto 9, Capitol City


Entro nel salotto e trovo Betelgeuse e Quadrophenia sedute sul divano a parlare. Appena entro si zittiscono e mi guardano. Spero davvero che loro possano darmi una risposta, è da stamattina che ci penso e non so davvero cosa pensare. Posso fidarmi di qualcuno che “conosco” a malapena? Qualcuno a cui la mia morte sarebbe di vitale importanza?
“Ci volevi chiedere qualcosa, Jacob?”, mi incoraggia la capitolina, facendomi posto sul divano.
Annuisco e mi siedo accanto a lei. “Oggi un tributo mi ha proposto un’alleanza”,  confesso, dichiarando il motivo della mia visita.
“Ma è fantastico!”, esclama Betelgeuse, sorridendo amabilmente e appoggiandomi una mano sul ginocchio. Quadrophenia invece appoggia il mento sul palmo della mano e mi guarda pensierosa.
“Chi?”.
“Il ragazzo del Distretto 5”, rispondo abbassando lo sguardo. Dalle loro espressioni stupite probabilmente mi diranno di no.
“Devo ammettere che non me lo sarei aspettato…”, commenta l’accompagnatrice, lanciando uno sguardo alla mentore.
“Sì, ma voi che ne pensate? Dovrei accettare o no?”, chiedo sempre più dubbioso.
“Be’, a me è sembrato un ragazzo un po’ particolare, sai, con tutta quella confusione durante la Mietitura..”. Ok, mi diranno di rifiutare.
“…e il fatto che per tutti questi tre giorni non ha fatto altro che bighellonare sulle panche per gli addominali”, aggiunge Quadrophenia.
“Nulla ti vieta di tentare, però, Jacob”, continua Betelgeuse. “Ti ha chiesto di andare da lui, dopo?”. Annuisco. “Bene, allora vai e ascolta le sue proposte, poi decidi. Mal che vada non cambierà nulla”, conclude la capitolina.
Le ringrazio entrambe e decido di seguire il loro consiglio. Poco dopo sono già diretto agli appartamenti del Distretto 5.

È proprio il tributo ad aprirmi la porta, appena mi vede mi sorride raggiante. “Finalmente! Prego, entra”, mi invita lui facendosi da parte per lasciarmi passare. Il loro appartamento è abbastanza simile al nostro come struttura, cambiano solo i mobili e il colore delle pareti.
“Siediti, Jacob, senza problemi”, continua lui, tranquillo come se mi stesse invitando a prendere il tè per il pomeriggio.
“Allora…”, esordisco con la speranza di farlo parlare. Perché non mi espone la sua tattica?
“Ora non posso dirti niente. Sai, aspetto altre visite”, mi risponde lui enigmatico.
Poco dopo qualcun altro bussa la porta e il ragazzo si precipita ad aprire. Mi alzo di scatto anch’io, pronto a ricevere gli altri. Ma che sto facendo? Mica sono a una cena di gala che c’è bisogno di alzarsi e fare le presentazioni! Che gliene frega se mi alzo o no?
Sto per risedermi ma gli altri due ospiti sono appena entrati nel salotto. Quando li vedo il mio cuore perde un battito. Forse aveva ragione Quadrophenia, questo non è del tutto a posto.
Cerco di rimanere tranquillo, ma non riesco ad ignorare il grande uno stampato sulla maglia della ragazza e il quattro su quella del ragazzo. Ha proposto questa alleanza a due Favoriti?!! È impazzito, come può aver invitato loro?
Anche loro due sembrano essere piuttosto a disagio e quando mi vedono mi rivolgono un sorriso tirato.
“Come avrete intuito, vi ho chiamato per proporvi un’alleanza”, debutta il tizio del 5. “In questi giorni vi ho osservato e sono giunto alla conclusione che eravate voi i membri più adatti…”.
“Perché lo hai chiesto a noi due?”, domanda la ragazza dell’1, alludendo a lei e al suo compagno.
“Ecco, vedi, - Shine, giusto?-, come ho già detto vi ho tenuto d’occhio e sono arrivato a questa conclusione”.
“Sì, ma, Lorin, noi siamo Favoriti e nessuno ci propone delle alleanze”, controbatte il ragazzo dal 4.
“Chiamami Kai, per favore. Non è perché venite da un distretto ricco allora siete a prescindere dei Favoriti. Ho notato che nel vostro gruppo non siete totalmente inseriti e sai perché, Gabriel? Perché voi siete stati gli unici a non esservi offerti volontari.
“Uno per venire qua volontario non deve essere molto a posto mentalmente. Sogna la gloria, e non si preoccupa di altro. Quello è il suo unico scopo di vita.
“Voi invece no. Non vi siete offerti perché non avevate bisogno di venire qui per sentirvi realizzati, ma avevate altre aspirazione e obbiettivi. È per questo che vi ho scelto.”, conclude Lorin.
“Ed è anche per questo che ho scelto Jacob”, continua lui alludendo a me. “Ok, forse non sarà una macchina da guerra, però uno deve guardare anche ad altre caratteristiche. Durante gli allenamenti, ho visto che non ti sei mai perso d’animo. Ed è bello avere punti saldi in un mondo di dubbi. Allora, ci state?”.
Shine e Gabriel si guardano per un po’, poi la ragazza prende la parola. “Ci hai convinto, Kai, noi ci siamo”.
“E tu, Jacob?”, chiede Lorin rivolto a me. Sento gli occhi di tutti puntati addosso. Che gli dico? Loro non sono proprio gli alleati che mi sarei immaginato di trovare, però è anche vero che non ho ancora chiesto a nessuno. I giorni sono ormai giunti al termine: o loro o sono solo. E non c’è niente di più brutto.
“Ci sto anch’io”.


Allie Veniur, tributo del Distretto 7, Capitol City


Secondo la tradizione, tutti i Favoriti si dovrebbero riunire in un unico appartamento per discutere sulle tattiche da adottare e sulla strategia più rapida e di successo. La domanda è: in quale appartamento? Non posso girare a vuoto per l’edificio e bussare a ogni porta. Quindi o ho una botta di culo e ci prendo al primo colpo, oppure provo a rifletterci un secondo. Chi ha più smania di grandezza e si sarà promosso a leader? La mia mente passa in rassegna tutti i Favoriti: o il tipo dell’1 o i tizi dei 2. Vada per il Distretto 1.

Scendo al primo piano e alla fine di un lungo corridoio si vede la porta del loro appartamento, chiusa.
Mi avvicino un po’ titubante cercando di mantenere la calma. Non è che se non sento urla selvagge o risate sguainate questo significa che non ci siano.
Ora sono proprio davanti e faccio per bussare, quando effettivamente sento delle grida. Appoggio l’orecchio all’uscio sperando che la porta non si apra nel frattempo. Le voci sono tante e tutte sovrapposte, ma riesco a distinguere soprattutto quelle di un ragazzo e di una ragazza. Sembrano essere coinvolti in un litigio piuttosto acceso, anche se non riesco a captare le loro parole.
Poco dopo sento qualcuno muoversi e mi allontano di scatto. La porta ancora non si apre, ma riesco a distinguere numerose volgarità e minacce lanciate contro qualcuno.
Finalmente i due soggetti escono, il ragazzo del 4 e la ragazza dell’1. Entrambi mi guardano con sospetto appena mi vedono, ma poi si allontanano entrambi furenti verso l’ascensore.
Porca troia, proprio ora dovevano mettersi a litigare?! Questo non favorirà di certo la mia proposta di alleanza! Ora avranno la luna di traverso e mi escluderanno a prescindere! O la va o la spacca, io entro.
Mi faccio avanti all’interno del salotto, mentre gli altri presenti mi guardano con un misto di rabbia e confusione.
“È permesso?”, chiedo abbozzando un sorriso.
“E tu saresti?”, domanda una ragazza dai lunghi capelli neri con un quattro stampato sulla maglietta.
“Allie Veniur, Distretto 7”, mi presento allargando il mio sorriso e cercando di essere gentile ed educata. Devo sembrare sicura di me, ma non spavalda, altrimenti credono che mi ritenga superiore a loro. E neanche titubante, altrimenti risulto debole e mi rifiutano.
“Sono venuta qua perché desidererei entrare nella vostra alleanza”, spiego pacata.
La simpaticona  del 4 tira un fischio di sorpresa, mentre il tipo del 2 solleva la schiena dal divano, forse davvero interessato.
“Perché vorresti allearti con noi?”, domanda la ragazza con la parrucca bionda. Ok, forse sto andando a segno.
“Siete gli unici qua dentro ben allenati e con una preparazione, io so maneggiare l’ascia, certo, ma non l’ho mai utilizzata come arma”, spiego. “Io, però, sono anche molto brava a riconoscere ogni pianta e albero esistente: commestibili, curative e velenose. Se ci alleassimo potremo avere dei benefici reciproci: io vi aiuterei nel caso di necessità e voi mi aiuterete con le armi. Certo, magari non sarò la carta vincente del gruppo, però non sarei neanche un peso”, concludo sperando che abbocchino. Non sto mentendo, sono sincera. Ho sempre cercato di cavarmela da sola, giù al Distretto 7, ma questo posto mi ha fatto capire che a volte affrontare le sfide assieme a qualcuno non è nulla di male. Quindi perché non farlo coi migliori sul mercato?
“Non credo che le cose cambieranno molto per noi, se tu non dovessi entrare”, controbatte la tipa del 2.
“Proprio per questo. Se le cose non dovessero cambiare, allora perché rifiutare?”, domando retorica sperando di convincerli.
I quattro si consultano silenziosi lanciandosi numerose occhiate e il primo a decretare il mio destino e il tributo del Distretto 2. “Per me va bene, mi sembra tosta e determinata. Potrebbe rivelarsi davvero un aiuto”, comincia lui e io gli rivolgo un sorriso di ringraziamento.
“Io sto con Theo, mi hai colpito nel segno proprio dove volevo”, commenta la sua compagna sorridendomi divertita. Era una domanda trabocchetto, e io l’ho superata brillantemente!
“No”, ribatte categorica l’amabile ragazza del 4. Sono tentata di domandarle dove sia il suo compagno di distretto…
“Galen?”.
Tutti si voltano verso il ragazzo dell’1. Lui mi guarda pensieroso. Cerco di non destare sospetti, ma dentro di me mi sento esplodere.
“Sicuramente è molto più utile e capace di quei due traditori”, dice lui. “Shine e Gabriel non mi faranno passare per imbecille davanti a tutti solo perché non sono riuscito a tenere insieme questa alleanza. Siamo due in meno, ma Allie potrebbe rimpiazzarli perfettamente”. Sorrido soddisfatta, non mi interessa se mi ha preso solamente per ripicca nei confronti di quei due, ciò che importa è che ora io sono dentro.
“Grazie”, ripeto.

Resto ancora un po’ con loro per discutere di altre tattiche e piani. Poco dopo però me ne vado, per raccontare tutto a Remember, l’unica davvero affidabile qua dentro. Vedrai che faccia saprà sapendo del mio successo.
 

Giorno prima degli Hunger Games
 


Greg Grint, tributo del Distretto 10, Capitol City


Mi infilo un dito in bocca e riprendo a mangiarmi con insistenza l’unghia, ormai quasi inesistente. È più o meno da quanto mi sono svegliato che ho questo umore, ma direi che non c’è da sorprendersi. Oggi è un giorno fatidico per i miei Hunger Games: da questo punteggio dipenderanno i miei futuri sponsor, cioè le mie possibilità di vittoria. Chi sono stati gli idioti che hanno detto che questo risultato non valle nulla? Ah sì, Didone per consolare quel piagnone di Max per rassicurarlo sulla prova e sul punteggio.
Vuoi mettere la popolarità e quindi le doppie possibilità di vittoria per uno che ha ottenuto otto o nove contro uno che ha preso cinque? Sono tutti un povero branco di imbecilli ignoranti. Ma in fondo cosa mi sarei dovuto aspettare? Che mi accettassero a braccia aperte accogliendo le mie opinioni e me stesso? Ovvio che no! Ma quanto vincerò la farò pagare a tutti: a Didone, agli Strateghi se si azzarderanno a mettermi un voto basso, a Max (anche se con lui me la prenderò nell’arena) e a tutti coloro che mi hanno deriso e non compreso. Sarà una vendetta fantastica, come tutte le vendette, dopotutto.
Guarda il marmocchio, ad esempio. Devo proprio avergli messo paura. Mica si è seduto accanto a me, è andato proprio in una panca diversa dalla mia. Non è colpa mia se sono stato costretto a reagire così per quelle domande. Sono stato costretto, altrimenti a quest’ora saremo seduti vicini. Da odio nasce odio, non è vero?

“Jacob Blackthorn, Distretto 9, prego”, chiama una donna mentre un ragazzo si alza. Dopo toccherà a me e sarà un momento unico e imperdibile. Gliela farò vedere a tutti, potete starne certi.
Il tempo passa e poco dopo la stessa donna chiama me. Mi alzo e la seguo all’interno di una sala molto ampia dove in una sorta di terrazzo sono riuniti tutti gli Strateghi.
Non mi fermo davanti a loro per presentarmi, ma mi dirigo subito verso la sezioni dl sollevamento pesi: ne prendo qualcuno e lo scaglio il più lontano possibile. Il risultato è abbastanza soddisfacente, ma non mi sembra abbastanza. Certo, la forza fisica è utile, ma devo mostrare anche qualcos’altro. Devo prendere un’arma e colpire i manichini. Loro in fondo devono vedere se so uccidere, è questo che serve al loro programma.
Afferro una spada piuttosto lunga e leggera e mi posiziono davanti ai manichini. Immagino che al loro posto ci siano tutti quelli che mi hanno insultato in tutti questi anni: stacco un braccio a mia mamma e poi la colpisco al cuore; a mio padre taglio una gamba e la testa; e poi gli abitanti del Distretto 10 vengono infilzati uno dopo l’altro e così arrivo alla fine. I capitolini vengono pugnalati e a Max vola via la testa e Didone viene tagliata la gola. Non c’è una strategia nella mia strage: li colpisco e li torturo senza senso logico o piano tattico. Li colpisco in quelli che so essere punti vitali, ma i miei colpi non sono mai perfettamente mirati in quel punto perché non ho nessun allenamento e così sono costretto a ripetere tutto più volte.
Colpisco e colpisco e colpisco e colpisco e colpisco finché tutti i loro corpi non cadono a terra nel sangue.

“Basta!”, urla una voce maschile. La smetto immediatamente e appena mi allontano riesco a vedere una ventina di manichini distrutti e sparpagliati per terra. Incomincio a respirare pesantemente e appoggio la spada a terra.
“Non c’è logica in quello che fa”, mi rimprovera lo stesso uomo, probabilmente il primo stratega. “Li ha massacrati così, senza precisione o nessun ragionamento!”, continua lui.
“Non credo che nell’uccidere ci sia bisogno di una logica”, controbatto fissandolo proprio negli occhi.
Lui sorride divertito. “Può andare, il suo punteggio sarà annunciato stasera”.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              
Lewknor West, primo stratega, Capitol City


Quando sono diventato primo stratega è stato il giorno più bello della mia vita. Me lo ricordo ancora, come se fosse ieri. Le congratulazioni dei miei colleghi, le strette di mano e il primo incontro con il presidente. Nulla era più splendido e perfetto di quel singolo giorno. Un unico giorno in cui era concentrata tutta la felicità di una vita.
Così, quell’anno, l’anno del mio primo incarico, decisi di accompagnare il vincitori degli Hunger Games nel suo Tour della Vittoria. Arrivammo al Distretto 5 e fu lì che conobbi Katrissa. Chissà che fine ha fatto. Sarà ancora viva? Oppure sarà morta?
Katrissa… Non posso dire di averla amata. Sul momento l’ho amata, certo. Ma poi tutto è svanito. Sul momento ho promesso e ho illuso, ma poi ho infranto il nostro apparente sogno d’amore. Non potevo portarla con me a Capitol. Ho riflettuto: l’amavo così tanto da prendermi le mie responsabilità e portarla con me alla capitale? No, non era abbastanza. E così dopo qualche tempo sono sparito, come ero arrivato.
Non so dire se il suo è un ricordo dolce, oppure un ritratto di un amaro passato, solo è qualcosa di indimenticabile. La sua immagine è stampata nel mio cervello e mai se ne andrà.
Perché sto raccontando tutto questo? Forse perché neanche io so trovare una spiegazione in ciò che è successo ormai diciotto anni fa. Forse a ripensarci riuscirò a comprendere qualcosa.

I tributi si susseguono uno dopo l’altro. Io li osservo e do la mia opinione ai miei colleghi. Ascolto anche la loro, ma le ultime parole spetteranno a me. Sono io quello che conta. Potrebbero pensare che un tributo sia stato particolarmente meritevole, ma se io dico che ha fatto pena, allora il risultato finale sarà estremamente basso. È così che funziona.
Entra la ragazza del Distretto 5 e si esibisce con l’arco. Non è particolarmente capace, ma non è neanche una novellina. Ne parlerò con i miei colleghi e poi deciderò.
Intanto un senza-voce mi porge un vassoio pieno di bicchieri di splendente cristallo. Lo osservo: a differenza degli altri non ha il capo o lo sguardo a terra, anzi, mi fissa con odio negli occhi. Anche per lui questi saranno degli Hunger Games particolari siccome ci partecipa una persona a lui cara. L’ho capito dal cognome, hanno lo stesso. In genere nessuno sa il nome dei senza-voce, ma il fatto è che io conoscevo questo uomo prima che diventasse uno schiavo. Che pena, era un uomo di successo e cosa gli è capitato per seguire i suoi ideali?

Lo congedo con un cenno della mano, tornando a guardare la scena davanti ame. La ragazza ha appena scoccato una freccia e ha colpito la spalla del manichino. Qualche danno lo potrebbe fare, ma non ucciderebbe mai nessuno. Peccato.
Dopo l’esibizione si dilegua e qualche minuto dopo entra il ragazzo. Mi sollevo dallo schienale della poltrona e stringo gli occhi cercando di vederlo meglio. Anch’io l’ho capito dal cognome e Alakai è molto particolare. Tutto corrisponde.
Lui incomincia a costruire alcune trappole con il cordame e il filo metallico a disposizione. Cerco di notare in lui qualche segno di Katrissa, ma da qui non si capisce molto, siamo troppo lontani. Ci rinuncio, dovrò accontentarmi del cognome e dell’età. Magari più tardi, quando potrò muovermi da qui.

Katrissa mi raccontava parecchie storie in quelle notti. Io l’ascoltavo e anch’io le parlavo di Capitol. Magari anche a lui piacciono le storie.
È buffo come tutti cerchino di inventarsi racconti epici e straordinari quando è la realtà ad offrire le storie più belle. La più bella delle storie. Sai che racconto ne verrebbe fuori da questa faccenda? Certo, un padre che uccide il figlio non sarebbe proprio una bella storia, ma comunque una storia.
 
 
 


Volete un riassunto delle alleanze? Nel caso, eccole qua:
  • Shine, Gabriel, Kai e Jacob
  • Galen, Theo, Phyllis, Prudence e Allie
  • Galen, Theo e Phyllis (sotto-alleanza)
 
Ultimo capitolo del 2017, buon 2018!

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Capitolo 10
*** Non perdere altro tempo ***


Non perdere altro tempo


Sera prima degli Hunger Games
 


Shine Lewis, tributo del Distretto 1, Capitol City


Seguo Jacob all’interno del suo appartamento: per vedere l’annuncio dei nostri voti abbiamo deciso di riunirci al nono piano, il più lontano possibile dagli alloggi dei Favoriti. Quando io e Gabriel l’abbiamo detto a tutti, temevano che ci saltassero addosso, soprattutto Galen, che sembrava fuori di sé. Molto probabilmente avranno trovato una sostituta nella ragazza del Distretto 7: l’ho vista parecchie volte con i miei ex alleati, in questi giorni.
“Accomodati pure, Shine”, mi invita Jacob, profondamente imbarazzato e a disagio. Aspettiamo Gabriel e Kai seduti su un comodo divano, sorridendo ogni volta che i nostri sguardi si incontrano. Devo dire che è una situazione abbastanza ridicola, dato che nei prossimi giorni io e lui dovremo condividere praticamente tutto, così decido di rompere il ghiaccio.
“Credo che potremo anche parlare un po’, sai, per conoscerci meglio e rendere così più solida la nostra alleanza”, inizio. Lui abbassa lo sguardo, poi, dopo poco trova il coraggio di rispondermi.
“Mi dispiace, non voglio dare l’impressione che non me ne freghi nulla”, esordisce il mio alleato, guardandomi negli occhi. “Solo, non credo che conoscerci profondamente possa migliorare la nostra situazione. Sono felice di avervi come alleati, davvero, ma niente di più. Tre di noi moriranno. Scusa, ma la penso così”.
“Certo, hai tutto il diritto di crederlo”, rispondo. Tre di noi moriranno. Per la prima volta questa prospettiva si fa strada nella mia mente: li conosco da solo due giorni, eppure il fatto che con loro mi trovo totalmente a mio agio li ha resi importanti nel mio cuore. In loro mi sembra di rivedere Rigel, Nike e Zeus. Sapevo che ci sarebbero stati dei morti, ma quando ci sei dentro e ti rendi conto che le persone con cui hai stretto un’alleanza e con cui dovrai affrontare l’orrore, il fango, la fame e il sangue dovranno morire perché quello a vincere dovrai essere tu, allora ti rendi conto che tutto ciò che hai vissuto fino ad ora in realtà non è nulla. Che l’inferno è qua e che te ne sei accorto solamente ora che tutto il male sta arrivando.
Finalmente arrivano gli altri due nostri alleati a risollevare l’atmosfera generale. “Non avete ancora acceso la TV?”, domanda fintamente scandalizzato Kai. Jacob afferra il telecomando e seleziona il canale dove saranno annunciati i punteggi.
“Appena in tempo!”, esclama agitato Gabriel, mentre Cesar Flickerman incomincia ad annunciare il punteggio di Galen. Mi tormento le unghie, ora tocca a me. Spero che la mia esibizione con la spada li abbia convinti. “Shine Lewis, punteggio di nove”. Mi lascio cadere sullo schienale del divano del tutto sollevata, mentre i mei compagni si congratulano con me.
“…Gabriel Perseus Morgan, punteggio di nove”. Io e lui ci diamo il cinque, e anche Kai, mentre Jacob si limita a sorridere. “…Lorin Alakai, punteggio di dieci”.
“Complimenti, Kai, hai superato noi Favoriti”, commenta divertito Gabriel. Anche lui sembra parecchio stupito. “Io ho solo costruito delle trappole con alcune corde! Ho deciso di fare poco perché il meglio lo volevo mostrare nell’arena!”, continua irritato il nostro alleato.
“E gli strateghi che pensavano di farti felice, poverini!”, lo punzecchio.
“Chissà, forse mi hanno preso in simpatia siccome in questi tre giorni ho fatto impazzire tutti gli allenatori”, scherza finalmente Kai.
La cosa muore lì, anche se credo che il mio compagno non abbia smesso di pensarci. I punteggi si susseguono uno dopo l’altro, anche se molti non superano il sette, mentre il ragazzo del Distretto 8 prende uno zero. “Bastardi, ci vanno giù fino in fondo”, commenta schifato Gabriel e non posso che trovarmi totalmente in linea con lui.
“…Jacob Blackthorn, punteggio di sette”.
“Grande!”, si congratula Kai, dando una
 sonora pacca sulla schiena del nostro alleato. Io mi limito a sorridere e lui sembra apprezzare molto di più, siccome vedo il suo volto illuminarsi. I punteggi finali non sono particolarmente degni di nota, eccetto per la ragazza che aveva tentato di aggredire la capitolina, che prende un nove.

“Dopo le interviste ci rincontriamo?”, domanda Gabriel, che intanto si è alzato dal divano.
“Sì, dobbiamo rifinire la tattica che adotteremo domani”, conferma Kai. “È un problema se torniamo da te, Jacob?”.
“No, assolutamente”.
“Ancora? Ma ne abbiamo discusso a sufficienza!”, controbatto. Meno penso a che giorno è domani meglio è.
“Stasera è l’ultimo momento che abbiamo per prepararci alla peggiore delle esperienze e dobbiamo sfruttarlo. Domani arriverà in ogni caso, Shine, e non aspetterà di certo noi”.


Theodore Gallagher, tributo del Distretto 6, Capitol City


 “Stai benissimo, Theodore! Semplice, ma elegante”, commenta in totale adorazione Bellerofonte, il mio stilista.
“Sì, sì, hai ragione”, gli assicuro con la speranza di farlo stare zitto. La sua voce mi dà sui nervi, e poi non ho mica bisogno del suo parere per vedere che sto bene con questo completo.
“Manca un quarto d’ora, siete pronti?”, domanda War, che si è intanto affacciato sulla porta.
“Prontissimi”, esclama trepidante Bellerofonte. Tutti e tre usciamo dalla stanza e raggiungiamo il salone del nostro appartamento, dove ad attenderci ci sono Raven , Sarah e Scarlet, la sua stilista.
“Perfetto, direi che possiamo andare”, dice l’accompagnatrice dirigendosi verso la porta principale.
Nel tragitto per raggiungere il palco incontriamo numerosi tributi con i loro mentori e le loro accompagnatrici, tutti tirati a lucido per l’evento. La situazione sembra essere ancora più incasinata che la sfilata, siccome ci sono frotte di tecnici e organizzatori che sfrecciano da tutte le parti impartendo ordini e raccomandazioni. Posso capire, questa è l’ultima serata prima del grande evento e tutti stanno cercando di fare del loro meglio.
“Allora, ragazzi, ora dovrete disporvi in fila, prima Sarah e poi Theodore, dietro ai tributi del Distretto 5”, ci istruisce Raven. “Una volta che tutto sarà pronto, vi chiameranno uno alla volta e, quando avrete finito la vostra intervista, vi sederete sulle poltrone disposte in fondo al palco. Tutto chiaro?”.
Io e la mia compagna confermiamo all’unisono e dopo le ultime parole di incoraggiamento anche la nostra squadra se ne va. Restiamo solamente io e Sarah, allineati insieme agli altri tributi, finalmente al completo.
Un piccolo schermo è stato posizionato proprio sull’uscita, in modo che anche noi tributi possiamo assistere alle interviste di ciascuno di noi. Il presentatore, Cesar Flickerman, è appena salito sul palco in un completo bianco immacolato ed è pronto a preparare il pubblico con qualche battuta e presentando velocemente tutti i tributi. Le telecamere ogni tanto mostrano un’inquadratura del pubblico e riesco a quasi a contare centinaia, se non migliaia di persone! Molti sono seduti nella platea, ma tantissimi si affacciano anche dalle balconate. E sono qua esclusivamente per vedere noi! La cosa mi gasa un sacco! So che non dovrei sentirmi così, però non posso fare a meno di pensare che stasera salirò su quel palco. Io! Ma ci pensi? Sapevo che un giorno sarei entrato a far parte della TV capitolina, certo, non mi sarei mai aspettato in questo modo, eppure…
L’unica nota negativa è che non sono riuscito a trovare nessun alleato, anche se questi tre giorni sono serviti ad osservare i miei avversari e farmi un’idea su di loro: due potrebbero fare al caso mio, ma ci penserò dopo, ora devo concentrarmi sull’intervista.
Gli sponsor potrebbero non avermi notato a causa del mio stupido voto (cinque! ma scherziamo?!), ma con questa ultima prova potrò dimostrare a tutti quanto valgo. Con la mia parlantina riuscirò a catturare sicuramente la simpatia di qualche vecchietta di buon cuore.
“Shine Lewis, è il tuo turno!”, esclama una donna sui quarant’anni, mentre la Favorita viene accompagnata da un uomo verso gli scalini che portano al palco.
Il cuore incomincia a martellarmi nel petto e le mani mi sudano. Devo restare calmo, manca ancora parecchio prima che mi chiamino. Bisogna essere vigili e rispondere a tutto senza esitazione e non balbettare. Questo è l’ultimo momento decisivo prima di domani, non posso permettermi di farmelo fregare sotto il naso. Devo sfruttare al meglio e al momento giusto tutte le mie carte. Il tempo non aspetta nessuno.
Gli applausi che seguono l’intervista di Shine giungono quaggiù leggermente ovattati, mentre la stessa donna chiama l’altro tributo del Distretto 1.
Cerco di pensare ad altro per scaricare la tensione, ma la mia mente sembra essere concentrata sul fatto che domani a quest’ora sarò nell’arena a guardare il cielo e contare quanto tributi restano ancora in vita. Mancano meno di ventiquattro ore.

 
Marco Milani, tributo del Distretto 12, Capitol City


L’intervista del ragazzino del Distretto 6 è seguita da un rumore scrosciante di applausi e da qualche fischio di eccitazione. Che bravo, sono sicuro che la mia presentazione non sarà seguita con così tanto entusiasmo. Mi pare ovvio: lui è piccolo e simpatico e non è stato zitto un secondo. Mentre nessuno proverà un minio di interesse nei miei confronti, ne sono certo. Morirò nell'indifferenza più totale, neanche ai miei genitori si scioglierà il cuore per me. Fortuna che c’è ancora qualcuno, qualcuno come Artemide. Sono sicuro che a lei dispiacerebbe se io dovessi morire. Giusto, no? Giusto.
Anche la ragazza del Distretto 11 termina la sua intervista e si sistema nella poltrona bianca in fondo al palco. Il solo pensiero di sorbirmi e ascoltare le interviste di altri bambini spaventati mi fa venire voglia di spararmi. Ora dovremo essere nei nostri appartamenti a riposarci, non essere qua a sopportare chiacchiere false e inutili. Anzi, non dovremo proprio essere qua. Disperati, lo sono tutti. Anch’io? Prima di tutti, molto probabilmente. Almeno queste persone avevano un qualcosa. Forse non avranno un dopo, ma almeno un prima c’era. Una vita, per quanto breve e quasi non vissuta, un minimo l’hanno conosciuta. Io no. Non c’è niente di bello nei miei diciassette anni. Non avevo un prima e non avrò neanche un dopo, mi resta solo l’adesso. Un adesso fatto di dolore, tempo contato, ansia e violenza. Probabilmente passerò tutta la serata ad autocommiserarmi.
“Marco Milani, Distretto 12, è il tuo turno!”, esclama una donna con i capelli color ruggine. Guardo in alto verso il piccolo schermo che è stato appeso sopra la porta e noto Artemide seduta sulla penultima poltrona. Stanno per finire, tocca a me. L’ultimo.
Seguo l’uomo su per delle strette scale e poco dopo le quinte si presentano davanti a noi. Le attraverso un po’ titubante verso il palco, luminoso e accecante. Le luci sono violenti e mi costringono a stringere gli occhi, mentre il suono degli applausi rimbomba nella sala. Mi avvicino all’intervistatore, che mi stringe viscidamente la mano. Mi siedo senza che Cesar Flickerman mi abbia invitato a farlo, ma non mi interessa. Questo e altro.
La sua maschera di imperturbabile giovialità si inclina per qualche secondo e resta ancora in piedi nonostante io sia già pronto e seduto. Toccherà a me smuovere le acque.
“Si siede?”, domando acido. Lui mi guarda imbarazzato, per poi sorridere al pubblico e accettare il mio invito.
“Allora, Marco, ho saputo di alcuni conflitti con la tua accompagnatrice…”, insinua il venduto, lanciando una occhiata complice verso la piccionaia delle accompagnatrici.
“Sì, e non capisco perché ciò vi debba interessare”, replico lanciando un’occhiata altrettanto odiosa alla piccionaia di Swan. “Io e la mia amica siamo perfettamente in grado di aiutarci a vicenda”, continuo gelido.
“Amica?".
“Artemide”, rispondo. Posso quasi immaginare le telecamere puntare immediatamente su di lei. Che bastardi.
“Non è un buon posto per farsi degli amici…”, nota Flickerman  
“Lei proprio non può dirlo, non ha mai vissuto questa esperienza. Perché non partecipa agli Hunger Games e poi mi dice, eh?”. Un boato di sorpresa e indignazione si solleva dal pubblico. Bene, incazzatevi. “Marco, questa è una cosa molto cattiva da dire!”, mi sgrida l’intervistatore. Per un momento non realizzo, poi l’orrore della sua frase mi colpisce come un macigno. L’immagine della ragazza del Distretto 10 che assale la capitolina mi balena nella mente e per un momento accolgo questa opportunità. Sarebbe così bello saltargli addosso.
Sento come una rabbia e un odio ribollirmi dentro come mai prima d’ora. Neanche come quella volta.
Mi alzo di scatto e gli sputo addosso, e qualche secondo dopo alcuni Pacificatori sbucano dalle quinte, mentre i tecnici urlano di spegnere il programma. Sento una ragazza urlare contro i due soldati, ma non ricordo che volto porti questa voce, lontana chilometri.
Mani forzute mi afferrano le braccia. Non capisco perché avrei dovuto trattenermi, non può capitarmi nient’altro. Sono già sul fondo, oltre non posso proprio andare.


 Medea Jenkins, tributo del Distretto 2, Capitol City


“Tu che fai, Phyllis, vai a dormire?”, mi domanda Theo con la giacca nera del completo adagiata sul braccio. “Domani è un grande giorno!”, scherza  lui, anche se posso notare un accento di malinconia nella sua voce.
“No, resto ancora un po’ sveglia”.
“Va bene, buonanotte, Phyllis”.
“Buonanotte, Theo”, gli auguro sorridendo. Appena lui entra nella sua stanza, io mi avvicino alla vetrata: sugli edifici più imponenti sono stati montati degli schermi che ripetono la registrazione delle interviste e i commenti dei due presentatori.
Poso la fronte sul vetro e guardo uno splendente grattacielo in lontananza, chissà se il nostro vecchio appartamento l’avrà acquistato una nuova famiglia…

Mamma mi blocca improvvisamente, e poi mi trascina verso un vicolo angusto e puzzolente. Lei mette un dito 
sulle labbra facendo segno di stare zitta. “Fai silenzio, Medea!”.                                                                        Nonostante tenti di nascondermi dietro di lei, riesco comunque a sbirciare cosa sta succedendo nella piccola piazzetta: non c’è niente di preoccupante o minaccioso, solamente un uomo e una donna che parlano e ridono. Non capisco il perché di tutto questo mistero: perché ci stiamo nascondendo da due individui innocui? Perché ci aggiriamo in questo modo nel cuore della notte? Perché indosso questi vestiti brutti e scialbi? Perché siamo solo noi due, dov’è papà?
I due finalmente si allontanano e mamma mi spinge fuori dal vicolo, prendendomi per mano e non lasciandomi neanche il tempo di reagire. Sono stanca, a quest’ora dovrei essere a letto, e poi ho male ai piedi, sono ore che corriamo.
Dopo un po’ raggiungiamo uno spazio aperto circondato da numerosi alberi le cui fronde vengono trascinate dal vento freddo del notte. Il cielo è nero pece, e alcune nuvole coprono la luna e le stelle.
Al centro dello spiazzo c’è un hovercraft, silenzioso e longilineo. Mille domande mi esplodono nella mente: che cosa ci fa qui? che cosa ci facciamo qui noi? cosa stanno caricando i Pacificatori sulla stiva? che cosa, che cosa, che cosa. Domande senza risposta.
Un Pacificatore, quello che stava ripartendo gli ordini, ci nota e si avvicina. Io mi nascondo dietro a mia mamma, mentre l’uomo con la faccia coperta dal casco bianco incomincia a parlare.
“Lemon Jenkins?”
, chiede lui, la voce esce attutita da sotto l’armatura.
“Domitilla, d’ora in poi solo Domitilla Jenkins”, lo corregge lei con lo sguardo malinconico. Che strano, prima s’era sempre fatta chiamare Lemon, mai con il suo vero nome. In effetti, dov’è la sua parrucca gialla? Forse in quella sacca…
“Lei deve essere Travis Levit”.
L’uomo annuisce. “Suo marito è riuscito a mettersi in contatto con me poco tempo prima, mi ha chiesto aiuto e di portarvi al sicuro al Distretto 2”, ci spiega il Pacificatore, voltandosi e invitandoci a seguirlo. Mia mamma non si muove di un millimetro, però, e nemmeno io.
“E mio marito Octavius?”, domanda lei sull’orlo delle lacrime.
Non riesco a cogliere l’espressione dell’uomo, nascosta dallo schermo nero, ma lo sento sospirare. “Il signor Jenkins mi ha pregato di preoccuparmi di voi. Mi dispiace, signora Jenkins, ma ora non si può. Ce ne dobbiamo andare prima dell’alba: non perdiamo tempo”, continua lui tendendo la sua mano. Mia madre accetta, e anch’io. Entrambe seguiamo l’uomo verso l’hovercraft e lui ci accompagna alla stiva.
“Dovrete stare qua, ma fortunatamente il Distretto 2 non è molto lontano da Capitol”, aggiunge poi con un sorriso.
Anche mia mamma se lo concede. “È originario di lì, signor Levit?”.
“Sì, starete da me per un po’  finché le cose non andranno meglio”.
“Sta rischiando molto per noi”, commenta mamma, rivolta alla maschera scura dell’uomo.
“A volte è necessario. Anch’io, poi, sono dalla parte di suo marito”.
Mia mamma resta stupita. “Credevo vi avessero pagato e basta. Mi perdoni, ma siete il primo Pacificatore che incontro a credere nella causa di mio marito: qui a Capitol sono in pochi”.
“Anche al Distretto 2, ma non per questo non ci credo o non lo faccio”. L’uomo volta la testa. “Il sole sta arrivando, avanti, andiamo”.


Mamma, papà, Travis, Aiden, Ainslee. Quanto desidererei essere con voi in questo momento. In un certo senso vorrei che tutto questo non fosse mai cominciato, non solo questi Hunger Games, ma anche che i miei genitori se ne fossero fregati di tutto fin dall’inizio. Forse non avrei mai conosciuto i mei migliori amici, ma molti sarebbero ancora in vita e alcuni non sarebbero spariti di punto in bianco.
Scuoto la testa. Per ciò che è stato di mamma, papà e Travis non posso fare altro che accettarlo, ma per Aiden e Ainslee sono ancora in tempo a fare qualcosa. Si deve lottare per ciò che è ancora vivo, nonostante tutto, non per quello che è morto o scomparso.



                                       Banshee Blake, accompagnatrice, Capitol City


Capitol City e i suoi abitanti possono essere descritti e riassunti in un’unica parola: egocentrismo. Osserva la sfera più prestigiosa di una città prestigiosa: nobili, esponenti del governo, imprenditori. Tutti indossano qualcosa che è un esplicito riferimento alla loro condizione sociale, al loro nome più o meno ricercato, ai loro illustri antenati.
Anche i mentori e noi accompagnatrici abbiamo l’accesso a questo fascinoso ballo di gala e io, dopotutto, non posso essere da meno. Nonostante i miei genitori siano dei segreti sostenitori dei distretti e siano in contatto con loro e il Distretto 13 per organizzare una futura rivolta, io sono fedele alla mia città. Perché non li denuncio? Perché sono i miei genitori, loro hanno i loro ideali e io ho i miei.
Guarda la signora Hamley, ad esempio, accompagnatrice e mentore del Distretto 12, che nei capelli ha piume bianche di cigno intrecciate in onore al suo nome, Swan; o la signorina Didone McCormack, vestita come una nobile romana per ricordare la regina della città chiamata un tempo Cartagine; o l’accompagnatrice del Distretto 6, che porta un vestito con le spalline formate da nere piume di corvo, Raven. Tutti devono rendersi indimenticabili e lasciare il loro segno nel mondo.
Purtroppo non c’è nulla che possa ricordare le Banshee, le fate del male, così ho scelto un vestito scuro che rimandi alla paura e all’oscurità.
“Signorina Blake, signora Huntingdon, è un piacere vedervi”, esclama la calda voce di Betelgeuse Hurt, accompagnatrice del Distretto 9, riferendosi a me e a Harriot, mia collega e mentore del Distretto 5.
“Non potevamo mancare”, rispondo alzando leggermente il bicchiere di vino. Anche lei lo alza di rimando, muovendo il capo e facendo ondeggiare la tiara di diamanti, che brillano come la stella Betelgeuse, da cui lei prende il nome.
“Primo anno da accompagnatrice, non è vero, signorina Blake?”, domanda la mentore, Quadrophenia Eagerton.
“Sì, il primo anno che segnerà l’inizio di una lunga e brillante carriera!”, continuo.
“Certo, signorina Blake. Parlando di cose più serie: ha visto che i nostri tributi, Jacob e Lorin, sono alleati?”, mi domanda la signorina Hurt.
“Certo, fanno parte dell’alleanza anche altri due tributi, giusto?”, domando.
“Sì, Shine Lewis dal Distretto 1 e Gabriel Morgan dal Quarto”, suggerisce Harriot.  
“Devo dire che è un’alleanza particolare, la prima tra Favorita e semplici tributi”, osserva la signorina Eagerton.
“Non credo che questa innovazione sia stata presa molto bene dai membri dei distretti favoriti”, continua la Hurt.
“Avete ragione, signorina Hurt. Noi, essendo il piano superiore al quarto, qualche sera fa abbiamo sentito numerose urla”, rivelo.
“Sarà stata sicuramente Lizbeth, l’accompagnatrice, insieme alla ragazza…come si chiama?”, domanda l’accompagnatrice.
“Prudence Emerson”, dice Harriot, rammentando il nome del tributo.
La conversazione dura ancora molto, fino a quando il suono dei violini e dei pianoforti non investe la sala.
Mentori, accompagnatrici, esponenti del governo e imprenditori si uniscono in coppie, pronti a prendere parte alla danza.
“Signorina Blake, sarebbe così cortese da essere la mia accompagnatrice per questo ballo?”, domanda Helium Clerval, mentore del Distretto 1. Acconsento alla sua richiesta e insieme ci dirigiamo verso la pista da ballo.
Davanti a noi un centinaio di persone volteggia sulle dolci note di un’arpa, in un mare di vestiti fruscianti e colori splendenti; in un piano rialzato l’orchestra ripete una melodia composti secoli fa; un colossale lampadario di cristallo irradia una calda luce per tutta la sala, mentre risate di gioia e il rumore di calici alzati fanno da sottofondo; davanti a noi una vetrata permette la vista di Capitol City. Sento che potrei piangere, tutto questo è ciò che ho semplicemente desiderato da anni. E ora è qui, davanti a me.
“Sta bene, signorina Blake?”, domanda il mio accompagnatore. “Sta piangendo”, mi fa notare con voce gentile.
“Mi perdoni, signor Clerval. Mi sono commossa”, rispondo, asciugando le lacrime che incominciano a scorrermi lungo le guance.
Lui sorride, con uno dei sorrisi più belli che abbia mai visto. “Ogni tanto, solo ogni tanto, allora, è possibile fare avverare i sogni di qualcuno”, osserva lui. “Ora balliamo, signorina Blake”.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    
 
 
 
Piccolo questionario:
  • quali sono i vostri tributi preferiti? (non avete un limite, potete elencarmeli tutti)
  • quali sono quelli che invece vi piacciono di meno? (anche qui, non avete un limite)
Potete scrivermelo nelle recensioni oppure come messaggio privato, come preferite. È solo per una mia curiosità.
Alla prossima, con l’ultimo capitolo prima dell’arena!

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Capitolo 11
*** Augurami la buonanotte ***


Augurami la buonanotte

 


“L’oscurità scende sulla terra promessa”
  • Mark Lanegan, Hit The City
 
       
Meno di ventiquattro ore all’inizio degli Hunger Games
 


Aaron Joshua Sanders, tributo del Distretto 3, Capitol City


“Per portarvi verso l’arena utilizzeranno un hovercraft e vi inseriranno un localizzatore nel braccio per sapere di ogni vostro spostamento e per...verificare il vostro decesso”, aggiunge  Minta con un sorriso tirato.
“Ipotetico”, le suggerisce Uranus.
“Sì, giusto. Un vostro ipotetico decesso”, si corregge lei.
“Dovrete correre, prendere uno zaino e darvela a gambe, basta. Il Bagno di sangue è l’unico momento in cui vi affronterete tutti e ventiquattro, poi, per il resto dei Giochi potrete anche cercare di nascondervi e tirare avanti fino allo scontro finale. Io ho vinto così”, aggiunge poi il mentore con voce più cupa.
“Sei riuscito ad evitare tutti gli altri fino alla fine?”, domanda scettica Arienne.
“Sì, forse non è la tattica che vi renderà più famosi come vincitori, però oggi sono qua a parlarvene, e questo è l’importante”, termina.
Tra noi quattro aleggia un momento di silenzio e di tensione, interrotto poi dalla voce profonda dell’accompagnatrice. “Bene, domani vi aspetta qualcosa di grande, è meglio andare a riposare”, aggiunge lei alzandosi e dirigendosi verso la sua camera.
“Buonanotte, ragazzi”, ci augura il mentore, andando verso la sua camera da letto.
Io e la mia compagna restiamo così per un tempo imprecisato, guardando fuori, verso la grande città che attende impaziente domani.
 
“Oggi è un giorno speciale per il Distretto 3 e per tutta Panem: avranno luogo le Mietiture per la Trentottesima Edizione degli Hunger Games. Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!”, esclama Minta, stringendo forte il microfono e introducendo il consueto discorso sulla rivolta e la rivincita di Capitol.
Cerco Amy tra le colonne delle sedicenni, sperando di incontrare almeno per un secondo il suo sguardo.
Presto l’accompagnatrice si dirige verso la boccia dei ragazzi. Sceglie un nome dalla sommità e lo legge ad alta voce verso il pubblico e le telecamere. Tiro un sospiro di sollievo: non è nessuno dei miei amici, né dei miei fratelli. Questo è l’ultimo anno di John, poi. La fortuna sembra essere a mio favore.
               
“Ora che il nostro fiero giovane si è unito a noi, possiamo anche scegliere la signorina”, riprende Minta, che questa volta pesca un biglietto dal mezzo.
Mi resta solo Amy per cui temere qualcosa, poi tutto sarà sistemato. Il resto della giornata passerà tra una cena speciale e un brindisi per festeggiare un’altra Mietitura che se n’è andata.
“Amy Johnson”, annuncia la capitolina, squadrando la sezione femminile per vedere chi altro parteciperà ai Giochi.
Amy! È stata scelta per gli Hunger Games! Il mio cuore batte sempre di più mentre la osservo salire sul palco e posizionarsi accanto all’accompagnatrice e all’altro tributo.
Non può andare, come farà Gregory senza di lei? Ed io? Cosa mi rimane?

Il ricordo di quel giorno ritorna improvvisamente nella mia mente, come se volesse ricordarmi cosa mi attende. L’attimo della sua morte riparte come un filmato e non posso fare a meno di pensare che domani tutto ciò si ripeterà, come un ciclo infinito.
Lo schema è sempre uguale, cambiano solo le persone, le modalità e il vincitore. Se fino a qualche giorno fa provavo un misto di adrenalina e sconforto, ora resta solo la disperazione. Tolto il buono resta solo il peggio.


Liam Harris, tributo del Distretto 7, Capitol City


Ancora non riesco a mandare giù il fatto che Allie abbia deciso di andare con i Favoriti. Certo, lei era libera di fare le sue scelte, però non ha fatto un piccolo pensiero per me. Insomma, io ero qui senza alleati e lo era anche lei. Se uno deve cercare un sostegno allora sceglie quello con cui ha qualcosa in comune. Perché loro? Che cos’ho io che non va? Quando gliel’ho domandato mi ha risposto: “Nulla di personale, davvero, Liam. Voglio solo vincere”. Perché con me non ne sarebbe in grado? Sarei solamente un intralcio!
Se con lei era stato un buco nell’acqua, avevo anche tentato di approcciarmi con ragazzini della mia età: il tipo del 6 o quello 10, anche se il primo mi era sembrato troppo esuberante e il secondo poco affidabile. Forse la ragazzina del Distretto 9, che mi aveva sorriso e mi sembrava gentile… Perché è così difficile?!
In questi giorni non ho fatto altro che alternare ottimismo e pessimismo: partivo dall’ottimismo, per passare al pessimismo e per finire coll’ottimismo. Ogni volta che una trappola mi riusciva bene oppure ricevevo un complimento dall’istruttore,  nella mia mente pensavo a qualche speranza, poi, appena vedevo i Favoriti o qualsiasi altro tributo più forte o grande di me, tutto svaniva. E in cosa sono culminati questi tre giorni? In un quattro alle prove individuai!
Schiaccio sempre più forte la faccia contro il cuscino, mentre le lacrime incominciano a scorrermi lungo le guance, bagnando la stoffa.
Vorrei che le cose andassero diversamente. Vorrei essere a casa. Vorrei vedere la mamma seduta sul suo quaderno consunto e papà intendo a raccontarci una storia. Io sarei il bambino dai capelli scuri con il pigiama accanto ad un’altra bambina, seduto  su una poltrona comoda anche se vecchia e un po’ malconcia.
“Lisa…”, singhiozzo, chiudendomi sempre di più su me stesso.
Non so quanto tempo passa prima che qualcuno bussi alla porta. Non ho voglia di rispondere, ma la mentore entra comunque.
“Liam… Volevo augurarti la buonanotte e vedere come stavi”, mi spiega lei, sedendosi sul bordo del letto, esattamente accanto a me.
“Mi dispiace, davvero”, riprende lei, costringendomi ad alzarmi e a guardarla in faccia. Lei mi stringe tra le sue braccia e io mi perdo nella sensazione di sicurezza e di calore che emana la sua stretta. Resto lì, abbracciato a lei, nella speranza di ricevere altro parole di conforto. Quelle cose che si dicono in casi come questo.
“Perché credi di non potercela fare?”, mi domanda dolce Remember.
Sta scherzando? “Hai visto come sono gli altri? Io non avrei nessuna possibilità se mi dovessi scontrare con loro!”.
“Non ti dovrai scontrare per forza: nasconditi. Sei piccolo e silenzioso, punta a quello”, mi consiglia la mentore. La sua voce ora è ferma e sicura.
“E lo scontro finale?”.
“Quello verrà dopo, tu pensa ad arrivarci”. Sorride. “Sei ancora in gioco, finché hai la tua vita”.
 
Remember si alza e si dirige alla porta. “Buonanotte, Liam. Farò il tifo per te e Allie domani”. Esce, lasciandomi completamente solo.
Guardo la finestra, ammirando il panorama e le luci della città. Mi resta ancora un po’ di tempo, prima di dover andare a dormire.


Kai, tributo del Distretto 5, Capitol City


“Non sarà qualcosa di estremamente complicato, ma è mirato e ben organizzato, giusto?”, evidenzia Gabriel.
“Sì, lo trovo efficace. Tutti noi sappiamo usare più o meno un’arma, quindi basta che ce l’abbiano due di noi. Gli altri corrono per gli zaini”, aggiunge Shine.
“Posso andare io, se volete. Sono veloce, nello scatto”, si offre Jacob.
“Io prenderò una lancia, vieni anche tu, Shine?”, le chiedo. In fondo lei e Gabriel sanno usare entrambi la spada, quindi se proprio il nostro alleato non dovesse prenderla ce ne sarà sempre una.
“Tu, Gabriel, ci guarderai le spalle e cerca di prendere anche una spada, magari”, gli consiglio.
“Tre armi?”, domanda Shine, alzando scettica il sopracciglio.
“Perché no?”, chiedo.
“Non sapevo sapessi usare la lancia, Kai. Perché non l’hai mostrato durante la sessione con gli Strateghi?”, insinua Jacob.
I nostri due alleati si voltano verso di me con sguardo curioso e interrogativo. Ma bravo! È l’unico che l’ha notato, complimenti. Non avrei mai detto che sarebbe stato lui il primo a rendersene conto.
“Così”, rispondo, sorridendo amabile.

“Così!”, esclama Kea, mimando con la mano la lama della ghigliottina che arriva sul collo.
“No, non può finire in questo modo!”, sbuffo contrariato. Perché ho una sorella così macabra? Non è giusto! Questo racconto deve finire bene, tutte le storie devono avere un lieto fine. È proprio per questo che sono state inventate: consolare le persone dal male del mondo.
“Riprendiamo da prima. Allora, mamma, ascolta”, la consolo guardandola. Al suono delle mie parole lei si calma, e il suo volto si distende in un’espressione di tranquillità e malinconia. Quante volte ho detto a Kea che la mamma non accetta un finale in cui papà finisce bruciato, fucilato, sbranato, accoltellato o decapitato? Mia sorella mette su il broncio, ma non protesta: ora è il mio turno.
“Papà era sempre più vicino, le guardie lo tenevano saldamente stretto e lo stavano consegnando al boia, pronto per l’esecuzione…”, continuo con fare misterioso. Mamma sussulta preoccupata, mentre gli occhi incominciano a diventarle rossi.
“La lama della ghigliottina brillava in modo inquietante sotto la luce del sole, mentre la folla si ammassava ai piedi dello strumento…”.
“Ora tocca a me, Lorin!”, mi interrompe Kea. Io le cedo il posto, fulminandola con lo sguardo, come per dire “niente spargimenti di sangue”.
“Qualcuno gridava pietà, altri, invece, morte!”, continua mia sorella. Mamma si asciuga una lacrima, spaventata per la sorte dell’amore della sua vita. Allunga le braccia, chiamando Kea a sé. Lei si avvicina, si siede per terra accanto a lei e le stringe la mano.
“Non ti preoccupare, mamma”, dice, con voce dolce e rassicurante. “Ad un certo punto…”. Ad un certo punto un urlo disumano si leva da una stanza vicina, e poco dopo si sentono le frasi spezzate e concitate dei medici. Alcuni oggetti cadono e si frantumano, producendo un gran fracasso.
“Comunque”, riprende Kea. “Ad un certo punto…”. La porta si apre  e sbuca Steffon. “E che palle!”, impreca mia sorella con gli occhi al cielo.
Lui sorride imbarazzato, per poi riassumere la sua aria ordinata e pacata. “Kea, Lorin, venite, vostra madre ora deve riposare. La Scienza ci aspetta”, continua lui, invitandoci a seguirlo nel suo mondo, la sua biblioteca. Avere come padre “adottivo” uno degli uomini più colti del distretto ha i sui lati negativi. Probabilmente dopo me la darò a gambe con l’aiuto di mia sorella. Non è mica la prima volta che riesco a farla franca con lui.
Io e Kea ci alziamo, non prima di aver salutato nostra madre. “Tornerà”, ripete lei, come una litania. “Me l’ha promesso: tornerà e mi porterà via dal Distretto 5. Tornerà. Me l’ha promesso. Tornerà”. 
“Domani ci saremo noi, mamma. Ti finiremo la storia, va bene?”, promette mia sorella baciandola sulla fronte.
Tutti e due seguiamo Steffon verso la porta, ignorando le sue lacrime, come tutte le volte che la dobbiamo lasciare.
“No, tornerà e verrete anche voi. Dovete aspettarlo con me”, ci prega, chiamandoci a lei, esattamente come ieri e tutti gli altri giorni.
“Sì, Katrissa”, sussurra Steffon. “Un’altra  volta, non adesso, però”. 

Non solo papà non è mai venuto da me, da mamma e da Kea, ma nemmeno io sono tornato. Quella famosa storia non è mai stata completata.
Me l’ha ricordato mia sorella quando ci siamo visti ai saluti. Io non ho risposto niente, non ho neanche tentato di giurare che sarei tornato. L’unico esempio che ho avuto di una promessa è stato brutalmente infranto, facendo sprofondare una persona nella disperazione più totale. Non vorrei che si ripetesse una seconda volta questo epilogo.


Greg Grint, tributo del Distretto 10, Capitol City


Ascolto i consigli del mentore ancora un per un po’, annuendo di tanto in tanto mentre lui racconta la sua edizione, di come l’abbia vinta e le sue strategie. Merita almeno un po’ la mia attenzione, dato che in questi giorni è stato l’unico che mi ha trattato con un minimo di gentilezza e di comprensione. Mi sembra mio dovere dargli questa soddisfazione.
Alla faccia di tutti quelli che hanno sempre detto che in me non c’era e non ci sarebbe mai stato nulla di buono. Visto che ne sono capace anch’io? So essere una brava persona con chi lo merita.
Passerà indicativamente un’altra mezz’ora, poi dedico di andarmene nella mia stanza, in pace e in tranquillità. Chiudo la porta alle mie spalle e incomincio a spogliarmi per prepararmi per andare a dormire. Devo essere carico al cento per cento per domani.
gentilmente offerto e mi metto sotto le coperte. Chiudo gli occhi.

Sbuffo frustrato, tirandomi sul dal letto e fissando l’orologio-sveglia posto sul comodino accanto a me. Il rumore delle lancette sta diventando insopportabile: all’inizio ho tentato di non darci troppo caso, ma con il passare del tempo il ticchettio è diventato troppo snervante. E per di più non mi fa dormire. Proprio non ci voleva.
Cerco di trovare un modo per rilassarmi, magari guardando il soffitto o pensando a domani. Domani… Dovrei essere fiero per ciò che accadrà e invece… Non so neanche io che cosa sto provando: un misto di adrenalina, eccitazione e ansia, credo. Spero sia solamente ansia, e che non degeneri nella paura. Io non posso avere paura, sono venuto qua volontario, che scemo sarei altrimenti?

L’unica cosa positiva è che alla fine di questa faticaccia ci saranno in premio un bel po’ di soldi. Che non mi fanno certo schifo, sia chiaro. La mia vita sarà totalmente stravolta e con quei soldi e con la mia fama verrò rispettato da tutti quegli idioti che hanno insultato me e i miei amici. Vivremo sempre insieme, io, Chuck e Nancy. Sarò felice con loro, ne sono certo. Loro capiscono me e io capisco loro. Con loro potrò essere ciò che sono veramente, un uomo. Tutta la montagna di denaro che vincerò sarà sufficiente per pagarmi un’operazione qui a Capitol City. Domani tutti i miei sogni potranno cominciare a prendere vita.
 
 
 
 
Emozionati per l’arena?
Non so quando uscirà il capitolo, però, siccome parto per la Francia. Be’, avrete tutto il tempo per riflettere su cosa succederà al Bagno di Sangue!                              
                                                                         

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Capitolo 12
*** Sto diventando più intelligente, ogni giorno sempre di più ***


Sto diventando più intelligente, ogni giorno
sempre di più
 
 

Meno di un’ora all’inizio degli Hunger Games
 


Remember Kinraid, mentore e vincitrice dei 32° Hunger Games, Capitol City


Due Pacificatori spalancano la porta per permetterci di uscire dal palazzo e avvicinarci all’hovercraft, che ci aspetta in mezzo alla pista di atterraggio. 
Guardo Liam e Allie, gli occhi smarriti e allucinati dalla paura. Anche quanto fu il mio turno di partire per l’arena, mi ricordo di aver provato la stessa sensazione di abbandono. Non posso di certo biasimarli. Anche se sono passati anni, quando arrivo a questo punto mi sembra sempre di rivivere la mia partenza. Kitty torna ad essere Kendall, Ryan prende il mio posto come mentore, mentre Linus si incarna in Liam e Allie diventa me. È una strana emozione, come se subissi uno sdoppiamento.                                                                                                                                                                           
“Mi raccomando, siate i miei nuovi vincitori”, esclama l’accompagnatrice abbracciando falsamente commossa i due ragazzi.     
Allie e Liam guardano un attimo l’hovercraft in lontananza e poi si rivolgono a me. “Non fermatevi mai, non guardatevi indietro per nessun motivo al mondo”. Che cos’altro posso fare? Sono stata sempre abbastanza brava con le parole, ma qui proprio non so che dire. Come ogni volta che si arriva a questo punto, del resto. “Ricordatevi che ne resta solo uno, quindi… non esitate”.
 


Inizio della Quarantesima Edizione degli Hunger Games, giorno 1, ancora ventiquattro tributi in vita
 


Julivan Sánchez, tributo del Distretto 8, da Capitol City all’arena


“Addio, Julivan”, sussurra Rio, baciandomi delicatamente sulla guancia e allontanandosi lentamente verso l’uscita. Come “addio”? Nessun ultimo consiglio salva-vita?
“Aspetta!”, la chiamo. “Nient’altro da dire?”, domando rivolto verso l’accompagnatrice.     
Lei guarda un attimo per terra, poi si rivolge a me. “Io non l’ho fatto contro di te, mi dispiace…”. Rio sta per dirmi qualcos’altro, ma le pareti del tubo si richiudono e mi è impossibile intendere le sue ultime parole.                                                                                                                       
Cerco disperatamente di mantenere la calma, ma mi risulta impossibile non pensare a cosa ci sarà fuori da qua. Come sarà l’arena? Freddo oppure caldo? Essere rinchiusi in un tubo poi non aiuta granché.                                                                    
Improvvisamente sento uno scatto metallico e la pedana incomincia a sollevarsi con lentezza. Automaticamente alzo lo sguardo verso l’apertura sopra la mia testa per tentare di intravedere un segnale o qualcos’altro di simile, ma ora c’è solamente un’accecante luce bianca. 
Riesco a capire che sono uscito dal tubo perché avverto un leggero cambio di temperatura: qui è meno umido. La cosa preoccupante è che continuo a vedere una luce bianca che proviene da tutte le parti e ci confonde… No, aspetta… Non è luce. In realtà quello che vedevo prima dal tubo era il soffitto. E le pareti, e il pavimento.  Siamo circondati da bianco: non riesco a notare la distinzione tra il soffitto e il pavimento, e anche le pareti sembrano non avere una fine; la Cornucopia sembra fluttuare nel bianco sterile, così come le pedane.
L’unica cosa positiva è che non sono ancora presenti tutti i tributi, il che mi lascerà più tempo per analizzare l’ambiente. È proprio in quel momento che avverto uno strano ronzio mentre, qualche secondo dopo, una parte del “soffitto” incomincia a diventare azzurra, come un cielo che spunta tra le nuvole.
I volti di noi tributi sono tutti rivolti verso quella macchia che continua ad espandersi, fino a quando non riprende il ronzio e, allora, tutto torna ad essere bianco. Che cosa sta succedendo?                                                                                                                                                                                                                                             
“Signore e signori, che la Quarantesima Edizione degli Hunger Games di Panem abbia inizio! Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!”, esclama l’annunciatore. Tutti i tributi devono essere sulle loro postazioni: a breve inizierà il conto alla rovescia. E infatti…  

60, 59, 58…

Devo concentrarmi, decidere dove andare, anche se non c’è nessun posto in cui nascondersi.

57, 56, 55…

Il suono di quella voce continua a essere fissa nella mia testa come un chiodo. La capitolina mi chiama e io vengo portato sul palco dalle guardie.    
Sento gli occhi di tutti puntati su di me: quello pieno di amara compassione dei Pacificatori; quello imbarazzato di Rio, quello disperato della mentore; quello ripugnato dall’orrore della situazione della ragazza accanto a me; quello indignato del pubblico.            
Non riesco a togliermi i loro sguardi dalla mente. Perché mi guardavano tutti così? Papà dove sei?                       
Finalmente la porta dello studio si apre ed entra mio padre, sconvolto e distrutto. Attendo parole di conforto e di incoraggiamento, ma lui continua a singhiozzare ininterrottamente.  “Mi dispiace… Non lo meriti… Io non avrei mai voluto che le cose andassero così…”.       


42, 41, 40…

Il tempo per decidere del mio destino è sempre meno, anzi, sembra che quei secondi indichino proprio quanto mi resta. Chi voglio prendere in giro? Ormai è chiaro: la mia vita terminerà oggi. Lo sapevano tutti fin dall’inizio, in fondo: papà, Rio, Kayoko, Kim, i capitolini, il Distretto 8, l’intera Panem. “ Io non l’ho fatto contro di te, mi dispiace…, “Non lo meriti…”, “Io non avrei mai voluto che le cose andassero così”.                                                                                                                                                                                                     
38, 37, 36… 

Nessuno ha mai creduto, o minimamente riposto un po’ di fiducia in me: la loro stupita compassione era nascosta dietro a quei sorrisi che ogni volta mi rivolgevano. Lo si leggeva negli occhi. Mi trattavano tutti come se fossi il poveretto con cui bisogna essere gentile perché altri ti hanno ordinato di farlo: sorridi e sii gentile con quel ragazzo sfortunato.  

30, 29, 28…

È stato così fin dall’inizio. Probabilmente in questo momento a un qualche cuore sensibile starà scorrendo una lacrima sulla guancia “Povero ragazzo. Che qualche animo caritatevole abbia pietà di lui e smetta di farlo soffrire!”. Sì, me lo immagino.

23, 22, 21…

Be’, io non aspetterò nessun animo caritatevole. Sono stufo della loro pietà e della loro commiserazione. Almeno come morire sarà una mia decisione: non ci sono altre alternative.

17, 16, 15…

Dicono che sia così rapido da non accorgersene e così veloce da non riuscire neanche ad avvertire la fine. Sta lì la differenza.

10, 9, 8…


Gabriel Perseus Morgan, tributo del Distretto 4, arena


Una terribile esplosione rimbomba all’interno dell’arena, mentre noi tributi ci pieghiamo istintivamente come per proteggerci. Tutti ci voltiamo verso quelli che sono i resti della pedana, ormai avvolta dalle fiamme. A terra si vedono strisce di sangue e quelli che sembrano frammenti di una carrozzella, che risultano ancora di più sul pavimento lindo e bianchissimo.          
Il gong suona, ma sono solo pochi quelli a scendere dalle rispettive postazioni, troppo scioccati dai brandelli di carne sparsi sul pavimento. Cerco di ignorare l’iniziale stato di confusione intorno a me e di dirigermi al più presto verso la Cornucopia, come già alcuni tributi stanno facendo. Intravedo Jacob fiondarsi verso il centro del corno alla ricerca degli zaini, seguito da Shine. Non riesco a trovare il mio altro compagno, ma probabilmente la sua postazione era più lontana dalle nostre.
Ormai sono tutti scesi e si stanno avvicinando sempre di più alla Cornucopia per tentare di racimolare qualche zaino o almeno un’arma. Il terrore alberga in ognuno di noi: lo vedo da come tutti si stanno muovendo senza logica o piano specifico; dai loro occhi spalancati e vitrei. Sembra la fine del mondo.  Cerco di esternarmi dalle urla o dal rumore di armi e oggetti spostati e di focalizzarmi unicamente sulla spada su cui metterò le mani e sui miei alleati, che non posso assolutamente perdere di vista. Dobbiamo uscirne da qui tutti e quattro.        
Improvvisamente, come una benedizione dal cielo, riesco a notare una spada non poco lontano da me. Corro in quella direzione il più velocemente possibile, sperando che nel frattempo nessuno l’abbia notata. La sollevo senza alcuna difficoltà: è abbastanza leggera, e con il manico interamente decorato.    
“Gabriel!”, sento qualcuno chiamarmi e con gioia noto che è Kai. Ha in mano una lancia e gli occhi che gli saettano da tutte le parti. “Muoviti!”, mi riprende lui, afferrandomi per il braccio e trascinandomi via dal centro della Cornucopia, dove intanto alcuni gruppi di tributi hanno dato il via a delle piccole risse per guadagnare anche solo una bottiglia d’acqua o un sacco a pelo.                                                                            
Entrambi ce ne andiamo il più lontano possibile verso l’esterno dove, in mezzo al bianco più totale, ci attendono Shine e Jacob. La prima è pallida, con uno zaino in spalla e una spada, mentre il secondo ha invece un graffio sulla guancia e tiene stretti alcuni zaini. “Ce l’avete fatta!”,  esclama sollevata la mia alleata.                                                                                                                                                                                                                     
Sorrido di rimando per rassicurarla, ma l’osservazione di Jacob getta in noi altra preoccupazione. “Dove andiamo ora? Non possiamo stare qua!”.     
Incominciamo a guardarci ansiosamente intorno cercando un indizio o un qualcosa che ci possa aiutare, ma niente. Nessun nascondiglio, nessuna porta, niente di niente, se non la Cornucopia e il macello in lontananza. 
“Non può essere tutta questa l’arena”, osserva Kai, a fior di nervi.                                                                                                                                                   
Aspetta… E se avesse ragione? Se l’arena fosse qualcos’altro di più? Il ronzio inquietante, la macchia azzurra che continuava ad espandersi. Forse ho capito.    
“Ogni volta che si sente quel ronzio succede qualcosa all’arena”, affermo. Loro mi guardano dubbiosi. “Avete presente quando si è sentita quella vibrazione ed è apparsa una macchia sul soffitto?”, domando. “Che cosa vi sembrava?”.    
“Un cielo, credo”, indovina Shine.                                                                                                                                         
“Esatto! L’arena cambia forma ogni volta che parte quel rumore. Quindi…”.                                                                                                                                     
“Sì, ma non possiamo aspettare in eterno”, obbietta Jacob, animo un po’ più pratico.                                                                                                                                                                                                                                                                                          
Sto per rispondere qualcosa quando Kai ci ferma e ci costringe a voltarci verso la Cornucopia, o meglio, dove prima c’era la Cornucopia. “Che diamine…”.     
Il ronzio riparte, e in questo momento mi sembra il suono più bello che io abbia mai sentito. Avevo ragione.                                        
Poco dopo, il pavimento incomincia a colorarsi di grigio e il soffitto ritorna ad essere azzurro. Intorno a noi si materializzano grattacieli ed edifici di ogni tipo, pieni di schermi e striscioni colorati.
“Siamo a Capitol…”, sussurro, quando anche l’ultimo palazzo ricopre l’ultima macchia bianca.  
“No, c’è qualcosa di diverso…”, osserva Shine, indicando un cartello non poco lontano da noi, su cui è disegnata una macchina. All’inizio non ci trovo nulla di strano, poi capisco: le lettere sono le stesse del nostro alfabeto, ma sono disposte in un ordine strano, che formano parole a me assolutamente sconosciute.  
È solo allora che noto le persone: sono tantissime e di tutte le età. Camminano accanto a noi, ignorandoci deliberatamente nonostante i nostri abiti e le armi nelle nostre mani. Prima non c’erano, lo giuro.                                                                                                                                                                                               
Shine a quel punto si allontana, avvicinandosi a una donna che passa accanto a noi. Quest’ultima si ferma, e la vedo dire qualcosa alla nostra alleata. Quando lei torna a un gran sorriso sul volto.    


Artemide White, tributo del Distretto 12, arena


Inutile dire che sono rimasta come una cretina a fissare imbambolata la pedana del ragazzo del Distretto 8. Non so cosa mi sia successo, ma il sangue, le fiamme, tutti quei frammenti di metallo e quei brandelli di carne mi avevano calamitato gli occhi. Non riuscivo a staccarmi da quel macello. Se ci ripenso mi vengono i brividi.                                                                                                                                                                                                                                          
Quando mi risveglio sono scesi quasi tutti, ad eccezione di qualche bambino. Cerco di andare a una velocità maggiore per rimediare al tempo che ho sprecato, ma ormai il danno è fatto. La gran parte dei Favoriti è già all’interno della Cornucopia, mentre gli altri tributi tentano di afferrare gli zaini sfuggiti allo sguardo di quelli più forti.                                               
Devo assolutamente trovare qualcosa di utile anch’io, altrimenti sarò fregata. E proprio nel mezzo del macello che vedo uno zaino di medie dimensioni, ma abbastanza promettente. Magari si sarebbe un fallimento, ma per me in quel momento era la cosa più bella e importante che ci fosse sulla terra.            
Mi sono fiondata in quella direzione, ignorando tutto e tutti. Avevo nella testa solo lo zaino e il corpo maciullato del ragazzo dell’8. Quando sono arrivata mi sono buttata sopra, afferrandolo saldamente  con entrambe le mani.                                                    
Mi sono accorta solamente dopo che c’erano altre mani a stringere le bretelle dello zaino: la ragazza dai capelli scuri del Distretto 8. Mentre io andavo nel panico, un sorriso si formava sulle sue labbra. Tento in ogni modo di strapparlo alla sua presa, quando la ragazza mi blocca, afferrandomi per il braccio.     
“Ferma! Non ti voglio fare niente”, mi rassicura lei, sorridendomi amabilmente. “Alleate?”           
Le sue parole entrano lentamente nella mia testa e l’idea di un’alleanza  mi pare per la prima volta una buona soluzione. Credo di potermi fidare, in fondo mi è sembrata una ragazza a posto. Avrebbe perfettamente potuto uccidermi con quel coltello che tiene nell’altra mano, quando invece mi ha proposto di affrontare tutto ciò insieme.
“Sì, ci sto”, annuisco, prendendo lo zaino e caricandomelo sulle spalle. Lei si alza, profondamente soddisfatta, stringendo sempre più forte il coltello.
“Bene, allora, andiamocene da qua”, propone Kim.                                                                                                                                                    
“Dove?”, domando, dando libero sfogo a tutti i dubbi riguardo a questa arena. Non c’è nessun possibile nascondiglio.                                                             
“Deve pur esserci un qualcosa, a meno che a Capitol non vogliano che i Giochi finiscano in un unico giorno”, osserva lei beffarda.                               
Decido di assecondarla e tutte e due incominciamo a correre per uscire da qua, quando vedo Marco,  impegnato in una lotta con il tipo del Distretto 3. Improvvisamente mi fermo, scatenando qualche sguardo di disapprovazione in Kim. Non posso abbandonarlo qua, in fondo non è così male. Non posso non ammettere che mi sia divertita con lui e con tutto quel casino che a combinato con Cesar Flickerman. Poveraccio, ha ancora un occhio nero.
“Marco!”, lo chiamo. Lui si volta, non perdendo però la stretta sullo zaino.                                                                                           
“Kim, dammi il coltello”, le ordino.                                                           
“Ma, Artemide…”, obbietta lei.                                                                                                                                                                                     
“Non posso lasciarlo qua: vedrai che andrà tutto bene”, le assicuro, mentre lei mi allunga il coltello titubante. 
Vado dal mio alleato, tenendo stratta l’arma. Solo se sarà necessario, mi ripeto. Solo per dare a noi il tempo di afferrare lo zaino e scappare.  
Quando arrivo lì, ogni mio buono proposito di aiuto sembra svanito. La mia mano sembra come se si volesse trattenere. La mia mente mi ordina di farlo, mentre il mio cuore e i miei muscoli intendono qualcos’altro.  
Ignorando tutto, spingo il coltello nella spalla del ragazzo, facendolo urlare. Marco strappa con violenza  lo zaino dalle sue mani e insieme raggiungiamo Kim. Penso che possiamo rimandare a dopo le presentazioni.                                                                                                                                                 
Tutti e tre ci addentriamo nel bianco sconfinato, mentre sento il sangue incominciare a seccarsi sulle mie mani.                    
Un ronzio, uguale a quello di prima, ci costringe a fermarci. Cosa sta succedendo? Poco dopo dal pavimento incomincia a fuoriuscire dell’acqua, che ci bagna le scarpe. Un po’ più in là sbucano degli alberi stranissimi e piuttosto alti, mentre un limpido cielo tinge il soffitto. Una brezza gentile ci accompagna alla spiaggia, dove intanto è spuntata della sabbia. Ci guardiamo indietro: la Cornucopia non c’è più.   


Galen Willblast, tributo del Distretto 1, arena


Non so se esistono parole per descrivere questo momento. Credo di aver raggiunto l’apice, non posso essere più felice di così. No, felice non è il termine giusto. In non sono un pazzo sanguinario come Prudence, ho i miei ideali: ho una motivazione più onorevole. Direi più che sono emozionato come lo si può essere in un giorno importante per la propria vita. Sento che questo è un giorno diverso.
Sono saltato giù immediatamente dalla mia postazione, agile e scattante, nonostante la fine brutale di quel ragazzo e l’esplosione. Non ho pensato ad altro che all’arma su cui avrei dovuto mettere le mani.
Quanto sono arrivato, c’erano sì e no una manciata di tributi, ma io mi sono preoccupato solamente della mia spada. Quando ne ho trovata una che sembrava adatta a me, l’ho afferrata senza esitazione.                                                                                                                                                      
Presto sono stato raggiunto anche da Phyllis e da Allie, la prima con in mano un coltello nella destra, mentre la seconda con un’ascia, anche se leggermente più spaventata.                                                                                                                                                       
“Pronto?”, mi domanda la mia alleata, scrutando la zona di fronte a noi. Annuisco. “Theo e Prudence hanno già preso le loro armi, li ho visti prima”, mi aggiorna lei. “Allie, resta con me”, ordina Phyllis alla ragazza. Prima di andarsene, lei mi fa un cenno del capo, ricordandomi della nostra altra-alleanza. Per ora abbiamo deciso di restare insieme per gli sponsor e tutto il resto, poi vedremo cosa fare.                                                                                        
Decido di allontanarmi anch’io alla ricerca di un qualche tributo da sconfiggere. Intorno a me tutti sono in preda ai loro istinti più primordiali, correndo da tutte le parti e cercando di trovare qualcosa di utile per la loro sopravvivenza. Molti stanno combattendo con pugni, calci e morsi ed è proprio un gruppo di tributi a catturare la mia attenzione: sono il ragazzo del 3 e quello problematico del 12. Mi avvicino a loro con passo sicuro, cercando di eliminare almeno uno, se non tutti e due i miei nemici. Una ragazza mi precede, però, piantando con foga un coltello nella spalla del tipo del Distretto 3. I due minatori rubano lo zaino e si allontanano nel bianco, affiancati da un’altra ragazza.
Bene, mi hanno solamente facilitato il lavoro. Mi avvicino al tributo rimasto ferito e lui non ha neppure il tempo di fuggire che la mia spada è già nel suo fianco. Spingo sempre più in profondità, fino a quando lui non si accascia su sé stesso. Estraggo l’arma, ignorando la chiazza rossa che macchia il pavimento bianchissimo e si dilata sempre di più.
È una sensazione strana, è come se mi sentissi diverso. Eccitato e colpevole allo stesso momento.  Sento come un’energia pronta a esplodere, dentro di me. E, contemporaneamente, un pensiero che non mi abbandona, che mi fa pressione sul cuore, ripensando al ragazzo e alla sua morte. Ci penserò dopo, ora ho altri pensieri.                                                                                                                                                
La cosa inquietante è che molti tributi sono spariti, letteralmente. Non ci sono nascondigli, quindi mi chiedo dove siano andati. Mi tornano in mente i due tizi del 12 e la ragazza del 8, mentre correvano nel nulla. Che li abbia inghiottiti? Dove sono Shine e Gabriel e i loro nuovi amici? Prima ero riuscito a individualizzarli…       
È proprio in quel momento che sento un peso venirmi addosso: mi volto e vedo il tributo del Distretto 10. Ha in mano una spada e mi pare agguerrito. Mi sorride beffardo, caricando l’arma e mirando al mio braccio.
Aspetto fino all’ultimo prima di schivare il suo fendente, riuscendo così a sbilanciarlo il tempo necessario per permettere a me di colpire.
Gli assesto un calcio nello stomaco, facendolo piegare in due dal dolore. Il tributo si volta rabbioso verso di me, ma io sono più veloce, più allenato, più capace. La mia spada entra nella sua schiena, mentre un rantolio di dolore esce dalla sue labbra. Un misto di saliva e sangue fuoriesce dalla bocca, mentre il tipo stramazza al suolo.                                                                                                                                                            
È in quel momento che tutto cambia: il bianco scompare improvvisamente e, mentre un inquietante ronzio vibra intorno a noi, maestosi alberi incominciano a spaccare il pavimento, circondandoci completamente. Il soffitto diventa azzurro, come la macchia di prima, mentre sotto i nostri piedi spunta dell’erba brillante. Ogni combattimento si ferma, mentre i pochi tributi rimasti incominciano a correre lontano, giù per la collina e verso i prati. Siamo solo noi, sono spariti anche i cadaveri.
“Che cazzo è successo?”, domando a Phyllis. Lei alza le spalle, guardandosi intorno.                                                                          
“C’è un problema più grande”, afferma Theo. “È sparita la Cornucopia”.                                  
Perdo un battito, guardandomi intorno in cerca delle nostre armi, delle nostre provviste!                                                       
“È probabile che la Cornucopia sia l’unico punto fisso”, osserva Allie.                                                                                                                                        
“In che senso?”, domanda alterata Prudence.                                                                                                                                                             
“Tutto ciò che c’entra con il corno non c’è più: le provviste, le pedane, i cadaveri. Lo spazio cambia, ma, secondo me, la Cornucopia, essendo nel centro, resta sempre “nel bianco””.                                                                                                             
Mi metto una mano sulla fronte: non abbiamo un singolo zaino.


Flame Fealton, tributo del Distretto 11, arena


Appena ho sentito l’esplosione sono saltata giù dalla pedana: non mi importava minimamente che cosa fosse successo. È stata un po’ come una spinta, un motivo supplementare per farmi scendere e correre verso il centro del corno. All’inizio è stato un po’ difficile procedere sul bianco, dato che sembrava non ci fosse un pavimento, ma poi ci ho fatto l’abitudine e ho continuato ad andare avanti.
Mi servivano uno zaino e un’arma, assolutamente. Un unico obbiettivo continuava a martellarmi il cervello: tornare da Ester e dalla mia famiglia. L’importante è uscirsene vivi da qua, il resto poi si vedrà.                                                                                                             
La prima cosa su cui ho messo le mani è stato un set di coltelli da lancio: ho preso tutto l’involucro, mentre uno me lo sono tenuto fuori. Per ogni evenienza, mi sono detta.                                                           
Stavo per andare alla ricerca di uno zaino, quando ho visto la ragazza del Distretto 4 e il tributo del Distretto 2. Ho cercato di ignorarli il più possibile, ma poi quando ho notato che il ragazzo  con cui se la stavano prendendo era Creedence, sono stata invasa da una gran rabbia.  Non ci ho pensato due volte ad andare verso di loro con il coltello stretto in mano: non sapevo quanto avrei potuto spaventarli, ma in quel memento non ci ho assolutamente pensato.                                                                                                                                                                                                                 
A volte ci sono cose che non si possono tollerare: avrei potuto voltarmi e andarmene per i fatti miei, ma non ce la facevo. Probabilmente adesso non sarei ridotta così, ma pazienza, sarà per un’altra volta.                                                                                                                                                     
Loro due mi vedono e sul volto della Favorita si forma un sorriso di sfida, mentre il ragazzo del 2 affonda la lancia nel petto del mio compagno. 
Sento le lacrime scendere dai miei occhi, per Creedence e anche per ciò che ho appena visto. Resto lì, a guardare la scena come in uno stato di trance ed è per questo che non mi accorgo della ragazza del Distretto 4, o meglio me ne accorgo troppo tardi. Faccio per voltarmi, ma lei è troppo forte e veloce, e pianta la sua sciabola nel mio fianco.                                                      
Un dolore allucinante mi pervade quando lei estrae l’arma, poi tutto ciò che avviene dopo è un misto di suoni confusi e colori che sbiadiscono.
Ad un certo punto tutti scompaiono e restiamo solo noi mezzi cadaveri. Che    


Killian Boston, sindaco, Distretto 9


La ragazza del Distretto 3 continua a trascinarsi sul terreno tenendosi il fianco, dove è ancora piantato il coltello della ragazza del Distretto 2. Poi incomincia ad accasciarsi su sé stessa, fino a che il primo cannone non spara. Ne seguono altri cinque. Sei morti in tutto, mi chiedo se toglieranno i cadaveri o li lasceranno lì, dato che tutti i tributi sono stati spostati in altre realtà. Probabilmente sì, lo faranno lo stesso.     
Le telecamere ora si spostano su ragazzino del Distretto 6, l’unico ancora non “trasportato”. Poveretto, è da mezz’ora che sta procedendo letteralmente terrorizzato nello spazio bianco.  Come se avessero udito le mie preghiere, gli Strateghi attivano il ronzio, segno che presto anche quella parte di arena comincerà a mutare. Il ragazzino si ferma, mentre delle gocce incominciano a scendere dal soffitto, che poco dopo aumentano, trasformandosi in un vero e proprio temporale. Alcuni massi incominciano a spuntare dal pavimento formando, a poco a poco, una  scogliera, dove sotto si infrangono le onde e il mare si muove tempestoso. Continua a piovere e il cielo è sempre più nero.     

Guardo l’orologio: Blight ed Henry stanno parlando da più di venti minuti. Capisco che debbano discutere di cose importanti, ma sono pur sempre mia moglie e il mio migliore amico, mi aspetto un minimo di coinvolgimento. 
Mi avvicino alla studio quando, prima di aprire la porta, avverto le loro voci e così decido di ascoltare.   
“Sei riuscita a pagare davvero tutto?”, domanda Henry.                                                                                                                         
“Certo, tu?”.                                                                                                                                                                 
“Sì. Io sono stato contattato dal colonnello Hamilton, che mi domandava dell’arma: gli ho detto che quelli dei Distretti 3 e 5 stanno facendo il più veloce possibile”. Pagare cosa? Chi è il colonnello Hamilton?  Che cos’è l’arma di cui si stanno occupando quelli del 3 e del 5? Basta, ho sentito abbastanza. Apro la porta, lasciando mia moglie e il mio migliore amico sorpresi dalla mia entrata.                            
“Che cosa mi state nascondendo?”, domando acido, aspettando una spiegazione.                                                                                                    
“Niente, Killian”, tenta di salvare ancora qualcosa mia moglie.                                                                                                                    
“Chi è il colonnello Hamilton  e che cos’è l’arma?”, replico, sperando di fargli vuotare il sacco. “Vi ricordo che sono il sindaco, esigo una risposta”, ordino.         
Loro si guardano ansiosi. “E va bene, Killian, ma devi prometterci di non aprire bocca con nessuno”, mi prega Henry. 
“Io e Blight stiamo finanziando una nuova bomba  in fase di costruzione da un gruppo di scienziati nei Distretti 3 e 5”, inizia lui. “Il gruppo di scienziati sta operando illegalmente, donando poi questa bomba ai ribelli del Distretto 13”, termina lui.
“Il Distretto 13 non esiste più”, controbatto, lasciandomi sfuggire una risata isterica.
“No, Killian, esiste ancora. Il colonnello Hamilton viene proprio da là, ed è il responsabile per il distretto di questo progetto”, aggiunge Blight.   
“Siete impazziti?”, replico. “Avete pensato alle conseguenze se vi dovessero scoprire?!”, esclamo.         
“Proprio non ti capisco, Killian”, continua Blight, guardandomi critica. “Non eri forse tu quello che si era candidato sindaco con la speranza di cambiare Panem? Anche io ed Henry, e tante altre persone vogliamo fare qualcosa, solo che a differenza tua, non stiamo a piangerci addosso”.
La sua dichiarazione mi ferisce profondamente, facendomi ricordare tutti i miei sogni andati infranti. Non mi sono mai sentito così un perdente come adesso.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             
                                                                                                                                                                                                                                          
 
 
 
Sorpresa! Ecco il Bagno di Sangue, sperando che vi sia piaciuto, nonostante le morti…                 
Mettendomici d’impegno, ho scritto tutto prima di partire.

Morti  nel capitolo

Julivan Sánchez
Aaron Joshua Sanders
Creedence Ramsay
Flame Fealton
Greg Grint
Arienne Selene Dioneide

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Capitolo 13
*** Mors tua ***


Mors tua

 


Qualche ora dall’inizio dei Giochi
 
 
Theodore Gallagher, tributo del Distretto 6, arena (scogliera)

Esco dal mio piccolo nascondiglio ricavato nell’incavo di due scogli, mettendo per la prima volta il naso da quando sono venuto qua. A contatto con il vento gelido, un brivido mi attraversa tutto: nonostante siano passate parecchie ore dall’inizio, i miei vestiti sono ancora tutti bagnati.
È stata una benedizione dal cielo trovare questo anfratto, anche se in tutto quel tempo che ci ho messo per trovarlo mi sono fatto il bagno. E i vestiti non incominceranno ad asciugarsi certo ora, che sta scendendo la notte.
Mi muovo il più agilmente possibile sui massi, cercando di non urtare il contenitore di plastica che ho trovato nella piccola sacca che sono riuscito a racimolare. Chi l’avrebbe detto che mi sarebbe poi tornato utile con tutta quest’acqua? Ora è colmo fino all’orlo e me la dovrò far bastare fino al prossimo temporale, che sarà a breve, dato che il cielo non accenna ad aprirsi.  Ah! La fortuna di capitare in un’arena dove la qualità è quella di portare acqua a tonnellate! Direi che come debutto non è stato dei peggiori.
Mi siedo su uno scoglio non troppo in vista, ma che mi permette di avere una buona visione dei miei nemici, anche se non credo che ce ne siamo molti in questi zona. Meglio per me, anche se non ho la ben che minima idea di come riusciremo a scontrarci se siamo tutti divisi.  Si vedrà col tempo, ora non mi deve importare.
Il vento emette un fischio sinistro, annunciando forse un nuovo temporale, mentre dei bagliori biancastri incominciano ad illuminare le nuvole. Mi allontano dal mio nuovo scoglio, con la speranza di evitare di bagnarmi ulteriormente con gli spruzzi delle onde che si infrangono poco più sotto.
Faccio la strada al contrario per ritornar al mio nascondiglio, stando attendo a non scivolare per non ritrovarmi con il cranio spaccato.
Posiziono saldamente un piede sulla roccia e mi do un piccolo slancio, riuscendo a salire sullo scoglio. Cerco di mantenermi il più rasente possibile alla parete per evitare di rendere la mia posizione troppo evidente: non si è mai troppo prudenti.
Aggiro anche l’ultimo masso, quando finalmente riesco a riconoscere  le mie due rocce, che si incastrano perfettamente tra di loro, creando il miglior nascondiglio del mondo.
Sto per avvicinarmi, quando vedo qualcuno sbucare da chissà dove e fermarsi proprio in prossimità del mio contenitore pieno d’acqua. È un ragazzino con indicativamente la mia età, un cespuglio di ricci e un paio di occhiali. Lo vedo chinarsi pericolosamente sulla mia unica risorsa e afferrarla con entrambe le mani. Per berla! La mia acqua!
“Ce n’è abbastanza per tutti, non credi?”, domando, sgusciando fuori da dove lo stavo spiando. Non credo possa aggredirmi o che abbia armi con lui: se voleva rubare la mia acqua vuol dire che non ha niente di utile con sé.
Lui si gira di scatto, facendo nel frattempo cadere un po’ del prezioso contenuto. Lo vedo indietreggiare di qualche passo, poi fermarsi. Avrà capito che anch’io non ho nulla, a parte quella roba di plastica.
 “Non se non hai niente per raccoglierla”, risponde lui con arroganza, che riconosco solo adesso come il ragazzino del Distretto 10.
Proprio in quel momento un tuono irrompe nell’arena mentre rade goccioline di pioggia tornano a scendere.
“Che palle”, commenta il tipo, alzando gli occhi al cielo. “Anche dov’ero io prima non faceva altro che piovere”, aggiunge sconsolato.
“E dov’eri prima?”, chiedo incuriosito.
“Al faro”, risponde lui.
“C’è un faro?”.
“Sì, è su un’altura a picco sul mare. Non hai visto la luce?”, domanda come se la cosa fosse abbastanza ovvia.
“No”, rispondo . A dirla tutta non ho neanche mai visto un faro, e credo neppure lui, almeno fino a oggi. Non ce ne sono al 6 e al 10. Non mi dispiacerebbe vederne uno, devo ammettere.
La pioggia incomincia a farsi più fitta: è meglio che rientri nella mia “grotta”.
“Se non ti dispiace, …”, aggiungo, prendendo la mia acqua e sperando di scollarmelo al più presto.
“Max”, mi suggerisce lui. “Ti dispiacerebbe fare un po’ di posto anche a me?”.
Sospiro. Potrei rifiutare, ma non mi va di restare solo. In fondo ha la mia stessa età, potrebbe funzionare la cosa.
“Si sta bene, qua sotto”, aggiungo, lasciandogli lo spazio per passare e posizionando nuovamente la mia scatola sotto la pioggia ormai incessante.

Darlene Watson, tributo del Distretto 5, arena (faro)
                                                                                                                                                                                                  
Ogni scalino sembra scricchiolare sempre di più ad ogni mio passo: ho fatto di tutto per cercare di camminare il più leggermente e silenziosamente possibile, ma è stato tutto inutile, così gliel’ho data su. Dopotutto non credo che ci siano altri tributi su questo faro.
Arrivo a quello che sembra essere il primo piano, dove ci sono quattro porte. Apro con cautela la prima, impugnando saldamente il piccone che sono riuscita ad afferrare. All’interno non c’è nessuno, se non un letto di ferro, un comodino, una lampada e una piccolo armadio. Anche le altre sono vuote: una minuscola cucina, un bagno e uno studio pieno di libri e scartoffie.
Decido di continuare la mia salita verso la sala di controllo. Ogni tanto lancio un’occhiata alla porta, cercando di tranquillizzarmi: non dovrebbe entrare nessuno, sono stata molto attenta nello sprangare la porta. Credo sia comunque utile spegnere tutto, almeno il faro non sarà così visibile, senza luce. A meno che uno non ci venga proprio sotto, chiaro.
Arrivo finalmente alla fine, dove un’altra scala porta ad una botola. Riesco a salire senza troppa difficoltà, ritrovandomi poi nella grande sala di controllo, dove la lampada centrale continua ad irradiare luce.
Sulla destra si trova un banco con alcune carte e, sulla destra, quella che sembra essere la cosa più importante: una leva. 
La afferro con entrambe le mani e cerco di fare pressione per abbassarla, ma quella non accenna a muoversi. Continuo a spingere sempre più forte, fino a che quella non si abbassa con uno scatto improvviso. Poco dopo la luce si spegna, lasciando la stanza e l’intera arena nella più completa oscurità.
Mi avvicino alla grande vetrata circolare, guardando la scogliera in lontananza e lo strapiombo sul mare proprio al di sotto del faro. Chissà chi sono gli altri tributi che si trovano qui con me. O che fine hanno fatto gli altri e come saranno le loro arene.
Improvvisamente l’inno di Panem rimbomba all’interno dello spazio, risultando abbastanza distorto se sovrapposto al temporale che è tornato ad infuriare.
Prima di tutto ci sono i due ragazzi del 3, seguiti dal ragazzo paralitico del Distretto 8, dalla ragazza del 10 e, infine, da entrambi i tributi del Distretto 11.
Siamo rimasti in diciotto ed entrambi dal Distretto 5. Forse in questo momento a casa avranno tirato un sospiro di sollievo.
Scendo giù dalle scale e richiudo la botola alle mie spalle, per ritornare al primo piano. Decido di entrare nella camera e di sistemarmi sul letto, assicurandomi che il piccone sia ben posizionato accanto a me in caso di ogni evenienza.
Sarà una lunga nottata, anche se non ho alcuna intenzione di chiudere occhio. Sono consapevole che prima o poi dovrò dormire: non posso arrivare allo scontro finale senza forze, ma come prima notte non voglio arrischiarmi di chiudere gli occhi. Col cavolo, ci puoi scommettere. Non che mi aspetti mostri o cose del genere, ma non sono così tranquilla da poter rilassarmi e dormire.
Quante ore mancheranno al mattino? Possibile che non ci sia un orologio? Dio, fa che arrivi al più presto la luce del giorno.
Iris una volta mi disse che per rimare vigili bisogna fare pensare la mente. Mi disse, in particolar modo, di contare il tempo. Ora potrebbero essere le nove-dieci di sera: potrei partire da lì, a contare. Il risultato sarebbe molto indicativo, ma almeno potrei avere la concezione del tempo e delle ore che passano.
Lentamente inizio a contare, anche se i miei numeri si mescolano a inquietanti conti alla rovescia, mentre i miei minuti diventano i sessanta secondi dall’inizio del Bagno di Sangue.
È solo suggestione, lo so, ma non riesco a scacciarla dalla mia mente, così decido di prendere la torcia dallo zaino e puntarla sulla porta. Fisso il cerchio di luce. Non so a che ora fossi arrivata quando mi sono addormentata.

Theo Luge, tributo del Distretto 2, arena (campagna)

“Questo è il massimo che sono riuscita a trovare”, annuncia Allie, mostrando le poche bacche che tiene nelle mani. Sui nostri volti si dipinge un’espressione di pura insoddisfazione, mentre osserviamo le bacche e le mele distese sul prato. Allie e Phyllis hanno fatto del loro meglio, certo, ma non possiamo non pensare a tutti quelli zaini pieni che si trovano completamente inutilizzati nel centro della Cornucopia. Alla sola idea mi viene da picchiare qualcuno. Ci doveva essere scritto il nostro nome sopra, su quegli zaini e sul corno, e invece siamo qua. A nutrirci di mele e bacche.
“Grazie comunque”, dico, afferrando una mela con la speranza di cancellare l’immagine di tutta quella roba abbandonata. E di farlo dimenticare anche ai miei compagni.
La mia alleata del 7 sorride, sicura ormai della sua importanza all’interno di questo gruppo. La cosa è venuta fuori qualche ora dopo lo scontro: Allie ha incominciato a prendere sempre più parte alla conversazione, non limitandosi solamente a osservazioni varie, ma incominciando anche a prendere decisioni su dove andare, su dove accamparci per la notte e se era necessario andare a cercare qualcosa da mangiare. Non so davvero da che parte schierarmi, in fondo io stesso sono stato il primo a votare a favore del suo ingresso nell’alleanza, anche se non avrei mai pensato che un giorno molto sarebbe dipeso da lei.
“Figurati, Theo”, continua lei, certa che non potremo più soppiantarla, altrimenti saremo spacciati. Dopotutto è l’unica che ha un minimo di cultura sulle piante e sul loro utilizzo, l’unica fonte di nutrimento che ormai ci resta senza gli zaini.
“Dove dormiamo stasera?”, domanda Galen, aprendo bocca solamente per ricordarci qualche nostro problema. Ho tentato di parlargli un momento in privato, ricordandogli della nostra altra-alleanza, ma mi è sembrato intrattabile, almeno per il resta della giornata. È vero che nulla sta andando com’era nei piani, ma ora è nostro compito trovare la forza di adattarci a questa situazione. Saremo Favoriti anche senza provviste.  Siamo circondati da campi coltivati, colline e prati, vuoi che non ci sia qualcosa di utile qua intorno?, una fattoria o un casolare abbandonato?
“Qua”, rispondo senza esitazione.
“Non dovremo, che ne so, magari  trovare un posto più sicuro?” , insinua Prudence.
“Non mi sembra che la Cornucopia fosse tanto più discreta”, commenta Allie. La mia alleata non replica. Touché. 
“Qui sarà perfetto”, spiega Phyllis. “Avremo una buona visuale, ma sarà altrettanto facile per poter poi ritornare dalle nostre… esplorazioni”, termina un po’ imbarazzata, allineando nel frattempo tutte le mele che Allie aveva lasciato cadere prima. È già la seconda volta che glielo vedo fare: già stamattina aveva incominciato a sistemare tutte le posate della colazione: prima i coltelli, poi le forchette da dolce, seguite dai cucchiai e infine quelli per la frutta. Ha detto che lo fa per rilassarsi e mantenere la calma.
“Una cosa che mi sono chiesta è come faremo a ricongiungerci agli altri tributi, insomma, qua oltre a noi ce ne saranno veramente pochi. Solo quelli che erano rimasti verso la fine”, riprende lei, invertendo il posto di due mele, mettendo prima quella più piccola.
“Credo che gli Strateghi ci sorprenderanno”, scherza Allie.
“Si fa quel che si deve”, commenta Prudence, mentre un leggero vento incomincia a muovere le fronde degli alberi.
“Si fa quel che si deve…”, ripeto anch’io.
 
Marco Milani, tributo del Distretto 12, arena (spiaggia)

Le guardo andare: si muovono caute e guardinghe alla ricerca di cibo nella boscaglia tropicale al limite della spiaggia. Osservano dubbiose i frutti degli alberi, per poi lasciarli dove sono. Le piante sono tantissime e stranissime: hanno foglie larghe e frastagliate e fiori dai cento colori. Poi ci sono i frutti: gialli, rossi e arancioni. Io e Artemide avremmo voluto assaggiarli tutti (lei ama il cibo, me lo ha confessato a Capitol, dove c’era la possibilità di magiare di tutto), ma l’altra ragazza dell’8 ci aveva subito fermati: “Siete matti? Non potete mangiarli, potrebbero essere velenosi!”, aveva esclamato prendendo malamente il frutto che avevo appena raccolto e buttandolo per terra. L’avevo guardata truce e lei aveva risposto con altrettanta durezza, sostenendo il mio sguardo.
“Marco, che ne dici di andare a cercare un po’ di legna per costruire un riparo, magari?”, aveva suggerito Artemide notando la tensione. Avevo ascoltato il suo consiglio e mi ero allontanato per cercare qualcosa di utile. Durante i tre giorni di allenamento a Capitol ero riuscito a seguire pochissimi corsi, gli unici in cui gli istruttori non mi avevano cacciato via perché non ascoltavo o rispondevo male: ero quindi andato da un giovane allenatore che mi aveva insegnato a costruire ripari con legno, foglie o qualsiasi cosa.
Nella foresta trovo tutto quello che mi serve e bene o male riesco a realizzare una tettoia di rami e foglie enormi. Guardo in su e noto che dalle piante pendono frutti marroni e ovali. Mi arrampico senza troppa difficoltà, sono sempre stato bravo a salire sugli alberi. Prendo il frutto e lo rigiro tra le mani: ha una superficie stranissima al tatto, ma non riesco a capire come si possa mangiare. Cerco di aprirlo facendo forza sui lati, ma è inutile. Maledizione! Scaglio il frutto per la frustrazione su una roccia poco lontana. Il frutto colpisce il masso con un tonfo sordo, per poi cadere a terra e aprirsi. Mi avvicino al guscio ormai spappolato sulla sabbia e lo osservo: l’interno è completamente bianco. Ne stacco un piccolo pezzo e lo assaggio: è buono, dolce e delicato.
Raggiungo Artemide, immersa nell’acqua cristallina fino alle ginocchia nella speranza di afferrare un pesce o qualcosa di commestibile sul fondo del mare. “Guarda”, le dico mostrandole il frutto. “Cos’è? È da mangiare?”, mi domanda dubbiosa.
Non è velenoso, non mi è successo niente”, le assicuro. “È buono, te lo regalo”, affermo lasciandole il frutto tra le mani. “Oh, grazie”, sussurra la mia amica.
Ora sono seduto sotto uno di questi alberi all’ombra delle foglie. Mi sono tirato il cappuccio della felpa sulla testa e guardo il mare: se mai dovessi tornare al 12, potrò vantarmi con tutti di averlo visto. Al distretto nessuno ha una benché minima idea di come sia, infinito, blu e profondo.  Li farò morire di rabbia e io mi crogiolerò nella loro invidia. Poi, dato che sarò un vincitore e potrò fare come mi pare, chiederò di poter portare un po’ di sabbia con me. Qui l’ho toccata per la prima volta ed è stata una sensazione indimenticabile: è morbida, calda e soffice. Per scherzo ne ho tirata una manciata nella schiena di Artemide. Lei si è voltata, sembrava un po’ interdetta, ma poi mi ha sorriso. L’altro tributo, invece (non ho idea di quale sia il suo nome, ma chi se ne frega), ci ha guardati stupita per poi scuotere la testa.    
Guardo lontano, verso il sole sempre più basso inghiottito dal mare, mentre il cielo si colora di rosso.

 Kai, tributo del Distretto 5, arena (città)

“Come faremo ad incontrare gli altri tributi in mezzo a tutta questa gente?”, domanda Jacob, schivando agilmente la marea di persone che ci viene incontro.
“Ci penseranno gli Strateghi”, risponde Shine, evitando all’ultimo di andare addosso a una donna. È ormai da tempo che continuiamo a camminare in questa zona dell’arena, in mezzo a grattacieli altissimi fatti di vetro. Gabriel guarda costantemente in su, ipnotizzato dal ritmo e dai colori della città. Anch’io mi osservo tutt’ intorno affascinato: non riesco a smettere di fissare i cartelloni sgargianti e i video che si ripetono in loop su schermi giganteschi. Ci sono le persone, a migliaia e proprio non capisco come abbiano fatto a ricrearle: okay, un conto è costruire un’arena, ma come hanno fatto con le persone? Sono ologrammi? Robot assemblati in laboratorio? Oppure gente pagata per fare da comparsa? E infine le strade: sono bellissime e piene di macchine: non sono come le strade di Panem, piene di buchi e vecchie, sono più da Capitol, lisce e perfette. Sì che sarebbe bello esplorare queste vie: starei tutto il giorno a girare e girare, non finirebbero mai…

“Grazie, Kea, per avermi aiutato”, dico a mia sorella mentre il grande cancello si richiude alle nostre spalle.
“Tranquillo, neanch’io ce la facevo più! Insomma, voglio bene a Steffon, ma oggi non ero pronta per una sua lezione”,  aggiunge mia sorella, camminando al mio fianco lungo le strade del 5, lontano dal manicomio del nostro patrigno. “In fondo credo che anche lui ormai l’abbia data su: tanto ogni “ordinamento restrittivo” (come li chiama lui) è un buco nell’ acqua!”, continua Kea “Anche grazie a me, devo dire!”, aggiunge lei, ridendo. Mi concedo anch’io una risata, immaginando l’espressione di Steffon quando non ci vedrà più. Proprio non ce la faccio a stare chiuso in quella stanza: per me è troppo piccola e stretta. Fuori c’è il mondo in attesa e qui ho tutto da scoprire: tutto ha qualcosa da raccontarmi e io amo le storie. È il mio passatempo preferito con Kea: ne inventiamo di tutti i generi. Le più belle, poi, sono quelle che nascono dalle domande. Una volta le ho chiesto cosa avrebbe fatto se fosse stata scelta per gli Hunger Games e lei mi aveva risposto: “Sai cosa farei? Nella sessione privata tirerei una freccia al Primo stratega!”. Non l’ho mai messo in dubbio.


"Quando tornerai a casa?”, mi chiede lei.
“Non lo so, qualche giorno”, dico, alzando le spalle.
“Okay, poi raccontami tutto”, continua mia sorella, salutandomi e tornando indietro verso il manicomio.
Una volta solo allungo il passo verso la taverna più famosa del Distretto 5: so che non è un posto molto raccomandabile, ma non posso fermarmi. Quei posti sono un crocevia di storie, non posso farmeli scappare. Entro nella locanda dove un gruppo di clienti è seduto a un tavolo e sta giocando a carte. Mi avvicino. Osservo da lontano la partita fino a quando non finisce e alcuni dei giocatori si allontanano. “Ti piacciono le carte? Ho visto che seguivi la partita”, mi domanda l’unico uomo rimasto al tavolo, probabilmente il vincitore. “Sai giocare?”, continua lui. Faccio segno di no con la testa.
“E ti piacerebbe imparare, magari?"
“Sì”, rispondo. Ogni cosa nuova mi piace.
“Allora, siediti, che ti insegno a diventare un vero baro”.


Abbiamo appena trovato un rifugio per la notte: è un vicolo laterale nascosto tra i palazzi. Non è chiuso da una parte però, nel caso dovessimo scappare.
“Sapete una cosa?”, dice Gabriel, “Se esco da qui la prima cosa che faccio è scrivere un libro ambientato in una città come questa".
“Sei uno scrittore?”, domando incuriosito.
“Be’, scrittore non proprio. Più una cosa personale”.
“Anch’io, sai? Solo che io non scrivo, ma racconto”, aggiungo.
“Sì? Allora cosa ci racconti?”, chiede Shine. Acconsento alla sua richiesta e racconto una storia che mi era stata narrata da un uomo che avevo incontrato alla locanda del Distretto 5. È la storia di un altro tempo. Parlo di giustizia, verità e capitani coraggiosi fino a che il sole non sparisce dietro i grattacieli.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    
 
Fine del giorno 1, ancora 18 tributi in vita
 
 
 
 
 
Era da tempo che volevo riprendere questa storia, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Che senso aveva continuare dopo più di un anno di interruzione?  Poi recentemente ho letto dei libri bellissimi che mi hanno fatto venire una gran voglia di creare una storia tutta mia e io ho ripensato a questa. Anche perché vorrei iniziare una nuova  ff, ma come si può se non ho neanche terminato la prima?
Capirò nel caso non vorreste più leggere o recensire (è passato del tempo), ma se i miei vecchi lettori vorranno riprendere a leggere, ecco qua il seguito.                                                          

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Capitolo 14
*** La tempesta ***


La tempesta
 
 

Giorno 2, mattina
 

Medea Jenkins, tributo del Distretto 2, arena (campagna)

Mi piace il Distretto 2. Benché sia molto diverso da Capitol, sono riuscita ad integrarmi senza troppi problemi. All’inizio è stata dura, però, sia per me che per mamma: ci era giunta la notizia che papà era stato condannato a morte, insieme a tutti i suoi collaboratori, siccome il Presidente Snow aveva scoperto che era a capo di una società di ribelli composta da qualche capitolino che era riuscito ad aprire gli occhi sul regime. Ecco perché quella notte io e mamma siamo state costrette a scappare, sole e con vestiti dimessi, nel vano posteriore di un hovercraft verso il 2. Papà era riuscito a cancellare in tempo ogni prova che ci collegasse ai ribelli per permetterci di scappare e farci una nuova vita. Mamma aveva pianto tanto, aveva smesso di truccarsi e aveva cambiato perfino identità. Anch’io ero cambiata: da Medea ero diventata Phyllis ed era stato Travis ad aiutarmi a scegliere quel nome. Levit era uno dei ribelli del 2 con cui papà era riuscito a mettersi in contatto poco tempo prima e, come segno di gratitudine verso mio padre che era riuscito a eliminare ogni prova che incriminasse i ribelli nei distretti, Travis aveva deciso di aiutare me e mamma. Travis, il mio nuovo papà. Non ho mai rimproverato mia madre per averlo sposato: voglio bene a lui come lo volevo al mio vero padre.
Oggi è un giorno speciale, poi: è il mio primo giorno all’accademia! Travis mi ha spiegato che ogni adolescente del distretto deve andarci per essere allenato al meglio per gli Hunger Games. Quando me l’ha detto si è rabbuiato, so quanto lui sia contrario a tutto ciò, ma non si può fare nient’altro. Io devo ammettere che sotto sotto l’idea mi elettrizza e mi incuriosisce: sarà un’esperienza completamente nuova e potrò farmi anche dei nuovi amici.
Travis mi lascia all’ingresso, dove una donna in uniforme prende i miei dati per assegnarmi al nuovo corso. Infilo una tuta che mi è stata consegnata e seguo la donna all’interno dell’edificio: dentro è enorme, ci sono tantissimi piani e centinaia di persone che si spostano nel lunghi corridoi per andare da una palestra all’altra.
La donna mi accompagna in una stanza circolare dove sono già riuniti parecchi ragazzi tutti della mia età. Poco dopo entra anche l’istruttore, che ci spiega le regole da rispettare all’interno dell’accademia e perché siamo lì, poi ci dividiamo nei vari settori. Decido di iniziare con la lotta corpo a corpo dove la mia avversaria è una ragazzina dai capelli biondi e le lentiggini. Duro qualche minuto senza troppi problemi evitando i colpi, ma la ragazza è più brava di me e a un certo punto mi tira un pugno dritto sul naso. Crollo a terra, sanguinante, stordita e piena di vergogna. “Sei durata quattro minuti, Levit, e questa non è neanche l’arena”, mi ammonisce l’istruttrice di questa sezione, mentre la ragazza bionda sorride beffarda. “Vai in infermeria. Chi sono i prossimi?”.
Mi allontano a testa bassa fino in infermeria dove un uomo mi lava la ferita e me la tampona. Resto seduta sul lettino, troppo imbarazzata per farmi rivedere, fino a che non entra un ragazzo. È molto simile alla ragazza di prima, biondo e con le lentiggini. Sorride timidamente, poi inizia a parlare: “Credo che mia sorella ti abbia appena tirato un pugno in faccia”.
Non rispondo, ma mi limito a guardarlo severamente. È così che ci si rivolge a una persona che non si conosce?
“Ecco, sono venuto qua a chiederti scusa da parte sua”, aggiunge lui sempre più imbarazzato.
“E perché non è venuta lei?”, domando, fredda.
“Oh, è troppo orgogliosa per farlo!”, continua, questa volta con un sorriso. “Comunque, io sono Aidan”.



Apro gli occhi. La luce sta illuminando gradualmente il cielo e un leggero vento muove le foglie degli alberi, si prospetta una bella giornata. Volto la testa e intravedo la schiena di Allie, seduta con l’ascia e di guardia.
Perché ripenso a questi momenti? È già la seconda volta che mi capita da quanto sono tornata qui a Capitol. Ormai i Giochi sono iniziati e non posso sbagliare: vincendo gli Hunger Games diventerò sufficientemente importante  per portare a termine il progetto iniziato dai miei genitori e dai ribelli. Sì, è la strada giusta. Chiudo gli occhi, è ancora presto.
 

Max Garrison, tributo del Distretto 10, arena (scogliera)

Finalmente il temporale incomincia a calmarsi e io e Theodore usciamo fuori dal nostro anfratto. Mi sgranchisco un po’, non ne potevo più di stare seduto lì sotto tutto schiacciato. Raccolgo lentamente  la scatolina di plastica colma d’acqua e ne bevo qualche sorso per poi  passarla al mio alleato. Quel contenitore è l’unica cosa che abbiamo: non abbiamo né un’arma, né una coperta, né nient’alto. Al bagno di sangue ho avuto troppa paura per gettarmi nella mischia e combattere: la maggior parte dei tributi è più grande di me, non avrei avuto nessuna speranza. Anche il mentore ci aveva consigliato di voltarci e andarcene, preoccupandoci solamente di trovare un rifugio, cibo e acqua. Be’, da bere ce l’abbiamo.
“Dobbiamo muoverci per cercare qualcosa da mangiare”, annuncio. Ho fame, è da ieri mattina che non tocco cibo e non possiamo continuare così fino alla fine.
“Guarda che lo so”, continua lui. “Solo che non ho idea di dove possiamo trovare qualcosa, siamo circondati da rocce!”. 
“Ci sarà un insetto da qualche parte…”, aggiungo. Lo vedo storcere il naso: “Schifo”.

Ci muoviamo attentamente sugli scogli, guardando anche sotto le rocce e in ogni buco. Sbuffo sconsolato quando anche sotto l’ennesimo masso non trovo nulla, fino a che non lo noto: non è molto grande ed è di un bianco sporco. È la prima volta che vedo un granchio. Faccio uno scatto e lo afferro all’ultimo momento: l’animale mi si agita tra le mani, muovendo tutte  le sue zampe. Lo sbatto un paio di volte su una roccia fino a che non smette di muoversi. Ritorno da Theodore e gli mostro il granchio ormai morto. “Ho trovato questo”, comunico raggiante.
Lui lo guarda scettico : “E lo mangiamo così, crudo?”.
“Eh, non credo che ci possiamo permettere di preoccuparci di microbi vari” , continuo leggermente irritato. Riusciamo a ricavarci una strana polpa bianca, ma ce la facciamo andare bene.
Non mi sono assolutamente pentito di aver trovato Theodore: desideravo un alleato a tutti i costi, non volevo restare solo, in fondo sono bravo a piacere agli altri. Credo che affrontare una situazione  così con qualcuno al proprio fianco alla fine la renda meno merdosa.

“C’è qualcuno che sta guardando la tv per te, dal 10?”, domanda il mio alleato.
Sorrido amaro, è la prima volta da quando sono in arena che penso alle persone che ho lasciato al distretto. Il pensiero mi investe come un macigno e la consapevolezza di rischiare di non riuscire a tornare si fa sempre più strada nella mia mente. Prima ero troppo impegnato a uscirne vivo dal massacro iniziale e a trovare un rifugio per pensarci, ma ora che sono qui è diventato un chiodo fisso. 
“Sì”, rispondo, guardando il mare scuro come la pece, come i miei pensieri. Ripenso ai miei amici, alle nostre partite a carte e alle nostre caccie ai fantasmi. Come potrei sopportare che tutto questo, un giorno, finisse? Non ho neanche ancora avuto il coraggio di rivolgere la parola a Cristal, la ragazza dei miei sogni. Ripenso alla mamma, come farà senza di me? Non sono pronto e non posso accettarlo.
“Tu?”, gli domando.
“Anch’io”, risponde, ma non faccio altre domande, non mi interessa e non voglio sapere. 

Le nuvole continuano ad essere scure e minacciose, che stiano annunciando l’ennesimo temporale?
“Oddio non ancora!”, sbuffa il mio nuovo amico. “Giuro che se riprende a piovere incomincio a urlare!".
         “Chissà come saranno le altre arene e dove sono gli altri tributi…”, mi chiedo. “Magari qualcuno in questo momento è seduto da qualche parte su una candida spiaggia a prendere il sole”, aggiungo. Non mi dispiacerebbe vedere una spiaggia, toccare la sabbia o provare a entrare in acqua. Qua è impossibile, il mare sotto gli scogli fa paura ed è tutta roccia, ovunque.
“A me andrebbe bene qualsiasi altro posto, ma niente acqua, ne ho avuta abbastanza da qui fino alla fine…”, risponde ma non riesco a sentire il resto della frase. Un tuono rimbomba nell’arena come se volesse distruggerla.
 

Amy Martin, tributo del Distretto 9, arena (scogliera)

Non riesco a smettere di tremare. Nonostante sia già mattina inoltrata, i miei vestiti non si sono ancora minimamente asciugati e dubito che lo faranno mai se il sole continua ad essere coperto dalle nuvole.
Ieri sera ho vagato per ore alla ricerca di un semplice riparo, un anfratto o anche uno scoglio, ma niente. A un certo punto, poi, si era tutto oscurato e aveva incominciato a tuonare come se l’intero cielo dovesse crollare; l’acqua aveva incominciato a scendere incessante e io era ancora lì sotto, senza nulla. Mi sentivo presa dal panico, così ero scesa nel pendio a picco sul mare e mi ero nascosta tra due scogli. Mille volte, sotto l’acqua, mi sono maledetta per non essere corsa alla Cornucopia: avrei potuto afferrare anche un solo e semplice telo di plastica da mettermi sulla testa. Ma quando il ragazzo dell’8 si era fatto esplodere scendendo dal piedistallo prima dello zero e avevo visto il sangue macchiare di rosso il pavimento bianchissimo, qualcosa nella mia mente si era come spento. Al suono del gong ero scesa dalla pedana, mi ero voltata e avevo iniziato a correre in direzione opposta, lontano da tutto, nel bianco. Fino a che, improvvisamente, non mi ero ritrovata qua.
Oltre a tuoni e fulmini, soffiava anche un vento fortissimo, sinistro e minaccioso, e potevo sentire le onde infrangersi negli scogli poco più sotto di me. Non ho avuto il coraggio di guardare il mare. È stata la nottata più brutta della mia vita.

Procedo un po’ traballante stando attenda a poggiare attentamente i piedi sugli scogli, dove potrei scivolare da un momento all’altro. È davvero difficile dover restare vigile, però, dopo tutto quello che ho passato. Ho freddo, ho fame e ho sonno. E ho paura. Ho pensato tante volte anche a un alleato, ieri sera, ma mi sono convinta che era meglio di no. Meglio stare da sola: anche se ci fossimo affezionati l’un l’altro, non avrei mai potuto fidarmi al cento per cento. Ne resta uno solo, in fondo.
Continuo a camminare fino a che non vedo, poco distante, della terra. Oddio, sì. Non ne posso più del mare e di tutta quest’acqua, voglio mettere i piedi sulla terraferma e accelero il passo fino a che non la raggiungo. Sul terreno noto un sentiero e lo seguo con lo sguardo fino a che in lontananza non lo vedo: un faro. Un rifugio. Guardo su, verso la lampada che dovrebbe fare luce, ma tra i vetri non vedo nessuno. So che potrebbe esserci qualcuno dentro, ma l’ultima cosa che voglio è passare un’altra notte come questa. Mi avvicino di soppiatto: in questo sono brava, sono silenziosa. Arrivo alla porta e la spingo con tutta la mia forza, ma niente, è chiusa. Maledizione, che la porta sia stata bloccata? Magari c’è anche un ingresso sul retro, un passaggio, non lo so! Voglio entrare assolutamente. Raccolgo un sasso abbastanza grande dal terreno (nel caso dovessi difendermi) e vado a ispezionare l’altro lato. Sfortunatamente, il retro è completamente a picco sul mare, così sono costretta ad avventurarmi nuovamente sugli scogli. È solo allora che sento una goccia: guardo in su e il cielo è completamente nero, neanche una traccia del poco sole che c’era prima. Merda. Ritorno velocemente sul davanti e incomincio ad urlare alla porta: “Fammi entrare!”. La prendo a calci e pugni, “Fammi entrare, ti prego!”, ma nessuno risponde alle mie suppliche. No, no! La pioggia scende fortissima e i lampi illuminano il cielo: è impossibile che un temporale abbia una reazione così violenta in così poco tempo, sarà sicuramente controllato dagli Strateghi. Questa non è un tempesta della natura. Ritorno sul retro, ci deve essere un passaggio! Respiro sempre più affannosamente, sento la paura che mi prende tutta. Non mi ricordo neanche più dove abbia lasciato il sasso.
Le onde si schiantano sempre più minacciose, ma devo tentare. Procedo lentamente sulle rocce, poi, improvvisamente, scivolo: cado di qualche metro in basso e sento un dolore atroce al ginocchio, ma non faccio in tempo a tornare su. Un’onda mi investe in pieno e mi stacca dallo scoglio, poi l’acqua mi sommerge.
 

Allie Veniur, tributo del Distretto 7, arena (campagna)

È da un paio d’ore che stiamo camminando nella campagna alla ricerca di una qualsiasi cosa che ci possa tornare utile: un animale o un albero da frutto per mangiare o anche una fattoria abbandonata come rifugio. Qui con noi non abbiamo niente, se non le armi che siamo riusciti ad afferrare alla Cornucopia. Eravamo ormai certi che il corno fosse nostro, che ci fosse scritto sopra il nostro nome come per tutti i Favoriti di ogni singola edizione e invece…
È anche vero che in questo modo la situazione si è spostata completamente in mio favore: ora non avranno sicuramente il coraggio di farmi fuori altrimenti come riuscirebbero loro a sopravvivere in mezzo a tutte queste piante?

Ci fermiamo in mezzo a un campo di grano per riposare. Mi piace la campagna, l’ho vista qui per la prima volta siccome il Distretto 7 è interamente circondato da boschi. Il vento fa ondeggiare leggermente le spighe di grano e tutt’intorno a noi si sente il rumore dei grilli. Mi trasmette un sacco di calma e tranquillità, anche se siamo nel bel mezzo di un’arena. 
Un improvviso colpo di cannone ci prende alla sprovvista mentre tutti e cinque e, come per istinto, alziamo gli occhi al cielo, benché nessun volto venga proiettato.
“Qualcuno si sta dando da fare…”, sussurra Prudence. “A differenza nostra”, aggiunge poi stringendo tra le mani la sua arma con maggiore forza.
“Arriverà anche il nostro momento”, risponde Galen. “Non è un gioco, non dobbiamo uccidere tutti nei primi giorni. Dobbiamo essere cauti e intelligenti”, continua lui più serio.
“Be’ dato che ci siamo fatti fregare davanti all’intera nazione già dal primo giorno di Giochi, direi che sarebbe meglio incominciare a guadagnare qualche punto con gli sponsor…”, riprende lei, decisa a portare avanti le sue motivazioni.
Gli altri la ignorano deliberatamente , continuando la nostra marcia fuori dal campo di grano verso un piccolo bosco che riusciamo a notare in lontananza. È un boschetto di campagna, tranquillo e ombroso, e il suolo è interamente ricoperto da soffici foglie, mentre da qualche parte si intende il richiamo di un uccello.
Cerchiamo di muoverci il più silenziosamente possibile, da qualche parte ci potrebbe essere un cerbiatto o un fagiano, se non addirittura un tributo e fortunatamente le foglie riescono ad attutire il rumore dei nostri passi. È Theo che ce lo fa notare: per terra, nascosti da un albero, ci sono i resti di un fuoco.
“Potrebbe essere ancora qua il tributo, stiamo attenti”, suggerisce Phyllis, sfilando un lungo pugnale.
Ci spostiamo guardinghi in mezzo agli alberi quando, improvvisamente, delle foglie si muovono non troppo lontane da noi. Prudence è la prima a scattare, seguita da tutti gli altri. Corriamo per qualche minuto, ma l’inseguimento non dura troppo a lungo: la mia alleata si scaglia sull’altro tributo, facendolo crollare a terra. Mano a mano arriviamo tutti e solo allora la riconosco come il tributo femminile del Distretto 6. Il tributo si agita cercando con gli occhi una via di fuga ma l’abbiamo completamente circondata. Io resto un po’ indietro: li ho già visti uccidere altre persone al Bagno di Sangue, ma io non vi ho mai preso parte : li osservavo da lontano mentre lo facevano, ma io non ero lì a vedere negli occhi il tributo mentre lo uccidevano. Adesso, invece… Tutto sta succedendo a un passo da me e non posso dissociarmi dalle loro azioni: io sono qui con loro, è anche colpa mia.  La ragazza del 6 tenta di arretrare ma Galen la blocca da dietro: “No, vi prego, aspettate!”, singhiozza lei, mentre nella sua voce si possono sentire tutti i toni della paura. Dalla tasca estrae un coltello da lancio nella speranza di difendersi, ma Phyllis è più forte e abile di lei e senza troppi complimenti glielo strappa dalle mani. In quest’attimo di distrazione, Prudence conficca la lancia nel fianco della ragazza fino all’asta e non posso fare a meno di pensare che sull’impugnatura di quell’arma ci siano anche le  mie mani. Il cannone spara proprio mentre lei si accascia su se stessa.
Ci allontaniamo, lasciando il suo cadavere in mezzo alle foglie  e al bosco, ma non mi volto indietro un’ultima volta.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              
 
 

I primi due morti dal Bagno di Sangue:
  • Amy Martin, annegata (Distretto 9)
  • Sarah Diane Mackenzie, uccisa da Prudence (Distretto 6)
 

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