Agua de mar

di LadyNabla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oblivion [Nico Robin] ***
Capitolo 2: *** Darkness [Zoro] ***
Capitolo 3: *** Worth [Ace, Marco & Rufy] ***
Capitolo 4: *** Storm [Nami & Sanji] ***



Capitolo 1
*** Oblivion [Nico Robin] ***


oblivion                                                                                 I. Oblivion
                                                                                                                               
Are you going to age with grace?
                                                                                                                           Are you going to age without mistakes?
                                                                                                                             Or only to wake and hide your face?

                                                                                                                            Are you going to leave a path to track?

Qualche anno fa, da qualche parte lungo la Grand Line  

L'uomo prese la rampa di sudicie scale di legno brunito dall'umidità che conduceva al pianterreno, avvertendo i suoi nervi che si tendevano allo spasimo e una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco.
In un posto come quello non avrebbe potuto abbassare la guardia neanche per mezzo secondo, ma doveva andarci lo stesso.
Sistemandosi la parrucca castano rossiccia, che per inciso gli faceva prudere lo scalpo manco avesse avuto un'infestazione di pidocchi in corso, e gli occhiali dalle lenti scure, varcò la soglia della locanda segreta posta sotto il casinò; un ritrovo lercio di avanzi di galera, puttane e accattoni.
L'aria era pesante, grassa e calda per via delle candele di sego che su alcuni tavolini sostituivano le lampade ad olio, e del ristagno di fumo di sigaretta e di qualcos'altro, ma almeno in quel modo non avrebbe avvertito troppo la morsa dell'umidità di quella notte fredda e piovosa (erano quasi tutte così da quelle parti, ecco perché odiava le isole d'autunno).
Le pareti, ingiallite dal fumo e dalla sporcizia, erano state maldestramente rivestite per metà della loro altezza di  legno di cedro scadente, proprio per occultare l'intonaco scrostato e le macchie simili a larghe carie nerastre.
Dappertutto si respirava un miscuglio di odori da far rivoltare lo stomaco: muffa, sudore, birra stantia, tabacco, caffè bruciato, e un lezzo pungente che proveniva dalla latrina e a cui preferì non pensare, si mescolavano ai profumi dolciastri delle prostitute, al loro belletto in crema e all'acqua di colonia maschile da quattro soldi.
Avanzò con aria rilassata, quasi svanita, senza posare lo sguardo direttamente su nessuno, per evitare seccature di qualsiasi tipo.  
Si era informato bene su quella topaia prima di buttarsi a testa bassa in quella faccenda, e aveva sentito dire dai soliti beninformati che là dentro era consuetudine imbattersi in risse piuttosto violente, rapine e perfino omicidi, mentre gli stupri non erano assolutamente tollerati dal proprietario e dai suoi dipendenti.
Forse erano maggiori i rischi di beccarsi denunce e ispezioni, oppure al locandiere seccava dover soccorrere la malcapitata di turno, considerò l'uomo tra sé.
In un angolo del bancone, non troppo distante da lui, era in corso una partita a carte tra energumeni barbuti, bruciati dal sole e dall'aria non troppo pulita, a cui facevano da contraltare due graziose baldracche sui diciotto anni o forse venti, una rossa e l'altra con un caschetto scuro, che stavano incollate ai fianchi degli omoni lì presenti, ritrovandosi le loro rudi mani callose lungo il corpo di continuo, lungo le scollature e sotto le minigonne aderenti, cosa che suscitava gridolini e risate maliziose da parte delle due.
L'uomo si voltò disgustato.
Non era certo uno di quei bigotti fanatici del governo a cui premeva particolarmente dichiarare fuorilegge la prostituzione, chi la praticava e chi ne "beneficiava", ma lo disturbavano i suoni forzati e striduli delle due ragazzine e il terrore annidato dietro i loro grandi occhi pesantemente dipinti.
Tuttavia non era lì per fare la parte dell'eroico paladino della giustizia per quel manipolo di donnine, perciò si rassegnò ad occupare un tavolino vuoto e defilato, quasi troppo basso per le sue gambe esageratamente lunghe, quindi chiese un rum liscio al ragazzo dai denti marci che gli si avvicinò a prendere il suo ordine.
Mentre aspettava, notò una giovane prostituta bionda che gli stava di fronte, sull'altro lato dell'enorme salone, e gli sorrideva sfrontatamente col suo visino a cuore, imbrattato di troppo trucco per farla apparire più grande dei sedici anni che doveva avere; la sua mente la associò a Magda, ripetendosi che almeno  tutta la rognosa operazione sotto copertura durata più di un mese e portata a termine solo quattro giorni prima, aveva portato a qualcosa di buono.
La biondina non ancora maggiorenne, proveniente dal mare meridionale, a quell'ora doveva già essere stata imbarcata sul mercantile che, scortato da due galeoni della marina, avrebbe fatto ritorno al suo minuscolo e poverissimo arcipelago natale, circondato da caldi mari verdi e cristallini.
La  temuta banda di trafficanti di armi e schiavi, in combutta con due ciurme di pirati e alcuni funzionari locali corrotti, che la faceva da padrone in quell'insulso tratto di mare compreso tra tre isole quasi confinanti, era stata finalmente e completamente sgominata, e in quel modo l'uomo e i suoi colleghi avevano potuto liberare sia i disgraziati che nel giro dei giorni successivi sarebbero finiti nel giro di schiavi delle isole Sabaody, sia le ragazze tenute prigioniere, picchiate e costrette a svendersi per soddisfare i loro carcerieri, che abusavano di loro in tutti i modi possibili.
Magda era stata salvata dopo ben quattro anni dalla sua rocambolesca fuga dalla miseria e dall'interminabile lavoro per sfamare i suoi cinque fratellini minori, e se non altro non si era dovuta portare dietro nessun piccolo bastardo, sorte spettata invece a quasi tutte le sue compagne di sventura.
Gli sarebbe mancata quella coraggiosa ragazzina, così decisa ad andarsene di lì e tornare dalla sua famiglia nonostante tutto, che aveva subito accettato di collaborare con lui e gli altri marines come spia.
Una personcina gentile, onesta, che si era mantenuta pulita nonostante tutto, e l'uomo si augurò che chi si era preso l'impegno di aiutare lei e i suoi consanguinei non la deludesse, e che la vita non la punisse più a quel modo.
Alcuni suoi colleghi avevano anche goduto delle "arti" da lei apprese e affinate negli ultimi anni, e per quanto l'avesse trovata deliziosa, e non gli fosse affatto dispiaciuta la prospettiva di vedere i suoi limpidi occhi verdi resi scuri dal piacere, o il suo nasino a patata arricciarsi durante i gemiti, aveva preferito rinunciare.
Voleva che lei lo rammentasse come il suo generoso benefattore, non l'ennesimo idiota che si era approfittato di lei, in un modo o nell'altro.
Tracannò d'un fiato il rum, che gli bruciò dentro come lingue di fuoco liquido, e ne ordinò un altro.
Il giovane cameriere dai capelli biondo paglia aveva lo sguardo acquoso ma insistente, e per un attimo l'uomo sentì un brivido gelido (lui?) scivolargli lungo la schiena, al pensiero che chi aveva diretto i traffici illeciti fino a pochi giorni prima fosse stato messo al corrente della sua presenza e avesse messo dei tagliagole sulle sue tracce, ma poi si disse che no, non poteva seriamente averlo riconosciuto.
Non con quel pastrano troppo lurido per definirne il colore, le vesti lise, la barba e i capelli posticci e l'aria derelitta da morto di fame, che lo rendevano lontanissimo dalla sua solitamente impeccabile immagine da Ammiraglio del QG della Marina.
Finalmente l'oggetto del suo maggior interesse si palesò sotto i suoi occhi, quasi all'improvviso; dalle stesse scale percorse dall'uomo qualche minuto prima, era scesa una donna alta, con lisci capelli corvini e un lungo cappotto bianco che risaltava come un faro in mezzo alla penombra fumosa del salone, così come il fedora in tinta.
La nuova arrivata avanzò lenta e assorta, impenetrabile sui suoi tacchi che percuotevano leggeri il pavimento di pietra.
Sembrava avvolta da una bolla di superbo distacco, e ignorò i fischi e le proposte indecenti di un paio di imbecilli appostati in fondo al locale. Si sedette quindi al bancone, rivolgendo le spalle a chiunque, e ordinò in poco più di un sussurro.
L'uomo si portò il suo bicchiere alle labbra, studiando indolente i movimenti della nuova arrivata, che aspettava pacata con una mano affusolata a reggerle il viso.
Quando lo stesso cameriere che aveva servito lui le mise davanti una bottiglia di vino rosso scuro e un elegante calice, la mora si versò una quantità appena sufficiente a coprire il fondo del largo bicchiere.
Non perse tempo a rimescolarlo o darsi arie da raffinata intenditrice; lo bevve con calma, sempre rivolta alla parete di fronte a lei.
Con un movimento fluido, fece scivolare fuori da un taschino interno del cappotto una piccola foto, e la posizionò accanto al calice.
Nessuno la guardava, si assicurò la donna guardandosi brevemente attorno, e poi la foto era talmente ridotta nelle dimensioni che su quella superficie lignea inondata dalla luce delle vicine lampade ad olio sarebbe stato difficile vederla da lontano; inoltre era in parte nascosta dalle sue braccia ai due lati.
Eppure l'uomo, per quanto fosse riuscito a cogliere solo un lampo dell'immagine, era quasi certo di aver riconosciuto un volto femminile, giovane e incorniciato da una chioma folta e candida come fiori di cotone.
Che fosse...? Vide la mora sollevare ancora il calice e bisbigliare un "auguri", prima di svuotarlo.
Non resistette più.
Si alzò in piedi, raggiunse il bancone fingendo di attendere il ritorno dell'inserviente dall'aria ottusa, e intanto si concesse di mormorare alla donna:
- E così stamattina hai ammazzato  quell'agente governativo per festeggiare degnamente tua madre, Nico Robin?-
L'altra non si scompose, né cambiò la sua posizione.
Si limitò a posare la bottiglia dopo aver nuovamente riempito il calice.
La sua espressione si era mantenuta mite come quell'umida notte di pioggia leggera, ma i suoi occhi chiari erano ora freddi, duri e taglienti come la lama di un pugnale.
- Veramente no- rispose infine, con un lieve sorriso impertinente ad incresparle le labbra -l'ho fatto solo perché me l'hanno ordinato. Non ne avevo neppure voglia.-
L'uomo aggrottò appena la fronte: il candore di quell'ammissione e il sarcasmo di cui era venata gli stavano facendo risalire l'alcol verso la gola, insieme alla bile.
- Raccontalo a sua moglie e a sua figlia, che per la cronaca ha solo otto anni.- insistette, con la voce gelida che tradiva una punta di disgusto.
La donna sogghignò, si sporse con il busto verso di lui ruotando su sé stessa, e sillabò con fare quasi provocante.
- E allora? Cosa vuoi che me ne freghi? Se sei qui per arrestarmi, fallo. E se vuoi ammazzarmi, fallo lo stesso, o almeno- ammiccò -provaci. O hai bevuto al punto che ti credi la voce della mia coscienza, Aokiji?- lo sfidò, con un sorriso sfrontato.
Il marine notò la scintilla divertita nei suoi occhi azzurri, lo stesso azzurro tenue e luminoso della primavera, quando il cielo conserva ancora un'ombra fredda dell'inverno. Non riusciva a capire cosa gli desse più fastidio: Nico Robin che giocava alla perfetta serial killer, feroce e spietata, o il fatto che lui se ne preoccupasse.
Che diavolo aveva creduto fino a quel momento? Che a quell'età e con le sue capacità, ancora si lasciasse schiavizzare dal Crocodile di turno? No, lei era così. Un demonio, ecco che trovava il fondo di verità nelle voci su di lei.
- Quelle come te non hanno nessuna coscienza.- commentò lui asciutto.
- Può darsi- concesse lei, senza più guardarlo in viso, con la stessa aria sorniona di prima.
- Allora? Cos'era questa? Una vendetta trasversale? Su una bambina che aveva la tua stessa età quando hanno ammazzato tua madre, Clover e tutti gli abitanti della tua isola...-
- Oh, per niente. Non m'importava niente di quella mocciosa o di sua madre, sai. E comunque il governo non le farà mai mancare nulla, compresa un'istruzione di alto livello e un lavoro prestigioso, quindi su quello puoi anche mettermi il cuore in pace. Non ti facevo così sentimentale. Si direbbe quasi che tu abbia avuto un qualche trauma infantile, grande ammiraglio...-
Aokiji sospirò innervosito. Non era la piega che aveva previsto per quella conversazione, e l'aperta derisione della ricercata al suo fianco iniziava a seccarlo sul serio.
Poteva sempre congelarle il sangue ancora caldo che scorreva nelle vene e alimentava gli organi, ricoprendo ogni centimetro di pelle di minuti cristalli scintillanti, strappandole il fiato direttamente dal petto, accecandola, e rendendola la splendida regina di ghiaccio che tanto voleva essere.
- Chissà come sarebbe fiera di te Nico Olvia, vedendo che razza di delinquente sei diventata, e con che gente te la fai. Si dice che tu sia anche la puttana di Crocodile, è vero?-
Gli occhi rabbiosi della donna lo trapassarono da parte a parte, ma non rispose.
" Finalmente una reazione da essere umano. Stai attenta, donnina, non sei l'unica che sa giocare a questo gioco" pensò lui soddisfatto.
Un angolo della bocca di Nico Robin si sollevò.
- Certo che voi cani ammaestrati della marina amate parecchio i pettegolezzi.-
- Non hai risposto alla domanda. Cosa penserebbe tua madre vedendoti?-
- Non lo so. Perché credi che m'interessi? Per questa? E' solo una vecchia foto.- asserì lei, e per dimostrarlo, la avvicinò ad una lampada vicina al suo braccio, facendola bruciare sotto il suo sguardo impassibile.
- Bruciare quel pezzo di carta non è sufficiente, Nico Robin. Se te la portavi dietro, vuol dire che sei rimasta esattamente la stessa marmocchia di diciotto anni fa, debole, patetica e mammona. Non importa quanta gente ammazzi o da chi ti fai sbattere per ottenere protezione e potere.-
Stavolta il suo viso rimase imperscrutabile, liscio come una lastra di marmo, ma l'odio della fuorilegge era comunque intuibile dalla mano stretta sul bordo del bancone, così forte che tremava.
- Pensi di sapere tutto di me, vero?- lo interrogò con un sibilo.
- So quanto basta. So chi sei e cosa fai, e posso solo immaginare quello che farai in futuro se non ti ammazzo qui stanotte. Pensavi davvero di potermi sfuggire per sempre?-
La mora non rispose.
- No.- disse infine, nuovamente con un ghigno ironico.
- No che cosa?- sbatté le palpebre lui.
- Non credevo di poter scappare per sempre, ho sempre saputo di avere i giorni contati.-
- Tanto vale che ti rassegni a crepare qui, allora.-
- Le due cose non sono collegate tra loro.- sottolineò la donna sarcastica.
- Oh davvero? Quindi anche un demonio come te ha paura di morire?-
- Non si tratta di questo. Forse non ci tengo a morire qui e per mano tua, certo, ma ho delle cose da fare, e vorrei portarle a termine prima che arrivi la mia ora.-
- Che idiozie...- mormorò Aokiji - rincorri ancora gli stupidi sogni degli studiosi di Ohara? Non troverai mai tutti i Poignee Griffe, ce ne sono troppi e tu hai tutta la marina e i peggiori tagliagole del governo a darti la caccia, come cani da punta. O credi che essere passata dalla parte di uno shichibukai possa fermare certa gente dal proposito di farti la pelle?-
- Non mi aspetto che tu capisca.- chiuse gli occhi lei.
- E comunque Crocodile prima o poi ti tradirà, non illuderti di significare qualcosa per lui. E' un pirata, non un benefattore.-
- In ogni caso non ti riguarda.- tagliò corto lei, che ne iniziava ad averne abbastanza di quell'ostinato bastardo. Possibile che dopo quasi vent'anni continuasse ancora a starle col fiato sul collo? Se non fosse stato per il suo stupido potere, l'avrebbe già ammazzato da una vita e gettato in mare con un peso al collo, quindi si sarebbe perfino dimenticata la sua faccia.
- Come dici tu, la scelta dei tuoi alleati è solo tua, ma mi stupisce che una donna intelligente e pragmatica come te, mettiamola così, si perda dietro assurdi sogni infantili. Posso capire quel vecchio pazzo di Clover, che a furia di stare rinchiuso con i suoi allievi, nella sua biblioteca a studiare, si era rincitrullito, e quell'ingenua di tua madre...ma tu? Non conosci abbastanza le cose del mondo da capire che non ce la farai mai? O che in ogni caso non te la lasceranno mai diffondere quella storia?-
- E allora? Credi che mi fermerò per questo? Solo perché potrei morire provandoci?- replicò lei, stizzita.
- Tu forse abbandoneresti la Marina, solo perché il prossimo incarico potrebbe esserti fatale? Perché tanto l'era della pirateria non sembra voler finire e non ce la farete mai ad arrestarli tutti o anticipare le loro razzie? Vuoi davvero dirmi questo?-
- Io lo faccio perché devo, donna. Non paragonarmi a te.- disse lui, mentre la temperatura del salone iniziava a calare.
- E vale anche per me. Potrò anche morire dopo, non m'interessa molto.- il suo sguardo, limpido e sereno, sosteneva senza esitazioni quello scuro e minaccioso dell'altro.
- Tutte sciocchezze.- ma le sue parole suonarono deboli e inadeguate anche alle sue orecchie. C'era coraggio in quella donna, doveva ammetterlo, una donna sola che temeva il mondo e detestava sé stessa, ma comunque continuava ad annaspare per restare viva, e che pur essendo diventata ormai miserabile e al di là di ogni redenzione, voleva portare a termine il lavoro di una vita di sua madre, del suo mentore e dei suoi amici.
I soli che avesse mai avuto.
Eppure a lui tutto quello non doveva importare. Non doveva provare pena per lei, o non avrebbe adempiuto ai suoi doveri. Non doveva lasciarsi vincere dalla sua gentilezza, doveva solo arrestare una criminale, la peggior criminale, e consegnarla al boia.
Fine della storia.
Perché per gli altri era sempre così facile, dannazione? Non poteva anche lui masticare trai denti la sua etica e sputarla via, almeno per una volta?
Sì, l'aveva risparmiata per Sauro a Ohara, ma allora era solo una bambina, un'innocente, adesso non lo era più.
- Non posso dimenticare ciò che sei, Nico Robin, o da dove provieni.- confessò infine, sospirando amaramente.
- Lo so, se potessi lo dimenticherei anche io.- sogghignò lei, calma. Non c'era paura in lei, e neanche odio o rabbia. Forse non c'era più niente in lei, a ben vedere, però...gli tornò in mente un ricordo, un'immagine sbiadita dalla memoria, urla, fuoco, bombardamenti, la terra che tremava, il mare che s'ingrossava, disturbato nella sua quiete.
Una barchetta che lui aveva lasciato scappare.
Allora come adesso, si era sentito combattuto, ma anche impotente. Quella bambina sarebbe vissuta in mezzo alla sporcizia, e poi sarebbe morta. Non c'erano speranze per lei.
Era sopravvissuta, ma adesso...la morsa stava per chiudersi su di lei.
- La tua fortuna sta per esaurirsi. Un giorno commetterai uno sbaglio, farai un passo falso, ti fiderai delle persone sbagliate. E sarà la tua fine.-
- -Un giorno?- celiò lei - Non è questo?-
- Taci, donna. Ti concedo cinque minuti, forse dieci. Sparisci dalla mia vista, e dall'isola. Se ti troverò quando uscirò da qui...sarai morta.-
Nico Robin soppesò in silenzio quelle parole, lo fissò a lungo, quindi si alzò e andò via, silenziosa come la brezza della sera, con quel suo stupido cappotto bianco che attirava troppo l'attenzione.
" Tre anni di lavoro andati in fumo. Ci farò una gran figuraccia, e quel bastardo di Sakazuki...no, meglio non pensarci. E mi tocca pure pagarle il conto, tsk." pensò Aokiji seccato.
Eppure sulle sue labbra adesso aleggiava un mezzo sorriso.
Non vedeva l'ora di uscire da quella topaia puzzolente e sentire di nuovo il profumo del mare, e passeggiare lungo la spiaggia scura e deserta.
La pioggia era finita, e per fortuna il molo era vicino.

 

Angolo dell'autrice:

Raccolta senza pretese di missing moments su vari personaggi, con varie ambientazioni cronologiche.
Il tema portante, come suggerisce il titolo, sarà quello che accomuna tutti i pirati e marines, ovvero la presenza costante del mare nelle loro vite; a volte questa presenza apparirà fisicamente, a volte invece si manifesterà solo nei pensieri o nei ricordi dei personaggi.
E niente, torno ad eclissarmi.
Un sentito ringraziamento a chiunque legga dall'autrice, e naturalmente le recensioni a questa scemenza, anche critiche, sono sempre ben accette.
Bye

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Capitolo 2
*** Darkness [Zoro] ***


2                                                                                                     II. Darkness

                                                                                                                                         
         I'm holding on
                                                                                                                                          Why is everything so heavy?
                                                                                                                                    So much more than I can carry
                                                                                                                     I keep dragging around what's bringing me down
                                                                                                                                       
                                                                                                                                       

Isola di Kuraigana, rovine del regno Shikkearu

Allenarsi.
Battere le scimmie.
Dormire.
Assaltare il sakè trafugato da qualche nave mercantile distrutta da Mihawk.
Passeggiare tra i resti di quel posto desolato.
Ancora e ancora.
Mangiare.
Sopportare le stupide lagne della ragazzina con la testa di boccoli color caramella, che gli gironzolava continuamente attorno.
Zoro alzò lo sguardo del suo unico occhio buono al cielo cupo e nuvoloso di quel buco schifoso dove non si vedeva mai il sole, ma non distinse niente, tanto era scuro e coperto.
Sospirò, riprendendo a camminare senza meta, con le mani affondate nelle tasche, le spade al fianco e il sentiero irregolare davanti a sé.
Era così che andavano avanti le cose da circa un anno ormai, da quel giorno all'arcipelago Sabaody.
Sembrava già una vita fa, invece erano trascorsi a malapena tredici mesi (o forse quattordici? Non era tanto sicuro, ma tanto ci pensava la mocciosa a tenere il conto per rinfacciargli da quanto le toccava tollerare la sua presenza sull'isola).
Perfino uno della sua tempra, uno che non aveva mai attribuito la minima importanza a certe cose, sempre pronto a mettersi alla prova affrontando qualunque clima e qualsiasi ambiente selvaggio e inospitale, avrebbe gradito vedere un dannato raggio di luce, un po' d'azzurro, un'alba sul mare.
A volte gli sembrava di diventare pazzo.
Parlava poco e solo per estrema necessità con Perona (che d'altra parte blaterava per due o tre persone) , e non molto di più con Mihawk, sempre torvo e scontroso.
Non che gliene importasse un fico secco di conversare amabilmente con lui davanti ad un tè caldo, o giocarci a ramino tanto per ingannare il tempo, bastava che lo aiutasse a diventare più forte.
Si stava addestrando bene, o almeno così gli diceva ogni tanto quel pallone gonfiato dagli occhi dorati.
Solo quello, un ben misero premio per i suoi sforzi sovrumani, per tutta la fottuta fatica che si doveva caricare sulle spalle per avvicinarsi a lui di qualche passo, e per dover stare lì, in quell'inferno oscuro.
" Stai andando discretamente, Roronoa", oppure "puoi fare di meglio", o "ti manca ancora qualcosa".
A tanto valeva farsi il culo ogni giorno sotto la sua guida snervante.
Sempre meglio delle risatine acute della ragazzina e dei suoi immancabili commenti acidi su quanto fosse noiosa la vita con due come loro, rozzi e stupidi, capaci di pensare solo alle spade e di menare le mani.
Ma che ne potevano sapere quei due di lui? Non avrebbero capito in ogni caso il motivo per cui si stava dannando l'anima, per cui stesse resistendo dopo tutto quel tempo...senza di loro.
Il ragazzo serrò la palpebra.
In realtà non faceva molta differenza, rispetto a quando teneva l'occhio aperto.
Ecco, adesso che era abbastanza lontano da Mihawk e Perona, se si concentrava e tagliava fuori i pochi suoni di quel posto, lo sentiva.
Sentiva l'incessante rollio della nave sotto i piedi, ora lievissimo, ora insopportabile, e il liquido infrangersi delle onde contro i fianchi snelli della Sunny, gli schizzi di schiuma che nelle giornate ventose arrivavano fino al posto di vedetta, dove si appisolava sempre... lo stridio dei gabbiani, il sole che gli baciava la pelle, o il pallido chiarore della luna e delle stelle, e le loro voci.
Le urla e le risate di Rufy, Usopp e Chopper, simili a tre marmocchi pestiferi, i rumori confortanti della cucina e lo stupido cuoco che se la canticchiava, Nami che lavorava alle sue carte nautiche e ogni tanto controllava il log pose e lanciava ordini al timoniere sulla rotta da seguire, Robin che le stava vicino e leggeva con l'aria serena e divertita, Brook e le sue melodie, allegre o nostalgiche, ma sempre dolci, Franky che ogni tanto riemergeva dal suo laboratorio facendo un sacco di baccano, con qualche nuovo marchingegno incomprensibile tra le mani.
Lui nella coffa, mentre nell’aria risuonava il fruscio delle vele e lo schiocco del sartiame che gli conciliavano il sonno, e se ne stava lì con un sorriso pigro ad increspargli le labbra.
Gli sembravano lì, a due passi da dove stava, sentiva quasi il profumo salmastro dell'oceano, puro e aspro e forte, vedeva il luccichio della luce che danzava sul pelo dell'acqua blu e verde, sotto di lui, mentre il caldo della tarda mattina lo illanguidiva e all'orizzonte piano piano iniziava a stagliarsi la sagoma violacea e irregolare dell'isola seguente.


Ma poi il suo occhio si riapriva, e l'immagine piena di colori e di vita svaniva, come una bolla di sapone nel vento.
Era a Kuraigana, solo.
Lì l'aria sapeva di fumo, di sangue e di morte, il cielo era sempre plumbeo e il vento sembrava il lamento lugubre di una bestia in agonia.
Sapeva che la sua era una condizione temporanea, che prima o poi sarebbe ripartito e si sarebbe lasciato alle spalle e per sempre quell'isola lugubre e opprimente...o no? E se non ci fosse riuscito?
Anche Zoro, il temuto cacciatore di pirati, un uomo cinico che viveva ignorando la paura, al punto da sfiorare l'idiozia, a volte si svegliava di soprassalto nel cuore di quella che doveva essere la notte, scosso dai brividi e dal terrore di restare intrappolato lì fino alla fine dei suoi giorni, o di non ritrovare più i suoi compagni, e vagare disperato di mare in mare, di isola in isola, alla loro vana ricerca.
Eppure per lui non era certo una novità stare da solo, bastare a sé stesso, cavarsela sempre con le sue sole forze, senza avvertire mai il bisogno della compagnia di altri essere umani.
Ma quello era stato tanto tempo prima, quando ancora non aveva commesso l'errore di salvare una bimbetta dalle fauci del lupo domestico di un idiota figlio di papà, e non aveva ancora conosciuto uno strambo ragazzino con un vecchio cappello di paglia in testa e tanti sogni balordi, quando non si era ancora unito a lui in quella che sembrava più una barzelletta con due idioti come protagonisti, che l'inizio dell'avventura di una vita.
Zoro fece un ghigno storto.
Doveva resistere.
Anche se faceva male non essere con loro, non sentire le loro voci, non ricordare quasi più com'era navigare con i suoi amici.
Troppo male.

Angolo dell'autrice:

Saluto chiunque abbia letto e come sempre ringrazio di cuore chi vorrà lasciare un breve commento alla storia, oltre a ringraziare di nuovo e con simpatia chi mi ha così gentilmente recensito il primo capitolo, grazie grazie ancora *_* !

Approfitto inoltre di questo piccolo spazio per una precisazione: nel testo di questo secondo capitolo potrebbe emergere un elemento un po' strano, ovvero Zoro che teme di non riuscire a ricongiungersi con il resto dell'allegra brigata in quel di Sabaody; ebbene, non mi sono dimenticata che lui conosceva bene il luogo dell'appuntamento, ma diciamo che si tratta in gran parte di paure irrazionali e portate all'estremo dalle condizioni di deprimente isolamento in cui il nostro si trova a vivere, unite alla mancanza dei suoi amici e ad altri aspetti su cui non ho voluto soffermarmi (il senso di colpa per esempio).

Niente, mi sembrava giusto mettere in chiaro questo piccolo dettaglio, poteva effettivamente sembrare sbagliatissimo in rapporto a ciò che era stato detto a quel proposito nel manga :).

Grazie ancora per l'attenzione, mi defilo una buona volta con la mia pignoleria! XD

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Capitolo 3
*** Worth [Ace, Marco & Rufy] ***


3

                                                                                    III. Worth

 
  I say: " Love, love, it don't mean nothing
 unless there's something worth fighting for".
            It's a beautiful war



- Ma tu non hai proprio mai paura di partire da solo e lasciare quest'isola, Ace? gli domandava a volte quel rompiscatole di Rufy, quando si arrampicavano sulla cima della scogliera e pensavano tutti e due a Sabo e alla loro promessa.
- Mfh! Che domande sceme mi fai?! Abbiamo già deciso da un pezzo, no?- rispose il più grande imbronciato come sempre, stando in piedi ad osservare l'infinita distesa di blu e verde che scintillava sotto il sole alto.
- Sì, ma...- protestò debolmente il ragazzino con la paglietta, sdraiato a pancia in giù sull'erba fresca e con le braccia incrociate sotto il mento. I suoi grandi occhi scuri erano persi oltre la linea piatta e nitida dell'orizzonte, non si capiva se con desiderio o paura.
- Io...sarebbe stato bello se...a volte la notte sogno di essere già in mare, e siamo insieme su una nave grandissima! E se sogno
forte, ogni tanto mi capita che ci sia anche Sabo con noi!-
Ace si voltò a guardarlo, un po' spiazzato.
Sarebbe stato grande, concesse tra sé il ragazzino con le lentiggini, ma quella era solo la fantasia di un sempliciotto col cuore troppo tenero, di Rufy insomma; lui sapeva benissimo che anche se il loro fratello non fosse morto, ognuno di loro avrebbe intrapreso un viaggio da solo.
Quelle erano le regole sacrosante della pirateria, e non si potevano infrangere, neanche per i propri fratelli.
- Che stupidaggine, queste cose vanno bene per i bambini, Rufy. Da grandi mica si può stare sempre insieme.- mormorò dopo un po', e la voce gli uscì più triste di quanto avrebbe voluto.
Prima che il suo insistente fratellino ricominciasse a contraddirlo, riprese a parlare.
- Non si tratta di fare i turisti in giro per il mondo, lo sai, no? Saremo pirati di ciurme diverse, e quindi rivali. Pensaci bene, ognuno di noi voleva essere il più forte, non avrebbe senso viaggiare tutti insieme. Cioè, noi due assieme.- si corresse.
- Sì, però...- balbettò Rufy un po' deluso, ma lasciò perdere subito.
Non lo avrebbe mai ammesso neanche a Makino, a Dadan o ai banditi di montagna; figurarsi se poteva dirlo ad Ace, dirgli che a lui la prospettiva di andarsene in giro per il mare tutto solo, senza suo fratello, lasciava la bocca secca e faceva diventare le gambe molli come gelatina, anche se dopo un po' passava.
Però era dispiaciuto che Ace non volesse partire con lui, anche se forse neanche lui avrebbe aspettato tre anni se fosse stato lui il più grande; almeno poteva dirgli che sì, gli sarebbe piaciuto, non era giusto che non fosse mai gentile con lui e non lo consolasse neanche un pochettino.
- Non fare quella faccia patetica- lo rimproverò il più grande, che si era reso conto della sua inquietudine.
- Mica ti ho detto che il viaggio te lo dovrai fare tutto da solo! Vedrai che troverai dei compagni in gamba che ti seguiranno, ma naturalmente prima devi diventare molto più forte e coraggioso di come sei adesso, o col cavolo che vorranno avere un pappamolle come te per capitano!- ridacchiò, con la sua solita espressione da birbante.
Eppure Rufy aveva ancora la stessa faccia abbattuta di prima, e perfino gli occhi lucidi.
La pazienza di Ace, già notoriamente scarsa, stava iniziando a dileguarsi del tutto.
- Oh, insomma Rufy! Che palle che sei! Si può sapere perché oggi ti sei fissato con quest'idiozia che non vuoi partire da solo?!-
- Ma come faremo a ritrovarci?!- strillò l'altro di rimando, con la sua vocetta acuta già rotta dal pianto in arrivo. - Il mare è così grande, e ci sono così tante isole, e tanta, tanta gente...!- farfugliò, prima che due lacrime tonde gli corressero lungo le guance.
Ace finse di non averle viste, si girò di nuovo verso l'oceano e rifletté prima di rispondere.
- Ce la faremo, ci ritroveremo da qualche parte. Basta che ci facciamo un nome come pirati e poi sentiremo parlare l'uno dell'altro, e prima o poi ci raggiungeremo.- sentenziò convinto.
- Ah, davvero? Basta...basta fare così?- singhiozzò Rufy.
- Sì, davvero! E adesso smettila di frignare come una femminuccia! Non ti sopporto quando fai così! E poi tu pensi solo a te stesso, ma anche io partirò da solo, sai?! A me non ci pensi?- sbraitò.
Rufy sussultò, stupito da quelle parole, poi si asciugò con foga gli occhioni bagnati.
- Perché...tu...anche tu...?-
Ace fece spallucce, atteggiandosi a qualcosa che in realtà non era, ma non poteva dire a quello scemo che pure lui aveva paura, un po' perché ci avrebbe perso la faccia (e suo fratello non era certo il tipo che sapeva tenersi le cose per sé), e un po' perché...come poteva proteggere quel buono a nulla, se si mostrava debole di fronte a lui?!
- Io non sono un bambinetto piagnucolone come te.- disse scuotendo la testa mora. - E poi non vedo l'ora di lasciare questo cavolo di posto. Voglio andare lontano, dove non mi conosce nessuno, e voglio dei compagni che se ne freghino del posto da dove vengo o di chi era mio padre, che mi rispettino e credano in me per quello che sono, solo per questo.-
Rufy ascoltava sospeso tra l'incredulo e l'ammirato quel discorso così...da grande, che lui neanche capiva bene del tutto; però aveva capito che suo fratello era
davvero uno tosto come aveva sempre creduto, che niente lo poteva spaventare sul serio, e che il suo nome sarebbe di sicuro diventato famoso in tutto il mondo.
Ace intanto si era ricordato di una cosa, chissà perché gli veniva in mente proprio in quel momento; era successo prima che Rufy diventasse suo fratello, e prima ancora di conoscere Sabo.
Un giorno aveva chiesto al vecchio Garp che senso poteva avere per uno come lui nascere e vivere in un mondo che sembrava solo odiarlo e volerlo mettere all'angolo in tutti i modi, che lo faceva sentire ogni giorno sporco e maledetto.
Il vecchio gli aveva semplicemente risposto...
"Lo scoprirai solo vivendo, Ace."
Ma quanto tempo doveva aspettare ancora?! Quando Sabo era diventato suo amico, e poi a loro si era unito anche Rufy, le cose erano sembrate così
facili, la vita era sembrata per la prima volta dolce, tutto era possibile...
Ma la morte del suo migliore amico gli aveva aperto gli occhi: erano ancora dei bambini che non sapevano niente del mondo, che niente durava davvero per sempre, e che forse lui 
quel senso non l'avrebbe mai trovato.
Si mise una mano sul petto: da un po' di tempo il peso sul cuore era tornato a farsi sentire.
- Che hai? Tutto bene? Ti fa male la pancia?- gli chiese suo fratello, che intanto aveva iniziato ad infastidire con due ramoscelli secchi una colonna di formiche.
- Nah, non è niente, sarà solo fame. Dai, vieni, che ci procuriamo un po' di coccodrillo per pranzo.-
- Sìììì, che bello! Il coccodrillo è il mio preferito! Facciamocela di corsa fino al fiume! - propose.
- Come se avessi qualche possibilità di battermi- lo sfidò Ace, che già stava guadagnando terreno con un ghigno.
***
- E per l'ottava volta di seguito vince lui! Il comandante della seconda divisione batte ancora quello della prima! Yuhuuuu!- una giovane voce maschile risuonò nella luminosa notte estiva, turbando la quiete di quell'isoletta semi disabitata su cui la Moby Dick era ormeggiata da qualche ora.
- Ma non la smette più?- mormorò Vista rassegnato e contemporaneamente divertito, con le braccia intrecciate dietro la testa appoggiata al parapetto della nave pirata.
Al suo fianco Izo scosse la testa con un sogghigno, mentre ripuliva con attenzione le sue pistole, mentre Satch raccolse con una mano un mazzo di carte sparpagliate sul ponte per iniziare una nuova partita con i compagni seduti accanto a lui.
Fece un cenno a Marco, prima di punzecchiarlo:
- A volte mi chiedo come fai a sopportarlo.-
Il biondo si sedette pesantemente alla sua destra.
- E' quello che mi chiedo anch'io onestamente...devo proprio smetterla di prestarmi a queste pagliacciate.- sospirò.
Intanto Ace continuava a sparare palle di fuoco su in alto, verso il cielo blu scuro e le tonde stelle palpitanti che lo tempestavano, palpitanti come i suoi proiettili che ad alta quota sbocciavano nei loro petali di oro rosso che rischiaravano tutto quel tratto di mare.
- Meno male che la costa sud-occidentale è disabitata.- sottolineò Izo.
- Non vi stancate mai di queste gare tra deficienti a chi riesce a sparare il suo fuoco più in alto?- intervenne Jaws, deridendo Marco che ogni tanto si lasciava andare a quei giochetti puerili con il moro, sempre quando la Marina e i civili erano ben distanti dalla loro posizione.
L'altro pirata si limitò a fare spallucce.
Anche se l'intera ciurma lo prendeva in giro per quelle sciocchezze, tutti loro poi non riuscivano a fare a meno di restare imbambolati davanti allo spettacolo delle fiamme azzurre e arancioni che danzavano intrecciandosi nell'aria, così in alto che sembrava sfiorassero la luna e il firmamento.
- Secondo me lo lasci vincere tutte le volte, non è possibile che ti batta sempre.- commentò Curiel.
Marco fece uno dei suoi sorrisi pigri, indecifrabili.
- E' solo che non mi va di continuare per tutta la notte, sai quant'è testardo quel ragazzino.-
- Potresti sempre volare e sparare il tuo fuoco più in alto, così almeno per una volta non ci romperebbe le palle con le sue urla e i suoi balletti da scimmia.- gli fece notare Vista.
Marco, che teneva una gamba piegata e il braccio appoggiato sopra, a quelle parole non poté trattenere una risata a labbra serrate, passandosi una mano sul viso.
- Sarebbe troppo facile così.-
In quel momento il suo sguardo celeste incrociò quello d'ebano di Ace, e quest'ultimo gli rivolse una smorfia arrogante, facendo sprizzare dalla mano destra una nube di scintille dorate, simili a lucciole minute, che gli avvolsero il capo senza bruciare le sue ciocche arruffate.
- Perso ancora, eh? Dai, domani potrei sentirmi buono e concederti la rivincita, non metterti a piangere davanti a tutti!-
- Ehi babbo, che dici? Posso buttarlo a mare con un'ancora legata al collo?- urlò il comandante della prima divisione della ciurma, rivolto all'enorme uomo comodamente seduto su una poltrona, circondato come sempre dalle solerti infermiere.
Il capitano smise per un attimo di svuotare l'ennesima ciotola di saké, si ripulì le labbra con il dorso di una mano, e dopo aver inarcato un sopracciglio, scoppiò nella sua tipica risata tonante, tutta di gola, simile al rombo furioso di una frana di montagna.
- Gurarara! Mi fate ridere, bambini! Voi e i vostri giochi!-
Al che anche Marco lo imitò, mentre Satch, non visto da nessuno, lanciò un vecchio sandalo di legno contro la schiena di Ace che aveva ripreso a fare casino.
Ace sbatté le palpebre un paio di volte, e la placida, sfavillante immagine di una notte di piena estate evaporò dalle sue retine, mentre tutt'attorno a lui e al suo patibolo di Marineford impazzava l'inferno.
Cos'aveva appena detto quello stupido di Rufy? Che per lui le regole della pirateria non contavano nulla e che lo avrebbe salvato, anche a costo di andare contro la sua volontà?
Che moccioso testardo! Come se poi Ace avesse potuto perdonarsi di aver avuto bisogno di lui, esponendolo a certi pericoli.
Era così triste non poter fare nulla, incatenato su quel patibolo maledetto, alla mercé dei bastardi della Marina...eppure era anche stupidamente felice, pensò il ragazzo mentre lacrime caldissime gli rigavano le guance, scivolando giù dal suo mento.
Era felice che qualcuno si preoccupasse e che stesse combattendo con tanta foga per una canaglia come lui, che Rufy, il babbo, Jinbe e tutti gli altri ce la stessero mettendo tutta solo per salvare la sua inutile pellaccia.
Non avrebbe mai creduto che qualcuno potesse considerarlo degno di tutta quella fatica e quel dolore, e in quei momenti Ace sentì che il peso che si portava sul cuore si era notevolmente affievolito.
Forse non sarebbe morto dopotutto, forse ce l'avrebbe fatta.
Nelle ultime settimane aveva cercato di non lasciarsi dominare dalla paura e dalla disperazione, non aveva chiesto a nessuno di salvarlo, e aveva appena cacciato via Rufy (o meglio, ci aveva provato) e la sua ciurma, perché non voleva rischiassero il collo ance loro per colpa di un suo stupido, patetico errore.
Eppure anche lui...si era sentito schiacciare dalla consapevolezza della fine che si avvicinava sempre di più, del terrore di morire come un cane tra le grinfie dei suoi peggiori nemici, che l'avrebbero esibito come un trofeo di caccia in giro per il mondo, umiliando lui e il suo ricordo per avere l'ultima definitiva vendetta su quel bastardo di suo padre.
Adesso che i suoi compagni si erano riuniti lì tutti per lui, provava una gioia e un sollievo che quasi lo soffocavano, e un briciolo di pietà per quell'uomo che era morto solo e sconfitto vent'anni prima, nonostante il sorriso arrogante sul volto.
Forse anche lui si era aggrappato all'amore per la libertà fino alla fine, al dolce ricordo di una vita trascorsa sulle onde, tra le voci e le risate dei suoi fratelli, a quello delicato di sua madre?
Sicuramente anche lui si era sentito grato alla fine, pensò Ace mentre le ultime forze lo abbandonavano come falene in fuga dalle fiamme che già le bruciavano, anche lui aveva capito che il valore di certe cose non si perdeva con la morte, quelle cose che rendevano degna di essere vissuta anche una vita come la sua, una vita che almeno negli ultimi anni era diventata calda e brillante come il fuoco.
 ***
- Ma perché sei ossessionato da questa storia? Non puoi lasciar perdere per una sola, maledetta volta? Anche il babbo ha detto che non vuole che tu lo segua, che non c'è bisogno di insistere.-
Marco non ne poteva più di quell'idiota avventato e dei suoi assurdi propositi di vendetta contro Teach, anche perché nel profondo del suo cuore e nelle ossa si sentiva che non avrebbe portato a niente di buono, che in qualche modo Ace si sarebbe messo nei casini e forse loro neanche sarebbero riusciti a salvarlo.
Purtroppo però far ragionare quel cretino era un'impresa che di solito metteva perfino lui a dura prova, e in particolare su quell'argomento l'uomo più giovane si era dimostrato irremovibile.
"Cazzo" pensava il biondo nervoso, nonostante dall'esterno apparisse flemmatico come sempre "tutto questo finirà male, molto male".
Erano settimane che quel brutto presentimento non lo abbandonava, e anche se lui non credeva alle sciocchezze soprannaturali, avrebbe comunque preferito che Ace si scordasse del loro ex compagno e di quello che aveva combinato.
Il ragazzo dai capelli scuri nel frattempo aveva continuato a radunare il necessario per la sua partenza ormai imminente, e non sembrava dare troppo peso alle proteste di Marco.
- Tranquillo, so quello che faccio e non sono un pivello incapace che cadrà in trappola come niente.- gli rispose infine, sempre rivolgendogli la schiena tatuata.
Troppo deciso, troppo testardo, e soprattutto troppo roso dai sensi di colpa per rinunciare così facilmente.
- Andrà tutto bene, non metterti a fare il gufo pure tu, per quello bastano già il vecchio e gli altri.- scherzò Ace, sfoderando uno dei suoi sorrisi insolenti.
Gli faceva piacere che i suoi fratelli si preoccupassero per lui, anche se chiaramente non l'avrebbe mai ammesso, però non voleva che lo ostacolassero su quel punto: Teach aveva ucciso un loro compagno sotto la sua guida, aveva infranto la loro unica, sacrosanta regola per poter far parte di quella ciurma, e aveva calpestato anche la sua autorità, mancandogli di rispetto come se niente fosse.
Non avrebbe mai potuto perdonarlo, si meritava appieno ciò che lui gli avrebbe fatto passare e anche molto peggio, era un ignobile e ipocrita bastardo e solo ripensare a lui gli faceva rimescolare dolorosamente le viscere.
Si voltò verso Marco e vide che lo stava fissando con un sorriso triste ad aleggiargli sulle labbra; sapeva di non poterlo fermare, ma quella decisione lo metteva comunque in ansia.
Ace proprio
non capiva: non è che non lo considerasse forte o affidabile, ma Teach nascondeva tanti segreti, era un tipo vile e senza scrupoli, con chissà quali altri avanzi di galera dalla sua parte, mentre Ace, nonostante tutto il suo valore e il suo coraggio, sarebbe stato da solo...un agnello sacrificale in mezzo ai lupi.
Il comandante della prima divisione non avrebbe saputo dire se quella del suo fratello minore acquisito era totale temerarietà o totale
demenza...una tale incoscienza del resto poteva appartenere solo ad un pirata così giovane e di belle speranze, oppure a qualcuno di speciale, come Ace appunto.
Che però non è che fosse meno idiota per quello, sghignazzò appena Marco.
Eppure il moro non era uno sbruffone o un incosciente, se si attaccava alle cose come il rispetto e la lealtà come un cane con l'osso, ma se lo faceva era solo perché sentiva sempre di doversi guadagnare quella roba lì, di dover sempre dimostrare di esserne degno, senza dare nulla per scontato.
- Almeno cerca di non crepare mentre dai la caccia a quel cane senza onore, intesi?- mormorò infine il biondo.
Ace scoppiò a ridere come un bambino.
- Che cavolo di augurio è? Potresti fare di meglio...comunque tenetevi stretti la pellaccia anche voi, bastardi.-
Marco rise appena, nel suo solito modo, affondando gli occhi in quelli di ossidiana di Ace, che da un po' di tempo non erano più adombrati e sfuggenti come una volta.
La piccola imbarcazione scivolava agile sull'acqua, mentre un tramonto da cartolina infiammava l'orizzonte.
- Sta' attento, ragazzino, dico sul serio.- si raccomandò per l'ultima volta il più grande, una nota d'ansia nella voce che l'altro scacciò con una scrollata di spalle.
- Ma va' che torno presto, tu piuttosto smettila con quella faccia da gufo. Ti farai solo venire le rughe prima.-
- Moccioso- replicò sottovoce Marco,  con un sogghigno.
***
Il più grande sollevò lo sguardo annebbiato, davanti a lui c'era una distesa di fiori dai colori vivaci, e il vento accarezzava gentilmente il Jolly roger e il cappotto appartenuto a Edward Newgate, facendoli ondeggiare malinconici nell'aria sonnolenta del pomeriggio assolato.
Quella consapevolezza lo fece letteralmente vacillare, sbatté le palpebre e cercò di controllarsi, stringendo forte i pugni chiusi.
- Me l'avevi promesso Ace...cazzo. - mormorò.
 In quei giorni la consapevolezza di avere perso e di essere rimasti soli a volte lo schiacciava come un macigno, perché una volta, tanto tempo prima, Barbabianca li aveva trovati e riuniti tutti, solo che non sarebbe più successo.

Note (altamente deliranti) dell'autrice:

Dunque dunque...ho provato diverse volte a modificare questo stupidissimo capitolo al fine di migliorarlo, ma mi sa che tutte le sante volte che rivedevo e correggevo in realtà non facevo che peggiorare le cose -.-'.
E niente, ho provato a scrivere qualcosa di decente su Ace, Marco e la loro ciurma, ma non riuscivo ad ampliare o arricchire l'idea che avevo in mente, che gira e rigira era sempre quella...in particolare la scena finale è una pena, mi rendo conto, ma ho tagliato tantissimo e vi assicuro che in originale era anche peggio XD.
Non so, più allungavo il brodo e più mi sembrava di scadere nella retorica e nel banale, dannazione! E pensare che avrei voluto scrivere qualcosa di più sensato e originale a proposito di Ace, e invece m'è venuta solo 'sta ciofeca...del resto Marineford, la morte del fiammifero e le conseguenze sui suoi nakama credo che siano temi trattati fino alla consunzione dal fandom, e io di certo non brillo per grande creatività -____- .
E vabbè, io chiedo scusa a tutti per la sua mediocrità, imploro clemenza e intanto la pubblico (con una certa dose di sfacciataggine...), perché non ne posso più di rimaneggiarla e comunque ci sono stata parecchio dietro, e cancellarla o lasciarla a languire in eterno nel pc a questo punto un po' mi dispiace. Praticamente la pubblico per premiare la mia buona volontà XD!
E' abbastanza insulsa, ma...ci si prova e non sempre viene fuori qualcosa di carino, uff -.-'.
Un sentito ringraziamento a chiunque legga e alle anime caritatevoli che hanno commentato finora ;)!
Se volete recensire anche questa, anche in maniera perplessa e critica (o lanciarmi idealmente ortaggi marci XD) sono qui a vostra disposizione ^_^.
Ciauz :)


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Capitolo 4
*** Storm [Nami & Sanji] ***


storm                                                                               IV. Storm

Circa due anni fa, a sei giorni di navigazione dall'arcipelago Komori, East blue

-
Ehi, qualcuno qui deve aiutarmi con il timone!- urlò Nami, a malapena riuscendo a sovrastare il fragore assordante della tempesta e il rombo delle onde impazzite.
Un'ora e mezza prima una bufera infida li aveva colti praticamente di sorpresa, in maniera così improvvisa e violenta che solo per un soffio gli interminabili cavalloni alti più di tre metri non avevano fatto scuffiare la malcapitata Going Merry.
Da allora era stato un folle susseguirsi di pioggia gelida mista a grandine, venti sbiechi che ululavano indemoniati e sollevavano schizzi di schiuma candida fino al pennone, e di sinistri scricchiolii della nave, simile ad un guscio di noce in balia della furia degli elementi.
- Arrivo io!- si offrì prontamente Usopp, l'unico a non essere impegnato a domare le vele e il sartiame perché nella stiva si erano aperte tre falle e lui era il solo capace di ripararle decentemente.
- Maledizione, sarebbe stato meglio ormeggiare vicino all'isolotto disabitato di prima, prima che si scatenasse questo finimondo! Lo sapevo che non dovevo dare retta a quell'inetto di Rufy!- ruggì la navigatrice cercando di mantenere stabile la rotta, nonostante il temporale che le frustava il viso e gli occhi.
- Ma io volevo solo arrivare prima all'isola del re dei pirati...- piagnucolò sconfortato il capitano, che reggeva con forza una delle cime della randa.
- Ammainatele! Tutte tranne il fiocco che deve gonfiarsi a collo! Usopp, noi due legheremo la barra del timone sottovento ora che la nave è di traverso rispetto alle onde!-
- Okay, ma...sei sicura che funzionerà?- fece il cecchino un po' confuso.
- Sta' zitto!- lo rimbecco lei nervosamente - E' l'unico modo che abbiamo per evitare che la bufera ci spazzi via! Dobbiamo lasciare che il mare ci spinga alla poggia e il timone all'orza, e avremo equilibrio! Andare a bolina non basta in questi casi!- asserì decisa.
Il ragazzo ricciuto annuì mentre eseguiva i comandi della compagna, sperando in cuor suo che l'abilità e l'intuito della rossa fossero sufficienti per uscire vivi da quell'inferno, lui di certo non capiva un accidente di tutte quelle manovre nautiche (cappa?) che permettevano di affrontare in maniera relativamente sicura condizioni atmosferiche del genere.
- Ora dovremmo ottenere una posizione abbastanza stabile, ma non battete la fiacca!- si raccomandò la cartografa, meticolosa come sempre.
Anche Rufy, Zoro e Sanji avevano finito di mettere in pratica le sue istruzioni, e adesso non restava che aspettare che il mare grosso e il maestrale calassero, con le braccia e le gambe che dolevano e bruciavano per tutti quegli sforzi prolungati.
Nami alzò gli occhi al cielo e capì che il peggio non sarebbe passato tanto presto: sopra di loro c'era una cupa massa ribollente di nubi color silicio, solcate da fulmini lividi, e le gocce tonde e lucide come monete non accennavano a smettere di bersagliarli; la pressione era troppo bassa, appurò controllando i suoi strumenti, così come la temperatura.
- Che razza di freddo merdoso- si lamentò il cuoco, che come tutti gli altri era fradicio come un pulcino e tentava invano di accendersi una paglia con lo zippo nuovo, ma se non era l'oceano a vomitare acqua sull'imbarcazione era il cielo, e la sigaretta bagnata non voleva saperne di prendere fuoco.
- E che fame! Io non ho neanche fatto merenda!- disse Rufy quasi con le lacrime agli occhi.
- In effetti stavolta non hai tutti i torti, ho fame anch'io- si unì lo spadaccino, terminando la frase con uno sbadiglio scomposto.
- Quasi quasi vado a preparare qualcosa da mangiare per questi bifolchi, che ne dici Nami?- domandò il biondo alla ragazza.
- Va' pure, abbiamo tutti bisogno di mettere qualcosa sotto i denti. E porta anche del caffè, per favore!-
- Certo, mia regina!-
- E anche del saké, idiota d'un cuoco!- bofonchiò il verde.
- Col cavolo! Così poi ti sbronzi e ti metti a dormire come un morto! Nessuno ha voglia di fare il lavoro al posto tuo, marimo di merda!- gli urlò dietro l'altro.
- Cosa?!- ringhiò il verde in risposta, con Rufy che scoppiava a ridere per il loro bisticcio così stupido e Nami che alzava gli occhi al cielo.
Usopp starnutì, tutti loro erano zuppi come pulcini, e la rossa sentì il bisogno di rassicurarli almeno su quello.
- Tra dieci minuti la tempesta calerà d'intensità, e potremo andarcene tutti all'asciutto.-
Gli altri tre fecero un cenno d'assenso, sapevano bene che per quelle faccende dovevano solo affidarsi alla ragazza e alle sue conoscenze.
Una folata improvvisa di vento sollevò nell'aria la paglietta del capitano, e quest'ultimo saltò in piedi disperato sul parapetto, seguendo con gli occhi sgranati la traiettoria del suo amato cappello che veniva inesorabilmente trascinato in mare.
- Rufy, non fare stronzate!- lo ammonì lo spadaccino -con questa corrente e queste onde sarebbe un casino poi ripescarti!-
- Sì, ma...! Il mio cappello è proprio laggiù, si vede benissimo! Non è ancora tanto lontano, qualcuno di voi potrebbe andare a riprendermelo, per favore?- chiese affranto, mentre gli altri si scambiavano un'occhiata incerta.
Nessuno in realtà aveva voglia di giocarsi la pelle per quel vecchio coso malandato, solo che non avevano cuore di confessarlo al moro, che li guardava in fremente attesa e l'aria da cane bastonato per impietosirli.
- Se proprio mi tocca...- sospirò alla fine Zoro, conscio di non poter lasciare andare uno degli altri due debolucci in quel mare burrascoso.
Ma la sua decisione fu mandata a monte da due cose che successero rapidamente una dietro l'altra: Sanji sbucò dalla cucina con un thermos e un vassoio stracolmo di panini tra le mani, e un'onda alta almeno sei metri si abbatté come una sentenza di morte sulla  caravella, che per puro miracolo non si ribaltò sul lato di tribordo.
L'impatto fu mostruoso, una parete di tonnellate d'acqua gelida che quasi li aveva fatti annegare sul colpo, e di quell'incosciente di Rufy non c'era più traccia sul parapetto. Doveva essere stato inghiottito tra i flutti scuri come quel suo stupido cappello.
- Rufy! Rufy, dove sei?!- lo chiamava Nami a gran voce, e per un attimo le parve d'intravedere un lampo di nero e rosso a non troppa distanza dalla Merry, oltre la poppa.
- E' lì!- urlò Zoro, e neanche mezzo secondo dopo si era già tuffato per recuperarlo prima che quello sciagurato crepasse come un idiota abbandonandoli lì.
- Maledizione! Lui e quel dannato cappellaccio, avrei dovuto incatenarlo nella stiva per tutta la durata della tempesta, come si può essere così deficienti?!- imprecò la navigatrice, dando un calcio vigoroso ad una botte che ruzzolava da una parte all'altra del ponte.
Non poteva morire, non poteva! Era stato lui a salvare lei, sua sorella, i suoi amici e tutta la sua isola, era stato lui a chiamarla "compagna" e farla sentire una parte insostituibile della sua ciurma, era stato lui a restituirle la speranza!
Come poteva morire in maniera così balorda, così normale, uno come lui che di normale non aveva niente?! Uno che aveva quel coraggio, quella forza, quei sogni, quel sorriso?
- Mi sa che abbiamo un altro problema- balbettò il cecchino alle sue spalle, permettendole di mandare giù il nodo che le stava chiudendo la gola.
- Che diavolo c'è ancora?!- ribatté, con voce tutto sommato abbastanza ferma.
- Sanji...l'onda deve aver fatto cadere in mare anche lui.- spiegò l'altro ragazzo, indicando in preda ai peggiori timori il vassoio caduto a terra e i panini ormai immangiabili sparsi ovunque.
- Oh, perfetto! Davvero perfetto! Ci mancava solo questa!- sbottò la rossa, mentre si liberava della giacca impermeabile e dei sandali.
- Che...che fai?!- la interrogò Usopp allarmato.
- Sanji è un nuotatore provetto, se non è ancora riemerso c'è un'unica possibile spiegazione: è svenuto cadendo in acqua. Devo tuffarmi e riportarlo qui o morirà...ogni secondo che perdo qui significa meno aria per lui. Non mettermi i bastoni tra le ruote e prenditi cura della nave mentre io non ci sono.-
- S-sì ma...vuoi lasciarmi qui da solo...in mezzo a questo uragano?!- squittì incredulo il ricciuto.
- Questo non è un uragano, Usopp, è solo una pioggia molto intensa che sta per terminare, e tu sei tranquillamente in grado di gestire la situazione in mia assenza.- lo rassicurò, dandogli una pacca sulla spalla. - Ricordati, siamo pirati, non possiamo avere paura del mare.- gli sorrise infine nella sua maniera sfrontata, cercando di trasmettergli quella sicurezza che non aveva neanche lei.
Dopodiché si tuffò anche lei, e un istante dopo il cecchino crollò sulle ginocchia, frastornato.
Sentiva solo il rombo impazzito del suo cuore nelle orecchie, e il respiro farsi breve e irregolare.
No, no, gli altri contavano su di lui! Si strinse furioso la testa tra le mani, stringendo forte gli occhi e i denti.
Non era più un contadinotto pauroso ormai, cos'avrebbero detto Kaya e i bambini se l'avessero visto in quello stato pietoso, proprio nel momento in cui c'era più bisogno di lui?
Si alzò con le gambe leggermente tremanti, e si avvicinò alla barra del timone, sempre saldamente legata come l'aveva lasciata Nami.
Non ho paura, non ho paura, sono il figlio di un grande pirata! Non temo il mare! si ripeteva il cecchino continuamente, anche se in quei momenti pensava più a sua madre che a suo padre, e sperava che un briciolo della forza della donna scorresse anche nelle sue vene.
Intanto la pioggia era cessata, e anche il mare andava via via placandosi.
***
Buio.
Il mondo era un posto buio, liquido e freddo, che sapeva di sale e solitudine.
Vedeva piccole e graziose bollicine trasparenti che risalivano leggere verso quella fioca luce sopra di lui, quella che per poco riusciva a penetrare il blu.
Chiuse gli occhi perché tanto non c'era niente da vedere, e si augurò solo che la fine arrivasse presto, dolce e tranquilla come quel regno muto e misterioso.
Dagli abissi del nero emerse curiosamente un'immagine radiosa, piena di luce e colori, una giovane donna molto bella il cui viso gentile era circondato da una massa di capelli biondi simili ad un'aureola, o a una corona di polline.
Mamma? pensò Sanji stupito. Che ci faceva sua madre in fondo al mare della Grand Line? Aveva forse delle allucinazioni premorte?
La donna sembrava seduta con le mani raccolte in grembo, come l'aveva sempre vista nel lettuccio della casetta, indossava gli stessi abiti semplici e lindi, e il suo sorriso era sempre il più bello del mondo.
Sanji, la sua voce gli arrivò direttamente al cervello, torna indietro, disse solo, e Sanji avrebbe voluto chiederle di non lasciarlo lì da solo, ma le sue labbra sembravano sigillate e gli mancavano le forze, eppure lei sembrò felice, come se gli avesse letto nel pensiero.
In quel momento gli sembrò di capire tante cose, tutte quelle cose che da bambino non avrebbe mai potuto immaginare, e quasi sorrise anche lui.
L'immagine era già scomparsa dalla sua visuale.
Poi un paio di braccia lo trascinarono sempre più in alto, verso quella luce sempre più vicina e accecante.
***
Sbatté le palpebre un paio di volte, intontito e dolorante.
Gli occhi bruciavano e la sua gola sapeva di acido, segno che aveva vomitato nell'incoscienza. Si rigirò mollemente su un fianco e scoprì di essere sdraiato sul lettino di Nami, con le coperte che lo avvolgevano fino al mento.
Dalla finestrella aperta la luce pura del pomeriggio ora assolato entrava a fiotti e per un po' Sanji si limitò ad osservare rapito la danza celestiale dei granelli di pulviscolo, finché non provò ad alzarsi lentamente, ma una mano lo rimise giù.
- E' meglio se aspetti ancora un po', sei molto pallido. Ah, bevi quello, ho letto in un libro che è utile in questi casi.- non riusciva a mettere bene a fuoco la figura sottile in controluce, ma dalla voce e dalle fattezze capì che si trattava di Nami, che gli porgeva qualcosa di caldo in una tazza.
Il biondo fece come gli era stato ordinato, il liquido in questione sapeva di erbe ed era leggermente amaro, ma non si lamentò.
Quando ebbe finito, un silenzio irreale calò su di loro, finché Nami non lo spezzò domandandogli se stesse bene. Era strano vedere l'altro così abbacchiato e indifferente a lei, anche se comprensibile visto quello che gli era capitato.
- Sì, credo di essere ancora tutto intero. Grazie- riuscì a sussurrare, con voce un po' rasposa.
- Ma va', non mi devi ringraziare, tu hai fatto ben altro per me.-
- Senti- riprese il cuoco, non senza qualche difficoltà -ti...ti è mai capitato...di vedere qualcuno che non c'è più...in momenti, ecco...-
- Intendi in punto di morte? Sì, mi è successo.- rispose la rossa, un po' turbata, e vincendo l'imbarazzo e il riserbo, cominciò a raccontare, stringendo forte i pugni che teneva in grembo.
Era successo quattro anni prima.

Nami era appena tornata con un bel malloppo da uno dei suoi viaggi in cerca di pirati e delinquenti da depredare.
Era una giornata chiara e limpida sul finire della primavera, il vento profumava di pulito e i mandarini con la loro scorza lucida e  sgargiante dondolavano nell'aria al ritmo degli alisei.
Nojiko era intenta a stendere il bucato dietro la casetta di Bellemere, e Nami le dava volentieri una mano; dopo tanto peregrinare da un posto all'altro e aver assistito a brutalità di ogni genere, sentiva il bisogno genuino di una normalità semplice e confortante, di cose buone e belle come la sua isoletta e la sua gente.
- Allora, che facciamo dopo? Devi tornare da quelli?- domandò la ragazza dai capelli lilla, caricando di sprezzo e odio l'ultima parola in riferimento ad Arlong e agli altri della sua banda.
- Mh? Oh no, sono libera fino a stasera. Potremmo mangiare in spiaggia e rilassarci lì per qualche ora, io ho la schiena e le gambe a pezzi.-
- A chi lo dici, ormai non faccio che lavorare come un mulo! Allora muoviamoci a finire qui, così scendo al villaggio e faccio la spesa per il pranzo! Preparerò i miei famosi panini da leccarsi i baffi!-  annunciò tutta allegra la maggiore.
- Per me va bene, basta che non ci metti quello schifoso formaggio coi buchi che piace solo a te!- la canzonò Nami con una risatina.
- Ma sentila! Io mi lamento forse delle tue crostate di cioccolato e mandarini con i bordi bruciacchiati?!-
- Ehi, ho imparato da poco a prepararle! Un giorno mi verrà perfetta e ti costringerò ad ingozzartici!-
- Certo, certo, come se mi facessi mettere KO da te!-
Le due sorelle continuarono a ridere e scherzare fino a quando non ebbero finito con le varie faccende domestiche Nojiko uscì di casa armata con due sporte e una lista della spesa interminabile.
Nami nel frattempo preparò tutto l'occorrente per la giornata da trascorrere in spiaggia, si infilò il suo vecchio costume da bagno preferito, rubato in un famoso atelier dell'East Blue insieme ad un esemplare identico per Nojiko ma di diverso colore, e alla fine portò tutto all'esterno, annuendo soddisfatta.
Per un attimo i suoi grandi occhi luminosi si riempirono delle immagini di quello che le era capitato tre giorni prima, all'insaputa di tutti, ma poi la ragazzina scosse la testa e sorrise.
Ormai era passata.
Tirò fuori da un piccolo nascondiglio nel cespuglio delle rose corallo di Bellemere una corda bianca piuttosto spessa, e avvicinò la sdraio su cui aveva letto il giornale quella mattina.
Era tutto pronto, in cucina c'era la lettera di addio e l'indicazione del punto in cui erano nascosti i soldi. Se Nokijo l'avesse desiderato, avrebbe potuto prenderli e rifarsi una vita da un'altra parte, oppure usarli per i periodi difficili.
Le dispiaceva non poter salutare Gen, il dottore e gli altri abitanti del villaggio, ma forse prima o poi avrebbero capito.
Avvicinò la sedia a sdraio su cui si era stesa al sole innumerevoli volte nelle sue giornate di bambina spensierata, si mise in piedi sulla vecchia tela a righe bianche e azzurre sbiadite, chiuse gli occhi, li riaprì...
Sentiva il respiro sempre più veloce, il cuore accelerare, lo stomaco stringersi dolorosamente.
Prese due profonde boccate d'aria, come quando stava per immergersi, saltò e calciò via la sedia, restando a penzolare in maniera quasi grottesca nella mattina calda e luminosa.
Sentì subito la pressione tremenda sulla laringe, le mani presero a lottare affannosamente per liberare il collo, prima che braccia e gambe inziassero ad essere colti da spasmi incontrollabili e la vista le si offuscasse, e invece del rilassante fruscio del vento tra l'erba e del ronzio cadenzato degli insetti sui fiori profumati, sentiva solo sé stessa agonizzare pietosamente nell'unico posto della sua vita dove era stata felice.
C'era un'esplosione di vita attorno a lei, ma aveva scelto la morte.
Che imbecille, si ripeteva ormai priva di sensi.
Dalla nebbia grigio scuro che l'avvolgeva prese forma Bellemere che la scrutava piena di rabbia e ostilità, con una mano sul fianco e la sigaretta stretta tra le labbra.
I suoi profondi occhi verdi la trapassarono, proprio come quando da piccola la faceva seriamente incazzare, cioè quasi sempre.
- Ti rispedisco indietro a calci, idiota di una ragazzina.- bofonchiò.
Stranamente Nami si sentì cadere all'indietro, cosa oggettivamente impossibile data la robustezza della corda che aveva scelto, eppure qualcosa la trascinò veramente giù, e due paia di braccia forti e solide l'afferrarono per le spalle.
Qualcuno la depose delicatamente sul prato soffice, un altro paio di mani le massaggiarono ritmicamente il petto, tra le labbra le soffiarono dell'aria calda che le diede un po' di fastidio.
La procedura andò avanti per un qualche minuto forse, poi una prima voce maschile decretò che la respirazione era ripresa normalmente.
- Devo visitarla per capire se ci sono stati danni di rilievo agli organi interni e ai vasi del collo, per fortuna niente fratture.-
- Ti rendi conto?- intervenne una seconda voce, anch'essa maschile, molto meno controllata dell'altra -se non fosse stato che Nojiko poco fa ci ha ricordato di passare a ritirare i mandarini...-
- Lo so ma...non diciamole nulla al suo risveglio. Vieni, aiutami a portarla dentro. Abbiamo una mezz'oretta circa prima che sua sorella rientri dal giro del mercatino, e meno male che oggi ci sono anche i venditori di vestiti e bigiotteria, dovrebbero tenerla abbastanza occupata.-
- Bene.- fece l'altro.
***
Quando riaprì gli occhi la luce l'accecò e le doleva tutto, ma più di ogni altra cosa, le bruciava da morire la gola e sentiva la lingua così gonfia che le sembrava strano riuscisse a stare nella sua bocca.
Si tastò con cautela il collo: era bendato e qualcuno le aveva appoggiato una borsa del ghiaccio.
Non c'era traccia di Nako, il medico del villaggio, ma pensandoci bene doveva essere stato lui a medicarla, sì, la voce di prima doveva essere stata la sua.
L'altra invece apparteneva all'uomo che era seduto di fronte al divano della sala da pranzo di Bellemere, dove si trovava in quel momento.
Incrociò gli occhi freddi e duri dello sceriffo, che la squadravano come se potessero leggere nella sua anima, e la ragazza ricordò solo in quel momento che a stento le aveva rivolto la parola negli ultimi sei anni.
Perché non era riuscita ad impiccarsi?
- No...Noji...- riuscì a gracchiare, ma si fermò quando fu scossa da un violento accesso di tosse, e l'uomo le passo un bicchiere con dell'acqua.
- Bevi molto lentamente ed evita di parlare. Nako ha detto che hai una brutta contusione, e anche se non hai riportato lacerazioni preoccupanti, meglio se non affatichi le corde vocali. Ah, dovrai prendere gli analgesici appena te la sentirai.-
Nami riuscì a mandare giù due sorsi piccolissimi d'acqua, e le sembrò di soffocare quasi. Per fortuna gli analgesici erano in polvere.
- Non stare in pena per Nojiko- le raccomandò l'uomo, accarezzandole una guancia con un tocco impercettibile, quasi un battito d'ali di farfalla contro il suo viso.
- Le ho detto che per punizione per non essere passato a trovarlo Arlong ha mandato due suoi scagnozzi a picchiarti, e che al momento non volevi vedere nessuno. Adesso è dalla vicina, rientrerà tra poco.-
La ragazza si limitò ad annuire con gli occhi bassi, e quando l'uomo si alzò, non sapeva se per andarsene o altro, scoppiò a piangere nonostante il dolore insopportabile che le causavano i singhiozzi.
Credeva di essere rimasta sola, invece si ritrovò stretta tra le braccia dell'uomo, che si limitava a passarle una mano tra i capelli crespi e trasmetterle un po' di calore con il suo abbraccio.
Avrebbe voluto dirgli tante cose, raccontargli quello che le era successo, chiedergli perché le aveva impedito di ammazzarsi se ormai la odiava e riferirgli di Bellemere, ma a un certo punto capì che non ce n'era bisogno, che aveva solo voglia che Gen la stringesse e la cullasse, come quando era piccola e correva a rifugiarsi da lui, perché sapeva che avrebbe sempre trovato aperta la sua porta di casa.
***
Sanji uscì sul ponte, avvicinandosi al parapetto.
Il mare e il cielo erano in fiamme, e lui salutò il giorno che moriva accendendosi una delle sue amate paglie.
- E a quel punto eri così spaventato che ti sei pisciato nei pantaloni, eh Usopp?- era la voce allegra di Rufy che prendeva in giro il povero cecchino, intento a brontolare e martellare una trave a poca distanza da lui, mentre Zoro si spanciava dalle risate.
- Dai, sta solo scherzando. Lo sai che è un cretino!- sottolineò Nami.
- Certo che lo so- sghignazzò il moro.
- Oh ehi, c'è Sanji! Ti sei ripreso?!- esclamò tutto felice il capitano.
- Sì, scimmia, tutto bene adesso. E ti ho anche preparato da mangiare.- confermò, strofinandogli le nocche di una mano sulla testa già spettinata, come sempre coperta dall'amato cappello salvato dal "naufragio" da Zoro.
- Sììììì! Ho una fame!-
- Ma non toccherai nulla fino all'ora di cena.- chiarì il biondo.
- Noooo- si afflosciò l'altro, prima di unirsi alle risate generali.
Il cuoco intercettò lo sguardo sereno di Nami, e le fece un cenno del capo sorridente.
Si voltò verso l'orizzonte, il rombo delle onde era diventato una melodia sommessa, e la tempesta aveva lasciato il posto ad una serata magnifica.





Angolo dell'autrice:

Dopo qualcosa come un secolo o quai riesco ad aggiornare, era ora -.- !
Come sempre ringrazio affettuosamente chiunque legga e ancor di più chi vorrà spendere qualche minutino per lasciarmi un commento e farmi capire ciò che pensa di questo capitolo ^_^ (dovrei avere ancora abbastanza cioccolata delle uova per addolcire eventuali critiche XD) .
Ah, a proposito!
Prendete con il dovuto discernimento (leggasi fantasia più che altro XD) le manovre nautiche compiute da Nami per tentare di governare la Going Merry durante il temporale, ho attinto da siti specializzati che però parlavano di imbarcazioni molto più piccole, per cui niente, o mi lasciate qualche licenza o fate finta di nulla ^^".
La parte in corsivo riguardante Nami è da collocare quattro anni prima l'incontro con Rufy, perciò all'epoca lei aveva ipoteticamente 14 anni, e ho preferito restare sul vago sul fattaccio avvenuto alla nostra rossa preferita, interpretate pure come preferite ;)
Non sono sicurissima inoltre che Genzo non le rivolgesse più la parola dopo il suo "arruolamento" coatto nella banda di Arlong, mi è parso di capire ciò da una veloce rilettura dei volumi del manga, se così non dovesse in realtà risultare vi chiedo di chiudere generosamente un occhio ^^".
Ora vi lascio, e per chiunque fosse interessato prometto che per il prossimo aggiornamento non mi farò attendere per altri due mesi XD!
Ciao a tutti ;)

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