Agua de mar di LadyNabla (/viewuser.php?uid=1024367)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oblivion [Nico Robin] ***
Capitolo 2: *** Darkness [Zoro] ***
Capitolo 3: *** Worth [Ace, Marco & Rufy] ***
Capitolo 4: *** Storm [Nami & Sanji] ***
Capitolo 1 *** Oblivion [Nico Robin] ***
oblivion
I. Oblivion
Are you going to age with grace?
Are you going to age
without mistakes?
Or only to wake
and hide your face?
Are you going to leave
a path to track?
Qualche
anno fa, da qualche parte lungo la Grand Line
L'uomo
prese la rampa di
sudicie scale di legno brunito dall'umidità che conduceva al
pianterreno, avvertendo i suoi nervi che si tendevano allo spasimo e
una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco.
In un posto come quello non avrebbe potuto abbassare la guardia neanche
per mezzo secondo, ma doveva andarci lo stesso.
Sistemandosi la parrucca castano rossiccia, che per inciso gli faceva
prudere lo scalpo manco avesse avuto un'infestazione di pidocchi in
corso, e gli occhiali dalle lenti scure, varcò la soglia
della
locanda segreta posta sotto il casinò; un ritrovo lercio di
avanzi di galera, puttane e accattoni.
L'aria era pesante, grassa e calda per via delle candele di sego che su
alcuni tavolini sostituivano le lampade ad olio, e del ristagno di fumo
di sigaretta e di qualcos'altro, ma almeno in quel modo non avrebbe
avvertito troppo la morsa dell'umidità di
quella notte fredda e piovosa (erano quasi tutte
così da quelle parti, ecco perché odiava le isole
d'autunno).
Le pareti, ingiallite dal fumo e dalla sporcizia, erano state
maldestramente rivestite per metà della loro altezza
di
legno di cedro scadente, proprio per occultare l'intonaco scrostato e
le macchie simili a larghe carie nerastre.
Dappertutto si respirava un miscuglio di odori da far rivoltare lo
stomaco: muffa, sudore, birra stantia, tabacco, caffè
bruciato, e
un lezzo pungente che proveniva dalla latrina e a cui
preferì non pensare, si
mescolavano ai profumi dolciastri delle prostitute, al loro belletto in
crema e all'acqua di colonia maschile da quattro soldi.
Avanzò con aria rilassata, quasi svanita, senza posare lo
sguardo direttamente su nessuno, per evitare seccature di qualsiasi
tipo.
Si era informato bene su quella topaia prima di buttarsi a testa bassa
in quella faccenda,
e aveva sentito dire dai soliti beninformati
che là dentro era consuetudine imbattersi in risse piuttosto
violente, rapine e perfino omicidi, mentre gli stupri non erano
assolutamente tollerati dal proprietario e dai suoi dipendenti.
Forse erano maggiori i rischi di beccarsi denunce e ispezioni, oppure
al locandiere seccava dover soccorrere la malcapitata di
turno,
considerò l'uomo tra sé.
In un angolo del bancone, non troppo distante da lui, era in corso una
partita a carte tra energumeni barbuti, bruciati dal sole e dall'aria
non troppo pulita, a cui facevano da contraltare due graziose
baldracche sui diciotto anni o forse venti, una rossa e l'altra con un
caschetto scuro, che stavano incollate ai fianchi degli omoni
lì
presenti, ritrovandosi le loro rudi mani callose lungo il corpo di
continuo, lungo le scollature e sotto le minigonne aderenti, cosa che
suscitava gridolini e risate maliziose da parte delle due.
L'uomo si voltò disgustato.
Non era certo uno di quei bigotti fanatici del governo a cui premeva
particolarmente dichiarare fuorilegge la prostituzione, chi la
praticava e chi ne "beneficiava", ma lo disturbavano i suoni forzati e
striduli delle due ragazzine e il terrore annidato dietro i loro grandi
occhi pesantemente dipinti.
Tuttavia non era lì per fare la parte dell'eroico paladino
della
giustizia per quel manipolo di donnine, perciò si
rassegnò ad occupare un tavolino vuoto e defilato, quasi
troppo
basso per le sue gambe esageratamente lunghe, quindi chiese un rum
liscio al ragazzo dai denti marci che gli si avvicinò a
prendere
il suo ordine.
Mentre aspettava, notò una giovane prostituta bionda che gli
stava di fronte, sull'altro lato dell'enorme salone, e gli sorrideva
sfrontatamente col suo visino a cuore, imbrattato di troppo trucco per
farla apparire più grande dei sedici anni che doveva avere;
la
sua mente la associò a Magda, ripetendosi che
almeno tutta
la rognosa operazione sotto copertura durata più di un mese
e
portata a termine solo quattro giorni prima, aveva portato a qualcosa
di buono.
La biondina non ancora maggiorenne, proveniente dal mare meridionale, a
quell'ora doveva già essere stata imbarcata sul mercantile
che,
scortato da due galeoni della marina, avrebbe fatto ritorno al suo
minuscolo e poverissimo arcipelago natale, circondato da caldi mari
verdi e cristallini.
La temuta banda di trafficanti di armi e schiavi, in combutta
con
due ciurme di pirati e alcuni funzionari locali corrotti, che la faceva
da padrone in quell'insulso tratto di mare compreso tra tre isole quasi
confinanti, era stata finalmente e completamente sgominata, e in quel
modo l'uomo e i suoi colleghi avevano potuto liberare sia i disgraziati
che nel giro dei giorni successivi sarebbero finiti nel giro di schiavi
delle isole Sabaody, sia le ragazze tenute prigioniere, picchiate e
costrette a svendersi per soddisfare i loro carcerieri, che abusavano
di loro in tutti i modi possibili.
Magda era stata salvata dopo ben quattro anni dalla sua rocambolesca
fuga dalla miseria e dall'interminabile lavoro per sfamare i suoi
cinque fratellini minori, e se non altro non si era dovuta portare
dietro nessun piccolo bastardo, sorte spettata invece a quasi tutte le
sue compagne di sventura.
Gli sarebbe mancata quella coraggiosa ragazzina, così decisa
ad
andarsene di lì e tornare dalla sua famiglia nonostante
tutto,
che aveva subito accettato di collaborare con lui e gli altri marines
come spia.
Una personcina gentile, onesta, che si era mantenuta pulita
nonostante tutto, e l'uomo si augurò che chi si era preso
l'impegno di aiutare lei e i suoi consanguinei non la deludesse, e che
la vita non la punisse più a quel modo.
Alcuni
suoi colleghi avevano anche goduto delle "arti" da lei apprese e
affinate negli ultimi anni, e per quanto l'avesse trovata deliziosa, e
non gli fosse affatto dispiaciuta la prospettiva di vedere i suoi
limpidi occhi verdi resi scuri dal piacere, o il suo nasino a patata
arricciarsi durante i gemiti, aveva preferito rinunciare.
Voleva che lei lo rammentasse come il suo generoso benefattore, non
l'ennesimo idiota che si era approfittato di lei, in un modo o
nell'altro.
Tracannò d'un fiato il rum, che gli bruciò dentro
come lingue di fuoco liquido, e ne ordinò un altro.
Il giovane cameriere dai capelli biondo paglia aveva lo sguardo acquoso
ma insistente, e per un attimo l'uomo sentì un brivido
gelido (lui?) scivolargli
lungo la schiena, al pensiero che chi aveva diretto i traffici illeciti
fino a pochi giorni prima fosse stato messo al corrente della sua
presenza e avesse messo dei tagliagole sulle sue tracce, ma poi si
disse che no, non poteva seriamente averlo riconosciuto.
Non con quel pastrano troppo lurido per definirne il colore, le vesti
lise, la barba e i capelli posticci e l'aria derelitta da morto di
fame, che lo rendevano lontanissimo dalla sua solitamente impeccabile
immagine da Ammiraglio del QG della Marina.
Finalmente l'oggetto del suo maggior interesse si palesò
sotto i
suoi occhi, quasi all'improvviso; dalle stesse scale percorse dall'uomo
qualche minuto prima, era scesa una donna alta, con lisci capelli
corvini e un lungo cappotto bianco che risaltava come un faro in mezzo
alla penombra fumosa del salone, così come il fedora in
tinta.
La nuova arrivata avanzò lenta e assorta, impenetrabile sui
suoi tacchi che percuotevano leggeri il pavimento di pietra.
Sembrava avvolta da una
bolla di
superbo distacco, e ignorò i fischi e le proposte indecenti
di
un paio di imbecilli appostati in fondo al locale. Si sedette quindi al
bancone, rivolgendo le spalle a chiunque, e ordinò in poco
più di un sussurro.
L'uomo si
portò il suo
bicchiere alle labbra, studiando indolente i movimenti della nuova
arrivata, che aspettava pacata con una mano affusolata a reggerle il
viso.
Quando lo stesso
cameriere che aveva
servito lui le mise davanti una bottiglia di vino rosso scuro e un
elegante calice, la mora si versò una quantità
appena
sufficiente a coprire il fondo del largo bicchiere.
Non perse tempo a
rimescolarlo o
darsi arie da raffinata intenditrice; lo bevve con calma, sempre
rivolta alla parete di fronte a lei.
Con un movimento
fluido, fece
scivolare fuori da un taschino interno del cappotto una piccola foto, e
la posizionò accanto al calice.
Nessuno la guardava, si
assicurò la donna guardandosi brevemente attorno, e poi la
foto
era talmente ridotta nelle dimensioni che su quella superficie lignea
inondata dalla luce delle vicine lampade ad olio sarebbe stato
difficile vederla da lontano; inoltre era in parte nascosta dalle sue
braccia ai due lati.
Eppure l'uomo, per
quanto fosse
riuscito a cogliere solo un lampo dell'immagine, era quasi certo di
aver riconosciuto un volto femminile, giovane e incorniciato da una
chioma folta e candida come fiori di cotone.
Che fosse...? Vide la
mora sollevare ancora il calice e bisbigliare un "auguri", prima di
svuotarlo.
Non resistette
più.
Si alzò in
piedi, raggiunse
il bancone fingendo di attendere il ritorno dell'inserviente dall'aria
ottusa, e intanto si concesse di mormorare alla donna:
- E così
stamattina hai ammazzato quell'agente governativo per
festeggiare degnamente tua madre, Nico Robin?-
L'altra non si
scompose, né cambiò la sua posizione.
Si limitò a
posare la bottiglia dopo aver nuovamente riempito il calice.
La sua espressione si
era mantenuta
mite come quell'umida notte di pioggia leggera, ma i suoi occhi chiari
erano ora freddi, duri e taglienti come la lama di un pugnale.
- Veramente no- rispose
infine, con
un lieve sorriso impertinente ad incresparle le labbra -l'ho fatto solo
perché me l'hanno ordinato. Non ne avevo neppure voglia.-
L'uomo
aggrottò appena la
fronte: il candore di quell'ammissione e il sarcasmo di cui era venata
gli stavano facendo risalire l'alcol verso la gola, insieme alla bile.
- Raccontalo a sua
moglie e a sua
figlia, che per la cronaca ha solo otto anni.- insistette, con la voce
gelida che tradiva una punta di disgusto.
La donna
sogghignò, si sporse
con il busto verso di lui ruotando su sé stessa, e
sillabò con fare quasi provocante.
- E allora? Cosa vuoi
che me ne
freghi? Se sei qui per arrestarmi, fallo. E se vuoi ammazzarmi, fallo
lo stesso, o almeno- ammiccò -provaci. O hai bevuto al punto
che
ti credi la voce della mia coscienza, Aokiji?- lo sfidò, con
un
sorriso sfrontato.
Il marine
notò la scintilla
divertita nei suoi occhi azzurri, lo stesso azzurro tenue e luminoso
della primavera, quando il cielo conserva ancora un'ombra fredda
dell'inverno. Non riusciva a capire cosa gli desse più
fastidio:
Nico Robin che giocava alla perfetta serial killer, feroce e spietata,
o il fatto che lui se ne preoccupasse.
Che diavolo aveva
creduto fino a
quel momento? Che a quell'età e con le sue
capacità,
ancora si lasciasse schiavizzare dal Crocodile di turno? No, lei era così. Un demonio, ecco che trovava
il fondo di verità nelle voci su di lei.
- Quelle come te non
hanno nessuna coscienza.- commentò lui asciutto.
- Può darsi-
concesse lei, senza più guardarlo in viso, con la stessa
aria sorniona di prima.
- Allora? Cos'era
questa? Una
vendetta trasversale? Su una bambina che aveva la tua stessa
età
quando hanno ammazzato tua madre, Clover e tutti gli abitanti della tua
isola...-
- Oh, per niente. Non
m'importava
niente di quella mocciosa o di sua madre, sai. E comunque il governo
non le farà mai mancare nulla, compresa un'istruzione di
alto
livello e un lavoro prestigioso, quindi su quello puoi anche mettermi
il cuore in pace. Non ti facevo così sentimentale. Si
direbbe
quasi che tu abbia avuto un qualche trauma infantile, grande
ammiraglio...-
Aokiji
sospirò innervosito.
Non era la piega che aveva previsto per quella conversazione, e
l'aperta derisione della ricercata al suo fianco iniziava a seccarlo
sul serio.
Poteva sempre
congelarle il sangue
ancora caldo che scorreva nelle vene e alimentava gli organi,
ricoprendo ogni centimetro di pelle di minuti cristalli scintillanti,
strappandole il fiato direttamente dal petto, accecandola, e rendendola
la splendida regina di ghiaccio che tanto voleva essere.
- Chissà
come sarebbe fiera
di te Nico Olvia, vedendo che razza di delinquente sei diventata, e con
che gente te la fai. Si dice che tu sia anche la puttana di Crocodile,
è vero?-
Gli occhi rabbiosi
della donna lo trapassarono da parte a parte, ma non rispose.
" Finalmente una
reazione da essere
umano. Stai attenta, donnina, non sei l'unica che sa giocare a questo
gioco" pensò lui soddisfatto.
Un angolo della bocca
di Nico Robin si sollevò.
- Certo che voi cani
ammaestrati della marina amate parecchio i pettegolezzi.-
- Non hai risposto alla
domanda. Cosa penserebbe tua madre vedendoti?-
- Non lo so.
Perché credi che
m'interessi? Per questa? E' solo una vecchia foto.- asserì
lei,
e per dimostrarlo, la avvicinò ad una lampada vicina al suo
braccio, facendola bruciare sotto il suo sguardo impassibile.
- Bruciare quel pezzo
di carta non
è sufficiente, Nico Robin. Se te la portavi dietro, vuol
dire
che sei rimasta esattamente la stessa marmocchia di diciotto
anni
fa, debole, patetica e mammona. Non importa quanta gente ammazzi o da
chi ti fai sbattere per ottenere protezione e potere.-
Stavolta il suo viso
rimase
imperscrutabile, liscio come una lastra di marmo, ma l'odio della
fuorilegge era comunque intuibile dalla mano stretta sul bordo
del
bancone, così forte che tremava.
- Pensi di sapere tutto
di me, vero?- lo interrogò con un sibilo.
- So quanto basta. So
chi sei e cosa
fai, e posso solo immaginare quello che farai in futuro se non ti
ammazzo qui stanotte. Pensavi davvero di potermi sfuggire per sempre?-
La mora non rispose.
- No.- disse infine,
nuovamente con un ghigno ironico.
- No che cosa?-
sbatté le palpebre lui.
- Non credevo di poter
scappare per sempre, ho sempre saputo di avere i giorni contati.-
- Tanto vale che ti
rassegni a crepare qui, allora.-
- Le due cose non sono
collegate tra loro.- sottolineò la donna sarcastica.
- Oh davvero? Quindi
anche un demonio come te ha paura di morire?-
- Non si tratta di questo. Forse non ci tengo a morire qui e per mano
tua, certo, ma ho delle cose da fare, e vorrei portarle a termine prima
che arrivi la mia ora.-
- Che idiozie...- mormorò Aokiji - rincorri ancora gli
stupidi
sogni degli studiosi di Ohara? Non troverai mai tutti i Poignee Griffe,
ce ne sono troppi e tu hai tutta la marina e i peggiori tagliagole del
governo a darti la caccia, come cani da punta. O credi che essere
passata dalla parte di uno shichibukai possa fermare certa gente dal
proposito di farti la pelle?-
- Non mi aspetto che tu capisca.- chiuse gli occhi lei.
- E comunque Crocodile prima o poi ti tradirà, non illuderti
di
significare qualcosa per lui. E' un pirata, non un benefattore.-
- In ogni caso non ti riguarda.- tagliò corto lei, che ne
iniziava ad averne abbastanza di quell'ostinato bastardo. Possibile che
dopo quasi vent'anni continuasse ancora a starle col fiato sul collo?
Se non fosse stato per il suo stupido potere, l'avrebbe già
ammazzato da una vita e gettato in mare con un peso al collo, quindi si
sarebbe perfino dimenticata la sua faccia.
- Come dici tu, la scelta dei tuoi alleati è solo tua, ma mi
stupisce che una donna intelligente e pragmatica come te, mettiamola
così, si perda dietro assurdi sogni infantili. Posso capire
quel
vecchio pazzo di Clover, che a furia di stare rinchiuso con i suoi
allievi, nella sua biblioteca a studiare, si era rincitrullito, e
quell'ingenua di tua madre...ma tu? Non conosci abbastanza le cose del
mondo da capire che non ce la farai mai? O che in ogni caso non te la
lasceranno mai diffondere quella
storia?-
- E allora? Credi che mi fermerò per questo? Solo
perché potrei morire provandoci?- replicò lei,
stizzita.
- Tu forse abbandoneresti la Marina, solo perché il prossimo
incarico potrebbe esserti fatale? Perché tanto l'era della
pirateria non sembra voler finire e non ce la farete mai ad arrestarli
tutti o anticipare le loro razzie? Vuoi davvero dirmi questo?-
- Io lo faccio perché devo,
donna. Non paragonarmi a te.- disse lui, mentre la temperatura del
salone iniziava a calare.
- E vale anche per me. Potrò anche morire dopo, non
m'interessa molto.- il suo sguardo, limpido e sereno, sosteneva senza
esitazioni quello scuro e minaccioso dell'altro.
- Tutte sciocchezze.- ma le sue parole suonarono deboli e inadeguate
anche alle sue orecchie. C'era coraggio in quella donna, doveva
ammetterlo, una donna sola che temeva il mondo e detestava
sé
stessa, ma comunque continuava ad annaspare per restare viva, e che pur
essendo diventata ormai miserabile e al di là di ogni
redenzione, voleva portare a termine il lavoro di una vita di sua
madre, del suo mentore e dei suoi amici.
I soli che avesse mai avuto.
Eppure a lui tutto quello non doveva importare. Non doveva provare pena
per lei, o non avrebbe adempiuto ai suoi doveri. Non doveva lasciarsi
vincere dalla sua gentilezza, doveva solo arrestare una criminale, la
peggior criminale, e consegnarla al boia.
Fine della storia.
Perché per gli altri era sempre così facile, dannazione?
Non poteva anche lui masticare trai denti la sua etica e sputarla via,
almeno per una volta?
Sì, l'aveva risparmiata per Sauro a Ohara, ma allora era
solo una bambina, un'innocente, adesso non lo era più.
- Non posso dimenticare ciò che sei, Nico Robin, o da dove
provieni.- confessò infine, sospirando amaramente.
- Lo so, se potessi lo dimenticherei anche io.- sogghignò
lei,
calma. Non c'era paura in lei, e neanche odio o rabbia. Forse non c'era
più niente in lei, a ben vedere, però...gli
tornò
in mente un ricordo, un'immagine sbiadita dalla memoria, urla, fuoco,
bombardamenti, la terra che tremava, il mare che s'ingrossava,
disturbato nella sua quiete.
Una barchetta che lui aveva lasciato scappare.
Allora come adesso, si era sentito combattuto, ma anche impotente.
Quella bambina sarebbe vissuta in mezzo alla sporcizia, e poi sarebbe
morta. Non c'erano speranze per lei.
Era sopravvissuta, ma adesso...la morsa stava per chiudersi su di lei.
- La tua fortuna sta per esaurirsi. Un giorno commetterai uno sbaglio,
farai un passo falso, ti fiderai delle persone sbagliate. E
sarà
la tua fine.-
- -Un giorno?- celiò lei - Non è questo?-
- Taci, donna. Ti concedo cinque minuti, forse dieci. Sparisci dalla
mia vista, e dall'isola. Se ti troverò quando
uscirò da
qui...sarai morta.-
Nico Robin soppesò in silenzio quelle parole, lo
fissò a
lungo, quindi si alzò e andò via, silenziosa come
la
brezza della sera, con quel suo stupido cappotto bianco che attirava
troppo l'attenzione.
" Tre anni di lavoro andati in fumo. Ci farò una gran
figuraccia, e quel bastardo di Sakazuki...no, meglio non pensarci. E mi
tocca pure pagarle il conto, tsk." pensò Aokiji seccato.
Eppure sulle sue labbra adesso aleggiava un mezzo sorriso.
Non vedeva l'ora di uscire da quella topaia puzzolente e sentire di
nuovo il profumo del mare, e passeggiare lungo la spiaggia scura e
deserta.
La pioggia era finita, e per fortuna il molo era vicino.
Angolo dell'autrice:
Raccolta senza pretese di missing moments su vari personaggi, con varie
ambientazioni cronologiche.
Il tema portante, come suggerisce il titolo, sarà quello che
accomuna tutti i pirati e marines, ovvero la presenza costante del mare
nelle loro vite; a volte questa presenza apparirà
fisicamente, a volte invece si manifesterà solo nei pensieri
o nei ricordi dei personaggi.
E niente, torno ad eclissarmi.
Un sentito ringraziamento a chiunque legga dall'autrice, e naturalmente
le recensioni a questa scemenza, anche critiche, sono sempre ben
accette.
Bye
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Capitolo 2 *** Darkness [Zoro] ***
2
II. Darkness
I'm holding on
Why is
everything so heavy?
So
much more than I can carry
I keep
dragging around what's bringing me down
Isola
di Kuraigana, rovine del regno Shikkearu
Allenarsi.
Battere
le scimmie.
Dormire.
Assaltare il sakè trafugato da qualche nave mercantile
distrutta da Mihawk.
Passeggiare tra i resti di quel posto desolato.
Ancora e ancora.
Mangiare.
Sopportare le stupide lagne della ragazzina con la testa di boccoli
color
caramella, che gli gironzolava continuamente attorno.
Zoro alzò lo sguardo del suo unico occhio buono al cielo
cupo e nuvoloso di
quel buco schifoso dove non si vedeva mai il sole, ma non distinse
niente,
tanto era scuro e coperto.
Sospirò, riprendendo a camminare senza meta, con le mani
affondate nelle
tasche, le spade al fianco e il sentiero irregolare davanti a
sé.
Era così che andavano avanti le cose da circa un
anno ormai, da quel
giorno all'arcipelago Sabaody.
Sembrava già una vita fa, invece erano trascorsi a malapena
tredici mesi (o
forse quattordici? Non era tanto sicuro, ma tanto ci pensava la
mocciosa a
tenere il conto per rinfacciargli da quanto le toccava tollerare la sua
presenza sull'isola).
Perfino uno della sua tempra, uno che non aveva mai attribuito la
minima importanza
a certe cose, sempre pronto a mettersi alla prova affrontando qualunque
clima e
qualsiasi ambiente selvaggio e inospitale, avrebbe gradito vedere un
dannato
raggio di luce, un po' d'azzurro, un'alba sul mare.
A volte gli sembrava di diventare pazzo.
Parlava poco e solo per estrema necessità con Perona (che
d'altra parte
blaterava per due o tre persone) , e non molto di più con
Mihawk, sempre torvo
e scontroso.
Non che gliene importasse un fico secco di conversare amabilmente con
lui
davanti ad un tè caldo, o giocarci a ramino tanto per
ingannare il tempo,
bastava che lo aiutasse a diventare più forte.
Si stava addestrando bene, o almeno così gli diceva ogni
tanto quel pallone
gonfiato dagli occhi dorati.
Solo quello, un ben misero premio per i suoi sforzi sovrumani, per
tutta la
fottuta fatica che si doveva caricare sulle spalle per avvicinarsi a
lui di
qualche passo, e per dover stare lì, in quell'inferno
oscuro.
" Stai andando discretamente, Roronoa", oppure "puoi fare di
meglio", o "ti manca ancora qualcosa".
A tanto valeva farsi il culo ogni giorno sotto la sua guida snervante.
Sempre meglio delle risatine acute della ragazzina e dei suoi
immancabili
commenti acidi su quanto fosse noiosa la vita con due come loro, rozzi
e
stupidi, capaci di pensare solo alle spade e di menare le mani.
Ma che ne potevano sapere quei due di lui? Non avrebbero capito in ogni
caso il
motivo per cui si stava dannando l'anima, per cui stesse resistendo
dopo tutto
quel tempo...senza di loro.
Il ragazzo serrò la palpebra.
In realtà non faceva molta differenza, rispetto a quando
teneva l'occhio
aperto.
Ecco, adesso che era abbastanza lontano da Mihawk e Perona, se si
concentrava e
tagliava fuori i pochi suoni di quel posto, lo sentiva.
Sentiva l'incessante rollio della nave sotto i piedi, ora lievissimo,
ora
insopportabile, e il liquido infrangersi delle onde contro i fianchi
snelli
della Sunny, gli schizzi di schiuma che nelle giornate ventose
arrivavano fino
al posto di vedetta, dove si appisolava sempre... lo stridio dei
gabbiani, il
sole che gli baciava la pelle, o il pallido chiarore della luna e delle
stelle,
e le loro voci.
Le urla e le risate di Rufy, Usopp e Chopper, simili a tre marmocchi
pestiferi,
i rumori confortanti della cucina e lo stupido cuoco che se la
canticchiava,
Nami che lavorava alle sue carte nautiche e ogni tanto controllava il
log pose
e lanciava ordini al timoniere sulla rotta da seguire, Robin che le
stava
vicino e leggeva con l'aria serena e divertita, Brook e le sue melodie,
allegre
o nostalgiche, ma sempre dolci, Franky che ogni tanto riemergeva dal
suo
laboratorio facendo un sacco di baccano, con qualche nuovo marchingegno
incomprensibile tra le mani.
Lui nella coffa, mentre nell’aria risuonava il fruscio delle
vele e lo schiocco
del sartiame che gli conciliavano il sonno, e se ne stava lì
con un sorriso
pigro ad increspargli le labbra.
Gli sembravano lì, a due passi da dove stava, sentiva quasi
il profumo
salmastro dell'oceano, puro e aspro e forte, vedeva il luccichio della
luce che
danzava sul pelo dell'acqua blu e verde, sotto di lui, mentre il caldo
della
tarda mattina lo illanguidiva e all'orizzonte piano piano iniziava a
stagliarsi
la sagoma violacea e irregolare dell'isola seguente.
Ma poi il suo occhio si riapriva, e l'immagine piena di colori e di
vita
svaniva, come una bolla di sapone nel vento.
Era a Kuraigana, solo.
Lì l'aria sapeva di fumo, di sangue e di morte, il cielo era
sempre plumbeo e
il vento sembrava il lamento lugubre di una bestia in agonia.
Sapeva che la sua era una condizione temporanea, che prima o poi
sarebbe
ripartito e si sarebbe lasciato alle spalle e per sempre quell'isola
lugubre e
opprimente...o no? E se non ci fosse riuscito?
Anche Zoro, il temuto cacciatore di pirati, un uomo cinico che viveva
ignorando
la paura, al punto da sfiorare l'idiozia, a volte si svegliava di
soprassalto
nel cuore di quella che doveva essere la notte, scosso dai brividi e
dal
terrore di restare intrappolato lì fino alla fine dei suoi
giorni, o di non
ritrovare più i suoi compagni, e vagare disperato di mare in
mare, di isola in
isola, alla loro vana ricerca.
Eppure per lui non era certo una novità stare da solo,
bastare a sé stesso,
cavarsela sempre con le sue sole forze, senza avvertire mai il bisogno
della
compagnia di altri essere umani.
Ma quello era stato tanto tempo prima, quando ancora non aveva commesso
l'errore di salvare una bimbetta dalle fauci del lupo domestico di un
idiota
figlio di papà, e non aveva ancora conosciuto uno strambo
ragazzino con un
vecchio cappello di paglia in testa e tanti sogni balordi, quando non
si era
ancora unito a lui in quella che sembrava più una
barzelletta con due idioti
come protagonisti, che l'inizio dell'avventura di una vita.
Zoro fece un ghigno storto.
Doveva resistere.
Anche se faceva male non essere con loro, non sentire le loro voci, non
ricordare quasi più com'era navigare con i suoi amici.
Troppo male.
Angolo
dell'autrice:
Saluto
chiunque abbia letto e come sempre ringrazio di cuore chi
vorrà lasciare un breve commento alla storia, oltre a
ringraziare di nuovo e con simpatia chi mi ha così
gentilmente recensito il primo capitolo, grazie grazie ancora *_* !
Approfitto
inoltre di questo piccolo spazio per una precisazione: nel testo di
questo secondo capitolo potrebbe emergere un elemento un po' strano,
ovvero Zoro che teme di non riuscire a ricongiungersi con il resto
dell'allegra brigata in quel di Sabaody; ebbene, non mi sono
dimenticata che lui conosceva bene il luogo dell'appuntamento, ma
diciamo che si tratta in gran parte di paure irrazionali e portate
all'estremo dalle condizioni di deprimente isolamento in cui il nostro si
trova a vivere, unite alla mancanza dei suoi amici e ad altri aspetti su cui non ho voluto soffermarmi (il senso di colpa per esempio).
Niente,
mi sembrava giusto mettere in chiaro questo piccolo dettaglio, poteva
effettivamente sembrare sbagliatissimo in rapporto a ciò che
era stato detto a quel proposito nel manga :).
Grazie
ancora per l'attenzione, mi defilo una buona volta con la mia pignoleria! XD
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Capitolo 3 *** Worth [Ace, Marco & Rufy] ***
3
III. Worth
I
say: " Love, love, it don't mean nothing
unless there's
something worth fighting for".
It's a beautiful war
- Ma tu non
hai proprio mai paura di partire da solo e lasciare quest'isola, Ace?
gli domandava a volte quel rompiscatole di Rufy, quando si
arrampicavano sulla cima della scogliera e pensavano tutti e
due
a Sabo e alla loro promessa.
- Mfh! Che domande sceme mi fai?!
Abbiamo già deciso da un pezzo, no?- rispose il
più grande
imbronciato come sempre, stando in piedi ad osservare l'infinita
distesa di blu e verde che scintillava sotto il sole alto.
- Sì,
ma...- protestò debolmente il ragazzino con la paglietta,
sdraiato a
pancia in giù sull'erba fresca e con le braccia incrociate
sotto il
mento. I suoi grandi occhi scuri erano persi oltre la linea piatta e
nitida dell'orizzonte, non si capiva se con desiderio o paura.
-
Io...sarebbe stato bello se...a volte la notte sogno di essere
già
in mare, e siamo insieme su una nave grandissima! E se sogno forte,
ogni tanto mi capita che ci sia anche Sabo con noi!-
Ace si voltò
a guardarlo, un po' spiazzato.
Sarebbe stato grande, concesse tra
sé il ragazzino con le lentiggini, ma quella era solo la
fantasia di
un sempliciotto col cuore troppo tenero, di Rufy insomma; lui sapeva
benissimo che anche se il loro fratello non fosse morto, ognuno di
loro avrebbe intrapreso un viaggio da solo.
Quelle erano le regole
sacrosante della pirateria, e non si potevano infrangere, neanche per
i propri fratelli.
- Che stupidaggine, queste cose vanno bene per
i bambini, Rufy. Da grandi mica si può stare sempre
insieme.-
mormorò dopo un po', e la voce gli uscì
più triste di quanto
avrebbe voluto.
Prima che il suo insistente fratellino
ricominciasse a contraddirlo, riprese a parlare.
- Non si tratta
di fare i turisti in giro per il mondo, lo sai, no? Saremo pirati di
ciurme diverse, e quindi rivali. Pensaci bene, ognuno di noi voleva
essere il più forte, non avrebbe senso viaggiare tutti
insieme.
Cioè, noi due assieme.- si corresse.
- Sì, però...- balbettò
Rufy un po' deluso, ma lasciò perdere subito.
Non lo avrebbe mai
ammesso neanche a Makino, a Dadan o ai banditi di montagna; figurarsi
se poteva dirlo ad Ace, dirgli che a lui la prospettiva di andarsene
in giro per il mare tutto solo, senza suo fratello, lasciava la bocca
secca e faceva diventare le gambe molli come gelatina, anche se dopo
un po' passava.
Però era dispiaciuto che Ace non volesse partire
con lui, anche se forse neanche lui avrebbe aspettato tre anni se
fosse stato lui il più grande; almeno poteva dirgli che
sì, gli
sarebbe piaciuto, non era giusto che non fosse mai gentile con lui e
non lo consolasse neanche un pochettino.
- Non fare quella faccia
patetica- lo rimproverò il più grande, che si era
reso conto della
sua inquietudine.
- Mica ti ho detto che il viaggio te lo dovrai
fare tutto da solo! Vedrai che troverai dei compagni in gamba che ti
seguiranno, ma naturalmente prima devi diventare molto più
forte e
coraggioso di come sei adesso, o col cavolo che vorranno avere un
pappamolle come te per capitano!- ridacchiò, con la sua
solita
espressione da birbante.
Eppure Rufy aveva ancora la stessa faccia
abbattuta di prima, e perfino gli occhi lucidi.
La pazienza di
Ace, già notoriamente scarsa, stava iniziando a dileguarsi
del
tutto.
- Oh, insomma Rufy! Che palle che sei! Si può sapere
perché oggi ti sei fissato con quest'idiozia che non vuoi
partire da
solo?!-
- Ma come faremo a ritrovarci?!- strillò l'altro di
rimando, con la sua vocetta acuta già rotta dal pianto in
arrivo. -
Il mare è così grande, e ci sono così
tante isole, e tanta, tanta
gente...!- farfugliò, prima che due lacrime tonde gli
corressero
lungo le guance.
Ace finse di non averle viste, si girò di nuovo
verso l'oceano e rifletté prima di rispondere.
- Ce la faremo,
ci ritroveremo da qualche parte. Basta che ci facciamo un nome come
pirati e poi sentiremo parlare l'uno dell'altro, e prima o poi ci
raggiungeremo.- sentenziò convinto.
- Ah, davvero? Basta...basta
fare così?- singhiozzò Rufy.
- Sì, davvero! E adesso smettila
di frignare come una femminuccia! Non ti sopporto quando fai
così! E
poi tu pensi solo a te stesso, ma anche io partirò da solo,
sai?! A
me non ci pensi?- sbraitò.
Rufy sussultò, stupito da quelle
parole, poi si asciugò con foga gli occhioni bagnati.
-
Perché...tu...anche tu...?-
Ace fece spallucce, atteggiandosi a
qualcosa che in realtà non era, ma non poteva dire a quello
scemo
che pure lui aveva paura, un po' perché ci avrebbe perso la
faccia
(e suo fratello non era certo il tipo che sapeva tenersi le cose per
sé), e un po' perché...come poteva proteggere
quel buono a nulla,
se si mostrava debole di fronte a lui?!
- Io non sono un
bambinetto piagnucolone come te.- disse scuotendo la testa mora. - E
poi non vedo l'ora di lasciare questo cavolo di posto. Voglio andare
lontano, dove non mi conosce nessuno, e voglio dei compagni che se ne
freghino del posto da dove vengo o di chi era mio padre, che mi
rispettino e credano in me per quello che sono, solo per questo.-
Rufy ascoltava sospeso tra l'incredulo e l'ammirato quel discorso
così...da grande, che lui neanche capiva bene del tutto;
però aveva
capito che suo fratello era davvero
uno tosto come aveva sempre creduto,
che niente
lo poteva spaventare sul serio, e che il suo nome sarebbe di sicuro
diventato famoso in tutto il mondo.
Ace intanto si era ricordato
di una cosa, chissà perché gli veniva in mente
proprio in quel
momento; era successo prima che Rufy diventasse suo fratello, e prima
ancora di conoscere Sabo.
Un giorno aveva chiesto al vecchio Garp
che senso poteva avere per uno come lui nascere e vivere in un mondo
che sembrava solo odiarlo e volerlo mettere all'angolo in tutti i
modi, che lo faceva sentire ogni giorno sporco e maledetto.
Il
vecchio gli aveva semplicemente risposto...
"Lo scoprirai
solo vivendo, Ace."
Ma quanto tempo doveva aspettare ancora?!
Quando Sabo era diventato suo amico, e poi a loro si era unito anche
Rufy, le cose erano sembrate così facili,
la vita era sembrata per la prima volta dolce, tutto era
possibile...
Ma la morte del suo migliore amico gli aveva aperto
gli occhi: erano ancora dei bambini che non sapevano niente del
mondo, che niente durava davvero per sempre, e che forse
lui quel senso
non l'avrebbe mai trovato.
Si mise una mano sul petto: da un po'
di tempo il peso sul cuore era tornato a farsi sentire.
- Che hai?
Tutto bene? Ti fa male la pancia?- gli chiese suo fratello, che
intanto aveva iniziato ad infastidire con due ramoscelli secchi una
colonna di formiche.
- Nah, non è niente, sarà solo fame. Dai,
vieni, che ci procuriamo un po' di coccodrillo per pranzo.-
-
Sìììì, che bello! Il
coccodrillo è il mio preferito!
Facciamocela di corsa fino al fiume! - propose.
- Come se avessi
qualche possibilità di battermi- lo sfidò Ace,
che già stava
guadagnando terreno con un ghigno.
***
- E per l'ottava volta
di seguito vince lui! Il comandante della seconda divisione batte
ancora quello della prima! Yuhuuuu!- una giovane voce maschile
risuonò nella luminosa notte estiva, turbando la quiete di
quell'isoletta semi disabitata su cui la Moby Dick era ormeggiata da
qualche ora.
- Ma non la smette più?- mormorò Vista rassegnato
e
contemporaneamente divertito, con le braccia intrecciate dietro la
testa appoggiata al parapetto della nave pirata.
Al suo fianco Izo
scosse la testa con un sogghigno, mentre ripuliva con attenzione le
sue pistole, mentre Satch raccolse con una mano un mazzo di carte
sparpagliate sul ponte per iniziare una nuova partita con i compagni
seduti accanto a lui.
Fece un cenno a Marco, prima di
punzecchiarlo:
- A volte mi chiedo come fai a sopportarlo.-
Il
biondo si sedette pesantemente alla sua destra.
- E' quello che mi
chiedo anch'io onestamente...devo proprio smetterla di prestarmi a
queste pagliacciate.- sospirò.
Intanto Ace continuava a sparare
palle di fuoco su in alto, verso il cielo blu scuro e le tonde stelle
palpitanti che lo tempestavano, palpitanti come i suoi proiettili che
ad alta quota sbocciavano nei loro petali di oro rosso che
rischiaravano tutto quel tratto di mare.
- Meno male che la costa
sud-occidentale è disabitata.- sottolineò Izo.
- Non vi stancate
mai di queste gare tra deficienti a chi riesce a sparare il suo fuoco
più in alto?- intervenne Jaws, deridendo Marco che ogni
tanto si
lasciava andare a quei giochetti puerili con il moro, sempre quando
la Marina e i civili erano ben distanti dalla loro posizione.
L'altro
pirata si limitò a fare spallucce.
Anche se l'intera ciurma lo
prendeva in giro per quelle sciocchezze, tutti loro poi non
riuscivano a fare a meno di restare imbambolati davanti allo
spettacolo delle fiamme azzurre e arancioni che danzavano
intrecciandosi nell'aria, così in alto che sembrava
sfiorassero la
luna e il firmamento.
- Secondo me lo lasci vincere tutte le
volte, non è possibile che ti batta sempre.-
commentò Curiel.
Marco
fece uno dei suoi sorrisi pigri, indecifrabili.
- E' solo che non
mi va di continuare per tutta la notte, sai quant'è testardo
quel
ragazzino.-
- Potresti sempre volare e sparare il tuo fuoco più
in alto, così almeno per una volta non ci romperebbe le
palle con le
sue urla e i suoi balletti da scimmia.- gli fece notare Vista.
Marco,
che teneva una gamba piegata e il braccio appoggiato sopra, a quelle
parole non poté trattenere una risata a labbra serrate,
passandosi
una mano sul viso.
- Sarebbe troppo facile così.-
In quel
momento il suo sguardo celeste incrociò quello d'ebano di
Ace, e
quest'ultimo gli rivolse una smorfia arrogante, facendo sprizzare
dalla mano destra una nube di scintille dorate, simili a lucciole
minute, che gli avvolsero il capo senza bruciare le sue ciocche
arruffate.
- Perso ancora, eh? Dai, domani potrei sentirmi buono e
concederti la rivincita, non metterti a piangere davanti a tutti!-
-
Ehi babbo, che dici? Posso buttarlo a mare con un'ancora legata al
collo?- urlò il comandante della prima divisione della
ciurma,
rivolto all'enorme uomo comodamente seduto su una poltrona,
circondato come sempre dalle solerti infermiere.
Il capitano smise
per un attimo di svuotare l'ennesima ciotola di saké, si
ripulì le
labbra con il dorso di una mano, e dopo aver inarcato un
sopracciglio, scoppiò nella sua tipica risata tonante, tutta
di
gola, simile al rombo furioso di una frana di montagna.
-
Gurarara! Mi fate ridere, bambini! Voi e i vostri giochi!-
Al che
anche Marco lo imitò, mentre Satch, non visto da nessuno,
lanciò un
vecchio sandalo di legno contro la schiena di Ace che aveva ripreso a
fare casino.
Ace sbatté le palpebre un paio di volte, e la
placida, sfavillante immagine di una notte di piena estate
evaporò
dalle sue retine, mentre tutt'attorno a lui e al suo patibolo di
Marineford impazzava l'inferno.
Cos'aveva appena detto quello
stupido di Rufy? Che per lui le regole della pirateria non contavano
nulla e che lo avrebbe salvato, anche a costo di andare contro la sua
volontà?
Che moccioso testardo! Come se poi Ace avesse potuto
perdonarsi di aver avuto bisogno di lui, esponendolo a certi
pericoli.
Era così triste non poter fare nulla, incatenato su
quel patibolo maledetto, alla mercé dei bastardi della
Marina...eppure era anche stupidamente felice, pensò il
ragazzo
mentre lacrime caldissime gli rigavano le guance, scivolando
giù dal
suo mento.
Era felice che qualcuno si preoccupasse e che stesse
combattendo con tanta foga per una canaglia come lui, che Rufy, il
babbo, Jinbe e tutti gli altri ce la stessero mettendo tutta solo per
salvare la sua inutile pellaccia.
Non avrebbe mai creduto che
qualcuno potesse considerarlo degno di tutta quella fatica e quel
dolore, e in quei momenti Ace sentì che il peso che si
portava sul
cuore si era notevolmente affievolito.
Forse non sarebbe morto
dopotutto, forse ce l'avrebbe fatta.
Nelle ultime settimane aveva
cercato di non lasciarsi dominare dalla paura e dalla disperazione,
non aveva chiesto a nessuno di salvarlo, e aveva appena cacciato via
Rufy (o meglio, ci aveva provato) e la sua ciurma, perché
non voleva
rischiassero il collo ance loro per colpa di un suo stupido, patetico
errore.
Eppure anche lui...si era sentito schiacciare dalla
consapevolezza della fine che si avvicinava sempre di più,
del
terrore di morire come un cane tra le grinfie dei suoi peggiori
nemici, che l'avrebbero esibito come un trofeo di caccia in giro per
il mondo, umiliando lui e il suo ricordo per avere l'ultima
definitiva vendetta su quel bastardo di suo padre.
Adesso che i
suoi compagni si erano riuniti lì tutti per lui, provava una
gioia e
un sollievo che quasi lo soffocavano, e un briciolo di pietà
per
quell'uomo che era morto solo e sconfitto vent'anni prima, nonostante
il sorriso arrogante sul volto.
Forse anche lui si era aggrappato
all'amore per la libertà fino alla fine, al dolce ricordo di
una
vita trascorsa sulle onde, tra le voci e le risate dei suoi fratelli,
a quello delicato di sua madre?
Sicuramente anche lui si era
sentito grato alla fine, pensò Ace mentre le ultime forze lo
abbandonavano come falene in fuga dalle fiamme che già le
bruciavano, anche lui aveva capito che il valore di certe cose non si
perdeva con la morte, quelle cose che rendevano degna di essere
vissuta anche una vita come la sua, una vita che almeno negli ultimi
anni era diventata calda e brillante come il fuoco.
***
-
Ma perché sei ossessionato da questa storia? Non puoi
lasciar
perdere per una sola, maledetta volta? Anche il babbo ha detto che
non vuole che tu lo segua, che non c'è bisogno di
insistere.-
Marco
non ne poteva più di quell'idiota avventato e dei suoi
assurdi
propositi di vendetta contro Teach, anche perché nel
profondo del
suo cuore e nelle ossa si sentiva che non avrebbe portato a niente di
buono, che in qualche modo Ace si sarebbe messo nei casini e forse
loro neanche sarebbero riusciti a salvarlo.
Purtroppo però far
ragionare quel cretino era un'impresa che di solito metteva perfino
lui a dura prova, e in particolare su quell'argomento l'uomo
più
giovane si era dimostrato irremovibile.
"Cazzo" pensava
il biondo nervoso, nonostante dall'esterno apparisse flemmatico come
sempre "tutto questo finirà male, molto male".
Erano
settimane che quel brutto presentimento non lo abbandonava, e anche
se lui non credeva alle sciocchezze soprannaturali, avrebbe comunque
preferito che Ace si scordasse del loro ex compagno e di quello che
aveva combinato.
Il ragazzo dai capelli scuri nel frattempo aveva
continuato a radunare il necessario per la sua partenza ormai
imminente, e non sembrava dare troppo peso alle proteste di Marco.
-
Tranquillo, so quello che faccio e non sono un pivello incapace che
cadrà in trappola come niente.- gli rispose infine, sempre
rivolgendogli la schiena tatuata.
Troppo deciso, troppo testardo,
e soprattutto troppo roso dai sensi di colpa per rinunciare
così
facilmente.
- Andrà tutto bene, non metterti a fare il gufo pure
tu, per quello bastano già il vecchio e gli altri.-
scherzò Ace,
sfoderando uno dei suoi sorrisi insolenti.
Gli faceva piacere che
i suoi fratelli si preoccupassero per lui, anche se chiaramente non
l'avrebbe mai ammesso, però non voleva che lo ostacolassero
su quel
punto: Teach aveva ucciso un loro compagno sotto la sua guida, aveva
infranto la loro unica, sacrosanta regola per poter far parte di
quella ciurma, e aveva calpestato anche la sua autorità,
mancandogli
di rispetto come se niente fosse.
Non avrebbe mai potuto
perdonarlo, si meritava appieno ciò che lui gli avrebbe
fatto
passare e anche molto peggio, era un ignobile e ipocrita bastardo e
solo ripensare a lui gli faceva rimescolare dolorosamente le
viscere.
Si voltò verso Marco e vide che lo stava fissando con un
sorriso triste ad aleggiargli sulle labbra; sapeva di non poterlo
fermare, ma quella decisione lo metteva comunque in ansia.
Ace
proprio non
capiva:
non è che non lo considerasse forte o affidabile, ma Teach
nascondeva tanti segreti, era un tipo vile e senza scrupoli, con
chissà quali altri avanzi di galera dalla sua parte, mentre
Ace,
nonostante tutto il suo valore e il suo coraggio, sarebbe stato da
solo...un agnello sacrificale in mezzo ai lupi.
Il comandante
della prima divisione non avrebbe saputo dire se quella del suo
fratello minore acquisito era totale temerarietà o totale
demenza...una
tale incoscienza del resto poteva appartenere solo ad un pirata
così
giovane e di belle speranze, oppure a qualcuno di speciale, come Ace
appunto.
Che però non è che fosse meno idiota per quello,
sghignazzò appena Marco.
Eppure il moro non era uno sbruffone o
un incosciente, se si attaccava alle cose come il rispetto e la
lealtà come un cane con l'osso, ma se lo faceva era solo
perché
sentiva sempre di doversi guadagnare quella roba lì, di
dover sempre
dimostrare di esserne degno, senza dare nulla per scontato.
-
Almeno cerca di non crepare mentre dai la caccia a quel cane senza
onore, intesi?- mormorò infine il biondo.
Ace scoppiò a ridere
come un bambino.
- Che cavolo di augurio è? Potresti fare di
meglio...comunque tenetevi stretti la pellaccia anche voi, bastardi.-
Marco rise appena, nel suo solito modo, affondando gli occhi in
quelli di ossidiana di Ace, che da un po' di tempo non erano
più
adombrati e sfuggenti come una volta.
La piccola imbarcazione
scivolava agile sull'acqua, mentre un tramonto da cartolina
infiammava l'orizzonte.
- Sta' attento, ragazzino, dico sul
serio.- si raccomandò per l'ultima volta il più
grande, una nota
d'ansia nella voce che l'altro scacciò con una scrollata di
spalle.
- Ma va' che torno presto, tu piuttosto smettila con
quella faccia da gufo. Ti farai solo venire le rughe prima.-
-
Moccioso- replicò sottovoce Marco, con un
sogghigno.
***
Il
più grande sollevò lo sguardo annebbiato, davanti
a lui c'era una
distesa di fiori dai colori vivaci, e il vento accarezzava
gentilmente il Jolly roger e il cappotto appartenuto a Edward
Newgate, facendoli ondeggiare malinconici nell'aria sonnolenta del
pomeriggio assolato.
Quella consapevolezza lo fece letteralmente
vacillare, sbatté le palpebre e cercò di
controllarsi, stringendo
forte i pugni chiusi.
- Me l'avevi promesso Ace...cazzo. -
mormorò.
In quei giorni la consapevolezza di avere perso e
di essere rimasti soli a volte lo schiacciava come un macigno,
perché
una volta, tanto tempo prima, Barbabianca li aveva trovati e
riuniti tutti, solo che non sarebbe più successo.
Note
(altamente deliranti) dell'autrice:
Dunque
dunque...ho provato diverse volte a modificare questo stupidissimo
capitolo al fine di migliorarlo, ma mi sa che tutte le sante volte
che rivedevo e correggevo in realtà non facevo che
peggiorare le
cose -.-'.
E niente, ho provato a scrivere qualcosa di decente su
Ace, Marco e la loro ciurma, ma non riuscivo ad ampliare o arricchire
l'idea che avevo in mente, che gira e rigira era sempre quella...in
particolare la scena finale è una pena, mi rendo conto, ma
ho
tagliato tantissimo e vi assicuro che in originale era anche peggio
XD.
Non so, più allungavo il brodo e più mi sembrava
di scadere
nella retorica e nel banale, dannazione! E pensare che avrei voluto
scrivere qualcosa di più sensato e originale a proposito di
Ace, e
invece m'è venuta solo 'sta ciofeca...del resto Marineford,
la morte
del fiammifero e le conseguenze sui suoi nakama credo che siano temi
trattati fino alla consunzione dal fandom, e io di certo non brillo
per grande creatività -____- .
E vabbè, io chiedo scusa a tutti
per la sua mediocrità, imploro clemenza e intanto la
pubblico (con
una certa dose di sfacciataggine...), perché non ne posso
più di
rimaneggiarla e comunque ci sono stata parecchio dietro, e
cancellarla o lasciarla a languire in eterno nel pc a questo punto un
po' mi dispiace. Praticamente la pubblico per premiare la mia buona
volontà XD!
E' abbastanza insulsa, ma...ci si prova e non sempre
viene fuori qualcosa di carino, uff -.-'.
Un sentito
ringraziamento a chiunque legga e alle anime caritatevoli che hanno
commentato finora ;)!
Se volete recensire anche questa, anche in
maniera perplessa e critica (o lanciarmi idealmente ortaggi marci XD)
sono qui a vostra disposizione ^_^.
Ciauz :)
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Capitolo 4 *** Storm [Nami & Sanji] ***
storm
IV. Storm
Circa due
anni fa, a sei giorni di navigazione dall'arcipelago Komori, East blue
- Ehi, qualcuno qui deve aiutarmi con il timone!-
urlò
Nami, a malapena riuscendo a sovrastare il fragore assordante della
tempesta e il rombo delle onde impazzite.
Un'ora e mezza prima una bufera infida li aveva colti praticamente di
sorpresa, in maniera così improvvisa e violenta che solo per
un
soffio gli interminabili cavalloni alti più di tre metri non
avevano fatto scuffiare la malcapitata Going Merry.
Da allora era stato un folle susseguirsi di pioggia gelida mista a
grandine, venti sbiechi che ululavano indemoniati e sollevavano schizzi
di schiuma candida fino al pennone, e di sinistri scricchiolii della
nave, simile ad un guscio di noce in balia della furia degli elementi.
- Arrivo io!- si offrì prontamente Usopp, l'unico a non
essere
impegnato a domare le vele e il sartiame perché nella stiva
si
erano aperte tre falle e lui era il solo capace di ripararle
decentemente.
- Maledizione, sarebbe stato meglio ormeggiare vicino all'isolotto
disabitato di prima, prima che si scatenasse questo finimondo! Lo
sapevo che non dovevo dare retta a quell'inetto di Rufy!-
ruggì
la navigatrice cercando di mantenere stabile la rotta, nonostante il
temporale che le frustava il viso e gli occhi.
- Ma io volevo solo arrivare prima all'isola del re dei pirati...-
piagnucolò sconfortato il capitano, che reggeva con forza
una
delle cime della randa.
- Ammainatele! Tutte tranne il fiocco che deve gonfiarsi a collo!
Usopp, noi due legheremo la barra del timone sottovento ora che la nave
è di traverso rispetto alle onde!-
- Okay, ma...sei sicura che funzionerà?- fece il cecchino un
po' confuso.
- Sta' zitto!- lo rimbecco lei nervosamente - E' l'unico modo che
abbiamo per evitare che la bufera ci spazzi via! Dobbiamo lasciare che
il mare ci spinga alla poggia e il timone all'orza, e avremo
equilibrio! Andare a bolina non basta in questi casi!-
asserì
decisa.
Il ragazzo ricciuto annuì mentre eseguiva i comandi della
compagna, sperando in cuor suo che l'abilità e l'intuito
della
rossa fossero sufficienti per uscire vivi da quell'inferno, lui di
certo
non capiva un accidente di tutte quelle manovre nautiche (cappa?) che
permettevano di affrontare in maniera relativamente sicura condizioni
atmosferiche del genere.
- Ora dovremmo ottenere una posizione abbastanza stabile, ma non
battete la fiacca!- si raccomandò la cartografa, meticolosa
come
sempre.
Anche Rufy, Zoro e Sanji avevano finito di mettere in pratica le sue
istruzioni, e adesso non restava che aspettare che il mare grosso e il
maestrale calassero, con le braccia e le gambe che dolevano e
bruciavano per tutti quegli sforzi prolungati.
Nami alzò gli occhi al cielo e capì che il peggio
non
sarebbe passato tanto presto: sopra di loro c'era una cupa massa
ribollente di nubi color silicio, solcate da fulmini lividi, e le gocce
tonde e lucide come monete non accennavano a smettere di bersagliarli;
la pressione era troppo bassa, appurò controllando i suoi
strumenti, così come la temperatura.
- Che razza di freddo merdoso- si lamentò il cuoco, che come
tutti gli altri era fradicio come un pulcino e tentava invano di
accendersi una paglia con lo zippo nuovo, ma se non era l'oceano a
vomitare acqua sull'imbarcazione era il cielo, e la sigaretta bagnata
non voleva saperne di prendere fuoco.
- E che fame! Io non ho neanche fatto merenda!- disse Rufy quasi con le
lacrime agli occhi.
- In effetti stavolta non hai tutti i torti, ho fame anch'io- si
unì lo spadaccino, terminando la frase con uno sbadiglio
scomposto.
- Quasi quasi vado a preparare qualcosa da mangiare per questi
bifolchi, che ne dici Nami?- domandò il biondo alla ragazza.
- Va' pure, abbiamo tutti bisogno di mettere qualcosa sotto i denti. E
porta anche del caffè, per favore!-
- Certo, mia regina!-
- E anche del saké, idiota d'un cuoco!- bofonchiò
il verde.
- Col cavolo! Così poi ti sbronzi e ti metti a dormire come
un
morto! Nessuno ha voglia di fare il lavoro al posto tuo, marimo di
merda!- gli urlò dietro l'altro.
- Cosa?!- ringhiò il verde in risposta, con Rufy
che
scoppiava a ridere per il loro bisticcio così stupido e Nami
che
alzava gli occhi al cielo.
Usopp starnutì, tutti loro erano zuppi come pulcini, e la
rossa sentì il bisogno di rassicurarli almeno su quello.
- Tra dieci minuti la tempesta calerà
d'intensità, e potremo andarcene tutti all'asciutto.-
Gli altri tre fecero un cenno d'assenso, sapevano bene che per quelle
faccende dovevano solo affidarsi alla ragazza e alle sue conoscenze.
Una folata improvvisa di vento sollevò nell'aria la
paglietta
del capitano, e quest'ultimo saltò in piedi disperato sul
parapetto, seguendo con gli occhi sgranati la traiettoria del suo amato
cappello che veniva inesorabilmente trascinato in mare.
- Rufy, non fare stronzate!- lo ammonì lo spadaccino -con
questa
corrente e queste onde sarebbe un casino poi ripescarti!-
- Sì, ma...! Il mio cappello è proprio
laggiù, si
vede benissimo! Non è ancora tanto lontano, qualcuno di voi
potrebbe andare a riprendermelo, per favore?- chiese affranto, mentre
gli altri si scambiavano un'occhiata incerta.
Nessuno in realtà aveva voglia di giocarsi la pelle per quel
vecchio coso malandato, solo che non avevano cuore di confessarlo al
moro, che li guardava in fremente attesa e l'aria da cane bastonato per
impietosirli.
- Se proprio mi tocca...- sospirò alla fine Zoro, conscio di
non
poter lasciare andare uno degli altri due debolucci in quel mare
burrascoso.
Ma la sua decisione fu mandata a monte da due cose che successero
rapidamente una dietro l'altra: Sanji sbucò dalla cucina con
un
thermos e un vassoio stracolmo di panini tra le mani, e un'onda alta
almeno sei metri si abbatté come una sentenza di morte
sulla caravella, che per puro miracolo non si
ribaltò sul
lato di tribordo.
L'impatto fu mostruoso, una parete di tonnellate d'acqua gelida che
quasi li aveva fatti annegare sul colpo, e di quell'incosciente di Rufy
non c'era più traccia sul parapetto. Doveva essere stato
inghiottito tra i flutti scuri come quel suo stupido cappello.
- Rufy! Rufy, dove sei?!- lo chiamava Nami a gran voce, e per un attimo
le parve d'intravedere un lampo di nero e rosso a non troppa distanza
dalla Merry, oltre la poppa.
- E' lì!- urlò Zoro, e neanche mezzo secondo dopo
si era
già tuffato per recuperarlo prima che quello sciagurato
crepasse
come un idiota abbandonandoli lì.
- Maledizione! Lui e quel dannato cappellaccio, avrei dovuto
incatenarlo nella stiva per tutta la durata della tempesta, come si
può essere così deficienti?!- imprecò
la
navigatrice, dando un calcio vigoroso ad una botte che ruzzolava da una
parte all'altra del ponte.
Non poteva morire, non poteva! Era stato lui a salvare lei, sua
sorella, i suoi amici e tutta la sua isola, era stato lui a chiamarla
"compagna" e farla sentire una parte insostituibile della sua ciurma,
era stato lui a restituirle la speranza!
Come poteva morire in maniera così balorda, così normale, uno come
lui che di normale non aveva niente?! Uno che aveva quel coraggio,
quella forza, quei sogni, quel sorriso?
- Mi sa che abbiamo un altro problema- balbettò il cecchino
alle
sue spalle, permettendole di mandare giù il nodo che le
stava
chiudendo la gola.
- Che diavolo c'è ancora?!- ribatté, con voce
tutto sommato abbastanza ferma.
- Sanji...l'onda deve aver fatto cadere in mare anche lui.-
spiegò l'altro ragazzo, indicando in preda ai peggiori
timori il
vassoio caduto a terra e i panini ormai immangiabili sparsi ovunque.
- Oh, perfetto! Davvero perfetto! Ci mancava solo questa!-
sbottò la rossa, mentre si liberava della giacca
impermeabile e
dei sandali.
- Che...che fai?!- la interrogò Usopp allarmato.
- Sanji è un nuotatore provetto, se non è ancora
riemerso
c'è un'unica possibile spiegazione: è svenuto
cadendo in
acqua. Devo tuffarmi e riportarlo qui o morirà...ogni
secondo
che perdo qui significa meno aria per lui. Non mettermi i bastoni tra
le ruote e prenditi cura della nave mentre io non ci sono.-
- S-sì ma...vuoi lasciarmi qui da solo...in mezzo a questo
uragano?!- squittì incredulo il ricciuto.
- Questo non è un uragano, Usopp, è solo una
pioggia
molto intensa che sta per terminare, e tu sei tranquillamente in grado
di gestire la situazione in mia assenza.- lo rassicurò,
dandogli
una pacca sulla spalla. - Ricordati, siamo pirati, non possiamo avere
paura del mare.- gli sorrise infine nella sua maniera sfrontata,
cercando di trasmettergli quella sicurezza che non aveva neanche lei.
Dopodiché si tuffò anche lei, e un istante dopo
il cecchino crollò sulle ginocchia, frastornato.
Sentiva solo il rombo impazzito del suo cuore nelle orecchie, e il
respiro farsi breve e irregolare.
No, no, gli altri contavano su di lui! Si strinse furioso la testa tra
le mani, stringendo forte gli occhi e i denti.
Non era più un contadinotto pauroso ormai, cos'avrebbero
detto Kaya e i bambini se l'avessero visto in quello
stato
pietoso, proprio nel momento in cui c'era più bisogno di lui?
Si alzò con le gambe leggermente tremanti, e si
avvicinò
alla barra del timone, sempre saldamente legata come l'aveva lasciata
Nami.
Non ho paura, non ho
paura, sono il figlio di un grande pirata! Non temo il mare! si
ripeteva il cecchino continuamente, anche se in quei momenti pensava
più a sua madre che a suo padre, e sperava che un briciolo
della forza della donna scorresse anche nelle sue vene.
Intanto la pioggia era cessata, e anche il mare andava via via
placandosi.
***
Buio.
Il mondo era un posto buio, liquido e freddo, che sapeva di sale e
solitudine.
Vedeva piccole e graziose bollicine trasparenti che risalivano leggere
verso quella fioca luce sopra di lui, quella che per poco riusciva a
penetrare il blu.
Chiuse gli occhi perché tanto non c'era niente da vedere, e
si
augurò solo che la fine arrivasse presto, dolce e tranquilla
come quel regno muto e misterioso.
Dagli abissi del nero emerse curiosamente un'immagine radiosa, piena di
luce e colori, una giovane donna molto bella il cui viso gentile era
circondato da una massa di capelli biondi simili ad un'aureola, o a una
corona di polline.
Mamma? pensò Sanji stupito. Che ci faceva sua madre in fondo
al
mare della Grand Line? Aveva forse delle allucinazioni premorte?
La donna sembrava seduta con le mani raccolte in grembo, come l'aveva
sempre vista nel lettuccio della casetta, indossava gli stessi abiti
semplici e lindi, e il suo sorriso era sempre il più bello
del
mondo.
Sanji, la sua voce gli arrivò direttamente al cervello,
torna
indietro, disse solo, e Sanji avrebbe voluto chiederle di non lasciarlo
lì da solo, ma le sue labbra sembravano sigillate e gli
mancavano le forze, eppure lei sembrò felice, come se gli
avesse
letto nel pensiero.
In quel momento gli sembrò di capire tante cose, tutte
quelle
cose che da bambino non avrebbe mai potuto immaginare, e quasi sorrise
anche lui.
L'immagine era già scomparsa dalla sua visuale.
Poi un paio di braccia lo trascinarono sempre più in alto,
verso quella luce sempre più vicina e accecante.
***
Sbatté le palpebre un paio di volte, intontito e dolorante.
Gli occhi bruciavano e la sua gola sapeva di acido, segno che aveva
vomitato nell'incoscienza. Si rigirò mollemente su un fianco
e
scoprì di essere sdraiato sul lettino di Nami, con le
coperte
che lo avvolgevano fino al mento.
Dalla finestrella aperta la luce pura del pomeriggio ora assolato
entrava a fiotti e per un po' Sanji si limitò ad osservare
rapito la danza celestiale dei granelli di pulviscolo,
finché
non provò ad alzarsi lentamente, ma una mano lo rimise
giù.
- E' meglio se aspetti ancora un po', sei molto pallido. Ah, bevi
quello, ho letto in un libro che è utile in questi casi.-
non
riusciva a mettere bene a fuoco la figura sottile in controluce, ma
dalla voce e dalle fattezze capì che si trattava di Nami,
che
gli porgeva qualcosa di caldo in una tazza.
Il biondo fece come gli era stato ordinato, il liquido in questione
sapeva di erbe ed era leggermente amaro, ma non si lamentò.
Quando ebbe finito, un silenzio irreale calò su di loro,
finché Nami non lo spezzò domandandogli se stesse
bene.
Era strano vedere l'altro così abbacchiato e indifferente a
lei,
anche se comprensibile visto quello che gli era capitato.
- Sì, credo di essere ancora tutto intero. Grazie-
riuscì a sussurrare, con voce un po' rasposa.
- Ma va', non mi devi ringraziare, tu hai fatto ben altro per me.-
- Senti- riprese il cuoco, non senza qualche difficoltà
-ti...ti
è mai capitato...di vedere qualcuno che non c'è
più...in momenti, ecco...-
- Intendi in punto di morte? Sì, mi è successo.-
rispose
la rossa, un po' turbata, e vincendo l'imbarazzo e il riserbo,
cominciò a raccontare, stringendo forte i pugni che teneva
in
grembo.
Era successo quattro anni prima.
Nami era appena tornata
con un bel malloppo da uno dei suoi viaggi in cerca di pirati e
delinquenti da depredare.
Era una giornata chiara
e limpida sul
finire della primavera, il vento profumava di pulito e i mandarini con
la loro scorza lucida e sgargiante dondolavano nell'aria al
ritmo
degli alisei.
Nojiko era intenta a
stendere il
bucato dietro la casetta di Bellemere, e Nami le dava volentieri una
mano; dopo tanto peregrinare da un posto all'altro e aver assistito a
brutalità di ogni genere, sentiva il bisogno genuino di una
normalità semplice e confortante, di cose buone e belle come
la
sua isoletta e la sua gente.
- Allora, che facciamo
dopo? Devi
tornare da quelli?- domandò la ragazza dai capelli lilla,
caricando di sprezzo e odio l'ultima parola in riferimento ad Arlong e
agli altri della sua banda.
- Mh? Oh no, sono libera
fino a
stasera. Potremmo mangiare in spiaggia e rilassarci lì per
qualche ora, io ho la schiena e le gambe a pezzi.-
- A chi lo dici, ormai
non faccio che
lavorare come un mulo! Allora muoviamoci a finire qui, così
scendo al villaggio e faccio la spesa per il pranzo!
Preparerò i
miei famosi panini da leccarsi i baffi!- annunciò
tutta
allegra la maggiore.
- Per me va bene, basta che non ci metti quello schifoso formaggio coi
buchi che piace solo a te!- la canzonò Nami con una risatina.
- Ma sentila! Io mi lamento forse delle tue crostate di cioccolato e
mandarini con i bordi bruciacchiati?!-
- Ehi, ho imparato da poco a prepararle! Un giorno mi verrà
perfetta e ti costringerò ad ingozzartici!-
- Certo, certo, come se mi facessi mettere KO da te!-
Le due sorelle continuarono a ridere e scherzare fino a quando non
ebbero finito con le varie faccende domestiche Nojiko uscì
di
casa armata con due sporte e una lista della spesa interminabile.
Nami nel frattempo preparò tutto l'occorrente per la
giornata da
trascorrere in spiaggia, si infilò il suo vecchio costume da
bagno preferito, rubato in un famoso atelier dell'East Blue
insieme ad un esemplare identico per Nojiko ma di diverso colore, e
alla fine portò tutto all'esterno, annuendo soddisfatta.
Per un attimo i suoi grandi occhi luminosi si riempirono delle immagini
di quello che le era capitato tre giorni prima, all'insaputa di tutti,
ma poi la ragazzina scosse la testa e sorrise.
Ormai era passata.
Tirò fuori da un piccolo nascondiglio nel cespuglio delle
rose
corallo di Bellemere una corda bianca piuttosto spessa, e
avvicinò la sdraio su cui aveva letto il giornale quella
mattina.
Era tutto pronto, in cucina c'era la lettera di addio e l'indicazione
del punto in cui erano nascosti i soldi. Se Nokijo l'avesse desiderato,
avrebbe potuto prenderli e rifarsi una vita da un'altra parte, oppure
usarli per i periodi difficili.
Le dispiaceva non poter salutare Gen, il dottore e gli altri abitanti
del villaggio, ma forse prima o poi avrebbero capito.
Avvicinò la sedia a sdraio su cui si era stesa al sole
innumerevoli volte nelle sue giornate di bambina spensierata, si mise
in piedi sulla vecchia tela a righe bianche e azzurre sbiadite, chiuse
gli occhi, li riaprì...
Sentiva il respiro sempre più veloce, il cuore accelerare,
lo stomaco stringersi dolorosamente.
Prese due profonde boccate d'aria, come quando stava per immergersi,
saltò e calciò via la sedia, restando a penzolare
in
maniera quasi grottesca nella mattina calda e luminosa.
Sentì subito la pressione tremenda sulla laringe, le mani
presero a lottare affannosamente per liberare il collo, prima che
braccia e gambe inziassero ad essere colti da spasmi incontrollabili e
la vista le si offuscasse, e invece del rilassante fruscio del vento
tra l'erba e del ronzio cadenzato degli insetti sui fiori profumati,
sentiva solo sé stessa agonizzare pietosamente nell'unico
posto
della sua vita dove era stata felice.
C'era un'esplosione di vita attorno a lei, ma aveva scelto la morte.
Che imbecille, si ripeteva ormai priva di sensi.
Dalla nebbia grigio scuro che l'avvolgeva prese forma Bellemere che la
scrutava piena di rabbia e ostilità, con una mano sul fianco
e
la sigaretta stretta tra le labbra.
I suoi profondi occhi verdi la trapassarono, proprio come quando da
piccola la faceva seriamente incazzare, cioè quasi sempre.
- Ti rispedisco indietro a calci, idiota di una ragazzina.-
bofonchiò.
Stranamente Nami si sentì cadere all'indietro, cosa
oggettivamente impossibile data la robustezza della corda che aveva
scelto, eppure qualcosa la trascinò veramente
giù, e due
paia di braccia forti e solide l'afferrarono per le spalle.
Qualcuno la depose delicatamente sul prato soffice, un altro paio di
mani le massaggiarono ritmicamente il petto, tra le labbra le
soffiarono dell'aria calda che le diede un po' di fastidio.
La procedura andò avanti per un qualche minuto forse, poi
una
prima voce maschile decretò che la respirazione era ripresa
normalmente.
- Devo visitarla per capire se ci sono stati danni di rilievo agli
organi interni e ai vasi del collo, per fortuna niente fratture.-
- Ti rendi conto?- intervenne una seconda voce, anch'essa maschile,
molto meno controllata dell'altra -se non fosse stato che Nojiko poco
fa ci ha ricordato di passare a ritirare i mandarini...-
- Lo so ma...non diciamole nulla al suo risveglio. Vieni, aiutami a
portarla dentro. Abbiamo una mezz'oretta circa prima che sua sorella
rientri dal giro del mercatino, e meno male che oggi ci sono anche i
venditori di vestiti e bigiotteria, dovrebbero tenerla abbastanza
occupata.-
- Bene.- fece l'altro.
***
Quando riaprì gli occhi la luce l'accecò e le
doleva
tutto, ma più di ogni altra cosa, le bruciava da morire la
gola
e sentiva la lingua così gonfia che le sembrava strano
riuscisse
a stare nella sua bocca.
Si tastò con cautela il collo: era bendato e qualcuno le
aveva appoggiato una borsa del ghiaccio.
Non c'era traccia di Nako, il medico del villaggio, ma pensandoci bene
doveva essere stato lui a medicarla, sì, la voce di prima
doveva
essere stata la sua.
L'altra invece apparteneva all'uomo che era seduto di fronte al divano
della sala da pranzo di Bellemere, dove si trovava in quel momento.
Incrociò gli occhi freddi e duri dello sceriffo, che la
squadravano come se potessero leggere nella sua anima, e la ragazza
ricordò solo in quel momento che a stento le aveva rivolto
la
parola negli ultimi sei anni.
Perché non era riuscita ad impiccarsi?
- No...Noji...- riuscì a gracchiare, ma si fermò
quando
fu scossa da un violento accesso di tosse, e l'uomo le passo un
bicchiere con dell'acqua.
- Bevi molto lentamente ed evita di parlare. Nako ha detto che hai una
brutta contusione, e anche se non hai riportato lacerazioni
preoccupanti, meglio se non affatichi le corde vocali. Ah, dovrai
prendere gli analgesici appena te la sentirai.-
Nami riuscì a mandare giù due sorsi piccolissimi
d'acqua,
e le sembrò di soffocare quasi. Per fortuna gli analgesici
erano
in polvere.
- Non stare in pena per Nojiko- le raccomandò l'uomo,
accarezzandole una guancia con un tocco impercettibile, quasi un
battito d'ali di farfalla contro il suo viso.
- Le ho detto che per punizione per non essere passato a trovarlo
Arlong ha mandato due suoi scagnozzi a picchiarti, e che al momento non
volevi vedere nessuno. Adesso è dalla vicina,
rientrerà
tra poco.-
La ragazza si limitò ad annuire con gli occhi bassi, e
quando
l'uomo si alzò, non sapeva se per andarsene o altro,
scoppiò a piangere nonostante il dolore insopportabile che
le
causavano i singhiozzi.
Credeva di essere rimasta sola, invece si ritrovò stretta
tra le
braccia dell'uomo, che si limitava a passarle una mano tra i capelli
crespi e trasmetterle un po' di calore con il suo abbraccio.
Avrebbe voluto dirgli tante cose, raccontargli quello che le era
successo, chiedergli perché le aveva impedito di ammazzarsi
se
ormai la odiava e riferirgli di Bellemere, ma a un certo punto
capì che non ce n'era bisogno, che aveva solo voglia che Gen
la
stringesse e la cullasse, come quando era piccola e correva a
rifugiarsi da lui, perché sapeva che avrebbe sempre trovato
aperta la sua porta di casa.
***
Sanji uscì sul ponte, avvicinandosi al
parapetto.
Il mare e il cielo erano in fiamme, e lui salutò il giorno
che moriva accendendosi una delle sue amate paglie.
- E a quel punto eri così spaventato che ti sei pisciato nei
pantaloni, eh Usopp?- era la voce allegra di Rufy che prendeva in giro
il povero cecchino, intento a brontolare e martellare una trave a poca
distanza da lui, mentre Zoro si spanciava dalle risate.
- Dai, sta solo scherzando. Lo sai che è un cretino!-
sottolineò Nami.
- Certo che lo so- sghignazzò il moro.
- Oh ehi, c'è Sanji! Ti sei ripreso?!- esclamò
tutto felice il capitano.
- Sì, scimmia, tutto bene adesso. E ti ho anche preparato da
mangiare.- confermò, strofinandogli le nocche di una mano
sulla
testa già spettinata, come sempre coperta dall'amato cappello salvato dal "naufragio" da Zoro.
- Sììììì! Ho una
fame!-
- Ma non toccherai nulla fino all'ora di cena.- chiarì il
biondo.
- Noooo- si afflosciò l'altro, prima di unirsi alle risate
generali.
Il cuoco intercettò lo sguardo sereno di Nami, e le fece un
cenno del capo sorridente.
Si voltò verso l'orizzonte, il rombo delle onde era
diventato
una melodia sommessa, e la tempesta aveva lasciato il posto ad una
serata magnifica.
Angolo dell'autrice:
Dopo qualcosa come un secolo o quai riesco ad aggiornare, era ora -.- !
Come sempre ringrazio affettuosamente chiunque legga e ancor di
più chi vorrà spendere qualche minutino per
lasciarmi un commento e farmi capire ciò che pensa di questo
capitolo ^_^ (dovrei avere ancora abbastanza cioccolata delle uova per
addolcire eventuali critiche XD) .
Ah, a proposito!
Prendete con il dovuto discernimento (leggasi fantasia più
che altro XD) le manovre nautiche compiute da Nami per tentare di
governare la Going Merry durante il temporale, ho attinto da siti
specializzati che però parlavano di imbarcazioni molto
più piccole, per cui niente, o mi lasciate qualche licenza o
fate finta di nulla ^^".
La parte in corsivo riguardante Nami è da collocare quattro
anni prima l'incontro con Rufy, perciò all'epoca lei aveva
ipoteticamente 14 anni, e ho preferito restare sul vago sul fattaccio
avvenuto alla nostra rossa preferita, interpretate pure come preferite
;)
Non sono sicurissima inoltre che Genzo non le rivolgesse più
la parola dopo il suo "arruolamento" coatto nella banda di Arlong, mi
è parso di capire ciò da una veloce rilettura dei
volumi del manga, se così non dovesse in realtà
risultare vi chiedo di chiudere generosamente un occhio ^^".
Ora vi lascio, e per chiunque fosse interessato prometto che per il
prossimo aggiornamento non mi farò attendere per altri due
mesi XD!
Ciao a tutti ;)
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