Capitolo
1
Londra,
1918.
Era
trascorso quasi un anno ormai dal giorno maledetto in cui, di ritorno
dal fronte occidentale che lo aveva tenuto lontano da casa per quasi
tre anni, il dottor Jonathan E. Reid aveva incontrato la più
abominevole ed insieme la più affascinante delle creature
che a questo mondo strisciano indisturbate nell'ombra.
La
guerra era finita, ma non era rimasto più nessuno a
riportarlo indietro, ogni uomo per sé, in cerca della
propria casa. Per giorni aveva vagato in cerca della città
più vicina, di una corriera che lo riportasse verso il mare,
finché una notte ferito, denutrito, irriconoscibile nel suo
essere uomo si era accasciato sulla soglia di una capanna nella
desolata brughiera francese.
L'uomo
che lo accolse, che lo accudì non era un uomo comune, troppo
distinto per quella brughiera dimenticata da Dio, troppo selvaggio per
una metropoli. Jonathan, per quanto ormai forzatamente francofono,
stentava a capire una sola parola di quello strano linguaggio, ma per
quanto le intenzioni dello sconosciuto gli fossero apparse da subito
innegabilmente chiare, si lasciò comunque sedurre dalla voce
suadente, dalle parole mormorate, dagli occhi fiammeggianti, dai lunghi
capelli biondi e la pelle cinerea, scoprendo di non poter opporre
resistenza.
Troppo
tardi capì di essere caduto nella trappola di un predatore.
Non seppe dire che cosa lo spinse a lasciarlo in vita, o per meglio
dire a cambiarlo,
ma quando la creatura sparì alle prime luci dell'alba
Jonathan Reid non era più lo stesso.
Pian
piano al dolore che gli attanagliava il petto, si sostituì
l'orrenda certezza che il suo cuore si era fermato, la consapevolezza
di aver perso la sua natura umana. Jonathan Reid era diventato un
mostro.
Impiegò
diversi giorni ad adattarsi a quel nuovo stato, all'incertezza ed
all'angoscia che ora dominavano i suoi pensieri, ma il tempo
d'improvviso era diventato un concetto relativo, sembrava
stiracchiarsi, modificarsi intorno a quel mondo che a dispetto della
sua superficiale, apparente immutabilità aveva cambiato
forma.
Apprese
molte cose su di sé nei primi giorni di forzata
segregazione, in molte delle quali non aveva mai creduto prima, ma la
più terribile, la più ripugnante si
manifestò solo quando per la prima volta un piccolo topo di
campagna attraversò la finestra lurida per entrare nella
capanna della brughiera. Solo allora scoprì di avere sete, una sete insaziabile, incolmabile.
Si
avventò sul topo con uno scatto sovrumano, insozzandosi del
suo sangue come il più infido degli animali;
piantò i denti aguzzi nel corpo agonizzante ed allora si
accorse di che essere miserabile fosse diventato, ma ne voleva ancora,
ne voleva di più.
Si
disse allora che doveva essere stato infettato da una qualche malattia
del sangue. Il sangue infatti gli dava forza, gli permetteva di
compiere azioni straordinarie, non sentiva più il bisogno di
mangiare o dormire, stanchezza, freddo e paura erano un ricordo ormai
lontano.
Scoprì
che doveva nutrirsi regolarmente, in caso contrario l'istinto avrebbe
prevalso, trasformandolo in un mostro assassino senza coscienza,
né rimorso, costringendolo a saziare la sete in qualsiasi
modo.
Nei
primi mesi resistere alla tentazione sembrò quasi
impossibile, il solo stare vicino ad un essere umano gli provocava una
reazione insopportabile.
Era
divenuto un infallibile predatore e come tale i sensi si affinavano
durante la caccia, delle sue vittime poteva avvertire ogni cosa: il
respiro più flebile, il moto del sangue nelle vene, il
battito del cuore.
Visse
nel primo periodo nei sobborghi di Rouen, cercando di venire a capo di
quella condizione in maniera razionale, di dominare i propri istinti,
disciplinando le sue nuove doti, uccidendo e nutrendosi solo di esseri
ignobili, ratti, cani e gatti randagi perlopiù. La sola idea
di uccidere un essere umano innocente lo repelleva a tal punto che
avrebbe preferito l'isolamento permanente, la segregazione dal resto
dell'umanità.
Aveva
passato tutta la vita tentando di salvare quante più vite
potesse, aveva giurato di servire il proprio paese finché
avesse avuto vita quando si era arruolato, ora sentiva il suo cuore
cambiare, desiderio, istinto e lussuria si erano fatti strada
così a fondo dentro di lui che a volte dominarli sembrava
impensabile. Quando, vinto dal desiderio, assaporò per la
prima volta il sangue di un uomo capì non solo la
viltà parassitica della sua nuova natura, ma anche che
quell'unico mezzo gli avrebbe fornito capacità impensabili,
incontemplabili prima di allora per un uomo di scienza.
Così
prese ad assaltare di quando in quando criminali, prostitute, orfani
persino, persone meschine, ripugnanti di cui nessuno avrebbe sentito
comunque la mancanza. Se pure alcuni giorni il peso da sopportare fosse
stato troppo, Jonathan imparò con orrore che apparentemente,
per quanto potesse ancora sanguinare, non esisteva alcun modo in cui
potesse togliersi la vita.
Col
tempo il dolore si calmò, lasciando il posto ad una
granitica certezza, doveva tornare a casa, riprendere la sua vita dove
l'aveva lasciata prima della guerra, conoscere il perché di
quella sua trasformazione, trovare il suo posto in quel nuovo ordine
delle cose e forse un giorno sarebbe stato capace di redimere quella
sua anima oppressa e mutilata dalla malattia.
Quando
si sentì finalmente pronto lasciò la Francia alla
volta di Londra.
Prima
della grande guerra, Jonathan Reid era stato un uomo d'onore, un
chirurgo di fama eccellente e di grande temperamento, cosa che gli era
valsa la stima di colleghi ben più anziani di lui.
Per
anni, dopo la laurea, aveva esercitato in uno dei più
prestigiosi ospedali di Londra, apprendendo il più
possibile, surclassando i compagni grazie ad un commisto di dote ed
ardimento.
Non
si era sottratto alla chiamata alle armi, lavorando per i tre lunghi
anni del conflitto in numerosi ospedali da campo lungo il fronte
occidentale, elevandosi di grado. Aveva visto da vicino le
più ignobili turpitudini, la bassezza dell'animo umano, la
miseria di quella guerra ed aveva continuato a riviverli nel sonno, in
incubi così vividi da svegliarlo nel cuore della notte in
preda all'angoscia più profonda, nella speranza di poter un
giorno tornare a casa.
Nel
frattempo Londra era cambiata, tutto ciò che Jonathan aveva
conosciuto sembrava essere stato inghiottito da un baratro di sudiciume
e violenza. Le vecchie istituzioni scricchiolavano sotto il peso di una
politica fragile, corrotta; la miseria e le malattie avevano tolto alla
popolazione la sua antica dignità, rendendo lecita qualunque
meschinità, purché giustificata dagli orrori che
la guerra aveva trascinato con sé.
Scoprì
che la sua vecchia casa nella City era bruciata, quel che rimaneva
della sua famiglia era da tempo partito per rifugiarsi in campagna,
l'ospedale ridotto in macerie solo parzialmente ricostruite e molti dei
suoi colleghi più giovani erano morti o dispersi al fronte.
Ritrovò
solo il suo vecchio mentore, il dottor Bruce Hardy, un tempo
neurochirurgo di fama e rispetto; gli ultimi anni non erano stati
clementi con lui, non quanto, si curò di notare, lo erano
stati con Jonathan.
Da
lui apprese che il sistema sanitario era crollato mesi addietro, ed ora
la città pullulava di ospedali di emergenza in cui vi era
sempre un disperato bisogno di chirurghi ed infermiere, a causa della
delinquenza, delle crescenti malattie e dello spaventoso numero di
reduci.
Reid,
che ormai sembrava aver dimenticato da tempo i privilegi delle sale
sterili e la quiete dei reparti di chirurgia ospedaliera, si
trovò perfettamente a suo agio nel dover praticare in quello
stato di confusa emergenza.
Si
stabilì nel vecchio manicomio di White Chapel. Parzialmente
crollato sotto i colpi di mortaio, ora ospitava il più
grande ospedale da campo del quartiere; si procurò degli
abiti rispettabili, si radette la barba incolta e riprese a fare
ciò che meglio gli era sempre riuscito, tornò ad
essere un chirurgo.
Grazie
alla disciplina che si era imposto riuscì pian piano ad
ignorare il penetrante, lascivo odore del sangue e l'effetto maligno
che aveva sul suo corpo e sui propri sensi, il segreto era nutrirsi ad
intervalli di pochi giorni in modo da non sentire mai completamente la
sete. Prese a cacciare come aveva fatto a Rouen, curando ogni volta di
cacciare in un quartiere diverso per non destare sospetti.
Divenne
un cacciatore spietato, metodico. Si aggirava di notte seguendo le sue
vittime per ore, a volte per giorni prima di colpire, studiando le loro
abitudini, usando tutte le sue doti per attirarle in appartati vicoli
bui, in una delle centinaia di case bruciate o abbandonate.
Uomini
o donne non faceva alcuna differenza, tutti cadevano preda della
lussuria e finivano col concedersi volontariamente.
Non
li mordeva quasi mai al collo, o perlomeno solo nei casi in cui la sete
non era insopportabile, suonava più come un vecchio
cliché da cinematografo o qualcosa di molto simile ad un
libro che in giovinezza gli era capitato di leggere. Il più
delle volte spezzava loro il collo a mani nude curando che il cuore non
smettesse di battere, poi, con gli artigli incideva meticolosi tagli
sulla gola, sulle braccia in corrispondenza di grosse arterie. Non
impiegavano molto a morire e con la forza di cui era dotato,
sbarazzarsi dei corpi era un compito semplice, quasi banale.
Per
quanto cacciare fosse un'estasi sublime, qualcosa che ormai sentiva
appartenere alle fibre più intime del suo nuovo essere, in
qualche modo il vecchio dottor Reid non se n'era mai andato.
Non
erano mai persone innocenti, più di una volta aveva dato
loro la morte prima che commettessero l'ennesimo crimine, non si
nutriva mai più dello stretto necessario e quei poteri
oscuri regalatigli dal sangue aveva capito di poterli usare a proprio
vantaggio, persino durante il suo lavoro diurno.
Eppure
le domande che sempre più spesso si poneva erano terribili.
Chi, o meglio che cosa, era diventato? Esistevano altri come lui a
Londra?
Doveva
esserci uno scopo alla sua esistenza che non fosse esclusivamente il
brutale assassinio per sopravvivere, doveva esserci, per il bene della
sua sanità mentale.
Quando
l'epidemia di influenza spagnola si abbatté su un'Europa
già provata, Londra venne messa in ginocchio. Non c'era
molto che la scienza potesse fare per prevenire il contagio, ora che i
presidi igienici erano scarsi o quasi del tutto inesistenti, i corpi
stagnavano per giorni ai lati delle strade e la popolazione era debole
e malnutrita.
Jonathan,
per quanto non fosse mai stato di per sé particolarmente a
rischio, scoprì di non potersi ammalare di quella come di
nessun'altra malattia e questo, unito alla sua insonnia apparentemente
destinata a rimanere senza fine, lo spinse a lavorare a ritmi
spaventosi, ritirandosi nei suoi temporanei appartamenti solo lo
stretto indispensabile a far si che le infermiere non dubitassero della
sua umanità.
Invece
di dormire cominciò ad eseguire esperimenti sempre
più febbrili sul proprio sangue, o perlomeno ciò
che ne era rimasto, prelevando nuovi campioni ogni notte alla ricerca
spasmodica della fonte di quell'oscura e sconosciuta infezione. Lo
doveva alla propria intelligenza, alla sua sete di sapere ed all'intima
speranza di poter un giorno tornare l'uomo che era stato.
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