Soul's Plague

di ArtemisiaSando
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

La guerra aveva cambiato ogni cosa. Si era insinuata come un'oscura piaga fra le strade delle città, nelle case, ma soprattutto nel cuore della gente. Era stato l'uomo a volere la guerra, eppure di rimando la guerra aveva cambiato l'uomo, profondamente, inesorabilmente, l'avrebbe perseguitato per sempre.

C'era violenza ora negli occhi delle persone, quello che avevano visto, quello che avevano perso le tormentava come una malattia senza nome, sconosciuta quanto antica, che pure non aveva risparmiato nessuno. I palazzi di Londra non erano gli unici ad essere stati spazzati via dalla furia della polvere da sparo, non erano i soli ad essere crollati sotto i colpi di mortaio.

L'orrore non si era fermato sulla porta, nelle trincee, aveva colpito nel punto più vulnerabile, era entrato dove gli uomini si sentivano più al sicuro, nelle proprie case. I racconti erano terribili, sembravano quasi usciti dagli incubi più nascosti, dalle menti più distorte eppure nella stasi infinita di quella guerra erano divenuti reali.

Chi partiva raramente tornava vivo, il cuore comunque non tornava mai più. Le donne, i bambini, i vecchi avevano imparato a vivere di nulla, nel costante terrore di un'ombra, un nemico senza volto. I politici alla radio inneggiavano ad un patriottismo spento da tempo in chi, della propria vita, non aveva più nulla.

E quando la guerra finì, lo fu solamente sui giornali, nelle parole di chi quella strage l'aveva voluta senza prenderne parte. Gli incendi furono domati, i palazzi ricostruiti, le macerie dimenticate in pochi mesi, il dolore no, il dolore rimase negli occhi della gente nonostante le promesse di quel progresso inarrestabile, che accendeva di vita propria una città ferita, marcia fin nelle fondamenta.

Il progresso si era dimenticato di chi avrebbe dovuto servire e le strade divennero in breve tempo terreno feritile per ogni sorta di perversione e delitto, una mano insanguinata che notte e giorno stringeva il pugno dove neppure le forze dell'ordine erano più in grado di arrivare.

Leenan Doherty aveva cominciato la propria battaglia anni addietro, prima della grande guerra.

Dopo aver conseguito la laurea in medicina, aveva combattuto come militante politico in Irlanda per l'identità del proprio paese, perdendo molto di più della propria giovinezza. Gli embarghi forzati, le continue rivolte e le scaramucce armate avevano portato miseria e malattie in tutta l'isola, tagliandoli fuori dalla civiltà e dal progresso.

Il prezzo da pagare era stato altissimo e la causa aveva finito per esigere la vita della sua stessa moglie, lasciandolo solo con una figlia a cui prima non aveva mai dovuto interessarsi.

Il dolore aprì un varco nella sua mente e, senza aspettare che il vaiolo si prendesse anche la vita della bambina che gli era stata affidata, decise di lasciare le armi emigrando a Londra.

Per sua figlia Esther volle la vita tranquilla che a lui non era stata concessa, lontana dalla fame e dalla guerra e, per molti anni, visse con lei nel modesto studio medico che era riuscito a comprare a White Chapel vendendo la dote di sua moglie.

Per quanto consapevole che alla bambina non sarebbe stato possibile iscriversi in un'università in età adulta, considerata anche la loro estrazione sociale, per tutta la vita Leenan cercò di trasmetterle ciò che aveva imparato, pregando che un giorno il mondo avrebbe finalmente aperto gli occhi sulla straordinaria intelligenza e sulle doti della ragazza.

Purtroppo, seppur troppo vecchio per andare al fronte, la guerra lo seguì come una vecchia nemica di cui è difficile perdere traccia e quando il conflitto divenne mondiale, anche Londra, orgoglio dell'Europa, tremò scossa dal fuoco fin nelle fondamenta.

Il colpo fu duro da sopportare, d'un tratto il progresso che per anni sembrava aver dato nuovo lustro ad un già magnifico impero sembrò crollare, rallentare fino a fermarsi.

Nelle trincee si consumava un orrore senza nome, un orrore che sembrava ingoiare poco a poco, con la voracità di un gigante, il corpo e la mente di chi aveva avuto la sfortuna di affacciarsi nel baratro.

Lo studio medico continuò a restare in attività, ma senza alcun beneficio. La povera gente non aveva di che sostentarsi, i reduci affollavano gli ospedali improvvisati, i medicinali cominciarono in fretta a scarseggiare e ben presto dalle macerie di quella guerra si levò una pestilenza senza precedenti.

L'epidemia d'influenza spagnola colpì l'Europa con una violenza inaudita, decimandone la popolazione stremata dalla fame e dagli orrori subiti. Non tutti si ammalavano, anziani e bambini furono i primi a cadere, i corpi iniziarono ad affollare le case, e quando le case furono piene e gli occhi troppo stanchi per piangere, i cadaveri cominciarono semplicemente ad ammassarsi agli angoli delle strade in attesa che gli infermieri li portassero via.

Il sottobosco della criminalità più bassa e subdola cominciò a popolare le strade di Londra come mai prima di allora, le case disabitate divennero facile preda di sciacalli e manigoldi, i bordelli chiusero i battenti a causa dell'epidemia e gli uomini, stanchi di aspettare, presero a violentare qualsiasi ragazza osasse attraversare un vicolo buio senza accompagnamento.

La violenza dilagò come melma da una ferita aperta, non c'era più giustizia in quel guazzabuglio di povertà, rabbia e malattia. Il mondo moderno sembrò arrestare la sua corsa e subire una brusca inversione di marcia, tornando ad un insano stato primigenio.

Leenan Doherty fu uno dei molti medici che si ammalarono durante l'epidemia e, nonostante le cure della figlia, morì nel sonno dopo due interminabili giorni di allucinazioni provocate dalla febbre. Non ebbe il conforto di un funerale, né di una degna sepoltura, il corpo venne bruciato insieme a molti altri, uno spettacolo a cui la ragazza non se la sentì di partecipare.

L'ultimo ricordo che ebbe di suo padre Esther Doherty fu quello di uno scomposto rigonfiamento sotto un lenzuolo lurido, mentre il carro veniva trascinato via nel fango fresco da due sconosciuti portantini.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Londra, 1918.

Era trascorso quasi un anno ormai dal giorno maledetto in cui, di ritorno dal fronte occidentale che lo aveva tenuto lontano da casa per quasi tre anni, il dottor Jonathan E. Reid aveva incontrato la più abominevole ed insieme la più affascinante delle creature che a questo mondo strisciano indisturbate nell'ombra.

La guerra era finita, ma non era rimasto più nessuno a riportarlo indietro, ogni uomo per sé, in cerca della propria casa. Per giorni aveva vagato in cerca della città più vicina, di una corriera che lo riportasse verso il mare, finché una notte ferito, denutrito, irriconoscibile nel suo essere uomo si era accasciato sulla soglia di una capanna nella desolata brughiera francese.

L'uomo che lo accolse, che lo accudì non era un uomo comune, troppo distinto per quella brughiera dimenticata da Dio, troppo selvaggio per una metropoli. Jonathan, per quanto ormai forzatamente francofono, stentava a capire una sola parola di quello strano linguaggio, ma per quanto le intenzioni dello sconosciuto gli fossero apparse da subito innegabilmente chiare, si lasciò comunque sedurre dalla voce suadente, dalle parole mormorate, dagli occhi fiammeggianti, dai lunghi capelli biondi e la pelle cinerea, scoprendo di non poter opporre resistenza.

Troppo tardi capì di essere caduto nella trappola di un predatore. Non seppe dire che cosa lo spinse a lasciarlo in vita, o per meglio dire a cambiarlo, ma quando la creatura sparì alle prime luci dell'alba Jonathan Reid non era più lo stesso.

Pian piano al dolore che gli attanagliava il petto, si sostituì l'orrenda certezza che il suo cuore si era fermato, la consapevolezza di aver perso la sua natura umana. Jonathan Reid era diventato un mostro.

Impiegò diversi giorni ad adattarsi a quel nuovo stato, all'incertezza ed all'angoscia che ora dominavano i suoi pensieri, ma il tempo d'improvviso era diventato un concetto relativo, sembrava stiracchiarsi, modificarsi intorno a quel mondo che a dispetto della sua superficiale, apparente immutabilità aveva cambiato forma.

Apprese molte cose su di sé nei primi giorni di forzata segregazione, in molte delle quali non aveva mai creduto prima, ma la più terribile, la più ripugnante si manifestò solo quando per la prima volta un piccolo topo di campagna attraversò la finestra lurida per entrare nella capanna della brughiera. Solo allora scoprì di avere sete, una sete insaziabile, incolmabile.

Si avventò sul topo con uno scatto sovrumano, insozzandosi del suo sangue come il più infido degli animali; piantò i denti aguzzi nel corpo agonizzante ed allora si accorse di che essere miserabile fosse diventato, ma ne voleva ancora, ne voleva di più.

Si disse allora che doveva essere stato infettato da una qualche malattia del sangue. Il sangue infatti gli dava forza, gli permetteva di compiere azioni straordinarie, non sentiva più il bisogno di mangiare o dormire, stanchezza, freddo e paura erano un ricordo ormai lontano.

Scoprì che doveva nutrirsi regolarmente, in caso contrario l'istinto avrebbe prevalso, trasformandolo in un mostro assassino senza coscienza, né rimorso, costringendolo a saziare la sete in qualsiasi modo.

Nei primi mesi resistere alla tentazione sembrò quasi impossibile, il solo stare vicino ad un essere umano gli provocava una reazione insopportabile.

Era divenuto un infallibile predatore e come tale i sensi si affinavano durante la caccia, delle sue vittime poteva avvertire ogni cosa: il respiro più flebile, il moto del sangue nelle vene, il battito del cuore.

Visse nel primo periodo nei sobborghi di Rouen, cercando di venire a capo di quella condizione in maniera razionale, di dominare i propri istinti, disciplinando le sue nuove doti, uccidendo e nutrendosi solo di esseri ignobili, ratti, cani e gatti randagi perlopiù. La sola idea di uccidere un essere umano innocente lo repelleva a tal punto che avrebbe preferito l'isolamento permanente, la segregazione dal resto dell'umanità.

Aveva passato tutta la vita tentando di salvare quante più vite potesse, aveva giurato di servire il proprio paese finché avesse avuto vita quando si era arruolato, ora sentiva il suo cuore cambiare, desiderio, istinto e lussuria si erano fatti strada così a fondo dentro di lui che a volte dominarli sembrava impensabile. Quando, vinto dal desiderio, assaporò per la prima volta il sangue di un uomo capì non solo la viltà parassitica della sua nuova natura, ma anche che quell'unico mezzo gli avrebbe fornito capacità impensabili, incontemplabili prima di allora per un uomo di scienza.

Così prese ad assaltare di quando in quando criminali, prostitute, orfani persino, persone meschine, ripugnanti di cui nessuno avrebbe sentito comunque la mancanza. Se pure alcuni giorni il peso da sopportare fosse stato troppo, Jonathan imparò con orrore che apparentemente, per quanto potesse ancora sanguinare, non esisteva alcun modo in cui potesse togliersi la vita.

Col tempo il dolore si calmò, lasciando il posto ad una granitica certezza, doveva tornare a casa, riprendere la sua vita dove l'aveva lasciata prima della guerra, conoscere il perché di quella sua trasformazione, trovare il suo posto in quel nuovo ordine delle cose e forse un giorno sarebbe stato capace di redimere quella sua anima oppressa e mutilata dalla malattia.

Quando si sentì finalmente pronto lasciò la Francia alla volta di Londra.

Prima della grande guerra, Jonathan Reid era stato un uomo d'onore, un chirurgo di fama eccellente e di grande temperamento, cosa che gli era valsa la stima di colleghi ben più anziani di lui.

Per anni, dopo la laurea, aveva esercitato in uno dei più prestigiosi ospedali di Londra, apprendendo il più possibile, surclassando i compagni grazie ad un commisto di dote ed ardimento.

Non si era sottratto alla chiamata alle armi, lavorando per i tre lunghi anni del conflitto in numerosi ospedali da campo lungo il fronte occidentale, elevandosi di grado. Aveva visto da vicino le più ignobili turpitudini, la bassezza dell'animo umano, la miseria di quella guerra ed aveva continuato a riviverli nel sonno, in incubi così vividi da svegliarlo nel cuore della notte in preda all'angoscia più profonda, nella speranza di poter un giorno tornare a casa.

Nel frattempo Londra era cambiata, tutto ciò che Jonathan aveva conosciuto sembrava essere stato inghiottito da un baratro di sudiciume e violenza. Le vecchie istituzioni scricchiolavano sotto il peso di una politica fragile, corrotta; la miseria e le malattie avevano tolto alla popolazione la sua antica dignità, rendendo lecita qualunque meschinità, purché giustificata dagli orrori che la guerra aveva trascinato con sé.

Scoprì che la sua vecchia casa nella City era bruciata, quel che rimaneva della sua famiglia era da tempo partito per rifugiarsi in campagna, l'ospedale ridotto in macerie solo parzialmente ricostruite e molti dei suoi colleghi più giovani erano morti o dispersi al fronte.

Ritrovò solo il suo vecchio mentore, il dottor Bruce Hardy, un tempo neurochirurgo di fama e rispetto; gli ultimi anni non erano stati clementi con lui, non quanto, si curò di notare, lo erano stati con Jonathan.

Da lui apprese che il sistema sanitario era crollato mesi addietro, ed ora la città pullulava di ospedali di emergenza in cui vi era sempre un disperato bisogno di chirurghi ed infermiere, a causa della delinquenza, delle crescenti malattie e dello spaventoso numero di reduci.

Reid, che ormai sembrava aver dimenticato da tempo i privilegi delle sale sterili e la quiete dei reparti di chirurgia ospedaliera, si trovò perfettamente a suo agio nel dover praticare in quello stato di confusa emergenza.

Si stabilì nel vecchio manicomio di White Chapel. Parzialmente crollato sotto i colpi di mortaio, ora ospitava il più grande ospedale da campo del quartiere; si procurò degli abiti rispettabili, si radette la barba incolta e riprese a fare ciò che meglio gli era sempre riuscito, tornò ad essere un chirurgo.

Grazie alla disciplina che si era imposto riuscì pian piano ad ignorare il penetrante, lascivo odore del sangue e l'effetto maligno che aveva sul suo corpo e sui propri sensi, il segreto era nutrirsi ad intervalli di pochi giorni in modo da non sentire mai completamente la sete. Prese a cacciare come aveva fatto a Rouen, curando ogni volta di cacciare in un quartiere diverso per non destare sospetti.

Divenne un cacciatore spietato, metodico. Si aggirava di notte seguendo le sue vittime per ore, a volte per giorni prima di colpire, studiando le loro abitudini, usando tutte le sue doti per attirarle in appartati vicoli bui, in una delle centinaia di case bruciate o abbandonate.

Uomini o donne non faceva alcuna differenza, tutti cadevano preda della lussuria e finivano col concedersi volontariamente.

Non li mordeva quasi mai al collo, o perlomeno solo nei casi in cui la sete non era insopportabile, suonava più come un vecchio cliché da cinematografo o qualcosa di molto simile ad un libro che in giovinezza gli era capitato di leggere. Il più delle volte spezzava loro il collo a mani nude curando che il cuore non smettesse di battere, poi, con gli artigli incideva meticolosi tagli sulla gola, sulle braccia in corrispondenza di grosse arterie. Non impiegavano molto a morire e con la forza di cui era dotato, sbarazzarsi dei corpi era un compito semplice, quasi banale.

Per quanto cacciare fosse un'estasi sublime, qualcosa che ormai sentiva appartenere alle fibre più intime del suo nuovo essere, in qualche modo il vecchio dottor Reid non se n'era mai andato. 

Non erano mai persone innocenti, più di una volta aveva dato loro la morte prima che commettessero l'ennesimo crimine, non si nutriva mai più dello stretto necessario e quei poteri oscuri regalatigli dal sangue aveva capito di poterli usare a proprio vantaggio, persino durante il suo lavoro diurno.

Eppure le domande che sempre più spesso si poneva erano terribili. Chi, o meglio che cosa, era diventato? Esistevano altri come lui a Londra?

Doveva esserci uno scopo alla sua esistenza che non fosse esclusivamente il brutale assassinio per sopravvivere, doveva esserci, per il bene della sua sanità mentale.

Quando l'epidemia di influenza spagnola si abbatté su un'Europa già provata, Londra venne messa in ginocchio. Non c'era molto che la scienza potesse fare per prevenire il contagio, ora che i presidi igienici erano scarsi o quasi del tutto inesistenti, i corpi stagnavano per giorni ai lati delle strade e la popolazione era debole e malnutrita.

Jonathan, per quanto non fosse mai stato di per sé particolarmente a rischio, scoprì di non potersi ammalare di quella come di nessun'altra malattia e questo, unito alla sua insonnia apparentemente destinata a rimanere senza fine, lo spinse a lavorare a ritmi spaventosi, ritirandosi nei suoi temporanei appartamenti solo lo stretto indispensabile a far si che le infermiere non dubitassero della sua umanità.

Invece di dormire cominciò ad eseguire esperimenti sempre più febbrili sul proprio sangue, o perlomeno ciò che ne era rimasto, prelevando nuovi campioni ogni notte alla ricerca spasmodica della fonte di quell'oscura e sconosciuta infezione. Lo doveva alla propria intelligenza, alla sua sete di sapere ed all'intima speranza di poter un giorno tornare l'uomo che era stato.


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