Idol Princess

di KiarettaScrittrice92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rainbow City ***
Capitolo 2: *** Glace de sucre ***
Capitolo 3: *** Ange ***
Capitolo 4: *** Rue Vert ***
Capitolo 5: *** Residence ***
Capitolo 6: *** D'Argencourt ***
Capitolo 7: *** Salle à manger ***
Capitolo 8: *** Le Jardin Secret ***
Capitolo 9: *** Académie Rue Vert ***
Capitolo 10: *** Nous Joe ***
Capitolo 11: *** Ultimate Mecha Strike ***
Capitolo 12: *** Vincent Aza ***
Capitolo 13: *** Passion Rouge ***
Capitolo 14: *** Ladybug e Chat Noir ***
Capitolo 15: *** Électron ***
Capitolo 16: *** Metrò ***
Capitolo 17: *** Rainbow Channel ***
Capitolo 18: *** Rythm Hôtel ***
Capitolo 19: *** Le coin del Choco ***
Capitolo 20: *** Gang de la Mort ***
Capitolo 21: *** Break Dance ***
Capitolo 22: *** Murales ***
Capitolo 23: *** Jemeau de la Mort ***
Capitolo 24: *** Chemin de briques jaunes ***
Capitolo 25: *** Le quartier des amoureux ***
Capitolo 26: *** Ramier ***
Capitolo 27: *** La crème glacée d'André ***
Capitolo 28: *** Colombe ***
Capitolo 29: *** Filles Aller Aller ***



Capitolo 1
*** Rainbow City ***


Rainbow city

Il treno correva veloce, mentre la pioggia imperterrita batteva contro il vetro del suo finestrino. La ragazza osservava il panorama fuori, con aria malinconica. Quella pioggia rappresentava perfettamente ciò che provava in quel momento: tristezza, delusione, solitudine.
Sentiva ancora le voci irritanti della gente intorno a lei qualche giorno prima, che le dicevano che non ce l’avrebbe mai fatta, che il suo sogno era inutile e che l’unico modo per vivere era trovarsi un lavoro serio e non rincorrere uno stupido sogno. Gli unici che, fino alla fine, le avevano continuato a dare man forte erano stati i suoi genitori che nonostante i suoi infiniti fallimenti l’avevano sempre sostenuta.
Il fatto però era che dopo l’ennesimo provino fallito, non poteva fare a meno di sentirsi esattamente come l’avevano definita tutti coloro che l’avevano esaminata: goffa, impacciata, scoordinata. Si stava seriamente iniziando a domandare com’era possibile, che una ragazza come lei potesse avere il sogno di diventare una perfetta Idol francese. Lei che si vergognava a cantare, a meno che non era sotto la doccia e che non riusciva a fare due passi di danza consecutivi senza cadere a terra.
Fece un grosso sospiro, mentre la pioggia già diminuiva e le nuvole si diradavano, mostrando in cielo un bellissimo arcobaleno.
«Basta Marinette! – si disse colpendosi leggermente le guance con le mani – Non puoi arrenderti! In un modo o nell’altro ce la farai. Sei partita apposta per imparare.»
Il treno non ci mise molto ad arrivare, finalmente, alla sua stazione; dopo ben sette ore di viaggio da Parigi, una voce metallica annunciò la fermata.
«Tra poco ci fermeremo a Rainbow city, preghiamo i passeggeri che devono scendere a questa fermata di controllare di aver recuperato tutti i bagagli e avvicinarsi all’uscita più vicina.»
La ragazza si sollevò dal suo posto a sedere, si mise lo zaino in spalla e prese la valigia, per poi fare come le avevano suggerito.
Non appena mise i piedi sulla pensilina, si guardò un attimo attorno; tutta la tristezza era sparita completamente, ora in lei c’era solo ammirazione e aspettativa. Finalmente era a Rainbow city, la città della musica, l’unica città in cui nascevano le Idol e gli Idol più famosi del paese. Come avrebbe potuto essere triste?
Uscì dalla piccola stazione dei treni ritrovandosi nella frenesia del centro città. Il centro era l’unico luogo in cui i vari stili della città si mischiavano e convivevano. Sì, perché la particolarità di Rainbow city era che ogni quartiere aveva la sua moda, la sua musica, il suo stile. Il centro perciò era come un luogo d’incontro, anzi, solitamente era lì che si facevano gli spettacoli più grandi, quelli di coloro che diventavano delle vere e proprie Idol, delle vere star.
La ragazza sospirò, vedendo degli operai che smontavano proprio in quel momento un palco, dalla piazza principale, che si trovava proprio di fronte alla stazione. Dopodiché alzò lo sguardo, verso la collinetta che si trovava poco più in alto, verso nord-ovest. Col Blanc: era lì che era diretta, aveva prenotato una piccola stanza d’albergo proprio vicino all’Ange, l’accademia del quartiere bianco, in cui insegnava la più grande ballerina della Francia, Tikki. Il suo più grande sogno era un giorno poter ballare con lei, chissà se ci sarebbe mai riuscita.
Strinse le mani, una sulla spallina dello zaino e l’altra sul manico del suo trolley, cominciando poi a camminare.
Ci mise una buona mezz’oretta ad arrivare in cima al colle, avrebbe potuto prendere la metropolitana che attraversava tutta la città sottoterra, ma era stata anche troppo tempo seduta sul treno che l’aveva portata lì e aveva voglia di una bella camminata.
Il quartiere di Col Blanc era meraviglioso. Gli edifici lì, in quella piccola collina che dominava l’intera Rainbow city, erano palazzi dai colori chiari e pastello, né troppo bassi, ma nemmeno altissimi, una decina di piani, non di più. In tutta quell’armonia che dava l’impressione di essere in qualche sogno zuccheroso, vi era l’Ange: un grosso edificio a forma di uovo alato e con tanto di aureola che si affacciava proprio sulla piazza principale.
La ragazza però non era diretta lì, non ancora. Svoltò a destra e si ritrovò proprio davanti all’hotel, era un piccolo edificio con giusto cinque piani, ma dall’aria molto carina, color rosa pastello; in alto l’insegna citava Ailes Rose. 
Entrò, attraversando la porta scorrevole che stava all’ingresso, ritrovandosi in un’elegante hall, ben curata in ogni minimo dettaglio. Si diresse verso il bancone, dove una bella ragazza dai capelli corvini e gli occhi verde oliva la salutò.
«Benvenuta a Rainbow city!» disse con un bel sorriso, stendendo le sue labbra perfettamente truccate.
«Grazie! – rispose lei – Qualche giorno fa ho prenotato una stanza.» continuò.
«Certo, nome?»
«Marinette Dupain-Cheng.» si presentò lei.
«Avete origini cinesi?» chiese divertita la ragazza, cercando il nome nel registro.
«Sì, mia madre è cinese…»
«Immagino che sia per questo motivo che vuole diventare Idol.» disse con un sorriso, alzando finalmente lo sguardo su di lei, che arrossì nervosa.
«Io… veramente… non avevo detto di…» a quel suo imbarazzo l’altra sorrise divertita.
«Chiunque venga in questa città vuole diventarlo, non è un segreto. – spiegò tranquillamente – Comunque, la stanza è la 302, al terzo piano, ogni sera potrà venire qui a pagare l’occupazione della camera, anche una volta alla settimana se le è più comodo, così che possa rimanere quanto vuole. Firmi qui e siamo apposto.»
Marinette prese la penna che le aveva porto e scrisse il suo nome sul registro. Dopodiché prese la chiave che aveva già appoggiato sul bancone e ringraziando la receptionist, si diresse verso l’ascensore. Uscita da esso, si guardò un’attimo attorno per capire da quale lato andare, dopodiché svoltò a destra e quando fu davanti alla porta bianca della sua camera, inserì la chiave nella serratura.
L’interno era particolarmente accogliente e grazioso. Un paio di ali bianche decoravano il cassettone proprio sopra la grande vetrata che dava sulla città. Tutta la camera era insonorizzata, probabilmente era fatta apposta in modo che gli ospiti potessero provare e tenere la musica alta, nonostante l’ora; lo dimostrava anche il grosso spazio libero al centro della stanza. Sul lato destro vi era un grosso stereo poggiato a terra, una scrivania con di fronte una sedia e un piccolo tavolo da toletta, con un bello specchio ampio; mentre su quello sinistro vi era il letto, proprio sotto la finestra e un grosso armadio, in legno bianco, proprio come quello della scrivania dall’altro lato. Le tende della finestra, che erano aperte erano rosa e s’intonavano perfettamente con i bei fiori di ciliegio che decoravano le pareti.
Decise che per quella giornata, si sarebbe sistemata i bagagli e si sarebbe rilassata in hotel, magari uscendo solo verso l’ora di cena, per farsi una passeggiata e trovare un bel locale in cui mangiare qualcosa di tipico. Non aveva senso andare all’Ange a quell’ora e poi a fare cosa? Non sapeva nemmeno il vero motivo del perché era andata lì. O meglio, lo sapeva, continuava a ripeterselo da quando era partita, ma aveva ancora troppa paura per superare la soglia dell’accademia e iniziare il suo percorso, aveva bisogno di un po’ di tempo per elaborare, magari esercitandosi in quei pochi passi e nei vocalizzi che sapeva fare.
Nonostante tutto, però, era davvero contenta di essere lì. La sua avventura era appena iniziata, chissà cosa l’aspettava in quella città piena di colore, di stile, di moda e di musica.

 

Si buttò sul letto, stravolto. Anche quel giorno aveva passato tutto il tempo dietro quel maledetto fotografo e la sua fissa per le zuppe della stazione. Ancora gli sembrava di sentire la sua voce irritante che, per fargli mostrare il suo miglior sorriso, gli diceva:
«Pensa a una buona zuppa, come quelle della stazione della metro!»
Come se avesse avuto bisogno di un pensiero così idiota per posare, lui: che lo faceva ormai da anni, praticamente da quando aveva compiuto dieci anni suo padre l’aveva costretto a diventare un modello professionista. All’inizio posava solamente per la sua maison, la famosa casa di moda Agreste, una delle più popolari nella capitale; poi, in un modo o nell’altro, l’anno precedente, era riuscito a convincere il suo iper protettivo padre, a lasciarlo andare a Rainbow city e aveva iniziato la sua avventura in quella città magnifica e piena di moda. Il tutto però a patto di stare a certe regole: avrebbe continuato a fare il modello, tanto che gli aveva trovato un lavoro come sponsor delle gare e dei concerti che si tenevano in tutta la città, avrebbe studiato la moda della città, in modo da dare nuovi spunti alla maison e, la cosa più insopportabile, si sarebbe trasferito con la segretaria Nathalie.
Per carità, non è che gli dispiacesse avere compagnia, ma Nathalie era costantemente presente, sempre pronta a dirgli cosa doveva fare. Mentre lui magari voleva distrarsi ogni tanto, comportarsi come tutti gli altri ragazzi: ballare, cantare. Sì, quello a cui aspirava di più era diventare un Idol, uno di quelli che si esibiscono sui grandi palchi. 
Non lo faceva per la fama, in realtà era già abbastanza famoso così, a lui piaceva proprio l’adrenalina di stare sotto i riflettori, la sensazione di sentire i piedi battere sul palco, la magia del riverbero della sua voce attraverso il microfono.
Forse era anche per quello che spesso quando finivano le sessioni fotografiche andava all’Ange a vedere le lezioni di danza. Adorava quelle lezioni e adorava gli insegnati, in realtà adorava tutto di quel posto: ci passava talmente tanto tempo che ormai conosceva quasi tutti là dentro. Eppure ogni volta che uno dei due insegnati lì, gli proponeva di fare una lezione di prova, lui si rifiutava. Non sapeva se era per paura di dover abbandonare il lavoro e quindi deludere suo padre, oppure semplicemente perché non credeva nelle sue capacità. 
Quasi sicuramente la prima, in fin dei conti lui era il migliore sulla pista da ballo. Nonostante tutto però, era sicuro che, pur avendo passato quasi un anno Rainbow city, la sua avventura in quella città dai mille colori non era ancora cominciata.

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Capitolo 2
*** Glace de sucre ***


Glace de sucre
 

Marinette aprì gli occhi cerulei, quando la luce mattutina iniziò ad illuminare la sua camera d’albergo, dovette sbattere le palpebre un paio di volte per riuscire a mettere a fuoco ciò che la circondava. Si alzò dal letto, sicura che anche quella giornata sarebbe stata una di quelle rilassanti, come le due precedenti che aveva passato lì a Rainbow city.
Non avrebbe sicuramente sprecato quella giornata a poltrire. Si avvicinò con passo malfermo, per la sonnolenza che ancora l’avvolgeva, verso l’armadio che, due giorni prima, aveva riempito coi suoi vestiti; fissò per qualche minuto i vari abiti che vi erano dentro il mobile, finché non si decise e prese un paio di jeans rosa e una t-shirt bianca a fiori.
Mezz’ora dopo era pronta e completamente sveglia. Sì legò i capelli corvini nelle sue solite due codine e afferrò le sue cuffie rosa dalla scrivania, attaccandole all’mp3 e mettendosele sulle orecchie, per poi uscire fuori con le chiavi della camera in tasca e solo una piccola borsetta contenente lo stretto necessario per una passeggiata in giro per il quartiere.
Non si era ancora inoltrata in altre parti della città, per vari motivi: innanzi tutto non conosceva affatto gli stili degli altri quartieri, inoltre la sua voglia di esplorare Col Blanc non si era ancora esaurita, si era innamorata di quel quartiere delicato ed elegante. 
Passò davanti all’Ange, quasi con uno sguardo malinconico, trattenendosi dall’entrare e vedere come era all’interno. Non si sentiva ancora pronta a riaffrontare tutto ciò che l’aveva portata all’ennesimo fallimento, non ancora; ce l’avrebbe sicuramente fatta, ma ancora non era il momento.
Girò l’angolo ritrovandosi alla via principale, nelle sue orecchie la sua musica preferita rimbombava decisa, dando ritmo ai suoi passi e isolandola da ciò che la circondava. Come a farlo apposta, quando la melodia arrivò al momento più dolce, alla sua vista apparve nuovamente quell’enorme poster pubblicitario. 
Era la réclame di Passion Rouge, il centro commerciale più grosso di Rainbow city, ma la cosa che la colpiva ogni volta non era ciò che pubblicizzava, ma il bellissimo ragazzo che ritraeva. Era possibile innamorarsi di una fotografia? Forse sì, visto che il giorno prima, dopo aver visto per l’ennesima volta quel poster, aveva comprato una rivista in cui c’era quella stessa pubblicità, e aveva strappato la pagina, attaccandola all’armadio della sua stanza in hotel, noncurante del fatto che non fosse la sua camera a Parigi. Si riscosse, distogliendo lo sguardo da quegli occhi smeraldini, che la osservavano maliziosi come facevano con chiunque decidesse di fermarsi a ricambiarli.
Aveva voglia di una buona colazione e se aveva imparato una cosa a Parigi era riconoscere i migliori sapori, ovviamente il merito era di suo padre e della boulangerie che gestiva assieme a sua madre. Per questo motivo già il primo giorno in quella città, o meglio in quel quartiere, aveva trovato il bar migliore: in cui facevano delle ottime brioches, per non parlare dei croissant.
Il locale si chiamava Glace de sucre. Appena entrata l’odore delle brioches appena sfornate le stuzzicò l’appetito, ricordandole casa. Si avvicinò al banco e dopo aver ordinato la sua colazione, cercò con lo sguardo un posto a sedere.
Il locale come al solito era pieno, forse anche perché non era grandissimo. Marinette adocchiò l’unico posto libero e si diresse al tavolino. Stava per poggiarsi comodamente alla sedia, quando qualcuno gliela tolse velocemente da sotto il sedere, facendola cadere rovinosamente a terra con un lamento.
Un paio di persone si voltarono verso di lei, qualcuno le chiese anche se stesse bene, ma la persona che le aveva fatto quel torto non l’aveva degnata di una parola. Rassicurò la gente che le aveva chiesto sulla sua salute e massaggiandosi il di dietro si tirò sù dolorante, per poi rivolgersi alla diretta interessata.
«Almeno potevi chiedere scu…» si bloccò quando questa si voltò verso di lei.
Occhi azzurri, capelli biondi raccolti in una coda di cavallo e vestiti firmati. Avrebbe riconosciuto quella ragazza ovunque: Chloé Bourgeois, la ragazza più odiosa di tutto il mondo.
«Toh guarda… Marinette Duperdente Cheng… Come mai a Rainbow city? Vuoi fare un’altra figuraccia?» la prese in giro, concludendo la frase con quella sua odiosa risata finta e snob, mentre lei la guardava con astio.
Possibile che di tutte le persone che poteva incontrare, doveva esserci proprio lei? Non ebbe però il tempo di pensare ad altro perché la persona che stava con la bionda parlò, rimproverandola.
«Chloé, non è così che ci si comporta.»
Marinette voltò lo sguardo sul nuovo interlocutore, paralizzandosi; improvvisamente il suo cervello sembrò andare in tilt: davanti a lei c’era il ragazzo della locandina. I suoi occhi verdi si posarono su di lei gentili, accompagnati da un meraviglioso sorriso che le fece battere forte il cuore.
«Piacere. – disse allungando la mano verso di lei – Adrien Agreste. Ti chiami Marinette giusto?» chiese poi.
«Eh? – chiese lei tornando in sé – Oh… Sì… Maneriett… Cioè Marionette… Mari…»
«Sì, sì… Abbiamo capito! Torna quando avrai imparato a parlare.» disse la bionda, spintonandola via.
«Chloé, per una buona volta, potresti comportarti educatamente?» chiese esasperato il biondo.
«Non importa. Me ne vado. Continuate pure, troverò un’altro posto.» rispose la giovane, allontanandosi dal tavolo, per poi andare verso il bancone.

 

Adrien la guardò allontanarsi e dirigersi verso il bancone.
«Allora Adrikins, tornando a noi…» disse Chloé, poggiandosi al tavolino col gomito per tenersi la testa, sbattendo le palpebre in un modo che sarebbe dovuto sembrare seducente.
«Chloé, dico sul serio. Non sei stata affatto carina con quella ragazza.» la rimproverò di nuovo lui-
Lei di risposta alzò le spalle, come a voler dire che non le importava affatto di come l’avesse trattata, a quel punto il modello sospirò esasperato.
«Immagino che ora tu debba andare a lezione, giusto?» chiese il ragazzo cambiando discorso, portando la sua attenzione all’orologio che aveva al polso.
«Accidenti a lei, avevo l’occasione di stare un po’ di tempo con te… Beh ci vediamo tesoruccio mio!» concluse, tentando di salutarlo con un bacio, lui però l’allontanò stendendo le braccia tra i loro corpi.
«Ci vediamo Chloé…» rispose lui cercando di essere gentile, ma sapeva bene che la sua faccia schifata diceva tutto.
Non appena la bionda uscì dal locale e fu di nuovo solo, si voltò nuovamente verso la ragazza al bancone. Stava sorseggiando da una grossa tazza, forse un the e di fronte, oltre al piattino su cui probabilmente poggiava il recipiente, ce n’era un’altro su cui era adagiato un croissant.
Si avvicinò a lei con molta calma, con le mani in tasca e appena le arrivò di fianco le si rivolse con tono gentile.
«Scusala, ha un caratteraccio, ma in fondo è buona.» disse quasi in un sussurro, la ragazza sentita la sua voce sobbalzò, voltandosi di colpo.
«Ahi!» si lamentò quando un po’ del the le si versò sulla mano.
Con un sospiro poggiò la tazza, come fosse abituata a quel genere di cose, afferrò un paio di tovaglioli di carta e si pulì, il tutto mentre lui la guardava rapito. Nonostante fosse alquanto maldestra i suoi movimenti erano delicati e puliti, ciò voleva dire che aveva avuto una qualche istruzione di danza, inoltre le grosse cuffie rosa che portava attorno al collo dimostravano la sua passione per la musica; d’altronde, se era in quella città non poteva essere altrimenti.
«Sei nuova a Rainbow city?» chiese, quando buttò il fazzoletto nel cestino di fianco a lei.
La vide arrossire vistosamente e rispondere con un cenno di testa, dopodiché nascose il viso nella tazza e solo dopo aver bevuto un lungo sorso del the, rialzò lo sguardo, senza però incrociare i suoi occhi, e rispose.
«Mi sono trosfarita… trasferita due giorni fa…» disse balbettando un po’.
Adrien non capì se parlava così perché balbettava di suo, oppure semplicemente perché era imbarazzata, ma la trovava davvero adorabile. Stava per porgerle un’altra domanda quando qualcuno lo precedette.
«Signorino Adrien, doppiamo andare. Il suo servizio fotografico comincia tra cinque minuti.» disse la voce della sua segretaria nel locale gremito di gente, facendolo sospirare.
«Sì Nathalie, arrivo… Beh spero di rivederti presto Marinette!» disse, prendendole la mano e sfiorandola con le labbra, per poi farle un divertito occhiolino.
Il tutto la fece arrossire ancora di più, facendole assumere il colore roseo e acceso dei suoi pantaloni.  Dopodiché si allontanò e si diresse verso l’uscita, dove la donna occhialuta lo stava aspettando tutta impettita.

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Capitolo 3
*** Ange ***


Ange
 

Marinette emise un sospiro nervoso, mentre le porte scorrevoli dell’Ange si aprivano davanti a lei. Si voltò dubbiosa verso il ragazzo al suo fianco, che con un cenno di assenso la incoraggiò ad entrare.
Come si era fatta convincere in soli due giorni ad entrare lì dentro e ricominciare quello che, ne era sicura, sarebbe stato un calvario di prove inutili e provini falliti? Eppure era lì.
Dopo quell'incontro inaspettato al bar aveva incrociato spesso, nei due giorni successivi, il giovane modello e, nonostante si sentisse ancora mostruosamente in imbarazzo nei suoi confronti, forse anche complice quel ritaglio di giornale appeso nella camera d’albergo che ogni mattina finiva per sbaciucchiare come una scema, lui aveva cominciato a considerarla una vera e propria amica e dopo aver scoperto la sua vita fallimentare a Parigi, l’aveva incoraggiata e convinta a presentarsi alla scuola di Col Blanc, con la promessa che avrebbe convinto la sua segretaria a iniziare anche lui quel percorso. Così ora erano entrambi lì. 
Attraversarono l’ingresso, mentre il cuore di Marinette ormai batteva ad un ritmo frenetico. L’interno era ancora più tipico e particolare dell’esterno: nonostante l’onnipresenza del bianco, ovunque, non dava sicuramente l’impressione di un luogo scialbo o inquietante. Questo perché tutte le pareti erano tappezzate di foto dei migliori e delle migliori Idol che erano usciti da quella scuola, o meglio da quella città.
Ne conosceva parecchie, alcune erano i suoi idoli da sempre. La maggior parte di quelle foto ritraeva ragazze eccentriche dalla fisionomia orientale, proprio come la sua; in fondo, la professione di Idol era nata in Giappone e in Cina, forse era anche per questo motivo che si sentiva così vicina a quel mondo, perché attraverso sua madre e le sue origini cinesi, aveva semplicemente ereditato quella passione. 
Rimase parecchio tempo incantata, a contemplare quelle fotografie, con la bocca spalancata e gli occhi quasi sognanti, fino a che non si accorse dello sguardo divertito del biondo di fianco a lei. Solo in quel momento, quando incrociò per qualche millesimo di secondo quei due smeraldi splendenti, tornò subito l’imbarazzo e abbassò il volto tentando di nascondere il rossore ormai evidente.
«Di nuovo qui Adrien?» chiese una voce femminile che le fece nuovamente alzare lo sguardo.
«Già, ma questa volta non sarà una visita di piacere... Vogliamo iscriverci!» disse il biondo, passando un braccio attorno alla vita della ragazza e avvicinandola a sé. 
Lei dal suo canto non sapeva più dove nascondersi: era sicura di aver ormai assunto il colore di una fragola matura e non sapeva se era per quel gesto spontaneo e istintivo del ragazzo, o per la persona a cui si era rivolto con estrema confidenza.
«T-tu sei Tikki...» disse, guardando con aria completamente ammaliata la donna che aveva di fronte.
«In persona.» rispose lei, con un sorriso meraviglioso.
Ogni suo gesto e movimento, trasmetteva classe ed eleganza. Indossava un semplice pantalone della tuta bianco e un un crop-top nero, ma li portava in modo talmente disinvolto da sembrare in abito da sera. I morbidi e fluenti capelli rossi erano legati in una coda di cavallo, che le dava un’aria molto giovane, così come i vispi occhi azzurri.
«Non ci credo...» sussurrò appena la ragazza, chiedendosi per quale motivo non era entrata prima all'Ange.
«Credo di conoscerti anche io sai? Hai fatto alcuni provini a Parigi, vero?» chiese la rossa, mettendo una mano sul fianco e guardandola attentamente.
«Già... Io sono Marinette, quella che non ce la fa mai...» disse con quel tono afflitto che accompagnava sempre ogni suo pensiero che riguardasse i suoi fallimenti.
«Mai arrendersi, signorina.» disse divertita la donna, sfiorandole il naso con un dito.
«Allora accetti la nostra iscrizione o no?» chiese Adrien, la ragazza si era completamente dimenticata di lui e del suo braccio che ancora le avvolgeva il fianco. Si scostò imbarazzata, facendo in modo che lui lasciasse la presa, mentre Tikki li osservava concentrata.
«No... Non credo proprio...»
Per un attimo il mondo le sembrò crollare addosso: se nemmeno la miglior Idol di tutta la Francia voleva accettarla come allieva, non aveva nessuna possibilità di realizzare il suo sogno.
«Perché?» chiese il giovane modello, probabilmente anche lui era rimasto stupito della risposta.
«Semplice, l’Ange è una scuola di danza e canto è vero, ma qui vengono le ragazze e i ragazzi che devono cominciare o che hanno già uno stile tutto loro. Voi due, invece, siete esattamente a metà di questo cammino. Conoscete le basi del canto e della danza, ma avete ancora poco senso del ritmo e siete senza uno stile completamente vostro. Avete un potenziale che hanno poche persone, mi ricordate me e il mio partner da giovani: per questo motivo non posso prendervi qui. Sareste sprecati.»
Marinette rimase basita, continuava a fissarla come se fosse circondata da unicorni, talmente le sembrava assurdo quello che stava dicendo loro. Seriamente per Tikki, la più straordinaria e famosa Idol che esistesse nell’intero paese, lei aveva del talento? Certo, aveva anche detto che aveva poco senso del ritmo, ma tutto era passato in secondo piano, o meglio addolcito da quei bellissimi complimenti.
«Quindi cosa dovremmo fare?» fu di nuovo il biondo a porre la domanda, riportandola così di nuovo coi piedi per terra.
«Il mio consiglio è di fare ciò che feci io quando ero giovane: iniziare il vostro corso di istruzione attraversando e conoscendo tutti i quartieri di Rainbow city. Esplorare ogni angolo di questa città; scoprire ogni stile, ogni moda, ogni musica e quando avrete tutti i diplomi dai vari insegnati di ogni quartiere allora potrete tornare qui e nessuno vi toglierà la possibilità di essere ammessi, anche se credo proprio che alla fine di questo viaggio sarete di un’altra opinione.»
Esplorare Rainbow city, possibile che non aveva mai pensato a quella possibilità? Ma certo: l’unico modo per imparare e diventare la migliore era scoprire ogni stile, ogni ritmo, ogni genere, ogni sfumatura della musica.
«Che ne dici Marinette?» chiese entusiasta il ragazzo.
«V-Verrai anche t-tu?»
«Certo che sì! Sicuramente Nathalie riuscirà a riorganizzare le mie giornate in modo che possa seguire le varie lezioni tra un servizio fotografico e l’altro.» rispose tranquillamente lui, facendole l’occhiolino.
«Ma... come farò per i costi? Non credo di avere abbastanza risparmi per permettermi il soggiorno in alcuni quartieri della città, senza contare i biglietti della metro.» domandò ancora dubbiosa la ragazza, rivolgendosi nuovamente a Tikki.
«Tranquilla, questo corso di studi è una cosa che fanno molti ragazzi e ragazze che si approcciano come voi per la prima volta al mondo degli Idol: quindi le accademie o i locali in cui si insegnano i vari stili, dispongono di alcuni dormitori in cui far soggiornare gli studenti, ovviamente il tutto pagando solamente la tassa d’iscrizione e mantenendo dei voti alti durante l’intera durata dei corsi.»
«Per quanto invece riguarda i viaggi ci penserà il mio autista, sempre che non ti dispiaccia viaggiare in limousine.» intervenne subito dopo Adrien, non permettendole nemmeno di ribattere alla rossa.
«Io... N-non lo so... F-forse sta succedendo tutto frotto in treppa... Cioè... troppo in fretta.» rispose lei confusa.
«Signorina, opportunità così non è facile coglierle al volo, ci vuole molta determinazione e grinta. – disse la rossa, attirando nuovamente l’attenzione di Marinette – Vedo nei tuoi occhi la voglia di dimostrare al mondo di che pasta sei fatta, nonostante quella tua maschera di timidezza che ti porti dietro. Fidati di me se ti dico che hai tutte le carte in regola per farcela.»

 

«Benvenuta a Nauge de Soie, in cosa posso esserti utile?» disse con voce un po’ fastidiosa, la ragazza che si trovava dentro il negozio. Marinette la conosceva bene: Sabrina Raincomprix, la spalla di Clohé, o meglio la sua schiavetta personale. Perché era esattamente così che la trattava di solito: come una finta amica a cui poteva dare ordini senza nessun problema, perché tanto sapeva che lei non avrebbe controbattuto di una sillaba.
Vederla da sola perciò era qualcosa di davvero inaspettato.
«Oh ciao Marinette, allora era vero che sei venuta anche tu a Rainbow city, pensavo fosse solo una voce infondata.»
«No... Sono qui...» rispose distrattamente lei, mentre si guardava intorno.
Quel negozio era l’apoteosi dei colori pastello e delle composizioni floreali, praticamente il negozio dei suoi sogni.
Alla fine si decise a comprare un paio di scalda muscoli rosa e quattro magliette di colori diversi. Si diresse alla cassa, dove Sabrina quasi sembrava attenderla, e poggiò i suoi acquisti sul bancone, portando le mani alla sua borsetta.
«Oh, no no... Qualcuno mi ha esplicitamente detto di non farti pagare.» disse la ragazza fermando a metà il suo gesto.
«Cosa?!» chiese lei stupita.
«Ecco. – disse porgendole una busta, poco più piccola di una spanna – Ha detto che verrà a saldare il tuo conto appena avrà di nuovo un attimo libero.» 
La ragazza, con aria corrucciata e dubbiosa, prese in mano la busta per poi aprirla; il piccolo bigliettino all’interno era scritto con una calligrafia precisa ed elegante.

Ho pensato di farti un regalo. Spero non ti dispiaccia. Non vedo l’ora di cominciare questo viaggio assieme, sarà divertente.
Con affetto...

Non fece in tempo a leggere il nome, anche se aveva capito perfettamente chi era stato, perché qualcuno, che aveva fatto trillare il campanello del negozio, glielo strappò della mani.
«Qualcuno ti scrive, perdente? Sicuramente sarà la tua mamma che ti dice di tornare a casa...» disse Chloé Bourgeois facendo poi cadere lo sguardo sul foglio che le aveva rubato.
Marinette provò quasi un brivido di soddisfazione nel vedere il suo volto cambiare espressione, nel leggere quelle poche righe. Dopodiché la bionda accartocciò furiosa il foglio e lo lanciò indietro, voltandosi nuovamente verso l’amica e ignorandola di nuovo.
Lei a quel punto senza un fiato, raccolse il foglietto da terra, prese dal bancone i suoi acquisti e, mentre Chloé sbraitava esasperata contro la povera Sabrina, lei le sussurrò un grazie, per poi uscire dal negozio.

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Capitolo 4
*** Rue Vert ***


Rue Vert

«È ridicolo! Assolutamente ridicolo!» borbottò furiosa la bionda guardando fuori dalla finestra e vedendo i due ragazzi salire sulla limousine nera.
«Hai perfettamente ragione Chloé, è ridicolo!» la scimmiottò Sabrina, scuotendo il caschetto rosso che le arrivava appena alle spalle.
«Voi due pensate di continuare la lezione, oppure rimanete a guardare la finestra tutto il tempo?» domandò loro Tikki, osservandole con aria severa, facendo voltare Chloé che aveva ancora quell’espressione adirata in volto.
«Guardi che è colpa sua. Avevo finalmente l’occasione di stare con Adrien e seguire le lezioni qui con lui e lei invece che fa? Lo spedisce a fare il giro di Rainbow City con quell’incapace di Dupain-Cheng.»
La donna sollevò le sopracciglia, quasi stupita e allo stesso tempo divertita di quello che la ragazza aveva appena detto.
«Chloé per favore, smettila con queste assurdità e rimettiti in posizione.» le rispose tranquillamente.
«Non è forse vero?» ribatté ancora lei, rimanendo nella sua posizione, facendo sospirare l’insegnante.
«Se l’ho fatto ci sarà un motivo non credi? Loro hanno bisogno di un percorso diverso dal tuo. Tu hai già una buona base per quanto riguarda la danza e il canto, mentre loro no.»
«Sì, ma...»
«Chloé, non lo ripeto più torna al tuo posto, oppure esci dall’aula.» la interruppe lei mettendo le mani sui fianchi. A quell’ennesimo rimprovero la bionda si ammutolì e, silenziosamente, si rimise al suo posto nella sala, dando la possibilità a tutta la classe di ricominciare la lezione di ballo.

 

Marinette era rigida come un blocco di ghiaccio: continuava a fissare le sue gambe, fasciate dal jeans, su cui teneva poggiate le mani, senza riuscire a dire una parola. Il pensiero di essere in un’auto, proprio di fronte ad Adrien la innervosiva non poco. 
In realtà non erano soli, c’era l’autista: un uomo nerboruto dal volto scimmiesco e sempre serio che a malapena li calcolava, tenendo le mani sul volante e seguendo la strada; e poi c’era la segretaria, impassibile, sedeva di fianco ad Adrien e continuava a guardare il suo tablet, probabilmente nel tentativo di risistemare l’agenda carica d’impegni del giovane modello. Il ragazzo invece in quel preciso istante stava guardando il paesaggio fuori, ma spesso avvertiva il suo sguardo addosso.
In quell’auto regnava il più assoluto silenzio, nemmeno una mosca si sarebbe degnata di volare e rovinare quell’assenza di rumori con il suo ronzio. Probabilmente furono i cinque minuti più lunghi della sua vita e il pensiero che avrebbe dovuto fare quel breve viaggio ogni volta che avrebbe dovuto cambiare quartiere le metteva i brividi. No, la prossima volta sarebbe andata a piedi, così che non avrebbe speso soldi per i biglietti della metro, ma non si sarebbe nemmeno sentita in imbarazzo in quel modo.
Quando però l’auto si fermò, perché erano arrivati a destinazione, tutto quell’imbarazzo svanì, non appena la portiera si aprì e scese dalla limousine. La meraviglia di quel quartiere la colpì in pieno, lasciandola completamente senza parole.
Un fiume, decisamente più piccolo della Senna parigina, costeggiava la parte sud in cui si trovavano loro e oltre il ponte pedonale dalla ringhiera color pino che dovevano attraversare, c’era un’intera zona immersa nel verde. Gli alberi la facevano da padroni, ma non erano in giardini o parchi. No, semplicemente vi erano viali costeggiati da alberi, perfettamente curati ed ognuno con il suo spazio per crescere.
«Bello vero?» chiese Adrien affiancandola e guardando anche lui avanti a sé.
«Meraviglioso!» rispose lei, quasi in un sussurro non riuscendo a scollare lo sguardo da quello spettacolo.
«Benvenuta a Rue Vert!» esclamò entusiasta lui, facendo qualche passo in avanti e piazzandosi proprio davanti a lei con le mani spalancate, come a voler indicare tutto quanto.
«G-grazie…» balbettò Marinette, arrossendo e abbassando lo sguardo.
«Signorino Adrien, si ricordi che domani pomeriggio alle diciassette dovete farvi trovare qui.» disse Nathalie, portandosi l’indice sul naso e sollevando su di esso gli occhiali dalla montatura rossa; tutto questo mentre l’autista posizionava di fianco ai due ragazzi i loro bagagli.
«Sì Nathalie, tranquilla, sarò puntuale come un orologio svizzero. – disse il ragazzo sorridendo alla segretaria, per poi prendere in mano la valigia e rivolgersi alla sua nuova compagna di avventure – Andiamo?»
Lei rispose con un semplice cenno di testa e dopo aver salutato e ringraziato i loro accompagnatori, si mise lo zaino in spalla, prese la valigia e assieme al biondo iniziò a percorrere il ponte, attraversando così il fiume che li separava dalla loro prima prova in quella colorata città.
«Pe-perché si chiama v-viale se è un intaro quartiare… intero quartiere?» chiese, dannandosi per quella sua balbuzie. Possibile che quel ragazzo le facesse quell’effetto? Non aveva mai balbettato in vita sua, perché proprio con lui?
«In realtà sono solo un paio di viali, ma sono parecchio grandi e larghi, le stradine secondarie sono talmente piccole che ci stanno a malapena un paio di negozi. Il nome Rue Vert, viene da quello principale in cui c’è l’accademia. Nonostante tutto però le auto non possono entrare in questo quartiere, per questo il gorilla ci ha lasciato al ponte.»
«Il gorilla?» chiese un po’ dubbiosa la brunetta, guardandolo stranita.
«Oh sì, è così che chiamo il mio autista. A dirla tutta non credo nemmeno di conoscere il suo vero nome.» rispose divertito.
Arrivarono dall’altro lato del ponte e si ritrovarono proprio in quel viale principale di cui il ragazzo le aveva parlato.
«L’Académie Rue Vert è lì, in fondo al viale.» disse indicando un grosso edificio verde e molto elegante, sembrava quasi un classico teatro dell’opera, ma con quel colore particolare, assumeva uno stile e un’eleganza tutta sua. Sarebbero dovuti andare lì, in modo da iscriversi al corso e poter accedere agli alloggi dei dormitori, per poter così posare le valige.
Di nuovo passarono quella breve passeggiata di un paio di minuti in assoluto silenzio, ma questa volta non era l’imbarazzo a zittirla. Era troppo intenta a guardarsi attorno per prestare attenzione al modello che le camminava a fianco e che ogni tanto la guardava divertito con quei bellissimi occhi che s’intonavano perfettamente con l’ambiente che li circondava.
Sul quartiere traspariva eleganza e classe. Ogni albero era perfetto e identico a tutti gli altri, ogni palazzo perfettamente tenuto, con i loro colori che variavano dal crema, all’ocra fino ad arrivare a un verdino pallido. Il viale su cui camminava era lastricato di ciottoli rettangolari e marroncini. Persino le persone che camminavano come loro per il viale davano l’aria di essere talmente eleganti e sicure di se stesse, da farle sembrare quasi finte. Non erano vestite in chissà quale modo particolare, ma qualsiasi cosa indossavano parevano tutte talmente rilassate nei loro abiti perfettamente lucidi e curati che per un attimo lei si sentì quasi una pezzente a camminare nella loro stessa strada.

 

Adrien non poteva fare a meno di guardarla: c’era qualcosa in lei che lo divertiva. Il suo guardarsi attorno meravigliata, come non avesse visto nulla del genere, il suo modo impacciato di approcciarsi con lui, ma soprattutto quel suo strano carattere che passava da insicuro e dubbioso a determinato e deciso.
«Ah… Ti dispiace se passiamo un’attimo per quel negozio? A Col Blanc non c’era l’occorrente adatto per le lezioni di danza classica.» disse all’improvviso indicando un piccolo negozio dalle pareti verdi, che in vetrina esponeva un bellissimo body, completo di tulle e decorazioni, che ricordava molto quello che veniva usato dalle ballerine dell’Opera per “Il lago dei cigni”.
«Certo che no! Effettivamente anche io devo prendere un body per le prove. Non posso certo farle con i pantaloni da ginnastica!» disse con tono scherzoso lui, ma a quella sua battuta lei non rise, anzi arrossì all’improvviso e si fiondò dentro il negozio facendo suonare il campanello all’ingresso.
Sospirò, mentre sul viso gli si dipingeva un sorriso divertito: era adorabile quando faceva così. Scosse la testa, cosa accidenti stava dicendo? Lei era soltanto un’amica, non poteva certo trovare adorabile un’amica.
Sollevò lo sguardo, lanciando un’occhiata all’insegna del negozio che riportava in verde la scritta Mille fils d’Herbe, con dietro dipinto un prato. Dopodiché entrò, facendo suonare anche lui la campanella appesa sulla porta.
Marinette era già immersa nella sua breve sessione di shopping, di fianco a lei il commesso del negozio, un ragazzetto mingherlino con un caschetto rosso acceso che gli cadeva liscio in testa.
«Quello è perfetto per le lezioni in accademia. È il miglior modello di body che abbiamo.» disse intimidito, mostrando però un sorriso entusiasta.
«Mmh… Forse lo dovrei provare…» pensò la ragazza ad alta voce, fissando il pezzo di stoffa rosa che teneva in mano.
«Certo il camerino è di là.» rispose subito lui indicandole la rientranza del negozio sul cui lato vi era una tenda color menta.
Marinette si diresse tranquillamente verso il punto indicato, con il vestito in mano, chiudendosi poi la tenda alle spalle, mentre il ragazzo, continuava a fissare quel telo verde, come se sperasse di poter vedere attraverso.
Adrien emise un finto colpo di tosse, attirando così la sua attenzione. I due si fissarono per qualche secondo. Quel ragazzo non gli piaceva, quando mai un commesso non dava il benvenuto ai clienti e si occupava solo di una persona?
«Esistono body da uomo?» chiese con tono duro.
«Sì… Da quella parte.» disse indicando a malapena l’angolo del negozio in cui si trovava l’abbigliamento maschile, per poi tornare ad osservare la tenda del camerino.
Il biondo gli lanciò un’ultima occhiata, innervosito da quel suo comportamento, per poi dirigersi agli scaffali indicatigli. 
Stava guardando i vari modelli, cercando quello più adatto a lui, quando il suono degli anelli della tenda, che scorrevano sul tubo che serviva a sostenerla attirarono la sua attenzione. Si voltò e ciò che vide lo lasciò senza fiato.
Marinette indossava quel bellissimo body rosa e lucido. Le stava perfettamente, sostenendole alla perfezione il seno appena pronunciato, ma soprattutto scoprendole le gambe sode e atletiche, segno inevitabile dei vari esercizi che comunque aveva sempre fatto nel tentativo di diventare una brava ballerina.
«Come mi sta?» chiese un po’ rossa in volto, guardandolo. Stava per aprire la bocca per rispondere, quando qualcuno lo fece al posto suo.
«Meravigliosa!» disse il rosso, piazzandosi davanti a lei.
«Davvero?» fece di nuovo lei, gli occhi illuminati dall’emozione.
«Assolutamente sì. Ti sta divinamente. Sarai la più bella di tutta l’accademia.» rispose lui entusiasta.
Seriamente, quel ragazzo non gli piaceva neanche un po’, chi si credeva di essere? Non era a lui che aveva chiesto un parere e anche se fosse non aveva nessun diritto di rivolgersi così a Marinette. 
«Beh io prendo questo!» disse quasi urlando, attirando così l’attenzione di entrambi e mostrando loro il semplice body nero da uomo che aveva in mano.
«Ehm sì… – rispose il ragazzo tornando dietro il bancone della cassa, mentre le sue guance assumevano lo stesso colore dei suoi capelli, come si fosse reso conto solo in quel momento di come si era comportato – Faccio un conto unico?» Adrien stava per rispondere di sì, ma Marinette lo fermò prima.
«No grazie. Io pago solo il mio, potresti aggiungermi anche un paio di scarpette? La mia taglia è la ventisette.»
«Certo, vado subito a prenderle in magazzino.» rispose il rosso con un altro enorme sorriso, che irritò nuovamente il giovane modello.
«Bene, io intanto mi rimetto i miei vestiti.» disse tranquillamente Marinette, tornando dietro la tenda.
Poco dopo erano nuovamente sul viale principale di Rue Vert.
«È davvero simpatico Nathaniel, non è vero?» chiese Marinette sorridente, quasi luminosa.
A quelle parole percepì un’orribile sensazione al petto, come se una morsa gli avesse stretto il cuore, impedendogli quasi di battere. Cercò di ignorare quel dolore e con fare disinvolto le rispose.
«Beh, c’è di meglio!» disse passandosi una mano fra i capelli biondi e guardandola quasi maliziosamente.
«Oh sì, decisamente…! – disse guardandolo quasi incantata – Cioè volevo dire… Ovvio che sì… Dicevo così per dare, per dire…» borbottò poi rossa in volto tornando a guardare il viale lastricato.

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Capitolo 5
*** Residence ***


Residence
 

I due giovani ragazzi entrarono all’Accademia. Al contrario dell’ingresso dalle porte scorrevoli dell’Ange, quello della scuola di danza classica di Rue Vert era un grosso ed elegante portone in legno di ciliegio che s’intonava perfettamente con il colore verde che invece caratterizzava le pareti esterne. A Marinette sembrò quasi di entrare in una vecchia casa aristocratica, non fosse che dentro si respirava l’essenza di una scuola sofisticata ed elegante.
Le pareti erano di un verdolino pallido, molto rilassante, tutte tranne una, ossia quella di sinistra che era invece fatta di uno di quei vetri riflettenti che permettevano a chi era all’ingresso di vedere le lezioni di danza che si svolgevano nella stanza adiacente, che probabilmente era la più grande dell’Accademia, senza però distrarre i giovani allievi che invece si vedevano semplicemente riflessi.
Marinette era talmente intenta ad osservare quei ragazzi e quelle ragazze in body, elegantissimi nei loro movimenti coordinati e perfetti che si dimenticò il perché era entrata lì. Non riusciva a staccare i suoi occhi azzurri da quei corpi che si muovevano con un’eleganza e una leggerezza inaudita, tanto da farli sembrare delle marionette nelle mani di un qualche burattinaio, era quasi convinta di aver potuto intravedere i fili che li reggevano e li muovevano tutti in contemporanea.
Fu Adrien a riportarla in sé, chiamandola e poggiandole una mano sulla spalla.
«Marinette, dobbiamo iscriverci.» le disse.
«Sì giusto… L’iscrizione.» disse le riprendendosi per poi arrossire alla vicinanza del biondo e dirigersi con lui verso il bancone al fondo della sala d’ingresso, in cui stava seduta una segretaria dall’aria elegante e gentile.
Ci misero davvero poco a compilare i moduli e firmare alcuni documenti, a quel punto fu consegnato loro un plico di fogli ciascuno e le chiavi delle stanze.
Il residence si trovava proprio alle spalle dell’edificio in cui erano, perciò bastò loro prendere una porta indicata dalla donna per ritrovarsi nel cortile dell’Accademia e dopo averlo attraversato per intero furono nei corridoi su cui si affacciavano le stanze.
«Allora… A domattina.» disse Adrien salutandola e prendendo il corridoio a destra che portava nell’ala ragazzi dei dormitori.
«Ehm… Sì a doma-ma-matti-ti… ma accidenti, perché balbetto…» sospirò lei dopo aver tentato di rispondergli, per poi prendere il corridoio opposto.

 

Arrivato nella stanza, la prima cosa che fece fu buttarsi sul letto con un sospiro estasiato. 
Era libero, finalmente si sentiva libero. Molto probabilmente avrebbe faticato il doppio dovendo seguire le lezioni e lavorando allo stesso tempo, ma finalmente stava facendo quello per cui aveva deciso di trasferirsi a Rainbow city. Non sapeva nemmeno se Nathalie avesse riferito quella sua decisione a suo padre o gli avesse dato il permesso di intraprendere quel viaggio di sua iniziativa. Conoscendo l’efficienza e la serietà della segretaria della famiglia Agreste, probabilmente suo padre lo sapeva già.
Stava di fatto che ora era lì e il giorno dopo avrebbe iniziato a prendere lezioni di danza e di canto per diventare finalmente un Idol, di fianco a quella simpatica e dolce ragazza che gli aveva fin da subito fatto una tenerezza assurda.
Rimase per una ventina di minuti sdraiato sul letto dalle coperte verde pino, come le tende semi trasparenti. Dopodiché si alzò andando a prendere il plico di fogli che gli aveva consegnato la segretaria. Lo sapeva, avrebbe dovuto disfare le valigie, ma era ancora troppo in fibrillazione per la serie di eventi che l’avevano coinvolto negli ultimi giorni, per concentrarsi su qualcosa che non fossero i corsi all’Accademia.
Oltre alla fotocopia dei moduli che aveva compilato, vi era anche un foglio che riportava gli orari del residence, tra cui il coprifuoco e l’orario dei pasti per chi voleva usufruire della mensa, poi vi erano gli orari di lezione e i vari programmi a seconda della tipologia di studenti. 
Per lui e Marinette, che dovevano fare il percorso d’istruzione attraversando tutta Rainbow city, il corso sarebbe durato due mesi, con saggio finale che avrebbe avuto la funzione di esame, per avere così il diploma dell’Académie Rue Vert.
Infine vi era una scheda dettagliata del loro insegnante, un certo Armand D’Argencourt. Vivendo a Rainbow city già da un po’ ne aveva già sentito parlare, ma non sapeva affatto che tipo di persona era. Di una cosa però era certo, leggendo la scheda, era uno con una grandissima competenza.
Quando finì di leggere tutto e si rese conto di non aver più nulla da fare, comprese che non poteva più indugiare su ciò che doveva fare davvero. Afferrò la sua valigia color argento e la aprì, iniziando così a sistemare tutti i suoi vestiti nell’armadio che vi era nella stanza.

 

Marinette, dopo aver sistemato i suoi bagagli, passò tutto il pomeriggio a guardare video di danza classica su internet. Come se attraverso quei video avesse potuto imparare tecniche che non aveva mai visto. 
Purtroppo quello della danza classica era uno dei pochi stili di cui non aveva nemmeno una minima base, perché i suoi genitori non erano riusciti a permettersi un qualche corso, e questo la spaventava non poco.
Come poteva lei, così impacciata e maldestra, essere leggiadra ed elegante come quelle ballerine che aveva visto attraverso il vetro appena entrata in Accademia?
Eppure nonostante la paura, non poteva fare a meno di essere euforica al pensiero di trovarsi lì. Perché iniziare quel percorso, dopo che Tikki le aveva detto esplicitamente che vedeva del talento in lei, voleva dire molto, ma soprattutto voleva dire che aveva sul serio tutte le carte in regola per realizzare il suo sogno. Perciò, anche se adesso non credeva abbastanza in se stessa, era sicura che un giorno si sarebbe ricreduta e fino ad allora si sarebbe impegnata al massimo, dando sempre il meglio.

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Capitolo 6
*** D'Argencourt ***


D'Argencourt
 

Lo spogliatoio delle ragazze, che si trovava proprio di fianco all’aula, era già pieno, quando Marinette vi entrò. Molte di loro, chiacchieravano allegramente, mentre si sistemavano i capelli o indossavano le calzamaglie, piuttosto che il body.
La ragazza si diresse verso il suo armadietto, che, come era riportato sui fogli che le avevano consegnato all’iscrizione, corrispondeva al numero della sua camera. Lo aprì e v’infilò dentro il borsone, per poi aprire la cerniera e prendere il necessario per vestirsi; dopodiché cominciò togliendosi i jeans che indossava.
«Ciao! Tu devi essere la ragazza che è venuta qui assieme ad Adrien!» disse una voce, facendola voltare.
Di fronte a lei vi era una ragazza dai capelli castani, molto probabilmente lunghi, raccolti in una bella e stretta crocchia e una frangetta ben curata, che le copriva la fronte. I suoi occhi di un blu scuro, tendente al viola, la guardavano con fare gentile, ma allo stesso tempo quasi accusatorio, come se la stesse in qualche modo giudicando o cercando di valutarla.
«S-sì, sono io, mi chiamo Marinette.» rispose lei, guardandola e cercando di capire se poteva fidarsi di lei o fosse un’altra Clohé. La confortante conferma arrivò poco dopo, quando con un sorriso divertito, ma sincero, la ragazza le porse la mano.
«Piacere Marinette, io sono Monique.» si presentò, proprio mentre lei ricambiava la stretta.
«Il piacere è mio.» le sorrise di rimando, mentre s’infilava finalmente le calzamaglie bianche.
«Allora? Cosa ti ha portato a Rue Vert?» domandò sedendosi di fianco a lei.
«Beh… Io e Adrien abbiamo iniziato il tour di Rainbow city… Quindi…»
«Sei un’aspirante allieva dell’Ange, quindi.» la interruppe lei, prima che iniziasse a incartarsi con le parole come suo solito.
«Come fai a saperlo?» chiese Marinette sgranando gli occhi.
«Beh vedi, solo gli studenti dell’Ange fanno il tour. Devi sapere che per essere un Idol perfetta, che conosce ogni genere musicale, ogni stile ed ogni ritmo, bisogna possedere tutte le capacità del colore di Col Blac.» le spiegò lei con aria seria, sembrava quasi che si divertisse a mostrare che ne sapeva più di lei.
«E sarebbe…?» domandò ancora confusa, facendo sopsirare Monique, come fosse esasperata dalla sua ignoranza.
«Ma insomma, è ovvio. Qual è la più grande caratteristica del bianco? – le chiese, ma dalla bocca della brunetta non uscì un fiato, non sapeva davvero che rispondere – Il bianco riflette tutti gli altri colori: perciò se vuoi essere una Idol perfetta devi imparare il più possibile per poi riflettere tutto.»
«Perciò chi studia danza o canto in un solo quartiere…»
«Sono come me. Studenti di una sola disciplina, di un solo stile e di un solo genere. Ciò non vuol dire che non avremmo talento per ballare su altri tipi di musica, semplicemente non c’interessa.»
«Capisco.» concluse lei, finendo finalmente di sistemarsi il body che aveva comprato, dopodiché legò i suoi capelli in un’unica piccola coda e si tirò su.
«Allora Marinette sei pronta per la tua prima lezione di danza classica?» le chiese Monique con aria grave, quasi fosse un generale che prepara il soldato alla guerra.
«Insomma…» rispose un po’ dubbiosa lei, con ancora in testa i movimenti perfetti delle ballerine che aveva visto il giorno prima.
«Andiamo, sarà divertente!» esclamò la mora, prendendole la mano e trascinandola verso l’ingresso dell’aula.

 

Adrien era già dentro l’aula, stava parlando con un ragazzo che aveva conosciuto la sera prima nei corridoi del dormitorio maschile. Era un simpatico e vivace ragazzo di origini probabilmente indiane. Non si notava solo dalla pelle mulatta, ma anche dal suo particolare accento che rendeva strana e divertente ogni sua parola francese, nonostante non facesse nessun errore di pronuncia. 
La stanza si stava man mano riempiendo e finalmente anche le ragazze iniziarono a sbucare dal loro spogliatoio.
«Ecco la mia partner preferita!» esclamò, avvicinandosi con un elegante passo di danza verso una ragazza dai capelli mori e gli occhi scuri, questa divertita fece una piroetta e gli afferrò la mano.
Il biondo però, era completamente incantato, i suoi occhi erano puntati su quel body, che già il giorno prima aveva visto indosso a quel corpo meraviglioso.
«Alì, ti presento…» cercò di dire la ragazza, ma Adrien la precedette.
«Marinette, questo body ti sta benissimo!» disse sorridendole e avvicinandosi al gruppetto.
«G-grazie…» rispose lei, arrossendo vistosamente e abbassando lo sguardo.
«Oh, allora sei tu la famosa Marinette. Piacere di conoscerti! – disse porgendole la mano – Io mi chiamo Alì!»
«Il piacere è mio.» sorrise lei.
«Quindi siete partner?» chiese il giovane modello rivolgendosi all’amico, ma guardando finalmente la ragazza, che se ne stava dritta e impettita, con un’eleganza quasi forzata.
«Esatto! Lei è Monique, la mia partner.»
«Siamo probabilmente i due studenti migliori di tutta l’Académie Rue Vert!» sorrise compiaciuta la mora e subito Alì scoppiò a ridere, forse più per le facce che avevano assunto gli altri due ragazzi, che per quello che aveva detto la compagna.
«Scusatela, non è affatto modesta. Comunque è vero, si potrebbe dire che siamo studenti di mestiere!» specificò il mulatto facendo un occhiolino a Marinette, che era quella più sconvolta.
«Ma allora perché siete qui, a questa lezione?» chiese ancora confuso Adrien.
«Ce l’ha chiesto monsieur D'Argencourt, vedete lui…» non fece in tempo a finire di spiegare che un rumore secco e veloce attirò l’attenzione di tutti gli studenti, facendo cadere il silenzio.
All’ingresso vi era l’insegnante. Era un’uomo alto e slanciato; il suo bastone, che aveva battuto sul pavimento per attirare l’attenzione era perfettamente in linea coi suoi piedi in prima posizione e le mani poggiate sul pomo in metallo. Il suo volto era serissimo e Adrien capì subito il motivo di quel silenzio, gli bastava guardare quegli occhi blu scuro che squadravano la classe, o la capigliatura perfettamente curata con la riga in mezzo o ancora i baffi a ricciolo, per comprendere che con quell’uomo non si scherzava.
«In posizione!» disse perentorio, con voce dura e in un attimo il centro dell’aula si svuotò, lasciando solo Marinette e Adrien al centro della sala che si guardarono intorno spaesati.
L’insegnante si avvicinò a loro con molta calma, squadrandoli da capo a piedi.
«Voi due siete i nuovi arrivati, giusto?» domandò.
«Sì, siamo noi.» rispose Adrien per entrambi, anche perché la sua amica sembrava paralizzata dal terrore.
«Raggiungete gli altri alla sbarra.» ordinò, senza dire altro.
Senza farselo ripetere due volte fecero come richiesto, o meglio, Adrien prese l’amica per il polso e la trascinò con se.
«È tutto ok Marinette, è severo, ma ci divertiremo, te lo prometto!» le sussurrò all’orecchio, mentre raggiungevano il cilindro di legno che percorreva tutto il bordo dell’aula e vi poggiavano sopra la mano destra.
«Visto che sicuramente i vostri compagni sono alle prime armi, inizieremo con le posizioni. Prima di ciò qualcuno vuole ricordare cosa richiedo io durante le mie lezioni?»
«Disciplina, perfezione e impegno!» disse in coro tutta la classe.
«Beh, forse sarà più difficile di quanto mi aspettavo.» disse con una smorfia il ragazzo, mentre sentiva la sua amica di fronte mugolare qualcosa disperata.

 

Passarono tutta la durata della lezione alla sbarra, ripetendo all’infinito le posizioni.
«Prima! Seconda! Terza! Quarta! Quinta! Di nuovo… Prima! Seconda! Terza! Quarta! Quinta!» continuava a ripetere l’insegnante, battendo sul pavimento con il suo maledetto bastone, che usava spesso su loro due per correggere gambe o piedi quando sbagliavano una qualche posizione.
Eppure, nonostante la difficoltà, nonostante la fatica, Marinette non si arrendeva: sapeva qual era il suo obbiettivo finale e anche se fosse stata una salita impervia, sapeva che poi il panorama dalla vetta sarebbe stato spettacolare.
Prima, seconda, terza, quarta, quinta. Prima, tallone contro tallone. Seconda, aprire un po’ le gambe. Terza, incrociare il piede sinistro esattamente davanti al destro. Quarta, spostare in avanti il piede sinistro. Quinta, ruotare il piede destro verso destra. Prima, mano concava all’altezza del ventre. Seconda, braccio disteso. Terza, mantenere la posizione. Quarta, braccio disteso in alto. Quinta, mantenere la posizione.
Quando la lezione finì aveva le ginocchia e i piedi doloranti, ma non era affatto delusa, dopo quelle due ore di esercizio aveva imparato la tecnica, l’unica posizione in cui faceva ancora fatica era la quinta, ma in fondo aveva un pomeriggio per provarla.
«Beh dopo la prima lezione possiamo ufficialmente dire di aver iniziato il nostro tour, che dici?» fece Adrien, avvolgendole il braccio attorno alla spalla.
Le rispose solo con un cenno di testa, allontanandosi nervosa.
«Ma guarda che belli i nostri novellini!» li prese in giro Monique avvicinandosi ai due con Alì. Loro due erano stati per tutto il tempo al centro della sala, ripetendo alla perfezione le stesse posizioni, ma senza sostegno, muovendosi con quell’eleganza che Marinette invidiava e a cui voleva arrivare.
«Qualche consiglio?» chiese Marinette.
«Tu hai molta determinazione, nonostante fai fatica ad imparare in fretta, punti alla perfezione e spesso dimentichi l’eleganza e il divertimento.» disse Alì guardandola con i suoi occhi verde oliva.
«Ma cosa dici! La tecnica è fondamentale, deve puntare sulla perfezione e dopo che sarà perfetta potrà puntare sulla scioltezza. – lo contraddisse Monique – Piuttosto tu Adrien, sei l’opposto. Non so se è perché ti diverti o perché eri distratto da Marinette davanti a te, ma le tue linee erano pessime e non facevi nulla per correggerle.»
Appena si sentì nominare la ragazza arrossì, il pensiero che Adrien era distratto da lei, le aveva improvvisamente fatto battere il cuore all’impazzata; si sciolse da quella sensazione di agitazione solo quando il ragazzo al centro dei suoi pensieri parlò.
«Sì, ma ci ha pensato monsieur D'Argencourt a torturarmi le gambe e le braccia per dirmelo. – disse nervoso, facendo ridere tutti e tre – Non c’è nulla da ridere!» protestò ancora mettendo su un finto broncio.
«Oh andiamo, non fare quella faccia da gattino ferito!» lo prese in giro Marinette divertita.

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Capitolo 7
*** Salle à manger ***


Salle à manger
 

I giorni correvano in fretta, l’uno dopo l’altro. Da quella prima lezione erano passate ormai già ben tre settimane e si poteva dire che erano quasi a metà della loro prima tappa lì a Rainbow city. 
I progressi di entrambi i ragazzi all’Accadémie erano sorprendenti, non più del normale, ovvio: Marinette, anzi, attribuiva solitamente tutti i meriti all’insegnante, a cui aveva chiesto pure delle lezioni extra, nei momenti in cui Adrien era impegnato con i suoi servizi fotografici. Eppure ormai la danza classica sembrava avere pochi segreti per loro e monsieur D'Argencourt li aveva definiti i migliori della classe, escludendo ovviamente Alì e Monique. Nonostante tutto però Marinette aveva ancora dei problemi a rilassarsi e dare più grazia ai suoi movimenti rigidi e precisi, mentre Adrien spesso si lasciava prendere talmente tanto dalle sue sensazioni da dimenticarsi completamente delle linee e della tecnica.
Quel giorno era appena finita la lezione e tutti gli studenti stavano per uscire congedati come al solito dall’insegnate, quando questi fermò i due ragazzi chiedendo loro di rimanere qualche minuto. Aspettò pazientemente che tutti gli studenti uscissero dalla sala, l’ultima che varcò la soglia fu Monique che con un aria furbetta, come se sapesse cosa D'Argencourt avesse da dire, fece loro l’occhiolino per poi andarsene.
«Come sapete tra circa cinque settimane completerete il vostro corso qui all’Accademia. – disse risoluto, mantenendo quella sua perfetta posizione in prima, poggiando le mani sul pomo del bastone – Inoltre credo sappiate, come vi è stato riferito all’iscrizione, che alla fine di questo corso dovrete sostenere un esame.»
«Cosa?!» esclamò Marinette sconvolta, fu il biondo a risponderle, mentre l’uomo la guardava un po’ irritato da quell’interruzione improvvisa.
«Era scritto nei documenti che ci hanno dato all’iscrizione. Non li hai letti?» chiese e lei rispose semplicemente scuotendo la testa a destra e a sinistra, vergognandosi di quella sua reazione davvero poco fine.
«Comunque sia non c’è bisogno che si allarmi più di tanto mademoiselle Dupain-Cheng. Manca ancora parecchio a questo evento e avete tutto il tempo di prepararvi. – la rassicurò, poi riprese il suo discorso - Ciò che volevo dirvi è come si svolgerà l’esame in questione. Sarà un saggio suddiviso in tre parti: la prima, ossia la più lunga sarà la vostra esibizione, la seconda sarà l’esibizione di Alì e Monique, infine ci sarà una parte in cui si metterà a confronto la vostra tecnica rispetto alla loro, con determinati esercizi. Chiaro?»
«Chiaro!» rispose Adrien, mentre lei si limitò di nuovo a fare un cenno di testa.
Sentiva seriamente l’ansia assalirle la gola e inaridirla. Non la spaventava solo l’idea dell’esame in sé, ma tutto ciò che comportava. L’essere giudicata, il competere con Alì e Monique che trovava ancora irraggiungibili, per non parlare del fatto che avrebbe dovuto eseguire esercizi di cui lei ancora non si sentiva affatto pronta.
«Vi suggerirei d’iniziare a pensare alla vostra esibizione, visto e considerato che la dovete coreografare voi.» concluse l’uomo andandosene.
«Noi?» chiese dubbiosa Marinette in un sussurro, quando l’insegnante era già uscito.
«Ci ha lasciato in mano una bella bomba… Avrei sinceramente preferito saperlo prima…» commentò Adrien, che però riuscì comunque a riderci sopra.
«Sul serio ti fa ridere?! – esclamò Marinette, rivolgendosi a lui e bloccando la sua risata. – Ti rendi conto che abbiamo solo poco più di un mese per inventarci una coreografia e impararla alla perfezione? Per non parlare degli esercizi da perfezionare. È la fine! – disse mettendosi le mani tra i capelli corvini – Lo so, cadrò durante una piroetta facendo una figura orribile, rideranno tutti di me e…»
«Ehi, ehi calmati… – la rassicurò il ragazzo mettendole le mani sulle spalle – Respira… Andrà tutto bene te lo prometto. Abbiamo tutto il tempo per fare un’ottima coreografia e ti prometto che faremo una bella figura.» le disse con quel sorriso dolcissimo, un sorriso che per un attimo la tranquillizzo, per poi farla tornare nel panico. Avrebbe dovuto ballare con Adrien, all’esame, fianco a fianco con lui.
«Io… Io devo andare…» disse per poi scappare via e uscire dall’aula in cui fino a qualche minuto prima si era svolta la lezione di danza.

 

Adrien rientrò nello spogliatoio con molta calma. Quella era una delle poche volte in cui non doveva correre nel cambiarsi e mangiare di fretta per poi andare a un qualche appuntamento che Nathalie gli aveva già prefissato. 
Come si poteva immaginare, la saletta adibita a spogliatoio maschile era completamente vuota, probabilmente durate il tempo che monsieur D'Argencourt li aveva tenuti a parlare, tutti gli altri ragazzi si erano cambiati ed erano già usciti, per dirigersi alla mensa. L’unica persona che era rimasta lì dentro era Alì, già vestito con i suoi abiti comuni, se per comune si può intendere dei pantaloni dalla piega perfetta color oliva, una camicia bianca stirata in modo impeccabile e un gilet in lana di un marroncino scuro, con una fantasia a rombi verdi. Il ragazzo gli stava sorridendo tranquillamente e lui ricambiò il sorriso, avvicinandosi al suo armadietto e aprendolo.
«Allora? Hai già in mente qualcosa?» chiese tranquillamente Alì, guardandolo spogliarsi.
«Se parli del saggio finale, nulla, anzi a dire il vero me n’ero quasi dimenticato. – a quella sua affermazione il giovane indiano scoppiò in una breve risata – Comunque credo non sia giusto pensare a qualcosa da solo. Insomma l’esibizione sarà di entrambi.» concluse.
«Sicuramente, ma si può comunque partire da una base di idee; inoltre sono sicuro che in un modo o nell’altro Monique farà lo stesso discorso a Marinette.» rispose, mentre lui s’infilava i pantaloni.
«Tu cosa proponi?»
«Beh, considera che, al contrario della nostra esibizione, che sarà composta solo da una canzone, la vostra dovrà essere più lunga, dovrà durarne almeno tre. Quindi io partirei coll’andare all’archivio pubblico dell’Accadémie e trovare tre canzoni che vi ispirino qualcosa; con Marinette, ovviamente.» rispose Alì, alzandosi finalmente dalla panchina, visto che Adrien aveva finito di cambiarsi.
I due uscirono fuori dirigendosi ai dormitori per posare i borsoni del cambio nelle camera, dandosi di nuovo appuntamento alla mensa del residence, per pranzare tutti assieme. Poco dopo raggiunsero infatti le ragazze al solito tavolo per quattro, dove Marinette e Monique stavano chiacchierando su un qualche vestito che la giovane franco-cinese avrebbe dovuto provare, prima di dire che non era adatto a lei.
«Insomma Marinette, per una buona volta potresti darmi retta: hai un fisico stupendo e lo tieni sempre nascosto da quei cosi.» disse con tono irritato la ragazza.
«Questi “cosi” sono jeans e sono comodi, non sono portata per gonne in tweed o robe simili.» sbottò lei, facendo emettere un sospiro esasperato all’amica.
«Alì dille qualcosa anche tu.» insistette cercando manforte dal compagno.
«Cosa vuoi che le dica Monique, probabilmente lo stile elegante e raffinato di Rue Vert non è adatto a lei, se non si sente a suo agio non puoi certo costringerla. L’importante è che danzi bene, no?»
«Sì, ma se in sala è elegante e splendida, appena esce fuori sembra una papera che cammina, con quei jeans orridi e la sua poca grazia.» protestò ancora la mora.
«Ehi!»
«Senza offesa.» specificò, poco convinta.
«Beh, invece mi sono offesa eccome.» brontolò Marinette, infilandosi un’abbondante forchettata di insalata di riso in bocca.
«Sinceramente non capisco quale sia il problema, ognuno ha il suo stile no?» intervenne Adrien, che fino a quel momento era rimasto zitto a mangiare, osservando e ascoltando solamente.
«Certo parli tu! – sbottò Marinette irritata, per poi accorgersi davvero a chi si stava rivolgendo e come – Sì, insomma… Tu… Tu sei un modallo… modello… È normale che tu sia se… sempre impeccabeli… impeccabile.» disse sbuffando alla fine della frase, come se avesse fatto una maratona e non avesse più fiato, mentre le sue guance diventavano rosse.
«A dirla tutta nemmeno lui ha la classe di Rue Vert. – commentò Monique – Quell’eleganza di cui parli si vede solo nelle riviste e nemmeno in tutte.»
«Questo perché tu non apprezzi gli altri stili e gli altri quartieri, miss Snob.» le rispose prontamente Adrien facendole l’occhiolino.
«Com’è che mi hai chiamato biondino? Guarda che la tua bella faccia non mi vieta di tirarti addosso qualcosa!» rispose a tono la mora.
«Ma così anche tu perderesti la tua classe.» continuò a punzecchiarla lui, sorridendo sornione.
«Ti odio…» sbottò lei esasperata.
«Sì, anche io ti voglio bene, Monique.» rispose tranquillamente di rimando lui, riprendendo poi a mangiare.

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Capitolo 8
*** Le Jardin Secret ***


Le Jardin Secret
 

Era strano: non riusciva davvero a comprendere come fosse possibile sentirsi sicura in quel modo e un’attimo dopo cadere nel baratro dell’imbarazzo più totale. Era da ormai un paio d’ore che, come ogni giorno disponibile, dettato ovviamente dagli impegni fotografici del ragazzo, si ritrovavano in una piccola saletta dell’Académie per provare il loro saggio. 
I giorni precedenti avevano scelto accuratamente la musica, deciso alcuni passi da fare ed organizzato gran parte della coreografia, ora non restava loro che aggiungere gli ultimi dettagli e poi, provarla, riprovarla e riprovarla ancora finché non fossero stati perfetti. Ogni tanto monsieur D'Argencourt passava, dando loro istruzioni e consigli ed osservando i loro progressi, almeno quelli che non poteva vedere nelle normali lezioni con lui.
Eppure nonostante i vari giorni di prove, nonostante lo stare insieme praticamente ogni giorno, Marinette provava ancora quel fortissimo imbarazzo che non comprendeva. O meglio, comprendeva benissimo che il ragazzo le piacesse, era chiaro come il sole d’altronde, ma non riusciva davvero a capire com'era possibile che in certi momenti specifici quell’imbarazzo spariva completamente. Era come se quando provassero, a meno che non incrociasse per più di cinque secondi i suoi occhi, la priorità diventasse la danza. Ecco forse era proprio quello: per lei la cosa più importante era la perfezione, l’esercizio, il voler arrivare fino in fondo e dimostrare che ne era capace. Per questo motivo riusciva a stare concentrata anche con quel bellissimo ragazzo a fianco; anche se alcune volte non poteva trattenersi dall’arrossire o sentire il cuore martellarle furioso in petto.
«Ancora dobbiamo decidere la posizione finale della seconda coreografia.» commentò Adrien, separandosi da lei, dopo l’ennesima prova del passo a due.
«Sì a proposito di questo, avevo pensato a una cosa durante la lezione di questa mattina.»" le rispose lei, asciugandosi un’attimo il sudore dalla fronte, con l’asciugamano che teneva appesa alla parallela. La riposò e si rivolse nuovamente verso di lui.
«Tu concludi con un tour en l’air e io con un arabesque, giusto?»
«A-ah...» pronunciò semplicemente il ragazzo, seguendo attentamente il suo discorso.
«Ecco se tu invece che concludere in quinta, concludessi a terra ed io trasformassi il mio normale arabesque con uno penché, mentre tu mi sostieni?» a quella proposta vide gli occhi verdi di Adrien illuminarsi.
«È geniale!»
«Di-dici sul serio?» chiese lei arrossendo per l’ennesima volta.
«Certo che dico sul serio, è perfetto! Così si collega poi al balletto successivo.» si complimentò di nuovo il ragazzo.
«Esatto! Inoltre se tu sei già a terra ed io sono di fianco a te ci verrà più facile metterci seduti nella posizione giusta per l’inizio della terza coreografia, anche al buio.»
«Beh allora facciamo una prova...» disse di nuovo il biondo prendendo posizione al centro della saletta.
«Ok, riprendiamo dal mio manège...»
Si misero entrambi in posizione. Adrien rimaneva fermo immobile, il piede destro ben piantato al terreno e la gamba sinistra flessa un po’ in avanti, mentre le braccia erano una alzata sopra la testa e l’altra distesa verso la ragazza. Lei invece eseguì una serie di passi, seguendo un immaginario percorso circolare.
Dopodiché il biondo si allontanò con due lunghi passi flettendo sempre le gambe alla fine e nel mentre che Marinette interrompeva con il suo movimento, lui fece un balzo. Nell’istante in cui si trovò in aria ruotò di trecentosessanta gradi, dopodiché atterrò sul ginocchio destro, nello stesso istante in cui la ragazza si era avvicinata a lui e tenendosi sulla sola punta del piede destro, sollevò completamente l’altra gamba ritrovandosi ad eseguire quasi una spaccata verticale.
Rimasero così solo per qualche secondo, giusto il tempo che Marinette si rendesse conto di quanto il suo viso era vicino a quello di Adrien, dopodiché si allontanò.
«Allora, com’era secondo te?» chiese il biondo, alzandosi da quella posizione.
«Di-direi che va bone... bene. L’unica casa... – emise uno sbuffo cercando di riprendere il controllo – L’unica cosa è che forse dovresti atterrare con il sinistro e non con il destro.»
«Sarà fatto my lady!» le rispose prontamente lui con un’occhiolino, facendola arrossire nuovamente.
«B-beh direi che per oggi possiamo finire, no?» chiese la ragazza.
«Decisamente, ho le gambe a pezzi! Ci vediamo questa sera per la cena?»
«Veramente no... Nathaniel mi ha invitata a mangiare fuori questa sera, quindi non ci sarò a mensa.» rispose la ragazza.
«Cosa?!» domandò stupito lui, nei suoi occhi verdi si notava una certa nota d’irritazione per quella notizia.
«Sì, mi ha invitato due giorni fa. Sono andata nel suo negozio per comprare un body di ricambio e vedere qualche vestito per il saggio e mi ha proposto di andare a Le Jardin Secret con lui.»
«Capisco...» borbottò.
«C’è qualche problema per caso?» domandò nuovamente la ragazza con un tono tra il dolce e il preoccupato, come se avesse paura di averlo ferito in qualche modo.
«No no, figurati, puoi uscire con chi vuoi. È solo che mi ha preso alla sprovvista, tutto qui.»
«Bene, allora a domani!» esclamò entusiasta lei, come sollevata, uscendo dalla saletta.

 

«Ripetimi perché lo sto facendo...» brontolò Alì, stando seduto al tavolo con un aria più che annoiata.
«Perché sei mio amico.» rispose Adrien, che però non era affatto attento a lui e continuava a guardarsi intorno, come alla ricerca di qualcosa o di qualcuno.
«Sì... solo quando ti conviene.» si lamentò nuovamente il giovane indiano, leggendo svogliatamente il menù del ristorante.
«Eccolo lì...» disse con un sibilo, rivolgendo al ragazzo dai capelli rossi accesi uno sguardo tagliente, che il diretto interessato non poteva notare visto che era intento ad osservare le sue stesse dita che si contorcevano nervose.
Era ancora da solo al tavolo, che si trovava quasi dal lato opposto del locale, rispetto a dove si trovavano loro, ma Adrien sapeva che prima o poi dalla porta sarebbe entrata l’altra commensale.
«Cosa ci troverà in quello stoccafisso che sembra avere un pomodoro in testa?!» si lamentò nuovamente il biondo.
«Magari nulla, magari tutto. O magari sei tu paranoico. – commentò esasperato Alì – Possiamo ordinare? Stiamo aspettando da ormai venti minuti e sto morendo di fame.»
«Non finché non arriva lei. Dobbiamo ordinare all’incirca nello stesso momento in cui lo fanno loro, così che ci mettiamo lo stesso tempo che ci mettono loro a mangiare.»
«Sì, ma i camerieri stanno iniziando a guardarci malissimo. Lo sai che Le Jardin Secret è uno dei posti più di classe che esistano a Rue Vert, vero? Non puoi...» il resto delle parole di Alì divennero ovattate, come lontane; una figura era entrata nel locale e Adrien era rimasto completamente incantato dalla sua figura.
I giorni passati a Rue Vert e al fianco di Monique, l’avevano resa una bella ragazza di classe, nulla a che vedere con la giovane impacciata e sempre in jeans che aveva conosciuto a Col Blanc. Indossava un bellissimo vestito color pesca, in pendant con le scarpe un po’ più scure, che tendevano al rosa salmone. I capelli corti erano raccolti solo ai lati da due treccine che si univano dietro la nuca, lasciando il resto della chioma corvina sciolta, a sfiorarle appena le spalle, coprendole il collo. Infine, la borsetta, che non teneva più a tracolla come faceva di solito, ma solo su una spalla, era composta da una catenella d’oro che si concludeva con una bellissima ed elegantissima pochette rosa.
«Chiudi la bocca Adrien o ti entreranno le farfalle.» commentò Alì, prendendolo in giro.
Il biondo si riscosse da quella visione, continuando però a seguire la sua sagoma perfetta con lo sguardo, fino a che non si sedette al tavolo con il rosso.
«Tutta quella cura nel vestirsi per uno del genere.» commentò irritato.
«Beh, è il commesso di un negozio di vestiti, di sicuro se ne intende di look.»
«Ah, per favore! – protestò ancora il biondo – Sono un modello, figlio di uno stilista, se permetti ne so più io di look di quello lì.»
«Adrien perché semplicemente non ammetti che Marinette ti piace?» disse Alì, dopo un sospiro esasperato, ma a quella domanda il ragazzo arrossì vistosamente.
«Io con... No, no... Lei è solo un’amica!»
«Sì certo... Ed io sono il principe dell’India. Ora per favore potremmo mangiare?»

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Capitolo 9
*** Académie Rue Vert ***


Angolo dell'autrice:
Ehilà, sì lo so è strano che io faccia un angolo dell'autrice, ma in questo caso è importate e lo farò ogni qualvolta ci sarà questo genere di capitolo in questa fan fiction, più che altro perché devo spiegarvi (e in futuro ricordarvi) una cosa...

Questa Alternative Universe è ispirata al videogioco "Kira Kira Pop Princess" per questo motivo ho usato le canzoni del gioco. Ho deciso perciò di registrarle per permettervi di sentirle. Le trovate sulla mia pagina Facebook, LadyNoir World (purtroppo non posso caricarle direttamente qui su EFP), quindi se volete, vi suggerisco di andarle a cercare ed ascoltare, mentre leggete il capitolo.
A questo punto vi posso lasciare alla lettura.

 

Académie Rue Vert
 

Marinette fece un grosso respiro, cercando di tranquillizzarsi, ma l'ansia non passava: si sentiva proprio come quando si era recata a tutti quei provini in cui l’avevano rifiutata, con la grossa differenza che ora si sarebbe esibita non solo di fronte a una giuria, ma anche di fronte ad un pubblico, in un vero teatro e ballando danza classica che in realtà era solo da due mesi che studiava.
Adrien le afferrò il pugno, che ancora teneva serrato, nel vano tentativo di non tremare.
«Andrà tutto bene Marinette, vedrai. Abbiamo provato tanto e ieri è stato tutto perfetto. Anche gli esercizi dell’ultima parte dell’esame li abbiamo fatti bene.»
Lei fece solo un cenno di testa, mentre la sua mente continuava a ripassare ogni singolo movimento, ogni singolo passo, alla perfezione. Solamente quando le luci si spensero e il sipario si chiuse, distolse i suoi pensieri da tutto quello: non c’era più tempo per pensare, ora bisognava agire; ora doveva dimostrare a tutti cos’aveva imparato.
«Sei pronta?» le chiese il biondo guardandola dritta negli occhi, nella semi oscurità delle quinte.
«Pronta!» rispose decisa lei. Non si stupì nemmeno della sua sicurezza nell’incrociare il suo sguardo, la cosa più importante in quel momento era fare un buon numero e la sua concentrazione era al massimo, nulla l’avrebbe distratta.
Si posizionarono sul palco: lei nell’angolo sinistro in fondo e lui all’ingresso delle quinte, con alle spalle altri ballerini, concessi dall’accademia per la prima parte della coreografia. Questa prima parte vedeva infatti Adrien marciare, o meglio danzare in modo che sembrasse una marcia, assieme agli altri, in divisa, come fosse un soldato. 
Il sipario si aprì, esponendo Marinette all’immenso pubblico e agli insegnanti di danza, tra cui ovviamente anche D’Agencourt. Lei però li ignorò completamente, rimanendo impettita in prima posizione.
La musica partì e il gruppo di ragazzi, guidato dal giovane modello, entrò in scena con una serie di passi. Non appena iniziò la parte di musica con il flauto iniziarono a fare passi più complessi, sempre tutti perfettamente in sincrono. Il pubblico sembrava quasi incantato da quella prima performance. Forse più per la coreografia stessa e la perfezione quasi magica di quei corpi che si muovevano all’unisono, piuttosto che per ciò che rappresentavano.
L’obbiettivo di Marinette e Adrien, quando crearono quella prima coreografia era però proprio quello. Il pubblico doveva essere distratto, non doveva capire subito cosa stava succedendo, doveva solo vedere dei giovani uomini in divisa che marciavano e danzavano, con sullo sfondo quella che sembrava ancora una semplice ragazza. Una ragazza che nelle ultime battute, quando la canzone ripeteva il pezzo coi clarinetti, si iniziava a muovere attirando proprio nelle ultime note, lo sguardo di tutti quanti. Pubblico, insegnanti, ma soprattutto degli altri ballerini.
Le luci si spensero alla fine di quella breve coreografia, ma tutto il pubblico sapeva che ancora non era il momento degli applausi e il silenzio assoluto regnava nel piccolo teatro dell'Académie, tanto da riuscire a sentire i passi dei ballerini di supporto che si allontanavano dalla scena, battendo sul parquet del palcoscenico.
La luce tornò, un po' più soffusa, proprio mentre la musica ripartiva. 
Marinette era ancora sul fondo del palco, ma questa volta, nonostante ci fosse anche Adrien, l’attenzione di tutti era su di lei. Lei in quel bellissimo vestito di tulle, tipico del balletto classico. Lei che, all’inizio della musica su quelle delicate note, sempre di clarinetto, sebbene fossero di un’altra canzone, attraverso un paio di gesti eleganti si tramutò. Sollevando le mani verso al viso per qualche secondo e tirandole via verso gli zigomi si sistemò una maschera rossa a pois neri sugli occhi. Infine, portando le mani dietro la schiena staccò il pezzo di stoffa bianco che copriva il tutù, mostrandone un altro che s’intonava perfettamente con la maschera.
Dopodiché incominciò a prendere il centro del palco, con alcune pirouette, per poi ricominciare con gesti delicati e fluidi a danzare.
Quando la musica cambiò di nuovo ritmo, Adrien finalmente si mosse, porgendole la mano. Questa però si avvicinò di qualche passo è proprio nel momento in cui era sul punto di toccarla tornò sui suoi passi, indietreggiando, come intimorita. 
Tutta l’ultima parte della canzone fu così, lasciando vedere al pubblico un giovane soldato che tentava di approcciarsi con quella bella fata dai colori della coccinella, mentre ballavano quasi in parallelo e in sincronia, completandosi a vicenda nonostante non andassero all’unisono e non facessero gli stessi passi.
Non appena la canzone stava per finire, ecco che conclusero con il passo che avevano provato di più. Adrien eseguì un tour en l'air perfetto, mettendosi in ginocchio, mentre lei portando in alto la gamba sinistra, come a voler toccare con la punta del piede il cielo, fece un arabesque penché, sostenuta da lui.
La canzone finì e questa volta fu quasi impossibile per il pubblico trattenere un piccolo applauso, mentre gli insegnanti iniziavano a bisbigliare tra di loro qualcosa.
Le luci si spensero di nuovo e i due ragazzi si prepararono per il gran finale di quella coreografia.
Quando le luci si riaccesero erano seduti sul parquet, schiena contro schiena. Nella loro idea di storia, il soldato e la fata si erano innamorati, quindi probabilmente il pubblico si sarebbe aspettato una canzone romantica, che concludesse con una nota di dolcezza quel piccolo spettacolo. Loro invece, nel tentativo di stupire scelsero un Allegro e quando partì lo stupore generale fu subito ripagato. Nonostante i battiti veloci del ritmo, i loro movimenti continuavano ad essere eleganti e calibrati. 
Fra sauté, balancé e jeté i due ragazzi davano, e dovevano dare, l’impressione di essere due innamorati che giocano a rincorrersi e cercarsi. Concludendo poi, nelle ultime battute, con una pirouette di lei, sostenuta da lui che le stava alle spalle, fermandosi all’ultima nota in un mezzo arabesque, intrecciati.
Questa volta le luci rimasero accese quando la canzone finì e anche mentre l’applauso inondava il teatro. I due si staccarono e mettendosi in terza posizione fecero due inchini, incrociando davanti prima il piede destro e poi il sinistro.

 

Il sipario si chiuse sui loro inchini e non appena le tende furono completamente tirate, entrambi emisero un sospiro di sollievo, per poi dirigersi verso le quinte.
Ad accoglierli vi erano Monique e Alì. Lei vestita con un elegante tutù bianco e piumato e in testa una coroncina anch’essa decorata con piume bianche, lui con un completo nero molto elegante che lo faceva sembrare una specie di principe.
«Siete stati bravissimi! – disse entusiasta Alì con un sorriso sincero – Vero Monique?» chiese rivolgendosi poi alla compagna.
«Sì siete state bravi... In alcuni passi siete ancora imprecisi, ma tutto sommato potreste essere considerati i migliori della scuola. Dopo di noi ovviamente.» rispose la mora tutto d’un fiato.
Il giovane indiano, vedendo le facce un po’ deluse dei due amici sospirò, per poi rimproverarla.
«Monique, tu e quella tua lingua tagliente... Hai l’aspetto di un cigno, ma ti comporti da serpente.»
«Ho detto solo la verità.» precisò la ragazza, senza nemmeno una smorfia o un tono di pentimento nel suo viso e nella sua voce.
«Muoviti che tocca a noi!» disse lui sospirando nuovamente e prendendola per il braccio per poi trascinarla sul palco.
Poco dopo il sipario si aprì su di loro: avevano deciso di portare una rappresentazione de “Il Lago dei Cigni” con una scelta particolare di musica.
Marinette, seduta a terra, proprio dietro le quinte, stava facendo stretching per scaldare i muscoli.
«Sono bravissimi...» gemette quasi disperata, senza riuscire a distogliere lo sguardo dai due ragazzi che stavano danzando sul palco.
«Stai tranquilla! Non è una gara, è solo un confronto.» cercò di rassicurarla Adrien, che si stava afferrando il piede dietro la schiena, per riscaldarsi pure lui.
«Anche confrontarmi con loro mi terrorizza.» rispose lei, mentre i due sul palco continuavano a ballare elegantemente; i loro movimenti erano perfetti e aggraziati.
Quando conclusero l’applauso fu carico di entusiasmo.
«L’ultimo sforzo!» disse Adrien aiutando la ragazza a rialzarsi.
«Ce la faremo?» chiese dubbiosa Marinette.
«L’importante è mettercela tutta, ok?» le disse il biondo, facendole l’occhiolino, lei arrossì leggermente poi fece un cenno con la testa.
La voce del professor D’Agencourt echeggiò nel piccolo teatro, facendo ammutolire qualsiasi altro brusio.
«Ora gli allievi dovranno eseguire a ritmo di musica alcuni esercizi base della danza classica. I ragazzi si sono esercitati in qualsiasi tipo di passo, ma non sanno quali gli verranno richiesti oggi. I passi compariranno sullo schermo alle loro spalle.»
Con un grosso respiro Marinette entrò di nuovo in scena, seguita da Adrien. Si posizionarono nell’angolo sinistro, mentre Monique ed Alì si trovavano in quello destro. Non appena l’insegnante si risedette, la musica partì e la prima parola francese comparve sullo schermo: Balancé.
Quasi in sincrono i ragazzi partirono assieme, sollevando la gamba sinistra, quando la riportarono giù, fecero due passi in quella direzione, per poi sollevare la gamba destra. Poi due passi incrociati indietro e un paso in avanti sollevando la gamba sinistra verso dietro, altri due passi indietro e un giro sulla punta con la gamba destra nuovamente sollevata indietro. Infine due passi incrociati in avanti e tre giri semplici, accompagnati da alcuni passetti per poi concludere con il peso sulla gamba destra e la sinistra sollevata di novanta gradi.
Non ebbero il tempo di proseguire perché la parola alle loro spalle cambiò: Pas the chat. Non ne era sicura, ma Marinette giurò di aver sentito Adrien sussurrare qualcosa come «Il mio preferito», prima di mettersi in posizione ed eseguire quei buffi saltelli incrociati prima verso sinistra e poi verso destra.
La scritta cambiò di nuovo: Grand Allegret.
In quella parte partirono le ragazze, facendo una serie di passi lunghi e studiati, tanto da calcare tutto il palco, intervallati da salti in cui aprivano le gambe facendo una spaccata in aria verso avanti. Poi i ragazzi fecero lo stesso, partendo dal lato opposto per poi tornare con degli eleganti passi vicino alla rispettiva partner e accompagnarla verso il centro del palco. Non appena ebbero conquistato il centro della scena, le sollevarono in aria, tenendole dalla vita, mentre loro si stendevano di nuovo in quella spaccata.
Infine arrivò l’ultima parola, quel passo che fa tremare ogni allievo di danza classica che si rispetti, quel passo che conoscono tutti e che tutti si chiedono come sia possibile farlo, ma che sia Adrien che Marinette avevano provato fino allo stremo: Pirouettes. 
Con un grosso respiro Marinette si posizionò in prima, poi allungò la gamba sinistra e iniziò a girare. Era sicura che anche gli altri tre stessero facendo la stessa cosa, ma lei era troppo concentrata per notarli e, mentre il mondo vorticava intorno a lei, si mise a contare quanti giri stesse facendo. Solo quando la musica finì si fermò, percependo le braccia forti di Adrien prenderla per la vita.
«Quanti ne hai fatti? – le sussurrò all’orecchio – Io diciotto...»
«Venti, credo.» rispose lei sempre a bassa voce.
Gli altri due si avvicinarono a loro, complimentandosi degli esercizi appena svolti, mentre il vociare nel teatro era ormai intenso, visto che i giudici erano intenti a decidere.
Solo quando l’insegnante D’Agencourt si alzò nuovamente, calò per la seconda volta il silenzio assoluto.
«Marinette Dupain-Cheng e Adrien Agreste. – disse, e i due ragazzi s’impettirono ancora di più – Per l’impegno svolto, per l’eleganza mostrata e per la capacità appresa, vi annuncio che avete superato l’esame. Siete promossi!»
A quelle parole un fragoroso applauso si scatenò dal pubblico, mentre Marinette si gettò entusiasta tra le braccia di Adrien, stringendolo. Solo qualche secondo dopo, quando si rese conto di cosa stesse facendo, si allontanò da lui, completamente rossa in viso.
«Hai visto? – le disse contento lui – Te l’avevo detto che ce l’avremmo fatta.»

 

Adrien stava sistemando i suoi bagagli, quando il suo cellulare cominciò a squillare insistentemente. Allungò la mano all’apparecchio e, dopo aver accettato la chiamata, rispose.
«Nathalie?»
«Noi vi stiamo attendendo al ponte signorino Adrien.» rispose freddamente la segretaria.
«Sì sì, il tempo di sistemare i bagagli, salutare tutti e arriviamo.» rispose il biondo, piegando una maglietta e infilandola nella valigia.
«Ah quasi dimenticavo, suo padre si congratula con lei.» aggiunse la donna.
«Sì... Immagino... Beh a dopo Nathalie.» rispose un po’ scocciato il ragazzo chiudendo poi la chiamata.
Finì di svuotare l’armadio e poi, con il trolley appresso, uscì dalla stanza. Arrivato all'ingresso dell’Accademia consegnò le chiavi alla segreteria con un sorriso.
«E così la tua avventura a Rue Vert finisce qui?» chiese la ragazza dietro al bancone.
«A quanto pare sì...» sorrise lui.
«A proposito, i tuoi amici mi hanno detto di riferirti che ti aspettano a Le Jardin Secret.»
«Perfetto grazie, alla prossima Clarisse.»
«Alla prossima Adrien.» ricambiò il saluto lei.
Poco dopo entrò nel locale e avvistò subito il tavolo dov’erano seduti tutti. Ebbe quasi un brivido lungo la schiena a vedere Nathaniel così vicino a Marinette, che sembrava quasi ridere a una qualche battuta, ma con tutta la classe che riuscì a tirare fuori si avvicinò al tavolo, impassibile.
«Come al solito sei l’ultimo.» lo rimproverò Monique, vedendolo arrivare.
«Le star si fanno sempre attendere.» disse ironicamente lui sedendosi a fianco a Marinette, dal lato opposto del rosso.
«Kutzberg...» lo salutò a malapena, per poi ignorarlo completamente e rivolgersi alla cameriera che si era avvicinata al tavolo per prendere la sua ordinazione. Ben presto davanti a lui ci fu una tazzina di caffè fumante e un grosso bignè alla crema su cui si avventò subito; a quel suo gesto Alì scoppiò a ridere.
«Adrien, sembra che non mangi da giorni.» disse singhiozzando per le risate.
«Io amo quostoi bignè!» disse parlando con la bocca piena, Marinette si portò divertita una mano alla bocca, mentre Monique sospirò.
«Se c’è una cosa che non hai imparato stando qui è la grazia; insomma guarda Marinette com’è delicata e perfetta.» lo rimproverò come al solito la mora.
«Una fantastica ragazza di classe.» specificò Alì, complimentandosi con lei.
Lui ingoiò il boccone e si pulì la bocca con il tovagliolo.
«Lei è sempre stata una principessa, anche prima di imparare lo stile di Rue Vert.» disse volgendo i suoi occhi smeraldini verso di lei e vedendola arrossire vistosamente, per poi abbassare lo sguardo e sussurrare un lieve ringraziamento.
Continuarono a chiacchierare, concludendo la colazione, dopodiché uscirono dal locale e si dovettero salutare.
«Beh Marinette... Direi che non ho davvero più nulla da insegnarti.» disse Monique sorridendole e porgendole la mano.
La brunetta sorrise, per poi abbracciarla e prenderla alla sprovvista. Quando si staccò le rivolse la parola.
«Monique, se sono arrivata fino a qui, ho superato l’esame e sono diventata una ragazza a modo, lo devo solo a te.»
«Ah questo è ovvio!» si vantò la giovane ballerina, scostandosi i capelli castani con un gesto elegante.
«Non cambierai mai, eh?» la stuzzicò Adrien, ricevendo in cambio un’occhiata offesa.
«Mi raccomando non perdete la vostra classe e la vostra grazia negli altri quartieri. Ricordatevi che, che ne dicano i ballerini di altre discipline, se si ha una buona base di danza classica si può ballare qualsiasi altra cosa.» specificò lei.
«Grazie mille anche a te Alì sei stato una spalla fantastica.» disse Adrien facendogli l’occhiolino.
«Spero non torturerai così anche i ragazzi delle altre zone di Rainbow city, anche perché non credo saranno così pazienti come me.» disse ridendo il giovane indiano, salutando cordialmente il biondo.
Marinette salutò con un abbraccio anche Nathaniel, facendo diventare il suo volto dello stesso colore dei capelli. Adrien che aveva guardato, quasi, con astio quel gesto, dovette trattenere una risata: in quel momento sì che sembrava un vero e proprio pomodoro.
Dopo i vari saluti i due ragazzi attraversarono tutta Rue Vert, diretti alla limousine di Adrien, oltre il ponte, verso un altro quartiere. Avevano imparato ad essere e sentirsi più eleganti, avevano imparato un po’ della raffinatezza dei ragazzi di Rue Vert ed erano pronti per una nuova avventura.

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Capitolo 10
*** Nous Joe ***


Nous Joe
 

«Però non capisco, perché abbiamo iniziato dal verde?» chiese Marinette. Rispetto al suo primo viaggio sulla limousine della famiglia Agreste, era molto più sciolta e tranquilla, anche se ogni tanto, quando incrociava lo sguardo verde e intenso del suo compagno di viaggio, sentiva le sue guance andare in escandescenza comunque e la sua lingua si annodava come al solito.
«Come ha detto Monique, con le basi di danza classica si riesce più facilmente a imparare gli altri stili, almeno questo è quello che mi ha sempre detto Tikki.» rispose il biondo.
La ragazza sospirò, guardando fuori dal finestrino oscurato. Tikki, chissà se un giorno il suo sogno si sarebbe realizzato riuscendo ad esibirsi al suo fianco.
Adrien la distrasse di nuovo dai suoi pensieri.
«Sei brava nei videogiochi?» chiese.
«Eh?» si voltò verso di lui con un’espressione confusa stampata in volto.
«Nei videogiochi, sei brava?» ripeté lui, facendo il gesto di premere i tasti ad un joystick invisibile.
«Sì… Insomma io e… io e mio padre giocovamo… giocavamo spesso quando ero piccola…» rispose lei, tornando nuovamente a balbettare.
«Oh beh, allora saranno divertenti questi due mesi.» sentenziò lui con un sorriso smagliante, che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi ragazza ai suoi piedi.
«Por-Perché?»
«Perché a Pêache Zone è pieno di sale giochi. In fondo è il quartiere elettronico.»
«Sarà dura passare dall’eleganza della danza classica allo stile particolare dell’elettronica.» sospirò la ragazza.
«Un’altra sfida…» le rispose lui, facendole l’occhiolino, a quell’ultimo gesto lei arrossì di nuovo e rimasero in silenzio per tutto il resto del tragitto.
Il viaggio fu leggermente più lungo di quello da Col Blanc a Rue Vert. Il quartiere di Pêache Zone si trovava esattamente dal lato opposto di Rainbow city, rispetto a dove si trovavano prima, quindi passarono più di un quarto d’ora in auto.
Marinette si accorse che si stavano avvicinando, non appena iniziò a notare gli immensi grattacieli da lontano. Quando entrarono nel quartiere però la meraviglia fu moltiplicata: sembrava quasi di essere entrati in una New York in miniatura. Gli immensi palazzi erano tappezzati di insegne luminose che pubblicizzavano ogni tipo di cosa, principalmente videogiochi e negozi di elettronica, ma anche snack, ristoranti e molto altro.
Non appena entrarono Adrien abbassò il vetro divisorio che li separava dalla zona dell’autista e si rivolse all’energumeno che stava alla guida.
«Potresti lasciarci davanti al Nous Joe?» chiese semplicemente, poco dopo la limousine si fermò e i due scesero.
«Nathalie, le valige falle portare all’Électron, va bene?» disse rivolgendosi alla segretaria, ancora dentro l’auto. Lei rispose solo con un cenno di testa, poi Adrien chiuse la portiera e la lunga auto nera ripartì.
«Ma non c’era bisogno, insomma potevamo benissimo portarcele dietro.» disse Marinette dispiaciuta di far fare lavoro in più ai due dipendenti di Adrien.
«Non potevamo certo entrare dentro la più grande sala giochi di tutta Pêache Zone con le valigie.» rispose lui, per poi prenderla per mano e trascinarla dentro l’enorme edificio che si parava loro davanti. A quel gesto la ragazza, come al solito arrossì, ma quando fu dentro tutto quell’imbarazzo sparì improvvisamente, sostituito dallo stupore più assoluto.
Quel luogo era il paradiso per ogni video-giocatore: la luce soffusa e i neon delle macchinette davano quasi l’impressione di essere entrati in un mondo parallelo, in stile Thron.
«È… È fantastico!» riuscì solamente a dire continuando a guardarsi intorno.
Adrien la guardava divertito, come se sperasse proprio in quella sua reazione: il suo volto illuminato dallo stupore, proprio come lo era stato la prima volta che aveva visto Rue Vert, lo rendeva felice. La stava ancora ammirando, quando qualcuno lo salutò.
«Ehi bro, di nuovo da queste parti?» disse una voce che lui conosceva bene. Si girarono entrambi, sia lui che Marinette al suo fianco.
«Nino, che bello rivederti!» sorrise lui dandogli il pugno, che fece scontrare su quello scuro del ragazzo.
«Allora? Come mai qui? Nuovo servizio per la sala giochi, oppure sei venuto a divertirti un po’.» chiese curioso l’amico.
«Nessun servizio. Marinette ed io abbiamo iniziato due mesi fa il tour di Rainbow city e dopo essere stati promossi a Rue Vert, la seconda tappa è questa.»
«Marinette, eh? – chiese il ragazzo, volgendo lo sguardo verso la corvina – Piacere io sono Nino.» si presentò porgendole la mano.
«Il piacere è il mio.» rispose lei.
Nino era un ragazzo poco più basso di Adrien, dalla pelle scura con un cappellino rosso in testa, che gli copriva quasi completamente i corti capelli crespi, gli occhiali dalla montatura spessa e nera e un paio di cuffie al collo.
«Sai Marinette, si può dire che Nino sia il miglior dj di tutta Rainbow city.» disse Adrien.
«Ma smettila! – protestò l’amico – Sei solo di parte. C’è gente molto più brava di me. Forse il dj più bravo di Pêache Zone, questo sì.»
«Beh, io pensavo di far provare qualche gioco a Marinette, prima di andare all’Électron. È arrivato qualcosa di nuovo?» chiese il biondo, guardandosi attorno, come se notasse solo in quel momento la confusione che c’era dentro alla sala giochi.
«Oh sì… È arrivato Ultimate Mecha Strike 3!» rispose subito lui.
«Ultimate Mecha Strike? Adoro quel gioco!» esclamò Marinette, gli occhi le si erano illuminati.
«E fu così che scoprii il lato nerd di Marinette…» la prese in giro Adrien, con una risata divertita. Lei gli tirò un pugnetto sull’avambraccio, con un aria tra l’offeso e l’imbarazzato.
«Venite, vi porto alla postazione, ma vi avviso che ora ci sta giocando Max e dubito che qualcuno riuscirà a battere il suo record. Lui è il re di questa sala giochi, praticamente è sempre qui a stracciare chiunque lo sfidi.» li avvisò Nino.
I tre ragazzi s’inoltrarono nei meandri di quella foresta di neon, macchinette da videogame e schermi. Marinette continuava a guardarsi attorno come fosse tornata bambina e fosse entrata al parco giochi, probabilmente avrebbe volentieri smesso il tour, dimenticandosi il suo sogno, se l’avessero mollata là dentro.
Appena arrivarono al centro del locale videro un capannello di ragazzi che urlavano e incitavano qualcuno.
Si avvicinarono e Adrien dovette allungare il collo per riuscire a vedere, un pezzo dello schermo in cui si stava disputando una battaglia del picchiaduro. 
«Cosa succede?» chiese Marinette, che continuava a muoversi nella speranza di trovare un buco libero per vedere o passare, essendo più bassa del ragazzo.
«Credo che Max stia vincendo…» commentò il giovane modello.
Poco dopo ebbero la conferma, perché l’audio del gioco decretò il suo Game Over, nelle ovazioni e negli applausi di quegli improvvisati spettatori, mentre lo sconfitto si allontanava a testa bassa.
«Ultima partita della giornata, c’è qualcuno che vuole sfidarmi?» chiese una voce acuta, proveniente proprio dal centro del gruppo.
«Io!» urlò Marinette alzando la mano.
Adrien si voltò stupito verso di lei, quasi sconvolto, mentre i ragazzi davanti a lei si spostavano per lasciarla passare e permetterle di raggiungere il ragazzo di colore con gli occhiali rettangolari e la maglia verde che si trovava davanti allo schermo con due joystick in mano.
«Tu?» chiese stupito il ragazzo, mentre lei lo raggiungeva, seguita dal biondo che non si sarebbe perso nemmeno un secondo di quell’incontro.
«Sì... Qualche problema? Sono una ragazza, ma non sono una principiante.» sentenziò Marinette afferrando il joystick.
«Bene, allora giochiamo!» rispose entusiasta l’altro video-giocatore.

 

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Capitolo 11
*** Ultimate Mecha Strike ***


Ultimate Mecha Strike
 

Marinette ci mise un po’ a decidere il robottone da usare, era indecisa tra quello rosa shocking, molto simile a una Idol versione robotica e un grosso robottone rosso a pois neri, alla fine optò per il secondo.
Sullo schermo apparve la schermata iniziale della sfida, dove le loro due scelte di combattenti si fronteggiavano l’uno di fronte all’altro. In alto comparvero le vite, due lunghi rettangoli gialli, e l’energia, tre ovali azzurri. Dopodiché, mentre i personaggi molleggiavano l’uno di fronte all’altro ecco le scritte che davano il via.
Round 01
Fight
Senza perdere tempo Marinette mosse il suo personaggio verso l’avversario tentando degli attacchi semplici e diretti. Max però era parecchio abile e con alcuni salti e schivate evitò tutti i colpi, per poi colpire il suo robot; la barra della vita dal suo lato si ridusse di un po’, diventando rossa.
Per vincere doveva impegnarsi di più. Conosceva alla perfezione quel gioco e sapeva ogni combo e tecnica di ogni personaggio, ma voleva prima comprendere come giocasse il suo avversario, per essere sicura di usare la strategia e la sequenza di colpi giuste.
«Non mi sembri così brava come dici.» la prese un po’ in giro il ragazzo di colore, mentre con precisione continuava a premere i pulsanti del suo joystick facendo in modo che il suo robot nero e verde colpisse quello della ragazza. Lei ormai era, quasi, a metà vita, mentre lui aveva perso sì e no una ventina di life point, non di più.
Adrien stava seguendo attentamente la partita, come d’altronde tutto il gruppone che stava loro attorno, in religioso silenzio esultando o lamentandosi, solo a seconda delle azioni belle.
Lui però era più concentrato a guardare Marinette, o meglio come stava giocando. Non riusciva davvero a comprendere: si era vantata tanto di amare quel gioco, aveva avuto il coraggio di sfidare Max ed ora invece stava perdendo; o meglio, sembrava stesse perdendo, perché aveva l’aria svogliata di una che si stava annoiando o che in qualche modo stava studiando il nemico, non di certo di una che, scarsa o meno, s’impegna il più possibile per vincere.
All’improvviso però la vide cambiare posizione, prendendo il joystick in un modo particolare e alquanto strano. La mano sinistra continuava a stare ancorata alla sua parte, con il pollice sul joypad, mentre con quella destra, lasciò la presa e poggiò le dita sui tasti, come stesse per suonare un pianoforte e non di certo come se stesse giocando ad un videogame. All’improvviso però, dopo quel gesto, la situazione sembrò ribaltarsi. 
I colpi di Marinette diventarono finalmente precisi e talmente veloci da mettere in difficoltà il suo avversario che non riusciva più a schivarla così bene. Max digrignò i denti mentre il suo robottone sullo schermo le prendeva di santa ragione. Lei, invece, nel suo tentativo di concentrarsi al meglio, aveva tirato fuori la lingua e ora la teneva a lato della bocca. Adrien sorrise a quel suo gesto, era davvero adorabile, tutta concentrata nello scontro.
All’improvviso la ragazza sfruttò l’energia del robot, facendo uno degli attacchi speciali del suo personaggio e tutti trattennero il respiro stupefatti dal suo improvviso talento. 
Lei, premendo ancora i tasti in quella maniera particolare che usava sempre contro suo padre, quando giocavano insieme ai videogiochi, continuava imperterrita a colpire il suo avversario. Ormai le mancava davvero poco. 
Era riuscita a fare in modo che la vita del robot di Max, arrivasse più o meno alla sua stessa percentuale.
«Ora, una danza del drago e un triplo fiore di loto… – disse ad alta voce e ad ogni frase eseguiva la mossa e la sua voce diventava sempre più euforica – Salto mortale con lo stile di Marinette e… Favolosa!!» si complimentò infine da sola, quando i life points del personaggio di Max arrivarono a zero.
L’applauso che ne conseguì fu chiassoso ed euforico e lei si voltò ringraziando tutti i presenti, diventando nuovamente la solita e timida Marinette, tutta rossa e con la mano che non teneva il joystick dietro la nuca in segno di vergogna.
«I miei complimenti…?» disse il ragazzo di colore porgendole la mano e assumendo uno sguardo interrogativo.
«Marinette!» rispose lei, stringendogliela con un sorriso.
«Sei stata davvero brava. È stata una bellissima sfida.» le rispose lui, ricambiando il sorriso.
«Grazie! Ma anche tu sei stato fortissimo, mi hai dato decisamente del filo da torcere: comprendere il tuo schema e prevedere le tue combo non è stato affatto semplice.» all’improvviso qualcuno le poggiò la mano sulla spalla e parlò.
«Sei stata davvero fantastica, Marinette!» riconoscendo quella voce le sue guance assunsero il colore delle fragole mature e si girò solo per cortesia, perché sapeva che stava arrossendo e che avrebbe sicuramente balbettato per la vicinanza del ragazzo.
«G-Grozie… cioè Grazie Adrien…»
Lui ricambiò i suoi ringraziamenti con un sorriso meraviglioso, che la fece arrossire ancora di più.

 

Passarono il resto del pomeriggio a giocare alla sala giochi, per poi solo a sera inoltrata, dopo una cena a base di hot-dog al fast food che c’era dentro il Nous Joe, dirigersi all’Électron.
La sede in cui s’imparava lo stile di Pêche Zone era completamente diversa dall’accademia che c’era a Rue Vert. L’Électron era un palazzo alto almeno venti piani, con un’enorme insegna rossa luminosa nel mezzo. L’ingresso dalle porte scorrevoli era molto moderno e l’interno altrettanto.
La hall era costellata di divanetti dal colore rosso intenso che staccavo e quasi stonavano sul pavimento in mattonelle bianche. Le pareti erano rosa pesca e sembravano l’unica cosa tenue in quella stanza. Persino la segretaria dietro il bancone all’ingresso, non assomigliava affatto a quella elegante e raffinata del quartiere precedente: indossava una maglia rossa con sopra scritto Électron in bianco e i capelli erano raccolti in due folte code laterali.
«Benvenuti all’Électron!» disse entusiasta.
«Siamo venuti per l’iscrizione. – intervenne subito Adrien, raggiungendo il bancone assieme a lei – I nostri bagagli dovrebbero essere già arrivati.»
«Ah quindi siete voi due i nuovi allievi. Ben arrivati!» sorrise lei.
Compilarono i soliti moduli e ritirarono le loro valigie, dopodiché gli furono date le stanze, proprio com’era accaduto all’accademia.
«Buona permanenza, ragazzi!» sorrise di nuovo la segretaria, quando si allontanarono, dirigendosi verso l’ascensore con le ante in metallo, decisamente più moderno di quello a Rue Vert.
Salirono fino al sedicesimo piano, a quanto aveva detto loro la segretaria le camere degli studenti iniziavano dal quindicesimo piano in su. Dopodiché si separarono, dirigendosi ognuno nella propria stanza.

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Capitolo 12
*** Vincent Aza ***


Vincent Aza
 

Marinette guardava un po’ sconcertata le tre persone davanti a lei cercando di comprendere se era davvero nel posto giusto: abituata com’era alla perfezione e alla serietà dell’Académie Rue Vert, quel luogo e soprattutto quella situazione le appariva assurda, non sgradevole, questo mai, ma era comunque rimasta un po’ spiazzata.
L’aula in cui si sarebbero svolte le loro lezioni all’Électron, una delle tante, era comunque molto simile a una normalissima stanza per imparare a danzare. Il pavimento di parquet, gli specchi di fronte, l’unica cosa che differiva da quelle all’Accademia erano le aste. Quella stanza ne era completamente priva. A dare le spalle allo specchio, proprio di fronte a loro, c’erano quelle tre persone.
«Diamo il benvenuto ai nuovi arrivati.» disse con aria entusiasta, forse anche troppo, quello che doveva essere l’insegnante.
Il suo abbigliamento, il suo aspetto e il suo comportamento dimostravano a malapena una ventina d’anni e probabilmente era davvero quella la sua età, una cosa era certa non pareva affatto un’insegnate.
«Grazie professore.» disse Adrien sorridendo, probabilmente divertito da quel personaggio.
«Professore? Non sono mica così vecchio! Datemi pure del tu e chiamatemi Vincent!» esclamò, battendo le mani coperte da un paio di guanti neri di pizzo.
«Ora prima di cominciare ricordo a tutti quanti che la suddivisione delle varie lezioni e affissa in bacheca. In questo corso imparerete popping e locking, come usare un iRig e infine Social Media.»
Non si stupì affatto di sentire tutte quelle cose, al contrario dell’ultima volta aveva letto tutto il fascicolo per non fare figure indecenti com’era stato con il professor D’Argecourt quando aveva detto loro dell’esame, perciò sapeva bene quali erano i vari studi del corso, ma sentirli dire tutti assieme la mandò un attimo nel pallone. Come avrebbe potuto imparare tutte quelle cose in due mesi?
«Ora però iniziamo con la lezione vera e propria e cominciamo a fare un po’ di esercizio.» continuò il suo discorso il giovane insegnante, riportando l’attenzione di tutti su di sé.
Proprio com’era capitato alla prima lezione a Rue Vert, il primo giorno erano solo esercizi base che riguardavano, in questo caso, i blocchi. La ragazza conosceva bene quella tecnica, era alla base del popping, eppure non era mai stata capace di eseguirla nel modo giusto. Si chiamavano appunto blocchi, e consistevano semplicemente nel riuscire a irrigidire ogni parte del proprio corpo singolarmente. 
Trascorsero tutta la mattina in quel modo, passando dalle spalle, al braccio destro, poi al braccio sinistro, alla gamba sinistra e al polpaccio sinistro, poi l’altra gamba e l’altro polpaccio, la pancia, il collo. Sicuramente se qualcuno li avesse visti da fuori non avrebbe capito cosa stessero facendo: tutti fermi come delle statue a guardare davanti a loro e fare quegli esercizi all’apparenza inesistenti. Eppure Marinette giurò di non essersi mai stancata così tanto, irrigidire in continuazione certi muscoli equivaleva quasi a fare addominali e flessioni per tutto il tempo degli esercizi.

 

Quando la lezione finì tutti i ragazzi tirarono un sospiro di sollievo.
«Beh dai, come prima lezione non è andata male…» commentò Adrien, rivolgendosi all’amica. Lei si voltò sempre un po’ rossa in viso verso di lui, anche se questa volta non sapeva se era per colpa della lezione appena finita oppure della sua presenza. Rispose solo con un cenno di testa, perché poi la ragazza che era rimasta tutto il tempo a riprendere con il cellulare la lezione si avvicinò a loro sorridente.
«Ben arrivati!» disse con un sorriso a trentadue denti.
Il biondo conosceva bene quella ragazza: Alya Césair, la vlogger più conosciuta a Rainbow city, nonché la fidanzata di Nino, la sua pelle scura e i suoi occhi castano chiaro  dietro agli occhiali la rendevano inconfondibile.
«Ti stacchi mai da quel cellulare, Alya?» chiese divertito.
«Mai!» intervenne l’altro ragazzo che, prima della lezione, si trovava di fianco al professore.
Era un ragazzo magro e slanciato, indossava un paio di pantaloni di un rosso acceso e una maglietta a maniche corte nera che evidenziava il suo fisico alquanto asciutto. I suoi capelli erano lunghi abbastanza da creare un piccolo codino dietro la nuca ed erano castani, esattamente come i suoi occhi profondi.
«Piacere Jules. – disse porgendo la mano, prima a Marinette e poi a lui – Sono il partner di danza di Alya, quando ha voglia di ballare s’intende.» disse concludendo quella puntualizzazione con una risata, mentre la ragazza occhialuta gli lanciava uno sguardo di fuoco.
«Marinette, Alya è la fidanzata di Nino.» disse presentandole la ragazza.
«P-Piacere…» fece un po’ confusa Marinette, allungando educatamente la mano verso di lei, la ragazza però, invece di stringerla, la prese dal polso e l’attirò a sé, voltandola.
«Forza facciamoci un selfie! Prima lezione all’Électron!» disse sollevando lo smartphone e prendendo tutti, per poi dire di sorridere. Dopo la fotografia la ragazza tornò al cellulare, probabilmente pronta a postare la foto su qualche social.
«Che ne dite di andare a mangiare da qualche parte più tardi?» chiese Jules.
«Ah, io non posso, ho un servizio fotografico da fare e sono anche in ritardo. Perché non andate voi tre? Così fate vedere un po’ il quartiere a Marinette. – disse prendendola per la spalla e avvicinandola a sé, vedendo il suo volto assumere il colore acceso della sua maglietta – In fondo ieri siamo stati tutto il tempo alla sala giochi.»
«Affare fatto! – intervenne Alya, staccando gli occhi dal cellulare e afferrando per la seconda volta Marinette dal polso – Vieni, andiamo a cambiarci!» concluse trascinandola verso gli spogliatoi femminili.
Le seguì con gli occhi finché non sparirono dietro la porta, ma anche dopo rimase a fissare la porta, come nella speranza di vederle uscire di nuovo.
«Non eri in ritardo per un servizio?» disse l’altro, mettendogli una mano sulla spalla e facendolo tornare al mondo reale.
«Giusto, il servizio. Ci vediamo sta sera allora, oppure domani.» disse salutandolo velocemente e scappando verso il lato opposto da cui erano uscite le ragazze. Proprio mentre attraversava la porta lo sentì rispondere.
«A domani Adrien…»

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Capitolo 13
*** Passion Rouge ***


Passion Rouge
 

Quegli enormi e seducenti occhi verdi la fissavano talmente intensamente che se non avesse avuto quel briciolo di buon senso, che ancora la teneva con i piedi per terra, si sarebbe ritrovata a mandare baci invisibili a quell’enorme fotografia. 
Erano infatti proprio davanti all’ingresso di Passion Rouge e sopra il gigantesco centro commerciale, capeggiava un cartellone pubblicitario rappresentante Adrien, era identico a quello che aveva attirato la sua attenzione a Col Blanc, con l’unica differenza che quello era decisamente più grosso rispetto a come ricordava il precedente.
«Ehm... Marinette giusto? – le chiese Alya, ma lei rispose solo con un verso confuso, senza distogliere lo sguardo da quello verde – Credi di riuscire a staccare gli occhi da quel poster di Adrien? Sai vorrei entrare nel centro commerciale.» a quella speci di rimprovero ironico, la ragazza finalmente si riscosse.
«Oh sì, sì... Giusto...» borbottò, tornando in sé.
Entrarono nell’edificio che si parava loro davanti e quello che trovarono dentro lasciò la corvina senza parole. Era stata in molti centri commerciali a Parigi, tra cui Lafayette che era il più grande in assoluto della capitale, eppure nonostante quello, molto probabilmente, di dimensioni non eguagliava quelli che conosceva lei, qualcosa di quel luogo la incantava. Forse erano le vetrine dei negozi, colorate e cariche di uno stile tutt’altro che elegante e consueto come quello di Parigi, oppure il vai e vieni delle persone, finalmente tutte molto più vicine al suo modo di essere. 
Era solo il terzo quartiere di Rainbow city che visitava, ma di una cosa era certa, Pêache Zone sarebbe rimasto sicuramente uno dei suoi preferiti in assoluto. Senza considerare che, nonostante la sua sconsiderata esuberanza, la ragazza che l’aveva accompagnata a visitare il centro commerciale, Alya, era davvero simpatica e trovava parecchio piacevole la sua compagnia.
«Com’è precisamente lo stile di Pêache Zone?» chiese Marinette dopo l’ennesima chiacchierata conclusa, mentre entravano in un negozio di videogiochi.
«Beh... – cominciò la ragazza dalla pelle scura, cercando le parole giuste per spiegarle al meglio lo stile particolare della zona rossa della città – Non si tratta solo della musica elettronica e della passione per i videogiochi... Pêache Zone è quello che si può definire il cuore social di Rainbow city. Qui per essere alla moda bisogna essere a contatto con più gente possibile, basti pensare che la sede dell’emittente televisiva Rainbow Channel, l’unica emittente della città, si trova qui e la sua miglior giornalista Nadja Chamack ha più di un milione di telespettatori, non solo qui ma anche in tutta la Francia.»
«Oh puoi ben dirlo... La seguivo anche io da Parigi!» le rispose entusiasta Marinette.
Passarono tutto il pomeriggio passeggiando per il centro commerciale. Non sapeva il motivo, ma Marinette sentiva di potersi fidare ciecamente di Alya: era come se in lei avesse finalmente trovato una vera amica, una di quelle che fino alla fine e nonostante tutto, avrebbe fatto il tifo per lei, qualsiasi cosa sarebbe successa. 
«Che ne dici di un gelato? Qui a Passion Rouge fanno il miglior gelato di Rainbow city!» propose entusiasta la ragazza.
«Credevo che i migliori gelati fossero a Parc Citron...» commentò Marinette, cercando di ricordare le chiacchiere che ogni tanto aveva udito qua e là durante la sua permanenza in città.
«Solo per quanto riguarda i gusti alla frutta, ma se vuoi il più buono gelato al cioccolato, allora devi venire qui!» sorrise lei, mostrandole il chiosco in cui una piccola fila attendeva il suo turno per ordinare.
«E sia, allora... Adoro il cioccolato!» rispose con un sorriso la corvina.
«Ma non ti hanno insegnato nulla a Rue Vert?» esclamò una voce dietro di loro, una voce che la fece subito irritare, prima ancora di girarsi e avere, come al solito, la conferma della sua appartenenza.
«Che ci fai qui Chloé?» chiese, nonostante la risposta non le interessasse.
«Ovviamente sono venuta qua per fare shopping.» disse scostandosi la chioma bionda, che questa volta aveva lasciato sciolta e fluente.
«Strano... – intervenne Alya, anticipandola – Credevo che una snob come te non apprezzasse lo stile di Pêache Zone.» la bionda si voltò verso di lei, come se l’avesse notata solo in quel momento, rivolgendole però uno sguardo tagliente.
«Infatti non sono qui per comprare quegli stracci che voi chiamate vestiti. – disse squadrando entrambe dalla testa ai piedi – Sono qui perché Passion Rouge ha un ottimo negozio di cosmetici e poi devo vedere il mio Adrien.» a quell'ultima frase Marinette divenne rossa di rabbia.
«Senti un po’ Chloé, innanzi tutto Adrien non è tuo... Inoltre solo perché tu hai vestiti firmati non significa che hai senso della moda. Perché se ne avessi non avresti mai abbinato quei pantaloncini bianchi a una camicia grigia. È un abbinamento pessimo degno di chi vuole solo mostrare di indossare un... Oh, guarda un po’ non l’avrei mai detto, un Agreste!» lo disse tutto d’un fiato, lasciando a bocca aperta sia Alya che la guardava entusiasta, come se stesse vedendo una super eroina in azione, sia Chloé che, subito dopo, livida di rabbia, le puntò il dito contro.
«Ti avverto Dupain-Cheng, non te le farò passare tutte lisce.» la minacciò, per poi girare i tacchi e andarsene.
«Cavolo Marinette, sei stata grande!» disse entusiasta Alya.
La ragazza si voltò verso di lei per ringraziarla del complimento, quando si accorse che la nuova amica stava tenendo il cellulare puntando verso di lei.
«Cosa fai?!» chiese sconvolta, anche se aveva paura di sapere già la risposta.
«Ovvio, sto facendo una live per il mio Red Blog! Ragazzi e ragazze, lei è Marinette ed è ufficialmente diventata la mia eroina preferita!» esclamò entusiasta, mentre riprendeva una Marinette completamente paonazza dalla vergogna.

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Capitolo 14
*** Ladybug e Chat Noir ***


Ladybug e Chat Noir
 

Il primo mese e mezzo a Pêache Zone e all’Électron volarono, molto più velocemente di quanto era successo nel quartiere precedente; oppure a Marinette diede questa impressione, perché si era affezionata troppo a quell’ambiente e alle persone che vivevano lì, in particolar modo ad Alya. In poco tempo, la ragazza dalla pelle scura, era diventata la sua più grande confidente e la sua migliore amica. Non passava mai un pomeriggio senza di lei e se delle volte, per qualche impegno di una delle due non si vedevano, passavano almeno un paio d’ore la sera in camera di una o dell’altra, in pigiama, a chiacchierare e raccontarsi la giornata.
Per quanto riguardava invece le lezioni, andarono sempre meglio: quello stile era sicuramente più nei suoi canoni, rispetto a quello preciso e aggraziato di Rue Vert. Ciononostante trovava ancora qualche difficoltà nel suonare l’iRig: quel piccolo quadrato pieno di tasti luminosi ancora la confondeva. Insomma, non era come suonare un pianoforte in cui sapevi esattamente quale nota corrispondeva al tasto e cosa stavi suonando; quell’aggeggio, sì perché per lei non poteva essere altro che un’aggeggio, era diverso.
«Basta! Ci rinuncio! Non ce la farò mai!» protestò, quando per l’ennesima volta premette un pulsante invece che un’altro.
«Non dire così... È solo questione di esercizio.» la rassicurò Adrien, che era nella piccola sala di registrazione dell’Électron con lei.
«Ma Adrien, non ci riesco... Io...» si bloccò, vedendolo così vicino a lei.
«Tu?» chiese con un tono tra il dolce e il malizioso.
Per un’attimo ebbe l’impressione che il suo viso si stesse avvicinando un po’ troppo e, per qualche strana ragione, i suoi occhi si erano calamitati sulle sue labbra sottili che si avvicinavano sempre di più. All’improvviso però qualcuno spalancò la porta della saletta.
«Ragazzi sono usci...ti... – esclamò Alya, rallentando il suo entusiasmo quando vide che i due al suo ingresso si erano allontanati all’improvviso l’uno dall’altra, imbarazzati – Ho interrotto qualcosa?» disse guardandoli di sottecchi, come fa una perfetta giornalista quando fiuta uno scoop succulento.
«N-no... Nulla... Noi stovamo... stavamo... pravando... provando... Stavamo provando...» balbettò Marinette confusa, mentre lei la guardava divertita, conscia di quello che aveva visto e di quello che stava per accadere.
«Cosa sono usciti?» chiese Adrien, riportando sulla terra le due ragazze.
«Ah sì, giusto... Sono usciti i temi possibili del vostro esame di fine corso.» recuperò subito l’occhialuta, avvicinandosi a loro con il tablet.
«Finalmente!» esclamò il biondo, mentre assieme all’amica si sporgevano per vedere meglio lo schermo.
«Mancano due settimane al grande evento che si terrà all’Électron. – lesse ad alta voce Marinette – Gli studenti dovranno sostenere l’esame per poter essere definiti degli idoli della rete. Il loro compito sarà pubblicizzare il loro spettacolo sui Social Network, in modo da attirare spettatori...»
«E questo lo sapevamo.» commentò Adrien, seguendo attentamente ciò che la corvina stava leggendo.
«... Per quanto invece riguarda la vera e propria esibizione dovranno comporre, quattro musiche scegliendo fra due temi: le quattro stagioni oppure i quattro elementi.» concluse la ragazza, non appena finì di leggere il biondo emise un verso pensieroso. 
«Dovremmo decidere tra questi due temi quindi... – disse quasi tra sé e sé – Tu che dici?» chiese, rivolgendosi a lei.
«Eh?» fece Marinette, cadendo dalle nuvole, probabilmente anche lei stava valutando cosa fare.
«Sì, insomma, tu quale preferiresti?» chiese meglio.
«Beh direi che le stagioni è più facile da ideare... Possiamo iniziare a pensare a qualche musica e...»
«Vi ricordo che le quattro basi le dovrete ideare voi e considerando i gusti della giuria vi suggerisco di usare l’iRig per farlo.» commentò Alya, riprendendosi il tablet.
«C-cosa?!» chiese Marinette sconvolta.
«Andiamo, andrà tutto bene. Ricordati che siamo una squadra. Ce la faremo!» la rassicurò il giovane modello facendole l’occhiolino e facendola arrossire.
«Piuttosto... – l’interruppe Alya, prima che la sua amica diventasse un pomodoro ambulante – Dovremmo lavorare sulla vostra immagine.»
«In che senso?» chiese la ragazza, tornando di un colore normale e guardandola dubbiosa.
«Dovete pubblicizzare lo spettacolo no? Dovete attirare gente, perciò avete bisogno di un’immagine. – spiegò meglio l’occhialuta – Ora tutti vi conoscono semplicemente come il modello famoso e la ragazza che non ce la fa mai... E ragazza mia, quest’immagine non ti si addice per niente. Insomma ancora nessuno sa che sei riuscita a superare il primo esame. Sei troppo poco attiva sui social.»
«Alya ha ragione! – le diede man forte Adrien – Devi dimostrare a Rainbow city chi è la vera Marinette.»
«Beh... Che cosa proponi?» chiese la corvina rivolgendosi ad Alya, che si mise una mano sotto al mento strofinandoselo e iniziando a parlare fra sé e sé.
«Allora vediamo... Ci vuole qualcosa che vi caratterizzi... Qualcosa che poi rimanga anche in futuro... Un nome che si possano ricordare tutti... – continuò a borbottare per un bel po’, tanto che quando volse una domanda ai due ragazzi, quelli sembrarono cadere dalle nuvole - Com’era il vostro saggio a Rue Vert?»
«Eh?» chiese Marinette, per entrambi.
«Ma sì... Il vostro saggio, lo spettacolo, di cosa parlava?» insistette la ragazza.
«Di un soldato che s’innamora di una fata.» rispose semplicemente Adrien.
«No, no... Le fate no... – la ragazza si riportò al mano al mento, aggrottando la fronte nervosa – E il vestito della fata? Com’era?» chiese ancora.
«Ah era un tutù che ho comprato in negozio a cui poi aggiunto un uno strato a balze fatto da me con una stoffa rossa a pois neri, come la maschera.» rispose Marinette ancora molto orgogliosa del suo lavoro.
«Ci sono! – esclamò la ragazza, facendo trasalire gli altri due – Ma certo, qualcosa che riguarda le coccinelle, perché no? Vediamo... Coccinelle...»
«Che ne dici di Ladybug?» propose la giovane corvina e, subito, gli occhi color ambra di Alya s’illuminarono.
«È perfetto!» esclamò entusiasta.
«Beh... Ad-Adrien mi chiama sompre... sempre my lady, quindi...» balbettò impacciata lei.
«Piace molto anche a me.» le sorrise affabile il biondo.
«Ah ah, ora tocca a te biondino... – lo punzecchiò Alya – Cosa si addice a uno come te?»
«Non so... – disse alzando le spalle – Io mi sento molto un felino... – in un attimo si mise in una posizione tutta ingobbita, scrutando, con i suoi occhi verdi e maliziosi, un’indifesa Marinette – Pronto ad accalappiare la mia preda!» concluse saltandole addosso e facendole il solletico.
La ragazza scoppiò a ridere, presa da quel fastidio incontrollabile che si prova quando le dita di qualcuno percorrono velocemente la propria pelle in quel modo. Non solo dovette supplicarlo di smetterla, ma Alya dovette attirare nuovamente la loro attenzione con un finto colpo di tosse, prima che tornassero di nuovo in loro. A quel punto Adrien si ricompose e riprese a parlare.
«Ad esempio una pantera.»
«Naaah, la pantera non mi piace... – commentò quasi schifata l’occhialuta, per poi assumere nuovamente quell’espressione pensierosa e corrucciata, poi all’improvviso tornò sorridente e puntò un dito contro di lui – Che ne dici di Chat Noir?» chiese.
Il ragazzo storse un po’ la bocca, anche lui nel tentativo di cercare di capire se il nome gli piacesse o no.
«Ci sto... D’ora in poi sui social saremo conosciuti come Ladybug e Chat Noir!» esclamò avvolgendo con un braccio le spalle di Marinette, che ovviamente divenne paonazza.

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Capitolo 15
*** Électron ***


Angolo dell'autrice:
Ed eccoci qui. Siamo arrivati al secondo esame e come avevo detto qualche capitolo fa, quando ci sono questo genere di capitoli faccio sempre l'angolo dell'autrice per spiegarvi un po' le dinamiche.
Voglio ricordarvi che questa Alternative Universe è ispirata al videogioco "Kira Kira Pop Princess" per questo motivo ho usato le canzoni del gioco. Ho deciso perciò di registrarle per permettervi di sentirle. Le trovate sulla mia pagina Facebook, LadyNoir World 
(visto che purtroppo non posso caricarle direttamente qui su EFP)

A questo punto vi posso lasciare alla lettura.


Électron
 

Il video dello spettacolo di Adrien e Marinette era ormai da qualche settimana sul web. 
Marinette, grazie alle sue capacità di taglio e cucito aveva creato delle bellissime mise, apposta per l’occasione: ad Adrien aveva fatto uno smanicato nero, che poteva chiudere con la cerniera e che sopra il cappuccio aveva due simpatiche orecchiette da gatto; per lei invece aveva fatto un un crop top rosso a pois neri.
«Bounjour abitanti di Rainbow city!»
«Noi siamo Ladybug...»
«...e Chat Noir!»
«E vogliamo invitarvi al nostro spettacolo...»
«Si terrà proprio qui all’Électron di Pêache Zone!»
«Tuffatevi insieme a noi in un viaggio che percorrerà le quattro stagioni.»
«Vi aspettiamo!»

 

La loro speranza era che quel video avesse portato tanti spettatori, perché era anche da quello che dipendeva il loro voto all’esame e purtroppo non avevano la possibilità di guardare al di fuori dei camerini, fino a che non avessero cominciato ad esibirsi.
Il luogo dello spettacolo all’Électron era completamente differente dall’elegante teatro che li aveva ospitati a Rue Vert. Si trattava invece di una specie di studio televisivo, con tanto di telecamere, riflettori ed ovviamente il pubblico.
Marinette fece un lungo respiro.
«Pronta per il secondo passo verso il nostro sogno?» le chiese Adrien con quel suo solito sorriso smagliante, che ancora la faceva arrossire, anche se ormai sembrava anche rassicurarla. Rispose solamente con un cenno di testa.
Le luci dello studio si spensero e si accese un solo faro ovale al centro dello spiazzo in cui avrebbero dovuto ballare; per terra, illuminati dal faro c’erano due joystick per videogame. Solo a quel punto Marinette afferrò la mano di Adrien e lo trascinò dentro il set, urlando, in modo da farsi sentire.
«Dai vieni!»
Entrarono entrambi sotto la luce del riflettore, lasciandosi la mano e togliendosi le sciarpe che avevano al collo. Proprio in quel momento, mentre si sedevano a terra e prendevano i due joystick la musica partì.
Come tutte quelle che ci sarebbero state dopo era una musica elettronica, composta da loro con l’iRid. Sembrava effettivamente la musica di sottofondo di un videogioco. Rimasero in quella posizione, facendo finta di giocare, solo per le prime otto battute, muovendosi in simultanea come se si stessero spostando coi loro personaggi.
Non appena iniziarono i suoi acuti, poggiarono velocemente i joystick a terra e alzandosi in piedi, li calciarono indietro, lontano da loro. A quel punto si misero in posizione, come se stessero per combattere e dopo un paio di saltelli, continuando ad andare a ritmo s’iniziarono a tirare calci e pugni, mentre l’altro li evitava abbassandosi di colpo o facendo delle capriole. 
Quando la canzone cambiò di nuovo ritmo, si misero l’uno di schiena all’altro sollevando le mani come se avessero in mano una pistola finta, per poi iniziare ad osservare guardinghi attorno a loro e fare finta di sparare a nemici invisibili. Dopo ancora si rimisero a terra, stendendo le mani davanti a loro e simulando di guidare.
Alle ultime due battute qualcuno rilanciò da entrambi i lati i joystick che loro afferrarono al volo e, mentre Marinette alzava il braccio vittoriosa Adrien si metteva una mano in testa, poggiando il gomito sul ginocchio con fare disperato.
L’applauso che ne seguì fu sicuramente caloroso e per niente composto come quello del loro primo esame, anzi a Marinette sembrò anche sentire qualcuno fischiare.
Senza perdere la concentrazione, i due uscirono da due lati opposti dell’allestimento del set e lasciando a due assistenti i joystick presero altri due oggetti in mano, mettendoseli addosso.
Non appena la musica ripartì rientrarono quasi saltellando al suono delle campanelle elettroniche, indossavano entrambi una mantella rossa con il pellicciotto bianco e due cappelli da Babbo Natale in pendant. Arrivarono al centro del set proprio quando la musica cambiò ritmo, mettendosi uno davanti all’altra, in modo che si vedesse solo Adrien, ma poi a ritmo di musica si aprirono a forbice, guardandosi. Prima da un latro poi dall’altro. Subito dopo aprirono le braccia verso l’esterno alla prima battuta Adrien verso il basso e Marinette verso l’alto, alla seconda viceversa. Di nuovo si aprirono a forbici e poi con due passi laterali, dai due lati opposti si separarono. 
Per poi ricongiungersi e giocare con le mani, battendole prima tra di loro con un solo applauso e poi contro quelle dell’altro. Lo fecero solo una volta, poi si portarono le mani alle guance e subito dopo le allargarono, formando un grosso cerchio di fronte a loro. Ripeterono il giochetto con le mani e si scambiarono di posto, con altri passi laterali.
Quando la musica cambio ritmo eseguirono una specie di tarantella, tenendo le mani dietro la schiena, ovviamente sempre andando a ritmo. Ad ogni accento della canzone si voltavano nuovamente l’uno di fronte all’altro, chinandosi, quasi naso contro naso. 
La canzone cambiò di nuovo ritmo e i due si presero a braccetto per poi saltellare, non appena la battuta cambiò cambiarono direzione. Quando cambiò di nuovo fu un pezzo più lungo e si presero entrambe le mani facendo una specie di girotondo di quelli piedi stretti. Poi di nuovo, a braccetto a sinistra, a braccetto a destra e giro. 
Alla fine si posizionarono nuovamente l’uno di fronte all’altra e nuovamente allargarono due volte le braccia per formare quella specie di stella, come avevano fatto all’inizio, solo che poi, alla battuta finale Adrien si chinò poggiando il ginocchio destro per terra e allargando le braccia verso l’esterno, mentre Marinette si poggiava coi gomiti alla sua testa bionda, sorridendo.
L’applauso questa volta fu più deciso, come se quella coreografia fosse piaciuta molto di più di quella precedente. Le luci si spensero e ci fu qualche minuto di buio e silenzio, in cui i due ragazzi scapparono nuovamente dietro le quinte, da due lati opposti, per cambiarsi d’abito. Si tolsero le mantelle e i cappelli di natale, per indossare abiti completamente diversi, a quella che doveva essere la velocità della luce, aiutati anche da altre persone.
La musica poco dopo ripartì, proprio mentre le luci si accendevano e mostravano nello studio un prato fiorito, costellato da fiori giganti.
Non appena suonarono le prime note, i due ragazzi entrarono saltellando, come due bambini che si divertono a giocare, ma non erano vestiti da bambini, bensì dai due personaggi che si erano creati per la presentazione: anche quegli abiti li aveva fatti Marinette nel tempo libero. Lei indossava un bellissimo vestito rosso a pois neri e una maschera perfettamente in tono sul viso, la stessa che aveva usato all’Accademia per la precisione, mentre Adrien indossava un completo di pantaloni e gilet neri su una camicia bianca e poi un cerchietto con delle orecchie feline che risaltavano sui capelli biondi, infine anche lui indossava una maschera nera sul viso.
Dopo la sequenza di accenti, quando iniziò il ritmo più acuto della musica i due ragazzi fecero una sequenza molto difficile di passi che avevano imparato assieme al professor Aza, mettendosi uno di fronte all’altro e andando perfettamente in simmetria, quasi da sembrare due manichini in mezzo alla natura. 
La musica cambiò ritmo e i due allungarono le mani per poi sfiorarsi, non appena accadde entrambi fecero dei movimenti convulsi, come se avessero ricevuto la scossa e improvvisamente iniziarono a muoversi sciolti, ridendo e prendendosi per mano. Adrien allora afferrò Marinette in vita e cominciò a farla danzare, come se fossero due ballerini di valzer, ma tutto ciò durò solo poche battute, perché poi la canzone riprese il ritmo iniziale e i due si separarono, giocando quasi a nascondino tra gli enormi fiori. Andavano a ritmo, sbucando da un lato e dall’altro degli steli, avvicinandosi tra di loro e poi allontanandosi nuovamente. Alle ultime battute però, Adrien allungò di nuovo la mano verso Marinette e la face avvicinare a lei e sugli ultimi suoni gravi, tenendola sempre per mano, le fece fare due piroette, per poi farla crollare tra le sue braccia con un casqué.
Di nuovo lo studio si riempì di applausi entusiasti, caricando i due per l’ultima coreografia. Questa volta le luci nemmeno si spensero, semplicemente furono spostati velocemente i fiori, muovendo i carrelli a ruote su cui erano posizionati, mentre Adrien e Marinette, rimasero esattamente nella stessa posizione in cui avevano concluso la coreografia precedente. Nonostante la ragazza fosse diventata un po’ rossa in volto per la vicinanza col biondo.
La quarta ed ultima musica cominciò con un ritmo che appariva particolarmente caraibico, i ragazzi si strapparono letteralmente i vestiti di dosso, a cui ovviamente Marinette aveva aggiunto del velcro in modo che si togliessero facilmente, e le maschere, buttandoli verso le quinte e rimando così in costume da bagno, entrambi continuavano a riprendere lo stile degli abiti precedenti. 
Si misero a ballare una specie di hula, fino a che la canzone non cambiò ritmo. Allora cominciarono a fare quelli che sembravano passi di alcuni balli di gruppo. Portarono in alto prima il braccio destro poi quello sinistro, per poi fare la stessa cosa poggiando le mani sul bacino, ma incrociando le braccia. Poi portarono prima il gomito destro verso l’esterno e poi quello sinistro per poi con gli indici formare un cuore invisibile di fronte a loro. Ripeterono questi due passi un’altra volta, dopodiché si avvicinarono l’uno all’altra.
Lei gli mise le mani sulle spalle intrecciandogliele dietro al collo, mentre lui gliele poggiò delicatamente sul bacino. Dopodiché iniziarono a ballare muovendo i fianchi, ovviamente sempre a ritmo di musica.
Quando arrivò la brevissima pausa con quelle che potevano sembrare solo percussioni, Adrien si stacco mettendosi dietro di lei e non appena la musica riprese un’altro ritmo lui le coprì gli occhi con le mani e all’ultimo accento della battuta, lei gli afferrò i polsi spostando le mani. Ripresero per l’ultimo pezzo a fare la hula, per poi agli ultimi due accenti mettersi in posa, con le mani aperte e ben tese, rivolgendosi al pubblico, che applaudì contento.
Non appena le luci si spensero, Marinette tirò un sospiro di sollievo posizionandosi ad un angolo dello studio. Adesso sarebbe toccato ad Alya e Jules esibirsi. Loro avevano preparato una coreografia sui super eroi: lei era vestita come una specie di Wonder Woman, mentre lui aveva un abito molto simile a quello di Superman ma con una “J” stampata sul petto.
«Accidenti sono proprio bravi!» esclamò Adrien osservandoli.
«E pensare che in tutti questi due mesi non ho visto Alya provare nemmeno una volta. Tu?» domandò la corvina, dopo aver fatto quella constatazione.
«No, nemmeno io… Solitamente se ne sta sempre attaccata al cellulare…» commentò lui, continuando ad osservare i dettagli coreografici dei due professionisti.
«Dici… Dici che ce la faremo?» domandò titubante lei.
«Ah puoi starne certa vedrai che andrà tutto bene.» le sorrise lui, facendola come al solito diventare rossa.

 

Poco dopo anche la coreografia degli altri due si concluse, lasciando il posto alla presentatrice dello show. 
«Bene signori e signore, ora spetterà alla giuria e a voi sui social, votare se i nostri Ladybug e Chat Noir, ossia Marinette e Adrien sono riusciti nella loro impresa di ottenere il diploma dell’Électron e quindi di Pêache Zone! Perciò, votate!»
Quei dieci minuti, a Marinette, parvero i più lunghi della sua vita: non faceva altro che fare avanti indietro, borbottando parole senza senso e nonostante tutti e tre i suoi amici tentavano di tranquillizzarla lei sembrava soltanto agitarsi di più.
Poi all’improvviso chiamarono nuovamente tutti e quattro in mezzo al set per l’annuncio; la presentatrice aveva in mano una busta rossa.
«Bene è il momento della verità…» disse aprendo la busta tirandone fuori il contenuto, la tensione era palpabile nell’intero studio e, come i grandi sow, la presentatrice fece una lunga pausa prima di dare il responso.
«Siete passati!» urlò contenta.
A quelle due semplici parole Marinette saltò dalla gioia, buttandosi nuovamente tra le braccia di Adrien, proprio come l’ultima volta alla loro promozione a Rue Vert. 
Questa volta però Adrien non si fece sfuggire l’occasione e quando lei stava per staccarsi, imbarazzata, lui la tenne stretta e la baciò. Tutt’a un tratto alla corvina sembrò di volare dalla gioia e precipitare dalla vergogna allo stesso tempo. Adrien, Adrien Agreste, il modello, la stava baciando, stava baciando lei, sulle labbra.
Gli applausi e le urla compiaciute, soprattutto quelle di Alya, le sentiva a malapena, talmente presa da lui e dalle sue labbra che si stavano stampando a fuoco sulla sua bocca.
Si staccarono e incrociò quegli occhi smeraldini senza più riuscire a dire una parola.

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Capitolo 16
*** Metrò ***


Metrò
 

Adrien stava sistemando le sue valige, quella stessa sera sarebbero ripartiti facendo qualche giorno di sosta a Col Blanc, prima di ripartire per un altro quartiere. Lui aveva un servizio lì e probabilmente Marinette ne avrebbe approfittato per rilassarsi un po’.
Marinette... Il solo pensiero della ragazza lo mandava in escandescenza, ancora non riusciva a capacitarsi di che cosa, il giorno prima, davanti a probabilmente tutta la città, era riuscito a fare: aveva baciato Marinette. Certo, lei poi era scappata via e, ancora non l’aveva rivista, però l’aveva baciata.
Non sapeva con esattezza cosa gli era preso, improvvisamente, nell’incrociare per l’ennesima volta quegli occhi azzurri come l’oceano, aveva sentito una scarica attraversargli tutta la schiena e non aveva più resistito. Forse Alì aveva ragione, forse provava davvero qualcosa per quella ragazza. 
Il ricordo delle sue labbra era ancora dolce e meraviglioso, tanto da mancargli di già; aveva voglia di riassaporarle, come se quel singolo contatto potesse nutrirlo per il resto della sua vita.
Chiuse la cerniera della valigia e la poggiò per terra, sollevando il manico del carrello per poi trascinarsela fuori dalla stanza, l’avrebbe lasciata all’ingresso per tutto il resto della giornata, fino a che non sarebbero dovuti ripartire.
Arrivato alla hall dell’Électron però si gelò: su uno dei divanetti rossi che costellavano l’enorme sala bianca, Marinette stava chiacchierando allegramente con lui. Che ci faceva lui lì? Non aveva un negozio da mandare avanti? Farsi una vita? Possibilmente lontano da lei? Strinse furioso il manico del trolley e con un enorme sforzo diede loro le spalle per rivolgersi alla ragazza che si trovava dietro il bancone dell’accoglienza.
«Ti posso lasciare la valigia fino a questa sera?» domandò, cercando di assumere un tono quanto meno tranquillo, anche se gli era davvero difficile.
«Certamente.» rispose con un sorriso la giovane ragazza.
Proprio in quell’istante, la risata cristallina di Marinette, gli fece vibrare i timpani. Serrò i pungi, ormai privi di qualche oggetto da torturare, e percepì le unghie premergli sui palmi delle mani.
«Accidenti Nathaniel, sono meravigliosi!» disse con voce entusiasta la ragazza.
Perché? Per quale motivo con lui non era così spontanea, così spigliata? Cos’aveva quel ragazzo in più di lui? Perché con quella maledetta capa rossa lei stava tranquillamente a suo agio, mentre con lui sembrava sempre non trovarsi bene, come se si sentisse quasi fuori posto e costretta.
Non avrebbe accettato una cosa del genere, non ora, non adesso che l’aveva baciata. Anzi sapeva benissimo che la prova finale di Pêache Zone era stata mandata in onda in tutta Rainbow city, perciò sicuramente anche quel maledetto semaforo ambulante aveva visto quel bacio, quindi non aveva nessuno diritto di provarci con lei. Doveva capire, una volta per tutte, che lei era sua e di nessun altro.
Si avvicinò ai due, con il suo solito fare disinvolto ed elegante, non mostrando minimamente la rabbia che sentiva ribollire dentro di sé. Arrivato al divanetto si sedette sul bracciolo, proprio di fianco alla ragazza, avvolgendole le spalle.
«Ehi Marinette... – la salutò, lanciando una breva occhiata di fuoco al rosso – Allora questa sera ci vediamo qui davanti, così che il Gorilla ci riporta a Col Blanc. Che ne dici, facciamo per le nove?» domandò, facendo quella che credeva fosse una domanda retorica, ma la sua risposta lo sconvolse.
«Ehm... No Ad-Adrien... Scu... scusa... Questa sera prendo la metro... Ci vodiamo... vediamo direttamente lì...» balbettò lei per poi togliersi nervosamente il suo braccio di dosso, quasi come se si vergognasse a farsi vedere con lui, e alzarsi dal divano.
Il biondo rimase lì, completamente imbambolato, come se lei gli avesse appena detto che gli alieni esistevano davvero.
«Aspetta Marinette, ti accompagno!» intervenne subito l’altro, alzandosi anch’egli dal divano e uscendo assieme a lei dall’edificio, superando le porte scorrevoli.

 

Non appena la ragazza fu fuori, nella via principale e caotica di Pêache Zone, tirò un sospiro di sollievo. Da quando Adrien, il giorno prima, l’aveva baciata, stare con lui la faceva sentire ancora più a disagio di quanto accadeva prima. Quel paio di giorni a Col Blanc le sarebbero serviti per raffreddare i suoi bollenti spiriti ed essere pronta ad affrontare altre sfide al suo fianco. Altrimenti non sarebbe riuscita a reggere tutte quelle emozioni.
«Tutto ok, Marinette?» le chiese Nathaniel, sembrava preoccupato.
«Sì, sì, tutto ok. – le sorrise lei, tornando la solita ragazza solare di sempre – Grazie mille per essere passato Nath... E soprattutto grazie per i disegni! Sono meravigliosi!» disse entusiasta, battendo una mano sulla sua borsa.
«Di nulla...» rispose lui arrossendo e abbassando lo sguardo.
«Ora scusami, ma devo proprio andare: ho un’appuntamento con Alya, prima di partire e non posso proprio fare tardi.» concluse congedandosi dal ragazzo.
Raggiunse l’amica poco dopo, in un bar situato dentro l’enorme centro commerciale del quartiere e passò quasi tutto il pomeriggio con lei. Ogni qualvolta l’amica occhialuta tentava di parlarle del biondo e della sua cotta ormai evidente ai suoi occhi, la corvina cambiava prontamente discorso o sviava la domanda.
Fu proprio Alya che, dopo essere uscite nuovamente dall’Électron, la accompagnò alla fermata della metropolitana. I saluti quella volta furono davvero difficili, molto più difficili di quanto erano stati quelli di Rue Vert con Monique e Alì. Marinette, strinse l’amica in un’affettuoso abbraccio che lei ricambiò con altrettanto sentimento.
«Ti faccio ancora i miei complimenti Marinette: sei riuscita ad imparare lo stile e la danza di Pêache Zone.» si congratulò la ragazza facendole l’occhiolino.
«Penso non sarò mai al tuo livello però...» commentò lei con una risatina.
«Ah, quasi dimenticavo... Qui ci vuole una bella foto per il mio Red Blog, forza mettiamoci in posa!» la ragazza sollevò il cellulare sulle loro teste ed entrambe sorrisero all’obbiettivo, mentre Marinette mostrava due dita in segno di vittoria.
«Mi mancherà Pêache Zone... Mi mancherai tu, mi mancheranno le partite a Ultimate Mecha Strike contro Max... È stata davvero un’esperienza fantastica!»
«Mi mancherai anche tu amica mia... Ma vedrai ti verrò a trovare, in fondo siamo comunque nella stessa città.» le rispose lei facendole l’occhiolino.
Dopo l’ennesimo saluto, la ragazza salì su uno dei treni argentei della metro: direzione Col Blanc. Già immaginava di ritrovare quella sua cameretta che per i primi giorni a Rainbow city l’aveva accolta e confortata e l’odore invitante delle brioche di Glace de sucre, quando doveva fare colazione, ma soprattutto non vedeva l’ora di mostrare finalmente a Tikki cos’aveva imparato. Farle vedere che aveva finalmente guadagnato sicurezza in sé stessa e nelle sue capacità.
Nonostante la strada era ancora lunga, il suo sogno le appariva molto più vicino.

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Capitolo 17
*** Rainbow Channel ***


Rainbow Channel
 

L’odore di brioche appena sfornate le inondò il naso, le era mancato davvero tanto quel posto, mai nessun luogo come quel bar sulla via principale di Col Blanc le dava l’impressione di essere a casa, nella boulangerie di suo padre.
Dopo aver ordinato un cappuccino e un croissant alla crema, si andò a sedere ad uno dei pochi tavoli vuoti, mettendosi comoda sulla sedia e poggiando il mento sulla mano, mentre l’altra tamburellava a ritmo della musica che usciva dalle sue cuffie rosa, poggiate sulle orecchie.
Era talmente presa dalla musica che non si accorse che a portarle la sua colazione non era stata la cameriera, ma qualcun altro. Quando finalmente aprì gli occhi, vide quelli verdi e penetranti di Adrien osservarla divertiti, mentre lui era seduto comodamente sulla sedia.
Con uno scattò improvviso la ragazza si tolse le cuffie, lasciando che la fascia le circondasse il collo.
«A... Adrien, che... che ci fai qui?» domandò confusa lei, non sapendo se darsela a gambe o affrontarlo una volta per tutte.
«L’hai dimenticato? Tra mezz’ora abbiamo l’intervista per Rainbow Channel e, prima che andiamo, ho bisogno di parlarti.» le rispose il biondo, continuando a fissarla.
Quello sguardo la metteva seriamente a disagio, forse ancora più di prima. Non sapeva se dipendeva dal bacio che le aveva dato qualche giorno prima o da qualcos’altro, ma se all’inizio pensava che in quei quattro mesi assieme il rapporto tra loro fosse migliorato, la cosa non sembrava essere più così. Come in fin dei conti la metteva a disagio il pensiero che tra meno di un’ora la famosa Nadja Chamack l’avrebbe intervistata assieme a lui e conoscendo la sete di scoop della giornalista, la prima cosa che avrebbe chiesto loro sarebbe stato quel bacio. Era talmente assorta nei suoi pensieri che il ragazzo dovette chiamarla un paio di volte, prima che lei tornasse sulla terra.
«Marinette, ma mi ascolti?» domandò esasperato.
«Eh?»
«Mi spieghi perché continui ad evitarmi? È dall’esibizione all’ Électron che ti comporti così e vorrei sapere il perché...» disse con tono serio il biondo, quasi come se fosse triste al pensiero che le cose stessero andando in quel modo tra di loro.
«Non lo so...» borbottò lei.
«Non lo sai? Come sarebbe a dire non lo sai? – non fu lui a parlare, alle sue spalle Chloé Bourgeois  la squadrava con i suoi occhi azzurri – Adrien ascolta a me, questa qui è talmente imbranata e inetta che non sa nemmeno come reagire ad un bacio.»
«Cosa c’entra il bacio ora?» domandò il modello, voltandosi verso l’amica.
«C’entra eccome... Marinette Duperdente Cheng non aveva mai baciato nessuno prima dell’altro giorno ed ora la sua imbranataggine le impedisce di comportarsi da donna. Fidati di me, non è adatta per essere la tua partner.» commentò la ragazza scostandosi i capelli biondi con un movimento fluido.
A quell’insulto la giovane corvina si alzò di scatto, guardandola furiosa, ma invece di risponderle se ne andò, lasciando la sua colazione, che aveva pagato, intonsa.
«Marinette, aspetta...» tentò di chiamarla Adrien, ma fu tutto inutile.

 

Mezz’ora dopo, Adrien si recò all’Ange per l’intervista: questa si sarebbe tenuta all’ingresso della scuola di danza di Col Blanc e Nadja Chamack era già comodamente seduta su una poltrona, mentre faceva le prove con il suo cameraman.
«Adrien Agreste, è un piacere conoscerla!» disse stringendogli la mano.
«Il piacere è reciproco signora Chamack... Spero non le dispiaccia se io e la mia partner abbiamo deciso di vestirci in questo modo. – disse indicando il suo abbigliamento – Abbiamo pensato che sarebbe stato più accattivante mantenere i nostri personaggi anche durante l’intervista.» puntualizzò accomodandosi con nonchalance su un divanetto bianco dell’ingresso.
«Nessun problema... A proposito, dov’è la signorina Dupain-Cheng? È un po’ in ritardo o sbaglio?» domandò la donna, sistemandosi meglio i corti capelli violetti.
«Arriverà presto! – rispose deciso lui – ...almeno spero...» aggiunse a bassa voce.
Lei però non lo deluse, proprio qualche secondo dopo la sua frase la vide oltrepassare le porte scorrevoli dell’edificio a forma d’uovo. Era magnifica, con il suo costume da Ladybug, che aveva completamente rinnovato: adesso era un elegante vestito che si allacciava dietro al collo e che alla cintura si allargava in una meravigliosa gonna skater. Ovviamente tutto rigorosamente rosso a pois neri, come la maschera che portava sul viso.
Salutò con classe ed eleganza la giornalista e dopo essersi sistemati il cameraman fece cenno d’iniziare.
«Siamo qui in esclusiva con Adrien Agreste e Marinette Dupain-Cheng, meglio conosciuti ormai, come Ladybug e Chat Noir, che esattamente quattro mesi fa hanno cominciato il loro percorso speciale a Rainbow city. – li presentò la donna, mentre entrambi salutavano alla videocamera – Allora ragazzi, siete ancora all’inizio del viaggio, ma come ci si sente ad aver superato due prove?» domandò.
«Abbiamo imparato molto da questo viaggio e sicuramente impareremo molto altro. I nostri maestri e i nostri compagni ci hanno insegnato molto, sia sulle usanze dei vari quartieri sia semplicemente sullo stile di danzare.» disse Marinette.
«Non avrei mai creduto che in qualche modo sarei riuscito a realizzare un sogno come questo, non sicuramente così.» aggiunse l’altro.
«Danza classica e danza elettronica. Ora vi mancano ancora cinque colori e poi potrete essere ammessi allo spettacolo conclusivo qui a Col Blanc. Cosa vi aspettate di imparare dai prossimi quartieri?» chiese nuovamente la donna.
«Sicuramente nuovi stili di danza.» questa volta fu il biondo a rispondere per primo.
«Ma anche nuovi modi di pensare, di comportarsi, di atteggiarsi, persino di vestirsi. Se c’è una cosa che ho capito di Rainbow city è che è l’insieme più variopinto che esista in tutta la Francia.» esclamò entusiasta la ragazza.
«Sapete vero che solo quattro persone sono riuscite a compiere interamente questo percorso, voi pensate di essere all’altezza?»
«Non lo sappiamo, ma una cosa è certa c’impegneremo fino alla fine!» rispose Adrien per entrambi, afferrando la mano della compagna, che subito arrossì.
«Ecco, parliamo di cose più interessanti: cosa ci dite a proposito di quel bacio in diretta? Avete una relazione?» domandò curiosissima la giornalista, ma entrambi sapevano che la curiosità non era solo sua, ma di tutta la città, se non di tutto il paese.
«In realtà noi...» cercò di dire Marinette, non sapendo però come spiegare la situazione.
«Era solamente un bacio scenico! – intervenne Adrien e sia lei che Nadja lo guardarono stupite – Non era nient’altro che quello... Marinette ed io siamo partner, siamo una squadra e non c’è nient’altro che una grande amicizia tra di noi.» disse regalando alla corvina uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
Sapevano entrambi che non era vero, che quella era una bugia, eppure quel gesto sembrò toccare il cuore alla giovane aspirante ballerina. Quel bel ragazzo biondo nel suo costume da gatto nero ora le sembrava un prode cavaliere in armatura che l’aveva difesa nonostante provasse qualcosa per lei, mettendi da parte quei sentimenti e mentendo per non farla sentire in imbarazzo.
Gli strinse di più la mano, cercando di fargli capire che apprezzava davvero tanto quel gesto. Chissà, forse un giorno sarebbe riuscita ad essere abbastanza coraggiosa da accettare quei forti sentimenti che provava nei confronti del modello e avrebbe accettato le sue avance, annunciando lei stessa al mondo intero che stavano assieme.

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Capitolo 18
*** Rythm Hôtel ***


Rythm Hôtel
 

Erano di nuovo sulla limousine Agreste in direzione di un nuovo quartiere, eppure Marinette non si sentiva più così eccitata ed euforica all’idea di quella nuova tappa della sua istruzione, per due semplici motivi: innanzi tutto aveva sentito dire da tutti che, nonostante s’imparasse molto, era il quartiere più malfamato di Rainbow city e, anche non fosse stato vero, non aveva il coraggio di chiederlo; il secondo motivo, infatti, era lui, quel bel ragazzo biondo di fronte a lei. 
Certo non era imbarazzata come la loro prima volta su quell’elegante auto, ma non era nemmeno sciolta come quando erano andati nel quartiere rosso. Non sapeva davvero come interpretare i suoi sentimenti e questo la irritava, nella sua testa si continuava a domandare per quale motivo non poteva essere come tutte le ragazze normali della sua età, che quando un ragazzo si dichiara loro così apertamente, non ci riflettono due secondi e si buttano a capofitto nella relazione. Insomma, le piaceva no? E allora per quale maledettissimo motivo non riusciva a dirglielo?
L’auto si fermò. La ragazza era pronta a scendere, ma la mano di lui la fermò, tenendola stretta per il braccio.
«Appena usciamo resta sempre vicino a me, chiaro?» disse quasi con tono perentorio. Marinette rispose con un leggero cenno di testa, mentre la sua mente era andata completamente nel panico, forse le voci che aveva sentito su quel quartiere non erano così false come sperava.
I due presero le valige dal bagagliaio e, dopo le raccomandazioni di Nathalie, sullo stare attenti e parlare col minor numero di gente possibile, i ragazzi s’inoltrarono nel quartiere denominato, Boulevard Orange.
Nonostante l’aria tetra e carica di tensione che dava l’impressione di essere nei bassi fondi della città, la corvina si stupì di quanto anche un posto del genere potesse essere interessante e quasi attraente per una come lei che aveva sempre vissuto nella bella e ben curata Parigi. 
Le dava quasi l’impressione di essersi catapultata in uno di quei quartieri di New York, che vedeva spesso nei film americani. Le strade non erano particolarmente affollate e, praticamente, ogni muro disponibile aveva un murales: alcuni particolarmente colorati e definiti, altri semplici, altri ancora lasciati a metà e incompleti.
Un ragazzo, vestito con un paio di larghissimi jeans scuri e una giacca tipica dei college americani, di un rosso acceso, ne stava facendo uno proprio in quel momento. Aveva la mascherina sul viso, probabilmente per non respirare i gas nocivi della bomboletta che, ogni tanto, tra una spruzzata e l’altra, scuoteva vigorosamente.
Adrien di fianco a lei, tirò un sospiro di sollievo e, nonostante all’inizio la ragazza si chiese il motivo, ben presto lo capì anche lei.
«Lysandre!» disse avvicinandosi al ragazzo, dai capelli rosso fuoco, non era un rosso come quello di Nathaniel, era più quel rosso sull’arancione, tipico degli irlandesi.
«Oh, guarda chi si vede, il damerino. – lo prese in giro il ragazzo, togliendosi la mascherina da davanti la bocca – Come mai da queste parti?» domandò poi.
«Stiamo facendo il tour di Rainbow city.» rispose il biondo, indicando prima la ragazza e poi se stesso.
«Il tour? Te? Mi stai prendendo in giro...» fece il ragazzo sgranando gli occhi, come se avesse appena sentito che gli alieni esistevano ed erano atterrati sulla terra.
«Veramente no... Abbiamo già dato l’esame all’Académie Rue Vert e all’Électron ed ora eccoci qui.» concluse Adrien allargando le braccia, l’altro storse la bocca, riprendendo a sbattere la bomboletta di colore.
«A Lila non piacerà affatto questa cosa...»
Il biondo rispose alzando le spalle, dopodiché afferrò la mano di Marinette, con la sua libera, quella che non teneva la valigia, e, salutando nuovamente il ragazzo, si allontanò con lei.
Marinette percepiva il sangue alle guance, sicura di essere diventata rossa come un peperone, senza nessuna possibilità di impedirlo, ma non appena arrivarono ad una certa altezza della strada principale, il ragazzo le lasciò la mano. Era un piccolo edificio in mattoni rossi, parecchio rozzo e dall’aria forse anche un po’ malandata, un insegna in cima segnava “Rythm Hôtel”.
«Un albergo?» domandò stupita la ragazza.
«Sì... Purtroppo non possiamo andare a stare nel luogo dove terremo le lezioni come abbiamo fatto negli altri quartieri.» disse il ragazzo, spingendo il portone dell’edificio, per poi far entrare prima lei.
«Perché?» sussurrò la ragazza, come per paura di farsi sentire da qualcuno che si trovava nella hall dell’hotel, nonostante questa fosse praticamente vuota.
«Perché Jumeau de la Mort non è una vera e propria scuola, anzi direi che non lo è affatto e sarà già un miracolo che Lila avrà voglia d’insegnarci qualcosa.»
I due si avvicinarono al bancone su cui una ragazzina con i capelli divisi in due codine ricce, stava comodamente seduta.
«Ditemi...» disse questa sorridendo.
«Avremmo bisogno di... – il ragazzo si voltò un’attimo verso di lei, come indeciso sul da farsi, dopodiché sospirò e continuò la frase – di due...»
«Una! – lo fermò Marinette prima che finisse – Una stanza doppia.» sorrise, prima alla ragazza e poi a lui, che la stava guardando stupito.
«Un momento! – esclamò la ragazzina saltando giù dal bancone e fissandoli con i suoi occhi verde scuro – Voi... Voi siete Ladybug e Chat Noir?!»
«In persona...» ebbe appena il tempo di dire Adrien, che l’altra lanciò un grido acuto e euforico, che quasi spaccò i timpani ai due ragazzi.
«Mi fate l’autografo? Vi scongiuro...» supplicò, dopo aver finito di urlare, giungendo le mani davanti al viso e intrecciandone le dita.
«Va bene. – rispose con un sorriso Marinette – Ma dopo potresti darci la camera?» domandò di rimando.
«Certo, certo! – rispose prontamente l’altra, porgendo loro un foglio e una penna – Dedicatelo a Sandrine, che sarei io.» fece tutta eccitata, osservando intensamente i due che firmavano il cartoncino che gli aveva porto e che poco dopo le restituirono.
«Ecco a te.» le sorrise Adrien, consegnandoglielo.
«Grazie, grazie!» disse, afferrandolo e stringendoselo al petto. I due la osservarono per qualche secondo, quasi divertiti, dopodiché lei si riprese e ripose il cartoncino in un cassetto del bancone.
«Giusto la camera. – disse, dopodiché si voltò e prese una chiave dal muro – Numero 32, secondo piano.» continuò porgendola ad Adrien.
«Grazie mille.»
«Grazie a voi, e buon soggiorno.» rispose.
I due si diressero all’ascensore e non appena furono rinchiusi assieme in quella scatola di metallo, il biondo si rivolse a lei, quasi imbarazzato.
«Per... Per quale motivo hai voluto una camera sola?» domandò.
«Beh... Non avevo saldi... soldi, per una camera tutta per me. Invece in questo modo la vididiamo... dividiamo...» fece lei diventando paonazza, non solo per il solito motivo, ma anche per la pessima figura che, come al solito, aveva fatto.
«Potevo pagare io per... Non importa, meglio così.» sorrise il ragazzo.

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Capitolo 19
*** Le coin del Choco ***


Le coin del Choco
 

Marinette aprì gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte per riuscire a vedere meglio ciò che la circondava.
«Buongiorno, bella addormentata.» la prese un po’ in giro Adrien, che si trovava davanti all’armadio.
Indossava già un paio di pantaloni della tuta neri, che gli stavano mostruosamente bene, nonostante la loro semplicità, mentre sulla parte superiore del corpo era ancora a petto nudo, tanto che la ragazza dovette serrare nuovamente gli occhi, imbarazzata, facendo un verso infastidito, mentre il ragazzo scoppiava a ridere.
«Cosa c’è da redire... ridere?» chiese irritata la ragazza, sebbene con quella balbuzie e gli occhi chiusi non pareva affatto minacciosa.
«Nulla, nulla... Sei strana, tutto qui... Puoi aprire gli occhi.» la rassicurò alla fine lui.
Indecisa se fidarsi o no, aprì solo un occhio, per poi assicurarsi che il ragazzo indossasse qualcosa e aprire anche l’altro.
«Non sono strana...» borbottò facendo il broncio e a quella smorfia lui sorrise di nuovo, divertito.
«Sì lo sei.»
«Oh, ma insomma... Almeno dimmi il motivo!» sbottò lei poggiando le mani sulla coperta del suo letto, che ancora teneva addosso.
«Perché sì, Marinette. Mi avvicino a te e arrossisci o balbetti; poi balli e sembra che io non esisto più; ti bacio e a malapena mi calcoli, due secondi dopo torni ad arrossire. Giuro non ti capisco.»
«Beh io...» abbassò gli occhi non sapendo con esattezza cosa rispondere.
Sentì il ragazzo avvicinarsi a lei e sedersi sul letto al suo fianco. Tentò di alzare lo sguardo, sentendo però subito le guance andare a fuoco, per la sua vicinanza.
«Non ho nessun dubbio su ciò che provo nei tuoi confronti, non credevo sarebbe stato possibile, non così in fretta perlomeno. Perciò comprendo benissimo di non poter mettere fretta anche a te, avrai tutto il tempo di comprendere cosa senti davvero per me e in quel momento, mi troverai ad aspettarti.» disse, quasi tutto d’un fiato, con un dolcissimo sorriso stampato in volto.
Non dovette pensarci nemmeno un secondo e, presa da un moto istintivo, gli buttò le braccia al collo stringendosi a lui, percependo subito dopo le sue mani accarezzarle la schiena. 
Mai avrebbe immaginato di trovare un ragazzo così: sensibile, bravo, dolce, spiritoso, talentuoso e paziente. Si promise, con tutta se stessa, di trovare quella sicurezza di cui entrambi avevano bisogno per stare insieme, solo in quel modo avrebbe potuto rimanere con lui senza sentirsi confusa. Non voleva assolutamente vederlo solamente come un modello famoso su cui sbavare, lei voleva amarlo per ciò che era, per il suo carattere e per il ragazzo dietro il modello.
Adrien si staccò da lei, sempre con quel dolce sorriso stampato sul volto.
«Forza! Ora cambiati che voglio portarti in un posto.» disse.
«Dove?» domandò lei curiosa.
«Lo vedrai.» rispose semplicemente lui facendole l’occhiolino.

 

Stavano camminando ormai da un po’, quando il ragazzo finalmente si fermò. Marinette era talmente presa dalla conversazione che stavano avendo che nemmeno si era accorta o aveva cercato di capire dove l’avesse portata, per questo non appena alzò lo sguardo sul piccolo edificio davanti a cui si erano fermati rimase stupita e a bocca aperta.
Era un piccolo locale all’angolo della via. In alto un’insegna dallo sfondo arancione con degli eleganti caratteri marroni che componevano il nome del negozio: “Le coin del Choco”. 
La cosa, però, che attirò più di tutte la sua attenzione, fu la vetrina: al centro di essa una grossa fontana di cioccolato a tre piani, faceva sgorgare il liquido scuro, mentre tutt’attorno eleganti scatole cariche di ogni tipo di cioccolatini, stavano in bella mostra: dai bon bon, alle praline; dai confetti, ai cremini.
«Non credo di avertelo detto prima, ma Boulevard Orange è famosa per il suo cioccolato e questa qui è la cioccolateria migliore che esista in tutta Rainbow city.» disse il ragazzo.
«Ma è fantastico!» fece la ragazza, con entusiasmo.
«Che ne dici entriamo?» domandò il ragazzo porgendole la mano. Lei sorrise e gliel’afferrò, decisa, dopodiché entrambi entrarono nel negozio.
Il luogo era in perfetto stile Boulevard Orange, molto serioso e rustico. Il locale conteneva appena quattro tavolini in legno, con attorno delle comuni sedie in metallo; solo il bancone da esposizione, che concludeva nella vetrina che si vedeva da fuori, mostrava un po’ di eleganza, ma non troppo, in modo da stonare con il resto del locale.
Appena entrati, ordinarono due cioccolate calde, per poi sedersi comodamente ad uno dei tavoli. Poco dopo due tazze fumanti furono servite loro ed entrambi furono inebriati da quell’invitante odore di cioccolato, che già regnava nel luogo, ma che con la bevanda calda sotto al naso era diventato più intenso.
Marinette diede il primo sorso, lentamente, attenta a non bruciarsi la lingua. Proprio in quel momento nel locale entrò qualcun altro: una ragazza dai lunghi capelli castani, completamente vestita in arancione che notò la coppietta e li guardò con aria di superiorità, per poi avvicinarsi a loro.
«Guarda un po’ chi ha deciso di presentarsi qui. Come va damerino?» domandò la ragazza, poggiando il braccio contro la spalliera della sedia del biondo e sfiorando la sua schiena con i capelli.
«Lila...» il ragazzo si voltò di scatto, incrociando gli occhi verde oliva della castana.
«Sei venuto finalmente a dirmi che accetti di essere mio partner?» fece, con una voce sensuale.
Marinette sentì le viscere contorcersi nel suo stomaco, improvvisamente la tazza di cioccolato che aveva davanti la nauseava, ma ancora di più la nauseava il comportamento di quella ragazza. Al contrario di Chloé, che si comportava da civetta e oca, convinta di essere la più attraente al mondo, quella lì pareva molto più adulta, disinvolta e, nonostante la semplice tuta, mostruosamente sexy.
«Tu hai già un partner Lila, è Lysandre, quindi per favore smettila di chiedermelo. Oltretutto io ce l’ho già una compagna di ballo.» disse risoluto il biondo allontanandosi un po’ dalla ragazza.
«Ah già... La coccinellina... – fece lei alzando finalmente lo sguardo sull’altra commensale, regalandole un sorriso ironico e quasi inquietante – Lo sai vero che non sopravvivrà nemmeno una settimana qua dentro.» fece, rivolgendosi sempre ad Adrien, ma continuando a guardare lei.
«Ti sbagli, è più tosta di quanto sembri ed è parecchio determinata.» la difese Adrien.
«Sarà... A me pare solo una bambolina, pronta a rompersi alla prima caduta.» concluse lei per poi allontanarsi e dirigersi al bancone per ordinare, mentre i due al tavolo rimasero in silenzio, sorseggiando appena le loro cioccolate.
«Domani vedremo cosa sapete fare.» disse loro, quasi come fosse una minaccia, per poi uscire dal locale.

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Capitolo 20
*** Gang de la Mort ***


Gang de la Mort
 

La Jumeau de la Mort era un basso magazzino abbandonato, o almeno così sembrava, vista la porta scardinata e l’interno completamente pieno di polvere e ragnatele.
«Sei... Sei sicuro che il posto sia quello giusto?» domandò Marinette poco convinta.
«Più che sicuro!» rispose il biondo alle sue spalle, per poi superarla e dirigersi verso il lato sinistro dell’edificio.
Lei lo seguì, comprendendo che forse non era quella l’entrata: il ragazzo infatti la portò fino a una scaletta, che scendeva in basso di una decina di gradini, fino ad arrivare a una porta arancione.
«Ricordati, solo i nomi d’arte...» le disse il ragazzo, un avvertimento che le aveva già ripetuto in hotel quella mattina.
Lei rispose con un cenno di testa, dopodiché entrambi si tirarono sul capo il cappuccio delle loro felpe ed entrarono nel locale.
Nonostante l’inquietudine di entrare in quel posto, che sapeva essere conosciuto per il luogo più malfamato di tutta la città, la ragazza rimase quasi incantata. L’interno era particolare: le luci soffuse, le pareti cariche di murales, la musica a tutto volume e gruppi di ragazzi che parlavano, danzavano e ridevano. Le sembrava quasi uno di quei locali che vedeva sempre nei film di ballo, come Step Up.
«Alla fine hai deciso di portarla lo stesso qui dentro?» fece una voce alle loro spalle.
I due ragazzi si voltarono ritrovandosi la giovane Lila, vestita in modo completamente diverso da come l’avevano vista il giorno precedente. La tuta arancione era stata sostituita con una salopette dello stesso colore, di cui teneva su solo una spallina, sopra ad un top giallo. I capelli erano legati e la lunga coda, fuoriusciva dall’apertura sul retro di un berretto arancione.
«Volpina!» esclamò il ragazzo, salutando la castana.
Marinette cerco d’imprimersi quel nome in testa, se per sbaglio avesse chiamato qualcuno con il suo vero nome lì dentro, o si fosse presentata lei con il suo, di certo si sarebbe scatenato un putiferio.
«Lo sai benissimo! La Gang de la Mort non è fatta per una bambolina come lei.» fece nuovamente la ragazza, mettendosi una mano sul fianco e guardando entrambi dall’alto in basso.
«Allora insegnami!» rispose subito a tono la corvina, strappando un sorriso divertito ad Adrien.
Volpina fece un palloncino con la gomma da masticare che aveva in bocca, facendolo poi scoppiare, dopodiché rispose.
«Io non insegno... Nessuno qui insegna... Qui s’impara e basta... Solo quando sentirai il ritmo nel sangue e scoprirai che significa muoversi, allora sarai pronta per l’ultima sfida... Non c’è un’esame... Nessuno ti valuta, ma se perdi... Sei fuori!» disse tutto con una calma quasi surreale, enfatizzando le ultime due parole, come se fossero di vitale importanza; dopodiché si allontanò da entrambi, raggiungendo un gruppo di ragazzi che ballavano.
«Che significa?» domandò confusa Marinette, rivolgendo il suo sguardo azzurro alla sua unica ancora di salvezza in quel momento.
Il ragazzo fece un sospiro, dopodiché con un cenno del capo le disse di seguirlo. Si avvicinarono ad un’altro gruppo, c’era solo una persona tra di loro che ballava, quella in mezzo, tutte le altre rimanevano attorno, incitandola e battendo le mani. Marinette rimase quasi incanta a vedere quel ragazzo che si muoveva a ritmo della musica con una scioltezza e una maestria perfetta, sembrava nato per fare ciò che stava facendo: da perfetto b-boy, passava dai normali passi alle mosse a terra, come se nulla fosse.
Solo dopo, quando si fermò, la ragazza si rese conto di chi era, o meglio riconobbe quei capelli rosso chiaro inconfondibili.
«Ma quello è...?»
«Sì, Streetman... Assieme a Volpina è il più bravo ballerino qua dentro.»
Il rosso si spostò a lato, unendosi alla massa che formava il cerchio e subito fu sostituito da un’altra persona, questa volta una ragazza.
«Quindi noi dovremmo... imparare... Così?» domandò continuando a non capire bene come funzionasse quel luogo.
«Vedi... Nonostante sia forse il quartiere più maturo e difficile di Rainbow city, Boulevard Orange è abitato solo da ragazzi. Non troverai mai un adulto in questo quartiere, qui ci vivono tutti i giovani che, o sono orfani o sono scappati di casa. Nessuno può insegnarti come vivere o come ballare qui dentro, per loro bisogna sapersela cavare da soli, esattamente come hanno fatto loro.» spiegò Adrien.
«Perciò come impariamo a ballare hip-hop e break dance?» domandò la corvina con ancora qualche dubbio in testa.
«Guardando, imitando, chiedendo, improvvisando... – il ragazzo la osservò per qualche secondo, mentre lei osservava un po’ spaurita, un’altro membro della gang che stava ballando al centro del cerchio – Pensi di farcela?» le domandò.
Marinette si voltò verso di lui, incrociando i suoi occhi smeraldini, con uno sguardo più che deciso.
«Non mi tiro indietro proprio ora...!» disse decisa.
«Questa è la mia ragazza!» fece lui, mentre un sorriso gli spuntava in volto.

 

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Capitolo 21
*** Break Dance ***


Break Dance
 

Stare dietro ai ballerini della Gang de la Mort, non era affatto facile, nemmeno per Adrien. Le mosse erano difficili e spesso dovevano chiedere ai ragazzi e farsi spiegare nel dettaglio ogni movimento. 
La loro unica fortuna era la conoscenza dei blocchi, che erano riusciti a padroneggiare perfettamente nel loro soggiorno a Pêche Zone: grazie al controllo perfetto dei muscoli, tutte le mosse basilari e ritmiche venivano loro alquanto semplici, ma nulla più di quello.
Il locking, invece, lo trovavano ancora troppo veloce e complicato: quei movimenti svelti delle braccia, quel modo di muoversi talmente sciolti da sembrare quasi che tutte le ossa fossero sparite. Nessuno dei loro movimenti era ancora abbastanza fluido come quello degli altri membri, nonostante fosse passato poco più di un mese.
Per non parlare poi della difficoltà nel muoversi a terra. La break dance era lontana anni luce dal loro stile e, nonostante avessero imparato a memoria tutti i termini e le posizioni di gambe e mani di ogni singola mossa, attuare il tutto era praticamente impossibile.
Più di una volta Adrien aveva rischiato di fracassarsi la testa per terra nel tentativo di mantenere un freeze. Altrettante volte Marinette aveva avuto non pochi problemi ad eseguire windmill, con il risultato di un labbro spaccato perché aveva sbattuto il viso contro il pavimento, nel tentativo di eseguirlo.
Quel giorno i due ragazzi si stavano nuovamente esercitando nelle mosse a terra, con scarsi risultati.
Marinette stava tentando di stare in equilibrio sulle mani, o meglio sulla mano destra e sull’avambraccio sinistro. La sua testa era piegata, in modo che non toccasse il pavimento mentre tutto il busto era sollevato verso l’alto come le gambe, di cui una, la sinistra, piegata che reggeva l’altra protesa verso il cielo.
Riuscì a tenere quella posizione per appena cinque secondi, dopodiché iniziò a sentire il muscoli dolerle fastidiosamente, tutti contratti nello sforzo. Sia le braccia che le gambe iniziarono a tremarle, le prime per via della fatica di reggere tutto il peso del corpo, le seconde per quella di tenerle in quell’assurda posizione, in particolare la destra ritta verso l’alto. Ad un tratto i muscoli non resistettero più e lei mollò la presa.
«Attenta!» urlò il biondo che era di fianco a lei.
Marinette era già pronta a percepire il dolore alle spalle e alla schiena, nel momento in cui si sarebbe schiantata completamente al suolo, ma non accadde. Adrien la prese al volo, mettendole una mano sotto la testa per proteggerla da qualsiasi botta e il braccio opposto proprio all’altezza delle spalle, in modo che toccassero il pavimento solo le gambe.
«Ladybug, stai bene?» domandò, incrociando i suoi occhi azzurri.
Lei sentì le guance andarle a fuoco alla vicinanza del ragazzo, che aveva il viso a pochi centimetri dal suo.
«Sì... Sì... Bene... G-Grazie...» rispose e lui la lasciò, in modo che si potesse rimettere in piedi. Proprio in quell’istante si avvicinò a loro Lila.
«Se continuate così non ce la farete mai...» disse con un tono quasi annoiato, come se fosse stufa pure lei di vederli continuamente fallire.
«Non ci arrenderemo Volpina, ormai dovresti saperlo...» disse decisa la corvina, guardandola con sguardo tagliente.
Aveva imparato che per trattare con quella ragazza scontrosa e altezzosa l’unico modo era essere decisi, nonostante non fosse affatto nel suo carattere. In realtà credeva fermamente che Lila lo sapesse che si sentiva a disagio in quell’edificio, in mezzo a quella gente e a comportarsi in quel modo, eppure sapeva anche che in qualche modo la sua determinazione la rendeva interessante ai suoi occhi.
«Non ho detto che dovete arrendervi bambolina... Anche se continuo a pensare che questo non è posto adatto a voi.» l’ammonì la castana.
«Cosa suggerisci allora?» domandò il biondo.
«Non siete degli inetti: avete già superato due sfide a Rainbow city, ma fino ad adesso avete sfruttato solamente ciò che avete imparato a Pêche Zone. Per fare break dance, oltre alla grinta, ci vuole anche leggiadria e a quanto ne so voi ne avete parecchia.» fece la ragazza, incrociando le braccia al petto.
«Non capisco... Cosa...?»
«Non tentate d’imitare i passi degli altri: la break dance è stile, inventiva. È una danza nata per strada e carica d’istinto. Avete una base classica da damerini? Usatela, trasformatela in qualcosa che sapete fare solo voi e create dei passi vostri.»

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Capitolo 22
*** Murales ***


Murales
 

Adrien e Marinette stavano passeggiando per Boulevard Orange. Quel giorno avevano deciso di prendersi una pausa dagli esercizi; inoltre non sopportavano più la costante semioscurità di quel luogo, insomma perché chiudersi dentro quel locale buio e poco illuminato, quando c’era un bel sole ad attenderli fuori?
Gli esercizi, finalmente, sembravano aver preso la giusta piega: dopo il consiglio di Lila, i due si erano cimentati in mosse originali e più nelle loro corde, scoprendo di essere più capaci di quanto credevano. In fin dei conti sentire il ritmo e percepire la cadenza della musica era uguale per ogni stile, se si è capace in uno si è poi capace in tutti; a quel punto bastava adeguare i passi a quel ritmo. 
Avevano anche iniziato a mettere su alcuni passi per la sfida finale che, a detta di Lila, si sarebbe tenuta due settimane dopo e che avrebbe visto loro due contro i due migliori de La Gang de la Mort, cioè Lila e Lysandre.
Era anche per quel motivo che volevano rilassarsi quel giorno: avevano deciso di andare di nuovo alla cioccolateria, avevano passeggiato e avevano avuto anche la vaga idea, se fosse avanzato del tempo di fare un murales, uno di quelli che sarebbero rimasti in Boulevard Orange per sempre, ricordando a chiunque che Ladybug e Chat Noir erano passati di lì. 
In effetti quell’idea era uscita come una battuta di Marinette quella stessa mattina e, per tutta la giornata sembrava che se ne fossero entrambi dimenticati, fino a che, dopo pranzo, Adrien non la portò in un negozio chiamato Vêtements de Rue, in cui vendevano sia vestiti in perfetto stile Boulevarde Orange, sia bombolette e mascherine per i murales.
La commessa che li accolse era bassina e un po’ robusta. In testa aveva un ammasso di dread di ogni colore: verdi, blu, fucsia, biondi, tenuti tutti indietro da una fascia fucsia. L’unico modo per comprendere l’effettivo colore dei capelli era per una piccola treccia che le scendeva nella parte davanti della fascia.
«Benvenuti a Vêtements de Rue, io sono Mylene.» si presentò ed entrambi i ragazzi ricambiarono il saluto, ma subito dopo Marinette si rivolse al biondo, dubbiosa.
«Mi spieghi cosa dovremmo comprare?» domandò, non avendo ancora capito le sue intenzioni.
«Ovvio… Il materiale per fare il murales!» rispose lui.
«Cosa?! – chiese sconvolta lei – A-Adrien io scherzavo…»
«E perché? Io la trovo una bella idea.» ribatté lui, dirigendosi nella zona colori.
«Ma spenderai un sacco di soldi…» cercò ancora d’insistere lei seguendolo.
«Sai bene che i soldi non sono un problema. – la prese in giro lui, parandosi davanti allo scaffale delle bombolette – Mmmh… Che disegno dovremmo fare?»
«Non… non lo so… io…»
«Che ne dici di noi due in stile Boulevard Orange?» domandò.
«Sì… credo ci potrebbe stare, ma ci serviranno parecchie bombolette.»
«Già… Almeno un paio di rosso e tre di nero e poi… – si portò una mano al mento pensieroso – Il rosa per la pelle…»
«…anche il verde e il giallo…» aggiunse lei, incantandosi per un attimo ad osservare il suo viso pensieroso.
«…e non dimentichiamoci l’azzurro e il blu!»
«Se volete c’è un offerta. – intervenne Mylene, avvicinandosi a loro – C’è una confezione con dieci colori e due mascherine, con annessi diversi tappi per il getto. Dopodiché aggiungete solo le bombolette che vi servono in più.»

 

Poco dopo uscirono dal negozio con un grosso sacchetto di carta, carico di tutto quello che serviva loro. Ci misero un bel po’ a trovare un muro libero da opere di altri street writer; alla fine optarono per una parete sul bianco, abbastanza grande, che si affacciava proprio sulla strada principale.
«Allora da dove cominciamo?» domandò Adrien e, a quella sua domanda così entusiasta e ingenua, Marinette scoppiò a ridere.
«Adrien, tu non hai mai disegnato in vita tua, vero?» ribatté, cercando di trattenere ancora le risate.
«Perché? Insomma non mi è mai capitato ma...»
La ragazza, aprì la grossa borsa che si era portata dietro, estraendo o un blocco da disegno è una matita.
«Innanzi tutto bisogna fare un bozzetto, altrimenti se si fa qualche errore o si cambia idea mentre si fa il murales è impossibile correggerlo, o per lo meno, molto difficile.» spiegò, aprendo il blocco, in cui solitamente disegnava i suoi schizzi per i vestiti che cuciva, cercando una pagina libera. Quando finalmente la trovò, iniziò a disegnare, seguendo i suggerimenti del ragazzo sulle posizioni di alcuni elementi. 
Ci misero all’incirca una mezz’ora buona a concludere un bozzetto che li convincesse, a quel punto stesero i teli di plastica che avevano comprato al negozio di Mylene e, dopo aver indossato le mascherine, cominciarono a fare la base del disegno con un leggero getto nero.
L’aria si riempì dell’odore pungente di vernice e del suono particolare delle bombolette che venivano scosse. Continuarono quasi per tutto il pomeriggio, finché il cielo non si tinse dello stesso colore che quel quartiere di Rainbow city rappresentava. 
Non era ancora finito, ovviamente, ma decisero che sarebbero tornati ogni qualvolta sarebbe stato loro possibile: quando gli allenamenti non sarebbero stati troppo faticosi o non fossero usciti troppo tardi. 
«Sta venendo bene.» disse Adrien, lanciando un’ultima occhiata al muro.
«Già.» confermò lei con un sorriso.
Erano tutt'altro che a buon punto, ma l’importante era che venisse bene. Il disegno abbozzato in nero era completo, dopodiché erano riusciti a dare il colore allo sfondo e alle scritte coi loro nomi, anche se a quest’ultime mancavano ancora parecchie sfumature. Infine mancava la parte più difficile, ossia quella della rappresentazione di loro stessi.

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Capitolo 23
*** Jemeau de la Mort ***


Angolo dell'autrice:
Anche l'avventura a Boulevard Orange sta volgendo al termine e siamo arrivati alla sfida finale.
Come sempre vi ricordo che questa Alternative Universe è ispirata al videogioco "Kira Kira Pop Princess" per questo motivo ho usato le canzoni del gioco. Ho deciso perciò di registrarle per permettervi di sentirle. Le trovate sulla mia pagina, proprio in questo
video
A questo punto vi posso lasciare alla lettura.

Jemeau de la Mort
 

«Bon soir carissimi fan, siamo sempre noi, Chat Noir…»
«…e Ladybug!»
«Sappiamo bene che per ben due mesi non avete avuto più nostre notizie.»
«Ma sapremo farci perdonare.»
«Questa sera daremo prova dei nostri allenamenti a Boulevard Orange…»
«Ci siamo impegnati tanto per questo giorno, abbiamo imparato lo stile maturo e autonomo dei ragazzi che vivono qui e speriamo davvero di superare anche questa sfida.»
«Per questo motivo vogliamo farvi una promessa.»
«Più un regalo che una promessa…»
«Vedete il telo dietro di noi? Bene, se stasera vinciamo, vi mostreremo di che si tratta.»
«Perciò mi raccomando, fate il tifo per noi.»
I due ragazzi, chiusero il video in live che stavano registrando nel blog che aveva creato per loro Alya, durante la loro permanenza a Pêche Zone.
Mancavano solo due ore alla grande sfida che si sarebbe tenuta alla Jumeau de la Mort, proprio dove fino al giorno prima si erano esercitati.

 

«Sei pronta, my lady?» domandò Adrien, alzandosi il cappuccio del gilet a felpa, sopra i capelli biondi.
«Pronta!» rispose decisa lei, sistemandosi meglio il capellino rosso a pois neri.
«Fratelli e sorelle della Gang de la Mort! – urlò una voce nel microfono, che rimbombo per tutta l’enorme sala – Questa sera, qui, davanti ai nostri occhi, si terrà una delle sfide più epiche che abbiate mai visto! Questa sera, si decreterà il significato della nostra Gang.»
I quattro ragazzi, si ritrovarono al centro di un’enorme cerchio creato dalla folla di gente che era venuta ad assistere, folla che era composta principalmente dai membri di quel luogo.
«Sul lato destro abbiamo loro due: i nostri leader, le nostre colonne portanti. Lei, tostissima, bugiarda, con la lingua più tagliente che mai: Volpina!» un boato sovrastò persino la voce del microfono, mentre i ragazzi applaudivano a quella che si poteva tranquillamente dire, era la migliore tra tutti loro.
«Lui, è talentuoso, sempre pieno di energia, i suoi murales, qui a Boulevard Orange, sono leggenda: Streetman!» un altro applauso e altre urla, forse di poco più leggere di prima, inondarono la grossa sala sotterranea.
«Dall’altro lato abbiamo gli sfidanti. Sono arrivati alla Jemeau de la Mort che non sapevano nemmeno cosa significasse ballare hip-hop e break dance, con i loro passi da fighetti e i loro vestiti stirati, ma… Che dire ragazzi, sono cambiati ed ora persino io devo ammettere che li adoro… Con il loro stile unico ed inimitabile, Ladybug e Chat Noir!»
Nonostante tutto l’applauso che ne seguì fu parecchio sentito e Marinette tirò appena un sorriso, complimentandosi con se stessa del fatto di essere riuscita ad integrarsi anche in quel quartiere, così lontano dalle sue corde. Fece uno sbuffo, non era il momento di compiacersi, ora doveva concentrarsi, per ballare al meglio e vincere la sfida.
Il cronista, fece partire la musica e tutta la sua attenzione si concentrò su Lila e Lysandre che iniziavano a muoversi.
Il suono ritmico della musica accompagnava i loro movimenti, nel momento in cui si sentì il rumore del weackare del CD, Lysandre, simulò proprio quel movimento, portandosi una mano all’orecchio e muovendo avanti e indietro l’altra.
Quando iniziò il suono più acuto di quella che sembrava una tastiera elettrica, finalmente cominciarono seriamente a muoversi, ovviamente in perfetta sincronia, con gambe e braccia. Poi si misero in riga, lei davanti e lui dietro, facendo il passo dello snake e poi muovendo le braccia in alternanza, in modo da creare strane figure, se si vedeva il tutto da davanti. 
Quando la musica cambiò di nuovo, Lysandre, si buttò letteralmente a terra, iniziando a girare come una trottola sulla schiena, mentre Lila sembrava volergli dare il ritmo, arrivò a fare dieci giri e, quando la musica riprese la stessa battuta lui si alzò e Lila fece la stessa cosa, solo sulla testa, aiutandosi con le braccia, mentre il suo berretto arancione che copriva i lunghi e raccolti capelli castani, sfregava contro il duro pavimento. 
La musica poi riprese con il piano elettrico e questa volta i due eseguirono solo mosse a terra, non più ovviamente trottole, ma trick più dettagliati e complicati. Muovendosi comunque sempre in perfetta sincronia, se facevano la stessa cosa, o in complementare se le due mosse si collegavano in qualche modo.
Non appena tornò il ritornello, Lysandre fece un flick all’indietro, scatenando le urla di giubilo del pubblico, mentre Lila, con aria superiore, andò verso Marinette e Adrien, muovendo le mani, come a volerli cacciare e dire loro di tornare a casa, il tipico gesto che si fa in una vera e propria sfida di ballo. Dopodiché, sempre davanti a loro s’iniziò a muovere, prima le spalle, poi le braccia e infine si tuffò all’indietro, facendo scivolare il sedere lungo il pavimento, per poi essere sollevata dal compagno, proprio sotto le ascelle. A quel sollevamento si diede una grossa spinta e gli saltò letteralmente sulle spalle con i piedi. Era in piedi sopra di lui, mentre lui gli teneva le gambe. Il ragazzo fece un giro su se stesso, lentamente, dopodiché, all’ultima battuta Lila si diede la spinta e, con un salto mortale, atterrò di nuovo a terra.
L’applauso fu incredibile e persino i due sfidanti, dovettero trattenersi dall’unirsi a quel giubilo per la performance appena vista, anche perché la loro canzone poco dopo cominciò e si fecero avanti.
Adrien, che aveva in mano un bastone in metallo, abbastanza lungo, quasi tutta la gamba si poggiò su di esso, mentre Marinette, iniziava a muovere il bacino, al ritmo del wicke iniziale. Quando si sentirono le prime note melodiose della musica, di quello che sembrava uno strumento a fiato ovattato, lui mosse solamente il bastone con un movimento circolare, mentre lei continuava a muoversi sul pezzo ritmato di base.
La canzone cominciò veramente e, afferrarono entrambi il tubo in metallo, si mossero in sincrono, facendo due passi laterali incrociati e poi tre indietro, voltandosi poi l’uno di fronte all’altra. Alla seconda ripresa, con un intreccio di mani, presero il bastone in modo diverso, facendo in modo che li separasse e poi sollevandolo verso l’alto all’ultima battuta, per fare poi altri due passetti di lato, in perfetta sincronia. 
Adrien si separò dalla sua compagna, tenendo stretto l’oggetto, in posizione sempre orizzontale e lei chinandosi ci passò in mezzo, dandogli le spalle, al che lui avvicinò il tubo verso di sé, in modo che la schiena di Marinette aderisse al suo petto. Si mossero dolcemente, come se stessero danzando una baciata, muovendo i fianchi in sincrono e seguendo la melodia. 
Durante l’ennesimo weack della musica, Marinette si voltò verso il compagno, e lui mollò la presa con il bastone, lasciandola libera di muoversi. Al che lei s’inarcò all’indietro, fino a toccare col le mani il pavimento, facendo un ponte e poi sollevando le gambe, eseguendo alla perfeziono un flick a terra e ritrovandosi in piedi poco più in là.
A quel punto lui si abbassò, tenendo il bastone sulla mano destra e scivolando con il ginocchio sinistro per terra, verso di lei, poi sollevò il bastone in orizzontale e lei, con tutta l’eleganza che aveva imparato a Rue Vert, si poggiò con entrambe le mani su di esso e sollevò la gamba sinistra. Quando questa creò un perfetta linea con l’altra gamba, sollevò pure la destra, per poi ruotare nuovamente e scivolare dall’altro lato sulla schiena di Adrien.
I due si alzarono entrambi e, poggiando solo due mani sul bastone, che era ben piantato a terra, cominciarono a ruotare lentamente, guardandosi negli occhi. Poi all’ultima battuta Adrien portò il bastone dietro la schiena di lei, bloccandola al suo corpo, mentre lei si aggrappava alla sua felpa.
Anche l’applauso per loro fu parecchio coinvolgente, mentre Marinette fu sicura di aver sentito il cronista della sfida dire qualcosa sull’amore nell’aria e sul fatto che gli avessero fatto uscire qualche lacrima.
I due ragazzi non ebbero nemmeno il tempo di riprendere fiato. Erano rimasti uno di fronte all’altra, ansimanti, tanto da sfiorarsi quando i loro petti si alzavano e abbassavano all’unisono. Quando la musica cambiò nuovamente, dando il via alla seconda coreografia di Lysandre e Lila.
La canzone, con un ritmo molto più serrato rispetto alle altre due precedenti, diede subito il via ai due giovani, che si mossero in alcuni Cross Step, ossia il passo tipico che i breacker fanno prima di andare a terra, ma quei passi non li portarono a fare ciò che tutti si aspettavano. Non appena la canzone cambiò ritmo, attraverso un ponte di weak, diventando più dolce e melodiosa i due si abbracciarono, con solo la sinistra per entrambi, mentre le braccia destre erano tese verso l’esterno e cominciando a creare un’onda con il corpo. Entrambi, a specchio. Cominciando a buttare indietro le teste per poi fare aderire prima i toraci e poi i bacini. Ripeterono quella mossa due volte, poi il rosso fece voltare Lila e, poggiandole le mani sui fianchi, glieli fece muovere, seguendo anche lui quel ritmo lento e sensuale. Fecero due passetti veloci, allontanassi per qualche secondo l’uno dall’altra e trovandosi nuovamente faccia a faccia. Poi Lila allungò le braccia e non appena lui gliele afferrò saldamente, lei si tuffo sotto le sue gambe aperte, scivolando per terra, per poi essere tirata di nuovo su dal partner. Alla sequenza successiva, invece, si aggrappò saldamente alle spalle del compagno che si piegò all’indietro permettendole di far aderire il petto al suo e sollevare le gambe, proprio come se stesse facendo una mossa a terra, per poi ritornare giù alla battuta dopo.
Si separarono nuovamente, mettendosi a due lati opposti e facendo entrambi una ruota, l’uno da un lato e l’altra dall’altro in modo da incrociarsi. Non ebbero nemmeno il tempo di riprendere l’equilibrio che tornarono indietro questa volta con un mezzo flick all’indietro in modo da farli ritrovare l’una di spalle all’altro con le ginocchia per terra. 
La musica ricominciò a weakare e in quel momento i due, finalmente, fecero qualche mossa di break, tenendo le gambe alzate  muovendole ritmicamente, mentre saltellavano sulle mani che erano l’unico loro appoggiò, andando sempre in perfetto ritmo con la musica e in perfetta sincronia tra di loro. Solo quando ricominciò la musica si bloccarono, rialzandosi in piedi con un movimento sensuale, e abbracciandosi, per poi fare di nuovo quell’onda, come finale.
«Oh oh… Ragazzi! Anche i nostri sono parecchio romantici oggi, cosa risponderanno gli sfidanti?» fece di nuovo il cronista, subito dopo partì la loro canzone.
Pure loro, questa volta, partirono subito veloci e Adrien si buttò a terra facendo un un semplice windmill, roteando, con le gambe tese, per poi tornare in piedi in un attimo, poi toccò a Marinette, che invece eseguì un arabek, poggiando solamente la mano a terra e rimanendo per appena un paio di secondi con il corpo e le gambe completamente tese, ovviamente non in un’assoluta verticale, per poi tornare in piedi esattamente com’era scesa. Entrambi fecero poi una scivolata verso i loro avversari, ritrovandosi esattamente sotto di loro con le braccia incrociate al petto. Con quattro passì si rimisero in piedi, senza l’aiuto delle braccia, che continuavano a rimanere incrociate, mentre guardavano con tono di sfida Lila e Lysandre.
Si misero poi schiena contro schiena allacciandosi l’uno all’altra con le braccia. Adrien a quel punto si piegò in avanti, sollevando ovviamente anche Marinette, che si issò su, stendendo una gamba verso l’alto e tenendo l’altra piegata a sostenerla. Dopodiché non una spinta, mollò la presa da Adrien e balzò dal lato apposto, ritrovandosi proprio di fronte a lui. Allungò una mano e con un gesto molto dolce, gliela mise sotto al mento e gli fece alzare lo sguardo e il viso, infine tutto il corpo, facendolo tornare in posizione eretta. 
Misero entrambi le mani dietro la schiena e compirono degli slide, verso l’esterno, prima a destra e poi a sinistra, allontanassi un po’ l’uno dall’altra. Allungarono solo la mano sinistra verso l’alto e fecero una ruota a una sola mano, entrambi dallo stesso lato, allontanassi nuovamente da due sfidanti. Il ritmo si ripeté e questa volta si ricongiunsero con gli stessi slide, per poi unire le mani all’altezza del petto e allungarle verso l’alto e poi verso l’esterno, sempre unite, in quello che in gergo veniva chiamato saluto al sole.
La strofa iniziale si ripetè e i due ragazzi s’invertirono solo i ruoli. Marinette eseguì il windmill, mentre Adrien, subito dopo l’arabek. Ritornarono davanti a Lila e Lysandre, questa volta con due flick, prima li raggiunse il ragazzo, alla prima battuta e poi la ragazza alla seconda. Lei poi si issò sulle sue spalle in due battute, mettendosi infine entrambi con le braccia incrociate, l’uno sopra l’altra.
«Ragazzi, qui l’aria di sfida si fa intensa… Siamo alle battute finali, ultima occasione, fate sentire il vostro tifooooooo!!» disse il dj, mentre Marinette scendeva dalle spalle del compagno.
Partì una canzone che, questa volta nessuno dei quattro ragazzi, ovviamente, aveva sentito o provato: ora toccava al momento freestyle.
Iniziarono Lila e Lysandre, allontanando i loro avversari con le braccia e mettendosi poi a terra e incominciando a fare mosse a ritmo. 
Ad ogni strofa le due coppie si davano il cambio, o meglio prendevano lo spazio allontano gli sfidanti. Sempre incollati con le mani o una qualche parte del corpo che non fossero i piedi, al pavimento. Spesso i ragazzi intorno a loro davano il ritmo con la voce e con le mani. 
Alle ultime due battute si mossero assieme tutti e quattro, scontrandosi letteralmente. Marinette faccia a faccia con Lila e Adrien con Lysandre; il petto in fuori e le braccia indietro, ansimanti.
«Accidenti! Questo sì che è ballare!! Allora ragazzi che dite? I nostri Ladybug e Chat Noir hanno superato la sfida?»
Un boato si alzò dalla folla e il ragazzo allungò un braccio verso il fianco dell’amica stringendola a lui e sorridendo divertito.
Marinette era stanca e sudata, ma la sua gioia nel comprendere che anche quella prova era andata a buon fine le si leggeva perfettamente in viso.
«I miei complimenti… bambolina.» le disse Lila con il fiatone e un sorriso, porgendole la mano, lei a quel gesto le batte il cinque decisa, stringendola solo in un secondo momento.

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Capitolo 24
*** Chemin de briques jaunes ***


Chemin de briques jaunes
 

Adrien puntò la videocamera del cellulare e, solo quando fu soddisfatto dell’inquadratura, fece partire la diretta live sul blog. 
«Buongiorno carissimi, fans… Oggi è il giorno della nostra partenza!» disse fuori campo.
«Prima però ecco la sorpresa che vi avevamo promesso…» fece invece Marinette, tirando il telo e mostrando alla videocamera e a tutti i loro followers il lavoro a cui si erano dedicati.
Era un bellissimo murales con loro due, nei loro abiti da Boulevard Orange, che facevano due freeze, mentre sotto con il carattere tipico della street art, vi erano scritti i loro soprannomi.
«Eh? Che ne dite?» domandò il biondo, comparendo finalmente nell’inquadratura e indicando con il pollice la parete.
«La nostra prossima tappa sarà Parc Citron.» sorrise la corvina, avvicinandosi a lui.
«Quindi per chiunque si trova in quella zona, presto ci vedrete sgambettare come delle fantastiche cheerleader!» scherzò divertito il modello, ricevendo una gomitata al fianco.
«Alla prossima!» esclamò infine lei, salutando con la mano l’obbiettivo, subito dopo il ragazzo chiuse il video e si rificcò il cellulare nella tasca dei jeans.
«Ci conviene andare, altrimenti Nathalie ci dà per dispersi. È da due mesi che mi tortura sullo stare attento e non dare retta a nessuno. Ha persino annullato tutti i miei impegni per paura di entrare nel quartiere e venire a prendermi.» scoppiarono entrambi in una sonora risata per poi prendere la strada principale e raggiungere finalmente la limousine.
«Allora com’è Parc Citron?» domandò la ragazza non appena l’auto partì, mettendosi più comoda nel sedile che dava le spalle al lato del guidatore.
«Mmmh... È un parco... Pieno di alberi di limoni.» le rispose lui ridendo.
«Ma davvero? Ti giuro che non me lo sarei mai aspettato. – commentò Marinette, ridendo a sua volta, dopodiché si alzò e si mise di fianco a lui – A parte gli scherzi: dimmi com’è...»
«Beh... Non ci sono stato molto, solo per un paio di servizi, ma... Credo che sia uno dei quartieri più belli di Rainbow city assieme a Rue Vert... In questo periodo dell’anno è sicuramente di un verde acceso e l’odore di limoni rende tutto magico, per non parlare della sede di Filles Aller Aller, è beh... Beh forse a quella non posso fare molti complimenti... Insomma sprizza femminilità da ogni mattone.» più andava avanti a parlare più lei si perdeva nei suoi occhi smeraldini e sognanti, nelle sue labbra rosee che si muovevano sinuose, descrivendo quel luogo.
«Ah per non parlare del gelato!» esclamò all’improvviso il biondo, alzando di qualche decibel la voce e facendola sobbalzare.
«Eh?» domandò confusa la ragazza.
«A Parc Citron ci sono un sacco di chioschi per il gelato, anche se il migliore è sicuramente quello di Andrè.» disse con un sorriso estasiato, facendo scoppiare a ridere la ragazza.
«Che ho detto di strano?» domandò allora lui.
«Nulla... nulla... È che, pensi sempre a mangiare...» gli rispose, continuando a ridere, divertita.
«Sei bellissima quando sorridi.» fece lui all’improvviso.
«Io... che... non...»  balbettò, diventando completamente paonazza.
«Ok ok... Scusami, non volevo mandarti in tilt.» la prese in giro, spostandosi nel sedile dove prima si trovava Marinette, in modo da allontanarsi da lei e lasciarla tranquilla di riprendersi dal suo imbarazzo.
Non ci misero molto ad arrivare e non appena la limousine si fermò dove iniziava la zona del parco e i due ragazzi fecero i soliti gesti abitudinari che ormai facevano ogni mese all’arrivo in un nuovo quartiere.
«Un sentiero di mattoni gialli? Sul serio?» domandò divertita la corvina, osservando con aria corrucciata le sue scarpe da ginnastica rosse che spiccavano sopra la stradina.
«Benvenuta nel mondo di Oz, mia cara Dorothy.» le sorrise lui.
La ragazza alzò finalmente lo sguardo, posandolo sulla distesa verde che circondava il sentiero, mentre l’odore dolce e pungente dei limoni le entrava nelle narici. Quel posto era davvero magico e lo sentiva in ogni fibra del suo corpo, come sentiva che forse, in quel posto perfetto, qualcosa sarebbe potuto cambiare.
«Beh... Allora andiamo verso la città di Smeranldo, caro il mio... – storse la bocca indecisa – Cosa preferisci essere? Lo spaventapasseri, l’uomo di latta oppure il leone codardo?»
«Magari... una scimmia volante!» disse all’improvviso allungando le mani e cominciando a farle il solletico, facendola subito scoppiare a ridere, presa dai singulti che le provocavano le sue dita che si muovevano veloci sul suo corpo.
«Adrien... Smettila... Sme... Dai...»
Lui si bloccò, ridendo a sua volta, dopodiché con un nuovo sorriso, la incoraggiò a proseguire per la strada.

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Capitolo 25
*** Le quartier des amoureux ***


Le quartier des amoureux
 

Più si avvicinavano alla loro meta, più si sentiva distintamente della musica. Erano diretti verso quello che sembrava l'unico edificio davvero imponente di quel quartiere: un enorme struttura a forma di cuore di un fucsia acceso con attorno una corona dorata.
«Accidenti, è proprio vero che sprizza femminilità da ogni mattone.» commentò Marinette, osservando l’edificio da cui proveniva la musica.
«Te l’avevo detto.» ghignò lui.
Finalmente arrivarono davanti all’ingresso della struttura, un’immensa arcata di un giallo accesso, decorata da un’edera di fiori profumati è completamente aperta.
«È meraviglioso!» esclamò entusiasta.
«Aspetta di vedere dentro...» disse il biondo, prendendola per mano ed entrando.
Proprio come aveva detto l’interno era ancora più sconvolgente dell’esterno. Il pavimento riprendeva lo stesso stile del viale del parco, mentre le pareti, di un rosa pallido erano quasi completamente ricoperte di decorazioni a forma di cuori e stelle oppure da rampicanti di rose di ogni colore. Tutte tranne quella di destra, che invece era in gran parte occupata da post-it, anch’essi di tanti colori diversi.
«Cosa sono quelli?» domandò, indicandoli.
«Sono i pensieri degli studenti di Filles Aller Aller.» disse una voce acuta e dolce alle loro spalle. Si voltarono entrambi, vedendo una ragazza, dai corti capelli biondi, e due grandi occhi azzurri e dolci; indossava un bel vestitino rosa, che finiva con una gonna a balze e lasciava le gambe scoperte e ai piedi portava un paio di ballerine dello stesso colore.
«Rose Lavillant, benvenuti.» si presentò, nuovamente con quella voce molto amichevole.
«Piacere, noi siamo...»
«Oh lo so chi siete. – rispose lei con un sorriso – Adrien Agreste e Marinette Dupain-Cheng, tutta Rainbow city parla di voi.»
«Ah...»
«Perciò vi iscrivete?» domandò la ragazza.
«Oh sì, siamo qui per questo! Non vediamo l’ora di cominciare.» disse il biondo con un sorriso, teneva ancora le dita strette attorno alla mano della ragazza, mentre dall’altro lato stringeva il manico del trolley.
«Beh, il bancone è lì! E poi potete andare ai piani superiori. Ci vediamo domani a lezione, sono sicura che il professor Ramier sarà contento di avere due nuovi allievi come voi.» dopo quell’affermazione se ne andò, quasi saltellando, come se stesse camminando sulle nuvole.
«Ehm, sono...»
«Se mi stai per chiedere se a Parc Citron sono tutti così, la risposta è sì. Carini, dolci, mostruosamente kitch ed estroversi oltre ogni dire.» l’anticipò il biondo.
Si diressero verso il bancone, presentandosi per l’iscrizione è compilando i moduli.
«Bene, ecco la chiave della vostra stanza!» disse la ragazza dai capelli scuri ricevendo i moduli compilati e firmati e dando in cambio una singola chiave con un enorme cuore rosa con sopra scritto il numero 22 da un lato e il nome della scuola dall’altro.
«No-nostra stanza... No, ci deve essere un errore... No-noi...» cercò di dire Marinette.
«Nessun errore signorina: tutte le stanze a Filles Aller Aller sono doppie. In fin dei conti Parc Citron è il quartiere più romantico di Rainbow city.»
Lei rimase con la bocca spalancata, nel tentativo di dire qualcosa che non le usciva proprio dalla bocca, mentre, paralizzata dal pensiero di dormire, di nuovo, altri due mesi con Adrien, le aveva mandato completamente in tilt il cervello.
«Andiamo Marinette, non è la fine del mondo, forza.» la incoraggiò il ragazzo, prendendola di nuovo per mano e trascinandola verso l’ascensore. Solo quando le porte in metallo si chiusero e lei si appoggiò a una delle pareti, con un gesto quasi di stanchezza, lui riprese a parlarle.
«Marinette, stai tranquilla. Ci siamo già passati no? Andrà tutto bene. Lo sai che non sono quel tipo di...»
L’ascensore aprì nuovamente le porte, mostrando il corridoio del primo piano, in cui vi era un gruppetto di ragazzi, che entrò all’interno. Non sembravano propensi a socializzare con loro, almeno non i quel momento, troppo intenti a chiacchierare tra di loro, ma per i due ragazzi fu abbastanza da sentirsi in imbarazzo e rimanere zitti fino al piano successivo, per chiedere poi solo permesso per uscire.
Arrivarono alla loro camera e non appena aprirono la porta ciò che videro li lasciò completamente sconvolti. Era una stanza enorme, con un grosso letto dalle coperte fucsia acceso nel mezzo, un grosso televisore al plasma proprio davanti, un piccolo piano bar sul lato, in cui si trovava ogni tipo di succo di frutta o bibita analcolica e infine dal lato opposto la porta per il bagno.
«È un...»
«...un letto matrimoniale...» continuò Adrien, questa volta anche lui si sentiva a disagio è un po’ sconvolto; non che gli dispiacesse condividere il letto e le notti con Marinette, soprattutto dopo che aveva compreso i suoi sentimenti per lei, ma farlo quando lei era ancora insicura e indecisa lo innervosiva. Insomma non voleva forzarla e quello sicuramente era una grossa, enorme, forzatura a cui lui non aveva pensato. Anzi in realtà non lo sapeva proprio, insomma conosceva le storie che giravano di Parc Citron del fatto che fosse il posto perfetto per le coppiette innamorate e che avesse parecchi posti romantici, ma da lì a fare le camere della scuola di danza e musica una specie di nido d’amore.
«Marinette se vuoi, io...» tentò di dire, anche se non aveva in mente nessuna soluzione.
«No! – esclamò subito lei – Va... Va bene così...»
«Sei sicura?» domandò e lei emise un grosso sospiro, come se oltre a riempirsi i polmoni d’aria cercasse di riempirsi anche di coraggio.
«È ora che faccio i conti coi miei sentimenti... Non ti prometto che sarò subito la fi... fi... la ragazza perfetta, però...» lui fece un verso per zittirla, poi le diede un bacio sulla guancia.
«Abbiamo due mesi, my lady.» la rassicurò, con un sussurro che la fece rabbrividire.

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Capitolo 26
*** Ramier ***


Ramier
 

La notte, al contrario di come si aspettavano, passò tranquilla e la mattina successiva Marinette si svegliò per prima, accorgendosi che stava abbracciando il ragazzo. Un po’ rossa d’imbarazzo sfilò lentamente le braccia dalla presa e si alzò, dirigendosi verso l’armadio che, il giorno prima avevano riempito con i loro vestiti.
Scelse con cura cosa mettersi per il primo giorno di lezione, finalmente sarebbe potuta tornare quasi completamente nel suo stile. Sapeva bene che Parc Citron era il quartiere dello stile femminile, rosa, da cheerleader e in cui più di tutti gli altri avrebbe imparato a muoversi sul palco, come una vera Idol. Alla fine optò per una maglietta a rosa pallido a maniche lunghe, visto il tempo uggioso di quella mattina è una gonna nera abbinata ad un paio di parigine dello stesso colore della maglia.
Adrien si svegliò poco dopo, mentre lei era ancora in bagno a lavarsi e ben presto furono entrambi vestiti.
«Pronti per il primo giorno di lezione?» fece con la sua vocetta euforica Rose, appena li vide entrare nella sala che era stata indicata loro per seguire le lezioni del professor Ramier.
«Ormai, questo è il nostro quarto corso, direi che siamo sempre pronti. – fece il biondo con un sorriso, passando una mano sul fianco della compagna – Vero, my lady?»
«Non tanto per l’esame finale, invece.» fece la corvina, storcendo la bocca ed entrambi scoppiarono a ridere.
«Vedo che come al solito fai subito amicizia, vero Rose?» intervenne un ragazzo, avvicinandosi a loro, aveva corti capelli castani e due profondi occhi blu, molto simili a quelli di Marinette.
«Ragazzi, lui è Charles, il mio partner. Charles loro sono...»
«Sulla bocca di tutti.» continuò lui divertito facendo l’occhiolino alla ragazza, facendola arrossire d’imbarazzo, mentre Adrien assottigliava lo sguardo, irritato da quel gesto così esplicito. Stava per dirgliene quattro, quando qualcos’altro attirò l’attenzione di tutti, o meglio qualcun altro.
«Su su, miei piccoli uccellini, è l’ora cominciare la lezione.» disse una voce maschile, ma particolarmente addolcita, accompagnata da un leggero battito di mani.
Nella sala era entrato quello che doveva essere il professor Ramier. Indossava un semplice completo maschile da cheerleader dai colori rosa e grigi e lo portava con talmente tanta classe e disinvoltura da farlo apparire quasi ridicolo, nonostante tutto.
«Professore, abbiamo due nuovi allievi, ha visto?» esclamò subito la bionda, saltellando sul posto e indicando Marinette e Adrien, che ancora guardavano straniti quello che per i prossimi due mesi sarebbe stato il loro insegnante.
«Oh, – fece l’uomo, quasi tubando – abbiamo due nuovi uccellini nel nido. Benvenuti.» disse con un enorme sorriso.
«G-Grazie... – rispose dubbioso Adrien, ad alta voce, per poi avvicinare la bocca all’orecchio di Marinette – Se diventerò così alla fine dei due mesi, ti prego, uccidimi.» le sussurrò, facendola scoppiare a ridere, una risata delicata e dolcissima, mentre si portava la mano alla bocca. 
Subito un sorriso si dipinse anche sul suo volto nel vederla così spensierata e divertita, era davvero adorabile, ogni volta che la vedeva per più di qualche secondo, soprattutto nei suoi momenti spontanei, sentiva il cuore balzargli in petto.
«Cominciamo con un po’ di stretching, perciò a terra, forza.» disse l’uomo con ancora la sua voce calma e melliflua, battendo le mani.
Il riscaldamento durò una buona mezz’ora, dopodiché passarono ad esercizi più seri, vere e proprie coreografie singole, di coppia o di gruppo. 
Marinette si rese conto che, più passava il tempo, più quartieri visitava a Rainbow city, più le veniva facile apprendere stili diversi e muoversi a ritmo. Una cosa era certa, la Marinette perdente e cacciata da ogni provino perché scoordinata e fuori tempo era ormai un lontano ricordo e non vedeva l’ora di dimostrare a Chloé che lei finalmente era una ragazza nuova.
A fine lezione arrivarono stanchi e sudati, ma soddisfatti; nonostante il suo modo di fare, il professor Ramier sembrava comunque un insegnate capace, esigente e le sue lezioni si era dimostrate parecchio istruttive.
«Allora? Che fate questo pomeriggio? Uscite con noi?» domandò Rose, avvicinandosi a loro.
«Uscire? Ma sta piovendo!» le fece notare Marinette, togliendosi il sudore con l’asciugamano che portava al collo.
«Qui a Parc Citron piove spesso, ma è proprio questo il bello!» rispose sempre con il solito entusiasmo la bionda.
«Tranquilla Marinette, possiamo sempre fare un giro di negozi, così rimarrai all’asciutto.» la tranquillizzò Charles, poggiando un braccio sulla spalla della sua partner.
«Andiamo principessa, tanto non abbiamo altro da fare.» cercò d’insistere Adrien, aveva proprio voglia di uscire un po' con lei, chissà magari la poggia avrebbe reso l’atmosfera più romantica.
«E va bene. – sospirò alla fine la ragazza – Ci andiamo a cambiare e usciamo, così pranziamo fuori da qualche parte.» propose
Accettarono tutti e una mezz’ora dopo, anche meno, erano fuori, con mantelle impermeabili e ombrelli, pronti a dirigersi verso la zona commerciale del quartiere. I negozietti si trovavano sempre in mezzo al verde di quell’enorme giardino, lungo il viale, ed erano principalmente negozi di vestiti e di giocattoli. 
Pranzarono ad un ristorantino molto accogliente, chiamato “Boucles d'Or”, dove ordinarono piatti diversi da dividersi, in modo da assaggiare un po’ di tutto. Ogni cosa in quel ristorante, come probabilmente in ogni altro locale della zona, era a base di limoni. Il sapore pungente di quel frutto addormentava la lingua ma allo stesso tempo dava un aroma particolare ai piatti, rendendoli più buoni.
Passarono il resto del pomeriggio a fare entra ed esci dai negozi, mentre la pioggia non accennava a smettere e continuava a picchiettare sui loro ombrelli. In fin dei conti però, sembrava che Rose avesse ragione, la pioggia non era così triste e noiosa come la ricordava a Parigi, anzi in quel luogo appariva quasi divertente e magica.

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Capitolo 27
*** La crème glacée d'André ***


La crème glacée d'André
 

Più il tempo passava, più Marinette si rendeva conto che i suoi sentimenti verso il giovane modello biondo, stavano trovando la loro strada e le sembrava quasi strano. Se ripensava a quando aveva iniziato quell’avventura le veniva da sorridere, allora non avrebbe mai creduto che quel bel ragazzo, il cui volto capeggiava nella via principale di Col Blanc, e che semplicemente l’aveva attratta fisicamente, sarebbe diventato il suo partner di danza. Il tempo era passato e si era legata a lui, più di quanto avesse creduto, perché doveva ammetterlo, c’è una bella differenza tra attrazione e amore, ed era proprio per quel motivo che non riusciva ad accettare tranquillamente le avance di lui, perché non riusciva a comprendere se i suoi sentimenti fossero una o l’altra cosa.
Quel quartiere però sembrava non volerle dare tregua. Il dormire assieme, le passeggiate, le coppiette che lo frequentavano: tutto in quell’enorme parco le gridava di prendere una decisione e il culmine arrivò proprio quel giorno.
Il solito acquazzone improvviso la sorprese, proprio quando aveva deciso di farsi una passeggiata in tranquillità.
Sospirò, rimanendo all’ingresso dell’edificio Filles Aller Aller, indecisa se rientrare giusto per prendere l’ombrello o rinunciare alla sua camminata in giro per i negozi di Parc Citron che, comunque, ormai, conosceva a memoria.
«Ehi, principessa.» disse una voce alle sue spalle facendola voltare. Aveva in mano un’ombrello nero e la stava guardando come se dovesse confessargli qualcosa, tanto che si domandò cosa lo turbasse così tanto, ma nonostante quel suo atteggiamento indeciso, i suoi occhi verdi la misero comunque in imbarazzo e dovette scostare lo sguardo.
«Senti… – proseguì lui, aprendo l’ombrello e facendo qualche passo verso l’esterno – So di averti promesso che avrei aspettato, ma ecco… Non ho mai provato nulla del genere per una ragazza, a dirla tutta non ho nemmeno mai avuto una vera ragazza… Tutto questo è una novità.» concluse girando il capo verso di lei e guardandola, nonostante le desse ancora le spalle. Poi un sorriso gentile si dipinse sul suo volto e, voltandosi di nuovo completamente verso di lei, le porse l’ombrello.
«Scusami… Buona passeggiata, Marinette.» concluse.
Lei lo guardò quasi stranita, per qualche secondo, finché il temporale, che accompagnava la pioggia, non tuonò proprio in simbiosi con il suo cuore, che subito dopo cominciò a martellare furioso.
Allungò il braccio, per prendere ciò che lui le stava porgendo e in quel gesto le loro mani si sfiorarono, mettendole i brividi, nonostante ormai fosse più che abituata al suo tocco. Insomma con tutti i passi, i duetti e le prese che facevano assieme, com’era possibile che quel semplice sfiorarsi le mani la faceva sentire così nervosa?
La mano le tremava talmente tanto che, involontariamente premette il bottoncino per chiudere l’ombrello, che ovviamente le si chiuse addosso, facendo scoppiare Adrien in una risata divertita.
«Sei unica, principessa.» disse, tra un singhiozzo e l’altro.
Anche lei, dopo aver sollevato di nuovo la tela dell’ombrello e averlo aperto come si deve, si mise a sghignazzare, di quell’incidente così stupido.
«Allora, ci vediamo dopo…» fece lui, pronto a rientrare nell’edificio, ma Marinette lo fermò per un braccio, facendolo di nuovo voltare verso di lei.
«V-Vieni… Vieni con me?» domandò, sicura di essere diventata rossa.
Lo sguardo verde del ragazzo sembrò illuminarsi e con un leggero cenno di testa si affiancò a lei, tenendosi però a debita distanza, come se avesse paura che standole troppo vicino l’avrebbe messa a disagio. Fu lei infatti ad attaccarsi a lui , facendo passare il braccio sotto il suo e coprendo entrambi con lo stesso ombrello.

 

Finalmente stava cominciando a spiovere e, il caldo sole già stava riscaldando l’aria, oltre a creare un maestoso arcobaleno in cielo.
«Voglio portarti in un posto.» disse il biondo alla ragazza che, nonostante l’ombrello ormai chiuso, stava ancora attaccata a lui, con la testa appoggiata sulla sua spalla.
Continuarono a passeggiare, seguendo il sentiero di mattoni gialli che percorreva tutto Parc Citron, fino a che Adrien non vide un carretto dei gelati e iniziò a andare verso di esso.
«Oh sì, ho proprio voglia di un gelato!» esclamò entusiasta la corvina, quasi saltellando sul posto, come una bimba e facendolo sorridere nel vederla così elettrizzata e spontanea.
«Quello di André però non è un gelato come gli altri. – buttò lì, vedendola abboccare e voltarsi verso di lui – Qui a Parc Citron viene chiamato ‘il gelato degli innamorati’, dicono che per le coppie che mangiano il gelato da André l’amore duri in eterno, ovviamente se André riesce a carpire l’essenza della persona che hai nel cuore.» a quell’affermazione però, lei aggrottò le sopracciglia, confusa.
«Cioè? Non capisco come fa a…» domandò, ma lui non le fece finire la frase.
«Adesso vedrai.» rispose facendole l’occhiolino e andando avanti.
«Oh sacreble, guarda chi c’è, Adrien.» lo salutò l’omone dietro il carretto dei gelati.
«Vorrei due gelati, uno per me e uno per la mia amica Marinette.» disse lui tranquillamente.
L’uomo li guardò entrambi per qualche secondo, come a cercare di capire qualcosa, poi si chinò sul suo carretto.
«Bene, allora cominciamo dalla signorina. Pesca rosa come le sue labbra e menta come i suoi occhi.» disse aggiungendo due palline al cono e porgendoglielo.
Lei guardò quel piccolo capolavoro di gelateria quasi con ammirazione, alzando poi lo sguardo su Adrien che la stava fissando divertito. Non appena lo fece il suo occhio verde acceso le fece l’occhiolino, mentre le sue labbra color pesca si estendevano in un sorriso. Era possibile che…
«E ora a te Adrien… Fragola con scaglie di cioccolato, mora come il nero dei suoi capelli e poi mirtillo blu, come il suo sguardo color del cielo.» concluse, lasciando il gelato anche a lui e pagandolo.
«Ora ci credi al destino, Marinette?» domandò il ragazzo, mentre si allontanava con lei dal carretto.
«Ma il tuo non è… Sì insomma i capelli e gli occhi forse, ma… la fragola…» cercò di dire.
«Tu sottovaluti il potere di André, mia cara Ladybug.» le rispose lui, con un altro occhiolino, usando il suo nickname da ballerina, permettendole così di comprendere: quella fragola con le gocce di cioccolato rappresentava il suo lato artistico e i vestiti creati da lei che solitamente indossava per ballare.
Cercò di trattenere il sorriso compiaciuto, al pensiero che forse, quei nuovi sentimenti non le dispiacevano affatto.
«Non so… Forse troverò un’altro bel ragazzo con gli occhi verdi.» disse, provocandolo.
«Ehi!» protestò lui, imbronciandosi.
Lei a quel suo gesto rise divertita, poi, presa da qualcosa che ormai riusciva a comprendere perfettamente, ma non riusciva a controllare, si avvicinò al suo viso e gli lasciò un breve e fugace bacio sulle labbra.
«O forse mi basti tu.» sussurrò, non appena si staccarono.

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Capitolo 28
*** Colombe ***


Colombe
 

Quando Adrien aveva detto che in quel quartiere avrebbero sventolato pom pom, non scherzava. Parc Citron era l’unico quartiere in cui si disputavano le partite di basket di Rainbow city, proprio nel campo al centro del parco e, nella prova finale, come prima cosa dovevano sostenere la squadra dei Rainbow, proprio durante la loro partita. Per questo motivo, oltre alle lezioni di ballo e canto pop, il professor Ramier stava dando loro anche lezioni di cheerleading. 
Sebbene, però, lo stile pop e il muoversi sul palco, fossero qualcosa che a Marinette ormai veniva anche abbastanza bene, eseguire una coreografia come quelle da cheerleader era parecchio difficile e alcuni salti o passi li trovava ancora complicati nonostante fosse già passato un mese e mezzo da quando erano lì. Per questo motivo quel giorno, aveva chiesto al signor Ramier, di poter avere delle prove extra dopo le solite ore di lezione.
In fin dei conti la coreografia che avrebbero dovuto portare alla partita era l’unica che era uguale per tutti e che non dovevano preparare gli studenti; l’aveva organizzata tutta il professore e sapeva ogni singolo trucco e passo per eseguirla al meglio.
«No, no, mio piccolo uccellino, devi essere più decisa! Apprezzo la tua grazia, ma ora voglio un falco!»
Marinette prese un grosso respiro ed eseguì nuovamente il passo, fatto poco prima, mettendo più decisione nei movimenti.
«Perfetto! Ora riprendili… E cinque e sei, sette e otto. Brava, stai migliorando.» esclamò, mentre lei lanciava i pom pom appena presi in aria, eseguendo una spaccata e riprendendoli.
«Ma che brava, la mia colombella. – si complimentò di nuovo l’uomo, con un leggero applauso, qualcosa però, subito dopo, lo distrasse – Oh Adrien, sei qui. Vorresti aiutare la tua partner con i passi di coppia? Tanto li dovrete eseguire assieme.»
A sentire il nome del biondo, lei, ancora con le gambe divaricate, per terra si voltò verso la porta d’ingresso dell’aula. Appoggiato allo stipite, con un aria tranquilla e perfetta, segno evidente della sua naturalezza nello stare in posa come un vero modello, c’era lui, che da ormai una settimana si definiva il suo fidanzato.
«Con molto piacere.» rispose il biondo, rimettendosi dritto dalla sua posizione obliqua e rilassata ed avvicinandosi a lei, che intanto si era alzata da terra.
«Bene, abbiamo le tre prese da fare. Partiamo dalla più semplice, va bene?» domandò l’uomo. Entrambi i ragazzi annuirono e si misero con calma in posizione, mentre lui li circondava di materassini, in modo che se Marinette fosse caduta non le sarebbe successo nulla.
«Cinque, sei, sette e otto.»
In quel preciso istante Marinette, con un piccola rincorsa, si lanciò verso Adrien facendo un salto e lui la afferrò per le gambe, avvolgendola completamente con le sue braccia all’altezza dei polpacci. Rimasero così per qualche secondo, il tempo che Ramier contasse due ottave; poi la corvina si diede una spinta all’indietro, inarcando la schiena, mentre Adrien l’accompagnava in quel gesto. Toccò il pavimento con le mani e solo a quel punto lui le lasciò le gambe, permettendole di eseguire una verticale, su cui rimase solo due battute, prima di proseguire quel lento flick e portare le gambe in avanti ritrovandosi di nuovo in piedi.
«Ma che bravi i miei uccellini preferiti! – pigolò entusiasta Ramier, battendo le mani e saltellando, quasi euforico – Ed ora passiamo al salto.»
Marinette prese un grosso respiro, allontanandosi nuovamente un po’ dal compagno, che invece si chinò di poco e intrecciò le mani all’altezza dell’addome. Prese la dopo due passi, al terzo, mise il piede destro sopra le mani di Adrien che in un gesto veloce la spinse verso l’alto, permettendole di fare un flick per aria.
Lei atterrò in modo quasi perfetto, non fosse che dopo che i suoi piedi toccarono il pavimento, perse equilibrio, cadendo con il sedere sul materassino alle sue spalle.
«Accidenti!» sbuffò.
«Tranquilla colombella, non è successo nulla, devi solo esercitarti nell’atterraggio. Dovresti arrivare più dritta, in questo modo non rischi di perdere l’equilibrio.» la rassicurò l’insegnante, mentre Adrien le porgeva una mano per aiutarla a rialzarsi.
«Pronta per l’ultima?» gli sussurrò il biondo, quasi come fosse qualcosa di proibito, qualcosa di solo loro.
In effetti, quell’ultima presa era qualcosa di particolare, che le piaceva tanto fare, con Adrien e che, allo stesso tempo, la spaventava da impazzire: in fin dei conti era una prova di assoluta fiducia nei confronti del ragazzo.
«Pronta.»

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Capitolo 29
*** Filles Aller Aller ***


Angolo dell'autrice:
Sì lo so, è un'eternità che non aggiorno! E se ve ne siete accorti ho anche ridotto i saggi (anche i precedenti) ad un intero lungo capitolo. Ma a mia discolpa posso dire che oltre a mandare avanti altre storie e fan fiction di questa dovevo anche scrivere due testi e non è stato affatto facile XD

Come sempre vi ricordo che questa Alternative Universe è ispirata al videogioco "Kira Kira Pop Princess" per questo motivo ho usato le canzoni del gioco. Ho deciso perciò di registrarle per permettervi di sentirle. Le trovate sulla mia pagina, proprio in questo video
A questo punto vi posso lasciare alla lettura.

Filles Aller Aller
 

Il campo da basket di Parc Citron era gremito di gente: molte persone, per la maggior parte giovani, si stavano ancora sistemando sugli spalti, chiacchierando fra loro.
Adrien e Marinette, proprio come il resto della classe del professor Ramier, erano dietro una serie di paravento a bordo campo, con già indosso le divise giallo e smeraldo della squadra, e si stavano riscaldando i muscoli.
«Credo di essere più nervosa al dover cantare alla prossima coreografia, piuttosto che alle prese che ci aspettano ora.» commentò Marinette, che era seduta a terra e si allungava in avanti, toccandosi le punte dei piedi con le dita.
«Sciocchezze! – esclamò Rose alle sue spalle, lei invece stava saltellando, allargando e chiudendo gambe e braccia – Vi siete… allenati… un sacco… vedrai… che andrà… bene…» concluse, fermandosi proprio alla fine della frase.
«Ce la faremo anche questa volta my lady, ne sono sicuro.» le sorrise Adrien, ma non ebbe tempo di dire o fare altro, perché una voce maschile echeggiò nella zona del parco.
«Carissimi abitanti di Rainbow city e non, benvenuti alla prima partita della stagione! I nostri giocatori sono pronti e carichi, le nostre squadre di cheerleader sono pronte a sostenerli e voi siete pronti?» subito dopo quella domanda, una serie di urla di giubilo gli fecero quasi eco, incitando tutte le persone che si trovavano proprio dietro il paravento.
«In bocca al lupo ragazzi.» sussurrò il capitano della squadra, rivolgendosi ai due giovani ballerini.
«Grazie, anche a voi.» rispose Adrien per entrambi.
«Ed ora presentiamo le squadre, da fuori casa, una piccola ma tostissima squadra di Parigi, si sono allenati parecchio in questi mesi, nel tentativo di mantenere il titolo di campioni. Con le divise blu e rosse i Cloches!» qualche grido di incitamento e qualche applauso accolse la squadra avversaria, che entrò in campo agitando le braccia e salutando il pubblico.
«Loro invece sono i nostri giocatori ed anche se sono arrivati quarti allo scorso torneo, rimangono i nostri campioni. Con le loro divise giallo verde, accompagnati dalla tifoseria delle Filles Aller Aller, ecco a voi i Citron!» le grida furono più forti e sentite, tanto che per un attimo Marinette si senti frastornata da quella confusione, mentre superava il paravento ed entrava in campo con i pom pom stretti in mano.
«Prima di cominciare la partita, come di consuetudine, avremo la coreografia del gruppo di Cheerleading e se vi posso dare un consiglio, non ve ne andate dopo l’incontro, perché due degli allievi della scuola di ballo sosterranno il loro esame!»
Detto questo la musica partì, proprio nel momento i cui gli otto ragazzi si mettevano nelle loro posizioni di inizio coreografia.
Ai primi battiti, tutti quanti, con i pom pom in mano, portarono verso l’alto il braccio destro, per poi riportarlo indietro e fare la stessa cosa col sinistro, poi entrambe le braccia verso l’esterno, riportandole nuovamente indietro e infine verso l’alto entrambe facendole scendere in avanti. Ripeterono due volte quei movimenti, proprio come nella canzone. Agli ultimi tre battiti, aprirono nuovamente le braccia, per poi incrociarle sul petto e muovere i pom pom a ritmo.
A quel punto la musica cambiò ritmo, aggiungendo quella che sembrava una tastiera elettronica agli strumenti. I ragazzi che erano disposti in due file da quattro formarono un’arcobaleno con le braccia, sempre stringendo i pom pom. La fila davanti verso destra, quella dietro verso sinistra, per poi rifarlo nel verso opposto. Dopodiché li lanciarono e, dopo aver fatto una giravolta su se stessi, li ripresero al volo. Anche questa sequenza di passi la ripeterono due volte e alle battute successive si cambiarono di posto, disponendosi a piramide, con Rose e Charles davanti. 
Mentre tutti si mettevano con un ginocchio che toccava terra e i pom pom verso il centro, i due ragazzi eseguivano alcune prese in cui si erano esercitati. Alle ultime battute del ritmo si alzarono nuovamente tutti.
Al ritmo più veloce, si mise al centro Marinette, che fece la mossa che aveva provato più di tutte, quella che terminava con la spaccata, mentre gli altri ragazzi intorno a lei, muovevano energicamente i pom pom. Subito dopo, Adrien andrò a prenderla, sollevandolo da sotto le ascelle e lei alzò la gamba con forza, facendo un’altra spaccata, questa volta in verticale. Dopodiché lui le fece fare una giravolta, mentre lei teneva i pom pom sulla testa, separandosi da lui.
Il ritmo riprese come ad inizio coreografia e i ragazzi ripeterono gli stessi movimenti delle braccia. Nella conclusione però, Adrien e Marinette tornarono al centro, e mentre gli altri, dietro di loro, eseguivano una piramide umana, loro due fecero la loro presa in cui Marinette con un lento flick si posizionava sulle mani di Adrien, sollevando una gamba, mentre lui poi si issava in piedi sorreggendola mentre eseguiva quel ponte in aria.
L’applauso che ne seguì fu energico e sentito e dopo essere tornata coi piedi per terra Marinette, un po’ rossa in volto, fece un’inchino come tutti gli altri suoi compagni.
Si sedettero tutti quanti sulla panchina, proprio sotto le tribune, pronti a urlare e scuotere i pom pom, ogni qual volta la squadra di Rainbow city avesse segnato un punto.
Fu una partita parecchio sentita e, nonostante la tensione per l’esame imminente, entrambi i ragazzi più di una volta si fecero prendere dall’euforia del tifo, incitando i giocatori in divisa gialla a segnare un punto.
Quel momento di svago, però, sembrò passare troppo in fretta e, quando il cronista decretò la fine della partita, l’ansia e l’agitazione tornarono a invadere il cuore di Marinette.
Tutti i giocatori e la tifoseria si diressero nuovamente dietro al paravento per cambiarsi, mentre alcuni spettatori si alzavano, chi per sgranchirsi le gambe chi perché forse non aveva voglia di assistere al resto dello show.
La giovane ballerina, in un silenzio assoluto, si tolse la divisa da cheerleader, indossando l’abito per la coreografia. Questa volta non l’aveva cucito lei, ma l’aveva comprato al negozio di Parc Citron, “L’énergie du soleil”, dove il commesso, un giovane della loro età di nome Kim, aveva aiutato a scegliere l’outfit migliore sia a lei che ad Adrien, almeno per quella coreografia.
Il suo comprendeva un vestito unico, fatto di pezzi bianchi e neri che si univano attraverso una miriade di cerniere che le davano un’aria molto trasandata e allo stesso tempo stranamente elegante, soprattutto grazie al fatto che la gonna a balze si allargava alla vita, dando quasi l’impressione di un tulle che la copriva solo fino alle ginocchia; mentre ai piedi aveva un paio di stivaletti neri in pelle.
Adrien, invece, indossava un semplice jeans nero e una maglia bianca, infilata alla cinta solo da un lato; sopra aveva un gilet gessato nero, sbottonato che lasciava la vista sulla maglia e su una serie di catenine in argento che aveva al collo. Come da programma, poi, avevano entrambi l’archetto del microfono vicino al viso, visto che quella sarebbe stata la prima volta che Rainbow city li avrebbe visti cantare.
Il biondo avvicinò il viso al suo, sussurrandole all’orecchio.
«Andrà tutto bene, principessa…» dopodiché le prese la mano e assieme uscirono da dietro il paravento, tornando al centro del campo di basket, posizionandosi uno di fronte all’altra.
La musica partì con un ritmo lento e loro muovendosi a specchio, sollevarono lentamente prima un braccio e poi l’altro, riabbassandoli poi in un movimento circolare verso l’esterno. Ripeterono il gesto, fermandosi a metà della discesa e intrecciando le dita. 
Poi si voltarono verso il pubblico, lasciando solo una mano avvinghiata a quella del partner.
«Sempre qui, fissato nella mente ormai.» cantarono entrambi sollevando le mani libere e puntando un dito ognuno verso la propria testa, per poi riabbassare la mano con un movimento fluido.
«Lui/Lei è sempre qui, e non potrò scordarlo/la mai!» Adrien cantava al femminile e Marinette al maschile, mentre la solita mano, questa volta si apriva all’altezza del petto, scendendo poi di nuovo, con lo stesso movimento.
Il ritmo aumentò e i due finalmente si staccarono, posizionandosi un dietro l’altra e spostandosi a ritmo, prima a destra e poi a sinistra in modo alternato, così che si vedessero entrambi da due lati opposti.
«Ma io ormai lo so, in bianco e nero o no, – si rimisero l’uno di fronte all’altra ed entrambi poggiarono la mano destra sulla spalla dell’altro – lui/lei sarà, sempre qui, in silenzio, vicino a me.» cantarono insieme.
«Sono in bianco e nero, i miei ricordi, ma se sto con te, torna il color.» questa parte la intonò solo Marinette, mentre Adrien, le sollevava le braccia e la faceva danzare, come se fosse la sua bambola, poi toccò a lui cantare.
«Non lasciarmi mai, stammi vicino e questo silenzio so sparirà.» mentre lui cantava, Marinette invece si muoveva sinuosa di fianco a lui, andando perfettamente a ritmo.
«Io e te, tu e me!» cantarono nelle battute veloci, prendendosi saldamente per le mani.
Nel momento in cui la musica, riprese le note iniziali per la conclusione, Adrien si chinò leggermente e Marinette si arrampicò prima sulle sue ginocchia e poi poggiando le mani sulle sue spalle mise entrambi i piedi sulle sue mani intrecciate. Il pubblico tenne il fiato sospeso nel momento in cui lui la lanciò verso l’alto, facendole fare un salto mortale in aria e poi riafferrandola al volo, saldamente stretta a lui in un abbraccio.
L’euforia che ne scaturì dopo fu un boato, nonostante già prima il campo del parco si fosse svuotato. Per ringraziare quegli applausi i due ragazzi si presero per mano e fecero un profondo inchino, per poi salutare il pubblico e tornare dietro il paravento.
La parte successiva dello spettacolo sarebbe toccata a Rose e Charles, dando loro la possibilità di riposarsi e cambiarsi per l’ultima coreografia.
I due ballerini professionisti di Parc Citron erano bravissimi: anche loro cantarono e ballarono contemporaneamente, muovendosi a ritmo e sprizzando gioia da ogni poro, con le loro voci decise e allegre come i colori dei costumi di scena che indossavano; praticamente l’esatto opposto di ciò che avevano fatto Adrien e Marinette poco prima.
La coreografia successiva li avrebbe visti tutti quattro assieme e i due giovani allievi raggiunsero gli altri due in mezzo al campo, che con un paio di movimenti veloci si erano tolti il vestiti di sotto rimanendo con un paio di sgargianti pantaloncini, e una canotta dello stesso colore, ognuno diverso dall’altro: Marinette era di un rosso acceso, Adrien verde intenso, Rose di un rosa confetto e Charles giallo canarino.
La musica partì con dei semplici battiti e i ragazzi, in fila uno di fianco all’altro, con le mani su fianchi, battevano il tempo con i piedi.
Ai primi accordi Rose fece due passi avanti, muovendo le braccia verso il pubblico, come volersi allungare verso di loro, subito dopo fu raggiunta dal compagno che la prese per la vita, facendole muovere il bacino a tempo.
Al verso successivo, fecero la stessa identica cosa Marinette e Adrien. Subito dopo, quando la musica fece quei quattro battiti di ponte, le ragazza si avvinghiarono all’indietro al collo dei loro compagni e nel momento in cui il suono che sembrava quello di una girandola partiva, loro le fecero letteralmente ruotare, sollevandole da terra e avendo come unica ancora la presa ai loro colli.
Si fermarono e le ragazze si voltarono subito verso i loro partner, dando le spalle al pubblico. Al primo verso Charles fece fare un profondo casquet circolare a Rose, e al verso successivo il biondo lo fece con la sua compagna, ma dal lato opposto. I suoni si ripeterono, ma questa volta le coppie si presero come se stessero eseguendo un ballo da sala e fecero alcuni passi veloci, molto simili a quelli del tango, perfettamente a specchio gli uni dagli altri.
Le ragazze si allontanarono dai rispettivi compagni, mentre questi si fingevano delusi e vogliosi di un nuovo contatto, poco prima che la musica cambiasse completamente ritmo si avvicinarono tra di loro, Marinette con le braccia incrociate e Rose con un braccio poggiato sulla sua spalla, osservando i ragazzi. Al cambio della musica, furono loro due a cominciare a ballare da soli, come se dovessero riconquistarle: esibendosi in alcuni passi perfettamente uguali e a gambe e braccia tese, proprio come era consuetudine nella danza moderna, una tecnica che Adrien aveva trovato parecchio facile dopo le lezioni all’Académie Rue Vert.
Conclusero quella specie di assolo con un ginocchio poggiato a terra, verso le ragazze. Quando la musica riprese il ritmo iniziale, Marinette si avvicino con passi decisi verso Adrien, afferrandogli la mano e tirandolo su; subito dopo anche Rose si mosse, facendo la stessa cosa con il suo compagno.
Si misero in modo che le ragazze fossero di fronte ai partner, ma dandogli la schiena e dandosi una spinta coi piedi si sollevarono, o meglio loro le sollevarono, tenendole dai fianchi e permettendo loro di creare un arco col corpo, proprio sopra le loro teste.
Di nuovo ci fu un grande applauso, accompagnato però da quello che sembrava un tuono in lontananza. Durante l’ultima coreografia, infatti, il cielo aveva iniziato a incupirsi, diventando sempre più scuro.
I quattro ballerini ringraziarono il pubblico e corsero nuovamente verso il paravento.
«Ci manca poco…» sussurrò Marinette, con il fiato leggermente grosso, togliendosi maglia e pantaloncini e indossando il vestito color pesca che Adrien le aveva visto indossare durante l’appuntamento con Nathaniel a Le Jardin Secret, mentre lui indossava un paio di jeans scuri e una camicia bianca.
«Ho paura per voi che il tempo non reggerà…» disse con un tono un po’ dispiaciuto Rose, osservando il cielo diventare sempre più scuro, ma a quel commento i due ragazzi sorrisero compiaciuti.
«La speranza è proprio quella! – esclamò Adrien, facendo l’occhiolino all’amica e poi porgendo la mano alla sua partner – Sei pronta?» lei rispose solo con un cenno di testa, dopodiché uscirono per l’ultima volta dal paravento, tornando al centro del campo. Molte persone del pubblico si erano già tirate su i cappucci, altre cominciavano a tirare fuori gli ombrelli, mentre le prime goccioline di pioggia cominciavano a cadere leggere dal cielo.
Anche Adrien e Marinette, che si erano posizionati l’uno dal lato opposto dell’altro sul campo da basket, aprirono i loro ombrelli scuri e, alle prime note della canzone cominciarono a passeggiare a ritmo, andando l’uno verso l’altro.
Dopo le prime quattro battute si incrociarono in mezzo al campo, proprio come fecero i loro sguardi, ma la strofa si ripetè e i due proseguirono il loro percorso, fino ad arrivare ai lati opposti. Se non ché, quando la musica cambiò entrambi si voltarono l’uno verso l’altra e lasciando gli ombrelli aperti per terra, si corsero incontro. Adrien afferrò Marinette per la vita, che sollevo le gambe, in modo da poterla far volteggiare meglio, per poi rimetterla coi piedi per terra. La ragazza poggio la sua mano destra sulla spalla destra di lui, mentre lui le teneva il fianco sinistro con la sua mano sinistra; cominciando entrambi a muovere i piedi in tondo, senza mai distogliere lo sguardo l’uno dall’altra.
Il ragazzo, volto la sua compagna con un movimento veloce, facendo sì che lei gli desse le spalle: Marinette percepì i capelli, già bagnati dalla pioggia, frustarle il viso, ma non se ne curò e, influenzata dai movimenti del biondo dietro di lui, sollevò le braccia, seguendo le sue mani, per poi farle scendere nuovamente e avvinghiarla in un abbraccio.
Questa volta fu lei, di sua iniziativa a voltarsi verso di lui, poggiando una mano sul suo petto, che ormai si vedeva quasi perfettamente sotto la camicia bianca, e spingendolo indietro di un paio di passi, per poi prenderlo dal bavero bagnato e tirarlo verso di sé, proprio poco prima che la musica cambiava ritmo. A quel punto lui la prese per la vita e lei gli poggiò le mani sulle sue spalle, mentre eseguivano un paio di sensuali passi di quella che poteva sembrare una baciata. Alla battuta successiva Adrien la sollevò tenendola dalle gambe e lei allargò le braccia esponendo il suo volto alle gocce di pioggia che ormai si erano infittite. La lasciò scivolare nuovamente giù e dopo un’altra serie di passi di baciata, si separarono; anche se, fino alla fine della battuta rimasero ad allungarsi l’uno verso l’altra.
Con passi lenti, tornarono verso gli ombrelli, prendendoli e riparandosi nuovamente dalla pioggia che ormai li aveva già bagnati; altri passi e si ritrovarono nuovamente l’uno di fronte all’altra. Alle ultime note, lasciarono cadere per l’ennesima volta gli unici oggetti che li separavano dalla pioggia battente e si strinsero l’una all’altra.
Adrien, con la mano libera che non teneva dietro la schiena della sua compagna, le scostò i capelli corvini, ormai fradici dal volto e dopo un meraviglioso sorriso, le posizionò quella stessa mano dietro al collo e l’avvicinò a sé per poi baciarla.
Un urlo deciso partì dal lato del campo dove Rose, con addosso un impermeabile di un rosa shocking saltellava tutta contenta applaudendo e gridando; subito dopo fu seguita dal resto del pubblico sugli spalti. Adrien e Marinette si staccarono da quel bacio, un bacio che questa volta era programmato nella coreografia e che finalmente si erano voluti scambiare per davvero.
I loro volti bagnati sorridevano entusiasti, mentre il cielo continuava a piangere addosso a loro.

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