Tutt’intorno a lui c’era il buio più assoluto e il suo obiettivo era raggiungere quel punto luminoso in lontananza. A guardarlo da quella distanza sembrava che si trovasse a centinaia di chilometri, ma questo per lui non era un problema. Il suo ghigno soddisfatto comunicava già al meglio che era più che lieto di accettare la sfida, sicuro com’era che affrontarla sarebbe stato più facile che inghiottire un Chili Dog intero.

Batté un paio di volte la punta di ciascun piede sul pavimento, poi fece roteare le caviglie per assicurarsi che le scarpe aderissero bene ai piedi. Quindi tirò verso di sé i polsini dei guanti, in modo che calzassero alla perfezione sulle sue mani. I suoi muscoli erano pronti all’azione e il suo cuore batteva con forza nel petto, che si espandeva e si riduceva per permettere ai polmoni di riempirsi di tutto l’ossigeno di cui aveva bisogno.

E poi, senza il minimo preavviso, quasi come se lo avesse deciso ancor prima che il cervello inviasse l’ordine al resto del suo corpo, cominciò a correre.

Il percorso davanti a sé era più buio che mai, ma non era importante fintantoché avesse continuato a tenere gli occhi puntati sul suo bersaglio, il punto luminoso che aveva tanto l’aria di essere la proverbiale luce alla fine del tunnel.

Un gigantesco robot dalle fattezze umanoidi, con il corpo sferoidale, spuntò dal nulla e gli si parò di fronte. Virare a destra ed evitarlo fu rapido quanto un battito di ciglia. Qualche secondo dopo, il tentacolo di un’enorme creatura composta interamente d’acqua si sollevò da terra per bloccargli la strada. Un salto in avanti, senza neanche rallentare, fu più che sufficiente a superare l’ostacolo e a scatenare il ruggito di rabbia dell’essere. Poi fu il turno di un grosso rettile dalle squame arancioni, dalla cui bocca spuntavano degli spessi cavi neri che si snodavano in lunghezza fino al dorso arcuato. Quindi toccò ad una specie di grosso dinosauro metallico, poi ad una creatura con dei lunghi artigli e una serie di tentacoli viola, ad un essere apparentemente fatto di fumo nero con degli enormi ingranaggi al livello delle spalle…

Nessuna di queste figure minacciose ebbe il potere di fermare la sua corsa; neanche di farlo desistere dall’aumentare sempre di più la velocità. Nessuno di loro costituiva un pericolo, erano soltanto ombre del passato, nemici già affrontati, capitoli della sua storia lasciati alle spalle… tutto ciò che importava era continuare a guardare avanti, raggiungere la luce senza mai guardarsi indietro, dove sapeva che nuove sfide e nuove avventure lo attendevano. E non le avrebbe fatte aspettare oltre!

CRONOLOGIA

    Capita tutte le volte in cui si abbandona il torpore del sonno e ci si comincia a risvegliare alle prime luci del mattino. Ci si ritrova in quella strana zona, a metà tra il sogno e la veglia, dove non si riesce bene a capire se quello che si è vissuto rientra nella definizione di reale oppure sia qualcosa di evanescente e fugace, come il fumo, difficile da trattenere, come l’acqua tra le mani.

    Fino a poco prima, il riccio blu noto ai più come Sonic avrebbe giurato di stare correndo in uno scenario ammantato di nero, ansioso di raggiungere una fonte di luce che gli si stagliava di fronte ad una distanza che non avrebbe saputo definire. C’erano diverse figure che i suoi occhi avevano incontrato durante la corsa, figure di amici, ombre di vecchi nemici, sagome appartenenti ad una storia ben nota soltanto a lui.

     Eppure, nel momento in cui le sue pupille erano riuscite ad abituarsi alla luce del sole, si ritrovò in un luogo ben più familiare e accogliente. L’aria salmastra della spiaggia gli pizzicò gentilmente le narici ed entrò di prepotenza nei suoi polmoni approfittando del suo lungo e sonnolento sbadiglio. E fu quando si raddrizzò con la schiena per stirare i muscoli delle braccia, lo stesso momento in cui si ricordò di aver trascorso la notte sulla spiaggia, steso all’ombra della sua palma preferita, che realizzò anche di aver fatto semplicemente uno strano sogno.

    La sua mente non si era soffermata mai per più di una manciata di secondi su un solo pensiero e, di certo, non avrebbe cominciato in quel momento e per quel motivo. Buffo, comunque, che gli era capitato di sognare così tanti particolari e tante figure protagoniste delle sue passate avventure. Quella creatura composta d’acqua era senza dubbio Perfect Chaos, come quella sottospecie di dinosauro metallico era senz’altro Metal Sonic, ai tempi in cui era alle prese con le sue manie di grandezza. Ma anche se Sonic avesse voluto soffermarsi sul suo sogno, gli sarebbe risultato molto difficile aggrapparsi a delle immagini che stavano rapidamente sfuggendo alla sua memoria.

    Si chiese che importanza avesse, in fondo, quando poteva godersi appieno la libertà di una vita senza regole e senza preoccupazioni di sorta. Gli bastò dare un’occhiata al mare, che quella mattina era particolarmente cristallino, per apprezzare tutti i vantaggi del suo stile di vita spensierato; uno stile di vita che non avrebbe barattato per nulla al mondo, dato che per lui non aveva prezzo.

    Non appena Sonic capì di essersi totalmente svegliato, scattò in piedi con un veloce balzo e, senza neanche attendere un solo secondo, sfrecciò in avanti a tutta velocità lasciandosi una coltre sabbiosa alle spalle. Non sapeva dove sarebbe andato, non aveva idea di cosa fare, ma sapeva che si sarebbe fermato solo quando ne avesse avuto voglia. O almeno questo era ciò che era solito fare ogni mattina. Purtroppo per i suoi piani, il caso volle che, all’inizio di quella particolare giornata, qualcosa lo esortasse a fermarsi senza che lo avesse progettato.

    Mentre stava correndo, avrebbe potuto giurare di aver sentito una chiamata di aiuto provenire dalla sua sinistra. A causa della velocità a cui stava andando, era stato impossibile capire con precisione se c’era davvero un’emergenza o se, semplicemente, la sua mente ancora intorpidita dal sonno gli stesse giocando un brutto tiro. Certo, avrebbe potuto ignorare l’accaduto e andare avanti, ma qualcosa dentro di lui gli suggerì che sarebbe stato il caso di fermarsi. Era quello stesso qualcosa che, in tanti anni, gli aveva sempre suggerito di buttarsi a testa alta nel pericolo per aiutare chi più ne aveva bisogno. Quello stesso qualcosa che gli aveva fatto incrociare la strada del dottor Eggman, volta dopo volta. Un qualcosa che non si era mai soffermato a definire, ma che faceva parte integrante di lui e che, sapeva perfettamente, non avrebbe mai rinnegato.

    Fu sufficiente una brusca frenata e un’inversione di marcia per raggiungere nell’arco di un attimo la zona da cui gli era sembrato di sentire il grido di aiuto. Sul bagnasciuga, a pochi centimetri di distanza da dove cominciava il mare, c’era una lepre femmina che aveva tutta l’aria di essere in preda al panico. Continuava a portarsi istintivamente le mani alla testa e la sua voce rotta dalla paura ripeteva la parola “aiuto”, un momento in un mezzo soffio e in un altro con uno strillo acuto.

    - Ehi! Che sta succedendo? - domandò istintivamente Sonic, avvicinandosi alla signora.

    La lepre, sentendo la voce alle sue spalle, si voltò di scatto e lo guardò con aria sconvolta e con gli occhi gonfi di lacrime. Si precipitò da Sonic e lo prese per le spalle, troppo fuori di sé per accorgersi di starlo scuotendo energicamente.

    - La prego, mi aiuti! - esclamò ad alta voce - I miei bambini… sono al largo e la loro barca ha qualcosa che non va! Sta colando a picco e loro non sanno nuotare in acque così alte! -

    Un po’ stordito dagli scossoni che la signora agitata gli stava dando, Sonic riuscì comunque ad aguzzare lo sguardo e ad individuare una piccola barca in legno in lontananza. Era facile capire che c’era qualcosa che non andava, dato che oscillava in maniera sinistra e più della metà dello scafo era sommerso. A bordo, due piccole figure stavano agitando le braccia per richiamare l’attenzione.

    - Hanno bisogno di aiuto, la prego! - ripeté la lepre, con la voce rotta dal pianto.

    - Lasci fare a me! - replicò Sonic, sicuro di sé.

    Si avvicinò rapidamente al bagnasciuga, ma, non appena le sue scarpe toccarono l’acqua, si fermò di colpo come se qualcuno lo avesse congelato. Si era completamente dimenticato che neanche lui sapeva nuotare e la sola idea di tuffarsi in mare gli faceva tremare le ginocchia. Guardò ancora in lontananza e vide che la poppa della barchetta cominciava a sollevarsi pericolosamente. Non restava molto tempo prima che anche i suoi due occupanti finissero in acqua.

    - Faccia qualcosa! - lo esortò nuovamente la signora, al limite della disperazione.

    E fu in quel momento che Sonic pensò che, forse, c’era una soluzione migliore. Si accovacciò per un istante sulla spiaggia e, alla stregua di un centometrista, fece un fulmineo scatto in corsa. La sua velocità fu così elevata ed impressionante da permettergli di correre a pelo d’acqua, di raggiungere i due leprotti spaventati, prenderli entrambi di peso e tornare indietro in un lampo. Quei pochi istanti in cui Sonic aveva rallentato per trarre in salvo i bambini, però, furono sufficienti perché cominciasse a bagnarsi le scarpe. I suoi riflessi rapidi e il suo sangue freddo gli suggerirono di spiccare un lungo salto in avanti, prima di affondare, e di piombare a piedi uniti al sicuro sulla sabbia.

    I due leprotti corsero ad abbracciare la loro madre, mentre Sonic si asciugava il sudore dalla fronte e aspettava che il suo battito cardiaco adrenalinico rallentasse.

    - Non so davvero come ringraziarla! - disse la signora, emozionata, dopo aver stretto forte a sé entrambi i suoi figli - Gli avevo detto di non andare troppo lontano con quella barca malconcia. Non c’era nessuno qui in spiaggia che mi potesse aiutare e non sapevo davvero cosa fare -

    Sonic si chiese perché avesse permesso loro di farsi un giro in mare, pur sapendo che non erano in grado di nuotare, ma si limitò a sorridere educatamente.

    - Fortuna che sono capitato da queste parti allora! -

    - Io lo so chi sei! - esclamò uno dei due bambini, tutto emozionato, puntandogli contro il dito e rimanendo a bocca aperta.

    Sonic gonfiò il petto, tutto orgoglioso del fatto che, ancora una volta, la sua reputazione lo stesse precedendo.

    - Sei Sanic, il porcospino positronico! -

    Sonic avvertì l’orgoglio esplodergli dritto in faccia come un petardo. C’erano così tante cose sbagliate in quell’affermazione che non sapeva neanche da dove cominciare per sfatarle.

     L’altro leprotto diede una gomitata a suo fratello, con un’aria indispettita in volto.

     - Lo vedi che non ti ricordi mai niente? - lo rimproverò - È Cinos, l’istrice creato nel laboratorio super-segreto del dottor Eggman! -

     - Quello nel vulcano sottomarino? -

     - Sì, ma quello nello spazio -

     Mentre Sonic tentava di recuperare mentalmente i pezzetti del suo ego andato in frantumi, specialmente al pensiero che il nome di Eggman erano riusciti ad azzeccarlo, la madre dei due piccoli si lasciò andare ad un verso di profondo stupore.

     - Non sapevo che lei fosse una celebrità! - esclamò.

     “Sì, signora”, pensò Sonic, in quel frangente “Ha presente quel tale che ha salvato il mondo più e più volte da ogni genere di assurdità, che non è un porcospino, né tanto meno un istrice? Ecco, quello sono io!”

     Nonostante tutto, il riccio blu mise a tacere la parte più vanagloriosa di sé e si abbandonò ad un sorriso semi-divertito.

     - Le storie che si sentono in giro esagerano spesso i fatti - commentò, in tono modesto - E voi due, la prossima volta cercate di stare più attenti e di dare retta a vostra madre, afferrato? -

    I due si limitarono ad annuire con un breve cenno del capo, prima di cominciare a sparare a raffica ogni tipo di astrusa domanda che veniva loro in mente.

     - Ehi, signore, è vero che una volta hai affrontato un idraulico baffuto che voleva mangiare tutti i funghi del mondo? -

     - Sei anche capace di volare? -

     - L’idraulico era il cugino cattivo del dottor Eggman? -

    Prima che potessero chiedere qualche altra follia, Sonic decise di togliere le tende e di allontanarsi in corsa, non prima di aver fatto un breve saluto con la mano.

    Un familiare senso di soddisfazione formicolava nel petto di Sonic, il quale, dopo il riuscito salvataggio di quella mattina, aveva deciso di risalire la spiaggia e raggiungere Emerald Town. Quando non aveva di meglio da fare, era solito andare a bighellonare da quelle parti, alcune volte speranzoso di imbattersi nel suo amico di sempre, Tails. Il riccio blu, ogni volta che si incontravano, gli faceva credere di essere appositamente andato a cercarlo, ma era sicuro che il volpino lo conoscesse abbastanza bene da sapere che non era vero. Sapeva che la natura di Sonic era irrimediabilmente libera e priva dei vincoli più sottili, come ad esempio la cortesia di fare visita ad un amico solo e soltanto per fargli piacere.

    Non avrebbe proprio potuto sospettare che i suoi piani sarebbero stati bruscamente interrotti nel momento stesso in cui aveva maturato questa decisione. Proprio sulla sua traiettoria di corsa, piombò pesantemente sulla sabbia una sagoma scura non meglio definita. Alla velocità alla quale stava andando, Sonic non ebbe tempo per identificare l’ostacolo sul suo percorso, ma i suoi riflessi erano talmente fulminei che non gli ci volle neanche un istante per virare a sinistra ed evitare la collisione.

    Quando, poi, si voltò per soddisfare la curiosità di sapere contro cosa si fosse quasi scontrato, sollevò le sopracciglia in un segnale di istintiva sorpresa. C’era un tale poco più alto di lui che, in quel momento, gli stava dando le spalle. Sonic dedusse che era saltato volutamente davanti a lui per bloccargli la strada, anche perché non si era ancora mosso ed era ritto e rigido come una statua. Ciò che, però, di bizzarro il riccio blu aveva subito notato era l’armatura nera bordata di rosso che il figuro indossava. Una fluente coda dal pelo marrone sventolava piano dietro di lui.

    Passò solo qualche secondo prima che lo sconosciuto si voltasse per fronteggiare Sonic. Indossava un lucido elmo che gli lasciava scoperti solo gli occhi vivacemente azzurri e le orecchie canine puntute.

    - I tuoi riflessi sono ancora più rapidi di quanto potessi immaginare - proferì l’estraneo.

    Anche se la sua voce era soffocata dall’elmo, si capiva facilmente che aveva un timbro grave e, in qualche modo, autoritario.

    - Ti sei fatto quasi investire per vedere quanto fossi veloce? - ribatté Sonic, ancora incerto se essere o no guardingo.

    - Certe cose si possono capire solo attraverso la pratica, come ben saprai - continuò lui, con una tranquillità impropria alla situazione - A proposito, il mio nome è Drake! -

    I modi gentili dello sconosciuto riuscirono a mettere leggermente Sonic a proprio agio, tanto che abbassò la guardia e pensò di rispondere alla cortesia del suo interlocutore, presentandosi a sua volta.

    - Io sono Sonic! Sonic the… -

    - Non ti disturbare, so già chi sei. E come potrei non saperlo? - intervenne Drake, questa volta in tono più fermo e meno cordiale - Si è parlato molto di te in questi anni. Sei un tipo di persona che non si sforza certo di passare inosservata. Quel tipo di persona che si getta a capofitto in ogni pericolo. O che non esita ad aiutare un paio di bambini spaventati, se ce n’è bisogno -

     - Ah, meno male - commentò Sonic, sollevato - Allora in giro non circolano soltanto assurdità su di me di questi tempi -

    Poi, si interruppe di colpo. Era rimasto colpito dalle ultime parole che il suo interlocutore aveva pronunciato e, sebbene spesso non brillasse per intuito, non gli ci volle molto per capire quale fosse il messaggio tra le righe.

    - E tu scommetto che sei quel tipo di persona che non si fa scrupoli a sabotare la barca di due bambini per metterli in pericolo, ho visto giusto? -

    Drake rise piano, evidentemente divertito dalla conversazione.

    - E io che pensavo che fosse il tuo amico Tails il cervello della squadra! Ti stai rivelando più sorprendente del previsto, Sonic the Hedgehog! -

    Sonic, però, non riusciva a trarre divertimento quanto Drake da ciò che stava accadendo. Sapere che non smentiva di aver volutamente messo in pericolo quei bambini e, soprattutto, che sembrava conoscere molte cose su di lui non poteva che metterlo in allarme.

    - Hai intenzione di fondare un Fan Club su di me o cosa? - chiese Sonic, sarcastico, ma per niente scherzoso - Perché se è così, non accettiamo di buon grado i vigliacchi che se la prendono con i bambini! -

    - Vigliacco, eh? - ripeté Drake, calmo, ma con una punta di risentimento nella voce - Se solo sapessi quanto sei in errore -

    Dopodiché, cinse con la mano destra il polso sinistro e si sfilò uno dei guanti di ferro della sua armatura, gettandolo sulla sabbia.

    - Hai intenzione di dirmi che cosa vuoi da me? - incalzò Sonic, palesemente irritato - Perché finora ho solo l’impressione che tu ti diverta a farmi perdere tempo -

    - Tutt’altro, Sonic. Sono qui per raccogliere informazioni su di te e per metterti alla prova - e si tolse l’altro guanto, lasciando scoperte le mani - E devo dire che, fino ad ora, non mi hai deluso. Sei stato pronto ad aiutare quella famiglia in difficoltà. Non ci hai pensato neanche un secondo perché è nella tua natura. Sei rapido, sveglio e sfacciato. Comincio a credere che faresti davvero al caso nostro. Manca soltanto una cosa da verificare -

    - E sarebbe? - domandò Sonic.

    Sui palmi aperti delle mani di Drake si accesero due fiamme vive, che bruciavano incredibilmente senza combustibile e senza scottarlo.

    - Vediamo se sai anche bruciare bene! -

    Lo stupore di Sonic fu quasi subito rimpiazzato da un brivido che gli correva lungo la schiena e che ben conosceva. Era la scarica elettrica del senso di sfida che si risvegliava in lui.

    - Vieni pure qui a scoprirlo! -

Chiamata alle armi (Quarta parte)

    Sbatté le palpebre un paio di volte, nel tentativo di mettere a fuoco il mondo intorno a lui. Era tutto così confuso e sfocato, come se stesse guardando attraverso uno specchio d’acqua che deformava tutte le immagini. Riconosceva a fatica il mobilio del suo salotto, rincuorandosi del fatto che si trovava a casa sua. Dopodiché si domandò perché questo avrebbe dovuto rincuorarlo e, immediatamente dopo, capì di non ricordarsi dove si trovava e cosa fosse successo. Si sentiva la testa pesante e probabilmente era per quello che la vista gli si era così appannata. Provò a muoversi, ma si rese conto di avere le braccia rigidamente legate e bloccate sul corpo. Una spessa fune di corda si avvolgeva attorno al suo torace molteplici volte, tenendolo lì, fermo e seduto per terra con la schiena appoggiata al muro. Aveva subito riconosciuto quella fune: si trattava di una di quelle con un innesto interno di acciaio che utilizzava per sollevare con una carrucola materiali pesanti nella sua officina. Provò a muovere le code, ma si accorse che anche quelle erano bloccate sulla schiena dalla corda.

    Quando rientrò del tutto in possesso dei suoi sensi, cominciò a dimenarsi nel tentativo di liberarsi, ma sapeva che la fune era fin troppo robusta per poter essere spezzata. Non poteva credere di essere prigioniero in casa sua e di non ricordare neanche come potesse essere successo. Si guardò intorno, leggermente spaventato, cercando di trovare qualcosa, qualunque cosa, che potesse aiutarlo a liberarsi. Fu allora che la sua attenzione si concentrò su qualcuno che era seduto sulla poltrona all’altro lato della stanza. Ebbe un leggero sobbalzo quando realizzò lo strano aspetto della persona che lo stava fissando: la folta coda pelosa e le orecchie puntute lasciavano facilmente intuire che si trattava di un cane o di un lupo, ma era comunque difficile esserne certi considerando che lo sconosciuto indossava un’armatura scura bordata di rosso, lucida e precisa in ogni rifinitura. La maschera di ferro dell’elmo calato sulla testa, lasciava intravedere solo i suoi occhi che si guardavano intorno con curiosità.

    - Sei… sei stato tu a farmi questo? - domandò Tails, conoscendo già la risposta.

    - Non era difficile indovinarlo, vero? - ribatté l’individuo, senza battere ciglio - Lascia che mi presenti: il mio nome è Drake e sono molto lieto di fare la tua conoscenza -

    - Hai uno strano modo di esprimerlo! - replicò la volpe, con una nota di paura nella voce - Come hai fatto ad entrare in casa mia? E perché mi hai legato in questo modo? -

    Drake si alzò dalla poltrona e cominciò a gironzolare per la stanza, avvicinandosi alla libreria e dando una pigra occhiata ai libri che vedeva sullo scaffale.

    - Ti ho stordito mentre stavi rientrando, ti ho portato qui dentro e ti ho immobilizzato con la corda che ho trovato nel tuo laboratorio qui dietro… o qualunque cosa sia -

    - E’ un’officina! - precisò Tails, prima di sentirsi leggermente stupido per aver fatto quella precisazione in un momento come quello.

    Considerando che lo sconosciuto stava rispondendo tranquillamente ad ogni domanda, il volpino decise di continuare a chiedere in tono quanto più calmo possibile.

    - Perché mi hai fatto questo? Non ti conosco neanche! -

    - Invece io so molte cose di te. Di te e del tuo celeberrimo migliore amico. Non si può dire che siate allergici alle luci della ribalta con tutte le imprese che avete conseguito insieme nel corso degli anni. Ricordo che tu hai addirittura salvato Station Square da un attacco missilistico anni fa, tutto da solo¹ -

¹ Fa riferimento agli eventi narrati in Sonic Adventure (1998) nello scenario di Tails.

    Tails non sapeva cosa rispondere, quindi rimase in silenzio e con l’aria preoccupata. Drake non ricambiò il suo sguardo e cominciò a far cadere per terra tutti i libri della libreria, uno per uno.

    - Ciò che rende speciale il tuo amico Sonic è impossibile da ignorare. Le sue abilità saltano immediatamente all’occhio, ma mi sono sempre chiesto quale fosse la vera natura delle tue. Una volpe che può volare non è una cosa che si incontra tutti i giorni. Ho approfittato del momento in cui eri privo di sensi per studiarti più a fondo -

    Drake afferrò i lati dello scaffale in legno e buttò giù la libreria, che si schiantò con un gran fracasso. Tails sobbalzò spaventato, totalmente ignaro delle intenzioni del suo assalitore, ma quello continuò a parlare tranquillamente e si diresse verso gli scaffali dal lato opposto.

    - Sei dotato di particolarità davvero sorprendenti, su questo non c’è dubbio. Tuttavia, ciò che ti permette di volare è semplicemente una bizzarria strutturale. Le tue code possono vorticare a velocità impressionanti per la loro particolare conformazione ossea. E’ una questione puramente meccanica e nient’altro. Quindi ho pensato di mettere alla prova il tuo intelletto, cercando di scoprire se il tuo essere speciale derivi da quello -

    - Che cosa vuoi da me? - domandò Tails, quasi esasperato dalla paura - Perché mi stai facendo questo? -

    Dopo che Drake ebbe buttato giù la seconda libreria, guardò Tails dritto negli occhi e, stranamente, nelle sue pupille non c’era traccia di rabbia o di odio, ma piuttosto di un confortante calore sincero.

    - Non è niente di personale, credimi! Voglio solo offrirti un’importante opportunità ma, prima, devo essere sicuro che tu ne sia davvero degno -

    Drake chiuse il palmo della mano e, quando lo riaprì, una fiamma prese vita. Tails rimase prima stupito da quella dimostrazione di potere ma, subito dopo, lo stupore fu sostituito dal terrore per quello che, aveva capito, Drake aveva intenzione di fare.

    - La tua prova è la sopravvivenza. Usa la testa e trova un modo per liberarti e trarti in salvo. Se ce la farai, il nostro Cenacolo accoglierà a braccia aperte te e la tua presunta intelligenza straordinaria -

    Detto questo, Drake scagliò la fiamma sui libri gettati sul pavimento e questi presero immediatamente fuoco. Fece lo stesso sulle librerie di legno e sul divano, tanto che non ci volle molto perché il calore di un incendio invadesse il piccolo salotto insieme al crepitare delle fiamme e all’odore pesante del fumo.

    Senza aggiungere altro, Drake uscì dalla stanza, chiudendosi a chiave la porta alle spalle. Tails si guardava con orrore intorno, mentre le fiamme divoravano rapidamente tutto ciò che incontravano sul loro percorso. Si mise faticosamente in piedi e tentò con tutte le forze di allentare quantomeno la stretta delle corde. Con le code bloccate in quella morsa era difficile persino mantenere l’equilibrio, anche spostandosi di pochi passi. Il fuoco davanti a lui stava creando una barriera pericolosa che lo separava dall’unica uscita. Legato com’era, non era neanche in grado di darsi uno slancio sufficiente per cercare di saltare oltre le fiamme e senza poter utilizzare neanche le sue code in qualche modo si sentiva inerme e impotente come mai lo era stato. Continuava a guardarsi intorno in cerca di qualcosa che potesse aiutarlo, ma tutti gli strumenti utili si trovavano nella sua officina e l’unico modo per arrivarci era oltrepassare la porta protetta da un muro di fuoco sempre più alto. Anche le due finestre della stanza si trovavano dal lato opposto ed erano virtualmente irraggiungibili. Più il cervello di Tails si sforzava di trovare una soluzione, più questa sembrava lontana e la sua paura aumentava, di pari passo all’avanzare del fuoco.

    Di colpo, l’aria cominciò a farsi sempre più pesante. Il fumo invadeva ogni angolo del salotto e Tails non riusciva a fare a meno di respirarlo e di tossire. Sapeva che sarebbe rimasto asfissiato di quel passo, ma sapeva anche che tutte le vie di fuga gli erano precluse. In un ultimo disperato tentativo, fece ricorso a tutte le sue forze e spinse con le code verso l’esterno per allargare le funi. Era tutto inutile. Sapeva che il filamento d’acciaio all’interno le rendeva troppo resistenti e questa consapevolezza aveva il potere di prosciugare tutta la determinazione che gli era rimasta. Indebolito dai colpi di tosse, intossicato dal fumo e con le lacrime agli occhi per il bruciore e la disperazione, sentì le forze abbandonarlo. Si accasciò sul pavimento e chiuse gli occhi in attesa dell’inevitabile.

    Il ritmico e incessante bip delle apparecchiature che aveva intorno sarebbe riuscito, in breve tempo, a far diventare pazzo Sonic. Si trovava lì, in quella fredda e spoglia stanza di ospedale, seduto accanto al letto dove giaceva privo di conoscenza il suo migliore amico. Era straziante vedere quel volpino, che di solito sprizzava vitalità e ottimismo da tutti i pori, rigido nella sua immobilità, collegato ad una serie di macchinari che monitoravano le sue funzioni vitali e con una mascherina sul viso che gli forniva ossigeno. Sonic lo guardava con espressione spenta e vuota, rammaricandosi forse per la prima volta nella sua vita di non essere stato abbastanza veloce.

    Una piccola parte di sé, però, si disse che era stata una fortuna che avesse deciso di andarlo trovare quella mattina. Lo scontro avuto con Drake alla spiaggia e le sue ambigue parole sul “mettere alla prova qualcuno che conosci bene” erano riuscite a mettergli addosso abbastanza preoccupazione da dirigersi a casa di Tails. Quella piccola volpe con due code era la prima persona a cui Sonic si rivolgeva ogni volta che aveva un pensiero in testa che non riusciva ad abbandonare, o era preoccupato per qualcosa.

    Era appena arrivato in prossimità della casa che tante volte aveva visitato ad Emerald Town, quando aveva notato che la porta di ingresso era aperta. Aveva attraversato la soglia e, subito, un forte odore di fumo gli era bruciato nelle narici. Non ci era voluto molto per capire cosa stava succedendo, una volta vista la porta del salotto chiusa a chiave e delle spire di fumo nero che filtravano dall’interno. La vista che lo aspettava una volta entrato ebbe il portentoso effetto di paralizzarlo. La stanza era stata quasi del tutto divorata dalle fiamme e, in un angolo al lato opposto, c’era Tails, legato e accasciato privo di conoscenza sul pavimento. Senza pensarci neanche un istante di più, Sonic si era fiondato verso di lui, oltrepassando il muro di fiamme con un salto, lo aveva preso in braccio ed era uscito di corsa, allontanandosi in fretta dall’incendio.

    - Tails! Tails, svegliati! - lo aveva richiamato il riccio, dopo averlo slegato e poggiato sul prato - Avanti, non fare lo scemo! Rispondi, sei sano e salvo adesso! -

    Ma il volpino non aveva mosso un singolo muscolo. Il suo corpo era afflosciato sull’erba, così rigido che Sonic aveva davvero cominciato a temere il peggio. Ignorando la casa in fiamme, pensando che ci avrebbero pensato i vicini a chiamare i vigili del fuoco, Sonic si era caricato in braccio Tails e, più veloce di quanto avesse mai fatto, aveva corso fino all’ospedale più vicino. Aveva spiegato ai medici di aver trovato il suo amico in balia di un incendio e questi si erano affrettati a ricoverarlo d’urgenza e a mettergli la maschera d’ossigeno nel tentativo di rianimarlo.

    E così, quasi un’ora dopo l’accaduto, Sonic si trovava al capezzale di Tails, in attesa che si risvegliasse. Stando a quello che dicevano i medici, era fuori pericolo. Era rimasto solo intossicato dalla grande quantità di fumo che era stato costretto ad inalare, ma si sarebbe svegliato da solo non appena i polmoni avrebbero ripreso a funzionare normalmente.

    - Mi dispiace, Tails - mormorò Sonic, stringendogli la mano fredda - Sarei dovuto arrivare prima. Ma ti prometto che chi ti ha fatto questo non la passerà liscia! -

    Il riccio blu digrignò i denti, in preda alla rabbia per l’ingiustizia che il suo più grande amico aveva subito e che gli era quasi costata la vita.

    - Come sta? - domandò una voce alle sue spalle.

    Sonic si voltò e, se la preoccupazione per Tails non fosse stata così grande, sarebbe rimasto stupito nel vedere Shadow e Rouge sulla soglia della stanza.

    - Non è in pericolo di vita - replicò Sonic, laconicamente - Ma non si può dire lo stesso di quelli che gli hanno fatto una cosa del genere! -

    Rouge si fece avanti per guardare meglio il volpino e la sua solita aria di indifferenza non poté che cedere alla dolcezza di fronte a quello spiacevole spettacolo.

    - Stavamo andando a casa sua per chiedergli di te. Quando siamo arrivati abbiamo visto i vigili del fuoco all’opera e i vicini ci hanno detto che ti avevano visto portarlo via. Ovviamente abbiamo subito pensato che lo avessi portato all’ospedale -

    Sonic non rispose. Non sapeva che cosa dire in quel momento.

    - Hai idea di come sia successo? - incalzò Rouge, tentando di suonare più dolce.

    - L’ho trovato svenuto nel suo salotto - spiegò il riccio - Qualcuno l’ha legato e ha appiccato un incendio in modo che lui ci fosse proprio in mezzo -

    - Se volevano fargli del male, perché non utilizzare un sistema più… diretto? -

    - Perché quello che volevano era solo metterlo alla prova! -

    Anche Shadow si fece avanti, ma, a differenza di Rouge, non si lasciò intenerire dalle condizioni di Tails.

    - Cosa te lo fa credere? - domandò lui, secco e diretto.

    - Questa mattina sono stato assalito da un pazzo in armatura che sosteneva di volermi mettere alla prova. Sapeva di me e di Tails, e aveva detto che avrebbe fatto lo stesso con una persona che conoscevo bene. Ha detto di far parte del… -

    - Cenacolo di Argus? - completò Shadow.

    Il volto di Sonic si incupì ancora di più.

    - E’ come l’ha chiamato lui - confermò Sonic, serio - Cosa ne sai tu? -

    - E’ per questo che ti stavamo cercando - rivelò Rouge - Siamo stati attaccati anche noi da qualcuno che ha fatto questo nome… e ha fatto anche il tuo, anche se non direttamente -

    - Mi sembra chiaro che abbiamo a che fare con qualcuno che ce l’ha con noi e con le persone a noi vicine - commentò Shadow - E se sono arrivati a fare una cosa del genere, significa che sono pronti a tutto -

    Sonic guardò ancora una volta il suo amico steso a letto. Immobile. Spento.

    - Possono provare a farmi di tutto, ma non dovevano azzardarsi a toccare Tails! -

    - Noi non abbiamo avuto modo di raccogliere altre informazioni - ammise Rouge.

    - Se sai qualcosa che può aiutarci a trovare questi vermi, parla! - intimò Shadow.

    Sonic ricambiò il suo sosia con un’occhiata fredda e determinata.

    - Il tipo che ho combattuto stamattina ha detto che potevo trovarli a Central City, in Mission Street. E, dopo questo affronto, sarò ben lieto di accettare l’invito e farla pagare cara a chiunque sia responsabile! -

    Shadow fece un piccolo sorriso.

    - Per una volta parliamo la stessa lingua -

Chiamata alle armi (Quinta e ultima parte)

    Le grandi doppie porte in quercia che avevano di fronte si spalancarono da sole, come se una forza invisibile le avesse tirate. Oltre la loro soglia, c’era un lungo salone il cui sfarzo sfrenato era così vistoso da abbagliare come la luce di un faro chiunque ci avesse posato gli occhi. Il pavimento era fatto interamente in marmo pregiato, levigato nelle sue striature scure. Ai lati della porta di ingresso si potevano notare due alte colonne che, apparentemente, avevano la funzione di sorreggere la volta in legno dipinta di un rosso simile a quello delle foglie autunnali. Al centro della sala c’era un lungo tavolo da pranzo in legno lucido, le cui sedie dalla fodera scarlatta non erano, in quel momento, occupate da nessuno. A completare il quadro, c’era un lampadario in cristallo e oro che pendeva dal soffitto.

    Abituato alla natura selvaggia e incontaminata della sua isola, Knuckles non poté che rimanere per qualche secondo a bocca aperta di fronte a tutto quel lusso dal gusto antico. Il salone era così grande e con così tanti particolari che saltavano all’occhio che la testa dell’echidna si ritrovò a fare quasi un giro completo per cercare di abbracciarla tutta con lo sguardo. Raynor era al suo fianco e sorrideva alla vista dello stupore del guardiano.

    - Benvenuto nella sede del nostro Cenacolo - disse, con fare cordiale - Non passa inosservata, vero? -

    Knuckles non rispose, sia perché non riusciva a smettere di guardarsi intorno, sia perché non si sentiva ancora del tutto in confidenza con quell’echidna. Aveva accettato di seguirla, ma questo non significava che si fidasse al cento percento, specie considerando che non aveva ancora ricevuto le risposte che stava cercando.

    Il guardiano mosse qualche passo all’interno del salone e i suoi passi rimbombarono nell’aria dell’ampio spazio che aveva intorno. Si avvicinò ad una parete e vide che era quasi tutta occupata da delle vetrine che contenevano alcune tavolette di pietra che avevano l’aria di essere molto antiche. Incise sulla loro superficie c’erano una serie di simboli che Knuckles non riusciva a decifrare, ma che avevano un aspetto molto familiare. Si sforzò di ricordarsi dove li aveva già visti, ma la memoria non lo stava aiutando in quel momento.

    - Queste cosa sono? - domandò, dopo essersi arreso.

    - Sono le Tavole dei Precursori, le uniche e le più antiche testimonianze della nostra storia… quindi anche della tua storia! -

    - Ho già sentito questo nome - mormorò Knuckles.

    Continuò a fissare le tavole per qualche secondo, ignorando gli occhi di Raynor sul collo, e poi, di colpo, si ricordò dove le aveva già viste. Aveva visualizzato nitidamente l’immagine nella sua mente e la soddisfazione per essere riuscito a ricordare lo fece sorridere. Nonostante questo, non si sentiva del tutto sicuro nel rivelare quell’informazione, quindi non ne fece parola con il suo interlocutore. Si voltò per fronteggiarlo e poi fece spallucce.

    - Quand’è che comincerai a dirmi perché mi hai portato qui? - chiese, cercando di sottolineare la sua impazienza.

    - Non appena sarà arrivato il Cerimoniere sarà lui a darti tutte le spiegazioni - replicò Raynor - Io avevo solo il compito di portarti qui - e si avvicinò ad una delle sedie attorno al tavolo - Nel frattempo, se vuoi accomodarti… -

    Knuckles squadrò l’echidna da capo a piedi, poi decise che era il caso di accettare. Di norma non lo avrebbe fatto, ma la gentilezza e l’apparente tranquillità di quell’individuo erano riusciti nel difficile compito di metterlo, almeno un minimo, a suo agio. Si avvicinò e si sedette, tenendo però le mani posate sulle ginocchia e pronte a tutto.

    - Chi è questo Cerimoniere? - chiese ancora, per continuare a rompere il ghiaccio.

    - E’ il capo del nostro ordine, è lui che ci ha riunito tutti, che ci guida e insegna -

    - Sembra che non ve la passiate tanto male a giudicare da quello… -

    Knuckles non ebbe modo di terminare la sua frase. Proprio in quel momento, aveva spostato la testa verso destra e aveva scorto con la coda dell’occhio un bagliore di metallo inequivocabile. Se i suoi riflessi non fossero stati così fulminei, la lama del pugnale che brandiva Raynor gli si sarebbe conficcata dritta nel collo. Si era mosso rapidamente verso sinistra, gettandosi sul pavimento, tanto da far finire la lama dritta nella fodera dello schienale. Scattante come un puma, diede un calcio alla sedia, per allontanarla, si rimise in piedi e fulminò Raynor con un’occhiata feroce.

    - Lo sapevo che non c’era da fidarsi di te! - esclamò - Non mi hai neanche detto come hai fatto a raggiungere Angel Island! Mi hai raccontato un sacco di frottole e, per questo, è arrivata l’ora che ti cambi i connotati! -

    Raynor si limitò a ricambiare Knuckles con un sorriso, privo questa volta di cordialità. Il guardiano lo interpretò come un segno di sfida, si fece avanti e gli sferrò un pugno poderoso in pieno volto. Il colpo fu così forte che l’echidna cadde pesantemente a terra, ma non sembrò preoccuparsene.

    - Un sacco di frottole? - ripeté lui, rimettendosi lentamente in piedi - Diciamo che non ti ho detto tutta la verità, ma per farmi perdonare è meglio che te ne mostri almeno una -

    Raynor aprì le braccia come a volerlo abbracciare, ma ciò che avvenne dopo fu del tutto inaspettato. I suoi lineamenti di echidna cominciarono a dissolversi, la sua pelle cominciò quasi a liquefarsi, a cambiare colore e a spostarsi lungo tutto il suo corpo. La sua statura divenne, all’improvviso, leggermente più alta e della sua persona tutto ciò che rimase invariato furono i vestiti che indossava: un gilet blu scuro, dei calzoni color crema e una cintura di pelle verdognola.

    Knuckles assisté ammutolito a quello spettacolo quasi rivoltante, fino a quando Raynor non prese una forma tutta nuova. Il pelo rossiccio di echidna era diventato marroncino e folto, e il suo muso e i suoi occhi avevano assunto tratti felini. Era diventato una tigre!

    - Che razza di mostro sei? - domandò Knuckles, sprezzante.

    - Getara, al tuo servizio - replicò l’individuo fino a poco prima noto come Raynor, piegandosi in un leggero inchino.

    - Non mi interessa sapere che roba sei, voglio solo che tu mi dica perché mi hai portato qui e perché hai cercato di uccidermi! -

    - Ucciderti? - ribatté Getara, fintamente stupito - Non volevo affatto ucciderti! Il mio compito era solo metterti alla prova e, se me lo concedi, ci sono anche riuscito come si deve -

    - E hai pensato anche a come evitare che ti spaccassi il muso subito dopo? -

    - Assolutamente sì! In questo modo! -

    Tutto ad un tratto, la cintura verde di Getara si animò, si allungò e si strinse attorno al collo di Knuckles. No! Non era una cintura, non lo era mai stata! Si trattava di una coda da rettile avvolta attorno alla sua vita. Come aveva potuto scambiarla per una cintura? Il guardiano fu preso alla sprovvista e la sorpresa, mista allo stupore, gli impedirono di sfuggire alla morsa. La stretta di quella coda era sempre più forte e a nulla servivano i tentativi di Knuckles di allontanarla dalla sua trachea. Quando cominciò ad essere a corto d’aria, la vista cominciò ad appannarglisi e, senza un minimo di preavviso, sentì le forze abbandonarlo e finì svenuto sul pavimento.

    - Ecco fatta la mia parte - commentò piano Getara.

    Qualche ora più tardi, un curioso trio composto da un’attraente donna pipistrello e da due ricci quasi del tutto identici, ad eccezione del colore, si ritrovò all’esterno di un sontuoso edificio ad un piano nel cuore di una delle strade più trafficate e piene di vita di tutta Central City. La struttura saltava subito all’occhio, in quanto si distingueva dalla semplicità dei palazzi adiacenti, fatti in mattoni e cemento. Quello invece era composto interamente in marmo bianco e aveva persino un piccolo giardino fiorente, protetto da una cancellata in ferro battuto. Una breve scalinata conduceva al portico dell’edificio, composto da una volta in legno sorretta da alcune colonne in stile antico. Le doppie porte di ingresso erano invece fatte di metallo ornato da fregi dorati, con due grossi anelli di ottone a fare da battenti. Una targhetta rettangolare riportava incise le parole “Cenacolo di Argus”.

    - Non so voi, ma io di certo non mi aspettavo una cosa del genere - commentò Sonic, aggrottando la fronte.

    - A cosa ti riferisci? - domandò Rouge.

    - Stiamo dando la caccia ad un branco di maniaci assassini… e vi aspettavate di trovarli così facilmente? Cavolo, hanno persino il loro nome sulla porta, come a dire: “Cercate dei pazzi criminali? Questo è il posto giusto!” -

    - Forse si nascondono dietro ad un’aria rispettabile - propose Shadow, serio - Ma questo non ci impedisce di fare tutto a pezzi, se necessario -

    I tre attraversarono il corto vialetto e salirono la scalinata, leggermente indecisi sul da farsi.

    - Non posso crederci - disse Sonic, così incredulo da essere quasi divertito - Dobbiamo… suonare il campanello? -

    - Non vedo altre alternative - ribatté Rouge.

    - Questo non farà bene al mio stile! Sono troppo abituato a fare entrate ad effetto per suonare un campanello quando devo andare a prendere a calci qualche fondoschiena! -

    - Vedi di adeguarti - replicò Shadow, seccatamente - Non siamo venuti a metterci in mostra, come fai di solito -

    - Sì, ma… suoniamo e cosa diciamo? “Buongiorno, c’è qualche pazzoide che ha cercato di farci a fette stamattina qui?” -

    - Lascia fare a me -

    Shadow si sporse in avanti e premette l’interruttore del campanello. Dall’interfono, dopo pochi secondi, giunse una voce indecifrabile che rispose con un semplice “Sì?”.

    - Agente G.U.N. Shadow the Hedgehog! Sono qui per fare qualche domanda al proprietario! -

    Ci fu qualche istante di silenzio, dopodiché, senza che la voce dicesse altro, il portone si aprì e sulla soglia, apparve una tigre elegante dall’aria cordiale.

    - Prego, entrate pure - disse gentilmente.

    I tre non riuscirono a nascondere il loro stupore per la facilità con cui avevano avuto accesso all’edificio e per la gentilezza con cui erano stati accolti. Mentre seguivano la tigre nell’ingresso, si ripromisero di non abbassare la guardia e di rimanere pronti a tutto. Lo strano figuro li accompagnò attraverso la lussuosa anticamera di ingresso, dalle ampie finestre e dalla tappezzeria variopinta, fino ad arrivare ad un’altra doppia porta in legno.

    - Il proprietario vi attende nel nostro salone - li informò la tigre, questa volta in tono piatto.

    - Ci attende? - ripeté Rouge, leggermente innervosita.

    Non ottenne risposta. Il figuro si limitò a spalancare le porte e a precederli in un lungo salone che ospitava una tavolata che aveva un qualcosa di regale. Tutti e tre notarono immediatamente la presenza di qualcuno, accomodato sulla sedia che avevano di fronte. Era di spalle e lo schienale era così alto da non permettere loro di capire chi ci fosse, ma fu sufficiente dare un’occhiata alla mano appoggiata sul bracciolo, coperta da un guanto chiodato, per capire di chi si trattasse. Visibilmente sconcertati, si affrettarono a raggiungere il bordo della tavola e trovarono Knuckles, con gli occhi chiusi e, ancora più incredibilmente, con le braccia bloccate sui braccioli della sedia da un paio di robuste cinghie metalliche.

    - Cosa ci fa lui qui? - chiese Rouge, dando voce ai pensieri di tutti.

    - Svegliati, rosso! - esclamò Sonic, cominciando a schiaffeggiargli il volto - L’ora della siesta è finita da un pezzo! -

    Dopo tre ceffoni, l’echidna cominciò a dare segni di vita, aprendo gli occhi e sbattendo molte volte le palpebre per mettere a fuoco le immagini.

    - Cos’è questo? Un incubo? - si chiese, con voce rauca, dopo aver riconosciuto il viso di Sonic.

    - Spiritoso! Speravo me lo dicessi tu. Come ci sei finito qui in questo stato? -

    - In questo stato? - ripeté il guardiano, confuso.

    Poi si rese conto di non poter muovere le braccia e, nella frazione di un solo secondo, gli montò addosso la sua caratteristica rabbia furiosa. Diede un forte strattone, tenendo stretti entrambi i pugni, e le cinghie metalliche volarono via come se fossero state di carta.

    - Qualcuno qui ha fatto qualcosa di cui si pentirà! - esclamò, visibilmente arrabbiato.

    - E’ una possibilità - commentò una voce profonda che veniva dall’altro lato della sala.

    Sonic, Knuckles, Shadow e Rouge si voltarono immediatamente e videro, all’altro capo del tavolo, una figura per loro del tutto nuova. Si trattava di una figura canina, dal pelo rado e nero come l’inchiostro. Sapevano si trattava di uno sciacallo, perché era impossibile non riconoscere le orecchie puntute e il muso affusolato. I suoi occhi erano grigi e freddi come l’acciaio, e sulla fronte sfoggiava una pietra preziosa azzurra a forma di goccia. Indossava un elegante completo grigio di giacca e cravatta, ordinatamente abbottonato e stirato. Accanto a lui c’era la tigre che aveva aperto la porta al gruppetto di Sonic, silenziosa e immobile.

    - Tu! - sbottò Knuckles, puntandole un dito contro - Aspetta che ti metta le mani addosso! -

    - Non essere in collera con Getara per i suoi modi bruschi - intervenne lo sciacallo - Ammetto che possono trarre in inganno, come del resto tutto ciò che lo riguarda -

    - Non siamo qui per ascoltare le tue chiacchiere - replicò Shadow - Siamo venuti a scoprire perché dei sicari che ci hanno detto di appartenere a questo posto hanno tentato di farci fuori -

    D’un tratto, alle spalle dello sciacallo apparvero silenziosamente due individui che alcuni di loro avevano avuto modo di conoscere.

    - Immagino vi riferiate a Drake e Levine - continuò placidamente - Non li definirei esattamente dei sicari, quanto più dei membri importanti del nostro Cenacolo. Tuttavia, è vero, vi hanno attaccato su mio ordine -

    - Allora è con te che devo prendermela se il mio miglior amico è finito in ospedale! - esclamò Sonic, tentando di trattenere la rabbia.

    - Con me in persona… Seth -

    La tranquillità e la strafottenza di quello sciacallo irritarono Sonic come niente c’era riuscito prima di allora. Stava ammettendo sinceramente e con calma di essere stato il responsabile di ciò che era accaduto a Tails. Il solo pensiero di lui bloccato in quella stanza di ospedale, dello spavento che doveva aver provato bloccato nella sua casa in fiamme… era davvero troppo da sopportare. Non era abituato a pensare due volte alle cose e non avrebbe cominciato lì e tantomeno per quel motivo.

    - Allora questa consegna speciale è a tuo nome! -

    Sonic saltò sul tavolo e si fiondò a tutta velocità contro Seth, sicuro che non potesse fare nulla per evitare un’azione rotante in pieno petto, specie con quella rapidità. Purtroppo, però, le cose non andarono come aveva sperato. Proprio quando sapeva di stare per colpire, una forza invisibile lo respinse e il contraccolpo fu così forte da sbalzarlo fino a farlo arrivare quasi sul punto da cui era partito correndo, steso sul pavimento.

    - Strano - commentò Seth, fintamente stupito - Non mi è arrivato nulla -

    Rouge e Knuckles furono subito accanto a Sonic, per aiutarlo a rialzarsi. Shadow non mosse un muscolo, limitandosi a guardare torvo Seth e a studiarlo per cercare di capire che cosa avesse fatto per rendere così inerme Sonic.

    - I tuoi compari volevano metterci alla prova, volevano che fossimo tutti qui in questo momento - disse il riccio nero - Eppure non sto ancora sentendo il perché -

    - Giusta osservazione - ammise Seth, quindi si sedette a capotavola, sempre con Drake, Getara e Levine alle sue spalle alla stregua di guardie del corpo - Se entrerete a far parte del nostro Cenacolo, è bene che sappiate perché siete stati scelti, quali sono le qualità che cerchiamo e di cui, forse, non siete ancora pienamente a conoscenza -

    Sonic, Knuckles, Rouge e Shadow ascoltavano con attenzione, sia perché sinceramente incuriositi dal motivo per cui tutto quello era successo, sia perché intimoriti dal non sapere come avesse neutralizzato Sonic, così, senza battere ciglio. Seth continuava a parlare come se nulla fosse stato.

    - Il nostro Cenacolo è in attività da tempi di cui ormai si è addirittura persa memoria. Il nostro scopo è di riunire tutti gli esseri eccezionali che esistono su questo pianeta, per prepararci all’avvento del prossimo Evento Argus. Setacciamo il mondo alla ricerca di individui che possiedano i nostri stessi doni e le mie ricerche attuali mi hanno portato qui da voi. Come non conoscere il famoso Sonic the Hedgehog, il riccio che tante volte ha salvato tutti noi da ogni tipo di pericolo grazie alla sua impareggiabile velocità. Talmente eccezionale, da circondarsi di amici altrettanto speciali. Il guardiano della leggendaria isola del Master Emerald, la cui forza fisica fa impallidire quella di qualunque altro essere normale. E che dire di Shadow the Hedgehog? Un essere avvolto nel mistero, la cosiddetta forma di vita perfetta, le cui origini si perdono nel tempo e nello spazio, ma il cui enorme potere è ben noto a chiunque si sia mai imbattuto in lui. Siete tutti e tre dei soggetti molto promettenti, dotati di capacità e poteri più unici che rari. Tuttavia, questo non è sufficiente a darvi il diritto di entrare a far parte del Cenacolo. I requisiti di ingresso non sono solo improntati sul vostro essere speciali, ma anche sul fatto di saper sfruttare le vostre capacità per rendervi davvero degli esseri superiori. Per questo i miei confratelli vi hanno dato la caccia e hanno preparato una serie di prove, basate sui loro stili individuali, per mettervi alla prova e vedere se foste davvero degni di far parte del nostro gruppo. Vi siete dimostrati davvero all’altezza, a giudicare da quanto mi è stato riportato, anche se, in alcuni casi, degli esseri promettenti si sono rivelati essere soltanto degli scherzi della natura -

    - E’ del mio amico che stai parlando! - ribatté Sonic, schiumante di rabbia - E’ questo ciò che vi renderebbe superiori agli altri? Mettere a repentaglio la vita di un ragazzino? Per dimostrare cosa? -

    - E’ la legge più antica del mondo, Sonic - spiegò Seth, pazientemente - Sono i più forti che sopravvivono e i deboli vengono schiacciati! E’ la chiave stessa dell’evoluzione! -

    - Permettimi di dissentire, non sono neanche del tutto sicuro che tu possa essere definito un mobiano, ma questo non importa. Non sono io che decido cosa è giusto e cosa è sbagliato, quella è solo la parola di Argus! Il prossimo Evento è imminente e, se fossi in voi, non mi giocherei l’occasione di far parte della maggioranza che guiderà il mondo solo perché non siete d’accordo sui dettagli e sui nostri metodi -

    - Potete nascondervi quanto volete dietro a questi paroloni - intervenne Knuckles - Per me non siete altro che dei viscidi farabutti -

    Seth sospirò, mantenendo comunque un sorriso gentile che nascondeva male la sua rassegnazione.

    - Temo di aver riposto le mie speranze nelle persone sbagliate - ammise, in tono grave - Così tanto potenziale sprecato… presumo che quando le cose cominceranno a cambiare e il prossimo Evento Argus si scatenerà, vi pentirete di non aver avuto la mente più aperta -

    Lo sciacallo si alzò di soprassalto e la sua espressione cambiò da cortese a minacciosa.

    - Se questa è la vostra ultima parola, non c’è più motivo per cui rimaniate qui! Siete pregati di andarvene! -

    Sonic e Shadow si mossero automaticamente in avanti, come se entrambi non stessero aspettando altro che quelle parole per agire.

    - Se credi che dopo tutto quello che hai fatto te la farò passare liscia, non hai ancora imparato abbastanza sul sottoscritto! - disse Sonic, spavaldo.

    - Non ti è bastata la figura ridicola di poco prima? - domandò Seth - Ne vuoi ancora? -

    - Ci sono prima io sulla lista - intervenne Shadow - Lascia che ti mostri quanto sa essere eccezionale la forma di vita perfetta... anzi, un mobiano come te -

    Shadow raccolse nel palmo della sua mano tutta l’energia di cui disponeva e la concentrò per formare uno dei Chaos Spear più potenti di cui era capace. Scagliò nel giro di un istante la freccia di energia in direzione di Seth. Lo sciacallo, però, non si mosse di un millimetro. Si limitò ad alzare il braccio e a stendere il palmo della mano. Le sue pupille sparirono, come se si fossero dissolte, fino a lasciare solo il bianco degli occhi. La pietra sulla sua fronte si illuminò di una luce azzurrina e, incredibilmente, il Chaos Spear si bloccò a mezz’aria. L’energia dell’attacco di Shadow cambiò forma e si trasformò in una sfera di elettricità ad alta concentrazione che venne rispedita all’indietro con la forza di un proiettile. Shadow fu colpito in pieno petto dal suo stesso attacco, fu sbalzato all’indietro e cadde rovinosamente sul pavimento, con un gemito di dolore.

    Deciso a non starsi con le mani in mano, Sonic sfrecciò rapidamente contro lo sciacallo, con l’intenzione di abbattersi su di lui con tutto il peso del suo corpo. Era sicuro che sarebbe andato a segno questa volta, convinto di prendere Seth alla sprovvista, ma, proprio quando era a metà strada, sentì i piedi perdere contatto con il suolo. Il suo corpo fu sollevato in aria con un solo gesto della mano di Seth e finì per schiantarsi di pancia contro il soffitto. Il colpo fu fortissimo e ancora di più fu quello che ricevette quando piovve sul pavimento, totalmente inerme.

    Knuckles e Rouge sapevano che quello era il loro turno di cercare di rimediare. Il primo si gettò a capofitto e a pugni spianati contro Seth, e la seconda, un po’ riluttante, spiccò il volo e pensò di tentare un attacco dall’alto. Il risultato fu che lo strano potere di cui era dotato lo sciacallo riuscì a staccare di netto il lampadario dal soffitto, il quale levitò in aria per un secondo e poi si abbatté sul pipistrello, costretto, per il peso, a rovinare al suolo. Knuckles era quasi riuscito ad avvicinarsi abbastanza da sferrare un gancio poderoso, ma, con sua grande sorpresa, l’intero tavolo fu sollevato in aria, lasciando cadere i candelabri e le ciotole che vi erano posate. La barriera in legno che si era venuta a formare tra i due avversari venne perforata dal pugno dell’echidna, la quale, però, non poté evitare di venire spinta all’indietro e letteralmente schiacciata per terra dal tavolo.

    Nell’arco di una decina di secondi, tutti e quattro erano stati messi al tappeto, senza che Seth avesse versato una sola goccia di sudore. I suoi tre compagni, o “confratelli” come li aveva chiamati, osservavano la scena con palese soddisfazione. Levine, ad un certo punto, aveva anche fatto una risatina di scherno nel vedere Rouge inerme al suolo.

    - E con questo è tutto - sentenziò Seth, in tono calmo ma perentorio.

    - Aspetta a cantare vittoria! - replicò Sonic, di nuovo in piedi e più combattivo che mai - Credi che sia così facile liberarsi di noi? -

    - Ancora meglio, ne sono sicuro! -

    Ancora una volta, il bianco degli occhi prese il sopravvento sulle sue pupille, inghiottendole all’interno dell’orbita. Sollevò entrambe le braccia e il riccio blu, insieme ai suoi tre compagni, fu sollevato in aria. Fu come se un laccio invisibile gli si fosse avvolto attorno al torace e lo stesse tirando verso l’alto in una stretta indistruttibile. I suoi piedi penzolavano in aria ed uno sgradevole senso di impotenza gli esplose nel petto, ferendo il suo orgoglio e la sua sicurezza.

    - Avete preso la vostra decisione e non è nella mia natura cercare di convincere gli altri - disse Seth, stringendo sempre di più la morsa psichica - A meno che non cominciate ad abbracciare il nostro grande ideale, tenetevi lontano da qui! E se dovessi ritrovarvi a ficcanasare o a dare problemi, frantumerò personalmente ogni singolo osso dei vostri corpi sprecati! -

    Quella crudele minaccia fece salire il cuore in gola a Sonic. Fu in quel preciso momento che realizzò la maligna perfidia che si insinuava in quello sciacallo e, per la prima volta, avvertì una scossa di paura lungo la schiena. Prima che chiunque di loro quattro potesse dire qualcosa, furono catapultati verso una grande finestra, con la stessa facilità di quando si lancia una biglia contro il muro. Sfondarono il vetro con un gran fracasso e piovvero dolorosamente sulle piastrelle del vialetto esterno.

    Sonic fu il primo a rimettersi in piedi, ferito sulla pelle, ma non nell’animo. Era determinato a tornare all’interno dell’edificio per prendersi una bella rivincita, ma la mano di Rouge sulla spalla lo bloccò.

    - Lascia perdere, dolcezza - gli disse, in tono serio - Hai visto quello che può fare, non hai speranze contro di lui! -

    - Posso combatterlo - ribatté il riccio, cocciutamente - Non lascerò che rimanga impunito dopo ciò che ha fatto a Tails! -

    - Invece è proprio quello che devi fare - intervenne Shadow, massaggiandosi un braccio ferito da un coccio di vetro - Non abbiamo la minima idea di come affrontarlo e se non vogliamo farci seriamente male, è meglio ritirarci… per adesso -

    - Sappiamo dove si nascondono - continuò Knuckles - Per quanto secchi anche a me dargliela vinta, per ora non possiamo fare niente. Torneremo non appena sapremo con cosa abbiamo a che fare... ed io forse so da dove cominciare -

    A malincuore, Sonic fu costretto a dare ragione ai suoi compagni. Rimase per qualche secondo ad osservare con rabbia il luogo in cui si nascondevano i suoi nuovi avversari, sentendosi come non mai in vita sua: incapace di affrontare qualcosa, non adatto alla situazione e senza gli strumenti sufficienti per risolvere il problema. Ripensò a Tails e al fatto che, probabilmente, a quell’ora doveva già essersi svegliato. Voleva essere con lui per rassicurarlo… sarebbe tornato, sarebbe tornato di sicuro a fare giustizia. Quindi fu con frustrazione, ma anche con una punta di ferma determinazione, che si allontanò dalla sede del Cenacolo di Argus, pensando, tra sé e sé, che se pensavano di averlo sopraffatto, si sbagliavano di grosso.

SONIC ORIGINS

Sonic the Hedgehog

La scelta più giusta

    Molti pensano che basti affidarsi a qualcosa di semplice e alla portata di tutti come una mappa per conoscere ogni angolo del mondo. Eppure, neanche lunghi anni di ricerca e di esplorazione sono sufficienti per scovare tutti i segreti più nascosti di un pianeta, specie se poi si tratta di un pianeta così vasto e ricco di meraviglie come Mobius. Non c’è dubbio alcuno che, nonostante la dedizione e l’attenzione dedicata, i cartografi non siano stati in grado, né forse lo saranno mai, di registrare ogni singolo luogo presente nel mondo; e forse è anche meglio così. Che gusto ci sarebbe se si fosse già a conoscenza di tutto quello che esiste intorno a noi? Non sarebbe forse meglio preservare il piacere della scoperta, viaggiare in terre sconosciute e portare sempre con sé il brivido di scoprire ambienti e scenari del tutto nuovi?

    Magari non molti sono d’accordo con questo modo di pensare, ma, di sicuro, è ciò di cui almeno uno degli abitanti di Mobius è fermamente convinto: un giovane riccio blu che ama farsi chiamare Sonic the Hedgehog. Nessuno che lo abbia mai incontrato ha mai saputo se questo si trattasse del suo vero nome, ma ciò che non poteva fare a meno di saltare all’occhio era la sua personalità dinamica e accattivante. Il suo amore per il viaggio e l’esplorazione traspariva prepotentemente da ogni sua parola e da ogni suo gesto, sebbene fosse una sua qualità più facilmente deducibile dalla sua particolare ed unica abilità. Era facile capire perché amasse tanto partire all’avventura alla ricerca di luoghi sconosciuti, specie potendo raggiungere ogni meta all’impareggiabile velocità del suono di cui era dotato.

    Nella sua giovane vita fino a quel momento, Sonic aveva attraversato il pianeta in lungo e in largo, ma non c’era nessun posto che amasse visitare più di South Island. Un’isola tropicale immersa nel verde, sconosciuta ai più, era il luogo che più riteneva perfetto per trascorrere giornate immerso nella totale rilassatezza. Ciò che la rendeva ancora più gradevole, era il fatto che era abitata da poche anime tranquille, per la maggior parte insediate in piccole pacifiche città. La maggioranza della popolazione dell’isola, però, era costituita da piccoli animaletti di ogni specie, con i quali Sonic non aveva faticato a stringere amicizia. Cordiali, quanto curiosi, erano gli abitanti che più ci si sarebbe aspettato trovare in un luogo paradisiaco ed incontaminato come quello.

    Come tristemente è noto, però, arriva un momento in cui tutte le cose belle sono destinate a finire; e, come Sonic avrebbe ben presto scoperto, l’atmosfera da sogno di South Island era tra queste. La mattina in cui ha inizio il primo capitolo delle sue avventure, Sonic aveva messo piede sull’isola per la prima volta dopo tanto tempo. Ci tornava periodicamente ogni qualvolta sentiva l’esigenza di riposarsi dalle sue scorribande a velocità supersonica per tutto il mondo. Il suo posto preferito era decisamente Green Hill, una zona collinare ricoperta da un soffice manto erboso e da fresche cascate di acqua pura. Aveva parcheggiato il suo biplano sotto ad alcune palme e si era scelto una nicchia promettente accanto ad un corso d’acqua per sdraiarsi e riposare. L’aria era frizzante e pulita come se la ricordava.

    Le ore immerse nel silenzio e nella tranquillità passavano e Sonic cominciava a domandarsi dove erano finiti gli animaletti che di solito zampettavano allegri da quelle parti. Se si soffermava a pensarci, in effetti, trovava strano che, fino a quel momento, non ne avesse visto neanche uno. Si era quasi del tutto convinto a sconfiggere la pigrizia e a fare una corsa a tutta birra in quella zona, in cerca di compagnia, quando qualcos’altro prese questa decisione per lui.

    A poca distanza da lui, si udì una specie di rombo di motore, seguito da un lamento soffocato. Sonic sollevò la testa quello che bastava a vedere che cosa stava succedendo. Finalmente vide uno degli animaletti dell’isola, ma in quell’occasione era tutt’altro che allegro e cordiale. Era visibilmente spaventato, probabilmente perché era intento a scappare da qualcuno che lo stava inseguendo; e Sonic non poté rimanere più sorpreso dallo scoprire l’identità di quel qualcuno. Si trattava di una specie di grossa coccinella meccanica, dotata di un paio di artigli ad uncino e che si teneva in equilibrio su una ruota motrice.

    Non ci volle molto perché Sonic si lasciasse alle spalle la sorpresa e decidesse di intervenire. Si fiondò rapidissimo verso il coniglietto in fuga e lo portò in salvo dalle grinfie di quello strano robot.

    - Tutto a posto? - gli domandò, una volta posatolo a terra.

    - Io… credo di sì! - replicò lui, ancora spaventato - Ma… cos’è quello? Stavo cercando i miei amici, quando mi ha attaccato all’improvviso! -

    - Non ne ho idea, ma ha scelto il posto sbagliato per venire a dare fastidio! -

    Il robot non sembrava disposto ad arrendersi. Cambiò bruscamente rotta e si preparò a correre incontro a Sonic, agitando gli artigli minacciosamente. Per niente intimorito, il riccio blu accolse la sfida con un ghigno soddisfatto.

    - Mi serviva giusto un bersaglio mobile per sperimentare questo nuovo trucchetto - disse tra sé e sé, prima di saltare in alto.

    All’apice del salto, si appallottolò su sé stesso e, sfruttando la velocità raccolta, si abbatté sul corpo dell’avversario. Il colpo fu così forte da infrangere la corazza metallica del robot e da mandarlo in mille pezzi.

    - Fin troppo facile! - commentò Sonic.

    Quando, però, si avvicinò per esaminare i rottami in cui era stato ridotto il nemico, notò che qualcosa si muoveva tra le lamiere. Con suo grande stupore, era un secondo coniglietto ed aveva l’aria stordita. Sonic stentava a credere che si trovasse all’interno di quella coccinella meccanica.

    - Ehi, piccolo! Cosa… cosa ci facevi lì dentro? -

    Sonic lo aiutò a venire fuori dai rottami, mentre il coniglio che prima era in pericolo si avvicinava a loro.

    - Io… non so cosa sia successo. Stavo cercando gli altri miei amici, erano tutti spariti da un po’ e cominciavo a preoccuparmi. Poi… poi qualcuno mi ha preso. Era tutto buio e… ricordo un grande freddo. Poi mi si sono ritrovato qui! -

    - Stai tranquillo, è tutto finito adesso - disse Sonic, tentando di suonare rassicurante.

    - Alcuni di noi stavano dicendo da tempo che stavano accadendo cose strane sull’isola - intervenne il primo animaletto, palesemente preoccupato - Dicevano… che altri animali stavano scomparendo e che alcune zone dell’isola erano state invase! - 

    - Invase? - ripeté Sonic, palesemente incredulo - E chi avrebbe interesse ad invadere un posto come questo? Per fare cosa poi? -

    - Io… io non lo so -

    Il riccio blu rimase per un attimo in silenzio. Guardò i due coniglietti che aveva soccorso e fu costretto ad ammettere che c’era decisamente qualcosa di strano che stava accadendo. L’improvvisa comparsa di quei… robot che intrappolavano gli animaletti era qualcosa che mai aveva visto prima.

    - Se fosse davvero vero che l’isola è stata invasa, cosa possiamo fare? - si domandò uno dei due animaletti, preoccupato - Chi ci può aiutare? -

    Sonic guardò in lontananza il panorama di Green Hill che si stagliava a perdita d’occhio… e sorrise. Non era un sorriso divertito o allegro; era un sorriso di puro e semplice brivido di avventura.

    - Conosco la persona che fa al caso vostro - commentò.

    E senza dare modo ai due piccoletti di rispondere, andò via in un lampo blu, diretto verso il limitare di Green Hill e verso quello che sarebbe stato un inizio emozionante.

Legami di sangue (Prima parte)

    Il calore delle fiamme. L’odore penetrante del fumo. Le braci che oscurano la vista. Il suo amico fraterno legato e privo di conoscenza. Immagini di momenti drammatici che vorticano senza controllo nella sua mente, condite del sapore amaro della sconfitta. La sconfitta in quella che doveva essere la resa dei conti, il vendicare il male inferto ad un ragazzino inerme. Una sconfitta che ancora bruciava nell’orgoglio di Sonic the Hedgehog, mentre osservava distrattamente l’orizzonte che mescolava il cielo con il mare e ripensava agli avvenimenti del giorno precedente.

    Avrebbe dovuto far pagare i responsabili dell’aggressione a Tails, vendicare il torto inflitto con una ripassata così forte da dissuaderli dal tentare di nuovo una cosa del genere. Invece, incredibilmente, era stato lui ad essere stato messo al tappeto, in quella che forse era la primissima volta in cui aveva subito una sconfitta così cocente. La facilità con cui, poi, era stato atterrato e letteralmente scaraventato via era il proverbiale sale sulla ferita aperta, un particolare che non poteva fare altro che aumentare la sua frustrazione e il suo senso di impotenza.

    Sapeva che doveva essere più tranquillo, perché Tails era sopravvissuto, un po’ conciato, ma sano e salvo. Sapeva che avrebbe avuto occasione di prendersi una bella rivincita e che, soprattutto, sarebbe stato più preparato. Sapeva anche che Knuckles era a caccia di informazioni utili per identificare il club di pazzoidi che tanto filo da torcere gli avevano dato, considerando che aveva ripetuto di avere una pista utile. Eppure c’era qualcosa che non riusciva a fargli mettere l’animo in pace, che non riusciva a tranquillizzarlo ma che aveva il potere di fargli montare una rabbia ancora più grande. Forse perché, nonostante fossero anni che combattesse contro il dottor Eggman e le calamità che amava far abbattere sul pianeta, non gli era mai capitato di essere sconfitto così clamorosamente. E che per di più una persona a lui molto cara era rimasta coinvolta, senza che potesse fare nulla per salvarla. Forse aveva preso tutto quanto alla stregua di un gioco, troppo impegnato a correre e a pensare tanto veloce da non soffermarsi sui rischi che tutto quello comportava, per sé stesso e per le persone a lui più vicine. E se fosse arrivato il momento di crescere? Di smettere di buttarsi a capofitto in ogni pericolo e di cominciare ad usare la testa prima che i piedi? Se si fosse, alla fine, imbattuto in qualcosa di così pericoloso da non essere in grado di affrontare e superare?

     Sonic non conosceva la risposta a tutte quelle domande e, francamente, pensava non fosse neanche il momento giusto per porsele. Avrebbe sentito cosa Knuckles aveva scoperto, si sarebbe organizzato con Shadow e Rouge e, in un modo o nell’altro, si sarebbe preso una bella soddisfazione, vendicando Tails e il suo orgoglio. Non c’era niente che Sonic non sarebbe stato in grado di affrontare… forse.

    Sonic non aveva perso tempo. Nell’istante stesso in cui era scattato l’orario delle visite in ospedale, si era presentato al banco di accettazione, con lieve stupore da parte delle infermiere, e si era fatto accompagnare nella stanza dove era stato ricoverato Tails. Non gli ci volle molto perché la sorpresa delle infermiere gli fosse chiara, considerando che il volpino aveva ricevuto un’altra visita, presentatasi precisamente allo scoccare dell’ora.

    Non appena il riccio blu varcò la soglia della stanza, gli fu subito chiaro di chi si trattava. Tails era steso a letto, con l’aria provata ma con un sorriso rassicurante stampato in volto. In piedi accanto a lui c’era l’inconfondibile sagoma di una riccia rosa, graziosa per i più, ma sintomo di preoccupazione per Sonic. Infatti, non appena si voltò, avvenne il consueto rituale a cui era abituato e a cui non poteva sempre sottrarsi quando incontrava Amy Rose. Gli si buttò al collo e lo stritolò in un abbraccio spaccaossa, di quelli che gli facevano rimpiangere gli attacchi dei robot di Eggman.

    - Sonic! Sono venuta appena ho saputo! Quando ho sentito il notiziario ho capito subito che si trattava di Tails! Mi ha raccontato tutto! Che farabutti! Ma non appena li prenderemo, finiranno dritti al fresco dopo che li avrò appiattiti a furia di martellate! -

    - Dagli tregua, Amy! - intervenne Tails, visibilmente divertito - Altrimenti dovranno ricoverare anche lui qui! -

    Dopo che Sonic riuscì a sfuggire a quelle effusioni pericolose, si avvicinò al letto, sorridendo amichevolmente.

    - Come te la passi? Ti stai godendo le vacanze gratis? -

    - Non le chiamerei esattamente vacanze. Se fossi in vacanza il cibo sarebbe molto meglio di quello che ci danno qui, ma credo di riuscire a sopravvivere fino a stasera, quando mi dimetteranno -

    - Sono contento di vedere che ti sei ripreso - disse Sonic, in tono sincero e sentito.

    - Devo ringraziare te per questo… ancora una volta -

    Negli occhi di Tails si potevano leggere affetto e ammirazione, ma Sonic non era d’accordo con le parole del suo amico. Invece di ricambiare il suo sorriso, distolse lo sguardo e tentò di allontanare il senso di colpa pressante per non essere riuscito ad evitare che finisse lì dentro.

    - E la mia casa? In che condizioni è rimasta? -

    - Un po’ bruciacchiata, ma si regge ancora in piedi - si affrettò a rispondere Sonic, contento di cambiare argomento - Mi ci devo incontrare tra poco con Knuckles, Shadow e Rouge per sapere cos’hanno scoperto riguardo a ciò che ti è successo -

    Tails sgranò gli occhi.

    - Non credevo che fosse così importante da coinvolgere anche la G.U.N. -

    - Sei stato quasi fatto arrosto! - intervenne Amy, secca - Non è una cosa da prendere così alla leggera! -

    - Senz’altro, ma… di solito di queste cose ce ne occupiamo sempre da soli. Cioè, il tipo che mi ha attaccato potrebbe essere in combutta con Eggman, anche perché non so chi altri possa arrivare a volermi così male! Come mai hai contattato Knuckles e Shadow? -

    Sonic non rispose immediatamente, preferendo scegliere il modo giusto per riferire a Tails che si erano tutti quanti già imbattuti nei responsabili della sua aggressione, ma che non erano riusciti a catturarli.

    - Non sono sicuro che questa volta c’entri Eggman - ammise - Quel tizio che ti ha attaccato, hai detto che ricordi il suo nome, Drake… ti ha detto qualcos’altro che possa aiutarci? -

    - Purtroppo non mi ricordo molto a parte quello - replicò Tails, sconsolato - Ero molto spaventato ed è accaduto tutto così in fretta… mi sembra di ricordare che diceva qualcosa sul “mettermi alla prova” o “studiarmi” per… per scoprire qualcosa su di me, almeno credo -

    A ricordare quell’esperienza, il volpino rabbrividì percettibilmente.

    - Sempre il solito ritornello, niente di nuovo - mormorò il riccio blu.

    - Cosa intendi dire? - domandò Amy.

    - Anche io sono stato attaccato da quel mentecatto ieri mattina… e Knuckles e Shadow da altri come lui. Per questo ci siamo tutti dentro, perché c’è qualcuno che vuole farci secchi e non ha intenzione di andarci leggero -

    Seguì un breve silenzio sconcertato, cosa che diede modo a Sonic di capire quanto era il caso di rivelare.

    - Mi dispiace non ricordarmi qualcosa di più che possa essere utile - disse Tails - Ma non appena mi avranno fatto uscire da qui vi darò una mano con le indagini -

    - Per ora pensa solo a rimetterti. Può anche darsi che, entro stasera, saremo già riusciti a beccare quei maniaci e ad averli strapazzati per bene! Mi conosci, sai che non è facile che mi tiri indietro! -

    - Lo so anche troppo bene - ribatté il volpino, sorridendo.

    - Infatti è ora che raggiunga gli altri, tornerò a trovarti non appena ne avremo saputo di più -

    - Io vengo con te allora! - esclamò Amy, con fiera determinazione.

    - No che non ci vieni! - fu la risposta spontanea.

    La ragazza corrugò la fronte e fulminò Sonic con un’occhiataccia.

    - E perché non dovrei aiutarvi? -

    - Perché… ehm… devi…. devi restare qui a fare da guardia del corpo a Tails, nel caso in cui qualcuno… riprovi a fargli del male -

    - Oh! - la balla sembrò funzionare adeguatamente, con sollievo di Sonic - E’ vero, non ci avevo pensato. Ma perché ci devo rimanere io? -

    - Perché tu sei la più tagliata per questo compito. Lo sanno tutti che è meglio non scherzare con te e con il tuo martello. E… e poi te lo chiedo come piccolo favore personale -

    - Quando è così… - rispose Amy, addolcita da quelle parole.

    Funziona sempre, pensò Sonic.

Legami di sangue (Seconda parte)

    Non ci vollero più di pochi minuti perché Sonic sfrecciasse lontano dall’ospedale per arrivare fino al luogo d’incontro prefissato. Il suo sguardo cadde automaticamente sulla piccola e graziosa costruzione che era la casa di Tails, annerita nelle pareti esterne e visibilmente malridotta, ma ancora in piedi… un po’ come il suo proprietario. Nel vialetto esterno, a ridosso del piccolo giardino, c’erano in silenziosa attesa Knuckles, Shadow e Rouge, forse anche loro persi nelle contemplazioni che potevano scatenare le condizioni di quell’abitazione.

    - Sei in ritardo - sbottò Shadow, nel suo classico sistema burbero di saluto.

    - Di certo non per stare a ciondolare in giro - ribatté Sonic - Sono andato a trovare Tails in ospedale -

    - In che condizioni è? - domandò Rouge.

    - Un po’ provato, ma ha il pelo duro. Lo dimetteranno in serata. Amy è rimasta con lui per evitare che qualcun altro possa provare a fare qualche altro scherzo -

    - Sarà difficile che qualcuno decida di avvicinarsi a lui, se quella ragazzina le ronza attorno - ribatté il pipistrello, con un sorriso rassicurante - Il suo caratteraccio sa essere molto più pericoloso del suo martello! -

    - Questo ci dà tempo per organizzarci - intervenne Shadow - Io e Rouge siamo tornati ieri sera a Mission Street con una squadra di agenti G.U.N. per tenere sotto controllo i movimenti di quelli del Cenacolo -

    - Potevamo anche risparmiarci la fatica - commentò Rouge - L’edificio era completamente vuoto, se la saranno filata poche ore dopo la nostra… visita -

    Sonic aggrottò la fronte, decisamente sorpreso dalla notizia.

    - Forse hanno paura di noi, di un nostro possibile ritorno -

    - Non è paura - sentenziò Shadow - Stando al modo in cui ci hanno sbattuto fuori, senza neanche muovere un muscolo, non hanno motivo di averne. Invece sono molto furbi, specie quel Seth… hanno preferito cambiare aria perché sapevano che avremmo potuto portare l’attenzione della G.U.N. su di loro -

    - Hanno portato via anche le tavole? - domandò Knuckles, attirando l’attenzione di tutti.

    - Di quali tavole parli? -

    - Quelle che erano appese al muro nel salone. Il tizio viscido che mi ha portato lì le ha chiamate Tavole dei Precursori -

    - Hanno portato via tutto, non c’è rimasto più niente - spiegò Shadow.

    - Hanno a che fare con la pista di cui ci hai parlato? - incalzò Sonic, trepidante.

    Sonic era tutt’orecchie. Ricordava bene la loro avventura a Twilight Cage, il luogo dove si erano scontrati con Lord Ix e con il suo gruppo di echidna rinnegate.

    - E se avete fatto attenzione, le informazioni su quelle steli parlavano dell’evento che aveva trascinato i Nocturnus a Twilight Cage… ricordate come l’aveva chiamato? -

    - L’Evento Argus! - rispose subito Shadow.

    Sonic sgranò gli occhi, colpito da quelle rivelazioni inaspettate. Non era mai stato un asso nelle lezioni di storia, né un grande ascoltatore. Eppure, ora che Knuckles ne aveva fatto riferimento, ricordava alla perfezione ciò di cui aveva parlato loro Nestor. Era successo così tanto da allora che, si disse, era normale aver rimosso questo dettaglio della loro gita forzata a Twilight Cage.

    - Quando il tizio mi aveva fatto il nome delle Tavole, sapevo di averlo già sentito, ma non riuscivo a ricordare dove. Sapevo però che facevano parte della cultura echidna ed è stato quello che mi ha convinto a dargli una possibilità -

    - Sapeva che era l’incentivo giusto per convincerti ad abbassare la guardia - spiegò Shadow - Hanno imparato a conoscerci alla perfezione prima di colpirci -

    - Va bene, quindi questi fanatici vanno blaterando lezioncine di storia echidna e le usano come pretesto per romperci le scatole - riassunse Sonic, seccamente - Questo cosa significa? -

    - Che dobbiamo saperne di più su questo Evento Argus - spiegò Shadow - Capire di cosa si tratta e del perché, secondo loro, dovremmo essere coinvolti anche noi -

    - Posso provare a chiedere informazioni a Night Babylon - propose Rouge - Anche se dubito che in un posto come quello ci sia qualcuno che si intenda di storia echidna -

    - Vi state dimenticando che c’è una persona che potrebbe aiutarci più di chiunque altro - disse Sonic, colpito da un’idea propizia - Knuckles, sei ancora in contatto con Shade? -

    La domanda prese il guardiano alla sprovvista. Nei suoi occhi si dipinse uno strano sguardo, un misto tra sorpresa e paura, qualcosa che gli altri non seppero decifrare. Ci mise qualche secondo a rispondere, cosa che fece dopo aver distolto lo sguardo.

    - Non la vedo da quando siamo tornati da Twilight Cage, dopo essere fuggiti da Metropolis e non ho neanche idea di dove sia andata! - disse in una maniera che non ammetteva repliche.

    - Hai un notevole talento per ostinarti a tenere alla larga da te ogni bella ragazza, vero? - lo punzecchiò Rouge, divertita.

    - Posso fare anche di meglio - sbottò l’echidna, brandendo i pugni chiusi in un moto di rabbia.

    Shadow gli afferrò il polso e gli abbassò il braccio di colpo, fulminandolo con gli occhi.

    - Risparmia le forze. Il tuo compito è trovare Shade e farle dire quello che sa, e il più in fretta possibile. E’ più facile che si fidi di te, dato che siete le uniche echidna rimaste in circolazione. Io e Rouge cercheremo di risalire al proprietario dell’edificio che usavano come covo e vedere dove ci può portare questa pista -

    - Non ti stai dimenticando di qualcuno? - protestò in tono leggero Sonic - E poi da quand’è che sei stato eletto capo? -

    - Ti rode che ti abbia soffiato il posto, impostore? - ribatté Shadow, molto più severo - Puoi andare a metterti un po’ in mostra nel frattempo. E’ ciò che ti riesce meglio, no? -

    - Mettermi in mostra? Sudare sette camicie per salvare il mondo in continuazione lo chiami “mettersi in mostra”? -

    - Non mi sembra tu abbia fatto un bel lavoro nel salvare il tuo amico -

    Senza neanche rendersene conto, Sonic si ritrovò a scattare in avanti e ad assestare un fortissimo pugno sulla mascella di Shadow. Il riccio nero incassò il colpo, ma i suoi piedi rimasero fermamente piantati per terra. In tutta risposta, restituì il pugno con un gancio ben assestato che riuscì a far indietreggiare Sonic.

    - Ho toccato un nervo scoperto? - incalzò Shadow, impassibile.

    - Smettetela di comportarvi come bambini! - sbottò Rouge, infastidita - Abbiamo già abbastanza grane senza che vi mettiate a dare queste stupide dimostrazioni di machismo! -

    Sonic digrignava i denti e squadrava Shadow in cagnesco, per niente adirato per il pugno quanto per il fatto che aveva avuto ragione: non aveva fatto abbastanza per Tails.

    - Se Tails ha conservato le vostre vecchie ricetrasmittenti da polso, andate a ripescarle - continuò il riccio nero, come se nulla fosse - Ci terremo in contatto con voi in quel modo -

    Senza aggiungere altro, Shadow diede loro le spalle e cominciò ad allontanarsi. Rouge aspettò qualche secondo prima di seguirlo, palesemente dispiaciuta per il diverbio a cui aveva assistito poco prima, ma comunque d’accordo con le decisioni del suo collega. Fece un cenno di saluto con la testa e si allontanò a sua volta.

    - Non hai colpa per quello che è successo a Tails - disse Knuckles, in tono convinto - I veri responsabili sono i farabutti a cui dobbiamo dare la caccia -

    Sonic annuì con la testa, segretamente riconoscente all’echidna per il tentativo di tirarlo su di morale al meglio delle sue possibilità.

    - Hai idea di dove cominciare a cercare Shade? -

    - Forse… ma non ci potrei giurare. Ho la sensazione che ci sia in ballo molto più di quanto pensiamo. L’Evento Argus di cui ci parlò Nestor fu talmente potente da far sparire nel nulla l’intero Clan dei Nocturnus. Se sta per accadere di nuovo qualcosa del genere e se quei fanatici assassini lo stanno aspettando con ansia… bé, suona tanto di guai per tutti -

    - Le ricetrasmittenti dovrebbero ancora essere nell’officina sul retro della casa. Per fortuna l’incendio non è arrivato fino lì. Non appena avrai notizie, contattami subito… sarò da te in un lampo! -

    Knuckles acconsentì con un cenno del capo.

    - Tu cosa farai nel frattempo? -

    Sonic aspettò qualche secondo per rispondere. Era una cosa a cui stava pensando sin dal suo primo incontro con Drake, un pensiero pressante che era stato momentaneamente messo da parte da tutto ciò che era successo a Tails e con quelli del Cenacolo.

    Immagino che un tipo come te non si sia mai soffermato a chiedersi come sia possibile fare le cose che fai, come è possibile che tu abbia una simile velocità, erano state le curiose parole del suo avversario. Era stato avvicinato da quei pericolosi criminali perché possedeva quel dono, motivo per cui sostenevano di volerlo mettere alla prova. E lo stesso era successo a Tails, a Knuckles e a Shadow. Non aveva idea di come tutto quello si potesse collegare all’antica storia delle echidna, ma sapeva che, per la prima volta, era necessario scavare a fondo nella sua di storia e scoprire quanto poteva sulla sua straordinaria abilità. C’erano solo due persone che potevano aiutarlo…

    - Andrò a cercare i miei genitori! -

Legami di sangue (Terza parte)

    Ancora più di sfrecciare a velocità supersonica, Sonic aveva sempre adorato solcare i cieli a bordo del suo inseparabile Tornado. Era da parecchio tempo che non pilotava personalmente il biplano che era stato suo compagno di tanti viaggi. Da quando aveva conosciuto Tails, tanti anni prima, e aveva notato la sua passione per tutto ciò che era meccanico, aveva affidato a lui la completa custodia del Tornado, sicuro al cento percento che se ne sarebbe preso cura in maniera impeccabile. Durante i suoi giri per il mondo, Sonic si era occasionalmente imbattuto in luoghi impossibili da raggiungere a piedi, motivo per cui la sua sete di avventura e di esplorazione gli aveva suggerito di diventare proprietario di un veicolo volante. Aveva deciso di battezzarlo “Tornado” perché sperava di oltrepassare i confini del cielo con la stessa forza e velocità con cui aveva imparato ad infrangere quelli della terra.

    Si trovava proprio nell’abitacolo del suo vecchio aeroplano quando, con il vento fresco che gli scompigliava gli aculei, si ritrovò a pensare a questi piacevoli ricordi del passato. Con Tails ancora bloccato in ospedale, era stato costretto a prendere possesso da solo del Tornado, accedendo alla rimessa in cui di solito il suo amico lo conservava. Anche se le circostanze per cui si ritrovò a viaggiare senza il suo volpino preferito erano state drammatiche, non gli dispiaceva più di tanto essere lì da solo, sia perché era da tempo che voleva fare un giro nostalgico di pilotaggio, sia perché la destinazione che doveva raggiungere non ammetteva altre persone che non fossero lui. Si stava dirigendo a Christmas Island, la piccola isola su cui era nato, dove sapeva poteva trovare sua madre e suo padre.

    L’idea di rincontrare i suoi genitori non gli faceva fare i salti di gioia, ma sapeva che erano le uniche persone a cui poteva rivolgersi per sapere dei dettagli importanti sul suo passato. Non poteva certo dire di essere stato un bambino infelice, tutt’altro… aveva vissuto con i suoi fino all’età di otto anni, prima di cominciare a viaggiare per il mondo in cerca di avventure, e non gli veniva in mente nessun episodio spiacevole della sua infanzia che potesse fargli storcere il naso all’idea di ritornare a casa… eccetto, naturalmente, per quella solita questione…

    Sonic chiuse gli occhi e lasciò che il vento gli soffiasse via tutti i pensieri e le preoccupazioni dalla mente, come sempre succedeva a bordo del suo fidato Tornado. Il colore azzurro intenso del mare che scorreva sotto di lui era quasi abbagliante per quanto luccicava sotto al sole. In lontananza, cominciò a scorgere la familiare sagoma dell’isolotto su cui era cresciuto, come sempre ammantata di una fitta e rigogliosa vegetazione. Deciso ad andare avanti con la sua decisione, Sonic prese un lungo respiro prima di stringere saldamente il volante e cominciare la discesa verso casa.

    Non ci volle molto perché trovasse un buon punto di atterraggio sulla spiaggia. Sapeva che gli abitanti di Christmas Island erano tutti molto tranquilli e pacifici, quindi non si fece scrupoli a lasciare il Tornado parcheggiato e incustodito da quelle parti. Prima di scendere a terra, diede di nuovo un’occhiata alle cartoline che aveva portato con sé. Non vedeva i suoi genitori da diverso tempo, ma si era sempre tenuto in contatto con loro via posta. Di tanto in tanto, suo padre e sua madre gli inviavano cartoline dei luoghi che visitavano o gli scrivevano giusto qualche riga di saluto… né più né meno di questo. Rileggendo una delle loro lettere, a Sonic tornò subito in mente uno dei motivi per cui era tanto titubante nel rivederli dopo tanto tempo. Da quelle righe traspariva tutta l’indifferenza che Sonic aveva quasi sempre avvertito da parte dei suoi genitori nei suoi confronti. Questo non voleva dire che se ne infischiassero totalmente di lui, ma non sembravano neanche mai veramente coinvolti e interessati in ciò che riguardava loro figlio. Erano sempre stati con la testa un po’ tra le nuvole, poco con i piedi per terra e più concentrati su ideali che Sonic giudicava strambi e astrusi. Diverse volte aveva sperato di leggere in quelle lettere “ci manchi molto”, “non vediamo l’ora di rivederti” o qualunque altra cosa che potesse suggerire che davvero si interessavano a lui o a quello che faceva. Voleva loro molto bene, ma si era sempre sentito troppo stretto, troppo soffocato dai loro modi superficiali e dal loro particolare stile di vita.

    Tuttavia, si disse Sonic, non era andato lì per rivangare vecchi disagi familiari. Era lì per raccogliere informazioni sul suo passato che solo le persone con cui aveva vissuto e con cui era cresciuto potevano fornirgli. Mise da parte le lettere e le cartoline, mise la sicura ai comandi e saltò giù dall’abitacolo. Dopo essersi preso qualche secondo per ammirare con un sorriso i paesaggi della sua infanzia, guardò di fronte a sé e si preparò a percorrere la strada che lo avrebbe portato a fare un decisivo tuffo nel passato.

    Al limitare dell’intricata foresta tropicale che ricopriva gran parte di Christmas Island, c’era una casa a due piani in legno di bambù che si mimetizzava perfettamente con la vegetazione. Anche se non era una di quelle abitazioni vistose che davano subito all’occhio, tutti sull’isola la conoscevano come la casa di una simpatica coppia di ricci blu, Jules e Bernadette Hedgehog. Simpatico era l’aggettivo che più comunemente era associato a quei due, cosa che di solito si dice di chi non si conosce particolarmente bene o che, comunque, non ha mai dato problemi di sorta. Non erano affatto due persone cattive, tutt’altro… non avevano mai fatto male a nessuno né provocato guai in chissà quale modo. Erano simpatici, senza dubbio… però… erano anche strani. Ma indubbiamente simpatici, intendiamoci…

    Questo è ciò che pensavano tutti coloro che si erano imbattuti nella famiglia Hedgehog di Christmas Island e Sonic lo sapeva bene. Quando si avvicinò alla casa dei suoi genitori gli fu sufficiente un’occhiata perché tutto questo gli tornasse in mente. Sapeva che avrebbe trovato sua madre e suo padre lì, perché nella loro ultima corrispondenza avevano detto che non avevano in programma altri viaggetti e che sarebbero rimasti a rilassarsi a casa per un po’ di tempo. Sapeva anche dove li avrebbe trovati a quell’ora del giorno, quindi si fece coraggio e raggiunse a passo, stranamente, lento il retro dell’abitazione. A ridosso del piccolo orto che i loro genitori coltivavano, vide una figura familiare che gli dava le spalle, seduta su una roccia piatta con le gambe incrociate.

    - Ciao, mamma! - disse Sonic, facendosi coraggio.

    Il riccio blu non ottenne risposta, ma non poteva dire di non aspettarselo. Prese fiato e parlò di nuovo, a voce più alta, ben sapendo che quando i suoi genitori erano impegnati nelle loro strambe meditazioni scollegavano il cervello dal resto del mondo.

    - Mamma! Sono a casa! - ripeté.

    Al secondo avviso, Bernadette si voltò. Il suo viso era giovanile, anche se segnato da qualche piccola ruga sotto agli occhi. I suoi aculei erano così lunghi da arrivarle a livello della cintola ed erano legati in una treccia ordinata e curata. Indossava degli occhiali dalle lenti quadrate colorate, oltre le quali si intravedevano gli occhi scuri. Il suo abbigliamento era decisamente quello di una teenager, anche se l’aria trasandata dei jeans strappati e della giacchetta marroncina dai bordi sfilacciati cozzava con l’ordine impeccabile della sua treccia.

    - Maurice! Che bella sorpresa! - rispose lei, con un leggero sorriso, ma rimanendo ferma dov’era.

    - E’ Sonic, mamma. Te l’ho detto tante volte - ribatté lui, rabbrividendo come al solito a sentire il suo vero nome.

    - Sonic, giusto, te l’ho mai detto che è un nome proprio carino? E’ così vibrante! -

    - Me lo hai detto almeno cento volte, mamma, eppure continui a dimenticarti di usarlo! -

    Bernadette non rispose, limitandosi a voltarsi nuovamente e a continuare la sua strana meditazione silenziosa. Sonic non fece caso al fatto che sua madre non lo vedeva da anni e tutto ciò che aveva da dirgli era “che bella sorpresa”, senza neanche degnarsi di alzarsi e raggiungerlo. Ci era troppo abituato e sapeva che era inutile prendersela per quello.

    - Ti ho interrotto? - domandò, senza riuscire, però, a mascherare un leggero fastidio.

    - Oh, no, avevo già finito da un pezzo, stavo solo ammirando il cielo e i suoi colori -

    Dopodiché si decise ad alzarsi e a raggiungere suo figlio, per stringerlo in un affettuoso abbraccio. Sonic sorrise per quel gesto, anche se gli sembrava di stare ad abbracciare il sindaco considerando la leggerezza del gesto, ma non ci fece caso, preferendo accontentarsi.

    - Che cosa ci fai qui? Non ci vediamo da quando venisti a spiegarci come mai le vibrazioni della terra erano diventate così confuse e distorte -

    - Immagino ti riferisca all’Evento X, o come cavolo lo hanno chiamato i giornali - replicò Sonic, pazientemente - E non è questione di vibrazioni, pensavo fosse il caso di avvisarvi di cosa fosse successo a Mobius, considerando tutti i viaggetti che vi fate di solito -

    - Hai fatto proprio bene! All’idea della presenza di tanti nuovi luoghi e tante persone a cui comunicare il nostro messaggio di pace e fratellanza, io e tuo padre eravamo così emozionati! -

    - Mentre voi eravate emozionati, c’è chi ha sudato sette camicie per trovare il modo di rimediare ai disastri provocati da Eggman e a farsi accettare dalla gente! -

    - Appunto per questo è importante tendere la mano agli altri per far capire che non c’è nulla da temere, specie da chi è diverso, perché siamo tutti fratelli, figli della natu… -

    - Dov’è papà? - chiese Sonic per tagliare corto.

    - E’ da qualche parte a raccogliere legna per il pranzo. Rimani con noi? Sarà contento di rivederti -

    - Certo, come al solito - disse il riccio, di getto, con un sarcasmo palpabile.

    Bernadette poteva anche essere con la testa tra le nuvole, come sosteneva suo figlio, ma questo non le impedì di cogliere l’ironia nella voce di Sonic.

    - Sento delle vibrazioni negative nella tua voce, Maurice! Cosa è successo? Sei venuto ad avvisarci di qualche altro disturbo? -

    - L’unico disturbo che avverto è solo quello di papà -

    - Cosa intendi dire? Tuo padre ti vuole bene! -

    - Questo non lo metto in dubbio, eppure non rischierebbe il collasso se si sforzasse di dimostrarmelo un po’ di più! -

    Sonic non aveva intenzione di parlare di quello, né aveva fatto tutta quella strada per quel motivo, ma le parole gli erano uscite di bocca spontaneamente, senza controllo. Sua madre lo guardava con aria allo stesso tempo ignara e dispiaciuta, ma a Sonic non andava di guardarla negli occhi, quindi le diede le spalle.

    - Avverto tanta negatività accumulata in te, hai mai pensato di provare a… -

    - Non ho bisogno di altri consigli stramboidi, me ne avete già dati a sufficienza per anni! Siete stati sempre troppo impegnati con le vostre strane idee pacifiste per essere semplicemente mia madre e mio padre! -

    Sonic si rese conto di aver alzato un po’ troppo i toni, ma capì anche che ormai la frittata era stata fatta e che tanto valeva andare avanti, cercando almeno di non farsi prendere dalla rabbia. Voleva bene ai suoi genitori, non aveva intenzione di ferirli, ma era anche giusto essere sincero per quanto riguardava ciò che provava.

    - Non fraintendermi, non ho nulla contro il vostro modo di essere o le vostre convinzioni, ma mi è sempre sembrato che per voi fossero più importanti di quanto lo fossi io! Ogni volta che sono venuto a trovarvi, non vi siete mai mostrati interessati a me o a quello che avevo fatto. E ogni volta che mi scrivete è per parlare dei vostri viaggi, delle persone che avete incontrato e con cui avete parlato. Non una sola volta mi avete scritto che vi mancavo o avete pensato a quello che ho fatto. Siete i miei genitori, dovreste essere fieri di me! -

    Quelle parole ebbero il prodigioso effetto di togliere il peso di un macigno dallo stomaco di Sonic, un peso che sapeva di essersi portato per più tempo del dovuto. La parte più difficile, però, era in quel momento voltarsi e affrontare le conseguenze della sua ammissione, sperando con tutto il cuore che sarebbe stato abbastanza forte da affrontarle nel verso giusto.

     Sonic si voltò e il primo segnale che qualcosa non sarebbe stato totalmente di suo gradimento fu lo sguardo impassibile di sua madre. Era lo stesso sguardo distante e indifferente che aveva imparato a detestare negli anni della sua crescita. Contrariamente a quanto si aspettava, però, Bernadette non disse nulla e si limitò ad allontanarsi e a dirigersi verso casa. Sonic rimase stupito, non sapendo come interpretare quel comportamento. Che sua madre fosse talmente insensibile ai suoi disagi da doversene andare pur di non ascoltarli? Fortunatamente, non ebbe tempo per rimuginare oltre sulla questione, perché lei uscì dalla porta di casa e lo raggiunse. Portava in braccio un librone dalla copertina rigida marroncina che porse a Sonic, senza dire nulla. Il riccio blu lo prese, aggrottando la fronte in segno di perplessità, quindi cominciò a sfogliarlo, incoraggiato dal sorriso di sua madre.

    Scoprì subito che si trattava di un album di quelli dove solitamente si appiccicano le fotografie. Questo però era pieno zeppo di ritagli di giornale, tutti che riportavano notizie che avevano una sola cosa in comune: Sonic. C’era un articolo con foto, su carta ormai ingiallita, che riportava il salvataggio di Station Square da Perfect Chaos. Un altro che parlava del suo coinvolgimento nel salvataggio del pianeta dalla collisione con la Colonia Spaziale ARK. E così via, in una grande e comprensiva cronaca delle sue avventure documentate, da piccoli trafiletti che parlavano di suoi avvistamenti, ad articoli più corposi dove si riportava il suo ruolo nello sventare le minacce lanciate dal dottor Eggman.

    - Io e tuo padre ci facciamo spedire qui sull’isola tutti i giornali più importanti e collezioniamo da sempre tutte le notizie che parlano di te - spiegò Bernadette, in tono, per la prima volta, affettuoso - C’è tutto, tutte le imprese che hai conseguito in questi anni, dalla prima all’ultima -

    - Perché non me lo avete mai detto? - domandò Sonic, con uno stupore che si avvicinava quasi allo shock nella voce.

    - Bé, non ce lo hai mai chiesto - replicò sua madre, con la semplicità con cui si spiega ad un bambino che due più due fa quattro - Te lo sto facendo vedere adesso per provarti che io e tuo padre siamo fieri di te, abbiamo sempre seguito tutto ciò che facevi in questo modo e non potevamo essere più orgogliosi di quanto sei sempre pronto ad aiutare gli altri. Probabilmente non te lo abbiamo dimostrato come avresti voluto, ma non pensavamo ce ne fosse bisogno. Sei sempre stato uno spirito libero, indipendente, che andava dove il vento lo portava, ed è proprio per questo che ti abbiamo lasciato seguire la tua strada in totale tranquillità. Se poi avevi qualche dubbio, non ci perdevi niente a chiedere, no? -

    Quelle parole semplici e pratiche, unite all’inconfutabile prova che quell’album costituiva, riuscirono a far sentire Sonic leggero come un palloncino. Poteva quasi vedere l’amarezza che aveva sempre serbato in cuor suo trasformarsi in una bolla di sapone e fluttuare fuori dal suo petto fino a dissolversi. La rabbia e la tristezza erano sentimenti che non aveva mai amato serbare, né tenersi dentro senza affrontarli, tant’è vero che, nella sua vita frenetica e priva di preoccupazioni, non era mai successo di provarli per un tempo superiore ad una manciata di secondi. E adesso che il suo unico, singolo sassolino nella scarpa, che ogni tanto tornava a dargli fastidio in un’esistenza costantemente vissuta a cento chilometri all’ora, era andato via, si sentiva pervaso da una nuova energia e da una nuova determinazione.

     Istintivamente, come se all’improvviso fosse tornato all’età di cinque anni, si gettò al collo di sua madre e la strinse in un caloroso abbraccio pieno di affetto, al quale lei ricambiò felicemente.

    - So che non ti è mai andato molto a genio il nostro modo di pensare - ammise Bernadette - Ma non è poi tanto diverso dal tuo. Cerchiamo entrambi di fare la cosa che riteniamo più giusta, ma a quanto pare i tuoi tempi sono molto più veloci dei nostri -

Sonic sorrise, definitivamente rincuorato.

    - Ora l’ho capito, mamma -

    - Penso che sia il caso che anche tuo padre lo sappia, non credi? -

Legami di sangue (Quarta parte)

    Jules Hedgehog era la classica persona, o nel nostro caso il classico riccio, per cui sembrava essere stato coniato il detto “mai giudicare un libro dalla copertina”. Per i più superficiali si sarebbe trattata di una copertina di quelle che non valeva neanche la pena degnare di uno sguardo, troppo sfacciatamente bizzarra per destare interesse, se non per sottolineare quanto fosse patetico che alcuni amassero così esageratamente ostentare il loro anticonformismo. Per chi aveva ricevuto la grazia di avere una mente più aperta, però, le pagine di quel libro sarebbero riuscite a spazzare via ogni perplessità per la stranezza della copertina dopo pochi minuti di lettura. Ciò nonostante, era parecchio facile lasciarsi scappare un sorriso divertito o di scherno, in alcuni casi maligno, alla vista dei pantaloni consunti e sfilacciati di Jules Hedgehog, della sua giacchetta scura dalle mille tasche e, soprattutto, della sua miriade di bracciali variopinti e collanine e ciondoli tintinnanti. A mitigare l’aria trasandata conferita dal resto dell’abbigliamento, forse, c’erano i suoi occhiali dalle lenti tonde a protezione delle pupille vivacemente azzurre, l’unico particolare che trasmetteva un’aria più posata e riflessiva, in contrasto alla parvenza più dimessa che suggeriva. I suoi aculei di riccio blu gli ricadevano all’indietro delle spalle liberamente e, per certi versi, quasi selvaggiamente, in maniera simile a quanto accadeva ad un altro celeberrimo riccio blu… Maurice Hedgehog, meglio conosciuto come Sonic the Hedgehog, il quale, neanche a farlo apposta, era proprio suo figlio.

    Anche se si trattava di un particolare pressoché minimo, era innegabile notare la somiglianza nel modo di portare gli aculei dei due, come se il vento e solo il vento fosse stato il loro pettine preferito, cosa che Sonic stesso non mancava di notare con un sorriso mentre osservava suo padre accatastare rami secchi e legnetti in una pila disordinata. Il suo fare era lento e flemmatico come se lo ricordava, ma non perché fosse privo di brio, semplicemente perché amava assaporare intensamente ogni cosa che faceva, per quanto minima o insignificante. Era lì, che raccoglieva i legnetti necessari ad accendere il fuoco per il pranzo, li rimirava accuratamente con sguardo quasi vacuo, mentre li rigirava tra le mani, e poi li posava nella catasta già sufficientemente alta.

    - Di questo passo ti ci vorrà un rimorchio per portare tutta quella legna alla mamma - commentò Sonic, avvicinandosi all’ignaro Jules e limitandosi a salutarlo con un semplice sorriso cordiale.

    Il riccio si voltò per indagare su chi gli avesse parlato, ma ancora prima che gli occhi registrassero l’immagine, aveva già capito a chi apparteneva quella voce, tant’è vero che si era già preparato il sorriso di risposta che corrispondeva al loro misterioso codice di saluto.

    - A che mi serve un rimorchio quando ci sei tu? - ribatté, scherzosamente - Specie considerando che sapevi che tuo padre aveva bisogno di una mano e sei tornato apposta a casa -

    - Non ti si possono mai nascondere certe cose - replicò Sonic, facendo spallucce e continuando a reggere il gioco.

    Jules si avvicinò a suo figlio e gli diede un affettuoso buffetto sulla guancia. Nella sua precedente visita, non avrebbe dato importanza a quel piccolo gesto, ma dopo la discussione avuta poco prima con sua madre, aveva imparato a leggere in una lingua nuova ogni cenno che i suoi genitori gli rivolgevano. Se tempo prima si sarebbe segretamente rammaricato della scarsa gioia dimostrata dai suoi nel rivederlo, ora aveva capito che il non fare i salti di gioia o il non dirlo esplicitamente non significava che così non fosse.

    - Cosa ha trascinato quelle tue chiappe blu fino a qui, bello? - domandò Jules. La sua parlantina schietta e palesemente scherzosa entrava in netto contrasto con i suoi modi tranquilli e quasi flemmatici - Sei venuto ad avvertirci di qualche altro strano scherzo della natura? -

    - Purtroppo per te e per la mamma, no, ma non temete. Ci saranno altri pretesti utili perché vi facciate qualche altro viaggetto di propaganda pacifista - rispose Sonic, dispettosamente affabile.

    - Neanche fosse qualcosa di male! Tu stesso ti sei fatto un po’ di giretti in lungo e il largo per il pianeta, vero, bello? Chun-Nan, Apotos, Spagonia… -

    - E come fai a saperlo? -

    - Oh… devi averlo scritto in risposta ad una delle nostre cartoline! -

    Sonic sapeva che non era vero, che non aveva scritto mai nulla del genere, e sapeva anche che suo padre era al corrente della sua avventura in giro per il mondo alla ricerca dei templi di Gaia con Chip¹ perché aveva conservato i trafiletti di giornale che parlavano dei suoi avvistamenti. Tuttavia, non disse nulla per smentirlo, in modo da rispettare il suo piccolo segreto.

¹ Fa riferimento agli eventi narrati in Sonic Unleashed (2009)

    - In realtà sono qui per chiederti qualcosa che non ti avevo mai chiesto prima - continuò Sonic, assumendo un’aria leggermente seria.

    - Se vuoi sapere che fine ha fatto la chitarra che usavi da piccolo, domanda a tua madre. Non faceva altro che dire che aveva bisogno di silenzio per meditare e quando c’è qualcosa che la disturba è capace di tutto -

    Sonic sorrise debolmente, convinto che, se i motivi della sua visita a Christmas Island fossero stati diversi e il suo stato d’animo fosse stato meno preoccupato, avrebbe trovato quella risposta molto più divertente.

    - Non è niente di tutto questo… papà, volevo chiederti se mi sai dire come ho sviluppato la mia velocità supersonica! -

    Anche se Jules, a memoria d’uomo, o meglio di riccio, era noto per l’impassibilità con cui accoglieva anche le notizie più drammatiche, Sonic lo vide sollevare un sopracciglio in un’inequivocabile espressione sorpresa. Era quanto di meglio si potesse aspettare da suo padre, pensò, ma l’attesa della risposta era troppo pressante perché si soffermasse su un particolare del genere.

    - Sarebbe stato più semplice rispondere se si fosse trattato della tua chitarra - commentò, senza però lasciar trasparire alcuna sorpresa dalla voce - C’è qualcosa che ti preoccupa, vero? -

    - Le vostre meditazioni strampalate insegnano anche la lettura del pensiero? - lo rimbeccò Sonic - Cosa te lo fa pensare? -

    - Non mi hai mai chiesto una cosa del genere, neanche quando eri piccolo e, conoscendoti, non ti soffermeresti a scavare nel passato se non ci fosse qualcosa che ti dà da pensare seriamente -

    Sonic accolse con più gioia di quanta ne avrebbe mai ammessa quelle parole, soprattutto perché costituivano un’ulteriore dimostrazione del fatto che suo padre lo conosceva abbastanza da aver capito quasi tutto.

    - Hai quasi azzeccato, pa’! - ammise il riccio blu, sedendosi sull’erba a gambe incrociate - Ci sono stati un po’ di… problemi ultimamente che mi hanno fatto riflettere su alcune cose. Penso che saperne di più su come ho iniziato a correre potrebbe aiutare me… e non solo me. Insomma, nessuno di voi due è capace di fare quello che faccio io e non conosco nessun altro riccio che ne sia in grado. Come hanno fatto i miei piedi a diventare così veloci di punto in bianco? -

     Jules ascoltò con attenzione anche se, per chi non lo conosceva, poteva sembrare che il suo interesse per le parole di suo figlio fosse quasi inesistente, considerando che aveva tenuto lo sguardo fisso al cielo per tutto il tempo. Si sedette a sua volta e aggrottò la fronte, evidente segno che la sua mente stava andando indietro nel tempo nel tentativo di ricordare.

    - E’ successo davvero di punto in bianco, per quanto mi ricordo. Fino all’età di sei anni non hai mai dato segno di saper correre così velocemente, eri un bambino perfettamente normale, anche se eri così frenetico ed esagitato da essere difficile da tenere buono. Poi una mattina stavi giocando nell’orto e, senza che neanche te ne accorgessi, sotto agli occhi miei e di tua madre, stavi cominciando a muoverti così velocemente da riuscire a riprendere la palla con cui stavi giocando prima che toccasse terra, dopo averla lanciata con forza davanti a te -

    - E tu e la mamma non avete fatto niente? -

    - Cosa avremmo dovuto fare? Stavamo vedendo che riuscivi a muoverti ad una velocità esorbitante, evidentemente la natura voleva che tu crescessi in quel modo -

     Sonic soffocò uno sbuffo infastidito. Per un attimo si era quasi dimenticato della leggerezza con cui i suoi genitori avevano sempre preso qualunque tipo di notizia. Non lo avrebbe stupito se fosse venuto a sapere che nella sua infanzia aveva anche scalato una montagna, completamente da solo, con il rischio di cadere e rompersi l’osso del collo, senza che i suoi avessero fatto nulla per fermarlo.

    - Ma non vi sembrava strano che un marmocchio potesse fare una cosa del genere da un giorno all’altro? -

    - No! - rispose secco e diretto Jules - Tutti noi abbiamo qualcosa che ci rende speciali, qualcosa di unico che possediamo solo noi e nessun altro. Evidentemente tu avevi appena trovato quel tuo qualcosa -

    Sonic si rese conto che era inutile continuare per quella strada. Probabilmente, se suo padre si fosse trovato al posto suo di fronte a Perfect Chaos intento a distruggere ogni angolo di Station Square, sarebbe stato capace di dire che era l’ordine naturale delle cose e che era semplicemente una creatura che aveva scoperto ciò che lo rendeva speciale.

    Papà sa essere proprio fuori di testa, quando ci si mette di impegno, pensò, leggermente infastidito.

    - Non ricordi niente di strano che mi sia successo prima che cominciassi ad essere così veloce? - domandò, prima di ricordarsi che il suo concetto di stranezza differiva molto da quello di suo padre e di convincersi a riformulare la domanda - Non so, qualche incidente, qualche volta in cui mi sono allontanato… qualunque cosa! -

    - Come ho detto sei stato un bambino molto esagitato, per cui non era raro che andassi in giro a bighellonare e a cacciarti nei guai. C’è stata una volta in cui, effettivamente, l’hai combinata più grossa del solito. Mi avevi accompagnato in spiaggia a pescare, ma ti eri stufato in fretta di aspettare che i pesci abboccassero, quindi hai deciso di andare ad esplorare le grotte marine che ci sono da quelle parti. A un certo punto, mentre ti stavi arrampicando sugli scogli, sei scivolato e sei finito in mare. Da lì la corrente ti ha trascinato nella sezione subacquea delle grotte. Sono venuto a cercarti a nuoto e ci ho messo un bel po’ prima di trovarti in un cunicolo pieno d’acqua. Eri riuscito a nuotare fino ad una zona all’asciutto in cui c’era aria e a salvarti prima di annegare, ma eri molto spaventato e non sapevi come tornare indietro -

    L’episodio non sembrava avere alcun significato particolare per Sonic, ma almeno credeva di aver capito perché aveva antipatia per l’acqua da quando riusciva a ricordarsi.

    - E questo quando è successo di preciso? - domandò ancora.

    - Un paio di giorni prima che cominciassi a correre in quel modo - rivelò Jules, con semplicità.

    Sonic sgranò gli occhi per un momento, colpito dalla sorprendente coincidenza. Dopodiché rimase in silenzio, pensieroso, cercando di capire in che modo i due avvenimenti potessero essere collegati, ma con scarso successo. Come poteva quell’incidente spiacevole che aveva avuto da bambino essere correlato o, addirittura, essere la causa della comparsa della velocità supersonica a cui era tanto affezionato? E anche se così fosse stato, cosa poteva significare? Tutti quelli del Cenacolo erano dotati di abilità fuori dal comune, proprio come lui, e quel Drake gli aveva messo la pulce nell’orecchio che lo aveva condotto fino a Christmas Island per indagare sulle sue origini. Sembrava che sapesse qualcosa che Sonic non sapeva, ma, se doveva basarsi sulle informazioni ricavate da suo padre, era ancora in alto mare per scoprire la verità. I casi erano due: o avrebbe rintracciato Drake e gli avrebbe fatto il sedere a strisce fin quando non si fosse deciso a parlare, oppure avrebbe provato ad investigare su queste grotte marine, nella lieve e improbabile speranza che quell’episodio fosse collegato alla trasformazione del piccolo Maurice in quello che sarebbe diventato Sonic the Hedgehog.

    - Qualunque cosa sia successa che ti abbia portato qui - intervenne Jules, interrompendo il filo dei suoi pensieri - E’ bene che ti ricordi che, in tutto ciò che ci circonda, non è importante il come, ma il perché. Io non ho la minima idea di come tu possa fare le cose che fai, ma conosco il perché. Hai avuto questo dono perché tu possa metterlo a frutto come meglio ritieni e posso dire di essere stato un genitore abbastanza decente da farti capire che la cosa migliore da farci è aiutare chi ne ha bisogno -

    - Aiutare non è proprio il mio forte - replicò Sonic, con un sorriso quasi indecifrabile - In tutto questo tempo non ho fatto altro che correre di qua e di là per visitare il mondo! Cosa credi, che abbia speso tutto il mio tempo a salvare la gente da mostri giganti e da scienziati pazzi? -

    - Certo che no… perché avresti dovuto? - ribatté suo padre, senza esitare un attimo a reggergli il gioco.

    E fu in quell’istante che tra di loro si instaurò una comunicazione silenziosa solo attraverso gli sguardi. Sonic gli aveva implicitamente dato l’imbeccata perché suo padre sapesse che non era all’oscuro di ciò che lui mai gli aveva rivelato, che si traduceva nell’orgoglio di un genitore per i traguardi e le imprese conseguite da un figlio. Di contro, Jules non avrebbe mai ammesso quanto realmente sapesse di suo figlio e quanto profondamente ne era fiero, forse perché non ce n’era realmente bisogno, forse perché era stato Sonic stesso a fargli capire che sapeva quanto bastava per mantenere quel tacito accordo di rispetto a affetto reciproco che, in qualche modo, c’era sempre stato, ma che era appena stato suggellato.

    Jules si avvicinò a suo figlio, gli cinse le spalle con un braccio e si incamminò con lui verso casa.

    - Andiamo a riempirci lo stomaco - affermò, quasi in tono solenne - La connessione con la natura è più forte quando sei a pancia piena -

     Il fatto di essersi completamente scordati della legna e il rimprovero di Bernadette al loro ritorno a casa scatenò una sonora e sincera risata divertita da parte di padre e figlio. Una risata che ebbe il portentoso effetto di far sparire i pensieri e le preoccupazioni di Sonic velocemente e silenziosamente… almeno in attesa del loro ritorno.

    Erano state tante le volte in cui Knuckles the Echidna si era soffermato ad ammirare l’imponente sagoma dell’altare in pietra del Master Emerald ogni volta che tornava sulla sua isola, dopo un’avventura o un viaggio che lo portasse altrove. Sotto il sole più caldo del mattino, proiettava una lunga e fredda ombra che abbracciava il prato sottostante, incutendo soggezione e rispetto che inducevano ancora di più al religioso silenzio in cui era immerso. Talvolta, quando si fermava per qualche secondo a contemplare la magnificenza della costruzione e, soprattutto, dello splendente gioiello che ospitava, la sua mente cercava di navigare con la memoria nel passato di quell’isola, nel passato della sua specie, come raccontatogli tanto tempo fa da suo padre, e soprattutto nel suo di passato. I ricordi, le nozioni di storia e i racconti sentiti si intrecciavano e ingarbugliavano in una contorta ragnatela nella quale era difficile districarsi. Non gli era più capitato di ripensare alle sue origini e al triste particolare che era l’ultimo rimasto delle echidna da diverso tempo, più precisamente da quando era stato rapito dai Predoni che poi si sarebbero rivelati essere del Clan scomparso dei Nocturnus. La rivelazione di non essere più l’ultimo e che gli ultimi suoi simili si erano autoproclamati suoi nemici erano stati tra i bocconi più amari che era stato costretto ad ingoiare in vita sua. Dapprima aveva provato rabbia nei confronti di suo padre, lo stesso che gli aveva sempre sottolineato come fossero gli ultimi della loro razza. Poi cominciò a pensare che, in fondo, neanche suo padre doveva essere al corrente che ci fossero delle echidna rinchiuse a Twilight Cage, ammesso che sapesse anche solo lontanamente che cosa fosse Twilight Cage. Dopodiché, la sua rabbia fu sostituita dalla frustrazione e dall’indecisione sul da farsi. Sapeva che Lord Ix non avrebbe mai abbandonato i suoi piani, sapeva che non sarebbe riuscito a far ragionare le echidna del Clan. All’atto pratico, Ix era soltanto un farabutto responsabile del suo rapimento e, soprattutto, del furto del Master Emerald; e se la sua unica ragione di vita era sempre stata, e probabilmente sarebbe sempre stata, la salvaguardia di quello smeraldo gigante, non poteva guardare in faccia nessuno, echidna o meno che fosse.

    Quell’avventura era stata tra le più dure e difficoltose che avesse mai vissuto in compagnia di Sonic e degli altri suoi occasionali compagni. Gli aveva lasciato addosso un senso di consapevolezza misto a malinconia che lui stesso non sarebbe riuscito a decifrare o a comprendere in pieno. Era sicuro soltanto di una cosa, riusciva a riconoscere solo una sensazione che quell’esperienza gli aveva lasciato, in tutta la sua potenza: non si sentiva più solo. E la causa non era semplicemente il fatto di aver scoperto che, da qualche parte, c’erano altri suoi simili e che, forse, potevano essercene anche altri in luoghi che non aveva mai neanche sentito nominare. Si trattava di qualcosa di molto più intimo e vicino di quanto Sonic, Tails o chiunque altro dei suoi compagni di battaglia potessero sospettare.

    Knuckles camminava a passi lenti verso l’altare, non dirigendosi però verso le scale, come faceva spesso, ma svoltando su un fianco della costruzione, verso il levigato muro in mattoni grigi. Abbassò leggermente la testa e si intrufolò nell’apertura rettangolare che fungeva da ingresso al suo piccolo e modesto rifugio nascosto. L’interno conteneva giusto lo stretto indispensabile perché si potesse chiamare abitazione: un tavolo in legno rozzamente intagliato, qualche sedia un po’ sbilenca, una lampada ad olio in quel momento spenta, alcuni scaffali che ospitavano tazze, bicchieri, posate, recipienti di varie forme e dimensioni e cianfrusaglie sparpagliate disordinatamente. Sulla parete frontale della stanza si poteva scorgere un’amaca legata con cura nei due estremi alle travi robuste che sostenevano la volta. Di solito giaceva vuota e inutilizzata, dato che Knuckles preferiva trascorrere i suoi sonni all’esterno, ma quella mattina, come da molte altre ormai, poteva godere di un occupante.

    - Sono qui - proferì Knuckles, con aria seria - Mi spiace averti fatto aspettare, non pensavo di metterci così tanto -

    L’occupante dell’amaca respirava affannosamente e la sua fronte era madida di sudore. Le sue palpebre erano di poco abbassate e il suo sguardo era spento, quasi vacuo. Si premeva una mano sul petto, oltre il corpetto nero come l’inchiostro che indossava, e studiava con attenzione il battito irregolare del suo cuore affaticato. Non appena sentì la voce del guardiano del Master Emerald, voltò il capo e il suo viso si illuminò di un sorriso, anche se molto debole.

    - Temevo che quando fossi tornato sarebbe stato troppo tardi per me - confessò Shade², con la voce roca e spezzata dalla fatica - Credo che non manchi molto ormai -

²Shade è apparsa per la prima volta in Sonic Chronicles: The Dark Brotherhood (2008), la stessa avventura in cui sono comparsi i Predoni, il Clan di Nocturnus, Lord Ix e Twilight Cage.

    Knuckles prese una sedia, la avvicinò al giaciglio dell’echidna in fin di vita e vi si sedette, in un rispettoso silenzio.

    - Ho raccontato a Sonic e gli altri tutto quello che mi hai saputo dire sull’Evento Argus e sulle Tavole dei Precursori -

    - Non è molto, ma spero sia sufficiente ad aiutarvi… almeno, prima di andarmene per sempre, avrò avuto modo di ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me -

    A quel punto, Shade fu colta da un attacco di tosse molto violento. Knuckles sapeva che le accadeva da diverso tempo ormai, all’unisono con il peggioramento delle sue condizioni di salute, quindi aveva sempre pronto un bicchiere d’acqua da porgerle in caso di necessità, quando era con lei. Shade lo bevve tutto d’un sorso, ma lo sforzo fu così grande che si afflosciò come un tubo di gomma sulla tela dell’amaca.

    - Se me lo avessi permesso - disse Knuckles, mestamente - Avrei potuto trovare un modo per farti stare meglio, per farti guarire… avrei cercato per mari e monti un sistema -

     Shade allungò un braccio e posò la mano sul pugno chiuso di lui.

    - Quello di cui non ti rendi conto è che mi hai già guarita. Tu, Sonic e gli altri vostri amici mi avete tirato fuori dalla menzogna sulla quale era stata costruita tutta la mia vita, dalla mia cieca fedeltà a Lord Ix e mi avete permesso di fuggire dalla prigione in cui avevo trascorso quasi tutta la mia esistenza. Fuggire da Twilight Cage è stato come rinascere per me, tornare qui, nel mondo che mi appartiene… è stata la realizzazione di un sogno che non credevo avrei mai toccato con mano -

    - Ti abbiamo tirato fuori di lì e abbiamo fatto a pezzi Ix per che cosa? - sbottò Knuckles, rabbiosamente - Perché tu potessi morire in questo modo? -

    Shade sospirò, con respiro irregolare, e cercò con pazienza e con le poche energie di cui era dotata di tranquillizzare il guardiano.

    - E’ semplicemente arrivato il mio momento, Knuckles, e lo sto accettando serenamente. Quando facevo parte dei Nocturnus, sapevo che il mio destino sarebbe arrivato da un momento all’altro, ma mai avrei potuto immaginare che la mia vita sarebbe finita al di fuori di Twilight Cage. Potrei cercare diverse motivazioni per cui questo sta succedendo: forse il nostro voto di fedeltà a Lord Ix era qualcosa di più di un semplice giuramento a parole e forse, in seguito alla sua morte, aveva fatto in modo che noi tutti lo seguissimo; forse il mio organismo era troppo adattato a vivere a Twilight Cage per poter sopravvivere in un ambiente diverso; forse sono troppo vecchia, Knuckles, ho pur sempre 4000 anni e ho vissuto in un luogo in cui il tempo scorreva in maniera del tutto diversa… e adesso che sono qui mi è arrivato un conto da pagare con tre zeri… ma non importa, qualunque sia il motivo, lo accetto. Ci sarà di sicuro qualcosa che mi aspetta dall’altra parte… e posso solo sperare che sia splendido quanto ciò che mi hai fatto conoscere qui -

    Knuckles annuì piano con la testa. Riusciva a riconoscere in Shade la saggezza che si sviluppa solo con anni e anni di esperienza, proveniente però da una ragazza che aveva pressappoco la sua età. La gola gli si era seccata e non sapeva bene che cosa dire. Non gli era mai capitato di parlare con qualcuno che, di lì a poco, avrebbe esalato l’ultimo respiro e non lo aiutava neanche il fatto che si trattasse dell’unica altra echidna, oltre a lui, di cui conosceva l’esistenza.

    - Ho solo una domanda da farti… come mai non hai mai raccontato ai tuoi amici che sono stata qui con te per tutto questo tempo? -

    Il guardiano increspò la bocca in un lieve sorriso. Sapeva che quella domanda sarebbe arrivata prima o poi, la stessa che anche lui si era sempre posto senza trovare una risposta soddisfacente.

    - Non lo so… non l’ho mai capito… non me lo sono mai saputo spiegare… forse trovare finalmente qualcuno come me è stato qualcosa di così… di così prezioso da volerlo tenere per me. Forse perché sentire di non essere più l’unico, ha risvegliato in me un bisogno che credevo sepolto: il bisogno di una famiglia, di un legame di sangue, per quanto lontano possa sembrare. Nessuno di loro potrebbe mai capire come ci si sente ad essere soli… soli come lo sono io, l’ultimo della mia specie, condannato a portare avanti un compito di cui non conosco più il significato -

    - Il tuo dovere di guardiano è il più sacro dei doveri, Knuckles - spiegò Shade, con calma - E’ cominciato tutto con il Master Emerald… la mia storia, la tua storia… la storia dei nostri Clan… iniziano tutte con quel gioiello mistico che proteggi e custodisci. Non puoi sperare di costruire un futuro se non conosci a fondo il tuo passato, da dove vieni… da cosa hai origine… -

    - Il mio passato è perduto. E speravo di recuperarlo quando ho conosciuto te, i Nocturnus, Ix… invece loro sono stati spazzati via e adesso stai andando via anche tu -

    Knuckles digrignò i denti e strinse i pugni, lottando contro un improvviso moto d’ira. La prospettiva di piombare di nuovo nell’atroce consapevolezza di essere solo, dopo un periodo di speranza, era come se qualcuno gli avesse rivelato il segreto della felicità, per poi dirgli che non ne poteva usufruire.

    - Conosci il luogo dal quale Angel Island ha preso vita? - continuò Shade, con il respiro che le si faceva ancora più affannoso - Il luogo da dove si è sollevata verso il cielo? In quella zona esisteva una volta una delle… delle città più grandi che le tribù echidna popolavano… era la città in cui i guardiani di Angel Island trascorrevano il resto dei loro giorni… quando il loro sacro dovere veniva tramandato ai loro figli… non so se sia ancora in piedi dopo tutti questi anni… ma penso sia il punto di partenza più adatto se vuoi ricostruire la tua storia… -   

    Lo sguardo che Knuckles rivolgeva a Shade cambiò da dispiaciuto a incredulo in tutto il lasso di tempo che le ci era voluto per fargli quelle rivelazioni. Ascoltò con attenzione ogni parola, tra un rantolo e l’altro della sua voce, e una leggera fiamma di speranza gli si accese nel petto. Nell’arco di un secondo, mille pensieri e mille prospettive si affollarono nella sua testa, tutte convergenti allo stesso identico traguardo: ricostruire la fiducia che potesse non sentirsi mai più solo… anche dopo che Shade fosse…

    - Grazie, Shade - disse Knuckles, con il cuore colmo di gratitudine e affetto - Sei stata la mia famiglia, anche se per poco, e grazie al tuo aiuto riusciremo a risolvere il mistero dell’Evento Argus… ed io, forse, potrò trovare le risposte che ho sempre cercato sul mio passato -

    - Il mio… augurio per te è… che tu possa trovare di nuovo… il calore di una famiglia… il calore di un affetto sincero… perché sta tutto lì, Knuckles… non sei solo… e non lo sarai mai… -

    Il silenzio che piombò all’improvviso tra quelle quattro pareti fece gelare il sangue nelle vene di Knuckles. Niente più parole leggere. Niente più respiro affannato. Niente. Shade aveva chiuso piano gli occhi e aveva esalato l’ultimo respiro che il mondo aveva deciso di concederle.

    Il guardiano si alzò di scatto, non ancora pronto ad accettare l’inevitabilità di quanto era appena successo. Forse con un po’ di tempo avrebbe imparato ad abbracciare anche lui il pensiero di Shade, l’accettazione della sua scomparsa, la rassegnazione del correre incontrollabile del tempo contro il quale nessuno, neanche Sonic, poteva combattere. Per il momento, però, era soltanto una piccola anima in un mondo sterminato, addolorata per la fine di un ciclo, ma speranzosa per l’inizio di un altro che, di sicuro, lo avrebbe condotto ad un nuovo capitolo della sua vita.

Legami di sangue (Quinta e ultima parte)

    Si dà il caso che esista una regione che si estende nel lato occidentale di un grande continente, il cui aspetto differisce quasi radicalmente da quello dell’altra metà orientale. Si dà il caso, infatti, che se una parte di quella gigantesca zolla di terra galleggiante che è stata battezzata United Federation sia dimora di una serie sterminata di grandi città e vertiginose metropoli all’insegna della tecnologia più avanzata, la zona che si affaccia sui mari dell’ovest sia nascosta e riparata, come da una calda coperta, da una vegetazione fitta e intricata. Si dà, inoltre, il caso che questa vegetazione funga da inespugnabile sistema di sicurezza involontario per i segreti che si annidano nella sterminata area più comunemente nota come Mystic Ruins, nome più che consono a giudicare dall’atmosfera silenziosa e quasi magica che aleggia da quelle parti, in gran parte favorita dagli innumerevoli resti e reperti di civiltà antiche che gli inesperti in materia non saprebbero decifrare. E come se non bastasse, si dà il caso che, procedendo più ad ovest, nella sezione pianeggiante del continente che precede immediatamente la spiaggia, esista un cratere, sebbene chiamarlo semplicemente cratere non renda in nessun modo l’idea. Si tratta di una voragine immensa, dalla forma circolare, con una profondità a malapena distinguibile ad occhio nudo e che si estende in lunghezza per molti più chilometri di quanti ne sia possibile contare a mente. Non che qualcuno non ci abbia provato, anzi, si dà proprio il caso che un’echidna rossa stia sorvolando in questo momento l’area del cratere, solcando il cielo, lo scarlatto del suo corpo in contrasto con l’azzurro tinteggiato di nuvole, quasi come un aereo in lontananza distinguibile solo grazie al suo lampeggio rosso. Il suo corpo è disteso in orizzontale, tutti i muscoli principali in tensione e i pugni stretti a sottolineare la sua concentrazione. Le treccine che gli ricadono sulle spalle si concedono una danza sfrenata con il vento, oscillando e beccheggiando incontrollabili ad ogni alito che lo investe. Il suo sguardo è perso nella vastità della voragine sotto di lui, una cupa cicatrice sulla superficie del pianeta a testimonianza del violento atto che l’ha generata.

    Rendendosi conto di non poter continuare a lungo a sfruttare le correnti ascensionali per planare e mantenersi in buona quota, Knuckles the Echidna strinse i muscoli addominali e contrasse i muscoli delle braccia per virare verso destra e cominciare la sua lenta discesa. Si trovava a poca distanza dal punto in cui il terreno cominciava a precipitare in picchiata verso il basso, dove enormi pezzi di crosta erano stati rimossi e si erano trasformati in un baratro buio. Calcolò istintivamente, come sempre faceva, la velocità e l’inclinazione della virata e, grazie alle forze sconosciute che solo lui conosceva che gli consentivano di sollevarsi da terra, decise di spingersi verso il basso e raggiungere dolcemente il suolo. La suola delle sue scarpe trovò appoggio solido e sollevò una piccola nuvola di polvere nel momento del contatto.

    Knuckles si concesse qualche momento per recuperare le energie; era abbastanza faticoso per lui planare per notevoli distanze, considerando che le uniche cose che gli consentivano di librarsi in aria erano le correnti ascensionali per sfruttare le quali aveva bisogno di notevole concentrazione. Ogni muscolo del suo corpo doveva essere reso leggero come una piuma, cosa che richiedeva uno sforzo mentale e fisico sconosciuto ai più. Non ricordava più da tempo chi o come gli avesse insegnato una tecnica che per lui era diventata naturale come camminare ma, osservando il gigantesco cratere che aveva di fronte, si ritrovò a pensare che era solo una delle tante cose che sfuggivano alla sua memoria, esatto motivo della sua presenza lì.

    Raramente si era soffermato a riflettere sulle esatte origini di Angel Island, tanto da non intuire che da qualche parte sul pianeta doveva esserci una voragine di quelle dimensioni a segnalare il punto in cui la sua isola era situata prima ancora di abbandonare le catene della terraferma e diventare effettivamente un’isola. Era la prima volta che vedeva quello spettacolo, probabilmente perché mai, anche solo per pura curiosità, aveva deciso di indugiare sulle sfaccettature del passato, più che su quelle del presente, decisamente più interessanti per lui. Tuttavia, grazie alle indicazioni di Shade (al cui pensiero Knuckles avvertiva un incipiente nodo che gli si avvolgeva attorno allo stomaco), era stato molto più che semplice raggiungere il luogo dove tutto era, in qualche modo, iniziato.

    Il guardiano si voltò, dando le spalle al sito natio di Angel Island, quasi come a voler contemporaneamente allontanare la sua fitta rete di pensieri dalla testa. Sapeva che la città di cui aveva parlato Shade, o almeno quello che poteva esserne rimasto, doveva essere a poca distanza da lì. Loranna Valley era il suo nome. Knuckles aveva cercato di risalire al significato, ma con scarso successo. Non si poteva dedurre più di quanto il nome stesso dicesse, cioè che probabilmente era situata in una vallata e che Loranna poteva essere il nome femminile di una persona o forse di qualche altro elemento del paesaggio. Non che fosse importante per il guardiano. Era molto più importante quello che ci avrebbe trovato o, più precisamente, che sperava di trovarci.

    Man mano che procedeva lungo il sentiero in terra battuta che gli scorreva davanti, Knuckles poteva osservare che costruzioni in mattoni diroccate, in alcuni casi completamente abbattute, spuntavano come funghi da una parte all’altra, intensificando la loro quantità passo dopo passo. Di alcune era impossibile dedurre la loro forma o la loro antica funzione, troppo malmesse anche solo per poterle considerare ancora edifici, ma di altre si poteva chiaramente riconoscere lo stile architettonico imponente ma elegante tipico della cultura echidna. Su Angel Island stessa, a partire proprio dall’altare del Master Emerald, c’erano edifici, altari votivi o anche semplici statue che ricordavano quello stile, chiaro segnale che si trovava nel posto giusto.

    La strada si apriva in una grande area circolare dove sembrava che il tempo fosse stato meno feroce. Gran parte degli edifici erano ancora in piedi, sorretti dalle loro solide strutture in mattoni grigi, all’apparenza robuste quasi come l’acciaio. Alcune costruzioni erano larghe e dotate di lastre in pietra scura sorrette da immobili colonne a formare rudimentali tettoie. Altre erano più piccole e alte, con tetti a cono, ma con un foro circolare al posto della punta, probabilmente per predisporre un punto di fuga per il fumo. L’attenzione di Knuckles fu invece catturata da una serie di edifici dalla forma rettangolare, dotati di lunghe e ampie scalinate che gli ricordavano quella dell’altare del Master Emerald. Accanto all’apertura quadrata che fungeva da porta in ciascuna di queste costruzioni si trovava un pesante disco di rame che riportava dei simboli indecifrabili incisi sulla superficie. Sicuramente, pensò Knuckles, avevano la funzione di indicare la natura dell’edificio sul muro del quale erano affissi, cioè se si trattava di un’abitazione, di un tempio, di un mercato o chissà cos’altro. Le incisioni si annodavano e si contorcevano in simboli di un linguaggio echidna troppo antico perché Knuckles potesse leggerlo, ma, anche se così non fosse stato, le intemperie avevano rovinato le scritte così tanto da renderle confuse.

    Knuckles continuava a guardarsi intorno, come se avesse voluto che l’aria carica di antichità di quel luogo entrasse in ogni fibra del suo corpo ad ogni respiro. Il silenzio che lo circondava gli trasmetteva allo stesso tempo un senso di timore, ma anche di tranquillità indotta. Era la stessa sensazione che gli ispirava la quiete che c’era sulla sua isola, quella familiare serenità in cui era immerso l’altare che custodiva. Se avesse dovuto descriverla, avrebbe detto che era la sensazione di chi si sente a casa, anche se ciò che il suo sguardo poteva abbracciare era per lui del tutto nuovo. In lontananza, poteva scorgere il limitare di una foresta il cui verdeggiare smeraldino spiccava evidente e in contrasto con il misto di ocra e grigio del terreno e dei resti di Loranna Valley. A guardare le sterpaglie che sbucavano qua e là sul terriccio e i tronchi nodosi e avvizziti che facevano compagnia ai ruderi silenziosi, Knuckles avrebbe stentato a definire quel luogo una vallata nel senso tradizionale del termine. Ancora più stranamente, non sembrava esserci una gradazione nel cambiare del paesaggio, dato che la foresta in lontananza esplodeva nella sua rigogliosità in un punto dove, pochi metri prima, la desolazione la faceva da padrona. Era come se tutta la zona che abbracciava Loranna Valley, almeno nella parte che il tempo aveva maggiormente risparmiato, si fosse spontaneamente seccata.

     Lottando contro uno strano senso di inquietudine, Knuckles risalì la scalinata dell’edificio più alto che vedeva da quelle parti, il quale sembrava anche il più solido. L’ingresso era costituito da una robusta volta ad arco, mentre l’illuminazione era garantita da una serie regolare di fessure sulle pareti e sul soffitto che proiettavano ordinatamente fasci di luce in punti strategici. Il guardiano capì di essere entrato in una specie di biblioteca quando notò una serie di cinque scaffalature in legno scheggiato, alte fino al soffitto, che ospitavano tomi polverosi e incartapecoriti. Molti dei libri erano abbandonati per terra, aperti, rovinati e in alcuni casi strappati. Quella vista desolata contribuiva ancora di più all’immagine che Knuckles si era fatto di quella città come di una città fantasma. Passeggiò distrattamente tra gli scaffali, con il solo rimbombare dei suoi passi sul pavimento a fargli compagnia. Si ritrovò di fronte ad un bancone martoriato dai tarli, dove un grosso volume rilegato in pelle sottile giaceva aperto. Le pagine erano ingiallite e ricoperte da uno spesso strato di polvere. Knuckles lo prese con delicatezza, per paura che il libro si frantumasse tra le sue mani, e lesse qualche riga, inizialmente con scarso interesse, fino a quando i suoi occhi non si posarono su qualcosa che fece fare al suo cuore un tuffo acrobatico.

    “…i superstiti del clan guidato da Pachacamac si resero conto che il motivo principale della loro rovina fu nient’altro che la loro arroganza. L’ira scatenata da Chaos dimostrò loro che non avrebbero più potuto permettersi di giocare con forze antiche di millenni, solo per soddisfare la loro sete di potere e di sangue… gli smeraldi… a protezione e custodia… l’ordine dei Guardiani… perché il passato fosse di insegnamento per il futuro e nessun’altra echidna tentasse mai più di… una sola echidna… tramandato di padre in figlio in ogni generazione… isola nel cielo… quando il ciclo si compiva, i vecchi guardiani lasciavano il posto a quelli nuovi, raggiungendo il resto della loro… a Loranna Valley…”

     Molte delle parole erano sbiadite e quasi illeggibili, tanto che Knuckles poteva solo carpire stralci di quel testo e sforzarsi di metterli insieme per ricavarne il senso. Aveva capito, però, di cosa parlava quella pagina, ma diventò una questione di secondaria importanza quando si rese conto di chi l’aveva scritta. Quella parola era così chiara ed evidente da colpirlo in tutta la sua schietta verità.

    “…cronaca storica… a cura di LOCKE”

    Ora sapeva dove era finito suo padre. Lo stesso padre che riteneva scomparso sin da quando aveva memoria. Lo stesso padre che lo aveva cresciuto ed istruito su Angel Island. Lo stesso padre di cui aveva sentito la mancanza giorno dopo giorno prima di convincersi ad andare avanti e guardare al futuro. Sentiva di aver grattato solo la superficie dei segreti che Loranna Valley aveva in serbo per lui.

    Chiuse il libro con un colpo secco, lo prese sotto il braccio e corse via.

    - Scoperto niente di interessante durante la tua piccola gita? -

    Il tono della domanda che echeggiò, chiara e stentorea, nell’aria salmastra della spiaggia di Christmas Island era un misto di sincera curiosità e scherno divertito, anche se sarebbe stato difficile intuire quale delle due sensazioni prevaleva sull’altra. Forse era dovuto anche al fatto che la voce della figura in armatura che l’aveva pronunciata era soffocata dal listello di metallo dell’elmo che gli nascondeva quasi tutto il viso ad eccezione degli occhi.

    Ancora prima di voltarsi per indagare sulla sorgente della voce, Sonic the Hedgehog aveva già capito chi si sarebbe trovato di fronte. Ed infatti eccolo lì, statuario nella rigidità della sua sagoma, con il metallo dell’armatura che zampillava riflessi di luce e la folta coda che si muoveva impercettibilmente.

    - Una cosa sì - replicò sprezzante il riccio blu, non più concentrato sul suo biplano parcheggiato, quanto sull’individuo che rispondeva al nome di Drake - Che certi farabutti non hanno un briciolo di vergogna a mostrare il proprio brutto muso, anche dopo quello che fanno! -

    Drake abbassò leggermente la testa e Sonic poteva giurare di aver udito una lieve risata.

    - Non credere che abbia provato piacere nel mettere in pericolo il tuo amico, specie considerando la sua giovane età - spiegò poi, riuscendo a suonare incredibilmente convincente - Ma le regole del gioco sono queste, non c’è posto per le mezze calzette -

    - E’ un gioco a cui Tails non ha mai chiesto di partecipare… e neanche io, Shadow o Knuckles! Quando vorremo avere degli psicopatici alle calcagna, saremo noi a farlo sapere, grazie tante! -

    - Sei ancora convinto che si tratti di avere una scelta? - incalzò Drake, incrociando le braccia in una posa che ricordava quella di un insegnante con uno scolaro particolarmente ottuso - Credi che sia dipeso dalla tua volontà quello che sei diventato? Allora non ti sei applicato abbastanza, oppure non hai cercato a fondo -

    - Vedi di tagliare corto e dimmi cosa vai cercando! - ribatté Sonic, cercando di mostrarsi meno turbato di quanto si sentisse - Come facevi a sapere che mi trovavo qui? -

    - Sono stato io a metterti la pulce nell’orecchio proprio ieri, non ricordi? E il punto di partenza ideale per scoprire il proprio passato è l’inizio… e questo è il tuo inizio -

    Drake scosse le spalle, quindi posò le mani sui fianchi in aria di superiorità e sicurezza.

    - Anche se a giudicare dal tuo atteggiamento, pare che tu non abbia ancora capito nulla di te! -

    - Hai cercato di bruciare vivo il mio migliore amico, dovrei accoglierti a braccia aperte? - lo rimbeccò Sonic, con il pugno tremante di rabbia.

    Aveva l’impressione che quel tipo fosse sempre un passo avanti a lui, che sapesse sempre qualcosa di più rispetto a lui, ma che si divertisse a nasconderglielo per il puro gusto di tormentarlo. E la leggerezza con cui ignorava la gravità di ciò che aveva tentato di fare a Tails, riusciva ad irritarlo ancora più di quanto credeva fosse possibile.

    - Andrai avanti ancora molto con questa storia? Se mettessi nello scoprire le tue origini lo stesso impegno che ci metti ad odiarmi, a quest’ora ti saresti già unito a noi del Cenacolo -

    - Potremmo fare più in fretta se ti decidessi a sputare il rospo, dato che sembri sapere così tante cose su di me -

    - Non credere che non l’avrei fatto, se avessi potuto. Ma è una strada che devi percorrere da solo. Per il puro e semplice motivo che per ciascuno è diverso. Non è mai lo stesso per tutti. Hai cominciato bene, il modo più logico di capire cosa ti ha reso speciale era parlare con i tuoi genitori. Tipi curiosi, a proposito. Ti assomigliano più di quanto forse vorresti ammettere -

    Sonic digrignò i denti, reagendo spontaneamente alla sensazione di essere profanato in ogni angolo del suo inconscio. Prima Tails, poi la sconfitta nella villa di Mission Street, poi trovarlo lì a spiattellargli tutte quelle informazioni su di lui e sui suoi genitori. Drake riusciva a scavargli nell’animo, a leggere i suoi pensieri e a capire i suoi disagi come se fosse dotato di uno speciale sensore che gli diceva tutto ciò che voleva sapere… e la cosa non gli piaceva affatto.

    - Sono stufo marcio dei tuoi giochetti - esclamò Sonic, al limite della pazienza, puntandogli un dito contro sperando di sembrare sufficientemente minaccioso - Ti avverto, smetti di tormentare i miei amici, smettila di seguirmi e lascia i miei genitori fuori da tutto questo, altrimenti… -

    - Ecco la parte che più mi interessa - commentò Drake.

    Sui suoi guanti di ferro si aprirono due fessure circolari all’altezza dei palmi e due fiamme allegre scaturirono dal punto in cui faceva capolino la sua pelle.

    - Altrimenti cosa succede? -

    Gettando all’aria ogni prudenza e quel poco di pazienza che gli era rimasta, Sonic si fiondò verso il suo avversario con i pugni tesi, più veloce di quanto avesse mai fatto. Drake fu colto alla sprovvista e i pugni del riccio si infransero con forza all’altezza del suo petto. Nonostante fosse protetto dall’armatura e dalla sua stazza maggiore, fu costretto ad indietreggiare di qualche passo. Tentò di afferrare Sonic per le spalle, con le mani ancora avvolte dalle fiamme, ma questi si esibì in una rovesciata all’indietro e colpì con la punta del piede il mento del nemico. L’elmo di Drake sgusciò via nell’arco di un istante, lasciando il suo volto scoperto. Il muso allungato e peloso, il naso nero e umido e la fila di denti aguzzi che si intravedevano fugarono ogni dubbio in Sonic… si trattava di un lupo.

    - Questo dimostra che grave errore sarebbe lasciarti andare - commentò, più soddisfatto che infastidito, mentre si sfregava il naso - Nessuno è mai riuscito ad avvicinarsi tanto da colpirmi in viso -

    - Il sottoscritto è in grado di fare anche di più - lo avvertì Sonic, improvvisamente galvanizzato dal colpo assestato.

    - Possiamo continuare a batterci fin quando non farà notte, per me non fa differenza - ribatté Drake, così palesemente sicuro di sé - Ogni volta che ti incontro mi sorprendi sempre di più e, proprio per questo, ti starò addosso fin quando non avrai capito che il posto di un riccio con le tue abilità è con il Cenacolo di Argus -

    - So qual è il mio posto e non è qualcosa che devo spartire con gentaglia come te e come gli altri tuoi compari! -

    - Se sapessi qual è il tuo posto, non ti sforzeresti tanto di convincermene. Se sapessi davvero perché sai fare quello che fai, non saresti venuto qui in cerca di risposte. Non avresti quello sguardo spaesato… e non sfogheresti tutta la tua frustrazione su di me. Sai quale penso sia la tua più grande paura? Che io ti conosca meglio di quanto tu conosca te stesso -

    Le parole di Drake avevano decisamente colpito nel segno. Era proprio quello che frullava nella mente di Sonic quando, dopo aver pranzato con i suoi e averli salutati, non aveva resistito alla tentazione di raggiungere le grotte marine di cui aveva parlato suo padre. Quando la curiosità e il senso di ignoto lo avevano spinto a dare un’occhiata all’unico luogo che poteva essere, anche vagamente, correlato alla nascita del suo tratto distintivo. Aveva impiegato dieci minuti buoni a convincersi che valeva la pena andare ad ispezionare quella zona, anche se questo lo costringeva ad immergersi in acqua e a nuotare fino a destinazione. Era poco convinto che la sua ricerca avrebbe dato dei frutti, ma c’era qualcosa che si insinuava in un angolo remoto della sua mente che sapeva non l’avrebbe lasciato in pace finché non avesse battuto tutte le piste, anche le più assurde. E, come volevasi dimostrare, non aveva trovato un bel niente in quelle cavità semi-sommerse dall’acqua. Solo e soltanto umidità, aria salmastra, conchiglie, sabbia, piccole sezioni di muschio e una grande quantità di formazioni rocciose lisce e scivolose, che emanavano una fioca luminosità dorata. Niente di speciale, si era detto. Erano semplicemente dei giacimenti di Rings in formazione spontanea, come a migliaia ce n’erano sulla superficie del pianeta. Seguendo il loro ciclo naturale, di lì a chissà quanto quelle pietre si sarebbero frantumate dall’interno, dando vita ad alcuni degli anelli dorati che ben conosceva. Forse sì, forse no, sarebbero stati assorbiti dalla geologia di quella Zona e il ciclo sarebbe spontaneamente ricominciato. A parte quello, però, assolutamente niente.

    Non poteva dire di sentirsi soddisfatto quando era tornato al Tornado e aveva deciso di andare via, proprio poco prima che Drake facesse la sua comparsa. E per quanto si sforzasse, non riusciva a sbarazzarsi di quel senso di disagio che lo stava letteralmente divorando. Mai si era chiesto prima di allora come facesse a fare ciò che faceva, né tantomeno il perché fosse il solo che conosceva a saperlo fare. Era il suo marchio di fabbrica, il suo tratto distintivo, il suo biglietto da visita… era lui e semplicemente lui. Amava saper correre così veloce, era ciò che lo rendeva unico e speciale. Venire a sapere che, probabilmente, non era qualcosa di così unico, che c’erano altri come lui o, addirittura, che potevano essere come lui, metteva in dubbio la sua stessa identità, ciò su cui aveva improntato tutta la sua vita e le sue mirabolanti imprese. Se, come Drake aveva suggerito, la sua velocità poteva essere addirittura indotta, poteva avere una sorgente, una motivazione… un qualcosa che sconfinava la zona in cui si poteva semplicemente dire “è qualcosa di tuo, Sonic, tuo e solo tuo”, allora significava non sapere più chi era il riccio blu che lo guardava quando era davanti allo specchio. Tutto si riduceva al farlo essere semplicemente Maurice, niente più Sonic the Hedgehog.

    Per tutti questi motivi, fu con un misto esplosivo di rabbia e di frustrazione che si scagliò rapidamente su Drake a pugni spianati. Lo colpì una volta, una seconda, una terza, ogni volta in un punto diverso e ogni volta con l’angoscia che non gli si allievava ad ogni colpo, ma che si intensificava ancora e ancora, fossilizzandosi nella perentoria consapevolezza che per quanto avesse potuto picchiare Drake, non cambiava il fatto che, coi suoi occhi, lui non percepiva la differenza tra Maurice Hedgehog e Sonic the Hedgehog.

    Drake si accasciò a terra, di schiena sulla sabbia, non tanto perché crollato sotto i colpi di Sonic, quanto per sfuggire alla gragnola di pugni che stava ricevendo. Prima che si potesse alzare, il riccio blu puntò i piedi su entrambe le sue spalle, bloccandolo sotto la morsa del suo peso.

    - Puoi continuare a seguirmi, a tormentarmi e a cercare di fare del male ai miei amici all’infinito - esclamò Sonic, con ogni parola che sgorgava dalla sua bocca con la forza di un uragano, sgretolando il macigno sul suo stomaco granello dopo granello - Questo non cambierà il fatto che ti verrò a cercare anche in capo al mondo per fartela pagare, non cambierà il fatto che non mi unirò mai al tuo branco di assassini, non cambierà il fatto che io so perfettamente chi sono, so cosa posso fare e so che userò tutte le forze a mia disposizione per fermare qualunque sia il piano malato che tu e i tuoi compari avete in mente! Se vuoi la guerra, hai trovato pane per i tuoi denti! -

    Sentendosi leggermente meglio dopo questo enorme sfogo, Sonic arretrò, tentando di ignorare il sorriso di sfida (o forse soddisfatto) che si era allargato sul muso di Drake. Scattò velocissimo verso il suo biplano e, con un salto perfetto, raggiunse l’abitacolo di pilotaggio. Il lupo rimase disteso sulla sabbia, sollevando la testa quel tanto che bastava per osservare le manovre di decollo del Tornado, il suo prendere velocità, il suo attraversare in lunghezza la spiaggia sgombra fino a spiccare il volo. Quando Sonic e il suo velivolo erano ormai un punto lontano nel cielo, Drake sorrise tra sé e sé e si mise le mani sotto la testa a mo’ di cuscino, come se le minacce e i colpi subiti poco prima fossero stati una lieve brezza che gli scompigliava il pelo e avessero avuto la stessa importanza.

    - E che guerra sia, Sonic the Hedgehog - mormorò, sentendo il fuoco della competizione ardere non tanto nelle sue mani quanto nel suo petto.

    Altrove, quando la sera aveva ormai cominciato ad avvolgere il cielo con le sue tinte bluastre, una piccola volpe dotata di due code aveva fatto rientro nella sua abitazione annerita e malconcia, per sincerarsi delle sue condizioni in compagnia di una riccia rosa apprensiva e preoccupata per le sue condizioni. Era importante per lui constatare quanto era divampato l’incendio, perché mai avrebbe voluto che si fosse esteso fino a coinvolgere il retro della sua casa, dove era situata la sua officina. Certo, in quello spazio squadrato e disordinato riposavano tutte le sue invenzioni e i suoi lavori più bizzarri, alcuni figli di semplici momenti d’ozio, altri decisamente più sofisticati e importanti, tanto da possedere addirittura un discreto valore monetario. Tuttavia, non era quello che gli interessava. I progetti potevano essere ridisegnati, le invenzioni potevano essere ricostruite e gli attrezzi potevano essere ricomprati. C’era qualcosa, però, lì dentro che mai avrebbe potuto sostituire e il cui valore perduto sarebbe stato troppo grande da sopportare.

    Tails spalancò la porta ormai completamente annerita che permetteva l’accesso all’officina sul retro. La parete comunicante con il salotto era messa piuttosto male. La carta da parati era andata in cenere e, in alcuni punti, si era addirittura sciolta a causa del grande calore. Allarmato e leggermente ansioso, Tails oltrepassò la soglia e raggiunse in corsa un punto del muro in cui era appesa una cornice in legno protetta da una teca di vetro. Amy Rose udì distintamente il sospiro di sollievo che scaturiva dal volpino al sincerarsi delle condizioni di quell’oggetto, almeno in apparenza, decorativo.

    La ragazza si avvicinò con garbo e notò che, oltre il vetro, era custodito un grazioso ciondolo a forma di mezza stella con una M incisa in corsivo. Tails lo guardava con affetto e un velo di malinconia, cosa che stuzzicò la curiosità di Amy fin oltre il punto in cui non sarebbe riuscita a trattenersi dal domandare:

    - "M"? Quel ciondolo è tuo? -

    Tails ricambiò il suo sguardo con un sorriso lieve e, per la prima volta dacché Amy lo conosceva, inequivocabilmente adulto.

    - Apparteneva a mia sorella -

SONIC ORIGINS

     E’ difficile per me ricordare tutto quello che di emozionante mi è accaduto sin da quando avevo dieci anni. Non che mi sia mai realmente interessato ricordare: il tempo scorre troppo in fretta perché valga la pena soffermarsi a rivangare il passato… serve che io corra al doppio della velocità per superarlo. E che ci vuole? E’ una passeggiata per uno come me!

     Tuttavia, non posso negare che c’è stato un momento della mia vita che, per quanto mi ci possa sforzare, rimarrà sempre indelebile nella mia memoria. Anche se volessi dimenticarlo, sono così letteralmente immerso nelle conseguenze di quel momento da non poter in nessun modo riuscirci. Bé, non sono il solo. Io, i miei compagni, i miei rivali, i miei nemici di sempre… siamo stati tutti coinvolti nell’evento che ha cambiato per sempre le nostre vite e, soprattutto, quelle di migliaia e migliaia di altri individui come noi.

     Potrei dire che questo ricordo sia così impresso nella mia mente solo perché ha sconvolto radicalmente ogni sfaccettatura del mondo attorno a me. In realtà, però, è dovuto principalmente al fatto che ne sono stato in parte responsabile. Già, è colpa mia se è successo ciò che è successo, anche se non sono sicuro si possa utilizzare il termine “colpa” in questo caso. E’ stata davvero una catastrofe? Ci sono state ripercussioni gravi? Non è forse vero che, anche se ci è voluto un po’ di tempo, tutto è stato risolto per il meglio? Per come la vedo io, ciò che è successo ha aperto di fronte a tutti noi un mondo pieno di possibilità… però, va bene, tecnicamente la frittata l’ho fatta io e, certo, me ne sono sempre assunto tutte le responsabilità.

     A questo punto credo che dovrei cominciare dall’inizio… anche se si tratta di un inizio sconosciuto ai più, noto solo a me e alle persone che più mi sono vicine. Come? Andiamo, non avete ancora capito di cosa sto parlando? Ma sì, è successo quasi sei anni fa… esatto,

     E’ piuttosto curioso il fatto che tutto ebbe inizio nel luogo che, per me, rappresenta l’inizio degli inizi. Mi trovavo a Green Hill in compagnia di Tails e Knuckles, con l’unico scopo di concederci un po’ di relax dopo le nostre avventure più recenti. E quando si parla di relax, lo straordinario paesaggio di Green Hill è quello a cui pensa il mio cervello nell’arco di un secondo.

     A quei tempi il mio rapporto con Knuckles era un’altalena di litigi, baruffe e riconciliazioni. Forse perché avevamo 13 e 15 anni, forse perché lui era ancora più testa di rapa di quanto lo sia adesso, chissà. Molto più probabilmente, però, dipendeva dal fatto che i nostri incontri erano sempre molto poco pacifici. Quando non era impegnato a fare la guardia alla sua isola volante, il suo hobby preferito era farsi prendere per i fondelli dal dottor Robotnik o, in alcuni casi, sforzarsi inutilmente di dimostrare di essermi superiore. Povero testone, quante volte è rimasto con un palmo di naso. Anzi, se non ricordo male, proprio poco tempo prima della nostra gita a Green Hill lo avevo stracciato nel gran premio di corsa a cui partecipammo con Tails, Amy Rose e, ovviamente, Mister Perdente Robotnik in persona¹.

¹ Fa riferimento agli eventi narrati in Sonic R (1997)

     Infatti credo che fosse proprio per quello che Tails mi aveva esortato a far venire Knuckles con noi. Insisteva tanto sul fatto di sforzarci ad essere amici e, sinceramente, non potevo neanche dargli torto. Era molto più conveniente avere Knuckles come alleato, piuttosto che come perenne pollo che si faceva raggirare per venire a romperci le scatole. Ricordo che, in ogni caso, anche lui aveva un po’ di cose da raccontare: a quanto pareva, si era avventurato su di un’isola sommersa dove Robotnik e Metal Sonic stavano combinando una delle loro solite magagne². Lì aveva incontrato un branco di tizi che lo avevano aiutato a fermarlo e, lo ammetto, rimasi sorpreso nel sapere che, per una volta, era stato capace di risolvere un problema da solo, senza farsi abbindolare.

² Fa riferimento agli eventi narrati in Knuckles' Chaotix (1995)

     - E questi Chaotix adesso si trovano ad Angel Island? - domandò Sonic, anche se con scarso interesse.

     Si trovava comodamente disteso sull’amaca che si portava insieme ogni volta che sapeva di doversi imbarcare nella sua missione preferita: oziare. Aveva le gambe accavallate, le mani dietro la nuca e l’espressione beata di chi si sta godendo il relax più dolce del mondo.

     - Ti ho già detto di sì, sei sordo? - sbottò Knuckles, sgarbatamente.

     Era seduto sull’erba con le gambe incrociate. A differenza del riccio blu, dalla sua postura rigida era evidente che non si sentiva sufficientemente a suo agio da potersi considerare rilassato.

     - Se non avessi lasciato qualcuno di guardia all’isola, non mi sarei mai potuto permettere il lusso di venire qui a ciondolare con voi -

     - Sono contento che tu abbia trovato qualcuno di fiducia che ti possa aiutare - commentò Tails, in volto uno dei suoi tipici sorrisi amichevoli.

     Si trovava sull’erba a poca distanza da Knuckles, seduto con le ginocchia contro il petto e le code che sbatacchiavano qua e là. Anche se faceva di tutto per sembrare tranquillo, in realtà era teso come una corda di violino. Si trattava forse del primo incontro pacifico e disteso tra Sonic e Knuckles e ci teneva che le cose andassero bene tra di loro, anche se, pensava il volpino, sembrava non potessero proprio fare a meno di punzecchiarsi a vicenda.

     - “Di fiducia” è una parola grossa… - replicò Knuckles, assorto.

     - Così grossa che in realtà sono due parole - intervenne Sonic, con un ghigno canzonatorio - Un ripassino di matematica no, eh, Knux? -

     - …però se la sono cavata bene su quell’isola contro Robotnik e Metal Sonic - riprese l’echidna, ignorando l’interruzione - Siamo stati un gruppo affiatato e mi sembrano abbastanza onesti da potermi dare una mano con il mio compito. E poi ho capito che non posso cavarmela sempre da solo, ho bisogno di qualcuno su cui contare… una volta ogni tanto -

     - Solo una volta ogni tanto, Knux? - cinguettò Sonic, trattenendo una risatina subito dopo.

     Tails gli lanciò un’occhiata di rimprovero. Knuckles ce la stava mettendo tutta per mettere da parte l’orgoglio e cercare di rinforzare il loro rapporto, ma l’atteggiamento di Sonic non aiutava granché.

     - E mentre io stavo prendendo a pugni i tuoi nemici, cosa stavi facendo tu? - lo rimbeccò l’echidna, sebbene meno irritato di quanto non ci tenesse a mostrare - Eri in un negozio di bellezza ad abbellirti le scarpette? -

     Il guardiano fece un cenno in direzione delle fibbie dorate che vedeva attaccate alle scarpe di Sonic. Era sicuro che fosse la prima volta che gliele vedeva indosso e non riusciva a trovarci uno scopo diverso se non per bellezza.

     - Sono più di semplici ornamenti, Knuckles - spiegò Tails, gonfio di orgoglio - Sono stato io a forgiare quelle fibbie, utilizzando due tra i primissimi Rings che Sonic abbia mai raccolto e che aveva conservato. Non so per quale motivo, ma sembra che i Rings allo stato grezzo abbiano un effetto portentoso su Sonic. Riescono ad incrementare le sue capacità fisiche e motorie e persino a creare un sottile scudo protettivo di energia sulla sua pelle. Ho pensato che potessi sfruttare queste caratteristiche per risolvere il problema che Sonic ha sempre avuto con le scarpe -

     - Continuava ad inciampare sulle stringhe slacciate? - domandò l’echidna di getto.

     - Tranquillo, non sono come te! - ribatté subito Sonic - Io me le so allacciare -

     - No - disse Tails, pazientemente - Riesce a correre a velocità così elevate da fare in modo che l’attrito con il terreno bruci le suole. Ha sempre dovuto moderare la velocità per evitare di rimanere scalzo, ma grazie a quelle fibbie i suoi piedi sono avvolti dallo stesso sottile strato di energia che lo protegge quando impugna un Ring. Può correre tranquillamente a velocità supersonica senza temere di ritrovarsi i piedi in fumo -

     - Ah, sì, eh? - rispose Knuckles, sinceramente colpito - E’ un’idea geniale! Non sapevo fossi in grado di fare cose del genere -

     Tails abbassò lo sguardo e tentò di nascondere il suo sorriso imbarazzato.

     - Anche se io preferisco sempre evitare di giocare con forze sconosciute - continuò Knuckles - Sull’isola dove ho incontrato i Chaotix, Robotnik stava conducendo strani esperimenti proprio su alcuni grandi Rings che non avevo mai visto prima. Nessuno conosce le loro origini, un po’ come per i Chaos Emerald, e quando non si sa abbastanza, generalmente si finisce per fare disastri -

     Quelle parole erano uscite dalla bocca di Knuckles con una naturalezza che giudicava curiosa. Ci impiegò meno di un secondo per ricordare che si trattava di parole che spesso gli ripeteva suo padre per esortarlo a studiare con attenzione la storia della loro specie. Sentì improvvisamente un moto di nostalgia, ma tentò di mascherarlo voltando il capo e fingendo interesse per un gruppo di farfalle che svolazzavano a poca distanza da lui.

     - Parla per te, io so alla perfezione cosa succede quando si gioca con uno di questi - disse Sonic, sventolando il grosso smeraldo verde scintillante che stringeva in mano.

     - Se avessi giusto un pizzico di rispetto in più per queste forze antiche, saresti leggermente più sopportabile - commentò, burbero, il guardiano.

     - Certo che le rispetto! - ribatté Sonic, sollevando la schiena in posizione eretta - Ho molto rispetto del fatto che quando sette di queste bellezze sono vicino a me divento più forte e più affascinante… c’è da darne il merito! Non è così facile migliorarmi! -

     - Un simile potere è sprecato nelle mani di un galletto montato come te - commentò Knuckles, sconsolato.

     - Ecco perché c’è qui il dottore pronto a rimediare! - esclamò una voce roca alle loro spalle.

     Già, proprio così. Il sempre ostinato e sempre panzuto dottor Robotnik era lì con noi, senza che ci fossimo accorti del suo arrivo. Se quella fosse stata una circostanza normale, avrebbe cominciato uno dei suoi discorsi deliranti nel tentativo di ammazzarci di noia, come faceva di solito. Tuttavia sembrava aver imparato la lezione all’epoca, perché ci lanciò addosso una scarica di missili con il suo… coso volante. Fui abbastanza veloce da tirare via dalla traiettoria Tails e Knuckles, ma fui costretto a gettare via lo smeraldo per riuscire ad avere le mani libere e a fare in tempo. Avrei dovuto immaginare che era proprio quello che Robotnik voleva.

     Sgraffignò il mio Chaos Emerald verde e non perse un solo istante di più, dandosi subito alla fuga. Era una vecchia tiritera, avevo perso il conto di tutte le volte in cui aveva tentato di impadronirsi degli smeraldi, con un piano più stupido dell’altro. Non ero minimamente preoccupato di quello che avrebbe potuto farci… sebbene, solo in seguito, mi resi conto che avrei decisamente dovuto esserlo!

     Insieme a Tails e Knuckles, mi fiondai a bordo del mio fedele Tornado (con cui avevamo potuto raggiungere South Island) e partimmo subito all’inseguimento di Robotnik. Aveva apportato delle modifiche al suo… sì, a quel suo affare volante… perché era diventato molto più veloce e sfuggente. Fu grazie ad un’altra delle genialate di Tails che riuscimmo a rintracciare il nascondiglio in cui il panzone era strisciato. Si trattava di un radar installato a bordo del Tornado, sintonizzato sui segnali energetici emessi dai Chaos Emerald… o almeno era quello che aveva detto lui. Dovevano passare ancora un po’ di anni prima che cominciassi a credere al cento percento nel suo cervellino vulcanico.

     Seguendo le tracce di Ciccio-nik, raggiungemmo una delle sue basi segrete-che-poi-tanto-segrete-non-erano. Non ci volle niente a superare le sue difese di ricotta e ad arrivare al cospetto del grassone in persona (anche se devo riconoscere che, con l’aiuto di Knuckles e Tails, fu ancora più una passeggiata di quanto fosse mia abitudine; andare all’avventura con loro non era poi tanto male).

     Fu là che scoprimmo a cosa erano servite le ricerche di Robotnik sui Rings giganti di cui aveva parlato Knuckles.

     - Incanalando l’energia illimitata dei Rings speciali che ho trovato sull’isola sommersa e combinandola con il potere dei Chaos Emeralds, raggiungere la mia vittoria sarà facile come schioccare le dita! – annunciò Robotnik, tutto tronfio a bordo dell’inseparabile Egg Drive – E, come se non bastasse, ad assistere al mio trionfo ci sete anche tutti voi, che avete osato ostacolarmi tante di quelle volte! –

     Sonic, Tails e Knuckles erano bloccati contro la parete metallica della gigantesca sala rotonda in cui avevano fatto irruzione da un minuto scarso. Tre dei robot del dottore avevano allungato degli spessi tentacoli idraulici che, prendendoli di sprovvista, li avevano stretti in una morsa e sbattuti inermi contro il muro. Il viso di Tails era contratto in una smorfia terrorizzata, a differenza di quello di Knuckles che mostrava una rabbia furiosa in tutta la sua interezza. Sonic, tuttavia, non riusciva a togliersi dal viso il suo tipico sorrisetto beffardo.

     Di fronte a lui, un macchinario di notevoli dimensioni che occupava gran parte della parete risplendeva di mille luci colorate con ronzii elettrici fastidiosi. Il blocco metallico centrale, dal quale si poteva accedere ai comandi, era collegato a due grandi cilindri di vetro e ad una plancia rettangolare. All’interno dei primi, immersi in un liquido scuro e granuloso, c’erano due grandi Rings diventati quasi del tutto opachi. Sulla plancia, invece, ordinatamente sistemati in sette incavi, brillavano quieti i sette Chaos Emeralds.

     - Dimmi, doc, quando hanno distribuito la megalomania, tu eri il primo della fila, vero? – intervenne Sonic, cercando di suonare spavaldo.

     - Le tue stupide battute da due soldi non ti salveranno la pelle! – esclamò Robotnik, sentendosi per la prima volta assolutamente sicuro della sua vittoria.

     - Forse no, ma questo sì! –

     Sonic allargò le braccia con un colpo secco per un istante sufficiente ad allentare la morsa dei tentacoli e ad appallottolarsi immediatamente in un’azione rotante. Riuscì a sgusciare facilmente dalla presa salda del robot e ad attraversarlo da parte a parte, come mille altre volte aveva fatto con i suoi malcapitati colleghi di ferro. Il mondo attorno a lui vorticava freneticamente e diventava difficile distinguere le urla di giubilo di Tails dagli sbraiti furiosi di Robotnik.

     Senza perdere neanche un secondo, Sonic si arrampicò con un salto perfettamente calibrato in cima al grande macchinario e raggiunse la plancia dei Chaos Emeralds. La sua soddisfazione per un’ennesima vittoria era espressa in pieno dal suo sorriso a trentadue denti.

     - Spiacente, Ciccio-nik, ancora una volta ti è andata male – proferì il riccio, prima di chinarsi verso lo smeraldo verde – Credo che questo appartenga a me –

     - No! Fermo! – urlò Robotnik, in preda all’agitazione – Non sai quello che… -

     Nel preciso momento in cui Sonic estrasse con la forza lo smeraldo verde dall’incavo in cui era posizionato, un enorme intenso bagliore esplose di fronte a lui, facendogli letteralmente bruciare le pupille. Indietreggiò barcollando, con gli occhi completamente fuori uso, tanto da non riuscire nemmeno a vedere delle tinte sfocate attorno a lui. Mise il piede in fallo e capitombolò di schiena sul pavimento, tenendosi le mani sulle palpebre chiuse e digrignando i denti per resistere al bruciore che si stava impadronendo del suo viso. I suoni attorno a lui erano indistinti; voci rabbiose, urla di panico, forti botti come esplosioni soffocate…

     Dopo un tempo che Sonic non avrebbe saputo definire, né mai avrebbe scoperto, calò il silenzio e, non appena i suoi occhi ripresero a funzionare, fu l’inizio di un mondo per lui tutto nuovo.

SONIC ORIGINS

LO CHIAMAVANO EVENTO X!

    Potrei dire che tutto ciò che era cambiato dopo quel fattaccio era che i miei occhi erano passati dal nero al verde, probabilmente perché avevo messo mano a quello smeraldo nel momento in cui meno avrei dovuto. Tuttavia, c’era molto, molto altro in gioco.

     A quanto pareva, lo scopo di Robotnik era utilizzare il potere di manipolazione della realtà dei Chaos Emeralds per intervenire su Mobius in modo tale da diventare in un lampo l’unico e il solo sovrano. Essere intervenuto nel bel mezzo del processo, però, stando a quanto poi mi avrebbe rivelato Tails tempo dopo, aveva innescato una reazione a catena con effetti ancora più catastrofici.

     Mi ritrovai in un mondo che era molto simile a Mobius, ma era anche radicalmente diverso. I paesaggi erano gli stessi, l’aria e il cielo erano uguali, le leggi della fisica erano immutate… tuttavia, era un mondo popolato da creature che non avevo mai visto prima. Sembravano delle versioni di Robotnik più magre, con più capelli e decisamente meno pazzoidi (almeno per quello che ero riuscito a vedere nei primi tempi). Quando mi svegliai, mi ritrovai nel bel mezzo di una strada trafficata… un capannello di questi esseri era chinato su di me, alcuni spaventati a morte, altri semplicemente curiosi… e altri ancora che volevano punzecchiarmi con un bastone appuntito! Roba da pazzi!

     Non appena mi resi conto che c’era qualcosa di decisamente folle in atto, mi affrettai a schizzare via a tutta birra. Non dimenticherò mai quella sensazione che mi accompagnò nei giorni successivi… per la prima volta mi sentivo letteralmente solo e sperduto. La prima cosa che decisi di fare era di trovare Tails, capire che fine avesse fatto Knuckles, dove fosse finito il mio Tornado; si trattava di raccogliere i pezzi della realtà che si era dissolta di fronte a me, in modo da ricostruire qualcosa che mi facesse sentire a casa.

     Gli esseri umani (così si facevano chiamare) non erano molto propensi ad accogliere a braccia aperte qualcosa che era diverso da loro. Mi ci vollero alcuni giorni per ritrovare Tails e Knuckles, setacciando in lungo e in largo il pianeta che era davvero così simile a Mobius, ma che era occupato dalle creature sbagliate. Vivemmo insieme i mesi successivi, trascorsi per la maggior parte a nasconderci dagli esseri umani e a cercare di capire cosa fosse successo. Penso che trovarmi insieme a loro in quella situazione così stranamente drammatica fu ciò che contribuì a cementificare ancora di più il mio rapporto con loro e la mia idea secondo la quale non potevo sempre fare tutto da solo.

     Scoprimmo che alcuni luoghi di Mobius si trovavano anche sul pianeta su cui eravamo capitati: South Island, West Side Island, Mystic Ruins e, con notevole gioia di Knuckles, anche Angel Island. Notizia meno gioiosa era che altri mobiani erano capitati lì con noi, e intendo MOLTI altri mobiani. Gli umani avevano cominciato a dare loro la caccia per fare cosa non oso neanche immaginare, a rinchiuderli e, forse, a fare su di loro strani esperimenti. Non potevo rimanere con le mani in mano mentre i miei simili venivano perseguitati e trattati in questo modo!

     I primi tempi furono proprio quelli più difficili, trascorsi a scorrazzare avanti e indietro per salvare quanti più mobiani possibile. Tra di loro c’era anche Amy Rose e, naturalmente, il mio trarla in salvo ancora una volta non poté che aumentare ancora di più la sua ossessione per me. E dato che i problemi non arrivavano mai da soli, ci fu un periodo in cui anche Robotnik tornò alla carica.

     Così mi ritrovai non solo a dover badare alla sicurezza dei miei simili, ma anche a dover contrastare ancora una volta le folli trame di potere del dottore, diventate, a quanto pareva, ancora più grandi dopo quanto era successo. Ce la stavo mettendo davvero tutta per tentare di rimediare al disastro che avevo contribuito a creare, ammettiamolo!

     Tra un salvataggio di qua e una sonora ripassata al dottore di là, passarono due anni... e devo riconoscere che la situazione era notevolmente cambiata. Robotnik si era creato una notevole reputazione anche sul pianeta in cui eravamo finiti, considerando che le sue manie di conquista non erano ben accette neanche lì. I miei continui tentativi riusciti di rispedirlo a calci a casa riuscirono con il tempo a far capire agli esseri umani che nulla avevano da temere da me o dagli altri mobiani. I mesi erano passati e, poco per volta, cominciavamo ad essere visti con più tolleranza e, in alcuni casi, anche con ammirazione. L’opinione pubblica iniziò ad esprimersi favorevolmente nei nostri confronti e ogni tipo di diffidenza sparì in fretta.

     Senza il fiato degli esseri umani sul collo, in breve tempo riuscimmo a capire per bene che cosa fosse successo, anche con l’aiuto dei loro esperti (che non riuscivano neanche con tutti i loro cervelli messi insieme ad essere brillanti quanto Tails). La Terra era un pianeta che si trovava nella stessa posizione di Mobius, nel tempo e nello spazio, ma su due piani dimensionali diversi. L’esperimento fallito di Robotnik (sì, era così che spiegammo loro cosa era successo) aveva, in qualche modo, fuso i due mondi in un unico pianeta, trasferendo tutti i mobiani e parte della geografia di Mobius sulla Terra… era arrivato tutto quanto, i Chaos Emeralds, i Rings con i loro giacimenti a generazione spontanea, la maggior parte delle nostre isole e dei loro abitanti… sembrava che niente fosse stato lasciato indietro. Ci trovavamo tutti insieme sulla stessa palla di roccia nello spazio, da combatterci a condividerci lo spazio di punto in bianco.

     Come dicevo, tutto questo accadde nell’arco di due anni. I mobiani avevano cominciato a vivere pacificamente insieme agli esseri umani, tanto che, ad un certo punto, potevi tranquillamente vedere un mobiano e un umano fare la spesa insieme, o una vecchietta accettare serenamente l’aiuto di un mobiano ad attraversare la strada e viceversa. Era un’esperienza che aveva fatto crescere tutti quanti noi, in qualche modo.

     Tails aveva afferrato la palla al balzo per studiare meccanica e ingegneria nel nuovo mondo in cui eravamo capitati, dato che non offriva poco in campo tecnologico. Si era trasferito anche ad Emerald Town, una delle città che erano state trasportate sulla Terra da Mobius e che aveva cominciato ad essere popolata anche da umani. Knuckles, come era prevedibile, aveva preferito ignorare tutto il pandemonio che era capitato e si era rintanato su Angel Island a farsi gli affari suoi. Persino i Chaotix si dimostrarono più aperti alle novità di loro, preferendo lasciare l’isola e andare non so dove ad aprire un’agenzia di investigazione. Amy Rose, invece, fu quella che più di tutti si immerse alla grande nello stile di vita terrestre. Si trasferì a Central City, cambiò acconciatura e abiti e imparò tutto quello che c’era da imparare sulla moda e i divertimenti tipici di quelle parti. Anche Robotnik si era trovato una sistemazione più che adeguata a lui: si era impadronito di una città ad alta concentrazione industriale, lasciata in rovina, di nome Metropolis, e ci aveva impiantato la sua base di operazioni.

     Per quanto riguarda me, essere un eroe acclamato aveva fatto in modo che mi fosse concesso il permesso di bazzicare l’hotel di lusso migliore di Station Square, anche se raramente mi ci sarei fermato ad oziare. C’era un intero mondo, metà tutto nuovo e metà vecchio stile, che apriva le sue porte davanti a me, il che significava che la mia sete di esplorazione era di nuovo senza confini.

     Capitò, però, che mi trovassi proprio lì, per la precisione in piscina, a non fare niente di niente quando ebbe inizio una delle mie avventure più grandi sulla Terra¹.

     E non sarebbe stata neanche la prima! Il futuro mi avrebbe riservato tante sorprese: l’incontro con Shadow²,

la più grande sfida che Metal Sonic mi abbia mai lanciato³,

scoprire e prendersi cura di Emerl⁴,

l’invasione delle Black Arms⁵,

     l’avventura a Soleanna di cui ho memoria solo io⁶,

     la sconfitta definitiva di Eggman e il suo ritorno tre anni dopo⁷,

     la rinascita di Dark Gaia e il mio piccolo problema zannuto e peloso⁸,

     e come dimenticarsi del mio compleanno più strano, in cui non solo ebbi modo di rivivere tutta la mia storia da quando avevo 10 anni, ma anche di imbattermi in me stesso più giovane⁹.

     Ne sono successe di cose in tutti questi anni, ma nessuna delle avventure che ho vissuto è stata così intensa e mi ha insegnato così tanto quanto quello che chiamavano Evento X. Io e tutti quelli come me siamo stati costretti ad imparare ancora di più cosa significasse il termine coesistere, a condividere il nostro mondo con esseri diversi da noi.

     Ma, alla fine di tutta questa storia, siamo davvero poi così diversi? Non respiriamo forse la stessa aria e non abitiamo tutti sotto lo stesso cielo? Se ci feriamo, non sanguiniamo tutti allo stesso modo? E, soprattutto, ora come ora, non abbiamo tutti quanti lo stesso nemico in comune?

     Lo so, lo so, tutto questo bel discorsone è un modo per sentirmi meno responsabile del fatto che sono stato praticamente io a sconvolgere l’equilibrio di due mondi… ma, ehi, poteva anche andare peggio! Sulla Terra potevano non sapere cosa fosse un Chili Dog! Quella sì che sarebbe stata una catastrofe!

Segreti taciuti (Prima parte)

    L’agente G.U.N. Shadow the Hedgehog e l’agente G.U.N. Rouge the Bat non erano estranei alla vista di palazzi la cui maestosa altezza e portata rendevano inevitabile dare loro l’appellativo di grattacieli, ma dovevano decisamente riconoscere che mai, prima di allora, era capitato loro di ammirare un edificio così gigantesco da costringere la loro testa a piegarsi verso l’alto quasi oltre quanto potesse essere possibile. A Central City palazzi del genere brulicavano quasi quanto l’erba in un prato, ma quello al cospetto del quale si trovavano aveva un qualcosa di magnetico nella sua opulenza sfacciata. Si trattava pur sempre di un semplice parallelepipedo di cemento e mattoni, pensava Shadow, ma le ampie vetrate di cui era percorso per tutta la sua lunghezza, i pregiati fregi in marmo che adornavano le fiancate, la scalinata d’ingresso costeggiata da colonne dorate… non erano cose che si notavano in grattacieli comuni.

    - Qualcuno qui sa cosa significa vivere alla grande – commentò Rouge, ingolosita dalla vista di alcuni grossi rubini che adornavano una placca in legno lucido immediatamente sopra le doppie porte d’ingresso a vetri.

    Shadow non rispose, chiedendosi tra sé e sé cosa ci si potesse trovare di interessante o di prezioso in alcuni sassi colorati senza potere (non si trattava di certo dei Chaos Emeralds!), ma preferendo non mettere a parole questa riflessione, dato che sapeva già in anticipo cosa Rouge avrebbe avuto da ridire.

    Risalirono la scalinata, passando accanto ad alcuni uomini e mobiani in giacca e cravatta, tutti con in mano delle ventiquattr’ore, quasi come se stessero uscendo da una catena di montaggio di burattini tutti uguali. Spinsero le doppie porte e si fecero strada in una hall che non tradiva affatto le aspettative sfarzose di chi dava anche solo una semplice occhiata all’esterno del palazzo.

    Shadow credeva quasi di essere capitato per sbaglio in un albergo, come potevano suggerirgli la moquette rossa elegante, i raffinati tappeti variopinti e il bancone lucido che occupava gran parte della parete frontale. La sala era gremita di gente, tanto che il riccio nero cominciò a provare un leggero fastidio nell’essere circondato da così tante persone, la maggior parte delle quali schiamazzava rumorosamente per sovrastare il chiacchiericcio di tutti i presenti, fastidioso non tanto per il volume della voce, ma per la grande quantità di anime. Mentre si dirigevano verso il bancone, Shadow e Rouge notarono il soffitto bianco decorato con motivi geometrici, i pesanti tendaggi sparsi su alcune pareti e le piante decorative che donavano un tocco di verde in un ambiente, altrimenti, dominato da tonalità calde.

    Rouge si occupò delle presentazioni con la gentile segretaria dagli occhiali rotondi, convinta che, se avesse lasciato il compito a Shadow, le sue maniere scontrose avrebbero avuto come risultato un loro incontro ravvicinato con la sicurezza del palazzo. Le chiese le informazioni che stavano cercando e lei, cortesemente, li indirizzò verso gli ascensori nella parte destra della hall, raccomandandosi di raggiungere il cinquantesimo piano.

    - Cinquanta piani? – commentò il pipistrello, una volta allontanatisi – Scommetto che persino Sonic ci metterebbe un’eternità ad arrivare in cima usando le scale –

    - Mi domando che bisogno ci sia di tutta questa roba – ribatté Shadow, la sua attenzione concentrata su alcune statue di cristallo puro lungo la parete alla sua sinistra.

    - Per uno come te, che si accontenta di pane e acqua, probabilmente non fa differenza. Ma ci sono alcuni che apprezzano le coccole che solo il denaro può procurare –

    Si diressero verso i quattro ascensori, approfittando di uno che si era appena svuotato in modo da non avere altre persone intorno. Rouge spinse il bottoncino rotondo con il numero cinquanta e, all’unisono di un segnale acustico, lo spaziosissimo ascensore cominciò a salire.

    - E il padrone di casa si può permettere tutte queste coccole? – domandò Shadow, anche se non realmente interessato. Conversare con Rouge era piacevole, anche se non l’avrebbe mai ammesso.

    Quest’ultima tirò fuori il fascicolo targato G.U.N. che aveva portato con sé, sfogliandolo lentamente per ripassare le informazioni sulla persona che erano andati a trovare.

    - Jacob Garrett. Filantropo, affarista, magnate dei media, ha fatto la sua maggiore fortuna da quando ha acquisito il controllo della MeteorTech a Monopole, sai, dopo che si scoprì che Eggman ne era il proprietario sotto falso nome e le forze dell’ordine intervennero¹. Ha aperto filiali praticamente in ogni città importante delle United Federation e ha esteso il suo impero anche in altri continenti. Si dice che abbia brevettato a nome suo tutta la tecnologia progettata da Eggman alla MeteorTech, cosa che naturalmente il dottore non aveva pensato di fare, ricavando una marea di quattrini in breve tempo –

¹ La MeteorTech è apparsa per la prima volta in Sonic Riders: Zero Gravity (2008)

    - Stiamo parlando di un parassita, insomma – commentò Shadow, secco – Uno che si è arricchito con gli sforzi degli altri –

    - Stiamo parlando degli sforzi del dottor Eggman, sarebbe stato stupido a non approfittare di una miniera d’oro che aveva sotto al naso – ribatté Rouge, vagamente infastidita dai giudizi perentori del suo collega – Ma in ogni caso non siamo qui per metterlo al rogo con l’accusa di essere stato furbo. Lui risulta essere il proprietario del palazzo dove si nascondeva il gruppetto di Seth e, a giudicare dal fatto che si farà il bagno nei soldi per quanti ne ha, non mi stupisce affatto, considerando che anche lì sguazzavano nel lusso –

    - Sembrerebbe quasi che li invidi a sentire come ne parli –

    - Cosa ti aspettavi da una ladra di gioielli? Ma non far viaggiare troppo quella testolina dura, bellezza, anche al mio Club Rouge non ce la passiamo male in fatto di lusso –

    Il dong dell’ascensore annunciò loro che erano arrivati a destinazione. Il cinquantesimo piano dell’edificio era occupato unicamente dall’ufficio di Jacob Garrett, con annessa anticamera, cioè la piccola stanza a cui dava accesso l’ascensore. Parlarono con una segretaria bionda dall’aria cupa che, rispondendo loro in tono piatto e meccanico, si occupò di entrare e uscire dall’ufficio del suo capo per annunciare la loro presenza.

    L’ufficio di Garrett, naturalmente, presentava lo stesso lusso sfrenato del resto del palazzo, anche se aveva un tocco più personalizzato. Alle pareti erano affissi file di quadri, grandi e piccoli, i cui soggetti predominanti erano figure femminili. Un lungo tappeto rosso si srotolava dall’ingresso fino a raggiungere la scrivania circolare che, a giudicare dal computer di ultima generazione e dalle varie carte e fascicoli, rappresentava perfettamente la postazione di un uomo di affari. A stonare con il quadro ordinario, però, c’era un buffo peluche di pezza seduto sul bordo, dalle fattezze di un criceto, con braccia e gambe, e con un piccolo cilindro nero in testa. La comoda poltrona nera era, però, completamente vuota.

    Proprio nel momento in cui Shadow e Rouge si stavano domandando dove si trovasse il proprietario, la porta alle loro spalle sbatté sonoramente. Si voltarono di colpo e capirono che c’era qualcuno che aveva atteso accanto all’ingresso che entrassero, per poi richiudere la porta. Si trattava di una iena dall’aspetto giovane, elegantemente agghindata con cilindro lucido e una pacchiana giacca di velluto bianca con strisce nere tigrate. Il suo sorriso era ampio e gentile, ma con un sentore che Shadow avrebbe definito inconsciamente maniacale. Le sue pupille erano di uno scarlatto intenso e aveva dei capelli molto lunghi e lisci, dalla strana tinta viola, che portava legati in una coda che gli arrivava fin in fondo alla schiena.

    Non ci voleva un genio perché Shadow capisse che si trattava di Jacob Garrett. Non si aspettava di trovare un mobiano, o almeno non pensava che un mobiano potesse corrispondere alla descrizione che ne aveva fatto Rouge in ascensore. Forse dava per scontato che i mobiani, dato che erano finiti sulla Terra per errore, non avessero la capacità e le conoscenze necessarie per arrivare ad occupare posizioni di prestigio nella società umana, eppure aveva davanti la prova che ce n’era almeno uno abbastanza scaltro da farsi strada in un mondo che non gli apparteneva. Shadow si ripromise mentalmente che mai più avrebbe sottovalutato Jacob Garrett.

    - Non ho l’abitudine di attendere i miei ospiti seduto – spiegò lui, con voce leggermente stridula ma, a suo modo, coinvolgente – Preferisco un tête-à-tête più educato. Jacob Garrett, mademoiselle… -

    Garrett prese delicatamente la mano sinistra di Rouge e la sfiorò leggermente con le labbra, ancora prima che la ragazza rispondesse.

    - Agente… Rouge the Bat. E lui è l’agente Shadow the Hedgehog. Siamo qui per farle qualche domanda per conto della G.U.N. –

    - Shadow… ma certo – rispose lui, per poi fissare dritto negli occhi Shadow e tendergli la mano.

    Per puro dispetto istintivo, il riccio nero strinse la mano protetta dal guanto di velluto bianco che gli veniva tesa e generò una leggerissima scarica elettrica che, era sicuro, avrebbe fatto ritrarre Garrett di scatto. Contrariamente alle sue ipotesi, la mano della iena mantenne la salda stretta e, a giudicare dalla sua espressione, Shadow avrebbe potuto giurare che, addirittura, ne avesse provato un brivido di piacere.

    Garrett indicò loro due poltrone foderate di chintz di fronte alla sua scrivania, invitandoli ad accomodarsi, mentre lui faceva lo stesso al suo posto.

    - A cosa devo il piacere della visita? – domandò cortesemente.

    - Non le faremo perdere molto tempo – rispose Rouge, esageratamente educata – Ci risulta che lei sia il proprietario della villa al numero 75 di Mission Street, qui a Central City. Lo può confermare? –

    Garrett estrasse dal bracciolo della sua poltrona uno strano bastone da passeggio nero, con il pomolo a forma di dado con ciascuna faccia occupata da un seme delle carte da gioco differente. Dopodiché cominciò a giocherellarci, mentre se lo teneva in grembo.

    - Sì, corretto. L’ho affittata da tempo ad un gruppo di simpatici quanto facoltosi studenti di storia –

    Shadow inarcò un sopracciglio, senza sforzarsi di nascondere la sua sorpresa.

    - E’ questo che le hanno detto di essere? – incalzò, scettico – Degli studenti di storia? –

    - E’ quello che ho detto. Hanno detto di essere un gruppo di studio, uno di loro è un professore, uno sciacallo elegante, dall’aria aristocratica. Avevano con sé delle tavole di pietra dall’aria antica quando si sono trasferiti -

    - Il nome “Cenacolo di Argus” le dice qualcosa? - intervenne Rouge, riprendendo in mano il dialogo.

    Garrett spostava educatamente l’attenzione dall'uno all’altro, rispondendo in maniera affabile e precisa.

    - Sfortunatamente non ho mai avuto l’occasione di sedere alla mensa di questo signor Argus, ma se lo state cercando si tratta o di una persona molto ospitale o di qualcuno con cui non è il caso di scherzare -

    Shadow non poteva fare a meno di essere perplesso di fronte a quella persona. Parlava in tono pratico e accondiscendente, ma le sue risposte sembravano quasi studiate per quanto erano ricche di dettagli. Aveva l’aria spontaneamente stupita da quelle domande, ma non cercava di sapere che cosa le avesse scatenate, come chiunque altro avrebbe fatto.

    - I suoi cosiddetti studenti di storia fanno parte di un pericoloso gruppo di fanatici pseudo-religiosi, la stupisce saperlo? -

    Garrett sgranò meccanicamente gli occhi, ma non una piega del suo viso comunicò alcun tipo di emozione diversa dal solito.

    - Sono assolutamente sbalordito! Sono questi gli hobby extra-curriculari degli studenti di storia di questi tempi? Mi sarei aspettato qualcosa di più tradizionale, come un circolo di tennis o un club dell’uncinetto -

    - Ad ogni modo, signor Garrett, chi occupava la sua villa se l’è data a gambe da almeno un giorno ormai - continuò Rouge - L’hanno contattata per informarla o sa dirci qualcosa su dove possano essere andati? -

    - Non mi hanno riferito assolutamente niente. Forse sono partiti per una spedizione archeologica? -

    - Non sono degli studenti! - sbottò Shadow, irritato - E’ tanto difficile da capire? -

    - E perché mai non dovrebbero esserlo? - replicò la iena, pazientemente e senza smettere di sorridere - E’ quello che mi hanno detto -

    - Anche lei dice di essere un affarista, ma non è detto che sia così -

    Gli occhi di Garrett si strinsero in uno sguardo penetrante e il suo sorriso si allargò impercettibilmente. Gli animi si stavano scaldando e Shadow aveva la sensazione di aver colpito nel segno in qualche modo.

    - Mi scuserà, agente Shadow the Hedgehog, ma avrei più difficoltà a credere che possa esistere… che so, una cosa sciocca come… la Forma di Vita Perfetta, piuttosto che dubitare di un gruppo di studenti alla ricerca di un alloggio. Hanno regolarmente pagato l’affitto, un affitto non alla portata di tutte le tasche, come avrete potuto immaginare, quindi non ho mai avuto modo di dubitare della loro parola o delle loro attività, né è mai rientrato nei miei interessi andarvi ad indagare. Può essere sufficiente questa risposta? -

    Shadow stava stringendo i pugni, furente, come Rouge non aveva mancato di notare. Né lei né lui avevano ben capito a che gioco stesse giocando il loro interlocutore, specie dopo quel riferimento così esplicito, buttato nella conversazione con un tono di casualità che non avrebbero saputo dimostrare in nessuno modo come voluto.

    - Se dovessero mettersi in contatto con lei o le dovesse venire in mente qualcosa, qualunque cosa sul loro conto, non esiti a contattarci - si raccomandò Rouge, quindi si alzò e prese Shadow per un braccio, in un chiaro segnale che era arrivato il momento di togliere il disturbo.

    Shadow rimase ancora per qualche secondo a fissare Jacob Garrett, tentando di capire cosa si nascondesse dietro al suo sguardo fisso e al suo sorriso educato, ma, convinto dagli strattoni di Rouge, decise di dargli le spalle e di dirigersi verso l’uscita senza neanche degnarlo di un saluto.

    Qualche minuto dopo, rimasto totalmente solo nel suo ufficio, Jacob Garrett avrebbe allungato la mano verso la cornetta del telefono e avrebbe digitato un numero che conosceva a memoria.

    - Indovina chi parla? Sì, sì, cagnolone. Naturalmente era come prevedevo, non si sono fatti aspettare più di tanto. E’ tutto di vostro gradimento nella vostra nuova casetta? L’acqua è calda al punto giusto? I coltelli in cucina sono affilati? I buchi delle prese di corrente sono abbastanza larghi da poterci infilare le dita? Oh, ma certo! Anzi, avevo già in mente il gioco più adatto, ma avrò bisogno di uno dei tuoi per i preparativi. Ti richiamerò non appena sarà tutto pronto, Seth. Ci vediamo al ballo, mio sciacallo! -

    Dopo che ebbe riattaccato, prese delicatamente il peluche che era seduto al bordo della scrivania e gli raddrizzò il piccolo cilindro.

    - Hai sentito, Sponky? E’ finalmente arrivato qualcuno di divertente con cui giocare! -

Segreti taciuti (Seconda parte)

    Tra la folla di passanti che, solitamente, riempiva le strade principali di Central City a quell’ora del giorno, si stava facendo largo un gruppetto che qualunque pedone o chiunque avesse casualmente lanciato uno sguardo in quella direzione non avrebbe faticato ad individuare. Tra la calca prevalentemente umana, infatti, facevano capolino una volpe a due code, una riccia rosa poco più alta e una coniglietta con un vestitino rosso, accompagnata da una creaturina volante dalla pelle azzurra. Esattamente come le persone di cui erano circondati, camminavano sui marciapiedi come se nulla fosse, attendevano ai semafori e attraversavano la strada. L’unica differenza ad accompagnarli era la loro statura, decisamente più bassa rispetto a quella degli esseri umani tra cui si trovavano.

    Troppo tempo era passato dall’evento globale che aveva forzato la loro convivenza perché gli esseri umani li guardassero come se fossero stati qualcosa di fuori dall’ordinario e, naturalmente, lo stesso valeva al contrario. Quindi fu con estrema naturalezza che Tails, Amy e Cream, con Cheese come sempre attaccato alla sua ombra, si fecero strada tra la confusione per raggiungere quanto più in fretta possibile la loro meta.

    - Se c’è una cosa che detesto – esordì Amy Rose, alzando il tono di voce nel tentativo di sovrastare la ressa rumorosa in cui si trovavano mentre attraversavano l’ennesimo incrocio – E’ la folla che c’è da queste parti a mezzogiorno! Mi verrebbe tanto voglia di prendere il martello e farli volare tutti via come mosche! –

    - E’ sempre così, dovresti saperlo meglio di me visto che ci abiti – replicò Tails con un mezzo sorriso – Ad Emerald Town si sta molto più tranquilli, è il posto ideale per chi, come noi, proviene da un mondo in cui è la natura a tenere a bada la civiltà, non viceversa –

    - E allora ricordami perché siamo venuti qui a lottare per ritagliarci uno spazietto in cui camminare – insisté Amy, assicurandosi che Cream le desse la mano prima di attraversare la strada.

    - Perché dopo l’incendio a casa mia, ho bisogno di un po’ di scorte per rimettere in sesto l’equipaggiamento che è andato distrutto. E la catena di negozi di elettronica specializzata in ciò che mi serve si trova qui. Vengo spesso a rifornirmici, quando ne ho bisogno –

    Tails attese il passaggio di un grosso furgone nero prima di riprendere a parlare, in modo da non dover alzare la voce per sovrastare il frastuono.

    - E in ogni caso non c’era bisogno che mi accompagnaste, se ti crea tanto disturbo camminare tra la folla –

    - Stai scherzando? – ribatté Amy, seria – Sei uscito da poco dall’ospedale e sei ancora convalescente! Senza contare che a qualcun altro potrebbe venire la strana idea di attaccarti ancora! –

    - E poi Amy era così curiosa di saperne di più sulla storia di tua sore… -

    La riccia rosa si affrettò a coprire la bocca a Cream per impedirle di terminare la frase, ma sapeva che ormai era troppo tardi e le sue reali intenzioni erano state ingenuamente rivelate. Di solito non era mai stato un problema parlare con Tails di un qualunque tipo di argomento, ma quando si trattava di quel preciso argomento, il volpino si chiudeva in un mutismo sospetto. E infatti, non appena Cream si fece sfuggire di bocca quelle parole, Amy avrebbe giurato di aver sentito Tails emettere un forte sospiro, prima di decidere di non rispondere.

    - Va bene, lo ammetto – riconobbe la ragazza, contenta quantomeno di aver raggiunto una zona in cui finalmente non era costretta a sgomitare per farsi largo – Però come pensi di poterci dire che hai una sorella, dopo tutto questo tempo che ci conosciamo, e non permetterci di essere almeno un po’ curiose? –

    - Se io stesso ne sapessi di più, ve ne avrei parlato già da molto tempo, credimi – decise di spiegare Tails, senza però voltarsi verso di loro – Neanche con Sonic ne ho mai parlato, anche perché non c’è quasi niente di cui parlare –

    - E quel ciondolo allora? – insisté Amy, quasi battagliera.

    - E’ tutto ciò che mi rimane di lei… e della mia famiglia – fu la riluttante risposta.

    Amy e Cream si guardarono di sottecchi, la prima decisamente perplessa, la seconda con uno sguardo triste dipinto nei grandi occhi. Tails aveva sempre detto loro che la sua unica vera famiglia era Sonic, ma non si erano mai soffermate a pensare al perché di quelle parole, a dove fossero i suoi genitori e a come mai non ne aveva mai parlato. Si sentirono entrambe piuttosto in colpa per aver ignorato quel dettaglio del suo passato per così tanto tempo ma, in fondo, non aveva mai mostrato segnali di tristezza o di inquietudine che potessero puntare in quella direzione.

    - Eccoci arrivati! – esclamò il volpino, contento di poter interrompere quella conversazione.

    Si trovavano di fronte ad un grande negozio con l’insegna verde a caratteri cubitali che recitava SYNTHRODYNE. Il suo ingresso era largo più del doppio di quello degli esercizi commerciali che lo fiancheggiavano, particolare che, insieme alle porte automatiche, contribuiva a far capire che si trattava di una catena di quelle importanti.

    - Qui dentro non sarà difficile trovare tutto ciò di cui ho bisogno – commentò Tails, sbatacchiando le sue due code con fare contento.

    Stavano per varcare la soglia del negozio, quando le porte automatiche si aprirono di colpo e furono letteralmente travolti da tre figuri della loro stessa statura. Tails, che era in testa al gruppo, finì lungo e disteso per terra, mentre Amy e Cream riuscirono per un pelo ad evitare l’impatto, lottando per mantenere l’equilibrio e non cadere a loro volta. Successe tutto così in fretta che ebbero a malapena il tempo di stupirsi o di reagire.

    Qualche secondo dopo, un quarto individuo uscì dal negozio in tutta fretta. Si trattava di una lince dal folto pelo rossiccio, con orecchie ritte e affusolate e un’espressione seria e determinata che sfoggiava in volto. Indossava degli scarponi neri, dei pantaloni in tinta verde militare e una giacchetta blu smanicata. Portava una sciarpa scarlatta che, seppure fosse annodata due volte attorno al collo, svolazzava alle sue spalle quasi fino a toccare terra. Fulmineo com’era arrivato, lo sconosciuto estrasse una pistola nera che puntò davanti a sé con fiero cipiglio. Amy e Tails, immediatamente accanto a lui, furono colpiti dal notare che il suo braccio sinistro era lucido e argentato, inequivocabilmente frutto della robotica più sofisticata.

    In tutto quel confuso e veloce parapiglia, si sentì un gridolino acuto. Uno dei tre fuggiaschi che avevano travolto Tails, aveva stretto con forza un braccio attorno al collo di Cream e la stava minacciando con una lama retrattile che spuntava dal suo polso. E non si trattava di un polso comune… esattamente come i suoi due compagni, l’aguzzino di Cream era ammantato in una tuta nera integrale che gli copriva ogni centimetro di pelle. Su varie parti del corpo sfoggiava quelli che Tails sapeva essere dei potenziamenti cibernetici ed erano così numerosi che se i loro movimenti non fossero stati così fluidi e non si fossero intraviste le tute nere sotto tutta quella ferraglia, li si sarebbe facilmente potuti scambiare per robot.

    - Cream! No! – urlò Amy, agitata dallo spavento.

    La coniglietta continuava a dimenarsi e a strepitare, con le lacrime che le premevano agli angoli degli occhi. Amy e Tails erano incerti sul da farsi, troppo preoccupati che lo sconosciuto armato potesse fare del male a Cream per poter agire. Osservandolo meglio, il volpino notò i listelli metallici appuntiti che si allungavano sulla testa dell’aggressore, molto simili agli aculei di Sonic, e pensò che dovevano essere un corredo della loro uniforme dato che anche gli altri due ne erano provvisti. La tuta nera copriva loro anche gli occhi ma, probabilmente, riuscivano a vedere grazie ai visori a infrarossi hi-tech che indossavano.

    La situazione era da cardiopalma, ma l’unica persona che non sembrava minimamente agitata in tutto quel finimondo era proprio la lince. Era ferma immobile nella sua posizione e il suo sguardo sembrava emanare scintille per quanto era fisso e fiammeggiante.

    - Lascia andare la ragazzina! – intimò infine, con voce forte e stentorea.

    - Tu getta quell’arma o dovrai raccoglierla con il cucchiaino! – rispose di contro l’aggressore mascherato.

    All’improvviso, una pallottola azzurra si abbatté su uno degli altri due tizi in uniforme, con forza tale da mandarlo a gambe all’aria. Quello che teneva Cream in ostaggio si voltò per capire cosa fosse successo, ma nel secondo stesso in cui commise questo errore, la lince fu pronta ad approfittarne. Premette il grilletto della sua pistola, ma invece di sparare un proiettile, questa lasciò andare uno spesso cavo nero al quale era attaccato un rampino metallico. La mira della lince fu impeccabile e la punta del rampino colpì in pieno il visore del criminale, mandandone in frantumi gran parte e costringendolo ad indietreggiare.

    Cream approfittò immediatamente di quell’attimo per correre via e raggiungere Amy e Tails. Nello stesso istante, un furgone nero spuntò dal vicolo attiguo al negozio, svoltando a velocità folle con lo stridio degli pneumatici ad accompagnarlo. Uno dei tre malfattori, subito dopo, lanciò per terra un oggetto rotondo che liberò una cortina fumogena istantanea. Il fumo spesso arrivò subito alla gola di Tails e degli altri, costringendoli ad allontanarsi per non rimanere intossicati. Con la coda dell’occhio, Amy riuscì a vedere i portelloni posteriori del furgone aprirsi e altri due individui in uniforme caricare a bordo i tre che erano fuggiti dal negozio. Un colpo secco, un rombo di motore e quando il fumo cominciò a diradarsi, tutto era già finito.

    Fu necessario qualche secondo di silenzio perché Amy, Tails e Cream realizzassero che cosa era appena successo e cominciassero a tranquillizzarsi. La coniglietta singhiozzava piano, mentre Amy la accarezzava sulla testa nel tentativo di farla calmare. Tails, con in viso un misto di incredulità e agitazione, lasciò scivolare lo sguardo sulla lince che aveva tratto in salvo Cream, in quel momento impegnata a fissare intensamente il lato della strada verso il quale i criminali erano sicuramente fuggiti. Dopodiché, si voltò verso di loro e sul suo viso si aprì uno dei sorrisi più caldi e amichevoli che avessero mai visto.

    - E’ tutto a posto, ragazzi? – domandò in tono rassicurante – Nessuno di voi si è fatto male? –

    - No… noi… stiamo bene – replicò Tails, ancora frastornato.

    - E’ un piacere conoscervi – continuò, con un’invidiabile calma – Io sono Geoffrey Van Marten, Ispettore del Dipartimento di Polizia di Central City –

    Quindi tese la mano a Tails, il quale la strinse dopo un attimo di esitazione. Dopodiché, si avvicinò ad Amy, le fece un galante baciamano e accarezzò leggermente Cream sulla testa.

    - Chi erano quelli? – chiese Amy, ancora visibilmente scossa.

    - Alcuni membri di una banda criminale che si fa chiamare Tekkadron. Ho seguito in incognito i loro movimenti fino a questo posto, ma non avevo idea che avrebbero tentato un colpo così presto e a quest’ora del giorno -

    - Sono dei ladri? –

    - Una mezza specie. Come avrete potuto notare dal loro abbigliamento singolare, sono particolarmente interessati a tutto ciò che è più sofisticato in campo tecnologico, quindi non mi stupisce che avessero messo gli occhi su una delle sedi più grandi della Synthrodyne. Peccato non essermi accorto che quei tre puntavano ad un diversivo, mentre i loro complici svaligiavano il magazzino sul retro –

    Dal tono con cui parlava sembrava stesse descrivendo un picnic al parco per quanto era pratico e tranquillo, cosa che Tails ed Amy non mancarono di notare. C’era qualcosa di incredibilmente rassicurante in quella figura, qualcosa che, prima di allora, avevano percepito solo in Sonic. Esattamente come avvertivano a pelle di non avere nulla da temere se Sonic era con loro, allo stesso modo si sentivano in presenza di Geoffrey Van Marten, sebbene lo conoscessero da neanche cinque minuti.

    - Mi dispiace che siate rimasti coinvolti in questa assurda situazione – disse Geoffrey, in tono sincero – Spero che questo incidente non vi rovini il resto della giornata –

    - Se non ci fosse stato lei, ce la saremmo vista brutta – ribatté Tails, sorridente.

    - Aspetta a dirlo! – intervenne Amy – Se avessi avuto un minuto in più, li avrei fatti tutti a polpette con il mio martello! –

    - Non lo metto in dubbio – ribatté Geoffrey, con espressione accondiscendente e lievemente divertita – Sono più che sicuro che una ragazza come lei sia in grado di badare a sé stessa –

    Amy sorrise a sua volta.

    - Ad ogni modo, grazie di averci aiutato, Ispettore –

    - Geoffrey, signorina… semplicemente Geoffrey. E comunque, gran parte del merito va al vostro Chao. E’ stato lui a distrarli quel tanto che bastava perché potessi intervenire io –

    - Già, a proposito, dov’è Cheese? –

    Amy e Tails si voltarono istintivamente verso Cream, consapevoli che il piccolo Chao di solito non svolazzava molto lontano da dove si trovava la sua piccola amica. Tuttavia, non c’era traccia della sua presenza e Cream era la prima che si guardava intorno con aria allarmata.

    - Cheese? Cheese, dove sei? – chiamò a voce alta, con le mani a coppa accanto alla bocca per amplificare il suono.

    - Dove può essere finito? – si domandò Amy, lievemente preoccupata.

    - Aveva attaccato uno di quei sicari per proteggere Cream – intervenne Tails, cercando di ragionare – Dopodiché ricordate di averlo visto? –

    Amy e Cream scossero la testa. Tails deglutì, trovando fatica nel formulare l’ipotesi più logica che gli era venuta in mente.

    - E se fosse rimasto addosso a quello che ha colpito? –

    - In quel caso l’avrebbero portato via con loro! – concluse Amy.

    - Oh, no! Povero Cheese! – esclamò Cream, con le lacrime che premevano agli angoli degli occhi – Bisogna andare a cercarlo! Potrebbero fargli del male! –

    - Non sappiamo neanche dove siano andati – disse Tails, mordendosi il labbro inferiore.

    - Se posso intromettermi – intervenne Geoffrey – Io potrei avere un suggerimento –

    Tutti e tre rivolsero il loro sguardo all’ispettore, in cerca di una rassicurazione che trovarono immediatamente. Sorrideva affabilmente e la sua mancanza di preoccupazione aveva un portentoso effetto tranquillizzante.

    - Se ho ben capito si tratta di una missione di salvataggio – spiegò – Allora non perdiamo altro tempo, venite con me. Credo di sapere dove siano diretti quei Tekkadron –

    Cream emise un gridolino di felicità e si gettò su Geoffrey, stringendolo in vita in una morsa che esprimeva tutto il suo grato sollievo.

    - Grazie mille, signore! –

    - Puoi chiamarmi anche tu Geoffrey –

    - Di solito non è compito dei poliziotti tenere i civili lontano dai guai? – domandò Amy, schiettamente e con un velo di sospetto nella voce – Insomma, non dovresti dirci che è troppo pericoloso per noi venire con te e… roba del genere? -

    - C’è in gioco la vita di un vostro amico – spiegò la lince – Sarei tremendamente presuntuoso se pretendessi che vi fidaste di me e che rimaneste qui ad aspettare. E poi, posso dire di considerarmi un poliziotto abbastanza fuori dal comune –

    Geoffrey sorrise ancora e qualcosa nel profondo di Amy le disse che, presunzione a parte, era onestamente inconcepibile non fidarsi a pelle di quella lince.

    Non era strano, quando si pattugliava o semplicemente si attraversava i corridoi della base G.U.N. di Central City, incrociare la propria strada con quella dell’Agente Rouge the Bat. Non scorgere la sua presenza era molto difficile, sia per il magnetismo spontaneo che le sue curve mozzafiato le avevano regalato, sia perché, come tutti gli Agenti Scelti del Comandante Tower, godeva di tali privilegi da poter circolare liberamente in ogni ambiente della base. I soldati semplici sapevano che, insieme all’Agente Shadow the Hedgehog, lei era una delle personalità più di spicco all’interno di quell’organizzazione, quindi erano abituati a rispettare le loro richieste e, a volte, perfino i loro ordini.

    Per questi motivi, non batté ciglio l’agente Coleman, l’incaricato della sorveglianza dei locali dell’armeria, quando Rouge si avvicinò a lenti passi a lui e gli chiese di permetterle l’accesso. Quella donna pipistrello aveva dimostrato più di una volta, stando a quanto diceva il Comandante, di essere un prezioso membro della G.U.N. e quindi, ovviamente, non c’era nulla di male a farla entrare nell’armeria. Forse aveva bisogno di equipaggiamento per una missione della massima urgenza, o forse, più probabilmente, era andata a controllare lo status di uno dei suoi due colleghi di quello che veniva chiamato Team Dark. L’unità E-123, infatti, più comunemente nota come Omega, stava effettuando un controllo di routine dei suoi sofisticati meccanismi interni.

    Coleman non lo sapeva e non era abituato a discutere gli ordini o a soffermarsi per più di un secondo su un evento così ordinario come un'Agente in visita ad un locale della base, quindi, dopo quelle poche parole di rito scambiate con Rouge, la lasciò passare e riprese subito dopo la sua postazione. Nonostante questo, se l’addestramento militare della G.U.N. avesse avuto più familiarità con il concetto del “non farsi ingannare dalle apparenze”, forse sì o forse no, l’agente Coleman si sarebbe reso conto che la ragazza che aveva incrociato aveva ben poco a che fare con Rouge the Bat.

    Non appena fu al sicuro dietro le spesse porte metalliche dell’armeria, la vera forma dell’individuo che le aveva oltrepassate venne alla luce. La tigre (o quello che almeno sembrava) che rispondeva al nome di Getara si guardò distrattamente intorno, contemplando gli scatoloni di munizioni, le bacheche blindate che ospitavano le armi da fuoco e tutti gli altri macchinari del locale. Un ghigno maligno si allargò sul suo muso al pensiero di quanto era stato facile arrivare fin lì, ridendo in cuor suo di quanto potessero essere stupidi gli esseri umani.

    Non era il caso di indugiare o soffermarsi su quei pensieri, si disse, specie considerando quanto erano stati ferrei i suoi ordini e quanto ci sarebbe stato da divertirsi una volta messi in atto. Raggiunse una sezione dell’armeria che sarebbe assomigliata un po’ al box di un meccanico se non fosse stato per le apparecchiature sofisticate ordinatamente allineate lungo il muro, accanto ad un bancone da lavoro con attrezzi e componenti metalliche sparpagliate sulla superficie. Non aveva bisogno, però, di soffermarsi su tutto il resto, perché il suo obiettivo era già di fronte a lui, in tutta la sua colossale imponenza.

    E-123 Omega era fermo e immobile nel centro dell’area. I suoi sensori ottici erano disattivati e dei cavi colorati spuntavano dalla sua schiena metallica, collegati ad una delle macchine che monitoravano il suo funzionamento. Getara non ne capiva molto, ma gli sembrava evidente che quel grottesco ammasso di ferraglia stesse facendo l’equivalente robotico di una dormita. Forse era il suo modo di ricaricare le batterie, si chiese, ma ad ogni modo gli era stato riferito che lo avrebbe trovato in quello stato, docile e inoffensivo, e così era stato.

    Getara gli si avvicinò, gli girò intorno e completò la parte più semplice di tutta la missione. Estrasse un piccolo dispositivo circolare, rivestito di plastica bianca, con un paio di spie rosse luminose e una piccola antenna reclinabile. Gli era stato detto che era dotato di calamita, quindi non dovette fare altro che poggiarlo sulla nuca robotica di quel bestione e lasciarlo lì dov’era.

    - Non appena ti sarai svegliato - gli sussurrò divertito Getara, anche se sapeva di non poter essere sentito - Avrai l’onore di portare un po’ di baldoria in questo mortorio -

    Più che soddisfatto, Getara assunse nuovamente la forma di Rouge e, sorridendo sinistramente, andò via, leggermente deluso per non poter assistere a ciò che sarebbe successo di lì a poco. 

Segreti taciuti (Terza parte)

    C’erano delle volte in cui idee, ricordi e pensieri sgomitavano per occupare lo spazio libero nella mente di Shadow the Hedgehog ed ogni volta che contribuivano a creare una folla troppo numerosa da gestire, il rimedio che il riccio nero trovava più efficace era uno solo: rintanarsi nella sua piccola, ma confortevole stanza datagli in dotazione alla base G.U.N. e lasciare che i pensieri scorressero via liberamente come l’acqua in un ruscello di montagna.

    Ultimamente capitava più spesso di quanto Shadow avrebbe voluto, quindi decise che era il caso di non rivolgere la parola a nessuno, al rientro dalla sua missione con Rouge, e di rintanarsi direttamente nel suo piccolo angolo di pace, nel silenzio più totale, steso sul suo modesto letto ad ascoltare il suo respiro regolare. C'erano molte cose che gli tenevano in funzione gli ingranaggi della mente, impegnata a rimuginare sugli ultimi accadimenti un po’ per trovarci un senso, un po’ per capire quale sarebbe dovuta essere la mossa successiva più giusta. Pensava al subdolo attacco subito dalla ragazza farfalla, al fatto che anche Sonic, Tails e Knuckles erano stati bersagliati, alla facilità con cui erano stati sconfitti e letteralmente buttati fuori dalla villa in Mission Street. E poi c’era lui, quel Jacob Garrett, il tipo a cui, quella mattina, aveva fatto visita insieme a Rouge.

    Non avrebbe saputo dire di preciso cosa, ma c’era qualcosa che trovava bizzarro e leggermente inquietante in lui, quella sensazione di avere di fronte qualcuno che serbava in sé molto più di quanto non mostrasse in apparenza. Grazie agli incarichi che riceveva in quanto agente scelto G.U.N., aveva incontrato molte altre persone prima di allora, mobiani o umani che fossero, dal più illustre consigliere politico che nascondeva con tutte le sue forze traffici illeciti, al più misero ladruncolo da quattro soldi che, però, non si tirava mai indietro quando c’era da fare volontariato alla mensa dei poveri. Ciascuno di loro era l’incarnazione perfetta del detto “mai fidarsi delle apparenze”, ma Shadow sentiva che con Jacob Garrett questo concetto arrivava ad un livello ancora più alto. Non solo percepiva che non c’era da fidarsi di quelle apparenze così formali e cortesi, ma anche che queste nascondevano in realtà qualcosa di diabolico, che non avrebbe neanche saputo immaginare.

    D’altra parte, si disse mentre, steso sul letto, osservava distrattamente il soffitto, poteva anche essere che stesse lavorando troppo di fantasia. Non era raro che non gli piacesse qualcuno (e ad uno come lui piacevano veramente poche persone) e poteva benissimo trattarsi di una semplice brutta prima impressione. La forza di quella sensazione lo aveva investito come un macigno, certo, ma non poteva emettere ferrei giudizi su qualcuno semplicemente perché non lo vedeva di buon occhio. Un tempo avrebbe potuto farlo e, probabilmente, avrebbe anche potuto incenerirlo con un pigro movimento della mano, ma non era quello che avrebbe voluto Maria per lui.

    Si voltò verso il comodino, dov’era appoggiata la cornice con la vecchia foto di Maria alla quale rivolgeva uno sguardo ogni volta che inconsciamente aveva bisogno di sostegno. La prese e la rigirò tra le mani, indugiando in pensieri così intimi e profondi da non essere neanche in grado di metterli a parole, se mai avesse voluto farlo. Stava appunto per chiedersi come mai le sue guance erano improvvisamente diventate umide quando un fortissimo rombo lo fece trasalire.

    La porta della sua stanza fu scaraventata verso l’interno e si infranse contro la finestra, schizzando fuori dai cardini come un petardo. Pezzi di cemento e intonaco vennero via dal muro e si schiantarono al suolo, sollevando un polverone attraverso il quale era difficile vedere. Shadow scattò subito in piedi e strinse gli occhi verso la soglia d’ingresso per cercare di trovare il responsabile. La sagoma che gli si stagliava davanti era inconfondibile, più alta e imponente di lui e di sicuro troppo massiccia per poter oltrepassare lo stipite senza mettersi di profilo.

    - Omega! - esclamò, senza riuscire a trattenere il suo stupore.

    Il robot, senza un briciolo di esitazione o di pietà, punto il braccio in avanti e Shadow capì subito che aveva intenzione di usare il suo fucile mitragliatore. Una raffica rapidissima di proiettili saettò alla sua volta e il riccio nero la schivò per un soffio tuffandosi alla sua sinistra. Si lasciò sfuggire la cornice che ancora teneva in mano e un bossolo la colpì in pieno, mandandola in frantumi. Accecato dall’ira e dall’adrenalina che pulsava a tutto ritmo nelle sue vene, sfruttò la sua velocità per andare incontro ad Omega e rotolargli accanto, in modo da superarlo e comparirgli alle spalle. Il colossale robot ruotò il busto e colpì Shadow con il braccio, scalzandolo dalla sua strada come se fosse stato meno di un moscerino.

    - Che diavolo ti prende? - domandò con frustrazione il riccio, indietreggiando cautamente nel corridoio per guadagnare spazio.

    Non ricevette risposta. Gli occhi bionici di Omega lo scrutarono con ancor più freddezza di quanto fosse solito. Puntò ancora una volta il braccio destro verso il suo bersaglio e il mitragliatore riprese a fare fuoco. I proiettili rimbalzarono sui muri e sul pavimento del corridoio fortunatamente deserto e fu necessaria tutta la rapidità e la coordinazione di Shadow perché non venisse trafitto. Si concentrò al massimo e ignorò il bruciore improvviso alla spalla, probabilmente causato da un bossolo che lo aveva preso di striscio. Raccolse l’energia nel palmo della mano e, inginocchiandosi per sfuggire alla raffica, scagliò un Chaos Spear verso il petto di Omega. La freccia elettrica lo prese in pieno, ma la sua corazza era troppo robusta perché la forza del colpo lo costringesse a più di un breve indietreggiamento. Era più che sufficiente perché Shadow scattasse in avanti e gli rotolasse ancora una volta tra le gambe. Sapeva che il modo migliore per affrontare quella montagna di metallo era tentare di non stargli mai di fronte.

    - Devi essere completamente impazzito! - commentò, più tra sé e sé che con il robot, saltandogli addosso e appendendosi alle sue larghe spalle squadrate.

    Omega si divincolò, si dimenò e ruotò il suo busto di trecentosessanta gradi pur di scrollarsi Shadow di dosso, ma con scarso successo. Il riccio approfittò di un secondo in cui Omega era sbilanciato per puntare i piedi sul muro dietro di lui e darsi la spinta per spingerlo con quanta più forza possibile verso la parete parallela. Il robot cozzò la testa sulla superficie levigata e i suoi sistemi andarono in tilt abbastanza gravemente da farlo barcollare per qualche istante. Il contraccolpo, però, fu così forte da far perdere a Shadow la presa e da farlo finire di sedere a terra.

    Il riccio nero guardò allora verso l’alto e notò subito qualcosa sulla nuca di Omega che non avrebbe dovuto esserci. Senza perdere altro tempo, si rialzò e, prima che il robot potesse riprendere il suo attacco, staccò il dispositivo circolare con una veloce falciata. Omega si paralizzò immediatamente, con un coro di bip e rumori elettronici che si dipanavano dal suo processore interno. Quindi cambiò automaticamente modalità e i fucili mitragliatori si ritrassero all’interno del braccio, lasciando spazio alle più inoffensive mani metalliche.

    - Che succede? -

    - Siamo sotto attacco? -

    Le voci spaventate e allarmate dei soldati G.U.N. del complesso si avvicinavano, accompagnate da passi di corsa. Shadow ascoltava il suo respiro affannoso, mentre il battito cardiaco si regolarizzava e tornava alla normalità. Osservava con espressione seria il marchingegno che aveva strappato ad Omega. Il robot si voltò verso di lui e, se avesse potuto godere di espressioni facciali, in quel momento ne avrebbe sfoggiata una del tutto perplessa.

    - Recupero informazioni in corso. Dati assenti - scandì con voce atona - Cosa è successo? C’è stato un conflitto a fuoco e non mi avete chiamato? I sacchi di carne si prendono sempre tutto il divertimento -

    Shadow ignorò le parole di Omega, anche se il suo atteggiamento bellicoso significava che era tornato normale. Esaminò con cura l’oggetto responsabile di quel pandemonio e notò un particolare che innescò una scintilla di comprensione nella sua testa.

    - Qualcuno ti stava manovrando da lontano, Omega - spiegò - E credo anche di sapere di chi si tratti! -

    Quattro figure indistinte scivolavano nell’ombra, misurando con accortezza i loro passi e ogni singolo rumore che producevano in modo da tentare di passare quanto più inosservati possibile. Si trovavano in una zona periferica della città, occupata per la maggior parte da capannoni industriali e magazzini adibiti allo stoccaggio merci. Erano lontani dalla strada, quindi non c’era neanche il rumore del traffico a coprire i loro passi; non che avrebbe aiutato più di tanto, considerando che da quelle parti non era frequente il passaggio di autoveicoli.

    Oltrepassarono una rete metallica che circondava il perimetro di un grande magazzino dalle pareti arrugginite. Muovendosi cautamente nel cortile, individuarono una serie di grossi scatoloni in legno disordinatamente accatastati e ci si nascosero dietro, accucciandosi per ulteriore sicurezza. In lontananza, parcheggiato in direzione del lato destro dell’edificio, c’era il furgone nero in cui si erano imbattuti poco tempo prima.

    - Eccolo lì - disse Geoffrey Van Marten, quasi in un sussurro - Siamo stati fortunati. La merce rubata era destinata a questo magazzino. L’ho individuato non molto tempo fa, dev’essere uno dei loro nuovi nascondigli -

    - Che aspettiamo allora? - ribatté Amy, accanto a lui, mentre si sporgeva oltre gli scatoloni per spiare meglio - Facciamoli tutti a polpette e riprendiamoci Cheese! -

    - Non è il caso di essere precipitosi - replicò Geoffrey, cortesemente ma con fermezza - Aspettiamo che i Tekkadron abbiano finito di scaricare la refurtiva. Il vostro Chao potrebbe benissimo essersi nascosto all’interno del furgone -

    - Lo spero tanto - squittì Cream, visibilmente preoccupata - Non voglio che facciano del male a Cheese -

    - Puoi stare tranquilla, piccolina - disse ancora Geoffrey, in volto un sorriso incoraggiante - Quelli sono gli stessi Tekkadron che hanno effettuato la rapina. Se si fossero già accorti della presenza di un infiltrato a bordo, non si starebbero occupando dello scarico in maniera così tranquilla. Attendiamo che abbiano finito, dopodiché sgattaioleremo verso il furgone per dare un’occhiata -

    - Sarà stata una buona idea venire qui da soli? - si domandò Tails, nervosamente.

    - Temo che se avessi chiamato la centrale per dei rinforzi senza essere sicuri dell’emergenza, avremmo perso solo tempo - spiegò la lince - La cosa migliore per tutti è tirare fuori il vostro piccolo amico dai guai e togliere il disturbo -

    - Vorrei che Sonic fosse qui - ammise Amy - Lui sarebbe entrato lì dentro e avrebbe tirato fuori Cheese in meno di un secondo -

    - Sonic the Hedgehog? - domandò Geoffrey, senza staccare gli occhi dal furgone e dai sicari che lo stavano svuotando - Stai parlando di lui? -

    - Oh, sì! - rispose la riccia rosa, con l’espressione che le si faceva trasognata - Il più adorabile e testardo eroe che abbia mai conosciuto! Lo conosci anche tu? -

    - Difficile non conoscerlo, le sue imprese sono diventate leggendarie. Riconosco che le sue singolari capacità sarebbero di notevole aiuto adesso, ma non me ne vogliate se preferisco un approccio un po’ più studiato -

    - Se non ci fosse stato lei, non avremmo neanche saputo da dove cominciare - affermò Tails, riconoscente.

    - Potete chiamarmi Geoffrey, ve l’ho detto. Comunque risparmiate i ringraziamenti per quando saremo fuori di qui -

    Calò il silenzio per qualche secondo. L’attesa della loro prossima mossa cominciava a diventare leggermente snervante, ma Geoffrey riusciva a mantenere i nervi saldi e attendeva pazientemente che terminassero in lontananza le operazioni di scarico, in modo che potessero avere via libera verso il furgone.

     Amy lo studiò con cura, squadrandolo da capo a piedi come se il suo sguardo fosse stato catturato da una strana forza magnetica. C’era molto in quella lince che le ricordava Sonic, ma la sostanziale differenza che sussisteva tra lui e il suo adorato riccio blu erano i modi di fare. Sonic era irruento, sconsiderato, uno scavezzacollo supersonico, mentre l’Ispettore che, senza esitazione, si era offerto di aiutarli era calmo, posato e emanava un’aura rassicurante che i modi frenetici di Sonic non avevano mai mostrato.

    L’attenzione di Amy fu catturata dal lucente braccio metallico di Geoffrey, l’unica cosa che stonava decisamente con il suo aspetto integerrimo e curato.

    - Posso… chiederti cosa ti è successo al braccio? - domandò cautamente.

    Geoffrey si voltò a guardarla, con le pupille che suggerivano un mondo tutto da scoprire per chiunque le avesse oltrepassate. Sorrise incoraggiante, prima di risponderle.

    - Questo è un regalo indesiderato che mi hanno fatto i Tekkadron dopo il nostro primo incontro - spiegò con inaspettata leggerezza - Ero in missione sotto copertura tra le file delle loro reclute e, come avrete potuto notare, i loro marchi di fabbrica sono questi tipi di ferraglia ad alta tecnologia. Per sembrare credibile dovevo accettare di sottopormi al trattamento, ma, fortunatamente, sono riuscito a limitare i danni prima che decidessero di intervenire su altre parti del mio corpo -

    Amy ascoltò con attenzione quel breve racconto, rimanendo stupita dal coraggio del suo interlocutore.

    - E non c’è modo di… rimuoverlo? -

    - Purtroppo queste applicazioni cibernetiche sono permanenti. La filosofia dei Tekkadron ritiene che la vera forza non sia nella carne e nelle ossa, ma nello sfruttamento della tecnologia. Non tutto il male viene per nuocere, però. Almeno adesso, con un braccio bionico, non ho più difficoltà ad aprire i barattoli di cetriolini -

    Amy non sapeva se prenderlo sul serio o no, quindi si limitò a sorridere debolmente, incerta se considerare quelle parole sconsiderate o incredibilmente sagge.

    - Ma cosa vogliono ottenere questi Tekkadron? - domandò Tails.

    - Nessuno sa ancora quali siano i loro obiettivi. La loro formazione è relativamente recente. Sappiamo soltanto che rispondono agli ordini di un Gran Maestro di cui non conosciamo ancora l’identità -

    Si udì un tonfo in lontananza e Geoffrey aguzzò di nuovo lo sguardo. Le operazioni di scarico erano terminate e uno dei Tekkadron aveva chiuso lo sportello del retro del furgone e, insieme agli altri, stava portando le casse di materiale all’interno del magazzino. La lince fece segno agli altri di rimanere in attesa per qualche secondo, prima di invitarli a seguirlo con un gesto secco della mano.

    Sgattaiolando furtivamente raggiunsero una fiancata del magazzino e si appiattirono lungo il muro, con le orecchie pronte a captare qualunque rumore. Geoffrey fece segno a Tails di stargli accanto, con Amy e Cream alle loro calcagna. Impugnò la pistola con rampino, si avvicinò al retro del furgone e spalancò il portellone. L’ampio spazio del veicolo era stato completamente svuotato, ma in un angolo del fondo si poteva ancora scorgere qualcosa.

    - E’ il papillon di Cheese! - esclamò Cream, catapultandosi a raccoglierlo - Dove può essere finito? -

    - Forse si è infilato in una delle casse che erano qui dentro - propose Tails, mordendosi il labbro inferiore.

    - Significherebbe che l’hanno portato dentro il magazzino - disse Geoffrey, serio - A questo punto dobbiamo entrare. State dietro di me, ragazzi, e cercate di muovervi silenziosamente -

    I tre annuirono con la testa, con il cuore che batteva loro all’impazzata, ma pronti a fare ciò che andava fatto. Geoffrey aprì cautamente la porta di servizio che i Tekkadron avevano usato per entrare nel magazzino e oltrepassò la soglia in punta di piedi. L’ingresso dava su un enorme spazio squadrato, occupato per la maggior parte da grandi container metallici e cassoni in legno. Un paio di montacarichi erano parcheggiati in un angolo e diversi carrelli a quattro ruote per il trasporto delle merci erano sparpagliati qua e là. Al di là di alcune casse di materiali provenivano delle voci sommesse.

    Geoffrey guidò il gruppo dietro ad una pila di scatoloni alla loro destra, invitandoli a nascondersi ancora una volta. Qualche metro più avanti, alcuni sicari in uniforme stavano discutendo con una bella ragazza riccio dalla pelle azzurra. Indossava un completo di pelle nera lucida, con pantaloni attillati e scarponi con tacchi vertiginosi. I suoi aculei erano più lunghi di quelli di Amy, tanto da ricaderle al di là delle spalle in treccine simili a quelle di Knuckles.

    - E quella chi è? - chiese Amy a Geoffrey in un sussurro.

    - Si chiama Zephir, è il primo Luogotenente dei Tekkadron -

    Rimasero in silenzio per almeno un minuto, con i nervi a fior di pelle e la tensione che lentamente li divorava, tutti ad eccezione di Geoffrey. Cercava di aguzzare l’udito per capire di cosa la ragazza e gli scagnozzi stessero parlando, ma senza successo.

    - Dobbiamo aspettare che se ne vadano - mormorò Tails - Altrimenti non riusciremo mai a trovare Cheese -

    Prima che chiunque potesse acconsentire o proporre un altro piano, si udì un tintinnio metallico provenire alle loro spalle. Il sangue gli si gelò loro nelle vene, quando si voltarono e si accorsero che Cream aveva inavvertitamente urtato con il gomito uno degli scatoloni, lasciando cadere dal loro interno alcuni bulloni. La coniglietta espresse il suo rammarico con uno sguardo inorridito. Geoffrey posò il dito indice tra il naso e la bocca, intimando loro di fare silenzio.

    Rimasero paralizzati come statue, sperando che nessuno li avesse sentiti mentre i loro cuori pulsavano come tamburi nel petto. Apparentemente, il rumore era passato inosservato, perché Zephir e gli altri Tekkadron continuarono a parlare per qualche altro secondo, prima di allontanarsi verso una porta che dava accesso ad un’altra zona del capannone.

    - Meno male! - commentò Amy, non appena sentì di essere al sicuro - Avevo l’impressione che il cuore mi stesse scoppiando! -

    - Mi dispiace tanto - si scusò Cream, con lo sguardo basso.

    - Stai tranquilla, piccola - la rassicurò Geoffrey - Pensiamo piuttosto a trovare il tuo amichetto e a portarvi via da qui -

    Geoffrey stava per rimettersi in movimento, quando una folata di vento improvvisa lo costrinse a chiudere gli occhi per un istante. Prima che riuscisse anche solo a rendersene conto, si ritrovò di fronte allo sguardo glaciale di Zephir. Ricevette una ginocchiata nello stomaco e un pugno sulla mascella, entrambi in una sequenza così rapida da far registrare alla sua retina solo una macchia sfocata azzurrina. Dopodiché, tutto intorno a lui diventò un vortice confuso di colore, prima di diventare lentamente nero.

    Quando Geoffrey riaprì gli occhi, fu costretto a sbattere ripetutamente le palpebre per mettere a fuoco le immagini. Non ci impiegò molto per recuperare gli ultimi ricordi prima dello svenimento e il fatto di ritrovarsi bloccato al muro, con le braccia sollevate e i polsi stretti nella morsa di due cinghie metalliche, gli fu notevolmente di aiuto. Accanto a lui, legati esattamente nello stesso modo, c’erano Tails, Amy e un’impauritissima Cream.

    - State tutti bene, ragazzi? - chiese l’Ispettore, per la prima volta con una nota di preoccupazione nella voce.

    - Credo di sì… - rispose Amy per prima - Ma cosa è successo? Mi sembra di essere stata investita da un camion -

    - Ricordo una specie di macchia sfocata - intervenne Tails, sforzandosi di ricostruire - E poi più niente -

    - Mi hanno chiamato in molti modi, ma macchia sfocata mi giunge nuova - disse una voce tranquilla.

    Si trattava del Luogotenente dei Tekkadron, Zephir, accanto a loro con le braccia conserte e un sorriso soddisfatto dipinto in viso. Passò in rassegna ciascuno di loro, soffermandosi in particolare su Geoffrey.

    - Ispettore Van Marten, vero? Non ti è bastato strisciare come una serpe tra le nostre fila e usurpare la nostra tecnologia già una volta? Cosa speravi di fare sgattaiolando qui dentro con una banda di mocciosi? -

    - Volevo soltanto mostrare ai ragazzi come ci si riduce a voler diventare criminali di bassa lega - replicò la lince, prontamente - Sai, una di quelle cose istruttive -

    Zephir rise piano. Un risata senza allegria.

    - E tutto ciò che hai ottenuto è stato mostrare loro la via più diretta verso la tomba. Non c’è fretta, comunque. Quando il Gran Maestro ha saputo del Chao che abbiamo trovato nel furgone, ha voluto aspettarvi per parlarvi di persona -

    - Cheese? - chiese subito Cream - Dov’è? Sta bene? -

    - Non è in una posizione migliore di voi, se ci tieni a saperlo - rispose Zephir - In ogni caso, potete vederlo da voi -

    Zephir si mosse di un passo verso destra, per lasciare scoperta la soglia della porta aperta alle sue spalle. Dall’oscurità si fece avanti un nuovo individuo, che reggeva il piccolo Cheese per la collottola con la sua fredda mano metallica. Mentre il Chao si divincolava affannosamente, il Gran Maestro si faceva largo nella stanza fino ad arrivare proprio di fronte ai prigionieri, alcuni dei quali lo conoscevano molto bene.

    - Bentrovati - disse in tono piatto Metal Sonic.

Segreti taciuti (Quarta parte)

    Il crudele sguardo senz’anima di Metal Sonic passava in rassegna i quattro inermi, quanto sbalorditi, prigionieri: dall'irritante riccia rosa che già un’altra volta, molto tempo prima, era stata un suo ostaggio, all’inseparabile amico volante del tanto odiato Sonic, dalla ragazzina proprietaria del Chao che si dibatteva nella sua stretta, all’Ispettore che aveva tentato di infiltrarsi nei ranghi della sua banda, su cui Zephir aveva fatto rapporto tempo prima. Alcuni di loro erano atterriti e senza parole, cosa che provocava in Metal Sonic un piacevole senso di soddisfazione. O almeno era quello che i suoi circuiti stavano elaborando in quel momento.

    - Certe cose non cambiano mai, non è vero? - commentò, inebriato dal senso di potenza dell’averli tutti in pugno - Ogni volta che ci incontriamo, riesco sempre a farvi rimanere a bocca aperta -

    - Avrei dovuto immaginare che c’era Eggman dietro tutto questo! - esclamò Tails all’improvviso.

    Metal Sonic allungò un arto meccanico e, senza preavviso, colpì forte il volpino in pieno volto. Amy trasalì brevemente e Cream emise un debole lamento spaventato.

    - Non insultare la mia intelligenza, palla di pelo - ribatté il robot, rancorosamente - Quel pomposo buffone non ha nulla a che fare con i miei recenti successi. Credevate che sarei rimasto alle sue dipendenze ancora per molto? Eppure vi ho dimostrato in diverse occasioni che sono capace di opere grandiose con le mie sole forze. Non ho forse preso io il controllo della Flotta Aerea di Eggman e lanciato quella sfida al vostro adorato Sonic?¹ Non sono stato io a pilotare gli eventi dell’ultimo Gran Premio di Extreme Gear senza che nessuno di voi ne sapesse nulla?² Non è forse così? -

¹ Fa riferimento agli eventi narrati in Sonic Heroes (2003)

² Fa riferimento agli eventi narrati in Sonic Free Riders (2010)

    Dal polso di Metal Sonic spuntò una lama retrattile dorata che avvicinò minacciosamente alla gola di Tails. Il volpino, tremante di paura, deglutì a fatica e impiegò qualche secondo per capire che cosa il suo aguzzino si aspettasse da lui.

    - Sì… sei… sei stato tu - disse piano.

    A Metal Sonic sembrò essere sufficiente. Persino Cheese era atterrito da quanto stava accadendo, dato che aveva smesso di divincolarsi, diventando né più né meno di un fagotto azzurro tremante.

    - Da quando sono stato creato c’è sempre stato qualcuno che ha tentato di manovrarmi come un burattino. Adesso, però, la musica è decisamente cambiata, come avrete potuto notare. Sono padrone del mio destino, sono a capo di una grande organizzazione e, soprattutto, ho colto subito l’occasione che mi si è presentata di vendicarmi di voi e di tutte le umiliazioni subite per mano vostra -

    - E tutto questo solo per arrivare a Sonic? - domandò Amy, con sguardo torvo.

    - Ho abbandonato quella stupida idea da parecchio ormai. La mia programmazione originale voleva che mi dimostrassi superiore rispetto al riccio di cui porto l’aspetto, ma ogni tecnologia degna di questo nome è capace di superare i suoi limiti e raggiungere traguardi più ambiziosi. L’idea di misurarmi con lui non mi alletta più da molto tempo. Ora ciò che mi interessa è ottenere il potere necessario ad insegnare al mondo a rispettare la tecnologia, a rispettare l’intelligenza artificiale, a rispettare me -

    - E speri di ottenere tutto questo con delle rapine da due soldi? - lo provocò Geoffrey, speranzoso di guadagnare tempo.

    - Hai appena cominciato a grattare la superficie di ciò che hai di fronte. Ho riunito i Tekkadron perché potessero essere la testimonianza che la fusione tra il vivente e il tecnologico è il prossimo capitolo della storia di questo pianeta. Sono stato assemblato come un qualunque ammasso di latta e mi è stato dato il compito di eliminare un singolo stupido riccio blu, compito che ho fallito volta dopo volta, persino quando avevo dalla mia parte tutte le carte vincenti. E tutto questo perché non era il mio compito, non era il mio scopo… ero semplicemente lo strumento di qualcuno che non era in grado di farsi da solo il lavoro sporco -

    - Quindi ora pensi che scaricare la tua incapacità riunendo un gruppo di criminali, ti farà sentire meglio - concluse Geoffrey - Devi aver parlato con uno psicologo davvero pessimo -

    - Credevo che ormai avessi imparato ad apprezzare almeno in parte l’impianto bionico che ti abbiamo generosamente offerto… o, per essere più precisi, che hai impunemente sottratto alla nostra generosità. Questo dimostra che c’è ancora molto lavoro da fare -

    - Lascia andare questi ragazzi, non hanno nulla a che fare con le tue smanie di potere -

    - Ne sei convinto? - incalzò Metal Sonic, con gli occhi bionici che diventavano sempre più rossi - Questi insulsi marmocchi hanno contribuito a mettermi i bastoni tra le ruote volta dopo volta. Quando i miei mi hanno portato questo ridicolo Chao, ho capito subito che dovevano essere nei paraggi. Non ho faticato a riconoscerlo, dato che tempo fa l’ho utilizzato per copiare i dati relativi a Chaos¹. Non avrei perso l’occasione di farvela pagare per nulla al mondo… e adesso eccovi qua. Non siete più tanto duri senza il vostro Sonic a tirarvi fuori dai guai -

    - E’ facile per te prendertela con noi - sbottò Amy, con più coraggio di quanto se ne sentisse addosso - Se Sonic fosse qui ti prenderebbe a calci come ha sempre fatto -

    - Non ho intenzione di sporcarmi le mani con delle nullità come voi - replicò Metal Sonic - Lascerò che sia Zephir a togliervi di mezzo. Avrete notato che è piuttosto… rapida nello svolgere i suoi compiti. Un Gran Maestro degno di questo nome deve poter contare su collaboratori che riescano a stare al passo. Ma non temete, poi sarà il turno di Sonic. In fondo, le vecchie abitudini sono pur sempre le più dure a morire e i conti che ho in sospeso con lui meritano la mia personale attenzione molto più di quelli che ho in sospeso con voi -

    - Facci scendere da qui allora - incalzò Amy, ora decisamente più arrabbiata che spaventata - Ti faccio vedere subito quanto siamo nullità -

    Metal Sonic non fu per niente intimidito da quelle minacce. Fece un breve cenno con la testa e poi scaraventò Cheese contro il muro senza il minimo ritegno. Fece dietrofront e cominciò ad allontanarsi a lenti passi, non prima di aver aggiunto, rivolto a Zephir, un: - Falli sparire tutti -

    - Metal Sonic! - lo richiamò Tails, tentando un ultimo vano approccio.

    - Sonic? Non c’è più niente che mi leghi a quel riccio. Ora sono soltanto Metallix, Gran Maestro dei Tekkadron. Potrai dire questo, quando all’altro mondo ti chiederanno chi ti ci ha mandato -

    Con un ultimo fruscio del mantello che portava indosso, il robot oltrepassò la soglia e sparì alla vista, lasciandosi alle spalle un silenzio carico di terrore per ciò che di lì a poco sarebbe successo. Zephir non temporeggiò oltre ed estrasse due pugnali identici dai foderi che teneva allacciati su entrambi i fianchi.

    - Da chi potrei cominciare? - si domandò, con gli occhi sgranati di chi pregusta un grande piacere.

    - Se nessun altro è ansioso di aprire le danze - intervenne Geoffrey, tranquillamente - Offro subito la mia candidatura -

    Si udirono un colpo secco e un tintinnio. Geoffrey aveva divelto con un forte strattone l’anello metallico che teneva bloccato al muro il polso del suo braccio bionico. Fu tutto così rapido che neanche Zephir ebbe modo di reagire. Amy, Tails e Cream riuscirono soltanto a scorgere un enorme lampo elettrico che sgorgava dal pugno meccanico di Geoffrey e che investì in pieno petto la loro potenziale assassina.

    Il corpo di Zephir fu scagliato contro il muro dalla potenza della scarica e lì si afflosciò inerme e immobile. Geoffrey non attese altro tempo, liberò l’altro braccio e si affrettò a strappare con la forza del braccio bionico anche le cinghie che trattenevano gli altri prigionieri.

    - Come… sei riuscito a… - cominciò a chiedere Tails, sbalordito, prima di essere interrotto.

    - Le spiegazioni a più tardi - disse secco Geoffrey - Ora dobbiamo togliere il disturbo prima che arrivino altri problemi -

    La prima cosa che Cream fece una volta libera fu di correre a raccogliere Cheese per sincerarsi delle sue condizioni.

    - Per fortuna sta bene! - esclamò, per la prima volta in quella giornata, davvero contenta.

    Seguendo Geoffrey, il gruppetto corse rapidamente verso l’altro lato del capannone, nel tentativo di raggiungere la porta di servizio che avevano usato all’inizio per entrarvi. Mancavano pochi passi per raggiungere il traguardo, quando una folata di vento saettò accanto a loro e si ritrovarono Zephir a bloccargli la strada.

    - Mossa scorretta, gattaccio! - sbottò prima di avventarsi su Geoffrey.

    La colluttazione tra i due diventò feroce nel giro di pochi istanti. Zephir era velocissima nei movimenti, scagliando calci e pugni in una gragnola inarrestabile. Ogni sua mossa era accompagnata da una specie di alone azzurrino che la circondava, un fenomeno che Amy e Tails, paralizzati ad assistere al combattimento, non riuscivano a spiegarsi. Sembrava veloce quanto Sonic, ma aveva un modo di spostarsi molto diverso che il loro amico non aveva mai adottato.

    Zephir afferrò il manico di uno dei suoi pugnali e sferrò una stoccata. Geoffrey si protesse con il braccio robotico, al cui impatto con la lama produsse un tintinnio musicale. Amy decise che non era più il caso di starsene con le mani in mano e sferrò mazzate in aria con il martello che aveva appena tirato fuori. Zephir indietreggiò, passo dopo passo, fino a finire con le spalle contro una pila di scatoloni. Bloccò una stoccata di Amy, afferrando il manico del martello con entrambe le mani e, subito dopo, fu attaccata da Cheese, che le rimbalzava addosso appallottolato come una biglia impazzita. Amy si allontanò, consapevole di quanto stava per fare Tails. Sospeso a mezz’aria grazie alle sue code, diede una forte spallata agli scatoloni dall’altro lato della pila e questi precipitarono addosso a Zephir con tutto il loro peso, stordendola e seppellendola nel giro di un istante.

    Il gruppetto approfittò del vantaggio acquisito per precipitarsi verso la porta e abbandonare in tutta fretta il capannone. Corsero a perdifiato, attraversando il cortile e superando la recinzione metallica. Corsero lungo il sentiero che dava sulla strada asfaltata e percorsero il marciapiede, seguendo Geoffrey in testa al gruppo, fino ad arrivare in fondo alla via e sbucare nella strada principale.

    - Qui dovremmo essere al sicuro - disse la lince, con il respiro affannoso - So che è la terza volta che ve lo chiedo oggi, ma state tutti bene? -

    - Alla grande! - rispose Amy, con un gesto di trionfo - Quella smorfiosa ci penserà due volte la prossima volta che vorrà minacciarci! -

    - Non credevo che sapeste badare così bene a voi stessi - ammise Geoffrey, in un sorriso - Sono sinceramente colpito -

    - Abbiamo vissuto troppe avventure accanto a Sonic per non aver imparato almeno un minimo da lui - spiegò Tails, trafelato, ma contento.

    - Per fortuna lei è riuscito a liberarsi e ad aiutarci, signor Geoffrey - intervenne Cream.

    - E’ stato stranamente più facile di quanto avrei pensato. Per qualche motivo la cinghia metallica che mi teneva bloccato il braccio era già allentata. Piuttosto bizzarro, considerando che era proprio il mio braccio bionico che aveva bisogno di maggiore resistenza -

    - A proposito, non credevo che fosse dotato di un cannone elettrico - disse Tails, con lo sguardo luccicante del meccanico in azione.

    - A volte vorrei che non fosse così. Lo utilizzo solo in casi di estrema necessità e, sfortunatamente, siete stati coinvolti in uno di questi -

    Seguirono degli attimi di silenzio imbarazzato, di quelli in cui si riconosceva implicitamente la nascita di un legame di quelli che possono nascere solo quando si condivide un’esperienza avventurosa come quella.

    - Sarà meglio che vi riaccompagni a casa adesso - propose Geoffrey - Ma prima cosa ne dite di un gelato? Offro io, naturalmente -

    - Siamo appena sfuggiti ad una banda criminale che ci voleva fare fuori e hai voglia di un gelato? - lo rimbeccò Amy, a metà tra il divertito e l’incredulo.

    - Conosci qualcos’altro di più consolante del gelato? - fu la pronta risposta che suscitò una breve risata generale.

    - Ehi, Amy - avrebbe sussurrato più tardi Tails, alle prese con un cono al gusto di cioccolato e pistacchio - Credi che dovremmo avvertire Sonic di quello che è successo oggi? Insomma, di Metal Sonic e di tutto il resto? -

    - Quando sarà tornato gliene parleremo, ma non c’è fretta - ribatté la riccia rosa, mentre guardava con ammirazione Geoffrey che giocava con Cream e Cheese - Per la prima volta, sento che, anche quando non c’è Sonic, possiamo sempre contare sull’aiuto di qualcuno che sarà sempre lì per noi! -

    Shadow the Hedgehog conosceva già la strada, quindi non fu costretto a chiedere a nessuno di accompagnarlo, né tantomeno di annunciare la sua presenza. Quella volta non c’era Rouge al suo fianco, quindi non doveva sforzarsi di utilizzare quelle che lei chiamava “buone maniere” per evitare di essere ripreso. Attraversò la hall, pestando i piedi per terra come un toro inferocito, e riuscì a passare inosservato tra la solita folla di presenti, diretto verso gli ascensori. Mentre risaliva i piani del grattacielo, impaziente di arrivare a destinazione, ripensava con una vena furiosa a quanto era accaduto poche ore prima alla base G.U.N.

    Quando aveva spiegato ai suoi superiori che cos’era successo ad Omega, erano partite immediatamente le indagini su come potesse essere successo. Era stato subito interrogato l’agente Coleman, l’incaricato della sorveglianza dell’armeria, il quale aveva spergiurato che l’unica persona ad essere entrata lì dentro, e che quindi aveva avuto modo di manomettere Omega quando era in standby, era stata Rouge. Shadow aveva sbottato collericamente di fronte a quella stupidaggine. Rouge era fuori in missione con lui durante la revisione di Omega, non c’era modo in cui potesse essere stata lei la colpevole. E anche se così fosse stato, l’idea che lei potesse voler fare fuori Shadow era semplicemente ridicola.

    Coleman fu strapazzato ancora un po’, ma la sua versione non cambiava di una virgola, cosa che costrinse Shadow a credergli. Aveva anche mostrato ai tecnici il dispositivo che aveva trovato addosso ad Omega e loro furono in grado di confermare che si trattava di un sofisticato dispositivo di controllo remoto, così sofisticato da non essere facilmente reperibile in circolazione. Shadow sapeva che erano in pochi ad avere accesso ad una simile tecnologia e avrebbe immediatamente pensato al dottor Eggman se non avesse trovato sul meccanismo quella che aveva tutta l’aria di essere la firma del malfattore.

    Eppure, come il Comandante Tower si era ostinato a ripetere a Shadow, quel simbolo così identico al pomolo presente sul bastone di Jacob Garrett non era neanche lontanamente una prova sufficiente a proseguire ad un interrogatorio. Per di più, le risorse economiche di Garrett gli avrebbero facilmente fornito i migliori avvocati sulla piazza, se solo la G.U.N. avesse osato accusarlo senza delle prove più che solide… e perdere tempo in questo modo non era concepibile.

    Il Comandante aveva comunque assicurato a Shadow che avrebbero proseguito le indagini e sarebbero stati allerta. Era vero, non c’erano sufficienti elementi per formulare un’accusa contro Jacob Garrett, ma ciò che serviva alla legge, di certo non serviva a Shadow. Nulla gli aveva impedito di tornare nel grattacielo in cui era stato con Rouge in mattinata e affrontare chi credeva essere il responsabile dell’aggressione.

    Arrivato a destinazione, al cinquantesimo piano, passò di fronte all’apatica segretaria come se neanche fosse stata presente e spalancò la porta dell’ufficio. Trovò Jacob Garrett dietro la sua scrivania, impegnato a scribacchiare alcune carte il cui contenuto a Shadow non interessava. Si fece strada nella stanza e fulminò la iena con uno sguardo infuocato. Quest’ultima sollevò la testa e ricambiò l’occhiataccia con un largo sorriso al limite del maniacale.

    - Agente Shadow! - disse, con voce più alta del normale - A cosa devo il piacere di questa educatissima irruzione? -

    Shadow non si fece intimidire e posò sulla scrivania il dispositivo di controllo remoto. Garrett guardò prima questo e poi rivolse di nuovo l’attenzione a Shadow.

    - Sai cos’è questo? -

    - Oh, ho sempre adorato i quiz! - ribatté la iena, tutta emozionata - Vediamo, ad occhio e croce si tratta di uno dei comandi remoti per automi che fabbrichiamo alla MeteorTech -

    Shadow rimase decisamente spiazzato dall’ammissione spontanea del suo indagato, ma si sforzò di non darlo a vedere.

    - Allora forse saprai dirmi cosa ci faceva addosso ad un robot che collabora con la G.U.N., un mio collega per inciso, e perché questo mio collega ha cercato di farmi fuori -

    - Forse a questo suo collega non sta particolarmente simpatico, ci ha pensato, Agente? E poi, cosa le fa pensare che abbia qualcosa a che fare con la maleducazione aggressiva del suo amichetto? Questo tipo di prodotti sono in vendita al pubblico! -

    Shadow allora indicò con il dito la parte destra del piccolo dispositivo circolare, dove aveva trovato il simbolo del dado con i semi delle carte da gioco.

    - Questo per esempio! E non sono in molti i pomposi maniaci che posso mettere in relazione con questo simbolo! -

    Garrett strinse gli occhi e intrecciò le dita delle mani mentre si dondolava sulla sua poltrona, con lo sguardo di un leone che pregustava la sua preda.

    - Un bella serie di indizi! Se è così convinto di trovarsi di fronte al suo attentatore, coraggio, mi arresti! Ah, se non le spiace preferirei usare queste - ed estrasse da un cassetto un paio di manette dorate con pois neri - Quelle che avete in dotazione sono così tremendamente noiose -

    - Non sono qui per arrestarti, buffone! - sbottò Shadow, che si aspettava di riuscire ad essere almeno un briciolo più intimidatorio di quanto stesse verificando - Sappiamo entrambi che queste non sono prove sufficienti per accusarti di niente! Sono solo venuto ad avvertirti! -

    Shadow si sporse in avanti e mostrò alla iena il palmo della sua mano, dove una sfera di elettricità si stava formando, con lampi che guizzavano tra le sue dita.

    - Stai alla larga da me e stai alla larga dai miei colleghi! Se dovessi ripescarti a fare un altro di questi scherzetti, non mi impedirà nessuno di tornare qui a farti a pezzi con le mie mani -

    - Se è quello che desidera… - ribatté Garrett, inequivocabilmente divertito.

    Dopodiché Shadow fece dietrofront e abbandonò l’ufficio, non prima di aver sfogato la sua frustrazione gettando a terra i fogli su cui la iena stava scrivendo poco prima.

    - Quanto mi piace questo gioco! - esclamò Garrett, una volta rimasto solo - Ci vediamo presto… Carbonella! -

    Quindi scoppiò a ridere fragorosamente all’idea di quel nuovo soprannome.

    Altrove, in quello stesso momento, un’enigmatica ragazza si sarebbe assicurata di essere completamente da sola per fare una telefonata importante.

    - Sono Zephir. Sì, era come quell’ammasso di ferraglia aveva pensato: quei quattro bambocci erano amici di Sonic. Ho fatto come mi hai detto, li ho aiutati a scappare senza che Metallix se ne rendesse conto, anche se non è stato facile costringermi a farmi prendere per il naso. Sei sicuro sia stata la cosa migliore? Insomma, Metallix non era per niente contento, ho dovuto faticare per farmi perdonare da quel tostapane ambulante. La mia copertura poteva rischiare molto. Sì, senz’altro. Farli fuori adesso poteva essere destabilizzante per Sonic, specie considerando quello che stai preparando per lui. Non dimenticare gli accordi, però. Nel caso in cui non doveste riuscirci, Sonic è mio. Non mi importa quello che va blaterando Drake, lo voglio io. Bene, allora attenderò altre istruzioni. A presto, Seth! -

SONIC ORIGINS

    Potere.

     E’ la parola attorno alla quale ho improntato gran parte della mia vita.

     La capacità di essere in grado di fare qualunque cosa, di poter modificare la realtà a proprio piacimento, di far girare gli eventi nella ruota del destino dalla parte più favorevole.

     La sorte non è stata sempre benigna nei miei confronti. Ci sono stati molti avvenimenti che mi hanno segnato nel profondo e hanno fatto di me quello che sono oggi. Non sono un tipo che si accanisce contro il destino beffardo, che si lamenta per le sfortune e le disgrazie del proprio passato.

     E’ il mio passato che ha prodotto la mia storia ed è la mia storia che ha prodotto me.

     Io sono il frutto di ciò che mi è capitato nel corso della vita e dato che non cambierei neanche un particolare di come sono fatto, non cambierei neanche un dettaglio della mia storia, la storia di quello che tutto il pianeta ormai conosce come…

DOTTOR EGGMAN

     Avevo appena tre anni quando questa parola che avrebbe significato così tanto per me cominciò ad insinuarsi prepotentemente nella mia vita. Non ricordo molto della mia infanzia, ma sono sicuro di essere stato una peste di bambino, una cosa di cui dovrei congratularmi con me stesso. C’è solo un ricordo di quel periodo che rimane ancora vivido nella mia memoria, anche dopo tutti questi anni. E’ legato alla persona che più di chiunque altro ho considerato un modello, un’ispirazione… un padre più di quanto lo sia stato quello vero. Si trattava di mio nonno Gerald.

     - Devi scusare la nostra visita così improvvisa. So che quando sei nel bel mezzo delle tue ricerche non vuoi essere disturbato, ma Julian ha minacciato di ricominciare a sfasciare tutti gli elettrodomestici di casa se non lo avessi portato a trovarti… e, conoscendolo, è capace di mantenere la promessa! Il mio forno non è mai più stato lo stesso da quando ne ha distrutto il vetro con quel calcio. E pensare che lo avevo comprato ad una… -

     Il piccolo Julian Robotnik non riusciva a capacitarsi di quanto una persona fosse in grado di risultare irritante quando parlava a ripetizione come un pappagallo obeso. Sì, un pappagallo obeso. Era proprio la descrizione adeguata per sua madre, anche se solo tra qualche anno avrebbe capito il significato della parola “obeso” e l’avrebbe sostituita al “cicciona” nel suo profilo identificativo. Oh, ma aveva tanti altri nomi che calzavano a pennello per quella donna: “Balena bisbetica”, “Maiale schiamazzante”, “Rotolo di lardo peloso” e chi più ne aveva più ne metteva. Certo, non aveva la minima idea di cosa volesse dire la metà di quelle parole, ma gli piaceva molto accostare all’idea di sua madre dei paroloni complicati che esprimessero tutto il fastidio che provava ogni volta che la sentiva parlare. Si era divertito da matti quando aveva rivelato alle sue amiche, oche quanto lei, la sua abitudine di radersi i baffi, o meglio, quello che lei definiva “peluria naturale sotto al naso”. Come no, pensava sempre Julian. Il tricheco nei cartoni animati che gli piacevano tanto non aveva un paio di baffi folti e cespugliosi quanto quelli di lei. Stava di fatto, comunque, che nel momento in cui il piccolino aveva accennato a questa sua abitudine, accidentalmente e innocentemente come si era sforzato di far credere, il suo doppio mento tremolò come un budino e le sue guance flaccide arrossirono più di un papavero. Provava una sorta di piacere infantile nel mettere in imbarazzo quella sottospecie di balenottero logorroico di sua madre.

     Nel momento in cui nonno Gerald lo aveva preso per mano lo aveva guardato con occhi luminosi e carichi di affetto, lasciando a sua madre solo un’occhiata di sufficienza e di irritazione. Rieccola di nuovo a fare un comizio sulla nuova lavastoviglie, come se al nonno importasse qualcosa. Gerald, però, annuiva interessato, senza distogliere lo sguardo da sua figlia, anche se il tic che aveva di muovere le dita della mano destra lasciavano trasparire tutto il suo fastidio. Julian era abituato ad osservare con attenzione ogni movimento di suo nonno, quindi capì immediatamente lo stato d’animo dell’anziano parente. Si chiedeva come Gerald non avesse ancora mollato un ceffone su quello stupido faccione brutto e grasso, ma sapeva anche che l’autocontrollo e la pazienza di suo nonno erano pari solo al suo genio. Non c’era nessun altro sul pianeta che potesse essere più “figo” di suo nonno, o almeno era l’aggettivo che usavano sempre in tv per descrivere le persone che Julian invece definiva con un semplice “brave”.

     Era sempre un piacere per lui andare a trovare il nonno. Era l’unico che non lo trattava come un poppante, a differenza di sua madre la cui apprensione cronica gli impediva di farlo sentire diversamente da come si sente un cane al guinzaglio. La cosa che più adorava del tempo che trascorreva con nonno Gerald era il fatto che lo trattava da adulto, gli parlava con un linguaggio che non sempre capiva ma che comunque riusciva a farlo sentire a suo agio. E poi nel suo laboratorio c’erano così tante macchine particolari e bizzarre. Era sempre stato attratto dalla tecnologia e aveva una vera e propria passione per i robot, come i suoi numerosi giocattoli a tema potevano confermare. Il mondo di nonno Gerald era così affascinante e curioso che costituiva un vero e proprio paradiso rispetto all’ambiente noioso e opprimente di casa sua, con la sua stupida madre e il suo stupido padre.

     - Nonno Gerald? Mi fai vedere come funzionano i computer? - domandò Julian tirando il braccio di suo nonno e interrompendo la conferenza della balena obesa.

     - Adesso andiamo, Julian - replicò Gerald, contento che il bimbo gli avesse dato un pretesto buono per interrompere le chiacchiere di sua figlia - Sono contento comunque che siate venuti a trovarmi. Non rimarrò in città a lungo, sono venuto solo per sbrigare delle questioni burocratiche che riguardano la clinica in cui è ricoverata Maria -

     - Oh! Come sta la piccola? Si sente meglio? -

     - Le sue condizioni sono stabili, ma i dottori dicono che hanno in mente una nuova terapia che potrebbe farla migliorare -

     - Nonno Gerald! Nonno Gerald! - strepitava Julian - Andiamo? Andiamo? -

     Scusandosi in maniera un po’ troppo formale con sua figlia, Gerald si allontanò e si diresse verso la poltrona della sua scrivania sulla quale lui e il bambino si sedevano di solito per giocare e chiacchierare come sempre facevano.

     - Allora, diavoletto - disse il dottor Robotnik scompigliando i capelli di suo nipote come sempre faceva per stuzzicarlo - Hai qualche nuovo giocattolo da mostrarmi stavolta? -

     Con gli occhietti acquosi illuminati da una luce estasiata, Julian estrasse dalla tasca dei calzoni un piccolo razzo spaziale di plastica.

     - Ti piace, nonno? - domandò il piccolo, muovendo il giocattolo nell’aria ed imitando con la bocca il rumore di un motore.

     - E’ davvero bellissimo, Julian! Vuoi fare l’astronauta da grande? -

     - Io da grande voglio diventare proprio come te! -

     Gerald rise sommessamente. A Julian piaceva molto quella risata un po’ rauca, probabilmente perché era una caratteristica tipica del suo eroe.

     - E’ una strana coincidenza, sai? Tuo nonno in un certo senso è anche un astronauta -

     - Davvero? - replicò Julian, guardandolo a bocca aperta.

     - Davvero! Infatti sono da poco tornato da una missione super segreta nello spazio -

     - Dai, nonno, raccontami tutto! Per favore! -

     Suo nipote pendeva letteralmente dalle sue labbra. Sapeva che il modo migliore per farlo stare tranquillo era mostragli il funzionamento delle strumentazioni del laboratorio o raccontargli una delle sue storie. Era molto strano che quel bambino così piccolo fosse il suo più grande confidente in quel periodo così difficile della sua vita. Tra di loro però c’era un legame più speciale di quello che di solito c’è tra nonno e nipote. Gerald si sentiva libero di parlare con lui dei suoi importanti segreti, trasformandoli in mirabolanti avventure a lieto fine. Julian invece, godendo della sua compagnia, poteva sfuggire per qualche ora a sua madre e alle sue unghie laccate di rosso che tentavano in tutti i modi di frenarlo nella sua scoperta della vita.

     - Va bene - acconsentì Gerald, segretamente contento di poter finalmente infrangere il segreto di stato e di poter parlare ad un’anima viva di quello di cui si stava occupando - Allora, devi sapere che nello spazio attorno al nostro pianeta esiste una grande astronave che si chiama ARK. In questa astronave tuo nonno lavora insieme a tante altre persone per costruire un giocattolo molto molto speciale. Si chiama Shadow ed è una specie di super eroe! Il suo scopo, una volta che sarà stato completato, sarà di aiutare tua cugina Maria a guarire dalla sua brutta malattia. Però gli ostacoli sul percorso sono molti. Ci sono degli uomini cattivi che non si fidano di tuo nonno e che vogliono mettere le mani sul suo giocattolo perché temono che possa usarlo per fare cattiverie -

     - E tu li hai fatti tutti fuori, vero, nonno? - chiese Julian, affascinato dall’uomo che aveva di fronte - Li hai messi al tappeto con calci e pugni! -

     - E’ proprio quello che succederà se gli uomini cattivi tenteranno di rubare l’invenzione di tuo nonno. Adesso Shadow e Maria riposano tranquillamente nell’ARK e io continuerò a proteggerli fino a quando sarà il momento giusto -

     - Il momento giusto per cosa? -

     Gerald sorrise e stampò un bacio sulla fronte di Julian.

     - La prossima volta che ci vedremo ti racconterò il resto. Mi raccomando, questo è un segreto tra noi due, d’accordo? Non farne parola con tua mamma. Non le ho detto dove si trova davvero Maria e non sa niente di Shadow -

     Julian storse la bocca al solo pensiero di rivolgere la parola a quella stupidissima gallina.

     - Puoi contarci, nonno! -

     L’affetto nel modo in cui Gerald guardava suo nipote era più che evidente.

     - Sono sicuro che da grande diventerai un grande scienziato come tuo nonno -

     In quel momento di cinquanta anni fa, Gerald Robotnik non si rendeva conto di quanto la sua previsione si sarebbe rivelata esatta.

    Quello fu l’ultimo giorno in cui vidi mio nonno Gerald. Dopo non lo avrei più rivisto. I miei genitori ci misero fin troppo tempo per dirmi che ne era stato del più grande eroe della mia infanzia. Non si degnarono di dirmi che era stato arrestato dai G.U.N., ma tentarono di indorare la pillola di quella notizia per paura che potesse turbarmi. Fatica del tutto inutile! Non appena mi resi conto che non avrei mai più potuto parlare con mio nonno, piansi, urlai e strepitai più di quanto avessi mai fatto in tre anni della mia vita, distruggendo praticamente ogni cosa che mi capitasse a tiro in quella casa. Quel momento non lo ricordo solo perché è stato l’apoteosi della mia infanzia da pestifero, ma perché fu anche il momento in cui mi ripromisi con più convinzione di sempre che sarei diventato esattamente come mio nonno Gerald… e il giorno in cui riuscii ad arrivare di un passo più vicino a quel traguardo è stato il giorno della mia laurea in ingegneria elettronica. Sentirmi chiamare dottor Robotnik era per me una soddisfazione immensa, perché potevo essere fiero di portare il nome del più grande scienziato che avessi mai conosciuto.

     Un traguardo era stato raggiunto ed era l’ora di puntare a qualcos’altro… un obiettivo molto più in alto. Non venni mai a sapere il motivo dell’arresto e della fucilazione di mio nonno da parte dei G.U.N. I segreti del governo erano qualcosa di inespugnabile persino per un genio come me. Però sapevo che avrei potuto trovare parte delle risposte che cercavo nel luogo più significativo della vita di mio nonno: la sua torre-laboratorio. I G.U.N. l’avevano fatta sgombrare e chiudere per sempre, ma non fu un problema per me introdurmici di soppiatto. C’erano ancora alcuni dei documenti che mio nonno aveva stilato sulle ricerche che aveva condotto durante la sua lunga carriera di scienziato. Avevo trent’anni quando mi sono imbattuto nei due progetti che forse hanno determinato in modo preponderante il mio futuro.

     Il solo pensare che quella torre ormai diroccata, polverosa e ricoperta da ragnatele in ogni angolo era un tempo la dimora che ospitava uno dei geni più grandi di tutto il pianeta faceva ribollire il sangue nelle vene di Julian mentre si addentrava nei corridoi bui e deserti con l’unica compagnia del fascio di luce di una torcia elettrica. Se il suo nonnino avesse potuto vedere cosa ne era rimasto della sua gloriosa eredità sicuramente sarebbe andato su tutte le furie. Quegli stupidi omuncoli del governo non avevano la più pallida idea di quello che si rischiava a sfidare in quel modo un Robotnik. Avevano la pelle più dura del diamante e uno spirito combattivo degno di un leone. Era sicuro, infatti, che suo nonno Gerald avesse lottato con tutte le sue forze per opporsi all’arresto da parte della G.U.N. e magari che avesse lasciato un raffinato piano di vendetta che avrebbe fatto pentire tutti coloro che avevano osato mettersi contro un uomo della sua intelligenza.

    Julian era così immerso nei suoi pensieri che si accorse solo in quel momento di essere arrivato nell’archivio della torre, la stanza in cui suo nonno teneva tutte le registrazioni e le documentazioni del suo lavoro e dei suoi progetti. Non era la prima volta che si addentrava nell’edificio abbandonato. Era dal giorno stesso della sua laurea che era diventato un assiduo frequentatore del luogo che considerava una specie di altare votivo alla memoria del genio di suo nonno, oltre ad una riserva infinita di informazioni di carattere tecnico-scientifico. Esattamente come aveva fatto una dozzina di altre volte in precedenza, forzò il sistema elettronico di chiusura della porta blindata e quella si aprì sferragliando fastidiosamente a causa della ruggine che ricopriva i suoi cingoli. Storse il naso quando l’odore acre di chiuso gli bruciò nelle narici una volta varcata la soglia, ma non se ne curò più di tanto. Il suo obiettivo erano i fascicoli ricoperti di polvere riposti negli scaffali dell’archivio. Era rimasto a metà della lettura di un progetto che suo nonno Gerald aveva abbandonato tempo fa, un progetto che stuzzicava incredibilmente la fantasia di Julian. Qualcuno potrebbe chiedersi se non sarebbe stato più facile per lui prendere i documenti che gli servivano e andare a consultarli in un posto più illuminato e confortevole, ma Julian sentiva inconsciamente che il lavoro di suo nonno non dovesse abbandonare le mura entro il quale era stato svolto. Era una sorta di modo per onorare la sua memoria rimanere lì dentro a studiare e ad assorbire tutta la conoscenza che Gerald si era lasciato alle spalle.

     C’era un voluminoso dossier riguardante il progetto intitolato semplicemente “Robotnik”. In cima al malloppo di fogli di carattere tecnico-illustrativo c’era un appunto di suo nonno. Aveva letto e riletto quel messaggio intriso di malinconia, maledicendo più volte il loro disgustoso governo e l’avidità del genere umano. L’appunto recitava così:

     “Quando molti anni fa ho progettato il robotizzatore speravo di aiutare il genere umano perchè volevo contribuire a rendere la qualità della vita delle persone migliore di quanto non sia in realtà. I miei sogni però non sembravano conciliarsi con le esigenze di chi è al potere in questo nostro mondo. La tecnologia che ho ideato permette di trasmutare i tessuti organici più fragili in tessuti meccanici più robusti. Con il trapianto di questi nuovi organi artificiali sarebbe stato possibile allungare di molto la prospettiva di vita dei soggetti affetti da gravi malattie. Tuttavia, non avevo considerato che debellare i malanni significava rendere inutili i medicinali, quindi negare alle case farmaceutiche un sostanzioso guadagno continuo. Il mio progetto è stato bocciato ed ora giace in questo archivio come monito di quanto l’avidità umana superi lo spirito di comunione”

     Era stato il triste resoconto degli sforzi non ricompensati di suo nonno a far crescere in Julian un odio profondo per il genere umano. Sarebbero stati loro stessi la causa della loro distruzione un giorno, di questo ne era sicuro.

     A quanto pareva, però, anche Gerald non era del tutto soddisfatto del mondo in cui viveva, a giudicare dal progetto incompleto più stupefacente in cui Julian si fosse imbattuto fino a quel momento. Rinchiuso in un’area di massima sicurezza della torre, una zona così ben sigillata che Julian riuscì a violare solo dopo molti tentativi, c’era un dispositivo meraviglioso la cui funzione rasentava quasi la fantascienza. Se non avesse rinvenuto gli appunti di suo nonno, non sarebbe mai riuscito a capire a cosa servisse quel grande cerchio di metallo dorato.

     “Il Macroverso è un argomento che mi ha sempre affascinato. La vastità teorica del tessuto dimensionale che metterebbe in connessione sterminati mondi con il nostro è qualcosa allo stesso tempo terrificante e stupefacente. Purtroppo, nelle condizioni in cui versa attualmente la mia vita pensare alla pace di altri mondi è l’unica fonte di conforto. La mia amata nipotina Maria sta peggiorando di giorno in giorno e temo sempre di più che i G.U.N. vogliano sottrarmi il progetto Shadow a cui ho lavorato sin da quando ho scoperto la malattia di Maria. Sono stanco di tutto questo. Certe volte desidererei fuggire via dalla Terra insieme alle persone che amo. E’ un desiderio che si è fatto sempre più vivido e reale nella mia mente da quando Black Doom mi ha parlato del Macroverso¹ e mi ha aiutato a costruire questa macchina, anche grazie agli stupefacenti dati che sono riuscito ad estrapolare dal Gizoide². Non mi fido completamente di lui e non credo di avere il coraggio di azionarla per vedere se è davvero in grado di aprire le porte di un nuovo mondo. Per il momento devo solo concentrarmi su Maria e sul progetto Shadow. La vita della persona più cara che mi è rimasta al mondo dipende da me… non posso fuggire… devo continuare ad andare avanti…”

¹ In Shadow the Hedgehog (2005) si scopre che Gerald Robotnik ha collaborato con Black Doom nella creazione di Shadow.
² In Sonic Battle (2003) si scopre che il Gizoide ribattezzato Emerl da Sonic fu per la prima volta rinvenuto proprio da Gerald Robotnik.

     Una macchina per creare degli esseri robotici. Una macchina per viaggiare attraverso altri mondi. In quel momento Julian non se ne rendeva ancora completamente conto, ma aveva tra le mani tutta l’eredità di suo nonno, un’eredità che gli avrebbe permesso di cambiare il significato della sua personale interpretazione della parola “potere”.

     Mio nonno Gerald possedeva un talento e un genio che, devo ammetterlo, superavano di molto le mie reali capacità, ma non le mie potenzialità. Impiegai gli anni successivi nel cercare di riprendere il lavoro di mio nonno da dove lo aveva lasciato. Il suo robotizzatore era una macchina troppo incredibile e affascinante perché rimanesse a marcire nella polvere della sua vecchia torre-laboratorio. Non fu semplice raccogliere i pezzi di ciò che il nonno aveva lasciato e rimetterli insieme in modo coerente, ma quando avevo ormai cinquant’anni la meta non sembrava poi tanto lontana… almeno fino al giorno in cui parlai con l’ultima persona con cui mi aspettavo di parlare.

     Quella voce lo fece sobbalzare, non tanto perché fosse particolarmente imperiosa o minacciosa, ma perché non si sarebbe mai aspettato che un’altra anima viva a parte lui avrebbe calpestato il suolo di quella torre che tutti credevano abbandonata e in disuso. Un cinquantenne dottor Julian Robotnik, infatti, aveva trascorso gran parte della sua vita nel rimettere in sesto il vecchio laboratorio di suo nonno. Aveva sostituito i meccanismi delle porte blindate, aveva ordinato le sale e riparato la maggior parte dei sistemi di controllo e, anche se c’era ancora molto lavoro da fare, era soddisfatto di poter chiamare quella torre “il suo regno”. Gran parte del suo lavoro era stato però concentrato nella costruzione e nel perfezionamento del robotizzatore, un suo piccolo omaggio alla memoria di un grand’uomo che non desiderava altro che aiutare la gente. Per molti anni aveva trascorso ore del suo tempo nella solitudine di quel luogo silenzioso, per cui fu una vera sorpresa per lui sentirsi chiamare alle spalle da una voce sconosciuta.

     Quando si fu voltato, i suoi occhi registrarono attraverso le lenti degli occhialini l’immagine di un uomo di mezza età in divisa. Il suo volto severo era segnato dall’età, ma ciò non aveva intaccato la sua bellezza statuaria. Le sue due pupille, curiosamente di due colori diversi, esercitavano uno strano potere magnetico con il loro sguardo penetrante. Era impossibile confonderlo con altri, non solo perché Julian lo conosceva di fama, ma anche perché sulla sua divisa scura, pluridecorata da medaglie, si stagliava in bella vista il logo tanto odiato: G.U.N.

     - Buonasera, dottor Robotnik! - lo salutò l’uomo, anche se nella sua voce non c’era neanche un briciolo di cordialità.

     Di tutte le domande che in quel momento Julian avrebbe potuto porgli solo una riuscì a farsi strada nella sua mente e ad arrivare alla bocca, arricciata in un segno di grande fastidio.

     - Che cosa ci fai lei qui? -

     - Potrei farle la stessa domanda - rispose lui - Di solito gli scienziati non frequentano vecchie torri diroccate, anche se, da quello che posso vedere, non è più tanto diroccata -

     Ci fu un attimo di silenzio. I due si studiarono a fondo, tentando entrambi di capire le vere intenzioni dell’altro.

     - Sa chi sono io? -

     - Certo che lo so! - replicò Julian, sprezzante - Abraham Tower, comandante della G.U.N.! Come potrei non conoscerla considerando che l’organizzazione per cui lei lavora è responsabile della morte di mio nonno! -

     Il comandante non fece una piega. Era un uomo di principi abbastanza saldi da non farsi scoraggiare dalle accuse di altri.

     - Non voglio tentare di convincerla che la G.U.N. non abbia nulla a che fare con la sparizione di Gerald Robotnik perché sarebbe una perdita di tempo -

     - La chiama sparizione? - sbottò il dottore - I suoi sporchi soldati lo hanno condannato a morte per fucilazione! -

     - Non sono certo qui per parlare di questo - ribatté il comandante - I miei uomini stanno seguendo i suoi movimenti sospetti da diverso tempo. Questo laboratorio è rimasto chiuso per cinquant’anni e sarei davvero curioso di sapere che cosa lei ci trova di tanto interessante -

     - Non sono affari suoi dove decido di trascorrere il mio tempo libero! -

     - Di certo non sono affari miei, ma lo diventano del governo se si tratta di una struttura chiusa dagli agenti perché potenzialmente pericolosa -

     - Ma certo! - esclamò Julian, cominciando ad accalorarsi - Il governo ritiene pericolosa qualunque cosa che possa ostacolare le sue sporche speculazioni! E’ a causa del suo caro governo se mio nonno non è riuscito a realizzare i suoi sogni di aiutare la gente che tiranneggia dalla mattina alla sera! -

     - Io non sono responsabile delle azioni del mio governo, ma ho il compito di far rispettare la legge... e quello che lei sta facendo qui è del tutto fuorilegge -

     - Quindi cosa ha intenzione di fare? Arrestarmi? - lo sfidò Julian, totalmente fuori di sé dalla rabbia.

     - Avrei già dovuto farlo. E se non l’ho fatto è semplicemente perché io, più di chiunque altro, comprendo il suo dolore -

     Solo in quel frangente, Julian rimase senza parole, sicuro di non aver compreso a fondo quello che il comandante gli aveva detto. Tower ne approfittò per spiegare meglio le sue motivazioni.

     - Gerald Robotnik è stato come un padre per me. Sono cresciuto con lui e con Maria, le uniche due persone che sono state in grado di non farmi sentire un orfano. La loro scomparsa è stata l’avvenimento più tragico di tutta la mia vita, ma non è dando la colpa alla G.U.N. che io e lei riusciremo a superare il dolore. Non ho ordinato subito il suo arresto e sono venuto qui da solo a parlarle perché l’ultima cosa che desidero è far finire in catene un altro Robotnik. Io la rispetto come rispettavo suo nonno, ma ciò non vuol dire che me ne starò con le mani in mano e le lascerò infrangere la legge. Questo è il primo ed ultimo avvertimento che riceverà da me, dottor Robotnik! Abbandoni questa torre e dimentichi di esserci mai stato! Se i miei uomini la rivedranno ancora da queste parti, allora ordinerò il suo arresto e le posso assicurare che non sarà affatto una cosa piacevole -

     Abraham Tower non diede modo al suo interlocutore di concedergli anche una minima risposta. Dopo il suo monito perentorio, girò sui tacchi e si diresse a passo svelto verso l’uscita della sala, lasciandosi alle spalle uno sbigottito, ma non per questo meno furente, Julian Robotnik.

     La storia sembrava avere il vizio di ripetersi. Esattamente come mio nonno prima di me, stavo per essere ostacolato e tiranneggiato dalla G.U.N., un branco di patetici soldatini che credeva di poter giocare con il genio della famiglia Robotnik e poi di buttarlo via quando non ce ne fosse stato più bisogno. Si sbagliavano. Si sbagliavano di grosso. Il Comandante si aspettava che avrei sgombrato la mia base entro ventiquattro ore, ma avevo intenzione di opporre una strenua resistenza alla sua insensata ostinazione. Purtroppo però, non avevo calcolato che quell’azione sovversiva avrebbe per sempre cambiato la mia vita.

     Quella sera stessa, attivai il nuovo generatore elettrico che avevo installato nella torre perché distribuisse energia a tutto l’edificio. Mai avrei potuto calcolare che la rete della corrente avrebbe portato energia anche alla macchina che mio nonno aveva sigillato in un’area del palazzo. Ci fu un sovraccarico di tensione, la macchina si attivò con effetti del tutto imprevisti. Funzionava! Funzionava davvero! Mio nonno Gerald era riuscito a creare un dispositivo che metteva in comunicazione la Terra con le altre dimensioni del Macroverso. L’intera torre venne risucchiata nel portale che si era aperto a causa di quel sovraccarico… ed io con lei. Fu così che mi ritrovai di punto in bianco in un mondo del tutto nuovo e sconosciuto… eppure molto simile alla Terra. Mi ritrovai su Mobius.

SONIC ORIGINS

DOTTOR EGGMAN

    Mobius era uno strano pianeta, popolato solo ed esclusivamente da animali parlanti. Le caratteristiche fisiche ed astronomiche erano attribuibili ad un pianeta simile alla Terra, peccato però che non ci fosse uno straccio di essere umano a parte me. Era una situazione bizzarra, strana, nuova e colma di allettanti possibilità. Ero su un pianeta dominato da creature apparentemente meno intelligenti di me, con una torre piena zeppa di strumentazioni all’avanguardia, senza possibilità di tornare indietro… ma avevo davvero bisogno di farlo? Il dispositivo di mio nonno era andato completamente distrutto e non avevo la più pallida idea di come ripararlo, ma avrei davvero dovuto farlo? Dovevo riflettere… dovevo capire come potevo sfruttare questa situazione a mio vantaggio. Se sulla Terra il genio dei Robotnik era stato sminuito e trattato con sufficienza, forse su Mobius le cose sarebbero andate diversamente. Avevo bisogno prima di tutto di diverse cose: di aiutanti…

     Il dottor Robotnik aveva messo a punto gli ultimi collegamenti ed era pronto ad azionare le batterie di Prototipo-Orbot e Prototipo-Cubot. Era così che aveva deciso di chiamare i suoi due nuovi robot assistenti. Era sicuro che il loro aiuto sarebbe stato fondamentale nel destreggiarsi in quel nuovo mondo inesplorato. Azionò la leva che avrebbe dato energia ai loro due corpi metallici e attese con ansia un loro segno di vita.

     - Mamma! - dissero in coro agitando le braccia come dei neonati.

     Che qualcosa fosse andato storto? Anche negli anni a venire se lo sarebbe domandato, ma avrebbe solo concluso che, evidentemente, ogni assistente che aveva il malaugurato compito di costruire per qualche strano scherzo veniva fuori con un cervello di gallina… altro che intelligenza artificiale.

     …avevo bisogno di materia prima per le mie creazioni e, fortunatamente, era una cosa che su Mobius non scarseggiava affatto. Tutto il pianeta era disseminato da strani anelli dorati fatti di un metallo pregiatissimo, molto malleabile e ideale per essere lavorato. Ce n’era in abbondanza ovunque e più veniva raccolto, più si generava spontaneamente. Era davvero incredibile. Però, più di qualunque altra cosa, avevo bisogno di studiare gli esseri che popolavano il pianeta. Volevo sapere esattamente di cosa erano capaci e in quanto si differenziavano da noi esseri umani.

     Fu proprio così che conobbi quella che considero la piaga della mia vita… ma senza la quale non so come avrei fatto ad andare avanti fino ad ora.

     - Vediamo se ho capito bene. Non devo fare altro che correre a più non posso davanti a me e questo aggeggio assorbirà l’energia dei Ring? -

     La voce del riccio blu era incredibilmente irritante per il dottor Robotnik. Dal momento stesso in cui l’aveva incontrato aveva provato una punta di fastidio per i suoi modi di fare schietti e il suo tono di voce che nascondeva sempre un briciolo di sarcasmo e di canzonatura. Se non avesse avuto bisogno di lui per i suoi esperimenti sulla misteriosa energia che possedevano i Ring, non ci avrebbe pensato due volte a farlo girare al largo. Purtroppo, era l’unica creatura su Mobius che aveva conosciuto in grado di correre così rapidamente da infrangere la barriera del suono. La dinamo che aveva costruito per assorbire l’energia degli anelli doveva necessariamente funzionare ad una velocità che solo quel tale, Sonic, poteva raggiungere.

     - Precisamente - rispose lui, tentando di risultare sempre gentile e cordiale - Non avrei chiesto il tuo aiuto se non fosse assolutamente indispensabile. La scienza te ne sarà riconoscente quando avrò usato i risultati delle mie ricerche a beneficio di Mobius -

     - Ehi, chi sono io per non dare una zampa alla scienza? - replicò il riccio, scherzosamente.

     - Ehm… già, come no. Puoi cominciare quando vuoi -

     Ancora prima che Robotnik ebbe chiuso la bocca, Sonic cominciò a correre dentro l’enorme ruota metallica che gli ricordava molto quelle per i criceti. Lo sferragliare delle catene e dei cingoli del dispositivo rimbombarono di colpo nell’ampia sala della base. Collegata alla ruota da un intrico di cavi elettrici, c’era una macchina più piccola dalla forma quadrata che incorporava una cupola all’interno della quale splendevano un paio di anelli dorati. La velocità che il riccio blu stava raggiungendo aveva dell’incredibile.

     - Perfetto! Adesso puoi cominciare a rallentare - disse Robotnik una volta che vide che gli indicatori di energia stavano raggiungendo il loro picco massimo.

     Il riccio, però, non diede segno di averlo sentito e continuò a correre sempre più veloce con un sorriso divertito stampato in volto. I circuiti della ruota cominciarono a dare segni di cedimento. Dei piccoli sprazzi di scintille esplosero tra le lamiere.

     - Sonic! Può bastare! Fermati! - ripeté ancora il dottore.

     Nessun risultato. La rapidità con il quale il riccio si muoveva lo stava trasformando in un lampo sfocato di colore blu. Di lì a poco avrebbe infranto la barriera del suono.

     - Dannazione! Ti decidi a fermarti, riccio della malora? - sbraitò Robotnik, ma ormai era troppo tardi.

     L’accumulatore di energia esplose in una nube di fumo e scintille e la cupola che proteggeva i Ring andò in mille pezzi. I sostegni che piantavano a terra la ruota metallica cedettero e l’enorme massa ferrosa piombò sul pavimento con un tonfo pauroso. Sonic saltò in avanti un secondo prima del botto, carico di adrenalina per la sua prestazione di poco prima. Il suo corpo era circondato da un curioso alone dorato. Aveva appena sollevato in alto i pugni in segno di vittoria quando i due anelli vibrarono senza controllo e fluttuarono di colpo verso le mani del riccio, come attratti da una forza magnetica. Senza neanche rifletterci, Sonic li strinse nelle mani e ci fu un leggero bagliore luminoso che trasparì tra le sue dita. Si sentì improvvisamente carico di una potenza incredibile e, senza neanche rendersene conto, si ritrovò appallottolato su sé stesso. Fu come se nei suoi muscoli si fosse diffusa una carica elettrica potentissima. Saettò come un proiettile da una parte all’altra della sala, rimbalzando su ogni superficie che toccava e distruggendo di conseguenza qualunque cosa gli capitasse a tiro. Una volta che la carica si fu esaurita, ripiombò con i piedi a terra e festeggiò con una specie di buffo balletto. Il dottor Robotnik si sarebbe strappato i capelli, se ne avesse avuti, di fronte al disastro che quel piccolo demolitore aveva provocato.

     - Whoa! Hai visto che roba, doc? Ora so come ci si sentono le palline da flipper! - esultò Sonic, molto più festoso di quanto si sentisse il dottore - Che cosa ne dici? Ha funzionato l’esperimento? -

     - Direi proprio di no, considerando che sei stato tu ad assorbire l’energia degli anelli e non il mio accumulatore! - ringhiò Robotnik - Per colpa tua adesso dovrò ricominciare tutto daccapo! -

     - Ehi, frena, bello! - replicò il riccio, indispettito - Sei stato tu a chiedere il mio aiuto. Se non ti andava bene il mio modo di fare avresti dovuto dirmi di fermarmi -

     - E’ proprio quello che ho fatto, sapientone! -

     - Ah, ecco da dove veniva quella voce - mormorò Sonic - Era più divertente continuare a correre, però. Hai visto a che velocità ero arrivato? -

     Per un attimo sembrò essere dispiaciuto, ma poi scoppiò in una fragorosa risata come se non fosse successo nulla, cosa che fece infuriare ancora di più il dottore.

     Non potevo crederci. Era quella la ricompensa per i miei sforzi mirati ad aiutare quelle ingrate bestiole? Anche su Mobius, come sulla Terra, le persone pensavano solo ai loro interessi? Il genio dei Robotnik sarebbe stato calpestato su Mobius come sulla Terra avevano fatto con mio nonno? Parola d’onore di Julian Robotnik, tutto quello non sarebbe mai e poi mai successo.

     Se davvero la società di Mobius era ipocrita come quella terrestre era ora che le cose cambiassero. Possedevo un genio fuori dal comune e disponevo dei mezzi necessari perché ci fosse una grande rivoluzione. Avevo il sacrosanto diritto di governare quegli stupidi animali per creare l’utopia perfetta. Non ero riuscito a farlo sulla Terra, ad aiutare la gente come mio nonno aveva voluto, ma adesso avrei aiutato le persone di un altro pianeta come io volevo. Nessuno avrebbe potuto intralciarmi. Avrei usato il robotizzatore di mio nonno per annullare ogni tipo di libero arbitrio. Avrei creato una società perfetta sulla base di metallo e circuiti, cosicché il genio dei Robotnik sarebbe stato finalmente temuto e rispettato. Al diavolo tutti gli esperimenti! Nessuno avrebbe mai più osato opporsi a me!

     Purtroppo anche su quello c’era un margine di errore. Negli anni a venire avrei tentato in tutti i modi di robotizzare ogni essere vivente su quell’ingrato pianeta, ma sarei sempre stato ostacolato da lui… Sonic the Hedgehog… il mio più grande nemico. Avrei cercato di creare un esercito dei miei Badniks, ma lui lo avrebbe sbaragliato. Avrei tentato di lanciare in orbita una stazione spaziale che avrebbe robotizzato in un solo colpo ogni creatura vivente, ma lui l’avrebbe distrutta. Avrei tentato di impossessarmi del potere dei Chaos Emeralds, ma lui mi avrebbe fermato. Era poco più di un gioco per lui, un modo per ingannare il tempo, il suo sport preferito… rompere le uova nel mio paniere. E più il tempo passava, più attorno a lui si radunava una cerchia di compari che lo aiutavano a sventare i miei piani volta dopo volta… volta dopo volta…

     Anche ordire il piano più ambizioso che potessi architettare servì solo a far precipitare le cose con conseguenze disastrose… o interessanti, a seconda dei punti di vista. Nel tentativo di mettermi i bastoni tra le ruote, come suo solito, Sonic danneggiò il macchinario che avevo progettato per assorbire l’energia dei sette Chaos Emeralds, scatenando inavvertitamente il fenomeno del Chaos Control. Fu così che mi ritrovai catapultato di nuovo sulla Terra, questa volta in compagnia dei miei odiati avversari. Anche se il campo di battaglia era improvvisamente cambiato, altrettanto non si poteva dire per la persistenza di Sonic e della sua combriccola. Pensavo che sarebbero rimasti disorientati dalla nuova imprevista situazione, ma sulla Terra ebbero modo di ambientarsi facilmente. Certo, dovettero passare degli anni, ma l’opinione pubblica si dimostrò favorevole e benevolente nei confronti di tutti i mobiani piombati sul pianeta… e sfavorevole nei confronti di un loro simile, di un genio come il mio.

     Continuai ad ordire le mie sinistre trame di conquista e di vendetta anche sul mio pianeta natale, ricorrendo persino ai segreti nascosti nel passato di Mobius e nel passato di mio nonno.

     Fu proprio nei giorni in cui tentai di utilizzare la potenza di Chaos a mio vantaggio che Sonic decise di sferrare il suo ennesimo tiro mancino: privarmi della mia identità.

     - Guarda, Tails! - esclamò Sonic, indicando il dispositivo volante che ben conosceva che stava spuntando in salita dal burrone - E’ un uovo gigante parlante! -

     - Silenzio! - sbraitò l’uomo a bordo del veicolo - Io sono il dottor Robotnik! Il più grande genio del mondo! -

     - Certo, come no… Eggman! - replicò il riccio, con un sorriso beffardo.¹

     Nacque tutto come una delle sue tipiche prese in giro, ma col passare del tempo diventò qualcosa di molto più grande. Il vizio di chiamarmi “dottor Eggman” fu trasmesso da lui ai suoi amici, dai suoi amici a tutti i loro conoscenti, dai loro conoscenti a tutto il pianeta. Il famigerato genio del male, dottor Ivo Julian Robotnik fu costretto a diventare dottor Eggman. Se avessi continuato a chiamarmi con il mio vero nome, nessuno mi avrebbe più riconosciuto. Così, volente o nolente, fui costretto a riferirmi a me stesso come dottor Eggman. Sonic poteva privarmi del mio nome di battesimo, ma non del mio genio.

    Più il tempo passava e più diventava una questione di principio impossessarmi di qualunque pianeta avessi tra le mani per realizzare il sogno di un’utopia robotica. Terra o Mobius non faceva differenza. Per troppo tempo i Robotnik erano stati maltrattati e calpestati e non sarebbe stato certo un porcospino blu a portare avanti questa triste tradizione di famiglia. Ho tentato e ritentato di imporre la mia legge in tutti i modi possibili: riesumando il grandioso progetto Shadow di mio nonno e i suoi studi sul Gizoide, oppure costruendo una gigantesca flotta aerea da battaglia, ma c’era sempre qualcosa che andava storto.

     Le sconfitte per mano di Sonic continuavano a crescere e le mie risorse cominciavano ad esaurirsi sempre di più. Alla fine avvenne: Sonic e la sua penosa banda, con la collaborazione della G.U.N. sferrarono l’attacco decisivo nel cuore del mio impero, a Metropolis. E fu lì che decisi di interrompere ogni resistenza e lasciar credere loro che fossi scomparso per sempre, in modo da trascorrere i successivi anni a tramare nell’ombra, a recuperare forze e risorse per tornare in scena in grande stile.

     Ancora una volta, però, i miei propositi furono ostacolati dalla comparsa sulle scene dei Nocturnus, piccoli subdoli ladri che furono tanto stolti da appropriarsi di mie vecchie creazioni per nascondere i loro piani. Fui costretto ad uscire allo scoperto e a stringere un’alleanza con il tanto odiato Sonic… ma sapevo già come sfruttare la situazione a mio vantaggio. E fu così che, approfittando dell’assenza di quel riccio da strapazzo, impegnato a Twilight Cage, ebbi tutto il tempo necessario per riorganizzare le mie forze, la mia armata e il mio impero. Il dottor Eggman era ancora una potenza da temere!²

     Potere.

     Sin da bambino, mentre ammiravo l’incomparabile genialità di mio nonno Gerald.

     Sin da quel momento ero consapevole che il potere era tutto. Mio nonno disponeva di una mente fuori dall’ordinario che gli conferiva il potere di fare praticamente tutto ciò che volesse.

     Io ho ereditato questo suo dono ma, esattamente come era successo a lui, c’è stato da sempre qualcuno che ha tentato di opporsi al mio desiderio di metterlo in pratica. Questo, però, non ha alcuna importanza.

     La vita mi pone sulla strada ogni giorno degli ostacoli, ma non saranno certo questi ad impedirmi di realizzare il mio sogno. Ho capito qual è il mio posto in questo universo. Ho capito il diritto che il mio intelletto superiore mi conferisce. Sonic the Hedgehog o chi per lui può continuare per tutto il tempo che vuole la sua ridicola opposizione… ma lo so che alla fine uscirò trionfante io.

     Io sono Eggman! E questo nessuno potrà mai cambiarlo!

L'equilibrio del potere (Prima parte)

    “Casa, dolce casa” è un modo di dire che esprime in maniera riduttiva la sensazione di benessere che si prova quando si fa ritorno in un ambiente familiare dopo un lungo periodo passato altrove. Specialmente quando è un modo di dire che si applica a qualcuno come Knuckles the Echidna, così profondamente legato alle radici che lo tengono ancorato al suo suolo natio. Ogni volta che gli capitava di rimettere piede su Angel Island dopo un lungo viaggio, capiva che l’aria non poteva essere così fresca e pura in nessun altro luogo, che il silenzio e la quiete non potevano essere più dolci da nessun’altra parte… che non c’era un paradiso migliore di quello.

    Si fece strada tra la rigogliosa vegetazione, percorrendo il familiare sentiero in terra battuta che conduceva all’altare del Master Emerald, con dei melodiosi cinguettii ad accompagnarlo. Sotto il braccio, trasportava il pesante tomo che aveva trovato a Loranna Valley, ansioso di raggiungere il luogo che chiamava casa per poterlo esaminare accuratamente. Avrebbe potuto farlo prima di intraprendere il viaggio di ritorno, questo è vero, ma qualcosa in lui gli suggeriva che sarebbe stato pronto ad assorbire le eventuali informazioni che ci avrebbe trovato all’interno solo se si fosse trovato a casa sua. Era una sorta di implicito rituale, una cerimonia rispettosa per cui considerava giusto scavare nel suo passato solo nel posto in cui ci si respirava l’aria.

    Quasi aveva dimenticato del tutto i motivi che lo avevano spinto nella ricerca. Quasi non gli importava più un fico secco del Cenacolo di Argus e del modo in cui era stato tratto in inganno da uno di loro. Tutto ciò che gli interessava era battere la pista che lo conduceva a scoprire i segreti della sua stirpe, finché questa pista era ancora calda.

    Non appena fu arrivato a destinazione, sollevò lo sguardo per verificare la presenza della grande gemma verde splendente a cui faceva la guardia. Era un’abitudine inconscia la sua, un istinto sviluppato negli anni, anche se lo faceva sentire sempre stupido; se lì non fosse stata, non sarebbe stato costretto ad arrivare sull’isola per via aerea, quindi non ci sarebbe stato bisogno di controllare. Salì di corsa i gradini della scalinata di pietra e, una volta in cima, appoggiò con cura il libro per terra. Si sedette, incrociando le gambe, e, non prima di aver respirato profondamente, si preparò a sfogliare il volume per esaminarne con cura il contenuto. Solo dopo quasi un’ora la sua attenzione, così concentrata su quelle pagine, si sarebbe spostata sull’oggetto che era appoggiato al Master Emerald, poco lontano da lui… un uovo di echidna.

    Difficilmente Knuckles sarebbe riuscito ad immaginare che, a centinaia di chilometri da lui, un’altra catena di eventi imprevisti stava per mettersi in moto, anche se non sarebbe stato altrettanto difficoltoso indovinare chi ne sarebbe stato il protagonista. Dopo un lungo viaggio aereo, il riccio blu noto come Sonic aveva appena messo piede per terra, lasciandosi alle spalle il fido Tornado nella rimessa dove solitamente riposava le ali tra un’avventura e l’altra.

    Non si poteva certo dire che non avesse avuto tempo di pensare a tutto quello che era successo di recente, mentre solcava i cieli e si avvicinava sempre di più alla sua destinazione. Rivedere Christmas Island, affrontare i turbamenti della sua infanzia relativi ai suoi genitori e, come ciliegina sulla torta, prendere a calci ogni centimetro del fondoschiena corazzato di Drake aveva regalato a Sonic una nuova sferzata di energia che sapeva non si sarebbe esaurita tanto facilmente. Gli era capitato di ripensare a tutte le minacce che si era ritrovato ad affrontare nel corso degli anni, a come ne era sempre uscito vincitore e non vedeva perché, anche in quella circostanza, non poteva essere lo stesso. Certo, c’era quella piccolissima voce nella sua testa che continuava, come un tarlo che rode il legno, a farsi strada nella parte più razionale di lui. Era una voce che non smetteva di alimentare il dubbio postogli da Drake riguardo alle sue origini, alla legittimità o meno di quanto lui andava affermando, ma decise di non pensarci e di mettere a tacere ogni preoccupazione.

    Aveva rimuginato molto, ma non aveva ancora avuto modo di mettere a parole tutti i suoi pensieri. Fu per questo che la prima cosa che venne in mente di fare a Sonic appena tornato dal suo viaggio fu di catapultarsi a casa di Tails, per sincerarsi delle sue condizioni e per raccontargli tutto ciò che aveva scoperto. In meno di un secondo, Sonic fu davanti alla porta dell’abitazione del suo miglior amico, impaziente di vederlo.

    Bussò due volte e aspettò risposta. Arrivò direttamente Tails ad aprire, accogliendo il riccio con un ampio sorriso.

    - Sonic! Sei tornato! - esclamò il volpino.

    - Come butta, Scheggia? - ribatté Sonic, strizzandogli l’occhio - Vedo che ti sei rimesso in forma. La tua pellaccia è sempre più dura -

    - Ho imparato da te -

    Sonic colse una sottilissima freddezza nell’atteggiamento di Tails. Un pensiero lampo gli attraversò la mente, rendendosi conto che il suo amico non aveva accennato ad avvicinarsi a lui per abbracciarlo, un’abitudine che aveva sin da quando era più piccolo ogni volta che i due non si vedevano da tempo. Il riccio rimase leggermente spiazzato, anche se probabilmente potevano esserci un migliaio di spiegazioni per quella mancanza. Spesso dimenticava che Tails era cresciuto e che l’affetto che c’era tra di loro era diventato meno fanciullesco e più maturo.

    - Ti inviterei ad entrare, ma il salotto è ancora un disastro dopo l’incendio. Non ho ancora avuto tempo di chiamare qualcuno per farlo rimettere a nuovo -

    - Guarda il lato positivo, potevi essere tu quello che aveva bisogno di essere rimesso a nuovo. Molto meglio che sia toccato al salotto -

    Il volpino si limitò a sorridere di ricambio, quindi uscì dall’abitazione e si richiuse la porta alle spalle. Un altro attimo di freddezza. Sonic era abbastanza perplesso perché c’era qualcosa che non andava e non riusciva proprio a capire di cosa si trattasse.

    - Prima che cominci a raccontarmi dove sei stato, ho bisogno che tu mi dia una mano per una piccola faccenda, se non ti dispiace -

    - Sicuro! Di cosa hai bisogno? -

    Tails si allontanò di qualche passo e si mise immediatamente alle spalle di Sonic. Sollevò la testa e gli indicò il tetto di casa, invitandolo a guardare a sua volta verso l’alto.

    - Si tratta del tetto. Ho paura che le fiamme abbiano intaccato le travi che lo sostengono -

    Il volpino fece una pausa e attese che anche il riccio concentrasse la sua attenzione sul punto che stava indicando prima di proseguire. Contrariamente a quanto si aspettava Sonic, però, non ci furono altre parole. Ci fu solo un forte tonfo e un dolore lancinante che gli esplose sulla nuca e si diffuse in tutto il corpo. Cominciò a vedere bianco e avvertì le gambe cedere sotto al suo peso. Prima di perdere totalmente i sensi, registrò con lo sguardo l’immagine sfocata di una tigre che impugnava un manganello nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi Tails. Quando, però, quel lampo di comprensione che gli suggerì di non aver parlato con Tails divampò nella sua testa, era già troppo tardi.

    Fu il crepitio del fuoco a svegliare Sonic… e proprio un attimo prima di addentare un enorme e succulento Chili Dog che il mondo dei sogni gli aveva gentilmente concesso. Spalancò le palpebre così rapidamente da farsi male, ma stranamente non venne abbagliato dalla luce. Si trovava in un posto abbastanza buio, illuminato soltanto dalle fiamme di una serie di torce fissate sulle umide pareti in pietra.

    Attese qualche secondo per farsi passare il dolore alla testa e perché la vista gli si schiarisse prima di dare un’occhiata in giro. Era finito in una specie di sotterraneo, a giudicare dalla volta in pietra che lo sovrastava e dall’aria pregna di umidità che si respirava lì dentro. Il fuoco delle torce costituiva una piacevole fonte di calore, ma la luce che generava creava un gioco di ombre danzanti attorno a Sonic che non poteva fare a meno di fargli venire la pelle d’oca. O più probabilmente, a fargli venire i brividi era la consapevolezza di essere legato ad un palo che spuntava dal pavimento in compagnia delle ultime persone che avrebbe voluto vedere.

    Il più vicino a lui era Getara, quello che, al momento, Sonic detestava di più per averlo tratto in inganno e, quasi sicuramente, trascinato in quel luogo lugubre. Alla sua destra c’era Levine, comodamente seduta con le gambe accavallate e un’espressione quasi annoiata. Entrambi erano seduti attorno ad un tavolo rotondo, apparentemente fatto di oro puro, ornato su ogni centimetro di fregi e decorazioni varie. In particolare, Sonic fu colpito dall’immagine di un grande occhio rosso dipinto proprio al centro del tavolo, che sembrava scrutarlo malignamente.

    Sull’altro lato della sala, accanto ad un’apertura squadrata nel muro che fungeva da ingresso, c’era Drake, così rigido nella sua postura da poter essere facilmente scambiato per una statua. Il suo elmo era appoggiato per terra vicino a lui, così non fu impossibile per Sonic studiare la sua espressione fissa e immutabile. Nessuno di loro pareva essersi ancora accorto del suo risveglio, quindi tentò di sciogliere i nodi che gli tenevano legati i polsi, anche se le sue speranze erano piuttosto flebili. Diede un forte strattone, ma niente da fare. Tutto ciò che ottenne fu di attirare l’attenzione di Levine, la quale sembrò riscuotersi con gioia dal suo sonnolento torpore.

    - Era ora che si svegliasse! - commentò la farfalla e la sua voce echeggiò tra le fredde pareti.

    Drake sollevò subito lo sguardo, che si incontrò con quello di Sonic. Non disse nulla, ma si limitò ad uscire in fretta dalla stanza.

    - Non avete saputo trovare un appartamento migliore di questo? - domandò Sonic, cercando di non far trasparire la sua ansia - Un po’ freddo, ma è il posto che più si addice ai farabutti -

    - Varrebbe la pena di tenerlo anche solo per quanto è spiritoso - disse Getara, rivolto a Levine - E’ completamente inerme eppure ha ancora voglia di scherzare -

    - Suppongo di dover ringraziare te per essere finito qui, vero? - incalzò Sonic.

    Aveva la gola secca e la testa pesante.

    - Se avete osato toccare Tails anche solo con un dito, vi conviene sparire prima che riesca a liberarmi! -

    Getara rise. Era una risata fredda e priva di allegria.

    - Puoi stare tranquillo, ci è stato riferito che la tua tanto adorata palla di pelo e i suoi amichetti sono impegnati altrove in questo momento -

    - E poi non pensare che ci interessi qualcosa di quello scherzo della natura - continuò Levine, sprezzante - Sei tu il nostro interesse principale… o almeno quello di alcuni di noi. Altrimenti non saresti stato portato qui -

    - Potevate sempre mandarmi un invito, se ci tenevate così tanto che vi venissi a fare visita -

    - Dubito che l’avresti accettato - intervenne una voce cupa in lontananza.

    Seth apparve sulla soglia, seguito a ruota da Drake, il quale era probabilmente andato a chiamarlo. Il suo aspetto era diverso dall’ultima volta in cui Sonic lo aveva visto. Il suo viso era pitturato di bianco, cosa che metteva ancora più in evidenza il brillio del gioiello a forma di goccia sulla sua fronte. Indossava un completo di lino pregiato e diversi ornamenti dorati, tra cui bracciali, anelli e una grande collana ornata di zaffiri. Sonic aveva l’impressione che si fosse preparato per un qualche tipo di cerimonia che riteneva sacra e non poteva ignorare l’aspetto reverenziale che emanava dalla sua persona, specie in quella tenuta.

    - In fondo, se ho ben capito - riprese lo sciacallo, in tono calmo - Siamo stati etichettati come “farabutti” a causa dello sfortunato incidente capitato al tuo amico -

    - Sfortunato incidente? - ripeté Sonic, cominciando ad accalorarsi - E’ un bel modo fantasioso di giustificarsi -

    - Non sei qui per discutere di banali questioni di forma. Se non ti avessi fatto prelevare da Getara, non saresti nemmeno qui, dato che sai essere piuttosto ottuso e sfuggente -

    - E allora cosa ci faccio qui? E’ per ammirare il tuo nuovo vestitino? -

    Seth sorrise in maniera inquietante. La sua fila di denti affilati sembrava brillare nella semi-oscurità.

    - Drake ha tanto insistito perché continuassimo a cercare di mostrarti e farti comprendere le nostre vie. E anche un altro nostro membro ha sempre mostrato un particolare interesse per te. Se fosse stato per me, mi sarei attenuto al tuo iniziale e sdegnoso rifiuto. Tuttavia, non posso negare che il tuo potenziale è davvero sorprendente, Sonic the Hedgehog. Basta guardare tutte le grandi imprese e le grandi vittorie che hai conseguito nel corso degli anni, senza contare la tua particolare affinità con le mistiche energie dei Chaos Emeralds e dei Ring del nostro pianeta natale. Sarebbe davvero un spreco, in effetti, lasciare che il pregiudizio ti impedisca di far parte del nostro Cenacolo. Quindi ho deciso di tentare l’ultima carta a mia disposizione -

    - Farmi morire di noia? - ribatté Sonic, volutamente provocatorio.

    Seth agì così rapidamente da non dare modo al riccio di prepararsi mentalmente. Protrasse il braccio ed esercitò il suo spaventoso potere per forzare Sonic a sigillare la bocca ermeticamente.

    - Cerca di avere più rispetto, piccolo ingrato. Molti darebbero il braccio destro per assistere a questo evento, quindi fai il bravo e goditi lo spettacolo. Quando tutto sarà finito, sono sicuro che la tua mente sarà molto più aperta -

    Detto questo, si avvicinò al tavolo rotondo e si chinò per raccogliere qualcosa che Sonic non riusciva a vedere. Si trattava di una scodella piena di quelle che sembravano essere erbe e ramoscelli. La poggiò sulla superficie dorata e i suoi tre confratelli si disposero subito in circolo.

    - Sai quello che devi fare, Getara - disse subito Seth, in tono perentorio.

    Getara non sembrava affatto contento di quelle parole. Fece roteare gli occhi e si aggrappò nervosamente al bordo del tavolo.

    - E’ davvero necessario? In fondo che cosa cambia? -

    - Non discutere! - esclamò lo sciacallo, seccatamente - I segreti dell’universo intero stanno per dischiudersi di fronte ai nostri occhi. Dobbiamo dimostrare umiltà e mostrarci nelle nostre vere vesti. Drake l’ha già fatto, non farmi perdere tempo -

    - Già! - ribatté Getara, con una palese punta di sarcasmo - Peccato che per lui sia sufficiente togliersi uno stupido casco, per me è diverso -

    - Se non obbedisci all’istante, sarò costretto a costringerti a farlo. E sai perfettamente che non sarà piacevole per te -

    Getara sospirò rumorosamente. Fece un piccolo cenno di assenso con la testa e poi un passo indietro. I suoi lineamenti e le sue sembianze cominciarono a liquefarsi come cera, con un disgustoso rumore di risucchio. Il suo aspetto felino divenne una poltiglia indistinta, il suo viso cominciò ad allungarsi e le orecchie furono assorbite all’interno del corpo. Quando la trasformazione fu completa, Getara non era più una tigre, ma una lucertola verde, dal volto affusolato e dagli occhi giallognoli. Quella che si poteva scambiare per una cintura, si srotolò dalla sua vita e si rivelò essere la coda del rettile che era diventato.

    - Che razza di mostri siete? - domandò di getto Sonic, incredulo e nauseato.

    - E’ ciò che ti sto per mostrare - rispose subito Seth.   

    Drake spalancò il palmo della mano e produsse una fiamma viva nel giro di un solo secondo. Si avvicinò a Seth e la scagliò nella ciotola che teneva di fronte, dando fuoco alle erbe che conteneva. I fumi della combustione che si sprigionarono erano stranamente spessi e verdognoli. Drake tornò, quindi, alla sua posizione, mentre Seth si sporgeva in avanti e inalava il singolare vapore che si stava producendo, con profondi e regolari respiri.

    Dopo qualche istante, il suo corpo fu scosso dalle convulsioni e quando spalancò gli occhi, che aveva tenuto chiusi durante il rito, le pupille erano scomparse, per lasciare spazio al bianco degli occhi. La gemma sulla sua fronte cominciò ad emanare una luce azzurra sempre più forte, fino a diventare abbagliante. Un lampo divampò in tutta la stanza, costringendo Sonic a non guardare per non rimanere accecato. Quando si riappropriò della vista, il sotterraneo non c’era più. Si trovavano tutti sospesi nello spazio, circondati dal buio cosmico trapuntato da centinaia di stelle lontane.

    Sonic capì quasi subito che doveva trattarsi di un’illusione o qualcosa del genere. Se per qualche strana magia si fossero davvero trovati nello spazio, sarebbero stati prima invasi da un freddo gelido e poi avrebbero cominciato ad annaspare in cerca d’aria. Seth era immobile nella sua posizione, con le braccia spalancate e il gioiello sulla sua fronte che splendeva come un faro in lontananza. Aprì la bocca e una voce cavernosa e rimbombante che non gli apparteneva cominciò a parlare.

                - Miliardi di anni fa. In principio c’era il vuoto più totale. Nel vuoto esisteva Argus, entità assoluta, immobile, onnipotente. Il vuoto e il silenzio divennero presto difficili da sopportare per Argus. Così diede vita a due figli, immensi quanto opposti: la luce e il buio. Per l’intrattenimento di Argus, la luce e il buio si batterono tra di loro in una serie di scontri. Di tre fu vincitrice la luce, di altri tre ne fu vincitore il buio. Il settimo scontro fu quello che avrebbe decretato la superiorità di una delle due parti. Entrambe desideravano compiacere Argus, loro padre, così tanto che misero a frutto ogni stilla della loro energia, fino al punto da provocare una gigantesca esplosione. Fu così che nacque il Macroverso: una sterminata vastità di migliaia e migliaia di punti sparpagliati nel tempo e nello spazio -

- L’enorme quantità di energia liberata si condensò in un lento processo che diede origine alle stelle e ai pianeti, alla materia inanimata e alla vita organica. Argus realizzò che fu il conflitto la causa della distruzione dei suoi figli, la mancanza di equilibrio tra le due forze uguali e opposte. Decise di dare un’ulteriore possibilità di vita alla luce e al buio, quindi ne raccolse i frammenti e li depositò in tutti i pianeti che erano stati creati perché potessero essere nutriti dall’energia dei loro nuclei, crescere e maturare. Per monitorare la crescita dei suoi figli, Argus imprigionò nelle catene della materia di cristallo parte della sua essenza, fino a creare una serie di mistiche gemme. Depositò in ogni mondo sette di queste gemme (una per ciascuno degli scontri in cui la luce e il buio si erano affrontati) perché potessero essere i suoi occhi. Questi gioielli leggendari, questi… smeraldi, sarebbero stati il ponte di comunicazione tra Argus e i pianeti nelle cui profondità giacevano i frammenti dei suoi figli -

- I millenni trascorrevano e i frammenti di luce e buio cominciarono a cambiare forma, a plasmarsi in entità sempre diverse, alimentate dalle singole firme energetiche dei pianeti che abitavano. Ben presto non esistevano più solo luce e buio, ma una grande quantità di nuovi figli per Argus, ciascuno dei quali composto da un parte di luce e da una parte di buio. Troppi erano diventati perché Argus potesse tenerli tutti sotto controllo. Alcuni suoi figli proliferavano in dimensioni da loro create, come l’immensa creatura di fuoco conosciuta come Ifrit¹, altri ancora avevano abbandonato i loro pianeti di origine, preferendo vagare nelle profondità dello spazio per cibarsi dei tessuti stessi dello spazio-tempo, come l’essere noto come Time Eater². Altri ancora risiedevano quieti nelle loro culle planetarie, anche se i loro stolti abitanti avrebbero cercato di manipolare le loro forze ancestrali, disturbando il loro riposo. E’ il caso di Solaris³, la creatura del fuoco costretta dagli abitanti del pianeta noto come Terra ad essere separato nelle sue componenti senzienti originarie di luce e buio, Iblis e Mephiles. Altri figli, invece, non avevano abbandonato lo scopo originale della loro creazione, continuando a combattersi in cicli definiti, come succedeva per Gaia, il figlio di Argus che riposava nel cuore del pianeta Mobius in attesa di dividersi in Light Gaia e Dark Gaia e riprendere la lotta⁴ -

- Fu così che Argus capì che il controllo totale non era possibile, neanche per un’entità assoluta come lui. Tutto quello che poteva fare era cercare di portare in tutti i pianeti del Macroverso un equilibrio che durasse quanto più a lungo possibile. Attraverso le sette gemme mistiche presenti su ogni pianeta, controllò se i suoi figli si fossero manifestati o meno e controllò gli equilibri del potere degli abitanti. In alcuni pianeti, gli esseri viventi più intelligenti avevano trovato il modo di sfruttare gli smeraldi per schiacciare i più deboli, infrangendo il delicato equilibrio che Argus desiderava. Era il caso del pianeta Mobius di 4000 anni fa, dove le tribù echidna combattevano per il possesso dei locali Chaos Emeralds. L’intervento di Argus sul pianeta sarebbe diventato il primo Evento Argus di Mobius: l’avidità del Clan di Nocturnus sarebbe stata punita con la reclusione a Twilight Cage⁵, la prigione inter-dimensionale creata da Argus. L’arroganza del Clan di Knuckles, invece, sarebbe stata punita con la totale distruzione ad opera dello stesso Argus, incarnatosi nell’entità ospite generata dal potere degli smeraldi, nota come Chaos⁶ -

- Fu l’esempio fornito dalle tribù echidna a convincere Argus che l’avidità degli esseri viventi avrebbe prima o poi distrutto l’equilibrio del potere nel Macroverso. Aveva perso il controllo sui suoi figli, aveva perso il controllo sulle sue gemme e non poteva evitare che gli esseri viventi si approfittassero degli uni o delle altre per le loro egoistiche brame di superiorità -

- Fu così che Argus decise di prendere la decisione più drastica e definitiva. Disintegrò il resto della sua essenza in minuscoli frammenti che avrebbe sparpagliato in tutto il Macroverso. Ogni singolo pianeta fu invaso da una pioggia luminosa che conteneva una particella del potere eterno di Argus. In questo modo, avrebbe offerto la possibilità ad ogni abitante di ogni pianeta di acquisire una parte dei suoi poteri e, quindi, la possibilità di difendersi da chi avesse reclamato le mistiche energie degli smeraldi, mantenendo l’equilibrio del potere. L’essenza di Argus sarebbe stata presente nella terra, nell’acqua, nell’aria, in ogni dove, pronta ad entrare in simbiosi con chi più ne avesse avuto bisogno. La coscienza di Argus, esausta per la disintegrazione del suo potere, sarebbe rimasta addormentata nello spazio-tempo, ad attendere il momento in cui l’equilibrio di un pianeta sarebbe stato così compromesso da richiedere il suo intervento e il suo insindacabile giudizio -

    Ci fu un altro lampo di luce e la proiezione creata dalla gemma di Seth fu risucchiata di nuovo al suo interno. Le forme e i colori del mondo attorno a Sonic si fecero di nuovo definiti e si ritrovò ancora una volta nel sotterraneo illuminato dalle torce, purtroppo per lui ancora legato e inerme. Il suo respiro era pesante e affannoso, cosa che riusciva a malapena a testimoniare il suo stato d’animo. Non avrebbe saputo dire se era confuso, spaventato, affascinato o forse un misto di tutte queste cose. Davanti a lui si erano appena dischiusi i segreti dell’universo, i misteri della vita e della creazione e, se prima aveva avuto dei dubbi sul fatto che Seth potesse essere solo un fanatico farneticante, quella dimostrazione glieli cancellò subito dalla mente con la sua lampante verità.

    Era tutto così logico e conseguenziale. Le origini dei Chaos Emeralds, la natura di Chaos, Solaris, Dark Gaia e tutte le altre creature antiche che aveva affrontato, il destino del Clan di Nocturnus, era tutto così incredibilmente collegato in un modo che Sonic non aveva mai compreso prima. Forse, però, la sensazione che più lo stava atterrendo in quel momento era una che non aveva mai provato prima di allora: la consapevolezza lampante ed evidente di essere semplicemente un minuscolo granello di polvere in uno spazio sconfinato, sterminato e che esisteva da molto più tempo di quanto lui stesso riuscisse a concepire.

    Seth si era riscosso dal suo stato di trance e, dopo aver atteso qualche secondo per riprendere possesso di sé, continuò a parlare con la sua voce abituale.

    - Il Cenacolo di Argus è un gruppo di eletti a cui è stata tramandata la conoscenza dei misteri e delle origini dell’universo. Un gruppo di eletti che sono stati graziati con l’essenza stessa di Argus, diffusa in tutto il cosmo per perpetrare il suo volere e mantenere l’equilibrio come da lui stabilito. Un gruppo di esseri speciali, dotati di poteri al di fuori dell’individuo comune, pronti a radunarsi e ad attendere il prossimo Evento Argus che decreterà il giudizio del nostro signore su questo pianeta. Il nostro Cenacolo è cresciuto e fiorito nel corso dei millenni, abbiamo diffuso la nostra parola in ogni angolo del globo, abbiamo radunato una schiera di adepti e, attualmente, siamo ovunque. Siamo in attesa, vigiliamo e aspettiamo il ritorno imminente di Argus su questo mondo, pronti ad eseguire la sua volontà con i poteri che dalla notte dei tempi ha deciso di concederci. Argus è in noi e noi siamo in Argus. Così, ora e per sempre -

    Drake, Getara e Levine si piegarono all’unisono in un profondo inchino, come a suggellare la fine di una cerimonia sacra. Sonic era ammutolito e con gli occhi sgranati. Le braccia bloccate erano doloranti e indolenzite. La tensione si era notevolmente allentata, ma la stanchezza cominciava a farsi sentire.

    - Sonic the Hedgehog! - esclamò Seth, all’improvviso - Ti sono stati mostrati i nostri più antichi segreti, alcuni dei quali sono posseduti solo dai membri più influenti del nostro Cenacolo. Possiedi delle abilità straordinarie, esattamente come tutti noi e proprio come per noi ti sono state concesse perché fossi pronto ad obbedire al volere di Argus e del suo giudizio. Metti le tue capacità al servizio del Cenacolo e unisciti a noi -

    Nel sotterraneo calò il silenzio e Sonic sapeva che era arrivato il suo turno di parlare. Tutta quella cerimonia era stata eseguita soltanto per convincerlo ad unirsi a loro. Aveva mille domande in testa, ma nessuna premeva agli angoli del suo cervello più della consapevolezza che, se non lo avessero ritenuto sufficientemente importante, non gli avrebbero mai mostrato tutti i loro segreti. Non poteva certo dissimulare il suo stupore per tutto quello che aveva sentito, gli si leggeva in faccia. Come poteva, però, dare una risposta secca, con tutto quello che gli frullava in testa, con tutti i pensieri e i quesiti, con tutte le implicazioni morali, logiche, filosofiche a cui stava andando incontro? Credeva di non aver mai pensato così tanto in vita sua e, probabilmente, non aveva mai neanche riflettuto su qualcosa di così importante.

    - Se tutto questo è vero… allora... io… credo che il mio posto sia con voi -

L'equilibrio del potere (Seconda parte)

    - Se tutto questo è vero… allora... io… credo che il mio posto sia con voi -

    Drake emise un debole grugnito di soddisfazione. Getara invece non riuscì a dissimulare la sorpresa che gli si dipinse in volto. Ci fu ancora un minuto di silenzio, rotto soltanto dal crepitio del fuoco che rischiarava la stanza. Seth fece un cenno a Drake e questi si affrettò a raggiungere Sonic, quindi a slegarlo. Quando il riccio fu libero, si strofinò i polsi e si stirò le braccia. Drake gli diede un’energica pacca sulla spalla, sussurrandogli: - Sono contento della tua decisione -

    Seth lo squadrava ancora da capo a piedi, con un’espressione per metà soddisfatta e per metà leggermente incredula. Quella di Sonic, invece, era visibilmente spaesata.

    - Devo dare credito a Drake - disse, quindi, lo sciacallo - Confidava tanto che ti saresti unito a noi, ma io non ero altrettanto speranzoso, considerando la tua ostinazione. Cosa ti ha fatto cambiare idea? -

    - Non è facile da spiegare - ammise Sonic - Non mi sono mai posto il problema di scoprire come fossi in grado di fare quello che faccio. Non ho mai indagato sull’origine di Chaos, del Time Eater, degli smeraldi… di tutti i fenomeni soprannaturali a cui ho assistito e che ho combattuto. Ora, però, so tutto, ho capito tutto. Non riesco ancora a crederci, ma… su una cosa hai sempre avuto ragione. Io sono un essere speciale, proprio come voi, e… se le mie abilità mi sono state conferite per un motivo, allora è per quello che devo impiegarle -

    La risposta sembrò soddisfare Seth, a giudicare dal leggero sorriso che regalò a Sonic. Getara e Levine non sembravano condividere la contentezza del loro Cerimoniere, al contrario di Drake che era palesemente raggiante.

    - Sapevo che avresti scelto bene - commentò - Nessuno più di te meritava di venire a conoscenza del nostro destino e della nostra missione. Sei quello che di più, tra tutti noi, è stato a contatto con le manifestazioni di Argus nel nostro mondo. I Chaos Emeralds, tanto per cominciare, per non parlare poi di Chaos e di Dark Gaia -

    - Non avrei mai potuto immaginare che fosse questa la vera storia di Dark Gaia - ammise Sonic - L’ho sempre considerato come un semplice mostro, senza chiedermi da dove venisse -

    - E invece è proprio grazie a quello che è successo tempo fa a Dark Gaia se adesso sei qui - replicò Getara.

    - Davvero? Che cosa significa? -

    - Il risveglio di Dark Gaia e la spaccatura del pianeta non sono stati i primi squilibri nel piano di Argus¹ - spiegò Seth, con calma - Il nostro pianeta di origine, il pianeta Mobius, è probabilmente quello che più di tutti nel Macroverso ha visto abbandonare il proprio equilibrio originale. La fusione con il pianeta Terra ha destabilizzato il suo ordine naturale, così come il risveglio prematuro di Dark Gaia ha inflitto un ulteriore colpo al suo già precario equilibrio. Adesso condividiamo il pianeta con esseri che non appartengono al nostro mondo, alla nostra realtà. I mobiani si sono integrati, mescolandosi agli umani, tanto che, ora come ora, la differenza tra le due razze è diventata puramente estetica. Ho cominciato a radunare adepti sin da quando ci siamo ritrovati a condividere i nostri spazi con gli umani, in modo che fossimo pronti ad agire quando Argus sarebbe tornato tra di noi e avrebbe ordinato come riportare l’equilibrio -

¹ In Sonic Unleashed (2008) Dark Gaia viene prematuramente risvegliato dal dottor Eggman.

    - Ma come fate a sapere quando… quando Argus tornerà? - domandò ancora Sonic, mostrandosi sinceramente curioso.

    - Il prossimo Evento Argus è imminente, questo è certo. Sei stato proprio tu a renderlo possibile, quando hai combattuto contro Dark Gaia e ricomposto il pianeta grazie agli smeraldi e ai templi di Gaia. I Chaos Emerald sono gli occhi di Argus sul pianeta Mobius. E’ solo questione di tempo prima che la sua coscienza si manifesti e ci indichi cosa fare per ripristinare l’equilibrio -

    - Che cosa succederà? -

    - Non sta a me giudicare - continuò Seth - Sarà Argus a decretare con il suo giudizio come sarà ripristinato l’equilibrio del potere sul pianeta Mobius, noi dovremo solo rispettarlo. Le ultime volte in cui è intervenuto ha bandito i Nocturnus a Twilight Cage e distrutto l’intero Clan di Knuckles, unicamente per la loro avidità di potere. Nessuno può immaginare cosa succederà una volta che si renderà conto che la situazione è molto, molto peggiore. Potrebbe ordinarci di sterminare tutti gli esseri umani, come potrebbe decidere di distruggere l’intero pianeta, se non ci fosse un modo per separarlo di nuovo dalla Terra. Lo sapremo solo quando sarà il momento -

    Sonic ascoltò molto attentamente, per poi passare in rassegna con lo sguardo tutti i presenti. Nessuno di loro pareva minimamente scomposto da quanto affermato da Seth. La prospettiva di dare inizio ad un massacro di proporzioni gigantesche o, addirittura, di contribuire alla distruzione di un pianeta sembrava non turbarli neanche un poco. Si domandava fino a che punto si sarebbero spinti o se esistesse un limite che non avrebbero mai superato per alimentare il loro folle fanatismo. Era quasi totalmente incredulo nel considerare che cosa aveva di fronte.

    - E voi sareste disposti a fare qualunque cosa? - chiese ancora il riccio, gettando all’aria ogni prudenza.

    - Senza battere ciglio - replicò Seth, severamente - La vera domanda è se lo sei anche tu -

    Sonic sorrise con fare quasi incoraggiante.

    - Bé, la risposta, ovviamente è… col cavolo! -

    Nell’arco di un solo istante, la sagoma ben delineata di Sonic the Hedgehog si trasformò in una macchia sfocata di colore blu che saettava in circolo all’interno della sala ad una velocità superiore a quella con cui i membri del Cenacolo riuscivano a seguirla. Il riccio corse all’impazzata fino a generare una potente folata di vento che spense in successione tutte le torce che illuminavano la stanza. Calò improvvisamente il buio e un palpabile nervosismo generale si sollevò.

    - Sonic! Che diamine stai facendo? - ruggì Drake, generando nel palmo della mano una fiamma che riportò un flebile barlume nello spazio oscuro.

    - La cosa più giusta da fare, bello - rispose la voce del riccio, in tono sicuro.

    Seth e gli altri si guardarono intorno, ma era troppo buio per capire da dove provenisse e quindi dove si era nascosto il loro ospite ribelle.

    - Ci stavi prendendo in giro fin dall’inizio, non è così? - insisté il lupo, carico di frustrazione.

    - Non è proprio nel mio stile entrare a far parte di un branco di fanatici tagliagole con manie di grandezza -

    - Osi mettere in dubbio quello a cui hai assistito? - intervenne Seth, iracondo.

    - Oh, no. Sono sicuro che sia tutto vero. Però, notizia dell’ultima ora, non potrebbe fregarmene di meno! Avete quasi fatto fuori il mio migliore amico perché vi credete superiori o di avere chissà quale allucinante missione. Se ne aveste la possibilità, sterminereste chiunque non vi stia bene, mobiani e umani, perché credete di essere i giustizieri di chissà quale svitato intergalattico. Per me è più che sufficiente per sbattervi la porta in faccia con un bel “non mi interessa” -

    - E vuoi anche ignorare il tuo passato? - domandò ancora Drake - Le tue vere origini? Lo scopo per cui ti sono state date le tue abilità? -

    - Amico, anche se fosse stato un regalo di Babbo Natale, so perfettamente qual è il mio scopo. Correre abbastanza velocemente da far mangiare la polvere a tutti i pazzi megalomani come voi. Ed eccoti uno scoop: sono e rimarrò soltanto un fichissimo riccio a cui piace l’avventura, Sonic the Hedgehog!²-

² Queste stesse parole Sonic le ha già pronunciate prima del suo scontro finale con Shadow in Sonic Adventure 2 (2001).

    Drake individuò un movimento nel cono di luce creato dalla sua fiamma, proprio davanti a lui. Carico di rabbia, scagliò la sfera infuocata in avanti, che trovò Sonic pronto ad accoglierla. Protese in avanti una delle torce che aveva staccato dal muro e questa si accese all’istante quando la paglia alla punta venne a contatto con il calore del colpo di Drake.

    Alla luce della fiaccola, i membri del Cenacolo lessero sul volto di Sonic un sorriso di sfida carico di sicurezza e determinazione che comunicavano un inequivocabile messaggio di sfida.

    - Ci vediamo, simpaticoni! - esclamò, strizzando sarcasticamente l’occhio, quindi fece dietrofront e corse a velocità supersonica verso l’uscita, con la luce della torcia che lo seguiva a ruota.

    La sala fu di nuovo inghiottita dall’oscurità e anche dal silenzio. Getara borbottava maledizioni a bassa voce, mentre un forte tonfo rimbombante suggerì che Drake aveva sfogato la sua collera dando un pugno sul tavolo.

    - Adesso, se non altro, ti sarai deciso a lasciar perdere, Drake - intervenne la voce melliflua di Levine.

    Afferrò un’altra fiaccola dalla parete e le diede fuoco con un accendino.

    - Credevo sarebbe stato più ragionevole - si giustificò il lupo, facendo luce a sua volta con altre fiamme che gli proruppero dalle mani - Pensavo davvero che si sarebbe unito a noi -

    - Non è quello che vuole - commentò Seth, più calmo di quanto gli altri si sarebbero aspettati - E non lo vorrà mai. Hai visto l’espressione sul suo viso. La sua è una sfida, vuole provocarci. Il piccolo insulso roditore crede di avere a che fare solo con noi quattro, ma non ha la minima idea di quanti attorno a lui facciano parte del nostro Cenacolo -

    Esercitò il suo potere mentale ed estrapolò telepaticamente delle piccole sfere di fuoco dalle fiamme sulle mani di Drake. Queste si sparpagliarono nella sala e riaccesero le fiaccole rimaste sulle pareti, ammantando il luogo di luce sufficiente.

    - Lasciamolo pure giocare. Renderà ancora più divertente l’attesa dell’arrivo di Argus -

    Quando Tails, Amy e Cream attraversarono il vialetto dell’abitazione del volpino, ridendo e scherzando allegramente, nonostante la disavventura vissuta poche ore prima con Geoffrey, non si sarebbero aspettati di trovare Sonic ad aspettarli di fronte alla porta di ingresso.

    - Sei tornato! - esclamò Amy, festosa correndo a stritolarlo in un abbraccio.

    Stranamente, il riccio blu non si lamentò, né cercò di sottrarsi alle effusioni che tanto lo seccavano. Anzi, era rimasto fermo al suo posto, con uno strano sorriso e uno sguardo intenso e deciso. Era tutto coperto di polvere e terriccio e aveva attorno ai polsi degli aloni leggermente violacei.

    - Cosa ti è successo? - chiese Tails, sbalordito.

    - Ho fatto un giretto supersonico in alcune gallerie sotterranee - fu la pronta risposta - Temo che non potrai più stare qui, fratellino, non è più un posto sicuro -

    - Ha a che fare con quelli del Cenacolo? -

    - Colpito e affondato! Ho un mucchio di cose da raccontarvi. Ah, e dovremo anche radunare un po’ di compari: Shadow, Knuckles… ho la sensazione che stia per cominciare una gran bella festa! -

SONIC ORIGINS

Fuoco dell'anima

    Lo spazio in cui era capitata era freddo e buio. Si sentiva inghiottita dall’oscurità come se dei sinistri tentacoli si fossero avvolti intorno al suo corpo, sostituendo il sangue nelle sue vene con ghiaccio puro. Mosse qualche passo incerto, nella speranza di scorgere un qualunque punto di riferimento che potesse aiutarla a capire dove si trovasse. L’eco dei suoi passi rimbombava in tutta la sua dura solennità.

    D’un tratto, le venne in mente un’idea. Ma certo! Come aveva fatto a non pensarci prima? Sollevò le mani e, con la stessa facilità con cui si schioccano le dita, produsse due fiamme vive nei suoi palmi aperti. Le fiamme danzavano attorno ai suoi polpastrelli, senza bruciarla, quasi come se ne venisse accarezzata. Non era nulla di inusuale per lei, tanto che, con il tempo, aveva metabolizzato quel fenomeno in modo così familiare da stupirsi leggermente quando gli altri rimanevano sbalorditi da quella manifestazione di potere.

    Provò ad utilizzare le fiammelle per fare luce e capire dove si potesse trovare. L’ultima cosa che ricordava era di essersi sdraiata sul suo letto, stanca dopo una giornata passata ad aiutare una Marine più capricciosa del solito a raccogliere materiali per una sua nuova imbarcazione. “Corpo di mille balene, quanto sarà strabiliante!” aveva esclamato per l’ennesima volta, emozionata più che mai all’idea di salpare ancora una volta per i mari del loro mondo.

    Lo ricordava molto chiaramente, quindi non poteva fare a meno di provare una leggera ansia per non avere la minima idea di come potesse essere stata catapultata dal suo letto in quello spazio desolato e completamente oscuro.

    Blaze.

    Una voce. Alla ragazza si rizzarono i peli sulla nuca e il suo cuore fece un buffo balzo.

    Si voltò di scatto, cercando di capire da dove potesse provenire quella voce. Era profonda e stentorea, ma ciò che più la inquietava era che, istintivamente, sapeva che niente di umano o mobiano potesse produrre una voce del genere.

    Blaze the Cat.

    Continuava a chiamarla, aumentando la sua agitazione e il suo senso di spaesamento.

    - Chi sei? Cosa vuoi da me? - domandò Blaze, riuscendo scarsamente a dissimulare la sua ansia.

    Non ottenne immediatamente risposta. La gatta viola rimaneva ferma al suo posto, con il fuoco nelle mani che bruciava allegramente, ma che non riusciva a fendere la fitta oscurità.

    Sei stata chiamata perché il momento di compiere il tuo destino si sta avvicinando.

    - Il mio destino? - ripeté incredula Blaze - Di quale… quale destino parli? E non mi hai ancora detto chi sei! -

    La sua voce era tremante. Senza che lei ne fosse responsabile, le fiamme sulle sue dita vennero risucchiate verso un unico punto, convogliandosi in una piccola sfera ardente. Sbalordita quanto incuriosita, Blaze ci avvicinò lentamente la mano. Il suo respiro era affannoso e sentiva il cuore battergli ad un ritmo più veloce del normale. Prima che i suoi polpastrelli potessero sfiorare lo strano concentrato di fiamme che aveva di fronte, questo esplose in un lampo imponente. Blaze si protesse il viso con le braccia, trattenendo un leggero gemito di spavento.

    Quando riaprì gli occhi, capì che ci era mancato davvero poco ad un infarto. Si trovava sospesa a mezz’aria. I suoi piedi erano nel vuoto ma, incredibilmente, non era in caduta libera. Riusciva a muoversi come se ci fosse stato un pannello invisibile che la sorreggeva. Attorno a lei c’era un cielo dipinto di tinte arancione, anche se ingolfato di nuvoloni minacciosi. Ciò che più la colpiva, però, era quello che si trovava sotto di lei, a centinaia di metri di distanza: un mare di lava incandescente e di fiamme ruggenti, ammantate in sinuose spire di fumo nero. Annegate in quell’oceano distruttivo, c’erano polverose macerie di vario tipo, grattacieli spezzati in due, palazzi sgretolati, in un tremendo scenario apocalittico.

    - Che posto è questo? - si chiese, quasi rapita da quel terrificante spettacolo.

    Il tuo luogo di nascita. Il luogo da cui provieni.

    - Cosa? No, non è possibile! - replicò Blaze di getto, anche se non sapeva in che direzione rivolgersi né tantomeno con chi stava parlando - Io provengo dalla Sol Zone. Non ho mai visto questo posto in vita mia -

    Non puoi ricordare, ma è questo il posto in cui sei nata, la tua vera casa.

    Mentre Blaze rifletteva su quelle parole che le suonavano così assurde e insensate, la sua attenzione fu catturata da un grande palazzo sbilenco, le cui fondamenta erano state completamente inghiottite dalla lava. C’era una grande sagoma indistinta che sembrava quasi lo stesse divorando poco a poco. Era completamente composta di fuoco vivo e, se Blaze aguzzava la vista, poteva distinguerne le sembianze mostruose.

    - E quello cos’è? - chiese ancora, atterrita.

    Lo chiamate Iblis. E’ l’essere responsabile della condizione in cui versa la realtà che stai osservando.

    - Perché mi stai mostrando queste immagini? Ha qualcosa a che fare con i Sol Emeralds? -

    Silenzio. L’attesa e lo sconcerto stavano lentamente logorando i nervi di Blaze.

    Sì… e no. Stai ripercorrendo la tua storia perché tu sia pronta ad adempiere il destino che è stato scritto per te dalla notte dei tempi. Osserva!

    Blaze decise di essere accondiscendente, altrimenti non avrebbe mai avuto spiegazioni su quanto stava accadendo. Scandagliò il paesaggio sotto di sé, alla ricerca di qualcosa che non fossero macerie, fiamme e distruzione… e finalmente la trovò. Sul tetto di un edificio situato su un’altura rocciosa, e per questo non ancora intaccato dal fuoco, c’erano due individui. Uno era un riccio dal pelo bianco, con aculei così lunghi da essere disposti a raggiera sulla sua fronte, e l’altro era… una gatta viola… molto familiare…

    - Quella… sono io! - esclamò Blaze - Ma… come è possibile? Non ricordo niente di tutto questo! -

    La realtà che stai osservando è stata completamente cancellata dal flusso temporale. Stai guardando il pianeta Terra in una linea temporale futura, dove la creatura nota come Iblis ha completamente distrutto ogni tipo di civilizzazione.

    - Terra? Intendi… il pianeta su cui vive Sonic? -

    Sì… e no. Il futuro che hai di fronte agli occhi è ambientato su un pianeta che possiede le caratteristiche della Terra e del pianeta Mobius, il risultato di un completo squilibrio provocato dall’abuso di potere.

    Blaze non riusciva a comprendere appieno ciò che quella voce cavernosa le stava dicendo. Forse si trattava semplicemente di un brutto, quanto strano, sogno. Niente di ciò che stava dicendo aveva senso per lei. Le immagini che stavano scorrendo sotto di lei non avevano senso. La sua stessa presenza, in compagnia di quel riccio sconosciuto, era totalmente assurda. Quel riccio sconosciuto… il suo pelo era così bianco e candido… sembrava quasi essere fatto d’argento… argento… Silver?

    Un flash indistinto baluginò nella sua mente, riecheggiando insistentemente e riesumando frammenti di memoria che non pensava neanche di avere. No, non era possibile! Niente di tutto quello era vero!

    - Te lo ripeto ancora una volta - insisté Blaze, stavolta nervosamente combattiva - Non ho niente a che fare con tutto questo. Non sono mai stata in un posto del genere. Appartengo alla Sol Zone, è lì che sono nata. Sono la principessa di quella dimensione -

    Osserva, replicò laconicamente la voce.

    Lo scenario era cambiato. Questa volta Blaze fluttuava senza controllo sopra un’area rocciosa e desolata, illuminata dal magma incandescente che scorreva a fiumi nelle insenature e negli avvallamenti circostanti. Sotto di lei c’era un enorme cratere sul quale aleggiava una grossa massa di fuoco, quasi come un piccolo sole condensato che bruciava a temperature inimmaginabili. Ad assistere al fenomeno, in piedi su uno sperone roccioso, c’erano ancora una volta il riccio bianco e la donna gatto che tanto assomigliava a lei (perché quella non poteva in nessun modo essere lei, vero?).

    - Cadi nel sonno all’interno della mia anima, Iblis! - stava esclamando il riccio - Dannate Fiamme del Disastro! -

    Nelle mani stringeva due pietre preziose così grandi da non poter essere racchiuse nei suoi pugni. Emanavano una luce brillante che proveniva direttamente dal centro della loro struttura cristallina. Blaze non poteva negare di aver già visto quelle pietre, soprattutto perché erano così simili ai Sol Emeralds che da sempre custodiva.

    - I Chaos Emeralds - mormorò - Allora… è davvero il mondo di Sonic questo -

    Il fuoco della gigantesca massa fiammeggiante cominciò ad essere assorbito in lunghe scie dagli smeraldi che Silv… che il riccio sconosciuto stava stringendo.

    - Perché non mi accetta come suo vascello? - si domandava, con il corpo scosso dai tremori per lo sforzo esercitato.

    A quel punto, l’altra Blaze si fece avanti, prese i due smeraldi e continuò ad eseguire quella specie di rituale al posto del suo compagno.

    - Prenderò io Iblis. La mia anima è già ammantata di fiamme -

    Sotto gli occhi sgranati di Blaze, la sua sosia risucchiò ogni singola scintilla della sfera infuocata che fluttuava sopra al cratere, facendola in brevissimo tempo scomparire all’interno del suo petto. Il suo corpo era in preda alle convulsioni, come se qualcosa dentro di lei stesse lottando per venire fuori e lei stesse cercando di trattenerla con tutte le sue forze.

    - Presto… usa il Chaos Control… ferma il tempo… e… sigillaci in un’altra dimensione… -

    - No! Non posso fare questo a te! -

    - Non ne avevamo già parlato? Avevamo deciso di salvare il mondo… a qualunque costo! -

    - Non… non posso! Non saprei cosa fare senza di te… tu… tu sei mia amica! -

    La donna gatto sorrise. I suoi occhi erano gonfi di lacrime.

    - Sei… così ingenuo… ma è proprio quello… che più mi è sempre piaciuto di te…¹ -

¹ Questa scena si è svolta in Sonic the Hedgehog (2006)

    La ragazza fu avvolta da un bozzolo di energia e il suo corpo cominciò lentamente a disintegrarsi in minuscole particelle luminose… sempre più velocemente… fino a sparire del tutto…

    - Nooooo! - urlò Blaze, straziata di fronte a quel triste spettacolo.

    Ci fu un altro fortissimo lampo di luce e la realtà perse ogni confine e ogni dimensione, gettando di nuovo Blaze in un vortice freddo e buio.

    Iblis è stato confinato all’interno della tua anima e, con esso, anche il resto della sua essenza originaria, Solaris, e le antiche gemme che canalizzano i suoi poteri… le gemme guardiane del pianeta Terra… i Sol Emeralds.

    - Cosa… cosa significa? - chiese Blaze, con voce rotta, inginocchiata nel vuoto - I Sol Emeralds… sono originari della Sol Zone… vero? -

    Tu sei la Sol Zone. E la Sol Zone è te. E’ una dimensione che è stata creata da te e dai Sol Emeralds. Un mondo completamente nuovo, innestato nella linea temporale e nato nel momento stesso in cui sei stata rinchiusa in un’altra dimensione. Tu ne sei il centro, Solaris è in te e i Sol Emeralds sono in lui.

    Quelle improvvise rivelazioni, in tutta la loro scioccante veridicità, stavano vorticando nella mente di Blaze ad una velocità così elevata da far piombare su di lei un senso di nausea. Se tutto quello era vero, non era mai nata nella Sol Zone come aveva sempre pensato. Se tutto quello era vero, era originaria di Mobius, esattamente come Sonic. Avrebbe spiegato la sua mistica connessione con i Sol Emeralds, il motivo per cui, se non fossero sempre rimasti tutti insieme, il suo mondo sarebbe stato condannato alla catastrofe. Il suo mondo era lei, la Sol Zone era lei… ne era la creatrice, ne era la guardiana, ne era la vita stessa.

    - Perché non riuscivo a ricordarmi di tutto questo? - domandò con voce flebile - Perché non riuscivo a ricordarmi… di Silver? -

    Nel momento in cui sei stata sigillata in un’altra dimensione, è stato per te come rinascere. Una nuova vita, nuovi ricordi, una reincarnazione nel fuoco.

    - E cosa ne è stato di lui? -

    L’intervento di Sonic the Hedgehog ha manomesso la linea temporale del pianeta Terra, cancellando dall’esistenza la manifestazione di Solaris del suo tempo nel passato, nel presente e nel futuro. Eppure, una stilla di Solaris esiste ancora… in te. I Sol Emeralds esistono ancora… grazie a te.

    - Non mi interessa! - sbottò Blaze - Voglio sapere di Silver… dov’è Silver? -

    Non esiste più. Cancellando l’esistenza di Solaris, Sonic the Hedgehog ha cancellato anche l’esistenza di Silver the Hedgehog e di tutti coloro che vivevano nel suo futuro… ad eccezione di te.

    - Quindi… non ci siamo mai conosciuti -

    Blaze rifletté sul significato di quelle parole. Pian piano, il loro senso cominciò a pervadere la sua mente e quando se ne fu appropriata, esplose in una manifestazione di cieca rabbia. Scagliò getti di fiamme infuocati in tutte le direzioni, all’impazzata, nel tentativo di colpire, ferire, bruciare chiunque o qualunque cosa stesse parlando con lei.

    - Perché? Perché mi hai detto tutto questo? Perché mi hai fatto ricordare di lui? Chi sei? Chi diavolo sei? -

    Generò fuoco più di quanto avesse mai fatto in vita sua, nonostante le fiamme si perdessero nel buio, nonostante fosse totalmente inutile, fino ad esaurire ogni energia che aveva in corpo. Si accasciò esausta e singhiozzò piano.

    Il tuo destino si sta avvicinando. Il tuo risveglio è iniziato. Presto arriverà il momento del giudizio e tu sei stata scelta per farne parte… le tue origini e il tuo destino… sono qui per te… Blaze…

    La testa le diventò pesante. Un curioso formicolio si impadronì del suo corpo. Avvertì una sensazione simile a quando si scivola nell’acqua calda. Si sentì avvolgere da un confortante torpore… poi, Blaze the Cat non ricordò più nulla.

    Fu uno strano solletico sulla punta del naso che la costrinse a destarsi. Il primo pensiero che le venne in mente fu di aver fatto uno strano sogno, dalle tinte che si avvicinavano ad un incubo. In quel momento, si sarebbe risvegliata nel suo letto. Si sarebbe stropicciata gli occhi, stiracchiata e, di lì a qualche minuto, avrebbe perso ogni dettaglio di quanto aveva vissuto nel sonno.

    Blaze aprì gli occhi e si rese conto che una farfalla si era posata sul suo naso. Si tirò su, facendola scappare via, e si rese conto di non essere affatto nel suo letto, ma distesa sull’erba. L’aria fresca le accarezzò il viso e fu un toccasana per il suo stordimento. Il sole la abbagliò, costringendola a proteggersi il viso, mentre dei cinguettii lontani arrivavano alle sue orecchie.

    Impiegò qualche minuto per riconoscere il luogo in cui si trovava. Lo aveva già visitato tempo prima e, anche in quell’occasione, si trovava spaesata e disorientata come in quel momento. C’era un’unica sostanziale differenza: adesso sapeva. Sapeva dove si trovava e sapeva da dove veniva veramente. Attese ancora, per dare modo al suo respiro di regolarizzarsi e alla sua mente di schiarirsi, in modo da poter ragionare lucidamente.

    C’era una sola persona con cui poteva parlare, a cui poteva confidare ciò che era successo e che, forse, l’avrebbe capita, aiutata… che forse avrebbe ricordato. Doveva trovare Sonic… e non sarebbe neanche stata difficile, considerando che, non sapeva come, non sapeva quando, si era appena risvegliata nel suo mondo.

Questione di scelte (Prima parte)

    - Sei davvero sicura che non ti sto creando impicci? - domandò Tails per quella che doveva essere almeno la decima volta, mentre caricava uno scatolone particolarmente pesante in ascensore.

    Amy Rose lo ricambiò con un’occhiataccia, il modo più rapido e diretto per fargli capire che doveva smetterla di avere tante preoccupazioni. Il volpino sorrise nervosamente e comunicò con uno sguardo che, da quel momento in poi, avrebbe cercato di non sollevare più l’argomento.

    Sistemò ordinatamente gli scatoloni nello spazio squadrato dell’ascensore e si asciugò la fronte sudata, come inequivocabile segnale della fine dell’operazione. Dopodiché, Amy salì a bordo e premette il pulsante circolare che li avrebbe condotti al piano dove si trovava il suo appartamento.

    - Te l’ho già detto - disse ancora una volta - Mi fa piacere avere compagnia, specie adesso che Cream è tornata da sua madre. Di solito non si trattiene per molto tempo da me. E poi Sonic è stato molto chiaro, è pericoloso rimanere a casa tua -

    - Sapendo che per ben due volte ci si sono intrufolati dei pazzoidi, in effetti, non avrei dormito sonni tranquilli - confessò Tails - Avrei comunque potuto trovare un’altra sistemazione temporanea -

    - Lascia perdere. E’ meglio rimanere uniti, è quello che ha detto Sonic. A proposito, hai idea di cosa voglia parlarci? -

    - Non lo so, ma credo che abbia scoperto qualcosa di molto importante. Quando stamani lo abbiamo trovato ad aspettarci fuori da casa mia, aveva un aspetto strano -

    Un melodioso segnale acustico annunciò che l’ascensore aveva raggiunto il piano desiderato. Iniziarono così le operazioni di scarico della roba di Tails, almeno una decina di scatoloni pieni fino all’orlo.

    - C’era proprio bisogno che ti portassi tutta questa roba? - chiese Amy, leggermente seccata per essersi calata nei panni di un facchino.

    - Credimi, è meglio così - si giustificò Tails - Non potevo lasciare i miei progetti e i miei attrezzi incustoditi. Non saresti contenta di sapere cosa possono combinare nelle mani sbagliate -

    L’appartamento di Amy era piccolo, ma decisamente accogliente. Era immerso in un gradevole odore di vaniglia ed era molto più pulito ed ordinato di quanto Tails fosse abituato a vedere, dato che era solito trascorrere le ore nella confusione della sua officina. Il salotto era occupato da un tavolo da pranzo in mogano e da un paio di divani foderati di blu appoggiati accanto ad un’ampia finestra che dava sulla strada. In un angolo della stanza si trovava ciò che attirò subito l’attenzione di Tails, un tavolino su cui era poggiato un cuscino a forma di cuore con l’immagine di Sonic, insieme a diverse foto che lo ritraevano. Il volpino cercò di ignorare quella specie di altarino e cominciò a poggiare provvisoriamente gli scatoloni accanto al divano.

    - Puoi usare la stanza degli ospiti - lo avvisò gentilmente Amy, una volta finito il trasloco - E’ dove dorme Cream quando viene a farmi visita -

    - Ti ringrazio, Amy - replicò Tails, guardandola dritto negli occhi - Sbaglio o c’è anche qualcos’altro dietro a tutta questa gentilezza? -

    Amy si affrettò ad assumere un’espressione incredula e leggermente offesa, anche se sapeva che non era tanto facile sfuggire all’intuito di Tails.

    - Cosa? Perché? Cos’altro dovrebbe esserci? -

    - Andiamo, ti conosco abbastanza da sapere che non ti arrendi tanto facilmente. Vuoi ancora che ti parli di mia sorella, vero? -

    - Bé, pensavo che se ti avessi aiutato con la sistemazione saresti potuto essere più… collaborativo - rispose la riccia rosa, in tutta sincerità.

    Tails si lasciò cadere pesantemente sul divano. Aveva l’espressione stanca e assorta, ma non sembrava essere arrabbiato. Amy gli si sedette subito accanto e attese pazientemente.

    - Come ti ho detto stamattina, quando stavamo andando alla Synthrodyne, non so davvero cosa raccontarti di più specifico. Prima di incontrare Sonic e di cominciare a vivere avventure con lui, sono cresciuto praticamente da solo. I bambini della mia età non facevano altro che prendermi in giro, sia per la mia passione per le invenzioni, ma soprattutto perché ero un orfano -

    - Che cosa crudele! - commentò Amy, storcendo il naso.

    Tails sorrise.

    - A volte i bambini sanno esserlo. Ero davvero molto piccolo quando i miei genitori mi hanno abbandonato. Non riesco neanche a ricordare per bene com’era successo. Mi avevano lasciato nella foresta, promettendomi che sarebbero tornati a prendermi, ma non l’hanno mai fatto. Ricordo mia madre allontanarsi in tutta fretta, con in braccio mia sorella minore… e nient’altro. Mi rimane solo il ciondolo che hai visto l’altro giorno, con l’iniziale del suo nome: Megan -

    Il volpino fece una breve pausa ed Amy riuscì a percepire la commozione e un velo di tristezza nei suoi occhi. Forse, si disse, aveva sbagliato ad insistere nel voler rivangare nel suo passato.

    - Da quando ho incontrato Sonic, non ho mai più pensato a tutto questo. Prima mi sentivo solo, non accettato e continuavo a chiedermi che ne fosse stato della mia famiglia, perché non erano lì insieme a me. E’ bastato conoscere Sonic perché tutto questo scivolasse via dalla mia mente. Accanto a lui mi sono sentito apprezzato e ben voluto. E’ stato lui l’esempio che mi ha insegnato a buttarmi il passato alle spalle e a guardare sempre avanti. Ecco perché non ho mai parlato con nessuno dei miei genitori o di mia sorella, perché la mia unica vera famiglia è sempre stata Sonic -

    Amy poggiò una mano sulla spalla di Tails per comunicargli la sua vicinanza.

    - Sonic ha sempre avuto il potere di far sentire gli altri a proprio agio, di aiutarli a credere in sé stessi - spiegò lei, con aria trasognata - Non potrò mai dimenticare quando ci siamo incontrati per la prima volta, quando mi ha salvato da Metal Sonic ed Eggman ¹. Ero solo una ragazzina indifesa e spaventata, ma grazie a lui e al suo esempio sono cresciuta, ho imparato a difendermi e a cavarmela da sola. Lui fa questo effetto a tutti, ecco perché è così eccezionale… e perché un giorno sarà il mio adorato maritino! -

¹ Fa riferimento agli eventi narrati in Sonic CD (1993)

    Tails ridacchiò nervosamente, pensando tra sé e sé che quel giorno non sarebbe mai e poi mai arrivato, ma senza avere il coraggio di dirlo a chiare lettere.

    - Ad ogni modo - riprese Amy, una volta riscossasi dalla sua solita trance romantico-sognante - Forse un giorno ritroverai la tua vera famiglia e capirai che cosa è davvero successo. Non bisogna mai abbandonare la speranza. Se io l’avessi fatto, non sarei di giorno in giorno più vicina di un passo a sposare Sonic, ti pare? -

    A Tails non pareva affatto, ma non poteva fare a meno di condividere con un sorriso incoraggiante la visione ottimistica di Amy.

    In quel frangente, ci fu un’inconfondibile frenetica bussata alla porta. Amy si precipitò ad aprire, tutta allegra, ma sulla soglia non trovò nessuno ad aspettare. Si sporse sul pianerottolo per guardare a destra e a sinistra e un lampo blu le sfrecciò accanto per irrompere nell’appartamento.

    - Trasloco finito, piccoletto? - domandò Sonic, appena intrufolatosi in salotto, alzando una mano in segno di saluto.

    Amy richiuse la porta, indispettita, ma non per questo meno felice di rivedere quello che considerava il suo promesso sposo. Sgattaiolò alle spalle di Sonic e lo travolse con un abbraccio alle spalle, consapevole che la sua rapida irruzione era stata un tentativo di evitare proprio quello.

    - Pensavi di potermi sfuggire? - chiese Amy, stringendolo forte.

    - Almeno ci ho provato - ribatté il riccio, cercando di divincolarsi, prima che il suo sguardo cadesse sull’altarino dedicato a lui - Lo sai che è piuttosto inquietante, vero? Queste sono cose da serial killer! -

    - E non hai ancora visto la mia camera da letto. O dovrei dire la nostra? -

    Fu a quel punto che Tails intervenne per tirare Sonic fuori dai guai.

    - Chi altro ci deve raggiungere? -

    - Shadow e Rouge stanno arrivando. Ho avvertito anche Knuckles, ma non sembrava molto convinto all’idea. Ha detto che aveva cose più importanti di cui occuparsi. Certo, come no. Probabilmente sarà tutto intento a tirare a lucido il suo sasso luccicante -

    Se Sonic avesse potuto dare una sbirciata a quello che stava accadendo in quel momento ad Angel Island, probabilmente avrebbe avuto modo di verificare quanto la sua ipotesi fosse inesatta. Era vero che, di solito, tutta l’attenzione di Knuckles the Echidna era concentrata sull’imponente Master Emerald, tuttavia non era quello il caso ed era un avvenimento più unico che raro.

    In quel momento, Knuckles aveva totalmente dimenticato il suo smeraldo gigante, gli avvenimenti degli ultimi giorni, persino le pagine del tomo polveroso che stava sfogliando fino a poco tempo prima. La sua concentrazione era tutta dedicata ad un elemento estraneo spuntato da un momento all’altro nel suo familiare panorama di quiete. Non appena il guardiano si era accorto della presenza di quell’uovo, si era istintivamente guardato a destra e a sinistra. Sapeva che nessuno era potuto passare di lì a lasciarlo senza che se ne accorgesse e che, naturalmente, nessuno aveva potuto farlo cadere dall’alto senza che si trasformasse in frittata. Eppure la reazione più istintiva ad un evento che non si sarebbe mai aspettato era proprio di guardarsi intorno.

    Si avvicinò circospetto all’uovo, delicatamente appoggiato ad un fianco del Master Emerald. Lo guardava con apprensione, quasi come se si fosse trattato di una bomba in procinto di esplodere. Lo raccolse con cura e lo esaminò superficialmente. Era abbastanza grosso e presentava alcune macchioline marroni, quasi invisibili sul bianco lucido del guscio. Avrebbe voluto scuoterlo, ma non aveva idea di cosa (o chi) stava crescendo al suo interno e quindi non voleva rischiare di fare danni.

    Era confuso e spaesato, non aveva davvero idea di cosa fare o di come comportarsi. Non poteva certo andare in giro per tutta l’isola ad appendere manifesti con su scritto “Ritrovato uovo scomparso”, ma non aveva neanche uno straccio di indizio che potesse aiutarlo a capire a chi appartenesse e come ci fosse finito sull’altare. Vagamente seccato, borbottando a bassa voce, Knuckles decise di fare la cosa più logica in quel frangente. Raggiunse il piccolo locale scavato nella pietra dell’altare, a ridosso della sua grande base circolare, e poggiò l’uovo sul giaciglio in paglia che utilizzava come letto ogni qualvolta faceva troppo freddo o le intemperie non gli permettevano di dormire all’esterno.

    Lo osservò ancora, con la fronte aggrottata e le braccia conserte, come se volesse ancora decidere cosa farne. Era troppo grande per essere l’uovo deposto da qualche animaletto dell’isola e, per quanto poco ne sapeva, era comunque convinto che lì dentro stesse crescendo un essere vivente. Per tenerlo al caldo, lo avvolse in una delle sue vecchie coperte, con una delicatezza eccessiva che non gli apparteneva. Sentendosi vagamente imbarazzato, decise di lasciarlo lì per il momento e di tornare a concentrarsi sul libro che aveva portato da Loranna Valley.

    Quando Sonic lo aveva contattato tramite la ricetrasmittente da polso lasciatagli da Tails, era completamente immerso nella lettura, difficoltosa per via dello stato consunto in cui versava a causa dell’abbandono. Stava tentando di decifrare alcune informazioni sul Master Emerald, per cui aveva risposto in malo modo a Sonic, il quale gli chiedeva di raggiungerlo in serata a Central City perché aveva qualcosa di molto importante di cui parlargli. Knuckles aveva risposto con un secco “ho da fare!”, troppo concentrato per dare retta a qualcos’altro che non fosse quel libro. Sonic aveva insistito un po’, ma si era arreso piuttosto in fretta, cosa di cui l’echidna gli fu grato.

    Avrebbe avuto modo di sapere cosa c’era di tanto urgente in seguito. In quel momento era molto più importante ricostruire le tracce del suo passato che erano disseminate come vaghi indizi tra quelle pagine… le stesse pagine scritte da suo padre. Shade, prima di andarsene, gli aveva indicato una strada piena di promettenti possibilità e, considerando quanto era sempre stato radicato in lui il desiderio di scoprire il più possibile sulle sue origini e sulla sua famiglia, non aveva intenzione di permettere a niente e a nessuno di distrarlo.

    - Dove sei finito, papà? - mormorò tra sé e sé.

Questione di scelte (Seconda parte)

    L’appartamento di Amy piombò all’improvviso in un silenzio attonito, velato di perplessità. Nei minuti precedenti era rotto dalla voce di Sonic, impegnato a raccontare per filo e per segno tutto quello che aveva scoperto in mattinata grazie al rapimento avvenuto ad opera di Getara. Raccontò al suo pubblico meravigliato ciò che aveva appreso sulle origini dell’universo, sui Chaos Emeralds, sulle creature mostruose che avevano affrontato, volenti o nolenti, nelle loro precedenti avventure. Spiegò quali fossero, a detta di Seth, gli obiettivi del Cenacolo di Argus e il motivo per cui erano stati messi alla prova e che cosa stessero cercando e, soprattutto, aspettando.

    Sonic fece del suo meglio per ricordarsi tutti i particolari e per riportarli accuratamente, senza far sembrare che fosse totalmente uscito di testa. Avrebbe voluto descrivere loro quanto fosse stata inquietante e veritiera la visione mostratagli da Seth, ma sapeva che non ci sarebbe mai riuscito adeguatamente.

    Al termine del suo racconto, scandagliò il salotto con lo sguardo per percepire le sensazioni suscitate in chi lo aveva ascoltato. Amy e Tails avevano gli occhi sgranati e la bocca semi-aperta, come efficace monito di quanto fossero rimasti stupiti da quelle parole. Rouge aveva un’espressione un po’ più contenuta, anche se dal modo in cui era rimasta immobile durante tutto il racconto si capiva quanto fosse incuriosita e interessata. La reazione più indecifrabile fu quella di Shadow; sembrava furibondo a giudicare dal suo sguardo severo, ma dal modo in cui teneva le braccia conserte e la testa girata pareva del tutto noncurante di quanto gli era stato detto. Nonostante questo, fu il primo a parlare quando Sonic ebbe concluso.

    - Idiozie! - commentò, sprezzante - Nient’altro che una marea di idiozie! -

    - Non ne sarei così sicuro - replicò Sonic, in tono di difesa - Seth è stato piuttosto convincente. Se avessi visto anche tu quello che ho visto io, non saresti così pronto a dire che si tratta di fandonie -

    - Vuoi farmi credere che i Chaos Emeralds sono collegati ad una qualche specie di entità superiore che dovrebbe venire qui a spazzarci via tutti perché non gli sta bene quello che abbiamo fatto finora? -

    - Detto in parole povere… - confermò il riccio blu, sorridendo debolmente.

    - Il loro stupido fanatismo religioso ti avrà dato alla testa! - esclamò Shadow, ostinatamente convinto.

    - Però… - intervenne timidamente Tails - Questo darebbe una spiegazione a quello che è accaduto al Clan di Nocturnus. Quando eravamo a Twilight Cage, Nestor ci aveva parlato della storia del Clan e che erano stati intrappolati lì da quello che chiamava Evento Argus. E si ricollega anche a Dark Gaia, al Time Eater… a tutte quelle creature che Eggman ci ha scatenato contro. E’ tutto così… logico, se ci pensate -

    - E’ quello che ho pensato anch’io sul momento - confermò Sonic.

    - Allora spiegami una cosa - insisté Shadow, aggressivamente - Se è vero che i Chaos Emeralds sono originari di Mobius, come aveva fatto il professor Gerald cinquant’anni fa a progettare il Cannone Eclissi perché funzionasse con la loro energia? E se è vero che ci sarebbero sette smeraldi su ogni pianeta, che fine hanno fatto quelli del pianeta Terra? -

    Di fronte a queste domande, Sonic non seppe cosa rispondere. Erano dei quesiti legittimi e, effettivamente, infliggevano un duro colpo alla teoria costruita da Seth, perché, apparentemente, non c’era modo in cui il professor Gerald Robotnik, cinquant’anni prima sulla Terra, sapesse dell’esistenza dei Chaos Emeralds, se questi provenivano dal pianeta Mobius. Forse aveva progettato il Cannone su misura sulla serie di smeraldi presente sulla Terra e forse era stata una pura coincidenza il fatto che i Chaos Emeralds funzionassero sul Cannone allo stesso modo. Ma se davvero era così, che fine avevano fatto, come giustamente chiedeva Shadow, gli smeraldi della Terra? La situazione si faceva sempre più complicata.

    - Non sto dicendo che quella che mi hanno raccontato sia la pura verità - disse Sonic, deciso - Sto dicendo che loro ci credono ciecamente, ed è abbastanza per renderli pericolosi -

    - Che cosa hai in mente di fare allora? - domandò Amy.

    - Quasi tutti noi abbiamo avuto a che fare con questi pazzoidi. Ci hanno preso di mira e hanno provato a farci del male. Seth mi ha chiaramente detto che questo è il minimo di ciò che sarebbero disposti a fare e non ho intenzione di starmene con le mani in mano, ad aspettare che un giorno decidano di sterminare chiunque capiti loro a tiro perché pensano che il loro amichetto immaginario stellare abbia deciso così -

    - Sarebbe a dire che hai bisogno del nostro aiuto, zuccherino - concluse Rouge.

    - Questa volta non si tratta di qualche stupida follia saltata in testa ad Eggman. Abbiamo a che fare con un intero gruppo di esaltati e avete avuto modo di vedere quanto sanno essere pericolosi. La loro forza è nel numero e, se vogliamo toglierceli dai piedi, dobbiamo fare altrettanto -

    - Da quando in qua ti piace giocare in squadra? - chiese Tails, bonariamente provocatorio.

    - Ehi, anch’io so usare la testa qualche volta! - rispose Sonic, scherzosamente offeso - Se c’è qualcosa che ho imparato negli ultimi anni, è che non posso sempre fare tutto da solo… anche se, comunque, mi riesce lo stesso molto bene -

    Sonic e Tails risero di gusto, contagiando in breve anche Amy.

    - Stiamo parlando di una specie di organizzazione, se ho capito bene - intervenne Rouge, interrompendo l’ilarità - Quindi potrebbe farne parte chiunque -

    Il pipistrello guardò Shadow e tra di loro avvenne una comunicazione quasi telepatica. Avevano pensato la stessa cosa allo stesso momento.

    - Quando abbiamo indagato sulla villa dove abbiamo incontrato quelli del Cenacolo - raccontò Shadow - Le indagini ci hanno portato da un tizio che si chiama Jacob Garrett. Lui è di sicuro coinvolto in tutto questo, anche perché ha cercato di utilizzare Omega per farmi fuori -

    - Dato che sei qui, tutto intero, devo dedurre che Omega non è stato così fortunato? - ribatté Sonic.

    - Non l’ho abbandonato una volta e non ho intenzione di iniziare adesso.¹ Gli avevano piazzato addosso un radiocomando sofisticato che hanno usato per pilotare le sue mosse da lontano. In qualche modo sono riusciti ad entrare nella base G.U.N. e a raggiungere l’armeria -

¹ Shadow si riferisce alla sua ricerca di Omega in Sonic Chronicles: The Dark Brotherhood (2008)

    - E noi sappiamo che tra di loro c’è un tipo che è in grado di cambiare aspetto - concluse Rouge, in tono pratico.

    Quando Shadow aveva menzionato il “radiocomando sofisticato” anche a Tails ed Amy baluginò qualcosa di ben preciso in mente. Si guardarono e, con un cenno della testa, acconsentirono a raccontare ciò che gli era successo in mattinata.

    - Forse non c’entra niente - esordì il volpino, incerto - Ma anche noi abbiamo avuto una disavventura spiacevole oggi -

    E raccontò della rapina alla Synthrodyne e dell’arrivo di Geoffrey, dei Tekkadron e di essere sfuggiti per un soffio alle grinfie di Metal Sonic.

    - Come se non avessimo già abbastanza problemi - commentò Sonic, visibilmente infastidito - Adesso c’è anche Metal Sonic che si diverte a giocare al boss criminale -

    - Pensi che possa essere coinvolto con il Cenacolo? - domandò Amy - In fondo, non sono in molti a disporre di simili tecnologie -

    - Tanto vale allora sospettare di Eggman. Non lo so proprio, siamo capitati in mezzo ad un bel macello e abbiamo una lunga lista di piantagrane di cui occuparci -

    - Motivo in più per metterci subito al lavoro - commentò Shadow, alzandosi di colpo dal divano.

    Rouge lo imitò.

    - Proveremo a spiegare la situazione alla G.U.N. e a vedere se sono disposti a darci una mano. O se almeno sanno darci qualche informazione in più -

    - Non ci conterei molto - ribatté Sonic - Ma è comunque un inizio. Ci terremo in contatto tramite le ricetrasmittenti di Tails -

    Shadow e Rouge annuirono silenziosamente. Sonic guardò fuori dalla finestra e vide che le tinte nere della sera avevano già preso il sopravvento. Era consapevole che dalla mattina successiva avrebbero avuto molto da fare e molto a cui pensare. Si prospettava per lui e per i suoi compagni un periodo in cui il relax e la spensieratezza erano due lussi che non si sarebbero più potuti permettere.

    - Forse dovremmo pensare di andarcene da qui - propose Getara, sforzandosi di suonare casuale.

    Gli altri suoi confratelli gli rivolsero immediatamente uno sguardo interrogativo, tutti all’unisono, che lui sostenne con decisione per dimostrare la fermezza della sua proposta. Erano quasi tutti seduti attorno al tavolo d’oro del loro rifugio, immersi fino a poco prima in un silenzio quasi religioso. Gli unici che erano in piedi erano Seth, fermo di fronte ad una parete rocciosa mentre dava loro le spalle, e l’ultima arrivata, Zephir, con le braccia conserte e un’espressione di impaziente attesa.

    - Per una volta potrei essere d’accordo con te - disse Levine, seduta alla sua destra - Questo posto buio e umido comincia a stancarmi. Rimpiango la villa che avevamo prima -

    - Hai forse paura, Getara? - domandò Seth, voltandosi di scatto.

    La tigre (o meglio, la lucertola camuffata) trasalì impercettibilmente.

    - Niente di tutto questo. E’ solo che ormai Sonic conosce anche questo posto. Potrebbe crearci problemi, se continuassimo a venire qui -

    - E tu ritieni che quel riccio possa essere fonte di problemi per noi? - incalzò lo sciacallo, in tono gentile e mellifluo.

    - Perché altrimenti avremmo abbandonato la villa? -

    - Quella era una nostra comodità, una sistemazione provvisoria per accogliere eventuali nuovi confratelli. Questo posto, invece, è il sacro cuore del nostro Cenacolo, non una volgare stamberga sfarzosa -

    - Magari tutte le stamberghe fossero così - mormorò Levine sarcasticamente, sollevando un sopracciglio.

    - Quando il riccio e la sua banda sono venuti a farci visita, tra di loro c’erano due agenti G.U.N. e considerando che non abbiamo tempo da perdere nel massacrare stupidi soldatini che sarebbero potuti venire a ficcanasare, la cosa più pratica è stata andarcene. E sai questo cosa significa? -

    Getara sospirò piano. Distolse lo sguardo, senza riuscire a dissimulare il suo fastidio per quella conversazione.

    - Che cosa significa? -

    - Che non c’è verso in cui quel riccio possa essere o possa mai diventare un problema per noi. E’ una seccatura, questo è certo. E’ una fastidiosa spina nel fianco, ma diventerà tanto fastidiosa da farci abbandonare i nostri luoghi di culto solo se glielo permetteremo noi -

    - Quindi aspettiamo che torni qui con i rinforzi? -

    - Può tornare anche con un esercito di carri armati, per quanto mi riguarda, ma continuerà ad essere sempre e soltanto una seccatura. I nostri obiettivi sono ben altri, al momento attuale -

    - Perfetto! - intervenne all’improvviso Zephir - Allora vuol dire che posso occuparmene io adesso -

    Seth spostò la sua attenzione da Getara alla riccia azzurra che lo stava osservando con fiero cipiglio.

    - Anche tu hai questioni più importanti di cui occuparti - rispose lo sciacallo, secco.

    - Eravamo d’accordo, Seth! - insisté Zephir - Se il vostro tentativo di portarlo dalla nostra parte fosse fallito, avrei potuto farne quello che volevo. Non è da te rimangiarti la parola data -

    - Sono solo seccato quando i miei confratelli decidono di sprecare le loro energie in questo modo, ma presumo che abbiamo solo da guadagnarci se Sonic viene tolto di mezzo. Sempre se Drake non abbia qualcosa in contrario -

     Il lupo in armatura, che fino a quel momento era rimasto seduto e in silenzio, sollevò la testa, sentendosi tirato in causa, ma non diede cenno di essere particolarmente interessato alla conversazione.

    - Credevo davvero che si sarebbe convinto ad unirsi a noi - spiegò in tono sommesso - Tanto potenziale sprecato. Guardate tutte le imprese che ha conseguito. Con le sua capacità sarebbe stato un valido aiuto per la nostra causa -

    - Posso garantirti che il detto “tutto fumo e niente arrosto” è stato coniato apposta per Sonic the Hedgehog - gli disse Zephir, con un sorrisetto maligno.

    - Neanche tu puoi negare una cosa del genere. E’ riuscito da solo a ricomporre il pianeta e a sconfiggere Dark Gaia, ricordi? -

    - Lo conosco molto meglio di quanto pensi, Drake. Niente di quello che fa quel riccio è dettato da eroismo. E’ soltanto un egocentrico esibizionista e, come ha detto Seth, se lo togliamo dai piedi abbiamo soltanto da guadagnarci -

    - E perché dovresti essere proprio tu a farlo? -

    Zephir decise di rispondere nel modo più opportuno. Si mosse così rapidamente da arrivare alle spalle di Drake e poi ritornargli di fronte, a ricambiare le sue occhiatacce, nell’arco di un solo secondo.

    - Perché io so fare questo, ad esempio. Sono abbastanza veloce da non lasciarmelo scappare e, di sicuro, ho molta più spina dorsale di te quando si tratta di avere a che fare con lui -

    - Hai un solo tentativo a disposizione, Zephir - decretò Seth, intervenendo nella discussione per evitare che degenerasse - Ucciderai Sonic come più riterrai opportuno. Se non dovessi riuscirci, però, tornerai ad occuparti del tuo compito e non vorrò più sentir parlare di Sonic the Hedgehog. Dovremmo continuare a reclutare adepti e a prepararci all’arrivo di Argus, invece di perdere tempo in questo modo -

    - Non temere - assicurò la riccia - Aspetto di confrontarmi con Sonic da molto tempo. Non appena avrò finito con lui, se ne sentirà ancora parlare soltanto al suo funerale -

    Palesemente soddisfatta dalla decisione del Gran Cerimoniere, Zephir fece dietrofront e si diresse verso l’uscita, sotto lo sguardo vagamente indisposto di Drake. Non riusciva ancora a credere che Sonic avesse rifiutato la loro offerta e, ancora di più, lo infastidiva che il suo fato sarebbe stato segnato da qualcuno così subdolo e rancoroso come Zephir. Quel riccio meritava di più, meritava un combattimento degno di questo nome, più giusto e onorevole. E forse c’era ancora un’ultima possibilità…

Questione di scelte (Terza parte)

    Il mattino successivo, Sonic decise che, dato che da quel momento in poi sarebbe stato raro, avrebbe cominciato a godersi appieno ogni singolo momento di tranquillità che riusciva a ritagliarsi. Era ancora presto per rincontrarsi con Tails ed Amy, per attendere notizie da Shadow e Rouge o, persino, per provare di nuovo a ficcare un po’ di buonsenso nella testaccia di Knuckles.

    Aveva raggiunto la spiaggia a ridosso di Emerald Town, il suo luogo preferito di svago, e aveva comprato un Chili Dog gigante, con l’intenzione di balzare sul ramo più robusto della palma più alta e di divorarlo mentre si godeva il panorama. Era buffo quanto gli piacesse bazzicare la spiaggia e osservare il mare nonostante l’acqua fosse la sua debolezza più grande. Ed era ancora più buffo che gli venisse così spontaneo soffermarsi su quei semplici pensieri, quando, in realtà, ce ne sarebbero stati di molto più importanti che avrebbero dovuto occupargli la mente. Solo il giorno prima aveva assistito alla creazione dell’universo e, nei giorni successivi, sarebbe stato il protagonista di una specie di battaglia contro dei nemici molto potenti e temibili.

    Forse avrebbe dovuto pianificare qualche strategia, pensare a cosa sarebbe dovuto essere più opportuno fare. Tuttavia, non ci riusciva proprio, non si era preoccupato fino a quel momento del futuro e non avrebbe neanche cominciato in quel frangente, anche se la situazione era decisamente seria. O forse, più probabilmente, si rendeva inconsciamente conto che difficilmente avrebbe ancora avuto occasione di essere così spensierato, man mano che la faccenda si sarebbe sviluppata, quindi il suo desiderio più profondo era di vivere e assaporare la serenità fin quando sarebbe stato possibile farlo. Sonic non lo sapeva.

    Aveva appena finito di spazzolare via ciò che restava del suo succulento Chili Dog, quando il suo sguardo ricadde su una figura che stava attraversando la spiaggia in ampie falcate. Attese che si facesse più vicina, in modo da capire di chi si trattasse, e quando la riconobbe, seppe immediatamente cosa fare. Piombò con decisione sulla sabbia e affrontò faccia a faccia chi si ritrovò di fronte.

    - Hai intenzione di continuare a perseguitarmi per molto? - domandò a Drake.

    - Non sono qui per battermi, se è quello che temi - rispose lui.

    Aveva un tono sbrigativo e negli occhi che si intravedevano oltre l’elmetto si poteva leggere una sottile preoccupazione.

    - Temere? - replicò Sonic, sprezzante - Calpestare lattine di metallo semoventi è il mio esercizio mattutino preferito… anche se di solito si tratta di robot, ma per te farò un’eccezione -

    Drake fece divampare nel palmo della sua mano destra una fiamma che concentrò in una sfera. Prima che Sonic gli si potesse avventare contro, la scagliò sul manto sabbioso, in modo da tenerlo lontano.

    - Ti ho detto che non voglio combattere! - ripeté il lupo - Dammi ascolto una buona volta -

    - Allora dammi un motivo per cui dovrei farlo. Forse la memoria mi inganna, ma non siete stati tu e i tuoi compari a rapirmi e tenermi legato come un salame giusto ieri? -

    - Lo sai perché lo abbiamo fatto, non fare l’idiota! Anzi, se ci avessi dato ascolto, non sarei qui ad avvertirti adesso -

    - Avvertirmi di cosa? -

    Drake fece una breve pausa, come per volersi assicurare che il suo interlocutore lo stesse davvero ascoltando.

    - Uno dei miei confratelli è stato incaricato di ucciderti e sarà qui da un momento all’altro -

    Sonic non poté nascondere il fatto di essere stato colto di sorpresa. Nell’arco di un solo istante si domandò perché Drake avrebbe dovuto avvertirlo di una cosa del genere e, soprattutto, come avrebbe fatto questo assassino a trovarlo… in fondo, come aveva fatto Drake stesso a sapere dov’era ogni singola volta?

    - Questa è bella! - fu ciò che il riccio ebbe da commentare - Ammesso e non concesso che ti creda, come farebbe a sapere dove mi trovo? -

    - Abbiamo i nostri sistemi per localizzare le persone - spiegò il lupo - Ma non è questo il punto. Sei ancora in tempo per unirti a noi, prima che ti trovi e ti faccia fuori -

    In quel momento, Sonic rimase perplesso. Non capiva a che gioco stesse giocando Drake.

    - Sei davvero convinto che mi fiderei di te? Perché continui ad insistere in questo modo? -

    - Perché credo che, nonostante la tua incredibile cocciutaggine, saresti un elemento prezioso per il Cenacolo. Guarda tutte le imprese che hai compiuto in questi anni, guarda quello che sai fare. E poi, conosco i sistemi di chi è stato incaricato di ucciderti. Sei uno dei guerrieri migliori che abbia mai incontrato. Meriti un combattimento più leale e una fine più onorevole -

    Il riccio blu aggrottò la fronte, incerto se credere o meno a quelle parole. Non credeva alla sincerità di quanto Drake gli stava dicendo, non credeva che, al momento del loro primo incontro, lui avrebbe davvero tratto in salvo quelle persone nell’imbarcazione se Sonic non ci avesse pensato. Non credeva a quella facciata così corretta e rispettosa. Eppure…

    - Perché fai parte del Cenacolo? - domandò di getto, senza pensarci - Se credi davvero nell’onore, perché ti schieri dalla parte di chi sarebbe disposto a tutto? -

    - I miei motivi per far parte del Cenacolo non ti devono interessare. Ciò che conta è che tu capisca… devi capire che la cosa più giusta da fare è mettere le tue abilità al servizio dello scopo per cui ti sono state donate. E’ il nostro principio, il nostro obiettivo -

    - Allora lascia che sia io a farti capire un paio di cose - ribatté Sonic, serio e deciso - Non so se la mia velocità mi sia stata concessa da qualche santone interstellare o, semplicemente, ci sono nato così. E non mi interessa saperlo. Quello che conta non è ciò per cui ti sono state date le tue forze, ma è quello per cui tu decidi di usarle. E io ho deciso di usarle per non obbedire mai a nessuno, per fare sempre la cosa giusta quando ce n’è bisogno… e vuoi sapere qual è la cosa giusta in questo momento, amico? Fare in modo che dei pazzi megalomani non torcano neanche un capello a persone che non hanno nulla a che fare con il loro fanatismo malato -

    - Fanatismo malato? - ripeté Drake, furibondo - E’ così che giustifichi da dove veniamo? Quello che siamo? -

    - Io sono quello che decido di essere. Se tu hai deciso di farti comandare a bacchetta e di essere complice di ogni tipo di crimine, fai pure. Ma non aspettarti che io ne faccia parte e che, soprattutto, non prenda a calci ogni centimetro del tuo sedere in armatura per fermarti -

    A queste parole, Drake non trovò risposta. Chinò leggermente la testa e si chiuse in uno strano mutismo, come se tutte le sue convinzioni fossero state abbattute con la stessa facilità con cui si abbatte un castello di carte. Sonic, però, non voleva cascarci. Era ancora convinto che si potesse trattare di un trucco, anche se non poteva fare a meno di credere, almeno in minima parte, a quello che aveva ascoltato. Sembrava così sinceramente convinto di quello che andava predicando, eppure era l’unico, tra tutti i membri del Cenacolo che aveva conosciuto, che, nonostante il loro antagonismo, gli avesse dimostrato una qualche forma di rispetto. Non aveva mai ricorso a mezzucci come Getara o a crudele violenza come Seth per affrontarlo. Si era sempre contrapposto a lui in maniera leale e corretta, sia ideologicamente che fisicamente. Il suo scopo non sembrava mai essere stato quello di fargli del male, ma piuttosto di misurarsi con lui, di convincerlo sinceramente a condividere il suo punto di vista.

    - Tempo fa ho conosciuto una persona - raccontò Sonic, ancora una volta senza pensarci - Era stata creata con lo scopo di essere la forma di vita perfetta. Shadow era convinto che il suo unico obiettivo fosse di compiere una vendetta, perché era per quello che era stato perfezionato. Eppure ha deciso di cambiare, di utilizzare le sue capacità per fare ciò che riteneva più giusto. E se non lo avesse fatto, a quest’ora forse tutto il pianeta sarebbe stato distrutto. E’ questo a cui stai andando incontro anche tu -

    Drake guardò Sonic dritto negli occhi.

    - Le tue parole hanno senso, è inutile negarlo -

    Proprio nel momento in cui sul volto del riccio cominciò ad allargarsi un sorriso sincero, avvertì una forte fitta al fianco destro e si sentì sbalzare fino a finire con la faccia nella sabbia. Si sollevò, ancora stordito, e sputacchiò qualche granello, scuotendo anche la testa per cercare di riprendersi in fretta. Chi, o cosa, lo aveva colpito era stato così mostruosamente veloce da non dargli neanche il tempo di reagire.

    Si voltò con aria combattiva e i suoi occhi si spalancarono in tutto il loro stupore nel trovarsi di fronte all’ultima persona che avrebbero mai pensato di poter vedere.

    - Zephir? -

    La riccia azzurra contemplava Sonic con un misto di soddisfazione e divertimento. Era molto più cresciuta rispetto all’ultima volta in cui Sonic l’aveva vista. I suoi aculei erano anche molto più lunghi e il completo in pelle che indossava metteva in evidenza delle curve che, tempo prima, non erano neanche accennate.

    - Devo dire che fa piacere essere ricordati - commentò lei - Specie da uno come te, Sonic -

    Dopodiché, la ragazza si rivolse a Drake.

    - Non penso che a Seth farà piacere sapere che ti trovavi qui ad interferire con il mio compito. Che cosa gli racconterai? -

    Il lupo in armatura gonfiò il petto per darsi un’aria fiera e decisa.

    - Le cose come stanno. Sai che non mento mai -

    - E allora cosa ci fai ancora qui? - fu la secca replica - Fatti da parte e lasciami terminare l’incarico -

    Drake guardò prima lei, poi Sonic. Quindi, dopo pochi secondi, fece un passo indietro silenziosamente.

    - Saresti tu quella che dovrebbe farmi fuori? - domandò Sonic, tentando di mostrarsi impassibile quanto più poteva - Da quando frequenti questi giri loschi? -

    - Ne sono cambiate di cose da quando eravamo piccoli, Sonic. Non hai neanche idea di quante -

    - Ah, sì? Perché non me ne dici una? -

    - Bé, ad esempio… adesso so fare questo! -

    Zephir colse Sonic totalmente alla sprovvista. Si mosse ad una velocità sorprendente, lasciandosi alla spalle una specie di alone azzurrino, e colpì Sonic con un forte schiaffo. Poi, il riccio se la ritrovò alle spalle e si sentì spingere in avanti con la pianta del piede. Totalmente sbilanciato, non poté evitare di essere colpito da una ginocchiata in fronte dalla velocissima Zephir, spuntata all’improvvisto di nuovo di fronte a lui.

    Sonic barcollò per un momento e, per mettersi a distanza di sicurezza, fece un rapido salto all’indietro. C’era molto su cui riflettere, ma non aveva il tempo di farlo.

    - Questa è nuova! - commentò - Quando giocavamo alla corsa da bambini non mi sembravi così veloce -

    - Non si tratta di semplice velocità, ma di qualcosa di più. Non vorrai certo che mi paragoni a te, vero? -

    Sonic sorrise con aria di sfida. Era perplesso e vagamente preoccupato dentro di sé, ma non l’avrebbe mai e poi mai dato a vedere. Zephir ricambiava il suo sguardo con la stessa espressione decisa.

    - Ho qualche possibilità che tu mi risponda se ti chiedessi perché diavolo stai cercando di farmi la pelle? -

    - Non nell’immediato - disse la ragazza, estraendo i due pugnali che teneva nei foderi appesi ai fianchi - Prima avrei voglia di divertirmi un po’ -

    Zephir si avventò nuovamente su Sonic, ma questa volta lui era pronto. Sfoggiò tutta la sua impareggiabile velocità correndo in circolo con la speranza di prendere la sua avversaria alle spalle. Il tentativo non andò in porto, perché lei riuscì inspiegabilmente a tornare rapidamente sui suoi passi e ad attaccare Sonic con le sue lame. Il riccio si protesse con le braccia e frenò giusto in tempo per evitare la stoccata.

    Lo scontro proseguì in una girandola di colpi a velocità pazzesca. Drake rimase fermo al suo posto, ad osservare due macchie di colore, una blu e una azzurra, saettare da una parte all’altra della spiaggia, più veloci di quanto potessero fare i suoi occhi. Si scontravano a mezz’aria e rasoterra, sollevando polveroni sabbiosi che rendevano i loro movimenti ancora più difficili da seguire.

    A un certo punto, Sonic si fiondò come un proiettile verso l’avversaria, appallottolato in azione rotante, ma Zephir riuscì ad intercettarlo e a respingerlo con un calcio poderoso. Sonic si schiantò contro il tronco di una palma e riuscì a malapena a rimettersi in piedi prima di ritrovarsi ad un centimetro di distanza dalla riccia. Piantò uno dei coltelli nel legno dell’albero, ad un pelo di distanza dal viso di Sonic, come crudele intimidazione. 

    - Non sei più il primo della classe, Maurice - sussurrò lei malignamente.

    I momenti successivi si svolsero con una rapidità eccessiva persino per Sonic. Avvertì un forte calore poco distante da lui e sentì Zephir gemere improvvisamente di dolore. La riccia si spostò rapidamente e Sonic poté individuare con la coda dell’occhio un fascio di fiamme incandescenti alle sue spalle. Quando si guardò intorno per realizzare cosa fosse successo, individuò Zephir che si sfiorava una bruciatura sull’omero sinistro, digrignando i denti per soffocare il dolore.