Il match infinito

di Redferne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il direttore di gara attendeva immobile al centro del ring.

Intabarrato nel suo tipico binomio composto da camicia bianca e pantaloni neri, con farfallino del medesimo colore a guarnire il tutto, non tradiva la benché minima emozione. Nemmeno un fremito. Pareva non respirasse neppure. In realtà doveva essere teso al pari di chiunque lì dentro, ma era bravo a non lasciar trasparire nulla. E’ il suo ruolo che glielo imponeva, del resto.

La camicia, pur mantenendo il suo colore primigenio, non era più immacolata: qua e là spuntavano chiazze color carminio, come se traspirassero direttamente dal tessuto. Come se fosse pelle. Un secondo strato piazzato sopra la seta, di pelle VIVA.

Macchie ormai rapprese di sangue e sudore. Muti e terribili testimoni della battaglia che si era appena conclusa all’interno di quel quadrato composto da un triplice giro di corde elastiche.

Pareva che lui stesso ne avesse preso parte.

Pochi istanti dopo, uno degli assistenti si guadagnò un po' di spazio tra la seconda e la terza e salì a sua volta sul quadrato. Gli si avvicinò e gli consegnò alcuni cartellini.

Un silenzio tombale avvolse l’intero Nippon Budokan di Tokyo. Il pubblico attendeva con il fiato sospeso. Come sempre, in questi casi. Ma questa volta, vista l’importanza della situazione, quell’improvviso zittirsi da parte loro contribuiva a rendere l’atmosfera ancora più greve ed opprimente. Se davvero era possibile renderla ancora più greve ed opprimente di quanto già non fosse. L’arbitro non aveva avuto nemmeno il bisogno di ricorrere alle solite raccomandazioni di rito. E nemmeno di invitarli alla calma.

Consultò attentamente i biglietti in cartoncino, leggendoli e rileggendoli con calma e passandoseli di mano in mano uno dietro l’altro, con estrema cura. Sembrava titubante. Poi prese il microfono, lo porto alla bocca ed annunciò finalmente la sentenza.

“VINCE, PER DECISIONE DEI GIUDICI E CON VERDETTO NON UNANIME...”

Tutti trasalirono.

“Ti prego...” mormorò il vecchio allenatore, rivolgendo scongiuri e suppliche a qualunque divinità si potesse trovare all’ascolto in quel momento, che ci credesse o meno. Probabilmente non sapeva nemmeno lui A CHI O A COSA stesse votandosi.

Aveva solo una certezza, in quell’istante: ne avevano passate di ogni. Era da una vita che a loro andava sempre tutto quanto storto. Ed era da una vita che le cose finivano sempre per prendere la direzione sbagliata. Lottavano da sempre contro il destino avverso, ed erano sempre riusciti a piegarlo alla loro volontà. Anche quando sembrava tutto perduto. Doveva pur andar bene, una maledetta volta. Una sacrosanta, MERDOSISSIMA VOLTA.

Se lo meritavano loro, punto e basta.

“...E RIMANE DETENTORE DEL TITOLO MONDIALE, CATEGORIA BANTAM, NONCHE’ NUOVO CAMPIONE ASIATICO...JOSE’ MENDOZA!!”

Un mormorio di delusione serpeggiò tra la platea del palazzetto sportivo. Per contro, tra l’entourage all’angolo del messicano scoppiò il giubilo. Il manager e gli assistenti esultarono, scambiandosi abbracci, larghi sorrisi e pacche sul dorso, e saltellando tutt’intorno a più non posso. Era un autentico tripudio. Festeggiavano tutti, tranne il diretto interessato. José continuava a rimanere seduto sul proprio sgabello, completamente immobile. Qualcuno del suo team provava a rifilargli qualche buffetto ed alcune scrollatine all’altezza delle spalle, ma lui sembrava refrattario a qualunque tentativo di volerlo coinvolgere. Giaceva assolutamente inerte, come un fantoccio privo di vita. Si, sembrava davvero un gigantesco burattino di quelli che di norma giacciono sul fondo di un magazzino di teatro. Un burattino a cui avessero troncato brutalmente i fili che lo reggevano.

Danpei abbassò la testa, rassegnato. Non era affatto sorpreso, da quel verdetto. Anche se ci aveva sperato fino all’ultimo, in un capovolgimento di fronte.

No, inutile farsi illusioni. La verità é che se lo aspettava. Aveva sostenuto e visto fin troppi combattimenti per potersi sbagliare. Mendoza aveva dominato gran parte del match, e piazzato molti ma molti più colpi. E quando le cose si mettono così, non rimane che un solo modo per aggiudicarsi l’incontro e portarsi a casa la vittoria: il KO. Netto ed incontestabile. Ma non era accaduto, purtroppo.

Dipendesse solo dal merito, ognuno potrebbe mettere le mani su tutto ciò che desidera, solamente impegnandosi a fondo e con tutte le proprie forze. Darsi da fare uguale ricompensa. Una giornata di paga per una giornata di lavoro. Ma fare il pugile non é come asfaltare le strade o colare il cemento per poi posarvici sopra i mattoni. Il pugilato non é solo spezzarsi la schiena e sputare sangue. E’ fatto anche di calcoli e statistiche, soprattutto se la questione si protrae al punto da finire nelle mani dei giudici e dei loro cartellini.

Era andato tutto quanto come doveva andare, null’altro.

Ma anche se lo aveva previsto, gli dispiaceva ugualmente. Faceva lo stesso un gran male.

UN MALE DA MORIRE.

“Peccato...” disse sottovoce, mentre si trascinava verso Nishi e i ragazzi della palestra che quella sera erano venuti a dare una mano e a fare da assistenti. E verso il ragazzo. Il suo ragazzo.

In quel momento si sentì stanco. TERRIBILMENTE STANCO. Esausto e senza forze. Come mai si era sentito in tutta la sua vita. Gli sembrava che tutti gli anni vissuti fino a quel momento avessero di colpo deciso di volersi far sentire tutti quanti insieme. Anni di botte prese e di abusi di ogni tipo. Di tutto quel che può abusare senza riserve un vecchio barbone alcolizzato quale era lui, con il fegato rinsecchito e raggrinzito dalla cirrosi e sul punto di scoppiare da un istante all’altro.

Arrancava con un passo lento e pesante, come quello di un condannato alla pena capitale. O come quello di un vecchio e sfinito sagrestano di una chiesa sconsacrata e scalcinata che spegne le ultime candele, prima di coricarsi nella sua dimora nel sottoscala. Sei rimasto solo tu, e vai avanti imperterrito nonostante tutti quanti intorno ti dicano che diavolo stai facendo e ti implorano di smetterla perché tanto non é rimasto più nessuno, così come più nessuno si reca lì da anni per celebrare una funzione. Senza capire che é proprio quell’atto ripetuto tutti i santi giorni ed all’apparenza così inutile a tenerti in vita.

“Già. E’ davvero un peccato...” ripeté, mentre il suo occhio ancora buono iniziava già ad inumidirsi e farsi lucido.

Non c’é proprio nulla da fare. Non ci si abitua mai, a questo genere di cose. Ti fanno sentire INUTILE. Ti fanno proprio pensare che tutta quanta la fatica ed il sudore che hai sprecato e versato non siano serviti a NIENTE.

Si dice che non bisogna credere nella malasorte, che non esista. Eppure…

Forse lui ed il ragazzo erano davvero nati sotto il segno di una cattiva stella. Di quelle tra le più belle e lucenti ma, al contempo, anche più crudeli e bastarde. Di quelle che si divertono a distribuirti qualche buona carta tra una pessima mano e l’altra. Per convincerti a rimanere e a giocare ancora, anche quando avresti intenzione di piantare lì tutto e tornartene a casa. La cosa più giusta e migliore che dovresti fare, in quel momento. Eppure ci caschi e ricaschi, SEMPRE. E quando sei lì, all’ultimo giro, che senti di avercela fatta, finalmente, e ti guardi le carte e già pregusti l’istante in cui ti porterai via tutto quanto il banco e ti rifarai in un sol colpo di quel che che hai perduto fino a quel momento, mentre le butti giù sul tavolo...per poi scoprire che il tuo avversario ne ha di migliori. Ti crogiolavi fino ad un attimo prima nella tua falsa certezza, con la tua SCALA DI COLORE, per poi scoprire che l’altro ha fatto SCALA REALE.

Seducenti e bastarde, era proprio il caso di dirlo. Ti illudono, ti lusingano, ti fanno intravedere il successo, la ricchezza ed un futuro luminoso e poi ti lasciano più povero in canna di quel che eri prima.

Avevano fatto tutto per il DOMANI. Solo ed unicamente per il DOMANI. Così gli aveva detto, mentre lo portavano via per condurlo in riformatorio. O chiamiamolo pure ISTITUTO DI RIEDUCAZIONE, che adesso va così tanto di moda riempirsi la bocca di paroloni tecnici ed altisonanti. Le cose puoi chiamarle come accidente ti pare, tanto la sostanza non cambia.

Ebbene...era così, che doveva concludersi la sua carriera? Era davvero destinato a concludersi così l’ultimo atto, poco prima che calasse il sipario? NESSUN LIETO FINE, DUNQUE?

 

ERA QUESTO IL DOMANI PER CUI AVEVANO FATICATO TANTO?

 

Ma forse é proprio così che va il mondo. NESSUNO HA MAI PARLATO DI UNA DANNATA RICOMPENSA. Ed é meglio che tu lo tenga bene a mente, prima di decidere di imbarcarti in qualunque impresa. Ricordati che PUOI FARCELA, ma non é detto CHE CE LA FARAI. E comunque, non é detto nemmeno che sia per forza colpa tua, se non ce la fai. Ci hai provato, Ed é pur sempre qualcosa. Qualcosa di meglio del NIENTE.

Semplice, no? Chiaro, limpido e lampante. Eppure é così difficile da accettare…

Sia come sia, ora spettava a lui trovare le parole per farglielo capire. O quantomeno per consolare, e fare in modo che se ne potesse fare una ragione di quanto era appena accaduto. Anche quello rientrava nelle sue mansioni, dopotutto.

Alzò lo sguardo. Lui era lì, ad attenderlo al varco. Forse era il caso di attaccare sin da subito, con il sermone. Tanto si sapeva come sarebbe andata a finire. Avrebbe finto di ascoltare per poi interromperlo dopo pochi istanti, intimandogli di chiudere il becco. E poi lo avrebbe mandato alla malora e gli avrebbe detto di andare a farsi friggere, lui e tutte le sue smancerie idiote da vecchio guercio rimbambito. Ma andava bene anche così.

“Beh...” esordì. “...é andata male, a quanto sembra. Ma...ma lascia che ti dica una cosa...”

“SONO FIERO DI TE, JOE.” aggiunse. “SEI STATO GRANDE, DAVVERO. SONO ORGOGLIOSO DI TE, MI HAI CAPITO?”

Nessuna risposta. Solo un ostinato mutismo che, forse, gli causava ancora più dolore degli improperi, delle urla e degli strepiti che si aspettava dovessero partire da un momento all’altro. Almeno costituivano una reazione, stavano a significare che il suo discorso aveva fatto presa, in un modo o nell’altro. Ma così, invece...così era come parlare ad un muro. Un muro fatto di gomma. Qualunque cosa potessi dire,era come se gli rimbalzasse contro e ti tornasse indietro.

“SENTI, JOE...NON MI IMPORTA DI QUELLO CHE HANNO DECISO I GIUDICI, E’ CHIARO?” Urlò, rincarando la dose. “PER QUEL CHE MI RIGUARDA IL DUELLO CON MENDOZA LO HAI VINTO TU! E CI TENGO CHE TU LO SAPPIA, DANNAZIONE!!”

Niente. Davvero strano. Lo conosceva fin troppo bene. Non era da lui, questo silenzio. No, non era proprio da lui.

“...Joe?”

Si avvicinò ancora e si chinò leggermente, come a voler mettere meglio a fuoco. E fu allora che CAPI’. Rivolse un occhiata a Nishi che si trovava vicino al palo di ferro, e si stava sporgendo nel tentativo di raccapezzarci qualcosa. E anche lui capì al volo.

Le braccia del vecchio Danpei cominciarono a scendere lentamente lungo i fianchi.

“...JOE...”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buio.

Solamente buio. E silenzio.

Poi il nero pece divenne rosso acceso. Il rosso acceso del sangue che scorreva lungo i vasi sanguigni ed i capillari situati sotto alle sue palpebre.

Capì che poteva provare a riaprirli, e così fece.

La prima cosa che vide furono le sue mani, posizionate entrambe all’interno delle sue cosce. Era seduto. Le alzò e se le portò davanti al viso, per osservarle. Guardò i bendaggi bianchi e stretti, realizzati dal vecchio con la cura e la dedizione di sempre, che partivano dai polsi fino alla base delle dita e sotto, tra una nocca e l’altra, la morbida consistenza dei pezzetti di ovatta opportunamente pressata ed inserita per ammortizzare l’impatto.

“Ma che cazzo...” imprecò.

Osservò il completo da boxeur che indossava. I pantaloncini blu con l’ideogramma rappresentante il suo nome ricamato all’angolo sinistro, frutto delle abili mani di Noriko. E le scarpe, i cui legacci arrivavano fino alla metà inferiore del polpaccio. Un senso d’inquietudine lo assalì, come un colpo improvviso dato sotto la cintura.

Era proprio agghindato alla perfezione: pronto per salire sul ring da un momento all’altro e dare inizio all’ennesimo combattimento.

Tutto sotto controllo, dunque. Se non fosse che per un piccolo, ma significativo particolare. Non c’era nessun match, da iniziare. PERCHE’ C’ERA GIA’ STATO.

Esattamente. Si era appena concluso.

Eppure il suo corpo non era stanco, e nemmeno fradicio e madido di sudore come appena uscito da una doccia. E neanche dolente come lo era fino ad un attimo prima. Si sentiva fresco, invece. Fresco e riposato come una rosa da poco sbocciata.

Si diede un’occhiata intorno. Si trovava dentro ad uno spogliatoio, questo era certo. Ma era tutto immerso nelle tenebre e non gli riusciva di scorgere nulla. I suoi occhi non si erano ancora abituati all’oscurità circostante.

 

Aspetta un momento, pensò.

 

GLI OCCHI?!

Anche questo era ben strano. Fino a poco fa ci vedeva unicamente dall’occhio sinistro, e questo se lo ricordava benissimo. Ed invece adesso, come per incanto, anche il destro aveva ripreso a funzionare perfettamente, e senza l’ausilio di medici o chirurghi.

Era sempre più confuso. No, c’era decisamente qualcosa che non gli quadrava, lì.

Lui non aveva mai creduto nei miracoli. Perlomeno non in QUEL tipo di miracoli. Vale a dire quelli che si materializzavano per intervento o per volontà divina. Si era sempre definito un tipo pragmatico e con i piedi per terra, almeno da quel punto di vista. Era disposto ad accettare e riconoscere solo quelli che riusciva a compiere con le sue sole forze. E ne aveva realizzati tanti, da quando aveva accettato di farsi allenare da quel vecchio ubriacone mezzo matto, ed aveva iniziato a percorrere la via del pugile, sotto la sua guida ed in sua compagnia.

Alé, alé: tutti e due insieme appassionatamente! Un pugilomane alcolizzato ed un avanzo di riformatorio che allegri se ne van, lungo le strade di CAZZOTTOLANDIA, dove si vive, si prospera e si fatica seguendo le leggi della dolce scienza della boxe…

Già. Proprio una bella coppia, loro due. Manco fossero Pinocchio e Lucignolo diretti alla volta del paese dei balocchi. Ed in effetti era proprio quel che sembravano, alle volte…

Due scapestrati che vanno dritti a sbattere contro tutti gli ostacoli, senza sapere nemmeno a cosa vanno incontro. E senza valutare le possibili conseguenze. Spinti solo dal desiderio di farlo. Di farlo prima che sopraggiunga la paura a farti riflettere. E a bloccarti.

Sconfiggere la paura, proprio così. O almeno, se non riesci proprio a superarla, muoversi e darsi da fare prima che sopraggiunga. Agire per non dare a lei il tempo di agire.

Mentre cercava di fare luce su quanto stesse accadendo, la sua mente tornò per istinto al ricordo degli ultimi istanti precedenti a quel suo strano risveglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti!

E la prima volta che approdo a questi lidi, perlomeno come scrittore.

Fino ad ora ho operato in un altro Fandom, ma dopo aver letto la stupenda long L’UNICO DOMANI della bravissima innominetuo (che saluto) ho deciso di provarci. Ed eccomi qua.

Vi confesso che sono davvero MOLTO emozionato: insomma, qui si va a toccare uno dei mostri sacri della mia infanzia, uno dei cartoni con cui sono cresciuto. E che mi ha DAVVERO insegnato qualcosa. Può sembrare pazzesco, ma chi ha avuto la fortuna di vedere i cartoni animati che passavano in quel periodo, ha goduto di un periodo magico ed irripetibile.

Tutto merito (o colpa, a detta dei detrattori che ci vedevano troppa violenza e li consideravano diseducativi) di cartoni animati trasmessi all’orario dedicato a i bambini ma che proprio per bambini non erano...oggi, con tutti gli strumenti di controllo parentale che esistono, sarebbe IMPOSSIBILE.

E’ talmente profondo il rispetto che nutro nei confronti di quest’opera che ci ho pensato a lungo, prima di pubblicare questo racconto. Nonostante ce l’avessi nel cassetto da svariati mesi. Spero che possa rendergli tutto l’onore che merita.

Intanto ringrazio innominetuo per avermi fatto da musa ispiratrice.

E un grazie anticipato a chiunque leggerà la storia e se la sentirà di lasciare un parere.

A presto per il secondo capitolo!

 

See ya!!

 

Roberto

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non gli aveva dato nemmeno il tempo di allontanarsi dal proprio angolo.

Non appena era suonato il gong si era scagliato addosso a Mendoza come un’autentica furia, ignorando completamente sia i consigli che il vecchio gli aveva impartito qualche istante prima, sia la strategia che avevano accuratamente pianificato nei giorni precedenti.

Si era gettato sul campione mulinando pugni come un ossesso, e cercando di metterli a segno in ogni modo. IN QUALUNQUE MODO GLI FOSSE POSSIBILE, senza badare né curarsi in alcun modo della tecnica o dell’esecuzione.

Persino il messicano era rimasto sconcertato da tanto impeto. Glielo aveva letto negli occhi non appena si era voltato per raggiungere il centro del quadrato, con la solita calma e la compostezza di sempre. Ed invece se lo era ritrovato subito davanti, mentre si era messo in testa di volerlo buttare giù al primo secondo del primo minuto del primo round. Come se non ce ne fossero altri, dopo di esso.

In quel momento, un silenzio irreale aveva ammantato gli spalti del Budokan, come un pesante drappo funerario. Nessuno che osava fiatare, e non si udiva volare nemmeno una mosca.

Bella forza. Probabilmente, tra loro non c’era nessuno che credeva a quel che stava vedendo. Sembrava di assistere ad un pugile che, giunto ormai all’ultima ripresa, tentava un disperato RUSH appellandosi alle ultime e residue energie che gli erano rimaste, per ribaltare le sorti di un match dall’esito ormai segnato. Peccato solo che il match era appena iniziato.

Eppure, a dispetto del volto tirato e dell’espressione rabbiosa, lui rideva.

Rideva di gusto, dentro di sé.

Rideva perché cercava di immaginare cosa stava pensando il pubblico. E la stampa. Tutti quei bei commenti recenti alla televisione, in radio e sui giornali su quanto Joe Yabuki fosse migliorato dal punto di vista stilistico e su come avesse affinato la sua tecnica pugilistica mandati bellamente al macero da un esordio simile. E per di più in un combattimento valido per il titolo! Roba da matti.

Pareva davvero uno di quegli scaricatori che si potevano incontrare in qualche taverna situata nelle zone più infime delle aree portuali, sempre bevuti e rissosi, in procinto di aggredire il primo malcapitato di passaggio o qualcuno con cui aveva qualche conto in sospeso.

L’approccio di Mendoza ad un’offensiva così impetuosa, seppur talmente disordinata da potersi spiegare solo come frutto di una spontanea improvvisazione, era stato fin troppo cauto e timido, almeno all’inizio. Ma ci voleva ben altro, per un combattente del suo calibro. Poteva darsi che lo avesse sorpreso con quella sua inaspettata partenza a razzo, ma la reazione da parte sua non aveva tardato ad arrivare. Il messicano non si era certo lasciato intimorire ed aveva evitato uno dopo l’altro tutti quanti i suoi attacchi rispondendo con una serie di diretti potenti, veloci e ben precisi.

La sua era solo roba buona per una rissa, per l’appunto.

Era terminato quindi il primo round ed aveva notato che José, mentre tornava dal suo team, si era girato e lo stava osservando, scuotendo ripetutamente la testa. E lui, per tutta risposta, gli aveva sorriso come se niente fosse.

Lo aveva confuso? Bene, benissimo. Tanto meglio così. Doveva capire fin da subito che quello non era un match come tutti gli altri.

E CHE NON SAREBBE AFFATTO STATO COME TUTTI GLI ALTRI.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Lo sapevo! LO SAPEVO, DANNAZIONE A TE!! TUTTO QUEL CHE TI HO DETTO TI E’ ENTRATO DA UN ORECCHIO E TI E’ USCITO DALL’ALTRO, COME AL SOLITO!! MA SI PUO’ SAPERE PERCHE’ NON MI ASCOLTI MAI, EH?! MA MI VUOI DIRE CHE COSA TI SEI MESSO IN TESTA DI FARE, RAZZA DI SOMARO CHE NON SEI ALTRO?! ME LO SPIEGHI?!”

 

Ottimo. Ci voleva proprio. Lo zietto Danpei aveva già iniziato a montare in bestia e a dare i numeri, a quanto pare. Una lavata di capo dal suo vocione era proprio quello di cui aveva bisogno, in un momento simile. Già, davvero utilissima. Come un mal di denti che ti esplode nella bocca di Domenica o in pieno Ferragosto, quando non trovi uno specialista neanche a pagarlo oro.

 

“MA NON CAPISCI CHE INIZIARE COSI’, CONTRO UN SIMILE AVVERSARIO, E’ UN AUTENTICO SUICIDIO?! MA HAI CAPITO CHI HAI DI FRONTE, ALMENO?! NE HAI UN’IDEA?! DOVEVI PARTIRE PIANO, COME AVEVAMO STABILITO! STUDIARLO E DOSARE LE FORZE! OPPURE CREDI DI POTER ANDARE AVANTI COSI’ DALL’INIZIO ALLA FINE?! PENSI DI POTER REGGERE QUESTO RITMO PER QUINDICI RIPRESE FILATE?! RISPONDI, CHE IL DIAVOLO TI PORTI!!”

 

Si era limitato a sorbire tutta quanta la paternale senza battere ciglio e senza aggiungere nulla se non al termine del break, quando lo aveva liquidato con un lapidario “Parli troppo, vecchio. Stà zitto e lasciami fare. E piantala di rompere, una buona volta.”

Nel round successivo il copione si era ripetuto identico e le cose non avevano potuto fare altro che peggiorare. Durante l’ennesimo assalto andato a vuoto aveva persino perso l’equilibrio, rischiando di incespicare e finire a gambe all’aria. Mendoza aveva colto al volo l’occasione propizia e lo aveva spedito al tappeto con un micidiale uno – due. Sinistro - destro. Rapidi come fulmini. E primo knock – down della serata. E aveva paura che non sarebbe stato l’unico.

Il pubblico, nel frattempo, aveva iniziato a fischiarlo, insultarlo e schernirlo. Come era prevedibile, del resto. Per il pessimo spettacolo che gli stava offrendo, e per avergli fatto spendere i loro sudati risparmi per assistere ad una roba così squallida e indegna.

 

“YABUKI, FAI SCHIFO!!”

 

“BUUUUHHHH!!”

 

“DOVE PENSI DI STARE, ALL’OSTERIA?!”

 

“RIDACCI INDIETRO I SOLDI DEL BIGLIETTO, STRONZO!!”

 

Squallida e indegna. Tsk, che manipolo di imbecilli, che erano.

Non avevano capito ancora niente. Tanto per cambiare.

NESSUNO DI LORO AVEVA CAPITO ANCORA NIENTE.

Quando ti ritrovi davanti ad uno più forte di te, TROPPO PIU’ FORTE DI TE, parti già con le spalle al muro. Allora, tanto vale dare il massimo sin da subito, senza risparmiarsi.

Adottare una atteggiamento cauto equivaleva a fare la stessa fine che aveva fatto il suo amico e rivale Carlos Rivera quando aveva incrociato i guantoni con José.

Carlos era un autentico fuoriclasse. Era dotato di una tecnica sopraffina e, nonostante i modi gentili, cortesi e garbati dimostrava una ferocia ed una sete di sangue non certo inferiori alle sue, ogni volta che calcava il ring. Era una vera belva, che danzava sul quadrato leggiadra ed aggraziata ma che, all’occorrenza, sapeva anche mordere. Al momento giusto balzava sull’avversario e lo sbranava in pochi istanti. Ma, sopratutto, era in grado di valutare ed analizzare all’istante le capacità di chiunque gli capitasse davanti. E quando finalmente aveva affrontato Mendoza per il titolo, dopo qualche scambio doveva aver già intuito l’amara verità. Si era reso immediatamente conto dell’enorme divario che li separava. Il campione lo aveva semplicemente annichilito con la sua sola presenza, impedendogli qualunque cosa.

Il terrore doveva essersi impadronito subito di lui. Ed il predatore si era tramutato di colpo in preda. La pantera si era trasformata in un docile gattino. In quell’incontro non era riuscito a mettere in pratica nulla di ciò che aveva in mente di fare.

Non poteva assolutamente permettersi di compiere lo stesso, madornale errore. Non doveva lasciare che la paura si facesse strada dentro di sé. Se si fermava anche un solo istante, era perduto.

Ma c’era dell’altro, purtroppo. Cose ben peggiori, in vista.

Era una sorta di strana sensazione. Una sensazione sgradevole che lo accompagnava e tormentava da alcuni mesi, come una sorta di fantasma o di ombra maligna.

No. Non era così. Mentiva a sé stesso. Era da molto più tempo. Da quando aveva avuto quell’inspiegabile malore che gli aveva fatto perdere improvvisamente i sensi durante una sezione di sparring, qualche settimana dopo aver vinto il titolo asiatico.

La sensazione che dentro di lui, in quel preciso momento, si era ROTTO QUALCOSA. E che da lì in poi, per quanto si era sforzato, non gli era più riuscito di rimettere insieme i pezzi, come aveva fatto tutte le altre volte.

Una sensazione confermata da tutta una serie di precisi segnali. SEGNALI FISICI, che avevano iniziato a fare capolino in seguito.

Aveva iniziato ad accorgersene in particolar modo quando se ne stava a riposo tra una seduta di allenamento e l’altra. L’adrenalina aiutava a tenere coperte le magagne ma, quando il suo carico scemava, rispuntavano peggio dei funghi.

Se n’era accorto quando gli erano venuti dei violenti capogiri o attacchi di vertigine. Come le volte in cui, camminando a zonzo per il quartiere o lungo il corso del torrente, aveva incespicato senza volerlo e aveva rischiato di cadere e di finire con la faccia o il sedere per terra. Così, di punto in bianco. E meno male che aveva sempre trovato qualcosa a cui aggrapparsi.

Oppure quando gli continuavano a sfuggire piatti, posate, bicchieri e altri oggetti dalle mani. Per tacere del lieve ma costante tremolio che attraversava queste ultime, come una scarica elettrica a bassissima tensione.

E se n’era accorto anche da quando aveva iniziato a notare che, ogni volta che pensava ad un’azione o a un movimento da compiere, la risposta motoria arrivava sempre con qualche secondo di ritardo. Ci metteva sempre un fatale, maledetto, fottuto istante di troppo. Come un vecchio programma televisivo trasmesso in differita. Così come aveva potuto constatare che il tempo che intercorreva tra il gesto pensato ed il gesto realmente effettuato aumentava sempre di più. Con il trascorrere del tempo e ad ogni nuovo tentativo.

La Boxe é uno sport solitario, con il proprio corpo come unico compagno. E a furia di passarci tutto quel tempo assieme, avvolti nel più religioso silenzio intervallato unicamente dagli sbuffi affannosi del respiro, dal tamburellare delle punte dei piedi o delle corde e dal sibilo dei pugni sferrati a vuoto che fendono l’aria. Si impara ad ascoltarlo, a guardarci dentro. E a capirlo e a comprenderlo meglio di qualunque medico.

Il suo organismo gli stava parlando, attraverso quei sintomi che si manifestavano senza dargli tregua, sempre più insistenti.

E gli stava dicendo delle parole terribili, nella loro semplicità.

 

Fine dei giochi, ragazzo mio.

E’ stato bello, finché é durato.

Ma adesso mettiti il cuore in pace, e fattene una ragione. Una volta per tutte.

E inizia a pensare a qualcosa d’altro.

Qualcosa d’altro che non sia la BOXE.

A come impiegare tutto il sacco di tempo libero che ti resterà, ad esempio.

Perché tu vuoi VIVERE, vero?

Andiamo. Pensa un po' anche a me, per favore. Che ti aiuto e ti sostengo da sempre.

Ti sembra il caso di lasciarci le penne per una simile inezia?

Per un incontro di pugilato, fosse anche valido per il titolo?

Non puoi davvero desiderare una cosa simile.

NE VALE DAVVERO LA PENA, JOE?

 

Certo che no, avrebbe tanto voluto rispondere. Però a me la Boxe PIACE. MI PIACE DA IMPAZZIRE.

MI PIACE DA IMPAZZIRE…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sei sicuro di questa tua decisione, Joe?”

“Che vuoi dire?”

“Mi riferisco alla vita che hai scelto. Vuoi davvero vivere così? Ne sei davvero sicuro?”

“Non ti seguo.”

“Intendo dire...quelli come me e come te...QUELLI DELLA NOSTRA ETA’, insomma...dovrebbero avere una vita spensierata, e pensare unicamente a divertirsi...e a trovarsi un ragazzo o una ragazza con cui stare insieme...”

“E dai, Nori! Non mi verrai a raccontare che tu ti diverti! Quando non sei alle prese con lo studio, sei in negozio a spaccarti la schiena in due insieme a Nishi per dare una mano ai tuoi genitori! Oppure vi date il cambio avanti e indietro con quella bicicletta mezza scassata per le consegne a domicilio! E quello sarebbe DIVERTIRSI, secondo te? Al confronto vostro io me la spasso, giù in palestra!!”

“E’ proprio quello, ciò a cui mi riferivo.”

“Vale a dire?”

“Non ti pesa mai tutto quello che stai facendo? Passi gran parte delle tue giornate al chiuso, in uno spazio angusto, a saltare sulla corda o a picchiare un sacco malandato, in mezzo alla polvere, al sudore e all’odore di resina...e quando esci, lo fai per andare a correre per chilometri e chilometri fino a crollare a terra esausto...impedisci al tuo corpo di crescere come dovrebbe fare naturalmente, con il fatto di dover rimanere nei limiti di peso per la categoria...non ti puoi concedere mai nulla, sei costretto a sopportare ogni genere di sacrifici e di privazioni...e PER CHE COSA, POI? Per finire su di un ring a combattere e a rischiare di farti riempire di botte da un altro tizio, in mezzo alla ressa e al caos, tra la puzza di fumo e le urla della gente esaltata e ubriaca che un minuto prima ti acclama e l’attimo dopo ti insulta...perché a quelli NON IMPORTA NULLA DI TE, Joe! Vogliono solo che tu e il tuo contendente VI AMMAZZIATE L’UN L’ALTRO PER IL LORO DIVERTIMENTO!!”

"Io...io ti giuro che non capisco. La vita é già abbastanza dura e complicata...più si cresce, più tutto diventa pesante e difficile. Avere una famiglia, un lavoro...E ALLORA PERCHE’ DEVI RINUNCIARE A TUTTO ADESSO CHE NE HAI ANCORA LA POSSIBILITA’? DIMMELO, TI PREGO!!”

“E’ un discorso complicato, Noriko. E non credo che mi comprenderesti, proprio come hai detto tu.”

“Puoi provarci lo stesso. Sappi che non ho impegni, stasera.”

“Ok. Vuoi la verità nuda e cruda? La verità é che io AMO LA BOXE. La amo perché mi ha dato uno scopo. Dovunque andassi venivo sempre scacciato ed evitato da tutti. Avevo maledetto questo paese, questo intero mondo, quest’epoca. A volte maledicevo persino me stesso. Ma grazie al pugilato ho conosciuto questo posto, la gente che vi abita, ho conosciuto il vecchio, Nishi, i ragazzi...e ho conosciuto TE. E i tuoi genitori. Ho conosciuto delle persone per cui valevo qualcosa, e che hanno imparato ad accettarmi per quello che sono. E che ripongono in me tutte le loro speranze ogni volta che metto piede sul quadrato. E, ogni volta che vi salgo sopra, so che devo farlo anche per TUTTI QUANTI LORO. PER TUTTI VOI. E per chi non ce la fa o non ce l’ha fatta. Per chi ha inseguito un sogno per tutta la sua vita e non é mai riuscito a raggiungerlo. Per i miei avversari che ho sconfitto. E devo farlo SOPRATTUTTO PER ME. Quando mi muovo tra le corde, quando sferro i pugni...NON PENSO PIU’ A NIENTE. E’ COME SE TUTTO QUELLO DI CUI TI HO DETTO PRIMA, TUTTI I MIEI PROBLEMI SI DISSOLVESSERO, ED IO CON LORO. ED E’ BELLISSIMO...”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Proprio così. La Boxe era una cosa davvero bellissima. E lui la amava.

La amava più di qualunque altra cosa al mondo, ecco tutto.

Ed é difficile, difficilissimo dire ADDIO PER SEMPRE a qualcosa che ti piace così tanto, dannazione.

Fortunatamente, nessuno sembrava essersene ancora accorto, a parte lui.

Solamente il vecchio, una volta, era stato quasi sul punto di mangiare la foglia. E lo aveva sottoposto ad un cavolo di test per verificare la sua coordinazione, o qualcosa di simile. Per farla breve, lo aveva obbligato a salire su di una delle ringhiere di legno del ponte delle lacrime, per poi percorrerla un passo dopo l’altro per decine e decine di volte, in tutte le varianti possibili: avanti e indietro, ad andatura lenta e veloce, sui talloni e sulle punte…

Ma lui era stato ben concentrato ed attento a non commettere sbagli e la cosa era morta lì dov’era nata. Meno male.

Era il solo ad esserne al corrente. O almeno così credeva. Perché, come in tutte le cose, c’era anche lì una piccola ma fondamentale eccezione a confermare la regola.

Un imprevisto gradevole d’aspetto ma inopportuno nella scelta dei tempi che aveva il volto ed il nome di YOKO.

 

YOKO SHIRAKI.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!

So che non si dovrebbe mai misurare ciò che si scrive in quantità o in metri, come la pizza...ma ho trovato questo capitolo un po' breve. In realtà, é lungo più o meno quanto il precedente, e a dirla tutta avrei voluto metterci un altro pezzo, ma…

La prossima parte la considero FONDAMENTALE. E merita un capitolo a sé.

E poi, ritengo che le cose vadano centellinate, poco alla volta.

Lo so, il tempo narrativo che ho scelto é alquanto singolare. E sappiate che mi ha complicato non poco la vita. Ma c’é una ragione ben precisa.

Intanto, ringrazio di cuore innominetuo e Devilangel476 per le loro bellissime recensioni.

Rivedere Joe muoversi, parlare, pensare...VIVERE, attraverso le parole, è davvero meraviglioso.

Ringrazio inoltre la prima per il bellissimo banner, per l’aiuto, per la disponibilità, per la pazienza che ha avuto con un ignorantone in fatto di pc come il sottoscritto...per tutto, insomma.

E ringrazio la seconda per la bella chiacchierata. E farò un giro a leggere anche i tuoi racconti, alla prima occasione!

E ringrazio di nuovo entrambe per la fiducia: ho visto che l’avete già messa tra le preferite! E se poi, sul più bello, venisse fuori una schifezza?!

E ringrazio infine chiunque leggerà la storia e vorrà dare un parere.

Me ne ritorno nel mio consueto fandom e...a presto per il prossimo capitolo!

 

See ya!!

 

 

 

Roberto

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Yoko Shiraki.

Nipote di Mikinosuke Shiraki, ex – pugile dilettante e magnate dell’imprenditoria e del commercio.

Avvenente rampolla di una delle famiglie più potenti ed influenti dell’intero Giappone, e futura erede di uno sterminato impero economico che dal suolo del sol levante si estendeva per tutto quanto il continente asiatico, dai confini con l’Unione Sovietica ed i paesi europei facenti parte del blocco comunista, fino alla Cina e alla Corea. Per non parlare delle zone arretrate e sottosviluppate nella parte del Sud – Est, dove governi senza troppi scrupoli e remore concedevano ai ricchi imprenditori permessi per lo sviluppo industriale senza battere ciglio, in cambio di ingenti somme di denaro. Un affare davvero redditizio per entrambe le parti, vista la quantità spropositata di zone incolte e facilmente edificabili, di materie prime da depredare e la manodopera a basso costo da poter sfruttare, composta da disperati e poveracci con nulla da mettere sotto ai denti e ancor meno da perdere. Del resto lo stavano già facendo gli americani, quindi, perché no? Sotto a chi tocca, gente! Ma occorreva sbrigarsi, perché gli Yankee erano rapidi, spregiudicati e sbrigativi. Ti toglievano letteralmente il terreno da sotto al sedere, se non ti davi una mossa.

Preda ambita, vezzeggiata e corteggiata da baldi giovanotti della società – bene, ansiosi e desiderosi di aumentare il proprio status sociale o di diventare ancora più ricchi di quanto già schifosamente non fossero, quella fanciulla era sempre stata la dimostrazione vivente che le donne appartengono proprio all’altra metà del nostro cielo.

QUELLA NUVOLOSA, OVVIAMENTE.

Loro due erano si erano sempre comportati come cane e gatto. Costretti ad una convivenza impossibile sotto lo stesso tetto, anche se sanno benissimo di non potersi soffrire.

A onor del vero gli toccava ammettere, seppur a malincuore, che era stato lui a cominciare. Quando, con la complicità più o meno inconsapevole dei ragazzini del quartiere, aveva inscenato una patetica farsa coinvolgendo alcuni giornalisti e montando un caso mediatico. Il ragazzo di buon cuore che si occupa di una famiglia di poveri orfanelli come se fossero i suoi fratellini. Funzionava alla grande, sempre. E mica era l’unico, ad aver avuto una simile pensata. Era roba abbastanza comune, a quei tempi. Bastava avere solo il coraggio di provarci. E lui CE L’AVEVA.

Oh, si. Ce l’aveva avuto eccome.

Bastava provarci, si diceva. Buttare l’esca e aspettare che il pesce, rappresentato dal gonzo di turno, abboccasse in pieno prendendosi l’amo con tutta quanta la lenza. Come aveva fatto lei, povera scema.

Si, scema. Proprio quello era, e null’altro. Il mondo, IL SUO MONDO, quello popolato da quelli come lui, quello dove aveva sempre vissuto e lottato, apparteneva ai FURBI. ERA DA SEMPRE APPARTENUTO AI FURBI. Ci si poteva giurare o scommettere tutto ciò che si aveva di più caro, su questo. Era la pura verità.

Chi si lasciava ingannare era destinato a PERDERE. E la colpa non era di chi ingannava, no di certo. Non era lui ad essere disonesto. Era chi si faceva fregare ad essere IDIOTA, tutto qui. E avrebbe dovuto tenerlo bene a mente e prenderlo di lezione, da quel momento in poi. E avrebbe dovuto imparare a stare molto più attento, nello scegliere di chi potersi fidare.

L’aveva fregata? Beh...tanto peggio per lei.

Era filato tutto liscio come l’olio. Aveva fatto appena in tempo a sentire già il frusciare degli Yen nuovi di zecca sulle sue mani, quando il vecchio guercio si era accorto dell’inghippo ed era andato letteralmente fuori dai gangheri. Lo aveva riempito ben bene di botte e lo aveva consegnato agli sbirri, che lo avevano impacchettato come un salame e fatto finire in guardina in attesa del processo. Che era avvenuto per direttissima, visto l’alto lignaggio delle persone che aveva danneggiato con il suo raggiro.

E lei era là, all’udienza. A guardarlo dritto in faccia. Con tutti che biascicavano scuse e si genuflettevano al suo cospetto, mentre si esibivano in salamelecchi e facevano a gara di esibizioni di sincero cordoglio per lo spiacevole accaduto. Tutti tranne LUI.

Non aveva fatto una sola piega, mentre lo conducevano al riformatorio speciale a suon di calci, insulti e spintoni, dicendogli che era senza cuore se non provava almeno un minimo di vergogna per aver così ignobilmente approfittato di quella poverina dall’animo così sensibile, delicato e disinteressato.

Poverina. Tsk, ma per favore. Disinteressata UN CORNO. Li conosceva bene, quelli e quelle come lei. Abbastanza da sapere che non fanno mai NULLA per disinteresse. Quando decidono di muovere il culo per aiutare un povero cristo, lo fanno con il chiaro e preciso scopo di vedere quest’ultimo sciogliersi in lacrime di gratitudine e commozione. Detto e sentito così, pare proprio la più classica delle ovvietà. Peccato che non abbia alcun senso. E come se una famiglia decidesse di prendersi cura di un viandante sperduto e, dopo averlo rifocillato a dovere e sentito dire VI SONO GRATO, AVEVO FAME E MI AVETE DATO DA MANGIARE, AVEVO SETE E MI AVETE DATO DA BERE rispondessero in coro e belli giulivi SAPEVAMO CHE CI AVRESTI RINGRAZIATO.

E’ proprio qui che sta la gran cazzata. LORO NON DOVREBBERO SAPERLO.

Molto meglio un NON RINGRAZIARMI, IN REALTA’ NON SO BENE NEMMENO IO PERCHE’ HO DECISO DI COMPORTARMI COSI’. LA MIA MANO DESTRA NON SAPEVA QUEL CHE COMBINAVA LA SINISTRA. L’HO FATTO PERCHE’ MI ANDAVA DI FARLO, TUTTO QUI. SE CI TIENI TANTO A RINGRAZIARE QUALCUNO, RINGRAZIA LA SORTE CHE TI HA FATTO VENIRE QUI DA ME OGGI CHE MI SENTIVO IN BUONA. FOSSI VENUTO DOMANI, TI AVREI CACCIATO VIA DA QUI A CALCI E BASTONATE, A TE E A QUEGLI STRACCI SPORCHI E PUZZOLENTI CHE PORTI ADDOSSO.

Brusco e spiccio, é vero. E brutale. Ma anche spontaneo, schietto e sincero.

Questa era la vera solidarietà, dal suo modesto punto di vista. Fare le cose senza aspettarsi nulla. Se ti aspetti ringraziamenti o qualcosa d’altro in cambio, non é più beneficenza.

Diventa FALSA CARITA’.

DIVENTA IPOCRISIA BELLA E BUONA.

E sia, comunque. Era sempre stato più che disposto a volerlo ammettere. Era senz’altro stato lui ad incominciare, senza alcun dubbio. Ma era stata la cara signorina a continuare imperterrita.

Da quel giorno se l’era ritrovata sempre in mezzo, ovunque andasse. Peggio di uno spirito maligno o di un fantasma vendicativo. Gliel’aveva giurata, ecco come stavano le cose.

L’aveva ritrovata al riformatorio, dove aveva scoperto che veniva a fare spettacoli e volontariato insieme al sua compagnia di teatro intinerante. Una congrega composta da figli di papà che non sapevano come impiegare il loro tempo. E dove aveva scoperto che veniva adorata ed idolatrata al pari di una regina. Persino dalle guardie. E naturalmente dai ragazzi. DA UNO, IN PARTICOLARE.

Dal tizio per cui aveva praticamente smesso di pensare a qualunque cosa non fosse la Boxe. Fosse stato solo per il vecchio, avrebbe passato il resto della vita a prenderlo per il culo fingendo di allenarsi, e andando in giro a rubare e a truffare il prossimo mentre lui era a spaccarsi la schiena per ramazzare quattro miserabili spicci.

TOORU RIKIISHI.

La amavano tutti quando c’era. E la sognavano tutti quando non c’era. Tutti TRANNE UNO, come sempre. Vai ad indovinare un po' di chi si trattava. E questo, lei non lo aveva mai sopportato. E non lo aveva mai sopportato nemmeno Rikiishi.

Loro due si erano accapigliati sin da subito. Logico, Tooru doveva essere stato sicuramente al corrente di quello che lui aveva combinato fuori di lì alla sua bella Yoko. Lei doveva averlo imbeccato ed indottrinato a puntino. Ed inoltre, era il suo pupillo. Suo e di suo nonno. Una volta scontata la pena lo avrebbero rilanciato nel pugilato professionistico, facendone un campione. Ed un campione lo era davvero. E tutti ne erano consapevoli, di questo. E ne riconoscevano il talento ed il valore. Tutti, ovviamente, TRANNE UNO.

SEMPRE LO STESSO, TANTO PER CAMBIARE. SEMPRE LUI.

A quei tempi avrebbe preferito farsi ammazzare piuttosto che essere disposto ad ammettere la sua superiorità. Per forza. Durante il loro primo scontro, quel tanghero lo aveva sconfitto con UN SOLO PUGNO. L’unica cosa che gli era rimasta da fare era non dargli la minima soddisfazione.

Yoko lo aveva intuito al volo. E ne aveva approfittato subito, finendo per metterli l’uno contro l’altro.

Prima in un incontro farsa davanti a tutta la popolazione carceraria, con Tooru nel ruolo di protagonista e lui a fare da buffone e vittima sacrificale. Per lavare l’onore ferito della principessa che era lì in tribuna d’onore, a godersi lo spettacolo.

Ma, grazie ad una provvidenziale dritta del vecchio pugilomane, le cose non erano andate affatto come lei aveva previsto. Si era concluso tutto quanto in un pari e patta che non aveva lasciato soddisfatto nessuno dei due.

A lui non piaceva lasciare le cose in sospeso. E nemmeno a Tooru, come avrebbe purtroppo scoperto in seguito. In questo erano davvero più simili di quanto avessero mai potuto immaginare.

Soprattutto Rikiishi l’aveva messa veramente sul personale. Doveva essersi messo in testa che il mondo del pugilato era troppo piccolo per entrambi. Che la sua stessa presenza doveva essere un autentico insulto nei confronti dell’intera disciplina. Un’anomalia, da cancellare all’istante per riportare l’ordine.

Da quel giorno era scoppiata un’autentica faida, che era continuata persino oltre le mura del carcere. E che si era protratta fino alle più estreme conseguenze, oltre la logica ed ogni buon senso. Fino a sfociare dritta sul ring, in un match che non avrebbero mai e poi mai dovuto disputare. Con Rikiishi che si era ridotto ad uno scheletro per rientrare nei limiti di peso della sua categoria. Per combatterlo e sconfiggerlo ad armi pari, e non lasciare addito ad alcun dubbio.

Alla fine aveva ottenuto la vittoria. Anzi, di più.

AVEVA VINTO PER L’ETERNITA’. PER SEMPRE. Ma a quale prezzo...

L’aveva vista bene, subito dopo. Era letteralmente sconvolta. Rannicchiata in un angolo, davanti al corpo senza vita di Rikiishi, steso su di un lettino. Con un espressione beata sul volto. E con una strana smorfia sulle labbra, simile ad un sorriso che sembrava aver indugiato, essere proseguito oltre la sua stessa morte. E proprio per questo ancora più terribile a vedersi.

Aveva poi detto che negli ultimi periodi anche lei si nutriva poco per cercare di condividere almeno in parte i suoi tormenti.

STRONZATE. Nient’altro che pure e semplici stronzate. Se le fosse importato veramente qualcosa del suo nobile cavaliere senza macchia e senza paura, gli avrebbe impedito quella dieta scriteriata. Gli avrebbe impedito di fare quella FOLLIA. Ed invece aveva fatto sigillare persino i rubinetti dei lavandini e delle docce per non farlo nemmeno bere, mentre lui pativa le pene dell’inferno. Perché la verità e che anche lei aveva voluto che finisse così. Aveva voluto che andasse fino in fondo. Che il suo principe azzurro lo battesse a tutti i costi.

Dal giorno della tragedia, il comportamento di Yoko si era fatto ancora più incomprensibile. Sembrava che fosse diventata una banderuola. Cambiava con l’alzarsi e l’abbassarsi del vento. Un attimo prima gli sembrava fosse sul punto di incensarlo e metterlo su di un trono, per poi scaraventarlo a terra e volerlo schiacciare sotto ai suoi piedi l’istante successivo. Non riusciva a capirla, quella ragazza. Certe volte gli pareva schizofrenica. Come scissa in due parti. Una composta di affetto e l’altra di puro disprezzo, che non erano mai riuscite ad amalgamarsi completamente. E che erano in perenne conflitto, senza mai un vincitore.

Un angelo e un demone che convivevano nello stesso, fragile corpo. Alle volte era uno, alle volte era l’altro.

A onor del vero, in certi casi gli era tornata davvero utile. Come quando aveva deciso di tornare sul quadrato, per poi scoprire di non aver ancora superato il trauma della scomparsa del suo rivale. Nel peggiore dei modi possibili. Non riuscendo più a colpire l’avversario al volto. Oppure mettendosi a zampillare vomito dalla bocca peggio di un idrante le poche volte che ne portava a segno qualcuno, per caso o per disperazione.

Una vera manna dal cielo per i capoccia della federazione, che tramite passaparola avevano provveduto a rendere pubblico il suo punto debole, in modo da costringerlo al ritiro. Perché davano un gran fastidio, lui ed il vecchio. A loro e ai loro pugili. Gli avevano sempre rovinato la piazza.

E la cara signorina cosa aveva fatto? Aveva ingaggiato e fatto arrivare in tournée, direttamente dal Venezuela, nientepopodimeno che il celeberrimo Carlos Rivera detto IL RE SENZA CORONA, futuro aspirante al titolo mondiale dei pesi Bantam. Quest’ultimo, nel giro di poche settimane, aveva fatto piazza pulita dei tre pugili più forti della categoria: KOJI NANGO, RYU HARAJIMA e, dulcis in fundo, TIGER OZAKI. Guarda caso gli stessi che, in rapida successione, lo avevano ignominiosamente battuto sfruttando il suo handicap. E senza usare nemmeno un briciolo della sua reale forza. E alla fine, prima di ripartire alla volta del Sud America dove, nel frattempo, il campione aveva accettato la richiesta di mettere in palio la sua cintura, aveva dichiarato di voler combattere ancora un match: contro di lui.

Proprio così. Gli aveva lanciato una sfida.

Ed era finita in parità, al termine di quindici riprese combattutissime.

Se l’era giocata al suo stesso livello.

Risultato? Aveva superato finalmente il suo blocco psicologico e si era ritrovato proiettato all’improvviso sulla scena mondiale. Evento più unico che raro visto che si parlava di uno che, almeno per ciò che riguardava il Giappone, non era da considerarsi nemmeno più tra i primi dieci in classifica!

Pazzesco. Davvero pazzesco.

Alle volte lo aiutava. Altre, invece, gli metteva i bastoni tra le ruote riempiendolo di ansie, dubbi e timori inopportuni. Ad esempio mentre era intento a sottoporsi ad un regime a dir poco spartano a base di digiuni, saune a non finire e addirittura donazioni di sangue pur di affrontare il detentore del titolo asiatico: RYUHI KIM. Il suo corpo era ormai cresciuto, e la categoria Bantam aveva cominciato ad andargli stretta. Ma non aveva voluto abbandonarla, nonostante fosse più saggio e sensato passare a quella superiore. Gli sarebbe sembrato di fare un grave torto a Rikiishi, agendo così.

Anche in quell’occasione il suo intervento era stato provvidenziale. Nel senso che il suo sermone all’angolo al termine della quinta ripresa lo aveva fatto incazzare talmente tanto che, al suono del gong, si era avventato sul coreano e lo aveva massacrato di colpi fino a scaraventarlo fuori dal ring.

Kim era una macchina da combattimento ormai, non più un uomo. E lui, in quanto ancora umano, aveva fatto quello che tutti gli esseri umani fanno con le macchine quando perdono la pazienza: lo aveva smontato a suon di cazzotti. E lo aveva fatto volare fuori dalla finestra. Con buona pace sua, del suo allenatore – comandante, del suo stomaco che si era ristretto come quello di un bambino, del CHOM – CHOM e di suo padre disertore che aveva accoppato a pietrate sulla zucca per fregargli il cibo.

E VAFFANCULO.

Che poi uno non dovrebbe andarsene a raccontare i cazzi propri ad un perfetto sconosciuto che non ha mai visto prima in vita sua, per quanto brutti che siano stati. Non é naturale. A meno che il tipo in questione non sia un fottuto pazzo psicopatico. O che non abbia secondi fini.

Ecco, era proprio questo il punto. Anche quando gli dava una mano, Yoko sembrava avere sempre un secondo fine. Imperscrutabile, il più delle volte.

Quando si erano incontrati alle Hawaii, mentre lui aveva difeso la cintura per la prima volta contro uno degli idoli locali, tale PINAN SARAWAKI, lei aveva incontrato nientemeno che il campionissimo José Mendoza. In privato ed in via del tutto riservata. Ed al termine di una trattativa delicatissima, aveva ottenuto il privilegio di essere l’unica detentrice dei diritti televisivi e di quelli legati allo sfruttamento della sua immagine e della sua persona. Relativi al suolo nipponico. Un’esclusiva che equivaleva alla promessa di recarsi presto in quel paese per affrontare il suo pugile più rappresentativo. Inutile dire chi fosse. Così come era inutile aggiungere che era ben più di una promessa, giunti a quel punto. Era una certezza.

Andava tutto quanto in discesa, dunque.

Peccato che, al ritorno in Giappone, la cara miss Shiraki aveva deciso di negare l’esclusiva alla federazione pugilistica, voltando il sedere e mettendosi di traverso. Avrebbe cambiato idea solo in cambio di un favore: fargli combattere un ulteriore incontro, prima di quello valido per il titolo mondiale. Contro un avversario di sua scelta.

Aveva presentito subito odor di grane in arrivo. E le aveva previste giustamente.

Gli era toccato partecipare ad un match a dir poco assurdo, una baracconata da fiera con un malese, un essere mezzo uomo e mezza scimmia che si esprimeva unicamente a versi e a grugniti, e che nemmeno il più fantasioso degli esperti avrebbe potuto definire pugile. Un autentico selvaggio che aveva uno stile tutto suo a base di balzi, capriole, piroette e giravolte. E che si era rivelato più combattivo ed ostico del previsto.

Roba buona giusto per il circo. E alla fine lo avevano pure squalificato per pessima condotta di gara e per le troppe scorrettezze. Più che ovvio visto che quella bestia, dopo che l’aveva messa con le spalle al muro, si era dapprima messa a scappare correndo qua e là per il ring, dandogli le spalle e arrivando persino a ripararsi dietro ad uno sconcertato arbitro. E poi aveva iniziato a tirare calci, gomitate, ginocchiate e persino MORSI. Ma almeno aveva fatto in tempo a levarsi la soddisfazione di rompergli quel suo muso sudicio e deforme, prima che lo rispedissero nella foresta insieme a Baloo, Bagheera, Shere Kahn e compagnia bella a quattro zampe.

Tutto finito, dunque? Ma neanche per sogno.

Giusto una settimana prima del incontro valido per il titolo, aveva avuto la bella pensata di inviare una lettera alla loro palestra dove farneticava che a ridurre il povero Carlos ad un semi – demente in grado a malapena di parlare e camminare non era stato lui. Ma José. Il tutto coadiuvato da radiografie e dal resoconto di un luminare, un’eminenza grigia della neurochirurgia, tale KUKLINSKI o DOWALSKI o come accidente si chiamava. Ah, no. KINISKY, ecco come si chiamava. Aveva sfatato la sua leggenda. E aveva fatto capire a tutti la pericolosità dei pugni di Mendoza. Proprio quel che che occorreva, per alzare il morale in vista di un momento tanto delicato.

E non solo. Aveva iniziato a tempestare l’ufficio del vecchio di telefonate. Per decine di volte al giorno. Telefonate a cui lui non si era nemmeno preso il disturbo di voler rispondere.

Ormai non riusciva più a comprenderla. Sul serio.

Che cosa le frullava, in quella sua testa?

Che cosa diamine voleva?

CHE DIAMINE VOLEVA DA LUI, ORMAI?

Qualunque cosa avesse da dirgli, aveva deciso di non volerla sentire. Non gli interessava.

O forse...AVEVA PAURA DI SENTIRLA.

E quando se l’era vista piombare nello spogliatoio di soppiatto, aveva capito che le cose stavano veramente così.

Yoko sapeva tutto. AVEVA SCOPERTO OGNI COSA.

“...Cosa ci fai, qui? Che ci sei venuta a fare? E’ buona regola non disturbare un atleta poco prima di una gara importante. Dovresti saperlo anche tu.”

“Perdonami, Joe. Ma...visto che non riuscivo più a parlarti, nemmeno per telefono, ho...ho pensato che questa fosse l’unica...L’ULTIMA OCCASIONE. E ho deciso di giocarmi tutto su questa eventualità. Noi...dobbiamo parlare.”

“Non abbiamo proprio NIENTE da dirci, io e te.”

“Si, invece. E SUBITO, anche.”

“Se proprio devi...”

“Si, devo. Adesso. ORA.”

“Parla, allora. Ma spicciati.”

“Ascolta, Joe...non combattere contro Mendoza. NON CI DEVI COMBATTERE, MI HAI CAPITO?!”

“Ma che stai dicendo?”

“Non...non ti devi preoccupare. So bene...so bene che ci sono delle penali. Volevo dirti che pagherò tutto quanto io. Mi occuperò io di ogni cosa...”

“Smettila con queste sciocchezze, e fammi uscire.”

“Joe, ti prego...ascoltami, per favore! Solo per questa volta! Non affrontarlo! Hai visto quanto é forte! Hai visto come ha conciato Rivera, con i suoi colpi! Non gettare al vento la tua vita così, ti scongiuro! E poi tu...tu non sei più al massimo della tua forma, ecco la verità.”

“Ti sbagli. Non sono mai stato così bene, invece.”

“No! Non é vero! Le tue condizioni non sono più ottimali. Ed é già così da parecchio tempo!!”

“Piantala, Yoko. Non attacca, con me.”

“E’ così, ti dico! Alle Hawaai...quando hai fatto quella passeggiata con me sulla spiaggia, al chiaro di luna...ANDAVI TUTTO STORTO! Camminavi...camminavi a zig – zag, e a te é sembrato di procedere in linea retta! E quando...quando hai ritrovato Carlos, dopo l’incontro con Harimao, non...non riuscivi nemmeno ad allacciargli i bottoni della camicia! Per non parlare di quando sei andato di corsa verso gli spogliatoi...hai perso l’equilibrio e sei caduto! Ma non perché sei inciampato, tutt’altro! TU NON STAI BENE! DEVI...DEVI AVERE SICURAMENTE DEI DANNI CEREBRALI...E GRAVI, PER GIUNTA!! NON PUOI AFFRONTARE IL CAMPIONE COSI’ COMBINATO!!”

“Toh...si direbbe proprio che tu abbia scoperto l’acqua calda.”

“C – come dici?! Vuoi dire...vuoi dire c – che tu...tu già lo...”

“Pensi di avere a che a fare con un cretino, Yoko? E’ del mio corpo, che si sta parlando. Tutti i sintomi che mi hai appena descritto li avevo notati anch’io. Ne ero già al corrente, di ogni cosa.”

Già. Non gli aveva raccontato proprio nulla di nuovo, per quanto fosse sempre sgradevole tirare in ballo l’argomento. Ma la vera sorpresa, quello che non si sarebbe mai aspettato era ben altro. Quello che gli avrebbe confessato di lì a poco.

 

“NON...NON ANDARE, JOE!!”

“DEVI SAPERE CHE...CHE IO...IO TI AMO!!”

“IO TI AMO, JOE!!”

 

Oh, cazzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!

E alla fine é arrivata Yoko…

In un capitolo che temo farà arrabbiare non pochi lettori.

Beh...se accadrà, lo accetterò. Fa parte del gioco. E dei rischi.

E di rischi da quando ho iniziato a scrivere su questo sito ne ho presi parecchi, ve lo posso assicurare. Basti vedere cos’ho combinato nell’altra mia long tutt’ora in corso...

D’altra parte non mi ritengo una persona che ama le scelte facili.

Il motivo di una possibile arrabbiatura lo avrete sicuramente intuito dopo aver finito di leggere.

Di come la povera Miss Shiraki viene dipinta veramente a tinte fosche. FOSCHISSIME.

No, sul serio. Il quadro generale é veramente IMPIETOSO, nei suoi confronti.

Il fatto é che non ho una visione molto benevola, di questo personaggio.

Certo, fa sicuramente parte del suo fascino ambiguo. Ma non posso fare a meno di averla considerata, spesso e volentieri, una FREDDA, CINICA E SPIETATA MANIPOLATRICE.

In parte la ritengo responsabile di ciò che é accaduto a Rikiishi. E a Carlos. E naturalmente a Joe.

Ma non per questo la odio.

Ritengo che tutti abbiano diritto ad una seconda possibilità. E poi...il confronto tra i due non é ancora terminato.

Anzi...dopo QUELLA FRASE, direi che IL BELLO VIENE ADESSO!!

Proprio così: da bravo carognone, ho deciso di suddividere l’episodio in due parti.

E aggiungo che il boccone più gustoso me lo sono tenuto per quella successiva!

Abbiate ancora un po' di pazienza. I piaceri vanno centellinati a piccole dosi, dopotutto.

Ringrazio intanto innominetuo, Devilangel476 e kyashan_luna per le recensioni del secondo capitolo. E quest’ultimo per averla messa anche tra le seguite.

E un grazie a chiunque leggerà la storia e se la sentirà di lasciare un parere.

 

Alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

Roberto

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“IO TI AMO, JOE! LO CAPISCI, QUESTO?!”

 

Oh, cazzo.

 

Cazzo, Cazzo, Cazzo.

 

No.

 

Ditemi che non é vero, ragazzi.

 

Ditemi che non sta succedendo davvero.

 

Ditemi che non sta accadendo proprio a me.

 

Che qualcuno mi dia un pizzicotto e mi svegli, subito.

 

Qui

 

ORA.

 

“IO...LO SAPEVO...L’HO SEMPRE SAPUTO, MA...ME NE SONO ACCORTA...HO VOLUTO ACCORGERMENE SOLO DA POCO.”

 

Cazzo, questa era stata davvero bella.

QUESTA ERA STATA PROPRIO BELLA.

DAVVERO IL COLMO.

 

“E’ così, Joe. E non posso farci niente. PIU’ NIENTE, ORMAI. E’…é come se ne fossi sempre stata consapevole dentro di me, ma...ma al contempo abbia cercato di fare di tutto per non volerlo ammettere. E...e adesso che me ne sono finalmente resa conto, io non...non posso continuare a comportarmi come se niente fosse. Non posso...non posso più far finta di nulla, non...NON ADESSO CHE STO RISCHIANDO DI PERDERTI PER SEMPRE! RINUNCIA, JOE! TI SUPPLICO! NON...NON VOGLIO CHE L’UOMO CHE AMO...CHE HO SEMPRE AMATO FINISCA ANCHE LUI COME UN POVERO INVALIDO, O...O PEGGIO!!”

 

Stavolta glielo aveva dovuto proprio riconoscere.

Yoko. La Yoko che lo aveva sempre sorpreso e spiazzato in passato con le sue stravaganze, i suoi improvvisi colpi di testa e capricci, i suoi cambi di umore e le sue sfuriate inframezzate dall’indifferenza più glaciale, lo amava.

Era dunque questo l’ulteriore...anzi, IL VERO MOTIVO per cui aveva tentato disperatamente di incontrarlo e di contattarlo tramite telefono. Con lui che, per tutta risposta, aveva continuato ad ignorarla e ad evitarla in ogni modo.

Era dunque questo il vero motivo per cui si era intrufolata di nascosto nel suo camerino a pochi minuti dall’inizio del match valido per il titolo mondiale.

Era per questo che stava cercando a tutti i costi di convincerlo a non battersi contro Mendoza.

Per questo. Solo, nient’altro che per questo.

Stavolta era stato davvero costretto ad ammetterlo. Quella ragazza aveva davvero superato sé stessa. Tutto si sarebbe potuto immaginare, TUTTO. Tranne che…

Da sbellicarsi dalle risate.

Già. DA MORIR DAL RIDERE. PROPRIO.

Ed era proprio quello che avrebbe voluto tanto fare. Ma proprio tanto. Più di ogni altra cosa al mondo, in quel momento.

 

“Oh la là! Caspita, che notizia! Questa é proprio una notiziona, cara la mia Miss Shiraki! UNA NOTIZIONA COI FIOCCHI! Sai cosa potresti fare di bello, eh? Lo sai?”

“Joe, ti prego...”

“Te lo dico io: potresti andare a qualche giornale scandalistico a venderla! Oppure a qualche rotocalco di cronaca rosa! Pensa che roba: la ricca ereditiera e la promessa del pugilato giapponese INSIEME! Faresti soldi a palate, più di quelli che già non hai! Ma fai pure, ti do tranquillamente il permesso. Quando poi intaschi l’assegno facciamo a metà, ok?”

 

A quel punto, dopo una frase così lapidaria e sarcastica, non gli sarebbe rimasto altro che guarnire il tutto con una bella risata omerica. Per completare l’opera.

Scoppiarle a ridere proprio davanti a quel suo bel faccino da schiaffi. Era proprio quel che si era sentito di voler fare. E lo avrebbe fatto davvero, di lì a pochi istanti, se lei non lo avesse preceduto.

Preceduto, si. Ma al contrario. Nella maniera opposta. Vale a dire scoppiando a piangere a dirotto.

Lo aveva sentito subito, appena dopo le sue ultime parole. Quel leggero mugolio intervallato da lievi singhiozzi a braccetto con altrettanto flebili sospiri. Il suono inconfondibile che caratterizzava dotti lacrimali femminili in azione.

 

“Ascoltami, Joe...per favore. Io...io sono stata sincera con te, fino in fondo. Lo sono stata davvero, questa volta. Te lo giuro...te lo giuro su tutto ciò che ho di più caro a questo mondo. Anche sulla mia stessa vita, se vuoi. Se può...se può servire a farti credere che sto dicendo il vero. Ti ho detto cosa provo veramente per te. Ho esternato i miei veri sentimenti, Joe! Io...io ti ho aperto il mio cuore, sul serio!!”

“Yoko...”

“Le cose stanno così. E tu...tu sei libero di pensarla come ti pare. Puoi ignorare le mie parole, oppure riderci sopra. E...e a me starà bene. Me lo farò andare bene. Perché...perché la verità...la verità é...che é giusto così, Joe. Hai tutti i diritti di farlo. Hai tutti i diritti di odiarmi, e di avercela con me. Così come non...non posso obbligarti ad accettare il mio amore. O...o a contraccambiarlo. Quel che ti...ti chiedo é solo di comprenderlo. E...e di rispettarlo. O almeno provarci. Solo questo. Nient’altro.”

 

Le sue parole gli erano sembrate sincere. Abituato da sempre com’era a non fidarsi mai di nessuno, nemmeno di quelli con cui viveva insieme da una vita e con cui aveva diviso e condiviso gioie e dolori, riteneva di essere in grado di comprendere quando qualcuno diceva il vero. Poteva davvero darsi che fosse veramente pentita. E veramente convinta di ciò che gli aveva appena confidato.

E a giudicare dallo sguardo che aveva e dal tono del suo discorso, c’era di che poterle credere per davvero. Tuttavia…

Tuttavia non gli riusciva ancora di credere ciecamente in lei. E nelle sue parole.

Forse il suo non era altro che l’ennesimo, estremo tentativo di lavarsi la coscienza.

Non poteva saperlo con certezza. E non voleva nemmeno saperlo, a quel punto.

Non gli importava. Non gli importava più.

Nulla aveva più importanza, ormai.

 

E’ un po' troppo tardi per voler fare marcia indietro.

Non lo trova anche lei, signorina?

 

Già. Era davvero troppo tardi. Troppo tardi per i ripensamenti, i rimorsi, i rimpianti...davvero troppo tardi per tutto.

PER OGNI COSA.

Proprio così. Erano accadute e si erano accumulate troppe cose, tra loro due. E dentro di lui. Troppi fantasmi gli ballavano e gli si agitavano intorno, la notte. E alle volte, persino in pieno giorno.

E poi, in fin dei conti, non era quello che aveva sempre desiderato? Quello che aveva sempre voluto per lui?

 

“VUOI RITIRARTI, YABUKI? DAVVERO VUOI FARLO? BEH...SAPPI CHE NON TE LO PERMETTERO’. NE’ ORA, NE’ MAI. TE LO IMPEDIRO’ CON TUTTE LE MIE FORZE E CON QUALUNQUE MEZZO A MIA DISPOSIZIONE, MI HAI CAPITO?”

 

“SE DAVVERO QUESTE SONO LE TUE INTENZIONI, ALLORA SIGNIFICA CHE RIKIISHI E’ DAVVERO MORTO PER NIENTE. E’ MORTO COME UN’IDIOTA! HA SOFFERTO E PATITO TORMENTI ATROCI PER SFIDARE UN LURIDO VIGLIACCO CHE NON HA NEMMENO IL CORAGGIO DI ASSUMERSI LE PROPRIE RESPONSABILITA’!!”

 

“TU HAI DELLE GRAVI COLPE DA ESPIARE, YABUKI! HAI UN DEBITO DI SANGUE NEI CONFRONTI DI GENTE COME WOLF E TOORU! AL PRIMO HAI DISTRUTTO LA CARRIERA, ED IL SECONDO HA PERSO ADDIRITTURA LA VITA, COMBATTENDO CONTRO DI TE!!”

 

“DEVI CONTINUARE A STARE SUL RING! COME MINIMO CI DOVRESTI MORIRE, LA’ SOPRA, PER POTER PAREGGIARE I CONTI!!”

 

MORIRCI, E’ CHIARO?!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Così gli aveva detto, quella volta. Augh.

E lui, da allora, aveva come l’impressione di aver fatto tutto il possibile per accontentare la sua richiesta.

 

Mi dici che ci devo MORIRE, eh?

Ho capito bene, Yoko?

E’ questo, quel che vuoi davvero?

Ciò che più desideri, con tutte le tue forze?

Davvero ti aiuterebbe a stare bene?

Ti farebbe stare MEGLIO? SUL SERIO?

 

Era stato allora che gli era balenata in mente quell’idea assurda. Forse perché é proprio vero che se Atene piange, Sparta non ride. La cara signorina doveva essere ridotta veramente male, per parlare a quel modo. Ma anche lui non brillava di certo. A dirla tutta stava messo da schifo. E allora, stando così le cose…

Allora aveva pensato che il discorso poteva andar bene in entrambe le direzioni. Funzionare per entrambi. Ed aiutarli a stare meglio.

Già. A conti fatti, era proprio un’idea folle. Ma poteva funzionare. Bastava solo essere abbastanza pazzi da volerla mettere in pratica. E lui lo era.

Oh si, se lo era.

 

Lo sai, cara la mia signorina? Credo che tu mi abbia dato proprio una grande idea.

Facciamo così...vuoi farmi davvero morire là sul ring?

OK, CI STO.

Ma si gioca secondo le mie regole. A MODO MIO. Come ho sempre fatto, del resto.

Tu pensa solo a procurarmi il posto adatto, uno sfidante all’altezza ed un bel po' di gente.

Al resto, CI PENSO IO.

Ma vedi di sbrigarti, però. Perché io non me ne starò con le mani in mano ad aspettare i tuoi porci comodi. Intanto che tu ti organizzi, anch’io me lo cercherò per i fatti miei.

Proprio così, mia cara. A questo gioco al massacro si partecipa in due. E vediamo chi arriva primo.

VEDIAMO CHI VINCE.

RIUSCIRAI A FARMI UCCIDERE TU O RIUSCIRO’ A SUICIDARMI IO?

SONO APERTE LE SCOMMESSE, GENTE! E CHE VINCA IL MIGLIORE!!

In ogni caso, per te non cambierà nulla.

Te ne rimarrai seduta lì, in prima fila ed in tribuna d’onore, a guardarmi mentre mi faranno a pezzi.

QUELLO E’ IL TUO POSTO.

E’ SEMPRE STATO IL TUO POSTO.

 

Era stata lei a dare inizio a tutto. Sin dai tempi del riformatorio speciale.

E adesso che era finalmente tutto pronto, proprio sul più bello aveva deciso di mandare tutto quanto all’aria?

Nossignore. Niente da fare.

Voleva darsela a gambe, proprio come quella volta. Ma poteva levarselo dalla testa. Non glielo avrebbe mai permesso.

 

“FERMA LI’ DI DOVE SEI! E NON TI AZZARDARE A MUOVERE UN SOLO PASSO!!”

 

“SEI STATA TU, A VOLERE TUTTO QUESTO...QUINDI, ORA TE NE RIMANI QUI A GODERTI LO SPETTACOLO. FINO ALLA FINE!!”

 

Proprio così. Era lei l’inizio di tutto. LA COLPA ERA SUA. E SOLTANTO SUA.

DI TUTTO QUANTO. DI OGNI COSA.

Della morte di Rikiishi, della fine di Wolf e di Carlos...di tutto.

Quindi che se rimanesse lì buona a guardare, come aveva sempre fatto.

Questa era la punizione che aveva deciso di infliggerle.

Sul serio era dispiaciuta? Ottimo. Davvero magnifico.

Le stava bene. LE STAVA PROPRIO BENE.

NON SI MERITAVA ALTRO.

NON SI MERITAVA PROPRIO NIENT’ALTRO, QUELLA LURIDA STR…

 

No. Basta.

Non si dovrebbe mai augurare il male a nessuno, in momenti come questi. E nemmeno odiare.

Era davvero ingiusto pensare una cosa simile su di lei. Era davvero troppo crudele.

La verità era che le aveva fatto una profonda pena, vederla in quello stato. Tremante e piangente come una bimba rannicchiata in un angolo dopo aver combinato una marachella. UNA DI QUELLE VERAMENTE GROSSE. Una di quelle a cui non era più possibile porvi rimedio, pur con tutta la buona volontà. Cosciente di aver rotto, danneggiato in modo irreversibile qualcosa di troppo fragile e prezioso per poter essere riparato. Non poteva fare più nulla. Solo rimanere lì atterrita, ad aspettare il tremendo castigo che le sarebbe toccato di lì a poco.

Già, si doveva essere proprio resa conto. Ma di un’altra cosa, però.

Aveva capito, per la prima volta nella sua vita e nel peggiore dei modi possibili, di aver innescato qualcosa su cui aveva finito per perdere totalmente il controllo. E che ormai non poteva più riuscire a fermare, in alcun modo.

Povera Yoko. L’aveva sempre considerata una donna intraprendente ed in gamba su molte cose, quanto incredibilmente ingenua e sprovveduta su altre. Il vero problema era che queste ultime erano di fondamentale importanza. E lei sembrava vederle il più delle volte solo come un gioco, un passatempo.

Varietà per i momenti di noia di una ragazzina viziata dalla stanca facile.

Quante volte glielo aveva detto?

Quante volte aveva cercato di fargliela capire?

Ma lei non aveva mai appreso la lezione.

 

E’ sempre la stessa storia con te, vero? Ho tentato di spiegartelo mille e mille volte, ma é stato sempre tutto inutile.

Non puoi entrare nella vita delle persone e credere di poterla manipolare a tuo piacimento. Soprattutto se non conosci a fondo chi hai di fronte. O non lo conosci bene quanto credi. E se non sei in grado di valutare le conseguenze delle tue azioni, o cosa potresti scatenare.

E’ sempre stato il tuo difetto, signorina. Spari giudizi e sputi sentenze senza mai curarti degli effetti che possano avere. Convinta di sapere tutto quanto ci sia da sapere, quando in realtà non sai e non hai mai saputo NIENTE DI NIENTE.

 

Ma lei non aveva mai voluto comprendere. Nè imparare.

Non era nemmeno tutta colpa sua, del resto. C’entrava anche l’ambiente in cui era nata e cresciuta. Abituata da sempre ad avere tutto e subito ad ogni suo comando, e a soddisfare seduta stante ogni suo minimo capriccio.

Le era sempre piaciuto essere la dama più bella del castello, con i cavalieri intenti a duellare nella piazza d’armi sotto la balconata per ottenere la sua mano e le sue grazie. Lo aveva fatto con Rikiishi, all’inizio. E poi con Carlos. E adesso con lui.

Non aveva mai capito che per uomini così, nati e cresciuti annaspando nel fango e respirando e mordendo polvere, NIENTE E’ UN GIOCO.

Quando lotti con le unghie e con i denti per ottenere la minima cosa, per avanzare anche solo di un millimetro, hai la tendenza a prendere tutto TERRIBILMENTE SUL SERIO.

Uomini così, quando danno inizio a qualcosa, vanno fino in fondo. Costi quel che costi.

Per loro le parole e i pensieri contano tanto quanto le azioni. Hanno il medesimo peso, e si trovano sullo stesso piano. Una stretta di mano ed un accordo a voce hanno più valore di una firma e di un contratto scritto su carta. Basta una loro parola, ed una sola ne hanno. Una sola, ed una soltanto.

NON SI SCHERZA, CON TIPI COSI’.

Niente da fare. Peggio che mettersi a parlare al vento. Anche stavolta aveva trattato l’esistenza di chi le stava vicino come in un gioco di biglie. Aveva lanciato le sfere del destino suo ed altrui lungo un immenso piano inclinato che non poteva più raddrizzare. E di cui non poteva più invertire la rotta. Poteva solo rimanere lì, impotente, a guardare le biglie rotolare giù, sempre più giù, lungo il piano. Fino a toccare il fondo, per vedere la fine che avrebbero fatto. Fino al compiersi della loro sorte. Questo era il castigo che le spettava. Il castigo per la bambina cattiva e disubbidiente.

E a ben guardare, si stava già punendo a sufficienza. Fin troppo. E da sola. Inutile rincarare la dose ed infierire oltre misura.

Aveva piegato l’indice della sua mano destra e aveva poggiato la sua seconda falange proprio sotto alla punta del mento di lei. Facendo leva in quel punto dove le due pieghe tra le dita formano un minuscolo avvallamento, glielo aveva sollevato con un gesto delicato ma deciso al tempo stesso.

Se si fosse deciso ad accompagnare quel movimento con uno scatto in avanti delle labbra, gli sarebbe sembrato di stare per baciarla. E probabilmente doveva averlo pensato anche lei, a giudicare dalla breve smorfia che aveva fatto. E da da quello che aveva visto passarle negli occhi, anche se solo per un breve istante. Sapeva fare ancora il galante, quando ci si metteva. Ma non era proprio il tempo per le smancerie da film romantico, quello. La sua unica intenzione era quella di esaminarla meglio.

 

“Hmm...ora che ti guardo bene, può darsi che tu stia raccontando la verità. Di solito voi donne non mentite, quando decidete di tirare in ballo i sentimenti. O perlomeno é quel che ho sentito dire, a riguardo. So che l’amore per voi é importante più di ogni altra cosa, almeno finché dura...”

“Cosa...cosa vuoi dire?”

“Lascia perdere. Beh...cosa vuoi che ti dica, Yoko? Sono sorpreso. VERAMENTE SORPRESO. Non me l’aspettavo. NON ME L’ASPETTAVO PROPRIO. DA TE, POI...”

“E...e allora, Joe...se puoi...se riesci a provare un minimo di rispetto per...per ciò che provo per te, allora non...”

“Quando é stata l’ultima volta che hai sentito parlare di LUI, Yoko?”

“...Eh?!”

“Quando é stata l’ultima volta che hai sentito fare il nome di Rikiishi? Sui giornali, alla radio, o in televisione...quando? Rispondimi, ti prego.”

“Io...io...”

 

Hai idea di cosa significa causare LA MORTE DI UNA PERSONA, Yoko? Ci pensi mai?

Io si, sempre. Anche quando vorrei pensare ad altro.

SAI COSA SI PROVA AD UCCIDERE UN UOMO E A RICORDARSI ANCHE SOLO OGNI TANTO DI AVERLO FATTO? RIESCI A CAPIRE QUEL CHE TI STO DICENDO?

SEI LI’ TRANQUILLO CHE PENSI AI FATTI TUOI E ALL’IMPROVVISO...ALL’IMPROVVISO RISENTI L’IMPATTO DELLA SUA CARNE E DELLE SUE OSSA SULLE TUE NOCCHE, SENTI L’ONDA D’URTO DEL COLPO CHE DALLA SUA TEMPIA SI ESTENDE LUNGO IL TUO BRACCIO, E DA LI’ RISALE FINO ALLA SPALLA, E POI PIU’ SU, ANCORA PIU’ SU, FINO AL TUO CERVELLO...E LI’, IN QUEL PRECISO MOMENTO, CAPISCI CHE PER TE E’ FINITA, CHE NON C’E’ PIU’ NIENTE DA FARE…

SEI DANNATO. PER SEMPRE.

E NON IMPORTA COSA POTRAI FARE, DA QUEL MOMENTO IN POI.

FINIRAI ALL’INFERNO, A BRUCIARE PER L’ETERNITA’.

ANCHE SE ALLE VOLTE FACCIO FINTA E MI SFORZO DI NON VEDERLO, LUI E’ SEMPRE LI’. A TORMENTARMI. CON IL SUO SILENZIO CHE VALE PIU’ DI MILLE ACCUSE URLATE.

ASSASSINO!

ECCO QUEL CHE MI GRIDA, SENZA NEMMENO APRIR BOCCA.

ANCHE TU LO HAI VISTO MORIRE, CERTO. MA NON CE LO AVEVI DI FRONTE.

NON CE LO AVEVI DI FRONTE, QUANDO E’ ACCADUTO.

MENTRE ACCADEVA.

QUANDO HA SBATTUTO LA TESTA...QUANDO ERA LI’, PROPRIO DAVANTI A ME, CON QUEL SUO CORPO RINSECCHITO E LO SGUARDO PERSO NEL VUOTO...NON C’ERA PIU’ LUCE, IN QUEGLI OCCHI.

ERA GIA’ MORTO, IN QUEL MOMENTO. ERA GIA’ BELLO CHE MORTO, TI DICO…

IO...IO NON SO CHI...CHI O COSA LO HA FATTO RIALZARE E LO FACEVA ANCORA MUOVERE, E COMBATTERE...NON SO CHI GLI ABBIA FATTO TIRARE QUELL’UPPERCUT CON CUI MI HA MESSO KO...NON LO SO, NON RIESCO A CAPIRLO TUTTORA…

ERA UNO SPETTRO, FORSE. UN CADAVERE CON L’ANIMA DEL SUO PROPRIETARIO CHE SI OSTINAVA A RIMANERE, CHE NON VOLEVA LASCIARLO, CHE NON VOLEVA RASSEGNARSI AD ANDAR VIA…

PERCHE’ SI E’ DOVUTI ARRIVARE A QUEL PUNTO?

PERCHE’ L’HO DOVUTO FAR ARRIVARE A TANTO?

 

PERCHE’?!

 

“Stai...stai pensando ancora a QUELLE MIE PAROLE, vero? E’ cosi, Joe? Smettila di pensarci, per favore! Ero...ero infuriata per la sua morte, non lo pensavo veramente! E… e non avrei mai voluto...NON AVREI MAI DOVUTO DIRTELE, ECCO LA VERITA’!! COME PUOI PENSARE CHE IO POSSA VOLERE VERAMENTE LA MORTE DI UNA DI UNA PERSONA?! CHE IO...IO POSSA DAVVERO VOLERE LA TUA MORTE?! DIMENTICA QUELLE PAROLE MALEDETTE! DIMENTICALE!!”

 

Non posso dimenticarle, Yoko. Non ci riesco. E non poso nemmeno far finta che tu non me le abbia mai dette.

La verità é che al male fatto non c’é mai rimedio. E vale sia per quel che si dice che per quel che sia fa. Per quel che tu mi hai detto e per quel che io ho fatto. E per tutto quel abbiamo pensato.

Hai proprio ragione, signorina.

NON AVRESTI MAI DOVUTO DIRE QUELLE PAROLE.

NON A ME.

 

“Rikiishi era un grande. Era il più grande di tutti, non aveva rivali. E non c’erano limiti a quel che avrebbe potuto fare, ai traguardi che avrebbe potuto raggiungere. Io...l’ho costretto a mettere da parte tutto solo per quell’assurda contesa contro di me. E lui lo ha fatto davvero, per volermi dimostrare con i fatti di essere il più forte. E qual’é stato il risultato?”

“Joe...”

“E’ successo che ora é morto. E quel che é peggio, di lui non si ricorda più nessuno. E rimasto solo un miserabile perdente che tenta disperatamente di imitarlo. E la colpa di tutto questo é mia. SOLO E SOLTANTO MIA. Ma...se tentare di seguire le sue orme é l’unica cosa che posso ancora fare, CHE MI E’ RIMASTA DA POTER FARE, ebbene...la farò. DEVO FARLO PER LUI, CAPISCI? Altrimenti, sarebbe come ammazzarlo una seconda volta. E poi...”

“NON E’ STATA COLPA TUA, JOE!! NON...NON LO HA COSTRETTO NESSUNO A FARLO! PROPRIO NESSUNO!! E’ STATA UNA SUA LIBERA SCELTA, E...E CERTE SCELTE SI PAGANO CARE, PURTROPPO. ANCHE SE FAI TUTTO QUESTO PER LUI, TOORU NON...NON RITORNERA’ IN VITA!!”

“Questo lo so. Lo so fin troppo bene.”

“Ma...ma allora perché...perché...”

“Lasciami finire, Yoko. C’é dell’altro. Hai detto di AMARMI, giusto? E se davvero mi ami, allora devi imparare ad accettarmi per ciò che sono. E si dà il caso che io sia UN PUGILE.”

“E’ DI UN PUGILE, CHE TI SEI INNAMORATA. E là fuori si sta per realizzare il più gran sogno di tutti quelli come me. L’uomo più forte del mondo é venuto qui in Giappone apposta per sfidarmi. Non posso deludere le sue aspettative.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“JOE! TUTTO A POSTO? MUOVI IL CULO, DAI!! E’ ORA!!”

 

Colpi ripetuti ed insistenti sulla porta, quasi a volerla buttare giù. E poi quell’inconfondibile vocione.

Era il vecchio. Tutto si poteva dire su di lui, tranne che non aveva il senso della misura e della scelta dei tempi.

Bah, almeno lo aveva liberato dall’impasse.

 

“ALLORA?! CHI C’E’ LI’ CON TE, SI PUO’ SAPERE?”

“Non c’ é nessuno, vecchio. Chi accidenti vuoi che ci sia? Arrivo, non rompere le palle.”

“E ALLORA SBRIGATI, ACCIDENTI A TE!!”

 

Le aveva poggiato le mani sulle spalle, e di nuovo i suoi occhi avevano incrociato quelli di lei.

 

“Devo andare. Mendoza é di là che mi attende. Non é gentile lasciarlo da solo.”

 

Poi l’aveva scostata in parte. Era leggera più di un fuscello.

Doveva essere il senso di sconfitta a farla sentire così. Il fatto di aver tentato un ultimo, disperato affondo per poi vedere che non era servito praticamente a nulla.

Si trovava dietro di lui, ora. E continuava a piangere.

 

“Voglio dirti ancora una cosa, Yoko. GRAZIE. Non sono molto abituato a questo genere di cose, ma...é bello vedere che ti preoccupi per me. Davvero. Non é da tutti, avere una ragazza disposta A PIANGERE PER TE.”

“Joe...ti prego...”

“Ti farò vedere come sono in grado di battermi anche con questo corpo così malconcio.”

D’improvviso, l’aveva sentita trasalire.

“Queste...queste parole sono...sono le stesse che...”

“Mh? Di che parli?”

“N – no...niente...”

 

Ed era uscito dallo spogliatoio, senza nemmeno più voltarsi a guardarla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non appena aveva chiuso la porta, aveva chiaramente udito il rumore di qualcuno che vi si appoggiava sopra, per poi lasciarsi lentamente scivolare verso il basso. E poi di nuovo quel singhiozzare sommesso.

Stava ancora piangendo.

Povera Yoko. Non aveva mai voluto capire.

Ma chissà...forse con lui avrebbe potuto essere finalmente LA VOLTA BUONA, no?

Si dice che non tutto il male venga per nuocere. E se da questo male qualcuno può finalmente trarne il giusto giovamento...

 

“ALLA BUON’ORA! CE NE HAI MESSO DI TEMPO! MA CHE STAVI FACENDO, EH?!”

“Piantala, vecchio. Mi hai scocciato, adesso. Se non la smetti, una buona volta, giuro che inizio a fare riscaldamento su di te!!”

 

In marcia, dunque. Verso il suo destino. Non gli era rimasto altro da fare, a quel punto.

Aveva percorso il corridoio lentamente e con calma, in compagnia del pugilomane. Nishi ed il resto dei ragazzi dovevano già trovarsi al suo angolo. Era stato davvero gentile, quel bestione. Non se l’era sentita di piantarlo in asso. Non in quella sera. Non in una sera così importante. Lui e Noriko erano freschi di matrimonio, e avrebbe potuto starsene a casa con la sua bella mogliettina a vedersi il match in tv. O a fare qualcos’altro di più divertente. Gli avrebbe potuto dare un paio di suggerimenti, in tal proposito…

Aveva esitato per un istante prima di fare il suo ingresso, come spaventato dal boato del pubblico che già aveva sentito aumentare sempre più man mano che giungeva alla fine del condotto. Poi si era deciso a varcare la soglia.

La luce intensa dei riflettori lo aveva momentaneamente accecato, obbligandolo a mettersi una mano di fronte al viso giusto per dare ai suoi occhi il tempo necessario ad abituarsi.

Al suo arrivo, il boato era esploso più forte e rabbioso di prima.

Era tutto pieno, fino a scoppiare. Quanta gente. E quante voci, soprattutto.

Le solite di sempre, ma moltiplicate all’ennesima potenza.

Incitamenti, insulti, sfottò...ed i soliti buontemponi di sempre che un giorno avrebbe finito con demolire a suon di schiaffi, a costo di farsi largo a forza tra il pubblico:

 

“FINALMENTE, YABUKI!”

“ERI GIA’ SCAPPATO? AH, AH, AH!!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Così stavano le cose, gente. Che possano far piacere oppure no.

Indipendentemente dalla sua volontà, da ciò che desiderava, dai sospetti e dai rimorsi altrui e della cara Yoko, una cosa sola era certa.

Il pugile che gli aveva cucito addosso il vecchio, su misura e proprio sopra al suo corpo, e che con il suo aiuto aveva costruito e rinforzato a suon di allenamenti intensi e massacranti aveva iniziato, lentamente ma inesorabilmente, a disfarsi e a sgretolarsi. Pezzo dopo pezzo.

Non gli rimaneva molto tempo, nelle condizioni in cui versava. Ogni minuto, ogni secondo in più era guadagnato. E poteva essere l’ultimo per lui, da poter trascorrere all’interno della giungla quadrata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!

Chiedo scusa per il ritardo, ma é stato davvero un periodo incasinatissimo.

Ma mi ritengo fortunato:poteva andarmi davvero peggio. Molto ma molto peggio…

Diciamo che ho corso anche il rischio di sparire da questi lidi per un bel pezzo…

Per farla breve, le scorse settimane mi hanno proposto di andare a lavorare in Repubblica Ceca per svariati mesi. Ma mi sono rifiutato.

Non me la sono sentita, nonostante ci fossero in ballo parecchi soldi. E Dio solo sa quanto ne abbia bisogno, in questi ultimi periodi (come tutti, suppongo)…

Ma avrei dovuto piantare qui mia moglie e mia figlia in Italia, da sole. E per parecchio tempo. E NON VOLEVO ASSOLUTAMENTE FARLO.

Già, tra lavoro ed impegni, ci si vede pochissimo…e poi i soldi, anche se indubbiamente servono non sono tutto nella vita, EKKEKATZ…

Non voglio ancora essere costretto a fare simili scelte per guadagnare di più. Preferisco fare dei sacrifici (oltre a quelli che già faccio) ma rimanere accanto alle persone che amo.

Se poi in futuro sarà necessario farlo, lo farò. Ma per ora l’ho scampata.

Fine dell’angolino dedicato alle beghe personali.

Veniamo al capitolo.

Un altro episodio bello controverso: Se nel precedente ci ero andato giù pesante, con la povera Yoko, beh...qui va ancora peggio. Ma poi, all’improvviso, Joe sembra ravvedersi. E cambiare idea.

Io ritengo che i due autori, ai tempi, volessero in qualche modo punire Yoko, colpevole di aver voluto entrare in un mondo riservato ai soli uomini, AI VERI UOMINI, con tutto il suo fascino ed il suo potere seduttivo femminile. E creando disastri.

Insomma saremmo al classico, vecchio adagio LE DONNE PORTANO SOLO GUAI.

E detto fra di noi non mi stupirebbe affatto, visto il periodo in cui l’opera é stata realizzata. E visto il paese in cui l’hanno realizzata. Sappiamo tutti che il Giappone non brilla certo per la considerazione che l’uomo ha della donna, ancora adesso. E figuratevi come doveva essere quarant’anni fa or sono…

E’ una tesi che posso avvalorare ma che mi rifiuto di accettare in toto. Perché la trovo riduttiva, limitata e parecchio misogina.

D’altra parte, tutto si evolve. E la prerogativa delle grandi storie (e ROCKY JOE lo é, per fortuna) é anche di poter riuscire a stare al passo con i tempi.

Direi che il suo messaggio, in tal senso, può essere interpretato in un’ottica più ampia.

Come dicevo la scorsa volta, non odio Yoko. E ritengo che il suo pentimento sia sincero. Così come ciò che prova nei confronti di Joe.

L’unica colpa che le si può attribuire é forse di non aver mai capito con chi avesse veramente a che fare.

Esistono al mondo persone fatte di una pasta e di una fibra molto particolari (per dirla alla Tex Willer gente che il padreterno, dopo averli fatti, ha buttato via lo stampo). Persone per cui la parola data E’ SACRA. Al contrario della maggior parte di noi che senza un contratto scritto e firmato alla presenza di un avvocato e di testimoni sono disposti a rimangiarsi tutto quello che hanno detto cinque minuti prima, a seconda del loro tornaconto.

Ed é molto pericoloso, PERICOLOSISSIMO, andare a pungere sul vivo e nell’orgoglio persone simili, come ha fatto Yoko, più o meno inconsapevolmente.

Perché gente così (come Joe, come Tooru, o come Carlos) é disposta a tutto, pur di rimanere coerente con sé stessa, fino all’ultimo. Anche di arrivare fino alle conseguenze più estreme.

Di chi sarebbe quindi, la colpa della morte di Joe?

Di tutti e di nessuno, da come la vedo io. Forse, era semplicemente destino che dovesse finire così.

E una cosa tipica di molte opere giapponesi, rispetto a quelle occidentali.

IL DESTINO.

Vale a dire che da noi il protagonista lotta contro un destino avverso e spesso riesce a cambiarlo. In oriente, invece, le cose vengono viste in maniera un po' diversa, alle volte.

Ogni persona ha un destino già scritto, che prima o poi si compie. Può prendere la via più rapida o più breve, ma sempre lì deve arrivare.

Fossero stati in America, Joe e Danpei avrebbero sicuramente percorso una strada dritta verso un avvenire ed un futuro luminosi. Magari avrebbe subito qualche sconfitta, ma sarebbe stato il classico incidente di percorso necessario a temprarlo e a renderlo più forte, in vista del trionfo finale (Anche Rocky Balboa ha perso, certe volte. Ma alla fine si é preso sempre la rivincita su chi lo ha battuto. A proposito: mi sono sempre chiesto se il buon Stallone non abbia preso spunto da Ashita no Joe, per il suo personaggio...ma é impossibile che il manga o l’anime si potessero trovare negli Usa, a quei tempi…).

Ma qui non siamo in America. All’inizio, quando i due si conoscono, tutto bene. Ma da lì in poi, la strada di Joe diventa tortuosa e complicata. Finisce in galera, dove incontra la persona sbagliata, nel posto sbagliato e al momento sbagliatissimo. I due diventano rivali, e decidono di portare la loro contesa sul ring. Contro ogni buon senso, verrebbe da aggiungere, visto che un match tra loro due é improponibile. Eppure lo fanno lo stesso, visto che per loro ormai é un’autentica ossessione. E qui arriva il colpo di genio. O la follia dei due autori.

Joe, che dovrebbe essere il protagonista assoluto, si ritrova a dover dividere il palcoscenico con un antagonista che finisce pure per rubargli la scena.

Rikiishi é uno sbruffone ed un fanatico, ma non puoi non parteggiare per lui. C’é poco da fare: nell’ultima parte si mangia praticamente tutti. E’ la prima volta che arrivi a fare il tifo per un avversario, e ad augurarti che vinca. Non può non meritarselo.

Ma da quella situazione assurda viene fuori una catastrofe. Uno dei due muore, e l’altro é talmente distrutto dentro che finisce per giocarsi la carriera e la vita a sua volta.

Dovevano diventare due campioni, ed invece si sono consumati. E di loro non é rimasto NIENTE.

Ma forse era destino che finisse così.

Angolo della colonna sonora (non fateci caso: é un mio pallino, quello di associare l’ascolto di un brano a determinati passaggi di un racconto. Del resto, mentre leggi ti fai il film di ciò che accade nella tua testa. Molto cinematografico. E cosa sarebbe una scena da film,senza una colonna sonora? Nell’altra mia long ce le metto di continuo): durante il dialogo tra Joe e Yoko, ascoltatevi la bellissima ON EVERY STREET dei DIRE STRAITS.

Ma ora basta con l’introspezione: dal prossimo episodio si torna al match, finalmente!

Ringrazio Devilangel476, innominetuo e kyashan_luna per le recensioni al precedente capitolo. E, come sempre, un grazie a chiunque leggerà la mia storia e vorrà lasciare un parere.

 

Alla prossima,

 

 

See ya!!

 

 

 

Roberto

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel frattempo, all’interno del palazzetto sportivo, avevano cominciato ad averne tutti quanti abbastanza di quella ridicola e tragicomica farsa, sicuramente inappropriata ad un evento così importante.

Ne avevano avuto abbastanza gli spettatori, che gli vomitavano addosso tutta la loro rabbia e la loro delusione sotto forma di improperi, ingiurie e bestemmie di ogni tipo e risma.

 

“VAFFANCULO, YABUKI!!”

 

“MA VAI A FARTI FRIGGERE, COGLIONE!!”

 

“MUOVITI, PER DIO...SCHIVA!! FA’ QUALCOSA, INVECE DI MENAR COLPI ALLA CIECA!! NON SEI BUONO DI COMBINARE ALTRO?!”

 

“CI HAI ROTTO, HAI CAPITO?! NON NE POSSIAMO PIU’!!”

 

C’era da giurare che di lì a poco avrebbero iniziato con il consueto lancio di cuscini e oggetti vari all’indirizzo del ring. Come sempre facevano, ogni volta che i due contendenti non soddisfacevano le loro aspettative.

Tsk. Che ci venissero loro a combattere lì sopra, se ritenevano di poter fare meglio. Anzi, che facessero e che dicessero pure tutto quel che passava per le loro teste ottuse e bacate, giunti a quel punto. Potevano pure morire, per ciò che gli fregava.

Aveva iniziato ad averne abbastanza pure il vecchio pugilomane, che durante il break al termine della terza ripresa aveva attaccato con la solita, pallosa manfrina.

 

“Senti, Joe...dimmi solo una cosa. Una cosa soltanto, e poi non ti romperò mai più. Lo giuro sulla mia testa, per quel che vale. Ma tu rispondimi, ti prego. E rispondimi SINCERAMENTE. Dimmi...dimmi solo perché stai facendo questo. Perché...stai facendo tutto questo a te stesso...e a me. Dimmelo, per favore. Tutto quello che abbiamo fatto, passato insieme...ti ricordi quante ore abbiamo speso, quanta fatica abbiamo fatto per prepararci a questo giorno? A QUESTO MATCH? Te lo sei dimenticato, forse? Perché ti stai comportando così, eh?! PERCHE’ VUOI MANDARE TUTTO ALL’ARIA IN QUESTO MODO? CI SARA’ PURE UNA RAGIONE, PER CUI TI STAI COMPORTANDO IN QUESTA MANIERA!! E TU ME LA DEVI DIRE, CAPITO?! VOGLIO SAPERE IL PERCHE’, CHIARO?! SONO IL TUO ALLENATORE! NE HO IL DIRITTO, DANNAZIONE!!”

 

Gli aveva dato le spalle e si era rimesso in piedi, come a voler raggiungere il centro del quadrato ancora prima che risuonasse il gong di inizio ripresa. Non si era nemmeno preso la briga di volergli rispondere.

Era una totale perdita di tempo e di fiato. Non ne valeva nemmeno la pena.

 

“NON TI PERMETTO DI IGNORARMI COSI’!! MI SENTI, MALEDETTO?! PERCHE’...PERCHE’ MI STAI...CI STAI FACENDO QUESTO, EH?! RISPONDIMI, RAZZA DI SCHIFOSO INGRATO E MANGIAPANE A TRADIMENTO CHE NON SEI ALTRO!! PIANTALA, HAI CAPITO?! DEVI PIANTARLA, CON QUESTA DANNATA PRESA PER IL CULO!! E SUBITO, ANCHE!!”

 

CI STAI FACENDO QUESTO.

Tsk. Ma sentitelo. Allo zietto Danpei gli erano venute le manie di protagonismo. Gli stava facendo fare brutta figura, a quanto pareva. Manco fosse lui, lì in mezzo, quello che si stava facendo riempire di botte.

Non aveva voluto guardare. Probabilmente Nishi, insieme a Chomei e Masato, lo stavano trattenendo a forza al di fuori delle corde per impedirgli di saltargli addosso e ammazzarlo. O di sbranarlo vivo, a giudicare da come urlava e sbavava.

Che ci provasse pure a farlo, quel vecchio beone testa di rapa. Ormai non poteva più infastidirlo. Magari pensava di potergli dare ancora una lezione come ai primi tempi, quando si erano trovati per puro caso ed avevano deciso di dar vita al loro strano sodalizio. Ma ormai non poteva suonargliele nemmeno se avesse avuto entrambe le mani legate ed immobilizzate dietro la schiena. Senza offesa per DANPEI TANGE detto LA TIGRE, vecchia gloria del pugilato giapponese dal coraggio indomito, ma...ormai non poteva reggere un solo round, per come stava messo. Nemmeno contro TOPOLINO.

Ma la cosa peggiore era che aveva iniziato ad averne abbastanza anche il campione. Il suo sconcerto iniziale doveva già essersi tramutato in feroce disappunto. Molto probabilmente era passato dal chiedersi se la buffonata a cui stava partecipando era valsa un volo intercontinentale al ritenere più che giustificati i sospetti che doveva nutrire da tempo. E l’impressione che doveva essersi fatto sul suo conto sin dal loro incontro – scontro alle Hawaii. E cioé di aver di fronte un giovanotto arrogante e presuntuoso che dimostrava chiaramente, con la sua condotta da sbruffone, di non avere nessun rispetto per la boxe in generale. E nemmeno per colui che, al momento, ne costituiva uno dei massimi rappresentanti. Uno sciocco ed impertinente ragazzino a cui doveva impartire, a cui doveva essere impartita una sonora lezione. Ed il tutto nel pieno rispetto della sua figura di pugile professionista.

Valeva a dire una bella batosta. E di quelle memorabili, per giunta.

Non ci aveva messo poi molto a prendergli le misure, com’era prevedibile. E ad iniziare a dare sfoggio di quella sua tecnica sopraffina per cui veniva tanto rispettato, venerato e temuto.

Ogni suo gesto, ogni sua tecnica era una perfetta sintesi di potenza, velocità ed eleganza. Ma soprattutto di economia di movimento. Pura scienza applicata alla disciplina, che con lui trascendeva i confini sportivi per diventare autentica ARTE. Un’arte dove nulla era lasciato al caso o era frutto di trovate estemporanee. Ogni cosa, ogni particolare che componeva il suo stile era calcolato al secondo e al millimetro, con precisione estrema. E gli permetteva di ottenere il massimo con il minimo, tutto qui. Non sprecava una sola stilla di energia di quanto gli servisse o gli fosse necessario allo scopo. Detta così sembrava una cosa da nulla, ma occorrono anni di allenamento severo e rigoroso, al limite delle possibilità umane, per ottenere tale risultato. Nonché una certa predisposizione naturale. Servono una mente ed un cuore freddi e duri come il ghiaccio o l’acciaio, e una determinazione ed una volontà a dir poco maniacali di volersi migliorare costantemente, giorno dopo giorno. Mica é una roba da tutti. Ed é la cosa che fa la differenza tra un picchiatore qualunque ed un FUORICLASSE quale era Mendoza.

Effettuava le schivate giusto un istante prima che il tuo pugno si abbattesse su di lui. Fino all’attimo precedente ce lo avevi lì, perfettamente immobile, e poi...all’improvviso il bersaglio non c’era più. Riuscivi al massimo a sfiorarlo, ma mai a colpirlo veramente. E a causargli danni consistenti. L’effetto era a dir poco straniante, inquietante. Sembrava di prendere a ceffoni uno specchio d’acqua limpida e placida. Per quanto ti sforzavi, riuscivi solo ad intaccare la superficie, mentre il resto rimaneva intatto. Finivi per sfiancarti senza aver ottenuto nulla. Inutile, ecco come ti sentivi. I tuoi guantoni scivolavano sopra la sua pelle, come se avesse l’intero corpo cosparso di vaselina o di olio. Pareva che non si limitasse ad evitare semplicemente gli attacchi. Le sue movenze fluide ed aggraziate ricordavano quelle di kendoka o di un karateka impegnato ad usare quella tecnica che loro chiamano MIKIRI. Dove mandare a vuoto l’iniziativa avversaria non consiste solo nell’ondeggiare col tronco o con le gambe. Era l’insieme del saper calcolare la distanza, il ritmo, la direzione di ogni offesa o potenziale minaccia rivolta alla propria persona. Mendoza dominava davvero il tempo e lo spazio, sul quadrato. Lo mancavi, e nel momento stesso in cui tu ti sbilanciavi anche solo impercettibilmente lui partiva. Aggiungendo ad ogni suo colpo la forza del tuo slancio in avanti, massimizzandone in tal modo l’efficacia. Ed in quello il MIKIRI mutava forma. Diventava come l’HIRIMI dell’Aikido. Accogliere dentro il proprio territorio la furia omicida del contendente ed assecondarla, almeno all’inizio, per poi guidarla e manovrarla a piacimento. Ed in ultimo ritorcergliela contro. E a guardarlo bene in faccia José condivideva proprio l’impassibile ed imperturbabile espressione tipica dei più grandi praticanti e depositari di quelle antichissime tecniche marziali. Il volto di chi é riuscito a TRASCENDERE, diventando parte di un tutto. Ed elevandosi a una dimensione superiore. Tipi così ti atterriscono con la loro semplice presenza. Ora gli era ben chiaro cosa doveva aver provato il povero Carlos quando se l’era trovato davanti. Ogni volta che gli si faceva sotto, aveva la sensazione di mettersi contro l’intero universo.

Se le cose stavano davvero così, allora che senso aveva continuare a combattere?

Come accidenti fai a vincere contro L’INTERO UNIVERSO?

Doveva davvero aver preso a prestito una goccia del saper millenario di quegli antichi maestri, così come doveva averla adattata al suo stile. Antico e moderno che si fondevano e convivevano come se si trattasse della cosa più semplice e naturale di questo mondo. Un’eresia, per i puristi. O forse, solo per gli ottusi. O magari non aveva preso un bel niente. Gli si era rivelato e basta, una volta giunto al termine del suo percorso di ascesi. Dicono i monaci Zen che la conoscenza, la VERA CONOSCENZA, quella che scaturisce dal profondo, é sostanzialmente la stessa per ognuno di noi. Gli illuminati giungono tutti alle stesse conclusioni, oggi come centinaia di secoli addietro.

O magari aveva anche lui dei poteri soprannaturali. Dicevano che alcuni di quei combattenti leggendari, grazie alla loro assidua pratica quotidiana, a furia di ripetere mille e mille volte gli stessi gesti fino a crollare a terra esausti per la fatica, avessero acquisito capacità extra – sensoriali. Chissà, magari anche José era in grado di prevedere le sue intenzioni prima ancora che riuscisse a metterle in atto. Leggendogliele negli occhi. Oppure dalle micro – vibrazioni delle fibre muscolari. O forse vedeva anche lui delle scie luminose partire dal suo corpo, un istante prima che partisse l’attacco...

E comunque...era proprio il caso che stesse lì a riflettere su stronzate senza alcun senso come quelle? IN UN MOMENTO SIMILE?

E’ proprio vero che quando sei con le spalle al muro e annaspi nella merda fino al collo inizi a pensare alle cose più assurde. Ti vengono in mente le cazzate più improbabili. Proprio come quando sei sul punto di MORIRE.

Era meglio pensare ad altro, và.

Come ai suoi pugni, per esempio.

Già. Proprio così. I suoi pugni.

I SUOI PUGNI, CRISTO SANTO.

I PUGNI.

Era una sensazione che lo accompagnava da quando aveva iniziato a vederlo all’opera. Dal primo momento che lo aveva visto danzare, muoversi e combattere sull’immacolato tappeto. L’impressione che Mendoza somigliasse più ad un’aquila che ad un uomo. Un’aquila come quella stilizzata che fungeva da stemma e che adornava la bandiera del suo paese di origine, al centro del tricolore. Un’aquila che esultava su di una pianta di cactus ed in equilibrio su di un’unica zampa, orgogliosa e fiera, mostrando soddisfatta tra le proprie grinfie la serpe che aveva appena catturato. E proprio come lei sembrava volare alto nei cieli, maestoso ed irraggiungibile. Dominava l’aria incontrastato, e di conseguenza tutto ciò che viveva e respirava sotto la sua sagoma. Perché chi governa il cielo governa anche la terra, e tutte le creature che si muovono sopra la sua superficie. Tu non potevi nemmeno pensare, SPERARE di toccarlo, nemmeno con un dito, mentre lui era libero di disporre di te a proprio piacimento. Di piombare su di te e ghermirti in qualunque istante, ogni volta che lo desiderasse.

Si librava libero ed imperturbabile sulle ali del vento, per poi gettarsi all’improvviso in picchiata sulla preda che aveva appena scelto e straziarne le carni a colpi implacabili di becco, artigli e rostro.

La triade, la santissima trinità delle micidiali armi naturali impiegate dal Re, dal Dio dei rapaci per imporre la sua legge e la sua supremazia su chiunque altro. E che nella sua trasfigurazione umana umana quale era Mendoza confluivano tutte quante nel suo pugno. Uno e trino, era proprio il caso di dirlo.

I pugni, cristo santo. I PUGNI.

Quel modo che aveva di sferrare i diretti, puntando dall’esterno verso l’interno, con il braccio leggermente flesso all’altezza del gomito, quasi si trattassero di una curiosa variante imbastardita con un qualche tipo di gancio molto ma molto ampio, ma che a differenza delle sventole mantenevano una traiettoria chiusa e stretta al massimo. E poi quello scatto secco che imprimeva al polso, facendolo roteare in senso antiorario ed avvitare su sé stesso fino a fargli assumere una posizione che per per qualunque altro essere umano avrebbe dovuto risultare innaturale ma non per lui, con il dorso della mano ritorto di quasi centottanta gradi rispetto alla posizione di partenza, tanto da risultare quasi parallelo al pavimento, con l’articolazione che a fine corsa pareva sul punto di spezzarsi da un momento all’altro mentre trasferiva sulle prime due nocche il peso dell’intero corpo giusto un attimo prima che impattassero sull’obiettivo…

Quella tecnica, LA SUA TECNICA, era unica al mondo. Non aveva eguali. Nessuno l’aveva mai perfezionata fino a quel punto. E nessuno sarebbe mai riuscito a fare altrettanto dopo di lui, molto probabilmente. Era il suo marchio di fabbrica. Al punto che l’aveva persino battezzata. Sul serio, le aveva davvero trovato un nome.

IL COLPO A CAVATAPPI.

Spiritoso. Si era persino voluto concedere il lusso di scherzarci pure sopra. Privilegi del rango.

Un nome così buffo per un colpo così micidiale. Ogni volta che ti centrava era come se ti scavava in profondità con un punteruolo. Oppure con uno scalpello. Bordate di maglio tirate con la punta di un ago sottile. Ti asportava un pezzo dopo l’altro, con precisione metodica e chirurgica, Proprio come uno scultore alle prese con un blocco di marmo, pietra o di granito, una stoccata alla volta scolpiva il suo capolavoro sul tuo corpo. Ti staccava un pezzettino, un frammento alla volta. Di muscoli, di carne e di pelle. E di sangue, di nervi e di ossa.

Ti distruggevano, quei colpi.

TI DEVASTAVANO DALL’INTERNO, LETTERALMENTE.

L’ultimo che lo aveva raggiunto all’altezza della tempia destra, poi...quello con cui lo aveva spedito al tappeto alla quarta ripresa. Per la terza volta in quattro round. Aveva sentito uno strano rumore diffondersi dalla zona colpita fino al timpano, che gli aveva preso subito a fischiare. Un rumore simile a quello dei denti di un bambino intento a sgranocchiare...giovani mandibole all’assalto di qualcosa di CROCCANTE. DI MOLTO CROCCANTE.

Come le seppie essiccate che comperava sempre al piccolo Kinoko, ben sapendo che il tappetto ne andava matto…

Oppure come doveva essere quello spiedino che aveva rubato Sachi, quando lui era intervenuto a difesa della ragazzina dopo averla vista in balia di quel gruppetto di mafiosi da strapazzo...per poi, una volta sistemato tutto a suon di sganassoni, sberle, calci, spintoni contro il muro, gente gonfiata peggio dei tamburi e teste vuote fracassate, prenderla per i fondelli fino alla morte chiamandola LADRA DI YAKITORI oppure LA SIGNORINA RUBASPIEDINI, proprio durante i primi giorni di permanenza al quartiere...anzi, no: doveva essere accaduto il giorno stesso del suo arrivo. IL PRIMO GIORNO, il giorno in cui era iniziata ogni cosa…

Davvero incredibile. Il destino, alle volte. Vai tu a sapere che…

No. Era qualcosa di diverso. E di molto più sinistro. Era il rumore di qualcosa che andava in FRANTUMI.

La parte destra del suo osso temporale.

Gli era sembrato di sentire, insieme alla fitta di dolore, una crepa profonda che partiva dalla tempia e che poi si biforcava all’altezza dello zigomo, raggiungendo in contemporanea la zona dell’orbita ed il lato del mento. Aveva chiuso gli occhi di riflesso, ed aveva udito anche una sorta di impercettibile schiocco, seguito da un lampo bianco. E poi da uno rosso. Ed il suo cervello che si era messo a vagare tra le sue scarne reminescenze di medicina e chirurgia applicata. Quei due bagliori improvvisi...poteva essere il cristallino che si era appena staccato. O la cornea lacerata. Oppure un capillare o un vaso sanguigno che si era appena reciso e che aveva iniziato a spargere copiosamente la linfa vitale tutt’intorno a sé, invece di continuare ad irrorare i tessuti circostanti...o magari entrambe le cose, giusto per non farsi mancare nulla.

Intanto però si ritrovava schiena a terra, disteso. La prima cosa da fare era rialzarsi. Ancora.

Si era rimesso in piedi e solo allora li aveva riaperti. E quando finalmente si era deciso a farlo, a riaprire quelle dannate palpebre, si era accorto che...non ci vedeva.

Non vedeva più come prima.

L’occhio destro era come velato da una patina rossastra, una nebbia vermiglia che inghiottiva le linee, i colori ed i contorni. E che aumentava sempre più d’intensità, con il passare dei secondi.

Non gli importava. Non avrebbe smesso di combattere. Né di attaccare. Per nulla al mondo. Poi...

Poi aveva alzato lo sguardo. E aveva visto Mendoza.

All’inizio il messicano era di spalle, sembrava stesse raggiungendo il suo angolo. Probabilmente riteneva il discorso già chiuso. Poi, sentendo l’arbitro interrompere il conteggio, si era girato.

La parte sinistra del suo corpo, dal braccio fino al cuore, appariva tutta confusa, sbiadita, indistinta. E sul suo volto vi era una smorfia di alterigia e supponenza, unita a quello sguardo enigmatico ed impenetrabile che non ti faceva mai capire a cosa stesse pensando. Sembrava lo stesse osservando dall’alto. Come dalla vetta di una montagna inaccessibile al resto dei mortali.

Le sue labbra si mossero impercettibilmente.

“Yellow sheep...”

Yellow sheep.

Proprio quello, aveva detto.

La stessa frase che aveva sussurrato quella volta nella palestra di Honolulu, quando gli aveva fatto assaggiare per la prima volta il suo colpo a cavatappi e lo aveva mandato disteso con un un unico, fulmineo destro.

Yellow sheep.

PECORELLA GIALLA.

Aveva parlato MISTER FACCIA DI SORCIO.

 

Si. Hai capito benissimo.

Ho detto proprio FACCIA DI SORCIO.

Sarò anche ignorante come una capra, ma stavolta mi sono preparato anch’io, che ti credi.

E’ così che vi chiamano gli Yankee, non é vero?

E vi fa incazzare tanto quanto fa incazzare noi giapponesi quando sentiamo una frase che termina con il suffisso GIALLO.

SCIMMIA GIALLA, LIMONE GIALLO, MUSO GIALLO, NANEROTTOLO GIALLO...E PECORELLA GIALLA, NATURALMENTE.

Lo so a cosa stai pensando, anche se stai facendo finta di ignorarmi.

Stai pensando che non é valsa la pena attraversare mezzo mondo e giungere fin qui in Giappone per uno spettacolo così deplorevole, non é vero?

Beh, sappi che ti sbagli.

TI SBAGLI DI GROSSO, CARO MIO.

Avrai anche tu la tua bella dose di colpe da dover espiare. Chissà quanti poveracci avrai ridotto come Carlos, nel corso della tua lunga carriera. E della maggior parte di loro nemmeno ti ricordi.

Per te sarebbe come ricordarsi di QUANTO PANE HAI MANGIATO FINO AD ORA, NON E’ FORSE COSI’?

Io i miei me li ricordo benissimo, invece. TUTTI QUANTI.

Tienilo bene a mente, José: I CONTI SI PAGANO, PRIMA O POI.

E IO, STASERA, SONO VENUTO QUI A RISCUOTERE.

Devi pagarmela per quel che hai fatto al mio amico. E ME LA PAGHERAI, TE LO GARANTISCO.

MI AMMAZZERAI, MA TE LA FACCIO PAGARE.

HAI CAPITO?! BRUTTO FIGLIO DI UNA GRANDISSIMA PUTT…

 

Aveva scostato violentemente l’arbitro che gli si era avvicinato per sincerarsi delle sue condizioni e si era lanciato di nuovo all’assalto.

Aveva tirato il guantone destro all’indietro, fin oltre la spalla, e tenendo l’occhio ancora buono fisso sul campione. Ne vedeva tre, di lui. Aveva mirato a quello di mezzo e…

LO AVEVA PRESO.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!

Chiedo scusa per il ritardo, ma ho avuto un sacco di problemi in questo periodo.

Tra cui di salute.

Diciamo che riuscivo a stare in piedi giusto per andare a lavorare e poi, una volta a casa, crollavo per la febbre…

E leggendo questo capitolo, a qualcuno verrà da chiedersi se la febbre non ce l’avevo anche mentre scrivevo.

Lo ammetto, forse mi sono lasciato prendere un po' la mano. A giudicare dalla descrizione che ne faccio, sembra quasi che abbia voluto dare a Mendoza un’immagine quasi divina.

In realtà non deve stupire. Nell’antica Grecia, ai tempi delle Olimpiadi, gli atleti (o AGONI) venivano considerati la trasfigurazione umana degli Dei. Osannati ed ammirati da tutti. E, per la cronaca, gli sport da combattimento come il pugilato e la lotta erano amatissimi, dal pubblico.

Lo stesso Muhammad Alì era considerato il Dio della boxe. E quindi perché non dovrebbe esserlo anche il nostro José, che é senza dubbio il più forte pugile della sua categoria?

Inoltre, ho cercato di far trasparire anche l’enorme soggezione che nutro per questo personaggio. A me, da piccolo, FACEVA PAURA.

Anche Ivan Drago faceva paura. Ma sapevi che Rocky, alla fine, avrebbe vinto. Ma qui non siamo in America, come ho già detto. Arrivi veramente a temere per l’incolumità di Joe.

Ringrazio intanto i sempre presenti (e gentilissimi) Devilangel476, innominetuo e kyashan_luna per le recensioni all’ultimo capitolo. E un grazie anche a chiunque leggerà la storia e vorrà lasciare un parere.

Grazie ancora a tutti e alla prossima!!

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 6

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non ci credeva.

Lo aveva preso.

CAZZO, LO AVEVA PRESO.

IN PIENO.

Lo aveva percepito chiaramente. Anche se da quella parte non vedeva più nulla, ormai.

All’inizio aveva sentito una sorta di ostacolo. Di resistenza contro la parte anteriore del guantone. Come se avesse urtato contro qualcosa, all’improvviso. Una vibrazione gli era partita dalla punta delle nocche e gli aveva attraversato come corrente alternata la mano e l’avambraccio, fino a raggiungere la parte corrispondente del collo, per poi sciogliersi in un intenso brivido lungo l’intera colonna vertebrale, in ambedue i sensi, dall’encefalo fino al coccige.

Per un decimo di secondo era rimasto perfettamente immobile, nella posa plastica in cui si trovava. Come in una fotografia o in un libro illustrato.

E poi di nuovo quel pensiero. E quella sensazione. Di stupore.

LO AVEVA PRESO, CAZZO.

IN PIENO.

PER LA PRIMA VOLTA.

 

...Ma come?

 

Non aveva avuto nemmeno il tempo di rispondere a quella domanda. Perché il suo istinto di pugile aveva avuto immediatamente il sopravvento, e si era attivato all’istante. Perché era più rapido della mente, a dare ordini al corpo. E sapeva molto bene quel che c’era da fare, nei casi come quello. Il rigido e implacabile protocollo da applicare ogni volta che un colpo andava a segno. Ogni volta che si faceva centro. E cioé mettere in pratica seduta stante le raccomandazioni del vecchio. Che non mancava mai di ripetergli e ripetergli, ancora ed ancora, fino alla nausea, nonostante le conoscesse a menadito.

 

“TE LO DEVO RIPETERE OGNI SANTO GIORNO CHE IL BUON SIGNORE MANDA IN TERRA, RAZZA DI TESTONE CHE NON SEI ALTRO? METTITI DI PROFILO, COME UNA BELLA PORTA SPALANCATA, PER OFFRIRE MENO SPAZIO POSSIBILE AL TUO AVVERSARIO! E SPINGI BENE CON QUEI PIEDI, QUANDO TI DECIDI AD ATTACCARE! DEVI FARE COME SE AVESSI DUE BEI CHIODI! UNO INFILZATO SOPRA QUELLO DAVANTI E L’ALTRO CHE TI PUNGE LA PIANTA DI QUELLO DIETRO!! POI TI GUARDI LA PUNTA DEL NASO, CHE QUELLO E IL TUO MIRINO, FAI SCORRERE IL GOMITO ATTACCATO AL FIANCO PER NON DISPERDERE LA FORZA, TORCI IL PUGNO E...COLPISCI, CRISTO SANTO!! COLPISCI!! NON E’ POI COSI’ DIFFICILE, NO? E ALLORA PERCHE’ NON LO FAI, RAZZA DI IDIOTA?! TE LO AVRO’ DETTO MILLE E MILLE VOLTE, FINO A FARMI SALTARE LE STRAMALEDETTE CORDE VOCALI!! TI DECIDI O NO A DARMI RETTA E A FARE COME TI DICO IO, PEZZO DI IMBECILLE CHE NON SEI ALTRO?!”

 

IL PUGNO PER IL DOMANI NUMERO UNO.

Estratto dritto dritto dall’ABC del pugilato secondo Danpei Tange. Volume primo. Tecniche di base.

Alla fin della fiera era davvero poco quel che ti serviva davvero, nella Boxe. Potevi indorarlo e lucidarlo e ricoprirlo di patina finché volevi, ma gira che ti rigira sempre lì si tornava.

AL PUGNO.

Potevi inventarti mille varianti e mille tecniche difensive ed offensive con lui, con i blocchi e con le schivate e con il gioco di gambe e di tronco, ma...niente funziona meglio di una CASTAGNA BELLA SECCA. E DATA COME DIO COMANDA.

E così aveva fatto, senza nemmeno sprecare un istante a pensarci. Come sempre, la belva si era rivelata più veloce dell’uomo. Il suo intuito selvatico e primitivo aveva superato persino il pensiero, che si dice viaggi alla pari della luce.

Aveva piantato il piede sinistro a terra, premendo fin quasi a voler sfondare il pavimento per precipitarci dentro con tutta quanta la gamba, e aveva sollevato quello opposto fin sulle punte. Al contempo aveva roteato di un quarto di giro in avanti il busto e i fianchi, facendo compiere al polso uno scatto secco nella medesima direzione, mentre irrigidiva il braccio.

Sentì un altro rumore sinistro. Come quello che aveva udito quando gli era partito l’occhio destro. Ma che stavolta, alle sue orecchie, gli sembrò musica paradisiaca. Un suono simile a quello che fa un ramo secco e nodoso quando viene afferrato ad entrambe le estremità per poi spezzarlo in due parti. Era il collo di Mendoza che si piegava. E la sua testa che si girava all’indietro.

Che meraviglia.

Era da quel famoso giorno al Konaha Gym di Honolulu, quando lo aveva lasciato stecchito sul pavimento, che desiderava restituirglielo. Fino ad ora si era dovuto accontentare della sua immagine stampata su di un manifesto. Quel maledetto manifesto dove si pavoneggiava di aver battuto il povero Carlos, IL RE SENZA CORONA, al primo round e prima dello scadere di due minuti.

Se l’era sognato persino la notte, OGNI NOTTE SUCCESSIVA, di ridarglielo indietro.

E Joe Yabuki non lascia conti in sospeso con nessuno. NOSSIGNORE.

Diede un’ulteriore spinta con le anche, come a volerci passare attraverso, con tutto il suo corpo.

La sensazione di resistenza svanì di colpo. Poi si era spostato di un mezzo passo a destra e in avanti. E aveva visto con l’occhio ancora buono il messicano finire contro le corde , per poi rimbalzare e ripiombare verso di lui.

E di nuovo aveva esitato, per un istante. Con ancora quella domanda che continuava a ronzargli senza sosta nella parte razionale del cervello. Quella che si ostinava a voler trovare una spiegazione logica a qualunque cosa.

‘Fanculo. Non gliene era fregato più niente di niente, in quel momento. Una gioia selvaggia ed incontenibile gli era esplosa fin nel profondo del cuore.

Forse ci era riuscito per davvero. Forse, a furia di insistere, aveva finalmente spezzato un’ala al maestoso re dei rapaci.

Forse si, forse no. Nel dubbio, meglio continuare. Fintanto che il ponte levatoio era abbassato, con la fortezza rimasta sguarnita ed inerme.

Era partito quindi lancia in resta, gettandosi su di lui a corpo morto. E mescendo colpi a più non posso. E lo aveva centrato ancora. E ancora. E ancora. Al volto, alla mascella, al mento, alla milza e al fegato.

Era un sogno. Era fin troppo bello per essere vero. E il primo ad essere stupito di ciò doveva essere proprio il campione, a giudicare dall’espressione attonita assunta dal suo volto, che stava iniziando lentamente ma inesorabilmente a tumefarsi. E dalla sua bocca, da cui cominciava a scendere un rivolo scarlatto dopo l’altro.

E la manna aveva continuato a scendere copiosa dal cielo anche nella ripresa successiva. Tutti i colpi che Mendoza aveva evitato con somma maestria, almeno fino ad un momento prima, adesso se li stava beccando tutti che era una bellezza. E sembrava non poterci fare nulla.

Era tutto vero, dunque. Doveva avergli finalmente spezzato le ali, all’aquila reale. Non solo una, ma addirittura tutte e due. Non avrebbe più potuto volare, da ora in poi. Lo aveva costretto a scendere a terra, dove razzolavano i galli da combattimento come lui.

 

Era ora.

Benvenuto nel mio regno, José.

Stai iniziando a muovere i primi passi al suo interno.

Lascia che ti dia il benvenuto come si deve.

 

Continuava ad attaccare, senza sosta. Non si fermava più. Un destro, un sinistro, poi ancora un destro...e dopo un minuto circa dall’inizio della quinta ripresa, con un ennesimo terrificante diretto con cui gli aveva chiuso le labbra ancora spalancate in una grossa O di stupore, lo aveva messo al tappeto.

Giù. Down. IL SUO PRIMO DOWN.

Rincuorato dal risultato, aveva finito col perdere definitivamente ogni cautela e aveva rispolverato tutto il repertorio collaudato dello spaccone provetto, che tanto amava.

Dapprima aveva iniziato ad imitare spudoratamente la tecnica micidiale del messicano, avvitando i pugni. Copiare al volo le tecniche degli altri boxeur era la sua specialità. Proprio come aveva fatto con Carlos ed il suo GANCIO DI GOMITO A TRADIMENTO, durante il loro primo sparring. Gliene aveva piazzato uno proprio mentre lo aveva messo alle corde e lo stava gonfiando ben bene, centrandolo con l’ossicino sulla punta all’attaccatura della mascella, e lo aveva steso. Davvero micidiale, e al RE SENZA CORONA poco era servito indossare pure il caschetto di protezione.

Certo, nemmeno il grande impero romano s’era fatto in un sol giorno. Una tecnica così complessa e raffinata come il pugno a cavatappi non si impara dall’oggi al domani. Però sentiva di migliorare sempre più ad ogni ripetizione. Ogni volta che la eseguiva, i suoi colpi diventavano sempre più potenti e precisi.

E nel sesto round, al termine di un montante di sinistro seguito da un largo gancio destro, lo aveva mandato di nuovo col culo per terra.

E DUE. Ma non era ancora finita.

Non appena Mendoza si era rialzato, gli si era precipitato addosso e lo aveva bloccato per le spalle, poggiandogli sopra entrambi i guantoni a mano aperta. Josè aveva reagito all’istante, colpendolo con una serie di ganci corti e uppercut alle costole e alla testa. E lui se n’era rimasto lì, a ridersela di gusto. Totalmente incurante che il ripetuto impatto dei pugni e l’impeto dell’avversario lo stavano facendo vistosamente arretrare.

Gli era sembrato di rivivere una scena ben nota. Ma in prima persona. E dall’altro lato della barricata, stavolta.

Erano finiti contro le corde, con lui che continuava a tenerlo immobilizzato, mentre l’altro lo stava pestando peggio di una bistecca. Ma non aveva la minima intenzione di mollarlo. Anzi, aveva intensificato ancor di più la stretta, serrando le dita e i pollici attorno ai suoi muscoli lucidi e guizzanti sudore ed olio canforato. Non gli dispiaceva essere trattato come un colpitore imbottito da passata nel bel mezzo di un allenamento intensivo. Anzi, era proprio quel che voleva. Quel che cercava.

Per resistere, aveva iniziato ad estraniarsi dalla situazione corrente e a concentrarsi su altro.

Sulle sue reali intenzioni. E cioé di scimmiottare la pantomima che il campione aveva improvvisato quella sera alle Hawaii in occasione del loro doppio match. Quando a lui era toccato quel lungagnone di Pinan, mentre José aveva affrontato un promettente esordiente del posto che stava salendo alla ribalta per le sue notevoli doti di picchiatore, a quanto pareva.

Sam COMECAVOLOSICHIAMAVA.

Iaukea, forse. O qualcosa del genere. Uno della categoria piuma tra l’altro, visto che di avversari di pari peso disposi a fronteggiarlo non se ne trovavano più, nemmeno a pagarli oro.

Ancora se lo ricordava. Di come il messicano aveva irriso il suo contendente e la potenza dei suoi pugni, dimostrando a quest’ultimo e al pubblico tutta la sua schiacciante superiorità. Aveva afferrato il toro polinesiano per le corna o meglio, per la parte superiore delle braccia e lo aveva lasciato sfogare, facendosi menare impunemente senza battere ciglio. Poi, quando aveva capito che l’energumeno era rimasto senza benzina ed era talmente cotto a puntino da terminare al suolo per conto proprio, gli aveva inflitto il colpo di grazia.

Li conosceva molto bene. Sia la forza distruttiva di quelle mani che gli effetti di quella stretta. Perché li aveva già assaggiati, e molto prima di quel bestione. Sapeva di cosa erano capaci.

Chissà se anche a Sam COMECAVOLOSICHIAMAVA dovevano essere rimasti due bei trasferelli ad altezza deltoidi, come ricordo del match e della nottata. Come era capitato a lui quella sera durante il galà di KANTO TV, per festeggiare le sue prime e consecutive vittorie a livello internazionale. Quando si era ritrovato al suo cospetto per la prima volta. Prima di allora, l’unica immagine che aveva del detentore del titolo di categoria era il filmato di un minuto e mezzo circa. Quello di un incontro valido per la difesa della cintura, dove affrontava e sconfiggeva un promettente pugile venezuelano aspirante al titolo. Che lui ben conosceva.

In quell’occasione, IL RE gli aveva impresso il suo marchio sopra il suo corpo. LO AVEVA SCELTO. E poi, senza dire una sola parola, se n’era ritornato sul suo trono in cima al mondo. Sul trono del più forte del mondo. Ad attendere il momento in cui si sarebbe rivelato DEGNO. Se come nuovo successore piuttosto che come nuova vittima sacrificale, beh...quello sarebbe dipeso unicamente da lui.

A questo e ad altro pensava, mentre si poggiava sul bordo della corda più alta e teneva il messicano a debita distanza, ripagandolo con la stessa moneta e subendo colpi terribili per più di mezzo minuto, come un sacco pieno di sabbia e con una ghigna strafottente perennemente stampata in faccia.

Pensava al pubblico, ad esempio. Al fatto che le voci che prima lo schernivano ed ingiuriavano senza alcun ritegno, ora lo osannavano.

Toh. ERA CAMBIATO IL VENTO, AVEVAN CAMBIATO IL PARLAMENTO. Era propro il caso di dirlo.

 

“VAI COSI’, YABUKI!!”

“SEI GRANDE!!”

“ALLA BUON’ORA! TI ERI SCORDATO COME SI BOXAVA, PER CASO?!”

“FINALMENTE TI SEI DECISO, A DARTI UNA MOSSA! MA CHE STAVI ASPETTANDO, EH?!”

“CI STAVA PRENDENDO A TUTTI QUANTI PER I FONDELLI, QUEL BASTARDO! VE LO DICO IO!!”

 

C’era ancora qualche scettico, nonostante tutto.

Che manipolo di imbecilli. Si dovevano credere tutti quanti dei profondi conoscitori di pugilato. Ed ognuno si sentiva in diritto di dire la sua, facendo a gara a chi urlava più forte.

Era proprio vero quel che si diceva, certe volte. Che il miglior pugile é quello che non ha mai messo un solo piede sul ring, e che non ha mai tirato un solo pugno in vita sua. Così come il miglior giocatore di Baseball doveva essere quello che non aveva mai lanciato una sola palla. Né preso in mano e agitato una mazza di legno. O che il miglior lottatore di Judo in circolazione era quello che non aveva mai calcato un TATAMI.

Gretti ed ottusi, ecco cos’erano. Ma come diamine si faceva, ad essere così? Ad avere una visione così ristretta e limitata, per la miseria?

Avrebbe tanto voluto, a fine match, farli salire sul quadrato uno alla volta. O anche tutti quanti insieme, non faceva alcuna differenza. Tanto li avrebbe potuti stendere con una mano sola e con l’altra legata dietro alla schiena, pur stremato e conciato com’era. Ed era sicuro che anche Mendoza gli avrebbe dato più che volentieri un aiuto, se solo glielo avesse chiesto. Era convinto che il buon José la pensasse uguale, riguardo a certi idioti.

Ah, già...Mendoza. Dove era rimasto?

Si era talmente perso dietro a quel nugolo di cazzate da non accorgersi che l’intensità dei suoi attacchi era calata, seppur lievemente.

Stava tirando il fiato. Era il momento giusto.

Prima che un altro dei suoi ganci potesse raggiungerlo al volto, aveva steso entrambe le braccia e gli aveva dato una vigorosa spinta, buttandolo lontano da sé. Aveva deciso di accompagnarne lo slancio e lo aveva centrato con un combinazione da manuale: doppio jab di sinistro, diretto destro e poi un gancio di sinistro seguito da un ampia sventola con l’altra mano.

E di nuovo giù. UN ALTRA VOLTA ANCORA.

Ben la seconda nello stesso round. E la terza complessiva. Aveva pareggiato i conti, con gli atterramenti.

Eppure, continuava a non stare tranquillo, nonostante le grida di incitamento che provenivano dalle tribune e dal suo angolo. Sempre quel tarlo dentro che continuava a roderlo senza sosta. Senza pace.

Sempre la stessa domanda.

 

...Ma come?

 

Forse avevano ragione alcuni presunti esperti del settore, quando dicevano che si era CIVILIZZATO. Che crescendo e maturando, il lupo selvatico si era ammansito. E che la ragione aveva reclamato il suo spazio, prendendo posto dentro di lui insieme all’istinto, e in egual misura. Questo non stava a significare che si fosse indebolito, tutt’altro. Aveva solo imparato a dosare la sua rabbia. E a scatenarla solo al momento opportuno e a centellinarla, invece di prosciugarla tutta in un impeto della durata di una manciata di secondi. E ad analizzare e valutare la situazione nella sua completezza, prima di reagire. Aveva TROVATO UN METODO, modificando le proprie abitudini e scegliendone altre molto più redditizie nei confronti di sé stesso, senza alcun dubbio.

Bella sintesi, ma che lo aveva tutt’altro convinto. Per lui ragione equivaleva solo a trovare il lato negativo in ogni cosa, il che voleva dire trovare sempre una scusa per FRENARSI.

Eppure…

Eppure c’era qualcosa che non quadrava. Un dubbio gli si era insinuato nella mente. COSA ACCIDENTI ERA CAMBIATO NELLE ULTIME RIPRESE, RISPETTO A PRIMA?

Da parte sua, nulla. Dall’inizio del match non aveva fatto che mulinare braccia e pugni come un ossesso, e non aveva mutato di una sola virgola. Ma allora cosa…

Un dubbio gli si era insinuato nella mente. E i dubbi, come sosteneva in modo indefesso, contribuivano solo a BLOCCARLO. Negli ultimi trenta secondi si era fatto ancora sotto per stendere Mendoza per la terza volta e chiudere il discorso, ma la sua azione aveva finito col perdere il giusto mordente e José si era chiuso come a guscio, smorzando ed evitando i suoi attacchi, seppur di striscio.

Che coglione che era stato. Aveva perso un’occasione d’oro. O era forse che il campione…

Tutto ad un tratto, il quesito che lo assillava gli era apparso in tutta la sua completezza.

 

MA COME DIAVOLO HO FATTO A COLPIRLO?

PERCHE’ PRIMA NO E ADESSO SI?

IN FIN DEI CONTI NON E’ CAMBIATO NULL…

 

No. Si era sbagliato. Qualcosa era cambiato. Dentro di lui.

DENTRO AL SUO CORPO.

L’angoscioso dubbio si era tramutato in atroce certezza. Di colpo aveva capito perché il vento era cambiato. E la spiegazione era tutt’altro che piacevole.

Mentre faceva ritorno verso il suo team, al termine del round, aveva deciso di mettere il vecchio al corrente dell’amara verità. Ma forse ci era arrivato anche lui. Forse non era ancora del tutto rimbambito dalla demenza senile. Magari…

 

“AH, AH, AH!! GRANDE, JOE!! CONTINUA COSI’ CHE VAI FORTE!! MA MI DICI DOVE CAVOLO HAI IMPARATO IL COLPO A CAVATAPPI?! TI SEI ALLENATO DI NASCOSTO, EH?! GUARDA CHE A ME PUOI DIRLO!!”

 

Tsk. Figurarsi. Non aveva capito un cazzo, come al solito. Tutto entusiasmo e pacche sulle spalle. Sue e degli altri ragazzi. Meglio dargli la sveglia con una bella doccia gelata, come si fa con gli ubriaconi per fargli passare la sbornia. E SUBITO, ANCHE.

 

“Ascoltami, vecchio. Piantala di sgolarti inutilmente e stammi a sentire. STAMMI A SENTIRE BENE. IO NON CI VEDO PIU’ DALL’OCCHIO DESTRO.”

“C – CHE COSA HAI DETTO?!”

“Non fare il finto tonto, che hai capito benissimo. SONO CIECO DALL’OCCHIO DESTRO. CIECO COME UNA TALPA, MI HAI SENTITO? E’ successo alla quarta ripresa, quando mi ha sbattuto giù per l’ultima volta.”

“M – ma a – allora vuol dire c – che...”

“Adesso hai capito perché sono riuscito a colpirlo? Perché non ho più il senso della prospettiva. Vedo le persone senza profondità, come se fossero sagome di cartone. E quest’handicap mi dà un visuale sfalsata. Ecco perché Mendoza non é più in grado di prevedere con esattezza la traiettoria dei miei attacchi. Perché io penso di tirare in un punto e il pugno va da un’altra parte. Pochi millimetri, magari...ma sufficienti a mandarlo in confusione.”

“Dannazione...allora avevo ragione...”

“C – come?!”

“Vedi, Joe...dopo quel round, durante la pausa, mentre ti stavo rimettendo il paradenti in bocca dopo che Nishi lo aveva risciacquato...é accaduta una cosa strana. Mentre te lo infilavo mi HAI MORSO LA MANO, Joe! MI STAVI QUASI PER STACCARE UN DITO DI NETTO!! Io...io pensavo solo che ti fossi sbagliato per la fretta, ma invece...me lo sentivo, che c’era qualcosa che non andava...e...ed ora tu...tu mi confermi che...”

 

E bravo il vecchio Danpei. Forse non era ancora così rincoglionito come pensava.

 

“A – ascoltami, Joe...se le cose stanno davvero così...E’TROPPO PERICOLOSO, ANDARE AVANTI IN QUESTO MODO! TU NON PUOI AFFRONTARE UN AVVERSARIO DI QUEL CALIBRO CON L’OCCHIO IN QUELLO STATO! E’...E’ UN’AUTENTICA PAZZIA!!”

 

Lo aveva zittito dandogli una pacca a sua volta, su quelle spalle enormi e mezze ingobbite dall’età che si ritrovava.

 

“AH, AH, AH!! E DAI, ZIETTO! NON FARE QUELLA FACCIA!! ADESSO SONO UN BEL GUERCIO IN TUTTO E PER TUTTO UGUALE A TE, SOLO DALL’ALTRO OCCHIO!! NON SEI CONTENTO? MAGARI QUANDO ABBIAMO FINITO QUI MI CI METTO ANCH’IO UNA BELLA BENDA SOPRA E CI FACCIAMO SCRITTURARE AL CIRCO, O AL LUNA PARK!! METTIAMO SU UN BELLO SPETTACOLO DI PIRATI, CHE NE DICI? IO FACCIO MORGAN L’ORBO E TU IL PIRATA BARBANERA!! E POI PENSA ANCHE A JOSE’, POVERACCIO...CHISSA’ COME CI DEVE ESSERE RIMASTO, QUANDO HA VISTO CHE LA SUA INFALLIBILE TECNICA DI DIFESA DI CUI VA TANTO FIERO HA INIZIATO A FARE CILECCA!!”

 

Mendoza. Proprio lì stava il punto di tutta quanta la faccenda, l’ago della stra – dannatissima bilancia. Per ora era rimasto vittima della sua stessa perfezione maniacale. Il suo corpo, allenato da anni di pratica costante, ormai rispondeva in automatico agli stimoli. Pensiero e azione si svolgevano sullo stesso piano, ormai. Effettuava una schivata nello stesso momento in cui immaginava di eseguirla. Ma il suo inconveniente all’occhio aveva finito col stravolgere tutto. Col risultato che il messicano, da macchina di precisione qual’era sempre stato, si era trasformato in un burattino incapace di uscire dagli schemi. Ma quanto tempo ci avrebbe impiegato, prima di capire anche lui come stavano veramente le cose? Già quel che aveva visto negli ultimi istanti della precedente ripresa non gli aveva fatto presagire nulla di buono.

Quanto tempo aveva, quanto tempo gli era rimasto prima che quell’improvviso, esiguo vantaggio che aveva ricevuto inaspettatamente in dono da colui che almeno per quel momento, almeno in quell’occasione era il suo più acerrimo nemico si sarebbe tramutato in un’implacabile condanna?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!

Fortunatamente, sono riuscito a pubblicare un nuovo capitolo prima di Natale.

Ora mi prenderò una piccola pausa e poi, smaltito il pranzo (o meglio, i pranzi), sotto di nuovo a scrivere.

Dovrei anche aver risolto il problemino con il banner del quarto capitolo, che ora dovrebbe risultare perfettamente visibile.

Ringrazio intanto i sempre presenti Devilangel476, innominetuo e kyashan_luna per le recensioni all’ultimo capitolo. A loro in particolare auguro buone feste e tanta serenità.

Tanti auguri ed un grazie anche a chi leggerà la mia stori e magari vorrà lasciare un parere.

 

Buon Natale a tutti, ci sentiamo presto!!

 

See ya!!

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 7

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Settimo round.

Erano di nuovo l’uno di fronte all’altro.

Ad un occhio disattento od inesperto avrebbero potuto apparire entrambi come in fase di studio, o di leggero recupero. Pienamente legittimo, dopo sei riprese a così gran alto regime. Non basta certo concedere la misera pausa di un minuto, per poter riacquistare fiato ed energie.

Ma non era così. E lo sapeva.

Il campione non aveva iniziato a muoversi sul tappeto e a danzargli intorno come di consueto, in attesa che si facesse sotto.

Era immobile. Ritto ed immobile davanti a lui. Ma non era questa la cosa più strana.

La cosa più strana, ed inquietante al contempo, era che…

ERA CHE SORRIDEVA.

GLI STAVA SORRIDENDO, QUEL BASTARDO.

Sorrideva nonostante i tagli sul suo volto dovuti all’effetto dei suoi colpi e allo strisciare delle cuciture dei suoi guantoni fossero ancora ben visibili. Riusciva persino a guardarci attraverso, a quei minuscoli squarci. Nonostante fossero così sottili, erano ben profondi. Si vedeva la pelle viva esposta anche se avevano smesso di sanguinare, per merito delle cure del suo secondo a suon di pomata cicatrizzante.

Eppure dovevano bruciare, per via di essa e del sudore. Dovevano fargli un male del diavolo, esattamente quanto i suoi gliene stavano facendo a lui.

EPPURE RIDEVA.

RIDEVA, QUEL BASTARDO.

Un ghigno appena pronunciato, che però non prometteva nulla di buono.

Meglio toglierglielo subito dalla faccia. Nella maniera che lui ben conosceva. E che aveva funzionato così bene. Fino ad adesso.

 

Ancora un minuto, cazzo.

Un maledetto minuto soltanto.

Non chiedo altro.

Ma che dico un minuto: MI BASTA ANCHE MENO.

UN SECONDO.

CONCEDIMI UN SOLO ISTANTE ANCORA.

UN ISTANTE ANCORA E NON TI CHIEDERO’ MAI PIU’ NULLA.

LO GIURO SUL TUO NOME.

MI SENTI?

MI STAI ASCOLTANDO?

LO GIURO, CAZZO.

UN SOLO, DANNATO ISTANTE ANCORA.

NON CHIEDO DI PIU’.

 

Da non credere.

Era davvero messo così male da dover ricorrere alla resa mistica?

Stava davvero messo fino a questo punto?

Al punto di mettersi a pregare?

Al punto di invocare l’aiuto del cielo, anche se non aveva mai pregato in vita sua?

Anche se non sapeva nemmeno come si pregava?

Anche se non aveva nemmeno la più pallida idea di come si chiamasse, la divinità a cui aveva appena rivolto quell’accorata supplica?

Non sapeva nemmeno se si trattava di un Dio. O di un demone.

Non che facesse differenza.

Per un pugile, le sue mani sono il suo Dio. E al contempo il suo demone.

E ogni santo giorno lo dedica ad esse. Con il sudore, la fatica e l’allenamento.

E la sua preghiera la formula con LO SCHIANTO DEL PUGNO SULLA PELLE. SULLA CARNE. SULLE OSSA.

Sapeva quel che c’era da fare, in casi come questo. Lo aveva ben imparato, ormai.

Era scattato in avanti, gettandosi di nuovo a capofitto, quando…

 

“Yabuki – San.”

 

Si era fermato di colpo, come congelato sul posto.

Mendoza gli aveva parlato.

 

“Ti do un consiglio, YELLOW SHEEP...se hai la fortuna di arrivare INTERO, alla fine di questo round...convinci il tuo manager a gettare la spugna.”

Oh – oh.

Ma guarda un po'.

Aveva riaperto bocca, biascicando lievemente per via del paradenti. E si era espresso IN GIAPPONESE. Un giapponese fluido e corrente. Nomignolo infausto a parte.

“Mi hai capito, Yabuki – San? Abbandona. Lo dico nel tuo interesse.”

Ma tu pensa. Doveva essersi messo a studiare persino la sua lingua. E magari proprio in vista di questa grande occasione. Conoscendolo, e sapendo quanto fosse preciso, scrupoloso e metodico c’era da credere che le cose stessero proprio così.

Ma anche lui si era preparato a dovere. Seppur nei limiti imposti dalla sua striminzita cultura e formazione scolastica.

E dall’educazione, si intende.

Del resto, anni di vagabondaggio seguiti da una bella vacanza a spese dello stato nel peggior riformatorio della nazione non si cancellano in un battito di ciglia.

Aveva preso aria dal naso, gonfiando il petto, e scandito ben bene le parole.

 

“...F – U – C – K. . . . . . Y – O – U...”

 

Visto che anche lui sapeva l’inglese? E che diamine ci voleva?

Quando devi recarti all’estero, basta conoscere come MANDARE A FARE IN CULO chi ti sta sulle palle, ed il più é fatto.

Altro non ti serve, nella vita. E nei viaggi.

José aveva reagito inarcando lievemente le sopracciglia.

Forse non aveva compreso. Meglio rincarare la dose, per buona misura.

 

“E tu mi hai capito, invece? FOTTITI.”

“Guarda che il mio é un consiglio da amico...ti ripeto che é per il tuo bene...”

“...E io ti ripeto CHE PUOI ANDARE A FARTI FOTTERE. TU, LA SPUGNA E TUTTI I TUOI BUONI CONSIGLI.”

Il sorrisetto compiaciuto del messicano era sparito, lasciando posto all’espressione fredda e distaccata di sempre. Con quella solita, beffarda punta di alterigia a renderla assolutamente insopportabile.

 

“Non mi lasci proprio altra scelta, dunque.”

“Non ne hai. Come non ne ho io, bello.”

 

Tsk. Che stronzata.

Una vera ed autentica STRONZATA, grossa come una casa.

La scelta ce l’aveva eccome, almeno lui. Ma aveva deciso di non prenderla nemmeno in considerazione. Se si faceva ammaliare da quell’eventualità, allora si che era davvero finita. Non avrebbe potuto più muovere un singolo muscolo, nemmeno una palpebra.

 

“ESTA BIEN, MUCHACHO. Te la sei voluta.”

 

Aveva poi udito un insieme di voci alquanto concitate. Erano provenute dall’angolo di Mendoza da parte del suo entourage, probabilmente con l’intento di porre fine a quell’attimo di stasi che si era protratto fin troppo a lungo.

 

“ON THE RIGHT, JOSE’! ON THE RIGHT!!”

“A LA DERECHA, CAMPEON! ALLA SUA DESTRA!!”

 

ALLA SUA DESTRA, avevano detto?

Aveva sentito bene? Gli avevano detto proprio così, quegli stronzi?

Oh, no.

Oh no, no, no, no, no…

Se era vero, le cose si sarebbero messe veramente male, per lui.

Davvero molto, molto, ma molto male.

Appena era giunto quell’ordine perentorio il suo avversario aveva iniziato a disporsi in un punto ben preciso. O meglio, LUNGO UN LATO BEN PRECISO.

QUELLO CIECO.

Quello del suo occhio ormai spento e privo di luce.

Si riparava dietro ad esso.

Ecco. Era successo. Manco lo avesse predetto. Lui e la sua boccaccia.

Era proprio come aveva sospettato.

Quel che era accaduto durante l’ultimo minuto della ripresa precedente non era stato un semplice caso.

Aveva mangiato la foglia. Avevano mangiato la foglia, ormai. Tutti quanti loro.

Pazienza. Doveva continuare a darci dentro, sperando che non si fosse ancora completamente ristabilito dai danni che era riuscito ad infliggergli durante i round precedenti.

Aveva tentato di colpirlo di nuovo, sferrando diretti ed ampi swing, ma era del tutto inutile. Si era ripreso a ballare al ritmo della musica suonata durante le prime quattro riprese, con lui che sbracciava come un povero idiota cercando di mettere a segno anche un solo pugno, e Mendoza che evitava con cura tutti i suoi colpi, uno dopo l’altro, per poi partire con sapienti e studiati contrattacchi al momento più opportuno.

E a un minuto e mezzo circa dal gong d’inizio, mediante un doppio montante di sinistro seguito da un ritrovato e micidiale destro a cavatappi, lo aveva messo a terra per la quarta volta, interrompendo la sua serie positiva.

Il vento era girato di nuovo. Se ne era reso conto, mentre in seguito al tremendo impatto era finito contro le corde per poi scivolare verso il basso, con la schiena contro di esse, fino a terminare seduto e a inarcarsi all’indietro, sbattendo la nuca contro quella in prossimità del bordo.

L’incantesimo si era rotto. Il sortilegio, spezzato. Era ricominciato tutto come prima. Era passata la Mezzanotte e Cenerentola aveva smesso di giocare a fare la principessa, tornando alla sua vita di sempre. Quella di sguattera, con pavimenti da pulire e piatti da lavare.

Era tornato tutto come prima. Anzi, peggio di prima.

Perché adesso era costretto a ruotare di quasi novanta gradi per avere il campione a portata di vista. Peccato che quest’ultimo non ci rimaneva più di un secondo.

Affrontare un incontro valido per il titolo, nello stato di salute in cui versava, era già un’impresa disperata in partenza. Ma a quelle condizioni diventava decisamente IMPROPONIBILE.

Che disdetta. Proprio una gran disdetta. Era stato bello finché era durato, davvero. Peccato solo che era durato fin troppo poco. Aveva sperato tanto in una proroga, ma...non c’era stato più niente da fare.

José era tornato di nuovo IRRAGGIUNGIBILE.

E non c’era assolutamente nulla per cui biasimarlo. Lo spirito sportivo, l’importante é partecipare...tutte bubbole buone solo per i poveri coglioni che ci vogliono credere. Nelle competizioni agonistiche l’importante é VINCERE. Ad ogni costo e con qualunque mezzo consentiti dal regolamento. E più si sale di livello, più questa verità diventa autentica e sacrosanta. Perché solo quando riesci a VINCERE, a scolpire e ad incidere il tuo nome nei registri e negli annali per l’eternità, diventando IMMORTALE.

HA VINTO. Questo leggi e vedi mormorare sulle labbra della gente. Da nessuno sentirai mai dire frasi come HA PERSO BENE oppure HA PERSO MA SI E’ BATTUTO CON ONORE.

VINCERE. Solamente questo, conta davvero. Tutto il resto sono chiacchiere.

Se il tuo avversario trova un punto debole o una falla fa bene, fa benissimo ad approfittarsene. I colpi di fortuna, o di scalogna, fanno pienamente parte del gioco. E non puoi sperare nella sua misericordia. Non lo vedrai mai dare FORFAIT solo perché chi é di fronte a lui non é più in grado di proseguire. Nemmeno se fosse sul punto di ammazzarlo.

Non sarebbe giusto. C’é troppo, in gioco. Spiacente. La pietà non é mai stata di casa, da queste parti. Né ha ragione di esistere. In quanto a te, che stai rischiando la pelle e sei sul punto di morire…

Beh, in fin dei conti nessuno ti obbliga. Puoi sempre rinunciare. Ed andartene. In qualunque momento.

E’ proprio così, gente. Il tuo supplizio può terminare in qualunque istante, basta che tu non voglia più. Se sei in netta difficoltà e non ti arrendi, da quel momento in poi tutto ciò che ti succederà sarà solo ed unicamente colpa tua. Non hai alcun diritto di prendertela col tuo contendente, o di scaricare su di lui le responsabilità.

Qualunque cosa ti accadrà, TE LA SARAI CERCATA. E IN PIENO, ANCHE.

Sul ring si sale per vince o perdere. Non per farsi riempire di botte senza ottenere nulla in cambio.

Se decidi di continuare, e di rimanere li sopra fino a poterci rimanere, LO FAI A TUO TOTALE RISCHIO E PERICOLO.

E’ UNA TUA SCELTA.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“JOE!! MA SI PUO’ SAPERE CHE CAZZO STAI FACENDO?! STAVI ANDANDO A MERAVIGLIA!! MI DICI PERCHE’ HAI SMESSO DI COLPIRLO E GLI HAI LASCIATO L’INIZIATIV...OH!!”

“Ottimo, vecchio. Vedo che ci sei arrivato da solo. Meglio così. Almeno non mi costringi a consumare parole e fiato, visto che già me ne rimane poco.”

“Vuoi...vuoi dire forse c – che...”

“Proprio così, vecchio mio. Ho paura che se ne siano accorti, dall’altra parte. Il trucchetto non funziona più. Hai notato che continua a stare nel mio angolo cieco?”

“M – ma allora…

“Io ci sto provando, ad impedirglielo...ma Mendoza riesce sempre ad anticiparmi. Anticipa ogni mia mossa.”

“Ascolta, Joe...ritiro tutto quello che ho detto e che ti ho detto prima, va bene? La verità é...la verità é che TI VOGLIO CHIEDERE SCUSA.”

“T – tu mi chiedi scusa, vecchio?”

“Si. T – ti prego di perdonarmi, Joe. Non avevo capito proprio nulla. All’inizio pensavo che la tensione ti avesse giocato brutti scherzi, o che avessi dato addirittura fuori di matto. Non...non riuscivo a spiegarmi il tuo comportamento. Non comprendevo perché continuassi ad attaccare a testa bassa come un toro, sprecando inutilmente energie preziose...ma adesso mi é tutto più chiaro, finalmente. Le cose stanno proprio come pensavi tu. Anche stavolta hai visto più lungo del tuo vecchio allenatore. Avevi già compreso tutto, sin dall’inizio. Sapevi già che c’era fin troppa differenza tra te ed il campione e avevi deciso di giocarti il tutto per tutto, sin dal primo minuto.”

 

Aveva dovuto proprio riconoscerglielo.

Un’analisi lucida, esauriente e QUASI perfetta.

Già. Aveva detto QUASI.

 

“Sarai d’accordo anche tu che non ha senso continuare, giunti a questo punto. Ci abbiamo provato, e ci é andata male. Non si poteva proprio fare di più.”

“Se mi stai proponendo di ritirarmi, te lo puoi levare dalla testa.”

“C – cosa?!”

“Hai capito benissimo. Vado avanti!”

“Ma Joe...”

“La verità é che mi sento come se non avessi ancora dato tutto, vecchio. Mi sento come giunto al limite massimo, ma mi manca ancora qualcosa. E’...STRANO. E’ una sensazione strana. Sento come se all’interno del mio corpo, sul fondo del mio animo, si stesse agitando qualcosa. Come se avessi dei RESIDUI INCOMBUSTI.”

“R – residui, hai detto?”

“Esatto. Delle energie residue che non sono ancora riuscito ad attivare ed utilizzare. Non capisco bene neanch’io cosa sia. Sento solo che é qualcosa di ENORME. Se mi riesce di tirarle fuori, di...di portarle in superficie, allora...forse...”

“S – senti, Joe...i – io non...”

 

Il suo sguardo era stato fin troppo eloquente. Lo zio Danpei doveva aver pensato di aver di fronte un pazzo. Probabilmente doveva aver ritenuto che fosse definitivamente uscito di testa, per le mazzate prese e per la fatica.

Ragazzo mio, sei completamente suonato. ANDATO.

Questo diceva il suo occhio ancora buono, insieme alla sua espressione incredula.

 

“Voglio che tu non dica più nulla, vecchio. Lasciami andare avanti fino a che non sentirò più le gambe e le braccia. Non chiedo altro che questo. Non mi fermerò fino a quando non avrò consumato tutto quanto, fino in fondo. Voglio bruciare ogni residuo, fino a che non rimarrà che della BIANCA CENERE, e niente più.”

“B – BIANCA...CENERE, HAI DETTO?”

“Si. BIANCA CENERE. Hai presente quando, nel corso della tua vita, arriva quel momento in cui non ti puoi tirare indietro? Quando senti come se il destino stesso ti stesse chiamando, e a gran voce? Quando senti che é arrivato IL TUO MOMENTO?”

“Joe...”

“Ecco, per me quel momento é ADESSO. QUI. ORA. Questo é il mio ULTIMO COMBATTIMENTO, lasciamelo godere fino all’ultimo istante.”

“Non...non devi dire così, Joe. Ce ne saranno...”

“NON DIRE CAZZATE, VECCHIO!! NON METTERTI A FARE LO STRONZO PROPRIO CON ME, PER PIACERE. MI VUOI PRENDERE PER SCEMO O PER IL CULO, PER CASO?! NON CI SARANNO ALTRI COMBATTIMENTI, PER ME! MAI PIU’!! SEI ORBO E ALCOLIZZATO, MA NON SEI RIMBAMBITO. NON DEL TUTTO, ALMENO. LO SAI MEGLIO DI ME CHE E’ FINITA, E GIA’ DA UN PEZZO!! NON VENIRMI A DIRE CHE NON TE NE ERI ACCORTO ANCHE TU!!”

“Io...”

“Ecco. Lo vedi che ho indovinato? Avevi detto giusto, prima. AVEVO GIA’ CAPITO TUTTO, SIN DALL’INIZIO. E ADESSO LASCIAMI ANDARE. VOGLIO SCEGLIERE IO COME TERMINARE LA MIA CARRIERA, CAPITO? NE HO IL DIRITTO, CAZZO! SE PROPRIO DEVE FINIRE STANOTTE, EBBENE...VOGLIO CHE FINISCA IN GLORIA! VOGLIO CHIUDERE IN GRANDE STILE, UNA VOLTA PER TUTTE!!”

“Ma...”

“E’ LA MIA BOXE, VECCHIO! E’ LA MIA VITA!! COSI’ HO SEMPRE BOXATO, E COSI’ HO SEMPRE VISSUTO! E COSI’ FARO’ STASERA, CAZZO!! E’ TUTTO CHIARO?!”

 

Non c’era stato più altro da aggiungere. Si era rialzato e rigettato nella mischia.

Senza più parlare. Senza più pensare.

Aveva sempre fatto tutto quel che aveva voluto, in tutta la sua vita. E MODO SUO.

ANCHE NELLA BOXE.

Aveva ogni diritto di andare avanti, da come la vedeva lui.

Tutto ciò che faceva, che pensava, che diceva sopra al ring era frutto di una sua libera decisione, dopotutto. Anche farsi maciullare vivo, se ne aveva voglia.

Inutile dire cosa avesse sempre scelto, ogni volta che giungeva al solito bivio. Il bivio a cui ogni pugile finisce sempre per trovarsi, prima o poi. Volente o nolente.

Sempre lo stesso. Ad ogni match. Ad ogni round. AD OGNI MINUTO.

Fermarsi o proseguire?

RITIRARSI, OPPURE COMBATTERE?

Già. Era proprio inutile specificare cosa aveva sempre scelto lui, ogni maledetta volta che si era ritrovato a quel famoso bivio. Così come era inutile stare a specificare cosa aveva scelto anche stavolta. Senza rimpianto o esitazione alcuna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Buon anno, innanzitutto!!

Spero che ognuno possa realizzare ciò che più desidera! (Ogni anno sempre la stessa storia...ma l’importante é partire sempre con le migliori intenzioni…)

Dal canto mio, finalmente ho chiuso con alcune spese dovute a delle sfighe impreviste che mi hanno costretto a spese ancor più impreviste, che da un paio di anni mi stavano strozzando peggio che un povero tacchino in vista del Natale (senza offesa per i tacchini, poveretti…)

Posso dire che, finalmente, riesco a respirare un po'.

Spero solo in un anno senza casini, una volta tanto. Non penso di chiedere troppo.

Questo capitolo ed il prossimo temo risulteranno un po' cortini. Ma non volevo aggiungere troppa “carne al fuoco”. Ci saranno parecchi momenti toccanti, come ben sa hi conosce la storia, e non volevo correre il rischio di sovrapporli.

Di solito durante la pausa natalizia non pubblicavo, ma quest’anno ho deciso di fare un’eccezione. Sto gestendo due storie contemporaneamente, e vorrei iniziare a sveltire un po'.

Beh, alla storia del nostro Joe non manca poi molto, purtroppo…

Volevo inoltre scusarmi per aver annunciato di aver risolto il problema con l’immagine del quarto capitolo, per poi rendermi conto che le cose non stavano affatto così…

Sembra che quel capitolo ed il banner non vadano d’accordo. Con gli altri capitoli non ho avuto noie. Proprio non capisco. Riproverò.

Ringrazio intanto i sempre presenti e gentilissimi Devilangel476, innominetuo e kyashan_luna per le recensioni all’ultimo capitolo. E, come sempre, un grazie a chiunque leggerà la mia storia e vorrà lasciare un parere.

 

Alla prossima!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 8

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il campione aveva provveduto ad esaudire immediatamente il suo desiderio.

Del resto lo aveva messo prontamente in guardia su quel che aveva intenzione di fargli, se non si fosse ritirato.

Ciò che gli aveva detto all’inizio della ripresa precedente non erano certo parole buttate a vanvera. Non aveva parlato tanto per cambiare aria alla bocca, come fa gran parte della gente di questo mondo.

No. La gente della sua risma misurano i discorsi nelle stessa quantità e modalità che utilizzano per i pugni. Pochi, semplici ed essenziali. Ma che lasciano il segno.

Non é forse la prerogativa che contraddistingue da sempre i fuoriclasse? I PUROSANGUE?

La capacità di esprimere il massimo tramite il minimo. Ma soprattutto il sapere cosa c’é da fare, TUTTO QUEL CHE C’E’ DA FARE, per tirare fuori quella capacità da sé stessi.

Sono le persone mediocri, con una preparazione ancor più mediocre alle proprie spalle, che ricorrono agli stilismi inutili. Coprire il nulla con una patina dorata ed invitante per invogliare a dargli un’occhiata, anche se solo di sfuggita. Gettare paludi di intingoli sopra ad una pietanza nel velleitario tentativo di donargli un sapore che non ha, e che non ha mai avuto. E CHE NON POTRA’ MAI AVERE.

Se non c’é sugo non c’é sugo, gente. C’é poco da fare.

Ma LORO no. Loro vanno dritto al sodo. E sanno catturare da subito la tua attenzione.

TUTTA SOSTANZA, NIENTE APPARENZA. Questo é il loro motto.

Non gli aveva rivolto un’accorata supplica, no. Non era nel suo stile. Gli aveva lanciato piuttosto un chiaro ULTIMATUM. Su ciò che gli sarebbe capitato da lì in poi, se si fosse ostinato ad ignorare il suo ammonimento. E cioé che lo avrebbe fatto LETTERALMENTE A BRANDELLI, E SENZA REMORA ALCUNA.

Più chiaro di così...inutile stupirsene. Quelli come lui hanno una sola parola. E che il cielo li danni se non la mantengono.

Ed infatti...alle parole erano seguite subito le intenzioni, fin troppo chiare.

La carneficina era iniziata. Spietata, feroce e crudele.

RE JOSE’ PRIMERO, capostipite della futura e sicuramente gloriosa dinastia dei Mendoza, aveva ripreso il pieno possesso del suo territorio. Si nascondeva dietro al comodo e sicuro riparo offerto dalla zona d’ombra generata dal suo occhio destro ormai completamente fuori uso. Il vantaggio che lui stesso gli aveva donato. O meglio ...che il messicano stesso aveva costruito sul suo corpo a suon di ganci a cavatappi, a dirla tutta. Quello che all’inizio si era rivelato una trappola inattesa ma che aveva saputo ben presto capovolgere in un’opportunità a suo esclusivo uso e consumo, e a trasformarla in una fortezza. La sua FORTEZZA INESPUGNABILE. E adesso che aveva riottenuto il pieno dominio sul proprio impero, come ogni tiranno che si rispetti aveva dato il via alla caccia aperta nei confronti dei responsabili. Il suo odio e la sua furia, trattenuti ed imbrigliati controvoglia dalle circostanze avverse fino a quel momento, si erano purtroppo scatenati ed avevano preso a divampare CENTO, MILLE volte più forti.

Aveva dato il via ad una possente e cruenta rappresaglia nei confronti di chi aveva osato...anzi, di chi aveva anche solo PENSATO di poter provare a detronizzarlo. E proprio a lui, il giapponese, LA POVERA E SMARRITA PECORELLA GIALLA era toccato subire il tremendo castigo.

Aveva preso a tempestarlo di colpi violenti, veloci e precisi alla testa ed al torso. Combinazioni su combinazioni. Eseguite a regola d’arte e che andavano tutte rigorosamente a bersaglio. Doppi jab, cross, ganci, montanti...non stava tralasciando nulla. Gli stava riversando addosso tutto il manuale completo della NOBILE ARTE, dalle tecniche di base a quelle più avanzate.

La tremenda punizione era andata avanti per tutto il round. E per quello dopo. E per quello dopo ancora. Mendoza continuava ad incalzare. Non si fermava mai. NON SI FERMAVA PIU’. Non pareva intenzionato a lasciargli nemmeno un attimo di respiro.

Diretto destro, gancio sinistro e di nuovo diretto di destro...GIU’.

Doppio jab di sinistro, cross a cavatappi destro, uppercut di sinistro dopo aver ridotto la distanza con un rapido mezzo passo in obliquo e poi un ampio swing di destro...GIU’.

Sinistro – destro – sinistro – destro, poi doppio montante corto al fegato per spazzare via le braccia poste ad esile difesa e per concludere un altro potente diretto alla mascella...GIU’.

Triplice jab, poi largo gancio di destro e un altro montante di sinistro alla punta del mento...E ANCORA GIU’.

Era ormai ridotto ad un pupazzo inerte. Non provava nemmeno più a ribattere ai colpi. Era persino sul punto di decidere di tenere chiuso persino l’occhio rimasto ancora integro. Non voleva più nemmeno vedere. Chissà...forse almeno quello sarebbe riuscito a portarlo a casa ancora sano, alla fine della serata. Non avrebbe dovuto vivere il resto della sua vita completamente cieco. O magari...se non avesse più visto i pugni dell’avversario arrivargli addosso non avrebbe immaginato il dolore che gli avrebbero causato, e quindi si sarebbe limitato a percepire il solo impatto, senza sentire il male. E sarebbe stata già una gran cosa. Non sapeva nemmeno se preferiva prenderle allo stomaco o sul muso. Gli dolevano entrambi allo stesso modo. Non c’era più differenza.

Ma non riusciva a non guardare. Poter avere il privilegio di assistere in prima persona ad un tale sfoggio di così gran rara abilità era un vero spettacolo, anche se la stava usando per massacrarlo.

Era terribile ed al contempo affascinante. Per lo stesso motivo per cui uno non riesce a distogliere lo sguardo dalle lamiere di una macchina schiantata dopo un tremendo incidente. Si allunga il collo, il più possibile, scrutando tra i rottami, per vedere se ci sono dei resti. Perché IL MACABRO CI TERRORIZZA E CI AFFASCINA ALLO STESSO TEMPO, inutile negarlo. Proviamo ORRORE. Per noi stessi e per il malcapitato di turno. Ma non riusciamo a farne a meno.

Si sentiva la bocca piena zeppa di sangue. Da un momento all’altro, oppure all’ennesimo o successivo colpo ricevuto, aveva una gran paura che avrebbe finito per sputarlo tutto quanto sul bianco tappeto. Oppure addosso all’arbitro. O al suo avversario. O magari giù dal ring, direttamente sui capelli e sulle zucche dei reporter o dei cronisti. O magari della giuria. Così, giusto per ingraziarsela. Forse li avrebbe mossi a compassione, e gli avrebbero dato partita vinta.

Cercava di tenere le labbra sigillate, chiuse ermeticamente. Voleva evitare ad ogni costo una simile umiliazione. Almeno cercare di salvare la faccia, l’onore.

Era davvero cambiato. Una volta non gliene avrebbe fregato un cazzo di far simili figure di merda davanti a tutta quella gente. Era disposto a tutto a quei tempi, pur di combattere. Pur che lo lasciassero combattere. Anche se il più delle volte, a causa del suo blocco psicologico, finiva in un autentico VOMITO. IN TUTTI I SENSI.

Subiva senza reagire, rimanendo docile ed inerme come un condannato trascinato al patibolo. Ti stanno mandando a morire e tu sei lì che vorresti urlare e dimenarti a più non posso ma non lo fai. Perché sai dentro di te che non servirebbe proprio a niente. O come una pecora condotta dentro ad un mattatoio, tanto per voler rimanere in tema di pecore. Se questo era il suo destino, perché affannarsi a volerlo mutare?

Perché ormai poteva solo opporre una strenua e fiacca resistenza. Solo quello faceva, e nulla più. Si muoveva solo per cercare di abbrancare Mendoza per le braccia o per la cintola quando sentiva di averlo a tiro, per tentare di stringerlo a sé ed abbracciarlo in CLINCH, in modo da fargli perdere secondi e guadagnare qualche boccata di ossigeno che in quei momenti risultava preziosa come oro. L’altro, per tutta risposta, se lo scrollava di dosso senza battere ciglio e senza alcun sforzo apparente, come se niente fosse. Non aspettava nemmeno che giungesse l’arbitro a separarli. Per poi riprendere ad accanirsi su di lui con piglio metodico.

Persino scientifico, avresti detto. Si, sembrava quasi un cinico sperimentatore intento a trastullarsi con una cavia. Alla ricerca del filamento nervoso più sensibile tra le carni esposte, incurante delle urla e dei contorcimenti di dolore della vittima legata ed immobilizzata...perché l’esperimento si DEVE protrarre fino alla MORTE del soggetto. Solo così poteva risultare utile ai fini del progresso scientifico.

Dicono che anche la Boxe sia una scienza. E José stava sfoderando il meglio della SUA SCIENZA DISTRUTTRICE.

Lo vedeva continuare ad infierirgli contro fino a che non sentiva i propri piedi sollevarsi per un paio di centimetri da terra per poi ritrovarsi al suolo, seduto o su di un fianco. Solo allora gli veniva concesso un istante di sollievo. Ben magra consolazione. Non appena si fosse rimesso in piedi, il supplizio sarebbe ricominciato seduta stante.

O magari finiva contro le corde, e in alcuni casi la gragnuola di botte si arrestava di colpo. Segno che avevano dichiarato UN DOWN IN PIEDI.

Aveva ormai perso il conto di quante volte aveva finito con l’andare a baciare il suolo. L’unica certezza che aveva era che, per quante fossero state, non dovevano essere state ancora abbastanza da persuadere il giudice di gara a dichiarare il KO TECNICO e a mettere la parola FINE sopra a tutto quello scempio. Avevano imparato a conoscerlo fin troppo bene, e sapevano tutti quanti che lui era uno di quelli che iniziava a dare del suo meglio alla lunga distanza. E di conseguenza ci pensavano sempre due volte, prima di interrompere il match. Lo lasciavano fare, persino quando la situazione sembrava disperata e sul punto di precipitare. Questa era l’unica garanzia che sentiva essergli rimasta, mentre cadeva e si rialzava. Non poteva fare altro. Non capiva nemmeno più se dopo ogni capriola con conseguente capitombolo a gambe per aria, oppure quando si accasciava piegato in due, fosse lui o fossero le sue budella, le sue viscere ad eseguire tali, convulse manovre. Si limitava solo a rialzare di scatto busto e testa prima di RIGURGITARLE, in seguito al senso di nausea sempre più crescente.

Ma...il pubblico, piuttosto?

Già. Che fine avevano fatto? Si erano dati alla macchia, forse?

No. La verità era molto più semplice. TERRIBILMENTE SEMPLICE.

Quella manica di merdose e colossali teste di cazzo che occupavano le poltroncine di galleria e platea con i loro culi flaccidi si erano ammutoliti. GLI SI DOVEVA ESSERE SECCATA LA LINGUA.

Eppure fino ad un attimo prima erano tutti lì ad inveirgli e a dargli addosso, domandandogli a suon di improperi perché non si era ancora deciso a far piazza pulita di quell’insulso damerino impomatato con quel paio di odiosi quanto ridicoli baffetti.

Mai porre limiti alla provvidenza. Forse stavano iniziando a rendersi conto anche loro di come stavano davvero le cose.

Stavano cominciando a comprendere la vera forza di un campione. LA VERA FORZA DEL CAMPIONE.

Se é vero che il ring lo si può paragonare ad una giungla, allora Mendoza doveva essere sicuramente IL RE, di quella giungla. E NESSUNO può permettersi di invadere impunemente il suo territorio senza pagare un caro prezzo.

Il sovrano non spartisce. Non divide e non condivide nulla. E fa a pezzi chiunque si presenti al suo cospetto con intenzioni bellicose. Non risparmia e NON SI RISPARMIA.

Un vero leone non si trattiene nemmeno di fronte ad un indifeso coniglio. Non che volesse dare dei PAUROSI E DEI VIGLIACCHI ai conigli, ci mancherebbe. Anche un coniglio, nel piccolo della sua mitezza, é coraggioso. Ma come può una bestiola competere contro UNA GIGANTESCA BELVA ASSASSINA DAL PESO DI SVARIATE CENTINAIA DI LIBBRE, DOTATA DI ZANNE ED ARTIGLI, E NATA CON L’UNICO SCOPO DI DILANIARE, SMEMBRARE ED UCCIDERE PER POI DIVORARE?

COME PUO’ FARE?!

Il re della foresta non perdona neppure le formiche, se hanno la sventura o l’ardore di provare ad intralciarlo o attraversare incautamente la sua stessa strada.

Mendoza era uguale. Un’autentica, perfetta macchina omicida costruita per scagliare, schivare ed assorbire colpi in egual misura, dose e quantità. Progettata e costruita minuziosamente pezzo dopo pezzo, ingranaggio su ingranaggio. Col solo scopo di sbaragliare qualunque contendente. E se i contendenti non c’erano, li andava a cercare di persona. Proprio come aveva fatto con lui. Per annichilirli.

PER SPAZZARLI VIA.

Perché solo così il monarca poteva dimostrare la sua potenza. DOVEVA dimostrare la sua potenza. Il suo ruolo glielo impone. E’ un suo preciso dovere e una sua responsabilità. Solo così può riuscire a mantenere le sue redini ben salde. La sua vittoria deve essere netta e non può mai essere messa in discussione.

Mendoza lo stava SBRANANDO, CON VOLUTTA’. UN BOCCONE ALLA VOLTA.

Il pubblico voleva il trionfo del suo pupillo ed invece si era ritrovata ad assistere al tentativo di macellazione di un uomo. A MANI NUDE.

 

Avete capito, adesso?

Vi é tutto più chiaro, finalmente?

Avete capito contro chi si é messo LA VOSTRA CARA E GIOVANE SPERANZA DEL PUGILATO GIAPPONESE?

Avete capito con chi ho a che fare?

LO AVETE CAPITO, RAZZA DI STERPA DI LURIDI STRONZI MAL CAGATI CHE NON SIETE ALTRO?!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ti prego, Joe. Finiamola qui, per favore. Ti scongiuro. BASTA.”

 

Il vecchio Danpei, all’angolo, stava…

Ebbene, si. Incredibile a dirsi...ma stava PIANGENDO.

STAVA PIANGENDO SUL SERIO, CAZZO.

Da non credere. Faceva persino pena, poveretto.

Lo aveva guardato.

“Si, Joe. Mi hai sentito. Hai sentito benissimo. Piantiamola qui, prima che sia troppo tardi. Io...io non ce la faccio più ad assistere ad una cosa simile. Non...non posso rimanermene qui immobile a guardarti mentre TI STANNO RIDUCENDO A PEZZETTINI. Mi...mi stai chiedendo troppo. Quello...quello TI STA AMMAZZANDO, Joe. Vede che tu continui a restare in piedi e si deve essere messo in testa di...di...TI VUOLE UCCIDERE, NON CAPISCI? ED E’ QUEL CHE FARA’, SE NON TI ARRENDI!!”

“Vecchio, ascolta...”

“No! ASCOLTA TU, INVECE!! SE...SE CI FOSSE ANCORA UN PICCOLO BARLUME DI SPERANZA, UNO SOLTANTO...TI FAREI PROSEGUIRE, E LO SAI. IO...NON TI HO MAI FERMATO. NEMMENO QUANDO AVREI DOVUTO FARLO. MA COSI’...COSI’ NO. NON...NON E’ GIUSTO, JOE. SEI...SEI ANCORA GIOVANE, HAI...HAI TUTTA LA VITA DAVANTI, E NON PUOI GETTARLA AL VENTO IN QUESTO MODO. NON...NON LO PENSI ANCHE TU, JOE? NON PUOI AVER DAVVERO DECISO DI CONCLUDERLA QUI, STASERA!! MI ASCOLTI?! NON PUOI VOLER DAVVERO UNA COSA SIMILE!! E SE DAVVERO E’ COSI’...BEH, SAPPI CHE NON LO VOGLIO IO.”

“Mi lasci parlare, zio?!”

“RITIRIAMOCI, JOE. DAMMI RETTA, PER UNA VOLTA. UNA VOLTA SOLTANTO.”

“Sai, vecchio...credo che tu abbia ragione, in fondo.”

“Cosa...cosa dici?!”

“Proprio così. Avevi ragione piena, prima. Tutta la pantomima che ho voluto inscenare sin dall’inizio di quest’incontro...l’attaccare senza sosta, il lasciarsi colpire...era tutto al solo scopo di PROVOCARE MENDOZA.”

“P – provocarlo, hai detto?!”

“Si, esatto. RYUHI KIM...te lo ricordi?”

“I – il CAMPIONE ASIATICO, intendi dire?”

“Lui. Pensavo che José fosse molto simile. Le macchine di precisione come lui, di solito, tendono a non avere una grande resistenza. Per questo lavorano molto sulla tecnica, fino a giungere ad uno stadio così eccelso. Sviluppano all’inverosimile i loro punti di forza nel tentativo di mascherare le loro lacune, ok?”

“S – si, ma...”

“Se tendi a tirarla per le lunghe, portandoli fino agli ultimi round, oppure inizi a martellarli o a metterli sotto pressione, vanno in crisi. Il coreano era molto abile. Ma non appena gli sono saltati i nervi, si é sciolto come neve al sole. E ho provato a fare la stessa cosa, convinto di riuscirci, ma...non é così, purtroppo. Mendoza é a un livello TOTALMENTE differente. E’ di tutta un’altra categoria. Kim ERA NIENTE, al suo confronto. IO SONO NIENTE. Non si può fare il benché minimo paragone.”

“Joe...”

“Non avevo che quell’unica speranza. E a quell’illusione mi ci sono aggrappato mani e piedi e a cui sono rimasto attaccato fino ad adesso. Fino all’ultimo, nel tentativo di non mollare e lasciar perdere tutto. Ma la verità...e che Mendoza é DAVVERO FORTE. E’ TROPPO, TROPPO FORTE. E’ TROPPO PIU’ FORTE DI ME. E’ così che stanno le cose. Continuando in questa maniera, NON POSSO VINCERE. NON POTRO’ RIUSCIRE A BATTERLO. NON LO SCONFIGGERO’ MAI. NON POSSO FARCELA CONTRO DI LUI, PUNTO E BASTA.”

“E...E ALLORA ABBANDONIAMO!!”

“NO. SCORDATELO. NON MI RITIRO. NON GLI DARO’ LA SODDISFAZIONE. ANDRO’ AVANTI FINO ALLA FINE, ANCHE SE SO DI NON AVERE SPERANZE. FORSE...POTRO’ RENDERGLI ALMENO LA VITA DIFFICILE FINO ALL’ULTIMA RIPRESA.”

“C – COSA?!”

“Cosa vuoi farci, vecchio mio. Tocca accontentarsi, certe volte. Non sempre si può trionfare.”

 

Il vecchio, a quell’affermazione, gli aveva mostrato l’asciugamano.

 

“Mph. Fà come ti pare, DANNATO PAZZO CHE NON SEI ALTRO. TANTO...IO ME NE FREGO DI QUEL CHE HAI DECISO DI FARE TU. AGIRO’ DI TESTA MIA, STAVOLTA.”

“C – che cosa hai detto, vecchio?”

“HAI CAPITO ALLA PERFEZIONE, E NON HO BISOGNO DI RIPETERTELO. LO VEDI QUESTO?”

 

Glielo aveva mostrato di nuovo, agitandoglielo sotto al naso.

 

“TE LO METTO SOTTO AL TUO OCCHIO ANCORA SANO, COSI’ LO VEDI BENE. SAPPI CHE AL PROSSIMO ROUND, NON APPENA SCORGERO’ IL TUO PRIMO SEGNO DI CEDIMENTO, GETTERO’ LA SPUGNA. CHE TU LO VOGLIA O NO. QUESTO E’ QUANTO.”

 

A quel punto lui lo aveva afferrato per il bavero, con un gesto rabbioso.

 

“COS’E’ CHE VORRESTI FARE, TU? RIPETILO, SE HAI IL CORAGGIO!!”

“Molto volentieri, visto che mi costringi. Non appena vedrò che le cose si metteranno male, lo getterò sul ring. Punto.”

 

Si era messo ad urlare ancora più forte, stringendogli la gola.

 

“NON AZZARDARTI A FARLO, VECCHIO BASTARDO!! E’ CHIARO?!”

“Lo farò, invece. E pazienza, se mi odierai.”

“ODIARTI? STAMMI BENE A SENTIRE, VECCHIO. TU PROVA ANCHE SOLO A GETTARE QUELLA ROBA E IO TI AMMAZZO. TI AMMAZZO DI BOTTE, QUI DAVANTI A TUTTI. TI AMMAZZO COME UN CANE, LO GIURO SU DIO!! E SAI BENE CHE SONO CAPACE DI FARLO!!”

“E allora fallo. FALLO PURE. Non mi importa, Joe. Meglio a me che a te. Dopo, sarai libero di pensare e di fare ciò che più ti piace. Voglio...TI STO SALVANDO LA VITA, DANNAZIONE! VOGLIO SALVARTI LA VITA, RAZZA DI IDIOTA!!”

 

“JOE!! BASTA!! MOLLALO!!”

 

Nishi si era intromesso, afferrandoli entrambi, e aveva cercato di dividerli. E si era preso una bella gomitata da parte sua alla base del collo, finendo giù dalla struttura mentre emetteva un urlo strozzato.

 

“Ya...Yabuki...stà...stà calmo. CALMATI, TI PREGO. Il...il presidente voleva...voleva solo...”

 

Kono, un altro degli allievi, aveva cercato di intervenire a sua volta. Si era voltato nella sua direzione, e doveva avergli rifilato una tale occhiataccia da farlo cascare giù senza nemmeno bisogno di mettergli le mani addosso. Doveva avere un aspetto terribile, gonfio e coperto di sangue com’era. Doveva assomigliare ad un mostro o ad un demone appena uscito dall’inferno, con tutta probabilità. Se avesse avuto sottomano uno specchio e ci avesse guardato contro, si sarebbe fatto venire un infarto da solo, come minimo.

Aveva osservato ancora Kono. Era seduto, con le mani poggiate per terra e dietro la schiena, e tremava come una foglia. Il sudore gli aveva imperlato la fronte. Doveva essere gelido. Il volto era una maschera di terrore. E avrebbe potuto giurare che gli si era persino formata una chiazza scura ad altezza cavallo, sui pantaloni.

Poi, era arrivato il turno del vecchio Danpei di volare giù dalla torre. Lo aveva mollato e scaraventato verso il basso proprio mentre suonava il gong.

Lo aveva poi guardato un’ultima volta, lanciandogli un ulteriore avvertimento.

 

“BADA CHE TI TENGO D’OCCHIO, VECCHIO. VEDI DI NON FARE STRONZATE, O TE LA FACCIO PAGARE. TE LA FACCIO PAGARE VERAMENTE CARA, QUESTA VOLTA.”

 

E si era ributtato in mezzo al quadrato, pronto a dare battaglia. E ad essere conciato fino ai minimi termini.

Ma si, al diavolo. Forse aveva davvero ragione il vecchio. E forse aveva davvero ragione anche lui.

Forse era davvero finita. FINITA SUL SERIO.

Forse non poteva davvero vincere, contro uno come Mendoza. E non solo perché era incredibilmente forte, come aveva affermato poco fa. C’era anche dell’altro. La questione era ben più profonda e complessa. La verità era che non poteva vincere continuando a combattere a quella maniera. ALLA SUA MANIERA. E lui conosceva un unico modo di battersi. L’unico che aveva sempre usato e che gli era congeniale. L’unico con cui si era sempre trovato alla grande, perché era lo stile che aveva sempre utilizzato da quando era venuto al mondo.

BUTTARLA IN RISSA.

Esatto. Era l’unico sistema che gli aveva sempre permesso di giocarsela alla pari contro avversari ben più abili e quotati di lui.

In un match normale non avrebbe mai potuto riuscire a competere. Ma quando si arrivava alla furente scazzottata, dove saltavano i nervi ed insieme a loro tutti gli schemi ed i pronostici, subentravano infinite variabili. Si entrava nel campo astratto dell’imprevedibilità, dove non vi era più certezza alcuna e, di conseguenza, poteva accadere DI TUTTO.

Era il suo esclusivo campo d’azione, la specialità DEL VIOLENTO E SELVAGGIO ATTACCABRIGHE CHE RENDEVA POSSIBILE L’IMPOSSIBILE.

O CHE REALIZZAVA L’IMPROBABILE?

Com’é che era?

Chi se ne frega. Tanto il concetto era il medesimo.

Fare in modo che IL MIGLIORE SI ABBASSASSE AL LIVELLO DEL PEGGIORE, e non viceversa.

Ma con Mendoza non ci riusciva.

In passato ce l’aveva fatta con Wolf, con Rikiishi, con Carlos…

Con Harimao, poi, era stato addirittura più facile del solito. Era stato quel lurido scimmione ad iniziare per primo.

Ce l’aveva fatta persino con Ryuhi Kim, il detentore del titolo asiatico, a cui aveva strappato la cintura al termine di un match combattutissimo. Persino contro di lui, LA KILLER MACHINE, gelido e glaciale come la morte. Anzi, più della morte stessa. Talmente distaccato da sembrare più un robot che un essere umano, dotato di una freddezza e di una precisione pari a quelle di un sicario prezzolato. Eppure, anche in quell’occasione era riuscito a mettere in atto la sua tattica. Aveva fatto in modo di far andare a fuoco persino il ghiaccio più spesso e compatto, arrivando a farlo brillare di una chiara e pallida luce. Ma ciò era stato possibile perché il coreano, dietro a quell’atteggiamento impersonale ed imperturbabile, nascondeva un evidente disagio psichico. Era stato sufficiente introdurre un elemento imprevisto ed il computer era andato in pezzi. Gli aveva fatto scoprire che il terrore, QUELLO VERO, lo si può provare anche stando sopra ad un ring. E quel che accade quando ti trovi di fronte ad un avversario che continua ad avanzare imperterrito verso di te, e a farsi sotto infischiandosene di tutti i colpi che riceve.

Alla fine, Kim era crollato psicologicamente. E lui lo aveva sconfitto.

Ma Mendoza, semplicemente, non gli permetteva di appiccare l’incendio. Per forza. José era fatto di tutt’altra pasta. Anche se ormai privato di entrambe le ali, continuava a rimanere pur sempre IL RE DEI RAPACI. Se ne era accorto le volte successive che era riuscito a sbatterlo di nuovo al tappeto.

Si. Avete capito bene. Era riuscito ad infliggergli ancora un paio di KNOCK – DOWN, nel frattempo. Tra una ripassata e l’altra. Ed il motivo era presto detto. Il suo avversario gli era sicuramente superiore in tutto, tranne che in una cosa. E cioé che i pesi GALLO non erano la sua categoria naturale. Lui era un PESO PIUMA trapiantato a forza in quella fascia di peso. E se ne può intuire perfettamente la ragione, di tale scelta. C’é forse bisogno di stare qui a rispiegarlo ogni volta?

All’inizio erano state sofferenze atroci. Ma poi, dai e ridai...il suo corpo aveva finito con l’adattarsi. Anche se, in brava compagnia di tutti quanti i suoi organi interni, aveva gridato e stava continuando tuttora a gridare vendetta per il trattamento subito. E o presto o tardi gli avrebbero presentato il conto. UN CONTO PARECCHIO SALATO. Ma quella follia aveva portato i suoi vantaggi, per quanto esigui. Il più significativo era rappresentato dal fatto che i suoi pugni erano quelli di un AUTENTICO PESO PIUMA. E pertanto erano PIU’ PESANTI di quelli di Mendoza, che nella categoria BANTAM ci sguazzava a meraviglia. E, cosa non meno importante, ce l’aveva fatta ad appioppargliene qualcuno di quelli buoni, in qualche occasione.

Anche le macchine più collaudate ed affidabili potevano essere soggette a degli sbalzi di tensione, all’interno dei loro circuiti. Per quanto potesse essersi tramutato in una macchina di precisione a suon di estenuanti allenamenti, Mendoza non era certo diventato un automa. Anche lui, alla pari di tutti gli altri pugili, doveva fare i conti con inevitabili momenti di calo fisiologico. E, come tutti gli altri pugili, con l’inesorabile trascorrere dei minuti iniziava ad accusare la stanchezza. Anche il più spietato dei boia finisce con lo stramazzare al suolo, a furia di torturare. E’ naturale. E’ inevitabile. Era impensabile che riuscisse a mantenere lo stesso, costante regime dal principio fino al termine dell’incontro.

Rimaneva pur sempre un UOMO, non un CYBORG.

Era UMANO anche lui, dopotutto.

Nonostante aspiriamo alla perfezione, non possiamo raggiungerla. MAI. Solo avvicinarci il più possibile.

Ogni tanto si era dovuto prendere delle pause. E lui ne aveva prontamente approfittato. I suoi pugni, per quanto pochi che fossero, quando andavano a segno FACEVANO MALE. MOLTO PIU’ MALE DEI SUOI.

Eppure...c’era qualcosa di strano. Qualcosa che non quadrava, che non tornava.

Che cosa aveva fatto il messicano, in quei frangenti?

Se ne era rimasto sdraiato a terra tranquillo, sereno e pacifico ad ascoltare il conteggio dell’arbitro arrivare fino agli sgoccioli, respirando piano e recuperando fiato e preziose energie. Poi, AL NOVE, si rialzava di scatto e ricominciava a boxare dall’esatto punto in cui si era dovuto interrompere, senza modificare il proprio stile e la propria strategia di una sola virgola.

Ecco quel che non quadrava. Nonostante l’intensità, al loro duello MANCAVA IL FUOCO.

In questo modo, i suoi attacchi non erano che gocce nel mare. Piccole e sparute gocce d’acqua dolce in un oceano di acqua salmastra. Non servivano a nulla.

Così non andava. NON ANDAVA AFFATTO.

Era Mendoza che stava continuando a condurre il match, ecco la verità. Sin dall’inizio. Suggeriva il ritmo e l’andatura, ed al contempo gli impediva di imporre i propri.

Era sempre e soltanto José ad avere il controllo. IL CONTROLLO ASSOLUTO su tutto quello che avveniva nel perimetro del ring. ERA IL SUO REGNO, c’era ben poco che si potesse fare. E LUI NE ERA IL DOMINATORE INCONTRASTATO.

Aveva tentato in tutti i modi di provocalo, di fiaccarlo, ma era tutto inutile. Non si faceva coinvolgere. Niente pareva scuoterlo o impensierirlo. Perché ERA UN CAMPIONE. UN CAMPIONE VERO. Che si meritava appieno la cintura che aveva conquistato. Stava sopra il suo trono inaccessibile al resto dei mortali, ma se la sua autorità veniva messa in discussione, o se il suo regno veniva minacciato, non esitava un solo istante a scendere per strada gettando corona, scettro e mantello e a gettarsi nella mischia come l’ultimo dei sudditi, pur di difendere ciò che aveva ottenuto e guadagnato. Ed il tutto senza mai rinunciare al suo portamento REGALE.

Perché IL RE RESTA SEMPRE IL RE, dovunque vada. Anche quando si ritrova a dover annaspare in mezzo al lerciume.

ED UN NOBILE NON SI PRESTA AD UNA VOLGARE RISSA CON UN PLEBEO.

E non era tutto.

SAPEVA ANCHE SOFFRIRE.

Era PERFETTO. Non possedeva solo forza, velocità, potenza, intelligenza e resistenza. Gli stava anche dimostrando di saper soffrire, pazientare e tener duro quando le cose si facevano difficili.

E soprattutto, di riuscire a mantenere la calma durante le situazioni critiche, per poterle gestire al meglio.

Finché si tratta di picchiare e basta, a pestare sono buoni tutti. Ma a picchiare e a soffrire, ci riescono solo I GRANDI.

JOSE’ MENDOZA NON AVEVA PUNTI DEBOLI, ecco qual’era la verità.

Pura, semplice e terribile.

Questa volta il lupo selvatico aveva trovato un osso decisamente troppo duro da rodere, per i suoi denti. Avrebbe finito con lo spezzarseli, prima di riuscire nell’impresa di scalfirlo anche solo di striscio.

Poteva solo resistere, ecco tutto. Rimanere in piedi fino alla fine ed ambire almeno all’onore delle armi.

A meno di un MIRACOLO, le sorti dell’incontro erano pressoché segnate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

E’ un momento veramente critico...sto facendo finire il povero Joe ALL’INFERNO, letteralmente.

Lo sto facendo annegare in un mare di sangue, vomito e m...no, quella ancora no, per fortuna. Ma, di questo passo, poco ci manca.

Ecco perché, all’inizio, NON VOLEVO SCRIVERE una storia su di lui. Temevo che sarebbe successo questo.

Eppure, nonostante la crisi, Joe sta PER RISORGERE.

Vi confesso che la prima stesura NON ERA COSI’. Parlava di un Joe molto più rassegnato, che si limitava a resistere, e che all’ultimo round azzeccava i due colpi d’incontro realizzando il suo canto del cigno. E parliamo dello scorso Giugno.

Ma, a Settembre, quando l’ho ripresa in mano...e’ successa una cosa stranissima.

SI E’ RIBALTATO TUTTO.

E HO CAPITO CHE NON AVEVO CAPITO UN CAZZO (scusate).

Joe é andato lì per VINCERE.

E lo si comincia ad intravedere in questo capitolo.

Di MORIRE, non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello.

E’ vivo, vitale, ma soprattutto INCAZZATO COME UNA BESTIA.

Ha un’energia tale, dentro, che sta per ESPLODERE. Ma che non riesce a trovare il modo di liberare. E ci sta provando…

Nell’ultima parte, poi, credo di aver fornito una chiara e lucida analisi sui motivi per cui NON PUO’ RIUSCIRE A BATTERE IL CAMPIONE. Almeno in un incontro NORMALE...

Una cosa é certa: se Mendoza sarà tanto FESSO da cascarci, e a dargli mezzo appiglio, JOE LO DISTRUGGE.

E ci casca, come vi ricorderete. Oh, se ci casca...non vedo l’ora.

Ringrazio i sempre presenti e gentilissimi compagni di ventura Devilangel476, innominetuo e kyashan_luna per le recensioni.

E chiunque leggerà la storia e vorrà lasciare un parere.

Grazie ancora e alla prossima!!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 9

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed il miracolo, alla fine, era avvenuto.

Perché le cose CAMBIANO. CAMBIANO DI CONTINUO.

Persino un placido laghetto dalla superficie piatta, lucida ed immota ha decine di correnti impetuose di varie dimensioni, forza e natura che scorrono e si agitano senza sosta sotto di essa. Nel profondo.

TUTTO SCORRE. TUTTO CAMBIA.

E’ il medesimo discorso che sta alla base delle grandi scoperte scientifiche. Il più delle volte capitano e ci si accorge per puro caso. Ma entra ugualmente in gioco il fattore umano.

Come sarebbe andata a finire se il tizio che ha inventato la penicillina non avesse dato un’ultima, distratta occhiata ai suoi barattoli di vetro contenenti intere colture di batteri, giusto un istante prima di distruggerli e buttarli via, dichiarando sconsolato che il suo esperimento era fallito?

Non si sarebbe accorto che sul bordo di quei barattoli era cresciuta una muffa pelosa e di colore a metà tra il grigio ed il verde intenso. E che i tanto temuti batteri, responsabili di malattie mortali e, fino a quel momento, refrattari a qualunque cura che stazionavano vicino a quella muffa ERANO MORTI STECCHITI.

AVEVA TROVATO LA PENICILLINA.

Le cose cambiano di continuo. Quasi senza che ci si renda conto. Ed é proprio qui che sta il punto di tutta quanta la dannatissima faccenda. Bisogna stare sempre all’erta, ed essere pronti a riconoscere il cambiamento, quando accade.

E lui, per sua fortuna, LO ERA.

OH SI, SE LO ERA. LO ERA SEMPRE STATO.

Doveva esserlo. PER FORZA. Altrimenti, da dove proveniva, non sarebbe arrivato nemmeno alla prima comunione. Non avrebbe fatto nemmeno a tempo ad uscire dalla fonte battesimale.

Se c’era qualcosa di buono nella vita che aveva trascorso, era il fatto che tutto ciò che gli era capitato tra capo e collo lo aveva aiutato a stare più CONCENTRATO. A cogliere ogni singolo dettaglio ed ogni singola sfumatura.

C’é da essere svegli, nella vita. E c’é da capirlo alla svelta, gente. La nera signora é sempre seduta dietro di te, e ti accompagna ad ogni passo. Ti guarda E RIDE. Quando meno te l’aspetti allunga uno dei suoi artigli scheletrici e di ghiaccio. E TI PORTA VIA CON SE’. Ma prima ti piazza vicino alla sua faccia, a farti rimirare il suo teschio, le sue orbite vuote, il suo sorriso sdentato ed il suo alito fetido e gelido di fognatura intasata ed esplosa a cielo aperto, di latrine mai pulite e men che meno disinfettate, di cadaveri gonfi ed imputriditi ed esposti al sole dopo un inondazione. O DOPO UNA DEFLAGRAZIONE NUCLEARE.

Ti fa vedere quant’é bella MADAMA MORTE, prima di farti scivolare nell’oblio. L’ultima istantanea, l’ultima foto ricordo che avrai di questo mondo prima di precipitare nell’ade e diventare un’ombra di ciò che eri, rimpiangendo in eterno la vita e la giovinezza perdute e mai sfruttate. O MAL SFRUTTATE, magari. A quel punto, hai solo due possibilità: lasci che ti prenda tutto oppure, con un ultimo e disperato colpo di coda, gli lasci solo un pezzo, una parte del tuo corpo, sperando che sia sufficiente a saziare il suo vorace e mai stanco appetito. Vana speranza, purtroppo. Lo vedi da come ti fissa, mentre si allontana momentaneamente col suo trofeo, con la porzione di te che ha reclamato a suo esclusivo uso e consumo, lasciandoti un moncherino flaccido e sanguinante. E alla vita da menomato, storpio, paralizzato o vegetale che ti si prospetta, che per certi versi é ancora peggio. Perché sai che rappresenta una PROMESSA. Una promessa da parte sua.

Tornerà a farti visita, nel buco dove ti rintanerai a marcire. Questo é sicuro. Tornerà. Ancora e ancora. Fino a rendersi persino desiderabile. Fino a che non giudicherai che varrà la pena affrontare quelle fattezze orrende e quel puzzo nauseabondo, pur di mettere fine ai tuoi patimenti e alle tue sofferenze.

Ma se invece sei veloce, ABBASTANZA VELOCE, riesci a sfuggirle e a lasciarla con un palmo di naso. E ti allontani camminando all’indietro, perché non é mai saggio DARLE LE SPALLE. NEPPURE PER UN SECONDO. Con lei che ti agita il pugno e ti inveisce contro. E con te le fai il gesto dell’ombrello, sberleffi e linguacce con tirate di palpebra. Per poi concludere degnamente con due sonore pacche sul culo, per farla incazzare ancor di più, quando ti ritrovi a debita distanza. Quanto basta per offrirle le terga senza correre il rischio di ricevere qualcosa in cambio PROPRIO LI’, NEL MEZZO.

Tanto, sei fuori pericolo. Sarà pur vero che può ucciderti con un sol tocco, ma a disposizione UN SOLO ISTANTE ALLA VOLTA, per poterlo fare. Una volta perso quell’attimo, non può farti più nulla. ALMENO FINO ALLA PROSSIMA VOLTA.

NON CONCEDERLE MAI QUELL’ATTIMO. Il trucco stava tutto lì.

E lui era stato sempre più lesto. SISSIGNORE. Stava sempre un passo avanti a lei. Per forza. Non faceva altro DA QUANDO ERA NATO. Anzi...da quando era entrato nel mondo della Boxe, aveva pure preso a PROVOCARLA, e di proposito. A fronte dei suoi assalti non scappava più. LE SI GETTAVA ADDIRITTURA CONTRO, schivando le sue dita adunche ed ossute. Ti poteva risucchiare la vita anche solo sfiorandoti, ma...era lenta. E GOFFA. NON VALEVA QUANTO UN PUGILE PROFESSIONISTA.

Non valeva quanto Wolf.

O Rikiishi.

O Kim.

O IL RE DEI RE.

E fotte nulla se troppa spavalderia e sicurezza non sono un buon sistema per sopravvivere al mondo. O nella giungla. O nel mare. O SU DI UN RING.

La volete mettere la soddisfazione, gente?

LA VOLETE METTERE LA CAZZO DI SODDISFAZIONE?!

Comunque, stronzate sul rapporto tutto speciale tra lui e LA MIETITRICE IMPLACABILE a parte qualcosa era successo davvero, verso la fine della dodicesima ripresa.

QUALCOSA DI VERAMENTE STRANO.

Mendoza aveva improvvisamente modificato il proprio stile.

Anzi, a dirla tutta...L’AVEVA PROPRIO PERSO, LO STILE. DIMENTICATO CHISSA’ DOVE.

Aveva cominciato a colpirlo in ogni modo e maniera possibile, dandogli addosso ed infierendo come un invasato.

Colpi dati con il taglio esterno ed interno della mano, a traiettoria ascendente e discendente, neanche fosse un KARATEKA alle prese con un combattimento valido per l’assegnamento dell’ULTIMO DAN della cintura nera; pugni a martello, singoli oppure doppi e sferrati in simultanea, calati dall’alto verso il basso e pesanti come MANNAIE; attacchi di gomito in piena mascella, che ricordavano tanto quelli utilizzati da Carlos, e di cui ben si ricordava; gli aveva addirittura cinto un braccio attorno al collo ed aveva iniziato a percuoterlo violentemente e ripetutamente sulla nuca, con il braccio rimasto libero…

Un attimo prima che l’arbitro si decidesse finalmente ad intervenire, fermandolo ed appioppandogli la meritata ammonizione per condotta fallosa e scorretta, lo aveva persino afferrato per entrambe le spalle e scaraventato al suolo, dopo averlo sollevato di peso sopra la propria testa…

Chissà, forse pensava di essere finito a disputare un incontro di CATCH.

C’era da ammirarlo, però. I guantoni che indossavano, per quanto leggeri e sottili che fossero, non favorivano certo le prese, le strette ed i legamenti.

Cavolo...il giorno che avrebbe deciso di sfilarseli per intraprendere qualche altra carriera sportiva, magari PROPRIO IL LOTTATORE, con mosse simili avrebbe potuto dare dei punti persino al grande GIANT BABA. O ad ANTONIO INOKI. O al leggendario TIGER MASK. Chissà dove si era andato a cacciare dopo quell’ultimo, tragico incontro dove aveva perso la maschera…

Beh, gente mia...CARNEFICINA o no, quell’altro stronzo se l’era meritata in pieno, quella ripassata.

Era davvero un tipo dalle mille risorse, il nostro caro José. Doveva sicuramente appartenere a quella ristretta cerchia di uomini capaci DI RIUSCIRE IN TUTTO. DI FARE TUTTO. E di eccellere senza riserve in qualunque categoria, in qualunque cosa facessero.

 

“VA’ ALL’ANGOLO NEUTRO, MENDOZA!! ALL’ANGOLO NEUTRO, TI HO DETTO!! O GIURO CHE TI ESPELLO!!”

 

Il direttore di gara lo aveva spinto via bruscamente e poi, dopo essersi assicurato che il campione avesse recepito il messaggio si era rivolto ai suoi compari seduti al tavolo proprio sotto ad uno dei lati.

 

“VOGLIO CHE GLI SIA LEVATO UN PUNTO, MI SONO SPIEGATO?! UN PUNTO DI PENALITA’ PER COMPORTAMENTO IRREGOLARE E RIPETUTE INFRAZIONI, SONO STATO CHIARO?!”

 

Così si era rivolto ai giudici, con voce furente.

Nel frattempo, era suonato il gong che annunciava la fine del round. Ed il pubblico, a quella sorta di breve rintocco di campana in miniatura, si era come risvegliato dall’ipnosi. Il minuscolo martelletto di metallo aveva agito da vero e proprio richiamo dallo stato di TRANCE in cui si erano calati, stregati ed ammaliati dai pugni assassini di Mendoza.

Come se avessero tirato addosso a tutti quanti un bel SECCHIO DI ACQUA GELATA per farli riprendere da UN BEL CAZZOTTONE ASSESTATO DRITTO SULLA TESTA.

Metodo indubbiamente efficace, ma alquanto rozzo e rude. E chi lo subisce non la prende molto bene.

Ed infatti nessuno, lì dentro, l’aveva presa bene per ciò che era stato costretto a vedere fino a poco fa.

NO, NON L’AVEVANO PRESA BENE PROPRIO PER NIENTE.

La gente sugli spalti era letteralmente esplosa di rabbia. Sia in tribuna che in platea. Avevano iniziato ad inveire e a sputare ingiurie all’indirizzo del messicano. E, per ciò che riguardava lo SPUTARE, non si trattava solamente di insulti rivolti a lui, ai suoi familiari e a dubbi comportamenti morali di sua madre, chiunque fosse.

NO. Si trattava anche di SALIVA, per chiunque si trovasse alla giusta portata.

Saliva mischiata ad odio, pessimo whiskey, ancor più pessima birra e tabacco proveniente da sigari e sigarette di infima qualità.

 

“PIANTALA, MALEDETTO!!”

 

“BRUTTO STRONZO CHE NON SEI ALTRO!!”

 

“SEI UN BASTARDO, MENDOZA!! VERGOGNATI!!

 

“PEZZO DI MERDA MANGIAFAGIOLI!!

 

“E TU SARESTI IL RE DEI RE? MA VATTI A NASCONDERE!!

 

“SQUALIFICALO, ARBITRO!! NON MI HAI SENTITO?! SQUALIFICALO!!”

 

Agli insulti si era aggiunta una fitta pioggia di cuscini amaranto che aveva finito per invadere il quadrato. Quelli che fino ad un istante prima si frapponevano tra gli spettatori ed i sedili del palazzetto, e che facevano da soffice barriera ai loro molli deretani. Qualcuno di essi li aveva pure raggiunti, centrandoli in pieno sulla zucca. Ma, a conti fatti, sarebbe potuta andare anche peggio.

Meglio quelli che gli sputi, dopotutto.

Era scoppiato il finimondo, con il tizio preposto agli altoparlanti che aveva il suo bel da fare, sgolandosi per invitare tutti quanti alla calma e di darci un taglio con il lancio di oggetti.

Era un sottosopra da non potersi descrivere, mentre i secondi facevano irruzione e procedevano verso di loro quasi zigzagando, per non offrire un facile bersaglio.

Il primo a sopraggiungere era stato il manager del team messicano, che aveva provveduto a trascinare Mendoza via da lì, balbettando e sciogliendosi in scuse e salamelecchi a profusione nei confronti suoi, del vecchio e dell’arbitro, sinceramente mortificato per quanto era appena accaduto. Ci mancava solo che si genuflettesse davanti a tutti.

E ci credo. L’avevano appena scampata bella. E gli era andata pure di lusso, con quel che aveva combinato. Se gli avesse causato dei danni seri, avrebbe perso a tavolino e avrebbero assegnato la vittoria a lui.

Ma era ancora in piedi, nonostante il cruento pestaggio. Se l’era vista davvero brutta, ma ne era uscito indenne. Ancora una volta.

Stava per dirigersi verso il proprio angolo a sua volta, dove Nishi aveva già provveduto a sistemare l’apposito sgabello, quando…

Si era sentito toccare alla spalla destra.

 

“Solo un momento, Yabuki.”

 

Si era voltato. Ma già sapeva di chi si doveva trattare.

Ed infatti.

 

“Ascolta, Yabuki...come ti senti? Sicuro di poter continuare?”

“Ti ringrazio che ti preoccupi per me, ABITRO. Ma stà tranquillo. Posso andare avanti. Ce la faccio.”

“Senti...é inutile che stiamo a prenderci in giro. Lo sappiamo tutti che Mendoza é in vantaggio. Chiunque se ne può rendere conto, di questo. Ma a me NON INTERESSA, capito? E non mi interessa nemmeno se é il campione del mondo. Se ti ha causato dei gravi danni, non hai che da dirmelo. E IO LO SQUALIFICO, ALL’ISTANTE!!”

“Ti ho detto che sto bene, arbitro.”

“Guarda che non hai nulla da temere, Yabuki. Non mi faccio certo intimorire dal fatto che é un incontro valido per il titolo! Anzi, a...A MAGGIOR RAGIONE! Mendoza ha commesso UN GRAVE SBAGLIO, e a questi livelli gli errori si pagano cari! E’ GIUSTO COSI! E’...E’ SACROSANTO, DANNAZIONE!!”

 

Che strano discorso. Già, DAVVERO STRANO. Sembrava quasi che lo stesse INVITANDO A DICHIARARSI FERITO O CONTUSO.

Era alquanto singolare, senza alcun dubbio. Ma era pienamente legittimo. Non bisognava dimenticare che il match si stava disputando IN GIAPPONE. E la tentazione di portarsi il titolo sul suolo nipponico era fin troppo forte. Persino per i dirigenti, nonché per la federazione tutta. Era un’opportunità davvero ghiotta. E poco importava se la si guadagnava per decisione. A chi fregava se la si otteneva per DEMERITO ALTRUI, piuttosto che PER MERITO PROPRIO.

Un certo grado di campanilismo verso i propri connazionali era previsto. SCONTATO, per certi versi. Avessero combattuto in Centro America, sarebbe avvenuta la stessa cosa. A PARTI INVERTITE, ovviamente.

Ma non erano quelle parole, a preoccuparlo. A metterlo in ansia era IL VECCHIO. Era alcolizzato e mezzo rimbambito, ma non era certo sordo. Anche lui aveva ascoltato. Aveva sentito senz’altro OGNI COSA.

Anche lui aveva udito quell’esortazione. Eppure…

EPPURE SE NE RIMANEVA ZITTO.

Forse si aspettava anche lui che se seguisse il consiglio. O forse…

O FORSE STAVA MACCHINANDO QUALCOSA.

Non fa niente. Tanto lo stava tenendo d’occhio. Se davvero aveva intenzione di mettere in atto i propositi che gli aveva illustrato al termine della precedente ripresa, gli avrebbe dato una bella regolata e lo avrebbe rimesso nei ranghi. ALLA SUA MANIERA, s’intende.

LO ASPETTAVA AL VARCO. NON AVEVA CHE DA PROVARCI.

E comunque, come sempre si dice...UNA COSA ALLA VOLTA.

PRIMA OCCUPIAMOCI DELLA PIU’ URGENTE, POI SI PENSA AL RESTO.

 

“Ti ho già detto che sto bene. Discorso chiuso. E adesso lasciami andare a sedere.”

“D – d’accordo, Yabuki. Come vuoi.”

 

L’arbitro aveva capito che non era il caso di insistere ulteriormente e si era quindi diretto dalla parte opposta, in direzione del campione e del suo entourage, per tutto un altro tipo di paternale.

Era davvero pazzesco. AVEVA APPENA RINUNCIATO ALLA VITTORIA. AD UNA FACILE E SICURA VITTORIA.

Chiunque altro, al posto suo, avrebbe fatto carte false. Avrebbe persino FINTO, simulato il dolore, accentuandolo in modo da convincere i giudici ed il direttore di gara nel tentativo di farsi assegnare l’incontro a tavolino.

Già. Tutti. TRANNE LUI.

NON LUI.

Non voleva vincere così, nella maniera più assoluta.

 

No, José.

Non mi rovinare tutto quanto.

Noi non vogliamo ROVINARE TUTTO QUANTO, VERO?

Non farmela, questa CAROGNATA.

Non adesso.

NON PROPRIO ADESSO CHE ARRIVA IL BELLO.

STA’ PRONTO, PERCHE’ TRA POCO IO E TE CI DIVERTIREMO UN SACCO.

 

L’angolo sinistro della bocca gli era deformato leggermente verso l’alto, a quel pensiero, formandogli un lieve e beffardo ghigno.

Un ghigno che é il preludio ad un sorriso interiore ancora più forte e fragoroso.

La ghigna di un delinquente che sta per scatenare qualcosa DI VERAMENTE GROSSO.

La ghigna di un teppista di strada e di quartiere in procinto di dare vita AD UNA RISSA DI QUELLE MEMORABILI.

DI QUELLE DOVE SI PESTA TANTO, A LUNGO E SODO.

Già. Parole sante.

IL BELLO VENIVA ADESSO.

Ce l’aveva fatta.

LO AVEVA FATTO INCAZZARE.

Ci era riuscito. E SUL SERIO, QUESTA VOLTA.

Era iniziato IL VERO MATCH, finalmente.

IL SUO MATCH.

ERA ORA, CAZZO.

Forse non era ancora troppo tardi. O forse si.

In ogni caso, doveva spicciarsi. Non aveva più molto tempo. Ormai erano veramente agli sgoccioli.

Però...sfidando il rischio di essere monotono e ripetitivo, non poteva fare proprio a meno di pensare e ripensare a quella frase nel suo cervello. Proprio come un bambino che ripete mentalmente una cantilena o uno slogan pubblicitario che lo hanno colpito, decine e decine di volte. Fin quasi all’ottundimento.

 

STA’ PRONTO, JOSE’. E’ ADESSO CHE VIENE IL BELLO.

 

Gli davano una sensazione meravigliosa, quelle parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“QUEL...QUEL PAZZO!! QUEL PAZZO BASTARDO!! MA COME...COME HA POTUTO?! DEVE...SI’ DEV’ESSERE IMPAZZITO! DEV’ESSERE SENZ’ALTRO IMPAZZITO, SENZA ALCUN DUBBIO!!”

 

Il povero Kanichi aveva letteralmente gli occhi fuori dalle orbite. Ed era fuori dalla grazia di Dio. La sua voce era ricolma d’ira e di sdegno, e lui stesso pareva sul punto di traboccare.

Doveva tranquillizzarlo. Occorreva un’ESTREMA CALMA, da lì in poi. Da parte di tutti. Solo così avrebbe potuto riuscire a fare ciò che aveva in mente di fare.

 

“Ah, ah, ah!! Non preoccuparti, MAMMUTH!! Ha solo SPARATO LE SUE ULTIME CARTUCCE, tutto qui. ORMAI E’ DISPERATO.”

 

Nishi lo aveva guardato, ancora più allibito. Le sue pupille erano totalmente sgranate. Di lì a poco i bulbi oculari gli sarebbero davvero schizzati dalle loro sedi naturali, per finirgli addosso. Oppure ad imbrattare il pavimento.

C’era da poterci scommettere sopra, a riguardo.

 

“Come...come hai detto, Joe?!”

“Dai che mi capito benissimo, OTTUSO D’UN BESTIONE. Quello E’ COTTO. ANDATO. NON NE HA PIU’, TI DICO. VEDRAI COME TE LO SISTEMO, DALLA PROSSIMA RIPRESA!! AH, AH, AH!! TE LO CUCINO PER BENINO!!”

 

Gli aveva riso in faccia. E per meglio chiarire il concetto gli aveva tirato una via di mezzo tra un pestone ed un buffetto, all’altezza della spalla sinistra, con il gigante che continuava a fissarlo attonito. Non avrebbe saputo dire se di lì a poco sarebbe scoppiato a ridere a sua volta, oppure avrebbe iniziato ad urlare e a dar fuori di matto, strappandosi i capelli uno ad uno.

La verità era che nemmeno lui ci credeva, ecco. E dire che ne avevano passate di ogni, assieme. Talmente tante da dover sapere che QUANDO JOE YABUKI AFFERMA QUALCOSA, QUELLO E’.

Che gente di poca fede, che erano. Nessuno escluso.

Si era quindi buttato sul seggiolino, tutto intento a pregustarsi ciò che sicuramente lo avrebbe atteso, anzi, CHE LI AVREBBE ATTESI di lì a poco, quando la voce di Danpei lo aveva distolto dai suoi dolci pensieri.

Proprio come aveva immaginato.

Il vecchio pazzo stava per rovinargli la festa. PROPRIO ADESSO.

Aveva fatto bene a curarlo.

 

“E va bene. ORA NE HO DAVVERO ABBASTANZA. DA’ QUA!!”

 

Si era girato giusto in tempo per vederlo maneggiare di nuovo quel cazzo di asciugamano bianco. Lo stesso che gli aveva sventolato sotto al muso durante l’ultima pausa. Anzi, no...era nuovo, stavolta. Intatto e pulito, fresco di lavanderia. Lo aveva visto passare di mano in mano tra i suoi secondi, per poi finire al pugilomane.

 

“Che...CHE CAZZO STAI FACENDO, VECCHIO?!”

“Quello che avrei già dovuto fare da prima, ragazzo. Getto la spugna. Dovevi dar retta all’arbitro. Ma SAPEVO che non lo avresti fatto. PERCHE’ NON E’ DA TE SEGUIRE I BUONI CONSIGLI, NON E’ VERO? Potevi vincere, e non hai voluto. Allora PERDIAMO. NON M’INTERESSA. NON M’INTERESSA PIU’ DI NIENTE, A QUESTO PUNTO. MI BASTA SOLO CHE LA FACCIAMO FINITA, CAPITO?! VOGLIO CHE SIA FINITA, UNA VOLTA PER TUTTE!!”

 

Ed invece non poteva finire così. NOSSIGNORE.

Gli era saltato al collo, afferrandolo con tutte e due le mani, prima che potesse fare qualunque cosa. Qualunque fosse la stronzata che avesse in mente.

 

“MA CHE TI SEI AMMATTITO, PER CASO?! VUOI COSTRINGERMI A MOLLARE PROPRIO ORA CHE STO...PROPRIO ORA CHE SIAMO SUL PUNTO DI VINCERE?!”

“VVINCERE, HAI DETTO?! VINCERE?! MA GUARDATI, SANTO DIO!! GUARDATI COME SEI RIDOTTO!! T – TU...TU DEVI ESSERE COMPLETAMENTE USCITO DI SENNO!!”

“IO?! TU SEI USCITO DI SENNO, VECCHIO BEONE RIMBAMBITO E BUONO A NIENTE CHE NON SEI ALTRO!! MOLLA QUEL DANNATO STRACCIO, MI HAI CAPITO?! MOLLALO SUBITO!!”

“NO!!”

“MOLLALO, TI HO DETTO!! MOLLALO O TI AMMAZZO!!”

 

Ne era nata una breve ed intensa colluttazione, con parecchie spintonate e sgomitate a chiunque aveva anche solo provato a mettersi in mezzo per dividerli, e al termine della quale l’asciugamano si era fatto un bel tuffo giù dal quadrato, terminando sul pavimento sottostante.

Si erano voltati entrambi, seguendolo con lo sguardo e avevano notato che era finito giusto vicino ai piedi di qualcuno. O meglio, DI QUALCUNA. Che avevano riconosciuto al volo.

 

“Yoko...”

 

Era stato lui a riaprire bocca per primo, nonostante lo stupore. Che cosa era venuta a fare, lì?

 

“Ah, SIGNORINA SHIRAKI...l – la prego, me...me lo potrebbe ridare, per favore?”

 

Subito dopo ci si era messo anche il vecchio. Ma sembrava che lei non avesse nemmeno badato. Né alla sua presenza, né alla sua richiesta. Sembrava che non stesse badando a nulla di tutto ciò che la stava circondando. La gente, gli addetti ai lavori...TUTTO SPARITO.

I suoi occhi erano rivolti unicamente nella sua direzione. Come se esistessero solo loro due, in quel momento.

Poi si era chinata a raccogliere il panno, con un gesto lento e solenne. E se l’era portato al fianco destro. Studiava ogni cosa, quella ragazza. Ogni singolo movimento. Non lasciava davvero NULLA al caso, MAI. Ed infine...aveva cominciato a parlare.

 

“Joe...ti prego di perdonarmi. Volevo...volevo solamente dirti che HAI RAGIONE TU. HAI SEMPRE AVUTO RAGIONE TU, SU OGNI COSA. E IO NON HO MAI CAPITO NULLA. NE’ DI RIKIISHI, NE’ DI CARLOS...E NEMMENO DI TE.”

 

Le aveva sorriso.

 

“Stà tranquilla, Yoko. Non ha importanza. NULLA HA PIU’ IMPORTANZA, ORMAI.”

“No, ascolta. Volevo dirti anche un’altra cosa. Ciò che ti ho detto...TUTTO quello che ti ho detto prima vale ancora. PIU’ CHE MAI.”

“Yoko...tu...”

“IO TI AMO, JOE. TI AMO PER TUTTO CIO’ CHE SEI. E TI AMO ANCHE SE HAI DECISO DI FARE QUESTA FOLLIA.”

 

A quel punto aveva alzato l’asciugamano e glielo aveva mostrato.

 

“Non sei obbligato a farlo. Sappi che non devi dimostrare NIENTE A NESSUNO. TANTO MENO A ME. Se vuoi smettere, lo ridarò al tuo allenatore. Poi ce ne andremo via subito, SOLO IO E TE. Ti porterò VIA DA QUI, al sicuro. Lontano da questo posto. Lontano dalla boxe. Proprio come quella volta che ti ho sottratto dalle grinfie di Mendoza, ricordi? Inizierai una nuova vita, e io ti aiuterò a farlo. Farò tutto quanto mi sarà possibile, per darti una mano. Se invece...se invece vuoi ANDARE AVANTI, me ne starò qui al tuo fianco. Sempre se tu mi vorrai. Non chiedo altro. Mi accontenterò di restarti vicina, FINO ALLA FINE. MA DEVI DECIDERE TU.”

“La mia risposta già la conosci, Yoko.”

“Joe...”

“E’ perfettamente inutile aggiungere altro. Sai già quel che voglio fare.”

“Mph. Lo supponevo. Anche se...ti confesso che speravo in un altro tipo di risposta. Speravo NELL’ALTRA RISPOSTA, a dirla tutta. CI SPERAVO TANTO.”

“Sono spiacente, signorina. Ma il qui presente non é il tipo da lasciare DISCORSI IN SOSPESO. PROPRIO NO. NON IO.”

“Signorina...mi ridia quell’asciugamano, per favore. E’...E’ PERICOLOSO, PROSEGUIRE IN QUESTE CONDIZIONI. Lo...lo sa benissimo anche lei...”

 

Danpei si era fatto sotto di nuovo. Ma Yoko non aveva più orecchie per sentirlo. L’unica voce che POTEVA E VOLEVA ascoltare era la sua.

Aveva aperto le dita candide ed affusolate ed aveva lasciato cadere ciò che stringeva fino ad un istante prima, facendolo tornare nel punto esatto da dove lo aveva raccattato.

 

“Ho capito. Allora METTICELA TUTTA, Joe. Coraggio, manca pochissimo.”

 

Aveva ricambiato il suo sorriso, mentre gli occhi le si erano velati di lacrime e la sua voce si era fatta rotta dall’emozione.

 

“Colpiscilo con tutta la forza che hai. CON TUTTO IL CUORE CHE HAI. C’E’ IN GIOCO LA TUA VITA, NON LO CAPISCI?!”

“Lo farò. Te lo prometto.”

 

Le aveva dato le spalle. Ma non per maleducazione, menefreghismo o cattiveria. La breve parentesi con lei si era richiusa, punto e basta. Doveva fare ritorno AL SUO MONDO. Lo stavano aspettando. Il pugilato, gli spettatori, Mendoza...e DANPEI.

Si. Proprio lui. Il caro, vecchio ubriacone con la fissa della Boxe. Tutto quel che avevano appena finito di dirsi lui e Yoko riguardava solo e soltanto loro due. Era a loro esclusivo uso e consumo, ma...non era giusto lasciarlo fuori. Se era vero che Yoko lo amava, beh...anche lui gli aveva dato AMORE, in un certo senso. E lasciamo perdere i discorsi da sdolcinati. E non si parla nemmeno di FINOCCHI, se a qualcuno dovesse venire in mente di fare allusioni idiote e fuori luogo. Il vecchio gli aveva sempre voluto bene, a suo modo. Certo, non si poteva paragonare all’affetto che può donare la propria fidanzata o la propria madre, questo no. E nemmeno il proprio padre. Eppure...era già qualcosa. Il bene che gli dava era quello DELLA FIGURA PIU’ SIMILE AD UN PADRE CHE AVESSE MAI AVUTO. Si, Danpei era la cosa che gli andava piu’ vicino a quel ruolo, da quando era nato e aveva iniziato a muovere i primi passi sulla faccia di questa terra. E forse lo aveva interpretato pure meglio di quello autentico. Pure meglio dei suoi stessi genitori, che se mai si erano accorti di averlo messo al mondo dovevano aver pensato di fare una GROSSISSIMA STRONZATA, visto che lo avevano sganciato al primo orfanotrofio a portata di gamba e di mano. Era...ERA UNO ZIO, ECCO TUTTO. IL CARO, VECCHIO ZIETTO DANPEI. L’UBRIACONE, IL RISSOSO, IL COLLERICO ZIETTO. E non si dice forse che alle volte UNO ZIO FACCIA MEGLIO LO ZIO DI QUANTO IL PADRE FACCIA IL PADRE?

La sua maniera di esprimere i propri sentimenti era alquanto all’antica. Pochi gesti, e ancor meno parole. Ma avevano sempre lasciato tutte quante il segno. Nelle sue orecchie e sulla sua pelle. Pugni, schiaffi e manrovesci, sempre guarniti da una bella ed immancabile dose di improperi, insulti e minacce. Le poche volte che ricorreva a manate e pacche sulle spalle per fornire conforto, erano talmente forti da rientrare anch’esse nella categoria delle PERCOSSE.

Il vecchio beone diceva sempre che un solo occhio ti sbilancia sia in attacco che in difesa. Ma, secondo il suo modesto parere, quella tara aveva finito col sbilanciargli anche il cervello, e gran parte della sua stessa esistenza. Ma guai a dirglielo...avrebbe dovuto dargliene PARECCHIE per ricondurlo alla calma, poi.

C’era di buono che lo zio contraccambiava sempre. Dopo che gliele suonava e gli passavano le scalmane, stava sempre lì buono e zitto a farsele ridare indietro, senza fiatare. E in quantità più o meno identica. Non mancava mai di fornirgli quell’opportunità. Era...com’é che si definisce? Ah, si...DEMOCRATICO, ecco cos’era. Giusto per usare un termine da parrucconi del governo.

In fondo in fondo ci teneva, al vecchio. Voleva sentire anche la sua, di campana. AVEVA BISOGNO di sentirla.

Si era quindi rivolto verso di lui, che nel frattempo aveva seguito tutta quanta la scena, rimanendo immobile. Si era sorbito l’intero siparietto dei due innamorati alle prese con la loro STORIA IMPOSSIBILE, manco si trovasse davanti ad uno di quei baracchini ambulanti con le marionette. Tipo OGON BAT, tanto per intenderci. Che tanto andava di moda a quei tempi nei giardini pubblici, tra torme di mocciosi urlanti ed intenti a fare il tifo per l’uomo pipistrello dorato con tanto di scettro e mantello alle prese con il malvagio DOTTOR ZERO ed il suo fido e nasuto aiutante capellone. Come...come cazzo é che si chiamava? Boh.

 

“In quanto a te, vecchio...sentiamo: TU CHE HAI DA DIRE, IN PROPOSITO? Dici che può andare, per te? E anche se non va...SAPPI CHE SARA’ UGUALE. NON MI FREGA NULLA. QUINDI...TANTO VALE CHE TE LA FAI ANDARE A GENIO.”

 

Danpei aveva scosso la testa, mentre emetteva un sospiro rassegnato.

 

“E va bene...credo che non ci sia altro da aggiungere, proprio come hai detto prima. A parte che su una sola cosa sono d’accordo con la signorina Shiraki. E cioé che stai facendo un’AUTENTICA PAZZIA, a proseguire conciato così. Ma, se é veramente ciò che desideri...SIA COME VUOI TU, FIGLIOLO. FAI CIO’ CHE DEVI. IO NON TI DIRO’ PIU’ NULLA. DA QUI ALLA FINE.”

“Alla buon’ora, vecchio mio. Comunque, ti ringrazio di cuore. Lo sapevo che CAPIVI.”

 

Lo sapevo che AVRESTI CAPITO, avrebbe dovuto dire.

Era riuscito a farsi un’infarinatura di inglese ma coi congiuntivi rimaneva un disastro, nonostante le insistite e pazienti ripetizioni private da parte di Noriko.

 

Ormai sei un personaggio famoso, Joe! SEI UN VIP! Dovrai sempre presentarti in un certo modo, ed imparare a parlare FORBITO!!”

Un...CHE?! E com’é che dovrei imparare a parlare, scusa?!”

Un VIP. VERY IMPORTANT PERSON, caro il mio Joe!!”

 

“Figurati. Del resto...NON E’ PROPRIO DA TE SEGUIRE I BUONI CONSIGLI. Dico bene, no? Oramai ti conosco fin troppo...te lo lascerò fare, ma ad un patto.”

“E sarebbe?”

“Quel discorso che mi hai fatto...sul bruciare tutto quanto...ti restano ancora tre riprese, Joe. E sai anche tu che non ci saranno mai più altri incontri, dopo di questo. Quindi...LIBERATI.”

“L...liberarmi, hai detto?”

“Si, Joe. TIRA FUORI TUTTO. DAI TUTTO QUELLO CHE HAI, TUTTO QUELLO CHE TI E’ RIMASTO, FINO IN FONDO. SENZA REMORE. SENZA PENSIERI. COSI’ NON AVRAI PIU’ RIMPIANTI, DOPO. E...UNA VOLTA CHE AVREMO TERMINATO...FAREMO ALTRO, IO E TE. MAGARI ALLENEREMO I RAGAZZI, OPPURE...OPPURE CHIUDEREMO LA BARACCA O VENDEREMO L’ATTIVITA’ IN BLOCCO E CE NE ANDREMO DAVVERO A FARE I SALTIMBANCHI. TUTTO QUEL CHE VORRAI. A CONDIZIONE CHE NON SI PARLI PIU’ DI COMBATTERE. MAI PIU’, NELLA VITA. DISCORSO CHIUSO. SIAMO INTESI?”

“Siamo intesi, vecchio. Ti do la mia parola. E sai che ne ho solo una.”
“Stammi a sentire...fin da quando ti ho incontrato ho notato che tu hai sempre fatto TUTTO QUEL CHE HAI VOLUTO. COME HAI VOLUTO. Perciò dentro di te, anche stavolta...SAI GIA’ QUEL CHE VUOI FARE E COME LO LO VUOI FARE. MEGLIO DI ME. MEGLIO DI CHIUNQUE ALTRO. E ALLORA FALLO, DANNAZIONE. FALLO, MI HAI CAPITO?! MA POI CHIUDI DEFINITIVAMENTE IL DISCORSO. FINISCILA, OK? VEDI DI METTERCI UNA BELLA PIETRA DA UN QUINTALE SOPRA, UNA BUONA VOLTA!! TI E’ CHIARO, IL CONCETTO?!”

“Ok.”

“Bene. E adesso vai lì E FAGLI SALTARE TUTTI QUANTI I DENTI!!”

“E’ proprio quel che ho intenzione di fare, zietto. IO CI PROVO.”

 

Lo aveva spinto in avanti con un sol movimento di una delle sue enormi palanche da manovale navigato. Ma non poteva andare, non ancora. C’era un altra personcina che non poteva proprio permettersi di piantare in asso così.

 

“Ehi, Yoko.”

L’aveva guardata ancora. Senza nemmeno voltarsi, questa volta. Solo con la coda dell’occhio.

Poi aveva alzato il braccio sinistro e lo aveva piegato ad angolo retto. Infine aveva gonfiato il corrispettivo e smunto bicipite per poi stampargli sopra un bacio, facendo schioccare le labbra.

 

“Chissà...può darsi che quando avrò finito qui mi verrà DAVVERO la voglia di andarmene in qualche posto con te, noi due SOLI SOLETTI. Nel frattempo...RESTA QUI NEI PARAGGI, MI RACCOMANDO. ED OSSERVA BENE COSA STO PER INVENTARMI.”

 

“STATE TUTTI QUANTI A VEDERE CHE SUCCEDE, ORA! GUARDATE CHE VI COMBINO! E NON FATE QUELLE FACCE, SU! NON STATE MICA ANDANDO AD UN FUNERALE!! NON STO MICA ANDANDO A MORIRE!! VI SEMBRA LA FACCIA DI UNO CHE STA ANDANDO A MORIRE, LA MIA?!

 

Aveva pronunciato quella frase rivolgendosi a tutto quanto il suo team per intero, in contemporanea. E anche a LEI, anche se ormai se l’era lasciata alle spalle. Non ci volevano distrazioni, in un momento simile. Nella maniera più assoluta.

AVEVA UN LAVORO DA FINIRE. E aveva tutta l’intenzione di portarlo a termine. Però…

FUNERALE. MORIRE. Quest’ultima l’aveva ripetuta per ben due volte di fila.

Perché aveva detto quelle parole, così all’improvviso? E perché gli erano venute in mente PROPRIO ADESSO?

Mah. Meglio non pensarci. Meglio non pensarci troppo. NON PIU’ DEL NECESSARIO. E poi…

E poi si sentiva strano. Non avrebbe saputo dire il perché, ma…

Era contento di averla rivista.

Quell’immagine di lei, il suo viso, i suoi capelli, ciò che gli aveva confessato...tutto l’insieme gli donava una strana sensazione.

Gli pareva di fluttuare, di galleggiare sul tappeto con le piante dei piedi sollevate a qualche centimetro di distanza da esso. Si sentiva LEGGERO.

STAVA LETTERALMENTE VOLANDO.

Forse era vero quel che raccontavano a proposito degli antichi guerrieri. Che al termine di ogni battaglia campale e sanguinoso conflitto sostenuto in nome del proprio signore, facevano ritorno dalle loro mogli, compagne o fidanzate. O magari qualche prostituta a pagamento o fornita dall’esercito, in mancanza di meglio. E non sempre con l’intento di farci una bella ruzzolata sopra ad un giaciglio. Futon o di fortuna che fosse. Il più delle volte era anche solo...PER PARLARE. PER CONFIDARSI. PER SFOGARSI. Magari tenendo la testa poggiata sulle loro morbide e soffici ginocchia.

Le donne avevano questo potere.

Le donne...le creature più belle, complicate, testarde e cocciute che il padreterno si é divertito a mettere su questo pianeta. Ma, senza di loro, un uomo SAREBBE PERSO. Perché SANNO COMPRENDERE. SANNO ASCOLTARE. SANNO CONSOLARE. Mettendo in gioco il più puro ed antico tra i loro istinti. E a proposito di istinti…

Forse aveva davvero ragione il vecchio. E questa volta non c’entrava nulla il fatto di ritirarsi.

Mendoza aveva perso le staffe. Ma questo, da solo, non sarebbe bastato.

Gli era mancata ancora una cosa. Anzi...DUE. LE PIU’ IMPORTANTI DI TUTTE.

Un lupo selvatico non poteva esserlo davvero finché rimaneva legato a delle corde.

Doveva recidere quei due ultimi legami.

Doveva prima chiarirsi con le due uniche persone che ancora contavano qualcosa, per lui.

E così aveva fatto.

Aveva sciolto i ceppi, finalmente.

ERA LIBERO. LIBERO DI SCATENARE LA BELVA.

 

Coraggio, José.

Vienimi sotto.

Fatti sotto, ti aspetto.

FATTI SOTTO, GRAN FIGLIO DI PUTTANA.

VOLEVI SPEDIRMI ALL’INFERNO, VERO? E CI ERI QUASI RIUSCITO.

QUASI, HO DETTO.

MA SONO TORNATO. E ADESSO ME LO STO PORTANDO DIETRO, CON ME.

E’ INUTILE CHE CI RIPROVI. LA’ NON MI VOGLIONO.

MA TU TI CI TROVERAI A MERAVIGLIA, INVECE.

SONO PRONTO A SCOMMETTERCI.

STA’ IN GUARDIA, MENDOZA.

STO VENENDO A PRENDERTI.

NON STO PIU’ NELLA PELLE.

HO UNA TALE VOGLIA DI PRENDERTI A PUGNI CHE STO PER ESPLODERE.

 

Voleva bruciare tutto in un’unica, intensa fiammata. Fino a lasciare solo le bianche ceneri.

Benissimo.

COSI’ SIA.

Avrebbe bruciato tutto, allora. FINO IN FONDO.

Fino a brillare più del sole, più di MILLE SOLI, fino a risplendere nel firmamento come un’ardente SUPERNOVA.

Lo avrebbero visto tutti, fino agli estremi limiti dell’universo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tredicesimo round.

Aveva ceduto l’iniziativa al messicano, almeno all’inizio. Per lasciarlo scaricare. Ma era concentratissimo. Stava solo aspettando che il suo avversario tirasse il fiato, concludesse l’assalto, prendesse una pausa. QUALUNQUE COSA. Stava solo attendendo che si aprisse un varco, anche minuscolo.

Mendoza continuava ad attaccare, sfoderando combinazioni su combinazioni. Ma era stanco, stremato, impaurito. Non era più lucido. Pensava solo a concludere il match prima possibile, adesso. Perché iniziava a non poterne davvero più. Non si curava della sua difesa. E non badava nemmeno alle sue mosse. E avrebbe finito col commettere un’errore, prima o poi. Doveva solo aspettare. Alla prima occasione utile avrebbe spezzato il suo ritmo e sarebbe passato al contrattacco, dando inizio alla riscossa. E alla fine, il campione aveva trascurato una piccola, insignificante breccia nella sua roccaforte. E lui l’aveva vista. E ne aveva approfittato al volo.

José si era sbilanciato troppo in avanti, convinto di poter dare l’affondo decisivo. A quel punto, lui non aveva fatto altro che schivare l’ennesimo, micidiale pugno a cavatappi con un leggero e millimetrico scarto della testa. Aveva fatto in tempo a sentire la parte interna del guantone sfiorargli i capelli a lato della tempia mentre gli aveva risposto con un cross di destro allo zigomo, pigliandolo d’incontro.

 

Ci siamo, gente.

Si va ad incominciare.

Guardate bene che cosa ho preparato per voi.

SOLO PER VOI.

PRENDETE E GODETEVENE TUTTI.

 

Questo era ciò che aveva pensato, in quel frangente.

Tra i due era partito un furioso ed intenso scambio di colpi, di altissimo livello. La loro intensità agonistica aveva davvero dell’incredibile, considerando che il match si stava avviando verso la conclusione. E tenendo conto di quanto sudore ed energie avevano speso in mezzo alle corde. E da quanto tempo stavano andando avanti a farlo. Lui poi, a giudicare dal boato e dal fragore che udiva tutt’intorno, pareva persino rinato. O RESUSCITATO, a seconda del punto di vista. Nonostante tutte le mazzate che aveva preso, danzava e allungava i pugni come se avesse appena messo piede sul ring.

Gli spettatori, frementi ed eccitati, li acclamavano e li osannavano. Il meraviglioso spettacolo a cui li stavano facendo assistere li stava facendo letteralmente impazzire.

Ma le sorprese non erano ancora finite.

Nel round successivo la scena era mutata ancora, diventando l’esatto opposto di quella vista in precedenza. Avevano ripreso a massacrarsi non appena avevano incrociato i loro guantoni al centro del ring. Ma questa volta era DIVERSO. Non c’era più la tecnica splendida e sopraffina che tanto aveva risaltato in precedenza.

SOLO ODIO.

ODIO, IRA E RABBIA. RABBIA CIECA.

Ormai era davvero la lotta all’ultimo sangue tra due bestie feroci rinchiuse nella medesima gabbia, che si detestavano con tutte quante le loro forze e che volevano vincere a tutti i costi.

Chiunque si trovava lì dentro seguiva lo svolgersi degli eventi col fiato sospeso. Come presumibilmente chiunque altro si trovava, in quel preciso momento, davanti ad uno schermo acceso oppure all’ascolto di una radio a tutto volume a guardare o ad udire ciò che stava accadendo.

Non si poteva fare altro. NESSUNO DI LORO AVREBBE POTUTO O VOLUTO FARE ALTRO.

Volevano soltanto capire chi, tra quei due magnifici atleti che stavano osservando o di cui sentivano narrare le formidabili gesta, avrebbe avuto la meglio, portandosi a casa gioco, premio e partita.

ED IL TITOLO, OVVIAMENTE.

Il vecchio, intanto, era stato di parola. L’aveva mantenuta in pieno. Durante le pause nel mezzo delle due riprese aveva mantenuto il più rigoroso e riservato silenzio. Si era limitato a tamponargli il sudore, sistemargli alla meno peggio le ferite ed i tagli e a fargli coraggio. Aveva aperto bocca solo per limitarsi a chiedere come andava e se l’occhio ammaccato avesse almeno ripreso a vedere un poco.

Lui, dal canto suo, non aveva espresso una sillaba. Non voleva sprecare una sola stilla delle sue forze residue. Nemmeno una in più di quanto fosse necessario. Non aveva la minima intenzione di volersi concedere un simile lusso. Tra poco ne avrebbe avuto un disperato bisogno.

Non si era nemmeno preso la briga di controllare se Yoko ci fosse ancora. Non ne aveva bisogno.

SAPEVA CHE ERA LA’, ANCORA DIETRO DI LUI. PROPRIO DOVE L’AVEVA LASCIATA.

LA SENTIVA. PERCEPIVA LA SUA PRESENZA.

Quella sensazione lo faceva stare bene. Lo faceva sentire tranquillo. Protetto. AL SICURO.

Non poteva accadere PROPRIO NULLA DI MALE, FINCHE’ C’ERA LEI AL SUO FIANCO.

Poi, proprio mentre si stava rialzando…

 

“Ehi, signor Tange! Non sembra anche a lei che in queste ultime riprese i movimenti di Yabuki siano MIGLIORATI? SEMBRA DIVENTATO PERSINO PIU’ RAPIDO!!”

“Mmmhh...sembrerebbe proprio di si.”

 

Era stato Kono a parlare. Ma quella frase all’apparenza così scontata, banale ed innocente e detta al solo scopo di volerlo momentaneamente rincuorare, aveva ottenuto l’effetto DIAMETRALMENTE OPPOSTO.

Una scossa, un brivido improvviso e lancinante gli aveva attraversato il dorso. Come se qualcuno gli avesse versato sopra per scherzo una miriade di minuscoli cubetti di ghiaccio da un apposito secchiello.

Ma non c’era nulla da ridere. PROPRIO NIENTE DA RIDERE.

Li sentiva ancora scorrere, quei cubetti. Serpeggiare lungo l’intera colonna vertebrale, dal collo fino al sedere.

Un’ondata gelida gli era passata sottopelle, fino ad affiorare livello della cute. Persino il vecchio aveva ritratto la mano, a quello strano e sgradevole contatto.

 

“Ehi, Joe!! Che...che hai? STAI SUDANDO FREDDO!!”

“Chi, io? N – niente, zio. N – NON HO PROPRIO NIENTE. E’ TUTTO A POSTO.”

 

No, che non era a posto. NULLA ERA AL PROPRIO POSTO.

O FORSE SI. PERCHE’ STAVA ACCADENDO.

STAVA ACCADENDO DI NUOVO.

Dove l’aveva già sentita, QUELLA DANNATA FRASE?

Proprio dal vecchio Danpei, ecco dove l’aveva sentita.

Subito dopo l’incontro con Rikiishi.

SUBITO DOPO LA TRAGEDIA.

Proprio come la tenue fiammella di una candela sul punto di liquefarsi completamente.

Arde più luminosa e splendente giusto l’attimo prima di spegnersi.

DI SPEGNERSI PER SEMPRE.

Forse non era affatto vero che le cose stavano fuori posto.

Anzi...OGNI COSA SI TROVAVA PROPRIO DOVE AVREBBE DOVUTO STARE.

PERCHE’ OGNI COSA STAVA PER RIPETERSI

STAVA PER RIPETERSI TUTTO QUANTO.

Ah! Al diavolo le fiamme morenti e le candele! Alla larga!!

Doveva solamente pensare a dare il tutto per tutto nel round finale.

Solo di questo si doveva preoccupare.

E DI NIENT’ALTRO.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

E finalmente Joe é ripartito alla grande!

E, nel prossimo episodio, si arriverà finalmente a quel fatidico ULTIMO ROUND.

Dove mi sono promesso e ripromesso di RISCRIVERE LA STORIA.

Beh, non proprio. Diciamo che voglio riuscire a far vedere le cose sotto un’ottica diversa.

Chissà se ci riuscirò.

Fatemi gli auguri. Ne avrò bisogno.

Piuttosto...come vi é sembrata la scena con Yoko?

Già ho iniziato con un primo sacrilegio, perché non somiglia molto all’originale.

Ma...sapete che vi dico? Che tutto sommato é meglio così.

La preferisco così, ecco la verità.

Nell’originale ho sempre trovato il suo comportamento INCOERENTE (ma non é l’unica: anche il grande Mendoza ha parecchie e fastidiose cadute di stile, nel corso della storia. Tipo QUELLO CHE HA APPENA COMBINATO. Sono spiacente, caro José, ma stavolta HAI DAVVERO ESAGERATO. Tutto quello che ti sto per far accadere TE LO SEI MERITATO IN PIENO).

Ma come? Piange e si dispera perché non vuole che IL SUO Joe muoia e poi...quando Danpei é sul punto di gettare la spugna, di fatto gli preclude ogni possibilità di arrendersi.

Certo, sono sicuro che Joe non lo avrebbe mai fatto. E, in un certo senso, Yoko ha interpretato la sua volontà di andare avanti fino in fondo.

Ma come ho fatto io...mi pare più giusto. Nel mio racconto la decisione di proseguire é frutto unicamente della scelta di Joe. Yoko vorrebbe che smettesse, e subito. Per portarlo via di lì.

Dal sangue, dal dolore, dalla morte...da TUTTO.

E io lì a pensare...CAZZO, JOE!! MOLLA TUTTO E SCAPPA VIA CON LEI! SUBITO!!

Vi giuro che stavo per scriverlo. DAVVERO.

La tentazione di voler cambiare le cose, almeno UNA MERDOSISSIMA VOLTA.

E’ stata davvero FANTASTICA.

Come dicevamo, il confronto tra loro due non era ancora terminato. E così facendo ho voluto renderle giustizia. Non ce l’ho con lei. Ritengo che sia un grandissimo personaggio.

E che a tutti debba venire concessa una seconda possibilità.

Tutti devono avere l’opportunità di potersi RISCATTARE.

Almeno in questo credo di esserci riuscito.

Aspetto in particolare il parere di innominetuo, a riguardo. Visto che a maltrattare in precedenza la povera Yoko avevo già rischiato grosso.

Volevo inoltre precisare una cosa. Ora, ritengo che qui su EFP ci siano persone mature, responsabili e di buon senso. E forse, volendo fornire una giustificazione, rischio di ottenere l’effetto opposto e di mancare di rispetto, perché qualcuno potrebbe pensare che sto sottovalutando la sua intelligenza e capacità di comprensione.

Ma l’ultima cosa che voglio é urtare la sensibiltà di qualcuno, quindi...

A che mi riferisco? ALLA PAROLA CON LA LETTERA F che compare a circa tre quarti del capitolo (credo che abbiate capito di cosa parlo).

Come dicevo prima, non voglio offendere né discriminare nessuno. E nemmeno ridicolizzare l’orientamento sessuale di un individuo, ci mancherebbe altro.

QUELLA PAROLA va interpretata all’interno del contesto in cui Joe la sta dicendo. E direi che é abbastanza in linea col suo modo di fare.

Ribadisco che non é mia intenzione mancare di rispetto a nessuno. Se così fosse...chiedo scusa.

Comunque...non dimentichiamoci che é solo un racconto!

Ancora una cosa: la citazione del grande TIGER MASK e dei suoi colleghi é voluta. Soprattutto per il fatto che il mitico IKKI KAJIWARA ha dato vita ad entrambe le serie (e ad un sacco di altre: TOMMY LA STELLA DEI GIANTS, ARRIVANO I SUPERBOYS…). Perciò, da come la vedo io...Joe e Naoto POTREBBERO BENISSIMO ESISTERE NEL MEDESIMO MONDO!!

E riguardo ad OGON BAT...quando avrete letto DOTTOR ZERO (Il mondo é mioooo!!!) avrete capito tutti chi é. Il leggendario FANTAMAN, naturalmente!!

Ringrazio intanto i sempre presenti (e gentilissimi) Devilangel476, innominetuo e kyashan_luna per le recensioni.

E, come sempre, un grazie a chiunque leggerà la storia e vorrà lasciare un parere.

Alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 10

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quindicesimo round.

L’ULTIMO. IN TUTTI I SENSI.

Del match e della sua carriera.

Ancora tre minuti per cambiare il suo destino.

Ancora tre minuti per portarsi a casa il risultato. Tramite un’ultima, disperata possibilità.

L’unica che gli era ancora rimasta per ottenere una vittoria netta, chiara ed incontestabile.

UN KO.

Limpido, chiaro e preciso.

Ma, a quanto sembrava, non doveva essere il solo ad aver pensato a quell’eventualità.

ANCHE MENDOZA DOVEVA AVERLA MESSA IN CONTO.

E SIN DALL’INIZIO, PROPRIO COME LUI.

Nonostante stava chiaramente conducendo il combattimento, e non aveva nessun motivo di mettersi a strafare.

Avrebbe potuto fare melina, limitarsi a stare sulla difensiva e mettersi a giocare AL TORELLO, indietreggiando e chiudendosi a riccio, e rimanendosene comodo comodo al riparo dell’ombra offerta gentilmente dal suo OCCHIO CIECO a parare e schivare, fino al termine della ripresa. Ma…

La verità era che non se ne faceva niente della vittoria ai punti.

NON VOLEVA VINCERE COSI’, punto e basta.

Non esiste la parola RITIRATA, NEL VOCABOLARIO DELL’IMPERATORE. Non esiste la difesa, nella sua tecnica sovrana.

Limitarsi a resistere sapendo di aver già l’esito in tasca equivale ad ammettere UN DUBBIO, riconoscere UNA FALLA.

NE DEVE RIMANERE SOLO UNO, ALLA FINE DEL MATCH. ALLA FINE DI TUTTO.

Perché anche se ottieni la vittoria a quel modo, ti rendi conto che NON VALE NULLA. Lo capisci nel momento stesso in cui alzi lo sguardo e vedi che CE N’E’ UN ALTRO, IN PIEDI. E PROPRIO DAVANTI A TE.

UN ALTRO IMPERATORE.

E AL MONDO NON C’E’ POSTO PER DUE IMPERATORI. ALTRIMENTI IL CIELO E LA TERRA FINISCONO COL DIVIDERSI IN DUE.

NE RIMARRA’ UNO SOLO.

 

 

Il campione non spartisce niente con nessuno.

VERO, JOSE’?

 

 

Al suono del gong Mendoza era partito all’attacco con una serie di colpi a cavatappi. Sinistri e destri, senza pause. E tutti diretti al volto e alle tempie. Voleva chiudere la faccenda, una volta per tutte. E voleva chiuderla IN FRETTA.

Non ne poteva davvero più. Ma é proprio quando la belva é con le spalle al muro che bisogna iniziare a temerla. PERCHE’ DIVENTA PRONTA A QUALUNQUE COSA.

L’ultimo della serie lo aveva centrato all’arcata sopraccigliare sinistra, due dita sopra l’occhio ancora buono, facendolo stramazzare a terra sul fianco opposto.

DOWN.

Forse aveva veramente l’intenzione di fracassargli anche quello, rendendolo così cieco del tutto. O magari voleva ridurlo come Rivera. Un semi – deficiente che parlava e che si muoveva al rallentatore e che viveva con la testa proiettata nel passato, al tempo antecedente al trauma, e la cui forza residua era ormai paragonabile a quella di un bambino…

Non avrebbe potuto stendere nemmeno un neonato in fasce, messo com’era.

Voleva conciarlo allo stesso modo.

VOLEVA SPEGNERGLI LE LAMPADINE E STACCARGLI DEFINITIVAMENTE LA SPINA.

Stava tentando di rimettersi in piedi, agitando convulsamente le gambe e le braccia e impuntandosi sui gomiti e sulle ginocchia. Non gli era rimasto altro che puntellarsi su quelle estremità, utilizzandole come sostegno. Visto che erano le uniche parti ancora salde e rigide di cui disponeva, grazie alla loro durezza naturale.

L’arbitro aveva dato il via alla conta.

 

 

“UNO...”

 

 

Il suo sguardo aveva incrociato quello del vecchio, che al suo angolo stava stringendo la corda di mezzo con una delle sue manone, vicino al punto in cui era agganciata al palo. La stava strizzando fin quasi a STRAPPARLA.

 

 

“...DUE...”

 

 

“STA GIU’, JOE. RESTA DOVE SEI, FIGLIOLO. NON RIALZARTI...NON TI RIALZARE, IN NOME DI DIO...”

 

 

“...TRE...”

 

 

Poi aveva guardato Yoko. Si stava coprendo la bocca con entrambe le mani, e aveva gli occhi sbarrati dal terrore. La sua espressione smarrita diceva tutto. SIN TROPPO.

 

 

“...QUATTRO...”

 

 

Basta, Joe. TI PREGO, BASTA.

ANDIAMO VIA, AMORE.

 

 

Lo volevano tutti, a quanto sembrava.

Beh...era spiacente. Era spiacente DI DOVERLI DELUDERE. DI DOVER DELUDERE LE LORO ASPETTATIVE, ANCORA UNA VOLTA.

Ed in quanto al messicano...era L’ULTIMA CHE GLI CONCEDEVA. L’ULTIMA CHE GLI AVREBBE FATTO PASSARE.

NON LO AVREBBE MAI PIU’ BUTTATO AL TAPPETO.

POTEVA STARNE CERTO.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“C’MON, ARBITRO! E’ DOWN! E’ DOWN, DANNAZIONE!! FINISCI DI CONTARE!!”

 

 

L’accorata esortazione era giunta dal manager di José. In effetti il direttore di gara era come imbambolato, e si era interrotto al QUATTRO.

Il numero che simboleggiava e richiamava LA MORTE. Guarda caso…

 

 

Un’altra volta, cazzo.

Ma si può sapere che ti sta succedendo?

PERCHE’ CAZZO CI CONTINUI A PENSARE, EH?

 

 

“EHM...SI, SI...SUBITO. MA IL FATTO...IL FATTO E CHE YABUKI STA...STA RIDENDO...”

 

 

Era proprio così. Stava ridendo a crepapelle. Stava ridendo COME UN MATTO. DI NUOVO.

Con una sola, unica differenza.

QUESTA VOLTA LO STAVA FACENDO SOTTO AGLI OCCHI DI TUTTI.

 

 

“EH, EH, EH...AH AH AH AH AH…”

 

 

Stava ridendo perché mentre si era messo seduto ed era sul punto di rialzarsi gli era venuta in mente una cosa DAVVERO BUFFA.

GIA’. PROPRIO UNA COSA BUFFISSIMA.

Si era appena reso conto che non aveva ancora reciso tutti i legami.

NE AVANZAVA ANCORA UNO.

Aveva rinunciato all’affetto del vecchio, che per lui avrebbe potuto svolgere più che degnamente il ruolo di SUO PADRE.

Aveva rinunciato all’amore di Yoko, che poteva rappresentare LA SUA DONNA. O PERSINO SUA MADRE, sempre per quella vecchia storia legata agli istinti protettivi di stampo femminile. L’aveva sostenuto qualche cazzo di PSICO – ANALISTA CRUCCO, o giù di li. Erano sempre loro gli specializzati in quella pletora di MINCHIATE STRIZZA – CERVELLO.

In quanto agli amici e ai parenti più prossimi...beh, alla gente del quartiere aveva già dato IL BACIO DI ADDIO GIA’ DA UN SACCO ED UNA SPORTA DI TEMPO.

Ma mancava ancora un elemento per completare quella sorta di BIZZARRA, DISFUNZIONALE FAMIGLIA che si era costruito attorno a sé, nel corso della sua vita. Da quando aveva transitato per quel dannato ponte.

Già. L’ALLEGRO ORFANELLO E LA SUA FAMIGLIA DEL PONTE DELLE LACRIME.

Sembrava proprio il titolo di uno di quei drammoni radiofonici da piagnisteo assicurato che tanto andavano in voga tempo fa. E anche adesso, visto che se una radio da quelle parti se la potevano permettere in ben pochi, un televisore non se lo poteva permettere UN ACCIDENTE DI NESSUNO. Fatta eccezione per la palestra e per la bottega di Noriko e i suoi.

Non aveva ancora rinunciato all’affetto DI UN FRATELLO.

O meglio, di quello che si era dimostrato IL SUO PIU’ VALIDO SOSTITUTO.

Il classico esempio di fratello maggiore presuntuoso, arrogante e prepotente ma che in fin dei conti sopporti anche se certe volte lo odi con tutte le tue forze specie quando ce la mette tutta, e di lena buona, A FARE IL BASTARDO.

Perché la verità é che, sotto sotto, GLI VUOI BENE. ANCHE SE E’ UN BASTARDO.

Perché sai com’é fatto, lo sai che E’ BASTARDO, lo sai che é così e te lo fai andare a genio, in un modo o nell’altro.

PERCHE’ E’ MILLE VOLTE MEGLIO AVERE UN FRATELLO BASTARDO E CAROGNA CHE NON AVERCELO AFFATTO. UN PO’ COME CERTI GENITORI.

E loro due, in fin dei conti, un po' fratelli LO ERANO DAVVERO.

Non di sangue. E nemmeno DI LATTE, come si dice in certi casi. E nemmeno lo erano DALL’INIZIO.

AVEVANO FINITO COL DIVENTARLO POI.

Frequentando lo stesso riformatorio, dormendo e risistemando le stesse brande, mangiando e bevendo negli stessi piatti e bicchieri e nelle stesse gavette, pulendo e pisciando nelle stesse latrine puzzolenti, coltivando la stessa terra nei medesimi campi e svolgendo gli stessi lavori.

Mmh...NO. Ripensandoci...L’ULTIMO PROPRIO NO. Visto che gli Shiraki avevano fatto in modo di fargli assegnare una mansione dove poteva starsene a zonzo in bicicletta tutto il santo giorno e sbattersi il meno possibile, in attesa di scontare il resto della pena.

Ah, si...quasi se lo scordava. Quasi gli era uscita di mente. Un vero peccato, visto che era senza alcun dubbio LA PARTE PIU’ INTERESSANTE DEL LORO RAPPORTO. E DELL’INTERA STORIA.

SI ERANO PRESI A BOTTE SULLO STESSO RING.

Se l’erano equamente diviso e si erano mischiati ben bene e a puntino la carne, il sangue e le ossa.

Creando tra loro un legame indissolubile. Come quello tra DUE AMANTI, ma più profondo.

SI ERANO SCAMBIATI UNA PROMESSA ETERNA, in quel momento.

Proprio come DUE SPOSI.

Proprio come DUE INNAMORATI.

Proprio come due FR…

Si, ecco. Per l’appunto. Sempre a pensare a pensare a queste robe DA INVERTITI.

Guarda tu che razza di scemenze gli devono venire in mente ad uno proprio un attimo prima di M…

 

 

EH NO, CAZZO!! NON E’ PROPRIO POSSIBILE!! ANCORA QUELLA FOTTUTA PAROLA!!

IO NON VOGLIO MORIRE!!

IO NON SONO QUI PER MORIRE, CAPITO?!

IO SONO QUI PER VINCERE, CAPITO?!

PER VINCERE!!

 

 

Meglio piantarla con certe cazzate e rimettersi in piedi, piuttosto.

Se l’era presa comoda e aveva riguadagnato un po' di fiato, ma ormai il conteggio era giunto al NOVE.

Tempo di rialzarsi e riprendere a combattere.

Per onorare uno stimato COLLEGA.

Colui che era stato il suo PIU’ GRAN SFIDANTE.

IL SUO PIU’ ACERRIMO RIVALE

IL SUO PEGGIOR NEMICO.

IL SUO MIGLIOR AMICO.

 

TOORU RIKIISHI.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Te...te la senti di continuare, Yabuki?”

“Vai tranquillo, AMICO. Col sottoscritto SEI IN UNA BOTTE DI FERRO. E CHI MI AMMAZZA, A ME? CHI VUOI CHE MI AMMAZZI A ME, EH?”

“Ehm...o – ok. BOXE! FIGHT!!”

 

 

Non faceva che ripensarci.

Non aveva fatto altro che ripensarci, a quel maledetto incontro.

Giorno e notte, fin dalla giornata successiva. E non solo per il semplice fatto che RIKIISHI NON C’ERA PIU’.

Almeno all’inizio pensava che fosse solo quella, la ragione. E, molto probabilmente, LO ERA ANCHE.

Era di sicuro il motivo principale. Ma, pian piano, aveva scoperto un’altra cosa.

Che NON ERA L’UNICO.

C’era UN ALTRO PERCHE’. Ma stavolta il rimorso e i sensi di colpa non c’entravano nulla. La spiegazione era molto più semplice. E TERRIBILE.

Talmente terribile che sulle prime l’aveva rifiutata. RIGETTATA IN TOTO.

Non era possibile. NON ERA DAVVERO POSSIBILE. NON SI POTEVA ARRIVARE AD ESSERE COSI’ FIGLI DI PUTTANA.

NEMMENO LUI, CHE AVEVA VISSUTO SEMPRE E SOLO PER SE’ STESSO, POTEVA ARRIVARE A TANTO. Eppure…

Eppure da quel giorno era come se la sua testa si fosse scissa in due parti nette.

Una era la parte razionale, che continuava a macerarsi coi rimpianti e a tentare di districarsi tra le variabili e le eventualità di ciò che avrebbe potuto essere e di ciò che invece non sarebbe stato mai. Una...la poteva percepire chiaramente. Era una piccola porzione situata nella parte anteriore destra del suo cervello. Quella dove si dice risiedano gli IMPULSI ANCESTRALI. I RIFLESSI PIU’ ANTICHI.

GLI ISTINTI PRIMORDIALI. COME QUELLO LEGATO ALLA SOPRAVVIVENZA E ALL’AUTOCONSERVAZIONE.

La prima era il ragazzo, il pugile...L’UOMO.

La seconda, invece...era il vagabondo ridotto a campare di espedienti. Il teppista. IL LUPO.

IL LUPO, FAMELICO E SELVATICO.

E quell’ultima aveva iniziato da subito A DISTACCARSI. A DISSOCIARSI. Da ciò che era successo e da tutto quanto il resto. E A SCOMPORRE, ANALIZZARE. Con metodo e perizia, ed in modo cinico e freddo.

Anche lei pensava e ripensava al match con Rikiishi. Ma non per capire se le cose avrebbero potuto andare diversamente. O se si sarebbe potuta evitare una simile CATASTROFE, no.

Quella parte della sua mente ragionava secondo schemi basilari ed elementari. E considerava le cose nella loro pura essenza. Togliendo qualunque implicazione filosofica a riguardo poiché le giudicava SUPERFLUE ED INUTILI. Ma solo perché NON CI ARRIVAVA, a formulare ipotesi più strutturate e complesse. TIPO L’IMPORTANZA DELLA VITA, SPECIE QUELLA ALTRUI.

E non perché fosse insensibile o ignorante. Rifletteva solo in termini UTILITARISTICI. Anche per lei la vita contava. Ma solo UNA.

QUELLA DELLL’ORGANISMO CHE SI TRASCINAVA APPRESSO, E CHE SI FOTTA CHIUNQUE ALTRO.

IO SONO IO, ‘FANCULO TUTTI.

Questo era il suo motto.

E aveva iniziato ad imbeccarlo, tirandogli qualche dritta. UNA, IN PARTICOLARE.

 

 

Rifletti, UMANO.

Pensaci bene, e vedrai che HO RAGIONE IO.

LA FINE E LA MORTE DI UNO, NEL MIO MONDO, POSSONO ESSERE LA VITA E LA SALVEZZA PER UN ALTRO.

POSSONO ESSERE LA VITA E LA SALVEZZA PER ME. E PER TE.

SE VUOI CHE IL FATTO DI AVER AMMAZZATO CON LE TUE MANI QUEL DISGRAZIATO SERVA A QUALCOSA, BEH...C’E’ SOLO UN MODO CHE CONOSCO. E TI CONVIENE DARMI RETTA.

INIZIA...INIZIA AD APPROFITTARNE, UMANO.

SI, HAI CAPITO BENE.

APPROFITTANE.

COME FACCIAMO IO E I MIEI FRATELLI DI BRANCO QUANDO NON C’E’ SELVAGGINA DA CACCIARE. E CI INFILIAMO TRA LE VOSTRE CASE, A ROVISTARE TRA I BIDONI DELL’IMMONDIZIA E A DEPREDARE POLLAI E CONIGLIERE.

APPROFITTANE. E VEDI SE PUOI RICAVARNE QUALCHE VANTAGGIO.

 

 

Era...era IMMORALE, una cosa simile.

 

 

Fuhuhuhuhh…IMMORALE.

COS’E’ MAI IMMORALE, UMANO?

COSA PUO’ MAI ESSERE IMMORALE PER ME?

COSA POTRA’ MAI ESSERE IMMORALE PER NOI?

COSA VUOI CHE SIA?

Eravate forse MORALI voi quando ci avete STERMINATO E SCACCIATO dai boschi e dalle foreste, per costruire LE VOSTRE CASE?

VI STIAMO RIPAGANDO CON LA VOSTRA STESSA MONETA, TUTTO QUI. NIENT’ALTRO.

Ci sono limiti che non andrebbero mai oltrepassati. E noi lo sappiamo bene. LO SAPPIAMO TUTTI, TRANNE VOI. PERCHE’ PENSATE SEMPRE DI ESSERE AL DI SOPRA DI TUTTO.

MONDI DIVERSI COME IL NOSTRO ED IL VOSTRO POSSONO SOLO AFFIANCARSI. PERSINO SFIORARSI, ALLE VOLTE.

MA NON DEVONO MISCHIARSI. MAI. O LE CONSEGUENZE POSSONO ESSERE TERRIBILI.

AVETE DISTRUTTO IL NOSTRO, E CI AVETE PRIVATO DI UN POSTO DOVE STARE.

MA NOI NON POTEVAMO SPARIRE. NESSUNO PUO’ SPARIRE DEL TUTTO.

E COSI’, PER CONTINUARE A VIVERE E A SOPRAVVIVERE...

CI SIAMO INFILATI IN MEZZO A VOI.

DENTRO DI VOI.

QUESTA E’ STATA LA NOSTRA VENDETTA.

DEVI SEGUIRE LA TUA NATURA. NON OPPORTI AD ESSA.

FUORI SEI UMANO, JOE.

DENTRO...SEI UN LUPO.

E ALLORA...SII UN LUPO. DIVENTALO, IN OGNI FIBRA DEL TUO CORPO.

FINO ALL’ULTIMO BRANDELLO E ALL’ULTIMA GOCCIA.

VIVI, MUOVITI, RAGIONA E COMBATTI DA LUPO.

E MUORI, DA LUPO.

 

 

Ancora con questa storia del MORIRE, cazzo…

MA PERCHE’ CONTINUAVA A PENSARCI?

Alla fine aveva deciso di assecondarlo. Non aveva scelta. Era l’unica possibilità che gli era rimasta per salvarsi e non impazzire.

Tentare di metabolizzare la tragedia affidandosi unicamente alla sua parte razionale significava PERDERSI. Significava varcare le porte DELLA FOLLIA, per intraprendere un viaggio di sola andata verso i meandri più oscuri del suo regno.

Con LUI, invece, c’era una possibilità di SALVARSI.

DI RIMANERE INTEGRI.

Di lasciare un pezzetto di sé ancora intatto, IMMACOLATO.

Perché IL LUPO, a differenza DELL’UMANO, non si sarebbe mai lasciato intaccare dal dolore. Quest’ultimo non lo avrebbe mai contaminato.

Ci viveva da una vita a braccetto con la morte ed il dolore, che razza di differenza avrebbe potuto mai fare UN LUTTO IN PIU’?

Aveva iniziato a riflettere su come aveva fatto Rikiishi a batterlo.

Certo che se l’era studiata davvero bene. Li aveva fregati alla grande.

Lui ed il vecchio non ci avevano capito nulla. Settimane di allenamenti massacranti e botte da orbi buttati al vento, visto che il risultato che avevano ottenuto e la strategia che avevano elaborato erano risultati TOTALMENTE INADEGUATI. SBAGLIATI. INUTILI.

Quello con il filippino LEO PANCHO era stato solo un colossale SPECCHIETTO PER LE ALLODOLE. E loro ci erano cascati come DUE MERLI.

Quei montanti così larghi, tirati all’aria ed in maniera quasi ossessiva, senza avere nemmeno di fronte un bersaglio...non erano così innocui come sembravano. Gli era bastato prenderne uno solo di striscio per rendersene tragicamente conto, visto che gli aveva aperto uno squarcio lungo tutta la guancia sinistra. Una larga, oscena bocca supplementare che pareva ridere di lui e della sua incapacità. Esattamente come stava facendo Rikiishi, sin dall’inizio del combattimento.

Avevano una potenza a dir poco DEVASTANTE, quegli uppercuts. Ne bastava uno per finire al tappeto. E se provava ad evitarli e ad infilarsi in mezzo a quella selva di colpi si pigliava in pieno muso un DIRETTO CORTO D’INCONTRO, tirato con tempismo perfetto. E finiva di nuovo giù.

Aveva provato a seguire i consigli del vecchio beone. No, non certo DI RITIRARSI. QUELLO MAI. Era tornato alle basi. Aveva alzato le braccia a difesa e stretto ben bene i pugni e ricominciato A FARE BOXE. Punzecchiando coi jabs, i diretti e quant’altro. Ma anche quello non era servito a nulla. Perché Rikiishi era UN PUGILE. UN PUGILE VERO. Mentre lui non lo era ancora. E a conti fatti, non lo sarebbe mai veramente stato. E mai al suo livello, comunque. Ma questo era un altro discorso…

Lui era solo UN PICCHIATORE. Un rissaiolo buono solo per i pestaggi e le zuffe da strada. E quando uno così incontra UN BOXEUR AUTENTICO, o lascia perdere o si butta allo sbaraglio sperando nella buona sorte e in una casuale ed improvvisa botta di culo.

Ma in un incontro TRA PROFESSIONISTI i colpi di fortuna NON ESISTONO. E per quanto li si invochi, NON ACCADONO MAI. Accade invece che quando ad un professionista lasci campo libero e gli fai fare ciò sa fare meglio, quello TI SURCLASSA. Specie se hai la presunzione di volerti mettere sul suo stesso piano pur NON ESSENDOLO AFFATTO.

Rikiishi era UN MAESTRO. Lui, al confronto, solo un povero demente che cercava disperatamente di imitarlo. Un primate che scimmiottava l’anello successivo della catena. LO STADIO SUPERIORE DELL’EVOLUZIONE DELLA SUA STESSA SPECIE.

Tooru VOLAVA, mentre lui STRISCIAVA.

Quel che lui a malapena cercava di mettere in pratica, quell’altro glielo ributtava in faccia eseguito DIECI, CENTO, MILLE VOLTE MEGLIO. E sempre con quel sorriso da schiaffi perennemente stampato sul volto.

E inoltre, quando meno se l’aspettava, con un rapido spostamento del busto all’indietro creava il vuoto di fronte a sé e ricominciava a scagliare quei micidiali UPPERCUTS A RASOIO. E senza alcun preavviso.

Era totalmente IMPREVIDIBILE. E lo aveva messo letteralmente con le spalle al muro.

Lo aveva INGABBIATO, ecco la verità. Poteva solo scegliere se prendersi un montante oppure continuare a schivarli fino a farsi beccare per sfinimento, farsi atterrare da un diretto corto se solo provava a reagire e a farsi sotto o farsi massacrare tentando un’improponibile scherma di braccia con lui, rimediando un sacco di botte e al contempo una figura RIDICOLA.

Qualunque cosa avesse scelto, l’esito non poteva che essere uno. E uno soltanto.

LA SCONFITTA. CERTA ED INEVITABILE.

Rikiishi aveva dato vita ad una trappola PERFETTA. UNA TRAPPOLA MORTALE. Soprattutto perché la VERA TRAPPOLA NON ERA ANCORA SCATTATA. Tutto quello a cui lo stava sottoponendo era solo UNA PREPARAZIONE. Un passaggio forzato, un condotto obbligato verso la TAGLIOLA IN CUI SAREBBE CASCATO CON LA CODA, TUTTE E QUATTRO LE ZAMPE E L’INTERA TESTA.

Altrimenti...per quale motivo, proprio mentre stava per centrarlo sulla punta del mento con un ennesimo montante e chiudere definitivamente l’incontro, SI ERA FERMATO AL SUONO DELLA CAMPANA?

Ormai era alla sua mercé. COMPLETAMENTE INERME. Anche se era contro le regole, poteva spedirlo nel mondo dei sogni e finirla lì. Stava dominando. Nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.

Ma allora...perché aveva agito così?

PERCHE’?

Per umiliarlo fino all’ultimo istante godendosi ogni attimo della sua agonia, forse?

No.

Lo aveva fatto perché ERA L’UNICO MODO PER METTERE IN CHIARO LE COSE, E UNA VOLTA PER TUTTE.

L’UNICO MODO PER CONVINCERE QUELLA GRAN TESTACCIA DI CAZZO CHE SI RITROVAVA SU CHI FOSSE IL PIU’ FORTE TRA LORO DUE.

Rikiishi sapeva benissimo che non avrebbe mai accettato una sconfitta. Non si sarebbe mai accontentato di un simile verdetto. Si sarebbe aggrappato ad ogni alibi con tutte le sue forze, e avrebbe chiesto una rivincita. E poi ancora. E ANCORA. E ANCORA.

Perché non sarebbe rimasto soddisfatto fino a che non lo avrebbe BATTUTO.

Doveva risolverla AD OGNI COSTO, con lui. E QUELLA SERA. O non se lo sarebbe MAI PIU’ LEVATO DI TORNO.

E con gente così COCCIUTA, non c’é che un unico modo.

VANNO ANNICHILITI.

LA VITTORIA CONTRO DI LORO DEVE ESSERE NETTA ED INDISCUTIBILE. E LA LORO DISFATTA TOTALE E SENZA SCUSE.

Doveva minare tutte le sue sicurezze per poi ABBATTERLE, una alla volta. Una dopo l’altra.

ATTACCARLO, COLPIRLO E DISTRUGGERLO PROPRIO DOVE SI SENTIVA PIU’ FORTE. PROPRIO DOVE NON PENSAVA DI AVERE PUNTI DEBOLI.

Tutto il suo piano che aveva elaborato...era tutto studiato IN ATTESA DI QUEL MOMENTO.

Ecco perché rideva, nonostante lo sguardo e gli occhi ormai spenti.

Perché si trovava in preda ad una sensazione A DIR POCO ESALTANTE, ecco perché.

PERCHE’, ALLA FINE, ERA ANDATO TUTTO COME SPERAVA.

Anzi...ERA ANDATO TUTTO COME AVEVA PREVISTO.

Aveva corso i suoi rischi, ma...ALLA FINE DI TUTTO, ERA RIUSCITO IN CIO’ CHE VOLEVA.

AVEVA FATTO CIO’ CHE AVEVA VOLUTO. COME AVEVA VOLUTO.

PROPRIO COME LUI.

Erano davvero UGUALI. COME FRATELLI.

Ma questo lo aveva compreso solo ora. PER LA PRIMA VOLTA.

Ecco perché rideva. ECCO PERCHE’ STAVA RIDENDO PROPRIO COME RIKIISHI.

 

 

Attaccalo dove é più forte, Joe.

E’ proprio così che ti ho sconfitto, ricordi?

Devi trasformare il suo punto di forza nel suo punto più debole.

Ti é chiaro il concetto, oppure, no?

Ti é entrato in zucca, razza di CRETINO?

 

 

Ho capito, Tooru.

Ho capito, CHE CAZZO TI CREDI?

Non sono così scemo come pensi tu.

E va bene.

Basta che la finisci di ROMPERMI I COGLIONI.

Giochiamo secondo le tue regole.

Facciamo come vuoi tu.

A MODO TUO.

 

 

Aveva fatto un paio di passi verso il campione, e poi...si era fermato. IMMOBILE.

 

 

Siamo agli sgoccioli, gente.

Tempo di sganciare UN SILURO MARRONE E FUMANTE O DI LEVARE LE CHIAPPE DALLA TAZZA DEL CESSO.

E visto che dobbiamo chiudere…

Si chiude in bellezza, ragazzi.

Joe Yabuki chiude COI FUOCHI D’ARTIFICIO.

IT’S SHOWTIME, FOLKS.

 

 

Visto come sapeva bene l’inglese?

Persino Mendoza, per la sorpresa, si era bloccato sul posto come congelato. In modo talmente scomposto e scoordinato da scivolare ed evitare solo per un pelo di finire a gambe all’insù.

 

 

“M – MA...MA QUE...QUE...”

 

 

Era allibito. LETTERALMENTE ALLIBITO.

E poi era successo tutto in un attimo. Talmente lungo e dilatato che sembrava NON FINISSE MAI.

Aveva iniziato ad abbassare lentamente le braccia, fino a portarle all’altezza dei fianchi. Per poi farle penzolare inerti vicino ad essi, distese per tutta la loro lunghezza. Come se fossero senza vita.

Ma non era affatto così. E lui lo sapeva.

E lo sapeva anche l’intero Budokan, che era ammutolito di colpo. A tutti quanti, compreso lui, doveva esser sembrato di fare un viaggio a ritroso nel tempo. Agli inizi della sua carriera.

 

 

“OH, MIO DIO!!”

 

“NON CI CREDO!!”

 

“LO FA! LO FA!!”

 

“LO STA PER FARE DAVVERO!!”

 

 

Tutti lo sapevano, lì dentro.

Ma nonostante ne erano a conoscenza, a seguito di quei commenti entusiasti si era potuto notare un rumore alquanto singolare. Come se tutti gli spettatori fossero trasaliti in blocco. Come se avessero trattenuto tutti quanti il fiato oppure lo avessero esalato in un lungo, strozzato sospiro. O magari era scappato a tutti quanti un grosso SINGHIOZZO. Non era stato in grado di identificarlo con chiarezza. Così come non era riuscito a capire se quella reazione era dovuta a sorpresa, euforia o sgomento. O TERRORE.

Non che avessero tutti i torti, a fare così. Tentare anzi, AZZARDARE una mossa simile contro il campione del mondo o meglio, contro IL PIU’ GRANDE CAMPIONE DI TUTTA QUANTA LA STORIA DEI PESI BANTAM comportava un rischio mica male. Doveva equivalere al voler FERMARE UN PROIETTILE AFFERRANDOLO CON LE SOLE MANI NUDE. O A VOLER INTERCETTARE UNA FRECCIA SCAGLIATA VERSO UN PUNTO VITALE SCOCCANDO UNA FRECCIA A PROPRIA VOLTA. TENTANDO DI FAR COZZARE LA SUA PUNTA CONTRO QUELLA DELL’ALTRA.

PURA FOLLIA, almeno all’apparenza. Ma in realtà le cose erano molto più semplici di quanto dovevano pensare. Bastava solo avere le giuste dosi di coraggio e di incoscienza.

E lui ce le aveva. Eccome se ce le aveva.

CAZZO SE LE AVEVA. NE AVEVA DA VENDERE.

Ma al di la di ciò che pensavano...tutti si trovavano d’accordo con lui su una cosa.

Tutti sapevano cosa stava per accadere.

Da dove si trovavano, i suoi arti superiori erano come una coppia di serpenti pronti a scattare al minimo segnale di minaccia, per azzannare la vittima e spargere il loro mortale veleno.

Era la sua POSIZIONE SENZA GUARDIA, la tecnica che serviva ad imbastire il suo colpo più micidiale.

Tutti lo sapevano, lì dentro.

TUTTI TRANNE JOSE’.

 

 

“AAAARRGGHHH!!”

 

 

Aveva erroneamente interpretato quell’atteggiamento da parte sua come l’ennesimo sgarbo nei suoi confronti, e che aveva commesso IL GRAVISSIMO ERRORE di lanciarsi all’attacco mulinando colpi alla cieca, dopo aver lanciato un urlo di rabbia.

Era davvero fuori di sé.

Tsk. CHE STRONZO.

CHE POVERO STRONZO.

Non aveva la minima idea della tempesta che stava per abbattersi su di lui.

Non aveva la minima idea di ciò che di lì a poco lo avrebbe raggiunto, colpendolo tra capo e collo.

Aveva evitato abilmente tutti i suoi pugni uno dopo l’altro, grazie ad un eccellente lavoro effettuato col tronco. Aveva persino avuto la tentazione di chiudere gli occhi. O meglio, L’OCCHIO. Si sentiva in grado di schivarli senza nemmeno il bisogno di doverli guardare. Non sapeva nemmeno bene lui come ci riusciva, ma...percepiva lo spostamento d’aria di ogni singolo attacco. Riusciva ad intuirne la traiettoria ancora prima che questi partissero. Era come se leggesse le sue intenzioni nell’appena udibile fremito dei muscoli giusto un istante prima di contrarsi per eseguire una mossa. Era come se interpretasse i piani e i pensieri di Mendoza attraverso i suoi occhi ed il suo sguardo. Vuoi vedere che...vuoi vedere che a furia di apprendere al volo le abilità altrui aveva finito con l’imparare pure LA SUA TECNICA DI DIFESA PERFETTA?

E VISTO CHE GIA’ C’ERA...NON POTEVA IMPARARLA UN ATTIMINO PRIMA COSI’ SI POTEVA EVITARE TUTTE QUELLE GRAN MAZZATE SUL MUSO PRESE FINO AD ADESSO, PORCA DI QUELLA GRAN TROIA IMPESTATA?!

Aveva ripreso a danzargli intorno, trascinandoselo dietro e fin dove voleva. I loro ruoli si erano completamente invertiti, ribaltati. Ora era lui a condurre la danza. Era lui a giocare col messicano, che arrancava nel disperato tentativo di mettere a segno almeno qualche colpo. ALMENO UN COLPO, IN QUALUNQUE MANIERA POSSIBILE. Senza badare al fatto che si sbilanciava troppo in avanti, senza badare a proteggersi, senza curarsi più DI UN ACCIDENTE DI NIENTE.

Proprio come lui all’inizio del match.

Si era rovesciato tutto.

SI ERA CAPOVOLTO IL MONDO INTERO, CAZZO.

ROBA DA MATTI.

Ondeggiava con il busto avanti ed indietro, a destra e a sinistra. Flessibile e sfuggente come...come…

 

 

“GUARDA, AOYAMA! GUARDA!! YABUKI STA USANDO LA TUA TECNICA DELLA GELATINA!!”

 

 

Bravo, amico. Centro perfetto. Indovinato in pieno. La tecnica difensiva di Aoyama detto MICROBO, il piccoletto che lo aveva fatto tanto dannare ai tempi del torneo di Boxe dilettantistica organizzato all’interno del riformatorio speciale Toko. Chissà se c’era anche lui, lì in mezzo a tutta quella gente che lo stava guardando. E, a ben pensarci...gli era sembrato di riconoscere la voce che aveva appena pronunciato quelle parole. Forse era stato Yoshikawa detto GUERRIGLIA, ad aprir bocca. Il biondo con la faccia bella come il culo, che ce l’aveva così tanto a morte con lui...per il semplice fatto che SI FOTTEVA DI PAURA solamente al suo passaggio, o a sentirlo nominare. Come chiunque altro dentro a quel cazzo di posto, ogni volta che lo tiravano in ballo. Era lui QUELLO CHE PESTAVA PIU’ FORTE DI TUTTI LA’ DENTRO, PUNTO E BASTA. Rikiishi a parte, ovviamente. E forse era per questo che lo avevano montato su così tanto. Tutte le speranze di vederlo finalmente pesto di botte e con la faccia in mezzo alla polvere e al fango riponevano sulle spalle di Tooru. Ci ha aveva provato anche il biondino ad aggiustare le cose con lui, forse per timore di perdere quel poco di controllo che credeva di avere tra quelle mura.

PFUI. Proprio un gran bel controllo. IL CONTROLLO DEL RE DEL CAZZO E DELLA MERDA SU UN REGNO ORMAI IN ROVINA .

E comunque, ci aveva davvero provato, in combutta coi suoi leccapiedi, a regolare i conti. E le avevano prese di santa ragione. Ci avevano riprovato, e le avevano prese ancora più forte. E così ogni volta, anche se non quella gentaglia non finiva certo lì. NON FINIVA MAI. Non imparavano mai la lezione. Perché erano come e peggio dei MULI DA SOMA. A furia di prendere bastonate sul dorso facevano il callo anche alle nerbate più dure.

O magari ad aver spalancato la fogna era stato quel tipo pelle e ossa con la faccia da beccamorto...come cazzo é che si chiamava? TESCHIO? SCHELETRO? E chi cazzo se lo ricorda?

Gran bel pezzo da novanta pure quello. Che te lo raccomando, proprio. Inconsistente ed inutile proprio come il suo nomignolo, quale che fosse dei due. PIU’ SUPERFLUO DEL TORSOLO DI UNA MELA. E, al pari di quello, buono solo da buttare in un cassonetto dell’immondizia. Uno che di suo non aveva il coraggio di tentare proprio nulla nemmeno se fiancheggiato o spalleggiato dagli altri, sempre pronti a sobillare. Buono solamente a provocare a seminare zizzania stuzzicando, provocando e bisbigliando alle spalle, per poi darsela a gambe non appena ti accorgevi che c’era lui dietro a quelle dicerie e a quelle illazioni c’era lui.

ERA VERAMENTE UN ESSERE INUTILE. TOTALMENTE INSIGNIFICANTE.

Per uno così il massimo successo a cui poter aspirare nella vita era RIUSCIRE A CAPIRE CHE BISOGNAVA APRIRE LA LAMPO E TIRAR FUORI L’UCCELLO DAI PANTALONI, PRIMA DI POTER PISCIARE SENZA INZUPPARLI.

Possibilmente senza SGRULLARSELO TROPPO, che alla terza strizzata di seguito l’operazione veniva ufficialmente bollata come PUGNETTA.

E a giudicare dalle occhiaie aveva l’aria di tirarsene parecchie, DI SEGHE. Ovunque e quantunque ne avesse l’occasione e la possibilità. Magari ogni notte che era sopra al suo lercio FUTON ed intabarrato nella sua ancor più lercia coperta talmente spessa, dura ed ispida da sembrare la pelle rugosa di un pachiderma, pensando ad una certa signorina di sua conoscenza mentre torceva e strizzava senza sosta IL COLLO AL POLLO…

BLEAH. CHE SCHIFO.

Altro che rieducazione. Altro che inserimento. Ma non pigliamoci in giro, per favore.

Vite fallite. Ragazzi perduti. Per sempre. Col destino segnato dalla nascita.

Quello di tenie senza alcun futuro né intelligenza.

Quando nasci nella spazzatura, hai solo due possibilità.

O diventi LUPO, come lui...o rimani VERME vita natural durante.

FOR EVER AND EVER.

VISTO CHE SAPEVA BENE L’INGLESE?

Chissà...magari qualcun’altro di loro ce l’aveva fatta. E magari era PROPRIO LI’, quella sera. Ad incitarlo e a sfotterlo. O tutte due le cose.

Magari erano lì TUTTI QUANTI. Sparsi tra gli spalti oppure insieme, in gruppo. Come d’abitudine. Avevano preso l’occasione per fare una RIMPATRIATA E RIVANGARE I BEI VECCHI TEMPI ANDATI. Che belli non erano PER NIENTE.

Però gli era sembrato...come dire? BELLO.

Aveva pensato che doveva essere proprio bello, se le cose stavano davvero così. Non li aveva mai sentiti così VICINI A SE’, quei PENDAGLI DA FORCA. Perché erano comunque ragazzi come LUI. Con sogni, aspirazioni e speranze sepolti sotto chili e strati della polvere della povertà, dell’ignoranza e della violenza.

E se lo teneva stretti stretti, quei pensieri. Se li accudiva e se li coccolava dentro, mentre continuava a muoversi di lato e all’indietro evitando i colpi di Mendoza. Gli davano una sensazione di CALORE E DI AFFETTO, mentre iniziava a scomporre ogni attacco e movenza del messicano, Prendendogli il tempo e le misure, con estrema calma e tranquillità.

Poi...d’un tratto, anche quei ricordi erano svaniti. Aveva trovato l’occasione propizia, il varco giusto. Si trattava solo di decidersi quando entrare.

Aveva dato inizio al conto alla rovescia mentre una nuova, singolare sensazione aveva iniziato a fare capolino.

Era davvero strano, ma...aveva l’impressione che ad ogni schivata riuscita da parte sua, e ad ogni pugno che andava a vuoto da parte del campione una briciola, una stilla della sua energia e della sua forza si staccasse da quest’ultimo per venire catturata ed assorbita dalla sua.

Stava diventando SEMPRE PIU’ POTENTE. AD OGNI SECONDO CHE PASSAVA. Non sapeva più nemmeno lui fino a che punto sarebbe potuto arrivare.

O forse era l’energia della terra che dal pavimento saliva verso il tappeto e poi ancora più su, fino ad avvolgerlo come una spirale. Una spirale che si espandeva senza alcun limite, fino ad abbracciare ogni cosa.

L’energia della terra. DELLA SUA TERRA. La stessa terra che lo aveva generato e vomitato fuori ma che lo aveva accudito e nutrito al pari degli altri suoi figli.

 

 

Lo so...lo sento...LA SENTO…

Dalla discarica…

Dal profondo della discarica…

Dal profondo della discarica più putrida e puzzolente di tutta Tokyo…

COSA STA ARRIVANDO.

 

 

Forza, José.

Più forte. Ancora più forte.

Impegnati ancora di più.

Sbrigati a sbattermi giù perché sto già per iniziare a CONTARE.

E’ come nei VECCHI FILM WESTERN, ricordi?

Io e te, uno di fronte all’altro.

E ora, estrai la pistola.

ESTRAI, FIGLIO DI PUTTANA. E vediamo chi é il più veloce tra noi due.

 

 

Dal buco del culo…

Dal buco del culo più nero e fetido di tutto quanto il Giappone…

COSA CAZZO STA ARRIVANDO, GENTE.

 

 

Sto per partire, amico.

E quando il conto alla rovescia arriverà allo ZERO, beh...SARA’ LA TUA FINE.

Ci siamo. Io vado, eh? E poi non dire che non ti avevo avvertito.

Ok, vado.

 

 

Meno tre…

 

 

Meno due…

 

 

Meno uno…

 

 

 

 

KA – BOOOMM!!

 

 

 

 

 

Allo scadere della conta il suo pugno destro era scivolato sul jab di Mendoza finendo in leva, e moltiplicando la sua potenza distruttiva a dismisura. In quanto al resto...era stato ben facile da immaginare. Così come gli effetti. E le conseguenze.

Lo aveva preso alla mascella sinistra. IN PIENO. Il suono delle nocche che impattavano lungo la superficie lucida delle pelle e da lì si propagavano fin dentro i muscoli, i nervi e le ossa fino a raggiungere il midollo aveva rimbombato per tutto il palazzetto fino ad impregnare i muri e le orecchie di chi era all’ascolto. E di chi stava osservando. Un suono denso, grezzo e pesante.

COME L’ESPLOSIONE DI UN ORDIGNO.

DI UNA BOMBA.

Il pugno per domani numero tre. Offrire una porzione della propria carne per prendersi quella dell’avversario. Rinunciare ad un pezzo di sé per avere tutto di lui.

Così aveva sempre sostenuto Danpei Tange. E lui lo aveva sempre applicato alla lettera.

UN DIRETTO D’INCONTRO INCROCIATO.

Ne aveva appena sparato uno eseguito a regola d’arte.

Il leggendario colpo assassino con cui aveva sparso il terrore e fatto strage tra tutti i pugili e gli esordienti sulla scena della boxe nipponica costringendo molti di loro, anzi LA MAGGIOR PARTE DI ESSI ad un ritiro e ad un pre – pensionamento anticipato. Dopo tanto tempo…

Il guantone di Mendoza aveva iniziato a scendere, scivolando giù dalla sua guancia. Ed il suo proprietario gli si era accasciato addosso, tentando di avvinghiarsi all’altezza dei quadricipiti per poi crollare a terra disteso.

DOWN.

Un boato era esploso, scuotendo l’intera struttura dal tetto fino alle fondamenta.

Gli spettatori non dovevano davvero credere ai loro occhi. E a quel che stavano vedendo.

Era semplicemente PAZZESCO.

Persino lui aveva avuto una strana sensazione, mentre l’arbitro era prontamente accorso e aveva dato il via al conteggio.

Lo aveva già sbattuto al tappeto altre volte, prima di questa. Ma solo ora aveva percepito una certa cosa. Solo ora l’aveva percepita con così gran chiarezza.

 

 

Sta succedendo, cazzo.

Sta succedendo davvero.

Non lo avrei mai ritenuto possibile, ma...STA ACCADENDO SUL SERIO, CAZZO.

TI STO GUARDANDO DALL’ALTO, JOSE’.

Per la prima volta dall’inizio del match TI STO GUARDANDO DALL’ALTO.

SONO IO CHE TI GUARDO DALL’ALTO, ADESSO.

 

 

Già. Era proprio pazzesco. Pazzesco e strano al tempo stesso.

Strano come l’altra sensazione che aveva iniziato a far capolino e che lo aveva colto subito dopo, senza preavviso alcuno. In quest’ultima ripresa gli sembrava di aver dato vita ad una sorta di curiosa retrospettiva. Una retrospettiva in prima persona che lo riguardava da vicino.MOLTO DA VICINO. Una retrospettiva fatta di sudore che scorre, e tendini e legamenti di braccia e gambe tirati fino allo spasimo in un movimento sequenziale e concatenato. E DI PUGNI. SOPRATTUTTO DI QUESTI.

Prima la tecnica della gelatina, poi il diretto incrociato...

Stava riscoprendo, una dopo l’altra, tutte quante le tecniche che aveva appreso ed affinato, fino a tornare al principio. Non poteva trattarsi di un puro caso.

NO, NON POTEVA PROPRIO ESSERLO.

Funziona come il nastro di una videocassetta BETAMAX o la bobina di una cinepresa. Si dice che LA FINE DELLA VITA sia più o meno la stessa cosa. Al termine del film o dello spettacolo la pellicola torna indietro riavvolgendosi su sé stessa e tu puoi assistere o meglio RI – ASSISTERE a tutte le fasi salienti, fino a che non torna all’inizio.

FINO A CHE NON TI RITIRI, LENTAMENTE MA INESORABILMENTE, VERSO IL CENTRO DEL TUO ESSERE. PER POI DISSOLVERTI.

DISSOLVERTI COMPLETAMENTE NELL’INFINITO…

Aah. Basta con queste MENATE LUGUBRI, una buona volta!

Mendoza era di nuovo in piedi. Tempo di pensare di nuovo alle cose serie.

TEMPO DI TIRAR FUORI UN’ALTRA MAGIA.

 

 

E siamo finalmente giunti al termine di questa fantastica serata, amici! Ed ora, come di consueto, inizia la rubrica finale “A GRANDE RICHIESTA”!! Una rubrica dedicata solo a voi fedelissimi che da sempre seguite le peripezie della GIOVANE SPERANZA DEL PUGILATO GIAPPONESE!! Vale a dire che tra poco, solo per voi e SOLTANTO PER VOI, il GRANDE JOE YABUKI eseguirà una delle sue tecniche speciali che tanto lo hanno reso famoso!! Una tecnica che verrà scelta proprio da UNO DEL PUBBLICO, PESCATO TOTALMENTE A CASO!! Avanti!! Fatevi avanti, Amici!! Coraggio!! non siate timidi…

 

 

“YABUKI!! FAMMI VEDERE UN BEL TRIPLO COLPO INCROCIATO!!”

 

La voce di Wolf.

Quella che aveva appena udito sembrava proprio LA VOCE DI WOLF.

 

 

Aggiudicato, signori!! Vince il signore seduto al settore F, posto DUECENTONOVANTASETTE!! EEEE….PPRRONTI CON UN TRIPLO COLPO INCROCIATO AL VOLO PER IL SIGNOR KANAGUSHI!! SERVITO!! E VAI!!

 

 

 

 

KKEEHH – RRRAAAACCCKKHH!!

 

 

 

 

 

 

 

Questa volta il suono era stato bello acuto. Acuto, limpido e scintillante.

Come il canto di un cigno. IL SUO LACERANTE, FUNEREO, STRAZIANTE ULTIMO CANTO. PRIMA DI STRAPPARSI LE CORDE VOCALI E BRUCIARSI L’UGOLA.

L’ULTIMO CANTO DELLA SUA GOLA E DI TUTTA QUANTA LA SUA VITA.

Ancora con queste fissazioni, cazzo…

Aveva di nuovo fatto passare il suo destro sopra al suo jab. Ma contro un asso della boxe del calibro di Mendoza la stessa tecnica non poteva certo funzionare per due volte di fila. Aveva già attuato la contromossa. L’unica da poter utilizzare per rendere inefficace quel colpo e ritorcerlo contro al suo esecutore. L’unica che si poteva usare se uno cercava di contrastarlo direttamente.

All’ultimo istante il messicano, tramite un secco scatto dell’avambraccio, aveva deviato il suo guantone verso l’alto ed era partito a sua volta col destro, verso la sua faccia completamente esposta e priva di qualsiasi difesa.

UN DOPPIO COLPO INCROCIATO. Eseguito a regola d’arte, per giunta.

Fortunatamente, sapeva benissimo cosa fare in casi come questo.

Il suo sinistro era partito nella medesima frazione di secondo, passando sopra al cross del campione e centrandolo dritto in bocca, in un fantastico TRIPLO DIRETTO INCROCIATO D’INCONTRO.

Da manuale. E da annali del pugilato. Da fotografare, immortalare e tramandare ai posteri.

Questa E’ ARTE, GENTE. ARTE PURA.

E per un attimo erano rimasti perfettamente immobili in quella posa statica, proprio come due modelli pronti per essere ritratti da un’artista. Van STRA – CAZZO Gogh o chi per esso. Magari il suo amico e collega francese gran frequentatore di bordelli. Come cazzo é che si chiamava? GOGAN? GOGEN? GIGEN? Mah.

Poi, non appena aveva scaricato il peso del corpo in avanti, una saetta era scesa dal cielo.

Un fulmine, che dal centro della tettoia si era schiantato sopra di lui ed aveva disperso la sua energia tutt’intorno. Senza tuono ad accompagnarlo, e completamente invisibile. Ma tutti lo avevano sentito. Lo avevano sentito gli spettatori, che erano balzati in piedi come se una scossa elettrica di qualche migliaio di volt fosse passata sotto ai loro sedili fulminandogli i sederi.

E l’aveva sentita anche Mendoza. CAZZO, SE L’AVEVA SENTITA.

Lo aveva buttato almeno mezzo metro più avanti, facendolo decollare a gambe all’insù come se un proiettile sparato da un esperto cecchino lo avesse preso in piena fronte.

Non appena era atterrato di schiena, il paradenti gli era schizzato fuori dalle labbra. INSIEME ALLE CORONE DEI DUE INCISIVI SUPERIORI CENTRALI.

Non c’era affatto da stupirsi. L’ultima volta che aveva usato questa tecnica aveva letteralmente SPACCATO LA FACCIA, a quel poveretto. Gli aveva distrutto LA MASCELLA, LA VITA E LA CARRIERA.

E se davvero era stato lui a parlare, beh...ora aveva finalmente SALDATO IL SUO DEBITO. UNA PICCOLA PARTE, ALMENO. Era pur vero che AL MALE FATTO NON C’ERA MAI RIMEDIO, ma...gli era sembrato il minimo, accontentare un suo desiderio.

Ma per Mendoza non sarebbe stato sufficiente, vero?

Non bastava mica per uno così, vogliamo scherzare?

LUI E’ FATTO DI UN’ALTRA PASTA, NON E’ FORSE COSI’?

Ma certo, che era così. Senza alcun dubbio. Ma, in caso contrario...aveva deciso di verificare di persona. DANDOGLI UNA MANO.

 

 

Avanti, José...NON MI CROLLI PER COSI’ POCO, VERO?

NON MI VORRAI CROLLARE COSI’!!

ANDIAMO AVANTI ANCORA UN ALTRO PO’, CORAGGIO...CERCA DI CAPIRE.

IL MIO MATCH E’ COMINCIATO DA SOLI TRE ROUND…

IO HO APPENA INIZIATO A SCALDARMI!!

 

 

Gli si era avvicinato e aveva preso ad inveirgli contro e ad insultarlo sotto lo sguardo impietrito dell’arbitro, che si era rialzato e aveva smesso di contare.

 

 

“IN PIEDI, MENDOZA!! NON MI HAI SENTITO?! TI HO DETTO DI RIALZARTI!!”

“YA...YABUKI! M – MA...MA SEI IMPAZZITO, PER CASO?! VA’ ALL’ANGOLO NEUTRO! SUBITO!!”

“SEI SORDO?! IN PIEDI, BRUTTO PEZZO DI MERDA!! NON HO ANCORA FINITO, CON TE!! ADESSO ME LE PAGHI TUTTE, CAPITO?! TUTTE!! STA PER TORNARTI TUTTO INDIETRO, E CON GLI INTERESSI!!”

“YABUKI, BASTA!! FILA ALL’ANGOLO NEUTRO, HO DETTO!!

 

 

Il direttore di gara aveva provato a spintonarlo via, ma lui non si era mosso di un solo passo. Anzi...voleva RAGGIUNGERE IL CAMPIONE. PER DARGLI IL RESTO. ANCHE SE ERA ANCORA A TERRA.

 

 

“ADESSO DOV’E’ LA TUA TECNICA PERFETTA, EH?! RISPONDIMI!! NON VALI UN CAZZO!! SONO IL TUO PADRONE, JOSE’!! NON VALI PIU’ UN CAZZO DI NIENTE!! SONO IL PIU’ FORTE!! SONO IO IL PIU’ FORTE!!”

“VA’ VIA, YABUKI!! VIAAAA!! O GIURO CHE TI SQUALIFICO!!”

 

 

A fronte di quella minaccia aveva deciso di seguire il consiglio. Non prima di esibirsi in un ultima sparata.

 

 

“VOGLIO GODERMELA CON TE, MI HAI CAPITO?! VOGLIO GODERMELA, FINO IN FONDO!! FINO ALL’ULTIMO MINUTO!! SEI MORTO, MENDOZA!! CAPITO?! MORTO!! TU NON ESCI INTERO DA QUA, E’ CHIARO?! MI HAI SENTITO?! NON NE USCIRAI INTERO!! METTITI L’ANIMO IN PACE!!””

 

 

Non c’era nulla da temere. Non avrebbe mai potuto veramente espellerlo. Non ora che l’incontro stava forse per volgere a suo favore. Non ora che era AD UN PASSO DAL CONQUISTARE IL TITOLO.

C’era troppo in gioco. Per la federazione e per la patria.

La sua strategia aveva funzionato alla perfezione. E aveva dato i suoi frutti. Con quella scenata da baraccone aveva fatto perdere tempo e aveva permesso al messicano di recuperare un poco. Quest’ultimo, nel frattempo, si era rimesso in piedi. Seppur a fatica, e aggrappandosi all’arbitro come un naufrago ad una boa luminosa e solitaria nel cuore della notte e nel bel mezzo di un oceano in tempesta. Non sai se ne uscirai vivo e per quanto resisterai, ma é sempre meglio che lasciarsi andare a fondo subito e annegare, immerso nel buio più totale.

Magnifico. La penitenza sarebbe proseguita. Era pronto. PIU’ CHE PRONTO. Poteva...no, VOLEVA andare avanti a torturarlo, ancora per un po'. SOLO UN ALTRO PO’. Proprio come aveva torturato lui fino a prima, senza battere ciglio.

Per ripagarlo con la stessa moneta. Per fargli capire cosa PROVA CHI STA DALL’ALTRA PARTE DEI SUOI GUANTONI..

PER FARGLI PROVARE IL BRIVIDO DELLA MORTE. PER LA PRIMA VOLTA NELLA SUA VITA.

 

 

E’ così che io ESISTO, José.

E non conosco nessun altro cazzo di modo. Né di esistere, né di spiegartelo.

E ora lascia che te lo rispieghi.

 

 

Dargli un ultimo, estremo assaggio della sua essenza più genuina ed autentica.

 

 

Che cos’é IL PUGILATO per te, José?

Uno sport? Una disciplina? UN PASSATEMPO, forse?

Oppure la tua RAGION D’ESSERE?

Per il sottoscritto é LA LAMA DI UN PUGNALE PUNTATA AL CENTRO DELLA GOLA, ECCO COS’E’.

Una lama. Una lama donata da un orco.

HO IMPARATO LA BOXE ALL’INFERNO GRAZIE AD UN VECCHIO ORCO CON UN OCCHIO SOLO DI NOME DANPEI TANGE.

 

 

Mendoza era stravolto. Dalla paura, dal dolore e dalla stanchezza. Ma poteva resistere ancora.

Ma se si rilassava erano guai. La sfida non era ancora terminata.

 

 

Vero che puoi resistere ancora? Che mi dici, José?

Ce la fai, a farmi divertire ancora per un po'?

 

 

Tra pugili non c’é bisogno di tante parole inutili. Si esprimono nella maniera che é a loro più consona e congeniale, con le armi naturali di cui dispongono.

Ma, più di ogni altra cosa, CONTANO I GESTI. E LE INTENZIONI. PIU’ DI TANTI DISCORSI.

E, quasi a voler dimostrare che le cose stavano proprio così, il campione gli si era scagliato ancora contro. Nonostante si stava reggendo in piedi a malapena.

Come lui, del resto.

 

 

Così mi piaci, José.

Non mi cedere proprio adesso.

Io e te. INSIEME, FINO AL TERMINE. OK?

 

 

Gli si era lanciato addosso a sua volta, per l’ennesima e forse ULTIMA VOLTA.

Per L’ASSALTO FINALE. Con un sorriso sulle labbra ed il cuore ricolmo di gioia per aver incrociato la sua strada con un uomo così dotato.

Non poteva scegliere avversario migliore, per ciò che lo attendeva.

Non poteva esistere COMPAGNO MIGLIORE DI LUI, PER IL LUNGO VIAGGIO CHE SI ACCINGEVANO AD INTRAPRENDERE.

E dagli con questi discorsi PORTA – JELLA, cazzo.

Avevano ripreso a colpirsi a vicenda. Sempre più forte. Sempre più veloce. Erano in preda ad una tale foga da sembrare in grado di andare avanti IN ETERNO. E forse potevano davvero farlo, giunti a quel punto. Era davvero impressionante il numero di pugni che riuscivano a scambiarsi. Non avevano più limiti. Per il semplice fatto che anche l’ultimo di essi lo avevano superato da un bel pezzo.

Sembravano due fuoriserie, due BOLIDI DI FORMULA UNO che gareggiavano testa a testa durante il gran premio che valeva l’intera stagione.

LO AVEVA RAGGIUNTO, FINALMENTE. E ora procedevano di pari passo. Perfettamente allineati.

E poi, come spesso succede in questi casi…

Proprio all’ULTIMO GIRO…

Proprio all’ULTIMA CURVA, quella che di solito precede il traguardo…

ERA SUCCESSO.

STAVA SUCCEDENDO DAVVERO. E LA COSA NON GLI ERA AFFATTO SFUGGITA.

La sua forza e la sua velocità non accennavano a diminuire. Ma Mendoza…

Era strano. Era come se di colpo fosse diventato PIU’ LENTO.

E i suoi colpi non facevano più così tanto male. I suoi genitori o meglio, LO STRONZO O LA STRONZA CHE DI VOLTA IN VOLTA NE AVEVANO FATTO INDEGNAMENTE LE VECI quando era moccioso gliene avevano date sicuramente di più forti. Ma su questo non ci avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco. Magari era diventato INSENSIBILE a furia di prenderle, tutto qui.

O forse era che…

Meglio non dirlo. Magari era la volta buona che avrebbe iniziato a crederci per davvero.

 

 

NON DIRLO, CAZZO.

 

 

Ma si, invece.

‘FANCULO.

DILLO.

La verità era che…

LO STAVA PER SUPERARE.

STAVA VINCENDO.

 

 

Sto vincendo, cazzo.

 

STO VINCENDO.

 

STO VINCENDO!!

 

 

Mendoza gli aveva sferrato un ampio swing di destro talmente telefonato e al rallentatore che avrebbe potuto scendere da lì, andare al bancone del bar del palazzetto, farsi una bella birra ghiacciata e tornare lì giusto in tempo per schivarlo. Non lo aveva fatto perché aveva più fifa di UNA CONGESTIONE IMPROVVISA che degli effetti di quell’attacco.

Era scattato in avanti con una rapida flessione del torso prima verso il basso e poi verso l’alto, con un movimento a onda. Gli era passato sotto al braccio teso e, una volta entrato nel corpo a corpo gli aveva sparato un corto montante di sinistro a distanza ravvicinata, centrandolo vicino al fegato e facendolo piegare in due. Aveva quindi sfruttato l’impatto per caricare di nuovo lo stesso pugno e doppiarlo. Il guantone gli era come rimbalzato all’indietro ed il gomito era schizzato vicino al fianco ed oltre la schiena, come una molla in torsione.

Il secondo montante era passato oltre il busto del messicano, diretto verso l’alto. Giusto un attimo prima che quest’ultimo riuscisse a chiudersi incrociando gli arti superiori e mettendoli in modo da formare una X.

Era la difesa ideale contro gli uppercut e i colpi scagliati con traiettoria ascendente. Ma bisognava essere estremamente rapidi. E LUI NON LO ERA PIU’.

NON PIU’ COME PRIMA, ALMENO.

Lo aveva centrato nella parte inferiore del mento, tra collo e mandibola, e lo aveva buttato verso l’angolo. Gli era poi andato dietro. Non doveva concedergli nulla.

NON VOLEVA CONCEDERGLI PIU’ NULLA. NEMMENO UN ATTIMO DI RESPIRO.

NIENTE DA FARE.

NOSSIGNORE.

 

 

Allora, José…

Vediamo un po' cosa posso mostrarti di bello, ora.

Che so...potrei attirati verso il bordo e tirarti un altro bel colpo incrociato, magari sfruttando la spinta delle corde...proprio come avevo fatto con Carlos, ai tempi. Almeno te ne restituisco uno anche da parte sua, già che ci sono. Oppure potrei lasciarmi scivolare verso il basso e verso l’ultima corda, rimbalzarci sopra col sedere e farti volare per aria con un altro bell’upeercut.

Decidi tu.

DECIDI TU COME VUOI CHE TI STENDA, LA PROSSIMA VOLTA.

A TE LA SCELTA, JOSE’.

 

 

Ed invece non aveva potuto mettere in pratica né uno, né l’altro. Né rimbalzi, ne altri colpi d’incontro e nemmeno spinte sulle corde. Perché contro quest’ultime, nel frattempo, c’era finito proprio Mendoza. Occorreva levarlo di lì e mettersi al suo posto, prima di mettere in pratica qualunque piano.

Gli si era avvicinato proprio con quell’intenzione. Ma non appena era entrato nel suo raggio d’azione aveva avuto una pessima sorpresa. Il campione aveva intuito il pericolo e si era inaspettatamente ripreso. Era come se delle energie misteriose lo avessero rianimato di colpo, e ora lo stava tenendo a distanza con una sequela di diretti.

E dire che fino ad un attimo prima il suo spirito sembrava proprio sul punto di abbandonare il corpo...doveva averlo costretto ad arrestare la sua ascesa verso il regno dei cieli e a rientrare con un colpo di reni.

Un tuffo carpiato per tornare nel mondo dei vivi.

In questa valle di lacrime.

Davvero pazzesco. Quell’uomo aveva davvero mille risorse. O forse era lui che si era solo distratto, perso ed inebriato dal nettare dei dolci pensieri di vittoria.

Doveva smetterla, con quella roba. Stare concentrato sui colpi e nient’altro. Altrimenti non sarebbe più riuscito a vederli.

Si era chiuso in difesa, assorbendoli col corpo e le braccia. Non erano potenti, e nemmeno precisi. Ma erano tanti. E fitti. Non riusciva a farsi sotto. Ma l’occasione si sarebbe ripresentata, prima o poi. Doveva solo attendere. ATTENDERE IL VARCO GIUSTO.

Aveva cercato il primo, possibile appiglio tra quella pioggia di pugni e, finalmente…

Finalmente un cazzo.

UN PEZZO DI CAZZO.

Era stata tutta una recita. Una farsa per attirarlo in trappola. Si era calato alla perfezione nei panni della vittima, con la maestria di un attore consumato.

Lo aveva fregato. INCULATO ALLA GRANDE.

Mendoza gli aveva fregato l’idea. Aveva preso lui lo slancio sulle corde e gli aveva sparato un destro d’incontro dritto in faccia, dopo aver eseguito un breve saltello in avanti.

Un KANGAROO PUNCH. Una delle tecniche più complesse e più spettacolari. E devastanti.

Che però non aveva sortito ALCUN EFFETTO.

Non lo aveva spostato di un millimetro. Se avesse colpito UN BLOCCO DI MARMO O DI GRANITO avrebbe ottenuto forse un risultato migliore.

Aveva sentito qualcosa di caldo e viscoso scendergli dalla narice e dall’angolo sinistro della bocca. E sapore di ferro e ruggine speziati sulle labbra, tra le gengive e sulla lingua.

Ma anche qualcos’altro. Da parte dell’orecchio.

Un suono. Un suono davvero MOLTO, MOLTO INTERESSANTE.

A cui non poté fare a meno di reagire mettendosi a RIDACCHIARE.

 

 

“UH, UH, UH...”

 

 

Un suono chiaro, limpido ed inconfondibile.

IL SUONO DELLE PRIME DUE FALANGI CHE ANDAVANO IN FRANTUMI.

IN MILLE PEZZI.

E CHE ADESSO TINTINNAVANO SOTTO L’EPIDERMIDE COME GETTONI O SASSOLINI DENTRO AD UN CALZINO.

Stavolta gliel’aveva SPEZZATA DAVVERO, UN’ALA. E non solo in senso metaforico.

Una delle sue armi era ormai inservibile.

Si era girato a guardare Mendoza, senza smettere di ridere.

 

 

“UH UH UH UH UH UH UH UH…”

 

 

Il messicano era in preda al terrore più nero. Stava tremando ed era rannicchiato contro le corde, come a voler trovare una disperata via d’uscita. Ma era un’ipotesi impossibile. COMPLETAMENTE IRREALIZZABILE.

Non aveva scampo. Non poteva andare da nessuna parte. Poteva solo sperare, PREGARE che arrivasse la campana a trarlo in salvo da quel supplizio.

La sua mano rotta oscillava verso il basso, priva di qualunque vigore.

E stava mormorando qualcosa. Ma non era una preghiera. Era piuttosto un curioso guazzabuglio di termini stranieri mescolati alla sua lingua madre.

 

 

“NO...NO...IT’S A NIGHTMARE...E – ESTO ES...ES UN...ES UN INCUBO!! TUTTO QUESTO E’ UN INCUBO!! T – TU...TU NO...T – TU NO ES REAL...TU NON...NON SEI...NON PUOI ESSERE REALE...NON PUOI ESSERE ANCORA VIVO!! T – TU ES...T – TU SEI...TU ES MUERTO!! TU SEI MORTO!! DOVRESTI ESSERE GIA’ MORTO!!”

“...”

“I – INDIETRO...INDIETRO!! S – STA LONTANO...STA LONTANO DA ME!! N – NON...NON TE AVVICINARE, MI HAI CAPITO?!”

“….”

“M – MALDITO...C – CHI SEI, TU? C – CHI SEI VERAMENTE, MALEDETTO?!”

“…..”

“EL DIABLO...SEI...SEI IL DIAVOLO, FORSE? SEI VENUTO PER PORTARMI ALL’INFERNO? O TI HA MANDATO PER...PER PORTARMI D – DA LUI? RISPONDI!!”

 

 

Aveva sentito bene?

Morto, diceva?

MORTO ?!

LUI?!

Quelle parole sconclusionate avevano avuto l’effetto di un drappo rosso agitato davanti ad un toro nel bel mezzo di un’arena.

 

 

E così io non sarei REALE, eh?

Vediamo se i prossimi CAZZOTTI che ti tiro non sono reali, RAZZA DI FOTTUTO POMPINARO.

TE LO FACCIO VEDERE IO SE SONO GIA’ MORTO, BRUTTO ROTTO IN CULO DI UN SUCCHIACAZZI.

 

 

Aveva allargato completamente le braccia verso l’esterno, portando quello destro fin oltre la nuca. Sembrava stesse brandendo una gigantesca ascia sul punto di vibrare un colpo mortale.

 

 

“SI PUO’ SAPERE CHE CAZZO FARFUGLI, EH? CHE CAZZO VAI BLATERANDO, PEZZO DI COGLIONE?!”

 

 

Lo aveva colpito in pieno volto con qualcosa che non sembrava nemmeno un diretto. E nemmeno un pugno, a dirla tutta. Era una mazzata.

UNA ROZZA, AUTENTICA MAZZATA TRIBALE.

IL COLPO D’ARTIGLIO DI UNA PANTERA.

DI UNA PANTERA NERA NATA E CRESCIUTA NEL PROFONDO DEL VENEZUELA.

 

 

“STA’ ZITTO!! CHIUDI QUELLA CAZZO DI BOCCA, CAPITO?!”

 

 

Aveva scostato il guantone e fatto scattare il gomito in avanti, centrandolo nello stesso punto.

IL COLPO PROIBITO DI CARLOS.

La testa di José si era ritorta all’indietro, mentre un altro pezzo di calcare e di avorio finiva in regalo alle prime file del pubblico.

UN PREMOLARE SUPERIORE SINISTRO, questa volta.

Una ferita gli si era aperta all’altezza dello zigomo sinistro. Era piccola ma profonda, ed aveva iniziato a buttare sangue peggio di una fontana.

Aveva saldato il conto di coscienza anche con Rivera, a quanto pareva.

Il medesimo braccio aveva quindi continuato ad infierire su quella ferita fino a farla allargare sempre di più, mentre l’altro rimasto libero era ben piantato tra il collo ed il petto del contendente per impedirgli di allontanarsi. La testa di quest’ultimo seguitava a dondolare a destra e a sinistra per effetto dei ripetuti colpi, quasi che fosse composta di gomma o di cartapesta.

E poi era partito con una serie di ganci ad angolo retto, bersagliandolo in ogni punto scoperto del suo corpo.

Il messicano era inerme. Non reagiva più. Nemmeno alle percosse.

NON REAGIVA PIU’ A NULLA.

Le sue membra sembravano essersi fatte di botto più pesanti. Si stavano rilasciando, abbandonando. Stavano cedendo alla forza di gravità.

Era davvero possibile che…

Aveva interrotto il cruento pestaggio per un solo istante, una frazione di decimo di secondo. Giusto per vedere se era vero.

E infatti.

Mendoza gli stava letteralmente FRANANDO ADDOSSO. SI STAVA DISFACENDO DI FRONTE A LUI, SOTTO AI SUOI STESSI OCCHI.

Eh, no.

Troppo facile.

Così era davvero troppo, troppo facile.

Doveva soffrire ancora. E ancora. E ANCORA.

Aveva scagliato un colpo col sinistro dal basso verso l’alto. Come se stesse sollevando una grossa zolla di terra O DI LETAME con un unico, secco COLPO DI BADILE per poi lanciarla in aria. E lo aveva rimesso in piedi e ributtato con la schiena contro le tre corde.

Aveva appena rinunciato ad un altro KO, forse QUELLO DEFINITIVO, a giudicare da come stava messo.

Ma se gli fosse finito a terra ora, si portava dietro anche tutto il divertimento. Gli avrebbe ROVINATO OGNI COSA.

Doveva tenerlo in piedi.

Doveva rimanere in piedi. E continuare a BALLARE, al ritmo dei suoi fendenti.

 

 

Balla per me, José.

Continua a danzare. E non smettere fino a che non lo decido io.

Balla, José.

Balla.

BALLA.

CHOM CHOM.

 

 

L’unica cosa utile che aveva appreso da quel fottuto bastardo psicotico d’un coreano parricida e di sicuro pure MANGIA – CANI.

La sola eredità valida che gli aveva lasciato. Ma almeno aveva sistemato le cose anche con lui.

Meglio non avere debiti né faccende in sospeso con anima viva. Specie se si sta per…

E BASTA, CAZZO.

Aoyama, Rikiishi, Wolf, Rivera, Kim...per ognuno di loro aveva un ricordo impresso. E ora li stava usando per narrare una storia. LA SUA STORIA. Gliela stava incidendo nelle carni, una tecnica dopo l’altra.

 

Proprio così, Mendoza.

Ti sto raccontando una storia. LA MIA STORIA.

La storia di un ragazzo che neanche doveva esser nato,

e che all’inizio nemmeno tanto era piaciuto.

Ma che ha sempre fatto quel che aveva voluto,

e guarda un po' fin dove cazzo é arrivato.

Un ragazzo che la boxe ha conquistato,

ma che mai fino in fondo ai suoi voleri ha veramente piegato.

 

 

Gustatela tutta, mi raccomando.

GUSTATELA TUTTA, FINO IN FONDO.

 

 

‘Azzo. Hai visto che gli si era risvegliata pure la vena di POESIA ERMETICA?

Era davvero il giorno DEI MIRACOLI, quello.

Mancava solo HARIMAO, a completare l’appello. Ma per saltare sulle corde elastiche come faceva lui, o per eseguire uno dei suoi PUGNI IN ROVESCIATA senza fracassarsi il cranio occorreva una certa dose di predisposizione naturale. Ed aver vissuto come un selvaggio in mezzo ai selvaggi cacciando tigri ed altre bestie feroci aveva avuto certamente il suo peso. Meglio limitarsi a fare ciò che si é capaci di fare, và.

Poi, all’improvviso, dei passi alle sue spalle.

 

 

“STOP, YABUKI! E’ D...”

 

 

Aveva già capito di chi si trattava ancor prima che avesse aperto bocca. E si era slanciato all’indietro colpendolo con una spallata prima per metterlo fuori combattimento prima che avesse potuto concludere la frase. Infine si era girato per scoprire se aveva avuto ragione.

Indovinato in pieno. Era proprio l’arbitro, che adesso giaceva nei pressi dell’angolo alla loro destra leggermente intontito.

Si era quindi voltato verso Mendoza, di nuovo. E aveva notato una cosa.

Un liquido dal vago color paglierino gli stava colando dai pantaloncini lungo le cosce, dopo averli inzuppati per benino.

E poi quell’odore che lo accompagnava.

Quel puzzo inconfondibile.

PUZZO DI PISCIO.

GLI AVEVA CEDUTO LA VESCICA.

C’era da augurarsi almeno che avesse preso la consueta dose di SALI GLAUBER poco prima del match altrimenti, di quel passo, avrebbe corso pure il rischio di CACARSI ADDOSSO, e non sarebbe stato un gran bel vedere.

Chi se ne frega. Non voleva smettere. NON RIUSCIVA PIU’ A SMETTERE DI INFIERIRGLI CONTRO. Non voleva il KO al suolo. E nemmeno quello in piedi. Non bastavano ad accontentarlo, giunti a quel punto. Avrebbe smesso solo quando GLI AVREBBE STACCATO DI NETTO LA TESTA DAL COLLO PER FARLA ROTOLARE IN MEZZO AGLI SPALTI, come minimo.

Magari aveva detto quelle parole perché era in pieno delirio, o per scaricarsi un peso dalla coscienza. E doveva avercene molti, ma…

Ma forse José aveva avuto ragione.

Aveva avuto ragione a dargli del DIAVOLO.

Forse era davvero IL DIAVOLO. E lo stava scaraventando all’inferno. Un pezzo alla volta. Brandello dopo brandello.

Ma, d’altra parte…

 

Forse é davvero come dici tu.

Beh...sai che ti dico?

NESSUN RANCORE, AMICO.

In fin dei conti, fino a poco fa...VOLEVI FARMI LA STESSA COSA, NO?

Quindi...non ti dispiacerà certo se ora voglio RENDERTI LA PARIGLIA.

NON VOLERMENE, CAMPIONE.

E AFFRONTA LA COSA DA UOMO, PROPRIO COME HO FATTO IO.

PREPARATI A MORIRE, COME ME.

 

 

Questo era quanto. A parte la solita menata sullo schiattare.

Sarebbe andato fino in fondo, senza ripensamenti. A meno che…

A MENO CHE.

Il MANGIATORTILLAS aveva biascicato qualcosa. Qualcosa di confuso, ma sufficientemente chiaro e comprensibile da coprire un altro rumore in sottofondo di non ben precisata natura.

 

 

“MAS...NO MAS...BASTA...BASTA...MI ARRENDO...POR PIETA’...MI ARRENDO...”

 

 

FERMI TUTTI, GENTE.

FERMI TUTTI. CHE NESSUNO MUOVA UN DANNATO MUSCOLO!!

Che cosa aveva detto?!

CHE...CHE COSA CAZZO AVEVA APPENA DETTO?!

Si...si era arreso?!

SI ERA ARRESO?!

Ma questo voleva dire che…

 

 

Ho vinto, cazzo.

HO VINTO!

HO VINTO!

HO VINTO!!

 

 

“BASTA, JOE!! E’ FINITA, HAI CAPITO?! E’ FINITA, FINALMENTE!! BASTA COSI’!!”

 

 

La voce del vecchio. Lo aveva afferrato per il braccio sinistro, tirandolo via da lì.

 

 

“NISHI, ACCIDENTI A TE!! VUOI DARMI UNA MANO, DANNAZIONE?!”

“O...OK.”

 

Un’altra sensazione di presa d’acciaio, questa volta sul versante opposto. Il buon Kanichi aveva eseguito l’ordine seduta stante, docile come un agnellino nonostante la mole da orso. O meglio, DA MAMMUTH.

Ecco cos’era stato quel suono. Era il gong che annunciava la fine del round. E DELL’INCONTRO. Al suo suono i secondi si erano precipitati sul ring per ricondurre i loro pugili ai rispettivi angoli, vista la parziale indisponibilità del giudice di gara. E visto che i due contendenti la campanella non l’avevano nemmeno udita. Specie lui, che non aveva avuto alcuna intenzione di volerla piantare lì.

STOP. FINISH. EINDE. FIN. FINIS. GAME OVER. Non riamneva altro da fare che tornarsene buoni buoni al proprio sgabello ed affidare la questione ai cartellini dei giudici.

In ogni caso, a lui non gliene avrebbe più importato UN FICO SECCO. Aveva già ottenuto il responso che voleva. L’unico, che gli interessava davvero.

AVEVA COSTRETTO MENDOZA ALLA RESA.

AVEVA VINTO.

Aveva fatto appena in tempo, e poco prima che sopraggiungesse il termine delle ostilità. Ed ora non rimaneva il tempo per fare nient’altro, purtroppo.

O forse no. NON ANCORA.

Forse c’era ancora qualcosa che avrebbe potuto ancora fare. Una piccola aggiunta giusto per soddisfazione personale.

Non poteva imitare lo stile di combattimento del malese. Troppo personale. Ma una tecnica poteva di sicuro usarla. Quella con cui aveva steso quel cazzo di TROGLODITA.

Con un improvviso strattone si era liberato dalla morsa dei suoi due assistenti, e poi aveva spiccato un deciso balzo in avanti e verso l’alto, con il destro bello carico ed in rampa di lancio.

Gli era parso quasi di volare sopra alle teste dei componenti del team messicano, e sopra i loro volti e sguardi esterrefatti…

 

 

“YYYAAARRGGHHH!! MUORI, PER DIO!! MUORIIIHHHHH!!”

 

 

Un ultimo colpo. Un ultimo, devastante colpo in piena faccia a Mendoza che era ancora in piedi, nonostante le uniche cose che ancora lo mantenevano in quella precaria posizione erano le braccia annodate attorno alla prima corda, all’altezza dell’interno dei gomiti.

Il corpo del messicano si era inarcato violentemente all’indietro,come a schizzare fuori dal ring. Poi, come un pendolo, una volta giunto alla massima escursione possibile aveva oscillato nella direzione contraria per poi schiantarsi di botto sul quadrato carponi e col culo per aria. Sembrava un neonato che se la stava ronfando della grossa. O un invertito Che offriva docilmente le terga pronto a prenderlo in quel posto.

Gli era venuto da ridere, a vedere IL RE DEI RE ridotto in un tale stato.

Forse aveva ragione quello psicologo della stazione di polizia. Aveva davvero UN DESERTO al posto del cuore, dopotutto. Un deserto arido ed assetato dove non poteva crescere nemmeno un misero stelo d’erba.

MORTE ED INVERTITITI.

Negli ultimi minuti per qualche strana ed ignota ragione non gli riusciva di pensare ad altro. Chissà perché. Era arrivato persino a cercare di comprendere se ci fosse qualche assurdo nesso tra le due cose.

Proprio dei bei pensieri DEL CAZZO che ti vengono, giusto un attimo prima di CREP…

Niente, eh? Proprio UN DANNATO CHIODO FISSO, quella sera.

Il manager di Mendoza lo aveva spinto all’indietro intimandogli di levarsi di torno, mentre il resto del gruppetto aveva fato quadrato attorno al campione ancora a terra.

Il pubblico non aveva gradito per nulla quel gesto, e aveva reagito di nuovo con rabbia.

Il lancio di oggetti e vettovaglie all’indirizzo del ring era ricominciato.

Lui intanto, giusto un istante prima di cadere era finito di nuovo tra le braccia dei suoi due secondi che ora lo tenevano ben stretto impedendogli qualsiasi mossa. E ne avevano ben ragione: era proprio DA COGLIONI rovinare tutto proprio adesso con una ssurdo colpo di testa. Proprio adesso che le cose sembravano mettersi così bene…

 

 

“LASCIAMI, VECCHIO! E ANCHE TU, NISHI! VI HO DETTO DI LASCIARMI!!”

 

 

Era arrivato anche l’arbitro, che nel frattempo si era completamente ristabilito, ed aveva iniziato a cercare di ricondurre tutti quanti alla calma, sia atleti che spettatori, invitandoli a smetterla con un atteggiamento così sconsiderato e non degno di una simile occasione, coadiuvato dall’imperiosa voce dello speaker che dall’altoparlante ordinava di rimettersi a sedere.

Ed era allora che lo aveva sentito.

Un altro sono aveva iniziato, lentamente e quasi con pudore, a sostituirsi a fischi e alle urla. Un suono flebile ma che aveva iniziato a prendere sempre più forza, col passare dei minuti. Un suono che proveniva da un minuscolo punticino del palazzetto, ma che lui aveva saputo ben riconoscere. Perché era lì che si trovava la sua gente.

UN APPLAUSO.

 

 

“LI SENTI, JOE?! SONO I NOSTRI!! CI STANNO RINGRAZIANDO!! SI STANNO CONGRATULANDO CON NOI!! SI STANNO CONGRATULANDO CON TE, RAZZA DI TESTONE!!”

 

 

Il vecchio aveva la voce rotta dal pianto. Ora sapeva cosa doveva fare.

 

 

“TI HO DETTO DI LASCIARMI, VECCHIO!! NON MI HAI SENTITO?! SEI SORDO, PER CASO?! LASCIAMI!!”

 

 

Con un ultima combinazione di spinte e strattoni era riuscito di nuovo a divincolarsi e a sganciarsi. Non amava le catene. Non le aveva mai amate, di alcun genere, e ci teneva a ribadirlo. SEMPRE. Poi si era piegato leggermente in avanti e, dopo aver preso una consistente dose d’aria mediante due profondi respiri…

 

 

“AAAARRRRRGGGGGHHHHH!!”

 

 

Un urlo selvaggio, primordiale. Un urlo alzato contro il cielo al di là del soffitto. Un urlo che non aveva nulla. Né di CIVILE, né di UMANO.

Era il grido di vittoria di un guerriero scampato ad una sanguinosa battaglia campale ed intento a brindare alla vita con il sangue caldo degli avversari uccisi. Oppure…l’ululato famelico e soddisfatto di un GROSSO E NERO LUPO con entrambe le zampe davanti poggiate sulla carcassa della preda appena catturata ed uccisa, che ringraziava sorella luna per avergli concesso di scorgere una preda così grassa e succulenta con cui riempire la sua pancia perennemente vuota.

Dopo quel grido si era sentito come svuotato. Ma non era affatto una brutta sensazione. Anzi...l’aveva trovata persino BENEFICA. Come se avesse sputato fuori dalla bocca un nefasto e potentissimo VELENO, mentre aveva emesso il suo RUGGITO.

L’ULTIMO, molto probabilmente. Sia NELLA BOXE che NELLA VITA.

Le membra gli si era come rilasciate, tutte in colpo. Le spalle abbassate, il ventre molle. E non era sgradevole come aveva sempre pensato. Aveva percepito quasi una specie di CALORE irradiarsi da essi. Unito ad un leggero AUMENTO DI PESO. Il calore ed il peso del sangue che scorreva fluido.

IL SUO CALORE. IL CALORE DI LUI CHE VIVEVA. CHE ERA ANCORA VIVO.

MALCONCIO. SCASSATO. MA ANCORA VIVO.

Si sentiva calmo, ora. Tranquillo. Di una calma e di una tranquillità persino INNATURALI, per uno come lui. Ma solo perché non era abituato a simili percezioni. Aveva sempre vissuto COL VOLUME AL MASSIMO, con i nervi ed i muscoli sempre tirati e tesi fino allo spasimo, e non era avvezzo alle FREQUENZE PIU’ BASSE, tutto qui. Avrebbe dovuto abituarcisi, da ora in poi. A RALLENTARE. Ma avrebbe avuto tutto il tempo. Ma adesso…

 

A tuo modo sei diventato un IDOLO per loro, ragazzo.

Fà qualcosa per mostrare la tua gratitudine.

 

 

Aveva alzato la mano destra in segno di saluto. Dapprima con fare incerto ed esitante poi sempre più convinto, man mano che il battimani aumentava. Quando il braccio raggiunse la massima estensione consentita l’ovazione esplose incontrollabile, e l’intero palazzetto era sembrato crollare per su sé stesso per gli applausi.

Si stavano congratulando con lui per aver resistito ben quindici assalti contro il detentore del titolo, ovviamente. Ma non solo. Si stavano complimentando anche con Mendoza. Stavano glorificando entrambi per lo splendido spettacolo che gli avevano offerto, nonostante quel gran finale estremamente violento e al di fuori di qualunque regolamento sportivo. E comunque...era stato il messicano a cominciare, e lui gli aveva soltanto reso quanto dovuto. Non un’oncia di più.

In ogni caso…tutto quanto era valso il prezzo del COSTOSO biglietto.

Non si poteva chiedere proprio di più. E nemmeno di meglio, per uno che fatica a tirare la ine del mese o che si era letteralmente LEVATO IL PANE DI BOCCA per poter essere lì, mentre si scriveva la storia del pugilato.

Tutto era tornato alla normalità, intanto. Ed in men che non si dica i componenti dei due entourages avevano smesso di fare da scudi umani ed avevano iniziato a prendersi cura dei due SUPERSTITI, e a prestar loro le prime cure.

Si, avete capito benissimo. SUPERSTITI. Perché quello erano, in un certo senso.

Sembravano veramente due REDUCI, due SOPRAVVISSUTI a qualche sanguinosissimo ASSEDIO DI FRONTIERA, intenti a vagare tra i corpi falciati, smembrati e dilaniati dalle granate, dalle mitragliatrici e dai bombardamenti a tappeto alla ricerca di un nemico ormai in rotta e fuggito e di eventuali commilitoni scampati come loro. Immersi nelle interiora, nei liquami organici, nei pezzi umani e nel sangue che, mischiato col fango, diventava una spessa poltiglia rossastra che gli arrivava alle ginocchia e gli artigliava gola e stomaco col suo tanfo di marcio e di morte, facendogli chiedere perché non erano morti anche loro, e perché l’avevano scampato solo per dovere essere costretti ad assistere a quell’orrore indicibile, a quella VISIONE D’INFERNO.

Ciò valeva soprattutto per Mendoza, in quel momento. Si era voltato a guardarlo mentre i suoi lo stavano tenendo a braccia subito dopo averlo rimesso in posizione eretta, e mentre lo zietto Danpei e Nishi gli stavano avvolgendo l’accappatoio attorno alla schiena.

Era una visione veramente sconfortante. Sembrava invecchiato di almeno dieci, no...VENT’ANNI in un colpo solo. I suoi capelli erano BIANCHI, INCANUTITI. E pareva averne persino PERSI. Si poteva persino avere l’impressione di vederne ancora SCENDERE A CIOCCHE.

Il suo sguardo era basso, perso nel vuoto. I suoi occhi, spenti. Due orbite vuote prive di qualsiasi scintilla.

Filamenti di bava rossastra gli stavano colando dalla sua cavità orale ormai sdentata. E stava boccheggiando, muovendo le labbra molto lentamente ma a ritmo convulso e scomposto. Faceva delle lunghe esalazioni, buttando fuori più aria di quanta ne inspirasse. Dava proprio l’impressione di stare TIRANDO GLI ULTIMI. Come quei pesci appena pescati e sbattuti sul pontile di legno che può costeggiare un lago, un fiume o il mare, con le branchie segnate e tagliate dal fil di ferro delle reti e dei retini e la vescica natatoria esplosa a causa del tremendo e repentino sbalzo di pressione.

Gli aveva fatto davvero vedere LA MORTE IN FACCIA. E doveva essere veramente USCITO DI SENNO. Sul serio. Del resto…

Del resto L’INFERNO LO SI PUO’ ATTRAVERSARE ANCHE SULLA TERRA, DA VIVI. E la mente, per non impazzire del tutto, FINISCE CON L’ANNULLARSI. Si SPAZZA VIA DA SOLA, PER NON ESSER SPAZZATA VIA. E a chi subisce questa sorte non rimane altro che trascorrere il resto dei propri giorni contando su quel poco che ne rimane.

UNA MORTE COSCIENTE, ecco cos’é. SI MUORE MENTRE SI E’ ANCORA IN VITA. Un destino identico a quello della morte stessa. SE NON ADDIRITTURA PEGGIORE.

Come accidenti si può fare ad andare avanti se CI SI PERDE? SE SI PERDE SE’ STESSI?

Se la sorte dev’essere quella, allora...meglio tagliarla corta e MORIRE PR…

E dagli.

Eppure, nonostante quelle considerazioni, si era accorto di non provare la benché minima PIETA’ o COMPASSIONE di sorta per quel tizio. E nemmeno per le sue condizioni. Ormai, dopo una simile esperienza, era andato OLTRE quelle cose. Tutto ciò che stava provando era solo...solamente una sorta di GELIDO, CINICO E DISTACCATO FATALISMO.

 

 

Mi rincresce, campione. Scusa se te lo dico, ma...mi sa tanto che qui, se c’é qualcuno ad aver commesso l’errore di prender sottogamba qualcun’altro, beh...quel qualcuno SEI STATO TU.

Mi sa che mi hai sottovalutato, José. E DI PARECCHIO, anche.

Avevo cercato di metterti in guardia. Io ero disposto a farmi UCCIDERE, pur di non finire al tappeto.

A MORIRE, PUR DI NON MORIRE.

MORIRE PUR DI NON MORIRE...ma senti un po' con che cazzo di discorsi me ne salto fuori.

E comunque, se anche tu non eri disposto a fare altrettanto...FACEVI MEGLIO A NON SALIRCI QUI CON ME, STASERA.

TE LA SEI CERCATA, MENDOZA.

TE LA SEI PROPRIO CERCATA.

TANTO PEGGIO PER TE.

 

 

Aveva avuto il vago sentore che i suoi guantoni non sarebbero stati gli unici a finire appesi ad un chiodo e ad un bel muro, al termine di quella notte.

Ormai per quello si prospettava un futuro come LUNGODEGENTE IN UNA BELLA CLINICA PSICHIATRICA.

SEMPRE SE RIUSCIVA A VENIR FUORI VIVO DA QUI. E vedendolo, non c’era da giurarci troppo. E neanche da scommetterci.

Ma ormai la cosa non lo riguardava più. E a proposito di cose che ormai non lo riguardavano più…

 

 

“E’ FINITO, FINALMENTE. E’...E’ TUTTO QUANTO FINITO...”

“CHE...CHE COSA DICI, JOE?!”

“STO DICENDO CHE E’ TUTTO FINITO, ZIO. ALLA FINE...ALLA FINE HO BRUCIATO TUTTO QUANTO, FINO IN FONDO...”

“JOE...”

“SI...TUTTO QUANTO. E, ALLA FINE...NON E’ RIMASTA CHE CENERE. CENERE BIANCA...NON E’ RIMASTA CHE DELLA CENERE BIANCA...”

 

 

Si era girato di scatto su sé stesso, e si era diretto verso il suo angolo. Senza degnare più nessuno di uno sguardo. Nemmeno ciò che era rimasto del suo sfidante.

 

 

“JOE...JOE!! MA DOVE STAI ANDANDO?!”

“SONO STANCO, ZIO. HO VOGLIA DI SEDERMI.”

“MA JOE...”

“HO DETTO CHE SONO STANCO! BASTA!! VOGLIO SEDERMI, CAPITO?!

 

 

Si era allontanato un passo dopo l’altro. Tallonato a ruota dal vecchio zietto che a momenti era sul punto di iniziare a prostrasi e a genuflettersi davanti a tutti i presenti, sciorinando scuse e giustificazioni a più non posso.

 

 

“SCUSATE...SCUSATE, VI...VI CHIEDONO PERDONO DA PARTE SUA PER IL SUO...PER IL SUO COMPORTAMENTO...ANCHE A LEI, SIGNOR ARBITRO...SA COM’E’...ALLE VOLTE, L’ADRENALINA GIOCA DEI BRUTTI SCHERZI...”

 

 

Aveva raggiunto lo sgabello e ci si era stravaccato sopra, con le braccia ben stese lungo le corde centrali ed il dorso poggiato contro la copertura di plastica che foderava il sostegno centrale. Proprio nel punto dove le due corde si univano, da sotto.

Aveva quindi sistemato contro anche la nuca e si era completamente adagiato anche con il busto, mettendosi bello comodo. Ma mancava ancora qualcosa…

Ah, già. I GUANTONI.

 

 

“EHI...EHI, NISHI.”

“EH?!”

“I GUANTONI...SFILAMELI, PER FAVORE. TANTO NON MI SERVONO PIU’.”

 

 

Il bestione, a quel richiamo, si era subito voltato ed avvicinato. E subito aveva obbedito. Aveva preso un bel paio di lunghe forbici e, dopo aver tagliato i legacci, glieli aveva estratti entrambi ed in simultanea con uno strattone secco e deciso.

 

 

“ECCO...ECCO FATTO, JOE.”

“GRAZIE. E ORA DAMMELI.”

 

 

Aveva guardato dietro alle proprie spalle e l’aveva vista.

ERA ANCORA LA’.

BELLISSIMA.

I suoi occhi si erano posati su quelli di lei, ancora in lacrime.

L’aveva chiamata, anche se non ce n’era il bisogno.

Ma voleva sentirla, prima di ogni altra cosa.

VOLEVA SENTIRE LA SUA VOCE, AD OGNI COSTO.

 

 

“EHI, YOKO...CI SEI ANCORA?”

“S – SONO...SONO QUI, JOE...”

“TIENILI.”

“C – COME?”

“HAI SENTITO. TIENILI. VOGLIO CHE LI TENGA TU.”

“S – SI...”

 

 

Aveva teso la coppia di guantoni verso di lei. Le stava offrendo le sue ARMI. Ammaccate nelle zone in cui erano andate a segno e nei punti in cui avevano intercettato i colpi nemici. Nonché sporche ed incrostate di sangue, saliva e sudore ormai rappresi. Sia suoi che di Mendoza.

Yoko, dopo un breve attimo di titubanza, li aveva afferrati senza più la minima ombra di esitazione e se li era portati al proprio petto come il più prezioso dei tesori, macchiando la sua camicetta di seta pura ed immacolata.

Rosso su bianco. Come il lenzuolo testimone di una deflorazione appena avvenuta esposto alla pubblica piazza, per l’orgoglio virile e per la solerte fedeltà dei due artefici.

Non aveva potuto fare a meno di vederci qualcosa di profondamente simbolico, in tutto ciò.

 

 

Prendili.

Te li dono INSIEME ALLA MIA ANIMA E A TUTTO IL MIO AMORE.

IL MIO RICORDO VIVRA’ PER SEMPRE CON TE.

 

 

Oh, cazzo. Ancora con questi pensieri. E stavolta la stava pure buttando sullo SDOLCINATO, per giunta.

Ma perché continuava ad andare avanti con questa SOLFA, accidenti a lui?

Che se andasse al diavolo la morte! A lui interessava LA VITA! LA VITA, CAPITO?!

Voleva VIVERE. E adesso aveva davanti TUTTA QUANTA LA SUA VITA INTERA, per poterlo fare.

Aveva alzato lo sguardo in alto, verso i riflettori. Quella luce lo stava accecando e friggendo al tempo stesso, ora che stava fermo ed immobile. Chissà in quale dei due intenti sarebbe riuscita per prima. Però...per pur fastidiose che erano, in quel momenti le trovava così calde ed invitanti…

Irresistibili. Davvero irresistibili.

Gli era sembrato di alzarsi, di fluttuare in volo verso esse. Forse era proprio cosi ciò di cui aveva letto sin da bambino. Per quel poco che gli era riuscito di leggere.

IL FULGORE DEL PARADISO...FORSE ERA DAVVERO COSI’.

Forse era davvero sul punto di rendere l’anim…

Eh, no. No, no. Niente da fare. Non scherziamo, belli. La sua anima poteva rimanersene tranquilla dentro al suo corpo. Stava bene lì dov’era. Aveva da usarla ancora per tutta una vita intera. Una vita intera da farle trascorrere, in sua compagnia.

Si riteneva PIU’ CHE SODDISFATTO. Ed aveva tutti i motivi per esserlo. Aveva fatto tutto ciò che voleva. Aveva dato fondo a tutte quante le sue risorse, bruciandole in un’unica, intensa, ardente fiammata, fino a lasciare LE BIANCHE CENERI. Proprio come desiderava. Non aveva più rimpianti.

Era talmente contento che non gliene fregava più nulla, nemmeno di stare a sentire l’esito emesso dai commissari. L’unico esito che davvero contava lo aveva ricevuto direttamente PER BOCCA STESSA DI MENDOZA.

AVEVA RICONOSCIUTO LA SCONFITTA. LO AVEVA DISTRUTTO, PIEGATO. NEL CORPO, NELLA MENTE E NELLO SPIRITO.

AVEVANO LOTTATO PER LA SUPREMAZIA. SENZA RISERVE E SENZA RISPARMIARSI. E, ALLA FINE...

LO AVEVA DETRONIZZATO.

IL GIOVANE LEONE AVEVA SCALZATO QUELLO PIU’ ANZIANO DALLA RUPE DEI SOVRANI.

E’ MORTO IL VECCHIO RE, VIVA IL NUOVO RE. E ONORE E GLORIA AL SUO NUOVO REGNO.

Lo sapevano solo lui e José, e tanto gli bastava.

Non avrebbe combattuto MAI PIU’. Aveva definitivamente chiuso quella pagina del suo GRANDE LIBRO. Ed era pronto per aprirne un’altra. O meglio, a riaprire quelle che non si era mai degnato di guardare e sfogliare perché le aveva sempre giudicate TROPPO PALLOSE. Noiose, scontate e prevedibili.

Erano solo pagine di esistenza NORMALE E QUOTIDIANA, tutto qui. Ma che adesso riusciva a scorgere sotto una luce ed una freschezza tutte nuove.

Era libero di aprirne quante e qualunque ne desiderava. Libero di fare qualunque cosa voleva. Non aveva né sentiva più alcun LIMITE.

Avrebbe trovato qualcos’altro di cui occuparsi. Magari si sarebbe trovato UN LAVORO. Non gli faceva più così senso quella parola, adesso. Magari avrebbe chiesto aiuto a Yoko. O magari glielo avrebbe offerto lei, senza nemmeno bisogno di chiedere. Un posto da impiegato...no, meglio da FATTORINO. Non era nemmeno laureato o diplomato e sapeva a malapena leggere e scrivere. Almeno avrebbe potuto farsi dei bei giri per Tokyo e dintorni. Ma solo a piedi o in bici però, visto che non aveva manco la patente.

Avrebbe accettato il suo aiuto, questa volta. Di cuore. E anche la sua amicizia. Così l’avrebbero piantata di fare come cane e gatto, una buona volta. E magari avrebbe accettato anche di più.

Inutile girarci attorno: un uomo non é fatto per stare da solo. Glielo aveva sempre detto e ripetuto il vecchio pugilomane, quando lo aveva esortato a più riprese ad accettare gli inviti di Noriko.

Già, Noriko...sembrava davvero che CE NE FOSSE, tra loro due. Almeno all’inizio.

Ma no. Lei no. L’aveva sempre vista come una specie di sorellina appena più grande di Sachi. Buona per parlare, confidarsi e chiacchierare del più e del meno e farsi qualche scherzo o qualche battuta maliziosa. Non riusciva proprio a vederla come donna. Figurarsi a BACIARLA o ad immaginarla NUDA, sdraiata al suo fianco ed avvinghiata lui a notte fonda, a sussurrarsi dolci paroline e tenere promesse dopo aver fatto ALL’AMORE…

No, no. Per una come lei Nishi andava più che bene. GARANTITO.

Yoko, invece, la vedeva più sulla sua stessa lunghezza d’onda. Perché a lui non serviva una sorella ma UNA DOMINATRICE. Che però avrebbe dovuto accettare di NON POTERLO DOMINARE. MAI. Perché puoi riuscire ad ammansire il LUPO FEROCE, con il tuo affetto. Ma non potrai riuscire ad ADDOMESTICARLO. Ti dovrai accontentare della fedeltà che lui deciderà di concederti, QUANDO SE LA SENTIRA’ E QUANDO NE AVRA’ VOGLIA.

Così avrebbero potuto instaurare un rapporto schietto, limpido, sincero. TRA ADULTI. E NON TRA MADRE E FIGLIO come molti altri. Litigare ferocemente e prendersi a schiaffi per poi fare pace un attimo dopo, strappandosi i vestiti di dosso e sciogliendosi in un intimo abbraccio per saziare la reciproca fame e sete che avevano l’uno dell’altra…

Era una cosa nuova. Era TUTTO NUOVO per lui, in quell’istante. E quel tutto non era certo privo di INCOGNITE ed INCERTEZZE. Soprattutto per ciò che concerneva I SENTIMENTI.

CHI AMA VENDE LA PROPRIA LIBERTA’, diceva il saggio.

Ma NON AMARE E’ UN LUNGO MORIRE, diceva anche.

Doveva essere veramente stato una GRAN FACCIA DI MERDA, quel saggio. QUASI QUANTO LO ERA LUI. Anche se non lo aveva mai conosciuto.

Quindi...NON AMARE YOKO ERA UN LUNGO MORIRE.

E dagli, con questa storia. Proprio un autentico CHIODO FISSO, EH?

Ma lui non voleva morire. Lui AVEVA VINTO, ed ora voleva VIVERE.

VIVERE E VINCERE. Voleva entrambi.

VOLEVA LA VITA.

Aveva dato tutto, fino in fondo. E ANCHE DI PIU’.

E ora ne voleva ANCORA. Non gli bastava. Sentiva che non gli sarebbe bastata MAI.

Solo che era...era STANCO. TANTO STANCO. COSI’ STANCO…

E quei riflettori lo stavano davvero tormentando.

Voleva chiudere gli occhi. Solo per un poco.

SOLO UN POCHINO. PER RIPOSARE. PRIMA DI FARE OGNI ALTRA COSA.

Aveva deciso di accontentarsi. E di concedersi il suo desiderio.

Era una cosa così INNOCUA, in fondo…

CHE DIAMINE SAREBBE MAI POTUTO SUCCEDERE?

Così aveva fatto quindi. Aveva iniziato a socchiudere lentamente le palpebre, con quella luce abbagliante che sfocava poco a poco fino a svanire. E…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E l’attimo dopo, quando li aveva riaperti, si era ritrovato all’interno dello spogliatoio, completamente immerso nel buio.

Non ci si era proprio raccapezzato. Non riusciva a trovare una spiegazione plausibile, a tutto ciò.

Possibile che era stato tutto quanto un sogno? SOLAMENTE UN SOGNO?

Possibile che si era IMMAGINATO tutto quanto?

Era davvero possibile che non era accaduto NIENTE?

O magari...CHE NON ERA ACCADUTO ANCORA NIENTE?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Alla fine ce l’ho fatta!!

Reduce da due settimane letteralmente INFERNALI, dove mi é accaduto veramente di TUTTO.

Beghe lavorative, personali, e persino problemi di salute.

Ma alla fine mi sono lasciato tutto quanto alle spalle. E sono riuscito a concludere questo benedetto (o MALEDETTO, meglio ancora) capitolo.

Un capitolo che, a rileggerlo, mi ha lasciato alquanto frastornato.

Mi sento come se ci fossi stato anch’io sul ring, insieme a Joe e a Mendoza. Anzi...di più.

E’ come se mi fossi trovato IN MEZZO a quei due scalmanati, a prenderle sul muso al posto loro.

Ve lo confesso: mi sembra tutto UN DELIRIO, questo episodio. Spero solo che non sia venuto fuori un inestricabile pasticcio che abbia finito per rovinare totalmente quanto di buono visto fino ad ora.

E’ che ho cercato di mostrare ciò che stava provando Joe in quegli istanti. In quegli ULTIMI, DANNATI ISTANTI…

Ho cercato di mettermi nei panni di una persona che é in procinto di LASCIARE QUESTO MONDO. Per andare dove non si é ancora scoperto (sempre che lo abbia lasciato...ma ne riparliamo tra poco), ma di una cosa sono sicuro...volevo dare l’impressione che la persona in questione stesse, poco a poco ma sempre più progressivamente, PERDENDO LA PROPRIA PRESENZA E LUCIDITA’ MENTALE.

E vi garantisco che non é stato PER NIENTE FACILE.

Ho la fissa dell’introspezione psicologica, e quando ho a che fare con un personaggio indosso un bell’elmetto da speleologo ed inizio a scavare, scavare…

Ma nel caso di Joe...i risultati sono stati a dir poco SCONCERTANTI.

Certe volte non capisco nemmeno io cosa ho scritto. E nemmeno come ho fatto a tirare fuori una roba simile. Da dove sia potuta VENIRE FUORI, soprattutto.

Ma ora vi propongo un piccolo gioco: immaginate per un attimo di non sapere nulla di questa storia, e nemmeno di come é andata a finire.

Fatto? Bene.

E ora vi faccio una domanda semplice semplice:

CHI HA VINTO, SECONDO VOI?

Se rispondete anche voi JOE, ebbene...vuol dire che ce l’ho fatta.

Come fare a raccontare in modo nuovo, inedito, una storia che ormai conoscono anche i sassi?

Ho provato una via diversa. E ne é scaturita una cosa totalmente imprevista.

Osservato sotto questa luce, il finale di quest’opera assume un significato totalmente imprevisto.

Ho solo due parole per descrivere questa puntata, come dicevo prima.

Una é senza dubbio DELIRIO. L’altra é...TRIONFO.

Si, avete letto bene. TRIONFO. E il nostro caro Joe se lo meritava, almeno una volta.

Viene fuori un crescendo a dir poco esaltante, nonostante la violenza e la crudezza. Quasi dal sapore HEMINGWAYANO (ora mi direte che mi sono montato la testa. E non avete torto. Scusate, é la convalescenza).

L’epopea dell’uomo che riesce ad essere VINCITORE MORALE nonostante la sconfitta.

Come ne IL VECCHIO E IL MARE. L’anziano Santiago torna al villaggio con attaccato alla piroga lo scheletro del gigantesco marlin che aveva catturato, divorato dagli squali. Eppure...ha pescato il pesce più grosso mai visto da quelle parti. E ha spezzato la maledizione, visto che non pescava nulla da mesi. E’ contento anche così.

Cosa sono LA VITTORIA E LA SCONFITTA in fin dei conti, se non PERCEZIONI PERSONALI, magari della stessa cosa?

Se tu pensi di AVER VINTO, ALLORA PUO’ DARSI CHE LE COSE STIANO VERAMENTE COSI’. DIPENDE SOLO DA COSA CONTAVA VERAMENTE PER TE. COSA CONTAVA PER VINCERE.

La Boxe non é un massacro, una guerra o un combattimento all’ultimo sangue. E’ uno sport con un regolamento e dei limiti di tempo, per salvaguardare gli atleti. Ed é indubbio che visto in quest’ottica il vincitore sia Mendoza, dato che ha dominato per gran parte dell’incontro. Ma...se guardiamo il loro duello come una battaglia tra ANIMALE UOMO CONTRO ANIMALE UOMO, allora...IL VINCITORE E’ JOE.

Il loro é stato UN DUELLO DI ANIME. LE ANIME DI DUE BESTIE FEROCI PRONTE AD AMMAZZARSI L’UN L’ALTRA. E alla fine...JOE E’ STATA LA BELVA PIU’ FEROCE.

E’ LUI QUELLO CHE E’ RIMASTO IN PIEDI, ALLA FINE.

All’ultimo round si é scatenato. Ma per davvero. E lo ha FATTO A PEZZI. Lo ha ridotto ad un’autentica LARVA UMANA.

So di aver ESTREMIZZATO LE COSE. E DI PARECCHIO, ANCHE. Ma...ritengo che fosse L’UNICA SCELTA, L’UNICA POSSIBILITA’ che miraneva per poter CAMBIARE LE CARTE IN TAVOLA. SPINGERE L’ACCELERATORE AL MASSIMO E PORTARE IL TUTTO AL LIMITE ESTREMO. AD UN PASSO DALL’OMICIDIO.

E poi...non so voi ma nell’ultima parte, dopo tanta furia, ho potuto quasi notare una sensazione di...SERENITA’. DI TRANQUILLITA’. DI PACE.

Joe ha davvero buttato fuori tutto il suo VELENO, e ora é finalmente FELICE.

Spero vi possa piacere ugualmente.

Sono curioso di sapere cosa ne pensate.

Direi che é anche ora di iniziare a tirare un po' le somme, a proposito di fine. Siamo quasi giunti ai saluti: ancora DUE EPISODI, e poi la storia giungerà al termine.

Una piccola nota sui SALI GLAUBER: che cosa sono?

Semplice: UNA PURGA.

Erano usati sopratutto agli inizi del secolo scorso (ma credo che quando Joe combattesse, venissero ancora largamente utilizzati). Qui sono uno stratagemma per evitare “imbarazzanti” inconvenienti in caso di KO (tipo l’urinarsi o il defecarsi addosso), ma in realtà venivano somministrati a ripetizione ad un’atleta non appena lo si avviava alla carriera di pugile. Il “trattamento” prevedeva una RIPULITURA TOTALE dell’individuo, persino a livello di viscere e di organi interni. Si distruggeva letteralmente il corpo di una persona per costruirci sopra quello di UN PUGILE.

Una volta purificato, l’atleta seguiva una dieta rigida e scrupolosa, prevalentemente proteica.

Non credo che oggi vengano usati, visto che lo si considera un metodo alquanto BARBARO.

BARBARO E SBRIGATIVO, MA SENZA DUBBIO EFFICACE.

La cosa più simile che vi possa capitare (se ci tenete a farlo) é se casomai doveste venire sottoposti a COLONOSCOPIA o a qualche altro esame di tipo ENDOSCOPICO.

Potrebbe darsi che vi venga fornito un prodotto molto simile (io ho provato, avendo fato tali esami): IL SALE INGLESE.

Da cacciare giù tutto d’un fiato in un bel bicchierone d’acqua, beh...E’ SENZA DUBBIO LA ROBA PIU’ SCHIFOSA CHE VI CAPITERA’ DI BERE IN VITA VOSTRA. PEGGIO DEL BICARBONATO.

E meno male che va giù subito dall’altra parte (non so se mi spiego) perché sennò...LA VOMITERESTE NON APPENA ARRIVA ALLO STOMACO.

Chissà quante nausee e rivoltamenti di budella, ai tempi…

L’angolo della colonna sonora: per un finale così epico serviva qualcosa di veramente trascinante. E potente. Vi consiglio due pezzi di un celebre gruppo rock, molto energico: i NICHELBACK. I due brani in questione sono HERO e SONG ON FIRE. Provate sia l’uno che l’altro, se vi va. Meritano davvero.

Ringrazio i sempre presenti Devilangel476, innominetuo e kyashan_luna per le recensioni allo scorso capitolo. E la new entry Maniac Queen per la recensione al primo episodio.

E come sempre, un grazie a chiunque leggerà la mia storia e vorrà lasciare un parere.

Grazie ancora a tutti e alla prossima!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 11

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alle volte la nostra mente e la realtà che ci circonda, o per come noi la percepiamo, non vanno di pari passo. Capita più spesso di quanto ci si possa immaginare. Ma é una cosa di cui ci si accorge solamente in determinate circostanze.

A chi non é mai successo di trascorrere brevi attimi che però paiono essere durati TUTTA UNA VITA? O magari di fare sogni lunghi tutta la notte per poi scoprire, con un certo disappunto, di essersi addormentati PER POCHI, POCHISSIMI ISTANTI?

Oppure quando i minuti non passano più e scorrono lenti, ma così lenti che sembra persino che la lancetta rossa dei secondi faccia persino fatica a saltare da una tacchetta all’altra?

Tipo quando ci si trova sui banchi di scuola, alle prese con una lezione pallosissima. Col professore che va avanti imperterrito a ciarlare e tu che non ne puoi davvero più. E vorresti spalancare la finestra e buttarti di sotto a precipizio, pur di fuggire lontano da lì, a gambe levate e cercando di mettere la maggior distanza possibile. Anche se ti trovi al TERZO o al QUARTO PIANO.

ANCHE SE RISCHI DI SPEZZARTI TUTTE E DUE LE GAMBE IN UN COLPO SOLO.

O anche all’ufficio postale. Davanti a quei solerti impiegati talmente lenti da esser capaci di dare vita ad una coda mortifera anche con solo quattro gatti a disposizione. E che ti fissano con aria annoiata e i cui unici segni di vita sono il piantare un timbro zuppo di inchiostro nero o blu sopra ad una missiva ed infilarla nell’apposito cestello insieme alle altre sue compagne di brigata giunte prima di lei. E che fanno finta di interessarsi alle tue menate se qualcosa non quadra o non ti ha convinto. Perché niente, e ci si tiene a ribadire NIENTE riesce a fargli cambiare la loro incrollabile opinione sul senso di ciò che stanno facendo. E cioé che un posto sicuro quanto lo stipendio fisso ad inizio del mese non valgano comunque lo stare lì. Seduti a deformarsi il culo di un seggiolino per occuparsi delle facezie dei poveri idioti che arrancano di fronte a loro, e che sembrano quasi esser capitati lì per puro caso.

Succede perché il tempo all’interno di noi e del nostro flusso di coscienza può non scorrere allo stesso modo in cui procede quello all’esterno. Quello che tendiamo a considerare IL TEMPO PER ANTONOMASIA.

Sono come la coppia qualsiasi di una serie di binari gemelli che si diramano in uscita o si congiungono in entrata nei pressi di uno snodo ferroviario. Si affiancano, paiono avanzare tutti uniti e compatti nella medesima direzione, almeno per un tratto di lunghezza variabile. Ma poi, sul più bello, ognuno si divide e prende la sua strada. E a quel punto CIAO CIAO.

TANTI SALUTI.

Sembrava che si trovasse lì da un tempo a dir poco interminabile. Ed invece non dovevano esser passati che pochi istanti, da quando aveva iniziato a ricordare. Più che sufficienti per permettere alla sua vista di abituarsi all’oscurità che lo circondava come un banco di nebbia spessa e nera.

E allo stesso modo in cui gli oggetti stavano prendendo lentamente forma e contorni ai suoi occhi, un’altra certezza prese corpo dentro alla sua testa ancora mezza balorda.

Era l’inesorabile conferma di quanto sospettava dall’inizio. Non appena si era ridestato e pochi attimi dopo aver riaperto gli occhi.

Non si era trattato di un sogno. E non si era immaginato proprio nulla.

ERA TUTTO VERO.

ERA ACCADUTO VERAMENTE, TUTTO QUANTO.

Lo scontro con Mendoza. Gli ultimi round in cui stava...no, AVEVA RIBALTATO TUTTO QUANTO.

CI ERA RIUSCITO, DANNAZIONE. Il campione aveva ceduto. Lo aveva costretto alla resa, finalmente. E poi il vecchio...le discussioni con lui al suo angolo, le litigate...con lo zio che voleva gettare la spugna ad ogni costo e lui che voleva IMPEDIRGLIELO AD OGNI COSTO. Al punto di volerlo ammazzare di botte, se non la piantava di fare l’imbecille…

Visto che aveva fatto bene anzi, BENONE A NON RITIRARSI?

VISTO CHE AVEVA AVUTO RAGIONE LUI, ALLA FINE?

E poi Yoko.

YOKO…

Gli aveva dato la forza necessaria ad arrivare fino in fondo. Se non fosse stata lì alle sue spalle, a confortarlo e riscaldarlo con la sola presenza e vicinanza, non aveva la minima idea di come si sarebbe potuta mettere la situazione. Era veramente ad un passo, ad un soffio dal cedere.

Avrebbe tanto voluto prenderlo e portarlo vià di lì. Da tutto quel sangue. Da tutta quella violenza.

DA QUEL MASSACRO.

Ed invece, ironia della sorte...era stata proprio lei a spingerlo a superare il suo limite. L’ennesimo, ULTIMO LIMITE.

Non aveva alcun dubbio.

Tutto quello che aveva appena fatto riaffiorare dal proprio cervello, ogni ricordo…

ERA ROBA AUTENTICA.

ED ERA GIA’ SUCCESSA. GARANTITO.

TUTTO FINITO, DUNQUE.

Già. Tutto finito. MA ADESSO?

Non aveva assistito all’emissione del verdetto da parte della giuria, e nemmeno aveva visto l’arbitro prenderlo in consegna e leggerlo. Niente del genere.

Niente di ciò che che si deve o che si dovrebbe vedere al termine di un match.

NIENTE DI NIENTE. NELLA MANIERA PIU’ ASSOLUTA.

Non che la cosa gli importasse più di tanto, per carità...quel che voleva lo aveva già ottenuto. Il verdetto che lo riguardava più da vicino e che più gli interessava glielo aveva già impartito il campione, e per direttissima. Lo aveva letto in faccia, nel fondo dei suoi occhi sbarrati e attraverso la sua espressione. L’espressione atterrita di un uomo sopraffatto da un oscuro ed arcano terrore. Lo stesso che dovevano provare gli ANTENATI all’età della pietra, stretti e rannicchiati attorno ad un piccolo focolare nelle viscere umide, fredde e profonde di una caverna, con gli occhi gialli e verdi delle belve pronti a balzar loro addosso per sbranarli che luccicavano nelle tenebre tutte intorno.

AVEVA VINTO. Punto e basta. Poco gli fregava di quello che pensassero i commissari di gara ed il resto della gente. Ancor meno gli fregava di quello che pensava il resto del mondo.

Contava quel che pensava lui.

E LUI AVEVA VINTO.

Aveva ridotto il messicano ad un’autentica LARVA UMANA. Spazzato letteralmente via come un GRUMOSO GRAPPOLO DI TARZANELLI DAL CULO dopo una vigorosa pettinata infranatica a base di un tocco di carta igienica spessa almeno un paio di dita.

Eppure...eppure c’era qualcosa che non gli tornava. E che continuava a non tornare.

Era una sorta di presentimento che si sentiva scorrere nelle ossa, fino al loro centro imbottito di midollo spugnoso.

Forse si trattava del suo ISTINTO SELVATICO, ANCORA UNA VOLTA. Il suo buon caro, vecchio ISTINTO DI LUPO che gli stava lanciando qualcuna delle sue dritte per cui era divenuto così rinomato e famoso, tanto per cambiare. Oppure chissà...magari si stava solamente divertendo a continuare a SCASSARGLI IL CAZZO, visto che da ora in avanti non gli sarebbe rimasto poi questo gran che da fare.

Un vero record. Considerando che doveva essere finito in PREVIDENZA SOCIALE da non poco più di un minuto. O giù di lì, visto che a partire da quello sparuto lasso di tempo intercorso tra la sua strana ed inopportuna PENNICA seguita a ruota da quell’ancor più strano risveglio, aveva la sensazione di aver acquisito una diversa concezione dello scorrere del tempo. Una concezione alquanto singolare e bizzarra. Anzi...sembrava proprio che il tempo stesso avesse preso a scorrere in modo inconsueto ed assolutamente non conforme.

E comunque...la belva dentro di lui doveva aver iniziato a calarsi perfettamente nel suo nuovo ruolo, e doveva sguazzarci a meraviglia. Si stava già comportando come quegli anziani bisbetici con le chiappe strette e stitiche, l’uccello appeso e le palle raggrinzite. Buoni solo a piazzarsi nei pressi del primo cantiere o dei primi lavori in corso a portata di mano o di sgambata, come un bello e nutrito stormo di avvoltoi macilenti che volteggiavano sulla testa di un animale prossimo a morire. E già in lista d’attesa per candidarsi a macerare e a frollare sotto al sole cocente, fino a diventare una carcassa dal fetore nauseabondo. O sennò se ne stavano seduti in circolo a giocare a Dama, a Scacchi o a Mah – Jong intervallando ogni mossa attentamente studiata con un nugolo di stronzate emesse dalle loro bocche mezze marce, con tanto di fiatella mefitica in aggiunta.

Altro che il suo DIRETTO INCROCIATO D’INCONTRO, cazzo...quelle si, che avevano LA LICENZA DI UCCIDERE. Proprio come quel certo agente segreto al servizio di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra. Quei vecchi barbogi si fermavano solamente per...no. Riprendere fiato non stava contemplato nel loro contratto. Si prendevano giusto una lieve pausa per trangugiare una sorta di pessimo liquore di riso. Quella robaccia distillata da quattro soldi che i bottegai o del mercato, nero o no che fosse, rifilavano ai disgraziati che popolavano il quartiere. Il tutto di comune accordo coi BECCAMORTI di zona. Dovevano sicuramente fornirgli una cospicua percentuale su ogni povero diavolaccio che gli procuravano dandogli da bere quella sottospecie di petrolio misto ad acqua di fogna. In ogni caso...quando non erano impegnati col giuoco o ad ubriacarsi e a rovinarsi il fegato come un certo beone pugilomane con un occhio solo, o a farsi gli affari degli altri o di quella poca gente che lavorava o ancora lavorava, si gettavano animaccia e corpo in un’altra appassionante ed appagante attività. Squassare le orecchie e lo scroto di ogni malcapitato che si trovasse in ascolto imprecando e lamentandosi per questo, quello e quell’altro, o anche solo contro il governo ladro o la sorte infame. Ogni insignificante inezia o minchiata che transitasse e fermentasse in quei loro cervellacci, insomma. Così, tanto per dare una bella e sana iniezione di ottimismo ed iniziare la giornata col piede giusto. Ed il suo istinto aveva già preso a comportarsi uguale.

Ma che allegria. A quanto pare non voleva proprio accettare la sua nuova condizione di ANIMALE DOMESTICO DA COMPAGNIA, con tutte le allettanti peculiarità che garantiva quel nuovo tipo di esistenza. Valeva a dire un ampio e spazioso recinto, una bella e calda cuccia e pasti abbondanti e regolari due volte al giorno, tutti i santi giorni. Con la prospettiva di diventare VECCHI, GRASSI, LENTI E PIGRI.

Beh...CHE SI FOTTESSE ANCHE LUI. Avrebbe dovuto imparare a farlo. Avrebbe dovuto abituarcisi, e farsene una ragione. ED IN FRETTA, ANCHE. Che non aveva tempo da perdere a star dietro alle sue bizze. Aveva tutta una nuova, inedita vita davanti ad aspettarlo, ora. Quello sarebbe stato il nuovo corso che li attendeva entrambi. Quindi...o AVREBBE MANGIATO QUELLA MINESTRA, O SE NE SAREBBE VOLATO FUORI DALLA FINESTRA. SISSIGNORE. PRENDERE O LASCIARE.

Tuttavia...continuava ad avere quella sorta di strana sensazione addosso. Come di una nota stonata. Breve, leggera, appena udibile. Quasi in sottofondo rispetto a tutte le altre sue sorelle che compongono una sinfonia, eppure...DETERMINANTE. Al punto che non si poteva ignorarla e far finta che non ci fosse. Perché la sua sola presenza, il solo fatto di SAPERE, DI ESSERE AL CORRENTE CHE CI FOSSE, era più che sufficiente a trasformare un’armoniosa composizione in una CACOFONIA IMPOSSIBILE DA POTER ASCOLTARE. Bastava lei, e lei soltanto, a rendere la musica che si stava suonando, ascoltando e ballando UN RUMORE FASTIDIOSO ED INSOPPORTABILE.

C’era decisamente qualcosa di fuori posto. In quel luogo ed in quel momento.

Quella sorta di fulmineo risveglio che lo aveva colto all’improvviso, per esempio.

In un battito di ciglia...in un solo, rapido battito di ciglia si era ritrovato seduto su di una panca all’interno dello spogliatoio. Eppure aveva chiuso le palpebre solo per un istante...un SOLO, UNICO, DANNATISSIMO ISTANTE.

Ma come aveva fatto, ad arrivarci fino a lì?

Forse era svenuto. Aveva subito una momentanea perdita di coscienza, magari dovuta ad una lieve commozione cerebrale. Più che plausibile. Ne aveva prese tante, sia alla testa che in faccia. Ma proprio tante. A tenerlo in piedi e a non fargli sentire né il dolore ne l’effetto dei colpi subiti era stata la sua forza di volontà e la sua disperazione. Unite all’adrenalina che ormai viaggiava a pieno regime all’interno delle sue vene, scorrendo libera e senza alcun controllo. Come un torrente in piena.

E’ una legge scientifica. Una verità conclamata a livello accademico. Una delle poche cose che si sono scoperte di quella macchina complessa, meravigliosa e misteriosa che é il corpo umano. Forse perché ci si continua a fissare di volerlo scomporre, ridurre in sezioni per analizzare ogni suo singolo componente ed il modo in cui si mette in relazione con tutti gli altri. Con il resto dell’organismo. Senza mai rendersi conto che non c’é alcun bisogno di trovare spiegazioni perché esso E’. Come la natura che lo circonda e di cui fa parte. Come fanno gli uccelli a volare? E gli insetti? Come fanno le libellule a librarsi nell’aria con quel loro vibrare di alucce trasparenti, talmente intenso da farle apparire invisibili? Quante volte, anche solo per distrarsi o per spezzare la noia dovuta alla routine dell’intenso lavoro, le aveva seguite con lo sguardo senza mai staccargli gli occhi di dosso? Quante volte aveva cercato di scorgere quel movimento incessante mentre le vedeva girargli intorno quasi a volerlo annusare, mentre sradicava le radici e le patate rosse dal terreno dissodato con la sola forza delle nude mani, fino a rischiare di strapparsi le unghie e a scorticasi la pelle delle dita in modo che i suoi pugni si rinforzassero sempre più, giorno dopo giorno, fino a diventare forti anche solo la metà di quelli che tirava quel fetente di Rikiishi? Ma é davvero possibile che un insetto ragioni su ogni loro singolo movimento? Che un millepiedi rifletta su ogni singolo passo compiuto dalle sue innumerevoli e microscopiche zampe?

No. Non era proprio possibile una cosa del genere. Se lo avessero fatto...se davvero avessero fatto così, non avrebbero potuto fare nulla di ciò che facevano e che componeva l’insieme delle loro normali attività quotidiane. Come il mangiare, il dormire e il CHIAV...ok, facciamo PROCREARE. E’ decisamente più TECNICO, come termine. Nonché più CARINO. Ma soprattutto...non avrebbero potuto nemmeno fare quella che era l’azione principale della giornata, la più importante.

E cioé MUOVERSI, DEAMBULARE.

La verità era che NON CI PENSAVANO, PUNTO. LO FACEVANO E BASTA. Se ne fregavano e andavano avanti a scarpinare e a svolazzare ovunque volevano e dove più gli pareva. Senza pensarci. Senza riflettere.

POTERSI SPOSTARE, QUELLO CONTAVA. E NULL’ ALTRO.

Un essere umano agisce alla stessa maniera. Quando sei in preda alla furia cieca, e l’adrenalina scorre a fiumi all’interno del tuo corpo, libera ed incontrastata, ti senti forte. Potente. INVINCIBILE. Attacchi a testa bassa, incurante dei colpi che ricevi e delle ferite che subisci. Spinto e trascinato dalla corrente impetuosa, e sorretto solo dalla volontà di vincere. Ad ogni costo e ad ogni prezzo. E solo quella che ti tiene in piedi, e ti impedisce di venire travolto dai flutti. Ma quando il tumulto si placa, e con la quiete arriva pure il calo ormonale, all’improvviso ti accorgi che é arrivato il momento di PAGARE IL CONTO. ED E’ IL CORPO STESSO A PRESENTARTELO.

Devi scontare tutti i tuoi errori, uno dopo l’altro. Non ci sono cazzi che tengano. Tutte le mancate schivate, i bloccaggi non riusciti, o tutte le volte che ti sei gettato all’assalto con troppa fretta, senza curarti di proteggerti, ed in cui hai finito per esporti troppo.

Si. Le cose dovevano stare senz’altro così. Doveva aver perso i sensi, senza alcun dubbio.

Ma tornando al discorso dello spartito...quel brusco cambio di scenario non rappresentava L’UNICA NOTA STONATA.

C’ erano altre cose decisamente fuori posto.

Lo spogliatoio, ad esempio. CHE NON ERA QUELLO DEL BUDOKAN.

O meglio...NON ERA LO STESSO DA CUI ERA USCITO PER ANDARE A FRONTEGGIARE IL CAMPIONE.

Era davvero confuso, disorientato. Non ci si raccapezzava più, sul serio.

Ma come era possibile, una cosa simile?

Forse...forse era l’ambulatorio del palazzetto.

Però non si vedeva nulla dell’arredamento tipico di quel genere di locale...non c’era né il lettino imbottito, né scaffali o armadietti con vetrine con forniture mediche, farmaci o generi di primo soccorso.

Magari era semplicemente uno spogliatoio come un altro.

Sicuro. Subito dopo che era svenuto il vecchio, insieme a Nishi, Kono e agli altri ragazzi lo avevano sollevato di peso e trasportato a braccia fino al primo stanzino disponibile, in modo che gli fossero prestate le prime cure del caso. Ecco com’era andata. Del resto...doveva essere ridotto piuttosto male. PARECCHIO MALE. Nelle condizioni in cui versava non c’era certo il lusso di un solo istante che era uno, da poter perdere. Non vi era il tempo per riportarlo nel punto preciso da dove era venuto. Solo da metterlo comodo affinché potesse ricevere il prima possibile tutte le cure del caso.

Però...come aveva già potuto constatare sin dai primi istanti, non si sentiva stanco. Né ferito. Men che meno dolorante. E anche questo era strano, a voler ben guardare. MOLTO, MOLTO STRANO.

E visto che si parlava di GUARDARE, e volendo sorvolare sull’orrido GIOCO DI PAROLE...anche la faccenda dell’occhio non riusciva proprio a spiegarsela. Questa volta era stato più che certo di esserselo giocato UNA VOLTA PER TUTTE. DI AVERLO PERSO PER SEMPRE. Ed invece…

D’accordo, anche nelle volte precedenti si era trattata di una cecità TEMPORANEA. Che non era durata che pochi secondi. Alla fine, la vista gli era sempre tornata. Era sempre riuscito a recuperare, in un modo o nell’altro. Questa volta era durata solo un po' di più, tutto qui. Gli era andata bene.

No che non era tutto qui. Negli ultimi periodi gli occhi, compreso quello ancora integro, non gli funzionavano più tanto bene. Ogni tanto arrivavano dei puntini bianchi e neri ad offuscargli la visuale. Oppure quest’ultima gli si sfocava, e senza alcun tipo di preavviso.

Per tacere di quelle strisce fluttuanti e trasparenti, simili a vermi, che vedeva ballargli davanti sempre più spesso...naturalmente anche quella volta si era ben guardato dal consultare un medico specialista. Aveva fatto piuttosto un saltino in una libreria, una volta. Si era fatto dare un manuale di...come cavolo si chiamava? OFTALMICA, forse? Si, doveva chiamarsi così, se la memoria non lo ingannava. E aveva scoperto, con estremo terroe, che simili sintomi indicavano un futuro DISTACCO DELLA RETINA.

Pure quella ci si doveva mettere, di sfiga. Certo che nel corso della sua esisitenza non si era mai fatto MANCARE NIENTE.

In quel momento, invece, gli avevano ripreso a visualizzare che era una meraviglia. E TUTTI E DUE, per giunta. Come se fosse ancora agli esordi. O come…

O COME SE NON AVESSE MAI DISPUTATO UN SOLO MATCH. UN SOLO ROUND.

COME SE NON AVESSE MAI FATTO A BOTTE IN VITA SUA. E NON LE AVESSE MAI PRESE.

E come aveva già avuto modo di ribadire più e più volte a sé stesso nel corso della sua vita, lui NON CREDEVA E NON AVEVA MAI CREDUTO, AI MIRACOLI. Non ci voleva credere, di puro puntiglio. A parte a quelli che era riuscito a realizzare da solo, con le sue uniche forze. Tipo quello che aveva appena fatto contro Mendoza, ad esempio…

E le sorprese non erano ancora terminate.

Per esempio…DOVE CAVOLO ERANO ANDATI A FINIRE TUTTI QUANTI?

Avrebbero dovuto trovarsi intorno a lui, in compagnia del segaossa ma al contempo mantenendosi a debita distanza, per non intralciare il suo operato.

PERCHE’ ERA LI’ DA SOLO? E PERCHE’ SI TROVAVA AL BUIO?

Aah, ma certo...dovevano essersi messi d’accordo con Sachi, Taro, Kinoko e tutti gli altri. Per FARGLI UNO SCHERZO, senza alcun dubbio. Tra poco avrebbero fatto irruzione nella stanza al gran completo e l’avrebbero illuminata di punto in bianco, urlando a squarciagola SORPREESAAAAA!!

C’era da giurarci. Erano più che capacissimi di farlo. Anche in un momento come quello. Quella gentaglia, LA SUA GENTAGLIA PREFERITA, aveva la tendenza a sottovalutare qualunque tipo di situazione. SPECIE SE ESTREMAMENTE SERIA.

Pigliavano sempre tutto sul ridere. In particolar modo quando NON C’ERA PROPRIO UN CAZZO DI CUI RIDERE.

Perché stupirsene, dopotutto?

Non era forse quello che faceva sempre anche lui? CHE AVEVA FATTO SEMPRE ANCHE LUI, DA QUANDO SI TROVAVA AL MONDO?

See, come no. Peccato che non gli venisse proprio da ridere, adesso come adesso.

In ogni caso, inutile stare lì a continuare a rompersi la testa senza alcun costrutto. Non avrebbe risolto né concluso proprio un accidente di niente finché se ne fosse rimasto lì a rimuginare su quella dannata panca.

Quando qualcosa non va, fila a vedere con i tuoi stessi occhi. CORRI E VEDI, questo era il suo dannatissimo motto. Sin da quando aveva preso a vivere per la strada. E quindi...per prima cosa doveva iniziare A FARE UN PO’ DI LUCE, su tutta quanta la faccenda. E non solo in senso metaforico.

Cominciò a guardarsi di nuovo attorno. Poi si alzò di scatto, con fare deciso, e una volta di nuovo in piedi si diresse verso il muro più vicino. Una volta che lo raggiunse cominciò a tastarne le pareti come alla ricerca di qualcosa. Sembrava stesse procedendo a tentoni, ma non era affatto così. Era alla ricerca di qualche tasto che azionasse i riflettori sopra di lui. Aveva dato un’occhiata ai muri, mentre si stava preparando per l’incontro. E anche se non si trovava nello stesso luogo di prima, quelle stanze in fondo in fondo dovevano assomigliarsi comunque un po' tutte. Di solito era così, nei palazzetti e nelle strutture sportive. Ed il Budokan non doveva costituire certo un’eccezione.

Finalmente le sue punte delle dita trovarono ciò che stavano cercando. E che lui ben sapeva dovesse esserci.

Premette con forza la parte rialzata del tasto verso il basso. Niente. La lampada rimase spenta.

Tsk. FARE LUCE. Era una parola. Sembrava non funzionasse UN BEATO CAVOLO, lì dentro. Che ci fosse stato un BLACK - OUT? E poi tutto quel silenzio…

No. Non era naturale. C’era DECISAMENTE qualcosa che non andava.

Notò che la porta d’ingresso era socchiusa. Forse era il caso di uscire. Chissà...forse, se non riusciva a vederci chiaro lì dove si trovava, magari ci sarebbe riuscito all’esterno. Anche se ciò che filtrava dalla lieve fessura verticale formata dallo spazio creato tra il bordo e lo stipite non prometteva nulla di buono. O almeno, nulla che lasciasse presagire che fuori da lì la situazione avrebbe potuto essere diversa.

C’era solo TENEBRA. Tenebra fitta e densa, tutt’intorno.

Al diavolo. Doveva schiodarsi da lì, punto. Ed il prima possibile, anche. Non perdere tempo e pazienza a lambiccarsi il cervello.

Ci sarebbero stati altri pulsanti ad attenderlo, oltre quella soglia. E avrebbe avuto senz’altro maggior fortuna. Sicuro. Ce ne doveva essere pure qualcuno ancora attivo.

Afferrò la maniglia e spalancò in due tempi. Dapprima solo per metà, ed il resto in un sol botto e strattone.

Ecco. ET VOILA’, gente. Il più era bello che fatto, oramai. E adesso non gli rimaneva che decidersi a muovere il primo passo in avanscoperta. E poi VIA. ALLA VENTURA.

Stando ben pronto ed attento a ricevere qualunque cosa o persona gli si fosse parata o comparsa al suo cospetto.

Ed invece...rimase immobile, inchiodato lì dov’era.

Perché poté constatare, e con sua enorme sorpresa, che non ce n’era alcun bisogno. Di trovare un interruttore, perlomeno.

Non appena tentò di mettere un piede in direzione del corridoio, una luce si accese. Non quella dentro allo stanzino, ovviamente. Era quella del riflettore posto sopra la sua testa e a neanche mezzo metro di distanza, piantato lungo la linea centrale del soffitto e dalla forma rettangolare. Era composto da due barre luminescenti racchiuse in una scatola di plastica presumibilmente fissata alla base metallica da due fermi agganciati ad entrambi i lati più corti.

Iniziò dapprima a crepitare rischiarando l’ambiente circostante ad intermittenza, per poi stabilizzarsi del tutto.

Ma che stranezza. In ogni caso doveva decidersi una buona, STRAMALEDETTA volta. Non poteva rimanerci a fare la muffa in eterno, dentro a quello stanzino.

A quel punto non gli restava altro da fare che raggiungerlo e piazzarcisi proprio sotto, e nel bel mezzo del condotto. In quel modo, avrebbe potuto contare su una visuale più ampia a disposizione, e ciò gli avrebbe fornito senz’altro un quadro più chiaro e limpido di tutta quanta la faccenda.

Raggiunse il neon e...

Macché. CICCIA. Idem come prima. La zona in cui si trovava ora costituiva l’unica isola di luce. Il resto era immerso nella più totale oscurità. E continuava a non esserci ANIMA VIVA.

E poi il trucco della lampada. Quel dannato riflettore sembrava essersi acceso in risposta ai suoi moviment...no, nemmeno. Si era acceso alle sue INTENZIONI. Era bastata la SOLA INTENZIONE, a farlo attivare. Come se avesse PERCEPITO I SUOI PENSIERI.

Come se fosse dotato di VITA ED INTELLIGENZA PROPRIE.

Ma nonostante tutto, e nonostante la bizzarria della situazione...non riusciva a levarsi di dosso l’idea che si trattasse solamente di UN GROSSO SCHERZO. E BEN RIUSCITO, PER GIUNTA.

Se volevano davvero farlo spaventare, beh...doveva riconoscerlo. CI STAVANO RIUSCENDO. E ALLA GRANDE.

Ma UN BEL GIOCO DURA POCO, si dice. Ed era decisamente ora di darci un taglio, perché stava cominciando a salirgli il nervoso. E Joe Yabuki non sta fermo a subire BURLE NE’ RIFFE da alcunché. Ci puoi ridere e scherzare con lui, ci mancherebbe. Ma quando gli vengono i fatidici CINQUE MINUTI ed iniziano a GIRARGLI STORTE E DI BRUTTO per qualunque motivo, anche di quelli che sa SOLO LUI...la cosa più saggia che ti conviene fare é TAGLIARE LA CORDA. Ed avere il buon senso di non farti beccare in giro, quando noti che sta messo così.

Figurarsi che qualcuno di quei vecchi alcolizzati giù nel quartiere aveva avuto persino una pensata. E cioé di sistemare UNA CAMPANELLA al centro del villaggio, e di farla suonare quando lui era a zonzo con la luna storta, in cerca di qualche povero fesso su cui sfogare il proprio malumore. Un avvertimento, un vero proprio sistema di allarme che consentisse a tutti di correre a cercarsi un riparo, prima di incrociarlo e rischiare di ritrovarsi a mal partito.

Faceva dunque così PAURA?

SI. Certe volte si. Ed era il primo ad ammetterlo. Non si faceva certo problemi.

CERTE VOLTE FACEVA PAURA.

SI FACEVA PAURA PERSINO DA SOLO.

Diede un’altra occhiata in giro, quasi roteando su sé stesso.

Pazzesco. Semplicemente pazzesco.

Buio. Buio più completo. In entrambe le direzioni. E non solo.

Pareva che il corridoio si estendesse PER CHILOMETRI. Anzi...ALL’INFINITO. Da ambo i lati. Non se ne riusciva a vedere la fine.

Pfui. Perché preoccuparsi, dopotutto? Era senz’altro un’illusione ottica provocata dall’oscurità circostante. Da tutto quel cazzo di nerume fitto e denso. Come una cappa mort…

Basta così con certi pensieri, cazzo.

Doveva essere così. DOVEVA ESSERLO, PER FORZA.

NON C’ERA ALTRA SPIEGAZIONE. NON CE NE POTEVANO ESSERE ALTRE.

Guardò ancora, per l’ennesima volta. Socchiudendo le palpebre ed aguzzando la vista, come a voler scorgere qualcosa nel mezzo di quell’ammasso di pece. Prima in una direzione, poi nell’altra. Sembrava un bambino in procinto di attraversare le strisce pedonali di una strada del centro città in piena ora di punta. Oppure una di quelle stradine provinciali di campagna dove si intravede la sagoma di un automobile o di un furgoncino, talmente sfocata e lontana da sembrare un miraggio…

Ma guai a sottovalutare certe cose. Ti butti in mezzo, certo di farcela...e poi TE LA RITROVI ADDOSSO. E capisci di aver calcolato male la distanza giusto in tempo per renderti conto di esserti appena FOTTUTO CON LE TUE STESSE MANI, COME UN’ IDIOTA. I due pensieri si formulano nel medesimo istante e tagliano insieme il traguardo della FINE DELLA VITA, mentre la tua coscienza si annulla e se ne torna al creatore.

Tsk. E poi si dice che un uomo non é in grado di riflettere su PIU’ DI UNA COSA ALLA VOLTA…

Ma adesso basta con le fesserie. Tempo di decisioni. DECISIONI IMPORTANTI.

DESTRA O SINISTRA?

E certo. Che cazzo vi credevate? Non si rimane fermi a fare la ruggine, qui. Nossignore.

JOE YABUKI NON STA A GRATTARSI IL SEDERE.

CORRI E VEDI, RICORDATE?

 

Allora, gente...DOVE SI ERA RIMASTI?

CHE SI FA, DI BELLO?

DESTRA O SINISTRA?

Boh. Mai capito niente di POLITICA, io.

E va beh. TIRIAMO A SORTE, VA’.

TANTO MI SA CHE SCEGLI CHE TI RISCEGLI...COMUNQUE LA METTI E’ SEMPRE UGUALE.

 

Fece ondeggiare alternativamente la punta dell’indice destro a dritta e a mancina, iniziando a zufolare a labbra strette.

 

“Fiu, fiuu, fiuuuh...fischia il ventooo...”

 

Mentre canticchiava cominciò a scandire mentalmente una filastrocca per bambini che rimase nota solo a lui. E che non centrava nulla con le strofe che stava sillabando. E comunque, non c’era nessuno che potesse ascoltarle. La prima come la seconda, se si fosse deciso a tradurre il pensiero in azione e a convertirla a sua volta in musica.

Poi cambiò improvvisamente repertorio e le parole intervallate ed accompagnate dal fischio si tramutarono in una sorta di verso gutturale, molto simile ad un miagolio sommesso.

Il dito prese ad oscillare sempre più lentamente, fino ad arrestarsi in concomitanza col termine della nenia.

Fissò l’ultima falange, e poi osservò in che direzione stava puntando.

“Perfetto” si disse. “SINISTRA. Ma siccome non ho mai creduto nella fortuna...andiamo a DESTRA. In marcia!!”

Cominciò ad avanzare spedito. Finalmente si era dato una mossa. E guarda un po'...il riflettore successivo a quello illuminato si accese di colpo.

Lo volle interpretare come un segno di buon auspicio, a tutti i costi. Nonostante la trovò più come un ulteriore ed inquietante nota stonata, in realtà. Un’altra sbavatura che contribuiva ad accrescere quella strana sensazione. Quella sorta di presentimento che sentiva da quando si era ridestato dal pisolo fuori programma che aveva inavvertitamente schiacciato, senza quasi accorgersene.

Si fece coraggio pensando che forse era sulla strada giusta.

O almeno ci sperava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continuava a percorrere quell’accidente di corridoio, senza sosta. Aveva l’impressione di procedere da più di un’ora. O solo da alcuni minuti. O da una vita intera. Ma si era già accorto di non avere più la concezione del tempo. O forse era il tempo a scorrere in maniera anomala, da quelle parti. O addirittura, sembrava NON SCORRERE AFFATTO.

Come se non esistesse. Come se il concetto stesso fosse andato A RAMENGO, a farsi benedire.

Ma come aveva già avuto modo di comprendere, c’erano tante cose che NON FILAVANO PER LA MANIERA GIUSTA, dentro a quel posto. I vari lampadari che pendevano in successione dal soffitto davanti a lui ed ognuno attraccato alla sua coppia di corde si accendevano UNO ALLA VOLTA, man mano che avanzava. Allo stesso modo in cui quelli alle sue spalle si SPEGNEVANO, dopo che li aveva oltrepassati. Proprio mentre stava per avvicinarsi...PUF! Acceso. E una volta che lo aveva superato...RI – PUF! Spento.

Davvero incredibile. Ma la cosa più stupefacente era che il giochetto NON FUNZIONAVA AL CONTRARIO.

Aveva provato a fare DIETRO – FRONT, e a ritornare sui suoi passi. Ma...NISBA. Niente da fare. Le luci spente non si riaccendevano.

Se avesse davvero voluto tornare al punto di partenza, gli sarebbe toccato di fare tutta quanta la strada a ritroso IMMERSO NEL BUIO. E non ne aveva la benché minima intenzione. Se la ricordava ancora, quella terrificante storia che aveva sentito da bambino.

Quella del minatore sperduto nelle grotte dell’isola di HASHIMA.

Il tipo o meglio, LO SVENTURATO stava esplorando un tratto sconosciuto di galleria alla ricerca di un nuovo punto dove scavare. Per ricavare un altro ricco FILONE D’ ARGENTO. Ma poi...poi era successo che lo aveva trovato, ma sul più bello aveva finito col SMARRIRE PER SEMPRE LA VIA. Era bastato svoltare all’angolo sbagliato…

NON FECE MAI PIU’ RITORNO. NE’ NULLA SI SEPPE PIU’ DI LUI.

NON TROVARONO NEMMENO LE OSSA, PER POTERLE SEPPELLIRE IN UNA TOMBA E PERMETTERE AI SUOI CARI DI PIANGERCI SOPRA. Ma forse perché…

FORSE PERCHE’ ERA ANCORA LA’ CHE VAGAVA DA SOLO NELLE TENEBRE, A CHIAMARE A GRAN VOCE I NOMI DEI SUOI COMPAGNI, UNO PER UNO, AFFINCHE’ LO TROVINO E LO TRAGGANO IN SALVO…

Gli tornavano i brividi al solo pensarci. Piuttosto che affrontare una cosa simile col rischio di fare la medesima, TERRIBILE FINE avrebbe preferito AMMAZZARSI PER CONTO PROPRIO. Con le sue stesse mani. Avrebbe potuto STROZZARSI DA SOLO, ad esempio. Oppure BUTTARSI GIU’ PER TERRA LUNGO E DISTESO, A PESO MORTO. A RIPETIZIONE, ANCORA E ANCORA, FINO A SFRACELLARSI IL CRANIO PER INTERO...

 

Ok, gente.

MESSAGGIO RECEPITO.

INDIETRO NON SI TORNA.

 

Era fin troppo chiaro. Poteva solo proseguire, da qualunque parte stesse andando o LO STESSERO PORTANDO.

Si, perché aveva proprio il sentore che lo stessero costringendo a camminare lungo UN PERCORSO OBBLIGATO.

Ripensò al fatto che se davvero DI UNO SCHERZO SI TRATTAVA, era davvero riuscito ALLA GRANDE.

Tanto di cappello, anche se la faccenda aveva smesso DA UN BEL PEZZO di essere divertente, come aveva già avuto modo di ribadire. Anche se SOLAMENTE A SE’ STESSO, almeno per il momento.

Ed aveva iniziato a notare un altro piccolo particolare. Forse insignificante, visto che al confronto degli altri non era certo il più il più inusitato e singolare.

O meglio, lo era. Ma se avesse accettato e preso per buono anche quello, allora...allora la logica e la coerenza avrebbero potuto tranquillamente andare a FARSI BENEDIRE, e una volta per tutte.

E cosa avrebbe potuto essere mai?

Fino ad adesso non si era ancora lasciato sconvolgere da NULLA, nonostante le sue continue perplessità a riguardo.

Cosa era mai quest’ultima, SURREALE trovata? Cosa aveva mai di tanto speciale da lasciarlo basito? Da riuscire dove le altre avevano miseramente fallito, pur avendocela messa tutta?

Semplice. Che QUEL POSTO, di qualunque posto si trattasse, NON ERA IL BUDOKAN CENTER.

Questo era POCO, MA SICURO.

Era un altro posto. Un posto che CONOSCEVA BENE.

Ma non poteva essere possibile.

COME POTEVA ESSERE POSSIBILE, DANNAZIONE?

Eppure, lo era. Ne era più che certo.

Era...era il…

Non fece in tempo a finire di formulare il pensiero.

Udì qualcosa. Qualcosa che proveniva nella direzione di fronte a lui.

Un rumore. Continuo ed insistito.

RUMORE DI PASSI.

Cominciò a correre, con le luci che presero ad accendersi sempre più rapidamente, adeguandosi all’istante al suo repentino cambio di passo e di marcia.

Accelerò ancora, e poté constatare che sia il ritmo del suo respiro che del suo battito cardiaco seguitavano a rimanere perfettamente REGOLARI, nonostante l’ansia e lo sforzo. La sua pelle non era nemmeno imperlata di sudore, anche se si era messo a sgambare a perdifiato.

Poi, all’improvviso...intravide UNA LUCE.

UNA LUCE, ALL’ ORIZZONTE.

Alla fine di quel cavolo di tunnel, insieme a quel rumore ormai incessante.

Sprintò ulteriormente. Mancava poco, ormai. DAVVERO POCHISSIMO.

La luce iniziò a diventare sempre più grande, sempre più accecante. E a prendere una forma. La sagoma di UNA PORTA ANTI – INCENDIO a doppio battente, completamente spalancata.

Che idiota, che era. Come aveva fatto a non capirlo?

Se ti trovi in un palazzetto sportivo adibito ad uno SPORT DA COMBATTIMENTO, non importa quanto siano lunghi i corridoi interni che lo attraversano da parte a parte come file di intestini.

Sempre in un posto vai a finire, prima o poi.

All’inizio di tutto. Alla fine di tutto.

AL RING.

Riconobbe anche il rumore, che nel frattempo si era fatto via via sempre più chiaro ed udibile.

Non erano passi.

ERANO SALTELLI.

Qualcuno ci stava danzando sopra, al bianco tappeto.

C’ERA DAVVERO QUALCUNO, CAZZO.

Varcò deciso la porta di luce bianca, pronto a tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Assurdo.

Pazzesco.

Da non credere.

Eppure non vi era alcun modo di sbagliarsi o di confondersi. Lo aveva già intuito da prima, anche se non voleva ammetterlo. NON POTEVA AMMETTERLO.

IL KORAKUEN HALL. Rischiarato a giorno e completamente deserto. Fatta eccezione per la figura a torso nudo, shorts e scarpette professionali che si muoveva agile e rapido al centro del quadrato sfoggiando un eccellente gioco di gambe, mentre faceva boxe con la propria ombra provando rapide e ripetute combinazioni di uno – due, oppure doppi jabs di sinistro seguiti a ruota da un potente cross di destro, e talvolta aggiungendoci un gancio od un montante sinistro. Questi ultimi, in particolare. Erano molto larghi, talmente larghi da risultare quasi delle ampie sbracciate a traiettoria ascendente piuttosto che dei colpi di pugilato. Ma dovevano essere potenti. MOLTO POTENTI, a giudicare dal suono che emettevano ogni volta che fendevano l’aria intorno a loro.

Il tizio accompagnava l’esecuzione di ogni tecnica con un leggero sbuffo, esalando un corto respiro.

Ed era davvero veloce. VELOCISSIMO, nonostante la stazza. Il suo fisico sembrava tornato quello dei tempi migliori. Ed il suo peso doveva essere rientrato nella giusta e legittima categoria.

Quella dei WELTER.

Era davvero al top della forma. Forte, tonico, vigoroso. Non quella sorta di FANTASMA RINSECCHITO, quello SCHELETRO AMBULANTE a cui si era ridotto a causa dell’assurda DIETA a cui si era sottoposto di sua spontanea volontà per poterlo affrontare ad ARMI PARI, in un match ufficiale e regolamentare.

Joe non credeva davvero ai propri occhi. Che con ogni probabilità dovevano essere completamente SGRANATI E FUORI DALLE ORBITE per la sorpresa, anche se per ovvie ragioni non poteva vederseli da solo.

Rallentò di colpo. E poi iniziò ad avvicinarsi lentamente, con circospezione ed estrema cautela, quasi a non volerlo disturbare.

E poi, una volta ai piedi del ring, vicino al bordo e proprio sotto all’ultima corda, si decise a parlare.

A pronunciare quel nome, seppur con tono incerto ed esitante.

Disse QUEL NOME.

QUEL DANNATISSIMO NOME. BENEDETTO E MALEDETTO INSIEME.

 

“R...RIKI…RIKIISHI...”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Ce l’ho fatta, a quanto pare. E lasciatemi aggiungere che mai come in questo caso il termine FINALMENTE é pressoché d’obbligo.

Non ci crederete ma questo capitolo mi ha creato UN SACCO DI PROBLEMI.

E’ stato forse quello che mi ha MESSO PIU’ IN DIFFICOLTA’ DI TUTTI. SUL SERIO.

E non certo perché non sapessi cosa scrivere, visto che la storia ce l’ho bene in mente.

Il fatto é che mentre ho iniziato la stesura mi é capitata una cosa ASSURDA.

MI E’ VENUTO UNA SPECIE DI BLOCCO EMOTIVO. TOTALMENTE INSPIEGABILE.

Era come se dentro di me sentissi una voce che ripeteva a pappagallo NON VOGLIO FINIRLO! NON VOGLIO FINIRLO!!

Già. Mi avete capito bene. All’improvviso, mi sono accorto che NON VOLEVO FINIRLO.

Penso sia una cosa normale. Questa é la prima storia di una certa lunghezza che mi accingo a terminare. Non é la prima long con cui mi ritrovo alle prese (ne sto facendo un’altra, in contemporanea. Ma ne riparleremo), ma fino ad ora avevo scritto solo racconti di due – tre episodi al massimo (fatta eccezione per le one – shot).

Comunque, alla fine sono riuscito a superare l’impasse. Quando ami ciò che fai vorresti non avesse mai termine, ma bisogna trovare il coraggio di metterci UNA BELLA RIGA SOPRA e di passare oltre. Esistono tantissime altre storie da scrivere e da raccontare che aspettano.

C’é ancora molto da lavorare. E la strada é ancora lunga.

Veniamo all’episodio, adesso.

Allora? Che ve ne pare? Confusi? Meravigliati? Sorpresi? Disgustati (no, quello no, almeno spero)?

Cosa ne dite del COLPO DI SCENA?

Senza contare che si é ritornati al PASSATO REMOTO, proprio come all’inizio.

Vi confesso che questo capitolo non mi ha convinto ancora del tutto. Ma non potevo scriverlo diversamente. E’ venuto come é venuto.

Spero solo di non rovinare tutto quanto proprio sul più bello.

Ed ora, tutti pronti per IL GRAN FINALE?

Il prossimo sarà L’ ULTIMO, e concluderà definitivamente la storia.

Ringrazio intanto Devilangel476, innominetuo e kyashan_luna per le recensioni al capitolo precedente. E come sempre, un grazie anticipato a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un parere.

 

Alla prossima e...coraggio, manca poco! Pochissimo! Ci siamo quasi!!

 

 

 

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

 

 

Roberto

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 12

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“R...RIKIISHI...”

 

Lo ripeté. Lo ripeté ancora.

 

“...RIKIISHI...”

 

E un’altra volta ancora. E poi ancora. Ma non tanto con l’intento di attrarre la sua sua intenzione quanto di fornire un altrettano valido surrogato di UN PIZZICOTTO ben dato.

Quello che di norma ci si tira da soli, in determinate condizioni.

Tipo quando si vuol essere certi di non stare sognando.

L’altro, sentendosi continuamente chiamato in causa, si decise finalmente a rispondere.

Bloccò di colpo l’ultimo attacco a vuoto che stava effettuando, un diretto di destro, lasciando il braccio piegato a metà percorso e piegato naturalmente all’altezza del gomito. Quella tipica escursione ed insieme esecuzione incompleta, il punto di svolta da dove puoi decidere se trasferirci l’intero peso del corpo per poi scaricarlo addosso al contendente, sul volto o al corpo a seconda dei casi, oppure ritrarti di botto e coprirti in seguito ad un suo improvviso attacco di rimessa o d’incontro. Perché é questo il segreto di UN PUGNO BEN ASSESTATO. Ogni attacco nasconde in sé una DIFESA IMPLICITA, e viceversa.

A volerla dir tutta non é proprio niente di speciale, alla fine. E’ l’equivalente del PAGLIERICCIO per uno che imbottisce la parte di una sedia su dove é destinato A POGGIARE IL CULO.

Sono LE BASI DELLE BASI. I tanto decantati ed insieme vituperati FONDAMENTALI.

Quelli che ti costringono a ripetere fino alla nausea e fino all’ottundimento, anche dopo anni che pratichi questa accidente di disciplina. Anche dopo che hai iniziato a diventare un pugile professionista. Anche quando passi dal chiuso della tua palestra al chiuso del ring. Anche quando dai inizio alla scalata al titolo, nazionale o internazionale che sia.

Anche se ti dovesse capitare di diventare IL NUOVO CAMPIONE DEL MONDO.

Non ha alcuna importanza. Non interessa assolutamente chi o cosa puoi o potrai diventare. Da quel punto di vista resti e rimarrai sempre identico ad un novizio che ha appena iniziato a saltellare sul bianco tappeto o sul linoleum, e a muovere i propri primi ed incerti passi in quel mondo.

Perché sono quel che dice la parola stessa. FONDAMENTALI. In tutti i sensi.

Sono quelli che al momento giusto ti salvano la pelle. Come quando sei NELLA MERDA FINO AL COLLO, per esempio. Se ti ritrovi con le spalle al muro e vuoi provare a ribaltare la situazione, ti devi affidare alle cose SEMPLICI. Non vi é proprio niente di più indicato, in quei frangenti. E di solito sono le cose che ti riescono meglio. Specie quando sei stanco, dolorante e sul punto di crollare una volta per tutte.

Non era forse vero che era finalmente riuscito a restituirgli qualche colpo proprio quando l’aveva piantata lì con quell’assurda posizione SENZA GUARDIA, CON ENTRAMBE LE BRACCIA ABBASSATE? Era proprio dal momento in cui aveva iniziato a tenerle strette e serrate attorno al busto, alle spalle e alla faccia, e a sfoderare il repertorio tipico di jab e diretti che aveva finito per trovare l’attimo fuggente tra le sue tecniche micidiali. Il varco attraverso cui era passato il suo ampio SWING di sinistro, dopo aver caricato sulle ginocchia e roteato i fianchi e le anche nella stessa direzione.

Il pugno che lo aveva buttato al tappeto. Dopo averlo centrato IN PIENO SULLA TEMPIA, DANNAZIONE.

IL COLPO MORTALE.

IL PUGNO CON CUI LO AVEVA UCCISO.

Il pugno con cui aveva posto fine alla sua intera esistenza. O, per meglio dire…

GLIEL’AVEVA BLOCCATA.

Gli aveva per davvero INTERROTTO la crescita. Relegandolo VITA NATURAL DURANTE all’età di VENT’ ANNI, o giù di lì.

Imprigionandolo all’interno di un limbo, congelandolo in una sorta di giovinezza immutabile, eterea, perenne. Che sarebbe durata PER SEMPRE.

CONDANNATO A RIMANERE NEL FIORE DEGLI ANNI, SENZA POTER MATURARE NE’ INVECCHIARE MAI PIU’.

Ed é oltremodo INGIUSTO, CRUDELE ed INAMMISSIBILE che il percorso di un individuo si arresti così, di colpo e bruscamente. Quasi senza accorgersene.

Uno si aspetta che la sua ora venga quando é il momento. E cioé il più tardi possibile, si spera.

Tutti andiamo nella stessa direzione, ed essa conduce ad un unico luogo. Chi per la via più corta, chi per la via più lunga. Ma quel che di sicuro ognuno di noi cerca di fare e di prenderla ALLA LARGA. IL PIU’ POSSIBILE CHE GLI SIA CONSENTITO.

ALMENO QUEL TANTO CHE BASTA PER RIUSCIRE A GODERSI IL VIAGGIO. O ALMENO, INIZIARE A GODERSELO.

Ma dover essere costretti ad andarsene così, mentre il proprio processo vitale é ancora IN DIVENIRE...mentre il corpo non si é ancora SVILUPPATO APPIENO...é come fare un incidente in macchina senza aver nemmeno finito di PREPARARE I BAGAGLI. O senza aver nemmeno avuto la possibilità di fermarsi almeno una volta A BEARSI DI GUARDARE IL PANORAMA.

Certe volte la vita e la morte sono davvero BASTARDE. E a proposito di crescita…

Chissà se si continua a crescere anche DOPO…

CHISSA’ SE LE OSSA, E I MUSCOLI, CONTINUANO AD ALLUNGARSI. ANCHE SOLO PER UN POCO, FINCHE’ PERDURA L’ULTIMA STILLA DI ENERGIA VITALE…

 

Chissà se le unghie, la barba e i capelli continuano ad aumentare anche DOPO MORTI, pensò Joe mentre un brivido freddo gli correva lungo la spina dorsale.

“…Rikiishi...” mormorò ancora.

Quest’ultimo nel frattempo, ancora bloccato lì dov’era e alle prese col suo cross di destro rimasto incompiuto, a fronte del suo ennesimo ed insistito appello abbassò entrambi i pugni e finalmente si voltò, ad osservarlo.

E furono faccia a faccia. DI NUOVO.

SI perché era LUI. Anche se era incredibile. Anche se era pazzesco.

ERA DAVVERO LUI.

ERA TOORU.

“Oh...ma guarda guarda un po' chi si rivede...” disse, con tono ironico. “Yabuki. Quanto tempo...”

Joe non sapeva veramente cosa dire. E non solo per la situzione a dir poco IRREALE.

Era la sua risposta ad averlo letteralmente sconvolto. E non solo perché non si dimostrava assolutamente sorpreso dalla cosa, a differenza sua. C’era DELL’ ALTRO.

C’ ERA DI PIU’. Sembrava…

“Rikiishi!! Ma...MA SEI DAVVERO TU?!” Esclamò.

“Certo che sono io!” Replicò l’altro. “E chi dovrebbe essere altrimenti? Andiamo...chi pensi di aver di fronte, Yabuki? UN FANTASMA, forse?”

“Beh...” aggiunse l’istante dopo, divertito. “A giudicare dall’espressione che ha assunto la tua faccia in questo momento si direbbe che tu abbia visto SUL SERIO, un fantasma...”

“E comunque...era ora che ti FACESSI VIVO.” aggiunse qualche istante dopo, con totale noncuranza.

Joe trasalì, a quelle parole.

Allora non era solo una vaga impressione.

LO STAVA ASPETTANDO. ERA LI’ AD ASPETTARLO.

“Che...CHE DIAVOLO CI FAI QUI, TU?” Gli chiese, esterrefatto. “C...CHE DIAVOLO CI FAI QUI, SI PUO’ SAPERE?!”

Rikiishi abbasò lo sguardo echiuse gli occhi. Gli angoli della sua bocca si arcuarono leggermente verso l’alto, formando un vago accenno di smorfia.

“Uh, uh, uh...”

Eccola. Anzi...ECCOLI LI’. AL GRAN COMPLETO. Quel sorriso strafottente accompagnato da quella tipica espressione DA STRONZO che sapeva fare così bene. E che lui conosceva altrettanto bene. Quelli che avevano il potere di MANDARLO LETTERALMENTE IN BESTIA E DI FARGLI SALIRE IL SANGUE AL CERVELLO.

Era un vero artista. E non soltanto per quel riguardava il fare a pugni. Tooru doveva essere il massimo esperto anche nel far INCAZZARE LA GENTE. Specie quelli dal temperamento impulsivo ed irascibile come lui.

Quante volte glieli aveva visti fare. E quante volte avrebbe voluto saltargli addosso PER RIEMPIRLO DI PUGNI FINO SPACCARGLI IN MILLE PEZZI QUELLA GRAN FACCIA DI CAZZO CHE SI RITROVAVA, l’istante successivo.

Eppure...stavolta non gli fecero né caldo né freddo. NESSUN TIPO DI EFFETTO.

Era troppo confuso, troppo disorientato da tutto quello che gli stava accadendo dentro ed intorno. Troppe emozioni, troppe sorprese, troppi ricordi tutti quanti insieme...per non parlare DELL’ASSURDITA’ DELLA SITUAZIONE IN SE’.

Lui che si era risvegliato e ritrovato di colpo al Korakuen Hall invece che al Budokan Center. E per di più COMPLETAMENTE DESERTO. E, cosa pazzesca…

RIKIISHI ERA ANCORA VIVO.

 

Ma che cazzo di storia é questa, gente? Pensò.

Ma siamo impazziti, per caso?!

MA NON ESISTE, CAPITO?!

NON ESISTE PROPRIO! NON ESISTE PER UN CAZZO!!

 

Non era solo confuso. Era…

ERA SPAVENTATO.

Come lo poteva essere una rana in fondo ad un pozzo, o come un insetto davanti all’oceano.

Stupefatto ed inerme di fronte a qualcosa di talmente vasto ed enorme che a malapena lo si riesce a comprendere.

Cercò di non pensare alla paura, per impedirle di farsi strada nelle sue gambe e nel suo cuore. Si riconcentrò su Rikiishi, che nel frattempo aveva ripreso a parlare.

“...Che ci faccio qui, dici? Mi spiace doverti correggere, Yabuki. Ma forse...dovresti chiederti CHE CI FACCIAMO QUI, piuttosto.”

“...C – che cosa?! M – ma c – che...”

“Sai...a dirla tutta non mi sono fatto ancora un quadro chiaro e completo della faccenda. Nonostante mi trovi qui da UN SACCO DI TEMPO. Certe volte ho avuto come l’impressione di stare in questo posto da una vita. E ti confesso che in alcuni momenti mi stavo persino scocciando di rimanere a saltellare qua sopra. Anche se in realtà...sapevo fin troppo bene che ciò NON ERA POSSIBILE. NON QUI, almeno. Da queste parti il tempo NON SCORRE. Sembra persino che NON ESISTA. E di conseguenza...non ci si può stufare di qualcosa che NON ESISTE.”

“Un...UN SACCO DI TEMPO, dici? M – ma…ma da q – quanto...”

“Te l’ho appena detto. Ormai ho perso la cognizione. Non ci bado nemmeno più. In ogni caso, tornando alla tua domanda...direi che ad occhio e croce che TI TROVI QUI PER LO STESSO MOTIVO PER CUI CI SONO FINITO IO.”

“Ah...ah, si? E QUALE SAREBBE, DI GRAZIA?”

“Calmati.” lo ammonì l’altro. “Ti ho anche detto che non l’ho capito bene nemmeno io, come stanno le cose in fondo. Ma una cosa l’ho capita, e bene. Ci sono arrivato quando ho sentito giungere qualcuno a passi veloci e di gran carriera lungo il corridoio. E l’ho capito ancora di più quando ho visto che il qualcuno in questione ERI TU.”

“E...e cosa avresti capito? Sentiamo.”

“E’ semplice, Yabuki. Puro e semplice. Ho capito che c’era UN MOTIVO, per cui ho atteso tutto questo tempo. DOVEVA ESSERCI UN MOTIVO.”

“E...e quale sarebbe, questo motivo?”

“Credo proprio che tu ci possa arrivare da solo, a questo punto”

“Aspetta...aspetta UN FOTTUTO MOMENTO. Mi vorresti forse dire che...che SAREI IO, IL MOTIVO?!”

“Molto probabile.”

Il nuovo arrivato era sempre più allibito.

“Io...IO NON RIESCO A CREDERCI! TI GIURO CHE NON RIESCO A CREDERCI, CAZZO!!” Esclamò. “Vuoi dire...vuoi dire che ASPETTAVI ME? CHE MI STAVI ASPETTANDO?! M – MA...MA TUTTO QUESTO E’ ASSURDO!! E PERCHE’ MAI, SCUSA?”

“C’é bisogno di chiederlo?” Domandò Rikiishi, riprendendo a muoversi e a sferrare sequenze di colpi all’aria.

“E...E ME LO DOMANDI, ANCHE?” Sbraitò Joe, allargando le braccia. “CERTO CHE SI!! CREDO PROPRIO DI SI, A QUESTO PUNTO!! DICO, MA...MA NON PENSI ANCHE TU CHE QUELLO CHE STA ACCADENDO QUI...CHE CI STA ACCADENDO SIA FUORI DA OGNI LOGICA, DANNAZIONE?! COME CI SIAMO FINITI QUI, IO E TE?”

Scoppiò a ridere.

“AH, AH, AH!! QUESTA E’ BELLA!! QUESTA E’ DAVVERO BELLA, CAZZO!! LA MIGLIORE DELL’ANNO, DAVVERO!! ANZI...LA MIGLIORE DEL SECOLO!! STA’ A VEDERE CHE ORA SI VIENE A SCOPRIRE CHE TI ERI FINTO MORTO!! E SEI STATO DIETRO LE QUINTE PER TUTTO QUESTO TEMPO A GUSTARTI LO SPETTACOLO!! A VEDERE ME CHE STAVO DA SCHIFO E CHE PATIVO COME UN CANE AL SOLO RICORDO DEL NOSTRO INCONTRO!! CHE MI ERO FATTO VENIRE PURE UN BLOCCO PSICOLOGICO A CAUSA TUA!! SI!! AL PUNTO DI VOMITARE ANCHE L’ANIMA OGNI VOLTA CHE MI RIUSCIVA DI CENTRARE QUALCUNO ALLA TESTA!! ANCHE SOLO PER CASO, VISTO CHE NON ERO NEMMENO PIU’ CAPACE DI FARLO!!

“Yabuki...”

Rikiishi tentò di zittirlo, ma il suo compagno di chiacchierata era ormai partito per la tangente. Anzi...l’aveva proprio presa PER DIRETTISSIMA, imboccandola A TAVOLETTA E A DUECENTO MIGLIA ORARIE.

“PER NON PARLARE DI QUELLA DIETA ASSURDA CHE AVEVO FATTO!! DOVE STAVO ORE ED ORE IN SAUNA E TRACANNAVO PURGANTI COME SE FOSSERO ACQUA FRESCA!! E TUTTO PER RIMANERE IN QUELLA STRACAZZO DI CATEGORIA FOTTUTA DI PESI BANTAM, CHE DIO LA MALEDICA!! ANCHE A COSTO DI IMPEDIRE AL MIO CORPO DI CRESCERE!! E DULCIS IN FUNDO, ARRIVARE AL PUNTO DI RISCHIARE DI FARMI AMMAZZARE DAL PUGILE PIU’ FORTE DELLA STORIA DELLA BOXE!! MA...MA TUTTO QUESTO E RIDICOLO!! E’ SEMPLICEMENTE RI – DI – CO -LO!! QUESTA E’ LA TRAMA PACCHIANA DI UN FILM DI MERDA CHE CON CONVINCEREBBE NESSUNO!! NEMMENO UN IDIOTA!! NEMMENO IL PIU’ IDIOTA TRA GLI IDIOTI, MI HAI CAPITO?!”

Si dice che una bestia selvaggia, di fronte ad un nemico più forte o a qualcosa che non conosce, rimanga ferma e paralizzata dal terrore. E che vada addirittura a rannicchiarsi a tremare in un angolo, nel peggiore dei casi.

Ed infatti é proprio così, almeno all’inizio. Ma questo stato simil – comatoso non é destinato a durare a lungo. L’istinto animale, lo spirito combattivo della fiera assetata di sangue non può rimanere compresso più di tanto. O prima o poi deve LIBERARSI. La volontà ferrea di SALVARSI E DI SOPRAVVIVERE é più forte della paura. DI QUALSIASI PAURA. E passata la paralisi, la belva é pronta a balzare addosso all’avversario e a GIOCARSI IL TUTTO PER TUTTO, SENZA SCONTO ALCUNO.

E ciò vale sia per quelle a quattro zampe che a due, in posizione eretta.

E’ valido sia per un animale della giungla che per un teppista da strada. L’essere CHE MAGGIORMENTE GLI SI AVVICINA, nel mondo civilizzato degli uomini. NON LI SI PUO’ TRATTENERE OLTRE IL DOVUTO. NON POSSONO STARE FERMI NELLO STESSO POSTO PER PIU’ DI UN ISTANTE.

CORRI E VEDI, ricordate?

E lo stesso fece Joe.

Dapprima fece un grosso applauso, battendo le mani con la massima forza ed intensità di cui disponeva.

“AH, AH, AH!! I MIEI COMPLIMENTI, DAVVERO!! E MAGARI HAI ARCHITETTATO TUTTO CON YOKO, VERO?! CON QUELLA STREGA, PER FARVI DUE GRASSE RISATE ALLE SPALLE DEL SOTTOSCRITTO!! BRAVI, DAVVERO!! DA VANTARSENE, PROPRIO!! DA ESSERNE FIERI!! E COSI’ VI SIETE FINALMENTE VENDICATI PER QUELLA GRAN FIGURACCIA CHE VI HO FATTO FARE AD ENTRAMBI, AI TEMPI DEL RIFORMATORIO!!”

“NO, ASPETTA...” si corresse. “FORSE ADESSO HO CAPITO!! VI SIETE MESSI IN COMBUTTA COL VECCHIO, VERO? CON IL VECCHIO GUERCIO PUGILOMANE E CON QUEL BESTIONE DI NISHI, E ANCHE CON I RAGAZZI DEL QUARTIERE!! MI AVETE FATTO TRASPORTARE DAL BUDOKAN FINO A QUI CON UN’AMBULANZA, E POI MI AVETE ADAGIATO SU QUELLA PANCA. ED INFINE VI SIETE NASCOSTI TUTTI QUANTI AD ASPETTARE CHE RIPRENDESSI I SENSI!! TUTTI QUANTI, TRANNE TE!! HO INDOVINATO, VERO?! E’ COSI’ CHE STANNO LE COSE GIUSTO?! BEH...ORA BASTA!! NE HO PIENI DAVVERO I COSIDDETTI!!”

Poi cominciò a girare attorno all’intero quadrato, avanti ed indietro come un forsennato, e sollevando di volta in volta i vari lembi e strati di stoffa che ne coprivano i lati e la base, dello stesso bianco colore del tappeto. E tuffandosi con l’intera testa all’interno dello spazio che invariabilmente si veniva a creare.

“OK, GENTE!!” Urlò. “E’ STATO UN BELLO SCHERZO, DAVVERO!! DA SCOMPISCIARSI DAL RIDERE, SUL SERIO!! ADESSO BASTA, PERO’!! UN BEL GIOCO DURA POCO!! VI AVVERTO CHE INIZIO AD AVERNE ABBASTANZA!! E SAPETE QUEL CHE SUCCEDE, QUANDO PERDO LA PAZIENZA!!”

La sua voce stava addirittura RIMBOMBANDO, nei punti dove si infilava. Si disperdeva nello spazio vuoto e tra le intercapedini, rimbalzando tra i piedistalli e i supporti metallici. Stava addiritura formando una sorta di rudimentale ECO.

Doveva pensare che ci fosse davvero QUALCUNO, nascosto là sotto. Nonostante il riverbero sonoro fosse la prova CHIARA E LAMPANTE che le cose NON STAVANO AFFATTO COSI’. Ma ciò non bastò certo a farlo desistere.

“AVANTI!!” continuò imperterrito senza smettere di scostare, sbirciare e frugare. “LO SO CHE SIETE LI!! E’ INUTILE CHE FATE FINTA DI NIENTE, CAPITO?! E’ INUTILE CHE FINGETE DI NON ESSERCI, TANTO O PRIMA O POI VI TROVO!! MI STATE ROMPENDO, CHIARO?! MI STO ROMPENDO I COGLIONI, DI QUESTA STORIA!! VENITE FUORI, UNA BUONA VOLTA!! BASTA!!”

Rikiishi, resosi conto che non avrebbe potuto ricondurlo in alcun modo alla ragione, continuò a muoversi sulle punte alternando ai pugni improvvisi cambi di direzionee schivate, sia laterali che a movimento rotatorio mediante la torsione del busto. Il tutto rimanendo totalmente impassibile a ciò che stava accadendo ai piedi del quadrato.

Poi, con tutta probabilità, dovette iniziare ad averne PIENI I COSIDDETTI ANCHE LUI, di tutta quella faccenda. E di quella squallida pantomima.

Quando E’ TROPPO E’ TROPPO, gente. Dagli e dagli, anche la pazienza più temprata e levigata FINISCE CON L’ESAURIRSI.

Specie se si ha LA TENDENZA CONGENITA A VOLER FORZARE LA SITUAZIONE. SEMPRE. OLTRE OGNI BUONA RAGIONE ED OLTRE OGNI LIMITE. COMPRESO QUELLO DELLA DECENZA.

Come nel caso di COLUI CHE AVEVA DI FRONTE.

Si arrestò di nuovo a fissarlo.

“Ora basta, Yabuki.” gli intimò.

Joe si bloccò a sua volta e lo fissò. Sembrava proprio sul punto di andare FUORI DAI GANGHERI DA UN MOMENTO ALL’ALTRO.

“Si, mi hai sentito.” gli ribadì Tooru, prima che quest’ultimo avesse il tempo di replicare con la prima frase o parola che gli passasse per la testa o per la bocca, anche la più stupida ed insensata. “Dacci un taglio. Stai iniziando ad infastidirmi.”

“Cosa...cos’é che mi appena detto?” Fece l’altro.

“Hai capito benissimo. E non farmelo ripetere un’altra volta, che non ho voglia di sprecar fiato. Non c’é bisogno di agitarsi così tanto. E nemmeno di fare tutto questo GRAN CASINO. Ti decidi a darti una regolata, o devo tornare da subito ai VECCHI METODI?”

“Che...CHE CAZZO STAI DICENDO, SI PUO’ SAPERE? CHI CAZZO TI HA CHIESTO NIENTE A TE, EH?”

“Lo sai, quel che intendo...vale a dire che devo PESTARTI BEN BENE PER FARTI CALMARE, e MASSAGGIARTI QUELLA TESTACCIA VUOTA CHE TI RITROVI A SUON DI CAZZOTTI. E’ davvero questo quello che vuoi, Yabuki?”

“T – TU!! BRUTTO...”

Joe montò in bestia e si aggrappò con una mano alla corda più bassa e fece per saltare su, poggiando la pianta del piede sul bordo e facendo leva con essa.

“VUOI MENARMI, STRONZO?! BENE, TI ACCONTENTO SUBITO!! DAMMI GIUSTO IL TEMPO DI SALIRE, E POI VOGLIO PROPRIO VEDERE COSA RIESCI A FARMI!! SEI PRONTO?! GUARDA CHE ARRIVO!!”

Rikiishi, per tutta risposta, raggiunse la parte opposta camminanado lentamente e con calma. Poi poggiò la schiena sulle corde e vi si adagiò comodamente sopra a braccia belle larghe e mettendoci sopra pure i guantoni, con le mani bene aperte.

“Stà tranquillo...” disse. “Sono certo che verrà il momento anche per quello. Ma prima ci sono delle COSE DA DIRE. E DA FARE.”

La sua uscita fu talmente spiazzante che il tentativo di Joe di precipitarsi sul ring morì a metà tragitto. Tolse la scarpa dallo spigolo appuntito e, dopo averla riappoggiata a terra, mollò di colpo la corda elastica ritraendo il braccio altrettanto di scatto.

“COSE...DA DIRE E DA FARE?” Chiese, perplesso. “MA...MA CHE SIGNIFICA?”

“Te lo ricordi qual’é stato il tuo più GRANDE RIMPIANTO NEI CONFRONTI DEL SOTTOSCRITTO?” Gli domandò Tooru, senza tanti giri di parole.

Joe rimase a guardarlo, allibito esenza profferire alcun verbo.

“Allora?” lo incalzò l’altro.

Niente. Neanche un fiato.

“Uh, uh, uh...”

Gli scappò da ridere, a vederlo mentre si ostinava a trincerarsi dietro a quella coltre di malcelato silenzio.

“Facciamo così...” gli propose. “Te la do io una dritta. Sostenevi che io e te abbiamo avuto solo SCONTRI, nel periodo in cui ci siamo conosciuti. Questo é stato IL SOLO ED UNICO TIPO DI RAPPORTO che abbiamo avuto tra noi. L’UNICO MODO CHE CONOSCEVAMO PER SCAMBIARCI OPINIONI E PUNTI DI VISTA.”

Joe continuava a stare zitto. Ma dal modo in cui seguitava a fissarlo, sembrava si rendesse conto che aveva ragione. O almeno, che CAPISSE ALLA PERFEZIONE quel che stava dicendo. Era come se gli si fosse accesa UNA LAMPADINA DENTRO ALLA TESTA.

“Allora, Yabuki?” Continuò Rikiishi. “Dico bene oppure no? Ci siamo sempre spiegati le cose A MODO NOSTRO. Vale a dire CON I PUGNI, PIUTTOSTO CHE CON I DISCORSI. Incrociando i nostri guantoni, e mescolando la nostra CARNE, il nostro SANGUE e le nostre OSSA sul ring. Non é forse così, che sono sempre andate le cose, TRA NOI?”

“M – ma...ma come...”

“E ti dirò che a me ha garbato benissimo anche così. Ma tu...tu hai sempre avuto UN CRUCCIO.”

“U...UN CRUCCIO, DICI?”

“Esatto. Il tuo PRINCIPALE RAMMARICO é stato di non essere ma riusciti a PARLARE. NEMMENO UNA VOLTA. Ci siamo sempre e solamente COMBATTUTI, e basta. Ma non abbiamo mai avuto modo di CONOSCERCI. CONOSCERCI VERAMENTE.”

“E...E TU CHE CAZZO NE SAI, EH?” Reagì bruscamente Joe, come punto sul vivo. “CHE CAZZO NE SAI DI QUEL CHE PENSO, ME LO DICI? CHE CAZZO NE PUOI MAI SAPERE DI QUEL CHE PENSO VERAMENTE, EH?”

“Occhio, Yabuki. Stai iniziando ad ALTERARTI di nuovo. E PER UN NONNULLA, per giunta. E come tu sai, A ME NON VA A GENIO LA GENTE CHE SI ALTERA TROPPO E SENZA UN MOTIVO VALIDO.”

“MI STO ALTERANDO, DICI?” Gridò Joe. “SECONDO TE IO MI STO ALTERANDO? MA CERTO CHE MI STO ALTERANDO, CAZZO!! CI PUOI GIURARE, CHE MI STO ALTERANDO!!”

Scoppiò a ridere.

“AH, AH, AH!! CI MANCAVA PURE CHE TI METTESSI IN TESTA DI VOLERMI FARE DA ANALISTA!! OPPURE HAI IMPARATO A LEGGERE NEL PENSIERO, EH? CHE MI SEI DIVENTATO TELEPATICO, PER CASO?!”

“Telepate.”

“...Eh?”

“Si dice TELEPATE, Yabuki. Non TELEPATICO. Studiati meglio IL VOCABOLARIO, la prossima volta. Da te le BUONE MANIERE non le pretendo di certo, visto che non ne sei mai stato di sicuro maestro. Ma UN MINIMO DI PADRONANZA DI LINGUAGGIO IN PIU’ , quella si. Mi pare il minimo, dopotutto. E’ passato tanto di quel tempo, voglio dire...dovresti essere MATURATO, almeno un po'.”

“Ma...MA NON FARMI RIDERE, RIKIISHI!! VORRESTI METTERTI A PARLARE CON ME? PROPRIO ADESSO? E...E DI COSA, DI GRAZIA?! E VA BENE, PARLIAMO!! ANZI...PERCHE’ NON CI METTIAMO AL TAVOLINO DI UNA BELLA CAFFETTERIA A DISCUTERE DEL PIU’ E DEL MENO, CON UNA TAZZA DI THE’ E UN VASSOIO DI PASTICCINI, EH? NON SEI MAI STATO DI MOLTE PAROLE NEMMENO TU, MI RISULTA!! E ADESSO COSA VORRESTI FARE DI GRAZIA, EH? METTERTI A RECUPERARE IL TEMPO PERDUTO TRA NOI, PER CASO? O RIVANGARE I BEI VECCHI TEMPI? IN FIN DEI DEI CONTI E’ QUELLO CHE STIAMO GIA’ FACENDO! SARANNO DIECI MINUTI CHE MI STAI ANDANDO AVANTI A PARLARE PER INDOVINELLI!! SARANNO ALMENO DIECI FOTTUTISSIMI MINUTI CHE STIAMO ANDANDO AVANTI A FARE QUESTI DISCORSI DEL CAZZO!!”

“Sempre pronto a farsi SALTARE LA MOSCA AL NASO per un nonnulla, eh? Sarai anche cresciuto, ma non hai perso un briciolo della tua grinta. Bene così. In ogni caso...come ho già ribadito poco fa E’ IL TUO PROBLEMA, non certo il mio. E’ stata la stessa cosa ANCHE CON CARLOS, mi risulta...”

Joe impallidì.

“...C – CARLOS?! M – MA C – COME...”

“Sai di chi sto parlando, Joe.” Lo interruppe Tooru. “CARLOS RIVERA. PROPRIO LUI. Anche con lui ti eri dispiaciuto del fatto di non aver scambiato nemmeno una parola, a momenti. SOLO PUGNI.”

“Come...COME CAZZO FAI A SAPERE DI CARLOS, TU? Non...NON E’ POSSIBILE. TUTTO...TUTTO QUESTO E’ ASSURDO...E’...E’ IMPOSSIBILE, CAZZO!! TU NON PUOI CONOSCERE CARLOS, NON PUOI!! TU...TU ERI...”

“Spiacente di doverti contraddire, ma...in QUESTO POSTO parole come ASSURDO ed IMPOSSIBILE sono totalmente PRIVE DI QUALUNQUE SIGNIFICATO. Come IL TEMPO, del resto.”

“Io...io ti giuro che non...non capisco. A me sembra di DIVENTARE MATTO...”

“Eh, lo so...sappi che TI COMPRENDO PERFETTAMENTE. All’inizio é un po' SPIAZZANTE, come cosa. Ma credo che tra non molto ci arriverai anche tu.”

“A – ARRIVARE?! ARRIVARE DOVE? A C – COSA DOVREI ARRIVARE?!”

Rikiishi abbassò la testa ed iniziò a scuoterla leggermente, come in segno di disapprovazione.

“Ah Yabuki, Yabuki...é sempre stato IL TUO LIMITE. Come al solito...guardi sempre le cose DALLA PROSPETTIVA SBAGLIATA.”

“D – DALLA PROSPETTIVA SBAGLIATA? M – MA COME SAREBBE A DIRE?!”

“Sarebbe a dire che non si tratta tanto di una questione di COME, ma di PERCHE’.”

“C – COSA...COSA INTENDI?!”

“Mph. Non fare IL FINTO TONTO, che con me non ti riesce. Lo sai fin troppo bene anche tu siamo LEGATI L’UNO ALL’ ALTRO. Lo siamo SEMPRE STATI. Sin dal primo momento che abbiamo iniziato ad affrontarci.”

“Questo é vero...” ammise Joe. Anche se, a giudicare dal modo in cui gli si stava rivolgendo, si intuiva facilmente che gli dovesse costare DAVVERO PARECCHIO essere costretto a dover cedere ED ARRETRARE DI UNA POSIZIONE. SPECIE CON LUI. “...Te lo voglio concedere. Ma mi risulta che abbiamo avuto entrambi la nostra opportunità per CHIUDERE DEFINITIVAMENTE I CONTI. E lo sappiamo tutti e due come E’ ANDATA A FINIRE...”

“Già...me lo ricordo molto bene anch’io. Ma...se le cose NON STESSERO PROPRIO COSI’? CI HAI MAI PENSATO?”

“I – in che senso?”

“Se é per questo sapevamo entrambi anche come avrebbero dovuto proseguire le cose, una volta terminata LA NOSTRA CONTESA. Ognuno avrebbe fatto ritorno nella sua categoria di legittima appartenenza. Io sarei rientrato nei WELTER, e tu te ne saresti rimasto nei BANTAM. O magari saresti salito salito successivamente nei pesi PIUMA, visto che il tuo fisico non aveva ancora finito di svilupparsi. Il punto era che ognuno sarebbe tornato a far parte DEL SUO MONDO, e lì avrebbe proseguito con la propria carriera. Avrebbe continuato a combattere fino a raggiungere il titolo. Prima quello NAZIONALE, e poi quello CONTINENTALE. Fino a quello MONDIALE. E ritengo che saremmo diventati entrambi DEI CAMPIONI. Ce l’avremmo fatto di sicuro, perché avevamo entrambi TALENTO. TALENTO DA VENDERE. UN TALENTO A DIR POCO ECCEZIONALE. Ma ora io ti chiedo questo...e sei pregato di rispondermi sinceramente. Secondo te...ERA DAVVERO QUESTO, QUELLO CHE VOLEVAMO? ERA DAVVERO QUESTO, QUELLO CHE DESIDERAVAMO VERAMENTE?”

“Io...io non credo di seguirti, Rikiishi.”

“Rifletti per un solo istante. Forse a noi NON IMPORTAVANO DAVVERO, tutte quelle cose. Non combattevamo NE’ PER LA FAMA, NE’ PER LA GLORIA. MEN CHE MENO PER I SOLDI. E NEANCHE PER IL TITOLO. Perché nel momento in cui ci siamo incontrati, AVEVAMO GIA’ TUTTO QUEL CHE SI POTEVA DESIDERARE. E A PORTATA DI MANO. Era così che stavano veramente le cose, almeno dal mio punto di vista. Ma io l’ho capito soltanto DOPO. DOPO CHE MI SONO RITROVATO QUI.”

“Io...”
“Quando mi sono imbattuto in te, avevo capito di aver trovato tutto ciò che un pugile SOGNA. E che magari va avantia cercare DA UNA VITA INTERA, senza mai riuscire a trovarlo. Sto parlando DELL’ AVVERSARIO PERFETTO. Il contendente che vuoi battere a tutti i costi. Ma non PER FARLO SPARIRE O PER LEVARLO DI MEZZO, no. Se mai é L’ESATTO OPPOSTO. Lo vuoi sconfiggere per costringerlo A DIVENTARE PIU’ FORTE DI TE. Per fare in modo che SIA LUI A SCONFIGGERTI, la volta successiva. Per darti la possibilità DI MIGLIORARTI. MIGLIORARE COSTANTEMENTE E CONTINUAMENTE, IN MODO DA RAGGIUNGERE OGNI VOLTA IL TUO LIMITE. E SUPERARLO.”

“COMBATTERE SEMPRE, Yabuki.” Continuò, in preda ad una sorta di estasi mista ad esaltazione. “ED AIUTARSI L’UN L’ALTRO. IN UN MATCH INFINITO. PER CRESCERE. PER EVOLVERSI. PER INNALZARSI. CAPISCI QUELLO CHE INTENDO DIRE? LO CAPISCI, NON E’ VERO? PERCHE’ E’ LA STESSA COSA CHE HAI SEMPRE CERCATO ANCHE TU, IN FONDO.”

“Rikiishi, ascoltami...”

“Ripensa per un attimo A TUTTI GLI AVVERSARI CHE HAI AFFRONTATO, in giro per il mondo. Su questa o dall’altra parte del globo, saltando senza sosta da un ring all’altro...ERI ME CHE VOLEVI, giusto? Hai passato il resto della tua vita e della tua carriera A CERCARMI, NEGLI OCCHI E NEI GUANTONI DI CHI TI SI PARAVA DI FRONTE. PER TENTARE DI RITROVARMI. TROVARE QUALCUNO CHE MI SOMIGLIASSE, CHE FOSSE IDENTICO. SE NON NELLA PERSONA, ALMENO NELL’ESSENZA. MA COSA HAI OTTENUTO, ALLA FINE DI TUTTO?”

Joe non ebbe il coraggio di ribattere, davanti a simili argomentazioni. E l’altro lo dovette comprendere alla perfezione, visto che riprese a discorrere senza nemmeno concedersi la briga di attendere la risposta. Che comunque NON SAREBBE ARRIVATA LO STESSO.

Era proprio vero. Nonostante fossero stati IN CONTRASTO praticamente SU OGNI COSA E DA SEMPRE, su dove volevano loro si erano sempre INTESI A MERAVIGLIA.

“Te lo dico io: NIENTE. ASSOLUTAMENTE NIENTE. Per il semplice fatto che era CON ME, E SOLTANTO CON ME, CHE VOLEVI COMBATTERE. E RICOMBATTERE. ANCORA, E ANCORA. Levami una curiosità...subito dopo che ti ho sconfitto AVRESTI VOLUTO RICOMINCIARE ALL’ISTANTE, NON E’ COSI’? ANCH’ IO...ANCH’IO AVREI VOLUTO MANDARE AL DIAVOLO L’ARBITRO E I GIUDICI AL GRAN COMPLETO E RIPRENDERE DAL PUNTO ESATTO IN CUI CI AVEVANO INTERROTTO. Ci stavamo BATTENDO COSI’ BENE, noi due...che é stato quasi UN PECCATO, DOVER FAR FINIRE TUTTO QUANTO. Ma, a conti fatti...ciò che volevamo fare si é rivelata UN’AUTENTICA UTOPIA. La vita non ci ha concesso questa possibilità. Non ci ha voluto concedere nemmeno l’opportunità di una rivincita. E lasciati dire che si tratta di una cosa PIU’ CHE NORMALE. Quel che avevamo in mente NON E’ POSSIBILE, ALMENO NEL MONDO REALE. Le INGIURIE DEL TEMPO, le FERITE, le MALATTIE, L’ETA CHE AVANZA, e con essa LE CAPACITA’ CHE VIA VIA SBIADISCONO...avevamo tutte queste cose con cui dover essere costretti a FARE I CONTI, VOLENTI O NOLENTI. Ma ora...ORA CI SIAMO RITROVATI, FINALMENTE.”

“RI...RITROVATI, DICI?!”

“Si. RITROVATI. SIAMO QUI. ETERNI. IMMORTALI. PERFETTI. INSTANCABILI. POSSIAMO COMBATTERE PER SEMPRE, YABUKI!! NON E’ MERAVIGLIOSO?! VIEN QUASI DA RINGRAZIARE DI CUORE IL CIELO, PER AVERCI CONCESSO UNA SIMILE GRAZIA!!”

“C – COMBATTERE, DICI?!” Chiese Joe, sempre più stupito. “T – TU V – VUOI CHE IO...STARAI SCHERZANDO, SPERO.”

Il sorriso strafottente sparì di colpo dalle labbra di Rikiishi, a quella considerazione. E la sua faccia si fece improvvisamente seria.

“Di un po'...” disse, con aria quasi risentita. “...A te cosa sembra? HO FORSE LA FACCIA DI UNO CHE SCHERZA, IN QUESTO MOMENTO? VOGLIO CHE TU SALGA SUL RING E CHE MI AFFRONTI, YABUKI. SOLO IO E TE. NON CI SONO GIORNALISTI, E NEMMENO ROMPISCATOLE DI SORTA. E NEMMENO ROUND, NE’ LIMITI DI TEMPO, NE’ CONTEGGI. NIENTE DI NIENTE. POSSIAMO ANDARE AVANTI FINCHE’ VOGLIAMO. FINCHE’ CI PARE.”

“Beh...sarebbe DAVVERO FANTASTICO, Rikiishi. SUL SERIO.” Intervenne Joe. “Ma...NON POSSO FARLO. NON POSSO PROPRIO, purtroppo.”

Tooru lo guardò, sorpreso.

“Non puoi, dici?” Gli chiese. “E perché mai?”

Per tutta risposta e senza aggiungere altro, Joe si inginocchiò e mise le mani sul pavimento, prostrandosi davanti al suo cospetto.

“Ma che stai facendo, si può sapere?” Gli domandò il suo ex – avversario.

“Sai, Rikiishi...ci ho riflettuto su, in questi istanti.” rispose il giovane, con la voce rotta dall’emozione. “E...e allora ho capito che forse...forse c’é un altro motivo per cui mi trovo qui, insieme a te.”

“Ah, si?” fece Tooru, alquanto perplesso. “E quale sarebbe?”

“Forse...anzi CREDO che il VERO MOTIVO per cui sono giunto da te sia di CHIEDERTI PERDONO.”

“Perdono?”

“Si, Rikiishi. PERDONO.” Confessò Joe. “Eri tu IL PIU’ GRANDE. LO SEI SEMPRE STATO. Non avevi ostacoli, di fronte a te. Avresti potuto riuscire in...in QUALUNQUE COSA. T – tu non...NON C’ERANO LIMITI AI TRAGUARDI CHE AVRESTI POTUTO RAGGIUNGERE, E A QUEL CHE AVRESTI POTUTO OTTENERE, DANNAZIONE!! E la verità era che...LO SAPEVAMO TUTTI. LO...LO ABBIAMO SEMPRE SAPUTO TUTTI. Lo sapevano al riformatorio, e lo sapeva chiunque MASTICASSE ANCHE SOLO UN POCO DI BOXE. Lo sapeva bene YOKO, e anche suo nonno. E, a dirla tutta...LO SAPEVI ANCHE TU.”

“Io?”

“Si. PROPRIO TU. ERI IL MIGLIORE, E NE ERI PIU’ CHE CONSAPEVOLE DI QUESTO.” continuò Joe, dispiaciuto. “E forse era proprio per quel motivo che CE L’AVEVO COSI’ TANTO CON TE. ERA PER QUEL MOTIVO CHE MI STAVI COSI’ TANTO SULLE PALLE. Perché...perché la verità e che LO SAPEVO FIN TROPPO BENE PURE IO. Ma per TESTARDAGGINE e STUPIDO ORGOGLIO non l’ho MAI VOLUTO AMMETTERE. NON L’HO MAI VOLUTO ACCETTARE. In...IN ALCUN MODO. Ed é stato proprio da allora c – che io ho...ho deciso...ho voluto iniziare a PERSEGUITARTI, e senza alcuna ragione. E...e a quel punto tu...pur di convincermi del tuo reale valore HAI VOLUTO LASCIAR PERDERE TUTTO. Hai...hai RINUNCIATO AD OGNI COSA, PER ME. PER COLPA MIA!! SOLO ED ESCLUSIVAMENTE PER COLPA MIA. E...ed é SEMPRE PER COLPA MIA che...che o – ora t – tu...”

“Yabuki...”

“...D – di te...di te NON E’ RIMASTO PIU’ NULLA. TUTTI TI HANNO DIMENTICATO, ORMAI. E LA RASPONSABILITA’ DI QUEL CHE E’ ACCADUTO E’ SOLTANTO MIA!! E...E ME LA SENTO TUTTA QUANTA ADDOSSO, OGNI GIORNO...”

Due gocce gli caddero dal viso e finirono sul pollice della mano sinistra completamente aperta. Erano LACRIME.

“IO...IO TI POSSO GIURARE CHE HO TENTATO DI RIMEDIARE, RIKIISHI!! HO FATTO DI TUTTO!! CI...CI HO PROVATO IN OGNI MODO!! E’...E PER MANTENERE VIVA LA TUA MEMORIA CHE SONO TORNATO SUL RING, E HO CONTINUATO A COMBATTERE. E PER CUI HO DECISO DI RIMANERE NEI PESI BANTAM, ANCHE QUANDO IL MIO CORPO NON ME LO CONSENTIVA PIU’, ORMAI. ED E’ SEMPRE PER QUEL MOTIVO CHE HO CONQUISTATO IL TITOLO ASIATICO. ED E’ SEMPRE PER TE CHE HO DECISO DI BATTERMI PER IL TITOLO MONDIALE CONTRO IL CAMPIONE, NONOSTANTE NON FOSSI PIU’ IN CONDIZIONI DI SOSTENERE UN MATCH. Ma...”

“Ma ero...sono sempre stato al corrente che...che qualunque cosa potessi fare, per tentare di rimettere le cose a posto, sarebbe risultata COMPLETAMENTE INUTILE” affermò, con un groppo in gola. “AL MALE FATTO NON VI E’ RIMEDIO. MAI. Qualunque cosa avessi fatto, qulaunque trofeo avessi potuto vincere...NON AVREI POTUTO COMUNQUE CANCELLARE LE MIE AZIONI. I MIEI SBAGLI. NON AVREI POTUTO RIPORTARE INDIETRO LE LANCETTE DEL TEMPO. E ora...ora tu VORRESTI LA RIVINCITA...NON POSSO, MI SPIACE.”

Tooru si limitava a continuare ad osservarlo, senza dir nulla. Ma dallo sguardo che aveva si poteva facilmente intuire che non se ne sarebbe rimasto zitto ancora a lungo.

“No...” concluse. “...Non posso, davvero. E non certo perché NON VOGLIA, TUTT’ ALTRO. SOLO IL CIELO SA QUANTO LO VORREI, E QUANTO MI PIACEREBBE, ma...NON ME LA MERITO, QUESTA POSSIBILITA’, ecco tutto. NON NE SONO DEGNO. NON SONO DEGNO DI RIAFFRONTARTI.”

“Hai finito?”

“C – cosa?!”

Joe alzò la testa e vide che Tooru aveva lasciato la sua precedente postazione sulle corde. Ed ora era di nuovo al centro del ring, che lo guardava. CON LA SOLITA, VECCHIA ESPRESSIONE DI SEMPRE. Quella che lo faceva puntualmente ANDARE LETTERALMENTE FUORI DALLA GRAZIA DI DIO.

“Voglio sapere se hai intenzione di andare avanti ancora per molto, con le tue SCEMPIAGGINI.” gli ribadì quest’ultimo. “O se invece hai intenzione di FINIRLA, una buona volta.”

“T – TU!!” Gli inveì contro Joe. “Sei...NON SEI ALTRO CHE UN MALEDETTISSIMO STRONZO!! MA COME!! IO HO VOLUTO DIRTI QUEL CHE PENSAVO VERAMENTE SUL TUO CONTO, SENZA REMORE!! TI...TI HO APERTO IL MIO CUORE, E...E TU...”

Rikiishi scosse la testa, dopo averla abbassata. DI NUOVO.

“Ma sentitelo...APERTO IL MIO CUORE...dove pensi di stare, Yabuki? IN UNO SCENEGGIATO TELEVISIVO, FORSE?”

“STA ZITTO!!” Proseguì imperterrito l’altro, senza nemmeno badargli. “CHIUDI...CHIUDI QUELLA BOCCACCIA DI MERDA!! IO MI...MI SONO CONFIDATO APERTAMENTE CON TE...E TU NON STAI FACENDO ALTRO CHE RIDERTELA SOTTO AI BAFFI E CONTINUARE A PIGLIARMI PER IL CULO!! MA IO TI SPACCO LA FACCIA!!”

Una nuova ondata d’ira profonda mista alla rabbia più cieca lo invasero, mentre si rimetteva in piedi. E come nella precedente occasione, si lasciò ghermire senza opporre la benché minima resistenza, come LA PIU’ DOCILE DELLE PREDE.

Gli occhi gli si erano già asciugati, per effetto di quello che considerava come L’ENNESIMO SGARBO PREMEDITATO. L’ ENNESIMA, DELIBERATA ED ASSOLUTAMENTE GRATUITA PROVOCAZIONE NEI SUOI CONFRONTI.

Del suo rimorso non vi era rimasta la benché minima traccia. Come se non fosse accaduto NIENTE. COME SE NON AVESSE PROVATO NIENTE.

Le sue sensazioni contrastanti di poco prima erano sbiadite. La sua precedente manifestazione di dispiacere SOTTO FORMA LIQUIDA SI ERA GIA’ DISSOLTA. EVAPORATA DI COLPO DALL’INTERNO DEI SUOI OCCHI.

Rimise nuovamente mani e piedi proprio dove si trovavano fino a poco fa. E cioé rispettivamente sulla corda elastica più bassa e sul bordo del tappeto, con la chiara intenzione di volerci salire sopra. Ma dando da capire che non sarebbero bastate le chiacchiere a fermarlo, questa volta. Voleva fargliela davvero pagare.

Era proprio questo, a mandarlo in fumo. Il fatto che quel bastardo non lo volesse MAI PRENDERE SUL SERIO. LO FACEVA APPOSTA. Partiva sempre prevenuto, nei suoi confronti. Lo trattava come una sorta DI PASSATEMPO, DI BALOCCO. E si comportava sempre così, anche quando le cose NON ERANO UN GIOCO.

PER LUI NIENTE ERA UN GIOCO.

E QUEL FIGLIO D’ UN CANE RIDEVA. RIDEVA SEMPRE, INVECE.

ANCHE QUANDO NON C’ERA UN CAZZO, DI CUI RIDERE.

VOLEVA LE ROGNE?

BENE, BENISSIMO. AGLI ORDINI.

GLIELE AVREBBE DATE, FIN QUANTE NE VOLEVA. E GLI AVREBBE DATO PURE LE CROSTE.

 

Dopo tutto questo tempo che non ci si vedeva…

Avrei voluto che le cose andassero UN PO’ DIVERSAMENTE, tra noi.

Almeno una volta. ALMENO QUESTA VOLTA.

MA TU HAI DECISO DIVERSAMENTE. COME AL SOLITO.

Ti raccomando di non volermene, Rikiishi. Ma...TE LA SEI CERCATA.

OH, SI. TE LA SEI PROPRIO CERCATA.

ADESSO TI AMMAZZO.

 

“VUOI FARE A BOTTE, RIKIISHI? TI ACCONTENTO SUBITO!! TI MASSACRO!! ASPETTA SOLO CHE VENGO SU E POI IO...”

“...E stà buono.”

Quella secca esortazione fece IL MIRACOLO. Ebbe l’effetto di stopparlo. PER LA SECONDA VOLTA.

UN VERO RECORD, considerato il soggetto.

“Rimani sempre il solito, Yabuki.” Commentò aspramente Rikiishi. “Però una cosa te la devo concedere. Devo ammettere che UN PO’ MIGLIORATO LO SEI, dopotutto. Una volta sarebbe bastata una delle mie occhiataccie per farti SALIRE IL SANGUE ALLA TESTA. Ti saresti SCAGLIATO SUBITO CONTRO DI ME, NEL VANO TENTATIVO DI MASSACRARMI. E NON SAREBBERO BASTATE VENTI E PIU’ PERSONE, A TRATTENERTI. Me lo ricordo bene, com’eri. Invece, qui...sono riuscito A RICONDURTI ALLA RAGIONE, anche SE A FATICA. E PER BEN DUE VOLTE DI SEGUITO. Beh...MI CONGRATULO CON TE. Non avrai perso UNA SOLA ONCIA della tua vecchia grinta, ma...almeno SEI RIUSCITO AD AFFINARE IL TUO CARATTERE, oltre che ALLA TECNICA. Sei MATURATO, ALMENO UN FILO. Oserei persino dire che...TI SEI EVOLUTO, finalmente. Hai imparato a NON REAGIRE DI PURO ISTINTO. A RAGIONARE E A VALUTARE LA SITUAZIONE, prima di SCATTARE.”

“E – EVOLUTO, dici?”

“E piantala DI FARMI IL VERSO. SEMBRI UN PAPPAGALLO. Dicevamo...voglio essere FRANCO, con te. Del resto, ho sempre detto TUTTO QUEL CHE PENSAVO, SENZ A TROPPI PELI SULLA LINGUA. E NEMMENO SULLO STOMACO. Se proprio ci tieni a saperlo...”

“…Se proprio ci tieni a saperlo...” ripeté, dopo una brevissima pausa pari a quella necessaria ad un tiro di fiato o ad un battito di ciglia, “...NON MI FREGA NIENTE, DELLE TUE SCUSE O GIUSTIFICAZIONI. NON ME NE FACCIO NULLA.”

“C – COSA?!”

“Mph. Lo hai sentito. NON HO BISOGNO DELLE TUE SCUSE. E NON TI HO ATTESO TUTTO QUESTO TEMPO PER ASSISTERE AI TUOI PIAGNISTEI. COSI’ COME NON HO LA MINIMA INTENZIONE DI CONCEDERTI IL MIO PERDONO.”

“M – MA I – IO...”

“E’ COSI’, Yabuki. Per il semplice fatto che NON HAI NULLA DI CUI SCUSARTI. E NULLA DI CUI DOVERTI FAR PERDONARE, CREDIMI.”

“E ALLORA COSA DOVREI FARE SECONDO TE? DIMMELO, CAZZO!!” Lò implorò Joe con voce disperata, mentre allargava le braccia. “DIMMELO!! HO...HO FATTO DI TUTTO, E ANCORA NON SEI CONTENTO!! MI SONO PERSINO BUTTATO IN GINOCCHIO DAVANTI A TE, AD UMILIARMI, E ANCORA NON TI BASTA!! COS’E’ CHE VUOI DA ME, EH?! COSA?!”

“Certo che sei proprio lento a capire, JOE.”

Lo guardò bene. Per la terza volta. E rimase come interdetto. E non solo perché ERA LA PRIMA VOLTA CHE LO AVEVA CHIAMATO PER NOME, da quando si erano rivisti.

L’espressione di Rikiishi era cambiata, di colpo. E senza che lui se ne fosse minimamente reso conto. Nonostante non avesse distolto gli occhi dal suo volto e dalla sua figura nemmeno per un secondo, da quando si era rimesso in piedi con l’intento di scavalcare le tre corde e saltargli addosso.

Certo, il suo sorriso c’era sempre. Non mancava MAI. Ma, questa volta…

QUESTA VOLTA ERA DIVERSO.

Non era quello solito, dal vago tono canzonatorio.

NON ERA IL SORRISO SPREZZANTE E CINICO DI UN AVVERSARIO.

Era piuttosto un sorriso CALDO, E SINCERO.

IL SORRISO DI UN AMICO.

“Sei sempre il solito.” commentò. “Non ti smentisci mai, in fondo. Andiamo...quante volte te lo avrò detto e ripetuto? QUANTE? Eppure te lo sei dimenticato anche stavolta. Non ti entra proprio in quella tua zucca, non é vero?”

“A che ti rifersici?”

“ALLA BOXE, Joe. Nel pugilato non c’ é spazio per VENDETTE, RANCORI o RISENTIMENTI di sorta. Non hanno senso di esistere, qua sopra.”

Indicò il quadrato.

“Qui dentro contano solo LA TECNICA é L’ ABILITA’. nient’altro. SI COMBATTE, e basta. SENZA PENSIERI. E SENZA ALCUNA DISTRAZIONE. Quelle se ne rimangono fuori, insieme a tutto il resto.”

Il suo sorriso perdurava, nonostante la severità delle sue affermazioni.

“E a proposito di resto...” ritenne opportuno chiarire. “...Riguardo a quel che mi hai detto prima...SONO GIA’ AL CORRENTE DI OGNI COSA.”

Joe fece tanto d’occhi.

“A – al corrente?! M – ma allora...”

“Già. Diciamo che...ho avuto modo di SEGUIRE I TUOI PROGRESSI, passo dopo passo. Davvero NIENTE MALE, i miei complimenti...e lasciati dire che HO APPREZZATO il fatto che tu abbia voluto DEDICARMI IL TITOLO ASIATICO che hai vinto con le tue mani. Anche se...a dirla tutta, AVRESTI ANCHE POTUTO RISPARMIARTELO. IO NON TE L’HO CHIESTO DI CERTO. E NON MI RISULTA CHE NESSUN ALTRO LO ABBIA FATTO IN MIA VECE. Quindi, anche se hai voluto farlo per RISPETTO NEI CONFRONTI DEL SOTTOSCRITTO, ci tengo a ribadirti che si é trattato di UNA TUA LIBERA SCELTA. NON ERI CERTO OBBLIGATO.”

Joe seguitò a non dire nulla. Eppure aveva il cervello COME INTASATO.

PIENO ZEPPO DI DOMANDE, FINO A SCOPPIARE.

Ma poì realizzò che non sarebbe valsa la pena, fargliele. E neanche domandargli COME FACEVA AD ESSERE COSI’ BENE INFORMATO SUL SUO CONTO.

Come DIAMINE faceva a conoscere così bene tutte queste cose, visto che quando erano accadute lui era...

Ma decise di DESISTERE. ANCHE SU QUEL QUESITO.

Alla pari degli altri, NON AVEVA ALCUN SENSO. Così come NON AVEVANO ALCUN SENSO UN SACCO DI COSE CHE STAVANO ACCADENDO. IN QUEL MOMENTO ED IN QUELLO STRANO LUOGO.

Rikiishi dovette comunque intuire l’origine del suo stupore, nonostante stesse facendo scena pressoché muta. Ed infatti si affrettò a fornire una spiegazione valida. Sebbene fosse TOTALMENTE ASSURDA.

Ed il bello che non doveva nemmeno essere LA PIU’ ASSURDA, tra tutte quelle che componevano quel BIZZARRO MOSAICO.

“Te l’ho detto prima, Joe. Non saprei come definirlo in altro modo, ma...sono più che convinto che si tratti...che sia MERITO DI QUESTO POSTO.”

Allargò entrambi gli arti superiori, disponendoli entrambi in orizzontale ed alla massima escursione consentita. Come se gli volesse mostrare la struttura circostante per intero. O come se la volesse ABBRACCIARE.

“Sai...da quando mi trovo qui...improvvisamente SO TUTTO. SO OGNI COSA. Ma si tratta veramente di un VANTAGGIO DA POCO, puoi star sicuro...é davvero una BEN MISERA COSA, paragonata al prezzo che sono stato costretto a dover pagare.”

“U – UN PREZZO, DICI?” Chiese Joe. “Q – QUALE P – PREZZO?! DI QUALE PREZZO STAI PARLANDO?!”

“Lascia perdere. Piuttosto...anch’io ho da confidarti una cosa. Non te l’ho mai voluto rivelare, ma...la verità é che io TI CONOSCEVO GIA, prima che mettessi piede al riformatorio.”
“M – MI CONOSCEVI GIA’?! M – MA C – COME...”

“Non fraintendere. Intendevo dire che avevo letto i giornali. Anche in un posto del genere c’era l’opportunità di POTERSI FARE UNA CULTURA. Ed io, complice il lavoro da sforzo minimo che mi avevano assegnato, ne avevo approfittato. Una vera MOSCA NEL LATTE, non trovi anche tu? Considerando che la maggior parte dei nostri compagni erano dei SEMI – ANALFABETI, che sapevano a malapena interpretare le TESTATE A CARATTERI CUBITALI DELLE PRIME PAGINE, oppure i FUMETTI perché c’erano SOLO LE FIGURE...in ogni caso, LEGGEVO MOLTO. Soprattutto LIBRI, ma anche i QUOTIDIANI che portavano DA FUORI LE GUARDIE, O I SECONDINI...e sfogliando e sfogliando, ho letto della TRUFFA DA STRAPAZZO che avevi architettato ai danni della signorina Yoko.”

“C – COSA?! M – MA ALLORA...ALLORA MI STAI DICENDO CHE...”
“Se pensi che sia stata lei ad AIZZARMI CONTRO DI TE, ti stai SBAGLIANDO. E DI GROSSO. SEI COMPLETAMENTE FUORI STRADA, Joe. HO FATTO TUTTO IO. DI TESTA MIA. Volevo FARTELA PAGARE, ecco tutto. La signorina Yoko ed il signor Mikinosuke mi hanno aiutato molto, quando mi trovavo in un periodo alquanto difficile della mia vita. Un periodo davvero CONFUSO E DIFFICILE, te lo posso assicurare. E ritenevo INGIUSTO che due persone tanto DABBENE fossero state TURLUPINATE a quel modo. RAGGIRATE IGNOBILMENTE da una persona che loro ritenevano bisognosa di aiuto. E così...quando ho saputo che ti avrebbero trasferito all’istituto speciale Toko...non riuscivo a crederci. Avrei avuto LA MIA OCCASIONE. PER PAREGGIARE I CONTI AL LORO POSTO. Ed é quel che ho fatto, dal primo momento in cui hai messo piede lì dentro. Ti ho SISTEMATICAMENTE iniziato a provocare, sapendo che ben presto perso la pazienza.”

“Dannazione! Ecco perché avevi deciso di STRONCARE il mio TENTATIVO DI FUGA, quella volta...”

“Già. Del resto non eri certo UNO STINCO DI SANTO, per ciò che riguardava le risse. Almeno quanto non lo era IL SOTTOSCRITTO. E devo dire che tu hai reso tutto quanto ancora più facile del previsto. Nel giro di breve tempo siamo venuti ALLE MANI, come prevedevo.”
“Vero. Me lo ricordo ancora, QUEL TUO FAMOSO PUGNO con cui mi hai steso. A conti fatti, é davvero INIZIATO TUTTO QUANTO DA QUELLO SGANASSONE...”
“Esatto. Il mio intento era di rifilarti UNA SONORA LEZIONE, e poi chiuderla lì. Ma col senno di poi, se avessi saputo che le cose avrebbero preso UNA SIMILE PIEGA ME NE SAREI BEN GUARDATO, dall’agire così...perché tu, da quel giorno, ME L’HAI GIURATA. Hai preso AD ODIARMI. AD ODIARMI CON TUTTE LE TUE FORZE, E NON HAI PIU’ SMESSO...”

“Puoi DIRLO FORTE, Rikiishi. Eri diventato la mia OSSESSIONE. Pensavo a te GIORNO E NOTTE, e a come avrei potuto SCONFIGGERTI...”

“Appunto. E la nostra FAIDA si é trascinata per tutto il tempo che siamo stati rinchiusi lì dentro. Ed é proseguita persino FUORI, sul ring della BOXE PROFESSIONISTICA. Pensavo che non ci saremmo MAI PIU’ RIVISTI, ed invece...poco dopo ECCOTI LI’. A muovere i primi passi nella GIUNGLA QUADRATA. NEL MIO MONDO. Ci eri riuscito, Joe. CI ERI RIUSCITO PER DAVVERO. Nonostante il tuo vecchio allenatore fosse stato ESPULSO E CACCIATO A CALCI DALLA FEDERAZIONE. E nonostante se ne inventassero DI OGNI per TENERTI FUORI. OSTACOLANDOTI e mettendoti I BASTONI TRA LE RUOTE ALLA PRIMA OCCASIONE o AL PRIMO PASSO FALSO. Ce l’avevi fatta, A DISPETTO DI TUTTO E TUTTI. Ma questo ERA NIENTE. La cosa più incredibile é ciò che avvenuto SUBITO DOPO.”

“D – DOPO?! CHE INTENDI?!”

“Devi sapere che all’inizio il tuo esordio mi ha lasciato a dir poco INDIFFERENTE. Voglio dire...te la cavavi PIU’ CHE DISCRETAMENTE. Anche tu avevi dimostrato di possedere UNA DOTE INNATA, per questo sport. E poi il mondo del PUGILATO é TALMENTE GRANDE...pensavo ci fosse posto PER TUTTI E DUE, senza che ci fosse il bisogno di doverci per forza PESTARE I PIEDI A VICENDA. E poi era passato TANTO DI QUEL TEMPO...vai tu a pensare che ti potessi ancora ricordare della nostra DISFIDA. Questo era ciò che credevo, fino a che non ti ho visto DISPUTARE I TUOI PRIMI MATCH. Da quel momento é CAMBIATO TUTTO.”

“C – CAMBIATO TUTTO, DICI?! I – IN CHE SENSO?!

“Di nuovo a fare IL DISCO ROTTO...proprio NON C’E’ SPERANZA, con te. Dicevamo...agli occhi di un PURISTA o di un ESPERTO, il tuo modo di combattere doveva apparire come un’AUTENTICA BESTEMMIA, a dir poco. Ma io...io avevo imparato A CONOSCERTI BENE, e di conseguenza CI VEDEVO BEN ALTRO. Ogni volta che ti vedevo rimanere in piedi, COMPLETAMENTE IMMOBILE E CON ENTRAMBE LE BRACCIA ABBASSATE, a subire in pieno i colpi del tuo avversario...ebbene, io ci vedevo UN CHIARO MESSAGGIO.”

“U – UN MESSAGGIO?!

“Si, Joe. UN CHIARO MESSAGGIO DI SFIDA. RIVOLTO ESCLUSIVAMENTE A ME. Ed ogni volta che partivi con uno dei tuoi celebri COLPI INCROCIATI, era come se quel pugno LO VOLESSI SPARARE DIRETTAMENTE AL SOTTOSCRITTO. COME SE ME LO VOLESSI STAMPARE DIRETTAMENTE IN FACCIA. Ad ogni incontro che sostenevi non facevi altro che RIMETTERE IN SCENA IL NOSTRO PRIMO DUELLO. Quello che abbiamo effettuato al riformatorio. SBAGLIO, FORSE?!”

“I – io...NO, Rikiishi. NON TI SBAGLI.”

“Ecco. Sembrava proprio che con quei tuoi comportamenti mi volessi COMUNICARE IN PIENO IL TUO ASTIO ED IL TUO LIVORE. Ed io...non sapevo COME LI DOVEVO INTERPRETARE. Ti giuro che NON SAPEVO COME PRENDERLA.”

“Beh, cosa vuoi farci...” ammise Joe, facendo spallucce. “...Eppure dovresti saperlo che IL QUI PRESENTE non é certo il tipo da lasciare CONTI IN SOSPESO.”

Anche sul suo volto cominciava a delinearsi UN’ESPRESSIONE PIUTTOSTO BEFFARDA. Evidentemente aveva deciso di STARE AL GIOCO.

Probabilmente stava iniziando A PROVARE UN CERTO GUSTO PURE LUI, a PRENDERE PARTE A QUELLA SCENEGGIATA.

 

Ok, Tooru.

Ho deciso che farò proprio COME HO FATTO COME CON MENDOZA.

LA PIANTERO’ UNA BUONA VOLTA DI CONTESTARE SEMPRE E FARO’ A MODO TUO.

Per il resto...STIAMO UN PO’ A VEDERE CHE SUCCEDE.

VEDIAMO UN PO’ DOVE HAI INTENZIONE DI ANDARE A PARARE.

 

Dopo aver pensato ciò tornò a concentrarsi su Rikiishi, che nel frattempo stava PIENAMENTE CONFERMANDO la sua valutazione.

“Infatti” asserì, subito dopo. “Se NON LO SO IO...CHI ALTRI PUO’ SAPERLO MEGLIO DI ME? E la CONFERMA DEFINITIVA dei MIEI SOSPETTI ce l’ho avuta quando ti sei recato alla SHIRAKI GYM insieme al signor Danpei e al TUO AMICO NISHI. Te lo ricordi, il nostro EX – CONVITTORE?”

“Certo che me lo ricordo.”

“Mi rammento che la signorina Yoko e suo nonno vi volevano INGAGGIARE. E che tu, per tutta risposta, HAI RIFIUTATO LA LORO OFFERTA, DI PUNTO IN BIANCO. SENZA NEMMENO PRENDERTI UN SECONDO PER RIFLETTERCI SOPRA E SENZA NEMMENO STARLI A SENTIRE. Hai rinunciato ad un posto per cui praticamente QUALUNQUE ALTRO PUGILE AL TUO POSTO AVREBBE FATTO CARTE FALSE, per esservi ammesso. Per tornare ad allenarti in quella LERCIA E CADENTE BARACCA sotto a quel LURIDO PONTE.”
“E dai...NON DIRE COSI’. CI ERO AFFEZIONATO, A QUELLA STAMBERGA.”

Adesso pareva che fosse Joe a prendersi gioco del suo vecchio sfidante. Proprio L’ESATTO CONTRARIO DI CIO’ CHE ERA AVVENUTO FINO AD ORA.

“Tsk. CONTENTO TU...” sentenziò Tooru. “Fu proprio allora che iniziai ad intuire che dovesse esserci QUALCOSA DI PIU’, SOTTO. Qualcosa che CI UNIVA. Una sorta di LEGAME. Ma, per quanto mi sforzassi, IL BANDOLO DELLA MATASSA CONTINUAVA A SFUGGIRMI. All’inizio pensavo addirittura che ti dovessi affrontare per UNA SORTA DI PUNIZIONE.”

“U – UNA PUNIZIONE, DICI?! OH...QUESTA E’ DAVVERO GROSSA!!”

“LIBERISSIMO pure di non crederci. E di RIDERCI SOPRA QUANTO TI PARE. Fatto sta...che consideravo la tua presenza ed il fatto che avrei dovuto REGOLARE LA FACCENDA CON TE, prima o poi...come UNA SPECIE DI PROVA. Di CONTRAPPASSO, o chiamalo come accidente ti pare.”

“ADDIRITTURA UN CONTRAPPASSO!! MA TU PENSA!!” Osservò ironicamente Joe.

“E così, invece” si affrettò a chiarire Rikiishi. “Vedi...devi sapere che anche io sono DI UMILI ORIGINI, PROPRIO COME TE. Ma, a differenza tua...io UNA FAMIGLIA CE L’AVEVO. Solo che L’HO PERSA DI VISTA BEN PRESTO.”

“Sul...SUL SERIO? STAI DICENDO SUL SERIO?!”

“Sul serio. Te lo posso assicurare. Passavo più tempo IN GIRO A ZONZO CHE DENTRO CASA, e durante uno dei miei VAGABONDAGGI…HO FINITO COL NON TORNARE MAI PIU’. Non che i miei genitori si debbano essere STRAPPATI I CAPELLI PER LA DISPERAZIONE, visto che NON MI HANNO MAI CERCATO...in realtà, avevo LE IDEE CHIARE GIA’ DA ALLORA SU COSA FARE DELLA MIA VITA. Volevo COSTRUIRMI UN FUTURO, e sapevo bene che GRAZIE ALLA BOXE AVREI POTUTO RIUSCIRCI. DORMIVO, VIVEVO E MI ALLENAVO IN PALESTRA, TUTTO IL SANTO GIORNO. E le cose sembravano procedere PER IL MEGLIO, fino a che HO PECCATO D’ IMPULSIVITA’ e ho corso il grosso rischio DI MANDARE ALL’ ARIA TUTTO QUANTO. Feci una grossa, GROSSISSIMA CAZZATA, e ad essa...NE AGGIUNSI BEN PRESTO DELLE ALTRE, ANCORA PEGGIORI. Fu allora che la signorina Yoko e suo nonno SI INTERESSARONO AL MIO CASO. Per carità...non sono certo UNO SPROVVEDUTO. Ho sempre saputo che avevano di sicuro IL LORO TORNACONTO, per volersi PRENDERE COSI’ A CUORE LA MIA SORTE. Ma non ci vedevo NULLA DI MALE, in tutto ciò. Erano GENTE RICCA, erano imprenditori...era PIU’ CHE LOGICO che RAGIONASSERO IN TERMINI DI PURO PROFITTO SU OGNI COSA. Per loro non ero altro che UN INVESTIMENTO, alla pari di molti altri. E comunque, mi hanno dato DAVVERO TANTO, in cambio. Hanno costruito una società sportiva ALL’AVANGUARDIA, con LE MIGLIORI STRUTTURE E I MIGLIORI ISTRUTTORI, e tutto SOLO PER ME. Ma hanno fatto ANCHE DI PIU’. Mi hanno fatto diventare UNO DELLA LORO FAMIGLIA. ERANO LORO, LA MIA NUOVA FAMIGLIA. Di fatto vivevo INSIEME A LORO, NELLA LORO CASA. Il signor Mikinosuke, in particolare...STRAVEDEVA, PER ME. Mi considerava ALLA STREGUA DI UN FIGLIO. Per lui ero come UN NIPOTE AGGIUNTO. Ma...”

“...Ma?”

“Ma non mi facevo TROPPE ILLUSIONI, al riguardo. Sapevo che LA MIA FORTUNA SAREBBE FINITA, presto o tardi. FINISCE SEMPRE, Joe. Specie se te ne capita COSI’ TANTA E TUTTA IN UNA VOLTA SOLA. Anche se ero in procinto di fare il mio TRIONFALE RITORNO SULLE SCENE, non avevo dimenticato di essere stato AD UN PASSO DAL GETTARE ALL’ARIA LA MIA INTERA CARRIERA. Però...nonostante quel che avevo combinato, LA SORTE SI ERA DIMOSTRATA BENEVOLA, con me. FIN TROPPO. E lo sai cosa succede quando uno come me, CHE NON HA MAI AVUTO NIENTE, improvvisamente si ritrova AD AVERE QUEL CHE DESIDERA E A COMPLETA PORTATA DI MANO? LO SAI?!”

“Non ne ho idea. Perché NON ME LO DICI TU?”

“Semplice. Succede che PRESTO O TARDI ARRIVA QUALCUNO A PRESENTARTI IL CONTO, PER TANTA MANNA RICEVUTA. NIENTE DURA PER SEMPRE, Joe. E NIENTE

SI DONA PER NULLA. Ho reso il conceto?”

“Direi di si.”

“Ho imparato che TUTTO HA TERMINE, PRESTO O TARDI. Ogni cosa, come RAPIDAMENTE E’ ARRIVATA, ALTRETTANTO RAPIDAMENTE SE NE VA. C’é ben poco da fare. QUEL CHE HAI FATTO TI VERRA’ SEMPRE RESO, E IN EGUAL MISURA. Ma l’uomo SAGGIO E PREVIDENTE LO SA. LO SA SIN DAL PRINCIPIO. Ed é proprio per questo CHE SI PREPARA PRIMA, METTENDO AL RIPARO SE’ STESSO E LE COSE A CUI TIENE DI PIU’. In modo che LA BUFERA, QUANDO SI DECIDE A PASSARE, NON FACCIA TROPPI DANNI. E nel mio caso...forse ERI DAVVERO TU.”

“Io cosa?”

“Sto parlando DELLA BUFERA, Joe. Forse...forse ERI DAVVERO TU LA BUFERA CHE ATTENDEVO DA TANTO TEMPO, E CON TANTA ANSIA E TREPIDAZIONE.”

“Io? E perché?”

“Tu rappresentavi IL MIO PASSATO. E TUTTO QUELLO CHE CONTENEVA E CHE SI PORTAVA APPRESSO. IL RIFORMATORIO, GLI SBAGLI E GLI ERRORI CHE AVEVO COMMESSO...TUTTO QUELLO CHE AVEVO CERCATO DI RIMUOVERE, DI OCCULTARE E DI CUI MI ERO VOLUTO DIMENTICARE, FACENDO FINTA CHE NON ESISTESSE. CHE NON FOSSE MAI ESISTITO. Ma noi non...NON POSSIAMO CANCELLARE CIO’ CHE SIAMO, E DA DOVE VENIAMO. POSSIAMO SOLO SCENDERE A PATTI. E allora...e allora ho pensato che SCONFIGGENDOTI, mi sarei rimesso finalmente IN PACE CON LA MIA COSCIENZA. E che a quel punto sarei finalmente stato pronto PER INIZIARE LA SCALATA AL TITOLO. Ma le cose NON STAVANO AFFATTO COSI’. Io e te ci siamo battuti perché...IO E TE CI SIAMO BATTUTI PERCHE’ ERAVAMO UNA COSA SOLA, JOE. ERAVAMO LEGATI DALLO STESSO DESTINO. E’ stato il destino A FARCI INCONTRARE. Ed é sempre stato il destino a farci entrare da subito IN ROTTA DI COLLISIONE. Doveva...DOVEVA ANDARE COSI’, ecco tutto. E’ così che DOVEVANO ANDARE LE COSE, PUNTO E BASTA.”

“Il...IL DESTINO, dici?!”

“Già. IL DESTINO. Ecco...se c’é qualcuno con cui dovrei SCUSARMI, sono proprio LA SIGNORINA YOKO E SUO NONNO, IL SIGNO MIKINOSUKE. Mi hanno aiutato molto, e avevano una gran fiducia in me. E io li ho ripagati CON L’INGANNO.”

“COME, CON L’ INGANNO?” Esclamò Joe. “M – MA CHE STAI...”

“E’ così, invece. Non sei stato solo tu ad ingannnarli. Ma il mio STRATAGEMMA é stato MOLTO PIU’ SUBDOLO DEL TUO, PER CERTI VERSI. Mi avevano preso SOTTO ALLA LORO ALA PROTETTRICE PER LO STESSO MOTIVO PER CUI IL VECCHIO SIGNOR DANPEI AVEVA DECISO DI PRENDERTI CON SE’. E DI ALLEVARTI.”

“Lo...LO STESSO MOTIVO?! Ma allora...”

“Vedo che CI SEI ARRIVATO ANCHE TU, finalmente. Volevano fare di noi DEI CAMPIONI. Si erano PRESI CURA DI NOI SOLO ED ESCLUSIVAMENTE PER IL...”

PER IL DOMANI.” Puntualizzò Joe.

“INDOVINATO. Per CORTESIA E CONVENIENZA MIA GLIEL’HO LASCIATO CONTINUARE A CREDERE, ma...dopo averti conosciuto, A ME DEL DOMANI NON IMPORTAVA PIU’ NULLA. Il domani...IL LORO DOMANI, QUELLO CHE AVEVANO SCELTO PER ME, NON MI RIGUARDAVA PIU’. NON NUTRIVO PIU’ ALCUN TIPO DI INTERESSE IN CIO’ CHE AVEVANO DA OFFRIRMI. Ormai...ORMAI PER ME C’ERI SOLO TU. E credo...CREDO CHE PER TE FOSSE LA STESSA COSA.”

“CREDI BENE, Rikiishi.” Confermò l’altro. “Così come ritengo che NON CI SIA PIU’ ALTRO DA AGGIUNGERE, AL DISCORSO.”

“Come immaginavo...LI HO USATI, ecco tutto. COME E PIU’ DI QUANTO LORO ABBIANO VOLUTO USARMI. AVEVANO FIDUCIA IN ME...E IO LI HO TRADITI. HO SENZ’ ALTRO FINITO PER DELUDERE LE LORO ASPETTATIVE, ma...NON POTEVO FARCI PIU’ NULLA. NEMMENO SE LO AVESSI VOLUTO. Ero...ero CAMBIATO. Ero DIVERSO. NON ERO PIU’ QUELLO A CUI ERANO ABITUATI. Però...mi piacerebbe CHIARIRMI ANCHE CON LORO, un giorno o l’altro. GLIELA DEVO, UNA SPIEGAZIONE. E PENSO CHE MI CAPIREBBERO. E anche se COSI’ NON FOSSE...credo che abbia BEN POCA IMPORTANZA, ormai.”

“PUOI DIRLO FORTE. NULLA HA PIU’ IMPORTANZA, giunti a questo punto.”

“BEN DETTO, Joe. Conta SOLO UNA COSA, ADESSO.”

“...E sarebbe?”

A volerla dir tutta quella domanda se la sarebbe potuta ben riparmiare, visto che in cuor suo la risposta LA SAPEVA GIA’. O, per lomeno, SI AUGURAVA CHE FOSSE QUELLA. Ma volle FARGLIELA UGUALMENTE.

“Non ci arrivi?” Gli domandò Tooru. “Come hai detto tu stesso, prima...E’ INIZIATO TUTTO DA NOI DUE. E TUTTO FINIRA’ SEMPRE TRAMITE NOI DUE. STANOTTE.”

A quelle parole i lineamenti del viso di Joe si distesero e si rilassarono. Insieme alle sue membra, fino all’ultima fibra di ogni suo muscolo.

Eppure...SI SENTIVA STRANO. Nonostante la calma, avvertiva una sensazione insolita. Come se, d’un tratto, GLI FOSSE VENUTA A MANCARE LA TERRA SOTTO AI PIEDI.

Era...CURIOSO. Si accorse che stava STRINGENDO I PUGNI, ma erano l’unica parte del suo corpo ad essere TESA E RIGIDA. Tutto il resto era CALMO, SCIOLTO E RILASSATO. E poi...non sentiva QUELL’ ANSIA E QUELL’ ECCITAZIONE tipiche che precedevano UN INCONTRO ALL’ ULTIMO SANGUE. Praticamente ciò che provava OGNI VOLTA CHE DOVEVA METTERE PIEDE SUL QUADRATO.

Possibile che...possibile che si trattasse davvero di FELICITA’?

ERA...ERA DAVVERO POSSIBILE CHE SI SENTISSE FELICE, AL COLMO DELLA GIOIA?

PROPRIO LUI?

Proprio lui che non si era mai potuto ritenere MAI CONTENTO E SODDISFATTO, UNA SOLA VOLTA IN VITA SUA? Proprio lui che OGNI VOLTA CHE RAGGIUNGEVA UN TRAGUARDO OD UN OBIETTIVO SUBITO PERDEVA INTERESSE?

“A – allora...allora questo vuol dire che t – tu...tu vuoi ancora...” chiese, raggiante.

“Te l’ho appena detto” puntualizzò Rikiishi. “Non mi importa di NULL’ ALTRO. NULLA HA PIU’ IMPORTANZA PER ME, ALL’ INFUORI DI QUESTO. Quindi...DECIDITI UNA BUONA VOLTA A SALIRE SOPRA A QUESTO RING E VEDIAMO DI COMINCIARE. Lì a quell’angolo ci dovrebbero essere UN PAIO DI GUANTONI CHE DOVREBBERO FARE PROPRIO AL CASO TUO. E vedi di non dimenticare IL PARADENTI. Dovrebbe esserci anche quello.”

“Si...SI!! Come vuoi tu. NON CHIEDO ALTRO.”

Non doveva vedere DAVVERO L’ ORA. E difatti...NON SE LO FECE RIPETERE CERTO UNA SECONDA VOLTA. Afferrò di nuovo la corda, questa volta quella IN CIMA, e le scavalcò agilmente tutte e tre con un solo balzo. Da lì si precipitò verso il punto indicato ed indossò i guantoni. Ma non prima di essersi infilato l’apposito paradenti in bocca. Come aveva profetizzato Tooru vi aveva trovato pure quello, proprio sopra al pilastro di ferro corrispondente.

Era pronto. ERA TUTTO PRONTO, finalmente.

“Avevi ragione” disse, mentre si colpiva i guanti l’uno contro l’altro per assestrli alla meglio. “Mi calzano davvero COME UN GUANTO. E adesso COMINCIAMO!!”

“Piano” lo bloccò Rikiishi. “Ancora un attimo. Non avere fretta. Se ti ricordi bene, si era detto SOLO IO E TE. NIENTE SCOCCIATORI. Ma UN MINIMO DI PUBBLICO ci vuole, specie IN UN’ OCCASIONE SPECIALE COME QUESTA. E’ D’ OBBLIGO. Perciò…mi sono permesso di INVITARE QUALCUNO.”

“QUALCUNO?! E...E CHI?!” Domandò Joe, improvvisamente allarmato.

“Mph. Non temere.” lo tranquillizzò Tooru. “Solo POCHI INTIMI.”

Fece un ampio gesto col braccio sinistro, come se stesse avvisando QUALCUNO ALLE SUE SPALLE. O qualcuno che si trovava SOPRA DI LORO.

Tutto ad un tratto Joe udì UN BRUSIO. DIETRO E DAVANTI A LUI. Buttò d’istinto un’occhiata alle gradinate e…

Era INCREDIBILE.

Era DAVVERO INCREDIBILE.

Sembrava UN SOGNO.

Dalla sua parte c’erano IL VECCHIO DANPEI E NISHI. E gli ALLIEVI DELLA PALESTRA AL GRAN COMPLETO. KONO, CHOMEI, MASATO...ma NON COME SECONDI, questa volta. COME SPETTATORI. Vicino al suo amico fraterno c’era NORIKO, la sua bella e cara mogliettina. I due parevano ancora BELLI FRESCHI DI MATRIMONIO. Alla loro destra, nel rispettivo ruolo di GENITORI DI LEI E SUOCERI DI LUI, si trovavano I CONIUGI HAYASHI.

Ed inoltre...seduti e sparpagliati sulle tribune c’era la gente di tutto il quartiere. LA SUA GENTE. DEL SUO QUARTIERE. E c’erano i ragazzi. I SUOI RAGAZZI…

La non più tanto piccola SACHI, il sempre piccolo KINOKO, TARO, TONKICHI, GONBEI, CHUKICHI…

Ed erano tutti quanti allegri e su di giri, come sempre. Nonostante LA MISERIA. Nonostante LA POVERTA’.

Sempre pronti A FARE CASINO E A SCHIAMAZZARE. E AD ACCLAMARLO ED INCITARLO. E A STARGLI VICINO.

Dalla parte di Rikiishi, invece, c’erano TUTTI I RAGAZZI E LE GUARDIE DEL RIFORMATORIO SPECIALE TOKO. I primi si esibivano in CORI DEGNI DI UNO STADIO DI BASEBALL, LAZZI E SFOTTO’. Riconobbe al volo i soliti: AOYAMA detto MICROBO, YOSHIKAWA detto GUERRIGLIA, TESCHIO...oppure era SCHELETRO? Vattelapesca…

E, tanto per cambiare, gli sbirri ci stavano mettendo del bello e del buono nel vano tentativo di tenerli a bada. Perché era una vergogna, e di questo passo ci sarebbe andato di mezzo il BUON NOME DELL’ ISTITUTO.

Tsk. SEMPRE AMMESO CHE NE ABBIA MAI AVUTO UNO…

Ma la cosa singolare era che i DUE SCHIERAMENTI erano DIVISI SOLO SUGLI SPALTI.

STAVANO FACENDO IL TIFO PER ENTRAMBI.

Inoltre in uno dei due spalti SEMIDESERTI ai loro lati, per la precisione quello DI DESTRA, era stata allestita quella che sembrava a tutti gli effeti una vera e propria TRIBUNA D’ONORE.

C’era…

C’ ERA YOKO.

Li stava guradando ENTRAMBI. E a giudicare dal suo sorriso RADIOSO, sembrava FELICE ANCHE LEI, una volta tanto.

DOVEVA ESSERE FELICE PER LORO DUE, senza alcun dubbio.

Le stava accanto, a vegliarla come sempre, SUO NONNO. IL SIGNOR MIKINOSUKE. SERIO E COMPASSATO, come di consuetudine.

E c’era anche...C’ ERA ANCHE WOLF, poco distante.

WOLF KANAGUSHI.

E c’era CARLOS. In compagnia del suo fido manager, HARRY ROBERT.

I due chiacceravano del più e del meno ridendo, scherzando e dandosi di gomito. Non parevano nemmeno un pugile ed il suo allenatore. Sembravano...sembravano DUE AMICI.

No, anzi...DI PIU’.

Quando li vedevi insieme davano proprio l’impressione di essere DUE FRATELLI MANCATI.

Carlos, in particolare...dimostrava di essere COMPLETAMENTE GUARITO.

Il suo sguardo non era più SPENTO come poteva essere quello di un UBRIACONE o di un RITARDATO. Era tornato ad essere quello dei VECCHI TEMPI. Quello che BEN CONOSCEVA.

SOLARE. E DAL SORRISO SMAGLIANTE E PIENO DI VITA.

Joe lo guardò, per un breve istante. Ed il venezuelano gli rivolse un gesto di saluto.

Ma c’era anche UN ULTERIORE INVITATO.

Era…

MA TU PENSA.

ERA PROPRIO LEON.

LEON SMILEY.

E chi se lo ricordava? NEANCHE CI AVEVA PENSATO PIU’, A LUI. Con tutti i grattacapi che aveva per la testa nell’ultimo periodo.

 

Un altra persona che pian piano svanisce dalla nostra MENTE SEMPRE PIENA, osservò il giovane con una punta di estremo rammarico.

Già. Destinato a diventare anch’essa UN ILLLUSIONE che RICORDEREMO APPENA, aggiunse poi in preda ad un NUOVO FLUTTO DI LIRICA ISPIRAZIONE.

Ma ora, all’improvviso...SI ERA RICORDATO TUTTO QUANTO. DI BOTTO.

Lo aveva affrontato mentre era alla ricerca di sparring, anche di CATEGORIE DI PESO SUPERIORE, giusto per tenersi in allenamento in vista dell’incontro VALIDO PER IL TITOLO. E gli avevano rimediato LUI.

Un ragazzone americano di colore, sempre sorridente e dal cuore GRANDE COSI’. Ma che sul ring gli aveva fatto sudare le proverbiali SETTE CAMICIE. Gli aveva fatto capire per la prima volta cosa significa ESSERE L’AVVERSARIO DA BATTERE. Gli aveva fatto comprendere a suon di pestoni che fuori di lì c’erano un sacco di pugili che lo studiavano, e che prendevano minuziosamente nota di OGNI SUA MOSSA con il solo obiettivo DI TROVARE UN SUO PUNTO DEBOLE. PER FOTTERLO.

Gli aveva impartito davvero UNA GRAN LEZIONE. NIENTE MALE, per essere un ESORDIENTE SEMI – SCONOSCIUTO. Ma a cui avevano dato UNA GRANDE OCCASIONE, che non si era lasciato sfuggire.

E poi...e poi aveva finito COL MORIRE TRAGICAMENTE. In un modo A DIR POCO ASSURDO, CHE NULLA C’ENTRAVA CON LA BOXE. E non meritava davvero DI FINIRE COSI’, poveretto.

NO. NON LO MERITAVA PROPRIO.

Certe volte la vita sa essere davvero CRUDELE. CRUDELE E BASTARDA COME POCHI.

Notò infine qualcuno un paio di file più sopra. Come se avesse deciso di SEPARARSI DAL RESTO DEL VOLGO. Alzò lo sguardo per vedere meglio e…

NON SI ERA SBAGLIATO, dunque.

Era davvero…

IL CAMPIONISSIMO.

IL PIU’ GRANDE DI TUTTI.

IL RE DEI RE.

JOSE’ MENDOZA.

Inaccessibile come nel suo stile. Circondato unicamente dalla sua splendida e bionda moglie e dai suoi figli, perfettamente seduti e composti.

E...sembrava davverom IN GRAN FORMA. Di sicuro era messo meglio di come se lo ricordava e di come lo aveva lasciato l’ultima volta che ce l’aveva avuto di fronte.

Indossava un elegante completo porpora che lo rendeva simile ad uno di quei ricchissimi allevatori di bestiame o di cavalli, quei FAZENDEROS che possedevano e controllavano le regioni e le praterie sconfinate della su terra. Oppure ad un HIDALGO. Come quelli che governavano con pugno di ferro il Messico al periodo della dominazione spagnola.

Il campione si alzò in piedi e applaudì brevemente i due contendenti.

“ADELANTE, MUCHACHOS.” li esortò con una voce calma ma al contempo POTENTE come il FRAGORE DI UN TUONO LONTANO. “Non ho fatto certo un lungo viaggio insieme alla mia famiglia per questo. Solo per stare cui a guardarvi mentre rimanete lì IMPALATI a fissarvi negli occhi. COMBATTETE, FORZA!”

“Sentito?” gli disse Rikiishi. “IL RE IN PERSONA ci ha appena impartito LA SUA BENEDIZIONE. Direi che possiamo COMINCIARE, ora. NON ABBIAMO PIU’ SCUSE.”

Detto questo alzò il braccio destro in direzione di Josè, come a volergli fare una sorta di RIVERENZA. Ma SENZA INCHINARSI. E SENZA NEMMENO VOLGERE LA TESTA VERSO DI LUI.

Tipico di Tooru. Non aveva mai voluto abbassare lo sguardo di fronte a nessuno. NEMMENO DAVANTI AD UN RE. NEMMENO DI FRONTE AD UN DIO.

Lui era fatto così.

Joe sorrise. E decise di fare DI MEGLIO. O DI PEGGIO, a seconda dei punti di vista. Giusto per mantenere UN MINIMO DI SPIRITO COMPETITIVO in quella che aveva tutta l’aria di essere SOLTANTO UNA FESTA. GRANDIOSA FINCHE’ SI VUOLE, certo. MA PUR SEMPRE E SOLO UNA FESTA RIMANEVA.

Ignorò totalmente il campione del mondo e si riconcentrò sul suo avversario.

“Allora...SEI PRONTO?” Gli domandò quest’ultimo. “AL SUONO DEL GONG, INTESI?”

“DIREI DI SI” replicò prontamente Joe. “AL SUONO DEL GONG, allora. Ma prima...c’é ancora UNA COSA CHE DEVO CHIEDERTI, prima di iniziare.”

Rikiishi lo guardò.

“Sarebbe a dire?” Chiese, incuriosito.

“E’...UNA COSA IMPORTANTE. E sei pregato di rispondere SINCERAMENTE. Altrimenti...”

“...Altrimenti cosa?”

“Altrimenti ALZO I TACCHI E ME NE VADO, SEDUTA STANTE. NON SE NE FA PIU’ NIENTE.”

Tooru sorrise.

“Mph. Credi davvero di POTERLO DECIDERE TU?” Disse. “Credi davvero di ESSERE TU A DECIDERE, QUI?”

“Forse SI. O forse NO. Ma ti consiglio DI NON METTERMI ALLA PROVA. Lo sai, DI COSA SONO CAPACE. LO SAI CHE SAREI CAPACISSIMO DI FARLO, SE ME LO METTESSI IN TESTA. E TI ASSICURO CHE NIENTE E NESSUNO POTREBBE IMPEDIRLMELO.”

Rikiishi si arrese, di fronte a tanta ostinazione.

“E va bene. Fammi questa domanda. MA SPICCIATI.”

Pareva davvero spazientito. E la cosa non andava affatto sottovalutata. Il fatto era che Joe sapeva anche DI COSA ERA CAPACE LUI, quando PERDEVA LE STAFFE.

Meglio non farlo attendere oltre.

“Visto che mi hai detto di SAPERE TUTTO DI QUESTO POSTO...io sospetto CHE TU SIA ANCHE A CONOSCENZA DI COSA CI STA ACCADENDO. Così come sospetto che tu NON VOGLIA DIRMELO. Voglio LA VERITA’ SU QUESTO POSTO, Rikiishi. Credo di AVERNE IL DIRITTO.”

“Mph. Se vuoi TE LA POSSO DIRE, la verità. Ma...Sicuro di VOLERLA SAPERE, la risposta?”

“Se vuoi TE LA DICO IO, così TI RISPARMI DIRETTAMENTE LA FATICA. Tanto...penso di ESSERCI GIA’ ARRIVATO BENISSIMO DA SOLO. La verità...la verità é che mi trovo qui perché SONO COME TE, non é forse così?”

“...Come me?”

“Si. COME TE. TU SEI MORTO, TOORU. E quindi...quindi ANCHE IO SONO...”

“Fossi in te MI BLOCCHEREI” lo avvertì il rivale. “Meglio che NON LA FINISCI, QUELLA FRASE.”

“E che c’é di male a VOLERLO AMMETTERE, scusa? Tanto...CHE IMPORTANZA PUO’ AVERE, ormai?”

“TOCCATO, Joe. CHE IMPORTANZA POTRA’ MAI AVERE SAPERLO O NON SAPERLO? Andiamo...vuoi davvero ROVINARE TUTTO con QUELLA SQUALLIDA PAROLA? O con una FREDDA CONSTATAZIONE SCIENTIFICA? Lascia perdere LA LOGICA. Come ti ho detto poc’anzi...IO E TE CE LA SIAMO SEMPRE CAVATA MEGLIO CON QUESTI.”

Gli mostrò i guantoni.

“Ce la siamo sempre cavata meglio con QUESTI, piuttosto che con le parole. O con INUTILI RAGIONAMENTI e MILLE ELUCUBRAZIONI MENTALI. E’ davvero così importante, adesso? Quello che conta...che dovrebbe VERAMENTE CONTARE é che SIAMO QUI. E che finalmente abbiamo la possibilità di ESAUDIRE IL NOSTRO PIU’ GRANDE E BRUCIANTE DESIDERIO. Non lo trovi anche tu?”

“Già” gli riconobbe Joe, sorridendo. “In fondo...HAI RAGIONE TU. SOLO QUESTO CONTA. Però...E’ STRANO.”

“COSA é strano?” Fece Rikiishi, quasi incredulo.

“Una volta...una volta mi sarei fatto STRAPPARE TUTTE LE UNGHIE DELLE MANI E DEI PIEDI...e mi sarei STRAPPATO LA LINGUA CON LE MIE STESSE DITA, piuttosto che essere disposto a DARTI RAGIONE SU QUALCOSA. Non lo avrei MAI E POI MAI VOLUTO AMMETTERE. PER NESSUNA RAGIONE. Ma adesso...forse, per LA PRIMA VOLTA DA QUANDO TI CONOSCO...SCOPRO DI PENSARLA ESATTAMENTE COME TE.”

“Ottimo” disse l’altro, ricambiando a sua volta il sorriso.”Mi fa piacere. E adesso...BANDO ALLE CIANCE. La vedi, tutta questa gente qui intorno? SONO QUI PER NOI, Joe. PER NOI DUE. Direi di non farli ATTENDERE OLTRE.”

“Sono d’accordo. Non possiamo di certo. E vediamo di NON DELUDERLI.”

“Perfetto. Direi allora di riprendere da dove SI ERA INTERROTTO L’ ULTIMA VOLTA.”

Abbassò le braccia lungo i fianchi.

“M – ma questa...” osservò Joe, sgranando gli occhi. “Q – QUESTA E’...”

“Vedo che te la ricordi bene. Scopriamo di nuovo se é più forte il tuo STRAIGHT COUNTER – CROSS o il mio RAZOR UPPERCUT.”

“E va bene” aggiunse poi, vedendo che il suo sfidante lo osservava alquanto perplesso. “Dimenticavo che tu L’INGLESE PIU’ CHE MASTICARLO LO SPUTI.”

“Ecco, bravo” commentò Joe. “Lascia perdere quei cazzo di INGLESISMI e PARLA COME MANGI.”

“Vorrà dire che, in via del tutto eccezionale, provvederò a RIFORMULARE LA RICHIESTA...vediamo se sono meglio i tuoi DIRETTI INCROCIATI o i miei MONTANTI A RASOIO. L’ultima volta TE L’AVEVO FATTA PER UN SOFFIO. Vediamo se MI RIESCE ANCORA.”

“CI STO, Rikiishi. PROVACI. PROVACI PURE.”

Si mise anche lui nella sua posizione SENZA GUARDIA.

Erano uno di fronte all’altro, come se fossero entrambi intenti a rimirarsi DAVANTI AD UNO SPECCHIO. E, in un certo senso, era così.

Erano pronti a partire.

“QUANDO VUOI, Joe. FATTI SOTTO.”

“STA’ ATTENTO, TOORU. ARRIVO.”

“Ci pensi, Joe? POSSIAMO ANDARE AVANTI FINCHE’ CI PARE. Non é...MERAVIGLIOSO?”

“Come no. Solo mi chiedo...mi chiedo che faremo QUANDO CI SAREMO STUFATI. TU CHE MI DICI?”

“Non so te, ma io NON HO INTENZIONE DI STANCARMI TANTO PRESTO. E quando accadrà, se mai DOVESSE ACCADERE...STAREMO UN PO’ A VEDERE CHE SUCCEDE. TI VA, COME IDEA?”

“AGGIUDICATO. E ADESSO STA’ IN GUARDIA, CHE ARRIVO SUL SERIO.”

Era tutto pronto questa volta. ERANO PRONTI.

PRONTI AD INIZIARE. E FU PROPRIO CIO’ CHE FECERO.

Al suono del GONG. Che arrivò, NON SI SA COME.

Ma non era QUELLO SOLITO, no. Somigliava più a quello di UNA VECCHIA CAMPANA. La vecchia campana MEZZA SBRECCIATA DI UNA PICCOLA CHIESETTA DIROCCATA NEL BEL MEZZO DELLA CAMPAGNA.

Si scagliarono l’uno contro l’altro ENTUSIASTI, FELICI DI BATTERSI. AL SETTIMO CIELO.

E Joe...Joe si sentiva SODDISFATTO. Davvero. PER LA PRIMA VOLTA NELLA SUA VITA.

NON NUTRIVA PIU’ ALCUN TIPO DI DUBBIO, a riguardo.

E NON AVEVA PIU’ NULLA DA CHIEDERE. NULL’ ALTRO.

Forse era davvero ciò che AVEVA SEMPRE DESIDERATO, SIN DAL PRINCIPIO.

BATTERSI, RIBATTERSI E POI ANCORA RIBATTERSI. ANCORA, ANCORA E POI ANCORA.

PER L’ ETERNITA’.

Contro l’unica persona che era stata capace di COMPRENDERLO FINO IN FONDO, e senza tanti noiosi ed inconcludenti giri di parole. Ma solo attraverso gli sguardi, i pugni, il sudore, lo scorrere del sangue e lo stridere delle ossa. E dando vita più profondo di qualunque amicizia o amore.

Il suo peggior nemico ed il suo miglior amico. Ma anche il suo miglior nemico ed il suo peggior amico, al tempo stesso.

Rikiishi era tutto questo. Era sempre stato TUTTO QUESTO, E ANCHE DI PIU’.

Forse loro due erano sempre stati UNA COSA SOLA. LE DUE META’ DI UN TUTTO.

Forse anche per lui Tooru rappresentava ciò che aveva sempre voluto avere.

Ma non UNA TEMPESTA. Per quella...C’ ERA GIA’ LUI.

UN CIELO, piuttosto. Un cielo PLACIDO, LIMPIDO E TRANQUILLO.

Il cielo che aveva sempre ASPIRATO RAGGIUNGERE. Forse per riuscire a far QUIETARE quel VENTO IMPETUOSO che sentiva SCORRERGLI DENTRO qualunque cosa facesse, sin dalla più tenera età. E che NON AVEVA MAI SMESSO DI SOFFIARE, neppure per un solo istante.

Forse...se lo avesse raggiunto, sarebbe riuscito a farlo CALMARE.

Gli era sempre SFUGGITO, nonostante tutti i suoi sforzi. Ma adesso...adesso ce l’aveva lì, A PORTATA DI MANO. Gli bastava davvero UN NIENTE, per TOCCARLO ED AVERLO.

E, una volta AGGUANTATO, NON SE LO SAREBBE FATTO SFUGGIRE PIU’.

MAI PIU’.

Liberi, finalmente. Liberi di battersi per sempre.

IN UN MATCH INFINITO.

E all’improvviso, proprio mentre stava per affondare il suo attacco, vide una sorta di BAGLIORE irradiarsi dal corpo di Tooru. Una luce candida che diveniva via via SEMPRE PIU’ FORTE, SEMPRE PIU’ ACCECANTE. Che poco a poco lo faceva SFOCARE, SBIADIRE per poi fare la stesso con il tappeto e, successivamente, con le corde...

E poi sarebbe passato alle tribune. E AL RESTO DELLA GENTE, con tutta probabilita’.

Ogni cosa stava perdendo i contorni, le forme, i lineamenti, la consistenza. Qualla luce stava inghiottendo TUTTO.

Avrebbe finito con l’avvolgere il mondo intero, fino a ridurlo…

FINO A RIDURLO IN CENERE.

 

CENERE…

 

CENERE BIANCA…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Due anime in perenne contrapposizione si erano alfine ricongiunte.

E tutti quelli che stavano attorno scoppiarono a piangere.

 

 

 

 

 

 

Il vecchio Danpei si ritrasse come inorridito da ciò che stava guardando. E da ciò che era appena accaduto. Ma non poteva, non RIUSCIVA a distogliere lo sguardo. Le lacrime gli scorrevano copiose dall’unico occhio ancora buono.

Nishi scavalcò le corde e gli si mise al fianco. Osservò anche lui e l’ultimo respiro gli si mozzò in gola.

“Joe...” mormorò, sconvolto. “Joe...NO...”

Scoppiò anche lui in un pianto a dirotto, mentre poggiava una delle sue manone su di una delle spalle del vecchio. Forse nel tentativo di fargli forza. O per sorreggersi. O ENTRAMBE LE COSE.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche Yoko stava piangendo. Fissava l’angolo con gli occhi sbarrati e pallida come un cencio, con le guance madide e bagnate di lacrime.

Poi non ce la fece piu’. L’emozione la travolse e la costrinse a cedere.

Ebbe un singulto e si portò d’istinto le mani alla bocca, in un moto d’orrore.

“Joe...” implorò, con la voce ridotta a poco più di un sussurro. “...Amore mio, no...no...non é possibile...non mi lasciare...ti prego...non mi lasciare così...non puoi...”

Sentì come se di colpo le fossero venute a mancare le forze. I guantoni, i SUOI GUANTONI che teneva stretti al proprio petto fino ad un istante prima finirono sul pavimento, ormai privi di qualunque presa. Rimbalzarono un paio di volte spargendo minuscoli rimasugli di umori corporei bianchi, traslucidi e rossastri e terminarono il loro tuffo suicida poco distante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’arbitro intanto, assieme ad altri addetti che stavano iniziando a salire e ad accalcarsi sul ring, si stava avvicinando per meglio vedere e capire quanto stava succedendo. Confuso e spaventato al tempo stesso. E alla pari di tutti gli altri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un mormorio iniziò a diffondersi tra il pubblico sconcertato.

Gouroumaki Gondo fu tra i primi a capire. A capire la portata della tragedia.

Faceva il picchiatore e l’esattore da anni. Sia per la mala, che per qualunque altro balordo che avesse sufficiente danaro per ingaggiarlo. Raddrizzava torti, riscuoteva ed incassava debiti e portava messaggi ed avvertimenti. Alla sua maniera, ovviamente.

Era dentro a quel sordido ambiente da anni. E gli era anche capitato di dare manforte anche all’esecuzione di qualche sentenza, pur non facendosi mai coinvolgere in prima persona.

Era un violento, questo si. Ma non era un assassino. Non lo era ancora diventato. E non era sicuro di volerlo diventare. Però…

Aveva sviluppato una certa deformazione professionale. Quanta bastava per capire al volo certe cose.

Ne sapeva riconoscere al volo UNO, quando se lo ritrovava davanti.

Si tolse il cappello e se lo portò all’altezza del cuore, in segno di omaggio. E di rispetto.

“Yabuki...” commentò mestamente. “...Dannazione...dannazione, no...”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Carlos sembrò ridestarsi come di colpo dal suo torpore.

“Uh...Joe...”

Fece una smorfia e poi si coprì il volto con le mani, iniziando a singhiozzare.

“Uh...uh...Joe...”

Il professor Kinisky, che gli stava seduto vicino, gli mise delicatamente una mano sulla schiena piegata nel vano tentativo di consolarlo.

“La prego, Carlos...non faccia così...”

Ma lo capiva. Lo capiva perfettamente. Lui stesso, pur essendo sano e lucido, era sconvolto dalla situazione. E riusciva a malapena a mantenere il controllo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche la gente del quartiere doveva aver intuito che qualcosa non stava filando per il verso giusto. Si stavano sporgendo tutti quanti in avanti. E molti di loro persino oltre il consentito ed oltre addirittura le transenne, a rischio di cadere e precipitare di sotto.

E tra di essi c’erano persino i ragazzi. I SUOI RAGAZZI. I suoi monellacci preferiti. Tutti atterriti e con gli occhi lucidi.

“JOE!!” Urlò tremando la piccola Sachi. “FRATELLO JOE!! NON...PUO’ ESSERE!! RISPONDI!! RISPONDIMI, TI PREGO!!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma Joe non poteva più sentirla.

Non poteva sentire PIU’ NESSUNO.

Era seduto sopra al suo sgabello e con il dorso poggiato al suo angolo. Entrambe le mani erano adagiate all’altezza dell’interno coscia, poco sopra le ginocchia.

Il capo era reclinato leggermente in avanti, e puntava verso il basso.

Gli occhi erano entrambi chiusi, e parzialmente occultati dal suo ciuffo ribelle.

Pareva dormisse. Il volto era sereno, tranquillo. E sulle labbra vi era disegnato un sorriso.

Appena accennato, eppure dolcissimo.

Si, sembrava proprio che STESSE DORMENDO. E a giudicare dall’espressione beata, che stesse persino SOGNANDO.

Uno di quei sogni BELLISSIMI E MERAVIGLIOSI che si vorrebbe NON FINISSERO MAI.

CHE NON DOVREBBERO FINIRE MAI.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Match Infinito, 25 Maggio 2018

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua.

E senza punti esclamativi, questa volta. Visto che ci troviamo in un momento MOLTO PARTICOLARE.

Volevo inziare col dirvi che...CE L’HO FATTA.

CE L’HO FATTA, GRAZIE A DIO.

E’ TUTTO FINITO, come avrebbe detto il buon Tooru.

FINALMENTE, oserei aggiungere. Per il semplice motivo che NON NE POTEVO DAVVERO PIU’. Mi sento come se mi fossi LIBERATO DI UN PESO ENORME.

In realtà il dispiacere é tanto.

Come sempre accade, in casi come questo.

QUANDO UN SOGNO SI TRAMUTA IN UN RICORDO, come dicevo alla stimatissima collega Lou parecchio tempo fa. Proprio quando avevo appena terminato la sua splendida long su Joe. E avevo appena inviato la mia ultima recensione alla sua opera.

Questo capitolo, al pari del precedente, é stato PARECCHIO SOFFERTO.

Tutto il contrario di quelli precedenti che, nonostante la violenza e le scene estreme, sono filati come treni.

Vi confesso che l’emozione é DAVVERO TANTA. E PER VARI MOTIVI.

Il primo...credo che lo immaginerete già.

TUTTO SI E’ COMPIUTO, ANCORA UNA VOLTA. E SEMPRE UGUALE A SE’ STESSO, PURTROPPO.

La cosa bella e terribile di ASHITA NO JOE é che purtroppo il suo PROTAGONISTA HA IL DESTINO SEGNATO, c’é poco da fare.

Possiamo metterla giù come ci pare, MA SEMPRE LI’ SI ARRIVA. E SEMPRE LI’ SI TORNA.

Sempre A QUEL DANNATO PUNTO DELLA FACCENDA si deve tornare. Ed é una cosa con cui si DEVE FARE I CONTI, che piaccia oppure no. E li si deve fare ogni volta che si decide di RIMETTERE MANO mano a questa storia così meravigliosa ed al contempo tragica.

E questa volta...E’ TOCCATO A ME. Di fatto...é come se LO AVESSI UCCISO IO, quest’occasione.

E’ TOCCATO A ME UCCIDERLO. E LA COSA MI HA FATTO STAR MALE, COME TEMEVO.

Perché sapevo bene che si sarebbe ARRIVATI A QUESTO.

Ho cercato di forzare un po' la mano e la situazione, facendo in modo di proporre la vicenda sotto UNA LUCE DIVERSA DAL SOLITO. E prendendomi dei rischi mica male.

Per una volta ho voluto regalare LA VITTORIA al nostro Joe, tanto per iniziare.

Costringe Mendoza alla resa, proprio all’ultimo istante. Il messicano riconosce la sua superiorità, si dichiara sconfitto. Anche se é SOLO JOE ad udirlo.

Ma tanto basta. E in più, esala l’ultimo respiro prima di conoscere il verdetto dei giudici.

Dal suo punto di vista...HA TUTTI I DIRITTI DI PENSARE DI AVER VINTO.

GLIELO SI DOVEVA, almeno una volta.

E poi...la sorpresa finale.

Non so voi, ma ritengo che una BUONA IPOTESI DI PARADISO sia quella di un luogo dove una persona possa realizzare all’istante tutti i desideri che aveva quando era ANCORA IN VITA.

E cosa poteva desiderare il nostro Joe se non...UN DUELLO ETERNO COL SUO ETERNO RIVALE?

Ovviamente, hanno dovuto creare UN PARADISO SU MISURA PER LORO. Se quei due mettessero piede NEL PARADISO AUTENTICO...GLI ANGELI CHIEDEREBBERO ASILO POLITICO ALL’INFERNO DOPO NEANCHE MEZZA GIORNATA.

TROPPO, TROPPO PERICOLOSO. MEGLIO NON CORRERE RISCHI, E LASCIARLI SFOGARE IN SANTA PACE.

Credo di aver trovato un finale che RENDA UN PO’ PIU’ DI GIUSTIZIA al nostro sfortunato pugile, ma...E’ STATA DURA, CREDETEMI.

E’ STATA DURA LO STESSO.

Stesso discorso per RIKIISHI. Se con Joe avevo un gran timore a dovermici confrontare, con lui...CON LUI E’ STATO MILLE VOLTE PEGGIO.

Spero di averne catturato tutte le peculiarità. Fatemi sapere che ne pensate.

E poi...desideravo fare in modo che si comportassero come amici.

COME VERI AMICI, ALMENO PER UNA VOLTA. E credo DI ESSERCI RIUSCITO.

Ma, anche in questo caso...L’ ULTIMA PAROLA SPETTA A VOI.

Ma c’é anche un altro motivo, indipendentemente dai temi che ho trattato.

Di fatto, questa é LA MIA PRIMA STORIA LUNGA CHE RIESCO A PORTARE A TERMINE, DA QUANDO HO INIZIATO A SCRIVERE.

Non si tratta della prima long con cui mi cimento (la prima é un’altra, e fino ad adesso avevo intenzionalmente evitato di nominarla. Ma visto che siamo giunti alla conclusione, ritengo di poterlo fare. Si intitola THE PROMISE YOU MADE, ed é ambientata nell’universo di ZOOTROPOLIS, il celeberrimo film della Disney. Se a qualcuno dovesse interessare…), ma in questi primi due anni di attività mi ero limitato a completare storie di DUE, TRE capitoli al massimo. NON CERTO DODICI.

Provo UN’IMMENSA SODDISFAZIONE, lasciatemelo dire. Ma, al contempo…

MI SENTO TERRIBILMENTE SPOSSATO.

JOE NON E’ DAVVERO UN PERSONAGGIO ALLA PORTATA DI TUTTI.

Se decidi di affrontarlo, DEVI PREPARARTI AL PEGGIO. E devi comunque avvicinarti a lui col MASSIMO RISPETTO POSSIBILE.

Non per vantarmi, ma...ALMENO SU QUESTO posso dire di averlo fatto.

Forse ho finito con ESACERBARE ED ESASPERARE alcuni suoi aspetti, ma...credo di avergli reso IL MIGLIOR OMAGGIO POSSIBILE, almeno per ciò che concerne le mie capacità.

NON POTEVO FARE PROPRIO DI MEGLIO, almeno per il momento.

E’ stata davvero un’esperienza FANTASTICA, cominciata dallo scorso Settembre e completata, guarda un po', PROPRIO NELL’ ANNO IN CUI IL MANGA COMPIE CINQUANT’ ANNI TONDI TONDI!!

E la cosa pazzesca é che fino allo scorso anno NON LO SAPEVO NEPPURE.

Davvero si é trattata SOLO DI UNA COINCIDENZA E BASTA?

Mah...CHISSA’. Se c’é una cosa che ho imparato, da quando ho iniziato a scrivere...é che si impara BEN PRESTO A SEGUIRE IL FLUSSO. COME IN TUTTE LE ARTI CHE SI RISPETTINO.

Il flusso DELLE COMBINAZIONI E DELLE CASUALITA’. E scopri, con incredibile stupore...CHE NULLA ACCADE PER CASO. ARRIVA TUTTO AL MOMENTO GIUSTO. E CIOE’ QUANDO TI SERVE.

Colgo l’occasione per aggiungere che il successo delle iniziative per celebrare i cinquant’anni dalla pubblicazione del MANGA DEL DOMANI (tra cui una sorta di REMAKE in chiave futuristica...ma non é né il luogo, né il momento di parlarne) ci fa capire chiaramente una cosa.

E’ passato davvero UN SACCO DI TEMPO, ma...C’E’ ANCORA TANTO DA DIRE, SU JOE. TANTO DA DIRE E ANCORA TANTO DA FARE.

Ma soprattutto...ABBIAMO ANCORA TUTTI QUANTI UNA VOGLIA MATTA DI RIVEDERLO. DI RIVEDERLO IN AZIONE.

Venendo al sottoscritto...progetti per il futuro? Prima di tutto tornerò a tempo pieno alla long di cui vi avevo accennato prima. Quella é TUTTORA in corso di pubblicazione, e conta all’attivo ben QUARANTASETTE CAPITOLI. E vedendo tutto quello che ancora ho da scrivere, posso affermare tranquillamente che sarà il mio OPUS MAGNUM, la mia OPERA OMNIA. Almeno per ora.

Ed inoltre...vi confesserò una cosa. Sto lavorando anche ad un romanzo originale. Ma quello, ahimé...NON LO PUBBLICHERO’ SU EFP. Una volta che lo avrò finito, MI PIACEREBBE FARLO DIVENTARE UN LIBRO. Trovare un editore che me lo pubblichi, come si faceva alla vecchia maniera.

Certo, é solo un sogno, ma...MI PIACEREBBE DAVVERO MOLTO.

E Joe? Beh...io e lui ci siamo congedati ieri sera, dopo aver terminato la mia storia.

L’ho accompagnato fino alla porta e poi fin giù in strada, ci siamo stretti la mano scambiandoci due ultime parole e raccomandazioni di rito e poi...mi é bastato guardare un istante verso l’alto per vedere se magari iniziava a piovere o a nevicare (come di solito accade negli anime quando due personaggi si salutano) e, quando ho riabbassato lo sguardo…

LUI NON C’ERA GIA PIU’.

Sempre VELOCE COME IL LAMPO, il nostro Joe. Ma, d’altra parte...già me lo vedo a piombare in casa di qualche altro autore a portare la giusta ispirazione (mi riferisco a voi, mie care colleghe Lou e Devil...OCCHIO CHE JOE E’ DI NUOVO A PIEDE LIBERO, ORA! POTREBBE ARRIVARVI IN CASA QUANDO MENO VE L’ASPETTATE!!)…

Del resto lui é come UN LUPO SELVATICO. Non rimane mai a lungo nello stesso posto. Ti distrai un solo istante e...PUF! Già dileguato.

Ma NIENTE PAURA: mi ha promesso che TORNERA’ DALLE MIE PARTI ,prima o poi.

NON TANTO PRESTO, gli ho raccomandato io.

Come dicevamo prima...E’ STATA UNA BELLA AVVENTURA, ma sento il bisogno di RIPRENDERMI E DI STACCARE. E di dedicarmi ad altri racconti e personaggi, almeno per un po'.

Angolo della colonna sonora: durante la lettura del capitolo consiglio vivamente due pezzi STORICI della musica mondiale: HEY YOU dei leggendari PINK FLOYD e STAIRWAY TO HEAVEN degli altrettanto leggendari LED ZEPPELIN.

Proprio i due brani che ci vogliono per far scendere quella DANNATA LACRIMA CHE FA CAPOLINO…

E siamo giunti al momento DEI SALUTI. Che, come dico sempre io...SONO TRISTI, NOIOSI E COMPLETAMENTE INUTILI.

Dopotutto, mica di addio si tratta: siamo tutti alle prese con altre storie, e rimarremo sicuramente in contatto!

Ringrazio prima di tutto quelli che sono stati I MIEI COMPAGNI per tutta la durata di questo VIAGGIO INDIMENTICABILE.

Parlo naturalmente di Devilangel476, innominetuo e kyashan_luna.

A loro va un GRAZIE, sincero e di cuore.

Per le recensioni, per la vicinanza, per la compagnia, per le recensioni, per i consigli, per gli incoraggiamenti, per la fiducia...PER TUTTO, INSOMMA.

GRAZIE, RAGAZZI.

GRAZIE A TUTTI VOI, DAVVERO.

Un grazie anche a Plando (io e te ci si rivede a Zootropolis!) e a Maniac Queen per le altre recensioni.

Ed un grazie anticipato a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un commento.

Per Devil e Lou: complimenti vivissimi per IL BUIO BIANCO – SOLDIER CONTRO! e per NAGINATA. Continuerò a seguirvi e ci risentiremo presto!!

Volevo inoltre ringraziare la mia dolce metà Elena e la mia piccola Barbara, le due cose più belle che mi siano capitate nel corso della mia vita.

Se ho iniziato a scrivere lo devo SOPRATTUTTO a loro.

Ed infine...volevo dire ancora una cosa. UNA DEDICA.

 

A JOE.

 

GRAZIE DI TUTTO ANCHE A TE.

 

SE SONO CIO’ CHE SONO, E MALEDETTAMENTE ORGOGLIOSO DI ESSERLO, IL MERITO E’ ANCHE TUO.

 

RIPOSA IN PACE, FRATELLO.

 

E CORRI LIBERO.

 

TE LO MERITI.

 

SONO CERTO CHE UN GIORNO TI VEDRO’ TORNARE.

 

E MI TROVERAI LI’ AD ASPETTARTI, COME SEMPRE.

 

QUANDO VUOI.

 

 

 

SEE YA.

 

 

 

 

Con affetto da Roberto,

 

Il tuo FEDELE COMPAGNO DI BRANCO.

 

 

 

See ya anche a tutti voi!!

 

 

 

 

 

 

 

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