Così importante

di Heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Noia ***
Capitolo 2: *** Cometa ***
Capitolo 3: *** Cioccolato ***
Capitolo 4: *** Legami spezzati ***
Capitolo 5: *** Maledetta privamera ***
Capitolo 6: *** Ricordi.Amore.Futuro ***
Capitolo 7: *** Indifferenza ***
Capitolo 8: *** Cambiando aria ***
Capitolo 9: *** The pink rose ***
Capitolo 10: *** La strega mangia colori ***
Capitolo 11: *** Nell'occhio del ciclone ***
Capitolo 12: *** Scisma ***
Capitolo 13: *** La voce del destino ***
Capitolo 14: *** Hope ***
Capitolo 15: *** Sotto le stelle ***
Capitolo 16: *** Una notte senza luna ***
Capitolo 17: *** Requiem ***
Capitolo 18: *** Amore impossibile ***
Capitolo 19: *** La principessa di ghiaccio ***
Capitolo 20: *** Le mille sorprese ***
Capitolo 21: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 22: *** Dentro i suoi occhi ***
Capitolo 23: *** Carpe diem ***
Capitolo 24: *** Piccoli cambiamenti ***
Capitolo 25: *** Baci rubati ***
Capitolo 26: *** Un abbraccio sincero ***
Capitolo 27: *** Stroncata finale ***
Capitolo 28: *** Stroncata finale ***
Capitolo 29: *** La fine... ***
Capitolo 30: *** Stelle di ghiaccio ***
Capitolo 31: *** Tutto ritorna al mittente ***
Capitolo 32: *** Basta avere volontà ***
Capitolo 33: *** Pelle contro pelle ***
Capitolo 34: *** Qui, dove batte il cuore ***
Capitolo 35: *** Le prime soddisfazioni ***
Capitolo 36: *** Le fiamme dell'inferno ***
Capitolo 37: *** Volevo dirti che ti amo ***
Capitolo 38: *** Diluvio universale ***
Capitolo 39: *** Corsa contro il tempo ***
Capitolo 40: *** Hanami ***
Capitolo 41: *** Come due satelliti ***
Capitolo 42: *** Il nostro amore quotidiano ***
Capitolo 43: *** Memorie illuse ***
Capitolo 44: *** Così importante ***



Capitolo 1
*** Noia ***


Il sabato: doveva essere una di quelle giornate che ti riportavano le forze, tolte durante la settimana. Sì, sapeva che la maggior parte della popolazione umana aspettava in trepidazione quel giorno libero, per rilassarsi.

 Esatto! Il sabato sera consisteva in questo per me.

 Non c'erano quei futili argomenti del risveglio del giorno dopo, se volevo dormire fino a mezzogiorno, lo potevo fare, sì, come no! 

Mia madre mi avrebbe svegliato per rompermi le scatole! E vi assicuro che era uno dei tanti motivi per cui non dormivo quasi mai a casa, nel week-end. Preferivo essere ospitata da un'amica e fare la bella vita, almeno per poche ore.

L'orologio ticchettava come un pazzo, dovevo aspettare le otto di sera per andare da qualche parte; anche se, mia madre, mi avrebbe scaricato molto prima per potersene andare a letto.

La serata non era iniziata per niente bene, tali pensieri negativi influenzavano il mio umore ballerino.

Arrivata dalla mia amica, suonai il campanello ed entrai dentro. Ogni passo che facevo mi chiedevo se sarebbe andato tutto alla grande quella sera, senza immissione del signor mi sento il più figo del mondo, cioè il ragazzo della mia amica, che a parere mio non valeva niente, forse meno di una scopa, ma l'amore tappava sia orecchie che occhi.

La trovai al terzo piano con la madre: le due avevano un rapporto che io stessa a volte non riuscivo a capire, sembravano due vecchiette che sparlavano delle altre, le salutai e mi sedetti al mio posto, sapevo quasi tutto in quella casa.

Crystal, si stava strapazzando una ciocca di capelli biondo cenere, le dita si attorcigliavano per noia. La sua carnagione chiara le faceva assomigliare al cioccolato a latte, anche se, i suoi occhi ambra scompigliavano quel quadro immacolato. Tutto il suo corpo era perfetto, dalle curve appena accentuate, dal sedere tondo e dai fianchi piccoli. Ogni cosa che provava ci stavano benissimo. Invece, per me vestirmi era un problema. Il mio seno abbondante, le gambe e le braccia muscolose, mi faceva penare per le misure. Non ero brutta, ma non amavo le mie forme abbondanti, che causavano occhiate lascive dal popolo maschile.

 La mia formidabile amica, era intenta a discutere con sua madre di qualche cosa a me sconosciuta, presi il telefono e attraverso Wi-fi mi connessi e navigai un poco su Facebook; in tanto le due continuavano a parlare, nulla di preoccupante, erano fatte così. Nel frattempo ricevevo alcuni messaggi di altre nostre amiche per la serata, dopo un poco scocciata di essere trasparente, mi feci avanti.

- Non per disturbare, dovremmo prepararci. Le altre ci aspettano in piazza. -annunciai, lei nemmeno mi diede conto. - Crystal! Smuoviti il culo e andiamo giù, non vorrei che il tuo boy ti trovasse ancora in pigiama! - affermai nervosa, questa volta si era mosse dalla sedia e mi seguii di sotto, lei si diresse verso la sua stanza ed io in bagno a prendere i trucchi per truccarla. Se c'era una cosa che non sopportavo, era quella! Dannazione, era capace e perché non farlo? Dopo chissà quale anno era pronta, indossò i suoi bei tacchi e scendemmo, intanto il grande fusto era arrivato con quell'aria da Dio in terra, se una persona non si sopportava, sarebbe rimasto come tale per sempre. Crystal più volte mi aveva chiesto di questa antipatia ed ogni volta le rispondevo che non mi dava fiducia, c'era qualcosa in lui che mi dava irrequietezza. Era incomprensibile per me, figurarsi spiegarlo a un'altra.

Come al solito la macchina profumava di sigarette, abbassai il finestrino per prendere aria. I capelli si scompigliarono ma che me ne importava, la mia salute prima di tutto.

Il tragitto casa-piazza era breve, sarebbe stato meglio andare a piedi, ma il grande fusto era uno di quelli pigri, forse era per questo che Cupido aveva scoccato la freccia, lui e lei erano della stessa pasta.

Posteggiammo chissà quale via del corso per poi raggiungere la piazza.
La piazza di Alcamo era piccola ma con un corso abbastanza lungo. In essa ci trovavi di tutto dai negozi in più angoli, dai pub e ai bar e non ne parliamo delle pizzerie. Mi chiedevo come entrassero tutte quelle cose in quel cerchio di spazio.

E non ne parliamo di chiese in ogni angolo! Forse nel passato avevano avuto una premonizione di ciò che sarebbe avvenuto tra i giovani? per poter purificare quelle povere anime che si davano al divertimento? Non ero una praticante, ci andavo super giù solo due volte all'anno. Credevo al destino, sì, ai sogni, diciamo non sempre, perché molte volte mi avevano solo illuso, alla magia, alla fantasia e al cuore nobile.

Cose da bambini...insomma.

Il principe azzurro non esisteva, le fiabe erano belle da leggere, ma solo questo per tutto il resto se non ti stricavi* come diceva mia nonna ai ragazzi, non concludevi nulla.

Potevano andar tutti a quel paese, preferivo rimanere sola come una vecchia.

- Ehi, ci sei?  

Una mano mi passò tra gli occhi, sbattei le palpebre e mi ripresi da quel torpore fatto di pensieri.

- Ci sono - dissi convinta.

- A che pensavi? 

 Si udì una voce ben conosciuta, mi girai per metà per fissarlo, perché non si faceva gli affaracci suoi? Credevo che avesse un bel da fare con Crystal, invece ogni volta che ero sovrappensiero, lui rompeva.

- Smettila di rompere! - borbottai acida.

- E' troppo forte! Fai morire dal ridere - disse, mentre rideva come un pazzo.

Andrea era un nome, ma per me era un cretino. Non aveva nulla di particolare, era il solito ragazzo che si sentiva il più figo. Non aveva carattere, né espressioni intriganti. Era banale. La sua faccia assomigliava a un maiale di come ce l'aveva tonda. Rabbrividivo ogni volta che lo guardavo, che cosa gli attirava alla mia amica era un mistero. I denti erano storti e poi ingialliti per il troppo fumo, il naso grosso a patata, due occhi  castano che pensavano solo al sesso.

- Idiota! 

- Forse lo sei tu, ci sono una ventina di ragazzi che ti sbavano dietro e tu che fai? Non ti capisco - mi fece notare, mentre prese la mano della mia amica tra le sue - la vita di coppia è bellissima - affermò tutto felice con una luce maliziosa negli occhi.

- Solo per una sveltina! - esclamai.

- Io gliela darei volentieri -rispose lei.

- Infatti sta solo per questo e tu come una stupida non te ne accorgi - mi voltai nervosa e m'incamminai verso l'ignoto, non ne potevo più di quel clima, doveva sempre mettere il dito nella piaga?

Il rumore dei bicchieri era fastidioso.

L'alcol aveva già fatto il suo lavoro, le teste dei miei amici erano leggeri, ma pesanti dall'altra parte. Erano giovani, cercavano di divertirsi: bevendo o fumando o una bella scopata. Ma alla fine cosa ottenevano? Nulla, se prima erano soli, lo rimanevano.

-Oh siete ritornati - mi svegliai e guardai Luca.

Lui era uno dei miei migliori amici oltre a Crystal. Era un ragazzo per bene e generoso, nella vita ne aveva passato di tutti i colori, soprattutto per il suo lato omosessuale. In verità non vedevo tutta questa differenza dagli altri. Certo, non amava le donne, come tutto il resto del mondo. 

Luca era un uomo d'oro. La sua carnagione olivastra incantava chiunque lo vedesse, i suoi capelli biondo scuro e quegli occhi così espressivi. I suoi sorrisi che aprivano il cielo, la sua parlantina, il suo modo di fare, la sua luce. Purtroppo, più delle volte si sentiva disarmato. Gli altri, lo attaccavano e lo facevano sentire sbagliato e me lo ritrovavo tra le braccia come un animale ferito. Gli volevo un bene dell'anima.

- Sì, il soggiorno è stato fantastico- diceva un ragazzo bassino e  dai capelli tutti attorcigliati da treccine. Luca, annuiva come una scimmia.

- Dai, racconta un poco. Sedetevi - li fece accomodare tre tizi che ordinarono le loro bevande e iniziarono a parlare di ragazze e tante altre cose. Non m'interessava quelle discussioni da ragazzi, alla fine il loro mondo girava su quante ragazze si portavano a letto.

- Chi è lui? - mi voltai e incontrai due occhi scuri, ma nello stesso tempo luminosi. Il suo castano era simile al legno di castagno. Un marrone immischiato al bordò, era una miscela strana e inquietante che mi faceva rabbrividire dalla testa ai piedi. Era un bel ragazzo. Alto su un metro ottanta, spalle ampie e ben vestito. Il viso ovale, il naso piccolo. Un tipo misterioso e intrigante. Lo studiai e notai il gusto raffinato dei suoi abiti, sicuramente di marca, il collo sottile e le sue mani pulite e ordinate, probabilmente faceva un lavoro di ufficio.

- Lui è un amico, conosciuto lì, lo abbiamo portato per un giro turistico. - spiegò rivolgendosi verso lui. Come se fosse uno oggetto.

- Come ti chiami? - chiese Luca.

- Kaname - parlò il sottoscritto.

- Come? 

- Beh è un nome orientale - comunicò l'amico.

- Capisco, allora benvenuto in Sicilia. Spero che non soffri il caldo, anche se da qualche anno non lo fa più - gli comunicò con una risata.

Idiota!

- Dai, vieni, ti presento gli altri. - si alzarono e iniziarono il giro turistico, dopo un certo punto arrivarono da me. Luca aveva preferito fare il giro più lungo, infatti gli presentò tutti gli altri ragazzi ripescandoli dal fondo della piazza e infine giunse da me.

- A sei qui? - mi chiese, come se non mi avesse visto. Lo guardai per sbieco.

- No, me ne stavo andando!- risposi acida.

-Smettila di rompere, non farmi fare brutta figura - protestò Luca.

- Mi scusi, vostra altezza, non lo farò più. - alzai gli occhi al cielo e mi girai per andarmene via, ma mi fermò.

- Non fare la rompi scatole - mi ammonii, mentre gli altri ridevano alle sue spalle.

- Non rompere tu. 

- Almeno, presentati- disse in fine.

Guardai il nuovo arrivato dalla testa ai piedi e sbuffai.

- Piacere di conoscerti, *perno. A presto. - li lasciai con quella risposta e mi allontanai da quei pazzi.

La folla mi stava rompendo le scatole, che cos'era tutto quel caos? E perché volevo fuggire da quel posto? Mi fermai di colpo, trovandomi davanti al nuovo arrivato. Mi sorrise, come se avesse vinto un premio, era altezzoso e snob.

Non gli diedi risposta a quella muta domanda e mi voltai, ma lui, mi ritrovava sempre. E che cavolo! Che diavolo voleva da me?!

- Smettila di seguirmi! - urlai nervosa, con la pressione a mille.

- Sei interessante. - disse lui, i denti erano belli bianchi, sembravano finti e poi le sue labbra carnose, rosse come due ciliegie mature.

- Mi prendi per i fondelli? Vai, a rompere a qualcun altro! 

A un tratto si avvicinò a me con una camminata elegante e maliziosa. Il suo dito mi sollevò il mento, quel toccò scatenò una sensazione mia provata, mille scariche elettriche mi passarono dentro il corpo  fino a giungere ai piedi; mi ritrovai senza fiato. I suoi occhi si incastrarono in quelli miei.

- Ti va di divertirci insieme, una cosa veloce - disse, scandendo le parole "divertirci" ma per chi mi aveva preso?

-Fottiti! - lo allontanai la sua mano e cercai di uscire fuori da quella situazione.

- Mi piaci. 

 Come, cavolo sentivo la sua voce nella mia testa? Questo si chiamava incantesimo della mente, forse stavo farneticando e i migliaia di libri che avevo letto... a proposito, mi ero fumata il cervello? Mi girai e lo trovai ancora fermo, adesso i suoi occhi assomigliavano a un leone che analizzava la strategia migliore per catturare la sua preda. 








 

 

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Capitolo 2
*** Cometa ***


Il blu del cielo era favoloso, la voglia di stendermi sul terrazzo e fissarlo era incontrollabile. Però, il freddo mi faceva ricredere.

 Eravamo in pieno inverno. 

In Sicilia, il clima non era così rigido come al nord, ma non potevo fare una cosa del genere, il raffreddore non lo volevo, nemmeno morta. Avere costantemente un fazzoletto in mano per il naso gocciolante e chiuso, e non ne parliamo della gola che  faceva stare a digiuno per giorni, perché non potevo ingoiare. Da evitare! Mi bastava e avanzava l'allergia, che mi colpiva per tre mesi! Lì ero spacciata! Che pensavo che non mi nuocesse? Tutti, in famiglia ne avevamo una, mamma, ne aveva ben tredici o forse di più.

La pentola stava iniziando a bollire, sperando che quella volta le uova venivano buone, sennò chi la sentiva mia madre? 

La noia, mi stava mangiando viva. Quanto era bello il momento delle vacanze, giocare, ridere, distrarsi. Tuttavia non poteva essere sempre festa, si doveva ritornare alla vita di tutti i giorni.
Accesi la tv, purtroppo non trasmettevano nulla di che, ad un certo punto su Rai Gulp, si presentò un cartone animato senza senso. Mi chiesi che cosa avevano in testa i produttori. Per loro i bambini erano macchine? Ai miei tempi, si che c'erano cartoni significativi, dove c'era una morale e  valori, come piccoli problemi di cuore?  Miki e Yuri, oh Dio! Non li potevo più di vederli... Crystal non era del mio stesso parere. Poi Sailor Moon, la paladina della giustizia, quella che era imbranata e stupida... quante risate, e poi Pokemon, mi chiedevo per quanto sarebbe andato avanti. Eravamo arrivati alla dodicesima serie o forse di più? Ash. Il protagonista aveva sempre dieci anni? Ma dai un poco di logica. Comunque si era capita, l'antifona.

Mi guardai allo specchio, e mi specchiai nel suo riflesso.

Non ero né un alieno né un mostro. Né una strega né una fata come le Winx, forse l'aggettivo perfetto era: pazza, folle, unica?

Vedevo una ragazza che non sapeva che ruolo avesse in quella vita, che sbagliava di continuo e  piangeva in silenzio, senza chiedere aiuto a nessuno. Ricucivo le mie ferite con coraggio, ma  dopo, mollava tutto.
Alle volte, i lunghi capelli castani mi davano quel senso di protezione, di scudo. Gli occhi piccoli del medesimo colore erano nascosti dalla frangia. Non mi sentivo un granché, ma solo un corpo senza anima.
Ma dai, a chi volevo far ridere?
Ciò che vedevo, era solo lo sguardo spento e triste, che si distruggeva con i suoi pensieri macabri.

Ciò che vedevo era: una ragazza, che non sapeva nulla del mondo esterno, che non si era mai innamorata, anche se, aveva un sacco di ammiratori.
Avevo una voragine al petto e non riuscivo a riempirlo e questo mi dava una sensazione di oblio.

- Sì. Stasera lo faremo comunque, non ti preoccupare, lo monterò anche questa notte. Ti ho detto che ci riusciremo, perché devi fare mille domande?  -affermai, mentre parlavo al telefono con Crystal. Oggi era sabato, finalmente. Ci stavamo organizzando per la serata, i nostri amici volevano andare a ballare e a me non mi andava per niente, alla fine si sarebbero ubriacati e tanti saluti.

Crystal stava cercando di convincermi, ma era tutto inutile.

- Su, dai, fallo per me. Ogni volta mi dici di no. 

- Ma scusa, hai il ragazzo, chiedi a lui, no? 

-Jessy, sai che Andrea mi rompe le palle. Sai benissimo, com'è fatto. Per lui devo stare ferma in un angolo a guardare gli altri ballare ... se invece ci sei tu, mi lascerà andare- recitò come una preghiera. 

Infine acconsentii.

-  Oh sono così felice! - esclamò tutta euforica. Santa pazienza.

- Lo faccio solo per te e non per lui. Comunque devo staccare, mi chiamano a dopo. - chiusi la chiamata e mi avviai per le scale.

Mi sentivo nuova. L'acqua calda mi rigenerava, soprattutto dopo essere stata al polo nord (la mia camera), perché non avevo la stufa come tutti gli altri? Sogno irrealizzabile, la mattina era un'impresa alzarmi. Il gelo mi catturava all'istante, arrivavo al secondo piano con i denti che battevano. Che cosa assurda!

Erano passate due ore da quella chiamata e Crystal non mi aveva riempito il telefono di messaggi. 

Quella volta Dio non mi aveva benedetto, poiché mi ritrovo a fare la mummia in un angolino del locale. Non ero per niente normale! Come si faceva, a rimanere ferma come una statua su una poltroncina più scomoda del pavimento? Sembrava, che al posto dell'imbottitura ci fossero dei sassi. Guardavo, Crystal, che stava ballando con Andrea. Il ragazzo non perdeva tempo a metterle una mano sul culo e lei si agitava ancora di più. Stavano limonando? Davanti a tutti? Beh nessuno li guardava, eccetto io.  La gente ballava, si scatenava. Beveva. Filtrava. Ed io che combinavo? Me ne stavo ferma a pensare a niente, perché non mi univo a loro, cosa mi fermava? Ero una idiota, punto e basta.

Una lacrima mi sfuggì, sentii il suo sapore sulle labbra. Ero inutile. Servivo a niente.

Abbassai gli occhi e guardai il bicchiere mezzo vuoto, la vita faceva schifo.

- Ciao - mi voltai e mi ritrovai gli occhi di Kaname che mi squadravano dalla testa ai piedi, il suo sguardo si soffermò sul mio seno e questo mi dava un grande fastidio. Mi misi dritta e assunsi il mio sguardo di ghiaccio.

- Ciao - risposi girandomi dall'altra parte a fissare qualcos'altro.

Peccato che non c'era un bel niente.

- Non ti hanno mai detto che è maleducazione girarsi, mentre qualcuno ti parla? - mi ammonì lui con un sorriso. 

- Poco importa. Non hai altro da fare? Sono impegnata -urlai per farmi sentire. Ero la sola che quando c'era musica non capiva un tubo!

- Non mi hai ancora detto come ti chiami?- mi chiese, mentre accavallava le gambe. Lo guardai da sott'occhio, i suoi movimenti erano così sensuali e.. Jessica ritorna e non perderti nel tuo mondo meraviglioso.

- Fatti prestare il potere di Edward Cullen -l'ammonii con fermezza, mentre mi alzai scocciata.

- E chi sarebbe costui? -domandò, mentre puntò i suoi occhi nei i miei.

- Mai, sentito, della saga di Twilight ? -risposi. Lui mi fissò, si mise a ridere.

- No, illuminami. Lo sai che sei davvero simpatica, ti preferisco così che fredda come un ghiacciolo -mi riferì, mentre rideva con eleganza.

- Meglio un ghiacciolo che un gelato sciolto no? -mi alzai e lui mi guardò interamente. Il corpo bruciava e i brividi non mi mollavano. 

Che cosa voleva da me? Perché non mi lasciava andare?

- Un gelato sciolto? -domandò confuso. Credevo che mi avesse capito invece... Come diavolo  ce lo facevo capire, che intendevo quelle che aprivano facilmente le gambe? Dai, Jessy, inventati qualcosa. Accidenti! Non mi veniva nulla.

- Niente lascia stare. -mossi un piede e poi l'altro, dovevo andar via, fuori.

L'aria fresca mi rinfrescò, e per un secondo mi sentì di nuovo in me. Affondai i piedi nella sabbia e mi avvicinai al bagnasciuga. (Per fortuna la discoteca era vicino al mare). 

Il mare era illuminato dalla luna calante , le piccole onde lasciavano le loro impronte sulla spiaggia. Che tranquillità, tutto l'incontrario, la dentro.

Le orecchie ronzavano, peggio di avere una zanzare nei dintorni.

Mi incamminai e quasi toccai l'acqua, ma non volevo. La sabbia si sarebbe appiccicata sulla suola e poi Andrea mi avrebbe fucilata.

Alzai lo sguardo al cielo e lo ritrovai blu notte, le stelle erano così luminose e calde, mi veniva voglia di toccarle. Un dolce venticello, mi mosse i capelli e alcune ciocche mi oscurano la visuale, bastò un attimo che tutto ritornò normale con qualcuno dietro di me.

-Non è prudente che una ragazza stia fuori sola - parlò. Lo lasciai perdere, dovevo stare tranquilla, eravamo vicino alla discoteca, anche se aveva ragione.

Il cuore iniziò a capitolare nel momento in cui il suo braccio sfiorò la spalla, scattai in avanti e me lo ritrovai di fronte. Era un ragazzo fantastico non c'era nessun dubbio. I suoi occhi mi attraevano come due calamite e poi le sue labbra. La sua voce, aveva qualcosa di così dannatamente erotico, altro che Christian Grey, ne faceva mille. Il suo profumo assomigliava a quello del tiglio, calmo e confortevole ma anche con una spruzzata di menta che dava forza e energia.

Ero sempre stata brava a sentire i profumi, anche se, a volte non riuscivo a riconoscerli, ma li memorizzavo. Mi sentii leggera come se lui fosse una colonna portante, mi volevo lasciar andare, ma nel momento in cui tentai di slacciare i muscoli, lui mi sfiorò il viso e con quel gesto mi ritirai.

Il suo sguardo da predatore, si trasformò in un gatto offeso ed esasperato.

Mi dispiace caro mio, ma non sarò una delle tue facile prede.

Kaname

Gli unici rumori che sentivo era la musica e il mare. La stavo guardando da almeno cinque minuti e non avevo nessuna intenzione di staccarle gli occhi da lei.

Non avevo messo in calcolo un rifiuto, abituato ad ottenere tutto, anche la minima cosa.

La vedevo per quella che era: una ragazza dal carattere forte e rigorosa, dal corpo formoso e bello, dal seno abbondante, dal sedere perfetto. Le avevo fatto già un pensiero quella sera, la prima che l'avevo conosciuta. La mia mente da uomo si era messa subito in funzione e non solo, anche il corpo. L'adrenalina di averla anche per pochi istanti, mi stava facendo impazzire, invece lei mi rispondeva per tutte le rime del mondo, inventando nomi o cose che non avevano nessuna logica.

Non la smettevo di fissarla, notavo il disagio e forse anche  imbarazzo, ma era questo, il mio scopo. Far cadere quella stupida maschera che indossava, perché da quello che avevo visto, non era così fredda, tutt'altro.

Con la sua amica parlava normalmente e l'avevo sentita anche ridere, era la solita ragazza solare e simpatica. Allora, perché di questo picco, quando parlava con me? per caso, aveva qualche problema con i maschi? 

All'improvviso lei si voltò e mi diede le spalle. Anch'io cambiai direzione per fissare una scia luminosa nel cielo. Sembrava una stella cadente, ma di solito erano velocissime. Quella cosa stava scivolando lentamente sull'atmosfera, lasciando scie luminose.

- La cometa. 

La sua voce uscì piano, ma la sentì ugualmente; il tono era cambiato diventando più fanciullesca, mi sorpresi di quella trasformazione.

- Oh, che bella, non credevo di poterla vedere -commentava tutta euforica, che cosa c'era di così sorprendente?

- Come si chiamava? -disse più a se stessa che a me. 

Alla fine sbottò soddisfatta.

- Cometa Love jot o Lovejoy? -affermò perplessa.

- Lovejoy -confermai, mentre fissavo sia lei e la cometa.

- La rivedremo tra dieci mila anni -disse, sognante.

- Non mi importa.  

- Ecco, di cosa parlavo! Tu, sei, uno che non fa caso a queste piccole cose. Voi uomini sapete pensare solo a una cosa! -esclamò puntando i pedi nella sabbia.

- E voi donne a cosa? -mi arrabbiai, per quell'attacco che non capivo il motivo. Mi avvicinai a lei, cercando di toccarla, ma lei ribatté nuovamente.

- Fatti nostri! E lasciami stare.

- Ti voglio far compagnia non posso?- domandai, vedendola spostare.

- No! Che cosa vuoi da me? Non sono disposta per ciò che hai mente - disse forte e chiaro, ma non mi demoralizzai e riattaccai.

- E che cosa voglio? -dissi malizioso.

-Non sarai così pudica, da non saper dire ciò che la tua testolina  ha già pensato? Dai, non dirmi che non sai nulla del mondo, perché non ci credo, siamo tutti abbastanza grandi e vaccinati. Ho capito, sei una verginella! Se vuoi, sono disposto a farlo io - parlai con calma. 

- Parlare con certa gente, a volte è inutile. Mi sembravi più intelligente, invece, sei come tutti gli altri - mi freddò con poche parole.
- Adesso scappi? Ti ho colpito dritta dritta ... -affermai con cattiveria, dopo essermi ripreso da quell'attacco.

-Non sto scappando, sto solo ... che cazzo te ne frega a te. Addio! -mi lasciò solo, mentre i suoi occhi si posarono sulla cometa.

- * Jigokuniochiru.

Jessica

Perché mi sentivo così male? Avevo solo dato una risposta. Mi faceva male lo stomaco, forse era il nervosismo. Ce n'era gente idiota in questo mondo e lui ne faceva parte.

Mi allontanai dalla spiaggia e trovai Crystal e Andrea discutere, non ci feci caso e mi sedetti in quel sottospecie di poltrona.

- Ma dove eri? -mi domandò lei con rabbia. Ma che cazzo! Non ero la valvola di sfogo di tutti.

- Fuori - dissi, tenendomi nello stomaco le parole che volevo vomitare. Ecco perché non mi piacevano le discoteche, trovavi sempre il bastardo di turno.

- Andiamo, per stasera ne ho abbastanza - mormorò Andrea.

Ci allontanammo dalla discoteca e indicai a Crystal la cometa, ma lei mi dava poco a parlare il suo sguardo era lontano di sicuro avevano litigato. Il viaggio era stato silenzioso. Arrivammo a casa per le quattro e salimmo subito in camera. Crystal si buttò sul letto e dopo un secondo iniziò a piangere come una fontana, mentre facevo un lungo respiro e mi avvicinai. Le accarezzai la testa lentamente e poi chiesi la famosa domanda.

- E' un bastardo! Cretino, stupido!  -urlò.

- Che ha combinato questa volta? 

- Era andato a prendere da bere e nel lasso di tempo che è mancato, un ragazzo, mi si è avvicinato, non ho visto il suo viso, ha iniziato a strisciarmi addosso con costanza, ero un poco brilla e non mi sono accorta che non era Andrea. Lo so che può risultare stupido, ma l'alcol è una brutta cosa. Andrea, quando ci ha visto ha subito pensato al peggio e ha strappato le braccia del ragazzo che ci stava provando con me- riprese fiato e continuò -gli ho spiegato, che non lo avevo capito, ma lui nulla. Alla fine lo preso in disparte e l'ho baciato.

 La guardai, mentre singhiozzava e pensavo tra me e me: accidenti a te, quando bevi, non capisci più nulla! E  davo ragione ad Andrea? 

E ci credo, perché non voleva mai venire in quei posti affollati: qualcuno poteva rubarla, com'era successo quella notte.

-Su, domani ne parlerete con calma. Adesso a letto. Buona notte Cri. -ci salutammo e me ne andai a letto. 

Forse il mondo aveva iniziato a girare all'incontrario? Perché non riuscivo più a capire più nulla.


 

Nascere era facile, ma vivere la vita era difficile.
 

 

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Capitolo 3
*** Cioccolato ***


Di solito, la confusione non mi dava fastidio, ma in quel momento, sì.

Ero seduta su una panchina, con le gambe accavallate e mentre guardavo i "miei amici", mangiavo un bel pezzo di cioccolata. Il freddo di quel periodo mi faceva gelare le mani e non solo, ma quello era un altro discorso. 

Assaporare il gusto di quel rettangolo era decisamente sublime. La cioccolata si scioglieva in bocca.

Crystal parlava con alcune nostre amiche, invece Andrea non si era fatto sentire. Lei pensava che ormai la sua storia era finita; sembrava che non le importasse, ma la vedevo, come guardava le altre coppie.

 Dal suo sorriso falso. 

Questo mi faceva sentire inutile, non riuscivo a risollevarle il morale.

- Deve essere, piuttosto buono, se già te lo sei mangiato tutto -mi fece notare una voce. Non c'era bisogno che mi giravo, lo avevo riconosciuto. Kaname, si era palesato di fronte a me, con quello sguardo magnete e fissava con insistenza le mie labbra.

Lo ignorai completamente, buttai la carta nel cestino e mi avvicinai agli altri. Sentivo il suo sguardo su di me, mi sentivo infastidiva di tale insistenza.

- Jessy, andiamo? -mi chiese un'amica.

 Dissi di sì e ci recammo verso il pub. La serata trascorse serena con qualche battuta e parola di troppo. Si era aggiunto anche Andrea, ma non aveva rivolto parola alla mia amica, si stava comportando da vero immaturo. Lei lo guardava e lui la ignorava. 

Il mio nervosismo mi stava mangiando e ogni sguardo languido veniva fulminato. Mi alzai scocciata dei vari argomenti e mi diressi verso l'uscita del pub, l'aria fredda mi rinfrescò le idee.

Dovevo calmarmi. Non potevo comportarmi in quella maniera da bambina viziata...lei era abbastanza grande, se voleva una mano, gliene davo anche due. 

- Il gatto ti ha morso la lingua? - mi disse Kaname. 

Da dove era spuntato?

- Almeno, rispondi -affermò. Mi girai e notai solamente in quel momento cosa indossava, una camicia bianca con due bottoni slacciati, i jeans aderenti che slanciavano la sua figura, i capelli spettinati e quei magnifici occhi che fermavano i cuori con una sola occhiata. Mi bagnai le labbra e formulai la richiesta.

- Se me la ripeti, forse ti posso rispondere -chiarii, mentre cercavo di farmi spazio ad entrare dentro, ma lui mi ostacolò con la sua stazza, mettendosi davanti all'entrata.

-Ti va di andar via? Ti compro tutta la cioccolata che vuoi? -mi disse, mi girai per guardarlo bene in viso. 

- Sì, come no. Poi me li curi tu, i denti? -risposi e lui ricambiò lo sguardo.

- Volentieri - sorrise malizioso.

- Maschi! Siete solo... -rimasi con la frase incompleta. Perché di quel  gesto?

I suoi occhi mi stavano scavando e ci riuscirono. La mia mente si aprì a lui e non riuscì a impedirlo.

Non volevo far cadere il mio scudo. Mi scrollai da lui, ma mi strinse forte e marcò con forza le sue labbra sulle mie. Non andò oltre. Il suo profumo così forte mi ipnotizzò e mi sentì succube di lui.

La testa mi girava e anche forte, mi sorresse grazie alle sue braccia.

Mi abbandonai a quella nuova emozione, mi feci trascinare da lui e da quel oblio, gli permisi di approfondire. La sua lingua si agitò dentro la mia bocca e io con incertezza mi avvicinai alla sua. Mi sembrò di essere in paradiso, un attimo dopo all'inferno. Lui non mi darà mai ciò che cerco, meglio togliere l'acqua, prima che diventa sua schiava. La sua presenza mi dava sicurezza, ma quando entrava in scena quel suo lato antipatico, scompigliava tutto.

Kaname era così misterioso che avevo voglia di scoprirlo, ma non potevo. Se non davo un taglio netto, m'innamoravo e non volevo soffrire.

Basta, questa farsa deve finire.

Lui sembrò soddisfatto del suo operato ma non sapeva della sorpresa.

Agii in fretta, gli lanciai il  ginocchio sui suoi gioielli e indietreggiai.

- Cazzo! -urlò.

I suoi occhi mutarono, il colore sfumò e diventò più scuro e intenso.

- Non sono un oggetto Kaname, ma una persona! Se vuoi un giocattolo, cercalo da un'altra parte, non sono disposta a farlo!- Lo freddai.

Era la decisione giusta, non volevo essere imprigionata in un'altra gabbia, ne avevo abbastanza.
 

-Ti sei fusa il cervello, per caso?  

-Ti sei fusa il cervello, per caso?  

La voce squillante di Crystal, mi faceva ricredere in tutto ciò che avevo pensato in quegli giorni. La mia amica non vedeva l'ora che raccontavo i reali fatti. Lo sapevano tutti ormai, quello che avevo fatto.

-Me la dai una risposta, o te la devo scippare? -gridò ad alta voce, mentre toglievo un auricolare dall'orecchio.

-Dannazione, parla piano! Grida ancora e ti chiudo la chiamata in faccia!- la minacciai, mentre discendevo con il corpo per fare una nuova flessione. Le gocce di sudore scendevano copiose sul tappetino, mentre il respiro si spezzò per la fatica. I muscoli bruciavano, ma non mi lamentavo. Avevo bisogno di sfogare la mia rabbia, la frustrazione, che mi divorava l'anima.

Mi sentivo una merda. Potevo essere più gentile, ma non c'ero riuscita.

L'avevo visto trasformarsi in un'altra persona, forse lui stava provando ad essere gentile anche con le mosse sbagliate.

- Sta succedendo un putiferio - mi raccontò Crystal.

- In che senso? Non credo che il principino abbia fatto storie. Da ciò che ho visto, non si lamenta mai- affermai convinta. Da ciò che avevo visto, era un ragazzo riservato e malizioso. Gli piaceva le belle cose e le donne. 

Anche se, avevo dei dubbi sul suo conto: primo era straniero, anche se conosceva l'italiano meglio di me. La sua professione o dove abitava. Sicuramente non era un souvenir come avevano blaterato la prima volta, non era un tipo che si faceva trascinare in quel modo. Era un ragazzo astuto e intelligente, tralasciando la sua bellezza che non rispecchiava molto con i canoni orientali.

-Jessy.- mi chiamò Crystal - In giro si sente che tu l'abbia rifiutato e che lo hai colpito senza una motivazione - accennò, mentre immaginavo lei sul letto, che si metteva lo smalto sulle unghia.

- Ho rifiutato, perché mi voleva portare a letto, e poi lui mi ha baciato- annunciai senza rendermi conto e non ebbi nemmeno il tempo, di stabilire il silenzio tra una battuta e l'altra che Crystal mi urlò.

-Baciata?! E quando me lo volevi dire?  

-Crystal, mi fai un grosso piacere? -chiese speranzosa.

- Com'è stato? Bacia bene? Dai, dimmi un po' qualcosa. -mi chiese a raffica, mi stesi sul tappeto pronta a fare gli addominali, ma mi fermai a pensare:

Era stato solo un bacio, ma quello che avevo provato era stato bellissimo. Non mi aveva messo fretta, era rimasto fermo ad aspettarmi. Lo avevo immaginato diverso, forse lui cercava realmente qualcosa in più o mi prendeva solo in giro?

Mi sentivo in colpa.

-Allora?

- Devo lasciarti, ciao .- mormorai, prendendo il telefono dalla tasca, la sentivo protestare, ma chiusi la connessione.

Il suo bacio mi era piaciuto... e non solo quello.

Erano le ventitré di sera. La settimana, era volata via e in tutto ciò mi ero sentita una donna schifosa. I sensi di colpa era molti, forse non dovevo dare la mia conclusione in fredda in fuori. Non avevo mai provato tali sentimenti, forse li avevo solo immaginati. Il calore che divampava nel momento in cui mi soffermavo a pensare al bacio, le sue mani posate sui fianchi, il suo profumo.

Mi stavo infatuando di lui?

Mi sentivo anche il colpa. Avevo una tale confusione in testa. Mai nessuno si era avvicinato così tanto al mio cuore.  Lui mi affascinava, c'era qualcosa nel suo magnetismo che mi attirava. Non era il solito ragazzo, non si spaventava di un mio no, camminava a testa alta, mi piaceva.

 

Continuai a procedere dietro agli altri, fino a che li persi di vista. Ero talmente persa nei miei pensieri che non riuscivo a vederli. Presi il telefono e chiamai Crystal. Non mi rispondeva... e fu in quel momento che una strana sensazione che mi giunse dal terreno fino al petto e mi voltai.

Il sangue si raggelò. 

Sentivo gli occhi umidi, mi sentivo ferita, umiliata.

In un angolo della piazza vidi Kaname, chino su una ragazza.

Si stavano baciando.

Perché, il cuore faceva male? Perché, mi sentivo così?

Come aveva potuto?

Crystal, lo stava baciando e non solo, ci stava provando.

Mi ero sentita in colpa per niente, lui era quel genere di persona da evitare, ed io, come un pollo ero caduta ai suoi piedi. 

Soffocai quell'emozioni e scappai. Le lacrime mi correva sul viso, avevo ricevuto una pugnalata al cuore. Credevo, che fosse mia amica. 

Infine, poteva far ciò che voleva. 

I miei sentimenti non erano pubblici.

Stavo ammettendo che mi piaceva, Kaname? Oh Dio! Perché scoprivo le cose solo all'ultimo?

Correndo non mi accorsi dove andavo e così investii qualcun altro.

-Tutto bene?

Alzando il viso, ma rimasi in silenzio.

 - Perché, stai piangendo? Ti sei fatta male? -chiese gentilmente un ragazzo moro e con due occhi verde smeraldo. Mi sorrise appena i miei occhi si scontrarono con quelli suoi. Era di bello aspetto con un viso a triangolo inverso, dal naso pronunciato e dritto. Il suo sorriso era bianco come la luce. 

- Sto bene - balbettai, sbattendo le palpebre per riprendermi. 

Mi sentivo in un altro universo, la gente che mi stava attorno mi dava fastidio. Non sopportavo quella confusione, volevo svanire nel nulla. 

Il ragazzo mi guardò con attenzione per poi...

- Su, vieni.

Mi prese la mano ed era tiepida, da lui avvertivo una sensazione ambigua, come se...in verità non sapevo che nome dargli. 

-Bevi, così ti riprendi un po'

-Grazie.  

Gli sorrisi anche se avevo solo voglia di piangere.

- Prego. Dimmi sei sola? -mi domandò, mentre giocava con la giacca a vento che indossava. Era alto più di me, forse su un metro e settantadue centimetri, magro e ben allenato, si notava i muscoli delle braccia e gli addominali da sotto la maglietta chiara.

- No ... si - risposi a monosillabe.

- Capisco. Comunque io sono Daniele - alzai lo sguardo e puntai i miei occhi su di lui. Il verde che

notavo mi faceva dimenticare tutto, anche il motivo per cui stavo piangendo.

- Jessica.

-Piacere di conoscerti, so che è presto, ma vorresti diventare mia amica? -mi sorrise. Che ragazzo dolce.

-Con piacere.

Mi lasciai trascinare da quel mare, sapevo che ben presto un'onda più grossa mi avrebbe trascinato e sarei affondata.
 

 

 

 

Ogni nostro domani è un nuovo giorno da incontrare.

Plasmiamolo teneramente, con le nostre speranze e i nostri desideri.

Fine introduzione

 

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Capitolo 4
*** Legami spezzati ***


Gli occhi mi bruciavano, le lacrime e la notte insonne non mi avevano giovato.

Purtroppo, mi sentivo come se fosse stata investita da un camion. Dovevo chiamarla o no? Era così dannatamente, confusa!

Le quarantadue ore erano passate e lei ancora non mi aveva mandato né un messaggio, né mi aveva chiamato.

Oh, Dio, aiutami tu!

Mi sentivo terribilmente in colpa, ero una stupida.

Avevo capito ciò che che mi stava succedendo, ero la solita. Le risposte giungevano sempre in ritardo. Mi avevano sempre attratto gli uomini misteriosi, intriganti e lui era tutto questo; oltre ad essere: affascinante, maturo e sexy.

Maledetta me!
Decisi di fare il primo passo, presi il telefono e aspettai, ma dopo due squilli la linea cadde, accidenti!

La musica mi avvolgeva e cercavo di pensare, ma non c'ero riuscita, mi stesi sul letto e mi addormentai.

Il risveglio non era stato uno dei migliori, mio fratello entrò come un pazzo in camera e mi urlò di alzarmi e di andare a guardare l'altro fratello, accidenti un poco di pace no? I miei uscirono e come al solito, chi toccava guardare il più piccolo? Io! E quando mai! Sbuffai e salii in cucina, lui si trovava davanti alla tv per cambiare.

Potere, della noia vieni a me! Sì. Sailor Moon. Non facevo ridere. Ero patetica. Mi gettai sul divano a stile rompo tutto e buona notte.
 

La mattina arrivò troppo velocemente, la sveglia suonò come una gallina in calore. La spensi e mi rimisi sotto le coperte, ma nemmeno cinque minuti e risuonò, si lo avevo capito. Il freddo della stanza mi faceva schizzare velocemente in bagno e accendere la stufa, benedetta a chi l'aveva creata.

La mattina non era iniziata bene, la voglia di far qualcosa era scemata tutta di un tratto; così mi armai di pazienza e presi mio fratello che era già pronto e lo portai a scuola per poi dirigermi verso casa, destinazione cucina e poi latte con il Nesquik.

Durante la mattinata non successe nulla di strano solo il sonno che mi perseguitava, ma che volete di lunedì mattina? Sistemai un po' qua e là e poi sprofondai sul divano, il freddo di quest'inverno era insopportabile. Chiusi gli occhi con la borsa d'acqua calda in mano, mi stavo rilassando.

Il telefono iniziò a vibrare e dopo pochi attimi iniziò la canzone degli "Uta no prince-sama maji love 2000%", aprì gli occhi scocciata e notai che era mia nonna. Sospirai contrariata, perché doveva venirmi a rompere le scatole? Presi un lungo respiro e accettai la chiamata, alla fine aprii la porta e dopo cinque minuti ci trovammo come due perfette idiote a parlare delle cazzate più strambe.

Quel periodo era veramente strano, diciamola tutta; se c'era una che si sposava non dava proprio importanza se era quella minore o la maggiore, invece a quel tempo, la prima a sposarsi doveva essere solo la prima e poi venivano tutte le altre, cazzate, l'avrei ripetuto all'infinito.

Finalmente sloggiò ed ero nuovamente sola, ma il tempo era passato velocemente, ed erano l'una! Dovevo preparare per pranzo? Come la facevo la pasta? Domanda di un milione di dollari, aiuto!

Calmati, Je, respira.

C'era la salsa!

 l'illuminazione!

Il pranzo passò velocemente e come routine giunse il momento dei compiti. Povera, la mia pazienza. Il mio fratellino, non ne voleva sapere di farli e dopo chissà quante minacce finimmo.

Esultai di gloria.

Mi distrassi con un paio di round di allenamento, certo, adesso ero distrutta, c'ero andata proprio pesante. La pancia mi stava facendo male, forse non dovevo esagerare con gli addominali.

Il telefono squillò, lo stavo odiando sul serio, sperai che non fosse mio padre altrimenti avrei fatto una strage.

Grazie a Dio non era lui, ma mia madrina.

Mi porse un sacchetto dove c'erano dei broccoli, oh santa pazienza...chi me lo faceva fare? Era da una settimana che li mangiavo, a breve sarei diventata verde!

Cercai di non correre come al solito e percorsi la strada di prima. Stavo giusto svoltando l'angolo e mi scontrai con qualcuno, l'avevo detto che non era  giornata.

-Mi scusi. - balbettai mortificata. Dannazione alla mia distrazione, non alzai nemmeno lo sguardo e corsi verso casa, ma una mano mi bloccò. Mi agitai, che diavolo voleva? Ormai si sentivano talmente tante cose, che era meglio non uscire di casa.

Mi voltai spaventata e mi scontrai con due occhi verdi.

Rimasi in silenzio per un attimo e lui mi sorrise.

-Ciao. Non si salutano gli amici? - disse lui, mentre posava il tablet nel marsupio. Era Daniele, il ragazzo che avevo incontrato la settimana scorsa in piazza. Il ragazzo si presentava sorridente e mi mandava sguardi incantatori.

-Ciao non ti avevo riconosciuto - affermai, mentre sentivo caldo.

Che figura di merda.

-Lo avevo capito, eri così distratta. - mi fece notare.

-Già - mormorai, concordando la sua ipotesi.

-Dove, stai andando così di fretta? - domandò curioso per poi fissare i miei sacchetti che avevo tra le mani.

Ancora mi chiedevo da dove fosse spuntato, l'altra volta, forse dal cielo?

 Grazie, a lui ero riuscita a riprendere il controllo di me stessa e a sorridere, anche se avevo uno strano senso di amaro, in bocca. Si era presentato come Daniele Pibo. Un cognome alquanto strano, ma sapendo, che il mio non era così normale, non avevo dato importanza.

Mi aveva raccontato che si era trasferito da poco, dopo aver vissuto in America. Lì aveva finito gli studi; grazie al padre, adesso si era trasferito ad Alcamo, città nativa dei suoi nonni e aprendo uno studio tutto suo. 

-Stavo ritornando a casa - mi affrettai a dire, mentre tremavo dal freddo. Ero una incosciente, non avevo messo neppure il giubbotto.

-Abiti qui? -chiese.

-Si, in quella casa gialla. Come vedi non è tanto distante. 

-Vedo. Beh è stato un piacere rivederti. Un giorno di questo ci prendiamo un caffè, insieme. Ti lascio ritornare a casa, prima che ti congeli. - disse, mi voltai dopo averlo salutato e corsi verso casa.

Accidenti, almeno qualcosa di positivo era successo.

Salii le scale e già sentivo le due pesti litigare, beh la serata andava avanti nel bene e nel male.

Salii le scale e già sentivo le due pesti litigare, beh la serata andava avanti nel bene e nel male

 

Avete mai l'impressione che il tempo vi sfugga dalle mani? Era quello che mi stava succedendo, in quel periodo. Mi sembrava ieri che avevo incontrato Daniele per strada, invece eravamo quasi a venerdì.

Era da cinque giorni che non sentivo Crystal e questo mi preoccupava.

Ero decisa a chiarire quella questione, in modo definitivo. Le mandai un messaggio del mio arrivo a casa sua e mi rispose un semplice, si.

La faccenda non mi piaceva.

Non c'era nessuno in casa, meglio così, avevamo più tranquillità.

Salii al terzo piano e la trovai seduta con il telefono in mano, maledetto aggeggio che ci aveva schiavizzato.

-Ciao - salutai e mi sedetti. Lei mi rispose appena.

Mi guardai in giro, non sapendo che dire. Meglio andare con gradualità.

-Come va? Non ti sei fatta sentire in questi giorni- parlai con calma, lei alzò lo sguardo e mi fissò.

-Beh, nemmeno tu.

-Che faccia! Ti è morto il gatto? - ironizzai per far rilassare l'atmosfera.

-Si.

 Parole concise e brevi.

Il silenzio era interrotto solo dai numerosi messaggi che le arrivavano in continuazione.

-Adesso, basta! Mi dici, che diavolo è successo? Non mi rispondi alle chiamate né ai messaggi, se c'è qualcosa, dimmelo. - spezzai il silenzio, incazzata.

-Andrea, mi ha lasciato. - affermò, mentre una lacrima scese e si posò sullo schermo del telefono.

La notizia non mi faceva né caldo né freddo, quello stronzo non la meritava.

-E' per questo, che sei sotto terra?

-Tu non capisci. Io, lo amavo - parlò, mentre il viso s'inondava di lacrime.

-Accidenti, Cri. Quello stronzo, non ti ha mai meritato, te l'ho sempre detto, ma il problema è che dobbiamo soffrire per capirlo. Ormai è finita. - l'ammonii, ma non riuscivo a far di più.

-Jessy, mi sento così male, credo di aver commesso tanti errori. - mi rispose con la testa china.

-Su. Le cose, miglioreranno con il tempo. Prenditi una lunga pausa, da tutto. Hai sempre cercato qualcuno per non vivere la solitudine, ma non credi, che proprio adesso, tu ne abbia bisogno? Cerca di capire, che cosa vuoi realmente dalla vita. Tutti questi stronzi hanno solo giocato con i tuoi sentimenti. - parlai con calma, mentre dentro di me, si scatenava una tempesta.

-Hai ragione. Ma ogni volta, cado come un pollo, nelle loro trappole.  -confessò dispiaciuta.

-E tu non cadere. Apriti quei maledetti occhi e quando avrai bisogno di un altro paio, fammi un fischio, ti presto anche quelli miei. E non farti soggiogare dalla tua pazzia, rifletti prima di agire. Mente e cuore non vanno sempre d'accordo e credo che tu lo sappia, adesso alza il culo da quella sedia e vatti a fare una doccia. Fai scivolare quest'umore del cazzo e ridi. - l'apostrofai, facendola alzare e poi inviarla verso il bagno. 

- Rilassati, io rimango qui.

Sembrava che tutto fosse ritornato alla normalità, ma non era così

Sembrava che tutto fosse ritornato alla normalità, ma non era così. Anche se avevamo parlato di tutto, non c'eravamo soffermati su quello che era successo sabato scorso. Avevo solo una sensazione: Crystal me lo voleva tenere nascosto.

Non c'era stato nessun problema se non avevo visto nulla, forse non mi sarei accorta del suo nervosismo.

Mi preparai i vestiti e preferii un jeans e una maglietta, in fin dei conti, nessuno me lo vedeva, indossando il giubbotto.

La serata era fredda,  non vedevo l'ora che arrivava la primavera, anche se ci sarebbe stata la fantomatica allergia che mi perseguiterà fino ad agosto.

Crystal mi stava venendo incontro, con il suo sorriso e mi abbracciò, chissà per quale motivo.

Mi avviai verso i miei amici e iniziammo a parlare del più del meno, fino a che mi vibrò il telefonino, lo presi sotto lo sguardo di Crystal e risposi.

-Pronto?

-Ciao, mi riconosci? - domandò una voce all'altro lato del telefono.

-Chi saresti? -affermai, mentre la mia amica mi fissava.

-Ti do un indizio, ci siamo già incontrati ben due volte, l'ultima stavi diventando un pezzo di ghiaccio, baby. - marcò l'ultima parola. Chi era quello stronzo che ci sta provando con me? Stavo per chiudere la telefonata, quando giunse il suo nome.

-Dai, non mi hai riconosciuto? Sono, Daniele, credo che il mio scherzo non sia andato come speravo. - affermò ridendo.

-Non mi piacciono questi tipi di scherzi. - confermai nervosa.

-Sei una ragazza dal cuore di ghiaccio? Se vuoi, te lo sciolgo io. - disse beffandosi di me.

Chi cazzo si credeva di essere?

-Smettila, se vuoi ancora parlare con me! - tuonai incazzata, spostai una ciocca di capelli dagli occhi e fissai un punto qualsiasi della piazza, solo allora, mi accorsi che i miei occhi si erano puntati su un paio di scarpe e risalendo il corpo mi bloccai. Cazzo!

-Ci sei ancora? -chiese Daniele.

-Forse - mi ripresi dalla bastonata.

-Comunque, sei in piazza? -domandò speranzoso.

-Forse. - dissi come un automa.

-Tra poco, sono lì. Mi dispiace, baby, ormai ti ho smascherato. -disse gongolandosi.

E chiuse la connessione. Che significava, che mi aveva smascherato?

-Chi era? - mi girai e mi ritrovai Crystal a due centimetri da me, oh per l'amore di Gesù, lasciatemi respirare.

-Nessuno. - balbettai rossa.

-Un ragazzo? - urlò e quasi mezza piazza si girò verso di noi, che figura di merda, accidenti alla sua voce da gallina! Le tappai la bocca mo' di manga e la presi in disparte.

-Allora, chi è? E, come lo hai conosciuto? E' bello? Vi siete già incontrati? - blaterò Crystal in una ventata di venti secondi. Continuò con questo ritmo per un po'.

-Stai, zitta! - sbuffai incazzata, lei si riprese e mi chiese un piccolo scusa.

Ora arrivava, la parte focale del discorso.

Credevo che non sarebbe mai successa una cosa del genere, ero brava a farlo, ma adesso non ci riuscivo. Volevo la verità, la guardai negli occhi e mi preparai all'uragano.

-L'ho incontrato sabato scorso. - iniziai a dire. Lei si passò una mano sui capelli e poi la riabbassò entusiasta.

-Vero? Perché non mi hai detto niente?. - mi ammonii lei.

-Ho avuto le mie motivazioni. Non lo avrei incontrato se, sabato non fossi fuggita...- mi bloccai a quel punto, notai la sua mano tremare.

Ci siamo, la verità stava uscendo fuori.

-Perché sei fuggita? Qualche stronzo ti ha importunato? - domandò tranquillamente, nascondendo la mano in tasca.

-No. Ho visto qualcuno che mi ha fatto male. - abbassai la testa, non ero mai stata brava nelle confessioni, mi sentivo a disagio.

-Che cosa hai visto? 

 La sua voce mutò, diventò fredda, distante.

Vorrei parlarle civilmente, con calma. Il cuore mi stava battendo forte, il suo rumore faceva perdere quel poco di calore che avevo conquistato. Le mani sudavano e tremavano nello stesso tempo.

-Ho visto te con un'altra persona. Eravate in atteggiamenti intimi. 

Cercai di frizionare la mia voce che era roca, delusa. Mi sentii uno schifo.

Non credevo, che un giorno avrei accusato la mia migliore amica in questo modo, alla fine, lei non aveva fatto nulla di strano, aveva solo dato sfogo al suo istinto.

-Hai visto me e Kaname insieme? - domandò con gli occhi puntati su di me. Alzai lo sguardo e rimasi di sasso. Non vedevo né rimpianti né dispiacere.

-Si - annuii.

-E ti ha fatto male? Volevi esserci tu tra le sue braccia? Volevi baciarlo, volevi fare sesso con lui?- mi domandò con voce gelida.

-No, è solo che.

 Non riuscivo a dire altro, il dolore che sentivo alla guancia mi faceva rimanere immobile.

-Mi dispiace, ma non è colpa mia se lo hai rifiutato. Non è colpa mia, se hai un cuore di pietra e hai un carattere del cazzo! Te lo sempre detto, di essere dolce, ma tu, mi hai solo detto che non ce la facevi! Adesso tieni, soffri, e non rimpiangere ciò che sei!

Ingoiai quelle parole che mi ferivano.

-Che accidenti dici, io non sono così! - esclamai frustrata.

-Ah no? Mi dispiace, ma è quello che sento e ciò che trasmetti alle altre persone. Sei una persona fredda che si nasconde dietro una stupida maschera. Sei egoista e strafottente. Non te ne frega un cazzo, dei sentimenti altrui. - urlò con forza.

Non l'avevo mai vista in quelle condizioni. 

Perché stava cercando di ferirmi, in quella maniera? 

-Smettila di accusarmi! - alzai la voce anch'io, non me ne fregava nulla di ciò che poteva dire la gente, ma mi accorsi che un bel gruppo si era riunito intorno a noi e stavano cercando di fermare Crystal, che si era avvicinata a me con una rabbia cieca.

- Sei solo una stronza, invidiosa. Ti sembra, che non ti vedevo come fissavi Andrea? Vivi la tua solitudine è solo ciò che meriti!

La vedevo allontanarsi a grandi passi dal palco che avevamo costruito, abbassai lo sguardo e sentii le lacrime arrivare. Non dovevo piangere, non qui.

Mi feci spazio tra la folla, anche se mi sentii afferrata da qualcuno, ma mi dimenai per allontanarmi da quel posto, dove migliaia di occhi mi stavano uccidendo.

Non sentivo dolore.

Non bruciavano le lacrime.

Avevo solo l'impressione che la mia anima si fosse frantumata.

Mi trovai un angolino isolato e scoppiai a piangere, mentre una leggera pioggerella mi bagnava il corpo, scosso dai singhiozzi trattenuti.

Il cielo stava piangendo per me, ed era un sollievo non essere sola.

 

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Capitolo 5
*** Maledetta privamera ***


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Jessica

Da quel giorno la pioggia non aveva più finito di cadere. Ogni angolo delle strade si era sporcato di grigio e anche il cielo. Il sole era sparito dalla circolazione, e questo mi buttava in depressione. Non amavo, la pioggia, anche se in alcuni momenti la benedivo.

Il corpo tremava ancora, quella strillata mi aveva scosso più del dovuto ed io stavo affrontando una brutta tempesta. Ogni giorno ce m'era una.

Le lacrime erano finite o meglio erano trattenute in fondo al cuore.

Non ero una persona dal facile pianto, era forse questo il mio difetto?

Rimanevano sepolte, nel cuore e poi mi sentivo male. La stanchezza si accumulava e il nervosismo cresceva a dismisura.

Ero una stupida, lo sapevo.

Avevo un carattere, di merda.

Non valevo nulla!

In quel momento mi sentivo un corpo senza anima. Il cuore era martoriato, ma solo all'esterno, perché al suo interno era protetto.

I legami non erano eterni, ma si spezzavano così facilmente e non stavo parlando solo quello tra me e Crystal... la mia famiglia stava cadendo a pezzi.

Ero priva di far una qualunque cosa, che subito venivo giudicata.

Odiavo i pregiudizi, ma la vita era fatta così.

Il mondo cambiava, ma la gente rimane disgustata.

La gente era brava a nascondersi, ma alle spalle, ti tirava tutto in faccia.

Ne avevo avuta la conferma.

Eravamo un ammasso di gente stupida, che si sentiva i padroni del mondo, ma nel momento in cui la natura si ribellava... rimanevamo delle formiche senza potere.

Era da una settimana che non dormivo.

Avevo paura di sbagliare, ma nessuno nasceva già istruito.

Volevo vivere.

Volevo sperimentare.

Volevo rinascere.

Kaname

L'aria di montagna era fresca e frizzante.

Il sole era caldo e piacevole.

Quella giornata prometteva bene.

Per fortuna, la pioggia aveva temporaneamente lasciato posto al bel tempo. Il panorama da lassù era emozionante, infatti, le ragazze si erano subito avvicinate oltre il recinto per fare le foto: donne!

La primavera stava arrivando, si sentiva già il suo profumo frizzante.

Tra poco entreremo nel periodo dell'Hanami.

Il dolce rumore del vento sul viso, il tiepido sole che ti riscaldava le spalle. Il ciliegio che rinasceva e ti faceva sorrido ad ogni suo bocciolo.

I Sakura: erano uno dei miei momenti più belli, dove i ricordi ritornavano a galla e mi facevano vivere in un'atmosfera nostalgica. I ricordi facevano male, ma ciò che feriva di più... era dimenticarsene.

Osservai silente, i fiori di mandorlo che spuntavano davanti ai miei occhi, con i loro colori tenui e rosati e li contrapposi ai Sakura: simili, ma diversi in alcuni aspetti.

-Ehi, amico, ci sei?- mi chiamò Luca per ritornare alla realtà, lasciando quella sensazione di torpore e di casa. Mi mancava la mia casa e le mie abitudini, ma non rinnegavo la mia vita in questo paese.

-Dimmi- mi avvicinai a Luca, un ragazzo all'apparenza strafottente e forte, ma in fondo debole e solo. Ci sentiamo tutti un po' soli, in questo mondo e andiamo avanti senza chiederci se un giorno, il nostro lavoro sarà appagato. Trovare una persona che ci aspetti a casa, che ci da il benvenuto con un bacio, il calore di una famiglia ... non erano nei miei piani.

Anche se ...

-Dobbiamo scaricare il barbecue, la spesa, le ragazze sono scomparse come al solito.

-Sono donne! Quando c'è un poco di sole, diventano delle matte - l'apostrofai con un sorriso.

-Hai ragione. Come se per tutta l'estate, non bastasse. Lasciamole andare, non vorrei ritornare con la testa come un pallone - commentò, scaricando alcuni barili di birra, ed io presi i sacchetti con la spesa.

C'era pure il dolce.

Dopo aver finito di scaricare, mettemmo tutto nel frigo o nei vari scompartimenti. Mi avviai verso la terrazza, che dava ad un panorama da mozzare il fiato: si vedeva la montagna e le varie case che c'erano più in basso, in fondo si travedono anche la strada e i vari lampioni della luce e qualche cane senza padrone. L'aria arrivava forte e chiara dentro i polmoni, al di sopra della casa c'era una rupe, più in alto, la foresta o almeno quella che ne resta: la terra era nera, pensai per colpa di qualche incendio. Rimasi a osservare il cielo azzurro, mentre qualche uccellino volava spensierato e libero. Nuvole non ce ne erano per fortuna, sperando per tutto il week-end. Mi girai e diedi le spalle alla ringhiera, di legno e mi guardai in giro, aspettammo altri amici per poi iniziare a cucinare... beh non proprio noi, ma le ragazze, noi avremo pensato, per lo più alle carni.

La struttura della casa era stabile è aveva abbastanza spazio intorno: con una cantina nei sotterranei, un piano rialzato, dove adesso mi trovavo, con sette stanze da letto, più tre bagni e due cucine, una qua e l'altra all'altro lato della casa... per lo più per arrostire o per friggere. Il verde ancora non era spiccato, causato dalla bassa temperatura, ma gli alberi ci stavano attorno e ci proteggevano e abbellivano con i loro colori.

-Crystal. Noemi. Jessica. Andiamo! - esclamò una voce. Mi girai e mi ritrovai a fissare il gruppo in basso. Le ragazze avevano il viso rosso, forse, causato dall'esposizione del sole. Sembrava che andasse tutto alla grande, tuttavia non era così. Nel gruppo c'era del freddo. Crystal e Jessica erano taciturne, rimanevano vicine solo per circostanza. Di quello che avevo sentito, le due, erano amiche da sempre, anche prima di unirsi al gruppo. Non avevano mai litigato o dato spettacolo, ma era cambiato qualcosa nel loro rapporto. Avevano organizzato questo week-end anche per questo, per riappacificarsi, ma la vedevo dura. Non capivo il loro muso lungo.

Potevo capire lo sguardo omicida di Crystal. L'amica, aveva confessato di piacerle il suo ex ... ma, non ero del tutto sicuro. Di solito, le voci di corridoio cambiavano sempre.

Dovrei avvicinarmi a una delle due e chiedere spiegazioni, ma... non erano affari miei! Era un mese che ero qui e già mi facevo odiare. Dovevo rimanere al mio posto. Anche se, lo sguardo di Jessica, non prometteva nulla di buono. Quella ragazza, mi stava facendo perdere tutto l'autocontrollo che avevo.

Avevo tentato di sedurla, di palarle, ma niente. Non aveva un cuore.

Dura come l'acciaio.

Sorrisi come un baka.

Ricordai quell'episodio, fuori dal pub, quando l'avevo baciata. I suoi occhi, mi lanciavano saette, erano socchiusi e per un attimo avevo intravisto un lampo di frustrazione e di odio, ma non nei miei confronti, più su se stessa. Poi, quando credevo di aver fallito, anche con quell'approccio, si era lasciata andare. Il suo corpo si era rilassato e mi aveva accettato, anche con l'inganno. La sua ginocchiata me la ricordavo ancora adesso, accidenti, che forza! Le mie palle, ne risentono ancora.

Era diversa dalle sue coetanee, in fondo la voorrei conoscere di più, cercare di vederla in una luce diversa. Forse più aperta ed estroversa.

L'avevo vista poco parlare, di solito s'isolava in un mondo tutto suo. Fissava spesso le mani e il telefono, come se aspettasse qualcuno. Adorava guardare, il cielo e le stelle. Quando c'era vento, sentivo il suo profumo di fragole e di cannella. Vestiva sempre sportiva e amava i suoi capelli, da come li proteggeva dalle minacce degli altri. Non aveva nulla di sbagliato. Era bella, ma non si apprezzava.

Aveva uno sguardo critico: trovava spesso e volentieri, le assurdità impensabili delle persone.

Bah... che discorsi facevo? Quella ragazzina era un'asociale.

Rientrai con un moto di stizza e mi sedetti sul divano, ma ci rimasi ben poco; ero stato richiamato da Luca che mi avvertì che era ora di preparare, mentre le ragazze iniziavano a trafficare in cucina. La vidi. Stava prendendo qualcosa dalla felpa che indossava, alzò entrambe le braccia e con mosse veloci si attaccò i capelli e si mise davanti i fornelli.

Pregai i Kami, per una buona riuscita per la pasta, non volevo essere avvelenato.

Il fumo m'investì e non solo me. Luca, stava cercando di sventolare la fiamma, per stabilire l'equilibro tra carbone e fiamma.

Ridemmo tutti nel momento in cui, qualcosa cadde dal cielo, precipitandosi sulla maglietta bianca di quest'ultimo.

Ci allontanammo da lui, per non essere investiti anche noi da qualche uccello, neo-patentato.

-Merda! - esclamò con rabbia.

-Amico...- iniziò a dire Andrea, ma Luca lo fucilò.

-Vado a togliermi questo schifo. Lo sapevo, che dovevo mettermi quella blu. Adesso chi la sente mia madre? - blaterò solo, mentre noi ci guardammo in giro per non ritrovarci nelle sue stesse condizioni. La carne era inserita nella griglia e cercammo di ammazzare il tempo.

-Eccomi qua! - ci girammo e trovammo Luca con indosso una maglietta alquanto provocante, una donna con le tette quasi nude, se li teneva con fare provocante, che stramba immagine. Non l'avrei mai indossata.

-Finitela di ridere! - esclamò incazzato. Alzammo le mani come resa e iniziammo a parlare del più e del meno.

-Non vedo l'ora che sia questa sera, le farò morire dalla paura.

Rise Andrea, i suoi pensieri non mi piacevano per niente.

-Moderati, per favore: l'ultima volta, le hai fatte quasi piangere. - affermò Luca con qualche brivido più.

-E anche tu... eri diventato una femminuccia.

Gli rise, in faccia Andrea; io e un altro li fissammo, non sapendo che cosa fosse successo.

-Volete spiegarcelo anche a noi? - chiese Francesco.

Quest'ultimo era il ragazzo di Noemi, una carina ragazza con gli occhi castano e con i capelli rossicci e ricci. Era piccola e minuti, i due erano due poli opposti. Francesco si presentava bruno con gli occhi neri, alto quanto Luca e con una descrizione apprezzabile, faceva l'elettricista e andavamo molto d'accordo, soprattutto non mi saliva sopra quando parlavo.

Dopo che i due avevano finito, di litigare come due pompanti, ci raccontò l'accaduto.

-Era appena finito il film "The Ring" e all'improvviso se n'era andata la luce. Quella sera c'era parecchio vento e per questo... - raccontò Andrea, ma era stato interrotto da Luca.

-In breve, questo stronzo- riprese Luca, il discorso- era uscito di nascosto e si era travestito. All'improvviso un lampo, seguito da un tuono aveva sovrastato la montagna e lui era entrato con un impermeabile e un coltello in mano.- deglutì con forza, spaventato al ricordo. -Le ragazze hanno urlato come matte. Lo scemo, mica si è fermato! Ha continuato la sua messa in scena e, portato una mano all'interno del suo mantello, ha estratto una cosa, noi eravamo tutti spaventati a morte, mica ci aspettavamo una cosa del genere.

La pioggia batteva forte e il vento sembrava impazzito, questo pazzo ha tirato qualcosa da dentro il mantello. Non vedevamo bene, sembrava una testa e la pioggia dava uno spettacolo spettrale.

Luca si fermò, con gli occhi vitrei. Andrea, invece sghignazzava come un folle.

-Peccato, che lo spettacolo sia durato poco, la luce era ritornata e mi hanno smascherato.- concluse Andrea.

-Tu sei del tutto, pazzo! Come diavolo ti era venuta quell'idea? È normale, che abbiano gridato, non pensavamo a tale gesto e poi le mosse che ha compiute... sembravi un vero serial killer. La testa che penzolava, che infine si trattava di una palla con la retina. Io sono morto. - confessò traumatizzato. Lo sarei stato anch'io.

-Non osare fare qualcosa di questo genere, sennò, ti faccio dormire fuori!-lo minacciò Luca serio.

Accidenti che storia... metteva i brividi.

Ritornammo con l'arrosto e trovammo la tavola, apparecchiata.

Un odore squisito uscì dalla cucina e mi fece pensare che stavolta non sarei stato avvelenato. Ci sedemmo, posando prima le carni. Seduti e sistemati, le ragazze uscirono con una padella grande che l'appoggiarono sulla tavola.

-Jessy è quella pasta? -chiese euforico, Luca.

Non capivo tutta quell'allegria per un piatto di pasta, ma dalla sua reazione, presumevo che fosse buona.

-Ragazzi non pensate in malo modo, ma questa pasta è buonissima. Ti sposerei, solo per questo. -disse, mentre la ragazza, arrossii.

Allora, si emozionava!

-Grazie. Comunque, rifiuto la tua proposta, non sei il mio tipo.

Rise, mentre in piattava. Erano dei normalissimi spaghetti, con il tonno, non vedevo nulla di straordinario.

Presi la forchetta e iniziai a rotolare la pasta nel cucchiaio. Vidi, Luca mangiare di fretta e fare facce strane, mi ricordavano gli anime... ci mancavano i brillantini per evidenziare meglio la situazione.

Assaggiai e lo gustai fino all'ultimo spaghetto, gliela concedevo, era buonissima.

C'era il retrogusto di qualcosa di acido e frizzante, ma non capii cosa potesse essere. Gli altri chiesero il bis, senza farla mangiare.

-Accidenti! Ho messo la padella apposta qua, chi la vuole se la prende! - ribatté scocciata, si scostò un poco e iniziò anche lei a mangiare. I nostri sguardi s'incrociarono per sbaglio, lei non aspettò molto, per concentrassi sul piatto.

Il pranzo stava per terminare, non riuscivo più a mangiare.

Quante cose avevano comprato? Mica dovevamo sfamare un esercito? Eravamo solo otto persone.

Discutevamo del più e del meno, fino a che, mi giunse una domanda.

-Kaname, tu sei giapponese?- domandò Noemi, mentre si arrotolava una ciocca di capelli tra le dita.

-Si - risposi.

-Dimmi, per lo più, una curiosità di tutti. Come fai a parlare l'italiano, così perfettamente? -aggiunse, con un pizzico di curiosità.

Guardai fuori per rindirizzarlo a chi mi aveva fatto la domanda.

- La mia città nativa è Osaka; tuttavia, attraverso un concorso sono stato mandato in Italia, prima a Milano e poi qui in Sicilia. Ho frequentato, un corso di lingua italiana che mi ha preso più tempo del previsto, infatti, molti dicono che è difficile. -risposi, ricordai tutti quegli giorni sopra volumi di grammatica, al confronto il cinese non era nulla. Verbi, preposizioni e tanto altro mi avevano un poco destabilizzato, ma infine ero riuscito nel mio intento.

-In quale settore lavori?- s'intromise Francesco.

-Non ho proprio un settore, mi occupo di varie faccende, tra paesi. Sono a stretto contatto con il consolato di Osaka, ma mi reputo un intermediario.

-Scusa, che lavoro fai?- chiesero più voci.

- Un avvocato internazionale, di solito non sto più di due mesi in una città, ma per il momento, non ci sono problemi e mi hanno recapitato altri lavori.- spiegai con calma, mentre avevo l'attenzione di tutti.

-Hai studiato, diritto internazionale?

-Esatto.

-Quante lingue conosci?

Mi feci un conto veloce - sei, più una in lavorazione- mormorai.

-Sei?

-Sarebbero?- disse una voce calma. La fissai negli occhi e glieli elencai con le dita.

-Inglese, italiano, tedesco, spagnolo, giapponese e cinese e tra breve il russo.- conclusi, avendo davanti diverse facce sorprese.

-Accidenti amico! Sei un traduttore multiplo.

Fece notare Luca, portando ilarità in sala.

-Quando ti sei trasferito, in Italia? -chiese Crystal, mentre avvicinava i gomiti sul tavolo.

-Qualche anno fa- dissi per far cadere, il discorso.

-Hai avuto qualche offerta di lavoro...- blaterò.

-Ovvio! Sennò non fosse qui!- l'ammonì Jessica.

-Stai zitta! Nessuno, ti ha interpellato.- rivolgendosi aspramente all'amica.

La questione si era chiusa, lì, per mio grande sollievo.

Le ragazze sparecchiarono e invece noi ragazzi, ci avviammo verso il salotto.

- Ciccio quand'è la partita?- domandò Andrea, sedendosi comodamente sul divano.

-Adesso.

La partita, si era conclusa finalmente. Le orecchie, mi facevano male. Dannazione!

Andrea, gridava peggio di una gallina.

Mi stirai ed uscii fuori.

In cortile non c'era nessuno.

Il sole non aveva abbandonato il cielo, mi rallegrai. Mi allontanai un poco dalla villa. C'era una piccola stradina, forse portava da qualche parte. Il viale era circondato da alberi e vegetazione, sentivo il rumore di qualche animale e lo ronzio di mosche e api.

La temperatura era mite, la primavera stava arrivando, la sentivo.

All'improvviso, si alzò il vento e il mio olfatto captò un profumo conosciuto. Lo cercai, girando la testa per ritrovarlo.

Non ci avevo fatto caso, ma più in là c'era un piccolo stagno e una roccia abbastanza grande da coprirlo. Mi avvicinai cauto, senza farmi scoprire e la osservai.

Era seduta sul dorso del masso, aveva le braccia distese indietro, si stava beando di alcuni raggi di sole che la colpivano. I capelli sciolti ... sembravano che volassero. Non mi ero accorto che fossero biondi, ma solo sulle punte.

I leggins, le fasciavano le gambe toniche, mentre la parte superiore era coperta dalla felpa gigante, probabilmente qualche taglia in più.

I piedi si muovevano in senso circolare, come a formare un cerchio.

La vedevo in un aspetto nuovo.

Mi sembrava di osservare una fata della natura, s'immischiava con essa e loro l'accettavano come padrona.

I suoi occhi erano chiusi, ma nel momento in cui si aprirono, la vidi sorridere.

Rise sola. Rise per la magia che aveva intorno.

Rise di cuore.

Gettò di lato la maschera che indossava e la vidi vivere.

Portò al petto una gamba, si appisolò su essa, mentre l'altra mano la teneva sulla roccia.

Era una persona diversa.

Rimasi ad osservarla per un tempo immemore, perdendo la concezione del tempo, fino a che, il sole svanì, dietro la montagna e lei si alzò con un salto.

Si guardò in giro e poi si allontanò. Uscii dal nascondiglio e mi avviai verso il masso, rimasi sorpreso dello spettacolo. Agli argini, dello stagno c'era un piccolo prato, dove varietà di fiori si moltiplicavano di colori e di forme.

Ecco risolto un altro suo mistero, la ragazza aveva un cuore sensibile ma chiuso per il mondo.

Ritornai alla villa e ci preparammo per la cena.

Ritornai alla villa e ci preparammo per la cena

{Jessica}

Non avevo fame, ma più freddo.

Rimanere per più di due ore isolata dal mondo, mi aveva scaricato, ma nello stesso tempo ricaricata. Cosa c'era di più bello che osservare la natura, che rinasceva?

La primavera, oramai alle porte e con questo anche la mia allergia, che fin da quella mattina mi stava tormentando. Il peggio, ancor doveva arrivare.

Lavai la lattuga, i ragazzi preferivano mangiare leggero. Certo, oggi a pranzo si erano riempiti più del dovuto, assaggiando anche il dolce.

Tuttavia, alcuni dolci erano stati conservati, per la colazione.

La sera arrivò con il vento.

I ragazzi erano dentro a scherzare, anche se notai Andrea e Francesco in terrazza, sicuramente stavano fumando.

Le altre erano a prepararsi, come se fosse un galà.

Ero rimasta con la mia tenuta, perché cambiarsi? Lo trovavo tempo sprecato.

L'insalata era pronta.

Sbucciai una mela e la feci a fette, aprii una scatoletta di mais, tagliai due carote, parmigiano, sale, olio e una spruzzata di limone e aceto balsamico.

Le lasciai riposarsi, e sistemai la tavola. Avevo una strana impressione, forse mi sbagliavo, ma credevo, che Kaname mi osservasse di nascosto. Ogni qualvolta che facevo qualcosa, sentivo il suo sguardo alle spalle; forse era la mia impressione, o meglio la mia fantasia.

Quando tutto era pronto, li chiamai.

-Wow, Jessy, ti superi sempre. Non è che ti vuoi mettere in mostra? - affermò Luca. Lo fulminai con lo sguardo.

-Si, per attirare te.- lo ammonii.

-Oh ne sarei felice...

-Io, no. Non ho nessuna intenzione, di avere una femminuccia accanto! - dissi piccata, gli sembrava che non me lo ricordavo, quell'episodio? Di quando. Andrea. ci aveva fatto urlare come pazze? Era stato il primo, a nascondersi, altro che uomo. Uovo!

-Cretina.- mormorò a bassa voce, lo avevo colpito nell'orgoglio maschile.

-Comunque, dovete fare i piccioncini, ancora per molto?- ci girammo verso Crystal e la fulminiamo all'unisono.

-Sei diventata scorbutica, Crì. Le liti non fanno per te!- l'apostrofò Luca, lasciammo il discorso a metà.

La cena, si concluse con tranquillità. Io e Noemi sparecchiammo la tavola, mentre le altre organizzavano qualcosa da fare.

Alla fine avevano scelto un gioco, da tavola.

Erano passate due ore e stavamo ancora a giocare. L'unico gioco, che era venuto in mente era: uno.

-Dai, ragazzi, ce n'erano a milioni e voi mi scegliete questo?

Ero sempre stata brava in quel gioco, ma... stavo perdendo come una principiante.

Uscii dal giro, gli altri risero alle mie spalle.

Idioti!

In terrazza, il vento mi colpì peggio di uno schiaffo.

Accidenti stavo tremando.

Mi avvicinai alla ringhiera, sempre stando attenta a non cadere di sotto. Dannata fobia, che mi perseguitava.

E mi misi a osservare il paesaggio, che per lo più era nero.

Si notava solo qualche cosa, grazie alla luce che emetteva la luna piena.

Ed era bellissima.

Quante volte mi ero sentita per pochi secondi, a casa? Lei mi dava sempre quel calore che mi mancava, mi capiva e mi sosteneva. Quante volte nell'estate la fissavo, senza mai stancarmi?

Avevo capito, che l'ero attratta.

Come segno d'acqua, era normale.

Io mi sentivo come lei, misteriosa e intrigante. Benevole e beffarda.

Triste e felice.

Ero strana, ma era ciò che amavo della mia personalità.

Mi piacevo per quello che ero, anche se... a volte non mi sopportavo!

-Sei bellissima- rivolsi le mie parole a lei, la mia musa. Alla mia cara amica, Luna.

-Sei strana. - mi voltai e mi scontrai con due occhi scuri. Il vento gli accarezzava dolcemente i capelli, il viso era illuminato dalla luna e da quest'angolazione notai particolari nascosti, come ad esempio quell'alone strano e viscerale che sottolineava maggior parte suoi occhi. Non sapevo spiegarlo nei dettagli, ma mi sembrava di riconoscerlo.

-Eh?-chiesi.

-Stavi parlando sola, o con qualcuno? - chiese, mentre si avvicinava a me, appoggiandosi alla ringhiera.

-Sicuramente, non con te- affermai piccata.

-Capisco.

Il suo corpo si piegò in avanti e appoggiò il suo peso attraverso le braccia sulla ringhiera, mentre voltava il viso verso di me.

Questo ragazzo era così intrigante e bello.

Dai non diciamo fesserie.

Kaname, aveva un aspetto da Dio. Non sembrava del tutto giapponese, forse uno dei suoi genitori era occidentale? Non aveva gli occhi a mandorla o il pallore giallastro. Aveva un carisma elegante che farebbe invidia a uno dei nostri attori più famosi. Spalle larghe, corpo statuario con braccia sode.

Sode come un uovo. No! Stavo scherzando. Non mi piacevano gli uomini che cercavano l'attenzione di una donna, solo per il loro corpo pieno di muscoli, quelli erano dei narcisisti. C'erano uomini con muscoli, pochi, ma che bastavano ad elevarlo.

Kaname, era uno di loro. Non mettevo in dubbio che facesse palestra o pesi, ma ci stava perfettamente. Ok stavo blaterando come una gallina.

Cocco-de.

-È bella la luna.

Alla fine rivelai i miei pensieri, lui mi guardò- prima parlavo di lei. - specificai, non volevo sembrare, una schizofrenica.

-Ah. Si- disse lui, i suoi occhi mi fissarono e un tiepido calore m'invase.

- È davvero bella, hai ragione.- commentò.

Rimanemmo a fissare il nulla come due perfetti idioti. Io immersa nei miei pensieri e lui nei suoi, fino a che ci richiamarono.

La serata si concluse e ci avviammo nelle nostre camere.

Che stanza piccola mi era andata a capitare, sicuramente, le altre avranno quella più spaziosa e con la vista al giardino.

Che stanza piccola mi era andata a capitare, sicuramente, le altre avranno quella più spaziosa e con la vista al giardino

Kaname

La mattina mi alzai stanco e rotto.

Maledetto letto!

Mi sentivo un poco intontito e zoppo. Perché? Ah si, ieri sera ero andato a sbattere allo spigolo.

Mi vestii e poi mi avvicinai alla cucina.

-Sei un bastardo! Come ti sei permesso! -sentii, voltando l'angolo, vedendo Crystal e Andrea discutere, gli altri li guardavano come se fossero degli assatanati.

-Che succede? -chiesi a Luca.

Lui come risposta, alzò le spalle. Contai le teste e notai che mancava una: Jessica. Forse dormiva ancora?

-Quella là ha qualche rotella fuori posto. Quando mi sono alzato, era già uscita. Chissà è andata da qualche suo amico- rise, afferrò una fetta di torta e se la mangiò. Non avevo capito di chi stava parlando, di Crystal o di Jessica? Boh!

-Non ti voglio più vedere, sei solo un lurido bastardo!-urlò Crystal. Mai svegliare una donna di prima mattina.

-Modera il tono, ragazzina. Non sei nessuno per dirmi questo, vai a farti scopare da qualcun altro, sai solo aprire le gambe!

Che toni forti. Ecco perché non volevo a che fare con relazioni serie.

I due si separarono e tornò la tranquillità .

Erano le undici e Jessica ancora non si era fatta vedere, mi stavo preoccupando. Non c'era nessuno nei dintorni e qualcuno la poteva importunare.

Stop!

Che avevo detto?

Ero preoccupato, per quella bimbetta?

Ahimè, mi stavo rendendo ridicolo. Io preoccupato per una ragazza?

Ieri sera mi aveva fatto il lavaggio del cervello? Dovevo uscire, per schiarirmi le idee.

La passeggiata aveva fatto il suo effetto. I pensieri erano al loro posto. Alzai lo sguardo in alto e vidi alcune nuvole nere avvicinarsi, non promettono nulla di buono.

Ritornai alla villa e trovai parecchia confusione. Volavano strofinacci e anche delle scarpe. Che cazzo stavano combinando, quei pazzi?

Mi recai verso la cucina, notai che le ragazze erano tutte raggruppate, mentre i ragazzi stavano tentando di non essere colpiti-toccati, da uno strano insetto volante. Sforzai gli occhi per capire che diavolo si trattasse e m'illuminai: un calabrone.

-Per fortuna sei arrivato, spero che non hai paura di quel coso - mi blaterò Luca. Ma eravamo sicuri che era un ragazzo? Mi sembrava una femmina, dai suoi comportamenti.

-Aprite qualche finestra e se ne andrà, più cercate di cacciarlo e più si arrabbia. - affermai. Purtroppo le mie parole erano vane, perché qualche stronzo lo toccò con lo strofinaccio, ma provocò solo un effetto contrario, infatti, lo indirizzò verso le ragazze. I loro strilli sembravano peggio delle sirene dei pompieri.

Successe in una frazione di pochi secondi. Il mostro era schiacciato da una padella al muro, il sangue uscii a schizzi e sporcò le piastrelle, il rumore di un bicchiere che s'infranse per terra e poi il silenzio.

-Bravissima Noemi! - esclamò euforico Luca. Ne ero convinto, questo qua, era gay!

-Che schifo! Che schifo! - iniziò a saltare Noemi per poi a lavarsi le mani con frenesia, supposi che era stato causato, dall'adrenalina. Un pensiero in meno.

Nessuno osò pulire quello schifo e infine ero stato costretto a farlo io, povero piccolo era stato disintegrato. Mai trovarsi nella traiettoria di una padella impazzita.

Mi sembrava che tutto era tornato alla normalità, quando avvertii un clima rigido. Eh... che cazzo! Ma oggi era giornata, di discussioni?!

Sbuffai per quel clima.

Andai in camera a togliermi la maglia e mettermi qualcosa di più comodo, poiché la temperatura si era anche abbassata.

Stavo per uscire dalla mia stanza e sentii qualcuno piangere.

-Ahi!- mormorò una voce.

-Accidenti a te!- commentò.

-Santa pazienza, aiutami tu. Tutte a me!

Allora era davvero pazza, non sentivo altro rumore dentro la stanza, mi chiesi se le era successo qualcosa. Stava gemendo di dolore.

Ero indeciso se aiutarla o meno, ma scelsi la seconda e mi allontanai. Nemmeno il tempo che ritornai ai miei passi, sentii qualcosa rompersi e frantumarsi. Bussai alla porta senza la consapevolezza di aver compiuto quel gesto, la trovai vuota.

-Jessica- la chiamai. Lei sbucò dal bagno, con una garza in bocca e la mano insanguinata.

Che accidenti aveva combinato?

Mi avvicinai a lei e la fissai, gli occhi erano gonfi di lacrime. La mano le stava tremando, probabilmente per la perdita di sangue. Con un gesto veloce l'afferrai e notai un pezzo di vetro incastrato sulla pelle.

-Dove te la sei fatta? -chiesi, gli occhi si posarono sulla cassetta del pronto soccorso. Infilai un guanto e con la pinzetta tolsi il vetro, lei strinse gli occhi.

La feci accomodare sul letto, non volevo che cadesse o svenisse.

-Stai tranquilla adesso sistemiamo tutto - le dissi per calmarla.

-Ok - mormorò.

-Allora, come te la sei fatta? - cercai un modo per distrarla, mentre le stavo facendo la fasciatura, per fortuna si trovava in un posto agevole alla medicazione.

-Stavo togliendo il vetro da terra, quando qualcuno mi ha spinto e per attutire la caduta ho piantato i palmi per terra, ma ho trovato una sorpresa. - spiegò.

-Ok. Sembra che il sangue si sia fermato, non ne hai perso molto e sei stata paziente. Ma su una cosa hai sbagliato- pronunciai serio. Le mi fissò e continuai.

-Sarebbe? - disse lei .

-Non hai chiamato aiuto, se il vetro entrava in profondità, sarebbe stato difficile. Per fortuna sono arrivato io- affermai. La sua mano era diventata più fredda di prima, strano, non sarà che qualcosa fosse andato storto? Non ero un dottore. Forse era causato dallo stress o dalla paura?

-Ti dovrei ringraziare? - chiese nervosa.

-Sarebbe, la cosa giusta.

Le sorrisi, mentre le spostavo una ciocca di capelli dal viso.

-Non mordo, stai tranquilla. -mi alzai e lei mi guardò.

-Grazie- balbettò in imbarazzo.

-Prego.

Quello scambio di battute mi avevano fatto ricredere, forse c'era un barlume di speranza di qualcosa di più.
Aspetta!Che stavo farneticando? Quella ragazza mi faceva un brutto effetto.

Jessica

Una persona si può maledire?

Che diavolo mi era passato, per la testa?

Era da un poco di tempo che non ragionavo più! La colpa era sua! Perché perdevo il cervello quando lui era nelle mie vicinanze? Lo sapevo, che mi piaceva, ma fino a questo punto? Quando mi aveva chiesto, come mi ero procurata la ferita, gli avevo risposto normalmente, non mi ero rifugiata nel mio scudo, avevo parlato tranquilla. Ma la cosa che mi faceva più rabbia era stata la mia imprudenza.

Dovevo chiudere quella maledetta porta a chiave, infatti ecco i risultati.

L'ultimo che immaginavo che entrasse, fosse lui. Mi ero sentita nuda, davanti a lui. Il suo sguardo mi faceva uno strano effetto. Altro che camomilla, qua ci voleva una canna, per calmarmi.

Je, calmati!

No, dai. Se m'innervosivo era la fine.

Calma, respira.

Non sto partorendo, dannazione! Sto andando incandescenza!

Queste erano tutte le reazioni a catena, che mi provocava lui.

Dannato Kaname!

Echiù! Echiù!

Perfetto, ci mancava solo lei a completare il quadro.

-Allergia? - domandò Kaname, ma non era scomparso, andato? Che ci faceva, ancora qui?

-Si a te !- esclamai con sarcasmo, mentre un prurito allucinante m'investì e non solo quello. Gli occhi iniziarono a bruciarmi. Oh! In male, in peggio!

Oggi gli dei o Kami, chiunque siano, ce l'aveva con me!

E io, povera anima subivo.

Cazzarola!

-Hai finito di mormorare da sola? Sembri una pazza uscita dal manicomio. - ribatte lui con la stessa dose di sarcasmo. Oh, il bellimbusto lo sapeva l'effetto che mi faceva. Mi compiaccio con te, Jessy, sei una stronza!

-Adesso, ti metti a copiare la gente?

-Non sto copiando, nessuno. Credi, che non sappia, anch'io fare frasi ironiche? - annunciò.

-Baka!

-Baka?

-Io non sono baka, forse tu! - iniziò a gesticolare, mi sembrava un teatrino di come eravamo messi. Lui che cercava di non darmela vinta e io lo copiavo, due bambini, esatto! Concordai una volta tanto con i miei pensieri, coscienza, cuore, anima e tutto ciò che veniva dietro.

Finalmente qualcuno ci stancò, salii in macchina e buona notte.

Questa la metto nel conto, accidenti a mal d'auto.

Era sempre colpa tua, Kaname.

Avevo deciso, ogni volta che avrei avuto qualche sfortuna, li recapiterò a te!

Ero geniale! Faci una sorte di segno con il braccio e risi malefica.

-Ci vediamo stasera- mi salutarono i miei amici, quando arrivammo di fronte casa mia.

-Si, nei sogni- affermai esaurita.

-Mi piacerebbe entrare nei tuoi sogni- disse Kaname.

-Non ci contare, ti perderesti.

-Ho un grande senso dell'orientamento- disse deciso lui.

Stavamo giocando?

-Non contarci, li sparisci!- minacciai.

-Correrò il rischio.

Chiusi lo sportello, dando fine a tutto. Aprii la porta e ritornai a respirare.

Sentii la vibrazione del telefono e lo presi.

Un messaggio da Noemi, che vorrà? L'ho appena salutata.

"Non è che ... tu e lo straniero ve la filate? Mi ha dato questa impressione. Comunque buona notte tesoro, e non sognarlo :P "

Rimasi, per diverso tempo a fissare il messaggio "filate"?

- Ma che cazzo, dici! Vaffanculo!



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Capitolo 6
*** Ricordi.Amore.Futuro ***


Kaname

Il trillo, della sveglia mi devastò dal mio sonno, ristoratore.
M'issai e mi guardai, in giro. Le tapparelle erano chiuse, ma qualche raggio birichino lo trapassava e giungeva da me.
Le coperte erano tutte smosse e cadute, a terra. Questa, stanza da letto era vuota e fredda, non c'era quel calore, che ogni volta,  entravo in quelli dei miei nonni. Lì, era tutto così diverso. 

Entrai in bagno, per lavarmi e poi scesi di sotto, per fare colazione: anche qui, l'aria era chiusa, anche se tenevo parecchie ore, le finestre aperte. 

 La prossima settimana dovevo partire per Osaka, ero stato richiamato per partecipare a delle conferenze sul master Jo&Ki.  Era stata, una delle prime aziende fondate per lo scambio culturale tra i diversi continenti; tuttavia non era una cosa semplice entrarci. Dopo la laurea si doveva subire un altro esame, difficilissimo, per essere considerato un avvocato internazionale. Dopo anni di studio, il mio sogno si era avverato. Non era stato facile come negli altri stati; in Giappone, solo il 3% riusciva a diventare avvocato... gli esami ti toglievano tutte le forze, ma alla fine, dopo innumerevoli sacrifici ero diventato un Bengoshi*.
Ricordavo come fosse ieri, quella cerimonia. Le lacrime della nonna, gli applausi. Il sogno si era realizzato. Rammentavo, le parole del nonno, mi erano rimaste impresse nella mente.
-Nel bene e nel male, noi saremo sempre affianco a te. I sogni sono come petali di ciliegio e quando li avrai sul palmo della mano, sarai l'uomo più realizzato.
Tuttavia anche se ero felice, mi mancava una parte fondamentale di me. Il loro, ricordo stava scomparendo, più delle volte tentavo di ricordare i loro volti, o le loro parole.
Erano passati diciassette anni, dalla scomparsa dei miei genitori. Gli anni, più difficili erano stati l'adolescenza. L'affetto dei miei nonni, mi aveva fatto risollevare. Non vivevo più, non mangiavo. Mi ero ridotto a essere sotto peso, e per alcuni mesi andavo via con flebo e vitamine. Non tutto era roseo, c'erano periodi della nostra vita, che ci metteva in ginocchio. Mi ero depresso e vivevo di speranze illuse, aspettando segnali che mai erano giunti. Dovevo farcela, con le mie sole forze. Avevo superato, l'anoressia e il bullismo. Pian, piano iniziavo a riprendermi, con l'aiuto del nonno che mi faceva da figura paterna, ogni suo consiglio, lo custodivo nel profondo del mio cuore. La nonna, con il suo amore smisurato, mi accudì come un figlio, dovevo molto a loro.
Eravamo una famiglia unita e tradizionale, ma anche moderna.
Questo viaggio, mi aveva fatto conoscere molta gente e anche la cultura. Mi sentivo in pace con me stesso.
Io Kaname Washi,* finalmente avevo trovato il mio equilibro.

Io Kaname Washi,* finalmente avevo trovato il mio equilibro

-Washi, vieni qua. - mi chiamò, il mio capo. Mi alzai dalla mia postazione e mi diressi verso il suo ufficio. Esso era molto grande, con un attaccapanni all'entrata, una scrivania di fronte, una vetrata che dava un panorama da mozzare il fiato, infatti si vede tutto il Golfo di Castellamare, il mare era un blu elettrico.
-Mi dica - parlai, recandomi più vicino alla sua postazione. Lui alzò lo sguardo su di me e poi lo ribassò per leggere alcuni documenti.
-La prossima settimana sarai ad Osaka, ma non solo. Ti affiancherò un apprendista. E' un giovane molto bravo e di certo imparerà molto da te. - m'informò, passandomi un fascicolo con i vari documenti, che mi servivano durante il viaggio.
-Va bene, nessun problema. - mi girai per uscire, ma mi richiamò.
-Washi. In questa conferenza sarai il nostro punto forte, esporrai le nostre esigenze. Capisco che non è un lavoro facile per te, facendo spola tra noi e la tua città nativa, ma ripongo molto aspettative. - disse, guardandomi negli occhi.
-Non la deluderò, signore. - affermai, chinandomi come segno di rispetto.
Ritornai al mio ufficio e lessi le informazioni del nuovo stagista, fino a che non mi bussarono la porta. Un ragazzo sui venticinque anni si presentò come Giorgio Brusci. Portava un completo grigio, dove metteva in risalto i suoi occhi verdi, capelli neri e uno sguardo intrigante.
-Piacere di conoscerla, io sono il nuovo stagista - disse.
-E' un piacere mio, conoscerla, Kaname Washi. Sarò il suo mentore. 

Risi per alleggerire l'atmosfera.
-M'impegnerò, per portare grandi risultati in questa impresa.- annunciò emozionato, notai che era parecchio nervoso.
-Allora per iniziare... puoi fare l'elenco completo dei dipendenti, di questo studio, etichettando in ordine alfabetico le varie cause e dividendole tra quelle politiche e civiche. Riordinare gli archivi,  e infine farmi una relazione di 50 pagine né una di più, né una di meno, di quanto sai del diritto internazionale. - terminai.
-Tutto, oggi? - mi chiese, scombussolato.
-Entro, la chiusura dello studio - annunciai soddisfatto. Gli occhi si erano spenti e quell'aria di saputello era svanita del tutto. Mio caro, non si scherzava, qui si faceva, sul serio.
-Va bene, capo. 

 Si allontanò malfermo, mi sarei divertito. Forse avevo esagerato, ma nessuno mi aveva mostrato qualcosa, quando  avevo iniziato. Mi avevano dato i lavori più assurdi del mondo, questo non era nulla.
Ritornai al mio lavoro e lo dimenticai.
Solo alla fine della giornata, il ragazzo, si ripresentò con la fronte sudata e il nodo della cravatta sciolto.
Mi consegnò il tutto sulla scrivania, con uno sguardo di sfida.
-Ecco, a lei - disse.
-Vedo. Bene. Tra cinque giorni si faccia trovare all'aeroporto: Falcone Borsellino di Palermo. Al volo diretto ad Osaka, ci staremo una settimana, per ora è tutto, la informerò se ci saranno notizie. 

 Indossai la giacca e presi la mia ventiquattrore.
Lui rimase come un fesso davanti al tavolo.
-Ah. Ottimo lavoro, Giorgio, ha superato la prova iniziale, non credere che sia così facile entrare nel mio team, perché devi scalare ancora molte montagne - gli comunicai per poi uscire fuori dallo studio e dirigermi verso, la mia macchina.

La casa era silenziosa.
Aprii la porta è trovai solo il buio, del mio cuore. Posai la valigetta e mi apprestai ad andare in cucinare, per prepararmi un bicchiere di vino rosso.
Mi spogliai della giacca e della cravatta e mi avvicinai, al mio giardino. Il sole era tramontato, anche se oramai le giornate si stavano facendo sempre più lunghe.
Nell'aria si sentiva ancora qualche cinguettio e l'abbaiare di alcuni cani, che correvano a branco. Aprii la vetrata, che mi avrebbe portato nel mio giardino.

 Al mio arrivo, questa casa era solo una piccola villetta: spoglia e senza anima. Avevo incaricato, diverse persone, per renderla elegante. Il mio occhio critico, si era voluto concentrare più sul giardino, poiché avevo voluto che assomigliasse a quello: Zen. Con un laghetto e dei pesci rossi, le rocce vulcaniche, alcune piantine di Bonsai e un pezzo di terreno, sommerso da sabbia grigia, che simboleggiava, quella tradizione che discendeva nelle mie vene.
Ogni cosa aveva un suo significato, come l'acqua che stava come vita. La roccia la pace, il verde dell'erba alla speranza.
In fondo, al giardino c'era una piccola statua, dov'era raffigurata un'aquila, con bocca un rametto di Glicine*, era lo stemma della mia famiglia. Discendevo da una famiglia molto nobile, anche se con gli anni non lo eravamo più, ma la tradizione si trasmetteva: da padre a figlio.
Si narrava, che il nostro sangue era purissimo. Quel fatto, ai suoi tempi, mi aveva incuriosito molto. Avevo letto, in un libro che stava nella biblioteca di famiglia, codeste parole: -il sangue da lunga vita a chi è legato per amore. Il suo potere, anima forze misteriose e solo chi sa usarlo, potrà beneficiarlo.

Ne avevo parlato con mio nonno, ma lui mi aveva risposto.

-Quanto troverai quel lucchetto magico, ti svelerò il segreto della nostra famiglia. Un segreto che ci ha portato fin qua.

Un mistero dopo l'altro, come la causa della morte dei miei genitori.

Questa notte c'era una magnifica, luna.
Assomigliava, tanto a lei.
Oh, per tutti i Kami, del cielo. 

Perché, avevo pensato a lei? Tra tutte le ragazze del mondo, proprio lei?
Anche se ... Mi sembrava di conoscerla, ma non la ricordavo.

I suoi sguardi erano una calamita. Lei diffondeva, quella strana sensazione, non sapevo descriverla, più delle volte, mi mandava il cervello in tilt.

Probabilmente era perché eravamo, gli opposti.

Tuttavia, il suo modo di fare, mi piaceva.

Ma, non lo avrei mai ammesso.

Però, tutto poteva cambiare.

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Capitolo 7
*** Indifferenza ***


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Jessica

Gli alberi scorrevano. 
Io mi muovevo.
Era strana, la sensazione, che mi sorgeva in quel momento. Avevo lo sguardo, fisso fuori dal finestrino; intanto, mio padre stava parlando, purtroppo, non gli davo la benché attenzione.
La sensazione, di confusione mi avvolgeva tutta la mente. Non riuscivo a dare una risposta precisa, mi sentivo dentro un limbo, perenne. Se facevo una cosa, quella si ritorceva contro.
C'era qualcosa, che mi bloccava, lì, in fondo alla gola. Non capivo di cosa si trattasse.
Tutta quella situazione, mi stava logorando l'anima.
 Tutto quell'odio, rammarico, amore, non m'infliggeva nulla, ero un corpo senza anima. La mia testa era vuota, purtroppo nessuno mi voleva capire... o meglio, nessuno si metteva dalla mia parte.
Ero immersa in uno stato d'instabilità mentale, non ero fuori di me, questo doveva essere chiaro, ma non sapevo come definirlo. Mi sentivo... svuotata.
Mi sentivo spezzata.

Incompleta.

Volevo, ma non cercavo.
Avevo smesso, di illudermi.
Avevo cercato di rinascere, ma non c'ero riuscito.

Infine, non avevo concluso nulla. 

Ero rimasta al punto di partenza.

Il sole mi riscaldava la faccia, mentre le acque del porto ballavano. Mi venivano i brividi a solo vederla.

Quell'angolo di porto ci stava un grande faro, che molti anni orsono era ricoperto dall'acqua, infatti nella parte più bassa, dove ora ci stava lo scalino c'erano dei fossili di pesce o di conchiglie. Lo spazio vuoto era stato sostituito dalle pietre, che permettevano di camminarci sopra, e poi era costeggiato da ristoranti e pub di ogni tipo. In estate c'erano anche alcuni yacht, ma per il momento c'erano solo attraccate piccole imbarcazioni per la pesca.
Il mare era sempre nei miei sogni. Tuttavia, non ero capace a nuotare e questo mi metteva paura.
Forse era solo dovuto, al mio segno?
Chi credeva a queste cose? Avevo letto così tante fandonie, che sì, a volte azzeccavano nella personalità e nel carattere.

Tuttavia eravamo noi, gli artefici del nostro destino, ma in quel periodo non ne ero ancora consapevole.


La gente passeggiava e notai serenità, amore e pace. Eravamo tutti bravi a nascondere il nostro dolore dietro una maschera. Forse avevo troppo dolore dietro le spalle, che non riuscivo più a trasformarlo.
Le persone riuscivano a leggermi dentro e questo mi dava suoi nervi. C'erano segreti, che dovevano rimanere tali. Segreti, che nemmeno io stessa, comprendevo. Enigmi, dell'anima.
In mattinata mi sentivo di ottimo umore, ed era continuato fino al primo pomeriggio. Uscire con mio padre mi faceva sentire sì, serena, protetta da una parte, ma dall'altra? Oppressa e schiacciata dalle parole.
Cercavo, solo la pace. Non ero una persona vendicativa, ma se ricevevo un torto, lo ripagavo con la stessa moneta. Potevo apparire: debole, fragile e indifferente, ma dentro, ardeva un fuoco che pochi avevano visto. Ognuno di noi aveva un lato nascosto, oscuro.
Non volevo risentire quella strana presenza, dentro di me: non riuscire più a calibrare le parole, la mente e il corpo; l'avevo sperimentata anni fa, ed era spaventosa. 

Certo, raccontarlo può sembrare inverosimile, ma in quel momento, nulla era cambiato, solo che, una parte del mio carattere che mai avevo mostrato, si rivelò. Ero diventata: fredda e immune all'emozioni. In quel momento diventavo indifferente o più facile dire : oscura, malata, folle... c'erano così tanti sinonimi, che si poteva creare un libro.
La mente era il nucleo di tutto e un mistero per gli umani.
-Je non funziona! - mi esclamò mio fratello. Mi girai e lo guardai, aveva il telefono di mio padre in mano. Presi l'oggetto e lo esaminai. Perfetto, si era bloccato. Gli tolsi la foderina, la custodia e infine la batteria, che scottava.
-Fa. Il telefono deve riposare, ti va di staccare un poco la spina? Lo vuoi il gelato?  chiesi, speravo solo che dicesse di sì e non si lamentava come al solito.
Perfetto. ci dirigemmo verso il bar.
C'era una folla ed eravamo solo di domenica pomeriggio, di sicuro di sera ci sarebbe stato il pienone.
Il gelato arrivò, ma già dal secondo cucchiaino mi stufò. Di amarena non aveva nulla, era tutta panna.
Per fortuna avevo mangiato leggero, beh un'insalata di salmone, mela, prezzemolo e poi che c'era? Limone, sale, olio e carote, le olive non li calcoliamo.
Leggera, buona e frizzante.
Era un periodo, che adoravo il salmone.



L'aria frizzante del mare, mi avvolse. Avevo la pancia piena, mi ero abbuffata di coca-cola e hamburger.
Il vento portava odore di mare, di primavera.
Non c'era anima viva, per strada. Beh eravamo in una strada secondaria, forse terza, ma che se ne fregava?

Mi serviva un poco di moto per digerire tutte quelle cose, presi il guinzaglio e partii per fuori.
Non per legarmi, mettiamolo in chiaro.
Per il cane no per me, ma davvero?
M'immaginate con un collare al collo e il guinzaglio?
La inseriamo, nel libro delle barzellette?! Oh in quello, del sadomaso?
sì, facciamoci quattro risate, così la gente ci prende per folli.

Un poco di brio ci serve, in questa inutile vita.

Io e la mia Kira, un meticcio femmina, che a parer mio doveva nascere maschio di come si comportava, ma amavo la mia cagnolina più di chiunque altro, forse, più di me stessa.

Girammo più volte l'isolato, ma la mente era sempre ferma su quel pensiero.
La mia famiglia stava passando un brutto periodo, e non riuscivo a far nulla, mi sentivo bloccata e indecisa.
Nel pomeriggio avevo riferito alcuni pensieri a mio padre, lui però mi aveva accusato senza che finisse.  Mi sentivo confusa, di tutti quei sentimenti contrastanti, che galleggiavano dentro di me come olio. 
I miei, si stavano separando.
Questa parola, mi schiacciava.
Negli anni passati, avevo avuto una cosa simile.
Ero stata bocciata e non riuscivo a scriverlo.
Cercavo, sempre parole che le assomigliasse. Pensare a quella bocciatura, mi faceva male, perché alla fine era stata colpa mia e della mia insicurezza.
Cercavo di incanalare immagini e illusioni nella mia mente, per riempire quello spazio vuoto, ma alla fine, che cosa avevo risolto?
Ci sarei mai riuscita a trovare, la forza di combattere?
Sicuramente, non potevo continuare con quel ritmo, per sempre.


 Kaname Trovare un parcheggio di sabato sera, era un'impresa

Kaname 
Trovare un parcheggio di sabato sera, era un'impresa. Chi me lo aveva fatto fare?!
L'aria di primavera mi faceva sorridere.
Chiusi la macchina e mi avviai verso la piazza. Luca & company erano lì.
La prima cosa che notai, entrando in piazza era la folla. Mi feci spazio tra la calca di ragazzi che parlavano, ridevano e bevevano e mi ritrovai per un attimo circondato dal nulla, per poi essere ricoperta fino alla testa .
Il sabato c'era un vero casino.
Notai da lontano la chioma bruna di Luca, lui vedendomi, dimenò il braccio. Che idiota.
Per un momento mi sentii in imbarazzo, tutti quegli occhi addosso.
Li raggiunsi e li salutai con una stretta di mano.
Le abitudini, occidentali erano troppo strette. Da noi c'erano solo inchini, altro che baci e abbracci.
Tuttavia, alcuni gesti non mi dispiacevano, se erano fatte da belle ragazze, che dopo serata, si ritrovano sbattute al muro.
Una scopata era la medicina per vivere al meglio.
Ingoiai un sorso della mia bevanda azzurra e continuai a parlare con i miei amici, alla fine avevo ingrandito il mio campo di amicizia. Erano ragazzi intraprendenti e leali, chissà se mi avrebbero presentato qualche bella. Dopo una settimana di lungo lavoro, ci voleva proprio, per smaltire quel stress accumulato. Il nuovo stagista ne combinava un guaio dopo l'altro, ma era in gamba. Anche se, non volevo immaginare che cosa avrebbe combinato, per il viaggio.
Ormai mancavano solo due giorni, alla partenza.
Il borsone era pronto e come del resto anche i biglietti.
La voglia di ritornare nella mia terra d'origine, mi faceva battere il cuore.
Lì avevo qualcuno, che mi aspettava.


 JessicaStasera ero uscita solo per svagarmi, perché l'unica cosa che volevo fare, era quella di sotterrarmi sotto le coperte

Jessica
Stasera ero uscita solo per svagarmi, perché l'unica cosa che volevo fare, era quella di sotterrarmi sotto le coperte.
Noemi, mi aveva pregato di accompagnarla.
Da quando Crystal si era fatta da parte, lei cercava di occupare il suo posto. Purtroppo, non ci sarebbe mai riuscita. Anche se, Crystal, mi aveva ferito, mi aveva buttato fango in faccia, le volevo bene.
Chiusi gli occhi per un momento e mi ritrovai una folla impazzita. Eravamo giunti al pub, dove si trovano gli altri. Tutto questo: che fai? Mi dava un senso d'illusione. La sensazione della settimana passata, mi avviluppava e per un solo attimo, non sentii più il terreno, sotto i piedi. Volevo cadere. Un pensiero di un battito di ali, per ritornare con i piedi per terra.
Dovevo mantenere, questo stato di freddezza?
Occhi tristi. Occhi persi.
Mi sedetti in uno di quei puffi, comodi e guardai la gente che veniva e andava. Rideva e parlava. Ero sempre in tempo ad andarmene, ma le gambe non si volevano muovere.
La testa si fece pesante e mi sentivo, confusa. Dove mi trovavo? Perché, ero qui? Mi sentii fragile, e con il tempo che passava, gli occhi diventarono umidi.
Mi stavo lasciando andare.
In testa mi formulavano diverse immagini con accanto a qualcuno: che mi abbracciava, che mi confortava con solo pochi gesti.
Cercai con tutte le forze rimaste di alzarmi e scomparire.
Riuscii ad alzarmi, qualcuno mi parlò ma non lo ascoltai. Chiusi le labbra con forza e mi allontanai.
Avevo bisogno, di rimanere sola con me stessa.
La folla sembrava che mi volesse mangiare, mi scostai con irruenza e mi precipitai in un angolo.
-Ehi dove scappi? - mi disse qualcuno, mi afferrò dal polso e mi fece voltare. I nostri occhi si scontrarono, intanto una lacrima scese e fece il suo percorso. La sentii sulle labbra, mi dava fastidio.
-Lasciami! -urlai per farmi sentire, ma lui non si scostò. E per un solo attimo, mi sentii compresa, ma un momento dopo gettata all'inferno.
-Non mi hai risposto. Scappi continuamente. Chi fugge è solo un codardo.- affermò. La testa rimase senza pensieri, la stretta che c'era intorno a noi, si fece più dolce, ma era solo apparenza. Lui voleva mettermi a nudo, ma non ci sarebbe riuscito.
Dovevo lottare contro, quell'onda.
Lui non mi avrebbe sommerso.
-Lasciami - dissi, questa volta più piano. Eccola. Quella parte che tanto odiavo. Lei, dura e fredda. Non m'importava, di ferire le persone. Non m'importava, nemmeno della bomba che mi era scoppiata dentro. Avevo solo bisogno di allontanarmi e di morire.
-Ristabilisci il tuo equilibro, tu non sei fatta così .-disse, mi mollò e girò le spalle.
Non mi lasciare.
Un'altra lacrima.
Questo era il mondo in cui vivevo.
Un mondo di fumo.


"Non si è mai abbastanza forti, per affrontare le paure che ci divorano."
La mia vita era solo un'illusione.
L'indifferenza mi aiutava a convivere.
Che stupida!






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Capitolo 8
*** Cambiando aria ***


E continuo a ridere, anche se va tutto male.”
-Cit.

 
Era la terza volta che guardavo l’orologio.
Mi chiedevo chi me lo avesse fatto fare!
Io che accettavo un uscita, mah!
Non c'ero più di cervello!
Ah! Mi stavo demoralizzando. Io non ero normale.
Le vie del corso erano strapiene, dannazione, quella macchina dovrebbe essere buttata! Il fumo nero che l’esce non era normale, accidenti, morirò prima di quanto pensavo.
Maledetti pensieri!
Che cosa sarebbe il mondo senza pensieri? Naa! Non ci volevo nemmeno pensare.
Eccomi, ero arrivata in piazza. E cosa trovavo? Solo gruppi di vecchi che parlottavano di argomenti futili.
Sta mattina mi ero svegliata di buon umore, mi ero sistemata la cucina, i letti e poi avevo preparato il pranzo, tralasciando di essermi messa al PC.
Avevo riscoperto proprio da poco la voglia di disegnare, e mi divertivo un mondo. Non ero una disegnatrice con la mano perfetta, ma i miei lavori mi rendevano orgogliosa.
Comunque tralasciando questi particolari…mi vergognai un poco, avevo accettato una sorte di appuntamento. Alla fine, mi ero fatta forza e avevo detto, sì.
Controllai nuovamente l’orologio che c’era di fronte a me e segnavano le sedici e trenta.
Mi appoggiai a uno dei pali del collegio e aspettai il mio ospite. C'erano ragazzi che giocavano a calcio o che correvano con la loro bici. Anch’io, una volta ero così. La spensieratezza era una cosa meravigliosa. Chiusi gli occhi e tenni forte la borsa.
Chissà come sarebbe ritornare a quell’età? Sicuramente tutti questi pensieri non li avrei.
-Sempre con la testa fra le nuvole?-parlò una voce. Alzai lo sguardo e lo notai, quando era arrivato? 
-Ciao.- risposi, cercando di nascondere l’imbarazzo.
-E da molto, che aspetti?- chiese, mentre posava un mazzo di chiave nel giubbotto.
-No.- balbettai, che figura di merda!
-Ti va di camminare?- domandò ed io annuii. Per fortuna la giornata non era ventosa, né cupa. Il sole era abbastanza caldo da riscaldarmi e poi il cielo era azzurro.
Percorremmo per un lungo tratto il corso stretto e i vari negozi, fermandoci per osservare le vetrine e scambiare qualche parola. Non avevo nessuna esperienza con i ragazzi. Di solito mi facevo trasportare dall’istinto.
-Ti posso offrire qualcosa o cambiamo aria?- annunciò con un sorriso Daniele. Che denti bianchi, i miei erano gialli.
-In che senso cambiare aria?-domandai confusa. Dove vorrebbe andare? Non gli piace stare qua?
-È la terza volta che facciamo avanti e indietro, chiedevo, ma se non vuoi spostarti non fa nulla- mormorò lui, ed io lo guardai. Aveva indosso un giubbotto di pelle nera, con dei jeans chiari. Un primo momento non lo avevo riconosciuto con gli occhiali, ma quando li aveva sfilati, avevo notato quei magnifici occhi.
-Non c’è problema. E solo...che sono un poco agitata.- confessai, maledendo per mille volte, che diavolo mi era saltato di dire? Adesso, penserà che sia una fifona o che non avevo le palle! Aiuto!
Rimanemmo un momento in silenzio aspettando la reazione dell’altro, fino a che, lui iniziò a ridere. Mi sentii presa per i fondelli, avevo tutta l’intenzione di andarmene. 
-Pensi troppo. Consiglio d’amico, pensa a divertiti … invece di ragionare su cosa dice la gente. Su, vieni con me.- affermò con un sorriso.Mi trascinò verso una via del corso, prese le chiavi dalla tasca e poi schiacciò un pulsante.  M’immobilizzai vedendo una moto. Altro che urlo, qui c’era da ballare. Oh Dio. Era un sogno?
Che colori bellissimi, il nero e il bianco si sposavano perfettamente e poi quelle ruote blu, un sogno!
Se fossi un manga, mi brillerebbero gli occhi, ma ero troppo seria perché facessi uscire quella parte da me.
Lui mi fissò silenzioso. Per un momento esistiamo io e la moto, Daniele non c’era. Un effetto elettrizzante.
-Ti piace? Di come la guardi, presumo un si.- proferì, intanto prese due caschi integrali, da dove li usciva fuori?
-Come? Adesso mi fai la faccia spaventata? Mi sembrava che non vedessi l’ora di salirci sopra. Prometto che camminerò piano.- affermò convinto. Salii in sella e poi mi porse la mano, mi misi il casco e girai la borsa verso il dietro, per non ostacolare le manovre.
Lui alzò la visiera e mi guardò. – Devi allacciarlo bene- mi disse e non capii di che cosa parlasse.- Vieni qua- mi avvicinai a lui e poi lo sentii trafficare con la cinghia che c’era sotto il casco. Le sue dita si appoggiarono sulla zona del mento e per un attimo sentii una scossa, mi sorrise soddisfatto- adesso, è apposto. Devi sapere che è un casco automatico, se non è tutto regolare il motore non può partire- mi spiegò ed io pendevo dalle sue labbra.
-Non lo sapevo.- comunicai, incerta.
-Beh non tanti lo sanno. Partiamo verso l’avventura.- borbottò lui sorridendo.
Allacciai timorosa le braccia al suo fianco, ma lui prontamente li spostò più avanti, per poi stringerli. Eravamo talmente vicini, che  avvertii il rumore del suo cuore.
Il rombo del motore, mi faceva perdere un battito. Nessuno mi poteva riconoscere. Per un attimo me ne fregai. Volevo vivere. Basta restrizioni inutili. Cogliamo l’attimo.
Un secondo dopo eravamo già in viaggio.
Mi sembrava di rivivere uno dei tanti capitoli delle mie storie. Quella gioia. La libertà tra le mani, l’avventura in un nuovo viaggio avvincente. Daniele, come aveva promesso, non superò i limiti e arrivammo in autostrada con facilità. Non sapevo dove mi avrebbe portato, ma poco importa. Sorrisi, mentre vedevo il mare.

Giungemmo verso il porto e cercammo un posteggio. Scesi dalla moto e lo aspettai, mentre mi tenni lontana dal porto. Quella sensazione inquietante non mi abbandonava.
-Tutto bene?- chiese lui, sorridendomi.
Annuii e ci avviamo verso la strada. Non c'erano troppe macchine, sembrava disabitato. Forse era dovuto al giorno.
Vedevo alcuni pescatori riempire le proprie barche con i vari attrezzi per la pesca. C'erano varie imbarcazioni lussuose, oh la gente ricca.
Camminammo parlando del più e del meno.
-Allora com’è l’America?
-Bella. Ti piacerebbe visitarla?- domandò, mentre il braccio faceva oscillare il casco.
-Certo. Ma per prima preferirei visitare Londra o il Giappone. – confessai trasognante.
-Giappone? L’altro lato del mondo.
-Si. Da alcuni anni mi sono avvicinata alla loro cultura, ho trovato parecchie cose interessanti, dal vestiario e dal cibo.- parlai senza freni, finalmente potevo essere me stessa.
-Capisco. Io preferisco molto qui o la mia città nativa. – spiegò pensieroso.
-Dove hai vissuto?- domandai, mentre il mio sguardo si poggiò verso la piccola spiaggia che c’era a fine strada.
- New York. Dapprima vivevamo in Canada, poi mio padre ha cambiato lavoro e ci siamo trasferiti nella grande mela.
-Interessante. E dimmi è vero che non dorme mai o è solo una leggenda metropolitana?-  esposi. Catturai una ciocca di capelli e la rigirai nel dito, mi sembrava d’impazzire.
-E’ vero. Forse può essere un poco traumatizzante i primi giorni, ma poi si fa l’abitudine. Dai vieni, sediamoci un poco.
Ci accomodammo  in un tavolino di un bar, le sedie erano di plastica, rivestiti dal colore grigio che s’illuminava quando entrava al contatto al sole.
 Una giovane ragazza si avvicinò e ci porse i menù.
L’osservai, ma non avevo fame, avrei preso qualcosa da bere.
-Posso?
Ritornò la ragazza. Fece un occhiolino a Daniele e quello mi diede fastidio, voleva flirtare?
-Per me un the alla pesca- interrompi quel contatto visivo, indignata. Lui capendo che stava sbagliando, ordinò la stessa cosa, ma al limone. La ragazza se ne andò e restammo di nuovo soli, già mi stava sui cazzi!
L’ordinazione arrivarono velocemente, sta volta nessuno dei due fece qualcosa d’inopportuno. Stuzzicai la cannuccia del mio the e fissai il mare.
Il sole si rifletteva su esso mi sembrava di vedere tanti diamanti sul pelo dell’acqua. Mi venne voglia di tuffarmi per scappare da quella sensazione che mi opprimeva. Daniele mi sembrava un ragazzo apposto, simpatico e invece si stava rivelando per quello che era! I ragazzi pensavano solo a una cosa, chissà perché mi aveva chiesto di uscire? Forse era una sua tattica per avere qualcosa in cambio?
-Sei silenziosa. Ti sei arrabbiata?
Che faccia tosta!
-No. E’ normale. Siete fatti.-
-Così, come?- Chiese lui, cercando di avere più informazioni. Sulla sua fronte erano apparse delle rughe come se pensasse un una ragione del mio comportamento.
-Pensate solo una cosa.
-Non sempre. Mi stai catalogando come uno che cerca un’avventura? Se lo pensi, hai sbagliato. Sono stato solo contese.- proferii, mi voltai giusto un poco e mi ritrovai a fissare due smeraldi. Santo Dio!
-Comunque… tutto sembrava che cortese.- lo ammonii.
-Ok. Un punto per te. Stellina.- disse alzando le braccia per stirarsi.
Ingoiai le parole, dovevo stare calma. Lo sapevo che non amavo tanto i nomignoli, ma dovevo resistere a freddarlo.
-Oh è tardi. Mi riaccompagni?
Notai solo adesso che il tempo era passato.
Annuii e ci dirigemmo verso la moto, dieci minuti dopo eravamo in viaggio. Il ritorno sembrava più lungo del previsto, forse perché non eravamo più in vena di liberarmi da quel peso. Giungemmo di fronte casa mia e scesi, sentii le persiane aprirsi, sapevo che il  mio ritorno ci sarabbero state molte domande.
-Ci sentiamo. Ci scambiamo il numero?- acconsentii.
- Buona continuazione- e sfrecciò via, intanto rimasi ferma come una statua di sale.
Entrai dentro casa, mi spogliai e mi misi il pigiama, arrivata in cucina, c’era mia madre e mio fratello che mi guardavano.
-Chi era?- disse lui appoggiato al tavolo e mi guardava con quell'aria spavalda.
-Un amico. – balbettai ed entrai in bagno, loro continuavano a borbottare, alle mie spalle.
Finito il mio lavaggio, presi mio fratello, il più piccolo e me ne andai in camera, non volevo sentire più nessuno. Ad un certo punto arrivò un sms. Era lui, che mi chiedeva che facevo. Gli risposi che me ne stavo andando a letto e mi scrisse buona notte.
Che giornata strana. Non volevo immaginare. Come va, va.
Non mi aspettavo più nulla.
M’immersi nel mio mondo, solo lì, avrei trovato il mio equilibro.
Che illusa!



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Capitolo 9
*** The pink rose ***


10
The pink rose



 

 
Buongiorno mondo.
La sveglia iniziò a cantare, per un attimo non mi accorsi nemmeno che cantava. Colpa della massa che c’era sotto l’altoparlante. La sveglia digitale segnò le sette e trentuno, e già aveva iniziato a stranutire. Maledetta allergia!
Dai, oggi era andata meglio degli altri giorni, sì perché gli occhi non bruciavano più, ma meglio non parlare troppo, si sapeva, la sfiga poteva tornare ai suoi passi.
Mi vestii e salii in cucina.
Il sole mi accecava e un nuovo stranuto arrivò prepotente. Il corpo si contorse e la testa cade in basso, oh Dio mio!
Mi serviva un fazzoletto e subito. Se continuavo così, mi servirà una nuova confezione a breve, ma non solo per me. E già in famiglia siamo tutti contagiati.
Mi presi il solito bicchiere d’acqua e poi versai mezzo limone, dicevano che faceva bene, chi lo sapeva.
Il rituale della mattina era così monotono, lasciare mio fratello a scuola, ritornare fare colazione ..intanto guardavo tv e cellulare e poi si sistemava la cucina e computer. La solita vita. Che mi aspettavo che cambiasse dall’oggi al domani? Per fortuna c’era la mia fantasia che me la stravolge, come no? Infatti, avevo la testa in palla.
Comunque, sapete che non c’era nulla di che. Ogni giorno attendiamo quel pizzico di brio, ma se non siamo noi a iniziarlo, nessuno ti veniva a cercare. La vita era così lunga.
Aspettavamo da una vita una persona o una cosa che ci cambiava, ma alla fine rimaniamo come sempre, solo che le nostre speranze diminuivano.
La musica scorreva, mentre la mente navigava.
Avevo pregato che la magia m’invadesse, ma ero ancora qui; con lo sguardo lontano che aspettava il futuro.
Forse ero io. Forse nessuno mi renderà felice.
Forse era il mio destino rimanere incompleta.
La vibrazione del telefono si mise in moto e la musica era interrotta.
C’era un messaggio. Aprii la busta e mi comparse il nome di Daniele. Mi sembrava che si fosse dimenticato di me, dopo quella figura di merda. Gliel'ho detto chiaro e tondo quel pomeriggio, non sarei stata la compagnia di pochi giorni. Non ero una di quelle ragazze che andavano dietro al più figo e poi dopo aver ottenuto quello che volevano, ciao e addio.
Forse i ragazzi mi vedevano fredda e tagliente, ma era solo uno stupido scudo per difendermi.
Avevo sofferto tanto e non volevo che qualcosa di più grosso mandava in tilt il mio equilibro.
Se piaccio, devono accettarmi per quello che ero.
“Ciao, scusa se non mi sono fatto sentire, ma ho avuto diversi impegni. Mi dispiace per quel pomeriggio, mi sono comportato male. Mi farebbe piacere sentirti, anche solo per parlare .”
Finii di leggere e ero indecisa sul da farsi.
Forse sarà lui la mia sfida. Forse era lui?
Tentare non nuoce.
“Ciao” inviai
“Ciao come stai?”Risposi.
Bella domanda come stavo? Benissimo.
“Bene, grazie. Te? Gli impegni che dici sono per conto del lavoro?” Chiesi curiosa.
“Già. Sto ingrandendo lo studio e cerco collaboratori. Comunque bene. Mi fa piacere sentirti, mi dispiace per quella volta.”
“Okay. Spero che trovi i tuoi nuovi collaboratori. Non dovrebbe essere difficile” scrissi.
“Non dovrebbe, ma tutti gli architetti che conoscono lavorano per conto proprio. Sai le percentuali sono di più alte. “
“Non capisco molto di percentuali, ma sarà vero quello che dici. “
Per tutti i Kami una volta tanto vorrei essere a conoscenza su qualche argomento, invece ero ignorante!
Che cosa penserà su di me? Lo so che non ho terminato la scuola, ma dai, dovevo darmi da fare per saperne di più.
Cercai su internet, ma che dovevo scrivere. Ahh! Baka!
“Mi chiedevo se venerdì sei libera, voglio farmi perdonare.”
In che senso?
“Eh?”
“Un uscita, nulla di serio. Ho capito che devo darti tempo per metabolizzare tutto. Farò il bravo.”
Come un cane?
“Ok. Ma hai l’ultima possibilità, non sprecarla.”
“Okay. Adesso scusami devo andare. Ciao”
Qualcuno mi tiri una guancia, avevo parlato con Daniele? Mica avevo parlato a quattr’occhi, via sms, ma era già un passo avanti. Su Jessy forza è coraggio!
Il destino mi stava offrendo qualcosa, e lo prenderò a volo!
 

 
Avevo la pelle d’oca.
Il vento mi scompigliava i lunghi capelli. Vedevo il paesaggio cambiare a gran velocità.
Bellissimo.
Per fortuna il viso era protetto dal casco e il naso non veniva a contatto con quelli odori. Alla fine venerdì era arrivo, non vedevo l’ora. L’agitazione c’era, ma mi ero fatta coraggio. Avevo dovuto combattere per essere libera questo pomeriggio, ma ero qui.
Mi stavo stringendo a Daniele, per paura di cadere all’indietro. Avevo sempre sognato di correre su una moto, ma per paura e poca determinazione non ero riuscita a far nulla, nemmeno a prendermi la patente.
Penserete che sia una buona a nulla, ma dietro c’era tanto, forse anche l’incomprensione dei miei stati d’animi.
Non volevo pensare, correre o camminare mi svuotava la testa, anche se a volte causava l’effetto contrario.
Vidi il mare e mi tranquillizzai. Perché aveva un effetto così calmante?
Ci fermammo in spiaggia e posteggiammo.
Mi allontanai un attimo da lui e saltai giù dal marciapiede. La sabbia era così fastidiosa, ma non me ne curai. Volevo vedere la schiuma del mare. Volevo scrivere sulla sabbia bagnata. Volevo diventare una bambina.
-Sembri felice.- Disse lui, gli sorrisi.
-E’ bello stare in spiaggia con il vento che ti accarezza la pelle. Il profumo della salsedine e il mondo che ti ascolta-blaterò.
-Poetica?-Chiese e iniziammo a camminare.
-Forse- gli sorrisi.
-Misteriosa si.-
-Vorresti scoprire tutte le carte adesso? Non pensi che poi si perda interesse per una cosa?La vita è fatta di segreti e misteri…e le persone sono fatte di quello.- Dissi, non riuscendo più a starmene zitta.
Parlammo di un poco di tutto, del suo lavoro, del suo passato.
-Quanti siete in famiglia?-Domandai , mentre sentii un tuono in lontananza.
-In cinque. Io e mio fratello, mia sorella e i miei. Voi?- Lui mi guardò in viso e non riescii a contraccambiare.
-Anche più con l’aggiunta di un cane-, mormorai. Alzai la testa e vidi il cielo diventare sempre più nero, infatti avvertii l’odore di azoto, tra poco si metterà a piovere.
-Forse è meglio andarcene, prima che ci ritroviamo zuppi. Credo che sia meglio fare una deviazione, casa mia è nei paraggi. Prendiamo l’auto e ti vengo a lasciare.- Dissi di sì e ci dirigiamo verso casa sua. Sperai che non ci fosse nessuno.
La moto ruggì e in pochi minuti eravamo già in viaggio.
La pioggia iniziò a scendere e ci bagnò.
Tuoni e lampi c’illuminavano, che tempo di merda!
Arrivammo di fronte a un cancello e lui estrasse un telecomando e dopo poco eravamo sotto il portico.
Che spettacolo. Altro che casa questa era una villa.
Ai lati del portone principale c'erano due vasi rettangolari, quelli di pietra dove erano posizionati delle rose. Erano quasi tutte sbocciate, il colore che andava dal rosa al giallo. Bellissime. Farai a loro delle foto, ma con questo tempo mi bagnerei il cellulare, la prossima volta.
-Dai entra. Non ti preoccupare non c’è nessuno.- Disse, mi fece togliere il giubbotto che gocciolava e mi portò verso la cucina.
-Tieni- mi porse un asciugamano.
-Non credevo che potesse piovere. Ci siamo bagnati come pulcini.- Rise lui e lo copiai. Mi piaceva la sua compagnia.
I suoi occhi verdi s’illuminavano a quel riso. Che strano.
La sua chioma si muoveva con lui, se potesse essere lui?Meglio camminare con  i piedi di piombo.
Un altro tuono si propagò nel cielo e il boato ci travolse.
-Accidenti!-
-Già. È normale siamo nel periodo dei temporali. – Affermai.
-Non lo sapevo. Beh so poco, ma imparerò. Jessy …- mi chiamò, i nostri sguardi s’incontrarono. Sentii il cuore battermi forte, che diavolo mi succedeva? Non vorrà…non terminai nemmeno il pensiero che sentii le sue labbra sulle mie. Un bacio.
Sentii il sangue schizzare verso il cervello. Era questa la sensazione che si provava baciando un ragazzo.
-Ehm!-Un colpo di tosse ci fece indietreggiare di scatto e ci giriammo verso il nuovo ospite. Com'era entrato?
Aspetta.
Oh Madonna mia, erano identici solo per gli occhi.
-Ehi quando sei arrivato?-Chiese Daniele dietro le mie spalle, mi scostai gentilmente e abbracciai il ragazzo.
-Fratellone è lei?-Chiese. Mille punti interrogativi si formarono nella mia testa, lei?
-Ti presento mio fratello, Jessica.- Mi comunicò.
Suo fratello. Bene. Non credevo che la somiglianza fosse tanto.
-Siete per caso gemelli?-Chiesi imbarazzata.
-Non si nota?-Disse suo fratello.
-Beh se non fosse per gli occhi… potrei dire che siete due gocce d’acqua.-
-Comunque piacere di conoscerti Jessica, sono Federico.-Allungò la mano per stringere la mia.
-Il piacere è il mio.- Asserì. Non avevo parole c'erano dei bei tizi in America, se l'avessi saputo ci sarei andata Daniele e Federico sono piuttosto simili, tranne per qualche sfumatura del colore dei capelli, infatti Federico era più chiaro come gli occhi azzurri.
Iniziammo a parlare, informazioni basilari. I due fratelli parlavano più del dovuto, anche se avevo avvertito qualcosa di sospetto. Qua gatta ci cova.
-Tesoro sei qua?-Ci girammo tutti e vediamo una donna. Avrà su per giù tra i cinquant’anni. Portava un trailleur nero con gonna e giacca. La borsa la teneva per la mano, mentre i suoi occhi blu mi trafissero. E se fosse stata la madre?
-Ciao mamma!-Disse Daniele abbracciandola. Ma se era rimasta in america che ci fa qua?
Lei non mi toglieva gli occhi d’addosso, ma che vorrà?
-Lei chi è?-Chiese con una aria da snob.
-Jessica.- Risposi intimorita.
Che sguardo da tigre, mi sentii fuori posto.
-Cocco-chan!-Urlò qualcuno,mi fece drizzare i peli delle braccia. Una piccola peste sui dodici anni si avventò su Daniele e lo abbracciò con foga.
-Alexia!- Rimproverò la madre.
Non avevo detto nulla di strano, solo un nome giapponese?
-Principessa come stai? C’è anche papà?- Cercò informazioni Daniele. Lo vidi in un modo diverso, molto più socievole.
Vorrei scappare.
-Scusate… Daniele mi riporti a casa? Non vorrei rubare altro tempo, credo che la tua famiglia ti reclama.- Balbettai, mentre tutti gli occhi si puntavano su di me. Uffa avevo qualcosa sul visto, o ero buffa?
-Giusto. Poi si è fatto tardi, prendo le chiavi e arrivo subito.- Mi allontanai, lasciando quella felicità e mi avvicinai al attaccapanni, dove c’era il mio giubbotto. Mi sentii osservata, infatti quando mi voltai, lo sguardo di sua madre mi analizzava. Altro che scanner, questa mi stava uccidendo.
-Non ci hanno presentato, signorina. Monique.- Buttò giù con un tono freddo è calcolatore.
-Piacere mio signora. – Risposi, per fortuna Daniele mi salvò da quell’inferno.
-Ci vediamo dopo mamma.- La baciò la guancia e uscimmo.
 
 
 
Il tragitto casa/auto era silenzioso.
Come mai? Avevo fatto qualcosa di male?
-Siamo arrivati. C’è qualcosa che non va? Non hai aperto bocca.- dichiarò lui.
-Nulla. E' che mi sono sentita un poco fuori posto, non credevo che l’atmosfera si potesse riscaldare così.- Affermai, imbarazzata.
-Lo so che mia madre ha un carattere molto duro, ma sa anche essere gentile. Ti abituerai.- Disse.
Abituarmi a che cosa?
Lo salutai e lui non contento mi baciò.
Chiusi la porta e fissai il pavimento di casa mia.
C’era qualcosa che non mi quadrava. Salii e vado in camera mia, mi tolsi i vestiti e mi misi qualcosa di comodo. Giunsi in cucina mi ritrovai a fissare un ospite.
-Ciao Jessy.- Mi disse lei.
Che ci faceva Cristal qua?
-Ciao.-
-Credo di doverti delle spiegazioni, so di essermi comportata male… spero che mi ascolterai …-
La guardai per alcuni minuti, i nostri occhi si fissavano. Lei era la mia migliore amica. Credevo che un'altra possibilità le dovevo dare, tutti sbagliamo. Nessuno nasce perfetto.
-E sia.- Mi sedetti e l’ascoltai.
 
 
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice:
Salve a tutti lettori e recensori.
Ritorno dopo una settimana di ritardo, ma la cosa importante che sono qui.
Bene abbiamo dato inizio alla parte cruciale di questa prima parte, infatti ne vedrete delle belle. Credo che una persona si farà quattro risate, lo vedi Kitty il tuo sogno sta diventando realtà. Alla prossima.
Heart
 
 

 

 

 

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Capitolo 10
*** La strega mangia colori ***


 

  11
“La strega mangia colori”

 
 





Le ombre entravano in camera.
Il cielo era ancora scuro. La sveglia posta sul comodino segnava le 4:03 della mattina. Non c’era un filo di vento né di rumore.
Era strano che fossi sveglia a quell’ora, ma ciò che mi era successo nella giornata di ieri non lo avrei dimenticato facilmente. Per prima cosa avevo conosciuto la famiglia di Daniele, anche se non era programmata. In secondo luogo lui mi aveva baciato, anche se devo dirla tutta, mi era sembrato piuttosto affrettato. La terza e ultima cosa, ritornata a casa, mi ero ritrovata Cristal.
Le sue parole mi avevano fatto riflettere . A quel tempo mi sembrava tutto giusto, ma adesso mi sa che avevo corso. Non le avevo dato il tempo di spiegarsi, forse era a causa delle situazioni in cui vivevamo. Lei aveva perso Andrea, i miei si stavano separando, un mix letale, invece di confortarci a vicenda avevamo scaricato i nostri nervi sull’altra.
Non era stato molto da mature, ma si sapeva, quando la rabbia esce, non si può fermare. Irremovibilmente c'eravamo accusate senza badare alle parole e alle azioni, c'eravamo ferite e umiliate in pubblico, anzitutto c'eravamo separate, la nostra amicizia si era sgretolata.
La sera scorsa avevamo parlato molto, di tutto. I chiarimenti c'erano serviti per completare i puzzle.
 
“ Lui mi ha confessato che tutto ciò che mi aveva raccontato era una balla. Andrea mi ha detto che gli piacevi. Per questo ha orchestrato tutte queste menzogne. Mi ha anche dichiarato che una volta lui ci ha provato, ma tu l’hai rifiutato.” Disse.
“L’ho rifiutato perché era il tuo ragazzo e poi perché non provavo nulla per lui”, risposi.
“Non sapevo nulla di questo. Mi sono fidata ciecamente di lui, credevo che tutto andasse per il meglio. Avevo trovato l’amore e la mia migliore amica era felice. Sono stata una sciocca, ho creduto più alle sue parole che a te. Lo so che molte cose non me lo dici, ho notato spesso e volentieri che sorridevi, ma i tuoi occhi c’era quell’alone di malinconia… non sono mai riuscita a farla andare via.” Confessò. Le toccai una spalla e le sorrise.
“La mia tristezza viene dal fondo della mia anima, purtroppo c’è poco da fare, anch’io non riesco a scacciarla. Devi sapere che ho sempre sperato che potesse andar via con l’amore e con l’amicizia, devo dirla un poco si è allontanata, perché c’eri tu. Cristal il mio dolore mi ha contagiato, anche se non te ne ha parlato c’era una ragione. Più delle volte mi hai aiutato…non volevo la pietà di nessuno nemmeno la tua, scusami. Ho preferito tenermelo dentro, e sorridere, perché la speranza è l’ultima a morire.” Le spiegai convinta.
“Oh amica mia. Ho tanto ancora d’imparare. Mi dispiace per tutti i dispetti che ti ho causato, mi dispiace tanto. “ Disse, mentre abbassava la testa. “Comunque devo dirti un’altra cosa, credo che risale tutto a quell’episodio.” Rialzando la testa e guardandomi negli occhi.
“Di che cosa parli?” Domandai confusa.
“Di quella vicenda. Non me ne sono accorta prima, e mi scuso. Mi sto riferendo a quella sera in cui tu sei fuggita. “
A quelle parole tutto mi ritornò in mente. Lo ricordavo benissimo. Il tumulto di quella scena mi aveva distrutto…non avevo mai provato delle forti sensazioni di quel genere.
“Devi sapere che tra di noi non è successo nulla. Quella sera mi ero ubriacata, la testa mi girava. Ero andata a scontrarmi con dei ragazzi che quando mi hanno visto in quello stato, hanno subito pensato di approfittarne. Mi trovavo in un angolo da sola, con quei tre che mi toccavano. Dapprima non avevo capito nulla, l’euforia era talmente tanta che l’incoraggiavo, ma quando ripresi senno delle mie azioni e dei miei problemi iniziai a urlare e dimenarmi. I ragazzi non mi volevano lasciare, ero una preda facile e non potevo usufruire del mio equilibro. Mi sembrava che tutto diventasse nero. La mia luce fu il richiamo di una voce, si parò di fronte a me e scacciò via quei tre delinquenti. Lui mi guardò con occhio critico. –Sei patetica.- Mi disse. Mi arrabbiai e lo schiaffeggiai per quella parola. Lui mi prese i polsi e mi buttò al muro. Mi sembrava di ricadere nell’oblio, ma si fermò appena il tempo di un bacio. 
Mi lasciò con l’amaro in bocca, dopo due minuti erano arrivati gli altri che mi hanno aiutato, Luca mi disse che Kaname li aveva avvertiti che stavo male.” Non riescivo a credere a ciò che mi diceva, avevo sbagliato tutto.
“Gli equivoci sono frequenti. Dovevo dirlo subito. Tuttavia sentivo qualcosa di diverso in te. Mi sembravi strana e lunatica. Non è che non lo fossi già abbastanza, ma quel ragazzo ti stava facendo qualcosa. Mi hanno raccontato che è un bastardo con la B maiuscola, non volevo che la mia migliore amica soffrisse per un tipo del genere, così ho scelto la menzogna, non sapendo di peggiorare tutto.” Terminò.
 
 
Non ero riuscita chiudere occhio per l’intera nottata, quelle rivelazioni mi avevano scombussolato ancor di più. Quel bacio non c’era mai stato, ed io da una parte mi sentivo più leggera, non sapendo che lui aveva fatto qualcosa con Cristal.
La confusione ritornò a invadermi, perché di quelle sensazioni contrastanti? Perché mi veniva da piangere?
Ero stata una stupida.
 
 
La vibrazione del telefono mi svegliò, aprii il cassetto del comodino e lo presi. Il display era ancora acceso. Spostai a destra il pulsante per rispondere e me lo misi all’orecchio.
-Pronto.- Risposi assonnata, lo sguardo cade sulla sveglia che segnano le 11 del mattino.
-Buongiorno principessa, ti ho disturbato? Dormivi?- Disse una voce dall’altro lato del telefono. Chi era quel cretino che mi disturbava? Non avevo i miei e dovevo sopportare lui?
-No. Certo che si!-Blaterai. Intanto mi alzai e mi misi seduta comoda.
-Hai impegni per stasera?-Chiese, sembrava felice. Io invece non la vedevo così bene la giornata, forse perché avevo dormito su per giù tre ore?
-In che senso?-Chiesi, tra uno sbadiglio.
-Hai ancora il cervello sul pulsante off? Accenditi e connettiti alla giornata. Il tempo è soleggiato e non c’è una nuvola.- Chiarii.
-Ok, dimmi.-
-Volevo portarti in un posto. Per te ci sono problemi?-
-No. Aspetta un attimo.- abbassai il telefono e mi giunse un messaggio da Cristal in cui mi diceva che stasera ci dovevamo incontrare in piazza, sorrisi a quello scritto.
-Daniele ci vediamo in piazza, devo incontrarmi con una persona.- Blaterai.

-Chi sarebbe?-Mi domandò.
-Del sesso Femminile, prima che ti fai tanti filmati in testa. Comunque adesso devo lasciarti, a stasera.-Chiusi la comunicazione e mi alzai radiosa. Sentirla mi faceva stare bene. Salii in cucina e mi accorsi che c’era troppo silenzio, sul tavolo c’era un biglietto in cui mia madre mi diceva che erano scesi a mare. Meglio per me, casa tutta mia!
In frigo c’era il minimo indispensabile, si erano portati tutto. Che nervi! Un poco di frutta e una tazza di latte farà al caso mio.
Dopo di essa m’infilai sotto la doccia, mi lavai con cura e mi pettinai i lunghi capelli.
Sarà un nuovo inizio.
 
 
 
 
Le dita si muovono sulla tastiera del cellulare, che fine ha fatto Cristal? Era da dieci minuti che l’aspettavo, la solita ritardataria.
Sbuffai, accidenti a lei!
Qualcuno mi toccò la spalla e sobbalzai . Mi ritrovai due occhi verdi che mi fissavano e mi sorrisero.
-Ciao.- Mi disse lui. Non era non male come ragazzo. Indossava un jeans scuro e una camicia celeste. Notai solo alla fine anche Federico. Accidenti questi due faranno scintille questa sera, me lo sentivo.
-Ciao Jessy come va?-Mi chiese Federico.
-Bene grazie. Allora come ti trovi?- Iniziai a parlare, mentre tento di guardare un po’ dappertutto, ma di lei nessuna traccia.
-Stai aspettando qualcuno?-Disse Federico, intanto Daniele si era allontanato per comprare le sigarette.
-Un’amica.- Risposi velocemente. Bastò un attimo che la vidi in lontananza. Aveva il viso sudato, di sicuro aveva corso come una disperata, le vado incontro guardandola di cagnesco. Lei mi sorrise e poi fissò il posto in cui ero.
-Chi è quel ragazzo?-Domandò, mentre mi salutò.
-Un amico, vieni te lo presento.-Ci avvincinammo e le presentai Federico, i due si scambiarono diverse occhiate, ma la cosa che mi stupii era il silenzio di Cristal, di solito parlava di continuo. Ritornò Daniele e lo presentai. In fine decidiamo di stare tutti insieme per conoscerci meglio.
Sembrava che tutto aveva preso una piega semplice, mi sentiia mio agio con quella nuova compagnia e poi avere accanto la mia amica mi metteva di buon umore. Parlavamo e parlavamo e le lancette dell’orologio scorrevano, si erano fatte le quattro del mattino e il sonno iniziava a scendere, alla fine decisi di andare da Cristal, non me la sentivo di rimanere sola a casa.
 
 
Il ritorno a casa era stato molto bello, perché mi ricordava le nostre notti bianche a spettegolare, ma in quel momento avevo solo voglia di sprofondare sul divano e buona notte, in fine successe questo, i discorsi per il giorno seguente.
Il risveglio non era del tutto roseo. Vidi Cristal in piedi di fronte a me, aveva gli occhi chiusi e teneva il telefono in mano. Mi chiamò e alla fine decisi di aprirli.
-Vestiti, tra cinque minuti arrivano.- Mi mormorò. In un primo momento non capii chi doveva arrivare, poi mi disse due iniziali e spalancai gli occhi.
-Che cosa?!-Urlai.
-Mi appena telefonato Federico, dicendomi che stanno per arrivare, ci porteranno a fare colazione.- Terminò, chiudendo la porta della sua stanza.
Accidenti a loro e alle loro manie, volevo dormire!
Mi vestii e in cinque minuti esatti suonò il telefono. Risposi nervosa, ma mi esposi il più gentile possibile.
Scendemmo come due zombi e li salutammo. Loro sembravano freschi come due rose, mah.
Ci dirigemmo verso il porto, faccemmo colazione con cornetto e cappuccino, ma la voglia di mangiare non ne avevo. Avevo gli occhi aperti per forza. Credevo di aver spento per due minuti il cervello e quando lo riaccesi …Cristal e Federico non c'erano più con noi.
-Dove sono?-Domandai a Daniele.
-Sono andati a fare una passeggiata, ma dove ce l’hai la testa?-Mi chiese avvicinandosi più a me.
-Sul cuscino- Borbottai.
-Hai sonno?-
-Non si vede?-
-Te lo faccio passare io-, disse. Sentii il suo fiato sul collo e mi raddrizzai immediatamente, le sue mani iniziarono a toccarmi.
-Fermo!-Esclamai. Che accidenti gli prendeva?
-Scusa.- Si ritirò.
I due piccioncini ritornarono dalla loro passeggiata romantica sorridenti, qua c’era qualcosa che non andava.
Il viaggio era ornato da discussioni vari, arrivata a casa, spensi il cellulare e me ne andai dritta a letto.
Notte!
 
 

 
 
Il nuovo giorno si apri con la pioggia.
Riaccendendo il cellulare mi arrivarono quaranta chiamate e venticinque messaggi, tra cui: cinque da mia madre, sei da Daniele e tutte le altre da Cristal. Per i messaggi, la maggior parte erano di Cristal che mi chiedeva se ero ancora viva, gli altri di Daniele li lessi di sfuggita. Ancora non sapevo che intenzioni aveva quel ragazzo. Prima si comportava dolcemente e poi mi baciava, potevo accettare quello, ma non le geste di ieri. Mi sembrava di essere una di quelle ragazze facili. Mi squillò il telefono e vidi che era mia madre. La sua ramanzina di prima mattina mi faceva venire il mal di testa e per secondo quella di Cristal.
Adesso che ci pensavo come mai mio fratello non era a scuola? Escuii fuori e vedi quest’ultima chiusa. Sarà in vacanza? Boh.
Mi preparai da mangiare e osservai il vuoto.
Ripresa dagli starnuti che non mi mollavano per un secondo chiamai Cristal per farmi raccontare le novità.
Al primo squillo mi rispose.
-Buongiorno!Mi dici che cosa ti è passato per la testa? Non mi rispondevi, mi hai fatto venire un colpo!-Mi gridò ancora.
-Se non la smetti, ti chiudo il telefono in faccia.- Chiarii. Lei sembrava di aver ricevuto il messaggio, iniziammo a parlare del più e del meno, fino a che non giungemmo all’argomento scottante.
Mi chiarii che tra lei e Federico non c’era nulla di serio, che non voleva correre. I due sembravano pensarla allo stesso modo e questo mi faceva intuire che entrambi ci tenevano. La sentii felice ed entusiasta di quella nuova amicizia.
Dopo tutte quelle volte che i ragazzi le avevano spaccato il cuore, ero pronta a difenderla da chiunque.
Federico mi sembrava un ragazzo con la testa sulle spalle, c’era in lui qualcosa che mi dava sicurezza al contrario di Daniele. Lui era così istintivo che a volte mi faceva paura. Vedevo quell’alone oscuro dentro se. Quegli occhi nascondevano un brutto ascendente.
-Ci sei?-Mi richiamò lei.
-Si. Dimmi.-
-Che cosa hai provato quando lo hai incontrato la prima volta?-Domandò.
-Ma chi?-
-Lo sapevo che non c’eri con la testa. Parlo di Daniele, cosa provi verso di lui?-
-Non lo so- le riferii sincera. Mi sembrava di correre talmente veloce, che un giorno mi schianterò su un muro.
-Come non lo sai?Che risposta è?-
-A volte sembra gentile e disponibile, ma poi subentra un lato che non mi piace. Non so come spiegartelo, ma ho una brutta sensazione che non mi vuole mollare-.
-Capisco. So che il tuo istinto non mente mai, infatti per la maggior parte delle volte si sono realizzate, ma che ne dici di metterli da parte? Forse sei talmente chiusa che non riesci a vedere il buono, prova a non affidarti molto a loro. Ricordati che la vita è una sola e dobbiamo viverla anche se alle volte ci fa soffrire.- Spiegò comprensiva.
-Comunque Federico mi ha invitato a casa sua, nulla di che. Ho messo subito in chiaro le cose con lui. Siamo amici. –
-Che bellezza, quella casa è una gabbia di pazzi, soprattutto la madre.-Rivelai.
-Hai incontrato sua madre? E’ com'è?-
-Una strega. Mi ha guardato con due occhi inquietanti quella volta, che per un attimo mi sono sentita piccolissima. Ma che ci devi fare a casa sua?-
-Ci sarai anche tu, amica mia. E’ il suo compleanno.
-Bene allora penso che lo sia anche per il suo gemello. Perfetto!-
-Che ne dici di preparare un dolce?-
-Ok.-
 
 
 
 
 
La torta al cioccolato era pronta. Poco fa l’avevamo ultimata con la panna e alcune decorazioni, l’avevamo messa nella carta, almeno era facile da trasportarla. Quando giungemmo a destinazione, incontrammo un uomo che parlava con una bambina. Mi ricordai che la piccola si chiamava Alexia e quello che aveva accanto era suo padre.
Ci presentammo e ci avviammo verso casa. La tensione era a mille, sentivo il cuore battere forte e non solo il mio. Cristal sembrava talmente in ansia che tra poco la dovevamo portare l’ospedale.
-Stai tranquilla non ti può mangiare, non siamo commestibili -le dissi e sembrò rilassarsi un attimo.
La tavola era imbandita di piatti raffinati e calici, un compleanno raffinato a mio parere. Quanti anni faranno? 27 ? Oddio sono talmente ignorante. I ragazzi ci condussero alla tavola, dove notai che accanto avevo Alexia.
-Ciao- le dissi, lei mi fissò e poi se ne esci con una parola.
-Konnichiwa!- Disse. Le sorrisi.
-Konnichiwa Ale-chan? –Le risposi. Dal suo viso apparve un grande sorriso, iniziò a parlare in fretta esultandomi con mille complimenti. Mi era sembrata una ragazzina simpatica e vivace, forse la madre la opprimeva con la sua educazione rigida, ma lei era riuscita a non farsi mettere i piedi in testa.
Parlaammo del più e del meno, ci ritrovammo complici su tante cose e sull’amore verso il Giappone.Fino a che spuntò Crudelia. La signora si avvicinò con un tallieur di lino bianco, le decolté nere e una collana di perle.
Il suo viso non prospettava nessun sorriso, solo severità e freddezza. Io e Cristal sussultammo.
-Auguri tesori- disse lei ai suoi figli maschi, poi ci rivolse un'occhiata prima a me e poi a Cristal.
-Chi è lei signorina?-Domandò.
Federico si alzò e le rispose che era un amica, e che si chiama Cristal.
Oddio le stava facendo la radiografia completa.
Ci sedemmo a tavola e una cameriera vestita di tutto punto si avvicinò per servire la cena. Ci porse un tortellino con crema di mais?
Uno solo?mah!
La seconda portata era una bistecca al sangue, contorno patate e piselli. A mio avviso le patate e i piselli erano ancora surgelati e la carne non mi piaceva. La preferivo cotta. Quel sangue che colava da quel pezzo di carne mi faceva salire la nausea e credevo che Cristal stesse pensando la stessa cosa.
Per dolce, avevamo dei cannoli, ma sembravano più pasta fritta.
Alla fine porgemmo la nostra di torta che facemmo il doppio bis, poiché non avevamo mangiato nulla.
Dopo il caffè non gradii e il limoncello che mi aveva fatto girare la testa, c'eravamo spostati nel salotto. Io e Cristal eravamo sedute dritte come due statue sul divano e la strega su una sedia, con le gambe rivolte verso sinistra. In mano aveva una tazza di the.
I sui figli, che sarebbero i nostri accompagnatori, erano svaniti nel nulla. Avevo paura.
-Bene-,iniziò a dire la strega.
Cristal mi guardò.
I nostri sguardi erano complici.
-Quanti anni avete?-Chiese, appoggiò la tazza su un comodino, dove c’era posta una lampada.
-25.- Rispose Cristal più educatamente possibile.
-E lei?- Riferendosi a me.
-24.- La schiena m’iniziò a dolere.
-Titolo di studio?-
Oddio qua mi sembrava un interrogatorio!
-Diploma in ragioneria, signora.-Rispose la mia amica fiera di quel diploma, la strega contraccambiò la risposta.
-I tuoi genitori lavorano?-Le disse, lei rispose con un sorriso.
-Mia madre fa la casalinga e mio padre è direttore di banca.-Comunicò, mentre mi stringeva la mano.
-E lei?Di ciò che mi ha detto mio figlio suo padre è un comune operaio?-Riferendosi a me. Ma che cazzo voleva?
-Ha qualcosa contrario con gli operai, signora?-La mia boccaccia si aprì da sola. La vidi innervosirsi.
-Nulla-,disse lei sbrigativa, notai una ruga dissapore sul suo viso. Alla fine si alzò e raggiunge la cucina, dove pone la sua tazza. Mi sembrò che quel gesto servì per calmarsi.
-Potevi evitare di parlare in quella maniera-, mi rimproverò la mia amica, lo sapevo, ma non c'avevo pensato tanto.
-Se solo sapesse che avevo solo la terza media mi …- non completai la frase, che la vidi di fronte a noi, con due occhi sgranati e furiosi.
-C’è qualcosa che non va?-Domandò Cristal alzandosi dal suo posto.
-Fuori da casa mia!-Disse all’improvviso.
Sgranai gli occhi per l’affermazione.
Che le era preso?
-Come prego?-Domandai.
-Fuori da casa mia, ignorante!-Sputò con disprezzo.
-Ignorante a chi? Come si permette di parlarmi in questo modo?- esclamai nervosa, ma chi diavolo si credeva di essere quella la?
-Fuori, non voglio avere gente come te in casa mia e soprattutto intorno ai miei figli. Non ti azzardare a mettere le mani su mio figlio, gente così deve essere solo disprezzata, perché non hanno un ruolo nella vita. Poveri!- Ringhiò come una tigre.
-Lei è del tutto fuori di se. Non le ho mancato di rispetto. Non posso farci nulla se i miei sono umili operai, ma almeno hanno un lavoro fisso. Lei sta dicendo un sacco di stupidaggine, mi fa capire che lei è una donna snob, signora Pibo.- Commentai fredda.
-Jessy meglio non peggiorare la situazione.- Mi prese da parte Cristal.
A quelle voci i ragazzi si avvicinarono e chiesero il motivo di tale putiferio.
La donna iniziò a mettere in scena una recita perfetta, dichiarò che l'avevo offesa e che non gradiva la nostra ospitalità. A questo punto capii che quella donna era solo una stronza, come da normale copione i suoi familiari credevano a lei, reputandomi senza educazione. Daniele mi guardò con due occhi oscuri, mi sembrò di aver perso la sua stima.
-Ragazze andiamo via.-Federico ci portò via, entrammo in macchina e partimmo. In auto c’era silenzio e nessuno osava dire qualcosa. Mi sentii umiliata.
-Jessica è vero quello che ha detto mia madre?-Chiese il ragazzo, mentre guidava.
-Presumo che tu creda a tua madre, ma io non ho detto nulla di ciò che lei ha dichiarato. Ho pure la testimonianza della ragazza che hai accanto.- Lui si voltò verso Cristal e poi ritornò a guardare la strada.
-Ti prego di non dare peso alle sue parole. Ho sempre creduto che fosse una attrice perfetta. Non è la prima volta che fa una sceneggiata simile, ma puntualmente mio fratello crede a lei...- Dichiarò arrabbiato.
-Perché si comporta in questa maniera? Le piace vedere le reazioni delle persone che soffrono?-Affermò Cristal.
-E’ una donna sadica. Non le permetterò di continuare questa commedia. In casa non ne possiamo più.-
-Spero solo che mio fratello si accorga del vero aspetto di mia madre e che non ti lasci, ne sarebbe capace. Sei una ragazza per bene… perdonalo se puoi. Purtroppo la donna che ho come madre è una brava burattinaia.- Terminò.
Lo sapevo. I guai presto o tardi mi avrebbero staccato il cuore dal petto.
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Salve. Ritorno anche con anticipo.
Allora avete finito di leggere, se siete giunti fino a qui, dico di sì.
Capitolo pieno di vicende, io sto morendo dal ridere, anche se c’è una parte che sta ribollendo di rabbia!Dannata strega!
Non vi preoccupate le cose ancora devono peggiorare.
Ahimè, povera ragazza.
Spero che vi sia piaciuto.
Alla prossima.
Heart
 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Nell'occhio del ciclone ***


12

“Nell'occhio del ciclone”

 

 

Mi sentivo fuori posto.

Quella casa mi sembrava che mi stringesse. Respiravo male e gli occhi erano annebbiati da troppo odio, sentimento.

Mi sentivo soffocare e ci stavo male. Non badavo alle mie sensazioni, volevo che lui capisse che c'ero anch'io, che la colpa non era tutta mia. Ma persi.

Il mare mi travolse.

  

 

 

Le campane rintoccavano le sedici in punto. Il mio passo era cadente e perfetto, con le auricolari alle orecchie, camminavo per le vie del mondo.

I capelli alzati per il caldo. Non mi andava proprio, ma mi ero fatta forza per continuare a vivere. Cristal mi aspettava a casa sua, dopo dieci minuti arrivai a destinazione. Il tempo di fare le scale e me la ritrovai di fronte.

Mi abbracciò.

-Come va?-Mi chiese, io non le davo nemmeno conto, mi girai e posai la borsa e il telefono e poi mi buttai a peso morto sul divano.

-Per te come sto? Ho voglia di distruggere il mondo!-Affermai con decisione.

-Non abbatterti, si è capito che quella lì è una strega. Jessy tu sei più forte di lei. Hai affrontato tante di quelle difficoltà che questa riuscirai a dimenticarla-, mi disse lei. Ma non sa che nel mio cuore si era aperta una ferita. Era state poche le volte che mi ero aperta, e alla fine cosa avevo ricevuto? Ogni volta una pugnalata.

Forse era meglio rimanere restia all'amore. Amare si, ma se stessi. Le persone che contraccambiano.

Non era la stessa cosa?

-Hai sentito le parole di Federico, no? Lo fa con tutte.-Ribadii le parole del ragazzo.

Due fratelli così uguali, ma nello stesso tempo diversi.

Credevo che Daniele fosse quello giusto, all'inizio sembrava quel principe azzurro che tanto cercavo, adesso mi sembrava che aveva lasciato quelle veste, per ricoprire quello del cattivo.

Forse non l'ho osservato attentamente, mi ero fatta ingannare dal suo sorriso. Che stupida.

Mai fidarsi di nessuno.

Il pomeriggio passò con le chiacchiere di Cristal e con il tempo che avevamo sprecato quando eravamo divise, preparammo qualcosa per la cena, poiché rimasi da lei. I suoi erano partiti, che bella vita.

Potevamo fare ciò che volevamo, anche camminare nude per casa, ma forse era meglio di no.

Dopo cena ci sistemammo in soggiorno per vederci qualche bel film, alla fine ci addormentammo come due bambine. All'improvviso sentimmo una vibrazione, aprimmo gli occhi per vedere chi potesse essere ed era... Indovinate? Da una parte Federico e dall'altra Daniele. Cristal rispose subito, invece io lo lasciai marcire il telefono lì.

Non avevo più intenzione di vederlo, lui aveva chiuso con me.

Cristal si spostò in bagno per parlare al telefono, ma sentivo i loro discorsi. Stavano parlando di me, e del mio rifiuto di parlare con quello lì.

Mi alzai e andai di sopra a prendere l'acqua. Erano le undici di sera, credevo che fosse più tardi. Le stelle brillavano nel cielo, sarebbe stato bello vederle in spiaggia, con le luci spente ...e avere qualcuno accanto che ti accompagnava.

Era solo un sogno, smettila di farlo Jessy! Vivili nel tuo mondo. Una lacrima mi scese dagli occhi, perché ero così sfortunata? Forse non meritavo di amare, o essere amata? Accidenti!

-Ma dov'eri finita?-Mi rimproverò Cristal.

-A prendere aria.- Mormorai, tentando di calmarmi.

Avevo capito, l'amore non faceva per me.

-Comunque domani andiamo al mare? Sempre se non piove?-Mi domandò, dissi di si, senza riflettere.

-Devo passare da casa per prendere il costume e la tovaglia. Ma scusa con quale macchina ci dobbiamo andare?-Domandai.

-Con la Panda, se poi vorresti andarci con l'autobus accomodati.-Mi comunicò, la vedi girarsi sorridendo. Boh chissà che le era preso.

Ce ne andammo a letto, solo lei, perchè io mi rifugiai sul divano.

Chiusi gli occhi e mi ritornò in mente quella scena.

Quella dannata mi aveva messo in ridicolo, maledetta. Semmai l’avessi dovuto avere di nuovo in faccia, non mi sarei fatta ingannare questa volta. Non le avrei permesso di mettermi i piedi in testa.

 

 

 

 

Il mare era uno spettacolo. Non c'era nemmeno un onda e poi l'acqua era cristallina.

Eravamo ancora agli inizi di Giugno, ma già la natura ci regalava tanto splendore. Gettammo le borse e iniziammo a farci mille foto per ricordare quei momenti indimenticabili. Dopo aver steso le tovaglie e spalmato tre chili di crema per non scottarci, ci mettemmo a prendere il sole. Quest'anno volevo essere nera.

Mi sembrava un sogno, era così rilassante!

Mi assopii inconsapevolmente e mi sentii in pace con il mondo.

Alla fine mi risvegliai sudata e bruciante, e mi buttai a mare, l'acqua era gelata. La mia amica mi raggiunse un momento dopo, e iniziamo a giocare come due bambine, alla fine ci tuffammo.

La pelle brillava sotto i riflessi del sole, i piedi lasciavano un impronta sulla sabbia bagnata. Il vento asciugava i capelli bagnati, mi sentivo in estate. Nel cielo non c'era una nuvola, l'azzurro mi metteva di buon umore.

Mi persi nei miei pensieri e quando ritornammo, dove avevamo lasciato le nostre cose ci ritroviamo due ospiti.

Il mio cuore smise di battere e si pietrificò, invece la persona accanto a me, si slanciò e si buttò tra le braccia del ragazzo. Occhi dentro occhi.

Non riuscii a leggerli, mi sembrava che eravamo due sconosciuti. In effetti era così, ma mi sembrava che fossimo qualcosa di più. Mi ero sbagliata alla grande, non era il ragazzo per me. Se prima mi sembrava che mi avrebbe potuto proteggere, adesso lo mettevo in serio dubbio.

-Ciao.- Dissi fredda.

-Ciao.- Rispose lui. Si grattò la testa per il nervosismo. Non mi faceva né caldo, né freddo, glielo vorrei dire, ma rimasi in silenzio. Non sarei stata io a scusarmi. Io non avevo colpa, solo una, di essermi fidata di una persona così.

M'incamminai verso il mio asciugamano, ma lui mi bloccò.

-Che vuoi?-Domandai. Non ero un oggetto, ne tantomeno un essere senza cuore.

Se nessuno mi poteva fare felice, me l’avrei costruito da sola la mia felicità.

-Scusa. Quella sera mi sono comportato male. Non volevo accusarti-, blaterò.

-Non volevi? Invece lo hai fatto! Mi dispiace gli errori si pagano!- Gli risposi acida.

-Fammi spiegare, ti prego.-Mi supplicò.

-Le suppliche usale in chiesa non con me. Hai dato ragione a tua madre, non metto in dubbio che avresti creduto a lei, ma almeno potevi chiedermi che cosa era successo. Invece hai solo ascoltato lei e a me hai fatto indossare le vesti più disonorevoli. Adesso scusa, ma non ho nessuna intenzione di darti il permesso di offendermi, ascoltala, vivi alle sue regole e ti ritroverai con un pugno di mosche in mano. Ciao!- Gli buttai tutto in faccia, senza avere peli sulla bocca. Non ero mai stata così diplomatica in vita mia. Ci c’erano persone che era meglio non avere a che fare.

-Aspetta Jessica, se mi dai il tempo di parlare. Mi dispiace, te lo dico col il cuore. Ho dato fin troppo campo a mia madre, mi ha controllato da quando sono nato. Ho capito i miei errori, permettermi di aggiustare le cose, io ci tengo a te.- Confessò dispiaciuto.

-Ascoltalo, è davvero dispiaciuto-, intromise Federico, dando man forte a suo fratello.

Perchè adesso mi ritrovavo sola? Tutti contro di me? Perchè non mi fidavo di quelle sue parole? Perchè non volevo crederci? Che dovevo fare?

-Ci devo pensare.-Borbottai confusa. Non potevo scegliere con tutte quelle persone, avevo bisogno di tranquillità.

-Ok, prenditi tutto il tempo. Io vado ciao.- Si allontanò e poi sparì dalla nostra visuale, mi girai verso la mia amica, che si baciava con Federico, da quando quei due stavano assieme?

Mi sembrava di vivere in un altro mondo forse era così.

 

 

 

Quanto tempo era passato da quella mattina? Una settimana? Mi sembrava che fosse ieri. Era stata una dura settimana, erano successe tante cose. I miei si erano separati definitivamente, tanti mi odieranno, ma non potevo farci nulla. Gli errori si pagavano e io le pagherò. Nessuno ne era uscito vincitore, ma tutti sconfitti. Il matrimonio era un qualcosa di sacro e quando avvengono queste cose, ti senti un rifiuto. Non lo vivevo in prima persona, infine ero sempre una figlia, ma come tale dovevo vedere i miei genitori dividersi, ma in fondo c'era bisogno di questa cosa. Non riuscivamo più a sorridere, le menzogne erano all'ordine del giorno, la fiducia si era fatta le valigie ed era scomparsa, ma la cosa più importante, l'amore era evaporato.

In un rapporto se non c'era l'amore, la fiducia e la sincerità, che cos'era? Meglio dirsi addio che vivere una vita incompleta.

Forse ero troppo piccola per dire una cosa del genere. Ero immatura.

Comunque alla fine mi ero decisa ad uscire, il mio sorriso era sempre sulle labbra. Parlavo, chiacchieravo...vivevo un mondo pieno di odio, più di crearmi uno scudo non potevo fare. Dovevo proteggermi, perchè tutti erano pronti a pugnalarti alle spalle.

Crystal era appena arrivata con Federico, oramai si era capito che stavano insieme.

Ero felice, speravo solo che quella strega non le faceva passare dei guai.

Ad un tratto mi sentii afferrata e poi sentii uno schiocco sulla guancia, mi voltai e mi ritrovai Daniele a pochi centimetri da me. Questo qua, quando era arrivato?

Mi spostai per mettere distanza tra di noi, ancora non avevo preso una decisione, dopotutto non era una cosa da poco.

Lui mi sorrise, e poi si mise a parlare con il fratello. Li avevamo accolti bene nel nostro gruppo, ormai erano di famiglia.

Mi sembrava che mancasse qualcosa, ma non riescii a capire che cosa poteva essere. Mi sentii così disorientata, era un periodo strano. Mi sentivo galleggiare, la testa mi girava. Un attimo dopo non sentii più il mio corpo.

Mi ritrovai su una superficie dura e rude. Avevo un sacco di gente intorno, mi chiedevano che cosa era successo, ma se nemmeno io lo sapevo. Tutto diventò nero e mi sentii inghiottita dal male.

 

 

 

 

 

 

 

Mi sentivo fuori posto.

Quella casa mi sembrava che mi stringesse. Respiravo male e gli occhi erano annebbiati da troppo odio, risentimento.

Mi sentivo soffocare e ci stavo. Non badavo alle mie sensazioni, volevo che lui capisse che c'ero anch'io, che la colpa non era tutta mia. Ma persi.

Il mare mi travolse.

 

 

 

Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in una stanza bianca. Ero distesa in un letto d'ospedale. Mi chiesi come ci fossi arrivata, e perchè ero lì.

-Buongiorno. Come sta?- Mi chiese una donna con il camice bianco. Era giovane, forse appena uscita dall'università. Cercai di parlare, ma la gola era secca.

-Tenga, ma beva a piccoli sorsi.- Mi disse, gentilmente.

Non protestai, poco a poco ripresi la funzione di parlare.

-Allora?- La vidi sedersi accanto a me e guardare la mia scheda.

-Di quello che hanno raccontato i ragazzi fuori, è svenuta. E' stata incosciente per un bel po' di tempo. Credo che la causa sia lo stress. -Mormorò diligentemente.

-Già-, dissi finalmente.

In realtà avevo pochi ricordi di quell'attimo, sapevo solo che mi sentivo pesante e poi quel buio.

-Sente dolore da qualche parte?-Domandò professionalmente.

-No. -

-Ok. Credo che nel primo pomeriggio può uscire, chiamo i suoi amici, sono stati piuttosto preoccupati. -Dicendo questo, scomparve e poi mi ritrovai sei occhi addosso.

-Jessy come stai? Mi hai fatto venire un infarto! Maledetta, la prossima volta avvisami.- Mi rimproverò Cristal. Ma scusa che colpa ne avevo io? Mica l’ho fatto di proposito?

-Credo che alla fine si è risolto tutto nei migliore dei modi. Jessica, mio fratello stava morendo di crepa cuore, di quanto era in ansia-, affermò Federico e Daniele lo strattonò, aveva le guance rosate, non e che si era imbarazzato? Poi i suoi occhi mi fissavano, e avvertii un brivido che mi corse per tutta la schiena, che cosa significa questo segno? Non ero una veggente e il futuro non lo prevenivo, se dovevo soffrire che sia. Gli volevo dare una seconda possibilità, sperai che non mi deluda.

Alla fine accettai per la seconda volta di essere la sua ragazza.

 

 

 

 

 

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Perchè mi ritrovo in quelle condizioni? In questi ultimi giorni, mi sembrava che avevo perso una parte fondamentale di me stessa. Non sorridevo più per quella convinzione, mi sembrava che tutta quella messa scena tra breve si sarebbe conclusa nei peggiori dei modi. Le sue braccia mi sembravano che pungessero, le sue labbra mi davano fastidio. Forse avevo sbagliato, forse dovevo dire no. Mi ero fatta prendere la mano. Credevo di saper decidere, invece ero come tutte le altre. Non era brutto, ma aveva qualcosa che mi turbava.

Lo strinsi per paura di cadere. La moto rombava, girava una curva a tutta velocità, sapendo che c’erano dei limiti. Vedevo Federico e Cristal dietro di noi, dallo specchietto.

Il freddo mi entrava nelle ossa. Avevo paura.

 

Il pensiero di soffrire mi faceva chiudere lo stomaco, da quanto stavo con lui avevo perso due chili. Non era una cosa normale, di solito quando si trovava un ragazzo che ti riempe di attenzione se ne prendono, ma qua, mi provocano la sensazione inversa.

Eravamo in un ristorante .Gli altri stavano ordinando pietanze costose invece io solo un’insalata, era l'unica cosa che mangiavo negli ultimi tempi.

Quell'angoscia non mi voleva abbandonare, ogni volta che lui fissava un'altra ragazza scattavo e mi sentivo gelosa, forse avevo qualcosa che non andava. Era la mia prima esperienza, purtroppo non avevo mai avuto un ragazzo prima d'ora. Si, forse era la poca esperienza a provocarmi il tutto. Cercai di sorridere e di vivere quei momenti, senza badare alle sensazioni negative. Dovevo vivere, e se non riuscivo, mi sarei costretta a farlo. Quel primo mese passò velocemente, mi ero affezionata a Daniele, diciamo che le divergenze tra di noi si erano temporaneamente finite, ma mai dire mai. Comunque la nostra vita da coppia funzionava, lui mi trattava bene, il più delle volte mi baciava a sorpresa, facendomi trovare impreparata... fino a che, una sera decidemmo di passarla in spiaggia. Un campeggio alle rive del mare. La serata era splendida, il cielo era ricoperto di stelle e c'era una bellissima luna piena, mi sentivo a casa. La sua luce mi riscaldava e per un momento non mi sentivo così sola, purtroppo la vicinanza di Daniele non aveva riempito quel vuoto che avevo dentro di me. Montammo tutto e poi mangiammo la pizza, avremo dovuto arrostire, ma era vietato.

Finita la cena iniziammo a raccontare storie da paura, Federico sembrava portato per quelle cose. C'era Crystal che tremava come una matta, invece io cercavo di stare calma, ne avevo anch'io, ma non volevo risultare immatura, anche se non c'era nulla di vergognarsi. Alla fine ci rifuggiamo nelle nostre tende, io con Daniele e Crystal con Federico.

Non riuscivo a dormire, aprii così gli occhi e mi ritrovai a fissare due occhi verdi. Daniele mi osservava in silenzio, alla fine si decise di aprire la bocca.

-Non riesci a dormire?-Chiese, mentre alzava la mano per appoggiarla sulla mia guancia.

Dissi di si con la testa e lui sorrise.

-Non ti preoccupare non ti può succedere nulla-, borbottò. Si fece più vicino e sfiorò le mie labbra. In quel momento avrei voluto un abbraccio, ma lui cercò qualcos'altro. Infatti il bacio era diventato più profondo, mi sembrava che ci fosse un condizionatore di quanto sentivo freddo. Il cuore mi batteva forte, mi sentivo male, mi veniva da piangere. Le mie reazioni erano strane, volevo fuggire da quelle labbra.

Mi staccai da lui, quando sentii le sue mani appoggiarsi sulle mie gambe, non ero pronta per quel passo, non sapevo nemmeno cosa provavo per lui, realmente.

Mi sembrava che fosse rimasto male per quel rifiuto, ma non potevo farci nulla. Se non me la sentivo non andavo oltre. Uscii fuori dalla tenda e rimasi fuori fino all'alba, Daniele non mi seguii e nemmeno mi parlò. Ritornai a casa spaventata e delusa, alla fine avevo ragione, non era fatto per me.

Giunti a casa mi buttai sul letto e piansi, mi chiesi il perchè. La risposta l’avevo a portata di mano, ma non la capii in quel momento, non era giunto il momento.

 

La settimana passò velocemente, non era stata colpa mia se non mi ero fatta sentire, perchè nella mia famiglia stava passando un momento buio, ero divisa in tre e quando ritornavo a casa ero distrutta. La cosa buffa era che lui non mi aveva mai richiamato, nemmeno un SMS, che razza di ragazzo era? La mia conclusione che lui voleva solo una cosa. Lo lasciai perdere e cercai di vivere la mia vita, se lui non si faceva vivo perchè dovevo farlo io? Il venerdì si presentò sotto casa mia, la vergogna di averlo sotto casa era immensa, mia madre mi aveva fatto la testa enorme al mio ritorno, dicendomi che finalmente avevo un ragazzo e bla, bla.

-Ciao, scusa se non mi sono fatto sentire, ma mi serviva il tempo di pensare.-Aveva detto.

-Va bene. Per pensare cosa?-Chiesi.

-A noi. Quella sera mi sono comportato male, ho approfittato della tua fragilità, non eri pronta per quel passo.- Si scusò. Lo lasciai continuare, dove chiedeva fiducia, ma come potevo farlo se ero in dubbio. Perchè se qualcuno fa una determinata cosa, la può rifarla di nuovo. Non volevo soffrire, non mi volevo bruciare.

 

Ci chiarimmo e ritornammo di nuovo insieme, ma il nostro legame era precario e questo si notava. La ciliegina sulla torta fu un pomeriggio, Federico chiese a Crystal di portarle la sua maglietta a casa sua, aveva detto che sua madre non ci sarebbe stata. Un'amica si aiuta, e così feci. Ci andai anch'io, sapendo che mi ero promessa che non avrei più varcata quella porta. Ad aprirci fu la loro piccola sorellina, che quando mi vide mi abbracciò e mi chiese di giocare insieme, ma le dissi che eravamo solo di passaggio.

Il nostro soggiorno fu più lungo del previsto, purtroppo le cose non andarono come speravo, perchè nel mezzo della conversazione arrivò la strega. La cosiddetta madre era piena di sacchetti, credevo che non facesse questi umili lavori.

Ci guardò con due occhi di fuoco, sopratutto me.

Ma fece una cosa inaspettata, ci salutò.

-Vi fermate a cena?- Domandò. Avevo l'intenzione di dire di no, ma Crystal mi disse che forse era un modo per riappacificarsi. Acconsentimmo e ci sedemmo, la piccola di casa ci fece mille feste e mi divertii. All'ora di cena, la strega iniziò a rovistare in cucina, cosa strana, se fosse stato per me, sarei stata li davanti già da un ora, mah.

Dopo che la strega finì di cucinare, troppo velocemente, Io e Crystal ci guardammo negli occhi. Di sicuro si trattava di cibi già precotti, perchè era impossibile fare una cena in dieci minuti, ci avviammo verso la sala a prendere i piatti e metterli sul tavolo. Ci ritrovammo con una pentola grossa sul tavolo, con del sugo che usciva dai suoi bordi...chissà che cosa c'era al suo interno? Forse una bomba? Arrivarono tutti, i nostri rispettivi ragazzi sorpresi di trovarci lì, guardarono la madre e poi noi, eravamo ancora vive perlomeno.

La signora madre, impattò i piatti. Sembravano delle normalissime polpette con la salsa, ma c'era qualcosa che non andava e lo notò anche la mia amica.

Guardammo il piatto con attenzione, esaminando ogni particolare. Gli altri avevano iniziato a mangiarlo, anche se la piccola faceva facce disgustate.

Alla fine Crystal decise di chiederlo.

-Mi scusi, che cosa sono?-Domandò più gentile possibile. Tutti gli occhi la fissarono, come se avesse commesso un crimine dirlo.

-Polpette d'orgasmo!- Sentenziò.

Per poco non vomitavo ciò che avevo ingerito.

-Prego?-formulò Crystal sconcertata.

Che cosa?!

Ble!

Cercai di non vomitare, questa era una pazza.

-E' una ricetta nuova, la trovo sublime.-Sorrise la strega. Questa donna aveva dei problemi.

Cercavo un pretesto per andarmene, proprio in quel momento mi squillò il telefono, ringraziai tutti gli dei del mondo. Quando finii di parlare al telefono dissi, che dovevo ritornare subito a casa. Crystal fu sollevata, salutammo tutti è fuggimmo a tutto gas, ci fermammo per strada a vomitare.

-Io non ci metto più piede, lo giuro. Quelli sono tutti dei pazzi!-Urlò schifata.

-Lo avevo detto e lo ribadisco, per me possono morire. Ma poi che bel nome. “Polpette d'orgasmo”! Che schifo!!!-esclamai, mentre ci rimettevamo in viaggio, una serata indimenticabile.


 

 

 

 

Erano passati tre giorni da quella serata. Io e Crystal avevamo iniziato a costruire parodie sulla strega. Ci chiedevamo come facessero quei poveri ragazzi a stare con lei, e poi suo marito? Mi sembrava assurdo che mangiavano quelle porcherie, di sicuro se li avessimo invitati noi, avrebbero preso dei chili solo con un piatto di pasta.

I nostri piatti non consistevano con di due tortellini, ma mezzo chilo di pasta.

Eravamo diversi.

Crystal aveva fatto i conoscere ai suoi genitori Federico e devo dire che per la prima volta suo padre era stato socievole, non aveva ucciso nessuno. Lo aveva preso a cuore. Invece per me non era stata una passeggiata, tutti lo volevo conoscere, ma ancora non mi sentivo pronta.

Dopo tutti questi rituali tra feste e mangiate, come se ci fosse un matrimonio nelle vicinanze, arrivò l'agognata estate. Io purtroppo mi ero iscritta in un gruppo di volontariato e pressoché tutti i giorni non c'ero, la sera ritornavo esaurita.

E questo aveva pesato sul rapporto con Daniele, lui mi voleva tutta per sè ma come fare? Il sabato e la domenica giungevano al termine troppe velocemente e non avevo il tempo di riposarmi.

Alla fine giunse le battute finali.

Ero appena ritornata da una gita, i bambini mi avevano distrutto, ma almeno ero felice.

Essere d'aiuto ti faceva sentire realizzata. Ero appena tornata a casa e mi ritrovai Daniele dinanzi al cancello.

Lo salutai e mi apprestai ad avvicinarmi a lui. Lui mi sembrava molto freddo e non capivo il motivo. Mi chiese di fare quattro passi e dissi di si, ma prima volevo farmi una doccia e cambiarmi. In quel lasso di tempo mi sentii osservata, una sensazione che non mi si toglieva d'addosso, alla fine uscimmo.

Chiese che cosa aveva, ma lui non mi rispondeva.

Alla fine attaccai io.

-Allora? Che cos'è questo muso lungo?-Iniziai, il vento mi scompigliava i capelli ancora umidi.

-Dove sei stata?-Chiese freddo.

-Te l’ho detto sono andata in gita con i bambini- risposi sincera.

-Non mentirmi, ho visto una foto su facebook dove ti ritraeva con un ragazzo!-Lo disse con rabbia. Era geloso?

-E' un mio amico, collega di lavoro. Un selfie non è una cosa grave.- Dissi, mentre mi giravo a guardarlo negli occhi.

-Non mentirmi! Se fosse stato un amico non lo avresti fatto, io sono geloso, tu sei mia!- Lo disse con un tono di voce che non mi piaceva per niente.

-In verità non sono tua e di nessun altro. Io vivo la mia vita come voglio e senza restrizione da parte di nessuno. Voglio vivere la mia gioventù e non rimanere a casa perchè tu sei geloso. E poi lo dovrei essere io che si lamenta, visto che, sei il primo a fissare un altra ragazza che non sono io? Ti sembra che non lo vedo? Ti senti diverso? Mi dispiace, ma sei uguale a me.- Gli buttai in faccia.

-Tu, devi fare come dico io!-Iniziò a dire, prendendomi le mani e stringendomeli con forza.

-Mi fai male, calmati.- Gli dissi, ma lui non mi rispose. Vidi una scintilla di rabbia nei suoi occhi e mi terrorizzò.

-Tu sei mia, io ti voglio!-Urlò. Alcuni passanti si voltano si voltarono verso di noi, mi sembrò di cadere all'indietro.

-Te l’ho detto che io non sono di nessuno. Tutta questa sceneggiata è solo perchè non sono venuta a letto con te? Fottiti, non sono una di quelle che si concede al primo appuntamento, non amo il rischio come te. Io sono una per bene, che lo fa per amore, non per divertirsi e credo che lo dovevi capire quando ci siamo parlati. Ma tu non mi hai ascoltato!-Glielo rinfacciai con durezza.

-Ti ho sempre desiderato, ma tu ti sei sempre nascosta. Con gli altri non fai così- ribatte, mentre cercava di baciarmi.

-Nascosta perchè avevo paura, mi ha sempre mandato strani messaggi. Daniele noi due non siamo fatti per stare insieme....addio!- Urlai mentre le lacrime mi scendevano sul viso.

-Io ti amo!-Urlò lui.

- Di un amore possessivo non me ne faccio nulla. L'amore è sincerità, unione un filo che lega due anime in una, e noi non siamo nulla di questo.- Confessai.

-Mi hai mentito per tutto questo tempo, ho sprecato tutto per te. Aveva ragione mia madre, sei inutile essere umano, dovresti morire. - Me lo schiaffeggiò in faccia, ferendomi. Ma annegai il mio dolore nel profondo del mio essere, indietreggiai per paura di essere ripresa, sembrava che tutto stesse finendo...quando arrivò qualcosa di doloroso sul viso, aprii di scatto gli occhi. Mi aveva schiaffeggiato. Sentivo la guancia dolere.

-Non mi toccare! Sei uno squilibrato mentale, non ti voglio più vedere. Se io dovrei morire, allora tu non dovresti esistere!- Scappai di corsa, senza girarmi per un secondo. Ero stata ferita e mi sentivo debole, mai nessuno mi aveva picchiato nemmeno mio padre. Mi asciugai le lacrime prima di arrivare a casa, sciolsi i capelli per non far vedere quella macchia rossa.

 

Due ore dopo ero nel letto con il cuscino zuppo di lacrime. Non c'era nessuno a casa, e liberamente scesi di sotto per guardarmi allo specchio, trovai un livido in quel punto, lo aveva fatto con rabbia e violenza. Ora capivo tutto, il mio istinto mi aveva avvisato e io non lo avevo dato conto, ora pagavo le conseguenze. Avrei chiuso il mio cuore per sempre e mai nessuno lo avrebbe più riaperto.

 

Le ferite dell'anima sono più lente a guarire.

 

 

 

 

Fine prima parte.

 

 

 

 

Buongiorno a tutti, dopo due settimane o forse di più ritorno. Finalmente l'ho finito, mi sembrava eterno. Purtroppo mi sono bloccata a metà capitolo e non riuscivo più a continuarla, ma per fortuna sono qua. Un capitolo diciamo un poco strano, non so, forse perchè sono poco concentrata causa caldo. Mi sto sciogliendo.

Un capitolo che mi servirà per i prossimi, anche se ne farò uso solo nella terza parte.

Allora come vi è sembrato? Sono stata una bast**** a farlo così meschino, vero?

Si era capito che non lo potevo più vedere. Nel prossimo ci sarà un ritorno. Sono felice.

Spero che vi piaccia. Alla prossima

Heart


 


 


 


 

 

 

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Capitolo 12
*** Scisma ***


13.
“Scisma”

Inizio seconda parte

 

 

Che cosa era quella tristezza che sentivo intorno al mio cuore? Era una pena talmente forte che mi faceva star male. Il cuore tamburellava lentamente con il respiro accelerato.

Sentivo qualcosa scendere dal viso come se fossero lacrime, ma io non stavo piangendo. La notte era profonda ad Osaka. Non c'era nemmeno una stella a illuminare il manto notturno. Si notavano solo le luci della città. Mi girai per guardare l'orologio e capii che erano le due di notte. Solo tre ore fa avevo salutato i miei nonni per coricarmi, tra breve sarai ritornato in Italia, il mio soggiorno era concluso. Finalmente potevo usufruire di quelle ferie che avevo accumulato in tutti quegli anni, volevo visitare quella bellissima isola.

Mi voltai e, posizionando il cuscino mi riaddormentai.

Quella sensazione di dolore non mi lasciava andare, la sentivo presente come se fosse accanto a me. Alla fine stanco mi alzai per controllare in giro, ma niente. Alla fine riuscii a dormire.

-E' tutta colpa mia!-Il letto sobbalzò. Mi alzai di scatto allarmato, chi c'era con me? E perché non riuscivo ad accendere la luce? Alla fine presi coraggio e mi voltai verso sinistra, quel lato del letto era occupato da una sagoma scura, aveva lunghi capelli, ma forse era solo l'ombra del suo corpo. La testa reclinata all'interno del corpo tremante, sembrava una bambina dal modo in cui era fatta.

Cercai di guardarla o almeno identificarla, ma c'era una barriera come se non volesse essere scoperta. Sentivo i suoi singhiozzi diventare i miei. La sua paura e il dolore che divampava dal suo cuore. Le lacrime che scendevano copiose dal viso. Mi sentivo un pupazzo in balia delle correnti. Tale dolore mi schiaffeggiò a tal punto che mi ritrovai sul pavimento ansimante. Chi era e che cosa voleva da me? Ne ero sicuro era una donna ma chi? Mi sedetti sul pavimento e appoggiai la testa sulla gamba della sedia, la guardai intanto una strana sonnolenza mi pervase. Pian piano mi addormentai.

Al mattino mi ritrovai sul mio letto, con due cuscini sotto la testa. Mi alzai e mi stirai come un gatto. Mi lavai la faccia e alla fine mi guardai nello specchio.

Per un primo momento mi sembrava tutto normale, solo alla fine mi ricordai della strana scena della notte. Mi girai verso il letto ed era intatta quella parte. Come era possibile? Non e che io avevo sognato? Forse era solo frutto di qualche cosa? Non ci stavo capendo più nulla. La vita era realmente strana.

 

 

 

 

Il ritorno in Sicilia era traumatizzante per i miei nonni. Il loro unico nipote che se ne andava ancora, ma lo sapevano che ci sarei stato sempre per loro e poi potevano venire loro. Non era la prima volta, infatti in casa mia c'erano delle stanze per loro. L'abitazione era abbastanza grande per ospitare quattro coppie, l'avevo comprata apposta per questo. Chissà un giorno sarebbero stati riempiti dai miei figli, ma in un lontano futuro.

Fuori dall'aeroporto trovai un taxi che mi portò direttamente a casa mia, la mattina dopo sarei andato a lavoro per consegnare i diversi documenti. La casa sembrava vissuta, una donna di mia fiducia la teneva in ordine e riforniva di ogni cosa. Tuttavia mancava quel profumo tipico della famiglia. Dopo aver sistemato le valigie mi diedi una ripulita il caldo era troppo, il meteo diceva che avrebbe superato i 40°. L'estate oramai era giunta e non vedevo l'ora di tuffarmi al mare. Con questa idea cercai nei cassetti un costume e partii. Di Lunedì non ci sarebbe stata molta gente, perfetto per una nuotata veloce. Presi tutto il necessario andai verso il garage per afferrare le chiavi della macchina.

 

Il sole era cocente, fin da prima non ero riuscito a camminare sulla sabbia rovente, fortuna che indossavo le scarpe, senno avrei avuto i piedi come carboni ardenti.

Il mare era cristallino . Si vedevano in alcuni posti anche i pesci. Non persi tempo e mi gettai in acqua. C'era bassa marea e come tale, più andavo lontano e più si abbassava, certo fino a un certo punto. La natura era talmente strana. Mi sembrava di galleggiare tra le nuvole, non sentivo nient altro che il rumore del mare e basta.

Dopo un bel pezzo ritornai sul bagnasciuga, mi stesi sulla tovaglia e presi un poco di colore.

Mi addormentai fin quando non sentii qualcosa cadere sulla mia testa.

Mi alzai scocciato e mi ritrovai con due ragazze con due mini costumi. Più che altro erano nude, che giocavano a pallavolo. Una di loro mi sorrise e allungò la mano per riprendere la palla.

-Scusa se ti abbiamo disturbato, ma la palla è volata.- Si scusò.

-Non fa nulla, ma la prossima volta state attente dove la indirizzate.- Risposi gentilmente, come se non sapessi che l'avevano fatto di proposito. Mi sorrisero entrambe e poi si allontanarono, ancora con la mano alzata a mo' di saluto.

Donne!

Verso le dodici mi ritirai, non vorrei rimanere ustionato. Come primo sole era abbastanza e avanzava. Non ebbi nemmeno il tempo di fare le valigie che mi squillò il telefono. Lo cercai dentro i pantaloncini e risposi.

-Ehi amico sei uno di noi?-Mi chiese una voce maschile.

-Eh? Scusa con chi parlo?-Domandai.

-Su, Kaname non mi riconosci più? Il viaggio in Giappone ti ha fatto perdere la memoria?-Affermò ridendo.

-Se la finisci di fare il cascamorto ti chiudo la chiamata,-avendo capito di chi si trattasse. Mi venivano solo i brividi a pensare che quel ragazzo era gay, ma non per lui, ma per me. Io andavo a caccia di donne e lui di uomini, ma forse non ne era consapevole. Riassunsi la mia maschera di ghiaccio e respirai affondo.

-Scusa, amico. Ero un poco su di giri, mi hanno appena detto che sei ritornato.- Blaterò, sembrava che si fosse imbarazzato. Oh per tutti I Kami del cielo.

-Comunque che cosa mi volevi dire? -Lo fermai prima che se ne esciva con qualcosa di sconcio.

-Ah si. Stasera organizziamo una rimpatriata, sai da quando è iniziata l'estate ci siamo divisi un poco, anche perché ci sono state tante vacanze ed esami, un modo per stare tutti assieme e divertirci. Tu sei appena ritornato perché non invitarti? Ci vediamo “alla Spiaggetta” alle 22, spero che ci sei.- E chiuse la conversazione. Qualcuno mi uccida. Questo mi ha preso proprio, no! Io ero etero sessuale non sarei finito in quel girone, se lo sapesse la nonna le verrebbe un infarto con i fiocchi. Stai calmo Kaname e rilassati, per dimostrare che ero sano di mente quella sera avrei cercato qualcuno con cui sfogarmi, avrei fatto in quel modo.

 

 

“Spiaggetta ore 22:05”

Era una splendida serata con quel leggero venticello che ti scompigliava i capelli un poco umidi, posteggiai la macchina uno dei numerosi parcheggi e mi avviai sul marciapiede, Luca non mi aveva dato un posto indicato dove ci saremo riuniti, che sfigato!

Gironzolai per bancarelle, c'erano molte ragazze da adescare per una botta e via, ma era presto. La notte era giovane.

Alla fine li trovai erano alla fine della strada, c'erano quasi tutti, forse alcuni dovevano ancora arrivare.

Ci salutammo e iniziammo a parlare del più e del meno, compresi che la metà del gruppo erano stati ad Ibiza, invece gli altri erano rimasti qua per concludere gli esami universitari. Ci riunimmo al bar per ordinare qualcosa di fresco, optai per un sorbetto con del te.

Dovevo guidare non era opportuno bere.

A fine serata noi maschi ci dirigemmo verso la banchina per fumare, beh io non lo facevo, ma un poco di aria non mi dispiaceva. Sentii diversi discussioni e infine feci una domanda.

Non l'avevo vista, solo la sua amica che a quanto pare si era messa con un nuovo ragazzo che a parere mio erano perfetti. Molto simpatico e socievole.

-Non è voluta uscire, credo che stia ancora male per quel coglione!-Sputò Luca come se fosse arrabbiato. Di chi parlano?

-In effetti hai ragione, mai fidarsi della gente. E noi lo avevamo anche accettato nella comitiva, faccia tosta! Se lo avessi tra i piedi lo prenderei a schiaffi!-Borbottò un altro ragazzo.

Ero curioso di sapere di che cosa parlasse, ero estraneo a tutto.

-Di chi parlate?-Chiesi.

Loro mi guardarono e diventarono silenziosi.

-Nulla amico.- Disse veloce Luca. Ma nei suoi occhi aveva una strana luce inquietante, qua gatta ci cova.

-Jessica non è venuta? Manca solo lei, mi sarebbe piaciuto scherzare con lei, la trovo piuttosto simpatica come ragazza.- Confessai.

-Meglio che te la levi dalla testa amico, non so come ne uscirà dopo quello che ha passato. Povera anima non bastavano tutti gli eventi negativi anche questo!- S'incazzò Marco.

-Odio questi giri di parole, sputate il rospo. E' successo qualcosa? E' anche amica mia- come no? Comunque.

-Storia lunga. Abbiamo promesso di non dire nulla, le ferite sono ancora troppo aperte, se un giorno avrò tra le mani quel figlio di buona mamma lo uccido, nessuno tratta così una compagna!- Affermò con voce autoritaria.

Ero sicuro che fosse successo qualcosa, ma cosa?

Ritornammo dalle ragazze e continuammo a parlare dimenticando per un attimo la discussione di un attimo prima, qua c'era del bruciato e lo avrei scoperto, ma prima avrei calmato i miei bollenti spiriti. Dopo aver agguantato una ragazza la portai in un angolo ed ebbi un amplesso con lei. Non avevo nemmeno trovato gusto, perché? La lasciai sola e me ne ero andato. Mi sentivo strano, inquieto, il peggio ancora doveva arrivare.

 

 

 

 

 

 Note dell'autrice:

buongiorno ritorno dopo un bel pezzo.

Un capitolo corto a parere mio, ma non sono riuscita a farlo di più.

Lo detto e lo ripeto, sono negata a scrivere su voci maschili.

Nel prossimo spero di vivacizzare un poco, sembrava una monotonia perfetta.

Spero che almeno lo apprezziate, e aspetto le vostre opinioni.

Heart

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** La voce del destino ***


14

“La voce del destino”

 

 

 

 

 

 

 

-Kaname lo so che sei in casa, apri questa porta!-

Sbuffai.

Perchè tutti i deficienti li dovevo trovare io? Non mi bastava vivere in una città antiquata?

Sbuffai per una seconda volta e raccolsi da terra una paio di pantaloncini e una maglietta, con quel caldo non ero riuscito a starmene vestito, anche se l'aria condizionata era messa a tavoletta. Dopo essermi aggiustato aprii la porta.

Giorgio si presentava con una camicia di seta e un paio di jeans scoloriti, pettinatura da figo in carriera e gli occhiali Rayban indosso.

Mi sorrise.

-Alla buon'ora, lo so che sei in ferie, ma rispondere una delle mie numerose chiamate no?-Disse lui petulante. Non lo sopportavo.

Alzai gli occhi al cielo.

-Posso esserti d'aiuto?-Domandai con la voce più calma del mondo, anche se avevo voglia di prenderlo a schiaffi!

-Ti ho chiamato per invitarti a una festa. Sai tra pochi giorni è Ferragosto e come ogni anno si organizzano party. Mi sono detto perché non portarlo? Così almeno ti levi quella faccia depressa?-Ironizzò. Ma chi glielo aveva chiesto? Io stavo bene per conto mio, si. Poteva risultare che fossi diventato più apatico e poco socievole, ma volevo solo rilassarmi e non dare conto a tutti di ciò che facevo. Era un problema?

-Sembri un uomo di mezza età, guardati come ti sei ridotto. E' stata una donna a ridurti in questo stato?- Ipnotizzò con un gesto vago.

Ma quale donna e donna! Qua si parlava di altro. Da quando mi erano apparse quelle visioni o qualunque altra cosa non dormivo più. Ogni santa notte, alla stessa ora, qualcosa mi svegliava e mi ritrovavo un corpo piangente. Non sapevo chi potesse essere, era una donna, ma chi?

Mi rigirai e guardai l'orologio.

Erano le otto di sera. Il cielo si stava facendo buio, quanto mi piaceva Luglio, sembrava che la notte arrivava sempre in ritardo. Purtroppo quel mese era passato velocemente e Agosto stava per terminare.

Chiusi gli occhi e mi immersi nei miei pensieri.

-Dai, che ti costa uscire? L'estate è fatta per questo! Una bella scopata e una sbronza ti metteranno in carreggiata.- Disse lui allusivo, perché avevo un brutto presentimento? Comunque mi feci convincere e mi preparai.

Alle dieci eravamo pronti, prendemmo una sola macchina per non avere problemi con il posteggio.

Giunti a destinazione trovammo il caos. Iniziammo la serata con qualche drink leggero, per fortuna avevo messo qualcosa sotto i denti, sennò povero fegato.

Incontrammo Luca e gli altri, si stavano proprio divertendo. Notai che il mio amico gay stava filtrando con un suo coetaneo, lo abbracciava e lo sfiorava dalle mani, mi venne solo la pelle d'oca a guardarli.

Mi buttai nella mischia per ballare, meglio togliersi alcune immagini dalla testa. La musica era a palla, il dj ci incitava a cantare e, a scatenarci ancor di più. Sentii la vodka circolarmi nelle vene, per un attimo non capii dove mi trovavo, poi mi ritrovai con una ragazza tra le braccia, mentre le baciavo il collo. Mi appartai dietro un angolo poco frequentato e le toccai i seni e feci pressione per scostare quell'inutile vestito. Una botta e via. Mi sentivo felice, schizofrenico. Risi come una scimmia. Le immagini diventarono sbiadite e tutto infine si spese.

Se solo mia nonna mi vedesse in questo stato, mi prenderebbe a schiaffi.

Nel momento in cui mi risvegliai mi accorsi che mi trovavo sulla spiaggia. Il vento era forte e i granelli di sabbia si appiccicavano sul corpo, sentivo freddo e confuso, mi guardai in giro e mi accorsi con stupore che c'erano altri come me. Giorgio era accanto a me, con la testa su una delle mie gambe, ma non ero diventato cuscino. Lo scostai con poco delicatezza, e mi alzai, ma ricaddi per terra. Come mi ero ridotto? Il mare era mosso, si vedevano le onde infrangersi bruscamente sul bagnasciuga. Che ora erano? Il sole non era ancora sorto. Che serata frenetica.

Brancolai fino a trovare un equilibro precario, alzai con sforzo quell'imbecille e ci recammo verso l'auto. Non potevamo metterci alla guida nello stato che eravamo, l'unica opzione era di addormentarci e aspettare che la sbronza passasse.

Vomitai l'anima, e infine Morfeo mi catturò.

 

 

 

Mi ero accorto che l'alcool non mi faceva vedere quelle visioni, e così continuai per alcuni giorni con quel ritmo. Ogni santa notte bevevo e ri bevevo, sapevo che era sbagliato, ma volevo dormire sereno e non svegliarmi di punto e bianco.

Fu un giorno che il mio mondo cambiò, credevo, perché stava mutando già da un bel pezzo, ma non ne ero consapevole.

Io e Giorgio che ormai eravamo diventati inseparabili, ci apprestammo ad andare al mare. La notte prima avevamo rimorchiato due ragazze e adesso ci apprestavamo a tenerle con noi.

Il sole era cocente anche nel pomeriggio, tutti si stavamo organizzando per il 14, avrebbe fatto dei falò o delle mangiate.

Il divertimento era sempre dietro l'angolo, le ragazze erano fantastiche con quelle belle forme, i costumi striminziti. La sera stava calando, dovevamo prepararci per la cena, e nel momento in cui stavo depositando le borse in macchina mi passò un lampo rosso. Non c'era nessun temporale, una bici sfrecciò con velocità davanti a noi, tagliandoci la strada. Le ragazze gridarono contro quel squilibrato, ma non era un lui, ma una lei. Aveva i capelli appiccicati sulla fronte gli occhiali scuri. Si vedeva che era stanca per la corsa. La guardammo, una delle ragazze si avvicinò a lei e la prese a parole. La stava insultando nel migliore dei modi, ma lei non ci faceva caso, sembrava tutta di un pezzo.

La guardava con freddezza.

-Ma guardami quando ti parlo!-L'ammonì. Alzò la mano per colpirla, era davvero maleducata, ma lo schiaffo non giunse mai.

Caddero solo gli occhiali, scoprendola.

I suoi occhi mi rimasero in mente. Era lei.

-Non osarmi toccare! Non è stata colpa mia, se eri nella mia traiettoria. Quando si attraversa si deve vedere se sopraggiungono veicoli. !-Puntualizzò. Che caratterino, era migliorato in peggio.

-Io ti strozzo!-Si dimenò la ragazza, invece lei alzò le spalle.

-Magari un'altra volta, mettiti in fila, ci sono piuttosto parecchia gente che mi vuole uccidere. Ciao!-La salutò con le mani, con un gesto veloce riprese gli occhiali e sfuggì veloce come il vento. Allora era viva, stava bene, anche se c'era qualcosa che stonava. Chissà.

 

Il 14 era giunto in fretta, la mangiata era andata a buon fine e ora ci apprestavamo ad andare in spiaggia. C'era un caos. Tende montate, gente che beveva dalle bottiglie, la pazza gioia.

Presentai Luca a Giorgio e tutti i miei amici, lui si inserì bene come immaginavo. Il mare era calmo e il rumore della musica ci dava le note di sotto fondo. I lidi davano festa, la giornata che si sarebbe susseguita sarebbe stata abbastanza calda, da tramortire anche il vento del nord.

Il falò era grande e ampio. La legna bruciava e ci riscaldava anche se non ce n'era bisogno con lo scirocco, ma almeno ci faceva luce in quella tenebra.

 

Ci apprestammo a raccontare storie o fatti che c'erano accaduti.

Fino a che vidi due ombre avvicinarci.

Erano Crystal e Jessica.

L'amica la teneva tra le spalle, come se da un momento all'altro potesse cadere.

Lei guardava per terra, senza rimorso.

-Dai tesoro, fammi un sorriso. Ti ho fatto uscire per svagarti, rimanere con quei pazzi ti fa solo del male.- Disse lei, mentre cercava di tirarle il morale.

Come era possibile che il giorno prima era un uragano e adesso niente? Dov'era finita la sua forza di volontà?

-Jessy, dai vieni qui. Stiamo raccontando storie da paura!-La interpellò Luca.

-Non ne ho voglia.-Disse lei piano.

La sua bellissima voce era scomparsa.

-Non voglio sentirti dire queste cose, tu, adesso ti siedi accanto a me e ascolti.- Disse deciso Luca, la prese e se la portò accanto con volontà o meno. Ci sedemmo tutti a cerchio per poi iniziare a raccontare.

Tra urla e risate si fecero le quattro di notte.

-Ragazzi ve ne dovete andare?-Chiese lui.

-Io non ho problemi- Rispose Giorgio.

-Nemmeno per me.- Dissi.

Nessuno era intenzionato ad andarsene, così continuammo a parlare, l'alba giunse in fretta. Già dalla mattina sentivi la gente armarsi di pazienza per smantellare tutto ciò che avevano combinato nella notte, anche se c'erano anche coloro che dormivano. La notte di Ferragosto era uno squallido quadro di pazzia.

Decidemmo di andare a fare colazione, la sua voce era assente. Alle sette e mezza eravamo arrivati al bar, tutti scesero tranne lei. Crystal disse che si era addormentata, ma non se la sentiva di lasciarla sola. Mangiai con calma e poi andai verso la macchina, chiesi se potevo rimanere io a farle la guardia. Crystal era indecisa, ma poi acconsentì. Anche lei doveva mangiare.

Mi sedetti e la guardai. Aveva la testa sul cuscino della sedia. I capelli sparpagliati intorno. Le sue labbra era un rosa chiaro, piccole e fragile.

Sembrava una bambola di porcellana se non fosse per il respiro.

La sfiorai con delicatezza, il suo profumo era bellissimo. Non mi ero mai soffermato su questi particolari, per l'intera notte l'avevo osservata di nascosto, e mi ero accorto che non riuscivo a pensare a meno di lei. Volevo toglierle quel muso lungo e vederla sorridere. Mi mancava quella peperina che non riusciva mai a stare zitta, che litigavamo per ogni minima cosa. Come era possibile che parlassi in quella maniera? L'alcool era forse ancora in circolo? Sembrava talmente indifesa e piccola. Una voglia di abbracciarla e di non lasciarla mai più si impossessò di me.

Mi avvicinai alle sue labbra e cercai di fare più piano possibile, sentivo il suo respiro sulle mie labbra, c'ero quasi.

-Che diamine stai facendo!-Tuonò una voce dietro alle mie spalle.

Mi allontanai e guardai Crystal, aveva le mani sui fianchi e la sua furia sembrava implacabile.

-Non ti permetterò di ridurle il cuore a pezzi! Io la proteggerò!-

 

 

 

Note dell'autrice:

Alleluia. Sono ritornata.

Che ve ne pare? Poche pagine lo so, purtroppo non riesco a fare a meno, ma ho cercato di imprimere più cose possibile. Finalmente la rivediamo Jessy, e Kaname sembra più entusiasta.

Chissà che cosa combinerà. Non ve lo dico.

Alla prossima.

Heart

 

 

 

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Capitolo 14
*** Hope ***


15

“Hope”

 

 

L'acqua del mare era cristallina. Sembrava che fossimo ai Caraibi. La sabbia dorata, il mare calmo.

C'eravamo alzati presto quella mattina, oramai settembre era alle porte e questo voleva dire che la vita di ogni giorno stava per ricominciare. Addio vacanze.

Con pazienza avevamo organizzato una giornata al mare. Un mare da favola. Saremmo stati per cinque giorni fuori dal mondo, in assoluto relax.

Le isole Eiole ci ospitavano come stranieri.

La vegetazione era rigogliosa, la gente che l'abitava era cortese ed educata.

Non vedevo l'ora di tuffarmi. Dopotutto il caldo non ci aveva abbandonatati, forse solo per ventiquattr'ore, infatti la pioggia era caduta giù, bagnando il terreno.

Per giungere sull'isola avevamo preso un piccolo traghetto, purtroppo le macchine non erano riuscite ad entrare, e adesso eravamo pregati di camminare o a piedi o con le bici. Un angolo di paradiso ci avevano detto, e lo sarebbe stato.

La spiaggia era stracolma di gente, gente che stava in silenzio e che rideva piano, senza far discutere gli altri.

I miei amici facevano solo baldoria, non vorrei essere cacciato per brutta condotta.

Le ragazze si stavano preparando, chi metteva il telo sulla sabbia chi si spogliava. Il mio sguardo si posò su una certa ragazza, dai capelli legati. I suoi occhi erano fissi sull'orizzonte per un attimo mi sembrò di scorgere una strana malinconia. Li spostò per non essere contaminata, quella era del tutto pazza. L'avevano minacciata di venire con noi, dormiva ancora quando l'avevamo prelevata da casa. Il suo biglietto era stato pagato dall'amica. Come regalo? Comunque mi recai da Luca e degli altri, stavano studiando le rocce per i vari tuffi.

-Credo che da qui si possa fare. La roccia non è tanto umida. Chi si offre volontario?-Chiese Luca.

Nessuno fiatò. All'improvviso sentii qualcuno che mi spingeva e mi alzò la mano. Qualcuno me l'aveva fatta. Avanzai avanti e mi sporsi verso l'acqua.

-Stai attento, non vogliamo morti.- Rise Luca seguito dagli altri.

-Non ti preoccupare-, risi anch'io.

Calcolai la distanza e poi feci un lungo salto verso il vuoto. Era più o meno cinque metri di altezza, le ragazze urlarono, ma non sentii più nulla, un secondo dopo. L'acqua mi invase.

Tale pressione mi causò un poco di problemi, ma emersi vittorioso.

Alzai il braccio come segno di vittoria. Tutti ridevano, quando uscii mi ritrovai con due graffi sul petto. Una ragazza del nostro gruppo si avvicinò e mi esaminò.

-Dovremo disinfettarla, forse eri vicino a qualche altra roccia.- Mi prese dal polso e mi trascinò verso una tenda del pronto soccorso. Un infermiere mi guardò in tralice, ma dopo fece il suo lavoro. Non era la prima volta che qualcuno si graffiava, infatti non era dovuto alle rocce ma ad alcune alghe che circondavano la zona. Essi erano ricoperte di spine e nella frizione del tuffo di sicuro si erano strisciati addosso.

Mi sorbii le varie lamentele sulla nostra indisciplina e ritornammo dagli altri.

Stavano giocando a bocce. Ero stanco di stare sotto il sole cocente, sotto l'ombrellone non c'era nessuno. Mi appisolai per un attimo, rinfrescandomi con dell'acqua.

Sembrava che fosse passato chissà quando, che mi alzai per rifugiarmi nelle acque fredde. Troppo caldo. Il sudore mi scendeva dalla fronte al collo. M'immerse e fui rigenerato. Nuotai per un poco, dando sfogo alle mie energie, ogni bracciata mi sembrava di liberarmi fino a che vidi una ciambella.

Al suo centro c'era Jessica. Lei sembrava del tutto fuori luogo. Aveva sciolto i capelli, vedevo solo le sue braccia e la testa, il suo corpo era avviluppato dall'acqua. Mi avvicinai piano, senza farmi scoprire e la tirai in basso. Perse il suo equilibro e sprofondò in acqua. Il salvagente venne spinto dalla pressione verso la riva. Risi per un poco, fino a che la mia risata non si spense. Jessica non riemergeva, mi immersi e la trovai che combatteva per riemergere. La presi dai fianchi e la condussi verso l'aria. Boccheggiò per qualche attimo per poi iniziare a dirmene di santa ragione. Il suo corpo tremava. La portai più vicino a me, l'abbracciai. Restammo per un attimo in silenzio, ascoltando i battiti del cuore dell'altro per poi staccarci.

-Lasciami, pazzo che non sei altro!- Buttò fuori lei. Mi dava dei pugni sul petto, per la protesta. I suoi lunghi capelli si appiccicarono sulle mie spalle, il suo odore mi colpì come un pugno nello stomaco.

-Stai calma. Se vuoi essere lasciata, eccoti accontentata.- La lasciai andare e come era successo la prima volta non riuscì a ritornare a galla, era palese che non sapesse nuotare. La ripresi con calma, ma stavolta la girai per avere la sua schiena sul mio petto.

-Tranquilla, ti porto a riva. Muovi le mani e i piedi.- Le ordinai. Lei sembrava esitare, ma poi si mosse. Sentivo ogni parte del suo corpo muoversi e incontrare con il mio, mi sentivo in pace con il mondo. Quella frizione tra i nostri corpi mi stava riscaldando il sangue. Mi sembrava di essere drogato. Arrivati a riva, dove i suoi piedi potevano toccare la lasciai. Non avevo nessuna voglia, ma lo dovetti fare. Il suo corpo brillava con quelle goccioline che le scendevano prepotenti. Se fosse stato per me, l'avrei ributtata in acqua.

La lasciai sola e mi rifugiai dagli altri, strane sensazioni galleggiavano dentro di me.

 

 

Verso le tredici ci riunimmo per mangiare, quella mattina era stata frenetica, non avevamo avuto nemmeno il tempo di guardare la nostra casa. Avevamo affittato una piccola villetta, hotel era troppo costoso. Raccolto tutto quanto procedemmo verso la casa, che si presentava con cinque camere e tre bagni, una cucina e un soggiorno e diversi balconi. La casa era grande, ma per noi risultava piccola, eravamo in molti.


 

Presi le nostre valige e ci recammo nelle stanze, la mia aveva il balcone, ed avevo un bagno in comune. Quando aprii l'altra porta mi trovai l'ultima persona che volevo vedere in quel momento. Jessica aveva tra le mani il suo trolley e stava fissando il balcone, nemmeno si era accorta di me.

-Il destino è davvero imprevedibile.- Sussurrai roco.

-Tsk.- Borbottò lei. Chiuse la porta dietro di se.

Ma che cosa le avevo fatto? Beh forse era ancora in imbarazzo, alla fine l'avevo sfiorata e devo dirlo era uno schianto!

Buttai tutto sul letto ed uscii, avevo fame. Mangiammo per le tre e mezzo, prima che ci sistemammo e cucinammo. Per fortuna le ragazze erano state furbe, avevano preparato le cose prima di partire, “lodiamo le nostre salvatrici” dissi a me stesso.

Nel pomeriggio ce ne andammo tutti in camera, chi per riposare o sistemarsi. La sera avremmo dovuto uscire per mangiare qualcosa e per ballare.

Il sole stava per tramontare e decisi di farmi una doccia, nel momento in cui stavo uscendo, la porta si aprì. Jessica aveva l'occorrente per la doccia in mano. Io ero con un asciugamano sulla vita e, i nostri occhi fissi sull'altro. Lei divenne subito rossa per l'imbarazzo e richiuse la porta, io mi affrettai ad entrare in camera. Quelle situazioni sembravano proprio fatte per farle diventare di mille colori. Tuttavia mi facevano ridere di gusto, la vedevo diversa, speciale.

Speciale? Credo proprio che mi si era fuso il cervello.

 

La notte fu lunga, ballare in quella mischia era davvero faticoso, alle cinque ritornammo a casa, alcuni erano ubriachi fradici. Un momento dopo non capii più nulla, il sonno mi aveva catturato.

Che ora erano? Alzai la testa dal cuscino e controllai dal cellulare, le dodici? Accidenti!

Chiusi gli occhi e suonò il telefono.

-Pronto?-

-Tesoro stai bene? Ti sento male.- Disse una voce.

Aprii gli occhi e guardai il display, era mia nonna.

-Buongiorno anche a te, si sto bene, mi hai colto addormentato.- Dichiarai, tentai di alzarmi, ma il mio corpo non ne voleva sapere.

-Oh finalmente dormi? A che ora te ne sei andato a letto? - Chiese lei.

-Credo verso le cinque.- Bisbiglia.

-Oh capisco. Spero che ti stai divertendo in questa vacanza. Mi sembri strano, Kaname.-

-Sto bene, nonna. Te l'ho detto sono ancora nel mondo dei sogni.-

-Va bene. Ti lascio andare, mangia e ti ri sentirai meglio.- Mi chiuse la chiamata, lanciai il telefono sul letto e sprofondai nel sonno, era ancora troppo presto.

Il troppo sonno mi stava dando le prime allucinazioni, sentivo qualcosa strusciarmi addosso, qualcuno mi stava baciando? Aprii un occhio e mi trovai un'ombra sul letto. La sua mano si muoveva sul mio corpo addormentato.

-Buongiorno mio caro- rise la voce.

-Ma...- iniziai a dire per poi scattare seduto. Tra le braccia avevo Luca che se la rideva e non era il solo. Tutti.

-Bastardo, fuori dal mio letto!-Urlai sconcertato.

-Eri così focoso sta notte, ti stavo solo coccolando-, blaterò con il sorriso sul viso.

-Io ti uccido!-Mi alzai e lo rincorsi per tutta la casa, senza curarmi di com'ero. Ma che sei ne fregava.

-Sei troppo forte. Potete fare i comici.- Mi voltai per capire chi se la rideva, ed era lei. La ragazza che da un poco di tempo mi stava facendo dannare.

-Dai Luca basta, oggi per pranzo waffle con cioccolato. Su, bambini lavatevi le mani e a tavala.- C'interpellò tutti. Dove eravamo finiti? Tutti scomparvero dalla vista, mi avvicinai al bancone della cucina e la vidi trafficare con gli utensili, era davvero brava.

-Buona!- Esclamò ungendo il suo dito nella crema scura.

-Già!- Dissi anch'io. Portandomi il suo dito alle labbra.

-Ma che diavolo fai?- Si spostò bruscamente da me.

-Assaggiavo.- Mi difesi per poi correre in camera, non me li sarei persi.

Ecco stavo impazzendo, mai fatto una cosa del genere.

La colazione/pranzo fu pronta. Sembravamo dei bambini, lei era arrivata con il vassoio colmo di waffle e il cioccolato. Mangiammo con gusto, altro che bis, tris e tutto ciò che viene dietro. Avevo la consapevolezza che mi stavo innamorando di lei e quello era solo l'inizio di tutto.

-L'ultimo?.-Chiesi. Lei mi guardò per un attimo e poi morse l'ultimo rimasto.

-Ecco a te.- Rise.

-Non mangio cose già morse.-.

-Pazienza.- alzò le spalle, in quel gesto vidi qualcosa di molto sexy.

Era assicurato che dentro quei dolcetti ci fosse qualche strana droga, e purtroppo aveva provocato danni solo a me.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buon pomeriggio, oggi doppio aggiornamento.

Finalmente qualcuno ha capito qualcosa, grazie agli waffle che tra poco me li preparo anch'io.

Kaname mi hai immischiato il sonno. Comunque come va? Contenti? No, vero? E' piccolo il capito ma pazienza.

Siamo nella giusta rotta, tra poco ci sarà fuoco e fiamme, sto scherzando.

Fatemi sapere come vi sembra.

Heart

 

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Capitolo 15
*** Sotto le stelle ***


16

“Sotto le stelle”

 

 

 

Erano due ore che ero sveglio.

L'alba si era fatta strada nel cielo stellato, alla fine stanco di poltrire sul letto mi alzai. Ero deciso a parlarle, come se fosse una cosa facile.

Niente di che. Da quando avevo compreso i miei veri sentimenti mi sentivo agitato, ad ogni circostanza. Anche solo quando lei mi fissava, anche se a parere mio, lei non mi fissava, si perdeva nel suo mondo. Indossai qualcosa di comodo e mi recai in cucina, di sicuro non c'era nessuno a quell'ora. Tutti dormivano. La cucina era illuminata solo da uno dei tre faretti in alto, questo mi faceva comprendere che qualcuno si era alzato prima di me; infatti c'era la porta finestre socchiusa.

Sbirciai e la trovai lì. Aveva gli occhi alzati al cielo, mentre contava con le dita le stelle rimaste, prima che il sole rinascesse. I lunghi capelli scivolavano dalle sue spalle e quasi toccavano lo scalino di quanto erano lunghi. Un braccio alzato per la conta e il suo viso rivolto al cielo, era divina. Non mi feci scoprire e infatti un momento dopo i suoi occhi cercarono qualcuno, ma per fortuna e grazie ai miei riflessi la schivai. Si stirò come un gatto e poi fece dei allungamenti, e si allontanò dalla casa. Non cercai nemmeno di seguirla, il mio cuore aveva iniziato a battere all'impazzata...era questo l'amore?

Era così strano, di solito le ragazze perdevano la testa per me e non viceversa. Lei era diversa, a volte sembra apatica e asociale, notavo il suo sguardo fugace, schivo e freddo. Dalla prima volta ne ero cambiate cose, l'avevo notato ... o si che lo avevo notato davvero, lei era totalmente diversa, era cambiata in peggio. Sapevo che dentro quel guscio di ghiaccio c'era un fuoco che ardeva e aspettava solo di uscire fuori, chissà sarei mai riuscito a scioglierlo.

-Vuoi che ti preparo un caffè?!-

Sbattei le parpebre per tre volte e poi mi voltai verso la porta, lei era lì.

Aveva il corpo caldo e sudato, i capelli appiccicati sulle tempie. Wow, pensai. Avrebbe potuto stecchire tutti gli uomini del mondo, con un corpo del genere, si vedeva che alla ragazza piaceva fare attività fisica.


 

-Allora lo vuoi? O aspetti?-Domandò stizzita.

-Si, certo.- Risposi convinto, lei annuiie si dirisse verso i fornelli. Prese la caffettiera e poi ci versò prima l'acqua e poi il caffe e lo mise sopra la fiamma. Non rimaneva senza far nulla, e afferrò una teglia che era dentro il forno, al suo interno c'erano dei cornetti surgelati.


 

Credetti che fosse la nostra colazione, la ragazza era sveglia!

Il borbottio del caffe ci fece risvegliare e lei con l'avviso che si sarebbe potuto bruciare prese una presina e lo afferrò, lo versò nella tazzina e me lo offrì, con l'aggiunta di due biscotti freschi. Erano al cioccolato.

-Vado a cambiarmi.-Disse.

Se fosse stato per me, l'avrei presa e sbattuta sul bancone della cucina e poi...meglio che mi fermi, i miei pensieri stavano diventando troppo pericolosi.

Dopo mezz'ora ritornò fresca e pulita. Aveva indosso un vestito corto, con sotto dei pantaloncini bianchi. I capelli acconciati a una treccia che a parere mio sembrava una frusta e dei sandali. Non aveva un filo di trucco, solo del lucidalabbra? Boh, non me ne intendo di make up!

Infornò i cornetti e rifece il caffè e i cappuccini.

-Perchè hai lasciato la porta aperta?-Chiesi.

-Strategia.- Disse, alzando il dito all'altezza dle viso, mi regalò un sorriso e poi continuò- se sentono l'odore del caffè e di tutto si sveglieranno, sennò il mare per oggi lo potranno dimenticare, non ho nessuna intenzione di combattere con la gente.- Affermò convinta. La guardai senza proferire parola , ci metteva amore in quello che faceva. I biscotti erano versati in una ciotola ricoperta di carta velina, dava un effetto bellico, le caraffe del the, del latte e infine del caffè in quelle riscaldabili, e infine i cornetti disposti su un vassoio lungo, e non dimentichiamo della frutta, che era messa su delle ciotoline graziose con dello sciroppo? Oh Dio stavo imparando tantissimo, io ero uno che mangiava poco e niente a colazione, solamente quando c'erano i miei nonni, che mi costringevano a rimanere a tavolo per ben venti minuti.

-Allora vuoi rimanere tutta la matttinata a fissarmi o mi vuoi aiutare?Dobbiamo svegliarli, tieni queste.- Disse. Mi porse una campana.

Risi e la seguii verso ogni stanza, le campane suonavano forte e chiaro e di sicuro i poveri timpani mi stavano abbandonando.

Ad ogni stanza sentivamo le urla di protesta o le grida.

-Vattene! Stavo facendo un sogno erotico con il mio bocconcino e tu me lo porti via!!!-Urlò Luca, mentre afferrava il suo cuscino e se lo metteva a cavallo.

-Mi dispiace tesoro, se vuoi stare con il tuo bonconcino, la tua porzione di colazione va a finire dritta a me.- Gli sussurrò all'orecchio, lui nemmeno ci diede conto, mi stavo per voltare quando Luca l'afferrò di soppiatto dai fianchi e la gettò sul letto. A vedere quella scena il sangue iniziò a bollirmi nelle vene, come osava quello stupido gay?

-Luca lasciami!-Urlò Jessica.

-No, adesso paghi la penitenza!- Esclamò. Se la mise sotto di sè, io stavo impazzendo mi avvicinai a loro per tirarla fuori dai guai, quando qualcosa mi afferrò il polso, in un nano secondo mi trovai sopra Luca. Jessica era svanita nel nulla, la cercai e la trovai a terra mentre si lamentava. Luca non aveva capito una minchia e mi trovai le sue labbra sulle mie.

-Oh per tutti i Kami del cielo, ble!-Protestò lei, mentre se la rideva.

Mi tolsi quel polipo addosso e lo guardai storto, intanto si era riunito una bella cerchia di persone conosciute e tutti ridevano come pazzi.

-Oh Kaname baci da Dio!-Apostrofò Luca, leccandosi le labbra in modo sensuale.

-Se non la smetti ti friggo, cazzo non sono come te!-Urlai forte e chiaro. Mi alzai e la vidi ridere a crepa pelle, si stava contorcendo dal troppo ridere, alla fine me la svignai, dovevo lavarmi i denti, tutto. Quello stronzo mi aveva baciato e io non ero riuscito a fare nulla, cazzo!

Ritornai in cucina, tutti gli altri erano sparpagliati, nessuno seduto. Jessy stava parlando con Crystal.

-Come diavolo hai fatto? Non ho capito nulla!-La prese in disparte Luca.

-Ho molte risorse, mai sottovalutarmi!-Mormorò lei, mentre lo spingeva, si vedeva un miglio che non voleva nulla a che fare con lui.

-Mangiamo va...- ,dissi.

Mangiammo con un caotico chiacchiericcio , sopratutto con quattro se la ridevano per la figuraccia che avevo fatto, quel disgustoso sapore ancora non se ne voleva andare. Ingoiai la frutta, e notai che alcuni nemmeno la calcolavano.

-Nessuno si alza se non ha mangiato tutto!-Annunciò autoritaria.

-Jessy non sei mia madre, faccio ciò che voglio!-Protestò Andrea.

-Non sono tua madre, hai ragione. Ma sono la vostra cuoca, e se non vuoi rimanere a digiuno mangia!-L'ammonisce con uno sguardo.

-Non mi fai paura!-Ringhiò lui.

-Fai quello che vuoi!-

La colazione terminò con le battute acide dei due, Crystal la guardò in un modo strano, alla fine solo le ragazze rimasero in cucina per aiutarla.

Alle dieci eravamo al mare. Trovammo un posto abbastanza grande da posteggiare tutti i nostri teli, perchè non potevamo ritornare bianchi. Le ragazze si sdraiarono direttamente sotto il sole, invece noi ci tuffammo, e inziammo una partita al calcio. Dopo un bella oretta andammo verso i nostri asciugami per riscaldarci, non vedevamo l'ora di stare insieme a loro, ma no! Loro si alzarono per farsi il bagno. Ma che vadano al diavolo!

-Dove vai galletto?-Affermò tutto di un tratto Luca.

-Dalla mia gallina-, ribadì Federico per poi tuffarsi in acqua. Infatti si vedeva che si stava diriggendo proprio da Crystal che l'accolse con un bacio. Le altre stavano parlando e lei era lì, con la sua ciambella. Sembrava una bambina.

Decisi di buttarmi anch'io, c'era troppo caldo.

La raggiunsi con facilità e ci guardammo.

-Che cosa ci fai qua?-Chiese lei.

-Il mare non è solo tuo.- Puntualizzai.

-Fai come vuoi.- Mi lasciò in quel modo, si voltò dandomi le spalle.

Mi vedevo dietro di lei che l'abbracciavo, le sfioravo la schiena con le dita, risalivo per sfiorarle il viso e poi la baciavo, immergevo una mano nei suoi lunghi capelli e una la tenevo salda a me. Lei mi rispondeva con passione, le sue gambe mi circondavano il bacino e iniziavamo una danza sessuale, la sentivo eccitata, fremere per la mia presenza e io mi sentivo felice, realizzato...in pace con il mondo.

Uno spruzzo di acqua m'investì e ripresi i sensi sul mondo reale. La vidi che stava ridendo di me.

Aveva le mai affondate in acqua per poi gettarmela.

-Ma che fai?-Chiesi con sorpresa, anche con un pizzico di nervosismo, la stavo sognando ad occhi aperti.

-Non fa bene immergersi nella fantasia in acqua, potrebbe succedere la qualunque.- Mi disse, per poi iniziare a scappare.

-Mi ha letto nel pensiero?-Pensai. Piegando la testa a destra per poi rincorrerla, non mi era difficile, poiché con due bracciate la ripresi.

-Che intendi?-Le chiesi, lei diventò seria.

-I tuoi occhi erano fissi, non si muovevano. Di sicuro stavi pensando.-Mi disse rossa.

-E come mai ...- Mi anticipò.

-Perchè mi succede spesso.- Si liberò e uscì. Rimasi come un pesce lesso in acqua, non potevo fare inviadia a chi ci abita.

Ritornammo verso la nostra villetta. Lei prontamente si dirisse verso la sua camera, senza pensare al pranzo? Forse voleva farsi una doccia e per poi cucinare.

Ritornai in camera e presi il telefono, avevo bisogno di parlare con qualcuno che mi conoscesse bene e chi se non mia nonna?

Il telefono squillava, ma non mi rispondeva nessuno. Abbandonai quel pensiero e mi buttai sul letto. Mi addormentai.

 

 

 

C'era qualcosa che vibrava, tastai sul letto e trovai il cellulare illuminato. Avevo la vista ancora offuscata dal sonno. Quando ripresi coscienza per poco non urlai, erano le sei del pomeriggio. Lasciai il telefono dov'era e mi diressi verso la cucina e la sala, ma non c'era nessuno. Sconsolato per chissà cosa, aprii il frigo e quando lo richiusi trovai un biglietto.

“Siamo al supermercato, se hai fame nel forno c'è la tua porzione di pasta.” lessi il messaggio e poi estrassi il mio piatto di pasta, un comune piatto con la salsa.

La mangiai con poca convinzione, era strana, sembrava amara.

Mah.

Estrassi il telefono e richiamai mia nonna questa volta mi rispose in meno di due secondi.

-Tesoro, come stai?-Chiese.

-Potrebbe andare meglio nonna.- Confessai sconsolato, mi sentivo così abbatutto.

-Che ti succede? Credo di non averti mai sentito così, sei forte tu.-

-Lo so, ma è come se mi mancasse qualcosa. Mi sento confuso e questo non è da me-

-Capisco. Dimmi cosa senti, almeno ti posso aiutare. A lavoro va bene?-

-Si. Per ora sono in ferie. Comunque è come se ci fosse qualcosa che non va in me, cerco di riempirlo, ma passa nemmeno ventiquattro ore e di nuovo ho quella sensazione di solitudine e poi...- mi fermai, non sapendo se continuare e rivelare quegli episodi.

-E poi?-

-In alcune notti vedo cose strane, forse è solo la stanchezza, ma mi sembra tutto reale. Alle volte mi spaventano.-

Non ricevo risposta dall'altro lato, per poi sentire solo uno respiro fin troppo trattenuto.

-Credo di conoscere quelle sensazioni, già. Io e il nonno dobbiamo dirti una cosa, l'abbiamo tenuta nascosta fin dalla tua nascita.-

-Di cosa si tratta?-

-Non ne posso parlare via telefono, quando ritornerai dalla tua vacanza ritorna in Giappone e avrai le tue spiegazioni, stai attento tesoro. E stai tranquillo tutto si risolverà.-Mi lasciò con queste ultime parole, la confusione inziò a regnare dentro di me.

 

 

 

 

 

 

 

-Allora ci andiamo si o no?-

-Io si. Alla fine che abbiamo da perdere?-

Entrai in sala, mentre c'era una discussione in atto. Venni anch'io interpellato, per me era lo stesso.

Ritornammo in camera per vestirci, alle nove eravamo tutti fuori tranne le due amiche per la pelle. Federico ci spiegò che Jessica stava poco bene e Crystal l'era rimasta ancanto, non protestai, alla fine non eravamo nulla.

Il luna park era piccolo ma abbastanza attrezzato.

Ci mettemmo nell' auto scontro, nelle attrazioni più pazzesche, alla fine avevo lo stomaco da tutt'altra parte. Mi girava la testa e non mi andava nemmeno di mettere qualcosa sotto i denti. Il divertimento non mi aveva rilassato, nemmeno le varie occhiate di alcune ragazze. In gruppo si erano aggiunti anche Federico e Crystal, Jessica si era ripresa, ma non se la sentiva di uscire. Rimasi un altro poco per poi ritornarmene a casa, non mi andava di lasciarla sola in casa, meglio in due che in uno. Quando giunsi a casa la porta era chiusa, entrai con le chiavi e la trovai sul divano mentre dormiva.

Aveva un braccio che penzolava e l'altro sotto la testa. I capelli sparpagliati sul cuscino e dietro le spalle. Indossava dei pantaloncini e una maglietta con lo scollo a V, da lontano non si intravedeva nulla, ma si avvicinavano si intravedevano i seni prosperosi. Non ero un maniaco, ma era un sogno di ogni uomo avere una donna con un seno pieno. Fantasie perverse.

Le lunghe gambe erano un invito per ogni uomo che la guardava, peccato che lei non si sentiva attraente e questo era errato, se avesse guardato meglio, poteva notare la schiera di uomini che la guardavano con la bocca aperta.

Io ero uno dei tanti. Aveva tanto potenziale e poco autostima di se stessa.

Era così piccola, ma con un carattere forte. Le spensi la luce per non farla svegliare e fu in quel momento che vidi una scia luminosa sulla sua guancia. Non riuscii a fermarmi e la sfiorai, era bagnata. Aveva pianto? Forse per il dolore o per qualcos'altro? Ero talmente vicino a lei che sentivo il suo respiro lento e regolare, i suoi battiti nella gabbia toracica. Il suo profumo così invitante da catturare anche le api e alla fine la baciai. Il mio corpo si mosse da solo. Le sue labbra erano morbide e calde. Mi stavo drogando della sua essenza.

-Ti conquisterò, sarà l'ultima cosa che farò!-

 

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Capitolo 16
*** Una notte senza luna ***


17

“Una notte senza luna”

 

 

 

 

 

 

 

Erano le dieci quando mi alzai.

Stranamente non sentivo rumore, che fosse successo qualcosa?

Oramai mancavano tre giorni al nostro ritorno.

Indossai la camicia e andai verso la cucina.

Trovai i miei amici tutti raggruppati, in verità lo erano solo le ragazze che non perdevano di vista i ragazzi che erano sparpagliati per tutta la stanza. Mi chiesi che cosa stessero cercando di preciso.

-Fermo!-Mi apostrofò Francesco con una ciabatta alzata. Mi voleva uccidere per caso?

-Eccolo, è lì! Sta fuggendo!-Urlò all'improvviso Noemi.

Mi girai e vidi uno scarafaggio che correva verso un mobile, un solo secondo che tutti si catapultarono in quella direzione. Spiegato il motivo. La paura delle donne.

Il poverino scappò ancora più in fretta, alla fine mi associai ai miei compagni per ucciderlo. Di sicuro si trattava di uno delle fogne, non erano belli, rossastri e lucidi. Le urla delle ragazze mi trapassarono i timpani, per un attimo volevo che fosse da un'altra parte. All'improvviso la porta scorrevole fu aperta, l'aria di mare invase la stanza. Dalla soglia apparve Jessy in tenuta sportiva, di sicuro si era fatta una bella corsetta. A notare quel coso che si muoveva verso di lei, fece un grande salto e salì sulla cucina, come se fosse una scimmia.

-Dai prendiamo e senza via di scampo!-Esclamò Luca. Presi la scopa e lo inseguii, fino a che deviò la sua rotta e iniziò a salire verso il bancone della cucina.

Le ragazze urlarono ancor di più invece Jessy no, aveva gli occhi puntati sul quel coso.

Mi venne un'idea.

Dopo quindici minuti di scontri riuscimmo a prenderlo e a stecchirlo. Esultammo per la vittoria. Le ragazze si erano sciolte, ma mi venne una folle idea. Presi lo scarafaggio e me lo misi sulle dita e mi avvicinai di soppiatto a Jessica. Lei stava scendendo e quando aprii la mano e vide lo scarafaggio che saltò in aria, scivolò dal bancone e cadde sul pavimento. Il suo urlo mi trapassò il cervello e il timpano, lo scarafaggio mi cadde dalle mani. Lei si spostò strisciando fino a essere tra muro e pavimento, si alzò dolorante e scappò.

Morale della favola avevo combinato un casino. Una reazione esagerata, ma me lo ero meritato, il suo sguardo infuocato non lo avrei dimenticato facilmente.

 

L'ora di pranzo arrivò. C'era odore di pesce.

Avevo fame.

Mi sedetti al mio posto e aspettai il piatto, ma con il passare del tempo vedevo tutti mangiare. Mi alzai per prendermelo da solo, ma trovai una brutta sorpresa : era vuota la pentola. Guardai verso la sua direzione e la vide sorridere. Mi aveva lasciato a secco! Maledetta!

Mi sedetti comunque e aspettai che tutti finissero e lasciassero la cucina e mi preparai qualcosa io, le sue vendette erano davvero spietate.

Quel delizioso profumo mi aveva invaso il naso e non poterlo assaggiare mi aveva lasciato una voglia pazzesca, la prossima volta ci avrei pensato due volte a fare uno scherzo del genere.

La sera organizzammo una serata di film horror, alcuni non erano d'accordo, ma li convinsi. La casa aveva a disposizione un dvd, non era di ultima generazione ma funzionava. Avevamo trovato qualche giorno fa una videoteca molto fornita e alla fine avevamo scelto tre film davvero belli, ne avevo sentito parlare, ma non avendo mai tempo non ci ero mai riuscito a vederli.

Il primo era “Shining” del 1980.

Era diretto da Stanley Kubrick. Ed era uscito dal romanzo di Stephen King uno dei più grandi scrittori del mondo.

Poi abbiamo “The descent”, infine “Saw, L'Enigmista”.

Prospettavo una notte di urla.

Per coincidenza quella sera c'era pure del vento, perfetta scenografia.

Andrea aveva messo play, iniziò il primo set.

 

 

Forse non era stata una ottima idea guardarli. C'era chi era stato tutto il tempo immobile a fissare lo schermo, chi si chiudeva gli occhi o chi poneva un cuscino sul viso. O quando c'erano le scene più cruente urlava come un ossesso e chi si era addormentato.

Jessica si era allontanata con una banale frase e dopo i tre film la ritrovammo nella sua stanza che dormiva, la fanciulla era scappata dai film.

Aveva le cuffie nelle orecchie e questo ci fece un poco capire tutti la sua strategia.

Questa volta la passava liscia, sembrava così serena. Non avevo il coraggio di svegliarla per un mio capriccio.

 

 

 

Le ore scorrevano in fretta. Nella mattinata avevo ricevuto una chimata dall'ufficio centrale di Osaka. Richiedevano il mio servizio per tre mesi in città. Non sapevo il motivo di questa scelta, ma avevo l'idea che qualcuno aveva smosso delle acque, che fossero stati i miei nonni? Eravamo una delle più antiche famiglie di tutto il Giappone, ma da alcuni anni non se ne sentiva più il nostro nome. Sapevo che alcuni miei discendenti erano stati ufficiali dello Stato, ma come per dire, sapevo poco e niente. Mio padre era un magistrato. Aveva combattutto per anni la mafia, ma non solo quello. Poi quando aveva incontrato mia madre cambiando settore. Il nonno mi raccontava sempre che mio padre era un grande uomo, uno dei pochi che aveva susseguito la laurea in pochi anni, avendo un quoziente intellettivo superiore agli altri. Della loro morte era ancora un mistero. Forse me lo avrebbero detto al mio ritorno. Girai la testa e fissai il cielo scurirsi. Ero pronto. Uscii dalla stanza e trovai tutti nel soggiorno. Ultima notte di vacanza. Partimmo e ci dirigemmo verso il centro dell'isola, avevamo capito che ci sarebbe stata una festa. Arrivati gli abitanti ci accolsero con calore, invitandoci a bere con loro e a ballare. Il cibo era predisposto su dei tavoloni lunghi. C'era di tutto dallo stuzzichino al dessert. Mangiammo e ridemmo come scimmie, tra balli e figuracce. Era bello essere complici. A quasi fine serata il sindaco, un uomo robusto con due baffi lunghi si avvicinò a noi con una lanterna ad olio.

-Come da tradizione nella nostra isola si fa un gioco di coraggio. Si va a coppia e si fa il giro della pineta, chi raggiunge l'albero maestro e riprende la pietra con inciso la x ritorna. Il viaggio non è lungo e non ci sono sorprese, ma come dicono alcuni si sentono strane presenze.-Dichiarò facendo delle strane mosse con le mani.

Andrea accettò subito l'invito e partì come primo. Fu susseguito da Francesco e Noemi che intanto si erano dichiarati, Federico e Crystal e poi da me e Jessica. La ragazza non era tanto convinta. Sembrava titubante di quel viaggetto di soli dieci minuti.

Perdemmo ben presto la vista degli altri, la nostra lanterna si spense esattamente dopo cinque minuti dalla nostra partenza.

-Perfetto ora non si vede più nulla!-Protestò.

-Sei una che si spaventa del buio?-Chiesi guardandola. Lei si era spostata e stava dietro di me, i suoi occhi osservavano tutto. Ogni volta che c'era uno spiffero di vento sobbalzava come una bomba, risi senza farmi notare.

Fino a che non sentimmo chiaramente un ululato. Lei si irrigidì. Il mio corpo si mosse d'istinto e mi posizionai davanti a lei come per proteggerla.

-Ci sono lupi?-Chiese.

-Non saprei, è la prima volta che li sento. Non credo che sia qualche scherzo, sento i loro passi.-Le comunicai ma peggiorai la situazione.

-Che cosa?-Mi urlò lei.

-Accidenti non sai parlare piano? Non sono sordo!-Le comunicai.

-E che ne so io?!-

-Comunque ce ne dobbiamo andare, non mi piace l'aria che sta tirando. Vieni.- Le dissi. Le presi la mano inconsapevolmente e la trascinai verso un albero. Non era tanto alto, ma ci poteva nascondere. Lei non protestò, dai suoi occhi notavo quella consapevolezza. Si fidava di me? L'aiutai a salire sull'albero e poi m'issai anch'io. Due minuti dopo un branco di cinque lupi grigi fece irruzione nella pineta, correvano. Si stavano dirigendo verso nord, per fortuna dove non c'erano gli abitanti, speravo che anche gli altri si fossero messi a riparo. Restammo un altro poco lassù, mentre la notte calava e anche il freddo. Jessy si riscaldava con le braccia. Le diedi il mio maglioncino e lei mi ringraziò con uno sguardo. Era una persona di poche parole, ma i suoi occhi lo faceva anche senza quelle. Era simpatica quando lo voleva o letale. Mi piaceva il suo carattere. E poi volevo che si sciogliesse, che sorridesse di più.

Scendendo in silenzio. C'incamminammo per ritornare indietro. Ma sbagliammo strada e raggiungemmo la pineta est. Tra gli alberi e cespugli incontrammo un cartello dove indicava un divieto. “Foresta del non ritorno”, c'era scritto. Non andai affondo, ricordai una di quelle parti verdi che c'erano in Giappone. Si chiamava “Aokigahara Forest/ La foresta dei suicidi”. Era situata a nord-occidentale del monte Fuji ed era il luogo con più alto tasso di suicidi. Nel parcheggio, vi erano molte auto abbandonate e, camminando all'interno della foresta, era piuttosto frequente imbattersi in teschi o parti scheletriche, corde appese ai rami e corpi senza vita, un luogo ideale per una vacanza, come no!

Mi accorsi che le nostre mani erano ancora intrecciate e lei non ci aveva fatto caso. Camminavano con un passo veloce, volevamo uscire da quell'impiccio. Dovemmo attraversare la spiaggia e poi varie rocce prima di ritornare al punto di partenza. Al nostro ritorno ci abbracciarono felici. Ci fu detto che alcuni lupi erano scappati da alcune gabbie e i cacciatori erano alla loro ricerca. Era stata un'avventura elettrizzante ma anche pericolosa, ma alla fine si era risolto tutto bene.

-Jessy che hai?-Sentii la voce di Crystal, mi voltai e la vide seduta che si massaggiava la caviglia. Era gonfia e rossa.

-Ti fa male?-Domandò l'amica. Lei annui.

-Ragazzi dobbiamo ritornare, sennò domani non ci alziamo. Grazie di tutto.- Dichiarò Luca agli abitanti e al sindaco che ci salutò uno per uno.

Senza che nessuno mi disse niente, la presi tra le braccia ...il suo sguardo era di fuoco, lei protestò per attimi interi, ma poi si calmò.

-Stai calma. Non puoi camminare con la caviglia gonfia. -Le dissi. Gli altri sorrisero a quella scena, ma non commentai più del dovuto, le feci alcuni scherzi come abbandonarla tutto di un colpo, ma ricevetti solo una stretta al collo dalle sue braccia, in quel momento mi sentii l'uomo più felice del mondo, peccato che durò poco.

La posai sopra il suo letto, dopo essere ritornati in casa. Le misi del ghiaccio e poi le diedi la buona notte.

Così terminò il nostro viaggio.

Per dire, poiché per me non era del tutto finito.

Osaka mi attendeva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'autrice:

Salve. Spero di non annoiarvi con questo capitolo, ma sopratutto con le trame dei film. Ho voluto metterle per dare anche informazioni, non sapendo nemmeno quali sono, solo uno. La foresta dei suicidi esiste realmente, l'altra volta ne parlava in un documentario. Brr. Alla prossima.

Heart

Ok ho tolto quei colossi, ci serviva una strisciata da parte di Lune :(

Non succederà più.

Shining HYPERLINK "http://https//it.wikipedia.org/wiki/Shining_(film)"The descent HYPERLINK "http://https//it.wikipedia.org/wiki/Shining_(film)"Saw, LHYPERLINK "http://https//it.wikipedia.org/wiki/Shining_(film)"'HYPERLINK "http://https//it.wikipedia.org/wiki/Shining_(film)"enigmista

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Capitolo 17
*** Requiem ***


18

“Requiem”

 

Ero appena uscito dall’ufficio. Era stata una giornata piuttosto stressante. Mi scoppiava la testa.

M’incamminai verso casa, il traffico a quell’ora era assurdo. Cercavo di non pensare a che cosa sarebbe successo la settimana prossima, poiché avevo una riunione importante. Il mio ruolo era diventato fondamentale. Il consolato italiano richiedeva la mia disponibilità e il mio rientro, ma non potevo. Per prima cosa dovevo sbrigare delle faccende per il mio paese e poi dovevo scoprire ciò che nascondeva la mia famiglia. Quando ritornai, i miei nonni mi comunicarono che il segreto si sarebbe sciolto nel giorno del mio compleanno, più precisamente il prossimo mese. Ancora trenta giorni.

Ne ero rimasto deluso e anche un poco arrabbiato, potevo rimanere ancora un poco in Sicilia, invece mi avevano fatto partire subito.

Non capivo tutta questa riservatezza con me, ero pur sempre loro nipote.

Superata la strada principale, m’incamminai verso est. La tenuta degli “Washi” era proprio dietro al parco “Minoo.”

Ogni anno a questi tempi c’incantava del suo meraviglioso spettacolo. Le luci appostate sotto l’erba davano uno spettacolo da mozzare il fiato. L’autunno era ormai arrivato con i suoi colori forti. Infatti le foglie verdi mutavano dal rosso al giallo e alle volte, sfumavano sul viola o sull’oro.

Arrivai dopo le sette e come tradizione mi tolsi le scarpe all’ingresso. La casa profumava di erbe. La governante mi salutò con un inchino per poi avviarsi verso la sua destinazione. Salii le scale che conducevano alla mia stanza e mi tolsi il vestito. Tra breve si sarebbe consumata la cena. Non la sentivo più mia. Da quando mi ero trasferito in Sicilia, la mia vita era cambiata. Il sole e il caldo mi avevano dato una forza sconosciuta. Quel viaggio si era rivelato pieno di sorprese. Tra amici e l’amore. Chissà che cosa faceva lei. Forse era con Crystal. Mi mancava parlare con lei, prenderla in giro, guardarla di nascosto.

Ero proprio cotto.

Il mio soggiorno si stava allungando più del dovuto.

Alle otto mi presentai nella sala da pranzo.

Il silenzio era surreale. C’era il nonno con la pipa in bocca, invece la nonna dava disposizioni alle cameriere.

-Buona sera nipote, tutto bene?-Domandò la nonna, mentre mi sorrideva. Quella sera aveva acconciato i suoi lunghi capelli in uno chignon. La mostravano come una figura seria e ostile, ma era tutto il contrario.

-Tutto bene.- Commentai, sedendomi al mio posto.

Il distacco tra una pietanza all’altra era di mezz’ora, fino a che non ci spostammo nella sala del The.

Parlammo del più e del meno. Del lavoro e delle varie festività che tra breve si sarebbero svolte. Fino a che…

-Kaname.- Mi richiamò mio nonno. Alzai lo sguardo e lo osservai. Aveva alzato la mano e mi stava consegnando una busta.

-Dopodomani partirai per Tokyo. Ti recherai alla banca principale e chiederai del direttore, lui saprà cosa fare.- Annunciò con lo sguardo serio. Notai che la nonna lo guardava con attenzione, che fosse arrivato il momento di scoprire le carte in gioco?

Annuii e la presi. Era pesante, sicuramente conteneva qualcosa.

Loro non mi rivolsero più la parola, sembravano tesi, ansiosi.

La caccia al tesoro iniziava.

 

 

 

 

 

Tre giorni dopo.

Tokyo mi aveva sempre affascinato.

Con i suoi colori e il suo caos.

Mi vedevo circondato da gente buffa e a volte mascherata, infatti tra breve sarebbe ricorsa “Halloween”. Solo una volta mi ero apprestato a travestirmi da mummia per quella occasione, mi ricordo che la nonna mi aveva dovuto stringere le garze sul mio corpo, e alla fine non ero riuscito nemmeno a uscire da casa, poiché i movimenti mi venivano difficili.

I bambini erano truccati a dovere e anche gli adulti. Sembrava il periodo dei “cosplay”. Mi ridestai dai miei pensieri e m’incamminai verso la banca ufficiale di Tokyo. Era proprio un grande palazzo circondato da verde.

Entrai e fui sommerso dalla gente che parlava o che aspettava il suo turno. Per fortuna io dovevo andare solo in un posto. Attraverso le indicazioni mi apprestai a dare le informazioni a una segretaria che mi osservò a lungo.

-Vorrei parlare con il direttore.-Dissi.

-Il direttore non può ricevere nessuno.-Rispose lei, alzandosi gli occhialini caduti sul naso.

-Per conto della famiglia Washi.-Indicai. Lei scattò in piedi e mi chiese di seguirla, in breve arrivai di fronte allo studio privato del direttore e lasciato solo.

Uno studio sobrio ed essenziale. Una scrivania, due poltrone di fronte e un divanetto di lato.

-Buongiorno signor?- Domandò un uomo che chiuse la porta e mi fissò un attimo.

-Kaname Washi.-Mi presentai.

-Oh sei il nipote di Hitoshi?-Esclamò. Mi fece accomodare e iniziò a lusingare mio nonno.

Fino a che si arrestò, quando vidi la busta. Il suo volto perse quella luce di entusiasmo. Il corpo divenne teso e rigido.

-Presumo che sia la chiave.-Disse.

Io non ne sapevo nulla e consegnai la missiva. Lui la estrasse con cautela, come se da un momento all’altro sarebbe esplosa.

C’era una lettera e poi un sacchettino.

-Vieni con me, figliolo.- Annunciò. Uscimmo dal suo ufficio e ci dirigemmo verso i sotterranei.

Più andavamo giù e più la curiosità saliva, chissà che cosa mi avrebbe dato. Giunti alla fine delle scale, aprì un portone d’acciaio, dove si travedevano altre scale, ma di pietra. Le pietre erano irregolari, causati dal tempo di costruzioni; alla fine giungemmo di fronte a una sorte di biblioteca. C’erano un sacco di volumi , ma mi sorpresi nel scoprire che essi non erano volumi ma casseforti. Infatti dentro il sacchetto era contenuta una chiave.

Nella lettera c’era il numero del volume e più i là un tavolo con alcune sedie per studiare i vari documenti. Il direttore si perse per cinque minuti per poi ritornare con un libro gigante.

-Qua dentro contiene la storia della tua famiglia. Poche sono le persone che visitano questa catacomba.- Dichiarò. Spolverò il volume con un fazzoletto e rise.

-Buon viaggio figliolo. Un’ultima cosa. Da adesso in poi non ti potrai più essere protetto, prenderai coscienza dell’immenso segreto dei Washi. Abbi cura di te e del tuo destino.-Disse per poi uscire, mi lasciò solo con il mio passato.

La serratura della cassa era massiccia. Sembrava veramente uno di quei volumi giganteschi, ma al suo interno scoprii qualcosa davvero sorprendente. Conteneva parecchie pergamene, conservate accuratamente, risalenti a dei tempi remoti.

Le ultime informazioni dati erano un albero genealogico, dove segnava come l’ultimo erede, fossi io.

C’erano un ramo appartenuto ai miei nonni, il quale spiccava il nome di mio padre e poi successivamente quello di mia madre.

Ma osservando con attenzione le dati mi accorsi che la mia famiglia erano in pochi. Agli inizi c’era un nome, dove la sua linea era lunghissima. Dove poi sfociava in un’altra. Quella lì c’era scritto “Muha”, era il nome del mio bisnonno.

Facendo quattro calcoli, il bis bis nonno Muha aveva vissuto quasi due secoli, ma com’era possibile? Di sicuro c’era un errore.

Risalendo, scoprii la vera data del nonno.

Hitoshi Washi 1900.

E poi affiancata da Ran Muu/Washi. 1915.

Andando più avanti, trovai mio padre. Ren Washi 1960 e poi quello di mia madre Haru Ryan/Washi 1966.

E infine quello mio Kaname Washi 1988.

Che cosa significava tutto questo? Ero confuso.

Chiusi la pergamena e armeggiai con gli altri rotoli, ma la lingua antica non mi permetteva di leggerli. Alla fine svuotai il tutto e trovai un sacchettino, il quale dentro conteneva un pezzo di legno dove era raffigurato l’aquila con un glicine in bocca, era lo stemma della famiglia. Forse tutto girava intorno a quel pezzo di legno o stava sognando? Rimisi tutto al suo posto. Mi accorsi che là dentro c’erano i segreti delle famiglie più potenti del Giappone, cosa assurda, non credevo che ci fosse una struttura del genere. Risalii le numerose scale per poi salutare il direttore che era al telefono, non sapevo perché il mio istinto mi disse che forse stava parlando con il nonno.

Non ritornai a Osaka. Avevo bisogno di metabolizzare quelle informazioni. Era impossibile che i miei nonni avessero vissuto per tutto questo tempo, per lo più dimostravano settanta anni. C’era qualcosa che ancora non mi quadrava.

Presi una camera per la notte, il giorno dopo sarei ritornato in città.

Una bella doccia calda mi avrebbe aiutato, tuttavia non fu così.

Ero appena uscito quando il telefono mi squillò. Dapprima ero incerto, di sicuro si trattasse dei miei nonni, ma poi lessi il nome di Luca.

-Pronto?-

-Ehi!Finalmente riesco a rintracciarti. Sei più inavvicinabile del capo dello stato?-Disse tutto di un fiato.

-Ciao! Scusa, ho avuto da fare.-Dissi, mentre mi sedevo sul letto.

-Non fa nulla, capisco. Allora che mi racconti? E’ passato già un mese dalla tua partenza. Qua le cose sono sempre le solite.- Affermò.

-Lo stesso qua. Purtroppo il mio soggiorno deve essere prolungato, ho degli impegni importanti la prossima settimana e non posso rimandare.- Confessai. Perché mi sentivo malinconico?

-Sai? Ho una notizia per te. Una novità diciamo.- iniziò a dire.

-Dimmi pure, per caso ti sei trovato un ragazzo?-Domandai scherzoso.

-Magari. Purtroppo la mia caccia è ancora aperta. Comunque il nostro principino le ha chiesto la mano.- Dichiarò.

-Chi?-Domandai con il cuore che mi scoppiava.

-Federico ha chiesto la mano a Crystal. Quei due sono fatti per stare insieme, so che è da poco che stanno insieme, ma sono positivo.-

Bella notizia.

-Ah. Lo credo anch’io.-Annuii.

Parlammo ancora fino a che staccammo. Avevo voglia di chiedergli di Jessy ma mi ero fermato. Perché? Chiusi gli occhi e mi addormentai. La volevo accanto a me.

La mattina dopo ero già in viaggio.

 

 

 

 

 

 

}Ѽ{

 

I trenta giorni volarono per mia grandissima fortuna, vivevo di solo lavoro. Alla fine ero diventato capo del settore, avevano riconosciuto la mia diligenza nell’affrontare le situazione più difficile e al mio sangue freddo.

Rientrai a casa distrutto e mi appoggiai sul divanetto della piccola saletta che c’era di lato all’ingresso.

La serata iniziava bene.

Dopo essermi riposato e cambiato scese di sotto, dove i miei nonni mi salutarono con maggior enfasi. I mie anni erano sempre stati esultati come se fossero un privilegio. Mangiammo diverse pietanze, fino ad arrivare alla torta.

Finita anche essa, ci recammo come consueto nella sala da The.

Attendevo ardentemente il responso, ma non accadde nulla. Allora mi alzai e diede sfogo alla mia frustrazione, loro mi guardarono e dopo che i due si fossero fissati a lungo, decisero di dirmi la verità.

-Siediti, nipote mio. La storia che ti narrerò sarà lunga. Credo che tu abbia letto l’albero genealogico della nostra famiglia.- Iniziò il nonno.

-Si. Anche se mi sembra strano che ci sono solo poche lineee.-Affermai incerto.

-Non è un caso .Gli eredi del nostro casato sono pochi, ma eterni.-

-Eterni?Non dire stupidaggini nonno, nessuno lo è!- Lo apostrofai, sembrava che mi stesse raccontando una storia di fantasia.

-Tuo nonno ti sta dicendo la verità. La famiglia ha un potere. Un segreto con più precisione. Lo abbiamo mantenuto fino ad ora, perché sapevamo che tu non saresti stato incline ad accettarlo. Ma da quando mi hai raccontato quei fatti, tutto ha iniziato a girare diversamente. Anche tu sei un erede che porta il gene.-spiegò pacata.

-Ti sei mai spiegato il significato del nostro stemma? Come sai c’è un’aquila e un glicine bianco. Appunto quest’ultima simboleggia longevità. L’aquila rappresenta il potere.

Essi sono stati messi insieme dal capostipite della nostra famiglia Taku Washi, dove appunto prendeva nome il nostro cognome.- Annui.

-E questo che cosa vuol far capire? Che noi siamo diversi dagli altri?-spiegai i miei dubbi.

-Esatto. Nelle nostre vene scorre un gene particolare, speciale. Questo gene ci permette di vivere più allungo. Come hai scoperto io sono nato nel 1900, com’è possibile che io sia ancora vivo? Grazie ad esso, la mia vita ha un ciclo più lento. –Dichiarò, passando una mano sui capelli. Li guardavo con sgomento, che cosa ero io?

-Quando entrai a far parte della famiglia, il tuo bisnonno mi chiese la mia fedeltà. Il segreto della famiglia era più importante di tutto. Io accettai senza rimorsi e grazie a un rito sono rimasta affianco a tuo nonno, la nostra vita è legata.-.

-Che cosa…-Balbettai.

-Credo che la tua reazione sia del tutto normale, anche tuo padre fece una scena del genere. Siete così simili. –Disse la nonna, malinconica.

-Perché loro sono morti se sono immortali?-

-L’immortalità non esiste figliolo, i Kami ci hanno solo concesso una vita più lunga. I tuoi genitori erano legati, se uno di loro moriva, si portavano l’altro. Le anime gemelle non possono sopravvivere senza l’altro, il dolore è troppo.

Tuttavia i tuoi genitori furono uccisi, quell’incidente era stato architettato da alcune persone che non gradivano il lavoro di tuo padre. Lui sapeva benissimo i rischi in cui correva, ma aveva sempre il sorriso stampato in faccia.-

-Nonna, per favore raccontami un poco di loro. Mi mancano.-Chiesi dopo un momento di silenzio.

Avevo il dovere di conoscerli, ero piccolo e capivo poco, ma adesso ero diverso.

-Tuo padre conobbe tua madre quando partì per gli Stati Uniti. Fu un incontro bizzarro. Infatti la ragazza era caduta sopra di lui, per poi tingerlo dei colori che portava dietro.

Tua madre era una pittrice. Amava la sua pittura, forse più della sua famiglia. Si era trasferita nello stato di New York per sfondare, ma il destino aveva altro per lei. Infatti incontrò Ren. Fu amore a prima vista e in breve i due si misero insieme.

Haru era figlia di due commercianti. Suo padre George Ryan era un uomo severo, invece sua madre era tutto il contrario. Amava la figlia più di tutto. Quando la figlia lo presentò, il padre non lo accettò, ma ben presto dovette reclinare i suoi obblighi. Si trasferirono nella nostra tenuta e dopo due anni di stare insieme, Haru scoprì di essere incinta. Ren non perse tempo di chiederla in sposa e dopo cinque mesi convolarono a nozze. Erano così felici. Tuo padre sembrava un altro uomo accanto a lei, la felicità li aveva benedetti. Tuttavia non tutto va come pensiamo. La felicità stava scemando. La causa era il lavoro di tuo padre . Era troppo rischioso, così dopo una lunga riflessione dovette lasciarlo. Si ritrovò a essere un avvocato penale. Tuttavia questo non bastò. In quello stesso anno morirono. Tutti pensarono a un incidente stradale, ma io e tuo nonno indagammo e scoprimmo la verità.

Cercammo in tutti i modi di proteggerti e prendendoci cura di te. Tutto fu insabbiato per non dare indizi agli assassini.- Terminò il racconto con le lacrime. Il nonno l’abbracciò.

Le parole non mi volevano uscire dalla bocca. Avvertivo tanto dolore.

-Dopo la morte dei tuoi genitori, i genitori di tua madre si recarono a Osaka per capire il perché, ma nessuno comunicò informazioni. La nostra famiglia era in lutto. Scoprimmo solo dopo che la madre di Haru si era suicidata e il padre era finito sul lastrico, ben presto anche lui sospirò l’ultimo respiro.-

-Tu sei la nostra luce.-Dichiararono entrambi per poi stringermi in un abbraccio nostalgico.

-Non sempre la vita ti regalerà momenti belli, tuttavia dovrai affrontare i momenti brutti con forza e speranza. La morte non è una via di fuga.- balbettò la nonna scossa dai singhiozzi.

 

 

 

 

Il cielo era illuminato dai lampi. Un compleanno da dimenticare, tuttavia non volevo farlo. Dentro di me si era aperta una nuova porta, chissà dove mi avrebbe condotto.

La pioggia iniziò a cadere dal cielo e mi ritrovai bagnato. Le ombre danzavano in quel luogo disabitato, vissuto solo dalle anime.

Il cimitero.

La lapide dei miei genitori era proprio lì. La lucina accesa dove faceva travedere i sorrisi dei miei. Erano felici, complici del loro infausto destino. Mano nella mano.

Avevo ereditato i tratti di mia madre e gli occhi da mio padre, scuri come la notte.

Mi mancavano da morire. Mi sedetti e inizia a parlare sottovoce con loro. Sperando che loro mi ascoltassero. Era da tantissimo tempo che non lo facevo. Un groppo in gola mi bloccò le nuove parole e in breve mi ritrovai a singhiozzare. Tutto sembrava assurdo.

Ma era la verità.

 

 

 

 

 

 

 

 

Buongiorno.

Ritorno con il 18°capitolo di questa storia. Finalmente abbiamo la tanta agognata verità, anche solo una metà. Non ve aspettavate?

Diciamo che non è stata facile scriverla, ma alla fine eccola. Nel prossimo capitolo ritorna anche per uno solo Jessy.

Heart

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Amore impossibile ***


19

“Amore impossibile”

 

 

 

 

Mi sentivo persa in quel luogo sconosciuto.

Mi chiedevo se avessi fatto la scelta giusta.

Chiusi le mani a pugno, come per sfidare me stessa.

Il freddo mi entrava nelle ossa. Come era diverso il clima della mia bella Sicilia, si vedeva che il luogo e lo spazio erano diversi. Chiusi gli occhi e sospirai.

Il mercato era a due isolati dall'appartamento in cui vivevamo. Era stato un fulmine al ciel sereno quella decisione e pur non essendo d'accordo avevo avuto poco da dire. Mi sentivo un oggetto e portato dove si voleva.

Non mi ero opposta. Stupida!

Avevo messo da parte le mie necessità, i miei pensieri per volare via.

Crystal non era stata del tutto d'accordo. La mia amica stava passando un momento felice e non avevo avuto il coraggio di distruggerlo. Essendo sempre stata una solitaria e un'egoista, avevo deciso di testa mia, rimpiangendolo solo dopo della mia decisione. Avrei fatto qualunque cosa per lui, il mio piccolo fratellino, anche donargli il cuore.

La decisione del giudice era stata una folgorata.

Tre mesi con mio padre e non solo, anche fuori dall'Italia.(Non avendo più un posto fisso qui, si era dato da fare per trovarne un altro lavoro, ecco il motivo di questo viaggio.) Sapete che cosa significa?

No! i pianti nelle notti non mi abbandonavamo mai, sentivo di essere estranea in quel paese, che mi aveva accolto con i suoi colori e le sue tradizioni, ma non ci capivo una mazza della lingua.

Mio padre si era traferito così da punto in bianco, portandoci con lui. Mi aveva affidato il compito più difficile che io potessi avere. Non ero un genitore, ma lo sarei stata. Lui era troppo impegnato per accudire mio fratello e per questo mi aveva spinto a seguirlo. Ero stata un' idiota a dirgli di si. Dovevo reagire, parlare, invece eccomi. Era tutta colpa mia, solo mia.

Parlavo a malapena l'inglese. E il tedesco mi era troppo complicato.

Ogni giorno tentavo d'imparare qualcosa, ma era troppo, il mio povero cervello mi stava abbandonando.

Ogni giorno vedevo una parte di me, staccarsi e disintegrarsi. Dovevo fare qualcosa, prima che tutto andasse all'inferno.

Ero stanca. Ma non era solo quello, mi sentivo vuota e quella lontananza mi stava distruggendo fino all'anima.

Mancavano ancora due ore all'uscita della scuola, speravo che tutto fosse andato per il meglio. Povero piccolo. Nuovo paese e nuova scuola. Per me era traumatizzante, per lui peggio.

Il cielo si era fatto scuro, che tristezza quell'atmosfera, anche se le prime lucine di Natale iniziavano a spuntare. Era passato un mese di già dalla partenza. Crystal ce l'aveva con me a morte, non era venuta perchè non gli avevo dato un indirizzo preciso, ma sapevo che ben presto mi avrebbe scoperto.

Il ricordo di quel momento di gioia mi aveva trapassato il cuore. Finalmente qualche bella notizia galleggiava nella mia tristezza assoluta. Era successo il giorno prima di Halloween, tutti noi ci stavamo organizzando per giorno dopo, con i costumi o con il make up. Avevamo intenzione di fare una grande festa nel garage di Luca, così senza spendere troppo e non correndo rischi.

Federico era arrivato e mi aveva preso in disparte, ero perplessa sul quel suo comportamento. Quando mi disse che cosa aveva intenzione di fare ero rimasta di sale. Non pensavo che il ragazzo si fosse dato quel da fare, gli chiesi subito se lei era incinta, ma lui negò. Gli sorrisi e lo abbracciai.

L'unico consiglio che gli potevo dare era di ascoltare il suo cuore e seguire l'istinto.

La serata sembrava non sfociare mai in niente, fino a che all'improvviso le luci si spensero. Un tuono rimbombò e tutti saltammo in aria, ma la sorpresa più grande furono quelle splendide candele. Sul pavimento erano poggiate numerosi lumi per poi formare la parola “marry me”. Proprio in quel momento la luce ritornò e vedemmo Federico inginocchiato di fronte a Crystal, mentre con gli occhi lucidi le porgeva una scatolina rossa.

Lei era rimasta ferma, senza dire una parola. Credevo che da un momento all'altro sarebbe svenuta, ma per fortuna si era ripresa in fretta. I suoi occhi iniziarono ad uscire le lacrime per poi abbracciarlo con slancio. Il ragazzo perse l'equilibro e caddero al suolo. Afferai la scatola e gliela porsi con un sorriso.

-Auguri.-Le dissi.

Lei si alzò e mi abbracciò forte.

-Tu lo sapevi, non è vero?-Mi domandò. Dissi di si con la testa e poi la spinsi tra le braccia del suo fidanzato, che l'accolse con amore.

-Apri quella scatola Crystal!-L'ammonì Luca.

Il suo sguardo si illuminò ancor di più.

L'anello era semplice con al centro un diamante.

-Svegliati, Federì. Mettici quell'anello!-esclamò Francesco dal fondo del garage. Il ragazzo sembrava del tutto imbambolato, ma per fortuna si era ripreso e glielo aveva messo.

Il seguito fu elettrizzante. Tra baci e congratulazioni. La festa fu un successo e festeggiammo per tutta la notte e il giorno dopo. Purtoppo i momenti belli non durano per l'eternità.

Due giorni dopo capii che la mia vita si stava per trasformarsi. Decisi in fretta e cercai di essere positiva, un viaggio di tre mesi. Sarebbero passati in fretta.

 

 

 

 

 

Infatti ero ancora di quell'opinione, ma più andava nei giorni, più mi sembrava che non passasse. Erano quattro settimane che ero qui ed non era cambiato nulla. La mia giornata si scandiva così: sveglia alle sei, colazione e poi portare il mio fratellino a scuola. Ritorno a casa e fare alcune faccende. Di pomeriggio uscivo e visitavo un poco il luogo, ritornavo alle sei con Fabio e mi mettevo a cucinare, mio padre ritornava tardi poiché faceva due lavori e poi a letto. Bella come giornata, no?

Cercare un lavoro era un' impresa, colpa della lingua.

Mi sedetti su una panchina, mentre vedevo due ragazzi abbracciarsi e baciarsi. Che situazione orribile.

Presi il cell e indossai le cuffie un poco di musica mi avrebbe fatto bene.

Partì la mia playlist.

La melodia mi risuonò nelle orecchie e per un attimo mi sentii più leggera, fino a che non arrivò una canzona.

 

Perchè ti voglio bene veramente

e non esiste un luogo dove non mi torni in mente

avrei voluto averti veramente

e non sentirmi dire che non posso farci niente

avrei trovato molte più risposte se avessi chiesto a te

ma non fa niente

non posso farlo ora, che sei così lontano.”

 

 

 

Perchè mi venne un groppo alla gola sentendo questa canzone?

Perchè, mi venne in mente il suo riflesso. Con quell'aria di so tutto io?

La verità che mi mancava tantissimo. Non siamo stati mai niente, ma mi faceva piacere averlo nei dintorni. Avevo capito che mi piaceva, ma il mio era un amore impossibile. Lui non provava nulla, voleva solo portarmi a letto.

Mi faceva male quella verità. Lo guardavo con il cuore in gola, mentre sorrideva a un'altra ragazza che non ero io.

Mi sentivo a pezzi quando lui non mi parlava, anche solo dire una stupidaggine. Mi aveva lasciata sola, senza una parola.

Ero partita anche per quello, per non sentire la sua mancanza.

Mi ero innamorata inconsapevolmente di lui, come una idiota.

Ero questo quello che si provava per amore? Il dolore era più forte delle lacrime.

Avrei schermato le miei emozioni per la mia sopravvivenza.

 

 

E non sappiamo dove né quando ci arriviamo

trascorsi giorni interi senza dire una parola

credevo che fossi davvero lontano

sapessimo prima di quanto partimmo

che il senso del viaggio è la meta, è il richiamo perchè ti voglio bene veramente”

 

 

 

 

 

 

◄▼►

 

L'aria era fresca.

Il sole tiepido.

Mi tolsi la sciarpa e la posai dentro il borsone.

Richiamai un taxi e diedi indicazioni, dopo un'ora e mezza ero ritornato a casa.

Ero rientrato in Sicilia e non avevo nessuna intenzione per il momento di far ritorno in patria. Avevo lasciato una lettera ai miei nonni, dove spiegavo le mie motivazioni. Avevo deciso. Avevo seguito il cuore.

L'avrei conquistata, corteggiata, amata per averla al fianco a me.

L'amavo e questo era l'importante.

Accessi lo stero e lo sintonizzai su “Radio Italia”, adoravo quella stazione, davano canzoni magnifiche. Mi tolsi la giacca e poi la cravatta. Il frigo era vuoto, ma non m'importava, avrei fatto io stesso la spesa per una volta tanto.

Mi sentivo rinato.

Le ombre del passato non mi avrebbero fermato.

 

Così sono partito per un lungo viaggio

lontano dagli errori e dagli sbagli che ho commesso

ho visitato luoghi per non doverti rivedere...

credevo di vedere dentro il mare il tuo riflesso...”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Marco Mengoni-Ti ho voluto bene veramente.

 

 

 

 

 

 

Ciao.

Dopo un secolo ritorno con un capitolo pigro. Non succede nulla di che, e forse nemmeno al prossimo. Ho dovuto faticare nel scrivere il capitolo, poi mentre ascoltavo la musica è partita la canzone, che qua sopra avete letto ed eccolo. Non l'avevo ancora ascoltata con il cuore, il capitolo si è scritto da solo, a volte basta così poco per fare qualcosa.

Spero di non avervi fatto passare la voglia di leggere. Grazie a chi legge e chi commenta alla prossima.

Heart

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Capitolo 19
*** La principessa di ghiaccio ***


20

“La principessa di ghiaccio”

 

 

 

L'umore nero non mi voleva lasciare.

Ero una mina vagante.

La sera scorsa avevo litigato con mio padre; come era possibile che non riuscisse a stare due minuti con noi? Era così importante il suo lavoro, più della sua famiglia? Mi ero fatta avanti, non temevo la sua ira, no...solo la mia pazzia.

Ero stanca di quel modo di vivere. Avevo ventiquattro anni e dovevo vivere la mia giovinezza, invece me ne stavo sempre dentro casa. Era possibile che dovevo sacrificare tutto per lui? Se non fosse stato per mio fratello lo avrei già lasciato e non solo lui. Perché mi trattavano come una schiava o peggio ancora come una ignorante? Anche se non avevo finito le superiori non significava nulla, ero abbastanza intelligente per capire che cosa volessi fare della mia vita, e questo me lo impediva. Doveva essere un genitore presente, doveva stare con suo figlio, era un suo dovere!

Lo avevo mollato con quelle parole ed ero uscita. L'aria fredda mi aveva schiaffeggiata. Non ero riuscita a non piangere, le lacrime erano diventate di cristallo con il freddo. Ma non me ne importava un cavolo, potevo diventare una mummia gelata. A quell'orario non c'era nessuno in giro. Non che fosse notte, ma solo pomeriggio. C'erano tutti i negozi chiusi o in pausa.

Giravo per il centro senza una meta.

Mi sentivo ancora più sola di prima.

Mi sedetti su una panchina e mi coprii bene con il giubbino, dannata aria di montagna. Di quante città c'erano in Germania proprio qui?

Mi persi nei miei pensieri, mentre guardavo una foglia trascinata via dal vento.

-Kostenlos?-

Mi voltai per fissare la persona che mi aveva domandato qualcosa. Non la vedevo bene, poiché indossava un cappuccio e la sciarpa. Vidi solo gli occhi.

Dovevo dire qualcosa, ma non sapevo cosa rispondere.

-Mi dispiace ma non capisco.- Dissi frettolosamente, alzandomi e incamminandomi verso la via principale.

Perché non capivo un accidenti?

Una mano mi fermò dalle spalle e sussultai dalla paura.

-Scusami, non ti volevo spaventare.-Mi disse un ragazzo che a quanto pare sapeva l'italiano?

- Ti avevo chiesto solo se era libero il posto quello vicino al tuo- Mi sorrise.

Idiota!

-Mi dispiace … è solo che ancora non so la lingua e mi sento a disagio ogni qualvolta che qualcuno mi chiede qualcosa.-Spiegai con calma, anche se dentro di me urlavo dalla rabbia, ma soprattutto dalla vergogna.

-Non fa nulla. Anch'io ho dovuto abituarmi a questa lingua. Comunque sono Leonardo, ma mi puoi chiamare Leo.-Si presentò, allungando la mano verso di me.

Istintivamente porsi la mia.

-Jessica.-

-Bene ora che ci siamo calmati, ti va di sederti? Non ti faccio nulla.- Disse alzando le mani come segno di arresa. Lo seguii con titubanza.

Lui aveva in mano un sacchetto e poi lo aprii estraendo un cornetto. Io non lo fissai, permettendogli di mangiare in santa pace.

-Gradisci?-Chiese.

Dissi di no.

L'osservai di nascosto. Era alto abbastanza per superarmi, di sicuro era su un metro ottanta, occhi scuri. Le spalle erano curve verso l'interno.

Passò quindici minuti e lui si alzò.

-Devo ritornare al mio lavoro, tu che fai?-Mi domandò.

-Nulla, rimango qui.-Mormorai sbrigativa.

-Ah capisco. Comunque se ti fa piacere io lavoro all'angolo di questa strada. -Disse per poi scomparire, ma prima salutando.

Era italiano non c'era nulla da dire, forse si era trasferito anche lui per lavoro. Comunque mi avviai verso la strada, dovevo ammazzare il tempo. Alzai gli occhi al cielo e notai che era sul violetto. Di solito quando c'era quelle sfumatura presagiva solo una cosa: neve. Ormai ci avevo fatto il callo, avendo un fratello più grande che amava quel genere di cose. Ricordavo che da piccola mi chiamava per farmeli vedere, mi portava in terrazza e mi indicava le varie cose. Grazie a lui che so da dove soffia lo scirocco o altre cose. Adesso si trovava in America.

Giusto il tempo di prendere il telefono che iniziarono a cadere i primi fiocchi, era bellissimo quello spettacolo, dalle mie parti succedeva poche volte; anche se in quegli ultimi anni ne erano successe di tutti colori. Tra alluvioni e neve.

Mi avviai verso la strada, non mi andava di rimanere ferma come una statua. Ero curiosa di sapere dove lavorasse Leo. Mi aveva fatto una buona impressione.

Mi trovai di fronte a una piccola libreria.

Sembrava talmente piccola all'esterno che mi chiesi se c'entrassero i libri; presi coraggio ed entrai. Restai del tutto di stucco.

Altro che piccola.

Era enorme. Allora diceva vero il detto, “mai giudicare dalla copertina”. La cosa sorprendente era che al centro del salone si trovasse un albero. Alle pareti c'erano i scaffali contenenti i libri di tutti i generi, ero euforica. Non credevo che esistesse una cosa del genere. Mi girai su me stessa con la bocca spalancata. Era magnifica.

Mi avvicinai verso un lato della libreria e constatai che era ricca di volumi. Li sfiorai con le dita e passai alla rassegna. Purtroppo per me erano tutti in tedesco, euforia passò subito. Se solo ci fosse stato qualcosa in italiano, forse avrei passato il mio tempo lì.

-Ciao!-

Mi girai e trovai Leo con una pila di libri sulle braccia.

-A te, è bello il tuo posto di lavoro.- Dissi con il sorriso.

-Grazie è tutta la mia vita. Un sogno divenuto realtà- mi disse, per poi posare i libri su una panca.

-E' tua?-Domandai sorpresa, mentre mi toglievo la sciarpa dal collo.

-Esatto. C'è voluto un poco a trovare il luogo adatto, ma alla fine ci sono riuscito. E' la mia ancora di salvezza.- Affermò, indicandomi una panca in cui sedermi.

-Anche a me piace. Tutti questi libri mi danno all'euforia e poi questo grande albero, spero che sia vivo.-

-Oh certo. Devi vederlo in primavera, i fiori si aprono e si diffonde un profumo dolcissimo.- Disse lui, mettendo gli occhiali sulla testa.

-Vieni ti faccio vedere una cosa, credo che ti piacerà.-Mi prese per mano, anche se mi imbarazzai e lo seguii. Mi portò in una stanza, dove c'erano altri libri.

-Credo questi ti piaceranno. Ho capito che non capisci nulla del tedesco. -Mi staccai e mi avvinai verso il punto che mi stava indicando, presi un volume e mi trovai a comprendere ciò che c'era scritto.

-Ma è italiano.- Lo apostrofai.

-Esatto. Vedi la mia ragazza si è trasferita da poco e ancora non sa bene parlarlo, siamo due divoratori di libri e così le ho messo dei libri da parte.- Spiegò per poi continuare.- Chiamalo istinto ma quando sei entrata ho capito che anche a te piacevano, così ti ho rivelato questo mio segreto. Chi ama i libri si vede ad occhio nudo e tu sei una di quelle.- Terminò.

-Grazie allora. Da quando sono arrivata qua non mi sono sentita molto a mio agio, cercavo qualcosa da fare, purtroppo tutti i libri li ho lasciati in Italia e mi ritrovo con solo degli e-ebook, ma mi rovinano gli occhi a leggerli sul telefono. Mi salvi la vita.

-Affermai, iniziando a sfogliare quel tesoro.

-Io ti lascio, vado a sistemare questi volumi.- Disse chiudendo la porta, ma lo fermai.

-Posso darti una mano? Anche se mi hai dato questa possibilità, devo pur ricambiare.-Ammisi seria.

-E va bene. Dai aiutami, forse in due riusciremo a finire prima.-Annuii e lo seguii.

 

 

 

 

Erano le sette e mezza di sera. Il cielo era ancora nuvoloso, ma per il momento non nevicava più. Io e Leo dopo aver sistemato tutti i libri negli scaffali, parlammo del più e del meno. Scoprii che aveva trentadue anni, anche se non lo dimostrava e la sua ragazza trenta. Si era trasferito prima lui e poi lei, per vivere una vita dignitosa, poiché in Italia non c'era posto. Provenivano entrambi da Napoli, infatti più delle volte usava diverse metafore del luogo. La cosa sorprendente che ci capivamo al volo, forse a causa dalla nostra passione in comune o per chissà cosa.

Leo si era offerto di farmi da Cicerone in quella città bellissima, gli avevo raccontato su per giù la mia storia, e lui mi aveva dato man forte per quello che avevo deciso. Mi sentivo a mio agio con lui, poi verso le otto si era unita la sua ragazza. Era minuta e bassa, a confronto a lui che era un metro e ottanta. Ma la trovai simpaticissima e gentile, si chiamava Aurora.

Vedevo i loro sguardi complici e innamorati.

-Leo perché non andiamo al mercato? Credo che Jessica non l'abbia ancora visto.-Propose Aurora.

-Perché no? Ti va bene?-Mi domandò lui.

Risposi di si, mandai un SMS a mio padre e poi li seguii.

-Devi sapere che durante il periodo di Avvento la Baviera si trasforma, si organizza il Christkindlmarkt, letteralmente "mercato di Gesù bambino". Si narra che fu proprio Lutero a introddurre l'usanza di fare dei doni ai bambini nel giorno della nascita di Gesù. - Mi spiegò.

Era una bellissima usanza, girammo tutto il mercato, mangiando alcuni dolci del periodo. Verso le dieci mi accompagnarono a casa, e costatai che vivevamo anche vicino, che colpo di fortuna. Forse la fortuna stava ritornando.

 

 

 

◄▼►

 

 

 

Sulla scrivania avevo diversi documenti da verificare.

Il capo mi aveva dato carico di esaminare diverse pratiche. Il primo che avevo letto trattava di nozze di due paesi differenti, il secondo casi di diplomazia tra Pecchino e Istanbul. Stavo rileggendo l'ultimo, per cui stavo facendo più tardi del solito. Un tale cinese protestava di merce scaduta, in cui il suo negozio stava fallendo a causa dei prodotti che mostrava. Le autorità del luogo avevano esaminato le vari merce che provenivano dall'Australia. Lessi i verbali e le varie scartoffie. Strofinai gli occhi con le dita e poi buttai tutto sulla scrivania. Erano le sette e mezzo e già alcuni se ne erano andati.

Presi i vari documenti e li riposi nella mia ventiquattr'ore, li avrei letti con più attenzione a casa. Spensi le luci e uscii dal palazzo. Ci sarei stato quasi un'ora prima di rincasare, di sicuro il traffico era allucinante.

In macchina accesi lo stereo e durante un semaforo e l'altro, guardavo il telefono. Avevo due SMS e una chiamata, di cui era una di mia nonna.

L'avrei chiamata arrivato a casa, non mi andava di vederla adesso, anche via webcam. Per fortuna l'autostrada non era piena, riuscii ad arrivare a casa dieci minuti prima.

Dopo essermi cambiato e rinfrescato, cercai qualcosa da mangiare.

La scorsa sera avevo optato per una pizza.

M'indussi a cucinare e mangiare un pasto decente.

Dopo un'ora ero sdraiato sul divano con la tv accesa.

Gli occhi si chiudevano soli, fino a che sentii la vibrazione del cellulare. Lo presi pigro e risposi.

-Ehilà!-Disse una voce squillante.

-Ciao.-Risposi, posizionando due cuscini dietro la schiena. Osservai la mia ombra sul tetto, mentre aspettavo che Giorgio finisse di parlare. Benedetto ragazzo non era stanco?

-Dai. Usciamo e ci facciamo un giretto.-Propose nuovamente.

-No. Magari domani sera. Sono stanco.-Risposi.

-Sempre stanco! Mi sembri mio nonno!-esclamò lui.

-Perché fai un lavoro semplice, ma non ti preoccupare che da Lunedì di rifarò l'ordine da capo e poi vediamo se sei ancora così entusiasta.-Borbottai scocciato. Avevo la testa che pulsava.

-Dai stavo scherzando...-Gli chiusi la chiamata in faccia e gettai il telefono sul divano, mi alzai e salii al primo piano. Inserii l'allarme ed entrai in camera mia. Morfeo mi catturò subito.

 

 

 

 

 

 

Il freddo pungente si faceva sentire, Dicembre ormai era alle porte.

Ero uscito poco dopo il mio rientro, poiché ero stato pieno di lavoro.

Finalmente avevo dato l'opportunità di fare un giro, Giorgio sembrava un bambino in quel momento. Abbracciava chiunque, per poi scoppiare a ridere.

La piazza era strapiena come al solito, i pub erano aumentati. La musica era un mix di diversità; c'era quella a sud che era rock, quella a est commerciale e quella a nord una band jazz. Giorgio mi aveva trascinato dentro al nuovo pub , era carino. Una tipa si avvicinò e mi guardò con uno sguardo lascivo. Il mio amico ci fece un pensierino e poi mi diede una birra.

Dopo la sua conquista ci spostammo verso il centro e ci perdemmo. Mi trovai di fronte Luca che parlava di moda con una ragazza che alla fine constatai che si trattasse di Noemi. I due sembravano immersi in un mondo tutto loro, che gli altri si chiesero se fossero lucidi. Lui le diceva che i colori tendenti di quell'anno erano il rosso, il giallo ed altri e lei gli rispondeva che un giorno di quelli l'avrebbe portato con sè per fare shopping. Chiusi gli occhi e risi, era il solito.

-Ehi amico! Ti rivediamo!- mi interpellò Francesco abbracciandomi e poi scostandosi. Si era fatto crescere la barba.

-E già. Che mi raccontate?-Chiesi curioso. Mentre gli altri mi venivano incontro. Luca mi rimase incollato per un bel pezzo, sembrava una sanguisuga.

-Togliti cetriolo!-L'ammonii.

-Mi offendi così.- disse lui tutto dispiaciuto.

-Lu potresti fare il comico-, urlò Francesco.

Continuammo a parlare del più e del meno. Si erano fatte le due, e ancora c'era gente. Eravamo seduti sulle scalinate della chiesa che dava accanto al Collegio.

Un antico palazzo che era stato ristrutturato e di solito si tenevano conferenze e visite, poiché al suo interno c'era un vasto museo di articoli sacrali e poi una delle biblioteche più antiche della città.

Il mio sguardo era sempre in movimento, mi sembrava che mancasse qualcosa.

-Chissà come sta andando la cena. Crystal era preoccupata- Indusse Noemi.

-Spero solo che quella strega non abbia combinato qualcosa, sennò ci vado io e la faccio a fette.- Borbottò Luca, alzando il braccio e chiudendo la mano a pugno.

-Perché dici questo?-Chiesi curioso.

-La madre di Federico è un'arpia. E pensare che suo padre è un pezzo di pane. Comunque Federico voleva ufficializzare il tutto con una cena speciale.-Affermò Luca, poi tutti si voltarono verso Noemi.- E' andata bene, stanno ritornando.-Disse felice.

Ci rimettemmo a camminare, la piazza si stava svuotando e i locali iniziavano la pulizia.

-È da tutta la sera che hai l'aria inquieta. Non è che ti manca una certa ragazza?-Domandò all'improvviso il ragazzo, ma non era andato con gli altri?

-Non so di che cosa stai parlando.-Mormorai sottovoce.

-Non sono cretino. La stai cercando da tutta la sera.- Mi fermai e lo fissai. I suoi occhi erano di un colore strano, tra il grigio e il marrone.

-Parla chiaro, non mi piacciono i giri di parole.- Ammisi stufo.

-Ti sei preso una bella cotta per la nostra principessa di ghiaccio. Mi dispiace caro mio, ma sarà dura per te conquistarla.- Affermò ridendo.

-Smettila, non so di che cosa stai parlando.- Misi le mani in tasca, c'era freddo.

-La potrai cercare ovunque, ma lei non si trova per il momento qui. Purtroppo per te è partita un mese fa.-

Mi voltai all'istante e lo fissai. Che cosa significava che era partita? E per andare dove?

-Ecco lo sapevo. Il mio istinto non mi delude mai. Abbi pazienza, amico mio.- Mi disse posando una mano sulla spalla.

-Perché?-

-Per motivi di famiglia. Spero che stia bene. Anche se si dimostra fredda ha un cuore d'oro. Ti prego se hai intenzioni poco belliche , di non farlo quel passo. Non si merita tutto questo. Ha solo bisogno di qualcuno che le dia protezione. L'ho sempre vista come una creatura che teme tutto, ma affronta il tutto con coraggio e freddezza. -Mi dichiarò- è un'amica sincera e leale, e a volte preferisce soffrire lei stessa che far patire gli amici.-Disse. Poi mi prese da entrambe le spalle e mi disse poche parole che mi rimarranno per sempre in mente.

-Se provi qualcosa per lei ed è sincero, conquistala. Amala con tutto te stesso. Non dubitare mai di lei, perché venderebbe anche l'anima. Se non capisce, chiarisciti e non tirarti mai indietro. Abbi pazienza, poiché è testarda. Confortala quando avrà gli occhi tristi e si sentirà sotto terra. Ma soprattutto prenditi cura del suo cuore, scioglielo con calma e senza fretta. Se invece la vuoi solo usare, ti prometto che ti darò la caccia finché non avrai pagato la pena per i tuoi errori!- Disse duro. I suoi occhi si erano aperti e notai il grigio che diventava scuro. Mai lo avrei visto in quel modo.

-Cosa provi per lei?-Domandai. Uno strano dolore mi pervase il petto, era per caso gelosia?

Lui mi fissò, dopo aver sciolto le braccia da me. Aveva lo sguardo puntato sulle punte delle scarpe.

Aspettavo ancora una sua risposta, mentre quel dolore aumentava.

-E' la donna che mi ha dato la possibilità di vivere ancora. Lei mi ha ridato la luce. Se non ci fosse stata, non ci sarei più.- Mormorò piano.

-Non capisco.-

Rialzò lo sguardo e notai che gli occhi erano lucidi.

-Mi ha salvato dal suicidio. Quando mio padre venne a conoscenza che ero omosessuale mi cacciò da casa e dall'azienda di famiglia. Non avevo più un posto in cui vivere. Ero disperato. Volevo farla finita e mi apprestai a trovare un punto abbastanza alto da dove buttarmi. Avevo le mani scivolose e sudavo freddo. Vedevo il buio sotto di me, ma anche alle mie spalle. Il mondo non mi accettava. Ero solo. Ma poi eccola, era con suo fratello minore. Mi guardò a lungo fino a che non mi voltai per capire di chi era quella presenza calda.

I suoi occhi mi rimproveravano. -Si fermò un attimo. Si toccò i capelli nervosamente e poi prese un pacco di sigarette dalla giacca e ne accese una, dopo un sospiro continuò.- Mi disse che stavo facendo un errore, che la vita era un dono. Anche se morivo non avrei risolto nulla. Eravamo tutti figli di Dio, anche io. Mi porse la sua mano. Aveva un grande sorriso stampato in faccia, proprio in quel momento il sole incorniciò il suo profilo, forse era un miraggio o la qualunque cosa, ma vidi due bellissime ali dietro di lei. Sembrava un angelo. “Anche se tutto va storto, non abbatterti. Un giorno troverai la tua via e qualcuno che ti ama per quello che sei. Se vuoi ti darò io una mano per rialzarti.” Mi disse, da quel giorno cambiò tutto. Presi in mano la mia vita e trovai la forza di combattere contro le ingiustizie. Mi trovai un lavoro e un tetto, degli amici ed eccomi qua. Lei è il mio angelo e chi tenta di spezzarle le ali se la vedrà con me.-Mi raccontò, rimasi senza parole.

 

 

 

 

Ero ritornato a casa stordito.

Il telefono si era spento per la batteria scarica, ma non m'importava di caricarlo.

Quelle parole mi avevano lasciato l'amaro in bocca. Esisteva ancora gente così ignorante e piena di pregiudizi? Quanto ne aveva passate, Luca?

Per fortuna aveva trovato lei ad incoraggiarlo.

Sapevo poco di questa ragazza, ma era come se la conoscessi da sempre. Vedevo in lei una tipa forte, ma come aveva detto Luca soffriva tanto. Chissà se un giorno me ne avrebbe parlato. Mi sarei comportato come un amico, avrei fatto un passo dopo l'altro e l'avrei conquistata.

Forse c'era ancora una possibilità, si, avevo commesso tanti errori, ma ci sarei riuscito.

Avrei aspettato il suo ritorno.

-Ritorna presto...da me.-

 

 

 

 

 

°°°°°

Salve.

Ecco il nuovo capitolo.

Siamo ad un punto di svolta.

Jessy ha incontrato nuovi amici e Kaname ha scoperto un lato di Luca e anche di lei.

Spero di non avervi annoiato.

Alla prossima

Heart

 

 

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Capitolo 20
*** Le mille sorprese ***


21

“Le mille sorprese”


 

Sembrava che fosse passato una vita dall’ultima volta che ero uscito. Ero dovuto partire più di tre volte in quegli ultimi mesi, che mi ero ridotto ad essere un asociale. I miei amici mi invitavano molto spesso ad uscire, ma ogni qualvolta rifiutavo. Non mi andava di stare in mezzo a loro e non vederla. Era diventata la mia ossessione, me la sognavo anche di notte.

Mi ero ridotto ad essere un idiota per una ragazza che nemmeno mi voleva e per giunta non c’era. La sua permanenza in Germania si era prolungata più del previsto e questo mi faceva saltare i nervi.

Crystal stava dando di matto per la sua mancanza, poiché i preparativi per il matrimonio le stava facendo perdere i capelli per lo stress; diceva che era l’unica che la sopportava e le diceva in faccia quando non ne poteva più. Non volevo essere al posto di Federico, che da una parte sopportava la sua fidanzata e dall’altra sua madre. Infatti la signora stava divorziando dal marito. Davo man forte a quel povero uomo, venticinque anni con quell’arpia erano già troppi. Gli avevo dato consiglio per un bravo avvocato che lo avrebbe fatto vincere, infatti la donna voleva metà del suo patrimonio, ma fatti i conti, lei non doveva ricevere nemmeno un quarto.

La piccola di famiglia rimaneva con il padre e invece l’altro figlio con la donna; ma era vano il suo tentativo di sottrargli qualcosa, infatti il figlio era maggiorenne e non attribuiva il mantenimento.

Aveva trovato pane per i suoi denti, adesso tutto era in mano al giudice.

Buttai la valigetta sul divano e mi recai in cucina.

Stappai una bottiglia di vino rosso e me lo versai in un bicchiere.

Le giornate si erano allungate e il freddo di qualche mese fa era sparito. Le vacanze natalizie li avevo trascorsi con la mia famiglia, pochi giorni per poi ritornare i primi di Gennaio. Il solito tran-tran mi aveva investito ed ero partito verso la Russia per sbrigare delle faccende burocratiche e poi in Olanda e infine a New York che ero rimasto per due lunghi mesi, dopo aver appreso che lei non sarebbe ritornata.

Le mie giornate le passavo in ufficio o casa. Bella vita di merda!

I giubbotti erano stati messi via, lasciando solo delle giacche più leggere.

Di solito non uscivo di venerdì, poiché il giorno dopo non lavoravo mi ero concesso un attimo di tregua. Avevo svolto tutto il lavoro alla perfezione che il capo mi aveva concesso un paio di giorni di ferie.

Non era necessario, ma lui mi aveva obbligato ad accettarli, e infine eccomi qua a sorseggiare una bevanda.

La piazza era affollata non come il sabato, ma ce n’erano. Mi sedetti in un tavolino e mi guardai in giro.

Tra breve sarebbe stato il 1 Maggio e come tradizione la città era addobbata di luci e festoni. Senza dimenticare il 25 aprile. Mi distrassi un momento per controllare il telefono, che qualcuno si sedette nella sedia vuota.

-Bentornato tra i vivi, amoruccio mio!-Esclamò una voce. Rizzai sull’attenti e notai Luca. Quell’appellativo mi dava sui nervi.

-Buona sera anche a te, amicone!- Risposi, fissandolo. Portava una camicia a quadretti blu e un paio di jeans sbiaditi. Era un figo, peccato per la sua tendenza omosessuale perché avrebbe avuto tante donne ai suoi piedi.

-Come stai? È da tanto che non ci vediamo…credevo che fossi morto!-Puntualizzò.

-Come vedi sono abbastanza in forma.-Borbottai, bevendo un altro sorso di birra.

-Lo vedo, mica sono cieco!-

Lo guardai di sbieco e lo lasciai stare, scrollandomi le spalle con disinvoltura.

All’improvviso Luca alzò la mano a mo’ di saluto e metà piazza si girò. Che figura di merda, non era necessario fare il pagliaccio.

Naomi e Francesco si avvicinarono salutandoci per poi arrivare anche Andrea e Federico, seguito da Crystal e un altro ragazzo.

-Perché ha portato anche quel damerino?- Borbottò Luca.

Notai che Crystal stava fucilando il ragazzo e anche il fidanzato, che avesse qualcosa contro di lui?

-Tu sei Kaname, giusto?-Domandò lui.

-Esatto, tu?-Mi alzai per porgli la mano.

-Daniele. Il fratello di Federico.- Si presentò. Ecco risolto il mistero. Fratelli, eh? Non si assomigliavano per niente.

L’osservai da lontano, mentre parlava con Federico, nessuno voleva rivolgergli parola e questo mi insospettii.

Fui travolto dalle discussioni degli altri per dimenticarmi di lui, infatti dopo poco se ne andò, per la felicità di tutti.

Ci sedemmo e ordinammo da bere e da mangiare, parlando del più e del meno.

Fino a che un telefono suonò.

Crystal lo estrasse e rispose.

Successe tutto in pochi frammenti, la ragazza si alzò di scatto e fuggì verso una direzione.

-Ma che l’è successo?-Affermò Luca.

-Boh!-Alzò le spalle Federico sorridendo, come se lo sapesse.

Guardai nella direzione che la ragazza era fuggita senza un motivo ben preciso, mentre Luca chiedeva a Federico perchè non la seguisse o almeno chiedesse che cosa le fosse successo.

Ma lui aveva risposto che stava bene ed era al sicuro. Chissà che gli frullava nella testa, fino a che…

-Ragazzi guardate chi si è fatta viva?-Disse piano, mentre il cuore mi batteva forte nel petto. Sollevai il viso e incontrai il suo sorriso.

Lei era lì.

Il primo a salutarla con un grande abbracciò fu Luca che le saltò proprio addosso, mormorando -oh angelo mio sei ritornata!- lei non diceva nulla. Il suo sorriso aveva contagiato tutti eccetto me.

La salutarono tutti e poi arrivò il mio turno.

-Ciao, come va?-Mi chiese. Sembrava più alta. Indossava dei sandali con la zeppa e dei jeans scuri che la slanciavano ancor di più, una maglietta di pizzo e una giacca di pelle. Era strepitosa. Mi stavo innamorando di nuovo di lei. Si sedette accanto a Luca che le fece spazio e si affiancò a me.

I suoi capelli erano più lunghi di quanto ricordassi e poi si era fatta crescere la frangia e la portava di lato.

Bellissima.

-Allora come è stato il tuo soggiorno?-Chiese Noemi, volendo sapere tutti i dettagli. Lei si mise comoda e iniziò a raccontare piccoli pezzetti della sua avventura. Tutti pendevano dalle sue labbra. E non erano i soli, non riuscivo a staccare gli occhi da lei, era dimagrita e le sue forme erano perfetta.

Mi sentivo galleggiare dalla felicità, finalmente potevo fare le mie mosse.

-Aspetta un momento!-Esclamò Crystal.- Tu- rivolgendosi al suo ragazzo- come facevi a sapere che fosse qua?-Domandò, fissando Federico.

-E’ stato lui ha chiamarmi e dirmi di farti una sorpresa. Ti vedeva giù e così tre giorni fa mi ha chiamata e mi ha detto di ritornare e anticipare alcuni giorni. Ero perplessa poiché la scuola lì ancora non è finita, e non mi andava di lasciarlo, così ho convinto mio padre di prendersi quelle ferie e di accudire suo figlio, ed eccomi qua. Sono tutta per te, Crystal ora mi puoi strapazzare.-Affermò seria, per poi sorridere.

-Grazie amore!-urlò Crystal abbracciando il ragazzo per baciarlo.

-Eh eh, siamo in un luogo pubblico, se volete c’è l’angolo.-Disse sarcastica.

-Spiritosa.-Commentò Crystal, per poi sommergerla di domande.


 


 


 

Il 1 Maggio era arrivato. Era una splendida giornata con il sole. Mi stavo apprestando a muovermi per recarmi all’appuntamento con tutti gli altri.

Avevamo organizzato una mangiata per festeggiare quel giorno e per il rientro di Jessy. Chiusi la porta e mi avviai verso il garage. Alle dieci e mezza eravamo già arrivati a destinazione. Alla fine avevo capito che quella casetta era di Jessica e in quel momento non c’era.

-Buongiorno ragazzi.-Ci girammo tutti e la vedemmo arrivare. Aveva una felpa rosa e dei jeans e in mano portava un guinzaglio.

-Dov’è?-Chiese Luca, lasciando le sedie che stava trasportando fuori.

-Nella sua cuccia, la volevi in mezzo ai piedi?-Disse, posando l’oggetto.

-No, grazie. Vorrei mangiare sta volta.-Borbottò.

Finito di sistemare il tutto ci sedemmo e parlammo, beh le ragazze si misero sotto il sole e noi ragazzi a discutere.

Avevo notato che vicino al cancello era situata una cuccia e al suo interno c’era un cane. Avevo appreso che si trattava di una dolce cagnolina che non si scollava dalla ragazza; Luca mi raccontò di una volta che avevano lasciato la carne fuori, ma al loro ritorno non c’era più, la signorina l’aveva mangiata tutta.

Jessica si era arrabbiata molto e l’aveva buttata fuori di casa.

Luca era un comico a raccontare quelle vicende.

Dopo l’ora di abbronzatura, iniziarono a preparare il pranzo, lasciando le carni per la sera.

Sul tavolo c’era una pentola piena di pasta e fianco un’altra piena di dolci.

Si prospettava un accumulo di calorie.

Il pranzo fu delizioso come immaginavo, con Jessica in cucina tutto sarebbe andato alla meglio.

Il dolce fu una vera bomba. Bigne da una parte, palline al cioccolato. Tartufi. Torte con la panna o meno, c’era il ben di Dio.

Non riuscivo più a camminare.


 

◄҉∞►


 

I ragazzi si erano sdraiati sui letti per riprendersi. I dolci erano stati molto pesanti e poi, peggio per loro che li avevano voluto assaggiare tutti quanti.

Noi ragazze stavamo sistemando la cucina e lavando i piatti, mentre ci aggiornavamo sui vari argomenti. Crystal ci spiegò che la data del matrimonio era slittata per l’anno successivo in primavera, non se la sentiva per il momento. Voleva fare tutto con calma.

La casa non era un problema, poiche avevano trovato una bella villetta in periferia, c’erano bisogno di piccoli cambiamenti, ma grazie all’aiuto del padre e di Daniele si sarebbero aggiustati.

Nominare quel nome mi faceva ancora male. Anche dopo tutto quel tempo le ferite non si erano rimarginate. Mi ero detta di non pensarci più, ma lui era il fratello di Federico, e la sua fidanzata era la mia migliore amica. Lo avrei visto sempre, che situazione brutta.

Il mio viaggio mi aveva permesso di forgiarmi di una nuova solida maschera, ma mi chiedevo quanto tempo ancora sarebbe retta con quel ritmo. Il rapporto con mia madre si frantumava ogni giorno in più, la signora si era data alla bella vita durante la mia assenza, portando a casa anche uno stronzo. Non solo dovevo sopportare lei, ma anche lui, che mi aveva scambiato per Cenerentola.

Sopportavo solo per il mio piccolo fratellino, se solo David ritornasse dall’America mi darebbe man forte, invece lui non ne vuole sapere.

Ahhh. Devo rilassarmi, sennò mi ricoverano.

La cucina era finita,. Naomi e Crystal si apprestarono a raggiungere i propri ragazzi, mentre io mi affacciai fuori. Il sole era dietro ad una nuvola.

Presi il cane ed uscii fuori dal cancello, avevo bisogno di non pensare. Tutto invano perché i pensieri si affollarono di più. Rientrata stanca, appresi che gli altri volevano andare in spiaggia, non era distante.

-Cinque minuti e andiamo.-Balbettai.

-Io prendo Kira.-Si propose Luca.

La passeggiata fu un vero disastro. Poichè Luca cadde per tre volte per terra, forse per qualche assurdo malocchio. A Francesco gli era caduto il telefono per terra e si era rotto lo schermo.

Nulla di grave.

Quando giungemmo in spiaggia era piena di cani di tutte le dimensioni e razze. Kira ringhiava contro tutti e poi non la finiva di correre, ad un certo punto non ero più riuscita a tenerla e l'avevo lasciata andare. Mi sedetti sulla spiaggia stanca morta e seguita da Naomi che non ne poteva più di sentire Crystal.

Sbuffammo entrambe.

-Che aria divina, mi farei un bel bagno!-Affermò Luca che era dietro di noi.

-Prego, se insisti tanto.-Lo accontentai. Lo presi all'imporovviso e lo spinsi verso l'acqua. Purtroppo piantò i piedi sulla sabbia e mi fece cadere all'indietro, bagnandomi tutta.

-Ben ti sta!-Mi ammonì. Intanto ero fradicia.

Mi scrollai l'acqua e lo guardai truce. Presi una manciata di sabbia bagnata e l'appallottolai a forma di palla e gliela gettai in testa.

-Vuoi la guerra? E sia!- Da lì in poi iniziò una vera e propria sparatoria di palle di sabbia. Gli altri si erano allontanati per non essere colpiti, li guardai e Luca mi fissò, annuimmo in silenzio per poi fare una finta e colpire Naomi e Francesco. Battemmo la mano per la nostra vincita.

-Avevo i capelli puliti- Sbuffò Naomi.

-Avevi, infatti.-Ripetè Luca.

La guerra ricominciò, nessuno sarebbe uscito pulito, si era messa anche Kira a giocare con noi. Di sicuro gli altri che passavano di la ci prendevano per pazzi, ma mi stavo divertendo un sacco.

Eravamo crollati tutti a terra sfiniti. Eravamo in uno stato pietoso, Naomi aveva la testa piena di sabbia. Francesco si era bagnato i pantaloni, invece Luca sembrava intatto . Mi chiesi come aveva fatto.

-Ma che avete combinato?- Ci interpellò Crystal.

-Ne vuoi un poco?-Dissi con un pugno di sabbia.

-No, grazie. E poi stasera devo andare dalla strega, non avrei il tempo di pulirmi.-Disse nervosa.

-Stasera? Ma dobbiamo mangiare e stare tutti insieme.-Affermai.

-Mi dispiace tesoro, ma non potrò rimanere molto. Voglio tapparci la bocca una volta per tutte.- Disse, triste. Quella donna me l'avrebbe pagata molto cara.

Ritornammo a casa. La sera stava giungendo e iniziavo a sentire freddo, avendo i vestiti zuppi.

Una giacca si pose sopra le spalle e mi voltai. Kaname era vicino a me.

-Almeno ti ripari.-Disse.

-Ma te la bagnerò tutta.-Commentai, togliendomela e dandogliela. Ma lui mi disse di no e la misi su. Kira si faceva portare da Luca docilmente, era anche lei stanca.

Le luci di casa erano spente e dovetti aprirla con la luce del cellulare, perfortuna avevo lasciato lo scaldabagno acceso.

Cercai qualcosa da indossare e mi chiusi in bagno.


 


 


 

◄▼►

La giornata era volata via.

L'aria di mare aveva fatto il suo effetto e adesso non vedevo l'ora di mangiare. Crystal e Federico se ne erano andati, avevo notato la delusione nel volto della ragazza...chissà cosa sarebbe successo.

La carne stava cucinando e mi allontai un momento. Presi il carica batterie dentro la borsa e misi il telefono sottocarica. In quel frangente Jessy uscì dal bagno. Aveva i capelli umidi. Mi guardò per poi uscire fuori.

Quando stavamo salendo la salita per ritornare a casa, avevo notato che stava tremando dal freddo. Eravamo in Aprile e l'acqua era gelata, anche se non si era interamente buttata a mare. Mi sarebbe piaciuta la scena, per sfortuna mi aveva chiamato mia nonna e mi ero allontanato. Al mio ritorno avevo trovato i ragazzi pieni di sabbia e lei rideva. Era davvero carina con quel sorriso. Rivedevo quella ragazza che mi aveva descritto Luca.

Dovevo fare la mia mossa.

Lei doveva sapere ciò che provavo...presto.


 


 


 


 

Buongiorno!

Nuovo capitolo arrivato, iniziamo a riscaldare l'atmosfera, anche se devono passare due capitoli dove c'è un poco di movimento da parte di Jessy. Ma poi inizia la missione di Kaname. Siete pronti?

Grazie a tutte le persone che commentano e leggono questa storia, spero che non vi deluda.

Heart

Per chi si vuole unire al gruppo: https://www.facebook.com/groups/411746989000957/

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Capitolo 21
*** Un nuovo inizio ***


22
“Un nuovo inizio”
 


Avere un poco di silenzio era una missione.
Quanto tempo era che ero ritornata? Due settimane? Beh, già me ne volevo andar via. Perché? Semplice quel coglione di Antonio ( sarebbe il nuovo compagno di mia madre), non faceva altro che chiamarmi e offendermi. Per le prime volte non ci avevo fatto caso, lo lasciavo perdere, ma quando poi si era deciso a rompermi sul serio non ero riuscita a frenare la mia linguaccia. Lo stoccafisso pretendeva che fossi Cenerentola, non faceva nulla, solo urlare il mio nome e basta. Si era pure accomodato sul mio letto una volta e lì, non ci avevo più visto. Gliene avevo detto di tutti i colori, ma come al solito mia madre difendeva lui, che me. Preferiva lui che sua figlia. Speravo con tutto il cuore che mio fratello non ritornasse, che restasse con mio padre, di sicuro mi avrebbe odiato, ma lo facevo per amor suo. Kelly era un angelo al confronto a quel bast****. Meglio che mi censuro, va!
Mi chiedevo cosa avesse visto mia madre in quell’uomo. Era senza capelli, aveva il naso e i denti storti, non che quelli miei fossero tanto dritti, ma cavolo!
Chiusi la porta per non sentirlo.
Accesi il portatile che in precedenza avevo installato la password, perché il cosiddetto uomo di chiesa, era un fanatico del porno; non avevo nessuna intenzione di trovarmi il pc inondato di tali scene! Chiusi a chiave e mi avviai all’armadio, finalmente era sabato.  Da quando Crystal si era fidanzata non potevo più dormire da lei e questo mi rattristava moltissimo, lei era la mia unica valvola di sfogo, adesso avevo le ali bloccate. Chiusi gli occhi e respirai a lungo, mi dovevo fare forza, non avrei vissuto per sempre nel buio.
La vibrazione del telefono mi fecero abbassare la musica e risposi.
-Dolcezza sei pronta? Sto per passare. – Mi disse Luca, mi guardai ed ero ancora in tuta, avevo cinque minuti per trasformarmi.
-Cinque minuti e sono da te, pasticcino! – Dissi, estraendo un paio di jeans e una maglietta.
-Adoro quando mi chiami così, angelo. – Mi borbottò sorridendomi.
-Ok. Stacco vado a prepararmi. – Detto questo posai il telefono sul letto e indossai i vestiti, riaprii la porta già pronta per poi andare in bagno e truccarmi. Dopo dieci minuti ero finita. Presi la giacca, borsa e il telefono, e urlai che me ne andavo. Antonio si sporse dalla ringhiera – Entro le undici a casa, ragazzina!- Puntualizzò.
-Dillo a tua figlia, non me. A domani.- Chiusi la porta e salì macchina, salutai Luca e partimmo.
-Sei uno splendore, angelo mio. Dove ti porto stasera? –Mi domandò, mettendo la prima.
- Dove vuoi, mi fido di te. – Gli sorrisi, mettendomi la cintura.
Era ancora presto, l’appuntamento per la pizzeria era alle nove, ed erano solo le otto e un quarto.
-Che facciamo in questo lasso di tempo? - Chiesi.
-Io avrei un’idea, ma so che poi mi ucciderai. – Mi disse, si fermò dinanzi alla pizzeria. C’era ancora posteggio per gli altri, si fermò un momento dopo e si girò verso di me.
-Allora? – Chiesi.
Non capivo dove voleva andare a finire, ma annuii e lo lasciai parlare.
-Non vorrei essere il solito rompi scatole, ma mi chiedevo se ti piace qualcuno. – Espose guardandomi negli occhi.
La prima cosa che mi venne in mente fu – sei diventato etero? Ti piaccio? – Domandai sorpresa.
-No, no. Sono e sarò per sempre omosessuale. Mi dispiace dirtelo Angelo mio, ma non mi attrai per nulla. Comunque parlavo di altro. Ti piace qualcuno? – Me lo richiese più serio. Rimasi in silenzio a fissarlo, fino che ad un certo punto capii dove lui voleva parare. Distolsi lo sguardo e guardai fuori, proprio in quel momento notai gli altri.
- Sono arrivati. – Dissi velocemente, prendendo la borsa e aprendo lo sportello.
-Aspetta! – Mi richiamò. Lo guardai di nuovo – dimmi almeno si o no. –
Aspettai una manciata di secondi per poi rispondere, meglio avere un alleato in quella impresa assurda. – Si. – Gli dissi sorridendo.
Uscii dalla macchina e salutai Crystal e Federico.
Luca mi abbracciò di sorpresa e per poco non caddi al suolo, ma qualcuno mi prese in tempo. Alzai lo sguardo e mi ritrovai a fissare due occhi profondi.
-Stai attenta. – Mi disse per poi rivolgersi a Luca – e tu, smettila di fare il bambino. – Mormorò per poi entrare.
-Eh ehm. – Borbottò Luca, per poi abbracciarmi senza fare il cascamorto.
Entrammo dentro e ci sedemmo nei nostri posti. I menu ci furono dati subito e iniziai a guardarlo con poca attenzione.
Perché Luca mi aveva chiesto quella domanda, che lui avesse già qualche indizio? Tutto era possibile con lui, sorrisi tra me e me, e osservai il listino delle pizze. Nessuna m’intrigava, così alla fine optai per la solita. Posai il libretto e mi arrivò un sms, lo guardai e per poco non mi venne un infarto. Alla fine non era un sms, ma un messaggio su whatsapp da parte di Luca, il messaggio stava caricando una foto, quando si aprì per poco non svenivo. La foto aveva catturato uno sguardo di Kaname; il cuore iniziò a battermi all’impazzata e divenni tutta rossa.
-Jessy stai bene? Sei tutta rossa. – Mi fece notare Crystal, come darle torto. Fulminai Luca che era all’altro capo della tavola, ma proprio due posti più i là c’era Kaname che fissava il menu.
-Sto bene…è che sento caldo. – Farfugliai velocemente, mi alzai di scatto per andare a prendere una boccata d’aria. Tutti mi guardarono, ma non diedi tanto conto, la priorità era riprendere possesso del mio corpo.
Luca mi seguì in silenzio anche se non lo volevo.
-Lo sapevo. Sono un genio! – Disse felice.
-Smettila di fare il pagliaccio, mi fai saltare i nervi. – Gli dissi, sfregai le mani e guardai la strada. Mi stava innervosendo quel gioco.
-Dai, dimmi se è lui! – Esclamò. Ma non lo feci finire, gli tappai la bocca con le mani e cercai di strangolarlo, peccato che fosse più forte di me e si liberò in una sola mossa. Mi abbracciò da dietro e mi sussurrò poche parole all’orecchio.
 
La serata trascorreva tranquillamente, gli antipasti erano arrivati e adesso attendevamo solo le pizze. I ragazzi parlavano tra di loro, invece noi ragazze sulla moda e di matrimoni; si, perché Crystal aveva estratto delle riviste.
Ce ne diede una a testa. La sfogliai distrattamente, senza impegno. Tutte esclamavano sugli addobbi e cose del genere. Io preferivo un matrimonio più semplice e intimo, ma che risaltasse l’occasione. Ci doveva essere l’essenziale, senza sfarzo.
-Tu che mi dici? – Mi richiamò Crystal.
La guardai per poi ritornare sulla rivista.
-Io credo che dovresti partire dal semplice, le cose si possono aggiungere fino ad un certo punto; non vorrei che poi rappresentasse un mercatino. Qualche fiore, dei spunti della tua personalità…cose così. Deve essere un momento tranquillo e pieno di gioia. Un’ atmosfera calda… comunque io sto dicendo solo come la penso io, so bene i tuoi gusti. – Mi fermai.
-Alla faccia! – Mi apostrofò Noemi.-Dovresti fare la wedding planer!-
-Se, la baka. Ho dato sola mia opinione. – Commentai sentendomi al centro dell’attenzione.
-Beh come testimone ci stai alla perfezione. Lo sai vero? – Disse Crystal.
Testimone? Io?
-Non fare quella faccia, lo sapevi da sempre, solo che adesso si sta realizzando. Preparati a patire le pene dell’inferno perché sarai sempre con me. – Puntualizzò decisa. Dio aiutami tu, ti prego.
-Mi dispiace Jessy. – Mi dichiarò Federico.
Lo giuro, lo avrei strangolato in quel momento. E non solo mi vedevo i miei giorni programmati in anticipo, ma ci si metteva anche Luca.
Mi elencava il dovere del Testimone… lo avrei ucciso.
Per fortuna, grazie a Dio o Kami le pizze mi salvarono da una follia.
Iniziai a tagliare il primo pezzo…
Sposarsi. Era una grande parola.
Significava vivere il resto della tua vita con una persona accanto, proteggerlo e amarlo. Quella persona doveva essere lo specchio di te, il tuo amico e confidente.
Chissà se lo avrei mai trovato. Non avevo espresso nessun desiderio a Capodanno, perché alla fine ci rimaniamo sempre male, ed io ero stanca di illudermi. Se doveva accadere qualcosa era ben accettato.
Perché facevo certi pensieri? Perché mi sentivo sola anche circondata dai miei amici. Perché non riuscivo ad essere felice? Il dolore era talmente profondo da non essere sostituto?
Dopo cena e dopo il caffe, ci spostammo verso mare. Si erano fatte le undici di sera.
Chi proponeva un pub o altro, io non avevo voglia di far nulla. Mi sarei messa su una panchina a fissare le stelle.
Seguii gli altri in un pub, la confusione era assurda, chi spingeva da una parte o dall’altra. La musica era a palla, mi sentivo galleggiare in quell’ambiente di sesso e di fumo.
Non mi ricordo nemmeno che ore erano, ma verso le cinque ci recammo verso la “Battigia”. Non c’era nessuno, e ci credo visto l’ora.
-E’ una meraviglia questo periodo, non c’è nessuno che rompe. – Disse Noemi, mentre abbracciava l’aria.
-Sembri una bambina. – Borbottò Francesco, guardando la sua ragazza.
-Siamo un po’ bambini alla fine, sarebbe bello ritornare a quella età. –Dissi inconsapevole, uscendo dalla macchina e incamminandomi verso una panchina. L’aria era fredda, ma poco m’importava. Volevo vivere quell’attimo. Le stelle sembravano così cariche di luce che cercai di averla tutta per me. Chiusi gli occhi e assaporai quella magnifica sensazione. Con la mente viaggiavo attraverso la fantasia…era bellissimo.
 
 
Pian piano il cielo iniziò a schiarirsi, era quasi l’alba. Mi alzai dalla panchina e andai verso la macchina, tutti si erano addormentati, ma come facevano? Solo io mi sentivo insicura?
Iniziai a scuotere Luca nel tentativo di svegliarlo, ma mi spostò borbottando: -lascia il mio pasticcino. –Disse nel sonno.
-Non sono il tuo pasticcino, dannazione! –
Che cosa facevo adesso? Ero sola in mezzo a degli addormentati.
-Sono sola. – Mormorai malinconica.
-Ci sono io. – Mi girai verso la voce e mi trovai Kaname di fronte, aveva i capelli un poco spettinati e la camicia fuori posto, era uno gnocco da far paura. Rimasi a fissarlo per un lungo momento per poi scostare lo sguardo. L’alba era prossima e si vedeva il mare.
-Meglio lasciarli dormire ancora un poco, poi ci uniamo e li svegliamo. –Disse per poi incamminarsi verso le scale che lo avrebbe condotto sulla spiaggia. Si alzò le braccia a mo’ di stirarsi e da lì, notai le spalle tendersi e muscoli delle braccia.
-Ti va una passeggiata? –Chiese con un sorriso.
Annuii e lo seguii.
Mi tolsi le scarpe e iniziammo a camminare a piedi nudi sulla sabbia.
Il vento si era ritirato, sentivo la natura risvegliarsi, i gabbiani che cercavano cibo.
-Ti capita spesso di perderti tra i tuoi pensieri? – Mi chiese dopo un poco, mi fissai i piedi e poi risposi.
-Ogni volta, forse è un vero proprio difetto. – Mormorai.
-Capisco. Invece penso che sia un pregio. Pochi riescono a disinteressarsi dal mondo come fai tu. – Si complimentò, scese le mani verso i fianchi e continuammo la nostra camminata.
-Ho una miriade di difetti…- mormorai.
-Li abbiamo tutti. –
-Il sole sta spuntando…- dissi, perché sentivo una strana sensazione in sua compagnia? Era come se il mio corpo fosse leggero, tutte le ansie svanivano via.
-Abbiamo superato il record, di solito non ci scambiamo più di due o tre parole. – Dichiarò, voltandosi verso di me.
Com’ era bello!
-Già. Non sono una grande chiacchierona. - Ammisi.
-Io credo il contrario, riveli questo lato del tua carattere solo alle persone di cui ti fidi. Diciamo che nei primi tempi mi è sembrato giusto, ma poi volevo capire perché non parli mai con me. Se ho fatto qualcosa che non hai gradito…- si fermò, mi fermai e lo guardai. Come mi poteva dire questo? – forse ti riferisci a quell’episodio? –Rise.
-Esatto.-
-Ti do tutte le ragioni del mondo, ma sai come va l’universo. -
-Sei stato uno stronzo. E se non la smetti di guardarmi con quegli occhi ti pianto in asso! - Dissi burbera. Perché tutti dovevano comportarsi in quella maniera? Non ero miss Italia.
-Non ti sto guadando in un modo diverso. -
-Ah no? Non sei il primo ragazzo che fa di tutto per apparire il migliore davanti a tutti, non sono una di quelle che si fa contagiare, io vivo la realtà…purtroppo. – Sostenni.
Lui non disse nulla per poi sorridermi ancora. Ma che cazzo aveva?
Mi stufai di parlare e ritornai indietro.
Quando giunsi vicino al punto di partenza, mi sentii afferrata da una mano. Mi voltai e per poco non sfioravo il suo corpo.
-Allora facciamo così. – Disse lui, divenne serio e mi porse la mano, dopo avermela lasciata.
-Iniziamo tutto da capo. Piacere di conoscerti, Kaname. –
Vedevo la sua mano allungata e aspettava una mia mossa, guardai lui e poi ritornai a quel gesto. La mia testa mi diceva di accettare e il cuore mi tamburellava forte. Che cosa dovevo fare?
Rimasi in silenzio per un momento e chiusi gli occhi, avrei fatto decidere dall’istinto.
-Grazie per avermi dato un’altra opportunità. –
Riaprii gli occhi e trovai le nostre mani intrecciate. Un forte calore mi avviluppò e sorrisi dopo tanti anni.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 22
*** Dentro i suoi occhi ***


Nota dall’autrice: il capitolo avrà un miscuglio di narrazione tra la terza e la prima. Spero di non creare problemi. Tuttavia vorrei chiarire le varie incertezze che leggerete. Ci saranno dei punti poco chiari, forse non riuscirete bene a comprendere ma non fa niente, mi serviva per sfogarmi, anche se ho montato fin troppo le situazioni dalla realtà. Detto questo vi lascio alla lettura.
23
“Dentro i suoi occhi”



 
 
Quel giorno il cielo era nuvoloso. La primavera aveva dato i suoi primi fiori, ma a volte faceva i capricci e riprendeva la pioggia. Era una di quelle giornate di passarle a casa, magari sul divano in compagnia di amici.
Crystal sfogliava le riviste per rimodernare la sua casa. Federico era a lavoro e per tutto il giorno sarebbe stata sola, nonché i suoi mancavano pure. Aveva chiesto alle sue amiche di incontrarsi, ma chi aveva un impegno o chi lavorava, si erano ridotte in due. Luca era comodamente seduto sulla sedia e massaggiava chissà con chi. A volte sorseggiava il suo the ai frutti di bosco o guardava lei con aria stanca.
-Ma quanto ci mette ad arrivare? –Chiese stufo.
-Non mi risponde. –Disse Crystal. Finalmente il campanello suonò, ma con rammarico non era Jessie ma il postino. La ragazza scese e sbuffò. Ripose lo scatolo arrivato e chiuse la porta, ma un piede la fermò.
-Che accidente! –Esclamò furiosa. Chi osava intralciarla. Ma quando uscì la testa fuori per poco non indietreggiò.
Jessica si presentava con gli occhi rossi e il viso pallido. Aveva indosso una felpa troppo invernale e dei jeans.
-Tesoro che cos …- non riuscì a terminare la parola, che vide l’amica aprire la bocca e sussurrare una frase e poi un tonfo.
-Mi sto sgretolando …- Disse svenendo tra le sue braccia.
Crystal era rimasta di sasso. Non capiva la situazione, beh sì, ma perché era arrivata in quelle condizioni? Le andò vicino e cercò di svegliarla, ma constatò che era molto calda. Che cosa doveva fare? Cercò di non perdere la calma, anche se aveva tutta l’intenzione di urlare. Il telefono lo aveva lasciato di sopra …giusto! Chiamò l’amico e dopo più volte lui scese.
Si trovò una scena ambigua. C’era Crystal che aveva tra le braccia Jessie.
-Ma che state combinando? –Domandò confuso.
-Non è il momento di spiegazioni, aiutami a portarla di sopra. – Affermò veloce. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, la prese tra le braccia e la condusse nella camera della ragazza, adagiata le tolsero le scarpe e la infilarono sotto le coperte.
-Vado a recuperare il termometro. –Disse sbrigativa Crystal salendo le scale a tre a tre, ritornò dopo poco con l’oggetto. Aspettarono poco prima che il bip risuonasse.
-39° -Annunciò Luca. - È alta. –Continuò per poi guardare l’amica sul da farsi.
-Altissima per lei. Sai bene che porta la temperatura molto bassa, per lei sarebbe 40°. Vado a recuperare del ghiaccio e qualcosa per farla abbassare, anche se … -si fermò a pensare.
-Non dovremo avvertire qualcuno? –Domandò lui, ma la ragazza gli disse di no. Aveva uno strano presentimento.
-Stai pensando la stessa cosa che penso io? –Le domandò il ragazzo, guardandola.
-Presumo di sì. E poi la frase che mi ha detto “mi sto sgretolando”, credo che la sua pazienza è scoppiata. Adesso in lei ci sono solo dolore e rabbia. – terminò la ragazza.
-Oh angelo mio, quanto devi ancor soffrire? –Si soffermò Luca. Perché non poteva vivere la sua vita in pace? Era vero che quelli che si dimostravano più forti erano i più fragili, ed era arrivato anche per lei il momento di pagare le pene del silenzio.

 
3 ore prima
Mi ero alzata con il piede sbagliato, questo non andava bene. Aprii la finestra per far entrare aria pulita, ma era solo una metafora, poiché proprio in quel momento era passato un camion… la puzza era insopportabile.
Mi vestii con calma scegliendo un jeans e una felpa. Sì forse era troppo pesante, ma avevo un brivido di freddo che mi percorreva tutta la colonna vertebrale. Uscii dalla stanza e mi avviai verso la cucina, per mia grande fortuna non c’era nessuno.
Mangiai in santa pace, guardai facebook e la tv. Era ancora presto per andare da Crystal: la signorina aveva bisogno di sfogarsi e di far scomparire la confusione che regnava dentro la sua testa.
Posai la tazza dentro il lavello, intanto avevo acceso la cassa e avevo sincronizzato il cellulare. La musica iniziò a risuonare soave nella stanza, nel frattempo sistemavo un poco di tutto. Non sapevo che cosa fare per pranzo, ma solo la parola “mangiare” mi veniva da vomitare, forse perché avevo mangiato fin troppi biscotti.
All’improvviso sentii la porta sbattere e mi girai di scatto, il cuore aveva sussultato dalla paura. Quando mi voltai trovai mia madre a pochi metri da me. Aveva l’aria furiosa e sembrava che tra breve sarebbe giunta una tempesta. Staccai la musica e iniziò a gridare.
Mi accusò di aver bucato la ruota di Antonio.
 Di parlare male di lui con i nostri parenti.
Che non lo volevo in casa sua.
Continuò a blaterare cose senza senso che ad un certo punto le voltai le spalle. Come si permetteva di rivolgersi in quella maniera a me? Si, ero sua figlia ma non un cane. Pretendeva che chinassi la testa per tutto? Per prima cosa non avevo bucato nessuna ruota, se o avessi fatto, non andavo a mirare quella, ma la sua testa.
Per secondo non andavo a sparlare della sua vita amorosa con quel cogl****, poco m’importava di lui e meno di lei.
E per ultimo era vero che non lo volevo dentro casa. Il signore si era dato alla bella vita, con esigenze che nemmeno mio padre aveva mai preteso.
-Modera il linguaggio. –Dissi più fredda possibile, anche se avevo tutt’altra voglia.
-Parlo come voglio in casa mia. Se non ti piace fai le tue valige e te ne vai! –Mi offese, mentre i suoi occhi diventavano neri di rabbia.
-Beh non sto qui per te, ma per mio fratello. Se solo aprissi la bocca ti farei perdere tutto. –La minacciai.
-Non ho paura di te. Ti posso schiacciare quando voglio, senza di me non saresti niente. –Puntualizzò lei.
-Dici? Forse dovresti ringraziarmi per aver cresciuto tuo figlio, averlo accudito quando tu eri troppo impegnata ad amoreggiare con gli uomini. Ma sai dei tuoi grazie non me ne faccio nulla, perché tu non sei mai stata nessuno per me. Né una madre, né nessun altro. Ho dovuto imparare le cose a modo mio, quando avevo bisogno di te, mi dicevi che ero abbastanza grande da farcela. Non sei mai riuscita a comprendermi. – Le vomitai addosso. Paura. Dolore. Rabbia. Uscirono da me, liberandomi per un momento per poi portarmi allo sconforto. Che cosa avevo risolto? La donna che pretendeva di essere mia madre aveva le lacrime agli occhi, ma non mi commoveva. Quante volte ero stata male per lei? Quante notti avevo pianto in silenzio per una sua parola? Diceva che mi conosceva, ma era solo una frase senza senso. Lei non sapeva cosa avevo dentro, era cresciuto dentro di me, diventando un vero e proprio tumore che mi stava uccidendo fin dentro l’anima; quel dolore onnipresente che mi faceva vacillare ogni volta, non riuscivo ad essere felice e alla fine mi aveva fatto perdere il dono più bello di tutti: sorridere.
-Sei solo una persona ingrata. Sei come tuo padre, che pretendi ma non dai. Ti ha fatto il lavaggio del cervello in quei mesi. Sei solo una schifosa persona inutile, dovresti morire. Sei falsa e ipocrita. Vattene via. Dovevo ucciderti quando eri ancora dentro di me, ma il futuro non lo sa nessuno. – Disse rotta dal pianto. Mi giunsero al petto non solo una pugnalata ma mille.  Avevo la vista annebbiata dal dolore pungente. Sentivo il corpo che si teneva all’ultimo barlume di speranza, ma era stato oscurato tutto.
-Comunque non rimpiango essere tua figlia. Tutto ciò che ho fatto è stato per essere notata da te, ma eri troppo impegnata a fissare qualcos’altro. – Le dissi prima di superarla e scendere le scale. Presi il giubbotto e il cellulare. Avevo una voglia irrefrenabile di buttare tutto in aria.
Raccolsi poche cose e buttai tutto dentro la borsa del portatile e uscii.
-Dove stai andando? - Mi fermò la mano callosa di Antonio. Non lo guardai nemmeno e lo strattonai, ma lui mi trattenne.
-Non sono affari che ti riguardano. –Gli dissi a monosillabe, stavo rompendo tutti i margini.
-Devi portare rispetto per tua madre, hai capito? –La stretta stava diventando dolorosa, ma non era nulla al confronto al gelo che avevo dentro.
-Tkz! Parli di rispetto tu? Ma se non sai nemmeno che cosa sia. –Affermai di ghiaccio. Riuscii a farmi mollare e corsi via. Mi slegai i capelli che scivolarono sulle spalle e da lì le lacrime giunsero il collo. Avevo il fiato teso e convulso. Mi sedetti su una stradina isolata e piansi tutte le lacrime. Il cuore batteva troppo velocemente, forse sarei morta in quel posto sola. Mi sembrava di aver perso tutto, la poca dignità che mi era rimasta stava volando via. Strinsi forte i pugni e mi ripete sempre la sola parola.
Sono forte. Sono forte. Sono forte.
Più le ripetevo, più le lacrime non cessavano.
-Sono solo una debole. – Mi guardai le mani con la vista offuscata e come tramortita da una immagine spettrale vidi le mie dita sgretolarsi, alla fine era arrivato il momento di sparire.
 
 
 

 
Presente
 
Era mezzogiorno e le campane della chiesa madre suonavano. Crystal e Luca erano occupati a formulare una ipotesi sensata di ciò che stava succedendo alla loro amica. Era inutile informare il mondo dell’accaduto. Per prima cosa lei odiava quelle cose, meno persone sapevano e meglio era. Poi anche perché non sapevano cosa fosse veramente successo, quel dettaglio lo avrebbe rivelato la loro amica, solo che la febbre invece di abbassare, saliva.
-Basta chiamo il dottore. Non posso starmene qui seduta e vedere la mia migliore amica in questo stato. Spero che tu mi capisca. – Disse Crystal e Luca annuì. Ma prima di poter telefonare ne arrivò una chiamata. La ragazza prese la comunicazione.
-Ciao amore, che fai? - Dall’altro lato del telefono si presentava la voce di Federico. In sottofondo si sentivano dei rumori bruschi, ma per lei non era un buon momento.
-Ciao anche a te. –Disse, per continuare ma fu fermata dal fidanzato.
-Amore sono con mio padre alla villetta e stiamo parlando di come suddividerla, tu potresti venire al cantiere? –Domandò.
-Scusami ma per il momento ho una cosa di più importante, ne parliamo un’altra volta.- Chiuse la comunicazione lasciando il fidanzato senza parole. Si sarebbe fatta perdonare, ma adesso si doveva sbrigare. Compose il numero del medico e attese tutta la fila. Forse era meglio andare all’ospedale.
Dopo un’ora di stare in linea parlò con il medico. Gli spiegò il tutto e lui le diede il nome di qualche medicina, ma prima della somministrazione doveva visitarla. Si diedero appuntamento per la visita e chiuse.
-Allora? –Chiese Luna impaziente, mentre cambiava un altro sacchetto di ghiaccio.
-La vuole visitare prima di dare qualcosa, tra un poco sarà qui. –Affermò.
Jessica aveva il respiro affannato, si muoveva di continuo e rabbrividiva. Il suo corpo era stato per molto tempo una spugna e adesso stava buttando tutto via, anche se era uno sfogo pericoloso. Il dottore arrivò nel momento esatto in cui Federico giunse a casa della fidanzata. Quando notò l’uomo gli chiese per chi fosse la consulenza, ma lui non disse nulla, poiché arrivò da sopra Luca che spiegò che la sua paziente si trovava al secondo piano. I due ragazzi si fissarono per poi salire. In poche parole Federico comprese che Jessica stava male, ecco svelato il mistero.
-Mi segua dottore. –Proferì Crystal lanciando un’occhiata a Federico.
Lei e il medico entrarono nella stanza in cui Jessie stava riposando.
L’uomo la visitò tutta da capo a piedi. Le domandò alcune cose per poi annuire.
-Mi dica qualcosa. –L’apostrofò Crystal preoccupata, fu abbracciata da Federico nel tentativo di rassicurarla.
-Si riprenderà. Il suo corpo è molto debole, ma ce la farà. La febbre probabilmente è stata causata dal forte stress, di quello che mi ha detto la signorina. Le ho prescritto la cura, continuate a fare gli impacchi di ghiaccio. Caviglie, ginocchia e fronte. Ha bisogno di silenzio e calma.  Se ci sono dei peggioramenti chiamatemi. –Si congedò il medico.
-Sapevo che sarebbe successo, ma non in questo modo. –Bisbigliò Crystal.
-Povero angelo mio. –Commentò Luca abbassando la testa.
Rimasero nel piccolo salottino a parlare, anche se Crystal rimaneva in silenzio, fino a che non la videro alzata. Jessica si reggeva a malapena sulle proprie gambe. Aveva le guance rosse e per poco non cadde per terra per un capogiro.
-Dove credi di andare? –La rimproverò Crystal.
-Angelo mio stai male. –Disse Luca con più calma. Ma la ragazza sorpassò tutti, mormorava qualcosa, ma nessuno capiva cosa.
-È tardi. –Disse piano.
-Tardi per cosa? Tu non vai da nessuna parte. –La fermò. Non era difficile quella volta farla indietreggiare, di solito era ferma nelle sue decisioni, ma adesso a causa della febbre era così mansueta.
-Sta per uscire da scuola. Se non mi trova…- dette quelle parole le ginocchia cedettero, ma subito Luca la prese e la portò sul letto.
-Angelo mio, ti ho premesso che ti avrei vegliato su di te. Lo vado a prendere io, il piccolo mi conosce. – Riferì Luca sorridendole.
Jessie annuì.
Chiuse gli occhi e le andò vicino.
-Tu riposati, ne hai bisogno. –Le disse piano baciandole la fronte.
Uscii e chiuse la porta per farla dormire, ma lei lo aveva guardato.
-Grazie. –Sussurrò, mentre le lacrime le scivolavano sul viso.
 
 

 
ᴔΩᴔ
Qualche volta vi dovete dimenticare
Come vi sentite,
e ricordare cosa meritate.
Siate abbastanza forti da lasciar
andare ciò che non vi serve più,
e siate abbastanza pazienti da
aspettare ciò che vi servirà.
-6sense-
 
 
La musica mi dava sollievo in quel momento.
Le sue note mi restituivano quello che mi mancava.
Chiusi gli occhi stanca. Il dolore non era svanito come immaginavo, ma era rimasto attaccato al mio cuore.
Mi ero rialzata dopo una dura caduta. Il mio animo si era spezzato in più pezzi e adesso stavo tentando di ricostruire quel ponte inutilizzabile.
Mi sentivo senza anima. Le notti erano diventate il mio inferno personale, non riuscivo più a chiudere gli occhi per la paura. Le immagini di quel momento mi giravano intorno come un grido disumano. Come mi ero ridotta? Sembravo più un fantasma che una persona. Tutti avevano captato qualcosa diverso in me, lo leggevo nei loro occhi, ma non riuscivo a dire qualcosa per smentire tutto.
La preoccupazione nei loro occhi mi tagliava in due. Li stavo facendo annegare in un mare oscuro e questo mi mandava sui nervi. Loro dovevano vivere la loro vita, la mia ormai era finita. Vivevo solo perché loro mi davano la forza di farlo, se fosse stato per me, mi sarei uccisa.
Non lo avevo fatto perché mi sentivo utile in qualcosa. Sentivo dentro di me, che presto sarebbe arrivato qualcosa e che aveva bisogno di me. Forse lo facevo per il mio fratellino, non lo avrei mai lasciato solo, pregavo che stesse bene. Si perché dopo quell’episodio, mia madre lo avevo portato via da me. Me lo aveva strappato dalle braccia. Lo avevo cresciuto come un figlio; si mi arrabbiavo con lui, con me stessa. Ma lui era mio. Lo avevo visto crescere ogni giorno e quando aveva un problema chiamava me, no la madre. Ero stata la sua seconda mamma. Lui mi ha fatto crescere e maturare. Ero la persona di ora solo grazie a lui, al mio piccolo pesciolino.
Sospirai. Da quel giorno era passato quasi un mese, Giugno era alle porte. Dopo tutti quei giorni bui Crystal aveva proposto di uscire. Ero restia su quella idea, la mia vita sembrava finita, non riuscivo più a vedere quel bello della vita e della gioia. Le mie giornate erano monotone e senza senso. La mia amica mi aveva ospitato in casa sua, mi aveva accudito come se fossi una bambina piccola, si preoccupava se non mangiavo, si perché il mio stomaco si ribellava di ingerire qualunque cosa.
Sospirai una seconda volta nel notare che tra poco saremo scesi.
Erano dalle sette del mattino che eravamo in viaggio. Il centro commerciale dove eravamo diretti era lontano, precisamente a Catania.
Il cartello indicava la distanza per il suo raggiungimento, fino a che arrivammo.
Scesi dopo aver fatto parecchi respiri profondi.
-Whua! –Si stirò Luca dopo essere sceso e avvicinandosi. Avevamo trovato parcheggio tutti nello stesso punto, cosa rara. Crystal fu la prima a varcare le grandi porte automatiche del centro, per poi iniziare quella pazza giornata.
 
Si erano fatte le due, e dopo ore di girovagare nella metà dei negozi c’eravamo fermati per pranzare. La testa mi girava da far paura, ma sentire l’odore di cibo mi saliva un senso di nausea.
-Cosa prendi tu?- Mi chiese una voce dietro di me.
Mi girai e mi ritrovai Kaname. Il ragazzo aveva una camicia a quadretti e un paio di jeans scoloriti. Il suo sguardo non mi lasciava andare, andai a fuoco per quel modo di guardarmi.
-Non ho fame. – Sussurrai piano, cercai di svignarmela. Prontamente lui mi prese dal polso e mi diede un panino.
-Non hai toccato nulla a colazione, mangia. –Mi disse serio puntando i suoi occhi castani nei miei.
Deglutii con forza per accettare il pranzo. Uscii dalla fila e mi sedetti su una panchina poco lontano dai miei amici. Scartai la carta e lo morsi. Non riuscivo più a connettere, non percepii nemmeno il sapore del pane … i miei pensieri rielaboravano i suoi occhi. Mi sembrava di aver visto un scintillio rossastro al loro interno, ma forse si trattava di una allucinazione.
-Credevo che non avessi fame. –
Non cercai di guardarlo quella volta, la sua presenza mi metteva una tale agitazione. Buttai la carta nella spazzatura e mi alzai, dovevo trovare qualcosa da fare. Per fortuna non mi seguii, ma avvertivo i suoi occhi sul mio corpo.
Mi avvicinai a un’esposizione di gioielli. C’erano parecchie vetrine e pian piano mi persi a fissarli. Erano uno più bello dell’altro. Di oro, Argento e di altri materiali. Pietre preziose. Le marche più illustri erano su quei tavoli. Mi fermai a fissare un anello in particolare.
Era in una forma diversa dal solito. Formava una freccia e al centro stava un zaffiro a forma di cuore relegato da una sottile striscia di metallo, dopo di essa era circondata da punti di luci, anche se sembravano per lo più diamanti, ma non ne ero sicura. Era un bellissimo esemplare. Poi quel colore blu mi attraeva moltissimo, avendo la mole di preferire tutte le sfumature del blu.
Rimasi a fissarlo per molto tempo fino a che una mano si appoggiò sulla spalla.
-Eccoti. Che cosa osservi? –Domandò Luca. Vidi chiaramente la sorpresa nei suoi occhi per poi iniziare a fare domande senza senso, la sua mente correva fin troppo.
-Dai che le ragazze ti stanno cercando. Crystal ha intenzione di trovarti un vestito per il matrimonio. –Disse per poi portarmi da lei.
 
 

 
ᴔΩᴔ
 
La vidi allontanarsi con le altre, mentre noi uomini rimanevamo a parlare.
Non era passato molto tempo dal nostro riinizio, ma da quel giorno erano cambiate tante cose. Lei era diversa, quella luce negli occhi era svanita. I suoi occhi sembravano sempre velati dalla nebbia densa. Le sue parole erano più corte e sospirate. Il suo viso era scavato da un sentimento così forte che le stava logorando. La osservavo in silenzio e ogni volta rimanevo immobile, non sapendo come comportarmi. Mi ero deciso a fare il passo tanto temuto, ma poi ero indietreggiato. Luca non si era sbilanciato tanto, aveva solo detto che aveva bisogno del tempo. Tempo per cosa? Essere escluso in quel modo mi dava sui nervi, mi sembrava un uccellino in catene.
Da quanto che non la vedevo? Settimane? Sembrava un’altra ragazza, il suo viso era spento. Era dimagrita. Cavolo!
L’unica cosa che mi faceva sorridere e non perdere la speranza erano i suoi gesti in mia presenza.
Il suo colorito si risvegliava e le donava quel rossore sulle guance. Era così buffa in quelle circostanze.
Si era tenuta in disparte e si era messa fissare delle vetrine, mi chiedevo che cosa ci fosse così bello. La voglia di raggiungerla era stata alta, ma mi ero fermato.
 
-Dove stai andando? –Mi chiese Luca, non lo lasciai continuare e mi fermai dove prima lei stava. Era uno espositori di monili preziosi. Ce n’erano di tutti i gusti.
-Alla fine sei stato attratto dal suo magnetismo? - Domandò Luca.
-Non so di cosa parli. – Borbottai scettico, quel ragazzo era un rompi scatole delle volte. Mai lasciarmi in pace.
-Lasciamo stare va, comunque lei fissava quell’anello. –Dichiarò puntando il dito su un anello particolare.
Aveva un buon gusto, lo ammettevo.
Chissà che cosa rappresentava per lei il cuore oltre la vita.
 
 
 
-Ragazzi le ragazze si trovano più avanti,- comunicò Luca. Il ragazzo faceva lo spavaldo con Francesco che gli rideva dietro. Mi stavo annoiando a stare dietro a quei cretini, fino a che i miei occhi furono folgorati da una scena. Era lei che si stava guardando allo specchio. Indossava un abito che le calzava alla perfezione. Era color pugna. Era lungo fino a terra e le spalle erano nude solo uno strato di pizzo trasparente la coprivano. Le spalline erano piene di paillette argentate. La ragazza era senza parole, il suo sguardo raccontava tutta la sua meraviglia.
Era bella, anzi bellissima.
Le sue piccole labbra apparve un sorriso e da lì il mio cuore iniziò a galoppare forte.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Carpe diem ***


24
“Carpe diem”
 
La cosa che non sopportavo in quel momento era la distruzione delle bottiglie. I ragazzi si stavano dando da fare a scolarsi tutte quelle che erano rimasti. Nel pensare che ne ero andato fiero quando erano giunte immacolate in Italia.
Un piccolo contenitore scivolò vicino al mio piede e lo presi.
Il profumo di quella fragranza mi colpì alle narici, non ne era rimasto nemmeno un goccio; e nel pensare che erano costate anche parecchio. Sbuffai contrariato e mi avviai verso il terrazzo. L’alba era quasi prossima, mi chiesi se tutto quello che avevo fatto avesse avuto un risvolto positivo, ma se guardavo verso il salotto mi veniva solo di urlare.
Avevano affogato i dispiaceri nell’alcool, non avevo nulla da ridire, ma non per il mio pregiato Sakè. Era finito tutto, non mi avevano lasciato nemmeno una bottiglietta!
Strinsi i pugni per la rabbia repressa ed entrai dentro, la scena che si parò di fronte fu allucinante.
C’era Luca sopra Jessica e la stava palpeggiando il seno? E lei non faceva nulla? Ma quello non era gay? Il sangue giunse subito alla testa e lo presi dal bavero per poi buttarlo all’angolo, la ragazza non se ne accorse neppure, costatai che era ubriaca.
Mi voltai nuovamente verso l’amico per dirgliene quattro, ma una mano sottile mi acchiappò alla spalla e mi tirò giù. Beh era palese che fui sorpreso da quel gesto e che persi l’equilibro, ma recuperai subito, appoggiando i palmi su quel poco spazio che rimaneva sul divano. Jessica aveva gli occhi e le labbra socchiuse, le guance rosse e i capelli spettinati. Da quel posto vedevo una bella visuale, nonché anche il decolté florido. Una strana voglia si stava impossessando del mio corpo, non ero un santo ma nemmeno uno stupratore. Lei non era in sé. Con un grande sforzo riuscii a rialzarmi e allontanarmi, ma la sua mano circondò la mia.
-Non mi lasciare sola…-borbottò.
Le sue dita scivolavano così bene al contatto a quelle mie. Li vedevo perfette assieme.
-Sei ubriaca. – Le dissi, ma lei disse di no con la testa.
-Rimani con me. –Sussurrò con più decisione, alzandosi anche barcollando da un lato all’altro per poi spingermi verso il divano. Mi sedetti sotto il suo sguardo lucido e deglutii con forza. Nessun uomo sarebbe rimasto fermo con una bomba del genere. Ricorrendo al mio sentimento per lei, riuscii a starmene fermo. Lei non soddisfatta di ciò che stava facendo mi prese e mi portò delicatamente sul suo petto, era talmente caldo e morbido. Chiusi gli occhi soddisfatto e in pace mi assopii. Lei iniziò ad accarezzarmi i capelli con gentilezza fino a che sentii il suo respiro diventare regolare. Mi alzai abbastanza per guardarla e sorridere: quando dormiva sembrava una vera bambina.
 
 
 
 
 
 
 
 
Alcuni raggi di sole mi colpirono al viso. Mi destai dal quel sonno pregiato, per la prima volta mi sentivo rinato. Cercai di stirarmi ma c’era qualcosa che me l’ostacolava. Cercai di alzarmi e mi trovai una leggera trapunta addosso. Ero frastornato e confuso. Era stato tutto un sogno? Lei non c’era più, anche se la mia mente diceva che era tutto reale. Solo allora mi accorsi che era pomeriggio inoltrato e la casa era silenziosa, eccetto per alcuni gridolini che provenivano dalla cucina. Mi sedetti sul divano che mi aveva ospitato e raggiunsi la cucina, non entrai proprio, ma spiai. C’era Federico intento ad aiutare Crystal in qualcosa, ma il poverino era ricoperto tutto di farina. La ragazza si era messa a ridere e poi lo aveva aiutato a togliere tutta quella polvere.
Era bello cucinare con la persona che si amava. Li lasciai soli e mi diressi verso il bagno, ma era occupato. Allora uscii fuori dal terrazzo e vidi Luca e Francesco giocare a pallone. Il dolce venticello mi accarezzava la fronte e per un attimo volli essere come lui, ma la mia attenzione si spostò su una persona in particolare. Jessica era su uno sdraio intenta a leggere qualcosa su un libro voluminoso. Aveva gli occhi incollati al libro e girava pagina con una velocità sorprendente.
-Sono sicura che prima di sera lo avrà finito. –Annunciò una voce dietro alle mie spalle, Noemi si presentava fresca di doccia e si asciugava i capelli.
-Capisco. –Borbottai senza sapere che dire.
-Potrebbe sorprenderti, ma questo bisogna aver del tempo. Non credere che tutte le speranze siano vane, darle del tempo e sarai ricompensato. –Disse per poi ritornare dentro.
Alla fine avevo capito che i miei sentimenti per la ragazza era palese per tutti, tranne per la sottoscritta? Ah che i Kami me la davano giusta.
Ma ci sarei riuscito, ad ogni costo!
 
 
ᴔѾᴔ
 
 
 
L’estate ormai era arrivata. Dopo quel momento di relax che mi ero concessa a quella strana festa, in cui non ricordavo un granché, mi ero del tutto messa sotto per trovarmi uno straccio di lavoro.
Non riuscivo a rimanere ferma per un intero giorno. La mia vita era senza uno spiraglio di luce; la mattina mi alzavo alle ore grandi, pranzavo e poi subito a lavoro e poi a letto. La mia vita sociale si stava disintegrando. I miei amici erano per lo più lontani chi di testa o di presenza. Luca era partito per Ibiza. Da quanto che non ci sentivamo? Quattro o cinque giorni? Esattamente cinque. L’ultima volta si stava mettendo in tiro per un bel ragazzo che lo aveva baciato ad una festa.
Ero curiosa del finale, ma dovevo attendere una sua chiamata.
Noemi e Francesco erano super impegnati con il lavoro, invece la mia migliore amica e Federico si era decisi finalmente a fare quella vacanza tanto sognata, forse più mia e di Crystal. Quest’ultima mi aveva mandato alcune foto di Londra e delle sue attrazioni più belle, la stavo invidiando da far paura.
Mi mancavano i vecchi tempi, ma dovevo muovermi e farmi una vita.
La mia esistenza era un inferno. La notte dormivo poco a causa di quel trauma che mi rincorreva sempre, dormivo solo tre ore a notte e più delle volte mi ritrovavo a fare l’alba fuori e poi a ritornare dentro stroncata dalla stanchezza. Il buio mi faceva paura e lo temevo.
Le cose in famiglia non andavano per il verso giusto, dopo quella scenata con mia madre non si era più fatta sentire, mi aveva lasciato alla deriva. Nemmeno un “come stai o altro”, mi sentivo trascurata, non e che prima lo facesse.
Avevo trovato rifugio in mia nonna, non potevo gravare ancora sulle spalle di Crystal, lei adesso aveva un intera vita a fianco a Federico ed ero felice per lei, se lo meritava.
Conclusi l’ultima serie di addominali per poi andarmi a lavare, il sole era cocente e Luglio era appena entrato. Mancavano pochi giorni al mio venticinquesimo compleanno e mi sentivo una vecchia che una giovane donna.
La mia autostima era calata drasticamente, sorridevo, ma erano solo false illusioni.
Acchiappai il cambio e mi addentrai in bagno, dieci minuti dopo era fresca e profumata. Il ristorante in cui lavoravo come cameriera era un poco distante da casa, ma mi ero fatta coraggio e poi alla fine non ritornavo da sola la notte. Salutai mia nonna e partii determinata che quella giornata sarebbe stata diversa, si, come no!
 
 
 
Guardai l’orologio segnava le cinque del mattino. Quel sabato il ristornate era stato stracolmo di gente. I piedi non me li sentivo più e la schiena, non ne parliamo. Avevo fatto tutta la sera a girare per i tavoli e rincorrere le ordinazioni. Più di una volta mi erano sfuggite alcune posate, ma grazie ai riflessi li avevo acchiappati prima cadessero a terra, la mancanza di sonno si stava facendo sentire. Sospirai appena e mi guardai in giro, il ristorante era pulito da cima in fondo, le mie colleghe si stavano salutando.
Annuii decisa e uscimmo.
Il fresco delle serate estivi era bellissime e poi a quell’ora non c’era nessuno in giro. A dirla tutta se mi avessero invitato non avrei accettato e poi con il lavoro non me lo potevo permettere. Mi servivano i soldi per realizzare un progetto che avrebbe valso tanto di soddisfazione e di orgoglio, ma dovevo accumulare abbastanza per poterlo avviare.
Salutai la mia collega e salii i pochi scalini che mi separavano dal piccolo appartamento di mia nonna, come al solito lei già dormiva, era normale.
Mi tolsi la divisa e indossai qualcosa di comodo. Il cielo si stava schiarendo, ma potevo ugualmente notare ancora le stelle brillare.
Chiusi un momento gli occhi e mi assopii.
Mi sentivo terribilmente sola…una lacrima scivolò dall’occhio.
Ero sola in quel momento e lo sarei stata per sempre.
 
 
ᴔѾᴔ
 
 
Che settimana infernale! non ne potevo più!
Washi di qua, Washi di là, mi avevano scambiato per un fattorino per caso?!
Mi buttai sul divano esausto con la testa che scoppiava, se per caso qualcuno mi avesse disturbato lo avrei ucciso.
Chiusi gli occhi e cercai di non pensare a niente, ma come non detto.
Mille pensieri mi vorticarono in testa come una trottola impazzita, più cercavo di sciogliere quella matassa più si aggiungevano.
Stressato da far paura mi alzai e mi recai in cucina, ma la luce lampeggiate dei registratore mi fermò.
C’erano quattro messaggi.
Il primo era di mia nonna che mi chiedeva che fine avessi fatto, il secondo lo stesso, mentre il terzo e l’ultimo di Luca, mi chiesi che cosa volesse. Ero ancora arrabbiato per quel colpo basso di quella volta.
-“Ciao Kaname. So che non dovrei chiedertelo, ma ho bisogno che tu mi faccia un piccolo favore. Come sai sono fuori in questo momento e non ho nessuno di fiducia a raccomandarlo. Lunedì una persona a me importante compie gli anni, le avevo promesso che sarei stata lì con lei, ma purtroppo non potrò spostarmi da qui per il momento, poiché ho preso un virus. Ho spedito il mio regalo e ti dovrebbe arrivare a breve, sperando nelle tempestive di consegna. Lo so che adesso mi vorrai uccidere, ma fallo per me, per il tuo caro amico. Grazie mille, ti sono debitore!”- Il messaggio terminava così, non mi spiegava chi fosse o come lo avrei rintracciato. Sbuffai scocciato da come tutti mi usavano e lo mandai a quel paese, intanto che mi versavo del vino l’ultimo messaggio iniziava. Sentivo di sottofondo qualcuno tossire per poi dire qualcosa.
-“Scusa la mia sbadataggine, ho dimenticato la cosa più importante, so che ti farò un piacere. È Jessica colei che fa gli anni, fatti coraggio amico mio e affrontala una volta per tutte. Avrai un modo per parlarle senza intromissione da parte di qualcuno, la troverai nel pomeriggio in spiaggia di solito quando non lavora è lì che corre. Fammi sapere come va. Ciao.”- Ero rimasto senza parole, oh Dio!
-Buona fortuna Kaname! – Mi dissi già coinvolto in un suicido. Quella ragazza era un vero mistero, più delle volte che riuscivo a strapparle una parola era una impresa, se solo fosse stata come quella volta, anche se non ne avevo la certezza assoluta che fosse successo realmente quell’abbraccio, chissà.
Comunque avevo una bella gatta da pelare!
 
 
 
 
 
 
ᴔѾᴔ
 
-Jessica mi vai a prendere le posate di là? Grazie. –Mi disse Ale. La vedo sparire dietro la prima sala e mi precipito a prendere ciò che aveva ordinato. Era da un’ora che ormai ero in servizio, la dominica risultava meno caotica del sabato, ma oramai eravamo in Estate e tutto poteva succedere. Acchiappai la cesta delle posate e iniziai a ordinarle nei tavoli, era ormai automatico fare quel lavoro. Prima dovevo spolverare la tavola, poi coprirla con tovaglia e infine depositare posate e bicchieri. Ormai tutto era così semplice, mi ricordai la prima volta che avevo iniziato; ero talmente nervosa di fare un minimo di errore, che ogni volta che rincorrevo un ordine avevo il respiro accelerato. Volevo essere svelta e agile, ma alla fine era valso la pena, si con tre giorni con un mal di schiena allucinante e le vesciche ai piedi. Il lavoro come cameriera non era così facile come immaginavo, ma con il tempo ci avevo fatto l’abitudine e la prendevo come sfida che come lavoro, si, certo a fine serata quando ti consegnavano i soldi era sempre bellissimo, ma questo era un pensiero a parte, credevo che tutto quello che stavo facendo valesse qualcosa d’importante per me.
Chiusi un momento gli occhi e assaporai quel momento di pausa, poche ore e si ritornava con i piedi a terra. Domani sarebbe stato il mio compleanno e per fortuna non dovevo lavorare poiché sarebbe stato il giorno di chiusura, tuttavia non avevo nessuna intenzione di prendermela comoda. Venticinque anni veniva solo una volta nella vita e anche se sarei stata sola, non mi sarei depressa.
Sorrisi a quella convinzione e mi buttai a capofitto nel lavoro.
 
 
L’alba del 4 luglio era arrivata. Osservai il cielo vestito da un blu cobalto, mentre la luna svaniva dietro la montagna, sicuramente la notte che sarebbe giunta tra breve sarebbe stata piena. Non avevo nessuna intenzione di dormire, quel giorno sarebbe stato tutto mio, non avevo intenzione di sentirmi sola o fuori luogo. Se ero nata significava qualcosa, no? Avevo uno scopo ben preciso e anche se ci sarebbe voluto un po’ di tempo per capirlo, lo avrei fatto. Ero pur sempre il comandante della mia vita.
Iniziai a preparare la colazione, mi sarei viziata quella mattina e poi mi sarei fatta una bella dormita. Verso le otto e mezzo mia nonna si alzò con il suo solito vestito da casa e mi guardò.
-Non sei stanca? –Mi chiese perplessa nel vedere quel bene di Dio in tavola.
-La stanchezza non mi fermerà di fronte a questo giorno, divento più grande, beh non e che cambierà qualcosa. –Le sorrisi e l’abbracciai. Lei c’era stata sempre per me, era la nonna che tutti i bambini vorrebbero. Mi ricordavo quell’estate in cui tutti i nipoti si sedevano attorno e iniziava a raccontare quelle bellissime storie. Ci emozionavamo a quelle parole, le risate poi erano sempre assicurate. Quei momenti erano indelebili nel mio cuore e li avrei custoditi per sempre.
La feci sedere nella sedia di plastica e le versai il suo te al limone con le fette biscottate, non mangiava tanto la mattina, ma quel poco ci doveva essere; invece per me, succo d’arancia con un paio di pancake e nutella. Forse troppo calorica, ma chi se ne importava!
Parlammo del più e del meno, fino a che estrasse dalla tasca un pezzo di carta. Era una cartolina e dentro dei soldi.
-Ma nonna non dovevi, già ti sto dando troppo disturbo essendo qua. Mi bastava un solo auguri, in fine sono ormai grande. –Le dissi un poco arrabbiata, ma felice. Solo vederla soddisfatta e fiera di ciò che stavo facendo la rendeva orgogliosa.
-Lo so. Ma è un mio dovere farlo. I compleanni vengono solo una volta l’anno. Se mai dovrei essere io quella che dovrebbe parlare. Quando ti ho chiesto di venire qua, non l’ho fatto perché volevo i tuoi risparmi, ma perché sei mia nipote e come nonna è un mio dovere darti un tetto in cui ripararti. – Si apprestò a dire.
-E’ la mia parte per il mio mantenimento. Non voglio che tu spenda oltre per me, non ho mai chiesto nulla e non lo farò adesso. Hai avuto un anno difficile e non volevo fartelo ancora pesare e poi così potrai mettere dei soldi da parte per le emergenze. –Chiusi la conversazione.
Quella mattinata ne ricevetti parecchie telefonate da amici e parenti. Ero felice che qualcuno si ricordasse di me, arrivò anche quella di mio padre con mio fratello e Kelly, la sua nuova compagna. L’unica che non si era fatta sentire era mia madre, forse entro sera mi avrebbe scritto anche un misero “auguri”. Mi riposai un poco, e dopo aver aiutato mia nonna nelle faccende mi dedicai a me stessa.
Il mare non era tanto distante da casa, così mi preparai per la mia solita corsetta del tardo pomeriggio. Il mio corpo aveva bisogno di sfogarsi in un modo.
Messa la tenuta sportiva mi avviai verso la spiaggia e prendere quella meritata aria marina. Vedevo la gente prendersi gli ultimi raggi del sole, i bambini che giovano sulla spiaggia o chi si bagnava in acqua. Ad ogni passo sentivo che la spossatezza di quel periodo scemava da me, ma sarebbe stato difficile che tutto andasse a fuoco.
Le ferite del corpo guarivano, ma quelle dell’anima…rimanevano lì, per sempre.
Chiusi gli occhi per un istante per poi riaprirli con forza, non mi sarei fatta cogliere di nuovo dalla tempesta, sarei stata più forte e determinata. Io ero …forse era meglio non pronunciarla quella parola, l’ultima volta mi ha fatto morire.
Raggiunsi l’altro capo della spiaggia, dove iniziava il tratto roccioso, da lì, la passerella era terminata. Mi guardai in giro e mi fermai. Il sole stava sparendo e il vento mi accarezzava la pelle, era così bello sentire il rumore della natura, i gabbiani che canticchiavano quella melodia sconosciuta per noi umani. All’improvviso la vibrazione del cellulare mi riscosse, lo presi e risposi.
-Ciao tesoro, auguri! –Esplose una voce ben conosciuta.
-Grazie. –Balbettai incerta.
-Solo questo mi dici? Sei pessima, ti dovrei far imparare qualcos’altro dal mio repertorio, comunque come stai? Si fanno sentire gli anni non è vero? –Domandò sempre con quella voce squillante.
-In verità ancora non sono nata, ma grazie. Comunque amico ti stai trasformando in una gallina in calore? Ti sento euforico. –Dichiarai, mentre procedevo allo stretching.
-Oh sì che tu mi conosci, angelo mio! –Urlò così forte che allontani il telefono dal orecchio.
-Racconta! – Lo spronai.
-Sai di quel bel ragazzone dell’altra volta? Ecco mi ha chiesto di uscire, sono elettrizzato. Sai è da tempo che non conoscevo un tipo così sessuale e bello, lo dovresti vedere tesoro, ha tutti i requisiti giusti! –urlò al settimo cielo.
-Capisco gallina. Mi fa piacere che hai finalmente incontrato qualcuno, ma stai attento. A volte i diavoli si vestono di angeli, non farti mettere le mani nel sacco. Meriti molto e lo sai. Comunque se va tutto alla grande poi lo porti qua, giusto? Non azzardarti a nasconderlo, perché sai che lo troverò ugualmente e te lo taglierò a pezzetti! – Lo minacciai con un falso sorriso omicida.
-Ohm … certo che te lo farò conoscere sarai la prima in assoluto, mi fido del tuo istinto! Comunque mia cara futura killer ti è sopraggiunto il mio regalo? - Domandò ad un certo punto.
-Regalo? Non credo che un angelo lo scenderà dal cielo. –Dissi perplessa.
-Oh non ti preoccupare ho già mandato un fattorino speciale per la consegna, mi dispiace non essere lì, ma spero che mi capirai.- Mi disse con timore.
-Capisco alla perfezione, e sarei del tuo stesso avviso se mi capitasse una cosa del genere. – Gli dissi.
-Oh non preoccuparti che tutto avverrà anche a te, adesso ti saluto e mi vado a preparare e tu, signorina cogli l’attimo!- Mi salutò con quelle parole, prima che potessi ribattere.
Chissà di cosa parlava. Mah! Alzai le spalle e mi voltai, si stava facendo buio e dovevo ritornare a casa, così iniziai a camminare verso la strada del ritorno. Giunta a metà strada rallentai un poco per notare una figura seduta su una roccia. Mi sembrava di conoscerla, ma da lontano non sapevo darle un aspetto preciso, così andando più vicino lo scoprii…Nel percepire i suoi occhi scontrandosi con quelli miei, il cuore iniziò a battere forte, lo sentivo talmente agitato che stavo per voltarmi indietro per scappare. Tale istinto fu preso in considerazione al 70%, ma i restanti mi fermarono e non proferii più parola.
Che cavolo ci faceva lì? Forse era un caso, una stupida coincidenza del destino o era programmato? Mi balenò l’ultima frase di Luca, quel ragazzo voleva essere ucciso!
Rimasi ferma a fissarlo, mentre scendeva dalla piccola collinetta di sabbia. In un momento lo avevo di fronte con quell’aria intrigante.
-Ciao. – Disse impacciato.
Forse stavo sognando.
-Ciao. –Risposi nervosa, mentre guardavo altrove, non riuscivo proprio a fissarlo negli occhi, invece lui ci riusciva proprio. Mi mossi per il nervoso e indietreggiai, sentire il suo respiro così vicino al mio corpo mi dava i brividi, cercai la forza di reagire e darmi una spinta, ma fallii miseramente.
-E da un poco che ti aspetto. –Annunciò calmo. Come cazzo faceva solo lui lo sapeva. Io mi sentivo talmente accaldate, nemmeno quando correvo lo sentivo tutta quel calore. Era la sua presenza a infiammarmi? Oh Dio aiutami tu!
-In che senso mi aspettavi? –Domandai senza capire, lo avrei tagliato così piccolo che i suoi resti sarebbero spariti con un colpo di vento.
Risi senza un motivo.
-Stai ridendo di me o hai qualcuno in mente? –Mi fece notare Kaname, lo guardai negli occhi e socchiusi gli occhi per farlo tacere, la mia mente malata stava già preparando il piano omicida.
-Fai paura con quella espressione, non vorrei essere io la vittima. –Affermò sorridendomi, mentre portava entrambe le mani in tasca.
-Chi lo sa, la mia lista nera è infinita. –Bisbigliai piano.
Che cazzo dicevo solo io lo sapevo, ma ero normale? Parlare in quella maniera poi? Ah, mi si erano fumati gli ultimi neuroni per caso?
Si!
-Hai finito di confabulare? –Chiese Kaname, mentre mi guardava divertito.
-No! –Mi voltai scocciata e osservai il mare.
Ma perché ogni volta che gli rivolgevo la parola o c’incontravamo era sempre a mare? Ah vallo a sapere! Ma questa volta Luca aveva le ore contate!
-Comunque non mi hai detto perché mi aspettavi. –Gli dissi.
-Giusto. –Affermò deciso per poi estrarre un pacchetto dai jeans. –Questo è da parte di Luca, purtroppo non è potuto ritornare per uno strano virus. –Porgendomi il regalo.
Lo guardai con attenzione e poi sorrisi, quel pazzo ne aveva inventato una nuova scusa.
-Ti ha fregato per bene Kaname. C’ho parlato giusto un momento fa ed era tutto furche malato, in verità stava andando alla carica per un ragazzo conosciuto proprio lì. –Gli rivelai.
La sua espressione da calmo si trasformò in seria e poi in nervoso.
-Posso unirmi alla tua strage? –Mi annunciò.
-Prego. –Affermai, prendendo il regalo. La scatola era di un bianco perlato e un nastro blu.  Quando l’aprii mi ritrovai un bracciale di legno con delle incisioni particolari. Lo misi subito al polso e lo girai più volte, era davvero carino.
-Grazie per la tua consegna express. –Lo ringraziai con un sorriso, era il minimo per quel viaggio.
-Facciamo la strada del ritorno assieme? –Chiese, annuii.
Né io, né lui parlammo per la strada del ritorno. La sera ormai era giunta e i pali della luce si acceso. Mi sentivo nervosa stare al suo fianco, ma ero determinata a non far trapelare niente, quando giungemmo verso la stradina secondaria della spiaggia ci fermammo.
-Ti do uno strappo con la macchina? –Chiese.
-No, grazie. Faccio a piedi. –Dissi velocemente.
-Insisto. Ormai è buio e può essere pericoloso e poi …-si fermò.
Mi fermai lo sguardo sulle sue labbra erano così rosse.
Accidenti Je ritorna in te! Urlai a me stessa.
-Vorrei fare anche la mia parte, oggi è un giorno importante per te. I compleanni si festeggiano sempre bene. –
-E con ciò? –
Che cosa aveva in testa? Perché non ero Edward Cullen? Perché? Dai dillo una buona volta e così finiamo questa scenetta romantica.
-Beh pensavo se tu… se tu non avessi impegni di uscire, una cosa semplici senza restrizioni, da amici. –Iniziò a dire nervoso.
-Amici non lo siamo mai stati, forse conoscenti? –
-Abbiamo il pretesto di diveltarlo? Almeno sappiamo di più oltre il nome, non credi? –Terminò. Sì, non avevo nulla d’incontrario su questo. Ma mi sentivo terribilmente in ansia come se quella uscita avrebbe determinato una cosa importante.
Poi mi tornarono le parole di Luca. Cogli l’attimo …
-E sia. –
Lo guardai con attenzione dopo aver detto quelle due poche e semplici parole, i suoi occhi da ansioso e nervoso brillarono di una strana luce, il suo corpo fu scosso da uno strano brivido, forse era adrenalina? Non ero cieca e mi ero accorta anche con nostalgia che ogni volta che uscivamo con gli altri il suo sguardo si posava sulle mie spalle, lo sentivo vicino, ma soprattutto il suo calore. Mi ero ripresa dopo quella brutta esperienza con Daniele anche se quel suo comportamento mi avrebbe segnato per sempre; ma lui era diverso, lo sentivo dentro, sì, era da scoprirlo, ma il mio istinto non mi deludeva mai. Ero sparita per capire ed ero ritornata a pezzi da una riflessione che mi aveva tolto il fiato. Non sapevo con convinzione se era qualcosa d’importante, ma volevo quel calore tutto per me, e quando il suo sguardo di fuoco non era posato su di me, mi sentivo talmente sola.
Forse ci piacevo, o forse era solo frutto della mia fervida immaginazione. Io non meritavo nessuno, forse solo l’inferno.
-Allora Sali. –Mi disse. Convinta meno di prima aprii la portiera.
In meno di dieci minuti eravamo di fronte all’appartamento di mia nonna, cercai di uscirne subito, ma la sua mano mi fermò.
-Ti vengo a prendere alle dieci. – Disse solare.
-Ok. – Risposi per poi correre verso le scale.
Ero talmente in agitazione che non sentii nemmeno mia nonna chiamarmi.
Ero nei guai!
 
 
 
 
Buona sera. Eccomi dopo un lungo tentennamento.
La storia sta iniziando a svolgersi, ero perplessa se lasciarlo così o continuare, ma poi ho deciso di lasciare un poco di suspense.
Aspetto le vostre opinioni a riguardo.
Alla prossima
Heart
Capitolo nn betato.

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Capitolo 24
*** Piccoli cambiamenti ***


25
“Piccoli cambiamenti”
 
La musica a palla mi stava perforando i timpani e non ero riuscita a calmarmi. Perché mi aveva chiesto di uscire? No, forse stavo sognando e poi che cavolo mi era preso di dirgli di sì? No ero fumata, forse mi dovevo fare una endovena per calmarmi, sì era una buona cosa, peccato che non avessi nulla a casa.
Accidenti!
Mi sentivo talmente agitata che non ero riuscita nemmeno a spiegare a mia nonna perché fossi così scossa. Quella povera donna si era preoccupata inutilmente se solo avesse saputo il motivo. Maledetto quel bastardo, chissà che cosa aveva in mente, se solo pretendeva qualcosa in cambio lo avrei afferrato dalle palle! si era una buona idea. Risi malefica.
Tuttavia quando guardai l’orologio per poco non urlai, erano le nove e mezzo e non avevo combinato un cavolo. Mi fiondai in doccia e poi tentai di asciugarmi i capelli alla velocità della luce, peccato che non ne volessero sapere. Decisa a muovere le chiappe da quel minuscolo bagno che odiavo, mi spostai in camera e iniziai a uscire i vestiti, cosa che non facevo mai, quanto ero molto diplomatica.
Scrollai la testa energicamente e presi un jeans chiaro e una maglietta. Mi guardai allo specchio e per poco non mi veniva da piangere, sembravo una vecchia. Buttai sulla sedia la maglietta e ne presi un’altra, persi un secolo nello scegliere e alla fine optai per quella verde acqua con del pizzo. Mi truccai e feci qualcosa a quella matassa dei capelli, finito il tutto mi guardai al piccolo specchio che c’era nella stanza da letto di mia nonna, non e che vedessi tutta la mia figura, ma mi avrebbe bastato. Rimasi imbambolata a guardarmi come una stupida. Il pensiero che stavo uscendo con un ragazzo e per quanto riguardava quest’ultimo un ricordo mi folgorò la mente.
Non ricordavo l’accaduto ma era rimasto inciso nella mia mente. Lui che dormiva tra le mie braccia, sentivo chiaramente il suo battito all’unisono con quello mio, mi ero risvegliata con una sensazione di torpore oltre al disagio. Quando infine mi ero ripresa da quella sbronza mi ero accorta chi avevo accanto, per un primo istante non avevo dato peso, ma poi. Il panico mi aveva assalito, mi chiedevo che cosa fosse successo, tuttavia nessuno mi avrebbe dato delle risposte, così mi scrollai il suo corpo pesante e mi allontanai con il cuore in tumulto.
Avevamo dormito insieme.
Mi persi tra quei pensieri fino a che non sentì chiaramente mia nonna chiamarmi, andata da lei mi accorsi di una macchina di sotto. Lei mi guardò con circospezione e m’imbarazzai a tal punto che divenni rossa in viso, che figura di merda!
-Stai uscendo? - Mi chiese. Lei era seduta sulla sdraio e mi fissava con attenzione, era palese che fosse per me quell’auto. Dissi di sì con la testa e sul suo viso si aprì un sorriso. –Stai attenta. Buona serata. –Terminò.
La guardai ancora per poi andare dentro a prendere la borsa e la giacca. Scesi le scale e mi trovai Kaname appoggiato alla sua macchina che mi attendeva.
La poca luce non mi permetteva di osservarlo per bene, lo salutai con la mano come una cretina e lui mi aprì la portiera con galanteria.
Mi apprestai a salire e notai la pelle bianca dell’abitacolo, il dolce profumo che galleggiava all’interno mi calmava dal tumulto che regnava al mio interno, mi sedetti comoda e allacciai la cintura. Lui mi guardò un attimo e notai un sorriso prima che le luci si spensero, accese la macchina e partimmo.
Non sapevo dove mi stesse portando, ma il mio istinto mi diceva che gli dovevo dare fiducia.
-Hai mangiato? –Mi chiese calmo, il suo sguardo non lasciava la strada, ma avvertivo la modulazione della sua voce, si stava prendendo gioco di me. Mi chiesi perché la mia linguaccia non uscisse fuori e ne dicesse di tutti i colori, forse aveva timore di ferirlo? O ero io che avevo paura di essere lasciata sola?
Ne avevo abbastanza di stare sola con i miei pensieri. L’estate era la mia stagione preferita, sì, ma anche la più odiata. Tutti sparivano dalla mia vista e rimanevo in solitudine, non e che mi fossi mai lamentata, io ci convivevo da anni, forse prima di nascere. Amavo la mia solitudine, ma nello stesso tempo preferivo la compagnia.
Ero talmente stupida che mi accorgevo solo alla fine che il mio atteggiamento allontanava la gente, loro cercavano di avere la mia attenzione e io che facevo? L’indifferente. Avevo costruito un muro verso il mondo, perché ero stanca di soffrire, ma le mie pene erano appena iniziate.
-Devo ripetere la domanda? –Chiese lui.
Sbattei le palpebre per diverse volte per poi ripetermi che ero una stupida, perché certi pensieri mi arrivavano quando ero in compagnia?
-No. –Risposi con fretta. Il pensiero del cibo non mi era nemmeno passato per la testa e la causa era solamente sua? Ma lui che colpa aveva? Ero io la folle.
-Bene. Ti va di mettere qualcosa sotto i denti? –Domandò, sentivo il suo sguardo su di me. Davanti a noi si prospettava una lunga coda, ed eravamo di Lunedi sera, mah.
-Come vuoi. –Gli risposi sbrigativa, quegli occhi mi mettevano a disagio. Lui fece un sorriso che mi innervosì.
-Mi sembri nervosa. –Appuntò lui.
Come dargli torto stavo sudando sette camice.
-Sto bene. –Dissi osservando il finestrino.
-Comunque di che cosa vogliamo parlare? Credo che non ci sbrigheremo molto velocemente. –Affermò. Avanzavamo di pochi metri e poi di nuovo fermi.
-Non saprei, fai tu. –Lanciai i dadi a lui.  Preferivo il silenzio che parlare, ma non potevamo stare muti per tutta la sera.
Guardai il grande display che avevo di fronte e lessi l’orario. Segnava le dieci e quarto. Sorrisi e lui non si perse quel cambio d’aria.
-Quindici minuti fa sono venuta alla luce …- dissi malinconica. Un altro anno era passato via e mi chiesi cosa avessi cambiato da quello di prima. Beh, sì, adesso mi trovavo in macchina con un amico “conoscente” e mi dirigevo chissà dove, avevo pronunciato il sì senza pensarci un secondo. Quel ragazzo mi aveva sempre attratto, non era un santo è nemmeno io, ma celavo la mia malvagità all’interno. Avevo tanti segreti che mi ferivano ogni giorno l’anima, ma cercavo in ogni modo di combattere quell’aria malsana.
-Buon compleanno Jessica. –Affermò. Mi girai di scatto e lo guardai negli occhi. Tutto si era fermato a quelle parole, il mio nome pronunciato dalle sue labbra mi facevano sorgere un tumulto in me, mi stava salendo le lacrime dalla gola, perché quella reazione? Chi era?
-Grazie. –Tintinnai e guardai altrove. Sentivo la temperatura salirmi vertiginosamente oltre che il cuore mi stava scoppiando. Avevo tutta l’intenzione di metterci una mano, ma non potevo farmi vedere. Per fortuna la coda si stava sciogliendo e la macchina poté prendere una velocità più sostenuta. Mi ritrovai immersa da sensazioni mai vissute e per un attimo mi sentì smarrita tra le sue pieghe. Un folle pensiero mi uscì volontario da quella riflessione forse troppo veloce, mi stavo innamorando? No, l’amore non era paura, terrore, perché era ciò che stavo provando; avevo la tentazione di scendere e fuggire via.
Le cose non cambiarono neppure quando ci fermammo. Kaname procedeva davanti a me e io lo seguivo. Quella uscita si stava rivelando un fiasco.
Mi porse un panino e lo presi senza battere ciglio. Il cibo che conteneva mi sembrava senza sapore. Stavo mangiando della carta.
Fu allora che rivenni da mio coma. Stavo rovinando quella serata a quel povero ragazzo. Lui ce la stava mettendo tutta per farlo passare sereno, aveva deposto l’ascia di guerra e io che facevo?
Guardai il ragazzo che avevo accanto che fissava il mare nero. Aveva il viso così pallido e mi sentì attraversata da una strana sensazione, forse era colpa mia.
-Ti chiedo scusa. –Dissi.
Misi da parte la mia cena e fissai anch’io il mare, guarda caso, c’era sempre lui nei nostri dintorni.
-Per cosa. –Rispose lui senza smettere di fissare le acque.
-Ti sto rovinando la serata, forse tu te lo immaginavi diverso. Ho sempre avuto il brutto vizio di perdermi nei miei pensieri nei momenti meno adatti. –Affermai, togliendo una ciocca di capelli che mi era caduta sugli occhi.
-Me n’ero accorto. –Mormorò sottovoce lui. Sembrava così distante. Solo allora lo osservai per bene. Indossava dei jeans chiari e una camicia e sulle spalle un maglioncino di cotone.
-Bel modo che ho di festeggiare il mio compleanno non credi? –
-I tuoi occhi sono avvolti da uno strato di malinconia che chiunque lo noterebbe, sì, bel modo di festeggiarlo. –Disse deciso, si voltò e mi fissò.
- …- non riuscii a proferire parole. Aprii la bocca ma da lì non uscì nulla, com’era riuscito a scovarlo?
-Parlami di te e tuoi pensieri e dei tuoi sguardi vuoti. – Disse prendendomi la mano con la sua. La scossa che avvenne mi fece sussultare, anche lui lo avvertì ma non si era scostato.
-In che senso? – Non riuscivo a scostarmi da quei magnifici occhi che sembravano più luminosi del solito.
-Nel senso che voglio conoscerti di più. Siamo amici no? –Affermò convinto per sorridermi.
“Amici”?
Già amici.
Abbassai la testa e poi l’alzai con determinazione.
-Comunque la frase era della canzone che appena passata. –Disse ridendo alle mie spalle. Gonfiai le guance per la rabbia, scacciai una lattina nelle acque.
-E’ vietato inquinare il mare. –Disse lui tutto serio.
-Proprio me devono prendere? Poi quella si chiama sfiga! - Dissi fredda girandomi e incamminandomi verso la banchina.
-Dove stai andando? –Mi raggiunse con due falcate. – Te la sei presa? Salti come una molla quando ti prende. –Aggiunse.
-Prima cosa non scatto come una molla, ma poi a che te ne frega? Vai al diavolo! –Lo apostrofai con veemenza, quanto mi dava sui nervi.
-Ecco la signorina tutto fare si sta arrabbiando! - Mi apostrofò.
-Eh allora? Se non ti vado a genio te ne puoi andare! – Lo ammonii con forza, mi scostai una ciocca di capelli che mi aveva tolto la visuale e camminai fino a raggiungere la fine del porto. C’erano pochi viandanti ma poco m’importava, girai e procedetti per dove ero arrivata facendo innervosire il mio accompagnato.
-Ferma! – Mi prese lui dal polso. –Perché fuggi sempre, credi che le cose si risolvono facendo così? –Mi urlò calmo. Rimasi ferma a quelle parole, ecco, finalmente qualcuno era riuscito a dirlo ad alta voce. Ero una vigliacca, fuggivo senza aver tentato.
-Posso fare ciò che voglio … -
-Senz’altro, ma così le persone non vogliono più a che fare con te. –Parlò lasciandomi. –Voglio conoscerti e non parlarti a monosillabe. –Concordò guardandomi negli occhi, occhi che non riuscivo a fissare, mi sentivo nuda di fronte a loro.
-Non posso. –Dissi piano.
-Hai paura di essere ferita? Ti posso capire. Ma usando questa tecnica ti isolerai dal mondo e non va bene. – Affermò. I suoi occhi erano ancora sul mio viso, era talmente convinto che bruciavano quelle parole.
Nessuno mai è riuscito a sciogliere il ghiaccio del mio cuore.
-Io non sono loro, ma me stesso. Ci riuscirò. – Disse come se avesse letto nei miei pensieri, ecco perché fuggivo da lui, sapeva capirmi fin troppo bene, mi avrebbe smascherato un giorno all’altro.
 
 
 
∞Ω∞
 
L’atmosfera si stava facendo tesa. Lei era una mina vagante, era la terza volta che rifaceva la strada d’accapo, avevo capito che le piaceva camminare ma adesso esagerava. Mi fermai e la guardai camminare, aveva la testa altrove sicuramente di come muoveva la testa, che ragazza strana. Ma mi piaceva il suo modo di isolarsi dal mondo, dovevo capire come farlo, almeno sarei stato tranquillo senza che i pensieri mi assillassero di continuo.
Guardai l’orologio sul polso e notai che si erano fatte le undici e quaranta, accidenti era tardi e non avevo concluso nulla. La vidi giungere verso di me e mi affiancai a lei.
-Domani che fai? –Chiesi all’improvviso. Lei si voltò a metà e mi fissò con due occhi scuri.
-Lavoro. –Disse senza fretta.
-Ah. Tutto il giorno? –Chiesi.
-Inizio alle cinque. –
-E di mattina? –
-Aiuto mia nonna, ma perché mi fai tutte queste domande? Se devi dire qualcosa spara e finiscila di comportati come un adolescente. –Affermò lasciandomi in tralice. Ma non era lei quella timida e silenziosa? Non e che avesse una doppia personalità?
-Niente mi chiedevo quando andavi di nuovo a correre, se mi potevo aggiungere. –Parlai grattandomi la testa con fare nervoso. Ero un poco arrugginito, ma non mi sarei fatto battere da una ragazza.
-Di solito ci vado il lunedì nel tardo pomeriggio o la mattina presto poi fa caldo. –Disse, mentre procedeva con più calma, per mia fortuna.
-Hai intenzione di metterti in forma? –Domandò.
-Beh sì. –Risposi.
-Capisco. –
Oh di nuovo silenzio. Dannazione ma una discussione di più di cinque battute non c’era? All’improvviso feci qualcosa di assurdo, beh forse il corpo reagì prima del pensiero. La presi di sorpresa e l’avvicinai oltre la soglia consentita per i pedoni, poiché dopo c’era il vuoto cioè il mare. La vidi trattenere il respiro e sbiancare, le sue braccia si avvilupparono al mio collo e io volli rimanere in quel modo per sempre.
-C…Che accidenti stai facendo? –Urlò spaventata a morte. La guardai negli occhi, li aveva dilatati dalla paura. Era talmente tenera che le mia braccia la strinsero ancora di più, la volevo più vicina.
-Dannazione non so nuotare, mi volevi morta? – Affermò con lo stesso tono di prima, sciogliendo quell’abbraccio, iniziando a prendere terreno e spostarsi da quella banchina.
-Lo so, che non sai nuotare. Mi ricordo tutto di te, non avrei mai potuto dimenticarlo. –Affermai facendole un sorriso. La lasciai ma non del tutto, le presi il dorso della mano destra e la baciai come un gentiluomo.
-Perché ti stai comportando così? –Chiese.
-Perché sto bene con te, Jessica. –Le rivelai.
Lei divenne tutta rossa e me ne compiacque.
Un punto per me, piccola.
 
 
 
 
La sveglia suonava ma ero già sveglio. Mi rigirai e mi guardai allo specchio, mi sbattei una mano in faccia per le gaffe che stavo facendo, che cosa stavo combinando? Mi ammiravo allo specchio come un moccioso?
Presi il borsone e uscii.
Quella uscita alla fine si era conclusa con decenza, be’ i suoi silenzi erano insopportabili alle volte, ma con calma l’avrei sciolta. Già era un passo da gigante fare jopping con lei quella mattina, ancora non ci credevo. Be’ mi aveva dato appuntamento all’alba, ma ero strafelice.
Arrivai dopo dieci minuti e parcheggiai la macchina e mi guardai intorno ma di lei nessuna traccia.
Dove cavolo era? Erano le sette e dieci minuti, il parcheggio era quasi praticamente vuoto. Non volendo essere da meno mi presi gli auricolari e il telefono e mi avviai verso la pedana per fare un poco di stretching. All’improvviso una pacca sulle spalle mi fece scattare in avanti.
-Nervoso di mattina? –Disse una voce ben conosciuta. Alzai la testa e la vidi con una canotta bianca e dei pantaloncini di un azzurro brillante. Era in splendida forma, non portava nulla con se, e notai neppure il telefono.
-Sei arrivata adesso? –
-Per niente, ho fatto l’alba. –Rispose come se non fosse un granché.
Ma dormiva? Mi chiesi.
-Su. Andiamo. –
Mi spiegò la strada che avrei intrapreso e iniziammo. Notai che quando correva il suo sguardo era dritto. A volte fissava nei dintorni, ma si concentrava su un punto. Sembrava un’altra ragazza in quel momento, il vento che le scompigliava i capelli legati ad una coda alta, la sua forza di resistenza, i muscoli evidenti ai polpacci, era grande. Al confronto io ero uno straccio, già avvertivo la fatica di quello sforzo e men che non si dica mi ritrovai senza, cercai di non esserle di peso, ma all’improvviso iniziò a diminuire il passo fino a che camminammo.
-Credo che come prima volta basta e avanzi. –Iniziò a dire, asciugandosi la fronte.
-Tu di solito fai di più. –Borbottai senza fiato.
-Non ti preoccupare, sono venuta prima anche per questo. – Affermò prendendo la strada del ritorno.
-Credo che domani non potrò camminare? Ho una riunione. – Iniziai a coinvolgerla in una discussione.
-Oh ne sono sicura, perché ancora non è finita. Ti ridurrò in poltiglia, così la prossima volta non me lo chiederai più. – Ammise con il sorriso sulle labbra, quanto era bella, be’ non mi sarei scoraggiato, per le ero pronto anche a entrare all’inferno.
-Iniziamo il tris di addominali. –
Forse dovevo riflettere quando pensavo. Quella ragazza mi avrebbe ucciso più che volentieri, adesso capivo perché nessuno voleva far ginnastica con lei. Sudai come un pazzo per quei esercizi, alla fine ero morto.
-I primi giorni sono quelli più faticosi, ma poi ti sentirai un leone. –Si sedette.
-Da quando li fai? Anche se non ne hai motivo, sei magra. –
-Da qualche anno. Mi serve per sfogarmi. –Asserì sciogliendo la coda. La massa di capelli scivolò sulle spalle cadendo oltre, ma rimasero per poco per poi essere di nuovo raccolti. –Scusami adesso ma devo andare, oggi sono di servizio, quando ti serve un allenamento intensivo fammi un fischio. –Raccolse le energie e si alzò. La stavo perdendo di nuovo.
-Aspetta come te lo faccio il fischio senza numero? - Dissi e la vidi di nuovo voltarsi.
-Hai ragione. – Mi disse il numero e lo memorizzai sotto nome di “Kokoro*”
Mi salutò con la mano e pian piano svanì.
Osservai il telefono e esultai, avevo il suo nome.
Rimasi incantato per un poco e poi mi smossi, quella ragazza mi stava facendo perdere il cervello.
 
 
 
 
 
 
 
 
*Kokoro: cuore.
Buongiorno, da quanto che non mi vedete?
Be’ a causa di un blocco mi sono fermata un bel po’, avevo scritto da tempo le prime tre pagine, ma per colpa di una canzona sono andata in palla.
Grazie all’aiuto di
LittleDreamer90 sono riusciuta a sbloccarmi, grazie infinito.
Allora che mi dite? Finalmente Kaname ha fatto un passo in avanti, speriamo che procedi così per un bel po’. Le vostre supposizioni quale sono? Voglio saperle.
Ho esaurito le parole, vi lascio. Ma prima vi avviso che il capitolo non è betato, e che presto inizierò a revisionare la storia, poiché ho notato qualche imperfezione anche se prima avevo qualcuno che mi correggeva, ma credo che non faceva bene il suo lavoro. Alla prossima e scusate il ritardo.
Heart
 

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Capitolo 25
*** Baci rubati ***


26
“Baci rubati”
 
Uno squillo mi risvegliò da quella dormiveglia. Presi il cellulare e notai la casella dei messaggi e delle email piene. Era stata una settimana faticosa e stressante, dormivo pochissimo e …le forze mi stavano abbandonando.
Non mi reggevo neppure in piedi. Avevo accettato un altro lavoro sapendo che mi avrebbe massacrato, ma ne avevo bisogno per non pensare a tutto ciò che mi stava accadendo e …Kaname, era sempre nei miei pensieri. Mi dicevo che non ci dovevo pensare troppo, perché lui mi avrebbe mollato tra breve. Tuttavia c’era una parte di me, che sperava l’incontrario. Mi alzai piano cercando di abituarmi, ma la testa era pesante avevo bisogno di nutrirmi. Mia nonna non c’era, era dovuta salire ed ero sola. Mi girai nel il piccolo appartamento come una zombi alla ricerca di qualcosa da mangiare, ma trovai il frigo vuoto. Aprii il freezer e presi il gelato al cioccolato e iniziai ad ingoiarlo, avevo bisogno di energie. Mi addormentai come una bambina, davvero ero senza forze.
 
 
 
∞Ω∞
 
Era da quindici minuti che bussavo alla porta ma nessuno mi rispondeva, il suo cellulare squillava ma la sua proprietaria non si degnava di rispondere, pensai tantissime cose, ero preoccupato. Alla fine le miei preghiere furono esaudite. Una ragazza che era solo l’ombra di quella che conosceva, aprì la porta. Aveva due occhiaie profonde, i capelli tutti disordinate e una maglietta lunga dove faceva travedere le sue lunghe e sode gambe. Per un primo momento mi sembrava che non mi avesse riconosciuto, infatti avevo azzeccato. Mi chiuse la porta in faccia e riaprirla dopo poco con due occhiali sul naso.
-Che cosa ci fai qua? –Chiese con una voce roca.
-Ti avevo chiamato se ti andava di fare un super allenamento, ma come vedo non sei in forma. –Affermai cercando di vedere oltre quel piccolo spiraglio.
Lei non mi rispose neppure. Uscii e per poco non mi venne una cosa, voleva veramente andare fuori in quelle condizioni? Era praticamente nuda, c’erano troppi occhi. Per fortuna il suo passo si fermò in tempo, come si fosse resa conto del suo stato.
Mi trovai seduto su una sedia di plastica ad aspettarla, il sole stava calando e un dolce venticello mi rinfrescava da quella torrida giornata di afa. Non passò molto che lei ritornò: aveva alcune ciocche di capelli bagnate, pensai che si fosse spruzzata lavandosi la faccia, le occhiaie erano profonde come se non dormisse da tanto. La fissai sedersi e portarsi un bicchiere tra le labbra per bere, solo dopo essersi dissetata mi salutò. Le sorrise e lei cambiò traiettoria del suo sguardo, le facevo quell’effetto?
Rimanemmo in quello stato per un bel pezzo fino a che il suo telefono iniziò a squillare, lei si alzò e andò a rispondere, ritornò con una faccia da morta.
-E’ successo qualcosa? – Mi apprestai a dire.
Lei negò e si buttò sul tavolo.
-E allora? –Decisi di indagare.
-Mia nonna rimane in città per questa sera e non ho nulla da mangiare, poiché credeva che andassi a lavoro. –Confessò con lamento.
-Beh se vuoi ti posso invitare a cena. –Iniziai a dire, ma lei scuoto il capo con vigore.
-Non mi reggerei in piedi. Ho esaurito le forze, se poi vuoi uno zombi accanto. Preferisco rimanere a casa e a morire. –Finse con voce melodrammatica.
Ci pensai un momento sul da farsi e presi una decisione.
-Ti piace la cucina cinese? –Domandai speranzoso. Lei rimase con a testa sul tavolo, e disse di sì.  -Allora è tutto risolto, se ti va prendo qualcosa e stiamo un poco insieme, senza impegno. –Convenni per non fraintendere. Lei rispose a monosillabe come se veramente non avesse la forza di far nulla. –Allora vado, spero di trovarti ancora qui. –Le affermai sorridendole.
La salutai con la mano ed entrai in macchina con immensa gioia, finalmente un poco soli. Era strano quello che mi era accaduto, mi trovavo a casa solo e ad un certo punto mi ero sentito preoccupato, guardai il cellulare ma nessuna chiamata, non la sentivo da più di una settimana e non aveva risposto ai miei messaggi. La cosa mi aveva messo agitazione e così avevo deciso di andarle a trovare ed alla fine eccola.
Sorrisi e ingranai la marcia.
Persi più di quarantacinque minuti nell’attendere di essere servito, avevo fatto quattro calcoli per ciò che le sarebbe piaciuto, ma alla fine avevo optato per cose semplici e gustose. Quando ritornai la trovai sul tavolo son i capelli sparpagliati e gli occhi chiusi, stava dormendo.
La fissai con attenzione imprimendo i suoi tratti nella memoria, ad un certo punto la sentii irrigidirsi, gli occhi si strinsero per riflesso, ma poco dopo si rilassarono. Chissà che cosa aveva sognato; alla fine decisi di svegliarla senno si sarebbe raffreddato. La chiamai una, due, tre volte…ma niente. Decisi di provare una cosa, aprii un cartone e glielo misi sotto il naso, alla fine ebbi ciò che speravo. Aprì un occhio e poi l’altro, massaggiandosi la testa.
-Mi sono riaddormentata. Scusami. –Disse mortificata, ma non le diede tempo di ribattere che le porsi un cestino.
-Che cos’è? –Chiese.
-Tu mangia, non ti preoccupare non gliene ho messo veleno. –Borbottai di fronte a lei.
-Non servirebbe sono talmente fragile che potrei rompermi anche con un dito. –Asserri, facendomi raddrizzare tutto di un colpo. Che cosa significava quella frase? L’avevo sempre vista forte e determinata nelle sue scelte, ma ricordai quelle parole di Luca, allora era vero che si nascondeva. L’avrei protetta io se lei me lo avrebbe permesso.
-Tieni. –Le porsi le bacchette ma lei negò.
-Non li so usare. –Affermò.
-Te lo imparo io. –Le disse. Mi avvicinai a lei e cercai di fare attenzione. Le sue mani erano lisce e fredde, le unghia che di solito erano colorate erano spaccate in più punti, e le cuticole erano nere. Appoggiai le mie sulle sue e una scarica di elettricità ci percorse con violenza, ma non ci staccammo. Le imposi di non muovere il pollice per non farle cadere e di tenerle dritte, alla fine riuscii nel mio intento per due secondi, poiché dopo gli caddero dalle dita.
-Ci rinuncio, vado a prendermi una forchetta. –Detto questo si alzò e prese la posata e portò anche una bottiglia d’acqua.
-Che cosa hai fatto alle unghie? –Domandai preoccupato, mi nascosi dietro al bicchiere per non far leggere la mia agitazione. Era così piccole al confronto a quelle mie, doveva stare al sicuro.
-Mi è caduto un bidone dell’olio, ho cercato di attutire il colpo, ma alla fine mi sono ritrovata con le mani indolenzite. – Spiegò, strofinandole sulla maglietta. –Ecco il perché mi trovo a casa, mi hanno dato sei giorni di riposo per riprendermi. –Aggiunse.
-Capisco. Ti fanno ancora male? –
-Soprattutto di notte, sono costretta ad alzarmi e mettergli del ghiaccio. –
-Mi dispiace per questo incidente, non hai altro rotto vero? –
-No. Solo un grande spavento. Temevo che le bottiglie mi cadessero sulla testa, ma per fortuna non è successo. –Terminò, ritornando sul suo piatto.
La fissai mangiare con calma. Non mi perdevo un suo gesto, né del suo sorriso quando prese un calamaro fritto.
-Grazie per la cena, mi dovrò sdebitarmi. –Indusse lei, dopo aver sparecchiato.
-L’ho fatto con piacere. Alla fine ti ho salvato la vita. –L’apostrofai felice, era ritornata di nuovo di buon umore. Si stirò come un gatto e si sedette.
-Stasera c’è un cielo pieno di stelle. Nel pensare che l’estate tra poco terminerà… -disse pensierosa osservando il nulla.
-Tutto deve finire ad un certo punto. –Affermai sedendomi anch’io.
Dovevo trovare un argomento e anche subito. Il mio cervello si spegneva quando ero con lei, i miei occhi si fissavano sulla sua figura e addio mondo.
-Parlami un poco di te, oltre il mestiere che fai. So poco di te, Kaname. –Sentire il mio nome uscire dalle sue labbra mi fece eccitare come non mai, quando mai mi era successo?
-Be’ che dire. Ho vissuto praticamente tutta la mia infanzia ad Osaka, poi mi sono laureato e mi sono trasferito dopo numerosi viaggi qui. Nulla di che. –
-Non credo che sia nulla. È bello viaggiare, incontrare nuova gente, scoprire nuove cose, io sono rimasta sempre qui e delle volte speravo di fuggire e non ritornare più. – Ammise con gli occhi chiusi.
-Puoi ancora farlo. –
-Sarebbe bello, ma non me lo posso permettere. Non ho uno stipendio come quello tuo. E poi ho dei sogni da esaudire, e vorrei iniziare presto. – Concordò. Quanto era bella.
-Il tuo sogno è stato sempre questo? –
-Si. Mi piace interagire con le persone. –
-Già. –
-E tu che mi dici? Anche io so poco di te. –
-Io ho una vita monotona, quando finirà la stagione ritornerò con i piedi per terra e la dura realtà mi ucciderà. – Non capivo perché dicesse quelle stupidaggine, era così stanca di vivere? –Scusa, dimentica l’ultima frase. E che quando inizio a parlare non la finisco più, ormai ti considero un amico. – Che pugnalata al cuore. Per lei ero solo un amico.
-Le relazioni si evolvono Jessica. – Disse piatto.
-Non so prevedere il futuro. –Era terminata così la serata con il suo silenzio. Pian piano avevo capito che portava un grande peso sulle sue spalle, qualcosa che non sapeva farlo uscire. Era strano che una ragazza così bella si fosse ridotta in quello stato, l’avevo immaginata audace e tenace, pronta a combattere per i suoi ideali, invece era abbattuta, debole. Alla fine indossava una maschera anche lei.
 
 
 
∞Ω∞
Quella settimana era volata come non mai. I miei pensieri vorticavano in una sola direzione, era come se non esistesse null’altro. I dolori alle mani si stava facendo sempre meno frequenti, tuttavia a volte mi succedeva che si bloccassero. Le mie giornate passavo sul posto di lavoro, avevo sentito Luca, il ragazzo mi sembrava entusiasta su qualcosa, ma non mi aveva dato nulla di concreto” ti dirò tutto di presenza.” Aveva blaterato. I ragazzi avevano pianificato una riconciliazione tra due settimane, non lo sapevo se potevo, costatando che ancora lavoravo.
 
 
Due settimane dopo
 
Settembre era arrivato caldo e antipatico. La stagione estiva ci stava abbandonando ma i turisti no. Le giornate erano diventate più frenetiche, avevo ben poco tempo per passarlo con me stessa, tuttavia avevo iniziato ad uscire con Kaname qualche sera, soprattutto nel mio unico giorno libero. Il ragazzo si stava dimostrando simpatico e sarcastico, più delle volte gli sorridevo, ma ciò che mi attirava di più era quando parlava della sua città, rimanevo ad ascoltarlo e non m’importava se le ore correvano in fretta, mi sentivo serena al suo fianco. Notavo però che lui voleva qualcosa di più, i suoi gesti me lo confermavano, ma ogni volta che lui prendeva una iniziativa io mi ritiravo come se fossi scottata.
-Angelo mio stasera ci sarai vero? –Domandò in bilico Luca. Era da dieci minuti che eravamo al cellulare, mentre mi apprestato a finire di ripulire il magazzino.
-Non saprei. Sono ancora a lavoro. –Dissi velocemente.
-Pretendo che tu ci sia. Ho bisogno della tua benedizione. –Affermò deciso.
-Benedizione su che cosa? –Chiesi pensierosa.
-Lo saprai a tempo debito. Comunque ti aspetto per le nove e se non ci sei ti vengo a prendere con la forza. –Detto questo chiuse la conversazione.
-Ehilà tutto bene? –Chiese Maurizio. Era il fratello del titolare, un ragazzo simpatico.
-Si. –Sospirai.
-Era il tuo ragazzo? –Domandò.
-No. Un mio amico è ritornato da poco e mi vuole parlare. – Confessai posando la scopa al muro. C’era ancora da fare l’inventario e di sistemare le merci. Guardai l’orologio e mancavano due ore alla fine del turno.
-Capisco. Vuoi una mano? Così ti sbrighi e sei tutta sua? –Ironizzò. Acconsentii e iniziammo a lavorare, lui prendeva i carichi più pesanti e io sistemavo, in un’ora e mezza era tutto sistemato.
-Ti ringrazio per tuo aiuto. –Gli dissi sorridendogli. Lui scosse la mano per non elogiarlo più.
-E’ stato un piacere. Dai vai…ti copro io per questi ultimi dieci minuti. –Affermò, lo salutai e uscii. Ero in viaggio verso casa quando il telefono squillò, -pronto? –
-Ciao. Ce l’hai il passaggio per andare da Luca? –Domandò. Il cuore accelerò e dovetti fermarmi un attimo.
-No. –Risposi prima di pensare.
-Perfetto. Passo a prenderti tra mezz’ora? Sei ancora a lavoro? –Chiese una raffica di domande.
-Sono appena uscita. –
-Dove ti trovi, sono in giro. –Quando mai.
Gli dissi dov’ero giunta e in men che non si dica mi ritrovai a specchiarmi nei suoi occhi. Mi chiedevo come facesse ogni volta ad essere così veloce, forse la sua bellissima macchina sapeva volare? E poi che modello era? Non avevo mai visto quel marchio.
-Una curiosità. –Iniziai a dire, lui si voltò un attimo per fissarmi.
-Dimmi. –
Ecco mi trovavo in un altro pasticcio, se prima la curiosità era lampate adesso non riuscivo nemmeno a formulare la domanda, su Je fatti forza. –Che modello è questa macchina? –Chiesi sentendo le guance rosse.
Un piccolo sorriso spuntò dalle sue labbra.
-Perché lo vorresti sapere? Ti piace? – Domandò, mettendo la freccia.
-Come ho detto prima è curiosità. –
-E’ una Cadillac XT5.
-Eh? Non è europea vero? –
-Americana. –
-Capisco, comunque molto bella e poi è un SUV. – Dissi tutta euforica. Era splendida all’interno.
-Dai tuoi occhi mi fai capire che ti piace. Sei particolarmente euforica quando Sali su un SUV. Un punto in più. –Concordò. Che significava che aveva un punto in più, oh Dio che cosa avevo detto. Mi stavo scavando una buca da sola.
-Faccio presto. Sali o rimani qua? – Domandai e lui mi fissò.
-Salgo. –Decise. Ingoiai un groppo in gola e scendemmo, a casa c’era mia nonna e quando lo vide sorrise. Che figura facevo? Lui sembrava così calmo tutto l’incontrario di me, io ribollivo dalla vergogna.
Detto fatto mi precipitai sotto la doccia, preparai il borsone con i cambiai e poi sotto l’acqua. Intanto cercavo di captare qualche parola trai due, ma non sentivo nulla. Fu un corri e fuggi, avevo la netta sensazione se li avrei lasciati parlare mia nonna avrebbe detto qualcosa di più, così facendo misi il piedi sulla conca d’acqua che si era formata e scivolai, sbattendo la testa sul lavandino.
-Ahi! –Esclamai.
-Jessica tutto bene? Che cosa hai combinato? –Chiese mia nonna tutta preoccupata, vedevo le stelline intorno a me, aprii un poco la finestra e mi sedetti sul wc. La testa girava come una trottola.
-Tutto a posto. –Mentii.
Mi vestii con calma poiché la testa mi pulsava e uscii. Trovai mia nonna accanto a Kaname i due parlottavano piano, quando mi videro subito si accorsero del bel bernoccolo che sfoggiavo sulla fronte.
-Nulla vero? –Ironizzò Kaname, non avevo chiesto mica qualcosa. La nonna arrivò subito con del ghiaccio e Kaname mi fece sedere, mi sentivo una moribonda di come mi stavano trattando.
-Non chiudere gli occhi. –Mi ammonì lui, rimanendo accanto a me.
Veramente… l’unica cosa che volevo era di sprofondare in un letto e dormire per una settimana. Vane speranze, poiché il bell’imbusto mi tirò un pizzicotto per farmi riprendere, gli rivolsi uno sguardò furibondo, ma lui non mi diede conto.
La sera era giunta e finalmente avevamo lasciato la casa di mia nonna senza le sue mille raccomandazioni, avevo il presentimento che le avesse già fatto a lui.
 
 
 
Le nove erano già passate e Luca mi aveva inondato di sms minacciosi, non gli risposi neppure una volta, mettendo il cellulare silenzioso. Durante il viaggio eravamo rimasti in silenzio e pian piano mi addormentai, ero davvero stanca. Mi ritrovai in uno strano luogo, non sapevo spiegarmelo, ma era come se regnasse una pace trasparente, pura. Mi avvolsi quel calore attorno e sprofondai ancor di più in quel sonnellino non programmato.
-Jessy. Sì è addormentata, povera piccola sarà distrutta. –Qualcuno stava parlando, ma non avevo nessuna intenzione di aprire gli occhi, stavo bene in quel calore.
-Sei davvero bella, solo che tu non te ne accorgi. –Sussurrò una voce. Mi chiesi chi fosse, mi sembrava familiare, calma e rilassante.
Mi risvegliai su un letto, mi alzai di busto e avvertii chiaramente il freschetto che entrava dalla finestra. Ricollegai il cervello e, solo dopo mi accorsi che ero in viaggio con Kaname e dovevamo andare a casa di Luca, sicuramente durante il percorso mi sarò addormentata. Mi alzai anche barcollando e mi avviai verso il chiacchierio; c’erano tutti. Crystal con Federico. Noemi con Francesco, Andrea e Luca, ovviamente Kaname che se ne stava in un angolo con una gamba appoggiata al muro e le braccia incrociate. Era davvero uno schianto. Arrossii subito a quel pensiero, che diavolo mi stava succedendo? Il cuore accelerò i battiti e per un attimo mi sentii galleggiare in una scia di cuoricini. Cosa da pazzi!
I miei pensieri furono interrotti da una mano che mi tirò in avanti facendomi sbattere la testa sul quel punto, male dì chiunque fosse stato, ma era solo Luca che sprizzava gioia da tutti i pori.
-Angelo mio buongiorno? Credevo che c’era bisogno del bacio del principe per svegliarti! – Affermò e come distinto il mio sguardo cadde su Kaname, che si era raddrizzato e mi fissò.
-Come vedi mi sono svegliata. –Gli dissi, mentre mi stritolava con un suo abbraccio. Perché si doveva comportare in quella maniera era un mistero. Lo abbracciai anch’io ma con meno enfasi, la testa pulsava e non vedevo l’ora di sedermi.
-Tesoro come stai? E che cosa hai combinato alla fronte? –Ecco. Mi mancava anche Crystal che iniziava a fare la mammina preoccupata, come faceva a sopportarla Federico era un enigma.
-Sto bene. Ma se non vi togliete morirò entrò un minuto. –Interruppi freddamente, liberandomi di quelle meduse appiccicose.
-Acida come al solito. Quanta pazienza deve avere quel futuro ragazzo. Non vorrei essere nei suoi panni. –Disse, sorridendo sotto i baffi. Che cosa voleva indurre?
-Dai calme ragazze. Non vi ho fatto riunire qui per ammazzarvi. –Ci separò Luca prima che iniziassimo una nostra lotta personale. Mi calmai e mi lisciai la maglietta e mi sedetti, intanto Kaname mi aveva fornito del ghiaccio per mettere sopra il bernoccolo, lo ringraziai con lo sguardo e lui rispose altrettanto.
-Allora testa dii carciofo dov’è questa novità? –Indusse Andrea scocciato.
-Domani vi dirò tutto. –Rispose con un sorriso strano, quello lì stava nascondendo qualcosa.
La protesta non si fece attendere tanto. Comunque iniziammo a parlare del più e del meno, fino a che Noemi parlò. –Luca hai per caso qualcosa da mangiare? Voi avete cenato? –
-No. –Risposi per prima, la pancia iniziava a lamentarsi. In men che non si dica, come mai era successo, i ragazzi furono spediti a prendere le pizze… e noi ragazze a sparlare. Crystal ci mostrò le numerose foto del viaggio, ad ogni sua battuta ridevamo come matte, poi ci raccontò la scena delle guardie reali, i vari monumenti e la quasi visuale della regina. Invece Noemi ci raccontò un mini viaggio fatto con Francesco un isoletta qui vicino, dove il mare era uno spettacolo, blu come il cielo di notte, dei vari pesci che trovarono e dei coralli in certi punti; quando arrivarono a me, dissi solo che aveva lavorato tutto il tempo, ma Crystal volle sapere ad ogni costo di quell’appuntamento con Kaname, chissà chi ne aveva parlato. Gli raccontai a grande linee cosa era successo, ma non mancarono i vari rimproveri e cose del genere.
-Lo so che sei fatta così, ma lasciati corteggiare, non troverai un altro ragazzo così. Frequentati e se non andrà, avrete un’amicizia. Dargli una possibilità, nessuno sa prevedere il futuro. –Dichiarò la mia amica e Noemi concordò.
-Allora mi devo lasciare andare? E se faccio qualcosa di sbagliato? Non ho esperienza come voi. –Dissi dubbiosa.
-Se gli piaci non farà caso. Sei una persona bellissima, abbi fiducia in te stessa e fatti guidare dal cuore e non dalla testa. Accetta i nostri consigli. – Pronunciò Noemi, abbracciandomi.
-Comunque voglio sapere tutti i sviluppi! –Puntualizzò Crystal. Ci abbracciammo e scoppiammo a ridere fino a che i ragazzi ritornarono, l’odore delle pizze era squisita.
 
 
Un nuovo giorno si era aperto, il sole spaccava anche il cemento. Mi ero alzata alla buon ora per preparare qualcosa, poiché mister Luca ieri sera era passato da un supermercato e aveva preso qualcosina, ma appena ero entrata in cucina lo avevo trovato a trafficare con i vari utensili.
-Buongiorno. Per caso è la fine del mondo? –Domandai sbalordita. Lui era uno che dormiva la come n ghiri la mattina. Di sicuro c’era qualcosa sotto, gli altri ancora non si erano fatti vedere.
-Mi sento ispirato stamattina e poi sentivo caldo. –Disse velocemente, mentre guardava un libro che a quanto pare era di dolci. Lo guardai dietro il bancone e mi sedetti.
-Vuoi una mano o fai da solo? –Chiesi, lui mi guardò e poi ritornò al suo impasto. In men che non si dica, dopo aver passato dieci minuti buoni a leggere e rileggere il processo mi chiese di aiutarlo, era così dolce.
-Okay. Ma per favore finiscila mi stai cariando i denti. Allora vediamo un po’. –Mi avvicinai a lui e lessi le indicazione, non c’era nulla di complicato, tuttavia c’era chi era portato e chi no, lui era uno dei tanti. Parlammo del più e del meno e notai che era parecchio nervoso, perché? Forse era tutto collegato a ciò che doveva dire? Ah, vero, mi stavo per dimenticare di chiedergli come era andata le cose con il fusto che aveva incontrato, ma purtroppo non ci fu dato modo, poiché entrarono gli altri in fila indiana come se si fossero svegliati tutti insieme.
-Che cosa si mangia stamattina? Mi potrei abituare a questa abitudine. –Affermò Francesco sbadigliando.
-Come se non mangiassi a casa! –L’ammonì Noemi dandogli uno scappellotto sullo stomaco.
-Pancake se mister Luca li mette nella piastra, intanto vorrei un volontario per apparecchiare la tavola. –Nessuno lo fece e quando mai, ma poi presi le mie amiche e li costrinsi ad ubbidire, i ragazzi si erano volatizzati nel nulla.
Mangiammo con gusto. Non era come il solito con una tavola imbandita, purtroppo era stata fatta all’improvviso, anche se c’erano state due settimane di preavviso.
Stavo ripulendo tutto, quando sentii la voce di Luca. Il ragazzo era scomparso dopo aver mangiato e nessuno lo aveva più visto.  Federico aveva detto che la sua macchina non c’era più.
Mi avvicinai alla porta d’ingresso con lo strofinaccio ancora in mano e intatto vidi anche i miei amici andare lì. Lo vidimo sbucare dalla porta e rimbalzare come una molla, con un sorriso a trentadue denti, i capelli ben fatti e una camicia rosso fiammante. Era irriconoscibile.
-Ti si sono accese le lampadine amico? – Ironizzò Federico.
-Ancora meglio! –Disse lui tutto felice, non smetteva di sorridere. Chissà che cosa aveva.
-Vi presento…tan tan …Si. - Iniziò a dire, ma non finì mai poiché una palla di pelo sbucò dalla porta con la rincorsa, iniziò a scodinzolare e guardarci con i suoi occhi vispi.
Rimanemmo in silenzio.
-Ci presenti un cane? –Domandò abilito Andrea.
Il cosiddetto cane ci guardò per un lunghissimo tempo, per poi avvicinarsi a me e iniziare a strofinarsi la sua faccia alla mia gamba. Rimasi di sasso, che cosa voleva da me?
Tuttavia era troppo kawaii. Aveva il pelo nero e bianco, era alto quanto una sedia per bimbi e sprizzava gioia da tutti i pori. Si sedette di fronte a me e iniziò a fare le fuse peggio di un gatto. Se non ricordavo male era un Border collie.
-Oh Dio. Mi dici come fai? Anche i cani vengono attratti dalla tua calamita, angelo mio. Comunque lui si chiama Happy. È un giocherellone incallito, ci sei simpatica. - Brontolò ondeggiando la testa.
-Era lui tutta la tua euforia? Perché mi sembra tanto. –Borbottò Francesco già pronto a ritirarsi.
-Fermo! Be’ si vi dovevo presentare anche Happy, ma non era lui. –Borbottò scocciato.
-Allora? –Domandò Crystal.
-Sì. –Tossicò e iniziò a dire di nuovo il discorso. –Spero che sarete clementi con lui ecco a voi Si…- dalla porta entrò un pappagallo che si appoggiò sulla testa di Luca.
Aveva le ali sul verde e il blu.
-Un pappagallo! Ma ci stai prendendo per i fondelli, scemo? –Urlò Andrea imbestialito, anche se non capivo tutta quella rabbia.
-Tra poco sbucheranno l’asino e bue. –Mormorò Kaname.
-Non mi dire che vuoi fare l’addestratore di animali? –Ironizzò Noemi, battendo il pugno sul palmo della mano. Ma facevano sul serio?
-No. No. Ma che avete capito. Accidenti dov’è finito! –Uscì dalla porta per poi sbucare con altre due gambe e braccia e con un corpo. Dietro di lui entrò una figura imponente, dallo sguardo glaciale come il ghiaccio. Era alto quanto Kaname, forse di più. Aveva il pizzetto sul mento biondo e i capelli del medesimo colore. I capelli gli cadevano sulle spalle, faccia ovale e scura. Un corpo palestrato ma non troppo gonfiato. Indossava una maglietta dove c’era scritto California e delle bermuda color ciliegio e dei infradito. All’apparenza sembrava uno tosto, un surfista, ma era tutto l’opposto.
-Vi presento Simon. –Esultò.
Rimasi senza parole. Come del resto tutti gli altri.
-Siete ancora qui? –Domandò spaventato Luca.
Simon ci guardò attentamente, fino a raggiungere me. Non mi fece nessun effetto, ma captai qualcosa dietro di me, come se ci fosse una lotta. Non riuscii a voltarmi, ma fu Happy a sciogliere la situazione, richiamando la mia attenzione.
-Che c’è piccolo? –Gli domandai inginocchiandomi per essere alla sua altezza.
-Credo che abbia sete. –Indusse Simon serio.
-Ok. –Risposi, finalmente riuscii a muovermi e a dirigermi verso la cucina per prendere una ciotola per il cane. Rinfrescato iniziò a perlustrare tutta la casa, annusando e correre.
-Benvenuto Simon spero che ti troverai bene. –Sentii ed era la voce di Crystal.
Pian piano tutti gli diedero il benvenuto, fino a che non arrivò il turno di Kaname. Lo guardava con serietà e non capii il motivo, quei due se la intendevano perfettamente, non abbassavano lo sguardo. Sangue freddo.
Arrivato il mio turno gli diedi la mano e lui parlò. –Alla fine ho il piacere di incontrarti, Luca non fa altro che lodarti dalla mattina alla sera, alle volte sono per giunta geloso. –
-Non ti preoccupare ci farai l’abitudine. Prenditi cura di lui e semmai lo farai soffrire, dovrai passare sotto le mie grinfie! -  Lo minaccia.
-Senza peli sulla lingua. Accetto le tue regole! –Disse, dando un colpo sulla spalla di Luca che sorrideva come un pesce lesso.
-Oh angelo mio grazie. –Mi abbracciò con slancio, e per poco non mi fece cadere.
-Sono felice per te. Anche tu hai bisogno di una persona che ti rassicura. –Pronunciai –comunque non credere che sia così semplice, ti tengo d’occhio! –E li lasciai con quell’avvertimento, mentre Luca saltava in braccio a Simon.
-E’ una bomba, amore. –Mormorò Simon rivolgendosi a me.
Slittai fuori da quel soggiorno di rose e cuoricini e mi avviai verso la mia stanza, dove trovai Happy sdraiato sul letto come se fosse lui il padrone del mondo.
Sorrisi. La vita era piena di sorprese.
Quel breve week-end si era concluse. Happy piangeva per la mia lontananza, c’eravamo divertiti come matti. Quel cane era un angelo. Luca mi aveva strapazzato come se fossi stato un pupazzo, mentre Kaname non toglieva gli occhi da Simon, gli altri era come se non ci fossero.
La musica era messa in sottofondo. Lui era taciturno.
Guardavo il paesaggio trasformarsi con l’andare del tempo; Luca quando aveva capito con chi ero venuta aveva fatto i salti di gioia ma anche gli altri. Qualcuno stava tramando dietro alle mie spalle e non mi piaceva questo, tuttavia non mi potevo lamentare del loro affetto, loro mi volevano bene per quello che ero. All’improvviso ci fermammo, solo dopo mi accorsi con stupore che eravamo arrivati sotto casa.
-Ti eri riaddormentata. –Mi disse lui piatto.
Ma perché dormivo sempre in sua presenza?
-Scusa. –
-Non fa nulla. –
-Mi dici che cosa hai? Sei piuttosto freddo con me. –Affermai alzando un poco la voce. –Ho fatto qualcosa? Parla? –
-Niente. Sono solo io. –Rispose velocemente.
-Eh no. Adesso mi dici che cosa stai pensando. Se vogliamo che funzioni questa cosa non ci devono essere segreti! –Puntualizzai per poi arrossire vistosamente, avevo realizzato solo dopo le mie parole, stavo mettendo allo scoperto quella sorto specie di relazione? Rapporto?
Lui rimase in silenzio dopo la sorpresa, sembrava nervoso. Poi successe tutto in un attimo. Maledetta area che era poco illuminata. Lo vidi avvicinarsi a me, alzarmi il mento e soffiare quelle chiare parole. Il suo fiato mi riscaldò il corpo, facendo vibrare l’anima.
-Non sopporto lo sguardo di quel tizio su di te. Mi fa andare fuori di testa. –Mormorò per poi chiudermi la bocca con la sua. Fui avvolta da un calore immaginabile dalla testa ai piedi. Il suo profumo entrò in circolo facendomi perdere la cognizione del tempo, anche se non stavo rispondendo a quel bacio mi stavo rilassando, chiudendo lentamente gli occhi per imprimere quel momento nel mio cuore.
Quando si staccò da me aveva gli occhi che gli brillavano.
Il cervello era scollegato, feci l’unica cosa che credevo fosse giusta.
Lo presi dal bavero della maglia e lo avvicinai a me. Ci scontrammo nuovamente lasciandolo questa volta lui sorpreso e poi fuggii, ma prima gli sussurrai – grazie per avermi guardato le spalle, e scusa. –Scappai come se avesse il diavolo alle calcagna, appena entrai in camera me ne dissi di tutte le ragioni. Il danno era fatto, tuttavia mi sentivo al settimo cielo, non credevo che un giorno avrei fatto una pazzia del genere.
 
 
 
 
 
 
 
Tan-tam!
Bentornati ad un’altra puntata di così importante e tutte le fortune che ha la protagonista!
Finalmente dopo una settimana di scrittura ci sono riuscita, e mi ritrovo a contemplare le mie diciassette pagine con ammirazione. Ce ne vuole di fegato a fare quella mossa e scriverla, no dai, ho sballato tutto quella scena “finale”.
Chissà come reagirà Kaname e che cosa penserà?
E voi che ne penserete? Io sto morendo dal ridere, alla scena dei animali. Impressioni su Simon? Kaname è geloso da far paura, ma molto dolce, anch’io voglio mangiare cinese, peccato che nella mia città non ce ne sono ristoranti del genere solo negozi. Ah vero devo mettere il link della sua favolosa macchina che prima di trovarne una che mi piaceva hi fatto i salti mortali, ma voi sicuramente importa ben poco. Che altro dire? Che preferisco scrivere dalla parte di Kaname? Ed ero io che all’inizio avevo problemi proprio su di lui? Che strano. Ok smetto di parlare e vi lasci al prossimo aggiornamento. Lasciatemi una recensione per dirmi come vi pare, critica o positiva.
Heart
 
 
 
http://it.tinypic.com/r/2ql95kp/9 interno http://i63.tinypic.com/11h7whd.jpg esterno della macchina

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Capitolo 26
*** Un abbraccio sincero ***


27
“Un abbraccio sincero”
 


 
 
L’estate era finita e con sé portava via quel magnifico odore di sale e di sole.
Tuttavia le temperature erano belle calde e a volte afose, l’autunno si faceva attendere come al solito; benché fossi felice di rilassarmi un attimo dopo i tre mesi passati a lavorare, mi ritrovavo a girare per i ristoranti e negozi per un lavoro decente. Oramai avevo capito che la fortuna ti baciava solo una volta e non due. Sospirai e chiusi gli occhi. Ripensai a quella stupidaggine che avevo commesso qualche settimana fa, non mi capacitavo di che cosa avevo fatto, come mi era venuto in mente? Oh sì. Le sue labbra erano morbidissime e …se non fosse stato per la mia coscienza che si era risvegliata e mi aveva indotto con le cattive di lasciare quella macchina, avrei fatto molto di più. Non stavo dicendo del sesso, ma avrei approfondito quel magnifico bacio. Ah sogni ad occhi aperti. Lo avevo ammesso la prima volta, be’ la seconda volta che mi piaceva Kaname, ma c’era sempre quel qualcosa che mi fermava e mi faceva comportare da vera stronza. Chissà come aveva reagito lui a quel gesto. Forse non gli aveva passato nemmeno per la testa, abituato a molto di più. Risultavo come una ragazzina alle prime armi e, infatti era così!
La vibrazione del cellulare mi riscosse e lessi i nome nel display.
-Pronto. –Risposi incerta.
-Ciao tesoro, come stai? –Domandò lei con quell’accento francese.
-Bene te? – Avevamo parlato poche volte e spesso rimanevamo in silenzio perché non sapevamo cosa dirci, tuttavia era una donna buona è carismatica.
Parlammo del più e del meno, alla fine mi chiese un favore. 
La telefonata era finita bene. Non credevo che fosse già l’ora, dovevo trovare un regalo giusto per l’occasione.
Il pomeriggio era soleggiato meglio del mattino che era coperto, in giro c’erano parecchia gente e tra tutte intravidi Simon con Happy al guinzaglio, quel cane ogni volta che mi vedeva mi saltava su, come se fosse leggero come una piuma.
-Ciao piccolo! –Esclami grattandogli sotto il muso e lui iniziò a scodinzolare felice di quelle attenzioni.
-Buon pomeriggio Jessica. –Mi salutò Simon. Mi guardai nei dintorni ma non notai Luca.
-State facendo un giro? –Chiesi cordiale.
-Esattamente. Happy era stanco di rimanere in casa e poi è una magnifica giornata. Tu che fai? –Chiese, mentre lasciava libero il cane. Lo guardai con un sorriso sulle labbra, era così tenero e dolce.
-Anch’io anche se devo fare delle commissioni. Ti va di farmi compagnia? –Domandai incerta.
-Perché no. Happy andiamo! – Lo richiamò e iniziammo a girare un poco nel corso, tra l’altro era vero che dovevo sbrigare delle cose, come ad esempio dovevo ricaricare la scheda per le spese on line, comprare qualche maglietta, e infine quel famoso regalo.
Alla posta gli animali non potevano entrare così Simon fu costretto ad aspettare fuori, intanto io lo guardavo dalla grande finestra, ogni qualvolta si perdeva una giornata in quei luoghi pubblici, ma alla fine riuscii nel mio intento. Passammo tra vari negozi e trovai un poco di cose, mi accorsi che stare in sua compagnia era piacevole, mi parlò della sua città, anche se non stava per più di un anno nello stesso punto, amava viaggiare, scoprii che era un veterinario e cercava un locale per aprire un ambulatorio, ma gli consigliai di cercarlo fuori perché in città già ce n’erano parecchi.
Gli chiesi consiglio per il regalo che dovevo fare, fu molto disponibile e mi aiutò nella scelta, a fine pomeriggio terminai tutto.
-Grazie per la compagnia. –
-E’ stato un piacere. Almeno ci siamo conosciuti un po’ di più, ero curioso di saper di più di te, Luca dice tanto di te. A volte credo che se li inventa. –Commentò.
-Può darsi. – Risi. –Adesso scusa ma devo andare, ci sentiamo. -Lo salutai e m’incamminai verso casa, mi ero divertita un sacco. Happy mi aveva fatto una sorte di guardia del corpo, era troppo tenero. Mi ricordava tanto il mio vecchio cane, purtroppo era morto per una malattia, c’ero tanta affezionata. Respirai a lungo e sorrisi, la vita andava avanti e non si fermava, quella tragedia mi aveva reso più forte ma allo stesso tempo più sensibile.
 
 
Due settimane dopo.
 
Stavo canticchiando la canzone di Adele “skyfall” intanto mi sedevo al mio posto. Dall’oblò si travedeva la linea bianca e più là c’erano gli altri aeri posteggiati. Ero stata fortunata a trovare un biglietto scontato. Non avevo avvisato nessuno della mia partenza, di sicuro due settimane sarebbero passati velocemente, l’ultima volta che ero stata a Baviera era stato l’anno scorso inverno, mi ricordavo la chiamata di Federico per anticipare il mio ritorno, benché fossi felice di rientrare in quella città dove mi aveva colto come estranea e, che in fine avevo conosciuto tante persone splendide, avevo un peso nel cuore. Io e Kaname non c’eravamo chiariti, lui non si era nemmeno fatto sentire. Forse ero stata una codarda, forse dovevo fare io il primo passo, comunque lo avrei fatto appena ritornata. Spensi il cellulare come richiesto e allacciai la cintura, ormai era diventata un’abitudine partire da sola, osservare la terra sparire e poi fissare l’immenso infinto del cielo. Ero sempre terrorizzata di un avaria del mezzo e ritrovarmi ad annegare nel mare o mangiata dai squali!
Comunque cercai di starmene calma e posata in quel sedile scomodo, dopo mezz’ora del decollo potemmo scacciarci le cinture e riprendere i cellulare che erano nella modalità aerea, in passato non avevo nessuna idea di cosa fosse o cosa servisse, ma adesso era tutto chiaro. Mi arrivarono due sms e tre chiamate. Una da mia nonna e le altre da Crystal e Luca. Risi a quella scena che tra breve si sarebbe sviluppata. M’immaginavo le loro facce, tuttavia dovevano aspettare.
La partenza non era stata programmata, sì. Tuttavia Kelly mi aveva avvisato che in quella settimana avrebbe organizzato una sorpresa a mio padre per i suoi 50 anni. Me ne stavo dimenticando, per fortuna c’era stata lei. Quella donna era favolosa, sembrava molto più giovane dei suoi 47 anni. Lavorava nell’ambito del marketing anche se non ricordavo in quale settore.
Il viaggio risultò senza turbolenze e dopo un paio di ore fui all’ingresso dell’aeroporto di Baviera. C’erano taxi e auto da tutte le parte, al confronto Palermo era un paesino. Cercai lei e la trovai all’angolo con la sua Audi bianca.
-Bentornata! –Esclamò con enfasi, avvertii chiaramente il suo profumo costoso e il suo completo con pantaloni e giacca. –Credevo di fare tardi, c’è un traffico pazzesco. –Borbottò. Mi aiutò con la valigia e poi partimmo. L’appartamento era vicino al centro, ero euforica di riabbracciare mio fratello, avevamo deciso che era meglio farlo rimanere lì in estate, il clima di casa non era adatto per lui.
-Scusa il disordine ma non ho avuto il tempo di sistemare, stamattina è stato fuggi e via. –Blaterò. Non c’era chissà cosa, solo tre tazze nel lavandino e dei cereali sul tavolo. Si allontanò un attimo per cambiarsi, ritornò con i capelli acconciati a una coda alta, mentre i tacchi erano stati sostituiti dalle pantofole.
-Accomodati. Non essere così impacciata ci hai vissuto per un poco…-Affermò, conservando i cereali nel loro posto per poi guardarmi. –Lo so che è difficile abituarsi alle nuove cose, ma non ti sto mettendo fretta. –
 
-Non è questo. E che questa casa ha un strana essenza. Mi sento così rilassata, prima, quando i miei stavano insieme era sempre così cupa. Invece qui, si respira serenità. Sono più decisa a lasciare mio fratello in mano a te che a lei. –Dichiarai.
-Le tue parole sono molto importanti per me. –Disse lei commovendosi.
-Non ti metterai a piangere adesso vero? Dobbiamo preparare la cena! –Affermai decisa.
-E no. Sei un ospiti. –Iniziò lei.
-Si come no. – Risi e lei mi affiancò.
Alla fine avevamo legato come amiche. Kelly aveva 47 anni ed era stata sposata tanti anni fa, tuttavia non aveva funzionato. Amava i bambini, ma non li poteva avere ecco perché ci teneva tanto al mio fratellino. Era stato difficile ambientarsi ad una nuova scuola e alla lingua, ma avrebbe giovato in futuro.
La serata si era conclusa gradevolmente, gli abbracci non erano mancati. Io e Kelly eravamo diventate complici di quel piano sotto copertura, sarebbe stata una festa bellissima, mancavano solo tre giorni.
Quando ritornai in camera trovai il cellulare squillare. Chiusi la chiamata e la rifeci.
-Dove diavolo sei stata? –Urlò Crystal.
-Se aspetti un attimo chiamo anche Luca così non ripeto le cose due volte. –La lasciai in linea, mentre cercavo il numero di lui, un secondo dopo la sua forte voce sibilò le lo stesso rimprovero di colei che era in attesa. Quei due avevano per caso un canale telepatico?
-Allora devo confessare una cosa, siete seduti? –Domandai.
-Sei incinta?! –Urlò Luca tutto euforico.
-Ma che dici razza di cetriolo e poi di chi? –Rispose con tutte le rime Crystal.
Quei due erano insopportabili quando facevano così. –Comunque non sono incinta e poi di chi? L’ultima persona che ho incontrato era Simon. –Iniziai.
-Cosa? Che c’entra lui? –Disse alterato.
-Nulla, infatti. Sei stato tu a buttare quella domanda assurda. Prima che iniziate una guerra, in questo momento non ci sono in città, stamattina ho preso l’aereo e sono andata da mio padre. –Affermai.
Silenzio. Non riuscivo a captare niente.
-Che cosa!!! –Allontanai il telefono per non perdere un timpano e aspettai che si calmassero.
-Che diavolo ci fai lì e perché non ci hai detto nulla? –Si arrabbiò Crystal.
-Non era pianificato, mi hanno chiesto un favore. Comunque ritornerò presto. So bene che ad una certa persona ha bisogno di me, e già mi sento male. –Se pensavo che sarei stata dei giorni in giro per l’abito da sposa mi veniva una cosa. Mi sdraiai sul letto e fissai il soffitto.
-Ah. La testimone ci deve essere per forza. –Borbottò lei.
Sembrava che tutto si fosse calmato, ma poi Luca se ne uscì con una domanda.
-Jessy mi dici che gli hai fatto a quel ragazzo? –Domandò.
-Ma a chi? –Dissi in contemporanea con Crystal.
-Sto parlando di Kaname. L’ho incontrato al Lidel ed era strano, aveva una faccia da pesce lesso, come se sognasse ad occhi aperti. –
-Oh Dio! –
-Cosa? –Chiesero curiosi.
Ma lo avevo detto ad alta voce? Che diavolo combinava quell’idiota?
-Allora? –
Che dovevo fare? Dovevo rivelare quel piccolo segreto o me lo dovevo tenere dentro? Tuttavia era meglio rivelarlo, mi avrebbero rotto per tutta la vita.
Ok ero pronta a sganciare la bomba.
-L’ho baciato! –Confessai diventando rossa come se loro mi potessero vedere in quell’istante.
-Bene. La nostra bambina è cresciuta. Con la lingua spero. –Iniziò a blaterare Luca, mentre io rimanevo ferma come uno stoccafisso. –Adesso si spiega il suo comportamento… Ben fatto amica mia!  Alla fine hai accettato i nostri consigli. –Commentò Crystal.
Non immaginavo una cosa del genere, per lo più le grida di euforia ed esaltazione.
-Gli ho chiesto scusa e sono scappata. –Completai.
-Come scusa? –
Mi grattai la testa, ero pronta per ricevere una parentela dai miei migliori amici.
-Tu sei del tutto stupida! –
Le ultime parole famose. Ero stata una vera stupida, lo sapevo da sola. Ma ormai il danno era fatto.
Mi ero scavata una buca con le mie stesse mani.
 
 
L’argomento Kaname era diventato top secret, ne parlavamo ogni sera, anche se stava diventando noioso, un conto era parlare una volta, ma non di continuo. Avevo staccato la comunicazione e adesso fissavo il cellulare, che dovevo fare? Bussarono alla porta e distolsi lo sguardo e notai Kelly.
-Scusa se ti disturbo. Tutto bene? –Domandò premurosa. I suoi occhi grigi mi fissarono con tanto amore, povera donna aveva dovuto soffrire tanto, una per il matrimonio fallito e poi per la mancanza di avere un figlio suo.
-Tutto ok. –Mentii. Mi sentivo così confusa. Non sapevo che cosa fare.
-Non vorrei immischiarmi nella tua vita, ma su una cosa che ho capito e che le cose belle non si programmano, vivili, sbagli se vuoi, ma non li lasciare andare, perché non ritorneranno più. –Affermò avvicinandosi al letto. Abbassai la testa e cercai conforto in quelle parole.
Restammo in silenzio, intanto lei mi accarezzava i capelli, mi sentivo al sicuro in quel momento, capita. Erano poche le persone che li facevo avvicinare, e lei era una di quelle che ci sarebbe state sempre, anche se ci conoscevamo da poche.
-Mi piace un ragazzo. Purtroppo non so le sue intenzioni. Siamo usciti un paio di volte, e l’ultima volta mi ha baciato. – Confessai imbarazzata, torturavo la pellicola dello schermo del cellulare per il nervosismo, speravo che lei mi desse qualche consiglio, invece, mi abbracciò.
-Non rifiutare le sue attenzioni. Tu come ti senti in sua compagnia? –Domandò.
-Bene. Agitata. Stronza. Faccio uscire il peggio di me. –Balbettai, sentivo le guance prendere fuoco per quella confessione, non avevo mai rivelato a nessuno quell’emozioni nemmeno a Crystal e Luca.
-Lui è scappato? Come si è comportato lui? –
-Lui c’è sempre. È per questo che mi sento in soggezione quando lui è nelle vicinanze, all’inizio non lo sopportavo e poi…-
-… hai iniziato a conoscerlo e piacerti. –Concluse lei. – A volte siamo concentrati a guardare in avanti che non ci accorgiamo di chi si avvicina, cerchiamo di proteggerci, ma solo i più duri restano al nostro fianco. –Asserii, si allontanò un poco da me e mi fissò negli occhi. –Tu che cosa provi per questo ragazzo? –
-In verità non so nulla, solo che guadagna un sacco di soldi. Tuttavia c’è qualcosa che mi attrae verso di lui, una scia di mistero. Con lui mi sento diversa, libera.  Non so nemmeno che cosa sto dicendo.  Non ho mai parlato di queste cose con nessuno. –Confessai distogliendo gli occhi e alzandomi.
-Rimuginare non fa bene. Abbiamo bisogno di sfogarci e avere consigli, potrai venire sempre da me o chiamarmi, io sono dalla tua parte. – Terminò.
-Grazie. – Grazie di cuore Kelly.
 
 
 
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*
*
 
 
 
Buongiorno miei lettori.
Questa volta non mi sono fatta attendere troppo, anche perché il capitolo è breve. Vediamo Jessy alla presa di emozioni che non capisce, la confusione e l’amissione di certi sentimenti che stanno uscendo fuori. Abbiamo anche l’apparizione di questo personaggio femminile, Kelly. Sappiamo poco di lei, ma in futuro mi concentrerò meglio volevo solo delinearla in questo capitolo, lei darà la grinta e la forza di reagire, ci sarà sempre per lei.
Non ho postato nulla su Kaname, perché ho intenzione di approfondirlo nel prossimo e così diamo una svolta a questo rapporto, chissà che cosa succederà. Idee?
Opinioni?
Curiosità: la modalità aerea non ne sapevo un granché a poche ore fa, sì, l’ho sempre notato sul cell ma non sapevo che funzioni avesse. Poi attraverso Google l’ho scoperto. Be’ si usa quando si viaggia appunto in aereo, impostando questa modalità si disattivano tutte le funzioni ma rimane acceso. Non ho ben capito se si possono ricevere le notifiche e cose varie, si è capito che omesso qualche particolare.
Mentre per la reazione di Crystal e di Luca che mi dite?
Simon si sta costruendo un’amicizia con Jessy ma che rapportò vorrà? Quest’ultimo o altro? Lo leggerete prossimamente, sì, perché da adesso in poi iniziano i fuochi d’artificio!
Alla prossima!
Heart
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 27
*** Stroncata finale ***


 
28
“Stroncata finale”
[1°Parte]


 
-Tu sei del tutto pazza! –Mi stava urlando da cinque minuti Luca. Non capivo perché si stava strapazzando così tanto per una cosa così futile; era inutile che Simon cercasse un modo per calmarlo, perché il mio amico stava bestemmiando alla grande.
Il problema ero io. Be’ non era una cosa nuova che quando una cosa ci tenevo cercavo di fuggire in tutti i modi possibili, avevo una fottuta paura di ferirmi, ero diventata fragile dopo gli ultimi avvenimenti. Il giudice mi aveva chiamato, avevamo discusso a lungo e in sintesi era per mia madre che voleva in tutti i modi fargliela pagare a mio padre, non dicevo che non avesse anche lui la sua dose di colpa, ma cavolo quella cosa si stava allungando fin troppo. Eravamo fuggiti tutti da quella casa che a parere mio era infestata da presenze negative. Tuttavia ero adulta e non potevo comportarmi da bambina, così mi ero preparata alla botta finale. Non seppi come ce la feci a rimanere in quello studio e sentire le dozzine di stupidaggine che mia madre aveva detto, ne rimasi sconvolta. Quell’uomo ci stava facendo il lavaggio del cervello, per fortuna ero stata previdente a lasciare il mio piccolino in Germania. Presi un lungo respiro e guardai la mia piccola camera, le cose non andavano rose e fiori, anzi c’erano un sacco di problemi che si stava prosperando all’orizzonte. Sarei stata in grado di farcela? Forza e coraggio! Ritornai al presente quando Luca mi richiamò a gran voce –senti, lo so che lo stai facendo solo per non pensare a questo casino, ma non ti puoi uccidere la vita. Lavorare in questo modo è un suicidio. –Protestò.
-Grazie. Ma lo devo fare. E poi …-lasciai la frase in bilico.
-Che c’è? Oh Dio quando inizi a dire queste frasi dimezzati ci sono sempre cose brutte all’angolo, sputa il rospo. –Asserii. Sbuffai contrariata, perché riusciva a capirmi anche dietro una cornetta? Ero così aperta?
-Presto il ciclone m’investirà. –Dissi pacata. Il silenzio fu assoluto, che cosa dovevo dire? Che avevo paura di quel poco equilibro che avevo stabilito? Avevo tante preoccupazioni che l’insonnia era cresciuta con la mia ansia, contavo i giorni, oramai eravamo agli sgoccioli.
-Tesoro io ci sarò per te. Se avrai bisogno di un abbraccio ti circonderò e ti sorreggerò nel momento in cui il tuo pianto sarà incontrollabile. –
-Lo so e ti ringrazio. –
 
 
La musica mi schiacciava i timpani ma era l’unica maniera che conoscevo per far cessare i pensieri, la settimana era entrata male, anzi malissimo. Avevo sentito mio fratello maggiore. E sì. Non ne avevo mai parlato, ma eccolo. Dopo cinque anni si faceva vivo e voleva sapere tutto. Con il cavolo!
Avevo cercato di essere più educata possibile, ma la voglia di sbattergli il telefono in faccia era fortissimo. Come si permetteva di in colparmi di tutto? Che cosa ne sapeva lui, che in fine si era lavato le mani? Chiusi un attimo gli occhi e avvertii la vibrazione, scossai la giacca e guardai il display. Due messaggi non letti, tolsi il blocco e lessi. Uno era da parte di Crystal che mi dava appuntamento nel pomeriggio per il nostro secondo giro per i negozi, santa pazienza, e l’altro era del fantomatico fratello che sarebbe ritornato tra due settimane, fantastico!
Finalmente arrivai dalla signora che le facevo le pulizie e la salutai, lei era così gentile e cordiale. Le chiesi che cosa dovevo fare quel giorno poiché la casa era di due piani.
-Buongiorno cara. Avevo pensato di fare la scala, una bella rinfrescata e poi vorrei un favore da parte tua. –Disse lei.
-Certo mi dica pure. –
-Dovresti farmi la spesa se non ti pesa, oggi mio nipote mi viene a fare visita e non vorrei che trovasse il frigo vuoto. –Affermò, sedendosi sul divano di pelle.
-Non ci sono problemi. Allora mi metto subito a lavoro così dopo vado al supermercato, già ha fatto una lista di che cosa le serve? –
-Oh sì. Intanto che tu fai la giù ti preparo le buste. –Detto questo ci separammo, io presi scopa e paletta per spazzare ed iniziare la mattinata.
La canzone di Taylor Swif rimbalzava come una cantilena e la mente iniziò a formulare pensieri non concreti, era parte di me quella caratteristica, non potevo abbandonarla non sarei stata più in me. Le parole mi fecero pensare ad una certa persona che dopo quel sabato non avevamo più scambiato più di due parole, lo avevo visto poco presente come si nascondesse da me. Mi aveva fatto dei complimenti per quanto riguardava i capelli, lui aveva detto che erano morbidi. Ricordai che il cuore mi era scoppiato e le guance erano andate al fuoco, Luca mi aveva mandato uno sguardo mieloso che per poco non gli tiravo la scarpa. Da quando ero diventata così patetica? Lui mi guardava in una maniera diversa me n’ero accorta alla prima vista, mi sentivo intrappolata da quel legame che si stava formando. Ma se da una parte mi volevo scottare e provare sentimenti mai provati, dall’altra non ne volevo sapere. Ero una mente folle.
La dovevo smettere di pensare se no li perdevo quei pochi neuroni che erano rimasti, scossi la testa e lessi la lista. Avevo tutto! M’indirizzai verso la cassa, quanto odiavo la fila, sentire la gente litigare per il posto. Quando suonai al portone mi rispose una voce maschile e pensai subito al fantomatico nipote. Il ragazzo era alto su per giù un metro e settata, occhi e capelli scuri nulla di che. Mi sorrise nel momento in cui entrai, mi sentivo squadrata dalla testa ai piedi, posai la spesa sulla tavola e iniziai a riordinarla.
-Oh sei ritornata? Non è bello il mio nipotino? –Adulò la signora, iniziando a lodarlo in maniera ossessiva.
-Piacere di conoscerti, Giorgio. –Mi allungò la mano e gliela strinsi con poca convinzione. Il suo sguardo non mi piaceva, ma cercai di non dargli molta corda.
-Ok ho finito per oggi. –Mi liquidai con un gesto di mano.
 
 
 
 
La piazza era strapiena come al solito. Il cielo era calmo è colmo di stelle, poiché c’era luna nuova. La bella stagione era finita, ma c’erano certe giornata che il caldo era un dramma; indossai il giubbotto e uscii. Davanti alla porta c’era Crystal con Federico. Parlammo del più e del meno in macchina anche perché non potevamo parlare molto poiché il ragazzo non deve saper nulla del vestito, che ahimè ancora non era stato trovato. I nostri amici ci stavano aspettando al solito posto, e guarda caso lui era proprio lì. Il suo look era perfetto, sembrava un Dio, forse mi stavo complicando troppo la vita, ma Kaname ero un bel pezzo di ragazzo era normale che tutte le ragazze si girassero e gli mandavano certi sguardi, tuttavia a queste sceneggiate, anche se ero gelosa marcia sapevo che lui era impossibile. Ero dannatamente fissata che lui stava giocando con me che non riuscivo a vedere altro o pensare.
-Ho saputo che hanno aperto una nuova yogurtiera. Propongo di andare a provarla. –Annunciò Francesco.
-Ma sempre che pensi a mangiare tu? Ti faccio ricordare che hai appena finito di mangiarti una pizza più metà della mia, mi dici dove la metti tutta questa roba? –Esclamò Noemi.
-Nei stivali, tesoro. –Blaterò Luca.
-Tu stattene zitto! –Lo minacciò con durezza.
-Ma sei stata punta dalle spine stasera? vatti a rinfrescare! –Dichiarò Luca iniziando a blaterare parole senza senso, sbuffammo un po’ tutti. Mai attaccare una ragazza quando e nel suo periodo, l’ho sempre detto che siamo pericolose, ma gli uomini non capiscono un fico secco. Si vede da un miglio che scatta come una molla, ecco perché Francesco non ha ribadito nulla, povero cucciolo, sa che poi sarebbero guai.
-Comunque rimaniamo qua o andiamo? –Domandai stanca. Avevo la schiena a pezzi e tutta quella voglia di uscire era scemata all’istante, ma mi serviva un momento di svago sennò sarei impazzita. Ci avviammo verso il nuovo ristoro e trovammo una fila infinita. Dopo un’ora di coda avevo finalmente il mio cornetto alla nutella in mano e un frappè.
-Non ti congelerà la testa? –Chiesi Kaname, tenendo con una mano un vasetto di yogurt.
-Correrò il rischio. –Affermai abbassando lo sguardo e dando un altro morso, ma mi sentivo fissata e non riuscivo a ingoiare. –Non guardarmi. –
-Ma non lo sto facendo. –Puntualizzò lui.
-Si come no! –
-Va bene mi giro. –Disse. Era troppo accondiscende.  Gli altri erano un poco distanti da noi, ma lui non mi perdeva un attimo di vista e quel pensiero mi fece emozionare, fu in quel momento che un pezzo di sfoglia mi andò di traverso facendomi tossire all’impazzata. Mi sentivo soffocare e iniziai a dimenarmi, lui mi soccorse subito. Mise le sue mani sulle mie spalle e iniziò a dirmi di respirare piano e poi dandomi un colpo dove mi fece sputare quel maledetto pezzo che mi stava uccidendo.
-Tutto a posto? –Mi chiese premuroso. Annuì poco convinta, mentre sentivo una lacrima scivolarmi dalla guancia.
La gola bruciava e presi una piccola quantità di frappè che mi calmò.
-Grazie. –Dissi pianissimo.
Dopo quel brutto episodio sembrava tutto passato, gli altri non avevano capito nulla, come al solito. Camminavo a testa alta anche se il mio sguardo era vuoto. Oramai le cose mie erano chiare, ero dipendete da lui. Non vedevo l’ora di ricevere le sue attenzioni, mi piaceva quando mi sfiorava o parlava con quella calma surreale, e poi quei suoi occhi che sapevano leggermi fin dentro? Mi sentivo nuda quando il suo sguardo si posava su di me. Nel frattempo che i miei pensieri vorticavano all’impazzata un evento imprevisto ci colse: le luci di tutta la piazza si spensero lasciandoci al buio più fitto. Le proteste si udirono e cercai subito i miei amici, c’era troppo casino per capire dove fossero, ma una sensazione mi guidò verso di lui. Ero sicura che fosse lì, quel profumo era indimenticabile, trovai due braccia stringermi e poi due parole sussurrate all’orecchio –ti proteggo io. – Mi sentivo al settimo cielo, il suo cuore batteva allo stesso ritmo del mio, le sue braccia non mi lasciarono nemmeno per un attimo, fino a che si riaccesero le luci una alla volta. Gli altri ci trovarono vicini, le congetture non furono da meno…ma poco importava, avevo avuto la conferma. Che ero finita in un bellissimo guaio.
 
 
∞Ω∞
 
Il palazzo si era svuotato, guardai l’orologio al polso e segnavano le 20 p.m. Accidenti avevo fatto tardi anche quella sera, ma le pratiche del nuovo progetto erano fondamentali per il prossimo viaggio che si teneva fra una settimana. Presi la giacca e la valigetta e spensi la luce, il corridoio si notavano solo i carelli dell’impresa di pulizia. Scesi nei parcheggi e accesi l’auto, il telefono vibrò e lessi un messaggio da parte di Giorgio.
-Ehi sei ancora a lavoro? –Chiese lui, mentre mettevo in moto e azionavo la freccia per voltare.
-No, ho appena finito. –Dissi sbrigativo, avevo una fame tremenda e non mi andava di cucinare, così pensai di chiamare la pizzeria, -ti dispiace se rimani in linea? Devo fare una chiamata lampo. –Domandai.
-Certo fai pure, io vado a prendermi una birra in tanto. – Lasciò la linea aperta ma non lo sentii più, così feci il numero e in pochi squilli mi rispose la ragazza in cui iniziò a blaterare i vari menù. –Sì, buona sera vorrei ordinare una pizza familiare. – staccai dopo un poco e ripresi la conversazione con il mio amico che stava blaterando cavolate su una nuova tipa.
-La dovevi vedere era una bambola, peccato per il suo sguardo di ghiaccio. La prossima volta me la porterò a letto! –Annunciò vittorioso, non e che m’importasse un granché sulle sue scopate, ma sentirlo mi faceva aprire gli occhi su ciò che mi stava succedendo. Dopo aver appreso i reali sentimenti non m’interessavano più avventure di una notte, io volevo lei accanto e non una qualunque ragazza. I suoi gesti mi portavano al caos, e poi quel bacio. Non era stato calcolato, ma era stato meraviglioso. Uno sfioramento di labbra, la magia di un attimo. Ero rimasto in trance per giorni, prima di riprendermi del tutto e poi… ne vogliamo parlare di quell’abbraccio timido? Mi aveva cercato per prima, quelli erano tutti segnali. Dovevo fare la mia mossa subito, prima che qualcosa ci sconvolgesse. Avevo deciso!
 
Il cielo era nuvoloso, mi passai l’asciugamano in testa per frizionare i capelli bagnati e fissai il telefono. Avevo voglia di vederla, di vivere momenti solo con lei. Lo afferrai e scissi un sms veloce e lo inviai. Lo guardavo di continuo, ma nessuna risposta.
Lavorai un poco, feci delle chiamate e infine mi appisolai sul divano. Un raggio di sole si posò sulla fronte e mi alzai, -anche il sole ce l’ha con me –mi avviai verso la mia camera da letto e mi buttai a peso morto.
 
Una nebbia fitta mi avvolse all’improvviso, sentivo dei lamenti, come dei singhiozzi. Cercai il suo proprietario ma la coltre si fece più densa e mi occultò la vista, camminai alla cieca e di botto mi fermai. Qualcosa era gettato al suolo, mi piegai e presi quel qualcosa e trovai un album di foto praticamente vuoto, che cosa significava? Tutto di un tratto un forte vento spazzò tutto via e trovai una scia di sangue sul pavimento, ero sgomento, di chi era quel liquido? Avanzai incerto di sapere chi fosse quando su petali di rose bianche trovai un cuore pulsante.
Rimasi schioccato e senza parole. Un forte dolore mi aggiunse e colpì la parte toracica…stavo per morire? M’inginocchiai e pregai che finisse tutto.
 
Mi svegliai di scatto con il sudore che grondava copioso e si riservava lungo il collo, mi guardai in giro e mi trovavo in camera mia, a casa.
 C’era qualcosa che suonava, mi alzai e andai a rispondere ero malfermo mentre avanzavo verso il mobile, risposi con voce roca.
-Tesoro tutto bene? –Mia nonna era dall’altro capo del telefono, immaginai subito la sua fronte corrugata per quel mio modo di rispondere, ma era vero che ancora il cervello era fermo a quell’incubo.
-Si. –
-Non sembra. Ti ha sconvolto qualcosa? – Domandò lei pensierosa.
-Ho fatto uno strano sogno…-iniziai a dire.
-Racconta. –
-C’era un cuore pulsante appoggiato su petali su delle rose bianche. – Dichiarai sconvolto, mi appoggiai al pavimento e scossai i capelli.
Mia nonna non mi rispose subito ma si tenne silenziosa per un poco, che lei sapesse il suo significato.
-Allora? Se sai qualcosa, dillo. –
-I petali venivano inzuppati dal sangue? –
-No. Anche se non ne sono sicuro era così squallido quella cosa. Il cuore pulsava ancora. –
-Il bianco rappresenta purezza, spiritualità. Il sangue vita, forza, il cuore è l’organo che ci permette di vivere…queste tre cose messe insieme danno un solo significato. Ci saranno delle insidie e preoccupazioni, ma soprattutto qualcuno sarà ferito gravemente. Tuttavia colui che sarà attaccato, si rialzerà dalle ceneri. –
Tali parole mi fecero drizzare i peli e boccheggiai.
Tutto ciò che disse dopo non m’importava, dovevo capire di chi era quel cuore.
Mi avviai verso lo studio e trovai il cellulare acceso, mi era arrivato un sms.
-“Sei sicuro di farcela questa volta?” –
Mi aveva risposto alla fine. Una parte del peso che mi gravava sulle spalle sparì.
-Si. Per domani pomeriggio ti va bene? – Mandandolo.
Rispose subito. –“Affare fatto, dopo le quattro.” – Sorrisi.
 
 
Già avevo il fiatone, lei sembrava fresca come una rosa. La salita mi stava uccidendo, ma lei non ne soffriva. Il sole era coperto da fitte nuvole grigie che prospettavano pioggia, sperai che non iniziasse a piovere in quel preciso momento.
-Sei silenziosa tutto bene? –Chiesi. Sembrava senza espressioni come se ci fosse una tempesta al suo interno. Mi affiancai a lei e la guardai bene, i suoi occhi sembrava privi di vita, come se da un momento all’altro sarebbe crollata.
-Facciamo una pausa? Ci dovrebbe essere un parco qui vicino. –Lei annuii e ci dirigemmo verso esso, era vuoto per fortuna, rallentammo e poi iniziammo a camminare a passo sostenuto per poi fermarci del tutto. Presi delle boccate d’aria e lei si fermò vicino al piccolo laghetto artificiale.
-Mi sa che tra poco pioverà –Affermai aspettando una sua risposta che ritardò.
-Meglio così. –
-Sei veramente strana, non hai paura di bagnarti? – Era ferma e fissava il cielo, i pugni serrati come per trattenere qualcosa…-la pioggia non è nulla a confronto al fuoco che ti brucia. –Mormorò piano. Abbassò il viso e si mosse, iniziò a fare un poco di stretching. Non la capivo a volte, si comportava come se fosse un pezzo di ghiaccio, con quel comportamento da Signora viziata. Sbuffai e la copia. Si erano fatte le sei e mezzo e il cielo si stava scurendo sia per il tempo e per lo scorrere delle ore, quando poi una goccia d’acqua mi bagnò il naso capii che il diluvio ci avrebbe presi in pieno. Le dissi di seguirmi e mi seguii senza protesta, ci ritrovammo bagnati fradici davanti casa mia. Tirai fuori la chiave e la invitai ad entrare.
-Vado a prendere degli asciugamani. –Le dissi. –Fai come se fossi a casa tua, sai, ancora nessuna ragazza entrata da quella porta, sei la prima, dovresti essere lusingata. –Dicevo intanto che cercavo le cose. Non volevo che si sentisse sola in quel lasso di tempo. Quando ritornai da lei la trovai fuori, mentre la pioggia la inzuppava di sana pianta.
-Ma che ti salta in mente? Ti vuoi prendere una polmonite per caso? –Le presi la mano e risultò ghiacciata.  Cercai di farla entrare ma lei era restia a farlo –perché ti stai comportando in questa maniera? –Le urlai cercando di tenere il mio sangue freddo.
-Hai detto che mai una ragazza entrata e non voglio essere io la prima. – Confessò.
-Sei proprio scema. –Buttai fuori.
-E non credi che lo sappia? In verità questa cosa mi piace un sacco…-
-Ti piace? Allora lo hai fatto di proposito? –Disse infuriata, dimenandosi e allontanarsi da me.
-Sei proprio una sciocca. Mi fa piacere perché sei tu. Accidenti! –Urla contro me stesso, lei mi fissava senza dire nulla.
-Dannazione Jessica mi piaci tantissimo, morire per te. –Le confessai.
Lei ne fu sorpresa.
-Non ne vale la pena morire per me. –Sentenziò fredda.
-Non ti lascerò fuggire questa volta. – La presi in fretta e le sollevai il mento con le dita, i nostri sguardi s’incollarono …- ti voglio nella mia vita, nel mio presente. –Le mormorai a pochi millimetri dalle sue labbra, non attesi il tempo di una sua protesta che la strinsi forte a me…la sentii irrigidirsi, ma non si scostò. Il suo profumo mi invase le narici e mi sentii leggero come una piuma, la sua pelle era cosparsa da brividi e ne fui estasiato da quella reazione.  Cercai di approfondire quel contatto, senza rendere troppo profondo.  Pian piano due mani fredde si appoggiarono sulla mia schiena e ne fu sorpreso, mi stava accettando.
-Perché …-balbettò con il fiatone. Le sorrisi e lei divenne rossa.
-A me mi hanno insegnato a dimostrare con i fatti e non con le parole …sei uno scrigno di misteri. –Le dissi sempre vicina alle sue labbra.
-Vieni dentro. –Si lasciò condurre all’interno e la trovai tremante, era così piccola. Le appoggiai un asciugamano sulla testa e iniziai a sfregarla con dolcezza i capelli e con la frizione sciolsi la coda…i capelli scivolarono sulla schiena formando una cascata castana.
-Sei bellissima. –Le baciai la guancia.
-Non è vero. –Disse abbassando lo sguardo.
Era inutile parlarle quando i suoi occhi diventavano tristi, così la condussi nel bagno e le alzai il viso. –La vedi quella ragazza? Sei tu ed è bellissima, anche se lei si illude che non lo è. Amati di più, si fiera di ciò che sei. Mi piaci per ciò che custodisci dentro l’anima. – Non ero stato mai poetico o romantico, ma in quella circostanza le parole erano uscite da sole. Avevo trovato una parte di me stesso in lei. Lei si fissava con attenzione, mentre notai una lacrima scivolarle, cercai di catturarla ma lei mi anticipò e prese la mia mano. Restammo in quella posizione, a guardarci senza voltarci. Adesso avevamo un momento tutto nostro.
 
°
°
°
 
Salve ritorno con un nuovo capitolo anche se è solo una metà. Sì, perché ho deciso di postare solo un pezzo e l’altro per dopo. Allora che mi dite? Finalmente il nostro Kaname si è deciso a fare il grande passo, ora dobbiamo vedere che reazione avrà la ragazza. Preparate i forconi, io sono pronta per la battaglia!
Heart
 
 
 

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Capitolo 28
*** Stroncata finale ***


29
“Stroncata finale”
[2°Parte]
 
 
Il suo respiro sul collo, il suo abbraccio.
Ero al settimo cielo. Mi sentivo talmente euforica che al ritorno non ci credevo ancora. Lui mi aveva sorriso, mi aveva dato un bacio sull’angolo della bocca e mi ero sciolta. La giornata si era conclusa nei migliori dei modi, credevo che tutto sarebbe stato impossibile, invece, i miracoli esistevano per davvero. Mi raggomitolai nel letto, le coperte erano tutte cadute sul pavimento, ma non m’importava un granché; mi saliva ancora la temperatura al solo ricordo.
E poi c’è la notte.
C’è chi fa l’amore, chi legge un libro
E chi resta sveglio a pensare.
 
E infine era giunta la mattina con i suoi tiepidi raggi, il canto dei uccelli, il tram-tram dei veicoli e del traffico delle scuole. Mi alzai di buon ora e mi preparai con calma, con gli occhi che brillavano di speranza, di una felicità mai provata. Non mi ero mai sentita in quel modo, neppure quando avevo fatto il compleanno, era una sensazione che partiva dal cuore e si radicava in tutti gli altri organi, la felicità era contagiosa.
Ricordavo ancora le nostre mani unite, il cuore che batteva all’unisono. Mi sentivo complice come non mai, mi sentivo bene tra le sue braccia. Lui mi aveva sussurrato un sacco di complimenti, sfiorandomi con il naso e facendomi il solletico. Io lo guardavo con timidezza, imprimendo quei momenti nella memoria della mia anima.
-Mi piacerebbe che diventassi la mia ragazza. –Mi aveva detto, con lo sguardo timido, con le guance rosse per l’imbarazzo. Mi ero chiesta dove era finito il ragazzo malizioso e ruba cuore, quello che di solito sembrava tutto di un pezzo ma ti faceva morire con un solo sguardo; di certo adesso capivo parecchie cose, come per esempio che il suo sorriso, soprattutto se lo rivolgeva a me era strepitoso, sembrava una stella.
-Aspettò tutto il tempo che vorrai, non voglio metterti fretta. Mi basta ciò che ho ricevuto, almeno non mi hai rifiutato. –Mi aveva affermato, sfiorando il mio polso con le dita, un brivido caldo mi aveva scosso e spinto a nascondermi.
-Non devi cambiare, ma devi mostrarmi chi sei realmente. –
Mi ero addormentata con quelle parole sussurrate dal ricordo, avevo fatto un passo gigante nella mia vita, avevo l’intenzione di dirglielo, rivelarlo, ma poi mi ero detta che un poco di suspense non era male. Lo avrei tenuto sulle spine, intanto azzeravo i miei dubbi.
La settimana era finita, per il week-end eravamo usciti come al solito con gli altri, ma nessuno notò la nostra complicità. A volte si avvicinava a me e mi appoggiava la mano sulla spalla, invece delle volte mi guardava da lontano. Mi sentivo protetta. I miei migliori amici mi fissarono allungo e infine dovetti rivelare la lieta notizia, Luca si era messo a saltare come un canguro e Crystal mi aveva abbracciato forte da mancarmi il fiato –non fartelo scappare, tesoro mio! –Mi aveva raccomandato.
Invece la domenica mi aveva portato in riva al mare, con il vento che mi scompigliava i capelli, il sorriso sulle labbra, la parte più infantile del mio carattere era uscita fuori. Correvo libera, raccoglievo conchiglie, ma ciò che mi sorprese fu che lui giocava con me. Avevamo entrambi scoperto lati di noi stessi, avevamo riso come non mai, non m’importava di ciò che avrebbe detto, mi volevo liberare, sentire leggera come una piuma. Quando poi mi prese sulle spalle gridai con tutto il fiato, mi dimenai per essere lasciata, ma lui non volle ascoltarmi, fino a che cademmo vicino alla riva, il quale lui si inzuppò tutta la parte di sopra. Ci ritrovammo con i visi vicini, le labbra a sfiorarsi…lui chiuse gli occhi e lo feci anch’io, ma non lo baciai come lui si aspettasse, ma sulla fronte.
-Oh ti sei bagnato tutto piccolino? Non ti preoccupare …-Dissi serena, rivestendo il ruolo di mammina.
-Mi prendi in giro? Eh? –
Capovolse la posizione e mi ritrovai la schiuma di mare invadermi, tossii e mi alzai nervosa.
-Idiota! –Urlai.
-Su. Non è nulla. Vieni qua. –Disse, mentre metteva indietro la chioma scura. Mi prese dal polso e mi fece rimbalzare sul suo petto, mi fermò con l’altra mano e dovetti rimanere lì a fissarlo.
-Sei una bambina cattiva. –Mormorò a bassa voce. Non gli dissi nulla, lui abbassò la testa e iniziò a baciarmi il collo, sentivo caldo e freddo nello stesso momento. Le sue mani sui fianchi, la bocca su quella parte sensibile, il suo fiato che mi solleticava, era un mix esplosivo…fino a quando non lo sentii succhiarmi il collo, lasciandomi intorpidita. Che cosa stava facendo?
-Kaname …-lo chiamai balbettando, avevo le mani sudate. Il sole stava tramontando e mi sentivo spaesata, avevo un ragazzo attaccato a me e sembrava fuori controllo, fino a che si staccò e appoggiò la testa sulla spalla più vicina.
-Af…scusami. –Disse piano. Sembrava scosso, tormentato.
Non dissi nulla, lo lascia in pace senza dire cavolate.
Quando rialzò la testa vidi due occhi scuri, profondi, infiniti. Le iridi erano diventati bui…ma c’era qualcosa di inquietante al loro interno. Una luce strana.
-Dai ti vengo a lasciare a casa.  –Disse frettolosamente. Quello fu l’ultima volta che parlammo, mentre guidava lo vedevo lontano, stringeva il volante con fermezza, come se temesse qualcosa di sconosciuto.
Da quella domenica passarono tre giorni, appresi che era partito per un viaggio di lavoro e così mi ritrovai di nuovo con i piedi per terra.
 
 
Mi risvegliai con il mal di testa, aprii la serranda e notai il cielo buio, all’orizzonte s’intravedevano i fulmini e i lampi: si prospettava una giornata di temporale. Mi vestii e scesi in cucina, dove c’era mia nonna che stava bevendo il solito the con due fette biscottate. La guardai e notai qualcosa di anomalo, era nervosa, ansiosa, mi chiesi che diavolo avesse. Le mie domande furono subito risposte, nel momento in cui il primo fulmine cadde al suolo, il campanello suonò. Mia nonna si precipitò al citofono e poco dopo cinque minuti dalla porta apparve mio fratello maggiore, aveva la barba, i suoi occhi nocciola spiccavano da quel viso paffuto. Sembrava un vero perfettino con quel completo giacca e cravatta, posò la borsa e si sedette. Dopo i convienili saluti e come stai, mi chiese un caffè e senza protestare glielo andai a preparare, nel frattempo estrasse dalla sua borsa un fascicolo di carte, che cosa erano? Lo servii e ci sedemmo. Sembrava che fossimo davanti al notaio per quanto riguarda alla freddezza che sentivo.
-Dunque mi sono venute voci interessanti anche se, speravo che tu mi parlassi. Non mi piace pervenire a conoscenza dagli altri. –Iniziò con la sua voce da diplomatico.
-In che senso? –Chiesi.
-Nostro fratello è con quello stronzo di tuo padre e non solo, si è fatto una compagna? Sarà una pezzente come lui. –
-Prima cosa mio padre sarebbe anche il tuo, e poi Kelly non è una pezzente ma una donna fantastica, non puoi dire queste cose se non la conosci. Se tu fossi stato qua, te ne avrei parlato, ma vostra maestà non gliene fregato mai un cavolo di noi! –Lo rimproverai calma, mentre dentro di me si stava scatenando una tempesta.
-Portami rispetto! Non stai parlando con i tuoi stupidi amici. Dovevo essere informato dei suoi spostamenti, chi ti ha dato il permesso di darglielo? Lui doveva vivere con nostra madre. –Infuriò, stringendo gli occhi per il nervoso.
-Mi scusi. –
-Non mi prendere per il culo, Jessica. Hai voluto fare di testa tua, hai deciso tutto tu…e non mi dire che non hai la tua colpa. Ti sei presa certe liberte che non ti erano state date. Rivoglio nostro fratello. –Annunciò, alzandosi e togliendo la giacca.
Mia nonna ci guardava senza intervenire, anche se avevo notato che voleva intervenire.
-Certo che ho deciso io. Mica potevo aspettare che tu mi rispondessi ad una sola chiamata. Dovevo fare in fretta, dovevo pensare al suo bene. –
-Ma quale bene, quel povero bambino è stato sballottato come un bambolotto e portato in un paese straniero. Non pensi che si sia trovato in difficolta con una lingua e cultura diversa? Sei una stupida bambina! – Esclamò. Ma come si permetteva di invenire così? Che diavolo ne sapeva lui che cosa avevo patito, non era stato facile prendere quella decisione, avevo pensato anch’io i rischi, ma adesso ne ero felice di averla fatta. Kelly mi aveva rassicurata che il piccolo si stava abituando, non avrei permesso di fargli rivivere quell’inferno e poi per cosa? Per un suo capriccio?
-Mi dispiace. Ma ormai è fatta,- mi fermai, notando il suo mal umore riaffiorare: sempre il solito, non gradiva qualcuno che metteva a tacere un suo ordine.
-Lo sai che ti posso denunciare per questo tuo abuso. Non hai nessun diritto… -
-Ah no? Credo proprio che ti sbagli, ho più diritto di te e di quella donna che mi viene madre. Il giudice mi ha dato il 60% di tutela per il piccolo, poiché gli altri familiari si sono lavati le mani. Ma sai che cosa significa dare la faccia allo stato? Quando stanno decidendo di sottrarti un fratello che lo hai cresciuto? Non credo proprio, te ne sei sbattuto sempre dei nostri problemi, sei scappato e arrivederci, adesso ritorni e mi vuoi fare una parentela? Eh no, non te lo permetterò! – Buttai tutto fuori, tutto il risentimento che avevo nei suoi confronti. Mi sentivo così leggera, mi ero tolta un peso.
Non disse più nulla, se ne andò con le gambe stoccate. Un punto per me.
Stavo rientrando a casa dopo aver lavorato, era stata una notte lunga e piena di servizi. Avevo la schiena che bruciava, per fortuna Luca mi aveva dato uno strappo a casa, un giorno gli avrei fatto una statua d’oro. Quando arrivammo dinanzi casa, trovai la porta aperta e delle persone urlare, scesi di scatto, lasciando la borsa in auto e facendo fermare Luca.
Mi avvicinai e trovai mia cugina rimproverare mia nonna, per il suo comportamento non appropriato nei miei confronti. Eravamo tutti i suoi nipoti, ma stava dando più privilegio a una in particolare, ciò io. Lei cercava in tutti i modi difendersi, ma non la lasciava.
-Se hai qualcosa da rimproverare falla a me la ramanzina, lascia la nonna in pace! –Ringhiai frustata. Lei si voltò tutta selvaggiamente per indicarmi il petto con il dito.
-Tu! Ti stai approfittandosi del suo buon cuore per i tuoi scopi. Te ne devi stare a casa tua, sotto quella pezzente. E se non vuoi ti vai affittare una casa come fanno le persone normali. Io sono priva di venire a trovare mia nonna, perché ci sei tu in mezzo! –Urlò.
-Tutto questo risentimento ti è giunto adesso? Perché qualche mese fa, eri d’accordo. Se non ricordo male mi avevi dato la tua approvazione, lo sai bene che ho un clima teso a casa mia, ho voluto solo affrontare le cose con calma. Non ti puoi permettere a parlare così di fronte alla nonna in questa maniera…-mi fermai e spalancai la bocca – lo stai facendo per l’eredità? Ma per chi mi hai preso? Non ne avrei mai approfittato per dei stupidi soldi. Siete solo degli stronzi! Per me, ve li potete prendere, dormici… -ero indignata di quella consapevolezza.
-Adesso basta! Andate tutti via! Ho accolto una nipote in casa mia perché aveva bisogno, mi sono comportata educatamente e per pietà! Non devo nessuna spiegazione a voi, li spenderò tutti i soldi e così non vi resterà nulla. Jessica prendi le tue cose e vattene, mi dispiace… ma la cosa si sta ingrandendo, io amo i miei figli e i miei nipoti, ma visto che state facendo un dramma, sono costretta a buttarti fuori. –Disse ripentiva. Smuovendo con forza la testa come se nei capelli avesse dei pidocchi, mi stava cacciando di casa? Che cosa avevo fatto di male per meritarmi questo? Dove potevo andare questa volta?
-No, ti prego. Non so dove andare…nonna…-cercai di supplicarla, ma era tutto inutile. I suoi occhi erano pieni di lacrime, si trattenne fino a che poté, poi fu costretta ad uscire e a vedere il mondo che mi crollava sulle spalle.
-Hai avuto la punizione che ti meritavi. –Annunciò qualcuno dietro le mie spalle. Strinsi i pugni e denti per non crollare davanti a quel mostro, era stato lui a far infiammare gli animi, brutta canaglia.
-Tesoro, tutto bene? –Domandò Luca avvicinandosi a me. Mi circondò le spalle con le sue braccia, ma non volevo farmi vedere debole.
-Ah il tuo amico frocio? Ti circondi ancora di persone immorali? –Sputò con disprezzo. Mio fratello stava superando il limite.
-Sai. Credevo che il tuo viaggio ti avesse cambiato invece sei diventato una zecca velenosa, ma ti sbagli. Non mi circondo di persone “immorali” come dichiari, almeno mi sanno capire al primo sguardo, che mi sanno capire e mi danno tutto l’appoggio che ho bisogno. Non m’importa cosa dici a me, ma stai attento tu – alzai lo sguardo e lo fronteggiai –osa di nuovo dire una cosa del genere e ti rovino e ne sono capace, non credere che tua sorella sia una stupida, perché non lo sono. Un giorno il male che hai fatto ritornerà nelle tue mani. –Affermai decisa, forte. Luca mi fece allontanare da quel posto, mi aiutò a mettere le borse in macchina e poi sparire da quel suolo contaminato. Non capii nulla di ciò che disse a Simon, mi stava ospitando, mi stava dando un tetto in cui vivere…l’unica cosa che volevo fare in quel momento era cadere, frantumarmi in mille pezzi. Perché tutto doveva avere una fine? Perché l’equilibro che mi ero creata si era rotto? Perché non potevo vivere serena? Perché?!
 
 
La mia vita si stava rimpicciolendo in maniera drastica, la poca forza che mi era rimasta non era abbastanza per farmi resistere. I miei amici erano accanto a me, e non gli importava quello che diceva mio fratello, che aveva fatto tutto il possibile da farmi odiare. Si era inventato addirittura discussioni in cui li sfottevo, pazzesco! Quello che mi aveva sorpreso maggiormente era stato Simon che lo aveva preso dal colletto e gli aveva indicato la via più breve per lasciarci andare. Poi era venuto da me e mi aveva abbracciato –non dargli corda, è solo uno sbruffone che gode delle tue sofferenze. –Mi aveva detto e non ero riuscita a trattenermi, mi ero messa a piangere di fronte alle persone che volevo bene, loro erano diventati il mio tutto. Ma quello non era nulla a ciò che si stava scatenando.
Come ogni giovedì mi stavo dirigendo verso il luogo in cui lavoravo, quando vidi davanti al portone dell’albergo il direttore, sembrava alterato. Io come se niente fosse, ci passai accanto, non avevo fatto nulla di sbagliato, be era un bel pensiero. Lui mi prese dalla spalla e mi guardò negli occhi.
-Signorina è pregata di seguirmi. –Non fiatai e ci dirigemmo verso il suo studio. Avevo fatto salti mortali ad entrare in quella cerchia di lavoratori, ma alla fine il mio sudore era stato ricompensato, avevo un buon salario.
-Mi dica direttore, è successo qualcosa? –Chiesi educata nel momento in cui mi sedetti.
Lui appoggiò i gomiti sul tavolo e unii le dita in unico intreccio. I suoi occhi chiari mi fissarono in un modo terribile, sbuffò e aprì un cassetto.
-La prego di firmare il ben servito e di uscire da questa porta e di non entrare mai più in questo hotel. –Disse lapidario, lasciandomi di stucco.
-In che senso? Che cosa ho combinato? – Domandai agitata.
-Ho sempre ribadito che volevo gente apposto, ma come ho scoperto lei non lo è. Mi ha fatto credere che non aveva un passato negativo con la legge, mi sento derubato della fiducia che ho ricorso in lei. La prego di non aggiungere altro e se non se ne va, sono pronto a chiamare la polizia per il suo rifiuto. –Dichiarò.
-Sono sempre stata sincera con lei. Non è mio carattere mentire, non so cosa ha scoperto su di me, ma è falso. –
-La prego di andarsene e subito. –
Gli firmai quel maledetto documento e lasciai il mio posto di lavoro. Un altro pezzo della mia vita stava crollando, qualcuno me la stava facendo pagare cara. Le cose non migliorarono, anzi peggiorarono ancor di più. Notai che Luca era super nervoso per qualcosa, gli chiedevo il motivo, ma lui mi sorrideva e mi diceva –non ti devi preoccupare di nulla, angelo mio. – Ma non era vero, lo vedevo.
La notte era diventato un incubo. I fantasmi mi tormentavano, ero addirittura arrivata a dormire accanto a Happy per la paura di essere portata all’inferno. Quella bestiolina sembrava che capisse il mio malessere, mi rassicurava per quello che poteva fare, mi metteva la zampa sulle gambe e si appisolava vicino a me, come per darmi conforto.
I miei nuovi coinquilini erano sempre fuori, ma quando ritornavano erano agitati e di cattivo umore, anche Simon si stava comportando in modo diverso con me. Alla fine capii che era giunto il momento di lasciarli, non potevo oscurare la loro esistenza, il mondo era già in salita per loro. Presi le mie cose e gli lasciai un biglietto dove spiegavo le mie motivazioni.
Mi trovai un monolocale microscopico che aveva un affitto salato, per un buco di casa, non ne valeva. Mi ritrovai sola in un luogo sconosciuto e senza affetto. Il silenzio mi mangiava viva, ogni minimo rumore saltavo come una molla.
-Allora come te la passi? –Non mi voltai. Non gli dovevo dare quella soddisfazione. Quel bastardo mi stava rovinando l’esistenza.
-Sai ho parlato con il giudice e abbiamo preso un accordo. Riporto nostro fratello in Italia. – Disse.
-Mi oppongo! Non lo scombussolerai ancora! –Dissi inferocita, stringendo i sacchetti della spesa tra le mani.
-Sei stata esclusa nel momento in cui ha perso il tuo posto di lavoro, era lui il tuo appiglio. Adesso che non ce l’hai più, non vali niente. –Rise. Spalancai gli occhi.
-Figlio …sei stato tu! Come ti sei permesso! Ho sudato per entrarci e tu …mi stai rovinando la vita per un tuo capriccio. Mi vuoi mettere in ginocchio, non è vero? Eccomi lo sono, adesso te ne puoi andare. –La rabbia mi era montata e non riuscivo più a stare calma, il sangue m’invase la testa e iniziai a vedere palline colorate davanti agli occhi.
-Ti ritroverai sotto un ponte come una pezzente, farai la prostituta per mantenerti…-Dichiarò, spostando un ciuffo di capelli.
-Abbi rispetto per tua sorella, essere inutile. Tu sei una persona orribile…-
-Io mi reputo superiore a te. –Rise.
Non m’importava se avrei pianto per quella decisione, ma quella testa di cavolo doveva pagare…ma arrivai in ritardo. Un pugno lo colse in pieno viso, facendogli cadere gli occhiali. Mi voltai e trovai Luca furioso, con gli occhi che lampeggiavano d’ira.
-Bastardo come hai osato farle una cosa del genere! La dovresti proteggerla e invece la fai cadere. Ti reputo una persona meschina e senza palle, -indietreggiando e coprendomi con il suo corpo a mo’ di scudo –tu superiore? Per i miei occhi sei sono un verme! –
-Feccia! Ti denuncio! –Sputò il sangue e poi iniziò avvenire contro di me, contro Luca e tutti gli omosessuali del mondo, che li avrebbe sterminati tutti.
-Ti getterò all’inferno …-
-Lo sono già, ma mi rialzerò con le mie sole forze. Non è finita, non ti permetterò di fare di testa tua. Vincerò la causa! –Ribattei con determinazione.
-E con quali soldi? Non te lo puoi permettere. Puoi fare la puttana. –
Stavolta non mi feci battere dal tempo e gli diedi uno schiaffo in pieno volto, -sai a te non te ne frega un cavolo come ci riuscirò. Ma ricordati le mie parole fratellino, il mondo non gira intorno a te. Io sarò più forte di te, e quando ti troverai con il culo per terra …sarò io a ridere di te. Un giorno sarò felice e mi sarò costruita una famiglia dove il rispetto e l’amore saranno dei principi fondamentali e tu che cosa avrai? Solo polvere che fugge dalle mani. –
-Ma chi ti vorrà, sei una stracciona, non vedi come ti vesti? –Si riprese, aveva ragione. Ma ero ferma nelle mie speranze.
-Mi prenderò cura io di lei. La renderò la donna più felice del mondo se lei lo vorrà. –
Ci girammo tutti e il cuore si fermò. Il vento gli scompigliava i capelli. Abbassò gli occhiali da sole e si avvicinò a noi, scostò con strizza mio fratello e si posizionò dietro di me, mettendo un braccio intorno alla vita. Il suo profumo era immischiato dal sudore, ma sembrava fresco come l’aria. Notai lo sgomento di colui che avevo di fronte, e la felicità di Luca, pensai subito a un suo complotto.
-E tu chi diavolo sei? –Domandò mio fratello.
-Questo non t’interessa. –Disse, per poi freddare mio fratello con uno sguardo –osa rivolgerti di nuovo con questo tono che ti denuncio e farò in modo che vieni arrestato per calunnie e offese. Non ti mettere contro di me, ragazzino… -Non disse altro. Mi prese per mano e mi incitò ad entrare in auto.
-Stai bene? –Chiese premuroso.
Dissi di sì con la testa.
-Mi dispiace essere arrivato in ritardo…-mi abbracciò- non ti preoccupare con me puoi stare al sicuro. –Mormorò piano.
-Grazie. –Gli sussurrai.
-Farei di tutto per te…-
-Si anche morire, ma non devi incassinare la tua vita per me, non ne sono degna. –Affermai.
-I ti voglio proteggere e non sto scherzando, dammi la possibilità di dimostrarlo…-disse, mi prese il viso e mi baciò, un bacio a farfalla.
-Aishiteru. –
-Eh?- Balbettai rossa senza sapere il perché.
-Te lo spiegherò un altro giorno…-
Era così contagioso il suo sorriso. Quella parola sembrava rivolta a me, anche se non ci avevo capito nulla. Volevo capire, comprendere, ma soprattutto vivere una storia indimenticabile, non m’importava se mi scottavo.
 
 
 
°
°
°
 
*Ti amo.
Olè! Sono felice, ed ecco un nuovo capitolo completo. Spero che vi sono serviti i forconi per quell’indegno di fratello, lo giro lo avrei strangolato.
Oh Kaname mi sto rinnamorando di te, perché non esisti davvero? Perché? Ragazzi miei che mi dite? Ve lo aspettavate un capitolo del genere? Adoro le vostre recensioni…ah la vita! Alla prossima.
Heart
 
 
 
 

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Capitolo 29
*** La fine... ***


 
30
“La fine…”


 
 
Non riuscivo a concentrarmi, le parole sembravano imprigionate in una ragnatela infinita. Avevo il sentore di aver sbagliato qualcosa, ma cosa? Mi ritrovai a girovagare fra quelle mura che non mi esprimevano nulla, nessun sentimento. Dopo che l’uragano si era scatenato mi ero ripresa all’apparenza, ma dentro stavo morendo e nessuno se ne era accorto nemmeno io stessa. Dovevo subodorare che c’era qualcosa che non andava, invece mi ero fatta trasportare dal suo sorriso e mi ero dimenticata di tutta la merda che mi ricopriva. Che sciocca!
Adesso ne pagavo le conseguenze, mi sentivo come una boa trascinata dalle correnti marine. Avevo toccato il fondo era questa la parola esatta, avevo bisogno di staccare la spina e ricominciare tutto d’accapo.
Chiusi il portatile e mi chiusi a guscio, in quel mini appartamento ci andavo stretta, mi mancava il respiro.
Era stato così gentile ad accompagnarmi sotto il portone di Luca, lo avevo illuso, non mi andava di dare altre spiegazioni in verità ne ero stanca.
La mia vita si stava sgretolando e questo non era un bene, dovevo trovare una soluzione al più presto. Una lacrima mi scese susseguita da altre, perché non potevo essere felice? Era troppo chiedere?
-Perché! –Gridai al vuoto.
Avrei dato le battute finali, avevo deciso di farla finita, il mondo non mi meritava.
 
∞Ω∞
Tre giorni prima
 
5:30 del mattino Osaka.
 
La vibrazione del telefono mi detestò dal sonno che avevo tanto agognato; tuttavia allungai il braccio e afferrai il filo dove era in carica, aprii un occhi e mi bruciarono per la forte luminosità. Chi diavolo era il pazzo che mi chiamava a quell’ora? Accettai e lo misi all’orecchio.
-Finalmente ti degni di rispondere! Le persone potrebbero morire! –Urlò senza freni. Il mio cervello era ancora addormentato e feci lo smemorato prima di riconoscere il timbro di voce.
-Scusa tanto per non aver risposto, ma è notte. –Dissi cercando di alzarmi per non addormentarmi di nuovo, ero davvero stanco, le riunioni mi stavano massacrando, ma per fortuna ne mancavano poche e avrei finito. Rimasi un attimo in bilico tra letto e il nulla, per issarmi a tratti. Il cielo era ancora scuro, ma già all’orizzonte si travedeva le prime luci dell’alba, fissai nuovamente l’orologio e sbuffai, Luca era un pazzo a chiamarmi.
-Quale sarebbe urgenza di questa chiamata? Spero che ci sia, senno ti mando a quel paese. –Ribattei. Lui non mi rispose subito e stavo per chiudere e ritornare a dormire ma…
-Se tieni tanto alla tua bella principessa dei ghiacci fai in fretta prima che si disintegri davanti ai tuoi occhi, forse non la troverai più al tuo ritorno. –Ammise serio.
-In che senso, scusa? –Domandai non capendo bene su cosa si rivolgesse.
-Non fare lo scemo. Da quando te ne sei andato a quella poverina ne sono successe di tutti i colori e adesso suo fratello la sta mettendo in ginocchio, ho bisogno che tu venga a salvarla. Te lo chiedo come amico, io non posso fare un granché …lei si sta allontanando da tutti, tu sei l’unico. –Disse. Quelle parole mi fecero pesare il cuore, era nei guai? Perché non mi aveva chiamato? Mi risposi da solo. Eravamo da poco in confidenza e poi Jessy era una persona molto riservata e solitaria, le avevo letto tanti sentimenti contrastanti in quei piccoli occhi.
-Manca poco che il suo corpo non riesca più trattenere il peso …sei la mia unica salvezza Kaname. Fai presto…la sua vita è nelle tue mani. –Aveva terminato così la chiamata, lasciandomi nel panico più che totale. Che cosa dovevo fare? Era inutile che la chiamassi, erano le 23 lì, di sicuro stava dormendo. L’unica idea era quella di prendere il primo volo e partire, feci così. Non diedi tante spiegazioni ai miei nonni, Giorgio mi sostituì per gli altri due colloqui così fui libero dai tutti gli impegni. Il volo fu stancante, ma non mi sarei fermato per quello. Ripresa la macchina mi affrettai verso il luogo che Luca gentilmente mi aveva mandato, forse fu il mio istinto o il mio cuore che cambiai strada e mi ritrovai in una strada poco trafficata, fermai la macchina per riprendermi e mi trovai ad affrontare una scena: c’era Luca davanti a Jessica a mo’ di scudo, mentre un ragazzo inveniva contro i due. Fu istintivo raggiungerli e proteggere la mia ragazza, il ragazzo indietreggiò ma non lo feci ribattere.
Quindici minuti dopo eravamo in macchina, lei era distante con lo sguardo altrove mentre io la fissavo ogni tanto. Non sapevo bene la situazione, ma in grande linee Luca mi aveva accennato a dei problemi di famiglia, dove l’avevano sbattuta fuori di casa.
Mi faceva una grande pena sembrava così piccola, ma quando stava affrontando suo fratello sembrava una guerriera. La mia piccola Jessy, la volevo stringerla e farla sentire al sicuro, ma avevo paura di spaventarla.
-Va tutto bene? –Le chiesi con gentilezza.
-Si. Grazie per il tuo intervento eroico. – Mormorò. Sorrisi a quella battuta, anche lei stava ridendo ma non era contagioso era piuttosto cupo e desolato.
-Ti va un gelato? –Le chiesi, mentre lei si voltava verso di me.
-Ad Ottobre? –Domandò, mentre si aggiustava i capelli.
-E che ci fa? –
-Non sono presentabile. –
-Scendo io e ce lo mangiamo in macchina…- annuii e feci così, mentre leccava il suo gelato strane idee perverse mi girarono nella testa, ma cercai di scacciarli, non era il momento. Eravamo alle prime fasi, era da suicido affermare una porcheria del genere. Lei meritava tutto il mio rispetto e non solo.
 -Non ti sdegna dopo il primo morso? –Domandò all’improvviso, rialzai la testa e la fissai.
-No. –Risposi.
-Bene per te. Non amo tanto il pistacchio, forse più come frutta secca. –Aggiunse.
-Be’ ognuno di noi ha i propri gusti, prendi te. Amarena e sette veli, acido e zuccherato, bella combinazione. –Affermai cercando di rompere il ghiaccio.
-Questo non è nulla, una volta ho preso limone e sette veli. Freddo e caldo. Sono troppo strana, non mi dire che non lo hai pensato …-
-Forse troppe volte, ma mi piaci per questo. –Ecco lo sapevo, lo punta e ora era rossa come un pomodoro. Mi piaceva troppo quando s’imbarazzava per quelle sciocchezze, era troppo tenera. Finii il mio gelato e la guardai, lei si stava sciogliendo con i miei sguardi e non aveva la minima idea che sensazioni nascevano a stare a contatto con lei, alla fine anche lei lo terminò ma con un gesto inaspettato le tolsi una lacrima di cioccolato sulle labbra.
Le sue parole furono inghiottire dai suoi occhi che divennero lucidi come stelle.
Restammo a fissarci senza dire una parola, i nostri occhi c’è li comunicava senza aprire bocca. Sentivo la mia agitazione, le mani che mi sudavano come un forsennato e il cuore che batteva alla rinfusa. Mi sentivo a mio agio con lei. Mi ero fatto decine di quelle ragazze che avevo perso il conto, ma quando quella sera avevo incontrato il suo sguardo una strana sensazione mai provata mi aveva spaccato in due; da quel giorno tutto era cambiato, nuove emozioni erano nate da piccoli gesti e piccoli segreti della mia vita si erano rivelati. Lei era nel mio destino, come mi aveva detto la nonna. Nulla era fatto a caso, era tutto programmato. Avevo sempre creduto che il destino lo scegliessimo noi, lo costruivamo con le nostre battaglie e sacrifici, ma non ero pronto ad essere travolto da quello uragano. Chiusi gli occhi e mi avvicinai a lei, le misi due dita sotto il mento e la fissai dritta negli occhi.
-Su di me ci puoi contare, sentiti libera di fare ciò che vuoi, anche darmi dei pizzicotto o meglio ancora dei schiaffi. – Risi alleggerendo la situazione. Lei era diventata triste e non seppi che fare. La bacia sull’angolo destro delle labbra, la sentii rabbrividire e risvegliarsi.
-Fidati di me…-
Le avevo sussurrato tante parole dolci, ed era arrivate le risposte con una stretta di mano. Non era un granché ma era già un traguardo.
 
 
 
 
Erano passati tre giorni ed ero sommerso di lavoro, dovevo recuperare i vari rapporti dopo aver lasciato in mano a Giorgio la situazione, il ragazzo non aveva combinato nessuno guai per fortuna ed era uscito integro dalle riunioni.
Rilessi i vari documenti delegando la mia firma per poi inserire nei vari compartimenti, erano pronti per la consegna. Chiamai il fattorino e gli diedi il fascicolo, finalmente avevo finito. Giorgio si avvicinò e iniziò a straparlare delle tattiche che aveva usato per convincere gli altri della sua ipotesi e cose del genere, lo interrompi nel momento in cui la vibrazione si azionò.
-Pronto? –Risposi guardando il mio amico.
-Ti prego dimmi che l’hai sentita. –Disse velocemente.
-Chi? –
-Dannazione Kaname ritorna sulla terra, sto parlando di Jessica è da ieri che non mi risponde, mi sto preoccupando. Sto andando a casa sua a vedere che fine ha fatto, aspetta. -  Sentii chiaramente il campanello che suonava e la voce di una donna parlare con Luca.
-La ringrazio per l’informazione. Kaname siamo nei guai. –Affermò allarmato. –
-Mi spieghi con più calma che cosa è successo? –Asserii.
-Non c’è nulla da spiegare, la situazione è grave! Jessica è scomparsa! Chiamo gli altri tu vedi di trovarla. –Mi affibbiò quel compito e imprecai. Scrollai la testa e presi la giacca e salutai Giorgio che era rimasto in palato a fissarmi.
Com’era possibile che nessuno riusciva a trovarla? Aveva detto che aveva lasciato l’appartamento in cui si era trasferita, ma non aveva riferito che stava con Luca? Mi aveva mentito e poi per quale motivo? Accesi il motore e poco dopo ricevetti la chiamata di Crystal.
-Kaname l’ultima volta che l’hai sentita? –Mi chiese. Si sentiva dalla sua voce che era preoccupata per la sua migliore amica, sembrava pure allarmata.
-Due giorni fa, purtroppo sono stato sommerso dal lavoro e non ho avuto tempo per fare nulla. Ma mi dici che cosa è tutto questo allarmismo? Probabilmente l’è si è scaricato la batteria. –Ammisi.
-La conosco fin troppo bene. Kaname per favore se la trovi ti prego falla ritornare da noi, può sembrare forte, gelida, ma è una persona fragile…ne ha passato fin troppi guai in questa vita. – La chiamata era terminata e mi sentivo un’angoscia pazzesca, come era potuto capitare una cosa del genere. Dove poteva essere? Aveva lasciato la casa, il telefono era morto. Pensai a tutte le probabilità ma non mi venne nessuna idea. Si stava facendo buio e l’ansia stava salendo vertiginosamente.
-L’hai trovata? –Mi chiese Luca quando ci riunimmo.
-No. –
-Dannazione dove potrebbe essere! Ho chiamato anche suo padre, cercando di stare sul vago ma non è partita…-Disse.
-Ha un posto dove andare? –Domandò Simon.
-Non saprei. Da quando l’hanno buttata fuori si è ridotta ad avere niente in mano, maledetti bastardi! –Urlò.
-Stai calmo, arrabbiarsi non serve a niente. Dovremo pensare come lei, un posto che si sente sicura o isolata? – Aggiunse Simon, eravamo tutti preoccupati per lei e io stavo per perdere l’unica persona che mi era entrata dentro il cuore.
-Il campagna. –Annunciò Noemi, ma fu subito raffreddata da Crystal che disse che c’era passata, ma niente. Passammo una notte insonnie, io che mi rigiravo come un pazzo per trovare un indizio. Mi addormentai esausto e fui risvegliato dal rumore delle onde, come una intuizione mi alzai e presi la macchina forse sapevo dov’era. L’alba era sopraggiunta da un poco di tempo, il vento freddo fregiava il corpo ma non mi sarei arreso. In spiaggia non c’era anima viva, ma una sagoma mi diede la speranza. Sperai con tutto il cuore che non fosse un pescatore ma lei, quando sopraggiunsi con il fiatone e la sabbia tra i capelli mi fermai.
Lei si trovava a piedi nudi sulla spiaggia bagnata dalle onde, il mare in tempesta che lottava per avere la supremazia in quel duello mortale. I lunghi capelli erano aggrovigliati come dune di sabbia, con la schiena curva e le braccia stese accanto ai fianchi. Indossava una maglietta leggera quasi trasparente…era uscita di senno, era l’unica opzione. Mandai un sms veloce a Luca del ritrovamento e poi feci un passo per affrontarla.
-Jessica. –La chiamai. Lei non mi rispose, nemmeno mi diede conto.
Che cosa c’era di così importante da fissare che non aveva l’intenzione di girarsi. Allungai il passo e mi avvicinai a lei e di soppiatto l’afferrai e la feci voltare.
Mi scontrai con uno sguardo vuoto, privo di emozioni. I suoi occhi avevano perso quella luminosità che la caratterizzavano, il suo animo battagliero era stato sconfitto. Le parole dei suoi amici mi rimbombarono nella testa come una cantilena, adesso tutto si ricollegava.
-Jessica rispondimi, lo so che ci sei ancora, sei solo stanca e fragile, ma su di me ci puoi contare. –Mormorai sfiorandole il mento e poi le labbra. Nessuna reazione. Si era persa tra le vie del dolore. Quegli occhi mi facevano paura, era talmente profondo quell’abisso che l’aveva inghiottito.
-Dai ti riporto a casa. –Le dissi.
-Non ho nessuna casa. –Disse fredda come il ghiaccio.
-I tuoi amici sono preoccupati per te, li hai fatto allarmare tutti. –
-Non m’importa. Lasciami andare! –Proferì senza sentimenti. Mi allontanò con una agilità da felino e poi mi spinse, caddi al suolo per quella improvvisa spinta e lei non si voltò, anzi avanzò verso il mare in burrasca. Il cuore mi salì ingoia percependo la sua agonia, lei aveva il terrore del mare, anche se all’inizio mi sembrava tutto l’incontrario. Si spinse oltre la prima linea e poi l’acqua le arrivò subito già a metà busto, mi alzai in fretta senza pensare a niente, l’afferrai da un polso, ma l’onda che arrivò spezzò quel collegamento facendola cadere come un birillo. Per un attimo non la vidi più, rispuntò all’altro lato e corsi da lei. Era palese che cercasse qualcosa da afferrare o un aiuto. Successe troppo velocemente, la presi in contropiede, l’abbracciai da dietro e la tirai verso la spiaggia. Mi bagnai al contatto con il suo corpo tremolante e scosso, balbettava senza dare un senso alle frasi, era come si fosse risvegliata da quella quiete surreale.
-Stai tranquilla ci sono io qui con te. –Le sussurravo nel mentre le accarezzavo la testa per farla calmare.
-Non so normale, io sono pazza! –Urlò all’improvviso rialzandosi goffamente. Avevo lo sguardo spaesato, come se fosse ritornata bambina e cercava i suoi genitori, ma in tutto quel caos mi paralizzò la scena delle mani. Li fissava con orrore come se si fosse macchiata di un crimine…
-Sto svanendo di nuovo…non voglio! –Gridava.
-Jessica. –La chiamai.
-Sono inutile, dovevo morire così sarebbero cessate queste pene. –
-Non dire questo…-
-Sono sola…-s’inginocchiò e si coprii con le mani il viso. I suoi singhiozzi mi spezzarono in mille pezzi, ed ecco finalmente il suo viso pieno di lacrime. Non l’avevo mai vista in quello stato, fragile che se l’avessi toccata si sarebbe frantumata davanti a me. Con una gentilezza sovrumana mi avvicinai, m’inginocchia di fronte a lei e l’abbracciai, la coprii con il mio corpo.
-Non sei sola, perché hai me. –La strinsi al mio petto, mentre le si aggrappava con tutta la sua forza a me. Il suo dolore era diventato mio, parte del mio cuore.
Le ore successive mi ritrovai ad accarezzarle la spalla mentre le dormiva supina al mio fianco. Mi aveva detto brevemente che aveva preso l’autobus ed era partita per il mare, aveva trovato rifugio nella casa di mare di sua nonna ed eravamo lì in quel momento. Il suo corpo stava riacquistando calore, anche se tremava per il freddo. L’abbracciai da dietro, baciandole la guancia prima di sprofondare anch’io in un sonno agitato…
 
Un corpo ricurvo su se stesso piangeva a dirotto, mi sorpresi a ritrovarmi in quel sogno che tempo fa feci, in quella stanza. Ero nel letto e mi svegliai con dei singhiozzi nell’aria. Appena mi voltai trovai il corpo che piangeva o almeno cercava di soffocarli con il lenzuolo. Mi alzai con cautela senza far rumore e mi girai per fissare questa volta colui che era in quello stato, appena posai la mano sul braccio il cuore iniziò a battermi forte come se da un momento all’altro sarebbe uscito.
Che cosa significava? L’ombra si accorse della mia presenza e si alzò spaventato, ma nel momento in cui s’issò rimasi senza parole.
Mi risvegliai e fissai le pareti. Come era potuto succedere? Avevo la mia risposta a portata di mano e non l’avevo capito. Abbassai il viso e guardai la ragazza che si era girata e adesso eravamo di fronte…lei dormiva, sembrava serena adesso, la vita era davvero strana. Mi aveva inviato tanti segnali e non l’avevo capito, che l’ombra non era altro che l’amore della mia vita.
 
 
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Capitolo 30
*** Stelle di ghiaccio ***


31
“Stelle di ghiaccio”
 
 
Ero frastornata. Non credevo che potessi giungere al suicidio. Non ero in me. Era come se la mia parte oscura si fosse risvegliata e avesse preso il controllo del mio corpo; non riuscivo a ricordare bene gli episodi che si erano susseguiti, al mio risveglio mi ero ritrovata tra le braccia di Kaname, mentre lui dormiva sereno e consapevole che fossi sana e salva. Fissai il paesaggio cambiare, il mare era stato sostituito dalle case e pian piano ci stavamo avvicinando verso la mia nuova destinazione, era stata una sorpresa rivedere i miei amici che mi abbracciavano, Crystal e Luca non si volevano più staccarsi, la mia amica mi aveva strapazzato per un bel quart’ora e Luca mi aveva rimproverato con i fiocchi... Il tutto si era risolto con le parole di Kaname, che aveva aperto uno squarcio su tutto: - Starà da me. La casa è abbastanza grande e non accetto un no. –Aveva detto. Luca aveva alzato le braccia come trionfo, Crystal aveva messo un muso come se mi volesse tutta per se, ma sapeva che non era possibile. L’unica opzione era di accettare l’invito di Kaname e cercare una sistemazione al più presto; tuttavia sapevo come sarebbe finita, avevo un appartamento, ma mi sentivo sola, i muri mi sembravano che mi stringessero…ero stata abbastanza sola da non voler rimanere ancora isolata.
-Siamo arrivati. –Kaname aveva aperto la sua portiera e un momento dopo il cancello. La casa era una viletta circondata dal verde e da altre abitazioni. Il clima della zona era calmo, anche se la strada era parecchio trafficata dovuto all’autostrada.
-Prego. Le tue cose le scarico dopo, di sicuro ti vorrai fare una doccia. –Disse. Annuii e mi aiutò con il trolley, la casa era molto spaziosa e ariosa, contando parecchie finestre e spazi grandi. Mi condusse al piano di sopra dove mi presentò la mia stanza: la luce mostrò la sua ampiezza, con un grande letto a una piazza mezza e due comodini ai lati, il balcone si apriva nella veranda sul retro, ma non me la sentivo di uscire.
-Ti prendo gli asciugami, il bagno e la stanza di fronte a questa. –Affermò uscendo con un piccolo sorriso di incoraggiamento. Posai la valigia accanto al letto e mi sedetti. Ero talmente stanca che non mi andava di far nulla, ma dovevo farmi quella doccia, il mio corpo aveva urgentemente bisogno di sciogliere la tensione. Così dopo aver saputo che il necessario era tutto pronto entrai e chiusi la porta. Kaname aveva buon gusto, il bagno era spazioso con una grande finestra a giorno dal vetro opaco, di sicuro la mattina entrava parecchia luce. Il pavimento era di blu notte e le pareti un bianco immacolato, sembrava un peccato sporcarli. Mi avvicinai al lavandino circondato da marmo e mi specchiai allo specchio dove rifletteva la mia immagine, non mi riconoscevo, quella non ero io. Presi le tovaglie e mi spogliai, l’acqua cadde nel momento in cui entrai dentro il box doccia. Mi persi nei miei lucubri pensieri. Quando ritornai in camera ero disorientata, camminavo come una mummia, con la faccia bassa e lo sguardo privo di luce. Perché non riuscivo più a combattere? Era davvero la mia fine? Chiusi gli occhi e sprofondai in un sonno senza sogni, solo di ombre e di oscurità.
Mi risvegliai a causa di una mano calda che mi sfiorava i capelli e poi la guancia sinistra. Era una sensazione rilassante, che mi dava calma a quel turbine di parole senza senso che vorticavano nella mia testa. Non cercai di aprire gli occhi e capire chi fosse, ma mi lasciai andare e finalmente dopo notti insonnie riuscii a dormire serena.
Mi risvegliai la mattina dopo, mi stirai e mi guardai in giro. Dov’ero? Le vicende della giornata passata mi ritornarono alla memoria e compresi tutto. Mi alzai e cercai il mio telefono e dopo una manciata di minuti lo trovai infondo alla mia borsa totalmente morto. Non sapevo dove fosse il caricatore, così uscii dalla stanza e cercai Kaname, ma quando giunsi in cucina trovai un biglietto che diceva che sarebbe tornato nel pomeriggio.
Giusto Jessica, ritorna sulla terra…lui lavora!
Mi sentivo una ladra in quel momento, non ero in casa mia ma solo una ospite. Bensì sapessi che ero un’estranea, la mia curiosità vinse e iniziai a perlustrarla, il giorno precedente non avevo fatto caso a nulla, ma adesso che mi sentivo meglio volevo scoprire tutto.
Per prima cosa la cucina era una bomba, un sogno che si stava realizzando. Una open spiace che dava sul soggiorno, il contrasto di colori dei mobili, della penisola di granito e del lato colazione con sgabelli coordinati era una favola.
Sicuramente si era basato sullo stile americano, e poi adoravo il frigo a due ante, lo aprii con enfasi e lo trovai spoglio, ma eravamo sicuri che ci viveva? Mi feci prendere la mano e sfiorai il marmo freddo, la sensazione che m’invase mi fece sorridere senza un motivo. Mi avvicinai al grande tavolo che c’era sul lato destro in cui si travedeva il giardino, mi feci coraggio e aprii la porta a vetri e mi trovai uno spettacolo bellissimo. Mi fermai sulla soglia della porta e mi lasciai incantare, lo avrei tenuto per ultimo. Mi allontanai sorridendo come una bambina e toccai il divano di pelle ad angolo, il puffo, il tavolino, il grande tappetto color lavanda…la parete attrezzata, (anche se era costituita da poche mensole e sportelli, giusto il necessario per mettere gli altoparlanti), di fronte al divano ci stava un bellissimo televisore a schermo piatto. Mi spostai verso il piccolo corridoio laterale e trovai un bagno, oltre esso c’era uno studio con una porta scorrevole, una scrivania e vari scaffali dove erano riposti i vari fascicoli in ordine alfabetico, sul tavolo c’era un vaso di fiori, molto carino. Uscita di lì mi avvicinai alla scala interna e salii al piano di sopra. La ringhiera era molto particolare, un intreccio fatato. Al piano superiore mi trovai sei porte. Mi chiesi che cosa ci fossero al suo interno. La prima costituiva una camera da letto, l’arredamento era essenziale con i colori che andavano dal pastello al lilla. La seconda era la mia, con un colore chiaro sul tono del rosa. Più i là due camere dello stesso tono del panna vuote. Girai lo sguardo e mi concentrai sul lato destro e mi trovai di fronte a una stanza, lo sentivo da dentro che quella fosse quella di Kaname, infatti lo era. Una camera da re. Con un letto a due piazze e mezzo al centro, dal piumone blu pastello che incorniciava da una tastiera di pelle, due comodini ai fianchi e un tappeto che dava a una cabina armadio da sogno. Era gigantesca ci sarebbe andato un negozio, mi specchiai nello specchio che era appoggiato al pavimento e distolsi subito lo sguardo, uscii e mi avviai verso l’altra porta dove risedeva il bagno. (Avete presente i bagni americani adibiti con vasca e doccia?), beh era così. Due lavandini e uno specchio lunghissimo. Era bellissimo, Kaname si stava rivelando un ragazzo dal buon gusto e dal portafoglio senza fondo!
Scesi di sotto e notai che l’ora di pranzo era già passata, non avevo fame e così procedetti verso l’unico posto che ancora non avevo visitato, beh non era esatto, oltre il primo piano ce n’era un altro ma era vuoto. Scesi i pochi gradini che davano all’ingresso al giardino Zen e m’immersi nel verde. C’era un piccolo albero anche se non sapevo di che cosa fosse, perlustrai la zona con gli occhi sognanti, non avevo mai visto un tale spettacolo…c’era anche le due canne di bambù che rintoccavano nell’acqua, era proprio a stile giapponese. Mi sedetti su una panca di pietra e fissai il cielo, era pomeriggio e di lontano si sentiva il traffico, ma non mi disturbava mi sentivo leggera come se un grande peso si fosse dissolto. La mia attenzione fu catturata da una cupola di pietra e mi avvicinai e mi ritrovai a fissare una strana statua, non sapevo che cosa raffigurasse, aveva un che di misterioso e di sinistro. Sfiorai i contorni per poi concentrarmi sullo stelo di quel fiore, nel momento in cui lo sfiorai una forte scarica mi tramortì. Mille particelle colorate si formarono davanti agli occhi, bastò un secondo che non vidi più nulla.
 
 
Quando mi risvegliai avevo la testa confusa e non avevo sensibilità alla mano sinistra, mi sedetti sul prato e mi guardai in giro. Mi trovavo ancora in quel posto con la statua che mi fissava come se fosse viva, il cielo si stava scurendo e all’improvviso la luce della cucina si accese. Quanto ero stata priva di sensi? Un’ombra apparve da essa e un momento dopo l’avevo affianco.
-Jessica. Piccola che cosa ti è successo? –Domandò preoccupato. Era in giacca e cravatta, aveva l’aria stanca, ma appena mi aveva scorto seduta per terra mi si era subito avvicinato. Mi aiutò ad alzarmi, ma quando mi raddrizzai la scossa di prima mi fece brancolare e mi sorresse.
-Che cosa ti è successo? E che cosa ci fai fuori con questo vento? –Domandò con vari punti interrogativi. La mia testa era sommersa di varie immagini anche se non sapevo darli un significato.
-Stavo osservando il giardino e poi mi sono avvicinata a questa statua e non so cosa mi è successo, ma …non lo so Kaname, mi sento strana. –Confessai un poco imbarazzata. Non era nemmeno passate ventiquattr’ore e già avevo dei problemi.
-Stai tranquilla adesso sei al sicuro. Dai vieni, c’è freddo! –Mi aiutò a superare i gradini e mi appoggiò sul divano. Lui si allontanò per pochi minuti per poi ritornare senza giacca né cravatta.
-Tieni. –Mi porse un bicchiere d’acqua per poi sedersi accanto a me.  –Scusami se ti ho lasciata sola. –Disse dispiaciuto, si scrollò la folta chioma e fissò un punto indefinito del pavimento.
-Non ti devi scusare, lo capisco. È normale che tu abbia un lavoro, anch’io dovrei riiniziare. –Affermai alzandomi, ma dovetti sorreggermi al suo braccio dato che non mi ero ancora ripresa.
-La ragazza che mi piace c’è ancora, allora! –Rise. Se un attimo fa ero tutta felice che lui fosse lì, adesso volevo che sparisse per non farmi sentire così a disagio.
-Stai tranquilla non ti mangio, a proposito di va una pizza? –
-Volentieri. Sai dovresti rifornire quel povero frigorifero chiede pietà. –Borbottai. Lui mi rise e mi parlò –vedo che hai fatto gli onori della casa. –
-Scusa. –Abbassai la testa, ma lui me l’alzò.
-Fai pure. Non ti devi sentire una prigioniera…-rimanemmo a fissarci per un lasso di tempo infinito, dove i nostri occhi si incontrarono e non si volevano più separare. Sbatte le palpebre e poi si allontanò per chiamare la pizzeria, appoggiai una mano sul cuore e lui stava correndo come un pazzo, lui mi faceva quella reazione, se un momento prima ero fresca e serena, un momento dopo ero agitata e imbarazzata, era questa la sensazione che dava l’amore?
-Vado a farmi una doccia nel frattempo. –Disse per poi sparire. Mi rannicchiai e mi portai le ginocchia al petto. La mia testa iniziò a fantasticare su di lui sotto la doccia, mentre le sue mani erano intenti a farsi lo shampoo, avvertii o forse immaginai il profumo della sua pelle, il sapore delle sue labbra. Oh Dio! Scrollai la testa con forza e cercai qualcosa da fare, ma i miei pensieri si erano fermati a l’ultima scena. La sua entrata mi fece saltare come una molla e cercai un qualsiasi argomento per non fargli notare la mia agitazione.
-Per caso hai un cavo per il mio cellulare? –Me ne uscii, lui mi fissò per un istante, probabilmente si chiedeva se fossi sana di mente, per poi annuire. Ricomparse con un filo e finalmente lo attaccai al mio telefono, infatti dopo varietà di secondi apparve la solita clessidra. Che cosa fare durante quel tempo? Lui era di poche parole, lo vidi trafficare in cucina per poi estrarre una bottiglia di vino che risultò rosso, me lo porse ma lo rifiutai, si sedette senza dire una parola, entrambi eravamo persi nei nostri pensieri.
La serata si concluse lentamente, dopo arrivo delle pizze, ci guardammo un film che non capii un granché. Dopo di essa ci augurammo la buona notte e tutti a letto, veramente quella notte non dormii affatto, ferma nei miei dubbi. Ne ero sicura, dentro di me si stava formando qualcosa, forse era avvenuto un miracolo.
 
Quei giorni chiusi dentro il mio guscio di malinconia sembravano lontani, forse solo all’apparenza.
Mi ero rimessa a lavoro. La mia giornata si scandiva tra lavoro e casa, non riuscivo neppure ad uscire e rivedere gli amici di una vita. Era una di quelle mattine con il vento freddo che si avvertiva fin dentro le ossa, il traffico dovuto alle scuole che procedetti verso la mia destinazione. Vivevo di quei soli spiccioli, non volevo gravare ancora su Kaname, io e lui eravamo un poco distanti, lui perché era concentrato sul suo lavoro ed io su tutto ciò che mi stava capitando. A volte mi sentivo indisposta nel comunicare, perché lui ci aveva provato, forse si sentiva troppo pesante o chissà cosa. Tuttavia scacciai quei pensieri e mi misi a lavoro, stava procedendo tutto bene finché il campanello non suonò. Andai ad aprire con un sorriso stampato in faccia per ritrovarmi quello stupido ragazzo di quella volta.
-Ciao splendore, come stai? –Chiese, entrando come un gatto.
-Bene. –Non aggiunsi altro e chiusi la porta, mi allontanai silenziosamente ma lui mi riprese.
-Non mi saluti? –Domandò con quell’aria da snob.
-Ciao. –Affermai per poi prendere scopa e paletta per finire la stanza, lui non mi lasciava andare, avevo il suo sguardo addosso e non mi piaceva. Dovevo resistere finché fossi lì.
-Jessica esco a prendere il pane, c’è mio nipote di là. –disse per poi sentire il rumore della porta. Perfetto ci voleva solo quello.
-Allora che mi dici di te? Sei single? –Disse dopo poco lui, avvicinandosi a me.
Stai calma.
-Il gatto ti ha morso la lingua! –
Calma.
-Su, non dirmi che non ti faccio un poco d’effetto! –Mi prese dal braccio e mi girò di scatto, sentii un capogiro agitarsi e mi trattenni sulla mensola. Che cosa voleva da me quello stupido?
-Lasciami lavorare. –Borbottai nervosamente.
-Potremo lavorare un altro campo. –Affermò lascivo.
-Vai al diavolo! –Affermai decisa, spostandolo di malo modo per farmi spazio, ma lui non accettò e mi gettò al muro e mi imprigionò.
-Faremo in fretta, prima che mia zia torna. –Disse, avvicinandosi al mio collo, spostò una ciocca di capelli e l’annusò.
-Hai un buon odore, chissà com’è quando sei eccitata. –
Era un bastardo. Che cosa dovevo fare? Le mie armi erano a terra e lui era molto più forte di me, Jessica pensa.
Quanto ci voleva per prendere il pane? Un anno? Giorgio ci stava provando spudoratamente, sentivo il suo fiato addosso.
Rabbrividii.
-Se solo ti vestiresti a modo faresti una strage di cuori, - mormorò sfiorandomi il braccio nudo per poi spostarsi sul seno che palpeggiò prima con delicatezza e poi con più forza. Che cosa credeva che gli avrei permesso di farmi ciò che voleva? Non aveva capito niente, non ero una che si arrendeva facilmente, solo allora ricordai realmente chi ero. Ero una ragazza forte, una guerriera che aveva perso una battaglia ma non la guerra, volevo riavere la mia speranza, la mia forza, la mia luce di volontà. Strinsi i denti e aspettai il momento giusto, in tanto Giorgio mi guardava come un predatore, credeva che mi aveva sotto scacco.
-Se esaudisci un mio desiderio ti farò aumentare il salario. –Bisbigliò ad un orecchio.
-Scordatelo, non mi venderò. –
-Tenace, ma fino a quanto? –All’improvviso mi sentii afferrata il viso e due labbra premuta sulle mie, protestai con le braccia, ma lui me li bloccò e premette il suo corpo sul mio. Cercò con violenza intrufolare la sua schifosa lingua dentro la mia bocca, ma sentii la porta aprirsi e fu in quel momento di agire, gli assestai una ginocchiata sui genitali e mi liberai dalla sua stretta.
-Non sono una facile, bastardo! –Dichiarai convinta, prendendo i miei strumenti di pulizia e ponendoli ai loro posti. La signora mi salutò dopo avermi pagato e scappai via. Quel bastardo se avesse ritentato lo avrei spezzato in due. Risi dopo tanto tempo e mi squillò il telefono.
-Ehi angelo mio dove sei? –Luca sembrava sempre allegro, come se le tempeste non lo avessero mai toccato.
-Sto ritornando a casa. –
-Ti accompagno io, sto arrivando. –
Dieci minuti dopo ero in macchina a parlare del più e del meno, sembrava una vita che non ci ritrovavamo in quelle situazioni, lui era come un faro, anche se me lo attribuiva spesso a me quella metafora, ci sorreggevamo a vicenda.
-Così ti voglio! Sei splendida quando sorridi, altro che stragi di cuori li conquisti tutti. Se quello stronzo si avvicina di nuovo chiamami e lo riduco in poltiglia! Continua a sorridere, non ti preoccupare a tutti tocca cadere, ma basta saper rialzarsi per continuare a vivere. –C’eravamo lasciati così, lui che correva da Simon e io dentro casa, mi sentivo ispirata quella giornata. Quando Kaname ritornò a casa trovò il tavolo pieno di deliziosi piatti.
-A che dovuto questo banchetto? –
-A te, a noi. Un nuovo inizio. –Iniziai decisa per poi balbettare imbarazzata.
La cena fu calma con qualche parola, tuttavia quella grande matassa pian piano si stava sciogliendo.
-Allora buona notte. –Disse fermo sul guscio della mia stanza.
-Si. Buona notte. –Abbassai la testa.
-Mi fa piacere che ti stai riprendendo, mi fai felice. – Disse, e annuii.
Restammo in silenzio poi ripensai agli eventi della giornata, era stato facile scaricare la tensione con Luca, raccontargli dell’episodio di Giorgio, lui mi aveva consigliato di parlarle con Kaname, ma ancora non mi sentivo di svelare particolari. La nostra relazione era troppo fragile, dovevamo solo conoscerci di più, non sapevo nulla di se, poco e niente. Rammentai le parole del mio amico “- non cercare il momento, ma crealo tu “così feci un gesto improvviso, forse fu il corpo o il cuore, ma mi avvicinai al viso di Kaname e lo baciai, il sapore amaro di quello stupido scomparve e lasciò il suo profumo che m’invase dalla testa ai piedi. Kaname non se lo aspettava me n’ero accorta, ma volevo creare un ricordo piacevole per poi fantasticarci per tutta la notta. Lui rimase un momento in bilico, ma poi accettò l’invito. Mi strinse a se e finalmente dopo un lungo periodo di letargo iniziammo la nostra storia, il bacio non era solo uno sfioramento di pelle, era un vero atto. Avvertii quel familiare brivido di piacere, quando la sua lingua sfiorò la mia. Con tocchi calcolati e ritmatici mi trovai in un mondo mai immaginato dove le sensazioni erano magiche. Ci staccammo con il fiatone e con due sguardi increduli.
Adesso che cosa dovevo dire? Forse nulla, per non distruggere l’attimo.
-Buona notte piccola. – Fu lui a dire le ultime parole e a darmi un bacio stampo e allontanarsi. Chiusa la porta dietro alle mie spalle mi rannicchiai sul pavimento, -l’ho fatto per davvero? Oh Dio …l’ho baciato. Oh Madonna mia, stanotte non si dorme! –Ero troppo euforica, avevo il cuore che batteva a mille, alla fine mi ero lasciata andare.
Jessica, stai calma, respira. Ma vai al diavolo, l’ho baciato. Lo rivoglio!
Vai a letto e subito, prima che commetti cazzate!
Fu una notte lunghissima, ma la mattina mi alzai fresca come una rosa, cosa al quanto strana, l’amore mi stava dando alla testa!
 
 
La settimana stava per passare, dopo quel risveglio mi ero liberata da diverse preoccupazioni, il mio rapporto con Kaname andava a gonfie vele, sì non facevano nulla di che, a volte ci scambiavano dei teneri baci nulla di che, anche se ne sentivo la mancanza. Mi piaceva come mi teneva stretta, il calore della sua pelle e il suo profumo da maschio. Grazie a lui stavo riprendendo tra le mani la mia vita, finalmente mi ero riavvicinata ai miei amici, stavo ritornando me stessa. Sapevo che la salita sarebbe stata ripida, ma avevo un sostegno adeguato. Lo squillo del telefono mi fece ritornare al presente era la signora, risposi.
-Salve signora posso fare qualcosa per lei? –Domandai cordialmente. Il mio ottimismo si ridusse velocemente e in un secondo avevo la faccia nera. Quello stronzo aveva detto qualcosa alla zia e lei adesso non mi voleva più, ero ritornata ad avere nulla. Non servì a nulla la mia sfuriata di fronte ai miei due migliori amici, ero incazzata nera, se lo avrei avuto di fronte lo avrei fatto nero, non m’interessava che fossi una donna e lui un uomo, lo avrei pestato.
-Bentornata. Stasera ho cucinato io. –
Entrai in cucina e lo trovai ai fornelli, la tavola era già apparecchiata e con due piatti fumanti, aveva un grande sorriso che mi dispiaceva troncare quella atmosfera così mi feci forza e lasciai da parte la rabbia, - vado a cambiarmi e ritorno subito. –Ma a lui non ci bastava, un momento dopo me lo trovai di fronte e con le sue labbra sull’angolo della bocca.
-Tutto si risolleva. –Disse. Come faceva ogni volta a capire come stavo? Era un mistero! Mi cambiai velocemente accorgendomi che il nervosismo mi aveva causato una fame pazzesca, la cena fu molto soddisfacente, era un piatto semplice ma d’effetto. Parlammo di cose futili, come per esempio che cosa preferivo mangiare tra pizza e pasta, se preferivo montagna o mare, ma fu lo stesso bello, sentire la sua voce che cambiava modulazione quando mi rivolgeva una domanda, poi lui era un bravissimo ascoltatore e ogni volta che gli domandavo qualcosa mi rispondeva chiaro.
 
 
 
 
Novembre era entrato con i botti, dopo aver passato una notte da Halloween con i brividi, poiché Luca e Crystal avevano organizzato una festa da urlo, con effetti speciali e prove di coraggio che per poco non mi facevano morire d’infarto, eravamo ritornati alla normalità. Kaname molto spesso non ritornava a casa per il lavoro, poiché si stava avvicinando un viaggio e doveva essere tutto pronto per l’occasione; infatti spesso e volentieri mi ritrovavo a casa sola, ma non mi deprimevo, poiché il mio fantomatico ragazzo mi aveva fatto una bella ramanzina perché più delle volte non usavo la comodità della casa, come per esempio la linea Wi-Fi che era munita. Detto questo, avevo iniziato a guardarmi tutti quegli anime che avevo trascurato e le giornate le passavo in quella maniera. Di lavoro non ne avevo trovato, più cercavo e più non c’era luce.
Era mezzogiorno ed ero stata tutta la mattinata con Crystal per organizzare il suo matrimonio, c’eravamo incaricate di andare a scegliere le bomboniere e i confetti, il riso e altre cose di quel genere. Federico gli aveva lasciato carta bianca e la sua carta di credito, il poverino non sapeva in quale guaio si era messo: mai mettere una carta in mano a Crystal perché ti avrebbe condotto in banca rotta. Finite quelle commissioni mi stavo dirigendo verso il panificio quando vidi una signora con delle buste in mano cadere rovinosamente a terra. Mi guardai in giro, ma mi accorsi che nessuno l’aiutava, così mi avvicinai.
-Tutto bene signora? –Chiesi educatamente.
La signora alzò la testa e due occhi chiari mi fissarono per un lungo istante.
-Si. Dannate panchine! –Borbottò sottovoce, era palese che si fosse fatta male, infatti da un ginocchio era grondato di sangue.
-L’aiuto ad alzarsi, mi tenga la mano. –La sorressi e s’issò, aveva la gambe malferme e non era prudente lasciarla andare. Forse risultavo poco credibile ai giorni nostri, ma la volevo aiutare era il minimo indispensabile.
-Mi permetta che l’aiuta. –Dissi, le presi i vari sacchetti, mentre con l’altra mano la sorressi. Mi condusse in una strada secondaria e mi indicò un portone.
-Grazie cara. –Aggiunse, cercando le chiavi nella borsa.
-Le porto la spesa di sopra. – Cercai una sua approvazione e poi la seguii, anche se dopo mi apprestai a procedere davanti e appoggiare tutto il contenuto sul primo ripiano che trovai per poi soccorrere la signora.
La vidi sedersi dolorante, srotolarsi le calze e vedere la ferita, c’era sangue dappertutto, con cura la bagnò e applicò un cerotto.
Ero rimasta in disparte senza dire una parola fissandola con gli occhi pieni di ammirazione per il suo sangue freddo. Non mi ero nemmeno presentata, ma non importava. Avevo fatto il mio dovere, avevo aiutato una persona che ne aveva bisogno, mi sentivo orgogliosa di me.
Lei alzò lo sguardo e ci incontrammo. I suoi folti capelli grigi cadevano sulle spalle, le rughe incorniciava il suo viso anziano, ma rilasciava quello charme che pochi avevano.
-Mi scusi se l’ho disturbata. –Dissi frettolosamente.
-Non ti devi scusarti, ma dovrei ringraziarti. Sei stata molto cara ad aiutarmi, sarei ancora lì. Come ti chiami? –Domandò cortese.
-Jessica. È un piacere conoscerla signora. –
-Non chiamarmi signora, ma Ella. –Mi apostrofò.
-Va bene. Come va? Ha bisogno di qualcosa? –Le chiesi.
-Solo di una cosa, potresti mettere quelle cose nel frigo? Grazie. –La sua voce era pacata, con quell’accenno dolce. Persi tutto il mio tempo con lei, ci ritrovammo a parlare come se fossimo nonna e nipote, mi mancava tanto la mia nonnina, ma dovevamo stare distanti per il momento. A tardo pomeriggio mi congedai promettendole che le avrei fatto di nuovo visita in quei giorni.
 
 
 
 
 La giornata si era aperta con un brutto temporale, l’elettricità si era staccata all’improvviso facendo rimanere Kaname a casa anche se doveva andare a lavoro.
Il ragazzo sembrava un tantino nervoso, camminava frettolosamente dalla cucina allo studio, pensai che avesse qualche riunione importante.
-Se vuoi faccio la danza del sole. –Dissi per sdrammatizzare, lui si fermò e mi guardò. –Che hai adesso che mi fissi? Hai visto un alieno? –
-Non ti vergogni a camminare in pigiama? –Domandò lui.
-Perché dovrei? Mica sono nuda. –Mi fermai a fissarlo, l’imbarazzo era un poco scemato, ma era sempre dietro l’angolo. –Non mi dire che non hai mai visto una ragazza con il pigiama? Comunque abituati perché mi vedrai spesso con questo bel costumino. –Abbozzai un sorriso, che lui ricambiò.
-Ti preferirei nuda che con il pigiama, ma penso che prediligeresti diventare invisibile. –Proferì avvicinandosi a me. Che intenzioni aveva? Indietreggiai fino a trovarmi al muro, lui era proprio di fronte a me.
-Mi piacerebbe vederti in quel senso, ma – non finii le parole che mi tappò la bocca con la sua. Strinsi gli occhi per poi lasciarmi coinvolgere da quel gesto che pian piano si stava trasformando in qualcosa di dolce e delicato, le sue labbra che mi mordicchiavano il labbro inferiore, la sua lingua che tentava di farmi il solletico sul palato, le sue mani che mi stringevano i fianchi con possessione, ma nello stesso tempo gentilmente. –Ma penso che aspetterò l’occasione giusta. –Sibilò quando si staccò da me, sussurrandolo all’orecchio, facendomi rabbrividire più del dovuto.
-Oh. Guarda alla fine la pioggia è cessata, vedi in qualche modo la tua danza ha fatto effetto. Ci vediamo stasera, stai attenta. –Disse ponendo la sua mano sulla mia testa e poi farla scivolare sulla guancia, mi lasciò con quel gesto dolce per poi vederlo sparire dietro l’angolo, un minuto dopo stava imboccando la via che conduceva all’autostrada.
Mi presi la faccia con le mani e ripensai ai suoi gesti, era così tenero con me. Le guance risultarono subito rosse e calde, oh Dio stavo per bollire. Dopo una lunga doccia rinfrescante optai per un poco di pulizia, Kaname mi aveva mostrato lavanderia che se ne stava infondo al corridoio, presi la cesta delle cose sporche e caricai la lavatrice, dopo nella asciugatrice, era utile in quel caso. Nel pomeriggio sarei uscita.
La strada risultava ancora bagnata, il sole quel giorno non voleva proprio farsi vedere. Presi il telefono e guardai l’ora, erano solo le cinque e mezza e sembrava che fosse notte fonda, allungai il passo per poi fermarmi di fronte a un portone.
La signora Ella m’invitò a salire e poi mi porse una tazza di the e alcuni biscotti. Il piccolo appartamento contava poche stanze, ma era l’essenziale per una signora sola.
-Allora che cosa mi racconti, bambina mia? –Disse sorridendomi. Eravamo sedute sul divano con la schiena dritta mentre sorseggiavamo il nostro the alle rose.
-Che questa flagranza è buonissima. Di solito bevo o il the verde o quello nero, ma stavolta è diverso. Se chiudo gli occhi mi sembra di essere in un giardino di rose, il loro profumo mi fa viaggiare nel tempo. Oh scusatemi se mi sono lasciata trasportare. –Confessai imbarazzata.
-Non dovresti. Mi fa piacere che ti senti in questa maniera. Mio marito era solito rammentare codeste parole “i ricordi sono come i profumi, li ricordi nel momento in cui sorseggi con una tazza da the.” –Affermò con due occhi lucidi e pieni d’amore. –Ogni volta m’invitava a cambiare flagranza per rievocare ricordi perduti e poi mi diceva che loro sarebbero stati associati con tale profumo, è aveva ragione. Lui adorava quello alla lavanda…-disse commossa. Si portò una mano sul viso rugoso per cancellare le lacrime che l’era scese per il ricordo.
- Mi ricordo ancora il suo viso estasiato, gli occhi chiusi, la bocca semi aperta e poi il suo sorriso smagliante che mi rivolgeva. I suoi occhi mi trasmettevano tutto il suo amore, non c’era bisogno che mi dicesse le parole, li comprendevo. – Sussurrò alla fine per poi fermarsi.
-I ricordi fanno male, ma sono quelli che ci permettono di continuare a vivere. Li custodiamo nel nostro cuore, loro saranno sempre accanto a noi. –Le disse, tentando di abbracciarla.
-Sei una ragazza speciale, chi ti ha accanto deve ritenersi fortunato. Ma adesso basta parlarne, dimmi qualcosa di te. –Annunciò.
Le sorrisi per poi abbassare la testa e specchiarmi sul pelo dell’acqua color miele.
-Non ho nulla di speciale. Sono una ragazza come tutte le altre, con un sacco di problemi e tanti sogni da realizzare. Da poco ho avuto un crollo emotivo, ho tentato anche il suicidio, ma una persona mi ha salvato. Non so dove la prendo la forza nel resistere, ma ci sono riuscita. Vorrei che la mia vita fosse diversa, più compatta, ma credo che sia questo quello che mi rende unica al mondo. Tutti noi abbiamo un diavolo alle calcagna di cui scappiamo, ma non risolviamo nulla correndo, dobbiamo fermarci e affrontarlo. –
-Hai detto delle parole con un grande impatto significativo.
Ho sprecato tanto della mia giovinezza, ma non rimpiango mai la mia scelta di seguire il mio unico amore, lui mi ha istruito sul mondo, mi ha insegnato ad essere forte. Devo molto al mio amato, che presto o tardi lo raggiungerò. –
-Non dica questo Signora Ella, anche lei è una persona speciale, lo siamo un po’ tutti, basta saperlo. –Non seppi il motivo ma mi ritrovai in lacrime, quella signora che da poco conoscevo mi stava permettendo di aprirmi come non avevo mai fatto con nessuno. Rivelai i miei problemi, le cause, la mia infelicità…ma anche quel timido sentimento che stava nascendo dentro di me.
-Coltivalo con tutta te stessa, bambina. L’amore è come una pianta, se non la curi giorno per giorno morirà. Nessuno ci spiega come vivere la vita, lo fanno le nostre esperienze e disavventure. Tu continua a sorridere e tutto andrà per il verso giusto. Non arrenderti, se cadi una volta cerca con tutte le tue forze di rialzarti, la vita non deve essere buttata, nasciamo per un motivo. –Ci abbracciamo. Lei mi capiva, lei comprendeva. Quell’affetto che mai avevo avuto adesso era stato riempito, era stato il destino a farci incontrare, lui voleva che doveva entrare nella mia vita.
-La mia vita sta per concludere, ma lotterò con tutte le mie forze per resistere. –Disse stanca.
-Oh no! Non mi può lasciare adesso. –Le risi mentre sorridevo, un sorriso triste che mi riempiva gli occhi di lacrime.
-Tesoro mio. La vita è bastarda, ma alla fine ti dona la pace eterna. Ho vissuto una vita che pochi hanno avuto il piacere di viverla, ho fatto i miei errori e non li rimpiango. Tuttavia ci sono persone che non capiscono e non lo capiranno mai, tu si fiera di te stessa, lotta per ciò che ami e infine tutto si realizzerà. L’amore verso i propri sogni e la nostra punta di diamante, non dimenticarlo mai. –
-Sarò fiera di me stessa. Non dimenticherò mai le sue parole Ella, lei per me sarà la mia ancora in questo mondo pieno di menzogne e di inganni. Le do la mia parola che tutto avrà un suo ruolo. –Le parole non volevano uscire, erano istruite dai singhiozzi che fin troppo tempo avevo trattenuto, lei mi aveva fatto capire che tutto valeva la pena viverlo, forse un giorno avrei realizzato uno dei miei grandi sogni.
-Adesso basta parlare di cose tristi- dissi asciugandomi le lacrime con il dorso delle mani –le va se le preparo qualcosa per cena? Non mi dica di no. –Affermai.
-Compiacere, ma ti aiuterò anch’io. –
 
La serata si era conclusa nei migliori dei modi. La pasta fresca era stata tagliata, il sugo era delizioso, ma soprattutto le nostre risate che risuonavano allegre per tutta la zona giorno. Ero andata via con la promessa che il giorno dopo sarei ritornata.
-Come mai sei tutta sorridente questa mattina? –Disse Kaname appena era entrato in cucina.
-Forse a causa dell’ottimismo che mi circola nelle vene,-abbozzai per poi prendere il mio dolce e dirigendolo verso la sua bocca. –Dai apri la bocca e dimmi come ti sembra. –Gli dissi. Lui senza proferire parola lo masticò con cura per affermare la sua risposta. –Si, buona. Che crema è? –
-Chantilly. – Detto e fatto, preparai la scatola per portarla con me, ero in fibrillazione per quella occasione. Avevo appreso che Ella compieva gli anni e mi era subito venuto in mente di farle una sorpresa.
-Per chi è? –Chiese curioso, leccando con il dito la crema rimasta.
-Per una persona speciale, ma non ti preoccupare non è un maschio. –Continuai.
-Non mi dire che sei bisex? –Aggrottò un sopracciglio.
-Su via! Sono fieramente etero e poi mi interessi solo tu in questo momento, e adesso scusami, ma devo andare. –Non feci caso alle mie parole, ma lui mi riprese –mi fa piacere che sono l’unico. –E mi baciò.  Arrossii nel momento in cui realizzai quel pensiero, ma ormai il danno era fatto. Preso l’occorrente partii per la mia missione.
Le campane di tutte le chiese suonarono tutte alle dodici precise, in piazza c’era fermento per via delle riprese presso il comune, allungai il passo e mi diressi verso la sua casa; Ella mi abbracciò, mi chiese se avessi bisogno qualcosa, ma negai. Le dissi che doveva farsi bella, perché quel giorno sarebbe stato speciale, (senza rivelare il segreto) non mi chiese nulla e si chiuse in bagno. Ritornai all’ingresso a prendere la torta e metterla nel frigo, addobbai la cucina con festoni e palloncini e la scritta “buon compleanno” e aspettai che lei uscisse. Nel momento in cui sentii la porta aprirsi le rimase senza parole.
-Oh Signore mio! –Si portò le mani alla bocca per l’esclamazione di stupore.
-Eh no! Oggi non si piange, ma si ride. Buon compleanno Ella! –L’abbracciai, la baciai sulle guance e infine sulla fronte –sei una donna forte, e le donne forti sorridono sempre. Me lo hai insegnato tu, adesso vivi questa giornata, dedicatela a te stessa…-
-Grazie mille. Nessuno ci aveva mai pensato, eccetto per il mio defunto marito. Lui era solito farlo quando ero giù di morale, mi ricordi tanto lui. Vorrei tanto che i miei figli fossero qua, ma per loro sono morta. –Singhiozzò.
-Peggio per loro. –Affermai. Le parole alle volte non erano necessarie, bastava un gesto per farsi capire.
-Loro non lo sanno quanto ho sofferto per la sua morte. Ho espresso il suo ultimo desiderio, non riuscivo più a vederlo in quelle condizioni…mi è morto tra le braccia, ma era sereno. –Scoppiò a piangere, la consolai e l’ascoltai. L’avevano ripudiata come madre perché aveva staccato la spina dell’ossigeno al padre che aveva una brutta malattia, l’avevano accusata e rimproverata, senza vedere oltre …che figli indegni! La strinsi tra le mie braccia, adesso toccava a me, fare la mia parte. L’avrei aiutata e forse un giorno il suo sorriso sarebbe riapparso.
 
 
-Ma ti rendi conto che mi hai fatto uscire solo per prendermi in giro?! –Ero abilita di come quel ragazzo mi aveva convinto ad uscire da casa con il freddo che si stava pian piano insinuando nelle nostre giornate.
Beh era normale, dicembre era alle porte e il freddo dell’inverno ci portava ha rimanere a casa sotto le coperte e poi non avevo nessuna intenzione di abbandonare il mio amato scaldino nemmeno con i termosifoni accesi.
-Non esagerare. Ho visitato città dove lo zero era fisso da settimane, ti dovrei portare nell’antartico, poi mi dici se senti ancora freddo. –Blaterò lui, intanto spingeva il carrello. Era da un’ora buona che camminavamo a passo da marmotta in una delle corsi del supermercato, bisticciando su ogni minima cavolata. Lui adorava il piccante e lo stile messicano, io ero sulla via di mezzo, beh non amavo particolarmente il peperoncino dovuto anche allo stomaco sensibile.
-Sei una propria lagna! Questo non ti piace, quello non è buono. Ma dimmi c’è qualcosa che mangi? Oltre le tue stupidaggini? –Fletté le mani in avanti come se stesse ponendo le sue domande al pubblico.
-Certo che ci sono e solo che tu non lo sai. Parlavo di questo l’altra volta, che noi due non sappiamo i gusti dell’altro, se questa convivenza deve durare dobbiamo conoscerci meglio. – Dissi, guardando i vari scompartimenti.
-Oh ci sono le tortillas! –Esclamai tutta contenta per poi afferrarle e metterle nel carrello.
-Ma non eri tu che dicevi che non ti piaceva quel genere cose? –Domandò.
-Non tutte, alcune fanno eccezione come ad esempio te. –Buttai fuori per poi cambiare corsia. Quando mi venivano sparate del genere me li dicevo di santa ragione, ma era bello vederlo sorridere e cambiare atteggiamento. Alla fine ritornammo con cinque buste piene di spesa, oramai avevo imparato dove riporli senza chiedere ogni volta, lui intanto era andato a cambiarsi. Svuotati tutti i sacchi, guardai l’orologio e mancava un’ora alla mia serie tv preferita, chissà se lui lo avrebbe condiviso con me.
-Che cosa prepari stasera? Spero non brodo. –Ammise scherzando sedendosi su una dei sgabelli per la colazione.
-In verità non saprei che fare. Tu cosa preferisci? –Chiesi pensierosa.
-Qualunque cosa anche del sano sesso! –Apostrofò, non mi voltai a quella battuta, alla fine era rimasto il playboy di sempre, non doveva cambiare per me, lo amavo per quello che era realmente.
-Ti propongo una insalata mista, leggera, poi stasera sgranocchieremo i nostri snack preferiti. –Affermai, preparando tutto il necessario, lui non si mosse nemmeno di un millimetro; sentivo i suoi occhi addosso, i suoi pensieri che vorticavano con i miei, se alzavo lo sguardo mi scontravo con i suoi che ardeva di una strana luce, alla fine la cena fu pronta.
Alle nove esatte mi posizionai sul divano con il play e lo scaldino tra le braccia, come se fosse un cucciolo.
-Che stai facendo? –Chiese vedendomi in quella maniera.
-Aspetto Damon! –Sorrisi.
-E chi sarebbe costui? –Domandò serio.
Il riassunto della puntata precedente iniziò e fissai prima lo schermo e poi lui, indicai con l’indice il personaggio –Beh, Damon Salvatore è lui! –Esclamai tutta contenta.
Detto questo il mio ragazzo voltò lo sguardo per fulminare il personaggio di Damon per poi sedersi sul divano –bene allora non avrai nulla da obbiettare se l’osservo. –Disse.
Ma faceva sul serio? Ma tutti gli uomini risultavano così pazzi quando si trattava di qualcuno oltre a loro? Mah!
Le scene della serie susseguirono con avvicenda, tra sorprese e morsi e baci, ma non mancavano uccisioni, incantesimi.
-Ti piacciono le serie sui vampiri? –Domandò quando fu il momento della pubblicità.
-Li adoro. Veramente preferisco un genere misterioso e avventuroso, tra poteri sovrannaturali e del romanticismo (ma non troppo), troppo zucchero mi fa venire il diabete. –Ammisi, prendendo una caramella gommosa.
-Capisco. –
-Mi mancano tanto i miei libri chissà come stanno. –Dissi pensierosa.
-Allora sei anche una lettrice? –
-Già. Ho letto un libro di mille e qualche pagina in solo cinque ore, vantandomi di un nuovo record! –Dissi fiera.
-Sorprendente. Affamata di avventure. E dove sono questi preziosi libri? –Domandò.
-Sono rimasti a casa di mia madre, quando sono scappata da quell’inferno ho lasciato tanto di me…lì. Un giorno li riavrò indietro, sempre se sono ancora vivi. –Ammisi.
-Avrai tutto il tuo passato, non temere. – Disse ponendo la sua mano sulla mia, era così caro con me.
-Grazie. –
 
Da ormai un paio di giorni la città si era accesa di numerose luci colorati, era il tempo che il Natale ci regalava un poco di serenità e pace. La mia vita stava procedendo con i fiocchi anche se non avevo più un lavoro, con i soldi che avevo accumulato stavo frequentando un corso professionale di nail art, realizzando un’altra mia passione. Era stato bello entrare uno di quei centri dotati di tutto il necessario, peccato che non ce ne fossero nella mia città. Ne parlai tantissimo con Ella, le comunicai i miei desideri, come per ad esempio: -se avessi le possibilità aprirei un centro tutto mio, darei lavoro a tutte queste aspiranti estetiste e li farei lavorare da me, la gente all’inizio sarà cauta, ma poi apprezzerà il nostro lavoro. Vorrei che la gente si fidasse di noi, che siamo la loro felicità. Sarebbe bello realizzarlo, ma resterà solo un sogno nel cassetto. –Confessai con gli occhi sognanti.
-E’ un bellissimo pensiero. Faresti un favore a tutte quelle donne che si sentono inutili, il lavoro ci rende orgogliose, indipendenti, liberi. –Affermò lei, ponendomi la solita tazza di the con un nuovo aroma.
-Ecco! Mi hai compreso. Il mio non è solo un desiderio, voglio che la gente sia fiera di se, che combatti per quello che ama. Noi umani abbiamo bisogno di quel qualcosa che ci rende vivi. –Asserii drizzandomi con un pugno alzato per imitare Superman.
-Continua con questa grinta! –Batté le mani per poi farmi sedere di nuovo.
-C’è qualcosa che non va? –Domandai preoccupata.
-No. Solo che per le vacanze natalizie sarò fuori, mio figlio mi ha invitato a trascorrere il Natale con i miei nipoti ed io ho accettato. Forse siamo ad una svolta in tutto questo caos, vorrei conoscere i miei nipoti e amarli, ricoprirli di regali e raccontargli così tante cose…-disse emozionata.
-Sono felice per te. Non ti preoccupare le cose si risolveranno. Tu abbi fede. –
-E tu che farai? Hai qualche piano con il tuo amoroso? –
-Si e no. I nostri amici ci hanno invitato a trascorrere il Capodanno in montagna, purtroppo lui per Natale non ci sarà, poiché sarà partito, ma comunque non sarò sola. –Mi affrettai subito a dire.
-Non ti azzardare a rimanere sola. Il Natale è il periodo più bello di tutto l’anno. Ti voglio bene cara mia, vivi la tua vita, regalati un poco di felicità quando il mondo sarà contro di te. –Ci salutammo come se non ci saremo più visti, mi sarebbe mancata tanto.
Quando ritornai a casa era tutto buio di sicuro Kaname non era ancora tornato, non mi andava di preparare qualcosa, così presi la prima cosa dal frigo e la mangiai. Non sapevo il motivo ma mi sentivo triste, come se da un momento all’altro una metà di me si stesse per dissolvere per sempre.
Mi addormentai con la tv accesa e quando Kaname ritornò mi trovò sul divano.
-Ehi tutto bene? –Disse lui inginocchiandosi di fronte a me.
Io che nel frattempo avevo aperto gli occhi e alzata- tutto ok. Tu invece? –Domandai.
-Il piano di lavoro è concluso. Ormai manca poco alla partenza, mi dispiace tantissimo non esserci, farei di tutto per non partire…-lo baciai senza rendermene conto. Ero triste, soffrivo in un silenzio assurdo e non ne capivo il perché, l’unica cosa buona era aggrapparmi a lui e farmi cullare dai suoi sentimenti. –Andrà tutto bene, ci rivedremo per il 28. –Affermai con la gola stretta, che diavolo mi stava succedendo? Lui mi abbracciò e lo strinsi più forte che potevo. Mi sentivo mancare, sentivo un dolore surreale attanagliarmi l’anima. –Mi dispiace tantissimo, ma non so che cosa mi sta succedendo. –Singhiozzai prima piano e poi crollando per terra. Che cosa era quella sensazione di mancanza?
-Shhh sono qui. –
 
Natale arrivò con i suoi botti.
Il primo regalo che ricevetti fu proprio dato da Kaname.
L’ho avevo aperto con gentilezza sotto il nostro primo albero da Natale, era stato divertente montarlo e aggiungere le varie decorazioni, il silenzio dell’aspirapolvere che toglieva le fogli dell’albero e le sue briciole dovute alle patatine. Quell’angolo di casa era diventato un oasi di doni per i nostri amici e parenti, gli avevo raccontato un poco la situazione della mia con gli alti e bassi, delle motivazioni e scandali, lui mi aveva guardato e sorriso dicendo che ogni famiglia ne aveva scheletri nell’armadio.
Quando aprii la scatola mi trovai un bracciale Pandora con il simbolo della fortuna raffigurato dal quadrifoglio.  Lo guardai con gli occhi sognanti, ma lui mi fermò prima che potessi fare la qualunque cosa, mi disse di guardare dentro la confezione e trovai altri tre scatoline. La prima conteneva la mia iniziale, la seconda un cristallo di ghiaccio e per ultimo un’ala d’angelo.
-Spero che ti portino fortuna e successo. –Disse.
-Grazie mille. Ma anch’io ho qualcosa per te. –Proferii alzandomi e prendendo il mio pacchettino, non era nulla di speciale come il suo, ma volevo che ci fosse anche del mio.
Una penna stilografica spiccava da quella confezione perfetta e una lettera.
-Questa la leggerai quando sarai lontano e penserai a me. –Dissi imbarazzata, ma non mi alzai, non potevo sempre fuggire, volevo vivere quella nostra storia.
-Manterrò la mia promessa. –Disse solenne.
E come l’acqua che scende dal cielo, lui partì. Trascorsi due giorni in solitudine assoluta, dormendo nel suo letto senza che il suo proprietario lo sapesse, ma mi bastava così. Il suo profumo era intorno ad ogni oggetto di quella camera. Il giorno della vigilia andai a messa con i miei amici, brindammo e facemmo un sacco di foto e ci augurammo un felice Natale. Il giorno successivo fu un susseguirsi di eventi che mi portarono alla conclusione di una cosa importante, la mia famiglia non sarebbe mai cambiata. Avevo riavuto in mano il mio passato con tutti i suoi segreti, mia madre non mi aveva rivolto la parola, il suo compagno mi guardava dalla testa ai piedi con occhi che non mi piacevano per niente, quella casa ormai era priva di anima. Augurai buone feste alla mia nonnina che mi riempì la testa di fatti, che alla fine non m’importava più nulla, avevo messo una pietra sopra a quella faccenda, non potevo impazzire per loro. Tuttavia a quella quiete surreale fu spezzata dall’arrivo di mio fratello che mi fulminò e m’indicò la porta. Senza degnarlo di una parola salutai mia nonna e uscii, non volevo disturbare nessuno, di sicuro erano tutti nelle proprie case a festeggiare con la propria famiglia, mi reca in quella casa che mi stava ospitando e con passi lenti capii che la felicità me la dovevo costruire da sola, che nulla arrivava dal cielo.
 
 
Alle sei e mezzo il trillo del telefono mi fece aprire un occhio, chi diavolo era? Allungai il braccio per prenderlo e risposi.
-Buongiorno bellezza, su sbrigati, fatti trovare alla porta tra dieci minuti! –Esclamò tutto pimpante Luca.
-Si…-borbottai dormendo.            
-Non ti azzardare ad addormentarti di nuovo, senno ti vengo a rompere la porta! –Dichiarò tutto pomposo. Chi diavolo gli dava quella grinta di prima mattina? Io sembravo un elefante zoppo.
-Ricevuto, capitano. –Mormorai alzandomi con le braccia, ma non riuscii a sollevarmi e sprofondai nuovamente nel letto.
La sveglia indicava le sei e trentadue minuti, perché alzarsi così presto? Eravamo in vacanza.
Dieci minuti esatti Luca si trovava sotto casa, davanti c’era Simon che sbadigliava e Happy che dormiva dietro.
-Buongiorno anche a te, -mormorai, mettendo la valigia nel cofano. Aprii lo sportello e mi sedetti ricevendo le feste di Happy, lo accarezzai e lui portò la testa sulle mie gambe per dormire più comodo.
Il viaggio fu silenzioso dovuto al nostro sonno, Luca non faceva altro che fischiare sotto le note della radio.
-Ma non ti puoi stare zitto per un poco? –Lo ammonii Simon premendo gli indici sulle tempie.
-No, pasticcino. Se non lo faccio mi addormento, avendo due accompagnatori silenti. –Ridacchiò.
-Se non lo uccidi tu, lo farò io! –Dissi fredda.
-Su, angelo mio non essere così pessima di prima mattina. Dobbiamo goderci questa piccola vacanza, fai così perché il tuo tesoruccio non c’è? –Proferii, girando il manubrio per girare verso la curva a destra.
-Osa di nuovo parlare con tutto questo zucchero, e mi vedi scendere da questa vettura e sparire, poi glielo racconti tu, al mio tesoruccio perché sono scomparsa! –Blaterai schietta.
-Uffa, siete due rompi scatole. Siate un poco ottimisti, è Natale! –
-Vai al diavolo! –Dichiarammo all’unisono io e Simon.
 
Eravamo arrivati a destinazione dopo due ore e mezza di viaggio, la strada non era stata una passeggiata, tra curve, buche e bestemmie dovute a tutte quelle regolatezze dovuta alla strada. Finalmente potevamo sgranchirci le ossa, mi stirai da entrambe le parte e presi la mia valigia. Appena entrai nel vialetto della casa, spuntò tutta pimpante Crystal.
-Oh tesoro finalmente ci rivediamo, mi sei mancata così tanto! –Mi stritolò con tutta la sua forza, come se non ci fossimo viste due giorni fa.
-Sono felice anch’io. –Ritornando a respirare.
La villetta era molto grande tutto di un piano, sembrava a forma rettangolare all’esterno, ma all’interno era tutta di un'altra cosa. Ampia e aperta, dove la prima cosa che si notava entrando era il grande salone dove c’era un grande schermo a plasma, intorno a se un lungo divano ad angolo e due poltrone.
-Vieni ti mostro la tua camera, purtroppo abbiamo avuto un problema con la caldaia, spero che i ragazzi possano fare qualcosa, senno dovremo usare il camino per riscaldare gli ambienti. –Disse, per poi prendermi dal braccio e condurmi nella mia camera assegnata. Era aperta con una finestra che dava sul giardino posteriore, un letto singolo vicino alla parete, un comodino e un armadio.
-Grazie. –
Lei mi sorrise per poi lasciarmi disfare il bagaglio, appena terminai di sistemarmi raggiunsi gli altri, trovandomi Noemi con Francesco che discutevano, ma risolsi tutto con una fetta di torta che avevo preparata precedentemente.
Uscita fuori per vedere se avessero risolto il problema mi ritrovai due occhi verdi. Che cosa ci faceva lui qui?
-Ciao. –Disse lui. Mi guardava fisso negli occhi, come se volesse dirmi qualcosa, ma non aspettai una sua sillaba e mi voltai per andarmene, ma lui prontamente mi prese da una spalla.
-Aspetta, dovremo chiarire…-proferì lui.
-Non abbiamo nulla da chiarire. –Scostai la sua mano ed entrai, richiamai Happy e giocai per tutto il tempo con lui, senza badare alle occhiata di Daniele e di Andrea che aveva iniziato a darmi fastidio. Che cosa pretendevano?
-Ah eccolo dove sei finito? Preferisci lei che me? –Pronunciò Simon avvicinandosi a noi, s’inginocchiò e lo accarezzò sotto il mento. –Vedo che voi due siete in perfetta sincronia, non lo vedevo così da tanto tempo. –Annunciò felice per poi rivolgersi a me. –Ti danno fastidio? –Facendomi segno con gli occhi per i due che stavano dietro alle nostre spalle.
Annuii silenziosamente.
-Ragazzi vi va di fare una partita al calcio? –Propose facendomi l’occhiolino, i due acconsentirono e ne fui grata. Gli bisbigliai un grazie e lo accolse volentieri.
 
-Mi dici che cosa fa lui qui?! –Protestai con la mia migliore amica.
-Lo so. Ma sono fratelli, lo vedevo triste, sono cresciuti praticamente assieme, non potevo privargli del suo migliore amico. Lo so che tu stai ancora male per quel fatto, ma devi perdonarlo. –Proferì Crystal.
-No! Tu non capisci! Lui ha chiuso con me! Non gli permetterò di farla franca, lui non mi doveva colpire, preferivo che mi dicesse una parola più forte e non quel gesto. Lui non esiste per me! –Esclamai arrabbiata, non lo avrei perdonato, doveva rendersi conto del male che mi aveva fatto, non fisicamente, ma spiritualmente. Credevo che lui fosse quello giusto, ma alla fine mi aveva deluso. Respirai a fondo per poi rientrare e scontrandomi contro Andrea, lo avevo capito che quella giornata ce l’aveva con me.
-Ehi bellezza sei di cattivo umore? –Blaterò lui ironicamente. Ma chi si credeva di essere, Raoul Bova? Il suo fascino non incantava nemmeno una cipolla!
-Lasciami stare! –Protestai scostandomi da lui.
-Su, non fare la lagna come al solito. Sorridi solo quando c’è in giro quel cinesino? –Buttò fuori, stringendo i denti.
-Non è un cinesino, ma giapponese e poi a te che te ne frega a chi sorrido? – Dissi raddrizzandomi e guardandolo negli occhi.
-Mi piaci quando fai la tosta. –Affermò avvicinandosi a me.
-Invece a me no. Adesso levati dalle scatole! –Lo spinsi via da me e scappai da quei pazzi. Ma che cosa si erano fumati stamani? Erba scaduta?
 
Mancava solo un giorno al suo ritorno e non avevo più la pallida idea che cosa fare. I due guastafeste mi mandavano frecciatine languidi e la cosa da pazzi che nessuno se ne accorgeva. Tutti erano felici di trascorrere un poco di tempo soli senza nessuno che li divideva, io me ne stavo in silenzio in poltrona a fissare il cellulare, avevo indossato gli auricolari per non far caso alle loro lagna da coppietta; ma alla fine era tutto normale. L’amore causava quello stato, anche io lo avevo provato, sentirsi agitati, il fibrillazione, sentire le farfalle nello stomaco. Kaname mi provocava un miscuglio di emozioni che avvolte non riuscivo a dargli un nome, se un momento prima mi sentivo felice che lui fosse vicino a me, dopo un poco speravo che se ne andasse. Forse ero io che non mi lasciavo andare, avevo paura di sbagliare, di andare troppo in profondità…paura di rimanere scottata e non saper più uscirne viva.
Ho bisogno di te per capire. Borbottai nella mia testa. Forse pensavo troppo. Mi alzai dalla poltrona e mi allontanai, fuori c’era vento e muoveva gli scheletri degli alberi, chissà se avrebbe nevicato.
-Sempre assorta nei tuoi pensieri, eh? –Disse una voce. Non c’era bisogno di voltarmi, la conoscevo. –Nemmeno ti giri? Chi ti ha insegnato l’educazione? –Continuò, ma prima che la sua mano mi toccasse mi girai.
-Non ce n’era bisogno. Ti conosco oramai, non sprecare fiato con parole che nemmeno comprendi. –Lo lasciai da solo, mentre mi dirigevo verso la mia stanza.
Il tanto agognato giorno era finalmente giunto, Kaname arrivò con due ore di ritardo dovuto alla forte nevicata che aveva colpito Tokyo, non mi buttai sulle sue braccia per non dare spettacolo ma ero strafelici che lui fosse lì. Lo fissai in silenzio, mentre i nostri amici lo rimboccavano di domande, mi allontanai silente e sospirai…il cuore mi stava scoppiando.
-Ciao piccola. –Sentire il suo profumo sulla mia pelle mi fece rabbrividire, lui era proprio dietro di me, le nostre mani si sfiorarono e li presi senza essere imbarazzata. Lo volevo tutto mio.
-Bentornato. –Sussurrai piano senza far capire nulla agli altri.
-Ehi Kaname, vieni ti mostro la tua camera. –Crystal distrusse quella nostra intesa, gli lasciai le dita e lui si allontanò senza prima sfiorarmi i capelli con le dita. Mi girai per vederlo allontanarlo…lo volevo più vicino possibile.
La mattinata trascorse in armonia, tra chiacchiere e risate. Ci stavamo divertendo, parlammo anche del futuro matrimonio di Crystal e di Federico, che cosa ci sarebbe stato o meno, le mie battute che fecero ridere la maggior parte del persone, i dolci che non mancavano dai nostri tavoli, dai schiamazzi di Happy che correva dietro Luca per poi fermarsi e tuffarsi tra le mie braccia. Tutto procedeva così armoniosamente che all’improvviso un forte boato si espanse in casa. Drizzammo le orecchie ed i ragazzi si alzarono per controllare.
-Non e che ci sarà una valanga e ci sommergerà? -Disse melodrammatico Luca, già con le gambe tremolanti.
-Ma se non ha nemmeno nevicato, questa opzione è da scartare. –Rispose Simon, richiamando Happy per annusare l’aria, ma l’animale si era riseduto dopo il botto, di sicuro non si trattava di nulla di grave.
-Ragazzi. Mi dite perché c’è dell’acqua nel corridoio? –Domandai –Non e che qualcuno ha lasciato il rubinetto aperto? –Continuai, ma nessuno disse nulla, così mi avvicinai verso il corridoio, ma Kaname mi afferrò il braccio e mi tirò dietro di lui.
Girammo l’angolo e trovammo una scena strana, beh non c’era nulla di che, solo un muro tutto bagnato. Federico tastò la parete e costatò che era acqua, e appena aprimmo la porta della mia camera, trovai il pavimento tutto bagnato…quando la sfiga ti perseguita.
-Presumo che la perdita venga da qui. Le tubature si sono rotte, Federico chiudi questa conduttura, prima che allaga l’intero edificio. – Comunicò Francesco mettendosi subito a lavoro, con l’aiuto degli altri cercò il tubo rovinato, ma il danno era più grave del previsto.
-Credo proprio che dovremo chiudere quest’area, meglio non rischiare di fare più danni. –Affermò in fine spolverizzando le mani dalla polvere.
-Perfetto! È adesso dove dormo? –Domandai più a me stessa che agli altri.
-Beh ci sono tre camere adibite con un letto grande, ma sono occupati da loro. –Proferì Federico rivolgendo il dito verso, Andrea, Daniele e Kaname. 
I tre ragazzi mi fissarono come aspettassero un responso da me, ma non proferii parole.
-Dovrai scegliere… -Rise Andrea.
-Non ci contare tanto bamboccio! –Lo presi in giro. Lui emisi un borbottio che sembrava un ringhio ma non ci fece caso.
La giornata alla fine si concluse e avevo di fronte i tre ragazzi, ci avevo pensato per tutta la giornata rimasta, ma alla fine era palese con chi sarei stata. Condividevo una casa, condividevamo un legame e un sentimento. La mia scelta era su Kaname, che mi allungò il braccio e posi la mia mano sulla sua, gli sorrisi per poi vedere le due facce scure di quei due.
La sua camera era composta da un letto matrimoniale, un divano alla sua sinistra sotto la finestra, un bagno privato, due comodini e un armadio.
-Ti lascio il letto. –Dissi, posando la valigia e prendendo le coperte dall’armadio.
-Eh no. Dormirai con me. –Proferii lui, prendendomi in braccio e buttandomi sul letto.
-No! Io dormo sul divano e adesso statti zitto e lasciami riposare. –Gli tirai il cuscino in faccia e mi lanciai verso il divano, lui alla fine si arrese e mi lasciò. La luce della lampadina si spense verso le due, cercavo un modo per dormire, ma il freddo che entrava dalla finestra non mi faceva dormire, ma alla fine tutto si spense. Al mattino dopo era una racchia, avevo un mal di schiena allucinante, invece lui era riposato, come dargli ragione.
-Ragazzi mancano due giorni alla fine dell’anno, ne abbiamo passate avventure non è vero? –Dichiarò Luca porgendoci dei bicchieri colmi di una sostanza ambrata.
Me lo misi sotto il naso e lo storsi le labbra. Che diavolo era? Tutti gli altri sembravano calmi a buttare giù quella cosa che assomigliava al caramello, al suo tre lo mandai in gola e per poco non lo vomitavo.
Tossii con forza e Naomi mi dette due bei colpi sulle scapole, la ringraziai con gli occhi per sedermi, era normale vedere le stelle?
-La nostra Jessica già ci ha lasciato. –Dichiarò Simon ridendo.
-Lei non li digerisce i super alcolici. –Parlò la mia amica, loro continuarono a parlare ma non capii nulla, la testa mi girava forte e dopo poco mi addormentai.
Mi svegliai chissà quando ed ero sul letto, avvolta dalle coperte fino sopra il mento. Aprii entrambi gli occhi e capii che mi trovavo nella camera di Kaname e lui era proprio dietro di me, mentre rileggeva qualche documento.
-Bentornata tra i vivi, principessa. –Realizzò ironicamente, posando le sue carte sul comodino. –Allora dormito bene? –
-Che ore sono? –Chiesi alzandomi di busto, ma la testa mi girò e mi fermai a mezz’aria.
-Proprio non li digerisci. Tuttavia sono le undici e mezzo, hai dormito praticamente tutto il pomeriggio e la sera, non hai dormito abbastanza la notte scorsa? –Affermò ridendo sotto i baffi.
-Smettila di rimproverarmi. Luca lo sa benissimo che gli alcolici mi fanno brutti effetti, ma a quanto pare non ci ha proprio pensato. –La testa non voleva starsene un momento ferma, gli occhi si chiudevano e protestavo per quel momento di debolezza.
-Su, dormi. Non capisco perché di tutto questo sonno, non ne che non hai dormito in mia assenza? Ti mancavo così tanto? –Disse ridendo, presi il cuscino e glielo tirai, ma lui fu lesto a schivarlo e buttarmi sul materasso.
-Non fare la bambina cattiva con me. –Salendomi sopra. Rimasi a fissarlo con la bocca aperta, il pigiama che aveva addosso lo calzava a pennello: era di un blu notte dove risaltava i suoi capelli scuri, la sua figura più svella di quanto non lo fosse già.
-I tuoi occhi trasmettono così tanti pensieri che a volte mi domando se non ti stanchi a formularli. Dovresti parlare di più che rimanere in silenzio, aspettando che la gente ti capisca. – Mi sussurrò vicino al mio viso, sfiorando la guancia con il polpastrello.
-Ci sono parole che non possono essere capite, ma con uno sguardo comprenderli fino in fondo…basta trovare solo colui che riesca a comprenderle. –Bisbigliai fissandolo negli occhi. Ed eccola quella strana luce guizzare nei suoi magnifici occhi che sembravano talmente profondi da non vedere la fine.
-Hai ragione. Ma le parole danno inizio a tutto, non dimenticarlo. –Aggiunse.
-Ma sono i gesti a dare la conferma. –Proferii, allungai la mia mano per sfiorargli il viso. Mi sembrava surreale che facessi una cosa del genere, ma ero lì. Vivevo le sensazioni che mi stava mandando da quei diamanti che erano i suoi occhi –io ti voglio nel mio presente, Kaname. –Risi senza motivo. Lo guardai per secondi per poi abbassare lo sguardo sconfitta.
-Ti voglio anch’io nel mio presente. –Affermò lui, bisbigliandomelo all’orecchio, risvegliando quei brividi di piacere. – Mi hai dato un senso a questa vita e non ti potrò mai ringraziare per questo, permettermi di farti compagnia in questa notte fredda. –
Annuii incantata dalla sua voce, per poi aprire gli occhi alle sue parole, -Che?! –Esclamai tutta rossa.
Lui assunse una faccia buffa per poi scoppiare a ridere –sei troppo tenera, sei troppo pudica per i miei gusti…non pensavo a nulla di sconci, ma solo dormire con la mia ragazza e non farle prendere freddo. –Ammise alzando le mani come segno di arresa.
-Attento che me ne accorgo se fai qualcosa di losco, ti tengo d’occhio. –Comunicai, girandomi da un lato per poi avvertire il suo corpo vicino al mio.
-Hai la mia parola d’onore, non ti farò nulla, eccetto abbracciarti. – Mi prese di sorpresa e mi trovai le sue braccia intorno con la schiena che premeva sul suo torace e il suo respiro sulla testa. –Così sarò sicuro che non corri il rischio di ammalarti. – Terminò. Sentivo la sua presenza costante su di me, i suoi gesti dolci, la sua premura nel coprirmi…lui si stava insinuando in profondità di quanto m’immaginassi, tutto era da vedere, no, meglio da viverlo.
 
 
*
*
*
 
Salve!
Do un piccolo spazio a questa nota per non allungare ancor di più il brodo. Dopo due settimane di lavoro duro, fatto di sacrifici e di sonno e dolori, alla fine il capitolo è finito. Ci sono diversi avvenimenti al suo interno dove mi hanno fatto riflettere e comprendere che a volte le persone estranee ci capiscono al solo sguardo (non tutte). Ho capito che la felicità non si può cercarla negli altri, ma creala da noi stessi.
La vita di Jessica si sta risollevando, sta iniziando a fidarsi di Kaname, a viverlo giorno per giorno. Ma le insidie sono dietro l’angolo, ma il nostro principe l’aiuterà in questa lunga battaglia.
Uffa, avevo tanto da dire sul rapporto tra Jessy e Ella, ma sono evaporati. Un legame che si è costruito fin da subito, che mi ha visto commuovermi senza motivo, forse non vi darà lo stesso approccio dato da me. Questa scena l’avevo in mente da un po’, ma non sapevo come dargli un’anima, finalmente adesso ce l’ha! Spero che vi sia piaciuto, che una certa persona che conosco accetti questo bel capitolo, che non si lamenti più per la brevità. Da ora in poi saranno più fitti, le scene si coinvolgeranno tra di loro e spero che voi lettori ci siate ancora. Con questo vi auguro un buon Ferragosto e una buona continuazione dell’estate. Al prossimo aggiornamento.
Heart
 
 

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Capitolo 31
*** Tutto ritorna al mittente ***


32°Capitolo
“Tutto ritorna al mittente”
 



La convivenza tra me e Kaname andava a gonfie vele, avevamo deciso un poco il da farsi, ma senza restrizione di nessun tipo. Lui viveva la sua vita io la mia, beh lui cercava qualcosa di più ed io ci andavo con i piedi di piombo.
Ero uscita con Crystal ad ordinare il riso, quando mi fermai di fronte ad una insegna “Autoscuola”. Mi ricordai di quella promessa che mi ero fatta a settembre, ma poi le cose erano degenerate e avevo perso il filo della mia vita. La mia amica mi guardò con attenzione, ma fui io a fare il primo passo. Avevo bisogno di essere autonoma, lo ero. Ma mi serviva un mezzo per spostarmi con comodità. Decisi il da farsi in quell’istante, i nuovi corsi erano appena iniziati, era un ottima occasione. Firmai i vari documenti e mi chiesero di portare due foto e la marca da bollo. Risi appena uscii dall’edificio, ero felice di aver dato una smossa alla mia vita, era proprio il momento di approfittarsene. Quando arrivai a casa non c’era nessuno, Kaname ancora non era ritornato, mi misi subito a preparare qualcosa, anche perché sarebbe cominciata la mia serie preferita tra qualche momento. La serata si concluse normalmente, lui che si allontanava verso il suo studio ed io seduta comodamente sul divano.
-Buongiorno, mattiniera oggi? –Mi chiese il mio ragazzo appena scese le scale. Ero intenta a gustarmi il mio cappuccino con i biscotti, mentre tra un boccone e una sorsata alzai la testa per guardarlo. Era sempre impeccabile con i completi abbinati, stavolta ne indossava uno grigio topo e una cravatta blu per spezzare un poco. Me lo ritrovai sotto il naso e per poco non cadi dallo sgabello se non fosse stato per lui, che mi aveva afferrato al volo.
-Pensi troppo! –Mi sussurrò vicinissimo. Cercai di non tremare a quella sua vicinanza, ma il cuore era già partito per la maratona di New York.
-Non stavo pensando! –Lo ammonii, ma era palese che lo fosse. Lui mi guardò con attenzione, con quegli occhi che mi mettevano soggezione, e un secondo dopo rise. Si allontanò da me e si verso una tazza di caffè. La macchinetta si era messa in funzione alle sette e mezzo in punto, l’odore forte di quell’infuso mi aveva investito appena ero uscita dalla mia stanza.
-Devi andare da qualche parte? –Domandò, con la tazza vicino alle labbra. Beveva e mi fissava.
-Devo sbrigare delle cose. Ieri mi sono iscritta a scuola guida. –Annunciai, alzandomi e poggiando la tazza nel lavello.
-Capisco. Hai bisogno di uno strappo, devo passare da una parte prima. –Disse, annuii e scappai sopra per mettermi il cappotto.
C’eravamo stati esattamente quindici minuti prima che potessi dire di essere arrivata, il traffico del primo mattino era intenso, tutto per la scuola. Aprii lo sportello, ma lui mi tirò verso di lui.
-Stai attenta e apri gli occhi! –Affermò calmo.
-Sono sempre attenta, non ti preoccupare. –Dissi.
-Lo so. Ma siamo in un mondo di pazzi e la prudenza è una virtù. Ci vediamo stasera a casa. –Detto questo mi baciò sull’angolo della bocca e mi lasciò andare. Alle volte era davvero strano, ma mi piacevano le sue gesta, ero diventata tutta rossa.
La mattinata passò a sbrigare le cose per la scuola e quando ritornai a casa ero distrutta. Mi buttai a peso morto sul divano e mi addormentai ancora indosso il giubbotto.
Mi risvegliai verso le cinque e mezzo e mi accorsi che ormai era calata la sera, accesi la luce della cucina e mi preparai del tè, intanto mi ero andata a cambiare. Mi chiedevo come facesse a vivere in luoghi così spaziosi, di sicuro non aveva problemi di finanze. Ma ciò che mi tormentava di più era: non si sentiva solo?
I pensieri si arrovellarono per tutto il pomeriggio, i termosifoni si erano accesi alle sette e fu in quel momento che avvertii delle vibrazioni da sotto il pavimento. Tesi le orecchie e mi fermai. Forse mi ero sbagliata, ma un attimo dopo di nuovo. Oh Dio! Il terremoto?! Non riuscii più a far nulla, la tazza si era spostata un poco, presi il telefono e mi giunse subito due messaggi da Crystal e da Luca, loro confermavano l’evento. Il panico iniziò a defluirmi nelle vene, tremavo tutta, mi guardavo spaesata alla ricerca di qualche conforto, ma ero sola.
-Stai calma Jessica. Prendi il telefono e controlla! –Dissi. Il telefono sembrava che non volesse collaborare, ci misi più di un minuto per entrare su Facebook e infatti anche lì annunciava l’evento sismico, che per fortuna non aveva creato problemi gravi solo lo spavento. Furono due ore pazzesche, non sapevo che fare se fuggire fuori o rimanere in casa, alla fine rimasi. I miei amici cercarono di farmi stare tranquilla che era del tutto normale, ma ero in stato di choc. Le scosse non si avvertirono più, ma stavo sempre in allerta. Anche dopo l’arrivo di Kaname ero tesa, il ragazzo aveva appreso la notizia, mi aveva abbracciato e poi si era messo di nuovo a lavorare. L’orologio segnava le 23:50 ed io non riuscivo a chiudere gli occhi, me ne stavo sul divano con il plaid addosso e lo sguardo incollato al televisore spento. Tremavo tutta e non era dovuto al freddo. Il corpo era stato tutto il tempo in tensione e richiedeva del relax ma non ci riuscivo.
-Ehi. –
Saltai in aria e mi voltai verso chi mi aveva chiamato.
-Che cosa ci fai ancora in piedi? Credevo che dormissi. –Spiegò mentre si avvicinava a me.
-Ho paura. –Confessai.
-Capisco. Dai vieni. – Disse. All’inizio non capii bene le sue intenzioni, ma poi mi prese dal polso e mi fece alzare e condurmi al piano di sopra, credevo che mi avrebbe lasciato in camera e avevo tutta l’intenzione di comunicargli che volevo rimanere con lui, ma mi sorprese.
Mi portò in camera sua, la luce sul comodino era accesa, e mi fece sedere sul letto.
-Dormirai con me, così se succede di nuovo non sarai sola. Guarda hai tutti i muscoli tesi e questo non ti fa bene. – Il suo dito passò sopra le spalle e mi provocò un brivido di freddo, ma subito sostituito da un calore che proveniva da dentro di me. Mi tolse la coperta che avevo e mi fece distendere sul letto. Mi sentivo fuori posto, non era la prima volta che dormivamo insieme, ma era sempre qualcosa che non avevo mai fatto.
-Non ti mangio. –Affermò e in un attimo mi ritrovai con la schiena appoggiata al suo petto. Il suo profumo mi invase tutta e mi sentii drogata –ti proteggerò io stanotte. – Baciandomi la testa.
Lui era sprofondato nel sonno, mentre io avevo gli occhi aperti per la paura che potesse succedere qualcosa, ogni tanto guardavo il telefono per avere degli aggiornamenti, ma non ce ne erano state più scosse per fortuna. Il suo respiro mi solleticava la testa, era strano che mi sentissi bene. Mi girai e mi ritrovai il suo viso a due passi, era davvero bello ed io per una volta tanto mi sentivo felice. Forse era davvero vero che tutto ciò che avevo dato ritornava al mittente e non parlavo di cose brutte una volta tanto. Lo abbracciai per aver modo di essere più vicina e mi lasciai andare.
 
Ω∞Ω
 
Un dolce tepore mi circondava dal petto in giù. Aprii un occhio e mi ritrovai un groviglio di capelli sparpagliati sul mio cuscino. La cosa mi sembrò subito strana. Cercai di mettere in moto le braccia, ma mi scontrai con un altro corpo più piccolo, che stava dormendo su di me. Sorrisi senza pensare, si era avviluppata su di me, forse senza rendersene conto. Allontanai i capelli e le scoprii il volto; aveva due guance rosse e il respiro leggero, le sue mani erano sul mio petto, ma una più vicino al cuore. Mi veniva voglia di baciarla, di ricoprirla tutta delle mie attenzioni. Spostai il braccio e la circondai e annusai il suo buon odore. Non era profumo, no, ma qualcosa che rappresentava lei. Grande ma nello stesso tempo piccola nella sua semplicità. Ieri quando l’avevo trovata sul divano sembrava smarrita, mi era venuto automatico farla avvicinare a me.
La fissai fino a che iniziò a muoversi, segno che si stava per svegliare. Purtroppo i mie pensieri furono interrotti dalla sua mano che era scesa più in basso a sfiorare il mio amico che si era messo subito in funzione. Lei risvegliava sogni proibiti, non se ne rendeva conto, ma dovevo lottare contro me stesso per non approfittarne.  Respirai e cercai di pensare altro, ma la mano ritornò su e lo sfiorò. Sospirai alludendo a un brivido di freddo, ma quello era di piacere.
Quando aprii gli occhi sembrava confusa nello stesso istante in perfetta forma, come se sapesse dove si trovasse.
-Buongiorno. –Sussurrò piano, regalandomi un sorriso. Si allontanò un poco da me, ma si scontrò con le mie braccia che la tenevano stretta.
-Giorno anche a te, piccola. –Dissi. Quel nomignolo le provocavano quel tipico rossore che tanto mi piaceva, iniziò a farfugliare mille parole senza senso e fu allora che le tappai la bocca con la mia. Ci guardammo negli occhi per attimi senza far nulla, solo pelle contro pelle che si riscaldava per quel contatto intimo. Poi pian piano chiuse gli occhi e potei procedere, la feci distendere e mi misi a carponi sopra di lei. Le sfiorai il collo con le dita e poi le orecchie, mentre il bacio si intensificava. Avvertivo i suoi brividi che diventavano i miei e volli fare un passo in più. Andai giù con la mano, scoprendo un lembo di pelle, che vibrò quando ci passai, le sospirò ma non si scostò.
Mi sentivo realizzato non si era scostata, stavamo migliorando. Il bacio terminò con lo squillo del mio telefono che per un attimo volli lasciarlo dentro il cassetto.
-Rispondi. –Disse lei con il fiatone, con quegli occhi lucidi dal desiderio mancato. Rimasi a fissarla, mentre la mano cercavo quello stupido aggeggio.
-Pronto. –Risposi senza vedere chi fosse.
Intanto che parlavo la vedevo spostarsi e infine alzarsi, chiusi la chiamata in quell’istante.
-Stai fuggendo da me? –Affermai sorridendo.
-No. Vado solo a rifornire il mio stomaco. –Blaterò, era palese che stesse fuggendo.
Accidenti!
Diedi un pugno sulle coperte e mi dannai. Come era possibile che ogni volta succedeva qualcosa che distruggeva l’atmosfera? Tolsi le coperte e la raggiunsi, ma prima mi vestii. Quando arrivai in cucina lei aveva già preparato la colazione, con due tazze di cappuccino sul bancone e dei biscotti. Mi sedetti accanto a lei, accorgendomi del brivido che le passò appena il mio braccio aveva sfiorato il suo, era incantevole. La vedevo concentrata a mangiare, come se il suo punto fisso fosse il latte, ma sapevo che era solo una scusa per non guardarmi. Rimasi in silenzio per un lungo istante, fino a che azzardai una domanda.
-Che cosa farai oggi? Rimarrai a casa? –Domandai, voltando il viso verso di lei.
-Si. –Disse velocemente, sparecchiando il suo lato. Quando si comportava in quella maniera mi veniva voglia di afferrarla e sbatterla al muro. Volevo il suo sguardo puntato sul mio, volevo il suo corpo in contatto con il mio. Avevo un urgente voglia di averla, anima e corpo.
Tuttavia la lasciai andare, si allontanò verso la lavanderia e non la vidi per un poco. Finito anch’io di mangiare, misi le due tazze nella lavastoviglie e mi recai nel mio studio, purtroppo la testa era da un'altra parte e non mi permise di concentrami.
Ritornai in cucina e la trovai che trafficava in dispensa, aveva tra le mani farina, zucchero e il lievito. Alzai il sopracciglio sinistro e mi sedetti sullo sgabello di fronte a lei.
La vidi prendere la bilancia, il cucchiaio, le fruste elettriche e infine lo yogurt dal frigo. Aveva tutti gli altri ingredienti sul bancone.
-Che cosa prepari? –Le domandai curioso. Di sicuro era una torta ma quale?
-Un dolce. Ho bisogno di zuccheri. –Disse di fretta, mentre pesava gli ingredienti. Prima le uova e lo zucchero, poi farina, lievito e l’olio e infine lo yogurt.
-Mi dai una mano? –Acconsentii e mi diede delle mele, in cui le dovevo sbucciarle e tagliarle a fette mentre lei le altre le riduceva a quadretti.
-La fai spesso? –Chiesi.
-Quando ero a casa si, mio padre se la mangiava tutta di un fiato, poiché risulta molto morbida e le mele la rendono umida. –Spiegò con il sorriso sulle labbra.
-Allora non vedo l’ora di provarla. Magari accompagnata da un buon te. –Affermai.
-Sicuramente. –Rispose lei. Finita la procedura prese i quadretti e li misi dentro l’impasto e poi mi chiamò. Le presi la teglia in cui c’era la carta da forno e mi chiese di disporre le fette circolarmente sull’impasto.
-Guarda devi fare così, è semplice. –L’ascoltavo e con le mani iniziavo a comporre il mio operato, non mi ero mai messo a fare un dolce, ma visto che ne ero capace e sembrava facile, la prossima volta l’avrei sorpresa. Infine aggiungemmo lo zucchero di canna e informammo.
Il timer era messo a trenta minuti, nel frattempo lei stava sciacquando gli utensili e ponendoli dentro la lavastoviglie, quando finì fissò il forno, ma ancora era presto.
Lei se ne stava dietro il bancone a fissare il nulla ed io seduto sul divano a guardare la tv, ma non c’era nulla d’interessante serviva solo per non farmi sentire un estraneo in casa mia.
All’improvviso sentii una mano sfiorarmi le spalle e alzai gli occhi per scontrami con uno sguardo diverso, travolgente che mi fece pronunciare qualche sillaba sconnessa, prima che me li bloccassero.
Non capii bene che cosa successe, ma sentii un fuoco divampare nelle vene che mi spense del tutto e mi riaccese con impeto. Me la trovai sulle gambe, mentre mi teneva dal bavero e mi baciava. Che cosa le era successo? Era la stessa ragazza che viveva sotto il mio stesso tetto? O un'altra? Tuttavia non la respinsi. I nostri corpi erano vicinissimi, avvertivo chiaramente il suo cuore battere forte, la sua presa ferrea come se avesse paura che potessi scappare. Le diedi conferma della mia approvazione circondando i suoi fianchi con le mie mani e fu allora che allentò la presa, non mi fermai nemmeno per un secondo e mi approfittai di quella sua passione per esplorarle la bocca, giocando con la sua lingua e con le sue terminazioni. Rabbrividiva ad ogni cambio di gioco e sorrisi a quella sua determinazione, anche se non capivo come eravamo arrivati a quel punto.
-Non pensare …-Bisbigliò lei, quando si staccò da me per prendere fiato. Aveva le labbra rosse e il respiro affannato, in quell’istante mi sembrava una dea di come fosse bella.
-Non penserò. –Le risposi afferrandole e facendola stendere sotto di me. I nostri corpi sembravano combaciare perfettamente, la mia gamba che strofinava sulla sua, le mie mani che cercavano di prendere confidenza con il suo corpo e smanioso di toccarla. Le nostre labbra che si divoravano in un modo così folle che per un attimo mi sollevai e la guardai. Dentro a quegli occhi brillava una luce di pura malizia che mi costrinse a pensare che non avesse assunto droghe nell’essere tra le mie braccia, lei non era così, pudica sì, ma non in quel modo.
Lei come se mi avesse letto nel pensiero mi rivelò una parte di sé. –Non ho mai mostrato mai a nessuno questo lato del mio carattere, ma non sono così pudica di come pensi. –Quelle parole mi sorpresero. Allora la mia visione su di lei era del tutta sbagliata, l’avevo sempre immaginata come una ragazza romantica, in cerca di attenzioni e di gentilezza, mai a fare la prima mossa, ma adesso, in quel preciso momento capivo la diversità.
Era come me. Mi ero mostrato come uno stronzo, ma poi a stare con lei il mio carattere era cambiato in meglio, la trattavo come una regina.
-Gli opposti si attraggono, no? –Le dissi, mentre le sfioravo con il palmo della mano il ventre. Lei chiuse gli occhi, ma la richiamai per farmi vedere quegli occhi lucidi.
Continuai con quel gioco fino ad arrivare sotto il seno. Lei non mi aveva fermato e con tutte e due mani alzai il maglione chiaro e la scoprii rivelando la sua bellezza. I seni prosperosi che cercavano di uscire dalle coppe del reggiseno, i suoi muscoli che valorizzavano le braccia.
Tuttavia a quello che mi aveva detto lei, non tutto era sparito, quel rossore che avevo scoperto di amare era rimasto lì, su quelle guance infiammate da quell’atto che stava per compiersi. Abbassai il viso per sfiorare la sua pelle e l’annusai. Poi pian piano la sfiorai con la lingua facendola smuovere tutta, ma la bloccai e mi fermai proprio sotto la cucitura del reggiseno. Lei era palesemente pronta, la vedevo, l’avvertivo. Il fuoco mi era divampato nelle vene e mi mandava concrete risposte sul da farsi, ma io la volevo con calma. Ritornai sulle sue labbra l’assaggiai con lentezza, mentre le mie mani le scostava le bretelle e infine le sfiorai i capezzoli che si erano induriti per l’eccitazione, ad ogni tocco lei sospirava mandandomi in paradiso. Come era possibile che avvertissi tutte quelle sensazioni che non erano mie? Era come se il mio corpo assorbisse le sue emozioni, mi sentivo elettrizzato come un bambino, più scendevo e più mi sentivo accaldato. Le sfiorai le cosce e lei ritornò dal suo mondo, guardandomi con due occhi spaventati, colpevoli.
-Shhh. Stai tranquilla. –Le sussurrai, ritornando a sfiorarle il viso. Ma non era valso a niente e le mie attenzioni, era terrorizzata.
-Piccola che cosa succede? –Le dissi sorridendole.
-Mi dispiace Kaname ma io…-
-Dai non c’è nulla da piangere, non è successo nulla di grave. Forse sono stato io a pretendere troppo. –Cercai di dire per farla calmarla, intanto i suoi occhi si erano riempiti di lacrime a vederle mi sentii uno stronzo.
-E’ colpa mia. Io. È così dannatamente difficile dirlo, accidenti! –Si arrabbiò con se stessa.
-Su, calmati. Ci saranno altre occasioni. –Le promisi, ma il suo sguardo era …non sapevo neppure descriverlo. Era privo di quel bagliore, senza quella luce che prima brillava al suo interno. Quel segreto che si teneva la mandava nel pallone e la chiudeva in un guscio.
-Jessy mi piace un sacco quel modo di predatore che hai sfoderato poco fa. –Parlai avendo tutta sua attenzione e facendola arrossire. –Mi avevi sotto controllo. –Le bisbigliai all’orecchio facendole alzare ancor di più la temperatura. –Baciami. –Le dissi. Il mio cervello si era messo in moto da solo, la rivolevo di nuovo accanto, i nostri respiri uniti…la vidi avvicinarsi a me, timidamente, cercando di aggiustarsi il reggiseno ma non m’importava. Si sedette sulle mie gambe aprendole e ritrovarsi ad un passo da me, le sue mani appoggiate sul mio torace, anche se dopo una si avvicinò al mio viso. I miei occhi non smettevano di fissarla, la volevo dentro i miei, ma lei sembrava assorta nei suoi pensieri. Il bacio arrivò con calma, umido, calcolato per poi staccarsi. Passò il polpastrello su essi per poi avvicinarsi ancora una volta.
Tocchi alternati, piccoli. Quelle piccole sensazioni mi stavano snervando, volevo un contatto completo, ma lei mi spiazzò nuovamente. Con la punta della lingua seguii tutta la linea che circondava le mie labbra, sorrise come una bambina. Ritornò più decisa e finalmente intrecciai la mia lingua con la sua, persi il conto delle sensazioni che mi cadevano sopra, ma lei mi spezzava ripetutamente, ma poi mi legava per sempre. Continuammo con quel gioco per un poco, per poi vederla allentarsi dal mio viso e scendere verso il mio corpo. Il corpo era diventato tutto mollo per l’eccitazione che mi era montata sopra, ma non la lasciai andar via. Sentii chiaramente i suoi baci umidi sulle vene del collo, spostarsi sempre più a le centro fino ad afferrare il pomo di Adamo e succhiarlo con una lussuria che mi fece irrigidire l’erezione che si era scatenata per tutto quel tempo. Sembrava che non si rendesse conto della mia situazione, quello sguardo di poco prima mi bloccò il respiro in gola, vedendo la sua mano che prendeva la mia per portarsela vicino alla bocca. Sfiorò l’indice con la lingua e fu quella la scintilla che mi provocò il boom. Non ci pensai due volte a portarla sotto di me, baciandola con un impeto travolgente, scostando quel fastidioso indumento che la copriva il sopra, mi liberai della maglietta e quando i nostri petti si toccarono una scarica di adrenalina ci colpì appieno, avvertivo il movimento del suo bacino verso il mio e con una mano mi intrufolai dentro i pantaloni e le sfiorai l’interno della coscia, avendo la sua approvazione, ero pronto per esplodere, la sua pelle era caldissima e toccare il fulcro di tutto il suo piacere mi portò all’ebollizione istantanea. La svestii lasciandole solo l’intimo. Il mio gonfiore si notava fin troppo, ma non mi persi la sua impressione per quello, la bacia e cercai di fare del mio meglio per non spaventarla.
-Kaname io…-Iniziò a balbettare.
-Cercherò di far più piano possibile. –Pronunciai, sfiorandole la spalla per calmarla.
-Non è questo e che io…-sembrava che non volesse smuoversi, ero diventato impaziente.
-Che c’è?! –Urlai con poco calma, il membro mi faceva troppo male e avevo bisogno di rilassarlo, forse ero sembrato poco educato, ma adesso l’educazione andava a farsi benedire.
-Io n…-
Il campanello suonò e rimanemmo fermi come due statue. Il suo respiro era accelerato, il mio altrettanto.
-Chi diavolo è che rompe le scatole! –Tuonò lei con furia. Era palese che avesse ucciso chiunque in quel momento, sconcertato da quel suo cambio d’umore, lasciai perdere quegli ospiti non graditi e la baciai, dove la trovai a mia disposizione, ma colore che si trovava dietro la porta non erano dello stesso avviso. In quello stesso tempo suonò anche il suo telefono ed era Luca.
Lei chiuse gli occhi.
-Forse è meglio che ci alziamo. –Le dissi. Non mi rispose non fece nulla.
Mi vestii anche se i pantaloni mi andavano stretti, lei nel frattempo era sparita dalla mia visuale, mancava poco, ma forse non era arrivato il momento giusto.
Aprii con nervosismo la porta e mi ritrovai Luca, Simon e Happy sul guscio della porta.
-Finalmente credevo che dovessi sfondarla. –Disse burbero. Lo lasciai perdere, poiché se mi ci mettevo avrei provocato un putiferio, perché lei era convinta sul da farsi, lo avremo fatto sul quel divano se quelli là non avrebbero rotto le uova nel paniere. Li feci accomodare e poco dopo ritornò lei. Si era cambiata e portava i capelli legati, come se sentisse caldo. Aveva lo sguardo basso e offuscato da qualche pensiero negativo; il mio primo pensiero fu quello di abbracciarla, ma mi fermai quando la trovai combattere contro Luca, che pretendeva di stringerla a se.
-Luca smettila, non vedi che la stai mettendo a disagio? –Lo richiamò Simon con il fare annoiato.
-Tu stai zitto pasticcino. Voglio abbracciarla! –Esclamò lui. Quel modo di volerla mi mise in allarme, il mio sguardo divenne più scuro e non prometteva nulla di positivo, mi avvicinai di soppiatto e li separai, ricevendo un occhiata da lei che cercò per un attimo la mia mano, ma divise da quell’idiota.
-V’immagino duellare per avere questa bellissima fanciulla, se non fosse che lui è mio! –Disse Simon tirandosi Luca e togliendolo dalle scatole.
Le posai le mani sulle spalle e lei rabbrividì ma lo presi come segno positivo, per poi spostarsi verso il forno e tirare quel dolce che aveva un profumo buonissimo. Tutti la guardammo tagliare la torta e predisporla su dei piattini, intanto il bollitore si era spento. Le mele sembravano caramellate e lo zucchero aveva fatto quella crosticina deliziosa, il tè verde si sposava perfettamente alla torta.
-Come mai qui? –Chiesi all’improvviso.
-Luca era preoccupato per il “suo angelo” –Disse Simon, mentre si gustava un’altra fetta di torta.
-Non c’era nulla di preoccuparsi, ero con lei. –Confermai guardandola, ma lei non era con noi in quell’istante.
-Terra chiama Jessica. – La richiamò quest’ultimo, ma lei sembrava davvero persa tra i suoi pensieri, forse stava rivivendo quelle emozioni di poco fa?
-Scusatemi. – Disse piano, posando la forchetta e allontanandosi. Luca la voleva raggiungere, ma mi apprestai a fermarlo e dicendogli di aspettare. Li lasciai e mi diressi verso il piano superiore, la porta del bagno era aperta e lei aveva lo sguardo sull’acqua che scorreva.
-Stai bene? –Le dissi, facendola spaventare.
-Kaname! –Squittì, ponendo la mano sul cuore per lo spavento.
-Tutto bene? –Domandai, lei abbassò la testa mortificata, mentre si mordicchiava il labbro inferiore.
-E’ palese che è un no. È per quello che è successo poco fa? –Non mi rispose. Allungai il braccio e le prese il viso con la mano –parlami, non posso entrare nella tua testa. –Pronunciai.
Niente di niente. Le sue labbra erano sigillate.
-Hai paura di me? Temi che quel segreto potrebbe influenzare sul nostro rapporto? Parlami per favore. –
-Io…non ci riesco. –Ed un attimo me la ritrovai in ginocchio che piangeva. Sussurrando parole spezzate, senza un senso logico. M’inginocchiai anch’io per portarmela vicino, ma lei si scostò.
-Non merito nulla! –
-Adesso basta, dimmi che cosa ti fa soffrire in questa maniera. Non posso vedere la ragazza che amo in queste condizioni! –Le confessai, lei sbarrò gli occhi.
-Mi ami? –Domandò balbettando.
-Si. Ti amo Jessica. Non te lo volevo rivelare in questo modo, ma ormai è fatta. –Mi aprii a lei, misi i miei sentimenti a nudo.
-Ma io non ho nulla da donarti. –Se ne uscii.
Risi. –Hai molto da donarmi e solo che tu non lo capisci, e non parlo solo del tuo splendido corpo, ma ciò che custodisci qui. –Le toccai il cuore.
-Kaname ma io…-
-Non m’importa. Voglio viverti e non rimpiangere nulla. Ti prego non allontanarti. –Le dissi con il cuore in mano, mentre me la portavo tra le mie braccia.
-E’ proprio arrivato il momento alla fine. –Una lacrima le scese giù dagli occhi e la presi con l’indice.
-Amami Kaname. Fammi provare quelle sensazioni di poco fa, che mi stavano dilatando dentro.  –Mi confessò seria, trepidante.
-Jessy, piccola mia. – La feci alzare e poi la spinsi verso il lavandino.
-Kaname…-sospirò.
-Lo so che mi stai desiderando in questo momento…- la feci girare e ci fissiamo allo specchio. Una mia mano si intrufolò sotto il maglione per toccarle il seno e scoprii che era libero da ogni restrizione, mentre l’altra si intrufolò in basso.
-Allarga le gambe. –Lei lo fece con un poco di esitazione, ma si lasciò guidare da me. Avvertii i suoi muscoli contrarsi con la mia entrata e –muovi il bacino. –Era molto eccitata e mi compiacque, era mia la causa.
La sentii gemere e afferrarsi al marmo per tenersi, mentre mi sentivo esterrefatto da quella dolce e forte ragazza che mi stava mandando alla deriva.
-Kaname…io…voglio anche te. –balbettò tra un sospiro e l’altro, ma proprio in quel momento la voce di Luca si fece sentire, eravamo intrappolati in un gioco proibito, lei divenne più rossa che mai, consapevole che ci potevano trovare in quella situazione, per giunta la porta del bagno era aperta.
-Tutto bene li su? Avete bisogno di una mano? –Urlò Luca.
Sentii chiaramente il rumore dei passi e la corsa folle del cuore della mia donna, non avevo nessuna intenzione di levare la mano da quel nido, ma la situazione stava diventando critica.
-Luca vieni qua. Kaname noi leviamo il disturbo! –Disse la voce di Simon richiamando anche il cane.
-Ma perché? –Rispose Luca.
-Non vedi che siamo poco graditi in questo momento? testa di rapa, sei più cieco di quanto immaginassi. –
-Ma non capisco. –
-Te lo spiego dopo, andiamo. –Quando la porta si chiuse e la casa ritornò in silenzio fissai lo specchio.
Lei era ancora lì con la schiena rigida e lo sguardo a terra.
-Guardami. –
-E’ così imbarazzante. –Sussurrò lei.
-Io non vedo nulla di così imbarazzante, vieni. –La liberai e la condussi verso la mia camera. –Non avere paura di me e nemmeno di te stessa. – La fece sedere e altrettanto la copia.
La baciai dapprima sulla fronte e poi scesi sul naso, guancia e infine le labbra. Aspettai che si rilassasse e continuai dove avevo lasciato, lei mi lasciò campo libero e pian piano la sua mano si posizionò sotto il cavallo dei pantaloni, l’audacia di poco prima aveva lasciato la sua timidezza, ma non la feci pesare, mi andava bene così. Pochi minuti dopo ci ritrovammo entrambi con il fiatone e la consapevolezza di andare in fondo a quella situazione. Il tempo sembrava che non finisse mai, di quel momento rimase impresso nella mia memoria. Le nostre mani che si muovevano all’unisono, i nostri bacini carichi di passione. Il piacere che colava sulle nostre mani, il suo sorriso per quella piccola vittoria ed io pronto a farla esplodere. In fine ci addormentammo consapevoli di ciò che avevamo condiviso.
L’amavo e sarebbe continuato ancora fino a che avrei avuto respiro. Vederla stringere a me per avere più calore mi fece star bene, volevo molto di più da lei, ma con il tempo.
 
 
∞Ω∞
 
Mancava dieci minuti allo scadere del tempo, non riuscivo più ad ascoltare l’istruttore. Quelle maledette sedie mi tiravano i capelli e ogni volta dovevo soffocare un grido per trattenermi, l’aula era condensa di odori e quasi mi nauseavano, ma mancava poco. Avevo voglia di prendere un lungo respiro appena uscita da quell’inferno. Il mio cervello stava cercando di non collassare, l’unica cosa che mi ripetevo era “non chiudere gli occhi”, sì, perché di motori non ne capivo un fico secco. Impianto idraulico, scoppio, ma che cosa erano? Già era assai che mi memorizzavo i vari limiti massimi di ogni veicolo. La mia memoria era messa a dura prova. Chiusi un attimo gli occhi e fu allora che mi arrivò uno squillo, ma sotto forma di vibrazione. Saltai in aria, ma per fortuna nessuno se ne era accorto e notai che il mio salvatore mi aveva tirato nuovamente fuori dai guai.
A fine lezione ci salutammo e via. Lo trovai dentro la macchina concentrato sul navigatore, aprii la portiera e lo salutai.
-Così si saluta? –Disse lui alzando il viso dallo schermo.
-Oh, scusami. –Mi avvicinai a lui per poi prendere il suo viso e dargli un bacio sulla guancia. Lui sembrava contrariato ma gli feci una pernacchia e ritornai al mio posto.
-Capisco. Allora com’è andata? –
-Una noia mortale, metà aula dormiva con gli occhi aperti. Finalmente abbiamo finito il libro. –Sentenziai, mettendo le mani dentro la borsa e cercando il telefonino che si era disperso.
 
-Presumo che tu eri una di quelle addormentate. – Mormorò mettendo in moto. Ci avviammo per poi prendere un’altra strada, prima che glielo domandasse mi anticipò. –Stiamo andando da Luca e Simon. –
-Perché? –
-Luca aveva voglia di vederti e poi mi ha detto che doveva chiederti una cosa importante. –Terminò, mettendo la seconda di marcia.
Non fiatai più e iniziai a pensare a questa cosa importante, ma non mi veniva nulla in testa. Durante il tragitto mi appisolai e fu il modo in cui Kaname mi risvegliò a farmi scorrere certi brividi lungo la schiena a farmi drizzare tutta.
Da quella volta non avevamo fatto più nulla, beh io ero stata sempre impegnata e lui altrettanto. Ma ogni volta che lo fissavo nella mia mente si focalizzava i nostri corpi mezzi svestiti ed io alla presa con il suo grande corpo, lui che mi accarezzava in quei punti segreti, lui che curava ogni mossa e mi baciava da Dio; al confronto mi sentivo una principiante. Lo avevo portato al piacere con lo sfregamento della mano.
-A che cosa pensi? –Domandò all’improvviso lui prendendomi di soppiatto. Avvampai e iniziai a dire parole sconnesse e poi aprire la portiera, era troppo imbarazzante discutere adesso.
-Ti ho capito, ormai ti conosco, soprattutto quello sguardo. –Disse vicino al mio orecchio, mi cinse la vita e sfiorò con il suo naso l’orecchio sinistro. La pelle divenne caldissima e rabbrividii a quella sua reazione.
-Ti prego non qui. –Balbettai.
-Va bene. –Detto questo ci apprestammo a suonare il campanello e dopo poco Simon ci aprì. Mentre salivo le scale mi sentivo talmente il colpa per i miei pensieri, no perché erano sbagliati o per qualunque ragione, perché lo avevo deluso. Lo leggevo nei suoi occhi che lui preferiva un rapporto completo quella volta, ma si era dovuto accontentare di un quarto.
Che stupida!
Vidi Kaname varcare per primo l’appartamento dei nostri amici, sentire le voci di Luca e di Simon dargli il benvenuto e l’abbaiare di Happy mi fecero rinvenire. Non potevo demoralizzarmi in quel modo, ne avrei parlato direttamente con lui, tutto quel rimugino non mi faceva bene.
A cercarmi fu il cane che iniziò a venirmi contro e strofinarsi sulla mia gamba cercando la mia attenzione. Mi abbassai e lo coccolai e lo abbracciai con entusiasmo.
-Credevo che ti fossi persa. –Borbottò Luca con uno sguardo che la sapeva lunga, ma non ci feci caso.
-Benvenuta in casa nostra, tesoro. Tutto bene? –Disse Simon facendomi l’occhiolino.
-Tutto ok. –Mi sedetti sul divano e fissai l’ambiente. Ancora non c’ero stata in casa loro, quella di prima risultava piccola per loro tre e alla fine avevo scelto di cambiare, poi ora che Simon lavorava se lo potevano permettere.
Parlammo del più e del meno, finalmente riuscii a sciogliermi e conversare senza più timore, anche se il mio ragazzo era proprio di fronte a me, e più delle volte lo vedevo fissarmi senza un motivo.
-Avete cenato? –Chiesi all’improvviso il mio migliore amico. La risposta arrivò dal mio stomaco che iniziò a borbottare. –Presumo un no. Ordiniamo o prepariamo? –Domandò quest’ultimo.
-Se ordiniamo se ne parla tra due ore mangiare, meglio preparare. Cioccolatino io e Kaname vediamo cosa ce in cucina, mentre tu dirgli quella cosa. –Si alzò Simon complice con Luca. Da quando si erano dati quei nomignoli? –Non hai nulla incontrario, vero? –
-Certo che no. È in buone mani e poi cosa le potrei fare? Non mi interessa sessualmente, anche se un pensiero al suo corpo ce lo farei. –Rise Luca ma ritirò immediatamente l’ultima frase. Lo sguardo di Kaname non prometteva nulla di buono e per un attimo mi sembrò di scorgere dei brividi da parte del mio amico.
-Se prova a fare una cosa del genere ti ritrovi con dei gioielli in meno. –Dissi con voce glaciale e sdrammatizzare quella situazione.
-Ecco perché siete perfetti insieme, avete un temperamento quasi simile. –Rispose Simon fissando Luca che se la stava facendo sotto.
-Va bene, andiamo. –Acciuffai Luca dalla maglietta e lo tirai per sottrarsi allo sguardo furioso del mio ragazzo. Avevo di nuovo rivisto quel nero abissale che circondava le sue irride. Scrollai la testa e chiusi la porta.
Restammo in silenzio per un poco, poi sbuffai e diedi uno schiaffo a Luca per riprendersi.
-Ma che accidenti ti prende, scema! –Si lamentò, ma almeno si era ripreso.
-E’ da dieci minuti che te ne rimani a fissare il nulla. Decidi di parlare o me ne vado. –Affermai con le mani sui fianchi.
-Ok. Ok. Ma datti una calmata. Gli ormoni ti hanno dato alla testa? Finalmente hai goduto delle virtù del sesso amica mia. – Rispose sogghignando, ma non mi piacque quella risposta e lo mandai a quel paese, uscendo dalla porta.
-Dai angelo mio stavo scherzando! –Blaterò lui, ma non gli diedi ascolto, mi sedetti sul divano richiamando Happy e coccolandolo.
-Cioccolatino che hai combinato? –Domandò Simon sbucando da dietro angolo.
-Il tuo pasticcino fa domande del cavolo! –Risposi piccata.
-Eh eh. Che ci puoi fare se al posto della testa ha la zucca vuota? –Affermò asciugandosi le mani sullo strofinaccio che aveva sulla spalla. –Comunque la cena tra poco è pronta, apparecchiate la tavola. – Terminò.
Mi alzai scocciata per quella domanda imbarazzante e mi avvicinai alla tavola, Luca aveva preso la tovaglia e lo aiutai in silenzio. Il mio cervello stava scoppiando, da una parte volevo ucciderlo a parole e dall’altra prendere Kaname è sloggiare.
Il tavolo era pronto è mancavano solo i piatti, approfittai dell’assenza di quell’idiota ed uscii fuori nel balcone.  
Avevo una tale nervoso dentro che mi stava divorando, tentai di calmarmi ma era stato in vano. Non amavo quelle domande private, ero sempre stata una ragazza timida e quando uscivano cose del genere mi estraniavo da tutto. Non era stato facile condividere quel segreto con Kaname, ma lui mi aveva dato una spalla e condiviso il mio atto. Ricordavo perfettamente quella scena, noi due seduti sul suo letto, io che blateravo cose senza senso, lui che non capiva. Poi il suo abbraccio.
-Non cambierà nulla. Lo renderemo ancora più importante. –Aveva detto ed io ero scoppiata a piangere. Lo avevo stretto più forte che potevo.
 
Ero talmente immersa nei miei pensieri che non avvertii subito il calore di un altro corpo dietro di me, furono le sue mani che si appoggiarono sui miei fianchi a farmi rivenire.
-Che ci fai qui fuori? – Sussurrò.
-Cercavo di riprendere controllo di me. –Dissi sincera, premendo la mia schiena sul suo torace, sentire quel calore che mi rilassava e mi faceva star bene.
-Ha detto qualcosa che non hai gradito? – Domandò rivolgendosi a Luca, stringendomi ancor di più, il suo respiro smuoveva i miei capelli ma non lo scostai, lo volevo.
-Non mi va giù che gli altri sanno i nostri segreti, non lo sopporto. –Rivelai, girandomi e incontrando il suo viso a pochi centimetri da mio.
-Vale lo stesso per me. Quella frase non mi andava giù. Posso risultare molto geloso a ciò che amo. – Confessò volendo che lo baciassi, mentre faceva piccole pressioni con le mani sui fianchi.
-Siamo fatti della stessa pasta, non è vero? –Bisbigliai a pochi millimetri dalle sue labbra. Il vento si era rinforzato e avvertivo il rumore di un tuono all’orizzonte.
-Forse. –Rise lui per poi sfiorarmi lentamente il labbro superiore, rabbrividii di piacere a quel contatto, intimo, nostro.
Mi lasciai andare, ero in mano sicure. Il cervello si spense e il corpo lasciò campo libero. Le sue mani non andarono oltre a quella stretta, eravamo pur sempre fuori casa. Ci staccammo per mancanza di fiato, appena riaprii gli occhi i suoi erano di una luce strana, sembravano che brillassero.
-Meglio ritornare dentro, prima che le loro menti contorte se n’esce dell’altro. –Sorrise, dandomi un altro bacetto veloce. Mi prese per mano ed entrammo.
La cena fu tranquilla, non ci facevo caso alle occhiate di Luca o ai suoi brividi quando intercedeva con lo sguardo di Kaname, mi sarei goduta la vista. Dopo cena ci apprestammo a discutere su quel “importante”.
-Che ne dici? Manca due mesi al matrimonio e di sicuro lei non se lo aspetterà. Poi abbiamo le carte giuste per averli. –Borbottò Luca.
-Si, va bene. Ma ad una condizione. –
-Sarebbe? –Domandò il mio amico.
-Mi aiuterai. Non posso fare tutto io. Già sto pensando a troppe cose, Crystal mi ha dato fin troppi compiti e non sono riuscita a dirle di no. Tu, avrai il compito di avere le foto e poi mi aiuterai nel montaggio. Ho bisogno di una settimana o di più per montare un video decente. –
-Va bene. – Confermò –ah per gli scherzi? –Domandò.
-Già provveduto. –Risi maligna.
-A volte mi fai paura con quello sguardo. –Disse Luca.
Nessuno s’immaginava che cosa avrei combinato a quel matrimonio ed ero entusiasta.
 
 
 
Era passata una settimana tra lavoro e studio mi sentivo a pezzi. Com’era possibile che il cinque mi stesse perseguitando era un mistero. Kaname mi ripeteva che non ci dovevo pensare, che studiando con più attenzione ce l’avrei fatta, ma mi stavo demoralizzando.
Luca mi aveva portato tutte le foto possibili dei sposi, e a dirla tutta credevo d’impazzire. Non riuscivo più a vedere la luce… fu una di quelle mattine di sabato che entrambi eravamo a casa, che mi suonò il telefono.
-Pronto? –
-La signorina Jessica …- Era una voce cordiale e abituata a colloquiare con la gente.
-Si? –
-Chiamo per conto del Notaio… ha disposto un appuntamento per Lunedi nel suo studio alle 11. –Spiegò.
-Ma per cosa, scusi. –
-Non mi ha dato nessuna spiegazione, l’aspetto Lunedì a Palermo, arrivederci. –
La chiamata terminò così. Non sapevo di che cosa si trattasse e chi diavolo fosse quello, mi recai nello studio di Kaname e mi fermai sul guscio della porta. Lui alzò la testa sui vari fascicoli che stava controllando e mi rivolse un sorriso.
-Per caso hai mai sentito parlare del notaio…? –Gli chiesi.
-Perché di questa domanda? –
-Mi appena chiamato il suo segretario per un appuntamento Lunedi. Non capisco per quale motivo. –Spiegai avvicinandomi alla sua scrivania.
-Lunedì sono libero, possiamo andarci insieme. Così vediamo di capire la situazione. – Prendendomi la mano e portandosela alle labbra, -stai tranquilla non sarà nulla di grave. Di ciò che ho sentito è un notaio famoso è rispettato. –Mi aiutò a girare intorno alla scrivania e farmi sedere sulle sue gambe.
-Stai tranquilla. –
Come faceva a calmarmi con pochi gesti? Era per caso una camomilla ambulante? Lui riusciva a zittire tutti quei pensieri sconvenevoli. Forse avevo trovato veramente la mia anima gemella, o era solo una illusione?
 
Quel fine settimana era passato molto lentamente, avevo cercato in ogni maniera di non pensare a quell’appuntamento, ma non era andata a buon fine. Mi ero isolata da tutti, la mia testa non mi mollava nemmeno per un momento, che cosa voleva da me quella persona? Non sapevo dove sbattere la testa.
La domenica la passai al computer per montare il famoso video, Kaname mi aveva aiutato con la musica e le frasi. Era bello averlo accanto, ridevamo per le foto di Crystal da piccola, di meno per quelli di Federico in cui ritraeva accanto a Daniele, ogni volta che lo fissavo ritornavo a quel pomeriggio, a quella sua gelosia inutile.  L’uomo che avevo affianco lo aveva notato il mio turbamento nel vedere quegli occhi verdi, ma aveva preferito non chiedermi nulla, apprezzavo molto il suo silenzio.
La notte l’avevo praticamente passata in bianco, forse con la presenza di Kaname mi sarei calmata, ma avevo preferito di non dormire con lui…ero una stupida se pensavo a quello.
 
Era da mezz’ora che eravamo arrivati allo studio. Le pareti erano così neutri che mi davano un senso di nausea assurda. Le sedie era rigide e il pavimento di marmo. Guardai Kaname che era rilassato nella sua sedia accanto alla mia, mentre controllava il tablet. Chiusi gli occhi e feci dei lunghi respiri per calmarmi, tutto quello stress non mi faceva bene. Quando aprii gli occhi la porta scattò è un uomo calvo ci fece accomodare.
-Buongiorno signorina, lei? –Disse rivolgendosi a Kaname.
-Kaname Washi il suo ragazzo. –Si presentò, appoggiando la sua mano sulla spalla per darmi quell’appoggio invisibile. Il notaio ci guardò allungo per poi sedersi e parlare perché mi aveva invitato a presenziale a quell’appuntamento.
-Presumo che lei non sappia il motivo di questa visita. Sono stato contattato dalla mia cliente qualche mese fa è ho dovuto cambiare il testamento che lei stessa aveva accordato. – Disse per poi prendere un fascicolo dal cassetto posto dietro di se. Lo aprii e lo sfogliò per qualche secondo per poi fermarsi. Mi fissava in un modo così serio che ebbi paura.
-Mi scusi se la interrompo, chi sarebbe colei che mi ha …-iniziai a dire, ma mi fermai. Il notaio mi avvicinò due lettere.
-Prima che dica qualcosa, la prego di leggere questa. La mia cliente è stata categorica in questa decisione. –Finii per poi ritornare al suo posto. Così come consigliato dal signore che mi stava di fronte, aprii quella busta che sapeva di rose. Quel delicato profumo mi mise una tale ansia che mi iniziarono a tremare le mani.
-Stai tranquilla. –Mi sussurrò Kaname.
Annuii e inizia a leggerla.
 
Mia cara, di sicuro ti troverai confusa per questa mia missiva.
Ma ho avuto modo di riflettere molto in questi giorni.
La tua entrata nella mia vita è stata significativa e la porterò con me per sempre.
Bambina mia abbi la forza di superare le avversità con determinazione e astuzia. Dentro di te custodisci un potere che ti farà brillare e ti distinguerai dagli altri. Usa il tuo sorriso per cambiare questo mondo, non lasciare che questo mondo cambi il tuo sorriso.
Ti nomino unica erede del mio patrimonio, non rimpiangerò questa mia scelta, perché so che farai buon uso di ciò che ti sto donando.
Grazie.
 
Terminai con le lacrime agli occhi quelle poche righe, ma non capivo il motivo. Perché non dirmelo di presenza?
-Prego. –Il notaio mi allungò la scatola dei fazzoletti e ne presi alcuni per poi soffiarmi il naso e le lacrime.
-Che cosa significa? – Domandai con la voce rotta dal pianto.
-Come ha già spiegato la signora, le ha ereditato tutto il suo patrimonio e come è scritto anche qui, un edificio di un tot di metri quadri. Lei è l’unica a possedere il 100%. – Affermò leggendo il documento.
-E i suoi figli? –
-I figli hanno ereditato solo la parte di suo marito. –
-Non capisco, perché di questa scelta e perché non parlarmene personalmente. Aspetti le è successo qualcosa? – Dissi di getto, era da un poco che non la sentivo, in verità da prima di Natale. Un forte vuoto m’investì e iniziai a balbettare.
-Non può essere. –Dissi alzando la voce e alzandomi.
-Mi dispiace. –Confermò le mie ipotesi. Chiuse gli occhi come segno di lutto.
No. No! Lei era…
-Da quanto? –
-Prima dell’inizio delle feste natalizie. –
Le gambe non mi reggevano più, precipitai sulla sedia e fissai il pavimento. Perché non mi ero accorta di nulla.
Solo allora ricordai quella freddezza che avevo provato quella stessa sera, i miei singhiozzi, la paura. Lei mi aveva lasciato andare e finalmente si era ricongiunta al suo amato.
-Perché non mi ha detto nulla?  Perché mentirmi che andava dai figli per poi lasciarmi in questo modo? –Domandai.
-La signora Ella ha cambiato il suo testamento all’ultimo momento, voleva donare tutto in beneficenza. Ma poi mi disse che aveva conosciuto una ragazza dal cuore d’oro e che lei si meritava tutta la fortuna del mondo. –
Non mi vergognai per il pianto dirotto che mi scoppiò dopo quella confessione, perché dentro di me si era aperta nuovamente quella ferita. Cercai in tutti i modi di fermarmi, ma le lacrime non volevano cessare. Kaname era dovuto intervenire e fermare quelle parole, non riuscivo capire più nulla.
Al ritorno non parlai, gli occhi era gonfi per il troppo pianto e le labbra tremavano di continuo. La pelle bianca e fredda, come se fossi stata sotto la neve. Non m’importava di nessuno, nemmeno di chi mi stava accanto. Quando giunsi in camera mi buttai sul letto è sprofondai in un sonno senza sogni. Avevo bisogno di riprendere fiato.
 
 
I giorni erano passati, ma ero rimasta a quel Lunedi.
Kaname mi veniva spesso a trovarmi, bussando con discrezione e portandomi qualcosa da mangiare o qualche carezza. Era stata una sera che il cielo era colmo di fulmini e lampi che lo abbracciai stretto e mi sfogai; le lacrime si erano immischiati alle parole, alle grida, ma lui era rimasto al mio fianco.
-Sono le persone speciali che ci abbandonano prima di tutti, ma lei non ti avrebbe voluto in questo stato. Sorridi piccola, lei contava su di te. Non l’ho conosciuta, ma sicuramente era una persona che ha avuto tanto nella sua vita e averti incontrata l’ha resa completa, ecco perché ti ha lasciato, ma la porterai per sempre nel tuo cuore. –Aveva ragione lui, ma non riuscivo a non piangere. Mi sentivo talmente fragile che mai avevo provato una tale sensazione, nemmeno quando mi ero sbriciolata. Lei era stata una pioggia rinfrescante dopo l’inferno.
-Non dimenticarti delle persone che ti vogliono bene Jessica, anche se non ci senti, siamo accanto a te. Non sarai mai sola. –E sentii chiaramente il bacio sulla testa, ma anche una sonnolenza che mi fece rilassare e addormentarmi finalmente.
Quando la mattina mi svegliai mi ritrovai sul letto con le sue braccia intorno, non mi aveva lasciato, aveva mantenuto la promessa. In quella stessa notte la sognai, mi ritornarono le lacrime ma sta volta ero serena, perché lei mi aveva sorriso. Lei era felice e lo sarei stata anch’io.
Chiusi gli occhi e li riaprii convinta. Dovevo costruirmi una strada, lo avrei fatto per me stessa, per lei, per tutte le persone che avevano fiducia in me. Lei sarebbe stata fiera del mio operato.
-Buongiorno. –Gli occhi scuri del mio ragazzo mi svuotarono la mente. Lui era il ragazzo di cui mi ero innamorata, che pendevo dalle sue labbra, ma soprattutto colui che mi aveva protetto dal mio stesso dolore.
Mi avvicinai cauta più a lui e gli sfiorai la guancia, al tocco si percepiva la barba che stava ricrescendo.
-Grazie Kaname. – Lo baciai e mi spostai nuovamente avendo tutta la sua attenzione. –Grazie per ciò che mi hai donato.
-Grazie a te che esisti. –Rispose lui, sfiorandomi i capelli. –Questo sì ch’è un buongiorno! –Affermò abbracciandomi. Il suo profumo era mio, lui mi apparteneva.
-Ti amo. –Gli dissi talmente piano che non riuscii a capirlo.
-Che cosa hai detto? –Domandò.
-Ops! Non me lo ricordo più! –Risi, spostandomi più velocemente possibile da lui. Ma era veloce e mi prese e mi riportò accanto a se.
-Ridillo. L’hai detto troppo piano, non ho mica potere sovrumani. –
-La prossima volta. –Sorrisi, cercando di liberarmi da lui, ma mi teneva stretta, con i polsi bloccati sopra la mia testa.
-Se non collabori ti torturerò. –Mi minacciò e lo fece. Iniziò a farmi il solletico che mi fece male lo stomaco per troppe risa. –Allora? – Puntandomi i suoi occhi dentro i miei.
-Mio. –Dissi.
-Eh? Cosa? –
-Tu sei mio. –Notai la sua sorpresa e fu in quel momento che allentò la presa e riuscii a scappare.
-Aspetta Jessica che cosa vuoi dire? –Si srotolò le coperte per alzarsi e venirmi dietro.
-Oh per tutti i Kami! Allora è vero che gli uomini intelligenti si perdono in un bicchiere d’acqua! Usa la testa, Kaname. Sono sicura che riuscirai a trovare l’enigma. –Detto quello mi fiondai in bagno per lavarmi e poi vestirmi. Ero carica, come si diceva dopo il temporale spuntava il sole e io ne avrei approfittato al meglio.
Mezz’ora dopo ero pronta e mi apprestavo ad uscire da casa.
-Dove corri di fretta? –Domandò lui pronto per iniziare un’altra giornata lavorativa.
-Fuggo da te. –Avvicinandomi a lui, gli aggiustai la cravatta, mentre lui non si perdeva nessuna mia mossa.
-Non farlo, -rispose. Prendendomi il polso e portarlo vicino al suo cuore.
-Non ne ho più bisogno, adesso. –
Ci guardammo negli occhi senza dir più nulla, avevo un peso in meno, anche se non gli avevo rivelato quel segreto che custodivo, ci sarebbe stato il momento adatto anche per quello.
-Buona giornata, stai attento. –
-Anche tu. –
Ci dividemmo ma sapevamo che dopo ci saremo ricongiunti, sì, perché noi due eravamo speciali. Eravamo legati da uno strano filo rosso.
 
 
 
Quel mese fuggi talmente veloce che non mi resi conto che mancava poco al giorno del matrimonio della mia migliore amica. Lei era talmente agitata che non sapevo più che pesci prendere, ma alla fine c’ l’avevamo fatta, le doppie tazze di camomille l’avevano funzionato.
-Tks! Sono esausto. –Borbottò Luca, sedendosi di botto sul divano.
-A chi lo dici. Il più fortunato sembra Federico, ma non voglio sbilanciarmi troppo. Comunque tutto pronto per il grande giorno? –Domandai, sedendomi sulla sedia mentre riprendevo il cellulare in mano.
-Si. Mancano solo sette giorni. –Confermò il mio amico. Oramai tutto stava per finire, ma per lei tutto iniziava.
-Allora che cosa mi dici, angelo mio? So che stai lavorando a un nuovo progetto. Kaname non mi ha saputo dire molto, poiché nemmeno lui sa nulla. Ci vuoi tenere sulle spine tutti quanti? –Affermò serio.
-Esattamente. Non te la prendere, ma è importante per me. Voglio essere sicura di poterlo avviare per parlarne. Ma stai tranquillo sarai il primo a saperlo. –Gli dissi facendogli un occhiolino.
-E brava la mia bambina, finalmente sei cresciuta. Ti stimo tantissimo. –Disse abbracciandomi forte.
E sì. La vita continuava e io non mi sarei fatta più abbattere dalle raffiche di vento. Ero decisa a lottare per ciò che mi ero preparata da anni. Non avrei abbassato la testa, avrei camminato con fierezza.
Il mese era trascorso così velocemente che mi ero ritrovata con tante cose in mano che per alcuni giorni non ci avevo creduto. Come per esempio il mio successo per la patente, dopo le notti insonnie per l’ansia di riuscirci, alla fine i miei sforzi erano valsi la pena. La mia grande decisione stava dando i suoi frutti ma ancora era troppo presto. Lo avrei coltivato con amore e forse un giorno sarei stata soddisfatta. Chiusi gli occhi e cercai di svuotare la testa. Ma un pensiero ricorrente non mi lasciava via di uscita.
Quel pomeriggio Crystal mi aveva comunicato che per le sue nozze i testimoni dovevano collaborare per una cerimonia speciale durante la funzione. A solo sentire quel nome mi era salita la pressione. Avevo cercato in tutte le maniere di calmarmi, ma alla fine ero uscita fuori a prendere una boccata d’aria. Lei lo sapeva che avevo sofferto tanto, ma puntualmente mi spiazzava con la sua ingenuità. Io a quello non lo volevo vedere e particolarmente sfiorarlo. Avevo accettato che fosse il testimone di Federico, perché era suo fratello, ma che io dovevi ballare per giunta con lui non lo accettavo. Non volevo nulla con quell’essere.
Presi un lungo respiro dovevo stare calma.
Il cellulare mi squillò, guardai il display e notai il cuore. Per me Kaname rappresentava il cuore rosso, l’amore che provavo nei suoi confronti. Mi stava per venire a prendere, anche se avevo una macchina nuova nel suo garage. Sì, perché appena avevo concluso l’esame e dal mio entusiasmo non ero riuscita a frenarmi e lo avevo chiamato con gioia. Quando ero ritornata a casa avevo trovato una busta sul tavolo con una chiave e poi nel posteggio una macchina con un grande fiocco sul tetto.
 
-Tesoro hai intenzione di dirglielo. –Mi riprese Luca guardandomi serio.
Annui.
-Credo che sia arrivato il momento che lui lo sappia, forse ho aspettato fin troppo. Lui se lo merita. –Gli sorrisi e scesi giù. Ero pronta a confessarlo.
Chiusi il portone ed entrai in macchina. Quando aprii la portiera lui aveva il gomito appoggiato sul finestrino, ma nemmeno il tempo che rivolse il suo sorriso verso di me.
-Tutto bene? –Chiese.
-Si. Alla fine siamo riusciti a farla calmare. – Affermai, posando la borsa ai miei piedi, lui accese il motore, mise la prima e partimmo. Mentre fissavo fuori ripensavo alle parole di Luca, ero davvero pronta per raccontare quel frammento del mio passato? Ero stata combattuta, ma credevo in lui. Volevo un rapporto sincero, Kaname era importante per me.
-Kaname dobbiamo parlare appena arriviamo a casa. – Dissi monocorde. Sentivo il suo sguardo su di me, ma non avrei anticipato nulla. Strinsi le mani a pugno e respirai. Rivivere quegli giorni mi procuravano un dolore forte, mi ero promessa di non aprire più quella porta, ma parlarne e metterlo al corrente sarebbe stata una mossa fiduciosa.
Giunti in casa, mi apprestai a salire in camera per cambiarmi per poi scendere e sedermi sui sgabelli. Lui si era fermato vicino al divano, e mi fissava con quello sguardo magnete, fisso, intenso.
-Di che cosa mi vuoi parlare? Dalla tensione del tuo corpo sarà qualcosa di importante. –Dichiarò.
Con gli occhi bassi e le labbra sigillate, feci forza per parlare.
Sembrava che le corde vocali si fossero ingarbugliate fra di loro per non rivelare quel segreto.
Il silenzio mi sembrava che mi opprimesse, non si sentiva null’altro. Io che mi torturavo le mani e lui così vicino, ma allo stesso tempo lontano.
-Ciò che sto per rivelarti lo sanno poche persone. Da quella volta non l’ho raccontato più a nessuno, e ogni volta che fisso quegli occhi e come se ricevessi quel dolore. Quello che voglio dirti e che prima di capire che volevo qualcosa con te, io ho avuto un altro ragazzo…forse starai pensando che non c’è nulla di strano, ma lui mi ha ferito in modo profondo. Ecco perché con te camminavo con i piedi di piombo. E solo sapere che io e lui saremo così vicini mi mette una tale ansia e odio che non so se riuscirò ad essere me stessa e vivermi quell’evento. –Dissi, prendendomi un lungo respiro. Non osai alzare gli occhi, avevo paura di una sua scusa e andarsene. Ero terrorizzata da una sua paura. Ma poi mi chiesi perché gliene stavo parlando, non sarei qui se non avesse fiducia in lui.
-Penso di saper di chi stai parlando, ho sempre notato qualcosa che non andava. – Parlò. Trascinandomi verso il divano, adesso siamo l’uno di fronte l’altro. –Non temere, io non ti giudicherò. –Detto questo iniziai il mio racconto, tutta la mia piccola avventura con Daniele, dalla strega, del suo egoismo, dalle sue parole fino a quell’evento che mi segnò profondamente.
-Piccola mia. –L’abbraccio fu inaspettato, mi strinse un modo così intimo che per un attimo ebbi la sensazione di fondermi con lui.
-Anch’io devo confessarti qualcosa. Da quando ti ho conosciuta ti ho sempre sognato e credo di aver percepito il tuo dolore, anche in quel giorno. Anche se non sapevo dargli un nome. L’ho scoperto da poco. Credo che noi siamo stati destinati, io ti penso di continuo. Jessica tu hai dato un nuovo inizio alla mia vita, anche se non ero consapevole, ma tu mi hai fatto crescere ma soprattutto scoprire me stesso. –Mi confessò, con gli occhi lucidi come se da un momento all’altro sarebbe scoppiato a piangere, ma lo feci io per lui. Mi aggrappai alla sua camicia e lo strinsi forte, volevo esserci, volevo appartenere a lui con tutta me stessa.
-Ti proteggerò io. –
Erano tre piccole parole, ma per me erano immense. Lui ci sarebbe stato, lui non mi avrebbe giudicato.
Lui era la parte mancante della mia anima.
 
 
∞Ω∞
 
Il suono della sveglia mi risvegliò dal mio torpore. L’orologio segnava le cinque e trenta del mattino, chi me lo faceva fare alzarmi a quell’ora, era un mistero! Forse solamente lei. Mi alzai lentamente e la chiamai, la trovai seduta sul letto con tutto l’occorrente per il grande giorno di Crystal. Mi fissò, bastava solo quello sguardo a farmi comprendere tutte le sue preoccupazioni, ma non sarebbe stata sola, io ero al suo fianco.
-Grazie. Che abbia inizio! –Decisa, tenace, la mia Jessica stava per entrare in guerra. Uscimmo di casa e trovammo già Luca sotto casa di Crystal i due amici avevano il compito più arduo, la preparazione della sposa.
Il sole ancora non era solto, ma poco importava.
-Ci vediamo in chiesa. –Mi sussurrò lei, dandomi un dolce bacio sulla guancia.
-A dopo piccola. –La lasciai andare. Chissà che vestito avrebbe indossato? Non ne avevo la minima idea, era stata molto misteriosa a riguardo, mi aveva solo detto che sarebbe stato fantastico. Feci retromarcia e me ne andai. Ma nemmeno il tempo che il telefono mi suonò.
Dieci minuti dopo m’incontravo con Simon al bar. Happy era stato anche invitato e cercava con gli occhi la mia Jessy, purtroppo per lui era assente, ma lo accarezzai sotto il muso per ricompensarlo.
-La vedrai presto. – Lui come se mi avesse capito mi abbaiò.
La colazione fu lunga, non avevo nulla da fare solo prepararmi per la funzione.
Simon mi raccontò che il suo lavoro stava procedendo bene e presto avrebbe aperto una catena di ambulatori per tutta la Sicilia. La sua forte passione per gli animali lo aveva caratterizzato fin da piccolo, e si sentiva in dovere di aiutarli in tutti i modi possibili.
-Che cosa ti aspetti da questo evento? –Domandò.
-Tante sorprese. Sicuramente Luca e Jessy ne hanno preparate di tutti colori. –Affermai, mentre ci avviammo verso l’esterno.
-Già. Sono una squadra. Non mi stupirei se farebbero qualcosa di grandioso. Mi aspetto molto e non vedo l’ora che inizi. Ah già è ora di andarsi a preparare, ci vediamo in chiesa allora. –Detto questo prendemmo due direzioni opposte. Quando arrivai a casa, iniziai a prepararmi. Il completo si trovava già sul letto.
Quando lo presi c’era un bigliettino accanto.
Sarai il mio punto fisso!
Risi a quella battuta, ma sapevo che avrebbe mantenuto la parola data. Lo specchio rifletteva la mia figura, ero pronto. Il sole era nascosto dalle nuvole, il clima era mite, speravo che non piovesse.
In chiesa c’era già fermento. Notai gli invitati e anche il padre di Federico con la sua sorellina.
All’improvviso sbucò lo sposo tutto in tiro nel suo completo scuro si notava che era teso, al suo fianco la madre. Ricordai le parole di Jessica al suo riguardo e un poco mi dispiaceva per Crystal, una suocera del genere faceva venire i brividi a tutti. Ci accomodammo in chiesa per aspettare la sposa e tutto il corteo degli ultimi invitati. Fissai Daniele che stava accanto al suo gemello, all’improvviso avvertii la colonna nuziale. Mi ero distratto con i pensieri e non mi ero accorto che erano già arrivati. Appena mi girai la vidi. Era bellissima. Il lungo vestito toccava il suolo, facendo smuovere le onde dell’abito. Il corpetto era a mono spalle con dei strass che lo incorniciava e una macchia di brillantini sul lato sinistro che si espandeva anche da dietro. Le sfumature del blu erano un tocco di eleganza che si propagava fino a sotto. Quando raggiunse la navata si girò per fissarmi e sorridermi per poi mettersi a sinistra per aspettare la sposa. Era stupenda sia dai capelli con una treccia che raggruppava un chignon e dal trucco semplice ma d’effetto. Ma un particolare mi colpì di più, ma glielo avrei detto dopo, perché la sposa era arrivata ed io non ci avevo capito più nulla. La mia star era unicamente lei.
L’emozioni che mi erano nate spontanee mi aveva creato un poco di disagio, ma erano sparite subito, lasciandomi un torpore caldo. La mia mente aveva subito elaborato la situazione e per un attimo vidi me all’altare che porgevo la mano alla mia futura sposa, l’immagine era sfocata, sbiadita e quando sentii le parole del prete tutto svanii.
 
-Siamo qui per unire nel vincolo del matrimonio questi due giovani…-
Chissà che cosa mi aspettava in quella nuova avventura. Ero elettrizzato nel scoprire quale emozioni avrei vissuto o sperimentato. Ma sicuramente sarebbero state uniche se avevo una persona speciale come lei.
I nostri s’incontrarono e mi sentii l’uomo più fortunato.
Forse era vero che i nostri mignoli erano legati da un sottile filo rosso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Salve a tutti.
Bentornati con l’appuntamento di “così importante”.
Molti eventi si susseguono in queste pagine, piene di occasioni e sorprese, ma anche di segreti.
Diciamo che questo capitolo è stato un grande sfogo per me, poiché ogni cosa che mi capitava, la inserivo. C’è stato davvero le scosse di terremoto e per una notte non ho dormito, purtroppo Kaname non c’era. Mi sono iscritta alla patente e ho superato quella teorica, presto spero di finirla. Niente matrimoni in vista, anche se lì siamo già a Maggio e qui a Natale. Sei mesi di differenza, ma cmq.
L’ultimo aggiornamento risale a settembre? Oh Dio sembra una eternità, ma spero che questo capitolo possa ripagare la mia assenza.
Vi auguro un Buon Natale e un Buon Anno! Che il 2017 porti tante novità.
Heart
 
 
 

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Capitolo 32
*** Basta avere volontà ***


33°Capitolo
“Basta avere la volontà”


 
L’atmosfera che si respirava era di pura felicità.
Ti guardavi intorno e vedevi la gente chiacchierare tranquillamente con lo spumante nei bicchieri. Mi sentivo a casa, al sicuro.
La cerimonia era stata bellissima, semplice e di effetto. Crystal era bellissima nel suo abito, Federico altrettanto, erano una coppia perfetta ed equilibrata. Mi fermai a non pensare, e mi concentrai su quella mano che era appoggiata sulla mia schiena nuda, una mano calda che mi dava sicurezza e fiducia. Lui era accanto a me, la sua voce mi sembrava una melodia di come ondulava il tono ad ogni battuta, anche con una semplice risata. Avevo tanto sognato una simile scena, ma in realtà non sapevo nemmeno cosa si potesse provare realmente. Ispirai il suo buonissimo profumo che sapeva di lui, della sua terra. Sembravo una drogata di com’ero messa, ma non mi imbarazzava, no, mi sentivo forte, decisa nel vivere quelle bellissime esperienze che mi stavano facendo crescere.
-Ma che fai? –Mi domandò Luca, mentre mi fissava con uno strano sguardo. Stavamo aspettando l’arrivo degli sposi per attuare il nostro piano. Detto questo anche i due che stavano chiacchierando smisero e mi fissarono.
-Non ti interessa, baka. Comunque stanno arrivando, vai avvertire il dj. –Affermai, sentendo il calore tingermi le guance per essere stata colta in fragrante. Tuttavia mi ripresi, allungai il braccio e presi il flute di Kaname che aveva tra le dita.
-Era il mio. –Disse contrariato.
-Infatti lo era. –Aggiunsi sorridendo e bevendo un bel sorso, per poi avvicinarmi al suo volto e scoccare un bacio sulla guancia. –Adesso vado ad aiutare quel damerino. –Dissi staccandomi da lui.
Avvertivo il suo sguardo sulle mie spalle e mi piaceva, lo volevo come l’ossigeno, ma quel giorno non era mio, ma della mia migliore amica e lei si meritava questo ed altro, avevo in serbo molte cose per lei, ma tutto aveva il suo tempo. Mi avvicinai di soppiatto a Luca che stava parlando con il dj e lo spaventai, intrufolandomi nel discorso già avviato; lui mi guardò male, ma ero troppo contenta per arrabbiarmi, infatti dopo gli accarezzai la guancia per scusarmi. –Su, piccolino non fare questa faccia. –Risi, per poi portarlo via a dare il benvenuto ai novelli sposi.
Appena arrivarono nel giardino s’illuminò tutto, facendolo risplendere ancor di più. Tutti quanti applaudimmo e ridemmo, brindammo e infine ebbe inizio l’aperitivo.
C’erano diverse bancherelle dove si poteva gustare di tutto e di più, dal salato al dolce. Mangiai poco, anche perché ero talmente agitata, che non riuscivo più a resistere.
-Sembri una trottola di come ti muovi. Che cosa avete pianificato tu e il tuo amico? –Domandò una voce. Rimasi ferma, il corpo si era immobilizzato appena lui era entrato nel mio campo visivo. Lo sapevo che lo avrei incontrato e parlato, ma ero ancora scottata da lui, da quegli occhi così belli, ma estraneamente pericolosi. Non sapevo che pesci prendere, non volevo mettere in agitazione nessuno, tutti erano concentrati a mangiare. Dovevo vedermela da sola. Presi un lungo respiro e mi concentrai sul mio respiro. Azionai il piano “anti-panico” Kaname era stato un maestro perfetto ed io sapevo che fare. Rilassai i muscoli e azionai gli ingranaggi del mio cervello, dovevo solo dire una qualunque scusa e sarei stata libera.
Forza, Jessica! Lui mi fissava, stava allungando il braccio per sfiorarmi.
-Abbi un poco di pazienza e lo vedrai con i tuoi occhi. –Dissi piatta. Non traspariva nessuna emozione.
-Oh…capisco. – Rispose come se fosse dispiaciuto.
Trovando l’occasione non persi tempo e me la svignai.
Dopo l’aperitivo tutta la gente si apprestò ad entrare in sala, ma con un accenno da parte del dj li fermai e da una parte coperta da un telone adatto per quei usi partì un filmato. Crystal cercò il mio sguardo e rimanemmo incastrati per un tempo immenso, notai le sue lacrime di commozioni. Lo avevo fatto assieme a Luca e Kaname, loro mi avevano aiutato tantissimo a scegliere le foto e la musica, Simon aveva dato una mano con le frasi…era un capolavoro, mi ritenevo soddisfatta del mio operato. Quando ebbe finito, partirono i fuochi d’artificio e le lanterne che illuminarono tutto il cielo. Rimasi a fissare quelle nuvole di fuoco allontanarsi verso l’orizzonte, mentre un braccio mi stringeva a se. –Hai fatto un ottimo lavoro, piccola. –Mi mormorò lui sottovoce. Mi piaceva un sacco quel calore che dava quell’abbraccio intimo. –Mi fai ricordare le fiaccolate di Osaka, un giorno ti porterò lì e vivrai anche tu quella esperienza. –Aggiunse, baciandomi sul collo e provocandomi brividi di piacere. Strinsi le sue dita tra le mie, ma durò poco quel momento nostro, che una Crystal piangente si buttò tra le mie braccia.
-Mi dovrai raccontare come riesci sempre a sorprendermi. E’ stato fantastico e poi il video. Sei la migliore amica che potessi avere. Ti voglio tanto bene. – Disse ancora piangendo, l’abbracciai forte anch’io.
-Adesso basta piangere, il trucco si scioglierà tutto. Non vorrai spaventare lo sposo? –Cercai di farla ridere.
-Certo. È sempre in tempo per lasciarmi. –Disse lei con ironia.
-Non credo che possa bastare, ti amo per quello che sei e non mi spaventerò per un poco di nero sul viso. –Rise Federico, cingendo Crystal e portarla accanto a se. –Per me sarai sempre bellissima anche con due occhi a panda. –
-L’amor! –Entrò in gioco Luca accanto al suo compagno.
-L’amore ci cambia totalmente. –Aggiunse Simon.
-Credo che conviene entrare dentro, vi aspettano. –Affermò Kaname facendoci ritornare al presente, tutti si allontanarono, ma lui mi fermò.
-Che succede? –Domandai preoccupata.
-Nulla. Volevo solo rimanere un attimo solo con te. –Confidò, guardandomi negli occhi.
-Perché mi guardi così? - Dichiarai. Mi fissava in un modo così intrigante, affascinante che anche io mi tuffai in quell’impresa. I suoi occhi si spalancarono all’improvviso e non capii il perché. Fissavo l’infinito in quelle iride. Era talmente scuri che se avessi fatto un altro passo mi sarei persa, ma lui prontamente mi alzò il viso e si abbassò per baciarmi chiudendo per un attimo quell’immenso.
Mi lasciai andare, appoggiando i palmi delle mani sul suo petto, quel completo lo valorizzavano…annullai tutto, c’eravamo solo io e lui. La stretta di lui era diventata più possessiva, ma non mi lamentai, stavo bene ed era quello che contava di più.
Ci staccammo con uno strano bagliore negli occhi ed io con uno strano groviglio nello stomaco, era felicità? Oh meglio ancora quella famose farfalle che molti libri parlavano? Beh di certo poco importava in quel momento, ne avrei fatto i conti appena arrivata a casa. Il richiamo dei nostri nomi ci fece riflettere sul continuare, ci avviammo verso la sala mano nella mano.
 
La sala era rigogliosamente addobbati di fiori freschi e di alcuni rami di arance. I petali erano così delicati che dovevi star attenti a non farli cadere. Ci sedemmo nei nostri posti, la disposizione era stata studiata per valorizzare le entrambe le parti dei sposi. Il tavolo principale era situato al centro, come se dovesse formare un cerchio. Dietro al tavolo degli sposi si espandeva un grosso cuore formato di palloncini come se fosse una aureola, che idea geniale mi era venuta quel giorno. Crystal era estasiata e guardava Federico con due occhi di diamante, sarebbe stato un nostro piccolo segreto, tra me e lui, ma sapevo che presto o tardi lei mi avrebbe smascherato.
Dopo il brindisi iniziò la cena, c’erano un sacco di cose e ad un certo punto non riuscivo più a mangiare di quanto ero piena, gli sposi non se ne stavano un momento fermi, andavano in tavola e in tavola a parlare.
-Ehi angelo mio quando attueremo il piano c? –Domandò sottovoce Luca, mi girai a fissarlo. Non era il momento, non ancora. Anche se sul display del cellulare segnava le undici di sera, non credevo che un’altra sorpresa andasse bene, gli dissi di pazientare ancora e di goderci quella serata. Nel momento opportuno ci sarebbe stata.
Concentrata di com’ero, non mi accorsi dei vari movimenti che solo grazie a Kaname li avvertii: mi afferrò il polso e mi fece alzare, avendolo vicino, mi accorsi del fatidico ballo tra la sposa e suo padre. Una dolce musica iniziò e tutti quanti ci facemmo spazio per i due danzatori, per poi essere sostituita da un’altra melodia che componeva lo sposo e la sposa nel loro primo ballo. Federico la teneva stretta a lei, con una mano appoggiata sulla sua vita e l’altra la intrecciava alla sua, avevano lo sguardo fisso l’uno nell’altro e sembrava che non ci fossero in quel momento, una magia surreale.
Dopo di esso tutte le coppie le fecero compagnia, Kaname mi invitò, ma inventai delle scuse come ad esempio che non sapevo ballare, ma lui non se ne curò.
-Fidati di me. –Disse solo quello ed io entrai nel pallone. Avvertivo una strana energia che mi circolava nelle vene, gli occhi si erano chiusi a quel contatto. Mi lasciai andare, totalmente e lui se ne accorse. Mi strinse con maggior impeto, riuscendo anche a sentire il suo respiro di quanto eravamo vicini.
-Ho apprezzato il tuo sangue freddo poco fa, n’ero convinto che saresti riuscita a superare quella paura. –Dichiarò compiaciuto. Alzai il viso per fissarlo e cercai in quell’infinito qualcosa che mi facesse capire di che cosa stesse parlando.
-Di cosa…-iniziai.
-Eri pietrificata dalla paura, ma sono felice che i miei insegnamenti siano stati utili. –Aggiunse, baciandomi la guancia. Come un flash capii l’argomento e istintivamente gli strinsi la mano.
-Si fiera di te, Jessica. Puoi superare tutto. –Mormorò piano, per poi farmi volteggiare come una ballerina. In un attimo riuscii a dimenticare quella sensazione sgradevole e vivere quell’attimo.
-Tuttavia mi devi togliere una curiosità. –Dissi infine per tagliare una volta per tutte quella situazione.
-Dimmi. –Affermai sorridendo. I suoi occhi si erano appoggiati sul mio decolté. Lo avevo capito che quel vestito gli piaceva un sacco, ma c’era qualcosa che lo rendeva curioso e questo mi eccitava.
-Sei nuda? –Domandò. Detto questo percepii chiaramente la sua mano alzarsi ed a fermarsi a metà schiena.
-Che cosa te lo fa pensare? –Risi a quello strano gioco che stavamo mettendo in scena.
-Tante cose, come per esempio non porti il reggiseno. –
-Beh un punto per te, non lo sto portando, ma non sono nuda. –Giocai con astuzia, lo volevo metterlo alla prova.
-Mmm. –
-Vuoi un indizio? –
-Perché no? –
-Allora allontaniamoci. –Gli proposi. Lui rise e sciolse l’abbraccio, ci allontanammo con discrezione e ci dirigemmo verso il prato dove era ben coperto da alberi e dalla luce.
Kaname si guardò in giro per vedere se arrivasse qualcuno o meno e poi mi prese e mi fece appoggiare su un tronco per avermi tutta per se. Sembrava una scena di quei film romantici, la musica che trapelava di sotto fondo, gli animali notturni che non ci lasciavano soli, le sue labbra premute sulle mie. Mi sentivo talmente eccitata, che per un attimo pensai di volerlo in quell’attimo.
Lui con furbizia mi morse il labbro facendomi ritornare da lui e scese dal mento per poi fermarsi sul collo, m’inondò di baci bagnati per tutto il collo facendomi rabbrividire sia di freddo e di piacere, aveva una tattica, ma non sarebbe stato solo. Lo richiamai e mi ritrovai ad affondare dentro i suoi occhi, aveva le labbra gonfie, se non mi avesse sorretto sarei caduta, ma lui riusciva a leggermi senza che dicessi qualcosa.
-Kaname. – Lo chiamai di nuovo, restammo a fissarci.
-Che cosa stai provando in questo momento? –Mi domandò. Rimasi senza fiato, non me lo aspettavo. Ingoiai e cercai qualche parola nei meandri del mio cervello.
-Pretendo una risposta, piccola. –Disse ancor lui. –E se non me lo riveli non ti bacerò più. –Se ne uscì con il ricatto. Gonfiai le guance, ma lui rise.
-Sei talmente bella anche imbronciata, faresti perdere l’autocontrollo a chiunque. –Pronunciò sfiorandomi il viso.
Abbassi il viso e cercai di fare mente locale, erano molte l’emozioni che mi galleggiavano dentro e credo che quella domanda fosse un punto di sblocco in quella nostra relazione.
-Ti sto aspettando. –Ammise ancora con più vigore. Sentivo i suoi occhi bruciarmi la pelle, mi sfiorai l’avambraccio e aprii la bocca, ma da essa non uscii nessun suono.
-Devi impegnarti di più. Devi superare le tue barriere. –Mi fece forza. Lui non sarebbe scappato, dovevo farcela sia per lui e sia per me.
-Quando…mi baci sento uno strano groviglio che si espande, come se ci fosse una matassa ingarbugliata, ma poi quando mi rilasso tutto ritorna ad essere semplice. Sento talmente tante tentazioni farsi largo, che più delle volte non riesco a tenerle sotto controllo.  –Non riuscivo a fissarlo, la temperatura del mio corpo stava aumentando vertiginosamente, che per un attimo volevo liberarmi di quei vestiti e sentirmi nuovamente libera, ma poi ripensai a lui che attendeva…-quando sei con me mi sento a casa, protetta e libera. Credevo che la libertà la dovessi guadagnare da sola, con la forza, invece da quando sei arrivato mi hai insegnato tante cose, soprattutto che non sono sola, che posso contare sugli altri e su di te. Mi hai cambiata, adesso vedo tante vie, tanti orizzonti, soprattutto che voglio stare con te. Ancora non ci credo che ti sto dicendo tutte queste cose, veramente, ma la cosa che mi preme tanto e ogni volta ce l’ho sulla punta della lingua, ma mi ritiro che io… ti amo. –Mi fermai per prendere il respiro, i singhiozzi mi spezzavano, tutte l’emozioni di quei tempi erano usciti fuori, erano stati scoperti. Un senso di libertà era stato messo a nudo e avvertivo quella sazietà che per anni avevo cercato.
-Non credere che le tue parole non mi abbiano commosso. Sei speciale e non mi stancherò mai di dirtelo. Grazie per la tua sincerità, penso che abbiamo tanto di imparare l’uno dell’altro. Custodirò questi sentimenti nel cuore, perché anch’io provo lo stesso per te. –
Ero rimasta senza parole, mi ero tolta un macigno nel cuore, adesso potevamo vivere la nostra storia, senza avvisare mi slanciai verso di lui e lo baciai. Ero stanca di nascondermi, che il mondo ci vedesse per quello che eravamo, sarei stata forte nel tenermelo stretto. Ci staccammo con una moltitudine di sensazioni che brillavano dai nostri occhi e con un impeto, posi la sua mano sotto il tessuto del vestito. Lui rimase un attimo in silenzio per ridermi.
-Voi donne siete sorprendenti, trovate ogni garanzia. –Disse.
-Che ci vuoi fare, abbiamo molte risorse. Su, credo che sia arrivato il momento che azioni il mio piano, credo che Luca stia per avere una crisi isterica. –Borbottai.
-Lo penso anch’io, oh guarda sta arrivando. –
-Povero piccolo, andiamo. –Lo trascinai verso la sala, sembravo ritornata bambina e questo mi piaceva un sacco. Ero felice che cosa poteva mancare?
Niente. Aveva ragione Simon l’amore ti cambiava e me ne compiacevo.
 
°°°°°
 
Il matrimonio era stato un successo, c’eravamo divertiti tutti quanti. Gli sposi erano felici nella loro bolla d’amore, ma questo ci aveva influenzati in molti, si presagiva molte nuove notizie all’orizzonte.
Risi al messaggio che Crystal mi aveva mandato la notte scorsa, anche perché in America c’era il fuso orario.
-Ma che hai che ridi come una pazza, fai paura. –Disse Kaname, mentre entrava in cucina sistemandosi la cravatta.
-Ma niente, stavo solo leggendo le cavolate che mi ha mandando Crystal. –Dissi.
-Giusto. In questo momento si trovano a New York. –Aggiunse, prendendo un bicchiere d’acqua e poi fissarmi.
-E tu come lo sai? –
-Mi ha contattato Federico qualche ora fa per sapere una cosa, nulla di rivelante. –Affermò. Si avvicinò al mio sgabello e mi tolse il biscotto che avevo in mano per poi strapparmi un bacio.
-Che cosa hai in programma per questa settimana? –Chiese, mentre si distanziava.
-Parecchi impegni, tu? –
-Nulla di che. Per fortuna non ci sono viaggi in programma in questo periodo, mi posso dedicare a te. – Disse.
-Meglio così. –Mi alzai per posare la tazza, ma il mio tragitto si interruppe perché lui mi prese di contro piede e mi isso.
-Che cosa stai facendo? – Ma non ricevetti risposta, poiché il signorino mi appoggiò sul marmo facendomi rabbrividire tutta.
-L’ho sempre sognata questa scena, sei bellissima. –Sussurrandomelo all’orecchio.
-Beh lo sei anche tu, ma ti preferisco senza questa giacca. –Concordai lasciva.
-Mi stai eccitando, mi dovrai spiegare il tuo segreto. –
-Non ho nessun segreto, basta avere la persona giusta e la chimica…e poi mi piaci un sacco! –Chiusi la bocca per acchiapparlo e spingerlo verso di me. Mi stringeva con delicatezza la testa sfiorando i capelli, mentre l’altra mano mi teneva a se.
-Ti farei mia. –Parlò.
-Non adesso, devi andare a lavoro. Avremo il tempo anche per quello. – Dissi, stringendolo.
-Ti amo. –
-Io di più. –Detto questo gli rubai un altro bacio per poi saltare giù, lui mi fissò per un lungo istante e quando meno me lo aspettavo me lo ritrovai di nuovo di fronte, mi schiacciò al muro e in un attimo avevo le sue labbra premute sulle mie e una sua mano che mi sfiorava la coscia destra, accarezzando tutte le mie terminazioni che erano diventate tese per quel gesto.
-Questa volta mi prendo io il premio. –Detto fatto mi lasciò in tredici e rimasi con l’amaro in bocca. Lui se ne era andato, lasciandomi tutta euforica, dannato!
 
La settimana procedette bene, avevo ottime notizie a dare a molti, ma specialmente a Kaname che da qualche giorno era molto curioso su dove andassi più volte al giorno.
Ero a casa che controllavo diverse email, quando lui si sedette accanto e rimasi lì a fissare il nulla.
-Che c’è? –Domandai, fissando sia lui che il pc.
-Mi devi dire qualcosa? –
-No, perché? –
-Mi stai nascondendo qualcosa? E sono bravo a smascherarlo. –Disse con una finta curiosità, ma non ci cascai.
-Mmm. Non saprei, si ho delle novità, ma non credo che sia opportuno dirlo adesso. –Lo guardai e avevo tutta la sua attenzione, -facciamo così. Sabato te lo mostrerò così vediamo che cosa ne pensi. –Proposi.  Il suo sguardo non era mutato, anzi sembrava più serio.
-Non fare il musone, sennò assomigli a Luca. Ah tra poco vengono, non vedo l’ora di riabbracciare Happy! –Dissi tutta euforica, chiudendo il portatile e salendo in camera per cambiarmi.
Quando ritornai lui era rimasto nella stessa pozioni in cui lo avevo lasciato, -ehi ti sei imbambolato? –Domandai.
-No, stavo pensando. –Disse, prendendomi e facendomi sedere sulle sue gambe. Sentivo la sua testa appoggiarsi sulla mia, che cosa aveva?
-Voglio fidarmi di te. Non avverto nulla di negativo nelle tue parole, sei la persona più importante che ho in questo momento e voglio che ci sia un rapporto di fedeltà e lealtà. Credo che lo debba essere anch’io. In questo periodo ho scoperto molte cose su di te, della tua vita e mi sento a disagio. –
-Kaname non devi dirmi nulla se non te la senti, non voglio restringerti. Quando sarai pronto io sono qua, non scappo mica. – Ammisi, abbracciandolo.
-Mi sento lusingato, ma è una cosa che voglio fare da tanto tempo. Ti devo mostrare una cosa. – Detto questo mi fece alzare e ci avviammo verso una zona della casa che avevo visto spesso, ma non vivevo molto. Era un sotterraneo, con due porte, quando li aprii rimasi ferma. Era strano vederlo, perché assomigliava a un vero tempio ma in miniature, ricordai le usanze degli orientali che caratterizzavano quella tradizione.
L’odore forte d’incenso mi bruciò la gola e mi umidii gli occhi, non riuscivo a respirare.
Lui sembrava teso, e non volevo svegliarlo da quel trance che lo stava colpendo, sembrava smarrito e solo in quel momento che trovai la forza di stringergli la mano, lui come ripreso si voltò verso di me e mi fissò.
-Non ne ho parlato mai a nessuno, ma per me è una zona sacra. Qui vengo a meditare e a pregare, devi sapere che i miei genitori sono morti quando ero piccolo. La loro morte mi ha spezzato talmente così forte che credevo che non ci sarebbe stato più modo di riprendermi. I miei nonni si sono presi a carico di me in tutto e per tutto, e grazie a loro che sono ancora qui, che ti ho potuto incontrare. Sono un fatalista anche se non lo sembrerebbe. –Dichiarò con le lacrime agli occhi e fu in quel momento che il mio malessere passò in secondo piano, non m’importava di soffocare, ma di consolarlo e farlo sentire al sicuro come lui faceva con me.
-Stai tranquillo, penso che loro siano fieri di te. –Mormorai sottovoce, stringendolo forte. Tutti quanti eravamo fragili, ognuno aveva un punto debole. Ma vederlo in quella maniera mi aveva disorientato, l’emozioni erano diventate come una diga impazzita, l’acqua scorreva e non riuscivo a fermarla.
-Grazie per aver condiviso questo peso con me, da adesso non poi non sarai più solo. Lo affronteremo insieme. –
 
 
 
 
La settimana era terminata velocemente, il mio Kaname lo vedevo in un modo diverso, c’era un nuovo legame che si era formato tra di noi. La sera spesso e volentieri ci rifugiavamo l’uno tra le braccia dell’altro, ci coccolavamo come due orsetti, eravamo davvero teneri. A volte avevo la sensazione che lui sperasse che io varcassi la porta della sua stanza, ma lo deludevo. Ci salutavamo con il bacio della buona notte e tanti saluti. Fissai un momento fuori dal finestrino anche per godere del dolce venticello che mi riportava alla mia infanzia.
-Devo girare adesso? –Chiese lui.
-Si. –Risposi.
-Non vengo spesso in questo lato della città. –Commentò, intanto mise la freccia e si posteggiò. –Dove siamo di preciso? -
-Stai calmo non sono impazzita, è un progetto che ho da poco iniziato e spero di poterlo portarlo al termine. –Sorrisi. Gli presi la mano e ci avvicinammo all’entrata del grande edificio.
I muri erano bianchi come il latte, ma pian piano anche loro si sarebbero trasformati. La struttura contava tre piani esclusa la mansarda; all’inizio sembrava con il tetto ovale, ma la sorpresa stava nel dietro. Era un architettura particolare che mi aveva affascinato fin da subito e sentivo uno strano magone salirmi dallo stomaco, ma ero fiera del mio operato.
-Vieni, di qua c’è l’entrata. –Affermai. Presi un mazzo di chiavi e ne inserii tre differenti nelle varie toppe e poi tolsi l’allarme. Entrati dentro si espandeva un grande salone dove c’era disordine dovuto ai lavori in corso.
Lui non parlava, fissava tutto quanto. Ci apprestammo per prendere le scale e mi fermò.
-Prima che ti mi chiedi qualcosa, vorrei iniziare io. – Dissi, toccai il passamano e chiusi gli occhi sorridendo, significava molto, ci stavo mettendo tutta me stessa. –I regali sono doni di Dio, e questo per me vale molto. Non credevo che un sogno potesse realizzarsi, mi devo reputare fortunata, ma essa lo devo solo grazie all’incontro con Ella. Lei mi ha dato la speranza e i mezzi giusti per farlo, questo lo dedico a lei, a noi, al futuro. Questo progetto ha il suo nome, e, per questo non ho detto niente a nessuno, ma adesso lo confido a te, so che lo manterrai finché mi sentirò pronta a rivelarlo agli altri. –Conclusi.
-Beh che dire, mi hai preso di sorpresa e non so nemmeno che dirti. Non credevo che potessi spingere fino a questo punto, ma devo ricredermi. Hai ragione possiamo fare tutto, basta avere volontà. –Si apprestò a commentare –presumo che hai un piano, giusto? –
-Certo e vorrei che tu mi aiutassi su alcune faccende. Per gli altri dettagli mi affiderò ad altre persone, ma sarai messo al corrente di tutto se lo vorrai. –
-Ti prendo di parola, allora me lo fai visitare? Anche se non vorrei diventare tutto bianco con questo gesso. –Puntualizzò, ma durò poco che mi strinse forte. –Dopo di porto a cena. –
Affermò avvicinandosi al mio viso. Ero felice, la mia vita stava iniziando a sbocciare ed ero convinta che le sorprese non fossero finite.
 
 
°°°°°
 
Giugno era arrivato e già i miei amici stavano organizzando un viaggio per trascorrere le vacanze assieme. Chi proponeva una meta chi un’altra. Kaname era dovuto partire due giorni prima per una riunione improvvisa a Bruxelles, intanto mi disperavo nel tentativo di sciogliere il mio dilemma. Dirlo o meno di quel piccolo segreto ai miei migliori amici.
Kaname era convinto che le mie scelte erano ben progettate e forse, se i lavori andavano tutti bene si poteva iniziare già da Settembre.
-Angelo mio tutto bene? –Chiese all’improvviso Luca vedendomi assorta nei miei pensieri, gli altri se ne erano andati, lasciandoci soli.
-Gradite te o caffe? –Domandò Crystal.
-Te. –Risposi.
-Caffe. –Rispose Luca.
-Ok entrambi. –Concordò la mia amica.
Lei era ritornata super abbronzata, le Hawaii le avevano fatto bene, beata lei. La casa era ritornata al suo splendore, dopo che io e gli altri le avevamo messo un gran casino, scambiando tutti i mobili e cose del genere. E aver congelato tutte le chiavi delle porte. Uno scherzo stupido a parere mio, ma me li ricorderò per sempre la chiamata di prima mattina e le sue voci. Poveri vicini.
Comunque dopo avevamo dovuto aggiustare tutto con lei che ci fucilava con gli occhi, eravamo ritornati a casa distrutti.
-Mi sembri molto pensierosa, c’è qualcosa che ti preoccupa? – Si sedette anche lei, presi la tazza e ne bevvi qualche sorso di te.
-Credo che sia giunto il momento che voi sappiate una cosa. L’ho coltivato in tutto questo tempo, voi siete i miei migliori amici e …-mi fermai. Li guardai senza fiatare e poi buttai giù tutto.
-Che cosa! –Urlò Luca alzandosi. –Quando? Perché? Che cosa hai fatto? –Esclamò tutto di un fiato travolgendomi di domande.
-Luca, stai seduto e non agitarti. –Disse seria Crystal mettendolo al suo posto. –Jessica sei sicura di ciò che stai facendo? Aprire un attività è rischioso. –Concordò lei per poi avere l’assenso di Luca.
-Lo so benissimo, ma non sarò sola. Vi chiedo il vostro aiuto, ho già un piano e vorrei che voi partecipate. –
-Tesoro, come mai vorresti aprire questo centro? Lo sai che non sarà facile. –Si apprestò a dire, ero consapevole che non avrei avuto subito profitto, ma tentare non nuoce.
-Voglio dare l’opportunità a quelle ragazze che sono senza lavoro e trovarlo, dimmi quante ce ne sono con in mano un attestato e non avere un occasione? La prima tu. Io voglio offrire un lavoro, la paga sarà modesta all’inizio, ma è un attività nuova che deve crescere e poi non ne abbiamo così fornite in città. Il luogo è perfetto, c’è un posteggio immenso e poi se lo vedessi rimarresti stupida. –Dichiarai, pronta a dare altre informazioni.
-Di come lo descrivi deve essere sensazionale. Anche se hai un piano, c’è bisogno di pubblicità, personale, non puoi fare tutto da sola. –Si fece avanti Luca.
-E qui entri in scena. –Borbottai imbarazzata.
-Io? –
-Certo. Tu lavori nel campo pubblicitario, credo non ti farai perdere questa opportunità, puoi mettere in azione la tua squadra di grafici e costruire una locandina o un sito. E poi ci saresti tu, Crystal. Ti ho sempre visto nel ruolo di direttrice. –Inserii.
Restammo tutti quanti a fissare il nulla, avevo sganciato la bomba, era un progetto ricco di particolari.
-E come farai con i vari macchinari, le strutture, Tesoro ci vorrà un sacco di soldi, dove li andrai a prendere? –Interrogò.
-Stai tranquilla ho abbastanza soldi per permetterlo, sapete…questo sogno si sta avverando grazie ad una persona speciale, lei mi ha fatto comprendere che tutto è possibile, ecco perché lo sto dedicando a lei. Era una donna altruista e generosa e non credevo che mi potesse fare un regalo del genere, ma credo che il suo istinto abbia scelto me, infatti ho ereditato tutta la sua fortuna. –
-Che culo! Angelo mio lo sapevo che un giorno la fortuna ti avrebbe baciato. –Mi strinse in un abbraccio Luca.
-Hai già un nome? Presumo di sì. –Parlò la mia amica. Le sorrisi.
-Certo, come ho già detto è dedicato a lei, ai nostri sogni e come tale avrà il suo nome. –Ammisi soddisfatta.
-Quando iniziamo? –Mi domandò Crystal.
-Se vuoi anche ora, dobbiamo decidere l’arredo, per i macchinari e le pubblicità anche in seguito, abbiamo tre mesi di tempo. –
-Fantastico, avevo proprio voglia di mettermi alla prova, mi cadi proprio a fagiolo. E tu, muoviti il culo, organizza qualche locandina e mandacela. –Ordinò a Luca, che gonfiò le guance e si alzò frustrato.
-Immagino che le vacanze quest’anno non ci saranno proprio! –Disse furioso.
-Dai cioccolatino non fare così. –Risi io, vedendo il suo sguardo omicida.
-Non chiamarmi così, non ti è permesso! –Gridò, prendendo il telefono.
-Oh scusa, pasticcino. Dovremo brindare a questa nuova avventura. –Dissi.
-Purtroppo non ho nulla per farlo, sai chiamo Federico e gli chiedo di portare da bene, facciamo di meglio, siete invitati qui stasera. –Detto questo acconsentimmo, la serata si prospettava interessante.
 
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Salve! Buon inizio mese. Finalmente riesco a postare un nuovo capitolo di questa Fiction che mi sta emozionando. Siamo entrati nella parte centrale e ben presto avremo nuove novità, penso che il capitolo vada bene così, non ho voglia di aggiungere altro. Un parere sarebbe sempre gradito. Comunque vediamo molti punti che si mettono in risalto. Abbiamo il fantomatico matrimonio di Crystal, la dichiarazione della nostra protagonista, il progetto segreto e la rivelazione di Kaname, un bel po’ d’informazioni. Per voi nel prossimo che cosa potrebbe succedere?
Mi farebbe piacere saperlo, magari dandomi anche qualche bella idea.
Ringrazio la mia buona stella che mi ha permesso di scrivere questo capitolo e di emozionarmi ad ogni battuta, spero che lo sia anche per voi. Le 109 persone che l’hanno letta, beh le recensioni scarseggiano, ma andrò avanti.
A presto.
Heart

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Capitolo 33
*** Pelle contro pelle ***


34°Capitolo
“Pelle contro pelle”
 
 
Una sola parola…L’estate.
Come poteva solo una stagione farmi sentire bene? In verità era da un poco di tempo che non avvertivo più quel senso di vuoto che negli anni mi aveva causato disagio; tuttavia mi dovevo ricredere, l’amore non era fiori e rosi come molti poeti lo descrivevano. C’erano stati giorni che io e il mio amoroso non ci potevamo vedere, chissà per quale motivo, forse per il karma o per sfortuna divina, c’eravamo trasformati in cani e gatti. Litigavamo per ogni cavolata, forse era un periodo no, c’è ne stavamo per conto nostro. Io con il mio progetto e lui con il suo.
Per fortuna i giorni no, erano svaniti come l’acqua che era caduta dal cielo ed eravamo ritornati complici. Lui che mi abbracciava quando cucinavo, che mi baciava, che mi faceva perdere la testa per una sola parola più piccante, eravamo lì.
Chiusi gli occhi e mi beai di quel dolce venticello che mi accarezzava i capelli ancora umidi. Mi piaceva un sacco starmene in silenzio in quel portico a contemplare quel giardino particolare…mi sentivo dentro una foresta e quel verde smagliante mi faceva sorridere. La quiete veniva interrotta solo da qualche macchina e dal corso dell’acqua che stava nella canna da bambù.
Era un piccolo paradiso, mi aveva detto una sera Kaname.
Presi un altro sorso della mia bibita e mi alzai, volevo camminare tra quei cocci del pavimento, mi sarebbe piaciuto vedere la costruzione di quel paradiso a quel tempo, anzi ne volevo vederne uno più grande, ma era solo un sogno. Camminai per un altro poco e mi fermai vicino a quella piccola cupola dove custodiva quella statua che tempo prima mi aveva provocato uno strano svenimento.
Mi abbassai e allungai una mano per sfiorare quel materiale,- non ho paura. –Dissi cercando di essere più forte. Non mi capitò nulla, ne fui soddisfatta, ma nemmeno due minuti dopo mi sentii la testa pesante, me la presi e mi allontanai in più fretta possibile da lì. Avvertivo un forte dolore al cranio e non solo, come se intorno a me ci fossero tanti uccelli che mi circondassero. Entrai di soppiatto in casa, chiusi la porta scorrevole, e mi guardai in giro, non c’era nulla di diverso, ma la testa non voleva fermarsi così l’unica soluzione era di chiudere gli occhi e sperare che tutto cessasse.
 
-Ehi piccola. Stai dormendo. –Sentii in lontananza una voce, sembrava fatta di miele, una mano si appoggiò sul viso e me l’accarezzò con dolcezza.
-Sogni d’oro amore mio. –Un lenzuolo mi coprì il corpo e lo ringraziai di cuore, ne avevo davvero bisogno, il mio corpo sembrava fatto di vetro, era come se sentissi mille spaccature crearsi dentro di me. Il mio doppio senso mi stava urlando che qualcosa stava cambiando, ma che cosa era non lo sapevo. Quella statua aveva un potere misterioso, e io l’avevo scatenata. Non percepii più nulla, poiché la mia mente si spense e mi ritrovai a cadere in obblio mai provato.
 
 
-Jessica. Ehi piccola svegliati. –
Chi era che mi chiamava? Volevo rimanere in quel luogo dove non c’era niente che mi ostacolasse.
-Ti prego. –Mi supplicò.
Ero in un luogo insolito. Non sapevo descriverlo, non c’era una dimensione ben precisa, non era né bianco né nero. Era come se galleggiassi in un manto di vapore, intorno al me non c’era confine.
C’era pace.
All’improvviso una forte luce mi apparve davanti gli occhi, li coprii per schermirli, e da lì apparve una figura.
Ci guardammo negli occhi, il tempo si perse nei sui meandri. Avvertivo un calore al petto e una pesantezza al corpo, come se qualcuno mi tirasse indietro.
-Ritorna da lui, questo posto ancora non è per te. –La voce era delicata, melodiosa. Sembrava un cinguettio di un canarino.
-Chi sei? –Mormorai, ma non ebbi il tempo e mi ritrovai con gli occhi semichiusi e con un ombra davanti.
 
-Finalmente ti sei svegliata! –Esclamò una voce abbracciandomi forte. Mi facevo stringere senza capire dove mi trovassi.
-Jessica. Ehi, stai bene? –Domandò, allontanandosi un poco da me e sollevandomi il viso. Non vedevo il suo viso, la vista era offuscata.
-Dannazione, Jessica che ti prende? Mi devi far ancora preoccupare? –Affermò con durezza, per poi portarmi di nuovo sul suo petto. Sentivo la sua ansia invadermi, che cosa mi era successo? E perché non ricordavo nulla?
-Perché sei così allarmato? Ho solo dormito poche ore. –Borbottai, la gola mi bruciava.
Perché ero in quelle condizioni? Non credevo che dormire provocasse tutti quei problemi.
-Poche ore? Per tutti i Kami, piccola, hai dormito più di quanto tu immagini, è due giorni che te ne stai con gli occhi chiusi e non mi rispondi. –Parlò.
Cosa? Stava scherzando? Non era possibile. Non parlai e cercai una risposta nella mia mente, che cosa mi era successo? Ma più tentavo di impegnarmi per avere informazioni e più quei buchi mi braccavano con dei mal di testa allucinanti. Appoggiai una mano sulla tempia sinistra e Kaname mi fissò attentamente.
-Ti fa male la testa? Dimmi qualcosa. –Disse tenendomi la mano come se avesse paura che svanissi.
-Non ricordo …-sussurrai spaventata.
 
-Che cosa non ti ricordi? –Domandò cercando di tenersi calmo.
-Che giorno è? –
-Domenica. –
Non era possibile, il mio ultimo istante eravamo di venerdì e adesso mi trovavo a domenica?
Mi alzai di scatto e lo feci allarmare, ma dovevo fare una cosa. Lui mi urlava di stare calma, ma in quel momento non ero lucida. Scesi le scale con fretta e mi diressi verso il giardino. Arrivai con il fiatone di fronte alla statua e notai un luccichio negli occhi del volatile.
-Jessica mi stai facendo allarmare, che cosa ci fai qui? – Afferrandomi la spalla e tirarmi indietro.
-Tutto e iniziato da qui, io…-un nuovo capogiro mi travolse, -di nuovo, ti prego aiutami, -lui mi sorresse, la testa mi doleva, che cosa voleva da me? –Kaname. – Sussurrai prima di perdere i sensi.
 
 
∞Ω∞
 
Me la ritrovai tra le braccia. Il suo respiro era irregolare, ero spaventato dalle sue parole. Non sapevo che cosa fare. La mia razionalità mi diceva di portarla al pronto soccorso e il mio sesto senso di chiamare una persona in particolare. Non potevo non far niente, così presi la decisione di ascoltare me stesso. L’adagia sul divano coprendola e sperai con tutto il cuore che mia nonna rispondesse.
L’ansia mi stava mangiando vivo, più la guardavo e più i dubbi mi salivano. Che cosa stava succedendo? Perché quella statua era la fonte del suo malessere? A me non mi aveva mai causato nulla, ma questa cosa doveva essere risolta una volta per tutte. Ricordai anche la prima volta che successe un fatto simile, non avevo dato peso alle sue parole, perché era ancora immersa nei suoi problemi, ma adesso no.
-Tesoro, buona sera. –Rispose la voce cordiale mia nonna. Come facesse sempre a sapere che ora fosse era un mistero.
-Nonna, non ho tempo… ho bisogno del tuo aiuto. –Dissi lapidario.
-Che cosa succede? –Cambiando timbro di voce. In breve gli raccontai tutto, lei non mi fermò nemmeno un momento.
-Una cosa insolita. L’unico rimedio è quello…-disse fermandosi.
-Cosa, nonna? –La richiamai.
Non mi dava risposta, ma che diavolo stava accadendo? C’era la mia ragazza che stava male, mia nonna che non mi rispondeva, mi sentivo in una gabbia di pazzi!
-Nella stanza che io e tuo nonno occupiamo, nel comò, nell’ultimo cassetto c’è una scatola dove ci sono diverse pietre, prendi la gemma di luna e posala sulla sua fronte, semmai non vedi miglioramenti, fai scorrere qualche goccia del tuo sangue sulla pietra. –Mi sembrava una barzelletta per quello che stavo sentendo, ma la nonna era seria, e così come mi aveva detto salii di sopra, frugai nelle loro cose e la posizionai sulla fronte di Jessica; lei si smuoveva come se avesse un diavolo alle calcagna.
-Ti prego fa che funzioni. –La posizionai dove mi aveva detto, ma non vedevo nessun miglioramento, così preso dall’ansia mi ferii a una mano e feci scorrere alcune gocce del mio sangue su essa. Com’era possibile che credessi a una cosa del genere? La mano non l’avevo spostata dalla sua fronte, lei si era calmata, ma i suoi occhi erano ancora chiusi. Pregai come non mai per il suo risveglio.
 
 
 
-Kaname. –Una voce mi risvegliò da quel sonno. Cercai di muovermi, ma il corpo non voleva proprio funzionare, mi facevano male le spalle e il collo. Alzai piano la testa che sembrava che pesasse tonnellate e mi scontrai con i suoi occhi.
-Buongiorno. –Le sussurrai, sentivo qualcosa di metallico in bocca e non capivo il motivo. M’issai e mi appoggiai sul divano poiché ero sul pavimento e mi guardai in giro, era giorno, di sicuro mi ero addormentato.
-Perché sei sporco di sangue? –Domandò, posando l’indice sul labbro.
La sfiorai anch’io e solo allora mi ricordai che cosa era successo. L’abbracciai d’impeto e lei ne fu sorpresa.
-Che cosa…? –
-Grazie a Dio. –Non badai al dolore del corpo o alle posizioni, ma la bacia e mi accorsi che anche lei aveva quel sapore. Che l’avessi baciata con il mio sangue? Non ricordavo quell’avvenimento.
-Mi sento stordita, penso che andrò a farmi una doccia. –Disse lei come se non fosse successo nulla.
-Vengo anch’io. –Mormorai, aiutandola ad alzarsi.
-Cosa? –Urlò quasi lei, facendomi chiudere le orecchie.
-Tu nel tuo bagno e io nel mio, non osare, sennò ti uccido! –Minacciò, socchiudendo gli occhi a due fessure.
-Certo. –Parlai, ridendo.
-Non ti permettere a prendermi in giro! –
-No, piccola. – La baciai.
-E mi darò una pulita a questi denti, ma che cosa abbiamo fatto? –
-Te la racconterò un’altra volta, dai su, vai…prima che ci ripenso. – Dissi, vedendola allontanarsi.
Dopo che le non ci fosse più, mi voltai verso la finestra scorrevole ed era aperta. Allora era successo davvero, mi sedetti sul divano e trovai la pietra di luna totalmente ripulita, la nonna mi doveva dare delle spiegazioni.
 
°°°°°
 
Era ritornato tutto alla normalità, Jessica viveva la sua vita e andavamo d’accordo. Quel fine settimana era successo qualcosa, anche se non mi davo una spiegazione logica. Avevo intrapreso una lunga riflessione e l’unica cosa che riuscivo ad immaginare era che il segreto della casata fosse la causa di tutti quei cambiamenti. Quella statua era il simbolo di famiglia e ogni volta che la mia piccola ne veniva a contatto le succedeva qualcosa, ne capivo poco di quelle cose, ma era tutto collegato, me lo sentivo.
-Ehi, sembri pensieroso. –Jessica era comparsa dietro di me, e mi porgeva una coppa di gelato. –Ne vuoi un boccone? –Chiese sorridendo.
-Preferirei qualcos’altro, ma mi dovrò accontentare. –Le dissi, prendendola e facendola appoggiare sopra le mie gambe.
-Ehi! – Si dimenò tra le mie gambe, ma le chiusi e la intrappolai. –Non è giusto. Non capisco perché riesci sempre a prendermi di sorpresa. Dimmi, qual è il tuo segreto Kaname Washi? –Domandò, posando la coppa del gelato sul tavolino e girandosi, posò le mani sulle mie spalle e s’issò.
-Sai dovresti vestirti di più così. –Le dissi, sfiorando la sua pancia nuda. Lei rabbrividì e chiuse gli occhi.
-Fa caldo e se vuoi la posso toglierla. –Borbottò, per poi alzarla un poco.
-Mi stai istigando? –
-Chi lo sa. –Sussurrò dolcemente, mentre si toglieva la maglietta e rimanendo con il solo reggiseno. –Adesso? – Mi chiesi che cosa avesse in mente, ma la lasciai fare era talmente bella.
-Abbassati le spalline. –Le dissi calmo, anche se il sangue stava ribollendo nelle vene. I suoi occhi era limpidi, maliziosi, ma seri. Ne era consapevole di ciò che stava inscenando, e questo mi dava la prova che lei fosse pronta per il passo successivo. Non le volevo mettere fretta, doveva essere voluto quel gesto. Lei con calma esasperante abbassò prima una e poi l’altra, guardandomi dentro gli occhi, come se avessi un tesoro all’interno.
-Baciami. –Mi ordinò e risi a quell’affermazione. La strinsi dolcemente i fianchi per poi far risalire una mano e abbassare il reggiseno, trovandola nuda sotto i miei occhi. Passai quei confini privati per poi trovarmi sulle labbra. Appena la sfiorai un fuoco divampò su di noi. Percepii una marea di sensazioni in quel solo tocco, che non capii neppure come eravamo arrivati stesi sul divano, avevo perso la camicia e quasi i pantaloni, la mia mano le sfiorava le cosce, lei era ansimante e vogliosa. Com’era possibile che ogni volta che la toccavo non capivo più nulla era un segreto, i nostri corpi si muovevano senza un comando dalle nostre menti. Lei mi stringeva i capelli, prima con dolcezza e poi con più vigore, la sua pelle era bollente, lava infuocata che mi stava scottando l’anima. Eravamo giunti a un buon punto, quasi entrambi nudi. I suoi occhi che brillavano di euforia, io pronto per averla.
-Kaname siamo noi. –Due nuove voci si fecero spazio nel salotto. Alzai la testa per vedere chi aveva osato interromperci e trovai le ultime persone che volevo in quel momento.
Fissai prima loro e poi Jessy che era tutta rossa.
-Tesoro tutto bene? –Chiese mia nonna, avanzando.
-Fermati. –Le gridai.
-Perché? –Disse lei come se non si fosse accorta.
-Mia cara che ne dici se andiamo a prendere i bagagli? –Mio nonno salvò tutta la situazione, lasciandomi un occhiata fugace e un sorriso ironico.
Sospirai di sollievo. Cercai di dirglielo con più calma possibile, ma Jessica stava già acchiappando i suoi vestiti e scappando in più fretta possibile.
-Li aspettavi? –Domandò a forma di rimprovero.
-No. Visita a sorpresa? –Le risposi, mettendomi i vestiti.
-Che figura! –
-Su, mica ti hanno visto. –La rassicurai.
-Dimmi come farò a guardarli? Bah si vedrà, vado a farmi una doccia fredda. –Iniziando a camminare.
La fermai. –Fredda? –Si voleva ammalarsi, lo sapevo che eravamo a Luglio.
-Si. –Disse diventando tutta rossa –sono troppo ecc…oh Dio, lasciamo stare. –Mormorò tutta emozionata.
-Se vuoi ti do una mano per raffreddarti, -le proposi e mi sorrise.
-Magari. –
-Kaname…-
-Credo che tua nonna voglia te, sarà per una prossima volta. –Detto questo sparì dalla mia visuale e sbuffai, perché non poteva andare una cosa bene? Ero proprio sfigato!
Accidenti al karma!
 
 
 
∞Ω∞
 
La doccia era durata più del previsto, avevo troppa adrenalina in corpo. Cercai di non pensare più a quegli attimi, in cui io e Kaname stavamo andando a fondo. Mi sentivo pronta, né ero convinta.
Sbuffai quando uscii dalla doccia. Come avrei potuto presentarmi alla sua famiglia? Guardai a destra e a manca per controllare che nessuno venisse ed entrai in camera per vestirmi. Chissà che cosa stava facendo Kaname. Guardai i vestiti e cercai qualcosa di comodo e non troppo vistoso, trovai un vestitino di un verde acqua e me lo misi, mi rigirai su me stessa e alla fine, optai per un paio di sandali senza tacco. Ero pronta per scendere e presentarmi, mica potevo rimanere per sempre chiusa. Appena arrivai sul pianerottolo, sentii alcune voci.
-Tesoro allora come stai? Ti vedo in perfetta forma. –Disse una voce da donna, si notava il tono maturo.
-Bene nonna. Anche se prima lo ero molto di più. –Detto questo diventai tutta rossa per quell’affermazione, ma perché aveva tirato in ballo quell’argomento? Baka!
-Davvero? Beh se mi avessi informato non saremo entrati di soppiatto e di sicuro non ti avremo disturbato. –Disse lei.
-E come facevo a sapere che sareste venuti? –Domandò il mio ragazzo un poco nervoso.
-Ah vero! Scusami tesoro. –Gli diede una pacca sulla spalla, per poi abbracciarlo. Mi nascosi per bene dietro il muro per non essere scoperta e diciamo mi sentivo una spiona a starmene lì, ma non riuscivo a farmi avanti.
-E come sta la ragazza? –Ritornò alla carica la signora, volendo sapere tutto.
-Bene. Comunque ha un nome e …-
-Ce l’ha presenterai stasera a cena. –Disse suo nonno. Non era valsa la pena di sistemarmi in fretta e furia, loro erano diversi da me. Mi sentivo così a disagio. Feci dietro front e ritornai su. Mi sedetti sul letto e cercai di non pensare. Mi ricordai la scenata di quella volta: la madre di Federico. Loro sarebbero stati peggio, volevano il meglio per il loro unico nipote ed io non ero alla sua altezza. Non possedevo nulla, ero sola.
 
Sentii chiaramente il rumore della porta che si apriva, ma non avevo dato il consenso. Mi ero sdraiata in posizione fetale e davo il viso verso la finestra. Avvertii distintamente un peso oltre il mio posarsi sul letto e una mano che mi sfiorava.
-Piccola. –Mi voltai con calma e gli diedi la mia attenzione, mi bruciavano gli occhi per quelle lacrime silenziose che mi avevano percorso per lo smarrimento provato poche ore prima. –Perché hai pianto? Stai tranquilla. –Mi calmò lui.
-Non gli piacerò. Io sono diversa da voi. –Gli dissi piano per non essere sentita.
-La diversità non ci dividerà, ci amiamo ed è questo l’importante. Dimostra il tuo valore sarai ricompensata. –Mi parlò, cancellando le scie di acqua salata sul mio volto.
-Grazie. –M’issai e lo abbracciai. Ce l’avrei fatta, non ero sola. Fu così che trovai la forza per presentarmi ai suoi nonni. Kaname non mi aveva lasciato la mano, mentre attendevo un responso da loro, mi fissavano con due occhi scuri che ebbi paura, ma volevo essere tenace, l’amavo e non mi sarei ritirata per il terrore.
-Che cosa fa nella vita? –Chiese suo nonno, non toglieva quegli occhi su di me, mi sembrava che mi stesse facendo la radiografia.
-In questo momento nulla, ma sto aprendo un’attività –dissi, cercando di togliermi quella brutta sensazione d’addosso.
-E la sua famiglia? –Aggiunse sua nonna.
Mi sentivo al tribunale, quando gli avvocati mi chiedevano e attendevano una risposta adeguata. –I miei genitori sono separati. –Non divulgai tanto. Ma le loro domande erano ben precise e sapevano dove colpirmi. Mi chiesero quanti fratelli avessi, se i miei lavorassero. Che scuola avessi frequentato e particolari che nemmeno Kaname sapeva, ma mi fidai di loro e del mio sesto senso.
-In breve signorina non ha nulla in mano, si sente meritevole di avere con se un uomo come mio nipote? –Pretese. Non sapevo che cosa risponderle, lo sapevo fin dall’inizio che lui era troppo per me, il mio lato pessimista uscii nuovamente e abbassai la testa.
-Credo basti così, nonna. –La rimproverò Kaname.
-Stai calmo, tua nonna ha ragione. Non ti meriterei, ma non riesco a starti lontana. Il punto che con te ho trovato la felicità che mai avevo provato, mi sento libera e orgogliosa di ciò che sono diventata e lo devo solo a te. Mi hai aiutato quando ne avevo più bisogno. –Gli rivolsi, ci guardammo negli occhi e lui era senza parole, poi indirizzai il mio sguardo ai suoi nonni, -forse non lo merito, forse non sono alla sua altezza, ma io amo vostro nipote. Credo in noi, cercherò in tutti i modi possibili per renderlo felice. Semmai non gradite la mia presenza basta dirlo, non mi offendo. Credo nel vostro giudizio. –Terminai. Tutto cessò, non sentii più nessuna sillaba, avevo detto quello che pensavo, avevo fatto rimanere in silenzio la mia mente e mi sembrava un sogno. Erano le mie sensazioni, il mio vero io.
La decisione era la loro. Mi abbassai come era di usanza nel loro paese e mi voltai, non gli avrei permesso di vedermi in lacrime, era più forte di me, avevo bisogno di andar via.
 
Fu una notte lunga, forse la più intensa della mia vita. Lì giocavo tutto. Il sentimento che era nato dentro di me si era evoluto pian piano, lo avevo coltivato all’insaputa e adesso lo vedevo rigoglioso e fiero. Non ritiravo le mie parole, in quel momento mi ero sentita importante e fiera di essere diventata quella donna. Mi chiusi a guscio ed aspettai l’alba che non si fece attendere troppo. Mi alzai frastornata, mi fissai le mani e li chiusi a pugno, forza! Dopo una breve doccia e vestita scesi di sotto, non c’era nessuno ancora e ne fui grata. Mi preparai la colazione e mi fermai. Il sole era sorto, il cielo era dipinto da bellissimi colori che mi facevano sentire libera.
-Buongiorno. –Una voce mi distrasse dal nulla, mi voltai e fissai quella donna.
Indossava abiti occidentali, anche se l’acconciatura assomigliava tanto a quella giapponese. Il viso aveva qualche ruga, gli occhi grandi e lucenti, pelle chiara. Una grande donna.
-Buongiorno anche a lei, signora. –Dissi educatamente, per poi riparlare –gradisce del the? –Domandai per rompere quel ghiaccio.
Non parlò, ma lo fecero i suoi occhi. Presi una tazza e gliela lasciai sul bancone, non cercai di fare altro. Dovevo stare attenta a quello che facevo o dicevo.
-Sei mattiniera. –Proferì.
-Ho degli impegni. –Affermai, bevendo un altro sorso del liquido caldo, anche se eravamo a Luglio, stavo gelando.
-Allora non ci sarai a casa? –Domandò, rimanendo impassibile di fronte a me.
-No, ritornerò questa sera. –
-E mio nipote …-
Non la lasciai finire –suo nipote non morirà se non ci sono, è abbastanza capace di peparsi un pasto anche senza il mio aiuto. –Dissi.
-Molto diretta. Ma vedremo che cosa saprai fare. –Dichiarò per poi uscire dalla cucina. Mi sentivo così pesante come se avessi un macigno sulle spalle.
Rimasi giusto qualche minuto ferma a fissare la tazza vuota, per poi afferrare la borsa e uscire.
 
Il traffico dell’ora di punta era snervante e quel giorno mi cadeva a fagiolo. Non solo dovevo contenere la mia frustrazione per ciò che era accaduto il giorno prima, ma anche nuovi problemi per il centro. Chiusi un secondo gli occhi, e ripartii. Non riuscivo a non pensare alla reazioni di quelle persone che per me erano estranei, mi chiedevo come avrei fatto a superare quell’ostacolo. Crystal mi aspettava nel parcheggio, uscii dalla macchina e m’incamminai verso la porta insieme a lei.
-Allora dove sta il problema? –Chiesi all’operatore.
Lei spiegai in breve cosa li aveva fermati e tutto il resto, stava andando troppo bene. Perché ero così pessimista? La mia amica se ne accorse che c’era qualcosa che non andava e così, dopo che ci liquidammo andammo a casa sua.
-Allora che cosa ti preoccupa? Di solito sei rumorosa, ma oggi era fin troppo silenziosa. –Ammiccò, sedendosi sul divano e guardandomi. Odiavo essere sotto interrogatorio, ma per quella volta avrei fatto uno strappo, non potevo continuare in quella maniera. Avvertivo un senso di pesantezza sullo stomaco che non mi aveva permesso di mangiare o di ingerire qualcosa.
-Sono arrivati i nonni di Kaname e loro non mi accettano. – Sputai fuori.
Lei non disse nulla per qualche minuto, per poi afferrarmi le mani e fissandomi negli occhi. –Sapevi che sarebbe successo. Purtroppo ciò che amiamo non lo vorremmo mai lasciare e per questo che ci accaniamo per difenderlo in tutti i modi possibili. Non vedere i loro atteggiamenti nel senso sbagliato, cerca di comprenderli. –Disse calma, con quella voce pacata, matura che da tempo non sentivo, forse non lo avevo mai avvertita. La mia amica con il matrimonio era cambiata, forse un po’ tutti mutavano a quel passo.
-Non lo voglio prenderlo, forse sì, ma non in quel senso. Mah che vado a sprecare questo fiato, se sarei nelle loro condizioni, farei la medesima cosa. –Affermai, buttandomi sul cuscino.
-Esatto. Saranno persone educate e rispettabili. Hanno solo bisogno di tempo. –Mi strinse.
-Grazie. –Le sussurrai, facendo uno sbadiglio. –Ti posso prendere quella stanza per un po’? –Chiesi. Volevo riflettere su quelle parole, ma soprattutto riposare.
-Certo, ma poi la sistemi tu. –Rise. Le feci una pernacchia e mi avviai verso la mia direzione, ormai la sapevo a memoria quella casa.
 
***
Guardai per l’ennesima volta orologio. Perché non mi aveva chiamato? Di solito ci sentivamo più volte nella giornata, forse aveva bisogno di starsene sola e non pensare. Era tutta colpa mia, dovevo intervenire prima. Accidenti!
Svoltai per dirigermi verso casa fino a che il telefono squillò, lo presi subito e azionai il vivavoce.
-J…-
-No, Kaname. Sono Crystal. –Sentii uscire dall’apparecchio. Mille pensieri si formarono in testa, perché mi stava chiamando?
-Stai tranquillo non l’è successo nulla. Ma perché pensate sempre che ci sia qualcosa storto? Siete uguali. Comunque ti volevo avvertire che rimarrà a casa mia, non ho voglia di svegliarla. –
-Dorme? –Chiesi più calmo.
-Si, ne aveva bisogno. Domani la riavrai. –Rise.
-Sta bene? –
-Forse sì e forse no. Credo che tu l’abbia capita com’è fatta. Sembra che non se la prende, ma la sua mente inizia a farneticare fino a che la fa diventare pazza. Tocca a lei prendere le decisione e penso che la farà presto, ti consiglio di starle vicino e di supportarla. –Dichiarò.
-Grazie per esserle stata accanto in questo momento, non le permettere di venire a casa se si sveglia prima. –
-Non ti preoccupare che non ne uscirebbe viva. – Chiuse la chiamata e mi fermai. Lei stava bene, ma la volevo con me. Pazienza.
 
**
Mi risvegliai frastornata. Tastai con la mano e capii che non ero a casa. Mi alzai con lentezza e mi guardai in giro, sicuramente quella stanza era quella di Crystal riconoscevo la carta da pareti. Mi issai e fissai il comodino il quale era riposto una piccola sveglia a batteria, segnavano le nove del mattino.
Mi sgranchii e scesi di sotto.
La mia amica non c’era, sicuramente ancora era a letto, ma notai che suo marito non c’era. Così per non rimanere con le mani in mano, iniziai a preparare la colazione, dovevo pur sdebitarmi dell’ospitalità. Intanto che apparecchiavo la tavola per noi due, trafficai sulla mia borsa che avevo lasciato il giorno prima all’angolo del corridoio. Mi erano arrivate diverse opzioni di come volevo arredare il centro, tuttavia non mi piacevano. Troppo sobri, volevo qualcosa che colpisse. Intanto che ero impegnata a guardare i documenti una testa sbucò dalle scale per abbracciarmi forte. –Buongiorno, mi dici dove la trovi tutta questa forza di prima mattina? –Mi domandò. La guardai attentamente ed era quasi nuda, ma non sentiva freddo?
-Su, non fare quella faccia. Sono a casa mia e faccio ciò che voglio. Allora cosa mi hai preparato? –Si azzardò a dire, perché sapeva che avrei fucilata.
-Vedi tu. Ma prima vatti a mettere qualcosa addosso, quando sei con il tuo amore puoi startene anche in questo modo, ma non davanti a me. –La rimproverai.
-Sempre la solita. Povero Kaname, dov’è la seduzione? –Blaterò.
-Questa non è seduzione, ma indecenza. –
-Smettila, sennò la prossima volta non ti ospito più. –
-Potevi anche cacciarmi se volevi. Comunque…-non finii di parlare poiché se n’era andata.
La mattina trascorse velocemente, dopo la colazione ci fermammo a discutere sull’arredamento e diverse cose, nel pomeriggio mi chiese di aiutarla a fare dei biscotti e infine me ne andai. Non era giusto restare ancora lì. Dovevo ritornare a casa, ma temevo un giudizio negativo dai nonni di Kaname.
Guardai la casa da sopra la macchina, un nodo allo stomaco mi si era formato per il troppo nervosismo. Alla fine decisi di affrontarli, non potevo evitarli per sempre. Entrai piano, non c’era nessuno in giro, quatta quatta posai la mia parte di biscotti sul bancone della cucina e salii al piano superiore per prendere un cambio e dirigermi verso il bagno.
Quando scesi di sotto mi trovai Kaname davanti, forse stava salendo a cambiarsi.
-Ciao. –Mi disse, guardandomi.
Gli sorrisi come risposta e lui allungò la mano per sfiorarmi il viso.
-Mi fa piacere che sei ritornata, senza di te è vuota. –Parlò.
-Scusami se ti ho lasciato solo, ma io…-iniziai a dire, ma lui mi fermò.
-A tutti serve un attimo di tranquillità. Non ti sto accusando, ma la prossima volta avvisami. –Dichiarò, prendendomi di soppiatto e abbracciandomi.
Restammo attimi interi intrecciati in quell’abbraccio. Tutti i dubbi erano scemati quando il suo corpo aveva incontrato il mio. Assaporai quel momento nostro e mi dissi che tutto si poteva andare in rovina, ma se lui rimaneva con me ero felice.
-Buoni sono! –Esclamò una voce, ci sciogliemmo e guardammo suo nonno mangiare uno dietro l’altro i biscotti che avevo portato.
-Hitoshi smettila di comportarti come un bambino! –Lo rimproverò la moglie, guardandolo male. Kaname rise a quel battibecco, erano così buffi.
-Nonno lasciali alcuni anche per noi. –S’intromise Kaname, lasciandomi, ma tenendomi per mano.
-Non sono sicuro di poterli lasciare a voi. Sono troppo buoni. –Disse con la bocca piena, mentre la signora lo fucilava.
-Anni di educazioni buttati al vento. Che figura fai davanti la ragazza di tuo nipote? –
Mi avevano accettato? oh avevo solo sentito male?
-Teneteli prima che se li mangia tutti. –Affermò, prendendo la scatola dalle sue mani e porgendola a Kaname per metterla al sicuro.
-No, i miei biscotti. Dove li hai comprati? –Mi chiese.
-Veramente li ho fatti io. –Dissi. In un attimo avevo tutti gli occhi addosso. Divenni tutta rossa per l’imbarazzo, ma a togliermi da quella situazione, fu Kaname che rise con piacere.
-Nonna te lo avevo detto che era piena di risorse. Dovresti assaggiare la sua cucina. –Baciandomi la mano.
La donna mi fissò ancora per un altro minuto per poi chiude gli occhi e fissare suo marito. Che cosa significava? Lo prese da un braccio e lo trascinò fuori dalla cucina, restammo solo io e Kaname.
-Non ti preoccupare andrà tutto bene. –
Avevo superato la seconda fase?
Peggio degli esami della patente mi sembrava. Stavo vaneggiando.
 
La cena fu molto silenziosa. Nessuno osava proferire parola, la signora più delle volte mi fissava, osservando il mio comportamento. Era palese che non piacesse il mio modo di sedermi o qualcos’altro, ma purtroppo non ero una nobile e ciò che sapevo era stato emesso da una famiglia normale. Ma l’educazione era sempre educazione. Risi a dei flash che mi apparvero in mente, quando all’età di otto anni mi sedevo sulla sedia come un maschiaccio e mia nonna mi rimproverava, dicendo che una signorina chiudeva le gambe e stava con le spalle dritte e non curva. Come tenere in mano le posate e come bere da un bicchiere, soprattutto non far rumore con l’acqua.
-Complimenti signorina, i suoi biscotti sono squisiti. Mi dovrà dare la sua ricetta così quando ritorno ad Osaka me li farò preparare dai cuochi. –Disse con calma l’uomo. I suoi occhi erano puntati su di me, la schiena dritta, le mani appoggiati sul tavolo. La barba liscia che incorniciava il viso aggrinzito dall’età. La cosa che mi stupirono furono quegli occhi simili a quelli del nipote, ma erano più chiari, non come quelli di Kaname che ogni volta che accadeva qualcosa cambiavano tonalità.
-Volentieri. –Risposi cortese, stringendo il tovagliolo appoggiato sulle gambe per poi allentarlo.
-Dovete assaggiare le sue torte sono squisite, ma credo che ci sarà il tempo anche per quello. –Affermò Kaname, guardando prima i suoi nonni e poi me, -capirete perché lei è speciale per i mie occhi. –Terminò.
Mi sentivo troppo a disagio. Non ero abituata ai complimenti, e quando li ricevevo mormoravo un timido “grazie” o rimanevo in silenzio sentendo il calore sulle guance. Fu così in quel momento. i loro sguardi mi fissavano con …non sapevo neppure io come definirli, l’unica cosa che avevo voglia era di diventare invisibile e sparire. Purtroppo la paura di non essere accettata non me lo permetteva, così ero rimasta a fissare la porcellana sul tavolo.
Quando poi avevamo terminato, pulito tutto mi diressi verso la mia camera, non riuscivo a rimanere un attimo in più in quel luogo; m’isolai e mi abbandonai sul piccolo balcone che avevo in camera.
Rimasi a fissare il cielo di notte per un tempo immemore, fino a che mi addormentai esausta.
 
Ω∞Ω
 
 
La serata era terminata con la sua scomparsa. Me e stavo nel portico a fissare la canna di bambù rintoccare il suolo. Era stata una settimana strana, con i misteri, le sue emozioni e la sua tristezza che formavano un climax micidiale. Il cielo era coperto da alcune nuvole scure. Chiusi gli occhi e mi beai di quel silenzio rilassante. Quando era sparita mi ero sentito talmente solo che non riuscivo neppure a respirare. Mi sentivo spaesato, privo di un cuore. Appena era ritornata tutto era svanito.
-Non senti fresco? –Domandò una voce. Non mi girai neppure, la conoscevo, mi aveva cresciuto in tutti quegli anni.
-Quando sto con lei il freddo non mi fa paura. –Dichiarai deciso rivolgendomi a lei.
-L’ami così tanto? –
-Si. Credevo che fosse un sentimento che non avrei mai provato, avvertito. Invece appena l’ho incontrata la prima volta tutto avuto un ruolo. Sono rimasto affascinato da lei, dai suoi modi, atteggiamenti. L’ho amata nel primo istante che i nostri occhi si sono scontrati. Mi piacciono i suoi lunghi silenzi, quelli senza parole, non ha importanza se non parla, i suoi occhi e la sua anima rilevano tutto. Ormai la comprendo, anche se c’è molto di lei che non conosco. –Rilevai, mi sentivo esaltato a parlarne. Liberato. Lei mi faceva questo effetto. A quel tempo le ragazze servivano solo per i miei bisogni, ma con lei non ero riuscito a toccarla in quella maniera, era troppo fragile, speciale.
-In ogni modo non posso avanzarmi troppo. All’apparenza sembra una brava ragazza, ma c’è tanto da …-iniziò a dire mia nonna.
-Capirai che lei è quella giusta nel momento in cui il tuo cuore e la tua anima vibreranno, quando la disperazione ti offuscherà la mente, ma nel momento in cui l’avrai tra le tue braccia tutto scemerà come fumo. Sono le tue parole nonna, ed a me, mi è successo. Con lei ho trovato il mio porto. – Dissi alzandomi. –Lei sarà il mio futuro, mi renderà l’uomo che tu e il nonno volevate. –La lasciai con quelle parole e andai da lei. Quando giunsi alla sua porta, bussai, ma non mi diede nessuna risposta. Entrai piano, guardai nel letto ma non c’era, un’ombra mi fece avanzare e la trovai fuori con una coperta che l’avvolgeva e la proteggeva.
-Così ti ammalerai, piccola mia. –La prese, era così leggera e la depositai sul letto nel momento in cui lo feci lei mi strinse la camicia e mi chiamò nel sonno.
Il cuore fece le capriole. –Non ti lascerò, semmai sarai tu a farlo. - Le baciai la fronte e mi stesi assieme a lei, la notte ci avrebbe custoditi e protetti.
 
 
 
Note dell’autrice:
Non ci sono parole per il mio ritardo. Tuttavia sono felice di portarvi questo nuovo capitolo, che avevo pensato di farlo più lungo, ma poi mi sono fermata. Sarebbe risultato troppo lungo e noioso.
Abbiamo l’apparizione dei nonni di Kaname, la nostra Jessy dovrà usare tutto il suo autocontrollo per non esplodere, ma ci sarà il nostro principe ad aiutarla. So che ci saranno pochi lettori per questo, ma sono sempre ottimista per un successo.
Alla prossima.
Heart

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Capitolo 34
*** Qui, dove batte il cuore ***


35°Capitolo
“Qui, dove batte il cuore”




 
 
I mesi si era susseguiti troppo velocemente. Se prima eravamo a Giugno adesso eravamo ai primi di Agosto e nemmeno me ne ero accorta. Il progetto del centro mi aveva del tutto avvolta che non avevo fatto caso allo scorrere del tempo. Crystal ed io eravamo così concentrate che nessuno riusciva a distorcerci da ciò che facevamo, anche Luca stava dando il suo massimo, ci aveva proposto diverse locandine, ma nessuno che ci colpisse al cuore.
I nostri ragazzi erano sempre intorno o quasi, perché quando lavoravamo sparivano come se avessero letto i nostri pensieri.
I nonni di Kaname se ne erano andati dopo due settimane di soggiorno, ero stata paziente e remissiva in alcune situazioni, ma più delle volte scoppiavo come una bolla, e la mia valvola di sfogo era stata le faccende del centro a calmarmi. Mi ero ridotta a non mangiare per il nervosismo e Kaname c’era rimasto male per quello, lo vedevo che ne soffriva, ma non ci potevo far nulla se il mio stomaco non voleva ingerire nulla, tranne che acqua. Ogni sera veniva a bussare alla mia camera e mi chiedeva se avesse bisogno di qualcosa, ma rispondevo sempre che stavo bene e che sarebbe passato. Come no. Quella pressione che avvertivo ogni volta che varcavo la porta della mia camera mi opprimeva a tal punto che a volte non riuscivo nemmeno a respirare, era stata una consolazione la loro partenza. Ero stata cattiva me ne rendevo conto, il mio ragazzo era felice che finalmente io e la sua famiglia c’eravamo incontrati, ma non era andata come se l’aspettava. Forse per una prossima volta. Mi strinsi le ginocchia e li portai al petto. I raggi della luna entravano dalla porta a finestre, mi sentivo malinconica quella notte. Kaname era dovuto rimanere a lavoro per finire alcune carte per poi entrare in ferie, due mesi. Un sogno.
Mi alzai sconsolata e vagai per la casa alla ricerca di qualcosa che mi distraesse dal peso che portavo al cuore. Da quella mattinata di fuoco non avevamo più toccato il tasto, mi sentivo un poco incompleta. Ero sicura che sarebbe sfociato in un atto completo ed invece niente. Ero stata distante. Antipatica. Ero stata una stupida a non accoglierlo.
Mi ritrovai dinanzi alla porta della sua camera, alzai il braccio e aprii la mano. Volevo entrare e buttarmi tra le sue braccia. Quando varcai la soglia il letto era vuoto, immacolato. Mi appoggiai sulla trapunta e fissai il buio.
Mi mancava. Come avevo fatto a vivere senza la sua presenza in tutti quegli anni? Lo aspettavo. Lo desideravo e adesso non riuscivo a muovermi, quella dannata paura mi opprimeva le viscere, per una mossa sbagliata, per qualcosa che … non poteva andare avanti così, lui si sarebbe stancato presto di me e mi avrebbe lasciato, ed era giusto così. Non meritavo nulla.
Appoggiai la testa sul suo cuscino e le lacrime salate iniziarono a scendere dagli occhi, come mi ero ridotta? Mi ero buttata anima e corpo nel nuovo progetto che avevo dimenticato il mio cuore, le esigenze del mio corpo, ma soprattutto della mia anima.
Un ricordo si focalizzò nella mente. La notte del mio compleanno.
Era stata una settimana difficile, piena di problemi, e proprio non me lo ricordai. Era stata una sorpresa varcare la porta di casa e trovarlo nel salotto, con un grande mazzo di rose blu e bianche e al centro un cuore di rose rosse. Era stato super romantico.
-Il mio cuore ha sperato che tu varcassi quella porta innumerevoli volte, alla fine è stato compensato. –Si era alzato, portandomi le rose di fronte per poi avvicinare il suo viso sulla fronte e baciarmela. Era stato gentilissimo.
Ero senza parole, mai nessuno aveva fatto una cosa del genere.
Mi ero commossa e avevo pianto. Lui da bravo ragazzo mi aveva consolato e coccolato per tutta la notte. Gli avevo detto che ancora non ero nata, ma invano.
-Quando nasce una stella non ha importanza né il luogo ne l’ora, basta ricordargli che è importante. –Aveva riferito con uno sguardo magnete, fisso nei miei.
Aveva cucinato tutto anche il dolce, si era dato da fare. Il salotto era cosparso di petali di rose, l’atmosfera era calda con le candele sparpagliate ovunque. Era stata una notte da sogno, mi ero addormentata tra le sue braccia e tutto era svanito, eravamo rimasti solo noi.

∞∞∞

 
La notte era fonda, arrivai a casa verso le due e mezza.
Ero distrutto. I progetti erano stati conclusi tutti, finalmente potevo godermi un poco di pace. Ad ottobre ci saremo rimessi a lavoro, anche perché il palazzo andava in cantiere. Dopo anni finalmente la provincia aveva concordato la ristrutturazione. La casa era silenziosa, mi spogliai della valigetta e della giacca per salire di sopra, avevo bisogno di una doccia rinfrescante. Però appena varcai la porta della mia camera un’ombra oscurava il mio lato dormiente. Sorrisi prima di focalizzare la figura, il cuore già sapeva che si trattava di lei. Mi avvicinai con cautela e la sfiorai e mi corsi che aveva le guance bagnate. Mi domandai perché avesse pianto. Non persi tempo, mi tolsi la camicia e i pantaloni per stringerla tra le mie braccia. Non importava di essere sudato la volevo al mio fianco, se aveva pianto ci doveva essere un motivo. L’accarezzai la schiena notando che era gelata e l’avvicinai più a me, che cosa l’era successo? Diversi episodi mi vennero in mente, come era di qualche settimana fa; lei che si fissava allo specchio aveva solo l’intimo e il suo sguardo sembrava lontano, alla deriva. Era dimagrita, in alcuni punti si notavano la sporgenza delle ossa.
Ero rimasto fermo a fissarla. Era bellissima. Purtroppo lei rimaneva a tale pensiero di non meritare niente. Il progetto del centro andava avanti, aveva chiesto molte volte il mio aiuto, ne ero felice, ma alle volte si isolava dal mondo e nessuno poteva varcare il suo guscio.
-Che cosa devo fare con te …mia farfallina? –Una domanda senza risposta.
Un fascio di luce mi colpì il viso era caldo, infuocato a dirla tutta. Cercai di girarmi, ma ero bloccato. Con tutta la forza che possedevo aprii un occhio. Vedevo tutto sfocato, avevo un gran sonno, avrei preferito girarmi dall’altro lato e dormire ancora.
-Buongiorno. –Disse una voce. Abbassai la testa e mi trovai una matassa di capelli tutti spettinati, sembrava un cespuglio disordinato.
-Giorno. –Dissi. In verità bisbigliai.
Non vedevo il suo viso, si era abbassata per non mostrarmela, cercai il suo corpo e lo trovai appiccicato al mio, anche se avvertivo il sudore scendere dai nostri corpi. Ad un tratto le lenzuola volarono via e mi ritrovai lei sul mio grembo che mi bloccava i polsi. Spalancai gli occhi per quella mossa, lei aveva gli occhi vispi e un sorrisino stampato in faccia. Era magnifica.
-Sei…- iniziai a dire ma lei assottigliò gli occhi e mi ammonii. Non voleva che io parlassi.
- Non osare dire una parola…-Annunciò schietta.
Ci guardando per un po’. Io perso nei suoi occhi e lei nei miei. Mi piaceva vederla in quel modo, sembrava una leonessa. I capelli le facevano da criniera, lo sguardo feroce ma nello stesso tempo battagliero e calmo. Era un miscuglio di emozioni contrastanti.
-Mi sei mancato. –Disse ferma. Orgogliosa di quel traguardo.
Sorrisi senza sapere perché o forse sì. Era ciò che avevo sperato. Lei avvertiva la mia assenza e questo colmava tutti i miei vuoti.
-Mi fa piacere che ti sono mancato, anche tu, piccola. –Le risposi, ma nemmeno il tempo che gonfiò le guance e si abbassò su di me. Chiusi gli occhi e …mi baciò sulla fronte e mi scompigliò i capelli.
-Bambino disubbidiente, per punizione non avrai un bacio. –Detto questo si alzò di fretta e mi gettò le lenzuola di sopra per poi correre verso la porta.
-Jessica! –Urlai per prenderla ma lei lesta chiuse la porta in faccia.
 
Le giornate passavano troppo lentamente, mi annoiavo a non averla in casa. Lei che canticchiava sotto la doccia, credeva che non la sentissi quando lo faceva? Ero molto silenzioso per non farmi sentire per spiarla, poi quando avvertivo che stava per uscire, me la svignavo. Mi piacevano i suoi piccoli pregi. Quando fissava la luna senza una meta precisa, lì entravo in gioco e l’abbracciavo forte e mi sentivo l’uomo più fortunato del mondo. Beh anche lei iniziava a conoscermi. Quando mi preparava quei manicaretti che tanto amavo. Molto piccanti. Lei si atteneva a ciò che poteva mangiare, ma infine lo faceva per me.
Tuttavia mi mancava la sua presenza l’estate stava per terminare e le vacanze le avevo visto con il binocolo. Giorgio mi aveva più volte invitato a delle feste, ma avevo sempre negato.
-Questa ragazza ti farà del male o già lo sta facendo. –Aveva detto una sera a telefono. Ma se nemmeno la conosceva. Male non male io non riuscivo a farle qualcosa di brutto era come se mi tradissi.
Un pomeriggio ricevette una chiamata da Federico.
Ci incontrammo un’ora dopo al bar e c’era pure Simon.
Parlottammo per qualche ora per poi essere più carichi che mai.
Entrammo con determinazione dentro il centro che ormai era quasi finito e trovammo i nostri amori a discutere sugli arredi finali.
Loro nemmeno se ne accorsero della nostra entrata, fino a che con un colpo di tosse Simon li fece svegliare.
-Ciao Amore che cosa ci fai qui? –Domandò Crystal alzandosi e avvicinandosi alla sua borsa. Guardò il telefono che era posto dentro una tasca per poi fissarlo. –E’ successo qualcosa? –Chiese.
-Nulla tesoro. Non posso fare una visita sorpresa alla mia mogliettina? –Disse con calma.
-Certo. –Disse.
-E voi due? –Ci interpello Jessica che rimase a fissarci da dov’era.
Iniziai a sganciare la bomba –stiamo partendo. –Dissi. In quell’istante nessuno parlò, solo dopo poco Luca si alzò e venne da me, tirandomi la camicia.
-Dove stai andando? –Urlò. Non lo lasciai nemmeno concludere che con una mossa lo sorpassai e con uno scatto veloce presi in braccio Jessica, lei urlò per la sorpresa per poi iniziare divincolarsi.
-Che cosa vuoi fare? – Disse tutta rossa. Sorrisi a quell’imbarazzo.
-Partiamo. –
-Esattamente. –Fece la medesima cosa Federico con Crystal,- domani mattina abbiamo l‘aereo e dobbiamo preparare ancora le nostre valigie.
-Voi siete del tutto pazzi. –Gridò Jessica.
-Pazzi d’amore! –Urlai felice. Che le vacanze avessero inizio.
 
∞∞∞
Fu un fuggi e fuggi quel giorno. Eravamo rimasti paralizzati a quella notizia, nessuno dei tre ce l’immaginavamo. Di punto in bianco ci trovammo in casa a fare le valigie. Kaname aveva un sorriso così bello che più delle volte rimanevo a fissarlo senza motivo, poi lui mi scopriva e mi giravo di scatto tutta rossa.
La sera arrivò troppo velocemente e ancora ero nel caos più assoluto, non sapevo che cosa mettere in valigia, ero nel panico.
-Non capisco tutta questa confusione, voi donne siete così strane. Mettici qualcosa di utile e dei costumi, poiché staremo lì per quasi tutto il tempo…e poi. – Con una falcata era già tra le sue braccia, appoggiai la testa sul suo petto e cercai di sentire il suo cuore battere. –Porta qualcosa di Sexy. –Disse a brucia pelo. Mi allontanai da lui e lo guardai storto che intenzioni aveva?
-Ma che richiesta fai? –Gli urlai, per poi spingerlo fuori dalla mia camera.
-Un pensiero. –Rise lui avanzando per uscire.
-Io ti uccido! –Urlai.
-Spero di baci? – Rispose.
-A via di colpi in testa idiota! –E’ gli sbattei la porta in faccia.
Mi sedetti con un balzo sul letto e caddero alcune cose a terra, “cose sexy” ma ne avevo? Non mi ero mai soffermata su quelle cose non avendo bisogno, ma adesso? Ero sprovvista. L’unica cosa che avevo nel cassetto era un perizoma rosso regalato per i miei diciott’anni.
Lo presi con le mani tremanti e lo fissai, un momento dopo era buttato nel cestino, non avrei messo una cosa del genere per far felice lui.
Mi appisolai e mi addormentai del tutto. La mattina fui risvegliata dai rumori sottostanti, solo allora il mio cervello collegò tutto e mi alzai di scatto. Nel momento in cui lo feci mi afflosciai a terra con tanti puntini negli occhi.
-Oh cavolo, perché non rifletto prima di agire. Aspettai il tempo che tutto scemasse per poi ritrovarmi a vestirmi di fretta in furia e scendere come una pazza in salotto, dove lui era seduto in cucina a bere un caffe.
-Buongiorno. Lo sai che sembri un dinosauro quando ti svegli tardi? –Iniziò a dire con quell’aria di sapientone.
-Vai al diavolo! - Gli urlai per poi prendermi dell’acqua.
Cercai di regolare il respiro e ritornare lucida, -ma dove andiamo? Credo che non l’abbia sentito. –Dissi.
-Infatti non l’hai sentito è una sorpresa. – Rise lui sotto i baffi.
-Dai dimmelo! –
-No. Un poco di pazienza e lo scoprirai. – Concluse lui per poi uscire fuori dalla cucina, avrei torturato qualcun altro, ma nello stesso tempo che il pensiero si focalizzasse, ricevetti una doppia chiamata e quando mai Crystal e Luca era in sincronia perfetta.
La loro voce squillante mi trapassò i timpani, la voglia di buttare tutto in aria era vicina.
-Sai dove ci porteranno? –Chiese Crystal più veloce dell’amico.
-No, mi ha detto che è una sorpresa. – Affermai.
-Idem. Questa me la pagano quei tre, qua gatta ci cova, stiamo attenti alle loro mosse. –Terminò Luca, in quel flagrante Kaname mi chiamò, era ora di partire.
 
 
Mi ero addormentata alla fine per la stanchezza. Avevo appoggiato la testa sul cuscino e non ci avevo capito più nulla. Non m’importava che a pochi centimetri avevo Kaname, la cosa più importare era di dormire, gli occhi si chiudevano da soli.
Il susseguire di vicende, sorprese mi avevano talmente colpito che non ci credevo ancora. Anche prima di cadere in un sonno profondo temevo che al mio risveglio tutto sarebbe sparito.
Presi un lungo respiro, come se non respirassi da anni. Il fiato uscii lungo, liberatorio. Rimasi nella mia posizione e ripensai a tutto. Alla mia fortuna di aver incontrato degli amici fantastici e un ragazzo che mi amava per davvero.
Presi un altro respiro per rammentare quello che era accaduto poche ore fa. Il nostro arrivo all’aeroporto, c’era un caos, chi spingeva da una parte o dall’altra, la nostra confusione. Kaname che mi prese per mano e ci mi condusse in un corridoio a parte. La mia bocca spalancata appena capii che quel jet era per noi.
Due hostess ci stavano aspettando e il comandante all’entrata. Appena vide Kaname lo salutarono, dando l’appellativo di “sama”, e inchinandosi? Quegli atteggiamenti ci parsero fin troppo, ma non parlammo. In breve ci spiegò che i voli erano tutti pieni, la quale la sua famiglia possedeva un veicolo privato, e per puro caso si trovasse nel nostro paese per un viaggio improvvisato. Mi venne subito il dubbio che era stato lui a richiamarlo per fare occhio su di me. Salimmo entusiasti soprattutto Luca che si era messo a pavoneggiare a destra e a manca, Crystal che chiedeva anche lei una cosa del genere al suo adorato “maritino” ed io che rimanevo silente con la testa appoggiata sulla mano a fissare il finestrino. Mi stavano sulle scatole quelle due ragazze che si congratulavano con il mio ragazzo di quanto era bello.
-Mi sembri nervosa. –Mi disse appena si erano allontanate un attimo. –Non soffrirai il mal d’aria? –Domandò curioso, anche se, forse si era reso conto del mio sguardo omicida.
Era intervenuto Luca, la quale avrei ucciso a coltellate in quel momento per le sue battute – forse è gelosa, Kanameuccio! –Borbottò tutto pomposo.
Tutti si erano messi a ridere, ma dentro di me covavo un nervosismo pazzesco. Mi stavo alzando con la briga di allontanarmi da quei pazzi, quando lui mi sorprese con poche parole.  Si era avvicinato al mio viso, credevo che mi baciasse, invece mi spostò una ciocca di capelli e mi disse- adoro la tua gelosia, significa che sono importante per te. – Non ero riuscita a replicare, poiché il cuore mi era scoppiato in gola, ero diventata tutta rossa per l’imbarazzo, ma nessuno aveva sentito. Per fortuna.
Il viaggio tutto sommato era andato bene, avevamo parlato, anche se i ragazzi non ci volevano dire dov’eravamo diretti, ma a capirlo fu quando uscimmo dal jet e a carattere cubitale c’era insegna della città. Atena. Tutte le domande cessarono. Crystal mi abbracciò con slancio e urlò di gioia. Dopo aver preso le valigie e un mezzo per spostarci, ci fermammo al porto per prendere il traghetto che ci avrebbe condotto sull’isola predestinata.
 
 
Due braccia mi strinsero all’improvviso, un corpo caldo si avvicinò e sentii il suo fiato sul collo. – Buongiorno. –Parlò dolcemente.
-Giorno. –Dissi piano.
-Come hai dormito? – Sussurrò sfiorando il collo con la lingua a quel gesto il corpo divenne rigido.  Continuò fino a raggiungere il lobo e darmi un morso. Mi girai di scatto per insultarlo, ma rimasi a fissarlo. Era senza maglietta, con solo un pantaloncino. Era bellissimo. Quell’aria da ragazzino sul viso, il sorriso che mi rivolgeva. Ero in trance.
-Ti faccio questo effetto? – Affermò, prendendomi di sprovvista e capovolgendo la situazione, avendo il suo peso addosso, mi ritrovavo in trappola. Il mio corpo era tutto teso. Occhi dentro occhi. Abbassò la testa e soffiò sulla pelle scoperta, quel fiato giungere in quei punti nudi mi fecero eccitare, fremevo. Volevo di più. Cercai di sbloccare quella scena, ma lui me lo impose.
-Voglio averti. –Disse serio.
-No.- Risposi.
Abbassò le sopracciglia come per dire, stai giocando sporco –sei una tentatrice. Lo fai apposta, stai mettendo a dura prova il mio autocontrollo, ti ho capito ormai. Ma perderai. –
-Lo vedremo marinaio. Forse cadrai tu in mano mia. –Dichiarai. Sorrise e fu in quell’istante che colsi l’occasione per fuggire e ripararmi dal suo sguardo.
 
Stavo vivendo emozioni mai vissute. Ero alle prime armi, ma mi sentivo tenace sui miei principi. Doveva meritarsela qualcosa, quando mi sarei concessa sarebbe stata unica. Un ricordo memorabile. Per entrambi. La giornata era stata faticosa, l’aria era più pesante dalla nostra, ma ci divertimmo lo stesso. Le corse tra me e Happy e poi l’aggiunta di Luca. Le risate degli altri. I schizzi d’acqua. Gli abbracci del mio ragazzo. Quelli erano bellissimi, soprattutto quando i piedi non toccavano più il fondo. L’acqua in alcun punti era cristallina, si poteva vedere i fondali. Cercammo di esplorare alcune grotte, imprimendo quei momenti in scatti unici.
Le facce buffe di Luca e Simon, i baci dei sposini. La mia ira contro Kaname, poiché mi aveva gettato un secchio d’acqua gelata, nel momento in cui stavo prendendo il sole. Quando poi giungeva la sera, o mangiavamo fuori, visitando anche i piccoli paesini e la loro movida notturna. Il luogo in cui sostavamo era situata in una piccola montagna, dove erano situate altre piccole case bianche e con il tetto blu. Avevo chiesto a Kaname perché di questo colore, -per i greci è il colore della fortuna. Del mare. –Aveva risposo.
-Penso che hanno ragione e questo colore è fantastico in tutte le sue sfumature. –Affermai contenta. Il blu mi piaceva e questo mi entusiasmava. La costa era uno spettacolo, da lontano si vedevano anche le altre isole, ma li avremo visitato tutte.
Quel giorno mi ero svegliata di buon umore e anche presto, mi ero presa la briga di fare una sorpresa a tutti. Ma prima di tutto volevo rilassarmi. Io e Crystal ci stavamo divertendo e rilassando, più delle volte ci allontanavamo dai ragazzi per isolarci. Era un attimo di tregua. Mi ero confidata con lei sui comportamenti di Kaname, lei mi aveva messo una mano sulla spalla e mi aveva guardato seriamente.
-Se lo ami, quanto lui ama te... Non ti farai tutti questi problemi, quando giungerà quel momento. Lo farai senza pensarci due volte, e ti sentirai al settimo cielo. Realizzata. Sarai un'altra persona. Rinata. Non temere. –Mi ero sentita confortata. Ma avevo paura. L’alba era giunta e il sole baciava il mare, la sabbia fredda, diventava dorata, come se brillasse.
Rientrata dentro casa avevo trovato già Crystal in piedi, i ragazzi sparpagliati che organizzavano la trasferta per la giornata.
 
 
 




La Grecia era un’isola molto bella, con i suoi luoghi pieni di arte e cultura. Ricordai tutti quegli anni a studiare la storia e adesso realizzarsi davanti ai miei occhi. La storia era un punto importante nella nostra vita, sapevamo da dove risalivamo, che cosa c’era stato prima…il nostro passato. Camminare in quei cunicoli e osservare quell’architettura mi aveva affascinato talmente tanto che mi ero isolata da tutto, seguivo solo la guida turistica che parlava di continuo. La mia mente elaborava di continuo e fu in quell’istante un idea mi folgorò. Sapevo cosa fare. Volevo avere una penna e un foglio, ma ciò che possedevo era solo il telefonino, così con tutta la pazienza del mondo cominciai a scarabocchiare su paint la mia idea.
-Finalmente ti abbiamo trovata! –Esclamò una voce. Non feci nemmeno attenzione, che qualcuno mi aveva girato e mi stava parlando. –Almeno ascoltami. Oh ma ci sei? –Mi alzai un attimo dallo schermo e vidi Simon arrabbiato.
-Scusami, ma ero impegnata. –Dissi sbrigativa.
-L’ho capito. Dai andiamo gli altri ci stanno aspettando. Cosa da pazzi! –Affermò, mentre mi stringeva un braccio per farmi spostare. Ero davvero strana. Abbandonai il telefono e camminai da sola, senza che qualcuno mi dovesse trascinare. Appena giungemmo dinanzi agli altri, ci pensò Crystal a farmi una lunga ramanzina, in quanto alle volte mi comportavo da bambina e li facevo preoccupare. 
-Adesso basta, Crystal. Non sei mia madre. Non ho bisogno che mi tratti così. Ho capito che vi siete preoccupati, ma non ho più due anni. –Mi ero arrabbiata in fine. La mia sopportazione aveva un limite. Kaname non mi rivolgeva la parola, come se dopo ci sarebbe stata un'altra ramanzina, ma si sbagliava non ne avremo più parlato.
Finimmo di visitare i templi e ci fermammo in un piccolo covo rustico. Il tempo era diventato grigio nell’aria sentivo odore di pioggia. Speravo che la pioggia non ci avesse preso; vane speranze, perché proprio per la strada del ritorno, una cascata d’acqua ci fece diventare pulcini. Arrivammo in casa totalmente bagnati.
-Adesso finisce? Certo ci doveva fare la doccia prima. –Dissi al vento, poiché non c’era nessuno intorno a me. Pensavo.
-E che ci vuoi fare, la natura è birichina. –Giunse una voce sommersa. Mi girai appena e me lo trovai dietro di me, mentre si asciugava i capelli.
-E’ spuntato l’arcobaleno. –Mormorai, rivolgendo l’attenzione nuovamente al cielo.
-E’ del tutto normale, dopo la pioggia c’è il sole. – Sussurrò piano. Era troppo vicino. Sentivo il suo respiro addosso. Lui mi stava tentando, ma stavolta avrei giocato io. Sarei stata diversa, più provocante. Con uno scatto veloce mi girai e lo sorpresi. Mi avvicinai con un sorriso strano, ma lui capii al volo che l’atmosfera era diventata elettrizzante. Mi fece condurre il gioco. Mi avvicinai al suo corpo, mentre lui indietreggiava, fino a giungere sulla poltrona il quale si sedette. Lo fissai e poi mi sedetti a cavalcioni su di lui.
-Che intenzioni hai? –Mi sussurrò.
Gli feci no con il dito e avvicinai la bocca alla sua, ma cambiai direzione e gli baciai la guancia. Iniziai un gioco di seduzione, che non sapevo dar nome. Sensazione contrastanti mi spingevano a superare dei tabu che nemmeno esistevano. Scesi senza vergogna dalla sua gola, fino a fermarmi sul petto e continuare il mio gioco. Avvertivo il rumore assordante del suo cuore, dei rumori che la sua gola stavano provocando per quello. I suoi occhi erano chiusi, il suo respiro più pesante. Le mani incollate alla sedia come se avesse paura di cadere. Ero ancora bagnata, le goccioline mi scendevano dal viso, dalla schiena, ma non li sentivo come se il calore che stavo emanando li facesse evaporare. Sapevo. La mia mente me lo stava urlando. Se lo baciavo, tutto sarebbe cambiato. Volevo questo? Mi staccai e fissai l’uomo che avevo eccitato. I suoi occhi sembravano buchi neri. Avevo le labbra gonfie e un corpo che reclamava il suo premio. Ma lo abbondonai. Ero meschina e lo sapevo. Lui non mi disse nulla, era come se non ci fosse in quell’istante.
 
Mi ero messa nei casini. Kaname non mi guardava più. E tutti se ne accorsero. Avevo sbagliato tutto come al solito. Volevo scappare e fu così che una notte per troppi rimpianti me ne andai, il mare mi avrebbe calmato.
 








 
 ∞Ω∞
L’aria fresca mi stava consumando. Dopo quell’episodio non le avevo più rivolto la parola. Ero arrabbiato. Come si era permessa di illudermi. Era ritornata quella donna audace e combattiva, non capivo se in lei ci fossero più personalità.
Rientrai in camera, avevo bisogno di chiarire alcuni limiti assoluti con lei, ma appena varcai la porta avvertii subito che di lei non c’era nessuna traccia. Erano le due di notte, la sua borsa era ancora lì e anche il cellulare, dov’era andata a finire? mi avvicinai alla finestra e notai un ombra verso la spiaggia. Il mare era un elemento che più volte ci ritrovavamo a ritrovarci, non ci pensai nemmeno un attimo e seguii il mio istinto.
La sabbia era fredda, c’era un bellissima luna piena in cielo che illuminava tutto il mare.
La trovai seduta su un tronco abbandonato, aveva lo sguardo perso e i capelli che volavano leggermente. Mi sedetti senza dire nulla. Fissai anch’io il nulla, non avrebbe parlato lei, oramai avevo intuito il suo carattere. Si chiudeva a guscio quando sbagliava. La fissai senza farmi vedere. Aveva indosso solo un corto vestito bianco, i piedi scalzi, non si sarebbe allontanata. Quel pensiero mi tranquillizzò.
-Jessica dobbiamo parlare. –Dissi piano, senza farla spaventare.
-Mi vuoi lasciare, perché io…- le parole furono sostituiti da singhiozzi, dal suo ripentivo cambiamento. In un attimo si trovava in piedi e mi dava le spalle.
-Perché ti dovrei lasciare? La tua mente elabora troppo. Il voler parlare non significa abbandonare, ma discutere su ciò che non va. –Mi apprestai a dirle, e poi voltarla verso di me. Non mi dava il permesso di vedere il suo viso, i capelli le facevano da scudo, ma non volevo mollare. Quella sera mi aveva fatto sognare con quel gioco improvvisato, ero un suo burattino. Ma si era fermata, forse per paura o per ripensamenti? Le alzai il viso con fatica, ma non mollai ed era in lacrime. Si stava ferendo da sola. 
-Perché stai piangendo? –Domandai.
-Io non lo so. –
-Certo che tu lo sappia, ma non me lo vuoi dire. Mi va bene. Ma ti prego non chiuderti a guscio. Credevo che le barriere si fossero ritirate e invece no. Non mi dai il permesso di entrare nel tuo cuore. –Affermai. Lei non era pronta per iniziare un nuovo inizio. Era rimasta la fragile ragazzina di una volta.
-Tu già ci sei in questo maledetto cuore! Sono io che non ti merito! –Urlò forte.
A quelle parole qualcosa in me scattò. La buttai sulla spiaggia e la coprii con il mio corpo, le bloccai le mani e la guardai fissa negli occhi.
-Non mi ripeterò per una seconda volta. Tu mi meriti, senno non saresti qui, con me. Non ti avrei nemmeno dato il permesso a raggiungere questo livello. Ti amo Jessica e non sarà questo a farmi cambiare idea. Hai bisogno di tempo e credo che non ti ho mai fatto fretta. Che cosa c’è che non va? Ti ho mai detto che non sarei stato dalla tua parte? –Gli urlai. La rabbia era scemata dopo quel monologo. Lei non parlava più, solo le sue lacrime che scendevano copiosamente mi dicevano che l’avevo colpita.
-Che cosa ti ha colpito di me, se sono vuota? –Sussurrò rotta dai singhiozzi.
-Che cosa mi ha colpito? Lo dovresti sapere. Perché in fine e questo che sei: un’anima che ha ballato talmente tante volte sotto le tempeste che adesso ha paura di farlo sotto il sole.  Ciò che provo per te non ha parole per descriverlo. Ti basta che questo è tuo. –Premendo la mano sul cuore.
La vide emozionarsi, gli occhi si umidirono di altre lacrime e poi sorridermi. –Anche il mio cuore è tuo. –Disse.  Mi abbassai e la baciai, dovevamo interrompere quel duello, perché l’arcobaleno era spuntato. Lei si lasciò andare, le asciugare le guance, le baciai gli occhi che sapevano di sale.
Il corpo era cosparso di brividi e anche il suo. Non parlai, non parlammo. Ci facemmo guidare dall’istinto e dal cuore. Accarezzai il suo corpo, il quale al mio passaggio diventava bollente. Iniziammo una danza d’amore, dettata da quel legame che ci aveva unito e che si stava rinforzando. Lei si fece guidare da me, era serena e non vedevo più quei dubbi che l’assillavano. In quella notte sotto lo sguardo della luna due anime si era ricongiunte. Il suo abbraccio mi fu fatale. Avevo trovato il mio porto. La mia ancora. Quel posto, quel momento sarebbe rimasto impresso per sempre nelle nostre memorie.
 


















 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
∞Ω∞
 
 
Un dolce freschetto mi raggiunse. Distesi una mano per toccare il caldo lenzuolo e invece toccai della sabbia? Mi alzai di scatto e mi trovai il mare che brillava di una luce meravigliosa. Il sole stava nascendo e gli dava quell’effetto wow. Accanto a me avevo una persona, che nel tempo mi aveva cambiato in meglio, facendo scoprire nuove qualità del mio essere. Si, mi aveva anche sbattuto la dura realtà in faccia ma c’era sempre stato. Un forte calore mi giunse sulle guance, avevamo fatto l’amore in spiaggia. Un sogno venuto realtà, ma anche pericoloso. Chiunque ci poteva notare. Nel ripensare quel momento non avevo nessun senso di colpa, mi sentivo finalmente completa. Mi ero lasciata andare, le paure erano scivolate …Crystal aveva ragione, se si faceva per amore niente era sbagliato. Sentivo ancora i brividi che le sue mani provocavano sul mio corpo, lento e caldo al suo passaggio. Aveva giocato da ottimo maestro, c’eravamo andati con calma, con i nostri tempi. Avevo visto uno sguardo nuovo, i suoi occhi si erano aperti nel momento in cui i nostri corpi si erano legati del tutto. Mi sentivo euforica. Mi alzai di bacino, la sabbia mi stava entrando anche nel naso, e sentii un certo prurito sulla spalla sinistra, forse mi ero graffiata. Sembrava un brufolo, lo avrei guardato più tardi. Il sole era sorto ed ero in ottima forza, il mio ragazzo dormiva ancora sereno sulla sabbia, era un peccato svegliarlo, ma dovevamo andare.
-Kaname, svegliati. –Lo mossi lentamente, ma non funzionò. Così mi avvicinai al suo corpo, con una mano fredda (una caratteristica che mi seguiva tutto l’anno) gliela appoggiai prima sulla spalla e poi scendendo verso il bacino. Lui sembrava che non avesse sofferto di quell’effetto così continuai a scendere, mi sentivo un poco imbarazzata, ma infine per che cosa era? Forse pudore?
All’improvviso mi sentii spostata e due occhi che pian piano avevo iniziato ad amare si pararono su di me, aveva un sorriso malizioso che diceva tutto.
-Vuoi ancora giocare? Non credevo che fossi così focosa di prima mattina. –Disse beffardo.
-Si, mi piacerebbe giocare. Ma non in questo momento, tra breve giungeranno i primi bagnanti. Non vorrei essere denunciata per atti sessuali all’aperto. –Risposi, il mio sorriso era radioso, ero elettrizzata a quel duello di sguardi. Lui mi faceva emozionare e poi come mi guardava.
-Mmm… Capisco. – Fece lui per poi rialzarsi. A quella vista cambiai prospettiva. –Non mi dire che t’imbarazzi adesso. Mi sembrava che non avessi pudore…-mi punse sul vivo. La notte scorsa avevo fatto del mio meglio per non risultare troppo goffa in quelle prime esperienze, lui ne aveva avuto tempo di perfezionarsi, invece io ero solo sul piano teorico. Si, avevo vissuto emozioni indescrivibili, che erano state meravigliosi e non sarei riuscita a raccontarle, forse il mio corpo, la mia anima. Avevo perso la ragione e mi ero fatta guidare dall’istinto e lui se ne era accorto. Mi aveva aiutato e dargli piacere, a ricambiarlo, ero stata diversa, unica.
-A cosa stai pensando? –Disse lui tutto in un colpo ritrovandolo alla mia altezza.
-Niente. –Balbettai.
-Davvero? –In un attimo mi trovai il suo corpo sopra il mio, i suoi capelli che mi solleticavano il naso e il suo viso appiccicato al mio stomaco, sentii chiaramente la sua lingua solleticare la mia pelle che rabbrividii a quel contatto. Le sue mani avevano tolto il vestito con agilità e adeso mi ritrovavo di nuovo in balia di lui. Chiusi gli occhi, volevo viverlo, senza nessun pensiero.
-Ti amo. – Sussurrai piano, forse troppo. Ma non m’importava.
-Ripetilo. –Disse serio.
-No. –Risposi.
-Jessica, ripetilo. Fammelo sentire bene. Voglio che mi esprimi le tue emozioni in quella parola. –La sua voce era roca, suadente. Vibrava forse era anche lui emozionato?
Mi alzai. I brividi di piacere mi cospargevano completamente, con una stabilità ardi poco nulla mi avvicinai al suo viso. Sorrisi. Sentivo il mio cuore scoppiare nella gabbia toracica. Presi una sua mano e l’appoggiai proprio lì, lui chiuse gli occhi per sentirlo. Sembravamo in un altro pianeta, nessuno ci avrebbe fermato.
-Ti amo Kaname Washi e questo battito è solamente per te, tu mi fai risvegliare istinti primordiali. –Dissi chiaramente, senza temere il suo giudizio.
Anche lui fece la medesima cosa, mi portò la mia mano sul suo cuore e mi rese felice quel battito. –Tu sei stata l’unica donna di aver avuto il permesso ti entrare interamente nella mia vita. –Affermò con due occhi di diamante. Brillavano di una luce nuova, viva, piena di amore represso ed ero felice che quella bagliore era stato creato dalla mia presenza, dal mio amore, dalle nostre essenze che si erano legate.
 
 
 
Ci ritrovammo a sorridere come due idioti nella strada del ritorno. Lui che dopo innumerevoli scherzi mi prese tra le braccia e in attimo arrivammo in camera nostra. Non ci pensai due volte e lo abbracciai da dietro.
-Che devo a questo gesto? –Chiese, mentre avvertivo il suo fiato farsi più veloce.
-A niente o tutto. Comunque grazie. – Gli baciai sulla nuca e scappai verso la doccia, ne avevo proprio bisogno.
Quando uscii dalla doccia lui non era più in camera, indossai un nuovo vestitino e mi apprestai ad andare in cucina, il quale trovai già gli altri mentre organizzavano un nuovo tour.
Il sole caldo era insopportabile, ma ci avrei fatto un pensiero per abbronzarmi. Crystal era della mia stessa idea, e non ci pensammo un attimo per stenderci sotto. Il calore mi faceva ripensare alle sue mani, in quanto sembravano lava bollente sul mio corpo. I suoi sospiri e sussurri. Strane voglie mi stavano vorticando in testa da un po’ e quel calore non mi dava aiuto.
-Dove vai? –Chiese la mia amica.
-A rinfrescarmi. –Borbottai. I piedi mi facevano male a causa dei sassi. La spiaggia era totalmente ricoperta di essa, non potevo stare con i piedi più di tre secondi, poiché scottavano.
-Stai attenta che l’acqua è già alta quando entri. –Mi avvisò.
Le spiagge erano bellissimi, ma al contempo ero ristretta su tante cose non sapendo nuotare. Mi afflosciai alla riva, dove già notavo il blu della profondità.
Era davvero un peccato.
Ad un tratto mi sentii trascinata nelle acque oscure e cercai di rimmergere, ma due mani forti mi tenevano saldamente.
-Stai tranquilla, il luogo più sicuro e accanto a me. –Disse una voce che conoscevo fin troppo bene. Mi girai con uno sguardo omicida per quel gesto che mi aveva fatto morire di paura.
-Baka mi volevi uccidere! –Urlai forte, agitai le braccia con vigore.
-No. Volevo solo farti uno scherzo, ma ahimè non è riuscito. – Disse stringendomi ancora con più forza, come se avesse realmente paura che non ritornassi più a galla. –Scusami. –Disse tutto dispiaciuto.
Rimasi in silenzio per un tempo eterno, gli unici rumori erano le acque che lambivano i nostri corpi.
-Scuse accettate. –Ripresi in mano la situazione, non mi piaceva quel silenzio tra di noi. Il suo torace era schiacciato sulle mie spalle, la sua testa ad un certo punto si era appoggiato sulla spalla sinistra.
-Che cosa hai fatto qui? –Chiese dopo un poco.
Cercai di girare la testa, non riuscendo a far molto, allungai la mano e la tastai. Non l’avevo più guardato. La superfice era liscia, ma era rossa come se da un momento all’altro sarebbe scoppiata.
-Ti fa male? –Domandò preoccupato.
-Un poco, ma sopportabile. Non ti preoccupare. –Sussurrai per ricoprire la sua testa con le mie mani. I capelli era bagnati e gli ricadevano sulle spalle.
-Se riesci a girarti lentamente ci possiamo vedere. –Feci come mi aveva detto e in breve tempo lo guardai negli occhi. –Sei stupenda. –Affermò.
-Anche tu, faresti strage di cuori. – Mormorai.
-Mi basta quello tuo, Jessica. Solo il tuo. –E me lo ritrovai incollato. Le sue labbra premevano sulle mie, approfondì il bacio dopo il mio permesso e danzammo in mare. Con la passione che pian piano aumentava, avevo paura di fare quella richiesta ardua. Non sapevo nuotare e tutto il peso era su di lui.
-Batti i piedi e ci avviciniamo a quella conca. –Affermò deciso, non sapevo dove volesse portarmi, ma lo seguii. Appena giunta in quella insenatura, mi prese si peso e mi appoggio su una roccia ovale. Eravamo di altezze perfette e in un attimo le sue mani furono addosso smaniose di scoprirmi. Cercai in vano di protestare, ma lui ripeteva che nessuno avesse visto il nostro momento, protetto dagli alti scogli che c’erano da quelle parte. Così mi lasciai andare alla passione. Le sue mani che mi scostavano il costume, i suoi baci profondi, i giochi sessuali. Mi sentivo euforica.
-Ti amo. –Dichiarò per poi avermi tutta sua. Ero pronta per quella nuova missione. Le paure ci sarebbero state, ma se accanto a me avevo lui tutto si riducevano. Chissà che cosa aveva in serbo il destino per me. Tante sorprese desederai.
-Sei unico al mondo Washi! - Urlai dando più vigore a quel rapporto.
-Mi fai impazzire! -
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 35
*** Le prime soddisfazioni ***


36° Capitolo
“Le prime soddisfazioni”
 
 
 
Ero distesa supina sul letto. Accanto a me percepivo una presenza e non c’era bisogno che mi voltassi per sapere di chi si trattasse. Era palese. Kaname dormiva a mio fianco, con le braccia intorno al cuscino, il suo corpo nudo era coperto solamente dalla vita in giù. Oramai avevo imparato a conoscerlo, anche se c’erano ancora tanti misteri da scoprire, ma li avrei tenuto per dopo. Con calma.
Respirai aria pulita, il mare portava solo questo. Nulla della città, solo ossigeno puro. Anche se c’era qualcosa che stonava, come ad esempio puzza di bruciato. Mi girai per metà e con il mio fine olfatto cercai di localizzalo. Tentai di alzarmi, ma una mano calda si posò sul ventre.
-Dove stai andando? –Aveva la voce ancora impastata dal sonno.
-Stavo andando a indagare. –Dissi inqueta. La puzza stava entrando anche in camera e questo era un brutto segno.
-Indagare? –Riprese lui, mettendosi in pancia in su e fissando il tetto. –In effetti c’è puzza di bruciato, magari sta andando a fuoco la casa. –Affermò con calma.
-Ma che dici! Se lo fosse saremo in pericolo. –Mi alzai di scatto, ma lui non me lo permise, prendendomi prima che le coperte cadessero al suolo. Me lo ritrovai a poco millimetri dalla bocca, i nostri corpi si era scontrati e se ne stavano fermi senza replicare.
-Non ti lascerò andare, sei solo mia. Sono abbastanza adulti da pensarci loro. –Disse per abbassare la testa e baciarmi il collo. A quel gesto chiusi gli occhi per poi spalancarli per guardare il tetto, quanta pazienza ci voleva con alcuni individui. Non e che non lo apprezzassi, ma si stava comportando da bambino. Mi buttò sul letto, il suo sorriso era trionfante, aveva vinto nuovamente. Stavo accumulando un sacco di sconfitte, ma era palese che il mio corpo si arrendesse a lui. Oramai mi ero abbandonata, ero in balia del suo fascino e…mi lasciai nuovamente catturare da lui e iniziammo una nuova danza d’amore, semmai il fuoco si sarebbe infilato sotto la porta avremo deciso il da farsi. Ma nemmeno il tempo di realizzare quel pensiero che la voce squillante di Crystal mi fece chiudere gli occhi per esasperazione.
-Dannazione! –Urlò a gran voce.
-Crystal ma è normale che bruci tutto, sei un pericolo pubblico. Guarda! –Si lamentò Luca, non si capiva che cosa stava facendo, ma m’immaginai le vicende. Il mio amico che prendeva la teglia o qualunque cosa si era rovinata…
-E’ colpa tua! –Continuò accusando qualcun altro.
-Io? Ma che c’entro io? Sei stata tu a saltarmi addosso. –La voce pacata di Federico si fece spazio e iniziarono a litigare. Sorrisi mentre il mio uomo era intento a farmi provare piacere, ma ero divisa a metà.
-Ti stai divertendo così tanto? –Mormorò lui, appoggiandosi completamente su di me, lo guardai negli occhi. –Come vedi siamo ancora vivi e la casa non prende fuoco, sicuramente quella sbadata avrà lasciato qualcosa dentro il forno e ora è rovinato. –Disse. Come riusciva a leggermi così bene era un mistero, ma non lo lasciai continuare che lo presi dal viso e lo baciai –forse è meglio che mi concentro soltanto su di te. –Avvisai avendo tutta la sua attenzione.
-Adesso ragioniamo. –
 
 
 
Quando poi raggiungemmo la cucina vidi ciò che aveva combinato Crystal per poco non urlavo dalla rabbia. Aveva proprio distrutto il forno, si vedevano chiaro come il sole le bruciature che si allargavano sull’elettrometrico. Cercai di fare diversi respiri profondi, ma non era valsa la pena, poiché la criminale si parò di fronte e a me.
-Finalmente sei uscita da quel buco. Quando servi non ci sei mai!- Urlò, a quella risposta i miei nervi stavano mollando, chi diavolo si credeva di essere? Che cosa voleva dire?
-Ripeti? –Domandai con uno sguardo assassino.
Ci guardavamo con due occhi felini, come se da un momento all’altro ci sarebbe stata una disputa tra due gatti. Il corpo iniziò a tendersi, forse mi stavo trasformando?
-Ti avevo chiesto l’altro giorno di insegnarmi come diavolo funziona quell’affare, ma no. Te ne sei fregata! Adesso abbiamo una cosa in meno e non ne parliamo del danno! Te ne sei stata dentro quella stanza a scopare con …- non la feci nemmeno finire. Lo schiaffo era partito, non mi sentivo in colpa, niente. Dal mio viso non passava nulla, nemmeno i colori.
-Non sei una stupida. Potevi armarti di pazienza e fare attenzione, le istruzioni erano sopra la mensola, non era nulla di difficile. Invece mi accusi senza aver riflettuto e poi non sono fatti tuoi quello che faccio in camera, potevo anche riposare o guardare il mare a te non ti importava. Adesso scusami ma vado a calmarmi! –Dissi tutti di un fiato, senza mai staccare lo sguardo dal suo.
Appena girai l’angolo sentii chiaramente il suo corpo scontrarsi sul pavimento e i suoi singhiozzi, era stata meschina, non avevo mai accusato di niente e nemmeno dei affari di coppia. I miei non erano di dominio pubblico, anzi odiavo che le persone lo sapevano. Così senza voltarmi, presi Happy e uscii, avevo bisogno di cambiare aria.
Il pomeriggio lo avevo passato a zonzo. Happy era un fedele amico che mi seguiva ovunque, per fortuna tutti i luoghi che visitavo c’era la possibilità che gli animali potessero entrare, anche se lui non sarebbe scappato se gli avrei detto di non muoversi.
Il sole stava per tramontare e dopo tre ore di camminare mi ero calmata, sicuramente anche la mia amica. Prima di ritornare a casa passai da un venditore ambulante e trovai delle fragole belle rosse e mature, non era periodo, ma forse lì si. Ne presi alcune vaschette avevo un piano per la serata. Il cane mi seguii entusiasta ancora per un po’, fino a che ritornammo a casa. Le luci erano tutte accese, i ragazzi erano ritornati.
-Bentornata. –Due braccia mi presero in contropiede, mi mossi per un attimo ma poi mi abbandonai a lui. –Dove sei stata? Credevo che rimanessi a poltrire in camera. –Mi sussurrò piano, facendo muovere le ciocche dei capelli e poi baciandomi sul collo. Un brivido mi pervase la schiena, ma lo respinsi indietro.
-Avevo bisogno di fare quattro passi. –Affermai velocemente, per poi alzare le braccia e far vedere la mia spesa. Lui mi fissò con un sopracciglio alzato curioso, ma non gli dissi nulla.
-Stai inscenando una sorpresa per caso? –Domandò, lasciandomi.
-Chi lo sa, marinaio. Ma non metterti strane idee in testa. –Mi svincolai da lui e mi recai in cucina, dove Luca tentò di abbracciarmi, ma lo spinsi. La cena si doveva preparare. Al posto di Crystal ci fu Simon, in quale mi trovai molto bene, con lui non c’era bisogno che gli spiegavo i procedimenti, eravamo in perfetta sincronia. Quanto la cena fu servita a tavola tutti quanti ci sedemmo.
Fissai Kaname che aveva già in bocca la carne e se la gustava con piacere, anche gli altri non erano da meno, tranne Crystal che sembrava apatica.
-Amore ma che hai? E da quando sono ritornato che sei giù. –Disse Federico preoccupato.
-Sto bene, non ti preoccupare. E solo che mi sento un po’ male. –Affermò, senza mai rivolgergli lo sguardo, il poverino non riusciva a risollevarle l’umore. Stava ancora male per quello che era successo, ma se l’era cercata. A cena conclusa, Kaname mi aiutò a mettere le cose in lavastoviglie, era più sbrigativo così. Che casa attrezzata! Appena uscii le fragole da frigo mi raggiunse.
-Che intenzioni hai con queste qua? –Domandò prendendone una e metterla in bocca, a quella mossa m’innervosii e senza lascialo andare morsi l’altra parte. Ci ritrovammo a mangiucchiarla da due parte opposte, ma fu una sensazione elettrizzante, poiché infine era rimasta solo un pezzetto e l’avevo vinta io, ma lui non soddisfatto mi aveva baciato e c’è la giocavamo. La sua lingua toccava la mia e la piccola parte della fragola, era un gioco erotico, ma non avrei mollato. Alla fine se prese lui e mi spinse al muro. Ero in trappola, ma non mi lamentavo, perché lo avevo tutto per me. Il piacere scorreva nelle nostre vene e già percepivo che mi stavo abbandonando nuovamente a lui, mi staccai da lui per prendere fiato, avevo le guance rosse, lui sembrava un leone, ma non potevamo.
-Kaname fai calmare il tuo amico, non e il momento. Giocheremo più tardi. – Dissi con il fiato rotto dall’emozioni.
-La fai semplice tu. Andiamo ora e li lasciamo lì. –Controbatte ma ero restia nella mia missione.
-Sentimi un po’, farai come ho deciso io e poi sarà molto meglio, ho delle sorprese anche per te. – Mi feci spazio tra i nostri corpi, ma lui strinse nuovamente. –Kaname fammi passare senno rimani al secco! - Puntualizzai forte e chiaro.
-Non ci provare, Jessica. – Mi minacciò.
-Posso farlo eccome. Ti ho in mano, agnellino. –Risi a quell’affermazione, come no. Ero io quella in balia di lui, ma non lo avrei ammesso mai.
 
-Finalmente, Angelo mio. Allora che cosa hai in mente da fare? –Domandò Luca eccitato. Erano tutti seduti sui puffi che circondavano quel piccolo salotto, Luca e Simon sul divano a due posti, Crystal e Federico ai lati e noi altrettanto.
Sul piccolo tavolino avevo disposto dei contenitori chiusi, uno più grande il quale avevo riposto le fragole, mentre i più piccoli vari decorazioni.
-Allora? –Disse Luca impaziente. Lo guardai male. –Va bene starò zitto. –
Appoggiai pure una benda. Il gioco era semplice dovevano indovinare ciò che l’altro gli dava. In effetti quel gioco aveva sfumature erotiche, ma me lo lasciai per me. Il turno cominciò con Simon in cui bendò Luca, noi altri restavamo in silenzio. Simon prese la fragola e la tinse sul peperoncino. La vedevo male. Ma lui non ci fece caso, i miei occhi erano su di loro, pian piano gliela portò sulle labbra e il mio amico iniziò a lamentarsi, -ma che cosa mi state mettendo? –Disse, ma non poté più parlare poiché la fragola gli tappò la bocca. Aspettammo cinque secondi per poi vederlo scappare in bagno correndo come un pazzo.
-Potevi anche non usarlo. –Azzardo Federico contro Luca, ma lui alzò le spalle dicendo, -vendetta! – Chiudendo la questione.
Intanto aspettavamo Luca riprendersi da quel tiro mancino, il mio sguardo cadeva sempre su Crystal che si era estraniata da tutto, nemmeno partecipava, così mi venne un idea, sicuramente si sarebbe data una svegliata.
-Forse e meglio che andate da lui a vedere come sta. –Ordinai, e come bravi soldatini, Federico e Kaname andarono a lui. Rimasti soli, Simon non mi guardava nemmeno, anche lui si era estraniato. La mia amica era in un altro pianeta, agii velocemente. Presi il cioccolato e mi imbrattai le mani. In pochi secondi me la ritrovai di fronte e senza avviso la sporcai il viso. Lei ripresa da quella mossa, mi guardò malissimo e prendendo la prima cosa che gli capitava me la rovesciò addosso; in un battibaleno iniziammo uno scontro, le ciotole che avevo disposto sul tavolo ce li ritrovammo sopra, sui capelli, dentro i vestiti. I ragazzi sentendo quel caos ritornarono e ci guardarono con tanto occhio.
-Vi siete fumate qualcosa? –Disse Luca con la lingua fuori, come se fosse un cane.
-Pazzia! –Dissi per poi ridere come una scena.
-Kaname la tua ragazza è fuori di testa. –Si complimentò Federico con il mio Boy, ma lui si fece sentire. – Anche la tua. E per di più siete sposati. –Ribatte, prendendomi per mano per farmi cambiare.
-Almeno la mia tattica avuto un riscontro positivo. –Dissi piano, ma Federico mi era vicino oltre Kaname e mi guardò come se non mi avesse capito.
-La vedi, adesso è ritornata la solita Crystal e questa la persona che conosco, quello era solo il suo guscio vuoto. Adesso vatti a divertire con lei e mi raccomando…- la bocca mi fu tappata dalle mani di Kaname che mi trascinò in camera.
-Ma che accidenti ti succede! –Urlai, ma lui mi chiuse la bocca con la sua.
-Sai di cioccolato e il tuo corpo ne è cosparso. Allora questo intendevi poco fa, -mi disse con una voce roca, era eccitatissimo.
Beh morale della favola, lo eravamo entrambi, appena le sue mani si appoggiarono sul mio corpo nudo e ricoperto a tratti dal cioccolato, il mondo si capovolse, ma di quello che successe lo sapevano solo io e lui.
 
 
∞∞∞
 
Quando le vacanze finivano erano sempre uno stress. Oramai era da una settimana che la vita di ogni giorno era ritornata, beh forse non per tutti. Il mio ragazzo ancora era in ferie, beato lui. Io con il mio staff eravamo alle prese degli ultimi preparativi per il centro. Avevo avute tante belle notizie, come per esempio l’allestimento della reception. Il nome scritto in altro e al centro per farla comprendere a tutti, era la prima cosa che si vedeva appena si entrava.
Luca si era superato, aveva trovato modo di stupirci con la grafica del sito e mettendo post della sua apertura a breve. Già avevamo alcune persone che volevano provare la nuova struttura. Io la mia socia avevamo ideato dei colloqui per prendere personale, ci servivano persone socievoli e di buona volontà, ed istruite sul da farsi.
Il centro era stato suddiviso in aree: la prima che contava quella superiore era adibita allo sport con una palestra fornita di tutto, anche alle varie tecniche rinnovate. Nello stesso piano verso est c’era l’aria dell’estetica, con i nuove attrezzature.
La terrazza era coperta ed era per prendere il sole o con le macchine apposite, o allo sport libero.
Al piano inferiore, sotto, c’era un aria fatta da piscine e saune, chi volesse rilassarsi era il posto adatto. C’era anche un luogo di ristoro e di intrattenimento per i bambini e per gli animali. Il centro era grandissimo, ma c’era ancora spazio per aggiungere altro, ma con il tempo. I colloqui furono molti e stressanti. Cercammo un modo per interagire bene con le persone, facendo domande discrete ma precisi. Volevamo persone che avrebbero fruttato a noi e pure a loro. L’inaugurazione si stava avvicinando e gli ultimi ritocchi si erano conclusi. Crystal era stata nominata direttrice, non potevo badare tutto io, ero il capo superiore, ma non mi sarei fatta vedere da nessuno, volevo lavorare in incognito, così avevo lasciato alla mia amica il compito. Le avevo spigato il piano, e lei dapprima contrariata, si rese conto che poteva funzionare. Se i dipendenti lavoravano bene fruttava per entrambi. Trovammo una segretaria giovane di nome Alessia, sui ventuno anni. Sembrava timida all’apparenza ma era una tutto pepe, spigliata a parlare e cordiale, mi piacque subito. Pian piano tutto si stava mettendo in ordine, la vita procedeva ed era piena di sorprese. Kaname per tutte le mie scelte era stato vicino, come Federico con Crystal.
Mancava solo ventiquattr’ore alla inaugurazione e avevo deciso di fare un brindisi con i miei amici, che mi avevano aiutato più volte, loro c’erano sempre stati. Luca aveva portato dello spumante e i bicchieri.
-Un brindisi a loro, a noi, che tutto possa andare bene. –Disse Noemi, alzando il calice.
-Buona fortuna ragazzi. –Aggiunse Francesco.
Il rumore dei bicchieri che si scontravano, le risate, era una melodia per le mie orecchie mi sentivo felice. Guardai i miei amici, il mio staff, decisa come non mai. Che la partita iniziasse!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Buongiorno.
Un altro capitolo andato. Lo so, questa volta sono stata veloce, in un solo giorno ci sono riuscita a finirlo. Che record, non e vero! Qualche tempo fa aggiornavo tutte le mie ff in un solo giorno, ma pazienza.
Come avete letto succedono poche cose, ma importanti per i prossimi capitoli. Abbiamo l’inizio della terza parte della storia, non ne avevo menzionato durante la storia, ma mi sono fatta qualche calcolo, e diciamo che ci siamo. Questa storia mi sta facendo sognare e spero anche a voi. E una delle mie preferite e ci tengo a finirla nei migliori dei modi, ma non vi aspettate nulla, le sorprese sono dietro l’angolo.  All’interno del capitolo ci saranno diseguaglianze degli atti, ma non ci fate caso, l’ho riletta ma non se ne andavano. Cmq lasciando futili spiegazioni ( e se avete domande, potete sempre porle in privato) vi lascio e alla prossima.
Heart
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 36
*** Le fiamme dell'inferno ***


37°Capitolo
“Le fiamme dell’inferno”



 
 
L’aria era frizzante, il sapore del mare lo sentivo ancora sulla pelle. C’era voluto quel viaggio, si, perché molte cose si era incastonate nel loro posto. Avevo preso un ruolo a tutto quel maremoto di gesti, pensieri e parole non dette. Finalmente eravamo una coppia a cento per cento. Sorrisi a quel pensiero, al suo calore che mi riscaldava l’anima e il cuore. Avevo trovato il mio punto d’inizio. In passato avrei detto che era la mia famiglia, i miei nonni, ma adesso era lei. Lei che mi sorrideva appena sveglia, che mi porgeva la tazza del caffè. Lei che mi baciava. Lei che cercava consiglio. Era un mix di sensazioni che non avevo mai provato. Finalmente lei era mia.
Sicuramente se le avrei detto quel pensiero si sarebbe arrabbiata o mi avrebbe sorpreso, dovevo chiederglielo di presenza.
Ero appena entrato al centro, le porte si erano aperte in automatico, la prima cosa che si notava era la scritta in grassetto “Ella Beauty Spa”, hall si trovava appena tre passi e una giovane segretaria mi sorrise.
-Salve posso essere d’aiuto? –Chiese formalmente. Jessica aveva pensato che per i primi tempi il personale non doveva sapere di lei, vivendo incognito. Voleva testare la loro lealtà e bravura, sinceramente non lo avrei pensato, ma la sua mente era molto più sveglia di quanto pensassi.
-Per favore mi può chiamare Crystal, la direttrice. –Affermai sorridendo ancora, la ragazza rimasi un attimo a fissarmi, sguardo che conoscevo bene, ma oramai il mio cuore era occupato. Non le diedi tante attenzioni, poiché li avrei dato a qualcun altro di mio sta volta.
-La direttrice in questo momento è in riunione, se vuole può aspettare in sala attesa. –Disse cordialmente, la ringraziai e mi avvicinai ai divanetti che c’erano posti a sinistra. Quante settimane avevano occupato quei divanetti nelle menti di Jessy e Crystal, che ad un certo punto eravamo scoppiati. Scappammo per non trovarci a litigare per un poco di pace. Ne avevano discusso all’infinito e infine avevano deciso con il sorteggio. Tutto il centro era stato arredato in modo impeccabile, con tante riflessioni entusiasmo. Ma alla fine i risultati si vedevano, il colore neutro colorava tutte le pareti, c’era una stanza color azzurro, un colore intenso ma calmante nello stesso tempo, era la sua stanza preferita, la sua oasi. Le colonne di gesso rappresentavano l’antica Grecia. I veli e le piante intorno era uno spettacolo, ma non era solo quella. Ogni stanza adibita ai massaggi era composta da uno stile particolare, c’era quello del giardino Zen la quale veniva rappresentato quella caratteristica; quando l’avevo visto la mia immaginazione aveva portato subito la figura della nonna lì, ci sarebbe piaciuto.
Quel centro era rinnovato e moderno, ma anche confortevole, la gente si sentiva amata e i sensi rigenerati.
-Signore, la direttrice la può ricevere. –Disse la ragazza, che mi guardava con due occhi. La salutai e procedetti verso la mia destinazione, appena entrai nella stanza le trovai a discutere.
-Buona sera signore. –Dichiarai, chiudendo la porta alle mie spalle. Quello studio era moderno ed essenziale, sobrio; tutto l’opposto della mia ragazza, che amava i piccoli oggetti e le decorazioni ai muri.
-Signorina. –Mi apostrofò guardandomi con gli occhi storti.
Non mi lasciai sconfiggere dalle sue parole e andai al nocciolo. –Volevo invitarti a cena. –Dissi. Intanto mi ero avvicinata a lei per sfiorarle il viso.
-Io vi lascio, ci vediamo domani. –Disse Crystal prendendo le sue cose per poi uscire, ma prima –Jessy ricordati che domani hai l’appuntamento con il tecnico. Buona serata ragazzi. –Lasciandoci soli, lei si allontanò da me, sistemò varie carte che c’erano sulla scrivania per poi andare verso il bagno annesso allo studio.
-Perché stai scappando? –Le chiesi. Non mi rispose, era palese che cercava un modo per sviare il discorso, ma ero fermo.
-Non ti sto allontanando, era solo che cercavo un poco d’aria. È stata una giornata pesante,- disse per poi sedersi sul divano. Quello studio sembrava un salotto, le donne!
-Davvero! Non immagino la stanchezza, c’è un modo per scaricarti! –Le dissi e in un attimo ero da lei, mentre il mio braccio le cingeva la vita. Lei rabbrividì a quel gesto, quelle sensazioni che provava al mio cospetto era un vero balsamo per il mio ego. La mia donna si eccitava ed ero felicissimo. Perché non parlavo solamente dei nostri momenti intimi, ma anche momenti classici.
-Sei un tentatore! –Disse per poi saltarmi addosso. Era seduta letteralmente su di me, il fuoco iniziò avvampare nelle vene, quelle sue mosse non calcolate mi facevano perdere la testa. La sua mano sfiorò i capelli, quanto adoravo quei movimenti. La sua fronte toccò la mia e una scarica elettrica ci colpì. Il suo corpo era diventato caldo, infuocato come lo era il mio. I nostri fiati sincronizzati, il sapore dell’altro in bocca. In un attimo si trovò sotto di me, avendo il completo controllo la guardai negli occhi e lessi quell’attrazione che ormai ci aveva divorato del tutto, le sue mani era flesse verso di me, i capelli scompigliati ma lucenti, vivi. Mi tuffai tra le sue labbra e annullai tutto, il corpo reclamava la sua parte mancante, la mia camicia volò da qualche parte, il rumore della cerniera abbassata era musica, ma non quanto i suoi gemiti. La toccavo con audacia, lei si muoveva, si contorceva dal piacere, lei era mia.
-Kaname. –Disse lei, piano, come un mormorio. Mi trovai steso e lei addosso a me. Era stupenda in quella bellezza che la caratterizzavano. Le spalline del reggiseno caduti, la pelle scoperta, l’odore che emanava. Mi sentivo affamato.
Pian piano i suoi capelli mi fecero il solletico, ma non era quello che mi rendeva inqueto. La sua lingua stava scendendo verso il basso ventre, ad ogni tocco perdevo il lume della ragione, avevo capito il suo intento. Lo volevo con tutto me stesso. Sentire le sue labbra toccare un posto così delicato era qualcosa di proibito. Le sue mani erano gelate al confronto al suo corpo, la sentivo pronta per me, ma mi stava dando delle attenzioni particolari, come se mi volesse tutto per lei…i pensieri si spensero, nel momento in cui le sue labbra sibilarono tre lettere.
-Mio. –Una luce mai vista in quello sguardo da predatore, luminoso, tenace. Sessuale. Il topo era stato preso dal gatto. Tutto divenne un miscuglio di colori indistinti. Ero perso.
 
 
°°°
L’orologio digitale segnava le due e due ed era snervante non trovare una posizione favorevole per dormire. Le lenzuola si erano tutti ingarbugliate tra di loro, alla fine li buttai tutte in aria e mi alzai di busto. Per fortuna l’autunno non era arrivato, l’aria era ancora calda e questo mi permetteva di dormire a maniche corte, tuttavia quello non ero il mio pensiero. Avevo giocato con astuzia o forse era il mio fascino che lo avevo catturato con poco, lui da bravo marinaio si era fatto ammaliare, o… non sapevo che cosa mi era successo in quel lasso di tempo, era come se una fame primordiale mi avesse braccato e l’unico modo per saziarla era lui. Mio. Quando avevo ripetuto quella parola era se non ci fossi. Un istinto mai provato si era fatto avanti. Più di una volta era sorta dando modo di notare quegli atteggiamenti e questo mi metteva paura, era come se dentro di me ci fosse una bestia assopita. Rabbrividii a quel pensiero. Ero oscura, beh questo lo sapevo.
M’infilai le pantofole e scesi in cucina, non avevo sonno. La mia mente ritornava a quell’episodio, lui eccitato al massimo, il suo respiro pesante, le sue mani sulla mia testa, i movimenti; mi sentii persa. Ero in un bagno di sudore. Mi sentivo pronta per lui. Respirai piano, con piccoli respiri, ma la mente era astuta. Non potevo svegliarlo per una fame assurda, così cercai qualcosa da fare. Giocherellai con il telefono dove mi ritrovai nell’app in cui appuntavo tutti i miei cicli, osservandolo con più attenzione notai che ero nel periodo fertile, forse era tutto collegato. Ci ragionai su per un altro po’ per poi posarlo, la testa mi faceva male.
Mi ritrovai sul divano a fissare il nulla. Avevo voglia di lui ed questo era palese anche a me, quella persona che poche ore fa che era uscita, la bestia…
Erano gli istinti che avevo represso per tutta la vita, quella consapevolezza mi aprì gli occhi. Piansi di gioia perché non ero pazza, avevo fame del mio uomo.
Mi addormentai con questo pensiero.
Da lontano sentiva un rumore, qualcosa che mi rilassava e nello stesso tempo m’infastidiva. Più cercavo di capire il luogo e più mi sentivo lontana, all’improvviso il rumore si fece più nitido, una ventata di calore mi attraversò e le orecchie ricevettero la risposta. Era splendida.
 
Mi svegliai di scatto e mi alzai.
-Ehi piano. –Disse una voce alle spalle per poi giungere da me. –Ti vuoi proprio sentire male? Siediti e respira. –Continuò, mi girai e lo fissai, mentre era in completo. Mi domandai dove andasse, ma poi ricordai che aveva una riunione con i colleghi per parlare del lavoro che avrebbero intrapreso in quel nuovo semestre. Era splendido, con la faccia liscia, gli occhi vispi e quei adorabili capelli setosi come miele. I miei occhi si soffermarono sulle sue labbra rosse e piene, la voglia di lui si fece di nuovo prepotente, abbassai lo sguardo per non fargli capire la mia fame.
-Adesso perché abbassi lo sguardo? –Domandò prendendo il mento con due dita. Non riuscivo a fissarlo, ero davvero penosa.
-Non ho nulla e che mi gira un poco la testa, - m’inventai.
Non mi rispose subito, mi lasciò alzarmi e allontanarmi da lui. –Quando ritorni? –Chiesi, cercai qualcosa da fare, ma era inutile. Lo sguardo cadeva subito a lui, al corpo da mozzare il fiato.
-Non dovrei mancare troppo, c’è la farai a stare senza di me? –Disse all’improvviso avendolo sotto il naso ed un lampo lo avevo incollato alla bocca, questa volta non lo rifiutai, anzi lo presi dal bavero della camicia per avvicinarlo ancora di più. Il fuoco era divampato, con una sola mossa mi ritrovai sulla penisola di marmo e rabbrividii, ma non mi fermai. Gli toccai la pelle che stava bollendo, e lui con una sola mossa mi tolse la maglia che usavo come pigiama e mi sdraiò sulla cucina. Ero nuda e alla sua merce, mi sentivo bollire, ero frastornata ed eccitata fino al midollo. Lui lo aveva percepito, il mio uomo sapeva che cosa volevo. In un lampo ci ritrovammo incastrati in un gioco pericoloso. I nostri ansimi era forti, decisi. Volevo che si irradicarsi in me.
Quando amplesso termino, mi sentivo svuotata e colma di emozioni che galleggiava in una illusione di calma. Il mio ego gridava di averlo, dominarlo.
Lui mi aiutò ad alzarmi, era tutto spettinato.
-Sarò tuo stasera. Totalmente tuo. –Mi sussurrò alle orecchie per poi scendere dalle mie labbra al collo e fino a giù, con gli occhi chiusi mi assaporavo quei gesti erotici, fino a che si fermò sull’interno coscia e mi morse. Saltai in aria, e lo fissai arrabbiata, ma sul suo volto c’era un sorriso beffardo e di dominatore.
-Mia. – Appena disse quella parola sentii un calore travolgente nelle mie parti più segrete e il buio mi pervase, dandomi finalmente l’obblio.
 
                                                        °°°
La piazza era strapiena nel pensare che l’estate era terminata da poco. Finalmente dopo due mesi la nostra comitiva si riuniva. Noemi e Francesco stavano ancora insieme, il mio amico era bello abbronzato, anzi si poteva scambiarlo per uno del sud Africa. La ragazza era meravigliosa, si era fatta allungare un poco i capelli e adesso le arrivavano sulle spalle.
Crystal e Federico erano i soliti, si punzecchiavano di continuo, rivelando la loro complicità. Simon si guardava a destra e manca, come se da un momento all’altro sarebbe spuntato un nemico. Luca era popolare, le ragazze erano pazze di lui, peccato per il suo lato omo. Tuttavia l’ultimo arrivato non si perdeva di vista a nessuno. E infine c’eravamo noi, io e Jessica. Lei bellissima, un angelo come l’aveva nominata Luca, si era messa in tiro quella sera con un vestito di pizzo che l’è arrivava sopra le ginocchia e un paio di stivaletti chiari per slanciarla ancor di più. Splendida nella sua semplicità, aveva dato modo di farsi guardare dagli altri. Da un primo momento non volevo far caso a tutti quegli sguardi lascivi, ma più la vedevo sorridere per un battuta o qualcos’altro, più si intensificavano. Alla fine me la portai accanto, cingendola dalla vita e lei non aveva fatto nessuna piega, si era posizionata semplicemente al mio fianco. Fatto questo decidemmo il locale e aspettammo che ci portassero i menù.
-Ma che stai dicendo, davvero? –Squittì Luca tutto entusiasta nella discussione che aveva iniziato con Federico, Francesco si era intromesso per dire la sua opinione.
-Credo che questo modello la Kawasaki Ninja H2R sia super. Tutto automatizzato e poi il casco se non è messo bene non fa partire il motore. –Puntualizzò il moro. Ad un certo punto Federico prese il telefono e mostrò una foto. Una bellissima moto azzurra, ultimo modello.
-Ma fantastica. Chi c’è…-Iniziò a dire Luca tutto esaltato.
-Mio fratello Daniele, è molto geloso di quest’ultima. Sono poche le persone che sono salite lassù. Quando l’ha presa nemmeno mi voleva farla usare, l’ho dovuto pregare. –Dichiarò contando con le dita chi aveva avuto l’onore.
-Tra queste persone c’è pure la nostra Jessica. –A quel nome mi sorpresi e la diretta interessata si mise sull’attenti. La guardai di sottecchi per notare qualche cambiamento, invece era rimasta ferma, fissa a guardare un punto indefinito.
Luca tentava di estrargli qualche informazioni su essa, com’era o le sue funzioni ma dalla sua bocca non uscii nessuna sillaba.
Federico capendo il problema, cambiò discorso.
Presi una sua mano e me la portai accanto, la strinsi con la mia e le diffusi il mio calore, quello era il mio intento, ma erano gelate. Quel nome le dava ancora tanti problemi e mi maledì per non essere stato al suo fianco quel periodo. La serata procedette bene, le si riprese e ne fui felice, parlava con le sue amiche e rideva, questo era l’importante.
-Jessy dove vai? –Mi staccai dalla discussione per vedere la mia ragazza allontanarsi, aveva lasciato la borsetta accanto a me, guardai Crystal e mi fece il segno del telefono, chi era che le telefonava alle dieci e mezza di sera.
Rimase allungo isolata, anche se il mio sguardo non si toglieva dal suo corpo, la tenevo al sicuro, fino a che non notai un gruppo di ragazzi avvicinarsi, lei non se n’era accorta. Con due falcate ero accanto a lei e chiarii che lei era mia. I ragazzi trovandomi lì sparirono dalla vista.
-Allora hai finito? –Chiesi, dandole un bacio veloce.
-Si. Scusa mi sono isolata troppo. –Rispose sorridendomi.
-Chi era a telefono? –Domandai indiscreto.
Lei mi fissò, aveva gli occhi che le brillavano.
-Un amico. –Disse velocemente, lei si spostò per ritornare dagli altri ma la riportai al mio fianco. –Un rivale? –Domandai a brucia pelo. Lei mi guardò per un istante per poi sfiorarmi la guancia, i miei occhi non si allontanarono nemmeno per un attimo dei suoi.
-Chi lo sa. Ma penso di no, poi vedila tu. –Terminò. Che cosa significava quella frase? Dovevo stare attento? Quando parlava in quella maniera non riuscivo a capirla. Raggiungerla e chiarire quel dubbio oramai era impossibile, la vidi continuare il discorso con Noemi e Crystal.
Quando ritornammo a casa lei si diresse in camera sua e non ne uscì più, quella ragazza mi avrebbe fatto impazzire.
 
Il rientro a lavoro non ci voleva, così non la potevo sorvegliare. Non mi piaceva questo ruolo, ma mi aveva messo parecchie pulci nell’orecchio. Cercavo di comportarmi in più normale possibile, ma lei era diventata misteriosa. La gelosia infine era uscita allo scoperto. La tentazione era forte nel sbirciare nel telefono, ma mi sembrava troppo. Mi fidavo di lei e volevo continuare. Se c’era un problema me lo avrebbe detto, ma c’era sempre quel dannato ma.
Il ritorno in ufficio aveva portato nuove notizie, come nuove strutture per le riunioni. Il palazzo sembrava uscito da una edilizia perfetta. Le colonne erano state rinforzate e gessate, le pareti si sfumavano di un colore più caldo, che del grigio pallore. C’era una nuova ventata di aria.
-Ehi collega come ti va la vita? –Mi girai nel notare Giorgio nel suo completo chiaro venirmi incontro.
-Passate bene le vacanze? –Domandai, guardando per un attimo l’orologio.
-Fantastiche. Dovevi venirci anche tu a Malibu. Un vero peccato. –Disse, per poi iniziare raccontare delle sue notte brave. Delle sue conquiste e tante altre piccole faccende.
-Mica male il tuo nuovo ufficio. –Esclamò entusiasta, adiacente a quello mio era situato il suo.
-Washi e Rossi. Non suona male. Lavoreremo a stretto contatto. –Apostrofò felice, ci vedevo tanto in quei atteggiamenti Luca. Se si fossero conosciuti avrebbero fatto faville.
-Washi! A ci sei pure tu Rossi. Venite con me. –Ci chiamò il direttore, lo seguimmo.
 
 
Era stata una settimana pesante e piena di novità. Il lavoro andava a gonfie vele per fortuna nessun viaggio si prospettava per il momento. Ero in vena di festeggiare, così quando arrivai a casa mi misi a cucinare. Volevo essere utile a qualcosa, poiché lei i occupava di tutto in casa.
-Mmm. Che buono odore. Che cosa hai preparato? –Chiese subito. Me la vidi sbucare in cucina con i capelli fuori posto, quel particolare mi allarmò.
-Che c’è? –Chiese interrogativa.
-Perché sei tutta scombinata? –I dubbi che mi avevano assalito nei giorni prima ritornarono più battaglieri, che mi avesse tradito, che … la mia mente stava per scoppiare.
-Ah vero. Ho sperimentato la palestra del centro, finalmente ci sono riuscita. Ma credo che domani mi sentirò tutta rotta. E da molto che sono ferma. –Affermò, slegandosi i capelli per poi legarsi nuovamente in una cosa più composta. –E’ già pronto? –
-No. Se vuoi farti una doccia puoi farla. –Dissi meccanicamente.
-Oh perfetto. Sono tutta sudata. –Detto questo salì al piano superiore e lasciò la borsa sul divano. Che cosa mi stava succedendo? Perché avevo quella sensazione che non andava via? Fissai prima il pavimento e poi la scala, lei non sarebbe scesa per altri cinque minuti. Con il cuore che batteva a mille presi il suo telefono e lo accesi. Purtroppo aveva un codice. Dannazione! Perché l’ho avrà messo? Mille congetture, ma alla fine lo posai. Lei arrivo dopo dieci minuti era fresca e profumata, si mise davanti a me e mi baciò. Sembrava così tranquilla.
-Che cosa hai preparato di buono? –
Non vedevo nessun cambiamento sospetto. Ma il mio sesto senso mi metteva in guardia, stava per succedere qualcosa, ma di cosa si trattasse non lo sapevo.
 
 
Con il morale sotto i piedi mi riunii con i ragazzi. Era un venerdì qualunque, avevamo deciso di fare una partita al calcetto, mi ero munito di tutto l’occorrente ed ero partito. Mi ritrovai in squadra con Federico e Simon, invece Luca con Daniele e Andrea. La partita iniziò esattamente alle nove. L’arbitro correva insieme a noi, le scivolate, le punizioni erano all’ordine…si stava facendo pericoloso il gioco. Alla fine perdemmo.
-Tocca a voi offrire la cena. – Così come promesso ci cambiammo e partimmo per il ristorante.
Mi sentivo inqueto. Andrea mi mandava certi sguardi che per un attimo pensai che non fossi io il suo bersaglio, ma alla fine i nodi vengono al pettine.
Ero al bancone che pagavo la mia quota quando quest’ultimo si avvicinò.
-Ti vedo fiacco. –Disse tranquillo. Socchiusi gli occhi per capire che cosa volesse in particolare.
-E’ stata una settimana pesante. –Disse senza rilevare tanto.
Mentre il cassiere mi dava lo scontrino lo vidi giocherellare con le mani come se mi dovesse dire qualcosa e non avesse coraggio.
-Devi dirmi qualcosa? –Iniziai.
-Non so se faccio bene, ma sono dell’opinione che gli amici si aiutano. –Mi guardò negli occhi –l’altro pomeriggio stavo incontrando un collega in piazza, quando mi sono trovato in una scena. –Aveva tutta la mia attenzione. –C’era Jessica con un ragazzo, si stavano baciando. –Sganciò. Quelle parole mi ghiacciarono.
-Lui la stringeva come se non volesse che lei se ne andasse, l’ha ripresa più di una volta, ma poi le se n’è andata. Lo so che ti sto facendo un torto, ma non sopporto queste cose. Guarda anche tu. –Mi mostrò una foto dove ritraeva la mia ragazza con un altro ragazzo. Sembravano in confidenza. Le sue mani intorno al suo polso mi fece infiammare. Come si permetteva! Un bruciore insopportabile divampò nel mio cuore.
-Mandamela. –Dissi freddo.
Lui senza proferire la inviò.
-Ehi Kaname tutto bene? –Disse Luca, ma lo zittii con uno sguardo che il poverino divenne piccolo, piccolo.
-Ragazzi buona notte! –Ci salutammo. Ero nervoso. Non c’ero più di testa.
Quando presi la macchina diedi un colpo al volante e per conseguenza apparve una spia nel quadro del motore, perfetto, ma quello era il problema minore, chi era quel tizio?
Strinsi talmente forte i denti che all’improvviso sentii un sapore metallico in bocca. Chiusi gli occhi per riordinarmi le idee.
Tuttavia la rabbia rimase. Mi doveva dare delle spiegazioni. Nel pensare che le avevo dato tutto. E lei mi ripagava così!
 
 
 
 
 
 
°
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°
Hola! Bentornati ad un'altra puntata. Non ve lo aspettavate vero? Mi piace sorprendere la gente. Chissà come andrà a finire la situazione, vedo fiamme J
Non voglio rivelare molto, mi terrò le informazioni per me, come sempre. Nel pensare che è cambiato radicalmente, all’inizio abbiamo un fuoco della passione e adesso un fuoco di gelosia.
Tuttavia vi voglio augurare buona Pasqua.
Ci vediamo presto.
Heart
 

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Capitolo 37
*** Volevo dirti che ti amo ***


38°Capitolo
“Volevo dirti che ti amo”
 
 
Era rilassante.
L’acqua che ti lambiva tutto il corpo, i muscoli che si rilassavano con il calore.. Appena arrivata a casa mi ero accorta che Kaname era già uscito, per quel famoso Venerdì. I ragazzi si erano messi d’accordo per un giorno alla settimana per passarla senza noi ragazze, non avevo obbiettato, anche lui aveva bisogno dei suoi spazi. Avevo tutta la casa per me, così senza pensarci due volte mi ero ritrovata al piano di sopra per aprire l’acqua calda. Avevo aggiunto qualche sale e del sapone, non sapevo se farmi anche lo shampoo o no, ma poi mi decisi sul da farsi, almeno facevo una cosa per due. Appena la vasca fu riempita a dovere spensi tutte le luci della casa e mi recai nella stanza. Chiusi la porta lasciandola senza fermata, chissà magari ritornava prima e mi dava qualche attenzione. Già vagavo per la mente. Tuttavia cercai di concentrami su di me e bearmi di quei silenzi.
Mi piaceva quel suono suadente. Era più che rilassante. Alzai le mani e mi guardai le unghie erano davvero belle ed era anche brava colei che me li aveva fatti. Una brava ragazza che si era messa d’impegno e meno di un’ora e mezza ero fuori. Avevo lasciato una nota sul tablet di Crystal e poi ero corsa a casa.
In fin dei conti tutto stava procedendo bene, c’erano state delle novità come per esempio dell’invito e chi se lo aspettava? Ero felice per loro, se lo meritavano. Sorrisi e chiusi gli occhi.
Un rumore di porta mi fece spalancare gli occhi, mi rilassai quando mi accorsi che quella camminatura era di Kaname, aspettai che lui entrasse, ma non lo fece. Procedette dritto per la sua stanza, strano.
Uscii dalla vasca anche perché l’acqua si stava raffrenando e mi diressi nella sua stanza. Bussai ed entrai. Lo trovai seduto sul materasso con una mano aperta e si teneva la testa, mi sembrava diverso, come se ci fosse qualcosa di fuori posto. Mi avvinai con calma, non volevo turbarlo.
-Kaname tutto a posto? –Chiesi a un passo da lui. Quando mi rivolse lo sguardo, rimasi ferma con il fiato incastonato tra polmoni e la gola. Un colore scuro sovrastava su tutta la pupilla e la sclera; un buio immenso era padrone.
I nostri sguardi erano incollati, lui cercava qualcosa dentro i mie occhi. Come una risposta o un indizio. Ero spaventata da quello sguardo d’aquila. Feci un passo indietro e lui si alzò. Da quanto mi metteva paura? Lo temevo?
-Stai ben…e? –Chiesi. La voce era uscita spezzata, tremante. Lui accorgendosi della mia paura si riprese. Ma le sue mani erano gelate, infatti mi aveva sfiorato il labbro che tremava.
-Sto bene. È solo che è stata una giornata stressante. –Disse stanco. Se un momento prima era un leone pronto a mangiarmi, ora era solo un’ombra. Il mondo gli era caduto sulle spalle. Tentai di avvicinarmi o di toccarlo ma mi scostò. –Esci per favore. Ho bisogno di dormire. –Affermò invitandomi ad uscire. Mi sentii ferita. Non l’ho avevo mai visto in quello stato, qualcosa non andava, perché poche ore fa ero tutto tranne questo. Mi diressi in camera per vestirmi e asciugarmi.
Il sabato mattina mi svegliai presto, avevo dormito male. Mi apprestai a fare colazione, ma ogni volta che fissavo il piano superiore mi veniva in mente la faccia di Kaname o il suo sguardo furioso. Non si era svegliato ancora, lo avevo guardato sotto le coperte, si rigirava di continuo, sicuramente era nelle mie stesse condizioni. Esasperata di quei pensieri cercai qualcosa da fare. C’erano i panni da lavare e di sistemare un po’ di qua e di là. Così mi misi a lavoro, prima di tutto regolai lavatrice e l’accesi, mentre lei lavorava io ripulivo il salotto e poi la cucina.
Mi passavano tante di quei pensieri che nemmeno mi accorsi della sua entrata, si era preso del caffe che avevo lasciato al suo posto, si era seduto sullo sgabello e fissava un punto indefinito.
Stanca di quel silenzio che poteva distruggere tutto mi avvicinai di soppiatto.
-Il buongiorno si vede dal mattino. Stai meglio? –Domandai con un sorriso, ma morì subito. Il mio Kaname era pallido, gli toccai la fronte ma non ne aveva febbre, allora cosa lo preoccupava?
-Kaname…-iniziai a dire, ma il suo telefono iniziò a suonare, mi scostò e si allontanò. Non mi aveva nemmeno dato un minimo di attenzione. Strinsi il bastone che avevo in mano e poi mi rilassai. Dovevo starmene calma. Continuai ciò che stavo facendo, forse più tardi mi avrebbe parlato. Le ore passarono e arrivò il momento del pranzo, lui con una scusa se ne era andato, lasciandomi senza parola. Era sicuro, c’era qualcosa che non andava.
Il week end fu molto teso, lui che non parlava ed io nervosa per il suo silenzio. Rientrava tardi la sera e non mi dava segno di ripresa, gli avevo lasciato il suo spazio, ma stavo rimandando la tempesta.
Il lunedì arrivò per tutti, il tempo era bruttissimo, i lampi luminavano tutto il cielo e la casa. Ottobre stava per finire, ma quello era poco rivelante. Simon assieme a Luca stavano organizzando la festa di Halloween, quei due avevano delle menti diaboliche. Mancavano esattamente sei giorni a quella notte e non vedevo l’ora che arrivasse. Senza dare attenzione tolsi la presa senza asciugarmi la mano e presi una bella scossa. La tazza che avevo in mano volò per terra.
-Che cosa è successo? – Lui sbucò dal corridoio. Infatti la corrente era saltata per proteggermi da conseguenze più brutte, tuttavia la mia dose di sfortuna già l’avevo ricevuta.
-Ho preso la scossa. –Dissi malamente. Mi raggiunse e appena mi toccò la prese anche lui.
-L’hai toccata con l’acqua? –Domandò. Il suo sguardo mi interrogò, ma lo capì senza avere la mia risposta, infatti erano ancora umide. –Sei sempre la solita, la prossima volta potresti rimanere fulminata. Tieni. –Ponendomi un asciugamano asciutto. Sembrava che fosse ritornato il solito con quei sorrisi dolci, ma non era affatto così. Sì, si era preoccupato. Era corso in mio soccorso, ma il nostro rapporto si era congelato e non capivo il motivo.
Poco dopo si preparò per andare a lavoro – stai attento. –Gli dissi, lui si voltò e poi uscii senza ricambiare la raccomandazione.
Quel gesto mi fece più che male.
-Che cosa ti ho fatto per essere trattata così? –Dissi senza avere una risposta.
 



 
Halloween era arrivato. La notte era bellissima e per di più c’era la luna piena.  Simon aveva affittato una viletta al mare per la festa, c’era tanta gente mascherata, i tavoli con gli alcolici e dj. Si erano superati nuovamente. Un mostro dalla lingua verde si avvicinò. Mi prese tra le sue braccia e mi annusò.
-Sei un bel bocconcino, tesoro. –Disse.
-Oh anche tu. –Gli risposi, per poi continuare a ballare. –Di che cosa ti sei travestito? –Domandai.
-Non ci sei arrivata? Oh angelo mio…io sono il grande mostro delle palude. –Disse esaltato. Beh poteva anche andare. Si era procurato un costume gigante da lucertola ed era di un verde fosforescente. La testa era grande quanto una roccia ed era pesante. Si tolse il costume dalla testa per prendere aria.
-Che fatica. Tuttavia riuscirò a sopportarlo. –Disse, sventolandosi la mano per fare aria –comunque sei splendida. Il dottore dov’è? – Domandò guardandosi in giro. Il mio costume era carino, un infermiera. Peccato che il mio dottore era sparito e mi aveva lasciato sola. –Chi lo sa forse a curare altri pazienti. –Blaterai.
-Capisco. Su andiamo a ballare! –Gridò come se non lo sentissi, indossò nuovamente la maschera per sparire dalla mia visuale.
Si stavano divertendo tutti, tranne io. Alla fine non era cambiato nulla dall’anno scorso. Fissai la luna e le chiesi che cosa c’era che non andava. Kaname non mi parlava più, si era chiuse in se. Crystal aveva problemi con la strega e Federico non reagiva. Ma si erano fumati tutti qualcosa?
-Ciao bellezza! –Disse all’improvviso qualcuno dietro le mie spalle.
Mi girai e mi trovai un conte Dracula. Indossava un cappello e un bastone e aveva anche il mantello. Era un bel travestimento, peccato per quegli occhi che avrei riconosciuto ovunque.
-Non ho bisogno di compagnia. –Disse ferma.
-E chi ti ha detto che sono venuto per questo? E poi non ci conosciamo. –Disse beffardo. Ma per chi mi aveva preso?
-Ah no. Ti conosco abbastanza bene e adesso vattene, non hai nessuno da farti? –Cercai di allontanarlo.
-Sei maleducata. Mi sono accorto che tratti solo me in questo modo e non mi piace. –Dichiarò avvicinandosi. Che cosa voleva ancora? Perché quando avevo bisogno di una mano nessuno mi aiutava?
-Spostati, senno mi metto a gridare. – Lo minacciai.
-Provaci, ma nessuno ti sentirebbe. –Affermò. Non mi piaceva quello sguardo, la paura iniziò a serpeggiarmi, le gambe erano diventate molli e la testa vuota.
Fu la sua mano sulla coscia a risvegliarmi. Non potevo che mi trattasse così.
-Spostati Daniele! Io e te non siamo niente. Se tenti di nuovo fare qualcosa ti denuncio! –Urlai con tutto il fiato che avevo in gola.
-Ma io non ho fatto nulla. –Disse alzando le mani per sua difesa.
Perché. Perché? Perché!
Lo spinsi, ma lui mi riprese. Mi strinse forte i polsi, sentivo le ossa scricchiolare, mi facevano male.
-Tu sei mia. –Blaterò con il fiato che puzzava di alcool.
-Sei solo un illuso, io e te non siamo niente e non lo saremo mai. –
La presa divenne d’acciaio. E ne ebbi paura. Ma per fortuna mi lasciò e se ne andò. Mi girai con la consapevolezza che non sarebbe mai finita quella storia.
Si era ritirato alle cinque del mattino. Aveva fatto un grande fracasso, ma non mi ero alzata. Stavo male. I polsi dolevano e sicuramente il giorno dopo avrei trovato i segni di quella stretta. Io e Kaname non c’eravamo incontrati, lui si era allontanato con i miei amici ed io ero rimasta sola a vagare come un fantasma. Nemmeno il mio travestimento lo aveva intricato. Forse solo gli altri mi guardavano lascivi. Volevo solo il suo sguardo su di me, il corpo che rabbrividiva…ma niente di tutto quello, solo paura per quella mente folle che mi aveva di nuovo toccata. Piansi tutta la notte, non avevo più spazio per la paura. Com’era possibile che tutto fosse crollato. La felicità non esisteva, o ero io che non me la meritavo.
Ero assente. Vuota. Non sentivo più le forze.
-Ehi tesoro ci sei? –Mi risvegliai alla domanda di Crystal c’era pure Simon e Luca a casa. Stavamo… stavano discutendo della festa che era passata. Avevano riscontrato buoni voti, per fortuna non era successo nulla. Lasciando i vari problemi dell’alcool, alcuni ragazzi la mattina dopo si erano ritrovati in spiaggia senza ricordarsi di nulla. Luca se la rideva come un pazzo, entusiasta della recensione ricevuta. Li ascoltavo senza dare attenzione.
Fino a che la mia amica mi aveva preso la mano.
-Santo cielo li hai gelate. –Esclamò. La camera era calda, anche senza i termosifoni accesi.
-Bah lo sai che li ha sempre così, inverno o estate. –Brontolò Luca facendo mille gesti inutili.
-Porterà la temperatura bassa o problemi di circolazione. –Concordò Simon guardandomi. Ma non li vedevo, la mente era offuscata da un dolore denso. Stavo ricadendo nel limbo.
-Certamente. Devi sapere che per lei 38° equivale per 40° di febbre. –Aggiunse il mio migliore amico. Tutte e tre annuirono.
-Stai bene? –
Come spiegare il mio stato?
-Jessica chi te li ha fatto? –All’improvviso Crystal mi alzò le maniche della maglietta per ritrovarsi quei segnali che invano avevo tentato di nascondere, erano neri e profondi.
-Non e niente. –Mormorai senza fiato. Me li coprii velocemente, ma Luca fu più veloce e mi fissò con uno sguardo preoccupato e furioso.
-Chi ti ha fatto questo? –Sibillò scandendo le parole. Mi alzai di scatto non volevo parlare, non volevo affrontare quella paura, ma Luca iniziò a fare mille congetture e nel momento in cui la porta si spalancò fu la fine.
Kaname si ritrovò ad essere incastrato al muro con Luca che lo sovrapponeva.
Restammo tutti immobili.
-Che diavolo stai facendo? –Urlò Kaname, cercando in vano di toglierselo d’addosso.
-Sei un farabutto! Ti avevo espresso gentilmente di non trattarla con i piedi e tu me la riduci in questo stato? Non dovevo permetterti di arrivare così vicino. –Gli disse con odio.
-Non so di che cosa stai parlando? –Contraccambiò Kaname, facendosi valere.
-Ora fai pure lo smemorato e come mai? Forse i sensi di colpa ti annullano? –Gridò ancora, mettendo ancora più forza in quello che stava succedendo.
-Luca smettila, facciamolo parlare, sei partito in terza senza chiedere. –Lo interpellò Simon cercando di calmare le acque, ma la benzina era stata buttata sulle fiamme. Con un agilità che nessuno si aspettasse che avesse, mi fu davanti e mi strappò dal suolo che mi aveva incollato, mi ritrovai con lo sguardo di Kaname su di me e poi fissare i polsi lesionati. Luca li mostrava come se fosse un trofeo, ma non lo era. Era purché quello.  
Nessuno parlava. Non respiravo il mondo mi era crollato sulle spalle. Il suo sguardo mi fece più male di tutti.
-Non puoi accusarmi su un torto che non ho commesso. –Affermò.
-Sei solo un bastardo! – Farfugliò con i denti stretti.
Mi lanciò come se fossi una palla e mi ritrovai al suolo. Luca si era catapultato su Kaname e lo stava riempiendo di insulti e pugni. Simon era subito corso per separarli, ma i due se li stavano dando di santa ragione, come per sfogarsi per altri crimini.
-Sei un figlio di p******! –Ringhiò Luca prendendo la rincorsa. Quel salotto era diventato un ring.
Stavo male. Il respiro sembrava pesante, stavo entrando nel panico.
-Jessica respira, non li guardare. –Crystal mi venne in soccorso, la faccia era diventata rossa. Il corpo era scosso da tremore. Stavo esplodendo.
Strinsi forte i pugni come per ferirmi e mi alzai anche se ero poco stabile. –Non è stato lui!!! –Urlai a gran voce, con tutto il fiato che possedevo. Con quelle parole si fermarono.
Trovai l’occasione giusta e mi avvicinai a Kaname e gli urlai tutto il mio dolore addosso, -quando avevo più bisogno di te non c’eri. Ho dovuto affrontare una molestia da sola, mi avevi promesso di proteggermi e …-piansi, mi asciugavo le lacrime ma più loro uscivano - … invece mi hai abbandonato con il tuo silenzio. Mi avevi detto che avremo affrontato i problemi insieme, invece non c’è stato nulla di questo. – Ero scoppiata, non riuscivo più a fermarmi.
-Sei solo uno stupido! Ho cercato di capirti…ma tu non lo vuoi. –Mi fermai a fissarlo e dicendo quelle parole che lui aveva detto a me, -non e cambiato nulla. Mi hai solo illuso. –Terminai.
Occhi dentro occhi.
Il silenzio più totale.
-Angelo mio, mi dispiace io…-
-Vattene. Andatevene. –Dissi troppo fredda, ma al posto del cuore avevo una lastra di ghiaccio. Non distoglievo lo sguardo dal mio uomo, lui si era ridotto a starsene a terra, sconfitto.
Appena se ne andarono, mi abbassai e lo guardai muta. Nessun cambiamento. Lo avevo turbato, l’ho avevo notato quando Luca gli aveva mostrato i polsi, forse c’era ancora un legame tra di noi.
-Chi ha osato farti questo? – Si riprese per stringere delicatamente il polso.
Non mi guardava, ma avevo lo stesso il suo sguardo addosso. Lo percepivo con i sensi.
-Ti sei allontanato da me e qualcuno se ne approfittato. Per fortuna non avevo mollato il mio scudo. –Risi. Ma era un sorriso triste, malinconico.
- Perdonami. Non ti merito. Non riesco nemmeno a tenerti al mio fianco. –Mormorò piano, chinando la testa e poggiarla sul suo ginocchio.
-Non hai nulla da perdonarti, Kaname. Io ti amo. Questa parola non la dico ai quattro venti, ma solo a una persona speciale e in questo momento ci sei solo tu. – Alzò la testa i suoi occhi erano un immenso vuoto, ma non sarebbe stato solo, perché c’ero io al suo fianco.
-Dai alziamoci, ti disinfetto queste ferite. – Con una forza che non sapevo che avessi, guidai quel grande uomo nel bagno. Un uomo che sembrava tanto forte, ma a quanto pareva era solo fragile con mille spaccature, ma non si doveva vergognare di mostrarmelo. Le paure si affrontavano e i problemi risolti, ma questo lo doveva capire prima lui e poi tutto veniva da se.
                                                       
 
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Salve.
Capitolo breve per i miei standard, tuttavia non ho voluto allungarlo. Hanno bisogno di tregua. Troppi avvenimenti, sentimenti ed emozioni sconosciuti.
Vediamo uno scontro tra Kaname e Luca. L’amico che protegge la sua salvatrice, per voi doveva succedere altro? Ho spezzato l’avvenire disastroso.
Chissà se ci sarà qualcosa contro colui che porta solo disgrazie. Ma non vi preoccupate che ancora i guai non sono finiti.
Un poco di pace no? Pazienza.
Alla prossima.
Heart
 

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Capitolo 38
*** Diluvio universale ***


39°Capitolo
“Diluvio universale”


 
 
Certe volte abbiamo l’esigenza di spegnere tutto. Contare fino a cinque e riprendere il filo della vita. Avevo schiacciato diverse volte il tasto “off” ma non era accaduto nulla che sperassi.
Mi sentivo una vecchia pellicola. Proiettavo sempre la stessa immagine.
Lei con quei lividi sui polsi. La sua paura nel mostrarmeli. Ero colpevole quanto il suo aggressore.
Mi sentivo uno schifo. Volevo alzarmi e buttarmi tra le sue braccia, ma non ero riuscito nemmeno a muovermi.
Mi ero dimenticato di tutto anche di me stesso. La mia anima stava gridando, ma era lontana. Che cosa stavo combinando? Mi sentivo meglio dopo averle fatto quel torto? No. Mi volevo picchiare, sbattere la testa al muro. Non la meritavo. Ero stato un bastardo. Che mi era saltato in mente? Perché avevo baciato quella ragazza, una sconosciuta, nessuno. Le volevo fare un dispetto, del male. Mi sentivo sporco. Indegno. Avevo fatto piangere la donna che amavo. Sì, perché l’amavo. Anche dopo il tradimento. L’amavo con tutta l’anima, lei era il mio ossigeno. Mi ero ridotto a essere un’ombra.
La notte era calata. Chissà che giorno era.
Afferrai il cellulare che ahimè era spento, sicuramente la batteria aveva smesso di funzionare e lo misi in carica. Aspettai cinque minuti per accenderlo e nell’attesa me ne andai sotto la doccia. L’acqua mi stava purificando da tutta quella marmaglia che mi aveva sporcato. Volevo isolarmi da tutto. Dovevo riprendere il mio autocontrollo. Appena finii, mi diressi verso il letto e mi sedetti. Presi in mano il cellulare e notai le numerose notifiche in alto. C’erano varie chiamate perse, messaggi e notizie varie. Li sfogliai velocemente, fino captai su un messaggio, era di Jessica, dove c’era allegato una foto e una frase.
Amare qualcuno non è una cosa da niente. Non è solo far l’amore, ridere insieme, passare le ore a baciarsi e a rendersi felici a vicenda. Amare qualcuno significa soffrire, combattere, piangere, stringere i denti e andare avanti. Amare qualcuno significa prenderlo per mano anche quando si sta camminando sui vetri rotti, farsi male per poi cercare di guarirsi.”
 La rilessi tante volte per poi scoppiare a piangere. Significava tanto. Forse un mondo intero. Me la ritrovai di fronte, con il suo corpo premuto sul mio, per accogliermi nel momento in cui la diga sarebbe spezzata. La strinse forte, forse troppo, ma lei non si scostò, rimase a vegliarmi e a proteggermi dal quel dolore che mi stava dilatando. Non le chiesi che cosa ci facesse lì, forse lo sapevo già, ma la ringraziai nel profondo del mio cuore. Lei c’era per me, altrettanto non si poteva dire di me.
-Mi dispiace, piccola. È tutta colpa mia! –Urlai a gran voce.
Lei non mi parlava, mi stringeva solamente. Avevo paura di guardarla negli occhi, ma dovevo essere coraggioso. Perché odiavo essere in quello stato.
-Non devi sentirti fragile Kaname, ognuno di noi ha un lato nascosto da tutti e lo so bene. Dove nascondiamo i nostri rimpianti e paure, o dolori …con me non ti dovrai mai sentirti debole, perché per me sei purché questo. – La guardai. I suoi occhi erano velati lacrime salate, aveva le guance rosse e il naso bagnato.
-Perché non sei scappata. Ti ho trattato male e …- le parole si fermarono, mi stava sorridendo?
-Scappare non serve a niente. Me lo hai insegnato tu e poi credo in questo sentimento che sta crescendo tra di noi. Io Ti amo, Kaname. E mi sento felice accanto a te, il luogo dove sono me stessa e accanto a te. –Poetica, romantica, unica. Era lei la donna che volevo al mio fianco. Lei solamente, non importava se dovesse affrontare le fiamme dell’inferno, lei sarebbe stata mia. Solamente mia.
Rimanemmo abbracciati senza dire nulla, lei tra le mia braccia e io che la stringevo forte, senza pensare a niente. Il silenzio ci avviluppava. La sentii trafficare e poi avvertii una melodia risuonare dagli auricolari. Erano belle le parole, calme ma decise nello stesso tempo. Piene di sentimenti. Trasparenti.
Volevo dirti che ti amo-Laura pausini
Dal rumore del mondo
Dalla giostra degli attimi,
dalla pelle e dal profondo,
dai miei sbagli soliti,
dal silenzio che ho dentro
e dal mio orgoglio inutile
da questa voglia che ho di vivere….
Volevo dirti che ti amo
Volevo dirti che sei mio, che non ti cambio con nessuno,
perché a giurarlo sono io.
 
-Perché sei troppo uguale a me, quando per niente litighiamo e poi ti chiudi dentro te. Dalla gioia che sento e dalla febbre che ho di te… da quando mi hai insegnato a ridere…Volevo dirti che ti amo. –Mi cantò quella strofa e mi sentii rigenerato. Aveva occhi luminosi, vivi, pieni di amore. E mi sentii lusingato.
Volevo costruire qualcosa con lei, la volevo nel mio futuro.
La strinse con enfasi e le odorai i capelli.
-Perdonami. –
 
 
 
°°°
 
Una nuova settimana si era aperta. Mi sentivo nuovamente carica, le cose tra me e Kaname si stavano ripristinando, ma ci sarebbe stata sempre quella spaccatura. Quest’ultimo entrò in cucina, mi stava fissando in un modo strano. Mi sentii fuori posto. Mi girai per prendere il cellulare sulla mensola e lui mi passò accanto. Un brivido freddo mi pervase il corpo e chiusi gli occhi istintivamente. Lo volevo. Il desiderio che avevo represso in quella settimana si stava facendo di nuovo sentire, tuttavia doveva aspettare.
-Perché mi guardi con quello sguardo? –Domandai, fermandomi a fissarlo. Lui nemmeno mi diede soddisfazione, prese la tazza dove c’era il caffe e lo bevve.
-Non posso guardarti? Non è stato ancora definito reato. –Disse troppo piatto. Né una parola in più, né una di meno.
-Sei strano. –
-Impressione. –Terminò per poi andarsene. Sentii il rumore della macchina e infine della sua partenza. Chissà quando si sarebbe ripreso del tutto, anche se, c’era qualcos’altro.
La mattinata era volata via. Com’era possibile che una piccola città come questa contava tutte quelle macchine, che di sicuro superava la gente. Finalmente trovai posteggio e mi diressi verso il mio ultimo luogo per quella mattinata. Appena varcai le porte scorrevoli mi imbattei in Crystal. Quest’ultima aveva qualcosa di strano. Il suo viso era pallido.
-Stai bene? –Domandai. Lei mi guardò e cercò anche di rispondermi, ma una voce la sovrappose.
-Certo che sta bene! Voi giovani vi sentite subito stanchi quando lavorate, non sapete nemmeno che cosa significa farlo. –Iniziò a dire. Solo avvertire la sua presenza mi dava sui nervi, averla accanto e a blaterare alla rinfusa come se fosse la Regina d’Inghilterra c’era l’istinto omicida.
Mi chiesi che cosa ci facesse con la mia amica, ma non mi scansai, non era nessuno e non gli dovevo baciare i piedi, anche se avrei preferito spararmi un colpo pur di farlo.
-Mica le ho rivolto la parola. La mia domanda era rivolta a Crystal! –Obbiettai con strizza.
-E ti pareva. Questa si chiama maleducazione. –Rispose piccata.
-La sua lo è, poiché aspettavo una risposta da lei e non da te! –Rivolgendomi così formalmente, la volevo far uscire dalle righe, ancora mi dovevo vendicare di come mi aveva trattato quella volta.
 -Jessy ti prego non mi sento di discutere stamattina. –Disse Crystal con una voce piano, si vedeva che stava male e solo lei sapeva come aveva fatto a girare con quella arpia.
-Ascolta la tua amica. - Sfottendomi. Mi stava prendendo per i fondelli? Tuttavia accolsi il consiglio della mia amica e feci un passo indietro per lasciare lo spazio, ma quando vidi quel che stava per combinare persi la testa.
Afferrò il braccio di Crystal in un modo così violento che lei non se lo aspettava, non avendo reazione la spinse senza sentimento. Si afflosciò al suolo come una foglia.
-Che diamine combini! Muoviti! Hai fatto tutto il giorno a lamentarti e alla fine non hai nulla! – Urlò. La gente che c’era intorno si sporse per vedere la scena, non gradii quello spettacolo, nemmeno la mia amica che tentò di alzarsi, ma ricadde. Fino a che non divenne bianca come un lenzuolo e non ci pensai un secondo a soccorrerla e chiamare aiuto. Un dottore ci raggiunse e si apprestò a visitarla.
-Amelia chiama l’ambulanza. – Urlò verso il banco, la quale la donna nominata compose il numero.
-Signora cosa si sente? –Domandò a Crystal, tastandole la gola per i battiti.
-Mi gira la testa. –Mormorò.
-Sta fingendo. –Aggiunse la strega. Nessuno le stava dando attenzioni, la volevo strozzarla, se non lo faceva Federico, l’avrei fatto volentieri.
L’ambulanza arrivò velocemente, la caricò e partii per l’ospedale.
-Avvisate i suoi familiare. –Disse il dottore rivolgendosi a me, annuii e cercai di farmi strada tra la gente curiosa.
-Non osare chiamare mio figlio per una stupidaggine del genere. –Affermò, come se non gli importasse nulla della salute di sua cognata.
-Certo che lo avviso. È suo marito e deve sapere; adesso mi scusi, ma devo andar a vedere come sta la mia amica! -  Detto quello mi allontanai. Intanto chiamai Federico, gli spiegai la situazione e ci stava raggiungendo all’ospedale. Arrivai per primo, chiesi se già l’avevano visitata e un giovane dottore, uscii dalla sala per parlare con me.
-Lei è? –Chiese.
-Sono la sua migliore amica, mi dica per favore come sta. –Lo pregai, forse fu la sua poca esperienza che mi diede tutte le informazioni al caso.
-I valori sono tutti fuori posto, le abbiamo somministrato vari integratori.  – iniziò a dire. –Dagli esami siamo venuti a conoscenza che incinta, super giù di tre settimane. Lo squilibro sarà stato sicuramente dovuto a questo o allo stress. Le ho prescritto riposo e tranquillità. - Appena ebbe finito se ne andò. Incinta. Crystal aspettava un figlio da Federico. Che notizia. Povera amica mia, doveva sopportare quella strega tutta da sola. Eh no, adesso se lui non metteva la testa a posto sarebbero stati guai, me lo aveva promesso.
Dal corridoio arrivò proprio lui. Aveva il fiatone. Si guardò in giro e poi volle sapere un poco la situazione.
-Respira. Ho parlato con il dottore e non è nulla di grave, deve solo riposarsi e prendersi cura di lei e del ….-perché non mi lasciavano finire di parlare? E perché lei si trovava di nuovo nei paraggi, non lo aveva capito che lei portava solo male?
-Mamma stai zitta per l’amore del cielo. Sono stanco di combattere contro di te. Non sono più un bambino, adesso se non ti dispiace voglio vedere mia moglie, -Scandì la parola “moglie”. E bravo il nostro ragazzo finalmente aveva capito il da farsi. Lei lo guardò male e mi fucilò con lo sguardo, come per dire che la guerra non l’avrei vinta.
Chiedemmo dove fosse la sua stanza, appena arrivammo lo fermai.
-Prima che entri vorrei finire il discorso. –Lui annuii. –Non so che cosa ci facesse tua madre insieme a lei, ma devi stare attento Federico. Non voglio vedere la mia migliore amica soffrire, è un tuo dovere farla felice. Me lo hai promesso quella volta. Adesso vai ad abbracciare la tua metà e auguri. – Finii.
-Aspetta, auguri per cosa? –Domandò, ma si rispose da solo. Il suo sorriso era la prova che avesse capito.
-Chissà se sarò io la madrina. –Confabulai tra me e me, sicuramente se fosse stato maschio, Luca sarebbe stato un candidato.
La notizia della gravidanza non tardò a giungere tutti quanti, eravamo felice per quella grande scoperta che non avevamo perso tempo a festeggiarlo. Luca da copione iniziò a fare il pagliaccio, cercando di indovinare i nomi, ma era troppo lontano per capire se era un lui o una lei. Crystal sembrava felice e lo doveva essere. Le augurava tutto il bene del mondo.
-Sei diventata una eroina ai loro occhi. –Affermò una voce. Aveva il calice in mano e mi fissava. Chissà se un giorno avrei avuto anch’io un figlio da lui, ma forse stavo divagando troppo. Lui era freddo nei mie confronti, pensare ad avere un figlio era lontano anni luce.
-Mi fa piacere, anche se non lo sono. Riesco a salvare gli altri, ma non me. –Gli dissi, girandomi verso il balcone. Il vento mi accarezzava la faccia, sentivo freddo, dentro di me.
-Vuoi essere salvata? –Dichiarò lui, aspettando una mia reazione.
-Si. L’ho sperato tanto in passato. Volevo qualcuno che mi aiutasse ad affrontare tutto il male che mi circondava, ma poi ho incontrato te e ho capito che dovevo accettarlo. Che strana la vita, cercavo un ancora e ho trovato un mare infinito. –Risi a quell’affermazione.
-E il mare ha trovato la sua tempesta che porta sempre squilibri. –Mormorò lui, dietro di me. –Ho avuto sempre tutto chiaro, ma da quando ti conosco tutto è caduto nell’obblio, non so più che strada prendere. –
-Forse basta solo seguire il cuore e chiudere gli occhi. –Mi voltai a guardarlo. –Ti ho fatto qualcosa, me lo sento, ma non so cosa. Aiutami a capirlo. Tu ci stai male e io mi dispero nel comprenderti. Se continuiamo così che cosa resterà di noi? – Le parole non lo scalfivano, niente era chiuso.
-Parli di capire. Invece dovresti farti solo un esame di coscienza. Mi hai ridotto a un cumolo di polvere, per te avrei dato la vita, ma adesso non so più che cosa voglio. – Era stato letale con quell’affermazione.
-Che cosa ti ho fatto di così brutto! Rispondimi! – Strillai. Avanzai verso di lui per affrontarlo, ma lui mi mostrò solo una foto. Rimasi ferma a fissarla. Tutto si collegò, tassello dopo tassello.
-Ti è ritornata la memoria, adesso? Ecco come mi sono sentito, ho dato fiducia a qualcuno che non se lo meritava. –Aggiunse, stringendo il telefono che aveva in mano come se lo volesse distruggere. Stavo male, anzi malissimo. Lui …gli avevo confessato di amarlo e … il rumore dello schiaffo riecheggiò, bruciava, ma ne era valsa la pena.
-Sei solo un idiota! –Buttai fuori. Furente. Il fuoco divampava dai miei occhi. Lo stavo incenerendo.
-Sei un bambino! Un vigliacco. Ho sofferto per tutto questo tempo per niente, per una fotografia che non vale niente. –
-Per niente? Stai baciando un altro ragazzo che non so io! –
-Baciando? Chi ti ha messo queste cose in testa? Se apri meglio gli occhi si vede un miglio che non c’è nulla tra di noi, ma alla fine, posso darti ragione, può sembrare, ma non l’ho è. Dovevi venire da me e chiederlo. –
-Per avere spiegazioni? Mi stai tradendo con quel biondo! Non c’è niente da chiedere Jessica, questa è la realtà. – Affermò furioso.
Sembravano due pazzi che gridavamo, ma ormai la bomba era stata sganciata.
-Ti avrei perdonata, invece l’hai nascosto. L’ho dovuto sapere dagli altri, questo mi fa incazzare! –
-L’ho nascosto? Tra me e Leo non c’è stato niente, non potrei mai. Come di vengono certi pensieri. –
-Lo chiami pure, adesso basta. Abbiamo chiuso. – Disse lapidario.
Silenzio. Il legame si era spezzato, davvero, sarebbe andato tutto in rovina? Per un malinteso.
-Sai ti credevo più ragionevole, ma mi sbagliavo. La gelosia è una brutta cosa. Tuttavia ti perdono Kaname, perché ciò che provo per te vale per me. E non fare quella faccia. Prenditi il tuo tempo, io me ne vado, se ne vuoi parlare sai dove trovarmi. –Dissi riprendendo il respiro, trafficai nella borsetta e presi un cartoncino – era venuto a portarmi di persona l’invito del suo matrimonio, gli avevo raccontato di te e della nostra storia e lui all’improvviso mi abbracciato felice, mi ha detto che se lo sentiva, che presto o tardi qualcosa di importante sarebbe arrivato nella mia vita. Che triste epilogo, nemmeno il tempo di nascere che già .... –Lo lasciai con l’amaro in bocca. Con le lacrime che erano pronte a travolgermi, dovevo solo attendere un attimo. Salutare tutti per poi sprofondare.
 
 
                                              
Leonardo & Aurora
Sposi
21 dicembre 2017
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Quanto tempo era passato? Forse solo pochi minuti o giorni. Il legame si era reciso. Non sapevo nemmeno che cosa provare. Mi mancava, si. Forse come l’aria. Ma sapevo che non sarebbe ritornato tra le mie braccia. Il destino era stato crudele con noi. Aveva giocato di astuzia. Si era fidato di una fotografia, di uno stupido pettegolezzo. Io e Leo. Mi veniva da ridere solo al pensiero. Era un affascinante ragazzo, ma non m’intrigava per niente. Per lui provavo un forte sentimento di amicizia. Lui e Aurora mi avevano aiutato a capirmi e farmi compagnia. Ricordavo i pomeriggi nella libreria a ridere. Mi piaceva la loro compagnia. Chiusi gli occhi. Mi ero buttata sul lavoro, l’unico rimedio per non pensare. Sì, perché i miei amici se ne erano accorti che c’era qualcosa che non andava, dalla sua mancanza, dai miei silenzi vuoti.
Dal cuore spento. Me lo avevano strappato senza permesso.
Non riuscivo ad averla con lui, forse con me stessa. Mi ero fidata della nostra complicità. Avevo fallito.
La casa sembrava vuota senza il suo padrone.
Kaname non era ritornato quella sera; mi ero spinta verso il giardino dove c’era quella maledetta statua, la guardai con disprezzo, con odio.
-Ci stai mettendo alla prova, non è vero? Perché non ci vuoi insieme. Dimmelo, stupida statua maledetta! –Avevo urlato con tutto il fiato che avevo in corpo. La pioggia mi aveva inzuppato tutta, anche il tempo mi voleva male. Le avevo dato un pugno, il dolore che provavo era immenso. Non me ne facevo nulla dei suoi sogni, sembrava così gentile nel pormi quel mazzo di fiori, mi stava forse dando il ben servito? Continuai a lottare fino a che la pietra si tinse di rosso, solo allora mi accasciai al suolo prima di forza. Mi ripetevo il perché. Perché non potevo essere felice? Forse non me la meritavo? Dovevo patire sempre? Ero destinata a vagare nel vuoto del limbo.
 
Era partito.
Lo avevo saputo da Luca che era venuto accanto a me e me lo aveva sussurrato piano, aveva paura che mi rompessi. Purtroppo per lui già mi ero frantumata tutta. Non avvertii neppure le sue esclamazioni quando si accorse della mano gonfia e insanguinata. Mi ero ritrovata all’ospedale, il dottore mi aveva visitato e dopo un giorno me l’avevano ingessato. Mi ero rotta l’osso del polso.
Non avevo provato dolore nel momento del rientro. Niente.
Ero un guscio vuoto.
Mi avevano di nuovo tolto il sostegno.
Come potevo continuare a quel ritmo? Perché …la felicità mi scivolava così facilmente?
-Tesoro devi mangiare. –Mi diceva Crystal.
-Non ti sente. E come se fosse in trance. –Aggiunse Luca con le braccia incrociate.
-Jenny-chan! –Una voce squillante si fece avanti, dal corridoio sbucò Alexia la sorellina di Federico, il suo corpo ancora bambino, ma con quegli occhi che ti riscaldava il cuore e nello stesso tempo me lo gelavano. Mi aveva chiamato più di una volta, ma dalle mie labbra non riuscivo a spiccicare parole. Mi ero bloccata.
-Tesoro –l’aveva chiamata Crystal con un affetto materno –in questo momento Jessica sta male. –Le aveva detto. Chinò il capo e notò la fasciatura del polso.
-Perché non la fate ridere? Oh mettete qualcosa che le piace? Una volta mi ha raccontato che quando si sentiva triste, ascoltava la musica dei cartoni animati, cantare a squarcia gola e poi si sentiva meglio. –
La mia piccola era una brava ascoltatrice. Allungai la mano sana e le accarezzai la guancia, nessuno parlava, Luca stava per iniziare, ma Noemi lo aveva fermato.
-Ti..ti va di andar a giocare? –Chiesi con le labbra che mi facevano male, la gola secca.
Lei annui con fermezza. Volevo spegnere la mia passibilità. Forse avrei di nuovo preso coscienza. Mi guidò verso il giardino addicente ci restammo per un bel po’, mi raccontò del suo ultimo viaggio con il padre.
-Forse lei riuscirà a farla ritornare da noi. Non l’avevo mai vista in questo stato-diceva Luca agli altri.
-Soffrire per amore è un’altra faccenda, doniamo tutto all’altro e quando ci accorgiamo che non abbiamo più quel sostegno dobbiamo far in modo di stare in equilibro. –Aveva detto Noemi. Poi erano rimasti in silenzio, non volevo la loro compassione, ma loro come amici mi avevano supportato. Perché non riuscivo a camminare da sola era un mistero.
-Ma di lui sappiamo qualcosa? –Federico era appena ritornato da lavoro e si era seduto accanto a Crystal, Luca si era innervosito, ma non c’era ragione.
-Simon ha detto che è partito due settimane fa per un viaggio di lavoro, non so bene dove egli sia. Tuttavia questa cosa si deve sistemare. Ricordo ancora il suo sguardo quella sera. – Blaterò non sentivo tanto, poiché Alexia parlava anima mente.
- Quei due sono troppo simili. Stanno soffrendo…chissà se riusciranno a farcela. –
-Certo! Devono. Sono troppo belli assieme. –Affermò decisa Crystal.
-Finalmente la vedevo veramente felice…-a quella frase sorrisi e piansi. Me l’avevo fatta scappare di nuovo.
 
Il tempo guarisce le ferite, no?
La vita stava ritornando a fiorire. Le settimane che avevo trascorso era molto buie, tuttavia avevo cercato di andare avanti con la mia vita. Le strade si stavano tingendo di colore, il Natale era alle porte. Il centro era stato addobbato e per quel evento avevo comprato un grande albero che era stato posto vicino alle scale. Era magnifico nei suoi colori, era stata un’impresa metterla la stella. Con l’aiuto del mio staff avevamo organizzato tanti pacchetti per i clienti, soprattutto per coloro che non ci avevano più lasciato. Almeno la spa andava avanti. L’incremento c’era stato, senza preavviso, ma ne ero soddisfatta.
Ogni dipendente era in regala ed effettivo. Crystal nel suo ruolo aveva giocato bene, grazie a lei tutto procedeva bene.
Se la giornata trascorreva tutta in discesa era una pugnalata ritornare a casa. Notare le luci spente e l’assenza del suo profumo. La tristezza ritornava a galla. Oramai era diventato meccanico. Spogliarsi della maschera, mangiare e letto. La musica che scoppiava nelle orecchie per non pensare, ma era inutile. Lui sarebbe stato sempre mio.
 
 
-Signora mi dispiace se c’è stato dei problemi. –Stava dicendo Francesca la mia segretaria, mentre chiedeva scusa a una cliente.
Mi avvicinai e chiesi spiegazioni, la ragazza divenne tutta rossa per poi avere l’attenzione della donna che si stava lamentando. A guardarla meglio, notai che era signora la quale andavo a fare le pulizie un anno fa.
-Signora è un piacere rivederla. - L’apostrofai, lei si voltò verso di me e mi diede le sue attenzioni. Mi accorsi che mi guardava male.
-Jessica. Come vedo hai trovato un impiego, non e che rubi anche qui? –Mi buttò con disprezzo. Tanto cara, tanto velenosa.
Chissà che cosa le aveva detto quello stronzo di suo nipote.
-Francesca chiama Emilia per fargli l’unghia. –Sentenzia, senza dare peli a tutto quella falsità.
-Jessica stai scappando dalla verità? Non ti senti sporca? –Dichiarò, afferrandomi la mano sana.  Mi voltai e la guardai con sufficienza.
-La prego ti lasciarmi in pace. Non so che cosa le ha detto Giorgio, ma io non ho mai fatto nulla. Forse deve dire che cosa lui ha fatto me. Sono stata troppo clemente, se adesso vuole seguirmi la condurrò dalla ragazza che si è occupata di lei. –Eravamo tutti bravi ad accusare l’altro, ma mi avrei tenuto lontano dai guai, ne avevo fin troppo.
Lei mi seguii in silenzio, appena arrivammo alla postazione della mia collaboratrice, -Buona permanenza. –La mollai e ritornai all’hall, informai Francesca che non ci sarebbe stata nessuna spesa altrui…uscii fuori dal centro, la gente entrava e usciva di continuo, eravamo diventati il centro più rinnovato e moderno della città. Il sole oramai era tramontato da un pezzo.
-Ciao. –
Mi voltai. Sbuffai solamente a vederlo, non ci bastava la zia, ma ora dovevo sopportare il nipote? Era una scongiura.
-Scusami ma sento freddo e me ne ritorno dentro. –Lo liquidai, ma lui non arrendendosi mi prese, purtroppo nella mano sbagliata. Il gesso era stato sostituito da una fasciatura più leggera, ma il dolore c’era sempre.
-Ti riscaldo io se vuoi. –Disse malizioso, avvicinandosi a me.
-No, grazie. Ho molte cose da fare. Trovati un’altra esca. – Lo scostai e ritornai ai miei passi.
-Sai diventi sempre più bella. Ti pensavo, l’ultima volta che ti ho visto era a quella festa di halloween. Quella uniforme ti stava d’incanto, ti avrei preso, ma qualcuno mi aveva anticipato. –Affermò, fermandomi a metà strada.
-Quella gonna mi eccitava, avrei voluto toccarti le cosce e conoscerti meglio. Forse potrei …-era diventato così serafino, che mi venne la nausea a solo sentirlo. Tutti con la mania di approfittarsi di una ragazza. E poi di quanto ce n’erano, perché cadevano tutte su di me? Avevo il miele?
-Se solo mi tocchi ti denuncio e questa volta lo faccio! –Dissi piccata, aiutandomi. Non poteva comportarsi in quel modo, avevo i miei diritti.
-Quanta paura! –Mi prese in giro. Non ci pensai un secondo in più e corsi verso l’interno del centro.
Dovevo proteggermi.
 


Quando ritornai a casa trovai le luci accese. Il cuore parti verso la luna, che ci fosse qualcuno? Quando aprii la porta e avvertii il suo profumo, la mente si svuotò del tutto. Rimasi ferma, una statua di sale.
Lo trovai in cucina che beveva un bicchiere di vino, era di spalle, ma sapevo che lui mi aveva avvertita. Si era girato lentamente, volevo buttarmi tra le sue braccia, ma mi fermai. Forse il corpo non se la sentiva ancora, mi aveva ferito.
-Bentornato. –Mormorai piano, era uscito senza calore.
-Grazie. – Nessuna parola di scuse o di altro genere. Un piatto saluto.
Lo sorpassai stringendo il corpo. La paura di un suo nuovo abbandono mi lacerava. Chissà quanto tempo sarebbe rimasto questa volta, forse era veramente la fine.
Non mi aveva parlato per tutta la serata, eravamo rimasti ai nostri posti a fissare un punto indefinito. Lui con i suoi pensieri e io con i miei.
-Domani riparto, te lo volevo dire. –Disse infine.
-Va bene. –
Il vuoto. Buio.
Lui se n’era andato di sopra. La mattina dopo uscii prima, non volevo incontrarlo con le valigie. Mi avrebbe distrutto.
Al centro non c’ero. La riunione con tutto lo staff era andata male, ma solo grazie a Crystal nessuno aveva intrapreso il mio smarrimento.
 


-Tu che ne dici, Jessy? La potremo fare qui la festa di Natale. È il primo anno che lo passiamo tutti assieme. –Mi chiamò in causa la mia amica. Annui senza aver capito nulla.
-Ok è fatta. Portiamo tutti qualcosa così viene meglio, ci vediamo l’antivigilia. –Congedata tutto il personale venne da me,- quello sguardo lo conosco, non puoi ridurti in quello stato ogni volta che lui se ne va. Riprenditi. Vorrei tanto sapere che cosa gli passa per la testa. –Affermò mettendosi le mani sui fianchi, per posarla sulla pancia. Il piccolo cresceva senza problemi, finalmente la pace era stava sistemata, ma il nome della suocera era sempre un argomento scottante.  
-Lui per Natale ci sarà? –Chiesi, lei mi sorrise e mi abbracciò.
-Non mi ha risposto, mi dispiace. –Contraccambiai il gesto.
Doveva andare così.
Era palese che non venisse, ma era un comportamento immaturo. Si era rifiutato di trascorrere il Natale con me. Luca gli aveva parlato, non avevo sentito tutta la discussione, ma il comportamento del mio amico mi faceva intendere tutto. Se ne starebbe stato in pace, tra le quattro mura della casa di famiglia. Invece io avrei combattuto contro un silenzio opprimente. Mi avviai verso casa, una struttura che non mi apparteneva, ma che la sentivo mia.
Mi spogliai e mi diressi verso la cucina, sulla mensola c’era un foglio ripiegato con cura. Avevo paura di ciò che conteneva, ma la dovevo affrontare. Se lui non mi voleva più, dovevamo dare un taglio netto.
Presi un lungo respiro, e mi sedetti sullo sgabello.
Era la sua calligrafia, così elegante e incomprensibile come quella dei dottori, ma aveva tentato di scrivere in stampatello per farmela comprendere.
 
 
Perdonami per questi giorni,
ma non li ho saputo raccontare.
Non ho detto che non posso far nulla…
Dei tuoi silenzi spenti.
Perdonami per questi giorni, ma non ho saputo che cosa fare.
Ho il volo tra due ore.
 
Quelle parole non erano sue, ma di una canzone. Tuttavia gli occhi divennero umidi, aveva cercato di dare un inizio a quella missiva, questo era il mio Kaname. Tentava con le parole famose ad avere la mia attenzione.
 
Sono stato un codardo, questo non lo toglie nessuno. Non sono
riuscito ad affrontare la crisi che c’è stato nel nostro rapporto.
Non so come scusarmi, piccola, ma mi sento bloccato.
Non sopporto più le tue lacrime, mi ero promesso di non farla mai piangere la donna del mio cuore, ma sono riuscito a ferirla.
Questo sbaglio non mi fa più dormire, ogni volta vedo il tuo viso coperto di lacrime.
Ti amo Jessica.
Ma non posso continuare con la consapevolezza che ti ferisco ogni secondo che passa. Ho deciso di lasciarti.
Prenditi tutto.
Non ritornerò più
Ti amo.
Kaname.
 
Non era in lui. Non mi poteva dire una cosa del genere. Non glielo permettevo.
Non lo avrei lasciato sfuggire.
Non ci pensai, mi feci guidare dal cuore. Presi la borsa e le chiavi della macchina.
Lui era il mio futuro e lo avrei costruito con il sudore, purché lui ci fosse.
 
 




 
Nota: le frasi in corsivo sono la canzone di Laura Pausini. Non è detto.
In questo periodo mi sono ispirata molto su di loro, la musica e la scrittura vanno a braccetto. Non e un caso che l’intera storia gira intorno a una di loro.
E con questo vi lascio. Al prossimo.
Heart
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 39
*** Corsa contro il tempo ***


40°Capitolo
“Corsa contro il tempo”
 
 
Noi così distanti.
Quella canzone ormai l’ascoltavo di continuo. Non riuscivo a farne meno, lui …mi aveva lasciato. L’errore non gli dava modo di perdonarsi. Avevo deciso lo avrei salvato con queste mani. Che cosa sono diciotto ore di volo? Niente. Ma per lui ne facevo anche trentasei. Non mi importata avvisare qualcuno, no, ero partita senza preavviso. Era stata già una fortuna trovare un biglietto unico in cui mi avrebbe condotto ad Osaka. Non sapevo che cosa avrei fatto arrivata lì, il mio pensiero era lui. Chiusi gli occhi troppo stanca per elaborare qualcos’altro, ma non ci riuscivo. Aveva ragione Kaname nel dire che dormire ormai era diventato difficile, i miei pensieri si collegavano alla sua immagine. Il sole rinato, ma dentro di me era morto.
Durante il viaggio avevo navigato un poco per sapere in quale guaio mi stavo infilando, non conoscevo la lingua e inglese non lo sapevo parlare. In Grecia ci aveva pensato tutto lui, mi vergognai per quella mancanza. L’unica opzione era girare con il traduttore, sperando che lo capissero.
Quando l’aereo atterrò mi sentii stordita, il jet lag era disastroso, ero a digiuno per giunta, ma non mi sarei fatta sconfiggere. L’aeroporto era immenso, mi sentii piccola al confronto. Si vedevano gente infila, chi parlava al telefono o chi era comodamente seduto e leggeva il giornale. Fissai un punto indefinito, che cosa facevo ora? Non sapevo dove andare, ero partita senza organizzarmi. Dovevo chiedere informazione e forse potevo riuscire a cavarmela, c’erano sette ore di differenza tra l’Italia, dovevo cercare un orologio ed eccolo. Segnavano le cinque del pomeriggio? Dio santo, già la giornata stava finendo.
Dovevo trovarlo in un modo nell’altro. Presi la busta dove conteneva il suo indirizzo e cercai un taxi, e per mia fortuna ne trovai uno all’entrata. Cercai di spiegare la mia meta e partimmo. Furono due ore di viaggio, chissà quanto veniva a costare, avevo pochi soldi spicci…mi mollò a un’ora dell’arrivo, chiesi spiegazione, ma l’uomo mi guardò male per poi andarsene.
Gli edifici stavano chiudendo, essendo le sette di sera. In giro c’era poca gente e mi sentii abbandonata. Qual era la strada giusta adesso? Non capivo nulla, mi sedetti su una panchina esausta. Mi girava di continuo la testa, non avendo toccato né acqua né cibo si faceva risentire. Trafugai nella borsa alla ricerca di qualcosa da masticare e trovai una caramella, che fortuna!
Una signora mi si avvicinò, probabilmente mi chiese se andasse tutto il bene, ma ottenendo risposta se n’era andata.
Iniziai a piangere. Che cosa mi era saltato in mente? Forse neppure c’era e Luca aveva sbaglio a sentirlo. Mi strinsi nel cappotto e rabbrividii di freddo. Perfetto ci voleva che mi ammalassi.
Forza Jessica non puoi restare qui, se sei arrivata fino a qua e per riportarlo da te. Alza il culo e vallo a cercare. Mi dissi.
Devo solo trovare qualcuno che mi indica la strada.
Alzata da quella postazione feci un primo passo e poi gli altri, dovevo trovare qualcuno, tenevo stretto il foglio, li erano riposte tutte le mie speranze.
Mi ritrovai in un viale decorato, c’erano tante coppie che passeggiavano mano nella mano, anche lì c’era l’odore del Natale, forse non come nel nostro paese, ma era bello vederlo. Mi avvicinai a uno steady e con una calma che non era mia cercai di farmi capire dal venditore. Dapprima non mi volle aiutare, ma poi mi giunse in soccorso una nonnina che cercò di spiegarmi la strada giusta, m’inchinai infinite volte per ringraziarla e andare verso la direzione. Mi sentivo di nuovo carica. Tuttavia anche se avevo tutte le indicazione del mondo non riuscivo ad orientarmi in quella città, ogni monumento mi confondevo, sembravano tutti simili. Fino a che mi fermai all’entrata di un grande castello. C’era una lunga didascalia in giapponese che raccontava la storia, certo per chi la capiva, non per me.
Alla fine mi arresi. Scivolai sul pavimento di pietra e basta.
Non sapevo cosa successe ma mi addormentai, poteva sembrare inverosimile, ma la stanchezza aveva vinto. Mi svegliai perché sentivo freddo e per la pioggia che cadeva a catenella. Mi alzai piano, poiché la testa non si voleva stare ferma per un attimo. Dov’ero? Ah sì, avevo fatto la più grande stupidaggine della mia vita e per cosa? Per amore. Rispose il cuore.
Con i vestiti zuppi ritornai a camminare. Non c’era più nessuno in giro, mi potevano fare la qualunque, la forza di reagire era svanita.
Presi il telefono e lo fissai.
Kaname…-KANAME! –Urlai con tutto il fiato che avevo, mi abbandonai a quel fallimento e urlai ancora e ancora il suo nome, qualcuno mi doveva sentire o era tutti sordi?
Perché! Perché! Era deciso volevo rompermi anche l’altra mano da come davo pugni al suole. Con urgenza e rabbia lo chiamai, me lo doveva.
Aspettai che mi rispondesse, ma niente.
Ci provai all’infinito ma nulla.
Un ultima chiamata, se non risponde, lo giro sui Kami, su Dio che ti lascerò andare via. Mi strapperò il cuore pur di non soffrire come adesso. Ti prego rispondimi.
E come promesso avviai di nuovo la chiamata, il cuore rintoccava gli squilli.
Uno. Due. Tre. Cinque, infinito.
Allungai il dito per staccare, in tanto il telefono era tutto bagnato, ma poco importava io stavo morendo.
-Pronto. –
Il fiato si bloccò in gola, aveva risposto.
Mi ero messa una mano sulla bocca per non farmi scoprire che stavo singhiozzando e lui di nuovo ripeté il pronto.
-Jessica. Tra di noi è finita…-sentire di nuovo il mio nome ripetuto dalla sua bocca mi rese felice, ma le parole di dopo mi trafissero.
-Non lo è. –Dissi.
-Non iniziare…-aggiunse lui.
Un tuono si sentii da lontano e poi la pioggia iniziò a cadere più forte, perfetto.
-Accidenti! –Parlai ad alta voce. Mi guardai in giro per trovarmi un posto riparato, ma eravamo in un parco di quello che avevo capito.
-Dovresti metterti dentro, ti vuoi ammalare? –Affermò lui.
-Grazie lo avevo capito da sola, ma non c’è nulla che mi possa dare riparo. –Mormorai, poiché un colpo di tosse mi chiuse la gola. La sentivo in fiamme. Il mio castigo stava arrivando.
-In che senso? –Lo sentii sospirare.
-Siamo nello stesso cielo…maledetto tempaccio! –Esclamai con vigore, trasformando il giubbotto in ombrello.
-Il mio cielo è diverso dal tuo. Ti devo lasciare…Buon …- iniziò a terminare.
-Ti prego Kaname non mi lasciare, io volevo solo…-
-Jessica come devo dirtelo che è finita tra di noi? Siamo lontani e le cose non si possono più aggiustare, fattene una ragione! -
-Cazzo! Non me ne faccio una ragione. Non ho fatto tutto questo per ritornamene a casa sola…- un altro attacco di tosse mi colpì, facendomi perdere il telefono dalla mano, m’inginocchiai e cercai di ritrovare fiato. Perfetto, sarei morta in quella terra sconosciuta e sola. –
-Jessica. Jessica! Dannazione perché riesci a farmi preoccupare anche da lontano? –Esclamò arrabbiato.
Acciuffai il telefono e parlai. –Perché mi ami Kaname e anche se siamo lontani i nostri cuore si sono legati, e poi non sei lontano da me, forse siamo più vicini di quanto immagini. – Oramai ero allo stremo.
-Non riesco a capirti, Jessica, dove ti trovi. –Urlò preoccupato. La vista mi stava per abbandonare, il corpo era diventato freddo.
-Mi trovo ad Osaka. –
Avevo perso. Tutto divenne buio, sentivo solamente la sua voce che mi richiamava, ma ormai non riuscivo più a reagire.
-Piccola. Stai scherzando vero? Ti prego rispondimi! Jessica! –
 
 
 
°°°°
Non mi rispondeva. Avevo sentivo un tonfo e poi più nulla. Il cuore aveva iniziato a battere forte. Non ci volevo credere che fosse nella mia città nativa, non poteva essere.
Dovevo capire. A chi potevo chiedere aiuto. Visualizzai i contatti, ma mi bloccai era piena notte lì, lei aveva bisogno di aiuto immediato.
Kaname pensa. Pensa.
Ripresi il telefono, una volta lei mi aveva fatto istallare un app per rintracciare le persone, speravo che l’avesse ancora e la rete 3G ancora attiva. Il temporale aveva rallentato la ricerca, ma quando il puntino si bloccò sulla capitale sbalzai fuori.
-Kaname dove stai andando, fuori diluvia. –Mi aveva ripreso mia nonna, ma non l’avevo lasciata finire. Sapevo il punto dove fosse, mille domande mi balzarono in mente, ma prima di tutto che cosa ci facesse qui, ad Osaka.
Corsi come se avessi il diavolo alle calcagna, quando arrivai nel punto indicato mi girai su me stesso e adesso? Non mi dava l’esatta postazione, dovevo seguire l’istinto. Niente non c’era, forse mi aveva mentito, forse il telefono si era rotto, mille congetture, ma non era quello. Lo sentivo. Il cuore mi doleva. La sua paura era diventata la mia. Ero senza fiato, correvo da un bel po’, niente non c’era. Mi fermai un attimo e fu in quel momento che notai una sagoma al suolo. Il calore scivolò e fui raggelato dal terrore. Mi avvicinai inqueto e quando lo girai il cuore perse un battito.
-Piccola mia…perché hai fatto questa pazzia? Jessica rispondimi. –La chiamai, non volevo farle del male, ma l’unica maniera di vedere come stava era averla accanto. I vestiti erano grondati d’acqua, lei come se mi avesse percepito aprii un occhio. Erano rossi.
-Sei del tutto pazza! –La rimproverai, appoggiandola sulle mie gambe dando modo di alzarsi, ma era troppo fragile e non riusciva a far nulla.
-Paz-zza di t-te .-Disse balbettando.
-Sei un incosciente. –La sgridai.
-Volevo raggiungerti, tu mi appartieni. –Affermò allungando il braccio per farsi forza sugli addominali e arrivare al mio viso. –Tu sei mio, Kaname Washi. –terminò, stringendosi a me. L’abbracciai con impeto. Mi era mancata così tanto, ma soprattutto lei, la sua essenza mi serviva per dare un significato alla mia vita. Sembrava che avessi perso dieci anni della mia vita senza di lei, ma adesso…-hai bisogno di riprenderti. –La presi in braccio, non riusciva a rimanere sveglia figurarsi camminare. Era leggera.
-Non ti prendere colpe che non sono tue, Kaname. –
Mi lesse nella mente come se fosse una cosa facile.
Sorrisi a quel pensiero.
Quando raggiunsi la residenza, trovai la nonna furente, ma notando il mio fagotto tra le braccia mi lasciò andare.
-Mi dovrai spiegare molte cose Kaname. E anche della sua presenza. –Rivolgendosi alla mia Jessy che non faceva altro che tremare, raggiunta la mia camera l’appoggiai a terra, lei intanto si era svegliata.
-Spogliati. Ti preparo un bagno caldo. –Le dissi. Tuttavia quando ritornai la trovai ancora dove l’avevo lasciata. –Jessy che cosa ti senti? –Le chiesi, dolcemente.
-Mi fa male il corpo, mi dovrai aiutare. –Rise, ma fu attaccata da un colpo di tosse.
-Fare l’eroina non ti scongiura i malanni- la ripresi, ma l’aiutai a togliersi il maglione che era diventato pesantissimo per l’acqua, la pelle era cosparsa da brividi. Arrivati ai jeans fu una impresa poiché si erano appiccicati alla pelle, ma ci riuscimmo e me la trovai solo con l’intimo. –Ci riesci a camminare o devo continuare ad assisterti. –Risi. Lei era così, portava una ventata di aria e ti faceva riprendere dal fumo che ti aveva annebbiato.
-Kaname perdonami, -iniziò a dire.
-Fermati, ne parleremo dopo. Adesso ti urge farti un bagno caldo e riprenderti. Affronteremo dopo la tempesta. –Annui e la trascinai in bagno, rimase per dieci minuti contati in acqua per poi uscire, non stava bene e si vedeva. Non era solo il dolore dell’abbandono, ma c’era pure quello fisico. –Ti stanno portando da mangiare, io intanto mi vado a riscaldare. –
Chiusa la porta dietro alle mie spalle …la maschera era crollata. Le avevo detto addio e poi nel momento in cui aveva bisogno di me non ero uscito a riesisterla.
Era amore.
Quando ritornai in camera il piatto era vuoto e lei dormiva nel mio futon. Tremava e non la voletti lasciare sola. Il mio calore l’avrebbe guarita e riportata da me… che strana la vita, ti metteva i bastoni tra le ruote, ti faceva morire e poi ti riportava alla vita. Forse voleva insegnarci qualcosa da tutto quanto?
 
 
Il mattino dopo mi svegliai per primo. Lei era accovacciata accanto a me, sentivo il suo respiro leggero e tranquillo. Mi alzai di busto e notai la leggerezza del corpo. Tutta la pesantezza era svanita come l’acqua che era caduta dal cielo. Sorrisi. Solo lei mi poteva fare quell’effetto. La sfiorai gentilmente pur non farla svegliare, aveva i capelli tutti spettinati e le guance rosse, le toccai la fronte e mi sembrava calda. La coprii con cura e mi diressi verso la sala da pranzo. Arrivato trovai la nonna che beveva il suo consueto the verde, il suo sguardo dapprima rivolto alla grande finestra, giunse a me. Sapevo che cosa mi aspettava, ma ero pronto. Ero fuggito per riprendermi, anche dopo le numerose riflessioni, pensieri, non riuscivo a perdonarmi. L’avevo ferita e questo mi faceva male.
-Siediti. – Voce piatta, autoritaria. Voleva delle spiegazioni e non mi avrebbe permesso di fuggirle nuovamente. Silente obbedii e aspettai.
Ci guardavamo negli occhi. Alla fine mi arresi, abbassai la testa e mi scompigliai i capelli, -penso che vorrai sapere un po’ di cose. –Affermai, rialzando la testa e riguardarla.
-Penso che me lo devi, Kaname. Tuttavia il mio istinto mi dice che la sua presenza è dovuta a te, è successo qualcosa? –Diretta come un soldato.
Sbuffai. La nonna mi sapeva capire come poche persone, -Si. È successo qualcosa e questo qualcosa mi ha portato a vergognarmi. –Dissi.
-Un Washi non si vergogna mai. –Affermò decisa.
-Ma io l’ho fatto e ne ho pieno il dovere. La mia vergogna mi ha fatto perdere l’equilibro. –
-Racconta. –Mi ammonì. Alla fine finiva sempre così, lei era come un diario dove potevo annotare tutte le mie paure e confusioni, era meglio di un foglio di carte, perché mi poteva rispondere. Alla fine del racconto non mi parlò per un lasso di tempo che mi parve infinito. Stringeva la tazza in un modo pericoloso, ne ebbi paura. Non mi avrebbe tirato quella tazza? Era possibile, anche se non l’ho aveva mai fatto.
Sospirò e poi mi parlò. – A volte voi uomini siete così bambini, mettete il broncio senza chiedere. Noi donne ci arrabbiamo, rompiamo le cose, ma andiamo subito al nocciolo. A volte mi fai ricredere, ti credevo più diplomatico. –Disse, posando il bicchiere, pericolo scampato.
-Sei la seconda persona che me lo afferma. –Risi.
-Presumo che la prima è stata la ragazza che dorme in camera tua. L’osservata durante il mio soggiorno, non ho notato nulla di strano in lei, ma, ha un forte influenza verso la luna e verso di te. In lei hai visto il tuo tutto, e lo stesso è per lei. Vi siete legati inconsapevoli. – Espose, sempre negli occhi, -il mondo vi metterà sempre alla prova, figliolo, chi ama deve affrontare l’inferno per essere felice, ricordatelo. –Terminò. Si alzò e mi diede una dolce pacca sulla spalla come per incoraggiarmi, adesso veniva la parte più dolente, lei ci sarebbe stata? Mi sentivo più libero, adesso potevo di nuovo riiniziare a vivere. Forse c’ero stato troppo, ma ognuno di noi ha i propri tempi. Salii le scale che mi conducevano nella mia camera e lei era sveglia, aveva gli occhi aperti e fissava il tetto.
Entrai in assoluto silenzio e chiusi la porta dietro di me, mi sedetti e appoggiai la schiena sul cartongesso.
-Presumo che in questa residenza ci sia un giardino Zen. Sento il rumore dei bambù e l’acqua che cade. È un dolce suono che rilassa. –Affermò, come se non ci fosse in quel momento in quel letto.
-Te lo mostrerò appena ti riprenderai. –Dissi. Dovevo dire qualcosa, ma fu lei a iniziare, si alzò con l’aiuto di una mano poiché l’altra era rimasta ferma solo allora notai dei lividi. Che cosa aveva combinato?
-Non pensavo che un giorno avrei fatto una cosa del genere, queste cose si vedono solo nei film o negli anime. E guarda un po’ adesso, mi trovo in una delle mie città preferite…che strana la vita. – Era come se parlasse sola, con i pensieri che fluivano dalla sua mente. Era rivolta a novanta gradi verso la luce del mattino, con i capelli scompigliati; tuttavia il suo volto era rilassato e dalla bocca spuntava un timido sorriso. –Un sogno venuto realtà, anche sé in circostanze diverse. –Si girò verso di me con due occhi emozionati, -me la farai visitare? –Chiese. Era bellissima ed ero pronto a lasciarla andare.
-Se lo vorrai sì. –Le dissi. Si buttò addosso e ricaddi indietro, le sue labbra furono subito sulle mie. Il suo sapore, quando mi erano mancati? Ci guardammo negli occhi, ma lei si allontanò.
-Dobbiamo parlare. –Disse lei mettendosi dritta. Adesso veniva il bello.
 
 
-Dunque. È stato Andrea a mostrati la foto, -disse mentre appoggiò il pollice e l’indice sul mento come se avesse la barba, era buffa in quel gesto. Comunque non la disturbai in quella riflessione.
-E tu come un allocco ci sei cascato. Tanto dolore per nulla. Io lo ammazzo! –Disse alzandosi di scatto ma poi ricadendo. Cercai di afferrarla ma mi fermò, i suoi occhi sembravano infuocati.
-Non ti seguo. –Affermai. Mille domande mi vorticavano in mente, perché diceva una cosa del genere? Ero diventato uno stupido?
-Andrea ci prova con me da quanto stava con Crystal. È normale che ti abbiamo fatto questo tiro mancino. Quello stronzo! E tu ci hai dato la partita subito vinta, non hai nemmeno risposto immagino. Te la sei presa con me come un bambino capriccioso ed io pensavo che ti fidassi di me! Che cosa meditavi? –Urlò autoritaria.
Non sapevo che cosa dire. Ero stato messo in gioco e non sapevo nemmeno giocare. Mi avevano …non avevo una risposta.
-Te lo dico io, sei stato un credulone. Loro ti hanno girato come volevano e tu glielo lo hai permesso! –Mi ammonì con vigore. Si alzò nuovamente e sta volta era stata più brava, le gambe non le tremavano più e si reggeva da sola. Si allontanò da me, aveva ragione, ero stato un imbecille. Non le avevo dato fiducia, lei al mio posto avrebbe reagito diversamente. La nonna aveva ragione per essere felice si doveva lottare contro coloro che la distruggevano.
 
-Non so come farmi perdonare. Non so nemmeno come esprimermi in questo caso. Il mio pensiero si era fermato: ti avevo dato tutto e tu mi trattavi in quella maniera, non ci ho visto più. Hai ragione ne dovevo parlare, si vede che il nostro legame non è così forte. – Era la verità o forse solo nella mia parte, perché appena le rivolsi lo sguardo mi sentii incenerito. Occhi che bruciavano ma nello stesso tempo interamente malinconici. Forse lei aveva dato tutta se stessa e non aveva ricevuto la medesima cosa.
-Basta incolparsi non serve a niente, ci distruggiamo ancor di più. Abbiamo imparato che tutto non può essere una routine, dobbiamo conquistare il rispetto vivendolo. Kaname –s’inginocchiò verso di me, era sorridente. –Non ti voglio vedere demoralizzato. Oggi ti voglio di nuovo in forma. Se stai male tu, lo sono anch’io. Adesso su. Un Washi non si arrende. –Disse scompigliandomi i capelli.
Sorrisi da sotto –e che ne sai se un Washi si arrende? –Le dissi beffardo.
-Si sente nell’aria. Voi siete forti, ma non soli. Avete bisogno di un sostegno e per questo che ci sono io. Sarò la tua colonna portante se lo vorrai. Adesso alzati voglio che mi mostri il giardino. –Puntualizzò.
Era troppo emozionata, si era trasformata in una bambina. Mi prese il braccio e mi trascinò verso la porta, ma la fermai. –Dove vorresti andare in questo stato? –Indossava solo una mia maglietta, era nuda.
-Oh il mio gelosone. Mi ecciti ancor di più …- rispose lasciva, avvicinandosi pericolosamente a me. Chiusi gli occhi a quei tocchi. Le sue piccole mani erano un sogno, scendeva e si posarono sul cavallo della tuta. –Tuttavia dovrai attendere, come ho atteso te! –Puntualizzò piccata. Mi lasciò con l’amaro, me l’ero cercata. Ma infine contava che lei fosse felice e lo era. Rideva e come da copione mi contagiò. Era bello ritornare a casa.
 
 
 
 
 
 
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Salveeee! Rieccomi nuovamente. Allora come vi è sembrato? Nell’ultimo pezzo mi sono messa a ridere, oramai mi hanno contagiato anche me. Il bello dell’amore e fare pace e liberarsi dei pensieri scomodi. E lui è risultato un bambino, ma lo siamo un poco tutti. Gli uomini ci faranno impazzire, purtroppo quando l’amore gira succede questo. E il primo obbiettivo è stato affrontato chissà che cosa succederà adesso. Non vedo l’ora di scrivere gli altri, già io lo so, hehe ci vuole suspense. Ma non vi preoccupate che arriverà anche il vostro momento.
Grazie a chi segue questa storia per me è importante e spero che continuerete a seguirmi, vi lascio e alla prossima.
Heart
 

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Capitolo 40
*** Hanami ***


41°Capitolo
“Hanami”


 
 
Avevo paura. Temevo una loro reazione. Ero in casa sua, dove viveva con i suoi nonni e quando ero partita non avevo proprio dato pensiero su questo punto. In Italia lui aveva una casa propria, anche se adesso era la nostra, tuttavia dovevo affrontare questo guaio. Scendevo lentamente, Kaname era stato categorico. Voleva a tutti i costi che salutassi i suoi nonni con dovere e mangiare la loro tipica colazione. Il problema non stava solo sui loro sguardi e che cosa avrebbero pensato, ma anche alla mia poca capacità nell’usare le bacchette. Pregare non serviva, ormai eravamo arrivati a destinazione.
-Non essere così tesa. Non stai per incontrare l’imperatore. –
Mi disse calmo, certo lui non aveva timore di una reazione. Presi un grosso respiro e le porte di bambù si aprirono, lo stile orientale era diverso a quello occidentale. Per prima cosa non c’erano i tavoli ma un *kotatsu, con dei cuscini al suolo. Seguii i suoi movimenti, appena varcammo vidi i suoi nonni comodamente seduti ai loro posti.
-Ohayou –Disse Kaname per poi sedersi al suo posto, mi porse la mano e lo copiai.
Era scomodo rimanere in quella posizione ma cercai di non lamentarmi, alla fine iniziammo a mangiare. Nel mio lato erano posizionate due ciotoline: una conteneva del riso e nell’altro qualcosa di secco. In un piattino ovale era servita un’omelette dolce per fortuna e del tè verde. Tentai di mangiare con le bacchette, ma era difficile. Ogni volta mi scappavano, ero in imbarazzo. Notavo gli sguardi dei commensali e del sorriso beffardo di Kaname,
-tieni la forchetta. Senno non finirai mai. –
Lo fulminai con lo sguardo, ma ne fui felice. Ero affamata e non volevo che si raffreddasse il pasto.
-Un altro Tamagoyaki* ? –Mi rivolse suo nonno.
Lo guardai ma non capii a che cosa si riferisse. Sembrava che lo facessero apposta a mettermi in imbarazzo.
-Nonno, lo sai che non parla la nostra lingua. Jessy sono le Omelette. –Mi spiegò, presi anche l’altra fino a che fui sazia, mi sentivo nuovamente in forza.
-Avete dei programmi per oggi? –Chiese sua nonna rigorosamente dritta, al solo vederla la schiena mi bruciava.
-La farò visitare qui in giro. –Disse lui.
In giro? Lo avrei fatto impazzire.
-Tutto al suo tempo. –Mi rispose come se avesse letto nel pensiero, mi fece l’occhiolino e mi parlò –non sei la sola …abbiamo tutto il tempo. –Detto questo la conversazione terminò.
Furono giorni indimenticabili, duranti i quali la nostra complicità era rinata. Quella spaccatura c’era e ci sarebbe stata sempre ma una volta avevo ascoltato una sua conversazione con sua nonna.
 -“ L’amore contiene, ci rende forti ma ci può rendere deboli e fragili. Se avete equilibro e fiducia potete affrontare tutto. Non credere che io e tuo nonno siamo immuni, abbiamo anche noi i nostri trascorsi. “-
I giapponesi non gettavano nulla, un vaso veniva ripristinato, e lo sfoggiavano ancor di più, niente veniva a caso e nulla se ne andava se non abbandonato.
Kaname era un grande cicerone, mi mostrava le cose più belle. Visitammo il grande Castello di Osaka del quale mi raccontò la sua storia.
L’acquario di Kayukan, uno dei più grandi del mondo, che conteneva 35.000 specie di animali, tra anfibi, mammiferi, rettili. All’interno erano presenti negozi di souvenir, dei bar .
Poi ci spostammo verso il Santuario Tenman nel quale, in estate, si poteva assistere al famoso spettacolo Tenjiin Matsuri. Era una delle tre più importante feste del Giappone. Mi raccontò che per quell’evento ci sarebbe stato anche uno spettacolo al tramonto con le barche e infine i fuochi d’artificio.
Mentre lui raccontava io sognavo ad occhi aperti e mi innamoravo ancor di più di quella civiltà.
Non mi sentivo mai stanca e lui ne aveva approfittato per portarmi nei quartieri principali come Dotonbori, Mido-Sujii… c’erano tanti luoghi da visitare.
-Sei instancabile. –Affermò, mentre ci riposavamo in una panca accanto al viale alberato.
-Un sogno divenuto realtà. –Dissi alzandomi e girando su me stessa. La voglia di scoprire nuove cose era di nuovo uscita. Ero elettrizzata.
-Mi fa piacere. La prossima volta ti porto a Tokyo. –Disse ed io tutta felice gli saltai in braccio, avevo una voglia pazzesca di lui. –Mi piace questo tuo entusiasmo …-il discorso rimase in sospeso, poiché il telefonino mi squillò. Appena guardai divenni bianca di paura.
-Che succede? Stai male? –Disse lui preoccupato e poi guardando il display.
–Non so perché ho un brutto presentimento– borbottai. Azionai la chiamata e avvertimmo entrambi le urla della mia amica. Di sottofondo c’era Federico che tentava di calmarla, ma ad un certo punto non lo sentimmo più.
-Dove cavolo sei?! –
Era isterica, faceva grossi respiri, ma non stavano funzionando.
–Ti abbiamo lasciato il tuo spazio, e tu cosa combini? Parti? Dove sei? Se non me lo dici entro tre secondi ti vengo a prendere! –
Urlava non mi lasciava nemmeno il tempo di dire qualcosa.
-Sono da Kaname. –Dissi ferma. Le sue parole si fermarono, il silenzio era padrone. Un momento dopo le urla si sentirono nuovamente, le orecchie mi vibravano a tale tono, avevo tutta l’intenzione di chiudere la telefonata.
-Come ti è saltato in mente e poi senza avvisarci. Stavo impazzendo, la mia mente ha elaborato così tante congetture che stavo esplodendo e poi quella dannata che mi sono ritrovata come suocera ha detto “forse è morta”. Non sai la mia ansia, ho mandato quel povero cristo di mio marito a cercarti e poi mi viene fuori che te ne sei andata? Sei una pazza, incosciente testa di cavolo! –
-Non sei la sola che lo pensa, -Borbottai.
-Mi fa piacere. –Rispose per poi calmarsi –lo hai ripreso quello stupido? Perché quando ritornerete vi farò un lavaggio completo, ci sarete per la fine dell’anno vero? Posso accettare per Natale, ma non per il 31. –
Vero! Natale era domani. Guardai Kaname che se ne stava a fissare il cielo scuro, chissà che tradizione avevano lì.
-Ti farò sapere. –Chiusi la telefonata e guardai anch’io il suo punto indefinito. -Che cosa facciamo adesso? –Domandai, battendo i piedi per riscaldarmi.
Non mi diede conto, il suo sguardo era immerso nel vuoto. Non volevo interrompere i suoi pensieri e cercai di fare qualcosa, presi il telefono e navigai su facebook, per fortuna la linea internet funzionava. Un poster mi fece sorridere, stavolta era decisa sul da farsi. Mi alzai e mi posi davanti a lui. Gli presi la mano e con quel tocco lui si risvegliò. I suoi occhi mi stavano studiando, ma non avevamo tempo. Volevo vivere quella vigilia di Natale per costruire un ricordo.
-Basta pensare. Ti ho perdonato Kaname, non me ne faccio nulla del tuo silenzio, voglio il ragazzo che mi ha conquistato con i gesti e le parole. Quando mi regalavi quei piccoli sorrisi, quei baci che mi facevano sprofondare nell’abisso del piacere, quando mi abbracciavi e mi facevi sentire al sicuro. –Mi fermai a prendere fiato, -non devi temere te stesso. Quando ho accettato di essere la tua ragazza sapevo in quale guaio mi stavo infilando, so che tu sei diverso dagli altri, ti amo anche per questo. –Terminai, lo abbracciai. Aspettai una sua reazione che non tardò ad arrivare, la sua testa sotto il seno che mi stringeva forte, lui era il mio futuro.
-Grazie ma io…-iniziò a dire.
-No, Kaname. Non hai nulla da vergognarti. Le tue reazione erano giuste, hai sbagliato, ma nessuno nasce insegnato. Dobbiamo vivere le avventure per avere esperienza. Me lo hai detto tu di lasciarmi andare, ed l’ho fatto. Lasciati e viviamo questa storia con armonia. –Eravamo di fronte, si era alzato dandomi il suo sguardo. Era serio, i suoi occhi erano un cumulo di ceneri, ma pian piano ritornarono luminosi, ero felice del mio operato.
-Non mi accontento. Adesso voglio il massimo, e se non posso averlo preferisco il nulla, ma della vita di mezzo non mi accontento più. –Recitai, mi sentivo fiera di me stessa, avevo superato il mio ostacolo. La vita poteva procedere.
Mano nella mano percorrevamo il viale principale, mi piaceva quell’atmosfera festosa, l’aria era intrisa di profumi.
-Che cosa fate voi a Natale? –Domandai sporgendomi un poco verso di lui.
-Nulla di esaltante. E’ un giorno qualunque, solo le coppie lo festeggiano con una cena romantica e tante coccole. –Disse.
-Ah. –Ero rimasta delusa.
-Vieni. –Mi trascinò in una pasticceria e ordinò qualcosa, purtroppo non capii nulla di tutto ciò che dissero. Stavamo ritornando verso la residenza Washi con un pacchetto tra le mani, chissà che cosa conteneva. Non si era sbilanciato molto per il suo contenuto. Appena varcammo le porte la governante lo informò di qualcosa, che solo dopo mi fu spiegato. I suoi nonni erano a cena fuori e con questo avevamo tutta la casa per noi. Un poco soletti. Mi portò in camera sua e poco dopo bussarono e portarono un vassoio per uscire, molto discreti. Kaname era a suo agio, mi piaceva come li trattava.
-Gli ho dato la serata libera, non avremo più bisogno del loro lavoro. –Disse sorridendomi, con questo si avvicinò al tavolino che funzionava da scrivania e aprì la confezione della scatola. Era una torta con panna e fragole, con qualche decorazione natalizia. La tagliò e la sistemò nei piattini che avevano portato.
-Assaggia. Questa è la nostra Christmas cake. –Affermò.
Mi accomodai accanto a lui e presi la forchetta e poi la torta, la portai alla bocca con lentezza, assaporai i gusti. Molto dolce per il mio palato, ma buona. Lui mi avvicinò un bicchiere dove conteneva del liquido, appena lo misi in bocca il dolce fu trasformato in qualcosa di aspro.
Appena lo ingoiai una vampata di calore mi arrivò in viso, mi sentivo focosa e poco stabile, -che diamine mi hai dato? –Balbettai.
-E’ sakè, ma molto invecchiato. –Rispose lui, prendendolo anche lui.
Mi sentivo euforica dopo il terzo bicchiere, lui non mi diceva nulla, fino a che le gambe non mi sorressero più, mi allontanò il bucale.
-Credo che basti così, non ti voglio ubriaca. –Mi disse, ma eravamo entrambi. I suoi occhi erano languidi e leggevo tanta vitalità.
-Kaname… imph…io…-singhiozzai, mentre mi avvicinavo a lui. Mi allungò la mano e la presi, ero al sicuro. Pian piano l’altra sua mano mi toccò le labbra per poi scendere dal collo in giù, chiusi gli occhi per sentire quel calore espandersi. La sua mano si fermò all’altezza del cuore, avvertivo la sua cadenza, il suo tamburellare provocato dalla sua vicinanza. Pian piano avvertii un altro desiderio farsi strada in me, lo desideravo, lo volevo mio. La sua mano abbandonò la mia e iniziò a sbottonarmi la camicia. Bottone dopo bottone, essa scivolò dal mio corpo. I suoi occhi mi stavano mangiando e mi sentivo lusingata di tale attenzione, le spalline scivolarono e rimasi nuda. Le spalle ricurve avevano dato il peso per far scivolare il reggiseno che senza i suoi blocchi era caduto. Mi sentivo troppo esposta, ma nello stesso tempo elettrizzata. Ero nelle sue mani, mi stavo sciogliendo con il solo sguardo, avevo timore di alzare gli occhi. Le mani mi reggevano al suolo, ma quando le sue sfiorarono i seni mi persi. Era così dolce che sembrava un fiore delicato. L’indice sfiorava la sua rotondità e protuberanza, che pian piano diventava turgido. Quando pizzicò il capezzolo, aprii la bocca per far uscire un gemito, ma mi fermai con il fiato sospeso e i brividi che mi correvano per tutto il basso ventre. Non andava mai oltre, mi stuzzicava abilmente, facendo nascere in me qualcosa di possessivo, che dava vita a scene erotici. Persa in quei vaghi pensieri, non mi accorsi del suo cambiamento, me lo trovai sotto il naso con la bocca semichiusa, in una frazione mi trovai a gemere senza capirci più nulla, a muovermi all’impazzata per quella sete che mi stava provocando, lambendo con la lingua il capezzolo e torturarlo con violenza. Mentre con l’altra mano mi stuzzicava l’altro. L’equilibro tra terreno e aria si dissolse facendomi finire sul pavimento con lui addosso. Fissavo il soffitto con gli occhi socchiusi dal piacere, mentre lui mi stuzzicava la coscia, sapevo dove mirava, mi trovai nuda al suo cospetto. I mio Kaname era bellissimo sembrava un Dio sceso dal cielo. Allungai il braccio per sfiorargli il viso.
-Tu mi appartieni. –Parole che si confusero tra un bacio che mi tolse il respiro, ma non mi arresi, lottai perché in quelle gesta c’era tutto purché che amore. Riuscii a salirci sopra – amami, Kaname. E non reprimere ciò che custodisci dentro. Come tu mi appartieni, io appartengo a te. –
-Mia piccola Jessica, aiutarmi a capire che cosa ci faccio qui, con una donna straordinaria accanto…non merito nulla di questo. –Disse, lo zittii con un bacio.
-Non sottovalutarti, sei riuscito dove molti hanno fallito. Questo dovrebbe significa tutto. Procederemo insieme in questo cammino, ci aiuteremo avvicenda, ma devi darmi la mano. Costruiremo un domani assieme. –Mi sorrise. Finalmente lo rivedevo e piansi di felicità. Mi fece distendere sopra il suo corpo e mi cullò.
-Insieme. – Mormorò accarezzandomi i capelli con amore.
 
 
 
 
 
                                                                                  °°°
 
Alla fine tutto aveva un significato. Stavo ritornando alla mia vita, avevo salutato i nonni con un arrivederci, perché presto ci saremo rivisti e partivo con un cuore più leggero. Mi ero perdonato, avevo fatto pace con me stesso e avevo scoperto nuovi lati del mio carattere. Tutto questo grazie alla sua presenza e determinazione. Era così bella mentre dormiva nel letto del jet. Era da due ore che viaggiavamo che non me n’ero accorto, grazie alla mia distrazione che prendeva il suo nome. L’accarezzai delicatamente senza che si svegliasse, la stanchezza alla fine l’aveva catturato tra le sue braccia, ma se la meritava. Mi alzai dalla mia postazione e uscii dalla cabina, mi sedetti nella poltrona e guardai fuori dal finestrino. Il cielo era nero, la notte era calata prima, ma presto le giornate si sarebbero allungate e iniziava il periodo che amavo e stavolta sarebbe stato super, tuttavia il mio pensiero si focalizzò su dei problemi che avremo dovuto affrontare appena saremo arrivati. Per prima cosa mi sarei vendicato per quel tiro mancino, stavolta nessuno scappava dalla mia presa. Chiusi a pugno la mano per rabbia, nessuno doveva osare ferire ciò che amavo.
 
Il nostro ritorno non fu calcolato da nessuno, Jessy non voleva dare notizia. Arrivammo alla villa in montagna con sorpresa, Luca l’aveva abbracciata con entusiasmo per poi farle provocare dei sensi di colpa, poiché si erano preoccupati tutti. Crystal la stava sommergendo di accuse e parole che tra breve l’avrei pescata sotto terra, il mio intervento la placarono ma per poco, poiché me ne disse di tutti i colori. Infine Federico l’aveva portata via urlante e scalpitante. Le donne erano un pericolo. Mi allontanai un attimo con Simon che mi chiese una cosa e in quel lasso di tempo non notai nulla di sospetto, solo dopo che avevo finito ci avvicinammo verso la sala comune prestammo attenzione su due figure che stavano discutendo animalmente.
-Sei stato uno stronzo! Che cosa tentavi di fare? Ci hai fatto soffrire per una menzogna! –Urlava Jessica mentre Andrea le sorrideva, non mi piaceva quel sorriso beffardo. Ma rimasi nel mio angolino, volevo vedere come si sviluppava la situazione.
-Ho testato la vostra fiducia e bastato poco per farla cadere. Che cosa hai visto in lui? E solo un cinesino che vuole entrare nelle tue mutandine. –Disse in un modo talmente squallido che mi veniva la nausea. Che cosa sapeva lui di noi? Jessy non rispondeva, aveva la testa bassa, ma i suoi pugni fremevano.
In un attimo sentimmo l’aria cambiare, a tale scena risi e non ero solo. L’esclamazione di Simon che stava accanto era la prova concreta che lei sapesse cavarsela da sola.
-Forse sei stato tu a voler entrare nelle mie mutande porco, ma non ci sei riuscito! Non ti interessa che cosa provo per Kaname e cosa facciamo. Prova di nuovo a intrometterti e diventerai sterile! –Urlò con voce grossa, mentre si girava per andarsene. –Spero che un giorno trovi anche tu quella persona che ti capisca e ti faccia cambiare, ma…comunque tutto è possibile. –Detto questo prese la strada per le stanze e se ne andò. Guardammo ancora la scena, mentre Andrea si contorceva dal dolore e tenendosi i genitali per il colpo ricevuto. Ed uno era stato sistemato, che il prossimo si facesse avanti.
L’ultimo dell’anno arrivò da copione, i bicchieri erano stati sistemati come noi ragazzi a contare alla rovescio.
-Buon anno! –Urlammo tutti quanti per poi brindare e poi baciarci con i nostri rispettivi partner. Sentire il sapore del brio accanto mi aveva infuocato e non vedevo l’ora che arrivasse il momento di ritirarci nella nostra stanza, ma fui presto accontentato, anche lei era del mio stesso avviso per scrivere un nuovo inizio.
 
 
Il nuovo anno era passato e con se tutte le cerimonie. La vita di ogni giorno oramai ci aveva investito. Era bello ritornare a casa e trovarla ai fornelli, mentre la nostra passione scoppiava. La paura del suo abbandono era sempre presente, ma anche la sua. Una sera mi aveva confidato che temeva un mio addio, era così triste che mi stringeva il cuore vederla. L’avevo abbracciata e fatta mia, ma sapevo che quella era la paura di entrambi, avevamo trovato un equilibro insieme.
Lei parlava più spesso dei suoi stati d’animi e anche degli affari, si era aperta come una rosa e mi faceva piacere, ed anch’io volevo contribuire, tuttavia parlavamo fino a che i pasti non erano sulla tavola e poi li salutavamo. In comune accordo, avevamo stabilito i momenti, la parola “casa” era stare al sicuro e non pensare ai problemi di fuori.
-Domenica non prenderti impegni che siamo stati invitati. –Mi disse all’improvviso, era diventata troppo seria. Fissava il telefonino con silenzi lunghi. Non mi guardava.
-Perché? –Voletti interrompere quel mutismo.
-Federico fa una piccola festicciola per il suo compleanno. –Piatta. Inespressiva.
-Non sei felice? –Domandai, avvicinandomi a lei e poi abbracciandola.
-No. – Quella risposta così decisa mi fece sorgere dei punti di domanda, le volevo dire perché ma mi anticipò. –Ci sarà anche lui e non ho nessuna voglia di avvertire …quella paura. –Parole detto con un tono di rassegnazione.
-Ci sarò io a proteggerti. –
-Me lo hai detto anche quella volta, ma poi non ci sei stato. Ho dovuto subire una molestia. –
Non le risposi, perché avevo la colpa quanto il suo molestatore. Fremevo per quel torto. Aveva ragione non se ne faceva nulla delle mie parole, voleva i fatti. La strinsi senza dire nulla, avvertendo il suo cuore battere forte, forse per la paura di cadere.
Non ci sarebbe stata una terza volta! L’avrei protetta a tutti i costi.
 
Il famoso giorno era arrivato, lei aveva tentato per tutta la settimana di procedere la sua quotidianità più tranquilla possibile, ma mi ero accorto della sua ansia. Che cosa dovevo fare? Non mi veniva nulla, solo di starle vicino. Si era isolata dal mondo, forse per rivivere quelle brutte avventure. Ma anche grazie a loro si era forgiata ed era diventata la donna che era.
Appena varcammo la porta della viletta di Federico e Crystal notammo che c’erano tutti e mancavamo solo noi. Ci fu dato dello spumante e invitati ad sederci ai nostri posti.
-Kaname posso chiederti una cosa? –Mi chiese Noemi, annui e aspettai la sua domanda. –Il capodanno cinese quando avviene? – Tutti aspettavano una mia risposta ma venni anticipato e non gradii per niente la sua entrata.
-Cade per il 5 febbraio. Quest’anno siamo entrati nell’anno del cane. – Parlò Daniele. Lo colpii con il mio sguardo di ghiaccio la quale mi fronteggiò all’ultimo duello.
Risi senza motivo- ti sbagli. Quest’anno il capodanno o meglio Capodanno lunare è caduto il 16 febbraio. Non c’è una data precisa, come per qui Pasqua.  Avviene dopo un novilunio e dopo 29 giorni dal solstizio d’inverno. La durata è di due settimane ed ogni giorno ha un suo significato e tradizione. –Parlai mentre esponevo il mio discorso, era bello avere quella soddisfazione contro di lui.
-Grazie. –Disse lei.
-Figurati, ma perché questo interesse? –Continuai.
-Una ricerca. –Disse sbrigativa.
-Mi piacerebbe festeggiarlo, chissà –disse la ragazza che avevo di fianco. Avvicinai le labbra al suo orecchio e sussurrai poche parole –l’anno prossimo ti ci porto. –E con quella promessa divenne tutta rossa ed euforica.
-Una promessa. –Mi guardò. Le feci l’occhiolino e le strinsi la mano. Certo che la portavo e non solo a quell’evento.
La cena fu deliziosa tra le battute di Luca che non si smentiva mai e le sfuriate di Crystal dovute all’umore ballerino. Dopo cena le ragazze aiutarono la padrona di casa per sistemare la casa e noi ragazzi a parlare di cose futili. Federico aveva in programma di vendere un suo software e voleva sapere delle informazioni per essere a norma.
-Tutelati bene. Non vorrei che qualcuno te lo rubi o lo mette gratis. –Spiegò Simon, concordai la sua frase.
-Ecco perché ne sto parlando con voi. –Disse Federico, continuammo per una buona mezz’oretta fino a che Crystal lo chiamò.
Mi sgranchii le gambe e mi diressi verso il bagno, appena girai l’angolo vidi qualcosa che non mi andò giù. C’era Daniele che bloccava la mia ragazza al muro, lei ne aveva tentato tutte ma era rimasta sua prigioniera. Senza farmi scoprire dai due, lo presi di soppiatto e lo spinsi di fianco, così Jessy aveva di nuovo lo spazio per muoversi.
-Kaname. –Esclamò lei venendo da me, la strinsi e la baciai sulla testa per confortarla.
-Stai bene? –Le chiesi, lei mi strinse solamente con i pugni la camicia.
Poi rivolsi lo sguardo a lui e una rabbia cieca mi fece perdere la ragione, spostai Jessy da me e alzai il braccio da quel gesto ritrovai Daniele al suolo con il labbro spaccato. Quando ritornai in me non fui stupido, era quello che si meritava, non parlavamo, ma sapevamo entrambi il perché.
-Non osare mai più sfiorarla o te ne pentirai! –Sibilai freddo. Detto questo presi le sue mani e ci allontanammo.
 
 
 
 
                                                                                              °°°
 
Quanti giorni erano passati? Tre giorni. Crystal il giorno dopo mi aveva sommerso di domande, ma l’avevo liquidata. Lei lo sapeva che quelle ferite le aveva fatto suo cognato, ma era rimasta zitta per non far vergognare suo marito. Come si poteva essere così diversi avendo lo stesso sangue? Mi dispiaceva per Federico che era un pezzo di pane, ma suo fratello era uno stronzo!
Kaname quando eravamo ritornati a casa non aveva preso argomento, mi aveva solo stretto tra le sue braccia e chiesto di rimanere al suo fianco nella notte, entrambi non avevamo dormito. Fissavo lo schermo del computer, tra breve avrei avuta una riunione con dei fornitori, anche se la noia mi stava mangiando viva, così presi il cellulare e chiamai lui.
-Pronto? -Rispose.
-Ti disturbo per caso? –Mentre giocherellavo con la camicetta.
-No, sono in pausa. Avevi bisogno di qualcosa? –Chiese.
Dovevo trovare un argomento utile per intrattenermi, ma cosa? Girai le pagine della mia agenda quando notai un pallino rosso, era di novembre, solo allora con dispiacere mi ricordai che non avevamo festeggiato il suo compleanno. Dovevo rimediare e così mi venne una bellissima idea.
-Stasera ritorni? –Sperando di un sì.
-Certo. Non faccio nulla in questo periodo. Hai dei progetti? –Domandò come se volesse interrogarmi.
-Si. E sarà molto piccante. –Dissi lasciando il discorso a metà.
-Adoro il piccante. –Terminò la conversazione, ero pronta per quell’avventura. Guardai l’orologio e segnava le undici e trenta, avevo poco tempo per organizzare il tutto.
 
 
 
Lo specchio rifletteva una donna diversa, chi era? Che domande stupide, ero io. Non avevo mai indossato una cosa del genere, nemmeno nei miei sogni erotici. C’era sempre una prima volta, mi rigirai e mi guardai anche il dietro, mi batteva il cuore per quell’attesa. La lingerie mi copriva il minimo indispensabile, il tanga era sgambato e nero con tanti piccoli fiocchetti rossi. Il sopra era aperto dove risiedeva una sorte di giacchetta trasparente nera che copriva la cavità dei seni e un fiocco rosso che univa le due parti. I capelli ricadevano lisci e sul viso c’era solo un rossetto rosso indelebile, ai piedi delle decolté rigorosamente neri e lucidi. Avevo timore, ma dovevo essere me stessa. Scesi in salotto e aspettai il suo ritorno. Avevo chiuso tutte le tapparelle, non volevo essere spiata, tutto era in ordine.
Il rumore delle chiavi mi mise un’agitazione talmente tanta che per troppa adrenalina scappai.
-Piccola sono a casa. –Disse lui, lasciando la sua valigia nel corridoio.
-Lo so. –Parlai dietro la porta. Notai il suo sguardo nella mia direzione, ma la vergogna per quella sceneggiatura andata male…ero proprio una sfigata.
-Perché ti stai nascondendo? –
-Perché sono una stupida! –Urlai come se avesse qualcuno da pestare.
Lui non ci stava capendo nulla e iniziò ad avanzare verso di me. –Fermati. –Gli dissi con la voce che tremava.
-C’è qualche problema? –Era così tenero. Dovevo muovermi senno la mia sorpresa finiva male.
-No. È solo che mi sono presa di agitazione. M’imbarazzo veramente un po’…per favore non sbavare. –Affermai, mostrando una gamba nuda alla volta, lui aveva lo sguardo fisso su di me, pian piano mi scoprivo ed era elettrizzante quella cosa. Mi sentivo desiderata e amata. Quando alzai il viso e lo fissai, aveva gli occhi gli brillavano come due diamanti.
-Questa sorpresa per cos’è? –Chiese avvicinandosi a me, mi prese la mano e ci spostammo dalla soglia sul divano, ero seduta sulle sue gambe. –Non ti devi vergognare, mi piace. Un poco di peperoncino non guasta mai. –Parlò piano. La sua voce stava diventando più roca, segno che lo avevo colpito.
-In verità volevo rimediare. Il tuo compleanno non è stato festeggiato e così ho pensato ad un regalo unico. Ci serviva un attimo solo per noi. –Affermai, mentre agitavo le mani. Lui aveva iniziato a giocare, le sue mani erano diventate infuocate. I brividi di piacere mi raggiunsero subito, chiusi gli occhi per assaporarli, mi sentivo in paradiso.
Non ci furono parole, ma solo tocchi. Le sue labbra che mi baciavano con una lentezza surreale le guance per poi scendere sul collo, con un gesto svelto e senza scomodarsi troppo mi girò e mi ritrovai di fronte, con le gambe divaricate e lui con un sorriso trionfante. La mente si era svuotata ed ero in balia di lui. Mai nessuno mi aveva fatto un effetto del genere. Lui doveva essere speciale.
Senza che lui mi dicesse qualcosa, attaccai le sue labbra, impossessandomele con passione, e con audacia. Lo volevo e quel pensiero non era solo il mio. Con le mani iniziai a sbottonargli la camicia che presto volò. Mi ero alzata con le ginocchia e lo toccavo, le sue mani esperti mi avevano già condotto all’inferno, senza mai fermarsi alle mie grida di stupore. I brividi correvano su entrambi, quando poi mi strappò i slip sapevo che non c’era più via di scampo. Un rapporto forte, passionale, cadente, emozionante. Captai ogni sua emozione e la feci mia. Lo incoraggiavo, volevo tutto se stesso. Lo avrei accolto nella mia baita privata. I suoi occhi erano delle pietre che brillavano ancor di più con il fuoco divampato.
Solo quando ci staccammo per riprendere fiato notai l’orologio. Si era fatto tardi, ma il tempo era volato. Un brontolio si fece strada dal mio stomaco.
-Presumo che tu abbia fame. –Rise, mi girai tenendomi la coperta.
-Ci vorrebbe che sprecassi tutto quello che ho preparato. –Gli dissi nervosa, ma lui si era alzato e mi aveva stretto a se.
-La mia fame e per qualcos’altro.  –Mormorò.
-Certo. Sempre a pensare al sesso voi maschi. –Borbottai alzandomi.
-Perché voi donne no? Mi è piaciuta questa sorpresa, la prossima volta ci andiamo insieme a comprare una lingerie.
-Contaci, magari te ne compro uno anche a te. –Risi.
-Va bene. –
Era stato facile parlare con lui. All’inizio della nostra conoscenza non riuscivo nemmeno a parlare, solo gli sguardi sfuggivano e si rincorrevano tra di loro. Pian piano avevamo stabilito un legame, fatto di parole mancate e silenzi. Lui c’era stato per me ed io lo avevo ricambiato. Quell’amore che era nato per caso, si era abituato al nostro vivere e problemi, e alla fine era sbocciato. Mi sentivo sempre euforica, forse era la sua presenza. Quel compleanno anche se in ritardo era volato come gli altri giorni. Eravamo complici, litigavamo alle volte per cose futili e poi correvamo tra le braccia dell’altro appena la rabbia sbolliva. Febbraio era arrivato, Kaname era dovuto partire per un convegno ed io ero sola a casa. La domenica senza di lui era una noia. Mi buttai sul divano e chiusi gli occhi, in tv non trasmettevano nulla che mi piacesse. Così presa dalla monotonia mi alzai e mi diressi verso il piano terra, dove una volta Kaname mi aveva condotto. Appena arrivai l’odore forte dell’incenso mi bruciò gli occhi, ma riuscii ad andare avanti. I fiori si erano scoloriti, li tolsi e dopo breve si ritrovano con nuovi e profumati. Dinanzi al piccolo tempietto, congiunsi le mani e pregai. Che lo vegliassero e proteggessero. Immersa nella preghiera avvertii quella piacevole sensazione che non fossi sola, tuttavia non c’era nessuno. Un suono che riconoscevo riecheggiò e sorrisi.
-Buon inizio mese anche a te. –Dissi per poi risalire.
 
-Jessy tu credi che dovremo accettare questa offerta? -Mi disse la mia direttrice. Lessi di nuovo di documenti, ma non mi convinceva. Avevo quella sensazione di dubbio, più passava il tempo e più la testa negava.
-Tu che ne dici? –L’apostrofai sbuffando.
-Sarebbe un buon lancio, ma l’ultima parola ce l’hai tu. – Disse. Si sedette sulla sedia e chiuse gli occhi.
Era un buon lancio, ma…non mi ispirava. Mi ricordai di un pensiero e così presi la lente ingrandimento alla ricerca di qualche indizio. I fogli sembravano tutti a posto, fino a che, in una dimensione molto ridotta, c’era un opuscoletto dove citava tali parole.
–“l’azienda dovrà contribuire al 45% dell’attività. Essa non potrà rifiutare o saranno confiscati il bene. Tuttavia il socio avrà una metà dell’amministrazione”~.
Non volevo più continuare. Lo sapevo. Il mio sesto senso non mi deludeva mai.
-Non firmerò. Leggi qua, quando ritornano falli accomodare fuori dalla spa. –Disse categorica. Crystal mi guardò con tanto occhio, ma la fermai, le presi il foglio e la lente e la condussi a leggere. La sua reazione fu uguale alla mia, forse di più.
La giornata si concluse, mi sbrigai a prendere le mie cose e ritornare a casa. Salutai i miei dipendenti anche la nuova guardia.
-Come va Nicola? Come si trova? –Gli chiesi. Lui tutto imbarazzato rispose che andava alla grande.
-Sono felice che lei abbia scelto me, le sarò sempre riconoscente. –Parlò. Mi era subito piaciuto, forse era il suo sorriso sincero o qualcos’altro.
-E’ stato un piacere, mi dimostri che questo ruolo è suo e le farò il contratto. Poi chissà potrebbe avere qualcosa in più. –Gli dissi eleggendo ancor di più. Se davi fiducia ai tuoi impiegati loro lavoravano meglio e contribuivamo entrambi.
-Certo signora. –Rispose lui aggiustandosi il cappello.
-Signorina, Nicola. –Affermai seria per poi ridere. –Su. Ci vediamo domani, una buona serata. –Lo salutai e mi diressi verso il parcheggio. Guardai l’orologio ed erano solo le sette. Avevo bisogno di riempire un poco la dispensa, così ingranai la marcia e mi diressi verso il supermercato.
Due ore dopo ritornavo a casa stracolma di sacchi, ad aiutarmi ci fu una sorpresa.
-Hai per caso svaligiato un supermercato? –Parlò una voce ben riconosciuta. Alzai lo sguardo e lo incontrai, non aspettai un attimo che mi slanciai verso di lui per baciarlo.
-Oh se sono sempre così i ritorni mi potrei abituare. –Disse lui, stringendomi ancor di più a se.
-Ok! Ogni volta un bacio. –Ricaricai. Scoppiammo entrambi a ridere, mentre mi metteva giù.  -Sei ritornato prima? –Appena misi i piedi a terra tolsi le scarpe e camminai a piedi scalzi. Kaname mi aiutò a sistemare la spesa, in quella penisola non ci stava più nulla. Il frigo era strapieno e la dispensa lo stesso. Appena finimmo il tutto ci sedemmo sulle sedie e sospirai, ma durò un attimo che sorrisi, mi metteva di ottimo umore il suo rientro.
-E’ la mia presenza di quel sorriso? –Domandò, avvicinandosi più ame. Mi sfiorò la guancia e divenni incandescente.
-Chi lo sa. –Cercai di essere più misteriosa possibile, per poi allontanarmi da lui. Lo guardai attentamente fino a che iniziai a sbottonargli la camicia, lui non mi diceva nulla. Quando poi fu a terra, mi spogliai di quel tailleur che odiavo, rimasi solo con gli slip, lui mi sbavava dietro. Presi la camicia che era caduta e la indossai, lasciandolo con l’amaro in bocca.
-Ma che fai? Prima mi ecciti e poi scappi? –
-Non era quella mia intenzione. Forse solo una, togliermi quei vestiti, almeno così sono più libera. –Detto questo presi i vestiti e li misi sul divano e poi a cercare qualcosa da mangiare.
-Sei proprio strana fattelo dire. –
-E’ un complimento? Grazie. – Gli gettai un sacchetto di patatine e lui li prese senza problemi. –Ti va qualcosa di leggerò, il dolce lo offro io. –Detto questo rise.
-Così va bene, vieni qua gattina. –
 
 
 
Dopo aver rifiutato l’accordo con quegli azionisti sfruttatori avevamo convocato una riunione del mese. C’erano tutti, ovviamente i dipendenti base erano alle loro postazioni. I manager di ogni categoria erano seduti comodamente nelle loro poltrone, credevo che parlare con i dipendenti erano una cosa buona. Come se fossero parti del popolo. A capotavola c’ero io e alla mia destra Crystal.
-Esponete problemi o qualunque altra cosa possibile, siamo qui per risolverla. –Dissi aspettando le loro domande.
Una mano si alzò e la feci parlare, -Dimmi Miranda. –
Lei si guardò intorno per poi parlare, -abbiamo notato che c’è stato un poco di tensione in questo ultimo periodo, sappiamo che il vostro lavoro non è facile quanto sembra, tuttavia siamo fedeli alle vostre scelte. Voi ci avete dato il pane per mangiare, grazie a voi ho potuto aiutare la mia famiglia e non solo anche a riprendermi. Questo lavoro è stato un miracolo. –Concluse, anche gli altri erano concordo.
-Miranda non è solo per te, parlo in prima persona, grazie a loro ho potuto sfamare le mie bambine. Finalmente li vedo sorridere. Credo che da adesso in poi andrà meglio. E grazie Signorina, per avermi dato il compito di “capo” della vigilanza ne sono onorato. –Terminò Nicola. E sì. Le cose si erano evolute, non solo aveva firmato il contratto, ma avevo preso altre due guardie, almeno potevano fare più turni. Tutto giocava sul benessere del centro. Era una ruota, se qualcuno non andava, essa non girava.
-Basta complimenti per adesso. Voglio i problemi. –Dissi seria.
-Ho notato che il lato più a nord non ci sono telecamere. Penso che sia consono adoperarle. Più e visionata e meglio è. Poi è un punto di vista. –Affermò Nicola.
-Lo avevo pensato pure io, tuttavia ci vorrebbe più personale e per questo mese non posso farlo. Aspettiamo nuove entrate, appena daremo ok potrai allestire una lista dei prescelti e sarai tu stesso a valutarli, appena avrai il tot di persone verrai da me e ne discuteremo. –Risposi avendo i suoi occhi che brillavano. Chi dava tutte queste responsabilità a un dipendente?
-Sarà un onore. –
Crystal mi passò un foglio e lo lesse velocemente.
-Miranda. –La chiamai e lei subito si raddrizzò. –Dopodomani nella stanza adibita alle conferenze ci sarà un corso di aggiornamento, avverti le altre ragazze. Qui ci sono i vari opuscoletti a riguardo, e con questo credo che sia l’ultimo. C’è qualcos’altro? –Li guardai ognuno –va bene, ragazzi al prossimo mese. Sciolsi la riunione e rimasi sola con la direttrice –non credevo che avessi questo dono, sono felice di lavorare con te ed essere tua amica. –Disse lei, la guardai strana.
-Che cosa avrei? –
-Hai la capacità di mettere ad agio le persone che ti circondano. Li hai donato di responsabilità, e di poter amministrare il loro lavoro. Sei fantastica, Jessy. Comunque ti è arrivato un messaggio. –Comunicò. Presi la borsa e poi il cellulare. C’era un messaggio da parte di Kaname.
Lo lessi ma non lo capivo, era inglese.
-Me lo traduci, come se non lo sapesse che non lo so. –Dissi scocciata.
Lei rise per poi guardarmi.
-Che cosa hai? –
-Devi andare in aeroporto per le 15 lui ti aspetta li. –Disse, la guardai come se mi stesse prendendo per i fondelli.
-Cosa? E perché? –
-Non lo so. C’è scritto questo. Avevi dei programmi? –Negai. –Beh che ti costa, vai da lui e scoprilo, per oggi abbiamo finito. Buon week end amica mia. –Mi salutò con due baci nella guancia e scappò.
Che diavolo frullava per la testa del mio ragazzo?
C’era voluto due ore prima che arrivassi in aeroporto. Si perché il traffico era pazzesco, ci suonava di là e di qua, c’era d’impazzire. Sbuffai e pagai il posteggio, appena entrai dentro capii che non sapevo dove andare. Faceva caldo, marzo era davvero pazzerello. Qualche settimana c’era stata la neve ed adesso uno scirocco da far paura. Stavo girando in tondo e alla fine mi sedetti. C’era tanta gente, quando lo avrei visto lo insultavo con i fiocchi. La vibrazione mi risvegliò e lessi –“avvicinati ai bagni, un uomo in completo di nero ti condurrà da me-“ terminò. Mi sentivo in ostaggio. Appena arrivai al punto di incontro come aveva detto un uomo in tenuta nera mi guardò, sembrava uno 007, con gli occhiali scuri e pelato. Mi allontanai con lui fino a che mi portò in un corridoio laterale a questo ricordai, stavamo per usare lo jet privato. Lo poteva dire direttamente.
Arrivammo fuori e mi invitò dopo poco a salire le scale del jet e lì dentro c’era Kaname seduto comodamente sulla poltrona mentre beveva.
-Razza di idiota a dirlo subito no?! –Lo apostrofai tentando di lanciargli la borsa, ma lui lesto la prese e la posò e in mano mi pose un bicchiere di spumante.
-Frena la rabbia e rilassati. –Disse, conducendomi a sedere nella poltrona accanto alla sua. Mi allacciò la cintura
–Non hai chiesto nemmeno se mi andava. –Gli urlai.
-Se ti lamenti ancora non mi concedo più –Disse lui, ma lo guardai storto.
-Lo dovrei dirlo io amore, comunque vincerò! E se ti voglio tu cadi ai miei piedi. –Dissi e lui mi regalò un grande sorriso. Ero caduta di nuovo nella sua trappola.
 
Non mi aveva detto nemmeno dove eravamo diretti, dalla sua bocca non usciva nulla, solo baci e sorrisi. Non mi potevo lamentare, era bello stare in sua compagnia. Mi aveva servito un aperitivo e degli stuzzichini, era molto formale. Quando il cielo stava per scurirsi capii che il luogo destinato non era così vicino di quanto mi aspettassi. Guardai il tramonto tra le nuvole, rimanendo incollata nel finestrino fino a che sparì del tutto. Lui mi cinse i fianchi con amore e mi regalò un altro sorriso, stavo collezionando sorrisi gratis.
A notte fonda mi rigirai nel letto della cabina. Lui dormiva sereno, con gesti calmi e calcolati uscii e mi sedetti sulla poltrona. C’era qualcosa che si agitava dentro di me, perché non mi voleva dire il posto? Pensai a qualche indizio e solo allora ricordai la promessa, ma il capodanno cinese era passato, quale altra tradizione coincideva in quel periodo? In Giappone c’erano fin troppe feste non e che nella mia terra erano di meno, ognuno con le proprie festività. La linea 3G non funzionava e lui aveva una rete tutta a parte; giocherellai con le mani fino a che mi appisolai, chissà che sorpresa mi avrebbe regalato.
Mi svegliai infastidita. Qualcosa di leggero mi solleticava il collo e poi l’orecchio. Cercai di scacciarlo ma era inutile. Aprii un occhio e mi ritrovai i suoi mentre tentava una nuova mossa con quella dannata piuma, gliela scippai velocemente e mi girai all’altro lato, permettendomi di ritornare a riposare. Purtroppo non ci riuscii.
-Lasciami continuare il sogno! –Urlai.
-Che sogno? –Chiese, punzecchiandomi.
-Non ti riguarda. –Lo ammonii chiudendomi a guscio. Quei vestiti erano talmente scomodi che non riuscivo neppure a fare un movimento. Lui notando mi richiamò –vai a cambiarti, credevo che lo avessi già fatto. Tra poco atterreremo. –Affermò, mi girai innervosita – con quali vestiti? Non ero preparata a questo viaggio. –Dissi incrociando le braccia.
-Non fare il broncio gattina. Ho preparato io personalmente la tua valigia, ti ho preso anche qualcosa di comodo. –Mi indicò la valigia e mi alzai. L’aprii e trovai un po’ di cose, tra cui anche un nuovo capo d’intimo, lo guardai e lo nascosi subito.
Dopo essermi rinfrescata e cambiata con dei comodi jeans e maglietta ritornai da lui.
-Sei un pervertito. Nessuno ti ha dato il permesso di frugare tra le mie cose. –Dissi.
-Non è morto nessuno. E poi quando te la levo non conta? –
-Ma non è lo stesso! –Risposi indignata, tuttavia l’argomento fu chiuso dall’avviso che tra breve saremo arrivati.
Da quel momento Kaname divenne molto silenzioso. Appena fummo a terra un auto, precisamente un Audi SUV ci caricò e partimmo per la nuova destinazione. Solo dopo poco capii dove ci trovavamo, non ero sorpresa, ma mi domandavo per quale motivo.
Arrivati alla residenza Washi i suoi nonni ci accolsero, e ci preparammo a dirigerci verso la sala del the. Parlammo del più e del meno. Suo nonno Hitoshi mi chiese come andasse al centro.
-Tutto bene Hitoshi-sama. Quando ritornerete in Sicilia vorrei farle provare qualche area, è a lei Ran- sama un luogo che le piacerà. Kaname quando l’ha visto ha pensato a lei. – Dialogai con calma. Perché non potevo stare sempre con il fiato sospeso. Io e Kaname eravamo una coppia e come tale dovevo superare quell’ostacolo.
-Mi fa piacere che avete di nuovo quella complicità. Le difficoltà ci saranno sempre, gente senza scrupoli che vi metteranno i bastoni fra le ruote, ma l’amore vince se è sincero. –Dichiarò sorridendo.
-Kaname tutto bene? Ti vedo nervoso. –Disse sua nonna, anch’io lo notai quel suo strano mutismo. Sembrava aspettare qualcosa, ma di che cosa si trattasse non si sapeva nulla.
-Andrà tutto bene, figliolo. –Lo rincuorò il nonno, facendoci insospettire.
-Cosa caro? –Chiese la moglie.
-Nulla. Quando si sentirà pronto ce lo dirà. –Detto questo iniziammo i loro mangiare i dolcetti tipici.
La giornata si concluse molto silenziosa, Kaname era tutto per i fatti suoi. Non mi parlava e se lo faceva era nervoso. Non capivo il motivo.
-Domani staremo tutto il giorno fuori. –Mi disse a fine serata. Mi lasciò nella mia nuova camera e questo mi rammaricai, l’altra volta eravamo rimasti insieme. Tuttavia non lo lasciai subito, gli presi il polso e mi avvicinai a lui.
-Non so cosa ti preoccupa, ma io sarò dalla tua parte comunque. Buona notte gattino. –Gli diedi un veloce bacio e chiusi la porta, speravo che il giorno dopo sarebbe stato più sciolto.
 
Qualcuno stava bussando alla porta. La notte prima non riuscivo proprio a prendere sonno ed eccomi qua. Aprii un poco la porta di bambù e mi ritrovai Kaname pronto per uscire.
-Non mi dire che ancora non sei pronta, se non ti sbrighi ti lascio qui! –Disse tutto nervoso, ma che cosa gli avevo fatto?
Mormorai qualcosa senza senso e richiusi per buttarmi nuovamente sul letto. Lui nemmeno si accertò di avere il permesso che spalancò la porta e poi la finestra permettendo al sole di entrare. Gli urlai di chiuderla e senza avere risposta mi presi il cuscino per proteggermi.
-Signorina hai cinque minuti per fatti bella e uscire, dopo di essa me ne vado. –Disse burbero, tirandomi la trapunta che avevo addosso.
-Non ti ho chiesto io di portarmi qui. Fammi dormire! –Gli urlai. Ci fu silenzio, dopo poco sentii un peso accanto.
-Ti chiedo scusa. Lo so. Ti ho portato qui senza darti spiegazioni, ma ti prego esaudisci un mio capriccio, sono sicuro che a fine giornata mi ringrazierai. –Detto questo mi lasciò il tempo di vestirmi, sbuffai contrariata, ma lo accontentai. Dopo dieci minuti ero all’ingresso mentre mi legavo le scarpe, avevo sonno e il mio viso ne dava la prova. Cercai di rimanere sveglia ed era un’impresa.
-Vieni. –Mi prese per mano e mi condusse nel viale principale, camminammo chissà per quanto, come se non ci fossero i mezzi pubblici, fino a che…aprii la bocca. Lo spettacolo che si travedeva era mozzafiato. Il parco era immerso di rosa. Gli lasciai la mano e mi girai a 360° era un sogno.
-Non ti lamenti più. –Lo guardai e lui sorrideva, sembrava più calmo. Mi riprese la mano e camminammo per il viale. Vedevo famiglie o amici fare dei picnic sull’erba, sarebbe stato fantastico farlo anche noi. Mi condusse in luogo più isolato, c’erano alberi tutti pieni di Sakura. Il loro profumo m’inondava tutto il corpo, mi sentivo leggera come una piuma. Il loro colore era spettacolare, era tutta un’altra cosa di presenza. Anche l’acqua si era fatta di rosa. Magnifico.
-Vieni, mangiamo. –Lui aveva preparato tutto. C’era una coperta sul prato rigorosamente verde e curato. C’era un contenitore dove c’erano alcune pietanze orientali e l’altro occidentale. Mi sedetti e consumammo il nostro pranzo. Ero felicissima, stavo per toccare il cielo.
-Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto. Lo sai che è il loro periodo? –Disse. Ecco svelato il mistero.
-Grazie. Grazie. Stai realizzando un sogno! –Esclamai abbracciandolo.
-Mi piace quando ti faccio felice. –
Parlammo senza sosta. La giornata era mite e un dolce venticello si stava alzando, ma non mi dava fastidio. Dopo aver consumato il pranzo c’eravamo messi sotto un ciliegio e pian piano mi addormentai.
Qualcuno mi stava ponendo un glicine. Non riconoscevo quella mano, ma era calda, sapeva di amore. Da quel tocco un battito di ali mi frastornò, avevo chiuse gli occhi per istinto, appena trovai il coraggio di riaprire, sopra la spalla sinistra c’era un’aquila. Era maestosa, dalle piume dorate. Le sue zampe erano grandi e forti, ma non avevo timore, mi stava rassicurando.
Il suo grido riecheggiò e riaprii gli occhi.
Accanto a me non c’era più Kaname. Il pomeriggio si stava facendo fresco, mi alzai e lo cercai con lo sguardo. Più avanti era situata una collinetta, al suo centro sovrastava un grande ciliegio. Mi avvicinai ma non lo chiamai, aveva la testa appoggiata sul tronco, come per cercare conforto. Avevo paura. Ma di cosa? Lui sentii i miei passi e si girò. Sembrava smarrito, ma nello stesso tempo in tempesta. C’era qualcosa che lo tormentava.
Cercai di parlare ma non ci riuscivo.
Ad un tratto un vento ribelle mi offuscò la vista, sentivo i petali addosso come se mi fossero caduti a cascata. Appena riuscii a riaprirli e a spolverarmi, trovai Kaname inginocchiato di fronte a me. Feci un passo indietro. Non sapevo che cosa provare, il cuore batteva forte.
-Kaname…-Bisbigliai.
-Aspetta. Fammi iniziare, non credo che troverò di nuovo la forza di farlo. Per prima cosa ti chiedo scusa. Scusa per tutte quelle volte che ti ho ferito, ma forse era un modo per testare il nostro legame. Io ti amo Jessica, non so descriverlo. Tu ci sei riuscita quella volta, ma…io non riesco proprio a fartelo capire. Mi hai dato un posto in cui ritornare, mi hai accettato per quello che sono, e piccola, ne ho segreti, ma so che tu starai sempre con me. L’ho capito quella volta che ti ho parlato e poi quando hai fatto quella stupidaggine in cui mi hai cercato. E sei per giunta venuta ad Osaka. Non sai la mia sorpresa ritrovarti. Hai gettato del fuoco nella mia vita, prima era sempre la solita, monotona. Ma adesso tu mi hai fatto capire il vero valore della mia nascita, sono davvero felice di averti incontrata. Mi hai reso un uomo migliore e anche un amante. E per questo che sono qui, oggi. Non e solo per esaudire un tuo desiderio ma anche il mio.  –Era davvero emozionato e le parole alle volte si increspavano tra di loro, ma non m’importava. Estrasse un cofanetto dalla tasca e lo rivolse verso me. –Non vorrei essere tradizionale, ma come dirlo diversamente? Jessica vorresti diventare mia moglie? –Domandò. Gli occhi erano dentro i suoi. Piangevo. Ero felice e non per l’anello, ma per lui. Per il mio Kaname.
Feci un passo e poi un altro. –Ne sarei onorata. –Gli dissi porgendo la mano, lui mi sorrise mentre una lacrima gli scendeva dall’occhio. Il contatto con il metallo mi fece realizzare il tutto. Poco dopo mi stringeva tra le sue braccia e mi faceva volteggiare come se fossi un fiore e in effetti lo ero. Leggera e colorata.
Il mio mondo si stava dipingendo di rosa.
Quello spettacolo di fiori aveva dato il suo frutto.
Avevo trovato la mia anima gemella.
Due parti della stessa medaglia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, ne valorizzano ogni singola crepa, attraverso un procedimento detto” kintsugi” prevede la riparazione attraverso l’unione di cocci con la resina, che fa da collante mista a oro, argento e platino. Il significato è profondo il quale risalta i cambiamenti della vita, le difficoltà e il loro superamento. “Un vaso rotto non sarà più come prima” per gli occidentali, invece per gli orientali “un vaso rotto sarà più bello di prima”.
Per quanto riguardo la colazione sono rimasta varia, anche se le ricerche sono state fatte, non ho voluto proprio dare troppi dettagli. Il *Kotatsu se non ricordo male è il tavolo. Penso che tutti abbiamo visto immagini o meglio anime in cui ci sono quei famosi tavolini bassi.
Per il capodanno ho dato le basi della tradizione, chi volesse informarsi di più basta cercarlo e troverete tutto. Molto bello.
Per Natale i giapponesi usano consumare la Christmas Cake, consiste una torta semplice ricoperta da panna e fragola e con qualche decorazione appunto del periodo.
Penso di aver detto tutto, spero. Ho lasciato qualche indizio nelle ultime strofe, chissà se qualcuno riesce a scovarle. Per il resto mi sento soddisfatta dove siamo arrivati, mi sento un poco leggera, ma non durerà a lungo. Non dico altro sennò mi addormento. Alla prossima.
Heart
 
 
 

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Capitolo 41
*** Come due satelliti ***


42°Capitolo
“Come due satelliti”



 
 
Era stata una giornata indimenticabile. Dentro di me si era scaturita una nuova energia che mi aveva fatto rinascere. Il bacio era stato una promessa. Una promessa che forse era destino il nostro incontro. Ed a tale pensiero mi sorsero dei dubbi per quei sogni che mi rincorrevano da un poco di tempo.
Ritornammo alla tenuta diversi. Più felici e sorridenti. Il bagliore che si notava dai nostri occhi era palese, e ben presto tutti ci fecero le congratulazioni.
-Ben fatto, nipote! –Esclamò Hitoshi-sama. Era un uomo davvero in gamba, e anche alla sua venerabile età stava ancora con i piedi a terra. Come era possibile che fossero così giovani? Ci doveva essere un segreto di famiglia, o era vero che gli orientali vivevano in eterno?
Fui trascinata in sala per festeggiare. I brindisi non mancarono e per la seconda volta mi toccò ingoiare quel forte sakè, che in precedenza Kaname mi aveva dato per Natale. In breve mi sentii euforica e brilla.
-Basta, piccola. –Mi disse Kaname prendendo il bicchierino tra le mani. Avevo di fronte due Kaname ed era un sogno.
-Penso proprio che abbia esagerato. Portala in camera, Kaname. –Sentii la voce di sua nonna. Lui senza perdere tempo mi prese la mano e uscimmo dalla sala, ma si accorse che non mi reggevo in piedi e con sorpresa mi ritrovai tra le sue braccia. –Almeno sono sicuro di averti al sicuro. –Disse sorridente.
Era davvero bello il mio futuro marito. Era strano l’effetto che mi procurava. Lo strinsi dal collo e gli baciai sul mento. Lui rise.
-Stai tranquilla. –Borbottò, entrammo in camera sua e mi adagiò sul futon. Non riuscii a scapparmi stavolta, lo presi di contropiedi e ribaltai la situazione, lui era sotto il mio controllo.
-Mi chiedo dove trovi la forza di sorprendermi. Poco fa nemmeno riuscivi a reggerti in piedi e adesso sei sopra di me. –Pronunciò sorridendomi. La sua mano mi accarezzava la guancia che si era fatta calda e non solo per l’alcool in circolo, ma soprattutto per le idee che mi vorticavano in testa. Chiusi gli occhi per sentire quei brividi che mi attraversavano il corpo per poi iniziare a muovermi. Con l’altra mano mi sciolsi il fiocco del vestito, il quale iniziò ad allargarsi. Lui rimase fermo, più mi agitavo e più qualcosa di duro si sentiva da sotto. Sorrisi con gli occhi chiusi, perché il mio intento era quello. Aprii più le gambe e sentii chiaramente quel calore diffondermi.
Mi spogliai di quel indumento che mi dava fastidio e rimasi con l’intimo. I capelli erano tutti scompigliati. Con le mani adesso entrambe occupati a toccarmi avvertii finalmente il suo primo sospiro pesante, lo sapevo che i suoi occhi erano incollati su di me ed era questo ciò che mi aspettavo dal mio uomo.
Mi strinsi un seno e poi tolsi il reggiseno. Mi sentivo accaldata, la temperatura si stava alzando, tuttavia rimasi con gli occhi chiusi. Volevo assaggiare quella sensazione con tutti gli altri sensi. Sentire la sua energia espandersi, il suo calore diventare scottante. Amareggiai con la sua camicia e lui mi aiutò a toglierla e poi passare ai pantaloni che volarono. Rimasto quasi nudo, lo toccai ed era lava pura. La testa si abbassò e sfiorai con la lingua lungo e largo del suo petto. Il suo sapore di maschio era in circolo nelle mie vene, mi sentivo una esploratrice in quel momento. Arrivando al basso ventre, con le unghie toccai la punta della sua erezione e lui vibrò da copione.
-Prendimi. –Sussurrò piano.
Stavolta lo avrei fatto mio.
Mi abbassai verso di lui per andar a sussurrare quelle parole all’orecchio, intanto le sue mani mi toccarono i capezzoli turgidi. –Ti scoperò finché arriverai al culmine. –Gli dissi sporco. Non potevo imbarazzarmi con quelle parole, ma lo feci comunque.
-Ti basterà poche spinte poiché sono già al culmine, non sai ch’effetto mi fai. –Affermò. Rialzandomi sospetta, abbassai i suoi slip e con una forza o meglio timore lo presi. Era scoppiettante la sua erezione, un fuoco che divampava continuamente e mi piaceva quel calore surreale. Mi alzai con l’aiuto delle ginocchia e poi ritornai in basso con spinte leggere per darmi il tempo di abituarmi. Ad un certo punto lo sentii stringermi i fianchi e muoversi in sincronia con me. Mi sentivo svuotata e riempita allo stesso tempo, fino a che i suoi muscoli si contrassero. Era al limite.
-Piccola fammi uscire. –Disse ormai allo stremo. Solo allora capii il motivo. Non indossava il preservativo. Non ci avevo fatto caso o forse sì?
-Rimani poi prenderò la pillola. –Dissi convinta, non mi avrebbe fatto male una volta nella vita.
-Sei sicura, Jessica apri gli occhi. –Mi richiamò serio. Concordai con la testa e poi i miei occhi erano sui suoi. –Stai tranquillo andrà tutto bene. Voglio provare sensazioni nuove. Dai non essere così teso, -lo accarezzai per poi alzarmi di nuovo e spingere. Lui mi fissò con molta attenzione per poi continuare. Lo sentii totalmente libero nel momento in cui venne. Eravamo diventati un tutt’uno. –Riprenditi e poi fai godere anche me. –Bisbigliai sopra il suo petto.
-Con il vostro permesso…- e con quelle parole cominciammo nuovamente, era sempre pronto ed era una cosa positiva. Lo amavo e lo avrei amato finché avessi avuto un cuore nel petto.
 
 
Mi girai di lato e fissai la luce fioca della luna. Kaname dormiva beato tra le lenzuola, lo avevo proprio stancato. Fissai la mano dove conteneva una nuova cosa, cioè l’anello. Era semplice di oro bianco e al centro era incastonata una pietra. Sicuramente era un diamante di quanto brillava, ma mi piaceva la sua semplicità. Mi alzai di busto e mi misi dritta. Erano le tre di notte e non avevo più sonno cosa alquanto strana per me. Dopo tutto quel movimento dovevo dormire fino al giorno dopo. Mi recai in bagno e mi vestii non era consono uscire in camicia da notte. Feci piano a non fare rumore e mi diressi verso la sala del the e poi con una calma surreale aprii la parete di bambù che dava al giardino.
L’aria era fredda. Non respiravo nulla di strano, solo una strana essenza che mi sembrava familiare. Con i piedi scalzi mi raggirai in giardino e mi fermai dinanzi a una cappella. Entrai e mi ritrovai di fronte ad un tempio in cui veneravano una statua che conoscevo fin troppo bene. L’avevo presa a parole qualche giorno fa per le prove che inviava alle nostre vite, insultato ma anche ringraziato. Lei era nei miei sogni e quando quel pomeriggio si era accostata a me per rassicurarmi. Lei mi voleva dire qualcosa o già l’aveva fatto, porgendo quel fiore eterno.
-Non riesci a dormire, cara? –Mi girai di scatto a quella voce calma e saggia. Fu un attimo che mi sembrava di aver sentito la voce di Ella, ma era solo la nonna di Kaname. Rimasi con il fiato in gola e gli occhi che vibravano di emozione.
-Tutto bene? –Chiese avanzando verso di me. S’inchinò di fronte alla statua per poi guardare me. –Sei stata attratta da questo luogo? Che cosa hai avvertito? –Domandò. Mi fissava con attenzione, tuttavia non riuscivo a proferire parole, di quanto ero scossa a quell’emozione.
-Mi ..scusi ma non ci riesco. –Dissi frettolosamente e con le lacrime che mi scendevano dal viso. Non era stato una illusione, avevo percepito la presenza di quell’amica che adesso non c’era più. Salii di sopra, ma non andai in camera di lui, ma in quella mia. Mi strinsi e piansi dopo tanto tempo, perché lei mi aveva dato la forza di sognare ancora e di realizzare un miracolo.
La mattina dopo ero ancora con gli occhi aperti, secchi per la stanchezza. Mi ero comportata da stupida nella notte, ma il sentimento mi aveva bloccato. In casa non c’era nessuno. Avevo avvertito la presenza di Kaname che mi salutava e mi diceva che doveva andar a sbrigare qualcosa per il lavoro, e senza farmi scoprire gli mandavo un bacio illuso. Adesso dovevo riprendermi, mi sciacquai la faccia e scesi di sotto. Sua nonna era in sala, appena varcai la porta mi sedetti. Una cameriera mi portò la colazione.
Aspettai un tempo immenso prima di parlare, ma facevo fatica.
-Mi dispiace per l’episodio di questa notte Ran-sama. –Dissi, cercando di non guardarla. Lei era vestita molto tradizionale con il kimono perfettamente coordinato, i capelli regati a un chignon.
-Che cosa hai percepito realmente. –Replicò con calma. Il suo corpo era dritto, perfettamente a suo agio. Altrettanto non si poteva dire di me. Con la schiena curva e i capelli una criniera scompigliata.
-Ho avvertito la presenza di un’amica in voi. Lei mi ha dato la forza di reagire e di realizzare un sogno. Per un brevissimo istante mi sembrava che lei fosse dietro di me, che mi sorrideva e mi …-scoppiai a piangere. Senza un motivo senza preoccuparmi delle mie emozioni che traboccavano di malinconia.
Sentii la sua mano saggia sulla mia spalla e poi portarmi sopra il suo petto, aveva un profumo delicato, forse come una orchidea.
-Sfogati bambina mia. Non trattenere queste emozioni che ti faranno solo del male. Dai voce a questi sensazioni che divampano questo pianto incontrollato. –Erano poche le persone che mi facevano questo effetto e lei mi dava fiducia. Con una voce cadente e piena di rimorsi le raccontai la sua storia, la nostra, del suo dono e tutto. – Penso che era tutto calcolato. Il mio incontro con lei, con Kaname e con lei. –Indicai la statua che ornava tutta la residenza Washi.
-L’aquila? –Chiese la signora curiosa, -avverti la sua presenza? –
-Non so s’è la sua presenza, ma l’ho avuta sempre accanto e non solo come sensazione ma anche nei miei sogni, l’altra volta quando Kaname mi ha fatto la proposta mi ha donato un glicine ed si è posata sulla mia spalla. Era come se fossimo amiche da sempre, anche se penso che un’aquila dalle sua fattezze sia solo un mito. –Terminai. Mi sentivo molto più leggera. Sull’ultima frase la signora rimase perplessa e la notai, c’era qualcosa che rimuginava come se tra breve sarebbe successo qualcosa.
Kaname e suo nonno ritornarono e ben presto pranzammo.
-Nonna tutto bene? –Chiese Kaname.
-Scusatemi. –Si alzò e uscii dalla sala, tutti quanti ci guardammo ma alzammo le spalle, ma avevo il presentimento che stava per accadere qualcosa.
 
 
Ci trovavamo nel giardino della tenuta, immersi ognuno tra i propri pensieri. In mente mi frullavano molte cose e non sapevo se parlarne con lui o meno, ma poi mi convinsi che lui doveva sapere. Gli raccontai su lunga linea che cosa era successo nella notte e della mattina, lui mi ascoltò senza fermarmi.
-Strano. Ho sempre saputo che fossi empatica, ma di confondere la voce di mia mia nonna con Ella, anche se non so che voce abbia lei. Tuttavia è strano. Poi per …- si fermò anche lui, come se avesse una illuminazione.
-Kaname ma dove stai andando? –Domandai poiché si era alzato di scatto e senza concludere la frase, ma che cosa avevano tutti quanti?
Mi girai i pollici per un bel po’ di tempo per poi alzarmi e cercarlo in casa, ma la governante mi fermò prima che varcassi lo studio. Chissà di che cosa stavano parlando.
Mi recai in camera e notai diverse chiamate da parte dei miei migliori amici, non sapevo se comunicargli la grande notizia o meno, così agii. Mandai una foto dell’anello ad entrambi, chissà che facce avrebbero fatto al mio ritorno.
La cena fu servita e i commensali non avevano aperto bocca. Mi sembrava strano questo loro silenzio, ma sapevo che presto o tardi tutto avrebbe avuto un senso. Infatti dopo di essa, fui richiamata ed cerano tutte e tre. Kaname se ne stava in piedi e i suoi nonni seduti.
-Siediti cara. –Mi disse suo nonno diplomatico.
-Stai tranquilla non ti faranno del male, solo alcune domande. –Affermò Kaname, venendo a sedersi accanto a me.
-Da quanto sogni l’aquila? –Annunciò suo nonno. In passato mi ero molto volte porta la domanda come fossero loro. Me li immaginavo nonni di mezza età, con il bastone e tante rughe. Invece mi ero ricreduta. Entrambi sembravano giovani che non superavano i sessant’anni, pelle diafana e occhi a mandorla, tranne per il nonno che aveva una sfumatura più scura per la sclera. La donna aveva ancora il colore naturale senza un filo bianco, color del miele, così lucenti che a volte li volevo testare.
-Mmm. –Pensai, -di preciso non lo so. Penso che ci sia stata sempre, ma con i problemi che ho avuto in passato non me ne sono accorta. Era quella presenza che mi aiutava nel momento del bisogno anche se…-mi fermai a riflettere. Quella volta che avevo percepito una voce dolce, che lei ci fosse stata fin da sempre?
-Cosa? –Domandò Kaname voleva sapere.
-In passato una voce femminile era sempre con me, mi aiutava nel momento del bisogno e poi pian piano ho avvertito il richiamo di essa, e infine l’ultimo sogno quando mi dal fiore. – Terminai con lo sguardo che vagava per la sala. I suoi nonni si davano un occhiata veloce per poi sospirare.
-Cara a tutto questo c’è una ragione. –Iniziò sua nonna, per poi prendere dal kimono una pergamena vecchia e ingiallita. –Questa è la nostra storia, siamo una famiglia antica e per questo portiamo con noi molti segreti, essi hanno un valore che pochi devono sapere e per questo che adesso ti chiederò di giurarci la tua parola. –Era categorica. Gli sguardi di tutti si fecero seri, mi sentivo alle strette come se fossi sotto processo. Che cosa significava tutto questo?
-Immagino le tue sensazioni perché sono state anche le mie. Anch’io ho dovuto fare i conti con il passato. –Mi rassicura Kaname, appoggiando la sua mano nella mia. Era calda, ma mi sentivo sotto esame.
-Presumo che sia un segreto quello che mi rivelerete tra breve. Tuttavia non correrete rischio, dalla mia bocca non uscirà nulla. Ve lo giro. –Promisi.
Sua nonna si schiarì la voce e iniziò a narrare la storia della famiglia, più parlava e più mi affascinava quella storia. Era molto misteriosa e intrisa di dilemmi. –Muha Washi suo padre mi fece giurare sulla vita di suo figlio che il segreto non sarebbe mai uscito dalla mia bocca, solo nel momento di dare spiegazioni alle generazioni successive. –Disse per poi essere fermata dal marito.
-La mia discendenza risale al grande Taku Washi che diede vita a questa antica famiglia. Non è un caso che il nostro stemma di famiglia è composto da un’aquila e da un glicine. L’animale comprende il potere e le ricchezza, il fiore il dono di vivere più allungo degli altri. –Aggiunse, a questo particolare li fissai con molta attenzione e molte cose si unirono come puzzle in mente.
-Aspettate mi state dicendo che siete come dei vampiri? Anche se non avete canini e occhi rossi, e potete vivere normalmente con il sole? Che figo! –Esclamai tutta euforica. –Anche se. Kaname ha dei mutamenti agli occhi certi momenti, come se il colore si trasformasse e diventasse più scuro. –Affermai sempre soprappensiero.
 -Cosa farei? –Obbiettando, ma lo fermai.
-E’ come se le tue emozioni si immischiassero e da un nuovo colore, ti sei mai domandato perché fai paura quando sei arrabbiato? Non e per la carica di energia, ma per gli occhi. –Lo analizzai, lui sembrava del tutto fuori di se.
-E’ una loro caratteristica. I sentimenti provocati fanno rielaborare il loro colore degli occhi, anche a tuo nonno capita. Penso che sia una dote dei solo primogeniti maschi della famiglia. –Concordò sua nonna.
-Infine rielaborando tutto: voi siete antenati di un vampiro, anche se senza zanne, non avete super poteri ma comuni esseri umani che purché tutto rimanete giovani no a vita, ma in modo lento. Alla faccia! –Finii. Ero scossa, curiosa, elettrizzata ed era inverosimile.
-Hai una spiccata forza, ragazza mia. Sai elaborare più cose e sei empatica. Sei riuscita a superarmi. Hai miei tempi mi era voluto più tempo per convincermi, invece tu hai perfettamente in mano la situazione. Mi congratulo con te. –Parlò e divenni tutta rossa per l’imbarazzo.
-Te lo avevo detto nonna. –Disse anche Kaname felice finalmente.
-Il rito che ci rende legati è antico, tuttavia ancora non è ora. Cambiando discorso, avete scelto una data per il matrimonio? –Cambiò radicalmente argomento Hitoshi-sama.
Io e Kaname fummo interpellati e arrossimmo come due ragazzini, lui non parlò e lasciò a me le decisioni, anzi lui voleva che fossi io a dirlo.
-Veramente già ci abbiamo pensato. Riflettendoci non abbiamo bisogno di aspettare tanto, poiché la casa c’è. Ci sposeremo tra tre mesi, esattamente il quindici luglio. –Annunciai.
-Bene. –Concordò suo nonno, ma non avevo finito.
-Abbiamo pensato che ci sposeremo con il rito shintoista. –
I loro occhi erano su di noi.
-Jessica tu sei cristiana, perché di questa decisione? –Mi apostrofò.
-Semplice. Mi ha sempre incuriosito la vostra religione e poi non vorrei perdere tempo con tutte le pratiche della mia religione. Ho già il tema, il luogo e da scegliere come tutto quanto, tuttavia vorrei che fossi voi a sposarci. So che Kaname ne sarebbe felice e poi ve lo devo. –
Kaname sobbalzò a quella richiesta, ma fu la sua mano stretta nella mia nel capire che avevo commosso.
-Ne saremo onorati. –Entrambe i coniugi si guardarono negli occhi per poi sorridere. La mia famiglia si stava allargando ed n’ero felice. Non mi fermavano alcuni segreti, Kaname era diventato una colonna importante per me e lo sarebbe stato. I tre mesi sarebbero volati subito e non vedevo l’ora di raccontare la novità ai miei amici.
Già immaginavo il grande fracasso che avrebbero fatto.
 

 

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Capitolo 42
*** Il nostro amore quotidiano ***


43°Capitolo
“Il nostro amore quotidiano”


 
Eravamo sulla strada del ritorno, ognuno nella propria macchina. Quei giorni si erano conclusi con una serenità surreale. Mi sentivo leggera ed emozionata. Avevo preso atto che tutto adesso aveva una nuova linea di orizzonte e non vedevo l’ora di riviverla con tutte le sue sfumature. Kaname era davanti a me, e ci apprestavamo a ritornare a casa dopo tre giorni di assenza. Non ero stanca, forse entusiasta della prospettiva che mi era stata porta. Appena infilai la macchina nel garage, aspettai Kaname uscire ed estrarre due borsoni. Mi sgranchii le ossa, e mi apprestai a salire i pochi scalini che ci dividevano dall’entrata di casa. Appena arrivai nel corridoio che dava sul salotto mi fermai: sulla parete era posto un grande cuore fatto di fotografie, il quale ci raffigurava. Mi commossi, ma non fu quello ma la canzone che sentii risuonare nelle orecchie e la sua presenza alle spalle.
“Presto il tempo darà torto alle parole, e alla tua bellezza più di una ragione. Poche scuse buone da buttare via. Ho raccolto tutto quello ch’eravamo, nascondendolo in posto più lontano, come indovinare una fotografia…”
-Lo dico ad ogni casa. Ogni vetrina accesa. Al cane che annusa. All’uomo e alla sua rosa…lo dice ai manifesti, al mondo che ci ha visti, per convincermi ch’è vera a tutti i costi…la mia versione dei ricordi…- Mi sussurrava all’orecchio. Mi girai di scatto e lo abbracciai forte, mentre i singhiozzi distruggevano quell’atmosfera romantica, lui mi abbracciò ancor di più.
-Ti amo Jessica e non smetterò di farlo. Sei una persona unica, che ha cambiato il mio orizzonte. –Mi confessò baciandomi con passione.
-Ti amo anch’io Kaname, anzi aishiteru. –Allargando le braccia e urlando come una matta, per fortuna i vicini erano lontani.
- Sei davvero buffa! Quando hai imparato tutte queste parole? –Chiese facendomi girare come una bambina e ridendo.
-Curioso eh? Beh lo sai che mi è piaciuta sempre la tua nazione e con gli anime e manga ho imparato qualcosa. –Dissi tutta euforica. Appena mi mise a terra notammo che entrambi i cellulari si accendevano di continuo. Guardammo allarmati per poi solo accorgerci che il telefono non supportava più i vari messaggi che erano arrivati in quei giorni. –Hai per caso detto qualcosa? –Domandò lui guardandomi.
-Ho solo mandato la foto dell’anello. –Dissi calma
-Siamo pronti all’evento più cool dell’anno. -
Mi avvicinai al suo telefono, dove erano arrivati addirittura a minacciarlo per sapere qualcosa. –Non si smentiscono mai, che ci vuoi fare, facciamo parte di un gruppo fuori dal comune! –Puntualizzai, sorrisi tra me e me, era ancora presto il giorno dopo avrei spiegato un paio di cose o avrei organizzato una breve festicciola. –Ti va un bagno? –Chiesi speranzosa. Lui non mi diede nemmeno il tempo di replicare che mi prese tra le braccia e salimmo al piano di sopra.
 
 
La settimana era di nuovo alle porte, anche se avevano allungato il nostro soggiorno di un giorno, tuttavia la nostra vita quotidiana ci attendeva e prima di varcare le porte del centro mi sentii nervosa. Di sicuro Crystal mi avrebbe sbranata e non solo lei. Appena misi piede dentro, notai un poco di confusione e non capii il motivo. Appena arrivai da Francesca, che faceva più cose nello stesso tempo, la richiamai. Appena alzò il viso e si scontrò con me, perse colore e divenne pallida.
-Mi dispiace tanto Signora ma ho avuto un problema con i sistemi e adesso tutti gli appuntamenti sono saltati, sto cercando di rimediare, ma…-si vedeva che c’è la stava mettendo tutta. Guardai la fila che si era creata, e dalla scala apparve Crystal con un ragazzo che poteva avere sui ventiseienni.
-Signore mi dispiace per questo contrattempo ma i sistemi hanno avuto un problema e stiamo facendo del nostro meglio per sistemarli, per adesso utilizzeremo il vecchio metodo. –Disse diplomatica Crystal e con questo la gente iniziò a dire l’orario del proprio appuntamento.
-Buongiorno capo! - Disse piccata come se ce l’avesse con me.
-Giorno anche a lei direttrice, bel lavoro poco fa. – Rincarai la dose. La lasciai alle sue pratiche per dirigermi verso il mio studio. Sulla scrivania c’erano pile di fogli e documenti da analizzare. All’ora di pranzo mi stiracchiai, ero davvero stanca, soprattutto gli occhi. Mi alzai dalla mia postazione e guardai fuori dalla finestra, il cielo era privo di nuvole, avevo voglia di andare al mare. Avvertii all’improvviso il telefono suonare e notai che era il mio “fidanzato” –ciao. –Risposi.
-Ciao anche te. Come va? –Chiese.
-Tutto bene, mattinata a sbrigare faccende e documenti. Qualche idea per questa sera? –Domandai.
-Penso di sì. Che ne dici se li portiamo a mangiare sushi? Credo che tutti gradiscono e così mangiamo senza avere paura di fare tardi e brindiamo. Conoscono un ristorante molto buono. –Propose.
-Lo sai che mi hai letto nel pensiero? Non sarei riuscita a preparare qualcosa arrivata a casa, penso che sia un idea splendida, che ne dici se tu mandi gli inviti ai “maschietti” ed io alle “donne”? –Parlai, mentre sentivo la porta aprirsi.
-Perché ci hai nominato “maschietti?” non siamo mica bambini. Comunque ti devo lasciare porterò anche un mio collega, a dopo piccola, ci vediamo a casa. –Chiudendo la conversazione.
Riposi il cellulare al suo posto e guardai la mia direttrice. Sembrava stressata.
-Tutto bene con la gravidanza? –Domandai, prendendo posto sul divano accanto a lei.
-Potrebbe andare meglio, se quella vipera della strega se ne starebbe al suo posto. Ti prego mi devi aiutare sennò impazzisco. –Si lamentò abbassando la testa sconsolata.
-Fatti forza. Federico non dice nulla? –
-Si. Ma sembra che non le importi nulla. –
-Mi dispiace di questa situazione, non ti preoccupare che la situazione migliorerà. Comunque riprenditi che stasera usciamo. –Le dissi sorridendo.
-Non mi va. –
-Non ti va? Fattelo andare, perché stasera si festeggia! Non vorrai lasciare la tua migliore amica delusa? –
-Je davvero non mi va. –Era talmente giù che dovevo trovare un rimedio.
-Non voglio sentire un no! Io ti ho sopportato quando era del tutto fuori di cervello, sono venuta a calmarti anche di notte e adesso tu rifiuti? Voglio che tu sia la mia testimone Crystal. –Detto le ultime parole alzò lo sguardo per poi cercare qualcosa e dalla sua espressione …capii tutto.
-Ti sposi?! Credevo che fosse una foto e invece è reale? –Gridò espansiva. Ma un momento fa non era depressa? Ah gli ormoni.
-Raccontami tutto e non lasciare nulla! –Dichiarò come un sergente. Era palese che gli avrei raccontato tutto, tranne quel segreto che non sarebbe uscito dalle mie labbra.
-Per l’annuncio vero e proprio dovrai aspettare stasera. Fatti bella! –Le dissi salutando. Presi la borsa ed uscii, avevo l’appuntamento con il parrucchiere che guarda caso era nell’edificio.
Fatta bella, ero pronta. Avevo indossato un corto vestitino che arrivava sul ginocchio, calze e decolté nere. Quando Kaname mi guardò rimase in silenzio, chissà che stava pensando in quel momento. –Sei una bomba, non vorrai farmi ingelosire stasera. –Disse provocatorio.
-No. Ho già l’uomo. E sei tu. Adesso andiamo, non vorrei essere in ritardo. – Annunciai, da galante mi aiutò a mettere il cappotto e poi partimmo verso la nostra destinazione.
Arrivati, due camerieri ci accolsero, i nostri amici ci aspettavano nell’atrio. Luca mi si buttò addosso, dicendo –lo sapevo. Lo sapevo. –Come se avesse dieci anni. Mentre gli altri rimasero a loro posto aspettando quelle parole che sarebbero uscite dalle nostre bocche. Ordinammo e parlammo del più e del meno.
-Dai ragazzi ci volete torturare ancora? Vogliamo la novità! –Disse Luca, avevo notato lo sguardo di tutti sull’anello nella mano sinistra, era palese il resoconto, ma un fatto era vederlo e un altro annunciarlo.
Kaname si alzò e iniziò –beh non hai tutti torti Luca. Non è un caso che siamo qui stasera; volevo dichiararlo davanti a voi. Allora dove cominciare? –Disse imbarazzato.
-Oh come sei tenero Kanameuccio! –Disse tutto pomposo Luca e per poco non mi veniva la nausea a sentirlo così.
-In breve io e Jessica ci sposiamo, e lei ha detto di sì. –Parlò chiaro. Mi alzai e lo abbracciai, ma fui presto circondata dai miei amici che iniziarono a farmi il terzo grado.
-Data? –Affermò Noemi.
-Certo la data. Tenetevi forte e non prendete impegni e se li avete disdiciteli. Tra tre mesi, esattamente il quindici luglio. –Sganciai la bomba. Silenzio.
-Ehhhhh –Urlò Crystal –ma sei del tutto fuori di testa? Come diavolo farai ad organizzare tutto, noi ci siamo stati quasi un anno e mezzo. –Approfondì lei.
-Noi non abbiamo tutti questi problemi. La casa già l’abbiamo, e poi sarà un rito civile e poi consacrato con la cerimonia scintoista. –
-Ah. –Disse lei.
-Bene credo che potremo già iniziare i preparativi, hai già qualcosa in mente? –Mi apostrofò Noemi.
-Certo. Ho già il tema e poi non saremo soli, la nonna di Kaname mi aiuterà. –Disse notando l’espressione del ragazzo che avevo accanto.
- E quando questa cosa? –Posando le bacchette.
-I misteri delle donne. –Puntualizzai, scoppiammo tutti a ridere.
-Ti sei consumato, Kaname. –Ribadii Simon.
-Consumato per bene. –
La serata era armoniosa, festeggiammo con grandi portate di sushi, iniziavo ad amare quella tradizione e non solo nelle sue usanze ma anche nel cibo. A fine serata, quando i ragazzi si recarono a pagare, ci spostammo verso il terrazzo. Ero brilla ma ancora mi reggevo in piedi, fino a che…
-Non credevo che fossi così bella, questo vestito ti sta da favola zuccherino. –Una voce mi fece girare. Era uno delle persone che avrei fatto a meno di vedere in quella serata di festa.
Lui si avvicinò a me sicuro di sé, mi sfiorò il viso e rabbrividii. Crystal e Noemi erano dietro di me e se ne stavano in silenzio.
-Che diavolo ci fai qui? –Dissi aspra.
-Per un amico. –Disse sbrigativo. -Lo faresti un pensierino anche a me? Di sicuro al mio amico non gli dispiacerà se porto ancora un altro poco di ritardo. –Affermò lascivo. Ma per chi mi aveva preso?
-Testa di carciofo togli le tue luride mani dalla mia amica! –Esclamò Crystal facendosi avanti.
-Oh siete davvero una bella coppia. Una scopata in due? – Beffeggiò. Il sangue mi arrivò in testa e senza che lui se ne accorse gli diedi un calcio ai gioielli di famiglia e non solo, Crystal gli stampò cinque dita in faccia.
-Maledette puttane! –Squittì lui tenendosi le parti basse e la testa.
-Vai al diavolo porco! –Si aggregò Noemi furiosa.
Restammo in quella posizione per diversi secondi quando sentimmo chiaramente le voci dei nostri amici. Appena uscirono notarono subito un nuovo arrivato anche se nel frattempo si era inginocchiato.
-Crystal tutto bene? –Chiese velocemente Federico, notando lo sguardo furioso di sua moglie, ma non era solo il suo, ma bensì anche quello nostro.
-Ciao Kaname, scusa ho avuto un imprevisto. –Si rialzò Giorgio. Come conosceva il mio fidanzato?
-Che ti succede Giorgio? Stai bene? –Chiese lui. Adesso si preoccupava per lui? Non riuscii a resistere, girai i tacchi e puntai gli occhi su di lui –Dammi le chiavi della macchina. –Dissi più calma possibile.
-Mi dici che cosa sta succedendo? –Chiedendo spiegazioni.
-Dammi queste dannate chiavi, Kaname! –Urlai adesso con gli occhi lucidi.
Lui mi fissò, lo sentivo che cercava una risposta. Tuttavia me li diede e feci in tempo di sentire dire da Crystal –Di che cavolo di persone ti circondi Kaname, questo figlio di –censurandosi – ci ha invitato a scopare! –Parlò disgustata. Non volevo più rimanere in quella terrazza un minuto in più, giunta sopra la macchina, mi tolsi le scarpe e piansi. Mi sentivo umiliata e per cosa? Non durò molto il mio silenzio che lui arrivo.
-Raccontami tutto e non voglio che tralasci niente. – Sentenziò.
Raccontai tutto e dico veramente tutto. Lui non mi aveva fermato nemmeno una volta, mi sfogai finalmente di quel peso che ormai mi era caduto sopra, ma l’ultima cosa che immaginavo era che i due si conoscessero e per giunta erano colleghi. Il dispiacere che stavo portando a Kaname era molto, ma non riuscivo ad interpretare le sue emozioni. L’oscurità della macchina non mi davano in modo di costatare il suo stato e questo mi metteva ansia.
-E questo è tutto. –Affermai per ultimo. Alzai lo sguardo per guardarlo, ma aveva gli occhi chiusi. –Kaname…-iniziai.
-E tu durante tutto questo tempo non me ne hai parlato? –Disse lui con voce delusa, amara.
-Adesso non accusarmi! Per prima cosa quando lui ha iniziato non eravamo nulla, poi sappiamo entrambi che cosa è successo. Ma lo avevo sempre bloccato, che diavolo sapevo che lo avevi come amico? Non sono veggente ne onnisciente. Vederlo stasera mi ha messo rabbia, non avevo paura di lui, perché ci saresti stato tu…infine si è preso quello che si meritava. –Dissi.
-Bene. Avrò modo di fargli imparare la lezioncine …-beffeggiò con un sorriso che non mi piaceva per niente. –Tu stai bene? Credo alle tue parole, ho fiducia in te. Ti prego non piangere più. –Prendendomi il viso e asciugando quelle lacrime che già stavano svanendo. Per fortuna non se l’era presa così tanta, ma prospettavo una dura punizione per quella testa di carciofo.
 
Il giorno dopo Noemi e Crystal mi raggiunsero a casa, dovevamo iniziare i preparativi. Crystal ci portò tutti i cataloghi a proposito ed erano davvero tanti, non li ricordavo così voluminosi.
-Tema? Così possiamo già escludere qualcosa. –Affermò, guardandomi.
-Il tema è il ciliegio in fiore. Voglio che sia rosa, ma ci sarà anche del blu non voglio immaginarmi coperta di tutto quel colore come una bambina. Anche se è a luglio voglio onorare questo periodo. –Ammisi con gli occhi lucidi.
-Si vede che ci tieni, ti sei per giunta commossa. Allora mettiamoci a lavoro. Per quanto ti conosco a volte mi metti in difficoltà, vediamo se sappiamo risolvere tutto in breve tempo. –Parlò Noemi iniziando con il primo volume. I cataloghi proponevano tante cose, tuttavia non mi convincevano un granché.
-Per abito? Kimono o …-mormorò Crystal.
-Stai tranquilla abito e ne voglio uno stupendo, ci sarete anche voi quando ci andremo, credo che dovremo già richiedere un appuntamento. –Costatai e le due annuirono.
Alla fine lasciammo i vari volumi per affiancarci al portatile che ci evidenziò diversi abbellimenti ed alcuni li presi come preferiti.
-Guarda in questa app, può darti un aiuto, così non dimenticherai nulla. Dovrai cercare un luogo per il rito, fotografo, sala, fiorista, parrucchiere ed estetista, per le ultime due credo che non ci sia bisogno di girare. –Mi fece l’occhiolino la mia migliore amica, avendo tutto al centro, -tuttavia e meglio fare le prove .-
-Che fortuna avete. Un giorno me li presterete? –Domandò scherzosa Noemi.
-A quando il grande giorno? –Chiedemmo allo stesso tempo, lei divenne tutta rossa e poi si rattristò.
-Chissà. Ancora niente. –Borbottò delusa.
-Stai tranquilla che avverrà presto, magari con tutti questi matrimoni si deciderà. –Risposi per darle speranza.
-Credo che per oggi basti, devo ritornare a casa, tra poco Federico ritorna da lavoro. Voi che fate per cena? –Domandò cercando idee.
-Veramente non lo so. Ogni giorno è una tortura. –Rispose Noemi pensierosa.
-Idem. Comunque insalata con polpette, veloce e buona. O potete optare per un’insalata fantasiosa, vedete cosa avete nel frigo o in dispensa. –Ammiccai con un sorriso.
-Certo tu non hai problema, sei creativa. –Si lamentò Crystal.
-Certo, certo. Ecco perché anche il mio lui si dà da fare a cucinare, rinnovare si chiama. –
-Credo che esploderebbe la cucina se lascerei campo a Francesco. –Aggiunse Noemi.
-Esistono le lezioni di cucina e non dico di fare un vero corso, ma insegnarci da casa magari con qualcosa di carino addosso o un premio. Vi sorprenderanno. –Annunciai.
-E da quando la nostra suora è così esperta in questo campo? Ah il sano sesso! –Scherzò Crystal per poi metterci a ridere.
-Comunque devo andare, vedrò che cosa posso fare. –Infilandosi la giacca, -buona serata ragazzi. –Ci salutò per poi essere seguita da Noemi.
 
Era passato quasi un mese da quei giorni e la mia vita era quasi caotica. Chi mi chiamava per una cosa o per un’altra. Avevo scelto con il mio boy le diverse cose, tra cui: fiori (era stato facile, entrambi avevamo le idee chiare. Rosa bianca per lui e rosa blu per me. Non e che centrasse nulla con il tema, ma era un modo per immischiare le preferenze.) Il fotografo era libero per quel giorno ed è stata una fortuna trovarlo, poiché i matrimoni in quell’anno erano tantissimi. Gli inviti erano stati inviati, e ben presto ebbi la chiamata di Kelly in cui mi augurava il meglio e che ci sarebbe stata in quel giorno così importante per me. Avevo invitato tutti, speravo che avrebbero comunicato il loro “si”. Il giudice di pace era pure stato scelto, come musicisti e il dj, avremo fatto una festa con l’A maiuscola. Mancavano solo gli abiti, anelli, e la sala. Purtroppo tutti ci avevano respinto il giorno poiché erano pieni. Non sapevamo più dove andare.
-Stai tranquilla troveremo un luogo. –Mi parlò Kaname baciando la mano per rassicurarmi.
Fosse una cosa facile. Ci avevamo pensato tardi. Dove potevamo andare? Era già ora di cena e ci recammo in un agriturismo che incontrammo per strada, eravamo stanchi e affamati. Ci accolsero e ci condussero al nostro tavolo.
-Se non troviamo nulla? Mica lo possiamo fare nel nostro giardino! –Dissi un po’ troppo forte e sconsolata.
-Dovremo trovare un’altra alternativa, ma sono ancora convinto che lo troveremo. –Disse lui, beato che non si arrendeva. Sbuffai per un paio di volte aspettando la cena.
La cena fu silenziosa, si sentiva solo il rumore delle posate. La testa mi scoppiava per quel problema che ci stava sommergendo. Dopo cena quando Kaname si diresse verso il banco per pagare uscii fuori a prendere una boccata d’aria. M’incamminai senza avvisarlo, e percorsi il vialetto. L’erba era curata e c’erano diversi alberi imponenti come se fossero lì da molto tempo. Il cielo era nero e si vedevano le stesse. Una idea folle mi giunse all’improvviso. Il vibrare del mio telefono mi riportò alla realtà, il poverino mi stava rimproverando poiché ero svanita senza dir nulla. Lo guidai dov’ero e anche lui rimase senza parole.
-Che cosa frulla in quella testolina? –Mi disse fissandomi con attenzione, oramai mi conosceva come le sue tasche.
-Ho avuto un colpo di genio. Può risultare folle, forse lo è. Ma voglio sposarmi qui. Tutto questo spazio è in credibile. Potremo fare una cosa splendida. E poi guarda lì sotto? c’è un padiglione…sarebbe un sogno! –Esclamai tutta felice.
-Frena l’entusiasmo. Prima cosa dobbiamo vedere se ci permettono di farlo e poi se è a norma. Ci vorranno un sacco di soldi e di tempo. Tu hai già il centro, i preparativi…dove troveresti questo tempo? –Mi fece riflettere.
-E come se mi avessi detto di sì. Comunque c’è tua nonna e credo che ne sarebbe entusiasta di aiutare. Lo leggo nei tuoi occhi che vuoi tentare anche tu, allora facciamolo. –Lo presi dalla mano e lo trascinai dentro il locare di poco fa. Ero troppo felice per non pensare ad un “no”.
Ritornammo in dietro. Il locale di poco fa era in versione rustica, sembrava uscito da un tempo remoto. Il proprietario ci salutò nuovamente e ci chiese se ci fossero problemi. Gli spiegammo alla larga il nostro problema e la nostra idea. Lui non disse nulla. Ero in ansia.
-Non ho mai immaginato una cosa del genere. Purtroppo non ho soldi da investire su questo progetto signorina. –Disse pacato.
-Il terreno è in regola? –Domandò Kaname.
Lui annuì.
-Muovendo i tasti giusti possiamo farcela. Non ho problemi a investire in un altro luogo, sarebbe proficuo sia per noi e sia per lei. –Dichiarai come una che faceva questo lavoro da una vita.
-Vorrebbe investire su questo territorio? –Disse quasi incredulo.
-Certo. Ci sono le possibilità. Se si sapesse che qui ce un terreno del genere e le diverse comodità farebbe fortuna. Il padiglione in che stato è? –Era quello che temevo di più.
-Ah sì. Diciamo che non è messo tanto bene. Mancano i tetti anche se da un lato ci sono. Tuttavia sono messi male. Se volete ve lo posso mostrare, o facciamo domani con il giorno. –Era molto disponibile, ma avremo messo tante cose in chiaro prima di iniziare. Volevo delle garanzie. Fissammo l’appuntamento per il giorno dopo …durante il viaggio ne parlammo tanto, avevo mille idee. Ma sarebbe stata una sfida.
Il padiglione era immenso, purtroppo i pilastri non erano ben saldi c’erano molti lavori da fare, ma ero ottimista. Avremo aspettato le carte per iniziare, avevamo meno di due mesi prima del matrimonio.
I giorni correvano ed era arrivato il giorno per trovare un abito. Crystal, Noemi, mia nonna e Luca erano con me. Erano tutti entusiasti più di me. L’assistente me ne fece provare diversi, a sirena, a impero, scollati, principesco ma nulla che mi piacevano. Lo sapevo che sarebbe stato arduo.
-Sono a casa. –La luce di casa era accesa, chiaro segno che Kaname era rientrato. Appena entrai sentii un odore squisito e mi raggiunse subito l’acquolina in bocca. Ma la sorpresa fu quando trovai i suoi nonni in salotto, il tavolo era già apparecchiato per quattro.
-Buona sera cara, com’è andata? –Disse Ran-sama.
-Male. Nulla che mi colpisse. Ma tenterò la prossima volta. –Posando la giacca e la borsa. Mi sentivo esausta, Luca aveva fatto tutto il tempo a gridare come un oca.
-Andrà meglio la prossima volta. –Mi abbracciò Kaname.
-Si. –Annui.
Cenammo con armonia e il senso di vuotò svanii. Aggiornammo i suoi nonni per quella idea di quel agriturismo anche se nel frattempo Kaname aveva già accennato qualcosa. Loro erano perplessi su questa cosa, non gli davo torto, c’era poco tempo e tanto lavoro da fare.
-Le spese le affronteremo noi. –Disse tutto di un tratto sua nonna sorprendendo tutti quanti. –Sarà un modo per tenere vivo lo spirito e poi mi è sempre piaciuta questa cosa e la trovo creativa. –Disse sorridendo. Il marito sembrava irrequieto di questa notizia.
-Cara sei sicura? Dovrai stare costatamene attenta a tutto, non dico che non ce la puoi fare, ma abitiamo all’altro lato del globo e anche lì abbiamo ne nostre faccende. –
-Ti preoccupi troppo caro amore mio. Esistono i direttori e tante altre persone che ci aiuteranno. –Rispose lei, ponendo la sua mano su quella del marito. Erano una coppia armoniosa e bella. Si vedeva che si amavano tanto.
-Allora non ci sono problemi. Avevo voglia di buttare un poco di soldi. –Disse ridendo. Come buttare un poco di soldi? Ma quanto ne avevano? Non e che avevo mai parlato con Kaname anche perché il mio conto non era illimitato. La fortuna.
 
Il giorno dopo accompagnammo i suoi nonni e anche Federico in quale nostro ingegnere di fiducia nel luogo prestabilito. Di giorno era uno spettacolo, si vedevano le montagne e il cielo infinito.
Il proprietario ci lasciò carta bianca anche se i documenti sarebbero stati presto pronti, infatti gli avvocati della famiglia erano già all’opera. Mi sembrava un sogno, di quanta agilità e professionalità che il tutto si stesse realizzando, forse era dovuto ai poteri dei soldi.
 
 
 
∞Ω∞
 
Il lavoro stava proseguendo alla meglio, i miei nonni erano una forza su questo. Avevo ingaggiato così tanta manodopera che era inverosimile. Alla fine avevano dato pane a chi ne aveva bisogno. I preparativi erano fermi poiché la struttura ancora non era ben salda e tal punto avevo un’idea per questo. Quando avevamo visto il padiglione mi erano giunte idee su idee ma una i particolare, cioè: se invece del tetto con le tegole ci fosse del vetro? Sarebbe stato spettacolare la visuale e la sua bellezza e per questo ne avevo parlato prima con mia nonna e poi con il progettista che aveva detto che si poteva fare, sarebbe stata una bella sorpresa per la mia futura mogliettina.
-Allora Kaname andiamo? Sennò facciamo notte. Non vorrai ridurre all’ultimo minuto per comprarti un vestito? –Mio nonno non si smentiva mai, ma era rimasto il solito uomo che mi aveva educato con rigore e amore in tutti quegli anni. Girammo diversi negozi, ma alla fine ci fermammo in uno. Aveva bei completi e non volevo indossare il solito abito da cerimonia, ma stavolta sarebbe stato diverso.
Infatti alla fine ne scelsi uno che m’ispirava, già mi immaginavo sull’altare aspettando la mia bellissima sposa. Mia nonna si era commossa dalla mia scelta.
Era un abito da cerimonia di G.R. Un completo in damasco blu lucido con decori bronzei foulard coordinato. La giacca era a doppio petto con bottoni argentati e pantaloni accoppiati, il tutto su una camicia di seta bianca di cui si vedevano le mani e un accenno di colletto. Di sicuro a Jessica ci sarebbe piaciuto. E questo era fatto.
All’improvviso mi suonò il telefono ed era Crystal, risposi senza preoccupazioni ma mi dovetti ricredere.
-Ritorna subito a casa, la tua fidanzata è incontrollabile! –Chiudendo il telefono in faccia.
Cosa? Che diavolo stava succedendo?
 
 
 
 
 
 
 
*
*
*
 
Buona sera.
Riporto un nuovo capitolo, ne vediamo delle belle in queste righe, tra l’episodio di Giorgio, quanto lo aspettavo, dell’annuncio…beh ci siamo, il matrimonio si sta avvicinando, chissà che cosa l’è successo alla nostra protagonista?  Mistero, lo vedremo nel prossimo.
La canzone riportata e “la versione dei ricordi- di Gabbani”
Mi ispirano così tanto per ora le canzone, beh vi saluto e alla prossima.
Heart

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Capitolo 43
*** Memorie illuse ***


44°Capitolo
“Memorie illuse”
 
 
Non sentivo nessun rumore dietro la porta. Lei non aveva risposto a nessuna domanda, la sua voce mancava. Ero arrivato a casa preoccupato, ma non era nulla a ciò che mi aspettava. Crystal era spettinata e sudata e anche Luca che stava cercando di raccontarmi che cosa era successo. Tuttavia nessuno dei due sapeva che cosa era accaduto realmente, l’avevano vista strana: i suoi occhi erano neri, pieni di rabbia e risentimento, sembrava che volesse uccidere, aveva detto Luca terrorizzato. I punti di domanda erano tanti, la mia fidanzata dopo aver fatto una strage si era rintanata in camera e non voleva sentire ragioni. Fissai i miei nonni con disagio, era la prima volta che succedeva una cosa del genere. Mi passavano tanti pensieri per la testa, ma ogni volta il mio punto fisso era lei. Il suo cellulare lo avevo ritrovato sotto il divano con lo schermo quasi del tutto distrutto, per fortuna il touché era funzionabile, forse per miracolo. Copiai tutti i file nella micro sd e l’estrassi. La borsa era volata …era un caos quel salotto. Cuscini buttati un po’ ovunque…aveva cercato di sfogarsi ma alla fine non aveva ottenuto il risultato sperato.
Erano passate settantadue ore dall’accaduto ma di lei nulla. Mi stavo preoccupando, non aveva né acqua né cibo in camera. Ogni ora le bussavo alla porta ma nulla.
-Tesoro non hai un’altra chiave per entrare? –Domandò mia nonna. Mi versò del the nella tazza, ci avevo già pensato, ma la chiave al suo interno non mi dava la possibilità. Negai la possibilità e sorseggiai la bevanda.
-Dannazione ma non si può comportare così! È un comportamento immaturo e non solo, ti sta facendo preoccupare come non mai. –Esclamò mio nonno con rabbia. Non gli davo torto, ma che cosa potevo fare? Se non era lei a fare il primo passo, non potevo aiutarla. Una cosa che avevo capito di lei era che quando aveva questi momenti era meglio lasciarla andare. Anche se mi sentivo inutile.
-Manca un mese al matrimonio, che cosa vuoi fare? – Annunciò mia nonna, non avevo nessuna intenzione di disdire l’evento, lei sarebbe ritornata da me.
–Tuttavia, -sospirando. –Caro andiamo, il progettista ci sta aspettando. Ti lasciamo qualche ora, a più tardi. Forse senza la nostra presenza riuscirai a fare breccia nel suo animo. –Mi baciò la guancia per poi uscire ed essere seguito dal nonno.
Ero stremato. Riuscivo a dormire poco, lei era nella sua stanza chiusa a chiave e ogni volta era un fiasco. Avevo sentito i nostri amici. Non l’avevano mai vista in quelle condizioni, anche se Crystal era rimasta in silenzio per degli attimi.
–Kaname. Se lei si sta comportando in questa maniera e perché le è successo qualcosa che l’ha ferita profondamente e sta cercando di proteggersi. Solo una volta l’ho vista così e ho sperato di non rivedercela mai più. Devi camminare piano e riprendere il suo cuore, solo tu potrai riuscirci. Sicuramente starà annegando nel suo stesso dolore e non riesce a riemergere. – Quelle parole mi avevano fatto riflettere. Lei aveva paura di annegare e adesso era in procinto di lasciarsi andare, mi alzai di scatto e mi diressi verso la camera, non l’avrei lasciata andare. Arrivato dinanzi alla porta, posai il pugno su di essa, ma non bussai. Abbassai con lentezza la maniglia e stranamente si aprii. L’unica cosa che pensai era che lei mi stava dando modo di aiutarla. Camminai con calma in quella tenebra. Le tende erano tutte tirate e non vedevo nulla, mi feci guidare dall’istinto. I miei piedi si scontrarono con qualcosa, mi abbassai e lo toccai e mi accorsi che era il suo corpo. Era gelato e il suo respiro leggero, fin troppo. Cercai un modo di accendere la luce, ma una mano ghiacciata mi bloccò la caviglia.
-Non farlo. –Parlò. Non era la sua voce, quella solare o triste, ma più un ordine senza calore.
-Jessy, piccola. –Affermai piano, la paura di ferirla con delle parole in più mi facevano temere per il suo stato psichico. Perché sì, lei non stava bene e ciò che l’era successo l’aveva turbata profondamente.
-Sono una bambola. –Disse apatica. Abbassai il ginocchio e mi scontrai con il pavimento duro, lei era lì, sdraiata. Le mie mani la cercarono e la trovarono raggomitolata su se stessa. I capelli spettinati, scivolai in basso e le sfiorai le guance che erano umide, e tale tocco mi strinse il cuore. Le labbra erano gonfie e screpolate come se le avesse torturate allungo. La abbracciai e lei si sistemò sopra di me, il suo fiato era rotto dai brividi, sentiva freddo.
-Permettimi di portarti sopra il letto. –Le mormorai con dolcezza. Era come un cristallo che al primo tocco si poteva frantumare, non ricevetti risposta. La sollevai dal suolo per poggiarla sul materasso e lei rabbrividii ancor di più, la coprii con il piumone e m’infilai accanto a lei. Me la trovai sul petto, con i pugni chiusi e la sua testa che ascoltava i miei battiti. In quel momento sembravo di avere una bambina, la mia. La sentii sospirare, un lungo respiro per poi addormentarsi. Rimasi in quella posizione fino al giorno dopo, la sera prima mia nonna mi aveva richiamato, ma accorta di quello spiraglio non aveva più insistito.
Un raggio di luce anche se flebile mi arrivò al viso. Cercai di spostarmi ma un corpo pesante mi bloccava. Aprii un occhio e mi ritrovai la mia fidanzata addosso, il respiro era irrequieto, le appoggiai le mani sulla schiena e le sfiorai la fronte e pian piano si tranquillizzò. La spostai quel tanto che mi permetteva di muovermi e trovarmi in una stanza quasi oscurata, non vedevo nulla e poi il cattivo odore mi dava la nausea. A piedi scalzi mi alzai e urtai qualcosa di affilato, mi diressi verso la finestra e l’aprii. L’aria di primo mattino così fresca e pura mi diede la carica e la lasciai arieggiare in camera silenziosamente, appena spostai la tenda notai quel particolare che mi agghiacciò all’istante.
Sotto il letto c’era un coltello. Che cosa ci faceva lì. Guardai il letto e poi nuovamente l’oggetto. Lei …lei voleva…non riuscii a formulare la frase completa, mi faceva paura. Avevo tutta l’intenzione di svegliarla, di gridarle che non era la cosa migliore, ma appena le andai vicino le vidi il sorriso sereno, tutto cessò. Non lo aveva fatto, lei era rimasta…ma…ne dovevamo parlare.
 
Mi allontanai giusto per pochi minuti, il tempo di farmi una doccia veloce e prendere qualcosa da mangiare sia per me e sia per lei.  Quando ritornai il clima in camera era migliorato, mi sdraiai sul letto e aspettai pazientemente il suo risveglio. Il pensiero ricadeva sempre su quell’arma, mille ipotesi si formularono nella mia mente, che cosa le aveva suscitato questo moto di rabbia? Che fosse stato qualcuno? Magari qualche membro della famiglia? A grandi linee so che i rapporti non sono migliorati ma peggiorati e da quel poco che so, quando fa così, centrano senz'altro loro.
Un suo mugolio mi risvegliò da quell’analisi, i suoi occhi erano spenti e stanchi, sembrava un orso che si risvegliava dal letargo.
-Buongiorno. –Le dissi. Lei cercò di guardarsi in giro e poi di parlare ma aveva la gola secca e subito le diedi dell’acqua, -bevi a piccoli sorsi. – la aiutai e poi la misi seduta, sembrava un corpo senza anima. I suoi occhi non riuscivano a guardarmi, era ritornata nel suo limbo.
-Ti ho portato la colazione, penso che il tuo corpo ti ringrazierà. –Le misi sulle gambe il tavolino dove c’era di tutto e di più, mia nonna era una fanatica della colazione. Lei fissava il suo contenuto senza proferire parola, presi un cornetto e lo misi in bocca.
-Non ti alzerai da qui finché non avrai mangiato, -sentenziai. Ero deciso a studiarla.
Passava il tempo ma nessun cambiamento in lei, era come se fosse da un’altra parte. Così agii a modo mio, spinto dalla rabbia. Le tolsi il tavolino e gli puntai addosso il pugnale. I suoi occhi squittirono a quel gesto, paura e rabbia passarono per quelle iride.
-Che cosa stai provando? –Ero a cavalcioni su di lei. Occhi dentro occhi. La mano teneva saldamente il coltello. Tante emozioni la attraversarono ma nulla che mi dava sentore che capisse, me lo puntai addosso, forse fu un gesto estremo. Sentii il letto rimbalzare e il suo peso su di me, il coltello scappò dalle mie mani e lei come un fulmine lo prese.
-Jessica posa quel coltello. –Le dissi con calma, ma quegli occhi si riempirono di lacrime.
-Stai zitto! Io non merito nulla, io dovevo morire, io non esisto. Io sono solo uno spettro di me stessa. –Urlò fuori di sé.
-Stai dicendo un sacco si stupidaggini. Tu sei tu e sei una donna speciale, per me. –
-Sono inutile. Mi hanno deriso, umiliata, mi hanno tolto tutto. Perché sono venuta al mondo? Io porto solo male. –La lama si stava avvicinando al petto.
-Ti prego piccola, spiegami perché ti senti così.  Troveremo un rimedio. –Concordai tentando di farla calmare, anche se prima dovevo esserlo io.
-Mi ha toccato ed io non sono riuscita a far nulla. Lei ha creduto a lui, che me. Sangue dello stesso sangue. Mi ha fatto sentire una bambola, io mi sento morire ….voglio scomparire. –Il suo monologo non lo capivo, chi l’aveva toccato e chi aveva parlato male.
-Raccontami…-annunciai, facendo un passo in più.
La rabbia era diventata cieca, i suoi singhiozzi, la paura… erano i miei, i nostri. Quella violenza mi dava i brividi, che diavolo di persone erano? Aveva cercato in tutte le maniere di farcela, ma era sprofondata nel panico, nella paura. La strinsi tra le mie braccia, forte come se la volessi inglobarla nel mio corpo. Era al sicuro con me, volevo rivederla di nuovo la mia Jessy.
-Io…io…io…mi sto sgretolando. –Sussurrò piano, guardandosi le mani. Ma loro erano in tante. La sua psiche era stata danneggiata. Mi sembrava un incubo.
-Kaname siamo a casa, - a quella frazione di secondi successe il fini mondo. Lei riprese il pugnale e con la coda dell’occhio vidi la scena a rallentatore, mi girai di scatto e afferrai la lama con la mano e la tirai indietro, mi tagliai il palmo ma non m’importava della ferita e del sangue che usciva copioso. Afferrai con entrambe le mani il suo viso e la fissai. –Non è colpa tua amore mio, ti aiuterò io a superare tutto, il nostro amore supereremo questa cosa. Ti amo Jessica, sei la cosa più bella che mi sia successo. Ritorna da me, ti prego. –Le dissi conciso e calmo. A quella ferita lei s’irrigidii.
-E’ tutta colpa mia. –E svenne tra le mie braccia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi sentii indolenzito. Mi allungai il corpo e lo trovai rigido, mi girai con attenzione e posai la mano sull’altro lato del letto. Era fredda. Mi alzai di scatto con la paura nel cuore. Uscii dalla mia camera per andare in quella sua, le tende erano tirate, ma accesi lampadina e tuffai le dita nella sua chioma. Lei era lì in salvo. Dormiva beata in quelle lenzuola che sapevano di lei. La abbracciai da dietro respirando il suo odore e rallentando il battito del cuore. Avevo avuto paura, tantissima. Mi fissai il palmo ma era illeso. Che si trattasse un sogno, terribile a dirla tutta. Ci pensai sul perché lei si trovasse qui che con me, ma arrivò subito la risposta. I miei nonni volevano che stessimo separati, poiché ancora il rito non era completo: fino al giorno delle nozze. Non la potevo toccare come volevo, solo baci semplici. Sentivo il suo desiderio mentre mi fissava, ma non era la sola. Tuttavia dovevamo aspettare e poi ci potevano saltare addosso. Mi scompigliai i capelli a rivivere quell’incubo. Mi accorsi che oggi dovevo andar a scegliere l’abito da cerimonia, oh cavolo! Che si trattasse di un sogno premonitorio? No, questa volta l’avrei difesa, dovevo organizzare la sua giornata, quelle mani non l’avrebbero sporcata. Mi alzai e mi diressi nel mio ufficio. Avevo tanti contatti, il mio compito era di proteggerla da tutti, anche da se stessa. Mi faceva paura quella sua ombra, e non l’avrei fatta uscire. Mandai chiare indicazioni sia a Luca e Crystal per la giornata che si stava aprendo, questa volta lei non doveva correre nessun rischio.
A fine serata ero distrutto, avevo trovato l’abito ma non sentivo emozioni, poiché già lo avevo costatato nel sogno. Tuttavia appena arrivai in casa, la trovai sul divano a spacchettare dei pacchetti, i miei nonni erano usciti a cena e noi eravamo soli.
-Bentornato. Trovato? – Chiese lei, mettendo di lato i pacchi.
Gli dissi un sì con la testa per poi appoggiarla sulle sue gambe.
-Sembri distrutto. –Ammise, accarezzandomi dolcemente la testa.
-Lo sono. –Borbottai tra uno sbadiglio e altro.  Lei continuò a toccarmi, fino a che entrai in dormiveglia. Sentivo le sue mani armeggiare con la carta, i suoi sussulti erano eccitanti da quella postazione, per poi sentire qualcosa vibrare. Mi feci forza dai gomiti e davanti ai miei occhi si parò un aggeggio a forma allungato con la punta ovale, quando premeva vibrava. Non capii subito che funzione aveva, ma lei mi sorrise e me lo mise sul petto dove c’erano i capezzoli. Un colpo solamente e sussultai - un vibratore? –Domandai più a me stesso che a lei, il suo sorriso si allargò –Che diavolo ti serve? –Borbottai infastidito.
-Beh a tante cose, come ad esempio a farmi eccitare o farmi passare le voglie quando tu non ci sei, anche se…- avvicinandosi a me con quel coso tra le sue gambe –preferisco te. –Mi baciò le labbra per poi spostarsi sul collo. Quel ronzio m’infastidiva, dovevo essere io, non lui. Ma il protocollo era stato chiaro, il nostro corpo doveva stare lontano per almeno trenta giorni, regole del cazzo! Lei lo stava facendo di proposito, sapeva che avrei mandato tutto a monte.
-Kaname. –Mi richiamò con gli occhi languidi. –Puoi darmi piacere e altrettanto posso darlo a te, basta che non ci uniamo, ma ….-già avevo capito dove voleva parare, in un battibaleno la portai in camera e la spogliai. Nessun rapporto completo, ma ci potevamo divertire, far provare piacere e ricevere le medesime attenzioni. Poteva essere facile per coloro che vivevano lontano, ma non per noi che eravamo sotto lo stesso tetto.
Presi il vibratore e glielo passai nei capezzoli e poi giù tra le sue gambe, mentre con i denti le torturavo quelle aureole che si stavano gonfiando per me. Lei si muoveva e questo mi faceva perdere in senno, la volevo, ma non potevo. Che ingiustizia!
-Kaname permettimi di darti sollievo. –Mi mormorò flebile, lo sapeva che non doveva chiedere nulla, si poteva prendere tutto anche la mia anima. Le sue piccole mani mi presero e con la frizione del gesto le venni tra esse, lei sorrise, ma mi sentivo incompleto. Tuttavia ci accontentammo di quello.
-La prossima volta sarai mia. –Le sussurrai all’orecchio, la sentii stringermi la mano con forza. Mia per sempre.
 
 
 
 
I giorni tanto attesi si stavano avvicinando. Le ragazze l’avevano portata via da me una sera, dicendomi che era in mano sicure, non ero del tutto entusiasta ma dovetti lasciarla andare poiché anche per me c’era un trattamento speciale. Luca e gli altri mi condussero in un locale grazioso, brindammo al futuro matrimonio che tra tre settimane si sarebbe compiuto, mi sentivo talmente teso che la birra scivolò dalla mia gola come se fosse acqua. Ballammo e scherzammo, povero Francesco, dovette subire le nostre minacce per fare quella proposta alla sua bella. Non capii più nulla di quella notte brava, solo del grande mal di testa della mattina dopo.
-Buongiorno Leone! –Affermò la mia futura sposa. Avevo un martello in testa che non mi voleva mollare.
Da quando era diventata così bella? La presi dal polso e la trascinai sopra di me, la camicetta era un poco trasparente e non indugiai ad alzarla e posare le mani sui seni. Lei esclamò, ma le tappai la bocca con la mia. L’alcool era ancora in circolo, ma lei non si schivò, mi aiutò a sistemarla al meglio per poi inserirle due dita in bocca.
-Voglio il mio cazzo dentro la tua bocca. –Dichiarai. Lei cercò di protestare e in fine vinse lei. Mi bloccò i polsi e mi guardò negli occhi.
-Lo farò, solo quando sarai lucido. Adesso dormi e riprenditi. –Decise per me, fu invano prenderla e riportarla tra le mie braccia mi sentivo un idiota che incappava tra le sue gambe. Sospirai e mi tuffai tra i cuscini, sapendo bene che non sarebbe svanita l’erezione che padroneggiava sotto le lenzuola.
Mi ero ridotto a uno straccio.
 
I giorni passarono inevitabilmente. Entrambi eravamo molto nervosi, si sa che con l’avvicinare del matrimonio si scatenano paure celate. Ero seduto con l’aria malinconica nel mio studio, di carte non ne volevo più sentire. Non era un caso che in quel momento non lavoravo, poiché avevo preso delle ferie programmate e poi dovevo sposarmi. Il mio capo mi aveva fatto i migliori auguri di tanta prosperità. Mi grattai la testa per alzarmi, le tende della finestra si muovevano dolcemente ed era rilassante quella danza. Due braccia mi avvolsero e sentii chiaramente il suo profumo inondarmi. Le strinsi il nodo delle sue mani per poi girarmi.
-Anche tu teso? Penso che sia normale, tra poco saremo per il mondo marito e moglie, anche se per me già lo sei. Sei il mio faro. –Confessò per poi alzarsi in punta e baciarmi.
-E tu la mia ancora. Ancora non ci credo di aver fatto questo passo, mi sembra inverosimile. Se ci avrei pensato qualche anno fa, sicuramente non ci sarebbe nemmeno stato questo pensiero. –La guardai negli occhi.
-Beh la vita ci cambia. L’amore ci rende consapevoli …tuttavia non rimpiango di averti fatto sudare così tanto, alla fine hai superato tutte le mie prove, e non pensare che non c’è ne siano altre. La vita è una battaglia. –Mi sorrise, per sedersi sopra le mie gambe.
-Interessante, allora non finiranno mai. –Confermai.
-Esattamente. –Accarezzandomi il viso e sorridendomi. –Entrambi conosciamo le nostre ombre e cerchiamo di tenerle dentro di noi. Grazie di esserci, Kaname. – Confessandomi.
-E’ stato un onore incontrarti quella sera, tutto è iniziato lì. –la strinsi in un abbraccio dolce.
Restammo in quella posizione per un poco di tempo, facendoci coccolare da quel vento maldestro, fino a che una sua domanda rupe quella tranquillità.
-Che fine hai fatto fare a Giorgio ? –
Ah quello stupido. Se solo si avvicina a lei lo prendo a pugni, ci avevo pensato tanto alla sua punizione e poi ne avevo trovato una proprio adatta a lui.
Risi e lei mi fissò come se fossi un alieno. –Stai tranquilla che il signorino avrà imparato la sua lezione o sarà già uscito di testa. L’ho trasferito in uno studio estero. –Ammisi. Ero curioso di vedere la sua faccia.
-Davvero? –
-Si. Tutte le cariche che aveva conquistato le ha perse, ora è ritornato alla forma base. Ha uno stipendio minimo, dovrà riconquistare le simpatie degli altri esponenti e poi gli ho vietato tutti gli accessi per almeno cinque anni ad altre nazioni, Italia inclusa. –Risposi così soddisfatto. Se lo avrei cacciato fuori dallo studio, era troppo poco e da principiante, lui doveva pagare a caro prezzo.
-Dovrei prendere il tuo esempio. Magari lo metto in pratica con certe persone. –Ammise lei.
-Quando vuoi una mano chiama e ti aiuto e poi tra breve farai parte della famiglia Washi. –Le dissi.
-Spero di esserne altezza. –Borbottò accucciandosi nell’incavo del mio collo.
-Abbi fiducia nelle tue capacità. –
 
 
 
 
-Kaname sei pronto? –Qualcuno mi stava chiamando, ma in quel momento non c’ero proprio. Fissavo il mio riflesso allo specchio. Quel vestito mi stava come un guanto, senza tralasciare il caldo che stavo provando. Il giorno tanto temuto era arrivato in fine.  Per tutta la mattinata ero rimasto chiuso in camera per far sì che la sposa con tutti il suo repertorio si preparassero. Era stata chiara, lei voleva che tutto si sarebbe fatto a casa nostra. Di tradizione la sposa doveva uscire dalla casa di famiglia, ma essendo che non voleva andare da sua madre o nonna aveva optato per quella attuale. Non aveva dormito e neppure io. Avevamo parlato al telefono o dietro la porta, come se fossimo due bambini. Le avevo dato la forza, tra breve saremo stati uniti per sempre. Lei aveva pianto e mi ero trattenuto per rimanere al mio posto. All’alba Crystal seguita da Luca erano piombati a casa con tutto il seguito, era iniziato il conto alla rovescia.
Sentivo ogni cosa dalla mia stanza, il fotografo che le parlava, i vari scatti, i suoi sospiri e poi fu il mio turno.
Mi sentivo un pezzo di ghiaccio dall’emozione. I miei nonni si erano vestiti rigorosamente stile occidentale, e aspettavano me per andare nel luogo destinato. La mente si era spenta. Il luogo scelto era bellissimo. La gente lo guardava con entusiasmo, i camerieri fin da subito accolsero gli invitati. Il padiglione era un incanto dai numerosi fiori e drappeggi che ornavano ogni colonna e poi quell’arco di fiori che penzolavano. Fissai il tetto ed era tutto perfetto. Il vetro dava quel tocco di eleganza a quella struttura.
Le damigelle entrarono una dietro l’altra. Quel color oltre mare era magnifico, rintoccava a quell’essenza di quella stagione calda.
La marcia nuziale rintoccò e cercai il suo sguardo. Lei era lì, con suo padre accanto. Indossava un velo sul viso. Più si avvicinava più il cuore batteva forte, tamburellava come non mai. Avvertii gli occhi farsi umidi e cercai con tutto me stesso di non dare sfogo a quelle emozioni che stavano trapelando per quell’evento.
Strinsi con forza il labbro inferiore e poi rallentai. Lei era al mio cospetto più bella che mai, con quel vestito che le cadeva a pennello. Semplice ma d’effetto. Era perfetto per lei. La sua eleganza nel fissarmi con timore e poi con determinazione. La gonna era liscia come la seta che ricadeva sul pavimento formando un cerchio intorno a se, soave come la melodia più incantevole, si muoveva con lei. La parte superiore era molto delicata con una scollatura a cuore e sullo sterno ricoperto da un tessuto trasparente e bianco che scendeva dal collo alla schiena, sicuramente ornato. L’acconciatura semplice, ma rigorosamente alzata, e sul capo una tiara. L’avevo subito riconosciuta. Era quella che mia madre aveva indossato al suo matrimonio, ma con l’aggiunta di alcune pietre blu. Quel contrasto di quei tre colori la facevano bellissima.
Suo padre la salutò e mi allungò la mano per prendere la sua, appena le nostre mani si avvicinarono presero la scossa. Lei mi sorrise e tutto cessò.
Il giudice di pace iniziò con la solita predica, e nel momento in cui ci fu lo scambio degli anelli successe qualcosa di inaspettato, ma me lo dovevo immaginare.
Lei disse di no al testo scritto. Il cuore mi salì in gola per la paura. Si girò verso di me e mi fissò negli occhi che erano pieni di lacrime.
-Non voglio le solite frasi. –Si schiarì la voce – voglio farlo a modo mio. Perché tutti lo devono sapere che tu mi hai salvato, mi hai ridato la forza di resistere e di dare un senso alla mia vita. Ti amo e ti prendo come compagno di vita, non so che cosa ci aspetta nel futuro ma una cosa la so, se sono accanto a te, non avrò paura, perché saremo uno lo scudo dell’altro. –Le sue lacrime scesero come le mie, scivolai le dita sulle sue guance, tremava anche se la giornata era calda.
-Ti prendo per compagna di vita da ora e per sempre, che le nostre strade siano illuminate dai nostri sentimenti e sogni. – La mia voce risultava rauca, ad un certo punto avvertii un magone in gola.
-Con il potere dello stato io vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la sposa. –Non attesi, la presi e la strinsi tra le mie braccia per poi baciarla con passione. I nostri sentimenti si mescolarono, lo stavamo vivendo finalmente quell’amore.
Gli applausi acclamarono ma era come la musica di sottofondo. L’unica cosa che mi importava era lei.
-Ti amo signora Washi! - Esclamai prendendola in braccio, dove sentii chiaramente i fischi dei nostri amici. Il riso e i petali ci investirono, ma ero troppo felice per obbiettare. Lei era diventata come una bambina, rideva e piangeva allo stesso tempo.
Ci spostammo verso l’aperitivo, il sole era al centro del cielo e si moriva dal caldo, a tutte le signore era stato dato un ventaglio decorato il quale raffigurava il Sakura, era stata una benedizione, tranne per noi uomini che soffrivamo il caldo in silenzio. Il servizio fotografico fu lunghissimo, ma volevamo un ricordo indelebile di quel giorno. Tutti i nostri invitati si riunirono per dare sfogo alla creatività del fotografo, anche Happy fu uno dei nostri con il suo papion sul collo era una meraviglia. Aveva saltato accanto alla mia sposa per tutto il tempo, forse anche lui sentiva quel brio.
Nel tardo pomeriggio ci apprestammo a recarci in quel piccolo tempio che avevo progettato grazie all’aiuto dei miei nonni. Loro erano pronti per quella cerimonia speciale. Jessy arrivò all’altare sola, con un sorriso felice stampato in faccia.  Le sue damigelle erano arrivate dopo di lei, e si erano schierate nel suo lato come avevano fatto i miei.
-Buona sera. Siamo qui raccolti per benedire questi due ragazzi a nome dei Kami. È un onore per noi celebrare questo rito, abbiamo aspettato con impazienza questo momento e adesso non vediamo l’ora di incoronare questo sogno. –Annunciò mia nonna con il fazzoletto in mano.  Guardai la mia sposa e le allungai la mano che lei prese con entusiasmo. Il nonno prese il piccolo catino che era posto all’angolo del tempio e poi ci gettò piccoli spruzzi addosso come simbolo di purificazione, lesse un testo antico in lingua originale e poi ci fissò.
-Gli anelli. –Disse e il mio testimone, Luca, ci diede la scatola dove li conteneva. Attraverso una preghiera adatta furono battezzati e poi si rivolse a noi.
-Attraverso questo calice benedico a nome dei Kami questi due giovani, che il loro amore riesca a superare le avversità, che la pace e la serenità sia nei loro cuori da ora e per sempre. –Terminò. Presi il piccolo ago che era stato posto con il calice e mi punsi il dito per far scorgere una goccia di sangue, Jessica procedette ugual modo per poi bere il sakè e il sangue che si era mescolato. Era la nostra tradizione, per definire i nostri legami, adesso era mia ed io suo. I nostri destini si erano incontrati per formare un solo filamento.
Dopo di essa c’inchinammo e sbattemmo le mani due volte per ringraziare il cielo.
-Puoi baciare la sposa. –Disse dopo avergli affidato il mio cuore, dato dal simbolo dell’anello. Questa volta fu un bacio più calibrato e delicato. Fatto anche questo eravamo pronti che continuare la nostra giornata.
-Ti amo Kaname. –Mormorò prendendomi di soppiatto. Non mi avrebbe mai smesso di sorprendermi.
-Aishiteru. –Le ripetei intanto che la conducevo verso il nostro futuro.
 
 
 
 
*
*
*
Hoila! Ritorno, scusate per l’attesa. Finalmente si sono sposati, spero di aver caratterizzato bene i sentimenti e le varie fasi, non e che stato facile far parlare per tutto il tempo il nostro Kaname, sto ancora sudando. Alla fine mi sono divertita, ma soprattutto descrivere questa parte in cui c’è il rito giapponese. Vi metto come nota le varie pratiche anche se non li ho seguite nel dettaglio.
Shubatsu: rito di purificazione usando l’acqua delle vasche poste all’ingresso del tempio.
Scankon No gi : scambio degli anelli. In cui gli sposi bevono la bevanda degli dei che sarebbe il sakè.
Diciamo che l’ho fatto a modo mio, ma spero di aver enfatizzato il tutto.
Per gli abiti vi lascio il link.
Alla prossima
Vestito Kaname Vestito Jessy tiara Heart
 
 
 

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Capitolo 44
*** Così importante ***


 45°Capitolo
“Così importante”
 


Era una notte incantevole. Un dolce venticello ci trascinò con sé, mentre volteggiavo tra le braccia di mio marito. Finalmente eravamo una cosa sola, la cerimonia ci aveva lasciato tante emozioni che non avremo mai dimenticato: i cuori che tamburellavano all’unisono, l’eccitazione nell’incontrare lo sguardo dell’altro. Era stato un susseguirsi di sentimenti che ci avevano lasciato senza parole. E adesso mi raccoglievo il mio meritato premio: lui. Le muscolose braccia mi sorreggevano come se non pesassi nulla, i nostri occhi non si erano scollati nemmeno per un attimo.
“You’re the light, you’re the night
You’re the color of my blood
You’re the cure, you’re the pain
You’re the only thing wanna touch
Never knwe that it could mean so much, so much …”
 
“Sei la luce, sei la notte
Sei il colore del mio sangue.
Sei la cura, sei il dolore
Sei l’unica cosa che voglio toccare.
Non avrei mai immaginato ce potesse essere
Così importante, così importante …”
Mentre la canzone scorreva Kaname me la traduceva per me, avvicinando la sua bocca al mio orecchio. Era un gesto dolcissimo, e poi me la stava dedicando.
Sorrisi a tutto, alle sue mani che mi toccavano in un modo provocatorio, ma nello stesso tempo gentili. La sua presa salda e le sue emozioni che stavano nascendo in quegli occhi bellissimi. Sembrava che la luce li avesse inondati, tuttavia tutto questo era provocato da me, dalla mia presenza accanto a lui. A fine ballo mi fece fare una giravolta per poi riprendermi e baciandomi la fronte.
Era stato una giornata unica. Tutto era perfetto, avevo fatto un buon lavoro sia con il padiglione e con la sala all’aperto. Le lanterne che ci avevano circondato dando quella luce soffusa che tanto amavo, ai dettagli nell’apparecchiare la tavola e tutto quanto. Quel giorno sarebbe stato impresso nella mia mente per sempre.
-Ragazzi dai balliamo un po’, ho voglia di scatenarmi! –Urlò su di giri Luca, prendendomi e buttandomi nuovamente in pista, anche se l’unica cosa che volevo era riposare le caviglie. Tuttavia accettai e presi Simon e tutti gli altri. Ci saremo divertiti fino alla fine, anche se significava arrivare morti al sorgere del sole. Era solo un pensiero ma si realizzò.
All’alba io e Kaname eravamo totalmente distrutti. Alla fine si era sottoposto alle mille raccomandazioni da parte di tutti, mio padre lo guardava con quello sguardo che tutti i genitori fanno. Ma ero in mano sicure. Alle quattordici aveva l’aereo per partire per la nostra luna di miele, anche se non sapevo dove mi avrebbe portato. Tutti i miei amici lo sapevano, ma avevano chiuso la loro bocca per farmi una sorpresa. Salutammo tutti, ma prima gettai il tradizione il mazzetto di fiori che mi aveva accompagnato per tutto il giorno. Non sapevo a chi finisse, ma il mio cuore sperava ad una certa ragazza. Il fato, birichino, fece la sua magia. Sulla testa del povere Francesco giunse il famoso mazzolino e tutti risero, povero cucciolo, doveva intraprendere un lungo cammino.
 
-Allora mia sposa mi dai questo permesso? –Chiese Kaname sulla soglia della nostra casa.
-E che aspetti? –Ero stanca, ma non mi avrebbe permesso di spogliarlo con attenzione.
-Allora…-Mi prese e varcammo la soglia di casa. Risi a quel gesto romantico, intorno a noi c’erano soltanto fiori e cuoricini.  –Mi piaci quando ridi, fammi una promessa non smettere mai di farlo.  Detto questo ti voglio spogliarti e vedere cosa hai sotto. – Disse euforico, ma lo fermai.
-Eh no. Prima tocca a te, penso proprio che te lo debba. Hai sofferto l’inferno per me, dammi l’opportunità di rimediare. –Gli dissi, iniziando a toglierci il gilè poiché la giacca era volata tanto tempo prima. Bottone dopo bottone scomparve per poi passare alla camicia. La seta era liscissima e mi dava una sensazione di calore al suo tocco, ma non ero l’unica. Kaname sembrava in un altro mondo. Aveva gli occhi chiusi e si stava beando di quei tocchi. Lo spogliai da sopra, per poi pensare al sotto, notavo il gonfiore che aveva, ma non mi lasciai intimidire. Quando fu solo con i boxer mi fermai. Mi girai e mi tolsi le mollette tra i capelli. L’abito era così candido, ma non vedevo l’ora di far respirare la pelle.
-Mi daresti una mano? –Domandai pudica.
-Non ti addice questo comportamento. –Acconsentii per poi iniziare a sbottonare i piccoli bottoncini sulla schiena, ogni suo tocco sussultavo. Le sue mani erano lava bollente. Quando il tutto cadde al suolo, lui mi fissò allo specchio. Avevo indossato il minimo. Forse niente. Solo uno slip di pizzo bianco.
-Sei stata praticamente tutto il giorno nuda davanti a tutte quelle persone? Ed io credevo che fossi …- iniziò a dire, mentre le sue mani racchiusero i miei seni per poi stringerli delicatamente.
-Sentivo caldo. –Sussurrai.
-Lo hai fatto di proposito. –Bisbigliò lui, mordicchiandomi il collo.
-Mmm. –Mugolai qualcosa. Lei sue mani scivolarono sui fianchi, per poi abbassarmi i slip –così va meglio. –Intrufolandosi in quella conca segreta.
-Sei troppo ghiotto amore mio. – Gli dissi, mentre mi lasciavo alle sue attenzioni.
Mi sentivo dentro un sogno. Non potevo vivere tutte quelle emozioni. Era surreale, ma li stavo tastando sulla mia pelle. Kaname mi fu di grande aiuto, poiché non capivo una chippa in nessuna delle lingue. In primo luogo mi fece visitare Parigi, di notte si trasformava in una città bellissima, con mille candele che ti contagiavano e ti riscaldavano l’animo. Perché mio marito lo sapeva che cosa mi attraeva. Visitammo luoghi meravigliosi, ma soprattutto la corte di Versailles. Stupenda. Forse era superlativo quell’aggettivo, ma dovevo istruirmi su nuovi sinonimi.
La seconda tappa fu Londra. Finalmente avevo anch’io subito il suo fascino, ma quello non fu nulla alla grande mela in America e le sue principali attrazioni e infine come ciliegina sulla torta, la capitale dei miei sogni. Tokyo. Trascorsi delle ore su quella torre che mi aveva segnato fin dell’infanzia. Finalmente sentivo quella adrenalina che scorreva nelle vene, era stato bellissimo. Forse l’avevo già detto.
L’ultima tappa meno importante, fu Osaka. Dove il mio Kaname era nato e cresciuto con l’amore dei suoi nonni. Nell’ultimo giorno mi condusse in un tempio dedicato alla sua famiglia, dove tra le lapide lessi il nome dei suoi genitori. Fu istintivo prendergli la mano e sostenerlo in quel dolore silenzioso. Lui adesso non era più solo, aveva me e mi sarei preso cura del suo cuore.
-Sarebbero stati felici di incontrarti. Ma credo che loro siano accanto a me, anche adesso. Li ho sentiti sempre, soprattutto nei momenti più bui della mia esistenza. –Non lo fermai, perché sapevo che ne aveva bisogno. Ritornati a casa, sua nonna mi condusse in camera e mi fece indossare il kimono. Era bellissimo. Era azzurro e i Sakura disegnati.
-Vai cara, fargli spuntare nuovamente il sorriso. – Kaname che aspettava nella sala adiacente non si accorse della mia entrata, ma lo sguardo di suo nonno lo fece voltare. Si alzò e mi prese la mano. –Sei bellissima. Ti va di uscire un altro po’? –Domandò.
-Con piacere. –Ci avvicinammo all’ingresso e uscimmo. Compresi che in quella serata era l’ultima anche del festival. Ci fermammo in diverse bancarelle. Giocai ad acchiappare i pesci rossi, ma non ci riuscivo mai. Alla fine lui dispiaciuto della mia scarsità di gioco vinse per me, regalandomi un grosso orso polare. Era davvero gigantesco, ma era troppo kawaii.
-Ti avevo promesso tanto tempo fa di fartelo vedere, vieni. –Disse portandomi in un posticino isolato ma ben visibile dello spettacolo che si stava alzando. Infatti tantissime lanterne iniziarono ad alzarsi nel cielo. Gli occhi erano diventati liquidi per la sorpresa. –Non per questo non dovremo partecipare, -da dietro la schiena fece apparire una lanterna rossa. Mi chiesi come avesse fatto, ma lui era fatto così. Non ero la sola a sorprenderlo. L’accendemmo e pian piano volò nel cielo insieme alle altre.
-Ti amo. –Gli dissi.
-Io molto di più. –Mi sussurrò.
 
 
 
 
Alla fine ritornammo alla nostra solita vita, in quei due lunghi mesi ci avevano dato la carica per affrontare pure l’inferno, ma forse avevo troppo pensato. Perché non c’è né mai abbastanza della strega che aveva rotto con le sue cerimonie e le sue intromissioni. Infatti la cosiddetta signora pretendeva che il primogenito dei neo genitori dovesse prendere il suo nome se fosse nata femmina. Era una eresia quell’idea. Poiché Crystal non ne voleva proprio sapere di mettere un nome così brutto alla sua bambina e poi essere rinfacciata ogni giorno della sua vita per esso. Tutto questo non sembrava turbarla, avendo un ascendente sul figlio, che lo avrei preso a schiaffi per quel suo stolto comportamento da babbano. Non solo lasciava sua moglie alla grinfie della madre, ma cercava di convincere Crystal che il nome non fosse così antipatico. Pensai a lungo che in quei due mesi di assenza Federico si era fumato qualcosa, si, perché prima diceva che sua madre non avrebbe avuto questioni a riguardo e adesso tutto l’opposto. Ci voleva una bella lezione. Ero ritornata da poco e forse era meglio restare ad Osaka a vivere quella vita spensierata, ma i miei doveri non potevano scomparire. Ero passata dalla pasticceria a prendere qualcosa di dolce per la mia amica, la quale era di un umore nero. Appena varcai la porta trovai lei sdraiata sul divano con le finestre tutte aperte, e la piccola Alexia che guardava la tv.
-Bentornata straniera, com’è andata? –Mi chiese subito, facendomi segno di avvicinarmi a lei. Anche se avvertivo qualcosa che la turbasse.
-Alla grande. Tu come stai? –Sembrava stanca e pallida. La pancia oramai era evidente. Le toccai quest’ultima e mi emozionai.
-Tutto bene, anche se questa piccola peste mi sta dando un bel da fare. – Rise per poi chiudere gli occhi.
-Ti senti male? –Domandai subito.
-Tutto okay. Penso che tra poco sarà il momento, speriamo che Federico ci sia. – Le sorrisi.
-Se non c’è lui, ci sarò io. –La incoraggiai.
Parlammo del più e del meno, anche la piccola Alexia contribuii nella nostra chiacchierata, mangiammo i dolcini che avevo portato, anche se Crystal non ne volete, mi sembrava strano. Ad un certo punto la porta di casa si apri e vidi l’ultima persona che in quel momento avevo voglia di vedere e non fu la sola. La strega entrò come se fosse casa sua, buttò la borsa di lato e si avvicinò senza dire una parola in cucina.
-Perché ha le chiavi di casa? –La interrogai. Lei chiuse gli occhi e abbassò la testa come se fosse stata sconfitta.
-Federico mi ha messo nelle sue mani. Forse era meglio consegnarmi al diavolo, sarei stata più al sicuro. –Mormorò, mentre una nuova fitta la spezzavano in due.
-Da quanto tempo hai le contrazioni? –Capendo che cosa le stava succedendo.
-Da tutta la mattinata, ma vanno e vengono. Ora siamo a dieci minuti. –Dissi pallida come un lenzuolo.
-Chiamo Federico. Non c’è un minuto da perdere, puoi partorire da qui a poco. –Mi alzai e presi il cellulare, ma non ebbi neppure il tempo che qualcuno me lo rubò dalle mani. La strega spense la chiamata e per poco non la facevo volare per quel gesto.
-Mi dia il cellulare. –Le dissi più cortese possibile.
-Non sei stata invitata. Esci fuori da qui. –Disse lei con quel tono superiore.
-Mi dia il telefono. –Scandii bene le parole. Voleva essere uccisa e lo avrei fatto volentieri.
-Vattene mocciosa. Sei solo una fonte di guai. Ti rinchiuderò e pagherai tutti i tuoi errori. –Ma che stava dicendo? In salotto c’era la mia amica soffrire e lei prendeva discorsi senza senso?
-Non fare quella faccia. Tu. –Indicandomi –hai rovinato mio figlio. Si è ridotto come un topo. Non vive più e per cosa? Per una sgualdrina come te. Glielo avevo detto che non lo meritavi, ma lui ha fatto di testa sua e adesso che cosa ha in mano? –Blaterò minacce e offese da far paura. Non era mica colpa mia se il cuore non si comanda, e poi non volevo essere comandata a bacchetta per un uomo che credeva che l’amore era possessione.
-Senta non è il momento di parlare di queste cose, sua nuora entrata in travaglio. Non vede come soffre? Anche lei avuto dei figli, dov’è il suo istinto materno? –Affermai mentre guardavo lei e poi la mia amica.
-Quella poco di buono ha incastrato mio figlio. Quel figlio non è il suo, e lo scoprirà presto. Questo mostro non avrà vita facile. –Le sue parole erano veleno. Che donna era?
Non le risposi perché l’avrei presa a sberle. Girai i tacchi e mi avviai verso il salotto, ma lei mi prese e mi spinse di lato facendomi perdere per un attimo l’equilibro. Avvertii un senso di nausea a quello strapazzo che m’inginocchiai per riprendermi. Intanto la strega stava prendendo Crystal dai capelli come se fosse una bambola, trovai le forze e presi quella pazza e gli mollai un calcio nel ginocchio interno per farla lasciare la presa, in quel fragrante chiesi ad Alexia di chiamare subito l’ambulanza poiché Crystal stava urlando per il dolore. La piccola fuggi e ci lasciò, mentre la madre mi aggrediva con calci e pugni, ma non fu la sola. La colpii così tante volte che la sua faccia era ricoperta di macchie rosse.
-Jessy il bambino sta nascendo! –Urlò con tutto il fiato Crystal. Mi alzai e l’aiutai, non sapevo che cosa fare di preciso, ma seguii l’istinto.
-Tesoro, al mio tre spingi. Dovremo farcela noi due soli.  Alexia vieni qui piccolina, vammi a prendere degli asciugamani puliti e una forbice, e trova qualcosa per legare questa vipera. –La ragazzina annuii e scappò alla ricerca del materiale. Sembrava surreale per ciò che stavo facendo, ma non potevo abbandonarla. Al mio tre spinse, le urla erano allucinati. Vedevo la testa del piccolo, la dilatazione era assurda, ma ingoiai un conato di vomito e dopo un urlo che fece rizzare i peli anche agli animali più piccoli, un vagito risuonò in quel salotto. Tenevo tra le braccia un dolce bambino ricoperto di sangue e acqua. In quel momento i paramedici entrarono e soccorsero il piccolo e la madre che piangeva per il sollievo. Dopo avergli tagliato il cordone lo diedero a lei in cui pianse di felicità. Era diventata mamma, di uno splendido bambino.
In ospedale c’era fermento. Federico camminava avanti e indietro dal corridoio, poiché Crystal era ancora in sala operatoria e il piccolo sotto le cure dei dottori. Mi sentivo esausta e poi con tutte quelle botte in testa ancora peggio. Guardai il telefono, che ahimè si era rotto lo schermo per quella pazza e chiamai mio marito. Al primo squillo mi rispose.
-Sei a casa? –Mi chiese lui.
-No, Kaname. Devi venire in ospedale. –Dissi stanca. La testa mi scoppiava e non avevo nessuna voglia di ripetere per l’ennesima volta che cosa era successo.
-Ospedale? Stai male? –Domandò a raffica, sentivo il rumore della portiera aprirsi e poi chiudersi a scatto. Immaginai che fosse arrivato in quel momento a casa.
-Stai tranquillo. Sono diventata madrina, adesso vieni a prendere prima che crolli. –Risposi per chiudere la telefonata. E già. Infatti appena Crystal giunse in ospedale erano ritornate le contradizioni, e sorpresa di tutti, un altro piccolo era uscito. Che gioia …per il futuro papà, ma se solo avesse messo quel nome si ritrovava con una testa mozzata. La strega era stata portata al fresco. Questa volta non l’avrebbe passata liscia, una bella denuncia non la toglieva nessuno. Mi appisolai solo per un attimo in cui avvertii qualcuno sfiorarmi il viso, aprii gli occhi e mi ritrovai Daniele. Aveva uno sguardo arrabbiato, ma nello stesso tempo sfinito. Si sedette accanto a me, mentre il suo gemello lo fissava con prudenza.
-Mi dispiace. È stata tutta colpa mia. La mia rabbia le ha scatenato questo disprezzo verso di te. Se solo non avessi combinato tutti questi guai, tu forse… mi dispiace Jessica, spero che un giorno riuscirai a perdonarmi. –Finito il suo discorso si alzò e se ne andò. Mi sembrava veramente dispiaciuto, ma non sarebbe valso la pena. Mi aveva ferito molte volte e le cicatrici non scompaio facilmente.
-Jessy i dottori voglio vedere anche te, hai degli amatomi sospetti. Vieni ti accompagno. –Mi riferì Federico facendomi alzare e portandomi infermeria. Mi visitarono e mi disinfettarono il tutto, quando uscii mi trovai Kaname. Lo abbracciai di slancio. Lui con fare dolce mi strinse a se e mi accarezzò la testa anche se mi faceva male. Mi portò sulla panchina e cercò di guardarmi in faccia.
Il suo silenzio mi faceva paura. Quando i dottori uscirono dalla sala Federico ed io Ci alzammo, anche se ricaddi indietro avendo un giramento di testa che prontamente Kaname mi afferrò.
-La signora si è stabilita. I piccoli sono nella nursery e tra breve li potrete vedere. – Confermò per poi andarsene.
-Auguri papà. –Dissi, mi reggevo a mala pena tra le mie gambe –senti un po’ te lo ricordi che cosa ti ho detto prima del tuo matrimonio? –Domandai.
Lui abbassò la testa colpevole, -non ti permettere mai più di fare una cosa del genere. Siete una cosa sola e la tratti come se non fosse nulla. Adesso hai una famiglia con quella donna e la devi trattare con riguardo. – Strillavo –Mi ascolti? –Lo presi dal bavero ero impazzita, Kaname mi tirava a se, ma lo strattonai –Crystal è tua moglie, compagna, amica, quello che vuoi. Portale rispetto, perché la vita adesso sarà più difficile con due bambini. Avrà bisogno di te! –Dischiarai furiosa. –Lei ti ama, ha sopportato tua madre e tu…mi sembri un imbecille in questo momento, e lo avrebbe detto a anche lei. –
-Lo so. –Rispose. –Ho sbagliato, ho creduto alle parole di mia madre invece a mia moglie. Forse…-l’avevo capito che cosa stava per dire, ma glieli avrei fatto mangiare.
Sbam!
-Jessy. –Mi richiamò Kaname, cercando di farmi spostare.
-Stai zitto tu. Questo bambino ha bisogno di riprendersi ciò che suo. Tua madre è una strega, sai che cosa l’è uscito fuori? Che i tuoi figli erano dei bastardi! Che Crystal era una poco di buono! Le permetti di dire una cosa del genere? Alla madre dei tuoi figli? Rispondimi Federico. Non ti ho affidato alla mia migliore amica perché sei un idiota. Dov’è il ragazzo che ha lottato? Nulla è facile in questa vita. E non osare più dire che non l’ami abbastanza, senno non saresti nemmeno qui! –Chiusi la discussione, mentre avvertivo mille puntini lampeggiarmi tra gli occhi. Perfetto mi ero alterata troppo.
 
Ieri era stata una giornata strana, indimenticabile, unica. Vedere la vita nascere, toccare la luce. Quel bambino mi aveva dato una strana sensazione, non sapevo dargli un significato. Mi trovavo sul letto a riposarmi, perché non avevo nemmeno le forze di alzarmi. Kaname mi aveva portato la colazione in camera, intuendo il mio malessere. Se solo avesse saputo che cosa era uscito dalla bocca di quella vipera.
Presi un lungo respiro e appoggiai un piedi per terra. Non potevo poltrire, adesso che la mia direttrice era in maternità il centro era scoperto. Mi feci forza e mi preparai, anche se l’unica cosa che volevo fare era dormire.
Mi fermai un attimo per mettermi le scarpe, appoggiai un attimo la testa sul cuscino.
-Ehi piccola. –Qualcuno mi chiamò preoccupato. Apri un occhio assonnata come non mai, e mi ritrovai Kaname inginocchiato di fronte a me.
-Che ci fai qui? –Chiesi.
-Come che ci faccio qui? Ma stai bene? –
Tentai di alzarmi, ma la testa era pesante. Allungai il braccio e presi la sua mano che era fresca e me la posi sulla fronte. Il suo viso era un misto di preoccupazione e di smarrimento.
-Che ore sono? –
Lui fissò l’orologio da polso –le diciotto di pomeriggio. –Riferì e per poco non mi veniva un collasso. Mi ero addormentata e, oddio!
-Stai tranquilla. Può darsi che questa tua spossatezza è causata dal trauma di ieri. Il tuo corpo ha bisogno di riprendersi. Bel modo di andare a lavoro, no? Ti preparo qualcosa? –Disse mentre si allentava la cravatta. Mi aveva trovato sul letto con una scarpa si e una no, con il completo da lavoro, peccato che non ero mai uscita.
-No. Non ho fame, forse sete. –Ammiccai, facendo un altro sbadiglio.
-Stai entrando in letargo? –Mi arruffò i capelli.
-Può darsi. –Posizionandomi il cuscino alla meglio, mentre sentivo che la gonna veniva sfilata e anche l’unica scarpa indossata.
-Ti vado a prendere dell’acqua, mangio e ti raggiungo.  Ah mi ha chiamato Federico, i piccoli e Crystal stanno bene. Appena ti riprendi li andiamo a vedere. –Dandomi un bacio per poi andare di sotto. Ero felice che stavano bene, speravo che lui si fosse data una svegliata.
 
Tre giorni dopo mi ero ripresa del tutto, anche se dei piccoli capogiri mi davano fastidio. Forse dovuto alla mancanza di vitamine che nei giorni passati non avevo assunto. Federico ripreso dallo choc ci aveva avvisato che voleva organizzare una piccola festicciola per dargli il benvenuto, e noi come bambini avevano accettato. Avevamo comprato di tutto, tra palloncini e festoni, quel salotto sembrava un asilo.
Nel momento in cui Crystal e Federico arrivarono le bombette scoppiarono e mille coriandoli invasero chiunque. Facendo svegliare i piccoli dal loro meritato sonno. Ma eravamo troppo felici, e Luca prese Alessandro, poiché fu istintivo pensarlo, poiché ce l’ho ripeteva di continuo. Invece io mi avvicinai alla piccola, che con i suoi occhi scuri, mi fissava con attenzione.
-Ciao piccola. –Le dissi come se mi potesse capire, lei come intuisse mi allungò il braccetto. Un onda di emozione mi fece piangere e la presi con discrezione. La mia amica che mi aveva fissato durante il tempo mi parlò–lei è Phoebe. –La guardai con gli occhi pieni di luce. Lei lo sapeva che era uno dei nomi che mi attraevano di più, ma non le avrei dato la caccia per averlo usato.
-Benvenuta in questa combriccola di pazzi, Phoebe. –Le sorrisi, mettendomela vicino al petto. La piccola rassicurata chiuse gli occhi e si addormentò.
-Spero che non mi faccia penare, al massimo chiamo te. Madrina. –Mi sussurrò, per poi andare dagli altri. Posandola nella sua culla avvertii di nuovo quella sensazione, ma non ci feci più caso. Brindammo e ci divertimmo alla grande.
 
Ottobre stava per entrare. Da quando Crystal era in maternità, tutte le faccende erano cadute su di me. Anche se le mie dipendenti mi davano una mano. I bambini avevano dato molto scalpore tra tutti.  La sera era arrivata, il clima anche se fresco di notte non mi dava fastidio, poiché il mio amore mi riscaldava a dovere. Ma c’era delle preoccupazioni che mi allarmavano. Sensazioni che mi davano un senso strano, qualche sera prima mentre riposavo sul divano avevo avvertito un guizzo ambiguo sullo stomaco. Non era caso che soffrissi di coliti ogni tanto per i cibi che assumevo, ma certi pensieri non mi abbandonavano. Così presi una decisione. Il mio turno era finito, presi borsa e giacca e mi diressi fuori.
Appena giunsi a casa, trafficai nei cassetti del bagno e trovai uno scatolino. Era stato un regalo “scherzo” dei miei due amici strambi. Non avrei creduto che un giorno tanto vicino mi sarebbe servito. Mi chiusi in bagno e lo feci. Passarono dieci minuti e lessi il responso. Il test segnava la parola “non incinta” un respiro di sollievo nacque ma …dovevo essere sicura al 100%, così chiamai la ginecologa e presi un appuntamento per una visita generale. Meglio togliersi il dubbio in prima possibile.
 
-Buona sera moglie, tutto bene? –Chiese Kaname appena arrivò. Mi baciò e lo ricambiai, volevo togliermi quel pallino in testo.  –Oh che siamo promettenti stasera. –Azzardò a dire e gli sorrisi. Forse mi dovevo lasciar andare.
-Perché no? Staccare un poco fa sempre bene, vieni qua marinaio. –Lo agguantai e lui prontamente mi portò sul divano.
-Mi piaci quando fai la gattina. –
 
 
 
 
Nelle settantadue ore dopo era successo il fino mondo. Crystal che mi chiamava perché il piccolo Alex non voleva dormire, Luca che cercava un file, problemi al centro e infine la bomba che era esplosa e aveva fatto più danni di tutti. Mi ritrovai sul bancone di casa con le mani sulla testa, con le lacrime agli occhi non sapendo di essere felice o meno. Kaname stava lavorando nel suo studio incurvandosi del dramma che avevo addosso. Ero così spossata che avrei buttato tutto per terra. Adesso capivo tutto, ma come avevo fatto a non capirlo subito? Semplice, ognuno di noi era diverso dall’altro. Avevo deciso, lui doveva far parte di questa decisione, che infine era stata presa da sola. Mi incamminai verso il suo studio e bussai –ti posso disturbare? –Chiesi, mentre lui alzava la testa dalle sue carte.
-Un attimo. –Rispose, ritornando sul documento.
-Kaname adesso! –Dissi con vigore e impazienza.
-Jessica sto finendo di leggere questo documento, qualunque cosa si tratta, potrà aspettare cinque minuti. –Controbatte lui.
Allora non capiva quanto era importante.
-Non credo che tuo figlio voglia aspettare! –Lanciai la palla, infatti la sua testa si alzò di scatto.
-Che cosa hai detto? –Domandò subito, posando gli occhiali di lettura.
-Non mi ripeto. –Girando i tacchi, ma lui prontamente più veloce di me, mi fece voltare e i nostri occhi si scontrarono. –Ripetilo, credo di aver sentito male. –Affermò più dolce. Avevo notato quella piccola luce illuminare i suoi occhi.
Ingoiai un magone –tuo figlio non aspetta, ti pretende. –Sibilai, ma lui capii subito. Mi abbracciò forte per poi abbassarsi e mettere la testa sul ventre.
-In effetti ci avevo fatto caso alla sporgenza, ma non ti avevo detto nulla. –Parlò.
-Il test che ho fatto è risultato negativo, ma avevo dei ritardi, ( potevo intuirlo prima, ma sai come sono  i miei cicli e non ci ho dato importanza e poi usavano sempre i contracettivi) e così mi sono messa al sicuro chiamando il dottore. Stamattina mi ha dato il responso. –Dichiarai.
-E perché non me lo l’hai detto subito? –Domandò interrogativo.
-Perché non ci credevo, è stata una sorpresa dietro l’altra. –Dissi girandomi e giungendo nel salotto, lui mi seguii non capendo.
-Di quanto sei? –
Lo guardai con gli occhi lucidi, non avevo potuto prendere una decisione, perché oramai era tardi. Volevo godermi la vita da sposina, ma come avevo detto le cose accadono per un motivo. –Sto entrando al sesto mese. –Ecco qual era la bomba. Lui c’era al mio matrimonio, lui già stava crescendo indisturbato senza che sapessi nulla. Aveva partecipato a tutto. E non me n’ero accorta.
-Aspetta un attimo. Significa che lo abbiamo concepito ad Aprile. Aspetta è successo in quella notte? –Domandò più a se stesso che a me. Perché sì.
-Si. La dottoressa mi ha spiegato come tutti i contraccettivi non sono sicuri al 100% e c’è 1% di restare incinta. Lo abbiamo avuto sempre dietro. –Scoppiando a piangere. Tante emozioni galleggiavano dentro di me.
-Jessica tu lo vuoi questo bambino? –Proruppe lui serio. Lo fissai …
Rimasi in silenzio per molto tempo, e fu in quell’attimo che un flash mi apparve. Non e che la piccola Phoebe avesse avvertito che dentro di me ci fosse lui? Quando allungava la sua piccola manina verso il mio ventre, mi sembrava che volesse essere presa, invece se ne era accorta. Piansi ancora, perché oramai lui era parte di me.
-Il nostro bambino vedrà la luce e noi saremo lì a mostrarcela. –
-Lo faremo assieme. –Abbracciandomi, facendo valere quel sentimento che ci aveva unito e adesso era indistruttibile.
 
Epilogo
 
La mia vita sembrava sempre fatta di festa, non solo i gemellini avevano compiuto i loro due mesi di vita, ma adesso ero anch’io in procinto di fare le mie mosse. La pancia si era evoluta e adesso i miei completi da lavoro non mi entravano più, mi ero dovuta staccare da un bel po’ di cose. Tuttavia non mi lamentavo, il mio caro maritino non mi faceva mancare nulla. Ogni vizio me lo accontentava. I ricatti era all’ordine del giorno e lui sapeva che cosa significava, dire di no. Lo aveva pagato a sue spese. Mi sentivo più tosto malinconica quella sera, poiché lui non ci sarebbe stato, chiamato per uno dei suoi viaggi, anche se aveva dato modo di farne meno possibile con l’arrivo della piccola. Eh sì. Dopo decenni la famiglia Washi aveva il suo primogenito femmina. Era stata una felicità per la nonna Ran che era saltata dalla felicità. Kaname aveva fatto una espressione stupida, vedendola sempre seria e contenibile. L’avremo viziata a e vestita con tutte quelle cose da femmina.
Il nome era stato scelto, era palese che Kaname non avrebbe nemmeno azzardato a dire qualcosa, sennò fuori. Lui prontamente mi aveva lasciato carta bianca. E adesso mi apprestavo ad ascoltare la musica che mi rilassava. Le cuffie li avevo mollate da un poco, poiché volevo che la mia piccola sentisse. Una canzone particolare stava risuonando con enfasi e malinconia. Fissai ogni cosa di quella casa che era mia. Dal cuore di fotografie che era appeso sul muro, delle numerose foto che avevano appese dei nostri giorni. L’ecografia della piccola che stava al centro, il matrimonio, le capitali visitate, il cibo, l’anello. Erano dei ricordi distinti nelle nostre memorie.
Amavo quella casa e il suo profumo. Ma soprattutto quello di mio marito che mi regalava emozioni che non avrei mai potuto vivere da sola. La libertà ti permette di sognare, ma essere in due, legarsi ad un amore che non aveva confini era tutto un’altra cosa. L’amore mi aveva cambiato, ci aveva sconvolto e ci aveva fatto suoi prigionieri, ma era stato bello. Non sarei qui a fissare questo immenso infinito senza di lui. Sfiorai il ventre, mentre lei mi dà dei pugnetti, un giorno di questo ti mostrerò il mondo amore mio, perché non c’è solo solitudine e tristezza, ma un universo infinito dove puoi fare ciò che vuoi. Perché i sogni non l’hanno creati per farli rimanere in un cassetto, ma per viverli nella nostra quotidianità ed i desideri sono come gemme preziose. Coltivali, non perdere mai la speranza, perché un giorno di questi può darsi che si avverano.
Adesso è troppo tardi per pensare 
Di dimenticarti e poi rinascere 
E non cercarti più 
Ma non so cos'è importante 
Se fidarmi o non fidarmi di te 
Di quel viso così impresso nella mente 
Non saprei ma ci penso sempre sai 
E non c'è niente 
Che cancelli il ricordo di te 
Di uno sguardo malinconico e sognante “
Incontrati è stata una benedizione e una condanna, perché…la vita è ingiusta. Amare così e poi non essere ricompensati.
E in un attimo ritorno al mio presente 
E vorrei che tu fossi ancora qui 
Tu che sei così importante 
Puoi sentire il mio bisogno di te 
Nei tuoi occhi vedo acqua trasparente 
Come un fiume travolgente dentro me
 
Invece del cuore c’è un macigno che batte come una pietra. Il cuore è diventato una lastra di ghiaccio. In fine i sogni sono solo desideri, che guarda caso non si realizzano con il pensiero ma con determinazione e forza. Sei stato un sogno bellissimo, pieno di ricordi amari e amore.
Mi sfioro il ventre e non c’è niente, nessun battito, nessun colpetto. La mia piccola Daphne non esiste, lui, non vedrò mai i suoi occhi. Il suo sguardo che era dedicato unicamente a me, i suoi gesti dolci, calibrati. Tutto è svanito e anche il desiderio.
-Tu che sei…così importante- sì, sei importante anche se non so come sei fatto realmente, ma spero che un giorno ti possa incontrare che il nostro legame diventi duraturo come loro. Perché nessuno può spezzarti i sogni che custodisci nel cuore. Dai raggiungermi, se il destino esiste in questo cosmo, fai che le nostre anime si scontrano. Oh fai sparire per sempre questo vuoto.
-Dove sei dimmi adesso dove sei …-
 
 
 
Fine
 
 
 
Non è facile mettere questa parola. Perché davvero ho cercato di crederci in questo bellissimo sogno ad occhi aperti.
La potete intraprendere come volete, ma era così che sarebbe finita, fin dall’inizio.
Un meraviglioso sogno, che quanto possibile, che lo abbia sognato innumerevoli volte, mi risvegliavo con quella mancanza nel cuore. Non sentire il suo odore, il suo calore, avvertire quella mancanza…
Così importante –Laura Pausini.
Non è caso che molte canzoni sono date da lei in questa storia. Ve l’ho sempre detto che tutto sarebbe ritornato a una delle sue opere.
Ringrazio tutte le persone che mi hanno aiutato con questa storia a semplice ispirazioni alla correzione del testo. Alle fan, in primis a Kitty che mi ha minacciato di continuarla e alla faccia che farà leggendo il finale, te l’ho sempre detto di preparare i forconi.
Alle lettrici silenti, e quelli non.
Un grazie a me stessa che ha avuto la forza di continuare, perché sapeva che il finale mi avrebbe portato un magone in gola.
 
Dove sei… dimmi adesso… dove sei “
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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