Un'estate come un'altra

di Leila 95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


          Capitolo I
Leia Amidala Skywalker non si era mai sentita tanto a disagio come in quel momento. Avrebbe voluto trovarsi ovunque tranne che lì, a quella stupida festa sulla spiaggia. La scuola era appena finita, e festeggiare il diploma appena conquistato davanti ad un falò in compagnia degli amici le era sembrata una splendida idea, anche se – a dirla tutta – non era un’amante delle feste.
Aveva tutti i motivi di festeggiare. Gli ultimi tre anni erano stati davvero devastanti per i suoi nervi: la morte dei genitori a causa di un incidente stradale; il trasferimento in uno sperduto paesino di provincia, per andare a vivere con zio Owen e zia Beru; le difficoltà enormi per integrarsi in una classe nuova, in una scuola in cui non conosceva nessuno, specie per lei che era così timida e riservata. Per fortuna che suo fratello Luke era sempre stato al suo fianco: non avevano davvero niente in comune – né sul piano fisico né dal punto di vista del carattere – pur essendo gemelli, eppure lui era l’unico in grado di capirla davvero, l’unico che le volesse bene in quel paese in cui forse non si sarebbe mai sentita integrata. Sarebbe probabilmente caduta in depressione se non ci fosse stato lui a sostenerla.
Il fatto che fossero riusciti a diplomarsi, nonostante tutto quello che era successo, meritava già una festa. Inoltre, la sua migliore amica Winter era venuta a trovarla e avrebbe trascorso qualche giorno ospite a casa sua. Winter era la sorella che non aveva mai avuto: si conoscevano dai tempi dell’asilo ed erano sempre state inseparabili. Purtroppo, quando si era dovuta trasferire dopo la morte dei suoi genitori, erano state costrette a dividersi, ma non avevano mai perso i contatti e, ogni volta che era possibile, cercavano di incontrarsi e trascorrere del tempo insieme. Fra di loro c’erano sempre stati rispetto, stima e profonda sincerità, e non avevano segreti. Ora più che mai, Leia aveva bisogno di un’amica come lei.
L’idea della festa era venuta in mente a Luke, il più mondano fra loro due, nonché quello che aveva la patente per guidare fino alla spiaggia; Leia e Winter si erano occupate della preparazione del cibo e delle bibite. Avevano organizzato questa uscita fuori porta con gli amici più intimi, quei pochi con i quali erano riusciti a legare da quando si erano trasferiti. C’erano Wedge Antilles e Jyn Erso, loro compagni di classe: Wedge era diventato subito il miglior amico di Luke, il suo compagno di scorribande e di tornei di Fifa del venerdì sera; Jyn invece era una ragazza tosta, determinata, ribelle, e a causa della sua lingua lunga – che non sapeva né voleva tenere a freno – aveva seriamente rischiato di non essere ammessa all’esame di maturità. Jyn era venuta accompagnata dal suo ragazzo, Cassian, studente di ingegneria meccanica con il sogno di costruire robot. Poi c’erano Lando, il loro vicino di casa, che gestiva un locale di fronte alla scuola, e Han Solo, il motivo per cui Leia stava così male.
Han era un ragazzo parecchio più grande di tutti loro che lavorava come meccanico all’officina del paese. Se n’era andato di casa per inseguire il proprio sogno – aprirsi un’officina meccanica tutta sua – anche se per ora doveva accontentarsi di stare sotto il giogo del suo capo, Jabba TheHutt. In brevissimo tempo era diventato molto amico di suo fratello Luke, nonostante la grossa differenza d’età e di estrazione sociale, perché entrambi condividevano un amore sconfinato per i motori e – in particolare – per le motociclette d’epoca. Da solo, infatti, Han aveva rimesso a nuovo una vecchia moto dismessa recuperata dall’autodemolizione, il Falcon, e ne aveva truccato il motore con delle modifiche fatte da lui personalmente…sotto l’apparenza di quel vecchio catorcio si nascondeva un vero bolide. A volte la usava anche per fare gare di velocità (ovviamente clandestine) che si tenevano al vecchio zuccherificio abbandonato: vi partecipava per guadagnare qualche soldo da aggiungere alla sua miserrima paga, ma più che altro per l’adrenalina che provava nel correre come un folle, nello sfidare la morte. Aveva un carattere terribile, e nessuno che lo sopportasse – solo un vecchio gatto spelacchiato, che aveva chiamato Chewie, viveva con lui, dopo che un giorno lo aveva trovato solo e affamato fuori dall’officina e aveva deciso di portarselo a casa.
Leia aveva immediatamente provato repulsione per quel ragazzo senza né etica né morale, che viveva alla giornata e che cambiava ragazze più spesso di quanto cambiasse vestiti. Tuttavia ne era stata anche subito e irrimediabilmente attratta, e piano piano aveva finito per innamorarsi di lui. Le piacevano i suoi occhi che cambiavano colore a seconda della luce o del suo stato d’animo, il suo modo di fare arrogante e strafottente, la sua personalità così forte, persino il modo agile in cui stava muovendo le dita sulle corde della chitarra in quel momento. Ma sapeva bene che non avrebbero avuto chance come coppia: erano troppo diversi, se ne rendeva conto, e poi lui non era il tipo di ragazzo che i suoi genitori le avrebbero voluto accanto. Per non parlare del fatto che Han non si era mai neanche interessato a lei, se non per il fatto che era la sorella di Luke: quando si trovavano insieme – come ora – non faceva che prenderla in giro e deriderla. La chiamava continuamente principessa, perché la riteneva una bambina viziata che non aveva ancora imparato a vivere nel mondo reale, e aveva coniato apposta per lei tanti altri ridicoli nomignoli, solo per il gusto perverso di vederla arrossire di rabbia e di vergogna. Non aveva alcun rispetto né stima per lei, la disprezzava e la umiliava. Tutto questo era estremamente frustrante per lei.
Ora se ne stava a strimpellare allegramente la sua chitarra, canticchiando alla luce del falò, mentre la sua accompagnatrice si prodigava accanto a lui in mille moine e smancerie, scompigliandogli i capelli e riempiendolo di baci appiccicosi. Un uomo che si fa trattare così dalla propria ragazza – pensò Leia in quel momento – non è degno di appartenere alla categoria. Eppure c’era qualcosa nel suo sguardo, una strana luce nei suoi occhi quando posava lo sguardo su di lei…no, non poteva essere diverso da quello che appariva. Doveva farsene una ragione, e dimenticarlo.
 
“Leia!” Winter la prese per un braccio. “Si può sapere che ti prende?”
Winter aveva lo strano potere di leggerle nel pensiero. A lei era impossibile mentire, ma Leia ci provò comunque. “Niente…perché?”
“Sei caduta in trance.” Si avvicinò di più al suo orecchio. “È ancora per Han, vero?”
Leia le aveva parlato della sua stupida cotta più di una volta e Winter le aveva sempre suggerito di farsi avanti, di provarci, ma lei aveva escluso questa ipotesi sin dall’inizio: il solo pensiero della risata che avrebbe provocato a Han era già sufficiente a distoglierla dal tentare una qualsiasi mossa. Cosa avrebbe potuto ottenere da una confessione del genere? Avrebbe fornito solo un ulteriore motivo a lui per prenderla in giro senza pietà.
“Che cosa posso farci?” rispose. “Questo spettacolo mi fa venire il vomito.”
“E cosa hai intenzione di fare ora?”
Leia sospirò. “Me ne vado. Chiamo zio Owen en mi faccio venire a prendere.”
Vedere Han che si faceva spupazzare come un giocattolo la nauseava profondamente, e levare le tende le sembrava l’unica prospettiva di salvezza.
Winter le mise un braccio sulle spalle, come a rassicurarla. “Perché vuoi andare già via? Ci stiamo divertendo un sacco…resta ancora un po’.”
“Tu forse ti starai divertendo” rispose acida Leia. “Io non ci trovo nulla di divertente in questo spettacolo pietoso.”
Detto questo, si alzò dicendo di non sentirsi bene e fece per allontanarsi per chiamare a casa. Tutti i presenti si preoccuparono del suo stato di salute e chiesero se c’era qualcosa che potessero fare per aiutarla – tutti tranne Han, naturalmente, che continuò imperterrito a farsi sbaciucchiare dalla bionda al suo fianco: Cassian e Wedge si offrirono entrambi per darle un passaggio fino a casa, Jyn propose invece di sciogliere la brigata e di ritirarsi tutti, ma Leia riuscì ad insistere a che la festa continuasse anche senza di lei e si allontanò svelta dal falò.
Aveva appena finito di parlare al telefono con zia Beru, rassicurandola del fatto che non era successo nulla di grave, ma che si era comunque divertita e che aveva mangiato a sufficienza, quando una voce alle sue spalle attirò la sua attenzione.
“Ehi, che ti succede?” chiese Han Solo.
Leia trasalì all’udire quella voce. Han era proprio l’ultima persona con cui voleva parlare adesso.
Molto lentamente si voltò a guardarlo. Non lo aveva mai visto così bello come ora, illuminato dalla luce della luna, con i capelli arruffati e gli occhi rossi per il fumo del falò. Non aveva mai notato che portava al collo un piccolo ciondolo a forma di ancora…forse non le era mai stato così vicino prima di quel momento, o forse non aveva mai portato la camicia tanto aperta in sua presenza.
Dovette appellarsi a ogni briciolo di buon senso per resistere alla tentazione di sfiorare la sua pelle cotta dal sole, di affondare le dita fra i suoi capelli.
“Niente, Han” rispose. “Ho solo un po’ di nausea.”
Il ragazzo accennò ad un sorriso impudente. “Sei sicura che sia solo questo?” le chiese. La sua voce si era abbassata di parecchi toni, e questo lo rendeva ancora più seducente. “Non è che ti ha dato fastidio che ho portato Clarisse alla festa?”
“Forse non lo hai ancora capito testa calda, ma la galassia non ruota attorno a te. Tu non sei il centro dell’universo!” Era furiosa con lui perché aveva colto esattamente nel segno, ma anche con se stessa perché non era stata in grado di dissimulare ciò che provava. “Continua pure a…gozzovigliare con la tua amica, questo non è un mio problema.”
Han sorrise della sua scelta linguistica: nessuna persona sana di mente avrebbe utilizzato gozzovigliare nel XXI secolo.
“Leia, io…” Le sfiorò il braccio con la punta delle dita, ma fu un attimo prima che lei lo scacciò via in malo modo.
“Non mi toccare, Han” sibilò a denti stretti. “Tu mi disgusti, mi fai schifo. Mi fa schifo il modo in cui tratti le ragazza, solo per il tuo divertimento, e mi fa schifo il fatto che tu non abbia ritegno a provarci anche con me, soprattutto dopo tutto il male che mi hai fatto.”
Girò i tacchi e corse via prima che Han potesse avere anche solo il tempo di elaborare una risposta adeguata al suo tono. Il ragazzo rimase a guardarla allibito, incredulo, mentre lei diventava un’ombra sempre più sfocata nell’oscurità della notte.

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NOTE DELL'AUTRICE
Salve a tutti e innanzitutto grazie di aver letto la mia storia. Di solito non scrivo mai note a margine delle storie che pubblico, ma stavolta mi sembrava un'azione doverosa, se non altro per motivare questo capitolo che avete appena letto. Per una volta ho voluto abbandonare scenari apocalittici e campi di battaglia e trasferire i protagonisti della saga che più adoro in un piccolo (e generico) paesino di provincia, come quello in cui vivo io; li ho voluti immaginare - per una volta - alle prese con problemi e scaramucce tipici della loro giovane età, e non con distruzioni di pianeti e battaglie con il Lato Oscuro. Spero non mi fraintendiate, io AMO la saga di Star Wars e non la vorrei diversa da come è, ma mi sono divertita a fare questo piccolo "esperimento" e spero che la cosa piaccia anche a voi. 
A presto (spero) con un nuovo capitolo e...che la Forza sia con voi!
Sabrina

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


          Capitolo II
Han Solo ribolliva di rabbia.
Non voleva ammetterlo, eppure le parole che gli aveva detto Leia lo avevano ferito a sangue. Lei lo disprezzava, lo detestava…non aveva capito che il motivo per cui lui era così bastardo era che si era irrimediabilmente, irreparabilmente innamorato di lei. Gli era bastato un attimo per capire che quella ragazzina arrivata da Alderaan, quella forestiera, era diversa da qualsiasi altra ragazza avesse mai incontrato: troppo fiera, troppo orgogliosa, troppo idealista…e dannatamente bella, con quei suoi occhiali enormi e quella cascata di capelli corvini. Una bellezza fuori dal comune, aveva pensato sin da subito, di quelle che non si scordano facilmente. E infatti, dal loro primo incontro non era più riuscito a togliersela dalla testa, e passare da una ragazza ad un’altra non lo aveva affatto aiutato a dimenticarla, semmai lo aveva fatto sentire solo più in colpa. Era assurdo, e ridicolo visto che non stavano insieme, ma ogni volta gli sembrava di tradirla, di commettere un peccato stando con qualcun’altra, anche se – in effetti – lo faceva solo per non pensare continuamente a lei. Tutte le altre avevano anche popolato il suo letto, ma solo Leia popolava i suoi sogni.
Era ben consapevole del fatto che non erano fatti per stare insieme – una ragazza di così buona famiglia e un delinquente squattrinato come lui. Per questo motivo, per eliminare ogni possibilità di una relazione fra di loro, non aveva fatto altro che deriderla, prenderla in giro, offenderla: non voleva che apparisse chiaro e lampante che lei gli piaceva, e che lui non poteva più fare a meno di lei. C’era anche da dire che una parte di lui si divertiva a farla arrabbiare, a vedere le sue guance colorate di rosso porpora e i suoi occhi infuocati; quando era furiosa dava il meglio del suo repertorio linguistico, inventando offese ed insulti solo per le sue orecchie, senza tuttavia essere mai volgare o scurrile. Il fatto che solo lui scatenava questo tipo di reazioni in lei un po’ lo inorgogliva.
 
Ma ora l’elastico fra di loro, teso fino all’estremo, si era irrimediabilmente rotto. Il loro ultimo scontro gli aveva fatto capire che aveva passato il segno, che le cose non si sarebbero più aggiustate. Gli era parso, dal modo in cui Leia aveva iniziato a trattarlo negli ultimi tempi, che forse era attratta da lui, e perciò portare Clarisse alla festa gli era sembrata una buona idea, quella piccola spinta che le serviva per ammettere che in fondo lui le piaceva. Evidentemente si era solo illuso, viste le parole con le quali lo aveva offeso senza pietà.
 
Ma ormai non c’era più nulla da fare. Ora voleva solo continuare a correre sulla sua motocicletta fino all’alba, finché il serbatoio del carburante non si fosse svuotato.
E poi, sperava di avere ancora in casa quella bottiglia di whiskey con la quale sbronzarsi e tentare di dimenticare – almeno per un po’ – lo sguardo pieno d’odio con cui Leia gli aveva trafitto l’anima.

*****
Leia non riusciva più a smettere di piangere.
Appena tornata a casa era corsa subito nella sua stanza, continuando a dire di non sentirsi bene, e si era schiantata nel materasso senza trovare pace. Singhiozzava rumorosamente con la faccia schiacciata contro il cuscino, sperando che gli zii non la sentissero, e che Luke non arrivasse da un momento all’altro ad invadere la sua solitudine.
Era incredibile quanto Han riuscisse ad andare a fondo nella sua anima, a toccare tasti che nessuno aveva mai toccato prima, e a scatenare in lei reazioni estreme, violente, come quella di adesso. La sua parte razionale continuava a ripeterle che aveva tutte le ragioni del mondo per odiarlo e che non doveva provare alcun risentimento per ciò che gli aveva vomitato addosso poco prima. Ma il suo cuore invece le suggeriva qualcos’altro: era pentita di ciò che gli aveva detto, di quella reazione esagerata per una sciocchezza del genere…in fondo, lui non si meritava di essere trattato così perché, nonostante tutto, non le aveva mai fatto davvero del male. Certo, la prendeva continuamente in giro, e le attribuiva nomignoli improponibili, ma non si era mai azzardato ad offenderla davvero; aveva sempre rispettato i suoi spazi, i suoi ideali e i suoi principi (anche se non ne condivideva molti di essi); non si era mai azzardato a toccarla, a provarci davvero con lei, aldilà di quello che lei gli aveva detto stasera; ma, soprattutto, non l’aveva mai fatta sentire diversa dalle altre, estranea alla realtà di Tatooine, come avevano fatto invece molti dei suoi compagni di scuola.
 
Quando lei e Luke avevano computo 18 anni, l’inverno passato, Han aveva comprato ad entrambi – malgrado le sue perenni ristrettezze economiche – dei regali molto costosi, decisamente troppo per una semplice conoscenza: a lei aveva regalato un braccialetto d’argento con tanti piccoli ciondoli in ambra, la sua pietra preferita. Quel braccialetto lo portava ancora adesso con sé, e con il tempo era diventato una specie di amuleto portafortuna. Alla loro festa poi, lui le aveva chiesto l’onore di un ballo: all’inizio le era sembrata una richiesta sbruffona e goliardica, solo per vantarsi di aver ballato – fra le tante ragazze – anche con la mocciosa “alderaaniana troppo interessata allo studio per farsi anche una vita” (come l’aveva definita una sua malvagia compagna di classe) ma, quando lui l’aveva stretta fra le braccia in modo così delicato e le aveva fatto poggiare la testa sulla propria spalla, aveva perso ogni contatto con la realtà assaporando per un attimo la felicità più pura. In quell’occasione Han si era dimostrato il ragazzo più gentile e dolce di tutto l’universo, regalandole un momento magico, salvo poi tornare il giorno dopo alle normali ostilità, come se nulla fosse successo.
 
Oltre alla festa, c’erano state altre (rare!) occasioni in cui Han aveva dimostrato di avere anche un cuore oltre ad un ego smisurato e di essere in grado di fare azioni carine. Per esempio, quando si offriva di riaccompagnarla a casa in moto dopo la scuola, quelle volte in cui la incontrava troppo carica di libri e dizionari; o quando qualche volta le comprava la sua pasta preferita alla pasticceria e gliela portava se andava a trovare Luke.
Ogni anno, nell’anniversario della morte dei suoi genitori, le faceva capitare a casa una rosa bianca, per farle sapere che le era vicino e che l’avrebbe ascoltata se avesse voluto parlare con lui – perché, nonostante fossero passati già tre anni, quella ferita nel suo cuore era ancora aperta, e assai lontana dal rimarginarsi. Ecco, su una faccenda delicata come questa Han non si era mai permesso di prenderla in giro né di fare commenti: rispettava in silenzio il suo dolore, e metteva a disposizione la propria spalla sulla quale poter piangere senza remore.
 
Non si poteva dire che non la rispettasse, a suo modo. Potevano considerarsi amici almeno: anche se passavano la maggior parte del loro tempo a litigare, fra di loro vigeva una specie di accordo di mutuo rispetto, che nessuno aveva mai violato – almeno fino a stasera. Non voleva pensarci, ma si rendeva conto che gli doveva delle scuse, e anche belle grosse, per quello che era stata in grado di dirgli: Han non si meritava di essere trattato così, dopo tutto quello che aveva fatto e che continuava a fare per lei.
La sua vita sentimentale non era un suo affare, e doveva restare fuori dalla loro amicizia.
Sperava solo di riuscire a trovare le parole adatte per chiedergli scusa e, soprattutto, sperava che lui potesse perdonarla.
 
Sentì i passi di Luke su per le scale e si diede un contegno, fingendosi addormentata. Non aveva voglia di chiacchierare con suo fratello adesso…l’indomani ci sarebbe stato tutto il tempo per confrontarsi.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


          Capitolo III
“Glielo hai detto davvero?!” esclamò Winter.
Leia si limitò ad annuire sconsolata.
Lei, Winter e Jyn se ne stavano sedute a terra nella sua stanza, passandosi una bottiglia di birra di mano in mano; i cartoni della pizza ormai vuoti stavano ammonticchiati nell’angolo vicino alla porta. Quella era l’ultima sera che Winter avrebbe trascorso a casa sua, prima di fare ritorno ad Alderaan, e avevano pensato bene di organizzare una maratona di serie TV strappalacrime – con pizze e birre – a cui aveva voluto partecipare anche Jyn. Ma, ora che la visione era terminata (e le pizze pure), rimaneva solo un’ultima birretta a fare compagnia alle confidenze delle tre ragazze.
“Non so cosa mi abbia preso” continuò Leia, passando la birra a Jyn. “Quando mi ha fatto il nome di quella Clarisse…non ci ho visto più!”
Ovviamente stavano parlando di Han Solo, il loro argomento di conversazione preferito. Leia aveva confessato alle due amiche cosa era successo la sera prima al falò. Dopo il loro ultimo incontro, era rimasta chiusa in casa per tutto il giorno pur di evitare di incontrarlo.
Jyn intanto si era scolata l’ultimo sorso di birra. “Non ti è mai passato per la mente che forse Han si comporta così perché gli piaci?”
“Ma sei completamente impazzita?!” rispose Leia, arrossendo tutta. “Non è possibile.”
“Io invece sono d’accordo con Jyn” disse Winter. “Credo proprio che lui sia cotto di te.”
“Io non credo proprio. In fondo, è solo un bastardo sbruffone che ama mettersi in mostra con le ragazze. Io non sono diversa dalle altre” replicò Leia, anche se sapeva che non era vero. Per mettere in difficoltà le sue amiche, aggiunse: “E comunque – se è vero che gli piaccio così tanto – perché non si fa semplicemente avanti?”
Winter sbuffò. “È proprio questo il punto, Leia! Non vuole far vedere di essere attratto da te…per questo si mette con altre ragazze, e per questo ti prende continuamente in giro. Tu non sai come ti guarda quando tu non te ne accorgi…”
“No, non lo so” rispose la ragazza. “Illuminami.”
“Come se tu fossi il suo dolce preferito, o l’unica ragazza sulla faccia della terra…Accidenti! Non te lo so spiegare ma – credimi – è così. Vero Jyn?”
“Verissimo. Soltanto un cieco non se ne accorgerebbe.”
Leia non era ancora convinta. “E perché non vuole far vedere che gli piaccio?”
“Devi sapere, cara Leia, che gli uomini sono degli idioti. Tutti, nessuno escluso” spiegò Jyn. “La Bibbia dice che Dio tolse una costola all’uomo e vi creò la donna? Io invece credo che gli abbia tolto il cervello, altrimenti non si spiegherebbe perché l’uomo è tanto imbecille e la donna tanto intelligente!”
Le tre amiche risero di gusto per quell’assurda teoria, mentre ciascuna di loro ripensava ad esemplari maschi particolarmente idioti incontrati sul proprio cammino.
Jyn continuò: “Anche Cassian non fa eccezione. Prima di metterci insieme si comportava in modo stranissimo, totalmente privo di senso.”
“E cioè? Che faceva?” chiese curiosa Winter.
“Ha passato cinque mesi buoni senza neanche salutarmi. Ogni volta che ci incrociavamo nel cortile, all’intervallo, mi fissava senza dire niente, e a me questa cosa infastidiva parecchio. Ci eravamo incontrati un sacco di volte a casa di Bodhi Rock – quel ragazzo che si è diplomato con lui due anni fa e che ora studia informatica…te lo ricordi? Ci avevano anche presentati, e nonostante questo lui continuava a far finta di non conoscermi: se ero io a salutarlo, mi salutava anche lui, altrimenti rimaneva a guardarmi come uno stoccafisso.”
Leia si ricordava bene di quel periodo, e di quanto quel ragazzo avesse fatto penare la sua compagna, prima di dichiararsi: Jyn per poco non usciva di testa – letteralmente. All’epoca aveva ritenuto Cassian un ragazzo particolarmente stupido e ridicolo a comportarsi così con la ragazza che gli piaceva, ma ora Han non era diverso da lui – ammesso che fosse davvero interessato a lei, come sostenevano le sue amiche.
“E poi che hai fatto?” la incalzò Winter.
“Un giorno l’ho fermato e l’ho affrontato di petto. Gli ho chiesto quale fosse il problema con me, se gli avessi fatto qualcosa di male, oppure se si vergognasse di farsi vedere con una ragazza più piccola.”
“E lui?”
“Mi ha detto che si teneva alla larga da me perché io gli piacevo, ma temeva che con il mio caratterino lo avrei spedito sulla Luna ad una sua dichiarazione.”
Winter era sempre più incredula. “Sul serio ti ha detto questo?”
Jyn annuì con convinzione. “Aveva paura di me, della mia reazione, per questo non riusciva a farsi avanti.”
“E quindi continuava a fare la figura dell’idiota” aggiunse Leia.
“Esatto. Questo è per dirti, Leia, che quasi mai ciò che fanno i maschi corrisponde a quello che vogliono veramente. Sono fatti così…sono fatti male! La colpa è solo nostra che continuiamo ad innamorarci di loro.”
“Tornando un attimo al mio problema” disse Leia. “Cosa pensate che dovrei fare? Andare da lui ed estorcergli la verità – sotto tortura, magari?”
“Sarebbe un’idea niente male” fece Jyn “Ma non credo che sia il caso di essere così drastici.”
“Perché semplicemente non vai da lui domani, in officina, a parlargli in modo civile?” propose Winter.
“Non lo so…mi vergogno di affrontarlo, dopo il modo in cui ci siamo lasciati e dopo quello che gli ho detto.”
“Ma non puoi lasciare le cose come stanno per sempre” rispose l’amica. “Dovrai parlare con lui – prima o poi.”
“Lo so. E so anche che devo chiedergli scusa, ma non sono sicura che riuscirò a trovare le parole adatte quando mi troverò faccia a faccia con lui.”
“Segui il tuo istinto” consigliò Jyn sorridendo. “Di solito con me funziona sempre.”
Anche Winter sorrise. “E poi – ovviamente – ci racconterai tutto nei minimi dettagli!”

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


          Capitolo IV
Il giorno dopo – come promesso alle sue amiche – Leia era andata in officina a parlare con Han. Tuttavia, ora che si trovava lì fuori, le erano venuti meno il coraggio e la voglia, nonostante avesse pensato e ripensato tutta la notte a cosa dovergli dire. Continuava a fissare l’officina attraverso la porta aperta, osservando Han alle prese con un motore sventrato sull’ampio tavolo da lavoro. Non le ci volle molto a capire che era un fascio di nervi, un candelotto di dinamite che non aspettava altro che una scintilla per esplodere, a giudicare dai suoi movimenti bruschi e da come sbatteva a terra ogni oggetto che non gli serviva più.
Se si era accorto della sua presenza, non lo dava a vedere, continuando a lavorare come se non ci fosse nessuno oltre a lui. Aveva tutte le ragioni per avercela con lei – ma questo suo atteggiamento così ostile la metteva ancora più in difficoltà di quanto non fosse già. Finalmente, fece un respiro profondo e si decise ad entrare.
“Han?” lo chiamò.
“Sì, principessa?” Han non si scompose minimamente. Non interruppe il suo lavoro – continuando a stringere il bullone con la chiave inglese – e non la degnò neppure di uno sguardo, eppure sembrava che la stesse aspettando.
Di fronte al lungo silenzio di lei, sollevò la testa dal motore per guardarla e nei suoi occhi Leia vi poté leggere chiaramente la rabbia che stava provando in quel momento. Tuttavia non perse la propria compostezza e continuò. “Posso fare qualcosa per te?”
“Io…sono venuta a chiederti scusa” disse Leia. “Per quello che è successo al falò, intendo.”
“E perché mai?” replicò caustico il giovane, gettando l’arnese sul tavolo e prendendo uno straccio per pulirsi le mani sporche di grasso. “Nessuna ragazza era mai stata tanto sincera e schietta con me prima d’ora.”
“Han, io non…”
“Non c’è niente da dire. Sei stata fin troppo chiara l’altra sera.” Han era davvero furioso con lei ma, soprattutto, era arrabbiato con se stesso, per come era riuscito a farsi odiare tanto: se era arrivata a detestarlo fino a quel punto, era tutto merito del suo modo di fare arrogante e strafottente che l’aveva logorata fin nel midollo.
“Non volevo dire quello che ho detto, Han.”
“No? E allora perché lo hai detto?” mormorò il ragazzo a denti stretti.
Leia sbuffò frustrata. Questa conversazione era iniziata male, e stava andando peggio ogni momento che passava. “Ero arrabbiata con te, per il modo in cui mi tratti. Tu sei sempre così…così…” Non aveva neanche le parole per descrivere ciò che di lui la faceva soffrire così tanto.
“Io?!” disse Han quasi gridando, puntandosi un dito contro il petto. “Cosa sarei esattamente?”
“Sei un presuntuoso, egocentrico, cafone!” esclamò Leia, con la lingua ormai del tutto fuori controllo. Era ricaduta nell’ira, cosa che si era ripromessa di non fare: era venuta per chiedere scusa, e invece aveva finito con il peggiorare ulteriormente la situazione. “Credi che basti sfoderare il tuo fascino perché tutti cadano ai tuoi piedi, e sei così sicuro di te da non renderti conto che ci sono persone alle quali non piaci affatto.” Questo non era del tutto vero: lui le piaceva – e parecchio anche – ma vi aveva rinunciato tanto tempo fa, quando si era rassegnata all’idea che lui non l’avrebbe mai presa in considerazione, che non le avrebbe mai fatto la corte come faceva con le altre.
“D’accordo, niente da dire” disse Han. “Non devi più sentirti in difficoltà, non per me almeno. Tanto sto per andarmene.”
“Come stai per andartene?! Che cosa vuol dire?” chiese Leia scioccata. Questo era del tutto inaspettato.
“Hai capito bene, principessa. Tra una settimana levo le tende e sparirò per sempre dalla tua vita” confermò Han. “Ho solo bisogno di qualche altro giorno per fare le valigie e chiudere qualche faccenda, ma è definitivo.”
Leia era sconcertata. Han non poteva andare via di punto in bianco. “Dove andrai?”
“Questo ancora non lo so, ma non temere, sarà lontano anni luce da qui.”
“È per colpa mia?” azzardò la ragazza.
“Non fartene una colpa, bambola. È bello cambiare, a volte. E poi non ho nulla che mi lega a questo orrendo paesino.” Non più, per lo meno. Quando era arrivato a Tatooine, quattro anni prima, non aveva mai avuto intenzione di restare: una città troppo piccola e troppo noiosa per il suo stile di vita ribelle e sregolato, una specie di prigione. Poi però, piano piano, aveva finito con l’abituarsi a quella monotonia di provincia, e si era affezionato alle persone del paese. Aveva trovato degli amici, e aveva provato a costruirsi la famiglia che non aveva mai avuto. Ma ora la situazione era ad un punto di non ritorno: era arrivato ai ferri corti con Leia, e non ce la faceva più a restare.
Prese in mano il saldatore e si infilò la maschera protettiva. “Spostati” le disse sprezzante. “Non vorrei avere sulla coscienza qualche bruciatura sulla tua delicatissima pelle.”
Per lunghi istanti la loro conversazione fu interrotta dal rumore del saldatore in funzione: l’aria si riempì di scintille dorate e si impregnò di fumo acre, mentre Han cercava in questo modo di sbollire la propria rabbia nei confronti dell’universo intero.
Quando spense l’attrezzo e si tolse la maschera, si voltò ancora una volta verso la ragazza – solo per scoprirne la sua significativa assenza. Era scappata via senza dire nulla, senza neanche salutarlo.
Han diede un pugno sul tavolo, così forte che per poco non lo fece ribaltare. Poteva percepire distintamente la bile salirgli su, alla bocca dello stomaco. E faceva molto male.
Si avvicinò al banchetto del telefono, dove teneva appoggiate le proprie cose, per prendersi una sigaretta. Sotto il pacchetto semivuoto delle Marlboro notò un post-it giallo, di quelli che Jabba usava per prendere appunti sui clienti. Ma non era la scrittura del suo capo, era quella di Leia. Con molta cautela prese il foglietto in mano, e lesse cosa c’era scritto:

 
Addio Han.
Spero che tu possa trovare la tua strada, come hai sempre fatto. Mi dispiace che non ci siamo mai capiti davvero.

L.

 

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NOTE DELL'AUTRICE
Salve a tutti e grazie di aver letto questa storia fino a questo punto. Questo capitolo - un pochino angst - rappresenta il momento di massimo Spannung della storia ed era necessario per alcuni "sviluppi" che seguiranno nei capitoli successivi ;-)
Mi sono, ovviamente, liberamente ispirata al V episodio, al fatto che Han di punto in bianco (più o meno) decida di andarsene e di p
iantare in asso la bella principessa - anche se qua le ragioni (e gli esiti) sono completamente diversi.
Spero che la storia vi stia piacendo!
A presto,
Sabrina

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


          Capitolo V
“Si può sapere perché hai deciso di andare via di punto in bianco?” chiese Luke al suo cocciuto amico, il quale continuava a far roteare il ghiaccio nel proprio gin con un nervoso movimento di polso.
Si trovavano al Mos Eisley, il bar gestito da Lando. A quell’ora era sempre terribilmente affollato – pieno di gente che, uscita dal lavoro, si andava a divertire con gli amici, o di cuori solitari – come Han – che finivano lì con l’intento di perdere il contatto con la realtà grazie ad una buona dose di alcol.
 
Lando, da oste efficiente ed affabile quale era, conosceva bene le esigenze dei suoi clienti e cercava di soddisfarle al meglio che poteva: sapeva esattamente quando Han aveva bisogno di essere lasciato da cuocere nel proprio brodo, e in quelle occasioni – non importava quanto il bar fosse affollato – gli faceva sempre trovare libero il suo tavolino e gli metteva a disposizione gli alcolici più forti che aveva.
Tuttavia Lando non era il solo a conoscere nel dettaglio le abitudini del giovane meccanico: anche Luke sapeva che lo avrebbe trovato lì, al suo tavolo, ogni qualvolta le cose non andavano come voleva – come ora. Quando Leia era tornata dall’officina in lacrime, senza proferire parola, e si era chiusa nella sua stanza, suo fratello aveva subito intuito che era successo qualcosa di grave fra lei e Han. E adesso – a giudicare dalle condizioni in cui versava il suo amico nonché dalla quantità di alcol che aveva già in corpo – capì che la sua intuizione era giusta.
Quei due erano stati sin dall’inizio una coppia esplosiva: ogni volta che erano vicini erano scintille e, più si avvicinavano, e con maggiore forza si respingevano. Eppure non era mai successo, che lui ricordasse, nulla di così estremo da farli star male entrambi ed in modo così manifesto. Leia era sua sorella, e Han uno dei suoi più cari amici: voleva bene ad entrambi e l’unica cosa che desiderava era di vederli sereni e felici – possibilmente insieme, come era giusto che fosse e come era chiaro a tutti che dovesse essere, tranne che a loro. E poi, dopo tutto quello che aveva dovuto subire dopo la morte dei loro genitori, Leia meritava di essere felice, e Luke era convinto che con Han poteva finalmente esserlo.
“Perché è meglio così, ragazzo” rispose Han. “Credimi, è meglio per tutti.”
Luke scosse la testa paziente. “Cosa è successo con Leia?” chiese. Voleva andare dritto alla questione, senza troppi giri di parole.
“Chi ti dice che tua sorella c’entri qualcosa con questo fatto?!”
“Han…conosco Leia da quando è nata. So che sta soffrendo molto, e so che è per qualcosa che è successo fra te e lei.”
“Non è colpa mia!” si difese Han.
“Non sto dicendo questo.”
Han sbuffò stravaccandosi sulla sedia. La calma giobbica del ragazzino lo innervosiva profondamente. “Tua sorella mi odia.”
“Questo non è vero” rispose Luke.
Anche quella saccenza e quella saggezza che lui ostentava tanto mandavano Han letteralmente in bestia: Luke era solo un ragazzino, eppure si credeva già un adulto e autorizzato a ficcare il naso in faccende che non lo riguardavano affatto. “Me lo ha detto chiaramente.”
Luke inarcò un sopracciglio. “Quante volte hai detto cose che non pensavi davvero? Lei non ti odia affatto, anzi.” Si avvicinò a lui, gli prese il bicchiere ormai vuoto dalle mani e lo posò sul tavolino. “Tu le piaci, te lo posso assicurare.”
Han fece una smorfia che Luke non fu in grado di decifrare. Il suo volto si infiammò di colpo, e non fu a causa dell’alcol. “Ha uno strano modo di dimostrarlo, però.”
Luke avrebbe voluto dirgli che lui non aveva saputo fare meglio di lei, in tutti quegli anni passati a prenderla in giro, ma si trattenne: doveva cercare di prenderlo con le buone, se voleva risolvere quella situazione spinosa. “Può darsi” rispose. “Questo non vuol dire che non sia vero.”
“Ammettiamo che sia vero” concesse Han. Visto che il suo amico gli aveva sottratto il bicchiere, prese a bare il gin direttamente dalla bottiglia. “Cosa pensi che debba fare?”
“Non lo so. Forse dovresti mettere bene in chiaro le cose” suggerì. “E andare via non è un buon modo per farlo. Perché non vai da lei e le parli in modo onesto e sincero?”
“Io da lei!? Non se ne parla proprio!” Il ricordo dei loro ultimi scontri era ancora troppo vivido per concedergli tregua – e poi, non era il tipo che andava a implorare il perdono delle ragazze che aveva portato all’esasperazione…il suo orgoglio non glielo avrebbe permesso.
Per quanto si era preparato psicologicamente a mantenere la calma, qualunque cosa fosse successa, Luke stava davvero iniziando a perdere la pazienza. Fece allora appello al suo istinto di fratello, che si era esponenzialmente sviluppato dalla morte dei loro genitori. “Come non detto” sbottò, alzandosi in piedi e facendo per andarsene. Non voleva restare seduto a qual tavolo un minuto di più, a fare i conti con quel tonto che non voleva semplicemente aprire gli occhi e affrontare la realtà. “Fai come vuoi. Forse, dopotutto, è meglio che tu te ne vada…almeno Leia si metterà l’animo in pace e smetterà di soffrire.”
Han lo afferrò per un braccio e lo costrinse a sedersi di nuovo. “Aspetta un momento, Luke. Tu non sai come stanno le cose.”
“E allora dimmelo tu!”
“Io la amo. Me ne sono innamorato il primo giorno che l’ho vista, e non sono riuscito ancora ad accettare l’idea di non poter stare con lei.” Sospirò, prima di continuare. “So di non meritarmela, di non essere alla sua altezza, ma non posso farci niente…non faccio altro che pensare a lei, me la sogno tutte le notti.” E molti dei suoi sogni non erano esattamente innocenti, anzi spesso mettevano allo scoperto pulsioni e voglie così intense che al mattino si svegliava profondamente inquieto, eccitato, smanioso…a volte credeva di essere sull’orlo di una crisi di nervi, e di non sapere come uscirne. Il motivo per cui aveva rotto con Clarisse, solo un paio di giorni prima, era proprio perché l’aveva chiamata col nome di Leia mentre erano a letto insieme: lei gli aveva mollato un ceffone seduta stante ed era fuggita via in lacrime mezza svestita, vomitandogli addosso ogni genere di cattiveria e lasciandolo ai morsi feroci della propria coscienza. Non c’è cosa più brutta – gli aveva detto piangendo – di essere chiamata con il nome di un’altra mentre si sta facendo l’amore. Quello era stato per Han il punto di non ritorno, ed avere la consapevolezza di non poter realizzare le proprie fantasie – sessuali e non – non gli lasciava altra scelta che tagliare la corda ed andar via il più lontano possibile.  
Luke sorrise sotto il baffo. Era esattamente quello che voleva sentirsi dire. “E perché non te la meriteresti? Non credi che sia giusto che decida da sola ciò che è meglio per lei? So che è ancora piccola rispetto a te, ma è una ragazza intelligente.”
“Non lo metto in dubbio.” Anzi, era proprio questo il più grande ostacolo che si poneva di fronte a lui. “Una ragazza come lei, così intelligente, seria, perbene, e un tipo come me…non possiamo stare insieme.”
“Han, non credere che non ti conosca” disse Luke scuotendo la testa. “So come appari, ma so anche quello che sei veramente…sei un bravo ragazzo, in fondo. E, soprattutto, so che non faresti mai del male a Leia, e che la rispetteresti davvero.” Sorrise convinto. “Se ti può consolare, hai la mia approvazione.”
Per un attimo si fissarono senza dire nulla, finché Han non proruppe in una fragorosa risata, così forte che qualcuno nel locale – nonostante tutto il frastuono – si girò a guardarli con sospetto. “Ragazzo, io sono abituato a prendermi quello che voglio senza chiedere a nessuno…non ho bisogno della tua approvazione!” In cuor suo tuttavia era contento e sollevato del sostegno di Luke: era uno dei pochi amici che aveva e gli sarebbe dispiaciuto se il loro rapporto si fosse incrinato a causa del suo interesse per Leia.
“Secondo te ho qualche chance?” chiese sottovoce, con lo sguardo fisso sul tavolino.
Luke sorrise con l’aria di chi la sa lunga, e propose: “Vogliamo scommettere?”

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NOTE DELL'AUTRICE
Salve a tutti, e grazie mille per le numerose recensioni che state lasciando a questa storia e che mi riempiono di gioia!!! Come mi ha scritto qualcuno, Han è un vero tontolone, e i nostri protagonisti dovranno penare ancora un po' prima di poter giungere ad una pacifica conclusione (si spera!). Per questo capitolo mi sono ispirata al primo incontro di Luke e Han alla cantina di Mos Eisley (Episodio IV), anche se i toni e gli argomenti sono molto diversi - nonché al primo episodio della saga di Indiana Jones, quando Indy piange la presuna morte della sua amata Marion in compagnia di una bottiglia di alcol (lo so, purtroppo Indy e Han si sovrappongono nella mia testa, come fossero fratelli gemelli, anche se appartengono a universi diversissimi...)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, alla settimana prossima!

Sabrina

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


          Capitolo VI
Quella mattina il caldo era davvero insopportabile. Era come camminare in un forno, che emetteva sbuffi d’aria bollente che investivano chiunque ci passasse dentro.
Leia – pur volendo rimanere a casa, al fresco del suo amato ventilatore – era stata costretta ad uscire per comprare delle cose che servivano a sua zia, che aveva appena messo mano ad un dolce: capitava spesso che zia Beru si cimentasse in cucina – magari preparando una torta o dei pasticcini per la merenda; in effetti lo faceva anche per tenere qualcosa in casa da offrire agli amici di Luke, che si presentavano ad orari improponibili e non rifiutavano mai qualche cosa di buono da mangiare.
Aveva fatto una sudata incredibile, e per comprare solo una bottiglia di latte e poche altre cose. L’unica cosa che la consolava, almeno un po’, era il pensiero di una doccia gelata che avrebbe fatto appena arrivata a casa: dopotutto, se l’era meritata! Era quasi arrivata al portoncino di casa sua e già intenta a cercare le chiavi nella sua borsetta (sempre piena di cianfrusaglie inutili), e non si accorse che c’era qualcuno lì fuori che la stava aspettando.
Quando sollevò lo sguardo dalla borsa, poggiando la busta della spesa a terra, notò che la motocicletta di Han Solo era parcheggiata di sbieco lungo il vialetto, e che il suo proprietario ci era appoggiato accanto – intento ad osservarla con nonchalance. Diverse cicche di sigaretta erano ammucchiate vicino alla sua scarpa, e furono presto raggiunte da un’altra che il ragazzo vi gettò in quel momento: o era lì da parecchio – dedusse Leia – o era parecchio nervoso.
“Ciao, Han” lo salutò. Si sentiva terribilmente disagio, visto il modo infantile in cui era fuggita dall’officina solo il giorno prima. “Se stai cercando Luke, è a casa di Wedge e…”
“Stavo aspettando te” rispose asciutto Han. “Sono venuto a salutarti, perché domani parto.”
Leia non aveva idea di cosa si aspettasse da lei...non si erano già detti addio? “E allora?” disse di getto, ma si pentì subito di quella risposta tanto fredda e distaccata che le era uscita di getto, come forma di quell’autodifesa che aveva imparato ad usare in sua presenza. L’espressione ferita che per un attimo aveva intravisto sul volto di Han, prima che venisse subito tramutata in una di rabbia pura, le fece mettere in discussione tutte le sue certezze. L’unica cosa che voleva davvero dirgli era di non partire, ma sapeva che era troppo tardi, e che sarebbe stato inutile dirlo adesso. Avrebbe dovuto pensarci prima.
“E allora…niente” balbettò il ragazzo. “Addio, principessa. È stato un piacere conoscerti.” Prese il casco che era appoggiato al sellino e fece per indossarlo, deciso a non voltarsi più indietro, poi scosse la testa e lo rimise a posto. La guardò negli occhi e facendo un passo verso di lei: stava per andare via e non aveva più nulla da perdere ormai, forse avrebbe fatto bene a seguire il consiglio di Luke e a farsi avanti.
Era davvero molto bella, nonostante i capelli scombinati e l’aria afflitta dalla calura. Non sarebbe riuscito a scordarsela facilmente.
“Cosa succederebbe se ti baciassi?” chiese sottovoce, allungando le dita sul suo volto ed accompagnando una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio. La sua bocca rossa e carnosa era dannatamente invitante, specie adesso.
“Cosa?!”
“Tu mi piaci, Leia.”
La ragazza era troppo scioccata dalle sue parole per riuscire a capirne il senso. Han provava attrazione per lei? Non credeva che una cosa del genere fosse davvero possibile, doveva per forza aver capito male. “Che vuol dire? Perché non me lo hai detto prima?”
“Te lo sto dicendo adesso.” Non sapeva come fosse venuto finalmente a quell’ammissione davanti a lei, ma in fondo era contento di averlo fatto. Già si sentiva più leggero, e il suo stomaco iniziava a provare un leggero sollievo dopo tanti giorni passati a contorcersi. “Tu mi piaci, e non posso più restare qui sapendo che mi odi. Per questo ho deciso di andare via – quanto più lontano è possibile.”
“Non possiamo prima parlarne un attimo?” chiese Leia con un filo di voce. La sua dichiarazione così improvvisa l’aveva destabilizzata.
Han le prese il volto con entrambe le mani e sentì che tremava tutta mentre appoggiava delicatamente le labbra sulle sue per un momento che gli apparve lungo come l’eternità. Aveva sognato, desiderato, immaginato quell’istante migliaia di volte – eppure la sua fervida immaginazione non aveva dato giustizia alla realtà che si stava finalmente materializzando: le sue labbra morbide e dolci, il suo inebriante profumo, il suo corpo giovane e snello premuto contro il suo…il cuore gli batteva così forte che a momenti sentiva di svenire. Inutile dire che non aveva mai provato una sensazione tanto acuta, un’emozione tanto forte baciando una ragazza: era come essere tornato di nuovo al suo primo bacio, una vita fa – e neanche, perché quello lo aveva dato ad una ragazza più grande che neanche gli piaceva e per scommessa, non per amore.
Non lo avrebbe interrotto, se le mani di Leia non avessero premuto debolmente contro il suo petto, come a volerlo allontanare. Si staccò da lei, continuando a mantenerle il viso fra le mani, per osservare la sua reazione: quasi non stava respirando, le pupille erano dilatate al massimo, e le guance erano diventate rosso porpora. Quella di baciarla non era stata affatto una buona idea – si rese subito conto.
“Scusami” disse. “Non dovevo farlo.” Lasciò cadere le mani lungo il corpo e fece qualche passo indietro. Riprese in mano il casco, stavolta davvero intenzionato ad andare via.
“Non dovevo…davvero” ripeté debolmente. “Addio, Leia.”
Leia era ancora sopraffatta dall’intensità di quel bacio per poter formulare qualche pensiero coerente: era come se il suo cervello si fosse spento, fosse andato in blackout nel momento in cui le sue labbra avevano sfiorato quelle di lui. Non si aspettava quel bacio, non adesso almeno, e non si aspettava che sarebbe stato tanto intenso – delicato e devastante allo stesso tempo: Han Solo non le era mai sembrato un tipo che sapeva cosa fosse la dolcezza, e l’aveva sorpresa quel bacio così casto e innocente. Non sapeva se riusciva a fidarsi di lui, di quegli occhi malinconici, di quella voce che ora era gentile ma che l’aveva offesa più di una volta, di quelle mani che avevano toccato tante altre prima di lei. Ma, soprattutto, non sapeva se sarebbe riuscita ad abbandonarsi ad un’altra persona, dopo che aveva già sofferto tanto: spezzarsi il cuore le avrebbe causato troppo dolore, che forse non sarebbe stata in grado di sopportare. Le venne in mente una cosa che le diceva spesso sua madre, per consolarla quando le sembrava di aver preso una decisione sbagliata: meglio vivere e poi pentirsi che avere il rimorso di non aver vissuto. Quelle parole furono per lei come un’epifania, e tutt’a un tratto le fu tutto più chiaro. “Aspetta, Han” lo chiamò, sfiorandogli la spalla con la punta delle dita. Ora o mai più – si disse per farsi coraggio. “Che cosa succederebbe se io ti chiedessi di restare?”
Han ci impiegò qualche istante per capire ciò che le sue orecchie avevano udito. Lasciò il casco e lentamente si girò verso di lei. Guardò il suo timido sorriso e le sorrise a sua volta – impudente come al solito. “Forse potrei restare ancora un po’” rispose “ma solo perché saresti tu a chiederlo.”
La accarezzò sulla guancia, muovendo più volte il pollice sulla sua pelle ancora arrossata, poi l’attirò a sé e la baciò di nuovo, muovendo piano le labbra sulle sue: non voleva spaventarla, in fondo era poco più che una bambina e si percepiva chiaramente che non aveva mai baciato un ragazzo, ma non sarebbe riuscito a resistere ancora al suo sapore – soprattutto ora che lei gli aveva chiesto esplicitamente di restare, ammettendo di fatto che provava qualcosa per lui. Lasciò scivolare una mano lungo il suo corpo ma tenne l’altra sulla sua guancia, per guidarla e per non lasciarla scappare via.
Leia chiuse gli occhi e si lasciò gradualmente andare, persa nella tempesta di sensazioni che quel ragazzo stava provocando in lei: lo attirò più vicino e affondò le dita nei suoi capelli – una cosa che in cuor suo aveva desiderato fare dal primo momento in cui l’aveva visto, ma che la sua razionalità le aveva sempre impedito. Senza fretta aprì la bocca, rispondendo tacitamente alla sua richiesta di permesso e lasciando che la sua lingua facesse capolino dentro la sua bocca: in fondo, lui aveva molta più tecnica e più esperienza in questo campo e sapeva come prendere il controllo della situazione. Stava iniziando davvero a godere di quel bacio appassionato, delle sue mani su di lei, quando Han inaspettatamente si staccò da lei pur tenendola stretta nel suo abbraccio, schiacciando la fronte contro la sua e respirando affannosamente. “Se io restassi, credi che potremmo provare a stare insieme?” le chiese quando ebbe ripreso fiato.
“Non lo so” rispose Leia sorridendo. “Questo dipenderà da te, testa calda.”
Risero entrambi, più che altro per sciogliere la tensione che si era creata fra di loro. Avevano passato tre anni a fingere di odiarsi, per poi scoprire che erano fatti l’uno per l’altra quando ormai era quasi troppo tardi.
Han le sfiorò ancora le labbra con un bacio. “Ti potrei stupire, ma sono un uomo perbene.”
“Non credo proprio” fece Leia. Lo abbracciò stretto, ubriacandosi dell’odore pungente del tabacco e di quel profumo che era inconfondibilmente suo.
Han sorrise. “Vedremo, principessa.” Per un momento ripensò a Luke, alla loro chiacchierata del giorno prima e alla scommessa che avevano fatto e che aveva appena perso: avrebbe dovuto sborsare un bel po’ di soldi a quel ragazzino con aria di saputone, perché stavolta ci aveva visto giusto – ma, in effetti, ne era contento. 

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NOTE DELL'AUTRICE
Eccomi qui con un nuovo (sudatissimo) capitolo!
Inutile dire che ho penato per "partorirlo", l'ho scritto e cestinato almeno un migliaio di volte perchè non mi convinceva...ma si sa, il primo bacio è qualcosa su cui tutti hanno grandi aspettative ;-)
Spero davvero che vi piaccia, perché il mio impegno è stato grande :-D
Alla settimana prossima!
Sabrina
P.S.: per gli amanti di Harrison Ford (come me) per la descrizione di questo Han Solo, e in particolare per questo capitolo, mi sono ispirata ad un suo vecchiio film - "Una Strada, Un Amore" (1979): nello specifico, il dettaglio del mucchio di cicche creato nella snervante attesa dell'innamorata :-)

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


          Capitolo VII
Stava in quella vasca da quasi un’ora, eppure Leia non aveva alcuna intenzione di uscirne.
Non faceva altro che pensare e ripensare a quel bacio che c’era appena stato fra lei e Han. Il suo primo bacio era stato esattamente come lo aveva immaginato nei suoi sogni di adolescente romantica, e anzi molto meglio: il ragazzo sul quale aveva fantasticato ininterrottamente negli ultimi tre anni le aveva esplicitamente detto di essere attratto da lei, e questo aveva materializzato in realtà il suo desiderio più profondo. Si sentiva felice, euforica, ed era tutto merito di quelle labbra inaspettatamente dolci e delicate premute contro le sue, le stesse che avevano confessato un’attrazione che aveva sempre creduto impossibile. Han era stato…incredibilmente romantico e carino, niente a che vedere con l’arrogante meccanico che le aveva dato il tormento fin da quando si erano conosciuti.
Ora però mille domande facevano capolino malvagie nella sua mente, turbando la sua languida estasi: cosa sarebbe successo adesso? che avrebbero pensato i loro amici? cosa avrebbe detto zia Beru? sarebbe stata lei – una ragazzina impacciata appena uscita dal liceo – all’altezza delle aspettative di un seduttore navigato come Han?
Da una parte voleva tenersi quanto era appena successo solo per sé, come se raccontarlo a qualcuno avrebbe compromesso l’autenticità dell’esperienza. In fondo, era stato solo un bacio – continuava a ripetersi – poteva anche non significare niente. D’altra parte, però, voleva qualcuno con cui condividere questo segreto e che magari potesse anche darle qualche consiglio.
 
Finalmente si decise ad uscire dal bagno e a chiamare l’unica persona di cui si fidava ciecamente e che le avrebbe sicuramente dato delle dritte – Winter.
“Leia!” esclamò la ragazza appena aprì la comunicazione. “Come stai?”
“Bene…anzi, benissimo” rispose Leia, forse un po’ troppo presto.
Infatti non ci volle molto che Winter intuisse che era successo qualcosa di nuovo e inaspettato nella vita della sua migliore amica. “Mi devi raccontare qualcosa?”
Leia sospirò. Winter la conosceva troppo bene perché le fosse possibile nasconderle qualcosa. “Ho appena baciato Han Solo” confessò tutto d’un fiato.
“E me lo dici così?!”
“Come dovrei dirtelo, scusa?”
“Raccontami tutto per filo e per segno” disse Winter eccitatissima. “Quando è successo?”
“Meno di un’oretta fa, fuori casa mia.”
“E com’è stato?” Fatidica domanda a cui Leia non sapeva ancora dare una risposta.
“Non lo so…stupendo, da togliere il fiato. O almeno credo.”
Dall’altra parte si sentì un sospiro. “Credi o ne sei sicura?”
“Non lo so, Win. Non ho ancora capito che è successo.” Era ancora molto confusa, e poi non sapeva che importanza attribuire a quel bacio: era l’inizio di qualcosa di serio o semplicemente un attimo di distrazione? Solo il tempo avrebbe chiarito la quella situazione.
Cercò di spiegarle con calma cosa era accaduto fra lei e Han, il suo addio e la sua inaspettata dichiarazione, il modo dolce in cui l’aveva accarezzata e l’aveva baciata, la sua timida richiesta di provare a stare insieme.
“Tu che gli hai risposto?”
“Gli ho detto che dipenderà da lui” rispose Leia. “Dovrà guadagnarsi la mia fiducia, Win…non basta essere dannatamente belli e saper baciare da Dio per avere una storia!”
“A me basterebbe questo!”
Risero entrambe, poi Winter disse timidamente: “È speciale come dicono il primo bacio? O è stata una delusione?” Non era mai stata fidanzata, né mai baciata da nessuno. Aveva visto negli anni le sue compagne innamorarsi e fidanzarsi, scoprire i piaceri dell’amore e del sesso, ma a lei non era mai ancora accaduto. Si era sempre giustificata con se stessa dicendosi che non era ancora il momento giusto, che sarebbe arrivato anche per lei il ragazzo che le avrebbe fatto battere il cuore, e che non doveva avere fretta. Ma ogni anno che passava sembrava che il momento per lei non dovesse arrivare mai.
“È speciale…incredibile” disse piano Leia, sfiorandosi le labbra con la punta delle dita e sciogliendosi al dolce ricordo: non lo avrebbe scordato facilmente. “Non esagerano quando dicono che è un’esperienza unica.”
“Sei felice?”
“Sì” rispose sincera. Era felice, perché per la prima volta dalla morte dei suoi genitori si sentiva bene, spensierata, leggera – lei che era stata perennemente triste e depressa e che pensava che non avrebbe mai più ritrovato la gioia di vivere.
“E allora lo sono anch’io con te” disse Winter. “Cosa pensi di fare ora?”
“Non ne ho idea. Non abbiamo parlato del futuro, quindi non lo so. Credi che dovrei dirlo a Luke? In fondo, è un suo amico.”
“Io credo che lo sappia già” rispose la ragazza. “Lei, forse tu non ti rendi conto, ma tutti noi stavamo aspettando questo momento da un sacco di tempo. Doveva succedere prima o poi, era solo questione di tempo. Tu e Han siete fatti per stare insieme, anche un cieco se ne accorgerebbe.”
Leia non era del tutto sicura che questo fosse vero. C’erano troppe differenze fra lei e Han, che sembravano pesare come macigni sul suo cuore. “Tu dici?”
“Sono sicura.”
“E cosa dovrei fare adesso?”
“Ascoltami bene. Per cominciare dovresti mandargli qualche messaggio – ma senza essere oppressiva: magari uno stasera, prima di andare a dormire...per fargli sapere che stai pensando a lui. Hai il suo numero di telefono, vero?”
Leia non era sicura di averlo, ma disse comunque di sì: aldilà del consiglio dell’amica, non era assolutamente intenzionata a bombardare Han di messaggini sdolcinati pieni di cuoricini e a fare così la figura della ragazzina.
“E poi…credo che dovreste organizzarvi per un’uscita romantica” proseguì. “Andate in qualche ristorante carino e cenate insieme…non è difficile in fondo.”
“È di Han Solo che stiamo parlando, non del principe azzurro!”
Winter sbuffò contrariata. “Credi che Han non sia in grado di essere romantico?”
“Credo di no. Non nel senso tradizionale del termine, almeno.”
“E allora cosa vuoi fare?”
“Non lo so…magari aspetto qualche giorno, e vedo lui come si comporta. Altrimenti poi vado a parlargli io. Volendo, posso andare anche all’officina.” Era sempre più convinta che Han non era un ragazzo come gli altri, e che la loro storia – se fosse andata avanti – sarebbe stata tutto tranne che banale. Tutto quello che doveva fare era attendere, e vedere come si sarebbe comportato per poi regolarsi di conseguenza.
Sentì zia Beru che la chiamava dalla cucina: il dolce era pronto.
“Devo lasciarti, la zia mi sta chiamando” disse a Winter.
“Okay, ma fammi sapere come procede. E NON perdere altro tempo, che già ne avete perso parecchio per la vostra stupidità!”

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


          Capitolo VIII
Leia scese dalla macchina di suo fratello, non senza prima avergli dato un bacio, e si incamminò nel vicoletto. Quella mattina aveva chiesto a Luke di accompagnarla a casa di Han, perché sentiva il bisogno di parlargli, di chiarire la loro situazione che era rimasta in sospeso dall’ultima volta che si erano visti. Sarebbe potuta andare a trovarlo in officina ma non avrebbero potuto parlare davvero con calma, così aveva approfittato della domenica mattina, in cui era certa di trovare Han a casa.
Non aveva dovuto spiegare niente a suo fratello. Luke non aveva fatto domande, eppure sapeva benissimo il motivo di quella visita mattutina e la necessità di quella chiacchierata: c’erano stati sviluppi fra Han e sua sorella, e le cose si stavano finalmente mettendo a posto per loro due. Rimase ad osservarla mentre percorreva il vialetto con passo sicuro fino ad infilarsi nel portone che le aveva indicato, poi rimise in moto e partì.
 
Ciò che Leia non era ancora riuscita a capire era cosa ci trovasse Han in lei, perché lei gli piacesse così tanto. Avrebbe potuto avere tutte le donne che voleva, perché intestardirsi con una ragazzina così diversa dai suoi standard?
Tutte le persone con le quali aveva avuto a che fare fino a quel momento avevano sempre tratto un utile dal rapporto con lei: tranne rarissime eccezioni, di solito nessuno apprezzava la sua compagnia senza avere un secondo fine. Aveva addirittura iniziato a credere di avere un carattere troppo detestabile perché la gente le si avvicinasse solo per godere della sua presenza. Han era forse diverso? Voleva stare con lei perché lei gli importava davvero? Sperava di riuscire a capirlo prima che fosse troppo tardi: troppe volte – per tamponare la propria solitudine – si era lasciata abbindolare da persone che all’inizio si erano mostrate gentili e sinceramente interessate a lei, salvo poi sfruttarla fino al midollo e gettarla come carta straccia quando non ne avevano più bisogno. E ogni volta era stata costretta a mangiarsi le mani, a maledirsi per essersi lasciata fregare una volta di più senza aver ancora imparato la lezione.
 
Si fece accompagnare dalla vecchia proprietaria dello stabile all’appartamento di Han, mansarda all’ultimo piano. Il campanello non funzionava – le disse la vecchia – e così fu costretta a bussare con la mano. Bussò con forza una, due, tre volte e stava quasi per andarsene quando finalmente sentì qualche rumore dall’interno dell’appartamento. Qualche istante dopo, la porta di aprì con un cigolio e dallo spiraglio aperto emerse Han, capelli scompigliati e aria assonnata.
Ci mise un attimo a metterla a fuoco – era evidente che si fosse appena alzato – poi sbadigliò sonoramente e si stiracchiò. “Ehi, bambola” disse. “Che ci fai qui a quest’ora?”
“Ciao. Posso entrare o disturbo?”
Han la fulminò con il suo sorriso. “Certo che puoi.” Chiuse la porta per toglierci il catenaccio, poi la riaprì. Solo in quel momento Leia notò che non indossava niente, oltre a un paio di boxer e alla collanina con l’ancora. “Forse è meglio che torni in un altro momento” disse immediatamente, sentendosi avvampare per l’imbarazzo. Quella visione era particolarmente eccitante e, nonostante cercasse di concentrare il proprio sguardo sul suo volto, i suoi occhi vagavano ovunque lungo tutto il suo corpo perfetto.
“Perché?” disse Han richiudendo la porta alle loro spalle.
Forse non si rendeva conto di quanto fosse equivoca quella situazione e di quanto lui fosse seducente in quel momento – o forse l’aveva invitata a restare proprio perché se ne rendeva ben conto. “È chiaro che ti ho disturbato” disse, dandogli le spalle. Non doveva vedere più di quanto avesse già visto – non importava quello che i suoi sensi chiedevano.
“Stavo dormendo, ma era ora che mi alzassi” disse Han, per nulla turbato dalla situazione. Sbadigliò un’altra volta, mentre raccoglieva da terra un paio di pantaloni che avevano ancora la cintura nei passanti e se li infilava. “Puoi voltarti adesso” disse, non riuscendo a trattenere un ghigno soddisfatto. “Sono un po’ più presentabile.”
Con molta cautela Leia si voltò di nuovo a guardarlo. Lasciò che si allacciasse la cintura e che indossasse anche una maglietta, poi disse: “Ero venuta a chiederti una cosa…ma posso tornare anche un’altra volta.”
“Sei qui – tanto vale dirmela, no?” fece Han. “Anzi, aspetta…dammi dieci minuti, che mi faccio una doccia e mi vesto in modo più decente, ok?”
“Han, non voglio metterti a disagio…” In realtà quella a disagio era lei, anche se non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di ammetterlo davanti a lui.
“Nessun problema, principessa. Solo dieci minuti e poi sono tutto tuo.” Da terra raccolse un paio di magliette e una camicia sporche, poi aprì l’armadio e vi prese un cambio di vestiti. Portò tutto nel minuscolo bagno adiacente e fece per chiudere la porta, poi tornò nella stanza, dove aveva lasciato Leia in piedi e con un’espressione inebetita sul volto. “Scusami per il casino che vedi, ma non sono un appassionato delle faccende domestiche” si giustificò. Parve accorgersi all’improvviso del gatto raggomitolato ai piedi del letto. “Chewie!” gridò. “Scendi immediatamente da qui!”
Leia sorrise stupita. “Tu…hai un gatto?”
“Già. Si chiama Chewbacca…Chewie.” Visto che il gatto non sembrava intenzionato a lasciare la sua postazione fra le lenzuola, lo prese di peso e lo mise a terra. “Era un randagio, l’ho trovato un giorno fuori dall’officina” spiegò. “Ma gli ho fatto fare le vaccinazioni e tutto il resto.”
“È molto carino” fece la ragazza, chinandosi a terra per accarezzarlo.
“Ti dispiacerebbe dargli qualcosa da mangiare mentre sono in bagno?” chiese Han. Aprì uno sportello del mobile ad angolo. “Qui ci sono delle crocchette e altre cose che mangia di solito…vedi tu.”
“Certo.” Si alzò in piedi, e prese il sacchetto con il quale era venuta. “Ah, ti ho portato qualcosa da mangiare” disse.
Han le sorrise. Riconobbe subito sul sacchetto il logo della pasticceria del paese, quella dove innumerevoli volte aveva comprato dolci per lei quando andava a casa sua. Ora i ruoli sembravano essersi invertiti. “Grazie.” Si avvicinò a lei e la baciò languidamente sulle labbra, mettendole una mano dietro la schiena per attirarla più vicina e sorridendo sentendo il suo imbarazzo. Avrebbe dovuto farci l’abitudine a quelle dimostrazioni di affetto, ora che stavano insieme. “Dieci minuti e torno, va bene?”
Leia annuì, riuscendo a malapena a celare il proprio impaccio.
“Tu intanto mettiti comoda…fai come se fossi a casa tua.” Detto questo, Han si chiuse nel bagno. Dopo pochi istanti Leia sentì che apriva l’acqua e che iniziava a canticchiare, e si accasciò sospirando sul letto disfatto. Le lenzuola appallottolate da un lato e i cuscini odoravano di lui, e la cosa per Leia era rilassante ed eccitante allo stesso tempo. Dopo qualche istante trascorso a far scorrere le dita nelle pieghe del tessuto, riflettendo su quanto fosse cambiato radicalmente il suo rapporto con Han nel giro di una manciata di giorni, decise che forse era meglio alzarsi da lì e tentare di dare una sistematina in giro.
Il macello era davvero impressionante: vestiti sparpagliati a terra e sulle due sedie, un cartone di pizza e una bottiglia di birra vuota sul lavello, quotidiani e riviste vecchie ammonticchiati sul tavolino. Per fortuna, quella casa era un monolocale – altrimenti avrebbe impiegato una vita per rassettarla. Rifece il letto (cercando con difficoltà di non pensare al fatto che Han avesse dormito praticamente nudo fra quelle lenzuola, con tutto ciò che questo fatto potesse implicare), ammucchiò i vestiti sporchi in un angolo vicino alla porta del bagno e sistemò quelli puliti nell’armadio, gettò l’immondizia in un sacco che trovò sotto il lavello, diede una sistemata al tavolino. Poi prese le crocchette per Chewie e le mise nella sua ciotola rossa. Cercò nel frigorifero un po’ di latte da scaldare per la colazione, ma vi trovò solo due lattine di birra e una confezione aperta di wurstel. Per fortuna nella credenza c’era un barattolo di caffè solubile, e mise a bollire l’acqua per due tazze. In attesa che l’acqua bollisse si sedette a terra accanto al gatto e lo guardò mangiare, mentre gli accarezzava distrattamente il pelo rossiccio.
L’appartamento di Han era diverso da come se lo aspettava – ma, ormai lo stava imparando, Han era diverso da ciò che si aspettava in quasi tutto. Non credeva che riuscisse a vivere in quell’ambiente così angusto e desolante, in un casermone alla periferia…quel posto le metteva molta tristezza. Stava ancora rimuginando su queste cose, quando Han aprì la porta e comparve alla sua vista: anche se aveva ancora i capelli bagnati e se li stava asciugando con un vecchio asciugamano, era completamente vestito e molto più sveglio di prima.
Si guardò intorno spaesato, notando parecchi cambiamenti da quando era entrato. “Che accidenti è successo qui? Sembra passato un uragano!” esclamò.
Leia sorrise guardandolo, senza smettere di accarezzare Chewie. “Mi sono permessa di dare una sistemata” disse timidamente. “E di fare un po’ di caffè.”
“Hai fatto bene, ma non dovevi.” Le tese una mano e la fece alzare da terra. “Dovrai abituarti al mio disordine, se inizierai a venire a casa mia. A proposito, come sei arrivata qui?”
“Mi ha accompagnato Luke in macchina.” Luke, al contrario di lei, era già andato più di una volta a casa di Han, per questo sapeva dove abitava. “Gli ho detto che me ne torno da sola a piedi – ora che ho capito la strada.”
“Non se ne parla” fece Han. Prese due tazze dalla credenza – ovviamente l’una diversa dall’altra – e ci mise l’acqua bollente con il caffè. “È lontanissimo dal centro, e questa non è una zona adatta ad una principessa come te.”
Leia sbuffò contrariata. “Han…sono grande, lo sai? So badare a me stessa.” Quello che assolutamente non voleva che accadesse era che lui la trattasse come una bambina.
“Lo so. Ma voglio accompagnarti lo stesso – e non scendo a compromessi.”
La ragazza sapeva che Han era testardo e cocciuto almeno quanto lei, e che sarebbe stato impossibile fargli cambiare idea. “Va bene” acconsentì.
“Vedi che sai essere ragionevole qualche volta?” rispose Han con fare canzonatorio. Prese la pila di riviste che era sul tavolo e la mise a terra, poi prese le tazze e il sacchetto della pasticceria e si accomodò. “Siediti” le disse, aprendo il sacchetto. “Che mi hai portato?”
“Il dolce al cioccolato è mio!”
Han la guardò, inarcando un sopracciglio. Come se non conoscesse perfettamente i suoi gusti. “Immaginavo.”
Si spartirono le tazze e le paste, godendo di quella colazione improvvisata. “Non credevo che casa tua fosse così piccola” disse Leia dopo qualche istante.
“Non ho bisogno di molto spazio. In effetti non ci sto quasi mai a casa.” E ciò era ben evidente dallo stato di abbandono in cui versava l’appartamento. “Ma qui non è male. Ho tutto quello che mi serve – e una padrona di casa abbastanza buona. Un paio di volte al mese viene anche a dare una sistemata in giro. Ho un paio di mesi di affitto arretrati, che sto recuperando un po’ alla volta, ma la vecchia è sempre accomodante e non ne fa una tragedia.” Dal punto di vista economico, la sua vita era sempre sul filo del rasoio: la paga che gli dava Jabba era davvero miserrima, e non riusciva a farci praticamente nulla. Ogni mese che passava, i suoi sogni di aprirsi una propria officina si facevano sempre più lontani, visto che a stento riusciva a mantenere uno stile di vita dignitoso.
“Ma tu non eri venuta a chiedermi qualcosa?” disse, desideroso di cambiare argomento. Non voleva fare la figura del pezzente con Leia più di quanto non facessero già il suo appartamento e la zona degradata in cui esso si trovava.
La ragazza annuì, continuando a sorseggiare il suo caffè. Ecco arrivati al momento fatidico, alla questione spinosa che l’aveva portata lì. “Volevo chiederti…quello che è successo l’altro giorno…” sospirò. “Insomma…da quando ci siamo baciati…sono cambiate le cose fra di noi?” O è stato solo un bacio?
“Mi stai chiedendo se stiamo insieme?” chiese Han divertito.
“Ti sto chiedendo se fai sul serio, Han, o se come al solito è un divertimento per te.”
“Tu vuoi stare con me – con un tipo come me?” Da quando si erano lasciati, l’unico pensiero che continuava a frullare nella testa di Han era la paura che quel bacio potesse non significare nulla per lei: magari – travolta dall’emozione – si era lasciata baciare, ma col senno di poi si era resa conto che era stato uno stupido errore.
La ragazza annuì. “Sì, ma…ho bisogno di sapere che non mi prenderai in giro.”
Han posò la tazza ormai vuota sul tavolo e le accarezzo una guancia con il dorso delle dita. “È di questo che hai paura? Che ti prenda in giro?”
“Non è quello che hai fatto fino ad ora?”
Han abbassò lo sguardo, non sapendo cosa risponderle. Aveva ragione, e lo sapevano entrambi. “Era da un sacco di tempo che volevo baciarti” confessò. “Ma non credevo di essere alla tua altezza.”
“Non voglio che tu cambi per me, Han, neanche di una virgola. Non mi importa da che famiglia provieni, dove abiti o quanti soldi hai in tasca…lascia che sia io a decidere chi è o non è alla mia altezza.” Appoggiò la mano su quella che la stava accarezzando. “Quello che voglio è che tu sia sincero con me, sempre, in ogni caso – anche quando pensi che possa farmi soffrire.”
Han la guardò negli occhi e annuì convinto. Quella ragazza capitata nella sua vita era un insperato colpo di fortuna: per la prima volta riusciva a percepire che qualcuno gli volesse davvero bene, che tenesse a lui, e che lo apprezzasse per ciò che era veramente, nonostante il suo caratteraccio e i suoi innumerevoli difetti. Di ragazze ne aveva avute parecchie, ma nessuna era riuscita a scaldargli il cuore e contemporaneamente infiammargli le viscere come faceva lei...per quanto banale potesse sembrare la constatazione che stava facendo adesso, tutte le altre che erano passate per casa sua a quest’ora si dileguavano senza avere più nulla da dire, Leia invece era appena arrivata – e gli aveva portato addirittura la colazione.
Era molto più di quanto si meritasse, e non aveva alcuna intenzione di deluderla.

 
*****
Han parcheggiò la motocicletta lungo il vialetto di casa Skywalker. Erano passati solo pochi giorni da quando era passato di là per dirle addio, eppure sembrava trascorsa un’eternità.
“Grazie del passaggio” disse Leia quando si fu tolta il casco e l’ebbe appoggiato sulla sella.
“Di niente, principessa” rispose Han sorridendo. Si tolse anche lui il casco e l’abbracciò dolcemente, guardandola negli occhi. “Dovremmo organizzarci per andare a fare un giro insieme, qualche volta…no?”
La ragazza non riusciva a credere a quello che le sue orecchie stavano ascoltando. “Mi stai chiedendo un appuntamento?”
“Perché devi rendere sempre tutto così complicato?!” fece Han frustrato.
Leia scoppiò a ridere, non riuscendo a trattenersi. Han aveva complicato le cose per entrambi e per troppo tempo, ora toccava a lei prendersi la rivincita. In un impeto di coraggio gli mise le braccia al collo e lo baciò a lungo, per fargli capire che avrebbe accettato il suo invito, qualsiasi esso sarebbe stato. 

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NOTE DELL'AUTRICE
Ciao a tutti!
Innanzitutto, perdonatemi il leggero anticipo sulla tabella di marcia (spero che vi faccia piacere!), ma nei prossimi giorni sarò impegnata con l'università (ahimè...) e non potrò pubblicare il capitolo - quindi eccolo qui oggi.
Piccola nota: So bene che zio Owen è solo fratellastro di Anakin Skywalker, e che si chiama Lars di cognome, ma nella mia storia l'ho reso fratello a tutti gli effetti, e quindi gli ho dato il cognome Skywalker. Mi scuso con i fan più ortodossi per questa mia "licenza poetica" :-D

 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


          Capitolo IX
Leia chiuse la porta d’ingresso dietro di sé, un sorriso estatico ancora stampato sul volto. Frequentare Han aveva decisamente un brutto effetto sulla sua salute mentale: si sentiva bene, felice, neanche fosse drogata o ubriaca ma, soprattutto, non si era accorta che sua zia Beru la stava fissando con aria tutt’altro che gioiosa, appoggiata allo stipite del corridoio. Quando notò la sua presenza nella penombra della casa quasi sobbalzò. “Che ci fai lì, zia?” esclamò, riacquisendo subito – seppur a fatica – un’aria più seria.
“Era Han Solo quello qua fuori?” chiese semplicemente. Beru stava rassettando in salotto, quando aveva sentito il rombo di una motocicletta che si parcheggiava nel vialetto di casa loro. Si era affacciata alla finestra giusto in tempo per vedere Leia abbracciata languidamente ad un ragazzo dalla sagoma inconfondibile, che avrebbe saputo riconoscere fra migliaia. Aveva strabuzzato gli occhi, stentando a credere a ciò che vedeva, ma la situazione era inequivocabile: Leia – la bambina della quale aveva giurato di prendersi cura davanti ad un tribunale alla morte dei genitori e alla quale aveva imparato a voler bene come se fosse la figlia che non aveva mai avuto – se ne stava tranquillamente accoccolata fra le braccia di quel poco di buono e conversava dolcemente con lui. La scena le ispirava rabbia e disgusto allo stesso tempo.
Non le era mai andato a genio quel ragazzo. Da quando era arrivato in paese – ben prima che Luke e Leia venissero a vivere a casa loro – non aveva impiegato molto a distinguersi per il suo atteggiamento trasgressivo e per il suo modo di fare arrogante: spesso era coinvolto in risse anche violente – a volte nel locale proprio di fronte casa loro, il Mos Eisley; aveva la fama di essere un donnaiolo, e aveva sedotto e abbandonato molte ragazze in paese; inoltre, girava voce che partecipasse a corse clandestine con il suo vecchio catorcio (definirlo motocicletta era un azzardo) e che lo facesse per scommesse.
Quando aveva stretto amicizia con Luke, per via della loro comune passione per i motori, Beru non era stata per niente contenta: Han era un ragazzo molto più grande di lui e facilmente avrebbe potuto trascinarlo in cattive compagnie o spingerlo a brutte abitudini. Quelle poche volte che era salito a casa non aveva fatto mistero dei suoi vizi – come la sigaretta o l’alcol – e del suo stile di vita sregolato. Tuttavia aveva finito col tollerare quella relazione: in fondo, Luke era un ragazzo serio e responsabile che non aveva mai dato adito a preoccupazioni e che pareva in grado di tirarsi fuori da situazioni pericolose. Con Leia invece il problema non era mai sorto: sembrava che fra i due serpeggiasse un odio profondo, viscerale, e non si mostrava all’orizzonte il pericolo che lui potesse riuscire a sedurla, a rovinare la sua innocenza per poi abbandonarla come aveva già fatto con tante altre. Ma ora le cose sembravano cambiate.
 
Leia si morse un labbro, profondamente imbarazzata. Non voleva che la zia si immischiasse in quella faccenda già dal principio, ma preferì essere sincera e non mentirle. “Sì, era Han.”
La zia scosse la testa con aria di disappunto. “Credevo che fra di noi ci fosse un patto, Leia, che potessimo dirci tutto, e invece evidentemente non è così.” Si sedette sul divano, senza neanche provare a celare la propria delusione. “Da quanto tempo va avanti questa storia?”
“Soltanto da qualche giorno” rispose Leia. In realtà, quella storia doveva ancora incominciare, sia lei che Han dovevano ancora capirci qualcosa. “Non so ancora se è una cosa seria, per questo non te ne avevo parlato. Volevo prima essere sicura di quello che provavo.” Si sedette sul divano accanto alla zia. “Non volevo tradire la tua fiducia, ma è passato troppo poco tempo e io…”
“Tu non ha esperienza per questo tipo di cose” finì la zia per lei. “Tu sei una bambina, Leia!”
“Ho 19 anni ormai!” obiettò Leia. Perché tutti si ostinavano a trattarla come una ragazzina?!
“E lui invece? Lui quanti anni ha? Ci saranno almeno sette o otto anni di differenza fra di voi!”
Leia abbassò lo sguardo, preparandosi al peggio. “Undici” confessò a mezza voce.
“Quanto più mi dici! Han è un uomo adulto, non è adatto a stare con una come te.” Le prese le mani e disse piano: “Non voglio scoraggiarti, Leia, ma lui sa esattamente ciò che vuole dalla vita…tu non ancora invece.”
“Chi ti dice che non lo sappia anche io? Il fatto che lui non ti piaccia non significa che…”
“Non è che a me non piace” la interruppe. “So per certo che non è un uomo perbene. Vive alla giornata, ai limiti della legalità…possibile che tu non te ne renda conto?”
Leia tacque, non sapendo cosa dire. Ciò che diceva la zia era vero: Han non era affatto una persona di cui potersi fidare, eppure lei stava provando a farlo – contro ogni logica.
Beru sospirò e le accarezzò una guancia. “Fino a poco tempo fa lo detestavi, lo disprezzavi, e lui non faceva altro che offenderti e farti soffrire. Non ti ricordi quante volte ti ha fatto piangere? Si può sapere che cosa è successo adesso?”
“Non lo so” ammise la ragazza, la voce rotta per la rabbia e la vergogna. “È successo tutto così all’improvviso. Hai ragione, ho sempre pensato che fosse più facile odiarlo che provare ad averci una relazione civile. Ma poi lui ha minacciato di andarsene, perché era attratto da me e non riusciva più a vivere qui sapendo che io lo odiavo…e io non avevo capito quanto fossi innamorata di lui fino a quel momento…e quanto fossimo stati stupidi entrambi a comportarci così per tutto questo tempo” confessò tutto d’un fiato. “Abbiamo deciso di darci una possibilità, e di vedere se funziona.”
“Onestamente, Lei…quanto credi che possa durare?”
“Non ne ho idea” disse. “Non me lo sono chiesta.”
“Non è affatto da te! Tu sei sempre stata così precisa, così seria e diligente…non hai mai fatto nulla di tanto avventato…”
“Non si resta uguali per sempre!” Leia detestava gli stereotipi – li aveva sempre detestati – e il fatto che anche sua zia l’avesse etichettata come brava ragazza, confinandola in un ruolo che iniziava a starle troppo stretto, le dava sui nervi. “So badare a me stessa, se è questo ciò che ti preoccupa.”
“Non sei tu a preoccuparmi, ma è lui.”
“Zia, io ti assicuro che…”
“Tu non lo conosci. Non sai che tipo di persona sia davvero. Solo perché ha detto che tu gli piaci, questo non significa necessariamente che ti ami. Con buona probabilità si stuferà presto di te e ti scaricherà, spezzandoti il cuore.”
“Neanche tu lo conosci.” Non aveva visto quello sguardo innocente, quasi infantile, che aveva quando l’aveva baciata la prima volta, o tutte quelle piccole attenzioni, accuratamente nascoste dal suo fare strafottente, che aveva avuto per lei fin dall’inizio e che ora Leia stava mettendo insieme come tessere di un puzzle. Probabilmente neanche lei lo conosceva fino in fondo ma, per uno strano istinto, sentiva di potersi fidare di lui, ciecamente.
“Io sono solo preoccupata per te, tesoro. Non voglio vederti soffrire – non per colpa di uno come lui. Tu meriti molto di meglio.”
Leia sorrise debolmente, con le lacrime che le rigavano le guance. “Lo so che lo fai per il mio bene, zia, ma io sono grande ormai.” Tirò su col naso e prese un bel respiro, poi disse: “Neanche io se fossi in te mi fiderei di Han. Non è in effetti una persona che ispira sicurezza, eppure…io sento che non mi farà niente di male, che con me sarà diverso da come è stato con le altre.”
“Ne sei convinta?” chiese la zia. Tutto quello che voleva era che la sua bambina fosse felice e che non soffrisse più di quanto non avesse già fatto.
Leia annuì. Ne era convinta, o almeno ci sperava.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


          Capitolo X
Leia non la smetteva di fissare il proprio riflesso nello specchio.
Più si guardava e più la sua mente di riempiva di dubbi: che quello che aveva indosso non fosse il vestito adatto alla serata, che quegli orecchini fossero troppo appariscenti, che il trucco fosse troppo leggero…in generale, che lei non fosse adatta ad un appuntamento con Han. Il fatto che ci fossero state tante altre prima di lei la mandava nel pallone: Han avrebbe sicuramente fatto confronti e lei, dal basso della sua inesperienza, sapeva di partire già sconfitta.
Forse quello che le aveva detto zia Beru era vero: forse non era la ragazza adatta ad uno come lui. Con buona probabilità avrebbe fatto la figura della bambinetta stupida e sprovveduta e Han si sarebbe ricreduto sul suo conto, stroncando di fatto sul nascere ogni tentativo di incontro per il futuro.
Sospirò frustrata e si spogliò per quella che era forse la settima volta quella sera. Riaprì l’armadio e si decise a prendere quel vestitino lilla che aveva scartato a priori: era un vestito che non aveva mai messo – aveva ancora il cartellino con il prezzo attaccato. Quell’abito era legato a brutti ricordi: il primo ragazzo che le fosse mai piaciuto, quando ancora frequentava il liceo di Alderaan; un timido primo appuntamento, per andare a prendere un gelato insieme;  quel vestito che aveva comprato con sua madre proprio per quell’occasione così speciale, l’ultimo pomeriggio di shopping insieme prima che i genitori la lasciassero per sempre…quante speranze dietro quel pezzo di stoffa, quanto dolore per chi non c’era più, quanta amarezza per quel primo appuntamento che non c’era mai stato, visto che poi si era dovuta trasferire in un’altra città. Quel vestito era rimasto lì, chiuso nell’armadio, per tutto quel tempo. Forse era arrivato il momento di tirarlo fuori.
 
“Esci con Han stasera?” chiese Luke facendo capolino nella sua stanza.
La sorella si voltò a guardarlo, la zip del vestito ancora un po’ aperta. “Cosa te lo fa pensare?”
“Il fatto che sei chiusa nella stanza da quasi due ore, e la montagna di vestiti sul tuo letto.”
Leia sorrise. Suo fratello era la persona che più di tutti la conosceva e che la capiva davvero. Sarebbe stato inutile negare. “Sì.”
“Era ora che voi due la smetteste di fare gli idioti e iniziaste a fare sul serio.” Allo sguardo scettico di lei sorrise. “Sei bellissima così…lo sai?” Le si avvicinò e si offrì di chiuderle la zip. “E poi Han non è tipo da badare a queste cose. Tu gli piaci così come sei, ne sono sicuro.”
“Ti voglio bene” disse Leia abbracciandolo. Suo fratello sapeva come confortarla e come farla sentire meglio.
“Te ne voglio anch’io.” Rimasero abbracciati stretti, poi Luke aggiunse: “Divertiti, mi raccomando…te lo meriti.”
*****
Han se ne stava appoggiato al sellino della propria moto, intento a giocare con il portachiavi, quando Leia aprì il portoncino di casa sua. Non appena la vide sobbalzò: si mise subito in piedi e si aggiustò la camicia con le mani, poi posò lo sguardo su di lei e per poco non spalancò la bocca dalla meraviglia. Era la cosa più bella che avesse mai visto, e non era sicuro che non fosse solo un sogno, un’illusione. Sapere che si era fatta così bella per lui, per uscire con uno come lui, gli riscaldava quel muscoletto avvizzito che gli batteva fra le costole come mai gli era capitato prima.
“Ehi” disse Leia rompendo il silenzio.
“Ehi” le rispose. Si passò nervosamente la mano fra i capelli dietro la nuca, ma le sorrise spavaldo come al solito. “Sei stupenda. Dovresti indossare più spesso vestiti da ragazza.”
Leia inarcò un sopracciglio, leggermente piccata. “Grazie. Anche tu non sei male, però. Non sapevo che avessi anche qualcosa del genere nel tuo guardaroba” aggiunse sul suo stesso tono, alludendo con un cenno della mano alla camicia color cachi e agli eleganti pantaloni scuri che indossava.
Han sogghignò impudente, uno di quei sorrisetti sghembi che infiammavano le guance di Leia all’istante. “Non finisco mai di sorprenderti, eh principessa?” In realtà quel completo glielo aveva prestato Lando – che portava praticamente la sua stessa taglia ma che era assai più attento al look di quanto non lo fosse lui – tuttavia non c’era bisogno che Leia lo sapesse.
Rimasero a fissarsi ancora per qualche istante, senza che nessuno dei due facesse una mossa. Anche se si conoscevano molto bene, anche se avevano già cenato insieme, quella era la prima volta che stavano faccia a faccia da soli, e in un contesto completamente diverso da quello del gruppo di amici di cui facevano parte. Ora l’imbarazzo fra di loro era palpabile, e nessuno dei due sapeva cosa dire o cosa fare, temendo di fare una figuraccia.
Fu Leia all’improvviso a smuovere quella situazione stagnante: prese il coraggio a quattro mani e si avvicinò spavalda a Han, poi gli incorniciò il volto con le mani tremanti e lo baciò dolcemente sulle labbra. Ci volle un attimo prima che il giovane rispondesse a quel bacio così inaspettato, allungando la mano dietro la sua schiena e assaporando con delicatezza le sue labbra morbide – un delizioso preludio delle molte sorprese che, ne era certo, avrebbero animato quella serata.
Quando si separarono, Leia gli sorrise. “Vogliamo andare, testa calda?”
*****
Il ristorante che avevano scelto per il loro primo appuntamento galante era il più noto (e il più costoso) di tutta Tatooine: prenotare un tavolo lì significava attendere settimane – oppure avere amicizie fra i camerieri, come le aveva Han.
La cena stava andando più che bene, almeno secondo Leia, che stava gustando entusiasta tutto quello che il cameriere portava loro e che era ormai completamente persa nel suono melodioso della voce del suo accompagnatore, mentre le raccontava delle sue corse clandestine e delle sue rocambolesche avventure – alcune delle quali erano talmente assurde ed improbabili che Leia dubitava che fossero vere. Non mancavano però lunghi momenti di silenzio, durante i quali si guardavano semplicemente negli occhi e si sorridevano, dimentichi della vita che continuava a scorrere attorno a loro.
 
“Posso farti una domanda, Han?” chiese Leia ad un tratto.
“Certo, dolcezza.”
“Come mai sei andato via di casa così giovane? Non hai una famiglia dove stare?”
Han sospirò guardandola dritto negli occhi. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivata una domanda del genere da parte di lei, ma non se l’aspettava proprio adesso, al loro primo appuntamento. Leia, comunque, si meritava la sua sincerità, anche se ciò che stava per raccontarle gli sarebbe costata molta fatica.
Prese il bicchiere davanti a sé e lo svuotò con un sorso solo, poi si schiarì la voce e incominciò: “Da piccolo vivevo a Corellia, un piccolo paesino parecchio lontano da qui. La mia famiglia non era ricca, anzi. Nessuno dei miei genitori lavorava e vivevamo con il sussidio della previdenza sociale. Mia madre a volte faceva la cameriera in qualche casa, ma niente di più. Abitavamo in uno di quegli anonimi casermoni di periferia, di quelli adibiti a case popolari…hai presente?”
Leia annuì, letteralmente rapita da come era iniziata quella storia.
“Mio fratello – perché avevo un fratello, una volta…” La sua voce si interruppe, rotta dall’emozione. Tacque per un attimo, lo sguardo rivolto alle patate nel proprio piatto.
“Avevo un fratello” ripeté, stavolta più convinto. “Si chiamava Henry, ed era più piccolo di me di quattro anni. Litigavamo in continuazione, ma ci volevamo bene – davvero. Lui era tutto quello che io non ero…onesto, intelligente, ubbidiente. Mi sentivo sempre responsabile per lui, un po’ come se fossi stato suo padre, anche se la testa calda dei due in realtà ero io.”
“Poi cosa è successo?” chiese Leia con un filo di voce. Inutile dire che ignorava del tutto il fatto che avesse un fratello. Han Solo era per tutti una persona senza passato, capitato all’improvviso a Tatooine senza che nessuno sapesse da dove era arrivato e quale fosse la sua storia. Il fatto che lui si stesse aprendo con lei in modo così limpido e spontaneo, senza censure, la inquietava ma al tempo stesso la onorava profondamente: solo a lei il privilegio di sapere davvero chi fosse.
“Mio padre è sempre stato molto violento con noi – anche con mia madre, in realtà. Tornava spesso a casa ubriaco e ci picchiava senza motivo, e senza pietà. Un giorno tornai a casa da scuola e trovai Henry a terra in un lago di sangue…mio padre lo aveva spinto giù dalle scale, e io non potei fare nulla per salvarlo. Era solo un bambino!”
Han si interruppe e sospirò profondamente. Non stava piangendo – probabilmente aveva già pianto tutte le lacrime che aveva in corpo. Appariva piuttosto come rassegnato, ormai. Questi fatti erano già storia vecchia per lui ed in qualche modo li aveva metabolizzati, se ne era fatta una ragione ed era andato avanti.
Leia gli prese le mani e le strinse dolcemente fra le sue. Non sapeva cosa dire o fare: mi dispiace sarebbe stato riduttivo. Cercò invece di comunicare con quella stretta che lei gli era vicino, e che lo avrebbe ascoltato qualunque cosa lui avesse voluto raccontare.
Egli incontrò il suo sguardo e le sorrise debolmente, stringendo più forte le sue piccole mani. “Fu in quel momento che decisi di andare via di casa. Per salvarmi, se non altro.”
“Quanti anni avevi?” chiese Leia.
“Sedici – una vita fa. Rubai la moto del nostro vicino di casa e corsi più lontano che potei.” Tornò ad abbozzare un sorriso, ma gli risultava assai difficile.
“Che cosa è successo poi ai tuoi genitori?” chiese Leia dopo qualche istante. Da una parte voleva lasciar cadere quella conversazione così dolorosa e passare ad argomenti più leggeri, ma dall’altra quel racconto suscitava in lei una curiosità quasi morbosa: voleva sapere come quel ragazzino così scosso fosse diventato il giovane apparentemente forte e senza scrupoli che aveva davanti.
“Mio padre fu accusato di violenza domestica e di omicidio. Al processo testimoniai contro di lui…lo feci per Henry, era il minimo che potessi fare per mio fratello. Se non è già morto, dovrebbe essere ancora al fresco, ma sinceramente non mi importa di lui.”
“E tua madre?”
“Ogni tanto vado ancora a trovarla, e se riesco le porto qualcosa della mia paga” rispose Han. “In fondo, lei non c’entra con quello che è successo…voleva bene sia a me che a Henry – o almeno credo.”
Tacquero per un bel po’, indugiando in quel momento di intimità così profondo quanto inaspettato per due persone che avevano trascorso gli ultimi tre anni a respingersi, ma che si erano scoperti accomunati da momenti assai dolorosi che avevano finito col cambiarli irrimediabilmente.
 
Quando uscirono dal locale – dopo che Leia ebbe dovuto insistere con rinnovato sforzo affinché Han le lasciasse pagare la metà del conto – decisero di fare una passeggiata per il paese.
Tutta la cena e la conversazione che c’era stata non avevano affatto rilassato Han, lo avevano reso solo ancora più teso e nervoso. Se ne stava con le mani ficcate nelle tasche per resistere alla tentazione di prenderle la mano o di cingerle la vita con un braccio – manifestazioni di affetto che non sapeva se le avrebbero dato fastidio. Con le dita arrivò a sfiorare il pacchetto di Marlboro che aveva in tasca e gli venne improvvisamente voglia di tirare qualche boccata di sigaretta per provare a calmarsi. “Ti dà fastidio se fumo?” chiese a Leia.
La ragazza scosse la testa sorridendo. “Sono abituata. Mio padre era un fumatore accanito, e a casa mia c’era perennemente odore di tabacco bruciato” spiegò. “Piuttosto…perché sei sempre così nervoso quando stiamo insieme?”
La fiammella dell’accendino illuminò il volto corrucciato del giovane. “Che vuoi dire?”
“Una volta dicesti che di solito fumavi solo quando eri particolarmente teso, per distenderei nervi. Ti rendo nervoso?”
“No” mentì Han, stupito che Leia si ricordasse quel dettaglio. “E che non so come trattare una principessa, ecco tutto.”
“Han, ti prego...devi smetterla di chiamarmi così!” fece Leia stizzita.
“Ma è vero” si difese il giovane. Tirò un’altra boccata di fumo, poi aggiunse: “Non avevo mai avuto a che fare con una ragazza come te prima e…”
“Puoi provare a trattarmi come una ragazza normale. Non sono così diversa dalle altre in fondo.” Il fatto che Han si comportasse con lei come fosse una bambolina di porcellana la imbarazzava e la rendeva nervosa, più di quanto non fosse già di suo.
Il giovane annuì gettando via la cicca e prendendo un bel respiro come a prendere coraggio. “D’accordo, dolcezza” disse. Le cinse le spalle con un braccio e le sfiorò la tempia con le labbra. Leia fu colta di sorpresa dalla sua improvvisa disinvoltura. Istintivamente si irrigidì nel suo abbraccio, ma ci volle solo un attimo prima che si rilassasse e si abbandonasse con la testa sulla spalla di lui.
“Va bene così?” chiese Han, percependo il suo iniziale disagio.
Leia annuì e allungò un braccio per cingergli la vita. “Va bene.”
“Dovresti portare più spesso i capelli sciolti” disse timidamente. “Ti stanno da favola.”
Se c’era una cosa che piaceva particolarmente a Leia di quel Han così inedito – che stava imparando a scoprire da pochi giorni – era la sua goffa spontaneità, quei complimenti detti ostentando nonchalance ma che nascondevano invece un grande imbarazzo: si percepiva chiaramente che non era abituato a fare apprezzamenti, e probabilmente neanche a riceverli. “Grazie.”
 
Camminarono così abbracciati, godendo di quel tenero contatto fisico, finché non ritornarono alla motocicletta. “Cosa vuoi fare adesso?” chiese Han. “Ti va se ci andiamo a bere una birretta da qualche parte?”
Leia avrebbe voluto trascorrere tutta la notte con lui, senza la preoccupazione di dover tornare a casa, ma sapeva che gli zii la stavano aspettando in piedi, ed era già molto tardi rispetto al suo solito. Se zia Beru non l’aveva ancora chiamata, era perché sapeva quanto quella serata fosse importante per lei – ma ciò non significava che non stesse in ansia. Han invece non aveva regole né orari: come avrebbe fatto a spiegargli che lei non aveva tutta la libertà che aveva lui?
“Ehi, allora?” insistette il ragazzo, tamburellando con le dita sulla sua spalla.
Preferì essere onesta piuttosto che accampare una scusa qualsiasi, sperando che lui capisse. “Han, io…dovrei tornare a casa. Mi stanno aspettando ed è già tardi.”
Han annuì riluttante. Sembrava un po’ triste, ma non disse nulla.
“So che magari tu hai altre abitudini, ma io non posso…” Leia provò a giustificarsi, ma Han la interruppe con un cenno della mano.
“Va bene, principessa, non c’è nessun problema” disse. “Ora ti riporto al tuo castello.”
“Sei arrabbiato con me?”
Il giovane le sorrise, porgendole il casco. A volte dimenticava che quanto Leia fosse giovane rispetto a lui, e come avesse persone che si preoccupassero per le – cosa che lui non aveva mai sperimentato. Avrebbe dovuto farci l’abitudine ma, pur di stare con lei, avrebbe sopportato qualsiasi cosa. “No. Perché dovrei?”
*****
“Principessa, dobbiamo salutarci” disse Han, passandosi una mano fra i capelli scombinati. Erano arrivati al portoncino di casa Skywalker, dove si erano incontrati solo poche ore prima. In quella serata erano successe così tante cose che avevano dato una nuova piega al loro rapporto: Han era stato inaspettatamente dolce e gentile, e lei si era sentita davvero una principessa in sua compagnia. “Grazie, Han, per tutto. È stata una serata stupenda, e io sono stata molto bene con te. Davvero.”
Han le sorrise. La prese per i fianchi e la attirò dolcemente a sé, schiacciando la fronte contro quella di lei. “Sono io a doverti ringraziare” mormorò. “Chi lo avrebbe detto che una principessa sarebbe uscita con uno come me…”
“Sta’ zitto, canaglia” disse Leia, mettendolo a tacere con un lungo bacio. Ogni contatto fisico con quel ragazzo generava in lei una tempesta di sensazioni che le rendevano quasi impossibile l’aderenza alla realtà. Il modo in cui le sue labbra la stavano divorando lentamente, o in cui la sue mani le accarezzavano le guance e si infilavano fra i suoi capelli la stavano facendo impazzire. Se questo voleva dire essere innamorata, stare con Han Solo, perché lo aveva rifuggito per tanto tempo? Perché non aveva ceduto al suo istinto già molto tempo fa? Voleva che quel bacio non finisse mai, ma inevitabilmente furono costretti a staccarsi per riprendere fiato.
Han fu il primo a parlare. Le accarezzò dolcemente la guancia con la punta delle dita, poi disse: “Grazie per aver voluto ascoltare la mia storia. Non credo che questo sia il genere di cose che si dicono ad un primo appuntamento…no?”
“Forse no” rispose la ragazza. Ma c’era anche da dire che il loro non era stato un convenzionale primo appuntamento.
“Non ne avevo mai parlato con nessuno prima. Nessuno si era mai interessato a me fino al punto di starmi a sentire.” Aveva avuto l’insperata possibilità di raccontare la propria storia, di mettere a nudo ciò che era davvero, e aveva trovato in Leia l’unica persona in grado di capirlo appieno.
“Tu mi interessi, Han” gli assicurò. “Io tengo molto a te, e sarò sempre pronta ad ascoltarti.”
“Vieni qui” sussurrò il ragazzo. La accolse fra le braccia e la strinse forte a sé. Era piccola e minuta rispetto a lui, eppure i loro corpi si incastravano alla perfezione, come due tessere di uno stesso puzzle, come se fossero stati creati per stare insieme.
Rimasero abbracciati per qualche momento, finché Leia non si svincolò dalla sua stretta, quel tanto sufficiente a guardarlo negli occhi. “C’è una cosa che devo dirti” mormorò severa.
“Dimmi.”
“Ieri sono stato a casa tua e…ho saldato il tuo debito con la padrona di casa.”
Il giorno precedente, Leia aveva preso la macchina di suo fratello ed era andata a casa di Han, approfittando del fatto che lui era a lavoro, e aveva fatto una chiacchierata con la sua padrona di casa: all’inizio si era finta sua sorella, per giustificare la sua intenzione di saldare gli affitti arretrati, ma era stata presto smascherata dalla vecchia – che la sapeva assai lunga – e alla fine aveva preferito essere sincera e dirle la verità. Aveva fatto la babysitter e delle lezioni di doposcuola durante l’anno scolastico, e aveva messo da parte un po’ di soldi che aveva deciso di destinare a quell’affitto. Quella chiacchierata con la padrona le era stata molto utile per capire qualcosa di più di come vivesse davvero Han e di quali fossero le sue abitudini: la vecchia al riguardo le aveva fornito informazioni dettagliate e aveva dimostrato di avere una memoria inossidabile – a dispetto della sua età. Le aveva parlato delle molte ragazze che erano salite alla mansarda in quegli anni – ma che stranamente erano diventate sempre meno frequenti negli ultimi tempi; le aveva detto che non riceveva mai visite, aldilà di quelle femminili, ma che ogni tanto – più o meno ogni mesetto e mezzo, con regolarità – lasciava l’appartamento per due o tre giorni senza dare spiegazioni, e che in quei giorni era lei ad occuparsi del gatto; infine, le aveva confidato ciò l’idea che si era fatta di lui in quegli anni: un ragazzo dal carattere orribile, che ci teneva inspiegabilmente a mantenere una pessima reputazione, ma che in fondo aveva un cuore d’oro. In effetti, la descrizione che aveva fatto la vecchina corrispondeva all’idea che si era andata formando nella mente di Leia in quegli ultimi giorni, nei quali aveva finalmente approfondito la conoscenza di Han – che fino ad allora era rimasto un enigma irrisolto. Aveva pagato i due mesi arretrati e voleva dare anche un anticipo sul mese in corso, ma la vecchia non aveva voluto prenderlo: lei era una donna paziente – aveva detto sorridendo – e i soldi di quell’affitto non le servivano per vivere.
“Che cosa hai fatto?!” esclamò Han.
“Ho pagato i mesi di affitto che avevi arretrati.”
Il ragazzo era allibito. “Ma…perché?”
“Per aiutati, per darti una mano” rispose Leia, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Non dovevi farlo!”
“E perché no? Eri in difficoltà, e ho pensato di contribuire alle tue spese. Ho lavorato durante quest’anno, avevo dei soldi da parte, e…”
“Non dovevi spendere quei soldi per me” rispose Han frustrato. Era arrabbiato, non tanto con Leia ma quanto con se stesso, per essersi lasciato sfuggire quel particolare sulla sua situazione economica quando era stata a trovarlo. “Ascoltami bene, Leia, perché voglio che sia ben chiaro questo fatto. Io non sto uscendo con te perché sei ricca, perché volevo sfruttarti economicamente.”
“Lo so. Sono stata io a volerti aiutare, perché sapevo che ne avevi bisogno” disse la ragazza.
“Io…non voglio farti pena, e non voglio la tua carità. Ce la posso fare benissimo da solo – ce l’ho sempre fatta.” Era stato abituato a non a ricevere aiuto da nessuno, e a far forza solo sulle proprie braccia per risolvere i propri problemi. Sbuffò e abbassò lo sguardo, profondamente a disagio. Non voleva che lo giudicasse un pezzente, uno squattrinato bisognoso dei suoi soldi – ma in effetti quella descrizione corrispondeva alla realtà: lui non aveva nulla da offrirle, e non meritava di stare con lei.
Leia lo accarezzò sulla guancia e lo costrinse a guardarlo. “Non è un crimine accettare un aiuto da qualcuno, una volta ogni tanto.”

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NOTE DELL'AUTRICE
Finalmente il Primo Appuntamento! 
E' un capitolo al quale ho lavorato molto, cercando di indagare la personalità dei protagonisti e di scavare nel passato di Han...spero di non essere stata banale: non volevo un convenzionale primo appuntamento con rose, cioccolatini e altre smancerie - mi auguro che lo apprezziate :-D

 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


          Capitolo XI
Per Han, Corellia non era mai stato un paese ospitale. In particolare, quel dedalo di viuzze che una volta era stato il suo quartiere – il quartiere dove era cresciuto e dove aveva imparato a vivere – non era solo un mercato a cielo aperto, era anche un bordello a cielo aperto e una latrina a cielo aperto. Sul marciapiede le prostitute giravano a tutte le ore, anche in pieno giorno, strette nei loro miniabiti che mettessero bene in evidenza la mercanzia che offrivano e che rendessero chiaro a tutti che ci facessero lì: chiacchieravano amabilmente fra loro, ridevano e di tanto in tanto fumavano una sigaretta, aspettando con pazienza qualcuno che – prima o poi – sarebbe passato a prenderle. L’odore di escrementi era insopportabile, misto ad un odore di cibo bollito (cipolle o stufato di carne, nessuno lo sapeva con precisione) che impregnava irrimediabilmente i vestiti e dava la nausea. Ai margini delle strade c’erano capannelli di vecchi che giocavano a carte; di tanto in tanto un mendicante pregava per qualche spicciolo.
 
Quel quartiere per Han era stato la peggior scuola che un ragazzino poteva frequentare: a tredici anni aveva iniziato a contrabbandare sigarette e alcolici, come molti altri suoi coetanei; a quattordici era passato al traffico illegale di pezzi di auto e moto, che rubava all’autodemolizione e che aveva imparato a rigenerare e a spacciare per nuovi. I soldi che guadagnava gli servivano per mangiare, per comprarsi i vestiti che i suoi genitori non erano in grado di pagargli, per comprare i libri per la scuola a sé e a suo fratello: seppure spinto dalla necessità, sapeva già allora tuttavia di non stare facendo la cosa giusta.
Ora tornava in quei luoghi da uomo adulto, onesto: aveva un lavoro vero, una casa tutta sua, dei vestiti puliti che non fossero stati rattoppati già mille volte. Era cambiato, ma non poteva dire lo stesso di quel posto: ragazzini come un tempo lo era stato anche lui gli tagliavano la strada guidando motorini e scuter – pur avendo solo otto o dieci anni al massimo; ne vedeva alcuni che avevano valigette piene di pacchetti di sigarette di contrabbando, che contrattavano con persone che potevano essere i loro genitori, se non addirittura i loro nonni, e che fuggivano in fretta e furia quando sentivano in lontananza le sirene della polizia. Anche lui era stato un ragazzino come quelli, che viveva alla giornata: li capiva, non riusciva a guardarli con disprezzo e superiorità.
Più ci pensava, e più si rendeva conto che uno come lui non poteva stare con una ragazza perbene come Leia: se lei avesse visto il degrado in cui aveva vissuto, se avesse saputo ciò che aveva fatto per tirare a campare, probabilmente sarebbe fuggita a gambe levate.
 
Di tanto in tanto andava ancora a Corellia, per andare a trovare sua madre, come in quel momento: con lei non aveva un rapporto idilliaco, ma era pur sempre sua madre ed era l’unico parente che ancora gli restava. Sua madre era rimasta incinta di lui quando aveva solo sedici anni – poco più che una ragazzina – e per questo era stata cacciata via di casa. Suo padre non mancava mai di ripetergli che il suo concepimento era stato uno sbaglio, un errore…un’imprudenza, e così Han aveva finito col crederci davvero. I suoi genitori poi si erano sposati, quando mancava poco a che lui nascesse, e dopo quattro anni era nato suo fratello Henry. Insomma, non erano mai stati una famiglia felice.
Prima di arrivare a casa passò come al solito dal cimitero, dove c’era la tomba di suo fratello. Non era una persona religiosa, ma andare a salutarlo e portargli dei fiori freschi (margherite, il suo fiore preferito) era un modo per immaginare che fosse ancora con lui. Dalla piccola fotografia posta sulla tomba Henry lo guardava sorridente e spensierato come se lo ricordava, con quel suo faccino spruzzato di lentiggini: Henry sarebbe rimasto un bambino per sempre, ingenuo e puro – mentre lui col tempo era cambiato e si era irrimediabilmente corrotto.
 
Ovviamente aveva avvertito sua madre del fatto che stava arrivando e che si sarebbe trattenuto come sempre per un paio di giorni. Non voleva trovarsi in una situazione imbarazzante: sapeva che sua madre a volte si portava a casa qualche uomo e si faceva pagare per prestazioni sessuali. Non si definiva una prostituta – lei – quanto piuttosto una geisha, o una mantenuta: era lei a scegliere i suoi uomini e a invitarli a casa sua, non batteva il marciapiede come le sgualdrinelle. Viveva da sola, ormai, e poteva fare quello che voleva: non lo faceva per soldi, per necessità, ma piuttosto per divertimento, per il piacere perverso di sottomettere gli uomini con il suo fascino – lei che dall’altro sesso era stata sempre sottomessa, da suo padre, dai suoi fratelli e infine da suo marito. Per Han la differenza non era poi tanta: vendeva il proprio corpo al miglio offerente, a uomini senza scrupoli e senza dignità, che cercavano in lei niente altro che un piacere fisico per qualche ora. Ma, ad ogni modo, chi era lui per giudicare il comportamento di sua madre? Non aveva fatto un uso migliore del proprio corpo, fino ad ora: anche lui, come lei, si era svenduto praticamente a qualsiasi ragazza di Tatooine. Non lo aveva fatto per soldi – era vero – ma lo aveva fatto comunque per un suo tornaconto personale: non c’erano sentimenti, niente di romantico nelle sue frequentazioni.
 
Se ne stava lì seduto senza dire niente, mentre sua madre gli raccontava delle compere dalle quali era appena tornata e di altre faccende senza importanza. A stento l’ascoltava, perso com’era nelle sue elucubrazioni mentali che avevano come comune denominatore una certa principessa dagli occhi color cioccolato e dai lunghissimi capelli corvini. “Sto uscendo con una ragazza, da un po’ di tempo” disse ad un tratto, senza rendersene conto, approfittando di una breve pausa in quel suo chiacchiericcio senza fine. Non voleva tirare in ballo quell’argomento, non con sua madre almeno…quella frase gli era uscita di getto mentre era sovrappensiero e quando si era accorto del danno fatto era troppo tardi per rimangiarsela.
Sua madre lo guardò, non riuscendo a trattenere un’espressione stupita. Han era un uomo adulto ormai e di certo aveva avuto le sue storie – anche se non ne aveva mai parlato con lei prima di allora. “È la prima volta che esci con una ragazza?” chiese.
“No.” Non era la prima volta, ma sperava sinceramente che fosse l’ultima.
“Non mi hai mai parlato della tua vita sentimentale. Perché me lo stai dicendo?”
Han si schiarì la voce, un po’ a disagio. “Non lo so. Forse perché è diversa dalle altre…credo.”
Diversa in che senso?” Quello che la donna temeva era che il figlio si fosse davvero innamorato, e che fosse pronto a rovinarsi la vita per una donna.
“Non lo so” ripeté il giovane. “Mi sembra speciale.” Sospirò frustrato: quella di parlarne con sua madre era stata davvero una pessima idea – si disse. Non sembrava stesse capendo, ma come poteva biasimarla in effetti: probabilmente non aveva mai conosciuto una persona che l’avesse amata in vita sua. I suoi genitori l’avevano cacciata via di casa, suo marito – il padre dei suoi figli – non le aveva dato altro che botte …era ovvio che non nutrisse grandi aspettative nelle relazioni umane.
Per qualche momento tacquero entrambi. Han tamburellava con le dita sul tavolo mentre sua madre continuava a sistemare la spesa nella vecchia credenza. Quando ebbe finito, prese una bottiglia di gin e due bicchieri, e mise tutto sul tavolo. Versò un paio di dita di liquore in ogni bicchiere e si sedette al tavolo di fronte a lui. “Come si chiama?”
Han vuotò il bicchiere in un sorso solo. “Leia.”
“È carina?”
“Molto.” Sorrise genuinamente, pensando ai suoi tratti delicati, al colore dei suoi occhi. Era davvero bella. Anche sua madre lo era, nonostante l’età e tutto ciò che aveva sopportato, ma di una bellezza diametralmente opposta: sua madre era il genere di donna che eccitava gli uomini, che stuzzicava i loro istinti e li rendeva animali, Leia invece era dolce e innocente come una creatura angelica – non sembravano neppure appartenere alla stessa razza. “È così semplice e…ingenua…”
“Intendi dire che è vergine?” chiese diretta sua madre.
Han sbuffò e scosse la testa con aria di disappunto: sua madre sapeva pensare solo al sesso – in questo era peggio di un uomo – e, soprattutto, non concepiva una relazione in cui questo aspetto non c’entrava per niente. Non ancora almeno.
“Non volevo dire questo” rispose asciutto. “Intendo che è una brava ragazza, troppo per stare con uno come me.” Sapeva che fra di loro non poteva andare, ma più ci pensava e più era animato da un desiderio di possesso quasi morboso: voleva Leia, e voleva che fosse solo sua e di nessun altro.
La donna si avvicinò a lui e gli prese le mani nelle sue. “Capisco che è speciale per te, Han – lo leggo nei tuoi occhi. Mi piacerebbe conoscerla…questa Leia, per capire che potere ha su di te.”
“Non se ne parla proprio!” esclamò Han in un impeto d’ira.
“Perché no? Ti vergogni di me?”
Il giovane sospirò e si svincolò dalla presa della madre. Non voleva ammetterlo, perché sapeva quanto sua madre fosse permalosa, ma in effetti era vero: si vergognava innanzitutto di se stesso, e poi anche del luogo in cui viveva e della sua famiglia – di quello che restava. “Non è questo” disse piano. “È che è ancora troppo presto…stiamo insieme da pochissimo e non so ancora bene come evolverà la storia.”
“Okay” fece la donna, tornando ad accarezzargli la mano serrata attorno al bicchiere. “Non voglio forzarti, ma sappi che prima o poi devi portarla qui.”
“Potrebbe anche non essere nulla di serio” insistette Han.
“Eh no, tesoro mio. Non te la cavi così.” Voleva accarezzarlo su una guancia, ma Han respinse prontamente la sua mano: odiava le sue dolciastre manifestazioni di affetto. “Non ti ho mai visto tanto in pena per qualcuno e non è da te.”
Han fece per dire qualcosa, ma sua madre lo zittì con un gesto della mano. “Sono tua madre. Ti conosco meglio di chiunque altro.” Si versò un altro po’ di gin, poi disse – non senza una punta di malizia: “Te la se già portata a letto?”
Han la fissò per un momento, poi proruppe in una risata nervosa. “Che accidenti c’entra questo ora?!” chiese. L’ultima cosa che voleva era discutere della sua vita sessuale con sua madre.
“Non essere timido...non devi avere vergogna a parlare con me di queste faccende! Allora?”
Il giovane sbuffo frustrato. “No.”
“Avevo ragione!” esclamò la donna soddisfatta, battendo le mani in modo febbrile. “La cosa è ben più seria di quanto vuoi dare a vedere, tesoro. Tu sei cotto a puntino!”
“Finiscila, mamma!” Si alzò in piedi, per darle le spalle ed evitare così il suo sguardo entusiasta. Andò alla finestra e si accese una sigaretta.
“Il fatto che non te la sei ancora portata a letto” continuò sua madre come se niente fosse “significa che per te è più di una semplice distrazione, altrimenti l’avresti sbattuta sul primo appoggio utile e ti saresti infilato in mezzo alle sue gambe senza farti tutti questi scrupoli. Ti sei innamorato, e se ti sembra così strano, è solo perché non ti è mai capitato prima.”
Han si voltò a guardarla con la sigaretta fra le labbra, non nascondendo il suo disgusto per la volgarità di sua madre, che non finiva mai di stupirlo – in negativo, ovviamente. Tuttavia aveva ragione – si era innamorato: per questo non sapeva come comportarsi, per questo si sentiva così smarrito, tanto da essere andato a chiedere aiuto addirittura a sua madre, che di queste cose non si intendeva affatto.
“È una bella cosa essere innamorati, Han. Non dovresti starci così male. In effetti, poi, lei non ti ha detto di no…”
“Non ancora.”
“E non abbatterti ancor prima che cominci” disse sua madre per dargli coraggio. “Sei un bel ragazzo e hai tante belle qualità – non hai nulla che non vada. Questa Leia non potrà avere nulla di cui lamentarsi…non sarà mica una principessa?”
Forse non per il resto del mondo, ma per lui certamente lo era. 

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NOTE DELL'AUTRICE
Eccomi qui con il nuovo capitolo!
Ho voluto approfondire maggiormente la figura di Han, il suo passato e il rapporto (nefasto) con la sua famiglia. Spero che questo mio "approfondimento" vi piaccia e non vi abbia deluso: Han è un personaggio oscuro, e mi è piaciuto dargli un passato doloroso che spiegasse la corazza nella quale si è chiuso con gli anni. Per chi non lo avesse capito ancora, Henry è il nome dell'unico fratello che Han possa mai avere - Henry (Indy) Jones :-D

Fatemi sapere cosa ne pensate della mia storia...recensioni e critiche sono sempre ben accette!

 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


          Capitolo XII
L’area dove sorgeva il vecchio zuccherificio era abbandonata da tempo. I vecchi capannoni che una volta ospitavano i macchinari per la raffinazione e l’impacchettamento dello zucchero giacevano dismessi, rovinati dal tempo e dalle intemperie; pezzi di coperture – ormai rossi per la ruggine – si erano staccati dai tetti e giacevano a terra. Nel complesso, tutta la zona aveva assunto un aria spettrale.
La fabbrica un tempo doveva essere stata molto produttiva, a giudicare dalla grandezza dei locali che ancora esistevano: ben otto capannoni fra quelli adibiti alla produzione e all’immagazzinamento – disposti quattro a destra e quattro a sinistra di una larga strada sterrata – ancora torreggiavano sull’area; vi era poi un ampio parcheggio, probabilmente per i dipendenti, e uno spazio per il carico delle merci sui camion.
Secondo Leia un’area tanto vasta poteva essere riqualificata e destinata ad uno scopo che fosse più utile, come ad esempio un parco verde. Purtroppo però, quello zuccherificio non era di proprietà del comune ma in mano ai privati, che non avevano trovato di meglio che lasciarlo arrugginire senza dargli un futuro. Un’area di dimensioni così vaste era diventata col passare degli anni un ritrovo per teppisti e graffitari, che avevano colorato a loro modo pareti sporche e vecchie. Era lì, in quella terra di nessuno, che si organizzavano rave party, combattimenti clandestini e gare di velocità: lì, fra quei capannoni in rovina, giravano incredibili quantità di soldi fra scommesse e vincite illegali.
 
Era proprio lì che Leia si stava recando in quel momento. Era venuta a conoscenza del fatto che stava per svolgersi una corsa di motociclette, e che Han vi avrebbe partecipato. Non era stato Han ad informarla di questo fatto, ovviamente: aveva origliato una conversazione telefonica fra suo fratello e Wedge, nella quale si mettevano d’accordo per andare a vedere la sfida. Da quanto aveva ascoltato, questa gara era particolarmente importante e c’era in ballo una grossa vincita: vi avrebbe preso parte anche Talon Karrde – uno dei corridori clandestini più noti e temuti – e questo aveva attirato scommettitori e allibratori anche di paesi vicini.
Luke le aveva naturalmente taciuto la faccenda. A volte proprio non sapeva da che parte stesse, se dalla sua o da quella del suo amico Han Solo. Nel tardo pomeriggio Wedge era passato a prenderlo per andare alla gara: con gli zii aveva inventato una scusa qualsiasi, mentre a lei non aveva detto proprio nulla su dove andasse e che cosa facesse. Leia aveva atteso che Luke fosse andato via per prendere le chiavi della macchina e partire alla volta dello zuccherificio.
In realtà, lei stessa non sapeva bene cosa volesse fare una volta arrivata lì: da una parte voleva prendere Han per il colletto della camicia e riempirlo di schiaffi, perché ancora una volta metteva a repentaglio la propria vita – e per uno scopo tutt’altro che nobile; dall’altra però voleva solo assistere alla gara, guardarlo da lontano e assicurarsi semplicemente che restasse tutto intero. Aveva deciso di amarlo così com’era – pregi e difetti – e non voleva interferire nelle sue scelte, per quanto sbagliate le potessero sembrare, né tantomeno impedirgli di vivere come aveva sempre fatto.
 
Stava piovendo a dirotto, come era stato previsto dalla TV: un banale temporale estivo si era in poco tempo tramutato in un vero e proprio diluvio, che aveva finito coll’allagare le strade del paese e col rendere quasi impossibile la viabilità. Anche per questo Leia era particolarmente angosciata: se la corsa si fosse svolta sotto quell’acqua, poteva trasformarsi in una tragedia.
 
*****
“Sta piovendo troppo” disse Han Solo. “Forse sarebbe meglio rimandare la gara.”
Jabba The Hutt lo guardò in tralice. “Non è possibile, Solo” sbottò. “Hai idea di quanti soldi perderei se non si facesse?”
“Forse il pivellino ha paura” suggerì Talon Karrde. Il giovane motociclista si alzò in piedi e si fece avanti. “Teme di perdere…”
“Non è questo” assicurò Solo. “Dico solo che qualcuno potrebbe farsi molto male stasera.”
Come al solito prima di ogni corsa, piloti, organizzatori e scommettitori si riunivano in uno dei vecchi capannoni per discutere i dettagli del percorso di gara e dei premi. Niles Ferrier, Han Solo, Talon Karrde e gli altri piloti stavano appoggiati alle rispettive motociclette ascoltando il solito regolamento (puntualmente trasgredito ad ogni corsa) letto da Jabba The Hutt, l’organizzatore dell’evento.
Han Solo aveva azzardato un’obiezione, e non perché fosse improvvisamente diventato codardo, ma piuttosto perché percepiva vero e reale il pericolo che con quella pioggia potesse accadere qualche incidente – magari grave. Tuttavia la sua obiezione era stata accolta molto male, a giudicare dal polverone che si stava sollevando contro di lui.
Karrde si accarezzò il pizzetto beffardamente. “Non credo che due gocce possano dare tanto fastidio.”
“Io propongo una votazione democratica” gridò Lando Calrissian dal fondo del capannone, bloccando di fatto sul nascere ogni tentativo di risposta da parte di Han che avrebbe potuto scatenare una rissa: gli animi erano già abbastanza tesi. Lando non era fra i partecipanti alla corsa, era lì in qualità di spettatore – e scommettitore, ovviamente. Vi era stato un periodo in cui anche lui aveva preso parte a questo genere di sfide, ma si era ritirato dai giochi molto tempo fa: queste cose non facevano più per lui, meglio dedicarsi ad attività più tranquille e più sicure. Dall’altro lato del capannone Han gli rivolse uno sguardo di intesa, a cui egli rispose con un cenno del capo.
Jabba lo fissò per un momento, prima di prorompere in una fragorosa risata. “Vuoi fare una votazione, Calrissian? E va bene, facciamola!”
Immediatamente si levò un brusio all’interno del capannone. Jabba dovette battere più volte le sue manone viscide e grassocce, prima di ottenere nuovamente un po’ di silenzio. “Non ci vedo nulla di sbagliato in una votazione onesta e pulita…siamo in una democrazia, del resto” disse. Se aveva acconsentito, era perché era sicuro che la gara si sarebbe fatta lo stesso: chi aveva già fatto le proprie scommesse non aveva nessuna intenzione di perdere i soldi investiti e avrebbe votato affinchè la gara si svolgesse, nonostante il diluvio in atto. “Chi vuole spostare la sfida a causa del maltempo alzasse la mano” chiese ai presenti.
Han fu il primo a levare il braccio ma, purtroppo per lui, pochi furono quelli che lo imitarono. Karrde lo guardò con un atteggiamento di ostentata superiorità, mentre Jabba gli sorrise vittorioso. “Credo che la gara si farà, Solo” disse. “Tu sei libero di ritirarti, se vuoi.”
“Non se ne parla nemmeno, Jabba” sibilò Han a denti stretti. L’ultima cosa che voleva era fare la figura del vigliacco e ritirarsi dalla sfida. “Se questa gara si farà, io parteciperò.”
“Benissimo! Sulla linea di partenza allora.”
*****
Non appena Leia fu scesa dall’auto ed ebbe aperto l’ombrello le si avvicinò un vecchietto piccolo e smunto, con le dita lunghe e ossute strette attorno al manico di un ombrello che aveva certamente conosciuto tempi migliori. “Vuole scommettere sulla gara, miss?” chiese con fare mellifluo. Nel parcheggio c’erano altri due o tre avvoltoi come lui, che si avvinghiavano a chi arrivava per estorcergli denaro in scommesse.
Leia scosse la testa, disgustata. Questo era proprio il genere di persona che le dava la nausea.
“Anche una piccola scommessa” proseguì il vecchio, mostrando un sorriso sdentato. “Bastano pochi spiccioli…mica è venuta qui solo per vedere lo spettacolo, miss?”
“La ringrazio, ma non voglio scommettere” rispose secca Leia. Non era quello lo scopo per il quale era venuta. Girò i tacchi e fece qualche passo verso i capannoni che già brulicavano di persone, poi si girò e chiese al vecchio: “Quanto date la vittoria di Han Solo?”
Il volto dell’uomo si contorse in un ghigno, mentre si lisciava più volte il mento butterato. “Questa non è la sua gara, miss. Con Karrde in pista, le sue possibilità di vittoria si riducono quasi a zero…e questa pioggia certo non lo aiuterà. Perché non scommette sul possibile vincitore?”
Leia preferì non rispondergli. Si chiuse la giacca e si allontanò svelta dal parcheggio, alla volta della linea di partenza.
 
Come in ogni gara che si svolgeva fra quei capannoni, non c’era una posizione che permettesse di vedere tutto il percorso di gara. Il pubblico si era quindi distribuito in piccoli capannelli lungo il percorso, e si riparava come poteva sotto ombrelli e kway dalla pioggia battente che non accennava a smettere.
Leia scelse di mettersi presso la seconda curva, che sembrava poco affollata. Aveva deciso di non farsi vedere né da suo fratello, né tantomeno da Han: il primo l’avrebbe strillata per essere venuta in un postaccio non certo adatto ad una ragazza perbene come lei, mentre il secondo…non aveva idea di come Han avrebbe potuto reagire a vederla lì, ma non credeva che ne sarebbe stato tanto entusiasta. In realtà, aveva cercato di capire dove fosse Luke, ma non era riuscita a trovarlo in mezzo a quella calca. Aveva invece notato la presenza di Lando, a inizio pista, e di Tendra, la ragazza che lavorava con lui al Mos Eisley come cameriera. Da dove si trovava lei aveva un’ottima visuale sulla prima parte del percorso, ovvero sul vialone fra le due file di capannoni; dopo il secondo capannone i concorrenti avrebbero svoltato a destra, in un vicoletto laterale, e sarebbero così spariti alla sua vista. In ogni caso, non che si vedesse granché: Leia era bassa rispetto ad altri spettatori davanti a lei, e comunque la pioggia impediva di vedere ad un palmo dal proprio naso. Sperava solo che tutto andasse bene, e che Han uscisse integro da quella sfida con la morte.
Il colpo di una scacciacani, sparato in aria da Tendra, fece partire le motociclette. Immediatamente si sollevò una nube di polvere e fumi di scarico, che rendeva impossibile distinguere i piloti e i loro mezzi. A velocità folle tutte le moto sfrecciarono sotto gli occhi di Leia, compresa quella di Han – che non ebbe difficoltà a riconoscere nonostante tutto – poi si lanciarono a destra.
Fu per questo motivo che Leia non poté assistere all’incidente che avvenne alla curva successiva. Improvvisamente si udì un incredibile stridio di pneumatici sull’asfalto, seguito da un botto violento. Chi era lì vicino ed aveva assistito alla scena iniziò a gridare; la gara si interruppe.
Leia si fece trasportare dal flusso di persone verso il luogo dell’incidente, sperando con tutto il cuore che Han non vi fosse coinvolto: dal rumore e dalle grida che aveva sentito la situazione doveva essere grave, e già scenari apocalittici si prospettavano davanti ai suoi occhi. Ma nulla di ciò che ebbe immaginato fu tanto angoscioso quanto quello che vide: la motocicletta di Han era in mezzo alla pista, ancora fumante, mentre il suo pilota era sbalzato via di parecchi metri, scivolando sul terreno fangoso fino a sbattere contro uno dei capannoni; accanto a lui c’erano Luke e Lando che probabilmente gli stavano parlando per accertarsi che fosse ancora cosciente, ma Han non dava cenni di riuscire ad alzarsi da solo.
 
Non era la prima volta che cadeva, e certamente non sarebbe stata l’ultima.
A parte un indolenzimento diffuso ad ogni fibra del proprio corpo, Han non accusava dolori particolarmente lancinanti. Per il volo che aveva fatto, se l’era cavata piuttosto bene, e questo proprio grazie alla pioggia che gli aveva fatto perdere il controllo e lo aveva fatto uscire di pista: tutta quell’acqua aveva reso il terreno assai sdrucciolevole e aveva annullato l’attrito fra il proprio corpo e la strada, facendolo scivolare senza procurargli escoriazioni né abrasioni. La testa…quella invece faceva male, nonostante il casco, ed era sicuro che gli avrebbe fatto parecchio male anche nei giorni a seguire.
Con un grande sforzo di volontà tentò di rimettersi in piedi, facendosi sostenere da chi gli era vicino in quel momento e, combattendo contro un fortissimo capogiro, riuscì a sfilarsi il casco da solo. La pioggia gli annebbiò la vista all’istante, battendo sul suo volto addolorato. Quando scorse nella folla davanti a sé un’esile e giovane figura che lo fissava con occhi angosciati, immaginò che forse i danni alla testa erano più gravi di quello che credeva: aveva chiaramente le traveggole…non era possibile che lei fosse lì.
“Leia” fu l’unica cosa che riuscì a dire, incurante di chi gli chiedeva se stesse bene e se avesse qualche dolore particolare, ma fu sufficiente: in un attimo si trovò circondato dal suo profumo, con le sue braccia strette attorno al collo fino a fargli male. “Che ci fai qui?” le chiese dopo qualche attimo. Stava tremando fra le sue braccia, e non era per la pioggia.
Leia non rispose, ma si strinse più forte a lui. Cosa avrebbe potuto dirgli, che era un pazzo a rischiare la vita a quel modo e che lei faceva ancora peggio a preoccuparsene? In fondo, era solo contenta che fosse ancora vivo e più o meno tutto intero.
“E questa bella bambolina chi è?” chiese sghignazzando Talon. Si avvicinò un po’ ridendo di gusto, divertito da quella scena così patetica. “Ti sei portato una mascotte stavolta?”
Han sciolse l’abbraccio, quel tanto che bastava per poter guardare l’avversario in faccia. “Non ti è bastato quello che è successo per colpa tua?” gridò.
“Colpa mia?!” fece l’altro, fingendosi offeso. “Abbiamo fatto una votazione onesta, e la maggioranza ha deciso…te lo sei già scordato?”
Han era su tutte le furie. I suoi tentativi di mantenere la calma si vanificarono all’istante. “Ascoltami bene, brutto idiota, io…”
“Lascia perdere, Han” lo interruppe Leia. “Non ne vale proprio la pena.”
“Hai sentito cosa ha detto la tua amichetta?” continuò impertinente Karrde. “Lascia perdere. Evita di coprirti ulteriormente di ridicolo…tu non sei fatto per questo genere di gare, e lo hai dimostrato già prima, nel capannone, quando ti sei fatto sotto per un po’ di pioggia.”
Questo fu per Han il colpo di grazia, il punto di non ritorno. Con quel poco di forze che aveva in corpo e ignorando il cerchio alla testa sempre più stretto si svincolò dalla stretta di Leia e si avvicinò a Karrde, tirandogli un pugno dritto alla mascella destra che per poco non sbilanciò il suo avversario fino a farlo cadere a terra. Inutile dire che Talon non se lo aspettava: ci aveva preso gusto a schernirlo pubblicamente, ma non credeva che fosse tanto in forze da poterlo picchiare, visto l’incidente. Aprì lentamente la bocca, massaggiandosi la ganascia indolenzita, poi serrò le dita a pugno e lo colpì pesantemente sul naso, imprecando contro di lui. Nessuno poteva farlo sfigurare davanti alla gente, tantomeno un pivello come Han Solo. Iniziò a sferrare colpi sul volto del ragazzo che aveva investito tutte le sue energie in quel primo pugno scatenante e che ora non aveva più forza in corpo per rispondere alla sua violenza, e fu necessario l’intervento di Jabba The Hutt per riuscire a fermarlo: era diventato una furia, e nessuno – né Luke, né Lando, né gli altri concorrenti – era riuscito a farlo smettere.
Han giaceva a terra senza la forza di alzarsi, per cui Leia si chinò a terra accanto a lui: prese un fazzoletto dalla borsa e con delicatezza gli tamponò il sangue che colava dal naso e che si mescolava alla pioggia. “Era proprio necessario questo?” chiese in un sussurro.
Insieme a Luke lo rimise in piedi e disse a suo fratello: “Ora lo riporto a casa sua, tanto ho la macchina. Tu torna a casa e inventa una scusa con la zia…non deve assolutamente sapere quello che è successo.” Poi aggiunse, rivolgendosi a Lando: “Occupati della motocicletta, mettila al riparo. Tornerà a riprendersela.”
 
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NOTE DELL’AUTRICE
Spero che questo mio capitolo – decisamente di azione ma poco romantico – non vi abbia annoiato. Ho cercato di non imbrigliarmi in descrizioni troppo lunghe e stancanti e di mantenere il focus sugli eventi, delineandoli con pochi tratti essenziali. Spero inoltre di essere riuscita a creare un'atmosfera credibile, e di non essere scaduta nel patetico/melodrammatico/ridicolo. In ogni caso, le critiche sono sempre ben accette!!!
La descrizione del vecchio zuccherificio è stata ispirata da uno zuccherificio che si trova realmente vicino casa mia ma che – per fortuna – è stato da poco rilevato e rimesso a nuovo.
Per chi non avesse letto i libri di Timothy Zahn sull’Universo Espanso, Talon Karrde è un noto contrabbandiere, che ho inserito qui come sfidante di Han, insieme con Niles Ferrier. Anche Tendra è un personaggio tratto dai libri di Zahn: si tratta della compagna di Lando Calrissian (anche se qui non lo è – non ancora, almeno).
Per la gara svolta sotto il diluvio e per la caduta di Han mi sono ispirata al terribile incidente avvenuto il 1º agosto 1976 al Gran Premio di Germania, sul pericoloso circuito del Nürburgring, nel quale il pilota di Formula Uno Niki Lauda ebbe il più grave incidente della sua carriera (se non lo avete ancora visto, vi consiglio caldamente la visione del film RUSH di Ron Howard, che descrive magistralmente questo tragico evento).
Alla settimana prossima, se vi va!
Sabrina

 

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


          Capitolo XIII
Per tutto il viaggio in auto fino a casa nessuno dei due aveva osato dire qualcosa. Han era un fascio di nervi: era ancora scosso per la caduta subita, imbarazzato per non aver saputo reagire con prontezza alle provocazioni e alle botte di quel pallone gonfiato ma, soprattutto, si sentiva profondamente a disagio con Leia, per il bel siparietto a cui l’aveva fatta assistere e per il fatto che ora fosse lei a riportarlo a casa visto che lui non era in grado neanche di reggersi in piedi da solo…che bella figura che stava facendo con lei! Per questo motivo se ne stava muto e imbronciato con lo sguardo fisso fuori dal finestrino, guardando il centro che gradualmente si trasformava in periferia alla luce rossa del tramonto.
Leia, dal canto suo, era combattuta fra la rabbia contro di lui, che si metteva sempre nei guai dando ascolto alla propria incoscienza, e l’angoscia per quello a cui aveva appena assistito.

Quando entrarono in casa, Han andò subito in bagno. Si spogliò dei vestiti sporchi di fango e si sciacquò la faccia tumefatta, massaggiandosi il naso ancora dolorante e insanguinato. Faceva male, ma non sembrava che fosse rotto almeno. Indossò dei vestiti puliti e uscì, preparandosi ad un inevitabile scontro con Leia che, nel frattempo, si era presa una lattina di birra dal frigo e la stava sorseggiando osservando la pioggia cadere dalla finestra, immersa in chissà quali riflessioni.
Si stravaccò sul letto, lasciandola ai suoi pensieri. Era esausto, ogni fibra del suo corpo era indolenzita e la testa ancora gli girava. Tutto quello che voleva era buttarsi sul cuscino e dormire per un paio di giorni, ma non poteva mandare via Leia così – non dopo tutto ciò che aveva fatto per lui quella sera. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e la fronte sulle mani, nel vano tentativo di fermare la stanza che roteava attorno a lui.
Sapeva che la sua principessa era arrabbiata, poteva percepirlo chiaramente dal freddo distacco con il quale non lo aveva degnato neppure di uno sguardo da quando erano saliti in auto e con il quale continuava a fissare la pioggia attraverso il vetro facendo finta che lui non ci fosse. Sapeva che era arrabbiata, e sapeva che doveva essere lui a fare il primo verso la resa: se ognuno dei due avesse dato ascolto al proprio orgoglio, avrebbero impiegato anni a ripristinare un dialogo pacifico.
“Leia” la chiamò, dolcemente, sperando davvero che rispondesse. Visto che non ottenne risposta, sollevò la testa per guardarla e incrociò il suo sguardo che lo fissava.
“Che c’è?” disse la ragazza.
“Sei arrabbiata con me?”
Leia parve pensarci un attimo, continuando a fissarlo mentre sorseggiava la sua birra, poi scosse la testa e gli sorrise. Non riusciva a tenergli il broncio per troppo tempo, specie quando la guardava con quell’espressione così pentita stampata sul volto, e neanche lo voleva: in fondo, era solo contenta che fosse ancora intero e che non avesse niente di rotto.
Posò la lattina sul lavello e si avvicinò a lui. Si infilò fra le sue gambe aperte, nel circolo delle sue braccia, e gli cinse il collo per aggiustargli il colletto della camicia tirato su. Era bello poterlo vedere dall’alto, poterlo fissare dritto in quei meravigliosi occhi che non aveva mai avuto davvero modo di apprezzare – non così da vicino almeno – per via della loro enorme differenza di altezza. Timidamente gli sfiorò il naso ammaccato per accertarsi che fosse ancora sano, il labbro spaccato, la cicatrice che gli rigava il mento…chissà come se l’era procurata, probabilmente in qualche rissa come quella alla quale aveva appena assistito.
Han si lasciò scappare un lungo sospiro mentre sentiva le sue dita sottili toccarlo in modo così dolce e delicato, in modo assai diverso dai pugni che aveva subito: in quel contatto poteva sentire chiara e distinta l’ansia di lei nell’assicurarsi che stesse bene, mista a un desiderio quasi morboso di prendere consapevolezza del suo corpo, dei suoi tratti. Lo stava tacitamente esplorando, ma la cosa non gli dispiaceva affatto.
“Come va?” gli chiese dopo qualche istante.
“Ho visto giornate migliori principessa, ma sto già meglio.” La strinse teneramente a sé: toccarla, sentire che era viva e vera nel suo abbraccio, era il miglior balsamo che esistesse per sanare il suo malessere fisico e psicologico. “Tu come stai?”
“Non sono io che ho avuto l’incidente” rispose asciutta.
A quelle parole, il ragazzo chinò lo sguardo. Se Leia aveva paura, se le sue dita stavano tremando sul proprio volto, era soltanto colpa sua e lo sapeva bene. “Non saresti dovuta venire.”
“E perché no? Mi sarei persa un gran bello spettacolo.”
“Non volevo che vedessi quello che hai visto. Mi dispiace.”
“Il problema non è ciò che ho visto, Han, ma ciò che sarebbe potuto accadere” disse Leia. “Non ti rendi conto dei pericoli ai quali ti esponi?! E non venirmi a dire che lo fai per i soldi, perché oggi non avresti sicuramente vinto.”
“E come fai a saperlo?” replicò Han, alzando la voce suo malgrado. “Solo perché quell’idiota di Karrde non…”
“Ho parlato con un allibratore. Mi ha detto che avresti perso di sicuro, che non era la tua gara.” Gli accarezzò fugacemente i capelli e gli sfiorò la fronte con un bacio. “Allora? Vuoi dirmi perché lo fai?”
Han sbuffò. “Per l’adrenalina che provo quando corro in sella al Falcon. Per quel…brivido, quella sensazione di essere invincibile.” Poteva sembrare stupido e da pazzi, ma era vero: proprio essere ad un passo dalla morte lo faceva sentire veramente vivo, lo inebriava di un incredibile senso di potenza. Non si aspettava che Leia lo capisse: con il suo animo puro e moderato, col suo sviluppatissimo senso del dovere e delle regole…no, non avrebbe mai potuto capire un’azione tanto folle.
 
“I miei genitori sono morti in un’incidente d’auto” disse Leia, in un inutile sforzo di trattenere le lacrime che iniziavano già a rigarle le guance. “Continuo a dirmi che è stato un incidente, che non è colpa di nessuno, ma a volte non so come faccia io stessa a continuare ad andare avanti, a guidare, a uscire di casa. A volte sono paralizzata dalla paura, dal terrore che possa accadere anche a me ciò che è accaduto a loro…mi capisci? Ho paura di morire.” Han l’accarezzò sulla guancia, asciugandole le lacrime. Immaginava cosa stesse per dire, e già gli si stringeva lo stomaco.
“Oggi ho provato la stessa paura…per te. Credevo che fossi morto, quando ti ho visto lì a terra.”
“Sono qui” la rassicurò. “Non mi sono fatto niente.”
Leia non rispose, ma gli prese il volto fra le mani tremanti e lo baciò sulle labbra, abbandonandosi per la prima volta alla passione che per troppo tempo aveva tenuta conservata per sé, e quel bacio che doveva essere innocente si infiammò immediatamente di adrenalina e di trasporto. Sentì subito le mani di lui scorrere lungo tutto il suo corpo, risalire lungo i fianchi toccandola in modo dolce e deciso allo stesso tempo. Era diventata come argilla nelle sue mani calde: avrebbe potuto farle qualsiasi cosa, e lei glielo avrebbe permesso senza opporvi resistenza alcuna. Anche se non capiva le sue ragioni, non condivideva per nulla il suo modo di vivere, non accettava molte delle sue scelte, le sembrava così giusto stare con lui: fra le sue braccia era l’unico posto al mondo in cui si fosse mai sentita sicura, protetta…a casa.
Era evidente che la cosa le stesse sfuggendo di mano.
La loro storia era appena iniziata e già da essa dipendeva la sua sopravvivenza: il solo pensiero che potesse finire, che loro due potessero lasciarsi o che potesse accadergli qualcosa di brutto le bloccava il respiro in gola e le riempiva il cuore di angoscia. Continuava a ripetersi che non doveva ingigantire così tanto quella situazione, ma più lo faceva e più il suo animo le suggeriva tutt’altro: non poteva essere solo una semplice avventura estiva, o una cottarella adolescenziale, era un amore tanto intenso e travolgente da essere estremo, invalidante.
Quando si separarono, respirando entrambi affannosamente, Han fece per dire qualcosa, ma Leia lo fermò puntando un dito sulle sue labbra semiaperte.
“Non voglio che tu cambi, Han” gli disse piano. “Neanche di una virgola…tu mi piaci così come sei. Io vorrei solo che tu pensassi un attimo prima di fare le cose, che non fossi così incosciente e…folle.” Sospirò, prima di continuare. “Puoi farlo? O almeno provarci?”
Han annuì. Non aveva mai avuto niente da perdere, niente che lo tenesse attaccato alla vita e che gli desse quel briciolo di spirito di autoconservazione necessario a trattenerlo dal compiere imprese così assurdamente pericolose quanto inutili. Per varie ragioni, probabilmente sbagliate – si rendeva conto solo ora, aveva sempre disprezzato la propria esistenza e non si era mai tenuto troppo lontano dal morire: gli sarebbe bastato un passettino in avanti, andare un po’ oltre il limite, e avrebbe detto addio a questo mondo infame e crudele che non gli aveva mai dato niente di buono.
Eppure non lo aveva mai fatto, non aveva mai avuto davvero il coraggio di oltrepassare quel limite. E ora era contento di essere ancora vivo, di guardare l’universo intero negli occhi della sua ragazza, e di sentire il proprio cuore andare a tempo con il suo. Forse tutto ciò che aveva subito, tutte le sofferenze e le prove che aveva dovuto affrontare, forse tutto era stato necessario per poter apprezzare pienamente quel momento di amore puro e sincero che lei gli stava donando adesso.
 
Leia gli diede un bacio a fior di labbra. Sarebbe stata dura stargli vicino, e ancora di più provare a cambiarlo, ma ormai era impossibile fare a meno di lui. “Ora devo proprio andare” disse riluttante.
“Non vuoi restare un altro po’?”
La ragazza sorrise del suo timido invito. “Non posso. Non so cosa Luke abbia raccontato agli zii, ma sono certa che la scusa non reggerà ancora a lungo. E poi, voglio darmi anch’io una rinfrescata.”
“D’accordo.” La baciò di nuovo, accarezzandola dolcemente sulle guance e sulla nuca. “Grazie per avermi accompagnato. E per il resto.”
“Fa’ il bravo.” Raccolse la borsa, la giacca e l’ombrello e uscì, chiudendo la porta alle proprie spalle e lasciandolo alla sua solitudine.
 
Han si stese sul letto, passandosi una mano fra i capelli ancora umidi. La vita, che gli era sempre apparsa un meccanismo semplice, da un po’ di tempo a questa parte aveva iniziato a sembrargli inspiegabilmente complicata: si era sempre accontentato di poco, di poter soddisfare i propri bisogni e di concedersi qualche sfizio senza cadere troppo nel filosofico, e invece adesso si trovava spesso a riflettere – un’attività alla quale non aveva mai dedicato tante energie come ora.
Perché Leia si ostinava a stare con uno come lui, a volergli bene e a preoccuparsi per lui? Non riusciva proprio a spiegarselo. Sapeva di non meritarla, non aveva niente da offrirle, insisteva in comportamenti e azioni che non riscontravano la sua approvazione, eppure lei continuava a stargli vicino…perché!? Anche se non glielo aveva mai detto, lei lo amava, incredibilmente per quello che era, e questo era il più grande mistero al quale aveva assistito fino a quel momento. 


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NOTE DELL'AUTRICE
Volevo innanzitutto ringraziare tutti quelli che hanno letto la mia storia fino a questo momento (e che non hanno ancora desistito...) e annunciare che la settimana prossima pubblicherò l'ultimo capitolo.
Spero di non essere scaduta nel banale e nel prevedibile con questo nuovo capitolo, che ha assorbito molte energie: non volevo che andasse a finire in uno scontato litigio fra fidanzati, ma nemmeno che fosse troppo povero di contenuto...ho cercato di trovare un equilibrio che mi soddisfacesse, e che spero soddisfi anche voi.
Alla prossima!
Sabrina

 

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


          Epilogo
Avevano deciso di incontrarsi quella sera per salutarsi prima che ognuno partisse per le proprie vacanze. Il martedì era il giorno in cui Lando teneva chiuso il proprio locale, e proprio quel giorno era diventato il momento perfetto per incontrarsi, approfittando che il bar aprisse solo per loro.
Quell’estate, così simile alle altre che erano già trascorse a Tatooine, aveva per loro un sapore speciale perché era la fine di un percorso: davanti a ognuno di loro si aprivano nuove strade, nuove possibilità, e tutti erano carichi di aspettative e speranze. Luke e Wedge si sarebbero iscritti all’accademia militare; Leia avrebbe iniziato l’università – relazioni internazionali, come sua madre; Jyn sarebbe si sarebbe trasferita a Naboo per inseguire il suo sogno di diventare un medico; Cassian avrebbe messo mano alla stesura della tesi di laurea…ognuno di loro aveva quell’ultima estate da godersi, prima di fiondarsi in un nuovo anno ricco di cambiamenti con il cuore gonfio di fiducia per il futuro.
Ovviamente, a quella piccola festicciola d’addio partecipava anche Han, nonostante non avesse nessuna partenza in vista né grandi piani per l’autunno seguente: la realtà era che si trovava bene in quel gruppo di amici, anche se non condivideva le loro speranze e i loro sogni, e poi c’era la sua ragazza, alla quale non poteva dire di no. Tuttavia era arrivato da solo, lasciando che Leia raggiungesse il bar con suo fratello: avevano deciso di non dare nell’occhio, facendo platealmente ingresso insieme.
 
Quella sera, nonostante non fosse in servizio, c’era anche Tendra. Lavorava al bar di Lando ormai da un anno come cameriera: non aveva mai avuto grandi aspirazioni professionali, per questo motivo aveva scelto quel lavoro tranquillo. Suo padre l’avrebbe voluta avvocato, ed era per questo motivo che lei era andata via di casa a diciott’anni, appena finito il liceo: voleva essere libera, sempre, in ogni cosa che faceva, non importava quanta fatica e quanti sacrifici questo le costasse.
Con Lando per fortuna si era trovata benissimo sin da subito: era un vero gentiluomo e l’aveva sempre trattata con riguardo – anche dal punto di vista della paga. Si poteva dire che col tempo fossero diventati buoni amici, e fra di loro c’erano fiducia e rispetto reciproci. Qualche volta, dopo la chiusura, capitava che finissero a fare sesso nel retro del locale – solo per divertimento, senza alcun tipo di impegno sentimentale. Erano entrambi single, e non ci vedevano niente di male spassarsela un po’ ogni tanto. Solo sesso – continuava a ripetersi Tendra – solo sesso, anche se doveva ammettere che un po’ le piaceva avere il suo profumo addosso quando tornava a casa, e che talvolta si svegliava al mattino sperando di trovarlo nel proprio letto. Solo sesso…era una ragazza grande ormai, e aveva smesso di credere nell’amore già da tempo. C’era da dire però che Lando era un amante eccezionale, uno dei migliori che avesse avuto modo di testare: sapeva bene ciò che voleva ma sapeva anche come soddisfarla appieno. Forse era semplicemente per questo che l’attraeva tanto e che a volte fantasticava su di lui.
Leia la guardò avvicinarsi al loro tavolo con il vassoio pieno di birre e in quel momento capì ciò che le sue amiche e suo fratello avevano sempre detto di lei e Han – e cioè che era evidente che Tendra e Lando erano fatti l’uno per l’altra, anche se non lo sapevano ancora. Era palese dal modo in cui si guardavano e dall’intesa che emergeva dai loro gesti che il loro non era un semplice rapporto di lavoro, non più almeno. Solo questione di tempo – pensò – prima che ammettessero la loro reciproca attrazione.
 
Presero ciascuno una bottiglia e qualcuno dei ragazzi l’aveva già avvicinata alle labbra quando Jyn esclamò: “Aspettate! Facciamo un brindisi.” Poi, rivolta a Leia, aggiunse: “Lei, perché non dici due parole?”
“IO!?” fece Leia, sentendosi avvampare all’istante.
“Sì” concordò Wedge. “In fondo, sei l’unica di noi in grado di fare un discorso...”
“Avanti, principessa…alzati in piedi e dì qualcosa, che abbiamo tutti sete qui” disse Han con un ghigno impudente. Anche se ora stavano insieme, Han non aveva perso il brutto vizio di prenderla in giro e di metterla in difficoltà, almeno quando erano in pubblico: gli piaceva troppo vederla arrossire per colpa sua, gli era sempre piaciuto.
Seppur reticente, la ragazza si alzò in piedi tenendo la bottiglia davanti a sé. Per un attimo ripensò a quell’anno appena trascorso, carico di ansie, di dispiaceri, di amarezze, ma anche di grandi soddisfazioni, e al nuovo corso che stava per iniziare e che avrebbe radicalmente cambiato le loro vite, rendendoli adulti. “Quest’anno non è stato affatto facile, per nessuno di noi” iniziò. “Abbiamo dovuto sopportare le angherie di Mon Mothma e di Madine…”
“La follia di Akbar…” suggerì Wedge a mezza voce.
Leia lo guardò e sorrise, prima di continuare: “…le difficolta dell’esame di maturità e la scelta del nostro futuro. Ma siamo stati uniti e ce l’abbiamo fatta, insieme, perché siamo una bella squadra. Vorrei quindi brindare alla nostra amicizia, che non si dissolva ora che prenderemo strade diverse e che sia più forte delle nostre scelte accademiche e professionali.”
“Alla nostra amicizia!” ripeterono tutti in coro, facendo tintinnare le bottiglie.
“Io proporrei di fare un altro brindisi” disse Lando con uno smagliante sorriso rivolto a Han. “Alla nuova coppia!”
Questo sbalordì Han Solo immediatamente e spense la sua goliardica impudenza. Abbassò lentamente la bottiglia e gli rivolse uno sguardo tagliente come una sciabola.
Leia non sapeva che fare: percepiva gli occhi di tutti i presenti puntati su di loro, le bottiglie di birra ancora a mezz’aria in attesa che uno dei due dicesse qualcosa. L’unica cosa che la confortava, almeno un pochino, era il pensiero che Han non era meno imbarazzato di lei – per una volta.
Non che la loro storia fosse un segreto, solo che non volevano attirare l’attenzione su di loro. In passato, quel circolo di amici aveva visto molte ex ragazze di Han, la cui presenza aleggiava ancora nell’aria. Il fatto che ora fosse Leia la ragazza di Han era strano: c’era suo fratello, i suoi amici, e tutto ciò non faceva che accrescere il suo già pesante imbarazzo. Con Han aveva tacitamente concordato sin da subito una certa discrezione nelle manifestazioni d’affetto quando non erano soli. Si vergognava, non di lui ovviamente, ma del fatto che occhi estranei potessero violare l’intimità che aveva appena instaurato con il proprio ragazzo. Quanto al loro gruppo di amici, il loro fidanzamento era fortunatamente scivolato sotto silenzio, lontano dai loro commenti, almeno fino a quella sera.
Jyn si lasciò scappare una risatina. “Che cosa sono queste facce? Pensavate che non ce ne saremmo accorti?”
Han e Leia si scambiarono un occhiata, felici nel notare che quella situazione aveva messo a disagio entrambi allo stesso modo.
“Pensavamo che non ci fosse bisogno di pubblicizzare la cosa” disse piano Leia.
“E perché no?” disse Wedge. “Erano tre anni che scommettevamo su voi due. Era ora che si riscuotesse la vincita.”
Leia si mise una mano sulla fronte, sconsolata: e così lei e Han, il loro rapporto, i loro sentimenti erano stati oggetto di scherno e di scommessa da parte di quelli che credeva fossero suoi amici…addirittura di suo fratello! Non aveva parole per esprimere il proprio disgusto per un atteggiamento tanto insolente quanto irrispettoso nei loro confronti.
Han non riuscì a trattenere un sorriso: era imbarazzante, ma al tempo stesso divertente essere stato protagonista di pettegolezzi e scommesse negli ultimi tre anni.
“Ora dovreste baciarvi” propose Cassian dall’angolo “per dimostrare che state davvero insieme e per chiudere la scommessa.”
Leia stava ancora elaborando ciò che aveva appena udito quando sentì una mano di Han sul proprio fianco che l’attirava più vicino e le labbra di lui sfiorarle appena la tempia destra.
“Ecco a voi, lo spettacolo è finito” disse Han. “Ora potete smetterla con questa stupida scommessa e andare tutti al diavolo!”
“Eh no, caro” disse Jyn. “Vogliamo un bacio vero!”
La sua richiesta incontrò subito il favore di tutti, che si espresse in un insieme confuso di voci sovrapposte. Lando non riuscì a non ridere del rossore sulle guance del suo amico – non sapeva se più per rabbia o per vergogna – e del fuoco che vedeva nei suoi occhi. Quando smise di ridere, disse: “Che c’è, Solo? Sei diventato improvvisamente timido?”
Han guardò la ragazza negli occhi, sorridendo impacciato. Non voleva baciarla davanti a quei ragazzi che avevano assistito a tante scene come questa in passato, che lo avevano visto protagonista assieme a ragazze diverse ma, soprattutto, non voleva baciarla davanti a suo fratello Luke, che restava comunque uno dei suoi migliori amici.
Leia fece un rapido ragionamento. Erano due contro sei, e sarebbe stato impossibile mettere a tacere i suoi amici finché non avessero ottenuto quello che volevano. Forse sarebbe stato meglio accontentarli, nella speranza che poi li avrebbero lasciati in pace…in fondo, era solo un bacio! Prese coraggio e si avvicinò al volto del suo ragazzo, vincendo la vergogna e l’imbarazzo di doverlo baciare davanti a tutti, e per un attimo appoggiò le labbra sulle sue.
La comitiva proruppe in un sonoro applauso che sciolse finalmente la tensione.
 
Fra una battuta e l’altra, quando nessuno li vedeva, Han e Leia si scambiavano qualche tenera occhiata. Avrebbero dovuto farci l’abitudine, a far parte del gruppo come coppia e a subire talvolta i commenti dei loro amici impiccioni, ma in fondo faceva parte del gioco. Non era passato molto tempo da quella notte di inizio estate trascorsa alla luce del falò, in cui avevano dovuto confrontarsi con i loro sentimenti troppo a lungo nascosti, e da allora il loro rapporto aveva subito un cambiamento radicale: stavano imparando a conoscersi, a capirsi, ad amarsi…ci sarebbe voluto del tempo prima di trovare una loro dimensione, ma qualsiasi cosa fosse successa in quel futuro in cui tutti riponevano speranza, loro l’avrebbero affrontata insieme, mano nella mano.

 
FINE
 
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NOTE DELL’AUTRICE
La mia storia finisce qui, con questo brindisi che segna in qualche modo l’abbandono della giovinezza e l’inizio dell’età adulta, l’inizio delle responsabilità. Per chi volesse, ho intenzione di riprendere i personaggi di Han e Leia in questo nuovo universo, analizzando qualche altro momento della loro relazione in altre fanfiction.
Ho voluto inserire una piccola digressione sul personaggio di Tendra – che mi sono inventata praticamente di sana pianta, visto che nei romanzi dell’Universo Espanso viene solo accennata. Diciamo che l’ho utilizzata per dare uno spessore a Lando, ma anche per analizzare un altro tipo di relazione, che si potrebbe definire “rovesciata” rispetto a quella di Han e Leia visto che parte dal sesso per arrivare al sentimento (quanto a questo, mi riservo il diritto di analizzare un'altra fase di questa storia d’amore in una prossima fanfiction!).
Spero mi perdonerete del fatto che ho usato nomi di generali ribelli per i professori di liceo dei nostri amici.
 
Ringrazio di cuore tutti coloro che mi hanno seguito in queste settimane e che hanno letto la storia…il vostro affetto è per me la cosa che conta di più! Grazie davvero!!!
Che la Forza sia sempre con voi!
Sabrina

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