Di quattrocchi acidi, gattacci sornioni e altre (dis)avventure di Sunako_7 (/viewuser.php?uid=1009090)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - One touch ***
Capitolo 2: *** 2 - Our hands (1) ***
Capitolo 3: *** 3 - Our hands (2) ***
Capitolo 4: *** 4 - Our hands (3) ***
Capitolo 5: *** 5 - I think what you think ***
Capitolo 6: *** 6 - Our hands (4) ***
Capitolo 7: *** 7 - Non importa quanto sono lunghe le tue gambe, se scappi io ti seguirò ***
Capitolo 8: *** 8 - Just this time ***
Capitolo 9: *** 9 - On my own ***
Capitolo 1 *** 1 - One touch ***
One
touch
One touch.
Murare
non era una cosa tanto semplice come potevano pensare occhi inesperti.
Bisognava capire da quale parte del campo avrebbe attaccato lo
schiacciatore,
calcolare il momento giusto per saltare e poi allungare il
più possibile le
braccia, allargare le dita e indurirle, esercitare forza in modo da
respingere
il pallone e fare punto, così da vincere
sull’avversario. Se invece, nonostante
tutte le accortezze si riusciva solo a rallentare la palla senza
bloccarla, i
compagni avevano a disposizione altri tre tocchi per cercare di
conquistare
quel punto.
Allo
stesso modo di quando andava a muro, adesso le dita di Tsukishima
premevano su
un petto fastidiosamente familiare. I polpastrelli affondavano nella
maglietta
colorata, le braccia tentavano di allungarsi, ma i gomiti rimanevano
ostinatamente piegati, sordi agli ordini della sua mente razionale.
Uno.
Le
mani avversarie andarono a immergersi tra i capelli biondi della nuca
mentre le
sue braccia continuavano a cercare di spingere, ma era
un’inutile farsa: non
c’era abbastanza volontà in quella difesa.
Due.
La
fronte si posò sulla sua e il respiro gli
accarezzò le guance, facendolo
stizzire ulteriormente. Nonostante l’attacco stesse
proseguendo, ormai vicino
alla conclusione, Tsukishima ancora non si era arreso del tutto e le
braccia
erano ancora ostinatamente sollevate.
Tre
La
schiacciata arrivò, violenta e improvvisa quanto una veloce,
e le labbra di
Kuroo si posarono sulle sue; il muro era stato spazzato via, ogni
difesa
annientata.
Le
braccia di Tsukishima si distesero lungo i fianchi e lui rimase fermo,
a
sentire le labbra che premevano sulle proprie, in un contatto bruciante
che
faceva collidere orgoglio e desiderio, razionalità e
sentimenti.
“Non
avresti dovuto” mormorò allontanando il viso,
piegandolo di lato, nel tentativo
di riguadagnare la compostezza abituale e il tono tagliente.
Kuroo
però non si fece intimidire, né indietreggio.
Oramai conosceva abbastanza bene
il suo centrale preferito, tanto da sapere che con lui ogni passo in
avanti,
ogni vittoria, ogni punto conquistato sarebbero stati una battaglia,
come i
loro scontri sotto rete.
“Impediscimelo,
Tsukki. Tira su le braccia e murami, avanti” lo
pungolò.
Kei
alzò la testa in uno scatto di orgoglio, ma si
ritrovò le labbra imprigionate
in un altro bacio. Le sue braccia si sollevarono, le dita si
dispiegarono
nuovamente a ventaglio, ma stavolta le mani non spinsero contro,
bensì si
posarono sulle spalle, con delicatezza persino.
In
quella sfida la sua razionalità aveva perso, ma non
importava: ci sarebbero
stati altri match, altre occasioni per tenergli testa, vincere e fare
punto. Eppure
la sua mente tanto pragmatica e logica si ritrovò a
suggerirgli che forse, col
tempo, si sarebbe riscoperto a fare il tifo per un’altra
squadra, a desiderare
che Kuroo facesse più punti, distruggendo ogni sua difesa;
proprio lui che gli
aveva insegnato a murare. E per l’appunto chi, se non lui,
poteva insegnargli
come invece mettere da parte le difese e aprirsi?
Ci
avrebbe pensato Kuroo a conquistare Tsukishima, in una lenta
arrampicata verso
la vittoria, punto dopo punto.
L’angolino
oscuro:
490 parole di KuroTsukki, cosa si può volere di
più? Altre storie su di loro
ovviamente! Per questo mi è venuta in mente questa raccolta
su di loro, flash e
one-shot per raccontare piccoli momenti, squarci di vita e avventure di
questi
due giovani ragazzi impegnati in una relazione a distanza.
La
raccolta non seguirà un filo temporale o di trama in senso
stretto, sarà possibile
leggere ogni storia separatamente, ma ci sarà man mano una
progressione
temporale e una crescita dei personaggi sia in senso mentale che di
età. Questa
flash per esempio è per me il punto di partenza, non si
tratta esattamente del
loro primo bacio, ma sicuramente è uno dei primi, per le
resistenze di Tsukki,
il suo imbarazzo e la sua incapacità ad aprirsi ancora
presente.
Spero
che la storia vi sia piaciuta e che continuerete a seguire la raccolta
per
scoprire cosa accadrà al nostro quattrocchi acido e al
gattaccio sornione che
io amo tanto.
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Capitolo 2 *** 2 - Our hands (1) ***
Our
hands - 1
Tsukishima
era stanco. Non era stata tanto la levataccia della mattina a
sfiancarlo, quanto
il dover stare in mezzo alla folla che lo spintonava qua e
là. Tokyo era
qualcosa di pazzesco, pareva impossibile trovare dello spazio personale
in quella
città frenetica e troppo piena di negozi, ristoranti,
palazzi e gente che
consumava ossigeno.
Tsukishima
odiava il caos e qualsiasi cosa che scombinasse la sua routine, gli era
persino
difficile accettare l’idea di essere andato lì di
sua spontanea volontà; di
sicuro era colpa di Hinata e della pallonata che gli aveva schiantato
in testa
invece che dall’altra parte del campo.
All’improvviso
si sentì afferrare una mano e, sorpreso, se la
guardò, osservando il modo in
cui veniva stretta da quella più larga di Kuroo.
“Che
fai?”
“C’è
un sacco di gente, anche se sei alto e spicchi in mezzo alla folla non
ho
intenzione di perderti. E poi… avevi
un’espressione così spaesata, pensavo
avessi bisogno di un po’ di conforto.”
La
luce divertita nel suo sguardo smentiva quelle parole apparentemente
preoccupate, Tsukishima vedeva bene la fatica che l’altro
stava facendo per non
sorridere.
“Tch
– sbuffò, sistemandosi gli occhiali –
non ce n’è bisogno, per chi mi hai preso?
Abito a Sendai mica nelle caverne, sono abituato anch’io alla
folla.”
La
bocca larga di Kuroo si distese a formare un cerchio perfetto e
già quello
sarebbe bastato a Kei per irritarlo, ma il tono cantilenante che
usò poi lo
fece proprio andare fuori dai gangheri.
“Ceeerto,
infatti erano i miei compagni ad aver scambiato un semplice traliccio
per la
Tokyo Tower, vero?”
“Tch,
vuoi mettermi allo stesso livello di quegli idioti?”
sbuffò nuovamente,
tentando di mascherare con la superiorità la vergogna per
quel ricordo. Come se
non bastasse, ormai Kuroo sghignazzava apertamente e così
lui strattonò il
braccio, cercando di sciogliere la stretta delle loro mani, ma senza
riuscirci.
Le dita di Tetsurou erano forti, esperte e affatto intenzionate a
lasciarlo
andare via ora che lo aveva catturato.
“Sta’
fermo Tsukki, ti ho già detto che non voglio perderti
– lo guardò con
quell’espressione sorniona, accentuata dal ciuffo che gli
copriva l’occhio – in
fondo io non sono un
idiota.”
Tsukishima
sentì una strana sensazione allo
stomaco, come se qualcuno glielo stesse strizzando forte e
cercò di dare la
colpa a tutto il cibo che Kuroo gli aveva fatto mangiare quel giorno.
Eppure
mentre camminava al suo fianco, con la mano nella sua e le dita
strettamente
allacciate, ebbe qualche dubbio e si domandò se
l’idiozia fosse contagiosa,
perché doveva essere per forza così. Hinata
doveva averlo infettato, altrimenti
non si spiegava il senso di benessere che provava dopo una levataccia
prima
dell’alba, noiose ore di treno e con quella mano che
stringeva a sua volta la
propria, per nulla intenzionato a lasciarla andare. E, a quel punto,
chissà
cosa gli avrebbe trasmesso Kuroo continuando a stare così,
palmo contro palmo,
pelle su pelle.
L’angolino oscuro: 481 parole stavolta. Mi
piacciono
le flashfic e la loro brevità, il dover concentrare un
concetto e le emozioni,
ma si scontrano ogni volta con la mia logorrea e arrivo sempre al
limite XD
Se
vi state chiedendo il perché di quell’1 nel
titolo, è perché questa è la prima
di una serie di flash dedicate alle mani e alla loro importanza; se non
ve lo
siete chiesti va bene lo stesso, io ve l’ho detto. Stavolta
abbiamo visto i due
che si tengono per mano per la prima volta, un contatto tanto banale,
innocente
persino, eppure tanto importante e pregno di significati,
già solo così si
riesce a trasmettere qualcosa alla persona che ci sta a fianco e,
davvero,
chissà cosa sentirà Tsukki da questa stretta di
Kuroo.
Come
sempre spero che anche questa vi sia piaciuta, alla prossima!
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Capitolo 3 *** 3 - Our hands (2) ***
mani 2
Our
hands - 2
Tsukishima
sbuffò come al solito mentre entrava
nell’infermeria, accolto dall’odore di
disinfettante e dal bianco assoluto che campeggiava sulle pareti e
tutti i
tendaggi della stanza. Sentì alcuni cassetti venire aperti e
richiusi rumorosamente,
senza tanta cura, e si voltò a osservare la testa del
capitano della Nekoma
venire inghiottita da un armadietto particolarmente profondo.
“Trovato
finalmente!” esclamò questi trionfante sbucandone
fuori, stringendo qualcosa
nel palmo, per poi rivolgersi a Kei “Che ci fai ancora in
piedi? Su, su mettiti
sul letto.”
“Sei
sicuro di sapere cosa fare?” domandò Tsukishima
con un’aria poco fiduciosa
mentre si sedeva sul materasso.
Kuroo
si mise di fronte a lui con le mani poggiate sui fianchi e
un’aria oltraggiata:
“Tsukki!
Come ti permetti di dubitare delle mie abilità? Non
è certo la prima volta che
lo faccio!”
“Sì,
sì… staremo a vedere”
ribatté l’altro, annoiato.
Kuroo
si sedette su uno sgabello, avvicinandosi il più possibile,
tanto da mettersi
in mezzo alle gambe divaricate del centrale della Karasuno, e il
sorriso che
gli rivolse fu quel solito mezzo ghigno insinuante che tanto lo
irritava.
“Oh,
credimi… non troverai nessun’altro più
bravo di me – gli assicurò – ora dammi
la mano.”
Tsukishima
attribuì il brivido che avvertì
all’aria fresca sulla pelle sudata, non certo a
quelle parole che parevano sottintendere abilità extra del
capitano della
Nekoma, che poco avevano a che fare col motivo per cui erano
lì. Aggrottando la
fronte, allungò la mano e, mentre la osservava venire
afferrata con delicatezza
da quelle più grandi di Kuroo, gli chiese:
“Che
poi non capisco perché sei venuto proprio tu.”
Tetsurou
occhieggiò la sua faccia imbronciata mentre armeggiava con
le bende e non poté
impedire al suo sorriso di allargarsi; abbassò lo sguardo
sulla mano pallida ma
arrossata che stringeva tra le proprie, iniziando a carezzarla lieve.
“Perché
la Nekoma in quel momento aveva il turno di riposo a differenza delle
altre
squadre, o volevi che i tuoi compagni smettessero di giocare per
accompagnarti?”
“Tch…
è uno stupido incidente, mi si è solo girata
l’unghia mentre facevo muro, non
mi sono slogato né rotto nulla, sbrigati con quella
fasciatura piuttosto”
sbuffò Tsukishima.
“Già,
le schiacciate di Bokuto possono essere micidiali –
commentò Kuroo – va bene
impegnarsi, ma tu devi fare più attenzione. Devi avere
più cura di queste mani,
sono preziose.”
Dicendo
così, gliele prese entrambe, le alzò portandosele
davanti alla bocca e le
baciò, riservando una cura speciale alla falange infortunata
che per fortuna
doleva solamente.
Tsukishima
trattenne il respiro, sentì sotto i polpastrelli callosi la
pelle morbida delle
labbra e del suo viso e rimase a fissarlo, incapace di ribattere con
qualche
commento tagliente dei suoi. Semplicemente lo guardava, rapito da quel
gesto e
dallo sguardo intenso dietro le iridi scure.
Le
loro mani, con quelle dita indurite dagli allenamenti, piene di calli e
arrossate,
si intrecciarono in maniera spontanea, come spontaneo fu avvicinare i
loro visi
e baciarsi, mantenendo ancora quella stretta, dimentichi di fasciature
e altre
sciocchezze che potevano aspettare.
L’angolino
oscuro: 495 parole e
continua la saga delle mani, penso sia ormai chiaro che ho una fissa a
riguardo. Non so, trovo molto significativi tutti i piccoli gesti che
si
possono fare con le mani, una ciocca di capelli da spostare, sfiorare
un labbro
o semplicemente intrecciare le dita e mi piace scriverne in relazione a
Kuroo e
Tsukishima, nella loro relazione complicata. A volte un gesto
può dire molto di
più di tanti discorsi e sappiamo bene quanto il nostro
Tsukki sia refrattario
all’idea di aprirsi e parlare.
Grazie per
aver letto, presto arriverà anche qualche one-shot oltre
alle flash.
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Capitolo 4 *** 4 - Our hands (3) ***
Our
hands - 3
A
Kuroo si mozzò il respiro in gola. Solo un attimo prima la
sua respirazione
aveva iniziato a farsi più veloce, col sangue a richiedere
più ossigeno per
continuare a scorrere e poi invece, all’improvviso,
quell’ultimo boccone d’aria
gli era rimasto incastrato nella trachea.
Fissava
Tsukishima seduto a cavalcioni sopra di lui, la sua mano che gli
carezzava il
viso e le dita che gli tratteggiavano il contorno della bocca,
disegnandolo con
quei polpastrelli dalla pelle indurita, eppure delicati come una piuma.
Espirò
piano dalle labbra tremolanti, carezzandogli la pelle col respiro e
vide il
ragazzo tentennare, fermarsi un attimo nel suo viaggio allo scoperta di
un
corpo nuovo, diverso dal suo, per gran parte sconosciuto. Tsukishima lo
guardava negli occhi e, per una volta, da entrambe le parti non
c’erano
occhiate stizzite o furbe, ghigni sardonici o ammiccanti;
c’era tutta la
serietà, la curiosità e la voglia che solo i
primi approcci sapevano scatenare
in quel modo tanto irruento, frenato solo dal naturale imbarazzo.
Kuroo
continuava a non muoversi e a respirare piano per timore di
interrompere quel
momento, di incrinare in qualche modo il ghiaccio sottile su cui
Tsukishima
scivolava, sulle spalle il peso dei suoi quindici anni e tutti i dubbi
e le
paure che un rapporto con una persona dello stesso sesso comportavano.
Eppure
Kei non desisteva: in quel suo modo impacciato andava avanti, per
crearsi una
strada, un modo per uscirne vittorioso perché perdere faceva
schifo, anche se
la sfida era con se stessi e i propri limiti. Scostò il
ciuffo scuro dall’occhio
di Kuroo, tirandoglielo indietro, scoprendogli completamente il viso.
Le mani
ne disegnarono i contorni: l’arcata sopraccigliare, il naso
dritto e sottile,
il mento e poi tornarono sulle labbra che sapevano tendersi in sorrisi
irritanti e fastidiosi, ma che erano anche sorprendentemente morbide.
Andò
un po’ più avanti, facendo scontrare la punta dei
polpastrelli con i denti,
avvertendo l’umidità della sua bocca e la lingua
che lo sfiorò appena prima di
tornare immobile, come se gli avesse solo dato un colpetto per
ricordargli
della sua esistenza.
Tsukishima
prese un respiro più profondo e portò le dita
così inumidite in una lenta
scivolata lungo il collo, su quel petto scoperto che era più
largo del proprio,
più robusto e solido perché, nonostante il suo
carattere da provocatore, Kuroo
era una certezza, tutto in lui lo gridava.
Le
mani vagarono lentamente su quel terreno inesplorato, le unghie corte
affondarono appena come a voler scavare solchi in cui piantare
qualcosa, ma
mentre scendevano verso i fianchi si fecero sempre più
incerte, fino a
bloccarsi ed interrompere il viaggio compiuto sino ad allora.
Kuroo
allora abbracciò quel ragazzo che gli stava seduto in
grembo; pareva così
adulto per i suoi atteggiamenti pacati e la risposta sempre pronta, ma
in
realtà era ancora solo un ragazzino che si faceva scudo
della lingua tagliente.
Lo
abbracciò e lo spinse a sdraiarsi sopra di sé,
sentendo sotto le dita la
maglietta leggera e, ancora più sotto, le vertebre
sporgenti, le scapole
aguzze, quel corpo da adolescente spigoloso che stava appena imparando
a
dispiegare le ali.
“Con
calma Tsukki, io sono un tipo paziente, ricordi? So aspettare il
momento giusto
per saltare a muro.”
Tsukishima
non disse nulla, ma la stretta delle sue mani, quelle dita forti e
indurite che
si aggrappavano alle sue spalle furono una risposta più che
sufficiente per
Kuroo, che invece continuò a massaggiargli la schiena per
allenare la sua
memoria tattile a riconoscerla sempre e dovunque. Perché le
mani erano più
brave delle loro bocche a parlare di sentimenti.
L’angolino
oscuro:
Tecnicamente questa sarebbe una one-shot e non più una flash
dato che ho
sfondato il muro delle 500 parole, ma per la struttura e il modo in cui
è
impostata mi piace pensare a lei come a una flash, non sarà
nemmeno l’unica tra
le altre cose, ma immagino che nessuno mi verrà a prendere a
bacchettate sulle
dita per una cosa del genere, quindi godiamoci questo ennesimo spaccato
di
Kuroo e Tsukki e basta XD
Per
quanto mi piaccia immaginarli a fare cosacce zozze, pensando a loro in
un
contesto più realistico, col carattere che si ritrova
Tsukki, unito a una
relazione a distanza e la giovane età, trovo davvero ostico
far volare via le
mutande in un batter d’occhio. Penso che sia più
naturale immaginarlo a
disagio, impacciato e, perché no, anche un po’
spaventato. Per fortuna Kuroo è
un tipo paziente, ma se non lo fosse stato non avrebbe nemmeno iniziato
ad
andare dietro al nostro ostico Tsukki XD
Spero
come sempre che anche questa storia vi sia piaciuta, grazie per i
bellissimi
commenti che mi lasciate, come sempre se vi va di lasciarmi una vostra
opinione
sarò più che felice di chiacchierare ancora di
questi due meravigliosi ragazzi
<3
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Capitolo 5 *** 5 - I think what you think ***
vittoria
I think what you think
Tsukishima
era esausto in ogni senso possibile.
Appena
rincasato aveva parlato brevemente con la madre, per poi lasciare ad
Akiteru il
compito di raccontarle nei particolari la partita con la Shiratorizawa,
visto
che era andato a vederla nonostante il suo divieto.
Salì
le scale lentamente, pensando di saltare la cena e rotolare
direttamente tra le
coperte per almeno dieci ore non-stop di sonno, d’altronde
non era mai stato un
amante sfegatato del cibo, molto meglio dormire. Posò il
borsone vicino la
scrivania e si andò a sedere nel suo punto preferito della
stanza: a terra, sul
cuscino morbido, poggiando la schiena contro il letto.
Forse
era a causa dell’altezza, o forse non c’era davvero
un motivo particolare, ma
in quella posizione stava comodissimo: le gambe allungate davanti a
sé o a
volte ripiegate, la schiena contro qualcosa di solido e la nuca
poggiata sul
materasso.
Si
tolse gli occhiali e sospirò mentre si stropicciava le
palpebre. Nonostante la
stanchezza non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi subito, aveva
ancora
troppa adrenalina in corpo e non ci era proprio abituato. Nella mente
continuavano a scorrere fotogrammi sparsi della finale contro la
Shiratorizawa,
i festeggiamenti coi compagni, il tifo con cui erano stati accolti a
scuola e,
non da ultimo, c’era il dolore sordo alle dita fasciate a
ricordargli che non
era stato tutto un sogno.
Nonostante
ogni pronostico fosse stato contro di loro, quando persino la sua mente
logica catalogava
la loro vittoria sotto la voce di improbabile
e
miracolo, la Karasuno si era presa con la forza
la finale e il
diritto di accedere alle nazionali. La fame e il gioco di squadra dei
corvi erano
stati più potente di qualsiasi altra cosa.
Sentì
il cellulare vibrare nella tasca della felpa per l’ennesima
volta di quella
giornata, ma solo ora, nella solitudine della sua stanza, si concesse
di
rispondere alla chiamata senza nemmeno leggere il nome sul display,
sicuro che
solo una persona potesse cercarlo con tutta quell’insistenza.
“Tsuuuukkiiiiiii!!!
Finalmente mi rispondi!”
Ecco,
l’urlo eccitato di Kuroo gli aveva trapanato un timpano.
Sospirò prima di replicare
col suo tono invece pacato, persino un filo irritato:
“Smettila
di strillare o ti chiudo il telefono in faccia.”
“Eeehh,
sempre apatico
come al solito?”
sbuffò il capitano e Tsukishima si
immaginò alla perfezione la sua faccia delusa, ma non
rispose perché l’altro
continuò “Dopo averti
visto esultare in
quel modo, festeggiare coi tuoi compagni e tutto il resto, pensavo di
trovarti
almeno un po’ entusiasta, o hai forse esaurito le
energie?”
“Ah?
– borbottò Kei, aggrottando la fronte –
E dove mi avresti visto?”
Kuroo
non rispose subito e lui se lo vide, con quel mezzo sorriso che si
allargava e
le spalle che si facevano più dritte in un moto di orgoglio.
“In
televisione
ovviamente”
sparò con la voce altisonante, sicura,
di chi stava facendo una mega rivelazione in grado di mettere al
tappeto
chiunque.
“Non
dire stupidaggini, la partita era trasmessa solo sulla tv locale e poi
a
quell’ora eri a scuola” replicò
Tsukishima, affatto impressionato.
Il
silenzio che udì dall’altra parte del telefono gli
fece capire di averci
azzeccato in pieno. Si poggiò una mano contro la fronte e si
chiese cosa
diavolo ci fosse che non andava in lui; qualcosa doveva esserci, o non
si
spiegava come potesse provare tutto quell’interesse verso
Kuroo. Non era la
prima volta che se lo domandava e, come tutte le altre, anche stavolta
non gli
arrivò nessuna risposta dalla sua mente logica e geniale, in
grado di farlo
brillare tanto a scuola quanto sul campo.
“Beh,
era lo schermo di
un tablet, vale lo stesso? –
ridacchiò Tetsurou – Ho
visto la partita in streaming sul sito
della tv locale e sì, ero a scuola. Però con una
scusa ho passato la mattinata
in infermeria, così ho potuto vedere tutto il match. Siete
stati grandiosi,
siete passati alle nazionali e così ci potremo finalmente
affrontare
ufficialmente!”
Tsukishima
rimase interdetto qualche istante, cosa che gli accadeva fin troppo
spesso con
Kuroo e a cui non riusciva ancora ad abituarsi, perché
solitamente era lui a
lasciare gli altri senza parole. Però l’idea che
il ragazzo avesse saltato le
lezioni e unicamente per guardare la partita, per guardare lui, non lo lasciava indifferente come
sarebbe piaciuto al suo
animo razionale e votato alla placidità.
“Tch…
dovrete prima passare le selezioni anche voi, non correre con la
fantasia” lo
punzecchiò.
Kuroo
fece una risata profonda, dicendosi certo che quella primavera ci
sarebbe stata
la mitica battaglia dei cassonetti dopo tanti anni, e Tsukishima gli
rispose a
tono.
Presero
poi a parlare della partita più nei dettagli, dei punti di
forza e degli sbagli
di entrambe le squadre e, alla fine, il capitano della Nekoma concluse
dicendo che
ovviamente lui avrebbe murato Ushijima molto meglio. Kei
sbuffò soltanto,
perché non poteva negare quell’affermazione: aveva
ancora moltissimo da
imparare e, in fondo, tutto quello che sapeva sui muri glielo aveva
insegnato
proprio Kuroo. Era un gattaccio irritante che lo faceva esasperare,
facendogli
mettere in questione tutte le sue certezze, ma sotto rete sapeva il
fatto suo e
per questo lo ammirava.
Rimasero
quindi in silenzio e il primo a riprendere la parola fu Tetsurou, con
voce più
calma di quando era preso a discutere del match.
“Sei a
casa?”
“Sì,
sono in camera mia.”
“Bene.”
Tsukishima rimase perplesso,
ma non gli
domandò che intendesse con quel bene e subito dopo lo
sentì continuare. “Sei
seduto sul cuscino, con la schiena
contro il letto e la nuca poggiata sul materasso, vero?”
Kei
trasalì e alzò di scatto la testa, guardandosi
attorno, quasi aspettandosi di
trovarlo acquattato in un angolo, ma la stanza era vuota, non
c’era nessuno
oltre lui. Aprì la bocca per parlare, ma la richiuse di
scatto un istante dopo,
capendo da solo come l’altro avesse fatto a indovinare.
Kuroo
era un attento osservatore, non mancava mai di notare ogni dettaglio,
tanto in
campo quanto al di fuori. Gli era bastato entrare nella sua camera e
averlo visto
in quella posizione un’unica volta, per capire che era la sua
preferita.
Forse
Tsukishima gliene aveva addirittura parlato durante una delle loro
telefonate
serali, quando ogni tanto la lingua si lasciava sfuggire qualche
rivelazione un
po’ più azzardata. In quei giorni in cui lo
scambio di messaggi pareva non
bastare, nelle sere in cui un sottile filo di malinconia li avvolgeva,
sentire
la voce dell’altro pareva alleviare il peso che gravava sul
petto, per farli
illudere che, se era così facile sentire la voce
dell’altro, allora anche
vedersi non poteva essere tanto difficile. Un’illusione, una
stupida presa in
giro, eppure a volte persino il calcolatore e razionale centrale della
Karasuno
ne avvertiva il bisogno.
Non
si erano mai confessati quella debolezza reciproca ad alta voce,
nemmeno Kuroo
che era quello con meno inibizioni lo aveva fatto. Forse non ne avevano
nemmeno
bisogno perché, esattamente come in campo, anche al di fuori
parevano essere
sulla stessa lunghezza d’onda a dispetto dei caratteri
profondamente diversi; provavano
gli stessi sentimenti, covavano gli stessi desideri. Tsukishima era
certo che adesso
Tetsurou stesse con gli occhi chiusi tentando di immaginarlo, per
sentirlo più
vicino, come se fosse stato lì al suo fianco e decise di
fare lo stesso.
Abbassò
le palpebre, gli occhiali ancora abbandonati sul pavimento, e
pensò ai suoi
capelli neri, ribelli, alla bocca sempre tesa in un ghigno sardonico,
ma capace
anche di addolcirsi in forme più morbide e affettuose. Gli
occhi erano strani,
penetranti, color nocciola ma screziati di pagliuzze dorate e verdi, a
volte
sembravano duri come pietre, quasi a voler ricordare che il capitano
della
Nekoma non era solo battutine e sorrisi, c’era molto di
più in lui. Questo
ormai Tsukishima lo aveva imparato piuttosto bene, c’era un
mondo intero
nascosto dietro a quello sguardo e lui aveva appena iniziato a
esplorarlo.
“Tu
sei seduto sul letto invece, poggiato al muro ma col cuscino dietro la
schiena”
disse infine, dopo quel viaggio nella propria mente; la sua non era una
domanda,
bensì una certezza.
Sentì
Kuroo ridere e visualizzò anche il modo che aveva di
storcere le labbra o come
si animavano i suoi occhi in quei frangenti e si sentì
irritato, perché quel
giorno lui, a differenza sua, aveva potuto vederlo anche se solo da uno
schermo.
“Hai
indovinato Tsukki,
quando ci vediamo ti darò un premio –
rise ancora un
istante, poi si fece più serio – Come
stanno le tue dita?”
“Niente
di grave, un paio di giorni di riposo e il mignolo mi
tornerà a posto” affermò
Tsukishima con un mezzo sorriso sul viso. Immaginava che volesse fargli
quella
domanda fin dall’inizio, ma avesse aspettato per tentare di
non fargli capire
la sua preoccupazione, come se non fosse stata evidente nella sua voce.
Missione
fallita, stupido gatto.
“Bene,
mi fa piacere,
devi essere in forma per il nostro scontro” rispose Kuroo
con tono più leggero, ma non riuscì a mantenerlo
e tornò serio “Sai…
in realtà ero preoccupato, sul serio.
All’inizio per la gravità
dell’infortunio, alla tv non dicevano nulla, ma poi
mi sono calmato e mi sono detto che stavi bene. Però devo
confessarti che hai quasi rischiato di trovarmi
all’uscita del palazzetto – fece una
risatina nervosa – Dopo, mentre
ancora non tornavi in campo,
ho iniziato a pensare e a temere che il tuo amore per la pallavolo
sarebbe
morto velocemente come era nato. Ti ho visto quando hai murato quella
schiacciata di Ushijima, il modo in cui hai esultato; hai persino
urlato,
proprio tu. Hai sperimentato finalmente quello di cui ti aveva parlato
Bokuto,
e hai continuato a giocare con uno spirito diverso per tutta la
partita. Era
impossibile staccarti gli occhi di dosso, eri fantastico…
bellissimo, e ho
avuto paura che l’infortunio ti avrebbe fatto cambiare di
nuovo idea, ma sono
stato uno stupido. Appena ti ho visto rientrare in campo, ho capito
quanto
fossi stato scemo a riporre così poca fiducia nel tuo amore
per la pallavolo o
nella tua tenacia. Ti voglio vedere così dal vivo, Tsukki,
voglio vedere i tuoi
occhi infiammarsi e guardarti saltare con tutte le tue energie, voglio
che mi
guardi a quel modo, voglio… ti voglio…”
La
sua voce già bassa si perse in un mormorio indistinguibile e
Tsukishima non gli
domandò di ripetere le ultime parole. Respirava velocemente,
il battito era un
po’ accelerato e non poté nemmeno fare a meno di
coprirsi la faccia con la mano
libera perché, davvero, come avrebbe dovuto ribattere a quel
discorso
sconcertante?
“Hai
ragione: sei uno stupido – borbottò, stette in
silenzio qualche attimo poi
aggiunse – non ho alcuna intenzione di perdere, hai
capito?”
Perdere
faceva schifo e, anche se era consapevole di avere ancora molto da
imparare,
voleva fare del suo meglio per non sentirsi più impotente o
schiacciato dalla
potenza di qualcun altro, quel giorno con Ushijima era stato solo
l’inizio.
Nemmeno fuori dal campo di pallavolo voleva perdere e sperava che Kuroo
riuscisse a capire quel sottinteso, perché non sarebbe mai
riuscito a dirglielo
chiaramente. Intuì il sorriso nelle sue parole quando gli
rispose e si sentì
sollevato, ma anche un po’ sciocco: in fondo erano sulla
stessa lunghezza
d’onda, uno pensava ciò che pensava
l’altro, era impossibile che una
dichiarazione tanto importante andasse persa. Era difficile abituarsi a
una
simile consapevolezza, una di quelle con la potenza di un terremoto, in
grado
di scardinare una vita nelle sue fondamenta.
“Bene,
nemmeno io ho
intenzione di perdere…in niente”
affermò Tetsurou per
poi rimanere in silenzio, lasciando che quelle parole si depositassero
su di
loro come polvere antica, impossibile da eliminare. Potevano sentire il
respiro
dell’altro, di quella bocca così vicina al
telefono, ma lontana centinaia di
chilometri, eppure non importava davvero, non quando le loro menti
erano tanto
in sintonia.
Passò
qualche altro istante in quel silenzio denso, troppo pieno di parole
non dette,
il tempo necessario per assorbirle prima che all’improvviso
Kuroo riprendesse
a parlare. Stavolta però tutta la serietà di
prima era stata accantonata,
probabilmente per quando sarebbero stati assieme, e Kei se lo
immaginò
sorridente, scanzonato, con quel ghigno storto che solo lui sembrava in
grado
di fare.
“Piuttosto… lo sai che mi
sono eccitato
vedendoti giocare a quel modo? Spero di non avere problemi quando ci
scontreremo in campo.”
Tsukishima
arrossì e tossicchiò per mascherare
l’imbarazzo, sperando di aver udito male,
ma mentre parlava sapeva già di aver sentito benissimo.
“Tu
cosa?” chiese con voce glaciale, che però parve
non scoraggiare minimamente
Kuroo. Il ragazzo infatti scoppiò a ridere, ovviamente
ignorando il ghiaccio
sottile su cui stava camminando:
“Mi
sono eccitato
Tsukki –
strascicò il suo nomignolo come sempre – mi è venuto duro e per fortuna
l’infermeria
era vuota così me ne sono potuto occupare. Sai,
ho…”
Tsukishima
non voleva sapere cos’altro avesse fatto Kuroo col suo
problema in mezzo alle
gambe e chiuse la chiamata. Posò il cellulare a terra,
vicino agli occhiali, e
sospirò profondamente, ma stavolta non per la stanchezza.
Tra poco si sarebbe
alzato e si sarebbe messo tra le coperte, magari si sarebbe occupato a
sua
volta del problema che stava nascendo tra le sue di gambe.
Perché
se Tetsurou si era eccitato vedendolo giocare, a lui aveva fatto
effetto
sentirsi dire una cosa simile. Si portò una mano sulla
faccia,
stropicciandosela, non capendo se essere felice o meno di trovarsi
così tanto
sulla stessa lunghezza d’onda con Kuroo.
Il
cellulare prese a squillare, ma lui lo ignorò. Lo avrebbe
fatto stare sulla
corda un altro po’ prima di rispondergli, non poteva mica
dargliela vinta tanto
facilmente o l’altro si sarebbe annoiato.
“E
così non riuscivi a staccarmi gli occhi di dosso?
– sussurrò nella stanza vuota
– Bene, continua così gattaccio malefico, continua
a guardarmi, non ti
stancare.”
L’angolino
oscuro:
Ecco la prima one-shot della raccolta. Mi chiedevo cosa avrebbe provato
Kuroo vedendo
Tsukishima durante la partita con la Shiratorizawa, quando il nostro
pulcino ha
finalmente spiccato il volo e iniziato a volare in alto. Quando ho
visto quella
puntata in cui lui mura Ushijima e poi esulta in modo tanto plateale,
grida e
si lascia andare, mi sono emozionata, non lo nascondo… e se
l’ho fatto io,
Kuroo poteva mai rimanere indifferente? A tutto ciò si
aggiunge la questione di
essere sulla stessa lunghezza d’onda, io penso che a dispetto
dei caratteri
diversi loro due siano davvero in sintonia, se così non
fosse credo che sarebbe
addirittura impossibile avere una relazione a distanza alla loro
giovane età. Mischiate
le due cose ed ecco che nasce questa shot XD
Ovviamente
i due sono sulla stessa lunghezza d’onda anche per altro, non
ho potuto fare a
meno di inserire anche qualche accenno di carattere sessuale, che va a
finire in maniera tragicomica, povero Kuroo XD
Piccola
comunicazione di servizio: non so esattamente quando
riuscirò ad aggiornare.
Sto per affrontare un trasloco/trasferimento piuttosto grosso, la mia
testa è
tutta proiettata lì, cercherò di fare del mio
meglio e, se l’aereo non cascherà
come un ferro da stiro, ci sentiremo il prima possibile, se nel
frattempo mi
vorrete lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate della
storia mi
farete felice, a presto!
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Capitolo 6 *** 6 - Our hands (4) ***
Our
hands - 4
Kuroo
uscì dalla doccia e indossò
l’accappatoio. Passò la manica di spugna sul vetro
appannato dal vapore e fece una smorfia nel vedere i capelli neri
appiattiti
contro il cranio, consapevole che da asciutti avrebbero ripreso la loro
istrionica
forma.
Tornò
in camera, massaggiandosi il cappuccio contro la chioma zuppa
d’acqua e andò
verso l’armadio, tirando fuori dei vestiti puliti.
Lasciò
cadere a terra l’accappatoio umido e sentì un
singulto strozzato alle sue
spalle. Girò solo la testa per vedere Tsukishima che, seduto
sul letto, lo
fissava con gli occhi sbarrati al di sotto delle lenti, il libro che
stava
leggendo con tanto interesse dimenticato.
“Cosa?”
domandò Kuroo. Tuttavia, vedendo che l’altro non
rispondeva e continuava a tenere
quella faccia sbigottita, così diversa dalla sua solita
espressione impassibile,
aggiunse “Non è mica la prima volta che vedi un
ragazzo nudo, no? Fai tutti i
giorni la doccia coi tuoi compagni di squadra.”
Tsukishima
sembrò riprendersi dallo shock e scosse la testa, finendo
per chinarla e
guardarsi le mani strette in grembo.
“Che…
che c’entra? Ti saresti dovuto vestire in bagno, non
qui!” La sua voce aveva
perso la solita tonalità piatta e perennemente annoiata, era
persino tremante,
testimonianza diretta del suo turbamento.
Kuroo
si grattò la testa, fissandolo pensieroso. Si
voltò del tutto, continuando a
rimanere nudo e disse:
“Avevo
dimenticato di portare i vestiti in bagno, ma in fondo un corpo
è sempre un
corpo, dovresti essere abituato.”
Sentì
Tsukishima borbottare qualcosa del tipo “È
diverso” ma non ne era così certo.
Camminando in modo felpato, si avvicinò al letto, ancora
nudo, e allungò una
mano per poggiarla sotto il mento del ragazzo e fargli sollevare la
testa. Kei
fece resistenza, ma alla fine suo malgrado cedette sotto la spinta
gentile ma
decisa di quella mano. Il suo sguardo rimase però
ostinatamente puntato verso
il basso.
Kuroo
vide le sue guance rosse ed emise un suono sorpreso, mentre la
consapevolezza
iniziava a sbocciare dentro di lui.
Che
stupido!
Doveva
avere preso una qualche botta e il sangue doveva aver smesso di
affluirgli al
cervello per non comprendere una cosa tanto semplice, proprio lui che
si
credeva arguto. Un corpo non era sempre un corpo. C’erano
mille differenze e
sfumature che entrambi dovevano ancora imparare a conoscere.
Anche
se Tsukishima non poteva vederlo, sul viso di Kuroo apparve un sorriso,
non il
solito ghigno sardonico, ma qualcosa di più gentile, persino
affettuoso.
“Hai
ragione: è diverso. E in effetti penso che ci rimarrei male
se tu avessi questa
reazione ogni volta che vedi uno dei tuoi compagni di squadra nudo
– gli posò
un bacio tra i capelli – ma non devi avere paura,
è solo il mio corpo.”
Gli
prese una mano e, forzandogli appena il braccio rigido, la
guidò fino a posarsi
sul proprio torace dai muscoli delineati ma asciutti. Sentì
il lieve tremore di
quella mano, i polpastrelli callosi che iniziavano a prendere
consapevolezza mentre
Kuroo li faceva vagare sulla propria pelle ancora umida per la doccia,
conducendoli amorevolmente in un cammino lento e accorto verso nuove
mete
finora sconosciute.
“Vedi?
Il mio corpo non morde, sono solo pelle, muscoli e ossa che racchiudono
quello
che sono. Mi piace quando mi tocchi, come a me piace toccare te, anche
solo
carezzandoti i capelli. Non ti forzerò mai a fare nulla, ma
non voglio che tu
ne abbia paura” disse con voce morbida ma priva di
affettazione, per fargli
intendere quanto fosse serio.
Abbassò
il braccio lasciandogli andare la mano che finora aveva tenuto stretta
con la
propria, ma Tsukishima non la ritirò. Per un attimo rimase
ferma su di un
fianco, poi riprese a muoversi, esplorando il corpo di un altro ragazzo
nelle
sue fattezze dure e a volte anche spigolose.
Finalmente
alzò lo sguardo, puntando gli occhi chiari in quelli di
Kuroo e, anche se aveva
ancora il viso rosso, la sua fronte era corrucciata in una smorfia
ostinata,
segno che non si sarebbe più tirato indietro.
“Toccami
anche tu. Voglio sentire le tue mani su di me” gli disse e
Kuroo non ebbe
bisogno di ulteriori incoraggiamenti per accontentarlo, esultando per
quell’ennesimo passo in avanti nella loro relazione, sorpreso
per come la
semplice carezza di una mano potesse risultare così
soddisfacente. La mano di
Tsukki, perché era certo che nessun’altra gli
avrebbe mai fatto provare le
stesse emozioni.
L’angolino
oscuro:
Tanti auguri Kuroo!!! Quale regalo migliore se non riuscire farsi
accettare
interamente dal suo Tsukki e iniziare finalmente ad esplorare a timidi
passi i
loro corpi? Anche se sono ancora nel mezzo del caos ho cercato di
buttare giù
qualcosa per il compleanno del mio gattaccio preferito <3 spero
vi sia
piaciuta, alla prossima.
P.s.
: forse con questa si conclude la saga delle mani.
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Capitolo 7 *** 7 - Non importa quanto sono lunghe le tue gambe, se scappi io ti seguirò ***
Non
importa quanto sono lunghe le tue gambe, se scappi io ti
seguirò
Sabato
pomeriggio significava finalmente un po’ di riposo. Gli
allenamenti settimanali
erano conclusi e la domenica Tsukishima poteva concedersi
un’intera giornata
senza dover uscire di casa, libero di studiare, leggere e ascoltare
musica come
invece non poteva fare il resto della settimana. Il programma di quella
sera
era cenare, fare un bagno, infilarsi a letto e dormire almeno dodici
ore.
Il
paradiso per uno come lui.
Peccato
che il destino avesse deciso di mettergli i bastoni tra le ruote.
“Ehi
Tsukki, quello là non è Kuroo? Che ci fa
qui?”
La
voce di Yamaguchi lo riportò bruscamente alla
realtà e fu con profonda
irritazione che constatò la veridicità di quelle
parole; d’altronde quegli
assurdi capelli neri a forma di cresta erano inconfondibili anche da
lontano.
“Tch…”
sbuffò e, senza dire una parola, accelerò il
passo. Oltrepassò i cancelli della
scuola e continuò a camminare imperterrito, ignorando la
voce del ragazzo di
Tokyo che lo chiamava.
“Non
dovresti rispondergli?” gli suggerì timidamente
Tadashi.
“No”
rispose lui, lapidario, mettendosi le cuffie per escludere qualsiasi
tipo di
conversazione, persino con l’amico d’infanzia. Si
salutarono al solito incrocio
e lui continuò a camminare, senza girarsi indietro per
controllare, ma non ne
aveva bisogno: vedeva davanti a sé l’ombra del suo
inseguitore.
Solo
quando arrivò davanti al cancelletto di casa si
fermò, rimise le cuffie attorno
al collo e si voltò a fissare il suo sgradito quanto
imprevisto ospite.
“Che
ci fai qui?”
Kuroo
valutò la sua aria impassibile, persino gelida, e il tono
impersonale con cui
aveva parlato. Trattenne un sospiro e cercò di non lasciarsi
abbattere.
“Per
vederti.”
“Bene,
mi hai visto, abbiamo persino parlato, ora puoi tornartene a
Tokyo.”
“Tsukki,
non dirai sul serio! Ho persino saltato gli allenamenti per venire qui
oggi
pomeriggio!” esclamò Kuroo scandalizzato, tanta
indifferenza era un record
persino per lui.
“Non
mi sembra di avertelo chiesto, è stata una tua decisione
autonoma e quindi devi
assumertene le conseguenze.”
Il
ragazzo di Tokyo puntellò una mano contro il fianco, mentre
con l’altra si
scostava il ciuffo scuro che gli copriva sempre l’occhio
destro e lo fissò in
silenzio. Sapeva che non sarebbe stato facile, quella volta Tsukishima
gliel’avrebbe fatta pagare cara, ma tutta quella freddezza
destabilizzava
persino lui che credeva di essercisi ormai abituato.
“Sì,
e proprio perché intendo assumermi le mie
responsabilità che sono qui. Sarei
venuto anche prima, se solo avessi potuto muovermi. Parliamo, ascolta
ciò che ho
da dirti e poi me ne andrò. C’è un
altro shinkansen stasera alle dieci, se vuoi
lo prenderò e non ti darò più
disturbo, ma almeno ascoltami.”
Kei
guardò quel ragazzo che si era fatto più di
quattrocento chilometri per vederlo
e sorbirsi le sue risposte acide. Osservò la sua postura
solo apparentemente
spavalda, in realtà vedeva che sotto la patina di sicurezza
Kuroo era nervoso;
ormai era piuttosto bravo a leggere le persone, non per niente le sue
capacità
a muro miglioravano ogni giorno che passava. Una parte di sé
si domandò persino
se non avesse esagerato, ma fu lesto a zittirla e vi parlò
sopra in modo da non
darle modo di riprendere a insinuare ipotesi assurde:
“Ok,
dimmi quello che devi dire e poi vattene.”
Kuroo
fece una smorfia con le labbra, per poi guardarsi teatralmente intorno,
salutando persino una bambina che, attaccata alle gonne della mamma, lo
fissava
incuriosita.
Tsukishima
sospirò e si aggiustò gli occhiali, arrendendosi
di fronte all’evidenza: non
potevano discuterne per strada, specialmente perché era
certo che
quell’invadente avrebbe tirato fuori argomenti inopportuni.
Ci mancava solo che
quell’impicciona della vicina, la signora Shimizu, si
mettesse a origliare;
avrebbe potuto presentarsi alle olimpiadi di orecchie lunghe. Quando
sua madre
stendeva i panni fuori era matematicamente certo che lei sarebbe stata
al di là
della staccionata; d’estate, con le finestre aperte, sapeva
persino cosa
mangiassero a ogni pasto o quale bagnoschiuma preferisse Tsukishima.
Una volta
aveva detto alla madre di comprarglielo perché lo aveva
finito, lei se ne era
scordata e il ragazzo poco dopo era andato ad aprire la porta,
ritrovandosi la
vicina con in mano proprio quello specifico bagnoschiuma, sostenendo di
aver
esagerato con le scorte e di non sapere che farsene.
No,
decisamente non poteva mettersi a discutere con Kuroo per strada.
Rassegnato,
aprì il cancelletto e poi la porta di casa senza dire una
parola. Si tolse le
scarpe all’ingresso e si mise le ciabatte, fornendone un paio
anche all’ospite
che avanzò a passi lenti, osservando ogni angolo della sua
abitazione. Non era
la prima volta che metteva piede in casa sua, ma rimaneva ancora
genuinamente
curioso di vedere il luogo in cui il suo Tsukki
viveva, sempre che potesse ancora definirlo così.
“I
tuoi genitori?” domandò, notando il silenzio.
“Sono
fuori per il fine settimana, Akiteru sta traslocando e gli serviva una
mano
anche per alcuni lavoretti nel nuovo appartamento.”
Fu
solo quando sentì il tono strascicato e cantilenante con cui
Kuroo disse “Ooooh,
caaapisco…” che comprese di aver fatto una
cavolata gigantesca rivelandogli di
essere praticamente solo, vicina impicciona a parte, ma nemmeno lei
riusciva a
sconfiggere le tende davanti alle finestre, il suo acerrimo nemico.
Tossicchiò,
cercando di apparire disinvolto, e si diresse verso la cucina senza
degnarlo di
uno sguardo, mentre l’altro pareva prendere le misure di ogni
cosa per il modo
sfacciato con cui osservava l’ambiente. Sempre più
irritato, Tsukishima si
tolse la giacca, posandola su una sedia e rimanendo in maglione color
panna,
per poi mettersi a preparare il the. Anche se voleva cacciare
quell’intruso, le
buone maniere e l’educazione ricevuta erano più
forti e poi, in fondo, dopo un
buon the sarebbe stato ancora più soddisfacente buttarlo
fuori.
Kuroo
intanto si era seduto al tavolo quadrato e lo osservava in silenzio, ma
quando
Kei gli mise davanti una tazza piena disse:
“Lo
sai che è la prima volta che ti vedo con
l’uniforme? Come è anche la prima
volta che ti vedo fare qualcosa di tanto semplice e quotidiano come
preparare
il the – gli fece quel suo sorriso largo, ammiccante
– mi piace.”
Tsukishima
rimase interdetto e l’unica cosa che riuscì a fare
fu sbuffare un ennesimo
“Tch” e sederglisi di fronte, giustificando il
lieve rossore sulle guance col
vapore dell’acqua bollente. Si aggiustò di nuovo
gli occhiali e fissò la
superficie calma della sua tazza, cercando di trarne forza
perché era sempre
più difficile tenere su il muro e respingere tutti quegli
attacchi. Le sue
gambe allungate sotto il tavolo finirono poi per intrecciarsi con
quelle di
Tetsurou, provò a tirarle indietro, ma era inutile: entrambi
erano molto alti
ed era impossibile non entrare in contatto in quello spazio limitato.
“Magari
avrei dovuto mettere anch’io l’uniforme, forse ti
sarebbe piaciuto vedermici
invece che con la solita divisa del club o con degli abiti
normali” lo stuzzicò
Kuroo per cercare di strappargli qualche reazione oltre al suo tipico
sbuffo
irritato. “Magari la prossima volta che vieni a Tokyo
anch’io ti preparerò il
the.”
Tsukishima
posò la tazza e incrociò le mani davanti a
sé, ben poggiate sul tavolo. Lo
fulminò con lo sguardo e parve fare uno sforzo per mantenere
tutta quella
calma, ma la sua voce sembrava normale, solo appena più
acuta del solito:
“L’unica
cosa che al momento mi piacerebbe, sarebbe saperti su quel maledetto
treno. E
non vedo proprio perché dovrei tornare a Tokyo, ne ho avuto
abbastanza di
quella città.”
Kuroo
sbatté con forza le mani sul ripiano, tanto da rischiare di
rovesciare le tazze,
e si mise addirittura in piedi, chinando il busto sopra il tavolo per
avvicinarsi a Kei.
“Assolutamente
no! Sei venuto solo due volte a trovarmi, ripartendo in giornata senza
nemmeno
fermarti a dormire, non hai ancora visto niente!
C’è…
c’è… sì,
c’è ancora il
museo nazionale da visitare, e poi Akasuka, perfetta per uno allergico
alla
gente come te, Akihabara ti piacerà con tutti i suoi negozi
di elettronica e
poi c’è ancora così tanto! Non puoi
dire di averne avuto abbastanza!”
Tsukishima
rimase sorpreso da quella reazione energica e inattesa: Kuroo era
sempre
pacato, pungente e ciarliero solo quando serviva, esperto tanto nel
saltare al
momento giusto a muro in campo, quanto nel parlare nel momento adatto
al di
fuori.
“Va…
va bene” mormorò Kei di rimando, fissandolo
sedersi e passarsi ancora le mani
tra quei capelli assurdi che tornarono nella stessa posizione di prima.
“Si
può sapere perché ti sei arrabbiato
così tanto da rifiutare ogni mia chiamata
in queste due settimane?” domandò Kuroo, tirando
finalmente fuori il motivo per
cui era lì, era ora di smetterla di girarci attorno.
Tsukishima
riguadagnò la sua compostezza dopo
quell’inaspettata esplosione da parte del
ragazzo e, col suo tono tagliente, replicò:
“Hai
persino il coraggio di chiederlo, gattaccio malefico?”
“Sì,
perché è evidente che quello che ho fatto ti ha
dato fastidio, ma non capisco
cosa. In fondo era una cosa normalissima, sei tu che hai
esagerato.”
Tetsurou
pareva aver riguadagnato la solita compostezza e lo osservava col suo
sguardo
attento, felino, mentre le gambe sotto al tavolo erano ormai diventata
una
selva intricata di tibie, peroni, caviglie e ginocchia. Kei provava in
tutti i
modi a liberarsi, avrebbe dovuto essere facile dato che le sue gambe
erano
sottili, coi muscoli allungati e nient’affatto gonfi, eppure
pareva che quelle
decisamente più muscolose di Kuroo non avessero alcuna
intenzione di rendergli
le cose semplici, di interrompere quello che a conti fatti era il loro
unico
punto di contatto.
Così,
mentre sotto il tavolo si combatteva una lotta continua, al di sopra i
busti
erano immobili, così come le loro facce, le emozioni e le
intenzioni.
“Esagerato?
Io? – sibilò Tsukishima, rabbuiandosi –
Sei tu che sei fuori di testa, ti
devono essere arrivate un po’ troppe pallonate
addosso.”
La
caviglia destra era quasi libera, ma ecco che un piede di Kuroo la
ritirava di
nuovo nel campo di battaglia, affatto intenzionato a dargliela vinta o
a
cedere. Allo stesso modo replicò alle sue parole:
“Sicuro
invece di non essere troppo represso tu, invece? – lo
stuzzicò – Avanti, dimmi:
cosa c’era di così mortale in quello che ti ho
mandato?”
A
quel punto Kei abbandonò del tutto la sua facciata di
impassibilità, smise
addirittura di lottare sotto al tavolo per esclamare:
“Cosa
c’era? Cosa c’era? Ma dico: si possono mai mandare
foto del genere?! Eri nudo!
Completamente nudo e… e con il…”
Le
sue guance erano rosse e non sapeva se per lo sforzo insolito o per
l’imbarazzo
nel ricordare quella foto assolutamente indecente. Una sera stava
tranquillamente
messaggiando con Kuroo, quando aveva ricevuto quella foto in cui il
ragazzo era
nudo, sul letto, con l’erezione in bella vista. Aveva creduto
seriamente di
stare per avere un ictus e solo per poco non aveva lanciato per aria il
telefono.
Non
gli aveva più risposto, né aveva voluto
richiamarlo, e adesso invece se lo
ritrovava faccia a faccia nella propria cucina, con l’aria
più serafica del
mondo.
“Eh,
quindi? Ti avevo scritto che avevo voglia di vederti e ti stavo
pensando, no?
Quello era solo il risultato.”
Tetsurou
appoggiò il gomito sullo schienale della sedia, in una posa
rilassata,
completamente a proprio agio con le gambe di Tsukishima intrappolate
tra le
proprie. Era venuto sin lì per una risposta e non se ne
sarebbe andato senza,
non aveva intenzione di cedere, farlo una sola volta con quel
quattr’occhi
avrebbe decretato la fine di ogni cosa. Doveva continuamente cercarlo,
stimolarlo, stuzzicarlo per fargli abbandonare quel comodo guscio di
apatia in
cui si rifugiava. A qualcuno sarebbe potuto apparire stancante, ma non
a lui,
non a Kuroo che amava le sfide e amava ancora di più quando
Kei, pieno di
riluttanza fino ai capelli, si lasciava andare. Cercava ancora di
fingere che
non gli interessasse, ma le sue braccia si stringevano sempre con forza
attorno
alle sue spalle e i baci, come le carezze, non erano a senso unico.
L’unico
grande problema era la distanza, per Kuroo non ne esisteva
nessun’altro, perché
qualsiasi muro Tsukishima avesse messo su, lui lo avrebbe smantellato,
insinuandosi nella sua difesa; non poteva vincere contro chi gli aveva
insegnato tutto. E adesso vedeva proprio una bella breccia nel viso
arrossato
di Kei, che continuava ad aggiustarsi freneticamente gli occhiali
nonostante
non ce ne fosse alcun bisogno.
“In
fondo non era niente che tu non avessi già visto, no
Tsukki?” lo incalzò ancora
Kuroo, quello era il momento di colpire con più forza per
far passare la palla
e mettere a segno il punto.
Il
ragazzo biondo distolse lo sguardo, la sua scorta inesauribile di
battute al
vetriolo, di occhiate superiori e indifferenza pareva essersi
prosciugata e la
sua mente si dibatteva come un pesce nel retino, ancora deciso a
combattere
anche se intrappolato.
“Non
vuol dire nulla” disse, ignorando il sopracciglio di Tetsurou
che si sollevava,
incredulo, e continuò “Non ti ho chiesto niente
del genere, non lo volevo… come
avresti reagito tu, se ti fosse arrivata una foto del genere?”
Kuroo
sorrise, quel sorriso grande pieno di denti, estremamente soddisfatto
per la
piega della conversazione, perché Tsukishima ancora non se
ne rendeva conto, ma
aveva ormai perso.
“Se
fosse stata una tua foto io ne sarei stato immensamente felice, Tsukki.
Sai, è
dura dover ricorrere ogni volta ai ricordi, specialmente se sono
vecchi, mi
piacerebbe quindi moltissimo avere una tua foto nudo per potermi
masturbare
ogni volta che vorrei che fossi invece tu a farlo.”
A
quella confessione tanto diretta e sfacciata Kei non poté
più resistere, sfilò
con forza le gambe dalla prigione di carne e ossa e si alzò
in piedi, con la
faccia più indignata che riuscì a mettere su.
“Come
ti permetti…” iniziò, ma venne bloccato
da Kuroo che lo aveva raggiunto con una
rapidità sorprendente, spingendolo contro il ripiano della
cucina.
Tsukishima
era solo un paio centimetri più alto, ma Tetsurou era
decisamente più grosso,
le spalle erano più larghe e le braccia muscolose, quindi
non aveva alcun
problema a tenerlo fermo. Il grosso gatto nero che aveva messo
all’angolo
l’uccellino tutto piume e ossa.
In
realtà in quel momento non stava usando la forza,
né gli interessava fare uno
scontro di quel tipo, stava semplicemente appoggiato contro Kei e lo
guardava
negli occhi, con l’espressione seria, sebbene quel piccolo
luccichio divertito
non abbandonasse mai il suo sguardo.
I
loro visi erano vicini e a Kuroo pareva quasi di sentire il profumo del
docciaschiuma usato da Kei dopo gli allenamenti, poteva odorare le sue
paure,
le ritrosie e la naturale inclinazione a isolarsi e respingere tutti,
ma ci
avrebbe pensato lui a intrufolarsi e farsi largo.
“Tsukki…
– cantilenò ogni sillaba del suo nomignolo
– perché ogni volta dobbiamo
ricominciare tutto daccapo? Abitiamo già lontani, ci vediamo
raramente e il
poco tempo che passiamo assieme non ho voglia di sprecarlo a fare finta
che non
ci interessiamo. Te l’ho già detto: tu mi piaci e
sono maledettamente serio.
Anch’io ti piaccio, altrimenti non mi avresti mai dato il tuo
numero di
telefono, non mi avresti permesso di baciarti, non saremmo mai finiti
nudi,
nello stesso letto, a masturbarci fino all’ultimo momento
disponibile.”
Sospirò
piano e gli sorrise mentre era lui quella volta a spingere gli occhiali
più in
su sul naso. Vedeva chiaramente la lotta all’interno di quel
ragazzo a cui non
voleva rinunciare, un combattimento tra la sua razionalità
estrema e
l’illogicità dei sentimenti; poteva comprendere
quanto fosse difficile per un
tipo come lui, per quello aggiunse “Ammetto di aver
esagerato, non avrei dovuto
mandarti quella foto senza chiederti il permesso, ma non intendevo
offenderti o
mancarti di rispetto. Semplicemente mi mancavi, Tsukki. È
tanto difficile da
credere?”
Il
ragazzo aveva lo sguardo puntato verso il basso, il collo lungo
leggermente
inclinato di lato, ma non aveva perso una sola parola di quanto detto.
“No
– si decise a rispondere alla fine – non
è difficile da credere.”
Perché
a volte accadeva anche a lui di provare insoddisfazione per quella
situazione,
per i lunghi scambi di messaggi o per le telefonate che sembravano non
bastare.
E gli dava fastidio, gli dava così maledettamente fastidio
rendersi conto di
non essere più autosufficiente, di non bastarsi
più.
Così,
inconsciamente, appena aveva visto una via d’uscita ci si era
infilato,
dicendosi che il comportamento di Kuroo era deplorevole, assolutamente
inadatto. Eppure quello stesso Kuroo era andato da lui, senza alcuna
certezza
di venire ascoltato, solo la speranza, e aveva detto le sue
verità ad alta
voce, senza tirarsi indietro.
In
quel momento la sua logica ferrea gli impediva di fuggire e di non
riconoscere
quello che provava nei suoi confronti: Tetsurou gli piaceva, altrimenti
non gli
avrebbe mai permesso di avvicinarsi così tanto.
Alzò
lo sguardo e trovò quel solito mezzo sorriso e gli occhi
nocciola dalle iridi
piccole che lo fissavano soddisfatti, placidi e assolutamente irritanti.
“Smettila”
sbuffò.
“Cosa?
Di essere felice? Non credo sia possibile” ribatté
avvicinando di più il viso,
ma decidendo di non andare oltre. Doveva essere Tsukishima a colmare
quella
breve distanza, anche lui doveva fare un piccolo passo verso di lui.
Kei
lo guardò, incerto, indeciso anche se la sua mente logica
gli suggeriva il naturale
passo successivo da fare; era evidente, logico, no?
Così
il centrale della Karasuno si spinse in avanti per posare le sue labbra
su
quelle dell’avversario, ma non ci fu nessuna lotta, nessuna
guerra, nessun
attacco e nessun bisogno di alzare un muro. Ci fu solo un bacio, lento,
accorto, scandito dai loro respiri e dalle mani che si andavano a
cercare per
intrecciarsi le une con le altre.
Kuroo
si allontanò di poco, con un sorriso completo, felice anche
perché Tsukishima
aveva ripreso a guardarlo in faccia, probabilmente sulla strada giusta
per
accettare del tutto i sentimenti che provava.
“La
prossima volta che vieni a Tokyo devi fermarti a dormire e ti
porterò in un
sacco di posti, ti piaceranno.”
E ti
piacerà anche
tutto il resto, perché ho intenzione di vederti di nuovo
nudo, voglio
imprimerti per bene nella mia memoria e forse,
chissà… non ci limiteremo a
toccarci, Tsukki. Non hai la minima idea di quanto ti voglia.
Kei
allontanò ulteriormente il viso, osservando un po’
incerto quel sorriso che era
diventato un ghigno ammiccante, ma non vi badò troppo, in
fondo era un marchio
di fabbrica del capitano della Nekoma.
“Ci
conto allora” si limitò a rispondere
perché ormai era inutile negare: lo
sapevano tutti e due che sarebbe tornato a Tokyo una terza volta, una
quarta e
poi ancora.
“Fidati
di me” disse Kuroo e non badò
all’espressione poco convinta che Tsukishima
sfoggiò, bensì gli diede un bacio veloce per poi
fare qualche passo indietro.
Sapeva
bene quanto Kei fosse più rigido di lui, più
giovane, poco avvezzo a gestire
certi tipi di sentimenti e relazioni, già il fatto che
riconoscesse l’interesse
nei suoi confronti era un passo da gigante. Per questo Tetsurou non
aveva mai
affrettato le cose, non lo aveva mai spinto oltre il punto di rottura,
rispettando i suoi tempi. Certo, rimaneva il passo falso della foto, ma
non era
mica perfetto, di sbagli ne commetteva eccome!
“Mi
accompagni in stazione? Tra un’ora e mezza parte il treno e
io devo ancora fare
il biglietto” propose.
“Assolutamente
no, non ne ho alcuna voglia” rispose Kei, freddo e
apparentemente inamovibile
da quella decisione.
Kuroo
spalancò la bocca, si portò le mani tra i capelli
e pareva essere rimasto a
corto di parole per la mostruosa insensibilità di quello che
avrebbe dovuto
essere il suo fidanzato, che solo fino a pochi minuti prima era rosso
come un
peperone. Non c’era che dire: aveva un enorme
capacità di ripresa. Tuttavia non
riuscì a mettere in parole il suo sdegno perché
Tsukishima lo prevenne:
“Sei
arrivato qui senza alcun preavviso, hai mandato all’aria i
miei programmi e non
intendo scombinarli ulteriormente. Devo cenare, fare il bagno e poi
andare a
dormire – gli lanciò un’occhiata prima
di voltarsi verso il frigo – se ti va,
ti accompagno domani pomeriggio. Se hai fretta di tornartene a Tokyo,
vai pure;
non ti trattengo.”
Kuroo
rimase ancora a bocca aperta per qualche istante, sbalordito dal modo
in cui quell’iceberg
biondo riusciva a mascherare un invito a fermarsi a dormire da lui con
tutta
quella patina di apparente freddo disinteresse. Non c’era che
dire: Kuroo aveva
trovato proprio una bella gatta da pelare.
Il
capitano della Nekoma ridacchiò, divertito, e poi si
lanciò ad abbracciare
l’altro, strofinando viso e capelli nel suo maglione chiaro.
“Facciamo
il bagno insieme, Tsukki?”
“Eh?
Cosa? No, scordatelo! Tu dormi sul divano… anzi, no, sul
tappetino fuori.”
“Tsukki,
sei cattivissimo!” si lagnò senza alcuna
intenzione di lasciarlo andare.
“Hai
ancora tutte e due le mani e dieci dita, quindi direi che sono fin
troppo
buono!”
Kuroo
lo fece voltare e lo guardò con la sua espressione sorniona,
con il viso sempre
troppo vicino, incurante degli spazi personali altrui.
“Sbagliato,
quello è per un tuo personale interesse: altrimenti come
farei a toccarti?”
Non
gli diede tempo di rispondere perché lo baciò di
nuovo, felice, deciso a non
fargli dire più alcuna parola per quella notte. Avrebbe
fatto giusto
un’eccezione se avesse invocato il suo nome, ma forse per
quello era ancora un
po’ presto: doveva ancora lavorare parecchio sul suo
scostante, freddo e
cocciuto fidanzato.
L’angolino
oscuro:
Kuroo, Kuroo, ma che combini? Non concordo con la versione che lo vede
tipo God
of sex, anche se a dire la verità l’ho ritrovata
soprattutto nel fandom
inglese, più che in quello italiano. Kuroo è
semplicemente un diciottenne
studioso, un po’ nerd, capace di essere serio quanto di
lanciarsi in
stupidaggini soprattutto assieme a Bokuto. Ha tutti gli ormoni al posto
giusto,
è un po’ sfacciato e sicuramente più
spigliato di Tsukishima (non che ci voglia
molto) quindi arrivati a un certo punto della relazione mi sembra anche
normale
manifestare desiderio sessuale. Da qui a renderlo capace di farti avere
un
orgasmo con uno sguardo c’è un bel po’
di differenza XD
Tsukki,
lui sta ancora cercando di dibattersi nel mare di sensazioni nuove e
scomode
che prova, tant’è che appena trova uno spiraglio
logico a cui aggrapparsi per
tirarsene fuori lo fa, però Kuroo non gli lascia scampo e lo
costringe ad essere
onesto. Che adorabile coppia di idioti che sono <3
Spero che anche questa shot vi sia piaciuta, non so se
riuscirò ad aggiornare di nuovo la raccolta prima di Natale,
ma ce la metterò tutta per farvi una sorpresa, alla prossima!
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Capitolo 8 *** 8 - Just this time ***
Just
this time
Tsukishima
spense il cellulare con un sospiro di sollievo. Voleva davvero bene a
Yamaguchi, ma ascoltarlo blaterare mezz’ora sul suo
appuntamento con Yachi era
qualcosa che metteva a dura prova i suoi nervi. Nervi già
abbastanza provati
dato che era a Tokyo dalla mattina ed era stato in giro tutto il giorno
con
Kuroo, lo stesso Kuroo che adesso lo aspettava nella sua camera, per
dormire
assieme.
Che
cosa imbarazzante!
Kei
avrebbe preferito prendere il treno e tornare a casa in serata, ma
l’altro aveva
tanto insistito perché rimanesse che alla fine aveva ceduto;
qualsiasi cosa pur
di zittirlo.
Almeno
questo era ciò che continuava a ripetersi.
Come
continuava a ripetersi di non essere assolutamente agitato
all’idea di
condividere il letto per una notte intera, di sentire il suo corpo
atletico
premuto contro il proprio, o di vedere appena sveglio il suo viso come
prima
cosa.
No,
Tsukishima Kei non era affatto agitato, solo… infastidito,
ecco.
Entrò
nella stanza, con tutto il suo aplomb e la migliore maschera
d’indifferenza
calzata alla perfezione, già pronto a subire assalti
appiccicosi e chiaramente
indesiderati, quando rimase senza
parole alla scena
che gli si parò di fronte.
Kuroo
stava sdraiato prono, con la faccia schiacciata in mezzo a due cuscini,
chiaramente addormentato, almeno a giudicare dal lieve russare che si
sentiva.
Tsukishima serrò un pugno, trattenendosi dal darglielo su
quella zucca vuota
che si ritrovava: prima gli faceva venire un sacco di paturnie e poi
quello
stronzo si permetteva di addormentarsi prima che arrivasse? E si era
addirittura fregato anche il cuscino destinato a lui!
Kei
si infilò a letto, posò gli occhiali sul comodino
e poi si riprese il
guanciale, ignorando il borbottio di Tetsurou.
“Certo
che ti vengono quei capelli da schifo se dormi in questa
posizione” borbottò,
acido, prima di spegnere la luce e stendersi supino, braccia lungo i
fianchi e cuscino
sotto la nuca come tutte le persone normali. Sapeva di quel vizio di
Kuroo, ma
non ci aveva creduto del tutto fino ad ora.
Cercò
di addormentarsi, ma non era facile: testa piena di pensieri, letto
nuovo e
soprattutto un irritante gattaccio che non la smetteva di dimenarsi e
lamentarsi.
Tsukishima,
spazientito, stava per rifilargli un calcio quando Kuroo si
infilò sotto il suo
braccio e si accoccolò più vicino, schiacciando
una guancia contro il suo torace,
l’altra invece coperta sempre dal guanciale.
“Che
accidenti…?” borbottò Kei, osservando
come Tetsurou si premeva contro di lui,
con una faccia soddisfatta e finalmente tranquillo; a quanto pareva lo
stava
usando come sostituto del cuscino. Alla debole luce che filtrava dalla
finestra
continuò a guardare la sua espressione rilassata, pareva
addirittura che
sorridesse, come se stesse nella posizione più comoda del
mondo, l’unico posto
dove desiderasse stare.
“Per
stavolta” si arrese Tsukishima, dicendosi che lo faceva solo
per non farlo
muovere ancora. Gli poggiò il braccio sulla schiena,
tirandoselo più vicino e due
minuti dopo anche lui era scivolato nel sonno con una
facilità mai sperimentata
prima.
L’angolino
oscuro:
Buon anno nuovo, quale modo migliore se non iniziarlo con una flash
KuroTsukki?
Patatini
loro che dormono assieme per la prima volta, e Tsukki afferma che solo
per
stavolta si lascerà usare come sostituto del cuscino.
Però poi se lo tira più
vicino e si addormenta a sua volta <3
Tsukishima
mi trasmette proprio l’idea di qualcuno di compiere qualche
gesto affettuoso
quando nessuno lo vede, quando lui è l’unico
testimone di questa sua “debolezza”
e appunto stavolta è un Kuroo addormentato a beneficiare
della sua stretta,
anche se sicuramente ne ha ricevuta più di una anche da
sveglio.
Spero
che anche questo breve scorcio su di loro vi sia piaciuto, io vi faccio
nuovamente i miei migliori auguri per questo 2018 e ci sentiamo alla
prossima!
P.s.:
miei cari lettori silenziosi, mi fate un bel regalo per iniziare bene
l’anno
nuovo e mi dite cosa ne pensate delle storie? Non servono recensioni
chilometriche, bastano anche poche parole per farmi capire cosa vi
è piaciuto e
cosa magari non vi è piaciuto perché
sì, esistono anche le critiche costruttive
e sono utilissime!
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Capitolo 9 *** 9 - On my own ***
On
my own
Tsukishima
aggrottò la fronte, irritato. Era sdraiato a letto, ancora
con l’uniforme di
scuola e il borsone degli allenamenti posato a terra.
L’abat-jour era spenta e
lui fissava il soffitto alla luce della luna che entrava dalla
finestra. Per
una volta la sua mente eccezionale era in stand-by, senza pensare a
nulla,
cullata dalla musica che si propagava dalle cuffie attorno alle sue
orecchie.
All’improvviso
però una vibrazione aveva guastato la canzone, e lui aveva
alzato il cellulare
per scoprire chi diavolo fosse riuscito a rovinargli
quell’attimo di pace.
Fu
con sorpresa che spalancò gli occhi nel vedere il mittente
del messaggio: mai
avrebbe creduto che Kenma potesse scrivergli qualcosa, men che mai
mandargli
foto.
Scoprì
che si trattava di uno scatto rubato a un Kuroo che, per una volta,
dormiva a
pancia all’aria, senza la testa schiacciata tra due cuscini.
Indossava i
pantaloncini rossi e la giacca a maniche lunghe della tuta, sdraiato
sopra un
materassino da palestra.
Il
breve messaggio che accompagnava la foto diceva semplicemente:
Immaginavo
che ti
sarebbe potuto piacere vederlo così.
Tsukishima
si trovò a zoomare la foto per vedere meglio i particolari;
ad esempio le
occhiaie scure di Kuroo, provato dal duro studio e gli allenamenti,
come se non
fosse già significativo il modo in cui era crollato dopo
l’allenamento
pomeridiano, o così Tsukishima immaginò dalla
luce dello scatto.
Con
ancora la musica che andava, continuò a fissare la foto,
come se quell’ammasso
di pixel potesse rivelargli qualche segreto, invece di essere solo la
buffa testimonianza
che persino Kuroo poteva dormire in una posizione normale.
Tsukishima
si portò una mano al viso, scostando gli occhiali per posare
il palmo sugli
occhi brucianti, bloccando qualsiasi cosa potesse traboccare dai loro
confini.
Gli
mancava Kuroo.
Gli
mancava e una semplice e stupida foto come quella lo aveva steso.
Ritraeva un
momento banale di una giornata qualsiasi, ma lo rendeva ancora
più consapevole
della loro lontananza, dell’impossibilità di
vivere la loro relazione nella
quotidianità.
Che
strada faceva Kuroo per tornare a casa? Si fermava a prendere qualcosa
da
mangiare coi compagni come lui spesso faceva coi suoi? Che mondo
vedevano ogni
giorno i suoi occhi?
Uno
diverso da quello di Tsukishima, uno troppo lontano. Erano solo degli
studenti
che mettevano da parte ogni centesimo per i biglietti del treno, troppo
presi
dallo studio e gli allenamenti; troppo presi dai loro sentimenti per
mollare,
nonostante tutto.
Tsukishima
sentì il palmo della mano umido, ma non lo
scostò, anzi lo premette più forte
contro gli occhi.
Rimase
sul proprio letto, al buio, con la musica che lo cullava e quella foto
di Kuroo
stampata nella mente.
Un
giorno – si ripromise – un giorno sarebbe stato lui
a scattargli foto simili,
senza farglielo sapere, ovviamente.
Per
il momento era solo un quindicenne che si concedeva un attimo di
debolezza, in
segreto.
L’angolino
oscuro: Eccoci
qui a un nuovo appuntamento sul documentario approvato dalla national
geographic su gatti e corvi. Scherzi a parte, penso che la malinconia
di una
storia a distanza, il senso di frustrazione per il non vissuto
quotidiano siano
una delle cose più difficili da sopportare e persino
Tsukishima si lascia
andare e cede alla tristezza, senza nessun testimone di questo momento
di
debolezza, di ammissione con se stesso che sì Kuroo gli
manca.
Spero
che come sempre vi sia piaciuta e grazie a tutti coloro che spenderanno
un
attimo del loro tempo per farmi sapere che ne pensano, alla prossima!
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