Di quattrocchi acidi, gattacci sornioni e altre (dis)avventure

di Sunako_7
(/viewuser.php?uid=1009090)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - One touch ***
Capitolo 2: *** 2 - Our hands (1) ***
Capitolo 3: *** 3 - Our hands (2) ***
Capitolo 4: *** 4 - Our hands (3) ***
Capitolo 5: *** 5 - I think what you think ***
Capitolo 6: *** 6 - Our hands (4) ***
Capitolo 7: *** 7 - Non importa quanto sono lunghe le tue gambe, se scappi io ti seguirò ***
Capitolo 8: *** 8 - Just this time ***
Capitolo 9: *** 9 - On my own ***



Capitolo 1
*** 1 - One touch ***


 

One touch

 

 

One touch.
Murare non era una cosa tanto semplice come potevano pensare occhi inesperti. Bisognava capire da quale parte del campo avrebbe attaccato lo schiacciatore, calcolare il momento giusto per saltare e poi allungare il più possibile le braccia, allargare le dita e indurirle, esercitare forza in modo da respingere il pallone e fare punto, così da vincere sull’avversario. Se invece, nonostante tutte le accortezze si riusciva solo a rallentare la palla senza bloccarla, i compagni avevano a disposizione altri tre tocchi per cercare di conquistare quel punto.
Allo stesso modo di quando andava a muro, adesso le dita di Tsukishima premevano su un petto fastidiosamente familiare. I polpastrelli affondavano nella maglietta colorata, le braccia tentavano di allungarsi, ma i gomiti rimanevano ostinatamente piegati, sordi agli ordini della sua mente razionale.

Uno.
Le mani avversarie andarono a immergersi tra i capelli biondi della nuca mentre le sue braccia continuavano a cercare di spingere, ma era un’inutile farsa: non c’era abbastanza volontà in quella difesa.

Due.
La fronte si posò sulla sua e il respiro gli accarezzò le guance, facendolo stizzire ulteriormente. Nonostante l’attacco stesse proseguendo, ormai vicino alla conclusione, Tsukishima ancora non si era arreso del tutto e le braccia erano ancora ostinatamente sollevate.

Tre
La schiacciata arrivò, violenta e improvvisa quanto una veloce, e le labbra di Kuroo si posarono sulle sue; il muro era stato spazzato via, ogni difesa annientata.
Le braccia di Tsukishima si distesero lungo i fianchi e lui rimase fermo, a sentire le labbra che premevano sulle proprie, in un contatto bruciante che faceva collidere orgoglio e desiderio, razionalità e sentimenti.
“Non avresti dovuto” mormorò allontanando il viso, piegandolo di lato, nel tentativo di riguadagnare la compostezza abituale e il tono tagliente.
Kuroo però non si fece intimidire, né indietreggio. Oramai conosceva abbastanza bene il suo centrale preferito, tanto da sapere che con lui ogni passo in avanti, ogni vittoria, ogni punto conquistato sarebbero stati una battaglia, come i loro scontri sotto rete.
“Impediscimelo, Tsukki. Tira su le braccia e murami, avanti” lo pungolò.
Kei alzò la testa in uno scatto di orgoglio, ma si ritrovò le labbra imprigionate in un altro bacio. Le sue braccia si sollevarono, le dita si dispiegarono nuovamente a ventaglio, ma stavolta le mani non spinsero contro, bensì si posarono sulle spalle, con delicatezza persino.
In quella sfida la sua razionalità aveva perso, ma non importava: ci sarebbero stati altri match, altre occasioni per tenergli testa, vincere e fare punto. Eppure la sua mente tanto pragmatica e logica si ritrovò a suggerirgli che forse, col tempo, si sarebbe riscoperto a fare il tifo per un’altra squadra, a desiderare che Kuroo facesse più punti, distruggendo ogni sua difesa; proprio lui che gli aveva insegnato a murare. E per l’appunto chi, se non lui, poteva insegnargli come invece mettere da parte le difese e aprirsi?
Ci avrebbe pensato Kuroo a conquistare Tsukishima, in una lenta arrampicata verso la vittoria, punto dopo punto.

 

 

 

L’angolino oscuro: 490 parole di KuroTsukki, cosa si può volere di più? Altre storie su di loro ovviamente! Per questo mi è venuta in mente questa raccolta su di loro, flash e one-shot per raccontare piccoli momenti, squarci di vita e avventure di questi due giovani ragazzi impegnati in una relazione a distanza.
La raccolta non seguirà un filo temporale o di trama in senso stretto, sarà possibile leggere ogni storia separatamente, ma ci sarà man mano una progressione temporale e una crescita dei personaggi sia in senso mentale che di età. Questa flash per esempio è per me il punto di partenza, non si tratta esattamente del loro primo bacio, ma sicuramente è uno dei primi, per le resistenze di Tsukki, il suo imbarazzo e la sua incapacità ad aprirsi ancora presente.
Spero che la storia vi sia piaciuta e che continuerete a seguire la raccolta per scoprire cosa accadrà al nostro quattrocchi acido e al gattaccio sornione che io amo tanto.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 - Our hands (1) ***


Our hands - 1

 

 

Tsukishima era stanco. Non era stata tanto la levataccia della mattina a sfiancarlo, quanto il dover stare in mezzo alla folla che lo spintonava qua e là. Tokyo era qualcosa di pazzesco, pareva impossibile trovare dello spazio personale in quella città frenetica e troppo piena di negozi, ristoranti, palazzi e gente che consumava ossigeno.
Tsukishima odiava il caos e qualsiasi cosa che scombinasse la sua routine, gli era persino difficile accettare l’idea di essere andato lì di sua spontanea volontà; di sicuro era colpa di Hinata e della pallonata che gli aveva schiantato in testa invece che dall’altra parte del campo.
All’improvviso si sentì afferrare una mano e, sorpreso, se la guardò, osservando il modo in cui veniva stretta da quella più larga di Kuroo.
“Che fai?”
“C’è un sacco di gente, anche se sei alto e spicchi in mezzo alla folla non ho intenzione di perderti. E poi… avevi un’espressione così spaesata, pensavo avessi bisogno di un po’ di conforto.”
La luce divertita nel suo sguardo smentiva quelle parole apparentemente preoccupate, Tsukishima vedeva bene la fatica che l’altro stava facendo per non sorridere.
“Tch – sbuffò, sistemandosi gli occhiali – non ce n’è bisogno, per chi mi hai preso? Abito a Sendai mica nelle caverne, sono abituato anch’io alla folla.”
La bocca larga di Kuroo si distese a formare un cerchio perfetto e già quello sarebbe bastato a Kei per irritarlo, ma il tono cantilenante che usò poi lo fece proprio andare fuori dai gangheri.
“Ceeerto, infatti erano i miei compagni ad aver scambiato un semplice traliccio per la Tokyo Tower, vero?”
“Tch, vuoi mettermi allo stesso livello di quegli idioti?” sbuffò nuovamente, tentando di mascherare con la superiorità la vergogna per quel ricordo. Come se non bastasse, ormai Kuroo sghignazzava apertamente e così lui strattonò il braccio, cercando di sciogliere la stretta delle loro mani, ma senza riuscirci. Le dita di Tetsurou erano forti, esperte e affatto intenzionate a lasciarlo andare via ora che lo aveva catturato.
“Sta’ fermo Tsukki, ti ho già detto che non voglio perderti – lo guardò con quell’espressione sorniona, accentuata dal ciuffo che gli copriva l’occhio – in fondo io non sono un idiota.”
Tsukishima sentì  una strana sensazione allo stomaco, come se qualcuno glielo stesse strizzando forte e cercò di dare la colpa a tutto il cibo che Kuroo gli aveva fatto mangiare quel giorno. Eppure mentre camminava al suo fianco, con la mano nella sua e le dita strettamente allacciate, ebbe qualche dubbio e si domandò se l’idiozia fosse contagiosa, perché doveva essere per forza così. Hinata doveva averlo infettato, altrimenti non si spiegava il senso di benessere che provava dopo una levataccia prima dell’alba, noiose ore di treno e con quella mano che stringeva a sua volta la propria, per nulla intenzionato a lasciarla andare. E, a quel punto, chissà cosa gli avrebbe trasmesso Kuroo continuando a stare così, palmo contro palmo, pelle su pelle.

 

 

 

 

 

L’angolino oscuro: 481 parole stavolta. Mi piacciono le flashfic e la loro brevità, il dover concentrare un concetto e le emozioni, ma si scontrano ogni volta con la mia logorrea e arrivo sempre al limite XD
Se vi state chiedendo il perché di quell’1 nel titolo, è perché questa è la prima di una serie di flash dedicate alle mani e alla loro importanza; se non ve lo siete chiesti va bene lo stesso, io ve l’ho detto. Stavolta abbiamo visto i due che si tengono per mano per la prima volta, un contatto tanto banale, innocente persino, eppure tanto importante e pregno di significati, già solo così si riesce a trasmettere qualcosa alla persona che ci sta a fianco e, davvero, chissà cosa sentirà Tsukki da questa stretta di Kuroo.
Come sempre spero che anche questa vi sia piaciuta, alla prossima!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3 - Our hands (2) ***


mani 2

Our hands - 2

 

 
Tsukishima sbuffò come al solito mentre entrava nell’infermeria, accolto dall’odore di disinfettante e dal bianco assoluto che campeggiava sulle pareti e tutti i tendaggi della stanza. Sentì alcuni cassetti venire aperti e richiusi rumorosamente, senza tanta cura, e si voltò a osservare la testa del capitano della Nekoma venire inghiottita da un armadietto particolarmente profondo.
“Trovato finalmente!” esclamò questi trionfante sbucandone fuori, stringendo qualcosa nel palmo, per poi rivolgersi a Kei “Che ci fai ancora in piedi? Su, su mettiti sul letto.”
“Sei sicuro di sapere cosa fare?” domandò Tsukishima con un’aria poco fiduciosa mentre si sedeva sul materasso.
Kuroo si mise di fronte a lui con le mani poggiate sui fianchi e un’aria oltraggiata:
“Tsukki! Come ti permetti di dubitare delle mie abilità? Non è certo la prima volta che lo faccio!”
“Sì, sì… staremo a vedere” ribatté l’altro, annoiato.
Kuroo si sedette su uno sgabello, avvicinandosi il più possibile, tanto da mettersi in mezzo alle gambe divaricate del centrale della Karasuno, e il sorriso che gli rivolse fu quel solito mezzo ghigno insinuante che tanto lo irritava.
“Oh, credimi… non troverai nessun’altro più bravo di me – gli assicurò – ora dammi la mano.”
Tsukishima attribuì il brivido che avvertì all’aria fresca sulla pelle sudata, non certo a quelle parole che parevano sottintendere abilità extra del capitano della Nekoma, che poco avevano a che fare col motivo per cui erano lì. Aggrottando la fronte, allungò la mano e, mentre la osservava venire afferrata con delicatezza da quelle più grandi di Kuroo, gli chiese:
“Che poi non capisco perché sei venuto proprio tu.”
Tetsurou occhieggiò la sua faccia imbronciata mentre armeggiava con le bende e non poté impedire al suo sorriso di allargarsi; abbassò lo sguardo sulla mano pallida ma arrossata che stringeva tra le proprie, iniziando a carezzarla lieve.
“Perché la Nekoma in quel momento aveva il turno di riposo a differenza delle altre squadre, o volevi che i tuoi compagni smettessero di giocare per accompagnarti?”
“Tch… è uno stupido incidente, mi si è solo girata l’unghia mentre facevo muro, non mi sono slogato né rotto nulla, sbrigati con quella fasciatura piuttosto” sbuffò Tsukishima.
“Già, le schiacciate di Bokuto possono essere micidiali – commentò Kuroo – va bene impegnarsi, ma tu devi fare più attenzione. Devi avere più cura di queste mani, sono preziose.”
Dicendo così, gliele prese entrambe, le alzò portandosele davanti alla bocca e le baciò, riservando una cura speciale alla falange infortunata che per fortuna doleva solamente.
Tsukishima trattenne il respiro, sentì sotto i polpastrelli callosi la pelle morbida delle labbra e del suo viso e rimase a fissarlo, incapace di ribattere con qualche commento tagliente dei suoi. Semplicemente lo guardava, rapito da quel gesto e dallo sguardo intenso dietro le iridi scure.
Le loro mani, con quelle dita indurite dagli allenamenti, piene di calli e arrossate, si intrecciarono in maniera spontanea, come spontaneo fu avvicinare i loro visi e baciarsi, mantenendo ancora quella stretta, dimentichi di fasciature e altre sciocchezze che potevano aspettare.

 

 

L’angolino oscuro: 495 parole e continua la saga delle mani, penso sia ormai chiaro che ho una fissa a riguardo. Non so, trovo molto significativi tutti i piccoli gesti che si possono fare con le mani, una ciocca di capelli da spostare, sfiorare un labbro o semplicemente intrecciare le dita e mi piace scriverne in relazione a Kuroo e Tsukishima, nella loro relazione complicata. A volte un gesto può dire molto di più di tanti discorsi e sappiamo bene quanto il nostro Tsukki sia refrattario all’idea di aprirsi e parlare.
Grazie per aver letto, presto arriverà anche qualche one-shot oltre alle flash.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4 - Our hands (3) ***


Our hands - 3

 

 

 

A Kuroo si mozzò il respiro in gola. Solo un attimo prima la sua respirazione aveva iniziato a farsi più veloce, col sangue a richiedere più ossigeno per continuare a scorrere e poi invece, all’improvviso, quell’ultimo boccone d’aria gli era rimasto incastrato nella trachea.
Fissava Tsukishima seduto a cavalcioni sopra di lui, la sua mano che gli carezzava il viso e le dita che gli tratteggiavano il contorno della bocca, disegnandolo con quei polpastrelli dalla pelle indurita, eppure delicati come una piuma.
Espirò piano dalle labbra tremolanti, carezzandogli la pelle col respiro e vide il ragazzo tentennare, fermarsi un attimo nel suo viaggio allo scoperta di un corpo nuovo, diverso dal suo, per gran parte sconosciuto. Tsukishima lo guardava negli occhi e, per una volta, da entrambe le parti non c’erano occhiate stizzite o furbe, ghigni sardonici o ammiccanti; c’era tutta la serietà, la curiosità e la voglia che solo i primi approcci sapevano scatenare in quel modo tanto irruento, frenato solo dal naturale imbarazzo.
Kuroo continuava a non muoversi e a respirare piano per timore di interrompere quel momento, di incrinare in qualche modo il ghiaccio sottile su cui Tsukishima scivolava, sulle spalle il peso dei suoi quindici anni e tutti i dubbi e le paure che un rapporto con una persona dello stesso sesso comportavano.
Eppure Kei non desisteva: in quel suo modo impacciato andava avanti, per crearsi una strada, un modo per uscirne vittorioso perché perdere faceva schifo, anche se la sfida era con se stessi e i propri limiti. Scostò il ciuffo scuro dall’occhio di Kuroo, tirandoglielo indietro, scoprendogli completamente il viso. Le mani ne disegnarono i contorni: l’arcata sopraccigliare, il naso dritto e sottile, il mento e poi tornarono sulle labbra che sapevano tendersi in sorrisi irritanti e fastidiosi, ma che erano anche sorprendentemente morbide.
Andò un po’ più avanti, facendo scontrare la punta dei polpastrelli con i denti, avvertendo l’umidità della sua bocca e la lingua che lo sfiorò appena prima di tornare immobile, come se gli avesse solo dato un colpetto per ricordargli della sua esistenza.
Tsukishima prese un respiro più profondo e portò le dita così inumidite in una lenta scivolata lungo il collo, su quel petto scoperto che era più largo del proprio, più robusto e solido perché, nonostante il suo carattere da provocatore, Kuroo era una certezza, tutto in lui lo gridava.
Le mani vagarono lentamente su quel terreno inesplorato, le unghie corte affondarono appena come a voler scavare solchi in cui piantare qualcosa, ma mentre scendevano verso i fianchi si fecero sempre più incerte, fino a bloccarsi ed interrompere il viaggio compiuto sino ad allora.
Kuroo allora abbracciò quel ragazzo che gli stava seduto in grembo; pareva così adulto per i suoi atteggiamenti pacati e la risposta sempre pronta, ma in realtà era ancora solo un ragazzino che si faceva scudo della lingua tagliente.
Lo abbracciò e lo spinse a sdraiarsi sopra di sé, sentendo sotto le dita la maglietta leggera e, ancora più sotto, le vertebre sporgenti, le scapole aguzze, quel corpo da adolescente spigoloso che stava appena imparando a dispiegare le ali.
“Con calma Tsukki, io sono un tipo paziente, ricordi? So aspettare il momento giusto per saltare a muro.”
Tsukishima non disse nulla, ma la stretta delle sue mani, quelle dita forti e indurite che si aggrappavano alle sue spalle furono una risposta più che sufficiente per Kuroo, che invece continuò a massaggiargli la schiena per allenare la sua memoria tattile a riconoscerla sempre e dovunque. Perché le mani erano più brave delle loro bocche a parlare di sentimenti.

 

 

 

 

L’angolino oscuro: Tecnicamente questa sarebbe una one-shot e non più una flash dato che ho sfondato il muro delle 500 parole, ma per la struttura e il modo in cui è impostata mi piace pensare a lei come a una flash, non sarà nemmeno l’unica tra le altre cose, ma immagino che nessuno mi verrà a prendere a bacchettate sulle dita per una cosa del genere, quindi godiamoci questo ennesimo spaccato di Kuroo e Tsukki e basta XD
Per quanto mi piaccia immaginarli a fare cosacce zozze, pensando a loro in un contesto più realistico, col carattere che si ritrova Tsukki, unito a una relazione a distanza e la giovane età, trovo davvero ostico far volare via le mutande in un batter d’occhio. Penso che sia più naturale immaginarlo a disagio, impacciato e, perché no, anche un po’ spaventato. Per fortuna Kuroo è un tipo paziente, ma se non lo fosse stato non avrebbe nemmeno iniziato ad andare dietro al nostro ostico Tsukki XD
Spero come sempre che anche questa storia vi sia piaciuta, grazie per i bellissimi commenti che mi lasciate, come sempre se vi va di lasciarmi una vostra opinione sarò più che felice di chiacchierare ancora di questi due meravigliosi ragazzi <3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5 - I think what you think ***


vittoria

I think what you think

 

 

 

Tsukishima era esausto in ogni senso possibile.
Appena rincasato aveva parlato brevemente con la madre, per poi lasciare ad Akiteru il compito di raccontarle nei particolari la partita con la Shiratorizawa, visto che era andato a vederla nonostante il suo divieto.
Salì le scale lentamente, pensando di saltare la cena e rotolare direttamente tra le coperte per almeno dieci ore non-stop di sonno, d’altronde non era mai stato un amante sfegatato del cibo, molto meglio dormire. Posò il borsone vicino la scrivania e si andò a sedere nel suo punto preferito della stanza: a terra, sul cuscino morbido, poggiando la schiena contro il letto.
Forse era a causa dell’altezza, o forse non c’era davvero un motivo particolare, ma in quella posizione stava comodissimo: le gambe allungate davanti a sé o a volte ripiegate, la schiena contro qualcosa di solido e la nuca poggiata sul materasso.
Si tolse gli occhiali e sospirò mentre si stropicciava le palpebre. Nonostante la stanchezza non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi subito, aveva ancora troppa adrenalina in corpo e non ci era proprio abituato. Nella mente continuavano a scorrere fotogrammi sparsi della finale contro la Shiratorizawa, i festeggiamenti coi compagni, il tifo con cui erano stati accolti a scuola e, non da ultimo, c’era il dolore sordo alle dita fasciate a ricordargli che non era stato tutto un sogno.
Nonostante ogni pronostico fosse stato contro di loro, quando persino la sua mente logica catalogava la loro vittoria sotto la voce di improbabile e  miracolo, la Karasuno si era presa con la forza la finale e il diritto di accedere alle nazionali. La fame e il gioco di squadra dei corvi erano stati più potente di qualsiasi altra cosa.
Sentì il cellulare vibrare nella tasca della felpa per l’ennesima volta di quella giornata, ma solo ora, nella solitudine della sua stanza, si concesse di rispondere alla chiamata senza nemmeno leggere il nome sul display,
sicuro che solo una persona potesse cercarlo con tutta quell’insistenza.

“Tsuuuukkiiiiiii!!! Finalmente mi rispondi!”
Ecco, l’urlo eccitato di Kuroo gli aveva trapanato un timpano. Sospirò prima di replicare col suo tono invece pacato, persino un filo irritato:
“Smettila di strillare o ti chiudo il telefono in faccia.”

“Eeehh, sempre apatico come al solito?” sbuffò il capitano e Tsukishima si immaginò alla perfezione la sua faccia delusa, ma non rispose perché l’altro continuò “Dopo averti visto esultare in quel modo, festeggiare coi tuoi compagni e tutto il resto, pensavo di trovarti almeno un po’ entusiasta, o hai forse esaurito le energie?”
“Ah? – borbottò Kei, aggrottando la fronte – E dove mi avresti visto?”
Kuroo non rispose subito e lui se lo vide, con quel mezzo sorriso che si allargava e le spalle che si facevano più dritte in un moto di orgoglio.

“In televisione ovviamente” sparò con la voce altisonante, sicura, di chi stava facendo una mega rivelazione in grado di mettere al tappeto chiunque.
“Non dire stupidaggini, la partita era trasmessa solo sulla tv locale e poi a quell’ora eri a scuola” replicò Tsukishima, affatto impressionato.
Il silenzio che udì dall’altra parte del telefono gli fece capire di averci azzeccato in pieno. Si poggiò una mano contro la fronte e si chiese cosa diavolo ci fosse che non andava in lui; qualcosa doveva esserci, o non si spiegava come potesse provare tutto quell’interesse verso Kuroo. Non era la prima volta che se lo domandava e, come tutte le altre, anche stavolta non gli arrivò nessuna risposta dalla sua mente logica e geniale, in grado di farlo brillare tanto a scuola quanto sul campo.

“Beh, era lo schermo di un tablet, vale lo stesso? – ridacchiò Tetsurou – Ho visto la partita in streaming sul sito della tv locale e sì, ero a scuola. Però con una scusa ho passato la mattinata in infermeria, così ho potuto vedere tutto il match. Siete stati grandiosi, siete passati alle nazionali e così ci potremo finalmente affrontare ufficialmente!”
Tsukishima rimase interdetto qualche istante, cosa che gli accadeva fin troppo spesso con Kuroo e a cui non riusciva ancora ad abituarsi, perché solitamente era lui a lasciare gli altri senza parole. Però l’idea che il ragazzo avesse saltato le lezioni e unicamente per guardare la partita, per guardare lui, non lo lasciava indifferente come sarebbe piaciuto al suo animo razionale e votato alla placidità.
“Tch… dovrete prima passare le selezioni anche voi, non correre con la fantasia” lo punzecchiò.
Kuroo fece una risata profonda, dicendosi certo che quella primavera ci sarebbe stata la mitica battaglia dei cassonetti dopo tanti anni, e Tsukishima gli rispose a tono.
Presero poi a parlare della partita più nei dettagli, dei punti di forza e degli sbagli di entrambe le squadre e, alla fine, il capitano della Nekoma concluse dicendo che ovviamente lui avrebbe murato Ushijima molto meglio. Kei sbuffò soltanto, perché non poteva negare quell’affermazione: aveva ancora moltissimo da imparare e, in fondo, tutto quello che sapeva sui muri glielo aveva insegnato proprio Kuroo. Era un gattaccio irritante che lo faceva esasperare, facendogli mettere in questione tutte le sue certezze, ma sotto rete sapeva il fatto suo e per questo lo ammirava.
Rimasero quindi in silenzio e il primo a riprendere la parola fu Tetsurou, con voce più calma di quando era preso a discutere del match.

“Sei a casa?”
“Sì, sono in camera mia.”
“Bene.”
 Tsukishima rimase perplesso, ma non gli domandò che intendesse con quel bene e subito dopo lo sentì continuare. “Sei seduto sul cuscino, con la schiena contro il letto e la nuca poggiata sul materasso, vero?”
Kei trasalì e alzò di scatto la testa, guardandosi attorno, quasi aspettandosi di trovarlo acquattato in un angolo, ma la stanza era vuota, non c’era nessuno oltre lui. Aprì la bocca per parlare, ma la richiuse di scatto un istante dopo, capendo da solo come l’altro avesse fatto a indovinare.
Kuroo era un attento osservatore, non mancava mai di notare ogni dettaglio, tanto in campo quanto al di fuori. Gli era bastato entrare nella sua camera e averlo visto in quella posizione un’unica volta, per capire che era la sua preferita.
Forse Tsukishima gliene aveva addirittura parlato durante una delle loro telefonate serali, quando ogni tanto la lingua si lasciava sfuggire qualche rivelazione un po’ più azzardata. In quei giorni in cui lo scambio di messaggi pareva non bastare, nelle sere in cui un sottile filo di malinconia li avvolgeva, sentire la voce dell’altro pareva alleviare il peso che gravava sul petto, per farli illudere che, se era così facile sentire la voce dell’altro, allora anche vedersi non poteva essere tanto difficile. Un’illusione, una stupida presa in giro, eppure a volte persino il calcolatore e razionale centrale della Karasuno ne avvertiva il bisogno.
Non si erano mai confessati quella debolezza reciproca ad alta voce, nemmeno Kuroo che era quello con meno inibizioni lo aveva fatto. Forse non ne avevano nemmeno bisogno perché, esattamente come in campo, anche al di fuori parevano essere sulla stessa lunghezza d’onda a dispetto dei caratteri profondamente diversi; provavano gli stessi sentimenti, covavano gli stessi desideri. Tsukishima era certo che adesso Tetsurou stesse con gli occhi chiusi tentando di immaginarlo, per sentirlo più vicino, come se fosse stato lì al suo fianco e decise di fare lo stesso.
Abbassò le palpebre, gli occhiali ancora abbandonati sul pavimento, e pensò ai suoi capelli neri, ribelli, alla bocca sempre tesa in un ghigno sardonico, ma capace anche di addolcirsi in forme più morbide e affettuose. Gli occhi erano strani, penetranti, color nocciola ma screziati di pagliuzze dorate e verdi, a volte sembravano duri come pietre, quasi a voler ricordare che il capitano della Nekoma non era solo battutine e sorrisi, c’era molto di più in lui. Questo ormai Tsukishima lo aveva imparato piuttosto bene, c’era un mondo intero nascosto dietro a quello sguardo e lui aveva appena iniziato a esplorarlo.
“Tu sei seduto sul letto invece, poggiato al muro ma col cuscino dietro la schiena” disse infine, dopo quel viaggio nella propria mente; la sua non era una domanda, bensì una certezza.
Sentì Kuroo ridere e visualizzò anche il modo che aveva di storcere le labbra o come si animavano i suoi occhi in quei frangenti e si sentì irritato, perché quel giorno lui, a differenza sua, aveva potuto vederlo anche se solo da uno schermo.

“Hai indovinato Tsukki, quando ci vediamo ti darò un premio – rise ancora un istante, poi si fece più serio – Come stanno le tue dita?”
“Niente di grave, un paio di giorni di riposo e il mignolo mi tornerà a posto” affermò Tsukishima con un mezzo sorriso sul viso. Immaginava che volesse fargli quella domanda fin dall’inizio, ma avesse aspettato per tentare di non fargli capire la sua preoccupazione, come se non fosse stata evidente nella sua voce.
Missione fallita, stupido gatto.

“Bene, mi fa piacere, devi essere in forma per il nostro scontro” rispose Kuroo con tono più leggero, ma non riuscì a mantenerlo e tornò serio “Sai… in realtà ero preoccupato, sul serio. All’inizio per la gravità dell’infortunio, alla tv non dicevano nulla, ma poi mi sono calmato e mi sono detto che stavi bene. Però devo confessarti che hai quasi rischiato di trovarmi all’uscita del palazzetto – fece una risatina nervosa – Dopo, mentre ancora non tornavi in campo, ho iniziato a pensare e a temere che il tuo amore per la pallavolo sarebbe morto velocemente come era nato. Ti ho visto quando hai murato quella schiacciata di Ushijima, il modo in cui hai esultato; hai persino urlato, proprio tu. Hai sperimentato finalmente quello di cui ti aveva parlato Bokuto, e hai continuato a giocare con uno spirito diverso per tutta la partita. Era impossibile staccarti gli occhi di dosso, eri fantastico… bellissimo, e ho avuto paura che l’infortunio ti avrebbe fatto cambiare di nuovo idea, ma sono stato uno stupido. Appena ti ho visto rientrare in campo, ho capito quanto fossi stato scemo a riporre così poca fiducia nel tuo amore per la pallavolo o nella tua tenacia. Ti voglio vedere così dal vivo, Tsukki, voglio vedere i tuoi occhi infiammarsi e guardarti saltare con tutte le tue energie, voglio che mi guardi a quel modo, voglio… ti voglio…”
La sua voce già bassa si perse in un mormorio indistinguibile e Tsukishima non gli domandò di ripetere le ultime parole. Respirava velocemente, il battito era un po’ accelerato e non poté nemmeno fare a meno di coprirsi la faccia con la mano libera perché, davvero, come avrebbe dovuto ribattere a quel discorso sconcertante?
“Hai ragione: sei uno stupido – borbottò, stette in silenzio qualche attimo poi aggiunse – non ho alcuna intenzione di perdere, hai capito?”
Perdere faceva schifo e, anche se era consapevole di avere ancora molto da imparare, voleva fare del suo meglio per non sentirsi più impotente o schiacciato dalla potenza di qualcun altro, quel giorno con Ushijima era stato solo l’inizio. Nemmeno fuori dal campo di pallavolo voleva perdere e sperava che Kuroo riuscisse a capire quel sottinteso, perché non sarebbe mai riuscito a dirglielo chiaramente. Intuì il sorriso nelle sue parole quando gli rispose e si sentì sollevato, ma anche un po’ sciocco: in fondo erano sulla stessa lunghezza d’onda, uno pensava ciò che pensava l’altro, era impossibile che una dichiarazione tanto importante andasse persa. Era difficile abituarsi a una simile consapevolezza, una di quelle con la potenza di un terremoto, in grado di scardinare una vita nelle sue fondamenta.

“Bene, nemmeno io ho intenzione di perdere…in niente” affermò Tetsurou per poi rimanere in silenzio, lasciando che quelle parole si depositassero su di loro come polvere antica, impossibile da eliminare. Potevano sentire il respiro dell’altro, di quella bocca così vicina al telefono, ma lontana centinaia di chilometri, eppure non importava davvero, non quando le loro menti erano tanto in sintonia.
Passò qualche altro istante in quel silenzio denso, troppo pieno di parole non dette, il tempo necessario per assorbirle prima che all’improvviso Kuroo riprendesse a parlare. Stavolta però tutta la serietà di prima era stata accantonata, probabilmente per quando sarebbero stati assieme, e Kei se lo immaginò sorridente, scanzonato, con quel ghigno storto che solo lui sembrava in grado di fare.
Piuttosto… lo sai che mi sono eccitato vedendoti giocare a quel modo? Spero di non avere problemi quando ci scontreremo in campo.”
Tsukishima arrossì e tossicchiò per mascherare l’imbarazzo, sperando di aver udito male, ma mentre parlava sapeva già di aver sentito benissimo.
“Tu cosa?” chiese con voce glaciale, che però parve non scoraggiare minimamente Kuroo. Il ragazzo infatti scoppiò a ridere, ovviamente ignorando il ghiaccio sottile su cui stava camminando:

“Mi sono eccitato Tsukki – strascicò il suo nomignolo come sempre – mi è venuto duro e per fortuna l’infermeria era vuota così me ne sono potuto occupare. Sai, ho…”
Tsukishima non voleva sapere cos’altro avesse fatto Kuroo col suo problema in mezzo alle gambe e chiuse la chiamata. Posò il cellulare a terra, vicino agli occhiali, e sospirò profondamente, ma stavolta non per la stanchezza. Tra poco si sarebbe alzato e si sarebbe messo tra le coperte, magari si sarebbe occupato a sua volta del problema che stava nascendo tra le sue di gambe.
Perché se Tetsurou si era eccitato vedendolo giocare, a lui aveva fatto effetto sentirsi dire una cosa simile. Si portò una mano sulla faccia, stropicciandosela, non capendo se essere felice o meno di trovarsi così tanto sulla stessa lunghezza d’onda con Kuroo.
Il cellulare prese a squillare, ma lui lo ignorò. Lo avrebbe fatto stare sulla corda un altro po’ prima di rispondergli, non poteva mica dargliela vinta tanto facilmente o l’altro si sarebbe annoiato.
“E così non riuscivi a staccarmi gli occhi di dosso? – sussurrò nella stanza vuota – Bene, continua così gattaccio malefico, continua a guardarmi, non ti stancare.”

 

 

 

 

 

L’angolino oscuro: Ecco la prima one-shot della raccolta. Mi chiedevo cosa avrebbe provato Kuroo vedendo Tsukishima durante la partita con la Shiratorizawa, quando il nostro pulcino ha finalmente spiccato il volo e iniziato a volare in alto. Quando ho visto quella puntata in cui lui mura Ushijima e poi esulta in modo tanto plateale, grida e si lascia andare, mi sono emozionata, non lo nascondo… e se l’ho fatto io, Kuroo poteva mai rimanere indifferente? A tutto ciò si aggiunge la questione di essere sulla stessa lunghezza d’onda, io penso che a dispetto dei caratteri diversi loro due siano davvero in sintonia, se così non fosse credo che sarebbe addirittura impossibile avere una relazione a distanza alla loro giovane età. Mischiate le due cose ed ecco che nasce questa shot XD
Ovviamente i due sono sulla stessa lunghezza d’onda anche per altro, non ho potuto fare a meno di inserire anche qualche accenno di carattere sessuale, che va a finire in maniera tragicomica, povero Kuroo XD
Piccola comunicazione di servizio: non so esattamente quando riuscirò ad aggiornare. Sto per affrontare un trasloco/trasferimento piuttosto grosso, la mia testa è tutta proiettata lì, cercherò di fare del mio meglio e, se l’aereo non cascherà come un ferro da stiro, ci sentiremo il prima possibile, se nel frattempo mi vorrete lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate della storia mi farete felice, a presto!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6 - Our hands (4) ***


Our hands - 4

 

 

Kuroo uscì dalla doccia e indossò l’accappatoio. Passò la manica di spugna sul vetro appannato dal vapore e fece una smorfia nel vedere i capelli neri appiattiti contro il cranio, consapevole che da asciutti avrebbero ripreso la loro istrionica forma.
Tornò in camera, massaggiandosi il cappuccio contro la chioma zuppa d’acqua e andò verso l’armadio, tirando fuori dei vestiti puliti.
Lasciò cadere a terra l’accappatoio umido e sentì un singulto strozzato alle sue spalle. Girò solo la testa per vedere Tsukishima che, seduto sul letto, lo fissava con gli occhi sbarrati al di sotto delle lenti, il libro che stava leggendo con tanto interesse dimenticato.
“Cosa?” domandò Kuroo. Tuttavia, vedendo che l’altro non rispondeva e continuava a tenere quella faccia sbigottita, così diversa dalla sua solita espressione impassibile, aggiunse “Non è mica la prima volta che vedi un ragazzo nudo, no? Fai tutti i giorni la doccia coi tuoi compagni di squadra.”
Tsukishima sembrò riprendersi dallo shock e scosse la testa, finendo per chinarla e guardarsi le mani strette in grembo.
“Che… che c’entra? Ti saresti dovuto vestire in bagno, non qui!” La sua voce aveva perso la solita tonalità piatta e perennemente annoiata, era persino tremante, testimonianza diretta del suo turbamento.
Kuroo si grattò la testa, fissandolo pensieroso. Si voltò del tutto, continuando a rimanere nudo e disse:
“Avevo dimenticato di portare i vestiti in bagno, ma in fondo un corpo è sempre un corpo, dovresti essere abituato.”
Sentì Tsukishima borbottare qualcosa del tipo “È diverso” ma non ne era così certo. Camminando in modo felpato, si avvicinò al letto, ancora nudo, e allungò una mano per poggiarla sotto il mento del ragazzo e fargli sollevare la testa. Kei fece resistenza, ma alla fine suo malgrado cedette sotto la spinta gentile ma decisa di quella mano. Il suo sguardo rimase però ostinatamente puntato verso il basso.
Kuroo vide le sue guance rosse ed emise un suono sorpreso, mentre la consapevolezza iniziava a sbocciare dentro di lui.
Che stupido!
Doveva avere preso una qualche botta e il sangue doveva aver smesso di affluirgli al cervello per non comprendere una cosa tanto semplice, proprio lui che si credeva arguto. Un corpo non era sempre un corpo. C’erano mille differenze e sfumature che entrambi dovevano ancora imparare a conoscere.
Anche se Tsukishima non poteva vederlo, sul viso di Kuroo apparve un sorriso, non il solito ghigno sardonico, ma qualcosa di più gentile, persino affettuoso.
“Hai ragione: è diverso. E in effetti penso che ci rimarrei male se tu avessi questa reazione ogni volta che vedi uno dei tuoi compagni di squadra nudo – gli posò un bacio tra i capelli – ma non devi avere paura, è solo il mio corpo.”
Gli prese una mano e, forzandogli appena il braccio rigido, la guidò fino a posarsi sul proprio torace dai muscoli delineati ma asciutti. Sentì il lieve tremore di quella mano, i polpastrelli callosi che iniziavano a prendere consapevolezza mentre Kuroo li faceva vagare sulla propria pelle ancora umida per la doccia, conducendoli amorevolmente in un cammino lento e accorto verso nuove mete finora sconosciute.
“Vedi? Il mio corpo non morde, sono solo pelle, muscoli e ossa che racchiudono quello che sono. Mi piace quando mi tocchi, come a me piace toccare te, anche solo carezzandoti i capelli. Non ti forzerò mai a fare nulla, ma non voglio che tu ne abbia paura” disse con voce morbida ma priva di affettazione, per fargli intendere quanto fosse serio.
Abbassò il braccio lasciandogli andare la mano che finora aveva tenuto stretta con la propria, ma Tsukishima non la ritirò. Per un attimo rimase ferma su di un fianco, poi riprese a muoversi, esplorando il corpo di un altro ragazzo nelle sue fattezze dure e a volte anche spigolose.
Finalmente alzò lo sguardo, puntando gli occhi chiari in quelli di Kuroo e, anche se aveva ancora il viso rosso, la sua fronte era corrucciata in una smorfia ostinata, segno che non si sarebbe più tirato indietro.
“Toccami anche tu. Voglio sentire le tue mani su di me” gli disse e Kuroo non ebbe bisogno di ulteriori incoraggiamenti per accontentarlo, esultando per quell’ennesimo passo in avanti nella loro relazione, sorpreso per come la semplice carezza di una mano potesse risultare così soddisfacente. La mano di Tsukki, perché era certo che nessun’altra gli avrebbe mai fatto provare le stesse emozioni.

 

 

 

 

L’angolino oscuro: Tanti auguri Kuroo!!! Quale regalo migliore se non riuscire farsi accettare interamente dal suo Tsukki e iniziare finalmente ad esplorare a timidi passi i loro corpi? Anche se sono ancora nel mezzo del caos ho cercato di buttare giù qualcosa per il compleanno del mio gattaccio preferito <3 spero vi sia piaciuta, alla prossima.
P.s. : forse con questa si conclude la saga delle mani.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7 - Non importa quanto sono lunghe le tue gambe, se scappi io ti seguirò ***


Non importa quanto sono lunghe le tue gambe, se scappi io ti seguirò

 

Sabato pomeriggio significava finalmente un po’ di riposo. Gli allenamenti settimanali erano conclusi e la domenica Tsukishima poteva concedersi un’intera giornata senza dover uscire di casa, libero di studiare, leggere e ascoltare musica come invece non poteva fare il resto della settimana. Il programma di quella sera era cenare, fare un bagno, infilarsi a letto e dormire almeno dodici ore.
Il paradiso per uno come lui.
Peccato che il destino avesse deciso di mettergli i bastoni tra le ruote.
“Ehi Tsukki, quello là non è Kuroo? Che ci fa qui?”
La voce di Yamaguchi lo riportò bruscamente alla realtà e fu con profonda irritazione che constatò la veridicità di quelle parole; d’altronde quegli assurdi capelli neri a forma di cresta erano inconfondibili anche da lontano.
“Tch…” sbuffò e, senza dire una parola, accelerò il passo. Oltrepassò i cancelli della scuola e continuò a camminare imperterrito, ignorando la voce del ragazzo di Tokyo che lo chiamava.
“Non dovresti rispondergli?” gli suggerì timidamente Tadashi.
“No” rispose lui, lapidario, mettendosi le cuffie per escludere qualsiasi tipo di conversazione, persino con l’amico d’infanzia. Si salutarono al solito incrocio e lui continuò a camminare, senza girarsi indietro per controllare, ma non ne aveva bisogno: vedeva davanti a sé l’ombra del suo inseguitore.
Solo quando arrivò davanti al cancelletto di casa si fermò, rimise le cuffie attorno al collo e si voltò a fissare il suo sgradito quanto imprevisto ospite.
“Che ci fai qui?”
Kuroo valutò la sua aria impassibile, persino gelida, e il tono impersonale con cui aveva parlato. Trattenne un sospiro e cercò di non lasciarsi abbattere.
“Per vederti.”
“Bene, mi hai visto, abbiamo persino parlato, ora puoi tornartene a Tokyo.”
“Tsukki, non dirai sul serio! Ho persino saltato gli allenamenti per venire qui oggi pomeriggio!” esclamò Kuroo scandalizzato, tanta indifferenza era un record persino per lui.
“Non mi sembra di avertelo chiesto, è stata una tua decisione autonoma e quindi devi assumertene le conseguenze.”
Il ragazzo di Tokyo puntellò una mano contro il fianco, mentre con l’altra si scostava il ciuffo scuro che gli copriva sempre l’occhio destro e lo fissò in silenzio. Sapeva che non sarebbe stato facile, quella volta Tsukishima gliel’avrebbe fatta pagare cara, ma tutta quella freddezza destabilizzava persino lui che credeva di essercisi ormai abituato.
“Sì, e proprio perché intendo assumermi le mie responsabilità che sono qui. Sarei venuto anche prima, se solo avessi potuto muovermi. Parliamo, ascolta ciò che ho da dirti e poi me ne andrò. C’è un altro shinkansen stasera alle dieci, se vuoi lo prenderò e non ti darò più disturbo, ma almeno ascoltami.”
Kei guardò quel ragazzo che si era fatto più di quattrocento chilometri per vederlo e sorbirsi le sue risposte acide. Osservò la sua postura solo apparentemente spavalda, in realtà vedeva che sotto la patina di sicurezza Kuroo era nervoso; ormai era piuttosto bravo a leggere le persone, non per niente le sue capacità a muro miglioravano ogni giorno che passava. Una parte di sé si domandò persino se non avesse esagerato, ma fu lesto a zittirla e vi parlò sopra in modo da non darle modo di riprendere a insinuare ipotesi assurde:
“Ok, dimmi quello che devi dire e poi vattene.”
Kuroo fece una smorfia con le labbra, per poi guardarsi teatralmente intorno, salutando persino una bambina che, attaccata alle gonne della mamma, lo fissava incuriosita.
Tsukishima sospirò e si aggiustò gli occhiali, arrendendosi di fronte all’evidenza: non potevano discuterne per strada, specialmente perché era certo che quell’invadente avrebbe tirato fuori argomenti inopportuni. Ci mancava solo che quell’impicciona della vicina, la signora Shimizu, si mettesse a origliare; avrebbe potuto presentarsi alle olimpiadi di orecchie lunghe. Quando sua madre stendeva i panni fuori era matematicamente certo che lei sarebbe stata al di là della staccionata; d’estate, con le finestre aperte, sapeva persino cosa mangiassero a ogni pasto o quale bagnoschiuma preferisse Tsukishima. Una volta aveva detto alla madre di comprarglielo perché lo aveva finito, lei se ne era scordata e il ragazzo poco dopo era andato ad aprire la porta, ritrovandosi la vicina con in mano proprio quello specifico bagnoschiuma, sostenendo di aver esagerato con le scorte e di non sapere che farsene.
No, decisamente non poteva mettersi a discutere con Kuroo per strada.
Rassegnato, aprì il cancelletto e poi la porta di casa senza dire una parola. Si tolse le scarpe all’ingresso e si mise le ciabatte, fornendone un paio anche all’ospite che avanzò a passi lenti, osservando ogni angolo della sua abitazione. Non era la prima volta che metteva piede in casa sua, ma rimaneva ancora genuinamente curioso di vedere il luogo in cui il suo Tsukki viveva, sempre che potesse ancora definirlo così.
“I tuoi genitori?” domandò, notando il silenzio.
“Sono fuori per il fine settimana, Akiteru sta traslocando e gli serviva una mano anche per alcuni lavoretti nel nuovo appartamento.”
Fu solo quando sentì il tono strascicato e cantilenante con cui Kuroo disse “Ooooh, caaapisco…” che comprese di aver fatto una cavolata gigantesca rivelandogli di essere praticamente solo, vicina impicciona a parte, ma nemmeno lei riusciva a sconfiggere le tende davanti alle finestre, il suo acerrimo nemico.
Tossicchiò, cercando di apparire disinvolto, e si diresse verso la cucina senza degnarlo di uno sguardo, mentre l’altro pareva prendere le misure di ogni cosa per il modo sfacciato con cui osservava l’ambiente. Sempre più irritato, Tsukishima si tolse la giacca, posandola su una sedia e rimanendo in maglione color panna, per poi mettersi a preparare il the. Anche se voleva cacciare quell’intruso, le buone maniere e l’educazione ricevuta erano più forti e poi, in fondo, dopo un buon the sarebbe stato ancora più soddisfacente buttarlo fuori.
Kuroo intanto si era seduto al tavolo quadrato e lo osservava in silenzio, ma quando Kei gli mise davanti una tazza piena disse:
“Lo sai che è la prima volta che ti vedo con l’uniforme? Come è anche la prima volta che ti vedo fare qualcosa di tanto semplice e quotidiano come preparare il the – gli fece quel suo sorriso largo, ammiccante – mi piace.”
Tsukishima rimase interdetto e l’unica cosa che riuscì a fare fu sbuffare un ennesimo “Tch” e sederglisi di fronte, giustificando il lieve rossore sulle guance col vapore dell’acqua bollente. Si aggiustò di nuovo gli occhiali e fissò la superficie calma della sua tazza, cercando di trarne forza perché era sempre più difficile tenere su il muro e respingere tutti quegli attacchi. Le sue gambe allungate sotto il tavolo finirono poi per intrecciarsi con quelle di Tetsurou, provò a tirarle indietro, ma era inutile: entrambi erano molto alti ed era impossibile non entrare in contatto in quello spazio limitato.
“Magari avrei dovuto mettere anch’io l’uniforme, forse ti sarebbe piaciuto vedermici invece che con la solita divisa del club o con degli abiti normali” lo stuzzicò Kuroo per cercare di strappargli qualche reazione oltre al suo tipico sbuffo irritato. “Magari la prossima volta che vieni a Tokyo anch’io ti preparerò il the.”
Tsukishima posò la tazza e incrociò le mani davanti a sé, ben poggiate sul tavolo. Lo fulminò con lo sguardo e parve fare uno sforzo per mantenere tutta quella calma, ma la sua voce sembrava normale, solo appena più acuta del solito:
“L’unica cosa che al momento mi piacerebbe, sarebbe saperti su quel maledetto treno. E non vedo proprio perché dovrei tornare a Tokyo, ne ho avuto abbastanza di quella città.”
Kuroo sbatté con forza le mani sul ripiano, tanto da rischiare di rovesciare le tazze, e si mise addirittura in piedi, chinando il busto sopra il tavolo per avvicinarsi a Kei.
“Assolutamente no! Sei venuto solo due volte a trovarmi, ripartendo in giornata senza nemmeno fermarti a dormire, non hai ancora visto niente! C’è… c’è… sì, c’è ancora il museo nazionale da visitare, e poi Akasuka, perfetta per uno allergico alla gente come te, Akihabara ti piacerà con tutti i suoi negozi di elettronica e poi c’è ancora così tanto! Non puoi dire di averne avuto abbastanza!”
Tsukishima rimase sorpreso da quella reazione energica e inattesa: Kuroo era sempre pacato, pungente e ciarliero solo quando serviva, esperto tanto nel saltare al momento giusto a muro in campo, quanto nel parlare nel momento adatto al di fuori.
“Va… va bene” mormorò Kei di rimando, fissandolo sedersi e passarsi ancora le mani tra quei capelli assurdi che tornarono nella stessa posizione di prima.
“Si può sapere perché ti sei arrabbiato così tanto da rifiutare ogni mia chiamata in queste due settimane?” domandò Kuroo, tirando finalmente fuori il motivo per cui era lì, era ora di smetterla di girarci attorno.
Tsukishima riguadagnò la sua compostezza dopo quell’inaspettata esplosione da parte del ragazzo e, col suo tono tagliente, replicò:
“Hai persino il coraggio di chiederlo, gattaccio malefico?”
“Sì, perché è evidente che quello che ho fatto ti ha dato fastidio, ma non capisco cosa. In fondo era una cosa normalissima, sei tu che hai esagerato.”
Tetsurou pareva aver riguadagnato la solita compostezza e lo osservava col suo sguardo attento, felino, mentre le gambe sotto al tavolo erano ormai diventata una selva intricata di tibie, peroni, caviglie e ginocchia. Kei provava in tutti i modi a liberarsi, avrebbe dovuto essere facile dato che le sue gambe erano sottili, coi muscoli allungati e nient’affatto gonfi, eppure pareva che quelle decisamente più muscolose di Kuroo non avessero alcuna intenzione di rendergli le cose semplici, di interrompere quello che a conti fatti era il loro unico punto di contatto.
Così, mentre sotto il tavolo si combatteva una lotta continua, al di sopra i busti erano immobili, così come le loro facce, le emozioni e le intenzioni.
“Esagerato? Io? – sibilò Tsukishima, rabbuiandosi – Sei tu che sei fuori di testa, ti devono essere arrivate un po’ troppe pallonate addosso.”
La caviglia destra era quasi libera, ma ecco che un piede di Kuroo la ritirava di nuovo nel campo di battaglia, affatto intenzionato a dargliela vinta o a cedere. Allo stesso modo replicò alle sue parole:
“Sicuro invece di non essere troppo represso tu, invece? – lo stuzzicò – Avanti, dimmi: cosa c’era di così mortale in quello che ti ho mandato?”
A quel punto Kei abbandonò del tutto la sua facciata di impassibilità, smise addirittura di lottare sotto al tavolo per esclamare:
“Cosa c’era? Cosa c’era? Ma dico: si possono mai mandare foto del genere?! Eri nudo! Completamente nudo e… e con il…”
Le sue guance erano rosse e non sapeva se per lo sforzo insolito o per l’imbarazzo nel ricordare quella foto assolutamente indecente. Una sera stava tranquillamente messaggiando con Kuroo, quando aveva ricevuto quella foto in cui il ragazzo era nudo, sul letto, con l’erezione in bella vista. Aveva creduto seriamente di stare per avere un ictus e solo per poco non aveva lanciato per aria il telefono.
Non gli aveva più risposto, né aveva voluto richiamarlo, e adesso invece se lo ritrovava faccia a faccia nella propria cucina, con l’aria più serafica del mondo.
“Eh, quindi? Ti avevo scritto che avevo voglia di vederti e ti stavo pensando, no? Quello era solo il risultato.”
Tetsurou appoggiò il gomito sullo schienale della sedia, in una posa rilassata, completamente a proprio agio con le gambe di Tsukishima intrappolate tra le proprie. Era venuto sin lì per una risposta e non se ne sarebbe andato senza, non aveva intenzione di cedere, farlo una sola volta con quel quattr’occhi avrebbe decretato la fine di ogni cosa. Doveva continuamente cercarlo, stimolarlo, stuzzicarlo per fargli abbandonare quel comodo guscio di apatia in cui si rifugiava. A qualcuno sarebbe potuto apparire stancante, ma non a lui, non a Kuroo che amava le sfide e amava ancora di più quando Kei, pieno di riluttanza fino ai capelli, si lasciava andare. Cercava ancora di fingere che non gli interessasse, ma le sue braccia si stringevano sempre con forza attorno alle sue spalle e i baci, come le carezze, non erano a senso unico.
L’unico grande problema era la distanza, per Kuroo non ne esisteva nessun’altro, perché qualsiasi muro Tsukishima avesse messo su, lui lo avrebbe smantellato, insinuandosi nella sua difesa; non poteva vincere contro chi gli aveva insegnato tutto. E adesso vedeva proprio una bella breccia nel viso arrossato di Kei, che continuava ad aggiustarsi freneticamente gli occhiali nonostante non ce ne fosse alcun bisogno.
“In fondo non era niente che tu non avessi già visto, no Tsukki?” lo incalzò ancora Kuroo, quello era il momento di colpire con più forza per far passare la palla e mettere a segno il punto.
Il ragazzo biondo distolse lo sguardo, la sua scorta inesauribile di battute al vetriolo, di occhiate superiori e indifferenza pareva essersi prosciugata e la sua mente si dibatteva come un pesce nel retino, ancora deciso a combattere anche se intrappolato.
“Non vuol dire nulla” disse, ignorando il sopracciglio di Tetsurou che si sollevava, incredulo, e continuò “Non ti ho chiesto niente del genere, non lo volevo… come avresti reagito tu, se ti fosse arrivata una foto del genere?”
Kuroo sorrise, quel sorriso grande pieno di denti, estremamente soddisfatto per la piega della conversazione, perché Tsukishima ancora non se ne rendeva conto, ma aveva ormai perso.
“Se fosse stata una tua foto io ne sarei stato immensamente felice, Tsukki. Sai, è dura dover ricorrere ogni volta ai ricordi, specialmente se sono vecchi, mi piacerebbe quindi moltissimo avere una tua foto nudo per potermi masturbare ogni volta che vorrei che fossi invece tu a farlo.”
A quella confessione tanto diretta e sfacciata Kei non poté più resistere, sfilò con forza le gambe dalla prigione di carne e ossa e si alzò in piedi, con la faccia più indignata che riuscì a mettere su.
“Come ti permetti…” iniziò, ma venne bloccato da Kuroo che lo aveva raggiunto con una rapidità sorprendente, spingendolo contro il ripiano della cucina.
Tsukishima era solo un paio centimetri più alto, ma Tetsurou era decisamente più grosso, le spalle erano più larghe e le braccia muscolose, quindi non aveva alcun problema a tenerlo fermo. Il grosso gatto nero che aveva messo all’angolo l’uccellino tutto piume e ossa.
In realtà in quel momento non stava usando la forza, né gli interessava fare uno scontro di quel tipo, stava semplicemente appoggiato contro Kei e lo guardava negli occhi, con l’espressione seria, sebbene quel piccolo luccichio divertito non abbandonasse mai il suo sguardo.
I loro visi erano vicini e a Kuroo pareva quasi di sentire il profumo del docciaschiuma usato da Kei dopo gli allenamenti, poteva odorare le sue paure, le ritrosie e la naturale inclinazione a isolarsi e respingere tutti, ma ci avrebbe pensato lui a intrufolarsi e farsi largo.
“Tsukki… – cantilenò ogni sillaba del suo nomignolo – perché ogni volta dobbiamo ricominciare tutto daccapo? Abitiamo già lontani, ci vediamo raramente e il poco tempo che passiamo assieme non ho voglia di sprecarlo a fare finta che non ci interessiamo. Te l’ho già detto: tu mi piaci e sono maledettamente serio. Anch’io ti piaccio, altrimenti non mi avresti mai dato il tuo numero di telefono, non mi avresti permesso di baciarti, non saremmo mai finiti nudi, nello stesso letto, a masturbarci fino all’ultimo momento disponibile.”
Sospirò piano e gli sorrise mentre era lui quella volta a spingere gli occhiali più in su sul naso. Vedeva chiaramente la lotta all’interno di quel ragazzo a cui non voleva rinunciare, un combattimento tra la sua razionalità estrema e l’illogicità dei sentimenti; poteva comprendere quanto fosse difficile per un tipo come lui, per quello aggiunse “Ammetto di aver esagerato, non avrei dovuto mandarti quella foto senza chiederti il permesso, ma non intendevo offenderti o mancarti di rispetto. Semplicemente mi mancavi, Tsukki. È tanto difficile da credere?”
Il ragazzo aveva lo sguardo puntato verso il basso, il collo lungo leggermente inclinato di lato, ma non aveva perso una sola parola di quanto detto.
“No – si decise a rispondere alla fine – non è difficile da credere.”
Perché a volte accadeva anche a lui di provare insoddisfazione per quella situazione, per i lunghi scambi di messaggi o per le telefonate che sembravano non bastare. E gli dava fastidio, gli dava così maledettamente fastidio rendersi conto di non essere più autosufficiente, di non bastarsi più.
Così, inconsciamente, appena aveva visto una via d’uscita ci si era infilato, dicendosi che il comportamento di Kuroo era deplorevole, assolutamente inadatto. Eppure quello stesso Kuroo era andato da lui, senza alcuna certezza di venire ascoltato, solo la speranza, e aveva detto le sue verità ad alta voce, senza tirarsi indietro.
In quel momento la sua logica ferrea gli impediva di fuggire e di non riconoscere quello che provava nei suoi confronti: Tetsurou gli piaceva, altrimenti non gli avrebbe mai permesso di avvicinarsi così tanto.
Alzò lo sguardo e trovò quel solito mezzo sorriso e gli occhi nocciola dalle iridi piccole che lo fissavano soddisfatti, placidi e assolutamente irritanti.
“Smettila” sbuffò.
“Cosa? Di essere felice? Non credo sia possibile” ribatté avvicinando di più il viso, ma decidendo di non andare oltre. Doveva essere Tsukishima a colmare quella breve distanza, anche lui doveva fare un piccolo passo verso di lui.
Kei lo guardò, incerto, indeciso anche se la sua mente logica gli suggeriva il naturale passo successivo da fare; era evidente, logico, no?
Così il centrale della Karasuno si spinse in avanti per posare le sue labbra su quelle dell’avversario, ma non ci fu nessuna lotta, nessuna guerra, nessun attacco e nessun bisogno di alzare un muro. Ci fu solo un bacio, lento, accorto, scandito dai loro respiri e dalle mani che si andavano a cercare per intrecciarsi le une con le altre.
Kuroo si allontanò di poco, con un sorriso completo, felice anche perché Tsukishima aveva ripreso a guardarlo in faccia, probabilmente sulla strada giusta per accettare del tutto i sentimenti che provava.
“La prossima volta che vieni a Tokyo devi fermarti a dormire e ti porterò in un sacco di posti, ti piaceranno.”

E ti piacerà anche tutto il resto, perché ho intenzione di vederti di nuovo nudo, voglio imprimerti per bene nella mia memoria e forse, chissà… non ci limiteremo a toccarci, Tsukki. Non hai la minima idea di quanto ti voglia.
Kei allontanò ulteriormente il viso, osservando un po’ incerto quel sorriso che era diventato un ghigno ammiccante, ma non vi badò troppo, in fondo era un marchio di fabbrica del capitano della Nekoma.
“Ci conto allora” si limitò a rispondere perché ormai era inutile negare: lo sapevano tutti e due che sarebbe tornato a Tokyo una terza volta, una quarta e poi ancora.
“Fidati di me” disse Kuroo e non badò all’espressione poco convinta che Tsukishima sfoggiò, bensì gli diede un bacio veloce per poi fare qualche passo indietro.
Sapeva bene quanto Kei fosse più rigido di lui, più giovane, poco avvezzo a gestire certi tipi di sentimenti e relazioni, già il fatto che riconoscesse l’interesse nei suoi confronti era un passo da gigante. Per questo Tetsurou non aveva mai affrettato le cose, non lo aveva mai spinto oltre il punto di rottura, rispettando i suoi tempi. Certo, rimaneva il passo falso della foto, ma non era mica perfetto, di sbagli ne commetteva eccome!
“Mi accompagni in stazione? Tra un’ora e mezza parte il treno e io devo ancora fare il biglietto” propose.
“Assolutamente no, non ne ho alcuna voglia” rispose Kei, freddo e apparentemente inamovibile da quella decisione.
Kuroo spalancò la bocca, si portò le mani tra i capelli e pareva essere rimasto a corto di parole per la mostruosa insensibilità di quello che avrebbe dovuto essere il suo fidanzato, che solo fino a pochi minuti prima era rosso come un peperone. Non c’era che dire: aveva un enorme capacità di ripresa. Tuttavia non riuscì a mettere in parole il suo sdegno perché Tsukishima lo prevenne:
“Sei arrivato qui senza alcun preavviso, hai mandato all’aria i miei programmi e non intendo scombinarli ulteriormente. Devo cenare, fare il bagno e poi andare a dormire – gli lanciò un’occhiata prima di voltarsi verso il frigo – se ti va, ti accompagno domani pomeriggio. Se hai fretta di tornartene a Tokyo, vai pure; non ti trattengo.”
Kuroo rimase ancora a bocca aperta per qualche istante, sbalordito dal modo in cui quell’iceberg biondo riusciva a mascherare un invito a fermarsi a dormire da lui con tutta quella patina di apparente freddo disinteresse. Non c’era che dire: Kuroo aveva trovato proprio una bella gatta da pelare.
Il capitano della Nekoma ridacchiò, divertito, e poi si lanciò ad abbracciare l’altro, strofinando viso e capelli nel suo maglione chiaro.
“Facciamo il bagno insieme, Tsukki?”
“Eh? Cosa? No, scordatelo! Tu dormi sul divano… anzi, no, sul tappetino fuori.”
“Tsukki, sei cattivissimo!” si lagnò senza alcuna intenzione di lasciarlo andare.
“Hai ancora tutte e due le mani e dieci dita, quindi direi che sono fin troppo buono!”
Kuroo lo fece voltare e lo guardò con la sua espressione sorniona, con il viso sempre troppo vicino, incurante degli spazi personali altrui.
“Sbagliato, quello è per un tuo personale interesse: altrimenti come farei a toccarti?”
Non gli diede tempo di rispondere perché lo baciò di nuovo, felice, deciso a non fargli dire più alcuna parola per quella notte. Avrebbe fatto giusto un’eccezione se avesse invocato il suo nome, ma forse per quello era ancora un po’ presto: doveva ancora lavorare parecchio sul suo scostante, freddo e cocciuto fidanzato.

 

 

 

L’angolino oscuro: Kuroo, Kuroo, ma che combini? Non concordo con la versione che lo vede tipo God of sex, anche se a dire la verità l’ho ritrovata soprattutto nel fandom inglese, più che in quello italiano. Kuroo è semplicemente un diciottenne studioso, un po’ nerd, capace di essere serio quanto di lanciarsi in stupidaggini soprattutto assieme a Bokuto. Ha tutti gli ormoni al posto giusto, è un po’ sfacciato e sicuramente più spigliato di Tsukishima (non che ci voglia molto) quindi arrivati a un certo punto della relazione mi sembra anche normale manifestare desiderio sessuale. Da qui a renderlo capace di farti avere un orgasmo con uno sguardo c’è un bel po’ di differenza XD
Tsukki, lui sta ancora cercando di dibattersi nel mare di sensazioni nuove e scomode che prova, tant’è che appena trova uno spiraglio logico a cui aggrapparsi per tirarsene fuori lo fa, però Kuroo non gli lascia scampo e lo costringe ad essere onesto. Che adorabile coppia di idioti che sono <3 
Spero che anche questa shot vi sia piaciuta, non so se riuscirò ad aggiornare di nuovo la raccolta prima di Natale, ma ce la metterò tutta per farvi una sorpresa, alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8 - Just this time ***


Just this time

 

 

Tsukishima spense il cellulare con un sospiro di sollievo. Voleva davvero bene a Yamaguchi, ma ascoltarlo blaterare mezz’ora sul suo appuntamento con Yachi era qualcosa che metteva a dura prova i suoi nervi. Nervi già abbastanza provati dato che era a Tokyo dalla mattina ed era stato in giro tutto il giorno con Kuroo, lo stesso Kuroo che adesso lo aspettava nella sua camera, per dormire assieme.
Che cosa imbarazzante!
Kei avrebbe preferito prendere il treno e tornare a casa in serata, ma l’altro aveva tanto insistito perché rimanesse che alla fine aveva ceduto; qualsiasi cosa pur di zittirlo.
Almeno questo era ciò che continuava a ripetersi.
Come continuava a ripetersi di non essere assolutamente agitato all’idea di condividere il letto per una notte intera, di sentire il suo corpo atletico premuto contro il proprio, o di vedere appena sveglio il suo viso come prima cosa.
No, Tsukishima Kei non era affatto agitato, solo… infastidito, ecco.
Entrò nella stanza, con tutto il suo aplomb e la migliore maschera d’indifferenza calzata alla perfezione, già pronto a subire assalti appiccicosi e chiaramente indesiderati, quando rimase senza parole alla scena che gli si parò di fronte.
Kuroo stava sdraiato prono, con la faccia schiacciata in mezzo a due cuscini, chiaramente addormentato, almeno a giudicare dal lieve russare che si sentiva. Tsukishima serrò un pugno, trattenendosi dal darglielo su quella zucca vuota che si ritrovava: prima gli faceva venire un sacco di paturnie e poi quello stronzo si permetteva di addormentarsi prima che arrivasse? E si era addirittura fregato anche il cuscino destinato a lui!
Kei si infilò a letto, posò gli occhiali sul comodino e poi si riprese il guanciale, ignorando il borbottio di Tetsurou.
“Certo che ti vengono quei capelli da schifo se dormi in questa posizione” borbottò, acido, prima di spegnere la luce e stendersi supino, braccia lungo i fianchi e cuscino sotto la nuca come tutte le persone normali. Sapeva di quel vizio di Kuroo, ma non ci aveva creduto del tutto fino ad ora.
Cercò di addormentarsi, ma non era facile: testa piena di pensieri, letto nuovo e soprattutto un irritante gattaccio che non la smetteva di dimenarsi e lamentarsi.
Tsukishima, spazientito, stava per rifilargli un calcio quando Kuroo si infilò sotto il suo braccio e si accoccolò più vicino, schiacciando una guancia contro il suo torace, l’altra invece coperta sempre dal guanciale.
“Che accidenti…?” borbottò Kei, osservando come Tetsurou si premeva contro di lui, con una faccia soddisfatta e finalmente tranquillo; a quanto pareva lo stava usando come sostituto del cuscino. Alla debole luce che filtrava dalla finestra continuò a guardare la sua espressione rilassata, pareva addirittura che sorridesse, come se stesse nella posizione più comoda del mondo, l’unico posto dove desiderasse stare.
“Per stavolta” si arrese Tsukishima, dicendosi che lo faceva solo per non farlo muovere ancora. Gli poggiò il braccio sulla schiena, tirandoselo più vicino e due minuti dopo anche lui era scivolato nel sonno con una facilità mai sperimentata prima.

 

 

 

L’angolino oscuro: Buon anno nuovo, quale modo migliore se non iniziarlo con una flash KuroTsukki?
Patatini loro che dormono assieme per la prima volta, e Tsukki afferma che solo per stavolta si lascerà usare come sostituto del cuscino. Però poi se lo tira più vicino e si addormenta a sua volta <3
Tsukishima mi trasmette proprio l’idea di qualcuno di compiere qualche gesto affettuoso quando nessuno lo vede, quando lui è l’unico testimone di questa sua “debolezza” e appunto stavolta è un Kuroo addormentato a beneficiare della sua stretta, anche se sicuramente ne ha ricevuta più di una anche da sveglio.
Spero che anche questo breve scorcio su di loro vi sia piaciuto, io vi faccio nuovamente i miei migliori auguri per questo 2018 e ci sentiamo alla prossima!

P.s.: miei cari lettori silenziosi, mi fate un bel regalo per iniziare bene l’anno nuovo e mi dite cosa ne pensate delle storie? Non servono recensioni chilometriche, bastano anche poche parole per farmi capire cosa vi è piaciuto e cosa magari non vi è piaciuto perché sì, esistono anche le critiche costruttive e sono utilissime!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9 - On my own ***


On my own

 

 

Tsukishima aggrottò la fronte, irritato. Era sdraiato a letto, ancora con l’uniforme di scuola e il borsone degli allenamenti posato a terra. L’abat-jour era spenta e lui fissava il soffitto alla luce della luna che entrava dalla finestra. Per una volta la sua mente eccezionale era in stand-by, senza pensare a nulla, cullata dalla musica che si propagava dalle cuffie attorno alle sue orecchie.
All’improvviso però una vibrazione aveva guastato la canzone, e lui aveva alzato il cellulare per scoprire chi diavolo fosse riuscito a rovinargli quell’attimo di pace.
Fu con sorpresa che spalancò gli occhi nel vedere il mittente del messaggio: mai avrebbe creduto che Kenma potesse scrivergli qualcosa, men che mai mandargli foto.
Scoprì che si trattava di uno scatto rubato a un Kuroo che, per una volta, dormiva a pancia all’aria, senza la testa schiacciata tra due cuscini. Indossava i pantaloncini rossi e la giacca a maniche lunghe della tuta, sdraiato sopra un materassino da palestra.
Il breve messaggio che accompagnava la foto diceva semplicemente:

Immaginavo che ti sarebbe potuto piacere vederlo così.

Tsukishima si trovò a zoomare la foto per vedere meglio i particolari; ad esempio le occhiaie scure di Kuroo, provato dal duro studio e gli allenamenti, come se non fosse già significativo il modo in cui era crollato dopo l’allenamento pomeridiano, o così Tsukishima immaginò dalla luce dello scatto.
Con ancora la musica che andava, continuò a fissare la foto, come se quell’ammasso di pixel potesse rivelargli qualche segreto, invece di essere solo la buffa testimonianza che persino Kuroo poteva dormire in una posizione normale.
Tsukishima si portò una mano al viso, scostando gli occhiali per posare il palmo sugli occhi brucianti, bloccando qualsiasi cosa potesse traboccare dai loro confini.
Gli mancava Kuroo.
Gli mancava e una semplice e stupida foto come quella lo aveva steso. Ritraeva un momento banale di una giornata qualsiasi, ma lo rendeva ancora più consapevole della loro lontananza, dell’impossibilità di vivere la loro relazione nella quotidianità.
Che strada faceva Kuroo per tornare a casa? Si fermava a prendere qualcosa da mangiare coi compagni come lui spesso faceva coi suoi? Che mondo vedevano ogni giorno i suoi occhi?
Uno diverso da quello di Tsukishima, uno troppo lontano. Erano solo degli studenti che mettevano da parte ogni centesimo per i biglietti del treno, troppo presi dallo studio e gli allenamenti; troppo presi dai loro sentimenti per mollare, nonostante tutto.
Tsukishima sentì il palmo della mano umido, ma non lo scostò, anzi lo premette più forte contro gli occhi.
Rimase sul proprio letto, al buio, con la musica che lo cullava e quella foto di Kuroo stampata nella mente.
Un giorno – si ripromise – un giorno sarebbe stato lui a scattargli foto simili, senza farglielo sapere, ovviamente.
Per il momento era solo un quindicenne che si concedeva un attimo di debolezza, in segreto.

 

 

 

L’angolino oscuro: Eccoci qui a un nuovo appuntamento sul documentario approvato dalla national geographic su gatti e corvi. Scherzi a parte, penso che la malinconia di una storia a distanza, il senso di frustrazione per il non vissuto quotidiano siano una delle cose più difficili da sopportare e persino Tsukishima si lascia andare e cede alla tristezza, senza nessun testimone di questo momento di debolezza, di ammissione con se stesso che sì Kuroo gli manca.
Spero che come sempre vi sia piaciuta e grazie a tutti coloro che spenderanno un attimo del loro tempo per farmi sapere che ne pensano, alla prossima!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3705168