turning into me

di Onyxandopal
(/viewuser.php?uid=807290)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Chiuse il libro con un movimento repentino. Nella sua mente riecheggiarono le parole che aveva appena letto. Il benessere di un neurone dipende dalla sua capacità di comunicare con altri neuroni. Gli studi dimostrano che la stimolazione elettrica e chimica in entrata e in uscita sviluppa processi vitali per la cellula. I neuroni incapaci di comunicare efficacemente con altri neuroni si atrofizzano. Ormai inutile, un neurone abbandonato muore. Seduto da solo al tavolo di quella caffetteria sempre movimentata dal via vai di clienti, era così che Luke si sentiva. Aveva smesso di dar peso alla sensazione di abbandono da tempo, ma non riusciva ad abituarsi al sapore amaro e persistente di atrofia. Si sentiva comese gli elementi della sua personalità che gli consentivano di rapportarsi con altri stessero lentamente diminuendo di volume fino a sparire, uno dopo l'altro. Era abbastanza convinto che di quel passo sarebbe arrivato ad avere nient'altro che la sua tazza di caffè amaro fumante e la spossante attesa di cui si faceva carico da anni. Come se gli avesse letto nel pensiero, il suo cellulare si illuminò mostrando l'anteprima di un messaggio.
FM c13
L'attesa era finita. Bevve un ultimo sorso di caffè e si alzò con un sospiro. Una giovane cameriera gli riservò un sorriso di arrivederci mentre attraversava l'uscita della caffetteria.
*
C'era l'odore della pioggia nell'aria, il vento sibilava tra le fronde degli alberi spogliate dall'autunno inoltrato. Si sistemò la sciarpa bianca attorno al collo e sorrise. Era calda, proprio come l'atmosfera che regnava in casa di sua nonna. Chinata a liberare la propria bici dalla catena che la legava a un lampione si lasciò sfuggire un piccolo starnuto. Le tornò in mente il giorno in cui ricevette la sciarpa l'anno prima. Si era presa l'influenza e la nonna le aveva rimproverato di non coprirsi mai a sufficienza quando usciva e il giorno dopo si era presentata alla porta della sua stanza con un sacchetto di carta opaca blu navy e un sorriso smagliante. Chrissy si alzò dopo aver attorcigliato la catena attorno alla base del manubrio e rivolse un sorriso alla nonna, che vegliava su di lei dalla finestra. Le fece ciao con la mano e salì in sella, pronta per tornare a casa. Le era sempre piaciuto l'autunno, ci trovava qualcosa di poetico nel modo in cui la natura cominciava a spogliarsi in vista della stagione più fredda dell'anno, con la speranza di rivestirsi di colori in primavera. Metaforicamente paragonava l'alternarsi delle stagioni alle persone che commettono un errore e che si svestono del proprio orgoglio per chiedere scusa, pronte a ricevere una risposta fredda o della diffidenza da parte dell'altro, ma che in fondo al cuore sperano di poter accogliere il perdono e la seconda opportunità che chi è stato ferito potrebbe offrire loro. E la primavera delle persone per lei era quel momento in cui l'essere umano redime se stesso da una colpa passata e impara dal proprio errore, rivestendosi di una nuova esperienza e sfruttandola per essere migliore. Pensando a ciò si rattristò un po', non aveva mai avuto l'occasione di aprirsi realmente con qualcuno -ad eccezione del suo migliore amico- e quindi di poter condividere con qualcun altro le sue idee romanzate sulla natura e sul mondo. Certo era giovane e sapeva che da qualche parte, in un punto imprecisato della strada che il futuro l'aveva destinata a percorrere, ci doveva essere una persona in grado di comprenderla. Ci credeva e sapeva che sarebbe arrivata, prima o poi. Non era mai stata frettolosa, anzi molto cauta e riflessiva. Forse era proprio quell'essere riflessiva che l'aveva in qualche modo isolata dalle altre persone, ma come Sophie in Anesthesia, non sisentiva in grado di comunicare efficacemente con gli altri. Non che avesse problemi a socializzare, solo... non si sentiva mai abbastanzaa suo agio da poter parlare apertamente di quello che le passava per la testa. Era più forte di lei, oltre che essere la sua seconda insicurezza più grande.

«Alla buon'ora, raggio di sole» Il ragazzo si alzò dalla gradinata con un sorriso bonario. Chrissy fu felice di trovare il volto familiare di Michael ad aspettarla. Era così da anni, lui la aspettava tutti i pomeriggi seduto sulla gradinata davanti alla sua porta. Be', era così da quando quel ragazzone aveva finito le superiori e aveva deciso che l'università non era per lui.
«Mi sono persa in chiacchiere con la nonna» Chrissy scese dalla bici e gli diede un bacio sulla guancia. «Se ti do metà dei biscotti che mi ha regalato mi perdoni?» Gli rivolse lo sguardo da bambina pentita che le riusciva tanto bene. Era facile, aveva gli occhi grandi, evidenziati dal mascara, e un viso fanciullesco contornato dalla treccia laterale e qualche ciocca ribelle che le era ricaduta sulle tempie.
«Ti perdonerei una stilettata quando mi guardi in quel modo» Michael sbuffò, cercando di fingersi infastidito da quella brutta abitudine di lasciarle passare sempre tutto.
«Micio, dubito che dovrai mai porti il problema di perdonarmi una stilettata» Sfregò il pollice sulla guancia del giovane per rimuovere il lucidalabbra. «Anche se a volte ti infilzerei volentieri come uno spiedino»
«È un modo elegante per darmi del maiale o una metafora per dirmi che sono così buono che mi mangeresti?» Alzò le sopracciglia in quel suo modo buffo e Chrissy fece fatica a trattenere una risata. L'espressività facciale di Michael non falliva mai nel strapparle un sorriso. Era fatto così, non riusciva mai a rimanere serio per più di cinque minuti quando era con lei e faceva le smorfie più impensabili, solo per sentirla ridere. Le aveva sempre voluto un bene dell'anima, come se fosse la sua sorellina, e per lui era importante che lei fosse allegra.
«Quanto sei idiota» Gli rifilò un pizzicotto sul fianco e lui le fece la linguaccia.
«Come siamo offensive oggi... posso entrare e prendermi i miei biscotti o rischio la vita?»
«Adesso vuoi anche i miei biscotti?»
«Mi accontento di coccole e divano se preferisci»
«Punto primo, non guardarmi come un cucciolo, ho finito la cioccolata. Punto secondo, non lamentarti se poi ti chiamo micio» Michael roteò gli occhi e la spinse con la spalla.
«Guarda che non ti aiuto più a mettere le cose sulle mensole quando decididi ripulire quel porcile che chiami camera»
«Non minacciarmi e non chiamare la mia camera porcile, non sono così disordinata» Mise il broncio gonfiando le guance e aggrottando le sopracciglia, con tanto di braccia incrociate al petto. Era piuttosto buffa, nel suo cappotto e la sua sciarpa enorme che le copriva il mento.
«Basta crederci» Fece un passo indietro appena in tempo per evitare una gomitata. Era fin troppo facile indispettirla, forse perché la conosceva da sempre e sapeva quali tasti toccare per darle fastidio.
«Continuo a chiedermi com'è che non ci siamo ancora fatti fuori in tutti questi anni» Michael cambiò espressione e ringraziò il cielo che lei gli stesse dando le spalle mentre sistemava il cappotto sull'appendi abiti. Chrissy stava scherzando, ma per lui anche solo l'idea di sfiorarla per farle del male era off limits.
«Micio» Lo richiamò, lo stava fissando dal basso con i suoi occhioni scuri e gli si strinse lo stomaco. Senza pensarci l'abbracciò stretta, esisteva la possibilità che la perdesse e non riusciva a immaginare una vita senza quella ragazza minuta a colorare il suo mondo. Spesso lei non se ne rendeva nemmeno conto, ma con il suo umorismo e il suo modo di essere lo faceva sentire speciale senza neanche guardarlo.
«Ti voglio tanto bene, raggio di sole» Mormorò baciandole la testa.
«Ti sei meritato tutti i biscotti e le coccole che vuoi» Rispose. Non era abituata a dire quello che provava per le persone, era rarissimo che riuscisse ad aprirsi sui propri sentimenti. Michael però la capiva, sapeva che quella risposta voleva dire ''anche io''.

Le porte dell'ascensore si aprirono davanti a lui e Luke venne investito dall'odore del laboratorio. Non gli piaceva quel posto per diverse ragioni. Prima su tutte quelle dannate luci al neon così bianche da dargli il mal di testa. Non c'era volta in cui mettesse piede là sotto senza beccarsi un'emicrania degna del post sbronza. Per un secondo fu tentato di fare dietro front, determinato ad evitare almeno per quel giorno di sentire le tempie pulsargli e gli occhi dolere come se gli fossero schizzati fuori dalle orbite. Invece si costrinse a proseguire godendosi, si fa per dire, l'odore insistente del disinfettante. Il classico tanfo da ospedale che in un modo o nell'altro gli restava impregnato addosso finché non si fosse fatto una doccia. Odiava avere un olfatto così sensibile. Passò il proprio badge nel lettore elettromagnetico, aspettò che la lucina si accendesse di verde e aprì la porta di vetro. Dietro di essa lo aspettava la solita faccia, con il solito camice e il solito sorriso.
«Buongiorno Luke, accomodati» Se c'era una cosa che apprezzava più delle altre in Nora era la sua naturale capacità di comprendere se era un giorno sì o uno no. Durante quest'ultimi evitava di conversare e svolgeva il proprio dovere a bocca chiusa.
«Buongiorno Nora. Hai cambiato occhiali?»
«Sì, anche se per e cause di forza maggiore» Cause di forza maggiore era un'esclamazione da prendere con le pinze lì dentro.
«Cause di forza maggiore tipo mi ci sono coricata sopra o tipo un paziente ha dato di matto?» Luke sbatté le palpebre e si concentrò sul viso della dottoressa. Era molto raro che parlassero degli episodi di ribellione da parte di unassistito, ma lui era bravo a capirlo dal modo in cui le espressioni si dipingevano sul volto del suo medico.
«Cause di forza maggiore tipo il mio compagno è un armadio. Erano caduti dal comodino e mentre si preparava per il lavoro li ha schiacciati senza volerlo» Ridacchiò e i suoi occhi si illuminarono quando nominò il suo compagno. Stavano insieme da tanto di quel tempo che Luke faticava a tenere conto degli anni, ma il modo in cui ne parlava Nora non era mai cambiato.
«Tu invece? Che mi racconti di nuovo?»
«Domanda di riserva?»
«Ce l'hai la ragazza?»
«Ho scoperto che mi piace il sushi» Nora gli infilò l'ago nel braccio e iniziò il prelievo del sangue.
«Ti facevo più tipo da McDonald's» Luke scrollò le spalle guadagnandosi un'occhiataccia dalla dottoressa, che teneva ancora l'ago nella sua vena. Lo rimosse senza perdere l'aria severa.
«Scusa»
«Apri questi begli occhietti blu, tesoro» Ordinò puntandogli una piccola torcia in faccia. Come da routine guardò in alto, in basso e poi in giro per la stanza. Aprì la bocca e tirò fuori la lingua, la richiuse una volta che la dottoressa ebbe prelevato il tampone.
«Per l'esame del sangue dovrai aspettare un paio d'ore. Mordi questo» Gli passò il bastoncino e Luke lo addentò. Sapeva di qualcosa di disgustoso, tipo piedi sporchi. Quando era più piccolo Nora gli dava un lecca lecca alla fine della visita, ma aveva smesso di farlo quando lui aveva protestato dicendo di essere troppo grande per le caramelle. Quel giorno invece, Luke avrebbe volentieri preso a sberle quel se stesso tredicenne che credeva di sapere cosa fosse meglio per lui.
«Sono contento che tu abbia tolto la frangetta, ti faceva sembrare più vecchia» Nora rise.
«Me ne ero accorta. Il tuo sguardo era inequivocabile» Luke arrossì, spostando lo sguardo verso la parete. Non aveva mai voluto offenderla, si sentiva in colpa. Lei gli mise sotto il naso la fotografia di un bambino biondo e timidissimo.
«Ti conosco da che eri piccolo così, credi che non sappia capire cosa ti passa per questa testolina color grano?» Gli parlò onestamente e adorava Nora per questo. Era seduta davanti a lui sulla sedia girevole e lo guardava come una zia farebbe. Era la figura femminile più vicina a una zia che avesse mai avuto, perciò non era sicuro che sua zia lo avrebbe guardato così. Però voleva un gran bene a Nora, di questo era fermamente convinto.
«Te lo hanno mai detto che assomigli all'attrice, Kira... Kara...?»
«Keira Knightley? Sì, sono solo un po' più vecchia» Gli passò un pacchetto di gomme da masticare.
«Sembri più giovane della tua età»
«Fingerò di crederti» Si alzò dalla sedia e gli indicò di sdraiarsi, per poi attaccargli i cerotti sul petto e collegarli al macchinario.
«Luke, sai che puoi parlarmi di tutto, vero?» Luke sospirò guardando il soffitto. Il bianco cominciava a sporcarsi con la polvere e si domandò quanto tempo ci volesse a spostare e coprire tutti gli attrezzi e il mobilio.
«Non c'è nulla da dire, lo sai... stessa vecchia storia»
«Che ogni tanto vorresti cambiare»
«Non posso riscrivere il finale, né i capitoli nel mezzo o quelli prima»
«Però puoi decidere di prenderla con filosofia e goderti ciò che il libro ha da offrire, le piccole cose... sai, leggere tra le righe»
«Stai pensando a una laurea in psicologia?»
«Sto pensando che per darti consigli non ho bisogno di una laurea in psicologia. Ti conosco e so quanto la situazione per te sia delicata. Ti vedo entrare qui così spesso da tanti di quegli anni che mi domando come tu sia ancora sano di mente. E sai cosa mi rispondo ogni volta?»
«Che non lo sono mai stato?» La retorica e il sarcasmo non erano il suo forte, la sua voce suonò un tantino troppo rassegnata.
«Che sei più forte di quello che io, tu o l'Equipe possa pensare e immaginare. Non hai una vita semplice, eppure guardati. Hai la forza di ingoiare questo boccone tutte le volte, sono certa che tu possa averla anche per cambiare un po' le cose. Non dico stravolgerle, ma la felicità non è una cosa permanente come un tatuaggio. La felicità viaggia a intermittenza, hai giorni sì e giorni no, giorni in cui scoppi di gioia e giorni incui ti prenderesti a calci da solo per farti alzare il culo dal letto e smetterla di mangiare gelato come una ragazzina che ha appena rotto con il fidanzatino.» Luke rise. Nora aveva un umorismo tutto suo e riusciva sempre a far centro con lui.
«Nora?»
«Sì?»
«Ma chi te lo ha fatto fare disopportarmi per, quanti sono, nove anni?»
«Non sei così terribile. Ora però abbiamo finito, perciò sei libero. Ti faccio chiamare quando ho i risultati in mano e ne discuti con mr.Parker» Luke infilò la felpa rossa e salutò Nora, per poi salire le scale a due a due. 
Nota autrice: 
Primo capitolo della mia fanfiction su Luke Hemmings e Chrissy Costanza (cantante degli Against the current)
Se doveste riscontrare errori di battitura o problemi nel leggere la storia (es. i dialoghi troppo attaccati) fatemelo sapere
e provvederò a modificare il testo affinché sia più scorrevole per tutti.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Luke calpestò l'asfalto bagnato immerso nei propri pensieri. Al riparo dalla pioggia sotto il suo ombrello nero, rifletteva sul perché si fosse alzato a un'ora indecente per andare a scuola. Valutò i pro e i contro di quell'esperienza e i pro erano stati schiacciati dai contro. Pro numero uno: portare a termine la missione. Contro numero uno: essere circondato da adolescenti irritati dal cattivo tempo che avrebbero dato sfogo alla propria frustrazione con chiacchiericci fastidiosi e chissà quali assurdità in classe. Stava per passare al punto due, quando venne distratto dal passaggio di un'auto rossa fiammante. Stonava fin troppo in quella giornata grigia, con la sua velocità al limite del codice stradale e il suo colore accecante in mezzo a tutte quelle tonalità spente. Bisognava essere coraggiosi per andarsene in giro con una vettura del genere in un giorno come quello. A dirla tutta, bisognava aver coraggio da vendere per comprarsi una macchina simile in generale. Luke sospirò, cercando di reprimere la propria acidità. Non poteva certo cominciare in quel modo. Non che morisse dalla voglia di fare amicizia, lui era lì per lavorare e basta, ma non aveva la minima intenzione di scatenare una tempesta di mormorii su quanto il nuovo arrivato fosse insopportabilmente cinico e odioso. Sarebbe rimasto nell'ombra come al solito, avrebbe svolto un lavoro fine e pulito e sarebbe sparito. Come scritto da copione.

Arrivato davanti al cancello alzò gli occhi azzurri all'insegna con il nome della scuola. Notò gli sguardi incuriositi dei ragazzini che gli passavano accanto, li sentiva addosso come sentiva la stoffa della felpa aderire alle sue braccia toniche. Era una sensazione che non gli piaceva, odiava ricevere attenzioni. Era colpa del posto in cui era cresciuto, un edificio in cui le persone non sono nient'altro che esemplari di questa o quella specie, riconosciuti solo in base al loro talento e poco altro. Non gli era mai dispiaciuto l'anonimato, era facile confondersi tra la mischia e fingere di non essere mai esistito. O almeno per un po'. Per lui l'inesistenza non durava mai troppo a lungo, i suoi geni lo avevano reso indispensabile alla causa e i periodi in cui poteva ignorare di essere venuto al mondo in un posto pieno di persone avevano una durata variabile, potevano passare sei mesi senza che ricevesse un sms, così come potevano volerci solo nove giorni. Tutto dipendeva da quanto era bravo a portare a termine il proprio lavoro e dalla quantità e qualità di domanda da parte dei suoi superiori. Varcò la soglia rassegnato, quella volta doveva andare così e sarebbe filato tutto più liscio dell'olio.

Chrissy respirava elettricità nell'aria. C'era vento di cambiamento. Era arrivato un ragazzo nuovo a scuola e sembrava che tutti già lo sapessero. Ogni volta rimaneva sorpresa di quanto velocemente le voci corressero in quella scuola. A volte si chiedeva che cosa sarebbe accaduto se quelle voci fossero state persone. Sicuramente la scuola avrebbe vinto i campionati di atletica. Non che le fosse mai importato delle voci, non era il tipo da darci peso. Le persone distorcevano la realtà, la manipolavano e la adattavano a ciò che più era comodo per loro. Avevano mani esperte e menti fantasiose quando si trattava di costruire a d'hoc una menzogna. Per questo aveva tirato dritto facendo finta di non sentire quando una compagna di squadra cercò di intercettarla, iniziando il discorso con ''hai sentito l'ultima?''. Non voleva sentirla l'ultima. Fu allora che lo vide. I suoi occhi furono attratti dalla sua figura come una calamita. I loro sguardi si incrociarono e Chrissy si sentì paralizzata. Il mondo intorno a lei smise di fare rumore. Il vociare degli studenti, la loro insistenza nel passare per primi rischiando di calpestare gli altri, la corrente fredda che arrivava dalla porta che dava sul giardino, tutto sparito. Persino il tempo sembrò congelare. Quel viso impassibile, quegli occhi sottili di ghiaccio, le spalle larghe e la schiena dritta... ogni singolo dettaglio di lui le comunicava qualcosa che non la convinceva. Era come se stesse guardando una maschera e allo stesso tempo la vera essenza di quel ragazzo sconosciuto. Doveva essere per forza lui il nuovo arrivato. Uno così se lo sarebbe certamente ricordata. Le labbra del ragazzo si mossero in un sorrisetto ironico e si sentì gelare il sangue nelle vene. Sbatté le palpebre, ma il viso del nuovo arrivato era tornato impassibile, tanto che Chrissy credette di essersi immaginata tutto. Un secondo dopo era sparito tra la folla e tutto ciò che le rimase fu una stretta allo stomaco e la pelle d'oca.

Il ticchettio dell'orologio scandiva i secondi che passavano, ogni istante era velocissimo e immobile. Aveva gli occhi fissi sull'insegnante, mentre quelli di chiunque altro erano su di lui. Si era seduto in fondo, vicino alla finestra, con la speranza che bastasse a tenere gran parte dei curiosi con lo sguardo lontano da lui. Si era sbagliato. Non era stato sufficiente e sotto sotto lo sapeva fin dall'inizio. Cercò di concentrarsi su qualcosa che non fossero tutti quei diciassettenni intenti a fissarlo come una cavia da laboratorio. Era abituato a essere l'osservatore, il predatore, colui che attende godendosi la vista della propria preda. Cominciò a fare caso al vetro freddo della finestra, al pallore del cielo grigio che gettava un senso di immobilità sugli alberi spogli e i margini della strada segnati dal fogliame giallo e marrone.

Stava facendo stretching e tutto ciò a cui riusciva a pensare erano quegli occhi glaciali, al modo in cui l'avevano inchiodata in mezzo al corridoio. Aveva sentito un brivido correrle lungo la schiena, non era sicura che fosse positivo. No, si rispose, non era paura. Lei non aveva mai paura. E poi non poteva mica lasciarsi influenzare così dalla prima impressione. Non lo faceva mai.

Tutti hanno giornate sì e giornate no. Quelle di Chloe si alternavano tra giorni non e giorni meno no. Da molto tempo ormai i ''sì'' erano spariti dal panorama quotidiano della famiglia Costanza. Quello era uno dei giorni nerissimi e Chrissy lo capì quando, aperta la porta di casa, trovò le luci spente e la puzza di aria viziata ad accoglierla. Deglutì e strinse più forte il telefono dal quale arrivava la voce di Michael. Si chiuse la porta alle spalle abbandonando lo zaino in un angolo.

«Micio, ti richiamo dopo» Le parve di sentire la sua voce spezzarsi e restarle bloccata in gola.

«Chloe?»

«Sì» L'ultima cosa che la ragazza udì fu un sospiro. Avanzò al buio e sperò di conoscere casa propria così bene da non sbattere contro il mobilio.

«Mamma?» La chiamò con il cuore che le batteva forte nel petto. Riusciva a sentirlo rimbombare nelle orecchie.

«Mamma?» Ripeté e sentì le lacrime salirle agli occhi. Prese un bel respiro per calmarsi e aprì la porta di quello che una volta era il suo studio. La trovò rannicchiata in un angolo e si avvicinò a lei con cautela.

«Mamma» Mormorò comprensiva e si inginocchiò davanti a lei. Gli occhi castani di Chloe la guardarono senza vederla, come capitava spesso. Chrissy la abbracciò forte e lei scoppiò a piangere. Un sospiro lasciò le labbra di Chrissy mentre accarezzava la schiena della madre. Il tessuto morbido del maglione contrastava con la dura situazione che stavano entrambe affrontando. La condizione emotiva della madre, molto vicina a una vera e propria depressione, stava sfiancando Chrissy, che dal canto suo si rifiutava di essere egoista. Riteneva di non poter crollare, non poteva lasciare il padre da solo ad affrontare una moglie che non c'era più e una figlia emotivamente a pezzi. Era contro la sua natura. Aveva sempre affrontato la vita con un sorriso e la battuta pronta. Era abituata a vedere in sua madre una donna forte e coraggiosa, che affrontava le cose di petto. Poi l'aveva vista sgretolarsi sotto i suoi occhi come un vaso di terra cotta caduto sul pavimento. Era stato come ricevere un pugno in faccia da John Cena.

«Hai mangiato?» Ricevette un cenno di dissenso. «Ti va se ci prendiamo un tè?» Si scostò e le accarezzò il viso, le rivolse un piccolo sorriso di incoraggiamento. Chloe le rispose con un sì appena accennato con il capo. Le prese le mani e la aiutò ad alzarsi, poi aprì la finestra della stanza e uscì tenendo per mano la madre. Come quando aveva quattro anni e la mamma era la sua eroina, colei che avrebbe potuto sconfiggere un drago con uno schiocco di dita.

Mise a bollire l'acqua e, rivolgendo le spalle alla madre, si asciugò una lacrima solitaria. Si morse con forza il labbro, fino a sentire il sapore metallico del sangue.

A Micio:
Era rannicchiata al buio. Anche oggi non ha mangiato
Da Micio:
Più tardi ti chiamo

Rimise il telefono in tasca e si concentrò sull'acqua nel pentolino. Iniziava a bollire e per mettere a tacere i propri pensieri, la ragazza cominciò a pensare a qualsiasi cosa inerente la scuola. Finì con il versare l'acqua nelle tazze mentre nella sua mente ripeteva i titoli dell'intera discografia dei Led Zeppelin.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Si scostò i capelli dal viso, il sudore li aveva fatti appiccicare alla fronte e le tempie. Il cuore le batteva forte nella cassa toracica e i muscoli erano caldi e dolenti. Aveva spinto decisamente troppo. Quell'allenamento le era pesato in modo particolare, si sentiva più stanca del solito. Però sapeva di non potersi permettere di essere stanca, non ne aveva il tempo. A breve ci sarebbero stati i campionati e non aveva nessuna intenzione di fallire come l'anno precedente. Aveva un obbiettivo elo avrebbe raggiunto. Era determinata a combattere con le unghie econ i denti.

«Costanza, sputare i polmoni non è per niente elegante» Chrissy roteò gli occhi. Eccola lì, come al solito, Delia.

«Criticare tutto quello che respira lo è ancora meno» La fulminò con lo sguardo. Delia era la rappresentazione dello stereotipo cinematografico del capo cheerleader: un'irritante ed egocentrica ragazzina, piena di sé econvinta di essere dieci metri sopra tutti. Se ne stava sempre seduta sugli spalti con le sue belle unghie smaltate che ticchettavano sullo schermo del suo cellulare mentre spettegolava via messaggi con le sue amichette. Patetica.

«Signorina, sei pregata di sparire. Non voglio distrazioni per le mie ragazze» Il tono intransigente dell'allenatrice lasciò scontenta la giovane ragazza pompon, che comunque non ebbe il coraggio di obbiettare. Ginevra Charles era giovane, bella e dolcissima, ma sapeva come intimorire le persone con un solo sguardo e a quel punto non c'era santo che tenesse. Bisognava obbedire in silenzio.

«Non la sopporto quella snob» Chrissy sussurrò appena, ma l'udito di Ginevra era ottimo e la donnasi lasciò scappare una risata.

«Vai pure a cambiarti, abbiamo finito per oggi»

Mentre lasciava il campo incrociò lo sguardo di Luke e si sentì gelare nuovamente, proprio come la prima volta.

Si portò dietro la sensazione anche dopo la doccia. Continuava a pensare alle opzioni disponibili, a quale tra esse potesse essere il motivo che la spingesse a reagire così male alla vista di Luke.

«È così bello» Una ragazza del primo anno sospirò sognante. Sì, okay, era bello. E allora? Quella scuola era piena di bei ragazzi. Luke non era affatto speciale, se quello era l'unico criterio di valutazione.

«Secondo voi ce l'ha la ragazza?»

«Secondo me non gli interessa averne una» Tutti gli occhi furono puntati su Chrissy.

«Che cosa intendi?»

«Se ne sta sempre per i fatti suoi, raramente dialoga con qualcuno e ti guarda sempre come se volesse farti sparire dalla sua vista» Spiegò come se stesse puntualizzando l'ovvio. Non le importava molto di che cosa facesse Luke, ma aveva notato il suo atteggiamento schivo. Era come se a lui non importasse di avere a che fare con degli esseri umani.

«Devi averlo guardato parecchio» Una novellina le rivolse un sorrisetto di complicità al quale Chrissy rispose con uno sarcastico.

«Mai quanto te, Leila» La ragazza diventò dello stesso colore della divisa che stava gettando dentro la sacca.

«Uno a zero per Costanza, come al solito» Cheryl le diede il cinque ridendo, poi raccolse dal pavimento la sacca.

Mentre camminava nel corridoio seminterrato, Chrissy rifletteva sugli errori compiuti durante l'allenamento e si accorse di aver gestito male il respiro e doveva anche aver appoggiato in modo scorretto il piede, perché ora che l'adrenalina era scemata completamente la caviglia le faceva male. Sperò di non essersi ferita gravemente, un infortunio era l'ultima cosa che le serviva. Non si sentiva ancora abbastanza in forma per la gara e, soprattutto, riprendersi da un incidente di quel tipo poteva richiedere più tempo del previsto. Un periodo di pausa così lungo poteva compromettere duramente le sue prestazioni fisiche. Decise che appena arrivata a casa avrebbe messo il ghiaccio e applicato la pomata antidolorifica, sperando che fosse sufficiente. Immersa nei suoi pensieri, fu risvegliata dal passaggio di Luke al suo fianco. Il ragazzo si chinò appena e parlò.

«Ci vedremo spesso, Fatina» Chrissy spostò lo sguardo su di lui, ma il ragazzo le rivolse la sua miglior occhiata confusa, come se lei si fosse immaginata tutto quanto. Fu così bravo che Chrissy dubitò delle proprie orecchie e per questo motivo si trattenne dal rispondergli.

Michael giocava con una ciocca di capelli della ragazza, la guardava dal basso mentre lei parlava. Gli piaceva guardarla, era sempre solare e allegra. Capitava raramente che fosse di cattivo umore o turbata.

«Continuo a pensare che tu sia pazza» Chrissy gli pizzicò il naso indispettita.

«Non sono pazza. Sono appassionata di atletica»

«E io che ho detto?»

«Sei proprio uno stupido gatto»

«Che vuol dire?»

«I gatti dormono, mangiano e sporcano la lettiera»

«Punto primo, non uso la lettiera» Alzò un dito, tenendo il conto di ciò che diceva. «Punto secondo, non dormo e basta. Punto terzo, tu non sai goderti i piaceri del sonno»

«Sei un idiota»

«E tu iper attiva»

«E tu un esperto rappresentante della pigrizia»

«E tu sei magnifica» Chrissy scosse la testa ridacchiando.

«Ah, sei pure bugiardo!» Stavolta fu Michael a scuotere la testa. La sua espressione diventò improvvisamente seria.

«Il giorno in cui ammetterai ciò che vali morirò di crepa cuore per la sorpresa» La ragazza finse di stramazzargli addosso e poggiò la testa sul suo petto, coprendo con i propri capelli una buona parte della cassa toracica del ragazzo e la sua spalla destra.

«Continuo a pensare che tu sia troppo buono con me, micio» Michael non rispose, limitandosi ad accarezzarle i capelli e giocare di tanto in tanto con essi.

«A scuola c'è un ragazzo nuovo» Chrissy parlò prima di riuscire a fermarsi.

«E...» Pronunciò la congiunzione come una domanda, mentre Chrissy rotolava al suo fianco e si alzava sui gomiti.

«E non so come sentirmi al riguardo» Giocherellò con un filo della coperta di Mike.

«È carino?» Michael le rivolse uno sguardo inquisitorio e lei rise.

«Non è per questo che non so come sentirmi»

«Ho capito, è il ragazzo più bello del mondo» Si lasciò scappare un sospiro teatrale «Dopo me, ovviamente»

«Come sei modesto. Sì, è un bel ragazzo, se è quello che vuoi sapere a tutti i costi» La ragazza gli fece la linguaccia, per poi tornare seria. «In realtà è il suo comportamento a non convincermi. Si comporta in modo schivo, parla raramente con qualcuno, fulmina chiunque gli giri attorno con lo sguardo. A proposito, ha questi due occhi di ghia»

«Mi preoccuperei se ne avesse di più» Michael scoppiò a ridere vedendo l'espressione di Chrissy. Sembrava essere sul punto di soffocarlo con il cuscino.

«Stavo dicendo, ha questi occhi di ghiaccio che mi paralizzano sul posto ogni volta che li incrocio»

«Aia, qui qualcuno si sta innamorando del nuovo arrivato»

«Non si tratta di questo, micio. Si tratta del fatto che non mi piace sentirmi così... come se lui avesse qualcosa di speciale in grado di bloccarmi»

«Magari è uno stregone»

«Non viviamo dentro once upon a time, micio»

«Scherzi a parte, non ci sarebbe nulla di male se lui ti piacesse. Voi ragazze avete questa cosa per i ragazzi tenebrosi e solitari che proprio non capisco»

«Lo dici come se ci piacesse uccidere cuccioli»

«Be', non uccidete forse il cuore di timidi e teneri bravi ragazzi innamorati persi di voi, che però vengono surclassati dal biondino strafigo di turno?»

«Devo ricordati che hai spezzato il cuore a Cheryl due anni fa? Quella ragazza è un cupcake alla fragola che cammina»

«Non cambiare discorso signorina»

«Non mi piace Luke. Non ci ho neanche mai parlato. E non è nemmeno tutta questa specialità» Alla pronuncia di quel nome, Michael sentì il sangue gelarsi nelle vene. Quante probabilità che si trattasse di quel  Luke c'erano?

«Raccontami di questo Luke. Fisicamente»

«Da quando ti interessi ai novellini delle superiori? Credevo avessi chiuso questo capitolo della tua vita»

«Obiezione, vostro onore. Io mi sto semplicemente interessando dei tuoi gusti personali e voglio capire cosa potrebbe essere che ti mette a disagio con lui»

«Allora... Luke è alto, imponente direi, ha la pelle molto chiara. Gli occhi azzurri così brillanti che sembrano due fari. Ha i capelli biondi e il piercing al labbro. Si veste sempre di nero» Michael fece fatica a non tossire come se gli fosse andato un cavallo di traverso. Era proprio quel Luke.

«Magari ti intimorisce la sua altezza»

«Micio, ho a che fare con la tua altezza da qualcosa come tre anni. Non è quello il problema» Michael non rispose. Rimase in silenzio per un po', aveva un'espressione quasi tetra, come se lei gli avesse appena confessato un omicidio e lui stesse meditando se chiamare la polizia o scappare dalla paura.

«Tutto okay, micio?»

«Mh?» Michael sbatté le palpebre e la guardò.

«C'è qualcosa che non va?»

«No, no. Stavo solo pensano che non dovresti farti tutti questi problemi. Si tratta solo di un ragazzo come mille altri, lascialo perdere. Hai altro a cui pensare» Le accarezzò la guancia e abbozzò un sorriso. «Oggi come sta?»

«Oggi? Ha mangiato un po' di zuppa per pranzo, ha scambiato qualche parola al telefono con una ex collega. Adesso è con papà»

«Vieni qui» Si mise a sedere, poi allargò le braccia facendole cenno di abbracciarlo. Chrissy nascose il viso nel collo di Michael e si raggomitolò contro il suo torace. Tra le sue braccia sembrava così piccola e fragile. Michael posò il mento sulla sua testa e dondolò sul posto, cercando di cullarla.

Il profumo di Michael rimasto incastrato tra le fibre della sua felpa fu l'unica cosa che l'aiutò ad arrivare a fine serata senza un crollo emotivo. Quando era tornata a casa, aveva scoperto che l'apparente giorno meno no di sua madre si era trasformato in un nerissimo giorno no e si era chiusa in se stessa. Di nuovo. Aveva trovato suo padre seduto sul divano con lo sguardo fisso sulla foto del loro matrimonio, su quel sorriso sincero e pieno di vita della donna di cui si era innamorato a vent'anni e che aveva sposato a ventiquattro. Chrissy lo aveva abbracciato, per poi chiudersi nel silenzio della propria camera. Si era addormentata ascoltando a ripetizione una nota audio in cui sua madre le diceva ti voglio bene. Sulle sue guance due lacrime solitarie.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


L'abbigliamento scuro di Michael sposava perfettamente l'ambiente cupo dell'androne dell'accademia. Era incredibile la differenza di mobilio e architettura tra i sotterranei della struttura, accessibili a pochi eletti, e la parte adibita a vera e propria scuola. Michael camminò con le mani in tasca e si diresse verso quella che tutti conoscevano come la cripta. Prima del trasferimento dell'Accademia M.a.H si trattava di una vera e propria cripta con il soffitto a volta e le fredde mura di pietra. Adesso era solo l'accesso più rapido alla M.a.H. Pochi secondi dopo si ritrovò a calpestare il pavimento lucido di un breve corridoio, il quale lo portò in direzione della segreteria. Doveva scoprire che cosa a che cosa stesse lavorando Luke. Svoltò a sinistra e si infilò nello stanzino dei cavi elettrici e dei server. Si guardò intorno con circospezione, per poi chiudersi la porta alle spalle. Si chinò accanto a uno dei server centrali e esaminò con cura ciò che aveva davanti. Non aveva molto tempo, ma doveva farcela. Doveva sapere che cosa stava succedendo. Infilò una chiavetta all'interno di un'entrata usb e avviò il proprio telefono. Non gli piaceva fare quel tipo di cose da dispositivi così facilmente rintracciabili, ma aveva coperto le proprie tracce abbastanza da non essere beccato anche con quello stupido smartphone. Non appena esso si accese, lo sincronizzò con il proprio computer e fece partire la copia dei dati. Avrebbe preferito lavorare direttamente sul suo laptop, ma era troppo ingombrante da portare dietro in una missione così delicata. D'un tratto sentì dei passi nel corridoio adiacente alla stanza e interruppe ciò che stava facendo. Sperò che il computer avesse fatto in tempo a setacciare l'archivio e trovare il file che gli interessava. Infilò la chiavetta in tasca e, affidandosi ai propri sensi sviluppati, si avventurò nel corridoio. Quando passò dalle parti della segreteria salutò persino mr. Parker, che gli rivolse un cenno con la testa dalla porta a vetri del suo ufficio.

Luke Anderson se ne stava come al solito seduto in disparte, come se vivesse nel suo piccolo mondo. Chrissy lo guardava e per la prima volta non si sentiva spaventata. Al contrario era attratta da lui in quel momento. Si trattava di un'attrazione che non aveva mai provato prima, era magnetica e stupefacente. Chrissy era, in effetti, molto sorpresa dalla propria decisione di parlarci. Di punto in bianco si era trovata davanti a lui con un sorriso beffardo e ora gli occhi di ghiaccio del ragazzo la fissavano.

«Luke Anderson» Lo chiamò come se fosse un saluto.

«Ci conosciamo?» Il sopracciglio destro di Luke si sollevò esprimendo a pieno tutta la confusione che riuscì a simulare. Uno dei due conosceva l'altro, anche se lei non poteva saperlo.

«C'è qualcuno a cui hai dato questa possibilità?»

«Touché» Era un sorriso quello? Il pensiero fu tanto fulmineo quanto la durata della smorfia sulle labbra di Luke.

«Mi piacerebbe averla, questa chance» Lo guardò dritto negli occhi, superando il senso di intimidazione che provava tutte le volte che incrociava il suo sguardo. Da dove veniva tutta quell'audacia?

«E se non volessi concedertela?» Luke le rivolse uno sguardo di sfida che Chrissy accolse con una risata leggera.

«Sappiamo entrambi che vuoi concedermela»

«Cosa te lo fa pensare?»

«Il fatto che ogni volta che ti guardo mi stai fissando, forse?»

«Hai appena ammesso di guardarmi spesso»

«Hai appena ammesso di fissarmi altrettanto spesso»

«Non sei un tipo arrendevole, eh?»

«Perché distogli lo sguardo solo dopo aver capito che ti ho notato?»

«Non si risponde a una domanda con un'altra domanda, signorina»

«Sì, se la domanda è retorica» Luke rise. Chrissy gli avrebbe dato del filo da torcere, lo aveva capito nel primissimo istante in cui l'aveva vista.

«Sei incredibile»

«Decisamente. E anche fantastica, talentuosa, intelligente» Pronunciò le parole tenendone il conto sulla punta delle dita sottili.

«Hai dimenticato bellissima» La sua voce suonò quasi impercettibile «e modesta» aggiunse poi con un tono di voce normale.

«Hai detto che sono bellissima» Chrissy sollevò entrambe le sopracciglia.

«Te lo sarai immaginato. Io ho detto modesta»

«Bugiardo»

«Forse. Ma devi ammettere che sono un bugiardo attraente» Si sporse in avanti, sperando che la sua altezza intimidisse la ragazza.

«Forse» Gli sorrise soddisfatta. Inconsciamente, Luke stava rispondendo a tutte le sue domande.

Passarono alcuni secondi di silenzio che servirono a entrambi per studiarsi a vicenda. Luke pensò che le foto non le rendessero giustizia. Fino a quel momento non era mai riuscito ad associare il suo nome a un viso reale, a una personalità, a dei sentimenti. Adesso però doveva giocare la sua carta preferita, quella dell'indifferenza totale, del menefreghismo, dello stronzo patentato. Fu il primo a interrompere il silenzio.

«Non capisco cosa ci troviate tutte di attraente in quelli come me. Non c'è niente di sexy nell'essere asociali scorbutici»

«Non sono attratta da te perché hai gli occhi di ghiaccio, ti comporti da menefreghista patentato, sembri odiare qualunque cosa respiri all'infuori di te e quando rispondi a una domanda è solo per mettere in chiaro che non te ne frega niente di nessuno» Luke sorrise. Sarebbe stato facile.

«Quindi, illuminami, cos'è che ti attrae di me?»

«Non ho mai detto di esserlo»

«Hai specificato di non essere attratta da me per una serie di motivi. Presumo ce ne siano altri per i quali ti sei presentata al mio cospetto»

«È la tristezza che emani» Era così convinto di poterla fregare da non accorgersi di star confermando tutte le sue tesi.

«Sindrome da crocerossina... com'è che ti chiami?»

«Chrissy. E preferirei definire il mio comportamento con non mi bevo l'atteggiamento da auto-reiezione dalla società» Luke alzò una mano per scostarle una ciocca di capelli dal viso, un po' come si farebbe con una bambina.

«Sei così carina mentre cerchi di convincerti di non sentirti come una piccola, ma potentissima calamita attaccata al frigo»

«Se il mio frigo avesse una temperatura media di trentasei gradi, me ne sbarazzerei all'istante» Rispose piccata, impedendogli elegantemente di sfiorarla. Spostò i propri capelli da sola, con un gesto così naturale che a Luke venne il dubbio che non si fosse davvero accorta delle sue intenzioni.

«E due minuti fa ero bellissima» Aggiunse con una perfetta imitazione del tono che il ragazzo aveva assunto poco prima. Lui reagì ridendo di gusto.

«Sembra che la nostra fatina non abbia peli sulla lingua»

«Ce ne metti di tempo per accorgerti delle cose, eh?» il suono metallico della campanella risuonò attraverso gli altoparlanti e impedì a Luke di ribattere a dovere.

«Fai la brava, fatina» Le fece l'occhiolino e le diede le spalle, infilando le mani nelle tasche del giubbotto di pelle nero.

«Io sono sempre brava» Replicò ormai soltanto per se stessa.

C'era qualcosa di strano. Lo capì non appena mise piede nel dormitorio dell'Accademia. Avvertiva strane vibrazioni provenire dal piccolo appartamento che i suoi superiori gli avevano gentilmente concesso. Prese un profondo respiro, ma non c'era altro odore che il solito profumo per ambienti al mango che gli aveva raccomandato Nora. Sfortunatamente il suo olfatto non era così sviluppato da percepire gli odori come un segugio, sebbene fosse più fine rispetto alla media. Chiuse la porta alle proprie spalle e si comportò come avrebbe fatto in una normale situazione. Lanciò le chiavi nel contenitore appoggiato sul mobile all'ingresso, accompagnò il gesto con un sospiro. Si tolse la giacca e l'appese al solito posto e si stiracchiò pigramente, cercando di innalzare al massimo le proprie capacità sensoriali. Chiunque si fosse introdotto in casa era ancora lì e avrebbe commesso un errore.

«Smettiamola di girarci attorno, Luke» Michael. Avrebbe dovuto aspettarselo. Il suo nome compariva a caratteri cubitali nel fascicolo su Chrissy.

«Clifford, qual buon vento» Gli rivolse uno sguardo assassino. Odiava che qualcuno invadesse i suoi spazi, specie il suo appartamento. Era l'unico posto in cui potesse dimenticarsi dell'Accademia, delle missioni e di quanto si sentisse incapace di comunicare efficacemente con gli altri.

«Sappiamo entrambi di cosa dobbiamo parlare» Il ragazzo dagli occhi verdi incrociò le braccia al petto e ricambiò lo sguardo di fuoco che Luke gli aveva rivolto. Non aveva mai provato molta simpatia nei suoi confronti e dopo aver trovato conferma ai propri dubbi nel fascicolo su Chrissy, gli piaceva ancora meno.

«Parliamo allora. Di cosa vogliamo discorrere?»

«Devi stare alla larga da Chrissy» Il tono intransigente di Michael non scalfì minimamente Luke. Non sarebbe certo stato un ordine da parte sua a impedirgli di compiere il proprio dovere.

«E tu dovresti stare alla larga dagli appartamenti degli altri, eppure ti trovo qui, dopo esserti introdotto in casa mia senza il mio consenso.»

«Stronzate. Non comportarti da avvocato con me, sai che non funziona»

«D'accordo» Luke incrociò le braccia al petto. I suoi occhi azzurri guardarono con sufficienza Michael. Non aveva mai lasciato a metà un lavoro e non avrebbe cominciato a farlo perché lui era amico della ragazzina sbagliata.

«Non posso venir meno ai miei doveri» Aggiunse, senza perdere quell'aria disinteressata che aveva indossato alla vista di Michael.

«Lei non è un tuo dovere. Lei non c'entra proprio con te»

«Lei è un mio dovere. Lo sai come funziona. Solo perché con te non ha funzionato» Michael lo interruppe spingendolo con forza contro l'armadio. Era furioso, lo si poteva capire dalla mascella serrata e dagli occhi folli con i quali stava guardando Luke.

«Non permetterò che vada a finire come Meredith» Gli occhi di Luke si accesero di rabbia cieca. Quel nome era impronunciabile. Il solo pensiero di quella semplice parola, un nome, gli faceva gelare il sangue nelle vene. Era come una pugnalata al petto.

«Non me ne frega un cazzo di quello che dici. Farò quello che c'è scritto su quei benedetti file, che ti piaccia o meno»

«Stalle lontano. Lo dico per il tuo bene» Michael sarebbe stato capace di uccidere per Chrissy e Luke aveva già una lunga lista di precedenti per i quali sarebbe stato una vittima il cui omicidio si sarebbe rivelato piuttosto soddisfacente.

«È troppo tardi, micio. Sarà lei a non starmi lontano» Il labbro di Luke venne colpito dal pugno di Michael. Luke rise, era divertente vederlo perdere le staffe per quella ragazzina. Soprattutto perché entrambi sapevano che effetto avesse Luke sulle donne.

Michael se ne andò dopo aver dato fuoco alla cartellina con le informazioni su Chrissy e averla lasciata cadere nel lavandino del bagno di Luke.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Luke uscì dalla nuvola di polvere che le ragazze avevano creato e sorrise. Agli occhi di quest'ultime assomigliava tanto a uno di quegli attori bellissimi venuti per salvare la protagonista in difficoltà. Chrissy invece lo guardava come se avesse visto un morto. Era impallidita così velocemente che Luke si chiese se il sangue circolasse ancora nel suo corpo minuto e tonico. Doveva ammettere, però, che la ragazza aveva un tempo di ripresa rapidissimo. In un battito di ciglia era passata dall'essere sotto shock al guardarlo come se sperasse nella vista di un miracoloso fenomeno di auto combustione.

«Complimenti Costanza, hai battuto il tuo record personale» Non la guardò mentre parlava, anzi leggeva con fare piuttosto interessato il foglio poggiato sulla sua cartellina blu.

«Che ci fai qui, Anderson?» Gli chiese mentre le sue compagne lasciavano la pista. Sentiva sulla schiena i loro sguardi, anche se non era certa di che natura fossero.

«Aiuto coach, Costanza» Le dita della ragazza si fermarono stringendo i lacci delle scarpe che stava allacciando.

«Non fare quella faccia tesoro. Te lo avevo detto che ci saremmo visti spesso» Lasciò che le parole galleggiassero nell'aria per qualche secondo, per poi aggiungere «O forse no»

«Non chiamarmi tesoro» Lo guardava dal basso del suo quasi metro e sessanta, ma non era affatto spaventata dalla differenza fisica tra loro. Al contrario, era molto sicura di sé. Luke riusciva a percepirlo, quella ragazzina emanava sicurezza e determinazione, teneva sempre la testa alta e lo sfidava con i suoi occhioni scuri e i suoi sorrisetti furbi.

«Quindi preferisci fatina» Luke poggiò le mani sui fianchi, gesto che sottolineò quanto piccola fosse la figura della ragazza in confronto a lui, e si leccò le labbra. Di solito funzionava, era facile mettere in difficoltà delle diciassettenni in preda agli ormoni e al sogno romantico del ragazzo bello e dannato.

«Preferisco che tu sparisca» Ma non con lei, evidentemente.

«Bugiarda»

«Forse» Gli sorrise in quel modo che gli faceva venir voglia di continuare a battibeccare per sempre, solo per vederla destreggiarsi nel rispondergli a tono. «O forse no» Imitò l'intonazione che lui aveva dato alla propria voce poco prima e Luke fece fatica a trattenere una risatina. Era incredibile. Finalmente qualcuno che provava a tenergli testa!

«Andiamo, fatina. Se ti desse fastidio, mi avresti fatto smettere in un nano secondo. Non sei il tipo che si fa troppi scrupoli nel dire la propria»

«No, in effetti non lo sono» Gli stava dando ragione, un passo avanti.

«Non ti ribelli perché ti fa sentire speciale essere chiamata così» Chrissy rise di gusto, inclinò persino la testa all'indietro.

«Sei tu che hai bisogno di sentirti speciale» L'impercettibile movimento del labbro di Luke fece capire a Chrissy di essersi spinta un po' troppo oltre.

«Vai a cambiarti, Costanza. Hai finito per oggi» Il suo tono fu freddo e tagliente, tanto che Chrissy ebbe un brivido. Gli occhi di Luke erano passati dall'essere animati dall'ironia al bruciare di qualcosa che Chrissy non riuscì a identificare. Sapeva però di aver valicato il confine di un campo minato e non aveva idea di come tornare indietro, anche se non era certa di volerlo fare.

«Luke» Voleva scusarsi, ma il ragazzo la interruppe con fermezza. Non la voleva attorno, era chiaro.

«Ho detto che per oggi abbiamo finito. Non ho tempo da perdere con te» Le diede le spalle e la lasciò sola al centro della pista.

Michael ricevette una chiamata dai piani alti della Mutants and Hunters Academy. Sapeva perfettamente qual era il motivo della sua convocazione, ma doveva comportarsi come se non ne avesse la più pallida idea. Seduto nella sala di attesa del reparto sicurezza giocava con un cubo di Rubrik che gli aveva regalato Chrissy. Circa mezz'ora dopo la porta davanti a lui si aprì e il sergente Armentrout lo chiamò. Il ragazzo si alzò in piedi e infilò il gioco nella tasca del cappotto, per poi rivolgere un sorriso cordiale all'uomo in divisa che gli stava tenendo aperta la porta.

«I miei omaggi, sergente»

«Michael Clifford, benvenuto» iniziò, tirando fuori un plico di fogli dal cassetto della scrivania. «O dovrei forse dire bentornato?»

«Entrambi vanno bene, signore» Michael se ne stava seduto sulla sedia come se non potesse fregargliene di meno di essere al cospetto delle autorità della M.a.H.

«Ci risulta che tu ti sia introdotto nel nostro archivio di recente e abbia cercato un file specifico» Il sergente non era mai stato uno che girava intorno alle cose e Michael lo conosceva bene. Era capitato un paio di volte che si incontrassero in sede privata per discutere del comportamento del giovane Clifford.

«Mettiamo il caso che sia così, come avreste fatto a scoprirlo?»

«Non sei furbo come credi, ragazzino. Hai lasciato delle tracce» Gli gettò sotto al naso un foglio con una serie di codici alfanumerici che riconducevano l'hackeraggio a lui.

«Dovete averne sprecato di inchiostro per stampare queste cartacce» Disse dopo aver fatto schioccare la lingua sul palato.

«Vedi, Michael, ti siamo grati per averci fatto capire quanto poco affidabile il nostro sistema di sicurezza informatica sia. Ciò non toglie, però, che quello che hai fatto sia sbagliato. Hai delle buone motivazioni che vorresti condividere con noi?»

«La smetta di parlare come se foste in dieci in questa stanza. E sa benissimo perché l'ho fatto»

«Certo, certo. La tua amica... come si chiama?»

«Non è importante come si chiama. Dovete rimuoverla dal vostro database. Lei non fa parte di tutto questo»

«Non spetta a te deciderlo. E sappi che ci saranno delle conseguenze per il tuo comportamento»

«Cosa pensate di farmi? Sedarmi? L'intelligenza e il talento non sono doni che il vostro siero mi ha fatto» Rise. Tamburellava le dita sulla scrivania come se stesse aspettando di andarsene. In effetti era così. Per quanto volessero fargliela pagare, non potevano metterlo sotto sedativi perché i suoi atti non avevano ferito nessuno.

«No, non posso ordinare che tu venga addormentato con una dose capace di stendere un cavallo. Ma posso condannarti un breve periodo di reclusione»

«Ho la sensazione che non lo farete, signor Armentrout. Avete bisogno di me»

«Non coccolare troppo il tuo ego, ragazzino. La prassi impone che ti teniamo in cella per un mese. Se ci aiuti a ripristinare i livelli di sicurezza che sei stato in grado di abbattere, però, potremmo venirci incontro. Che ne dici?»

«Io mi fido di voi quanto voi vi fidate di me»

«È per questo che prima di lasciarti andare ti sottoporremo a dei test con la macchina della verità»

«È un casting per un film di fantascienza e non lo so?»

«Devi essere a piede libero, se vuoi proteggere la tua amica. Anche se dubito fortemente che tu possa evitare l'inevitabile»

«Non vi permetterò di trasformarla nella vostra cavia da laboratorio. Non passerà quello che ho passato io»

«Allora collabora e potrei voler mettere una buona parola» Michael era riluttante all'idea, ma sapeva che il sergente aveva ragione. Se voleva che Chrissy fosse al sicuro, doveva essere a piede libero e doveva poter sperare in qualche aiuto dall'alto.

Chrissy non aveva fatto altro che pensare all'espressione ferita che aveva disegnato sul viso di Luke con poche, semplici parole. Sei tu che hai bisogno di sentirti speciale. Luke, dal canto suo, l'aveva evitata come la peste e ignorata quando lei aveva cercato di parlargli. Passavano i giorni, ma lei non demordeva. Quando lo vedeva all'allenamento si comportava normalmente, non voleva che le sue compagne facessero troppe domande o che Ginevra decidesse di punirla per la poca diligenza che stava dimostrando. Proprio quando pensava che quel giorno non sarebbe riuscita a parlare con Luke riuscì a intercettarlo. Le passò davanti senza notarla, perciò lei lo seguì fino al parcheggio dove aveva lasciato la propria moto.

«Luke» Il ragazzo si girò a guardarla, roteò gli occhi e riportò l'attenzione al proprio mezzo di trasporto.

«Luke! Piantala di comportarti come se fossi trasparente» Alzò la voce, forse più del dovuto. Luke si girò a guardarla con un sorrisetto cattivo sulle labbra.

«Cos'è, ti da fastidio non essere considerata?»

«Sì, mi da piuttosto fastidio»

«Chi è che ha bisogno di sentirsi speciale?» La guardò senza perdere il sorriso freddo che le stava rivolgendo. Lei non si perse d'animo. Era determinata a farsi ascoltare, a qualsiasi costo. Aveva un conto in sospeso.

«Proprio di questo volevo parlare»

«Be', io no. Smettila di girarmi attorno come una zanzara fastidiosa» Si infilò il casco nero e salì in sella, pronto a sfrecciare via da lei. Non avrebbe mai pensato che le parole di una ragazzina alta un metro e uno sputo avrebbero potuto ferirlo.

«Vuoi ascoltarmi una buona volta? Poi puoi anche mandarmi a quel paese» Si posizionò davanti alla moto. Era una mossa piuttosto stupida, lui avrebbe potuto allontanarsi in retromarcia, ma sperava che quella presa di posizione bastasse a convincerlo.

«Hai trenta secondi»

«Luke, lo so che ho sbagliato. Ho esagerato nel dirti che hai bisogno di sentirti speciale. Tutti ne abbiamo e non avrei dovuto ferirti. Lo so che per te sono solo una stupida ragazzina che parla a vanvera, ma ti assicuro che c'è molto di più di questo» Prese un respiro, era senza fiato nonostante stesse respirando regolarmente. Forse era a causa di Luke e del suo sguardo indecifrabile fisso nei suoi occhi. «E vorrei poterti mostrare che esporsi, lasciare che gli altri si avvicinino può essere sorprendentemente bello»

«La vacuità è sicura, lasciamola così»

«Andy Black, ribcage» Le sfuggì un sorriso. Luke sgranò gli occhi, per poi ammorbidire il proprio sguardo. Forse quella ragazzina alta un metro e uno sputo non era poi così male.

«Ci vediamo in giro, fatina» Le sorrise e partì a tutta velocità, lasciandola in mezzo al parcheggio con un'espressione ebete sul volto.

Luke teneva le cuffie intorno al collo e il vassoio con il pranzo in mano. Chrissy lo guardò sedersi da solo a un tavolo a qualche metro da quello che lei e le ragazze della squadra di atletica occupavano solitamente. Qualcuna di loro si accorse dello scambio di sguardi tra i due e la spintonò scherzosamente con la spalla.

«Chrissy, Chrissy, Chrissy... non vorrai mica lasciare il povero Anderson da solo come un'anima in pena, spero!»

«Ti assicuro che non morde, puoi parlarci anche tu»

«Tu sei l'unica che non ha ancora sbranato con lo sguardo» Chrissy roteò gli occhi al cielo quando, dall'altro capo del tavolo, sentì aggiungere anche se vi mangiate volentieri a vicenda.

«Non verrà mai a sedersi con noi, è un tipo solitario»

«Secondo me ti vergogni»

«Io?» Chrissy scoppiò a ridere. «La spavalderia si inchina quando mi vede arrivare» Si alzò. Aveva intenzione di parlare con Luke in ogni caso, ma ci sarebbe andata a maggior ragione dopo il commento di quella ragazzina che non aveva idea di chi aveva davanti. Chrissy non si faceva certo mettere in imbarazzo da un ragazzo, che fosse Luke o un dio greco tornato in vita per dannare la sua anima innocente. Camminò fino al tavolo di Luke con tutti gli occhi delle sue compagne puntati sulla schiena. Lui le rivolse uno sguardo caldo, accogliente, e lei gli sorrise. Non si aspettava che quegli occhi azzurri, solitamente gelidi, potessero avere un impatto così positivo sul suo umore se riempiti dal calore che riusciva a leggervi dentro in quel preciso istante.

«Fatina» Sollevò un angolo della bocca in un sorriso sghembo.

«Hey» Chrissy si mordicchiò il labbro cercando le parole più adatte.

«Sei venuta a portare un po' di glitter nella mia tetra giornata da cattivo ragazzo?»

«In realtà» Cominciò dopo aver scosso leggermente la testa. Quel gesto mosse i capelli sulle sue spalle, sembravano onde di cioccolato fuso e l'attenzione di Luke non poté che esserne catturata. «stavo pensando che potresti unirti a noi» Lanciò un'occhiata al tavolo, mentre dentro di sé pregava che le sue stravaganti compagne non facessero nulla di imbarazzante. Luke seguì la direzione del suo sguardo e ridacchiò.

«Io ad un tavolo di sole donne? Senza offesa, ma no, grazie»

«Eppure agli allenamenti ci stai, in una pista di sole donne» Lo incalzò con un sopracciglio alzato. Luke schioccò la lingua contro il palato.

«Lì corrono e non devo starle a sentire»

«Mi stai escludendo?»

«Ogni tanto dalla tua bocca magica esce qualcosa di interessante, Fatina» Chrissy alzò gli occhi al cielo. Se pensava davvero che potesse infastidirla così si sbagliava di grosso.

«Andiamo, non puoi fare il bello e tenebroso per sempre»

«Mi hai appena fatto un complimento?»

«Ho detto che non puoi fare il tenebroso per sempre»

«Hai anche detto bello» Le sue labbra rosee e piene erano piegate in un sorrisetto ironico che istigò Chrissy a pensieri violenti. Molto violenti.

«Non fare il puntiglioso. Ti ricordo che hai divagato quando hai detto che sono bellissima»

«Dopo ho detto che sei carina» Sottolineò l'ultima parola come se la sua voce avesse un evidenziatore incorporato.

«Ciò non toglie che tu abbia pronunciato la parola bellissima associandola alla sottoscritta» Chrissy era furba e non avrebbe mollato l'osso tanto facilmente. Luke optò per una virata su un altro discorso.

«Perché non ti siedi tu con me, Fatina?» Glielo chiese guardandola come un bambino e, senza preavviso, le prese la mano per giocare con le sue dita. A Chrissy parve che quel contatto le stesse dando fuoco. Aveva sempre la pelle fredda e Luke, invece, era bollente.

«Cosa?»

«Hai capito bene. Siediti tu con me, Fatina» Luke continuò imperterrito con il suo sguardo innocente e si morse il labbro per giocare con l'anellino nero che lo decorava. Se aveva ragione, e pensava di averne parecchia, quel gesto avrebbe fatto un certo effetto alla ragazzina che aveva davanti.

«Magari domani» Rispose vaga. «Sai, sarebbe considerato alto tradimento a corte» Indicò il tavolo con un gesto leggero e aggraziato del capo e fece scivolare con nonchalance la propria mano fuori dalla presa rovente di Luke. Lui sporse il labbro inferiore e mise il broncio.

«Non puoi venire qui e illudermi che avrò una così piacevole compagnia e poi spezzarmi il cuore, Fatina» Chrissy scoppiò a ridere e gli strizzò le guance con una mano, disegnando sul suo viso una smorfia ridicola.

«Sono convinta tu possa sopravvivere a questo dolore»

«Io non penso» Il tono drammatico assunto dal ragazzo fece quasi sentire in colpa Chrissy.

«Domani sarò a tua disposizione a trecentosessanta gradi»

«E chi ti dice che domani sarò così gentile da concederti la mia compagnia?»

«Adesso fai il prezioso? Sicuro di non avere qualche disturbo della personalità?»

«Io sono prezioso» Incrociò le braccia al petto e le spalle e le braccia toniche vennero evidenziate.

«Dovresti rivalutare la concezione del tuo essere»

«E tu dovresti fare attenzione a ciò che prometti. Specie con me» Le fece l'occhiolino cercando di non ridere della sua espressione. Sembrava volesse prenderlo a calci.

«Non ti sopporto»

«Allora vai a mangiare, Fatina. Non vorrei che diventassi trasparente» L'espressione di Chrissy mutò e Luke si sentì come se le avesse dato uno schiaffo. Prima di andarsene gli rivolse uno sguardo carico di una sofferenza che, per la prima volta in tantissimo tempo, fece sentire in colpa il ragazzo per qualcosa che aveva detto. Era un misto di dolore, rabbia, delusione e qualche altra emozione che aveva attraversato quegli occhi profondi così velocemente che non era riuscito ad afferrarla.

Luke cercò di intercettare Chrissy per scusarsi con lei. Si fermò a pochi passi dallo spogliatoio in cui sapeva che avrebbe trovato la ragazza e si accorse di star vivendo la scena al contrario. Fino a pochi giorni prima era lei a cercarlo per chiedere scusa e lui l'aveva evitata e allontanata bruscamente. Lei avrebbe potuto fare lo stesso o peggio ancora mettere fine a quella specie di rapporto che si era creato tra di loro. Non aveva capito perché lei avesse reagito così al suo commento, ma aveva letto chiaramente il dolore negli occhi di Chrissy. Fu sul punto di desistere, era ancora in tempo per girare i tacchi e andarsene. Nessuno lo avrebbe notato. Eppure qualcosa lo inchiodò al pavimento. La consapevolezza che lei non si era arresa con lui. Per la prima volta qualcuno che non sapeva chi fosse aveva insistito per entrare in contatto con lui, per fargli sapere che non doveva essere per forza solo. Che c'era di più. Alzò la mano per bussare, ma la porta si spalancò e Chrissy fece un salto indietro con la mano sul petto. Gli rivolse uno sguardo che avrebbe potuto fulminarlo a morte.

«Ma sei scemo?» Il tono irritato della ragazza gli strappò un sorriso.

«È un piacere sapere che sei di buon umore, Fatina» Si aspettò che lo prendesse a schiaffi. Non lo avrebbe sorpreso.

«Sei massiccio e in mezzo ai piedi. Levati» Fortunatamente era stata l'ultima a rimanere nello spogliatoio, altrimenti avrebbero dato spettacolo. Lo guardò con occhi furenti e per un attimo a Luke venne voglia di scappare.

«Volevo parlarti»

«Indovina un po'? Io no» Incrociò le braccia al petto spazientita. Luke capì che doveva cambiare tecnica. Si spostò dalla porta senza però allontanarsi troppo.

«Grazie» Il suo tono rimase gelido e gli voltò le spalle.

«Chrissy, aspetta» La ragazza sospirò prima di rivolgergli nuovamente lo sguardo.

«Mi dispiace per quello che ho detto. Non ti conosco e»

«Hai ragione. Non ci conosciamo. Perciò proseguiamo io per la mia strada e tu per la tua»

«No!» Esclamò e si trattenne a stento dall'afferrarla.

«Prego?» Si era finalmente voltata a guardarlo. Luke sollevò una mano per toglierle una ciocca dal viso e le sorrise. Lei si irrigidì.

«Tu hai scartavetrato i cosiddetti finché non mi hai convinto che valesse la pena lasciarti entrare nella mia vita. È vero, non ci conosciamo e per una serie di motivi logici sarebbe meglio lasciare le cose così, ma tu non ti sei arresa con me e io non ho intenzione di farlo con te» Chrissy scansò la sua mano e indietreggiò.

«Lascia perdere, ci sono battaglie che non vale la pena combattere»

«Non sei una di quelle»

«Non sei tu a deciderlo»

«Sono io a decidere per che cosa valga la pena lottare»

«Che stronzata da commedia romantica»

«Pensala come vuoi» Luke usò un tono scocciato che era sfuggito al suo controllo.

«Come ho sempre fatto» Replicò per mettere fine a quella pagliacciata. Lasciò Luke da solo davanti alla porta dello spogliatoio, mentre dentro di sé cominciava a pensare a quanto fosse facile per gli altri lasciarla andare. Lui si era arreso. Lui l'aveva lasciata andare.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Ci vollero dieci giorni di insistenza e qualcosa come trenta diversi tipi di cupcakes regalati perché Chrissy gli concedesse un sorriso. Lontana dagli occhi azzurri e splendenti di Luke, aveva sorriso e apprezzato ogni singolo gesto da parte del ragazzo. Si era sentita importante. Non lo avrebbe mai ammesso davanti a lui.

«Buongiorno Fatina» La salutò dandole un buffetto sul naso con l'indice e le sorrise ampiamente.

«Giraffa» Gli sorrise di rimando. Il ragazzo stava tentando di nascondere qualcosa dietro la schiena e lei, curiosa come pochi, tentò di allungare una mano per afferrare l'oggetto misterioso.

«Bel tentativo» Fece un passo indietro impedendole per un soffio di riuscire a prendere la scatolina.

«Sei un piccolo birbante» Mise il broncio diventando tenerissima e Luke non riuscì a resistere. Le porse un piccolo porta torte di cartoncino colorato e la osservò mordicchiandosi il labbro. Sapeva di non aver più bisogno di convincerla a fidarsi di lui, ma l'espressione che aveva visto sul viso di Chrissy la prima volta che le aveva portato un dolcetto lo aveva spinto a promettersi che avrebbe fatto di tutto per vederla così felice tutti i giorni.

«Devi farti perdonare qualcosa?» Gli chiese sospettosa con un sopracciglio alzato. Lui scosse la testa ridendo.

«No, è che mi piace il tuo sorriso. E sorridi un sacco quando c'è un pasticcino di mezzo» Scrollò le spalle come se non fosse nulla di importante e si scoprì in imbarazzo. Era da tempo che non aveva voglia di fare qualcosa di carino per qualcuno e la consapevolezza che quel qualcuno fosse una ragazza che, presto o tardi, avrebbe dovuto trasformare -con il rischio che andasse tutto a rotoli e finisse in tragedia- lo devastava. Lei lo avrebbe odiato, se fosse sopravvissuta, e tutti quei sorrisi, quelle risate, i gesti, tutto sparito. Dissolto in una nuvola di veleno che avrebbe iniettato nelle sue vene per dare il via alla transizione.

«Se non fossi tu, ti bacerei!» Chrissy lo guardò con gli occhi da cerbiatta, appoggiata al proprio armadietto e questa volta fu lui a mettere il broncio.

«Non sono così male, dai!» Chrissy lo abbracciò di slancio e quello fu il primo vero contatto fisico tra i due, sentito attraverso i vestiti che scaldava i loro corpi, fin dentro le ossa. Dopo qualche secondo di sorpresa, Luke ricambiò l'abbraccio e chiuse gli occhi. Da quanto tempo non ne riceveva uno? Troppo, troppo tempo. Strinse Chrissy a sé e inspirò il suo profumo. Le ghiandole che si preoccupavano di produrre il veleno gli irradiarono la bocca con il liquido che prima o poi avrebbe trasformato Chrissy. Fu costretto a deglutire diverse volte perché il veleno sparisse completamente dalla sua cavità orale, che in quel momento sembrava fatta di tessuto e tossine.

«Niente smancerie, Costanza» Cheryl, che aveva l'armadietto proprio accanto al suo, le tirò scherzosamente una ciocca di capelli.

«Il sergente ha ragione. Ho una reputazione da mantenere»

«Ci vediamo a pranzo, biscottino?» Chrissy lo prese in giro sollevando appena la scatolina della pasticceria.

«Chiamami di nuovo così e ti farò sudare fatica all'allenamento»

«Sei adorabile quando ti atteggi da cattivo ragazzo» Cheryl al suo fianco si schiarì la voce.

«Prendetevi una stanza» Chrissy la spinse ridacchiando e mentre era distratta Luke si piegò verso di lei e parlò al suo orecchio.

«Potrebbe essere un'interessante proposta» Diventò rossa come un peperone e lo spinse via con tutte le sue forze.

«E così tu e Luke state passando tanto tempo insieme» Il tono di Michael sembrò contrariato. Chrissy lo fulminò con lo sguardo.

«È simpatico e divertente, sembra molto intelligente»

«Sembra, ci tengo a sottolineare»

«Smettila. So che sei geloso, ma lui non prenderà il tuo posto»

«Non è questo, raggio di sole» Michael sospirò «è che a volte le cose sono sospette e lui mi puzza di qualcosa che non mi piace»

«Micio, smettila. A me piace e»

«Quindi lui ti piace. Fantastico»

«Non hai capito! Sento che c'è del buono in lui, c'è di più»

«Sì, una dozzina di centimetri in più e gli occhi blu»

«Piantala. Sul serio, non puoi detestare qualcuno che non conosci»

«Secondo la tua logica non può neanche piacermi»

«Luke non è solo un bel ragazzo, è...» Si fermò per reprimere un sorriso «Dolce, attento. Presta attenzione alle piccole cose»

«E che cosa avrebbe fatto per te di così speciale?» Chiese infastidito. Chrissy non sapeva nulla di Luke, lui, invece, sapeva pure troppo. «A parte darti dello scheletro e rimediare con... com'è che ha rimediato?»

«Mi ha regalato dei pasticcini e» Michael, cieco di rabbia e di gelosia, la interruppe senza pensare alle conseguenze delle parole che stava per pronunciare.

«Dei dolcetti! Gesù, Chrissy. Ti credevo più difficile di così, ti credevo diversa e invece sei come tutte le altre. Cadi con un paio di muffin e gli occhi dolci» Non appena terminò la frase si rese conto di quello che aveva detto e dell'impatto che le sue parole ebbero su Chrissy. Se ne pentì immediatamente, ma non fu abbastanza veloce. Chrissy, al contrario, fu velocissima e raggiunse la porta di casa Clifford alla velocità della luce.

«Raggio di sole» Michael la seguì incespicando sul tappeto dell'ingresso e in un paio di scarpe che aveva lasciato in giro. Lo sguardo che ricevette fu come una coltellata.

«Se non vuoi essere bruciato vivo, ti consiglio di non avvicinarti a me di un centimetro» Il suo tono era piatto, monocorde, freddo. Doloroso.

Luke si presentò a lei con in mano l'ennesimo cupcake. Quel gesto, però, non ebbe il solito effetto positivo sulla ragazza.

«Buongiorno, Fatina. Spero ti piaccia il gusto meringata»

«No, mi fa vomitare» Rispose in modo brusco, sbatté l'anta dell'armadietto con un po' troppa foga. Il rumore metallico rimbombò intorno a lei infastidendola ancora di più.

«Oh, mi dispiace, non lo sapevo» Luke era sincero. Ci era rimasto male, voleva fare una cosa carina per lei e aveva fallito miseramente. Chrissy lo guardò e sospirò.

«Scusa Luke. Non volevo prendermela con te. Grazie per il pensiero, ma non sono mai andata d'accordo con la meringata. Hai avuto un'idea carina»

«Non preoccuparti, ti si legge in faccia che c'è qualcosa che non va. Posso aiutarti in qualche modo?»

«No, credo di no»

«Sicura? Se ti offrissi un abbraccio?» Non fece in tempo ad allargare le braccia che si ritrovò uno scricciolo avvinghiato a sé come un koala. Profumava di gelsomino. Era una fragranza molto seducente, sebbene la sua seduzione fosse candida e innocente, priva di lussuria e malizia. Gli ricordava un giardino in cui era stato durante un periodo del suo lavoro per una sede della M.a.H nel Mediterraneo, un posto luminoso e rilassante. Proprio come quel giardino fiorito, Chrissy gli trasmetteva un senso di benessere. Era un profumo opulento, proprio come la personalità della ragazza che lo portava. Le si addiceva. Quei fiori piccoli e bianchi erano proprio come lei, candidi, semplici, puri.

«Sei troppo alto, non ti sopporto» Appena finì di parlare Luke se la caricò in spalla ridendo e la trasportò fino in classe come un piccolo sacco di patate.

«Ti odio Luke Anderson, ti odio tantissimo»

Ginevra rivolse la propria attenzione al suo assistente e alla sua migliore centometrista. Aveva notato il loro una certa sintonia, c'era un'intesa invidiabile in ognuno degli sguardi che si scambiavano. C'era qualcosa di speciale nel modo in cui comunicavano. Da quando era arrivato Luke le prestazioni di Chrissy erano migliorate tantissimo. Chrissy era molto orgogliosa e competitiva e Luke, facendo perno su queste due caratteristiche, la spingeva a dare sempre di più con commenti riguardo la qualità delle sue performance. Arrivavano agli allenamenti sempre insieme, ridendo, parlottando tra loro, prendendosi in giro. Era bello guardarli, chiusi nella loro bolla felice fatta di sorrisi e piccoli gesti. Chrissy lo ignorava, ma Luke aveva sempre un occhio su di lei, anche quando seguiva i movimenti delle altre ragazze. In qualche modo lui, con quelle attenzioni celate, si prendeva cura di lei. Ginevra aveva sentito che cosa dicevano di lui, il ragazzo nuovo scontroso con tutti e dallo sguardo tagliente che sembrava disdegnare qualsiasi cosa respirasse. Eppure con lei era completamente diverso. La cosa era reciproca. Ginevra non aveva mai visto Chrissy così allegra.

«Biondo! Vieni qui e smettila di distrarre la mia atleta. Abbiamo una gara da vincere tra due giorni»

«Agli ordini, capo!» Mentre passava al fianco di Chrissy le pizzicò il fianco per dispetto e le fece la linguaccia, mentre lei assottigliava lo sguardo nel tentativo di intimidirlo.

Luke alzò gli occhi dalla tabella sulla quale aveva scritto i tempi delle ragazze appena in tempo per vedere Chrissy precipitare al suolo. Lasciò cadere a terra ciò che aveva tra le mani e corse verso di lei. Chrissy cercò di alzarsi, ma la sua caviglia cedette nuovamente e si ritrovò le braccia di Luke attorno alla vita.

«lasciami, ce la faccio»

«Non se ne parla»

«Devo solo metterci del ghiaccio, riesco a camminare» Luke la lasciò andare sbuffando. La osservò cercare di zoppicare fino allo spogliatoio. Appena Chrissy ebbe mosso qualche passo, Luke scattò in avanti e la prese in braccio come una principessa, guadagnando leggerissimi pugni sul petto. Se lei non si fosse fatta male avrebbe riso di quei tentativi vani di fargli male.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Luke aveva ignorato le proteste di Chrissy. Non aveva fatto altro che scalciare e ripetere che le sue gambe funzionavano benissimo e che aveva solo perso l'equilibrio. Fu tutto inutile e Chrissy lo sapeva bene, Luke era testardo e la lasciò andare solo quando la fece sedere sulla panchina dello spogliatoio. Aveva rassicurato Ginevra e le ragazze di potersi occupare di Uragano Costanza, soprannominata così per il turbolento tentativo di sfuggire alle braccia di Luke.

«Lasciami andare Luke! Sto bene» La sua ostinazione la spinse ad alzarsi in piedi, ma non appena il peso del suo corpo gravò sulla caviglia, una smorfia di dolore piegò il suo viso dolcissimo e le fece strizzare gli occhi.

«Hai uno strano concetto di benessere» Luke non le disse nient'altro. Non aggiunse nessuna ramanzina. Sapeva che Chrissy avrebbe dovuto litigare con i propri pensieri e la sua mente, che le avrebbe fatto presente quanto fosse stata imprudente a fingere di non stare male.

«Stai zitto» Ordinò sedendosi di nuovo. Luke si inginocchiò davanti a lei e le prese la caviglia tra le mani con delicatezza. Ci poggiò del ghiaccio sopra e cercò di sorriderle rassicurante.

«Tu non accetti di essere umana come tutti e di esserti fatta male, vero?»

«Ti ho detto di stare zitto» Lo fulminò con lo sguardo.

«Andiamo, Fatina. Sai fare meglio di così»

«Infatti. So correre veloce e battere record»

«Perché ci tieni tanto a questa gara? Ce ne saranno altre in primavera» Chrissy fissò il muro alle spalle del ragazzo. Non era certa che fosse il caso di aprirsi con lui. Per quanto si fidasse di Luke, ammettere le proprie debolezze ad alta voce era fuori discussione. Erano roba sua. Quel silenzio bastò come risposta.

«Non sei obbligata a rispondermi se non vuoi. Non ti costringo mica a parlarmene» Le rivolse un piccolo sorriso. Si era trovato diverse volte nella situazione opposta, quando tutto quello che gli passava per la testa lo stava opprimendo e le persone volevano costringerlo a sfogarsi. Lui era un taciturno dei problemi, tendeva a tenersi tutto dentro, saturando cuore, mente e anima con ciò che lo stava distruggendo, con i suoi demoni.

«Grazie» La sua voce era incrinata e quando Luke alzò lo sguardo su di lei, Chrissy aveva gli occhi lucidi.

«Hey» La sua voce fu un sussurro dolce che l'accarezzò e le fece venir voglia di dar libero sfogo alle lacrime.

«Hey» Rispose tirando su con il naso. Luke si mise seduto accanto a lei tenendo la sua gamba in grembo.

«Verrà mia mamma alla gara» Chrissy ebbe un sussulto. Sua mamma, la sua dolce mamma. La mamma che non vedeva da tantissimo, sostituita temporaneamente da un involucro vuoto con le sue sembianze. «Volevo che mi vedesse correre, volevo che fosse fiera di me» Una lacrima calda e solitaria le scivolò lungo lo zigomo lentigginoso e Luke le sfiorò la guancia per raccoglierla con la punta delle dita affusolate. Quel gesto fu la goccia che fece traboccare il vaso. Chrissy si abbandonò alle proprie debolezze, schiacciata dal peso di tutte le emozioni che stava cercando disperatamente di tenere dentro e che ora premevano per uscire. Le lacrime scesero copiose dai suoi grandi occhioni tristi e Luke, ligio a un dovere di cui voleva farsi carico da quel momento in poi, le asciugò delicatamente.

«Lo scorso anno ho fallito sotto gli occhi di tutti. Volevo la mia rivincita. Volevo che tutti sapessero di cosa sono capace» Singhiozzò. Aveva fallito anche nel tentativo di darsi un contegno.

«Tu non hai bisogno di dimostrare niente a nessuno» Luke aveva una voce morbida, era come una colata di cioccolato fuso su una vaschetta di fragole rosse e mature.«Tu sai quanto vali. E lo so anche io. Ti ho guardata bene, ho visto come ti muovi, come spingi al massimo, come fai di tutto perché le tue performance siano sempre perfette, sempre migliori, anche quando hai le gambe a pezzi» La sollevò per i fianchi, era leggera come un grissino, e se la mise sulle gambe per tenerla più vicino. Le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e le sorrise. Voleva prendersi cura di lei. Ci stava provando. Ci stava riuscendo, anche se non lo sapeva.

«Fatina, tu sei una forza della natura e anche la natura ha il diritto di crollare, di cadere, di cedere. E tu sei inciampata in una gara che non è andata bene come speravi, ma ti sei rialzata e impegnata. Questo non lo chiamo fallimento»

«E come lo chiami? Perdere? Valere meno di zero? Essere troppo convinta di capacità che non possiedo?» Nella sua voce vi erano intrise così tante cose, delusione, tristezza, rabbia, abbattimento. Appoggiò la fronte a quella della ragazza e la fissò dritto negli occhi senza smettere di accarezzarle il viso.

«Fallito è colui che una volta a terra si arrende a ciò che il destino ha da offrirgli e infliggergli» Non aveva mai neppure intravisto quel lato fragile ed esposto i Chrissy. Era abituato al suo carattere forte e spumeggiante, alle sue risposte piccanti e al suo sorriso di scherno. Quella Chrissy che aveva davanti ora, invece, era abbattuta, delusa, umana. Non era più la creatura tempestosa e travolgente a cui era abituato. Quella Chrissy risvegliò in lui istinti che credeva sopiti per sempre. Le guardò le labbra rosee e screpolate dai continui morsi a cui erano sottoposti. Il labbro inferiore stava tremando. Lo sfiorò con il pollice, tasto con il polpastrello quella bocca morbida, quella bocca che tante volte aveva pronunciato parole in grado di zittirlo. Quelle labbra che, in qualsiasi altra occasione, avrebbe voluto baciare, assaporare, voleva sentire il sapore di tutte le parole che si erano detti e di tutte quelle che non si erano ancora detti e che dovevano ancora dirsi. Si avvicinò ulteriormente e Chrissy trattenne il respiro. Chiuse gli occhi quando lui la baciò.

Le labbra di Luke bruciavano sulla sua fronte. Chrissy non sapeva di avere bisogno di un gesto del genere finché non sentì il proprio cuore ruggire a quel contatto così intimo con quel ragazzo che, altalenando tra bisticci, battute e piccoli gesti, l'aveva conquistata e si era fatto voler bene. Prese coraggio e lo avvolse in un abbraccio delicato e timido, un abbraccio che segnò per Luke l'inizio di un turbamento e una confusione interiori non indifferenti.

*

L'adrenalina scorreva nelle vene di Chrissy nonostante non potesse gareggiare e la sua agitazione si era trasformata in continui saltelli sulla sedia e gridolini eccitati. Lei e Luke erano seduti vicini e cercavano di ignorare le occhiate di Ginevra. O meglio, Luke cercava di evitarle. Chrissy era troppo occupata a fare il tifo per le sue compagne. Luke teneva gli occhi incollati alla ragazza, sprizzava entusiasmo da tutti i pori, le brillavano gli occhi e aveva un sorriso così luminoso che il cuore di Luke si riempì di gioia. In uno slancio di euforia, Chrissy si alzò in piedi per esultare dimenticando di avere una caviglia fasciata e dolente e quando ci poggiò il proprio peso sopra quasi cadde, ma Luke l'afferrò prontamente -di nuovo- per i fianchi. Chrissy arrossì violentemente e lasciò cadere i capelli davanti al viso per nasconodere le gote rosse. Luke si piegò verso il suo orecchio ridacchiando.

«Sei carinissima quando sorridi, lo sai Fatina?» Il suo fiato caldo solleticò l'orecchio di Chrissy che, se possibile, divenne ancora più rossa.

«Tu sei irritante invece»

«Ma se mi adori»

«Se ne sei convinto» Chrissy non si era accorta che le mani del ragazzo erano ancora sui suoi fianchi.

«Se non mi sopporti, perché non ti sei ancora staccata da me?» Luke sorrise nel vedere l'espressione di Chrissy passare da sorpresa a infastidita, a stizzita. Gli spostò le mani come se stesse cacciando una mosca fastidiosa e Luke rise.

«Sei odioso»

«Sono un tesoro»

«Ecco, allora nasconditi su un'isola deserta dopo aver nascosto la mappa. Mi raccomando, nascondila bene» Cercò di guardarlo male, ma sembrò soltanto un cucciolo di foca in cerca di coccole.

«Piccioncini, piantatela o vi faccio sloggiare» Li riprese Ginevra, che sotto sotto faceva il tifo per la loro storia d'amore.

«Non» Chrissy cominciò a protestare, ma poi si ricordò che con Ginevra era inutile.

«Potrebbe essere interessante sloggiare con te» Luke si guadagnò la mano di Chrissy spiaccicata in faccia, che lo allontanò dal suo volto.

«Taci» Luke decise di concederle una tregua fino alla fine della gara. Alla fine vinsero. Fu soddisfacente, anche se per Chrissy fu una vittoria dal sapore dolce amaro. Luke glielo lesse negli occhi e nel modo in cui la sua espressione variò impercettibilmente nel pronunciare la parola festeggiare. Lo avevano invitato ad unirsi a loro, ma non era dell'umore adatto nonostante fosse contento per la squadra. Salutò le ragazze e si diresse verso il proprio appartamento per cercare di dar voce ai propri pensieri scombussolati.

*

Sdraiato sul proprio letto fissava il soffitto in cerca di risposte. Una parte di lui sapeva di dover trasformare Chrissy il prima possibile, un'altra però si rifiutava di farlo. Aveva visto il lato fragile e rotto della ragazza, un lato che non avrebbe mai immaginato esistere e che lo aveva fatto dubitare del valore dei propri doveri. Era davvero necessario dare inizio alla sua mutazione? La M.a.H. poteva fare benissimo a meno di lei. Un mutante in più o in meno non avrebbe fatto alcuna differenza. Una ragazza splendida come Chrissy viva in più o in meno, invece, avrebbe fatto una grossa differenza. Da quando l'aveva conosciuta si era sentito vivo, era stato capace di comunicare efficacemente con lei. Certo, c'erano state delle incomprensioni, ma c'erano anche stati momenti meravigliosi, istanti in cui il suo cuore si era sentito leggero e aveva riso fino a sentire i polmoni scoppiare. Era stato come precipitare dalle montagne russe, sentire l'energia scorrergli nelle vene e urlare a perdi fiato. Chrissy era stata come un'esplosione che aveva travolto la sua vita sconvolgendola, ridonandole tono e luce. Si rese conto che, per la prima volta dopo tantissimo, era felice. Non poteva distruggere il motivo di tanto benessere, non poteva trasformare Chrissy e costringerla a soffrire durante la transizione, rischiare di ucciderla. Semplicemente, non poteva. Qualcosa glielo impediva. Qualcosa di più intenso della semplice morale. Il suo telefono suonò e quando lesse il nome seppe con certezza che non voleva più adempire al suo dovere.

*

«Devi trasformarla il prima possibile, Hemmings» Sentire pronunciare il suo vero nome da Mr. Parker fu come ricevere uno schiaffo. Era abituato alla voce dolce e allegra di Chrissy che si riferiva a lui con quel nome fittizio che aveva dovuto adottare per avvicinarla.

«Non è così semplice» Per la prima volta ammise a sé stesso di non sentirsi all'altezza della situazione, piegato dalla propria indecisione.

«Più aspetti, più sarà instabile. Non possiamo rischiare» Tutti continuavano a ricordarglielo come se fosse un novellino. Dannazione, lo sapeva. Era conscio del rischio che stava correndo, del pericolo a cui aveva esposto Chrissy. Chrissy. Il pensiero di lei balenò nella sua mente come un promemoria della confusione che lo attanagliava.

«Farò del mio meglio. Al momento la ragazza non è nelle condizioni ottimali per la transizione» Mentì in parte.

«Mi fido di te, Hemmings. Prima di ritirarti, Nora vuole vederti» Il tono autoritario del suo superiore lo infastidì parecchio. Cosa ne sapeva lui della vita da mutante? Degli esami, delle visite mediche, di essere costantemente controllato, di non poter decidere di vivere normalmente?

In attesa che Nora arrivasse, Luke l'aspettava seduto nel suo studio bianco. Era praticamente cresciuto lì dentro. Si sentiva fuori dal mondo, i suoi pensieri viaggiavano velocissimi e non riusciva ad afferrarli, si accavallavano gli uni sugli altri, inciampavano e rotolavano per poi ricominciare da capo. Tutti confluivano però in uno sconfinato mare: Chrissy. Non riusciva a capire che cosa gli stesse succedendo e non si rese neppure conto che Nora lo stava fissando dalla porta.

«Hai la faccia di uno che ha mangiato pesce avariato» Luke la guardò in silenzio. Avrebbe dovuto per caso ridere?

«Cosa succede, Luke?»

«Ti sei mai sentita come se il tuo dovere non valesse la pena di essere compiuto?» Nora gli rivolse uno sguardo preoccupato mentre si sedeva davanti a lui.

«Sono un medico, il mio dovere vale sempre la pena di essere compiuto. Ma tu sei diverso. A cosa ti riferisci?»

«Non voglio che Chrissy venga trasformata»

«Non spetta a te decirlo, Luke» Il tono della donna fu lapidario, intransigente.

«Nora, non la conosci. Chrissy è... dio, io voglio proteggerla»

«È per questo che non si dovrebbero avere contatti con i mutanti»

«Lo so, ma il danno ormai è fatto» Nora osservò l'espressione sofferente di Luke.

«Cosa sta succedendo Luke?»

«Perché hai voluto vedermi?» Luke evitò la domanda, sapeva che non avrebbe dovuto rispondere con un altro quesito, ma neanche lui sapeva che cosa gli stesse succedendo.

«Si tratta dei tuoi ultimi esami» Nora aprì un cassetto chiuso a chiave e frugò tra le varie cartelle cliniche. Tirò fuori quella del ragazzo e la sfogliò. «Ci sono dei valori sballati nel tuo veleno. Abbiamo riscontrato un'elevata quantità di serotonina. E anche nel tuo sangue.»

«Che diavolo è?»

«Lo chiamano ormone della felicità. Il nostro corpo lo produce a partire da un amminoacido essenziale, il triptofano. Solitamente è necessario introdurlo con la dieta. Tuttavia, nei mutanti, il metabolismo e la produzione di sostanze è diversa dagli umani perciò il tuo corpo lo produce da solo.»

«Continuo a non capire»

«La serotonina è un neurotrasmettitore necessaria per regolare il sonno, l'appetito, l'attenzione, l'apprendimento, la temperatura corporea, la motivazione e la memoria. Regola anche il tono dell'umore e il desiderio sessuale» Luke scoppiò a ridere.

«Che carini, vi preoccupate della mia voglia di scopare»

«Da quando hai conosciuto Chrissy la qualità del tuo veleno ha subito un miglioramento ai limiti della fantasia»

«Ti assicuro che non ho rapporti sessuali con lei» Luke si sentì offeso da quelle insinuazioni. Chrissy era speciale, meritava di più. Meritava tutto ciò di buono che l'universo poteva offrirle e lui non era certo nella lista delle cose buone. E poi, anche se fosse stato così, non avrebbero dovuto immischiarsi nella sua vita privata.

«Non mi interessano certi dettagli della tua vita. Ti sto solo ponendo una domanda»

«Chi altro ha visto le analisi?»

«Nessuno, per adesso. Se lo sapessero, saresti sottoposto ad esami più specifici e potresti incorrere in procedure comportamentali al riguardo. Non voglio questo per te. Posso aiutarti, ma ho bisogno che tu risponda alla mia domanda. Che cosa sta succedendo?»

«Io le voglio bene, Nora» La sua voce si piegò, non lo aveva mai detto ad alta voce e sembrò finalmente reale. Poteva quasi toccare quella sensazione, quel sentimento. «Non posso farle... non posso trasformarla. Mi capisci?» Luke si torturava le mani, dentro di sé aveva una tempesta.

«Luke... sai che non puoi rifiutarti di eseguire gli ordini»

«Non voglio che lei soffra, o peggio...» Nora gli sollevò il viso con le dita e lo guardò negli occhi.

«Luke, devo dirti un'altra cosa»

«Dimmi»

«Non avevi questi valori dai tempi di Meredith»

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Il piede di Chrissy colpiva ritmicamente il pavimento opaco del pianerottolo. L'orologio al suo polso scandiva i secondi trascorsi nel suo elegante cinturino rosa antico e il quadrante rotondo. Ogni millimetro percorso dalle lancette ricordava a Chrissy quanto tempo stesse perdendo. Dopo tutto era solo Michael. Lui, il suo migliore amico, colui che la conosceva in tutto e per tutto. Qualcosa però la bloccava e lei sapeva perfettamente cos'era. Il suo orgoglio. Quella fastidiosa vocina continuava a blaterare ''è stata colpa sua, ha sbagliato lui!''. La mise a tacere suonando al campanello. Il rumore dei passi di Mike si fece sempre più vicino. 

«Raggio di sole»  In un primo momento sorrise sorpreso, poi un'idea dolorosa gli attraversò la mente. Chrissy era arrabbiata con lui, non sarebbe mai andata a trovarlo se non per una valida -e soprattutto grave- motivazione. «Ti... è successo qualcosa?» Un peso abissale si appollaiò sul cuore del ragazzo, appesantendo immediatamente lui e l'aria che lo circondava. 

«Sì, è successo che ho capito che ti voglio bene e non posso perderti per una stronzata simile»  Parlò velocemente e divenne immediatamente color porpora, ma si sentì subito più leggera. Con una falcata Michael la raggiunse, annullò la distanza fisica ed emotiva che c'era tra loro e l'abbracciò, sollevandola persino di qualche centimetro dal pavimento. La strinse con le lacrime agli occhi, era la prima volta da quando erano piccoli che glielo diceva. 

«Non so se tu abbia bevuto o fumato, ma qualsiasi cosa sia giuro che te ne farò avere una scorta a vita» Respirò il suo profumo come si respira l'ossigeno dopo una lunga apnea. Non appena nascose il viso tra i suoi capelli, le lacrime cominciarono a scendere sul suo viso pallido.

«Non esagerare, micio. Non sarei io se te lo dicessi ogni due secondi»

«Hai ragione» Si scostò tirando su con il naso. Aveva un sorriso così radioso, il cuore di Chrissy impazzì di gioia nel constatare la felicità che attraversava quegli occhi verdi che tante volte l'avevano vista crollare e l'avevano aiutata a rimettere i pezzi al posto giusto. Perché Michael c'era sempre, c'era sempre stato. La conosceva, sapeva dove andavano quei piccoli frammenti. Conosceva a memoria ogni centimetro della sua pelle, ogni espressione, ogni momento in cui era stata come un uragano in un paio di jeans e tutte le volte in cui l'uragano, invece, l'aveva investita. E fu anche felice di vedere quelle labbra rosse e piene piegate in un sorriso sincero, che poi si spostò sul suo volto e baciarne ogni millimetro facendole il solletico.

«Hey! Così mi consumi» Ridacchiò strizzando gli occhi scuri e stanchi, inumiditi da piccole lacrime di felicità.

«Stai zitta, ora che sei presa così bene ti coccolo un po'»

*

Luke aspettava Chrissy torturandosi. Aveva una serie infinita di motivi per cui ciò era sbagliato. Primo su tutti l'aveva attirata nella tana del lupo, nel suo appartamento proprio accanto alla M.a.H. Academy. Perché era stato così idiota? Era vero, Chrissy aveva insistito per vedersi fuori dalle mura di casa propria, probabilmente aveva genitori piuttosto severi che non volevano che la loro figlia rimanesse sola in casa con un ragazzo. Il che non reggeva, perché lì era ancora più isolata che in casa sua. Lui, d'altra parte, si era subito proposto di studiare nella sua modesta dimora. Idiota. Agli occhi di tutti gli altri studenti accademici che l'avrebbero vista girovagare per i corridoi dello stabilimento sarebbe sembrata la classica ragazza da una botta e via. Peggio, sarebbe sembrata una ragazzina facile da una botta e via, o ancora una ragazzina ingenua che si sarebbe concessa al primo venuto. Chi, a diciotto-vent'anni, studia da solo a casa con una ragazza tanto attraente? L'idea che le persone potessero avere quella considerazione di lei gli fece salire il sangue al cervello e sentì la rabbia montare. Doveva fare qualcosa per tenersi impegnato o avrebbe avuto una crisi di nervi. Si passò una mano tra i capelli che cominciavano a essere un po' troppo lunghi. Si alzò e butto il deodorante per ambienti al mango. Era finito da una settimana, avrebbe dovuto sostituirlo, ma il suo chiodo fisso aveva sovrastato qualsiasi altro pensiero. Sbuffò e fissò il frigo indeciso se farsi una birra fredda o meno. Il frigo! Luke lo raggiunse e spalancò il congelatore. Vi frugò dentro e trovò delle focaccine rotonde. Lanciò uno sguardo all'orologio, forse ce l'avrebbe fatta. Posizionò in fretta e furia i panetti su una teglia e la infilò nel forno, sperando di avere in frigo qualcosa con cui farcirle. Insalata, prosciutto, salsa rosa, maionese, salsa piccante dal nome impronunciabile. Oh, anche due pomodori. Ottimo.

*

 Chrissy continuava a pensare alla stupida scenata che aveva fatto perché non voleva che Luke andasse a casa sua per studiare. Aveva insistito così tanto da rasentare l'offesa. Le dispiaceva essersi comportata così, ma... sua madre si trovava sempre molto a disagio quando c'erano estranei intorno a lei e Chrissy voleva solo proteggerla. E, sotto sotto, temeva di essere giudicata per via della sua situazione familiare. Si guardò riflessa nel finestrino e si pentì immediatamente di averlo fatto. Aveva un aspetto orribile. Rimpianse di aver indossato quella camicia troppo grande per lei. La faceva sembrare ancora più piccola di quello che era, nascondendo quel corpo minuto che era stato spesso motivo di tristezza e repulsione nei confronti di quella ragazzina che vedeva ogni giorno allo specchio. Nascose il viso con la sciarpa e lasciò andare un sospiro. Quel che è fatto è fatto, si disse mentre la città scorreva sotto i suoi occhi profondi come gli abissi dell'oceano. Guardò una ragazza copertina messa in mostra sotto gli occhi di tutti grazie ad un manifesto e ne invidiò le ipnotiche forme morbide esaltate dalla posa che sembrava così naturale. Sentì la fenditura nel suo animo squarciarsi e dilaniarla nel profondo. In meno di un secondo le si riempirono gli occhi di lacrime e ringraziò l'impatto termico tra il bus e l'esterno per averle dato una buona scusa per strizzare le palpebre. Doveva darsi un contegno prima di raggiungere Luke per studiare. Prese un profondo respiro e ignorò il bruciore che l'aria fredda intorno a lei provocò quando attraverò il setto nasale. Camminò a passo svelto verso il complesso abitativo che le aveva indicato Luke, domandandosi cosa ci facesse lui in mezzo a tutti quegli studenti universitari. Una volta le aveva accennato dell'assenza totale dei suoi genitori e dell'intermittenza con la quale compariva il suo tutore legale, ma non avrebbe mai immaginato che fosse finito in mezzo a tutto quel trambusto. Si sentì ancora più in colpa per non aver accettato di studiare da lei. Camminando per i corridoi dello stabile si sentì in soggezione, in un posto simile avrebbe dovuto finirci due anni dopo, sempre che decidesse di abbandonare la casa in cui era cresciuta. Prima che potesse rendersene conto si trovò all'ottavo piano, davanti alla porta di Luke e con l'ansia bloccata in gola. Suonò al campanello e attese, ammazzando il tempo con il conteggio delle crepe nella vernice che copriva il muro.

«Fatina!» Luke le sorrise in tutto il suo splendore e per un secondo stentò a riconoscerlo. Aveva gli occhiali poggiati sul naso e i capelli spettinati, una tuta grigia fasciava le sue gambe lunghe e atletiche e la sua solita maglietta nera metteva in risalto le spalle larghe.

«Giraffa» Abbozzò un sorriso, cercò di non fissarlo troppo. Quella mise casalinga l'aveva destabilizzata e si rese conto solo in quel momento che stava per vedere un altro lato di Luke. Stava per entrare nella sua sfera personale.

«Oddio, che maleducato. Accomodati»

«È più ordinato di camera mia»

«Non ti facevo un tipo disordinato. Sembri una precisina»

«Tu così sembri quasi una persona seria. Come la mettiamo?»

«La mettiamo che non credi ai tuoi occhi perché questa versione nerd sexy non te l'aspettavi»

«Dove sarebbe il nerd sexy? Lo nascondi nell'armadio come si fa con gli amanti?» Sollevò un sopracciglio castano guardandosi intorno.

«Antipatica»

«Egocentrico»

«Saputella»

«Noioso»

«Splendore» Chrissy strabuzzò gli occhi e per poco non si strozzò con la propria saliva.

«Mi hai chiamato...?»

«No, ti ho corretta» Le fece la linguaccia, accompagnandola con un occhiolino e Chrissy spalancò la bocca. Luke scoppiò a ridere.

«Mentre recupero i miei appunti, cerca di non mangiarti tutte le mie mosche» Le richiuse la bocca poggiando le dita affusolate sotto il suo mento. 

Rimasta sola Chrissy inspirò profondamente a occhi chiusi. Il piccolo bilocale sapeva di cannella. Era un profumo caldo e complesso, era avvolgente. Le ricordò i dolci che la nonna preparava ogni anno nel periodo di natale. Inalando con più attenzione riuscì a captare una nota vanigliata. Pensò che ci stesse bene. Pensò che sapesse di Luke, pungente e dolce come lui. Le sue considerazioni furono interrotte dal ritorno del padrone di casa, che si stiracchiò dopo aver appoggiato distrattamente un libro e un astuccio sul tavolo a quattro posti.

«Come va la caviglia, Fatina?»

«Bene, lunedì torno a romperti le scatole» Gli diede un pugno leggero sulla spalla, per quanto il suo braccio potesse arrivarci.

«Hey» Il ragazzo mise su un broncio teneressimo.

«Mettiamoci all'opera, Giraffa» Si tolse la giacca e cercò di non guardare lo specchio sopra il mobile accanto alla porta.

«Ok, ok, mamma»

«Mi porti ad Alcatraz?» Luke le rivolse uno sguardo dubbioso.

«Perché vuoi che ti porti in un ex carcere federale di massima sicurezza?»

«Stai scherzando? È una sensazione incredibile vedere di persona, con i propri occhi, dove vivevano i criminali peggiori dell'epoca»  

«Ti renderebbe felice?» Chrissy annuì con un piccolo sorriso sulle labbra.

«Sai una cosa? Ti ci porterei se fossimo vicini a San Francisco» La ragazza sgranò gli occhi sorpresa. Non credeva che lui facesse sul serio, ma non si poteva mai sapere. Aveva un'inimitabile capacità di sembrare serissimo anche quando stava dicendo una stupidaggine o stava per combinarti uno scherzo dei suoi.

«Davvero?»                                            

«Solo se saprai essere convincente con la tua lezione di storia, signorina Costanza» Le fece l'occhiolino. Di nuovo. Chrissy cominciò a pensare che avesse un tic.

«Mi hai illuso» Aprì il proprio quaderno e lo scrutò con attenzione, per poi guardare Luke con un'aria furba e un po' inquietante. «Spero tu abbia un po' di soldi da parte, Anderson»

«Credi così tanto nelle tue capacità, prof?»

«Puoi giurarci» Luke scoppiò a ridere per l'espressione di Chrissy, che sembrava una finta reginetta del concorso miss universo, per poi concentrarsi su ciò che la Fatina aveva da dire. C'era qualcosa di ipnotico nel tono della sua voce, nelle sue movenze. Il suo viso era espressivo come in poche altre persone aveva visto essere. Guardava un po' il foglio, un po' di lato, un po' lui. E ogni volta che i suoi occhi cobalto incontravano quelli della ragazza, lui poteva notare quanto luminoso fosse lo sguardo di lei. Gesticolava con le mani e a ogni minuscolo movimento le onde castane dei suoi capelli si muovevano, infrangendosi ora sulle spalle, ora sulla sua guancia puntinata di lentiggini come fossero stelle, ora venivano spostate dietro la schiena da quelle stesse mani che avevano sfiorato la carta e giocherellato con una penna poco prima. Luke rimase affascinato dal modo in cui Chrissy inclinò il viso verso il foglio per nascondere un po' il sorriso che le spuntò sulle labbra mentre andava avanti con la sua spiegazione e i suoi capelli lo incorniciarono solo su un lato, come a volergli lasciare una piccola finestra su quella meraviglia del mondo. Per un attimo gli mancò il respiro, mentre i suoi occhi registravano con avidità ogni minimo dettaglio di Chrissy. Non riusciva più a sentire una parola di quello che lei stava dicendo, troppo concentrato su quella confusione brutale che sentiva dentro.

«Luke, ci sei? Se vuoi facciamo una pausa» Luke sbatté le palpebre velocemente e rimise a fuoco la situazione. Era fregato. Anzi, per usare un termine tecnico*, era completamente fottuto.  

«Sì, grazie. Mi sento un po' fuso» Ammise sporgendo il labbro inferiore. 

«Solo un po'? Sembri la colata di metallo di un'impresa siderurgica»

«Sono così figo da farti sentire bollente?»

«No, sei solo fuso come il metallo» Chrissy si stiracchiò come una bambina e strizzò gli occhi. Luke decise che era il momento di tirare fuori le focacce e distrarre entrambi. 

«Hai fame, Fatina?»

«Uh, sì. Sei un alunno impegnativo» Lo guardò con un occhio chiuso e scoppiò a ridere quando lui incrociò le braccia al petto offeso.

«Sto scherzando, Giraffa. Sei un alunno adorabile. E ti adorerei ancora di più se mi nutrissi»

«Come la vuoi farcita la focaccia?»

«Focaccia? Penso di amarti» Per poco non sputò l'acqua che stava bevendo, ma gli andò di traverso e si ritrovò a tossire con una mano che gli batteva sul petto.

«Wow, mi vuoi proprio male» Chrissy ridacchiò. «Dovrei incipriarmi il naso»

«La porta a sinistra dell'armadio a muro» 

Circa dieci minuti dopo Chrissy non era ancora tornata e Luke cominciò a preoccuparsi. Che fosse rimasta chiusa dentro? Non gli pareva possibile, la porta e la maniglia funzionavano benissimo. Si affacciò sul corridoio e vide la porta del bagno aperta, la luce che ne proveniva proiettava l'ombra immobile di Chrissy sul muro. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3721415