Adrien

di Moglyo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 L'incontro ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 Home ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 Home parte 2 ***
Capitolo 4: *** Cap.4 Home parte 3 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 Nuova vita ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 L'incontro con Nat ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 Incontri e separazioni ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 L'incontro ***


"Nonna mi racconti la storia del castello?"

"Se intendi quella del gatto, sta sera è meglio di no."

"Dai, ti prego non me la racconti mai!"

"E va bene, ti racconterò quella storia. La storia d'amore tra una ragazza e un gatto."

"Ma nonna come facevano ad amarsi ?"

"Lui non era proprio un gatto, ma neanche del tutto umano. Lui era speciale."

"E aveva un nome ?"

"Si, si chiamava Adrien..."


La nostra storia inizia tanto tempo fa, in un quartiere normale di quelli che vedi sui cartelloni pubblicitari con le case tutte uguali, i prati verdi, le famiglie sorridente e accoglienti. Tutto perfetto, o quasi. Si sa che la gente mormora sempre, e in quei cari quartieri le novità correvano in fretta. 

Qui un giorno una ragazza dai capelli neri e occhi azzurri si svegliò al suono della sveglia, strofinandosi gli occhi e stiracchiandosi il corpo si alzò dal materasso ad acqua. Quel giorno doveva accompagnare sua madre, un'arredatrice di case che aveva arredato ogni singola abitazione del quartiere. L'unica che le mancava era il vecchio maniero che si stagliava sopra la collina, l'unica macchia nera in quel bel quadretto di case nuove. Lugubre, abbandonato, vecchio, decadente, insomma un postaccio che tutti evitavano come la peste; soprattutto dopo l'incidente che si era verificato in quelle mura.

Anni prima ci viveva una coppia: i signori Agreste.

La moglie era una donna bellissima, dai lunghi capelli biondi e gli occhi verdi, il marito invece, alto e magro, non lo si vedeva mai uscire, ma era noto che fosse un grande stilista, quindi tutti pensavano fosse solo un genio incompreso. La coppia aveva avuto anche un figlio, o almeno così si diceva in giro.

Nessuno l'aveva mai visto. 

Un giorno funesto la notizia della morte della signora Agreste sconvolse l'intera cittadina. Nessuno sapeva bene cosa fosse successo, ma la gente mormorava senza interessati della verità. C'era chi diceva che fosse stato il marito, chi un assassino, chi un rapimento finito male, chi un suicidio. La verità non saltò mai fuori, e mister Agreste si rinchiuse ancora più in se stesso, lasciando il maniero alla mercé del tempo.

La mora non aveva molta voglia di andare a vedere le case delle "amiche" di sua madre, donne di mezz'età che non avevano niente da fare se non spettegolare l'una dall'altra. Avrebbe preferito di gran lunga andare con il suo ragazzo Kim, un figlio di papà le cui uniche passioni sono il sesso e l'alcool. 

"Mamma devo per forza venire? Sono appena tornata dal campeggio, per forza mi tocca vedere quelle arpie?" chiese la mora, mentre caricava i campionari di sua madre in macchina.

"Si, Mari si, tutte ti vogliono vedere. Marge, Peggy, Olivia...." La madre della ragazza, le rispose un po' brusca dopo l'ennesima volta che le veniva fatta la stessa domanda; per poi iniziare ad elencare i nomi di tutte le sue amiche.

Mari sali in macchina sbuffando, sarebbe stata una lunga mattinata. 

Erano circa le dieci e mezza, tutti gli impegni erano finiti, la mora non vedeva l'ora di andare a casa di Kim quando sua madre inserì la prima ed entrò nel primo cancello del maniero, talmente arrugginito da essere caduto da solo anni prima. 
La ragazza si stupì della cosa e provo più volte a chiedere alla madre spiegazioni invano, una luce brillava in quei grandi occhi grigio azzurri. 

Mari si allaccio bene la cintura sbuffando, ancora contrattempi e Kim l'avrebbe visto solo in sogno.

Dieci minuti dopo arrivarono al cancello principale, anche questo arrugginito e ricoperto di edera. Appena scese dell'auto un profumo di fiori inebrio le due donne, davanti a loro c'era un giardino pieno di rose.


Ogni rosa era divisa per colore, fragranza e specie, la mora si avvicinò a quelle rosse attirata da una fragranza dolce, intensa e leggermente speziata. La madre intanto bussò un paio di volte, ma, come si aspettava, nessuno le rispose. Quasi decisa ad andarsene sentì un rumore provenire dall'interno, così provò a spingere quel grosso portone che si aprì con inaspettata facilità.

Appena misero il naso all'interno si resero conto che nessuno abitava li d'anni.

Manichini, abiti finiti e non, bozze, tessuti, tutto era ricoperto dalla polvere, di uno spessore tale che a ogni passo se ne alzava.

"Eppure chi teneva così curato il giardino?"
Si domandarono entrambe. 

Avanzando un po', Mari vide un gigantesco quadro raffigurante i due proprietari e il loro figlioletto in fasce, forse l'unica prova della loro unità. 

Nel mentre che ammiravano il quadro un altro rumore proveniente dal piano superiore ruppe il silenzio che regnava sovrano. Un sussulto le riportò alla realtà, iniziarono a guardarsi intorno poi incamminarsi sulle scale.

La casa era immensa. 

Le molte stanze chiuse a chiave o inagibili, portarono l'esplorazione della ragazza fino in soffitta, mentre la madre si fermo un piano più sotto.

Il suo sguardo passò dal tetto crollato al pavimento marcio a causa delle intemperie, finché un soffio attirò la sua attenzione su una trave in fondo alla stanza. 

Un essere era rannicchiato sulla trave.

Nascosto nell'oscurità, solo i suoi occhi brillavano nel buio della stanza, verdi e felini; emetteva dei soffi dalla bocca-semi aperta che mostrava quattro canini affilati. 

La ragazza indietreggio di qualche passo. Sentiva il legno marcio scricchiolare sotto i suoi piedi. 

La belva si avvicinava a ogni suo movimento, passo dopo passo, la luce del giorno colpi la creatura che si fermò, forse accecata. Mari non trattene l'urlo di spavento e angoscia che si era formato in gola, davanti a lei un animale o un ragazzo dalle sembianze animalesche la trafiggeva con lo sguardo. 
Due orecchie feline si distinguevano tra i capelli biondo cenere, il corpo umano legato in una tuta di cuoio e cinghie, né limitava i movimenti. Una coda si muoveva agitata, le gambe posteriori pronte a scattare, le mani guantate avevano già sfoderato gli artigli. Il viso delicato, contratto in una smorfia, gli occhi dal taglio felino erano pieni di paura, angoscia e solitudine. 

La madre di Mari corse subito dalla figlia, pietrificandosi alla vista del ragazzo. Prese la figlia per un braccio, facendola indietreggiare molto piano verso di sé; ogni suo movimento veniva seguito molto attentamente. 

"Chi siete? Che volete?" ringhio il biondo.

"Niente, eravamo solo passate a vedere se...se il signor Agreste era ancora vivo. È da tanto che non si abbiamo più notizie." Con voce calma, ma tremante la donna cerco di spiegarsi, stupita dalle improvvise domande.


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Capitolo 2
*** Cap. 2 Home ***




“Chi siete?!” Ringhio più forte il ragazzo, avanzando di qualche passo.

“Io mi chiamo Sabine e lei è mia figlia Marinette.” Rispose Sabine, indicando prima se stessa e poi la mora, che era indietreggiata un po'.

“Tu, invece come ti chiami?” la donna cerco di instaurare una conversazione con il ragazzo. Stava di fronte a loro, muovendosi a quattro zampe, pronto a scattare. 

Sabine noto il pallore del viso, gli occhi rossi e stanchi quasi vitrei. Il corpo leggermente tremante come se avesse freddo o paura, forse entrambe. 

“Adrien” sputo fuori, come se fosse schifato dal suo stesso nome.

Ora andatevene, non avete niente da fare qui. Squadrando le due Adrien, torno in quell’angolo  buio. Un letto improvvisato e qualche ritaglio di giornale si intravedevano dal fondo della stanza.

Mari s’avvio giù per le scale, molto scossa e inorridita da quell'essere, voleva solo tornare a casa per prepararsi all'uscita con Kim e dimenticare tutto. Sabine rimase ad osservare quella povera anima in pena, sola in quell'angolo buio. Non poteva essere accettato come persona ne essere definito umano. 

Sabine raggiunse la figlia, fece retromarcia ed uscì dal cancello della villa, lasciandosi alle spalle tutta quella solitudine e tristezza.

Arrivate a casa Mari corse a prepararsi, sarebbe rimasta fuori casa per due notti con i suoi amici e aveva poco tempo, sua madre intanto iniziò a preparare la cena.

Il padre della mora, il signor Tom, arrivo a casa con Nat il figlio della sorella di Sabine, il ragazzino saluto la zia e andò a sedersi pronto per la cena.

“Marinette?” chiese l'uomo appena tornato.

“È uscita per una piccola gita con Kim, Alya, Nino…” rispose la moglie servendo arrosto di vitello.

Stranamente silenziosa, aveva ancora in mente quel ragazzo, sentiva dentro di sé che non era giusto lasciarlo là. 

La serata passo tranquilla, verso le undici le luci della via, iniziarono a spegnersi lasciando solo ai lampioni il compito dare un po' di viva presenza. Adrien dall’alto della sua torre le vedeva spegnersi, finestra dopo finestra, casa dopo casa. 
Il maniero non aveva elettricità, né acqua o vita da anni, solo Adrien immerso nei suoi incubi; ogni notte riviveva un ricordo seguito sempre da una parola, un emozione, che lui conosceva bene: dolore, rabbia, solitudine, tristezza, angoscia.

L'incontro di quella mattina l'aveva spiazzato, ogni tanto qualche ladruncolo aveva provato ad entrare e rubare qualcosa, venendo puntualmente spaventato a dal suo aspetto, a volte armato e bardato, ma mai una bellezza simile a quella ragazza. Occhi azzurri cielo, così cristallini da perdersi, capelli neri come la notte ma anche luminosi come le stelle, un viso delicato, una pelle candida, le labbra così rosse, le guance lievemente rosee, solo un angelo poteva essere. 

Cercando ristoro nel sonno, il biondo si distese sul letto sgangherato, voleva solo fermare quel turbine di pensieri che gli martellava la testa; il pallore era peggiorato, così come la sensazione di freddo che provava, non ne capiva la causa ne sapeva come uscirne, si sentiva stanco, infreddolito, pesante, debole, faticava a respirare e un dolore al petto lo linciava a ogni respiro. 

Adrien sapeva o almeno ci sperava, che dormire lo avrebbe aiutato, chiudere gli occhi e rivivere la morte della signora Agreste o l'abbandono del signor Gabriel, lo stava distruggendo. Chiuse gli occhi verdi, rannicchiandosi su sé stesso per trovare un po' di calore, i tremori scuotevano vistosamente quel corpicino, pian piano si addormento.

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Capitolo 3
*** Cap. 3 Home parte 2 ***




Sabine e Tom si coricarono sul letto, stanchi entrambi della giornata appena passata; l'uomo si addormento subito come un sasso, dopo aver dato il bacio della buonanotte a sua moglie, fra poche sarebbe suonata l’adorata sveglia. Sabine provo più volte ad addormentarsi, girandosi e provando varie posizioni, ma ogni volta che chiudeva gli occhi le compariva il volto di quel ragazzo solo, impaurito e malato. Sapeva bene cosa significasse perdere entrambi i genitori, li aveva persi quando era piccola, ma rimanere soli al mondo era una sensazione che nessuno doveva provare, mai. 

Ogni volta che le veniva in mente quel ragazzo, Adrien, la bocca dello stomaco si chiudeva, un nodo in gola le si formava e delle lacrime calde gli pungevano gli occhi, pronte a scendere per rigarle le guance. Non poteva lasciarlo lì, non voleva.

Verso le quattro di mattina un fastidioso bip-bip, risuono nella stanza destando i coniugi; Tom con qualche grugnito incomprensibile si alzò, facendo sobbalzare il materasso e con esso Sabine. Si cambio velocemente, diede un bacio a sua moglie e andò alla pasticceria, pronto a sfornare dolci, torte e croissant di ogni tipo. La donna ricambio il bacio, svegliandosi da quel leggero sonno in cui era caduta, nella sua mente si era fissata un'idea, determinata a realizzarla si cambiò velocemente, prese la Plymounth Fury e si diresse verso il maniero, con l'intenzione di portare Adrien con sé.

La strada deserta e il sole appena sorto, davano a Sabine una scarica di adrenalina, si sentiva un ladro furtivo. L’aria fredda della mattina pungeva il corpo minuto della mora, il silenzio rotto solo dal rumore del motore della Plymounth e delle foglie secche schiacciate, sotto il peso dell'auto appena entrata dal primo cancello, fecero deglutire Sabine, facendola dubitare un attimo della sua decisione. 

Da sola aveva deciso di portarlo via, da sola si era recata lì. 

Quei pensieri le gelarono il sangue, facendo insorgere in lei altri dubbi. Se venisse attaccata, se non volesse venire con lei, se la u…ucci…uccidesse. L'ultimo fu il peggiore, seguito subito da un immagine di sé stessa morta, freno bruscamente su un tornante rischiando di perdere il controllo dell'auto e precipitare giù dalla piccola scarpata.  

“Calma Sabine, calma. Lui non ti farà del male, è solo impaurito come un gattino, calma e sorridi” iniziò a ripetersi, prendendo dei lunghi respiri profondi, riprese il comando dell’auto e arrivo al roseto. 

Ormai erano le cinque di mattina, il sole inizia ad rischiarire il quartiere e l’aria si faceva più calda. Sabine aprì il grande portone del maniero, con passo deciso e lunghi respiri iniziò a salire le scale sconnesse, pronta a tutto. 

Adrien sentii il rumore dell'auto che si fermava e spegneva il motore nel giardino, provo ad alzarsi senza successo, ancora più debole della sera precedente. Il cuore gli batteva forte in gola, non sapeva chi o cosa portasse lo qualcuno lì, la paura lo paralizzava. I passi della figura misteriosa aumentavano d intensità, le scale scricchiolavano a ogni movimento, il suo cuore batteva talmente forte, la paura di essere inerme lo stava uccidendo. Iniziò ad ansimare  vistosamente, con una mano stretta al petto, Adrien provò ad alzarsi con l’altra mano poggiata sul letto si diede una spinta. Un dolore lancinante lo fece barcollare, rischiando di farlo cadere di nuovo su quel giaciglio oscuro. Mantenendo un equilibrio precario avanzò di qualche passò insicuro, fradicio di sudore, la vista annebbiata e il cuore in gola. 

Sabine, salì le scale barcollanti, ogni suo passo era seguito da scricchiolii inquietanti che le facevano accapponare la pelle. Arrivata in cima, con la mano tremante sulla maniglia, si blocco di nuovo, altri dubbi gli balenarono in mente, poi ricordò il motivo per cui era venuta lì, quella solitudine, quella tristezza e paura nascosti dietro alla maschera di rabbia e ringhi. Ispirando ed espirando profondamente, strinse la presa sulla maniglia ed aprì la porta. 
Adrien in piedi per miracolo, sfodero gli artigli guantati, pronto per spaventare l’intruso; la coda agitata, le orecchie basse e i canini in mostra, poteva percepire la presenza dietro la porta, ferma immobile forse armata. Quei pochi secondi di attesa, sembravano ore i suoi nervi già prepari iniziavano a cedere. La vista completamente annebbiata dallo sforzo e dalla febbre, i continui spasmi per il freddo e le gocce di sudore che cadevano sul pavimento marcio, nella sua testa rimbombavano le parole del signor Agreste “Prenditi cura del roseto, la fuori non c'è posto per te.”

Lentamente la porta si aprì e il ragazzo iniziò a ringhiare contro l'intruso, digrignando più forte i denti aguzzi, cercando di sembrare feroce. La donna rimase per qualche secondo accecata dal sole che filtrava dal tetto rotto, appena i suoi occhi si abituarono alla luce noto Adrien a pochi passi dal letto improvvisato, bianco cadaverico, gli occhi vitrei e rossi, il respiro corto e il tremore.

Avanzando di qualche passo, un po' indeciso, Sabine si blocco, vedendo il ragazzo innervosirsi, iniziò a cercare le parole giuste.

“Che vuoi ancora? Perché sei tornata.”
Il silenzio fu rotto da Adrien, stanco. 

Prendendo un respiro profondo Sabine iniziò a parlare: 
“Sono tornata qui perché ero preoccupata, non voglio farti del male, credimi.” Avvinandosi si qualche altra asse.

Il biondo, barcollo all'indietro di qualche passo, rischiando di cadere, agitando la mano artigliata contro la mora.

“Tranquillo, va tutto bene, va tutto bene non avere paura, Adrien” con tono calmo e pacato cercava di tranquillizzare il ragazzo.

“Vattene, non…non voglio l'aiuto di nessuno. Io…io” ringhiando contro a Sabine, Adrien si sentii mancare, le ginocchia cedettero sotto il suo esile corpo. 

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Capitolo 4
*** Cap.4 Home parte 3 ***


La signora Dupain corse subito dal ragazzo a terra, inginocchiandosi vicino, appoggio una mano sulla fronte di Adrien, scottava talmente tanto da muoverci un uovo. 
Sabine si sfilo un fazzoletto, che teneva sempre in tasca, asciugando il sudore dalla fronte del biondo. 

Adrien si svegliò di scatto, ansimando e grondante di sudore, sentiva un dolore acuto alla testa. Guardandosi attorno noto Sabine seduta vicino a lui sorridente, la stanza in cui si trovava non era cambiata, ma ora si trovava su quel letto sgangherato che conosceva bene con vicino una sconosciuta. Tirando indietro le orecchie indietro e mostrando i denti osservava Sabine, si appoggio al muro umido e ammuffito dell'angolo.

"Vedo che ti senti meglio, hai la febbre alta devi riposare e prendere delle medicine, stare in un posto caldo..." la signora iniziò a parlare come se nulla fosse, tranquilla mentre Adrien la fulminava con lo sguardo.

"Non ho bisogno di nessuno, lasciami stare. -cof cof-" sentendo la gola bruciare, il biondo iniziò a tossire diventando paonazzo. 

Porgendogli un po' d'acqua, che venne accettata con riluttanza tra dei ringhi e brontoli.

"Si, si sei grande e forte, ma non riposi vero?" un bambino era meno capriccioso, penso la signora Dupain, mentre rispondeva a quei brontoli sommessi.

"Perché ci tieni tanti ad aiutarmi?" sempre con le orecchie indietro e i denti fuori, Adrien con voce sommessa e pacata disse l'unica cosa sensata per le orecchie di Sabine.

"Non c'è un motivo particolare, tu mi ricordi me stessa da piccola," la donna abbasso gli occhi, giocando con un lembo di maglia, mentre il ragazzo rizzò per la prima volta le orecchie in segno di attenzione. "anch'io ho perso due persone a me care da piccola, e...per un po' io e mio fratello dovevamo badare ai nostri fratellini più piccoli, anche quando i parenti ci accolsero io non mi fidavo, proprio come te, ma alla fine eccomi qua. Senza il loro aiuto e amore non sarei qui ad aiutare te. Non lo faccio per compassione o soldi." Con lo sguardo ancora fisso sul lembo stropicciato della maglia, Sabine tratteneva lacrime amare, decenni erano passati, ma la ferita era ancora aperta. 

Adrien era rimasto ad ascoltarla in silenzio, con le orecchie basse, mordendosi il labbro inferiore. Si sentiva stupido, aveva ringhiato contro all'unica persona che cercasse d'aiutarlo. Come biasimarlo però, la signora Agreste era morta e con lei anche il calore umano che tanto agognava, il signor Gabriel l'aveva lasciato solo, partito per un viaggio senza dirgli niente, chiunque entrava nel maniero lo attaccava senza ritegno.


"Mostro." Sussurrò, forse a sé stesso.

"Mi...mi dispiace. Non volevo spaventarla né ieri né oggi, ma chi entra qua di solito mi attacca. Grazie di essere rimasta". Con le orecchie basse, gli occhi lucidi dovuti forse alla febbre e la voce rocca, Adrien stringendo i pugni sentiva il dovere di scusarsi con Sabine, prima che se ne andasse lasciandolo di nuovo solo.

La signora Dupain allungo il braccio, fino a raggiungere il viso bollente del biondo, accarezzandogli la guancia gli sorrideva, un sorriso rassicurante e sereno. 

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Capitolo 5
*** Cap. 5 Nuova vita ***


Una lacrima calda scese senza controllo, dal viso di Adrien che l'asciugo subito.

"Andiamo?" chiese la signora, leggermente assonnata dopo tutte quelle avventure mattiniere.

Il ragazzo annuì con la testa, cercando di alzarsi da solo da letto, con scarsi risultati. Dopo qualche prova rinunciò ad alzarsi senza aiuto, il tocco delicato di Sabine sulle sue spalle, una volta in piedi, lo fece sobbalzare. Quel tocco estraneo, non gli dispiaceva, ma il disagio era forte come l'involontario irrigidimento. La donna lascio la presa scusandosi e allontanandosi di qualche passo, mentre Adrien la seguiva sui suoi passi instabili, dovendo più volte aggrapparsi alla maglia di Sabine per non cadere sugli scalini marci.

Arrivati all'auto, il ragazzo iniziò a ringhiere contro l'ammasso di ferraglia.

"Cos'è questa puzza?" riferendosi dell'automobile.

"Benzina e olio della macchina, a molte persone piace, sai?"

Adrien storse il naso, ringhiando sommesso, come un brontolio giro attorno alla Fury rossa.

Sabine aprì l'auto, aprì la portella e invito il biondo a salire, trattenendosi dal ridere per il suo comportamento.

Pian piano si avvicinò, barcollante la febbre stava tornando come l'alta marea, dentro l'odore era molto migliore. Seduto sul sedile dietro per stare meglio disteso, appena l'auto venne accesa Adrien scatto scontrandosi contro il tettuccio dell'auto. La Fury era una vecchia macchina, il motore borbottava forte e duro, mentre dal tubo di scarico usciva del fumo nero. Dopo qualche sgasata, la signora Dupain iniziò a guidare verso l'uscita del cancello per imboccare la stradina sconnessa, intanto Adrien tenendosi la parte lesa della testa guardava dal parabrezza posteriore il maniero, sempre più lontano.

Ributtandosi sul sedile posteriore, con una mano posata sulla fronte, con gli occhi lucidi per l'influenza si chiedeva se era la cosa giusta da fare. Lasciarsi tutto alle spalle era la soluzione del problema?

Il ragazzo continuò a pensarci finché la Fury non smise di sobbalzare e le ruote nere toccarono, per la gioia di tutti, l'asfalto liscio e nuovo. Cessati i sobbalzi e l'aura cupa data dal maniero, Adrien alzandosi leggermente sui gomiti osservava le case tutte uguali, con i giardini verdi e curati sospirò. 
Non c'era anima viva, le case spente, la strada vuota e il silenzio rotto solo dal rombo della macchina. Pochi minuti dopo arrivarono davanti a una casa bianca, il giardino guarnito di siepi e aiuole, la Fury svolto dentro il vialetto, rallentando fino ad arrestarsi completamente.

La signora Dupain scese dall'auto e aprì la portella per far uscire Adrien ancora disteso sul sedile.

"Tutto bene? Soffri anche di mal d'auto?" chiese Sabine mentre allungava una mano verso il ragazzo, che venne afferrata con leggera forza.

Scuotendo la testa in segno di negazione, Adrien barcollando di qualche passo si era allontanato dalla macchina, continuando a emettere ringhi sommessi contro la massa di ferro.

Il sole iniziava a farsi alto e caldo sulla cittadina, Sabine si affretto a trovate il mazzo di chiavi per aprire la porta, la tensione stava sciamando mentre un tremore alle mani le impediva di imbucare la serratura. Il biondo non voltando mai le spalle alla Fury, sicuro che la macchina lo attaccasse alle spalle, si avvicinò alla signora Dupain, posando la sua mano artigliata e bollente su quelle tremanti di lei, guardandola con i suoi grandi e verdi occhi felini, preoccupati per il tremore. 

Sospirando intensamente, Sabine aprì la porta di casa, controllando che nessuno li osservasse fece entrare in casa il ragazzo, chiudendo velocemente dietro di sé la porta. 

Adrien osservava intensamente quella casa, così diversa dal maniero; pulita, ordinata, profumata, calda, accogliente..., non trovava nemmeno le parole per descriverla. Sentiva distintamente quattro odori, due sconosciuti e due ben noti, quello della signora Sabine che lo confortava e quello di Mari che gli faceva battere il cuore.

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Capitolo 6
*** Cap. 6 L'incontro con Nat ***


Lo stretto corridoio leggermente buio dove era entrato, lasciava spazio a una grande sala arredata con gusto. Un divano bianco, una vetrinetta e una libreria nera, qualche quadro sulle pareti, la mocquet grigio cenere.

Tutto era candido, perfetto, immobile.

Adrien si fermò a osservare alcune foto posate sulla libreria, raffiguravano Mari in diverse fasce d'età e occasioni; tutte la ritraevano sorridente, spensierata, felice. Una fitta salì al petto del biondo, un sentimento sconosciuto si stava insidiando in lui.

"Quella foto è la sua preferita." Intervenne Sabine da dietro, con in mano asciugamani e vestiti puliti.

La foto che aveva in mano, rappresentava Marinette vestita elegante stretta in un abbraccio da un ragazzo alto, dai capelli bruni e il fisico possente.

"Chi è il ragazzo?" chiese con voce rocca il biondo.

"È Kim, qualche anno fa alla festa dei diciotto di Mari, se non sbaglio. Come stava bene con quel vestito." Con voce calma e un pizzico nostalgia, Sabine riportava alla mente quei giorni, mentre Adrien l'ascoltava, trattenendosi dal ringhiare pensando a quel Kim.

"Ti sto preparando il bagno, ti sentirai meglio dopo un bel bagno caldo, vieni." Indicando la strada per il bagno e avviandosi verso la porta.

Il ragazzo posò la foto al suo posto, e segui la padrona di casa verso il bagno.

Entrato nella stanza, leggermente umida per il vapore dell'acqua calda, Adrien si guardò attorno incuriosito.
Una specchiera in legno nero, una vasca/doccia moderna, un lavabo e la lavatrice, ma niente wc. 

Sabine intanto, chiuse l'acqua avendo raggiunto il livello adatto, prese in mano delle forbici causando disagio al ragazzo che appiatti le orecchie e mostro i denti felini.

Per quanto Adrien si fidasse della signora Dupain, appena vide quell'oggetto nelle sue mani si innervosì. Conosceva fin troppo bene la paura che provava in quel momento, per quanto una persona sembrasse innocua con in mano qualsiasi oggetto poteva essere letale.

"Scusa, non volevo innervosirti, pensavo di tagliare le cinghie che ti legano la "tuta" vuoi che ci provi senza prima?" Sabine cercava di mantenere un tono calmo, per quanto la situazione si era fatta pericolosa.

Il ragazzo annuì voltandosi per facilitare lo scioglimento delle cinghie. La "tuta" ricordava una camicia di forza, tanto era stretta a quel gracile corpo, mentre le fibbie arrugginite rendevano difficile ogni tentativo di Sabine. La mora doveva stringere la cinghia di almeno due buchi per muoverla e slegarla dal resto, provocando ad Adrien delle fitte di dolore soprattutto alle costole, affannando sempre di più il ragazzo.

Dopo circa dieci minuti, il biondo venne liberato da quella che ormai si poteva definire una seconda pelle, lasciando intravedere le varie cicatrici sul suo corpo minuto e muscoloso.

Sabine trattenere un singhiozzo a vedere tutti quei segni, il più erano graffi causati dai lunghi artigli, ma altri erano segni di lotta e per giunta freschi di qualche settimana.

"Gra-grazie, non mi sarei mai immaginato che un giorno avrei tolto quella cosa" fissando il pezzo di pelle nera a terra, in segno di sfida.

"Adesso buttati in acqua, rilassati e ti sentirai meglio." Poggiando una mano sulla fronte del ragazzo, la signora voleva verificare la febbre.

Adrien si morse un labbro cercando di trattenere le lacrime, mai avrebbe pensato di ritrovare quel calore; aspetto che la signora Dupain uscisse per togliersi la parte sotto della "tuta" ed entro in quella vasca d'acqua calda, contorcendosi in una smorfia di dolore quando l'acqua tocco la ferita ancora aperta di qualche settimana prima, causa forse del suo malessere.

Gli era stata procurata da un balordo in cerca di droga o qualche soldo, non ricordava bene. Il tipo era entrato in piena notte destando Adrien, si era messo a rovistare in giro, finché stufo iniziò a imprecare per l'insuccesso quando vide una figura muoversi nell'ombra, sentendosi minacciato prese un paio di forbici da sarto, trovate nella ricerca, e si scagliò contro Adrien bucandogli la gamba, per poi barcollare un po' e cadere a terra sanguinante. Era talmente fatto da non essersi accorto di essersi tagliato con gli artigli guantati del biondo, svenendo alla vista del sangue, fu ritrovato dalla polizia qualche ora dopo, sotto shock.

La ferita era brutta, un crostone rosso e nero copriva un taglio profondo. La parte lesa era gonfia, bluastra e quasi sicuramente infetta.

Adrien si affloscio nell'acqua calda, rilassando i nervi tesi; l'acqua gli arrivava al naso, tiepida e profumata. 
Dopo una bella mezz'ora, Sabine busso per sapere se stava bene, ricevendo una risposta affermativa, la donna tornò in salotto iniziando a comporre un numero telefonico.

Dopo alcuni minuti dall'altro capo del telefono una voce stanca rispose.

"Pronto, chi parla?" Chiese una voce anziana.

"Salve, signor Fujiwama. Come sta? Sono Sabine, Sabine Cheng volevo chiederle se poteva passare da me oggi pomeriggio?" Chiese la signora Dupain, leggermente ansiosa della risposta.

"...oh Sabine cara, come stai? Io molto bene grazie, certamente posso passare verso le 15 chi è stato male? Tom, Marinette oppure Nathalien?" Chiese con un po' di preoccupazione il signor Fujiwara.

"Nessuno dei tre" si affretto a dire, "un...un amico di famiglia, appena ragazzo, ha la febbre alta è svenuto più volte e..." Sabine non sapeva come spiegarsi meglio, non voleva rivelare cose prima del tempo.

"Mm...capisco. E da quando che sta così ?" Il signor Fujiwara si accarezzo la barba pensieroso, aspettando una risposta dall'altro capo.

Dopo un tempo che sembro interminabile Sabine rispose. " Non lo so..." la voce era rotta dal nodo in gola, il solo pensiero di non sapere niente di Adrien la uccideva.

"Sabine, tesoro ho capito la situazione. Arriverò il prima possibile tu fallo riposare." Il tono rassicurante di Fujiwara fece tirare un sospiro di sollievo alla donna. 
Poi chiusero la chiamata.

Adrien si trovava immerso nell'acqua da quanto? Forse mezz'oretta o più. Si sentiva bene, rilassato e finalmente pulito. Decidendo che era ora di uscire da quel bel tepore, si alzò scrollandosi l'acqua di dosso prese un asciugamano e se lo legò in vita. Non era abbastanza lungo da coprirgli la ferita, ma abbastanza da coprire le sue parti più basse e intime.

Usci dalla vasca e con un altro asciugamano iniziò ad asciugarsi con calma. Nat si svegliò con un urgente bisogno del bagno. Ancora nel mondo dei sogni, con gli occhi socchiusi e il passo lento, il ragazzino aprì la porta sbagliata.

La casa di sua zia aveva due porte del bagno, una con il solo water, uno specie di sgabuzzino, e l'altra con il resto dei mobili e dei sanitari.

Nat era abituato a sgusciare fuori dal letto ancora con gli occhi chiusi, aprire la porta dello sgabuzzino e utilizzare il water. Quel giorno però era più assonnato del solito, aprì la porta del bagno, la luce era accessa e una tepore lo desto un po' dalle braccia di Morfeo.

Nat si guardò attorno, notando un ragazzo mezzo nudo che si stava asciugando.

Sgranando gli occhi alla vista di coda, orecchie e artigli. Un urlo si propago per casa, facendo sussultare Sabine che corse verso il bagno.

Adrien appena vide la porta aprirsi si fermò, annusando l'aria non riconosceva l'odore della persona che si stava avvicinando.

Il biondo rizzo le orecchie ancora gocciolanti, sulla porta c'era un ragazzino di circa 13/14 anni dai capelli rossi e gli occhi socchiusi.
Non voleva mostrarsi minaccioso la era comunque in allerta di movimenti improvvisi, non sapeva come comportarsi ne come l'avesse presa il ragazzino davanti a lui.

Sabine arrivò pochi secondi dopo l'urlo di Nat, si era immaginata diversi  scenari tutti poco rassicuranti. 
Appena fu sulla porta, la mora trovo suo nipote, il suo caro nipotino, immobile con la bocca aperta e gli occhi sgranati; Adrien invece era immobile le orecchie tese e i canini in mostra, ma per fortuna gli artigli non erano stati foderati.

" Adrien tranquillo..." con voce calma e dolce, lasciando andare un sospiro di sollievo, Sabine ricevette un la completa attenzione dei due ragazzi.

"Questo è Nathalien" posando una mano sul ragazzo dai capelli rossi. "È mio nipote e non vuole farti male."

Il biondo rilascio un sospiro di sollievo, era stato affrettato a considerarlo subito un pericolo.

"Zi...zia lui non...non...non è umano" la voce tremante di Nat, al limite dello stridulo colpi nel profondo il ragazzo, che sentendo quelle parole si rattristo abbassando le orecchie e la coda, le lacrime già pungevano pronte a scendere.

"Nat, come ti permetti, è un ragazzo come te e me, e..." prendendo un respiro profondo "rimarrà in questa casa finché lui vorrà rimanere. È noi lo tratteremo come uno di famiglia." Sabine fu dura, con il nipote ma era giusto chiarire le cose subito.

"Scusa...mi sono spaventato, non volevo dire quelle parole". Il rosso era triste, ma voleva rimediare al torto causato. Allungo la mano che fu stretta delicatamente da Adrien in segno di pace e amicizia.

Il biondo non riusciva a credere che qualcuno oltre a Sabine potesse essere così gentile con lui, un senso di felicità msmai provato lo pervase.

Sabine non si era accorta subito della ferita sulla gamba del biondo, sangue e pus uscivano copiosi, il polpaccio era gonfio e viola bluastro.

"Adrien... la tua gamba." La donna non riusciva a trovare le parole. Ne aveva visti di tagli, scorticazioni e bruciature, ma mai una simile ferita.

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Capitolo 7
*** Cap. 7 Incontri e separazioni ***


ATTENZIONE DA QUI IN POI LA STORIA SARÀ PIÙ VIOLENTA CON ANCHE PRESENZA DI SCENE ESPLICITE
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"Adrien... la tua gamba."

Sabine sbiancho vedendo la ferita aperta sul polpaccio sanguinante, sicuramente era doloroso camminare.
Il biondo guardò la sua gamba, non si era accorto che la crosta fosse venuta via nell'asciugarsi, non sapeva come rispondere a Sabine; voleva scusarsi per avergli sporcato gli asciugamani, voleva nascondere la ferita dire che era solo un graffio, ma non usci niente dalla sua bocca.

"Zia fallo rivestire, avrà sicuramente freddo "vestito" così, poi potrai controllare la ferita." Nathalien si prese coraggio, dimenticando l'urgenza impellente che aveva causato quella situazione, prese la mano di sua zia e la porto fuori, chiuse la porta e scappo nello sgabuzzino.

Dopo qualche minuto Adrien usci dal bagno vestito, si sentiva bene e comodo. Era da una vita che non indossava qualcosa di così morbido e caldo. Sabine gli aveva dato una tuta in paile un po' larga, ma calda e confortevole.

"Gra...grazie. Non dovevi disturbati tanto." Il ragazzo sulla soglia del salotto, con le guance e un colorito più normale, non si sentiva ancora a suo agio.
"Adri, vieni ti mostro un nuovo gioco" Nat lo trascino verso il televisore e accese il gioco, facendolo sedere di fianco a lui.
"...la gamba. Come ti sei fatto quella ferita?" Sabine prese il poco coraggio rimasto e glielo chiese.
Adrien abbassò lo sguardo, la paura si impadroniva di lui nei momenti peggiori.
Aprì la bocca per parlare ma la richiuse subito, mordendosi il labbro con i canini affilati facendolo sanguinare.
La donna si avvicinò a lui, inchinandosi alla sua altezza posando una mano sulla sua guancia accarezzandolo.
Il biondo iniziò a raccontare l'accaduto, tenendo sempre le orecchie e lo sguardo in basso.
Sabine ascolto in silenzio, capiva bene che era stata autodifesa, ma ora le importava solo curare quella ferita.
"Posso medicarla?" Chiese in tono serio.
Il biondo annuì, tirandosi su il pantalone mostrando la ferita.
Dal taglio uscivano sangue, pus, acqua e un odore maleodorante.
La signora Dupain andò a prendere garze e disinfettante, prendendo un respiro profondo iniziò a tamponare.
Adrien strinse i denti, si mordeva il labbro cercando di trattenersi dall'urlare. Il disinfettante bruciava come il fuoco e la pressione sulla ferita era un dolore indescrivibile.
Non si accorse neanche che la Sabine l'aveva fasciato e si era alzata, mentre Nat lo guardava con un po' di preucupazione.
"Tutto bene? Ti sanguina il labbro."

"S-si" ansimando per il dolore Adrien rispose e con la manica si puli il labbro.

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Mari era uscita con i suoi amici, voleva divertirsi e non pensare a niente. Era già passato un giorno da quando era uscita di casa per quella gita improvvisata. 
Kim la prese per i fianchi, seduto sul retro del furgone, posandola sul cavallo dei pantaloni. Inizio a baciarle il collo, mentre una mano si infilava nella maglietta, toccandole il seno, iniziando a massaggiarlo e strizzarlo. 
Mari sapeva bene cosa voleva il suo fidanzato, sesso. Il sesso era la cosa più importante per lui, le faceva pressioni di ogni tipo: a volte romantiche a volte un po' violente, e quella volta era abbastanza violenta.
Kim aveva bevuto sei o sette birre con Nino, poi quando erano passati a prendere lei ed Alya si erano scolati altre due bottiglie di vodka e altro.
La sua mente era annebbiata, si ma non abbastanza da non capire cosa voleva il suo amore.
Nino e Alya stavano amoreggiando sui sedili davanti, lei era sopra di lui o il contrario, Mari non riusciva bene a capire a causa del buio e dell'alcool, sentiva solo qualche risatina e qualche ansimazione o gemito dovuto al piacere sperava. 
Kim la teneva ancora stretta, il suo pene era ormai duro da un po' e la voglia di far Marinette sua era molto forte, forse più dell'alcool assunto quella sera. Strizzandole il seno un po' più forte del solito, la mora squitti di dolore, facendogli salire sangue e voglia.
Mari cercava di liberarsi dalla presa, non voleva certo passare la sua prima volta in un furgone con il suo amore ubriaco fradicio, sentendo la stretta farsi più serrata e la mano che prima gli torturava il seno ora si stava spostando in basso, arrivata alle sue mutande iniziò ad accarezarla.
"Kim...kim ti prego basta" ansimando per la stretta che le schiacciava lo stomaco. "Kim mi fai male, basta per favore." Marinette si sentiva in trappola, non gli piaceva quella situazione, le dita di Kim avevano iniziato a spostarsi dentro le sue mutandine, cercando di penetrarla provocandole fitte di dolore. 
Kim si fermò sentendo Marinette che iniziava a singhiozzare, aveva esagerato ma non gli importava lui voleva farla sua. Sciolse la presa sullo stomaco, tenendola stretta a un polso e portando il viso delicato della mora verso il suo. Con la mano libera gli prese il mento e la bacio con forza, la sua lingua s'infilo prepotentemente nella bocca della ragazza.
Marinette appena senti la presa sullo stomaco allentarsi cerco di allontanarsi dal suo ragazzo, quello che gli diceva spesso che l'amava, che non gli avrebbe fatto del male, che l'avrebbe rispettava, ma non fece in tempo che si senti il polso imprigionato. La stretta era forte e sicuramente gli avrebbe lasciato i lividi, poi venne tirata verso Kim, il suo alito puzzava di alcool da far star male, non potendo liberarsi accetto di baciarlo a suo malgrado. Odiava quando faceva il prepotente e ultimamente succedeva spesso.
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Il signor Fujiwara arrivò puntuale come sempre a casa Dupain.
Sabine lo saluto con un bacio e lo porto subito da Adrien, che stava imparando a giocare con Nat ai videogiochi.

Le orecchie del biondo si mossero  sentendo dei passi avvicinarsi di due persone distinte.
Sull'uscio della porta c'era Sabine e un signore anziano, con una lunga barba bianca, gli occhi assottigliati e una borsa nera in mano.
"Ciao mister Fu" saluto Nathalien il signore anziano con un caloroso abbraccio.
"Salve" il biondo saluto Fujiwara con un po' di freddezza. La coda di muoveva agitata, le orecchie allerta e gli occhi verdi assottigliati a sole due fessure.
"Buongiorno io sono Fujiwara, tu sei Adrien, come ti senti?" Chiese l'anziano, avvicinandosi al ragazzo che si ritrasse involontariamente. 
Posando la borsa a terra, l'anziano l'apri e tiro fuori uno stetoscopio. 
Alla di quello strumento medico, Adrien iniziò a ringhiare, mostrando i canini affilati e sfoderando le unghie, mettendosi davanti a Nat cercando di proteggerlo. 
Il biondo conosceva bene i vari strumenti medici, fin da piccolo suo padre? Il signor Agreste lo aveva portato da ogni medico o scienziato per capire perché fosse nato così.
Perché di quelle orecchie, di quella coda, di quegli artigli... Il perché fosse diverso. 
Era stato sottoposto a ogni test, analisi, esperimento o altro che veniva in mente a quelli.

Ai camici bianchi.

Adrien non voleva che quell'uomo, il signor Fu, facesse del male a Nathalien.
"Tranquillo, vedo nei tuoi occhi il  terrore puro, ma io non sono qui per farti del male" continuò l'anziano, avvicinandosi fino ad essere davanti al biondo che ansimava.
Passandogli una mano sulla fronte, Fujiwara constato che la febbre era ancora alta, poi posò gli occhi sulla gamba del ragazzo; una macchia rossa risaltava sui pantaloni.
"Adrien puoi fidarti, lui è uno di famiglia fagli vedere la ferita lui può guarirti." Cercando di tranquillizzarlo Sabine si avvicinò a lui.
Il biondo abbasso le difese, alzando poi i pantaloni al di sopra del bendaggio sporco.
"Nat lascia solo il signor Fu" chiese dolcemente Sabine, mentre il ragazzo con malinconia obbedi.
Il signor Fujiwara tolse delicatamente le bende, constatando che la ferita era veramente brutta, andò a prendere la borsa avvicinandola a sé.
Prese un barattolo tondo, dal colore nero e dall'odore di erbe.
"È un unguento per alleviare il dolore, ti messaggero sul taglio, sentirai bruciare ma cerca di resistere una volta prenetrato non sentirai più nulla" Fu spiegava tutto con calma, senza mai distogliere lo sguardo dagli occhi verdi felini che lo fissavano.
Inizio a massaggiare l'unguento sul polpaccio, Adrien tratteneva ogni singola nota di dolore che il massaggio gli procurava. Dopo pochi minuti il dolore iniziò a sciamare, e l'anziano chiese a Sabine degli stracci puliti. 
Fu iniziò a premere sul taglio, facendo uscire pus e sangue, maleodorante pus che fece storcere il naso fine del ragazzo.
"Quando te la sei fatta?" Chiese Fujiwara.

"...circa un mese fa..." sussuro Adrien.

"La ferita è infetta, ti farò un piccolo taglio, non sentirai male" prendendo un coltellino e incidendo appena sotto il taglio, il gonfiore diminuì e anche il colore della gamba migliorava molto. Poi Fu prese un altro barattolo con dentro una crema maleodorante, e la spalmo sui tagli, rifasciando il polpaccio.
"Se sarai fortunato non ti dovrò dare dei punti, quella é una crema molto efficace. Bene ora che abbiamo risolto il problema numero uno ti visitero per bene" concluse il signor Fujiwara.

Ad Adrien non piaceva mettere in mostra il petto, essendo pieno di cicatrici. Lo stetoscopio freddo sulla sua pelle bollente gli dava un po' di sollievo mentre ispirava ed espirava.
La febbre era scesa sui 38.5 C°, mentre il respiro era regolare. Fu tocco delicatamente le orecchie di Adrien, dalla punta all'attaccatura era tutto perfettamente armonioso, niente cicatrici o segni. 
"Ragazzo mio tu sei uno Chatnoir" affermò Fujiwara.

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