Monster

di Francy_Kid
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 ***
Capitolo 10: *** Cap. 9 ***
Capitolo 11: *** Cap. 10 ***
Capitolo 12: *** Cap. 11 ***
Capitolo 13: *** Cap. 12 ***
Capitolo 14: *** Cap. 13 ***
Capitolo 15: *** Cap. 14 ***
Capitolo 16: *** Cap. 15 ***
Capitolo 17: *** Cap. 16 ***
Capitolo 18: *** Cap. 17 ***
Capitolo 19: *** cap. 18 ***
Capitolo 20: *** Cap. 19 ***
Capitolo 21: *** Cap. 20 ***
Capitolo 22: *** Cap. 21 ***
Capitolo 23: *** Cap. 22 ***
Capitolo 24: *** Cap. 23 ***
Capitolo 25: *** Cap. 24 ***
Capitolo 26: *** Cap. 25 ***
Capitolo 27: *** Cap. 26 ***
Capitolo 28: *** Cap. 27 ***
Capitolo 29: *** Cap. 28 ***
Capitolo 30: *** Cap. 29 ***
Capitolo 31: *** Cap. 30 ***
Capitolo 32: *** Cap. 31 ***
Capitolo 33: *** Cap. 32 ***
Capitolo 34: *** Cap. 33 ***
Capitolo 35: *** Cap. 34 ***
Capitolo 36: *** Cap. 35 ***
Capitolo 37: *** Cap. 36 ***
Capitolo 38: *** Cap. 37 ***
Capitolo 39: *** Cap. 38 ***
Capitolo 40: *** Cap. 39 ***
Capitolo 41: *** Cap. 40 ***
Capitolo 42: *** Cap. 41 ***
Capitolo 43: *** Cap. 42 ***
Capitolo 44: *** Cap. 43 ***
Capitolo 45: *** Cap. 44 ***
Capitolo 46: *** Cap. 45 ***
Capitolo 47: *** Cap. 46 ***
Capitolo 48: *** Cap. 47 ***
Capitolo 49: *** Cap. 48 ***
Capitolo 50: *** Cap. 49 ***
Capitolo 51: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


MONSTER













I feel it deep within, it's just beneath the skin
I must confess that I feel like a monster
I hate what I've become, the nightmare's just begun
I must confess that I feel like a monster

-Skillet

 






 








Prologo
 

L'anello del gatto nero.

Un oggetto tanto potente, quanto odiato e temuto.

Chiunque era in possesso di quell'oggetto veniva considerato maledetto dal potere della distruzione e dalla sfortuna.

Diversi furono i portatori di tale peso, arrivando ad uccidersi pur di liberarsi o ad essere uccisi.

Questa volta, fu un giovane diciottenne parigino a subire tale sorte.

Era da mesi che si chiedeva il perché: perché a lui? Perché il fato aveva deciso lui come proprietario?

Nessuno aveva mai trovato il modo per liberarsi da tale maledizione e, sicuramente, anche a lui toccherà la stessa sorte che hanno visto tutti i possessori dell'anello: morire per mano di esso.

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Capitolo 2
*** Cap. 1 ***


Cap. 1


 

Era una sera come tante altre a Parigi: la città splendeva per luci da cui prende il nome; la luna faceva da custode ai sogni delle persone addormentate; la Tour Eiffel torreggiava verso il cielo, fiera di essere il simbolo di tale città.

Marinette stava camminando verso casa dopo essere uscita dalla casa della sua migliore amica: Alya l'aveva invitata per una serata tra amiche, ma, una cosa tira l'altra, e si fece mezzanotte passata.

La corvina riusciva ad orientarsi facilmente grazie alla memoria ed alle luci dei lampioni, almeno finché rimase sulla strada principale, ma quando voltò in un vicolo per la sua solita scorciatoia, erano i raggi chiari della luna e la torcia del cellulare a guidarla.

La ragazza pregò con tutta se stessa che la batteria non l'abbandonasse in un luogo tetro come quello, ma lei era famosa tra gli amici per la sua cattiva sorte: il cellulare si spense nel punto più scuro, dove la luna era coperta dai camini della casa alla sua destra.

«Coraggio Marinette.» inspirò, cercando di darsi coraggio. «Fai questa strada tutti i giorni, ormai la conosci a memoria.» continuò, riprendendo a camminare e ignorando il soffio di un gatto che aveva svegliato. «Ma di giorno è meno spaventosa...» piagnucolò, mettendo il cellulare, ormai inutilizzabile, nella tasca destra anteriore dei jeans.

La ragazza continuò a camminare con passo spedito, decisa più che mai di tornare a casa il più velocemente possibile, appuntandosi mentalmente di non passare mai più per quella strada durante la notte; piuttosto avrebbe fatto il giro più lungo.

Marinette, parlando tra sé e sé per cercare di tranquillizzarsi, non si accorse dell'uomo che la stava seguendo da qualche minuto.

Solo quando lo sentì troppo vicino si immobilizzò sul posto, pietrificata dalla paura.

«Guarda, guarda, cosa abbiamo qui.» ridacchiò l'uomo, facendo premere il suo corpo contro quello della corvina, che deglutì. «Che ci fa qui una ragazza come te? Ti sei persa?»

La giovane non rispose, sentendo le lacrime agli occhi non appena sentì la mano ruvida ed umida dell'uomo percorrerle il braccio per raggiungerle la vita, mentre con l'altra le solleticò la pelle del collo.

«Sembra che sia la mia notte fortunata: una bella fanciulla mi ha fatto visita nel cuore della notte. –ridacchiò– E pensare che volevo approfittare di qualche puttana di passaggio.»

Marinette smise di respirare quando lo sentì scendere con le mani verso i jeans, continuando a respirare con il suo alito fetido nell'orecchio.

«Rilassati. Vedrai che ti piacerà.»

Doveva reagire, ma non riusciva a muovere nessun muscolo, ed in più non sapeva combattere; mentre urlare non se parlava nemmeno: e se quell'uomo fosse stato armato? L'avrebbe ferita o, peggio ancora, uccisa.

Non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita così: stuprata in un vicolo buio.

«Questo ti insegna a non passeggiare da sola di notte. Strano che la tua mammina non ti abbia insegnato niente.»

Eppure sua madre continuava a ripeterglielo, ma lei non l'aveva ascoltata, pensando che non sarebbe successo niente.

Ed ora eccola lì: imprigionata da un uomo che voleva violentarla.

Sentì l'uomo canticchiare allegramente non appena riuscì a sbottonarle i jeans, tentando di abbassarglieli.

Marinette tentò di fare resistenza.

«Se fossi in te resterei ferma. Non voglio farti del ma–»

Le parole di finta rassicurazione dell'uomo furono interrotte da un ringhio proveniente alle sue spalle.

Voltandosi lentamente, credendo si trattasse di qualche animale selvatico, notò immediatamente una figura nera nell'ombra e due occhi luminosi di color verde che lo fissavano minacciosi; poi, un altro ringhio lo fece immobilizzare, capendo di chi si trattava.

«La Belva Nera.» sussurrò l'uomo, spaventato.

Marinette, che non ebbe la possibilità di scappare, invece, si voltò, osservando terrorizzata la figura che si avvicinava con estrema lentezza.

Appena prima di uscire dall'ombra, Chat soffiò come l'animale di cui porta il nome, facendo scappare immediatamente l'uomo.

Nel fuggire, spinse Marinette a terra, facendole sbattere violentemente la schiena e la testa contro il muro; il dolore le invase la parte colpita e, per un secondo, sentì la testa girarle per il forte colpo.

Non ancora ripresasi dallo shock, guardò l'uomo allontanarsi, per poi spostare il suo sguardo verso il suo soccorritore.

Malgrado fosse nascosto nell'ombra, la ragazza riuscì a distinguere una coda, un paio d'orecchie da gatto tra i capelli ribelli e dei feroci occhi verdi, caratterizzati da una pupilla verticale.

Ma sopratutto, rimase colpita da una cosa: se prima quegli occhi erano minacciosi, ora esprimevano preoccupazione per la ragazza a terra.

Marinette rimase immobile mentre lo vide accucciarsi al suolo, camminando, piano piano, verso di lei, come un animale curioso.

Se quell'uomo avesse avuto ragione, allora si trovava nei guai; se realmente il suo salvatore era il mostro che terrorizzava Parigi da quasi un anno, significava che si era messa in una situazione peggiore dell'essere stuprata.

La figura si fermò appena prima del filo che separava l'oscurità dal punto illuminato dalla luna, per poi, lentamente, muovere una mano più vicino alla ragazza, rendendo visibile gli artigli affilati ed un anello nero con un'ora da gatto verde al dito medio.

La figura continuò ad avvicinarsi lentamente e, solo quando fu a pochi centimetri da lei, la ragazza si rese conto di essere davvero nei guai.

«Chat Noir...» sussurrò, incapace di muoversi.

Era un ragazzo forse della sua età –non poteva dirlo con esattezza– dal viso coperto da una maschera nera, un paio d'orecchie da gatto tra i capelli biondi ed una specie di tuta nera; gli artigli affilati, che erano in grado di scalfire persino l'acciaio, le sfioravano i piedi ed i suoi occhi verdi la guardavano con curiosità.

Marinette rimase in silenzio per qualche secondo, resistendo allo sguardo del felino.

C'era qualcosa nei suoi occhi.

Non era cattiveria o istinto omicida, ma... sollievo.

La ragazza si rilassò, inclinando leggermente la testa e, subito, il ragazzo fece lo stesso.

Fu difficile per lei trattenere una risata, ma sorrise. «Grazie per avermi salvato, Chat Noir.» disse.

Dire che Chat Noir rimase sorpreso era un eufemismo: aveva gli occhi sbarrati, le pupille verticali dilatate e stava addirittura arrossendo.

Il biondo sporse una mano, avvicinandola a lei, ma si fermò quando fu a pochi centimetri dal viso.

Subito si ritrasse, come se Marinette si fosse appena tramutata in un mostro, le soffiò contro, le pupille tornarono due fessure nere e mostrò i denti appuntiti, per poi, con velocità felina, saltare nuovamente nell'oscurità, sparendo.

La ragazza rimase senza parole e mille domande le vorticavano in testa: perché Chat Noir avrebbe dovuto salvarla? Come mai aveva reagito in quel modo?

Ora non aveva tempo per trovare le risposte o porsi altre domande, ma doveva andarsene al più presto da lì.

Alzandosi, si abbottonò i jeans, sospirando, per poi rimettersi a camminare verso l'uscita di quel vicolo.

Non voleva testare nuovamente la sua fortuna, così, si mise a correre, sperando che quell'uomo fosse fuggito il più lontano possibile.

Svoltando a destra, sbucò sulla strada, prendendo dei respiri profondi per recuperare il fiato perso durante la corsa e dallo spavento avuto poco meno di cinque minuti prima.

La ragazza, camminando per altri pochi metri, finalmente, si trovò davanti alla porta di casa sua; prese le chiavi dalla tasca sinistra e, armeggiando con le mani tremanti, riuscì ad inserire la chiave nella toppa, aprendo la porta per fiondarsi dentro e chiuderla subito dopo.

La tensione la abbandonò non appena iniziò a salire la rampa di scale che portava al suo appartamento, facendo il più piano possibile per non svegliare i suoi genitori.

Chiusa la porta a chiave e salì le scale che conducevano alla sua camera, accendendo la luce non appena chiuse la botola.

Marinette si sedette sulla chaise longue per fare un breve excursus su tutto quello che era successo quella sera.

Era restia a credere che proprio Chat Noir, la Bestia Nera, l'avesse salvata per poi lasciarla andare; eppure eccola lì: sana e salva nella sua stanza, a rimuginare su quello che le era successo.

Ricordava perfettamente ogni singolo momento: il cellulare che si scaricava; il buio spettrale che l'avvolgeva; le mani sudicie del suo assalitore, mescolate al suo alito caldo e fetido; l'apparizione di Chat Noir; la sua curiosità nell'avvicinarsi a lei ed il suo terrore appena prima di allontanarsi.

Chissà perché le persone lo definivano mostro, pensò lei, con l'immagine del biondo che chinava la testa di lato come un animale curioso.

Proprio non se lo spiegava.

Con il sorriso stampato sul volto, Marinette svuotò e tasche dal cellulare –mettendolo in carica– e dalle chiavi, per poi cambiarsi nel pigiama e sciogliersi i capelli; salì sul soppalco, sistemandosi sotto le coperte e, grazie all'interruttore installato anche sul muro a pochi centimetri più in alto dalla sua testa, spense la luce.

Sistematasi nel suo letto comodo, fissò il cielo dalla botola aperta, permettendo ad un filo d'aria primaverile di accarezzarle il viso; chiuse gli occhi, rilassandosi e girandosi di lato per scivolare, lentamente, tra le braccia di Morfeo.

 

—•—•—

 

Chat Noir se ne stava lì, appollaiato su un camino, guardando la luce della stanza spegnersi.

Perché l'aveva salvata gli era ancora un mistero, ma la cosa più strana era il perché l'aveva seguita fino a casa!

Eppure era una ragazza come le altre, una ragazza che lo considerava un mostro, malgrado l'avesse soccorsa.

E allora perché gli aveva sorriso? Perché l'aveva guardato fisso negli occhi senza che si spaventasse? Perché sentiva come se quella ragazza fosse più che una semplice cittadina? Perché sentiva le guance riscaldarsi al solo ricordo del suo sguardo?

Che cosa gli stava succedendo?




 

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Ehi ehi bella gente :D

(VI PREGO LEGGETE TUTTE LE NOTE)

E nel mentre che sto scrivendo "Masque sans visage", nel mentre che dovrei pensare alla tesina per uscire da questa stramaledetta scuola, nel mentre che dovrei dormire, nel mentre che sto finendo di leggere "Cronache dell'Accademia", mi viene in mente un'idea (non so se chiamarla così) EPICA per una fanfiction. Ovvio.

Spero che il prologo ed il primo capitolo vi abbiano interessato ed ora, vi aspettano un po' di note per capire al meglio la storia (poiché faccio schifo a spiegarmi e preferisco dirvi quasi tutto ora):

•Ladybug non esiste :D
•I kwami non esistono :D
•Chat Noir è l'unico possessore.
•Niente Papillon, niente akuma.
•Chat Noir può usare il Cataclisma ogni volta che vuole.
•Chat Noir può muovere la coda e le orecchie esattamente come un gatto e non ha il bastone.

Per ora vi do queste note generali, poiché scoprirete tutto più avanti e devo ancora sistemare le idee :3

Ci vediamo venerdì ^^

Francy_Kid

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Capitolo 3
*** Cap. 2 ***


Cap. 2




Marinette fissò il piatto pieno di cibo senza dire nulla, facendo andare la piccola carota da destra a sinistra con la forchetta; sospirò, ignorando le formiche al polso con il quale si reggeva il viso.

«Marinette, stai bene?» domandò Sabine, sua madre, mettendosi accanto a lei. «Non hai toccato cibo. Ti sta per caso venendo la febbre?» continuò, premendo delicatamente le labbra sulla fronte della corvina per sentirne la temperatura.
«Sto bene mamma. E se non mangio non significa automaticamente che sto male. Non fare la dottoressa e fai la madre che mi da consigli e mi aiuta nella scuola.» sorrise, posando la forchetta sul tovagliolo e godendosi il caldo bacio della madre.
«Raccontami cosa ti affligge.» disse la donna, sedendosi accanto alla ragazza.

Marinette considerava sua mamma la sua migliore amica subito dopo Alya, anche se con Sabine si confidava più spesso.

Da quando —la sera precedente– aveva avuto quell'incontro ravvicinato con Chat Noir, aveva la mente invasa di domande senza risposta e con un peso sullo stomaco che le fece perdere completamente l'appetito.

«Mamma, se tu hai sempre avuto dei pregiudizi su una persona per via di quello che dicono gli altri, e poi scopri che questa persona, in realtà, è totalmente l'opposto, che cosa faresti?» domandò, insicura.
«È un ragazzo?» sorrise Sabine, vedendo la figlia avvampare.
«S-Sì... Cioè, no... Insomma...» balbettò, capendo il senso della sua domanda. «Non è quel tipo di ragazzo, mamma. Non lo conosco nemmeno!» sospirò, toccandosi le guance per controllare se il rossore fosse sparito.

Era un'abitudine che aveva preso negli anni: sin da quand'era piccola, siccome aveva l'abitudine di negarlo, sua mamma le aveva sempre detto che poteva capire quando arrossiva toccandole le guance; crescendo, quest'abitudine l'aveva presa anche lei, tastandosi le gote per quando le capitava di arrossire.

«Spiegati meglio.» disse Sabine incuriosita.
Marinette rimuginò sulle parole da dire. «Come ho già detto prima: questo ragazzo non lo conosco personalmente, ma so qualcosa di lui per le voci che girano -che sono principalmente cattive-; ma mi ha aiutata e non credo che quello che si dice sul suo conto sia vero. O almeno non del tutto.» concluse, giocando con un ciuffo di capelli, sentendo le dita di Sabine scorrerle leggere tra la frangia, sistemandogliela.
Sabine sorrise. «Tesoro, io dico che le persone non si conoscono mai abbastanza.» la donna di alzò, camminando verso la lavastoviglie. «Ora finisci di mangiare.»
La ragazza si girò sulla sedia, guardando la madre, fingendosi offesa. «Quand'è che la smetterai di parlare come i foglietti nei biscotti della fortuna? Dovresti essere la mia psicologa personale!»
«Le psicologhe vengono pagate per risolvere i problemi dei propri pazienti. Finché tu non mi paghi, io non ti dico nulla direttamente.» ridacchiò la donna, mettendo la tazza dalla quale, poco prima, aveva bevuto il tè nella lavastoviglie.
«Ma sei mia madre! Dovresti darmi dei consigli gratis!»
«Potrei, vero.» rispose, tornando verso la figlia per baciarle nuovamente la fronte e prendendo il bicchiere dalla quale aveva bevuto. «Ma io sono un chirurgo, non una psicologa, quindi dovrai accontentarti dei miei consigli da biscotto della fortuna.»

Marinette le fece la linguaccia, alzandosi per aiutare la madre a sistemare le stoviglie, dicendole che avrebbe mangiato a cena, per poi andare in camera sua per liberare la mente nell'unico modo che conosceva: disegnare abiti.

Chiusa la botola che collegava la sua stanza al resto dell'appartamento, prese il suo blocco da disegno, matita e gomma, e salì sull'attico dal quale riusciva a vedere la cattedrale di Notre Dame.

Certo, non era per nulla paragonabile alla vista che c'era da in cima alla Tour Eiffel, da come vedeva dalle foto postate sui social, ma la cattedrale gotica era la sua principale fonte di ispirazione, che sia illuminata dai raggi del sole o dalla luna.

La corvina si sedette sulla sedia che aveva portato lì in cima, guardando la bellissima chiesa e sperando che il disegno la facesse rilassare, ma non le venne in mente nessuna nuova idea.

Sospirando, chiuse gli occhi per godere meglio della dolce brezza che la rinfrescava, volendo rilassarsi al meglio.

Presi dei respiri profondi, riaprì le palpebre, accortasi solo in quel momento della presenza di un fiore rosa sul suo blocco da disegno.

Era un fiore che aveva già visto prima. «Un ibisco.» sussurrò, riconoscendolo.

La ragazza si guardò attorno, chiedendosi come aveva fatto quel fiore ad arrivare sin lì: sicuramente non era stato il vento, poiché non soffiava abbastanza forte per far volare un fiore come quello; la seconda cosa che le venne in mente fu che si era staccato da una delle sue piante, ma non aveva piante di ibisco sul suo balcone.

Allora come aveva fatto a finire lì sopra un ibisco?

Alzando le spalle lo prese delicatamente con le dita, inspirando il suo dolce profumo, per poi sistemarseli tra i capelli.

La ragazza sorrise, guardando il foglio bianco; aveva appena avuto l'ispirazione.

 

—•—•—

 

Chat Noir rimase a guardare la ragazza dal tetto appena dietro l'attico sulla quale stava disegnando.

La osservò uscire dalla botola che, a quanto pareva, era direttamente collegato con la sua camera.

Alla sola idea di avere la camera a sua portata di zampa arrossì: aveva visto la finestra rotonda, simile ad un rosone, e quella quadrata, abbastanza grandi da poterci guardare dentro; ma lui era un gentiluomo e non l'avrebbe mai fatto.

La osservò mentre si tamburellava le labbra con la matita, in cerca di qualche idea che, dedusse, non arrivava.

Ricordandosi il motivo per cui era lì, osservò il fiore che, delicatamente, teneva tra gli artigli del pollice e dell'indice, stando attento a non danneggiarlo.

Voleva metterlo in un luogo dove poteva trovarlo, ma non ne aveva trovato uno adatto, quindi, attese che fosse uscita lei.

Guardarla mentre cercava di concentrarsi per trovare l'ispirazione gli faceva battere forte il cuore; un po' perché era rimasto colpito dalla corvina ed il resto –soprattutto– perché pensava di essere scoperto mentre stava per fare ciò che aveva in mente.

Doveva aspettare il momento giusto, sarebbe stata solo questione di secondi.

Rizzando le orecchie percepì il suo respiro cambiare, divenendo più lento e profondo; sorridendo tra sé e sé, saltò sull'attico e poggiò il fiore sul suo blocco per gli appunti, per poi saltare nuovamente sul tetto alle sue spalle, guardando la sua reazione.

La vide prendere il fiore in mano, guardandolo.

«Un ibisco.» osservò, facendolo sorridere.

Aveva riconosciuto il fiore che le aveva regalato e questa cosa lo rendeva felice.

L'ibisco era un fiore che simboleggiava la bellezza fugace, l'incanto fuggevole di un istante, visto che, per la sua delicatezza, non sopravvive più di un giorno; allora perché regalare un fiore così fragile ad una ragazza come lei?

Lei era forte, l'aveva dimostrato in quel vicolo, anche se la paura l'aveva pietrificata, ma ciò che colpì di più Chat Noir fu la bellezza della corvina.

Bellezza che vide solo per un secondo, prima di fuggire nella notte.



 

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Secondo capitolo :D

Chat stalker e Sabine passione psicologa da biscotto della fortuna LOL

Eheheh dai dai che le cose si fanno tenere xD

A venerdì prossimo :D

Francy_Kid

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Capitolo 4
*** Cap. 3 ***


Cap. 3



La mattina era sempre traumatizzante per Marinette.

Siccome il pomeriggio precedente aveva creato una decina di schizzi basati sull'ibisco, la sera dopo cena –creare e liberare la mente le fece riacquistare l'appetito– l'aveva passata a sistemare le sue creazioni, decidendo quale abito avrebbe riportato su manichino e quale sarebbe rimasto per sempre su carta.

Rimase in piedi fino alle due del mattino, finché crollò sulla scrivania, svegliata dal suono della sveglia del cellulare, ritrovandosi con un foglio appiccicato sulla guancia, i capelli spettinati e due occhiaie scure sotto gli occhi.

Era davvero uno straccio, pensò mentre si guardava alla toilette che aveva in camera.

Era troppo tardi per farsi una doccia, così, dopo aver preparato i vestiti sulla chaise longue, si fiondò in bagno per darsi una sciacquata veloce, uscendo soltanto dopo cinque minuti per tornare in camera –vestita dal suo accappatoio rosso– a prepararsi per la scuola.

Per sua fortuna i capelli erano ancora puliti, siccome se li era lavati prima di andare a cenare la sera precedente, e quella mattina doveva soltanto riprendersi un po' dalla stanchezza che la richiamava verso il letto o qualunque altra superficie morbida disponibile.

O almeno, provare a non addormentarsi in classe. Ancora.

La ragazza si pettinò in due minuti, raccogliendo i capelli nel suo solito paio di codini bassi; si mise un filo di eye-liner nero sulla palpebra, un po' di mascara alle ciglia e un correttore chiaro per le occhiaie.

Solitamente non lo usava, ma non le piaceva andare in giro con due sacchi della spesa sotto agli occhi!

Vestitasi con un paio di blue jeans ed una t-shirt nera, recuperò una felpa grigia, che si legò attorno alla vita, pronta da indossare in caso avesse avuto freddo, ed un paio di Converse totalmente nere.

Chiusa la botola che collegava il salotto con camera sua, scese le scale e girò verso la cucina, notando un foglietto scritto da sua madre:

"Cari Tom e Marinette,
Purtroppo sono stata chiamata stanotte per un'emergenza al lavoro e sono dovuta correre in ospedale. Tornerò stasera tardi, forse. Non aspettatemi per cena.
Sabine♡"

La corvina, mentre leggeva, si versò un bicchiere di latte fresco e prese un croissant alla marmellata di albicocche che suo padre aveva portato dal negozio solo per lei.

La mattina era parecchio difficile fare colazione tutti assieme: sua madre, Sabine Cheng, era un chirurgo a l'Hôpital Saint-Louis, a qualche chilometro di distanza da casa loro; mentre suo padre, Tom Dupain, era uno dei più rinomati pasticceri di Parigi e lavorava nella boulangerie sotto casa.

E, ovviamente, chi non poteva nascere tra un pasticcere ed un chirurgo se non una ragazza sbadata amante della moda?

Certo, in cucina era abbastanza brava, poiché Tom le aveva insegnato parecchio, e di medicina sapeva soprattutto come curarsi durante un'influenza o cosa bisognava fare in caso di qualche incidente grazie alla madre, ma lei stessa si definiva "un ibrido mal riuscito di due geni", per poi pensare che anche lei, a modo suo, era un genio.

Un genio del ritardo, soprattutto.

Guardando l'orario sul cellulare, finì alla veloce di bere il suo bicchiere di latte, rischiando che le andasse di traverso, per poi prendere il suo zaino di scuola, chiudere la porta di casa e correre giù per le scale, entrando nel negozio dove suo padre stava lavorando.

«Buongiorno papà.» disse, alzandosi sulle punte dei piedi per dargli un bacio sulla guancia. «Ci vediamo oggi, papà.» 
«Comportati bene a scuola.» sorrise l'uomo, guardando la corvina correre verso l'uscita del negozio mentre gli diede una risposta affermativa.

La ragazza attraversò la strada proprio nel mentre che la campanella di inizio lezione suonò, facendole fare uno scatto felino fino alla porta della sua classe.

Marinette si fermò di scatto non appena varcò la soglia, piegando le gambe e tenendo le mani sulle cosce mentre prendeva fiato, cercando di ignorare i muscoli che bruciavano per lo sforzo ed i polmoni che sembravano esplodere.

«Amica, se sei così dopo una corsa di poche centinaia di metri allora dovresti fare un po' di sport.» la schernì la mora seduta in seconda fila, guardandola con un sorriso divertito.
«Guarda che io esco a correre qualche volta...» respirò, prendendo la cartella dalle spalle e camminando al suo posto, esattamente accanto alla ragazza.
«Quante volte? Due, tre al mese?»
«Alya, fammi riprendere fiato, poi ti rispondo.»

Alya era la sua migliore amica, colei sempre pronta ad aiutarla ed a sostenerla, ma non perdeva mai occasione di prenderla in giro –ovviamente in modo scherzoso–

«Mari, c'è una cosa che mi sono sempre chiesto da quando ci conosciamo: –disse il ragazzo seduto nel banco davanti a loro– come diamine fai ad arrivare in ritardo se abiti dall'altra parte della strada?!»

Nino era il suo migliore amico maschio, colui sempre pronto ad aiutarla ed a sostenerla, ma non perdeva mai occasione di prenderla in giro.

Diciamo che era la versione maschile di Alya e con meno interesse per gli scoop.

D'altronde, i migliori amici se li era scelti lei, pensò sospirando.

«Mi sono svegliata tardi.» rispose lei, prendendo il tablet che tutti usavano come quaderno e libro di testo.
«Fammi indovinare. Sei rimasta alzata fino alle due del mattino solo per sistemare dei tuoi schizzi.» disse la mora, sistemandosi gli occhiali sul naso come un detective che aveva appena risolto un mistero.
Marinette sorrise. «Ormai mi conoscete troppo bene, voi due.»

La loro conversazione fu interrotta dalla professoressa Bustier, scusandosi per il ritardo e aprendo il registro per fare l'appello.

Da quando la professoressa iniziò a spiegare la nascita del nazismo, la mente di Marinette tornò sulla figura di Chat Noir.

Non sapeva il perché, ma aveva trovato il suo comportamento parecchio strano: la Belva Nera incuriosita da una normalissima ragazza di diciotto anni.

Più ci pensava più credeva che Chat Noir non fosse poi così tanto pericoloso.

 

—•—•—

 

Alya fissò la sua migliore amica mentre dava tutta la sua attenzione allo schermo dal cellulare.

Dopo il suono dalla campanella dell'intervallo, la corvina prese in mano il telefono e digitò qualcosa, perdendosi tra le righe che, a quanto pareva, erano parecchio più interessanti che parlare con i suoi due migliori amici.

«Ora con cosa è fissata?» domandò Nino, per poi bere il succo che aveva portato da casa.
«Non ne ho la minima idea. E non voglio nemmeno entrare nella sua mente perversa.» rispose Alya, alzando la voce quel tanto che bastava da farsi sentire dalla corvina, che la ignorò.
«L'ultima volta che fece così fu dalla strana scomparsa della famiglia Agreste.»

Gabriel Agreste era un famoso stilista, che Marinette ammirava molto e stimava, mentre il figlio, Adrien, era il modello principale della casa di moda, divenuto famoso per la sua bellezza.

Circa un anno fa, però, entrambi sparirono dalla faccia della terra, facendo perdere le loro tracce; tutta la città fu in lutto per giorni e la loro villa divenne l'unico ricordo che i parigini ebbero di loro, oltre che i disegni dello stilista e gli scatti del modello, finché, dopo un paio di giorni, apparve Chat Noir: un ragazzo che vagava per Parigi e distruggeva tutto ciò che toccava.

Al suo passaggio si sentiva come i versi di un gatto e, coloro che l'ebbero visto alla luce del sole dicevano che era esattamente come un felino, occhi, coda e orecchie comprese.

Un felino parecchio arrabbiato e pericoloso.

La tristezza per il lutto venne sostituita dal terrore; tutti i cittadini avevano paura a camminare per le strade, soprattutto di notte: non era la prima volta che ci furono aggressioni –per fortuna senza morti– da quello che sembrava essere un animale selvaggio, e tutti continuavano a descriverlo come una belva dagli artigli affilati come coltelli, denti aguzzi e rivestito da una pelliccia nera.

Fu così che, assieme al nome Chat Noir, gli venne dato il nome di Belva Nera.

Alya le tolse il cellulare dalla mano, sorprendendo la corvina.

«Ehi!» esclamò lei, allungandosi per riprenderlo, non riuscendoci.
«Mari, non so che ti prende, ma io e Nino non siamo spariti all'improvviso.» rispose lei, guardando il motivo per cui l'amica era poi tanto presa. «Da quando in qua ti interessa così tanto Chat Noir?»

Marinette si riprese il cellulare, spostando lo sguardo su Nino non appena lo sentì tossire perché gli era andato di traverso il succo; il nome Chat Noir spaventava tutti, tutti tranne Alya: lei era parecchio interessata alla storia che riguardava la Belva Nera, anche se aveva fatto ricerche prendendole dai giornali e senza mai seguirlo per le vie parigine.

Non era una stupida, diceva lei per rispondere alle domande postele sul perché non avesse fatto come altre persone, cioè seguire la Belva fino al suo nascondiglio –ancora del tutto sconosciuto ai parigini–

«Ero solo curiosa, tutto qui.» rispose Marinette, premendo il tasto di blocco del cellulare e poggiandolo nella sua borsa per terra accanto a lei.
«Spero che la tua curiosità sparisca subito: Chat Noir è capace di ucciderti. È un vero e proprio mostro.» commentò Nino mentre si puliva le gocce di succo che colavano dal mento.

La corvina rimase in silenzio, decisa di non portare avanti il discorso.

Sapeva cosa pensavano i suoi amici riguardo al ragazzo che terrorizzava Parigi, così decise di continuare la sua ricerca a casa.

 

—•—•—

 

"Distrutte strade e case a Centre Pompidou. L'origine sembra essere dolosa, ma non si era mai visto nulla di simile."

"Villa Agreste in rovina. Alcuni cittadini hanno visto Chat Noir entrare ed uscire dalla casa ora in stato di abbandono."

"Parigi sotto attacco: Chat Noir distrugge strade e case della città."

"Il sindaco Bourgeois: «Dobbiamo catturare la Belva Nera.»"

Marinette fissò lo schermo del pc senza parole; era da ore che stava leggendo i giornali locali su Chat Noir e tutti dicevano la stessa cosa: che era un pericolo per tutti i cittadini.

Molte persone, già dopo la sua seconda apparizione, si trasferirono in un'altra regione dai propri parenti per scappare dalla Belva Nera, mentre gli altri rimasti venivano nel terrore, ma nessuno aveva fatto nulla per fermarlo: si erano limitati a riparare le strade distrutte ed a ricostruire le case crollate.

Tutti avevano paura di lui.

Eppure, sebbene avesse visto anche lei di cos'era capace Chat Noir, non riusciva a togliersi dalla testa il fatto che l'avesse salvata.

Presa da un improvviso senso di rabbia, chiuse tutte le schede di internet, spegnendo lo schermo e salendo sull'attico, desiderando solo prendere un po' d'aria.

Appena salì, si poggiò alla ringhiera, guardando il sole che tramontava in lontananza; rimase in quella posizione per qualche minuto, quando si sentì la presenza di una persona alle sue spalle.

Spostando lo sguardo su un vaso che aveva appeso alla ringhiera, notò subito lo spruzzino che usava per dare da bere ai fiori, prendendolo senza farsi vedere.

Certo, non era un'arma pericolosa, ma così avrebbe avuto il tempo per ripararsi in stanza.

Quando colui che la stava spiando si avvicinò abbastanza, la corvina si voltò di scatto, spruzzando l'acqua in faccia al suo aggressore.

Un sibilo di un gatto arrabbiato attirò la sua attenzione e, subito, smise di premere la levetta, sbarrando gli occhi quando vide una figura di un ragazzo dotato di coda e orecchie saltare sul tetto accanto.

No, non era possibile.

«Aspetta! Mi dispiace!» disse, ancora incredula. «Torna qui.» aggiunse, poggiando lo spruzzino a terra.

La corvina attese qualche secondo, sperando che tornasse indietro, quando, maledicendosi mentalmente, camminò verso la botola per tornare i stanza.

Solo un tonfo leggero alle sue spalle la fermarono, facendola voltare lentamente.


 

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Secondo incontro :D

Per ora i capitoli saranno di questa lunghezza, circa, poi li farò più lunghi.

Curiosi per quello che succederà?🌚

Anch'io ahahahahahahah

Ci vediamo venerdì :3

Francy_Kid

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Capitolo 5
*** Cap. 4 ***


Cap. 4



Marinette non si mosse.

Le sembrava di essere tornata in quel vicolo dov'era stata aggredita.

Ora, davanti a lei c'era Chat Noir e aver letto tutti quei giornali appena prima di incontrarlo non aveva giovato al suo coraggio, ma era proprio ciò che voleva: incontrarlo.

La ragazza, lentamente, chiuse la botola che conduceva nella sua stanza, girandosi verso il giovane e sedendosi per cercare di fargli capire che sarebbe rimasta ferma –anche perché le tremavano le gambe–, siccome sembrava abbastanza nervoso.

Lo guardò senza dire nulla mentre se ne stava in piedi ad un paio di metri di distanza da lei, guardandola con curiosità ed un pizzico di paura.

Il silenzio regnava tra di loro, interrotto dal rumore delle macchine che passavano lungo la strada, ignari di quello che stava accadendo ad un paio di piani sopra le loro teste.

«Chat Noir...» sussurrò lei, vedendolo raddrizzare le orecchie di quello che sembrava essere un costume, rimanendone subito affascinata. «Sei in grado di muovere le orecchie?!»

Che domanda stupida, pensò lei subito dopo.

Il biondo abbassò lo sguardo imbarazzato, annuendo leggermente con la testa.

Marinette lo guardò con occhi luminosi e la bocca aperta, assumendo un'espressione di pura meraviglia. «È fantastico!»

Fu la volta di Chat guardarla con curiosità, pur non nascondendo il suo stupore.

La ragazza notò che aveva il volto ancora bagnato dall'acqua che gli aveva schizzato, per via delle gocce trasparenti che gocciolavano dalle bionde ciocche ribelli; voltando il torso verso sinistra, si ricordò di un telo mare che aveva portato sull'attico per quando prendeva il sole e, recuperdolo da sopra la sedia a sdraio, lo allungò al ragazzo.

«Mi dispiace di averti schizzato addosso l'acqua, ma credevo fossi un topo d'appartamento... mentre invece sei un gatto.» aggiunse, volendo sdrammatizzare un po' la situazione, per poi volersi menare mentalmente per la schifosa battuta che aveva appena fatto.

Sicuramente Chat la credeva una stupida, pensò lei con il braccio teso.

Per sua più grande sorpresa, il ragazzo sorrise divertito, per poi piegare le gambe e poggiare le mani a terra, avvicinandosi a lei come se fosse un micio curioso.

Almeno capiva ciò che diceva.

Chinando il capo in un ringraziamento silenzioso, prese il telo mare per asciugarsi il viso, mettendosi seduto a gambe incrociate, questa volta un po' più vicino a lei.

La corvina lo guardò incuriosita: era un ragazzo normale, eppure si comportava come un gatto.

Non sapendo che cosa dire, gli chiese la prima cosa che le venne in mente: «Hai fame? Mio papà prepara dei croissant buonissimi.»

Nell'udire la parola "croissant", le orecchie nere del biondo si raddrizzarono nuovamente e sollevò gli occhi dal telo, facendo sorridere la ragazza nel notare le sue pupille dilatate per la meraviglia.

«Quale gusto vuoi? Ci sono vuote, –scosse la testa.– alla gianduia, –scosse ancora la testa.– al cioccolato...» si interruppe, vedendolo annuire. «Perfetto. Aspettami qua, torno tra cinque minuti.»

Marinette aprì la botola e scivolò in camera sua, scendendo dal soppalco per andare verso l'apertura che collegava la sua stanza al resto dell'appartamento, fermandosi per una piccola pausa quando notò il cuore batterle all'impazzata.

Non riusciva a credere che stava parlando con Chat Noir, colui che terrorizzava Parigi e ricercatissimo dalla polizia; eppure lei non era spaventata, ma esaltata.

Le faceva una strana sensazione parlare con lui.

L'adrenalina nel sapere che stava mettendo a repentaglio la propria vita la faceva sentire libera ed entusiasta.

Sorrise.

Mai aveva pensato di provare una cosa del genere.
 

—•—•—

 

Chat Noir rimise al suo posto il telo mare, sistemandosi i capelli ancora leggermente umidi, per poi tornare a sedersi dov'era prima, osservando la botola da dov'era entrata la ragazza.

E se fosse andata a chiamare la polizia? E se, invece, avesse preso un'arma? E se fosse scappata?

Il felino scosse la testa, scacciando quei brutti pensieri.

Sapeva che era gentile, l'aveva notato dai suoi occhi.

I suoi incantevoli occhi azzurri, bellissimi quanto lei.

Mai prima d'ora aveva pensato che qualcuno gli avesse mai più rivolto la parola visto ciò che era, eppure quella ragazza gli stava persino offrendo da mangiare!

Ne stava approfittando, lo sapeva, ma non riusciva a resistere ai dolci; sopratutto perché aveva diminuito le porzioni di cibo visto che dove si nascondeva era quasi finito.

«Scusa se ci ho messo un po', ma salire le scale con dei bicchieri pieni di succo non è il mio sport preferito.» ridacchiò la corvina, sbucando dalla botola e risvegliando il ragazzo dai suoi pensieri.

Sapeva che sarebbe tornata.

«Mi sono dimenticata di chiederti che gusto volevi di succo, quindi spero ti piaccia il succo d'ananas.»

Chat annuì, vedendola mettergli davanti un piatto con un croissant è un bicchiere pieno di liquido giallo.

Chinò ancora il capo per ringraziarla, prendendo il dolce tra le dita ed annusandolo per sentire se fosse avvelenata.

Era assurdo! Quella dolce ragazza non poteva avvelenarlo!

Marinette ridacchiò nel vederlo agire esattamente come un gatto, per poi sorridere quando prese un morso.

Chat sbarrò gli occhi non appena il sapore del cioccolato mescolato alla pasta leggera gli esplode in bocca; prese un secondo morso, facendo un verso di quello che sembrava un miagolio di felicità.

«Ti piace?» domandò lei per chiederne conferma, ricevendo una risposta affermativa.

I due fecero quella che si poteva chiamare cena –siccome erano le otto passate di sera– e poi tornare a guardarsi l'un l'altro, entrambi curiosi.

Marinette voleva sapere tutto di lui, ma chiedergli il perché aveva distrutto delle case e delle strade, senza parlare delle aggressioni alle persone; così, optò per una tra le prime che si pose.

«Quanti anni hai?»

Chat chinò la testa di lato, alzando un sopracciglio.

«Lo so che è una domanda stupida, ma vorrei conoscerti meglio...»

Il biondo sorrise non appena la vide arrossire, pensando ancora a quanto fosse dolce; alzò entrambe le mani, tenendo tutte e dieci le dita aperte, per poi abbassarne due.

«Diciotto.» dedusse, facendolo annuire. «Anch'io ho diciott'anni. A luglio diciannove.»

Il ragazzo si indicò, per poi guardarsi attorno per cercare un modo per come dirle il suo mese di nascita.

«Anche tu a luglio?» domandò, e lui scosse la testa. «Beh, ho altri undici mesi da indovinare. –ridacchiò.– Dimmi il numero del mese.»

Chat alzò dieci dita.

«Ottobre.» rispose e lui annuì.

La tranquillità che regnava tra i due venne spezzata dal rombo di un tuono; il felino alzò il capo ad osservare il cielo, notando le nuvole scure di un temporale primaverile muoversi velocemente sopra le loro teste; subito abbassò le orecchie e digrignò i denti, soffiando minaccioso.

Marinette seguì il suo sguardo, ricordando l'atteggiamento di poco prima e capendo il perché si fece così nervoso: odiava l'acqua.

Il ragazzo acattò in piedi, seguito dalla corvina –sempre restando a debita distanza–

Una goccia cadde sul pavimento dell'attico, lasciando una chiazza bagnata.

Il biondo, con velocità felina, saltò sulla ringhiera, appollaiandosi come l'animale di cui portava il nome, per poi guardare verso Marinette e poi ancora verso il terreno.

La ragazza, capendo ciò che voleva fare, sbarrò gli occhi spaventata.

«Aspe–»

Chat non la ascoltò e si lasciò cadere verso il terreno, senza nemmeno provare a fermare la sua discesa veloce.

Marinette sussultò, trattenendosi dall'urlare il suo nome per non essere scoperta, e corse verso la ringhiera, preparandosi al peggio.

Non vide nessun corpo spappolato sul marciapiede, anzi, Chat Noir era sparito: nessuna impronta e nessun segno.

Era come se non fosse mai stato lì.

Sentendo un'altra goccia caderle sulla testa, decise che sarebbe stato meglio rientrare prima che il cielo si fosse aperto proprio mentre era fuori, recuperando le stoviglie sporche e riparando la sdraiato con un telo impermeabile.

Riuscì a rientrare appena prima che gocce enormi bagnassero la città, sedendosi sulla chaise longue a fissare la strada su cui affacciava l'oblò.

Sospirò, sperando che Chat Noir fosse arrivato in qualunque posto alloggiava prima che abbia iniziato a piovere, per poi far tornare i suoi pensieri su quello strano momento che avevano condiviso.

Entrambi erano nervosi –e si vedeva!– per quello che lui era e perché fare nuove conoscenze non era molto facile per nessuno dei due, pensò lei.

Eppure, non le era per nulla sembrato una belva, aggiunse distrattamente al suo discorso mentale, mentre disegnava sul vetro appannato la figura di una stella, le era sembrato più un gattino curioso.

Al solo pensiero le venne da ridere, anche se era ciò che pesava.

Si era ricordata di quanto difficile, sebbene breve, fosse stato comunicare con lui.

Da quanto sedusse dal loro incontro era muto, e lei non sapeva nemmeno il linguaggio dei segni; doveva trovare un modo per comunicare.

Alzandosi dalla chaise longue, camminò fino alla scrivania, iniziando a cercare l'oggetto più adatto per il suo scopo.

Rovistando tra i vari quaderni che aveva –quasi tutti usati per disegnare schizzi di abiti–, finalmente, ne trovò uno nuovo di zecca, sperando solo che la sera successiva sarebbe venuto a farle visita.



 

-----------------------------------
E siamo giunti al termine del primo incontro amichevole (chiamiamolo così) tra Marinette e la Belva Nera.

Chat si comporta più da gatto che da ragazzo, manco Catwoman!

Il prossimo capitolo sarà un po' corto perché introduce il secondo incontro tra i due, e questa volta durerà un po' di più xD

Le cose si faranno presto interessanti, non temete ;)

A venerdì :3

Francy_Kid

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Capitolo 6
*** Cap. 5 ***


Cap. 5



Chat Noir osservò la pioggia cadere dai resti dell'enorme vetrata di quella che, un tempo, era una camera da letto.

Fino ad un anno prima era colma di svariate cose: una vasta libreria riempita di libri, un letto comodo, un divano bianco davanti ad una tv a schermo piatto, dei poster di varie competizioni sportive, delle macchine da gioco, varie console e persino un tavolo da biliardo.

Ora, tutto era distrutto o ridotto a brandelli.

Quella camera sembrava una di quelle stanze delle case infestate nei film horror, con tanto di qualche asse di legno alle finestre rotte per impedire che l'acqua e la neve entrassero, ed il vento che soffiava dai buchi non tappati producendo un fischio inquietante; anche le altre stanze della casa erano messe male, se non peggio.

Quella che prima era una maestosa villa di una ricca famiglia parigina, ora era la casa degli orrori: il rifugio della Belva Nera.

Il letto, per sua fortuna, era ancora a posto, anche se alcuni cuscini erano stati distrutti dai suoi artigli durante uno dei suoi "momenti no", se così si potevano definire.

Villa Agreste una volta era splendida e faceva invidia a tutti gli abitanti della zona, se non della città intera; ora, invece, faceva invidia soltanto al castello di Frankenstein.

Il felino, sdraiato sul fianco destro, si sistemò in posizione fetale, stringendosi le gambe al petto e fissando un punto non preciso della parete, incapace di focalizzare la sua attenzione su qualsiasi altra cosa al di fuori di quella camera.

Ricordava perfettamente la locazione di ogni singolo oggetto in quella stanza ed in tutte la altre, senza contare che, molte volte, sentiva il passo fantasma delle persone che prima camminavano lungo quei corridoi; aveva la sensazione che se avesse aperto gli occhi si sarebbe svegliato da quel spaventoso incubo circondato dalle persone che abitavano nella villa.

E perché aveva questa strana sensazione?

Semplice.

Perché era casa sua.


—•—•—

 

Marinette rimase ad osservare la pioggia che si infrangeva sul vetro della botola e scivolare lungo esso, formando una piccola cascata che finiva sull'attico, dandole l'impressione che almeno l'acqua potesse lavare via i mali che assillavano i parigini, ma sapeva benissimo che non era così semplice.

Sospirò, ripensando a quello strano quanto –doveva ammetterlo– atteso incontro: conoscere persone le era sempre piaciuto e se riusciva a farsele amiche era ancora meglio, e sapeva che con Chat Noir non sarebbe stato molto facile riuscire a parlarci come faceva con tutti, ma non doveva –e non poteva– trattarlo come uno diverso dagli altri; era una persona, un ragazzo come lei.

Un ragazzo con una strana tuta di quello che sembrava lattice, con un paio d'orecchie e coda da gatto ed una maschera ad incorniciargli gli occhi verdi.

Aveva trovato i suoi parecchio affascinanti, non solo per il colore simile a quello dello smeraldo colpito dalla luce del sole, ma anche per tutto ciò che esprimevano: la prima volta vide preoccupazione per lei, sollievo appena l'uomo corse via ed il terrore prima di allontanarsi da lei, mentre quella sera esprimevano un sentimento di felicità; seppur avesse espresso tutte quelle diverse sensazioni nell'arco di due giorni –il tempo che ebbe a disposizione per incontrarlo–, nascondevano sempre tristezza, solitudine e paura del mondo che lo circondava.

Come biasimarlo, pensò lei girandosi sul fianco a mettersi in posizione fetale e chiudendo gli occhi, volendo addormentarsi il più presto possibile.

 

—•—•—

 

Il mattino seguente arrivò come al solito: con il traumatizzante suono della sveglia, con la non voglia di aprire gli occhi ed il solo desiderio di tornare a dormire.

Il suo primo pensiero fu su sua madre, domandandosi come facesse ad alzarsi tutti i giorni alle cinque del mattino per andare in ospedale, venendo chiamata anche durante la notte e, molte volte, non tornando a casa per due giorni di fila.

Doveva essere snervante.

Eppure Sabine le diceva sempre che era un lavoro appagante, sopratutto quando riusciva a salvare una vita.

A quel pensiero, Marinette si mise a sedere sul letto gonfiando il petto e con un'espressione che esprimeva determinazione, incoraggiata ad alzarsi, per poi ricordarsi che lei non aveva nessuna vita da salvare e si rimise comoda sotto le coperte.

Solo la sveglia che aveva programmato che suonasse dopo cinque minuti dalla prima la convinse del tutto ad alzarsi, non volendo sentire una volta di più quel dannato allarme.

Per fortuna era venerdì e, il giorno dopo, sarebbe stata a casa, pensò per risollevarsi il morale.

Dopo aver spento del tutto la sveglia, scese dal soppalco, camminando verso l'oblò per guardare che mattinata la attendeva; per fortuna il temporale della sera recedente era sparito, lasciando un odore di pioggia e di freschezza.

Proprio quello che ci voleva.

Le strade erano ancora umide, facendole pensare che aveva smesso di piovere intorno alle tre del mattino, le macchine, che brillavano per le gocce che le ricoprivano, viaggiavano a velocità costante –e non troppo elevata– per evitare di schizzare l'acqua sporca delle pozzanghere sui pedoni e per evitare incidenti, e le persone parlavano beatamente tra loro, individuando altre lingue oltre il francese.

La ragazza rimase qualche secondo alla finestra, giocando ad indovinare la nazionalità dei turisti –individuando soprattutto italiani ed inglesi–, per poi alzare lo sguardo ad ammirare il sole che illuminava la cattedrale di Notre Dame

Era un vero peccato, però, non riuscire a vedere bene la Tour Eiffel.

Era sempre stato un suo sogno poter salire sul punto più alto per ammirare la vista della Ville Lumière e delle persone che si riducevano a formiche, sopratutto di sera.

Facendosi forza per affrontare una nuova giornata di scuola, preparò i vestiti che avrebbe indossato, per poi scendere per andare in bagno a farsi una doccia veloce.

Anche quella mattina, i suoi erano al lavoro, quindi, nessuna colazione in famiglia.

Era uno dei prezzi da pagare per il lavoro che facevano.

Canticchiando tra sé e sé, si sciacquò i capelli corvini dallo shampoo alla vaniglia che aveva comprato l'ultima volta, ringraziando il fatto che l'acqua aiutasse a lavare via gli ultimi residui di sonno.

Finito di farsi la doccia, uscì dal bagno, avvolta da un asciugamano bianco, che le copriva il corpo, ed un altro più piccolo per i capelli.

La sua attenzione si spostò dalle scale per andare in camera sua alla porta d'ingresso, dove qualcuno stava bussando energicamente.

«Chi è?» domandò curiosa, chiedendosi chi potesse essere alle sei e mezza di mattina.
«Era ora che rispondessi! Sono qua fuori da cinque minuti!» era la voce di Alya, che, malgrado la risposta, continuò a bussare. «Aprimi, ho una notizia per te!»

La corvina fece come le era stato "gentilmente" chiesto, rivelando la sua migliore amica con un'espressione seccata, ma che nascondeva una scintilla d'eccitazione.

«E tu sei venuta qua alle sei e mezza per dirmi una cosa? Aspettare la scuola no eh?» domandò facendola entrare, per poi chiudere la porta a chiave.
«Se tu controllassi il sito della scuola, o il telegiornale locale, o i miei messaggi allora sapresti che le lezioni oggi sono sospese.» rispose la mora gonfiando il petto, orgogliosa di essere informata.

Solitamente era lei che informava tutti i suoi compagni di classe su tutto ciò che riguardava la scuola o altre notizie importanti che avvenute in città; era la prima per tutto quello che riguardava le news.

Dopotutto, voleva diventare una giornalista, pensò Marinette, conducendo l'amica in camera sua.

«E tu sei comunque venuta a casa mia alle sei e mezza del mattino per darmi una notizia.» riprese lei, passandosi l'asciugamano tra i capelli neri per togliere la maggior parte dell'acqua. «Dev'essere una notiziona allora. Chloé ha deciso di essere gentile?»
Alya si sedette sulla sedia accanto alla scrivania. «Per quanto potrebbe far piacere a tutta Parigi, no, non è quella la notizia.» fece scorrere il dito sullo schermo del cellulare, per poi selezionare un video. «Ieri ti eri parecchio interessata a Chat Noir, quindi, da brava amica quale sono, ho deciso di aiutarti e dirti tutto quello che so sull'argomento.»
«Alya, è da un anno che mi stai assillando su Chat Noir, ed è da giorni che non si fa vedere.» mentì, agganciandosi il reggiseno nero per completare l'abbigliamento intimo. «Tutto quello che mi dirai sarà sicuramente una cosa che già so.»

Ad Alya non aveva mai mentito fino a quel momento, ma, dopotutto, non poteva dirle che aveva parlato –se così si può dire– con la Belva Nera.

Fu costretta a mentirle.

La mora la guardò ghignando. «Sicura?»

Le porse il cellulare, facendo partire il video del servizio del notiziario locale andato in onda di prima mattina.

"Chat Noir è tornato all'attacco dopo giorni di pace. La notte passata è stato ricoverato in ospedale un uomo che sembrava essere stato aggredito da un animale selvaggio. Seppur ferito è riuscito a riferire ai medici che il suo aggressore non è altro che la Belva Nera. Finirà mai l'incubo per Parigi?"

Marinette rimase a bocca aperta.

Era lo stesso Chat Noir che gli aveva salvato la vita qualche giorno fa e con cui aveva parlato la sera precedente?

Gli occhi azzurri della corvina passarono dallo schermo del cellulare, sul quale c'era il video messo in pausa, all'amica che aveva iniziato a parlare.

Quando la sua mente si schiarì, percepì soltanto l'ultima frase.

«Questo ti insegna una cosa, cara mia: lascia perdere i malviventi. Essere interessati a loro non porta nulla di buono.»
Marinette sorrise, cercando di non far vedere quanto l'aveva turbata. «Hai ragione. La mia curiosità deve essere messa a freno.» ridacchiò.

Alya sorrise.

Sapeva che era venuta a casa sua alle sei e mezza del mattino e le aveva mostrato quel video perché era preoccupata per lei: molte persone avevano cercato di scoprire la storia della Belva Nera, non riuscendoci e, per molti, finire con qualche ferita per le foto scattate o le notizie divulgate.

La corvina restituì il sorriso, finendo di vestirsi.

Magari, se Chat sarebbe tornato da lei, gli avrebbe chiesto qualche informazione.



 

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Mari, Mari, Mari...

Anch'io farei esattamente come Mari. La curiosità fa male LOL

Chat Noir è tornato all'attacco e, forse, avrà un valido motivo.

Vedrete, vedrete xD

A venerdì ;3

Francy_Kid

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Capitolo 7
*** Cap. 6 ***


Cap. 6



 

Marinette era seduta sulla sdraio a rimuginare sulle notizie del telegiornale: Chat Noir aveva attaccato una persona, mandandola all'ospedale.

Successivamente, scoperta l'identità dell'uomo, si era venuto a sapere che era stato in carcere per stupro e furto in qualche negozio, rilasciato per buona condotta dopo soli sette anni!

Ma Chat aveva comunque fatto del male ad una persona.

Forse quello che dicevano gli altri era vero: che era un mostro che voleva soltanto distruggere e seminare il panico a Parigi.

Eppure, sebbene erano evidenti i danni che poteva causare, Marinette pensava che doveva esserci un motivo per cui aveva agito in quel modo.

Un tonfo leggero a pochi metri davanti a sé attirò la sua attenzione, risvegliandola dai suoi pensieri.

Chat Noir era tornato.

Doveva chiederglielo, anche se l'avesse fatto arrabbiare.

Nessuno dei due si fidava molto ad avvicinarsi all'altro: né lei a lui, né lui a lei.

Inspirando, la corvina gli sorrise. «Buonasera, Chat.»

Lui le face un cenno di saluto, abbozzando un sorriso, sedendosi a gambe incrociate a più di un metro e mezzo di distanza.

«Ti ho portato un quaderno per comunicare con me. Rischio di non capire sennò.» ridacchiò nervosa, raccogliendo quaderno e penna che aveva poggiato a terra apposta per lui.

Il felino fissò il quaderno piegando la testa di lato, allungandosi con il busto ed il braccio per afferrarlo, riuscendoci anche grazie ad un piccolo aiuto della ragazza.

Marinette lo guardò aprire il quaderno e scrivere qualcosa.

«"So quello che vuoi chiedermi, ma quell'uomo finito all'ospedale è quello che ti aveva aggredita qualche sera fa. Ho voluto vendicarti".» lesse, sentendo una fitta al petto. «Oh Chat, la vendetta non porta a nulla.» disse, vedendolo scrivere la risposta subito dopo.

«"Nessuno deve toccarti".»

La corvina sentì le guance scaldarsi.

Scuotendo la testa, si tastò le guance, cercando di riprendersi il più velocemente possibile.

«È molto gentile da parte tua, ma la violenza è una cosa brutta. Non si risolve nulla con la violenza.»

Chat riprese a scrive, per poi girare il quaderno.

"Era un criminale. Ho fatto ciò che ho ritenuto giusto"

Marinette lo guardò. «Ma l'hai mandato all'ospedale...»

"E lui dal terapeuta molte ragazze, e non credo ci metteranno poco a dimenticare ciò che hanno subìto, a differenza sua"

La ragazza pensò che, dopotutto, aveva ragione: qualche mese in ospedale non era nulla a confronto ad anni dallo psicologo perché si era vittima di stupro.

Sospirò, non volendo più parlare di quel scomodo argomento; ricordandosi di una cosa, si chinò sul lato destro, prendendo un piatto con un croissant sopra.

«Ti ho portato un altro croissant. Se fossi arrivato mezz'ora fa era ancora caldo.» ridacchiò, porgendoglielo.

Chat le sorrise e lo accettò volentieri, per poi guardarla sorpreso.

"Sei rimasta qua fuori per mezz'ora ad aspettarmi?!"

La corvina lesse, sorridendo nervosa. «S-Sì... Non sapevo a che ora saresti arrivato di preciso, così ne ho approfittato anche per prendere una boccata d'aria. C'è una bella vista di Notre Dame da qua.»

Il biondo la guardò, notando il suo sguardo melanconico mentre fissava la cattedrale in lontananza, tornando a scrivere sul quaderno.

"Come mai ti piace così tanto Notre Dame? È una vecchia chiesa con degli inquietanti gargoyles che ti fissano dall'alto"

Marinette lo guardò male. «Tu non capisci la vera bellezza. Notre Dame, oltre che essere una delle cattedrali più famose al mondo, è una delle più belle. La gente pagherebbe per averla nella propria città. È fantastica da ogni punto di vista: dentro, fuori, a destra, a sinistra. Dappertutto. È avvolta da un senso di mistero che verresti svelare e, quando viene colpita dal sole, i suoi colori originali sembrano cambiare. È davvero fantastica.» spigò in un sospiro, per poi arrossire di colpo appena vide l'espressione di Chat. «Scusa, mi sono lasciata trasportare.»

"Figurati. Mi ero perso a guardare i tuoi occhi: si illuminano appena inizi a parlare di qualcosa che ti piace"

La corvina arrossì di colpo, tastandosi nuovamente le guance. «Sei un tipo diretto»

"Io mi definirei più sincero che diretto. Ormai penso che mi resterà ben poco da vivere prima che le persone si uniscano per uccidermi e mettere fine all'incubo della Belva Nera. Ma non è colpa mia. Io non voglio fare del male a nessuno che non se lo merita"

Marinette notò che aveva gli occhi lucidi, le orecchie abbassate e le spalle incurvate.

Aveva scritto la verità.

«Non vorrei essere invadente, ma cosa ti è successo?»

Chat assunse un'espressione spaventata, come se avesse paura dei suoi ricordi.

Tremando, alzò la mano destra, mostrandole l'anello che aveva al dito medio.

Marinette percepì una strana energia pulsare dal gioiello, un'energia malvagia che avvolgeva per intero il ragazzo.

«È l'anello che ti ha reso quello che sei ora?» domandò sentendo il cuore come stretto in una morsa.

Il biondo annuì, afferrando il quaderno e iniziando a scrivere, senza smettere di tremare.

"Non mi ricordo come mai o perché l'ho messo al dito. So solo che mi ha reso un mostro ed è per questo motivo che ho perso tutto. La gente ha paura di me. Ha paura che io possa —"

Non riusciva a finire la frase, ma lei conosceva la parola.

Aveva paura che potesse uccidere qualcuno; Chat non aveva mai ucciso prima d'ora e non voleva nemmeno farlo.

Marinette si alzò dalla sdraio, facendo scattare su di sé gli occhi spaventati del ragazzo.

«Va tutto bene, io non intendo farti del male.»

Chat scosse la testa violentemente, accovacciandosi a quattro zampe e facendo un passo indietro.

«E so che nemmeno tu me ne farai. Non è l'anello che controlla te.»

La ragazza fece un altro passo avanti e lui indietreggiò.

«Io mi fido di te e non ho paura.»

A quel punto, Chat raddrizzò le orecchie, prese velocemente il quaderno e scrisse.

Senza farglielo leggere, saltò di circa due metri sopra la testa della ragazza, atterrando sul tetto accanto ed iniziando a correre per allontanarsi.

Marinette rimase senza parole e, notando il quaderno aperto a terra, camminò fino ad esso, prendendolo in mano per sapere ciò che aveva scritto:

"Ma io ho paura di me stesso"



—•—•—

 

Marinette non riuscì a dormire: le era rimasta in testa l'ultima frase di Chat.

Ma come biasimarlo?

Aveva il potere di distruggere tutto e le persone avevano paura di lui per quello.

Senza contare che lui non sapeva più chi era ormai, pensò lei con malinconia.

Con tutto quel pensare sulla faccenda di Chat Noir, non si accorse che era arrivata alla meta: la Bibliothèque de l'Arsenal, uno dei più grandi archivi della sua zona.

Non aveva scoperto molto cercando in internet notizie che riguardavano un anello dai poteri distruttivi; anzi, non trovò praticamente nulla, se non gioielli d'artigianato con un teschio inciso.

Decisa più che mai di scoprire qualcosa, entrò nella biblioteca, dirigendosi immediatamente nella sezione storica.

Non sapeva cosa cercare, se doveva ammetterlo, ma decise di prendere alcuni libri di storia e, stando attenta a non farli cadere, andò a sedersi nell'ultimo tavolo in fondo alla stanza, isolata da tutti per non essere disturbata e per non essere additata come stramboide perché cercava informazioni su colui che terrorizzava Parigi.

La corvina guardò i sei libri che aveva scelto, prendendo il primo della pila ed iniziando a sfogliarlo.

Parlava della preistoria, più precisamente dell'inizio del Pleistocene e dei primi uomini.

Se proprio voleva cercare le origini della storia di Chat Noir, tanto valeva iniziare dalle origini dell'uomo.

Guardò l'orario sul cellulare e l'indice del libro: erano le tre del pomeriggio e la biblioteca chiudeva alle diciotto.

Sarebbero state tre lunghe ore.

 

—•—•—

 

Marinette sbadigliò.

Erano state le due ore e mezza più lunghe della sua vita, senza contare che non aveva trovato nulla di interessante su Chat Noir.

Ora sapeva più cose sulla scrittura e sulla protostoria, ma nulla di quello che stava cercando.

Sbuffando, prese tutti e sei i libri, camminando verso la sezione da dove li aveva presi e riponendoli in ordine sullo scaffale.

Tentando l'ultima volta la fortuna –siccome restava mezz'ora alla chiusura– prese un libro sui miti e le leggende del Medioevo, sfogliando l'indice.

«Le serve qualcosa, mademoiselle?»

Marinette si guardò intorno, non vedendo nessuno, quando un anziano signore attirò la sua attenzione verso il basso.

Le arrivava poco più in basso della vita, aveva i capelli grigi che ricoprivano solo la parte centrale e laterale della testa, due folte sopracciglia grigie, un paio di baffi e la barba a punta gli davano quel tocco da maestro di arti marziali, occhi a mandorla marroni che, nonostante l'età, nascondevano ancora un luccichio divertito; era vestito di una maglietta rossa in stile hawaiano con fiori bianchi, un paio di pantaloni larghi marroncini erano accompagnati dei mocassini di tela marroni.

Le ricordava molto il maestro Miyagi del film "Karatè Kid", pensò distrattamente.

Era un tipo strano, di primo impatto, ma simpatico.

«Mi scusi, non l'avevo vista.» rispose imbarazzata, grattandosi la nuca.
«Non importa. Più si invecchia più ci si abbassa.» scherzò l'anziano cinese, sorridendole gentilmente.

Sì, era davvero simpatico.

«Le serve aiuto in qualcosa?» domandò nuovamente, riportandola alla realtà.
«Effettivamente, c'è una cosa che mi servirebbe... Ovviamente è a scopo scolastico, non fraintenda la mia richiesta.» si raccomandò, riponendo il libro al suo posto.
«Mi dica pure.»
«Ecco... sto facendo una ricerca scolastica su... Chat Noir.» sussurrò quasi impercettibile, ma l'uomo non cambiò espressione.

Solitamente, chiunque sentiva il nome della Belva Nera non voleva avere nulla a che fare con il discorso, ma quel vecchietto aveva un'espressione addirittura estasiata.

«La Belva Nera? Tutti sanno che è comparso circa un anno fa. Non si hanno molte informazioni a riguardo.» esclamò lui, lisciandosi la barba ed alzando un sopracciglio.
«Lo so, ma sento anche che c'è sotto qualcos'altro. Non penso proprio che un anello sia stato creato dal nulla qua a Parigi. Voglio dire, magari dovevano scatenarsi tempeste, terremoti o eruzioni vulcaniche per aver creato una tale arma di distruzione.» esclamò, facendo roteare il polso mentre parlava.

Subito dopo si tappò la bocca: aveva detto troppo.

Solo lei –e Chat Noir, ovviamente– sapevano che era stato l'anello a ridurre un ragazzo normale in quello stato.

Il vecchio ridacchiò, sistemandosi i baffi sopra le labbra. «Hai ragione: l'anello ha origini molto antiche e l'attuale Chat Noir non è stato l'unico possessore del gioiello.»

Marinette rischiò di far cadere il libro che aveva in mano.

«Se vuoi avere più informazioni ti aspetto domani, così potrai prendere tutti gli appunti che ti servono per la tua "ricerca scolastica".» disse il cinese mimando le virgolette, per poi voltarsi e darle le spalle.
«Aspetti. –l'anziano voltò la testa.– Come si chiama? Così non farò casini alla reception. E la prego, mi dia del tu.» ridacchiò nervosa, grattandosi la nuca.
L'uomo sorrise, chinando leggermente il capo. «Chiamami Fu.»





 

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Ecco il nostro stalker preferito😊

Chissà che ruolo ha in questa storia ihihihihih😏😏😏

Lo saprete solo se avrete la pazienza di aspettare :3

A venerdì :D

Francy_Kid

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Capitolo 8
*** Cap. 7 ***


ATTENZIONE: Nell'ultima parte del capitolo, quella dopo il terzo "—•—•—" c'è un argomento delicato che riguarda il pensiero di Chat. Se siete sensibili o condizionabili e tali tematiche, quali il suicidio o l'autolesionismo, vi disturbano siete pregati di non leggere e di passare oltre (o, per ora, aspettare venerdì per il prossimo aggiornamento).
Prima che qualcuno mi segnali la storia...

Grazie e buona lettura ^^
FrancescaAbeni
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Cap. 7




Era la seconda volta di seguito che Marinette restava ad aspettare Chat Noir sull'attico di camera sua.

Quella sera, però, faceva un po' più freddo del solito e, per sua fortuna, si era armata di felpa invernale per restare un po' più al caldo, ma le sue gambe erano scoperte e non voleva entrare in camera poiché credeva che se Chat non l'avesse trovata lì allora se ne sarebbe andato e non essere così riuscita a chiedergli scusa per averlo fatto spaventare e per avergli riportato alla mente brutti ricordi.

Malgrado l'aria fresca ed ai suoi tentativi di resistere al sonno, le sue palpebre si chiusero, e si rilassò contro lo schienale della sdraio, venendo cullata dal suo dolce dondolio.

 

—•—•—

 

Chat Noir atterrò silenziosamente sul tetto della casa accanto.

Non sapeva come mai era talmente attirato dal tornare da quella ragazza malgrado volesse starle lontano: non voleva ferirla.

Non voleva mandarla in ospedale come tutti gli altri.

Aveva ferito così tante persone –anche senza volerlo– da non fidarsi più nemmeno di se stesso.

 

—•—•—

 

Non seppe quanto più tardi si svegliò, ma non sentì più freddo come prima.

Muovendosi per stirare i muscoli indolenziti, sentì che qualcosa le copriva le gambe e, aprendo pigramente gli occhi, notò essere un plaid che non aveva mai visto prima.

Si guardò intorno, cercando di capire da dove provenisse, notando Chat Noir che stava disegnando qualcosa sul suo quaderno.

"Ben svegliata"

Lesse dopo che gli occhi si erano abituati alla luce del sole che tramontava.

«Da quanto stai aspettando?» chiese lei stirandosi, sbadigliando subito dopo.

Chat scrisse la risposta, per poi alzare il quaderno: "Nemmeno cinque minuti. Il problema è che non so da quanto tu stavi aspettando me..."

Non voleva nemmeno chiedere che ore fossero per conoscere la risposta; ora aveva cose più importanti di cui discutere.

Chat riprese a disegnare sul foglio già segnato di schizzi di penna nera, tirando fuori la lingua per concentrarsi e facendo sorridere la ragazza a quella scena.

Marinette, serrando le dita irrigidite e arrossate dal freddo, richiamò l'attenzione del ragazzo, chiamandolo con un filo di voce.

«Chat, mi dispiace per averti forzato a fare qualcosa che non volevi. Se non ti fidi di me posso capirti.»

Il biondo la guardò confuso, per poi scrivere la risposta sul quaderno.

"Ti sei meritata la mia fiducia dopo che eri risalita da camera tua con il cibo. E non fraintendere: non basta un croissant, per quanto divino fosse, per convincermi di fidarmi di te. E poi, dovrebbe essere il contrario: sono io che potrei farti del male da un momento all'altro visto che non riesco a controllare ancora bene i miei poteri"

La corvina annuì leggermente, per poi stringersi alle spalle, spostando il suo sguardo verso il basso.

«Dove hai preso questo plaid? Non ne ho mai avuto uno simile in casa.» domandò, immaginando che, dato che non era sonnambula, l'avesse presa lui.

"L'ho preso da casa mia" scrisse con tanto di alzata di spalle.

La corvina arrossì, spostando nuovamente lo sguardo verso il basso all'idea che il ragazzo le aveva dato la sua coperta mentre lui era rimasto al freddo; tanto per cambiare discorso, e anche perché non voleva arrossire di nuovo, guardò il biondo mentre disegnava qualcosa.

«Cosa stai disegnando? Immagino che hai iniziato mentre stavo dormendo.» ridacchiò, incuriosita.

Chat voltò le pagine per scrivere la risposta e mostrargliela: "Nulla di importante. Mi alleno nel disegno, tutto qua"

«Sai disegnare?» chiese con gli occhi che le si illuminarono ed un sorriso a trentadue denti.

"Me la cavo. Prima di diventare quello che sono ora facevo varie attività: praticavo scherma, suonavo il piano, giocavo a basket e mi dilettavo anche nel disegno. Ora che sono rimasto da solo ho ridotto al minimo gli allenamenti"

Marinette lo guardò, sorridendogli tristemente. «Tu non sei da solo. Io ti resterò sempre accanto, qualunque cosa accada.»

Chat restituì il sorriso, facendo un cenno con il capo in un ringraziamento silenzioso, per poi stringersi le gambe al petto e poggiando il mento sulle ginocchia, fissando un punto a terra; aveva un'espressione triste e sconsolata.

La ragazza sentì il cuore venire stretto in una morsa: vedere così una persona –che stava imparando a conoscere– la faceva sentire male.

«Sai, questo sarebbe il momento dell'abbraccio, e noto che tu ne hai estremo bisogno. Ed anch'io ne vorrei uno...» aggiunse, sfregandosi il braccio sinistro con un filo di imbarazzo.

Chat alzò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore.

Era così semplice da leggere? Ma, d'altronde, non riceveva alcun contatto umano da un anno, ed aveva seriamente bisogno di un abbraccio, oltre che di essere capito.

Cautamente, si mise come a quattro zampe, avvicinandosi alla ragazza –ancora seduta sulla sdraio– mentre lo guardava con un dolce sorriso.

Arrivò a pochi centimetri dalle sue gambe, immobilizzandosi sul posto, guardandola impaurito.

«Se non te la senti non sei obbligato. Se vuoi posso farlo io.» disse sporgendo la mano verso di lui.

Vide Chat trattenersi dal tirarsi indietro e abbassare le orecchie mete da fatto, fissando la sua mano con le pupille ridotte a due fessure; la corvina continuò ad avvicinarsi cautamente, come se stesse per accarezzare un animale selvatico, quando, finalmente, gli toccò i capelli dorati.

La ragazza guardò stupefatta come le orecchie nere da gatto –ora dritte– sembravano aderire alla testa, esattamente come se fossero sue.

Istintivamente, iniziò a grattare dietro ad esse, sentendo uno strano rumore provenire dal felino.

Si fermò di scatto, guardando incuriosita; subito notò il biondo portarsi una mano alla bocca mentre arrossiva come un pomodoro.

Aveva davvero fatto le fusa?

«Tu puoi fare le fusa?» chiese con gli occhi che le si illuminavano.

Chat scosse la testa, cercando di rimanere indifferente malgrado fosse stato colto con le mani nel sacco.

«Tu puoi fare le fusa!» esclamò entusiasta, riprendendo a grattargli dietro l'orecchio nero.

Il ragazzo tentò di dire qualcosa, ma dalla bocca uscì soltanto un miagolio di pura beatitudine non appena sentì le dita muoversi sul suo cuoio capelluto.

Chat rimase sconvolto da questo suo comportamento: era solito a distruggere e a fare del male, non a fare le fusa per delle grattatine dietro l'orecchio!

Riprendendo un minimo di lucidità, fissò la corvina con un broncio, per poi sedersi a gambe incrociate davanti a lei.

«Cosa c'è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» scherzò lei, scendendo a grattargli sotto il mento, mentre lui le rispose con una linguaccia offesa. «Vedi? Non mi hai fatto del male.» commentò poco dopo, poggiandosi con le braccia sulle sue cosce.

Il biondo la guardò dal basso verso l'alto, ancora non del tutto convinto.

«Io non so come tu sia capace a distruggere le cose in meno di un secondo. Hai qualche potere, immagino.»

Chat si alzò solo per prendere il quaderno e scrivere la risposta, per poi sedersi dov'era e mostrarla alla ragazza.

"Ho una specie di potere distruttivo che si attiva in determinate situazioni. Ho notato che riesco ad usarlo sopratutto quando sono arrabbiato. È quello che fa crollare le case"

«Ma ora non sei arrabbiato, no? Non mi puoi fare del male.»

"Ora sono felicissimo: non avevo mai conosciuto nessuno che dopo la mia "trasformazione" abbia avuto il coraggio di parlare con me. Mi sento come se fossi normale stando con te"

Marinette sorrise. «Ma tu sei normale. Non sei mai cambiato da prima, tranne che per il fatto che sei un gatto in tutto e per tutto.» ghignò.

"E posso distruggere tutto ciò che tocco"

Lo sguardo della corvina so fece serio ed incrociò le braccia al petto. «Che a te piaccia o no, stasera ti darò un abbraccio, così ti mostrerò che sei in grado di controllare i tuoi poteri e che non mi farai del male. Voglio conoscerti meglio ed aiutarti a tornare la persona che eri prima.»

Il ragazzo le sorrise gentilmente, per poi chiudere il quaderno ed alzarsi.

«Te ne stai andando?» domandò, facendolo annuire.

Marinette si alzò con lui, posando il plaid sulla sdraio e accompagnandolo fino alla ringhiera, trovandosi a pochi centimetri dalla sua spalla.

Non era mai stato così vicino a lui, ed il fatto che solo lei era risuscita ad esserlo la faceva sentire speciale, oltre che entusiasta.

La ragazza si morse il labbro, voltandosi verso di lui. «Chat...»

Non appena il felino girò lo sguardo per guardarla, si ritrovò stretto in un abbraccio; iniziò ad agitarsi, volendosi liberare per non farle del male, ma la corvina non mollava la presa.

«Shh... Va tutto bene.» sussurrava dolcemente contro il suo petto. «Non mi farai del male, ed io non ho paura di te.»

Chat calmò il respiro irregolare, smettendo di dimenarsi solo per godere del calore di quel corpo minuto che lo stava abbracciando.

Era una sensazione che non provava da mesi, ormai, e poterla riprovare era magnifico: il suo corpo che aderiva perfettamente al suo, anche se rigido, e sentiva il respiro caldo e regolare di Marinette contro il suo petto.

Era sicuro che lei potesse sentire quando andava veloce il suo cuore e quanto impaurito si sentiva, ma subito si sciolse, rilassandosi poco a poco.

«Visto? Nessuna ferita e nessuna sirena di ambulanza o macchina della polizia. Siamo solo io e te. Lo senti Chat? Senti cosa voglio comunicarti?»

Lo sentiva. Sentiva cosa gli stava dicendo.

Si sentiva al sicuro tra le sue braccia e non si sentiva come un animale in gabbia, braccato dalle guardie perché considerato troppo pericoloso; lei non lo considerava un nemico, un mostro.

Per la prima volta dopo un anno di paura era tornato ad essere il ragazzo che era prima.

Con mani tremanti e titubanti, la avvolse in un dolce abbraccio, godendo pienamente di quel contatto umano.

Inspirò ed espirò contro la sua testa, sentendo i capelli solleticargli le narici ed il dolce profumo della boulangerie in cui abitava inebriargli i sensi.

La strinse a sé.

Non voleva lasciarla andare, non ora che aveva trovato qualcuno con cui stare.

Entrambi sciolsero l'abbraccio di controvoglia, guardandosi negli occhi.

Già Chat pensava che i suoi occhi azzurri fossero bellissimi, ma vederli mentre il sole che tramontava riflesso dentro era uno spettacolo magnifico; il suo viso sorridente era baciato dai raggi arancio, creando un gioco tra luci ed ombre sulla sua pelle candida, evidenziandole il dolce sorriso che le ornava le labbra rosee.

Marinette, che era più bassa di lui di una ventina di centimetri, gli sorrise, accarezzandogli la fronte sotto i capelli biondi ribelli.

«Mi ascolterai d'ora in poi quando ti dirò qualcosa?» ridacchiò, vedendolo arrossire di colpo.

Chat annuì, sorridendole, per poi salire sulla ringhiera e sistemarsi dall'altra parte; le ammiccò e saltò agilmente verso terra, iniziando a correre nei vicoli non appena toccò silenziosamente il suolo.

Marinette rimase stupita dalla sua agilità e dal fatto che, malgrado l'altezza, non si fosse fatto nulla.

Con un sorriso a trentadue denti che le ornava il viso, si voltò per tornare in camera sua; raccolse il quaderno che usava il ragazzo per comunicare e la coperta sulla sdraio, dandole un'occhiata veloce: era di colore azzurro chiaro ed era più o meno larga due metri per lato, l'unica pecca erano i quattro buchi sparsi per il tessuto.

Passò dalla botola che dava sul letto, socchiudendola abbastanza per far sì che l'aria entrasse per rinfrescare il soppalco; poi scese verso la scrivania, aprendo un cassetto per sistemare il quaderno, ma lo poggiò sul tavolo, incuriosita da cosa stava disegnando mentre lei stava dormendo.

Lo aprì, iniziando a sfogliare le pagine con cura: erano solo cinque quelle occupate dalle risposte, notando di primo impatto che aveva scrittura ordinata e curata, come se non avesse mai smesso di scrivere e migliorare l'ortografia; continuò a passare in rassegna le pagine bianche, finché non arrivò verso la fine, scoprendo un foglio pieno di linee nere della penna: raffigurava la Tour Euffel vista dal Trocadero.

Anche se era un disegno fatto interamente a penna, i tratti d'inchiostro non mostravano il minimo segno di titubanza, come se avesse avuto una foto accanto a lui da copiare o da cui prendere spunto.

Aveva sempre desiderato andare in cima alla Tour Eiffel con i suoi genitori, ma suo padre soffriva di vertigini ed il tempo che trascorrevano in famiglia era limitato per via del lavoro di entrambi e le ferie erano un lusso che potevano permettersi veramente di rado.

L'ultima volta che era stata in vacanza fu con Tom in Provenza: girarono Avignone, l'Isle sur la Sorgue, Aix en Provence, Roussillon e Velensole; fu un viaggio di circa dieci giorni e, anche se non visitarono tutto nei minimi dettagli per la mancanza di tempo, le erano rimasti impressi soprattutto i colori.

A proposito di colori... Marinette rimase ammaliata dal disegno di Chat da appuntarsi mentalmente di comprargli dei pastelli colorati, per far sì che potesse esprimere tutto il suo potenziale; ma la sua attenzione ricadde subito sul plaid bucato.

Riponendo il quaderno nel cassetto, si sedette sulla chaise lingue, fissando la coperta azzurra per pensare a cosa fare.

Non voleva ringraziarlo soltanto tappando i buchi e lavandogliela –poiché era leggermente impolverata–, ma voleva fare qualcosa d'altro.

Si guardò intorno nella stanza, finché non le venne un colpo di genio.

Qualche giorno prima aveva comprato delle tempere per tessuto per fare dei disegni sulle sue creazioni, ma non aveva ancora avuto il tempo e la voglia di usarli, limitandosi a colorare su carta con matite e pennarelli.

Prese ago e filo, iniziando a cucire i buchi e, per i più grandi, usando pezze del medesimo tessuto e colore della coperta –che aveva tenuto in parte per le decorazioni–

Quel plaid sarebbe stata la sua tela.

 

—•—•—
(N.d.A. Questo è il punto che intendevo sopra)


 

Chat Noir si sdraiò sul suo letto, abbandonandosi contro il materasso morbido e malandato dal tempo.

La testa sprofondava nel cuscino morbido, mentre i suoi pensieri viaggiavano su quello che era accaduto quella sera.

Aveva raggiunto l'attico di Marinette alle nove di sera passate, sorridendo al fatto che il sole non era ancora calato: i raggi arancio davano un bel colore alla sua pelle candida ed ai capelli corvini, e guardarla dormire era una bellissima sensazione; però sembrava avesse freddo.

Facendo più veloce possibile, tornò nel suo rifugio, entrando da un buco tra le travi che coprivano la vetrata della sua stanza.

Aprì l'armadio, spalancando entrambe le ante per avere maggiore visibilità, stando attento a non staccare la maniglia ormai rotta; pochi secondi dopo, trovò un paio di plaid che aveva usato in inverno per stare più al caldo.

Purtroppo non erano perfetti –siccome avevano alcuni strappi dovuto ai suoi artigli– ma recuperò quello meno rovinato e saltò nuovamente verso la casa della corvina.

All'improvviso si fermò, colpito da un pensiero che già albergava nell'anticamera del suo cervello: non le aveva mai chiesto come si chiamava.

Lui la conosceva come una qualsiasi ragazza parecchio gentile e carina, una specie di principessa, insomma, e lui era il ragazzo che l'aveva salvata.

Era il suo cavaliere dall'armatura nera.

Sorrise a quel pensiero, tornando a saltare felicemente tra i tetti per raggiungere il castello della sua dama.

Conoscere il nome di una persona equivaleva legarsi a lei, diventare sua amica e, magari, qualcosa di più.

Per lui non era mai stato facile fare amicizia o parlare con gli altri, e da quando era diventato la Belva Nera si era ripromesso di restare per sempre da solo, condannato a vivere una vita che non avrebbe mai augurato nemmeno al suo peggior nemico.

Legare con le persone era fuori discussione per due validi motivi: gli altri erano terrorizzati da lui, e lui era terrorizzato da se stesso.

Avrebbe preferito morire piuttosto che continuare a portarsi addosso tale maledizione, ma aveva troppa paura della morte e di quello che c'era dopo.

Sua madre era morta, suo padre l'aveva abbandonato perché era diventato un mostro e lui si era allontanato volontariamente da tutte quelle poche persone che conosceva.

Forse, era quello che si sarebbe aspettato anche dopo la morte: sarebbe rimasto solo anche dopo che la sua vita sarebbe giunta al termine.

Aveva tentato più volte il suicidio, di buttarsi da un tetto alto o di trafiggersi il cuore con un coltello, ma ogni volta si fermava appena prima di farlo, fissando il terreno a diversi metri di distanza o pulendosi il rivolo di sangue che gli scendeva lungo il collo dopo essere stato ferito dalla punta in un tentativo; tagliarsi il dito per spezzare il legame tra lui e l'anello era fuori discussione, incapace di guardare in faccia tutte quelle persone a cui aveva fatto del male o a cui aveva distrutto casa.

Era uno sporco fifone.

Cos'era la sua vita in confronto a tutte le altre persone?

Lui era considerato un mostro che distruggeva ogni cosa e tutti pensavano che avrebbe fatto solo del bene a sparire per sempre, ma aveva paura di farlo.

Eppure, da quando aveva visto per la prima volta quei meravigliosi occhi azzurri sentì come se la sua vita non fosse del tutto rovinata, e quando scoprì che anche lei voleva conoscerlo meglio fu come se un camion pieno di cose belle l'avesse appena investito.

Non fu il migliore dei paragoni, ma era esattamente quello che aveva provato.

Ed ora eccolo lì, a coprire il corpo minuto di quella ragazza dal freddo col suo plaid mentre dormiva beatamente.

Recuperò il quaderno che usava per comunicare con lei, deciso che avrebbe aspettato il suo risveglio anche fino al giorno dopo.

La osservò mentre sorrideva per il tepore datole dalla coperta e mugugnare qualcosa che riguardava Jagged Stone –il cantante rock più famoso di Parigi–, sentendo gli angoli della bocca sollevarsi in un dolce sorriso per l'innocenza di quella ragazza.

Aprì una pagina bianca a caso, iniziando a scarabocchiare con la penna i lineamenti leggeri del suo viso, volendo catturare il minimo dettaglio della sua bellezza da ragazza normale.

Sicuramente si sarebbe tenuto il foglio, appena finito.

Lei era stata l'unica a trovare il vero lui sotto tutto quel nero, non dando peso alla maledizione a cui era soggetto e concentrandosi solo su quello che era.

Su chi era.

Il mondo era un luogo crudele, dove tutti avrebbero voltato le spalle davanti ad una persona bisognosa di anche solo un abbraccio, del minimo aiuto o di essere capiti.

Non voleva che la sua nuova amica soffrisse per il male che le avrebbe procurato l'umanità.

Se ne sarebbe preso cura lui.

Legarsi alle persone era fuori discussione, ma proteggere la sua principessa sarebbe stato un modo magnifico per continuare a vivere.



 

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I feel much betta after this! Mi sono liberata ahahahah

No, io non sono depressa, ma quando avevo scritto questo capitolo (ormai tra il 22/03 ed il 23/03) avevo appena terminato di leggere "A silent voice" e volevo sfogarmi LOL

Comunque, spero vi sia piaciuto e ci vediamo venerdì ^^

Francy_Kid

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Capitolo 9
*** Cap. 8 ***


Cap. 8



 

Marinette sbadigliò per la milionesima volta in due ore.

Fino ad ora aveva soltanto fatto matematica e inglese, le restavano parecchie –almeno per lei– ore prima di poter tornare a casa e correre in biblioteca per documentarsi su Chat Noir.

«Quanto odio il lunedì...» piagnucolò, sbattendo la fronte sul banco.
«Dai amica, tieni duro per altre tre ore.» la confortò Alya facendole un buffetto.
«Tre. Lunghe. Ore.» scandì con drammaticità, fingendo di piangere. «E poi devo anche andare in biblioteca a fare una cosa... Ora come ora non ho proprio voglia...»
«A fare cosa in biblioteca?» domandò curioso Nino, voltandosi dopo aver sistemato il quaderno dell'ora appena terminata nella cartella.
La corvina rimase in silenzio per qualche secondo, ma fu Alya a rispondere per lei. «Sai anche tu quanto questa ragazza sia una nerd: tra fumetti, libri e computer legge sempre. Per non parlare dei videogiochi.»
«Ed il Kindle.» precisò, tirando un sospiro di sollievo quando sentì la risata del moro.

Aveva promesso alla sua migliore amica che non si sarebbe più interessata a Chat Noir, ma lui era un suo amico in difficoltà –parecchio in difficoltà!– e non poteva restare con le mani in mano in queste situazioni.

Prese il cellulare, sospirando appena vide l'orario: erano passate a poco le dieci e la biblioteca aveva aperto pochi minuti fa.

Avrebbe voluto uscire prima solo per correre a casa a dormire un po' e poi andare in biblioteca a parlare con monsieur Fu –nome sicuramente straniero, aveva pensato lei–

Mettendoci tutta se stessa per non uscire dall'aula, tornò a parlare con Alya e Nino per distrarsi fino all'arrivo della professoressa, riprendendo l'incubo della scuola.


 

—•—•—


 

Chat Noir era appollaiato sul tetto sul lato sinistro della scuola, osservando come un gatto curioso le persone che facevano ricreazione.

Chissà com'era andare a scuola, pensava ogni volta che vedeva un ragazzino con la cartella; lui non era mai andato a scuola, ma un insegnante privato veniva a casa sua per insegnargli le stesse cose che stavano facendo i suoi coetanei, anche se lui era parecchio più avanti poiché era da solo e, modestia a parte, imparava parecchio velocemente.

All'epoca si riteneva un grande studioso, non solo perché gli piaceva imparare, ma anche perché gli era stato imposto dal padre, visto che avrebbe dovuto prendere il suo posto non appena fosse arrivato il momento.

Sorrise vedendo la sua amica ridere con altri due suoi coetanei, sentendo il cuore scaldarsi nel vederla felice.

Sì, ne sarebbe valsa la pena restare per lei.

«Quella era pessima!» si lamentò la mora lanciando un pezzo di carta addosso all'amica.
«Invece era fantastica. Voi non apprezzate le battute.» ribatté lei, restituendo il gesto e colpendola direttamente in testa.

Doveva ammetterlo, quella battuta non l'aveva capita...

Come faceva un pesce ad indossare delle scarpe?!

Beato chi l'aveva capito, pensò il felino con un'alzata di spalle.

«Marinette, le tue battute dovrebbero essere illegali.» osservò il moro, colpendosi la fronte con la mano.
«Voi non capite la vera essenza dell'umorismo Marinettiano. Eppure siete miei amici!» esclamò offesa, incrociando le braccia al petto.
«Non è ancora nato chi capisce il tuo umorismo, Mari.»

Marinette... era così che si chiamava.

Un nome degno di una principessa, sospirò il biondo, ripetendo più volte il nome nella sua testa come a volerselo tatuare nella memoria.

Era un nome bellissimo, esattamente come lei.

Si voltò col capo verso l'attico che collegava l'esterno alla camera della ragazza, accorgendosi solo in quel momento che abitava vicino al liceo che frequentava.

Almeno non aveva scuse per il ritardo, pensò il felino divertito.

La sua attenzione fu richiamata dall'arrivo di un ragazzo dai capelli rossi che si sedette accanto a Marinette, facendola sorridere.

«Ehi Nath, la prof ti ha detto qualcosa per domani?» chiese lei incuriosita, spostandosi leggermente per fargli posto.
«Purtroppo no. Spero non ci sarà una verifica a sorpresa, a questo punto.»

Nath. Quel ragazzo gli stava già antipatico.

Non sapeva come mai, ma guardarlo così vicino a Marinette gli faceva rizzare i peli sulla nuca e sfoderare i canini.

Vide la testa di pomodoro ridere ad un'altra battuta della ragazza, mentre gli altri due loro amici fecero per alzarsi ed andarsene.

Si vedeva lontano un miglio che le piaceva Marinette, e questa cosa la rendeva parecchio nervoso.

Si era legato parecchio a lei, anche se non la conosceva molto bene –anzi, non la conosceva per niente!– eppure solo l'idea che qualcuno potesse portargliela via lo faceva infuriare.

Sentì gli artigli conficcarsi nel cemento, graffiandolo, e solo allora prese un paio di respiri profondi.

Non poteva rischiare di perdere il controllo quando Marinette era dentro l'edificio, e non poteva nemmeno scendere e prenderla davanti a tutti.

Chissà poi cosa avrebbero pensato gli altri. Chissà cosa avrebbe pensato lei.

Scosse la testa con furore, mettendosi in piedi e dando un'ultima occhiata alla corvina seduta all'ombra assieme ai suoi amici mentre dava una pacca sulla spalla a quel tipo che si chiamava Nath.

Quello era troppo.

Senza dare un secondo sguardo saltò dall'altro capo del tetto, scendendo agilmente da una grondaia stando attento a non romperla, per poi iniziare a correre per nascondersi dagli occhi dei parigini.

Lo terrà d'occhio quella testa di pomodoro, e se farà qualcosa alla sua principessa allora lo renderà ketchup per paratine fritte.


 

—•—•—



 

Marinette ebbe soltanto il tempo di mangiare, preparare le sue cose è salutare il padre che era già sulla metro per andare alla Bibliothèque de l'Arsenal per parlare con monsieur Fu.

Scese dalla carrozza assieme ad altre persone, seguendole verso l'uscita per non essere sommersa dalle altre che entravano; prese una boccata d'aria appena fu in superficie, espirando subito dopo, per poi guardare a destra e sinistra per ricordarsi la strada da percorrere.

Non aveva un grande senso dell'orientamento, e doveva percorrere almeno una decina di volte la stessa strada prima di imparare il percorso.

Prese il cellulare con già impostato Google Maps con l'indirizzo della biblioteca, ringraziando il fatto che c'erano appena centocinquanta metri che la separavano dalla sua meta.

Iniziò a camminare, facendo attenzione mentre attraversava la strada ed a non urtare i pedoni che camminavano nel verso opposto al suo, sorridendo non appena l'audio del cellulare la avvisò di essere arrivata.

Entrò nell'immensa costruzione e subito fu colpita dal rilassante odore di pagine vecchie che caratterizzava il luogo, sorridendo non appena vide l'anziano signore farle un cenno di saluto.

Percorse il salone per raggiungere Fu, salutandolo con tono basso. «Mi dispiace non essere potuta venire prima, ma la scuola mi tiene impegnata fino all'una.» si scusò chinando il capo.
«Figurati. Mi tengo occupato riordinando i vecchi volumi della biblioteca.» rispose con sorriso gentile. «E poi, credevo che avessi cambiato idea sulla Belva Nera: non credevo che uno studente potesse interessarsi così tanto al mostro che terrorizza Parigi.»
Marinette scosse la testa. «Lui non è un mostro. Non è colpa sua se è così.»

Fu alzò il sopracciglio bianco, mettendo in evidenza le rughe sulla fronte e dando un accenno di divertimento alla sua espressione incuriosita.

«Ehm... volevo dire...» balbetto nervosa, cercando una scusa plausibile per uscire da quella situazione. «Mi piacerebbe prendere il voto più alto di tutti, per questo voglio sapere tutto su quello che riguarda Chat Noir. Sento come la sensazione che la sua storia risale a molto prima della sua comparsa l'anno scorso, e voglio sapere tutto.»
L'anziano annuì, sorridendo. «Sei una ragazza curiosa, oltre che intrepida.» ridacchiò, dandole le spalle e camminando verso le scale che conducevano al piano superiore. «Allora vieni, ti dirò tutto quello che vuoi sapere su Chat Noir. Anche perché so che tu mi devi dire qualcosa, Marinette.»



 

—•—•—


 

Non avrebbe mai immaginato che dietro ad uno scaffale potesse esserci una specie di stanza segreta, eppure era esattamente in una stanza –umida e fredda– dietro lo scaffale!

Appena arrivò al secondo piano, Fu si raccomandò che nessuno lo stesse seguendo o guardando, con le poche persone presenti nella biblioteca con la testa sui libri e la loro attenzione alle parole scritte sulla carta giallastra.

Sentì alle sue spalle la porta chiudersi, cosicché dall'altra parte era il solito scaffale di legno.

Seguì l'anziano lungo un corridoio lungo circa una decina di metri, ringraziando il fatto che qualcuno abbia appeso delle luci ai lati per vedere dove si mettevano i piedi.

Rimase in silenzio dietro il cinese, che continuò a camminare fino a raggiungere una stanza di circa cinque metri quadrati con al centro una botola di legno; con un po' di fatica, sollevò la pesante –ed ormai marcia–lastra di legno, rivelando una scala a chioccia che conduceva talmente in basso che non riusciva a vedere la fine.

Marinette si chiese come fosse possibile che in una biblioteca del genere ci fosse una cosa del genere, ed il perché non avevano costruito il passaggio già al piano terra per risparmiare fatica e tempo, ma quella era la domanda secondaria.

Fu le fece cenno con la testa di seguirlo, scendendo attraverso la lunga rampa; la ragazza annuì, pregando di non scivolare a causa dell'umidità che si era attaccata alla pietra, rendendola viscida, e per i gradini sconnessi.

Tenne le mani sulle pareti per avere il minimo punto d'appoggio in caso di caduta, pregando che non le prendesse un attacco di panico per la sua claustrofobia.

Quattrocentosettantatré gradini più tardi –che contò per distrarsi– arrivarono alla fine, e la vista fece rimanere senza fiato la giovane corvina: quella stanza era ancora più grande della biblioteca che avevano sopra la testa, ed innumerevoli volumi, tra cui parecchie pergamene, erano raccolti su scaffali alti circa quattro metri; il luogo sembrava potersi spingere per chilometri di lunghezza, ma le luci delle lampade mostravano le pareti perimetrali e la fine di ogni scaffale.

I suoi occhi azzurri si illuminarono alla vista di tale meraviglia e non poté trattenere un sospiro di meraviglia.

Fu ridacchiò. «Immaginavo ti sarebbe piaciuto questo posto.»
«Com'è possibile che una biblioteca avesse un archivio enorme? E soprattutto sotto terra!» esclamò sorpresa, girando su se stessa per ammirare la stanza in tutta la sua interezza.
L'anziano le fece cenno di seguirlo, conducendola verso l'unico tavolo presente. «L'Arsenale fu fondato nel XVI secolo da Francesco I, come immagino già saprai, che si raccomandò di installare una stanza segreta dove lui potesse isolarsi. Questo luogo è sempre stato pieno di manoscritti e stampe medievali, mano a mano riempito durante la rivoluzione francese dopo che lo stato sequestrò la biblioteca. Mentre al livello superiore ci sono le collezioni che tutti conoscono -quali gli Archivi della Bastiglia, il Fondo Lacroix e la Collezione José-Maria de Heredia- su questo livello si continuavano a raccogliere volumi unici di cui pochi conoscono l'esistenza provenienti da ogni angolo del mondo.» spiegò, sedendosi su una panchina scricchiolante.
«Credevo che biblioteche del genere esistessero solo nei film o nei libri. Ce ne sono altre in giro?» domandò curiosa, sedendosi dall'altro capo del tavolo, poggiando la borsa accanto a lei.
L'anziano annuì. «Alcune sono persino più grandi e contengono segreti più antichi. Ogni biblioteca ha il proprio segreto. Il proprio cavallo di battaglia, se proprio vogliamo chiamarlo così, e qui c'è la collezione che riguarda gli antenati di Chat Noir.»

Marinette sentì il cuore accelerare, felice di aver trovato ciò che cercava.

«Ora, però, vorrei avere la conferma del perché tu sei qui.» aggiunse Fu, incrociando le mani davanti al mento.
«Ha capito che non sono qua per una ricerca scolastica, vero?» ridacchiò nervosa, grattandosi la nuca.
Il cinese annuì. «Non ho mai conosciuto nessuno che volesse sapere qualcosa su Chat Noir se non per un fine personale. Il tuo qual è?»
«Io non ho nessun fine personale, signore. So che ora mi prenderà per pazza,» ridacchiò, per poi tornare seria. «ma io ho conosciuto Chat Noir e le assicuro che non è quel mostro che tutti credono, anzi, è un ragazzo come gli altri, ma che ha una specie di maledizione. È vero, ho un secondo fine ed è quello di aiutarlo a tornare normale. Magari non riuscirò in una settimana, in un mese o in un anno, ma odio vedere i miei amici in difficoltà e metto tutta me stessa per aiutarli. Vale la stessa cosa per Chat Noir.» rispose con lo sguardo fisso a Fu, che rimase in silenzio tutto il tempo ad ascoltarla mentre si lisciava la barba grigia che aveva al mento.
L'anziano le sorrise. «Bene, Marinette, da oggi sarai la mia allieva. Ti minsegnerò tutto ciò che so sulla maledizione di Chat Noir.»




 

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Ecco cosa fa Fu: legge.

E Mari che conta i gradini mentre scende. Così, a caso.

E pensare che le cose non si sono ancora fatte interessanti 👉😏👉

Ehehehe vedrete venerdì ^^

Francy_Kid

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Capitolo 10
*** Cap. 9 ***


Cap. 9




Marinette non poté fare a meno di ripetersi che i colori del crepuscolo erano fantastici: ogni volta che saliva sull'attico restava ammaliata da quello spettacolo naturale, ed i raggi del sole avevano reso piacevolmente caldo il ferro della ringhiera sotto le sue braccia.

Sbadigliò, sentendosi stanca –poiché il pomeriggio non aveva avuto il tempo per dormire–

Appena tornata dalla biblioteca, circa alle sei e un quarto di sera, si abbandonò sul suo morbido divano, starnutendo e tirando su con il naso, immaginando che l'umidità di quel –magnifico ed immenso– posto fosse la causa del suo raffreddore.

Durante la sua "lezione" con Fu aveva soltanto imparato le basi, se così si potevano chiamare, scrivendole su un quaderno ad anelli, con l'intenzione di aggiungere fogli per quando avrebbe scritto altro.

Non sapeva se raccontare di Fu e ciò che aveva scoperto a Chat, data la reazione dell'ultima volta.

Suo padre si sedette accanto a lei, chiedendole com'era andata in biblioteca mentre le accarezzava amorevolmente la testa; sapeva che sua madre sarebbe dovuta rimanere in ospedale ancora: ogni volta che c'era una brutta notizia Tom le accarezzava la testa e le parlava con tono dolce e lento, non volendo farla rattristare troppo.

Stata un po' con il padre, i due cenarono insieme, parlando del più e del meno –tralasciando l'argomento Chat Noir è quello dell'essere allieva di un anziano cinese–

Fu una bella serata, dopotutto, ma la mancanza di Sabine era palpabile.

Il fiume dei suoi pensieri fu interrotto da una mano guantata che sventolava davanti al suo volto e da un paio di occhi verdi.

Sbatté le palpebre per tornare alla realtà, notando Chat Noir seduto sulla ringhiera accanto a lei.

Marinette rise imbarazzata. «Scusa, non ti ho visto arrivare.»

Chat scosse la testa mettendosi accanto a lei ad osservare la cattedrale di Notre Dame.

Il suo sguardo verde vagava sui lineamenti del viso della corvina, notando immediatamente il suo stato d'animo, che dedusse essere sotto le scarpe.

Il felino le porse la mano, sorridendole dolcemente; la ragazza posò la propria su quella del biondo, stringendogliela leggermente.

«Non ti preoccupare, va tutto bene.» disse con sorriso triste, notando quanto la sua stretta, seppur gentile, fosse forte, come a volerle fare capire che lui era lì per lei.

Chat la sollecitò a parlare con lo sguardo, facendole cenno di allontanarsi dalla ringhiera non appena notò alcune persone camminare sul marciapiede: non voleva metterla in pericolo.

Marinette andò a sedersi contro il piano di legno che usava per poggiare i suoi vasi accanto alla botola, seguita dal felino.

«Scusa, mi sono anche dimenticata di darti il quaderno.» si scusò, allungando il braccio sopra la testa per recuperare l'oggetto sul mobile, porgendoglielo subito dopo. La ragazza recuperò anche un plaid rosso, poggiandolo sulle sue gambe. «Dovevo anche restituirti la coperta che mi hai prestato ieri, ma mio papà l'ha messa da qualche parte dopo averla lavata e devo cercarla... scusa... Intanto te ne ho portata un'altra.» disse inventandosi una scusa plausibile.

Il biondo la guardò incuriosito, scuotendo la testa ed alzando la mano per farle cenno di non preoccuparsi, per poi prendere la coperta che gli aveva offerto.

La prima cosa che lo colpì fu il buon profumo che emanava, sorridendo del fatto che odorava esattamente come la ragazza che aveva accanto.

Era un profumo dolce e delicato, che non stancava nemmeno se lo sentivi per ore di fila.

Chat prese il quaderno e la penna, posando il plaid sulle gambe.

"Grazie, ma io non ne ho bisogno: non sento il freddo come te"

Subito dopo, girò nuovamente il quaderno verso di sé, scrivendo ancora.

"Vuoi raccontarmi cos'hai?"

Marinette sospirò, iniziando a giocare con un lembo della sua maglietta. «È già il secondo giorno di seguito che mia mamma rimane al lavoro senza tornare a casa. So che è necessaria la sua presenza poiché è un chirurgo, e mi sento un'egoista a desiderare che lei fosse qua con me anziché ad aiutare qualcuno... Per me è la normalità il fatto di averla fuori casa, ma sono molto legata a lei e ne sento la mancanza...» spiegò con voce tremante, accorgendosi poco dopo della vista che iniziava a farsi sbiadita. «Scusa, ti ho sicuramente annoiato.» ridacchiò nervosa, asciugandosi le lacrime.

Chat scosse la testa, per poi dedicarsi alla sua risposta.

"Non mi stanco mai a sentirti parlare, e poi te l'ho chiesto io come mai eri triste. E se devo essere sincero, anch'io mi sentivo come te prima di diventare ciò che sono ora: mio padre era spesso fuori casa per lavoro oppure si rinchiudeva nel suo ufficio per non essere disturbato, così le nostre giornate insieme erano quasi inesistenti"

Marinette gli sorrise comprensiva, appoggiando la testa sulla spalla del ragazzo, che, in un primo momento, si irrigidì, non ancora abituato a quelle azioni; non passarono molti secondi prima che anche lui si poggiò contro di lei, godendo di quella loro vicinanza.

Sotto quel punto di vista si sentiva capita.

Ogni volta che andava dai suoi amici li vedeva passare dei momenti felici con entrambi i loro genitori, e questo la faceva sentire invidiosa di loro, ma anche felice per loro.

Il ragazzo le mise il quaderno sulle gambe per farle leggere ciò che aveva scritto, e subito Marinette assunse un'espressione stranita.

"Chi era il ragazzo dai capelli rossi con cui stavi parlando a scuola?"

«Tu mi hai spiata a scuola?» chiese accigliata.

"No, è che solitamente guardo i miei coetanei perché mi piacerebbe essere come loro, e ieri ho visto te ed i tuoi due amici ridere e scherzare. Poi è arrivato quella testa di pomodoro che non mi piace per nulla. Chi è?"

La corvina cercò di trattenere le risate dopo aver finito di leggere, ma fallì miserabilmente, tenendosi la pancia con le mani mentre l'aria veniva riempita dalle sue risa.

«L-Lui è Nathaniel.» rispose dopo aver preso fiato, asciugandosi le lacrime agli angoli degli occhi. «Un mio compagno di classe. Come mai quest'attacco di gelosia?» chiese con ghigno giocoso, notando subito la sua frettolosità a rispondere.

"Non sono geloso! È che ho visto come ti guardava e non mi piaceva per nulla"

«Perché? Come mi guardava?»

"Tu gli piaci, Mari. So che magari questo doveva dirtelo lui, ma a me non piace come lui ti stava vicino"

Scrisse Chat in risposta, sentendo la mano della ragazza sulla propria spalla.

«Chat, non devi preoccuparti di nulla.» disse sorridendo. «Nath è mio amico, nulla di più. E poi, non credo che nessun ragazzo si innamorerà mai di me: sono sbadata, pasticciona, imbranata, un disastro, non ne combino mai una buona... Un pericolo pubblico, insomma.» aggiunse con un sospiro triste, facendo calare la mano per poi posarla in grembo.

Chat tornò a scrivere, alzando qualche volta lo sguardo per controllare se la ragazza stesse guardando ciò che scriveva.

"Anche se non ti conosco quasi per niente, posso facilmente dire che sei  talentuosa, bellissima, rispettosa, divertente, fantastica, paziente e sei una cara amica. Potrei andare avanti all'infinito nel descrivere i tuoi pregi, ma il quaderno non basterebbe. E credimi, se te lo dice la Belva Nera allora non è una cosa da poco. In te ho trovato una persona speciale con cui posso imparare a tornare ad essere me stesso. Una cosa che avevo dimenticato tempo fa."

La corvina gli sorrise in un ringraziamento silenzioso, prendendo la mano del felino facendo in modo che le loro dita si intrecciassero.

Sentirselo dire da Alya e Nino era un conto, ma vederlo scritto su carta da una persona che aveva incontrato solo pochi giorni prima e che stava conoscendo era tutt'altra cosa.

Lei non si rispecchiava molto in quello che Chat le aveva detto, ma si sentiva apprezzata.

Sentì le guance diventarle calde e, subito, portò la mano libera sul viso per constatare se veramente era arrossita per quei pensieri.

Chat chinò il capo per scrutarla, con espressione incuriosita mentre guardava cosa stava facendo, chiedendosi il perché si tastasse le gote.

«N-Non è nulla... È un'abitudine che avevo sin da piccola: se sentivo le guance calde significa che sto arrossendo.»

"Non te ne accorgi dal momento? E non fai prima a guardarti in qualche riflesso?"

«Certo che me ne accorgo, ma ora mi è rimasta questa cosa delle guance... Lo so, sono patetica...» aggiunse con un mugolio, chinando il capo per nascondersi dal suo sguardo.

La sua attenzione fu attirata dal quaderno che Chat le mise sulle gambe per farglielo leggere.

"Io la trovo una cosa carina, invece"

Marinette sorrise per l'ennesima volta, pensando che nessuno l'aveva mai fatta sorridere in quel modo prima d'ora; certo, con i suoi amici rideva, scherzava e sorrideva, ma non aveva mai provato quella sensazione di piacere che provava con Chat.

Quasi all'improvviso, la corvina abbracciò il ragazzo al torso, sorprendendolo.

Sentendo gli angoli delle labbra alzarsi, e notando la pelle d'oca sulle braccia della sua amica, prese il plaid che gli aveva dato e lo sistemò attorno alle loro spalle per ripararla dall'aria fresca.

Marinette si accoccolò contro di lui, strofinando la guancia contro il suo corpo caldo, chiedendosi se il fatto che emanasse tutto questo calore fosse una conseguenza della maledizione che lo affliggeva.

A proposito della sua maledizione.

Gli occhi azzurri della corvina vagarono sulla mano destra dell'amico, osservando l'anello: era un normalissimo gioiello nero, nel quale al centro era disegnata un'onda di gatto verde che sembrava brillare di una strana luce; emanava una strana energia che la attirava verso di lui, dandole la sensazione di essere  polo positivo che veniva attratto verso il polo negativo di una calamita.

Sporse una mano tremante verso il gioiello, ma Chat allontanò il proprio braccio e Marinette fu riportata alla realtà.

La ragazza alzò lo sguardo, incontrando l'espressione severa del biondo, come ad ammonirla dal fare azioni avventate,

«Mi dispiace... Non so cosa mi sia preso...» rispose con voce sommessa, sentendo la testa dolerle.

Chat scosse il capo, facendole un buffetto amichevole.

Doveva dirglielo. Doveva dirgli di Fu.

«Chat, vorrei dirti una cosa. E riguarda il tuo anello...»

Subito, il felino alzò la mano per zittirla, prendendo il quaderno per scrivere la sua risposta.

"Non per sembrare scortese, ma non voglio sapere nulla sull'anello. So soltanto che mi ha reso l'esistenza, che non posso più chiamare "vita", un inferno. Anche se, sotto un certo aspetto, ne sono anche felice..."

Voltò pagina, fine di di scrivere dopo aver terminato lo spazio.

"Ho incontrato te"

Marinette gli sorrise, poggiando una mano sulla sua spalla sussurrandogli un "grazie".

Chat tornò a scrivere sul quaderno, girandolo subito dopo.

"Ma sono serio riguardo al ragazzo pomodoro: non ti deve toccare, o con lui ci faccio la passata"

Scrisse lui, con tanto di faccina arrabbiata adornata da baffi ed orecchie da gatto in fondo alla frase.

«Chat, smettila.» lo ammonì la corvina, scompigliandogli i capelli con fare giocoso, mentre lui riprese a fare le fusa.

Dopotutto, avere quella maledizione aveva i suoi vantaggi.


 

—•—•—


 

Scendere in quella stanza era un bel modo per mantenersi in forma, pensò positivamente Marinette mentre scendeva gli ultimi cinque gradini.

Si era impegnata parecchio per imparare quale fosse la sequenza di libri da togliere per aprire il passaggio segreto: il decimo libro da sinistra del primo scaffale, il quarto del secondo scaffale, l'ultimo del terzo ed il diciannovesimo da destra dell'ultimo.

O forse era il diciannovesimo del terzo scaffale e l'ultimo del secondo...

Ok, ci aveva messo tutta se stessa ma non era ancora riuscita; per fortuna c'era sempre Fu ad accompagnarla, e quella volta era arrivata fino alla biblioteca senza l'aiuto del GPS.

Rimase seduta al tavolo per circa cinque minuti, poi l'anziano tornò con quella che pareva un rotolo di pergamena: la carta era ingiallita dal tempo e per l'umidità, dandole l'impressione che potesse sgretolarsi tra mani del vecchio da un momento all'altro.

«Durante il corso della storia, coloro che possedevano l'anello erano caratterizzati da parecchi nomi e soprannomi, tradotti in Distruttore, Mostro o Piaga.» iniziò l'anziano, sfiorando con le dita i disegni sulla pergamena. «Su questa pergamena viene spiegata la prima apparizione di Chat Noir, risalente al 500 a.C.. All'epoca venne chiamato Hēi hǔ, la Tigre Nera -una specie di sinonimo di Belva Nera- e fu in Cina, nella regione dove, attualmente, c'è il distretto di Wuda, nella Mongolia interna. Lì c'è una foresta che ha fatto da casa al primo possessore dell'anello per circa un'ottantina d'anni, poi, il villaggio costruito al confine orientale, si ribellò ed organizzò una spedizione per cacciare il mostro che saccheggiava i campi e rubava il bestiame. Tutte le persone si erano preparate nel modo migliore per contrastarlo, ma malgrado fosse stato un intero villaggio di cacciatori e raccoglitori contro una sola persona, Hēi hǔ uccise gran parte dei suoi aggressori, ma alla fine, perì ed il villaggio fu in salvo.» concluse, chiudendo il fragile rotolo e riportando alla normalità Marinette. «Nessuno sapeva chi era è da dove veniva, ma quando venne ucciso ed i poteri dell'anello svanirono, rivelarono un giovane ragazzo diventato uomo da poco. Molti si meravigliarono poiché Hēi hǔ terrorizzava gli abitanti da ormai ottant'anni, eppure quel ragazzo non era invecchiato minimamente.»
«E l'anello, che fine ha fatto poi?» domandò lei, masticando nervosamente il tappo della penna.
«Se ne persero le tracce per circa duecento anni, finché, nel 368 a.C. ricomparse in Babilonia. L'uomo dell'epoca fu il primo ad avere il coraggio -come scrissero gli autori del tempo- a togliersi la vita prima di fare realmente male a qualcuno.» rispose. «Sin dalla sua comparsa, i possessori furono considerati la piaga dell'umanità e l'anello il loro strumento di distruzione. Nessuno ha ancora capito se ci sono dei criteri da rispettare per divenire portatori o se lo diviene chiunque ne entri in possesso, ma è un oggetto parecchio potente e pericoloso, soprattutto se chi lo possiede non ha paura ed utilizza tale potere per governare un regno.»
«Ma Chat Noir non parla. Com'è possibile che uno dei passati portatori abbia addirittura governato?» domandò la ragazza sgomenta, masticando il tappo della penna con nervosismo, interessata ad ogni parola che diceva, mentre immagini di vecchi portatori le scorrevano in testa a formare un vero e proprio racconto animato.
Fu la fissò serio. «Non servono le parole per incutere timore nei cuori delle persone. Solo se il popolo ha paura, allora seguirà i tuoi ordini, ma il tuo regno finisce non appena abbassi la guardia.»





 

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Come vi sembra? Spero vi piaccia :3

Mischiare parte mitologica alla parte del presente aka alla gelosia di Chat Noir mi piace un sacco LOL

Momenti seri messi tra momenti random... mi fa strano ahahahah

Aspettatevi di tutto, d'ora in poi, perché le sorprese non finiscono qui ;)

Mi sembra la pubblicità dell'uovo di pasqua...

Anyway, ci vediamo venerdì :D

Francy_Kid

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Capitolo 11
*** Cap. 10 ***


Cap. 10



 

Marinette osservò il suo quaderno che usava per pendere appunti da Fu pieno di frasi e scarabocchi dei suoi racconti.

Non riusciva ad immaginare come un semplice anello potesse creare tutto quel trambusto: interi villaggi distrutti, persone spaventate, vite interrotte...

Quello era la cosa che la preoccupava maggiorente.

La vita di Chat Noir era importante tanto quanto quella degli altri e non le sembrava giusto che l'unico modo per fermare quella maledizione fosse amputarsi il dito o uccidersi.

E sapeva che Chat ci aveva già pensato più volte.

Sospirando, si abbandonò contro la sedia, guardando distrattamente fuori dalla finestra ed accorgendosi solo in quell'istante che un paio di luminosi occhi verdi la stavano osservando.

Trattenendo un urlo di paura, si sporse in avanti e socchiude gli occhi, cercando di distinguere i contorni della figura che era fuori dalla sua finestra, quando notò un sorriso imbarazzato e denti appuntiti.

«Chat?» sussurrò chinando la testa di lato. «Chat!»

La corvina si alzò immediatamente, afferrando la sedia appena prima che cadesse a terra, per poi aprire la finestra.

«Mi dispiace. So che mi aspettavi fuori come ogni sera, ma ero impegnata... nei compiti.» spiegò inventandosi una scusa plausibile, chiudendo di scatto il quaderno degli appunti con la mano libera.

Le aveva già detto che non voleva sapere nulla sull'anello, e lei non aveva intenzione di parlargliene, almeno finché non era pronto.

«Puoi entrare se vuoi. Almeno qua non ci sono ventate d'aria fredda o piogge improvvise.» ridacchiò, notando i suoi occhi vagare per gli oggetti che aveva in camera.

Chat scosse la testa, capendo dopo pochi secondi la sua offerta, ma Marinette ridacchiò.

«Se stai dicendo che non vuoi disturbare, non disturbi affatto: sono io che ti ho offerto di entrare e non credo tu sia comodo nel rimanere lì sulla finestra.» disse, mettendo via il suo quaderno e recuperando quello con cui Chat comunicava con lei, prendendo anche una penna per scrivere.

Facendogli un ultimo cenno, Chat entrò nella stanza, appollaiandosi a quattro zampe come un animale curioso e che stava analizzando l'ambiente.

La ragazza lo guardò divertita, fissandolo mentre camminava –si diceva "camminare" quando una persona era a quattro zampe?– lentamente nella stanza, spostando con le dita artigliate alcuni oggetti a terra.

«Scusa il disordine, ma non ricevo molte visite...» mormorò imbarazzata, chiudendo la finestra, arrossendo ancora di più quando Chat alzò il busto da dietro la chiuse longue, guardandola con un sorriso divertono non appena le mostrò un reggiseno nero che aveva raccolto. «Appunto...» genette lei subito dopo, sapendo di per certo che era rossa come un pomodoro.

Il ragazzo si rimise in piedi, ora più a suo agio, dirigendosi verso la sua amica con il pezzo di intimo in mano, scambiandolo con il quaderno che, invece, aveva lei e che usava per coprirsi parte del volto.

"Tranquilla, camera mia -se posso chiamarla così- è messa peggio. Anzi, l'intera casa è messa peggio"

Marinette gli sorrise, non sapendo bene come reagire a quella frase: non aveva la minima idea di dov'era il suo nascondiglio e non sapeva se, effettivamente, ne avesse uno.

Stringendo il reggiseno tra le mani, si sforzò di non mostrare dispiacere.

"Se continui a stringere così quel reggiseno non penso dopo la tua taglia terza ti andrà ancora bene"

Marinette arrossì, coprendosi di istinto il petto. «Chat!» urlò, tappandosi la bocca subito dopo.

"Ehi, io mica mi lamento"

La ragazza non sapeva se era peggio il fatto che stavano parlando della sua taglia di seno, con tanto di sguardo provocante del felino, o che aveva appena urlato il suo nome mentre i suoi stavano dormendo.

Portandosi le mani alle guance –e appurando il fatto che era rossa peggio di un semaforo– mise in un cassetto il pezzo di biancheria, voltandosi di nuovo verso Chat e notando subito il suo sguardo dispiaciuto.

"Scusami sé questa cosa ti ha data fastidio, spero non ti farai un'idea sbagliata su di me..." scrisse sul quaderno, mostrandoglielo.

Marinette gli sorrise. «Non fa nulla. Anche quando Alya, la mia migliore amica, fa battute su queste tematiche reagisco in questo questo modo. Anche se le sue vanno ben oltre la biancheria intima...» rabbrividì, dando un'occhiataccia al felino non appena lo vide agitare le sopracciglia. «Vuoi qualcosa da mangiare? So che è quasi le mezzanotte, ma credo proprio che tu abbia fame.»

Chat scrisse sul quaderno: "No, grazie. Mi hai già permesso di entrare nella tua stanza, non voglio approfittarne ancora."

«Chat, non farmi ripetere il discorso di prima. Dai, scendi in cucina con me, tanto i miei stanno dormendo.» gli fece cenno con la testa, ma venne fermata dal biondo non appena le afferrò il polso, lasciandoglielo subito dopo.

"E se si svegliano? Tu potresti finire nei guai..."

«Non ti preoccupare: entrambi hanno il sonno pesante e lavorano parecchio, non si sveglierebbero nemmeno se dovesse scoppiare una rivoluzione.» ridacchiò aprendo la botola, facendogli cenno di seguirla.

Chat la guardò scendere nel salotto, dirigendosi con sicurezza verso l'interruttore della luce per accenderla.

Quella ragazza era dannatamente testarda, eppure gli piaceva anche per questo.

Con movimenti lenti e leggeri, scese le scale senza fare il minimo rumore, guardandosi attorno incuriosito: non era un appartamento enorme, ma per una famiglia di sole tre persone la trovava perfetta; riusciva addirittura a sentire il calore e l'amore che legava Marinette ed i suoi genitori, lo stesso amore che, una volta, aleggiava anche in casa sua.

«Allora, nel frigorifero non c'è molto, poiché dobbiamo ancora fare la spesa, ma un sandwich alla Marinette ci dovrebbero essere tutti gli ingredienti.» canticchiò felicemente la ragazza, osservando le pietanze nel frigo aperto.

Chat la raggiunse, guardandola incuriosito.

«Allora, ci sono due versioni del "sandwich Marinette": una come ed una salata. Quale preferisci?»

Il biondo ci pensò qualche secondo, per poi alzare la mano per mostrare l'indice ed il medio.

«E salata sia. Anche perché ho finito la Nutella, quindi niente dolce.» puntualizzò poco dopo, recuperando qualche vasetto e sacchetto nel frigorifero per poggiare il tutto sul tavolo.

Il ragazzo le domandò se le servisse una mano, ma lei lo fece sedere per aiutarla nei suoi gusti.

«Gli ingredienti del "sandwich Marinette" sono semplicissimi: lattuga, prosciutto crudo o cotto e salsa boscaiola. Ma se non ti piace nessuno di questi ingredienti o hai qualche allergia puoi scegliere qualcos'altro.» sorrise, prendendo dal cassetto un coltello per spalmare, prendendo in mano il barattolo di salsa.

Chat aprì il quaderno per scrivere la risposta.

"Proverò volentieri uno dei tuoi sandwich"

La ragazza annuì con la testa, iniziando a preparare due panini.

Chat la osservò, trovandola carina nella sua espressione concentrata e, soprattutto, non appena tirò fuori la lingua mentre sistemava gli ingredienti in maniera ordinata; fu la stessa corvina a risvegliarlo dai suoi pensieri, porgendogli un panino appena fatto non appena fu finito.

«Spero ti piacciano, dopotutto sono basati sui miei gusti personali. Sennò te ne posso fare un altro.»

Il felino scosse la testa, prendendo un boccone e masticando lentamente per assaporarlo.

Un ampio sorriso si presentò sul volto di Chat, facendo ridacchiare la giovane.

«Dalla tua espressione deduco che ti è piaciuto.»

Il biondo annuì, per poi prendere un altro morso.

Era da tanto che non mangiava qualcosa di così buono da parecchio tempo, sopratutto in compagnia –anche se non riusciva a comunicare propriamente con lei poiché non poteva parlare–; solitamente era costretto a rubare ai passanti qualche pezzetto di cibo o, raramente, nei centri commerciali, rischiando di venire catturato o ferito dai poliziotti.

Era una vita stressante ed era già capitato parecchie volte che rimanesse a digiuno anche per diversi giorni prima di rivedere anche soltanto metà panino o altro senza che lo soddisfacessero pienamente, ma aveva imparato ad accontentarsi.

Altre, invece, erano le volte che la fame prendeva il sopravvento e gli facesse perdere il controllo, rischiando, una volta, di fare del male ad un bambino per un biscotto gelato; per fortuna del piccolo un poliziotto era nelle vicinanze e sparò un colpo di pistola per spaventarlo, colpendolo però di striscio alla gamba destra.

«...at? Chat?»

La voce di Marinette lo fece tornare alla realtà, accorgendosi solo ora che aveva finito il sandwich e che stava stringendo il tovagliolo in mano.

«Tutto bene?» domandò la corvina, sporgendosi di poco verso di lui.

Il felino annuì, poggiando il pezzo di carta sul tavolo e fissando l'anello nero, abbassando le orecchie del costume.

«Immagino sia stato un brutto ricordo.» dedusse, per poi alzarsi e sistemandosi sulla sedia accanto a lui. «Se non vuoi parlarne non fa niente, ti capisco. Ma cerca di non pensarci, ok?» sorrise, porgendogli la mano.

Chat spostò lo sguardo dagli occhi azzurri della ragazza alla sua mano per un paio di volte prima di intrecciare le dita con le sue, annuendo.

Poggiò la testa sulla spalla dell'amica, strofinando il naso nell'incavo del collo ed ispirando il suo dolce profumo, facendola ridere perché le faceva il solletico.

Dopotutto, era un gatto, no?


 

—•—•—


 

Marinette si sfregò gli occhi che le bruciavano per il sonno, sbadigliando: dopo che Chat se n'era andato –a mezzanotte e mezza– si era sistemata a terra per finire il disegno che aveva progettato per la coperta prestatale dall'amico, stando attenta ai minimi dettagli ed a non sporcare il pavimento con le tempere per tessuti.

Erano le tre e mezza passate e, finalmente, poteva essere orgogliosa del suo capolavoro terminato: un grande cerchio diviso in due, a sinistra la metà di un'impronta di gatto verde e sulla destra un semicerchio rosso con punti neri che rappresentavano le ali di una coccinella.

Non sapeva il perché le sia venuta in mente una cosa del genere, ma credeva che gli stesse a pennello un simbolo simile.

Il simbolo verde di orma di gatto stampata sull'anello l'aveva copiato dagli appunti che aveva preso da Fu, documentando tutto quello che trovava interessante e si era appuntata mentalmente di registrare una sua storia, così che potesse sistemare tutto una volta a casa.

«Nemmeno con gli appunti di scuola sono così organizzata!» ridacchiò, riponendo il pannello sporco di tempera nera nel piattino.

Sbadigliando, si mise in piedi, strisciando i piedi fino alla chaise longue per mettersi il pigiama, stando attenta a non pestare il disegno ancora fresco.

Tra poco sarebbe scesa a prendere il phon per iniziare ad asciugare, anche se non sarebbe bastato molto.

Sedendosi sulla chaise longue, recuperò il cellulare che aveva poggiato sul cuscino, accorgendosi solo in quel momento che aveva un messaggio perso di Nathaniel.

Aprendo la chat Whatsapp sbirciò subito a che orario l'aveva inviato, vedendo che era dalle nove che stava attendendo risposta, mentre lei era occupata a fare i compiti e poi si era messa a lavorare sugli appunti presi in biblioteca, disegnando qualche scena o personaggio ogni volta che terminava una parte o faceva una pausa per riflettere sulla situazione; poi era arrivato Chat Noir e non gliene importava del cellulare.

«Ops...» mormorò imbarazzata, grattandosi la guancia solo per scoprire che la causa del prurito era una chiazza di pittura usata per il disegno.

Concentrò la sua attenzione sul messaggio inviatole, vedendo che Nath l'aveva inviata a prendere un gelato ed a fare un giro in città.

Sentendosi in colpa per non avergli risposto subito, e pensando che domani fosse stato troppo tardi per accettare una richiesta di uscita per quel giorno, chiuse la chat, ringraziando mentalmente il fatto che a nessuno spuntavano le spunte blu anche quando leggeva.

Sarebbero usciti il giorno successivo.

E avrebbe dovuto avvisare anche Fu per dirgli che un pomeriggio non sarebbe potuta venire.

Si alzò nuovamente, gettando il cellulare sul cuscino con un tonfo, recuperando due mollette che aveva poggiato sulla scrivania e prendendo la coperta agli angoli per appenderla ad un filo che aveva messo per lavori del genere, dando attenta che il disegno non si fosse rovinato.

Vedendo la sua "tela" appesa il disegno le sembrava uscito abbastanza bene, ma doveva lasciargli il tempo di asciugarsi e far attaccare bene la tempera.

Levandosi la salopette sporca di schizzi di pittura e gettandola nella cesta dei panni sporchi, si guardò le mani e le braccia solo per vedere vernice verde, rossa e nera che le colorava la pelle, ripiegando il telo bianco che aveva sistemato sotto la coperta per evitare di sporcare il pavimento.

Rimasta in intimo, recuperò il pigiama e della biancheria pulita, intenzionata a farsi una doccia prima di dormire per almeno tre ore.

Scese in salotto, camminando in punta di piedi verso il bagno, origliando alla porta dei genitori solo per sentire il russare di suo padre e accertandosi che entrambi stessero dormendo.

Quello che avrebbe fatto anche lei tra poco.


 

—•—•—


 

«Fare ricreazione è sempre una gioia per la mia mente.» osservò Nino, seduto sul gradino accanto ad Alya, stirandosi le braccia indolenzite.
«Strano, non hai un cervello da stancare.» lo schernì la mora, ghignando appena lui la guardò male.

Marinette non stava ascoltando nessuno dei due, poggiata con la spalla destra al muro e lamentandosi mentalmente del fatto che il cemento non era comodo come un materasso.

«Hai fatto le ore piccole, Mari?» domandò Nathaniel sbucando dal nulla.
«Già, ieri sera sono stata occupata.» rispose, per poi portarsi la mano davanti alla bocca e sbadigliare.
«Ecco perché non mi hai risposto. Pensavo l'avessi fatto apposta.»
Alya sbuffò. «Tutti sanno che se Mari non risponde ai messaggi è impegnata sul serio: ha il cellulare incollato alle mani tutto il giorno.»
«Ma non è vero!» esclamò la corvina gonfiando le guance, per poi rivolgersi di nuovo al rosso. «Comunque, per oggi non posso. Si può fare domani, se non fa nulla.»
«Certo, va bene.» arrossì, per poi salutare e allontanarsi di nuovo da loro.
Nino si voltò verso l'amica. «Non mi piace quel tipo.» disse una volta che si era allontanato.
«Nemmeno a me.» confermò Alya.
«A me sta simpatico...» ribatté Marinette, sorseggiando del tè dalla sua bottiglietta. «E poi è solo un'uscita tra amici.»
«Ti ha chiesto di uscire?! E tu hai accettato?!» urlò la mora alzandosi in piedi, facendo sobbalzare i due. «Ma sei impazzita?!»
«E perché dovrei esserlo?»
«Perché quello lì ha la faccia da bravo ragazzo, ma invece è tutto il contrario!» rispose Alya tutto d'un fiato, per poi prendere dei respiri profondi per recuperare aria.

Marinette la guardò stranita, voltandosi poi verso Nino, sperando che lui potesse calmare la sua ragazza.

«Quel ragazzo da i brividi: resta sempre da solo a disegnare e ti segue dovunque tu vada. Manca poco che ti segua in bagno!» esclamò allargando le braccia.
«State ingigantendo tutto, ragazzi.» ridacchiò la corvina. «Tranquillizzatevi che se domani "tenta qualcosa che possa nuocere alla mia persona" urlo, va bene?» chiese divertita, alzandosi e pulendosi la polvere dal retro dei pantaloni.
«Ma...» tentò di dire Alya, ma Marinette le mise il dito indice sulle labbra.
«Lo so che sei gelosa, ma tu rimarrai sempre e per sempre la mia Girl, nessuno ti sostituirà.» scherzò la giovane mettendole una mano sulla spalla, volendo farle capire che non avrebbe corso alcun rischio.
«Marinette, sono seria.»

Ecco, quando la chiamava con il suo nome per intero allora non c'era da scherzare.

«Alya, non ti devi preoccupare, davvero.» la assicurò, poggiando le mani sulle spalle.
«Ok. Ma se succede qualcosa me lo dici, promesso?»
«Promesso.»
«Ehi. Ma questi complotti per rubarmi la ragazza?» si intromise Nino, picchiettando con l'indice il braccio della corvina.
«Sei tu il terzo incomodo nella nostra relazione!» rispose la mora, mettendo il braccio attorno alle spalle dell'amica, per poi scendere con lei le scale verso la classe non appena udirono la campanella suonare.

Nino le guardò allontanarsi con sguardo inespressivo, come se fosse stato appena pugnalato.

Ma, infondo, stavano scherzando.




 

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Ecco il decimo capitolo xD

Ed ora iniziano le cose... brutte.

O almeno, se non nell'undicesimo succederanno nel dodicesimo, dipende cosa metterò giù xD

Chiedo scusa se ci sono errori di vario genere, ma il T9 non aiuta quando stai poco bene ^^'

Appena starò meglio correggerò frasi e parole scritte male, promesso :3

A venerdì :D

Francy_Kid

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Capitolo 12
*** Cap. 11 ***


Cap. 11



Marinette non sapeva di cosa si preoccupavano i suoi amici: Nathaniel era un bravo ragazzo ed un buon amico, non aveva mai fatto nulla di male.

Almeno, non che lei sapesse.

Raggiunta la biblioteca, attese davanti allo scaffale l'arrivo di Fu per inserire il codice di apertura, giocherellando con la manica della felpa che aveva legato in vita e che aveva portato per non prendere e freddo, visto che là sotto c'era più umidità che in un giorno piovoso di fine autunno.

E no, non stava esagerando.

«Eccomi qua, andiamo.» esclamò felicemente l'anziano, iniziando a spostare i volumi.

E anche questa volta, non era stata abbastanza attenta.

Scendendo la lunga rampa di scale, stando attenta a non cadere, iniziò a parlare: «Ascolti, domani non le dispiace se non vengo? Dovrei uscire con un amico.»
«Certamente, e guarda che puoi venire qui anche solo due o tre volte a settimana, non tutti i giorni: avrai bisogno di riposare e anche di studiare, immagino.» rispose comprensivo Fu, raggiungendo la fine senza alcuna fatica.

Vero, la scuola; effettivamente si era accorta che fare i compiti la sera e stare con Chat le portava via un sacco di tempo –non che le visite dell'amico le dispiacessero, al contrario–

«Se vuoi, più tardi, potremmo discutere dei giorni di incontro e degli orari, così potrai organizzarti meglio.» aggiunse subito dopo, facendola accomodare al solito tavolo.
«Va bene.» concordò lei, recuperando dallo zaino il suo quaderno degli appunti ed il cellulare per registrare. «Non le dispiace se anziché scrivere registro la nostra conversazione? Lo trovo più comodo anche per seguire meglio il tutto.»
«Certamente.» sorrise lui.

Marinette fece partire la registrazione e Fu prese parola.

«Come ti ho già spiegato, i possessori dell'anello ricevono dei poteri soprannaturali attivabile con la rabbia ed i sentimenti che causano distruzione. Durante il periodo ti tempo in cui i poteri sono attivi, la persona è come se perdesse conoscenza e la sua parte selvaggia venisse a galla.» spiegò con pazienza.
«E c'è un modo per farlo tornare normale se dovesse succedere?» domandò incuriosita.
Fu ci pensò qualche secondo. «Che io sappia no. L'unico modo che ha di tornare normale è distruggere la fonte della sua rabbia, cosicché il sentimento di negatività si scateni proprio sulla fonte.» rispose. «Non è mai capitato nella storia -o meglio, non è mai stato documentato- di un Chat Noir che è riuscito a controllare la sua ira e tornare in sé prima di distruggere qualcosa o uccidere qualcuno.»

Marinette sentì il sangue reggelarsi nelle vene.

Certo, non era stata fatta nessuna vittima a Parigi –tranne per numerosi feriti– e nel sentire che Chat, il suo amico, potrebbe uccidere qualcuno a causa dei sentimenti negativi le faceva tremare le gambe.

Potrebbe accadere a lei. Lei potrebbe essere vittima di un attacco della Belva Nera, così come ad uno dei suoi amici o ad i suoi genitori.

La corvina scosse violentemente la testa, sbarazzandosi di quei pensieri che non accennavano a placarsi.

«Va tutto bene?» le domandò l'anziano in tono preoccupato, posandole la mano sul braccio per confortarla.
«S-Sì, tutto bene.» mentì, ma voleva andare avanti con la storia.
«Numerose furono le vittime di questo potere e le più fortunate morirono dopo un colpo.» continuò. «Molte persone dovettero fuggire dalle loro case per rifugiarsi nelle foreste o in altri villaggi per sopravvivere, ma l'incubo di un'ombra nera che mieteva vittime per placare la sua ira non li lasciava in pace. Molti impazzirono, altri finirono per togliersi la vita pur di non soffrire ancora, ma il mostro non si placava e sfogava la sua ira sugli innocenti. La Morte Nera non si fermava davanti a nulla.»



 

—•—•—


 

Marinette rabbrividì nel trascrivere le parole di Fu, disegnando qualche schizzo quando le veniva in mente un'immagine.

Chiuse il quaderno con un sospiro, alzando lo sguardo sul monitor del pc per guardare che ore fossero, notando che erano soltanto le nove e mezzo.

Sentendosi soffocare, decise di salire sull'attico per prendere aria, sdraiandosi a terra ad osservare il cielo limpido.

Anche quella sera il tramonto era fantastico ed in cielo i colori creavano delle sfumature fantastiche.

Chiuse gli occhi, inspirando profondamente l'aria tiepida ed i suoi pensieri iniziarono a viaggiare sul binario dell'immaginazione: sotto le palpebre vedeva villaggi distrutti e persone che scappavano in preda al panico, cercando di non inciampare nei corpi dei loro parenti.

Malgrado cercassero di nascondersi, l'ombra nera che li inseguiva li trovava senza alcuna difficoltà, ghignando trionfante mentre sferzò i suoi lunghi artigli contro la sua vittima spaventata.

«La Morte Nera non si fermava davanti a nulla

Urlando dal terrore si mise a sedere di scatto, cercando di scappare per mettersi al riparo, ma qualcosa la fermò dal mettersi in piedi, cingendole la vita con forza.

La sua paura aumentò, sentendosi in trappola, e si guardò intorno attraverso le lacrime in cerca di aiuto, accorgendosi solo in quel momento che si trovava sul suo attico e che il sole era già calato, lasciando spazio al buio della notte.

Respirando affannosamente toccò qualunque cosa le cingesse la vita, accorgendosi che si trattava di una specie di materiale liscio simile allo spandex; si fermò soltanto quando capí che si trattava di un paio di forti braccia, che si rilassarono quando lei si fermò.

Voltandosi con il torso vide Chat Noir seduto alle sue spalle che la guardava preoccupato.

«C-Chat...» mormorò con voce impastata dal sonno e dagli urli trattenuti. «Sei qui...» aggiunse tirando su con il naso.

Il felino annuì, accarezzandole la testa e sorridendole in maniera confortante.

La ragazza si lanciò verso di lui, abbracciandolo e piangendo contro la sua spalla.

Il biondo rimase rigido per qualche secondo, poi cinse le braccia attorno al suo corpo scosso da singhiozzi e tremolii.

«Promettimi che non farai del male a nessuno, che non permetterai mai ai tuoi poteri di prendere il sopravvento.» esclamò spaventata, cerando di trattenere le lacrime.

Chat rimase a bocca aperta: era naturale che non si fidava di lui, che lo considerava un mostro.

Eppure, aveva sperato che lei fosse diversa.

Stringendola a sé annuì con la testa, producendo un suono simile ad un miagolio strozzato come risposta.

Marinette aumenti la presa attorno al suo corpo, mormorando una serie di grazie biascicanti.

Non sapeva cosa le aveva scatenato tale paura, ma era ancora lì, non era scappata e non l'aveva mandato via.

Le sue parole l'avevano lasciato stupito e l'avevano ferito, ma anche lui aveva paura di quello che poteva fare con quella maledizione che lo colpì.

Sentendo quel corpo minuto, fragile, premere contro il suo aumentava la sua convinzione nel volere solo il bene per lei.

L'aveva promesso: l'avrebbe protetta ed avrebbe fatto di tutto pur di renderla felice.


 

—•—•—


 

Marinette sorrise nel sentire Chat fare le fusa mentre mangiava un biscotto con gocce di cioccolato dal piatto che aveva preso per entrambi.

Poco prima aveva avuto un crollo e si vergognava per quello: aveva fatto spaventare Chat e non sapeva cosa gli avesse detto.

La storia raccontatale da Fu l'aveva sconvolta ed il fatto di aver dormito poco non aveva aiutato per niente.

Come se fosse un gatto vero, gli accarezzò la testa, scompigliandogli i capelli biondi, sentendolo aumentare le fusa e alzare la testa per godere meglio di quella carezza.

Era proprio un gatto, ridacchiò mentalmente, per poi schiaffeggiarsi sulla fronte e facendo sobbalzare il felino.

«Gatto! Certo!»

Camminando a quattro zampe scese in camera per la seconda volta, andando a recuperare la coperta ancora appesa.

Controllando che la tempera si fosse asciugata, fece un cenno a Chat di scendere in camera, sentendolo balzare sul suo letto e scendere le scale poco dopo.

Il ragazzo rimase a bocca aperta, guardandola con occhi luminosi.

«Ho modificato la tua coperta anche per ringraziarti di farmi compagnia ogni sera.» commentò accarezzando il disegno dell'ormai di gatto. «L'ho riparata e ho tentato di disegnare una specie di simbolo: un disegno che ti rappresentasse.»

Chat sfiorò con gli artigli il disegno rosso che rappresentava metà coccinella, affiancata a metà dello stesso simbolo che aveva sull'anello.

Tornò a guardare la ragazza che sorrideva.

«Perché la coccinella?» dedusse dal suo sguardo. «Non saprei... Credo che nella sfortuna ci sia sempre della fortuna, che l'una esistere senza l'altra. Nessuno è fortunato o sfortunato, ma ci saranno sempre dei momenti in cui prima sei nella buona sorte e poi nella cattiva. Malgrado tu sei Chat Noir, ed i gatti neri sono il simbolo della sfortuna, non devi pensare che tutto ciò che ti è successo è per forza brutto.» la ragazza ridacchiò. «Scusa, non so come spiegarlo...»

Chat sorrise, camminando fino alla scrivania e recuperare un foglio su cui scrivere; recuperò un post-it giallo dal mucchio, prese un pennarello nero e scrisse la risposta, per poi tornare dalla ragazza.

Le sue frasi erano vere, nella sua sfortuna era stato fortunato: aveva trovato una buona amica con cui passare il tempo e che non lo distanziava come gli altri.

Marinette aveva ragione.

Le mostrò il post-it, togliendone uno dal blocchetto mano mano che doveva scrivere e mostrare la frase successiva.

"È vero, non sono stato molto fortunato."

"Il mio nome è Chat Noir, la Belva Nera, e rappresento la sfortuna per il mio nome."

"Ma è grazie ad una persona che, da quand'è entrata nella mia vita, la mia cattiva sorte è diminuita."

"Sei tu, Marinette."

"Tu sei la mia Ladybug."


 

—•—•—


 

Il giorno seguente, Marinette era piuttosto sveglia, malgrado fosse rimasta in piedi fino all'unacon Chat Noir, cercando di convincerlo che Nath –o come lo chiamava lui "Testa di pomodoro"– non le avrebbe fatto nulla.

Si era persino messo con la schiena arcuata come un gatto!

Se pensava alla loro conversazione le veniva ancora da ridere.

«Chat, Nath è mio amico. È normale uscire con gli amici.» gli disse, togliendogli il quaderno di mano prima che potesse romperlo. «Non fare il micio geloso!» ridacchiò sedendosi a terra, non levando gli occhi da dosso al ragazzo che camminava anca ti ed indietro sull'attico.

Gliel'aveva detto appena prima che se ne andasse, accompagnandolo fuori per salutarlo, e ne approfittò per avvisarlo visto che non provava molta simpatia per Nathaniel.

Chat, per conto suo, continuava a produrre borbottii e brontolii di continuo, come se volesse esprimere il suo disaccordo.

«Non vuoi che abbia una vita sociale?» domandò divertita, poggiandosi al tavolino situato davanti alla botola, guardandolo scuotere la testa.

Il ragazzo continuava a mugugnare e soffiare come un vero e proprio gatto, facendo pensare alla corvina che se avesse potuto parlare allora le avrebbe fatto la morale su quanto odiasse Nathaniel e che non poteva uscire con lui perché era una cattiva persona.

Nemmeno un abbraccio servì a calmarlo, ma ricevette in cambio delle fusa, seguite da altri brontolii di disaccordo.

Marinette ridacchiò a quel pensiero, seduta sui gradini del suo liceo in attesa del suo amico.

«Eccomi, scusami Mari, ma Madame Bustier mi ha trattenuto più del solito. Volgiamo andare?» domandò Nathaniel con il sorriso, facendole cenno di avviarsi verso il parco.

La ragazza assentì iniziando a camminare accanto al rosso fino all'entrata di Place des Vosges.

Abitare in quella zona era parecchio vantaggioso per lei: le bastava attraversare la strada per essere a scuola o per arrivare al parco.

Eppure riusciva ad essere sempre in ritardo, pensò amaramente lei sospirando.

«Va tutto bene?» chiese il ragazzo vedendo la sua espressione, sfiorandole la mano.
Marinette non se ne accorse. «Sì, sì, va tutto bene. Grazie.» sorrise, per poi fargli cenno di andare a sedersi su una panchina libera a qualche metro di distanza dalla seconda entrata.

I due si sedettero, posando gli zaini a terra e prendendo il rispettivo blocco da disegno, iniziando a scarabocchiare su carta qualunque cosa desse loro l'ispirazione.

Passarono circa cinque minuti in silenzio e Marinette iniziava ad essere a disagio.

Eppure con Chat non si sentiva mai così; forse era dato dal fatto che lui non poteva parlare, ma non si era mai trovata costretta a cercare un pretesto per scambiare qualche parola – e riga– con lui.

Perché con la Belva Nera, terrore di tutta Parigi, si trovava meglio che con un suo amico che conosceva da tutta la durata del liceo?

«Che cosa stai disegnando?» domandò il rosso riportandola alla realtà.

La giovane fissò il bozzetto di un costume da ragazza in stile Chat Noir, con tanto di orecchie, coda e maschera.

«Un costume di carnevale da donna gatta. Sei improvvisamente diventata una fan della donna pantera?» rise lui, spiando il suo foglio.

La corvina mise tutta se stessa per cercare di non dargli un pugno.

Tutti in classe conoscevano le sue passioni, soprattutto per i fumetti e le serie animate –americane e giapponesi–, dei libri e dei videogiochi, e quando udiva delle cose del genere le urtavano il sistema nervoso.

«Ho visto un gatto nero passare appena fuori il parco e mi è venuta voglia di rappresentare un probabile costume.» mentì lei chiudendo il quaderno. «E comunque è Catwoman.» puntualizzò subito dopo, chiudendo la cartella e mettendosela a spalle.
«Dove vai?» le chiese non appena si alzò.
«Torno a casa. Oggi mamma è a casa dal lavoro e si sveglia tra poco.» rispose cercando di non sembrare il più brusca possibile.

Quell'uscita con Nathaniel non era andata per il verso giusto sin dall'inizio –non solo per il nome della "donna pantera"– e tanto valeva tornarsene a casa.

Marinette lo salutò e mosse un passo in direzione dell'uscita, ma l'amico l'afferrò per il polso, bloccandola sul posto.

«Aspetta! Vorrei dirti prima una cosa.»


 

—•—•—


 

Non gli era piaciuto quella Testa di pomodoro sin da subito ed aveva le sue valide ragioni.

Chat Noir osservò i due seduti sulla panchina mentre disegnavano beatamente, ma quel Nath le era troppo vicino, ed inoltre continuava a guardarla anziché concentrarsi sul suo quaderno!

Le sue lunghe unghie da felino andarono a graffiare il tetto di una casa su cui era appostato per osservare i due, soffiando e mostrando i canini affilati ogni volta che il Ragazzo Ketchup muoveva un muscolo.

All'improvviso, Marinette si alzò in piedi, visibilmente seccata, e le sue orecchie da gatto si rizzarono per ascoltare la loro conversazione al meglio che poteva.

Essere un gatto gli aveva portato qualche miglioramento, chiamati così da lui, al suo corpo da umano: un olfatto sviluppato, una vista perfetta anche di notte, agilità ed elasticità feline ed un udito incredibile.

Seppur la loro distanza non era molto ristretta, riuscì a captare qualche frase detta dai due.

«Oggi mamma è a casa dal lavoro e si sveglia tra poco.» aveva detto lei, facendo per andare verso casa sua –dall'altra parte di dove lui si trovava ora–

Testa di pomodoro la afferrò per il polso ed i suoi sensi da predatore scattarono.

«Aspetta! Vorrei dirti prima una cosa.»

Chat digrignò i denti, sentendo un sordo brontolio di rabbia nascere dalla gola.

«Dimmi tutto.» esclamò la ragazza visibilmente a disagio.

Nathaniel si alzò a sua volta, mettendosi di fronte a lei.

Gli occhi azzurri di Marinette si spalancarono e Chat riusciva a leggere l'incredulità e la paura, sapendo ciò che stava per accadere.

Il felino sentì rizzarsi i capelli sulla nuca e la vista iniziare a divenire sfuocata.

Stava per perdere il controllo, ne era sicuro; ma aveva promesso a Marinette che non avrebbe fatto del male a nessuno, che i suoi poteri non avrebbero più preso il sopravvento su di lui.

Con un basso ringhio continuò ad osservare i due, volendo vedere cosa avrebbe fatto Nathaniel.

Malgrado la ragazza tentasse di allontanarsi, il rosso le prese entrambe le mani.

«Nath, per favore, lasciami andare...» disse con una nota di preoccupazione.

Chat soffiò, mostrando i denti.

Quello lì non doveva nemmeno osare toccare Marinette, non in quel modo: la stava mettendo a disagio, ma a lui non importava nulla.

«Mari, ascoltami...»
«Lo so cosa stai per dirmi, ma la risposta è no. Io non ricambio i tuoi sentimenti.» gli rispose, allargando le braccia e facendo in modo che fossero libere.

Nathaniel, però, non demorse e si avvicinò ancora di più a lei, prendendole il volto tra le mani.

A quel punto, Chat non era più sicuro di quello che stava accadendo.

Sapeva soltanto che ora era davanti all'entrata di Place des Vosges, le persone urlavano terrorizzare, correndo a destra ed a manca e che Marinette lo guardava con le lacrime agli occhi.




 

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Eccomi :D

Non uccidetemi per questo finale, soprattutto perché dovete aspettare una settimana prima di poter leggere come finirà ahahahahahah😂😂😂

Quanto sono simpatica :'3

Lo so che la Morte Nera è il nome della nave spaziale del nostro caro Darth Vader, ma ci stava troppo bene come nome per un antenato di Chat Noir xD

Detto questo, correggetemi se il T9 ha combinato qualche disastro o io ho sbagliato qualcosa e ci vediamo venerdì prossimo ^^

Francy_Kid

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Capitolo 13
*** Cap. 12 ***


Cap. 12




Marinette fissava Chat con la bocca spalancata, sorpresa di trovarlo lì.

Aveva un'espressione arrabbiata, i denti erano serrati e digrignati, mostrando i canini appuntiti, le orecchie nere erano abbassate e quasi si nascondevano tra i capelli dorati, gli artigli si conficcavamo nel terreno, creando graffi nello sterrato; un basso ringhio era appena udibile dal profondo della sua gola, facendo venire la pelle d'oca alla corvina.

Ma ciò che notò maggiormente furono gli occhi: solitamente gentili e di un verde come i prati, ora erano totalmente verdi, senza pupilla e senza iride, soltanto verdi.

Aveva perso il controllo.

In quel momento le vennero in mente le parole di Master Fu: «L'unico modo che ha di tornare normale è distruggere la fonte della sua rabbia, cosicché il sentimento di negatività si scateni proprio sulla fonte.»

Le urla delle persone attirarono l'attenzione di Marinette e si accorse che nella piazzola rimasero soltanto lei, Chat e Nathaniel, pietrificato dalla paura.

«Mari, dobbiamo fuggire.» disse il rosso posandole la mano sull'avambraccio per portarla verso l'uscita.

La Belva Nera lanciò un ruggito minaccioso, digrignando i denti, per poi soffiare come un felino arrabbiato non appena le lasciò il braccio.

«Che cosa vuoi da noi?! Vattene via!» urlò il ragazzo, cercando di apparire più coraggioso possibile, ma Chat non gli rispose.
«Nath, lascialo stare. Non fargli nulla.» esclamò preoccupata la corvina evitando di avvicinarsi troppo al suo compagno di classe.
«Io non devo fargli nulla?! È lui che vuole attaccarci!» urlò lui, ora in preda al panico.
«Non ci farà nulla, ma tu devi andartene.»
«Entrambi dobbiamo andarcene! Non permetterò che quel mostro ti faccia del male!»

Nathaniel le afferrò la mano e cercò di poetarla verso l'uscita, ma la ragazza oppose resistenza e si bloccò non appena la Belva Nera lanciò un ringhio animalesco, per poi lanciarsi verso di loro.

Il rosso lasciò andare la mano della corvina, iniziando a correre per fuggire e mettersi al riparo, ma la paura prese il sopravvento e le gambe gli cedettero, facendolo cadere a terra.

Voltandosi vide Chat a soli tre metri di distanza, con la mano destra sollevata e gli artigli sfoderati, pronto ad attaccare.

Rialzarsi per fuggire gli risultava impossibile e si coprì il volto con le braccia in un ultimo disperato tentativo di difesa.

Attese svariati secondi, ma il colpo non arrivò.

Aprì gli occhi soltanto per vedere Marinette davanti a lui a braccia spalancate, separando lui dalla Belva Nera, che le sfiorava il collo con gli artigli affilati.

La corvina aveva il respiro affannoso, come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento, e fissava dritto negli occhi Chat Noir.

«Nathaniel, corri.» esclamò secca, non interrompendo il contatto visivo con il biondo. «Corri!» urlò questa volta, per poi sentire il suo compagno di classe alzarsi e fuggire verso l'uscita del parco.

Chat Noir rimase immobile, tremando per resistere al suo istinto animalesco, guardando la ragazza davanti a sé.

«Chat... Chat mi riconosci?» gli chiese ancora rigida, non muovendosi per evitare di farlo arrabbiare ulteriormente.

Il felino rispose con un altro basso ringhio, contraendo la mano destra, ma non la abbassò.

«Chat, sono io. Sono Marinette.» gli disse in tono gentile; subito i mormorii smisero e le sue orecchie nere si rizzarono. «Chat, ti ricordi di me?» aggiunse portando la mano verso il suo viso per toccarlo.

La mano destra del biondo iniziò a tremare e subito fece un paio di passi all'indietro, portandosi le mani nei capelli a tenersi la testa che doleva, ringhiando.

«Chat! Che cos'hai?»

Il felino corse verso l'uscita di Place des Vosges, per poi saltare sul tetto più vicino e sparire nel nulla.

Marinette osservò la sua figura nera scomparire dietro un caminetto è solo in quel momento si accorse del pericolo che aveva corso.

Le gambe le cedettero sotto il peso del corpo e per la testa che le girava, finendo inginocchiata a terra a fissare il punto in cui aveva visto Chat Noir sparire.

Le sirene della polizia le rimbombavano nelle orecchie e subito, un agente di polizia le era davanti, chiedendole qualcosa che lei non riusciva a sentire.

«Cosa?» mormorò lei poco dopo.
«Va tutto bene? Sei ferita?» le chiese l'agente, porgendole le mani sulle spalle.
«N-No... Ma Chat Noir...»
«Quel mostro se n'è andato ora, ma è meglio se tu ti fai controllare da un medico. L'ambulanza è appena arrivata.» spiegò l'uomo con voce gentile, cercando di confortarla, ma lei pareva ancora distante.
«No... non mi serve un'ambulanza...» esclamò con monotonia, notando che la vista iniziava a farsi offuscata. «Non... mi serve...»

La ragazza crollò in avanti, ma per sua fortuna l'agente di polizia era già pronto a prenderla.

Marinette udì la sua voce come se fosse sott'acqua che urlava di portare una barella.

Tutto quello che sentì e vide più tardi le parve come in un film: lei che veniva trasportata su un lettino verso l'ambulanza ed i paramedici che le facevano domande per controllare se fosse cosciente.

Poi, tutto fu buio.



 

—•—•—



 

Marinette aprì gli occhi, accorgendosi di non trovarsi nella sua stanza ma in una camera tutta bianca, coperta da un lenzuolo bianco; degli elettrodi uscivano da sotto un lungo camice bianco.

Per non aveva nessuna maschera per l'ossigeno.

Si guardò attorno, vedendo i suoi genitori in piedi davanti alla finestra a parlare a bassa voce.

«Mamma... Papà...» sussurrò alzando la mano verso di loro.

Sabine corse subito ad afferrargliela, sussurrandole parole dolci che, al momento, non capì.

«Cos'è successo?» chiese sentendo la gola secca.
«Hai perso conoscenza, tesoro.» rispose la madre accarezzandole la guancia.
«Il dottore ha detto che hai subìto un forte shock ed il tuo corpo ha reagito di conseguenza. Per fortuna non sei ferita.» disse Tom accarezzandole la guancia.
Marinette sospirò, per poi guardarsi intorno. «Che ore sono?»
«Sono le undici di sera passate. Ora ti lasciamo riposare.» esclamò l'uomo per poi darle un bacio sulla fronte, ma la corvina iniziò a muoversi sotto le coperte.

Era tardi. Sapeva che Chat Noir era tornato a casa sua e si sarebbe sentito solo se non l'avesse trovata.

Marinette tentò di mettersi a sedere, ma la presa gentile della madre edil vortice che aveva al posto della testa la tennero inchiodata al letto.

«Voglio tornare a casa...» sussurrò facendo un ultimo tentativo.
«No. Ora resti qui ed aspettiamo ciò che ci dice il medico.» disse autoritaria Sabine.

Lei era medico, sapeva come ci si doveva comportare con i pazienti, e sapeva anche che sua figlia era parecchio testarda.

«Ma io...»
«Niente "ma", tesoro.» la donna guardò Tom. «Vai a chiamare il dottore e digli che Marinette si è svegliata.»

L'uomo annuì e fece come gli era stato detto, chiudendo la porta alle sue spalle.

Marinette, sfinita, lo guardò uscire, per poi voltarsi verso la madre, che le porse un bicchiere d'acqua.

«Devi essere molto assetata. Bevi un po' d'acqua.»

Sapeva che c'era qualcosa che non andava, lo leggeva nei suoi occhi.

Dopo aver bevuto a grandi sorsi, si asciugò la bocca con il braccio senza flebo, per poi guardare la madre negli occhi.

«È successo qualcosa?» chiese, temendo già quello che potrebbe dirle.
«Ti ho vista, Mari.» rispose la donna tristemente. «Ti ho vista affrontare Chat Noir, non è stato lui ad attaccarti, ma tu che ti sei messa tra lui ed il tuo amico.»

La ragazza abbassò il capo, sentendosi inspiegabilmente colpevole di chissà quale grande reato.

«Perché l'hai fatto?»
«Ho reagito d'impulso, non so bene il perché l'abbia fatto... Ho visto Cha– la Belva Nera attaccare Nath e mi sono mossa da sola.» spiegò, ancora incapace di guardare la madre.

Sentì Sabine sospirare, per poi venire abbracciata da lei; lacrime calde le rigavano le guance e bagnavano la pelle del viso della ragazza.

«Mamma...»
«Ho temuto il peggio Mari... Ho temuto per la tua vita... Non voglio vederti morire per una cosa del genere...» singhiozzò la donna lasciando spiazzata la figlia.

Marinette non seppe cosa dire. Sua madre era una donna forte, che salvava volte tutti i giorni e che, quando non riusciva, non piangeva mai.

Eppure, eccola lì a versare lacrime per lei.

"Perché sei sua figlia, stupida!" si disse mentalmente, per poi abbracciare la madre e prometterle che non sarebbe accaduto mai più.



 

—•—•—



 

Erano le due e mezza passate quando Marinette poté entrare nella sua stanza.

Era stata dimessa dall'ospedale dopo un ultimo controllo e, malgrado il medico volesse tenerla sottocchio una notte, lei si era rifiutata, e Sabine aveva detto che l'avrebbe controllata lei stessa.

La ragazza chiuse la botola di camera sua, accendendo il cellulare dopo una lunga giornata ad averlo tenuto spento; notò subito più di duemila messaggi su varie chat –che andavano da quelle private ai vari gruppi con i suoi amici– che chiedevano di lei.

Non volendo rispondere in quel momento chiuse l'applicazione di Whatsapp e cancellò le notifiche delle svariate chiamate da parte di Nino e Alya.

Nathaniel non l'aveva contattata in nessun modo.

Ma cos'aveva scatenato la rabbia di Chat Noir?

Non ricordava molto dell'accaduto, ma le immagini del felino che ringhiava ogni volta che Nathaniel le stringeva la mano ed alle frasi che aveva detto di lui le bastarono per capire: era geloso.

Se doveva essere sincera con se stessa si sentiva responsabile dell'accaduto.

Doveva aspettarsela una sua reazione, soprattutto perché lui stesso le aveva detto che piaceva a Nath e che si sarebbe dichiarato da un momento all'altro.

Spegnendo il cellulare, poiché continuava a vibrare per i vari messaggi, guardò la finestra che dal soppalco dava sul terrazzo, sentendo il cuore batterle all'impazzata.

Con cautela salì sul letto ed aprì la botola, trovando una persona appollaiata nell'angolo tra il muro ed il tavolino mentre singhiozzava incessantemente.

Sapeva che l'avrebbe trovato lì.

Sapeva che non voleva reagire in quel modo.

Chat alzò il capo abbastanza per vedere la corvina inginocchiata davanti a lui con un sorriso gentile sul volto.

«Ehi...» sussurrò avvicinando la mano ai suoi capelli per accarezzarglieli.

Il felino si tirò indietro il più che poteva, picchiando leggermente la testa contro la base di legno, per poi guardare il polso della ragazza è vedere che aveva un bracciale d'ospedale.

«Questo?» chiese indicando la striscia di carta bianca. «Non è nulla. Sono svenuta e mi hanno fatto dei controlli in ospedale, tu non mi hai fatto nulla.» cercò di tranquillizzarlo, ma gli occhi verso del ragazzo si riempirono nuovamente di lacrime e tirò su con il naso.

Marinette prese un fazzoletto di tela –ovviamente nuovo– che teneva nella tasca posteriore dei pantaloni, per poi asciugare le lacrime agli angoli degli occhi del ragazzo.

«Davvero Chat, non è successo nulla. Ho visto le notizie e non hai ferito nessuno... tranne che una zona di Parigi è rimasta senza corrente per qualche palo dell'elettricità distrutto, cabine telefoniche spaccate, muri scalfiti e pali della luce piegati, ma a parte questo va tutto bene.» gli disse accarezzandogli la guancia, pulendolo da un'altra lacrima.

Chat la guardò dritto negli occhi, scuotendo il capo.

«Non è colpa tua se hai perso il controllo e non ti allontanerò da me per quest'episodio, anzi, mi impegnerò al massimo ad aiutarti. Farò di tutto per te.» disse, alzandogli delicatamente il volto.

Lacrime calde ripresero a sgorgare dagli occhi del biondo e singhiozzi gli scossero il corpo.

La ragazza allargò le braccia e Chat le si gettò contro, stringendola in un abbraccio.

Piangeva per chiederle scusa, piangeva per sfogarsi, per liberarsi dalla pressione che aveva accumulato.

Marinette si mise in ginocchio davanti a lui, in modo tale che entrambi potessero essere comodi, accarezzandogli la testa e sussurrando parole dolci per cercare di tranquillizzarlo.

Malgrado avesse rischiato di farle del male lei l'aveva perdonato, offrendosi di aiutarlo e sostenerlo.

Si aggrappò al suo corpo minuto come se fosse il suo salvagente, come se quella ragazza fosse l'unica fonte di luce nell'oscurità.

Sarebbe andato avanti grazie a lei.




 

—•—•—



 

Marinette si svegliò di malavoglia, mugugnando e aprendo gli occhi pesanti dal sonno.

La sua mano si strinse attorno a qualcosa di leggermente appuntito, ed un odore di polvere le invase le narici.

Appena la sua vista si mise a fuoco, notò che la sua frangia si mescolava con dei capelli biondi ed il respiro regolare di una persona riempiva il silenzio nella stanza.

In un primo momento non riconobbe chi era nel suo letto, ma quando un mugolio simile a quello di un gatto si rilassò, ripensando a ciò che era successo la sera precedente.

Rientrata dall'ospedale aveva trovato Chat Noir sull'attico impaurito mentre piangeva; l'aveva lasciato sfogare
tra le sue braccia, rischiando di piangere anche lei.

Intorno alle due di notte Marinette lo invitò in camera sua, non volendo lasciarlo da solo per quella notte.

Entrambi rimasero sdraiati sul materasso e l'unico modo che Chat aveva per comunicare con lei era utilizzando il suo cellulare, scrivendo nelle note.

Il ragazzo riprese a singhiozzare, cercando di trattenersi, e Marinette lo abbracciò di nuovo, lasciandolo piangere e liberarsi.

Passò quasi un'ora prima che Chat si addormentasse, il corpo scosso da qualche singhiozzo ed il respiro irregolare mentre dormiva.

Le si spezzò il cuore nel vederlo così.

La ragazza recuperò il telefono che aveva messo accanto al suo cuscino, sicura che non sarebbe mai caduto, aprendo le note e leggendo ciò che aveva scritto.

"Non sono stato in grado di mantenere la promessa che ti ho fatto: ho rischiato di farti del male perché ero geloso."

Quella breve spiegazione la lasciò senza parole.

Si morse il labbro inferiore, mettendo il cellulare nella tasca posteriore dei pantaloni –non si cambiava da ieri, non avendo avuto tempo– e strinse leggermente la mano di Chat con la sua.

Il felino si mosse, voltandosi verso di lei, abbracciandola come se fosse un peluche troppo grande ed intrecciando le gambe con le sue, sfiorandole il naso con il proprio.

Marinette arrossì violentemente, irrigidendosi, sentendo il suo respiro caldo solleticarle la pelle, riscaldandola ogni volta che espirava.

Rimase rigida come uno stecchino per qualche minuto, sperando che si svegliasse, ma i suoi occhi vagarono sui lineamenti morbidi del viso rilassato.

Il ricordo del loro secondo incontro –il salvataggio fu il primo– quando le disse che aveva la sua età, ma guardandolo meglio sembrava più grande; forse era normale per un ragazzo di diciotto anni essere più maturo fisicamente, ma i lineamenti da adolescente erano quasi del tutto spariti, lasciandogli tratti da uomo.

La corvina liberò un braccio dalla morsa del felino, portando la mano alla maschera nera che gli incorniciava gli occhi e tracciando la linea di contorno fino alla punta del naso.

Involontariamente, i suoi occhi finirono alla bocca semichiusa, notando il labbro inferiore gonfio e tagliato dai denti affilati, dopo che la sera precedente continuava a morderselo per cercare di trattenere i singhiozzi.

Con l'indice gli sfiorò il labbro ferito e finì lei per morderai il labbro inferiore.

Arrossì violentemente, accorgendosi che i suoi lineamenti erano perfetti e che la sua bocca era stranamente invitante.

Si schiaffeggiò mentalmente per quel pensiero, per poi spostare i suoi occhi verso l'alto per incontrare due sfere verdi che la fissavano sorpresa.

Si era svegliato.

Squittendo, Chat la lasciò andare, appiattendosi contro il muro e coprendosi il volto con le mani.

«Mi dispiace! Non credevo fossi sveglio!» disse Marinette, tastandosi immediatamente le guance. «Scusa. Scusa. Scusa.» ripeté rossa come un peperone.

Il biondo aprì le dita per spiarla, trattenendo le risate.

«Cosa ridi?! E poi è colpa tua! Mi hai abbracciata tu mentre dormivi!» esclamò mettendosi a sedere, gonfiando le guance.

La ragazza sorrise poco dopo nel vederlo ridacchiare –poiché non poteva parlare– felice che il momento del giorno precedente era passato; la risata di Marinette si unì a quella muta del felino e Chat si interruppe subito dopo.

Quella dolce musica gli faceva battere forte il cuore nel petto e, sorridendo, si avvicinò a lei, poggiando la fronte sulla spalla e iniziando a fare le fusa; Marinette gli accarezzò i capelli, grattandogli dietro l'orecchio nero da gatto, ridacchiando quando si contrasse.

«Marinette, sei sveglia?»

La corvina si irrigidì sul posto, mentre Chat saltò dalla finestrella sopra di lui appena prima Sabine sbucasse dalla botola.

«Sì mamma.» rispose la ragazza cercando di mantenere un tono voce normale. «Mi stavo preparando per andare a farmi la doccia.» mentì.
La donna salì fino al soppalco. «Ti senti meglio oggi tesoro?»
La giovane annuì, avvicinandosi alla madre per darle un bacio sulla guancia. «Ora esci che mi devo spogliare.» aggiunse facendole cenno con le mani di tornare di sotto.
«Oh andiamo, ho visto il tuo bel corpicino svilupparsi fino ad ora, non mi puoi allontanare.» scherzò l'altra, scendendo verso la botola.
«Stai invadendo la mia privacy. Un'adolescente ne necessita.»
«Vuoi dire che potrei trovare succhiotti su zone intime del tuo corpo?»
«Mamma!» esclamò lanciandole un calzino.

Marinette attese che la madre fosse tornata di sotto, per poi spiare dalla finestrella che dava sull'attico se Chat fosse ancora lì, non trovando nessuno.

Dedusse che fosse tornato dovunque si rifugiava e, con un'alzata di spalle, tornò in camera sua, preparando i vestiti che avrebbe indossato subito dopo la doccia.

Il suo sguardo cadde sul cellulare spento, sentendosi in colpa per non aver ancora risposto a nessuno; ma, dopotutto, la sera precedente doveva occuparsi di una cosa più importante.

Un suo amico stava soffrendo e non aveva alcuna intenzione di abbandonarlo, nemmeno se le cose dovessero peggiorare.



 

—•—•—



 

Chat Noir era sdraiato supino sul materasso, fissando il soffitto con estrema insistenza.

La sera precedente era crollato ed aveva passato la notte da Marinette, dormendo accanto a lei.

All'inizio, quando entrambi si sdraiarono sul materasso per dormire, non fu molto attento alla loro vicinanza nemmeno quando si lasciò abbracciare da lei, sentendola mentre gli accarezzava i capelli e gli sussurrava frasi gentili per farlo addormentare.

La cosa funzionò, ma il problema fu il risveglio.

Sentiva qualcosa premergli contro la schiena e, quando si voltò, pensava fosse un cuscino, inizialmente, ma il solletico che provava sulle labbra non era dato dalla sua immaginazione.

Aprì lentamente gli occhi –per abituarsi alla luce mattutina che illuminava la stanza– e si ritrovò ad abbracciare Marinette, mentre lei gli fissava le labbra, forse per controllare i tagli freschi che gli bruciavano, ma il suo respiro caldo su di esse lo attirava verso di loro come una calamita.

Da quando era diventato la Belva Nera aveva sviluppato un istinto animalesco, che gli faceva capire quand'era in pericolo e, malgrado quella vicinanza ad una sua amica lo avrebbe fatto sentire a disagio se fosse stato un ragazzo normale, con Mari, invece, non fu così: desiderava tenerla stretta a sé in quel modo tutte le volte che andava a farle visita.

Il ragazzo prese il cuscino che aveva sotto il capo ed iniziò a stringerlo tra le braccia, mettendoci il viso contro e iniziare a lanciare mugolii e miagolii di frustrazione.

Fino a meno di due settimane prima era considerato un mostro da tutti, soprattutto da se stesso –e questo sentimento nei suoi confronti non era cambiato per nulla–, ma da quando in qua il cuore gli batteva così forte quando era con lei?

Certamente, in diciotto anni gli era già capitato di provare qualcosa di simile per un paio di altre ragazze, che poi divennero anche sue fidanzate per qualche mese, ed associava ciò che sentiva per Marinette al fatto di essere per metà animale; ma la domanda a cui non trovava risposta logica se non l'anello era: perché faceva le fusa ogni qual volta che la corvina gli accarezzava i capelli?!

Tolse il cuscino dal volto per respirare, tenendolo tra le braccia.

Quella ragazza dai bellissimi occhi azzurri sarebbe stata la sua rovina, ne era certo, eppure non riusciva a restarle lontano.

Quanto avrebbe voluto che sua madre gli fosse vicino per consigliargli cosa fare.

Con un sospiro si voltò sul fianco, sentendosi improvvisamente stanco; sotto le palpebre chiuse vide immagini di Marinette che sorrideva e rideva con lui, facendogli battere ancora più forte il cuore nel petto.

Non vedeva l'ora che arrivasse la sera per andare a trovare la sua principessa e passare altro tempo con lei.




 

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Il nostro micio stra cotto :')

Eppure lui pensa sua dato al fatto di essere un gatto LOL

Che triste la vita...

Ci vediamo venerdì con Monster (o mercoledì con MSV) ^^

Francy_Kid

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Capitolo 14
*** Cap. 13 ***


Cap. 13



 

Marinette inspirò profondamente prima di aprire la porta di ingresso e trovarsi sulla soglia la sua migliore amica arrabbiata.

Sperava di passare una domenica mattina in tranquillità, ma si aspettava che fosse accaduta una cosa del genere.

«Ehi Alya...» la salutò lei, facendola entrare.
«No! Niente "ehi Alya". Mi hai fatta preoccupare come una dannata!» esclamò la mora muovendo qualche passo verso l'amica, facendola indietreggiare spaventata.
«Ti chiedo scusa, ma sono tornata a casa dall'ospedale stanotte all'una e sono crollata... Non volevo farti preoccupare.»
«Allora volevi farti ammazzare.» ribatté secca. «Il video di te che affronti Chat Noir è cliccatissimo sui social. Ma che diamine ti è saltato in mente?!» chiese mostrandole la pagina del social sul quale era aperto il video del felino che sfiorava il collo della ragazza con i suoi artigli.
Marinette si morse il labbro inferiore. «È-È che... Nath era in pericolo e...»
Alya le mise le mani sulle spalle. «Mari. Non hai pensato a tua madre, a tuo padre, a me? Chi se ne frega del ragazzo pomodoro! Io non potrei sopportare il fatto di perderti!» continuò con le lacrime agli occhi, per poi abbracciare la corvina. «Se osi rifare una cosa del genere e rimani uccisa giuro che ti uccido una seconda volta.»
«Non succederà, te lo prometto.» rispose Marinette abbracciando a sua volta la ragazza, tirando su con il naso.

Alya aveva ragione, ma era sicura di una cosa: non sarebbe stata in grado di mantenere quella promessa.



 

—•—•—



 

Quel pomeriggio accettò di uscire per una passeggiata con i suoi due migliori amici, ignorando le occhiate e registrando i borbottii delle persone sul suo conto.

Alcuni dicevano che era stato un gesto coraggioso, mettere a rischio la propria vita per salvare un amico, altri avevano paura per lei, mentre altri la invidiavano, essendo l'unica a non essere stata nemmeno toccata malgrado si fosse messa esattamente davanti al mostro, mentre dei loro famigliari erano stati aggrediti senza alcun motivo ed erano finiti in ospedale per settimane.

La cosa che più la lasciava sbigottita, però, era il fatto che alcuni avevano paura di lei.

Non vedeva il perché le persone dovessero essere spaventate da lei, dopotutto era una normale ragazza sfuggita all'attacco mortale della Belva Nera.

L'unica, per di più.

Sentendosi troppo osservata, con una scusa, tornò a casa, salutando Alya e Nino.

Entrò dalla porta del negozio, salutò il padre e salì le scale fino al suo appartamento, gettandosi sul comodo divano a far riposare i piedi doloranti.

Avrebbe dovuto usare scarpe più comode per le camminate, gli stivaletti –per quanto si intonassero al suo outfit– le duolevano soltanto dopo un'ora.

Si levò le scarpe, andando a metterle sulla scarpiera appena accanto all'ingresso, per poi chiudere il cassetto e salendo in camera, volendo mettersi il più comoda possibile.

Si sciolse i capelli, si levò gli abiti, si struccò e si vestì di una canottiera nera ed una paio di calzoncini del pigiama verdi, lasciando le gambe scoperte e libere di respirare.

Si sdraiò sulla chaise longue, prendendo il cellulare e facendo scorrere le notizie sui social per controllare se la notizia della "ragazza temeraria" si fossero placate, appurando il fatto che non era così.

Sbuffando, spense il cellulare e si alzò per andare ad appoggiarlo sulla scrivania, sentendo un leggero bussare sul vetro della botola sopra il soppalco.

Immaginando chi fosse, prese il quaderno, una penna nera e corse verso il letto per andare ad aprire, sorridendo non appena vide il volto imbarazzato del felino.

«Ciao Chat. Sei parecchio in anticipo oggi.» ridacchiò lei, facendogli cenno di entrare. «Vuoi un croissant? Mio papà ne ha appena sfornati altri. La domenica è giorno di piena.»

Il ragazzo annuì con energia, atterrando sul materasso con leggero tonfo.

«Aspettami qui, torno tra qualche minuto.» disse lei poggiando il quaderno sulle coperte, per poi scendere le scale del soppalco.

La corvina scomparse dalla botola poco dopo, lasciando il felino solo nella stanza.

Chat camminò attorno agli oggetti, non ancora abituato a quel luogo –forse perché era un gatto il fatto di renderlo più curioso–, rizzando le orecchie quando esaminava qualunque cosa.

Stando attento ai suoi artigli, fece scorrere le dita su un manichino vestito di abito non ancora finito: la stoffa era leggera e di un colore bianco candido e, al momento, ricopriva soltanto la spalla destra ed i fianchi.

Sorridendo, ancora con il quaderno in mano, andò a sedersi sulla chaise longue, battendo le ciglia nel vedere il design della stanza e sorpreso dal fatto che il letto non fosse ancora caduto.

Il rosa non era un colore di cui andava matto, ma rispecchiava appieno la personalità della ragazza.

All'improvviso, i suoi occhi caddero su una piccola palla di lana rossa appoggiata sulla scrivania; sentì il corpo muoversi da solo e, malgrado tentasse di reprimere il suo istinto da gatto, si ritrovò con il gomitolo in mano.

Ed ecco i classici stereotipi sui gatti, pensò lui prima di iniziare a far rimbalzare il gomitolo tra le mani.

Inconsciamente, iniziò a fare le fusa, sorridendo ogni volta che la lana rimbalzava tra le sue "zampe".



 

—•—•—



 

Marinette aprì la porta di casa dopo aver recuperato due croissant al cioccolato appena fatti, trovando sua madre che si stava preparando per uscire.

«Dove vai?» le chiese incuriosita.
«Al lavoro. Mi hanno appena chiamata dicendomi che c'è stato un incidente ed una persona è in gravi condizioni.» spiegò velocemente, notando l'espressione triste della corvina. «Lo so che stasera avevo promesso che avremo mangiato la pizza tutti assieme e mi dispiace.» esclamò tristemente la donna, accarezzando la guancia alla figlia.
«No, non importa.» scosse la testa. «Ora vai a salvare quella persona prima che perda la testa.»
«Mari! Questa era crudele!» sorrise Sabine, facendole un buffetto. «Domani doppia razione di pizza, così mi faccio perdonare.»
«Ti farai perdonare solo quando mi porterai in cima alla Tour Eiffel. Ora fuori da questa casa.» ridacchiò Marinette aprendole la porta, per poi salutare un'ultima volta sua madre e tornando ad essere sola.

La ragazza si poggiò con la schiena contro la porta, sospirando.

Ancora al lavoro, pensò.

Ormai era abituata a non avere i genitori in casa e anche se suo padre lavorava al piano terra non aveva tempo per stare con lei, impegnato nel preparare dolci e pane per i clienti.

Sarebbe rimasta sola ancora.

Provando a pensare ad altro, camminò verso la cucina e recuperò due bicchieri di vetro ed una bottiglia di succo all'arancia rossa preparato quella mattina.

Le ci volle tutta se stessa per non cadere dalle scale con delle cose in mano, senza parlare del fatto di dover aprire la botola sopra di lei.

«Eccomi, scusami se ci ho messo tan–»

La corvina si gelò sul posto nel vedere Chat Noir immobile come una statua, e con un'espressione di pura sorpresa, tutto aggrovigliato nella lana rossa.

Marinette rimase a bocca aperta, per poi scoppiare in una sonora risata divertita, che aumentò non appena il ragazzo rilasciò dei miagolii di frustrazione.

Asciugandosi le lacrime agli occhi, poggiò il cibo sulla scrivania e si sistemò accanto al ragazzo per liberarlo da quella trappola, ma siccome continuava a muoversi per cercare di sciogliere i nodi, anche la corvina finì con le mani ingarbugliate.

«Sai, in Giappone si dice che c'è un filo rosso che lega due persone che sono destinate a stare insieme, ma io non pensavo fosse letterale.» ridacchiò la ragazza, notando il rossore sul volto del biondo. «Tu che hai le mani libere -circa-, prendi la forbice sulla scrivania.» disse, svolgendosi quando bastava per far sì che Chat riuscisse a prendere l'utensile e tagliare il filo.

Un paio di minuti più tardi erano entrambi liberi, e Marinette riprese a ridere.

"Mi dispiace, ma non so il perché mi sono trovato il gomitolo in mano..."

«Non ti preoccupare, tanto era tutto sfilacciato e dovevo buttarlo, per questo era sulla scrivania.» rispose raccogliendo i vari fili. «Mi hai anche rallegrata, grazie Chat.» sorrise, facendolo diventare rosso come un peperone.

"Cos'è successo?"

«Mia mamma, come sempre.» rispose gettando la lana nel cestino che aveva sotto la scrivania. «Ma, dopotutto, non è colpa sua, non devo avercela con nessuno.»

Chat le si sistemò accanto e anche se era più alto di lei di una ventina di centimetri, poggiò la testa sulla sua spalla in un gesto affettuoso.

«Almeno io posso contare su di te, giusto Chaton?» domandò accarezzandogli il capo e ricevendo come risposta affermativa delle fusa. «Ed anche tu puoi contare su di me. Sempre.»

Il felino alzò lo sguardo, sorridendole, strofinando il naso contro la sua guancia e facendola ridacchiare.

«Ora mangia il croissant, non vorrai che si freddi.»

"Va bene, nonnina" scrisse lui per prenderla in giro.

«Ti voglio fare ingrassare per poi metterti fiocchi su fiocchi, ok? I gatti in stile Garfield fanno tenerezza a tutti, lo sai?» rispose la ragazza con una risatina prendendo la brioche a sua volta e iniziando a mangiarne un po'.

"Dopo non sarò più chiamato Belva Nera ma Batuffolo Nero. No grazie"

«Dopo ti vorranno adottare tutti.»

"E se io volessi essere adottato soltanto da una persona?" ribatté lui con tanto di ghigno.

«Se quella persona è chi penso io allora preparati ai fiocchi, Chaton.» rispose ridacchiando, vedendolo far finta di scorderete gli artigli e soffiare, per poi tornare di nuovo a scrivere.

"Chaton... Mi piace. Mi fa sembrare più teneroso"

«Perché sei tenero.» disse pizzicandogli leggermente una guancia. «Il mio piccolo micetto.» ridacchiò facendogli fare un mugolio spazientito.

Il felino sorrise, tornando a mangiare il suo croissant, guardando la ragazza con aria di sfida ogni volta che avvicinava la propria mano alla sua guancia.

Malgrado "Chaton" fosse il nomignolo dell'animale che lo rappresentava gli piaceva sul serio.

Sempre meglio di Belva Nera o mostro, no?



 

—•—•—



 

Chat rimase con Marinette fino alle undici di sera, lasciandola andare a dormire quando la vide sbadigliare e lottare contro le palpebre pesanti.

I ricordi di due giorni prima riaffiorarono e sentì il senso di colpa invaderlo nuovamente.

Era stato vittima della gelosia e questa sua incoscienza era quasi costata la vita alla sua unica amica.

Strinse i pugni, ignorando il dolore dato degli artigli conficcatisi nei palmi delle mani e dei canini che gli bucavano il labbro inferiore.

Scosse la testa, prendendo dei lunghi respiri profondi per tornare in sé e non rischiare di perdere il controllo.

Ricordava perfettamente quel momento come se lo stesse rivivendo ancora: il corpo rigido e tremante della ragazza davanti a lui per fare da scudo ad un suo amico, i suoi occhi che esprimevano puro coraggio misto a timore e la sua voce -ferma, calma e morbida allo stesso tempo- che lo chiamava per nome per ricevere un cenno da parte sua; ricordava il dolore lancinante alla testa mentre lottava per rinsanire, ma il suo istinto gli urlava di completare ciò che aveva iniziato, riversare la sua rabbia su quel ragazzo che aveva osato a toccare Marinette.

Ma così facendo avrebbe fatto del male anche a lei, oltre che in modo fisico.

Preso un ultimo respiro riaprì gli occhi, cercando con lo sguardo una cornice con dentro una foto sul comodino; raffigurava una donna sulla trentina, lunghi capelli biondi come il grano appena maturo e splendenti occhi verdi come smeraldi, ma ciò che lo rapiva ogni volta che la guardava era il suo meraviglioso sorriso, caldo e gentile, che esprimeva felicità ed amore per la persona dietro la fotocamera.

Una lacrima gli scivolò dall'angolo dell'occhio lungo la tempia, cadendo sul cuscino e mischiandosi tra le fibre della stoffa.

Allungando la mano artigliata andò a sfiorare i lineamenti femminili della donna nella foto, tirando su con il naso subito dopo.

Sua madre era l'unica persona che gli avesse mai voluto bene, malgrado la sua salute non le permetteva di passare molto tempo fuori dall'ospedale, quando, un giorno, la sua malattia prese il sopravvento e le strappò la vita dal corpo.

Quel maledetto ricordo lo riviveva ogni notte nei suoi sogni, seguito dal volto sorridente della madre che lo abbracciava e gli diceva che sarebbe andato tutto bene, che presto si sarebbe risolto tutto.

«Ti voglio bene, figlio mio.» gli diceva ogni volta con voce morbida, spezzata dalle lacrime; poi si svegliava con gli occhi bagnati dalle lacrime.

Capitava molte volte che si svegliasse nel mezzo della notte, preso dalla rabbia perché lui non era stato in grado di fare nulla per salvarla; se avesse capito prima che sua madre era malata, allora avrebbe potuto anticipare le cure, ma malgrado i segnali –forte tosse, continui svenimenti e, qualche volta, attacchi isterici– non l'aveva capito, era stato cieco.

I medici avevano detto che la sua malattia era irreversibile, che non poteva far altro che peggiorare fino a che non sarebbe arrivato il momento di lasciarla andare, ma lui non riusciva ad accettarlo.

Erano quelli i pensieri per cui si scatenavano i suoi poteri della distruzione, preferendo uscire per le vie di Parigi a sfogare la propria frustrazione.

Anche nella notte in cui aveva incontrato per la prima volta Marinette si era appena ripreso da uno dei suoi attacchi, saltando tra i tetti per cercare aria respirabile, aria che non lo facesse soffocare; poi la vide, una normale ragazza che camminava sola nella notte per le vie anguste della città.

Non sapeva come, ma sentiva come una sorta di attrazione magnetica verso la giovane, e quando vide i suoi fantastici occhi azzurri una scarica elettrica gli scosse i pensieri, mandandogli un brivido lungo la spina dorsale.

Fu una pura rivoluzione per lui e quell'anno spaventoso si fece più luminoso.

Era la sua ancora di salvezza, come il filo che Arianna donò a Teseo per aiutarlo a trovare l'uscita del labirinto.

Quella sera, dopo essersi addormentato, vide ancora sua madre: gli sorrideva e gli accarezzava dolcemente i capelli dello stesso colore dei suoi, per poi baciargli dolcemente la fronte.

In questo sogno non era Chat Noir,  la Belva Nera, ma era il ragazzo normale che era prima, senza artigli, senza zanne, senza coda e senza orecchie.

Solo lui.

«Mamma...» sussurrò con le lacrime agli occhi, crogiolandosi in quel dolce abbraccio. «Mamma, mi manchi tantissimo...»
«Io sono sempre con te, tesoro, non ti preoccupare.» rispose lei accarezzandogli i capelli. «Veglio su di te anche se non mi vedi, ti proteggerò sempre
«Mi dispiace... Mi dispiace per tutto
«Non esserlo, non è colpa tua

Il giovane singhiozzò contro il corpo della donna, mentre lei sussurrava frasi dolci per calmarlo.

Avrebbe voluto che fosse reale, che tutto quello che aveva vissuto dalla sua morte fino in quel momento fosse soltanto frutto di un bruttissimo incubo.

«Non ti abbattere, sei o non sei il mio ometto?» gli sorrise, asciugandogli le guance dalle lacrime. «Non piangere. Trova la tua luce, trova il motivo per cui sorridere ed andare avanti

Le immagini di Marinette gli passarono davanti agli occhi: Marinette che sorrideva, che rideva con lui, che lo guardava con un'espressione incuriosita, che inciampava per la sua sbadataggine, che arrossiva e si toccava le guance purpuree.

Non era mai stato così sicuro su di una cosa fino a quando i loro occhi non si incontrarono, dando il via ad un legame forte e duraturo.

Era lei, ne era certo.

Il ragazzo sorrise, tirando su con il naso. «L'ho già trovata...»
Fu la volta della donna sorridere. «Ti voglio bene, Adrien

Chat riaprì gli occhi verdi, notando che si era fatto giorno.

Il ricordo del sogno era ancora vivido  nella sua mente; si portò una mano al petto, ascoltando il suo cuore battere tranquillamente nel petto.

E quella fu la prima notte in cui si svegliò sorridente.





 

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*si asciuga una lacrimuccia*

Quasi mi dispiace far soffrire così i personaggi.

Quasi.

Quanto sono stronza xD

E questo è nulla in confronto a quello che subiranno più avanti. Eheheheheh

A venerdì prossimo >:3

Francy_Kid

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Capitolo 15
*** Cap. 14 ***


Cap. 14




Marinette spense la sveglia del suo cellulare, guardando l'ora sul display e sbuffando quando vide l'orario: "07:05"

Aveva iniziato a mettere la sveglia prima rispetto al solito perché voleva farsi una bella doccia per svegliarsi e prepararsi al meglio.

Sospirando, si stirò, per poi scendere dal soppalco ed andare a prendere i vestiti per la giornata di scuola; prese l'intimo, un paio di calze nere, dei blue jeans skinny ed una maglietta nera taglia L.

Non era il suo solito outfit, lo sapeva, ma le piaceva anche cambiare stile a volte ed ora era il turno di quello.

Come scarpe avrebbe utilizzato il suo inseparabile paio di Converse total black, avrebbe legato i capelli in uno chignon alto ed il trucco consisteva  nel mettere solo il mascara.

Era curiosa di vedere come le stava questo look.

Si fece la doccia e venti minuti più tardi era già già in accappatoio nella sua stanza a cambiarsi.

Si mise davanti allo specchio della toilette per decidere se era un outfit decente e, sorridendo a se stessa, decise che sarebbe andata a scuola in quel modo; si sistemò i capelli in uno chignon disordinato, con alcuni ciuffi che uscivano dall'elastico e si mise il mascara alle ciglia superiori e quelle inferiori, rimettendolo al suo posto subito dopo.

Controllò l'orario sul cellulare, prendendo la cartella e scendendo in cucina per fare colazione.

Le restava poco più di un quarto d'ora alle otto e decise di fare colazione, almeno una volta che era in anticipo.

Si guardò intorno, prendendo un bicchiere di latte e la brioche all'albicocca che suo padre le aveva preparato, sistemandola sul tavolo.

Spostò lo sguardo verso il corridoio che conduceva alla camera dei suoi genitori, sapendo che sua mamma stava dormendo come un sasso.

Quel pomeriggio voleva passarlo con lei, senza alcuna interruzione.

Ripassò mentalmente i giorni in cui sarebbe dovuta andare in biblioteca da Fu –il mercoledì ed il venerdì– e si sedette a tavola, prendendo un boccone del croissant, lasciandosi sfuggire un sospiro di piacere.

I croissant appena fatti erano sempre i più buoni.

Mentre beveva dal bicchiere, accese il cellulare per controllare se ci fosse qualche notizia sulla sua folle impresa e, in effetti, i social erano ancora pieni dei vari commenti –positivi e negativi– per quel gesto.

Sbuffando, bloccò il cellulare e finì di fare colazione, mettendo le posate sporche nella lavastoviglie.

Ormai mancavano cinque minuti al suono della campanella e, affrettandosi leggermente, prese il suo zaino, si infilò le scarpe e si fiondò al piano terra verso la boulangerie salutando il padre prima di uscire e dirigersi verso la scuola.

Alcuni alunni erano ancora in attesa di alcuni loro amici sulle scale, parlando tra loro e ridendo, ma iniziarono a mormorare non appena videro Marinette.

La ragazza, oltre che sentirsi osservata ed in estremo disagio, se ti va come se una voragine la inghiottisse verso un luogo buio.

Voleva tornare a casa e restare finché tutta questa storia non fosse finita, ma non poteva sopportare lo sguardo preoccupato dei suoi genitori.

Facendosi coraggio, ignorando le occhiate ed i brusii di sottofondo, salì le scale per entrare nell'atrio del liceo, guardandosi intorno in cerca dei suoi due migliori amici.

Scelta errata.

Lì erano radunati maggior parte degli alunni e non appena varcò la soglia una centinaia di sguardi caddero su di lei.

Marinette si gelò sul posto, incapace di muoversi, incapace di parlare ed incapace di pensare ad altro che a fuggire.

«Mari!» la chiamò Alya, risvegliandola dalla sua trance. «Andiamo in classe, tra poco iniziamo.» aggiunse notando il suo stato d'animo, prendendola a braccetto.

La corvina annuì, andando con l'amica fino alla sua aula.

Sentiva il peso di tutti quegli sguardi sulle spalle e tutte le loro voci che parlavano di lei.

Non appena entrate nell'aula, Alya chiuse la porta dietro di sé, accompagnando l'amica al loro posto.

In classe c'erano hai tutti, tranne Nathaniel, e guardarono la loro rappresentante sorpresi.

«Mari, lascia stare quelle persone, non ascoltarle.» disse cautamente Alya, accarezzando il braccio della corvina in maniera confortante.
«Non mi importa molto il fatto che spettegolino... È che mi da fastidio essere al centro dell'attenzione...»
«Non è affatto vero.» sbuffò Chloé dal suo posto, mentre Sabrina, la sua migliore amica, annuiva energicamente. «Si sa che l'hai fatto apposta. Siccome nessuno prende mai in considerazione una nullità come te allora hai preferito aspettare che la Belva Nera attaccasse per far finta di proteggere un tuo amico. Scommetto che anche Nathaniel era d'accordo con questa farsa.» continuò con voce troppo acuta per essere ignorata.
Marinette serrò i pugni. «Se volessi stare al centro dell'attenzione come te allora farei ben altro che starmene da sola con un numero limitato di persone, non credi?»
«Per "limitato" intendi due?» ridacchiò, portandosi una mano alla bocca con fare civettuolo. «Hai solo quella fissata con le notizie è quello che fa musica orrenda dalla tua parte, gli altri non ti si avvicinano nemmeno, soprattutto non dopo quel video.»

Marinette strinse maggiormente i pugni, sentendo le unghie bucarle i palmi.

Odiava quando venivano messi in mezzo suoi amici per delle questioni che riguardavano lei e basta.

«Senti da che pulpito vien la predica.» commentò acida Alix, facendo voltare verso di lei tutti i presenti in classe. «Sarà che io e Mari non ci parliamo molto, ma la considero mia amica esattamente come tutti qua dentro, ad eccezione di te.»
«Esatto, lei non è una persona con il cuore di pietra come te. Lei è gentile e premurosa. Sei tu quella che vuole mettersi in mostra per ogni cosa che fai.» concordò Ivan dal suo posto, notando l'espressione sorpresa della bionda.
«E quello che ha fatto Mari in quel video è stato eroico. Scommetto che tu saresti fuggita per non rovinarti i capelli.» aggiunse Juleka con un sorriso sghembo, sistemandosi poi il ciuffo di capelli viola dietro l'orecchio.

Marinette sorrise al coro di voci che si levarono contro Chloé, ringraziando tutti i presenti con voce bassa per il leggero imbarazzo.

La bionda di alzò dal banco con un ringhio ed uscì dalla classe pestando i piedi, seguita da Sabrina.

«Non dare retta a quella racchia. Sei stata coraggiosa a proteggere un tuo amico in quel modo, ma scommetto che io sarei stato meglio.» disse Kim pompando il pugno in aria.
«Secondo me saresti fuggito a gambe levate, ma almeno avresti vinto una gara di velocità.» commentò Max, facendo scoppiare tutti in una sonora risata.

Non c'era alcun dubbio: quelle erano le persone migliori del mondo.



 

—•—•—


 

Marinette tornò a casa con il sorriso sul volto.

Non si sarebbe mai aspettato che le persone tenessero realmente a lei in quel modo, soprattutto non dopo il video.

Dopo quella mattina non avrebbe mai più sentito parlare di quella storia, almeno non dai suoi compagni, ed era sicura che anche gli altri avrebbero smesso prima o poi, soprattutto dopo aver capito che Marinette Dupain-Cheng era una normalissima ragazza che aveva compiuto un'impresa suicida.

«Ciao mamma, come hai dormito?» domandò la corvina entrando in casa, per poi dare un bacio sulla guancia alla donna.
«Come un ghiro, pensa che mi sono svegliata soltanto mezz'ora fa.» rispose con le guance arrossate per l'imbarazzo. «E invece come ti è andata la giornata scolastica?»
«Male all'inizio e bene alla fine. Tutti mi guardavano per quel mio video dove affronto la Belva Nera per salvare Nath e Chloé ha iniziato a prendermi in giro, sai come fa di solito, ma poi tutti si sono rivoltati a lei e mi hanno sostenuta. Mi sono sentita benissimo.» sorrise alzando le braccia al cielo, sedendosi sul divano accanto a Sabine.
«Mi fa piacere tesoro. Come sta quel tuo amico?»
La ragazza si incupì, tornando seria. «Oggi non è venuto a scuola... Spero solo stia bene.»
«Forse è ancora spaventato dell'accaduto, vedrai che presto tornerà a scuola.» disse la madre rassicurandola, dandole un bacio sulla fronte.
«Bene, ora vatti a preparare. Intendo farti passare la più bella giornata madre-figlia della tua vita.» esclamò determinata Marinette, alzandosi in piedi.
«Devo mettermi le scarpe comode?» ghignò la donna ancora seduta.
«Quelle grigie. Intendo farti fare un giro a Parc Montsouris.»
«Allora vado subito a prepararmi.» disse Sabine, andando nella sua stanza per cambiarsi in abiti più comodi.

La ragazza la vide chiudere la porta della stanza e ne approfittò per prendere un piatto con un croissant fatto la mattina, un bicchiere pulito ed il succo all'arancia, per poi salire in camera.

Si sedette alla scrivania, scrivendo un messaggio su un foglio staccato da un quaderno, sistemando il cibo sul tavolo.

Le dispiaceva dover avvisare Chat Noir in quel modo, ma non conosceva altri mezzi.

Sperava soltanto avrebbe capito.



 

—•—•—



 

Chat atterrò sull'attico come ogni sera e, quella volta, aveva ritardato rispetto al giorno precedente fino alle nove passare di sera.

Si guardò attorno, notando che non c'era alcuna traccia di Marinette e la sua attenzione cadde su un foglio appoggiato sul tavolino circolare è tenuto fermo da un vaso vuoto.

"Caro Chat,
Se troverai questo messaggio significa che non sono ancora tornata a casa e che sono uscita con mia mamma. In questo periodo ha lavorato parecchio e volevo passare un po' di tempo con lei. Mi dispiace non avertelo detto prima ma l'unico modo che avevo di comunicare con te era attraverso questo foglio. Se vuoi in camera mia c'è uno spuntino preparato apposta per te, anche se ormai non sarà più caldo come stamattina, e stai tranquillo, ho chiuso a chiave la botola che porta in salotto quindi nessuno può entrare tranne me. Resta pure nella mia stanza quanto vuoi e, forse, ci vediamo appena torno :)
Marinette"

Il ragazzo sorrise.

Era una ragazza davvero gentile e la trovava meravigliosa.

Prendendo il foglio di carta scese nella stanza della ragazza, atterrando sul soppalco con un leggero tonfo, per poi scendere dalle scale fino alla scrivania; lì c'era un croissant e del succo, con un altro voglio accanto alla bottiglia.

"Fai pure come se fosse a casa tua. Il pc non ha password, quindi puoi vedere un film su internet o video su YouTube (a patto che tieni il volume basso, ovvio). Se vuoi disegnare ci sono dei fogli bianchi accanto alla stampante e le matite sono nell'astuccio rosa. Spero non ti annoierai ^^
P.S. Non mettere le mani nei cassetti della biancheria intima, mi ricordo l'ordine delle cose.
A presto, Marinette."

Leggendo l'ultima parte arrossì di colpo, ma forse era per la battuta che le aveva fatto sul suo reggiseno e, in fondo, era pur sempre un ragazzo.

Si sedette sulla sedia da ufficio dietro di lui, mangiando il croissant.

Non si sarebbe mai stancato di quella pasta che si scioglieva in bocca; faceva le fusa ad ogni morso da quant'erano buoni.

Non sapendo che fare, accese il computer e sorrise allo sfondo che aveva impostato sul desktop: era una sequenza di foto che raffigurava lei ed i suoi due migliori amici mentre facevano facce buffe.

Dalla sua espressione felice si capiva che erano persone a cui voleva bene e, se doveva essere sincero, anche lui voleva farla sorridere come in quelle foto.

Facendo scorrere lo sguardo sul monitor notò una cartella con la data che risaliva a circa diciassette anni prima.

La sua curiosità vinse sull'autocontrollo e, senza pensarci due volte, cliccò su di essa, aprendola e rivelando circa una settantina di foto di una bambina dai capelli neri e dai grandi occhioni azzurri che dimostrava circa un anno.

A Chat comparve un sorriso a trentadue denti sul volto, selezionando la prima foto ed iniziando a farle scorrere una dietro l'altra.

Quella bambina era Marinette da piccola, in varie e carinissime espressioni.

Quella sera non si sarebbe annoiato di certo.



 

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Chat apre file proibiti che Mari si era dimenticata di nascondere.

Chissà come reagirà >:3

Sono un po' in ritardo, ma avevo verifiche fino al 7 giugno... ed in più sono stata ammessa alla maturità, quindi mi devo anche preparare per gli esami eheheheh

Al prossimo capitolo :D

Francy_Kid

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Capitolo 16
*** Cap. 15 ***


Cap. 15



 

Marinette salì in casa a braccetto con sua mamma, ridendo ad un racconto divertente avvenuto la settimana scorsa tra dei suoi colleghi.

Tom era ancora in negozio a sistemare per la chiusura quindi non c'era nessuno in casa, ma Sabine si fermò sulla soglia quando sentì degli oggetti cadere sul pavimento nella stanza di Marinette.

«Mari, è chiusa camera tua, vero?» domandò, cercando di non far allarmare la figlia.
«Certo, perché?»
«Credo sia entrato qualcuno. Vado a chiamare Tom.»

Marinette sentì il sangue raggelarsi nelle vene. Doveva trattarsi per forza di Chat Noir.

«Aspetta mamma! Sarà il gatto! Sì, il gatto a cui do da mangiare ogni giorno.» disse nervosa, cercando di sembrare più convincente possibile.
«Un gatto?» chiese alzando un sopracciglio.
«Sì. Ultimamente c'è un gattino che salta tra i tetti e finisce sempre sul mio terrazzo in cerca di cibo e coccole. Mi dispiace lasciarlo da solo, così me ne occupo io.»
La donna guardò la figlia con un sorriso, dandole un bacio sulla fronte. «Va bene, ma non portarlo in casa, dai che tuo padre è allergico.» si raccomandò, per poi aggiungere che sarebbe andata ad aiutare il marito in negozio per fare più in fretta.

Marinette annuì, aspettando che la madre fosse uscita dall'appartamento, per poi salire in fretta in camera sua, spalancando la botola con estrema fretta.

Chat saltò sul posto, rischiando di far cadere la sedia su cui era seduto, per poi voltarsi di scatto verso Marinette.

La ragazza si guardò intorno, in cerca di cos'era caduto ma non trovando nulla a terra.

"Era il tuo astuccio. L'ho urtato per sbaglio, ma l'ho raccolto subito."

Scrisse il felino, immaginando ciò che stava cercando.

«Non fa nulla. È che mia madre aveva sentito cadere qualcosa e pensava fosse entrato un ladro.» rispose sospirando di sollievo, chiudendo la botola e sedendosi sopra. «Spero non ti sarai annoiato qui da solo.» aggiunse, per poi vederlo scrivere la risposta sul quaderno.

"Al contrario. Ho guardato uno di quei cartoni animati che avevo salvato sul computer ed ora sono al sesto episodio."

«Credo che tu ti riferisca agli anime.» lo corresse ridacchiando. «E come si chiama quello che stai guardando?»

"Fullmetal alchemist Brotherhood. Mi ha preso un casino!"

Marinette ridacchiò. «Benvenuto nel meraviglioso mondo degli anime, Chaton.»

Chat Noir le sorrise, per poi girarsi nuovamente verso il computer e fare ripartire l'episodio.



 

—•—•—



 

Alya guardò la sua amica appisolata sul banco, con la fronte appoggiata sulla superficie piana.

«Ore piccole, cara?» le chiese con un sorriso divertito, vedendola annuire.

La mora ridacchiò, fermandosi di colpo quando vide Nathaniel entrare in classe.

Tutti i compagni lo salutarono normalmente, poiché avevano stabilito che la storia della Belva Nera non sarebbe mai più saltata fuori, ed Alya lo fissò stupita.

Anche se non c'era nulla di cui stupirsi, si disse mentalmente.

«Ehi Mari, è arrivato Nath.» sussurrò nel suo orecchio, facendola rizzare immediatamente sulla sedia, con il busto completamente rigido, per poi voltarsi a destra ed a sinistra in cerca del suo compagno, finché non guardò verso l'ultima fila.

Marinette si scusò con l'amica, alzandosi e sedendosi nel posto vuoto accanto al rosso.

«Ehi Nath...» disse quasi impercettibilmente, facendolo irrigidire. «Stai bene?»
«Oh... S-Sì, ero solo parecchio scosso, tutto qua.» rispose grattandosi la nuca. «Mia mamma ha preferito aspettare un paio di giorni prima di farmi uscire di nuovo da casa. Ha seguito il notiziario finché non era sicura che non c'erano più tracce della Belva Nera. Stamattina mi ha accompagnato lei a scuola.» aggiunse con un po' di rossore sulle guance, imbarazzato ad ammettere quel dettaglio.

La corvina emise un sospiro di sollievo.

«Tu piuttosto? Come stai? Ho saputo che sei stata in ospedale.»
«Nulla di grave. Avevo soltanto perso i sensi per via dello shock.» spiega generica, agitando la mano come a dire di non voler più parlarne.
Il ragazzo annuì. «Senti, ti ringrazio per quello che hai fatto, anche se non so come ci sia riuscita.» esclamò poco dopo, sorridendole gentilmente.
«Non so nemmeno io come ho fatto... Ti ho visto in pericolo ed ho reagito di mia spontanea volontà.» rispose avvampando.
«Mi hai salvato la vita, Mari, grazie.» disse anche lui rosso in viso. «E ti volevo chiedere se vorresti finire l'uscita dell'altro giorno.»
Marinette si morse il labbro inferiore. «Non credo che sia saggio uscire ancora dopo ciò che è successo.»
«Forse è vero, ma non credo si ripeterà.» tentò lui, sentendo il sangue gelarsi nelle vene per il rifiuto.
«Nath, davvero, non credo finirebbe bene se uscissimo di nuovo.»

Tra i due ci fu un attimo di silenzio è la corvina continuava a torturarsi il labbro inferiore per la tensione venuta a crearsi.

Il ragazzo prese un respiro, poi riprese a parlare: «Lo hai detto come se conoscessi la Belva Nera.» ridacchiò nervoso.
«Che cavolata.» mentì.
«Allora perché non vuoi uscire con me?»
«Perché... –prese un respiro.– Perché ti considero mio amico. Ho provato ad uscire con te sabato, ma ciò ha confermato il fatto che non sei fatto per me.» spiegò più calma possibile, conscia del fatto che tutti in classe li stavano ascoltando.
Il rosso si voltò seccato. «Potevi dirmelo anche prima.»
«E come? Non ci vediamo da allora.» esclamò iniziando a perdere la pazienza.

Quello era uno dei suoi mille difetti: si arrabbiava con le persone irragionevoli, che volevano avere ragione a tutti i costi e che non le davano la possibilità di spiegare.

«Potevi almeno dirmelo con un messaggio o una chiamata.» insistette lui.
«E così ti saresti lamentato del fatto che avrei dovuto dirtelo di persona. Nath, per favore. So che odi quanto me che le cose importanti vengano dette via cellulare, quindi non puoi venirmi a dire che è colpa mia se non ti ho avvisato prima. Se proprio ci tenevi allora potevi chiamarmi o scrivermi tu.» aggiunse seccata, per poi alzarsi e vedere tutti i suoi compagni di classe abbassare lo sguardo e fare finta di leggere un libro o scrivere al cellulare.

Tutti sapevano del carattere di Marinette e nessuno era mai riuscito a farla arrabbiare, poiché era molto gentile ed andava d'accordo con tutti –tranne che con Chloé–

Quando proprio perdeva le staffe era perché proprio non ne poteva più.

«Io torno al mio posto.» aggiunse sbuffando, scendendo le scale e sedendosi accanto ad Alya, anche lei rimasta in silenzio per non sembrare fuori luogo.

Nino si voltò verso la sua amica, notando il suo sguardo arrabbiato, per poi girarsi verso Alya, mimando un "lo ha rifiutato?" con il labiale e ricevendo un cenno positivo con la testa.

Marinette scattò con il collo verso il moro e simulò un ringhio arrabbiato, facendo raggelare il sangue nelle vene all'amico e facendolo tornare con la testa sul libro, impaurito.

«Ragazza, fai quasi più paura della Belva Nera.» ridacchiò Alya accanto a lei, giocherellando con la penna.
«E pensare che non sono tanto arrabbiata. Un po' me la aspettavo quella sua reazione.» rispose lei, riferendosi a ciò che le aveva detto Nathaniel.
«Infatti ho detto "quasi". Credimi ragazza, ti ho vista arrabbiata pochissime volte e lì anche Chat Noir sarebbe scappato.» disse, aggiungendosi al coro di "buongiorno" non appena la professoressa Bustier entrò in classe, esattamente come tutti gli altri.

La corvina restò a fissare per un po' il vuoto, con i pensieri che vagavano su Chat Noir.

La sera precedente l'aveva passata con lui, divertendosi a guardare altri episodi di Fullmetal Alchemist Brotherhood, arrivando alle tre di mattina a spiegare alcune cose che il suo nuovo amico non aveva capito.

Amico.

La Belva Nera era suo amico.

Più ci pensava più il fatto avvenuto pochi giorni prima le sembrava pura fantasia.

Ma era Chat Noir, il mostro che terrorizzava Parigi, doveva aspettarselo, le diceva una parte del cervello, ma tutto il resto di se stessa le diceva che era una cosa totalmente assurda.

Se solo Alya e Nino venissero a saperlo, impazzirebbero... E chiamerebbero la polizia.

Voleva molto bene ai suoi amici, ma erano anche iperprotettivo bei suoi confronti, lo erano sempre stati; ma forse perché lei era sempre stata la debole dei tre, colei che aveva bisogno di protezione per via del suo carattere gentile, innocente e, certe volte, ingenuo.

Ma quella Marinette era sparita già da un po', dopotutto, era riuscita a farsi amico Chat Noir, non aveva più bisogno di protezione da nessuno.

Ora era soltanto se stessa.





 

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Ehilà :3

Mi dispiace aggiornare ora, ma non ho proprio più avuto tempo e per via degli esami, come avevo anticipato in Masque sans visage, NON CI SARÀ ALCUN AGGIORNAMENTO VENERDÌ PROSSIMO.

Riprenderò non appena avrò tempo... è molto probabilmente scriverò un punto sia su Monster che su Masque sans visage che dico che sospenderò la scrittura fino alla fine dell'orale.

Ma cerate di capirmi: È LA MATURITÀ. Voglio uscire da questa dannata scuola T^T

Quindi, per favore, vi prego di avere pazienza...

Grazie per chiunque capisca e a quelle persone che sono contrarie: mi dispiace, ma tanto deciso io U^U

Non è per essere cattiva, ma è perché sennò non riesco a rispettare i tempi. Come oggi.

Dopotutto, non la sto mica interrompendo, ma solo un breve periodo di pausa, non temete :3

Questo era un capitolo molto corto per i motivi scritti sopra, ma i successivi credo supereranno le 2000 e a volte anche le 3000 parole.

Al prossimo aggiornamento e scusate ancora.

Francy_Kid

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Capitolo 17
*** Cap. 16 ***


Cap. 16



 

Marinette entrò nella Bibliothèque de l'Arsenal stranamente puntuale per il suo incontro con Fu, lasciando andare un sospiro di piacere quando venne a contatto con la fresca umidità che le mura lasciavano trasparire.

Portò una mano alla vita per controllare se avesse preso la felpa e, dopo esserne certa, cercò Fu con lo sguardo, camminando tra gli scaffali in cerca dell'anziano.

Il forte odore di carta vecchia e di polvere le penetrava dalle narici, pungendole i sensi, facendola inspirare per godersi quel profumo che tanto amava.

Amava i libri ed amava leggerli.

Una volta aveva letto su internet una frase molto bella: "Leggere un libro non è uscire dal mondo, ma entrare nel mondo attraverso un altro ingresso". E caspita se era vero.

Vagare da biblioteca a biblioteca per cercare testi da leggere, per immergersi nel meraviglioso universo che aveva scelto, era il suo passatempo preferito, senza contare gli altri suoi hobby –guardare anime, leggere manga, giocare ai videogiochi e, da qualche tempo, parlare con la Belva Nera–

Era una vera e propria nerd, si ripeteva lei in più occasioni, ma le andava bene così.

Pensando che Fu la stesse aspettando davanti all'entrata segreta, salì le scale, controllando con lo sguardo che le uniche tre persone nella stanza fossero concentrate sul libro che avevano davanti.

Arrivata in cima alle scale, vide l'anziano tirare l'ultimo libro che apriva il passaggio e, con un cenno della testa, comunicarle di seguirlo.

Annuendo, si precipitò nell'apertura buia, seguendo con passi incerti –non ancora abituata alla strada assestata– il cinese fino al tavolo a diversi metri sotto terra.

«Che cos'è successo l'altro giorno?» domando ad un tratto Fu, mentre Marinette appoggiò la cartella sul tavolo.
La ragazza sapeva a ciò che si riferiva. «Non lo so nemmeno io... Un attimo prima ero con un mio amico al parco -e me ne stavo per andare perché non ne potevo più- ed un attimo dopo mi risveglio in ospedale. Non so cos'è accaduto e, soprattutto, non so come mai Chat Noir si sia fermato.»
Fu la guardò visibilmente incuriosito. «Potresti dirmi tutto quello che ti ricordi?»
La ragazza annuì. «Come ho detto prima, ero con questo mio amici al parco, quando me ne stavo per andare lui si dichiarò... –disse un po' in imbarazzo.– Mentre si stava avvicinando a me Chat Noir è spuntato da non so dove ed è corso verso di noi il mio amico.»
«E poi tu ti sei messa tra loro e Chat si è fermato... Quello l'ho visto al telegiornale.» esclamò annuendo. «Ora bisogna capire il perché. Dopotutto, tu sei una normale civile e non so come possa essere interessato a te in modo specifico.» rimuginò, lisciandosi la barba grigia sul mento.

Marinette si morse il labbro inferiore, i sicura se raccontare la verità o tenerla celata.

Ma, dopotutto, Fu si era fidato di lei mostrandole il segreto della biblioteca e raccontandole tutto quello che conosceva riguardo gli antichi possessori dell'anello maledetto; senza contare che aveva sviluppato per lui un sentimento di fiducia e amicizia.

La corvina di schiarì la gola per attirare la sua attenzione, ma la sua prima parola fu uno squittio di insicurezza. «Io forse so il perché l'ha fatto.»
«Cosa intendi dire?»
Marinette prese un respiro profondo. «Io conosco personalmente Chat Noir. Mi ha salvato da un malvivente poco più di una settimana fa e da allora mi fa visita ogni sera.»
L'anziano la guardò stupefatto mentre gli raccontava. «E come fa a comunicare con te?»
«Scrive su un quaderno. Comunque, l'altra sera mi disse -cioè, scrisse- che era geloso di questo mio amico perché provava qualcosa per me, ma io non lo ascoltai ed uscì allo stesso con lui. Tutto il resto si sa dopo.» spiegò guardando le sue dita che giocherellavano nervose con lotto della sua maglia. «Mi dispiace di non aver detto prima la verità, ma gli avevo promesso che non avrei detto a nessuno che ci conosciamo per la questione della nostra sicurezza, ma di lei mi fido e sento che ha tutte le risposte per questa assurda faccenda.» continuò subito dopo, alzando lo sguardo per incontrare quello dell'anziano, che le sorrideva gentilmente.
«Hai fatto bene a dirmelo, e puoi stare tranquilla: il tuo segreto con me è al sicuro, come il fatto che tu non hai raccontato a nessuno di questo posto.» disse allargando le braccia per indicare l'enorme spazio che li circondava. «E poi, anch'io ho i miei segreti e, poco alla volta, appena sarai pronta, te lo racconterò.»
«Non è necessario, davvero.» esclamò scuotendo la testa.
«Eccome se lo è. E sono più che sicuro che ti sarà utile per aiutare Chat Noir.»

Marinette rimase senza parole, incapace di elaborare ciò che le stava dicendo.

Fu le poggiò la mano sul braccio in maniera confortante, notando la sua espressione.

«Marinette, fidati di me. Tu sei l'unica che può far uscire quel ragazzo dall'inferno che sta passando. Essere maledetto equivale a mettere fine alla propria vita: quell'anello uccide la tua parte umana e lascia spazio ad un mostro. Ma per quel ragazzo c'è ancora speranza, e sei tu la sua unica speranza.»



 

—•—•—



 

Marinette era sdraiata supina sul suo letto, fissando il cielo notturno dalla botola sopra di lei.

Lei era l'unica speranza per Chat Noir.

Voleva fare di tutto pur di aiutarlo, ma sentire una cosa del genere l'aveva lasciata spiazzata.

Come poteva lei, una normalissima ragazza di diciotto anni, maldestra e pericolo pubblico, essere la speranza di una persona?

Impossibile.

Eppure, quando Fu glielo disse era sin troppo serio.

I suoi pensieri vennero interrotti da un leggero bussare al vetro della botola ed da un paio di luminosi occhi verdi.

Si alzò con un sorriso ed aprì la caditoia, poggiandosi con le braccia al pavimento e mettendosi a pari altezza col volto di Chat, anche lui sorridente.

«Ciao Gattino.» esclamò poggiando il mento sull'avambraccio.

Chat emise un miagolio, per poi sfiorare con l'indice la frangia della ragazza in segno di saluto.

«Aspetta un secondo, vado a prendere il quaderno. Vuoi qualcosa da mangiare o da bere?»

Il felino scosse la testa e le fece cenno che l'avrebbe aspettata lì fuori.

La ragazza scese dal letto e recuperò il quaderno e la Penna che aveva lasciato sulla scrivania, per poi salire sull'attico e porgere gli oggetti al biondo.

"Come stai?"

«Questo dovrei chiederlo io a te, Chat.» rispose con tono preoccupato, sedendosi accanto a lui. «Tutto bene?»

"Lo sfogo di ieri sera mi è servito, ora mi sento leggermente meglio"

«Sai che puoi contare sempre su di me, vero?» chiese porgendogli la mano, allargando le dita.

Il ragazzo annuì e la strinse, intrecciando le dita con le sue.

«Io sono curiosa.» esclamò all'improvviso, facendogli inclinare la testa di lato. «Sembrerò invadente, ma... Qual è il tuo vero nome?»

Chat si fece serio, guardando le sue gambe distese.

"Ho perso la mia identità da quando sono diventato Chat Noir. Il ragazzo che ero prima non esiste più"

Marinette gli prese la mano per la seconda volta, facendogli alzare gli occhi su di lei.

«Mi dispiace... Non dovevo chiedertelo...»

"Non mi sento pronto a dirti chi ero. So solo chi sono ora: un mostro"

«Non è assolutamente vero! Tu non sei un mostro! I nostri sono coloro che uccidono senza alcun motivo, per vendetta personale o per il semplice gusto di farlo. Tu sei un povero ragazzo che sta soffrendo a causa di una maledizione, sei una vittima» esclamò con risolutezza, levandogli la penna di mano non appena lo vide iniziare a scrivere. «E non ricominciare con la questione dell'altro giorno. Nath è rimasto illeso ed io sono qui con te senza graffi e senza alcuna ferita, e questo per merito tuo.»

La ragazza riconsegnò la biro all'amico, che iniziò a scrivere.

"È solo per te che sono riuscito a fermarmi: mi ero ripromesso che ti avrei protetta da tutto e da tutti, anche da me stesso. A volte penso che l'umico modo che ho di farlo è allontanarmi da te, farti tornare a vivere la tua vita com'era prima, ma non riesco, non riesco ad allontanarmi da te" scrisse, girando verso di lei il quaderno per farglielo leggere, per poi girare pagina perché era finito lo spazio. "So di essere egoista e forse mi odierai per questo, ma qualcosa mi riporta sempre qui. Tu sei l'umica che mi capisce e l'unica che mi è vicina in questo brutto periodo. Non voglio lasciarti"

Marinette lesse e poi guardò l'amico con tenerezza, accarezzandogli la guancia. «Ed io non voglio che mi lasci. Non ti abbandonerò e non ti allontanerò da me, capito?»

Chat annuì, poggiandosi nell'incavo del suo collo ed iniziando a fare le fusa, facendola ridere per il solletico.



 

—•—•—



 

Chat si mise sulla ringhiera, mettendosi a quattro zampe anche per non cadere, restando girato verso Marinette.

«Mi fa sempre piacere averti qui, e devo dire che stai imparando tante belle battute.» ridacchiò, scompigliandogli i capelli biondi.

Lui rispose con un brontolio per pavoneggiarsi, gonfiando il petto e stando attento a non perdere l'equilibrio.

La ragazza rise di gusto e Chat la guardò con sguardo sognante.

La corvina gli sorrise, avvicinandosi a lui e poggiando la fronte contro la sua.

I loro occhi si incontrarono e nessuno dei due intendeva interrompere il loro scambio di sguardi.

Ogni volta che guardava i suoi bellissimi occhi azzurri, il felino ne rimaneva ipnotizzato ed ora, avendola così vicino sentiva, con chiarezza l'attrazione che lo tirava verso di lei.

Si leccò le labbra secche, sporgendosi maggiormente, notando che la ragazza fece lo stesso.

Chat non poté far altro che pensare che tutto quello era sbagliato, che le stava rendendo la vita un inferno, esattamente come la sua, ma in quel momento non poteva far altro che pensare alla sua felicità e che quella ragazza ne era la rappresentazione fisica.

Le loro labbra erano ad un soffio di distanza, ed entrambi sentivano il respiro caldo dell'altro sul viso; sentivano il calore che emanava il corpo dell'altro e l'elettricità che scorreva tra loro.

A Chat sembrava quasi un sogno e mise delicatamente la mano sopra la guancia della ragazza, solleticandogliela grazie agli artigli.

Marinette si sporse in avanti, sperando nel contatto, ma una profonda e minacciosa voce attirò la sua attenzione.

«Lascia stare mia figlia, mostro!»

Tom salì dalla botola e subito si mosse in direzione dei due.

Chat Noir soffiò minaccioso, digrignando i denti e sfoderando gli artigli, ma quando levò la mano dalla guancia della ragazza le creò tre graffi per le sue unghie da felino.

Marinette cadde all'indietro e picchiò la testa per terra; subito venne soccorsa da Sabine, che salì dopo aver sentito l'urlo del marito.

Si mise a sedere, vedendo il ragazzo in una posizione d'attacco, ringhiando verso Tom.

«Vattene! Hai già fatto del male a molti e non voglio che ne fai anche a mia figlia.»

Chat spostò lo sguardo sull'amica e notò i tre graffi sanguinanti sulla guancia.

Glieli aveva fatto lui. Era lui la causa.

Abbassando le orecchie, soffiò per l'ennesima volta verso l'uomo, per poi saltare verso il tetto accanto e sparire nella notte.

«No! Chat!» urlò Marinette, tentando di mettersi in piedi, ma la testa le iniziò a girare per via della botta appena presa.
«Stai seduta tesoro, ora vado a prendere qualcosa per disinfettarti la ferita ed un po' di ghiaccio per la testa.» disse gentile Sabine, cercando di nascondere il tono di panico.

Ecco il suo essere medico che prendeva il sopravvento, pensò la ragazza, vedendo il padre afferrare il cellulare per chiamare la polizia.

Perché tutto doveva andare storto? Perché Chat doveva soffrire in quel modo a causa degli altri?

La ragazza sentì i tagli bruciarle e la vista diventarle offuscata per via delle lacrime che le sgorgavano copiose.




 

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E si torna anche con Monster!

E poi boh, Wattpad mi odia: ho dovuto riscrivere tre quarti di capitoli perché non mi aveva salvato le modifiche e di conseguenza non ho potuto aggiornare qui...

Ok. Disinstallo l'app e la reinstallando U^U

Eheheheheh vedrete cosa succederà nei prossimi capitoli MUAHAHAHAHAH

A venerdì prossimo :3

Francy_Kid

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Capitolo 18
*** Cap. 17 ***


Cap. 17





Marinette sibilò di dolore non appena il cotone imbevuto di disinfettante dal colore strano e dall'odore schifoso.

«I graffi non sono molto profondi e non hai bisogno di punti, per fortuna.» disse Sabine, esaminando i tre segni rossi sul viso della figlia.

Marinette era incapace di guardare i genitori negli occhi, non volendo scoprire paura o, addirittura, delusione.

Non aveva detto a nessuno, tranne che a Fu, che conosceva Chat Noir di persona; senza contare il fatto delle visite serali.

Odiava mentire, ma era per salvaguardare l'incolumità di un amico –oltre che la sua– e, magari, salvargli la vita.

Sabine guardò la figlia con espressione triste, per poi rimettersi dritta dopo aver trattato la guancia ferita di quest'ultima ed aprire la botola che conduceva verso il piano inferiore. «Vado a prendere del cicatrizzante.»

Una volta che si fu voltata, Marinette riuscì ad alzare il capo e vedere la schiena della donna, mentre Tom era seduto sulla chaise longue alla sua sinistra, mentre fissava il pavimento.

«Mi dispiace non essere potuto intervenire prima, ma non immaginavo che la Belva Nera si avvicinasse a mia figlia.» sospirò con tono leggermente scioccato, ancora incredulo dell'accaduto, ma sollevato del fatto che non era andata peggio.

Marinette aprì la bocca per dire qualcosa, per chiarire come stavano realmente le cose, ma, come prima cosa, non sapeva come spiegargli il fatto che Chat Noir si trovava sul suo attico, figuriamoci aggiungere il dettaglio del bacio che aveva interrotto.

A qual pensiero, la ragazza arrossì di colpo, portandosi le mani alle guance, per poi pentirsi immediatamente della sua azione, sibilando non appena la sua pelle non entrò a contatto con i tagli freschi.

Tutta la faccenda doveva rimanere un segreto.

I suoi genitori non avrebbero capito.

«È stato un miracolo il fatto che sia arrivato al momento giusto. Chissà cosa avrebbe potuto farti se non mi fossi chiesto se volevi giocare ai videogames.» ridacchiò nervoso, grattandosi il collo.
La ragazza sorrise forzatamente. «Sei il mio eroe papà.» mentì. «Ero pietrificata dalla paura ed ho pensato che se avessi urlato avrei peggiorato la situazione.» esclamò stringendo tra le mani il fazzoletto che sua madre le aveva prestato come tampone temporaneo per fermare l'afflusso di sangue.
Tom le sorrise. «Sei stata fortunata, tesoro. E non credevo che dopo quell'attacco al parco quel mostro sarebbe venuto a cercarti.»

Ancora quella parola. Mostro.

Quanto la detestava.

Una parola che, pronunciata da suo padre, racchiudeva tanto odio.

Odio per Chat Noir.

Odio per la sua natura distruttiva.

Odio per essere quello che non aveva scelto di diventare.

Marinette si morse il labbro e mandò giù quella definizione come un boccone amaro e annuì, ringraziando di nuovo il padre.

Sabine tornò con della crema cicatrizzante che usavano anche in ospedale e dei nuovi bendaggi, sistemandosi nuovamente davanti alla figlia per finire di curarla.

«Io vado a dormire. Ora che sei in mani esperte mi sento più tranquillo.» disse il fornaio alzandosi, avvicinandosi alla figlia per baciarle la fronte. «Se ti avesse fatto del male non me lo sarei mai perdonato.» aggiunse prima di farle la buona notte e scendere, lasciando le due donne da sole.

La giovane tornò a fissare il muro davanti a sé, consapevole del fatto che aveva fatto preoccupare nuovamente sua madre.

Le ritornò alla mente la sua espressione spaventata in ospedale, dopo essersi ripresa da quell'infernale sabato pomeriggio.

«Ho finito.» enunciò Sabine, recuperando le pezze sporche ed i tubetti usati per trattare la ferita.

Marinette si portò una mano al volto, notando che la guancia era stata opera con un grande cerotto quadrato per impedire al sangue di uscire mentre dormiva e permettere al cicatrizzante di essere assorbito completante.

«Domani resto a casa. Voglio controllare che i tagli non facciano infezione, anche perché immagino tu sia troppo scossa dell'accaduto e voglio lasciarti riposare.» disse, muovendo un paio di passi verso la botola, controllando la figlia un'ultima volta prima di scendere al piano inferiore per buttare la spazzatura e riporre i medicinali.

La corvina rimase immobile al suo posto, incapace di trovare parole che potessero spiegare il tutto.

"Ehi mamma, papà non aveva alcun motivo di reagire in quel modo. Sai, Chat Noir è un mio amico ed ha interrotto un momento intimo."

No, nessuno ci avrebbe creduto. Soprattutto all'ultima cosa.

Facendosi aria con la mano, tornò a pensare al volto spaventato e sconvolto di Chat non appena notò la ferita che le aveva procurato.

Dopo quell'episodio non pensava nemmeno sarebbe tornato.

Ed, infatti, fu così.

Il giorno seguente, Marinette attese con trepidazione la sera solo per il solito incontro con l'amico, ma Chat non si fece vivo.

Attese fino alle tre del mattino sull'attico, attrezzata di coperta, croissant per Chat e sveglia del cellulare in caso si fosse addormentata.

Non appena il fastidioso allarme venne spento, la ragazza si guardò attorno in cerca di un segno del fatto che l'amico si fosse fatto vivo, ma la brioche era ancora nel piatto.

Non era venuto.

Durante tutta la prima metà del giorno precedente era rimasta incollata ai suoi genitori, non volendoli far preoccupare nuovamente e venendo controllata dalla madre per la sua ferita, che aveva smesso di sanguinare, ma le faceva talmente male da non riuscire a parlare, senza contare il gonfiore.

Per fortuna non era infetta, ma le avrebbe fatto male per qualche giorno prima che sarebbe guarita.

Sospirando, sistemò la coperta sulla sdraio dietro di sé, per poi scendere per cambiare il "cerottone", come lo chiamava lei, e farsi una doccia calda prima di andare a scuola per lavare via la delusione ed il freddo della notte.

Dopo svariati minuti sotto l'acqua, tornò in camera più rinfrescata di poco prima, recuperando il cicatrizzante ed il cerottone da mettersi sulla ferita.

Nello specchio della sua toilette vide quanto fosse rossa e gonfia la ferita, non potendo fare a meno di stare male per quello che Chat aveva dovuto subire.

Quello non era nulla in confronto al dolore che l'amico provava, non solo perché le aveva fatto del male, ma perché in quei mesi era stato emarginato da tutti.

Marinette si mise la crema, chiudendo l'occhio dal lato del quale vi erano i tagli, trattenendo un gemito di dolore, per poi coprirsi il tutto; non solo perché far vedere quei tagli potevano fare impressione, ma soprattutto perché i suoi amici avrebbero fatto domande.

Si vestì, si truccò e scese in cucina, dove un croissant alla marmellata alle albicocche ed una spremuta di arancia la aspettavano.

Aprire la bocca era difficile, ma riuscì a fare colazione e, siccome mancava un quarto d'ora all'inizio delle lezioni, poté scendere che n tutta calma per salutare il padre in negozio.

Attraversata la strada si trovò già davanti alla scuola, dove poggiati al muretto accanto all'entrata vi erano Alya e Nino che confabulavano tra loro.

Marinette li salutò con cenno della mano non appena alzarono lo sguardo, sorridendole calorosi.

«Come mai ieri non sei venuta a scuola?» domandò il ragazzo incuriosito, sistemandosi il cappello sulla testa.
«Sono andata dal dentista.» rispose lei biascicando, non facendo vedere che la pelle che tirava le procurava dolore.
«E quel cerotto?»
«Mi sono fatta male. Nulla di grave, tranquilli.» rispose, per poi sibilare sfiorare con le dita la guancia.
«Forse è meglio se non parli. Che bello, niente più battute!» esultò Alya, ricevendo un'occhiataccia da parte della sua amica.

I tre rimasero fuori per altri minuti, per poi dirigersi verso la classe –siccome mancavano appena cinque minuti– e sedersi ai loro posti.

Quel pomeriggio doveva andare da Fu, non solo per parargli dell'accaduto, ma anche per trovare un modo per far tornare Chat Noir da lei.

Ora, la Belva Nera non era una preda facile da acchiappare, ma lei sapeva cosa avrebbe dovuto fare, e non sarebbe piaciuto a nessuno dei due: né a Marinette né a Chat.



 

—•—•—



 

Marinette camminava per quel vicolo buio in cui aveva incontrato per la prima volta Chat Noir, lo stesso in cui aveva rischiato di venire violenta.

Si era ripromessa che non avrebbe più percorso quella strada di sera, eppure eccola lì.

Erano da poco passate le undici e sapeva che i suoi genitori non l'avrebbero cercata per almeno un'altra ora, poiché credevano che era da Alya per una serata tra amici.

Infatti era così, almeno fino ad un quarto d'ora prima, quando uscì da casa della mora per rischiare di nuovo pur di sapere se la sua idea avrebbe funzionato.

Si guardò intorno, stringendosi a sé cercando di evitare di tremare, ma la paura le faceva sentire le gambe pesanti.

Continuò a camminare, fino ad arrivare al punto esatto in cui venne soccorsa dal felino e si fermò, alzando lo sguardo verso i tetti, ma non vide nessuna figura che le ricordasse Chat.

Sicura che la sua ricerca fosse fatta a vuoto, accelerò il passo fino ad uscire dal vicolo, trovandosi di nuovo tra quelle poche persone che visitavano la città anche di notte, tirando un sospiro di sollievo.

Tornò a casa, rispondendo in inglese quando una coppia di turisti le chiese informazioni per Notre Dame.

Svoltò a destra, trovandosi in una strada in cui, poco più avanti, vi era un altro vicolo sempre sulla sua destra; arrivò davanti alla viuzza ed una stretta al braccio attirò la sua attenzione, per poi venire trascinata nel vicolo buio dal suo assalitore.

Una mano guantata le tappò la bocca per evitare di urlare.

La ragazza si dimenò, tentando di liberarsi, ma venne spinta contro il muro e i suoi tentativi di fuga si arrestarono non appena vide chi era.

Sbarrò gli occhi, incontrando le luminose iridi verdi della Belva Nera.

«Chat...» sospirò con un misto di sollievo e felicità non appena il ragazzo levò la mano.

Il biondo la guardò abbassando le orecchie e con espressione preoccupata.

Marinette sapeva il perché la guardasse in quel modo e la scelta che aveva preso l'aveva fatta per lui.

«Mi hai vista?» domandò mordendosi il labbro.

Il felino annuì, appiattendo le orecchie da felino al capo.

«Allora perché non mi hai fermata? Perché non ti sei presentato ieri sera?!» chiese puntandogli l'indice sul petto.

Chat miagolò, per poi mordersi il labbro inferiore.

Vero, non poteva parlare, pensò Marinette mordendosi l'interno della guancia non ferita.

«Chat, ascol–»

Il felino giardò il cerotto bianco sulla sua guancia e le soffiò contro, mostrandole i denti affilati e facendo un passo indietro; subito dopo, si voltò di spalle e corse nel buio del vicolo, sparendo.

Marinette rimase sorpresa, guardando l'oscurità con la bocca semi aperta.

Era stordita dalla sua reazione, non aveva mai fatto una cosa del genere; le sembrava di essere ritornata al loro primo incontro.

Sentendo gli occhi pungerle per le lacrime, tornò sulla strada, sbucando dal vicolo e riprendendo il camminò verso casa.

Un quarto d'ora più tardi era già in camera sua sulla chaise longue, abbracciando il cuscino in cerca di conforto.

Solo in quel momento poté lasciare andare le lacrime che aveva trattenuto e pensare, apertamente, che gli abbracci di Chat le mancavano parecchio.



 

—•—•—



 

Chat graffiò la carta da parati del muro della stanza che prima era il salone, lacerandola.

Nuovi solchi segnarono il muro di cemento e Chat ringhiò prima di colpirlo nuovamente.

Tutta la casa era segnata dai suoi poderosi artigli: muri scalfiti, tele dei quadri l'avetti, mobili rovinati.

Tutto ciò che prima arredava una splendida villa era andato distrutto.

Nel vedere i suoi segni gli tornò alla mente il viso spaventato di Marinette mentre veniva soccorsa dalla madre.

Chat crollò sulle ginocchia, con un singhiozzo soffocato, per poi rannicchiarsi contro il pavimento freddo.

Aveva promesso di proteggerla, che non le avrebbe mai fatto del male, ma il suo viso, il suo bellissimo viso, era deturpato per causa sua, tutto perché non era stato capace ad allontanarsi da lei.

La sua più grande paura da quando l'aveva conosciuta si era avverata: ora, anche lei, lo considerava un mostro.

L'unico modo per proteggerla era starle lontano e fare in modo che lei si dimenticasse di lui.

Anche se lui non si sarebbe mai dimenticato di lei.





 

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Buon venerdì a tutti! :D

Anzi... buono nulla...

Sicuramente avrete saputo cos'è accaduto di ieri sera e ci sto ancora malissimo...

Ma bisogna andare avanti. Anche se è dura.

Comunque, in questi giorni ho ricevuto molti bellissimi messaggi e vorrei ringraziare tutti voi che mi seguite e che leggete ^^

Grazie mille!❤️

Ma i veri ringraziamenti saranno quando la storia finirà, quindi dovrete aspettare ancora parecchio ahahahahah xD

Beh, a venerdì prossimo ^^

Francy_Kid

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Capitolo 19
*** cap. 18 ***


Cap. 18






Erano passati sei giorni e diciotto ore dall'ultima volta che Chat aveva incontrato Marinette direttamente.

Di giorno la vedeva ridere e scherzare con i suoi amici, felice della sua vita da adolescente; ed era esattamente quello che lui voleva.

Ma la sera passeggiava per le vie di Parigi solo per cercarlo, chiamando il suo nome sottovoce in quei vicoli pericolosi per qualunque passante, ma lui vegliava su di lei e metteva in fuga qualunque malintenzionato si trovava nei paraggi.

Era già il terzo che faceva fuggire, e tutto senza che Marinette se ne accorgesse.

Vedere la ragazza che metteva in pericolo la propria vita solo per poterlo incontrare era uno strazio: non solo le mancava sentire la sua voce, le sue mani tra i capelli ed i suoi confortevoli abbracci, ma sembrava che non le importasse di mettere a repentaglio la propria vita pur di stare con lui.

A quel pensiero gli si scaldò il cuore, ma l'unico modo che aveva di proteggerla era che la smettesse di cercarlo.

I tre segni che aveva sulla guancia erano ricoperti da delle croste arrossate, che teneva coperte durante il giorno per non impressionare troppo i suoi amici e per evitare domande sul fatto che assomigliassero troppo a dei segni di artigli.

Chat si guardò la mano, la stessa mano con cui le procurò quei dannati segni, stringendola a pugno.

In quell'ultima settimana aveva perso il controllo troppe volte, tornando a rovinare la città e avvicinandosi troppo alle persone; sapeva che Marinette era come un sedativo per i suoi poteri distruttivi, anestetizzando la collera e la frustrazione per farlo rimanere in sé, ma da quando non andava più a trovarla la città era di nuovo immersa nel terrore ed i cittadini si rintanavano in casa non appena il sole tramontava.

Quella che prima era considerata la Ville Lumière per le migliaia di luci che illuminavano le strade ed i monumenti sin dal 1800, ora la città dell'amore era rinominata dai suoi abitanti la "città della paura" e le luci servivano solo per individuare qualunque ombra si muovesse nell'oscurità.

Marinette era terrorizzata dal più minimo rumore, ma sopportava di tutto pur di rivedere il suo amico ancora.

Aveva visto dai telegiornali che gli attacchi a cose e persone erano ripresi, anche più frequentemente rispetto a prima, e lei voleva impedire che qualcun altro si facesse del male.

Camminò con gambe tremanti fino ad arrivare alla fine della stradina, raggiungendo un muro che segnalava la fine del percorso.

Con espressione triste –ma anche sollevata– raggiunse di nuovo la strada principale, sbucando a pochi metri da quella che prima era Villa Agreste, la casa del suo stilista preferito.

Spinta dalla curiosità e dal senso di mancanza, raggiunse il cancello scardinato, notando alcune sbarre tagliare e graffiare; entrò facilmente dopo aver superato i nastri della polizia, guardandosi attorno con i sensi all'erta, pronta a fuggire in caso ci fosse qualcuno.

Sapeva benissimo che stava violando una proprietà privata e, visto che era abbandonata da parecchi mesi ormai, poteva essere tappa di qualche malvivente o ladro in cerca degli ultimi oggetti di valore, ma non servì nemmeno quello a fermarla.

Dopo altri passi tremanti raggiunse le enormi porte di legno, entrambe poggiate al muro su cui, prima, vi erano i cardini.

Si avvicinò con cautela, notando sul legno lunghi segni di quelli che sembravano artigli.

«Questi segni li ho già visti...» sussurrò, sfiorandoli con le dita.

Riprese a camminare all'interno della casa, guardandosi attorno e stringendosi le braccia e strofinandosele per combattere la fredda umidità di quelle mura che trasudavano nostalgia da ogni muro.

Procedette fino a raggiungere la rampa di scale; guardò in alto, notando appeso al muro una cornice con quello che sembrava un dipinto rovinato: la rappresentazione delle due persone raffigurate erano strappate dalla testa fino alle ginocchia, come se chi l'avesse strappavo avesse voluto cancellare l'identità dei due.

Marinette accarezzò la tela, starnutendo quando della polvere le andò nel naso, solleticandole le narici, per poi scendere dalle scale e trovarsi nuovamente al centro del salone.

Si voltò verso sinistra, dirigendosi verso una stanza che aveva al centro un tavolo di legno ed un paio di sedie ancora intatte; le pareti erano tutte segnate è l'unica cosa non rovinata era una foto appesa al muro.

Marinette, spinta dalla curiosità, si avvicinò al riquadro, notando che era una raffigurazione dei membri della famiglia Agreste, quella che alloggiava in quella casa prima di venire abbandonata: la donna, che doveva essere la madre, aveva lunghi capelli biondi, un bellissimo sorriso ad ornarle il viso e luminosi occhi verdi, esattamente come quelli del figlio, Adrien, sul quale teneva una mano poggiata sulla spalla destra, mentre lui gliela stringeva con la sua; il padre, Gabriel Agreste, aveva un'espressione seria e, anch'esso, teneva una mano sulla spalla del figlio.

Sembravano tutti e tre felici, la famiglia perfetta, esattamente come veniva ritratta dalle riviste di moda o fai telegiornali locali, almeno fino alla perdita della moglie per colpa di una grave malattia.

Marinette diede un ultimo sguardo alla foto con espressione triste, per poi uscire nuovamente dalla stanza e tornando nel salone principale.

Brividi le percorsero la spina dorsale quando sentì sul collo il fiato caldo di qualcuno.

La paura la fece immobilizzare sul posto, impedendole di muoversi o dire qualunque cosa.

La sua mente la ricollegò alla quasi aggressione avvenuta in quel vicolo buio e delle lacrime si formarono agli angoli degli occhi.

All'improvviso, due braccia le cinsero alla vita e sentì il peso della testa di qualcuno poggiarci sulla sua spalla sinistra.

Marinette sbarrò gli occhi, preparandosi al peggio, ma un basso mugolio la fece quasi sobbalzare.

«Chat?» domandò sussurrando, alzando una mano per toccarle i capelli e trovando un paio di orecchie feline, che si mossero non appena le sfiorò.

Un atro mugolio confermò la sua teoria e sì voltò di scatto, sbarrando gli occhi sorpresa.

«Che ci fai qui?!» domandò quasi urlando. «Tu non dovresti essere qui, è pericoloso!»

Il ragazzo la guardò alzando un sopracciglio e mettendo le braccia sui fianchi, vedendola arrossire non appena capì cosa volesse dire.

«B-Beh... Lo so che è pericoloso anche per me, ma è colpa tua! Se tu non mi avessi abbandonata adesso non sarei qui.» sbraitò, agitando le braccia con fare nervoso.

Chat aprì la bocca e la richiude subito dopo, chinando il capo non appena Marinette gli diede il suo cellulare con le note aperte.

"Me ne sono andato per proteggerti. L'unico modo che ho di farlo è standoti lontana, così non ti farò più del male e tu non dovrai mai più soffrire a causa mia"

«È proprio andandotene che mi hai ferita. Questi graffi sulle guance non sono nulla e andranno via, ma prova a pensare la ferita che potresti lasciarmi se mi avessi abbandonata.» esclamò facendo dei passi avanti, mentre il ragazzo ne fece all'indietro.

"Solo dimenticandomi sarai al sicuro e sarai di nuovo felice"

«Io sono felice solo stando con te, non lo vuoi capire?!»

Chat sbarrò gli occhi, tenendo il cellulare saldamente in mano per evitare di farlo cadere.

«Chat, sono rimasta una settimana senza di te e mi sono sentita come se avessi perso una parte di me.Mi mancavano le tue fusa, i tuoi miagoli di felicità o di rabbia quando ti raccontavo qualcosa... i tuoi abbracci... Mi mancava tutto di te.» disse sull'orlo delle lacrime. «Perdere te e starti lontano solo per uno stupido episodio equivale a perdere Alya, Nino o uno dei miei genitori. Sei importante quanto loro per me e allontanarmi da te mi farebbe sentire peggio.»

Il ragazzo la fissò, incapace di distogliere lo sguardo da quei bellissimi occhi azzurri.

Riusciva a vedere il suo dolore causato da quella separazione e la verità nel dire quelle parole.

"Mi dispiace... Avevo già rischiato una prima volta quando la gelosia mi aveva fatto perdere il controllo, ma l'ultima volta ti ho fatta del male"

«Te l'ho già detto prima: i graffi spariscono. Ed avere una mamma che lavora in ospedale serve in queste cose.» ridacchiò.

La ragazza lo guardò con espressione addolorata, avvicinandosi a lui e mettendogli una mano sulla spalla.

«Chat, non pensarci. E credo proprio che non ti libererai di me tanto facilmente.» sorrise, per poi salire con la mano sulla guancia ed accarezzandogliela. «Ti voglio troppo bene per abbandonarti e manterrò la mia promessa: Troverò una soluzione alla maledizione così tutto tornerà normale, ok?»

Chat annuì e sfiorò con le unghie la guancia sana dell'amica, sorridendole.

I due si sedettero su uno degli unici sofà ancora integri, uno contro la spalla dell'altro mentre parlavano del più e del meno, scambiandosi qualche battuta e raccontando gli avvenimenti dell'ultima settimana ed il perché lui avesse perso il controllo molto spesso.

Era l'una passata e Marinette concordo con Chat che era ora che tornasse a casa –ovviamente accompagnata da lui–

«Chat, posso chiederti una cosa?» domandò, alzando il viso dalla sua spalla. «Come mai sei qui? Certo, ti offre protezione dalle intemperie, ma ho notato anche che hai segnato tutta la casa, soprattutto le foto della famiglia...»

"Immagino tu voglia sapere il perché, giusto?" scrisse, mostrandole il display con la nota.

La ragazza annuì e lui riprese a digitare sul cellulare.

"So che mi posso fidare di te, ma non me la sento di raccontarti tutto. La ferita è ancora aperta e si collega tutto a questa casa ed alla famiglia"

Marinette annuì. «Io sono sempre qua ogni volta che vuoi parlare, lo sai?»

Fu la volta di Chat ad assentire, cingendole la vita per abbracciarla e subito lei rispose alla sua azione, stringendolo a sé.

Gli era mancata la sensazione del suo corpo tra le sue braccia e gli era mancato sfogarsi con l'unica persona che lo capiva e che lo sosteneva.



 

—•—•—


 

Marinette sbadigliò, facendo fatica a tenere gli occhi aperti e seguire la lezione di storia di Madame Bustier.

Per fortuna le piaceva come materia e l'avrebbe studiarla a casa non era una tortura, come, invece, lo era per matematica e fisica.

«Ehi amica, hai dormito stanotte?» domandò Alya non appena la professoressa lasciò l'aula in seguito al cambio dell'ora.
«Non molto. Ero presa da un libro dalla trama parecchio interessante e volevo scoprire come andava a finire.» spiegò con un'alzata di spalle.

Dopotutto, in quella settimana non aveva fornito molto poiché aveva passato la notte sveglia nella speranza che Chat si presentasse sul suo attico, invano, ma la sera precedente aveva finalmente chiarito tutto con il suo amico ed aveva concordato che, da quel giorno, dopo che suo padre li aveva scoperti, sarebbe andata lei a trovarlo di pomeriggio due o tre volte a settimana, volendo passare più tempo possibile con lui.

«Sei sempre la solita.» ridacchiò l'amica sospirando. «Comunque, ieri notte, intorno alle due del mattino, c'è stato un altro attacco della Belva Nera.»
Marinette sentì il sangue gelarsi nelle vene. «Davvero?»
«Sì! Ha attaccato un topo di biblioteca mentre tentava di infilarsi in una finestra di una casa.» spiegò, facendo passare le notizie sul cellulare per andare a recuperare la pagina di giornale che aveva salvato.
«Quindi è da considerare un eroe, no?»
«Ma quale eroe?! L'uomo è finito in ospedale. Certo, ha sventato una rapina, ma ha ferito gravemente una persona.» rispose secca, porgendole il cellulare.
«Secondo me ha fatto bene: nessuno deve permettersi di entrare in casa degli altri per rubare. E se poi questo qui avesse ucciso chi ci abitava? Se era una famiglia i bambini potevano rimanere senza genitori, oppure avrebbe ammazzato anche loro e sarebbero morte più persone anziché farne finire all'ospedale solo una.» argomentò Nino, girandosi verso le due per dire alla sua.
«Su questo hai ragione Nino, ma tutte le altre persone che ha attaccato prima?» domandò Alya.

I due continuarono a parlare di Chat, ma Marinette era sicura che se lui aveva attaccato quell'uomo allora c'era un motivo.

Si fidava di lui e non avrebbe dato più ascolto alle voci di chi non sapeva la verità.





 

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Mi dispiaceva tenerli separati, lo ammetto.

Anche se la loro breve separazione non è nulla in confronto a quello che proveranno in futuro MUAHAHAHAHAHAHAH!

Chiedo venia, ma devo andare chissà dove perché la rete prende ^^'

Beh, a venerdì prossimo ^^

Francy_Kid

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Capitolo 20
*** Cap. 19 ***


Cap. 19






 

Marinette si sedette al tavolo con Master Fu, sbuffando e strofinandosi gli occhi stanchi.

 

«Potevi restare a casa a dormire. Vedo che sei parecchio stanca.» disse l'anziano, sedendosi di fronte a lei.

«No, no. Ho un impegno e devo rispettarlo.»

«Venire a trovare un vecchio non dev'essere un impegno, soprattutto per una giovane ragazza come te.»

Marinette si mise dritta sulla panca, facendola scricchiolare. «È un piacere, oltre che un impegno personale.» rispose, cercando di riattaccarsi la garza che aveva sopra la guancia.

 

Fu si alzò, andandole accanto e togliendole delicatamente l'enorme cerotto bianco, lasciando liberi i tre graffi.

 

«Dovresti farli respirare, così guariscono prima.» esclamò, per poi esaminare la ferita: i tre graffi si erano quasi rimarginati ed erano coperti da una sottile crosta rossa.

 

Per fortuna non erano infetti e non sarebbe nemmeno rimasta la cicatrice per via della crema che usava.

 

«Li copro perché i miei amici mi farebbero domande. Avevo detto loro che mi faceva male il dente, anche se dopo tutti questi giorni sarebbe dovuto passare...» rimuginò, guardando in alto come a pensare.

«E perché Chat Noir si sarebbe sentito in colpa, giusto?» domandò con un sorriso, vedendola arrossire di colpo.

«Anche... ieri sera l'ho trovato ed ho scoperto dove si nasconde.»

Fu sorrise. «È bello vedere due amici ritrovarsi.» disse. «Ma devi sapere una cosa: lui non ti ha mai lasciata sola.»

 

Marinette lo guardò confusa, alzando un sopracciglio.

 

«Quando un portatore dell'anello trova qualcuno a cui legarsi fa di tutto pur di restare con questa persona. Diciamo che sviluppa una specie di imprinting per quella persona.» spiegò a grandi linee, vedendola avvampare violentemente e portarsi le mani sulle guance, tastandosele.

«C-Come quello i-in "Twilight"?»

 

Fu la guardò di traverso, per poi ridere al suo sguardo imbarazzato; la ragazza mugugnò, coprendosi il volto.

 

«Non so a cosa ti riferisci, ma diciamo che solo guardando negli occhi una persona capisce che essa è importante per lui e che può divenire tutto ciò di cui ha bisogno, che sia un amico, un fratello, un protettore o un amante. Diciamo che è una specie di colpo di fulmine: è quando si è disposti anche a perdere la vita per questa persona ed a proteggerla a qualunque costo, prendendosene cura, ed identifica in essa un punto di riferimento.» spiegò, vedendola spostare le mani incuriosita, seppur ancora paonazza.

«E questa cosa è avvenuta per tutti gli Chat Noir?»

Fu ci pensò su. «Non saprei. Per ora so solo di due Chat Noir, oltre quello del presente, che sono stati soggetti a questo fenomeno.» rispose lisciandosi la barba grigia.

«Mi può raccontare di quello Chat Noir, per favore?»

«Te lo racconterò più avanti. La sua storia è parecchio curiosa oltre che la più lunga e tu stai crollando.» esclamò, lasciandola a bocca aperta per la delusione.

«Ma io vorrei sapere tutto!» piagnucolò guardandolo alzarsi.

«Dai tempo al tempo, Marinette. Sii paziente e ti racconterò tutto, non ti preoccupare.» sorrise gentilmente, fermandosi al primo gradino. «Prova a portare qualcosa a Chat Noir. So che si annoia moltissimo quando è da solo.»

 

 

 

 —•—•—

 

 

 

Marinette guardò il ragazzo-felino fare le fusa mentre giocava con un ammasso di lana che aveva portato da casa.

 

Non sapeva cosa gli sarebbe piaciuto, così aveva optato per un gomitolo ovviamente che non le serviva, pensando a cosa potrebbe piacere ad un ragazzo seppur fosse metà gatto.

 

Appena entrò nella villa abbandonata degli Agreste, Chat la accolse con un sorriso, abbracciandola subito dopo; la guidò per un piccolo tour della casa –solo nelle stanze ancora aperte o agevoli, poiché maggior parte erano distrutte–, meno spaventosa di quel credeva visto che era ancora giorno.

 

Alla fine raggiunsero una stanza da sopra la rampa di scale che si vedeva dall'entrata principale, e Marinette notò subito, malgrado le assi alle finestre, i muri segnati ed i mobili quasi totalmente inesistenti o distrutti, che quella era la stanza in cui Chat dormiva, poiché vi era anche un materasso improvvisato a terra.

 

Il ragazzo la fece sedere lì mentre lui gli mostrò felice i suoi lavori che faceva nel tempo libero –soprattutto disegnare– facendola sorridere al suo sguardo di eccitazione.

 

Non appena i fogli erano finiti, i due iniziarono a parlare del più e del meno, ma Chat si divertiva di più ad ascoltare la ragazza mentre raccontava cosa faceva da piccola, di qualche episodio divertente o imbarazzante, entrambi sdraiati sul materasso, ridendo qualche volta.

 

Chat era una perfetta compagnia per Marinette e Marinette era una perfetta compagnia per Chat.

 

La ragazza prese il cellulare, volendo controllare il quotidiano locale e, come prima notizia, leggendo che la Belva Nera aveva attaccato di nuovo; inoltre, il sindaco di Parigi, André Bourgeois, aveva aumentato la sicurezza, soprattutto di notte, ma Chat non era stata ancora catturato.

 

Guardò l'amico con la coda dell'occhio mentre faceva rotolare per terra il gomitolo e miagolava divertito.

 

Rise divertita, tornando a leggere il cellulare, ma un soffio arrabbiato di Chat le fece alzare di scatto la testa, notando il felino a quattro zampe e con le orecchie incollate al capo, soffiando minaccioso.

 

Marinette guardò cosa l'avesse spaventato in quel modo, notando un piccione ad un paio di metri di distanza da lui.

 

«Chat... è un piccione...» disse trattenendo le risate.

 

Non capiva come un gatto potesse aver paura di piccolo uccello.

 

La ragazza si alzò, andando accanto all'amico e guardando il volatile osservarli incuriosito, camminando lentamente.

 

«Hai paura dei piccioni?» domandò lei, vedendolo scuotere la testa. «Hai qualcosa in particolare contro di loro?»

 

Chat si alzò, facendole cenno di porgergli il cellulare per risponderle.

 

"Sono allergico alle piume. E, essendo la Belva Nera, per me è parecchio difficile recuperare farmaci per l'allergia senza spaventare qualcuno, rischiare di venire catturato o ucciso"

 

«Hai un punto a tuo favore.» disse leggendo le note. «Se ti serve qualche medicinale te li posso prendere io, visto che mia madre fa il medico ed ho casa piena. Ovviamente mi servirebbe sapere eventuali allergie o intolleranze sennò rischi di stare peggio.» ridacchiò nervosa.

 

Il felino annuì, scrivendo un "grazie" sul cellulare seguito da: "Potresti buttarlo fuori per favore? Sennò dopo è un casino..."

 

«Certo, ci provo. A te conviene uscire dalla stanza, perché volerà.» rispose vedendolo annuire ed uscire dalla camera, non mancando di soffiare per un'ultima volta al volatile, facendo ridere l'amica.

 

Quel ragazzo riusciva a farla ridere con nulla.

 

Si guardò intorno nella stanza, cercando un modo facile e veloce per indirizzare il piccione verso il buco tra le travi, ma i suoi pensieri tornarono nuovamente sulla scena di Chat e le parole di Fu la fecero bloccare sul posto.

 

L'imprinting. Una specie di colpo di fulmine.

 

Se l'imprinting era ciò che aveva letto in Twilight e non quello che aveva studiato Lorenz –l'uomo delle oche– allora questo significava che...

 

Marinette avvampò, tastandosi le guance e trattenendo uno squittio di nervosismo, per poi sventolare le mani davanti al volto per farsi più aria possibile.

 

Ma forse si stava sbagliando. Forse era tutto frutto della sua immaginazione.

 

Sì, molto probabilmente era così.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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🌚

 

Scusate se non ho aggiornato ieri, ma ho avuto problemi con Wattpad. Chi mi segue su Instagram lo sa.

 

Comunque, da settima prossima non ci sarà nessun ritardo, non vi preoccupate ;3

 

A venerdì ;)

 

Francy_Kid

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Capitolo 21
*** Cap. 20 ***


Cap. 20





 

Marinette camminò fino a Villa Agreste con una borsino di plastica nella mano destra ed il quaderno di Chat Noir nell'altra, canticchiando un un motivetto di una band Rock che aveva sentito qualche minuto fa sulla radio.

 

Dopo la mattinata passata a scuola, tornò a casa solo per recuperare dalla credenza dei farmaci per Chat, ovviamente dopo essersi informata sulle sue allergie e leggendo attentamente i foglietti di ogni medicinale che aveva recuperato, che perlopiù erano antidolorifici, aspirine e antistaminici in caso di allergia.

 

Per sua fortuna non aveva gravissime allergie, tranne che alle piume, al Tiopentale, un anestetico –scoperta in seguito all'operazione di rimozione delle tonsille–, e alle nocciole.

 

La ragazza arrivò davanti al cancello della villa, guardandosi attorno per controllare che nessuno la stesse spiando e, appena annuì per la via libera, entrò come se nulla fosse, continuando la canzone.

 

Superato il portone di ingresso, salì le scale, volendo raggiungere la camera dell'amico e trovando il ragazzo sdraiato prono sul materasso mentre giocava con il vecchio Nintendo DS di Marinette, cacciando fuori la lingua mentre lanciava l'ennesima pokéball.

 

La ragazza alzò gli occhi al cielo. Gliel'aveva spiegato molte volte che per catturare dei Pokémon rari occorreva un'Ultraball una buona strategia e parecchia fortuna, siccome la Masterball l'aveva già usata.

 

Ma, d'altronde, era il suo lato nerd che parlava. Aveva finito "Pokémon versione diamante" ormai cinque volte e preferiva dare all'amico un gioco con cui potesse divertirsi in attesa di fargli qualcos'altro, portando però qualcosa che aveva stuzzicato la sua curiosità, volendo vedere se avrebbe funzionato.

 

Marinette salutò l'amico, vedendosi restituita il buongiorno con un brontolio felice, facendogli chiudere il Nintendo dopo aver salvato la partita, sorridendo nel guardarlo stirarsi come un micio appena svegliato.

 

Posò la borsina di plastica sulla scrivania –miracolosamente semi intatta– mentre sistemava nel cassetto vuoto i farmaci.

 

«Ti ho portato qualcosa in caso di attacco di un volatile o di influenza. Così sarai pronto e guarirai meglio.» spiegò non appena si alzò e le si sistemò dietro, guardando cosa stesse facendo da dietro la spalla. «E ti ho portato il tuo quaderno per comunicare, così lo puoi tenere direttamente tu. Inoltre, ho portato un quaderno con fogli bianchi, matite con vari tipi di mina e gomme da cancellare in caso volessi disegnare. Sono tutti doppioni che non mi servono visto che, in questo periodo, non sono molto concentrata nel creare abiti o altre cose, e preferisco che le abbia tu.» aggiunse nervosa per la sua vicinanza, non volendo fargli notare il rossore che le velava le guance pallide.

 

Chat prese il suo quaderno ed una penna nera, scrivendo e mostrandole cos'aveva scritto non appena aveva terminato.

 

"Non era necessario potermi tute queste cose, davvero. Non fraintendere, lo apprezzo e ne sono felice, ma sono cose tue..."

 

«Te le do volentieri. E poi, mi fa solo piacere vederti felice.» sorrise, cercando di non tirare troppo la pelle della guancia ferita, finendo per fare un sorriso sghembo è tutt'altro che gentile.

 

Il ragazzo notò la sua espressione, poggiando il quaderno sulla scrivania ed accarezzandole con il dorso della mano i tagli quasi guariti, abbassando le orecchie e guardandola con tristezza.

 

Era colpa sua e continuava a ricordarselo ogni volta che vedeva quei maledetti segni che le deturpavano il bellissimo viso.

 

Fu la volta di Marinette ad accarezzargli la guancia, richiamando l'attenzione sui suoi occhi cerulei. «Smettila, va bene? Non ti rimprovero di nulla e nemmeno tu devi farlo. Credo di averti detto questa cosa fino alla nausea ormai.» disse, sorridendo nuovamente, per poi coprirsi la bocca con imbarazzo. «Ti dà fastidio il mio sorriso? Scusa... È che mi dà fastidio la pelle e per un po' sarà ancora così... Mi dispiace...»

 

Il felino le porse il quaderno subito dopo aver scritto, lasciandola senza parole e nuovamente con il rossore sulle gote.

 

"Io penso che il tuo sorriso sia sempre meraviglioso"

 

Marinette lo guardò con la bocca semi aperta, sorridendo ancora non appena vide io sorriso gentile dell'amico.

 

E doveva ammetterlo: anche il suo sorriso era bellissimo.

 

 

 

—•—•—

 

 

 

Marinette guardò l'orologio, notando che erano le nove passate e non aveva nulla da fare.

 

Malgrado fosse stanca ed ogni fibra del suo corpo reclamasse un po' di riposo il cellulare con la sua serie preferita diceva il contrario; armata di auricolari e caricabatterie si sistemò sotto le coperte, mentre l'aria fresca le solleticava la pelle del viso.

 

Finì un altro episodio e gli occhi iniziavano a farsi davvero pesanti, così chiuse la pagina internet e posò il cellulare sulla mensola dietro di lei; tastò con la mano fino a trovare un piccolo specchietto da borsetta che usava solo in pochi casi –soprattutto per le uscite con gli amici quando non poteva tornare a casa– per controllare la guancia segnata.

 

Le croste erano quasi sparite del tutto, ma il segno rosso della pelle che guariva era più che evidente.

 

Prese la crema cicatrizzante che le aveva dato sua madre, spalmandosela leggermente, domandandosi se le sarebbe rimasta la cicatrice mentre riponeva gli oggetti dove li aveva presi.

 

Si sdraiò, aspettando che la crema si asciugasse, osservando il cielo dalla botola sopra di lei.

 

Le dava una strana sensazione non andare a dormire tardi, visto che Chat Noir non veniva più a farle visita per l'inconveniente con suo padre, e le dispiaceva lasciarlo da solo la notte in quella casa abbandonata.

 

Ma sapeva benissimo che se la sarebbe cavata benissimo da solo, dopotutto tutti si tenevano lontani da lui poiché avevano paura.

 

Marinette si girò sul lato, volendo togliersi quel pensiero dalla testa, ma quella dannata pulce nell'orecchio non voleva andarsene.

 

Era preoccupata per il suo amico e l'ansia le procurava un senso di soffocamento.

 

Si mise a sedere, recuperando il cellulare e aprendo le note del cellulare, volendo rileggere le sue parole, quando notò un foglio nuovo e con poche parole scritte: "Tu es ma meilleure amie🐱". 

"Sei la mia migliore amica", e l'emoji del gatto rendeva il messaggio più tenero.

 

Non sapeva quando gliel'aveva scritta, ma le bastava quello per sentirsi meglio.

 

Magari la cosa dell'imprinting era esagerato: non era un colpo di fulmine, ma una semplice amicizia.

 

Sorridendo aprì la chat con Alya e Nino, concordando con loro un'uscita tra amici; era da un po' che non ne facevano una e Nino voleva andare in discoteca soprattutto per commentare i dj che suonavano.

 

Quindi, ricapitolando la giornata che avrebbe avuto il giorno seguente: scuola, pisolino pomeridiano, serata da Chat e nottata con Alya e Nino.

 

Un sabato divertente, pensò prima di spegnere il cellulare e sdraiarsi.

 

La preoccupazione per Chat era sempre presente, ma sapeva dove venire a cercare aiuto in caso di pericolo; gliel'aveva detto mille volte che poteva chiederle qualunque cosa e che lei avrebbe fatto di tutto per lui.

 

Lo avrebbe riportato alla normalità e non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male.

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

Marinette uscì dalla sua camera già vestita per andare in discoteca: indossava un giubbotto di jeans blu scuro sopra una canotta bianca, un paio di jeans corti neri e delle converse alte totalmente nere; i suoi capelli corvini erano sistemati in uno chignon alto, mentre il trucco consisteva in mascara, eye-liner nero, matita nera e rossetto prugna opaco.

 

I graffi erano stati coperti con uno strato importante di fondotinta, lasciando vedere solo una specie di cicatrice sfasata: purtroppo i tagli non erano ancora del tutto guariti ed i segni si vedevano sotto il trucco.

 

Per fortuna c'erano poche luci, pensò lei.

 

Salutò Sabine e Tom agitando la mano, recuperando la sua borsa che poi avrebbe lasciato nella zona armadio e, quando il sole non era ancora calato, uscì di casa con la scusa che andava da Alya.

 

Corse fino alla villa, entrando quando la strada si era liberata e raggiungendo in poco tempo la stanza di Chat, trovandolo disegnava qualcosa suo quaderno che gli aveva dato.

 

«Ehi Chat.» lo salutò, avvicinandosi e notando i suoi occhi che fisavano il suo corpo. «Cosa c'è?» domandò leggermente a disagio, per più leggere la sua risposta sul quaderno con cui comunicava.

 

"Prima cosa: sei fantastica. Seconda cosa: dove vai? Un altro appuntamento con il ragazzo-ketchup?"

 

Marinette poté sentire la nota di amarezza dell'ultima domanda, e scosse subito la testa. «No. Vado in discoteca con Alya e Nino. Era da un po' che non andavano e volevano divertirci un po'.

 

Chat emise un brontolio e tornò a scrivere sul quaderno.

 

"Non bere, non ti frugare e, soprattutto, non provarci con i ragazzi. Sono capaci di portarti a casa loro con l'inganno. Poi, quei pantaloncini sono troppo corti e la canottiera troppo scollata. Secondo me sarebbe adatta una bella tuta comoda."

 

La corvina si mise a ridere. «Sembri mio padre.»

 

"Se fossi tuo padre non ti avrei fatta uscire di casa conciata così"

 

«Chat, ho diciotto anni. So cosa fare e so cosa non fare.» disse solo per farlo brontolare una seconda volta. «Non ti fidi di me?»

 

"Io mi fido di te, ma non mi fido degli altri. So come sono i ragazzi: sempre in cerca di qualcuna che ci sta"

 

La ragazza gli sorrise dolcemente, per poi avvicinarsi a lui e fargli un bacio sulla guancia. «Non ti preoccupare. Prometto che domani mattina vengo a trovarti, va bene? E poi, con me ci saranno Alya e Nino che mi faranno da guardie del corpo se ti può far star meglio.»

 

Il felino annuì.

 

"Nino mi sta simpatico. Mi fido di lui. E vedi di scappare non appena qualcuno ti si avvicina, intesi?"

 

«Peccato. Io pensavo di stare alle avance di ogni ragazzo e portarmene a casa uno.» ghignò.

 

Chat soffiò minaccioso, mostrando i denti e appiattendo le orecchie al capo, facendo ridere divertita la ragazza, che gli fece un buffetto subito dopo.

 

«Sto scherzando. Calmati micione.» esclamò, ridacchiando ancora ai suoi brontolii.

 

Era protettivo, ma era giusto che sapessi cosa faceva, esattamente come lui le raccontava quando rischiava di perdere il controllo ed esprimeva i suoi sentimenti che provava in quei momenti.

 

Doveva imparare ad aprirsi del tutto con lei, esattamente come lei stava facendo con lui.

 

 

 

 

 

 

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Per il prossimo capitolo ho in mente una cosa parecchio... non so come definirla, ma sto ancora guardando se scriverla per il prossimo o quello dopo. Dipende cosa mi verrà in mente🤔

 

Comunque vedrete!

 

A mercoledì con Masque sans visage e venerdì con Monster ^^

 

Bye :D

 

Francy_Kid

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Capitolo 22
*** Cap. 21 ***


Cap. 21






Chat si girò di lato per l'ennesima volta.

Era inutile. Non riusciva a dormire.

Non solo di notte iniziava a fare caldo, ma i suoi pensieri erano totalmente concentrati su Marinette.

Quella ragazza era diventato un chiodo fisso per lui e non riusciva a pensare razionalmente quando le era vicino, senza contare quando le era lontano, soprattutto dopo che era stato scoperto dal padre della ragazza poco prima di...

Il ragazzo afferrò il cuscino e se lo mise sul viso, mugugnando, siccome non poteva urlare senza lanciare un miagolio degno di un gatto isterico.

Se lo tolse quasi subito, girandosi prono e sospirando; sentì le guance riscaldarsi a quel ricordo, pensando che non era mai stato così vicino alla ragazza.

Sapeva che per lei provava solo amicizia, poiché poteva parlare di tutto con lei, ma quell'amicizia sembrava parecchio forte e, man mano che passava il tempo con lei, cresceva sempre di più.

Era la sua migliore amica: di lei sapeva che era una nerd –nel senso buono, ovviamente–, che amava disegnare e creare abiti, che sua madre era un grande chirurgo e che suo padre faceva il fornaio –nota personale: stargli lontano il più possibile–, che aveva una specie di voglia a forma di coccinella sul costato, che non era mai stata in cima alla Tour Eiffel e che le sarebbe piaciuto molto andarci.

Era la sua migliore amica, continuava a ripetersi, finché, sospirando, si girò sull'altro fianco e chiuse gli occhi.

Davvero aveva tentato di baciarla? E lei non si era tirata indietro!

Si mise a sedere di scatto, scuotendo la testa violentemente; prese un profondo respiro e si schiaffeggiò le guance.

Non doveva pensare a quello, almeno non alle tre del mattino.

Doveva soltanto dormire e pensarci durante il giorno successivo, quando sarebbe stato più lucido.

Si sdraiò nuovamente, supino, guardando il soffitto mentre davanti ai suoi occhi scorrevano le immagini del volto di Marinette mentre rideva e sorrideva.

Vederla felice lo faceva stare bene e gli faceva battere velocemente il cuore nel petto.

Era una sensazione che non aveva mai provato con nessuno; era come se non potesse starle lontano, come se la sua compagnia fosse tutto ciò che gli importava e come se il suo sorriso lo facesse sciogliere come neve al sole.

Il ragazzo scosse nuovamente la testa, arrossendo.

Ecco, stava pensando ancora a quelle cose.

Chissà il perché ma c'era sempre Marinette nei suoi pensieri.

MarinetteMarinette ed ancora Marinette.

Quella ragazza dai meravigliosi occhi cerulei sarebbe stata la sua rovina, lo sapeva: lo stava cambiando e lo stava portando sull'orlo del baratro, verso una strada senza ritorno; gli avrebbe fatto passare parecchi guai.

Ma bussare alle porte degli inferi non era mai stato così allentante.



 

—•—•—



 

Il piccolo bambino correva nel prato mentre scappava dalla madre, ridendo spensierato quando lo prese e lo sollevò da terra, dandogli tanti baci sulle guance; il padre li filmava poco lontano, sorridendo nel vedere le due persone più importanti della sua vita felici.

I suoi bellissimi occhi verdi li aveva ereditato anche lui, e ne andava fiero.

Era il ritratto della famiglia perfetta e nulla avrebbe potuto cambiare tale condizione.

Gli anni passavano ed il piccolo raggiunse l'età di diciotto anni.

Il padre non era molto presente per via del lavoro da stilista, ma cercava di stare accanto alla moglie ed al figlio; ma, un giorno, la madre si ammalò.

Era un normalissimo mal di testa dovuto ad una semplice influenza o al troppo stress, continuava a dire e si rifiutava di andare in ospedale poiché doveva aiutare il marito ed occuparsi del figlio.

Era una donna forte e tutti lo sapevano.

Le settimane passavano ed il dolore non accennava a diminuire. Non era la prima volta che si svegliava nel mezzo della notte piangendo per le dolorosissime fitte, mentre il marito le stava accanto ore ed ore finché non si addormentava.

Ormai anche i farmaci non facevano più effetto, ma lei non voleva andare in ospedale, non voleva lasciare da solo suo figlio.

Altre settimane passavano e la sua salute peggiorava: aveva nausea, dormiva più a lungo e più spesso, faticava a leggere e, certe volte, a formulare una frase.

Il ragazzo era preoccupato, ma lei continuava a dire che stava bene, che presto sarebbe guarita.

Due mesi più tardi, però, il marito fu costretto a chiamare un'ambulanza a seguito di un suo svenimento e venne ricoverata con la massima urgenza.

Le ore passavano in sala d'attesa e per entrambi sembravano interminabili.

Il dottore uscì dalla stanza e si rivolse al padre.

Le parole gli erano incomprensibili, dandogli l'impressine di trovarsi sott'acqua; solo una frase gli fu chiara: tumore al cervello allo stadio finale.

Il mondo del diciottenne si fermò proprio in quel momento.

Sua madre sarebbe morta da lì a poco e lui non sapeva che fare.

I giorni passavano e la madre era confinata in ospedale; non poteva uscire ed a malapena riusciva ad alzarsi dal letto senza cadere.

Vedeva i suoi bellissimi occhi verdi spegnersi giorno dopo giorno, mentre la loro vivacità e la loro vita lasciava il suo corpo poco a poco.

Era schiava di una malattia incurabile ed i farmaci rendevano appena sopportabile il suo dolore.

Il ragazzo non sapeva cosa fare: non poteva piangere davanti a lei, non poteva mostrarle la sua sofferenza mentre la sua fiamma era sempre più flebile.

Erano le dieci di sera quando l'ospedale chiamò e diede al padre l'orribile è tragica notizia: la malattia aveva vinto.

Sua madre, la bellissima donna che sorrideva sempre, che non si arrendeva mai e che lottava per raggiungere i suoi obiettivi se ne era andata.

Il funerale si svolse privatamente e con poche persone.

Vedeva ancora la tomba di famiglia chiudersi ed il nome della donna scolpiti sul marmo bianco, mentre una bellissima foto la ritraeva sorridente.

Era esattamente così che era: solare, che non piangeva mai.

Il ragazzo non si ricordò molto dopo essere tornato a casa, ma credeva di vivere un incubo: si era ritrovato per strada, in un vicolo nascosto e con un forte dolore alla testa.

Forse era stato vittima di una rapina, aveva pensato come prima ipotesi, ma appena si guardò le mani si accorse che gli erano comparsi artigli affilati ed i suoi vestiti furono sostituiti da uno strano tessuto liscio.

Tentò di urlare, chiedere aiuto, ma le parole non volevano sapere di uscire.

Verdi strozzati ed incomprensibili attirarono l'attenzione di un vagabondo, che scappò non appena lo vide urlando al mostro.

Il ragazzo camminò verso una pozzanghera sporca, fissando inorridito il suo riflesso: orecchie nere gli spuntavano dai capelli biondi ed una maschera nera gli incorniciava gli occhi verdi dalla pupilla verticale.

Si pietrificò ed il sangue gli si gelò nelle vene.

Non quel giorno. Non proprio in quel giorno.

Lacrime calde gli rigatoni le guance ed un urlo simile ad un ruggito squarciò il silenzio del vicolo.

Fu in quel giorno che Parigi conobbe la Belva Nera.



 

—•—•—



 

Marinette rimase a bocca aperta mentre leggeva il racconto che Chat aveva scritto sul foglio.

Se qualcun altro gliel'avesse raccontato allora non ci avrebbe creduto, ma si trattava di Chat, il suo amico oltre che del diretto interessato.

Aveva passato un'esperienza davvero dolorosa e le lacrime le rigavano il viso non appena alzò lo sguardo per incontrare quello verde ferito dell'amico.

Il ragazzo riprese il quaderno, girando pagina e scrivendo qualcos'altro.

"Questa è la mia storia... Degna di un film, vero?"

La corvina lesse e non disse nulla continuando a guardare Chat negli occhi.

"Non piangere. Non sopporto quando piangi"

Scrisse subito dopo, asciugandole una lacrima con le dita guantate.

Marinette scoppiò a piangere, abbracciando il biondo, lasciandolo sorpreso per qualche secondo, ma restituì l'abbraccio, cercando di calmare il pianto dell'amica.

Aveva pensato parecchio prima che lei venisse a fargli visita quel giorno ed aveva scelto di aprirsi, rivelandole com'era diventato Chat Noir.

Passarono circa cinque minuti l'uno abbracciata all'altro, mentre lei singhiozzava dopo aver letto la sua storia.

Sapeva che il suo pianto poteva essere interpretato come un sentimento di pena nei suoi confronti, ma lei non voleva mandargli questi messaggio, così si asciugò le lacrime e tirò su con il naso.

«Mi dispiace... Sono così dispiaciuta...»

"Non devi esserlo. Non è colpa tua"

«Non voglio che tu credi che io vena a farti visita perché sono mossa da un sentimento di pena per te. Io sono qui perché ti voglio bene, non per stare bene con la mia coscienza.» spiegò, per poi soffiarmi il naso in un fazzoletto di carta che aveva in tasca.

Chat sorrise.

"Lo so che non sei qui per te stessa, e te ne sono molto grato per questo. Molte volte mi chiedo come mai tu non fugga spaventata come tutti gli altri, soprattutto dopo che ti ho ferita..."

«Non potrei mai fuggire da te. Ti voglio troppo bene per farlo e sei una delle persone più importanti che abbia mai conosciuto perché io ti abbandoni.» rispose con lieve rossore sulle guance, sorridendo dolcemente.

Chat rimase quesi pietrificato dalla sua affermazione ed il suo viso parve illuminarsi dopo che il suo sorriso comparve.

Sentì il cuore martellargli nel petto e abbassò le orecchie sentendosi sciogliere.

Tornò a scrivere, staccando di malavoglia lo sguardo dai suoi occhi azzurri per concentrarsi su una scrittura comprensibile malgrado la mano tremante.

"Sei la migliore amica che tutte vorrebbero"

Scrisse semplicemente, incapace di aggiungere altro.

La vide sorridere ancora, abbracciandola subito dopo e facendo le fusa non appena gli grattò dietro le orecchie da gatto.

Lo sapeva che sarebbe stata la sua fine è che le vite si entrambi erano in pericolo, ma, ad un tratto, il pericolo lo attirava come una calamita.






 

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Raga, ho trovato la canzone perfetta che descrive la fic! *^*

Sia chiaro: il video è su YouTube da luglio 2017, mentre la canzone è dal 2008 (da quanto ho letto) che è in giro e, malgrado io non l'avessi mai sentita in vita mia, la storia non è basata su nessuno dei due (e nemmeno su la Bella e la Bestia, visto che molti trovano somiglianze che non avevo nemmeno ricollegato al cartone/film LOL)!

Il video lo trovai la settimana passata, di sabato o domenica, e devo assolutamente spammarvelo, non solo perché, come ho detto prima, ci sta un botto con questa storia, ma soprattutto per far conoscere l'artista; quindi, iscrivetevi al suo canale YouTube ed ai suoi eventuali social per sostenerla ^^

Mari e Chat potrebbero cantarla... Ma ribadisco col dire che CHAT NOIR NON PARLA e che MARINETTE NON SA CHI CI SIA SOTTO LA MASCHERA DELLA BELVA NERA, quindi non la canteranno mai nella fic LOL

Anyway, è questa: https://www.youtube.com/watch?v=sNwkLz-5tKg&index=5&list=LLKGDXWdaW42aWRml9RitCfA&t=5s

Il titolo della canzone e l'artista sono scritti all'inizio, prima dell'animazione del volatile (se avessi scritto uccello avreste pensato male. Razza di pervertiti MLMLML)

Se leggete la traduzione ci sono delle congruenze con "Monster", e nulla, sono esaltata per questo :3

P.S. quando stavo scrivendo MSV mi è partita questa canzone a random... ed erano le tre di notte... pure il mio cellulare c'è ossessionato ora. AIUT.

A venerdì prossimo :D

Francy_Kid

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Capitolo 23
*** Cap. 22 ***


Cap. 22







 

Marinette si svegliò, sbadigliando e stirandosi per quanto il suo amico, avvinghiato a lei, glielo permetteva.

 

Sorrise, accarezzandogli la testa e vedendo il suo orecchio destro agitarsi quando glielo sfiorò.

 

Subito dopo si sporse per recuperare il cellulare poggiato a terra per controllare che ore fossero e se qualcuno l'avesse cercata; per sua fortuna non c'era nessuna chiamata da parte dei genitori, tranne per qualche messaggio su Whatsapp di Alya e Nino.

 

Cancellò le notifiche e notò che erano passate le otto di sera. Erano ormai più di due ore che stava dormendo, crollata accanto a Chat mentre lui le solleticava la pelle nuda delle braccia dopo che gli aveva raccontato la serata precedente, mentre lui mugugnava ogni volta che lei gli diceva di qualcuno che le si avvicinava, ridacchiando.

 

Si alzò, facendo attenzione a non svegliare l'amico, che miagolò non sentendo più il corpo caldo della ragazza.

 

Uscì dalla stanza presa dalla curiosità delle varie stanze della casa; una volta quell'abitazione era una villa sontuosa, invidiata da parecchie persone, eppure in nemmeno un anno era passata dalla casa più bella alla casa degli orrori per eccellenza.

 

Scese la prima rampa, per poi risalire quella opposta, finendo davanti a due porte.

 

Aprì la prima, trovandosi dentro quello che pareva essere uno studio di lavoro; uscì subito dopo, richiedendo la porta per raggiungere l'altra, ma sembrava essere chiusa.

 

Tentò un'altra volta, sentendo il legno cedere per via del marciume di cui era rivestito e finendo per rompere la serratura arrugginita.

 

La ragazza entrò incuriosita, guardandosi attorno; era la prima stanza che era tenuta bene di tutta la casa: il letto matrimoniale era ancora tutto intero, diversamente da quello in cui dorme il felino, e le coperte erano immacolate, segno che nessuno si sdraiava sul materasso da un po'; il resto della stanza era in perfette condizioni, seppur ricoperto di polvere.

 

Tutti gli oggetti che arredavano la stanza erano ancora al medesimo posto.

 

Marinette camminò all'interno della stanza, incuriosita di sapere a chi appartenesse dei membri della famiglia Agreste, raggiungendo il comodino su cui erano sistemate tre foto incorniciate singolarmente.

 

Il vetro era opaco per la polvere, ma Marinette riuscì a distinguere le sagome del padre di famiglia, Gabriel Agreste, e del figlio, Adrien.

 

L'altro foto doveva per forza appartenere alla madre, dedusse allungando la mano per afferrare la foto.

 

Si ricordava della moglie: una donna meravigliosa, sia caratterialmente che esteticamente; gentile e amorevole con tutti, soprattutto con il figlio, a cui era molto legata.

 

Ma, purtroppo, la sorte non fu molto gentile con lei, poiché morì per una malattia l'anno precedente.

 

Un brontolio animalesco proveniente dall'entrata la fece sobbalzare, rischiando di cadere per terra.

 

Si voltò e sullo stipite vide Chat che lo guardava incuriosito ed ancora leggermente assonnato, ma c'era un briciolo di delusione nei suoi occhi.

 

«C-Chat... Mi dispiace, so che non dovevo entrare, ma la curiosità ha vinto contro il buonsenso...»

 

"Lo sai che c'è chi rischia la vita per la sua curiosità? Ringrazia che sei tu, sennò ti avrei trascinato fuori con la forza"

 

Scrisse il ragazzo sul quaderno e Marinette poté sentire il tono secco e di rimprovero dell'amico.

 

Abbassò il capo, uscendo dalla stanza con il peso dello sguardo del biondo su di sé, indirizzandosi verso la porta di ingresso per uscire.

 

Ma perché Chat viveva proprio lì? Una villa che tutti desideravano per la sua fama e per la sua sontuosità, magari che poteva tornare al suo splendore in poco tempo.

 

Le venivano in mente due possibili risposte: era l'unica abitazione che aveva trovato, o era particolarmente legato alla casa e non voleva che qualcuno la avesse.

 

Ma allora perché distruggere tutte le stanze?

 

La ragazza si fermò sulla soglia della porta, voltandosi verso l'amico.

 

«Perché qui?» domandò di scatto, facendogli chinare di lato il capo. «Perché proprio in questa casa? È la villa degli Agreste dopo tutto. E come mai hai distrutto tutte le camere tranne quella dei genitori?»

 

"E perché tu metti il naso dove non dovresti?" scrisse, mostrandole la pagina e vedendo cambiare la sua espressione di curiosità e desiderosa di risposte in una più delusa. "Scusa,  non dovevo risponderti così..." aggiunse subito dopo, per poi strappare la pagina e stracciarla.

 

«No, hai ragione. Non devo curiosare in cose che non sono mie.» rispose lei, girandosi per uscire.

 

Chat le afferrò il polso, fermandola e, dopo averle fatto cenno di aspettare, scrivere sul quaderno.

 

"Scusami se ho reagito così, ma non mi sento ancora pronto per dirti tutto, anche perché non so come tu potrai reagire. Devo ancora trovare la foarza per mandare giù tutto quello che è successo in tutto questo tempo"

 

La ragazza annuì, sorridendogli. «Ora devo andare. Voglio farmi una doccia e voglio mangiare una bella pizza.»

 

"La prossima volta, se me lo permetterai, voglio portarti da una parte"

 

«Dove mi vuoi portare?» chiese incuriosita.

 

"È una sorpresa, ma sono sicuro ti piacerà" scrisse, con tanto di faccina che ammiccava alla fine.

 

La ragazza annuì, dandogli un bacio sulla guancia prima di salutarlo e camminare verso casa, sparendo dietro le mura che circondavano l'abitazione.

 

Chat rientrò in casa, andando nella camera che Marinette aveva aperto, guardandosi intorno nostalgico.

 

Entrare in quella camera gli provocava una fitta allo stomaco ed il senso di nausea lo invadeva, costringendolo ad uscire.

 

Deglutendo si avvicinò al comodino, prendendo la cornice sulla destra e, pulendo il vetro con la mano, guardò la donna ritratta in foto; i suoi meravigliosi occhi verdi gli sorridevano calorosi, mentre il bellissimo sorriso gli dava la forza per andare avanti.

 

Sebbene lei non fosse più presente nella sua vita, poteva sempre contare su quello che gli aveva insegnato.

 

Anche se non era la stessa cosa.

 

 

 

—•—•—

 

 

 

Marinette masticò il tappo della penna mentre le parole di madame Bustier non raggiungevano nemmeno le sue orecchie.

 

I suoi pensieri erano su Chat, la sua storia triste e sul cercare di capire il perché risiedeva a Villa Agreste.

 

«Tu sai il perché Chat si nasconde nella villa abbandonata?» domandò di punto in bianco ad Alya, che la guardò sconvolta.

«Mari, ne avevano già parlato della questione...»

«Lo so, ma la mia è solo curiosità. Non sto facendo nulla di male.» rispose mantenendo il tono basso per non farsi scoprire dalla professoressa.

«Ed io che ne so. Gli piacerà la casa.» disse seccata, volendo finire la conversazione al più presto.

«Ma è praticamente in rovina.»

«Beh, lui l'ha ridotta in quel modo. Magari non gli piaceva l'arredamento.» ridacchia. «Oppure aveva qualcosa contro gli Agreste e per vendicarsi li ha uccidi tutti, nascosto i loro cadaveri e poi si è impadronito della casa.»

«Quanto l'hai fatta tragica.» rise la corvina, tornando a guardare il quaderno prima che la professoressa la guardasse. 

«Oppure è particolarmente legato a quel luogo. Non saprei proprio...» aggiunse Alya e Marinette annuì.

 

Forse aveva ragione sull'ultima cosa.

 

Ma come poteva esserlo?

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

«Signore, so che oggi non dovrei essere qui, ma è una cosa urgente.» esclamò Marinette dopo aver raggiunto Fu, chiedendogli di parlare con lui in un luogo appartato. «È possibile che Chat Noir si leghi particolarmente ad un determinato luogo? Che sia una casa, o un vicolo...»

«Sì, è possibile.» rispose l'anziano. «I possessori dell'anello maledetto, trasformandosi, diventano molto territoriali e protettivi. Almeno, così lo è per il novantanove percento di loro. Molto spesso i portatori si rintanano nelle proprie abitazioni, costringendo a chi viveva con loro di scappare, oppure scelgono un posto totalmente estraneo e lo usano come sorta di tana.» spiegò brevemente, facendola annuire. «Non è la prima volta che uno Chat Noir è stato riconosciuto perché ritrovato ad usare casa sua come tana.»

 

La ragazza sentì il sangue raggelasti nelle vene.

 

«E, magari, tentano di distruggere tutto perché gli ricorda della loro vita precedente?» chiese cercando di mantenere la voce più ferma possibile.

«Sì. Vogliono staccarsi totalmente dalla loro vita precedente poiché ricorda loro la normalità, anche se restano nella propria abitazione perché è l'unico luogo che conoscono. È un ossimoro, poiché abitano nello stesso luogo di prima ma, nello stesso tempo, vogliono staccarsi da esso.»

 

Marinette annuì, ringraziando l'anziano ed uscendo dalla biblioteca.

 

Doveva parlare con Chat, al più presto.

 

Doveva dirgli che, forse, aveva capito chi era.

 

 

 

 

 

 

 

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 Vi spoilero già che nel prossimo capitolo mi picchierete ahahahahah

 

Lea scappo :3

 

A venerdì :3

 

Francy_Kid

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Capitolo 24
*** Cap. 23 ***


Cap. 23




 

Marinette si diede una sistemata ai capelli, controllò il trucco un'ultima volta, notando che i graffi erano totalmente spariti ed erano rimasti solamente tre segni leggerissimi, quasi invisibili, imbracciò lo zainetto che aveva creato e si mise le Converse totalmente nere che adorava.

Era mezzanotte passata ed uscire a quell'ora le sembrava parecchio strano: solitamente rientrava e si fiondava in camera sua a dormire.

Senza fare rumore, salì le scale per il suo soppalco, controllando che i cuscini fossero sistemati adeguatamente, in modo da sembrare che lei stesse realmente dormendo in caso i suoi genitori fossero saliti a controllare –cosa molto improbabile–

Con estrema attenzione scese le scale che portavano all'entrata, chiudendo prima a chiave la botola per evitare totalmente che salissero, per poi uscire dall'appartamento senza fare alcun rumore.

Una volta uscita dal complesso si diresse verso la ex Villa degli Agreste, prendendo un respiro profondo ed entrando.

Camminò verso la stanza di Chat, guardandosi attorno più volte, cercando di immaginare la casa come poteva essere stata prima che la Belva Nera si impadronisse del luogo.

Forse era meglio lasciare perdere per quella sera, ma Chat aveva imparato a leggerla bene: ogni volta che c'era qualcosa che non andava o che teneva qualcosa segreto lui lo capiva immediatamente, riuscendo ogni volta a strapparle le informazioni.

Era vero che se non si fosse fidata di lui allora sarebbe rimasta in silenzio, ma Chat le trasmetteva quel senso di sicurezza che non aveva con nessuno; un affiatamento tale da riuscire a capire ciò che intendeva e ciò che provava.

Era un ragazzo fantastico.

Nemmeno con sua mamma, Alya o Nino provava quella sicurezza.

Sì, era davvero fantastico, ed anche un po' inquietante.

Bussò alla stanza del biondo, venendo accolta dal suo sorriso felice e dai suoi solari occhi verdi, ancora più luminosi per via del buio.

«Sai che se vengo beccata passerò brutti guai e che non potrò mai più uscire di casa a vita?» ridacchiò entrando.

"Ne sono consapevole. Ma non verremo beccati, stai tranquilla" scrisse, per poi ammiccare quando lei finì di leggere.

«Allora, dove voi portarmi?» chiese incuriosita, vedendolo scrivere la risposta sul suo quaderno.

"So che ti piacerebbe andare sulla Tour Eiffel, così ho pensato che ti avrebbe fatto piacere se ti ci avessi portato"

Marinette sbarrò gli occhi. «E come? Ci sono le persone e le telecamere di sorveglianza! Qualcuno potrebbe vederci!» esclamò impanicata.

"Non ti preoccupare. Il sindaco si è stufato di far riparare le telecamere sulla torre poiché salgo molto spesso e le rompo, e le persone sono già tutte a casa perché hanno paura. Ti assicuro che non te ne pentirai"

La ragazza tornò a guardare il biondo negli occhi notando la sua frenesia, non potendo ignorare la coda che si muoveva a destra e sinistra mentre aspettava una sua risposta.

Sospirò. «E tu mi hai chiesto di uscire a quest'ora della notte per andare a fare una passeggiata sulla Tour Eiffel?»

Chat annuì energicamente, guardandola con quella che Marinette aveva imparato a chiamare dopo anni di anime e manga: "neko face", espressione da gatto.

Trattenne una risata e sospirò di nuovo. «Va bene, accetto.»

Il ragazzo miagolò di felicità, mettendosi alle spalle della corvina per sistemare nello zaino che aveva preso alcune cose, per poi rimettersi di fronte a lei, sorridendo esaltato.

Si voltò, dandole le spalle e si abbassò, facendole cenno di salire sulla sua schiena.

«Oh... ok.» mormorò, sistemandosi in modo tale che non gli desse fastidio e facendo in modo di non stringere troppo. «Sei sicuro che ce la farai? Cioè, peso un po'.» arrossì, stringendo le gambe attorno alla vita dopo un suo cenno.

Il biondo scosse la testa, portandosi un dito agli occhi e poi davanti a sé, facendola annuire.

Le aveva detto di guardare. Ma guardare cosa?

Non fece nemmeno in tempo di chiedere che Chat saltò agilmente verso le travi sistemate al posto della finestra, spostandone un paio per permettere il loro passaggio, richiudendole subito dopo.

La ragazza trattenne un urlo mentre guardava verso il basso e vedendo il terreno a svaraiti metri di distanza.

Era sicuro: sarebbe morta quella sera.



 

—•—•—



 

Il miagolio divertito di Chat le bastò per capire che era ancora viva.

Sentì le sue braccia scivolarle da sotto il corpo, facendola, lentamente, mettere con i piedi su una superficie metallica.

Le mise la mano su una spalla e lei aprì gli occhi, lasciandosi sfuggire un "ooh" di meraviglia: erano appena sopra al terzo livello della Tour Eiffel, dove vi erano le varie antenne per la comunicazione, e le sembrava di riuscire a vedere tutta Parigi.

La Senna, Notre Dame, il Trocadero. Tutto.

«Chat! È fantastico! È una vista pazzesca!» esclamò estasiata, poggiando a terra lo zainetto e avvicinandosi alla ringhiera.

Chat si sistemò accanto a lei, porgendole il quaderno. "Ti piace la mia sorpresa?"

«Se mi piace? La adoro! Ho sempre desiderato salire quassù e grazie a te ho potuto realizzare uno dei miei sogni. Grazie, grazie, grazie!» rispose saltellando, per poi abbracciarlo e stringerlo a sé.

La vista di Parigi di notte era un'emozione indescrivibile e, siccome non vi era anima viva per le strade, la calma regnava nella Ville Lumière e la luce del faro che veniva proiettata dalla cima della torre sembrava squarciare il cielo notturno.

Marinette chiuse gli occhi, sorridendo e lasciandosi cullare dalla brezza serale, godendo ogni istante di quel momento con il suo migliore amico.

A proposito di Chat, le parole del signor Fu ed i suoi pensieri sulla sua probabile identità le balenarono nella testa, facendole aprire gli occhi e sentendo l'entusiasmo del momento diminuire.

Doveva parlare con lui di questo, poiché non le sembrava giusto nel suoi confronti, ma non sapeva quando avrebbe potuto farlo.

Si voltò verso il felino, vedendolo sorridere e prendere un profondo respiro mentre osservava la città dall'alto.

In quel momento lo vide felice, libero e senza preoccupazioni; come se la maledizione che l'aveva colpito e che gli aveva rovinato la vita non fosse mai esistita.

Non sapeva come si sentiva ogni giorno dopo la sua trasformazione, ma credeva fosse un'esperienza straziante cambiare vita da un giorno all'altro, soprattutto dopo il lutto che aveva vissuto.

Si morse di nuovo il labbro, tornando a fissare l'orizzonte con nervosismo.

Chat le prese delicatamente il mento, voltandola verso di lui e guardandola con aria crucciata, sfiorandole le labbra gonfie con il pollice.

Marinette rimase senza parole, pietrificata dai suoi meravigliosi occhi smeraldini, notando le luci della città riflettere all'interno di essi e brillare come lucciole in un prato verde.

Arrossì violentemente, mentre le immagini del loro quasi bacio sul suo attico le balenarono nella mente e si portò le mani sulle guance, tastandosele leggermente.

L'atmosfera era perfetta: in cima alla Tour Eiffel di notte, mentre un leggero venticello scompigliava i loro capelli, la città che brillava sotto di loro e dove nessuno li avrebbe disturbati.

Tutto era perfetto.

Involontariamente si sporse leggermente, sentendo le gambe cederle, ma Chat la riportò alla realtà, mostrandole la pagina del quaderno su cui aveva scritto: "Mari, va tutto bene?"

«Oh... Ehm... –si schiarì la gola– Certo, perfettamente.» disse con una nota più alta del solito, facendo chinare a lato il capo del felino.

"Ti vedo pensierosa. Cosa c'è? Soffri di vertigini o stai poco bene?"

«No, no, sto bene.» rispose sospirando, schiaffeggiandosi mentalmente per aver pensato che potesse baciarla un'altra volta e, soprattutto, perché lei lo voleva.

Si voltò, andando a sedersi contro la parete, stringendosi nella felpa che aveva preso in caso avesse avuto freddo, portandosi le gambe al petto e guardando il biondo avvicinarsi, per poi sedersi accanto a lei.

"So che non va tutto bene, ti conosco. Solitamente sei solare e spensierata, invece ora sei silenziosa... Forse non dovevo portarti qui sopra"

«No!» esclamò facendolo sobbalzare. «Volevo dire... No, sono felicissima di essere qui e ti ringrazio, ma ho dei pensieri che mi frullano per la testa...»

"Che tipo di pensieri?"

La corvina distolse lo sguardo. «Non so se ti farebbe piacere sentirli...»

"Sono qui apposta per ascoltarti, sempre se vuoi, ovviamente"

«Diciamo che riguardano te...» disse quasi sussurrando, terrorizzata su cosa potrebbe dire. «E... su chi tu possa essere...»

Chat cambiò espressione e Marinette poté vedere la delusione stampata sul suo volto.

«Lo so che tu mi avevi detto di farmi gli affari miei e di lasciarti stare, ma non ho potuto fare a meno di collegare la tua storia a quella della famiglia che abitava nella casa in cui ora risiedi tu... E, di conseguenza, pensare che tu possa essere collegato alla famiglia Agreste...»

Il biondo fissò il pavimento per vari secondi, per poi scrivere sul quaderno.

"Come l'hai capito?"

«B-Beh... È stato per puro caso... So che non dovevo interessarmi a nulla su di te, ma non ho potuto fare a meno... La tua storia mi ha attirata a voler scoprire tutto su di te.» spiegò con voce tremante, cercando di non far vedere quanto realmente fosse spaventata.

Stava parlando con la Belva Nera, dopotutto.

"Quindi hai capito chi sono"

La corvina annuì.

"E lo dirai a qualcuno?"

«No. Non avevo intenzione di dire a nessuno che io e te ci incontravamo prima e di certo non intendo farlo adesso che so chi sei. So che ci sono molte persone che vogliono sapere la tua identità per imprigionarti o, addirittura, ucciderti, ma io voglio solo proteggerti.»

Chat sospirò, poggiandosi contro la parete di metallo della Torre, scrivendo sul quaderno per qualche secondo, mentre Marinette giocherellò nervosa con le maniche della propria felpa.

"Ti avevo chiesto di non intrometterti nella mia vita precedente. Te l'avrei detto io chi sono in realtà non appena fossi stato pronto, ma vedo che ormai è troppo tardi per non farlo" lesse la corvina, girando pagina quando arrivò in fondo. "Io sono Adrien Agreste, figlio dello stilista Gabriel Agreste, entrambi scomparsi lo scorso anno in circostanze misteriose. E sono Chat Noir, la Belva Nera che terrorizza Parigi"

Marinette annuì, restituendo il quaderno a Chat e, sorridendogli, gli porse la mano, lasciandolo in un primo momento spiazzato, finché non gliela strinse.

«Ciao Adrien, io sono Marinette Dupain-Cheng e sono l'amica di Chat Noir. Spero che possa essere anche la tua.»

Il biondo battè le palpebre, per poi scoppiare a ridere silenziosamente.

"Ma io sono Chat"

«E sei anche Adrien Agreste e chi sei ora non cancella chi eri prima.»

Chat tornò serio, scrivendo ancora. "Adrien è morto quando si è messo l'anello e non tor—"

Marinette gli fermò la mano prima che potesse finire di scrivere. «Adrien non è morto. Tu sei Adrien Agreste, diventato Chat Noir per uno strano motivo, ma non potrai mai essere chi non sei. Tu sei Chat Noir, sei Adrien Agreste e sei il mio amico, credo... –ridacchiò– Mi dispiace se non ti ho ascoltato, ma io non intendo abbandonarti.»

Il felino la ascoltò parlare, ipnotizzato dalle sue parole.

Per la prima volta si capiva capito realmente e si sentiva vicino a qualcuno.

Si avvicinò a lei, abbracciandola e mugugnando quello che per lui doveva essere un "grazie", tirando su con il naso.

«Resterò sempre accanto a te, ti aiuterò in ogni modo e non ti abbandonerò mai.» sussurrò, accarezzandogli il capo mentre singhiozzava contro la sua spalla.

Sentiva il suo cuore batterle freneticamente nel petto, lasciando un respiro di sollievo quando il peso del segreto che portava svanì.

Forse aveva distrutto la fiducia che li legava, o forse l'aveva resa più forte di prima, ma una cosa era certa: sarebbe dovuta scendere da lì, prima o poi.




 

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Ammetto che volevo far capitare una cosa più grave, ma ho voluto dare loro una piccola gioia in preparazione a ciò che accadrà in futuro.

Sapere che sono cattiva con i miei personaggi :3

Anyway, ci si vede venerdì con il capitolo 24 :D

Francy_Kid

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Capitolo 25
*** Cap. 24 ***


Cap. 24






 

Marinette era impegnata a rosicchiare il tappo della penna e pensare alla serata precedente sulla Tour Eiffel.

 

Quindi Chat Noir era in realtà Adrien Agreste, il figlio del noto stilista Gabriel Agreste.

 

La notizia l'aveva sconvolta, se doveva essere sincera.

 

Adrien era qui, ma il padre? Si credeva che entrambi fossero spariti nel nulla dopo la morte della signora, ma era solo Gabriel ad aver abbandonato Parigi senza far sapere a nessuno dove andasse, nemmeno al figlio.

 

La ragazza, la notte precedente, chiese a Chat –Adrien– se sapesse dove fosse andato il padre, così da contattarlo, ma lui rispose che non lo sapeva e che non voleva contattarlo, poiché se fosse tornato a casa sarebbe venuto a sapere che suo figlio era, in realtà, la persona più temuta della città.

 

Il biondo rimase appoggiato a lei per parecchio tempo, facendo passare anche le quattro di mattina, a scrivere con lei della sua vita passata, chiedendole, però, di non chiamarlo con il suo nome, poiché voleva mantenere tutto segreto.

 

Ovviamente non doveva nemmeno accennare al fatto che lei conosceva di persona la Belva Nera, non dopo che il suo video sulla rete iniziava ad essere un lontano ricordo e che l'accaduto sul suo terrazzo era ormai superato.

 

Marinette non poté fare a meno di pensare a quanto fosse stato sfortunato in quest'ultimo periodo: aveva perso la madre, era diventato il terrore di Parigi ed il padre non si trovava da nessuna parte. O almeno, non aveva idea di dove sarebbe potuto andare.

 

Immagini di ossa umane nello scantinato della villa e Chat Noir che rideva malignamente accompagnato da tuoni e fulmini balenarono nella sua mente, ma poi pensò che non poteva essere.

 

Era un altro dei suoi film mentali; appunti personali: basta horror prima di andare a letto.

 

Sospirò, riponendo il libro di storia nella cartella e salutare i suoi compagni mano mano che uscivano, per poi, insieme ad Alya, camminare verso l'uscita e restare con lei e Nino per chiacchierare prima di tornare a casa.

 

«È da un po' che l'ho notato, ma cosa fai la notte al posto di dormire?» domandò incuriosita la mora. «Stamattina non hai seguito nemmeno un minuto di lezione ed eri sempre soprappensiero. E non dire che leggi o guardi anime perché non ci credo.» si affrettò a dire non appena l'amica aprì bocca.

 

Marinette ci pensò su per svariati secondi: Alya era sveglia e non ci metteva molto a capire quando qualcosa non andava, soprattutto quando si trattava di lei o Nino.

 

«Devo recuperare lo studio del pomeriggio.» disse insicura, sperando di non essere scoperta.

Alya le diede un'occhiata indagatrice, per poi sorridere. «E ti credo! Dovresti fare i compiti. Sai come dice il proverbio: prima il dovere poi il piacere.»

«Sì! Sì, hai ragione. Allora corro subito a casa a fare i compiti. Ci vediamo domani!» esclamò frettolosa, per poi correre verso casa.

 

Nel mentre, i suoi due amici rimasero a guardarla entrare nel negozio.

 

«Devo scoprire che cosa macchina quella ragazza.» disse seria la mora.

«Ma se ti ha detto che guarda anime? È quello che fa di solito.» rispose Nino guardandola storto.

«Quando guarda anime mi chiama e mi racconta per filo e per segno ogni puntata, urla di felicità se c'è una scena romantica tra i suoi personaggi preferiti e piange se un personaggio muore, invece è da giorni che non mi chiama. Qui c'è sotto qualcosa.»

 

Il moro la fissò stranito.

 

«Che c'è?»

«Quella ragazza fa spoiler gratis.»

 

Fu Alya questa volta a guardarlo alzando un sopracciglio.

 

«Sono serio!»

«Comunque, io intendo capire che cosa nasconde quella ragazza. La seguirò dappertutto se necessario!» esclamò lei determinata. «Ci vediamo domani!» aggiunse, correndo a casa sua per prepararsi al meglio, lasciando Nino confuso ancora davanti a scuola.

 

 

 

—•—•—

 

 

 

Marinette entrò nella stanza di Chat, salutandolo con un cenno della mano, vedendosi restituita il gesto poco dopo.

 

«Chat, ti ho portato qualcosa da mangiare: quattro sandwich alla Marinette, due dolci e due salati. Spero ti piacciano.» disse, poggiando la borsina sulla scrivania, facendogli illuminare gli occhi e miagolare.

 

Non lo chiamava con il suo nome poiché gliel'aveva chiesto lui: si sentiva parecchio a disagio a sentire il suo nome, riportandogli alla memoria la sua vita passata, fatta soprattutto di brutti ricordi ed emozioni negative.

 

Ricordava ancora quando sulla Torre stava per perdere il controllo mentre le raccontava la sua vita.

 

L'unico modo che ebbe per farlo calmare fu togliergli il quaderno di mano e tenerlo tra le sue braccia, descrivendogli il panorama che vedeva da dove si trovavano.

 

Restarono per svariati minuti in silenzio, mentre Marinette ascoltava il respiro di Chat tornare normale e calmarsi, vedendolo poi chiedergli scusa con dei mugugni tristi.

 

Le faceva male vederlo così e rispettava la sua idea nel continuare a chiamarlo con il nome che simboleggiava la sua rovina piuttosto che con quello che gli faceva rivivere il passato.

 

Le aveva raccontato anche che aveva tentato più volte di togliersi la vita e che quando l'aveva vista in quel vicolo era come se un senso di protezione e attaccamento nei suoi confronti lo avesse invaso.

 

Marinette collegò subito l'imprinting di cui le aveva parlato Fu, annuendo mentalmente e pensando che si doveva per forza trattare di quello.

 

Vide Chat avvicinarsi a lei con un sorriso, facendo le fusa non appena gli grattò sotto il mento.

 

«Vuoi vedere l'anime di cui ti ho parlato l'altro giorno?» chiese, vedendolo annuire.

 

Qualche giorno prima gli aveva parlato di una serie animata che aveva visto più volte e che aveva adorato per la sua trama –e ovviamente non era per la divinità imbranata dai magnetici occhi azzurri, no–

 

I due si sistemarono l'una accanto all'altro sul materasso, attendendo che la connessione facesse il suo lavoro e caricasse il primo episodio.

 

«Prima di iniziare, Chat, il bagno funziona?» domandò la corvina, mettendo in pausa appena le immagini dell'anime apparirono sullo schermo.

 

Il ragazzo annuì, pensando che malgrado la casa fosse impraticabile sotto ogni punto di vista, vi era ancora acqua corrente e la luce.

 

Per sua fortuna, pensò subito dopo lui.

 

La vide sparire dietro la porta, che cigolò non appena la chiuse, e lui, non sapendo bene che fare, aprì una pagina internet e si mise a cercare qualche modo per comunicare con Marinette senza il bisogno del quaderno.

 

Il primo link che trovò catturò immediatamente la sua attenzione: linguaggio dei segni.

 

Non ne conosceva nemmeno uno e dalle immagini che vedeva su internet non erano per nulla facili, ma avrebbe fatto di tutto pur di comunicare con lei.

 

Ma avrebbe dovuto impararli anche la ragazza, ovviamente, se voleva capirlo.

 

Chiuse la pagina non appena sentì l'acqua tirare e riaprì il sito con l'episodio, facendo finta di nulla.

 

Anche lui, prima di divenire Chat Noir ovviamente, seguiva svariati anime, malgrado il tempo non gli permettesse di essere costante, ma aveva sempre terminato le serie, anche se ne aveva viste pochissime.

 

Marinette tornò accanto a lui, scusandosi e facendo patire la puntata, guatando il piccolo schermo del cellulare con un sorriso sul volto.

 

Ovviamente Chat fece fatica a seguire l'anime con la ragazza al suo fianco.

 

 

 

—•—•—

 

 

Alya la vide uscire di casa con la borsina in mano, decisasi a seguirla per scoprire dove stesse andando.

 

Erano le sette di sera e lei stava passeggiando casualmente per Place des Vosges, quando notò l'amica uscire dalla porta di ingresso laterale con aria sospetta.

 

Oppure era lei che se l'era immaginata come un ladro, ma era comunque sospetta.

 

La seguì senza farsi vedere fino a quando non raggiunse Villa Agreste, chiamata da alcuni la "Casa della Belva Nera" dopo che videro Chat Noir entrare ed uscire.

 

Se lì albergava davvero la Belva Nera, allora perché Marinette si aggirava in quel posto?

 

La seguì con lo sguardo finché non girò l'angolo e solo poi riprese a muoversi, ma quando anche lei svoltò nella strada non c'era più traccia della sua amica.

 

Controllò la via più volte, pensando che non si era per nulla immaginata Marinette e che era realmente lei.

 

Ma allora dove diavolo era finita?

 

 

 

 

 

 

 

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Ehehe Alya sospetta qualcosa e ne succederanno delle belle MUAHAHAHAHAH!

 

A venerdì ^^

 

Francy_Kid

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Capitolo 26
*** Cap. 25 ***


Cap. 25






 

Alya fissava la sua amica a sottecchi, stando attenta che né lei, né la professoressa se ne accorgessero.

 

Erano già tre sere di seguito che la seguiva ma non riusciva a capire dove finisse: sembrava sparire non appena arrivava alla ormai ex Villa Agreste.

 

Ma perché si avvicinava a quel posto? Era dove Chat Noir si rifugiava e nessuno tentava –nemmeno durante il giorno– di camminare sul marciapiede che circondava la casa.

 

Sapeva che l'amica era interessata alla Belva Nera, ma le aveva promesso che avrebbe lasciato stare, anche se credeva fermamente che fosse una bugia.

 

Seppure fossero tutti interessati a scoprire qualcosa a riguardo, tutti temevano il mostro, eppure Marinette non sembrava esserlo, nemmeno dopo quel dannato incidente al parco tra lei, Nathaniel e Chat Noir.

 

Quella ragazza non gliela raccontava giusta.

 

Voleva scoprire che stava combinando, anche se significava entrare nella villa e affrontare Chat Noir in persona!

 

 

 

—•—•—

 

 

 

Marinette sapeva che Alya la stava seguendo.

 

Era già la seconda volta che vedeva la sua figura andare a nascondersi dietro un angolo non appena si girava, riuscendo, però, sempre a fregarla nell'entrare a Villa Agreste, sentendo i suoi gemiti di frustrazione appena dopo il passaggio segreto che aveva adeguatamente nascosto.

 

Si sistemò il tablet sottobraccio, salendo le scale fino alla camera di Chat e aprendo la porta, sorprendendolo a soffiare ad un paio di piccioni che, da quanto dedusse, erano entrati da una fessura tra due travi.

 

«Chat, sei allergico alle piume, allontanati da lì!» esclamò, afferrando la scopa che aveva recuperato dall'armadio degli utensili per pulire la stanza e iniziando ad agitarla per far volare via i piccioni.

 

Il ragazzo starnutì non appena i volatili batterono le ali, volando per qualche minuto nella stanza e poi uscire dalla stessa fessura in cui erano entrati.

 

Marinette raccolse le piume che avevano perso, buttandole in un sacchetto dello sporco, per poi tornare a guardare Chat.

 

Il felino aveva gli occhi leggermente gonfi e lacrimanti ed il naso tappato, e continuava a sfregare i bulbi sperando che passasse, starnutendo subito dopo.

 

La ragazza si diresse sulla scrivania, perdendo con sé due scatolette bianche e facendo sedere l'amico sul materasso, porgendogli il contenuto della prima scatolina: uno spray nasale.

 

«Questo ti aiuterà con il naso, poi ti metto delle gocce per gli occhi. E smettila di grattarti, peggiori le cose.» aggiunse, schiaffeggiando leggermente la spalla del felino appena alzò la mano per grattarsi.

 

Chat, dopo aver usato lo spray, lo porse a Marinette, che lo risistemò nel suo contenitore e poi si avvicinò al ragazzo, aiutandolo a mettersi le gocce negli occhi.

 

«Tra qualche minuto starai meglio. Sono antistaminici, quindi non sono troppo forti e puoi usarli anche più volte al giorno, senza esagerare, ovviamente. E non osare toccarti gli occhi, capito?» ripeté, alzandosi per posarli di nuovo sulla scrivania e tornando a sedersi accanto all'amico, che miagolava leggermente disorientato.

 

«È inutile che cerchi il quaderno. Finché non stai bene ti proibisco di sforzare la vista. Ti senti anche la gola gonfia? Sennò dovrai prendere anche le gocce per la gola.» disse, vede solo scuotere la testa. «Bene, allora ti sdrai e aspetti. Intanto io pulisco un po' il pavimento: la polvere non aiuta per nulla.» esclamò, alzandosi malgrado i miagolii di protesta del ragazzo. «No, non mi aiuti. Ora tu fai come ti ho detto, va bene? E poi potrai mangiare dei macarons che ti ho portato.»

 

Chat brontolò, ma approvò –o almeno, fu costretto ad approvare– e rimase sdraiato sul materasso ad occhi chiusi, cercando di non pensare al prurito ed al bruciore agli occhi, senza contare il naso che gocciolava leggermente per via dello spray.

 

Marinette lo capiva perfettamente. Malgrado lui non avesse scritto nulla, lei aveva capito che voleva aiutarla, dato che, dopotutto, era casa sua.

 

Si sentiva leggermente viziato a volte, ma si aiutavano a vicenda e non c'era mai una volta che l'uno o l'altra esagerava.

 

La de riva muoversi per la stanza, spazzando mentre canticchiava una canzone di Jagged Stone, il cantante rock preferito di entrambi, saltellando qualche volta e facendo vibrare le sue orecchie da gatto quando si spostava.

 

La sua voce era melodiosa, anche per una canzone di un genere che non prevedeva l'essere dolce; il rock era musica forte e decisa, esattamente come Marinette.

 

Aprì un occhio, notando che il prurito era quasi del tutto sparito e che la vista era leggermente sfuocata per via delle gocce, ma riusciva a vedere la sagoma della ragazza che camminava per la stanza, impegnata a spazzare il pavimento al meglio che poteva.

 

Rimase a guardare la sua figura per un paio di minuti, finché non la vide tornare accanto a lui, sdraiandosi prona e guardarlo dritto negli occhi.

 

«Come va il naso?» domando e lui annuì, segno che, finalmente, riusciva a respirare bene. «Perfetto, e gli occhi?»

 

Il felino alzò il pollice, facendole cenno che stava bene, ma la corvina gli pizzicò la guancia, facendolo squittire di sorpresa –ed un gatto che squittiva non si sentiva di certo tutti i giorni–

 

«Bugiardo. Hai la vista sfuocata, aspetta ancora qualche minuto. L'ho capito perché mi stai fissando la fronte.» disse divertita, mentre lui mugugnò sconfitto.

 

I due restarono sdraiati sul letto ad ascoltare la loro musica preferita per una ventina di minuti, godendo della vicinanza e della compagnia reciproca.

 

Chat però non disse ci vedeva perfettamente da quando lei aveva finito di spazzare.

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

Chat Noir distolse lo sguardo dal cellulare della ragazza per guardarla.

 

Non sapeva effettivamente se dirle che voleva provare il linguaggio dei segni o continuare a comunicare su un quaderno, con il rischio che se qualcuno lo trovasse scoprirebbe che si vede con qualcuno.

 

Tentar non nuoce, diceva il detto.

 

Mise in pausa l'anime durante l'ennesima scena divertente e Marinette guardò incuriosita il ragazzo, aspettando che finisse di scrivere.

 

Notò subito la sua scrittura timida e tremante, lasciandole capire che era una cosa a cui aveva pensato un po'.

 

"Volevo chiederti una cosa... se iniziassimo a comunicare con il linguaggio dei segni? So che potrebbe essere impossibile impararli tutti in poco tempo, ma può essere carino, secondo me. Ovviamente puoi anche rifiutare"

 

La corvina lesse, poi alzò lo sguardo sull'amico e sorrise: «Sì, sarà divertente. Ovviamente non potremmo imparare a fare un grande discorso, ma frasi semplici, tipo "Come stai?", "Che ore sono?" e le loro risposte.»

 

"Mi accontento di poche frasi. E poi so che non è per nulla semplici, quindi non voglio obbligarti ad imparare nulla. Diciamo che è solo un piccolo esperimento che mi piacerebbe provare"

 

«Certamente. Speriamo solo di cavarcela bene.» ridacchia.

 

"So che ci sono dei video su YouTube per alcune frasi: potremmo scaricarne alcuni per impararli. Oppure so che ci sono anche dei libri a riguardo"

 

«Per i libri me ne occupo io. Li prenderò in prestito alla mia biblioteca di fiducia e poi stamperò qualche foglio.» spiegò visibilmente esaltata per la cosa.

 

Chat non credeva che lei fosse d'accordo, immaginando che gli ridesse in faccia non appena avesse letto la sua richiesta; invece eccola lì, che pianificava con lui i modi migliori per imparare il linguaggio dei segni.

 

Era felice di quello e non vedeva l'ora di iniziare.

 

 

 

 

 

 

 

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Lo ammetto che è corto, ma sono stata ultra impegnata in questi giorni per vari motivi. 

 

Perdonatemi...

 

Comunque, già dal prossimo lo vedremo "esercitarsi" nel linguaggio dei segni e... spero di essere in grado di descrivere al meglio...

 

A venerdì :3

 

Francy_Kid

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Capitolo 27
*** Cap. 26 ***


Cap. 26



 

Marinette si alzò, pulendosi i pantaloni dalla polvere e si stirò i muscoli indolenziti della schiena subito dopo; stare seduta senza poggiaschiena era davvero scomodo per lei.

 

Chat le sorrise, tenendo ancora il suo cellulare tra le mani.

 

«Beh, abbiamo fatto passi da gigante. Sappiamo i saluti dopo un'ora e mezza passata cercando di impararli.» ridacchiò lei, salvando il video. «Domani vado in biblioteca e chiedo ad un mio amico se ha un volume sulla lingua dei segni, così possiamo affidarci anche al cartaceo. Vado un secondo in bagno.» aggiunse, allontanandosi a adeguino di un cenno positivo con la testa del ragazzo.

 

Il felino, incuriosito di vedere altri gesti, selezionò il secondo video, guardando come la donna, dopo aver posato la mano sul suo petto, la portasse avanti, sorridendo.

 

Non sapeva di cosa si trattasse e, spinto dalla curiosità, lesse il titolo.

 

I sui occhi si sbarrarono e sentì le guance riscaldarsi leggermente.

 

Controllando che Marinette non uscisse, scrisse sul quaderno come si eseguiva il segno e cosa significava, "nascondendo" quell'appunto tra le varie domande e risposte già presenti tra le pagine.

 

Non appena sentì la porta aprirsi, chiuse la pagina di YouTube e consegnò il cellulare alla ragazza, che lo ringraziò.

 

«Immagino che il prossimo segno sia "ho fame", giusto Gattino?» disse divertita, riponendo il telefono nella tasca posteriore dei pantaloni.

 

Chat annuì, facendo rizzare le orecchie nere e scrivendo su una pagina nuova.

 

"Sappi che imparerò a chiederti i croissant di tuo padre. Sembra di mangiare le nuvole del Paradiso ripiene di marmellata, cioccolato, crema o qualunque altra cosa ci metta dentro"

 

Rispose, con tanto di faccina di un gatto che si leccava felicemente i baffi.

 

«Allora dovrò aspettarmi tutto sul cibo.»

 

I due sorrisero, per poi salutarsi e tornare alle loro rispettive vite.

 

Chat la guardò allontanarsi di soppiatto attraverso le travi che sostituivano i vetri della finestra come faceva ogni volta, controllandola per essere sicuri che fosse tutto sicuro e pronto ad intervenire se qualcuno l'avesse vista.

 

Appena vide l'amica sparire nell'oscurità andò a sedersi sulla sedia, che scricchiolò sotto il suo peso, fissando l'appunto del segno che aveva preso.

 

Si portò la mano al petto, all'altezza del cuore, per poi portarla avanti con il palmo rivolto verso l'alto.

 

Era un gesto semplice, ma aveva un profondo significato. Chissà se un giorno sarebbe riuscito a mostrarglielo o, meglio ancora, dirglielo con la propria voce.

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

Chat Noir rimase a fissare il sole mentre sorgeva da quell'attico che era stato il palco dei suoi incontri con la prima persona che gli voleva bene dopo un anno di solitudine.

 

Lì sopra aveva vissuto soprattutto bei momenti; era il posto che più rappresentava il suo "luogo felice".

 

Malgrado avesse detto a Marinette che sarebbe stato meglio se non fosse mai tornato e che sarebbe stata lei ad andare a casa sua, anche se era più pericoloso e lei lo sapeva.

 

Aveva scoperto chi era realmente, sapeva che cosa aveva passato, eppure non sembrava che fosse cambiata: si comportava come faceva prima, da amica.

 

 Aveva scoperto che il ragazzo sotto la maschera era Adrien Agreste, foglio dello stilista più conosciuto di Parigi e che era sparito dopo la morte di sua madre.

 

Sembrava la storia di una di quelle serie animate giapponesi dove il protagonista aveva una vita travagliata, i genitori morti e doveva superare mille peripezie per trovare l'amore o per qualunque altra fosse la reale meta.

 

Ma il suo non sarebbe stato un lieto fine, non c'era cura per la sua maledizione.

 

Sentì il suono della sveglia della ragazza provenire dalla botola aperta e subito dopo il suo mugugno seccato.

 

Vederla mentre dormiva e si svegliava era il suo passatempo preferito, soprattutto perché quando dormiva aveva il vizio di mugugnare e muoversi a seconda che avesse un sogno o un incubo.

 

Gli piaceva imaginare cosa stesse vedendo sotto le palpebre quando sorrideva e voleva entrare e sdraiarsi accanto a lei quando piangeva nel sonno o tremava.

 

Non sapeva come facesse ad essere così agitata nel sonno, poiché sua madre quando dormiva era sempre calma e si muoveva a malapena, ma gli faceva capire se era felice o no; e da ciò che sognava la notte dipendeva il suo stato d'animo durante il giorno.

 

Qualche giorno prima aveva risposto a delle provocazioni di una sua compagna di classe dopo una notte agitata ed una colazione passata in silenzio e con il broncio, segno che aveva sognato qualcosa che l'aveva fatta arrabbiare; un'altra volta si era addormentata in classe perché gli incubi l'avevano tenuta sveglia quasi tutta la notte.

 

La vide alzarsi di malavoglia e recuperare i vestiti che avrebbe indossato quella mattina, ovviamente abbinati tra loro.

 

Aveva il sogno di diventare una stilista, ispirata a suo padre, e aveva tutte le carte in regola per farlo.

 

Distolse lo sguardo, osservavano Notre Dame in lontananza, arrossendo al ricordo di quando, per sbaglio, l'aveva visto in intimo: la sera era andata a dormire senza vestiti poiché aveva caldo, dedusse, e quando si agitava nel sonno per sistemarsi le faceva scivolare, finendo per fargli vedere l'intimo che indossava, senza ovviamente rendermene conto; Chat, appena se ne accorse, distolse subito lo sguardo, fissando il nulla e cercando di non girarsi, per non guardarla.

 

Rimase fermo fino alla mattina, quando si svegliò e si vestì per la scuola.

 

Non voleva farlo e, malgrado avesse voluto guardarla, aveva sempre rispetto per lei e non voleva fare le cose alle sue spalle o mentre dormiva; anche perché era molto timida.

 

La sentì tornare in camera dopo circa mezz'ora, vestita è quasi pronta per la scuola: si sistemò i capelli nei suoi soliti due codini e tornò di sotto, per poi correre verso la scuola, dall'altra parte della strada.

 

Chat sorrise, poggiando la fronte contro il muro.

 

Perché era lì? E perché non poteva starle lontano per nemmeno un secondo?

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Capitolo 28
*** Cap. 27 ***


N.d.A.
ATTENZIONE! QUESTO CAPITOLO CONTIENE SCENE NON ADATTE AD UN PUBBLICO FACILMENTE IMPRESSIONABILE (no. non è un lemon). SE LO SIETE ASPETTATE FINO A VENERDÌ PROSSIMO E NON LEGGETE. GRAZIE :3
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Cap. 27




 

Chat non sapeva com'era finito in quella situazione: a mordere un pezzo della maglietta di Marinette, che lei stessa si era strappata, e cercando di non perdere i sensi per il dolore, mentre la vista era offuscata per le lacrime e per le e energie che lo stavano abbandonando, distinguendo a malapena la figura preoccupata della ragazza accanto a lui.

Dolore. Il dolore era l'unica cosa che sentiva in quel momento ed era l'unica cosa che lo teneva cosciente.

Non aveva mai immaginato che avrebbe sentito la dolce voce di Marinette colma di preoccupazione e paura, eppure eccolo lì, a trattenere a malapena le urla mentre la madre della sua amica gli stava levando una pallottola dalla spalla.

Che cosa aveva sbagliato? Perché salvare qualcuno gli era costato così caro?




 

—•—•—




 

Marinette entrò nella stanza del ragazzo, salutandolo felicemente e vedendosi restituita il gesto che significava "buonasera": la mano destra, da prima davanti alla bocca, era davanti al dorso della mano sinistra, sistemata orizzontalmente davanti al suo petto.

La corvina rise, andando a sedersi sul materasso con lui.

«Ho cercato alcune cose ed i segni come li abbiamo imparati noi sono giusti. Ne vuoi imparare altri?»

Chat scosse la testa, per poi scrivere sul quaderno: "Un paio di saluti vanno più che bene, grazie"

«Bene. Cosa vuoi fare allora? Chiacchierare, guardare anime o dormire un po'?» chiese guardandolo.

"Perché dormire? Tu non mi sembri stanca"

«Ma tu sei distrutto. Ti si legge in faccia. Cosa fai la notte anziché dormire?» ridacchiò. «Ora vieni qui e riposi. Non ti fa bene saltare le ore di sonno.»

"Ma dormo durante il giorno..."

«Non fare il micio cattivo e vieni a dormire.» lo intimò, vedendolo annuire e sdraiarsi accanto a lei.

Marinette gli grattò il capo, sentendolo fare le fusa e sistemarsi contro di lei.

Non seppe bene quanto tempo passò restando accanto a lui, ma si fece tardi ed era già ora di tornare a casa, se non voleva far preoccupare i suoi genitori.

Si alzò, scrivendo su una pagina del quaderno dell'amico che era tornata a casa e, quindi, di non preoccuparsi.

Chissà cosa faceva durante la notte per essere così stanco, senza contare che poteva riposare anche durante il giorno.

Uscì da Villa Agreste, facendo attenzione che non ci fosse in giro nessuno, per poi camminare verso casa sua, canticchiando.



 

—•—•—



 

Chat Noir si svegliò sentendo delle urla di un uomo appena fuori da casa sua.

Non si chiese nemmeno che fine avesse fatto Marinette, poiché aveva letto la nota lasciatogli sul quaderno, e poi, con la sua agilità felina, uscì attraverso le sbarre di legno sulla finestra, andando ad arrampicarsi sin sopra il tetto per osservare meglio la situazione: un uomo sulla cinquantina era minacciato da un ladruncolo ubriaco di consegnargli la borsa con i soldi ed il cellulare.

Senza pensarci due volte, e senza fare troppo rumore, atterrò alle spalle del ladro, facendo pietrificare il malcapitato, che fissò i suoi occhi verdi.

«Allora vecchio. Vuoi darmi la grana o vuoi dire addio alla tua famiglia?» ghignò il malvivente, facendo un altro passo verso la sua vittima.
«L-La... La...» balbettò lui, facendo innervosire di più l'uomo.
«Allora? Ti muovi? Ho fretta!» urlò, affatto impietosito dalle lacrime di colui che aveva davanti.

Chat non poteva sopportare un secondo di più e, dopo essersi messo a carponi, ringhiò, facendo voltare il malvivente verso di sé.

L'uomo rise, ignorando la sua precedente vittima scappare. «Ma guarda. La Belva Nera, il mostro che terrorizza Parigi. Cosa vuoi farmi? Uccidermi?» disse, sputando a terra e rischiando di perdere più volte l'equilibrio per l'alcool. «Ma devi sapere che io non ho paura di te.» mugugnò, estraendo dalla cintura una pistola.

Chat arretrò leggermente, preparandosi a scappare in caso avesse intenzione di sparare.

«Cosa c'è? Il gattino ha paura?» rise divertito, ampliando il suo ghigno quando lo sentì soffiare contro di sé. «Prova a pensare cosa direbbero di me i giornali: "Cittadino uccide la Belva Nera dopo un'aggressione". Sarò chiamato eroe da tutti e, magari, la mia fedina penale tornerà pulita. Beh, tentar non nuoce.»

Dopo quell'ultima frase, il malvivente sparò un colpo, ma Chat più agile -e soprattutto sobrio- saltò sulla sinistra, schivando il colpo.

L'uomo si preparò a prendere la mira una seconda volta, ma il ragazzo si muoveva a destra ed a sinistra con estrema velocità, avvicinandosi man mano, che balzava.

L'uomo mosse dei passi all'indietro, cercando di sfuggire a Chat Noir; ma l'alcool ed una buca appena dietro di lui bastarono per fargli perdere l'equilibrio del tutto e, l'ultima cosa che vide prima di cadere a terra, fu la sagoma della Belva Nera saltare sopra di lui, ringhiando a seguito di un attacco.

Il malvivente chiuse gli occhi, tentando di prendere la mira malgrado la paura gli impedisse di ragionare razionalmente e di essere sicuro di tutto quello che faceva; alzò la pistola e appena Chat Noir lo atterrò premette il grilletto.

E poi tutto fu buio.


 

—•—•—


 

Marinette sbuffò, mugugnando quanto fosse imbranata e senza speranze di migliorare: aveva dimenticato il cellulare nella stanza di Chat, sicuramente le era scivolato dalla tasca della felpa mentre stava dormendo accanto a lei.

Sempre con la minima prudenza, entrò nella villa e corse su per le scale fino a raggiungere la stanza dell'amico.

Credendo che stesse ancora dormendo, aprì la porta senza fare il minimo rumore, per poi sorridere quando lo vide ancora sdraiato sul materasso.

La stanza era totalmente immersa nel buio, vista l'ora, ma riuscì ad avvicinarsi, in punta di piedi,  al materasso e sedersi su di esso senza muoverlo troppo, accarezzando i capelli arruffati del felino.

La sua espressione si fece crucciata quando sentì i capelli umidi e, appena tolse la mano per guardare cosa fosse, faticò a trattenere un urlo terrorizzato.


 

—•—•—


 

Sabine bevve un sorso di tè caldo prima di andare a dormire.

Domani sarebbe stato il suo giorno libero, sostituita da un suo collega, e voleva godersi la sera al meglio che poteva; magari passandola con la figlia, se non avesse dimenticato il cellulare da Nino dopo aver fatto i compiti da lui, pensò la donna con un sospiro.

Tom era a dormire ormai da mezz'ora, crollato appena mise la testa sul cuscino.

Posò la tazza nel lavandino, sciacquandola e riponendola nello scolapiatti appena sopra la sua testa, quando udì il cellulare squillare da sopra il tavolo e, sperando che non fosse il lavoro -anche perché l'avrebbero chiamata sul cercapersone-, lo prese e vide che era la figlia.

«Nino, Marinette non ha trovato il suo cellulare?» chiese divertita, ma a rispondere non fu Nino, bensì sua figlia e sembrava in preda al panico.
«Mamma, per favore, corri qui.»
«Mari, dove sei?»
«Sta sanguinando... Gli hanno sparato alla spalla e non si sveglia... C'è sangue dappertutto...» pianse la ragazza con voce tremante.

Sabine recuperò la borsa del primo soccorso -più attrezzata di quelle normali- e poi uscì di casa.

«Marinette. Calmati e dimmi dove ti trovi.»
«A- A Villa Agreste.»
«Hai già chiamato l'ambulanza?»
«No! Niente ambulanza! Sennò sarà in pericolo... Ho già fermato l'emorragia, ma non so che fare...» pianse di nuovo, la voce spezzata dalle lacrime.
«Chi ha bisogno di aiuto?»
Marinette tirò su con il naso. «Non posso dirtelo... Gli ho promesso che avrei mantenuto il segreto...»
«Mari, devo sapere chi è. Dimmelo.» disse seria la donna, continuando a correre per le strade.
La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo, singhiozzando. «Chat Noir...»

Sabine si fermò di colpo, fissando davanti a sé la villa a meno di cinquanta metri di distanza.

Sentì il sangue gelarsi nelle vene nell'udire quel nome: sua figlia aveva soccorso il mostro che non molto tempo fa le aveva fatto del male.

«Mamma, ti prego. Ha bisogno di aiuto.» sentì dire all'altro capo del cellulare.
Prendendo un profondo respiro riprese a correre. «Resistete, sto arrivando.»



 

—•—•—


 

Sabine entrò nella stanza, notando subito sua figlia inginocchiata accanto al corpo privo di sensi di Chat Noir, mentre prendeva la sua spalla ferita e il sangue ricopriva gran parte del materasso ed i vestiti della corvina.

Marinette sembrò sollevata in un primo momento, ma la sua espressione spaventata non mutò.

«Mamma! Ti prego, aiutalo!» urlò impacciata, il viso rigato di lacrime che si mescolavano con il sangue secco del ragazzo.

La donna corse dall'altra parte, aprendo la borsa del pronto soccorso e tirando fuori tutto il necessario.

Marinette gli aveva già sfilato la parte superiore di quello che sembrava il suo costume in modo tale che potesse vedere meglio la ferita, ma la mano destra era ancora nella manica ed il costume era fermo appena sopra la vita, lasciando libera la pelle sudata dell'intero tronco.

La cosa positiva era che respirava ancora.

«Spiegami tutto dal principio.» disse, prendendo garze e disinfettante.
«I-Io avevo lasciato qui il cellulare per sbaglio e... e quando sono tornata a riprenderlo l'ho trovato così. Gli hanno sparato alla spalla e credo che il proiettile sia ancora dentro.» rispose tirando su con il naso, spostando il panno insanguinato e, solo in quel momento, Sabine si accorse che era la felpa di sua figlia.
«Ok. Fammi luce.»

Marinette prese il cellulare e, con mano tremante, senza mancare di imprecare poiché il sangue non aiutava con il touch, attivò la torcia, permettendo così a Sabine di poter vedere.

«Sembra che sia ancora dentro per davvero. Hai controllato se c'è un foro d'uscita?»
«Sì, e non c'è.» rispose.

La donna recuperò si infilò i guanti in lattice, recuperando una siringa con dentro un liquido trasparente.

«Che cos'è?» domandò la giovane.
«Tiopentale. Un anestetico.» rispose, facendo in modo che non ci fosse dell'aria nel tubetto.
«Ferma!» esclamò, prendendole la mano. «È allergico a quel medicinale.»
La donna sorrise. «Ti sei davvero informata sulle sue allergie?»
«Lo sai come sono fatta: so le tue, quelle di papà, Alya e Nino. Prevenire è meglio che curare.»
Sabine ripose la siringa nella borsa. «Beh, gli hai salvato la vita. Ma sentirà parecchio dolore.»

Marinette rimase accanto all'amico, facendo luce alla madre mentre recuperava le pinze, non sapendo ciò che sarebbe accaduto da lì a poco: appena prima che la donna potesse avvicinare lo strumento alla ferita, Chat aprì gli occhi e, con un mugugno di dolore, si agitò.

«Chat, resta fermo. È qui per aiutarti.» disse Marinette, cercando di tranquillizzarlo. «Fidati di lei. Fidati di me.» 

Il ragazzo la guardò con espressione stanca e spaventata: mai prima d'ora aveva avuto un contatto con un adulto, non in quel modo.

Sabine lo guardò, volendo trasmettergli calma. «Chat, ascoltami, ora devo estrarre il proiettile che è nella tua spalla. Sentirai parecchio dolore, ma ti assicuro che finirà presto, va bene?»

Il felino la fissò spaventato. Voleva fuggire, ma il dolore gli impediva ogni movimento brusco, seppur l'adrenalina che aveva in circolo gli sarebbe bastata per un paio di salti.

Annuì, stringendo i denti.

La donna guardò la figlia. «Dagli qualcosa da mordere. Il proiettile è parecchio in profondità.»
Marinette annuì e si strappò la un pezzo della maglietta, mettendola davanti alla bocca dell'amico. «Chat, voglio che tu la mordi. Urla se vuoi, ma devo mordere questa se non vuoi staccarti la lingua.»

Il biondo annuì di nuovo, sentendo la testa girare e, aprendo la bocca, scoprì i canini affilati, e fece rabbrividire la mamma della ragazza; chiuse la morsa attorno al brandello della maglietta e strinse gli occhi, preparandosi.

Sabine annuì ed entrò nella ferita con le pinze, facendosi largo tra la carne ferita ed il sangue che aveva ripreso a sgorgare.

Chat cercò di non urlare per il dolore, mordendo il panno che aveva in bocca e ringhiando; sentiva le lacrime bagnargli gli angoli degli occhi, ma non voleva piangere.

Non sapeva com'era finito in quella situazione e non pensava che aiutare qualcuno significasse finire in quel modo.

L'unica cosa che sentiva era il dolore ed il freddo metallo che gli bucava la carne in cerca del proiettile che l'aveva ferito.

Dolore. Nient'altro.

Nemmeno la stretta della mano della ragazza attorno alla sua lo aiutò a pensare ad altro.

Forse era arrivata la sua ora.

Finalmente avrebbe smesso di vivere con il peso della maledizione sulle sue spalle.

Forse sarebbe stato finalmente libero.








 

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Buonsalve :3

Odiatemi pure ahahahahah

Scusate per il capitolo, ma è da qualche giorno che sto poco bene e ho scritto come meglio ho potuto. E spero di aver soddisfatto la richiesta di più coccole per un amico ahahahah

Queste erano piccole scene descritte praticamente tutte nella stessa sera, ma ognuna a distanza di poco dall'altra.

...

Il capitolo è lungo o no? Ecco! Accontentatevi! AHAHAHAHAHAHAH

Anyway, gente, ecco a voi i segni che imparano. Mi ero dimenticata di spammarli la settimana scorsa LOL:

https://youtu.be/defJsB_CJmo

Pregate per il povero Chat, perché questo è solo l'inizio MUAHAHAHAHAHAHAHAHAHHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHHAHAHAHAHAHAHAHAHAH

A venerdì prossimo ^^

Francy_Kid

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Capitolo 29
*** Cap. 28 ***


Cap. 28





 

Marinette attese il rientro nella stanza della madre, sospirando di sollievo quando vide la madre aprire la porta e camminare a passo spedito verso di loro, per poi estrarre dalla borsa un sacchetto di sangue tipo AB positivo, preparando il necessario ad effettuare una trasfusione.

 

«Grazie al cielo ce ne sono un bel po' di questi sacchetti, ma se qualcuno se ne dovesse accorgere perderei il lavoro, come minimo.» esclamò la donna improvvisando un cavalletto per tenere in alto la bisaccia colma di liquido purpureo con una cruccia e la sedia da ufficio, appendendo quest'ultima allo schienale e facendo sì che il sangue potesse scorrere nel piccolo tubo trasparente e scorrere nelle vene del ragazzo, pallido come un cencio.

 

La ragazza rimase in silenzio, seduta accanto all'amico inerme mentre controllava il petto che si alzava e si abbassava a ritmo lento ma regolare.

 

«Il proiettile non ha perforato vasi sanguigni importanti e, per sua sfortuna era rimasto dentro, così ho dovuto estrarlo. Credo gli abbia scalfito leggermente l'osso della clavicola, ma nulla di grave.» spiegò brevemente, sapendo che la figlia la stava ascoltando. «Riceverebbe cure migliori in ospedale... Ma so che rischierebbe grosso. Così come noi due.» disse Sabine, sedendosi su uno dei cuscini non sporchi di sangue sistemato a terra, guardando la ragazza ancora sconvolta. «Ti andrebbe di raccontarmi tutto da capo? Solo per farmi capire. Da come vi siete incontrati.»

Marinette prese un respiro profondo, ma non guardò la madre, e con voce tremante iniziò a parlare. «Una sera, di circa un mese fa, stavo tornando a casa dopo essere stata da Alya, ma io volevo accorciare la strada e tagliai per un vicolo buio. Lì mi assalì un malvivente, ma prima che potesse fare qualcosa Chat Noir lo mise in fuga. Non passò molto tempo che, una sera, lui atterrò sull'attico, lasciandomi spiazzata; ero curiosa del perché la Belva Nera mi avesse salvato, proprio me, una normalissima ragazza che in quel momento aveva fatto la cosa sbagliata, ma era lì, davanti a me, e non ero per nulla spaventata, anzi, ero entusiasta che fosse venuto a farmi visita. Mi ricordo ancora la mia sorpresa quando scoprii che poteva muovere le orecchie nere esattamente come quelle di un gatto e gli offrì da mangiare.» ridacchiò malinconica, stringendo la mano del ragazzo privo di sensi. «Le sue visite si fecero quotidiane e, dato che non può parlare, gli procurai un quaderno che tutt'ora usa per comunicare con me. Ci facevamo compagnia a vicenda, ridevamo, piangevamo e ci confessavano ogni tipo di pensiero, che fosse profondo o anche una stupidata. Mi disse che era geloso di Nathaniel, il mio compagno di classe che mi forzò a avviarlo seppur io non volessi e così ci fu quel famoso attacco al parco dove io me la cavai solo con uno svenimento da shock. Mi ricorderò sempre quanto dispiaciuto era: quella sera, dopo essere tornata a casa dall'ospedale, lo trovai sull'attico a piangere per chiedermi perdono. Non lo vidi mai così triste, fino a quando non ci trovò mio padre e lui per sbaglio mi graffiò e fino a quando non mi raccontò cosa gli era capitato non molto tempo fa. Chat non è pericoloso e so che non mi ha mai voluto fare del male. La causa dell'attacco al parco fu determinato dalla perdita di controllo dei suoi poteri e così credo anche le sue aggressioni a cose e persone. Lui non vuole fare del male a nessuno e so che è vero.» aggiunse, tirando su con il naso. «Non voglio perderlo. Non voglio che muoia per colpa mia...» disse, ma si interruppe per i singhiozzi che le provocavano scosse lungo tutto il corpo, impedendole di parlare correttamente.

 

Sabine ascoltò parola per parola senza dire nulla.

 

Seppur Marinette avesse molti amici erano poche le persone con cui era legata in quel modo, e anche se Chat Noir era considerato da tutti il mostro che terrorizzava Parigi, sua figlia era riuscita a trovare in lui qualcosa per cui valesse la pena la sua amicizia; non era una bugiarda e si confidava sempre con lei come una migliore amica e capiva il perché non le avesse detto che si era fatta amico Chat Noir.

 

Sabine posò la mano sulla spalla della figlia, accarezzandole la guancia con l'altra. «Non ti preoccupare, guarirà. È forte domani mattina si sveglierà. Ok?»

 

La corvina annuì, tirando su con il naso e asciugandosi le lacrime nella spalla, l'unica parte pulita.

 

«Vai a casa a farti una doccia, io resterò qui con lui.» disse la donna

«E se si sveglia?» domandò quasi impaurita, facendosi nervosa.

«Non credo si sveglierà ora, ma anche se succedesse è troppo debole persino per mettersi seduto. E stai tranquilla, ti avvertirò.» la rincuorò la madre. «Hai bisogno di lavarti.»

«Sì... Hai ragione. Io vado a casa.» esclama con monotonia, alzandosi e camminando fino a casa sua, nascondendosi nelle piccole vie quando passava qualche persona, arrivando a casa in poco tempo e, senza fare rumore per non svegliare il padre, recuperò dei vestiti puliti da indossare, per poi entrare in bagno ed accendere l'acqua calda.

 

Gli abiti sporchi di sangue li portò con sé nella doccia per fare un primo lavaggio, utilizzando del detersivo che aveva recuperato nella lavanderia e pulire così le fibre dal sangue.

 

L'acqua trasparente si trasformò in color rosso, mentre Marinette fissava il vortice creato dallo scarico; si mise seduta fissando il sangue di Chat sparire piano piano, sbiadendo lentamente man mano che il tempo passava.

 

Vedere il sangue del suo amico le fece capire quanto lei fosse stata inutile: se fosse rimasta con lui forse lo avrebbe impedito, ma invece se ne era andata.

 

Portò le braccia al petto e poggiò la fronte sulle ginocchia, singhiozzando mentre l'acqua scrosciante lavava via i residui del sangue incrostato e le sue convinzioni.

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

Marinette rientrò nella stanza di Adrien, trovandolo ancora privo di sensi mentre la madre ascoltava il suo battito cardiaco con lo stetoscopio.

 

«Il battito cardiaco e la respirazione stanno tornando normali ed anche il suo colore è migliorato. Domani starà meglio, per sua fortuna, anche se non potrà muovere il braccio per un po'.» esclamò, togliendosi dalle orecchie gli auricolari dello strumento e riponendolo nella borsa di primo soccorso che aveva portato con sé.

Marinette si sedette vicino a lei dopo aver recuperato un cuscino nuovo, guardandola sistemare. «Mi dispiace averti disobbedito. Avrei dovuto dirtelo Sin dall'inizio che cosa stavo facendo.»

La donna le diede uno sguardo intenerito. «Non importa. Capisco il motivo per cui l'hai fatto e credo che l'avrei fatto anch'io. Io ti conosco e so che saresti andata contro tutti pur di aiutare un tuo amico, come hai effettivamente fatto. Normalmente dovrei punirti, e pesantemente dato il contesto, ma se non fosse stato per te ora un ragazzo sarebbe morto.»

 

La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo e scosse la testa, incapace di dire altro senza evitare di spezzare la voce.

 

«Forse dovrei punirti togliendoti il portatile.» disse con noncuranza, togliendo il bendaggio al ragazzo e controllando che nessun punto si fosse in qualche modo staccato, dato che era un filo più debole rispetto a quello usato negli ospedali, per poi cambiare le garze e, aiutata dalla figlia, cambiare bendaggio e improvvisare un tutore che tenesse fermo il braccio.

Marinette la guardò sorpresa. «Mamma!»

 

Sabine ridacchiò, accarezzandole la guancia e facendo sorridere la figlia.

 

«Credimi Mari, Chat è fortunato ad averti.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ragass, chiedo venia per la lunghezza, ma ho avuto dei corsi "di introduzione" all'Università (che inizio lunedì) e mi hanno portato via intere giornate, senza contare che ho avuto l'influenza fino a martedì, quindi ho avuto pochissimo tempo.

 

Ma vi prometto che lavorerò già domani al capitolo di venerdì prossimo e sarà più lungo :3

 

Alla prossima ^^

 

Francy_Kid




 

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Capitolo 30
*** Cap. 29 ***


Cap. 29







 

Non sapeva cosa stava succedendo, ma le strade di Parigi erano insolitamente vuote malgrado fosse mezzanotte appena passata: solitamente c'era un viavai di persone, tra turisti e civili, che ammiravano la capitale o passeggiavano tra le vie senza alcun pensiero, ma quella sera l'intera città sembrava essere deserta.

 

Adrien camminò, sentendo il rumore dei suoi passi sul cemento inumidito dalla pioggia, non sapendo cosa stesse cercando e dove stesse andando.

 

Ad un certo punto sentì l'urlo spaventato di una ragazza ed il suo istinto lo fece iniziare a correre in cerca della fonte, volendo aiutarla o, perlomeno, capire cosa stesse succedendo.

 

Svoltò in una viuzza sulla sua sinistra e ad un tratto gli sembrava di trovarsi in un vero e proprio labirinto, un dedalo di stradine che conducevano chissà dove.

 

E poi eccolo ancora, l'urlo terrorizzato che aveva sentito poco prima.

 

Gli sembrava famigliare quell'urlo, come se conoscesse alla ragazza che l'aveva lanciato, invogliandolo a correre più velocemente e fregandosene se incappava in un vicolo cieco, riprendendo subito la sua corsa.

 

Probabilmente non l'avrebbe trovata, eppure quelle grida gli fecero aumentare i battiti del cuore nel petto e gli diedero un senso di urgenza, come se il tempo che aveva a disposizione per trovarla stesse per scadere.

 

Corse il più velocemente possibile, ignorando i muscoli delle gambe che bruciavano per lo sforzo ed i polmoni che sembravano esplodergli nella cassa toracica, mentre si avvicinava sempre di più.

 

Destra, destra, sinistra ed ancora destra, poi eccola lì, l'ultima persona che sperava di trovare in quel posto: Marinette era con le spalle al muro, mentre lo stesso uomo che gli aveva sparato la sera precedente le puntava una pistola, il ghigno stampato sul viso.

 

«Chat!» urlava lei in preda al panico, facendo voltare il malvivente, che non smise di sorridere.

«Il micio ha liberato la mia preda una volta, ma ora non intendo farmi sfuggire la mia opportunità.» l'uomo si voltò di nuovo verso la ragazza, alzando la pistola all'altezza della testa, non lasciandosi impietosire dalle lacrime della corvina.

 

Adrien era pietrificato, non sapendo cosa fare.

 

«Allora gattino, non vuoi fermarmi?» domandò l'uomo con aria di sfida. «Si vede che lei non è poi così importante per te.» aggiunse, caricando il colpo.

 

Il ragazzo aprì bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non riuscì.

 

Marinette lo guardò spaventata, allungando la mano in cerca di un suo aiuto, ma quando anche Adrien mosse un passo in avanti, terrorizzato quanto l'amica, ma appena portò avanti l'altro piede, il rumore di uno sparo ed il rosso del sangue furono le uniche cose che riuscì a percepire in quel momento.

 

Le aveva sparato. Quel maledetto bastardo aveva ucciso la sua amica.

 

La vide lì per terra, immobile e con gli occhi azzurri, ormai spenti e ancora pieni di lacrime, mentre lo fissavano.

 

Non era riuscito a salvarla. Non c'era riuscito perché la paura l'aveva bloccato.

 

Il nero avvolse il vicolo, facendo sparire ogni cosa che fino a poco tempo fa era attorno a lui.

 

Cadde in ginocchio, con gli occhi stranamente asciutti e, per la prima volta dopo tanto tempo, urlò il suo nome.

 

«Marinette

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

Chat alzò il busto di scatto, ansimando e stendendo il braccio sinistro come a voler afferrare qualcosa o qualcuno.

 

In un primo momento non riconobbe il luogo in cui si trovava, credendo di essere ancora in quel maledetto vicolo; il cuore gli martellava forte nel petto ed iniziò a guardarsi intorno, preso dal panico, quando una mano fredda gli toccò la pelle bollente della spalla, facendolo sobbalzare.

 

«Chat, calmo. Sono io, sono Marinette.»

 

Quella voce, la stessa voce che urlava il suo nome nel vicolo era lì accanto a lui, eppure l'aveva vista morire davanti ai suoi occhi.

 

Un'altra mano fredda si posò sulla sua guancia, strappandogli un ringhio spaventato.

 

«Chat, guardami. Non avere paura, sono qui con te, ok?» domandò la ragazza con voce calma e rilassante, facendolo smettere di agitare. «Respira profondamente e guardami negli occhi.»

 

Il biondo fece come gli era stato detto: iniziò a respirare piano e profondamente, buttando fuori l'aria dalle labbra tremanti, e con le lacrime che gli rigarono le guance ed il ricordo dell'incubo fu lontano, riuscì a distinguere la sua camera ed il viso sorridente di Marinette davanti a lui.

 

«Bravo Gattino, così.» disse sussurrando, iniziando ad accarezzargli i capelli in un gesto confortante.

 

Il biondo la guardò dritta negli occhi, per poi tastarle le braccia con la mano sinistra, cercando di capire se effettivamente fosse lei.

 

Era lì, era Marinette, viva e vegeta, con un sorriso confortante, seppur leggermente preoccupato, sul viso.

 

Gli occhi gli si riempirono di lacrime e le toccò la guancia, accarezzandogliela e trattenendo a stento i singhiozzi, per poi stringerla a sé, ignorando il dolore pulsante lungo tutto il lato destro del torso e del braccio che, al momento, senza che riuscisse a spiegarselo, non riusciva a muoverlo.

 

Stava bene. Lui stava bene e lei stava bene.

 

Marinette restituì il gesto, stando attenta a non stringere troppo forte attorno al corpo dell'amico ferito, attendendo che si calmasse, man de lei, prima che riuscisse a fermarsi, si lasciò andare in un pianto liberatorio.

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

Sabine passò attraverso il passaggio che sua figlia le aveva mostrato per entrare nella casa, percorrendo la strada senza farsi vedere, poiché aveva gli abiti sporchi di sangue.

 

Era tornata a casa un'oretta prima poiché doveva recuperare dei bendaggi nuovi per Chat Noir, antibiotici un po' più forti e disinfettante per pulire la ferita, poiché l'aveva finito; salì in casa senza che Tom se ne accorgesse, poiché era in pasticceria e stava lavorando, mentre lei aveva usato l'altra entrata, salendo le scale per fiondarsi sotto la doccia e lavarsi il sangue che le macchiava la pelle.

 

 Non aveva mai curato una persona in quello stato fuori dall'ospedale ed aveva fatto il meglio che poteva.

 

Ora bisognava soltanto aspettare e sperare che non incappasse in qualche infezione, sennò avrebbe dovuto portarlo all'ospedale e sarebbe stata in guai seri con lui e, soprattutto, sua figlia.

 

Effettivamente, dopo averci pensato un po', aver soccorso la Belva Nera e non avvertire la polizia per catturarlo e mettere fine al terrore nelle città le era parsa un'azione piuttosto stupida è dettata da una ragazzina spaventata; ma quella ragazzina spaventata era sua figlia e si fidava di lei quando le diceva che, in realtà, Chat Noir non era affatto cattivo.

 

Marinette le aveva raccontato di come si erano incontrati per la prima volta e dei loro incontri, sapendo che le raccontava il vero.

 

Non aveva pensato di riprenderla per non averle detto tutto subito, poiché era più sicura che non avrebbe capito e avrebbe sbarrato le finestre della sua stanza per non metterla più in pericolo.

 

L'incidente di qualche settimana prima l'aveva sconvolta, vero, ed era arrivata a pensare che nemmeno di giorno si poteva stare tranquilli, ma quando Marinette le spiegò la situazione, in un primo momento, strabuzzò gli occhi incredula e poi capì: infondo erano due ragazzi che stavano lottando per il cuore di una ragazza, chi più direttamente e chi voleva sbarazzarsi del rivale, anche se aveva perso il controllo.

 

La donna salì le scale con la borsa del primo soccorso in mano, guardandosi intorno e scorgendo come prima cosa un enorme quadro strappato.

 

Poteva solo immaginare chi era raffigurato, e sapeva già chi era stato a distruggerlo.

 

Camminò fino alla stanza in cui aveva lasciato i due ragazzi, aprendo piano la porta; li vide parlare tra loro –Marinette gli stava spiegando cosa gli era accaduto– e quando gli occhi verdi di Chat incontrarono la sua figura, lo vide alzarsi di scatto e iniziare a soffiare minaccioso, tirando indietro le orecchie e restando davanti a Marinette come a volerla proteggere.

 

La ragazza si alzò subito dopo, poggiando la mano sulla spalla sana. «Chat, lei è Sabine, mia mamma. È colei che ti ha medicato.» spiegò brevemente, notando l'amico smettere di ringhiare, ma non rilassandosi totalmente.

Sabine mosse un paio di passi verso di loro, posando la borsa a terra e causando altri ringhi da parte del biondo. «Calmo, giuro non voglio farti del male. Devo visitarti.» sussurrò la dottoressa, avvicinandosi di un altro paio di passi e facendolo ringhiare ancora.

Marinette gli si mise davanti, guardandolo seria. «Chat, smettila. Ti ho detto che non devi preoccuparti. Se non fosse stato per lei ora saresti morto, quindi, per favore, fatti visitare.»

 

Il felino guardò l'amica negli occhi e poi la donna a pochi metri di distanza da loro, per poi restare per altri secondi a scambiare sguardi tra le due corvine, poi annuì e si sedette sul materasso, lontano dall'enorme chiazza di sangue, che faticava a credere essere tutto suo.

 

Marinette si sedette accanto a lui, sulla sinistra, facendo un cenno alla madre che si avvicinò e si sistemò sul lato destro, estraendo dalla borsa, che aveva recuperato poco prima, nuovi bendaggi e disinfettante.

 

Sabine avvicinò le mani al tutore improvvisato da vari bendaggi, facendolo ringhiare un'altra volta; lo guardò negli occhi, notando quanto fosse terrorizzato e preoccupato.

 

Poteva capire come mai si sentiva così: mesi passati a scappare in seguito a dei suoi attacchi dati dalla perdita di controllo.

 

Non sapeva come funzionava l'anello e non sapeva come ci si sentiva a portarlo, ma rimanere isolato per così tanto tempo dai contatti umani le faceva capire il motivo per cui era turbato quando un estraneo gli si avvicinava.

 

Eppure Marinette era l'unica persona che riusciva a calmarlo.

 

Sabine fece un cenno alla figlia, che, dopo aver annuito, prese la mano sinistra del ragazzo e gli sussurrò parole confortanti.

 

Chat non staccò gli occhi dalla donna, ma smise di ringhiare e le sue pupille si allargarono leggermente, ma le sue orecchie rimasero appiattite al cranio, segno che era sempre sull'attenti e che era pronto ad attaccare.

 

Sabine, con estrema cautela, srotolò le bende sul torso, finché non vide le bende che aveva sistemato per non far staccare i punti; levò anche quelle con estrema delicatezza, controllando i sette fili che tenevano chiusa la ferita.

 

Chat osservò la donna e solo in quel momento poté notare l'estrema somiglianza con Marinette: sebbene avesse qualche ruga in più e gli occhi grigi, trasmetteva la stessa sicurezza e la stessa gentilezza della figlia, ed aveva anche lei il vizio di tirare fuori la lingua quando era impegnata in qualche lavoro.

 

Chat si sentì rilassare tutto di un colpo, capendo che di Sabine si poteva fidare quanto come si fidava di Marinette.

 

«Fatto. La ferita è pulita e non sembra che ci sia l'inizio di nessuna infezione. Esattamente come speravo. E l'osso è intatto, credo si sia soltanto scalfito leggermente quando la pallottola è entrata... o sono stata io quando l'ho estratta, perdonami.» disse dispiaciuta, togliendosi i guanti dopo aver applicato il bendaggio.

 

Chat voleva dirle che non importava, che non era stata colpa sua e che aveva fatto un ottimo lavoro malgrado non predisponesse degli strumenti appositi per curarlo come se fosse in ospedale, ma non riusciva a muovere il braccio senza che un dolore pungente gli paralizzasse i movimenti.

 

«Non potrai muovere il braccio per minimo una settimana. Però dovrò ricontrollartelo ogni due giorni, voglio essere sicura che vada tutto bene.» esclamò, sistemando una puntina metallica per impedire al bendaggio di sciogliersi. «È impressionante come tu sia già sveglio la mattina. Persone che hanno subito un trauma come il tuo restano addormentate per un po'. Anche se, effettivamente, non hai avuto l'anestesia, ma pensavo che ti riprendessi più lentamente per questo.»

 

Merito della maledizione, voleva dirle lui, ma non poté farlo.

 

«Immagino però tu abbia sete. Ho portato una bottiglia d'acqua per deidratarti un po'.» disse porgendogliela già aperta.

 

Il felino la prese con la sinistra e si portò alle labbra la bottiglia, prendendo dei grandi sordi e deglutendo velocemente.

 

«Vacci piano o ti strozzi.» ridacchiò Marinette, poggiando la mano sul bicipite teso dell'amico, notando dei rivoli di liquido colare dagli angoli della bocca lungo il mento, gocciolando sul materasso.

 

Finì di bere in meno di tre minuti, lasciando la bottiglia praticamente vuota.

 

Espirò rumorosamente, poggiando il contenitore a lato e respirando soddisfatto.

 

Sabine ridacchiò, posando al lato del materasso alter due bottiglie. «Te ne ho portate altre due in caso avessi ancora sete. E siccome so che non mi ascolterai e non terrai fermo il braccio, ho portato un tutore.»

 

Chat vide quello strano afferra blu e strabuzzò gli occhi, ma annuì ugualmente.

 

Marinette gli mise la mano nei capelli per scompigliarli, ma erano tutti incrostati dal sangue che aveva perso la sera precedente e anche il materasso era inutilizzabile per dormire.

 

«Mamma, Chat dovrebbe farsi una doccia e cambiare –letteralmente parlando– il letto. Come possiamo fare?» chiese la ragazza, notando i grumi rossi tra le dita.

«Dovrà venire da noi, siccome penso  ne l'acqua qui non funzioni.»

 

In effetti aveva smesso di funzionare un paio di sere prima.

 

Chat indicò il materasso ed indicò con il dito la parete, come a comunicare che c'era un'altra stanza.

 

«La stanza degli ospiti! Possiamo prendere da lì il materasso!» esclamò Marinette, pensando di aver capito.

 

Il ragazzo annuì e alzò il pollice.

 

Sabine li guardò stupefatta: era incredibile come quei due si capissero a vicenda, ma ora doveva finire di occuparsi del suo paziente.

 

Si alzò e recuperò la borsa. «Vado a casa a prendere la macchina. Dovete stare attendi ad uscire senza farvi vedere. Vi aspetto qui fuori tra un quarto d'ora.»

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ehilà :D

 

Scusate il ritardo e gli errori di battitura, ma spero che vi sia piaciuto allo stesso ^^

 

A venerdì prossimo :D

 

Francy_Kid

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Capitolo 31
*** Cap. 30 ***


Cap. 30







 

Chat Noir scese dalla macchina con la coperta che gli copriva la testa e che arrivava alle caviglie.

 

Per fortuna era un plaid molto grande e ed il sangue era ormai secco, così non si sarebbe sporcato.

 

Salì le scale, stando dietro a Sabine mentre Marinette controllava che suo padre stesse ancora lavorando in forneria e, se così si poteva chiamare, per loro fortuna era uno di quei giorni di piena e Tom era parecchio occupato.

 

Voleva andarlo ad aiutare, ma doveva occuparsi del suo amico; e se suo padre li avrebbe scoperto sarebbero stati guai.

 

I tre varcarono la porta di ingresso e chiusero la porta a chiave, levando la coperta dal capo del biondo, che lo scosse per istinto, e la sistemò sul divano per; in caso, usarla più tardi.

 

«Vado a prendere dei vestiti per Chat.» disse la madre, ma Marinette la bloccò subito.

«La tuta non può togliersi del tutto. Lui stesso ha tentato più volte, ma può arrivare solo fino ad un certo punto.» spiegò, facendo annuire il ragazzo.

La donna rimase sorpresa da quella cosa, ma non poté fari ci nulla. «Va bene. Allora, intanto io preparo il necessario per un bagno. Tu resta qui a controllare che tuo padre non salga.»

«È bloccato da un sacco di clienti –e un po' mi dispiace– ed io voglio aiutarti.» tenta di convincerla, ma fu la volta di sabine bloccare la figlia a dire altro.

«Dobbiamo essere prudenti. E poi, è meglio lavare sin dove il costume arriva, se sai a cosa mi riferisco.»

 

Entrambi i ragazzi arrossirono e Marinette iniziò a balbettare frasi senza senso.

 

La donna andò verso il bagno. «Se tu vuoi assistere a tutta la scena, allora entra pure, ma sei comunque mia figlia e fai ciò che ti dico, quindi controlla che non arrivi tuo padre.» esclamò, per poi fare cenno a Chat di seguirla. «Tranquilla, sono abituata con i miei pazienti e non ci metterò tanto.» aggiunse, per poi chiudere la porta dopo che il ragazzo fu entrato, ancora rosso come un pomodoro.

 

L'adolescente si sedette su una sedia in cucina, dopo aver recuperato un bicchiere di spremuta di arancia.

 

A pensarci bene, era meglio se restasse fuori, pensò mentre si sedeva, non volendo immaginare cosa sarebbe accaduto se anche lei fosse entrata.

 

Già. Era meglio stare fuori.

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

Passò mezz'ora buona quando Sabine e Chat uscirono dal bagno, il ragazzo visibilmente più rilassato dopo essersi lavato: i suoi capelli non erano più incrostati dal sangue, ma erano tornati puliti e ribelli, essendosi rifiutato di pettinarsi, profumava di pulito; ma dato che la tuta non poteva togliersi del tutto, Sabine gliela pulì dal sangue secco con un panno intriso di acqua e sapone, pulendo al meglio che poteva e levando altro sangue da essa, poi aiutò il biondo ad infilarsela, scoprendo che fungeva da seconda pelle e che non 

 

Il felino si avvicinò a Marinette, non accortasi della sua presenza poiché stava guardando una puntata di in anime al cellulare, poggiando la fronte contro la spalla e iniziando a fare le fusa.

 

La corvina mise in pausa la puntata, sorridendo. «Eccoti qua. Stai meglio ora?» chiese curiosa, facendolo annuire.

«Io do una sistemata al bagno. Tu e Chat andate di sopra, dato che Tom dovrebbe salire per la pausa pranzo.» esclamò la donna con un asciugamano bianco, leggermente sporco di rosso, in mano.

 

La ragazza annuisce e porta con sé qualcosa da mangiare per Chat, facendolo accomodare sulla chaise longue mentre recuperava la coperta che aveva portato con sé per coprirsi, accorgendosi solo in quel momento che era quella che aveva sistemato e modificato per lui.

 

Sorrise e la prende con sé, chiudendo poi la botola a chiave.

 

«Ti ho preparato qualche sandwich, dato che avevo pensato fossi affam—» si interruppe di colpo, quando vide Chat con la bocca piena mentre la guardava immobile come una statua, come colto a fare qualcosa che non doveva.

 

La ragazza rise, sedendosi accanto a lui è facendogli cenno che poteva continuare a mangiare, poiché li aveva fatti apposta per lui.

 

Il silenzio –tranne che per le lievi fusa di Chat– riempiva la stanza e la corvina rimase seduta a terra mentre guardava la spalla dell'amico con un nodo alla gola: era colpa sua se si era ferito, avrebbe dovuto restare con lui ancora per un po'.

 

Il felino, dopo aver finito di mangiare, seguì lo sguardo della ragazza e, abbassando le orecchie, si sedette di fronte a lei, prendendole la mano e riportandola alla realtà, notando che aveva gli occhi lucidi.

 

Marinette si asciugò le piccole lacrime con il dorso delle mani, tirando su con il naso. «Mi dispiace.» disse quasi sussurrando, facendo rattristire anche l'amico.

 

Chat voleva comunicare con lei, ma il suo quaderno era rimasto nella sua stanza e non sapeva come dirle che non era colpa sua, che lei non centrava nulla, che aveva fatto tutto lui e che era sollevato che l'incubo che aveva fatto non era reale.

 

Mugugnò e si sistemò accanto a lei, cingendole la vita con la mano sinistra e poggiandosi con la testa sulla sua spalla, mentre lei giocava nervosa con un lembo della sua maglietta.

 

Rimasero in silenzio per svariati minuti, godendo l'uno della compagnia dell'altro.

 

Lei sapeva ciò che voleva dire: che non era colpa sua, che non c'entrava.

 

Le solite frasi fatte, insomma, ma quel groppo alla gola e quel peso sullo stomaco non accennavano a sparire.

 

 

 

 

 

 

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Vi dico solo una cosa: capitolo corto che precede l'inizio dei guai, ho detto tutto 🌚

 

Detto ciò, a venerdì :3

 

Francy_Kid

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Capitolo 32
*** Cap. 31 ***


Cap. 31






 

Malgrado fosse costretto a restare in casa, una settimana passò abbastanza velocemente per Chat.

 

Su sette giorni esatti Sabine andò a trovarlo e controllare la sua ferita per tre volte, visibilmente sorpresa dei miglioramenti e della velocità della guarigione in quel piccolo arco di tempo: solitamente, con una ferita del genere, in casi meno gravi, la guarigione era prevista per minimo un mese, se non di più; eppure la spalla di Chat era quasi totalmente sgonfia e la ferita stava iniziando a cicatrizzarsi.

 

La donna si tolse i guanti di lattice, che era solita indossare quando visitava un paziente, gettandoli nel bidone della spazzatura. «Sono piacevolmente stupita: la ferita sta guarendo bene e tra poco potrò levarti i punti; mentre la spalla sembra essere a posto, ma tieni il tutore ancora per un po'. So che non era rotta, ma vorrei evitare che ti si riapra la ferita o che i muscoli ed i tendini vengano sovraccaricati di lavoro. Tra due giorni ti leverò i punti e darò un'ultima controllata alla spalla e deciderò se potrai tornare a muovere il braccio, ma poco alla volta. Come ti ho già detto non voglio che sovraccarichi l'articolazione. Siamo intesi?» domandò la donna, applicando sulla zona dei punti un semplice cerotto, aiutandolo a sistemarsi la tuta ed a rimettergli il tutore, facendolo annuire.

 

Il felino si portò la mano sinistra all'altezza delle labbra, per poi portarla in avanti e con il palmo rivolto verso l'alto, nel segno del ringraziamento.

 

«Non ti preoccupare, lo faccio volentieri. Ti considero uno di famiglia ormai, anche se è meglio che mio marito non ti veda.» ridacchiò con una nota di nervosismo, chiudendo la borsa del primo soccorso e guardando la figlia mentre, sdraiata a pancia in giù sul materasso pulito, chattava al cellulare con qualcuno. «Mari, io torno a casa. Non fare tardi stasera.» si raccomandò la donna, facendole alzare lo sguardo e facendola annuire.

 

La donna salutò i due ragazzi, lasciandoli da soli nella stanza.

 

Chat si sistemò accanto all'amica, aiutandosi con il sinistro a sistemarsi il meglio che poteva, stando attento a non fare movimenti bruschi poiché i punti potevano strapparsi; e aveva già rischiato quando, preso da un altro incubo, aveva tentato di colpire qualcuno, sfiorando con gli artigli Sabine, che era rimasta con la figlia a seguito di una visita.

 

Per fortuna non era successo nulla, ma era l'ultima volta che gli fu permesso di dormire senza tutore e far rilassare così i muscoli intorpiditi del braccio.

 

Al suo risveglio, però, si ricordava solo il volto preoccupato della donna, il dolore lancinante all'articolazione, che andava dalla spalla fino alle punta delle dita, e un senso di collera.

 

Non ricordava cos'aveva sognato, ma era da allora che aveva una brutta sensazione.

 

Chat osservò Marinette mentre ridacchiava ad un messaggio della sua migliore amica, per poi digitare con le dita che si muovevano velocemente.

 

Si chiese se pensava prima di scrivere o se le parole le uscissero dalle dita quasi per magia: scriveva tanto veloce quanto parlava.

 

Invece lui, dato che non poteva parlare, ed ora nemmeno scrivere sul quaderno con la mano destra, era lentissimo.

 

Marinette offriva il suo cellulare ogni volta che doveva dirle qualcosa, aprendo le note e digitando lì; per fortuna i guanti permettevano al touch di funzionare, il problema erano gli artigli, leggermente troppo lunghi per scrivere correttamente, facendogli sbagliare un po' di parole e finendo per graffiare il vetro protettivo del cellulare.

 

Marinette, però, gli diceva che non c'era nessun problema, che quei graffi le ricordavano lui e che il vetro del cellulare era ancora intatto.

 

Tutte scuse, a suo pare, perché se avesse cambiato la protezione una volta avrebbe dovuto farlo per tutte le altre volte che lui usava il suo telefono.

 

I suoi occhi tornarono su quelli azzurri dell'amica quando finì di digitare e, con le note aperte, gli porse il cellulare, sorridendo.

 

«Scusa, ma Nino voleva sapere i compiti che avevano dato a scuola perché oggi non c'era e Alya lo prendeva in giro.» disse con una nota di imbarazzo. «Mi dispiace averti fatto aspettare.»

 

Chat scosse la testa facendole segno di non scusarsi, poi scrisse sulle note: "Stavo guardando quanto veloce digitavi e ne sono rimasto colpito"

 

Le mostrò, ovviamente con un paio di errori di battitura.

 

«Diciamo che uso parecchio le tastiere.» si giustificò, ridacchiando. «Tu hai un cellulare, giusto? Dov'è?»

 

"Effettivamente ce l'avevo. Ma sai com'è: i due membri della famiglia Agreste spariscono e tutto quello che la polizia trova tra cellulari, portatili, computer e diari è utile al caso" scrisse in quasi due minuti.

 

Se potesse parlare le loro conversazioni sarebbero state meno noiose.

 

E con noiose era riferito alle pause inutili tra la frase di Marinette e la risposta di Chat, che rovinavano l'atmosfera che si creava in determinati momenti.

 

"Scusa se ci metto molto a scrivere, ma con la sinistra faccio fatica..." aggiunse, facendo scuotere la testa alla ragazza quando lesse.

 

«Tranquillo. L'importante è che tu riesca a comunicare in qualche modo. Ma tieni duro, magari da domani puoi già togliere il tutore e riprendere a scrivere. Senza contare gli esercizi di fisioterapia.» aggiunse. «Piano piano potrai tornare a saltare tra i tetti.»

 

"Non vedo l'ora di poterlo fare. Sono stufo di restare rinchiuso in casa... In una settimana ho dovuto scacciare tre gruppi di sbandati che cercavano di entrare. Solo che spaventarli senza un braccio non ha fatto molto effetto..."

 

Marinette iniziò a grattagli dietro l'orecchio sinistro. «Poverino, il mio gattino vuole spaventare chi entra in casa sua.» esclamò, facendogli fare le fusa e facendolo annuire. «Povero Chaton.» ridacchiò quando lo vide spostare la testa in diverse angolazioni per essere grattato nei suoi punti preferiti.

 

Marinette, ormai, aveva imparato alcuni segreti per farlo tranquillizzare e, a volte, addormentare; era già capitato che, certe volte, fosse nervoso perché un ragazzo –magari Testa di pomodoro, come lo chiamava lui– le si fosse avvicinato troppo e lo avesse trovato con il broncio e che brontolava, così aveva ideato un paio di "calmanti": il cibo, soprattutto i croissant ed i biscotti di suo padre, e le grattatine dietro le orecchie, sia quelle da gatto che quelle da umano –ed il fatto che avesse in tutto quattro orecchie la meravigliava– e sotto il mento, che scatenavano in lui le fusa ed un senso di relax, facendolo subito calmare.

 

"Eh certo che voglio che se ne vadano! È casa mia! >:(

 

La ragazza rise bel leggere quelle parole, soprattutto per la faccina alla fine, dato che anche lui aveva assunto la stessa espressione.

 

Chat sistemò il cellulare sul materasso, godendosi le attenzioni dell'amica.

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

Marinette uscì da scuola, salutando le sue compagne mentre si dirigevano verso casa o salivano in macchina, per poi sparire nel traffico parigino.

 

La ragazza stava per dirigersi verso casa per riporre la cartella e andare in biblioteca da Fu; appena si voltò si trovò la strada bloccata da Alya, che la guardava seria.

 

«Dove vai tutti i pomeriggi?» chiese di punto in bianco, lasciando la corvina spiazzata.

«Io... Vado in biblioteca.» disse, effettivamente senza mentire.

«Tutti i giorni? Davvero?»

«Non tutti i giorni. Altre volte vado in giro per i cavoli miei. Perché me lo chiedi?»

 

Era strano che Alya le facesse quel tipo di domande, ma significava che aveva scoperto qualcosa.

 

E se l'avesse seguita? E se avesse scoperto che entrava a villa Agreste?

 

No, Alya non l'avrebbe mai seguita.

 

«È da un po' che non usciamo insieme. Andiamo a fare un giretto?»

La ragazza si grattò la nuca. «Mi piacerebbe Alya, ma oggi devo fare da baby sitter.» prese come scusa.

«Se vuoi ti do una mano. Manon mi sta simpatica.»

«Mi dispiace, ma non è Manon e sono io che devo andare a casa sua... Magari domani.» rispose.

 

Era diventata sin troppo brava a mentire, ma se doveva proteggere un amico era disposta a mentire a tutti pur di farlo.

 

Alya annui. «Certo, volentieri.»

 

Le due si salutarono e la mora rimase a guardarla finché non entrò nel negozio dei suoi.

 

Doveva scoprire che aveva in mente.

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Capitolo 33
*** Cap. 32 ***


Cap. 32





 

N.d.A.

¡ATTENZIONE!

Nella prima perte del capitolo sono presenti scene con contenuti sensibili. Andate oltre se vi dà fastidio. Grazie ^^

 

—•—•—

 

 

 

Sabine tagliò l'ultimo punto, stando attenta a non riaprire la pelle cicatrizzata, per poi rimuovere i fili con le pinzette, riponendoli sulla garza che aveva utilizzato come cerotto, per poi riporre gli strumenti al loro posto e levarsi i guanti di lattice.

 

«Ecco fatto. La ferita è completamente guarita, anche se resterà la cicatrice.» disse, effettivamente non molto preoccupata per quella cicatrice, ma per ben altre.

 

Quando l'aveva portato a casa per lavarlo, a seguito dello sparo, la prima cosa che le saltarono all'occhio furono, oltre che le unghie estremamente lunghe ed affilate, le cicatrici bianche sulle braccia.

 

Fece caso a come evitava il suo sguardo mentre gli puliva le braccia dal sangue e dallo sporco, mentre il panno bagnato passava sopra le cicatrici che segnavano vari punti sulla pelle leggerete abbronzata, rendendole lucide; non sapeva i motivi che l'avevano spinto fino a quel punto e non fece alcuna domanda a riguardo, ma poteva immaginare il perché se le era procurate: vivere in quelle condizioni era una tortura e non riusciva ad immaginare come avrebbe reagito lei se fosse stata al suo posto.

 

Non erano numerose come quelle dei pazienti in ospedale, ma si sentiva male per lui esattamente come per ogni persona che aveva visto; ma lui non era come gli pazienti, era un ragazzo dell'età di sua figlia che era considerato da tutti un mostro, la famiglia completamente distrutta ed imprigionato da una sorta di maledizione.

 

Eppure Marinette sembrava essere l'unica sua medicina, l'unico appiglio che gli impediva di compiere qualsiasi gesto irreversibile.

 

Era meravigliata dal loro legame e da quanto una persona era talmente importante per l'altra da far cambiare totalmente idea sulla propria vita.

 

Quei due ragazzi erano legati tra loro da un forte attaccamento per l'altro che non credeva potesse crearsi.

 

Vederli capirsi in quel modo l'aveva lasciata piacevolmente sorpresa.

 

Se quello che pensava fosse divenuto realtà, forse, Marinette sarebbe stata davvero la salvezza di Chat Noir.

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

Alya la guardò uscire di casa silenziosamente, senza farsi vedere.

 

Erano le undici e quarantasette quando Marinette uscì da casa sua, esattamente quattro minuti dopo essere tornata a casa dalla loro serata.

 

Durante la loro uscita, Marinette era parecchio nervosa e controllava spesso il cellulare, come ad aspettarsi un messaggio o anche solo per controllare l'ora.

 

Sembrava che volesse andare da qualche parte.

 

Così decise di chiarire i suoi dubbi; seguì l'amica da debita distanza, in modo tale di non perderla se avesse girato in qualche angolo e non troppo vicina per essere vista o sentita.

 

Seguì ogni suo spostamento fino a Villa Agreste, dove perdeva le sue tracce, per poi vederla entrare, questa volta, dal cancello scardinato, superando il nastro della polizia e dirigendosi verso le enormi porte –anche quelle scardinate–, per poi sparire all'interno dell'abitazione.

 

Alya attese qualche secondo prima di entrare nella villa, guardandosi attorno in cerca della corvina, ma sembrava essere sparita nel buio della casa.

 

Camminò nell'atrio, aiutandosi con la torcia del cellulare e restando a bocca aperta nel vedere quanto solo l'entrata fosse enorme.

 

Rimase nell'atrio, leggermente impaurita dall'atmosfera macabra che traspirava dalle mura; il vento serale soffiava dalle porte rotte, producendo fischi che sembravano urla di fantasmi, facendola rabbrividire.

 

Sapeva chi abitava quella villa, ma non si spiegava il perché la sua amica entrasse nella tana della bestia.

 

Alya si fece coraggio e si diresse verso le scale, ma un lieve ringhio servì per fermarla di colpo, facendole puntare la torcia in verso la cima, rivelandole la figura semi accucciata di Chat Noir, che la fissava con sguardo minaccioso e gli occhi verdi ridotti a due fessure.

 

La Belva Nera si mosse leggermente in avanti e Alya fece un passo indietro, meravigliata del fatto che non fosse pietrificata dalla paura; poi, i suoi pensieri scattarono sull'attenti quando vide Chat balzare verso di lei e atterrare a pochi centimetri dalla sua posizione, torreggiando di almeno una spanna di altezza.

 

Alya urlò dal terrore, sovrastando il ringhio del felino, per poi voltarsi e mettersi a correre, uscendo dalla villa.

 

Il biondo la guardò sparire, per poi girare la testa verso la sua stanza, dove Marinette aveva fatto capolino per controllare cosa stesse succedendo.

 

Lui le aveva detto di restare dentro, ma, come ben sapeva, non l'aveva ascoltato ed ora l'aveva visto spaventare la sua migliore amica.

 

Chat tornò verso la stanza, facendosi prestare il cellulare e scrivere sulle note –per fortuna non indossava il tutore– ciò che voleva dirle.

 

"Devi andartene. Chiamerà sicuramente la polizia"

 

lesse Marinette, per poi guardarlo negli occhi: era estremamente serio e, se non lo sapesse, leggermente arrabbiato è preoccupato.

 

«Come?! No! Alya non lo farebbe mai.»

 

"Mi avevi anche detto che non ti avrebbe seguita nessuno, e invece ecco che spunta la tua migliore amica. Esci dalla villa prima che anche tu ti metta in pericolo"

 

«No. Non me ne vado da qua.» esclamò secca, guardandolo con aria di sfida.

 

Chat abbassò le orecchie ed emise un leggero ringhio, quasi come se volesse pronunciare il suo nome. 

 

«Non me ne vado perché non voglio lasciarti da solo. Voglio aiutarti.» disse facendo un passo verso di lui.

 

Chat strinse leggermente la presa attorno al cellulare, sicuro che il loro tempo era quasi scaduto.

 

"Ascolta. Non c'è nulla che tu puoi fare. La polizia passerà anche da casa tua e se non ti troverà là allora finiranno nei guai i tuoi genitori. Io mi nasconderò ed eviterò di farmi male, ma sono più preoccupato per te e la tua famiglia. Torna a casa prima che sia troppo tardi" scrisse il più velocemente possibile, ma quando Marinette stava per rispondere il suono delle sirene della polizia riempiva l'aria, facendo muovere le orecchie da felino del ragazzo.

 

Chat mugugnò un'imprecazione, prendendo Marinette in stile sposa e correndo verso là finestra, ora con il buco leggermente più grande, e saltando sul tetto, appena in tempo per vedere quattro macchine della polizia fermarsi davanti al cancello e due uomini per ognuna entrare nel cancello, per poi fermarsi davanti al portone protetti dallo scudo.

 

«Belva Nera! Sappiamo che sei lì dentro! Lascia andare l'ostaggio e ce ne andremo, o saremmo costretti ad entrare ed aprire il fuoco!»

 

Chat, ringhiò, per poi girarsi verso il tetto più vicino –cioè dall'altra parte della strada– calcolando la rincorsa.

 

Marinette lo guardò senza parole.

 

Sapeva che Alya avrebbe chiamato la polizia e non la conosceva nemmeno ed ora era colpa sua se era in pericolo.

 

I suoi pensieri vennero interrotti dal salto del ragazzo, che atterrò agilmente sul tetto, per poi riprendere la corsa subito dopo verso la pasticceria.

 

Notò una macchia della polizia parcheggiata davanti e le luci dell'appartamento accese.

 

La ragazza, dopo aver messo i piedi sul pavimento dell'attico, si fiondò in camera, infilandosi il pigiama e correndo in cima al letto, sbirciando dalla botola se Chat fosse ancora lì fuori, ma era già sparito.

 

Sospirò amareggiata, non avendo trovato il tempo di chiedergli scusa, quando il bussare alla botola che conduceva verso il salotto attirò la sua attenzione.

 

«Mari, sei lì?» la voce di Tom la fece scattare sull'attenti; disfò leggermente le coperte e poi scese dal letto.

«Sì! Certo!» rispose cercando di essere più tranquilla possibile.

La botola si aprì illuminando la stanza e Tom sbucò con il torso. «Signor Raincomprix, gliel'avevo detto che era qui.» disse l'uomo, guardando verso il basso.

«Impossibile! Io l'ho vista entrare nella villa! Lo giuro!» esclamò la voce incredula di Alya, facendo gelare il sangue nelle vene della ragazza.

«Eppure è qui in camera.» rispose il signor Dupain, facendo cenno alla figlia di scendere in salotto.

 

Marinette deglutì rumorosamente e, cercando di essere più tranquilla possibile, scese le scale, trovandosi faccia a faccia con il padre di Sabrina, la sua migliore amica ed i suoi genitori.

 

Fantastico, pensò lei, sono nei guai.

 

«Vi dico che l'ho vista! È uscita di casa e poi l'ho seguita fino a Villa Agreste, dove sono stata attaccata dalla Belva Nera!» esclamò Alya gesticolando, visibilmente scioccata da tutto quello a cui aveva assistito.

 

Marinette serrò i pugni dietro la schiena, costretta a mentire per salvare se stessa, sua madre –poiché anche lei lo sapeva– e Adrien.

 

Il commissario sospirò. «E come avrebbe fatto a "riapparire magicamente" nella sua stanza?» chiese facendo il segno delle virgolette. «L'ha portata qui la Belva Nera?» rise alla sua battuta, suscitando nella corvina una risata nervosa.

«Agente, le assicuro che mia figlia non è uscita di casa, dato che è salita in camera dopo essere stata con me. Magari Alya avrà visto la vicina del piano di sotto uscire.» teorizzò Sabine, cercando una scusa.

«No! Sono sicurissima che era Marinette!» esclamò nuovamente Alya, sentendosi presa in giro.

L'agente si sistemò il cappello in testa. «Ascoltami ragazzina, è evidente che ti stai sbagliando. Non abbiamo nessuna prova che la tua amica sia entrata nella tana della Belva Nera -anche perché non trovo alcuna ragione per cui una persona sana di mente possa farlo- e a meno che non sia una strega, è uscita dalla sua stanza. Non posso stare qui a perdere tempo, ho del lavoro da sbrigare.» disse in tono seccato Raincomprix, per poi prendere la sua radio portatile con cui comunicava con i suoi colleghi.

«A Villa Agreste tutto pulito, signore. Nessuna traccia della ragazza né della Belva Nera. Sembra che qualcuno sia entrato di recente, ma ora il luogo è vuoto.» borbottò l'uomo dall'altro lato, con voce disturbata dal segnale debole.

«La ragazza è qui. Non è mai uscita di casa. E non preoccuparti degli oggetti all'interno della casa, saranno i resti di qualche senza tetto che cercava riparo. Rientrate per la stesura del verbale.» concluse, sistemando l'apparecchio nuovamente in tasca. «Io vado. Se c'è un'urgenza seria chiamate.» sottolineò la parola "seria" e, dopo aver augurato la buona notte uscì di casa, chiudendo la porta alle sue spalle.

 

Alya si voltò verso l'amica, guardandola incredula e leggermente arrabbiata.

 

«Alya, perché mi hai spiato?» chiese Marinette alla fine.

«Perché so che tu stai tramando qualcosa e so che tu sei uscita questa sera, anche se non so come tu abbia fatto a finire in camera tua in meno di dieci minuti.»

 

Le sue amiche di scambiarono occhiate accusatorie, una perché si sentiva tradita poiché l'aveva seguita e l'altra perché non le aveva detto la verità.

 

Sabine so mise tra di loro, poggiando la mano sulla spalla di Alya. «Ragazze, che ne dite di andare a dormire? È stata una serata strana e lunga per tutti.»

«Esatto. Domani si chiarirà tutto, va bene?» esclamò Tom.

«Vieni, ti riaccompagno a casa.» aggiunse la donna, infilandosi la giacca e accompagnando Alya alla porta.

 

Marinette non smise di guardare l'amica negli occhi, contrastando il suo sguardo fino a quando la porta non si chiuse, lasciando la corvina a fissare il vuoto con il senso di colpa che premeva sulla bocca dello stomaco.

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

Marinette era sdraiata sull'erba materasso, fissando il vuoto da quando era rientrata in camera.

 

Non sapeva cosa fare, né con Alya né con Chat: la sua migliore amica non si fidava di lei –e come biasimarla, dato che le aveva mentito per settimane– e non sapeva se poteva andare a trovare Adrien o Fu senza che qualcuno la seguisse.

 

Afferrò il cuscino e lo fece cadere sul viso, sospirando esasperata, quando sento qualcuno salire sul letto e chiamarla dolcemente.

 

Spostò il guanciale, guardando la madre imbronciata.

 

«Ed ora che faccio?» domandò la ragazza, mettendosi a sedere.

Sabine di sistemò accanto a lei. «Beh, non puoi dire la verità ad Alya, però dopo questa sera, la prudenza non è mai troppa.» commentò la donna annuendo.

Marinette incrociò le braccia al petto e scivolò leggermente sul materasso. «Le tue frasi da biscotto della fortuna non aiutano...» mugugnò. «Sono stata sempre attenta. Non pensavo nemmeno di aver piantato in Alya il seme del dubbio sulle mie azioni. E non credevo che lei mi spiasse...»

 

La donna sorride tristemente, sistemando la testa della figlia sulla propria spalla e prendendole la mano, accarezzandogliela.

 

«Ora non so quando potrò andare di nuovo a trovare Chat, soprattutto ora che sta guarendo.»

«Immagino che ti abbia portato lui qui. Gli avevo detto di non sforzare il braccio, è proprio come te: non ascolta.» ridacchiò, cercando di sdrammatizzare, ma non funzionò. «Ora come ora nemmeno io so se potrai tornare a Villa Agreste e nemmeno se Chat può venire qui, perché tuo padre vorrebbe installare un sistema di sicurezza –anche se io glielo impedisco–. Secondo me dovresti aspettare minimo una settimana.» concluse dopo svariati secondi di silenzio.

La ragazza si mise a sedere di scatto e guardò la madre. «Una settimana?! Mamma, non posso! Non...»

«Non so cosa potrebbe accadere, ma è meglio per te e per lui. Stasera sono entrati nella villa e, per fortuna, Chat non c'era, ma pensa a cosa dovesse accadere se vi trovassero entrambi. Non solo Chat rischierebbe grosso, ma anche te. Io non voglio che a nessuno dei due accada qualcosa, quindi è meglio aspettare che le acque si calmino, ok?»

L'adolescente annuì. «Però devo dirglielo in qualche modo. Potresti farlo tu, si fida di te.»

«Non possiamo, dobbiamo essere caute entrambe. Vedrai che Chat capirà.» annuì, strofinandole  la mano per confortarla.

 

Marinette sospirò sconfitta, tornando ad appoggiarsi alla madre.

 

Altri giorni lontana da Chat. Di nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Hello! 

 

Avevo avvertito che avrei aggiornato oggi, ed eccomi qui ^^

 

 

Alla prossima :D

Francy_Kid

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Capitolo 34
*** Cap. 33 ***


Cap. 33





Marinette masticò il tappo della penna blu, non facendo caso allo sguardo crucciato del signor Fu.

«Tutto bene, Marinette?» domandò lui, ma la ragazza non rispose, continuando a masticare il pezzo di plastica e guardare nel vuoto.

L'anziano si sporse leggermente sul tavolo, agitando la mano a pochi centimetri dal suo viso, ma neppure quello servì per attirare la sua attenzione; così afferrò il suo bastone e diede un leggero colpo sulla sua testa, risvegliandola dai suoi pensieri con un "Ahi!" di dolore.

«Cosa...»
«Era da dieci minuti che ti eri imbambolata. Ho iniziato a preoccuparmi.» rispose il cinese, riponendo l'arnese al suo fianco.
«Mi dispiace... In questo periodo non sono nella mia migliore forma...» disse grattandosi la nuca, poggiando la biro nell'astuccio aperto.
Fu annuì leggermente. «Vedo. C'entra per caso Chat Noir? Ho notato che i suoi attacchi sono ripresi da qualche giorno.» la buttò lì l'uomo, facendo annuire la giovane.
«In effetti sì. È successo un casino con la mia migliore amica e la polizia sta tenendo sotto controllo il luogo dove ci incontravamo... Non posso fare nulla per evitare tutto questo e mi sento inutile...» mormorò l'ultima parte, mordendomi il labbro.

Era passati ormai quattro giorni dall'ultima volta che Marinette e Chat si erano visti, lasciando un buco nella giornata della ragazza e risvegliando la bestia che si era addormentata da settimane: non passarono nemmeno ventiquattr'ore che la notizia degli attacchi della Belva Nera era già su tutti i notiziari, con sette persone in ospedale, tra cui due gravi, aggredite in nei vicoli; mentre il giorno precedente, una zona della città ebbe un black out quando dei pali della corrente vennero distrutti.

Nell'udire quelle parole, Marinette si sentì in colpa, come se lei stessa fosse responsabile dell'accaduto ed inutili furono le parole di Sabine, che le diceva di aspettare per il suo bene.

Vedere la città che viveva nel terrore era straziante, ma ancora di più lo era il fatto di sapere che lei poteva, almeno in parte, placare l'ira di Chat Noir.

Le strade erano sgombere già appena il sole calava ed i turisti evitavano di fermarsi per troppo o, addirittura, di visitare la città.

La città delle luci era ormai morta, tutti gli abitanti richiusi nelle loro abitazioni per non essere attaccati; sembrava quasi una città fantasma.

Fu annuì. «Capisco... Vuoi sapere cosa successe all'ultimo Chat Noir? Quello prima dell'attuale.»

Marinette fece un cenno positivo, incuriosita.

«Cina, poco prima della metà del mille ottocento. Un ragazzo originario del Xizang, o come tutti lo conoscono il Tibet, allora non ancora autonomo, stava aiutando suo padre caricare il carro di orzo e altri prodotti da vendere al mercato, poiché era un periodo in cui la domanda da parte dei coloni europei costringeva gli abitanti a lavorare e produrre maggiori quantità dei prodotti locali. Arrivati in città e venduta la merce, un gruppo di coloni voleva approfittare di una ragazza. Così, per aiutarla, il padre del giovane corse in suo aiuto, tentando di soccorrerla, ma non aveva tenuto conto delle armi e rimase ucciso insieme alla ragazza. Impaurito e non sapendo che fare, il giovane scappò, andando a rifugiarsi in un vicolo, nascosto dietro a delle casse piene di rifiuti. Rimase in quel posto delle ore, finché gli occhi non furono secchi e finché il sole non tramontò, quando un luccichio a pochi metri più in là nel vicolo attirò la sua attenzione. Si avvicinò, trovando a terra un anello argentato e, sentendosi attratto da esso, se lo mise al dito, sentendosi girare la testa e perdere i sensi poco dopo.»

Marinette rimase ad ascoltare parola per parola, quasi ipnotizzata da quel racconto pieno di dolore e mistero.

Le sembrò che il signor Fu fosse parecchio preso dal discorso e osservò come la sua espressione ed il suo tono di voce cambiava man mano che il discorso proseguiva.

«Non seppe quanto tempo più tardi riprese conoscenza. Non seppe se erano passati minuti, ore o giorni, ma si risvegliò a casa sua, in strani abiti neri e con in bocca il sapore del sangue. Si alzò di scatto e uscì da casa, osservandosi in una pozzanghera solo per notare una maschera nera intorno agli occhi, di cui le pupille si erano allungate come quelle dei felini. Da quel giorno tutto cambiò per lui e per gli abitanti del villaggio in cui abitava, divenendo il mostro che terrorizzava i villeggianti e si nutriva del bestiame. Quella congiura durò per molti anni, finché, non si perse ogni traccia del mostro.»
La corvina rimase in silenzio per qualche secondo prima di parlare. «E cosa è successo a Chat Noir?»
Fu alzò le spalle. «C'è chi dice che sia morto e chi dice che è fuggito con la coda tra le gambe, ma in pochi sanno la verità.»
«E lei è uno di quei pochi.»
«Esatto.»
«E non me la dirà ora.» mormorò per nulla sorpresa.
«Esatto anche questo.»
«Ma non vale! Non può lasciarmi sulle spine in questo modo!» esclamò quasi seccata. «Voglio sapere che cosa è successo!»
«Una volta sentì dire: "A volte è necessario decidere tra una cosa a cui si è abituati e un'altra che ci piacerebbe conoscere".» disse saggiamente l'anziano, trattenendo un sorriso quando vide la giovane poggiare il mento sul tavolo.
«Ed ora anche lei mi parla come se fosse un biscotto della fortuna...»
Fu le sorrise dolcemente. «Saprai cosa è successo, durante la sua vita con la maledizione e anche ciò che è avvenuto in seguito. Devi solo essere paziente, perché contiene un segreto che potrebbe salvare la Belva Nera.»

 



 

—•—•—






Marinette camminava sovrappensiero, con le parole del signor Fu stampate in testa; se nella vita dell'ultimo Possessore della maledizione vi era nascosto il segreto per liberare Chat Noir allora voleva saperlo a tutti i costi.

E fu proprio in quel momento che la sua coscienza si fece sentire: «Se non te l'ha raccontato è perché è troppo pericoloso per te. Si preoccupa.» disse una piccola vocina nel profondo dei suoi pensieri.
«Oppure non si fida di me e non me lo vuole dire.» rispose lei, continuando a camminare ed intraprendendo una vera e propria conversazione con se stessa.
«Sai anche tu che non è così. Devi aspettare il momento giusto. Il mondo non fu fatto in un giorno
«Perfetto. Ora anche la mia coscienza parla come se fosse un biscotto della fortuna... Stare a contatto con mia madre mi ha contagiata.» sbuffò, tornando alla realtà e accorgendosi solo in quel momento che era entrata in un vicolo.

Si immobilizzò di colpo, riconoscendo la viuzza: era dove era stata aggredita settimane prima.

Con le gambe tremanti riprese il passo, guardandosi intorno con tutti i sensi allerta, attenta del minimo rumore o movimento.

Accese la torcia del cellulare, ma non durò molto poiché si spense quasi subito.

«Oh andiamo! Ma davvero?!» sbuffò spaventata, con le mani tremanti mentre cercava di riaccendere l'apparecchio, arrendendosi quando vide il simbolo della batteria scarica sul display.

Promemoria personale: comprarsi una power bank e non parlare mai più con la propria coscienza mentre si cammina.

La ragazza mosse passi tremanti e prese dei respiri profondi per cercare di calmare i battiti irregolari del cuore, ringraziando in parte il fatto che il sole non era ancora del tutto tramontato, proiettando però ombre inquietanti sui muri.

Le sembrava che quel vicolo fosse infinito e, trattenendo le urla per la tensione e la paura continuò a camminare.

Perché non tornare indietro e camminare in un luogo meno pericoloso? Semplice, perché ormai era a più di metà strada e non voleva voltarsi e trovare qualcuno alle sue spalle.

A quel proposito, dei passi la bloccarono sul posto, facendola rabbrividire quando una presenza dietro di lei si avvicinava.

Ad un tratto si ritrovò con i ricordi a quella dannata sera, quando un malvivente la aggredì e quando incontrò...

L'appoggiarsi della fronte di colui che si trovava dietro di lei la riportò alla realtà, facendola sussultare; una mano che le pareva artigliata le afferrò la manica della felpa che indossava e un mugolio le fece sbarrare gli occhi azzurri.

Non c'era più alcun dubbio su chi potesse essere.

Si voltò di scatto, trovando difronte a sé Chat Noir, che la guardava con le orecchie abbassate e le lacrime agli occhi, in un'espressione dispiaciuta.

Notò delle macchie di sangue che gli sporcavano il viso, facendola preoccupare ancora di più.

«Chat, di chi è questo sangue? Ti hanno fatto del male? Sei ferito?» domandò, controllando sul suo costume, non notando nessuna ferita o strappo.

Chat scosse la testa, facendo scivolare le lacrime lungo le guance.

Marinette smise di parlare, mettendogli una mano sulla guancia ed alzando leggermente il suo viso, guardandolo negli occhi. «Mi dispiace... Mi dispiace non averti detto nulla, non essere più venuta da te... Mi dispiace...» sussurrò con voce tremolante, vedendo l'amico poggiarsi contro la sua mano. «Dovevo dirtelo che non potevamo vederci finché la polizia avrebbe smesso le pattuglie, finché Alya si fosse calmata... Ma non sapevo come... Scusami...»

Ora era lei a piangere, singhiozzando rumorosamente, un po' per la tristezza per via delle sue azioni, un po' per la felicità nel rivederlo ed un po' per il sollievo.

Era un pasticcio di emozioni e piangere la liberava, soprattutto in quel momento.

Molte persone si trovavano a disagio a piangere e sfogarsi davanti ad un'altra del sesso opposto, ma questo non valeva per Marinette e Chat: entrambi avevano sviluppato un legame che consentiva loro di sfogarsi ogni volta che volevano senza provare nessun tipo di disagio.

Chat le mise la mano sulla guancia, asciugandole le lacrime con il pollice.

Non capiva perché lei si scusasse, infondo era lui ad aver nuovamente scatenato il terrore, ma non capiva il perché accadesse.

Marinette tirò su con il naso, avvicinandosi a lui e poggiando la fronte contro la propria, poggiando anche l'altra mano sulla sua guancia. «Ti prometto che torneremo di nuovo uniti. Che potremmo tornare nuovamente insieme non appena le acque si saranno calmate, okay?»

Il felino annuì, leccandosi le labbra secche.

«Mi sei mancato.» sussurrò, aprendo gli occhi ed incontrare il verde smeraldino, lucido per via delle lacrime. «Chat... Adrien. Non voglio lasciarti... Non voglio stare lontano da te per altro tempo...» aggiunse, versando altre lacrime.

Il biondo gliele pulì nuovamente, non sapendo come agire, ma guardandola esattamente come lei guardava lui: nemmeno lui voleva lasciarla.

Però erano entrambi in pericolo e non poteva rischiare che Marinette rischiasse ulteriormente. La sua migliore amica l'aveva seguita, rischiando di farla scoprire.

Non poteva permettere un altro errore del genere.

Chat scostò la mano dal volto della ragazza, alzando quattro dita.

«Altri quattro giorni e poi torneremo insieme. Sì.» disse lei, facendolo annuire.

Chat portò le labbra alla fronte dell'amica, lasciandole un bacio, per poi allontanarsi di malavoglia da lei e agitare la mano, vedendosi restituito il gesto e saltando sul tetto sopra di lui, tornando a casa a contare nuovamente i giorni che lo separavano dalla sua Principessa.

 

 

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Quasi mi fanno tenerezza questi due :')

Comunque, l'aggiornamento della fic è spostato a sabato per motivi di tempistica. Quindi, sempre una volta a settimana, ma di sabato.

Detto questo, a sabato prossimo ^^
Francy_Kid

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Capitolo 35
*** Cap. 34 ***


Cap. 34








 

Ancora due giorni. Ancora due giorni. Ancora due giorni.

 

Ormai era diventata una cantilena ripetitiva nella testa di Marinette, sdraiata supina sulla chaise longue mentre fissava il soffitto, stringendo tra le braccia un cuscino in cerca, inutilmente, di qualunque tipo di conforto.

 

Tra quarantotto ore aveva il permesso di rivedere Chat.

 

Non aveva mai sentito così tanto la mancanza per qualcuno, soprattutto per un amico; anche se quell'amico in quel periodo stava distruggendo mezza città e ferendo delle persone.

 

Ci rifletté per qualche secondo. Come mai aveva quella necessità di stare con lui? Come mai l'impulso di disobbedire era talmente forte che si era ritrovata in piedi senza nemmeno saperlo?

 

Marinette scosse la testa, tornando a sedersi a gambe incrociate sulla chaise longue, mordendosi il labbro inferiore per trattenere qualunque impulso.

 

Pensava che fosse dato dal fatto che non vedeva un amico, ma con Alya, Nino ed i suoi compagni di scuola non sentiva come una sorta di calamita che la attirava a loro, spingendola a passare più tempo possibile in loro compagnia.

 

Ma perché con Chat era così?

 

Magari perché aveva bisogno di aiuto, perché grazie a lei lui riusciva a controllarsi, perché le mancava sentire le sue fusa, le mancava vederlo alle prese con un gomitolo, le mancavano i suoi mugugnii irritati, i suoi occhi verdi...

 

La ragazza scosse energicamente la testa, per poi tastarsi le guance arrossate, sospirando e cercando ci calmarsi.

 

Non aveva mai pensato a queste cose e la mancanza della compagnia di Chat la stava visibilmente logorando: la stava facendo annoiare a morte e le faceva pensare a cose davvero assurde.

 

Si alzò, andando davanti alla toilette e fissando il suo riflesso, notando che le sue guance erano ancora leggermente velate, per poi annuire.

 

Doveva chiedere al signor Fu che cosa significava.

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

Chat Noir fissava il soffitto, sospirando.

 

Aveva la mente completamente vuota e captava ogni minimo rumore nell'abitazione –grazie al suo udito fine– anche se a diverse stanze di distanza, facendogli muovere le orecchie feline a scatti.

 

Quelli erano gli unici momenti in cui non perdeva il controllo, quelli in cui non pensava o quando la sua mente viaggiava su pensieri poco influenzabili, come sul perché la sedia si chiamava "sedia" o a come facevano le persone a costruire grattacieli che arrivavano fino al cielo senza aver paura di cadere.

 

Cose stupide e banali, insomma.

 

Oppure, un altro modo, era mentre pensava a Marinette.

 

Doveva essere sincero con se stesso e lo era: non la considerava una migliore amica, non più, almeno.

 

Non sapeva di per certo quando quel pensiero gli si era infilato in testa, ma non faceva altro che crescere la sensazione di calore che provava ogni volta.

 

Da quando si erano allontanati la sua routine non era cambiata: se durante la notte aveva dormito, si svegliava per guardare cosa facesse a scuola, spiandola dalle finestre o dal tetto mentre faceva ricreazione con i suoi amici; la osservava ridere e scherzare, mentre faceva facce buffe o mentre si affrettava a ripassare per il compito in classe dell'ora successiva.

 

Eppure gli mancava la sensazione della sua compagnia, gli mancava averla vicino.

 

Si girò sul fianco, sospirando per l'ennesima volta, stringendo a sé la coperta che gli aveva fatto.

 

Era così, aveva smesso da un po' a pensare a lei come una semplice amica, però non poteva metterla in pericolo già di quanto non lo fosse.

 

Doveva tenerlo nascosto, anche se fosse stato per sempre.

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

«Signor Fu! Devo chiederle una cosa!» esclamò Marinette sorprendendolo.

 

A quell'ora la biblioteca era vuota, dato che mancava poco allora di chiusura, ma l'impazienza era uno dei suoi difetti.

 

«Dimmi Marinette.» rispose l'uomo, sistemando i libri che aveva in mano.

La corvina di schiarì la voce, leggermente imbarazzata. «È mai capitato che qualcuno si avvicinasse a Chat Noir nel modo in cui mi sono avvicinata io?»

«Sì, è capitato. Ma nessuno è finito bene.» disse con nonchalance, mettendosi sulle punte per raggiungere uno scaffale poco più in alto di lui.

«Oh fantastico...» sussurrò lei, aiutandolo a sistemare. «Nel senso... È capitato che qualcuno si sentisse particolarmente legato ad un possessore prima d'ora?»

«Legato in che senso?»

«Diciamo... che... Quando si fatica a stare lontano da qualcuno anche solo per un giorno.» rispose leggermente veloce, agitando le mani.

Fu sorrise. «Cioè che qualcuno abbia provato dei sentimenti per Chat Noir?»

Marinette fece quasi cadere i libri che aveva tra le braccia. «C-Che?! S-Solo di amicizia! N-Non intendevo un in quel senso, ovvio.» esclamò con le guance estremamente rosse.

«Certo, ho capito.» sorrise, sistemando l'ennesimo libro. «Beh, è successo. Quel Chat Noir credeva che lei fosse la sua salvezza, colei che avrebbe potuto salvarlo dalla sua maledizione, ma era tutto un inganno e la sua rabbia si riversò sulla ragazza e su tutto il villaggio. Un brutto affare.»

Marinette lo guardò mentre camminava, per poi raggiungerlo. «È successo all'ultimo Possessore?» chiese.

Fu annuì. «È una storia lunga e saprai tutto a tempo debito.»

«Allora perché mi ha detto questo?»

L'anziano sistemò l'ultimo volume, per poi girarsi verso di lei. «Perché il momento è quasi giunto.»

 

 

 

 

 

 

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Ebbene, ragazzi, sapete la regola: capitolo corto oggi per casini domani :D

 

Non temete. Il momento è quasi giunto (cit.)

 

A sabato prossimo :3

Francy_Kid

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Capitolo 36
*** Cap. 35 ***


Cap. 35









 

Marinette correva sui marciapiedi, evitando le persone per un pelo ed urlando un veloce «Scusa!» a chi colpiva.

 

Aveva il fiatone e lo zaino pieno di libri di scuola la stancava di più, ma non ci dava molto peso, poiché doveva correre e raggiungere la sua meta il più velocemente possibile.

 

Superò il cancello scardinato e subito dopo la porta d'ingresso della villa, per poi correre su per le scale, aprendo la porta della stanza con estrema forza, facendola sbattere contro la parete opposta.

 

Chat guardò verso di lei, con le orecchie alzate e un'espressione spaventata sul viso, finché non riconobbe la sua migliore amica, ansante e sudata.

 

Il felino si alzò di scatto e corse incontro a lei, abbracciandola stretta a sé, vedendosi restituito il gesto con la stessa forza e felicità.

 

Quasi sentì le lacrime scendergli dagli occhi per quanto le era mancata, seppur l'avesse osservata da lontano, ma riabbracciarla era l'unica cosa che aveva desiderato per quei giorni infernali passati lontani da lei.

 

«Mi dispiace, mi dispiace esserti stata lontana, ma non potevo rischiare che ti facessero del male.» disse la ragazza, poggiando la fronte contro la sua, per poi passargli il telefono dopo che l'amico le aveva fatto cenno di prestarglielo.

 

"Eri tu quella che rischiava di più. Io posso difendermi, ma tu rischieresti di farti male sul serio. Ero preoccupato per te" scrisse, ridando il cellulare a Marinette e poggiando il viso nell'incavo del collo, inalando il suo dolce odore e strofinando il naso, mentre la corvina gli fece dei grattini dietro l'orecchio.

 

Alla giovane era mancato quel contatto con Chat, poter stare vicini e poter comunicare, anche solo con lo sguardo.

 

Le era mancato tutto, ma soprattutto le era mancato lui.

 

«Immagino che abbiamo molto da dirci, giusto?» sussurrò, prendendogli il volto tra le mani e guardandolo negli occhi, facendogli cambiare espressione.

 

Sapeva benissimo a cosa si riferiva: agli attacchi dei giorni passati.

 

Sì, aveva molto da dirle.

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Marinette camminava fischiettando, pensando allegramente a come poter usare le stoffe che aveva appena comprato.

 

Solitamente prendeva l'autobus dal negozio fino a casa, ma quel giorno, per sua sfortuna, la corsa era saltata, così decise di usufruire del tempo variabile e con una leggera brezza primaverile per camminare fino a casa.

 

Per gli scorsi due giorni era rimasta da Chat per delle ore intere –dalla fine della scuola arrivando persino a superare la mezzanotte–, parlando e discutendo sui fatti avvenuti durante la loro separazione; entrambi avevano deciso che sarebbero stati il più tempo possibile insieme, pur mantenendo un orario da dedicare a se stessi e ad i compiti –nel caso di Marinette– ed ai propri hobby, passandolo da soli a casa o con gli amici.

 

Avevano una sorta di calendario, insomma, con orari e giorni variabili.

 

La ragazza si fermò di colpo quando sentì una goccia d'acqua cadere sulla cima della propria testa, guardando in alto solo per trovarsi altre gocce a bagnarle la pelle e farla correre verso casa subito dopo.

 

«Com'è possibile?! In televisione avevano detto che il tempo avrebbe retto fino alle cinque del pomeriggio!» mormorò, cercando di coprirsi il più possibile, malgrado non predisponesse di nulla, senza contare anche che la dolce brezza primaverile si era trasformata in forti folate gelide.

 

Corse il più velocemente possibile, rabbrividendo mentre la sua pelle bagnata veniva a contato con l'aria fredda, pregando mentalmente che le cose acquistare non si fossero bagnate.

 

Per sua fortuna arrivò a casa in meno di dieci minuti, chiudendo la porta di ingresso giusto in tempo per udire un tuono echeggiare in lontananza.

 

Imbronciata, inzuppata e infreddolita, salì le scale fino all'appartamento in cui risiedeva, aprendo la porta e guardando la madre sempre con il broncio.

 

«Ciao tesoro. Vedo che il sole splende là fuori.» scherzò Sabine, recuperando la borsina dalle mani della figlia.

«Infatti mi sono bagnata io perché stavo morendo di caldo.» ribatté la ragazza sarcastica, levandosi le scarpe e le calze bagnate, dirigendosi verso il bagno. «Mi faccio una doccia calda...»

«Metto io via le cose che hai comprato, non preoccuparti.» sorrise la donna, vedendo la figlia andare verso il bagno.

 

Marinette era conosciuta, sopratutto dai suoi genitori e dai suoi amici, per la sua sfortuna e anche quella volta la sua buona sorte aveva fatto cilecca.

 

Dopo una doccia calda, la ragazza si diresse in camera sua, con l'intenzione di infilarsi il pigiama e mettersi sotto le coperte per scaldarsi il più possibile.

 

Si levò l'accappatoio, si mise il pigiama e si asciugò i capelli con il phon che aveva in caso ci fossero volte in cui preferiva fare tuto in camera sua; subito dopo, salì sul soppalco e si mise sotto le coperte, recuperando il libro che stava leggendo per far passare il tempo mentre fuori pioveva.

 

Tutto era perfetto in quel momento, tranne per una cosa: il suo starnuto che ruppe il silenzio.

 

Non diede molto peso alla cosa e tornò a leggere, sperando che il giorno successivo fosse stato sereno.

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

«Io e la mia fortuna...» mugugnò, per poi starnutire e recuperare l'ennesimo fazzoletto di carta per soffiarsi il naso chiuso.

«Ti avevo detto di prendere un ombrello prima di uscire ieri.» disse Sabine, prendendo il termometro e controllando la temperatura. «Trentotto e mezzo. È già scesa rispetto a stamattina, ma devi riposare e guarire.»

«Mamma, devo andare da Chat... Non posso lasciarlo ora...» esclamò con voce nasale, tentando di alzarsi e venendo subito fermata dalla madre.

«Ti ho detto che devi rimanere a letto. Certo che ti fa comodo saltare la scuola ma non puoi fare a meno di saltare gli incontri con Chat, eh?» sorrise la donna, vedendo la figlia arrossire ulteriormente e coprirsi con le coperte fin sopra il naso.

«P-Perché è da un po' che non lo vedo...» si giustificò lei, godendo del caldo che c'era sotto le coperte. «Devo dirglielo...» aggiunse subito dopo con voce assonnata, sentendo gli occhi stanchi e pesanti.

«Non ti preoccupare, tu pensa a riposarti e basta, va bene?»

 

Marinette annuì, chiudendo gli occhi del tutto e tirando su con il naso un'ultima volta, prima di addormentarsi totalmente.

 

Non seppe quanto tempo fosse stata addormentata, ma appena si svegliò sentì un peso alle sue spalle e qualcosa cingerle la vita da sopra le coperte.

 

Mugugnando, svogliata dall'abbandonare le braccia di Morfeo, ma sempre curiosa, si voltò, trovando il volto di Chat a pochi centimetri dal suo, che la guardava con i suoi occhi da felino verdi.

 

La ragazza squittì e si alzò di scatto, rimproverandosi mentalmente in seguito ad un dolore improvviso alla testa; si strofinò le tempie e guardò il ragazzo che aveva accanto. «Chat, che ci fai qui?» domandò, per poi tirare su con il naso.

 

Chat prese il quaderno che aveva poggiato sulla piccola credenza nel muro, scrivendo la risposta.

 

"Tua madre è venuta a dirmi che stavi male e che non dovevo preoccuparmi, così sono corso qui" scrisse, in seguito recuperò un fazzoletto a Marinette, dato che continuava a tirare su con il naso e cercava con lo sguardo un fazzoletto, venendo ringraziato.

 

«Dovevo avvisarti in qualche modo, ma mia mamma mi ha inchiodata a letto per guarire al meglio.» rispose, gettando il fazzoletto sporco di sotto, centrando in pieno il cestino che aveva posizionato e appuntandosi mentalmente di mettere dentro anche quei sei-sette che erano usciti.

 

"Non è colpa tua se ti sei ammalata. E tua madre ha ragione a farti rimanere a letto"

 

«Effettivamente è colpa mia: dovevo prendere l'ombrello... Ma il danno è fatto.» ridacchiò, sbadigliando poco dopo.

 

Chat le fece cenno di rimettersi a dormire, riponendo il quaderno alle sue spalle per far sistemare meglio la ragazza.

 

Marinette alzò leggermente le coperte, rivelando che indossava minimo tre felpe pesanti, facendo chiedere a Chat come faceva a non avere caldo, dato che stava grondando di sudore.

 

«Vieni sotto con me. Ho freddo e tu sei caldo.»

 

Il felino accettò, sistemandosi sotto le coperte.

 

Da quando era diventato la Belva Nera non si ammalava mai e sentiva poco la differenza di temperatura, come se il suo corpo si adattasse a tutto.

 

Marinette lo abbracciò alla vita e poggiò la testa sul suo torace, facendo sì che le coperte le arrivassero poco al di sotto del naso, respirando per quel poco che poteva, mentre il ragazzo si sistemò in modo tale che potesse abbracciarla a sua volta, chiudendo gli occhi e godendo del suo calore corporeo, anche se parecchio elevato rispetto al solito, rizzando le orecchie quando sentiva il suo respiro farsi irregolare o la sentiva tossire.

 

Sospirando, sperò che stesse meglio al più presto.

 

 

 

 

 

 

 

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Non preoccupatevi, non muore LOL

Starà bene

 

...

 

Ehm...

 

Facciamo che ci vediamo sabato prossimo, ok ;3

 

Bye :D

Francy_Kid

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Capitolo 37
*** Cap. 36 ***


Cap. 36







Chat Noir saltò tra i tetti di Parigi in direzione della camera di Marinette.

 

Seppur avesse una semplice influenza era preoccupato per lei, soprattutto dopo la storia di sua madre.

 

Con un agile balzo e con estrema grazie, atterrò sull'attico della ragazza, sbirciando dalla botola che dava sul letto per controllare che non ci fosse nessuno: la luce era spenta e solo il display del cellulare della ragazza gli fece capire che era ancora sveglia.

 

Aprì la botola, e scivolò accanto alla corvina, che lo accolse con un caloroso sorriso e qualche carezza sulla testa.

 

Erano passati cinque giorni da quando Marinette si era ammalata e stava molto meglio rispetto a qualche giorno prima: le felpe erano diminuite –ora era solo una, seppur pesante– e la sua tomba di fazzoletti usati, come l'aveva chiamata lei, era diminuita di volume, così come gli starnuti e la tosse.

 

Sabine diceva che si era ripresa grazie alle cure amorevoli di Chat, che le faceva visita ogni giorno e le teneva compagnia quando riposava, non lasciandola mai sola e prendendole tutto ciò di cui aveva bisogno, ovviamente senza farsi vedere da Tom, il quale lo aveva quasi scoperto in seguito ad una sua visita di controllo, ma Marinette finse di dormire abbracciata ad un cuscino sotto le coperte.

 

Quella volta, Adrien aveva pensato che se non l'avesse ucciso l'asfissia, lo avrebbe fatto il padre dell'amica, ma per sua fortuna scene non appena notò la figlia "addormentata".

 

Dopo quella volta aveva imparato a distinguere bene i passi dei due adulti: quelli di Sabine erano leggeri e delicati, mentre quelli di Tom erano leggermente più pesanti.

 

Leggermente, aveva specificato. Non era per essere cattivo, ma era l'unico aggettivo che gli era venuto in mente.

 

Quando la ragazza smise di fargli i buffetti sulla testa, Chat appoggiò la testa sulla sua spalla, scrivendo sul suo quaderno –aiutato dalla torcia del cellulare di Marinette–

 

"Come ti senti? Ho visto che hai diminuito gli strati di felpe"

 

La giovane ridacchiò, tossendo un paio di volte prima di rispondere. «Sto già meglio, grazie. La febbre è quasi scesa completamente, ho solo ancora un po' di tosse. Anche i fazzoletti sono diminuiti.» rispose, prendendone uno. «Ho persino imparato l'angolazione perfetta per fare canestro nel cestino.» esclamò, lanciando il pezzo di carta e facendolo rimbalzare sul bordo del cestino, per poi vederlo cadere a terra. «Beh, non ho detto che lo faccio sempre però.» aggiunse nervosa, facendo sorridere divertito il felino.

 

"L'importante è che tu guarisca al meglio" lesse lei, prendendogli la mano ed intrecciando le dita con le sue, vedendosi ricambiata il gesto.

 

Sapeva quanto fosse spaventato malgrado si trattasse di una banalissima influenza; si ricordava la storia che le aveva raccontato, di come sua madre fosse morta, il tutto partito da un male di testa che ha rifiutato di far controllare per non far spaventare suo figlio.

 

Non voleva farlo preoccupare ulteriormente e vederla stare meglio ogni giorno che passava lo faceva sentire più sollevato.

 

«Oggi ho anche aiutato mia mamma a cucinare. Certo, non sono usciti come li faccio di solito, ma ti ho preparato dei "Sandwich alla Marinette". Sono sulla scrivania se vuoi.» disse, facendogli un cenno con la testa.

 

Come se avesse sentito, lo stomaco di Chat brontolò e lui arrossì; l'ultima volta che aveva mangiato fu la sera prima, dato che aveva promesso alla sua amica che non avrebbe più rubato dai venditori per sfamarsi, e dato che lei era inchiodata a letto e lui poteva farle visita solo la sera, i suoi pasti si erano ridotti ad uno al giorno.

 

Annuendo, Chat scese dal letto, tornando poco dopo con il piatto contenente cinque tramezzini.

 

Aveva bisogno di molte energie e se solitamente una persona normale riusciva a mangiare massimo due "Sandwich alla Marinette", il felino ne aveva bisogno di minimo tre per ritenersi minimamente soddisfatto.

 

«Volevo fartene altri, ma avevo finito gli ingredienti ed i miei stavano lavorando. Mi dispiace ma devi accontentarti di quelli.» ridacchiò nervosa, guardando l'amico divorare il primo in solamente due morsi, per poi passare al secondo.

 

Quando prese in mano il terzo, spostò lo sguardo alla corvina e glielo porse, ma lei scosse la testa: «Ho già mangiato», disse, così Chat riprese a mangiare finché non ripulì il piatto, che Marinette ripose sullo scaffale dietro di sé.

 

"I tuoi sandwich sono sempre deliziosi" si complimentò lui, aggiungendo una faccina felice al fondo della frase.

 

«Mi fa piacere ti siano piaciuti.»

 

"Se mai troverò il modo di spezzare la maledizione ti sposerò per assaporare ogni giorno la tua cucina!"

 

Marinette lesse ciò che aveva scritto e arrossì, sperando che la vista notturna di Adrien non funzionasse con il rossore alle guance. «Ehi! Questa è una cosa sessista!» lo rimproverò, cercando di apparire più normale possibile e cercando di tenere ferma la voce.

 

I quei giorni, quando Chat non veniva a trovarla, aveva più tempo per pensare –ignorando totalmente i compiti– riguardo alla sua situazione sentimentale: non aveva più dubbi che provava qualcosa per lui, e malgrado la sua vocina nella testa continuasse a ripeterle che era la Belva Nera, che nessuno avrebbe approvato, che era contro natura, che avrebbe rischiato più di quanto lo stesse già facendo, il cuore era sempre lì a prendere a calci la fonte di quelle parole e ribattendo con frasi tipo "Non importa quanto siete diversi, tu ti sei messa in gioco per lui e lui sta facendo di tutto pur di non perderti".

 

Inutile dire che cuore e testa erano in perenne conflitto su questa cosa e lei si ritrovava con lo sguardo assente a fissare il soffitto, come se in quei momenti si scollegasse per ritrovarsi al centro di quel dibattito, confondendola ancora di più.

 

Insomma, litigavano la maggior parte delle ore, ma le servirono entrambi per farle capire e accettare il fatto che avesse dei sentimenti per Chat.

 

Voleva sotterrarsi? Certo.

Voleva sparire in qualche paese lontano ogni volta che faceva una figuraccia davanti a lui? Ovviamente.

 

Ma dopo come avrebbe fatto a vederlo e godersi quei bei momenti che passavano insieme?

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

Chat rimase a fissare il soffitto per svariati minuti. Non sapeva esattamente quanto, ma sapeva ormai che era notte fonda.

 

Forse erano le tre o le quattro del mattino, pensò lui alzandosi e uscendo dalla stanza.

 

Non era la prima volta che rimaneva sveglio durante la notte a pensare e, sicuramente, non sarebbe stata l'ultima.

 

Era stato chiaro con Marinette sin dalla prima volta: con lei sarebbe stato sincero.

 

Forse un po' troppo, dato che aveva scritto che l'avrebbe sposata per la sua cucina –e ovviamente non c'era solo quello–

 

Si fermò di colpo, poggiando la testa contro il muro e dando un paio di leggere zuccate, mugugnando e ripensando a quanto fosse arrossita: aveva esagerato, ma quelle parole gli erano uscite prima di poter pensare due volte.

 

Una battuta sessista era un modo totalmente sbagliato per dire ad una ragazza che gli piaceva, e si sentiva parecchio stupido in quel momento.

 

Si scostò dal muro, tornando a camminare lungo il corridoio e finendo nella camera dei suoi genitori.

 

Era da parecchio che non entrava ed era tutto ancora in perfetto ordine.

 

Si diresse verso il comodino sul lato dalla quale era solita dormire sua madre, aprendo il primo cassetto e recuperando una busta sigillata, leggermente segnata dall'umidità di vari mesi.

 

Aiutandosi con un artiglio, la aprì, cercando di non rovinare il suo contenuto, restando qualche secondo a fissare la calligrafia aggraziata è ordinata della madre, sentendo un groppo in gola e le lacrime che gli pizzicavano gli occhi, ma lesse allo stesso.

 

"Caro Adrien,

Se stai leggendo questa lettera io non ci sono più e tuo padre ha ascoltato il mio desiderio di dartela quando avresti capito. Ti chiedo subito scusa per ciò che stai per leggere, che penserai che ho sbagliato, ma è stata una mia scelta. Io sapevo di non stare bene sin da subito, ma ho preferito restare con te e tuo padre: non volevo essere rinchiusa in un ospedale e vivere dipendendo dai farmaci; non volevo che provaste sofferenza per me, ma volevo soltanto vedere la vostra felicità ogni giorno, anche se la mia salute peggiorava di giorno in giorno. Sapevo di essere malata e non volevo continuare a vivere sapendo che ero solo un peso per voi, così ho accettato la mia sorte. L'unica cosa che poso dirti è di perdonarmi, perché sono stata egoista ed ho pensato a ciò che volevo io. I dettagli te li racconterà tuo padre, a cui ho detto tutto poco prima di scrivere questa lettera e consegnarla a lui. Sappi solo che ho amato te e tuo padre e veglierò su di voi.

Ti amo, Adrien, e scusa per il mio egoismo.

Mamma "

 

Chat lasciò cadere le lacrime, che atterrarono sul foglio di carta che aveva in mano.

 

Era davvero da sua madre, anche se non era risuscita ad esprimersi al meglio per la sua malattia, e sapeva che voleva dire mille altre cose anche se non ce l'aveva fatta.

 

Il nodo che aveva attorno allo stomaco si strinse ulteriormente, rendendogli quasi difficile respirare.

 

Con il fiato corto, la vista annebbiata per via delle lacrime e la testa che gli girava, si diresse verso la sua camera, dalla quale poi uscì dall'enorme finestra per raggiungere il tetto, stando attento a non scivolare e cadere.

 

Arrivato in cima prese delle enormi boccate d'aria, cercando di ristabilire la respirazione ed il battito cardiaco, ma le nuove lacrime che minacciavano di uscire ed il peso di quelle parole gli impedì di ristabilirsi.

 

Cadde in ginocchio a seguito delle gambe tremanti, fissando un punto non precisato davanti a sé, sentendo le lacrime calde rigargli le guance.

 

L'aria fresca sembrava creare piccoli spilli sulle gote bagnate, ma non gli importava, aveva bisogno di sfogare la sua frustrazione e di liberarsi in qualche modo.

 

Non poteva andare da Marinette, quello era poco ma sicuro –dato che doveva riposare– e doveva cercare di mantenere il controllo; eppure non provava abbastanza collera per diventare la bestia che attacca chiunque si trovi davanti a lui.

 

Voleva solo urlare.

 

Strinse i pugni, scendendo gli artigli conficcarsi nella carne, ma non gli importava; strinse i denti, facendo sì che i canini appuntiti gli bucassero il labbro, ma non gli importava nemmeno quello.

 

Prese un altro respiro e, come se volesse buttare fuori tutto ciò che provava, urlò, ma non un urlo umano, ma bensì una specie di un ibrido tra umano è mostruoso, come se un leone stesse divorando una persona.

 

Il suo urlo echeggiò per le vie di Parigi, spaventando chi era ancora sveglio, e mentre chi era già addormentato rimase tra le braccia di Morfeo, vicino a Place des Vosges, Marinette si svegliò di colpo.

 

 

 

 

 

 

 

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Mi ha dato venire il magone scrivere l'ultima parte, ma un po' di tristezza ci sta sempre (?)

 

Eh beh nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle.

 

Mi preparo già a cambiare casa.

 

A sabato prossimo :3

Francy_Kid

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Capitolo 38
*** Cap. 37 ***


Cap. 37







 

Le strade di Parigi erano fantastiche, seppur colme di gente –sempre meno rispetto ad un anno prima, cosa che aveva notato solo chi abitava in città– che spintonava a destra ed a manca per passare.

 

Marinette respirò a pieni polmoni l'aria della città, tossendo subito dopo: aveva avuto l'influenza fino a due giorni prima ed i sintomi stavamo sparendo poco a poco, seppur fossero ancora presenti.

 

La sera prima, quando Chat le fece visita, gli disse che avrebbe ripreso lei a venire e che quindi non doveva più disturbarsi, cosa che in un primo momento l'amico non accettò, dato che preferiva che riposasse finché non fosse guarita del tutto, ma sapeva quanto Marinette fosse testarda, così si arrese al terzo tentativo; ora la ragazza camminava beatamente verso Villa Agreste, canticchiando tra sé e sé una canzone di Jagged Stone, il suo cantante rock preferito, entrando con facilità nelle mura interne dell'enorme abitazione e salutando con un caldo sorriso il suo amico felino, che ricambiò il gesto.

 

Durante le giornate precedenti avevano imparato nuovi gesti del linguaggio dei segni, anche se molte volte dovevano ricorrere al quaderno poiché la ragazza non si ricordava il significato o non capiva; però si stavano divertendo come due bambini al parco giochi.

 

Dopotutto, per loro l'importante era stare l'una accanto all'altro.

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Erano passati quattro giorni da quando Marinette era tornata a scuola a seguito della sua influenza, mettendosi subito alla pari con i compiti e programmando un paio di verifiche e interrogazioni perse.

 

Tutti sapevano che –malgrado arrivasse in ritardo, malgrado passasse la notte in bianco a sfogliare fumetti, giocare ai videogiochi, o guardare serie animate– Marinette era molto brava a scuola: in tutto l'anno aveva preso solo tre insufficienze, e nemmeno molto gravi, solo perché non aveva studiato per guardare dei finali di stagione.

 

Alya e Nino sapevano meglio di chiunque altro che le bastavano solo un'ora in più da dedicare allo studio perché superasse nei voti persino Max, ma la stessa Marinette si accontentava di restare "nella media", anche se a Nino gli pareva ancora sconosciuto il reale significato di quella parola.

 

In quei quattro giorni Alya aveva chiesto alla sua migliore amica di uscire per recuperare un po' di tempo tra amiche, ma la corvina aveva sempre qualcosa da fare, che fosse recuperare i compiti, andando a studiare in biblioteca, o aiutare suo padre in negozio.

 

Tutta quella faccenda le puzzava, esattamente come quella volta che l'aveva vista entrare a Villa Agreste ma poi era uscita magicamente dalla sua camera.

 

C'era qualcosa che non andava.

 

Gli esseri umani non potevano teletrasportarsi e neppure volare; quindi non aveva nessun tipo di potere che le permettesse di fare ciò.

 

Eppure era sicurissima di averla vista uscire di casa ed entrare in quella stramaledettissima villa, per poi venire attaccata dalla Belva Nera.

 

Ad un certo punto, come se una scarica elettrica la colpì, le sembrò tutto più chiaro: le domande che le fece su Chat Noir, le sue assenze giornaliere, le scuse che prendeva pur di non uscire.

 

Ora tutto tornava: la volta in cui la Belva Nera non l'aveva attaccata quando si era messa davanti per proteggere Nathaniel, la misteriosa ferita sulla guancia e la sera in cui l'aveva vista entrare a Villa Agreste erano tutte collegate.

 

Si alzò di scatto dal materasso, realizzando che la sua migliore amica le aveva mentito per tutto il tempo; afferrò il cellulare e, non dando molto peso all'orario, chiamò Nino due volte prima che la sua voce stanca potesse essere udita.

 

«Nino, ho scoperto una cosa!» esclamò la mora cercando di non urlare.

«E cosa? Che domani c'è scuola? Lo sapevo anch'io, grazie. Ora torna a dormire.» mugugnò, sbadigliando.

«No, riguarda Marinette!» rispose, sentendo dall'altro capo del cellulare Nino farsi preoccupato.

«Cosa c'è? Le è successo qualcosa?»

«Non ancora, ma è in gravissimo pericolo. Ti spiego tutto domani mattina a scuola. A domani.» tagliò corto, interrompendo il ragazzo appena prima che potesse dire qualcosa.

 

Dopo aver riposto il cellulare sul comodino si alzò e andò a sedersi alla scrivania, facendo una lista di ciò che aveva trovato sospetto in Marinette è ciò che potrebbe accadere se la sua teoria fosse giusta.

 

Avrebbe salvato la sua migliore amica, perché non sapeva che stava giocando con il fuoco.

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Alya aveva seguito Marinette per due giorni e le sue ipotesi erano ormai confermate al novanta percento: la stava rischiando veramente grossa.

 

La scuola era appena finita e quel pomeriggio non sarebbe andata in biblioteca, così la seguì senza farsi vedere e arrivò nuovamente davanti alla ex Villa degli Agreste.

 

Si meravigliò di come la sua migliore amica entrasse con disinvoltura nella tana della bestia, esattamente la stessa persona che l'aveva attaccata l'ultima volta.

 

Deglutendo rumorosamente e prendendo il cellulare, entrò a sua volta, cercando di non far rumore con i passi; salì le scale dopo aver superato l'enorme ingresso, meravigliandosi della grandezza di tutta la struttura, fissando poi il dipinto strappato davanti a sé.

 

Facendosi coraggio riprese a camminare, andando verso destra, sentendo un leggero ridere di quella che riconobbe essere la sua migliore amica.

 

Accelerò leggermente il passo, trovando la porta socchiusa, permettendole di sentire tutto ciò che avveniva nella stanza: sembrava che i due stessero conversando amichevolmente, seppur non sentiva nessuna risposta da parte dell'altra persona.

 

Se il suo interlocutore era davvero chi pensava lei, come poteva Marinette stare anche solo nella stessa zona della Belva Nera?

 

Aprì la porta, senza farsi scoprire, spiandoli da dietro quella che sembrava una specie di rampa, sbloccando il cellulare e scattando una foto.

 

Ma il caso voleva che non avesse messo in silenzioso ed un "click" risuonò nella stanza.

 

Il primo ad accorgersene fu Chat Noir, che rizzò le orecchie da gatto e spostò lo sguardo verso di lei, seguito dal viso sorpreso di Marinette.

 

«A-Alya? Che ci fai qui?» domandò con sgomento, alzandosi in piedi di scatto.

 

La mora non disse nulla e si voltò per uscire dalla stanza e correre fuori dell'abitazione, intenzionata ad avvisare la polizia al più presto.

 

Marinette era in pericolo e lei non avrebbe permesso che la Belva Nera le facesse del male.

 

Marinette fermò Chat, prendendolo per un polso. «Non andare! Non devi farle del male!»

 

Il ragazzo mugugnò irritato, ma la corvina capì cosa stava dicendo: che la sua migliore amica stava correndo dalla polizia.

 

«Lo so, ma non voglio che tu le faccia del male. Scappa Chat, allontanati da qui. Io tornerò a casa, ma tu devi metterti in salvo.»

 

Il felino la fissò sorpreso.

 

Malgrado fosse lei in pericolo si preoccupava ancora per lui, mettendolo prima di se stessa.

 

Sapendo che discutere con sarebbe stato inutile –e che il tempo stringeva– annuì, abbracciandola un'ultima volta prima di uscire dalla finestra rotta e balzare sul tetto della villa, per poi allontanarsi il più possibile.

 

Marinette lo guardò lasciare la stanza prima di correre verso casa sua, evitando i passanti e spalancando la porta del negozio di famiglia, trovando Alya accompagnata da due agenti ed i suoi genitori che fissarono la figlia tra la sorpresa e lo spavento.

 

Se Alya aveva pensato che fosse nei guai si era sbagliata; ora era in guai peggiori.

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Marinette sospirò, abbracciando il cuscino a forma di gatto che usava per dormire.

 

Quel pomeriggio fu uno dei più lunghi e strazianti della sua vita fino in quel momento: tutti e tre furono portati alla centrale di polizia, dove vennero costretti a dire tutto ciò che sapevano.

 

Tom, preoccupato a morte per la sua dolce bambina, era disponibile ad aiutare gli agenti, dicendo loro ogni informazione che possedeva, dalla prima aggressione a Place des Vosges, a quella dove Chat Noir avrebbe ferito Marinette alla guancia dopo aver fatto irruzione sul suo attivo; Sabine, invece, mantenne la stessa versione del marito, seppur mantenne segreto il legame tra la Belva Nera e sua figlia, senza contare del suo soccorso.

 

Marinette, interrogata in una stanza a parte da Raincomprix, mantenne il silenzio per più di tre ore, finché non si decise a parlare, inventando scuse, pur mantenendo qualche briciolo di verità.

 

«Perché eri all'interno della villa? Lo sai che è proprietà privata?» le domandò un agente, seduto di fronte a lei.

«Sì, lo sapevo. Ero là perché monsieur Agreste era il mio più grande idolo e volevo entrare in quella casa almeno una volta nella vita.» rispose lei a capo chino, mantenendo la voce ferma.

«E sapevi che era covo della Belva Nera?»

Dopo un paio di secondi parlò. «Sì, ma credevo non ci fosse nessuno.» mentì nuovamente, torturando un lembo della felpa.

 

L'agente stava per farle un'altra domanda, ma un suo collega entrò e grazie al silenzio che regnava nella stanza Marinette sentì quello che disse.

 

«Nessuna traccia di Chat Noir e non ci sono prove che la ragazzina sia stata più di una volta in quella casa.»

 

La corvina non diede segno di sorpresa, tenendo lo sguardo basso; a quanto pare Chat aveva nascosto o spostato tutte le sue cose.

 

Raincomprix sospirò. «Per oggi abbiamo finito. So che sei una brava ragazza Marinette e solo per questa volta non prenderò gravi provvedimenti. Non so se la prima volta che Alya ci ha chiamato fosse successo per davvero, dato che eri nella tua stanza, ma non puoi entrare nelle proprietà private, anche se bandivate, solo per curiosità.»

 

La ragazza annuì.

 

«Va bene. Puoi andare.» esclamò, guardandola uscire dalla stanza e chiudere la porta. «Voglio due agenti di guardia alla casa dei Dupain-Cheng. Voglio sapere ogni movimento della ragazza.»

 

L'altro agente annuì, uscendo a sua volta e lasciando Raincomprix da solo.

 

Non era un caso che Marinette non era stata attaccata dalla Belva Nera dopo che aveva invaso il suo territorio, soprattutto dopo quel famoso video dove quel mostro si era fermato a pochi centimetri da lei, lasciandola illesa; l'unica cosa che non si spiegava era la ferita che le aveva procurato al volto, i segni leggermente visibili alla luce.

 

L'uomo si sedette al tavolo, leggendo i verbali acquisiti dagli interrogatori ai suoi genitori, entrambi che coincidevano e non davano segno di saper come mai la figlia era in quel posto.

 

Forse l'aveva ferita per sbaglio, ma questo significava che i due si erano incontrati più di due volte: al parco, quando l'aveva ferita e quel pomeriggio.

 

E se fossero state più volte?

 

Non ne era sicuro e non solo sapeva, ma sarebbe riuscito a scoprire la verità ed a liberare Parigi dalla Belva Nera.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ciao a tutti ^^

 

Per prima cosa devo chiedervi scusa per non aver aggiornato settimana scorsa, ma davvero, non me la sono sentita a causa di un "contrattempo".

 

Avevo in mente di aggiornare magari durante la settimana e sabato, per poi riprendere settimanalmente, ma poi non ci sarei stata con i tempi, dato che il "contrattempo" non è finito così di colpo come è iniziato.

 

So che vi ho confusi, ma non ne voglio parlare.

 

Chiedo ancora scusa a tutti se non vi ho fatto sapere nulla, ma volevo totalmente staccarmi dalla situazione, seppur ero praticamente dentro ahahahah 😅😅😅 

 

Sapete che ho una mente strana, non fatevi domande😂😂

 

Grazie a tutti e scusate anche solo se il capitolo non è al massimo come stile di scrittura, errori dovuti al T9 e alla distrazione e trama, magari correggerò più avanti come tutte le altre fic prima di dedicarmi a nuove ^^'

 

Da oggi si riprende ufficialmente con "Monster" e andrò avanti finché non finirà!

 

Manca poco, se ho calcolato bene dovrebbero essere 40 massimo 45, teoricamente. Stiamo comunque su questi numeri, quindi potrebbero benissimo essere 40 come potrebbero essere 42 o 43.

 

A sabato prossimo ^^

Francy_Kid

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Capitolo 39
*** Cap. 38 ***


Cap. 38









 

Chat Noir sospirò di sollievo nel vedere la macchina della pattuglia della polizia andarsene dopo che avevano controllato casa sua in cerca di qualche traccia di Marinette.

 

Aveva messo le sue cose in uno zaino abbastanza grande che aveva sul fondo dell'armadio, per poi rifugiarsi sul tetto, dato che era l'unico che poteva arrivarci con facilità.

 

Fissò il cielo notturno, poi abbassò gli occhi sul quaderno che la sua amica gli aveva dato per comunicare, accarezzando la copertina e sorridendo al disegno stilizzato di quello che pareva un gatto nero volante, che fissava il vuoto con espressione annoiata ed un pezzo di formaggio sottobraccio –o sottozampa?–

 

Sorrise al ricordo di quando l'aveva disegnato in un momento di noia; non sapeva il perché avesse scelto il formaggio da disegnare, ma Marinette aveva dato un nome a qual gattino: Plagg.

 

Un nome buffo e privo di significato logico, ma gli era piaciuto si da subito e avevano iniziato a disegnare vari schizzi di questo Plagg sui fogli.

 

Era un bel passatempo stare con Marinette ed era capace perino di far passare la noia.

 

Anche i momenti di silenzio erano divertenti, dato che si inventavano diverse gare da fare o lui la aiutava a fare i compiti, soprattutto in quel periodo in cui doveva recuperare dopo la sua influenza divenne il suo insegnante privato: lui aveva sempre preso lezioni private ed era abbastanza avanti come corso, grazie un po' anche al fatto che fosse un ragazzo che imparava molto in fretta e aveva appreso un buon metodo di studio, accompagnati dal fatto che gli piaceva imparare, quindi si impegnava al massimo in tutto quello che faceva, che fosse scherma, cinese o sui set fotografici.

 

Poi l'anello distrusse tutto, ma se fosse andato avanti con la sua vita non avrebbe conosciuto Marinette.

 

Ricordandosi di quello che era accaduto quel pomeriggio si alzò di scatto, pensando in un primo momento di rientrare a casa e lasciar passare quella maledetta giornata, ma aveva altri programmi per quella sera.

 

Forse stava facendo una gran stupidata, ma voleva solo restare con Marinette.

 

Si mise lo zaino in spalla e si lanciò sui tetti della città, destinazione: casa della sua principessa.

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Marinette sbadigliò annoiata.

 

Era consapevole del tardo orario, ma non era molto stanca, malgrado la giornata pesante che aveva passato.

 

Alya aveva avvisato la polizia, per ben due volte e questa volta aveva anche delle prove.

 

Si sentiva tradita dalla sua migliore amica, ma, dopotutto, lei era la prima ad averle mentito, tenendole nascosto il fatto che aveva stretto amicizia con niente e po' po' di meno che la Belva Nera, la persona che più temeva.

 

Però non gliel'aveva detto per tre motivi: il primo era che, molto probabilmente, non le avrebbe creduto; il secondo, al contrario del primo, era che avrebbe avuto paura anche di lei e non la considerasse più sua amica; ed il terzo, quello più plausibile, era che avrebbe immediatamente chiamato la polizia, così che lei e Chat non avrebbero mai avuto possibilità di legare.

 

Oppure avrebbe accettato la cosa, così magari anche Nino, ed invece che essere solo lei e Chat in quella casa abbandonata da Dio fossero in quattro e Adrien avrebbe iniziato a farsi di nuovo degli amici.

 

Ma aveva promesso a Chat che non l'avrebbe detto a nessuno, per nulla al mondo –certo, sua madre fu per estrema necessità– e non intendeva venire meno ad una promessa.

 

Ed ora non avrebbe più potuto vedere Chat Noir, mai più...

 

Un peso le si posò sullo stomaco a quell'idea, soprattutto ora che avevano passato entrambi un periodo senza vedersi, accompagnato da un'influenza che impediva ai due di godersi pienamente il tempo passato insieme.

 

Ora che ci pensava la sua vita era cambiata drasticamente da quanto Chat Noir era comparso sul suo attico, però non rimpiangeva nulla, nemmeno essere passata in quel maledettissimo vicolo e finire braccata da un malvivente –anche se, effettivamente, quel dettaglio avrebbe preferito non fosse mai accaduto–

 

Anzi, non avrebbe cambiato nulla di quella sera, oppure Chat Noir non l'avrebbe salvata e non avrebbe capito che la Belva Nera era frutto di una maledizione.

 

Insomma, c'erano pro e molti contro venuti fuori dopo quel loro incontro.

 

Improvvisamente, senza che nemmeno se ne accorgesse, i suoi pensieri misero a fuoco quella famosa sera in cui venne per sbaglio ferita alla guancia, iniziando ad immaginare cosa sarebbe successo se suo padre non li avesse interrotti.

 

Vedeva i loro visi distanti solamente un soffio avvicinarsi sempre di più, finché le loro labbra non si incontrarono, chiudendo il divario e dando vita ad un dolce bacio.

 

Marinette si sfiorò le labbra, sentendo un lieve pizzicorio, sembrandole che quelle del ragazzo fossero realmente posate sulle proprie.

 

A quel pensiero afferrò le coperte e se le tirò sopra la testa, soffocando un urlo di frustrazione.

 

Non sapeva bene cosa pensare, anche perché la sua mente tornava sempre a quel pensiero, facendola arrossire ulteriormente.

 

Solo un bussare alla botola sopra la sua testa servì a risvegliarla, facendola sbucare da sotto la coperta e guardare verso l'alto incuriosita.

 

E chi riusciva ad arrampicarsi sul suo attico se non Chat Noir?

 

Seppur fosse al settimo cielo di vederlo, quello era anche il momento peggiore, non solo per quello che aveva pensato poco prima.

 

«Che ci fai qui? Casa mia è sorvegliata!» sussurrò aprendo la botola per permettergli di entrare, ma il felino scosse la testa, porgendole il quaderno sul quale aveva già scritto qualcosa.

 

"Prendi il necessario per qualche giorno e fuggiamo" lesse la corvina, che strabuzzò gli occhi, incredula.

 

«Cosa?! Ma sei matto? Già c'è la polizia qui sotto, che credo anche ti abbia visto, sono nei guai fino al collo perché Alya ci ha beccati e tu mi stai dicendo di fuggire con te?!» esclamò quasi ad un fiato, non stancando gli occhi da quelli verdi dell'amico.

 

Chat annuì serio, mantenendo il contatto visivo ed farle capire che non stava scherzando.

 

"Fuggiamo dove nessuno ci dirà nulla, dove potremo stare insieme e nessuno ci dividerà mai più"

 

La proposta era sin troppo allettante e si morde il labbro inferiore per non permettere ad un "SÌ!" di essere urlato per la felicità.

 

Era già nei guai fino al collo e non voleva che la questione peggiorasse, soprattutto non voleva che Chat Noir fosse coinvolto più di quanto già lo era.

 

"Mari, per favore. Io voglio solo stare con te, nulla di più... Sei tutto ciò che mi resta"

 

A quel punto Marinette cedette. Si alzò e andò a recuperare uno zaino, dentro il quale mise una felpa pesante è giusto un paio di vestiti, per quel massimo che ci stava.

 

Immaginò che il cibo e possibili abiti li avrebbe rubati Chat, cosa di cui avrebbe discusso con lui, ma ora non c'era tempo; lanciò lo zaino sull'attività non appena il felino si spostò, salendo poi a sua volta.

 

Anche lui aveva uno zaino con dentro le sue cose, leggermente più vuoto del suo.

 

Le chiese se volesse dargli qualcosa, ma lei rifiutò, dicendogli che era tutto apposto.

 

Chat prese la mira per il tetto più vicino, invitandola a reggersi stretta a lui, prendendola in braccio.

 

Marinette fece come le era stato accennato, fidandosi completamente di Adrien; sentì le sue forti braccia stringerla alla vita mentre lei si aggrappò a lui come un koala sulla pianta di eucalipto, arrossendo leggermente e serrando gli occhi quando iniziarono il loro viaggio verso una meta sconosciuta.

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Erano ormai due ore che la pioggia cadeva incessantemente ed era da poco passata l'una di notte.

 

Marinette si era addormentata ancora mentre stavano saltando tra i tetti in cerca di un posto per riposare, a quanto pare non affatto disturbata dai salti del felino.

 

E poi era lui il gatto, pensò sospirando Chat appena prima di sistemarla su un vecchio pezzo di cartone.

 

Non sapeva esattamente quanta strada aveva percorso, ma dopo un'ora iniziava ad essere stanco anche Adrien, così si diresse verso uno dei palazzi abbandonati, costruiti per contenere dei condomini, ma il progetto non andò in porto e tre colossi di cemento torreggiavamo nella banlieue parigina. 

 

Era la prima volta che Chat si rifugiava in quella zona, e sperava che non ci fosse nessuno, soprattutto all'ultimo piano.

 

Recuperò l'enorme cartone trovato accanto a quella che doveva essere l'entrata dell'ascensore e vi sistemò sopra Marinette, coprendola con il plaid che lei stessa aveva sistemato per lui, non volendo che prendesse troppo freddo.

 

Si sedette accanto a lei, controllando che il fuoco che aveva acceso raccogliendo scatoloni recuperati qua e là tra i piani e dagli alberi nel parco vicino appena prima che iniziasse a piovere; per fortuna ne aveva presi parecchi.

 

Spostò lo sguardo sulla sua amica addormentata, accarezzandole i capelli e notando che stava tremando leggermente; si alzò, andando a recuperare il cartone che aveva preparato per sé e sistemandolo accanto a lei, sdraiandosi e abbracciandola da dietro, sistemando il naso tra i suoi capelli, potendo così sentire il suo odore.

 

Adorava abbracciarla in quel modo e adorava dormire con lei.

 

Quella vicinanza intima che solo con lei –oltre che per le ovvie ragioni dovute dall'essere la Belva Nera– aveva; quel legame che permetteva ad entrambi di non avere mai un attimo di imbarazzo.

 

Decisamente Marinette non era solo un'amica e glielo avrebbe detto appena tutta quella storia sarebbe finita.

 

Sentendo i tremolii della corvina placarsi, chiuse gli occhi e si strinse maggiormente a lei, facendo leggermente le fusa e addormentandosi poco dopo.

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

L'ispettore Raincomprix svoltò violentemente a destra, con le sirene spiegate e suonando per far segno a quelle poche macchine per strada che aveva la massima urgenza.

 

Aveva ricevuto una telefonata preoccupata dai coniugi Dupain-Cheng mezz'ora prima, mobilitando quasi tutte le volanti.

 

Marinette non era più in casa e alcune dei suoi vestiti pesanti erano spariti.

 

Usò la localizzazione del telefono della ragazza, fortunatamente collegato a internet, indicando un luogo abbastanza isolato nella periferia della città, in uno delle tante costruzioni abbandonate.

 

La pioggia cadeva a dirotto ed i tergicristalli erano regolari sul livello massimo.

 

Il segnale era ancora fermo in quel punto, deducendo che si erano fermati per via della pioggia.

 

Non sapeva cosa stava subendo quella povera ragazza, ma tra poco sarebbe stata al sicuro. Doveva resistere ancora poco.

 

 

 

 

 

 

 

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Beate vacanze!

 

Questo finale è il mio augurio di natale xD

 

Godiamoci le vacanze, io vado a scrivere il prossimo perché credo inizierò l'anno con l'odio di molte persone, help...

 

ANYWAY!

 

Ancora auguri di buon natale, ci vediamo sabato prossimo :3

Francy_Kid

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Capitolo 40
*** Cap. 39 ***


Cap. 39








 

Chat Noir sbarrò gli occhi di colpo, captando rumori di passi provenire dai piani inferiori.

 

Era impossibile che la polizia li avesse già trovati, ma soprattutto come aveva fatto a trovarli?

 

Alzò il capo e sbirciò fuori, notando che stava ancora piovendo a dirotto e che il fuoco si era quasi spento, facendo tremare leggermente Marinette dal freddo.

 

Erano in trappola: la polizia che sarebbe arrivata a momenti e la pioggia che gli impedì di svegliare la ragazza per riprendere il viaggio, dato che non voleva farla ammalare di nuovo.

 

Si scostò dalla sua amica addormentata, recuperando il suo zaino e prendendo il suo quaderno, scrivendo qualcosa su un foglio e, dopo averlo piegato in diverse parti, sistemarlo nella tasca a zip della felpa, sapendo che avrebbe letto il messaggio; subito dopo, richiuse il quaderno, guardandolo con un sorriso triste e gettandolo nel fuoco, rialimentando la fiamma e vedendo l'oggetto consumarsi.

 

Sapeva che non aveva scampo, ma non avrebbe lasciato che qualcuno fermasse il suo sogno di restare con Marinette.

 

Avrebbe lottato fino all'ultimo pur di restare insieme a lei.

 

Man mano che i passi aumentavano, Chat si mise a quattro zampe, restando sopra la ragazza come a proteggerla in qualche modo, abbassando le orecchie e scoprendo i denti e gli artigli affilati, ringhiando leggermente.

 

Volevano portare via la sua Principessa e tutti sapevano cosa accadeva se il tesoro più prezioso della bestia veniva rubato: sicuramente, non finiva bene per il ladro.

 

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Raincomprix salì le scale, seguito da una ventina dei suoi uomini, armati e protetti.

 

Controllarono tutti i piani, senza trovare nessuno, finché non arrivarono all'ultimo.

 

Lì la prima cosa che notarono fu un leggero fuocherello che stava per spegnersi, consumato, e subito dopo un paio di tanto luminosi quanti minacciosi occhi verdi.

 

Raincomprix ordinò ai suoi uomini di disporsi in cerchio, coprendo tutti e quattro i lati per circondare il nemico e salvare la ragazza, che non sapeva se avesse perso i sensi o fosse addormentata, ma, soprattutto, non sapeva se fosse ferita.

 

Sentì Chat Noir ringhiare, scrutando le persone che aveva attorno, quasi come a studiarle una ad una, poggiando delicatamente una mano artigliata sul braccio di Marinette.

 

Il rumore delle armi che si caricavano allarmò l'ispettore, ordinando ai suoi uomini di non sparare se non volevano che anche Marinette venisse ferita.

 

Per svariati secondi, che sembravano un'infinità, ci fu come una gara di sguardi tra lui e la Belva Nera, finché quest'ultimo non si mosse, attaccando con estrema velocità un uomo sulla sua sinistra.

 

Subito esplose il caos, facendo svegliare Marinette, che si guardò intorno confusa: era circondata da poliziotti, alcuni in piedi che non sapevano se sparare o meno –dato che rischiavano di colpire i propri compagni– ed altri a terra feriti, con le divise lacerate ed il sangue che usciva dai tagli procurati da Chat Noir.

 

La ragazza si mise in piedi, volendo chiamare l'amico, ma venne presa da un agente è portata lontano –per quanto il luogo in cui si trovavano lo permetteva– da dov'era sdraiata inizialmente.

 

«Stai tranquilla, presto questa storia sarà finita.» disse l'uomo, il volto coperto da un casco protettivo come i suoi colleghi, impedendo alla ragazza di vedere chi fosse.

Marinette si divincolò: «No! Fermi! Non fategli del male!»

 

Era tutto inutile: chi era ancora in piedi combatteva contro Chat con i manganelli e cercava di proteggersi con gli scudi in dotazione, che venivano distrutti dagli artigli del loro nemico.

 

La ragazza osservò la scena da poco più lontano, cercando di liberarsi dalla forte presa dell'agente, guardando gli uomini della polizia che cadevano feriti l'uno dopo l'altro; continuò ad agitarsi e chiamare inutilmente il nome di Chat, ma lui sembrava aver perso il controllo, ringhiando e saltando da un bersaglio all'altro come se stesse colpendo degli uomini di pasta frolla.

 

Finalmente si liberò dalla presa dell'agente, correndo più vicino che poteva e urlando il nome del ragazzo un'altra volta, facendolo fermare a pochi centimetri dal petto di Raincomprix, che fissava la Belva Nera con il fiato sospeso.

 

Chat si voltò verso la ragazza, con gli occhi totalmente verdi e le orecchie appiattite al capo, mostrandole i denti affilati in un'espressione di pura rabbia.

 

Marinette mosse un paio di passi in avanti. «Chat, per favore, fermati. Non sei in te.» disse con voce calma, volendolo rassicurare.

 

Il felino rilassò i muscoli del corpo e la sua espressione accigliata, ma sembrava tornare in sé: la pupilla tornò visibile, così come l'iride smeraldina; i suoi ringhi si placarono e abbassò le mani artigliate, permettendole di avvicinarsi ancora.

 

Gli occhi delle persone presenti erano tutti sulla scena, visibilmente sorpresi e increduli di ciò a cui stavano assistendo, eppure una ragazza si era avvicinata alla Belva Nera e lo stava calmando con frasi dolci.

 

Il commissario Raincomprix aveva la bocca spalancata.

 

E pensare che appena qualche secondo prima stava per venire attaccato dalla stessa creatura che ora guardava con occhi dispiaciuti Marinette.

 

In quel momento gli sembrò di capire che Chat Noir non presa con sé contro la sua volontà, ma lei era d'accordo e che in quel momento lui la volesse proteggere.

 

A risvegliarlo dai suoi pensieri fu il rumore di uno sparo è Chat Noir che ringhiava minaccioso toccandosi la spalla dalla quale spuntava quello che sembrava un dardo.

 

Il ragazzo crollò sulle ginocchia e Marinette fece lo stesso, preoccupata.

 

Raincomprix si voltò solo per vedere un uomo con la tuta mimetica mentre impugnava un fucile.

 

«L'esercito...» esclamò sorpreso, facendo spazio alla decina di persone che salivano le scale, seguite da quello che sembrava essere il generale.

«Grazie agente. Ha fatto un buon lavoro.» disse serio, recandosi a pochi passi dai due ragazzi.

 

Marinette fissò l'uomo con le lacrime agli occhi, tenendo Chat stretto a sé; ormai il ragazzo faticava a tenere gli occhi aperti, ma stava lottando per rimanere cosciente, soffiando minaccioso contro il nemico.

 

«Il sonnifero sta facendo effetto, a quanto vedo.» esclamò tra sé e sé, per poi guardare la corvina. «Non preoccuparti ragazzina, ora è tutto finito.»

Marinette sbottò. «Ma lui non voleva farmi del male! Non mi ha mai fatto nulla!»

Il generale sorrise. «Oh lo so, ma l'incubo della Belva Nera che terrorizzava la città è durato troppo, e anche stasera questo mostro ha ferito gravemente troppe persone. Portatelo via.» aggiunse facendo un cenno con la testa.

 

Senza dire nulla, cinque dei suoi uomini si mossero verso i due ragazzi, quattro impegnati a tenere fermo Chat Noir, che malgrado l'anestetico si agitava, volendo liberarsi, mentre un altro separò Marinette dal biondo, tirandola indietro ed impedendole di avvicinarsi ancora a lui.

 

Gli uomini in tuta mimetica scesero le scale finché non raggiunsero l'uscita del palazzo, fuori dal quale vi era una gabbia ed un furgone del medesimo colore delle loro divise.

 

Marinette tentava in tutti i modi di divincolarsi dalla presa dell'uomo, ma la stanchezza ed il fatto che fosse allenato le impediva di liberarsi; ad un paio di metri da lei, Chat Noir, anche lui che tentava di liberarsi, tendendo la mano verso l'amica, invano.

 

Calde lacrime si mescolavano alla pioggia fredda ed i loro corpi bagnato che lottavano per la libertà, per potersi riabbracciare almeno un'ultima volta.

 

La scena sembrava scorrere a rallentatore per Marinette, urlando in preda alla rabbia e alla tristezza quando un uomo infilò un ago pieno di liquido trasparente nella spalla di Chat, che si mise a ringhiare e cercare di sferrare artigliate, ma le sue gambe cedettero nuovamente ed ora servivano solo due persone a tenerlo fermo.

 

La corvina rimase impietrita quando misero l'amico dentro quella dannata gabbia, come se fosse un animale pericoloso.

 

Nessuno di loro capiva che era un essere umano.

 

Chat, ormai stremato e con la testa che gli girava, alzò lo sguardo, sorridendo tristemente a Marinette, che tentò nuovamente di liberarsi dalla presa dell'uomo, inutilmente.

 

Schiuse le labbra come a dire qualcosa, ma, effettivamente, non poteva parlare, così portò la mano sul suo petto e, successivamente, la porse in avanti, con il palmo rivolto verso l'alto.

 

Marinette sgranò gli occhi, il cuore che le batteva all'impazzata nel petto.

 

Riconobbe quel segno, rimastole impresso nella mente dopo la prima volta che lo vide.

 

"Ti amo."

 

Il mondo sembrò crollarle addosso: perché proprio in quel momento? Perché non gliel'aveva detto prima? Perché proprio ora, mentre lo stavano caricando su quel maledetto furgone per portarlo chissà dove?

 

Osservò Chat Noir chiudere gli occhi, ormai privo di sensi, per poi vederlo sparire dietro le porte del furgone.

 

Poco dopo, l'intera area fu piena di gente curiosa, paparazzi e ambulanze, che portarono via le persone ferite da Chat Noir.

 

Ma in mezzo a tutta quella confusione, era ancora vivibile il furgone in cui era imprigionato Chat, anzi, Adrien, che si allontanava piano piano, seguito da altri furgoni dentro i quali vi erano i soldati che avevano partecipato alla missione.

 

I rumori erano ovattati e si sentiva soffocare, malgrado altri agenti della polizia avessero eretto delle specie di barriere con il nastro e con delle sbarre apposta.

 

Raincomprix raggiunse Marinette, che fissava il vuoto senza dire nemmeno una parola, portandola verso l'ambulanza per controllare come stesse.

 

L'agente non disse nulla nel vedere la ragazza con quell'espressione sconvolta, gli occhi rossi dal pianto e le gote rosse per il freddo.

 

Sentì il cuore stretto in una morsa nel vederla in quello stato, mentre l'operatore sanitario le faceva delle domande e lei non rispondeva, ancora con la coperta –ormai fradicia– sulle spalle, stringendola come se servisse a proteggerla in qualche modo.

 

Era impossibile ignorare i molteplici paparazzi che cercavano di avvicinarsi alla ragazza per sapere qualunque cosa, anche la più minima; ma poco prima aveva ricevuto degli ordini e toccava a lui mascherare maggior parte della verità.

 

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

«La Belva Nera ha rapito la ragazza, portandola in questo luogo abbandonato. Non sappiamo cosa volesse farle, ma se non fosse stato per il tempestivo intervento delle forze dell'ordine, a quest'ora i genitori della giovane, molto probabilmente, non potrebbero più abbracciarla.» Immagini della sera precedente scorrevano in televisione: una calca di persone, soprattutto paparazzi, che si sbracciavano pur di parlare con l'ispettore Raincomprix, mentre sullo sfondo si vedeva Marinette soccorsa da un paio di persone, una che la visitava e l'altra che cercava di parlare insieme, inutilmente. «La ragazza, una studentessa come tante altre, ha vissuto un incubo durato per poche ore, ma solo lei sa come ci si può sentire ad essere l'unica salvata dalle grinfie della Belva Ne–»

 

Sabine spense la televisione, tornando a preparare qualcosa da mangiare. «Non ti fa stare meglio sentire quelle cose, tanto meno vederle.» disse con una leggera nota di rimprovero, mettendo l'acqua a bollire.

 

Marinette non disse nulla, stringendo la coperta di Chat al petto –ovviamente dopo averla lavata– unico ricordo che aveva di lui.

 

Sabine guardò tristemente la figlia, andando a sedersi accanto a lei e abbracciandola. «Mari, mi dispiace per quello che è successo. Nemmeno io volevo che Chat venisse catturato, ma non puoi restare tutto il tempo rinchiusa in casa e non accettare nemmeno le visite dei tuoi amici.»

La ragazza sospirò. «Alya mi ha tradita. Mi ha seguita e mostrato alla polizia che ero con Chat.» borbottò, la voce incrinata per il nodo alla gola.

«Non sapeva che rapporto avevate te e lui. Però se tu glielo avessi detto, magari, tutto questo non sarebbe successo.»

«Oppure mi avrebbe presa per pazza e questa cosa dell'esercito sarebbe accaduta prima.» ribatté lei, stringendo la coperta.

«Dovresti dare più fiducia ai tuoi amici, soprattutto quelli più stretti. Magari Alya all'inizio ti avrebbe preso per pazza, vero, ma poi avrebbe capito, così come Nino. Come l'hai detto a me avresti potuto dirlo a loro.»

«A te l'ho detto perché era una situazione di estrema emergenza, sennò non te l'avrei detto. Ho visto come avevi reagito quando ero finita in ospedale: ero sconvolta e parecchio spaventata e non potevo dirti che si trattava di un errore... Poi gli hanno sparato e tu eri l'unica persona di cui mi fidavo.»

«E di Alya e Nino non ti fidi?»

 

La giovane aprì la bocca per rispondere ma la chiuse subito dopo, pensandoci su.

 

Certo che si fidava di Alya e Nino, erano i suoi due migliori amici, dopotutto, si conoscevano sin dal primo anno di asilo; era crescita con loro.

 

Eppure, non si fidava abbastanza da dire loro di Chat.

 

Forse perché aveva paura per la reazione di Chat, oppure perché Alya e Nino non avrebbero capito.

 

Insomma, chi mai potrebbe diventare amica della Belva Nera?! 

 

Eppure tutte queste risposte le sembravano solo giustificazioni, scuse, ed io vero motivo era un altro.

 

«Ha detto che mi ama...» sussurrò con un filo di voce, notando la vista farsi offuscata per via delle lacrime. «Ed io non ho potuto dirgli che ricambiavo i suoi sentimenti...» tirò su con il naso, affondando il viso nella coperta, mentre la madre la abbracciava e la cullava.

 

Rimasero così per alcuni minuti, lasciando che Marinette si sfogasse fino a quando non smise di piangere, tornando a fissare il vuoto con gli occhi rossi e bagnati.

 

Sabine le baciò la testa, alzandosi per andare a controllare i fornelli.

 

«Oh! Mari, mi stavo per dimenticare.» disse, poggiando un foglio di carta piegato in varie parti sul cuscino del divano. «Era nella tua felpa di ieri sera. È un po' bagnato, ma credo possa leggere ancora. Io non l'ho aperto.» aggiunse, tornando in cucina.

 

L'adolescente guardò il foglio, recuperandolo e aprendolo, notando chiazze larghe per via della pioggia che avevano leggermente sbiadito l'inchiostro blu.

 

Riconobbe subito la scrittura di Adrien e la sua attenzione si concentrò totalmente sulle parole.

 

"Cara Mari,

Mi dispiace non potertelo dire correttamente ma sono sicuro che questa sarà l'ultima volta che parleremo e dovevo dirtelo in qualche modo. Non posso parlare è l'unico modo che ho per dirtelo è scriverlo: ti amo. Ti ho amata sin dal primo momento in cui ti ho vista ed ho goduto di ogni momento che ho passato con te. Ti avevo detto che sono una persona sincera, ma ho tenuto segreto questa cosa perché avevo paura di un tuo rifiuto. Mi viene da ridere scrivere questa cosa, poiché prima del tuo incontro non mi importava più nulla, ma tu mi hai dato una ragione in più per continuare a vivere e mi sono sentito come un normale adolescente innamorato, che aveva paura di un rifiuto da parte della persona che amava. Anzi, tu eri la mia unica ragione di vita. Vorrei poter scrivere altro, ma il tempo a mia disposizione è poco. Promettimi solo una cosa: promettimi che mi ricorderai come Adrien Agreste, il ragazzo maledetto innamorato di una principessa. La mia principessa.

Ti amo.

Adrien Agreste, Chat Noir"

 

Marinette finì di leggere, accorgendosi solo in quel momento che nuove chiazze erano presenti sul foglio e che il suo viso era bagnato.

 

«Ti amo anch'io, Gattino.» sussurrò, lasciando cadere il figlio a terra e stringendo nuovamente la coperta, abbandonandosi in un pianto liberatorio.

 

 

 

 

 

 

 

 

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EHI EHI EHI! 

 

CONCLUDIAMO IL 2017 IN GRANDE! DAVVERO IN GRANDE!

 

Ma, momento pubblicità

*parte una musichetta in stile pubblicità spastica*

Sono qui a promuovere una meravigliosa idea di @cerisefrost: il piccione viaggiatore della vendetta! Si tratta di un piccione che caga in testa alle persone che odi! Attenzione: IlPiccioneVendicatoreVaAddestratoConCostanzaORischiateDiVenireCagatiInTestaDalVostroStessoVolatile.LaConpagniaNonÈResponsabileInCasoCiòAvvenga.

*strizza l'occhio con un una pubblicità anni 80 con tanto di "DING" in sottofondo*

 

No dai, a parte gli scherzi, siamo a fine anno e non trovo le parole giuste per ringraziarvi.

 

In questo 2017 ci sono stati alti e bassi, gioie e non gioie, sia per quanto riguarda Wattpad e EFP che la sfera privata, ma le gioie le ho avute soprattutto qui su Wattpad.

 

Grazie infinite a tutti per avermi sopportata in questo anno e spero che le mie storie vi continueranno a piacere anche per gli anni a venire (se starò su Wattpad e EFP ancora per tanto lel) :3

 

Ci vediamo nel 2018 con il 40º capitolo di "Monster", buon anno a tutti ^^

Francy_Kid

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Capitolo 41
*** Cap. 40 ***


Cap. 40






 

Marinette fissava la pagina bianca del quaderno suo quale prendeva appunti di quando Fu parlava senza dire una parola, giocherellando distrattamente con la matita.

 

«Sei parecchio giù oggi, Marinette.» disse l'anziano, volendo rompere il ghiaccio.

 

Come biasimarla? Il suo migliore amico le era stato strappato dalle braccia e tutti credevano che lei fosse stata rapita dalla Belva Nera; e poi si sapeva che i media aggiungevano molte altre cose per far pubblicità o per far passare Chat Noir ancora più mostro di quando già fosse chiamato, come il fatto che "lui aveva, molto probabilmente, allungato le mani su di lei".

 

Una marea di balle.

 

Quella mattina Marinette aveva avuto la possibilità di parlare con Raincomprix, ovviamente in privato e quando non era in servizio, spiegandogli cos'era successo; ovviamente non dicendo nulla del fatto che si incontravano, ma dicendogli che quella sera lui l'aveva rapita perché si sentiva solo, scrivendo su un foglio che aveva recuperato non sapeva dove e non alzando nemmeno una mano su di lei.

 

«Allora perché la tua amica ci ha chiamati dicendo che ti aveva visto con Chat Noir qualche giorno fa?» chiese l'uomo, incrociando le braccia al petto.

Marinette deglutì. «Non lo so... Io ero in camera.»

«Da quanto ho notato dal comportamento di Chat Noir, non era la prima volta che vi incontravate. Sei l'unica persona che non ha attaccato, malgrado non fosse più in sé. Dimmi se ho sbagliato, Marinette.»

 

Alla fine la ragazza dovette cedere e gli raccontò che, effettivamente, non era la prima volta che si incontravano, ma che Chat Noir non le aveva mai fatto nulla di male.

 

Raincomprix era un uomo che aveva fiuto per queste cose, anche per questo era considerato tra i migliori agenti della sua zona; ma era anche un padre e sapeva sapeva come si sentivano le persone ad essere strappate dalla persona a cui si tiene.

 

L'uomo sospirò. «Ascolta, ora non ti sto parlando da poliziotto, ma da padre. Mi dispiace per quello che è successo e ho notato che tu sei molto legata a Chat Noir come lui lo è con te. La verità la sappiamo solo io e te e ti prometto che non dirò nulla di quello che è stato detto oggi, ma ripeterò ciò che ho detto al telegiornale e ciò che ho scritto nel verbale.»

 

Marinette sorrise, ringraziandolo. Quindi, ora, erano in tutto tre le persone che sapevano di lei e Chat: sua mamma, Fu e Raincomprix.

 

Caspita, era bravissima a mantenere i segreti, pensò amareggiata; l'importante era che lui mantenesse la parola data e non aprisse bocca.

 

La mattinata finì lì. Non era nemmeno andata a scuola data la mandria di giornalisti che si era accampata sotto casa sua e la depressione che la teneva incollata al divano o a qualunque altra superficie morbida; ma aveva bisogno di prendere una boccata d'aria fresca e aveva bisogno di alcune risposte, così ripescò dalle sue cose una parrucca bionda, un paio di occhiali da sole, una felpa con il cappuccio e andò fuori, verso la biblioteca.

 

Il cuore le batté all'impazzata nel mentre che diceva ai giornalisti che lei era una vicina, che la famiglia Dupain-Cheng era ancora in casa, per poi levare la maschera una volta arrivata alla sua meta.

 

«Mi scusi signor Fu, ma la mia testa è piena di cose... Soprattutto brutte.» aggiunse mugugnando, poggiando la fronte sul tavolo.

L'anziano sorrise tristemente. «So come ti senti. Anch'io ho perso qualcuno di importante nella mia vita, ma Chat non è morto.»

«Però chissà cosa gli staranno facendo...» tirò su con il naso.

«Non credo lo uccideranno. Gli serve vivo se vogliono scoprire come mai è la Belva Nera.» rispose, non notando alcun miglioramento in lei. «Vuoi sapere altro sull'ultimo Chat Noir?» domandò, sedendosi di fronte a lei.

 

La ragazza tirò su la testa, annuendo.

 

«Devi sapere che tu non sei l'unica ad essere rimasta accanto ad un portatore della maledizione per così tanto tempo, ma per quel ragazzo del Tibet ci fu qualcuno che vinse la paura e fece amicizia con lui.» iniziò l'uomo, attirando l'attenzione di Marinette. «Erano passati ormai cinque anni da quando il ragazzo terrorizzava le perdine. Era sera ed il ragazzo vagava per il villaggio in cerca di provviste da rubare, ma quando rientrò a casa, divenuta la sua tana, si accorse che qualcuno era entrato e stava cercando del cibo. Quando sferrò l'attacco contro l'invasore si accorse che era una ragazza, impaurita ed infreddolita, a quanto pare stava cercando un riparo. Se chi si intrufolava nella sua tana non ne usciva vivo, né donne né uomini, quella ragazza fuggì, solo perché lui volle così. In un primo momento non seppe perché, ma rimase incantato da quella ragazza: malgrado lo sporco sul suo viso ed i suoi vestiti logori, gli occhi furono ciò che catturò l'attenzione di Chat Noir. Passarono i giorni e l'immagine della poverina non abbandonava la mente del ragazzo, quando la rivide a fare l'elemosina per strada. Atterrò davanti a lei e fece in modo che non potesse fuggire. La fissò per qualche secondo, cercando di capire come mai non riusciva a dimenticare quegli occhi marroni, quando la ragazza gli chiese scusa per essersi intrufolata in casa sua, che non lo sapeva e che cercava solo un posto dove dormire, dato che non aveva una casa. Eppure non sembrava spaventata quando parlò con lui. Chat Noir le soffiò contro, per poi andarsene. I soli e le lune passavano e la poverina era sempre su quella strada a chiedere l'elemosina, ma l'inverno si stava avvicinando e dopo che si era addormentata, il felino, la portò a casa sua, costruendo un giaciglio per lei è accendendo il fuoco nel camino per farla restare al caldo. Restò tutta notte a fissarla, chiedendosi il perché provava pena per lei, una che lo considerava un mostro come tutti, ed al suo risveglio, la ragazza, in un primo momento sorpresa di non trovarsi più per strada ma nella tana di Chat Noir, lo ringraziò. Durante tutti i giorni dell'inverno i due vissero insieme, dove Chat Noir ebbe imparato a comunicare senza le parole e sviluppando una specie di amicizia. La ragazza non aveva paura, ma lo aiutava anche con il cibo, rubando qua e là mentre lui faceva lo stesso.trascorsero mesi insieme e nessuno dei due si quasi accorse dell'arrivo dell'estate. A Chat Noir sembrava di essere tornato normale, di riaver acquisito una famiglia, e capì che in realtà si era innamorato della giovane. Sperava che anche lei ricambiasse i suoi sentimenti, portandola a visitare luoghi dove gli uomini faticavano ad arrivare e anche quelli conosciuti solo a pochi. Una sera, tornando a casa, la ragazza si volle fermare nel cortile del tempio della città e, dopo un po' di titubanza, gli confessò i suoi sentimenti. Chat Noir sorrise, dicendole –a modo suo– che anche lui provava lo stesso. Ma quando stettero per baciarsi, l'anello iniziò a brillare e pulsare attorno al dito del ragazzo, facendogli inspiegabilmente perdere il controllo. Attaccò la ragazza che amava, finendo per ucciderla, ed in meno che non si dica, tutto il villaggio fu attorno a lui per assistere alla scena. Una donna si fece strada tra la folla e forse a stringere il cadavere tra le braccia, piangendo disperata. A quel punto, il ragazzo non seppe cosa stava succedendo. Perché tutte le persone erano lì? Perché una donna la chiamava "figlia" se gli aveva detto che aveva perso tutto ed era rimasta orfana? La testa iniziò a girargli e si sentiva sempre più debole, ma colse alcune frasi dalle persone come: "Il piano non ha funzionato", o "La ragazza sapeva a ciò che andava in contro. Si è sacrificata per il bene del villaggio" e capì. In realtà, era tutto un piano ideato dai sacerdoti per trovare il modo di liberarsi di lui e la ragazza era solo una pedina. In preda alla collera, Chat Noir tornò a casa, per poi perdere i sensi.»

 

Marinette fissò l'anziano senza parole. Era incredibile come la maledizione fosse spaventosa, soprattutto come l'unica persona che abbia mai amato si era rivelata solo una menzogna.

 

«Se te lo stai chiedendo, sì. La ragazza non amava Chat Noir, ma era stata scelta dai sacerdoti come "vittima sacrificale", se proprio vogliamo chiamarla così.»

«Come mai?» domandò con un nodo alla gola.

«Perché l'incubo del maledetto terrorizzava tutti da troppo tempo e pensavano che in quel modo sarebbero finalmente riusciti a vivere in pace. Tentar non nuoce.» aggiunse alla fine.

«C'era in ballo la vita di una persona e a nessuno è importato. Perché le persone sono così crudeli?»

«Marinette. Dimmi, cos'è la vita di una persona in confronto a mille altre?»

La ragazza scosse il capo. «Ma anche quella vita è sempre una persona! Chat Noir è stato preso da persone che lo vogliono morto e non è colpa sua! Non è colpa sua se è diventato la Belva Nera!»

Fu le sorrise. «Si vede che per te è molto speciale. E scommetto che lui lo sa, per questo farà di tutto pur di sopravvivere.»

 

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Chat Noir soffiò appena le luci si accesero, dando fastidio alla vista dopo che gli occhi si erano abituati ad ore di buio.

 

Era in una stanza totalmente bianca, una porta che dava l'impressione di essere resistente davanti a sé ed un letto sul quale ora era sdraiato.

 

Si mise a sedere con le gambe incrociate, notando subito che aveva le mani legate dietro la schiena.

 

Come se quello fosse bastato a imprigionarlo.

 

All'improvviso, le orecchie si rizzarono e gli occhi si spostarono sulla porta che si era aperta, rivelando un uomo dal camicie bianco accompagnato da altri quattro in divisa militare, con tanto di armi sottobraccio.

 

Erano pronti ad attaccare in caso lui si fosse liberato. Pronti a tutto, insomma.

 

Lo scienziato indossava un camice bianco, un jeans neri ed un paio di occhiali da vista che rendevano più grandi i suoi occhi color ghiaccio.

 

Non sembrava per nulla un uomo di scienza, poiché dimostrava poco meno di trent'anni, ma con quel sorriso infantile stampato in faccia sembrava più uno che ne interpretava uno.

 

«Ecco qui Chat Noir, il pericolo di Parigi. Oh, non sai per quanto tempo ho voluto studiarti.» ridacchiò l'uomo, fregandosi le mani. «Beh ragazzi, portatelo nel laboratorio. E occhio a non farvi mordere, a quanto pare può strapparvi la gola in men che non si dica.» ammiccò, dando la schiena al ragazzo e dirigendosi fuori dalla stanza.

 

Subito, i quattro uomini gli furono addosso, cercando di trascinarlo con loro, ma il felino ringhiò e soffiò, agitandosi per liberarsi, dato che ava la porta aperta e solo quattro uomini –anche se armati– contro, ma grazie alla sua velocità avrebbe potuto farli fuori in meno che non si dica.

 

Continuò a divincolarsi, quando una puntura al collo lo fece quasi urlare.

 

Ci vollero pochi secondi prima che quella cosa che gli avevano iniettato facesse effetto, facendogli cedere le gambe e impedendogli ogni movimento.

 

«Vedo che è stato necessario usarla.» esclamò con tono di finta sorpresa lo scienziato, facendo capolino nella cella. «Non ti preoccupare, non morirai e resterai cosciente, ma non potrai muoverti per un paio d'ore, il necessario perché io faccia qualche esperimento.» sorrise, andandosene nuovamente.

 

Chat ringhiò, chiedendosi che cosa gli sarebbe successo.

 

Non avrebbe dato loro vinta. Avrebbe resistito e sarebbe scappato per tornare dalla sua Principessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Perdonatemi se non ho aggiornato ieri, ma Wattpad ha avuto problemi per due giorni e quando ho scoperto che mi aveva cancellato metà capitolo (perché non si riusciva a leggere, a votare, le storie non venivano salvate è così via) mi è salita la depressione e mi sono messa a mangiare Nutella nel mentre che facevo un lavoro per la scuola.

 

Anyway, lo scienziato (no, non è Mark LOLOL) l'ho fatto ispirandomi a Lloyd di Code Geass. Ci sono affezionata un casino a quell'anime e Lloyd mi piaceva, anche se Lelouch è mio marito U^U

 

A sabato prossimo, se non vi sono problemi :3

Francy_Kid



 

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Capitolo 42
*** Cap. 41 ***


Cap. 41













 

Si sentiva solo alcool misto a qualche altra sostanza.

 

Quell'odore era diventato ormai insopportabile, dato che aleggiava in quell'ambiente chiuso da quando era arrivato.

 

Gli ricordava molto l'ospedale, solo che non c'erano pazienti bisognosi di cure, c'era solo lui e molti altri scienziati dai camici bianchi che si divertivano a giocare con il suo corpo.

 

Non sapeva quanto tempo era passato da quando l'avevano strappato sale braccia di Marinette, dato che per maggior parte del tempo era sedato per non ribellarsi; gli unici momenti in cui era sveglio erano quando lo sottoponevano ad alcuni esami per testare la sua forza fisica e la sua mentalità.

 

Ammise che si era divertito parecchio quando fece spaventare il soldato che lo punzecchiava –sin troppe volte– con il taser elettrico, anche se poco dopo lo sedarono per qualche ora; però il ghigno sul suo volto era sempre presente.

 

Ormai aveva capito che se non voleva essere sedato, se voleva restare il più a lungo sveglio e senza patire troppo dolore per le scariche elettriche allora doveva comportarsi bene.

 

Lo scienziato, di cui non sapeva il nome, gli aveva fornito una specie di computer che poteva usare solo per comunicare: era una tastiera collegata ad un monitor e delle casse riproducevano ciò che c'era scritto.

 

Se nei giorni precedenti la sua voce era un quaderno di carta, distrutto per non mettere in pericolo Marinette, ora era un robot che ripeteva a pappagallo ciò che scriveva.

 

Il ragazzo era sdraiato sulla sua branda, premendo lettere casuali per ascoltare quella macchina parlare; a volte si inventava dei veri e propri discorsi, soprattutto per far incavolare le guardie fuori dalla porta della cella.

 

Era arrivato alla lettera "P" quando la porta metallica si aprì, rivelando lo scienziato con il suo solito sorriso infantile stampato sul volto.

 

«Mi meraviglio sempre di come le tue orecchie riproducano esattamente i movimenti di quelle dei gatti.» esclamò con aria sognante, avvicinandosi a lui e guardandole. «Eppure non sono veramente le tue. Voglio dire, quelle da umano sono nascoste sotto i capelli.» sospirò, per poi scuotere la testa. «Non ci capirò nulla.»

 

"Allora lasciami andare. Sono solo un caso perso, dopotutto." scrisse Chat alla tastiera, ascoltando la riproduzione audio.

 

Lo scienziato scosse il capo. «Eh no, non vorrai mica che mi licenzino.»

 

"In realtà vorrei farti un buco in pancia. Credo che il licenziamento sia la migliore delle ipotesi." ghignò lui, guardandolo con ara di sfida.

 

«Come siamo cattivi!» mise il broncio lo scienziato, prendendo tra le mani la cartelletta che aveva sottobraccio. «Allora... Test fisico, check. Test sul quoziente intellettivo, check. Qualsiasi altro test possibile, check, check, check! Ancora non capisco come tu faccia ad avere questa forza straordinaria e queste specie di caratteristiche da felino. Il tuo DNA non è diverso da quello dell'essere umano, anzi, è pulito!» esclamò sorpreso, gettando all'aria la cartella, che venne prontamente afferrata da uno degli uomini alle sue spalle.

 

Si vedeva che non aveva fatto molto caso all'anello, pensò il ragazzo senza staccare lo sguardo da quello del dottore.

 

«Secondo questi test sei un ragazzo come tutti gli altri, ma con le abilità da felino. E dimmi, sei sempre stato muto o potevi parlare?»

 

"Non ho mai parlato." rispose, sapendo che stava cercando di estorcergli qualche informazione in più.

 

Né lui né le altre persone che lo aiutavano negli esami a cui lo sottoponevano sapevano che prima era un ragazzo normale, anzi, credevano –come tutti del resto– che fosse giunto a Parigi da un luogo remoto, e dato che il suo DNA era come quello di un normale ragazzo serviva ancora di più per mandarli in confusione.

 

C'erano cose che la scienza non si spiegava e la sua maledizione era una di quelle cose.

 

Lo scienziato aprì bocca per parlare, ma un soldato entrò nella stanza, sussurrandogli nell'orecchio e facendolo annuire.

 

«Hai visite, Chat Noir. Visite importanti.» sorrise, uscendo dalla cella per lasciare posto ad un altro uomo.

 

Si ricordava benissimo di lui. Come dimenticarsi quegli occhi marroni colmi di felicità nel mentre che veniva caricato sul furgone, che poi lo avrebbe portato in quel posto.

 

Generale Roux, così aveva capito si chiamasse prima di perdere del tutto i sensi.

 

«Quindi Chat Noir, la Belva Nera, è in realtà un ragazzino.» esclamò quasi casualmente, leggendo sulla cartella che poco prima aveva in mano lo scienziato. «Non posso credere che parigi fosse terrorizzata da un marmocchio.»

 

"Eppure anche lei sembra avere paura di me, altrimenti non me ne starei qui legato."

 

«E lasciarti scappare per uccidere ancora qualcuno? Nemmeno per sogno.» rispose, dando nuovamente la cartelletta ad uno dei suoi sottoposti sistemati all'entrata.

 

"Io non ho mai ucciso nessuno!" digitò, sperando che non avesse sbagliato a scrivere dopo che la rabbia lo assalì.

 

«Lo so, ma il passo è breve dal mandare persone, anche se ladri, all'ospedale ad uccidere qualcuno.»

 

Chat soffiò, scrivendo la risposta: "Io non ho mai voluto fare del male a qualcuno, ma se lo meritavano. Tutti quelli che ho attaccato erano malviventi a piede libero."

 

«Eppure quei poliziotti non erano malviventi.» ribatté il generale, facendo cambiare visibilmente espressione al ragazzo, che appiattì maggiormente le orecchie nere contro il capo. «Oppure rapire quella ragazza. Che cosa ti aveva fatto di male?»

 

Il felino non rispose, digrignando i denti e ringhiando.

 

Roux si avvicinò a lui, facendo un cenno negativi ai due soldati quando Chat soffiò e tirò fuori gli artigli dall'unica mano che aveva libera per scrivere. «Se vuoi che non le succeda nulla, e sono sicuro che è così, ti conviene fare tutto quello che diciamo noi o anche lei ne subirà le conseguenze, chiaro?»

 

Chat rimase fermo, serrando il pugno e sentendo le unghie pungergli il palmo, mentre i canini affilati gli bucavano il labbro inferiore.

 

Ringhiò appena l'uomo si allontanò ed uscì dalla cella, chiudendo la porta alle sue spalle.

 

Non voleva che Marinette finisse nei guai, non ora che avrebbe potuto tornare alla vita che faceva prima di incontrarlo.

 

Sferrò un pugno alla parete, fregandosene del dolore e del solco che aveva lasciato.

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

«Marinette, sono passate due settimane da quel tuo incidente. Potresti uscire con noi.»

«Scusa Alya, ma non ho proprio voglia di uscire.» rispose la corvina, mugugnando leggermente per via del cuscino che teneva sul petto, che arrivava a coprirle anche metà del volto. 

«E dai! Io, te e Nino non usciamo insieme da molto! Non è lo stesso senza di te!» esclamò Alya, cercando di convincerla al meglio che poteva.

«Almeno non faccio il terzo incomodo tra voi due.» ribatté secca Marinette, parlando appena prima che l'amica potesse dire qualcosa. «Senti Alya, i giornalisti sono ancora sotto casa mia e poi non ho nessuna voglia di uscire. Appena i cacciatori di notizie se ne saranno andati allora uscirò. Ci vediamo domani a scuola.» aggiunse, per poi chiudere la chiamata e spegnere il cellulare.

 

Non considerava più Alya la sua migliore amica per il suo tradimento, anche se si affossava almeno l'ottanta percento della colpa.

 

In realtà il fatto dei giornalisti era una bugia, dato che se ne erano andati ormai da qualche giorno; semplicemente aveva perso la voglia di uscire e, soprattutto, aveva perso la fiducia nelle persone.

 

Le sue giornate, ormai da una settimana, erano: alzarsi, cambiarsi, andare a scuola, scappare dai giornalisti –che per fortuna erano ogni giorno di meno–, andare in biblioteca da Fu o restare a casa a fare i compiti, dedicarsi a qualche "hobby da nerd" e poi andare a dormire, per poi ricominciare il mattino successivo.

 

Era entrata in questo loop ormai da troppo per i suoi gusti e sentiva che sarebbe esplosa se non avesse cambiato qualcosa.

 

Eppure quella era la sua vita prima di incontrare Chat Noir.

 

Cavolo, certo che aveva una vita noiosa, pensò sbuffando, girando il capo per vedere l'orario, perdendosi nell'immagine che aveva messo come sfondo del desktop: l'ultima foto di Adrien Agreste prima di sparire.

 

Arrossì leggermente nel ricordarsi che Chat Noir, Adrien Agreste, il figlio del suo stilista preferito, le aveva confessato i suoi sentimenti prima di venire portato via.

 

Adrien Agreste. Adrien agreste.

 

Arrossì ulteriormente, portandosi il cuscino sul volto per reprimere un urlo.

 

Adrien Agreste le aveva detto che l'amava.

 

Si mise a sedere di scatto, tastandosi le guance bordeaux, prima di prendere un profondo respiro e calmarsi, alzandosi in piedi e camminare fino al suo computer, sfiorando con le dita il volto sorridente del giovane.

 

Sorrise a sua volta, sentendo nuovamente le gote scaldarsi.

 

Mai nella vita avrebbe creduto di innamorarsi, soprattutto non di una persona importante come Adrien Agreste.

 

E, per la cronaca, a lei non importava chi era: se il ragazzo che si celava sotto la maschera di Chat Noir fosse stato anche una persona normale, che nessuno conosceva, si sarebbe innamorata allo stesso.

 

«Un bel casino, eh? Marinette?» chiese, non staccando gli occhi dallo schermo.

 

Le mancava, e tanto anche; ma si promise che appena lo avrebbe rivisto gli avrebbe detto che anche lei ricambiava i suoi sentimenti.

 

Era sicura che si sarebbero ritrovati, fosse l'ultima cosa che avrebbe fatto.

 

 

 

 

 

 

 

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Buona notte xD

 

So che è tardi, ma capitemi: a fine mese ho gli esami ed è da giorni che sto incollata al computer per fare i progetti, anche per questo é un capitolo cortino.

 

Si va avanti a studiare 💪🏻

 

Comunque, ci avviciniamo sempre di più alla fine.

 

Per favore, non chiedetemi quanto manca perché, effettivamente, non lo so neanche io: dipende tutto dalla lunghezza dei capitoli e cosa faccio accadere, tipo in questo non è successo nulla di interessante e sono state 1500 parole sprecate.

 

Però conoscete la mia regola: capitolo corto (ed in questo caso anche noioso) ora, per un capitolo lungo (e magari più interessante) la settimana prossima.

 

Anche perché sto sclerando malissimo per la puntata di domani. MENO OTTO ORE PIANGO!

 

A sabato (o domenica) prossimo ^^

Francy_Kid

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Capitolo 43
*** Cap. 42 ***


Cap. 42






 

Erano giorni che lo tenevano rinchiuso in quel posto, con cibo ed acqua razionati e con le braccia bucate per le flebo di quando gli facevano qualche esame.

 

Le energie scarseggiavano ogni giorno di più è ormai passava tutto il tempo che aveva a disposizione tra un esame e l'altro a dormire.

 

Eppure continuavano a dire che non c'era nulla di sbagliato in lui, che per la genetica e tutto il resto era un normale ragazzo: i valori erano tutti nella norma, tranne che per il battito cardiaco leggermente accelerato e la temperatura corporea più elevata.

 

«È un giovane in salute, anzi, più che in salute.» aveva risposto una delle assistenti dello scienziato. «Non c'è più bisogno di fare tutti quei test.»

«No, io voglio capire cosa è stato a renderlo così. Il generale Roux vuole che lo rinchiudiamo da qualche parte e per sempre, così che non possa più fare del male a nessuno, ma io ho seguito ogni suo minimo passo da quando è apparso e lui non vuole affatto fare del male alle persone.» spiegò l'uomo, spiando il ragazzo addormentato nella cella. «Ti ricordi invece quando lo abbiamo portato qui? Io ero su quel furgone ad aspettare che i soldati facessero il loro lavoro, dato che l'emozione di poter incontrare la Belva Nera di persona mi elettrizzava un sacco. Poi ho visto gli occhi di quella ragazza mentre lo portavano via.»

«Vuole aiutarlo?» domandò leggermente scioccata la sua assistente.

Lui annuì. «O almeno voglio provarci.»

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

Marinette fece rotolare la matita sul quaderno, nel mentre che fissava Fu che beveva una tazza di tè verde.

 

Le aveva detto che le aveva raccontato tutto ciò che sapeva, eppure non era convinta di una cosa.

 

Forse chiederlo sarebbe stato un azzardo e non avrebbe dato alcuna risposta, ma tentar non nuoce.

 

«Una domanda. Non ho potuto fare a meno di notare il suo comportamento durante il racconto della storia dell'ultimo Chat Noir. Mi sembrava che provasse una sorta di malinconia e tristezza, soprattutto i suoi occhi. Come mai?» domandò.

 

Fu fermò la tazza alle labbra, guardando la ragazza negli occhi.

 

Sospirò, poggiando il recipiente sul tavolo, sospirando.

 

«Era così evidente?» ridacchiò, grattandosi la nuca. «Era perché è accaduto nel mio paese d'origine ed era un mio parente. La mia famiglia è stata malvista dopo quell'episodio.» spiegò.

 

Marinette annuì, percependo della bugia in quella risposta, ma preferì non chiedere altro, volendo aspettare che fosse lui a dirle tutto.

 

«Vuoi un sorso anche tu?» domandò l'anziano poco dopo, indicandole un'altra tazza davanti a sé.

 

La ragazza annuì prendendo il contenitore in ceramica e bevendone un po'.

 

«So che io sono stato il primo a dirti che tra noi due deve esserci fiducia, –iniziò l'uomo, soffiando nella tazza– ed io ho fiducia in te...»

«Io rispetto le sue scelte.» lo interruppe, posando la tazza sul tavolo. «Come non ho forzato Chat a dormi chi era, ance se effettivamente l'ho scoperto perché sono un po' troppo curiosa, non forzerò lei a dirmi come stanno realmente le cose. La ringrazio per avermi raccontato tutto ciò che sa sui possessori dell'anello, per avermi mostrato questo posto e per aver sopportato la mia curiosità.» ridacchiò, tornando seria quasi subito. «Lei è l'unica persona che sento veramente vicina oltre a mia madre dopo che Chat è stato preso dai militari. La ringrazio davvero molto.»

 

Fu le sorrise, versandole dell'altro tè caldo nella tazza prima di rimettere la teiera sul vassoio che aveva sistemato.

 

Si accomodò sulla sedia, prendendo un respiro profondo prima di parlare.

 

«Che cos'è che può contrastare la distruzione?» chiese di punto in bianco.

La ragazza rimase sorpresa da quella domanda, pensando alla risposta più logica. «La creazione?»

«E la creazione quale sentimento umano rende concreto?»

 

Marinette non seppe cosa dire. Ammise che non si era mai posta quesiti di quel tipo e che porle domande di punto in bianco non aiutava ad alleggerire lo stress, ma ora non era interrogata per ricevere un voto e non sapeva esattamente come quelle domande centrassero con la questione "Chat Noir"; eppure la sua curiosità la spingeva a voler sapere di più.

 

Scosse la testa, segno che non aveva risposta.

 

«L'amore.» disse l'uomo con un piccolo sorriso. «L'amore da vita. Prova a pensare alla nascita di un bambino: esso nasce grazie all'amore dei genitori e cresce forte ed in salute sempre grazie a loro. Tutta la nostra esistenza è basata sulla creazione, sull'amore. Per contro, l'odio è ciò che provoca distruzione e l'anello di Chat Noir è alimentato da questo sentimento negativo. Vedi, in tutti questi anni mi sono dedicato allo studio dell'anello maledetto perché volevo capire come mettere fine alla maledizione, e dopo varie ricerche ho capito che l'unica cosa che può spezzare questa catena è che una persona riesca a comprendere l'odio e trasformarlo in amore.»

La corvina rimase ad ascoltare quasi ipnotizzata le parole dell'uomo. «Aspetti, ma se per contrastare la maledizione c'è bisogno dell'amore, allora l'ultimo Chat Noir è stato liberato, giusto?»

Fu annuì. «Però ha pagato un caro prezzo. Questo perché "l'accordo", chiamiamolo così, non è stato rispettato.»

«Come no? Lui si era innamorato della giovane ragazza. Provava amore nei suoi confronti.» rispose lei, non capendo.

«Esatto, ma lei no. Lei era stata usata come vittima sacrificale per cercare di liberare il villaggio dal mostro, in realtà lei non lo amava.»

«Quindi il sentimento deve essere ricambiato per far sì che la maledizione si spezzi.» osservò la giovane. «Mi ricorda un sacco il film "La bella e la bestia", solo che qui non c'è un limite di tempo.»

«E chi dice che non è il film a basarsi su questa cosa?» ridacchiò Fu, bevendo altro tè prima di parlare.

«Però mi meraviglio ancora come faccia a conoscere così tante cose e così tanti dettagli. Cioè, queste informazioni dovrebbero saperle tutti e capire che non è colpa di Chat se è ciò che è. È una maledizione, non è colpa sua.» disse Marinette.

Fu annuì. «È vero, così tutti potrebbero capire che succede, ma ci sono persone che potrebbero impadronirsi dell'anello per infondere distruzione. Te lo raccontai che non era la prima volta che un regnante si impossessò del gioiello per portare la dittatura nel suo regno. Ciò che voglio dire è che se finisse nelle mani sbagliate, il segreto dell'anello di Chat Noir può distruggere il mondo che conosciamo e regnerebbe solo la paura.»

 

Effettivamente era così; infondere terrore tra le persone era il modo migliore di regnare, soprattutto se chi la trasmetteva possedeva un potere tale da manovrare la mente degli altri, oltre che la vita.

 

Dopo qualche secondo di silenzio Fu prese nuovamente parola. «Io so molte cose perché ho avuto la possibilità di sperimentarlo sulla mia stessa pelle.»

«Era un suo parente l'ultimo Chat Noir.»

L'anziano scosse la testa. «Ammetto che ti ho mentito. L'ultimo Chat Noir, dopo che la ragazza morì, tornò alla normalità e l'anello si tolse dal dito. Devi sapere che io in realtà non ho settant'anni, ma ne ho centottantasei.»

 

La corvina lo guardò incuriosita è visibilmente sconvolta, rischiando di sputare il tè che aveva bevuto.

 

«Non era un mio parente l'ultimo Chat Noir. Ero io. Io ero un possessore e sono l'unico ad aver spezzato la maledizione.»

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

Chat Noir aprì gli occhi a fatica, tossendo per la gola secca.

 

Era di nuovo nella cella dopo l'ennesimo esame e faticava a stare in piedi per via della fame.

 

Aveva sentito per puro caso che era lì dentro da più di due settimane e che nessuno riusciva a capire che avesse, ma volevamo continuare a studiarlo.

 

La porta si aprì con un rumore metallico e lo scienziato entrò, sedendosi alla base del letto, mentre Chat lo fissava con gli occhi socchiusi.

 

L'uomo fece cenno alle due guardie di uscire e chiudere la porta, rispettando l'ordine dopo qualche secondo di titubanza.

 

La porta si chiuse e lo scienziato sospirò.

 

«Io non capisco come tu ti sia ritrovato così. Credo avessi una vita normale prima di diventare la Belva Nera. Ma come lo sei diventato?» chiese più a se stesso che al ragazzo, facendolo grugnire. L'uomo gli sorrise tristemente, chinandosi per raccogliere una bottiglia d'acqua, porgendogliela. «Sei assetato. Mi dispiace che tu debba sopportare tutto questo.»

 

Chat rizzò le orecchie, scattando la mano in avanti e afferrando la bottiglia, prendendo grandi sorsi fino a che non finì di bere, lasciando cadere la bottiglia vuota a terra e prendere aria.

 

«Roux verrà tra mezz'ora e ti interrogherà. Spero solo di non finire nei guai.» disse, alzandosi e tastano la tasca destra del camice; camminò verso la porta, bussando per farsi aprire.

 

Il ragazzo lo guardò chinando la testa di lato.

 

Perché lui dovrebbe finire nei guai? E cos'era quel rumore metallico che aveva sentito quando toccò la tasca?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Salve :3

 

Per prima cosa dico subito che mi dispiace che gli aggiornamenti sono quelli che sono, ma questa settimana inizio il periodo degli esami preferisco concentrarmi su di essi.

 

Seconda cosa, l'aggiornamento é stato spostato a domenica, dato che è l'unico giorno libero che ho.

 

Terza cosa, so che anche la qualità della scrittura (dalle descrizioni ai contenuti) è parecchio diminuita, ma tra i problemi che ha avuto Wattpad e la scuola ho la testa piena di tutt'altro ahahahah

 

Sia chiaro, io non mi sto giustificando, ma sto spiegando come stanno le cose e spero mi possiate perdonare per questo calo, perché a me piace molto scrivere e questa storia mi a presa parecchio, ma sono più concentrata sull'università che sulla scrittura.

 

Scrivo per hobby, nessuno mi paga, ma spendo parecchio per andare a scuola e mi girerebbero i capranzi se un esame dovesse andarmi male ahahahahah

Diciamo, però, che sono fortunata perché è il pre appello, quindi se dovesse andarmene male uno posso rifarlo a Febbraio, che invece è il periodo "giusto", dove inizia la vera sessione, ma prima li faccio fuori con bei voti meglio è.

 

Comunque, nel prossimo capitolo di saprà meglio la storia di Fu, dove spiegherà ciò che ha detto a Mari e vedremo il nostro scienziato combinare robe.

 

Domenica giuro che aggiorno. Mi metto già a scrivere!

 

Bye ^^

Francy_Kid

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Capitolo 44
*** Cap. 43 ***


Cap. 43








 

Chat Noir serrò gli occhi, aprendoli piano per far sì che la vista si abituasse alla forte luce bianca dopo svariati minuti di buio.

 

Erano giorni che non dormiva e credeva di essersi finalmente addormentato –anche se solo per cinque minuti— dopo che l'avevano portato in un'altra stanza.

 

Si guardò in torno incuriosito, notando davanti a sé un tavolo in metallo con appoggiato un registratore; sulla parete davanti a sé uno specchio dove, molto probabilmente, dall'altra parte vi erano delle persone che lo controllavano; sulla sua sinistra una porta in metallo e quattro mura grigie che lo circondavano; notò anche la telecamera nell'angolo in alto a destra, segno che lo tenevano d'occhio in qualunque momento.

 

Fissò le mani, accorgendosi in quel momento che le aveva incatenate ai braccioli della sedia, ed era anche abbastanza stretto per i suoi gusti, sentendo il sangue non fluire abbastanza nelle dita e procurandogli un senso di fastidio.

 

Alzò il capo e rizzò le orecchie quando sentì la porta aprirsi, cigolando e rivelando poco dopo il generale Roux e lo strano scienziato.

 

La personalità di entrambi era parecchio contrastante: il generale serio, dimostrava compostezza ed una certa durezza, ma sicuramente manifestava odio nei suoi confronti; accanto a lui, invece, quel bambino dello scienziato, con il suo solito sorriso divertito sul svolto, che si avvicinava a lui con fare curioso.

 

«Mi piace troppo quando muovi le orecchie. Starei tutto il giorno a stimolartele solo per guardare.» esclamò, tastando con l'indice l'orecchio felino destro, mentre Chat l'agitò dato che gli dava fastidio.

 

Non sapeva il perché, ma provava una sorta di simpatia per quell'uomo; certo, da quando era arrivato lo aveva sottoposto agli esami più strani e sfiancanti di tutta la sua vita, ma certe volte entrava nella cella con lui e parlava, rischiando quando gli portava del cibo o da bere per fargli recuperare le energie.

 

Nei suoi occhi vedeva del buono ed il sentimento di odio nei suoi confronti che provava all'inizio era del tutto sparito.

 

Certo, non lo considerava un amico, ma gli piaceva e gli ispirava simpatia.

 

Era il buffone del laboratorio: anche se era il capo, dotato di una grande intelligenza e di acume per tutto ciò che lo circondava, era solito fare scherzi ai suoi colleghi e fare battute pessime.

 

A volte lo faceva persino ridere, soprattutto quando entrava in cella con lui, dove gli raccontava qualche esperimento strano o mal riuscito, usando facili esempi per spiegargli determinati concetti.

 

Grazie a lui imparò a trovare la fisica ancora più interessante di sul che già credeva, soprattutto dopo aver scoperto che si può creare un fulmine nel microonde con solo un acino d'uva.

 

Per la maggior parte del tempo parlava lo scienziato e lui stava zitto, ascoltandolo attentamente e parecchio incuriosito da quel mondo, usava la tastiera solo per porgli delle domande o per rispondere alle sue battute con altre che gli aveva insegnato Marinette.

 

Gli mancava. Parecchio anche.

 

Ad interrompere i suoi pensieri fu Roux, che si sedette dall'altra parte del tavolo e accese il registratore, mentre lo scienziato recuperò l'altra sedia e si spostò nell'angolo, appena sotto la telecamera, incrociando le braccia al petto e tenendo le gambe larghe, iniziando a giocherellare con una chiave legata ai una cordicella.

 

Molto probabilmente era la chiave della stanza.

 

«Allora, Chat Noir.» esclamò con disprezzo, poggiando le mani sul tavolo. «Dai test che ti hanno fatto risulta che sei un ragazzo come gli altri. Come hai fatto a finire in queste condizioni?» domandò, attendendo la risposta.

 

Il giovane si guardò le mani incatenate, alzando poi le spalle.

 

«Gliel'avevo detto io che serviva la macchina che gli ho fatto mettere nella cella per parlare.» ridacchiò lo scienziato, facendo dondolare avanti ed indietro la chiave.

«E chi mi dice che non sta mentendo? Che non parla per non rivelare informazioni?»

«Ho fatto esami su tutto il suo corpo, ricorda? Le sue corde vocali non hanno nulla di strano, tranne che sono leggermente affaticate per i troppi ringhi, ma non può parlare. Il massimo che può fare, appunto, è miagolare o ringhiare. E la seconda gliela sconsiglio se non vuole ulteriori lesioni alle corde vocali.» si raccomandò, guardandolo con la coda dell'occhio.

Roux sospirò, sconfitto. «Allora mi porti qui la sua machina. Aspetterò quanto basta per andarla a recuperare.»

«È già fuori dalla porta.» rispose, indicandola.

 

Il generale strabuzzò gli occhi, alzandosi per aprire la porta e trovare quella specie di computer che parlava al posto di Chat davanti a sé su un cartello.

 

«La accenda.» ordinò al suo sottoposto, tornando a sedersi.

 

Lo scienziato si alzò sbuffando, portando il carrello nella stanza, vicino  ragazzo, attaccando la presa alla corrente e aspettando che il computer si avviasse.

 

Chat spostava lo sguardo dall'uomo accanto a sé a Roux, non lasciando trasparire la minima curiosità nella funzionalità del macchinario, rizzando le orecchie quando lo scienziato gli liberò una mano per poter scrivere.

 

«Che sta facendo?! Potrebbe liberarsi!» lo rimproverò il generale, guardandolo tornare a sedersi con calma.

«Non può. Non ha energie a sufficienza per spezzare delle catene. Soprattutto grazie alla sua rigida dieta a base di acqua e un pasto ogni due o tre giorni. O erano quattro, non ricordo.» disse con una nota di disprezzo, guardandolo direttamente negli occhi come una sorta di sfida.

 

Era vero che il generale Roux aveva ordinato di portargli solo un pasto ogni tre, quattro giorni, tanto che era lo scienziato che si occupava di portargli da mangiare ogni volta che poteva; gli aveva detto che odiava l'atteggiamento del suo superiore, che non capiva la differenza tra "essere" e "voler essere".

 

Purtroppo Chat non colse molto il significato di quelle parole, ma apprezzava le visite di quello strambo e divertente uomo di scienza.

 

«Ora torniamo a noi.» si schiarì la gola Roux, guardando il ragazzo negli occhi. «Come sei diventato la Belva Nera?» chiese nuovamente, scandendo le parole.

 

Chat mosse le dita sulla tastiera, scrivendo la risposta.

 

"Non serve che parli così lentamente. Parlo francese"

 

Lo scienziato fece fatica a trattenere le risate, facendo voltare il suo superiore verso di sé, schiarendosi la gola davanti al suo sguardo tagliente.

 

"Non c'è bisogno che si scaldi, generale Roux. O "rosso" non sarà solo il suo cognome"

 

A quel punto lo scienziato scoppiò a ridere, faticando a smettere.

 

Il generale strinse i pugni fino a sentire le unghie conficcarsi nei palmi, prendendo un respiro profondo per calmarsi.

 

"Non so come ho fatto a diventare Chat Noir. Ma, almeno, ora posso fare le fusa e non essere preso per scemo"

 

Scrisse, per poi miagolare e iniziare a fare le fusa, guardando l'uomo davanti a sé con aria divertita.

 

«Vede? Non può parlare. È come un vero e proprio felino.» commentò lo scienziato annuendo.

 

"È come se il gatto mi avesse mangiato la lingua, non le pare"

 

«Questa era bella!» esclamò lui, applaudendo.

 

Roux, che ebbe iniziato a contare, finendo per superare il numero dieci almeno sette volte, batté il pugno sul tavolo, interrompendo la chiacchierata tra i due.

 

«Vedo che siamo in vena di scherzi, Belva Nera.» disse con tono basso e apparentemente calmo. «Ma io voglio risposte. La ragazza che era con te quando ti abbiamo arrestato, cosa le hai fatto?» domandò.

 

Chat cambiò visibilmente espressione, distogliendo gli occhi da quelli del generale solo per scrivere la risposta.

 

"Non le ho fatto niente" scrisse, tornando a guardarlo.

 

«Però ora è condannata ad una vita immersa nel terrore a causa tua. L'hai rapita da casa sua e l'hai portata lontano dai suoi genitori, e se non fossimo intervenuti noi chissà fino dove ti saresti spinto.»

 

Il ragazzo abbassò le orecchie. Si vedeva che quella persona non conosceva affatto la verità.

 

«Sei solo un mostro che ha scombussolato la vita di una ragazza.» continuò Roux, tirandosi indietro quando Chat batté il pugno sul tavolo in metallo, provocando un solco.

 

"Io non le ho fatto niente" scrisse nuovamente, tornando a respirare normalmente per calmarsi.

 

Roux fissò il solco nel tavolo, per poi raddrizzare il registratore, caduto a seguito del colpo.

 

Nella stanza regnava un silenzio spaventoso e Chat era sicuro di aver scalfito l'audacia di Roux, forse anche solo di poco, ma almeno ora sapeva di cosa era capace.

 

O, quanto meno, era a conoscenza di ciò che sarebbe successo se l'avesse fatto arrabbiare.

 

«Sai, ho detto ad un mio uomo di tenere d'occhio la ragazza. Marinette, se non ricordo male. Ora sembra passarmela bene, come una normale liceale. Senza di te è più felice.» parlò scandendo le parole, sorridendo quando vide il felino digrignare i denti ed emettere un basso ruggito. «L'avevi spaventata. Ha rischiato la vita a stare con te, e solo sparendo per sempre lei ed i cittadini di Parigi non avranno più paura.»

 

Chat ringhiò, allungando l'unico braccio libero per cercare di colpire l'uomo, ma le catene all'altro arto gli impedirono uno slancio totale.

 

Ringhiò e soffiò, mentre lo scienziato si alzò dalla sedia, impaurito, notando gli occhi farsi quasi totalmente verdi.

 

Il ragazzo ruppe le catene che lo tenevano quasi immobilizzato alzandosi e andando contro il muro opposto e mettendosi in posizione d'attacco, non staccando gli occhi da Roux.

 

«Credevo che non avesse abbastanza energie per spezzare le catene!» esclamò tra la sorpresa ed il terrore, appiattendosi al muro.

Lo scienziato alzò le spalle, ridacchiando. «Errore mio.»

«Mi hai scagliato contro questo mostro?!»

«No generale, lei se l'è scagliato contro.» sorrise.

 

Chat ringhiò quando Roux estrasse la pistola dal suo fodero, puntandola contro di lui.

 

Sorrise, respirando affannosamente per la paura che lo bloccava: malgrado fosse generale dell'esercito non si era mai trovato in una situazione del genere.

 

«Se ti uccido sarò chiamato eroe! Sarò colui che ha liberato Parigi dalla Belva Nera!»

 

Uno sparò servì a diportare Chat Noir alla realtà, facendo tornare gli occhi come prima.

 

Guardò il generale Roux davanti a sé, ancora con la pistola puntata su di sé, per poi guardarlo cadere a terra.

 

Aveva una frecciata puntata nel lato del collo, come quelle che gli avevano sparato quando l'avevano catturato.

 

Spostò lo sguardo sullo scienziato, che aveva un'espressione di finto dispiacere sul volto. «Ops. Errore mio. Ho preso male la mira. Beh, pazienza.» esclamò, riponendo l'arma nella tasca destra del camice. «Ora muoviti. Non hai molto tempo. In questo settore non ci sono guardie perché Roux aveva grande fiducia in se stesso e ti ha sottovalutato. Ma lo sparo non è passato inosservato. Muoviti a scappare.» aggiunse, gettando a terra il computer con cui comunicava, seguito dal registratore, rompendoli. «Fuggi!»

 

Chat gli fece cenno con la testa, ringraziandolo, per poi sferrare un calcio alla porta, aprendola e iniziando a correre in quel labirinto di corridoi, evitando i soldati che gli bloccarono la strada, riuscendo ad arrivare all'uscita e trovarsi all'esterno.

 

Ci volle un po' prima che gli occhi fossero del tutto abituati alla luce del sole, ma doveva mettersi al sicuro.

 

Saltò sui tetti, respirando l'aria fresca –per quanto fosse pulita– della città, riuscendo a riconoscere in poco tempo dove si trovava e ideando così la strada più corta per arrivare alla sua meta.

 

Presto sarebbe tornato a casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Lo scienziato mi piaceva sin da subito, dato che l'ho preso basandomi su Lloyd di Code Geass (e per chi lo conosce sa com'è) e avevo già in mente di farlo buono.

 

Roux no, era stronzo sin dall'inizio lol

 

Ci vediamo domenica con più dettagli su Master Fu (ecco perché il capitolo corto)

 

Tenete duro, manca poco ;3

 

Ciao ciao :D

Francy_Kid

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Capitolo 45
*** Cap. 44 ***


Cap. 44








«Aspetti. Come fa ad avere centottantasei anni?! È praticamente impossibile!» esclamò sorpresa la ragazza, strabuzzando gli occhi azzurri.

Fu sorrise. «È così. Trovai l'anello all'età di diciotto anni, nel lontano milleottocentoquarantanove. Mi ritrovai a vagare per il villaggio in cui abitavo ed essere ritenuto da tutti un mostro per sessantacinque anni.» iniziò, ma Marinette lo interruppe subito.

«Un secondo. Ma dovrà pure essere invecchiato in sessantacinque anni. Cioè, lei sembra avere poco meno di settant'anni! Com'è possibile?!» chiese ancora scioccata.

L'uomo alzò le spalle. «Credo sia una conseguenza di essere stato un possessore dell'anello maledetto. Dopo che...» si schiarì la gola, cercando un altro modo per spiegare. «tornai normale, passai gli anni a fare ciò che avevo sempre sognato: girare il mondo e scoprire di più riguardo ciò che mi era successo. Man mano che il tempo passava non mi sentivo per nulla stanco e invecchiavo più lentamente degli altri. Durante il mio viaggio imparai molte lingue e incontrai molte persone, tra cui alcune che ebbero la sfortuna di vivere la mia maledizione e con le quali passai maggior parte del tempo per poter studiare meglio ciò che ci era accaduto e, magari, evitare che potesse accadere in futuro. Scrissi tutto ciò che mi raccontavano su dei quaderni e li portai sempre con me, finché, circa un anno fa, non decisi di fermarmi qui a Parigi.» spiegò, per poi ridacchiare nervoso. «In realtà non lo decisi, ma fui costretto: persi l'anello in seguito ad una rapina. Un malvivente si approfitto di un povero vecchio, ma vedendo che non avevo nulla di valore tranne che quell'anello, lo prese e se ne andò. Da quella sera persi le tracce dell'anello, finché non venni a sapere dell'apparizione di un mostro che terrorizzava la città un mese più tardi. A quel punto capii che era troppo tardi e mi rifugiai in questa biblioteca, facendone il mio studio personale.»

 

Marinette annuì mentre ascoltava ciò che Fu diceva.

 

Provava un po' di pena per lui: aveva vissuto per più di un secolo, cercando di trovare una soluzione, per poi vedere l'arma di distruzione che cercava di tenere al sicuro sparire davanti ai suoi occhi.

 

Scommise che si sentiva responsabile di ciò che era accaduto ad Adrien, ma fu frutto di una spiacevole coincidenza.

 

«Come già ti dissi, l'anello sceglie il suo possessore. Sceglie il più debole emotivamente, in modo tale da poter governare la sua vita. Certo, l'unico momento in cui si perde il controllo è in cui si vive un'intensa emozione negativa, ma è proprio questa la maledizione, il fatto di essere cosciente di ciò che si fa e di ciò che si è diventati. Si smette di essere una persona come tutte le altre e si diventa ciò che gli altri temono di più. La tua vite finisce nell'esatto momento in cui l'anello ti attrae con il suo potere. Quando ciò accade, significa che ha scelto.»

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Chat Noir continuò a saltare tra i tetti, sfinito e quasi senza energie.

 

Stava viaggiando da ore ormai ed il poco cibo che lo scienziato era riuscito a procurargli gli era bastato per poco.

 

Un aborto aspetto negativo dell'essere la Belva Nera era consumare molta energia velocemente e quindi doveva mangiare molto spesso.

 

Arrivò alla Tour Eiffel, fermandosi per qualche secondo su una delle travi di metallo per riprendere fiato, pensando velocemente cosa fare.

 

Se fosse tornato a casa, molto probabilmente, c'era già la polizia ad aspettarlo e se fosse andato da Marinette l'avrebbe messa nuovamente in pericolo.

 

Però doveva pur sapere come stava.

 

Saltò giù dalla torre, ignorando le urla spaventate delle persone, tornando di nuovo sui tetti per evitare gli altri.

 

Un poco tempo arrivò sull'attico della stanza di Marinette, sbirciando dalla botola e notando una forma minuta di donna, riconoscendo Sabine una volta che si voltò per sistemare qualcosa che aveva tra le mani.

 

Bussò al vetro, attirando la sua attenzione e ricevendo da lei un'espressione sorpresa.

 

La vide salire sul letto della figlia, aprendo la botola una volta che lui si tirò indietro, notando in quel momento che i suoi occhi grigi esprimevano anche felicità e preoccupazione.

 

«Chat! Cosa ci fai qui?! Stai bene? Sei ferito?» domandò, fermandosi dal fare altre domande quando il felino alzò la mano poiché non riusciva a rispondere a tutto. «Scusami...» ridacchiò la donna. «Vieni dentro. Tom è a fare una consegna è starà via per un paio d'ore.» lo invitò, scendendo dal letto nel mentre che il ragazzo entrava nella stanza.

 

Respirò l'aria a pieni polmoni, sorridendo quando sentì il profumo di Marinette, accorgendosi solo in quel momento quanto, effettivamente le fosse mancata.

 

Si guardò attorno, riconoscendo il disordine che caratterizzava la ragazza, sentendo quasi le lacrime pizzicargli gli occhi nel sentirsi come a casa.

 

Però mancava Marinette. Rizzò le orecchie, guardando nuovamente bella stanza, come a cercarla.

 

«Marinette è uscita. È in biblioteca a studiare e non so quando tornerà perché sta via delle ore intere a volte. Sei pallidissimo, vieni a mangiare qualcosa.» aggiunse, recuperando la cesta dei panni sporchi e uscendo dalla camera della figlia, tornando in cucina una volta sistemata.

 

Chat era in piedi vicino alle scale della camera di Marinette, continuando a spostare, a sottecchi, lo sguardo nell'appartamento, facendo scattare le orecchie quando sentiva i rumori provenire dagli oggetti che Sabine spostava.

 

La donna sorrise, mettendo in tavola gli avanzi del pranzo, sentendo lo stomaco del felino ringhiare e ridacchiando. «Siediti pure, è pronto. E se vuoi altro devi solo chiedere.»

 

Chat si accomodò al tavolo, chinando il capo in segno di ringraziamento, per poi iniziare a mangiare e lasciandosi scappare dei mugoliidi gusto.

 

Era passato un bel po' dall'ultima volta che si era gustato del cibo, ma l'importante era recuperare energie per poter essere pronto ad aiutare Marinette e la sua famiglia –anche suo padre– in caso Roux fosse passato nuovamente all'attacco.

 

Riguardo il generale, era passato un bel po' di tempo da quando lo scienziato aveva usato l'anestetico su di lui e non sapeva per quanto ancora potessero durare gli effetti o, nel caso peggiore, si fosse già ripreso.

 

Finì il cibo abbastanza velocemente, ringraziando ancora la donna.

 

«Te ne vai di già?» domandò Sabine, di nuovo preoccupata nel vederlo annuire.

 

Ormai la considerava come una seconda mamma: lei si era fidata della figlia e dopo averlo aiutato lui aveva imparato a fidarsi di lei, scoprendo che persona meravigliosa è in realtà.

 

Dopotutto, anche Marinette lo era e voleva dirle ciò che provava prima di sparire per sempre.

 

«Chat, io non posso fermarti, ma aspettala qui Marinette. Sono sicura che tra poco tornerà a casa.» disse lei quasi supplicandolo. «Resterai nella stanza di Mari in caso Tom torni rima di lei, così non ti scoprirà.»

 

Il felino sorrise. Si preoccupava per lui e dato che in città molti lo avevano già visto era meglio non rischiare ulteriormente.

 

Tanto Marinette sarebbe tornata a casa presto.

 

 

 

 

 

 

 —•—•—

 

 

 

 

 

 

Le parole di Fu le rimbombavano in testa.

 

Scoprire che lui fu l'ultimo Chat Noir prima di Adrien l'aveva scossa, vero, ma le aveva tolto dalla testa la domanda del perché lui sapesse tutto sulla Belva Nera.

 

Mancavano meno di cinquecento mentre per arrivare a casa, quando tre SUV neri le bloccarono la strada, lasciandola stranita.

 

Dalla macchina centrale uscirono tre uomini, uno dei quali aveva un'espressione autoritaria e, soprattutto, arrabbiata, che la fissava da dietro le lenti degli occhiali da sole.

 

Rimase qualche secondo a fissarlo, trovandolo famigliare, riconoscendolo una volta che si tolse gli occhiali e la fissò con aria di sfida.

 

Era lo stesso generale che aveva capeggiato il rapimento di Chat Noir.

 

«Marinette Dupain-Cheng. Devi venire con noi.» esclamò con aria di chi non voleva sentire ragioni.

La ragazza indietreggiò di un passo, spaventata e con le campanelle d'allarme che le suonavano in testa. «Perché? Cosa è successo?»

«Non c'è molto tempo per le spiegazioni, ma sei in pericolo.» disse, facendo cenno ad un uomo di caricarla in macchina, che eseguì l'ordine senza battere ciglio.

 

Marinette fu caricata sul a bordo del SUV, sul sedile posteriore, con uno dei soldati ed un uomo che, alla prima impressione, le sembrò tutto fuorché un militare, anche perché indossava un camice bianco e davanti ai suoi piedi aveva una valigetta.

 

«Ciao ragazzina, io sono Lloyd.» sorrise l'uomo, porgendole la mano.

La corvina la guardò, senza stringergliela, per poi tornare sul suo sguardo. «Che cosa sta succedendo?» domandò nuovamente, in tono serio.

L'uomo ritirò la mano, sorridendo divertito. «A detta del nostro generale ti stiamo portando al sicuro, Marinette.» rispose, sistemandosi gli occhiali sul naso.

«Perché? Cosa è successo? I miei genitori? Stanno bene?»

«Purtroppo non lo sappiamo, ma una cosa è certa.» esclamò, guardandola con serietà. «La Belva Nera è qui a Parigi e ti sta cercando.»

 

La corvina fissò gli occhi di Lloyd, mentre il tempo sembrò essersi congelato.

 

Chat Noir era scappato. Si era liberato dai militari.

 

Però ora avevano preso lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

-------------------------------------

Eheheheh l'avevo detto che lo scienziato l'avevo preso dal Conte Budino di Code Geass, e dopo vari giorni di "Ma gli cambio nome o no?" ho deciso di tenergli il nome.

 

Mi sta troppo simpatico quel ragazzo :'3

 

Anyway, non dico nulla tranne che dovete tenervi forte, che siamo quasi alla fine (credo ancora due capitoli... non lo so di preciso). Manca veramente poco.

 

Poi mi prenderò del tempo per revisionare tutte le storie e migliorare la qualità dei capitoli, quindi chiedo venia se molte parti erano noiose, piene di errori, o "senza trama". Le migliorerò, promesso.

 

A domenica prossima ^^

Francy_Kid




 

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Capitolo 46
*** Cap. 45 ***


Cap. 45







 

Chat Noir rimase sdraiato prono  sul letto di Marinette per svariati minuti, inspirando il dolce profumo che impregnava il tessuto leggero, sorridendo e sentendo le guance scaldarsi.

 

Si ricordava perfettamente ciò che le disse prima che le porte del furgone si chiudessero davanti a lui, portandolo dove poi avrebbe vissuto per più di due settimane.

 

Ma ora era di nuovo lì, a casa di Marinette, la ragazza che amava.

 

Sentiva il cuore battergli velocemente nel petto alla sola idea che lei potesse entrare dalla botola sotto di sé da un momento all'altro, pensando alla possibile espressione che avrebbe fatto non appena l'avrebbe visto.

 

Voleva vedere la sua reazione quando le avrebbe detto, anzi, ripetuto, ciò che provava, preparandosi anche per un rifiuto, dove le avrebbe detto che non importava, che sarebbero rimasti amici allo stesso se lei lo voleva.

 

La tensione di poter rivederla gli impediva di restare fermo, così scese dal letto, abbandonando momentaneamente le coperte calde per mettersi a carponi e rovistare tra le sue cose –senza, ovviamente, andare troppo oltre–

 

Era impossibile che quella stanza rimanesse in ordine anche per solo un'ora: si ricordava che prima che lui venisse a trovarla, la corvina sistemava le sue cose, ma poco dopo era di nuovo tutto in disordine, soprattutto quando si metteva a preparare degli schizzi per degli abiti e la camera diventava un enorme contenitore di cartacce e tessuti di prova.

 

Si raddrizzò, tornando sulle sue gambe, guardando la scrivania colma di sketchbooks, matite colorate, oltre che quelle per il disegno di varia durezza, gomme da cancellare ed un contenitore pieno di Copic.

 

Diede un'occhiata tra le sue creazioni, notando che da quando era sparito aveva disegnato solo tre nuovi abiti.

 

Eppure era solita idearne quasi il doppio in un pomeriggio che passava con lui; sembrava una macchina che andava a fantasia e creatività, oltre che passione.

 

Un po' si rattristò nel vedere che aveva rallentato di così tanto, ma forse era per la scuola, pensò, chiudendo i quaderni e mettendo apposto il disordine sul tavolo, riponendo ogni oggetto nell'apposito astuccio.

 

Ora c'era meno disordine di prima sulla scrivania ed era più facile ritrovare gli oggetti.

 

Continuò a far passare lo sguardo sulla scrivania, trovando un foglio leggerete accartocciato e che aveva la sua calligrafia, notando che si trattava della lettera che le aveva scritto e dove esprimeva ciò che provava per lei.

 

Un tuffo al cuore lo riportò alla sera in cui la vide per l'ultima volta, rileggendo le parole che aveva scritto.

 

Avrebbe voluto essere più profondo e poi usare più parole per dirle che l'amava. Effettivamente un foglio non gli sarebbe mai bastato per dirle quanto la trovasse bella e quanto fosse importante per lui, ma dovette arrangiarsi con quello che aveva.

 

Però l'avrebbe rivista, avrebbe potuto dirle tutto ciò che pensava è tutto ciò che avrebbe voluto dirle da molto tempo.

 

Si sedette sulla sedia da ufficio rosa e accese il computer, digitando la password che Marinette gli aveva rivelato in caso lui si fosse presentatore camera sua e lei non c'era, per poi arrossire quando vide lo sfondo del desktop: un collage di sue immagini prese dalle riviste e con dei cuori a fare da contorno.

 

Scosse leggermente la testa, sorridendo, per poi aprire internet sul notiziario locale per controllare se ci fosse già qualche notizia sul suo avvistamento e, effettivamente, fu così: Nadja Chamack presentava il TG, intervistando quelle poche persone impanicate sotto la Tour Eiffel, dove chiedeva loro cosa avessero visto e se realmente si trattava della Belva Nera, fino a quando non cambiò intervistato e Chat sentì il sangue gelarsi nelle vene.

 

«Lui è il Generale Roux, colui che riuscì a catturare Chat Noir poco più di due settimane fa. Mi dica generale, com'è riuscita la Belva Nera a scappare?» domandò la reporter, avvicinando il microfono alla bocca dell'uomo, che guardava l'obiettivo della telecamera con espressione seria.

«La Belva Nera è riuscita a scappare dalla nostra supervisione. Ha ferito molte persone, come aveva già fatto in passato. È un mostro che noi credevano di poter fermare.» disse.

 

Chat serrò i denti. Non aveva ferito nessuno nel mentre che scappava da dove l'avevano rinchiuso, anzi, era lui a voler fare di tutto pur di metterlo a K.O.

 

Ma, dopotutto, era la sua parola contro quella di un generale dell'esercito.

 

Il male contro il bene.

 

«Abbiamo trovato un modo perché questo incubo finisca subito. Sapevamo che Chat Noir sarebbe tornato per cercare la ragazza che rapì due settimane fa, così abbiamo provveduto a metterla al sicuro e l'abbiamo portata con noi.»

 

Il felino si alzò di scatto, stringendo i pugni per evitare di rompere qualunque oggetto si trovasse nella stanza.

 

Il telegiornale era in diretta, quindi si trovavano sotto la Tour Eiffel e sperava che anche Marinette fosse lì con loro.

 

Camminò a grandi falcate fino a raggiungere la cima del letto, salendo sull'attico per saltare tra i tetti della città e raggiungere la Tour Eiffel il più velocemente possibile, non accorgendosi che Sabine era entrata in camera e lo chiamava preoccupata.

 

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Marinette si guardò attorno in quella stanza vista Tour Eiffel della Résidence Charles Floquet, tenendo tra le mani la tazza di tè caldo che Lloyd aveva preparato poco prima per lei.

 

Quello scienziato era diverso da chi pensava fosse: sembrava un ragazzo che faceva il suo lavoro solo per divertimento.

 

Era incuriosita da lui, soprattutto perché se ne stava lì, sdraiato sul divano mentre guardava i cartoni animati in televisione, ridendo quando capitava qualche scena divertente.

 

Teoricamente dovrebbe sorvegliarla e se i telefilm le avevano insegnato qualcosa, Lloyd rappresentava l'esatto contrario.

 

«Allora. Che rapporto hai con Chat Noir?» domandò l'uomo di punto in bianco, facendo sobbalzare la ragazza.

 

Marinette alzò lo sguardo su di lui, notando che la stava guardando con la coda dell'occhio.

 

Si schiarì la gola, cercando di tirare fuori la voce. «Vittima. Mi ha rapita e mi ha aggredita.»

Lloyd sbuffò. «Eppure quando i militari lo hanno portato via tu non sembravi molto felice.»

 

La corvina rimase senza parole, riponendo la tazza ancora piena sul tavolo prima di farla cadere.

 

«Dimmi la verità Marinette.» alzò il volume della TV. «Da quanto hai potuto constatare -perché ho visto che sei una ragazza parecchio intelligente- non sono come Roux ed i suoi sottoposti.» si mise a sedere quasi in maniera composta, guardandola dritto negli occhi. «Io mi fido di te e voglio che tu ti fida di me.»

«E come faccio a fidarmi di lei se è stato uno che ha portato via Chat?»

Lloyd sorrise vittorioso. «Ora so che il tuo ruolo non era quello della comune vittima. Grazie.»

 

Marinette si maledisse mentalmente, mantenendo un'espressione fredda, di chi non si lasciava strappare le informazioni, stando più attenta a ciò che diceva.

 

«Sarò franco con te. Io non vedevo l'ora di avere Chat Noir, la Belva Nera, e te tra le mani. Beh, il mio desiderio si è avverato.» aggiunse, rendendo lo sguardo di Marinette più confuso. «Sono sempre stato curioso di sapere come facesse Chat Noir ad essere ciò che è e per due settimane ho avuto possibilità di studiarlo, constatando che non abbiamo scoperto nulla. Secondo i nostri studi è un normale ragazzo con foto strabilianti. Oltre che la sua vera identità.»

 

La corvina sentì il sangue gelarsi nelle vene. Avevano scoperto chi era e l'avrebbero tenuto sotto controllo lui è la sua famiglia per sempre.

 

«Ma non ti preoccupare. Nessuno lo sa, nemmeno Roux. È tutto qui dentro.» disse, puntandosi la tempia con l'indice.

«E sentiamo. Come mai io le interesso?» chiese con la voce più ferma possibile, non fidandosi.

«Non è da tutti i giorni fermare un attacco della Belva Nera.» esclamò come se fosse la cosa più normale del mondo, mescolando distrattamente il tè nella teiera. «Mi hai incuriosito ed ho fatto di tutto pur di scoprire qualcosa su di voi. Poi hanno preso Chat Noir ed ho avuto il piacere di poterlo studiare. Ma, anche se non ho capito la fonte dei suoi poteri, ho capito che in realtà ha il cuore più gentile di molti miei colleghi. L'ho conosciuto meglio e diciamo che mi sono affezionato a lui.» spiegò, non staccando gli occhi dalla bevanda davanti a sé. «Un po' capisco come vi sentite.»

 

Marinette non riuscì a dire nulla. Non capiva dove voleva arrivare.

 

Le stava mentendo per strapparle delle informazioni? O le stava dicendo la verità?

 

«Andiamo, dimmi qualcosa.» piagnucolò. «Non fare parlare solo me.»

«Come so che posso fidarmi di lei?»

Lloyd sorrise. «Come pensi sia riuscito a scappare?»

«Grazie ai suoi poteri.» rispose convinta.

«Quelli gli sono serviti, vero, ma perché non è fuggito subito?» disse, fermandola non appena aprì bocca per parlare. «Avrebbe potuto farlo subito, non credi? Eppure i sedativi con cui lo riempivano non lo aiutavamo molto.»

 

Tra i due ci fu nuovamente silenzio.

 

Il sorriso divertito dello scienziato era difficile da decifrare per la corvina, ma sapeva che tutto ciò che quell'uomo diceva era vero.

 

«Io e Chat Noir ci incontravamo tutti i giorni. Lui veniva a trovare me, ma dopo un incidente con mio padre ero io che andavo a trovare lui. Eravamo amici. Siamo amici.» si corresse.

«Io direi che siete amici intimi. Oppure siete più che amici, dico bene?»

Marinette annuì dopo qualche secondo di titubanza. «Non so perché ti sto raccontando questo. Voi l'avete rapito e gli avete fatto chissà quale esperimento doloroso...»

Lloyd la interruppe ancora. «Ti posso assicurare che io non gli ho fatto nulla che possa avergli causato dolore. Almeno, non subito. Qualche dolore muscolare dopo i test era più che normale, ma anche la sua guarigione era molto veloce.»

 

L'uomo guardò la ragazza, andando a sedersi accanto a lei –che si spostò contro il bracciolo del divano per stargli il più lontano possibile– per cercare di confortarla e spiegarle in qualche modo.

 

«Roux vuole essere l'eroe che salva Parigi dalla Belva Nera. Che sia rinchiuderlo per sempre o ucciderlo non fa alcuna differenza per lui, ma la fuga di Chat ha acceso in lui una forte rabbia e desiderio di vendetta. Anche se, effettivamente, è stata colpa mia lui ha quasi rischiato di scendere di grado per essersi lasciati sfuggire la Belva Nera. Ma né io né te vogliamo che Roux metta le mani su Chat, vero?»

 

Questa volta la ragazza scossa il capo.

 

Lloyd si alzò, battendo le mani e tirando fuori dalla tasca del camice un mazzo di chiavi, guardando Marinette con aria di sfida è divertimento. «Allora andiamo ad impedire che Chat Noir cada nella trappola di Roux.»

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Capitolo 47
*** Cap. 46 ***


Cap. 46










 

Marinette era in macchina sul sedile del passeggero, indicando a Lloyd la strada più veloce per casa sua, evitando per miracolo dei pedoni o delle macchine che avevano precedenza.

 

Si sentiva più al sicuro in braccio a Chat Noir mentre che saltava sui tetti della città che in macchina con lui.

 

Aveva ancora in testa la scena di poco fa, per uscire dalla stanza dell'hotel.

 

Quando chiusero la porta un soltanto si parò loro davanti, guardando la ragazza dall'alto verso il basso. «Dove state andando?»

«Il generale Roux vuole che porti la nostra amica da lui come esca per Chat Noir.» rispose sorridente lo scienziato, mettendo una mano sulla spalla della corvina.

«Io non ho ricevuto alcun ordine a riguardo. Contatterò il mio superiore per chiedere istruzioni.»

 

Il sangue nelle vene della ragazza iniziò a congelarsi quando vide il soldato prendere la ricetrasmittente, quando Lloyd lo fermò.

 

«Ha contattato solo noi. Non vuole che si sappia perché ha già tutte le persone che gli servono a disposizione. Ma manca la chiave, Marinette.» spiegò.

 

L'uomo osservò nuovamente la ragazza.

 

Lloyd assunse un'aria di sfida. «Non vorrai mica disubbidire a Roux, vero? Sai quanto può essere spietato, soprattutto in questo periodo.»

Il soldato annuì. «Provvederò a scortarvi alla Tour Eiffel.»

«Ah! Solo noi. È pieno di giornalisti e l'arrivo di altre persone potrebbe mandare amante i piani del sergente. Dammi le chiavi e porterò personalmente Marinette da Roux.»

 

Marinette non si voltò quando si allontanarono dal soldato, restando completamente senza parole fino a quando non raggiunsero la macchina, dove Lloyd ridacchiò.

 

«Credevi davvero che non ce l'avremmo fatta?»

«Effettivamente sì...» esclamò con voce leggente bassa, arrossendo.

Lo scienziato mise in moto. «Già, anch'io.»

 

Quell'uomo era parecchio strano.

 

I due arrivarono al negozio dei coniugi Dupain-Cheng in tempo record; scesero dall'auto ed entrarono nel negozio –momentaneamente chiuso–, per poi salire le scale fino all'appartamento, facendo sobbalzare Sabine.

 

«Marinette!» esclamò sorpresa, abbracciando la figlia. «Cosa è successo? Ho sentito in televisione che i militari ti avevano messa al sicuro.»

«È tutta una montatura per fare del male a Chat. Mi avevano presa per attirarlo e catturarlo, ma il generale ha solo cattive intenzioni.» spiegò velocemente, notando che la donna stava guardando l'uomo dietro di sé. «Lui è Lloyd.»

«Enchanté.» esclamò lui, prendendole la mano e baciandole il dorso. «Non credevo che Marinette avesse una sorella.»

Sabine avvampò. «I-In realtà sono la madre.»

«Sembra poco più grande di sua figlia. Sento un buon profumino di croissant appena sfornati. Sono maleducato se chiedo di assaggiarne uno?» domandò, sorridendo divertito.

 

La donna indicò il tavolo della cucina, guardando lo scienziato entrare e prendere una brioche, mangiandola.

 

Marinette attirò nuovamente l'attenzione della madre su di sé. «Mi ha aiutata a scappare per venire qui. Dov'è Chat? So che è tornato a Parigi e so che si sarebbe precipitato qui il prima possibile.»

Sabine sospirò. «Se n'è andato poco fa. Credo abbia ascoltato la notizia del generale al notiziario, perché il tuo computer era acceso.»

La ragazza imprecò sottovoce, non importandosene se la madre l'avesse sentita. «È in pericolo. Dobbiamo fare qualcosa. Lloyd, dobbiamo andare!» esclamò, guardandolo alzando un sopracciglio.

 

Lo scienziato aveva in bocca mezzo cornetto e ne teneva un altro in mano, mentre fissava le due donne come se l'avessero colto con le mani nel sacco.

 

Deglutì, prendendo la metà della brioche in mano, sorridendo. «Non è colpa mia se questi dolci sono squisiti.»

«Andiamo.» ripeté la giovane, svenendo le scale.

 

Lloyd salutò Sabine, complimentandosi velocemente per il sapore del cibo, per poi salire in macchina con Marinette ed iniziare a guidare in direzione della Tour Eiffel.

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

Chat Noir atterrò agilmente sull'ala destra del palazzo del Trocadero, assottigliando gli occhi in vista del suo nemico.

 

Vide un leggero ammasso di persone ai lati della Tour Eiffel, lasciando totalmente libero il Pont d'Iéna; molto probabilmente si trattava di giornalisti a caccia di notizie e qualche cittadino curioso, oltre che intrepido, pensò lui, saltando dall'altura e atterrare sul piazzale, iniziando a correre verso la torre, fermandosi solo dopo aver raggiunto il ponte e venire accolto dagli sguardi spaventati dei primi giornalisti e dalle telecamere che catturavano la sua immagine.

 

Mosse i primi passi verso la sua meta, lontana da lui centocinquantacinque metri.

 

Ringhiò, serrando i pugni e digrignando i denti.

 

Aveva osato prendere Marinette, la sua Principessa, e l'aveva nascosta da qualche parte.

 

Voleva farlo soffrire? Bene. Ora era il suo turno di sentire dolore.

 

Arrivò a poco meno di venti metri di distanza da Roux, che sembrava essere da solo in quel teatrino che aveva allestito, fissandolo con serietà, quasi come si stesse trattenendo.

 

Prese il megafono e lo portò alla bocca, parlando dopo aver udito un fastidioso fischio prodotto dall'apparecchio. «Chat Noir, hai finito di terrorizzare Parigi! Arrenditi e consegnati a noi senza fare storie cosicché la città torni in pace. Hai già causato troppe vittime e obbligato tutti i cittadini a cambiare vita perché avevano paura di te. Per il bene di tutti, vieni con noi!»

 

Il felino non cambiò espressione, guardandosi attorno e notando degli uomini armati puntargli contro le armi.

 

Se si fosse arreso Parigi sarebbe tornata a vivere in pace, vero, ma lui aveva ancora Marinette e non si fidava di lui, soprattutto non dopo ciò che gli aveva fatto.

 

Portò la mano chiusa a pugno contro lo zigomo, alzando solo l'indice, per poi abbassarla fino a quando l'artiglio arrivò al mento.

 

Il generale lo guardò storto, non capendo che cosa significasse.

 

Chat lo ripeté un'altra volta, assottigliando gli occhi per non aver ricevuto ancora nessuna risposta.

 

«Signore, ha detto "ragazza". Credo stia chiedendo della ragazza che si trova con Lloyd a la Résidence Charles Floquet.» spiegò un suo sottoposto nell'auricolare, facendolo annuire.

«La ragazza è al sicuro lontana da te. La sua posizione è riservata: non vorrei che tu le facessi di nuovo del male.

 

Chat ringhiò. Stava divulgando notizie false: non aveva mai fatto del male a Marinette e mai avrebbe avuto intenzione di fargliene; le uniche persone che aveva aggredito –almeno quando aveva pieno controllo di sé– erano criminali.

 

Roux avrebbe dovuto fare ricerche prima di parlare.

 

Ma lui, dopotutto, voleva essere l'eroe che avrebbe sconfitto la belva nera e che avrebbe liberato Parigi.

 

Era davvero così sicuro che ci sarebbe riuscito? Gli veniva da ridere a quel pensiero.

 

«Vieni avanti con le mani alzate e tutto sarà finito.» esclamò il generale nel megafono, attirando nuovamente la sua attenzione.

 

Il felino era restio ad ascoltarlo: dopotutto sapeva ciò che voleva fargli, ma voleva sapere dov'era Marinette e se le avesse fatto qualcosa.

 

Lentamente, alzò le mani e mosse un paio di passi verso Roux, quando un suv gli si parò davanti, lasciandolo sorpreso.

 

Udì il generale urlare ai suoi sottoposti di scoprire chi fosse, ma il suo interesse andò all'autista del mezzo, che abbassò il finestrino oscurato e rivelò il volto sorridente di Lloyd.

 

«Salta su se non vuoi fare la fine dell'Emmental: pieno di buchi.» disse sbloccando le portiere.

 

Chat lo fissò stupito, per poi salire sulla macchina quando udì il rumore di uno sparo colpire una parte della carrozzeria, seguita dalle urla terrorizzate dei civili che assistevano alla scena.

 

Il fischio delle gomme che scivolavano sull'asfalto non sovrastò il panico delle persone, che stavano correndo il più lontano possibile dalla Tour Eiffel rischiando di far cadere le recinzioni di metallo che avevano allestito.

 

Lloyd guidò superando la folla e tornando sulla normale carreggiata, non importandosene dei limiti dato che le strade erano sgombre.

 

Chat sospirò, lasciando andare la tensione che aveva accumulato, facendo un cenno con il capo allo scienziato, che lo guadò sorridendo dallo specchietto retrovisore.

 

«L'ho fatto con piacere. Ormai mi stai troppo simpatico per doverti rivedere tutti i giorni al lavoro.» disse, svoltando a destra, facendo piegare a lato il ragazzo.

«Chat...»

 

Il felino raddrizzò le orecchie nell'udire quella voce; guardò sul posto del passeggero e vide Marinette, sorridente, che si slacciò la cintura e lo raggiunse sul posto dietro.

 

Chat la strinse a sé, trattenendo a stento le lacrime, e la corvina fece lo stesso, ripetendogli quanto fosse felice di poterlo riabbracciare.

 

I due si staccarono solo per guardarsi negli occhi lucidi e Chat le passò il pollice sulla guancia, pulendola dalla lacrima che le era sfuggita.

 

«Sono così felice di vederti. Credevo che non ti avrei mai più rivisto.» disse quasi singhiozzando, prendendogli il viso tra le mani.

 

Lui ricambiò lo sguardo, poggiandosi al suo tocco e facendo un leggero mugolio in risposta.

 

Marinette poggiò la fronte contro la sua, passando la mano tra i capelli biondi, mentre lui le cinse la vita, chiudendo entrambi gli occhi.

 

Gli era mancato poterla riabbracciare, sentire il suo calore.

 

Ed ora che era tornato da lei doveva sapere la risposta della lettera prima che tutto quello potesse finire.

 

«Mi dispiace interrompervi, ma dobbiamo trovare un posto sicuro ed evitare che Roux vi trovi.» esclamò Lloyd leggermente preoccupato, fermandosi al semaforo e guardando i due dallo specchietto.

Marinette annuì, tenendo la mano di Chat stretta alla sua. «Io conosco un posto perfetto.» si voltò verso il felino. «Chat, devo farti conoscere una persona.»

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Capitolo 48
*** Cap. 47 ***


Cap. 47






 

Marinette scese dalla macchina, correndo verso l'entrata della Bibliothèque de l'arsenal, iniziando a guardarsi intorno una volta entrata nell'edificio.

 

Sperava che il signor Fu fosse ancora lì, cercandolo tra gli scaffali con le labbra serrate, dato che non poteva chiamarlo ed essere, in quel modo, sbattuta fuori.

 

Arrivò quasi infondo quando si fermò di colpo dopo averlo trovato, sospirando di sollievo dato che stava per andare a sbattere contro di lui.

 

«Marinette, hai dimenticato qualcosa?» domandò con tono basso.

 

Era già capitato che lei fosse tornata indietro perché aveva lasciato qualcosa sul tavolo dove erano soliti a parlare; tra penne, matite e, una volta, il cellulare, mancava che lasciasse tutta la cartella.

 

La ragazza recuperò un po' di fiato. «No. Deve venire con me... È una cosa importante, oltre che urgente.»

«Ma devo chiudere la biblioteca tra poco.»

«Mi dispiace ma non c'è proprio tempo.» esclamò, prendendogli il polso. «È una questione di vita o di morte. La prego.»

 

Fu annuì, seguendola fino ad uscire dallo stabilimento; comunicò al suo collega che doveva andare urgentemente a casa con sua nipote e che avrebbe dovuto chiudere lui.

 

Marinette si fermò davanti al suv nero, guardando l'anziano. «Io mi fido ciecamente di lei e so che mi aiuterà. Ci serve un posto sicuro.»

Fu la guardò confuso. «Sicuro? Che cosa è successo?»

 

La corvina di morse il labbro, aprendo la portiera posteriore della macchina, notando subito la sorpresa nello sguardo dell'anziano: seduto con la schiena contro lo sportello opposto, con le orecchie abbassate ed uno sguardo aggressivo, vi era Chat Noir, che tratteneva a stento i ringhi.

 

«Conosco il posto adatto.» disse Fu, facendo sorridere la giovane.

 

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

Fu versò il tè nella tazza di Marinette, nel mentre che manteneva lo sguardo su Chat Noir, che era rimasto seduto accanto alla porta, come se si sentisse al sicuro.

 

Piuttosto che un appartamento in cui viveva un anziano, sembrava un centro massaggi, con un materasso al centro della stanza e vecchi mobili, su uno dei quali un vecchio giradischi con tromba.

 

Un pezzo di antiquariato singolare e che attirò l'attenzione della ragazza, trovandolo alquanto adatto all'appartamento.

 

L'anziano pose la teiera sul tavolo. «Sta, diciamo, studiando la situazione. Ho notato che di voi due si fida, ora deve imparare a fidarsi di me.» esclamò, sorseggiando dalla tazza.

Lloyd sorrise al biondo. «Sembra davvero un gatto. Un gatto spaventato, ma purr sempre un gatto.» ridacchiò, facendo alzare un sopracciglio alla ragazza e miagolare divertito il felino.

«Gli piacciono le battute squallide, a quanto vedo.» osservò l'anziano.

«Lei non sa quanto. Dobbiamo trovare un modo per far tornare Chat normale.» esclamò l'adolescente, posando la tazza sul tavolo.

«Io ti ho già detto come si potrebbe fare a spezzare la sua maledizione.» rispose l'anziano, finendo la bevanda.

 

Marinette annuì, ripensando a ciò che le aveva raccontato fino a quel giorno: l'anello del gatto nero era oggetto tanto potente, quanto odiato e temuto; chiunque era in possesso di quell'oggetto veniva considerato maledetto dal potere della distruzione e dalla sfortuna.

 

Diversi furono i portatori di tale peso, arrivando ad uccidersi pur di liberarsi o ad essere uccisi.

 

Nessuno aveva mai trovato il modo di sciogliere tale maledizione senza incontrare la morte o ritrovarsi senza un dito, tranne Fu, lui riuscì a tornare come prima, ma pagando un prezzo: perse la donna da lui amata.

 

Lloyd si alzò, stirando i muscoli indolenziti. «Credo sia una conversazione a cui non devo assistere. Farò qualche giro di controllo per vedere se i sottoposti di Roux sono nei paraggi o sono stupidi come penso. Ed in questo caso è meglio che siano stupidi. Contattatemi se avete qualche novità o se dobbiamo spostarci. Bye bye.» salutò con un occhiolino, uscendo dalla stanza e chiudere la porta dietro di sé.

 

Fu sospirò. «Ti ho detto come mi sono liberato dalla maledizione, ricordi?»

La ragazza annuì. «Però una cosa non l'ho capita. Come mai ha perso il controllo?»

 

Nell'indice quelle frasi Chat Noir rizzò le orecchie e, piano piano, si avvicinò ai due, sistemandosi alle spalle dell'amica, sbirciando l'anziano da dietro la spalla.

 

«Effettivamente non lo so bene anche io, dato che non è mai successo prima d'ora, ma l'unica spiegazione che sono riusciti a darmi è che lei non provava ciò che provavo io. Credo che bisogna essere in due per spezzare la maledizione, non solo uno, e chi rischia la vita è chi non restituisce il sentimento.»

 

La corvina annuì.

 

Chat poggiò la fronte contro la scapola della ragazza, abbassando le orecchie.

 

«Quindi il sentimento deve essere reciproco oppure si rischia la vita?» domandò la corvina in cerca di una conferma.

Fu annuì. «Se il sentimento di uno dei due non è vero allora rischia la morte. E la persona che rischia di più qui è chi non ha l'anello, cioè tu, Marinette.»

 

Il ragazzo prese un lembo della maglietta di Marinette e la strinse.

 

La corvina dovette lottare contro l'istinto di girarsi e abbracciare il ragazzo, di dirgli che sarebbe andato tutto bene e che avrebbero annullato la maledizione.

 

Insieme.

 

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

 

Fu era andato in cucina, a sistemare le stoviglie usate e lasciando da soli i due ragazzi ritrovatasi dopo settimane di separazione.

 

Entrambi erano appoggiati con le spalle contro il muro, uno vicino all'altra; Chat Noir teneva la testa poggiata alla spalla della corvina che, a sua volta, era appoggiata a lui, che rideva quando muoveva l'orecchio da gatto per farle il solletico.

 

Le loro dita erano incrociate con quelle dell'altro ed il telefono di Fu –quello di Marinette era a casa per impedire che venisse localizzata come l'ultima volta– con le note aperte, era nella mano libera del biondo, in attesa di essere riempite.

 

Il ragazzo sospirò, iniziando a digitare ciò che voleva dire, anche se i silenzi tra loro non erano mai imbarazzanti.

 

"Mi sei mancata" scrisse, facendola sorridere.

 

«Anche tu mi sei mancato. E tanto.» rispose, facendogli un buffetto sul capo, per poi scendere ad accarezzargli la guancia.

 

"Mi dispiace che tu sia finita in mezzo a tutto questo. Se non fossi venuto a trovarti qualche mese fa adesso saresti una normale adolescente..."

 

«Se non fossi venuto a trovarmi credo che ti avrei cercato allo stesso. E poi, credo di non averti ancora ringraziato per l'ibisco che avevi lasciato sul mio quaderno.» sorrise, arrossendo leggermente. «Oltre che... Non aver risposto alla tua lettera...»

 

Chat alzò la testa, guardandola negli occhi. Subito riprese a digitare sul cellulare, per dirle che non era necessario rispondergli, ma Marinette lo fermò, avvicinandosi un poco e abbassando la voce.

 

«Anche se non è il momento più adatto a dirlo ed io, poco ma sicuro, mi incarterò come mai mi era successo prima d'ora, voglio che tu lo sappia.» si schiarì la gola, cercando di mantenere lo sguardo fisso negli occhi verdi del biondo, che la guardava tra la sorpresa e la voglia di conoscere la risposta al più presto possibile. «Voglio che tu sappia che anche io provo le stesse cose che provi tu. Io ti amo, che tu sia Chat Noir, la Belva Nera, o Adrien Agreste, il figlio di Gabriel Agreste. Mi sono innamorata di te per chi sei: un ragazzo fantastico che, anche se sta vivendo un periodo difficile, ha trovato la forza per andare avanti, che lotta per ottenere ciò che vuole senza fare del male agli altri. Un ragazzo testardo e che, quasi sempre, fruga tra la mia biancheria intima e mi distrugge i gomitoli di lana. Un ragazzo che mi ha sempre tirato su il morale quando ero triste e che ha sempre ascoltato le mie farneticazioni e che ha avuto il coraggio di criticarmi quando facevo qualcosa di sbagliato. Un ragazzo che ha trovato delle cose belle, anche se poche, in una ragazza piena di difetti. Un dolce gattino. Il mio Chaton.» disse, facendogli dei grattino sotto il mento.

 

Chat sorrise, sentendo le lacrime piangergli gli occhi ed un nodo serrargli la gola.

 

Avrebbe voluto fregarsene di tutto e baciarla, ma non avrebbe fatto nulla se lei non avesse voluto; eppure era lei che, ora, si stava avvicinando a lui con gli occhi socchiusi.

 

Il felino sentì le farfalle nello stomaco e strinse la presa attorno al telefono, avvicinandosi a sua volta.

 

Mancarono pochi centimetri quando la porta dell'appartamento di Fu si spalancò, rivelando Lloyd con un'espressione visibilmente dispiaciuta. «Scusate, non volevo interrompere nulla, ma credo che ci abbiano trovati. Hanno visto il suv parcheggiato qua sotto e le truppe di Roux stanno setacciando tutta l'abitazione. Tra meno di dieci minuti saranno qui.»

 

Fu, che udì ciò che stava accadendo, raggiunse i tre in in salotto.

 

«Dobbiamo andarcene subito. Non possiamo mettere in mezzo Fu, non ha colpa lui.» esclamò preoccupata la ragazza, alzandosi in piedi seguita da Chat.

«Vi prenderanno sicuramente se scappaste ora.» l'anziano sorrise. «Non ti preoccupare. Ho un nascondiglio perfetto per voi. Seguitemi.»

 

L'uomo fece cenno a Lloyd di chiudere la porta a chiave, per poi portare tutti e tre nella sua stanza, mostrando loro un'ampia libreria.

 

«Dato che in questo posto non ho molto spazio per le mie cose, ho ideato un modo per nascondere le cose più preziose. O almeno quelle che non ho voglia di buttare.» spiegò brevemente, prendendo il lato della libreria e tirarlo verso di sé, rivelando una rientranza nel muro nella quale un armadio a due ante, posto subito dietro la libreria, ci entrava a pennello. «Potete stare qui finché non se ne vanno.»

 

Chat scrisse sul telefono: "Io un po' soffro di claustrofobia... Ma entrerò se servirà a non metterla in pericolo"

 

Fu sorrise. «L'importante è che tu sia salvo. Ora entrate. Tra poco saranno qui.»

 

Lloyd aprì l'armadio, per fortuna poco colmo di cose, facendo più spazio possibile per i due ragazzi, per poi aspettare che fossero entrati tutti.

 

Marinette fu la seconda, tendendo la mano a Chat. «Chiudi gli occhi. Ci sono io con te. Ti prometto che non durerà tanto, va bene?» disse, vedendolo annuire.

 

Entrambi entrarono nell'armadio, quando si sentì un bussare, abbastanza violento, alla porta di ingresso.

 

Lloyd accese la torcia del cellulare quando Fu chiuse le ante, cercando di fare più luce possibile in quello spazio ristretto.

 

Il suono del respiro veloce ed irregolare del biondo riempì il luogo, soprattutto dopo che Fu rimise al posto il tutto, con le ante contro il muro per nascondere l'armadio.

 

Ora non c'era davvero nessuna via d'uscita.

 

Chat era nel panico più totale, sentendo le gambe cedergli e la necessità di andarsene, ma la mano della ragazza che si stringeva attorno al sua attirò la sua attenzione.

 

«Chat, ascoltami.» sussurrò per non essere sentita da fuori. «Ci sono io. Immagina di essere a casa mia e che tra poco mia mamma sale dalla cucina per portarci la merenda. Concentrati su questo e fai dei grandi respiri lenti.»

 

Il felino la ascoltò, inspirando ed espirando lentamente, anche se stava tremando come una foglia.

 

Dall'altra parte del muro si udivano le voci di Fu e di un paio di militari.

 

«Buona sera. Mi dispiace disturbarla, ma stiamo facendo un controllo in tutto l'edificio. Crediamo che due fuggiaschi siano da queste parti.»

«Oh davvero?! Le posso assicurare che in casa mia non c'è nessuno: ho barricato ogni porta e finestra per paura che la Belva Nera entri in casa. Dopotutto sono un povero vecchio incapace di difendersi.» recitò l'anziano, facendo entrare le persone.

«Non si preoccupi. Siamo solo un'occhiata e poi ce ne andiamo.»

«Fate con comodo.»

 

I passi degli scarponi fecero intendere a Lloyd che si trattava minimo di quattro militari e che in quel momento ti stavano controllando stanza per stanza.

 

Uno entrò nella camera in cui erano nascosti ed in quel momento trattennero il fiato, aspettando che se ne andasse.

 

Non seppero quanto tempo passò di preciso, ma ringraziarono che la casa fosse piccola.

 

«È tutto apposto. Non si preoccupi, cattureremo i fuggiaschi e la Belva Nera.» esclamò uno degli uomini, uscendo dall'appartamento.

«Lo spero tanto! Sono giorni che non esco di casa la sera per paura di venire aggredito. Fate un buon lavoro, mi raccomando.» disse l'anziano, salutando i militari e chiudendo la porta a chiave subito dopo, per poi aspettare due minuti prima di andare nella sua stanza e liberare i tre fuggiaschi.

 

Chat fu il primo ad uscire, che prese grosse boccate d'aria quasi come a voler recuperare tutta quella che aveva perso in quello spazio ristretto, seguito da Marinette, che lo soccorse, ripetendogli che non doveva preoccuparsi ed era libero.

 

Lloyd fu l'ultimo, spegnendo la torcia del telefono. «La ringrazio per quello che ha fatto, ma dobbiamo andarcene. Non posso permettere che lei ci vada di mezzo ulteriormente. La ringrazio per tutto quello che ha fatto per noi.»

Fu scosse il capo. «È meglio se non uscite ora. Ci sono ancora minimo dieci appartamenti circa e non credo siano quattro persone per ogni piano, ma siano solo loro. Ci vorrà ancora un po' di tempo prima che possiate andarvene indisturbati e, in più, penso che dobbiate cambiare macchina.»

Lo scienziato annuì. «A ragione. Intanto cosa possiamo fare?» domandò, sistemandosi gli abiti leggermente spiegazzati.

L'anziano sorrise. «Volete dell'altro tè nel mentre che elaboriamo un piano?»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Fu che spaccia tè lo adoro. E poi, ieri (cioè sabato) hanno fatto Kung Fu Panda ed ero stra emozionata ogni volta che vedevo il Maestro Shifu :D

 

Fu is everywhere.

 

Comunque, l'armadio che ha Fu è una cosa del genere:

 

 

 

È una genialata. Lo voglio anche io.

 

Ora, non so a che ora Wattpad farà ricevere la notifica dell'aggiornamento, ma spero che vi sia piaciuto il capitolo ^^

 

A domenica prossima :3

Francy_Kid





 

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Capitolo 49
*** Cap. 48 ***


Cal. 48







 

«Gentile il signor Fu a prestarci la sua macchina.» esclamò felicemente Lloyd, facendo una smorfia quando, nel cambiare marcia, si udì il cambio grattare. «Anche se questa piccolina ha fatto la sua vita.» commentò, premendo sull'acceleratore.

 

Marinette era dietro con Chat, stringendogli la mano, un po' per farsi forza e un po' perché voleva sentirlo sempre vicino a lei.

 

«Spero che nessuno ci stia seguendo perché con questa carretta non andremo molto lontano. Anche perché sta per finire la benzina.» osservò, notando la lancetta del serbatoio ormai quasi al limite.

 

Chat strinse la mano di Marinette, facendole cenno a Lloyd di dargli il suo telefono per scrivere.

 

"Questa storia deve finire. Riportatemi alla Tour Eiffel, affronterò Roux da solo. Non voglio che voi rischiate ulteriormente per me"

 

«Col cavolo che ti riportiamo là! Se Roux ti prende ti ucciderà!» rispose Marinette, guardandolo seria.

«Mi dispiace micetto, ma non posso permettere che Roux ti prenda. Non dopo che mi sono divertito un mondo a fargliela sotto il naso più volte. Mi sa che mi sono giocato il mio posto di lavoro dopo questa.» disse l'uomo, svoltando in una via per immettersi nel traffico.

 

Erano imbottigliati in una fila di macchine, tutti diretti verso le Quartier de Montmartre.

 

Lloyd scese dalla macchina dopo dieci minuti che erano ancora fermi senza essersi mossi di un solo centimetro, rientrando subito dopo.

 

«Che cosa succede? C'è un incidente?» chiese Marinette, sporgendosi in avanti tra il sedile del guidatore e del passeggero.

«Ragazzi, dovete andarvene subito. Stanno controllando ogni passeggero.» esclamò lui con una nota di allarme.

«E tu che farai! Se ti prendono rischi di essere ritenuto un traditore!»

Lloyd sorrise. «Voi uscite dalla macchina e andatevene, io farò in modo di essere abbastanza convincente e farò in modo che Roux abbia ancora fiducia in me. Fidatevi di me, ho un piano.»

 

Lo scienziato uscì dalla macchina, schiarendosi la gola e assumendo un'espressione terrorizzata. «La Belva Nera è qui! Presto! Ha in ostaggio me ed una ragazza!» urlò a pieni polmoni, attirando l'attenzione dei poliziotti che stavano controllando la zona.

 

Marinette lo maledisse, aprendo la portiera per scendere insieme a Chat.

 

Era davvero necessario una cosa del genere?! Erano armati!

 

Il ragazzo la prese in braccio, facendo lo slalom tra le vetture e le persone che scesero incuriosite; saltò sul tettuccio di una macchina, dandosi lo slancio per saltare su un tetto ed allontanarsi da quella confusione.

 

Marinette guardò verso i poliziotti, che stavano contattando l'accaduto ai loro colleghi tramite una ricetrasmittente, allargando gli occhi quando vide Raincomprix fissarla sorpreso.

 

Si allontanò con Chat per diversi chilometri, finendo sopra il suo attico.

 

«Perché mi hai portata a casa? Non dovevi portarmi qui! Io devo venire con te!»

 

Il felino scosse la testa, sospirando quando si accorse che non aveva nulla su cui scrivere, dato che il telefono di Lloyd lo aveva restituito al suo legittimo proprietario.

 

La corvina scese in camera, recuperando un paio di fogli bianchi ed una matita, guardandolo scrivere.

 

"Tu resti qui. Non posso permettere che ti facciano del male. La nostra fuga è stata inutile e abbiamo rischiato che il signor Fu e Lloyd venissero coinvolti. Non voglio vederti soffrire"

 

«Ma io soffro se non sto con te...» disse quasi con un sussurro, chinando il capo e sentendo le lacrime pungerle gli angoli degli occhi.

 

Il ragazzo abbassò le orecchie da felino, avvicinandosi a lei e accarezzandole la guancia, per poi farle un bacio sulla guancia.

 

"Ti bacerò non appena ti vedrò di nuovo, va bene?"

 

Marinette annuì, abbracciandolo.

 

Sapeva che, molto probabilmente, quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe visto, ma si fidava di lui e sapeva c'è sarebbe tornato.

 

Il biondo le diede un secondo bacio sulla guancia, per poi salire sulla ringhiera e sorriderle un'altra volta; portò la mano all'altezza del torso, per poi farla salire alla bocca e portarla in avanti, con il palmo rivolto verso l'alto.

 

Marinette sorrise, facendo lo stesso gesto.

 

"Ti amo" tutto ciò che avevano da dirsi e tutto ciò di cui avevano bisogno di sentirsi dire.

 

Chat saltò dall'attico sul tetto accanto, andando a terminare ciò che Roux aveva iniziato.

 

 Marinette sorrise, scendendo con l'intenzione di uscire da casa per raggiungere Chat il più velocemente possibile.

 

Dopotutto, non ascoltava mai nessuno quando si trattava di restare a casa.

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Lloyd entrò nella stanza d'albergo in cui risiedeva Roux, guardandolo seduto sul sofà a pensare ad un nuovo piano di attacco contro la Belva Nera.

 

«Spiegami come ha fatto Chat Noir a scappare con quella macchina. La nostra macchina. Oltretutto.» esclamò serio, guardando furente lo scienziato.

Lloyd alzò le spalle. «Non ne ho la minima idea. Forse avrà la patente.»

Il generale sbatté il pugno sul tavolino bassi davanti a sé. «Non prendermi in giro! Marinette, la chiave che ci avrebbe permesso di catturare quel mostro, è riuscita a scappare non si sa come! E tu dov'eri?!»

«Mi avrà rubato le chiavi della stanza e della macchina mentre ero in bagno. Poi sono uscito a cercarla, ma quando l'ho ritrovata la Belva Nera e lei sono fuggiti di nuovo. Questo è tutto quello che so.»

 

Roux lo fissò assottigliando gli occhi.

 

Non si fidava della sua spiegazione, ma non poteva rischiare che i suoi superiori venissero a sapere ciò che aveva in mente; non ora che era molto vicino a vedere compiuto il suo piano.

 

Si alzò, sistemandosi la divisa. «Io vado a Villa Agreste.» 

«Come mai là?»

«Chat Noir ci ha fatto la tana, no? È molto probabile che ritorni o che abbia portato Marinette con lui per nascondersi.» rispose, caricando la pistola che teneva nel fodero.

Lloyd mise le mani in tasca, guardandolo con aria di sufficienza. «E cosa ha intenzione dopo che sarà entrato a Villa Agreste? Se ha ragione lei e c'è una civile non può sparare anche a lei.»

«Diciamo che Marinette sarà un effetto collaterale dal salvare Parigi dalla Belva Nera. Chat Noir l'ha usata come scudo per proteggersi ed io non ho potuto fare nulla per salvarla.» disse come se nulla fosse, rispondendo l'arma di nuovo nel fodero.

«Non sparando, per esempio.»

Roux si avvicinò a lui. «Verrò considerato un eroe e poi diverrò ammiraglio o maresciallo per il mio coraggio. Una vita non è nulla in confronto a salvarne altre migliaia.»

«Ma mettere in pericolo la vita di un civile è contro ogni principio. Anche se si tratta di una sola persona.»

«Cosa c'è? Ti sei affezionato alla ragazza?» domandò, non ricevendo risposta. «La condanna a morte di quella ragazza è stata firmata dalla prima volta che la Belva Nera ha posato gli occhi su di lei. Chat Noir non la lascerà andare ed il mio compito è di liberarla da lui. O almeno, tentare.»

 

Lloyd osservò il generale uscire indisturbato, chiudendo la porta dietro di sé.

 

«Nota per lei, signor Generale.» sorrise, estraendo dalla tasca del camice il cellulare. «Mai rivelare a me i propri piani.»

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Chat Noir rientrò dopo essere stato alla Tour Eiffel.

 

Maggior parte delle persone era ancora lì, ma non Roux.

 

Tornare a casa di Marinette sarebbe stato troppo pericoloso per lei, così atterrò sul tetto di Villa Agreste, entrando dalla finestra rotta che usava come porta di ingresso da parecchio ormai, fermandosi non appena toccò terra.

 

Raddrizzò le orecchie da felino e fece scattare gli occhi attraverso il buio della casa, nella quale il sole faticava a filtrare per via delle travi di legno a fare da protezione alle finestre.

 

Non era solo, in quella casa c'era qualcuno; e non si trattava del solito piccione che lo faceva starnutire.

 

Si alzò sulle gambe, iniziando a camminare, ma restando in guardia, fino ad uscire dalla stanza e fermarsi sulle scale che si affacciavano all'ingresso della villa, vedendo la figura di Roux in controluce, illuminata dai raggi arancio del tramonto.

 

«Lo sapevo che ti avrei trovato qui, randagio.» esclamò, facendo rimbombare le parole nell'enorme ingresso, sollevando l'arma davanti a sé. «È da troppo che questa storia sta andando avanti.»

 

Chat si vide puntato contro la pistola.

 

Aveva ragione: era giunto il momento di farla finita.

 

 

 

 

 

 

 

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E siamo praticamente alla fine!

 

Domenica prossima l'ultimo capitolo e quella dopo l'epilogo!

 

Restate connessi! :3

Francy_Kid

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Capitolo 50
*** Cap. 49 ***


Cap. 49






 

L'arma che Roux gli puntò contro era la stessa con cui l'aveva mirato prima che Lloyd lo aiutasse a fuggire; la riconobbe dalla canna e dal colore.

 

L'uomo rise, abbassando l'arma. «Sai, fino a poco tempo fa non riuscivo a capire come mai ti rifugiavi qui e mentre ti aspettavo ho potuto dare un'occhiata in giro.»

 

Il felino abbassò le orecchie quando il generale iniziò a rovistare nella tasca della giacca, tirando fuori una foto e mostrandogliela: erano due persone, una donna ed un ragazzo, molto somiglianti tra loro.

 

Chat riconobbe l'immagine e cercò di non dare il minimo cenno di rabbia o altro sentimento negativo, continuando a guardare Roux.

 

«Tutti i quadri raffiguranti questo ragazzo ed il padre sono stati rovinati, ma la donna no, lei è l'unica ad essere ancora intatta. Così ho pensato: perché la Belva Nera dovrebbe interessarsi di una donna così carina? Dopotutto sta facendo di tutto pur di possedere Marinette. E poi ho capito. Ho capito che tu sei il ragazzo qui raffigurato è questa donna è tua madre. Adrien Agreste è in realtà la Belva Nera. Quindi si spiega il motivo per cui gli Agreste sono spariti misteriosamente.» rispose con un ghigno, stracciando e gettando a terra la foto. «A me non importa chi tu sia. Puoi essere anche la persona che ha ricevuto un premio Nobel per la pace, ma hai ferito molte persone e non posso permettere che succeda ancora.»

 

Chat avrebbe voluto spiegargli come stavano le cose, o almeno dirgli che non era colpa sua, che non era ciò che voleva.

 

Ma ragionare con Roux era impossibile e lo aveva imparato dopo svariati giorni in cui era stato suo prigioniero.

 

Il ragazzo scese le scale lentamente, vedendosi nuovamente la pistola puntata contro; eppure non gli importava.

 

Uno dei due sarebbe uscito vincitore e lui avrebbe fatto di tutto pur di rivedere Marinette.

 

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

 

«Io persi il controllo perché lei non era innamorata di me. La maledizione ebbe la meglio sul mio corpo e sul mio spirito e mi fece uccidere la donna che amavo. Capiterà la stessa cosa a te e Chat Noir se uno dei due non ricambia. L'amore è ciò che permette di spezzare la maledizione, perché è solo con l'amore che si crea una nuova vita.»

 

Le parole di Fu rimbombavano nella sua testa nel mentre che correva verso Villa Agreste.

 

Aveva visto in televisione che Roux non era più alla Tour Eiffel, ma il luogo era comunque sorvegliato dai militari armati, molto probabilmente stavano aspettando che si presentasse la Belva Nera per catturarlo o, peggio ancora, abbatterlo.

 

Finalmente arrivò di fronte al cancello di Villa Agreste, notando all'interno della casa la silhouette di qualcuno; non le sembrava per nulla Chat, così riprese la corsa per andare a controllare di persona, restando appiccicata al muro per ascoltare principalmente ciò che dicevano.

 

«Non attacchi? Cosa c'è? Hai paura? O speri ancora che non attaccandomi ti possa salvare da quello che ti spetterà in futuro?» esclamò Roux con un ghigno stampato sul volto, facendo però un passo indietro quando Chat avanzò.

 

Aveva paura. Anche se era armato ed aveva maggiori probabilità di vincere contro la Belva Nera aveva comunque pura di lui.

 

Marinette, però, non poté restare con le mani in mano; si guardò attorno, cercando qualcosa con cui aiutare il ragazzo.

 

Non trovando nulla percorse qualche metro sulla sua destra, restando nei pressi della porta di ingresso, quando recuperò un pezzo di metallo, forse staccatosi da una ringhiera poco più in alto, ma in quel momento non serviva sapere da dove provenisse, quanto aiutare Chat.

 

Tornò davanti alla porta di ingresso, muovendo qualche passo verso Roux, che le dava le spalle.

 

Chat spostò lo sguardo appena dietro l'uomo non appena vide la ragazza, cercando di nascondere la sua espressione sorpresa, fallendo.

 

«Cos'hai? All'improvviso hai paura?»

 

L'uomo fece per girarsi e controllare chi avesse attirato l'attenzione della Belva Nera, sentendo un urlo rabbioso prima che venisse violentemente colpito alla testa da un oggetto contundente.

 

Marinette respirò affannosamente nel mentre che guardava Roux cadere a terra privo di sensi e con un taglio sanguinante sulla testa; lasciò cadere a terra il pezzo di metallo, che produsse un sordo tintinnio, per poi calciare la pistola a diversi metri di distanza dalla portata di chiunque.

 

Spostò gli occhi su Chat Noir, che la fissava con la bocca aperta ed un'espressione di pura sorpresa.

 

«Che c'è? Se lo meritava.» esclamò, facendo una linguaccia e strizzando l'occhio.

 

Il ragazzo si mosse velocemente verso la giovane, stringendola in un abbraccio.

 

Emise un miagolio strozzato, simile ad un mugolio, seguito da altri brontolii. La stava sgridando, ne era consapevole ma ora non le importava nulla.

 

«Adrien, non mi interessa se mi avevi detto di starmene lontana dai guai. Lo sai che io non ti do mai retta.» ridacchiò, punzecchiandogli la unta del naso con l'indice. «Avevi bisogno di aiuto ed io sono accorsa. Non mi ringrazi nemmeno?»

 

Il felino brontolò nuovamente, abbassando le orecchie e mettendo il broncio.

 

"Ce l'avrei fatta anche da solo"

 

Marinette rise, poggiando la fronte sul suo petto, prendendogli le mani. «Prima te ne sei andato senza concludere ciò che stavi per fare.» esclamò, guardandolo con le guance leggermente velate di rosso.

 

Il ragazzo strabuzzò gli occhi, capendo poco dopo ciò realmente intendesse dire.

 

La storia che raccontò Fu gli balenò nella testa e lo rese agitato

 

Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma la corvina gli mise le mani sulle guance, attirandolo più vicino a sé; le loro labbra erano a pochi centimetri di distanza e riuscivano a guardarsi perfettamente negli occhi.

 

Il biondo fece fatica a rimanere lucido nel mentre che si perdeva nel suo sguardo: quei sorridenti occhi azzurri simili a due zaffiri. Erano davvero magnifici.

 

«Non devi temere per ciò che hai sentito da Fu.» disse, accarezzandogli la guancia in un gesto confortante. «La maledizione uccide solo se il sentimento non è ricambiato, ma Io ti amo. Ti amo con tutta me stessa. Ora dipende solo se tu ami me, Chaton.»

 

Come poteva non amarla?! Pensava ogni parola che aveva scritto sulla lettera e, anche se avrebbe voluto averglielo detto in un modo più romantico e con parole più ricercate oltre che romantiche.

 

Ma ora non poteva dire nulla, gli era solo possibile fare un semplice gesto: portò la mano sul petto, per poi spostarla in avanti con il palmo rivolto verso l'alto.

 

Entrambi sorrisero quando la ragazza restituì il gesto, avvicinandosi ulteriormente.

 

Chat si piegò leggermente per essere allo stesso livello della corvina, alzandole leggermente il mento con l'indice.

 

Le loro labbra si toccarono e subito l'aria attorno a loro si fece elettrica: scariche verdi si propagarono dall'anello e Chat si staccò dalla giovane, con la paura di farle del male.

 

Sentì un forte dolore alla testa e se la prese tra le mani, ringhiando e piegando il busto per le forti fitte, come se stesse per esplodere.

 

Marinette fissò la scena preoccupata, cercando di avvicinarsi a lui, ma Chat si allontanò di qualche passo.

 

I suoi occhi divennero totalmente verdi, come quando perdeva il controllo e fissò la giovane ragazza davanti a sé.

 

L'adolescente si portò le mani alla bocca.

 

Che Fu si fosse sbagliato? Magari non c'era davvero cura per quella maledizione. E se il sentimento era ricambiato ed a perdere la vita era il possessore dell'anello?

 

No, non poteva essere.

 

Chat lasciò andare un ringhio di dolore, versando lacrime che gli rigarono la maschera nera prima delle guance.

 

Arrivò a pensare che era finita, che sarebbe morto in quella casa dopo aver causato solo guai e terrore.

 

Però, almeno, avrebbe rivisto sua madre.

 

Senza fiato e senza più alcuna energia crollò sulle ginocchia e la tuta di pelle nera iniziò a sgretolarsi, cadendo a terra poco a poco.

 

Marinette accorse in suo aiuto, prendendolo appena prima che picchiasse la testa a terra, accarezzandogli il viso.

 

Lacrime calde le bagnavano le guance e le impedivano di vedere in maniera nitida, ma il viso pallido senza maschera di Adrien –e  bagnato dalle sue lacrime– era ben visibile.

 

Passò la mano tra i capelli biondi, guardando il palmo quando le orecchie da gatto si sgretolarono tra le sue dita, per poi spostare nuovamente l'attenzione sul volto del ragazzo davanti a sé.

 

«Adrien... Adrien, ti prego, rispondimi...» sussurrò con voce strozzata, tirando su con il naso. «Ti prego... la maledizione è stata spezzata, puoi tornare a vivere normalmente... Per favore...»

 

Le sue preghiere sembravano non essere ascoltate: non respirava ed il suo cuore sembrava non battere.

 

Sistemò il ragazzo a terra, mettendosi accanto a lui ed iniziando a praticare il massaggio cardiaco.

 

«Adrien! Apri gli occhi! Hai vissuto un anno di inferno ed ora che è tutto finito mi abbandoni così?!» urlava, mentre premeva al centro del suo petto ritmicamente, per poi iniziare la respirazione bocca a bocca. «Ho passato mesi a cercare una soluzione per aiutarti.» disse riprendendo a premere sullo sterno. «Mi hai salvata da uno stupratore, sei rimasto al mio fianco per tutto il tempo in cui avevo bisogno di una persona che mi ascoltasse, mi hai fatta ridere, mi hai fatta piangere, mi hai fatta innamorare di te! Non permetterò che tu muoia! Non ora!»

 

I secondi passarono lenti, ma più tempo passava più la speranza iniziava a scemare.

 

Il ritmo di Marinette divenne sempre più lento ed anche la respirazione era minore.

 

Restò con le labbra poggiate su quelle del ragazzo per un po', staccandosi quando un singhiozzo le scosse il corpo; poggiò la fronte contro la sua, restando con gli occhi chiusi.

 

Finita. Era finita.

 

Adrien non c'era più. Il ragazzo che tutti consideravano un mostro ma che lei amava era morto.

 

La sua mente le fece rivivere tutti i ricordi che aveva vissuto con lui, quando una mano calda e tremante le sfiorò la gota.

 

Riaprì gli occhi, dai quali caddero altre lacrime prima che fosse in grado di mettere a fuoco.

 

Due occhi verdi, anch'essi lucidi, la stavano guardando, ed un dolce sorriso ornava il volto del ragazzo che poco prima credeva morto.

 

«Ehi...» sussurrò Adrien con voce roca.

«Ehi.» rispose lei, tirando su con il naso. «Se osi farmi spaventare ancora così giuro che ti uccido con le mie mani.»

«Scusami, non era mia intenzione.» rispose, per poi schiarirsi la gola, sentendo come un gatto che graffiava ad ogni parola che pronunciava.

 

Marinette lo aiutò a mettersi a sedere, ringraziando il fatto che aveva indosso lembi di quello che dovevano essere i vestiti che aveva prima della trasformazione.

 

 Barcollò, aiutato da Marinette a stare in piedi, per poi guardare l'anello, ora di colore argento, che aveva ancora al dito.

 

«Quindi è davvero finita.»

Marinette annuì. «Sì, è finita.»

Adrien portò l'altra mano all'anello, sfilandoselo senza difficoltà, sorridendo e sentendo le lacrime piangergli gli occhi. «Posso avere una vita normale, finalmente.» esclamò asciugandosi le lacrime, facendo annuire la ragazza. «Posso finalmente dirti che ti amo.»

 

La corvina arrossì, girandosi di spalle e tastandosi le guance con le mani, iniziando a pronunciare frasi sconnesse.

 

Adrien sorrise intenerito, prendendole la mano e baciandole il dorso. «Non vedevo l'ora di dirtelo. Ti amo, Marinette.»

«Ti amo anch'io, Adrien.» rispose felice.

 

Il biondo le prese il viso tra le mani, baciandola.

 

Era da tanto che avrebbe voluto sentire il sapore delle sue labbra e finalmente poteva. 

 

Roux si riprese poco dopo, ringhiando quando vide i due ragazzi impegnati a flirtare ed a comportarsi come se lui non fosse lì.

 

Si guardò attorno, non trovando la sua pistola, ma sfilò con pugnale affilato dallo stivale destro, alzandosi con difficoltà a seguito della botta in testa.

 

Quella ragazza era sempre in mezzo, mettendogli i bastoni fra le ruote.

 

Afferrò il braccio di Marinette, stringendolo abbastanza forte, per poi puntarle la lama alla gola.

 

«Vedo che ti sei levato quella ridicola tutina. Ma poco importa, oggi tutti mi considereranno un eroe! Sarò colui che ha ucciso la Belva Nera anche se, ahimè, sono arrivato troppo tardi per salvare la ragazza che aveva imprigionato.» ghignò, spingendo la lama contro la pelle della ragazza, dalla quale uscì un rivolo di sangue, facendola squittire dal dolore, simile ad una puntura d'ape.

«Lascia–» Adrien iniziò a tossire, il dolore alla gola gli impediva di alzare troppo lo voce.

 

Guardò Roux in cagnesco quando lo sentì ridere.

 

«Non preoccuparti. Farò passare le vostre morti per un incidente.» esclamò l'uomo, non importandosene delle lacrime di paura della ragazza che teneva tra le braccia.

 

Era pronto a usare il coltello quando una voce profonda e roca lo fermò di colpo.

 

«Generale d'armata Gaillard...» mormorò sospeso Roux, allentando la presa attorno a Marinette, che ne approfittò per fuggire tra le braccia di Adrien.

«Generale di brigata Roux. Vuole spiegarmi cosa ha intenzione di fare con quell'arma?» domandò l'altro irato, avanzando con passo deciso verso quest'ultimo, portando le mani dietro la schiena e gonfiando il petto, mentre una decina di uomini in divisa si schieravano ai suoi lati.

 

Era un uomo sulla sessantina, con occhi color marrone scuro, capelli grigi, ma tenuti perfettamente in ordine ed un paio di baffi tagliati ordinatamente sopra il labbro superiore, il volto ornato di rughe data l'età.

 

Aveva un'aria seria e trasmetteva prepotenza, lasciando trasparire l'importanza che rappresentava all'interno dell'esercito, soprattutto perché aveva ammansito Roux.

 

«Io... Io volevo solo...» iniziò l'uomo, gesticolando in maniera sconnessa.

«Stava mettendo in pericolo la vita di due civili. Anzi, una la stava uccidendo con le sue mani. Non dovrebbe proteggere le persone, generale Roux?»

 

Era una domanda retorica, poco ma sicuro, pensò Marinette, stringendo la mano ad Adrien quando lui le chiese se stava bene.

 

«Il nostro compito è di servire la patria e proteggere i cittadini, ma lei ha mancato ad entrambi ed ora crede farla franca, giusto?»

«Ma la Belva Nera...» tentò di dire Roux, ma venne subito interrotto da Gaillard, che alzò la voce.

«Chat Noir non è qua. E mi spiega cosa significa ciò che le mie orecchie hanno sentito? Che avrebbe ucciso questi giovani e fatto sembrare il tutto un incidente. Portatelo via.» aggiunse, e  subito, due uomini, afferrarono Roux da entrambe le parti, facendogli cadere il coltello di mano e trascinandolo a forza verso l'uscita della villa.

«Voi non capite! Adrien Agreste è Chat Noir! Lui è la Belva Nera!» urlò finché le porte della macchina non si chiusero, per poi farsi largo tra la folla di giornalisti curiosi e dirigersi verso fuori città.

«L'ho sempre detto che quell'uomo non era una bella persona.» disse sorridente Lloyd, sbucando da dietro le spalle di Gaillard.

 

Marinette ed Adrien si sorpresero a vederlo lì, ma sapevano che, infondo, c'era lui dietro tutt'a quella faccenda.

 

Oppure non si sarebbero mai spiegati come un generale d'armata fosse arrivato in così poco tempo.

 

«Dottor Lloyd, si occupi dei due ragazzi. Io devo andare.» borbottò il generale, dando loro le spalle. «Hanno avuto una giornata davvero intensa.»

 

Presto l'esercito abbandonò la villa; restò solo la polizia per tenere a bada i giornalisti ed i paramedici impegnati a visitare Adrien e Marinette, mentre Lloyd rispondeva alle domande che i media ponevano, ovviamente non rilasciando moli dettagli.

 

Adrien sembrava essere il più malridotto tra i due e lo caricarono in barella su un'ambulanza, mentre Marinette, che aveva un taglio superficiale causato dalla lama del coltello di Roux alla gola, lo accompagnò in ospedale.

 

Per tutto il tragitto si tennero per mano, come se non volessero venire divisi.

 

Ma da quel giorno non lo sarebbero stati mai più. Sarebbero stati insieme.

 

L'una tra le braccia dell'altro.




 

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Capitolo 51
*** Epilogo ***


Epilogo










 

Adrien aprì pigramente gli occhi, guardandosi attorno: era un una stanza azzurra, con un letto bianco e dalle coperte ben fatte ad un paio di metri di distanza dalla sua sinistra; sulla sua destra un armadio blu, con due chiavi attaccare ad ognuna delle due ante, ma in quel momento non riusciva a leggere bene i numeri scritti su una targhetta usata anche come portachiavi; un tavolo con un paio di sedie era posto contro il muro davanti a sé, mentre una televisione abbastanza vecchia ma –sperava– funzionante era appesa ad un sostegno di metallo sul muro a poco meno di un metro di altezza rispetto alla porta; sulla sua sinistra un comodino sul quel erano riposti un bicchiere di plastica ed una bottiglietta d'acqua.

 

Spostò la testa di lato quando la porta alla sua destra si aprì, rivelando il volto sorridente di Sabine.

 

«Ciao Adrien. Come ti senti?» domandò, fermandosi davanti alla testata del letto.

«Meglio...» sussurrò, per poi tossire.

 

Aveva la gola estremamente secca e gli doleva parecchio.

 

«Non sforzarti troppo a parlare. Hai la gola parecchio irritata e deve guarire per bene.» si raccomandò la donna, facendolo annuire.

«Marinette?» sussurrò, ricordandosi che anche lei era andata in ambulanza con lui.

«Sta bene. Un po' stanca e sotto shock, ed il taglio che aveva non è molto profondo. È andata a casa trascinata da Tom circa mezz'ora fa a calmarsi e farsi una doccia. Presto potrai vederla.» aggiunse, sapendo già che stava per chiederglielo. «L'orario di visita inizia tra un'ora e sono più che sicura che Marinette sarà la prima ad entrare rispetto a tutti i parenti.» ridacchiò, per poi dirigersi verso la porta da cui era entrata. «Se tutto va bene già domani puoi essere dimesso.»

«Grazie, Sabine.» sorrise, vedendosi restituito il gesto.

«È il mio lavoro.»

 

Non mancò molto che si ritrovò nuovamente solo in quella camera d'ospedale.

 

Si guardò nuovamente intorno e poi alzò le mani, fissando le dita affusolate, arrivando quasi a pensare che non fossero le sue, per poi sfiorarsi con la punta di esse le braccia piene di cicatrici di ferite che si era auto inflitto.

 

Si ricordava che di quelle ne aveva parlato con Marinette e che lei lo aveva capito: erano tagli fatti con gli artigli, mentre cercava in tutti i modi di volersi levare la tuta in momenti di poca lucidità, preso dal panico, quando arrivava a pensare che l'unico modo di liberarsi dalla maledizione fu di uccidersi.

 

Scosse violentemente la testa, rabbrividendo a quei pensieri: non poteva credere che era proprio lui a pensare a quelle cose, eppure si ricordava come se fosse solo ieri di quanto soffriva ogni volta che si vedeva allo specchio o vedeva la sua immagine di com'era prima di diventare la Belva Nera.

 

Era un incubo, un incubo dal quale voleva solo svegliarsi, e Marinette fu la sua luce.

 

Fu l'unica a fidarsi di lui ed a aiutarlo, passando del tempo con lei per tenergli compagnia e rendere le sue giornate sempre più luminose e piene di vita.

 

Sorrise, lasciando andare le braccia lungo i fianchi, accorgendosi solo in quel momento di un ago infilato nell'avambraccio, molto probabilmente usato per gli esami del sangue.

 

A parte quello e un po' di stordimento, si sentiva meglio.

 

Non vedeva l'ora di rivedere Marinette, così, accese la televisione e attese con impazienza l'orario delle visite.

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Marinette si sistemò davanti alle porte chiuse, attendendo che l'operatore le aprisse.

 

Controllò freneticamente l'orario –era già la settima volta in due minuti– e mancavano sempre quei maledetti centottanta secondi.

 

Batté freneticamente la punta del piede a terra, controllando di nuovo l'orario e non notando nessun cambiamento.

 

Sospirò esasperata.

 

Erano venti minuti che era lì in piedi ad aspettare che l'orario delle visite iniziasse, fregandosene delle altre persone che la guardavano a sottecchi.

 

Voleva rivedere Adrien, vedere come stava, vedere di nuovo i suoi meravigliosi occhi verdi...

 

«Sei qui da parecchio, dico bene?»

«Lloyd!» esclamò la ragazza, portandosi una mano al petto a seguito dello spavento. «Scusami, non ti ho sentito arrivare.»

«Non ti preoccupare. Piuttosto, come stai?» domandò, indicandole il bendaggio che aveva attorno al collo.

«Io? Benissimo. Stupendamente. Non mi fa per niente male.» sorrise, girando lo sguardo verso le porte, come a controllare se si fossero aperte.

 

Lloyd ridacchiò.

 

A seguito dell'accaduto a Villa Agreste, lo scienziato diede le dimissioni, motivando il fatto dicendo che voleva fare qualcosa di più soddisfacente sul piano personale e stare meno a contatto con pazzi megalomani.

 

Era una persona parecchio strana, ma fantastica e gentile in egual misura.

 

Si voltò verso la corvina, abbassando lo sguardo data la sua statura e con il suo solito sorriso divertito sul volto. «Allora, hai intenzione di sbaciucchiartelo non appena arrivi in stanza o gli lasci il tempo di dire come sta?» domanda.

Marinette si voltò verso di lui con gli occhi spalancati ed il viso completamente rosso. «L-Lloyd! Ma cosa stai dicendo?!» squittì, portandosi le mani alle guance, tastandosele leggermente.

L'uomo rise. «Scherzo, scherzo. Però lasciamelo prima salutare.»

 

La ragazza iniziò pronunciare frasi sconnesse per via dell'imbarazzo che provava, scuotendo la testa.

 

«Marinette, lascia che ti dica che sei stata parecchio coraggiosa.» esclamò Lloyd, attirando l'attenzione della corvina su di sé. «Sono poche le persone che farebbero ciò che hai fatto tu per Adrien. E lasciami dire che voglio sapere ogni minimo dettaglio di ciò che è successo a Villa Agreste prima del mio arrivo.»

«F-Forse non ogni minimo, ma grazie...» rispose ancora leggermente rossa.

 

Lloyd non ebbe il tempo di dirle altro, perché quando le porte si aprirono, Marinette si fiondò verso i corridoi che portavano agli ascensori, lasciando l'uomo sorpreso dietro di sé.

 

«Wow. Che scheggia.» ridacchiò, seguendola prima che la perdesse tra le altre persone.

 

Dopotutto, anche lui era lì per incontrare Adrien.

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

Molte persone erano riunite all'ingresso dell'ospedale e Nadja Chamack che trasmetteva il servizio.

 

Parlava del fatto che l'unico sopravvissuto alla Belva Nera, tenuto imprigionato dal nostro per mesi per non si sa quale motivo, e unico membro della famiglia Agreste di cui si sapevano notizie era all'Hôpital Saint-Louis per le cure; di lui si sapeva soltanto che stava bene e che non era in pericolo di vita.

 

Spense la TV, stufo di sentire parlare di quelle cose.

 

Sapeva che per un po' di tempo non avrebbe sentito altro, ma in quel momento voleva soltanto avere un momento di calma, rilassarsi e iniziare a godersi il fatto di essere tornato alla normalità.

 

Come se qualcuno sapesse ciò che pensava, dal corridoio, si udì un frastuono: a quanto pare un vassoio con sopra il resto del cibo di un paziente a poche camere di distanza era stato fatto cadere a seguito di due persone che si erano urtate.

 

Una di esse chiedeva scusa in continuazione, dicendo che aveva la testa altrove, mentre l'altra –molto probabilmente chi si occupava del cibo– diceva che non era successo nulla e che non doveva preoccuparsi.

 

Mugugnò poggiando la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi, tentando nuovamente di rilassarsi, ma la persona che aveva appena messo piede in stanza non glielo permise.

 

Alzò lo sguardo, sbarrando gli occhi quando vide Marinette, leggermente ansante, che lo guardava con un sorriso sul volto.

 

«Ehi.» disse lui con un sussurro.

«Ehi.» rispose lei, avvicinandosi subito dopo.

 

Adrien si sistemò meglio sul letto, mettendosi seduto, non staccando gli occhi da quelli di Marinette, che si fermò a pochi centimetri dal materasso.

 

«Stai bene?» gli domandò, un po' preoccupata cercando di non darlo a vedere.

«Starò meglio.» ripose, sbuffando al fastidio che gli procurava l'ago nel braccio.

 

Marinette sorrise, arrossendo leggermente, vedendosi restituito il risolino da Adrien, che le prese la mano e gliela strinse leggermente.

 

«Caspita! Certo che corri!» esclamò Lloyd, entrando nella stanza con un po' di fiatone. «E pensare che contavo su di te per trovare la camera di Adrien, ma sei sparita!»

Adrien ridacchiò. «È bello rivederti Lloyd.» tossì poco dopo, sentendo la gola secca.

«Vuoi un po' d'acqua?» domandò la corvina, recuperando la bottiglietta sul comodino dopo che ebbe annuito.

«Finalmente non indossi più quella tutina nera. Anche se per le donne di Parigi può essere una vera tragedia. Soprattutto per una certa ragazza qui presente.» ammiccò.

 

Marinette squittì, arrossendo di colpo e rischiando di far rovesciare l'acqua addosso ad Adrien, anche lui rosso come un peperone.

 

«Scherzo, scherzo.» rise di nuovo, per poi sorridere gentilmente verso il ragazzo. «Ora bisogna solo trovare tuo padre, no?»

Il biondo bevve qualche sorso d'acqua, tifando poi la bottiglietta a Marinette. «Non so dove sia... È sparito da un giorno all'altro. Ma forse è meglio così, almeno non l'ho ucciso, per quanto ne so...» rispose amareggiato, chinando lo sguardo.

La giovane gli prese nuovamente la mano tra le sue. «Vedrai che tornerà. Non appena saprà che tu sei ancora vivo tornerà da te. Intanto puoi rimanere a casa mia. C'è una stanza, che prima di appropriarmi della mansarda era mia, che usiamo per gli ospiti. Puoi usare quella.»

«Grazie, ma non vorrei disturbare...»

«Adrien, casa tua è praticamente distrutta. Come farai a sopravvivere lì dentro? E non dire che hai vissuto là dentro fino ad ora perché hai tirato avanti solo grazie al fatto che eri Chat Noir.» disse Lloyd, abbassando la voce all'ultimo pezzo di frase.

 

Infondo aveva ragione: era sopravvissuto solo grazie ai suoi poteri.

 

Ma ora era pronto ad iniziare una nuova vita e Marinette ne avrebbe fatto parte.

 

 

 

 

 

 

—•—•—

 

 

 

 

 

 

 

Erano passati tre giorni da quando era fuori dall'ospedale.

 

Tom e Sabine avevano preparato la stanza per Adrien, ma il padre della ragazza aveva avvisato entrambi sul fatto che non voleva trovare nessuno dei due nella stessa stanza, oppure ci sarebbero state ripercussioni.

 

Inutile dire che Adrien lo ascoltò senza battere ciglio, ma non mancavano le serate passate insieme, l'una abbracciata all'altro a parlare o anche solo a farsi compagnia per qualche minuto prima che l'altro tornasse nella sua stanza.

 

La notte era sempre stata il loro momento della giornata preferito: il momento in cui potevano vedersi e permettere alle stelle di essere le uniche complici dei loro incontri segreti.

 

La notte, quando l'oscurità avvolgeva ogni cosa ed il cavaliere dalla nera armatura andava a trovare la sua principessa.

 

Marinette gli aveva sempre detto che non si considerava una principessa, che non era aggraziata, che non aveva nobili origini e che non era ricca, ma ad Adrien non importava.

 

Avrebbe potuto essere la principessa dei nerd, ridacchiò lui prima di ricevere uno scherzoso pugno sul braccio.

 

Si completavano a vicenda è quello era l'importante.

 

Il giorno seguente, Marinette ed Adrien incontrarono Fu a casa sua, sorseggiando del tè verde da delle tazze di ceramica.

 

Entrambi ascoltarono l'anziano quando raccontò le storie sui passati Chat Noir; Adrien prestava più attenzione possibile, capendo il loro stato d'animo, mentre Marinette riviveva ogni singolo racconto come se fosse la prima volta che lo ascoltava.

 

Era sempre meraviglioso poter ascoltare storie del genere, per quanto reali e macabre possano essere, ma raccontavano di una verità che solo in pochi conoscevano.

 

«Cos'ha intenzione di fare ora, signor Fu?» domandò la corvina, poggiando la tazza vuota sul tavolino davanti a sé

«Tornerò a casa mia. Nasconderò l'anello dove nessuno potrà trovarlo, o almeno finché resterò in vita nessuno potrà trovare.» rispose, sorridendo malinconico. «Questa volta non lo perderò.» aggiunse, mostrando loro una scatolina nera con delle linee rosse a formare uno strano simbolo, che nessuno dei due riconobbe.

«Spero che posso essere felice e la ringrazio ancora per tutto ciò che ha fatto.» disse Adrien, chinando leggerete il capo come a simboleggiare un inchino.

«L'importante è che ora voi possiate vivere la vostra vita.» sorrise l'anziano, alzandosi con loro.

 

I due adolescenti uscirono, salutando nuovamente l'uomo, che, subito dopo, chiuse la porta dietro di loro.

 

Marinette ed Adrien uscirono dall'edificio in cui vi era l'appartamento di Fu, fermandosi quando la corvina notò il ragazzo assumere un'aria triste.

 

«Cosa c'è? Già ti manca Fu?» ridacchiò, prendendogli la mano, incoraggiandolo a dirle ciò che gli passava per la testa.

«Non solo... Cioè, il signor Fu è vissuto per oltre un secolo dopo che la maledizione si è spezzata e sono più che sicuro che anche a me toccherà la stessa sorte. Io non credo di poter sopravvivere senza di te...» rispose, squittendo di dolore quando la ragazza gli pizzicò la guancia.

«Non fare il sentimentale. C'è tutto il tempo che vogliamo da passare insieme, e se dovesse accadere anche a te allora potresti approfittare e fare come Fu: viaggiare per tutto il mondo.»

«Ma tu non sarai accanto a me.»

 

Marinette gli fece un sorriso triste, accarezzandogli la gota.

 

Infondo sperava che a lui non capitasse una cosa del genere, ma la maledizione poteva durare per molto tempo anche dopo averla spezzata; ma forse a Fu era successo ciò perché lui non l'aveva completamente rotta.

 

La corvina sbuffò, mettendosi sulle punte e dando un leggero bacio sulle labbra di Adrien, sorridendo. «Non pensare a tutto ciò. Viviamo il presente, insieme. Il presente che è fatto solo dei fantastici moneti che viviamo.»

 

Il biondo annuì, restituendole il bacio, per poi camminare mano nella mano verso la boulangerie in cui entrambi vivevano con i genitori di lei.

 

Marinette aveva ragione: bisognava vivere il presente, al futuro avrebbe pensato poi.

 

Fu, sul balcone, sorrise mentre li guardava allontanarsi, spostando lo sguardo sul suo cellulare per cercare un contatto che aveva salvato qualche tempo prima.

 

Portò l'apparecchio all'orecchio e mentre aspettava che qualcuno dall'altra parte rispondesse, un gatto nero dagli occhi verdi si fece strada tra le sue gambe, iniziando a fare le fusa.

 

«E tu da dove sbuchi?» domandò ridacchiando alla creatura, accarezzandogli dietro l'orecchio.

 

Qualche secondo più tardi, una voce seria rispose alla sua telefonata, mentre il sorriso non abbandonò il suo volto. «Tutto è tornato alla normalità. Può riabbracciare di nuovo suo figlio.»

 

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

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Mi viene il magone a leggere "fine" dopo più di un anno che ho dedicato a questa storia...

 

Ma, beh, tutto ha una fine, prima o poi.

 

Ah sì, domani la parte dedicata ai ringraziamenti, quindi vi lascio digerire la cosa AHAHAHAHAH

 

A presto :)

Francy_Kid

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