The Chain

di Mel_deluxe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Numero Uno e Due ***
Capitolo 3: *** Quaranta centesimi ***
Capitolo 4: *** Il mio monologo interiore ***
Capitolo 5: *** Adoro trasportare fogli bianchi ***
Capitolo 6: *** La Ragazza Nuova è un demonio ***
Capitolo 7: *** Io, te e il mio ragazzo ***
Capitolo 8: *** Il re cadrà dal suo trono ***
Capitolo 9: *** Simon Cool-eman ***
Capitolo 10: *** Il 14 scarlatto ***
Capitolo 11: *** C'è un cadavere che ama scendere le scale ***
Capitolo 12: *** There'll be no more tears in heaven ***
Capitolo 13: *** Requiem ***
Capitolo 14: *** Stiamo ancora migliorando ***
Capitolo 15: *** La coppia più bella ***
Capitolo 16: *** Due migliori amiche e un problema ***
Capitolo 17: *** Super indagini leggendarie di quarto livello ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Attenzione: come introduzione voglio premettervi che nulla in questa storia va preso sul serio. Ovvero, la mia intenzione principale era quella di creare una sorta di parodia dei classici “high school movies”, sapete, quelle meraviglie del trash ricche di clichè, sugli adolescenti, le cheerleader e le sfigate, le feste in casa e gli amori gggiovani e le questioni vitali sulla popolarità che tutti amiamo e conosciamo. Adoro quando sono fatti con serietà ma amo ancora di più quando invece sono palesemente ironiche. Quindi ecco la mia versione parodistica degli young adult/high school movies e dei loro luoghi comuni, spero vivamente che vi piaccia. La trama più avanti avrà una svolta horror/giallistica, come spiego nell’introduzione, ma ci arriveremo tra un po’, siate pazienti. Qui c’è un piccolo prologo. Dalla prossima volta inizieranno i capitoli veri e propri.
Con affetto,
Mel.
 
Prologo
 
 
26 maggio 1986
Da qualche parte, nel South Dakota
 
 
 
«Non posso crederci.»
«Cosa non puoi crederci?»
«Abbiamo finalmente raggiunto il nostro scopo. Guardaci: siamo i ragazzi più popolari della scuola, se non dell’intero mondo...»
«Beh, insomma, c’è voluto qualche piccolo sacrificio.»
«Ma ne è valsa la pena, no?»
«Puoi scommetterci che ne è valsa la pena.»
«Ora possiamo goderci le nostre vite: nessuno si dimenticherà di noi per almeno i prossimi trent’anni.»
«È brutto dire una certa cosa?»
«Cosa?»
«Mi sono appena reso conto di essere innamorato di te. Tu?»
«Oddio, non esageriamo. Diciamo che ti stimo molto, ecco.»
«Hai ragione: ti stimo molto anche io.»
«Anche se sei il peggior compagno d’avventure di sempre.»
«Posso darti un bacio?»
«No.»



Chain keep us together, running in the shadows

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Capitolo 2
*** Numero Uno e Due ***


Capitolo 1
Numero Uno e Due

 


“Just listen to the music of the traffic in the city
Linger on the sidewalk where the neon signs are pretty
How can you lose?”

“Downtown”, Petula Clark 1964



  LA CATENA DI POPOLARITÀ
1) La reginetta del ballo
2) Il re del ballo
3) La capo cheerleader
4) Il quarterback
5) Cheerleaders
6)  Giocatori di football
7) Giocatori di basket
8) Quelli fighi
9)Altri atleti
10)Club di teatro
11)Club di lingue
12)Altri studenti
13)Quelli strani
14)Sfigati
 
 
 
Linda Collins osservò soddisfatta la bacheca degli studenti sulla quale era appesa, in bella vista, la Catena di Popolarità della sua scuola, che ormai da tre anni veniva rispettata da tutti gli studenti.
Si sistemò con grazia i lunghi capelli corvini e, osservandosi nel riflesso della bacheca, si stupì di come ancora dopo così tanto tempo le donasse la divisa da cheerleader.
Guardò con calma la sua pelle chiara, i suoi grandi occhi azzurri contornati di trucco scuro e le labbra ricoperte di rossetto rosa corallo.
Era bellissima, lo sapeva.
Ma d’altronde cosa si poteva aspettare, da colei che deteneva il primo e terzo posto della Catena?
Si voltò a osservare i corridoi della sua scuola. Era il quarto anno che passava in quel liceo, e in tutti tre gli anni precedenti, era sempre riuscita a mantenere i piani più alti della Catena. Anzi, si poteva dire che era stata lei a inventarla, la Catena.
Lei era Linda Collins, la ragazza di ferro, che non sbagliava mai un colpo.
Adorava il sapore del successo.
Da tempo ormai credeva che il mondo un giorno sarebbe stato ai suoi piedi. In effetti ci credeva davvero. Era narcisista, fin troppo orgogliosa e sognatrice, lo sapeva, ma questo non le avrebbe di certo impedito la sua ascesa al potere.
Iniziò a camminare per i corridoi, sfoggiando la divisa blu e bianca nuova di zecca, mentre i ragazzi si voltavano a fissarla, ogni volta che passava loro di fianco.
Quello sarebbe stato il suo ultimo anno al liceo, e Linda voleva lasciare il segno in quella maledetta scuola. Certo, era già una leggenda vivente lì a Buckley, tutte le ragazze più piccole la guardavano con estrema ammirazione; perfino le sue coetanee sognavano di essere lei, mentre tutti i ragazzi sognavano giorno e notti di portarsela a letto.
Linda aveva avuto molti amici nel corso degli anni, molti dei quali aveva completamente trasformato. Riteneva avesse un grande talento in ciò: le piaceva prendere sfigati, componenti dei più bassi numeri sotto la sua ala protetta e convertirli nei suoi più stretti amici. Era una paladina, sotto questo aspetto.
La prima persona che incontrò quel primo giorno fu LeeAnn Anderson, l’adorabile quanto irritante presidentessa del club di teatro, una ragazza fin troppo buona per essere vera. Con il suo atteggiamento gentile e comprensivo, LeeAnn era diventata amica praticamente di tutti gli studenti. Ogni anno LeeAnn veniva candidata come reginetta del ballo, e Linda l’anno prima era stata quasi sul punto di essere battuta da lei. Questo ancora non le andava giù.
«Linda, ma ciao!» la salutò, vedendola da lontano. «Tesoro, ti vedo dimagrita!»
«Grazie, Ann!» esclamò Linda con un finto sorriso. Gli occhi scuri di LeeAnn la scrutarono allegri.
Le chiese delle vacanze, e lei rispose cordialmente. Poi ricambiò la domanda con gentilezza.
Ogni volta che LeeAnn apriva la bocca per parlare, Linda doveva trattenere a fatica pensieri poco carini nei suoi confronti.
Ne era sempre stata invidiosa. LeeAnn era solo una Numero Otto, certo, ma possedeva un fascino davvero naturale. Non si truccava mai, portava vestiti da quattro soldi e nessuno poteva dire con chiarezza quand’era stata l’ultima volta che si era tagliata quella massa di capelli biondastri. Ma aveva grazia e bellezza, chiunque le sarebbe caduto ai piedi, e questo a Linda non piaceva, non le piaceva affatto.
Quando LeeAnn ebbe finito quel suo interminabile sproloquio sulla sua estate passata in Australia a salvare echidne, la salutò con un bacio sulla guancia e poi si allontanò:
«Allora ci vediamo in giro, Lin!»
«Va bene, Ann, ci conto!»
LeeAnn si voltò in modo teatrale, lasciando che tutti ammirassero i suoi meravigliosi capelli lunghi volare al vento.
Linda sbuffò rumorosamente, sollevata che quei cinque minuti d’inferno fossero finiti, poi riprese a camminare a testa alta.
Mentre era ancora ferma però, venne richiamata dall’acuta voce del suo compagno Johnny Treppiede, che la riconobbe dalla fine del corridoio:
«Linda, stavo proprio cercando te, eccoti qua! Ecco la nostra Numero Uno della Catena!»
Linda gli sorrise amorevolmente. Finalmente era arrivato.
Johnny Treppiede era un ragazzo al suo stesso anno, che dirigeva il giornalino scolastico e una piccola rubrica nel settimanale di Buckley, che comprendeva le interviste agli studenti del liceo, fatte tutti gli anni, rigorosamente, il primo giorno di scuola.
Tutti lo chiamavano Treppiede perché si portava sempre una telecamera dietro e un piccolo treppiede sulle spalle in caso di necessità, ma nessuno sapeva qual era il suo vero cognome.
Era un ragazzo basso e perennemente sudato, con l’acne e i baffi dalla prima elementare, ma il fatto che giocasse nella squadra di tennis lo rendeva un Numero Nove, e quindi era ancora accettabile parlare con lui.
Linda finse di essere infastidita dal suo arrivo, ma in realtà non aspettava altro che quel ragazzo postasse la sua intervista del primo giorno di scuola sulle sue pagine, per contribuire ulteriormente alla sua già incredibile popolarità.
«Oh, ciao Linda!» incominciò Johnny puntandole il registratore contro. «Allora, dicci: come sono andate le vacanze per la nostra ape regina?»
«Oh, molto bene, Johnny!» rispose lei allegra. «Un viaggetto in Africa e un giro delle capitali europee, sai, nulla di che.»
«Ci giungono alcune voci...» riprese Johnny con tono più serio. «Di una definitiva rottura tra te e il tuo storico fidanzato, nonché nostro Numero Due della Catena, Simon Coleman. È la verità, Linda?»
Linda mandò giù la saliva prima di parlare di quel delicato argomento.
Non le piaceva ancora parlare di lui, anche dopo tutto quel tempo.
«Sì, è corretto.» disse fieramente, cercando di farsi forza. «Io e Simon ci siamo lasciati a giugno per alcune forti divergenze di cui non desidero parlare al momento.» Fece un’altra pausa prima di riprendere. «Comunque è confermato che questa volta no, non torneremo insieme.»
«Dopo ben due anni insieme il re e la regina del ballo si sono lasciati, ho sentito bene? I fan del nostro giornalino rimarranno molto delusi. Sai, la coppia Simon/Linda era una tra le più popolari... Com’è la tua vita da single adesso?»
Linda scoppiò a ridere.
«Oh, meravigliosa!» esclamò, ancora ridendo. «Sono pur sempre la Numero Uno della Catena, Johnny, posso trovarmi un altro ragazzo quando voglio.»
Johnny acconsentì, complimentandole la nuova divisa.
Stava per farle un'altra domanda, quando il ragazzo si bloccò a fissare l’entrata della scuola con faccia meravigliata.
«Oh, ma guarda chi è entrato!» esclamò, pieno di gioia. «Ma è proprio lui: è Simon Coleman!»
Linda impallidì. Poi si girò lentamente, a malavoglia, sperando che Johnny stesse solo scherzano.
E invece no, non stava scherzando. Purtroppo.
 
 
Un ragazzo alto e incredibilmente attraente varcò l’ingresso principale e iniziò a camminare a testa alta per i corridoi. Dietro di lui una folgorante luce celestiale faceva capolino, mentre cori angelici si udivano in sottofondo.
Indossava una camicia bianca leggermente sbottonata e portava lo zaino in spalla modo molto svogliato. Sorrideva a tutte le ragazze, anche a quelle che non conosceva. I capelli biondi, che portava più corti della maggior parte dei ragazzi della scuola, si muovevano al vento, arricciandosi a ogni passo.
Si tirò indietro le ciocche chiare con gesto ammaliante. Ci fu un tonfo.
Nove ragazze erano appena svenute.
Ed eccolo lì, Simon Coleman, senza dubbio il ragazzo più bello di tutta scuola, il re del ballo scolastico, il quarterback della squadra di football, Numero Due della Catena, ed ex fidanzato di Linda.
Linda lo osservò con sprezzo dal corridoio. Non lo vedeva da quando si erano lasciati, due mesi prima. Ammetteva tranquillamente che Simon fosse uno dei ragazzi più attraenti che avesse mai conosciuto; eppure adesso, ogni volta che lo vedeva, provava l’impulso di vomitare.
Johnny Treppiede si posizionò di fronte a lui non appena li raggiunse, costringendolo a fermarsi.
«Simon!» esclamò Johnny vedendolo. «Che piacere rivederti! Allora, che ci dici sul nuovo gossip del momento? È vero che tu e Linda vi siete lasciati?»
Simon rimase per il momento confuso. Linda evitava di guardarlo in tutti i modi.
«Oh, certo...» Simon, ricomponendosi, sfoggiò il suo più bel sorriso alla telecamera e iniziò a parlare entusiasticamente al registratore. «Io e Linda ci siamo lasciati da qualche mese, ma penso che ormai tutta la scuola già lo sappia.»
Simon rivolse a Linda un ammaliante sorriso, che lei ignorò sbuffando.
Conosceva bene Simon, aveva capito il suo gioco ormai. In quel momento stava utilizzando la “Strategia Marlon Brando”  cioè il risultare affascinante, amorevole e dal carattere predominante per avere tutta la componente femminile della scuola a suo favore, anche se in realtà tutti sapevano benissimo che era una persona orribile.
«Siete entrambi disponibili quindi, adesso?»
«Menomale, direi.» intervenne Linda, irritata dalla presenza di Simon.
«Ci volete rivelare il motivo della vostra improvvisa rottura, ragazzi?»
Questa volta Johnny rivolse il microfono a Simon, che si ritrovò senza una risposta per il momento.
«Ecco... è stato per colpa di...»
«Divergenze artistiche.» Linda suggerì la prima cosa che le venne in mente.
«Sì, divergenze artistiche.» l’assecondò subito dopo Simon.
 
Ciò che accadde veramente...
 
«Linda, hai preso di nuovo i miei occhiali da sole?»
«No.»
«Allora perché sei abbronzata dappertutto tranne intorno agli occhi?»
«Cosa c’è, Simon, credi di essere l’unica persona al mondo ad avere un paio di occhiali da sole? Egocentrico.»
«No, ma so per certo che tu non ne hai un paio, dato che usi sempre i miei!»
«E va bene, li ho usati! La mia famiglia è povera, sii più gentile con la gente bisognosa...»
«La tua famiglia è una delle più ricche del Midwest!»
«Perché devi sempre puntualizzare tutto? Odio quando fai così!»
«E io odio quando prendi i miei occhiali!»
«Io invece odio te!»
«Ah, sì? Io ti odio di più!»
«Va bene, allora è finita! Contento adesso?»
«Bene!»
«Bene!»
«Bene!»
 
Johnny si rivolse un’ultima volta ai due ragazzi:
«Quindi siete entrambi d’accordo che esservi lasciati sia stata la scelta migliore, dico bene?»
A quella domanda Simon e Linda rimasero in imbarazzante silenzio per un secondo.
Poi Simon avvolse un braccio intorno alla vita di lei, ed esclamò contento:
«Oh, ma siamo ancora amici!» disse con gioia. «Anzi, andiamo più d’accordo adesso di quando stavamo effettivamente insieme! Non è vero, Lindy?»
Linda avrebbe voluto prenderlo a schiaffi a quel punto, ma si trattenne. Dopotutto doveva adottare anche lei un po’ di strategia di falsa propaganda.
«Già, molto amici!» disse lei, con un sorriso tirato, il più finto che riuscì a fare.
Johnny fece loro altre due domande, poi li lasciò da soli, per andare a proseguire con le interviste del primo giorno di scuola.
«Allora eccoli, salutiamo per il momento i primi due classificati della Catena, Linda Collins e Simon Coleman, i nostri sovrani del ballo in carica, qui a Buckley!» esclamò Johnny prima di spegnere la telecamera e il microfono e salutarli.
Allontanandosi, lasciò finalmente Simon e Linda completamente da soli.
Non appena Johnny fu abbastanza lontano per non sentirli, Linda si voltò di scatto, con aria di sfida, verso di lui:
«Credi di essere così furbo, vero Simon?» gli disse osservandolo minacciosa.
«Non so di cosa stai parlando.»
In realtà Simon lo sapeva benissimo, e anche Linda:
«”Siamo amici, andiamo più d’accordo adesso di quando stavamo effettivamente insieme!” Ma per favore! Sappiamo entrambi che stai usando la Strategia Marlon Brando, l’hai usata anche l’anno scorso per farti eleggere re del ballo! Ti conosco, Simon, ti conosco troppo bene.»
«Può darsi.» commentò lui, fingendosi totalmente disinteressato.«Non mi interessa comunque.»
Ecco, stava usando ancora la Strategia. Ma con Linda non avrebbe funzionato così facilmente.
«Sai Simon, qual è l’unico aspetto positivo di essere stata con te?» continuò. «Che non casco più nei tuoi stupidi trucchetti. Che intenzioni hai quest’anno, eh? Dimmelo.»
«Che ne dici di calmarti un po’, almeno per un giorno?»
«E tu che ne dici di soffocare nel sonno e morire?»
Simon si irritò e, voltandosi, iniziò a ribattere:
«Oh, davvero complimenti, Linda!» il ragazzo ritornò al suo solito tono meschino di sempre. «Il fatto che mi superi di un posto nella Catena non significa che debba stare ancora sotto i tuoi ordini e farmi parlare con quel tono da te!»
Linda si avvicinò ancora di più a lui, mentre la sua voce diventava sempre più ostile:
«Sappiamo entrambi che sei diventato re del ballo solo grazie a me. Sono stata io a portarti fin qui, sai bene anche questo. O forse non ti ricordi più il secondo anno, Simon?»
Simon non rispose. Linda sapeva bene che detestava parlare di quell’argomento, probabilmente perché si sentiva ancora in debito con lei. Perciò continuò:
«Oh, il povero Simon Coleman quindicenne, che andava in giro vestito di stracci e non aveva nessun amico.» Linda recitò con finta voce drammatica. «Poi un giorno, mentre stava vagando per le tribune pensando a come porre fine alla sua inutile esistenza, ecco che la popolarissima e fantastica Linda Collins ti ha notato e tu sei subito andato in subbuglio per lei. Ricordati che non fosse stato per me ora tu saresti ancora un Numero Quattordici, con quella sfigata di Taylor May come unica amica e...»
«Non parlare male di Taylor.» l’ammonì Simon irritato.
«Scusa, ho offeso la tua fidanzatina?» riprese Linda. «Ricordatelo, Simon: sono io che ti ho portato tra i primi posti della Catena. E sei diventato re solo perché io...»
«Cosa? Credi davvero che la mia popolarità a questo punto dipenda ancora da te?» ribatté lui, totalmente calmo. «Oh, Linda! Sono passati due anni ormai, fattene una ragione! Ora sono il quarterback della squadra di football, sono il re del ballo e detengo ancora il secondo e quarto posto. E in più, adesso che non stiamo più insieme, ci saranno centinaia di ragazze disposte a mutilarsi a sangue pur di  mettersi con me. Diciamo pure che sei stata una liberazione, ecco. Una liberazione che mi porterà direttamente ad arrivare al primo posto della Catena...»
«Ah, ah!» esclamò Linda, puntandogli un dito contro. «Lo sapevo che avevi in mente qualcosa!»
Simon si zittì, mentre Linda osservava i suoi occhi celesti, che erano la parte di lui che tutte le ragazze apprezzavano di più. Beh, come dar loro torto, quegli occhi erano davvero meravigliosi.
«Linda, lo sai bene che la Catena non è qualcosa di stabile, è nelle regole. Può essere cambiata da un momento all’altro se è il popolo degli studenti a volerlo.» riprese lui poco dopo. «E adesso che io e te siamo diventati rivali, è arrivato il momento che qualcosa cambi in questa stupida scuola.»
Linda rise con disinvoltura, sorpresa dall’incredibile stupidità che il ragazzo le stava rivelando.
«Ah, Simon...» disse, con molta più calma, mentre, a braccia conserte, si avvicinava sempre di più a lui. «Lo sai qual è la parte più bella del vivere nel ventesimo secolo? Le minoranze vincono sempre. Per questo la reginetta sta sopra il re e la capo cheerleader sopra il quarterback. Semplice autodifesa: se fosse stato il contrario allora tutti si sarebbero lamentati, tirando fuori qualche stronzata sul femminismo o che altro. Per questo la Catena è strutturata così. Tu sei maschio, americano, bianco ed eterosessuale, direi che non sei molto agevolato. Ma io sono una ragazza, sono una  minoranza, ergo...»
Linda si avvicinò ancora al suo viso, finché non fu in grado di farsi sentire con appena un sussurro:
«Ergo, io vinco sempre. E tu senza di me non sei niente, lo sai bene.»
Simon non si fece intimidire.
«Tutti ti odiano qui.»
«Non è vero!» urlò Linda indignata.
«Sì, invece.» Simon sorrise, fiero del suo discorso. «Sai, dopo il secondo anno, dopo che è successa la cosa di Bethany Mayers...» sussurrò le ultime parole.
«Lo sappiamo benissimo che è stato un incidente!»
«D’accordo, anche se fosse... Dopo l’ “incidente” di Bethany Mayers già tutti ti odiavano qui. Ti salvavi solo perché stavi con me, perché ero buono e bello, e tu mi avevi aiutato quando ne avevo bisogno, eccetera eccetera. Tutti ti ammiravano per questo. Ma adesso che ci siamo lasciati non hai più nemmeno questo potere, mia cara Lindy.» ammise lui, con un leggero ghigno. «E poi sei femmina, sì, ma forse ti dimentichi di un particolare piuttosto rilevante: tutte le ragazze, almeno per quanto riguarda questa scuola, sono innamorate perse del loro bellissimo e sexy quarterback, per il quale farebbero qualsiasi cosa.» Simon sfoggiò un altro dei suoi bellissimi sorrisi, prima di riprendere a parlare. A Linda però fece l’effetto opposto, le sembrò quasi inquietante. «Sei una ragazza, sì, ma io le ragazze me le porto a letto, e in questo modo ho un potere molto più forte su tutte loro.»
Calò il silenzio, e vi restò per qualche minuto.
Linda stette immobile a fissarlo cercando di contenere la rabbia.
Ecco, proprio ciò che temeva di più era successo: Simon Coleman, la sua migliore creazione, ora era diventato forte quanto lei, se non di più, e si stava ribellando. Esattamente come Frankenstein, aveva creato un mostro, e ora andava fermato ad ogni costo.
Temporeggiò un secondo in silenzio, poi aprì la bocca, usando tutta la rabbia che aveva dentro, si ritrovò a strillare davanti a tutti:
«Tu sei morto per me, Simon Coleman!» 
Lui rispose ugualmente, mantenendo il contatto visivo:
«Va bene, è guerra allora!»
«Non hai la più pallida idea di quanto ti farò pentire di averlo appena detto!»
Linda si voltò di scatto, facendo svolazzare in aria la sua coda di capelli neri. Poi, con passo fiero e deciso, si allontanò velocemente per i corridoi della scuola, più infuriata che mai, mentre tutti gli studenti guardavano increduli la scena.
 
 
«Lo odio! Lo detesto! Gli ho dato tutto! Gli ho dato la popolarità, la mia fiducia, l’ho fatto salire al secondo posto e lui mi ripaga così?! Non so nemmeno come ho fatto a starci insieme! Aaahrg! Mi disgusta! Stupido, stupido biondo tinto!»
Linda Collins si era ritrovata, pochi minuti dopo, con le sue amiche nonché compagne cheerleader. Tuttavia la rabbia per quell’incontro di prima con Simon aveva superato la gioia di rivedere le sue migliori amiche dopo la fine delle vacanze.
L’unica cosa che rilassava veramente Linda nei momenti più difficili era una sola: limarsi le unghie. Non sapeva perché, forse le lasciava scaricare la rabbia, o perché era una delle molte cose che era capace di fare perfettamente. Detto sta che, ogni volta che si sentiva particolarmente stressata, dopo qualche minuto di limatura impulsiva ritornava serena come prima.
Per questo motivo, in quel momento era lì a limarsi le unghie a una a una, mentre parlava con le sue amiche appoggiata agli armadietti.
«Aspetta... vuoi dire che Simon Coleman ha i capelli tinti?» domandò Chloe Farger, confusa.
Linda sbuffò rumorosamente. Quella ragazza era la persona più stupida che avesse mai conosciuto.
«Era una battuta, Chloe!» le urlò in faccia, totalmente arrabbiata. «I maschi non si tingono i capelli! Non quelli etero almeno!»
Chloe si zittì imbarazzata, mentre Linda riprese a levigare le sue unghie con la sua fedele limetta rossa.
«Dai, Linda, cerca di calmarti.» le disse gentilmente Carey Davis, l’unica di quel gruppo ad avere un minimo di cervello e l’unica che Linda apprezzasse veramente.
«Calmarmi?! Come faccio a calmarmi in una situazione del genere?» Linda sembrava sul punto di uccidere qualcuno. «Quell’idiota aspirante clone di He-Man del mio ex ragazzo vuole rubarmi la popolarità, probabilmente formando un esercito di bimbeminchia arrapate per distruggermi, e tutto quello che voi sapete dirmi è di stare calma? Io vi detesto!»
Riprese a limare, al doppio della velocità stavolta.
Le sue amiche si guardarono perplesse, pensando a cosa dire di più. Linda intanto continuava a limare, senza pensare a nient’altro.
Lima, lima, lima, lima, lima, lima, lima...
«Senti, Linda, secondo me non dovresti pensarci.» propose Janissa Rubiz, la componente ispanica del gruppo, e seconda ragazza più popolare della scuola, dietro solo a Linda.
«Già, pensa a cose più importanti.» continuò Stephanie Cornwell, l’ultima cheerleader lì presente. «Siamo rimaste in cinque nella squadra, pensa a quante nuove matricole dovrai reclutare.»
«Sì, ho sentito che ci sono parecchie ragazze nuove quest’anno!» intervenne Carey, con più entusiasmo.
«E dicono che una di loro sia molto carina. Potremmo convincerla a entrare nelle cheerleader!» concluse Chloe.
«Oppure potremmo giocare al tuo passatempo preferito...» propose Janissa. La frase fu poi terminata da Stephanie:
«”Sfotti il perdente”»
Tutte le cheerleader proseguirono con le proposte e provarono a convincere Linda, ripetendole quanto era bella e fantastica e bla, bla, bla, tutte cose che già sapeva.
Lei, che si era stancata di assottigliare le sue povere unghie per tutto quel tempo, mise giù la limetta e guardò le sue amiche una a una.
Chloe, Stephanie, Janissa e infine Carey. Le sue migliori amiche.
Tutte loro, ad eccezione di Janissa, erano altri esemplari delle sue favolose creazioni. Linda le aveva rese tutte delle Numero Cinque, popolari e attraenti, aveva trovato un ragazzo tra i primi posti per tutte loro, e forse era proprio per quello che la veneravano in quel modo assurdo, sebbene tutti gli insulti e le umiliazioni che ricevevano ogni giorno da parte sua. Erano stupide, sì, ma d’altronde a Linda non dispiaceva che lo fossero.
«Oh, avete ragione, ragazze!» affermò infine, con grande gioia delle quattro amiche. «Mi ero dimenticata quanto mi piace giocare a “Sfotti il perdente”. Al diavolo Simon, ho cose molto più importanti a cui pensare.»
Poi, dimenticandosi completamente di ciò che aveva affermato un secondo prima, si mise le mani sul cuore e con tenerezza disse loro:
«Grazie ragazze, non so come farei senza delle amiche speciali come voi!»
Linda allargò le braccia per abbracciarle tutte e quattro, le quali si strinsero e formarono un gigantesco abbraccio circolare.
Le cinque ragazze erano le uniche cheerleader rimaste dall’anno scorso. Le altre si erano diplomate o erano state cacciate via a forza.
Stephanie aveva ragione, pensò Linda, doveva trovarne di nuove per iniziare il nuovo anno e riaffermare la sua popolarità.
«Va bene, ragazze!» annunciò Linda, sentendosi molto meglio. «Per prima cosa ora che sono single, devo trovarmi un nuovo fidanzato bello e popolare quanto me.»
Si voltò a destra, verso Janissa:
«Jany, prenderò il tuo.»
«Cosa? Perché?» protestò lei indignata.
Linda si era davvero stancata di spiegare tutto a quelle idiote delle sue amiche:
«Perché sono le regole, duh!» urlò irritata. «Se una ragazza di numero più alto vuole il ragazzo di una di numero più basso, può averlo, sono le regole della Catena! Io sono una Numero Uno e non ho più un fidanzato. Tu, Janissa, sei la mia seconda, ma sei una Numero Cinque, perciò adesso Darren C. Carmichael deve stare con me! Devo spiegarti sempre tutto?»
Janissa rimase in silenzio con la testa bassa, consapevole che tutto quello che stava dicendo Linda era esatto.
«Forza.» disse Linda, accompagnandosi con il gesto delle mani. «Ora andate a prendermi delle nuove reclute, su.»
Carey, Stephanie, Janissa e Chloe si girarono immediatamente e iniziarono a vagare per i corridoi in fretta, sperando di trovare qualche nuova aspirante, stupida cheerleader da aggiungere al loro gruppo di amiche.
Poco prima che se ne andasse, tuttavia, Linda decise di fermare Carey, per parlarle in privato un secondo.
«Carey, aspetta un attimo.»
La ragazza si bloccò e la guardò confusa. Linda attese che le altre tre se ne fossero andate, prima di iniziare a spiegare.
«Cosa c’è, Lin?» domandò lei, senza capire.
Linda aveva sempre pensato che Carey fosse davvero bella, forse anche più di lei e Janissa: era la più alta del gruppo, con i capelli castani sempre legati in una disordinata coda alta e con delle forme magnifiche. Nonostante quella bellezza sconvolgente però, lei aveva sempre rifiutato i ragazzi con cui Linda provava ad accoppiarla, a differenza delle sue altre amiche che si accontentavano del primo idiota che Linda offriva loro. Carey non aveva mai espresso apprezzamenti per nessun ragazzo. Tranne uno.
Due anni prima, quando lei e Simon si erano messi insieme, Carey le aveva confessato di aver avuto da sempre una cotta per lui, fin dal primo anno, ma che, tuttavia, non intendeva di certo rubare il ragazzo alla sua migliore amica, perciò quella storia era finita lì, semplicemente.
Linda si era sempre sentita in colpa per quella storia, perciò, adesso che lei e Simon si erano lasciati, voleva fare a Carey un piccolo favore:
«Senti, lo so che questa storia dei ragazzi non ti è mai stata molto a cuore.» disse con calma. «Sei sempre stata la single del gruppo e io in effetti un po’ ti ammiro; vorrei anch’io potermi fregare altamente degli altri, ma purtroppo quando sei tra i primi posti della Catena non è un privilegio che ti puoi permettere...»
Carey la continuava a fissare in silenzio, senza capire dove volesse arrivare.
«Mi avevi detto qualche anno fa di avere una cotta per Simon, me lo ricordo.» continuò Linda. «Beh, non so se tu ce l’abbia ancora. Purtroppo le regole della sorellanza non consentono che una ragazza esca con l’ex della sua amica, a meno che non abbia il suo permesso. Ma dato che so che la popolarità è molto più importante delle amicizie, e tu mi sei sempre stata a cuore, ti concederò questo piccolo regalo: puoi provarci con Simon, anche se trovo che comunque sia un’idea terribile.»
Carey rimase a bocca aperta. Non poteva assolutamente crederci.
«Cosa, d-dici sul serio?»
Linda annuì, con un leggero sorriso.
Meno di un secondo dopo Carey abbracciò Linda dalla felicità e iniziò a saltare urlando istericamente. Linda continuava a guardarla divertita. L’abbracciò di nuovo.
«Oh, grazie, grazie mille, Lin!» esclamò Carey in preda alla gioia.
«Va bene, va bene. Ora però vai a trovarmi delle nuove cheerleader.» concluse Linda, impreparata a sopportare tutto quell’entusiasmo.
Carey non se lo fece ripetere e si allontanò da Linda, con un sorriso stampato in faccia.
 
 
Carey Davis aveva sempre amato Simon Coleman, fin dal primo giorno di liceo. Se lo ricordava ancora, seduto in fondo all’angolo della mensa perché non aveva ancora nessun amico con cui pranzare. L’aveva visto lì per la prima volta e da allora non aveva smesso di pensare a lui.
C’era ben poco del Simon di una volta in quello di adesso, ma a Carey non importava.
Ora era alto un metro e ottantacinque, aveva quarantadue chili di muscoli e una lista infinita di ragazze disposte a uccidersi pur di andare a letto con lui.
Ma per Carey Simon era stato sempre di più di questo, era sempre rimasto quel ragazzino di quattordici anni biondo e timido, che si sedeva in fondo alla classe nelle ore di lezione.
Quando Linda le aveva dato il permesso di chiedergli di uscire, Carey non aveva creduto alle sue orecchie. Ma ora era qui, tutto sarebbe cambiato da quel momento in poi. Al suono della campanella sarebbe andata da lui e gli avrebbe parlato, era deciso.
Dirigendosi verso il suo armadietto, nei corridoi semi-deserti, alzò lo sguardo con orgoglio.
Vide con orrore proprio Simon  Coleman a qualche metro di distanza, che di dirigeva diritto verso di lei.
Carey andò immediatamente nel panico. Il suo cuore impazzì all’improvviso, e iniziò a pettinarsi in fretta i capelli con le dita.
Oh, ma perché doveva incontrarlo proprio ora, quando aveva altri compiti in programma?
Si avvicinò con lentezza a Simon, che si dirigeva dalla parte opposta.
Dopo aver preso un lungo respiro, e una volta tirato fuori tutto il coraggio che aveva, Carey lo salutò non appena le loro strade si incrociarono:
«Ciao Simon.»
«Oh.» Simon si voltò verso di lei, senza mostrarsi minimamente interessato. «Ciao Carrie.»
Continuarono entrambi a camminare nella loro direzione.
Dopo qualche passo, Carey si fermò per prendere fiato.
Si era ricordato di lei. Aveva sbagliato il suo nome, ma si era ricordato di lei.
A quel punto a Carey parve di vivere il più bel giorno della sua vita.

 

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Capitolo 3
*** Quaranta centesimi ***


Capitolo 2
Quaranta centesimi

 
 
 

It's strange but it's true
I can't get over the way you love me like you do
But I have to be sure
When I walk out that door
Oh how I want to be free

“I Want to Break Free”, Queen 1984



 
Simon Coleman alzò lentamente il peso, osservando con orgoglio il suo bellissimo bicipite sollevarsi pian piano.
Il suo migliore amico, Darren C. Carmichael era davanti a lui, mentre si allenava con il bilanciere con estrema concentrazione. Era ormai il loro solito rituale, allenarsi con lui  prima degli allenamenti in palestra parlando di ragazze e altre stronzate.
«Non lo so, amico*.» diceva Darren C. Carmichael. «Linda mi è sempre sembrata una psicopatica. Ha delle belle tette, certo, ma quelle si trovano facilmente. Avresti dovuto scaricarla già l’anno scorso, a mio parere.»
«Beh, sì, in effetti è un po’ problematica.» rispose Simon, interrompendo per un attimo il sollevamento. «Però è strano adesso: quando stavo con lei non dovevo mai fare fatica per mantenere la popolarità. Adesso invece devo sforzarmi, e non è una cosa in cui sono bravo.»
«Smettila, amico*. Tu sei Simon Coleman, cazzo!» esclamò Darren C. Carmichael, furioso di quell’improvviso calo di autostima. «Non accetterò che ti abbatta in questo modo. Sei il ragazzo più sexy di questo pianeta, okay? Hai un corpo da favola e un viso bellissimo, non ti serve una ragazza per restare in cima alla Catena! E anche se fosse? Te ne puoi trovare una nuova in due minuti!»
Simon era ormai abituato ai complimenti eccessivi che Darren C. Carmichael gli rivolgeva ogni volta. Sembrò per il momento convinto, e riprese a dedicarsi ai pesi.
Simon aveva sempre pensato che Darren C. Carmichael fosse molto più attraente di lui in realtà: aveva un corpo perfetto, che Simon quasi invidiava, e degli occhi verdi smeraldo in grado di folgorare chiunque guardasse. Inoltre il suo sorriso era in grado di sciogliere gli iceberg, da quanto era bello.
Per qualche strano motivo, però, lui era sempre stato il più apprezzato dalle ragazze.
«A te come va con Janissa?» domandò, per cambiare discorso.
Darren C. Carmichael sbuffò rumorosamente.
«Non so.» disse, quasi disinteressato. «Il colore della sua pelle mi eccita molto, sembra quello di Freddie Mercury. E poi fa facce buffe quando la faccio venire.»
Simon pensò che quello fossero i complimenti più assurdi che Darren C. Carmichael avesse mai fatto su una ragazza.
«Beh, forse potrei prendere una delle cheerleader.» disse Simon poco dopo. «Che ne pensi di Chloe Farger? Ero uscito con lei per un certo periodo due anni fa, sai, prima di Linda...»
«Nah, Chloe adesso sta con Peter Helson, il capitano della squadra di basket, il Numero Sette.»
Oh, era così complicato essere il ragazzo più popolare della scuola!
«E quell’altra? Carrie, o come si chiama, invece?»
«Non saprei. Credo che lei sia libera.»
Simon e Darren C. Carmichael rimasero in silenzio qualche secondo. Poi, all’improvviso, il suo amico ebbe una nuova, geniale idea:
«Sai con chi ci dovresti provare? Con quella ragazza nuova!»
Simon approvò l’idea. Tutti i suoi amici continuavano a parlare di lei, la misteriosa “Ragazza Nuova”. Dicevano quanto era carina, quanto era simpatica e tutte quelle stronzate che si dicono alle ragazze per portarsele a letto. Simon era assai curioso di conoscerla.
«Quella sì che è una strafiga!» continuò Darren C. Carmichael con entusiasmo. «Ha un culo da paura, e poi, secondo me, scopa da dio.»
I due amici stavano per riprendere a discutere di ragazze, quando improvvisamente, dalla porta della palestra rumorosamente entrò proprio Linda Collins, che, con la sua divisa da cheerleader blu e bianca che le esaltava le forme del corpo, catturò l’attenzione di tutti i ragazzi lì presenti. Volarono fischi e urla di apprezzamenti. Lei li ignorò e si diresse proprio dove Simon e il suo migliore amico si stavano allenando.
Simon si preparò all’ennesima sfuriata contro di lui, ma, inaspettatamente, Linda si rivolse per parlare con Darren C. Carmichael.
«Ciao, Darren C. Carmichael!» disse lei, stranamente gentile.
Linda si voltò poi verso Simon.
«Ciao anche a te, Patti LuPone.»
Simon si innervosì.
«Carine le tue battute, Linda.» rispose di rimando. «Dimmi, te le hanno vendute nello stesso discount da quattro soldi dove ti sei fatta rifare quel tuo culo bianco da ricca viziata?»
«Oh, scusa Simon, ma ogni volta che parli, tutto quello che riesco a sentire è “Ohu, ouh!”» ribatté Linda con il medesimo tono. «Temo che la tua voce sia coperta dagli inconfondibili urletti emessi dalla tua vagina!»
Linda subito dopo si voltò verso Darren C. Carmichael, ritornando alla sua innaturale gentilezza:
«Comunque ero venuta per dirti che Janissa ha rotto con te, ma, in compenso, sono qui per chiederti se vuoi diventare il mio nuovo ragazzo.»
«Okay.» rispose immediatamente Darren C. Carmichael al quale, evidentemente, non importava con quale delle cheerleader si scopasse, una valeva l’altra.
Linda mostrò loro uno smagliante sorriso.
«Ottimo!» esclamò. «Allora passa a casa mia verso le cinque e mezza.»
Era stato più veloce del previsto.
Poco prima di andarsene diede un veloce bacio al suo nuovo ragazzo, e si voltò verso Simon, come per constatare che lo avesse visto. Poi lo salutò.
«Ci vediamo, Patti.» disse esageratamente allegra.
«Ciao anche a te, Lindy.»
Linda lo ignorò. Simon poi la osservò, quasi perso, mentre usciva fuori dalla palestra, tanto trionfalmente di quando era entrata.
 
*Se fosse scritto in inglese sarebbe stato un classico “dude” ma dato che l’inglese lo so male ho dovuto adattarmi così.
 
 
Linda Collins uscì da quella disgustosa palestra che puzzava di sudore con un sospiro di sollievo.
Perfetto, adesso che aveva un nuovo ragazzo doveva solo attendere che le sue amiche tornassero con le nuove reclute.
Sorrise felice, mentre continuava a camminare.
Simon era così stupido e ingenuo, davvero credeva che avrebbe raggiunto il primo posto della Catena? No, non sarebbe mai successo, non finché ci sarebbe stata lei al potere.
Fu così presa dai suoi pensieri che nemmeno si accorse della ragazza che camminava dalla parte opposta alla sua. Quando se ne accorse fu troppo tardi.
Le due si scontrarono e l’altra ragazza fece cadere il suo caffè per terra.
«Ehi!» protestò infuriata. «Guarda un po’ dove vai!»
Linda rimase totalmente basita. La ragazza che aveva scontrato, era sicura di non averla mai vista lì. Era afroamericana, fatto già di per sé strano, dato che non c’erano famiglie di colore a Buckley, ma soprattutto era molto carina. Fin troppo carina. Era magra e alta, la sua pelle scura le donava un fascino immenso. I capelli di mille sfumature di castano si riversavano sulle spalle in miriadi di riccioli. Era vestita in modo impeccabile.
«Tu...» Linda non era sicura di come reagire. «Chi cavolo saresti?!»
La ragazza tuttavia continuava a osservare la pozza di caffè che si espandeva tristemente sul pavimento.
«Mi hai fatto cadere il caffè!» protestò, indicando la pozza. «Adesso devi ripagarmelo!»
Linda rimase a bocca aperta. Come diamine si permetteva?
«Okay, dato che non ti ho mai vista qui, ti spiegherò un paio di cose.» iniziò con finto tono gentile. «Io non ho idea di chi tu sia, perciò deduco che sei, diciamo, una Numero Dodici... Io sono Linda Collins, ciao, e sono la reginetta del ballo in carica, quindi Numero Uno della Catena, perciò non ti pagherò assolutamente nulla. Ora levati, che sono in ritardo per...»
«Ma di che cazzo stai parlando, sorella?» rispose lei, ridendo. Linda fu subito irritata dalla sua gentilezza completamente fuori luogo. «Catene, Numero Uno? Senti, non mi interessa, voglio solo che mi ripaghi il caffè della macchinetta. Sono appena quaranta centesimi, non ti sto chiedendo un assegno.»
«Hai detto che sei nuova?» chiese Linda, insospettita.
«Esatto.»
«Ah, quindi sei tu la famosa ragazza nuova di cui tutti parlano...»
«Oh, no, quella è un’altra.» precisò la ragazza di colore, che evidentemente aveva capito di cosa stesse parlando. «Cioè anche io sono nuova, ma non sono quella a cui tutti si riferiscono.»
Linda si avvicinò alla ragazza, usando il suo tono minaccioso:
«E come ti chiami, allora, ragazza nuova non-nuova?»
Tuttavia lei non sembrava affatto intimidita da Linda. Rispose tranquillamente:
«Mi chiamo Regan Weston, vengo dal Minnesota.»
«Regan? Oh, intendi come il presidente, quello con la moglie di nome Signora Uccello?»  
«Ok, per prima cosa, Lady Bird era la moglie del Presidente Johnson, non di Reagan, ed era una gran donna.» la corresse Regan. «E secondo: non sono venuta qui per litigare, Linda, voglio solo che almeno mi risarcisci il danno.»
«Hai idea di quanto sia offensivo quello che mi stai chiedendo?»
«Stiamo parlando di quaranta centesimi!» esclamò Regan, esasperata. «Okay? Con quaranta centesimi non ti ci compri nemmeno delle figurine in edicola!»
«Sai una cosa? Hai vinto.» ammise Linda, alzando le braccia in segno di sconfitta. «Sei una ragazza e sei nera, mi superi in quanto a minoranza. Brava, complimenti davvero. Ma se ti aspetti che io adesso accetti che tu mi rubi la popolarità solo perché è più facile per te atteggiarti da vittima, allora ti sbagli di grosso.»
«Tu sei completamente pazza. In questa scuola siete tutti pazzi.» commentò Regan, prima di andarsene.
Linda rimase ancora più sconvolta di quanto già non fosse.
«Non mi ignorare mentre ti parlo!» strillò infuriata. Non si era mai sentita così mancata di rispetto in tutta la sua vita.
«E invece è proprio quello che sto facendo.»
Regan non si girò nemmeno. Continuò a camminare, ignorando completamente Linda.
A quel punto la cheerleader si mise a strillare, colpita dall’ira, ma anche il questo caso, Regan la ignorò.
 
 
Taylor May sospirò rumorosamente, mettendo giù l’ultimo scatolone pieno di libri. Si asciugò il sudore sulla fronte, cercando di tirarsi indietro quei maledettissimi capelli.
Forse non avrebbe dovuto proporsi di aiutare a sistemare i libri in biblioteca il primo giorno di scuola. Adesso mentre tutti andavano in giro a salutare le vecchie amicizie, lei se ne stava lì da sola, a spostare scatoloni e a mettere a posto i libri impolverati.
Certo, non che lei avesse molti amici da salutare.
Si sistemò i capelli, lunghi fino ai fianchi, ormai così rovinati e sbiaditi che il suo castano naturale adesso pareva più un grigio scuro.
«Già a fare fatica a inizio anno, Tay?»
Taylor alzò lo sguardo verso quella voce familiare. Non appena vide di chi si trattava, non fece a meno di mostrare un meravigliato sorriso.
«Simon!»
Simon era davanti a lei, che le sorrideva. Taylor  corse ad abbracciarlo, contenta di rivederlo dopo tutti quei mesi.
«Oh, sono così felice di rivederti!»
Lei e Simon erano amici da molti anni ormai. Taylor lo riteneva il suo migliore amico, anche se negli ultimi tempi il loro rapporto non era stato dei migliori.
Si erano conosciuti alle medie e da allora erano stati inseparabili. Taylor e Simon avevano sempre avuto una cosa in comune allora, cioè l’essere universalmente esclusi da chiunque, tanto da non possedere nessun amico. Taylor era considerata strana e Simon non piaceva agli altri studenti; si erano ritrovati nella stessa situazione ed erano diventati amici per questo motivo. Li chiamavano “la coppietta di nullità”. Allora, ricordava ancora Taylor, erano stati praticamente inseparabili.
Alla fine avevano anche deciso di andare al liceo insieme, sperando che la  situazione cambiasse per loro. Beh, da lì in poi Taylor non era proprio soddisfatta di come erano andate le cose:
Simon crescendo era diventato sempre più bello, attirando l’attenzione di tutti, di molti ragazzi e, soprattutto, di molte ragazze.
Una in particolare.
Un giorno Simon aveva incontrato una ragazza per caso, una cheerleader di nome Linda Collins e quello, per Taylor, sarebbe stato l’inizio della fine.
Ancora ricordava il momento in cui Simon, fulminante, si era precipitato da lei e le aveva rivelato a gran voce: “Ho incontrato una ragazza oggi. Credo di essermi innamorato di lei dopo circa dieci minuti.”
Linda Collins era forse l’essere più spregevole, egocentrico e meschino di tutta la scuola, Taylor adesso lo sapeva bene. Aveva stretto amicizia con Simon solo per il suo bell’aspetto, e aveva deciso di trasformarlo in un altro dei suoi inutili e sfruttati fidanzati.
Lo sapeva, Simon era stato perdutamente innamorato di Linda per molto tempo, mentre dubitava fosse mai stato lo stesso per lei. Linda non aveva mai amato Simon, lo voleva solo per sé, come uno dei suoi trofei da esibire in giro per la scuola.
Intanto però Taylor era rimasta la solita, vecchia sfigata di sempre, mentre lui adesso si ritrovava al secondo posto della Catena.
Taylor odiava ciò che era diventato Simon in quei quattro anni al liceo, una persona completamente diversa da quando lo aveva conosciuto.
La loro amicizia aveva iniziato ad incrinarsi sempre di più, e quando lui e Linda si erano effettivamente messi insieme, lei credeva di averlo perso per sempre.
Ma Simon era gentile, e cercava in tutti i modi di non far precipitare la loro amicizia, alla quale, evidentemente, ancora teneva.
«Beh, credo che tu abbia sentito la notizia...» disse Simon, riferendosi alla rottura tra lui e Linda.
Taylor già lo sapeva, anzi non era mai stata felice di udire una notizia del genere. Detestava Linda Collins, era l’unica persona che non sopportava veramente. Non solo era frivola e detestabile, ma più volte Taylor si era sentita umiliata e trattata ingiustamente da lei. Aveva fatto soffrire sia lei che Simon, non poteva essere più felice ora che finalmente quei due si erano lasciati.
«Sì, lo so.» gli disse. «E ti voglio dire che trovo che tu abbia fatto la scelta più giusta.»
«Sì, beh, adesso devo trovarmene un’altra però. Tu non è che avresti qualche idea?» disse lui, ridendo.
Taylor chiuse gli occhi, totalmente irritata.
Perché, perché doveva sempre parlare così?
Rimpiangeva il vecchio Simon, quando tutto quello che gli interessava era la letteratura o la poesia, il prendersi cura delle persone e aiutarle a sentirsi meglio, non quella specie di alieno che si trovava davanti in quel momento.
Taylor odiava la popolarità, odiava il ballo di fine anno, odiava la Catena, ma per qualche motivo veniva rispettata e osannata da tutti in quella scuola. Taylor non poteva aspirare ai posti più alti e di certo non gliene importava. Era nel club di teatro da due anni, ma essendo amica di Simon si era guadagnata almeno una posto come Numero Otto. Avrebbe voluto che tutto quello scomparisse, che Simon tornasse quello di prima e che smettesse di preoccuparsi della Catena 24 ore su 24.
«Simon.» gli disse con sincerità. «Perché devi per forza trovarti una nuova ragazza? Non è mica male stare single per un po’.»
«Ah, Taylor, tu e la Catena non andate proprio d’accordo, eh?»
Simon la prendeva sul scherzare, ma Taylor si ritrovò ancora più risentita di prima dal suo atteggiamento.
Sfortunatamente il ragazzo se ne accorse e le domandò, preoccupato:
«Ehi, ti ho fatto qualcosa per caso?»
Taylor si finse sorpresa.
«No, perché?»
«Tay...» Simon sospirò. «Lo so che da quando abbiamo iniziato il liceo sono praticamente diventato un’altra persona. È che Linda... Senti, mi dispiace, io ci tengo ancora a te, vorrei solo che tu ti sforzassi un po’ di più per adattarti.»
Tutto qui, pensò Taylor. Non gliene importava nulla di lei, voleva solo non fare più brutta figura quando le veniva a parlare.
Bell’amico. Bell’amico davvero.
«Sì, beh.» Taylor faceva fatica a trattenere le lacrime. «Le persone cambiano... Non preoccuparti, io sto bene.»
Riprese a spostare scatoloni, senza degnargli di uno sguardo.
«Ora scusami.» riprese, notando che Simon ancora non se n’era andato. «LeeAnn mi ha chiesto di andare a parlare con la professoressa Smag alla prossima ora, quindi devo davvero sbrigarmi con questi scatoloni.»
Simon, rimasto deluso e titubante, non sapendo più che fare per migliorare la situazione, se ne andò poco dopo, lasciando Taylor con nient’altro, se non un mucchio di libri ricoperti di polvere e il cuore spezzato per l’ennesima volta.

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Capitolo 4
*** Il mio monologo interiore ***


Sono in ritardo ma come disse una volta D'Annunzio, MeNeFrEgO
Update: stiamo ancora migliorando

 

Capitolo 3
Il mio monologo interiore
 
 

Mother do you think she's good enough for me?
Mother do you think she's dangerous to me?
Mother will she tear your little boy apart?
Oooh aah, mother will she break my heart ?

“Mother”, Pink Floyd 1979



 
Eccomi qui, finalmente all’ultimo anno di liceo, per sfortuna viva e senza ossa rotte. Una vita spesa a farmi insegnare cose elementari e stupide, come logaritmi e il saper leggere, ma ancora non mi spiego come nessun insegnante mi abbia mai spiegato come la vita possa essere misera, e le persone malvagie...
Eccoli, guardali, si voltano sempre mentre passo io. So a cosa stanno pensando. Pensano di essere superiori a me, superiori a chiunque altro. Credono che sia una persona strana solo perché mi vesto di nero, che sia una ribelle perché fumo, che sia in cerca di attenzioni perché ho questo atteggiamento scontroso.
Beh, cari studenti, lasciate che ve lo dica: voi mi disgustate. Il vostro conformismo, il vostro sistema, tutto è sbagliato. Siete solo degli insulti schiavi del capitalismo e della società.
Siete patetici.
Siete voi a rovinare il mondo, voi che-
 
«Scusa, hai un minuto?»
Alexis Golde si voltò irritata verso la ragazza che le aveva rivolto la domanda.
Si tolse la sigaretta spenta dalla bocca per parlare.
«Hai appena interrotto il mio monologo interiore, lo sai?» chiese con rabbia.
«Ehm... cosa?»
«Lascia stare.»
Alexis osservò spazientita la ragazza che aveva appena interrotto il suo monologo. Era una cheerleader, fatto che già di per sé non le piaceva. Odiava già quella scuola dal primo giorno in cui ci metteva piede. La cheerleader era piuttosto bassa, con dei bellissimi riccioli biondi a ricoprirle le spalle. Abbastanza carina, pensò, ma probabilmente senza cervello, come tutte le altre del resto.
Alexis osservò la cheerleader davanti a sé per qualche secondo, poi la ascoltò parlare.
«Ciao! Mi chiamo Stephanie!» iniziò lei, fin troppo allegra. «Faccio parte della squadra di cheerleading e magari poteva interessarti...»
«Lo so che sei una cazzo di cheerleader: indossi la divisa.»
La cheerleader bionda la guardò stupita. Alexis non si curò nemmeno di preoccuparsi se la frase l’avesse offesa o meno.
«Okay... ehm.» la cheerleader non sapeva esattamente come rispondere. «Tu sei...?»
«Alexis.» rispose lei. «Sono arrivata da quest’anno, nella mia vecchia scuola mi hanno cacciato perché mi hanno beccata mentre me la facevo con la figlia del preside.»
Stephanie fece una risata forzata. Era evidente che era imbarazzata, ma almeno ci provava.
«Okay... allora, Alexis.» riprese la cheerleader, timidamente. «Nella squadra stiamo cercando nuove reclute e mi chiedevo se tu...»
«No.»
Stephanie cercò di coprire con un sorriso la sua agitazione palese.
«Non hai nemmeno sentito tutta la proposta...»
«C’entra con voi cheerleader? Allora è un no a prescindere. Ho chiuso con quella roba.»
Stephanie le rivolse uno sguardo.
«Oh! Eri una cheerleader alla tua vecchia scuola?»
Alexis fece un leggero sorriso.
«Ero la capo cheerleader, tesoro. La ragazza più popolare della scuola, reginetta del ballo e la più carina della scuola. Tutti mi amavano e tutti mi veneravano. Ma è acqua passata ormai.»
«Cosa è successo? S-se posso chiedertelo...» Stephanie sembrava davvero incuriosita da lei.
«Esserlo mi ha rovinato la vita.» Alexis fece un sospiro malinconico. «Non è mai facile scoprire che la ragazza perfetta in tutto è in realtà lesbica, sai. Così i miei compagni l’hanno scoperto, poi i miei genitori e sono finita in questo buco che voi chiamate Buckley. Bella storia, eh?»
Alexis sorrise ma Stephanie, al contrario, rimase seria tutto il tempo.
«Io... Mi dispiace molto, Alexis.» disse con tono sincero.
«Nah, non mi importa più ormai.»
Alexis guardò la cheerleader da capo a piedi. Non era poi così male, dopotutto.
«E che mi dici di te, Stephanie?» domandò, sicura che l’avrebbe scandalizzata. «Ti piacciono le tette?»
Stephanie spalancò gli occhi e Alexis sorrise soddisfatta. Ne era sicura.
«Cosa? Io? Noooo.»
Alexis si avvicinò di più a lei.
«Come fai a esserne così sicura?» chiese, per stuzzicarla di più. «Hai mai provato?»
«Beh, sai, ho un ragazzo...»
Alexis alzò le sopracciglia.
«Ah sì?»
«Jonas, sì. Lui è molto carino e gentile. È solo un po’...»
«Gay?»
Stephanie la guardò ad occhi spalancati.
«Perché deve sempre girare tutto sull’omosessualità?»
«Ah, non lo so. Sei tu che hai iniziato.» Alexis si divertiva troppo a irritare le persone.
«Io?» Le lanciò uno sguardo cagnesco. «Sei tu che hai iniziato, con quella domanda!»
«D’accordo, hai ragione, colpa mia. Non capisco il bisogno di arrabbiarsi tanto.»
Alexis le passò una mano tra quei folti riccioli biondi. Stephanie rimase immobile, senza protestare.
«Senti, Stephanie, sei molto carina. Ma non entrerò mai nella tua stupida squadra di cheerleaders, scordatelo e basta.»
Si allontanò, senza dire niente.
Udì, dopo qualche secondo, la voce di Stephanie, urlarle alle sue spalle:
«Va bene! Non dirò alla mia capo cheerleader che hai rifiutato. Lei prende molto sul personale queste cose...»
Alexis sorrise. Dopotutto quella ragazza le stava simpatica. Senta voltarsi le disse di rimando:
«Sapevo di piacerti, in fondo!»
 
 
Linda Collins era appoggiata agli armadietti, come al solito si limava le unghie, mentre parlava con Carey Davis, che le teneva compagnia durante il cambio dell’ora.
«Voglio dire, non è che sia un problema certo.» diceva animatamente. «Ma non trovi che Janissa sia un po’ ingrassata durante gli ultimi tempi? Se continua così farà fare brutta figura alla squadra.»
Carey non rispondeva, ma assecondava tutto ciò che Linda diceva. La capo cheerleader intanto parlava, e adorava essere ascoltata.
«E poi dai, è una lagna!» continuava Linda. «Insomma quando le ho detto che Darren C. Carmicheal sabato sera mi ha portata in un ristorante di lusso, e che poi a casa sua l’ho fatto venire tre volte in mezzora, tutto quello che è riuscita a dirmi è stato “Oh, Linda, come puoi dirmi queste cose? Sai che lo amavo!”. È una tale egoista.»
«Dai, Linda, non te la prendere.» Carey provò a farla ragionare, ma in realtà nemmeno lei ne era convinta più di tanto. «Era vero, a Janissa Darren C. Carmicheal piaceva molto.»
«Chi se ne frega! Dovrebbe capirlo che la popolarità non è una questione di amore, anzi, quello è l’ultimo dei miei pensieri!»
Improvvisamente però, si accorse di qualcosa che la distolse dal suo passatempo. Certo, adorava parlare male di Janissa alle sue spalle, ma l’occasione che si presentava era mille volte meglio.
«Ehi, Taylor!»
La cara vecchia Taylor May stava attraversando velocemente i corridoi con un pacco di libri in mano, il viso affannato e i vestiti più brutti che Linda avesse mai visto.
Si bloccò quando si sentì chiamare, Taylor si voltò, ma quando si accorse di chi si trattava, se ne pentì immediatamente.
«Chi si rivede! È passato un anno da quando ti ho visto l’ultima volta...» disse Linda con finto tono gentile. Sapeva bene che Taylor la odiava e non vedeva l’ora di istigarla di nuovo. «Dove stai andando di bello?»
«Linda? Io...» Era evidente che Taylor non sapesse affatto come gestire la situazione.
Si guardò un attimo intorno. Linda la osservava impaziente, mentre Carey fingeva di non essere nemmeno presente.
«Devo andare.» si liquidò velocemente Taylor.
Linda però fu più lesta e la richiamò indietro.
«Ehi, ehi, aspetta!»
Taylor non si girò.
«Come, ci conosciamo da tutto questo tempo e ancora non ti fermi quando ti parlo?»
Taylor continuò imperterrita a ignorarla. Linda decise allora che sarebbe passata subito all’attacco, con la sua mossa vincente:
«Immagino che tu sia già saltata addosso a Simon con la stessa velocità con cui corri, allora.»
Ci fu silenzio e Taylor si bloccò. Linda sorrise soddisfatta, essendo riuscita nel suo intento.
Lentamente, Taylor si voltò e si avvicinò a Linda in modo allarmante. Carey abbassò il viso e cercò di ignorare il più possibile la situazione. Quando furono esattamente una di fronte all’altra, Taylor urlò alla cheerleader in pieno viso, con rabbia:
«Tu non sai assolutamente nulla!» Taylor era furiosa, mentre Linda la osservava quasi compiaciuta. «Non sai nulla di me, né di Simon, né di nessun altro. Non mi piaci, Linda, lo sai bene, anzi potrei anche dire che ti detesto. Simon era il mio migliore amico e tu l’hai trasformato in un tuo clone maschile, l’hai completamente deviato! In più lo sanno tutti che te la facevi ancora con Tristan Lee quando stavi con lui. Gli hai rovinato la vita, l’hai rovinata a me e a centinaia di altre persone! Ma tu non te ne rendi conto, a te basta essere solo al primo posto della Catena e te ne freghi del resto del mondo. Sei malvagia, sei infida e la gente non se ne accorge nemmeno! Beh, sai una cosa? Non ti permetterò più di fare del male a Simon, questo è certo!»
Quando Taylor finì, i suoi ansimi erano l’unica cosa che creavano rumore tra di loro.
Linda la guardava immobile, con le braccia conserte, appoggiata agli armadietti e lo sguardo di ghiaccio su di lei.
«Che lagna. Hai finito?» chiese, quasi annoiata.
Taylor fu quasi sorpresa dalla sua fermezza. Anche se Taylor le aveva appena urlato insulti in faccia, Linda non aveva mosso un dito. Non sapeva più come reagire ormai.
«Bene, lascia che ti dica io ora una cosa, Taylor.» Linda si allungò diritta e si avvicinò di più a lei. «Non mi interessa assolutamente nulla se credi di conoscere Simon più di me, o che so io. E non mi interessa nemmeno se tu sia considerata una Numero Otto per merito suo, né che tu faccia parte del club di teatro. Tu per me sei la stessa di sempre: una nullità, una Quattordici, sempre e comunque. E lo sai qual è la differenza tra me e te? Lo sai Tay, perché io sono al Numero Uno e tu solo al Quattordici? Te lo dico io perché: perché a differenza tua io so di essere una persona orribile. Tutte quelle cose che mi hai detto sono vere, sono meschina, falsa, infida, ma so benissimo di esserlo, e non me ne vergogno. Tu invece, con il tuo atteggiamento da hippie mangia-petali-di-rose e i discorsi su come tu sia fantastica, mentre tutti noi comuni mortali non capiamo quanto tu in realtà sia speciale e stronzate simili, non convinci assolutamente nessuno. Dici che io non so nulla di te? Bene, nemmeno tu sai assolutamente nulla di me. Quindi perché non impari una buona volta a usare un po’ di umiltà, razza di fenicottero sbiadito?»
Linda si avvicinò ancora di più, e si mise vicino al viso di Taylor, per fare in modo che ciò che le sussurrasse potesse essere sentito solo da lei.
«Sai perché credo che tu mi odi, Taylor?» le disse infine. «Non c’entra assolutamente nulla con la popolarità, o la Catena, ma con Simon sì. Mi odi perché io ci sono arrivata prima di te, non è forse così?»
Taylor si sforzò per stare immobile, ma non ci riusciva. Non riusciva a ribattere nulla.
«Oh, credi che non lo sapessi, vero?» continuò Linda, con sempre più cattiveria nelle parole. «Credi che non sapessi di tutte le poesie melense che gli hai dedicato, di tutti i messaggi in segreteria e tutte le serate in cui hai pianto per colpa sua? E scommetto che adoravi pensare a lui, a pensare a quanto sarebbe stato bello se solo lui ti avesse ricambiato...»
Taylor voltò gli occhi verso di lei, sforzandosi di non piangere.
«Tu sei malvagia.» disse con voce smorzata.
Linda fece un ampio sorriso.
«Eppure Simon si è innamorato di me.» ribatté. «Sai, credo che dovresti smetterla di dare la colpa agli altri se il tuo migliore amico ha preferito non farsi vedere più in giro con te piuttosto che scoparti.»
Taylor non seppe più cosa dire. Trattenendo a stento le lacrime, mandò giù la saliva e pronunciò a bassa voce:
«Devo andare ora. La professoressa Smag mi aspetta nel suo ufficio.»
Poi abbassò lo sguardo e si allontanò da Linda, cercando di non farsi notare da nessuno.
 
 
Michael Joyce controllò due volte le dosi dei suoi antidepressivi, prima di ingerirli.  Detestava quei cosi, ma dopotutto era un suo obbligo prenderli.
Trattenne il fiato e buttò giù le due pastiglie giornaliere che lo psicologo gli aveva prescritto.
Sarebbe impazzito, ne era sicuro.
Si alzò dalla sedia girevole e si mise a camminare lungo il suo ufficio, per quanto quel minuscolo spazio gli permetteva.
Non dormiva da due giorni. Suo figlio Lewis era nato da tre settimane, e la notte non stava zitto un secondo. Michael si sentiva come un’ameba in quel momento.
Sua moglie Sarah l’aveva convinto a fatica vedere uno psicologo, in aggiunta alla terapia di coppia, che ormai frequentavano da tre mesi. Michael non sopportava quella terapia. Tutti continuavano a ripetergli che era tutto stress derivato dalla nascita del bambino, ma Michael sapeva che lui e Sarah avevano cominciato la loro crisi ben prima. Michael era anche riuscito a trovare un nuovo lavoro, ma questo non aveva risolto i problemi. Ormai erano sposati da tre anni, non c’era motivo di fingere che andasse tutto bene tra di loro.
A ventisette anni, Michael si ritrovava disperato come un bambino.
Fare l’insegnante in una scuola era il lavoro migliore che potesse aspirare. Eppure non si era mai sentito così triste come in quel momento.
Devi resistere, Mike. Devi. Resistere.
La sua stanchezza si fece sentire ancora di più quando sentì qualcuno entrare urlando nel suo ufficio, e ci mise qualche minuto per rendersene conto.
«Professoressa Smag! LeeAnn mi ha mandata a dirle che… Oh!»
Michael vide una bella ragazza dai lunghi capelli scuri davanti alla porta, nel suo ufficio che si bloccò non appena lo vide in piedi davanti a lei. La ragazza spalancò gli occhi, imbarazzata.
«Oh, mi scusi signore.» disse quasi sussurrando. «Credevo... credevo che questo fosse l’ufficio della professoressa Smag.»
La ragazza se ne stava per andare, quando Michael trovò un briciolo di lucidità in sé per risponderle:
«Non ti scusare. La professoressa Smag non lavora più qui.»
La ragazza si rivoltò verso Michael , mostrando il suo sguardo stupito. Michael notò che i suoi occhi erano arrossati, come se avesse pianto per parecchio tempo prima di venire lì.
«Cosa? Perché?» domandò lei, con voce scioccata, quasi preoccupata.
Michael non rispose subito alla domanda. Si diceva che avessero trovato della droga nel cassetto della cattedra della Smag, ma si trattenne da dirlo ad alta voce.
«Pare che abbia trovato un altro lavoro all’estero…» disse la prima cosa che gli capitava per la testa. «Io sono il professor Joyce, insegno letteratura e dirigo il club di teatro, piacere.»
Il viso della ragazza s’illuminò di colpo. Michael non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Era davvero carina, a partire dalla sua sensuale bocca a cuore ai suoi lunghissimi capelli, che avevano un fascino tutto loro.
Michael si distaccò subito dai suoi pensieri. Stava comunque parlando di una sua studentessa, doveva avere al massimo diciotto anni.
Di sicuro era l’effetto degli antidepressivi.
«Fantastico!» La ragazza urlò fin troppo ad alta voce. «Ehm.. io sono Taylor May, piacere, e faccio parte proprio del club di teatro da due anni.»
Taylor. Aveva un bellissimo nome, degno di una bellissima ragazza.
Michael le sorrise. Avvertì un brivido lungo il collo non appena la ragazza ricambiò il sorriso.
«Non sapevo che l’avessero sostituita.» lo informò Taylor, sempre con il suo smagliante sorriso stampato sulle labbra. Taylor lanciò un’occhiata al cartellino sulla porta, rimasta ancora aperta. «M. Joyce. La M sta per Martin?»
«No, sta per Michael.» le rispose con gentilezza.
Taylor riportò i suoi grandi occhi scuri su di lui.
«Si chiama come mio padre, sa.» disse poi, con fare solare.
Michael le sorrise in silenzio. Non sapeva perché quella ragazza gli stesse dando così tanta confidenza, ma non gli dava troppo fastidio. Anzi, si poteva dire che avrebbe continuato a parlare con lei all’infinito se avesse potuto. Taylor continuò a parlare riguardo a club di teatro, e a informarlo di altri argomenti, che Michael fece fatica ad ascoltare. Tutto ciò che riusciva a pensare in quel momento era quanto fosse bella Taylor. Si chiese come sarebbe stato baciarla, che sapore dovessero avere le sue labbra. Poi il pensiero cambiò, e si trasformò in disgusto per sé stesso e per tutti quei pensieri non consoni riguardo a lei che stava continuando a fare.
Taylor finalmente, dopo qualche secondo, si congedò:
«Allora ci vediamo tra un’ora in auditorium.» lo salutò Taylor, uscendo dall’ufficio.
Michael la osservò uscire e chiudere la porta con delicatezza.
Rimase per qualche secondo lì in piedi in silenzio.
Infine si rallegrò pensando che tra meno di un’ora avrebbe rivisto quella meravigliosa ragazza.

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Capitolo 5
*** Adoro trasportare fogli bianchi ***


Capitolo 4
Adoro trasportare fogli bianchi
 
 
 
Yeah I should have known it from the very start
This girl will leave me with a broken heart
Now listen people what I'm telling you

A keep away from a Runaround Sue
"Runaround Sue", Bobby Dion 1961


 
La scuola superiore di Buckley aveva vinto nel 1977 il trofeo per la scuola più pulita dell’anno. Evidentemente si era trattato di un errore della giuria, poiché pochi anni dopo, si diceva che la scuola avesse scovato un covo di ratti all’interno di uno dei bagni dei ragazzi.
Niente era stato più vinto da quel giorno dalla povera scuola, eppure, tutti i professori e i presidi che avevano varcato l’edificio da quell’anno, esibivano il trofeo e se ne vantavano quasi al pari di un Premio Nobel.
Il preside di allora aveva fatto posizionare una teca, in mezzo al corridoio principale, in cui posare ed esibire il trofeo d’oro, con tanto di luce soffusa e di targa, così che ogni studente passando, si sarebbe ricordato dell’onore che quella scuola superiore avrebbe portato nei secoli a venire.
“Alla scuola più pulita dell’anno.
Buckley, 1977
Nel rispetto dei suoi studenti e dei suoi insegnanti”

 
Simon Coleman osservava quella targa da circa dieci minuti, tenendosi la mente libera da qualsiasi pensiero, brutto o bello che fosse.
Aveva appena finito gli allenamenti di football, ma invece di tornare a casa aveva deciso di trascorrere qualche minuto all’interno della sua scuola, che d’altro canto, considerava una seconda casa. Iniziò a camminare per il corridoio semideserto.
Da quando si era lasciato con Linda tutto era cambiato, lo ammetteva. La verità era che Linda era una stronza, certo, ma era stato innamorato di lei, lo era stato per due anni interi, e solo ora riusciva a rendersi conto di quanto fosse stato stupido ad esserci cascato. Era la verità: a Linda Collins non importava un accidente se si scopasse Simon Coleman, Darren C. Carmichael o un altro ragazzo dei piani alti della Catena; a lei importava solo di avere un fidanzato biondo, alto e attraente da sfoggiare in giro per i corridoi e per il quale farsi invidiare, al pari di una nuova borsa di Prada.
Però ormai lo aveva cambiato, come diceva Taylor, ma questo faticava di più ad ammetterlo.
Che lo avesse cambiato in male riusciva a capirlo più facilmente, ma si sentiva comunque impotente. Ormai il danno era fatto, difficilmente sarebbe ritornato quello di una volta.
Cosa avrebbe dovuto fare? Avrebbe tanto voluto tornare indietro, rivedere Taylor, avere amici più sinceri e magari più intelligenti, ma ormai era troppo tardi.
Passò per un attimo davanti alla maestosa Catena, e si soffermò per osservarla.
 
2) Il re del ballo
 
Era il Numero Due della Catena, il massimo livello che un adolescente maschio di quella scuola avesse mai potuto raggiungere. Era tutto lì, nelle sue mani. Ed era tutto merito di Linda.
Linda.
Non riusciva ancora a trovare le giuste parole per descriverla. Era cattiva, ma era anche umana, era superba e allo stesso umile. La odiava più di qualsiasi altra persona al mondo, ma la trovava la persona più affascinante che avesse mai conosciuto.
Si ricordava ancora, al ballo del secondo anno, quando la Catena era appena nata e Linda era stata appena eletta reginetta per la prima volta. Si ricordava ancora mentre ballavano, uno stretto all’altra, quando Linda all’improvviso gli aveva detto:
“Promettimi che, qualunque cosa succeda, non lasceremo mai che la Catena si metta tra di noi”.
Nessuno dei due era riuscito a mantenere la promessa, purtroppo.
Tutta la sua vita, nei tre anni precedenti, era ruotata esclusivamente intorno a lei. Ma adesso le cose sarebbero cambiate: Simon non doveva stare più ai suoi ordini, non avrebbe dovuto più acconsentire ogni suo desiderio, o essere al suo servizio. Se Simon avesse voluto avere amici dai numeri più bassi li avrebbe avuti, che fosse nelle consuetudini della Catena o meno.
E infine avrebbe raggiunto il primo posto. Sì, avrebbe declassato ogni tentativo di Linda di mantenere il potere, come gli inglesi con la Francia nella guerra dei sette anni, e la scuola sarebbe stata sua, una volta per tutte.
Simon si rimise lo zaino in spalla, si sistemò la sua felpa rossa della squadra e riprese a camminare, a testa alta. Si sentiva così determinato, così sicuro.
Ce l’avrebbe fatta, ne era certo. Linda era ancora in cima alla Catena, ma aveva un punto debole: non piaceva alle persone. Simon invece piaceva, stava simpatico a tutti. Gli studenti avrebbero presto chiesto di cambiare la classifica, e il re del ballo sarebbe salito al Numero Uno.
Fu così preso dai suoi pensieri che non si accorse di una figura solitaria che si stava dirigendo dalla parte opposta, che, a causa del grande fascicolo di fogli in mano, non lo vide. All’improvviso accadde. I due si scontrarono così violentemente che caddero entrambi a terra.
Ci fu una pioggia di fogli. Simon non si era nemmeno reso conto di ciò che era appena successo, quando alzò lo sguardo e si bloccò.
Rimase folgorato.
Fu come se vedesse tutta la scena a rallentatore. Tra i fogli che cadevano dal cielo, Simon intravide il viso di una ragazza. Una ragazza bellissima, dai capelli rossi e gli occhi chiari. Gli parve di vedere un angelo.
Quando i loro sguardi si incrociarono, si sorrisero a vicenda. Simon era convinto di non averla mai vista lì a scuola prima d’ora.
Il suo sorriso era bellissimo, lei era bellissima! Oh, poteva sentire il cuore scoppiargli nel petto, poteva quasi sentire una canzone romantica suonare in sottofondo!
I can’t stop loving youuuuuu! I’ve made up my miiiinnnnddd!
«Scusa, ti dispiace?!»
Subito il ragazzo dietro di lui spense la canzone di Ray Charles dal suo registratore portatile, totalmente imbarazzato e se ne andò via di corsa.
Simon sospirò, poi si girò di nuovo, sperando che quella ragazza non fosse soltanto un miraggio.
Fortunatamente non lo era.
Lei era ancora lì, la ragazza che aveva appena scontrato, che raccoglieva velocemente tutti i fogli per terra. La osservò meglio. Il suo viso era fine e grazioso, con qualche lentiggine sul naso, i suoi occhi erano grandi e di un bellissimo azzurro ghiaccio, mentre i suoi capelli lunghi e lisci si perdevano in meravigliose sfumature di rosso.
«Io... mi dispiace davvero, non ti avevo visto.» cercò di scusarsi lui, aiutandola a raccogliere i fogli.
«Non fa niente, tranquillo.»
Wow, oltre che a essere bellissima aveva anche una voce stupenda, pensò.
«Che cosa sono?» domandò alla ragazza, riferendosi ai fogli. Doveva fare assolutamente conversazione con lei. «Qualche clausola?»
«No, mi piace solo andare in giro con un gruppo di fogli bianchi in mano.»
«Oh.»
Finito di raccogliere i fogli (che effettivamente non erano altro che fogli bianchi) i due ragazzi si alzarono. Rimasero per un po’ a guardarsi imbarazzati uno di fronte all’altra, senza sapere cosa dirsi.
«Allora...» iniziò Simon, sperando di parlare con la bella ragazza ancora per un po’. «Non ti ho mai vista qui, o sbaglio?»
«No, non ti sbagli.» Lei sorrise imbarazzata.  «Sono nuova.»
Quindi era lei, pensò.
La ragazza nuova di cui tutti parlavano. Eccola lì, proprio davanti a lui. Tutti a scuola stavano parlando di quanto fosse bella, simpatica, perfetta, ed effettivamente Simon poté constatare per la prima volta nella sua vita che le voci di corridoio erano vere.
«Oh! Dunque sei tu la famosa Ragazza Nuova?»
«Oddio, non mi definirei proprio “famosa”. Però sì, sono io.» ridacchiò lei.
Aveva anche una risata meravigliosa. Oh, poteva esserci niente di più perfetto?
Simon si era appena innamorato, lo sapeva. Ma dato che l’ultima volta, con l’innamorarsi di Linda dopo due minuti non gli era stato proprio d’aiuto, decise che questa volta sarebbe andato molto più lentamente.
«Ehm... comunque io sono Simon. Simon Coleman, piacere.» Le allungò timidamente la mano e lei gliela strinse sorridendo.
«Lo so bene chi sei.» disse lei allegra «Tutte le ragazze a scuola non fanno altro che parlare di te.»
Simon non era affatto sorpreso dell’affermazione, ma finse di esserlo, per il bene della sua vita amorosa.
«Ma davvero? Come mai?» disse con tono palesemente finto.
La Ragazza Nuova rise ancora, questa volta più forte.
«A quanto pare sei considerato il ragazzo più bello della scuola...»
«Ah sì?»
Lei annuì forte, ridendo ancora, divertita e imbarazzata allo stesso tempo.
Simon aveva capito di piacerle, era abbastanza palese. Ora doveva solo corteggiarla, come piaceva a tutte le ragazze, ed entro un mese sarebbe stata sua.
«Ora però devo proprio andare.» disse la Ragazza Nuova all’improvviso, e Simon ne fu leggermente triste. Non si rammaricò tuttavia. Aveva ancora un anno intero per conoscerla meglio. «È stato un piacere conoscerti, Simon.»
«Beh... ci vediamo in giro allora?»
Fa che dica di sì, fa che dica di sì!
La Ragazza Nuova abbassò leggermente il viso.
«Lo spero proprio.»
Si allontanò velocemente, portandosi dietro quel suo assurdo pacco di fogli. Prima di svoltare l’angolo si girò un attimo e dalla spalla lanciò un occhiolino a Simon.
Lui sorrise soddisfatto. Ormai era certo.
“Lo spero proprio”.
Si era appena innamorato.
 
 
Taylor May era riuscita a resistere fino all’incontro con il nuovo professore di letteratura, il signor Joyce, che si era comportato in modo molto gentile con lei. Tuttavia il suo incontro con Linda l’aveva turbata troppo e, non appena era uscita dall’ufficio, era corsa in bagno ed era scoppiata a piangere.
Odiava Linda, la odiava, la detestava, più di qualsiasi altra persona. Come poteva essere così malvagia, così sleale? Come poteva Simon mai essersi innamorato di lei?
Taylor cercò di asciugarsi le lacrime velocemente, quando sentì che la porta del bagno si stava aprendo e che qualcuno stava entrando.
Si guardò allo specchio. Gli occhi arrossati e il trucco colato furono l’unica immagine di sé che riuscì a percepire. Si rese conto che le uniche due persone ad averla mai fatta piangere così tanto erano state Linda e Simon. Quei due allora avevano qualcosa in comune, dopotutto.
Qualcuno poco dopo entrò nel bagno, e si mise davanti allo specchio, esattamente di fianco a Taylor. Lei riuscì a scorgere il suo viso dal riflesso nello specchio.
Era una ragazza davvero molto bella, con i capelli rossi e degli enormi occhi azzurri. Favolosa.
Il suo viso era perfetto, con dei lineamenti graziosi e delle adorabili lentiggini sul naso. Taylor ne rimase per un secondo quasi abbagliata.
«Tutto ok?» chiese la ragazza notando lo stato di Taylor.
«Sì...» riuscì a bisbigliare lei. «Tutto a posto, non ti preoccupare.»
«Non sembra affatto tutto a posto.» La ragazza tirò fuori una borsetta dei trucchi dalla borsa e iniziò a passarsi il fondotinta sulle guance. In un attimo, le sue lentiggini scomparvero. «Ne vuoi parlare?»
Taylor non voleva annoiare una sconosciuta con suoi problemi, anche se quella ragazza si mostrava così gentile e disponibile.
«Io... non ti ho mai vista qui.» notò Taylor. «Ci conosciamo?»
«Sono nuova.» disse la ragazza, mentre si metteva il rossetto sulle labbra. «Credo sia per quello.»
«Aspetta...» Taylor la guardò meglio. «Tu sei la ragazza nuova di cui parlano tutti?»
«Sì, ma non dirlo in giro, mi raccomando.» La Ragazza Nuova le fece l’occhiolino e Taylor scoppiò a ridere insieme a lei.
«Grazie.» disse d’impulso. «Io... avevo davvero bisogno che qualcuno mi rallegrasse oggi.»
«Brutta giornata, eh?» chiese la Ragazza Nuova, rimettendo i trucchi nella borsetta.
«Già...»
Taylor rimase ancora un secondo a osservare il suo riflesso dagli occhi arrossati. Vide nello specchio che pian, piano la Ragazza Nuova si avvicinava a lei.
«Dai, tirati su.» le disse. «Se è per un ragazzo non ne vale la pena, te lo dico. Quelli portano solo guai.»
«Sì, forse hai ragione.»
Taylor sorrise, poi la Ragazza Nuova tirò fuori un piccolo mascara. Tenendo fermo il viso di Taylor glielo mise sulle ciglia, lasciandola di sasso.
«Ecco!» disse, soddisfatta. «Ora sei di nuovo bellissima.»
Taylor rise un’altra volta e la Ragazza Nuova le ricambiò il sorriso con entusiasmo.
«Comunque piacere.» disse infine, offrendole la mano. «Mi chiamo Taylor.»
La Ragazza Nuova gliela strinse con gioia.
«È veramente un bel nome, sai?»
La Ragazza Nuova sospirò, e iniziò a sistemarsi i lunghi capelli ramati, appoggiandosi a un lavandino.
«Ah... io non ci capisco niente.» disse, rigirandosi tra le dita una ciocca di capelli. «Questa scuola è un vero e proprio labirinto. Solo per trovare il bagno ci ho impiegato dieci minuti...»
«Ti posso aiutare io se vuoi!» disse Taylor, consapevole che la campanella della pausa pranzo avrebbe suonato da lì a poco. «Ti posso far vedere dov’è la sala pranzo, eccetera.»
«Oh grazie mille! Posso sedermi vicino a te, a pranzo? Ho davvero bisogno che qualcuno mi faccia da guida...»
Taylor arrossì. In quattro anni nessuno le aveva mai chiesto di sedersi vicino a lei a pranzo. Da quando Simon non faceva più parte della sua vita, Taylor aveva imparato a mangiare da sola, ai lati della stanza. Non ricordava più che effetto facesse avere una persona con cui parlare durante le pause pranzo.
«Sempre che non ci sia quel ragazzo con cui devi parlare...»
«No!» si affrettò a intervenire Taylor. «No, non importa. Ormai tanto ho lasciato perdere.»
«Va bene, allora che se dici se-»
«Ehi, aspettate!»
Taylor e la Ragazza Nuova si voltarono sorprese. Una voce squillante e potente aveva appena parlato da uno dei bagni. La porta del bagno si aprì subito dopo e ne uscì una bella ragazza afroamericana, con gli occhi color nocciola e una montagna di bellissimi riccioli in testa.
«Se c’è qualcuno che spiega come diamine funziona questa scuola, voglio venire anche io!»
«Certo» rispose Taylor, leggermente spossata da tutto quell’interesse improvviso nei suoi confronti. «Ecco... Possiamo anche dividerci in-»
«Tu per caso sai cos’è una certa... ehm, come l’aveva chiamata quella Linda? “Catena” forse?» domandò la ragazza afroamericana appena arrivata.
Taylor non sapeva se fosse più turbata dal fatto che avesse nominato Linda o se le avesse appena domandato cosa fosse l’oggetto più rinominato di quella scuola. Doveva essere nuova anche lei, per forza. Meglio così.
«Sì.» rispose secca.
«È una stronzata, vero?»
Taylor sorrise.
«Sì, beh, è quello che penso anche io.»
«Bene, non mi serve sapere altro allora.»
La nuova arrivata osservò le altre due, con i suoi occhi intensi iridi scure. Poi iniziò a ridere, come se si fosse accorta che qualcosa non andava.
«Che stupida che sono! Non mi sono nemmeno presentata!» disse, avvicinandosi a loro. «Mi chiamo Regan, piacere ragazze.»
Anche le altre due si presentarono, e insieme, il trio appena formatosi uscì fianco a fianco dal bagno, parlando del più e del meno.
Finalmente, pensava Taylor. Finalmente arrivava qualcuno di gentile in quella stupida scuola.
«Bene.» disse Regan a Taylor, non appena furono fuori dal bagno. «Non è che posso sedervi vicino a voi a pranzo? Sempre se non è un problema, eh.»
Taylor le disse di sì, con felicità nell’anima. Tutto era bello, tutto sembrava essersi risolto.
Ma poco ancora sapevano, perché una cheerleader le osservava nell’ombra allontanarsi. Era ovvio che quella nuova idillica amicizia tra le tre non avrebbe portato a nulla di buono.

 

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Capitolo 6
*** La Ragazza Nuova è un demonio ***


Capitolo 5
La Ragazza Nuova è un demonio

She is like a cat in the dark and then
She is the darkness
She rules her life like a fine skylark and when

The sky is starless
"Rhiannon", Fleetwood Mac 1975


 
 
 
«Benvenute!» proclamò Linda soddisfatta, davanti alle dieci nuove ragazze che intendevano unirsi alla squadra. «Care ragazze, ora siete ufficialmente delle cheerleader.»
Le nuove reclute che le sue amiche erano riuscite a portare alla squadra erano tutte fin troppo giovani, nessuna di loro doveva avere più di sedici anni.
Quasi tutte erano studentesse del primo anno, che si erano unite alle cheerleader probabilmente perché speravano che Linda usasse il suo tocco magico su di loro e le trasformasse nelle nuove dive della scuola. Linda non poteva che esserne compiaciuta.
Erano magre, belle, sì, ma così uguali tra di loro che Linda seppe all’istante che avrebbe faticato molto a distinguerle: avevano tutti gli stessi vestiti, gli stessi capelli lunghi e lisci, gli stessi rossetti chiari sulle labbra.
Solo una di loro si distingueva, per un’orribile permanente su quei suoi capelli castano chiaro che non le donava per niente.
Le ragazze si presentarono una ad una, ma i loro nomi erano così banali e brutti che Linda se li dimenticò nell’esatto momento in cui venivano detti. C’era una Mary, una Penny forse, ma era davvero difficile ricordarseli. Ma, in fondo, a Linda non importava affatto dei loro nomi. Quelle ragazze erano lì solo ed esclusivamente per fare numero. Le venne un’idea.
«Bene!» disse, battendo le mani. «Dato che sarà difficile per me imparare i vostri nomi, vi chiamerò per numero.»
Così assegnò un numero ad ognuna di loro. E Mary e Penny e le altre nuove cheerleader persero i loro nomi e divennero Recluta 1, Recluta 2 e così via.
Decise tuttavia di chiamare la ragazza castana con il nomignolo di “Permanente”, o “Perm” per gli amici, così se la sarebbe ricordata molto più facilmente.
Le ragazze, sebbene private dei loro originali nomi, non potevano sembrare più felici di così. Linda sorrise a loro. Sarebbero diventate tutte delle ottime seguaci, questo era certo.
Si ritrovò a essere di nuovo infastidita, quando udì la voce di Chole che le parlava all’orecchio.
«Ehm, Linda...» disse incerta. «Temo che abbiamo un problema.»
Linda si voltò, per non essere sentita dalle loro nuove reclute. Non poteva permettere che ci fossero già problemi la prima settimana di scuola.
«Cosa c’è, Chloe?» chiese Linda.
«Ecco...» Chloe si schiarì la gola prima di parlare. «Ero insieme a Pete qualche minuto fa perché stavamo pomiciando nel bagno. In realtà è abbastanza strano che pomiciamo nel bagno delle ragazze di solito, perché sai, a lui non piace sentire le altre ragazze che spettegolano, perché sai, potrebbe uscire qualcosa su di lui e non gli piace che si parli di lui perciò...»
«Molto interessante, ma vai al dunque!»
«Ecco sì, dicevo, che mentre ero in bagno con Pete ho sentito due ragazze parlare della Ragazza Nuova, sai, quella di cui tutti parlano... E a quel punto Pete mi ha detto che  anche lui aveva visto la Ragazza Nuova e l’ha definita, cito: “una straFiga con la F maiuscola”, che non ha assolutamente senso perché in effetti la parola “strafiga” non ha la f maiu-»
«Non ce la fai a fare un discorso che duri meno di quarantacinque ore?!»
«... e allora ho pensato che avrei dovuto chiedere alla Ragazza Nuova di entrare tra le cheerleader, così, per farti piacere, Lin! Quindi ho chiesto in giro e l’ho trovata. Era molto carina in effetti, ma definirla una straFiga, oddio... Comunque le ho detto chi ero le ho detto “ehi, ti va di unirti alle cheerleader” e lei mi ha detto “no, non mi interessa, grazie.” Allora io mi sono infuriata e sono corsa da Pete e gli ho detto “Senti, Peter Helson” perché sai, Lin, lo chiamo per nome cognome quando sono arrabbiata con lui, mi sembra una cosa così fica da fare; e allora gli ho detto “Senti, Peter Helson, non puoi definire una straFiga quella ragazza perché è stata molto cattiva con me” e allora lui mi ha detto “Non me ne frega nulla di quello che dici” e quindi abbiamo iniziato a litigare e io sono andata via, poi però lui mi ha seguita e allora gli ho detto che poteva anche andare...»
«Aspetta, aspetta!» Linda la interruppe e Chloe smise finalmente di parlare. «Ripeti l’ultima parte.»
«Pete mi ha detto “Non me ne frega nulla...”»
«No, no! Prima di quello!»
«Ecco...» Era quasi terrorizzata dal ripeterlo. «La Ragazza Nuova non ha voluto entrare nelle cheerleader.»
Linda rimase per un attimo a fissare Chloe negli occhi.
Poi le sussurrò:
«Lo sai questo cosa significa, vero?»
Chloe annuì, leggermente spaventata.
Linda si girò nuovamente sorridente verso le nuove reclute. Poi si rivolse a Janissa e disse:
«Jany, tu e Chloe venite con me. Adesso. Steph, tu invece fai fare un giro alle nuove ragazze alla palestra. Dove diavolo sarà finita Carey?»
Le nuove reclute urlarono di entusiasmo mentre seguivano Stephanie in palestra e Linda le ignorò sprezzante. Poi Chloe e Janissa si unirono a lei e insieme si avviarono per mettere in atto la loro vendetta.
Nessuno poteva dire di no alle cheerleader.
Nessuno.
 
 
La Ragazza Nuova stava sistemando i suoi libri nell’armadietto, e ancora pensava al suo incontro con quel gran pezzo di manzo di Simon Coleman qualche giorno prima. All’improvviso si vide venire in contro, muovendosi con aria minacciosa, tre bellissime cheerleader. Una di loro era quella bionda e dal portamento aggraziato che aveva incontrato poco prima, che sorrideva e salutava tutti quelli che incontrava. Un’altra, di una bellezza ispanica e dal corpo formoso, era di fianco a lei,  teneva uno sguardo serio e le sopracciglia aggrottate.
La colpì soprattutto quella in centro, con i lunghi capelli neri, che si stava muovendo con fare spettacolare. Sembrava una regina, una regina malvagia, che la osservava con quei suoi occhi azzurri e pieni di odio.
«Ciao» disse con freddezza la cheerleader centrale (quella che sembrava essere il capo tra le tre) quando furono davanti a lei. La Ragazza Nuova le sorrise.
«Ciao!» le disse di rimando allegra.
«Lo sai chi sono io?» chiese la capo cheerleader.
«Non ti conosco, ma deduco che tu sia Linda Collins, la Numero Uno...»
«Precisamente.»
La Ragazza Nuova continuava a sorridere, mentre Linda si stava comportando in modo tutt’altro che cordiale.
«Chloe qui mi dice che non vuoi entrare nelle cheerleader, nonostante te l’abbia chiesto.» riprese Linda, indicando la sua seconda, quella con i capelli biondi. «Posso chiederti come mai?»
«Oh, nulla di personale.» rispose la Ragazza Nuova abbassando lo sguardo, quasi imbarazzata. «È solo che non mi piace nulla che sia popolare... Vedi, sono hipster.»
«Tu sei cosa?»
«Hipster.» La Ragazza Nuova si rese conto che le cheerleader non capivano le sue parole. «Oh, è solo una nuova corrente appena nata. Scusami, Linda, se sono stata troppo brusca, mi sarei dovuta spiegare prima, hai ragione.»
«Ti stai prendendo gioco di me, per caso?» domandò Linda, irritandosi sempre di più.
«Cosa? No, no, assolutamente.»
«Va bene, senti» Linda provò a usare un approccio diverso con lei. «Sono partita con il piede sbagliato, ti chiedo scusa. Voglio solo essere gentile con te. Non voglio essere cattiva, dico davvero. So che è una brutta sensazione trasferirsi qui, da... qualunque posto tu venga, senza amici, senza nessuno con cui parlare... beh, io sono qui per aiutarti. Voglio essere tua amica, Ragazza Nuova, e voglio essere una brava amica per te. La scuola è piena di cattive scelte, voglio che già da subito tu capisca che qui, a Buckley, le ragazze carine, come me e te, stanno al loro posto. So che le prime settimane sono faticose ed è difficile fare le giuste amicizie, perciò te lo chiederò una seconda volta, ma questa volta devi pensarci bene prima di rispondermi: vuoi o non vuoi diventare una cheerleader?»
La Ragazza Nuova sospirò.
«Senti Linda, sei molto gentile a chiedermelo, ma ti ho già detto di no. Sto cercando di integrarmi in questa scuola e, senza offesa, ma non voglio essere associata ad un certo tipo di immagine. Ho già iniziato a farmi qualche amica, sai, e poi c’è quel ragazzo carino, Simon, a cui credo di piacere...»
A sentire quell’ultima frase Janissa e Chloe si coprirono la bocca dallo sgomento, consapevoli della catastrofe che sarebbe sorta da lì a poco.
Linda continuava a guardare la Ragazza Nuova ammutolita, senza muovere lo sguardo.
«Simon?» domandò stranamente calma. «Intendi quel Simon?»
«Sì!» La Ragazza Nuova annuì fiera. «Simon Coleman... Oh, giusto, mi hanno detto che stavate insieme, no? Beh, brutta storia... Perché vi siete lasciati, comunque?»
Linda prese un lungo respiro. Janissa e Chloe rimasero immobili a fissare la loro ape regina, senza aprire bocca. Si scambiarono uno sguardo veloce, preoccupato. La Ragazza Nuova era veramente stupida. Non solo aveva osato rifiutare l’invito di Linda a entrare nelle cheerleader, ma ora rivelava di avere una cotta per Simon Coleman e glielo rinfacciava pure. Linda non l’avrebbe lasciata andare facilmente, questo era certo.
Linda si raddrizzò, alzando lo sguardo minaccioso e l’Apocalisse ebbe inizio.
«Va bene, razza di clone di Lady Diana uscito male.» cominciò Linda, guardando la Ragazza Nuova negli occhi. Nella sua voce non sembrava esserci rabbia, anzi era calma e controllata, quasi come se stesse avendo una normale conversazione con un’amica. «Vuoi metterla così? Bene. Sappi che hai appena fatto l’errore più grande della tua vita e ora ti spiegherò brevemente il perché: tu credi che io sia una ragazza come le altre, vero? Oh, no. Vedi, l’opera di Shakespeare preferita di tutte le ragazzine è Romeo e Giulietta, probabilmente perché è un ottimo specchio delle loro insicurezze interiori, dovuta a una sorta di maschilismo auto-inflitto che le porterà tutte a diventare bulimiche, depresse e poi a suicidarsi da giovani per degli uomini che nemmeno conoscono. La mia invece è sempre stata Macbeth e lo sai perché? Ho sempre pensato che rappresentasse in modo molto più realistico la natura umana: meschina e assetata di potere. Mia madre mi costrinse a leggere Il Signore delle Mosche quando avevo sette anni perché diceva che così avrei imparato come funzionava il mondo reale, e che i grassi, i piagnoni e gli schizofrenici alla fine muoiono sempre.
Capisci cosa intendo, Ragazza Nuova? Io e te non siamo simili, non lo siamo per niente. Tu sei una da Romeo e Giulietta, io una da Macbeth. Ma io, a differenza tua, grazie a tutti i testi e tutti gli insegnamenti che ho ricevuto da piccola, ho imparato una cosa molto importante: non devi mai, mai andare contro il potere. Eppure è quello che tu hai appena fatto con me. Vedi, non voglio di certo risultare minacciosa, ma non sono affatto una persona che perdona questo genere di cose.»
Linda continuò a guardare la Ragazza Nuova negli occhi, ma lei sembrava impassibile alle parole che le stava rivolgendo. Si avvicinò di più a lei e riprese a parlare:
«Ne ho viste parecchie di ragazzine come te, non sai quante: belle, estroverse, promettenti, che credevano di potermi battere solo perché pensavano che fosse semplice ignorare le regole. Quindi non credere di intimidirmi, con i tuoi capelli rossi, i tuoi occhi azzurro-turchesi e la tua simpatia irresistibile. Tu ora non sei nessuno, quindi come puoi pretendere di avvicinarti solo a me o a Simon Coleman? Ti faccio solo un piccolo avvertimento, Ragazza Nuova, nel caso tu non abbia ancora cambiato idea: se provi solo un’altra volta a prendermi in giro, a ridere dietro alle mie spalle, a osare pensare di metterti contro di me, sarà guerra tra di noi e io ti distruggerò, proprio come ho fatto con tutti quelli che hanno osato prima di te. Ti farò pentire di aver detto o fatto qualsiasi cosa contro di me. Ti cercherò, ti farò piangere, ti farò disperare, ti farò soffrire, e quando penserai che sarà tutto finito e che avrò avuto la pietà di risparmiarti, è allora che io ritornerò e ti farò soffrire ancora di più, finché tutto quello che resterà di te saranno solo le tue lacrime amare. E mentre piangerai da sola, nel buio, persa nella tua sofferenza, allora ti farò ricordare di questo giorno e ti chiederai urlando, ancora e ancora: “Perché? Perché cazzo ho osato solo pensare di mettermi contro Linda Collins?”»
La Ragazza Nuova la osservò, impassibile. Poi, inaspettatamente, le sorrise.
«Bel discorso, ma è comunque un no.»
Linda avrebbe potuto ucciderla a quel punto. Ma decise che non l’avrebbe fatto. La sua vendetta sarebbe stata molto più lenta, molto più dolorosa di così.
Non disse altro.
Linda voltò le spalle, fece cenno a Janissa e Chloe di seguirla e si allontanò definitivamente dalla Ragazza Nuova senza girarsi. Nel frattempo, però, pensava già ai terribili mezzi con i quali gliel’avrebbe fatta pagare.

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Capitolo 7
*** Io, te e il mio ragazzo ***


Capitolo 6
Io, te e il mio ragazzo


"Wouldn't it be nice if we were older?
Then we wouldn't have to wait so long
And wouldn't it be nice to live together

In the kind of world where we belong"
"Wouldn't it be nice", Beach Boys 1966


 
 

«Non so voi ragazze, ma credo che essere entrata nella squadra delle cheerleader sia stata un’ottima scelta.»
Serena Loan, o come era conosciuta tra le sue compagne di squadra, Recluta 5, si stava sistemando il trucco davanti a uno degli specchi del bagno, in compagnia delle sue migliori amiche.
«Beh non so...» disse Viola Smith, la Recluta 7 del gruppo, che ammirava la sua divisa nuova di zecca. «Linda Collins è un tantino più strana di quanto mi aspettassi.»
«A me piace molto invece. È tosta. È capace di farsi rispettare.» questa volta era stata Abby Wress a parlare. Le due compagne la guardarono male. Tutte nella squadra l’avevano già presa di mira, perché Linda Collins, l’eterea e magnifica Linda Collins, aveva già dimostrato di avere preferenze per lei, affibbiandole il soprannome di “Permanente” a differenza di tutte le altre, chiamate per numero. Abby le ignorò, e continuò a specchiarsi osservandosi attentamente.
«Sapete, girano certi pettegolezzi su Linda qui a scuola...» disse Viola.
«Ah sì?» Abby si mostrò subito interessata. «Ad esempio?»
«Spero che c’entri con quella meraviglia di Simon Coleman.» intervenne Serena, fomentata dall’entusiasmo. «Ho sentito che stavano insieme fino all’anno scorso, dovevano essere troppo carini come coppia! Insomma, il re e la reginetta del ballo, cheerleader e quarterback insieme. Sembra quasi uno di quei film sui licei americani!»
«Beh sì... più o meno.»
Viola si girò verso di lei.
«Molto meglio di un semplice pettegolezzo.» Si guardò attorno, come per constatare che non ci fosse nessuno lì ad origliare. «Avete mai sentito parlare di Bethany Mayers?»
«No.»
Viola si avvicinò di più alle due amiche. Si guardò intorno un’ultima volta, poi riprese il discorso:
«Sono voci che girano certo... ma una ragazza di terza mi ha raccontato tutta la storia in cambio di una busta di marijuana: a quanto risulta dalle storie dei più grandi, Linda Collins due anni fa non era affatto la regina della scuola. Tutto il contrario, anzi: era una normalissima cheerleader, come noi tre: novellina, discretamente popolare e mediamente attraente. La capo cheerleader e la reginetta in carica di allora invece si chiamava Bethany Mayers, e pare che Linda sia stata una sua sottoposta per molto tempo. A quanto mi hanno riferito, il ragazzo di Bethany, Tristan Lee, aveva iniziato a tradirla proprio con Linda! Quando Bethany l’ha scoperto tra le due è stata dichiarata guerra. Un’altra ragazza invece mi ha raccontato che Linda un giorno ha addirittura gettato Bethany dalle scale del secondo piano, davanti a metà della scuola!»
«Cosa?» disse Serena, sconvolta. «E che è successo poi?»
«Non lo so, nessuno sembra saperlo con certezza.» rispose sinceramente Viola. «Ho sentito dire che Bethany è finita in ospedale, altri dicono che è morta subito dopo la caduta. Si dice anche che Tristan Lee si sia suicidato per la vergogna dopo l’accaduto. Non so quale versione sia esatta, ma una cosa è certa: dopo quell’avvenimento nessuno ha più saputo nulla di Tristan Lee o di Bethany Mayers.»
Le tre cheerleader si guardarono stupite.
«Non so voi, ragazze.» concluse Abby. «Ma penso che Linda Collins sia proprio quel genere di persona da non fare mai arrabbiare.»
 
 
«Lo sai che mi hai veramente stancato? Tu non sei me, non potresti mai diventare la regina di questa scuola. E lo sai perché, Linda? Lo sai perché io sono la reginetta del ballo e tu una semplice cheerleader? Te lo spiego io perché: perché io a differenza tua sono attraente, sono simpatica e possiedo un minimo di cervello, mentre tu non sei assolutamente nessuno! Te lo dico ora, chiaro e tondo: se provi un’altra volta ad avvicinarti a Tristan, giuro su dio che ti faccio fuori. Sono stata chiara, Linda? Eh? EH?»
 
 
Linda Collins era appoggiata al muro, in silenzio e non pensava ad altro se non a limare quelle sue maledettissime unghie.
Non appena Simon Coleman la scorse, in fondo al corridoio, al cambio dell’ora, fece per sterzare, e dirigersi nell’aula di fisica facendo il giro tutt’intorno, ma in un attimo la ragazza alzò lo sguardo, lo notò e lo chiamò con lo sguardo.
«Simon!» esclamò poco dopo. Simon si girò verso di lei, a malavoglia.
Lei era lì, bellissima come sempre, con la sua divisa da cheerleader e un sorriso smagliante sulla labbra.
«Sbaglio o mi stai evitando?»
«No, è esattamente quello che sto facendo.»
«Ti ho fatto qualcosa per caso?»
Simon si fermò. Ci pensò su per due secondi, poi decise di camminare verso di lei.
«No, a parte il fatto che sei una stronza succhiasangue che uccide le speranze e i sogni di tutti, e che potrebbe competere insieme al pipistrello gigante di Fantasia per quanto incuti terrore ai bambini.»
«Come sei drammatico. Ti ricordi questo corridoio, Simon?»
«È il solo corridoio di questa scuola, sai.»
«Questo è il luogo dove ci siamo incontrati per la prima volta, esattamente due anni fa.»
 Linda si staccò dal muro e si posizionò in mezzo al corridoio. Indicò a Simon un punto del pavimento.
«Vedi?» disse con il dito puntato. «Ti ricordi? Tu stavi camminando di là, verso l’aula di scienze, io stavo tornando in direzione opposta dal retro della palestra. Avevo appena litigato con Tristan perché aveva deciso di scaricarmi per Bethany Mayers, quello stronzo. Ero infuriata, e tu non sei stato affatto d’aiuto. In questo punto preciso ci siamo scontrati, tu hai lasciato cadere tutti i tuoi libri a terra e io ti ho urlato contro “Magari la prossima volta guarda dove vai, coglione!”»
Linda si girò lentamente, fino a posizionarsi faccia a faccia con Simon.
«Sai, la prima cosa che ho pensato di te era che eri proprio un coglione.» continuò, con un leggero sorriso. «Poi però mi sono girata di nuovo. La seconda cosa che ho pensato è stata “però è carino.”»
Simon le sorrise allegramente.
«Lo sai qual è la prima cosa che ho pensato di te, quando ci siamo scontrati?»
«No, cosa?»
Simon si avvicinò pian piano a Linda. Delicatamente le accarezzò il viso e la guardò fisso negli occhi.
«”Belle tette.”»
Linda rise.
L’idillico quadretto venne però immediatamente rovinato da una voce familiare, che chiamò i due ragazzi da lontano:
«Ah, Coleman, Collins! Eccovi qui, vi cercavo!»
Simon e Linda si voltarono verso la donna.
La signora preside Laura Finch, con il suo fisico da star, perennemente vestito di nero, i suoi capelli laccati sempre immobili, e quei giganteschi occhiali da sole che indossava in ogni momento, anche di notte, per nascondere i suoi evidenti problemi di alcolismo, apparve all’improvviso davanti a loro con un bicchiere di caffè americano in mano.
Simon e Linda si allontanarono immediatamente, comportandosi come se nulla fosse successo.
La preside, una volta arrivata davanti a loro, rise a sua volta.
«Ma dai, non ditemi che ve la fate ancora?» disse, osservandoli da dietro le lenti scure. «E pensare che la professoressa Nicks mi aveva detto che vi eravate lasciati, mah!»
Linda ignorò l’intervento fuori luogo, tipico della preside, e si schiarì la gola.
«Signora preside.» disse, quasi in tono formale. «Doveva dirci qualcosa?»
La signora Finch smise immediatamente di ridere.
«Sì.» disse in tono serio. «Questo pomeriggio ho bisogno che voi due idioti apriate un chiosco dei baci qui, in mezzo al corridoio. Aiuterà a raccogliere soldi per finanziare il ballo di fine anno. Grazie mille e buoni saluti, au revoir!»
La preside girò i tacchi e fece per andarsene con disinvoltura. Linda e Simon rimasero sconvolti.
«Aspetti!» intervenne Simon. «Che cosa ha appena detto?»
«Vuole che baciamo persone per soldi? Ma è disgustoso!» esclamò Linda, indignata.
La preside Finch si voltò lentamente, fino ad arrivare a osservarli di nuovo, con quei suoi maledetti occhiali scuri.
«Già.» disse con tranquillità. «C’è qualche problema?»
«Questa è prostituzione.» affermò Linda, mettendosi a braccia conserte. «Non può obbligarci a farlo, è contro la legge.»
«Oh, ma io non vi sto affatto obbligando...» ribatté la preside. «Tutto ciò è per un’ottima causa. Vedi, Collins, se tu e il tuo ragazzo qui presente non farete ciò che vi ho appena chiesto, dato che mio marito mi ha lasciato un mese fa, scappando con l’intero malloppo della cassa scolastica per quest’anno, l’unico finanziamento che avremo per il ballo di fine anno verrà esclusivamente dai biscotti venduti a porta a porta da quegli orribili scout privi di pubertà e pieni solo di acne. Ciò non arriva nemmeno a coprire i costi dei tavoli, per la cronaca. E voi non volete che il ballo di fine anno salti, non è vero?»
La preside e i professori non erano a conoscenza della Catena, né di tutte le dinamiche gerarchiche che avvenivano all’interno della scuola tra gli studenti. Tuttavia, perfino la signora Finch aveva notato quanta importanza gli studenti, in particolare Linda e Simon, riservavano alle corone da consegnare al ballo di fine anno.
«Non è il mio ragazzo.» fu tutto ciò che disse Linda.
«Chiamalo come vuoi, okay!» esclamò la preside, aprendo le braccia esasperata. «Può essere il tuo sesso occasionale, il tuo amico del cuore o, se preferisci, “è complicato”, non mi interessa nulla! Quello che so è che voi due siete considerati, per qualche strano motivo, delle divinità qui dentro, e se vi mettete a limonare con quattro sfigati farete più soldi voi in un’ora dell’intero cartello di Caracas in un anno. Ci siamo capiti?»
«Io ci sto.» disse immediatamente Simon. «A patto che ci paghiate le spese per eventuali malattie trasmesse.»
Linda ancora non era convinta. La preside Finch vide lo sguardo duro impresso sul viso della ragazza e, finalmente, si tolse gli occhiali da sole dal viso.
Linda e Simon videro finalmente i suoi occhi chiari, arrossati dall’alcol e contornati da profonde occhiaie. Il suo sguardo, tuttavia, riusciva ancora a risultare intimidatorio.
«So bene a cosa stai pensando, Collins.» disse la preside con un sorriso. «Mi stai odiando perché ti sto dando ordini, vero? Forse credi che questa scuola sia tua, che qui sia tu a comandare, non è così? Beh, mi dispiace informarti che sono ancora io la cazzo di preside di questa scuola. Sono io che faccio le regole, non tu: fattene una ragione.»
Linda odiava a morte la preside Finch, perché sapeva che ciò che diceva era vero. Linda era il capo degli studenti. Ma nel mondo vero, quello degli adulti, era quella dannata donna e la sua puzza di scotch ad avere il vero potere in mano.
«D’accordo.» Le parole uscirono dalla sua bocca come strozzate: «Quando si comincia?»
 
 
Un semplice e trasandato chiosco di legno era stato posizionato in mezzo al corridoio principale. Di solito veniva usato per le vendite di dolci o per iscrizioni a club importanti ma questa volta la causa era maggiore. Sul davanti era stato appiccicato un cartello con una scritta rossa fatta a mano “Linda Collins & Simon Coleman: un bacio, cinque dollari! Non perdere l’occasione di baciare i tuoi sovrani del ballo! (è per una giusta causa)
Durante la pausa pranzo la fila aveva già raggiunto metà corridoio.
Linda si staccò dal bacio con Peter Helson, totalmente disgustata.
«Okay, Pete.» disse, pulendosi la bocca con una mano. «Ora sgancia i cinque dollari.»
Peter era evidentemente ancora euforico dal bacio, poiché ci mise dieci secondi buoni per riuscire a tirate fuori i cinque dollari dalla sua tasca e consegnarli nella mano di Linda.
«Senti, non dirlo a Chloe, va bene?» le disse Peter, prima di andarsene. «Le prende terribilmente sul personale queste cose.»
Linda mise i cinque dollari di Pete insieme agli altri soldi e sbuffò.
«Oh, sono sicura che il dire alla tua ragazza che baci da cani sarà il primo dei miei problemi, contaci!» replicò, irritata dal fatto che Pete stesse bloccando la fila. «Ora levati, grazie.»
Peter Helson sparì immediatamente.
«Dovresti rilassarti di più, sai?» sentì Simon ridere al suo fianco. «Ho visto due ragazzi nella fila scappare via. Sembravano quasi spaventati da te.»
«Come fai ad essere d’accordo con tutto questo?» disse lei, che ancora non era riuscita ad accettare la situazione. «Non ti dà fastidio il fatto che la Finch sta praticamente vendendo il nostro corpo agli studenti?»
«No, mi fa piacere. Tutto ciò contribuisce alla mia crescita di popolarità, non vedo quale sia il problema.»
«Il problema è la nostra dignità!» esclamò lei. «Ci sta usando per soldi, ci sta sfruttando, e come se non bastasse, dopo tutta questa fatica a noi non tornerà nulla!»
«Tu ti preoccupi troppo! Sapevo che il libro su Mary Wollstonecraft che ti avevo regalato a Natale ti avrebbe rovinato... Dimmi, quanti soldi hai fatto fin’ora?»
Linda contò velocemente i suoi soldi.
«Centocinque. Tu?»
Simon fece un leggero sorriso con fierezza prima di rispondere:
«Duecentoquarantacinque.»
Linda rimase letteralmente a bocca aperta.
«Cosa? Come diamine hai fatto? Siamo stati qui insieme per tutto il tempo, la tua fila non è di certo più lunga della mia!»
Simon ridacchiò, poi si appoggiò al banco del chiosco, con disinvoltura.
«È semplicemente il modo in cui ti poni, Lin» le disse con un sorriso. «Vedi, se ti mostri disgustata per tutto il tempo, molti di quelli già in fila se ne andranno impauriti. Devi sembrare felice di essere qui. Solo così ti farai apprezzare di più...»
Linda non si sarebbe fatta battere così facilmente da lui. Aveva osservato Simon tutto il tempo, e aveva notato il modo in cui guardava oltre le file, le ragazze una ad una, sperando di scorgerne qualcuna in particolare.
«Oh, ma dai...»
Sorrise. Aveva capito tutto ormai.
«Chi è lei?» chiese, divertita.
«Non so di cosa stai parlando.» rispose Simon, sempre perso a guardarsi intorno alla ricerca della sua ragazza speciale. Il suo nervosismo era così evidente.
«Oh, andiamo, è così palese!» Linda rise della totale stupidità di Simon in quel momento. «D’altronde io sto con Darren C. Carmichael adesso, era solo questione di tempo. A me puoi dirlo: chi è la nuova ragazza che ti ha rubato il cuore, piccolo Simon?»
Simon si voltò irritato verso di lei:
«Senti, ti ripeto che non so di cosa stai parlando. Non c’è nessuna ragazza, non per il momento almeno. Sono qui per lavorare, quindi ora stai zitta e impara osservando.»
Una ragazza della fila di Simon nel frattempo si era avvicinata al chiosco, mentre loro parlavano. Non fece nemmeno in tempo a dire un completo “ciao” che Simon, per chiudere al più presto la sua conversazione con Linda, le prese il viso tra le mani e la baciò appassionatamente.
Linda osservava disgustata la scena, ma quasi svenne nel rendersi conto che la ragazza che stava baciando Simon era Carey. Le sfuggì un piccolo “Oh, no” sottovoce, che, per fortuna, nessuno la sentì.
Quando Simon finalmente si staccò dal bacio apparve davanti a lui Carey, con il viso del colore di un pomodoro, che sorrideva euforica. Linda non aveva il coraggio di parlare.
«Ehm... grazie.» disse lei con un filo di voce.
«È stato un piacere.»
Simon le fece un occhiolino e Carey se ne andò, lasciando i suoi cinque dollari sul bancone, saltellando dalla gioia e ignorando completamente Linda.
Simon guardò Linda, quasi soddisfatto.
«Era una tua amica, no?» domandò.
Lei rise sprezzante.
«In momenti come questi, preferirei di no.»
Simon mise la sua nuova banconota sul suo personale castello di soldi.
«E sono duecentocinquanta.» affermò orgoglioso, mentre accarezzava i suoi dollari.
«Idiota...»
Linda ritornò a pensare alla sua fila di ragazzi, ma quando vide che la prossima ragazza dalla parte di Simon era la povera Chloe, si bloccò divertita, per osservare la scena.
«Oh, Linda!» inaspettatamente la cheerleader si rivolse a lei. Sembrava quasi sul punto di piangere. «Non è che per caso hai visto Pete passare da queste parti?»
«Sì, era qui un secondo fa.»
Chloe spalancò gli occhi sconvolta.
«Vuoi dire che ti ha baciata?»
Linda annuì con fare disinteressato. Simon non capiva il perché di tutta quella sua franchezza.
«Oh, non ci posso credere!» Chloe iniziò a strillare disperata, scoppiando in lacrime. «Mi aveva promesso che non ci sarebbe venuto, me lo aveva promesso!»
Tutta la scuola si bloccò a guardare in silenzio. Simon non era nemmeno sicuro di cosa avrebbe dovuto fare in quel momento.
Linda si avvicinò a lei. Le prese il viso tra le mani e delicatamente le asciugò le lacrime con le dita.
«Ehi, guardami.» Simon fu stupito dalla gentilezza del suo tono. Chloe smise immediatamente di singhiozzare. «Tu sei fantastica. Lascia perdere quel bastardo, tanto non ti merita. Sai che ti dico, Chloe? Ripagalo con la sua stessa carta: bacia Simon e fagliela pagare. Baciare gli ex provoca sempre gelosia, sai? E poi non avrai fatto tutta questa fila solo per chiedermi questo, no?»
Simon a quel punto capì e non riuscì a fare a meno di sorridere.
Dopotutto Linda aveva una mentalità geniale. Geniale e diabolica allo stesso tempo. Oh, era così affascinante!
Chloe annuì cercando di calmarsi.
«Sì...» sussurrò Chloe tra i singhiozzi. Poi d’un tratto alzò lo sguardo, più determinata che mai. «Anzi, Simon, ti darò dieci dollari. Fa che il bacio sia più lungo del solito, mi raccomando.»
Disse solo questo, e lasciò i dieci dollari sul bancone.
Simon le sorrise, poi si avvicinò a Chloe e dolcemente la baciò sulle labbra. Ma Chloe non fu dello stesso parere: aprì la bocca e il bacio divenne sempre più violento, tanto che lei per poco non si arrampicò sul bancone, per fondersi completamente nella bocca del ragazzo. Simon era sorpreso e intrigato allo stesso tempo.
Linda si rese conto che Simon aveva intenzione di mantenere la promessa e far durare il bacio il più possibile. Chloe e Simon di baciarono per cinque minuti buoni con tanto di lingua visibile, sotto l’occhio invidioso di tutte le ragazze e dei ragazzi in fila.
Linda notò solo a quel punto che molti ragazzi la osservavano in attesa di risposte.
«Sono dieci dollari per un bacio più lungo.» annunciò alle due file davanti a lei. Subito vide che tutti gli studenti aprivano il loro portafoglio e tiravano fuori cinque dollari in più.
Linda sorride soddisfatta. Era riuscita nel suo intento: aveva appena sganciato la bomba che avrebbe raddoppiato i suoi guadagni.
Finalmente Simon e Chloe terminarono il loro imbarazzante scambio di saliva e lei se ne andò a testa alta, in cerca del suo amato Peter.
Simon a quel punto si voltò verso Linda.
«Ti devo dieci dollari.»
«Mi devi metà del tuo incasso da ora in poi, in realtà, ma non importa. Tanto non saranno soldi nostri comunque.»
Linda e Simon continuarono con il loro fastidioso e noiosissimo compito per altri venti minuti. Poi, all’improvviso la situazione fu ribaltata, quando avvenne qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato.
Il seguente ragazzo nella fila di Linda era piuttosto carino, con i capelli rossi e qualche adorabile lentiggine sul naso. Linda non credeva di averlo mai visto, ma dopotutto non poteva conoscere tutta la scuola, dannazione.
«Ciao!» disse lei, allegra, cercando di testare se la strategia baci&abbracci&tantoamore di Simon funzionava davvero. «Sono cinque dollari per un bacio normale e dieci se...»
«Aspetta.» il ragazzo lentigginoso la bloccò nel bel mezzo del discorso. «Non voglio baciare te.»
Linda non capì cosa intendesse. Poi il ragazzo si girò verso Simon.
«Voglio baciare lui.»
Sia Simon che Linda rimasero spiazzati da quella richiesta.
Non che fossero omofobi, certo, ma dopotutto avevano tutti passato la loro intera vita a Buckley, un paesino del Midwest con poco più di ventimila abitanti, eventi del genere non erano esattamente nella norma per loro. Ma potevano pur tirarsi indietro se non volevano, no?
Il ragazzo lentigginoso mise i suoi dieci dollari sul bancone e rimase lì, a osservarli impaziente. Simon era evidentemente imbarazzato mentre Linda lo guardava, allietata dalla situazione.
«Dai, Simon.» disse, trattenendo una risata. «Se non hai il fegato per farlo, puoi anche rifiutarti a questo punto. Non ne vedo il problema.»
Simon si girò pian piano verso di lei. Il suo sguardo divenne incredibilmente serio.
Linda riconobbe subito quello sguardo: era uno sguardo di sfida, un genuino sguardo di provocazione.
Non poteva accettare ciò che Linda aveva appena detto. Le avrebbe dimostrato che non era vero. Doveva dimostrarle che era disposto a fare di tutto, pur di salire al Numero Uno della Catena.
A tutto.
Così Simon, senza dire nulla, prese i dieci dollari del ragazzo e subito lo baciò con così tanta foga che molti dei presenti rimasero a bocca aperta.
Perfino Linda rimase genuinamente colpita dal gesto. Non credeva che Simon fosse capace di così tanto coraggio, tantomeno che avrebbe per davvero accettato la sua sfida.
Poi però si rese conto che era la prima volta che riusciva a guardare Simon baciare qualcuno senza avere l’impulso di vomitare. Osservò con attenzione ogni suo gesto, dai movimenti delle sue labbra all’ammaliante modo in cui passava le dita tra i capelli rossi del ragazzo. Erano bellissimi, entrambi. Guardarli era come contemplare un’opera d’arte, una bellissima e candida statua greca di marmo, raffigurante due dèi, due bellissimi dèi.
Trovava tutto così meraviglioso, raramente si era sentita così emozionata per un bacio tra due persone.
Nel corridoio intanto era calato il silenzio. Tutti osservavano la scena senza sapere bene come reagire.
Anche quando i due finalmente si staccarono e il ragazzo lentigginoso se ne andò sorridente, tutti erano ancora immobili come statue di ghiaccio.
Simon si volse e guardò Linda, fiero di ciò che era appena successo. Linda nel frattempo lo osservava intensamente, senza dire nulla. Simon non riuscì a decifrare con esattezza la sua espressione: era stupita o affascinata?
Una cosa era certa: quel gesto aveva fatto colpo su di lei.
 
 
Dieci minuti dopo si ritrovarono a pomiciare nel bagno delle ragazze in fondo al corridoio.
Simon si era improvvisamente ricordato di quanto le labbra di Linda fossero morbide e carnose e quel rossetto alla ciliegia che lei era solita mettersi era davvero delizioso. Erano nel bagno a baciarsi da circa tre minuti. La Ragazza Nuova non si era presentata al chiosco e lui ci era rimasto piuttosto male. Dopotutto gli serviva un po’ di allenamento. Quando l’avrebbe baciata al loro primo appuntamento che figura ci avrebbe fatto se no?
Tuttavia in quel momento non c’era spazio per la Ragazza Nuova nei suoi pensieri, lì in compagnia delle meravigliose labbra di Linda.
«Quel bacio è stata la cosa più eccitante che ti abbia mai visto fare.» gli disse Linda tra un bacio e l’altro, sbattendolo delicatamente contro la parete. «Dovresti baciare ragazzi più spesso, sai?»
«Sei una bellissima stronza sexy.»
«Grazie, anche tu.»
E ripresero a baciarsi.
Sapevano entrambi di odiarsi, ma per qualche motivo, quella tensione che c’era sempre stata tra di loro sfociava ogni volta in attrazione reciproca. Erano strani, purtroppo.
Andavano d’accordo solo quando erano uno contro l’altro.
Linda iniziò a passare una mano tra i capelli di Simon. Simon la adorava quando faceva così. Poi iniziò a scendere, gli toccò il collo, poi la camicia e infine scese ancora, fino ad iniziare a slacciargli i pantaloni.
A quel punto Simon si bloccò. Prese Linda per le spalle e la staccò dal bacio.
«Aspetta...»
«Cosa c’è?»
Simon si guardò attorno, preoccupato.
«E se qualcuno entra?»
«Oh, ma ti prego! È appena iniziata la quarta ora, sono tutti andati al bagno due secondi fa!»
Linda lo baciò ancora, ma di nuovo Simon si scostò.
«No... Non possiamo.»
Linda si fermò e lo guardò esterrefatta.
«Perché no?»
«Perché... è sbagliato!» Simon cercò di spiegarsi meglio. «Non mi piace fare sesso con una persona se non provo nulla per lei, tantomeno con te! Okay, sì, sembra una cosa gay da dire, ma è così!»
Poi iniziò a pensare ad altro. Iniziò a pensare a lei, a quella ragazza meravigliosa conosciuta qualche settimana prima. E tutto divenne chiaro.
«E poi c’è questa ragazza...» disse sognante. «Avevi ragione, in effetti: è lei la ragazza che stavo cercando prima Lin, la mia nuova ragazza del cuore. Lei è bellissima, perfetta, i suoi capelli sono color rame e i suoi occhi azzurro cielo! E mi piace così tanto... è simpatica, gentile, affascinante, premurosa, scaltra, per niente possessiva, quasi per nulla incontinente. Temeraria, giovanile, bellissima (ho già detto bellissima?) e divertente e intelligent-»
«Oh, per l’amor del cielo!» urlò Linda stremata.
«Tu nemmeno mi piaci più, almeno non sentimentalmente!» continuò Simon, tornato fortunatamente sul giusto discorso. «E so che la cosa vale anche per te; stai facendo tutto questo perché vuoi vendicarti, o qualcosa del genere.»
Linda sbuffò. Alzò lo sguardo e guardò Simon negli occhi per la prima volta.
«Scusami, hai ragione. È che ho questa strana sindrome secondo cui trovo più affascinanti gli oggetti solo dopo che li ho buttati via.» Simon le diede un’occhiataccia, ma lei lo ignorò e continuò a parlare: «Di te non mi importa niente, è vero, però mi manchi. Lo devo ammettere in quanto a mera macchina sessuale eri molto meglio tu di Darren C. Carmichael.»
«Linda...»
Lei non si lasciò scoraggiare. Gli mise le braccia intorno al collo e si avvicinò a lui tanto da potergli sussurrare da vicino:
«E poi è vero, lo hai detto anche tu: non ci amiamo forse, ma sul piano puramente fisico e sessuale direi che non ci sono problemi, no? Facciamo una piccola tregua. Che ne dici, eh?»
Simon ancora non era del tutto convinto.
Spostò lo sguardo lentamente dai lavandini, alle porte dei bagni a Linda, che davanti a lui lo guardava in attesa di risposta.
Sospirò. Infine si decise:
«Beh, forse posso concedermi una piccola pausa dal mio orgoglio...»
Linda sorrise felice. Gli stampò un altro bacio sulle labbra, si avvicinò ancora e gli sussurrò nell’orecchio:
«Non ti preoccupare, wonder boy, non lo saprà mai nessuno. Consideralo pure un regalo di risarcimento.»
Poi si inginocchiò.
 

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Capitolo 8
*** Il re cadrà dal suo trono ***


Capitolo 7
Il re cadrà dal suo trono
 


"So long honey babe
Where I'm bound, I can't tell
Goodbye is too good a word, babe

So I just say fare thee well"
"Don't Think Twice, It's All Right", Bob Dylan 1963


 
 
«Allora ci vediamo domani, Mr. Numero Due!»
Simon aveva appena finito di fare la doccia, dopo circa due ore di allenamenti. Riuscire a salutare tutti i compagni di squadra faceva parte del suo rito conclusivo, ma raramente riusciva a ricordarsi i nomi di tutti loro, specialmente di quelli nuovi.
«Certo, ci vediamo!»
Doveva essere carino, però. La gentilezza era l’arma principale con cui avrebbe sconfitto Linda.
Si asciugò velocemente i capelli con un asciugamano pulito e poi andò verso il suo armadietto. Non fece nemmeno in tempo ad afferrare i vestiti, che si ritrovò il viso di Darren C. Carmichael esattamente di fianco a lui.
«Alloooora?» chiese con fare curioso.
Darren C. Carmichael indossava esclusivamente un asciugamano alla vita fin troppo corto perfino per lui. Si era appoggiato agli armadietti con fare svogliato, flettendo il suo corpo abbronzato e mostrando fiero i suoi addominali scolpiti. Simon era così invidioso di lui che non riuscì a fare a meno di osservare incantato la V formata dal suo addome e le piccole gocce d’acqua che, dai capelli neri ancora bagnati, percorrevano il suo petto. 
«Com’è andata quindi?» domandò Darren C. Carmichael, risvegliando Simon dal suo memento di lapsus.
«Ehm, bene... almeno credo.»
Non era passato nemmeno un giorno dal suo primo appuntamento con la Ragazza Nuova che già tutta la scuola ne era a conoscenza. L’appuntamento di per sé era stato un successo, erano andati a vedere al cinema uno di quei tanti film sui gangster che andavano di moda negli ultimi anni, e poi lui l’aveva riaccompagnata a casa. La Ragazza Nuova era stata entusiasta, diceva, ma il fatto che a scuola non l’avesse ancora vista lo preoccupava. Lo stava forse evitando?
«Beh?» continuò l’amico. «Avete scopato?»
«Cosa? No! Non ci siamo nemmeno baciati. È solo il primo appuntamento, dannazione!»
La verità era che Simon non era affatto convinto di provare effettivamente qualcosa per la Ragazza Nuova. Provava per lei le stesse sensazioni di quando aveva provato a uscire con Chloe Farger prima di mettersi con Linda. Un “nulla di che”.
Sentiva come se ci fosse qualcosa a trattenerlo indietro.
Sapeva che la verità era una e innegabile, ma si rifiutava di ammetterlo.
«Simon, intanto potrei domandarti una cosa?» Darren C. Carmichael abbassò la voce nel frattempo. «Riguardo a Linda, intendo.»
Simon smise di respirare di colpo.
Sapeva tutto.
Aveva fatto promettere a Linda di non dire a nessuno di ciò che era successo tra loro due nel bagno l’altro giorno. Quella storia non doveva essere diffusa, doveva rimanere tra di loro.
Eppure Darren C. Carmichael l’aveva scoperto? Così in fretta?
Linda era comunque la sua ragazza, e Simon il suo migliore amico. Oh, non poteva esserci situazione peggiore. Quello era l’inizio della sua caduta, la famosa “Rise and Fall” di cui parlava David Bowie.
Se Darren C. Carmichael sapeva di lui e Linda, presto tutta la scuola lo avrebbe scoperto, e tutti avrebbero capito che infame traditore fosse in realtà.
Era la fine.
«Ecco io... sai... come dire... non è che... in realtà... io volevo solo...»
Provò a trovare una scusa plausibile, ma nulla. Non trovava nulla che lo provasse innocente.
«Insomma, è normale che l’altro giorno abbia insultato i miei genitori solo perché ho detto di preferire le caramelle gommose alla liquirizia?»
Simon sospirò sollevato.
Doveva smettere di preoccuparsi troppo, qualcuno prima poi l’avrebbe notato se no. Non poteva far vedere agli altri che ci teneva ancora a lei.
«Beh, l’hai detto tu stesso.» disse infine. «Linda è una psicopatica. C’è poco da ridire su questo... se ti può consolare però, una volta mi è successo che-»
«Ehi, aspetta.» Darren C. Carmichael si girò di colpo verso di lui. «Ma cosa...»
Darren C. Carmichael si avvicinò a Simon. Lui rimase immobile, mentre il suo migliore amico lo approcciava sempre di più, in modo allarmante. Rimasero immobili, con i loro petti nudi che si sfioravano e i visi a pochi centimetri di distanza. Simon era bloccato dall’anta dell’armadietto e non poteva allontanarsi da lui.
«Cosa... diamine stai facendo?» azzardò Simon, confuso da quel gesto.
«C’è qualcosa nel...»
Si guardavano negli occhi e i loro respiri erano vicini.
Darren C. Carmichael si avvicinò, appoggiò una mano sulla spalla di Simon e finalmente i loro corpi si toccarono. Lui rimase pietrificato dall’imbarazzo.
Darren C. Carmichael allungò il braccio verso la parte alta dell’armadietto e Simon si ritrovò con i suoi pettorali davanti alla faccia. Diamine, quanto erano belli.
All’improvviso si allontanò, ma Simon non riusciva ancora muoversi. Era appiccicato all’anta del suo armadietto e non era in grado di muovere un muscolo.
«C’era un biglietto nel tuo armadietto, tieni.» disse l’amico, consegnandoglielo in mano. Darren C. Carmichael si allontanò, lasciando Simon a dir poco sconvolto. «Non c’è di che.»
Simon sospirò, mentre osservava l’amico allontanarsi.
Guardò il biglietto. Doveva essere un altro dei tanti messaggi d’amore che le ragazze gli lasciavano, era ovvio.
Quando aprì però, scoprì qualcosa che non si aspettava affatto:
Il re di Buckley cadrà dal suo trono” citava la scritta in rosso sul biglietto di carta.
Rimase a osservarlo per qualche secondo, poi con rabbia lo stropicciò e lo gettò a terra.
Davvero non ci riusciva a lasciarlo in pace.
 
 
«Cosa? Dici sul serio?»
Carey Davis non credeva alle sue orecchie.
Si era incontrata con Linda circa mezzora prima, perché entrambe avevano un’ora buca e avevano deciso di passarla insieme a spettegolare sui ragazzi.
Ovviamente, tra una cosa e l’altra, l’argomento “Simon” era uscito, ma Carey non avrebbe mai potuto immaginare di poter sentire una cosa tanto grave.
Linda le aveva raccontato di come Simon le avesse detto di avere un certo interesse per la Ragazza Nuova, quella ragazza dai capelli rossi molto carina, per la quale tutti in quella scuola stravedevano.
Non appena Carey aveva sentito quella frase, era caduta nella più totale disperazione.
Credeva che, ora che Linda si era definitivamente fatta da parte, tra lei e Simon sarebbe potuto nascere qualcosa. Certo, era ancora lontana dall’essere anche solo sua amica, ma ci sperava, ci sperava davvero. Ora però scopriva che Simon provava già qualcosa per un’altra ragazza, magari molto più carina e molto più carismatica di lei, e tutti i suoi piani erano andati in fumo.
Linda nel frattempo continuava a parlare, appoggiata svogliatamente all’armadietto, mentre metteva in risalto le sue belle forme per i pochi passanti.
«Lo so, non ci credo nemmeno io!» esclamò, riprendendo il discorso. «Simon è davvero stupido a volte. E come se non bastasse, quell’idiota al chiosco dei baci la stava pure cercando con lo sguardo! Per fortuna che non si è nemmeno presentata... è probabile che il discorso che le ho fatto l’altro giorno l’abbia fatta andare via per sempre...»
Carey non ascoltava una parola di quello che diceva Linda. L’unica cosa che riusciva a pensare in quel momento era l’immagine di Simon in ginocchio mentre dichiarava amore eterno alla Ragazza Nuova, mentre il suo povero piccolo cuoricino si spezzava.
«Carey?» Linda provò a richiamare la sua attenzione. Quando anche lei capì che cosa le fosse preso, prese la sua amica per le spalle e urlò esasperata:
«Ma dai, Carey! Non dirmi che ti piace davvero a tal punto! Una piccola cotta va bene, ma non vale la pena perdere la testa per lui. Simon è solo un coglione!»
Carey non disse nulla, semplicemente guardò alle spalle di Linda, con occhi sbarrati. Linda si girò, senza capire.
Simon Coleman era proprio dietro di lei, con ancora i capelli leggermente bagnati dalla doccia e un’espressione irritata sul volto.
«Linda, posso parlarti un secondo?» disse solamente.
Linda vide che Carey iniziava ad arrossire in modo allarmante. Consapevole di aver appena esposto la sua grande cotta per Simon al mondo intero e, cosa ancora più grave, allo stesso Simon, scappò imbarazzata, strisciando via dietro le spalle di Linda.
Nel corridoio, come al solito, rimasero solo i due sovrani del ballo, pronti per riprendere la loro interminabile guerra.
«Mi dici che cazzo hai nel cervello?» gli disse Linda, più furiosa che mai. «Hai appena fatto scappare Carey! Probabilmente non avrà più il coraggio di presentarsi a scuola per una settimana intera!»
Simon la interruppe subito. Ignorava semplicemente Carrie, o Carey o come diavolo si chiamava. In quel momento aveva altro a cui pensare.
«Allora spiegami che cosa significa questo.»
Simon tirò fuori dalla tasca un biglietto stropicciato e lo tirò con disprezzo addosso a Linda. Lei lo prese al volo e, ancora confusa, lo aprì.
C’era solo una scritta rossa in centro:
Il re di Buckley cadrà dal suo trono”.
Linda alzò lo sguardo.
«E perché pensi che io c’entri qualcosa?»
Simon si avvicinò a lei, e parlò cercando di sussurrare il più possibile:
«So bene che tutta la storia successa una settimana fa era solo una finta...» ribatté lui, riferendosi all’avvenimento nel bagno, di cui nessuno dei due aveva ancora fatto parola. «Non hai intenzione di fare pace con me, volevi solo sabotarmi dall’interno, vero? Non ho la più pallida idea di cosa tu stia tramando, ma se pensi di potermi spaventare con degli stupidi bigliettini, allora-»
«Aspetta, aspetta, aspetta...» Linda mise le mani avanti, per impedirgli di parlare oltre. «Fammi capire... Tu credi davvero che se avessi voluto minacciarti lo avrei fatto in anonimo?»
Simon si bloccò. In effetti un messaggio anonimo non era affatto nello stile di Linda. Come aveva fatto a cascarci così?
«Beh ecco... io...» provò a giustificare il suo errore. Non ci riusciva. Aveva toppato alla grande stavolta.
Fu Linda a intervenire subito:
«Se avessi voluto minacciarti, mio caro Simon, lo avrei fatto in pubblico davanti a tutti, possibilmente davanti alla ragazza che ti piace, e avrei fatto in modo di umiliarti così tanto che lei non ti avrebbe mai più parlato per almeno i prossimi quarant’anni. Non mi sarei di certo accontentata di uno stupido biglietto scritto con una penna rossa! Per tua fortuna non ti odio a tal punto, quindi, la prossima volta che vuoi accusarmi di qualcosa, magari pensaci due volte prima di sparare stronzate!»
Simon non trovò più altro da dire. Linda aveva vinto questa volta, non c’era che dire.
La guardò negli occhi, per un attimo, prima di congedarsi.
«Non è finita qui, comunque.» disse, mentre la vergogna lo lacerava sempre di più. «Tu non me la racconti giusta, Linda. Farò di tutto pur di riuscire a superarti, dovessi anche impiegarci vent’anni. Un giorno sarai mia e ti distruggerò. Ti distruggerò, fosse anche l’ultima cosa che faccio!»
Linda si ritrovò a sorridere, ricordandosi di una cosa avvenuta molto tempo prima.
«È esattamente quello che dissi al ballo a Tristan Lee due anni, sai...»
«Lo so, me lo ricordo.» rispose freddo.
Simon si avvicinò a lei. Linda non si mosse di un centimetro.
«So che mi hai sempre visto come il tuo Tristan sostitutivo, Linda.» riprese Simon fissandola negli occhi. «Ti sei messa con me solo perché gli somigliavo. E siccome sapevi che non potevi avere lui, hai ben pensato di usarmi come rimpiazzo, vero?»
Simon tirò fuori un argomento che Linda non aveva mai voluto affrontare, almeno non con lui, nonostante ne fossero ormai consapevoli entrambi. Lei si ritrovò costretta ad abbassare lo sguardo, affranta nel profondo. Simon non si era mai sentito così vittorioso in vita sua.
«Beh, mi dispiace dirtelo, Lindy.» continuò lui, vedendo che un suo discorso faceva effetto per la prima volta su di lei. «Ma non sono il tuo Tristan, non lo sarò mai. Lui non tornerà, fattene una ragione.»
«Tranquillo.» ribatté Linda, rialzando lo sguardo. «Tanto non ci contavo.»
In quel momento Linda aveva messo in gioco tutta la sua forza di volontà per non apparire turbata dalle sue parole.
 
 
Carey Davis, dopo che la sua cosiddetta migliore amica Linda aveva accidentalmente rivelato a Simon Coleman che aveva da sempre un debole per lui, si era sentita il mondo crollare addosso.
Ora non le avrebbe sicuramente mai più rivolto la parola, era certa.
Al chiosco dei baci organizzato dalla preside Finch, non appena aveva saputo che Simon sarebbe stato presente, era arrivata lì con mezzora d’anticipo, trovando già una fila fin troppo lunga.
Aveva avuto il suo bacio dopo un’ora di infernale attesa, ed era stata una delle esperienze più belle della sua vita. Dubitava, tuttavia, che fosse stato lo stesso per Simon.
Il campo da football davanti a lei era vuoto e tutto intorno a lei era calmo. Stava intenzionalmente saltando un’ora di lezione, rifugiandosi tra le tribune deserte, ma in quel momento non aveva la forza di pensare a niente.
Scese gli scalini bianchi delle tribune lentamente, fino ad arrivare alle balaustre. Si avvicinò alla ringhiera, stringendosi nella felpa blu con le iniziali della scuola cucite sulla schiena.
Era appena iniziato settembre, la scuola era cominciata da una settimana e mezzo, e una brezza leggera cominciava a far capolino. Ma Carey sentiva più freddo del solito in quel momento.
Sospirò rumorosamente e si lasciò andare a peso morto, appoggiandosi alla ringhiera di ferro.
Perché? Perché di tutte le persone di quella scuola che avrebbe potuto notare, che avrebbe potuto ritenere simpatiche, di cui avrebbe potuto essere innamorata, lei aveva scelto proprio Simon Coleman?
Era bello certo, forse fin troppo perfino per lei, era gentile, era divertente, da tutte le volte in cui l’aveva osservato da lontano aveva capito di avere molti interessi in comune con lui, era tutto ciò che un ragazzo perfetto doveva essere. Eppure c’erano altri milioni di ragazzi come lui, no?
No, lui non era come tutti gli altri, questo Carey e altre milioni ragazze lo avevano capito ormai da tempo. C’era qualcosa di diverso in lui, qualcosa di speciale che Carey aveva notato fin dal primo giorno in cui l’aveva visto.
Era per via di Linda, pensò. Se a tutte le ragazze di Buckley Simon piaceva, era probabilmente perché avevano visto con quanto amore, con quanto affetto aveva trattato la sua storica fidanzata fino ad allora. La relazione tra Linda e Simon aveva scaturito un lungo circolo virtuoso in cui tutte le ragazze della sua scuola vedevano in Simon il fidanzato perfetto e tutte lo volevano per sé.
Ma era la verità? Simon era davvero così perfetto?
Nemmeno Carey sapeva dirlo con certezza.
Alla fin fine, Carey non voleva che lui fosse perfetto.
Voleva solo che le rivolgesse la parola, almeno per un giorno solo.
 
«Ehm... Linda?»
«Dimmi, Carey.»
«So che è strano che te lo chieda così all’improvviso, d’altronde ci conosciamo da poche ore... Tu però sei così popolare e conosci praticamente tutta la scuola. Per caso conosci un certo ragazzo... ecco, è biondo, con gli occhi azzurri, abbastanza basso, si siede sempre da solo a pranzo.»
«Oh, intendi Simon Coleman?»
«Oh! S-si chiama Simon, quindi?»
«Sì, l’ho conosciuto qualche giorno fa, mentre girovagava sulle tribune tutto solo. È un ragazzo a posto, anche se credo che abbia una cotta tremenda per me.»
«Ah... Certo... Beh, dopotutto chi non avrebbe una cotta per te, eh Linda?»
 
«Ehilà!»
Quell’improvviso richiamo alla realtà fece letteralmente sobbalzare Carey. Si raddrizzò immediatamente e si girò per constatare di chi fosse la voce che le aveva appena fatto venire un mezzo infarto.
Si voltò a 360 gradi, ed esattamente davanti a lei, qualche scalino più in alto c’era Simon Coleman, in tutta la sua eterea e straordinaria bellezza, che la salutava con uno smagliante sorriso.
Carey si girò di scatto verso il campo, per non far notare che era appena diventata color-costume-di-Spiderman in viso.
«Ehi, c-ciao, S-s-simon....» la voce le tremava in modo allarmante.
«Carey, giusto? Ci siamo baciati al chiosco, se non ricordo male.»
Carey si sforzò di non urlare o almeno di non mettersi a piangere dalla gioia.
Aveva azzeccato il suo nome! Era la prima volta in quattro anni.
Simon intanto la guardava confuso, a qualche metro di distanza. Poiché notava che Carey continuava a dargli le spalle imperterrita, capì che doveva esserci qualcosa che non andava, e si affrettò a scusarsi.
«Ecco, io... volevo dirti che mi dispiace per prima.» disse, consapevole di ciò che gli aveva detto Linda poco prima. «Ti giuro che non me la sono presa, non ci vedo nulla di male, anzi. Sono sicuro che Linda non l’ha fatto apposta... Comunque ero venuto solo per dirti di stare tranquilla e che non è successo nulla, davvero.»
«GRAZIE MILLE! È TUTTO A POSTO GRAZIE!»
Carey cercava di parlare normalmente, ma le sue parole risultarono esattamente come le strilla di qualche ragazzina che ha appena incontrato il frontman della sua boy band preferita, sul quale ha fantasticato per anni e anni.
«Ehm, ok.» Simon era evidentemente imbarazzato dalla situazione, soprattutto dallo strano comportamento di Carey. Non si era aspettato nulla di tutto questo, perciò si affrettò ad allontanarsi sugli scalini. «Allora, io vado, è stato un piacere.»
«Aspetta, ma tu non hai lezione di letteratura inglese in questo momento? Credevo fossi nello stesso corso con Linda.»
Simon si bloccò all’improvviso, ancora a metà delle scale. Carey si pentì immediatamente di averlo detto, ma non voleva che Simon se ne andasse da lì, per nessuna ragione al mondo.
«Tu non avrai...» azzardò lei, sentendo che il rossore continuava a diventare sempre più intenso. «Saltato una lezione solo per venire a dirmi queste cose, vero?»
Vide che Simon si girava lentamente verso di lei e le rivolgeva un sorriso a labbra chiuse.
«Va bene, mi hai beccato, ma non dirlo a nessuno.»
Carey si sentì così onorata da quel gesto. Era così incredibilmente, perdutamente innamorata di lui in quel momento.
«Beh, grazie» gli disse lei, sorridendo verso terra. «Non ho mai incontrato nessuno che fosse disposto a saltare una lezione per me.»
«Oh, stai tranquilla, non è la prima volta che salto una lezione per una ragazza.»
Ora Carey sentiva il suo cuore spezzarsi lentamente. Tenne la testa bassa e il silenzio tra di loro veniva interrotto solo dal rumore del vento.
«Ma insomma, spero tu stia bene» ribadì lui, mentre iniziava ad allontanarsi sulle scale. «Voglio dire, alla fine è sempre colpa di Linda, lei ha sempre la cosa sbagliata da dire eccetera...»
Carey rimase sconvolta da quella frase. Alzò lo sguardo e finalmente lo fissò negli occhi.
«Scusa, sei venuto qui per scusarti con me o per parlare male di Linda?» fu la sua risposta, con tono irritato.
Simon la guardò sorpreso, come se fosse confuso dalla sua reazione. Se fermò e ritornò pian piano indietro da lei.
«Oh, ma dai...» Il ragazzo sorrise. Non riusciva a credere alle sue orecchie. «Cos’è, ora la difendi pure?»
«Ovvio che la difendo!» urlò Carey indignata. «È una mia amica!»
«Amica?!» disse Simon, che pure si stava irritando, scendendo di un gradino verso di lei. «Come fa anche solo a piacerti?»
«Non lo so! Allora perché a te piace?»
«A me non piace Linda!»
«Ma ti piaceva. O vuoi provare a negare anche questo?»
Simon sospirò rumorosamente. Poi si lasciò andare, quasi stremato, sedendosi sulle tribune.
«Ma perché finisco sempre a parlare di Linda anche quando non voglio?»
Carey in quel preciso istante si pentì di ogni cosa che gli aveva appena detto. Era davvero stupida.
«Senti, scusa» disse sinceramente. Poi si sedette di fianco a lui, provando a recuperare la calma. «Non volevo urlare con te, né discutere su Linda. Mi dispiace.»
Simon non disse nulla. Rimasero entrambi a guardare davanti il campo vuoto davanti a loro, senza fiatare.
Poi, come ad uccidere quel sacro silenzio, Simon riprese a parlare, senza voltarsi verso di lei:
«Sai, non avrei mai pensato che mi sarei ritrovato qui oltre due anni dopo, nello stesso identico punto dove io e Linda ci baciammo la prima volta, in compagnia della sua migliore amica e ritrovarmi a pensare che alla fine stavo bene con lei.»
Carey vide che Simon stava sorridendo. Lei rimase in silenzio, ma sorrise anche lei sotto i baffi.
«Sai, Carey... non l’ho mai detto a nessuno, ma io mi trovavo bene con Linda. Ero felice quando stavo con lei, non lo sono mai stato così tanto con nessun'altra ragazza in vita mia.» continuò lui. «Certo, ero innamorato di lei, ma non era solo questo. Noi andavamo d’accordo, eravamo uguali, ci comportavamo allo stesso modo, eravamo in totale simbiosi, o almeno così mi hanno detto. Ma solo ora mi rendo conto: io non ero come lei, non volevo essere come lei. La verità è che lei mi ha trasformato. Pian piano sono diventato come lei, senza che nemmeno me ne accorgessi. E mi ha trasformato in questo, in un frivolo e superficiale giocatore di football, a cui non piace nulla della sua vita, non ha dei veri amici e che tutto quello che vorrebbe in questo momento è essere lasciato in pace da tutti.»
Carey lo guardò, sinceramente colpita dalle sue parole. Finalmente Simon girò lo sguardo verso di lei.
«Tu sei sua amica da poco, ma voglio avvisarti prima che succeda anche a te. Perché lei ti cambierà, sappilo. Ti trasformerà, come ha fatto con me, come ha fatto con Janissa e Chloe e come ha fatto con chiunque è entrata in contatto. E quando te ne renderai conto sarà ormai troppo tardi. Quando lei ti abbandonerà, tu ti ritroverai a pensare “Come faccio ora? Come faccio adesso a tornare indietro a com’ero prima?”, ma non ci sarà alcun modo per farlo. Perché lei fa questo, ti distrugge: ti inietta i suoi veleni invisibili e ti distrugge completamente.»
«Ti sbagli.» ribatté Carey, ora più decisa che mai. «Linda non è così, non con me. Ti stai solo lasciando guidare dal rancore in questo momento...»
«Può darsi.» Il ragazzo alzò lo sguardo verso il cielo. «Ma sono tre anni che la mia vita gira intorno a lei, e sono stanco. Per questo motivo, ora più che mai, la Ragazza Nuova è la mia unica via di uscita. L’unico modo per liberarmi di questa atroce maledizione, l’unico modo per liberarmi di questo mondo finto che mi sono creato attorno. E io sono contento di averla incontrata.»
Carey attese qualche secondo, ma Simon non la guardò.
Così si alzò e se ne andò in silenzio, senza che il ragazzo nemmeno se ne accorgesse, mentre il suo cuore lasciava piccoli pezzi ovunque passasse. 

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Capitolo 9
*** Simon Cool-eman ***


Capitolo 8
Simon Cool-eman

 

"I know it's over 
And it never really began 
But in my heart it was so real
And you even spoke to me, and said : 

"If you're so funny 

Then why are you on your own tonight ?"
"I Know it's Over", The Smiths 1986


 
 
Da una porta chiusa nel bagno delle ragazze provenivano degli evidenti suoni di conati di vomito. Non era chiaro se la persona che era al suo interno stava solo affrontando le cause di un pranzo non proprio eccellente oppure se stava cercando di soffocarsi con le sue stesse lacrime.
Linda Collins si accostò alla porta e bussò lievemente. Non vi fu risposta, solo altri conati.
Linda aprì la porta, che non era stata chiusa a chiave e, come sospettava, si ritrovò davanti Carey Davis, inginocchiata mentre abbracciava la tazza. Aveva il viso sudato, o forse stava solo piangendo, e due dita della mano infilate in bocca.
«Che diavolo stai facendo?» domandò Linda, guardandola con rimprovero.
«Sto cercando di uccidermi. Cos’altro credi che stia facendo?»
Carey si infilò di nuovo le dita in gola, ma non riuscì a provocare nessuna reazione, se non altri fastidiosi conati soffocati.
Linda si appoggiò sul vano della porta con nonchalance e si mise a braccia conserte.
«Lo sai che per riuscire a vomitare devi prima aver mangiato qualcosa, vero?»
«Prima avevo pensato di lasciarmi morire di fame, infatti.» disse Carey, con voce flebile. «Poi però ho pensato che ci avrei messo troppo tempo e così sono corsa a vomitare per velocizzare il processo...»
Linda era ancora più confusa di prima.
«E allora perché non hai fatto come tutte gli adolescenti normali e non hai usato l’overdose di medicinali o la più classica cravatta di tuo padre per impiccarti? Con quelli avresti fatto molto più veloce.»
«Perché non ci ho pensato, okay!» urlò Carey, esasperata. Finalmente si alzò in piedi, asciugandosi la bocca sporca di saliva. Superò Linda e andò a risciacquarsi la faccia, come se nulla fosse successo.
«Non so fare nulla...» sussurrò. «Nemmeno capace di uccidermi. Sono una delusione.»
«Ma smettila, non penso ci sia qualcuno davvero bravo ad uccidersi! Quando Marilyn Monroe l’ha fatto nessuno ci ha nemmeno creduto, e ha scatenato una tale rissa tra teorie complottiste da fare invidia all’Area 51. E poi, per essere un primo tentativo, sei anche andata piuttosto bene.»
Carey sospirò e si prese un secondo di pausa per sciacquarsi il viso con l’acqua fredda del lavandino. Poi. Senza dire altro, lentamente si volse e andò a sedersi per terra lasciandosi andare a peso morto contro il muro, strisciando rumorosamente la schiena sulle piastrelle che, forse in un tempo assai remoto, dovevano essere state bianche.
Poco dopo Linda la raggiunse e si sedette di fianco a lei.
«È ancora per Simon?» domandò Linda.
Carey annuì, senza spostare lo sguardo dal muro davanti a sé.
Sentì Linda sospirare.
«D’accordo, vediamo di mettere in chiaro alcune cose: quanto ti piace esattamente Simon da uno a dieci?»
«Quattrocento.»
«Il quattrocento non esiste. Ho detto da uno a dieci.»
«Dieci più uno.»
«Va bene, ho capito...»
Linda si sistemò la gonna e si girò per guardarla negli occhi. Carey evitava il suo sguardo il più possibile, ma continuò ad ascoltarla, anche quando Linda riprese a parlare:
«Carey... perché non me l’hai mai detto? Insomma, io e Simon siamo stati insieme due anni. Due anni! E non sei mai stata così gelosa come lo sei adesso, che ti prende?»
«Lo so, ma tu mi piacevi!» provò a giustificarsi Carey. «Eri e sei ancora mia amica, per questo alla fine ero felice che Simon stesse con te! Io lo amavo, certo, ma se non potevo averlo io, allora era meglio che lo avesse una persona che mi piaceva, no?»
Linda cercò di cancellare i mille ricordi degli anni precedenti che le ritornavano in mente, sentendo pronunciare quelle frasi.
«Sì, ti capisco. Fin troppo bene, forse...»
«Ma adesso gli piace questa Ragazza Nuova, una ragazza che non conosco, con cui non ho nessun legame, per cui non ho nessun motivo per fare il tifo e che perfino tu detesti... Potrebbe andare peggio di così?»
Linda la guardò.
Poi, notando che Carey non dava segni di vita, le diede un leggero colpo sulla spalla e si lasciò di nuovo andare contro la parete.
«Carey, se vuoi un parere personale, sì: sei stata sfortunata. Insomma, il ragazzo per il quale avevi una cotta da tre anni non ti nota, poi si fidanza con la tua migliore amica e quando finalmente i due si lasciano lui si prende una sbandata per la più cretina e la più inabile persona di questo mondo. Ma alla fine è capitato a molti, se non a tutti. Simon però non è unico e insostituibile. Ho sempre pensato anche io che le persone a cui volevo bene fossero uniche e insostituibili e, anche se è brutto da dire, in realtà non è così. Chissà quanti altri ragazzi biondi e attraenti incontrerai nella tua vita... Insomma se la vita andasse sempre come vogliamo noi allora saremmo tutti felici. E beh, a quel punto il mondo sì che sarebbe davvero una noia...»
Carey sorrise tristemente. Appoggiò dolcemente la testa sulla sua spalla e Linda, di rimando, accostò la sua testa alla sua. Rimasero così, in silenzio per qualche minuto.
Erano entrambe tristi in quel momento, ma almeno erano tristi insieme.
Non c’è niente di più bello di quando si ha un’amica disposta ad essere triste insieme a noi.
Così, sedute sul pavimento di un lurido bagno femminile, appoggiate l’una all’altra, Linda e Carey si godettero quei pochi minuti di pace, prima che l’odioso suono della campanella le riportasse al loro grigio e malinconico mondo reale.
 
 
Il nuovo professore di letteratura del liceo, nonché responsabile del club di teatro Michael Joyce, affascinava Taylor. Era un uomo pieno fino all’orlo di informazioni, di storie e di nozioni, così pieno che ormai strabordava e ora più che mai per forza riversa quelle informazioni su qualcuno, altrimenti sarebbe esploso.
E quel qualcuno, con gioia della stessa, era una studentessa eternamente sola di nome Taylor May.
Lei e il suo gruppo di teatro di trovavano in piedi in cerchio, a eseguire la lettura dello spettacolo scelto per l’anno, Sogno d’una notte di mezza estate.
Taylor aveva ricevuto la parte di Ermia, e la cosa le creava parecchio disagio. Era contenta di essere una delle protagoniste, certo, ma non si sentiva nulla in comune con Ermia. Non possedeva lo stesso fascino, la stessa sicurezza e la stessa passione che una Ermia avrebbe dovuto avere. A Taylor non piaceva stare al centro dell’attenzione. Taylor si sentiva ed era un’Elena, destinata a restare sempre nell’ombra di ragazze ben più affascinanti di lei. Così sarebbe dovuto essere, ma il professor Joyce, quando le aveva accordato la parte le aveva detto: “Ti ho scelto perché so che sei in grado di esserlo.” Taylor si era sentita onorata, ma non sapeva se ne era all’altezza.
«”O rabbia! O inferno! Tutti consociati, vedo, per divertirvi alle mie spalle! Se foste appena appena costumati e dotati d’un po’ di cortesia non mi potreste offendere così!”» proclamò con enfasi LeeAnn Anderson di fianco a lei, che aveva ricevuto la parte di Elena. Taylor si sedeva sempre vicino a LeeAnn durante le prove, perché era l’unica persona del gruppo di teatro con cui si trovasse in sintonia. Non parlavano molto in realtà, ma almeno era gentile, e Taylor l’ammirava molto. L’ammirava e la invidiava allo stesso tempo.
«”Ma non potete seguitare a odiarmi, come sono sicura che m’odiate, senza che vi alleiate in questo modo per schernirmi? Se foste veri uomini, come sembrate essere all’aspetto, non vi comportereste in questo modo con una gentildonna come me!”» continuava la giovane Elena.
LeeAnn possedeva veramente un talento straordinario nella recitazione. La sua voce disperata faceva ogni volta venire i brividi a Taylor, e se fossero stati in una vera rappresentazione, in quel momento, e non in un cerchio formato da ragazzini in età puberale, era sicura che si sarebbe messa a piangere davanti a quell’interpretazione.
«Molto bene, LeeAnn» disse il professor Joyce, seduto esattamente dalla parte opposta a lei e Taylor. «Ma non spingere troppo con la voce. Stiamo recitando in una commedia, dopotutto, non una tragedia.»
Fu poi il turno di Calum Wheese, uno dei ragazzi popolari che giocavano nella squadra di football, che interpretava la parte di Lisandro. La differenza di bravura dopo aver sentito LeeAnn era quasi comica, ma Calum era così carino che a nessuno importava davvero se sapesse recitare o no. Nessuno sapeva il vero motivo per cui Calum Wheese si era ritrovato lì con loro, ma voci riportavano che si era iscritto al corso di teatro solo perché sperava di portarsi a letto LeeAnn.
«”Ebbene, vedi, io con tutto il cuore, ti cedo la mia parte del suo amore, e tu a me lascia l’amore di Elena, ch’io amo ed amerò fino alla morte...”»
Mentre la lettura andava avanti, Taylor si ritrovò a incrociare lo sguardo con il professor Joyce, che a sua volta, scoprì, la stava guardando. Taylor riconosceva un certo fascino in lui, nei suoi capelli folti e scuri, nel suo sorriso enigmatico e il viso perennemente sbarbato. Possedeva uno stile impeccabile e una capacità incredibile di rendere due intere ore di lettura di Shakespeare un’attività interessante. Però, pensò Taylor, non era solo quello in lui che l’attraeva...
«Ehi Taylor? Guarda che tocca a te» sentì bisbigliare LeeAnn.
Taylor si riprese immediatamente, diventando rossa in faccia e ritrovando il segno nel panico più totale.
«Scusatemi... aehm.... “Il buio della notte, che impedisce all’occhio di vedere, dà all’orecchio la percezione più viva e sottile-“»
«Taylor.»
Non aveva nemmeno finito di leggere una frase e già era stata interrotta. Era veramente un disastro.
Taylor alzò lo sguardo, ancora rossa in viso e si ritrovò gli occhi verdi del professor Joyce puntati su di lei.
«Cerca di essere più... affranta.» le spiegò gentilmente il professore. «Hai appena scoperto che l’uomo che amavi e da cui credevi di essere ricambiata è invece innamorato della tua migliore amica. Non solo, è innamorato di una ragazza che possiede un decimo del tuo fascino e della tua bellezza. Come ti farebbe sentire una cosa del genere, nella vita reale?»
«Io...» Taylor provava a parlare, ma sentiva che tutti la stavano fissando. «Non molto bene, credo...»
«Non devi semplicemente sentire il tuo personaggio. Devi essere il tuo personaggio. Capisci cosa intendo?»
«Ehm, penso di sì.»
«Come se fosse una cosa facile» sentì commentare LeeAnn sprezzante. «Non è semplice essere un personaggio se si è una persona completamente diversa da lui, professore. Io non mi sento per nulla simile ad Elena, ad esempio.»
«Può darsi» intervenne il professor Joyce. «Ma potete fingere di essere qualcuno e crederci contemporaneamente. C’è gente che lo fa tutti i giorni, no? È il lavoro di un attore. Fingere e credere di essere una persona completamente diversa da quello che si è.»
Michael Joyce guardò i ragazzi ad uno a uno. Si fermò un secondo in più degli altri su Taylor e lei rimase in attesa, con il cuore in gola.
«Qual è la vostra opera di Shakespeare preferita, ad esempio?» domandò improvvisamente.
«Facile: Amleto» rispose immediatamente LeeAnn.
«Sai dirmi il perché, LeeAnn?»
Lei fece spallucce.
«Perché tutte le persone in Amleto sono brutte persone. Sono tutti equamente orribili, non esiste il bene o il male, e tutti alla fine hanno quello che si meritano. Sono tutte brutte persone, tranne Ofelia, ovviamente.»
Il professor Joyce chiese ad uno ad uno la domanda. Passò anche da Calum Wheese che rispose Il Mercante di Venezia.
«È che le donne lì sono tutte molto più furbe degli uomini....  insomma, le due protagoniste spaccano! E poi è divertente.» fu la sua giustificazione.
Tutti dissero la sua, ci furono risate, litigi, finché il professor Joyce non spostò lo sguardo su Taylor.
«Tu che mi dici, Taylor?»
Taylor non dovette pensarci due volte. Lo disse a bassa voce, quasi sussurrando, perché non le piaceva che tutti la sentissero e la giudicassero:
«Beh, forse sarò banale, ma è Romeo e Giulietta. La descrizione dell’amore e le parole usate, sono semplicemente... meravigliose.»
Si udì qualche risata soffocata, ma invece, con sua sorpresa, il professor Joyce le rivolse un bellissimo sorriso.
«Non è affatto banale, invece. È ciò che vi piace che determina chi siete. Il sistema dell’opera di Shakespeare è un buon metodo per capire che genere di persona avete davanti.» Il professore le fece l’occhiolino. Poi, mentre Taylor rimaneva pietrificata a guardarlo, lui si alzò, guardò velocemente l’orologio e proclamò alla classe ad alta voce: «Bene, voglio lasciarvi un compito prima che finisca la lezione. Per essere attori dovete amare anche cose che normalmente non amereste. Voglio che prendiate l’opera preferita della persona alla vostra destra, che la leggiate e che settimana prossima mi presentiate i motivi per cui quella è l’opera migliore di Shakespeare.»
Taylor alla sua destra aveva LeeAnn, per fortuna, si rese conto, almeno Amleto non era così male.
Prima che tutti si alzassero, Taylor guardò il professor Joyce in viso e con tutto il coraggio che riuscì a trovare gli domandò:
«E lei professore?»
Michael Joyce si girò sorpreso.
«Come?» disse, sollevando le sopracciglia.
«Qual è la sua opera shakespeariana preferita?»
Il professor Joyce la guardò per qualche secondo, poi fece un lieve sorriso, quasi imbarazzato.
«È Macbeth
Lo disse a bassa voce, quasi si vergognasse a rivelarlo.
Poi scese dal palco e dopo aver salutato i ragazzi a gran voce, si diresse verso l’uscita dell’auditorium.
 
 
Taylor May rincorse il professor Joyce fuori dall’auditorium, mentre tutti andavano per la propria strada. Lo fermò poco prima dell’uscita.
«Professore! Professor Joyce!»
Lui si voltò, con una sigaretta già tra le labbra pronta per essere accesa e lo sguardo sorpreso.
«Oh, Taylor...» disse, togliendosi la sigaretta dalla bocca. «Hai dimenticato qualcosa?»
«No, io...» Ancora ansimava per la corsa improvvisa. «Volevo solo dirle che apprezzo moltissimo le sue lezioni.»
«Beh, grazie.»
«Insomma, la professoressa Smag era brava, certo. Ma lei, signor Joyce, riesce a tirare fuori il meglio da noi ragazzi.»
«Oh.» Il professor Joyce sorrise, sentendosi evidentemente onorato. «Chiamami pure Michael. Non mi piace essere chiamato per cognome quando non siamo a scuola. Mi fa sentire vecchio.»
Così Taylor e Michael uscirono dalla scuola, fianco a fianco.
Era iniziato ottobre. Gli inverni freddi del nord iniziavano a farsi sentire troppo presto, quando l’anno iniziava a terminare. Non appena uscirono dalla porta principale, il gelo cominciò a congelare le mani di entrambi.
Michael decise che non avrebbe fumato la sua sigaretta. Si girò verso la ragazza.
«Ti serve un passaggio, Taylor? Fa freddo, forse è meglio che ti accompagni.»
«Abito a tre isolati da qui, ma con questo gelo, non vedo perché non dovrei accettare.»
Andarono insieme verso la macchina di Michael, una Bentley nera acquistata di recente, con grande gioia di quest’ultimo. Taylor si sedette al posto del passeggero e si godette il caldo emanato dalla macchina per quel breve tempo che avrebbe passato lì.
Passarono tutto il viaggio in silenzio, ad eccezione delle brevi indicazioni di Taylor. Lei si sentiva così bene in quell’auto, così comoda e così calda.
«Sa, professo- ehm... Michael» gli disse, girandosi verso di lui. «Sono veramente a mio agio quando sto con lei.»
«Ah sì? Beh, è una buona cosa.»
Taylor teneva lo sguardo su di lui, che invece non la notava, poiché aveva gli occhi fissi sulla strada. Taylor osservò attentamente il bel viso del suo professore, poi scese, fino a notare sulla mano che teneva il volante, una brillante fede dorata sull’anulare.
Taylor spostò lo sguardo immediatamente, non appena la macchina si fermò.
«Dovremmo essere arrivati, no?» domandò Michael, guardando fuori dal finestrino.
«Sì.»
Anche Taylor iniziò a guardare fuori dal finestrino. Vide la sua casa, una piccola villa con le pareti bianche e il tetto blu, i due colori che portavano anche le cheerleader di Buckley. Guardò più in là e osservò per un attimo la casa di Simon Coleman, identica ed esattamente di fianco alla sua.
Si ricordò di come da piccoli si parlassero attraverso le finestre, essendo le loro stanze una di fronte all’altra, di come avessero costruito un telefono artigianale con spago e bicchieri per parlarsi, di come Simon una volta si fosse arrampicato su di un albero solo per vederla più da vicino.
Le venne una fitta al cuore e decise che non avrebbe più pensato a Simon, almeno per quel giorno.
Taylor si slacciò la cintura e si girò per ringraziare Michael.
«Grazie mille per il passaggio.»
Michael la guardò, poi le sorrise.
«Allora Romeo e Giulietta, eh?»
«Già...» Taylor fece una leggera risata. «È che mi sono sempre piaciute le storie d’amore impossibili.»
«Capisco.»
Si guardarono negli occhi un secondo, poi Taylor scese dall’auto e si avviò verso casa sua, mentre la Bentley nera sfrecciava via in mezzo alla nebbia.
 
 
«Sei davvero splendida, sai?»
Simon Coleman era seduto nell’ora di pranzo in compagnia della sua nuova fiamma, la Ragazza Nuova appena arrivata a Buckley mentre osservava le sue lentiggini ammaliato.
Aveva deciso che per quella pausa pranzo avrebbe abbandonato il tavolo formato esclusivamente dai suoi amici Numero Sei e lo avrebbe passato con lei.
Si divertiva con lei. Certo, sentiva che tutti lo stavano guardando, i ragazzi lo incitavano, le ragazze guardavano la Ragazza Nuova con un misto di ripudio e invidia.
Ma a Simon non importava.
Aveva scoperto che la Ragazza Nuova era vegetariana e si portava da casa degli strani prodotti a base di latte, che ricreavano il sapore della carne, solo più zuccherato, che a Simon piacevano alla follia.
In quel momento lei stava mangiando uno yogurt di una strana marca islandese certificata al 100% di non essere sfruttatrice di animali.
«Sa di felicità di esseri viventi» proferì allegramente la Ragazza Nuova, mentre poggiava le sue bellissime gambe su quelle di Simon. «Tieni, assaggia.»
Simon lasciò che la Ragazza Nuova lo imboccasse e bisbigli di disgusto e rassegnazione si levarono in tutta la mensa.
«È buono...»
A Simon non importava nulla  dello yogurt, quello che gli interessava era di avere il viso della Ragazza Nuova vicino al suo, in modo da poter osservare e contemplarne la sua bellezza molto più facilmente.
«... Ma mai quanto te.»
La Ragazza Nuova fece una risata imbarazzata e continuò a mangiare il suo yogurt.
A quel punto Simon si decise e le afferrò saldamente una mano, mentre con l’altra le prese il viso e la costrinse a guardarlo negli occhi. Lei si girò sorpresa.
«Senti, stavo pensando» disse, mentre guardava i profondi occhi turchesi della Ragazza Nuova davanti a sé. «è da più di una settimana che noi due usciamo e volevo dirti che tu mi piaci molto...»
«Anche tu mi piaci molto, Simon.» La Ragazza Nuova gli fece un bellissimo sorriso.
«Ecco, sì, appunto» riprese lui, mentre le prendeva entrambe le mani e le portava a sé. «In più io sto veramente bene con te. È da tanto che non provo qualcosa del genere... tu mi completi. Mi piaci più di con ogni altra ragazza con cui io sia mai stato...»
Era una bugia, tutto quello che aveva appena detto era una bugia, ma tanto nessuno lo avrebbe mai saputo.
Prese un lungo respiro.
«Vorresti diventare la mia ragazza?» domandò, tutto d’un fiato.
Attese qualche secondo, per vedere la sua reazione.
Simon si accorse di essere agitato. Non chiedeva a una ragazza di fidanzarsi con lui da... beh, da sempre.
Attese, mentre le labbra della Ragazza Nuova si aprivano in un ampio sorriso.
«Oh, certo che sì!» esclamò lei, poi si avvicinò per baciarlo. Simon si rese conto che non la stessa cosa di baciare le labbra alla ciliegia di Linda, ma era comunque piacevole.
La Ragazza Nuova si staccò dal bacio, poi gli prese il viso tra le mani e lo baciò di nuovo, questa volta molto più violentemente. Simon rimase di sasso.
«Ehi, piccola, non essere così euforica...» disse, notando che tutti in mensa li stavano guardando. «Sai, se continui così rischiamo di portare pettegolezzi che-»
«Dimmi che sono una puttana.»
Simon spalancò gli occhi nella più totale confusione.
«Eh?»
«Dimmi che sono una puttana!»
«Cosa? Ma perché?»
Simon non capiva. La Ragazza Nuova si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò, con voce ammaliante:
«Mi piacciono i cattivi ragazzi. Puoi esserlo per me?»
Ma Simon non era ammaliato. Era spaventato, quello sì. Cosa diamine stava succedendo?
«Ehm... sei una puttana...» disse, senza la minima convinzione.
«Oh, è solo che a-do-ro le storie romantiche in cui la ragazza viene abusata fisicamente e verbalmente dall’uomo! Riesco a relazionarmi così tanto nelle insicurezze delle protagoniste, e i loro uomini, così stronzi e predominanti, sono sempre stati al centro delle mie fantasia preferite!»
«Cosa? Ma è disgustoso, io...»
«Oh, Simon, mi piaci dal primo momento in cui ti ho visto!» continuava la Ragazza Nuova, guardandolo innamorata. «Da quando ci siamo scontrati ho subito pensato: “Eccolo, è lui, lo stronzo giocatore di football che ha sempre avuto solo delle troie con cui scopare e che non si è mai innamorato di nessuna vera ragazza. E io sarò la ragazza gentile e premurosa che riuscirà a cambiarlo, che riuscirà a farlo andare sulla buona strada e lui amerà solo me, e non guarderà nessun altra delle sue troie per il resto della sua vita!”»
Simon si sentì offeso da tutte quelle considerazioni sbagliate su di lui. Tutto quello che la Ragazza Nuova pensava di lui era così distorto e irreale che nemmeno Simon riusciva a crederci.
«Beh, ecco io in realtà...»
Provò a farla ragionare, ma la Ragazza Nuova gli gettò le braccia a collo e urlò nel bel mezzo della mensa ricolma di persone:
«Oh, quanto ti amo, Simon Coleman!»
Simon s’irrigidì di colpo. Le passò una mano tra i capelli e le disse:
«Ahaha sì, anche ioooo.» Ma dentro stava morendo.
Tutti, nessuno escluso, li stavano guardando. Tra la folla di persone scorse Taylor che lo guardava come al solito, ovvero con disapprovazione e disgusto. C’era anche Carey Davis, che sembrava sul punto di scoppiare a piangere. Ma soprattutto vide Linda, che lo osservava con un ghigno vittorioso stampato sulle labbra. Simon non riuscì a sostenere il suo sguardo per più di un secondo.
Solo in quel momento si rese conto di aver commesso l’errore più grande della sua vita.

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Capitolo 10
*** Il 14 scarlatto ***


LA MISTERIOSA SCOMPARSA DELL'AUTRICE DI STA STORIA


Ciao a tutti, o ragazzi e ragazze. Se vi state chiedendo che fine abbia fatto io in questi mesi di assenza, non so rispondervi manco io. 
Semplicemente è stato un circolo vizioso in cui dicevo cose tipo "eh, no vabbé ma alla prossima recensione pubblico, eh. Loggiuro, eh" per poi rimanere qui a osservare senza poter mai far nulla.
EH EH INFAMELLY!
No, davvero, poi me so' resa conto che non aveva senso farlo per le recensioni, perché sì, vale sempre la storia del "si scrive per paxxione non per i soldi!1!" e bla bla bla, e soprattutto per questa storia, che ce l'ho programmata dall'inizio alla fine, me pareva brutto lasciarla a metà, anche se se la cagano tipo in quattro persone.
Quindi ho pensato, LO FASHIO X VOI, care  poche persone che stanno ancora qua a leggere, perché sono tutt'ora fermamente convinta che c'è bisogno di abbattere la piaga delle storie trash, parodiandole una volta per tutte. E dato che nessuno l'ha ancora fatto, adempierò io a questa missione.
Dato che sono passati un bel po' di settimane e sono convinta che abbiate molto di meglio da fare che stare qui a rileggervi le mie storie (e meno male), ho deciso di farvi un riassuntazzo delle puntate precedenti, in pieno stile drama teen americano, così per restare in tema e rinfrescarvi la memoria prima di questo nuovo, entusiasmante capitolo.
Scusate ancora tanto e lunga vita ai porcospini,
Mel.


...

PREVIOUSLY ON LE PUNTATE PRECEDENTI DE "LAKATENAH"

Ci troviamo a Buckley un paese immaginario (quindi non cercatelo su google, plox) sperduto, minuscolo, malcagato del Midwest, dove nell'unico liceo della città c'è una stretta Catena di Popolarità che tutti devono rispottare, e la capo-cheerleader Linda Collins detiene il potere maxima di tutto, insieme alle sue amiche della squadra: Carey, la sua migliore amica, Janissa, a cui ruba letteralmente il ragazzo durante il primo giorno di scuola, Chloe, la cheerleader scema e Stephanie, quella mai considerata. L'ex-fidanzato di Linda, Simon Coleman, secondo nella Catena solo a lei, decide di dichiararle guerra proprio durante il primo giorno di scuola, e di cercare di raggiungere il primo posto della classifica, degradandola, ricordandosi malgrado dei brutti tempi in cui era ancora uno sfigatello, ma dopo essersi perdutamente innamorato di Linda, lei lo aveva portato ai vertici della popolarità. Carey è innamorata di Simon da sempre, ma lui non se la fila e quindi si dispera. Ci sono dei nuovi arrivati in città, tra cui la Ragazza Nuova, una bellissima ragazza che subito ha un flirt e poi una relazione con Simon (in realtà è però tutto un piano di Simon per ribaltare le idee di popolarità della Catena e la Ragazza Nuova si rivela essere una psicopatica masochista), il professor Michael Joyce, un gran pezzo de manzo super-acculturato in letteratura, a cui si affeziona subito Taylor May, migliore amica di Simon dai tempi in cui erano ancora sfigati insieme e da sempre innamorata di lui. C'è poi Regan Weston, una ragazza afroamericana piuttosto ribelle, e Alexis Golde, un'altra ribelle che sembra avere certi apprezzamenti per Stephanie ( ͡° ͜ʖ ͡°). Tra citazioni letterarie colte che l'autrice inserisce solo per fare la figa, misteriosi biglietti che vengono ritrovati negli armadietti e tutte queste strane, nuove persone che di punto in bianco hanno deciso di arrivare all'improvviso, è subito ben chiaro che Buckley non è più quella di una volta...




 
Capitolo 9
Il 14 scarlatto

 

"Take me now baby here as I am
Pull me close, try and understand
Desire is hunger is the fire I breathe
Love is a banquet on which we feed
"
"Because the Night", Patti Smith 1978


 
Linda Collins osservava da quasi tutta l’ora il nuovo professore di letteratura, il signor Michael Joyce ammaliata, mentre dalla sua bocca uscivano in continuazione frasi inutili e nozioni su quell’atroce romanzo che era La lettera scarlatta di Hawthorne.
Sebbene fosse stato assegnato per l’estate, Linda non aveva letto quel libro, né aveva intenzione di farlo nella sua vita. Non solo era stata impegnata tutta l’estate a riprendersi dalla sua a rottura con Simon, ma già a partire dalla trama le era sembrato un orribile romanzo pseudo-romantico socialista e maschilista, le uniche tre cose alle quali Linda non era minimamente interessata. A lei piacevano le storie di potere, di lotta politica, dove i cattivi hanno sempre quello che si meritano, come in Macbeth e Il Signore delle Mosche.
Nonostante ciò, c’era d’ammettere che il professor Joyce (o, come lo avevano soprannominato le sue amiche, il professor Stranamore) era un vero spettacolo da osservare. Avrebbe potuto sbavare davanti a quel corpo incantevole per ore, di qualsiasi cosa parlasse.
«”Egli riteneva essenziale, così pareva, conoscere l'uomo prima di tentare di fargli del bene. Quando esistono cuore e intelletto-“»
Linda alzò di scatto la mano, interrompendo la lettura del professore.
Michael Joyce alzò lo sguardo dal suo libro, osservandola quasi stupito.
«Sì, Linda?»
Linda Collins sfoggiò uno dei suoi bellissimi sorrisi, prima di intervenire.
«Ecco, signor Joyce, non mi è chiaro...» iniziò, facendo una finta faccia da ruffiana. «Come mai Hester vorrebbe tacere sull’identità del proprio amante, ovvero l’uomo che è stata la causa di tutte le sue sofferenze fino ad ora?»
Il professor Joyce le sorrise (un sorriso bellissimo, non c’era che dire) prima di risponderle.
«Beh, la risposta è molto più semplice di quanto sembri: perché Hester ama il reverendo».
«No, no questo l’avevo capito» si affrettò a specificare lei. «Quello che non comprendo è come una donna possa annullarsi così tanto, quando l’uomo che ha compiuto gli stessi suoi peccati, se non peggiori, possa invece avere vita facile, venerato da tutti come un santo, né come lei, la stessa persona che lo sta proteggendo, possa vivere felice in questo modo».
«Stai semplicemente guardando il romanzo con gli occhi di una persona di questo secolo, Linda.» Il professore le rispose con un tono estremamente gentile. «Per una storia ambientata nel milleseicento questa mentalità era abbastanza normale...»
«Lei cosa ne pensa allora, professore?» intervenne nuovamente Linda, mentre tutti li stavano a guardare intrigati la scena. «Pensa che sia corretto il comportamento di Hester? Intendo, per una persona che possiede ancora un minimo di dignità, ovviamente».
Nell’aula calò il silenzio. Le ragazze misero di mettersi lo smalto, gli uccelli smisero di cinguettare e perfino il professore andò lentamente a sedersi sulla cattedra, prima di rispondere. Fece un lungo respiro, poi un altro. Sembrava quasi non sapesse cosa rispondere. Le lancette dell’orologio ticchettavano più forti ad ogni secondo che passava.
Finalmente il professore alzò lo sguardo verso di lei. Linda si perse in quei due meravigliosi occhi verdi. Prese un ultimo respiro, poi si decise a rispondere:
«Non mi permetto di giudicare le scelte di un personaggio, io» disse, tornando di nuovo al suo solito tono gentile. «Questo romanzo non vuole parlare di personaggi, è questo il punto. È un libro che vuole parlare di una società sbagliata, in cui i poco di buono e gli ignoranti sono al potere, in cui tutti seguono degli ideali e delle convenzioni dettate dalle loro assurde credenze, valorizzandone le restrizioni e ignorandone gli orrori, lasciando che queste oscurino sempre di più la loro umanità...»
Il professor Joyce aveva spostato lo sguardo su tutti gli studenti mentre parlava, ma nel momento in cui il suo sguardo ritornò su Linda, il suo viso e il suo tono di voce divennero improvvisamente seri:
«Quindi forse ti consiglierei di rileggere questo libro con più attenzione, Collins».
Le lancette smisero di ticchettare e la campanella suonò. Tutti gli altri studenti si alzarono in un lampo e a poco a poco, presero tutti i loro zaini e uscirono dalla porta.
Linda attese qualche minuto, aspettando che tutti uscissero dall’aula, nel frattempo si sistemava il trucco e i capelli, che quel giorno aveva deciso di portare sciolti.
Non appena l’aula fu vuota, Linda si avvicinò al professor Joyce, seduto sulla cattedra, mentre osservava il suo libro senza dire nulla. La ragazza si appoggiò alla cattedra, facendo attenzione al piegarsi il più possibile, senza però sembrare troppo ovvia.
«Professore, le chiedo infinite scuse» gli disse con un sorriso. Lui si accorse della sua presenza solo nel momento in cui iniziò a parlare. «Ecco, sa, è che non sono molto brava in letteratura. Mi piace leggere, certo, ma sono sempre chiusa nel mio punto di vista e non riesco proprio a farne a meno!»
«Non fa niente, tranquilla» le rispose Joyce, con un sorriso sulle labbra. «Non è un lavoro facile, in effetti, vedere le cose da un punto di vista che non sia il nostro».
«Ha perfettamente ragione, sa!» fece Linda, con il tono più finto che riusciva a fare. Avrebbe potuto facilmente vincere un Oscar, quando si trattava di uomini da dover conquistare. «È che... ho sempre difficoltà nel trovare qualcuno che mi capisca veramente».
Poi, vedendo che il professore continuava a ignorarla, si avvicinò ancora e decide di sganciare la bomba.
«Beh, le cose nella mia vita ultimamente non vanno proprio bene, insomma...» continuò, abbassando leggermente la voce. «I miei genitori sono sempre impegnati o fuori casa, non mi considerano quasi mai. Il mio ragazzo è bellissimo, per carità, ma è un totale deficiente. Vorrei tanto avere qualcuno di acculturato, qualcuno come lei, professore, qualcuno che mi possa capire fino in fondo...»
Mentre stava parlando, Linda si era avvicinata sempre di più. Pian piano la sua mano si era spostata sul legno bianco della cattedra, fino a posarsi delicatamente su quella immobile del professore.
«Lei pensa che potrebbe... aiutarmi?»
Nel momento in cui avvenne il contatto, Joyce abbassò lo sguardo senza capire. Guardò la mano di Linda stringersi alla sua, e in un attimo divenne tutto chiaro.
Rialzò lentamente il suo sguardo di ghiaccio verso di lei.
«La lezione è finita, Linda» le disse, con un insolito tono freddo. «Credo proprio che ora dovresti andartene».
Linda lo guardò in silenzio per un attimo, poi ritrasse la mano velocemente.
Facendo finta di nulla, salutò cordialmente il professore, gli sorrise smagliante e uscì dall’aula senza dire altro. Camminando a testa alta per il corridoio, decide di dimenticarsi di tutto in un veloce secondo.
Ma sapeva, di certo, che non era finita lì. Linda Collins riusciva sempre a ottenere quello che voleva, dopotutto.
 
 
Stephanie Cromwell si stava sistemando la sua coda di capelli, guardandosi nello specchietto del suo armadietto, quando all’improvviso notò nel riflesso il bellissimo viso olivastro di Janissa apparire dietro di lei.
Si girò, ma non fece nemmeno in tempo a chiederle qualcosa che già la sua amica le chiese, con tono brusco:
«Sai dov’è Carey?»
«Ehm... no».
«Merda, ma perché sono l’unica a cui importa ancora qualcosa di questa cazzo di squadra?»
Dopo aver imprecato, Janissa se ne andò a passo svelto, mentre la sua coda di capelli bruni svolazzava nell’aria.
Stephanie sospirò, chiedendosi tra sé e sé quando sarebbe arrivato il giorno che le sue amiche cheerleader la prendessero davvero in considerazione. Sì, era nella squadra solamente dall’anno scorso, mentre Carey e Chloe da un anno in più di lei, per non parlare di Janissa e Linda che erano cheerleader già al primo anno. Capiva benissimo perché non la calcolassero mai, né durante i loro brevi allenamenti, né in tutte le loro losche sottotrame che usavano per governare la scuola dall’interno. Voleva semplicemente essere parte attiva di quel piccolo gruppo, non essere lasciata sempre a curare le nuove reclute.
Camminò lentamente per i corridoi, fermandosi a osservare le poche persone presenti all’ora di pranzo. Quasi tutti si stavano dirigendo verso la mensa, ma a lei non importava. Voleva avere un attimo solo per sé.
Si fermò all’improvviso quando scorse, poco più avanti da dove si trovava lei, Alexis Golde, la ragazza che aveva conosciuto durante il suo fatidico primo giorno di scuola.
Sedeva per terra, con la schiena attaccata al muro, guardando le persone passare davanti a lei con tono disinteressato. Nel frattempo fumava una sigaretta, nonostante fosse severamente vietato farlo all’interno della scuola. Ma tanto la preside Finch se ne stava tutto il giorno in presidenza a scolarsi shottini di assenzio, difficilmente se ne sarebbe accorta.
Si avvicinò a lei, non sapendo esattamente cosa dirle. Per fortuna Alexis la notò subito e, con uno smagliante sorriso, la salutò entusiasta:
«Ehi, chi si rivede! Stephanie, giusto?»
Stephanie annuì e le sorrise di rimando. Andò verso Alexis e decise di sedersi accanto a lei. Non sapeva esattamente cosa stesse facendo, semplicemente voleva avere qualcuno con cui passare del tempo. Qualcuno che la considerasse davvero.
Alexis continuava a fumare e a guardarla, quasi divertita.
«Tutto bene?» le domandò all’improvviso.
«Sì... insomma, almeno credo».
Il fumo tra le due si faceva sempre più fitto. Le due ragazze rimasero in silenzio, lì sedute in mezzo al nulla, mentre il corridoio si faceva sempre più deserto.
Stephanie osservò attentamente le dita di Alexis, ricoperte da un guanto nero, che tenevano la sigaretta, portandola avanti e indietro dalle sue ammalianti labbra. Osservò i suoi capelli biondi e lisci, i suoi occhi contornati di nero e si rese conto, solo in quel momento, che la invidiava, la invidiava da morire. Invidiava il suo fare così menefreghista, così nullafacente, così tranquillo e sfacciato.
«Allora» cominciò Alexis. «È andato tutto bene con la tua capo-cheerleader fuori di testa?»
«Oh». Stephanie abbassò lo sguardo e sorrise. «Non gliel’ho neppure detto, figurati. Nessuno sa le scenate che avrebbe fatto le lo fosse venuto a sapere...»
«Beh, buon per me allora».
Stephanie le sorrise, pensando tristemente che avrebbe voluto tanto essere come lei.
Si sistemò, lasciandosi andare contro la parete e distendendo le gambe.
«Alexis, posso domandarti una cosa?» chiese, osservandola.
Alexis si girò per guardarla.
«Dimmi pure».
«Come fai a essere sempre così tranquilla tu?»
Alexis rise, buttando fumo fuori fumo grigio ad ogni risata.
«È davvero una domanda difficile, sai?» disse, portandosi la sigaretta alla bocca. «Penso che il trucco sia semplicemente fregarsene di tutto».
«E... come si fa a fregarsene di tutto?» Stephanie guardava il muro bianco, immobile davanti a lei. «Voglio dire, io ci provo ogni tanto, ma non ci riesco mai. Penso sempre a cosa potrebbero pensare gli altri di me, perché non sono abbastanza talentuosa, abbastanza bella, abbastanza diversa dalla massa. Non sono abbastanza per la gente».
Alexis rimase in silenzio. Sembrò pensarci su, poi proferì, improvvisamente:
«”Non so quel che pensiate, tu ed altri, di questa vita, ma, per conto mio, meglio vorrei non essere mai nato che viver nel terrore d'un mio simile, d'un uomo in carne ed ossa come me”»
Stephanie si voltò stupita verso di lei, riconoscendo all’istante la citazione.
«È Shakespeare, vero?»
Alexis annuì.
«Giulio Cesare».
Stephanie sospirò e improvvisamente si rese conto che, malgrado fosse invidiosa di lei, con Alexis si sentiva molto a suo agio.
«Forse l’opera di Shakespeare che preferisco» confessò Stephanie. «Adoro il modo in cui riesce a stravolgere perfino dei personaggi storici. Bruto e Cassio oltretutto, che ai suoi tempi erano ancora considerati i peggiori esseri umani mai esistiti, lui riesce a renderli umani, a farci quasi provare pietà per loro...»
«Insomma, puoi biasimarli?» disse Alexis. «Chi non vorrebbe uccidere un dittatore, despota e usurpatore come Cesare?»
«Oh, no, in realtà io non provo affatto pietà per loro» la informò Stephanie, sorridendo. «Anzi, sono quasi convinta che nemmeno Shakespeare provasse pietà per loro. Voleva solo mostrarli come degli esseri umani, ma questo non significa che siano giustificabili».
Ci pensò su, mentre Alexis la guardava, come se fosse realmente interessata a ciò che avesse da dire. A nessuno era mai importato di ciò che avesse da dire lei, pensò Stephanie.
«No, non c’è nessuna giustizia per i traditori. E Bruto e Cassio sono solo dei traditori. I traditori non possono essere giustificati» continuò, guardando davanti a sé ed esprimendo tutto ciò che aveva da sempre tenuto dentro. «Ho sempre provato gioia nel leggere della loro morte. Vederli soffrire, perdere ogni speranza... E ritrovarsi a pensare, alla fine della tragedia: dopo tutto quello che hanno fatto, che finalmente i traditori hanno ciò che si meritano”».
Poi spostò velocemente lo sguardo sul pacchetto di sigarette che Alexis aveva ancora in mano.
«Posso averne una?» domandò. Alexis si stupì immediatamente.
«Sei sicura?» chiese la ragazza, titubante. «Ma hai mai fumato prima d’ora?»
«No, ma chi se ne importa». Stephanie volse lo sguardo e si perse dentro gli occhi verdi di Alexis. Le sorrise. «E poi sei stata tu a dirmi un secondo fa che dovevo fregarmene di tutto».
Alexis le ricambiò il sorriso.
«Sei forte, ragazza» le disse, mentre le allungava una delle sue sigarette.
«Grazie, anche tu».
 
 
Linda Collins afferrò l’ultimo pane integrale rimasto sul banco della mensa e si avviò con il suo vassoio mezzo vuoto a fare slalom tra i tavoli, mentre la sua nuova recluta, soprannominata da lei Permanente, che nel frattempo la seguiva imperterrita, come una schiava, e continuava a farle domande.
«Quindi, dimmi: cosa faccio se c’è un ragazzo più grande che mi piace? Eh, eh?» domandò Perm, mentre la rincorreva per la mensa.
Linda era infastidita dalla sua presenza, soprattutto perché quella ragazza, oltre ad avere dei capelli ripugnanti, non la smetteva di parlare un secondo. Ma d’altronde aiutare le nuove reclute a diventare delle vere cheerleader era il suo scopo principale in quella maledettissima scuola.
Così continuò a conversare con lei, dandole consigli anche abbastanza buoni.
«La regola principale per conquistare un ragazzo, Perm, è fargli credere che in realtà è lui a volerti» disse, senza voltarsi indietro. «Devi andare da lui, essere provocante e discreta allo stesso tempo. Quando poi sarà chiaro che anche lui ti vuole, allora potrai iniziare con le vere avance».
«Quindi... basta comportarsi da zoccola?»
«Cosa? No!» Linda si fermò, costringendo Perm a fare lo stesso e si girò di colpo verso di lei. «Comportarsi da zoccola ed avere fascino sono due cose diverse» disse. «Ti insegnerò a capire la differenza un giorno».
Linda riprese a camminare e Perm la seguì.
«Non potresti insegnarmela subito?» ricominciò la giovane recluta, imperterrita e insaziabile. «Dai, Linda, ti prego, ti prego...»
«Senti» disse Linda. «Non sono cose semplici da insegnare. Quando sarai già al terzo anno magari potrò anche insegnarti la tecnica del-».
Linda si bloccò di colpo.
Anche Perm la notò e si fermò di fianco a lei, chiedendosi cosa fosse successo di così grave. Linda in una attimo si era immobilizzata, aveva spalancato gli occhi ed era diventata pallida come un cadavere.
Non ci poteva credere.
Il tavolo al centro della mensa, che era sempre stato, almeno dai tempi più remoti, il tavolo riservato alle cheerleader e ai loro popolarissimi fidanzati, quel giorno era stato già occupato da qualcun altro. E Linda non riusciva a credere ai suoi occhi.
Al tavolo al centro - al SUO tavolo al centro - erano sedute tre ragazze: la ragazza afro-americana lanciatrice di caffè e dal nome improponibile con cui si era scontrata il primo giorno di scuola, la stramaledettissima, ignobile, odiosa, atroce Ragazza Nuova che le aveva rubato l’ex-fidanzato e soprattutto May, quel lurido pezzo di schifo che era Taylor May, tutte e tre erano sedute al tavolo che le apparteneva di diritto, e chiacchieravano animosamente al tavolo come se fosse tutto a posto.
Linda divenne improvvisamente rossa in viso.
«Perm...» disse, cercando di rimanere calma il più possibile. «Tienimi il vassoio. C’è una faccenda che devo risolvere al più presto».
 
 
Taylor May sentiva di aver trovato finalmente delle nuove amiche. La Ragazza Nuova e Regan Weston erano entrambe fantastiche, gentili e cordiali, soprattutto con lei, che non incontrava qualcuno del genere da fin troppo tempo. E Taylor si trovava così bene con loro. Erano simpatiche, erano carine, avevano così tante cose in comune e non erano affatto superbe o meschine come le cheerleader della sua scuola.
Taylor sapeva bene che la Ragazza Nuova si era ufficialmente messa insieme con Simon; tutta la scuola ne era a conoscenza, ma le andava bene: Simon era acqua passata ormai, e la Ragazza Nuova aveva tutto il diritto di essere felice con lui.
Taylor si era resa conto di quanto quelle due ragazze fossero forti nel momento in cui avevano deciso di sedersi al tavolo delle cheerleader in centro alla mensa.
“Il tavolo è vuoto, è il più pulito e il più grande della sala. Non vedo perché non dovremmo sederci noi” aveva detto Regan, e Taylor sebbene le avesse avvisate che, se Linda Collins le avesse viste sarebbe scoppiato un pandemonio, loro avevano commentato con un forte e deciso “Vaffanculo Linda Collins”.
E così una nuova eterna amicizia era appena nata tra le tre.
Taylor stava parlando con loro di libri di Jane Austen, quando improvvisamente vide, con orrore, che Linda Collins si stava avvicinando al loro tavolo con sguardo minaccioso. Arrivò in fretta davanti a loro, con la sua tuta bianca e blu attillata, con il volto austero e lo sguardo di ghiaccio fisso sulle loro teste.
Taylor si rese conto di stare tremando dalla paura, mentre la Ragazza Nuova e Regan continuavano a parlare tranquillamente.
«Ehm, ehm!»
Solo nel momento in cui Linda fece notare la sua presenza le due ragazze si accorsero di lei. Notarono che lo sguardo con cui le fissava ricordava molto quello di Satana in persona, ma non si allarmarono, a differenza di Taylor che iniziò, suo malgrado, a sudare freddo.
«Oh, ciao Linda» disse la Ragazza Nuova, con calma nella voce. «Ti serve qualcosa?»
Linda non rispose subito. Si mise a braccia conserte e le guardò con uno strano, enigmatico sorriso.
«Guarda guarda guarda...» cominciò, avvicinandosi al tavolo. «I tre esseri più inietti al mondo si sono riuniti per far fronte al loro bassissimo QI e formare un cervello in tre. Complimenti, sono davvero impressionata».
«Che cosa vuoi, Linda?» disse Taylor buttando fuori la voce improvvisamente, e stupendosi del suo stesso coraggio.
Linda spostò lo sguardo velocemente da una all’altra.
«Signora Uccello, psicopatica mangia-uomini e fenicottero con l’ulcera... temo davvero che vi siate sedute nel tavolo sbagliato».
«Perché?» chiese Regan, addentando un boccone di pane.
«Questo è il tavolo della mia squadra» rispose Linda secca. «Lo è secondo la Regola #33 della Catena: “alle cheerleader e ai compagni di esse è riservato durante le ore di pranzo e non, senza eccezioni di alcun genere, nemmeno in casi straordinari, il tavolo in centro alla mensa”. Quindi, se entro dieci secondi non vi levate da qui, si scatenerà l’inferno, vi avviso».
Taylor non disse altro. Era da tanto tempo che nessuno a scuola sfidava Linda. Nessuno aveva più il coraggio, almeno non dopo che era successa la cosa di Bethany Mayers due anni prima.
Ma Regan e la Ragazza Nuova erano arrivate da poco. Erano le sole che avrebbero potuto andare contro Linda.
Entrambe si alzarono in piedi e guardarono la cheerleader, faccia a faccia. Taylor si sentì esclusa e si alzò in piedi anche lei, senza sapere bene che cosa fare.
«Su questo tavolo ci siamo sedute prima noi» iniziò Regan, con la sua voce squillante e imponente. «Voglio che tu capisca, qui e ora, che a me e a queste ragazze non frega un emerito cazzo delle tue stupide Regole o di questa schifo di Catena che tu nomini sempre. Chiaro il concetto?»
Tutta la mensa si era improvvisamente zittita. Tutti osservavano la scena intrigati, e bramavano il sangue nella loro testa.
Prima che Linda potesse dire qualcosa, la Ragazza Nuova intervenne:
«Linda, perché non scegli un altro tavolo?» disse con un tono che, tuttavia, non risultò affatto gentile. «Ce ne sono così tanti altri liberi... Perché non provi quello vicino ai cassonetti? Almeno starai vicino a qualcosa che richiami alla tua personalità»
La capo-cheerleader la guardò con il suo sguardo assassino. Poi le urlò in piena faccia:
«No, razza di gallina masochista! Questo è il mio tavolo! Sono io la reginetta del ballo, sono io la Numero Uno, questa è la mia scuola! E se voi tre cretine non imparate a starvene al vostro posto una volta per tutte, ci saranno gravissime conseguenze per voi!»
Poi si appoggiò sul tavolo e si mise esattamente davanti alla Ragazza Nuova, avvicinandosi al suo viso:
«Credevo di averti già avvisato una volta, Ragazza Nuova. Pensi davvero di riuscire a spaventarmi con i tuoi stupidi insulti? Ho già capito di che stoffa sei fatta. Tutti l’abbiamo capito, dopo la tua patetica scenetta con Simon l’altro giorno».
«Simon mi ha già detto tutto di te, lo sai?» disse la Ragazza Nuova. Malgrado la sua voce non fosse potente quanto quella di Linda, riusciva a tenerle testa. «Mi ha detto come lo trattavi, dei tuoi patetici tradimenti, di come sei tutt’ora così tremendamente ossessionata da lui...»
«Ossessionata?!» fece Linda, infuriata. «L’ultima cosa di cui mi potrebbe mai importare è il sapere chi si scopa quel deficiente di Simon Coleman!»
«Simon è un ragazzo straordinario e tu non hai nessun diritto di insultarlo!» strillò la Ragazza Nuova e tutti si voltarono per guardare. «E se proprio lo vuoi sapere, sono ancora vergine».
«Oh, ma che carina! Per caso hai anche una tessera d’iscrizione all’oratorio della Santa Chiesa di Gesù Martire da mostrarmi, così posso mettere il tuo nome in lista d’attesa per la canonizzazione?»
La Ragazza Nuova si zittì. Linda si avvicinò ancora di più, e quando riprese a parlare, il suo tono era più calmo e decisamente più basso:
«Simon Coleman, Simon Coleman, ma certo... Perché voi idiote credete di conoscerlo davvero solo perché è un angelo dagli occhi celesti che vi parla in modo ammaliante e vi tratta come delle principesse, vero?» proferì, quasi ridendo. «Allora dimmi, Ragazza Nuova, perché la prossima volta che lo vedi non vai dal tuo amatissimo Simon e non gli chiedi di tutte le assenze che fece al secondo anno per motivi mai specificati? Di tutte le misteriose... “amiche” che frequentava al Bar Longe il sabato sera o del perché, ogni volta che cercavo di chiamarlo nei momenti di bisogno, il telefono fosse sempre occupato. Chissà».
Taylor l’ascoltò e rimase sconvolta.
Non era vero. Simon non avrebbe mai potuto tradire nessuno. Non era da lui, non il vero Simon. Non quello che conosceva lei almeno. Abbassò lo sguardo senza dire nulla, quando si rese conto che forse nemmeno lei era in condizioni di poter dire nulla in quel momento.
Linda incredibilmente decise di lasciare in pace le tre ragazze. Loro si sedettero al tavolo, cercando di far finta di nulla, nonostante sapessero bene di avere gli occhi di tutta la mensa puntati su di loro.
 
 
Linda uscì velocemente dalla mensa senza dire altro. Perm, che era rimasta ad osservarla per tutto il tempo, la raggiunse fuori correndo.
«Voglio solo dirti che sei stata veramente fantastica!» le disse la ragazza entusiasta della sua performance. «Anche tutte quelle bugie che hai raccontato sui tradimenti di Simon Coleman... beh, wow!»
«Già...»
«Ma quella era Taylor May, giusto?»
Linda si girò, stupendosi che una cheerleader del nuovo anno conoscesse il nome di Taylor, la ragazza più sfigata che potesse mai esistere in quella scuola.
«Sì» disse Linda, basita. «Come fai a conoscerla?»
«Oh, nulla di che». Perm rise tra sé e sé. «Semplicemente gira un certo pettegolezzo tra lei e un certo professore. Le ragazze la chiamano “Miss Stranamore” perché sta sempre a parlare con quel professore di letteratura figo, lì, Joyce. E ogni volta che sono insieme sembrano volersi mangiare con gli occhi, sono proprio due piccioncini!».
Linda la guardò senza capire. Poi volse lo sguardo, fece due più due, iniziò a capire, a rendersi conto, a mettere insieme tutti i puzzle nella sua testa. E di colpo la Linda benevola scomparve, non c’erano più rimorsi riguardo a nulla, non c’erano più rimpianti riguardo a nessuno, non c’erano più sofferenze passate. C’era solo odio, odio, e nient’altro che odio.
Nessuna giustizia per i traditori. Nessuna.
«Quella lurida...!»
Se ne andò di colpo, lasciando lì Perm confusa e da sola.
Si diresse infuriata verso l’aula di arte e la trovò fortunatamente deserta. Frugando tempestosa tra i cassetti e gli armadi trovò della tempera rossa e un pennello delle giuste dimensioni.
Li afferrò, tornò indietro sui suoi stessi passi, rientrò nella mensa, con gli occhi iniettati di rabbia, raggiunse il tavolo che la Ragazza Nuova, Regan e Taylor ancora occupavano.
«Ma cosa-» disse la Ragazza Nuova, non appena la vide, ma non fece in tempo a dire nulla.
Linda non la considerò. Si girò verso Taylor, che nel frattempo si era alzata nel tentativo di capire cosa stesse succedendo. Prese il pennello e imbrattatolo di tempera rossa, disegnò un enorme Quattordici sulla canotta bianca della ragazza. Taylor la guardò a bocca aperta.
Si voltò e vide che tutti la guardavano. Regan e la Ragazza Nuova la fissavano sconvolte, quasi spaventate. Linda le guardò.
«E guerra sia» disse solamente.
Poi girò i tacchi e uscì velocemente dalla mensa.
 


 

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Capitolo 11
*** C'è un cadavere che ama scendere le scale ***


 
Capitolo 10
C’è un cadavere che ama scendere le scale


"Robbin' people with a six-gun
I fought the law and the law won
I fought the law and the law won

I lost my girl and I lost my fun"
"I Fought the Law", Bobby Fuller 1964


 
 

 
Linda Collins camminava furiosa per il corridoio della scuola. Non gliene importava più nulla ormai. Aveva appena mostrato a tutti di che stoffa era fatta, ora l’unica cosa che voleva era trovare Simon e urlargli addosso tutto ciò che aveva da dirgli da fin troppo tempo.
Aveva sentito dire da alcune delle sue giovani reclute che Simon si trovava fuori dall’auditorium. Linda procedeva e ripeteva nella sua testa, intanto, tutto ciò che gli avrebbe detto da lì a poco. Ripeteva, ripeteva, e quasi non si accorse di un poster piuttosto sospetto, alto quasi un metro e mezzo, che era stato appiccicato alla parete del corridoio.
Gli passò davanti dandogli una veloce occhiata. Poi però, rendendosi conto di ciò che si trattava, ritornò indietro sui suoi passi sconvolta.
Linda guardò il cartellone con un misto di stupore e disgusto.
Sul poster, creato con un’orribile fotomontaggio, c’erano le enormi facce di Simon e della Ragazza Nuova che, abbracciati e felici, sorridevano al mondo con i loro vestiti da ballo e le loro corone scintillanti in testa. Sotto di loro una scritta recitava:
 
“Vota Simon Coleman e la Ragazza Nuova re e reginetta del nuovo anno!”
 
Linda lo guardò per un solo secondo, poi si avventò contro il poster, staccandolo violentemente dalla parete. Si diresse verso l’auditorium con passo ancora più svelto, portandosi in mano l’ignobile cartellone.
Davanti all’auditorium trovò finalmente Simon, intento ad attaccare con una sparachiodi altri di quelle sue oscene locandine propagandistiche alle pareti della scuola. Una sfilata di altri poster identici le apparve dinnanzi. Si riproducevano in fila, per tutto il corridoio, ininterrottamente.
Linda si avvicinò a Simon, che nel frattempo non l’aveva ancora notata, così intento a lavorare alla sua campagna politica.
Solo quando furono faccia a faccia finalmente Simon mise giù la sparachiodi e la guardò.
«Cosa cazzo è questo?!» domandò Linda infuriata, mostrandogli il poster che aveva strappato poco prima.
Simon sorrise, poi si girò e riprese ad attaccare i cartelloni.
«Cosa? È normale che voglia farmi un po’ di pubblicità, no?»
Finì di attaccare il cartellone e passò al seguente, mentre rideva beffardo sotto il naso.
«Il ballo è tra sette mesi!» urlava Linda, seguendolo. «Credi davvero che se inizi adesso a sbattere in faccia alla gente il tuo orrendo faccione posterizzato la gente ti voterà di più?»
«Stai zitta e non rompere. Tanto sei solo gelosa: hai solo paura che la Ragazza Nuova ti possa sostituire, come effettivamente accadrà!»
Simon le lanciò un sorriso e Linda divenne rossa dalla rabbia.
«Credi davvero che quell’ameba della tua nuova fidanzatina possa battermi?»
Linda si spostò velocemente e si mise faccia a faccia con Simon, bloccandogli definitivamente la strada. Linda era molto più bassa di Simon, ma per qualche motivo, in quel momento sembrò molto più imponente.
«Posso distruggerti ogni volta che voglio, Simon» gli disse. «E tu in questo momento tu stai infrangendo le Regole della Catena»
Simon si fermò.
«Di cosa stai parlando?»
Sulle labbra di Linda sbucò improvvisamente un sorriso.
«Regola #8.5 della Catena: “Un soggetto dei posti superiori al Sei non può intraprendere relazioni di qualsiasi genere con soggetti di posto inferiore al Dieci”. Ergo, mettendoti con la Ragazza Nuova hai infranto una delle Regole fondamentali dell-»
«Ti sbagli» la interruppe Simon. «Regola #11, comma 2: “Ai primi quattro posti della Catena è riservata l’idoneità dalle prime dieci regole”. Ergo, non credo di aver infranto nessuna Regola, Lin».
Linda lo guardò, beffarda ma leggermente sconvolta da quella risposta così pronta.
«Cos’è, ora credi di potermi battere con le Regole?» disse, quasi ridendo. «Le ho scritte io quelle regole, Simon!»
«Sì, beh, dopo che ci siamo lasciati quest’estate, sapevo bene che tra di noi sarebbe scoppiata una guerra» si affrettò a rispondere Simon. «Ho passato tutto il resto dell’estate a impararmi a memoria ogni singola Regola, ogni sua singola sfaccettatura, solo per poterti sconfiggere più facilmente!».
Linda era altamente colpita, ma non lo diede a vedere. Cercò di trovare qualcosa da rispondergli, ma Simon la prese per le spalle e la sbatté contro la parete, costringendola a guardarlo in faccia.
«Lasciami andare, cazzo di maniaco...».
Linda provò a divincolarsi, ma Simon riprese a parlarle, guardandola negli occhi:
«O forse non sono io quello che sta infrangendo le regole?» disse, mentre Linda lo stava odiando sempre di più. «Regola #21: “Qualora un soggetto tra i primi quattro posti accusi un altro studente di negligenza dalle Regole, tale accusa dovrà essere fondata, pena l’esclusione dalla società per una settimana”».
«Regola #4, comma 3» rispose Linda, tenendogli testa: «”Al Numero Uno della Catena è riservata esclusiva autorità riguardo tutte le Regole riguardanti qualsiasi dei piani bassi”!»
«Regola #2: “L’infrazione di alcuna delle Regole non può non essere ignorata”!»
«Regola #14: “Un soggetto non è autorizzato a esercitare violenze né fisiche, né verbali di alcun genere nei confronti di un altro soggetto di piano superiore”!»
«Regola #14, comma 1: “In casi eccezionali la violenza può essere giustificata, se il soggetto di piano superiore abbia infranto una qualsiasi delle Regole della Catena”!»
Andarono avanti così per ore, a urlarsi in faccia ogni singola Regola della Catena, ogni comma che avevano infranto, ogni cosa che non avrebbero dovuto fare, fino a che non si resero conto che non si stavano urlando addosso enunciazioni di stupide regole, ma tutte le questioni, tutti i sentimenti di rancore che avevano lasciati irrisolti e che avevano pian piano reso la loro relazione così intollerabile.
Continuarono però a litigare, a insultarsi e a formulare Regole che nemmeno esistevano, a inventarsi punti che avevano in realtà infranto entrambi, finché non si resero conto di essere andati avanti per fin troppo tempo e che la scuola, intorno a loro era totalmente deserta da un pezzo.
Udirono un forte crick all’improvviso e tornarono alla realtà.
Si voltarono verso il suono e si accorsero solo in quel momento che nella scuola non c’era più nessuno. Effettivamente non avevano visto passare nessuno da quando avevano iniziato a litigare.
«Ma dove diamine sono tutti?» chiese Linda.
Simon ebbe improvvisamente un brutto presentimento. Senza dire nulla si diresse verso la porta d’ingresso, lasciando Linda lì da sola.
«Ehi!» protestò Linda, iniziando a seguirlo. «Dove stai andando?»
Simon si guardò velocemente l’orologio al polso.
«Merda, merda, merda...» sussurrò in preda al panico.
«Cosa?» chiese Linda, nuovamente in cerca di risposta. «Cosa? Cosa c’è Simon?»
«Sono le sette e mezza!»
«Ma di che cazzo stai parlando? Le sette e mezza sono passate da un pezz-»
«No, non hai capito!» Simon la guardò in faccia. Era diventato sempre più rosso. «Sono le sette e mezza di sera
«Eh? Non è possibile...»
Simon le mostrò l’orologio e Linda impallidì.
«Merda! Ma per quanto abbiamo litigato?»
«Non lo so, ma potrebbero benissimo essere state tre ore buone».
Si affrettarono velocemente verso l’ingresso.
Sapevano bene che c’era un grosso problema nel restare a scuola oltre le sette e mezza di sera. Il problema era Pierce, il custode, che aveva novantotto anni ed era quasi del tutto sordo e cieco, e che ignorava amabilmente il suo compito per uscire tutta la sera con delle prostitute. A Buckley c’erano così poche persone disposte a lavorare in quella scuola che Pierce era lo stesso custode da cinquant’anni e la preside Finch era troppo preoccupata a partecipare a festini con i suoi innumerevoli amanti per pensare di sostituirlo con qualcuno di più adatto.
Insomma, quando Pierce chiudeva la scuola c’erano buonissime probabilità che non sarebbe stata aperta fino al mattino dopo. Chiunque rimanesse al suo interno era come un uccellino in gabbia a questo punto.
Le luci improvvisamente si spensero e loro corsero più velocemente.
Arrivarono all’ingresso ma entrarono immediatamente nel panico quando lo trovarono chiuso. Poi apparve un barlume di speranza e videro Pierce con ancora le chiavi in mano, allontanarsi zoppicando e fischiettando attraverso il buio parcheggio.
Provarono a chiamarlo, a urlare il suo nome: “Pierce, Pierce”, ma niente. Pierce restava il solito sordo e nulla avrebbe richiamato la sua attenzione.
Così Pierce scomparve lentamente nella notte e Simon e Linda rimasero a guardarlo, loro malgrado, dietro le sbarre che li avrebbero rinchiusi per tutta la notte all’interno del loro terrificante liceo.
Linda si allontanò dalla porta e fu sul punto di scoppiare a piangere.
«Merda, merda, merda!» iniziò a urlare, in preda al panico. «Non solo dovrò passare un’intera notte senza cibo, acqua, un letto o del riscaldamento, ma dovrò passarla insieme a te! Ma perché deve succedere tutto a me?!»
«C’è un telefono in presidenza, ne sono sicuro» provò a ragionare Simon. «Se andiamo lì possiamo tranquillamente chiamare qualcuno e farci venire a-»
«Oh, è tutta colpa tua!» continuava Linda, senza ascoltarlo minimamente. «Se non avessi iniziato a contestarmi sulle Regole in questo momento non saremmo qui!»
Simon, che fino a quel momento era riuscito a mantenere la calma, si girò indignato verso di lei:
«Io?!» disse, irritandosi sempre di più. «Sei tu quella che ha iniziato ad attaccarmi!»
«Sì, ma se tu non avessi iniziato ad appendere poster-»
«Avevo tutto il diritto di farlo! Se ci troviamo in questa situazione è solo per colpa tua!»
Ripresero a litigare e a urlarsi in faccia, con le stesse identiche modalità che avevano usato pochi minuti prima. Finché Simon si decise ad essere lui la parte matura della coppia per una buona volta, e le disse, con tono calmo e pacato:
«Senti, se continuiamo a litigare o ad accusarci a vicenda non andiamo da nessuna parte. Dobbiamo pensare ad altro...».
«Va bene, spogliati».
Simon guardò Linda sconvolto, mentre la ragazza iniziava già a togliersi la maglia della divisa da cheerleader.
«Cosa? No!» si affrettò a dire. «No, non intendevo questo quando dicevo “pensare ad altro”!»
Linda lo guardò storto.
«Hai altre idee?»
«Per prima cosa dobbiamo procurarci delle torce per muoverci tranquillamente». Simon indicò la porta in fondo al corridoio. «So che ce n’è una in auditorium. Poi andiamo in presidenza, troviamo il telefono e chiediamo aiuto a qualcuno».
Linda sbuffò, si rimise la maglietta e iniziò a seguire Simon nel corridoio buio e deserto. C’era una certa calma che loro trovavano affascinante, nel vedere la scuola senza un briciolo di vita.
Trovarono la torcia in uno scatolone in auditorium, il quale onore di poterla maneggiare fu dato (ovviamente) a Linda e poi andarono in presidenza più tranquilli che mai.
Il luogo in cui la preside Finch passava gran parte delle sue ore era un misto di odore di alcol soffocante, una serie di riviste pornografiche maschili lasciate in bella vista sulla cattedra e l’interessante collezione di bourbon rari e costosi whisky giapponesi posti sul tavolino di fianco alla scrivania.
Sul medesimo tavolino Linda e Simon trovarono il telefono cordless che stavano cercando.
Non appena la vide, Simon afferrò la cornetta abbandonata sul tavolo, ma un secondo dopo la guardò confuso e la rimise al suo posto sulla sua base.
«Qual è il problema?» domandò Linda.
«La buona notizia è che il telefono funziona» disse Simon, mentre continuava a esaminare il telefono. «La cattiva è che è rimasto per troppo tempo staccato dalla base e le batterie si sono scaricate. Al momento è ancora spento, quindi dovremmo aspettare ancora un po’».
«Quanto, più o meno?»
«Non so. Un’oretta circa».
Linda si ritrovò a sbuffare nuovamente, poi non perse ulteriore tempo: prese la bottiglia di bourbon della Finch e si diresse in corridoio con la sua torcia in mano. Simon la seguì, e la osservò mentre si dirigeva decisa verso le macchinette in fondo al corridoio.
«Che stai facendo?» chiese incuriosito.
«Non so te, ma io sto morendo di fame». Si girò verso Simon e gli consegnò in mano la torcia e la bottiglia di bourbon. «Tienimeli».
Simon la guardò senza capire. Vide Linda alzare un piede e dare un forte calcio alla macchinetta. Le merendine al suo interno cominciarono a tremare. Simon era confuso e affascinato allo stesso tempo.
«Non credo che possa davvero funzionare, sai...» disse ridendo.
«Stai zitto».
Linda continuò a tirare calci alla macchinetta, finché non caddero un pacchetto di patatine e una merendina al cioccolato. Lanciò la merendina a Simon che, ancora a bocca aperta, la prese al volo. Dopodiché i due ragazzi si sedettero per terra, con la schiena contro gli armadietti e, appoggiata a terra in mezzo a loro, la torcia sfavillante.
Brindarono con il bourbon alla loro lussuosa cena e si ritrovarono a bere con ingordigia senza nemmeno accorgersene.
«Sei stata forte prima» disse Simon tra un morso e l’altro, riferendosi alla sua performance alle macchinette.
«Alle medie mi chiamavano la dea delle macchinette» disse Linda, prendendo un’altra patatina. «Non so, è tipo il mio potere magico o qualcosa del genere».
Simon si ritrovò a guardare la situazione circostante con un misto di divertimento e tristezza.
«Mi ricorda il nostro pic-nic, sai?» sostenne, sorridendo tra sé e sé.
Linda sembrò pensarci un po’ su.
«Quale, quello di due anni fa, fuori dal bosco?» chiese, cercando di ricordarsi.
Simon annuì e anche Linda si ritrovò a sorridere a quel pensiero.
«Certo...» disse la ragazza. «Il peggior primo appuntamento della mia vita, questo è certo».
«Oh, dai, avevo sedici anni, non avevo mai chiesto ad una ragazza di uscire!» Simon si ritrovò inconsapevolmente a ridere. E forse per l’alcol, forse per voler pensare ad altro, anche Linda iniziò a ridere.
«Insomma, chi fa un pic-nic fuori da un bosco?» Linda continuava a ridere incessantemente e diventava sempre più rossa.
«Credevo fosse romantico! Non pensavo di certo che potessero esserci tutte quelle formiche...»
«E le vespe... E i calabroni, e le libellule...»
«E gli orsi».
Si guardarono per un secondo, e ricordandosi entrambi del loro tragico primo appuntamento scoppiarono a ridere nuovamente, finché gli stomaci non gli fecero male e finché le lacrime di gioia non finirono per esaurire.
«Ah, quanto mi mancano quei tempi, Lin!»
Simon quasi si stupì di quello che aveva appena detto. Ma d’altronde era ubriaco, poteva permettersi di dire tutto. Ma nulla lo sconvolse di più, quando udì Linda dirgli, in tono quasi serio:
«Anche a me».
Simon si girò verso di lei e la guardò intensamente. Lei evitava il suo sguardo, così Simon scoppiò nuovamente a ridere e si avvicinò a lei.
«Bugiarda! Bugiarda-ah» sogghignò Simon, facendole la cantilena.
«Dai, dico sul serio!» Linda si volse verso di lui e Simon vide con stupore che in viso era seria.
Il ragazzo si lasciò andare contro gli armadietti, e con ancora una leggera nota di ebbrezza nella sua voce, continuò il suo discorso:
«Naah, non te n’è mai importato nulla di me, ammettilo!» disse il ragazzo, senza riuscire a smettere di sorridere. Il suo volto era come paralizzato. «Ti piacevo solo perché ero bello e indifeso e tu avevi gli istinti materni con gli sfigati, o qualcosa del genere, e volevi vendicarti di Tristan Lee e mi hai usato e bla bla, chissenefrega, tanto ormai sono passati due anni e chissenefrega. Davvero».
«No, non è vero! Tu mi piacevi davvero! Tu...!»
Simon la guardò con un certo giudizio negli occhi.
«Io ho solo...!» protestò Linda, poi si girò dall’altra parte, offesa. «Oh, ma perché credete tutti che io sia questa specie mostro senza sentimenti incapace di provare qualsivoglia di affetto?»
Simon si sentì leggermente in colpa a quel punto. Il sorriso ghiacciatoglisi in faccia si sciolse in un attimo, come per magia, e rimase in silenzio.
Erano ancora seduti fianco a fianco, contro gli armadietti; la luce delle torce come unico bagliore tra di loro e nessuno dei due che parlava.
«Eddai scusa» disse Simon, tornato all’improvviso in sé. «Non penso che tu sia un mostro senza sentimenti incapace di provare qualsivoglia di affetto». Le rivolse un sorriso gentile, ma Linda non lo guardò. «Certo, hai un bel caratterino, ma nulla di disumano, ecco».
«Beh, grazie...» disse Linda, con tono totalmente distaccato.
Simon abbassò lo sguardo e vide che le loro mani appoggiate per terra si erano pian piano accostate.
Lentamente provò ad avvicinare la sua a quella di Linda, senza che lei se ne accorgesse. Si sentì quasi felice di essere lì con lei nel momento in cui le loro dita si sfiorarono.
Sfortunatamente quel momento venne velocemente interrotto.
Udirono improvvisamente un altro click come quello di prima, questa volta molto più forte e proveniente dal piano di sopra.
Si guardarono e ritornarono sobri in un secondo.
«L’hai sentito anche tu, vero?»
Un altro click, ancora più forte, dal piano di sopra. Linda si alzò in piedi senza pensarci due volte.
«Andiamo a dare un’occhiata».
Simon era molto più propenso a restare lì e finire il loro bourbon in santa pace, ma d’altronde non avevano nulla da fare in quel momento. Controllare non avrebbe di certo fatto male. Linda prese la torcia e Simon la seguì senza protestare.
Arrivati alla tromba di scale oscure, che portavano prima al piano superiore, poi al tetto della scuola, incominciarono a sentirsi inspiegabilmente inquieti. Puntando la luce qua e là, Linda non riuscì a scorgere nulla di strano. Tutto sembrava nella più tranquilla normalità.
Simon si rilassò, sospirando di colpo.
«Visto?» disse, sorridendo a Linda spensierato. «Non è successo assolutamente nu-»
Un improvviso e fortissimo colpo li fece sobbalzare entrambi. Linda lasciò cadere la torcia che si spense e tutto tornò buio. Spaventati e confusi, i due ragazzi videro qualcosa di grosso come un sacco di farina cadere giù dalle scale, poi un tonfo, ancora più assordante di quello di prima. Dopodiché, silenzio.
Linda tastò nel buio alla ricerca di Simon e riuscì, per fortuna, a trovare la sua mano e a stringerla.
«Tutto a posto?» sentì la sua voce chiedere.
«Sì...» La ragazza si abbassò alla ricerca della torcia. «Cosa diavolo è appena successo?»
La luce, con un veloce schiaffo sulla torcia, riprese a funzionare.
Linda la puntò davanti a sé e, quello che videro, li lasciò entrambi paralizzati.
Quello che era caduto dalle scale non era affatto un sacco di farina.
Fu una fortuna che Simon e Linda si stessero stringendo la mano in quel momento, perché erano certi che, se non fossero stati con qualcuno lì, sarebbero svenuti all’istante.
Volevano entrambi urlare, ma erano paralizzati.
La Ragazza Nuova era davanti a loro, distesa in un mare di sangue. I capelli ramati che si confondevano con il pavimento, il viso bianco e incantevole colto in un’espressione di ghiaccio e il buco di un proiettile impresso in mezzo alla fronte.





Mamma mia, raga, finalmente ci sono arrivata! Finalmente la parte giallistica è qui con noi! Scusate se ci ho messo così tanto, ma dovevo un attimino impostare la trama. Da adesso in poi la storia si concentrerà su questo losssscoo omicidio da risolvere; spero diventi più interessante, quindi stay tuned :)
Mel.

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Capitolo 12
*** There'll be no more tears in heaven ***


Capitolo 11
There'll be no more tears in heaven
   
"Time can bring you down, time can bend your knees
Time can break your heart, have you begging please, begging please
Beyond the door there's peace I'm sure
And I know there'll be no more tears in heaven"

"Tears in Heaven", Eric Clapton 1992


 
 
Linda Collins continuava a rubare fazzoletti appoggiati sulla scrivania della preside Finch, per contenere le ingenti lacrime che sgorgavano senza sosta. Simon Coleman era seduto di fianco a lei, con lo sguardo fisso nel vuoto.
La preside Finch invece era infuriata, completamente fuori di sé; continuava a versarsi del whisky, mentre, fuori dal suo ufficio, un gruppo di poliziotti dell’FBI stava cercando di capire in che modo procedere.
«Siete due inetti, sapevo che avrei dovuto cacciarvi dalla scuola anni fa!» continuava a urlare, sedendosi sulla scrivania davanti a loro. «Non solo vi fate rinchiudere qui dentro, rubate il mio bourbon e ora fate accadere un omicidio nella mia scuola! Ma chi vi credete di essere, eh?»
«Noi non c’entriamo niente, gliel’ho già detto!» strillò Linda, tra i singhiozzi. «Questa serata è stata una concatenazione di eventi dall’apparente causalità immotivata di cui noi non provvediamo alcuna effettiva responsabilità!»
«Se avessi capito una parola di quello che mi hai appena detto, Collins, sono sicura che ti starei prendendo a schiaffi in questo momento».
Improvvisamente la porta si aprì. La preside si sistemò il vestito e si mise composta davanti ai tre poliziotti che erano appena entrati.
«Detective John Bex, da New York» si presentò uno dei tre, mostrando il distintivo. «Vorrei fare alcune domande con i due testimoni chiave».
«Certamente, signor Bex» rispose composta la preside. «Sfortunatamente i due ragazzi sono ancora minorenni, perciò dovremmo attendere i loro genitori per poter procedere con un vero e proprio interrogatorio...»
«Non ce n’è bisogno». Il detective Bex andò lentamente a sedersi alla scrivania della preside Finch, esattamente davanti a due sconvolti Linda e Simon. «I loro genitori sono stati avvisati e arriveranno a poco. Nel frattempo vorrei procedere con qualche semplice domanda».
Linda vide il detective Bex lanciare sulla scrivania una serie di fascicoli e di disgustose foto del cadavere della Ragazza Nuova.
«Abbiamo un cadavere con segni di arma da fuoco sulla fronte e segni di frattura probabilmente dovuti alla caduta dalla tromba delle scale. Orario della morte: tra le 8.15 e le 8.45, il che dovrebbe coincidere con le vostre testimonianze. Ora, voglio che mi raccontiate per filo e per segno quello che è successo questa notte».
Linda e Simon obbedirono. Raccontarono tutto, per filo e per segno, senza escludere dettagli, dicendo nient’altro che la verità. Solo non parlarono della conversazione avuta sulla loro relazione passata, sia perché era inutile ai fini del caso, sia perché era decisamente la parte più noiosa della storia.
A fine racconto però, il detective Bex non sembrava affatto soddisfatto:
«Sul serio?» disse, guardandoli. «Voi due siete rimasti chiusi qui dentro perché avete passato un’ora intera a litigare per dei cartelloni appesi?»
«Esatto» rispose Linda, senza capire che cosa volesse dire.
«E siete rimasti chiusi dentro perché il custode non vi ha visto né sentito, e non avete chiamato aiuto... o, scusate, non “avete potuto” chiedere aiuto perché il telefono era staccato dalla base e quindi scarico, dico bene?»
«Sì, è quello che gli abbiamo detto!» insistette Simon.
Il detective Bex a quel punto scoppiò a ridere. Si distese sulla sedia e lasciò andare la testa indietro. Linda osservò quel suo ghigno baffuto con un misto di incredulità e disgusto.
«Beh, statemi bene a sentire: non so da che scuola di criminali siate usciti voi due, ma questo è l’alibi meno credibile che io abbia mai sentito in vent’anni di carriera».
Linda e Simon si guardarono sconvolti. Simon si protese verso di lui e cercò di giustificarsi:
«No, è la verità! So che sembra una storia assurda, ma è realmente andata così!»
«Ah sì?» fece il detective, ritornato all’improvviso serio. «Abbiamo parlato con il custode, che sembra sentirci benissimo invece. E guarda caso c’è un buco di trenta minuti da quando lui ha chiuso la scuola a quando l’omicidio è stato commesso, esattamente lo stesso buco di tempo che voi reclamate di aver speso mangiando merendine e ubriacandovi come due energumeni».
Poi prese la cornetta del telefono di fianco a lui e lo osservò per bene. Lo lanciò sulla scrivania sprezzante e affermò:
«Inoltre a me sembra che questo telefono sia carichissimo invece».
A quel punto Linda si infuriò. Smise di colpo di piangere e la sua espressione passò da disperata e sconvolta a infuriata e indignata.
«Certo che è carico! Abbiamo passato oltre due ore ad aspettarvi qui, voi maledetti poliziotti cannaioli della-»
La porta della stanza venne improvvisamente aperta. Tutti si voltarono verso i due nuovi individui e rimasero sorpresi.
Linda esplose in un grido di gioia:
«Mamy! Papy!»
Si alzò dalla sedia e corse ad abbracciarli entrambi.
«Oh, tesoro» disse Vera Collins (fatta del 90% di plastica e solo del 10 di pelle vera). «Ci hanno detto che hai commesso un omicidio...»
«Sì, ma non sono stata io in realtà».
«E ci mancherebbe anche!» fu l’intervento di Vincent Collins (un metro e novanta di volto sbarbato, completi blu di Calvin Klein e cravatte da milioni di dollari). «È ovvio che la polizia si sta sbagliando! Mia figlia è la persona più dolce, sensibile e intelligente di tutto il mondo. Ehi, come ti va, Simon?».
Simon salutò i Collins, con cui, sebbene non fosse più in contatto da quando lui e Linda si erano lasciati, si trovava ancora in buoni rapporti. Questa cosa, era sicuro, sarebbe andata sicuramente a suo vantaggio.
Il detective Bex si alzò in piedi per calmare la situazione.
«Signor Collins... mi dispiace interromperla ma dovrebbe firmare delle-»
«Dunque è lei l’incapace che sta accusando mia figlia di un omicidio che non ha mai commesso!» protestò Vincent Collins, guardando Bex con disprezzo.
«No, vede, è solo che si tratta di un testimone chiave e al momento dell’omicidio all’interno della scuola c’erano solo-»
«Insomma, basta con le vostre teorie da detective complottisti! Mi sembra ovvio che mia figlia non c’entra assolutamente nulla!»
Simon nel frattempo era visibilmente turbato dalla situazione. Continuava a passarsi una mano tra i capelli e a coprirsi il viso, come per cercare di calmarsi.
«Signor Bex, potrebbe chiamare di nuovo mia madre per capire quando arriva?»
Il detective Bex lo rassicurò, dicendo che la madre era stata avvisata e che era in arrivo, ma visto il turbamento di quel povero ragazzo, era evidente che ci avrebbe messo molto di più.
Decise perciò di concentrarsi sulla sua vittima prediletta.
Vincent Collins disse che doveva fare una telefonata urgente e uscì dalla presidenza. Bex pensò che sarebbe stato molto più facile vincere senza il padre lì.
Fece sedere la ragazza al suo posto, ma lasciò la madre in piedi, così che potesse guardarlo attentamente.
«Signori Collins, mi serve che firmiate una liberatoria per poter fare delle domande in vostra assenza a vostra figlia».
«Non ci penso proprio!» disse subito Vera Collins.
«Signora Collins, sua figlia è immischiata in un caso di omicidio piuttosto grave. Se continuate a mettermi bastoni tra le ruote allora sarò costretto a-»
«Immischiata?!» intervenne Linda, più infuriata che mai. «Se l’essere stata rinchiusa in questo edificio contro la mia volontà, essere costretta a cibarmi di grassi saturi e l’essere traumatizzata per il resto della mia vita possono essere considerati un crimine, allora mi arresti anche immediatamente signore! Io sono solo un’innocente spettatrice!»
Bex sospirò, cercando di rimanere calmo.
«Temo di non poterla considerare tale».
Linda lo guardò sconvolta. Non resse un altro secondo e scoppiò a urlare con rabbia:
«Lei non può accusarmi di aver ucciso una persona senza prove concrete!»
«Beh, abbiamo alcuni precedenti su di lei, Miss Collins» disse Bex, osservando uno dei fascicoli che il suo collega gli aveva lasciato sulla scrivania.
«Cosa? Io non ho mai-»
«Maltrattamenti, abusi fisici, bullismo psicologico su svariati studenti, accuse di istigazioni al suicidio... abbiamo anche qualche minaccia di morte!»
Tutti i presenti nella stanza cominciarono a fissarla. Linda iniziava a sudare dalla vergogna. Si sforzò con tutta se stessa per riuscire a stare composta.
«Questo non è assolutamente...»
«Per non parlare di questo!» continuò imperterrito il detective, leggendo il fascicolo come se fosse una squisita ricetta per torte che avrebbe da lì a poco potuto divorare. «Due anni fa ha buttato giù dalle scale e mandato in ospedale una sua compagna di squadra, Bethany Mayers, mettendola in serio pericolo di morte».
A quel punto Linda non accettò che si andasse oltre. Nessuno poteva parlare della cosa di Bethany Mayers. Nessuno, nemmeno un detective dell’FBI di New York incaricato di risolvere un omicidio. Si strinse ai braccioli della sedia e iniziò a urlare a Bex:
«È stato un incidente, okay?!». Sarebbe stato molto più semplice, pensò, se si fosse fatta giustizia da sola. «Quante volte lo devo ripetere a voi poliziotti trogloditi? Stavo litigando con Bethany, l’ho spinta, lei è scivolata su un caffè rovesciato ed è ruzzolata giù dalle scale! Questo non ha nulla a che vedere con il contesto attuale!»
Il detective Bex rimase improvvisamente calmo. Mise giù il fascicolo su Linda, si appoggiò alla scrivania e si avvicinò sempre di più a lei. Poi, guardandola negli occhi, disse, con incredibile fermezza:
«Incidente o no, Miss Collins, io non ho modo di constatare qui, su due piedi, chi abbia ucciso questa Ragazza Nuova o se siate stati voi due o no. Però si metta nei miei panni: non ho prove, non ho un’arma del delitto, ho solo un cadavere con un proiettile in testa e dei ragazzini che si credono Joan Crawford in persona come unici sospettati. Ora, se c’è qualcuno tra lei e il signor Coleman che deve essere un assassino, allora è molto più probabile che sia lei».
Linda non gli staccò gli occhi di dosso. Lo guardò con odio, e con la consapevolezza di trovarsi in un vicolo cieco da cui non c’era alcuna fuga.
«Voglio un avvocato» disse, con i denti stretti.
Vide che Bex sorrideva, soddisfatto. Linda avrebbe voluto staccargli la faccia a morsi a quel punto, ma per fortuna ci pensò suo padre a risolvere la situazione.
Vincent Collins arrivò pochi secondi dopo, entrò nella stanza senza bussare e parlò ai presenti come se si trovasse a una convention di business internazionale:
«Buone notizie, tesoro! Tu e Simon non avete bisogno di un avvocato!»
Tutti si voltarono verso di lui, senza capire.
«S-sul serio?» chiese Simon, speranzoso.
«Di che cosa sta parlando, signore?» Perfino il detective Bex non riusciva a comprendere.
Vincent sorrise smagliante e iniziò a esporre ciò che aveva da riferire a quel branco di ignoranti:
«Ho fatto un giro di telefonate e sono riuscito a parlare con il direttore dell’FBI a Washington. Un tipo molto simpatico, non c’è che dire... mi ha invitato a una partita di golf da lui, ed entrambi abbiamo accordato ad assegnarla ad un altro caso. Di questo se ne occuperà la polizia locale di Buckley».
Nessuno osò parlare. Solo dopo pochi silenziosi secondi, Linda si alzò in piedi e corse ad abbracciare suo padre, più felice che mai.
«Oh, grazie, grazie, grazie Papy!»
«Che cosa, lei non può fare una cosa del genere!» protestò il detective Bex, ma ormai era troppo tardi. Altri tre uomini erano entrati nella stanza e stavano già ritirando gli innumerevoli fascicoli sulla scrivania. «Io... io sono un ispettore di alto grado, lei non può semplicemente-»
Non riuscì a finire la frase, perché due dei poliziotti entrati lo afferrarono per le braccia e lo trascinarono fuori dalla presidenza.
«Il caso» annunciò poco dopo Vincent Collins «sarà ora assegnato al mio carissimo amico, il detective Tony White».
Dalla porta entrò un poliziotto, in giacca e cravatta, dai capelli neri e il vestito allungato. Camminava e sorrideva in giro in modo goffo, e non doveva avere più di venticinque anni.
Tony White andò lentamente verso il posto che poco prima aveva occupato Bex e sorrise ai due ragazzi seduti davanti a lui.
«Bella giornata, eh?»
Linda e Simon lo guardarono senza capire.
«Tony, procediamo pure con l’interrogatorio» disse Vincent, entusiasta della situazione.
«D’accordo allora...» Tony White guardò il suo taccuino per quasi dieci minuti in silenzio, prima di riprendere a parlare. «Voi eravate qui la sera dell’omicidio?»
I due ragazzi si guardarono di nuovo.
«Sì» rispose Linda.
«E avete commesso voi l’omicidio?»
«No».
«Bene...»
Il detective annotò tutto sul taccuino.
Passò un altro interminabile minuto. Tony White continuava a sfogliare il suo taccuino, come se fosse in cerca di risposte al suo interno.
«Allora, voi due avete visto il cadavere... ehm, cadere dalle scale?»
«Sì» disse Simon.
«E avete chiamato la polizia?»
«Esatto».
«E... non avete commesso l’omicidio».
Linda iniziò a irritarsi a quel punto.
«Le abbiamo già detto di no».
«Va bene, ho capito, ho capito. Allora...»
Il detective scrisse qualche ultima parola su un foglio di taccuino. Simon si allungò per guardare, ma si accorse che stava solo disegnando un gattino.
«D’accordo, allora mi sembra ovvio che non siate stati voi» annunciò felicemente White. «Non ci sono prove contro di voi, perciò potete andare».
Linda gli lanciò uno sguardo incredulo.
«C-che cosa? Tutto qui? Sul serio? Siamo liberi di andare?»
«Sì, a meno che non abbiate qualcosa da dichiarare».
«No, no. Sono innocente, innocentissima!»
Si alzò in piedi e iniziò ad assaporare la meravigliosa aria che respirava una persona libera.
«Che giornata assolutamente meravigliosa!»
I suoi genitori si congratularono con White per il suo eccellente lavoro e con la figlia per la sua incredibile audacia.
Poi uscirono dall’aula festeggiando e cantando gioiosi per la conquistata libertà di Linda. Non c’era spazio per pensieri tristi, o per turbamenti. Di cosa dovevano essere tristi, dopotutto? Sparirono in poco tempo all’orizzonte, la famiglia che aveva appena vinto contro la legge.
Lasciarono Simon da solo, che a quel punto non trovò altro sentimento dentro di sé se non la solitudine. Prese d’impulso il telefono sulla cattedra e provò a chiamare un’ultima volta sua madre, che ancora non rispose. Rimase per interi secondi ad ascoltare il bip bip, così atroce e ininterrotto nel suo orecchio. Decise che avrebbe lasciato un messaggio per lei e che sarebbe ritornato a casa a piedi. Era stanco, voleva tornare a casa, a mangiare e a riposarsi.
Stava piovendo. Poco importava.
Nel corridoio della scuola i poliziotti continuavano ad andare avanti e indietro. Era probabile che non sarebbe tornato a scuola il giorno dopo. Era probabile che sarebbe scoppiato il pandemonio nei prossimi giorni.
Scrutò un uomo dell’FBI, con la schiena appoggiata al muro, che osservava i suoi colleghi scattare foto in giro per la scuola.
«Ha una sigaretta per caso?» domandò all’agente.
L’uomo gli sorrise.
«Certo, ragazzo». Gli lanciò un pacchetto e Simon lo prese al volo. «Non devi aver passato una bella giornata, immagino».
«No, infatti...»
Se ne andò dopo aver acceso la sua sigaretta. Uscì al freddo e si ritrovò sotto un diluvio delle due di notte. Non aveva un ombrello e la sigaretta gli si spense all’istante.
Tuttavia continuò a tenerla in bocca e a camminare sotto la pioggia, imperterrito.
Pensava a tante, fin troppe cose: alla scuola, a Linda, a sua madre, alla pioggia e a quell’orribile immagine impressa nella mente, del volto della Ragazza Nuova intriso di sangue.
Non capiva se stesse piangendo o se fosse solo la pioggia. Non sapeva nemmeno per cosa stesse piangendo.
Voleva solo tornare a casa e dormire, ma sapeva bene che non ci sarebbe riuscito.
Nulla sarebbe stato uguale a prima, non dopo tutto quello che era successo quella notte.
 
“Mamma, sono io. Dove sei? Ti chiamo da tutto il giorno. Senti, sono successe un sacco di cose oggi, mi serve sapere dove sei. È importante, mi hanno appena rilasciato, io e Linda abbiamo... Senti, chiamami quando puoi e ti tutto spiego meglio. Anche se ancora non so come. Ciao. Ti voglio bene. Chiamami. Ciao”.

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Capitolo 13
*** Requiem ***


Oi regà, scusate per i decenni che ci ho messo per pubblicare un nuovo capitolo, ma ero incasinata con terze prove/robe per la matura/pianificare il mio suicidio/etc, capitemi. Quindi scusate per le ere geologiche di stacco, ma almeno mi sono ripromessa che questa storia la finirò, quindi anche se manco da anni, non allarmatevi.
Cià 




 
Capitolo 12
Requiem
 
 
"Burn down the disco 
Hang the blessed DJ 
Because the music that they constantly play 
It says nothing to me about my life"

"Panic", The Smiths 1988


 
 
La scuola venne fatta chiudere per una settimana dopo l’annuncio della morte della Ragazza Nuova. Tutta Buckley era sconvolta, dall’omicidio, ma più che altro dalla quantità di giornalisti e reporter che affluirono nella cittadina nei giorni seguenti.
Dopo il settimo giorno, la scuola riaprì e Simon Coleman si presentò alle lezioni come faceva tutti i santi giorni. Ma, si rendeva conto, a malavoglia, che ora tutto sarebbe stato diverso.
Lo capì già dalle prime ore, quando, invece di salutarlo come facevano di solito, tutti gli studenti lo fissarono e iniziarono a bisbigliare tra di loro. Ma non erano i soliti commenti del tipo “Oddio, guarda Simon Coleman, quanto è bello!”. No, Simon lo capiva dai loro sguardi che non stavano affatto dicendo cose carine su di lui in quel momento.
Non parlò con nessuno, nemmeno con Linda. Si limitò a dire “presente” agli appelli e a non fare uscire altra parola dalla sua bocca.
Andò agli allenamenti di football come al solito, e giocò talmente male che il coach lo mise in panchina e gli disse che capiva che non era un buon momento per lui e che poteva anche riposare per la giornata. Simon disse che andava bene e quella fu la seconda cosa che riuscì a dire quel giorno.
Alla fine dell’ora rientrò in spogliatoio e si cambiò il più velocemente possibile. Sentiva i suoi compagni di squadra ridere e fare battute. Si comportavano normalmente, come se nulla fosse successo. Mentre i suoi compagni erano in doccia, la porta dello spogliatoio si aprì di colpo.
Simon vide un gruppo di cinque o sei ragazzi, della squadra di basket e di tennis, che camminavano decisi, capitanati da Peter Helson.
Il gruppo di avvicinò a Simon, che già stava per uscire dallo spogliatoio, fino a quando Peter non gli rivolse la parola:
«Guarda, guarda, il grande Simon Coleman!» disse, con fin troppo entusiasmo. «Che piacere trovarti qui da solo».
Simon li guardò tutti, ad uno ad uno, senza capire.
«Qualcosa non va?» domandò.
«Ho sentito che la tua ragazza è stata uccisa. Beh, mi dispiace» continuò Peter. «Ho anche sentito che stavi scopando con la Collins mentre lei veniva trucidata a sangue freddo».
«Okay, non è affatto andata così. Ora lasciami in pace».
Fece per andarsene, ma Peter gli mise una mano sul petto e lo fermò.
«Wo, wo, wo, aspetta. Io e i ragazzi siamo venuti qui apposta per parlarti».
Simon aspettò che continuassero, ma ricevendo solo secondi di silenzio, decise di intervenire:
«Beh, allora? Cosa volete?»
Peter Helson e gli altri del gruppetto si misero in fila a lui, bloccandogli la strada. Gli altri ragazzi erano tutti sotto la doccia e non sentivano, perciò Simon era completamente circondato.
«Sono tre anni che trascorro nella tua ombra, Coleman, e sono stanco di tutto questo» cominciò Peter. «Sono un Numero Sette e in quanto tale le ragazze mi snobbano, mi dicono che non sono abbastanza per loro e i ragazzi di football mi ignorano se provo a parlare con loro. Ora dimmi, che diritto ho io di stare al Sette, quando quegli stronzi della tua squadra sono al Sei e un cretino come te sta addirittura al Due, spiegami?»
Simon non capì dove volessero arrivare, ma si allontanò lentamente, per non rischiare.
«I ragazzi qui» continuò Peter, indicando due ragazzi di fianco a lui. «Sono Numeri Otto, e sai cosa si sono sentiti rispondere dalle loro ragazze l’altro giorno? “Come sei flaccido, vorrei fossi un po’ più come Simon Coleman”. Quindi ho capito: è questo che ti rende diverso da tutti noi? Solo perché tu sei convenzionalmente attraente e hai quel fare da James Bond con tutti, pensi di poterci sorpassare, è così? Dimmelo, Coleman, pensi che noi tutti siamo inferiori a te, lo pensi davvero?»
Simon deglutì a fatica.
«Senti, non so cosa vogliate da me, ragazzi. Ma non è colpa mia se la Catena-»
«La Catena, la Catena, sempre questa cazzo di Catena! Abbandoni le tue responsabilità accusando quella stessa cosa che venne inventata dalla tua fidanzata di allora apposta per non farti sembrare il fallito che sei in realtà! E proprio ora, dopo che hai fatto saltare le cervella a quella povera ragazza, pensi di poterti ancora giustificare?»
Simon stava per ribattere, ma non fece in tempo a fare nulla. Tre ragazzi del gruppetto lo presero per le spalle e iniziarono a trascinarlo fuori dallo spogliatoio a forza. Simon provò a ribellarsi, ma quei tre erano dei veri gorilla.
«Cosa diamine volete da me?» chiese a Peter.
Arrivarono nel bagno adiacente allo spogliatoio, prima che lui si decidesse a rispondere.
«Non accettiamo più di vivere nella tua ombra, Coleman, non più» riprese Peter, mentre i tre gorilla portarono Simon all’interno di uno dei bagni. «Il re è caduto dal suo trono e il suo regno è finito. Ultime parole da dire?»
Un quarto ragazzo del gruppo gli prese la nuca e lo costrinse ad abbassare la testa, sempre più vicino alla tazza. Aspettarono gli ordini prima di agire.
«Andate tutti affanculo!» urlò Simon, con tutto il fiato che gli era rimasto.
Scorse Peter sorridere, poi, quando pronunciò le parole “Potete andare” il regno di Simon finì definitivamente.
Gli immersero la faccia nella tazza, prendendolo per i capelli, bloccandogli le braccia e lo fecero più e più volte, tirandolo fuori e poi ancora tirandolo giù, fin quando Simon non divenne rosso per lo sforzo e l’acqua non iniziò a salirgli su per la gola. Fu una tortura, esattamente come in quella scena di Arancia Meccanica, pensò Simon, un’agonia che durava minuti, ma che sembravano intere ore.
Quando anche loro si stancarono lo abbandonarono lì, lasciando il bagno ridendo e sbattendosi dietro la porta.
Simon rimase in ginocchio davanti alla tazza per qualche secondo, cercando di riprendere fiato e di calmarsi, per quanto riusciva. Si appoggiò al muro e rimase lì immobile.
Era davvero tutto finito? La gente credeva davvero che avesse ucciso la Ragazza Nuova e ora aveva iniziato ad odiarlo? Si passò una mano sulla faccia fradicia, respirando profondamente.
Odiava la sua vita, odiava tutto di se stesso.
Che cosa aveva fatto per meritarsi tutto questo?
 
 
Taylor May sospirava, affranta, mentre guardava, insieme alla sua amica Regan Weston, l’armadietto della Ragazza Nuova, tappezzato di fiori e bigliettini che gli studenti avevano lasciato, dopo il tragico annuncio della sua morte.
Rip in pace
Non ti conoscevo bene, ma mi sembravi molto simpatica
Addio cara
Ci mancherà il tuo meraviglioso culo
Taylor non poteva credere che fosse appena successo. Insomma, aveva passato molti brutti periodi nella sua vita, ma non credeva che la sua prima vera amica in così tanto tempo potesse mai venire uccisa. Non aveva ancora superato la cosa.
Le sue mani tremavano, mentre stringevano tra le dita il bigliettino scritto.
Regan la notò e le chiese:
«Sei sicura di riuscire a leggerlo tu?»
Taylor avrebbe voluto dire di sì, ma non ci riuscì. Le lacrime iniziarono ad arrivarle agli occhi.
«Vuoi che lo legga io al posto tuo?» domandò ancora Regan.
Taylor annuì, senza dire nulla e consegnò il bigliettino in mano a Regan. Poi, in totale calma, si allontanò stringendo la mano dell’amica, verso la bacheca della Catena.
 
 
Linda Collins sedeva annoiata, aspettando che le sue compagne si presentassero per gli allenamenti. Seduta sulle tribune della palestra, si limava le unghie, osservando le poche cheerleader che si erano presentate quel pomeriggio. Solo Stephanie più altre tre delle giovani reclute erano arrivate.
Linda non poteva tollerare un comportamento simile dalle sue cheerleader.
Vide che Stephanie iniziava ad avvicinarsi a lei, e Linda smise di limarsi le unghie.
«Hey» le disse Stephanie, sorridendo. «Come stai?»
«Male! Come diamine dovrei stare? Si può sapere dove sono tutte?»
«Oh, beh, Lin... devi cercare di capirle. Non capita tutti i giorni che una persona venga uccisa nella propria scuola...»
Linda alzò lo sguardo verso Stephanie.
«Sul serio?» disse incredula. «È per questo che sono tutti così strani oggi? Solo perché una ragazza è morta? Viviamo negli Stati Uniti! Sparano agli studenti tutti i giorni, e questo dovrebbe essere sconvolgente?»
Stephanie distese le gambe, cercando di trovare una risposta.
«Insomma, è solo che è la prima volta che uno studente muore a Buckley» provò a dire, guardando da un’altra parte.
Linda rimase in silenzio. Poi rise amaramente, sentendosi colpita nel profondo.
«No, invece. Non è il primo...»
Stephanie spostò lo sguardo su di lei, consapevole della stronzata che aveva appena fatto.
«Oh, Lin, insomma...» provò a risolvere la situazione, ma ormai il danno era fatto. «Intendevo, che è il primo studente ad essere assassinato. Cioè, voglio dire...»
Non sapeva più come uscirne. Ogni volta che apriva bocca, Stephanie sentiva di generare ancora più problemi.
«Senti, Steph, non fa niente» disse Linda, alzandosi. «Facciamo finta che questa conversazione non sia mai accaduta».
Linda si allontanò e Stephanie la seguì a testa bassa, sentendosi più in colpa che mai.
Fu una fortuna che pochi secondi dopo Janissa e Chloe si presentarono finalmente, e Linda si diresse verso di loro, infuriata.
«Ma dove diamine eravate?!» urlò la capo-cheerleader, quando fu a faccia a faccia. «È da più di un’ora che vi aspetto! E dove sono tutti?!»
«Calmati, abbiamo avuto un contrattempo...» rispose Janissa, con evidente irritazione nella voce.
«Oh, un “contrattempo”, certo, Janissa! L’infilarsi due dita in gola per vomitare tutto lo schifo che ti mangi a mensa, non è considerata una scusa valida per arrivare in ritardo!»
Janissa la guardò con rabbia, ma non disse nulla. Linda si girò senza indugiare oltre. Fece un cenno con la mano ed esclamò:
«Forza, iniziamo subito a-»
«Aspetta» intervenne di nuovo Janissa.
Linda si voltò, ancora più infuriata di prima.
«Cosa c’è ora?!»
Janissa rimase calma, con lo sguardo fisso su di lei.
«Ora che è tutto finito... Vorrei che la smettessi di trattarmi in questo modo».
Linda inclinò lievemente la testa, senza capire.
«Che cosa significa “ora che è tutto finito”?»
«La Catena, la classifica, tutto!» esclamò Janissa, che ora iniziava ad arrabbiarsi. «All’assemblea in palestra stamattina gli studenti hanno votato. In onore della Ragazza Nuova, che ha fatto di tutto per distruggere la Catena, abbiamo deciso che da oggi in avanti non esisterà più!»
Linda la guardò, immobile, con occhi socchiusi. Stephanie guardò Janissa e Chloe senza capire. Tutte le altre cheerleader sembravano ugualmente sconvolte.
Linda provò a parlare, ma era evidente che si trovava in uno stato di turbamento tale da non sapere nemmeno lei cosa rispondere:
«Tu... cosa... cosa cazzo hai...»
«Kaputt, Linda!» Era evidente che Janissa cominciava a prenderci gusto. «Non sei più la Numero Uno, ora, non sei nessuno! Sei una normalissima studentessa, come tutti noi, come tutti gli altri! Non hai più alcun potere su di noi, lo capisci questo?»
Janissa si avvicinò sempre di più a lei. Linda cercava di rimanere composta ma era evidente che non sapeva più che pesci prendere.
«Tu. Non sei. Nessuno» scandì lentamente Janissa. «Quindi smettila di atteggiarti come se fossi la padrona del mondo. La tua Catena è morta da oggi».
Linda non fiatò. Tutte rimasero incollate a guardare la scena, mentre Janissa si era immobilizzata, lì davanti alla capo cheerleader.
Linda abbassò lo sguardo. Poi spostò gli occhi su ciascuna delle cheerleader lì presenti. Era sconvolta, era confusa, era disperata. Ma quando arrivò a guardare Janissa davanti a sé, qualcosa cambiò nel suo sguardo e l’odio e la rabbia ritornarono a fare capolino.
Poi lanciò un urlo. Strillò e tutte sobbalzarono nel sentirla.
Linda corse urlando fuori dalla palestra, lasciando tutte le presenti senza parole.
Infine, quasi fosse ovvio, tutte si precipitarono fuori e iniziarono a inseguire la loro regina appena sconsacrata.
 
 
Simon Coleman aveva ancora la faccia bagnata, mentre camminava per il corridoio. Era infuriato con Peter Helson e tutti gli altri, con il mondo intero, perfino con se stesso, si rese conto.
Si guardava intorno e vedeva che tutti si avviavano nella stessa direzione correndo. Non sapeva cosa stesse succedendo, non gli interessava minimamente in realtà. Gli altri potevano fare la vita che volevano, pensò, tutto quello che voleva fare lui era tornare a casa e stare da solo per il resto della sua vita.
Si passò la manica della felpa sulla faccia, con un gesto violento e le goccioline dai capelli gli caddero sulla fronte. Era disgustato, era stanco, era rassegnato.
«Simon?»
Il ragazzo alzò lo sguardo e vide davanti a sé Carey Davis, l’amica cheerleader di Linda. Stava in piedi davanti a lui e lo fissava preoccupata. Stranamente non indossava la sua solita divisa blu e bianca, ma un semplice maglione giallo e una gonna, mentre i capelli castani si riversavano in lunghe onde sulle spalle minute.
Simon la guardò e, sebbene non fosse dell’umore adatto, per qualche strano motivo vederla lo rese per un secondo contento.
«Ciao...» provò a dire.
«Diamine, ma che ti è successo?»
Era evidente che Simon non aveva un bell’aspetto: aveva i capelli ancora fradici, gli occhi rossi dallo sforzo e dalla voglia di poter piangere liberamente. Non c’era ormai più nulla dell’allegro e fiero re del ballo dell’anno scorso.
«Non è niente, sono solo stanco...» provò a giustificarsi, ma capì perfino lui di non risultare affatto convincente.
Lo sguardo di Carey era pieno di compassione nei suoi confronti.
«Ti credo, non penso sia facile per te». La ragazza fece un leggero sorriso triste. «Insomma, dopo quello che ti è successo... Mi dispiace molto a proposito. Intendo... per la Ragazza Nuova...»
Simon annuì con fare disinteressato. Ormai ogni persona che incontrava glielo ripeteva.
«Deve essere stato terribile... lo è stato per tutti» continuò Carey, con occhi bassi. «E ora anche la storia sulla Catena, insomma...»
Simon si accigliò leggermente.
«Quale storia sulla Catena, scusa?»
Carey lo guardò e spalancò gli occhi, quasi avesse appena detto una cosa che non avrebbe dovuto dire. Simon non capì che cosa intendeva.
«Oh... non c’eri all’assemblea in palestra stamattina, vero?» disse lei, con tristezza nella voce. «La Catena non esiste più. In onore della Ragazza Nuova, abbiano votato a favore della sua abolizione».
Simon si sentì d’un tratto debole. Barcollò leggermente e Carey si affrettò ad aiutarlo, tuttavia il ragazzo si riprese immediatamente.
«Cosa hai detto, scusa?» domandò confuso, come se si trovasse in uno strano stato di trance.
«Oh, mi dispiace Simon!» continuava a ripetere Carey, sul limite delle lacrime. «Mi dispiace, mi dispiace! Non avrei dovuto dirtelo così, non avrei dovuto!»
Simon non sentiva più alcun suono. Non sentiva più nulla, in realtà.
La Catena, l’unica cosa che gli dava ancora certezza, che dava ancora dignità alla sua schifosa vita era morta. Così, dopo soli due anni di vita, dopo tutto quello che quella stupida classifica gli aveva dato, dopo tutto lo sforzo che c’era stato da parte sua per raggiungere la cima e per impararsi a memoria tutte quelle assurde regole...
Vano, era stato tutto vano.
Simon si girò lentamente verso Carey, che ancora lo reggeva con un braccio intorno alla schiena.
«Dove... dove corrono tutti?» chiese con un filo di voce.
«Davanti alla bacheca della Catena» ammise Carey, con ancora un tono di pena nella voce. «Taylor May e Regan Weston faranno un breve compianto per la Ragazza Nuova e poi strapperanno ufficialmente la Catena. Oh, Simon, mi dispiace così tanto!».
Non potevano farlo, non potevano, non potevano.
Simon si allontanò da Carey di colpo, ignorandola completamente. Lei rimase lì ferma a osservarlo, mentre il suo cuore si lacerava sempre di più per lui.
Il ragazzo camminò seguendo la massa di persone. Aveva uno sguardo vuoto negli occhi.
Nello stesso preciso istante, Linda Collins e il suo seguito di cheerleader, si muoveva a passo affrettato, cercando di mantenere la calma.
Sempre nello stesso momento, Taylor May e Regan Weston si posizionarono davanti alla bacheca su cui la Catena era ancora appesa, davanti alla folla che già si era formata di fronte a loro.
La fine del mondo sarebbe presto arrivata.
Regan guardò Taylor un’ultima volta. Lei annuì e l’amica procedette.
Quando la folla fece silenzio, Regan aprì il suo foglietto e parlò:
«Otto giorni fa abbiamo perso una nostra cara compagnia» iniziò e tutti gli studenti l’ascoltarono attentamente. «La Ragazza Nuova era una splendida persona. Sempre solare, allegra, gentile, benvoluta... Non era solo mia amica, era amica di tutti voi. Lei voleva bene a questa scuola, nonostante la frequentasse da soli pochi mesi. Sia io che lei arrivammo da scuole diverse e quando ci spiegarono che cosa fosse questa “Catena” di cui tutti parlavano, rimanemmo sconvolte. Per la Ragazza Nuova la Catena non era qualcosa che andasse rispettata, anzi. Lei la detestava, come la detestano in molti qui. E sia io che Taylor sappiamo bene che uno dei suoi ultimi desideri era quello che questa Catena sparisse per sempre dalla faccia di questa scuola... è dunque arrivato il momento di dirle addio».
Regan si girò verso Taylor, che già iniziava a staccare la Catena dalla bacheca.
«In onore di una ragazza che ha fatto di tutto per poter distruggere le assurde convenzioni sociali che regnavano in questa scuola» annunciò Regan, con voce smorzata. «E per volere del popolo scolastico. Io, Regan Weston, per l’autorità concessami da tutti voi, dichiaro, qui e ora...»
«No!»
La divisa blu e bianca di Linda Collins si fece largo tra la folla. Si sforzava di rimanere composta. Avrebbe superato sempre tutto, si ripeteva sempre, ma ormai, all’alba di questo giorno che tanto aveva temuto, aveva perso ogni speranza. Aveva visto momenti bui, ma questo era senz’altro il peggiore di sempre. Non le era nemmeno passato per la testa che potesse mai accadere una cosa del genere. Era come se uno dei suoi peggiori incubi si fosse appena materializzato davanti agli occhi.
Singhiozzava senza ritegno, senza nemmeno rendersene conto, mentre la sua amata Catena moriva davanti ai suoi occhi.
«Vi prego... Non fatelo...»
Simon Coleman rimase lontano, ad osservare con occhi vacui, il mondo che si stava disintegrando davanti a sé.
«... che la Catena da questo momento in poi non esisterà più!»
Linda provò a urlare di fermarle, a buttarsi loro contro, ma la folla di persone glielo impediva. Così, mentre gli occhi ricolmi di lacrime di Linda osservavano impotenti, Taylor prese la Catena, la mostrò a tutti e, lentamente, la strappò.
Fu come se le porte dell’Inferno venissero aperte da quel suono straziante.
Linda ebbe una profonda fitta al cuore, mentre vedeva il foglio venir fatto in mille pezzi. Perché quel foglio c’era tutto, c’era la sua vita, c’era la sua intera esistenza. E loro lo distruggevano così, come se nulla fosse.
Ebbe l’impulso di vomitare e si gettò a terra, strillando e piangendo.
Mille pezzi di carta volarono nel cielo e Linda cercò di afferrarli tutti. Li prendeva in preda al panico, li raccoglieva, li stringeva al petto e urlava a tutti di fermarsi. Ma, pian piano, non ci fu più nessuno ad ascoltarla. Gli studenti pian piano se ne andarono nelle loro aule, a trascorrere la loro nuova vita, chi ad occhi bassi, chi fiero e soddisfatto.
Solo Linda Collins rimase lì, patetica come non lo era mai stata, a compiangere la sua Catena, che ora era un misero mucchio di carta strappata.
Simon Coleman, l’unico ancora rimasto presente, si avvicinò a lei, guardando la Catena a terra, orribilmente mutilata.
«Linda, dai... tirati su...» iniziò a dire, ma le parole gli uscirono smorzate. Si passò una mano tra i capelli, mentre sentiva che le lacrime iniziavano a sgorgargli dagli occhi. «Ormai tanto è finita... è tutto finito...»
Ma Linda non si mosse. Rimase lì, per terra, a piangere come una persona sotto tortura, ora che era stata privata dell’unica cosa che le avesse mai portato gioia nella sua intera vita.

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Capitolo 14
*** Stiamo ancora migliorando ***


 
Capitolo 13
Stiamo ancora migliorando
 
"You're gonna be knowing
The loneliest kind of lonely,
It may be rough goin',
Just to do your thing's the hardest thing to do."

"Make you own kind of music", Cass Elliot 1969

 
 
 
Tutto era cambiato al liceo di Buckley.
Carey Davis se ne rendeva conto, camminando per il corridoio principale della scuola a testa bassa. La Catena era stata distrutta da quattro mesi e in quei quattro mesi Buckley si era trasformata così tanto che ormai non sembrava più nemmeno la stessa scuola.
Non c’era più alcuna differenza tra ragazzi popolari, tra cheerleader, atleti o sfigati. Erano tutti allo stesso livello ora. Tuttavia una classe dominante rimaneva ancora, quasi come quella scuola non potesse proprio farne a meno.
Era come se tutto fosse stato stravolto, pensava Carey. Coloro che un tempo si ritrovavano in cima alla Catena adesso non erano nessuno, mentre quelli che stavano ai piani più bassi ora erano venerati come le nuove divinità della scuola.
Da un giorno all’altro, senza più alcun vincolo che li legasse insieme, Carey si era resa conto che quelli che credeva fino ad allora suoi amici l’avevano abbandonata non appena la Catena era stata distrutta. Così era successo alla maggior parte degli altri ragazzi che conosceva.
La gran parte delle reclute aveva abbandonato la squadra di cheerleading per entrare nel gruppo di Taylor May e di Regan Weston, che ora condividevano il ben piacevole ruolo di essere diventate le nuove api regina della scuola.
Carey sospirava, mentre osservava il suo riflesso nel vetro della bacheca al centro del corridoio. La sua divisa blu e bianca era ancora fresca e pulita, eppure, si rese conto, non significava più nulla ormai. Si chiese se avrebbe dovuto lasciare le cheerleader anche lei e provare a fare amicizia con qualcun altro. Tuttavia non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere a Linda. Per quanto fosse una persona difficile e secondo molti insopportabile, Carey le voleva molto bene e considerando lo stato mentale in cui si trovava in quei giorni, se Carey l’avesse abbandonata proprio in questo momento così difficile l’avrebbe semplicemente distrutta.
Nemmeno Simon se la passava tanto bene. Aveva lasciato la squadra di football e la maggior parte dei suoi amici, come successo con Carey, gli aveva voltato le spalle. Era devastato.
Simon non usciva quasi mai dalle aule, dormiva poco, non lo vedeva mai a mensa, e se si presentava, non mangiava nulla. Più volte Carey l’aveva sorpreso nel bagno con una scatola di antidepressivi in mano.
In quei quattro mesi Carey aveva cercato di aiutarlo il più possibile, per quando Simon si tenesse a larga distanza da chiunque provasse a parlargli. Ma se quattro mesi prima la proposta di passare così tanto tempo con Simon Coleman le avrebbe mandato il cuore in subbuglio dalla gioia, ora come ora provava solo estrema pena per lui.
Andò a trovarlo alla fine della terza ora, mentre gli studenti uscivano per riunirsi e discutere di coloro che definivano “i nuovi popolari”.
Carey entrò nell’aula di arte con decisione, e gli ultimi ragazzi che si approcciavano ad uscire le diedero un’occhiataccia, stupiti che in quella scuola ci fosse ancora qualcuno che indossasse la divisa delle cheerleader.
«Simon».
Simon era seduto su un banco, con una scatola di plastica sulle gambe, mentre mangiava un panino al prosciutto nelle stesse modalità con cui lo avrebbe fatto un barbone. Indossava una felpa larga con il cappuccio tirato sulla testa, dei pantaloni sporchi e i lacci delle scarpe slacciati.
I suoi capelli biondi erano arruffati e sembravano quasi essersi sbiaditi di qualche tonalità. Carey notò che era dimagrito paurosamente, e le sue occhiaie intorno agli occhi lo rendevano ancora più inquietante.
Di certo non era più il divino Simon Coleman di una volta, ma Carey pensò che riusciva a conservare ancora un certo fascino.
«Oh, ciao Carey».
La salutò allegramente e Carey si avvicinò, sedendosi sul banco davanti a lui, e senza smettere di guardarlo in faccia. Lui continuava a mangiare il suo panino, senza alzare lo sguardo.
«Come stai?» domandò lei.
«Bene, tu?»
Carey sorrise tristemente.
«Simon, c’è una cosa che mi sento in dovere di dirti...»
«Ti ascolto».
«Sono preoccupata per te. Seriamente».
Simon alzò finalmente lo sguardo verso di lei e aggrottò le sopracciglia.
«E perché?» chiese, genuinamente confuso.
Carey si alzò in piedi e si avvicinò ancora di più a lui.
«Insomma... guardati!» gli disse, toccandogli le spalle. «Hai un aspetto orribile! Non mangi, non dormi, non esci mai dall’aula, nemmeno ai cambi dell’ora. E, per l’amor del cielo, chi diavolo è quello?»
Carey si rese conto solo in quel momento di un ragazzo seduto a qualche metro di distanza da loro due. Sedeva su un banco come Simon, quieto in fondo all’aula e li guardava interessati, mentre sulle ginocchia teneva un quaderno e con la mano una penna. Aveva i capelli corti e castani ed era basso e mingherlino, senza dubbio non doveva avere più di sedici anni.
Quando Carey fece la domanda, Simon si girò e fece un sorriso al ragazzo minuto in fondo all’aula, che ricambiò il sorriso.
«Ah, quello è Charlie!» disse Simon con entusiasmo. «L’ho conosciuto qualche mese fa mentre mangiava con un vassoio seduto sulla tazza del cesso. È forte, mi aiuta a fare i compiti di matematica. O meglio, fa i miei compiti di matematica in cambio di foto di donne nude. Ma è un tipo a posto, fidati. Mi piace passare il tempo con lui ogni tanto».
Charlie fece un cenno di saluto a Carey.
«Ehilà».
Carey ritornò a guardare Simon.
«Okay, Simon, che cosa ti è successo?» domandò con serietà. «Non vedi che cosa sei diventato? Quattro mesi fa eri il ragazzo più felice del mondo, eri bello, eri conteso, avevi tutto il mondo ai tuoi piedi. Ora vengo qua e ti ritrovo a... a mangiare panini vestito come un pusher e a passare del tempo con degli sfigati! Senza offesa, eh...»
Charlie, dal fondo dell’aula le fece un leggero sorriso.
«Tranquilla, ci sono abituato».
Carey riprese la sua conversazione con Simon, che subito intervenne:
«Carey... non ho ancora capito quale sia il problema».
«Il problema è che ti trovi chiaramente in una condizione tragica!»
«Beh, non è quello che penso io! Ascolta...». Simon mise via il suo panino nella scatola di plastica. Poi scese dal banco e riprese a parlare a Carey, con tono dolce e pacato. «Non mi interessa di tutto quello che ora può considerarsi “passato”, va bene? Non mi importa della Catena, non mi importa della popolarità o della squadra di football. Sto bene così come sono, te lo giuro».
«Ma-»
«Lo so che può sembrare strano, ma fidati di me! Mi piace stare da solo, mi piace passare del tempo con Charlie... Tu non devi assolutamente preoccuparti per me! Sto bene, te lo posso giurare!»
«No, Simon, non stai bene, è evidente!» Carey iniziò ad alzare la voce. «Ti stai solo autoconvincendo di questo perché vuoi credere che vada tutto bene! Perché non riesci ad ammettere a te stesso di aver bisogno di aiuto!»
Simon cambiò espressione di colpo. Divenne improvvisamente serio e guardò Carey con sdegno. Anche il suo tono cambiò profondamente e si fece molto più irritato:
«Solo perché avevi una cotta per me non significa che tu abbia il diritto di atteggiarti da paladina dei bisognosi, Carey, dicendomi cose che, francamente, non hai alcun diritto di sapere su di me».
Carey lo guardò in silenzio per qualche secondo. Poi abbassò la voce e, guardandolo negli occhi, gli disse, con franchezza:
«Non mi prenderei mai una cotta per il fallito che sei diventato ora».
Se ne andò senza dire altro. Simon rimase con una profonda amarezza in bocca. Sentì Charlie ridere da dietro le sue spalle.
«Però!» disse l’amico, che ancora rideva. «Che ragazza!»
 
 
Linda Collins camminava in mezzo al corridoio e nessuno la degnava di uno sguardo. Indossava la maglietta del pigiama, una tuta grigia stretta. I suoi capelli erano sciolti, sporchi, spettinati e il suo viso non era truccato. Si trascinava dietro lo zaino per terra e i suo sguardo era vuoto, fisso davanti a sé.
Non appena Carey Davis la vide avanzare in quello stato, non fece a meno di correre verso di lei per cercare di farla ragionare.
«Lin, ehi, Lin...»
Linda alzò lo sguardo e parve notarla solo nel momento in cui Carey la toccò.
«Che vuoi?» chiese con tono assente.
Se Simon era stato provato dalla morte della Catena, Linda era completamente impazzita. Non si truccava e non si curava da quattro mesi e, per quanto Linda avesse ancora un viso e un corpo perfetto, la sua bellezza non era più sconvolgente ed eterea come lo era stata mesi prima. Malgrado fosse ancora tecnicamente la capo cheerleader, non si presentava agli allenamenti da due mesi.
«Lin, perché non andiamo un attimo in bagno, eh?» provò a suggerire Carey. «Così possiamo discutere in silenzio su-»
«Perché? Cos’altro c’è da dire?» rispose brusca Linda, agitando le braccia all’aria. «La mia vita ormai è finita tanto, non ho più nulla in questo mondo».
«Suvvia, non è di certo così tragica la-»
«Non sono nessuno, Carey! Senza la mia Catena non sono più nessuno!» iniziò a lamentarsi Linda indicandosi disperatamente. «Sono come Niki Luada senza macchina, come Aretha Franklin senza voce. Sono come Roosvelt senza la carica di presidente, non sono nulla! Come se non bastasse, ora tutti mi odiano perché credono che abbia ucciso la Ragazza Nuova! Come diavolo faccio a vivere in un mondo dove tutti mi ritengono una psicopatica assassina?»
Carey le mise le mani sulle spalle e provò a farla ragionare:
«Lin, non è cambiato nulla! La Catena non era l’unico motivo perché tu eri così popolare!».
«Ah no? Quali erano gli altri allora?» le chiese Linda, con aria di sfida.
“La gente aveva paura di te perché hai quasi ucciso una persona, perché hai fatto suicidare il tuo ex ragazzo, perché sei bellissima e stavi con il ragazzo più invidiato della scuola. Ma soprattutto per le prime due”.
In effetti non era cambiato nulla.
Carey non disse niente, ma cercò di cambiare discorso.
«Senti, Linda, ora andiamo in bagno a sistemarti» disse con tono gentile, mentre la prendeva per un braccio. «Una volta che ti sarai rinfrescata e rimessa la tua divisa, fidati che sarà tutto migliore. Le ragazze sentono la tua mancanza… Tu sei ancora il nostro capo, la nostra Numero Uno… Non vogliamo perderti proprio ora.»
Vide che Linda stava sbuffando, ma almeno non protestava, perciò Carey iniziò a trascinarla via. Intanto si mordeva un labbro, mentre cercava con tutte le forze di non pensare che forse ora il mondo stava veramente meglio senza Linda Collins.
 
 
Un’ora dopo Linda era pronta. Carey le aveva sistemato i capelli nella sua solita coda alta, le aveva truccato il viso e fatto indossare la divisa delle cheerleader, che le stava ancora d’incanto. Tuttavia il viso crucciato e annoiato di Linda lasciava intendere che non aveva nessuna voglia di essere lì.
Le sette cheerleader rimaste in squadra stavano in linea davanti a loro, senza dire una parola. Erano rimaste solo loro: le ragazze della vecchia squadra più quattro nuove reclute. Tutte le altre reclute, quando avevano capito che la Catena non avrebbe più portato loro fama e gloria, e soprattutto non avrebbe più garantito loro un ragazzo bello e popolare, non avevano più visto motivi per rimanere lì ed erano uscite dalla squadra per diventare amiche di Regan Weston e Taylor May, cosa che di certo avrebbe solo giovato.
Linda sapeva benissimo di tutto ciò e forse anche per questo motivo che preferiva non presentarsi più agli allenamenti.
Carey notò con rammarico che Linda rimaneva anocra immobile, con le braccia conserte, e osservava le altre cheerleader con fare assente. Decise quindi che avrebbe parlato per lei. Fece un passo avanti e, con un sorriso smagliante si rivolse alle ragazze:
«Allora, ora che Linda è tornata, possiamo darle il benvenuto e riprendere la solita routine!». Poi si girò verso Linda, con un finto, smagliante sorriso. «Linda, vuoi iniziare a fare un discorso alle ragazze?».
«Che stronzata! Tutto questo è una stronzata!».
Era stata Janissa a parlare. Tutte rivolsero lo sguardo a lei.
Da quando la Catena era stata distrutta Janissa era rimasta nelle cheerleader, per qualche assurdo motivo che nessuno comprendeva, dato che il suo rancore verso Linda era aumentato a dismisura negli ultimi tempi.
Janissa si staccò dal gruppo e si avvicinò sempre di più a Linda e Carey.
«Linda non si presenta agli allenamenti da due mesi. Chi ha detto che può ancora essere la nostra capo cheerleader? Chi ha detto che può ancora essere nella squadra?»
Carey iniziò ad agitarsi, mentre notò che Linda rimaneva ferma e impassibile, senza mutare lo sguardo. La capo-cheerleader non aprì bocca, così Carey si affrettò a rispondere a Janissa:
«Jany, non possiamo cacciare, da un giorno all’altro, Linda dalla squadra, lo sai» disse con il tono più gentile che riuscì a fare. «Sai che le nostre regole non permettono che una compagna venga-»
«Sul serio? Stiamo ancora a parlare di regole qui?» Janissa alzò la voce così tanto da stupire tutti i presenti. Tuttavia Linda rimaneva comunque impassibile. «Tutta la scuola si è evoluta, ma qui, in questo mondo rimasto all’antichità si parla ancora di regole?!»
Tutte le cheerleader si guardarono in silenzio. Carey stava per ribattere, ma Janissa la interrupe, riprendendo a parlare:
«Questa squadra fa schifo, e io mi sono stancata di tutte voi!» ammise la ragazza, guardando le sue compagne con rabbia. «Soprattutto mi sono stancata di te, Carey. Dopo tutto quello che ci ha fatto, tu passi ancora il tuo tempo a fare la tirapiedi di questa specie di demone disumano».
Quattro mesi prima se Linda Collins si fosse sentita chiamare “demone disumano” da qualcuno come Janissa, di certo non gliel’avrebbe fatta passare liscia. E di certo era ciò che le presenti si aspettavano, ma con sorpresa, Linda non reagì minimamente. Si limitò a guardare Janissa, senza far trasparire alcuna emozione.
Carey spostò lo sguardo da Linda a Janissa lentamente.
«Janissa, dai, non dire così. Sto solo cercando di…»
«Io me ne vado» la interruppe Janissa. «Restare nelle cheerleader non ha più senso. Non siamo più popolari e la gente ci guarda con disprezzo perché credono che c’entriamo con l’omicidio della Ragazza Nuova. Io mollo. Chi è con me?»
Immediatamente quasi tutte le giovani reclute fecero un passo avanti verso Janissa.
Carey le guardò implorante, ma quando anche Chloe, che era stata con loro fin dall’inizio, avanzò timidamente verso Janissa, Carey non volle crederci.
«Chloe?» disse, con un sussurro.
«Io… mi dispiace» rispose Chloe, ricambiando lo sguardo, quasi straziata. «Non voglio più sentirmi una nullità… è una sensazione orribile!»
Così si raggrupparono e iniziarono ad andarsene insieme. Nella palestra rimasero solo Carey e Stephanie che guardarono stupite le loro compagne abbandonarle, più quella recluta che Linda chiamava “Perm”, che per qualche strano motivo preferiva rimanere. Linda rimaneva ancora immobile, e non diceva nulla.
Solo quando il gruppo che si era appena scisso era in procinto di uscire dalla porta, si udì una forte risata. Tutti si voltarono e, con grande stupore, si accorsero che proveniva proprio da Linda. Janissa, completamente presa alla sprovvista, scavalcò il suo gruppo per avanzare e osservarla meglio.
«Ah, Janissa, lo sapevo…» iniziò a dire Linda, mentre ancora ridacchiava. «Lo sapevo… sei come Jack!».
Janissa non capì.
«Cosa cazzo stai dicendo?»
«Jack, come nel Signore delle Mosche» continuò Linda, con un ghigno impresso sul volto. «Tu vuoi andare contro Ralph, contro le regole e la giustizia, e crearti un tuo culto con gente che ti venera, fatto di disordine e di caos, di violenza e di voglia di sangue, non è forse così?».
«Tu sei completamente pazza…»
«Oh, ma io l’ho capito, Janissa, ho capito tutto quanto». Linda continuava a guardarla con uno strano sguardo, inquietante e crudele. «E presto tutti si accorgeranno che sei tu il vero Male. Perché è quello che sei. Non vuoi andartene perché non vuoi più essere una nullità, vuoi andartene perché vuoi andare contro di me. Mi odi ancora perché Bethany voleva che fossi tu la nuova capo cheerleader. Dovevi essere la sua erede e invece ti sei ritrova me tra i piedi!».
Janissa non disse altro. Si voltò, ignorandola, ma sotto sotto sentiva di essere stata colpita nel profondo.
Così tutto il gruppo uscì e la palestra rimase vuota, buia e silenziosa.
Nessuna delle ragazze presenti aveva parole per spiegare quello che era appena successo. Si guardarono in silenzio, poi Carey fu la prima a prendere parola.
«Linda io-».
Ma non la lasciò parlare. Linda si girò di scatto e, senza dire nulla, uscì dalla palestra con passo pesante.
 
All’aria aperta si sentiva meglio.
Linda corse su e giù per le tribune, senza sapere esattamente cosa fare. Quando lo ebbe fatto per cinque volte, andò verso la transenna e decise di appoggiarsi lì.
Davanti a lei una ventina di ragazzi si allenavano a football, urlando e scambiandosi la palla velocemente. Si stiracchiò le braccia e fece un profondo respiro; non sapeva più come andare avanti.
Alzò lo sguardo al cielo e vide il tetto della scuola, che si elevava per quindici metri da terra.
Chissà se avrebbe fatto così tanto male. Si ricordò del tonfo della Ragazza Nuova, quando era caduta dalla tromba delle scale. Poi ricordò il volto sconvolto di Bethany Mayers, e del momento in cui l’aveva vista ruzzolare giù per due piani, che le erano sembrati infiniti.
Se l’avesse fatto, sarebbe stata una fine giusta per lei, questo era certo.
Tentò di arrampicarsi leggermente sulla transenna e a guardare il mondo da lì, leggermente più in alto del solito. Aprì le braccia, come per fare delle prove, ma non sentì nulla. Non sentiva nulla.
Poi percependo lo sguardo di qualcuno su di lei, decide di rilassarsi e di ritornare giù.
Girò la testa verso destra e vide, con sua sorpresa, Simon Coleman, vestito in modo ridicolo, con una felpa larga e il cappuccio tirato sulla testa, che la fissava intensamente, con i suoi occhi celesti contornati da occhiaie.
«Beh… chi si rivede» disse lui abbozzando un sorriso.
Linda si voltò verso di lui e si avvicinò.
«Simon». Era stupita nel vederlo in quel modo. Non si vedevano da quattro mesi. «Ma cosa diavolo ti è successo?»
«Potrei dire la stessa cosa di te» rispose lui, andando a sedersi su uno dei sedili delle tribune. «Cos’era quella? Una prova generale?».
Linda gli lanciò uno sguardo di ghiaccio e andò lentamente a sedersi accanto a lui. Chissà per quale motivo i loro destini erano sempre così collegati tra di loro.
«Come diavolo si fa a vivere tutto questo?» domandò senza pensarci.
«Ci sono abituato» rispose lui, facendo un leggero sorriso. «D’altronde questa era la mia vita prima di incontrare te. Ma non avevo mai provato come ci sentisse ad essere considerato un assassino da tutti…».
Linda sospirò.
«Che situazione di merda…» commentò con un sussurro.
«Già».
Linda e Simon rimasero in silenzio per un attimo. Poi la ragazza si girò verso di lui e lo guardò attentamente. Vide il modo terribile in cui era ridotto e si ritrovò a provare un certo senso di colpa verso di lui, qualcosa che non aveva mai provato per nessun altro… di certo doveva essere per via della situazione. Così si girò e prese un lungo respiro.
«Devo chiederti scusa» disse, guardando davanti a sé.
«E per cosa?»
«Per averti fatto diventare come me., per averti portato in cima per poi farti ritrovare di nuovo al più basso scalino. Una gloria durata a malapena due anni. Non deve essere una bella sensazione».
«No, infatti…». Simon abbassò lo sguardo. Sorrise. «Sai, non hai idea di quanto io abbia aspettato che tu me lo dicessi».
«Forse è l’unica cosa che mi rimane da fare, chiedere scusa a tutti» ammise Linda con un sospiro. «Ho fatto così tante scelte sbagliate e ho rovinato la vita a così tante persone. Odiavo tutti e così ho creato una regola che ponesse me in cima e tutti gli altri sotto di me. Così nessuno avrebbe più potuto ferirmi, ma nel frattempo ho ferito tutte le persone che amavo. E così facendo non mi è rimasto più nessuno di loro…».
«Beh, io sono ancora qui».
Si girò verso Simon, ma si accorse che non la stava guardando.
«Sì, mi chiedo anche io perché di tutte le persone di questo mondo, io sono sempre, in ogni situazione di merda che mi ritrovo, insieme a te» disse Linda, con voce sprezzante. Poi capì che non voleva insultare Simon e cambiò immediatamente tono. «Forse è per questo che ti ritengo l’unica persona in grado di capirmi».
«Sì, lo penso anche io».
Simon si alzò improvvisamente e Linda lo fissò stupita. Il ragazzo le lanciò un ultimo sguardo.
«Di certo il nostro rapporto è tutt’altro che perfetto, ma trovo che stiamo ancora migliorando…».
Iniziò ad andarsene e Linda lo seguì con lo sguardo.
«Ci si vede in giro, Lin».
Simon scomparve dietro alla porta della palestra, così misticamente come era apparso.
Linda rimase in silenzio, con le urla distanti dei giocatori come unico sottofondo, a ripensare a quello che era appena successo.
Come era finita a diventare la persona che era in quel momento? Quale assurda concatenazione di eventi l’aveva portata fin lì? Di certo non era una debole, ma non lo stava dimostrando.
Già, perché non lo stava dimostrando? Cosa l’aveva trattenuta per tutto quel tempo?
Si voltò verso la porta da dove Simon era uscito.
Non sapeva perché non se ne fosse mai resa conto fino a quel punto, ma era Simon che aveva dato inizio a tutto quanto.  Alla Catena, al suo passaggio da cheerleader ad ape regina della scuola. Aveva sempre creduto di essere stata lei a cambiarlo, ma forse invece era il contrario. D’altronde, tutto quello che Linda aveva fatto fino ad allora, era sempre stato solo e solamente per lui. Tutto ciò che l’aveva portata fino a quel punto, era stato fatto tutto per lui.
Mi chiedo anche io perché di tutte le persone di questo mondo, io sono sempre, in ogni situazione di merda che mi ritrovo, insieme a te.
Erano entrati in quella situazione insieme, e di certo ne sarebbero usciti insieme. Ma non poteva farcela da sola, aveva bisogno di lui. Ora capiva.
Era lui, dopotutto, che la rendeva così. Era lui che la trasformava nella versione preferita di sé stessa: nella versione che non si faceva mai abbattere da nulla. Linda Collins, la ragazza di ferro, esisteva solo per merito suo.
Si alzò in piedi, più decisa che mai ed entrò dentro la palestra, che ormai era vuota. Uscì dallo spogliatoio, si addentrò nei corridoi, e vide la sua ridicola felpa larga vagare in mezzo alla massa di studenti.
«Simon!»
Lui si girò e quando la vide avvicinarsi a passo svelto, la guardò confuso.
Quando furono faccia a faccia, Linda iniziò a parlare. Il suo tono deciso era tornato, il suo sguardo dirompente, la sua parlantina scaltra, oh, si sentiva più forte che mai!
«Stammi bene a sentire: io e te non resteremo in questa situazione ancora lungo» iniziò a dirgli. «Noi due, da domani, risolveremo questo omicidio, scopriremo che cosa è successo davvero alla Ragazza Nuova, ristabiliremo la Catena una volta per tutte, e chiuderemo questo anno di nuovo in cima. Io e te siamo le persone più intelligenti, più belle e più sveglie di tutta Buckley. E so che la polizia non farà nulla per questo caso, perché è già stato chiuso come “incidente, potenziale suicidio”. Non ci tocca che indagare di nostra mano».
Simon la guardava, ma non diceva nulla. Linda continuò con il suo discorso, ancora più decisa:
«Non posso lavorare da sola. Per quanto odio ammetterlo, ho bisogno di te. Solo con te posso ritornare la Linda di una volta. Te lo sto chiedendo, quindi, in ginocchio».
Simon fece un largo sorriso.
«D’accordo, Lin, ma ad una condizione» disse, sentendosi anche lui ritornato quello di una volta. «Che quando la Catena sarà ristabilita e noi due avremmo riconquistato le nostre corone, il re e la reginetta saranno entrambi al primo posto della classifica».
Linda non ci pensò due volte prima di parlare.
«Va bene. Dopotutto sentivo la mancanza di un vero rivale».
Si guardarono e si sorrisero. Sì, erano tornati quelli di una volta.
«Oh, Linda, sarò un rivale così terribile per te che ti farò rimpiangere di aver acconsentito a tutto questo».
«Non aspettavo altro, wonder boy».
«A domani, Linda».
«A domani, Simon».
Si girarono da parti opposte e ripresero la loro giornata per cammini separati.





Scusate il ritardo causa esame di maturità incoming (AAAAAAAAAAAAAAA). Spero di farcela per il prossimo mese e pregate per me.

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Capitolo 15
*** La coppia più bella ***


Capitolo 14
La coppia più bella
 

She's a Killer Queen
Gunpowder, gelatin
Dynamite with a laser beam
Guaranteed to blow your mind
Anytime”

“Killer Queen”, Queen 1974
 
 
Stephanie Cromwell uscì da scuola, cercando in tutti i modi di farsi strada in mezzo alla massa di studenti. Riuscì a raggiungere infine l’esterno e si rifugiò verso una delle fontanelle in prossimità del cancello. Mentre si piegava a bere la sua mente era piena di pensieri.
Troppe cose erano successe in quella scuola da quando la Ragazza Nuova era morta. Solo l’altro ieri la squadra di cheerleading si era praticamente dimezzata. Ora esistevano solo quattro membri in squadra, lei compresa.
Quando aveva visto Janissa e le altre andarsene aveva provato una voglia immensa di unirsi a loro e lasciare per sempre Linda e le cheerleader.
Tuttavia non aveva avuto la forza per farlo.
Non era mai stata considerata seriamente da nessuna delle sue compagne di squadra, era vero, ma se c’era una persona che l’aveva trattata con riguardo fin dal suo primo giorno di scuola, quella era Linda. Non le importava di cosa pensassero tutti di lei, di come si era comportata in passato. Linda era genuinamente sua amica e non l’avrebbe abbandonata per nulla al mondo.
Alzò lo sguardo dalla fontanella e il suo sguardo si posò per puro caso su un gruppo di ragazze sedute sulle scale d’entrata di un palazzo in prossimità della scuola.
Era un gruppo di una dozzina di ragazze, la maggior parte nemmeno frequentavano il liceo. Erano un noto gruppo che si trovava quasi tutti i giorni lì da sempre. Ogni volta che si trovavano si facevano di cocaina, ma nessuno degli studenti denunciava il fatto perché la polizia di Buckley era notoriamente incompetente e quelle ragazze decisamente troppo spaventose per poter essere sfidate.
Quel giorno Stephanie le vide. e le avrebbe ignorate come faceva ogni giorno, se non fosse che quella volta riuscì a scorgere Alexis Golde insieme a loro.
Non si parlavano da qualche settimana, ma era inconfondibilmente lei. Riconobbe i suoi capelli biondi, i suoi occhi contornati di nero e soprattutto quei suoi guanti scuri di pizzo, mentre tra le sue dita reggeva il foglio con sopra distesa la striscia bianca. La osservò avvicinarsi al foglio, tirare su col naso e passare ridendo il foglio ad un'altra delle ragazze.
Non esitò oltre.
Stephanie prese il suo zaino e iniziò ad avviarsi con decisione verso di loro. Mentre si avvicinava iniziava a sentire una musica diventare sempre più forte, probabilmente proveniva dal gruppo di ragazze.
Quando arrivò davanti a loro, la maggior parte non la notò nemmeno. Ridevano e si passavano la cocaina scherzando tra di loro. Di quelle che la videro, più che altro nella fila seduta più in basso, iniziarono tuttavia a guardarla male. La maggior parte sembrava essere molto più grande di lei, erano vestite con abiti neri e sciatti, gran parte di loro  portava qualche sorta di piercing sul volto o capelli di colori strani.
Evidentemente Stephanie con i suoi riccioli biondi e la sua lucente divisa da cheerleader non era proprio una presenza a loro conforme.
Inizialmente tra quel gruppo non riuscì nemmeno più a scorgere Alexis, al che pensò di aver essersi sbagliata e che probabilmente si era confusa con qualcuno che le assomigliava.
Poi però la vide, mentre stava seduta in mezzo a quel gruppetto esattamente in mezzo alle scale.
Si stava baciando con una delle ragazze. Era una ragazza molto carina dai capelli verdi e con le labbra ricoperte di un rossetto incredibilmente scuro. Osservò con imbarazzo Alexis mentre muoveva la sua bocca danzando intorno alle labbra nere di quella ragazza, dandole dei piccoli delicati baci e talvolta mordendole il labbro inferiore. Di sottofondo il registratore di una di quelle ragazze suonava una canzone dei Queen e Alexis si muoveva in perfetto ritmo con la canzone, talvolta mimando le parole tra un bacio e l’altro.
Stephanie si sentiva incredibilmente a disagio, ma si sforzò di non darlo a vedere.
«A-Alexis?» azzardò, con voce flebile.
Alexis dimenticò immediatamente le labbra scure della ragazza e si girò verso di lei.
«Ehi, Stephanie» la salutò, con fare assolutamente disinteressato. «Che ci fai qui?»
Stephanie guardò indecisa tutte le altre ragazze del gruppo. Tutte tenevano imperterrite uno sguardo truce su di lei, in attesa che si spiegasse. Probabilmente la avrebbero già picchiata a sangue se Alexis non l’avesse riconosciuta.
«Volevo sapere cosa sei a fare qui con loro…»
Le ragazze continuarono a guardarla con occhi pieni di odio. La ragazza in compagnia di Alexis intanto le restava appiccicata. Continuava insistentemente a baciarle il collo, nonostante fosse nel bel mezzo di una conversazione con un’altra persona. Stephanie si sentì profondamente infastidita da lei.
«Sono amiche» rispose semplicemente Alexis, mentre posava un braccio intorno alle spalle della sua ragazza e cercava di allontanarla. «Ti creano qualche problema?»
Stephanie sentì con disagio gli sguardi ben poco accoglienti delle ragazze posati su di lei.
Non voleva fare passi falsi, ma non voleva nemmeno lasciar perdere.
Poco dopo però udì una voce:
«Che cosa vuoi, Cromwell?» esclamò sgarbatamente una delle ragazze del gruppo, che Stephanie non riconobbe, ma che evidente mente frequentava il liceo. «Credevo che le cheerleader adesso si fossero tutte nascoste dalla vergogna».
«A quanto pare Miss Riccioli d’Oro si sente fiera di indossare la divisa da ragazza pom pom» disse un’altra del gruppo. «Cosa c’è? Il papino ti ha pagato pure quella o hai dovuto fare bocchini a tutta la squadra di football per poter essere accettata nella squadra?»
Tutte le ragazze scoppiarono a ridere. Molte di loro iniziarono a ricoprirla di insulti.
Stephanie rimase impassibile, ma guardò ognuna di loro, spostando lentamente lo sguardo da una all’altra.
Poi si avvicinò al gruppo e si rivolse esclusivamente ad Alexis:
«Alexis, vieni via da qui. Adesso».
Tutte le ragazze del gruppo iniziarono ad alzare le mani ed ad urlare un allungato “uuuuh!” per prenderla in giro. Alexis rise insieme a loro.
Stephanie le ignorò.
«Alexis-»
«Che cosa vuoi da me, Stephanie?» la interruppe all’improvviso Alexis, guardandola con fare serio. «Non penso di aver mai richiesto il tuo aiuto».
«Questa non sei tu» le disse con calma, abbassando la voce. «Questo gruppo di… fallite, non ti merita. So bene che-»
«Chi hai chiamato fallita, lurida troia?»
Una delle ragazze in mezzo si alzò e si avvicinò improvvisamente a lei. Stephanie la riconobbe: era la ragazza con i capelli verdi e il rossetto scuro che stava baciando Alexis poco prima. Iniziò a sudare dalla paura. Quella ragazza era molto minuta, ma il suo sguardo minaccioso e i suoi pungi così serrati la intimidirono all’istante.
«Meghan, lasciala perdere». Vide Alexis alzarsi dal suo posto e venire verso di lei. «È solo una sfigata tanto. Ora che leccare il culo a Linda Collins non le giova più nulla sta cercando disperatamente di farsi delle nuove amiche».
Stephanie la guardò sconvolta. Tirò fuori tutta la voce che teneva in serbo:
«Vaffanculo, stronza!»
Non ebbe più nulla da dire, perché un istante dopo sentì un pugno arrivarle sulla faccia. Alzò lo sguardo e si rese conto che Meghan aveva iniziato ad arrivare alla violenza vera e propria.
Stephanie voleva andarsene all’istante, ma non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi che Meghan le tirò una ginocchiata così forte sullo stomaco così forte che si piegò a terra dal dolore.
Era febbraio e il fango autunnale era ancora presente. Quando cadde a terra si sporcò interamente le gambe di terra, ma non le importava. Non aveva più la forza di rialzarsi ormai.
Le ragazze sulle scale incitavano e chiedevano che venisse picchiata di più, ma nulla sconvolse di più Stephanie come il momento in cui Meghan si rivolse ad Alexis e le disse:
«Dai Lexi, falle sputare sangue».
Stephanie alzò lo sguardo disperata verso di lei, pregandola di non farlo.
Sebbene Alexis sembrò esitare per un breve un secondo, subito dopo la prese per i capelli e le tirò un pugno in faccia. Urla e incitazioni scoppiarono di nuovo nell’aria.
Stephanie sentì di nuovo un calcio arrivarle addosso, questa volta sulla schiena. Cadde in avanti e finì con la faccia nel fango.
«Ti piace la merda, Crowmell?» sentì ridere Alexis e le sue amiche insieme a lei.
Stephanie cercava disperatamente di rimettersi i piedi, ma ogni volta Alexis la ributtava a terra e la schiacciava giù con il piede.
Finché Stephanie non si stancò di ribellarsi, e allora continuò ad ascoltare gli insulti che le riferivano Alexis e l’altra decina di ragazze intorno a lei.
«Ti piace la merda, Cromwell?» «Sei patetica!» «Non parli più? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» «Tirati su, schifezza!» «Dai, Alexis, picchiala di più!»
Sorbì, fece finta di niente.
Poi all’improvviso sentì tirarsi per i capelli. Cacciò un acuto urlo di dolore, e vide il viso di Alexis che la guardava minacciosa.
«La prossima volta che mi dai della stronza o provi ad insultare la mia ragazza…» Alexis iniziò a parlarle, ma Stephanie non reagiva, scossa da tutti quei calci. La voce di Alexis le pareva come un lontano eco.
«…ti faccio fuori.»
Finalmente Alexis lasciò andare i capelli di Stephanie, per poi farla ricadere di nuovo in mezzo al fango e andarsene con tutto il suo gruppo. Le voci e le risate si fecero sempre più lontane, ma Stephanie non osò rialzarsi comunque.
Si limitò a guardare il gruppetto allontanarsi da lei. Meghan mise un braccio intorno ad Alexis e le stampò un bacio sulle labbra. Per qualche motivo quello fu il gesto che le fece più male di tutti.
Nonostante la vista flebile le parve di vedere, da lontano, Alexis voltarsi verso di lei e guardarla con sguardo triste.
 
 
Taylor May avanzò con calma nell’auditorium, dove il professor Michael Joyce la stava aspettando. Era passato un po’ di tempo da quando si erano visti.
Ora tutto era cambiato nella scuola. Lei e Regan erano piene di amiche, tutti conoscevano il suo nome, tutti la desideravano. Dopo la morte della Ragazza Nuova e la distruzione della Catena era diventata esattamente quello che Linda era fino a quattro mesi prima, sebbene dentro di sé sentiva di voler comunque rimanere se stessa. Era molto più felice ora, certo, ma l’essere popolare non era qualcosa che faceva parte di lei.
Non voleva cambiare dal nero al bianco come era successo con Simon, né diventare una persona orribile come Linda.
Le feste, l’alcol, gli amici, i gossip… non facevano parte del suo mondo. Voleva ancora che il suo mondo fosse quel piccolo e riservato spazio formato dalle sue passioni, dalla poesia, dal club di teatro e dalle poche amicizie sicure che sentiva di avere.
Michael Joyce era uno di quei punti fermi della sua vecchia vita che voleva ancora mantenere.
Lo trovò sul palco, intento a sistemare, con fare interessato, i copioni sparpagliati sul pianoforte a coda.
«Professore?» disse con voce incerta. Lui si girò immediatamente. «Ecco, il professor Gordon mi ha detto che mi cercava…».
Fu felice di vederlo sorridere nel momento in cui la riconobbe. Taylor mise per terra la sua borsa e si avvicinò a lui.
«Oh, certo Taylor» disse lui, mentre lasciava perdere per un attimo i copioni. «È riguardo alla scena finale del matrimonio… Mi serviva un aiuto: sto cercando di adattare a meglio il testo per renderlo più corto e mi chiedevo se mi potessi dare una mano nella lettura».
«Ma certamente» rispose Taylor entusiasta.
«Bene, allora…». Michael si girò verso i copioni e ne prese uno a caso dal gruppo. Poi, con un largo sorriso lo consegnò a Taylor. «Proviamo con questo».
Taylor iniziò a sfogliare e a leggere velocemente il copione.
«Vuole che faccia la parte di Tisbe o…?»
«Sì, e io faccio Piramo. Vediamo per ora come viene».
Rimasero in piedi uno davanti all’altro ed iniziarono a leggere la parte della scena riadattata dal testo originale. Michael cominciò con il monologo di Piramo, la parte saltando gli interventi di Teseo e gli invitati al matrimonio, così che risultò solamente un dialogo tra i due. Ogni tanto si fermava per appoggiarsi sul pianoforte e scrivere delle revisioni e in quel momento i due avevano modo di parlare e di iniziare a confrontare le loro opinioni.
Taylor ci mise tutto l’impegno che riuscì a trovare per risultare abbastanza convincente. Ma la sorpresa più grande fu sentire recitare Michael.
Forse era per il fatto che sembrasse più giovane di quanto fosse in realtà o che aveva visto recitare così tanti pessimi studenti che in quel momento le parve assolutamente magnifico. Sebbene fosse solo una lettura di prova, il professor Joyce ci metteva così tanta passione e riusciva a modellare la sua voce così magnificamente che quando arrivò al pezzo “Oh, baciami attraverso la fessura di questo vile muro” Taylor iniziò ad arrossire. Per fortuna lui era troppo intento a pensare alle sue battute per poterlo notare.
Saltarono poi dei pezzi e arrivarono direttamente al momento della morte dei due amanti.
Qui, mentre Michael si fermava per revisionare il testo, Taylor ne approfittò per chiedere:
«Professore, perché ha chiesto proprio a me di aiutarla?»
Michael non alzò lo sguardo dal copione ma lo vide sorridere.
«Perché sei la migliore del gruppo, che domande».
«Non è vero» disse Taylor, sentendosi leggermente in imbarazzo. «LeeAnn è molto più-»
«LeeAnn sarà anche brava, Taylor, ma le manca il cuore adatto per poter comprendere a pieno Shakespeare».
Michael era diventato improvvisamente serio e aveva alzato lo sguardo su di lei. Taylor non seppe esattamente come rispondere a quell’intervento, ma ne fu molto lusingata. La riteneva davvero migliore di LeeAnn? Non aveva mai avuto molte aspettative nella sua vita, ma essere un’attrice migliore di LeeAnn Anderson era qualcosa che andava al di là delle sue stesse possibilità di immaginazione.
Michael tornò ad ignorarla, posando lo sguardo sul suo copione e continuando ad aggiungere segni in penna.
«Bene, direi che tutta la parte sul “Venite, lacrime, ed affogatemi” si può anche eliminare». Cambiò improvvisamente l’argomento. «Shakespeare è un genio, ma tutto questo mal d’amore in mezzo ad una commedia finirà per annoiare un pubblico di adolescenti e genitori…»
«Beh, certo» Taylor sorrise soprappensiero. «Le scene d’amore sono sempre una rottura dopotutto…».
Michael mise giù il copione improvvisamente. Taylor lo osservò stupita, mentre sembrava pensare intensamente a qualcosa. Sembrava quasi stesse valutando se fare qualcosa di importante o meno. Taylor riconobbe l’esatto momento in cui prese la decisione. I suoi occhi diventarono fermi, la guardò in faccia e le disse solamente:
«No. Non era quello che intendevo».
Si avvicinò velocemente a lei. Le pose una mano sul viso e la baciò ardentemente sulle labbra. Taylor rimase folgorata. Chiuse gli occhi e provò a mettergli le braccia intorno al collo, per lasciargli intendere che non aveva intenzione di respingerlo. Le parve di sentire le sue mani scorrere sulla sua schiena. Lei si strinse ancora di più a lui.
Non voleva sprecare un solo secondo di quel momento. Non era mai stata baciata da nessuno, non in quel modo almeno, e tutte le meravigliose emozioni che attraversarono la sua mente durante quel bacio la convinsero a non lasciarlo andare per nessuna ragione al mondo.
Lei voleva lui. Taylor lo voleva, se ne rese conto, come non aveva mai voluto nessun altro.
Provò ad aprire la bocca, ma Michael si staccò dal bacio improvvisamente.
«Scusami, io…» sussurrò lui, mentre si allontanava. «Non avrei dovuto farlo, ti chiedo scusa».
«No, è tutto a posto. Sul serio, io… lo volevo da tanto tempo» Taylor provò a prendergli la mano, ma lui le aveva già voltato le spalle.
«Probabilmente penserai che sono patetico. Sposato e con un figlio, andare dietro ad una studentessa… Ma cosa mi è venuto in mente?»
 Taylor all’improvviso sentì di nuovo quell’emozione. Quell’emozione che aveva provato tante volte, ma che ormai aveva scordato. Pensava di aver superato tutto, credeva che le cose fossero cambiate per sempre, e invece ecco che la sensazione del suo cuore spezzato le si ripresentava davanti. Sentì le lacrime arrivarle agli occhi e le ricacciò su a forza.
«Ti prego di non farle parola con nessuno» la informò Michael, che ancora insisteva a darle le spalle. «Se qualcuno lo scoprisse finirei in gravi casini».
«Michael».
Taylor sperava che si sarebbe voltato a guardarla in faccia, ma non avvenne. Così, mentre lui continuava ad evitare di girarsi verso di lei, Taylor prese fiato e decise di parlare comunque:
«Io non mi ero mai sentita così per nessun altro» gli disse sinceramente. «Non voglio che finisca qui, in questo modo. Ti prego».
I due rimasero in silenzio per qualche secondo. Taylor non era sicura di sapere bene a che cosa stesse pensando. Attese con il cuore in gola tutto il tempo.
Poi finalmente Michael parlò, sebbene ancora di spalle e con tono decisamente più secco del solito:
«Ti ho già detto di no, Taylor. Sono un tuo professore e tu una mia studentessa, nulla di più. Possiamo continuare ad avere quel tipo di relazione se vuoi, ma quello che è successo oggi non deve più riaccadere. È chiaro?».
Taylor abbassò lo sguardo. Non resistette più e le lacrime iniziarono a colare lentamente.
«Sì, capisco» furono le ultime parole che riuscì a pronunciare, con voce flebile, prima di uscire dall’auditorium scoppiando per l’ennesima volta in lacrime.
 
 
Linda Collins era a letto con il suo bellissimo e meravigliosamente affascinante fidanzato Darren C. Carmichael, e si stava annoiando a morte. Non è che non lui le piacesse fisicamente, ovvio, ma c’era qualcosa in lui che semplicemente portava la sua attrazione a zero.
Non era minimamente comparabile a Simon, non c’era dubbio. Forse per il fatto che durante il sesso si muoveva come una macchina, o il fatto che continuasse a elogiare le sue grandi doti di amante fregandosene della ben diversa realtà dei fatti.
«Oh, sì, piccola!» continuava a urlare Darren C. Carmichael, nonostante Linda fosse ferma immobile da quando avevano iniziato. «Ti piace, piccola?»
Linda non rispose, ma si limitò a guardare annoiata l’orologio a suo polso, sperando che l’agonia finisse al più presto. Sbuffò rumorosamente.
«Senti, hai intenzione di durare ancora molto? Perché sai, qui io-»
«Mh, oh sì!»
Darren C. Carmichael non la considerava nemmeno.
«Ohi, scusa, sai com’è, potresti almeno valutare il fatto che, che ne so, esisto
«Oh, Simon…».
«Mi hai appena chiamata “Simon”?!»
«Cosa? No, ma va!»
«Ommioddio… sai cosa? Basta così».
Spostò a forza Darren C. Carmichael di lato e lui cadde a peso morto sul materasso. Afferrò velocemente le sue mutandine ed iniziò a rivestirsi velocemente.
Darren C. Carmichael era profondamente confuso:
«Che ho fatto stavolta?»
Linda lo ignorò. Indossò la sua canotta azzurra e si alzò dal suo letto seccata. Iniziò a girovagare per la stanza ancora in mutande, osservando il divino corpo di Darren C. Carmichael disteso sulle sue lenzuola.
Accipicchia però, che spreco.
Linda andò lentamente verso il suo comò, dove erano poste una serie di snack e di dolci che teneva di scorta per i momenti di stress. Solitamente le mangiava e poi correva subito in bagno a vomitarle, poiché una linea perfetta non si manteneva di certo senza un po’ di sforzo.
Afferrò un pacchetto di patatine al formaggio, lo aprì e cominciò a mangiarle avidamente. Darren C. Carmichael la guardava in silenzio.
«Ma che diavolo mi è successo?» iniziò a dire Linda tra sé e sé, con la bocca ancora piena di patatine. «Sono sempre stata dell’idea che le donne non avessero bisogno di un uomo per sopravvivere. Sono un’icona di femminismo lampante per le ragazzine più piccole di me. Ho sempre detto loro che dovevano essere forti ed affrontare questo mondo crudele con nient’altro che le loro forze. Ho letto tutti i libri su Mary Wollstonecraft quest’estate e questo è quello a cui sono arrivata? A scoparmi Darren C. Carmichael solo perché non avevo nessun altro da farmi?»
Darren C. Carmichael si sentì leggermente offeso.
«Posso sapere che ti ho fatto?»
«Sei palesemente gay, okay?» esclamò Linda, guardandolo esasperata. «E, come se non bastasse, sei chiaramente innamorato di Simon. Lo abbiamo capito tutti qui, solo tu sembri esserne completamente all’oscuro!»
«Cosa? No, ma che dici…»
«Ma sai una cosa? In effetti me la sto prendendo con la persona sbagliata: tu non c’entri nulla» ragionò con calma Linda, riprendendo a girovagare per la stanza. «È colpa mia dopotutto, se ho preferito stare con un omosessuale piuttosto che stare da sola, non c’è dubbio».
Guardò per un attimo il pacchetto di patatine che aveva in mano. Oh, adorava alla follia quelle patatine…
«Ma perché diamine ho fatto tutto questo?» sussurrò in preda ai pensieri. «Io… volevo solo essere bella, volevo essere popolare, e invece non ho fatto altro che diventare infelice. Quando c’era la Catena credevo di essere così felice, ma solo ora mi rendo conto che… che…». 
Ma ora non sarebbe più successo. Non sarebbe più stata infelice da adesso in poi.
«Ora capisco! La Catena è morta, ma io sono ancora Linda Collins! Linda Collins, la ragazza di ferro. E non ho bisogno di limitarmi o di farmi del male per poterlo essere di nuovo, ma certo! Io… posso essere felice anche senza Regole, anche senza un fidanzato, sì!»
Prese una manciata di patatine e se la mise in bocca tutta d’un colpo. Poi si avvicinò a Darren C. Carmichael e dopo aver finito di masticare, gli disse:
«Darren, scusami se ti ho usato come fidanzato usa e getta per quasi sei mesi. Anche tu meriti di essere felice in fondo, quindi ti lascio andare».
Darren C. Carmichael la fissò intensamente, ancora leggermente confuso.
«Quindi… significa che posso tornare con Janissa ora?»
Linda non riuscì a credere che lo avesse detto, dopo tutto quello che era appena successo. Sospirò, pensando che dopotutto non era più un problema suo.
«Sì, okay, vai, scopati pure chi vuoi, non mi interessa!».
Darren C. Carmichael, entusiasta come non lo era mai stato, si rivestì in tutta fretta ed uscì alla velocità della luce dalla stanza di Linda, lasciandola completamente da sola.
Linda guardò per un secondo la sua stanza vuota.
Si lanciò sul letto ancora sfatto, lanciò in aria le ultime patatine rimaste e le mangiò avidamente, finendo anche per leccarsi le dita.
Poi rise, e rise ancora più forte, e rise talmente tanto che iniziò a farle male lo stomaco e dovette correre in bagno a vomitare.





Ebbene è andata, ed è andata abbastanza bene, ma alla fine sono matura! è stata anche molto dura e quindi ci ho messo tanto, ma adesso vedrò bene come organizzarmi per l'estate e forse riescire a diminuire i tempi, non so. Questo è un leggero capitolo "di transizione" (scritto ovviamente, come quasi tutti gli altri, tra l'una e le tre di notte, ovvero il mio momento di picco di creatività) che tanto divertente non è, ma tranqui che al vero draaaamaaaa ci arriveremo poi ;)
Grassie a tt
Mel.

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Capitolo 16
*** Due migliori amiche e un problema ***


Capitolo 15
Due migliori amiche e un problema

 
“When I had you to myself, I didn't want you around
Those pretty faces always make you stand out in a crowd
But someone picked you from the bunch, one glance is all it took
Now it's much too late for me to take a second look”

“I Want You Back”, The Jackson 5 1969
 
 
 
Carey Davis camminava tranquillamente per il corridoio per andare verso il suo armadietto. Sembrava un giorno come un altro, quando avvenne un miracolo.
Era andata come al solito a raccogliere i libri per la lezione dell’ora dopo, di ritorno dall’aula di fisica. Proprio nel momento in cui aprì l’anta dell’armadietto, sentì una voce famigliare dirle:
«Non sei ancora arrabbiata con me vero, o mia principessa dai capelli castani?»
Carey chiuse leggermente l’anta dell’armadietto incredula. Dietro di essa vi trovò Simon Coleman, che le sorrideva e le porgeva un semplice mazzo di fiori.
La ragazza notò felicemente che si era ripreso dall’ultima volta che si erano visti. Era finalmente tornato al suo stile originale, indossava una camicia a maniche corte e si era perfino pettinato i capelli. Sebbene fosse ancora fin troppo magro, aveva riacquistato il suo antico fascino.
La loro litigata di due giorni prima l’aveva lasciata con l’amaro in bocca, era vero, ma Carey non era arrabbiata con Simon, non avrebbe mai potuto esserlo. Si era arrabbiata con se stessa in realtà, nell’esatto momento in cui era uscita dall’aula e aveva iniziato a darsi dei colpi in testa dicendo “Sei un’idiota, un’idiota!”, finché non si era resa conto che c’era solo un motivo per cui quel ragazzo le dava così tanti pensieri.
E così Carey Davis era innamorata di Simon Coleman, eh? Lei lo sapeva già, lo aveva sempre saputo, ma nel momento in cui Simon le apparve davanti agli occhi, con un mazzo di fiori rosa e uno splendido sorriso sulle labbra, non ebbe più certezze. Il suo cuore le esplose fuori dal petto.
Carey non fece a meno di sorridere imbarazzata. Chiuse con calma l’armadietto e prese i fiori dalle mani di Simon.
«Sono per me?» domandò, mentre sentiva di stare diventando sempre più rossa.
«Sì, beh, insomma…» Simon si appoggiò contro gli armadietti e si toccò il collo con una mano, mentre il suo fascino riaffiorava all’improvviso. «Volevo chiederti scusa per la scorsa volta, quando ho fatto lo stronzo con te. E ringraziarti anche, per avermi aiutato a… come dire, a superare questo momento difficile. Grazie davvero. Era da tanto che non mi sentivo così apprezzato da qualcuno».
Carey fece d’istinto un altro sorriso e abbassò lo sguardo verso i suoi fiori. Iniziò a toccarli delicatamente, al che Simon intervenne:
«Non sapevo che genere di fiori ti piacessero, perciò ho preso delle camelie che so che-»
«Sono bellissimi» si affrettò a rispondere Carey, riponendoli con cura nel suo armadietto. «Sul serio. Le adoro».
Simon la guardò intensamente, prima di chiederle, abbassando la voce:
«Allora sono perdonato?»
Carey accarezzò i petali delle camelia, facendoli passare più volte tra le dita. Erano così lisci e morbidi. Fece di impulso una risata.
«Direi proprio di sì» disse sussurrando.
Sulle labbra di Simon spuntò uno smagliante sorriso. Poi iniziò a divincolarsi, quasi volesse dire ancora qualcosa.
«Ecco… Carey?»
La ragazza si girò verso di lui incuriosita.
Carey attese per qualche secondo che le parlasse e quando fu sul punto di andarsene, Simon si raddrizzò e le chiese, tutto d’un fiato:
«Questo pomeriggio ti alleni con Linda, giusto?»
Carey smise immediatamente di essere felice.
Ecco, era troppo bello per essere vero. Come al solito lui cercava Linda. Non esisteva nessun altro in quel mondo oltre a Linda.
«Sì» rispose secca, mentre si stringeva sempre di più al suo libro di storia. «Se vuoi parlare con Linda però mi ha detto che-»
«Cosa? No, non c’entra niente con Linda!» ridacchiò Simon, posizionandosi davanti a lei per evitare che scappasse via di colpo. «Volevo saperlo per capire se ti posso invitare a uscire con me stasera».
Carey spalancò gli occhi di colpo. Iniziò a sudare a dismisura, tanto che iniziò ad allontanarsi di qualche passo da Simon per evitare che se ne accorgesse.
Simon intanto la fissava, con i suoi occhi celesti pieni di speranza e scintillanti di gioia.
A Carey scappò di nuovo l’impulso di sorridere e di mantenere il sorriso per tutto il giorno, di urlare di gettarsi a terra e di piangere dalla felicità. Ma non lo fece.
Usò tutta la sua forza di volontà per riuscire a trattenersi e, mentre le labbra si sforzavano di non scoppiare in larghi sorrisi, disse solamente:
«Mi stai invitando ad un appuntamento, per caso?»
«Era quello che intendevo con “uscire con me stasera”, no?» disse lui, riappoggiandosi con una mano agli armadietti. «Allora, sei libera? O gli allenamenti ti stancano troppo?»
«No, no! È perfetto, va bene stasera!» intervenne Carey, che non voleva rifiutare la proposta che aveva atteso per così tanto tempo. Al diavolo la stanchezza, al diavolo gli allenamenti, al diavolo tutto! Sarebbe uscita con Simon Coleman quella stessa sera! Che cosa poteva importargliene di tutto il resto del mondo!
«D’accordo allora» continuò Simon. «Ci becchiamo al parco alle otto, va bene?»
Carey annuì più felice che mai.
Simon batté le mani entusiasta, poi si protese verso di lei e le lasciò un fugace bacio sulla guancia.
Carey divenne sempre più rossa, mentre osservava Simon allontanarsi trotterellando, e pensò (ne era più che certa) di non aver mai provato tanta felicità come in quel momento.
 
 
Mentre Simon stava camminando via da Carey con ancora il sapore della vittoria in bocca, sentì dei passi affrettati avvicinarsi e porsi esattamente al suo fianco. Non iniziò nemmeno a parlare, che già Simon aveva riconosciuto quelle ciocche corvine che si muovevano vicino a lui.
«So a cosa stai pensando, ma ho un disperato bisogno di parlarti» cominciò a dire velocemente Linda, seguendo Simon imperterrita. «Riguardo alla cosa che mi avevi proposto, sai, di andare a parlare con i genitori della Ragazza Nuova, sono riuscita a trovarci un appuntamento. È stato difficile trovare i loro nomi perché apparentemente “Ragazza Nuova” non era il suo vero nome, ma con un po’ di ricerche qua e là ci sono riuscita».
Simon non la degnava di uno sguardo, ma si sentì comunque fiero di lei. Sarebbe anche stato felice per quei risultati, se non avesse avuto altro per la testa in quel momento.
«Ottimo» commentò, continuando a procedere per il corridoio.
«Non mi sembri molto entusiasta».
«Lo sono».
«Bene. Allora possiamo andarci stasera insieme?»
Simon si bloccò improvvisamente, costringendo Linda a fare lo stesso. Lui continuava a evitare di guardarla in faccia.
«N-non posso stasera…»
«Perché, che devi fare?»
«Esco con Carey» disse in un sussurro praticamente impercettibile. Non gli importava che cosa pensasse Linda di lui, ma per qualche motivo si sentiva più agitato che mai.
Linda aggrottò le sopracciglia, guardandolo confusa.
«Sul serio?»
«Che c’è?»
«Hai detto “esco con Carey” o sbaglio?»
«Non l’ho detto».
«L’hai detto».
Finalmente Simon riuscì a guardarla negli occhi, ancora spaventato riguardo a come avrebbe reagito. Lei rimase per un attimo ad osservarlo in silenzio, poi fece un sorriso divertito.
«Carey? La mia amica Carey? Uscire come… ad un appuntamento?».
A giudicare dal suo tono di voce sembrava quasi volesse prenderlo in giro.
Simon si raddrizzò leggermente e le rispose, cercando il più possibile di rimanere composto.
«Sì, come ad un appuntamento!» disse esasperato. «Perché continuate a chiedermelo tutti?»
«Ci stai provando con la mia migliore amica, Simon?»
Linda aveva cambiato tono di voce. Da allegra e beffarda ora sembrava quasi lo stesse minacciando. Simon non si fece mettere i piedi in testa:
«Scusa, dovevo chiederti il permesso, per caso?»
«Carey è una persona fragile e romantica, non mi stupisce che ti abbia detto subito di sì» disse Linda, avvicinandosi a lui. «Ora, se provi anche solo a farla soffrire, fisicamente o mentalmente, caro Simon, ti giuro che-»
«Da quando ti fidi così poco di me?» ribatté Simon seccato. «Non dirmi che sei gelosa».
Linda spalancò gli occhi sconvolta.
«Non sono gelosa!» si affrettò subito a dire. «Di chi poi? Di Carey
«A me sembri gelosa».
«Se stai pensando che io possa provare qualcosa per te oltre a disgusto verso la tua persona o una mera affezione dovuta a circostanze maggiori non volute dalla sottoscritta, allora no, Simon, non sono gelosa. Sto solo pensando che stai tardando le nostre indagini con questa cosa di Carey. Ogni giorno in cui l’omicidio della Ragazza Nuova rimane irrisolto è un giorno in più in cui noi due  rimaniamo degli inutili sfigati».
«D’accordo, il concetto è abbastanza chiaro». Simon poi decise di cambiare discorso. «Ho sentito che ti sei lasciata con Darren C. Carmichael».
«Già. La cosa ti crea problemi?»
«A te li crea?»
Linda strizzò gli occhi, cercando di capire se quel ragazzo faceva davvero sul serio.
«Hai finito di flirtare con me, Coleman?»
Simon gettò la testa indietro, facendo un lungo sorriso. Poi finalmente tornò sulla giusta strada e cambiò di nuovo il discorso:
«Allora potresti chiamare i genitori e dire che ci andiamo domani mattina, oppure-»
«Dov’è che uscite stasera?»
Simon la fissò in silenzio.
«Credevo che non ti importasse» disse poco dopo.
«Infatti. Semplice informazione nel caso qualcosa vada storto e io debba accorrere per salvarla dalle tue grinfie».
Simon capì che non c’era verso di discutere con lei. Così fece per andarsene e si girò un’ultima volta verso di lei per parlarle.
«E io che mi chiedo ancora perché perdo tempo a parlare con te». Se ne andò velocemente, con Linda che lo guardava allontanarsi. Quando fu a qualche metro di distanza si voltò verso di lei.
«Chiama i genitori della Ragazza Nuova e chiedi di vederci domani mattina! Non fare cose stupide e non azzardarti a seguirci stasera!»
Linda rimase in silenzio finché non lo vide scomparire dentro un’aula in fondo al corridoio.
Bene, ora che si trovava di nuovo da sola era pronta per disobbedire a tutto ciò che Simon le aveva appena detto. Soprattutto alle ultime due.
 
 
Carey Davis indossò un vestito rosso per il suo appuntamento con Simon Coleman. Era un vestito di seta che sua madre le aveva regalato anni prima, ma che non aveva mai indossato, perché non si era mai sentita a suo agio nel farlo. Aveva uno scollo a V molto profondo e una gonna a sbuffo che si fermava alle ginocchia. Sebbene in molti le avessero detto che aveva un corpo bellissimo, Carey era sempre stata molto insicura nel mostrarsi, probabilmente perché Simon era l’unica persona che avesse mai voluto.
Ma ora che Simon era lì, insieme a lei, non voleva più trattenersi. Aveva atteso così tanto questo momento che quel vestito rosso poteva essere l’unica scelta possibile.
Voleva colpirlo, voleva essere bella, almeno per quella sera. Voleva esserlo solo e solamente per lui.
Così indossò quel vestito rosso e si diresse nel punto del parco di Buckley dove Simon le aveva chiesto di incontrarsi quella sera stessa.
Quando finalmente arrivò trovò intento a sistemare del cibo per terra. Carey sorrise, mentre il ragazzo non l’aveva ancora notata.
Simon era vestito elegantemente, indossava una giacca grigia e aveva i capelli tirati all’indietro. Era davvero sexy in quel momento, pensò Carey non appena lo vide. Aveva preparato un pic-nic per il loro primo appuntamento, con tanto di lume di candela e di champagne, al che Carey non si trattenne e si lasciò andare, ridacchiando.
Simon la udì e si voltò di scatto, preso alla sprovvista.
«Oh!» esclamò lui sorpreso, guardandola con lo champagne ancora in mano. «Oh…»
Simon squadrò Carey dalla testa ai piedi, cambiando espressione almeno dieci volte nel frattempo. Sembrava davvero colpito da come Carey si era vestita quella sera.
«Wow» disse lei, mentre si copriva la bocca per soffocare le risate di gioia. «Di certo non mi aspettavo una cosa così elaborata!»
«Sì, avevo pensato fosse carina come idea, io…». Simon si guardò intorno, poi ritornò a guardare Carey con sguardo sognante. Lei si rese conto che era diventato rosso in faccia. «Scusa, ma devo proprio dirtelo: sei bellissima stasera».
«Oh, grazie» rispose Carey in un sussurrò soffocato, mentre cercava di soffocare le urla entusiaste che esplosero dentro di lei dopo quella affermazione. Quel ragazzo l’avrebbe fatta impazzire, ne era certa.
Abbassò lo sguardo e iniziò a toccare la seta rossa del vestito. «La cosa divertente è che non mi è mai piaciuto questo vestito in realtà. L’ho sempre trovato troppo sgargiante, troppo colorato…»
«Ti sta benissimo invece» intervenne Simon, estremamente serio in viso. «Ma non è solo quello. I tuoi capelli, il tuo viso…»
«Eppure non ho fatto niente». Carey si toccò i capelli castani che le ricadevano sulle spalle, confusa dall’affermazione del ragazzo. «Sono uguali a come li porto tutti i giorni».
«Non so. Può darsi che quando c’era la Catena io abbia passato così tanto tempo a preoccuparmi per cose inutili che non avevo mai notato quanto fossi bella in realtà».
Carey lanciò un urlo dal fondo della gola, che per fortuna riuscì a fermare in tempo, poco prima che Simon si girasse per sedersi sul prato.
«Allora». Il ragazzo aprì le braccia per invitarla a sedersi. «Si accomodi pure».
Carey si sedette di fianco a lui e subito si sentì molto meno agitata di prima, quando vide che Simon le rivolgeva un caldo sorriso.
Parlarono di tutto quella sera.
Parlarono delle loro vite, della loro famiglia, delle loro passioni, di quello che era successo a scuola negli ultimi tempi. Nel frattempo sorseggiavano champagne spensierati, scherzavano e ridevano, tentando di aggiornarsi su tutti quegli anni che avevano sprecato a non rivolgersi la parola.
Carey era così felice in quel momento. Cercava con tutta se stessa di non farsi notare quando si incantava a guardare il suo meraviglioso viso, ma mentre Simon parlare era davvero difficile non farlo. Si perdeva nel guardare i favolosi lineamenti del suo viso, la forte linea della sua mascella, il suo naso delicato e i suoi occhi così grandi e celesti.
Ad un certo punto, mentre Simon stava raccontando qualcosa riguardo alla sua famiglia, si accorse che Carey non lo stava ascoltando minimamente. Nel momento in cui Carey capì di essere stata colta in fragrante, distolse velocemente lo sguardo dal suo volto e si nascose dietro al bicchiere di champagne, diventando sempre più rossa dalla vergogna.
Simon continuava a fissarla, divertito da quella reazione.
«Cosa c’è?» domandò con una leggera risata.
«Nulla io…». Carey diede un sorso allo champagne, finendo il suo quinto bicchiere della serata. Ormai doveva essere abbastanza brilla, tanto che iniziava a sentirsi estremamente a suo agio lì in compagnia di Simon. «È solo che… sei davvero attraente, ecco tutto».
«Oh! Grazie». Probabilmente Simon se lo sentiva ripetere tutti i giorni, ma per qualche motivo sembrò apprezzare sinceramente il commento di Carey. «Anche tu sei-»
«Insomma, come diavolo faccio a meritarti, Simon?»
Simon parve leggermente confuso da quella domanda.
«Cosa intendi dire?»
«Voglio dire…». Carey iniziò a guardarsi intorno, cercando le parole più adatte per spiegarsi. «Tu sei così… tremendamente affascinante, gentile, interessante, incredibile. Inoltre fai questa cosa, sai, quando ti passi la mano tra i capelli e sorridi con gli occhi chiusi, che ti rende la creatura più bella che io abbia mai visto e io non riesco a… elaborare, capisci-»
«Carey-»
«E lo so che penserai che sono pazza, perché ho passato due anni senza nemmeno rivolgerti la parola e ora me ne esco così all’improvviso, con queste dichiarazioni come se potessi davvero definirmi innamorata di te! Ma avevo così tanta paura di non essere mai all’altezza! Perché io ero così debole e insicura e Linda invece era così determinata e bella, ed ero terrorizzata dall’idea di farmi avanti ed essere rifiutata, perché sapevo che tu in fondo volevi lei e…»
«Carey!» finalmente Simon riuscì a intervenire, ponendo fine a quel doloroso sproloquio. «Perché ti poni sempre così al disotto di Linda? Dici sempre che non ti reputi all’altezza e io sinceramente non vedo il motivo per cui dovresti farlo!»
Carey fece una risata sprezzante.
«Non credo di potermi nemmeno lontanamente paragonare a Linda…» commentò guardando il suolo, con un sorriso melanconico sulle labbra.
«Perché no?». Simon sembrava davvero infastidito da quell’affermazione. «Sei sexy quanto lei, se non di più. Sei bella, sei intelligente, talentuosa, oltre ad essere premurosa, onesta, divertente e-»
Carey volse lo sguardo verso di lui. Simon si era fermato per guardarla negli occhi.
«Carey, tu sei mille volte migliore di Linda».
Carey scoppiò a ridere, ma si fermò immediatamente non appena si accorse che Simon era serio in viso. La ragazza si schiarì la gola e abbassò la voce:
«Lo pensi davvero?»
«Ne sono più che convinto».
Carey continuava a guardarlo in quei profondi occhi celesti, mentre si prendeva un attimo per elaborare il tutto nella sua testa. Era così confusa da tutti quei sentimenti che stava provando in quel momento.
«Wow, è così…» iniziò a dire, mentre all’improvviso sentiva una gran gioia sbocciare dentro di sé. Cambiò subito tono. Lo sguardo le divenne cupo e fissò Simon con serietà.
«Dillo di nuovo» disse, non desiderando nient’altro in quel momento.
«Sei mille volte migliore di Linda».
«Ancora».
«Sei mille volte migliore di Linda».
«Ahh!»
A quel punto Carey si gettò addosso a Simon e scoppiò a ridere istericamente.
«Santo cielo! Io…» provò a dire tra una risata e l’altra, mentre Simon le accarezzava la testa e rideva insieme a lei. «Io non avevo mai pensato potesse essere così bello sentirselo dire!»
Risero insieme per qualche minuto, finché non ritornarono nuovamente in silenzio.
Carey era ancora appoggiata contro il petto di Simon. Sentì le sue mani passarle in mezzo alle ciocche di capelli. Carey non riuscì a fare a meno di sorridere. Si raddrizzò dalla sua posizione, solo per ritrovarsi il bellissimo viso di Simon a pochi centimetri da lei, che la guardava intensamente.
Simon passò lentamente le sue dita dai suoi capelli fino alla sua guancia e iniziò ad accarezzarla dolcemente sul viso.
Carey avvicinò lentamente la sua bocca a lui.
«Posso farti una domanda un po’ narcisista?» domandò Simon, quando ormai i loro visi erano a pochissimi centimetri di distanza. Carey si bloccò e lo osservò per un secondo, con occhi sognanti.
«Dimmi».
«Per quanto tempo sei stata innamorata di me?»
Carey sorrise. Gli rispose con un leggerissimo sussurro:
«Dal primo momento in cui ti ho visto».
Ormai non poteva più aspettare. Non desiderava altro in quel momento, che strappare un bacio dalle labbra di quel meraviglioso ragazzo.
Così furono momenti di paradiso, quelli in cui Carey accostò sempre di più la sua bocca a quella di lui.
Simon le fece un altro splendido sorriso.
«Wow» le disse, le sue parole pronunciate direttamente sulle labbra di Carey. «È davvero un sacco di tempo…».
Colmarono l’atroce distanza di quei secondi. E mentre Carey si distese in avanti, Simon le prese la testa fra le mani e la strinse vicino al suo viso.
Le loro labbra danzavano, al ritmo delle lucciole, sotto il chiar di luna, al suono delle cicale.
Carey allungò le braccia per stringersi di più al suo collo e al suo volto. Il suo bellissimo volto, così chiaro e luminoso, anche nella notte, era l’opera d’arte più bella che avesse mai visto.
E felici si abbracciarono e si baciarono, e si baciarono ancora e ancora. E altre mille, cento volte, perché non c’era nient’altro di cui preoccuparsi in quel momento, se non di quei baci e di quelle labbra così umide e belle, e quello, per il momento, era l’unica cosa di cui volevano essere consapevoli.
 
 
«Oh! Nonononono, tutto ma non questo! Quel lurido…! AAARGH!»
Linda Collins strinse le mani intorno al binocolo, mentre le sue dita iniziavano a sudare sempre di più. Uscì leggermente dal nascondiglio dietro al cespuglio in cui si era nascosta, per sporgersi meglio a guardare. Era disgustata nel vedere la sua preziosa Carey e quel troglodita di Simon scambiarsi la saliva in quell’osceno modo. Avrebbe voluto correre da loro e separarli, ma non dovevano assolutamente sapere che si trovasse lì.
«Che c’è? Che è successo?» chiese Charlie, quell’amico sfigato che Simon si era fatto nel corso dei suoi quattro mesi da nullità. Linda era riuscita a estorcere informazioni da lui riguardo al luogo dell’appuntamento tra Carey e Simon, dopodichè lo aveva costretto ad accompagnarla per avere qualcuno che avesse un binocolo a portata di mano. «Dai, fa vedere anche a me!».
«Non è niente» commentò Linda, levando gli occhi dal binocolo, ma continuando a vegliare attentamente sulla coppietta da lontano. «Non sono affari tuoi comunque».
«Il binocolo è mio!» protestò Charlie, cercando di riprenderselo, ma Linda lo allontanò dalla sua portata, cercando di bloccarlo con l’altro braccia.
«Shhh! Fai silenzio, dannazione!» protestò Linda, mentre si portava nuovamente il binocolo agli occhi e con l’altra mano cercava di tenere a bada Charlie. «Sapevo che non avrei mai dovuto portarti qui, sei solo un cazzo di guardone!»
«Cos- stai spiando due persone con un binocolo nascosta dietro ad un cespuglio e il “guardone” sarei io?!»
«Io sto solo cercando di proteggere la mia amica da un’eventuale violenza o una probabile fine tragica di questa insensatezza in cui si è immischiata. Tu perché sei qui, guardone?»
«Hai detto che se ti avessi detto dove Simon aveva fissato l’appuntamento e ti avessi accompagnata stasera, tu saresti uscita con me!»
«E va bene, uscirò con te, d’accordo! Ora stai zitto, per piacere!» esclamò Linda, mentre colpiva Charlie sul petto e si sporgeva sempre di più al di fuori del cespuglio. «Oh! Oh… ew!».
«Cosa c’è ora?»
Linda mise giù il binocolo, sospirando poco dopo.
«Hanno iniziato a sdraiarsi e a rotolarsi sull’erba e… oddio, sono davvero disgustosi…».
Charlie fissò la ragazza in silenzio per qualche secondo.
«Cos’è? Sei gelosa?»
Linda gli lanciò uno sguardo assassino.
«Che cosa
Charlie mandò giù la saliva due volte prima di riprendere a parlare.
«No dico, sei gelosa perché ti piace Simon o cosa?»
«Hai finito di sparare stronzate, fottuto maniaco?»
Charlie iniziò a tremare dalla paura.
«C-credevo di essere un guardone…».
«Lo sei, ma oltre a quello sei anche completamente pazzo, quindi maniaco ti si addice di più».
«È solo che mi avevi detto che eri venuta qui perché volevi assicurarti che la tua amica stesse bene» si spiegò meglio Charlie. «Ma è da quando siamo qua che non fai altro che insultare i loro atteggiamenti. Sembra quasi… che ti diano fastidio come coppia, ecco».
Linda lo guardò senza capire.
«No, io…» provò a giustificarsi, ma si rese presto conto che quello che aveva detto Charlie era vero. Provò a ricomporsi, a spiegarsi meglio, ma non riusciva a trovare le parole per farlo. «Io non… Lui è… Insomma, noi due… Non c’è niente tra-»
«Hai sentito anche tu?»
Di colpo Carey si era staccata dal bacio con Simon ed era scattata a guardare verso il cespuglio dietro cui Linda e Charlie si erano nascosti.
D’istinto Linda afferrò Charlie per la manica della felpa e lo costrinse ad abbassarsi insieme a lei. Si coprì poi la bocca con la mano, mentre sperava con tutto il cuore che non si fossero accorti di lei.
«Che cosa c’è?» sentì chiedere a Simon poco dopo.
Ci fu un attimo di pausa, nel quale Linda sudò metà dei suoi liquidi corporei.
Poi la voce di Carey parlò di nuovo.
«Nulla, solo… mi sembrava che…» esitò un attimo. «Forse è solo la mia immaginazione».
Linda si calmò per il momento, ma continuò a stare accovacciata dietro al cespuglio, mentre Charlie con lo sguardo le chiedeva indicazioni sul da farsi.
Ma Linda non aveva tempo di pensare anche a lui in quel momento.
Le faceva male il petto e aveva una strana confusione in testa.
Qualunque cosa le fosse appena successa, una cosa era certa: voleva andarsene da lì al più presto.
 
 
 
«Cosa cazzo ti è venuto in mente di fare, eh?!»
Linda scattò dallo spavento, nel momento in cui Carey chiuse il suo armadietto di scatto, dentro il quale si stava specchiando poco prima. Linda si accigliò, notando Carey che la fissava con odio, mentre aveva le sopracciglia aggrottate dalla rabbia. Si sforzò di rimanere calma e le chiese con tono pacato:
«Buongiorno anche a te, Carey. Ora spiegami di che diamine stai parlando».
«Sai benissimo a cosa mi riferisco» l’accusò con rabbia Carey. «Simon ha scoperto dal suo amico Charlie che sei venuta al parco a spiarci ieri sera!»
Linda chiuse gli occhi e inspirò lentamente, cercando di placare i suoi innumerevoli istinti omicidi che lottavano dentro di lei in quel momento.
«Quel fottuto maniaco…» commentò in un sussurro. Poi si rivolse di nuovo a Carey, cercando di spiegarsi meglio. «Carey, mi dispiace che tu l’abbia scoperto così. L’ho fatto solo per te in realtà, volevo solo-»
«Per me?» ribatté sprezzante Carey. La sua migliore amica era così infuriata che la sua voce attirò dei ragazzi nel corridoio, che iniziarono a girarsi verso la scenetta che si stava svolgendo davanti ai loro occhi. «Come hai mai potuto pensare che spiarmi durante il mio primo appuntamento con un ragazzo potesse mai essere una buona idea?!»
Le persone avevano iniziato a guardarle. Tutti spostarono lentamente il loro sguardo giudicatorio sulla capo cheerleader davanti a loro.
Linda iniziò a sudare freddo. Voleva solo che Carey stesse zitta in quel momento.
«Io ho solo-»
«Ommioddio! Non posso crederci, sono così… dannatamente stupida! Io-» Carey aveva iniziato a esasperare, gettando le braccia in aria. «Io non posso credere di essermi fidata davvero di te! Tutti mi dicevano sempre che eri una vipera, una serpe senza cuore, un assoluto demonio, e che dovevo starti lontana! Ma io non ho mai dato ascolto a nessuno, anzi, ho sempre cercato di difenderti, ad ammettere che sì, avevi tanti difetti ma avevi anche un sacco di qualità! E dopo tutti questi anni, dopo tutto questo tempo passato a sgobbare per te, a vivere nella tua ombra, a doverti sempre venerare, ovunque, in ogni cazzo di secondo, è questo il ringraziamento che ricevo?!»
Linda non capiva perché Carey fosse diventata così tanto ribelle nei suoi confronti all’improvviso. Non avevano mai litigato in due anni che erano state amiche. Mai.
Ma adesso, per questa stupidata, Carey iniziava a rinfacciarle tutti i suoi risentimenti passati. Ma cosa diamine le era successo?
«Stai scherzando?» disse Linda, stringendo i denti ora sul limite della rabbia anche lei. «Pensi che io non abbia fatto sacrifici per te? Dopo che ti ho resa quello che sei oggi, dopo che ti ho resa una cheerleader popolare e apprezzata e che ti ho fatto avvicinare al tuo prezioso Simon, hai ancora il coraggio di dirmi che non ho fatto abbastanza per te?!»
«Sacrifici?» ripeté sprezzante Carey. «Non hai sacrificato assolutamente nulla per me! Sei stata per due anni con il ragazzo che amavo, nonostante ti avessi detto fin dal primo giorno in cui ci siamo conosciute che mi piaceva. E tu non hai fatto nulla, assolutamente nulla! Hai continuato a starci insieme per mesi, nonostante era ovvio a tutti che non ne eri innamorata, che lo usavi solo per la popolarità, che trovavi la vostra relazione intollerante!»
«Oh, adesso è Simon il problema, quindi?» Linda aveva iniziato ad urlare a quel momento. Tutti i presenti guardavano la scena intrigati. «Dimmi, è per lui che stiamo litigando ora? Perché sai, è difficile capire dove io abbia sbagliato, dato che mi stai accusando di non aver lasciato il mio ragazzo perché volevi starci insieme tu! Volevi arrivarci prima di me? Allora avresti dovuto svegliarti e imparare a saperti confessare ad un ragazzo!»
«Vattene via» sibilò Carey estremamente seria, avvicinandosi di colpo a Linda. «Non ti voglio vedere mai più. Ho chiuso per sempre con te, Linda Collins».
Linda strinse i denti e la guardò per un secondo solo.
Decise che non avrebbe protestato. D’altronde era una sua decisione. Avrebbe fatto male, certo, ma l’orgoglio di Linda era troppo grande per potersi piegarsi in nome dell’amicizia. Strinse i denti e spostò lo sguardo da un’altra parte.
Infine alzò lo sguardo e inspirò, girò i tacchi e iniziò a camminare lentamente, ignorando i palesi innumerevoli sguardi che la seguivano ad ogni passo.
Dopo meno di dieci secondi però, la voce di Carey le arrivò alle spalle.
«Tanto lo so che sei solo gelosa!» urlò dietro di lei, mentre Linda si allontanava pian piano. «Lo so che sei gelosa perché ti sei pentita di aver lasciato Simon!»
Calò il silenzio.
Linda si fermò di colpo. I presenti si guardarono incuriositi, mentre Carey aspettava infuriata che Linda reagisse alla sua affermazione.
Linda in un secondo si voltò verso di lei. Carey non si rese conto nemmeno da quanto fu veloce, quando la sua amica affondò le sue unghie nelle sue braccia.
Dopodichè l’afferrò saldamente sul braccio e la scaraventò contro la fila di armadietti alla sua destra. Il rumore assordante della schiena di Carey che colpiva il metallo e le sue urla seguenti attirarono l’attenzione di tutti i passanti, che subito si radunarono intorno alle due.
Carey provò a reagire e afferrò con violenza Linda per i capelli. Linda strillò per il dolore, ma dopo pochi secondi mollò la presa sulle braccia di Carey e iniziò anche lei a tirare i capelli dell’amica.
Intorno a loro le persone osservavano eccitate e si lasciavano andare a urla di gioia e di incitamento. Nessuno aveva la minima intenzione di intervenire.
Le risse tra ragazzi erano divertenti, ma le risse tra ragazze erano oro puro.
Così le due andarono avanti per qualche secondo. Si tirarono i capelli, si lanciarono schiaffi e calci, si graffiarono sul viso. Ogni tanto si sentivano strilla di dolore, suoni di carne sbattuta contro gli armadietti, cosa che attirò una gran quantità di gente.
In poco tempo mezza scuola si ritrovò ad assistere in cerchio alla rissa tra le due cheerleader. Tutti incitavano estasiati, mentre gente da tutti i lati della scuola accorreva per vedere che cosa stesse succedendo di così emozionante, lì in mezzo al corridoio al termine della prima ora.
Tra queste persone accadde che ci fosse anche Simon Coleman, che usciva ignaro dall’aula di chimica. Appena fuori dalla porta venne travolto dalle mille persone che accorrevano tutte nella stessa direzione. Il ragazzo si guardò intorno senza capire che cosa stesse accadendo, finché non sentì qualcuno toccarlo sulle spalle. Si trattava di uno dei suoi vecchi compagni di football, che gli diede una pacca sulla schiena, prima di allontanarsi di corsa insieme a tutti gli altri.
«Amico!» gli disse al volo. «Quelle due si stanno picchiando per te, corri!»
Simon lo guardò confuso mentre si allontanava.
«Cos-?»
Poi gli venne in mente un terribile presentimento.
Iniziò a correre anche lui insieme a tutti gli altri studenti, tuttavia corse molto più velocemente degli altri e arrivò al luogo del misfatto in pochi secondi.
Davanti a lui una folla di cinquanta, sessanta persone era stretta in cerchio. Volavano urla, schiaffi, grida, risate, mentre tutti sembravano catturati dallo spettacolo che stava avvenendo lì in mezzo a loro.
Simon si fece largo con violenza tra la folla, spingendo via le persone senza riguardo. Quando fu fuori dalla massa delle persone, capì che i suoi presentimenti erano corretti.
Carey era per terra, strillava, mentre posizionata sopra Linda, cercava di tenerle i polsi bloccati a terra. La capo cheerleader protestava, ma era ovvio che non c’era speranza per lei. La sua coda si era sciolta e i capelli neri le si riversavano sul pavimento. Al lato delle sue rosee labbra le usciva sangue da un profondo graffio. Sebbene Linda sembrasse più forte fisicamente, a quanto pareva era stata la rabbia di Carey ad aver prevalso in quello scontro.
«Sei stata tu a dirmi che potevo provarci!» gridava Carey in faccia a Linda, la quale cercava di liberarsi dalla forte stretta e strillava per il dolore. «Sei stata tu a darmi il permesso! Perché devi sempre comportarti da stronza come fai sempre!»
Notando che nessuno dei presenti aveva intenzione di intervenire e che anzi, erano tutti ammaliati dallo scontro, Simon fu l’unico a farsi avanti.
Si gettò contro Carey, afferrandola per i polsi e portandola via da Linda.
«Ehi, ehi, EHI!» iniziò a dire, mentre Carey continuava a dimenarsi. «Che diavolo vi è preso a voi due?!»
Strinse il petto di Carey, mentre l’allontanava e cercava di tenerla a bada, ma la ragazza non smetteva un secondo di dimenarsi. Cercava di avvicinarsi a Linda, di continuare il suo lavoro. Simon si rese conto di non aver mai visto una persona tanto furiosa in tutta la sua vita.
Mentre Simon lottava con Carey tra le sue braccia, osservò Linda alzarsi lentamente da terra. La capo cheerleader si appoggiò agli armadietti, dopodichè portò una mano sul graffio e poi si guardò disgustata le dita insanguinate.
«Forse dovresti chiederlo alla tua ragazza, caro Simon» commentò sprezzante, guardandolo in faccia. «Credo che appartenga più ad uno zoo che ad una scuola».
«Io ti ammazzo, maledetta stronza!» strillò Carey, cercando di scrollarsi dalla presa di Simon, ma il ragazzo la strinse ancora di più.
«È per la storia di ieri sera, Lin?» cominciò a chiedere, rivolgendosi esclusivamente a Linda. «So che dovrei essere anche io infuriato con te, ma lasciamolo per un’altra volta, va bene? Ora, ragazze, possiamo parlarne con calma, per piacere?»
«Non c’è nulla di cui parlare, Simon» disse Linda, che ancora cercava di tenere a bada gli ingenti litri di sangue che le uscivano dal graffio sulla bocca. «Non vedi a cosa cazzo mi sono ridotta? Ho mandato tutto a puttane stavolta, alla grande».
«Vuoi stare zitta una buona volta, eh?» ribatté il ragazzo, mentre Carey iniziava già a calmarsi. «Credevo fossi tornata la Linda Collins di una volta! Non dirmi che ti sei già arresa. Era solo qualche giorno fa che mi hai fatto quel discorso riguardo al tornare in cima alla Catena, non ti ricordi?»
«Non posso farlo… Non posso tornare la Linda di una volta». Linda abbassò lo sguardo e iniziò a scuotere la testa. «Non se non ho-»
«Ti ho detto di smetterla» la interruppe Simon, che già aveva capito dove la ragazza volesse arrivare. «Sono qui, non me ne vado da nessuna parte. Non ti ho mai abbandonata e di certo non lo farò per una stronzata del genere. Ma ti stai comportando da stupida in questo momento. C’è qui una ragazza con cui sei sempre stata amica e vi state buttando via a vicenda come se niente fosse!»
Linda spostò velocemente il suo sguardo da Simon a Carey e viceversa.
«Penserai che sono proprio un’idiota…» iniziò a dire, con un sorriso triste.
«Io non-»
«…a lasciare che la nostra amicizia finisca così, per colpa di un ragazzo».
Simon rimase sorpreso nel sentire che Linda si stava rivolgendo esclusivamente a Carey ora. Perfino Carey stessa rimase colpita, tanto che smise di dimenarsi di colpo.
«Ho sempre pensato di essere apprezzata da tutti» continuò Linda, con lo sguardo fisso sul vuoto. «Pensavo che la Catena mi rendesse al di sopra degli altri, che… che tutti mi avrebbero amato di conseguenza. Ma non c’è mai stato nessuno che mi apprezzasse veramente. C’erano solo poche persone che mi apprezzavano e tu eri una di quelle, Carey».
Sia Simon che Carey ascoltavano col fiato sospeso, così come tutte le persone ancora in cerchio intorno a loro.
Nulla però li sconvolse tanto quanto il momento in cui Linda rialzò lo sguardo. Tutti notarono con stupore che i suoi occhi erano ricolmi di lacrime.
«Dimmi, perché finisco sempre per fare la cosa sbagliata?». Linda scoppiò a piangere, mentre tutti i presenti si guardavano tra di loro in silenzio, senza sapere bene come reagire.
Simon in particolare, la guardava con un grosso senso di sbigottimento dentro di sé.
Vedere Linda piangere era per tutti come un capovolgimento della normalità, ma Simon si sentiva ancora più sbigottito di loro. Ammetteva con tranquillità di considerarsi una delle persone a conoscere meglio Linda, eppure in quel momento le apparve come una persona che non aveva mai incontrato prima.
Aveva visto Linda piangere, ma non era mai stato così. I suoi erano stati più che altro pianti esagerati, quasi dei capricci, delle strilla che emetteva quando le cose non le andavano bene. Quando Linda Collins piangeva, piangeva per se stessa, non di certo per gli altri.
Ma in quel momento le apparve così fragile, così debole, lui che era abituato a considerare Linda la ragazza più tosta che avesse mai incontrato.
Perfino Carey doveva essere colpita da quella reazione, tanto che si staccò dalla presa di Simon e iniziò ad avvicinarsi alla capo cheerleader. Simon non protestò e rimase in silenzio, ancora sbalordito dalla vista delle lacrime di Linda.
Intanto Linda continuava a piangere come una bambina, tentando a fatica di parlare tra i singhiozzi:
«Mi dispiace di averti fatto del male, Carey! Mi dispiace di averti fatto arrabbiare, mi dispiace di averti ferita, mi dispiace per tutto! Non pensavo che vederti triste avrebbe fatto così male. Ma non ho mai avuto tante amiche, non speciali quanto te, e solo l’idea che tu possa odiarmi per qualsiasi cosa che ti abbia fatto in passato, mi fa-»
«Oh, ma perché devi sempre essere così?» disse Carey, che nel frattempo era scoppiata a piangere a sua volta. Dalla bocca le uscì una risata mista ad un singhiozzo, prima di riprendere a parlare: «Perché devi sempre sconvolgermi nei momenti più adatti? Perché non riesci mai a farti odiare pienamente? Ci ho provato, lo giuro, tante volte, ad odiarti, come facevano tutti. Ma ogni volta tu tornavi con il tuo sorriso smagliante e mi trattavi in modo così gentile che io…»
«È perché ti ammiro così tanto!» continuò Linda. «Vorrei tanto essere una bella persona come te, ma non ci riesco! Non potrei mai essere arrabbiata con te, Carey, nemmeno se uccidessi la mia famiglia. Sei la mia migliore amica e lo sarai per sempre. Io… oh, ti voglio così tanto bene!»
«Oh, Lin!» esclamò Carey con un sorriso smagliante. «Ti voglio un sacco bene anche io!»
Improvvisamente le due ragazze si abbracciarono, scoppiando a piangere l’una sulla spalla dell’altra. La folla si lasciò andare in urla di apprezzamenti e perfino alcuni “aaww” risuonarono nell’aria.
Nel frattempo Simon stava mettendo in gioco tutta la sua forza di volontà per non uccidere quelle due ragazze.
“Fate sul serio?” continuava a pensare, ormai sull’orlo della pazzia. “Mettete in scena tutta questa merda e la risolvete così, a caso, dal nulla?”
E mentre la folla pian piano si dissolva e gli studenti si separavano per andare nelle rispettive aule, Simon non fece a meno di passarsi una mano tra i capelli, contento che fosse finita così in fretta, e godersi per un attimo la vista delle due cheerleader strette in un abbraccio.
Gli uscì come per istinto un piccolo e insignificante commento, mentre le punte delle sue labbra si alzavano in un leggero sorriso:
«Tsk… donne».










 
ATTENZIONE: SPAZIO AUTRICE MOLTO LUNGO, PERICOLO DI INFORMAZIONI INUTILI CHE NON AVEVATE CHIESTO
leggete a vostro rischio e pericolo


 
A parte che sto capitolo è più lungo dell’Antico Testamento, chiedo umilmente scusa per le false speranze che ho dato lo scorso capitolo con il mio, cito testualmente forse “vedrò di ridurre i tempi”. AH AH CEEERTOOO.
A parte gli scherzi, per fortuna non mi conoscete nella vita vera, ma chi invece mi conosce sa bene che non mantengo mai le promesse, 8/10. 
Il fatto è che adesso non ho nemmeno scuse del tipo “oddio ceh avevo da lavorare e sgobbare fino alle 5 di notte sono distruttah :p”, perché da quando ho finito il liciayo non faccio davvero una sega dalla mattina alla sera. L’unica scusa valida che posso darvi è che nell’ultimo mese ho scoperto il kpop ed è stata una #PESSIMAIDEA, perché ora mi esprimo solo attraverso canzoni dei BTS haLp.
Quindi ci ho messo un sacco a scrivere questo capitolo, più che altro perché c’era tanta roba da dire, pochi personaggi da usare e io avevo sempre poca voglia di farlo.
Comunque, congedandosi dai drammi adolescenziali, questo capitolo dovrebbe segnare una svolta, in quanto l’harem di Simon ora si calmerà un attimo e il triangolo scemo Linda-Simon-Carey sembra essersi risolto (OR IS IT???)
Tuttavia volevo farmi perdonare per la settimana in più che ci ho messo e quindi ho deciso di propinarvi una serie di curiosità sulla storia (perché ovviamente non aspettavate altro, sì) e magari farvi sapere come è nata l’idea in generale. Il processo di creazione è così affascinante che perfino con gli altri scrittori sono sempre curiosa di sapere come nasce l’idea per i loro romanzi.
Dunquaaaah
 
Come è nata la storia:
1) è in effetti una cosa divertente da raccontare perché i personaggi di Linda e Simon sono stati ideati moooooolto prima della nascita di The Chain vera a proprio. In pratica erano due personaggi che avevo creato a boh, 12, 13 anni (?) per una storia che avevo ideato allora. La storia ovviamente faceva schifo, era una cagata romantica adolescenziale che solo una tredicenne poteva concepire, e ringrazio la me del passato per non aver mai dato vita a quell’aborto. Tuttavia mi dispiaceva abbandonare questi personaggi, perché in fondo mi piaceva la loro dinamica e soprattutto erano due personaggi che non potevo separare, perché funzionavano troppo bene in coppia. (Non so come spiegarlo meglio, ma è la sensazione che Simon e Linda funzionano sono se sono protagonisti della stessa storia. Per dire, non potrei mai separarli e rendere protagonista solo uno dei due, ecco). Comunque Simon era più o meno lo stesso personaggio che è oggi, mentre Linda era completamente diversa, ma ora ci arriviamo.
2) Sempre perché per fortuna non mi conoscete irl, sappiate che ho un profondo e (neanche tanto) celato odio per i romanzi d’amore trash YA. Sì dai, sapete tutti di quali sto parlando. L’odio ovviamente si raddoppia se si tratta di fanfiction buttate sul mercato editoriale o romanzi scritti da personalità dell’internet (quelli poi, MMMM!).
Comunque, data la mia passione invece per le trashate sui licei americani, mi sono resa conto che c’era un personaggio che in tutte queste storie di dubbio realismo non ha MAI la giustizia che si merita: la bitch/nemica stronzetta della protagonista, che è sempre una figa pazzesca e/o capo cheerleader definita una stronza/troia/dai costumi facili solo perché vuole farsela con l’interesse amoroso della protagonista, che invece è una ragazzina gentile/Gesù Cristo sceso in terra. Ed è una cosa che mi ha sempre dato fastidio, perché quasi sempre si tratta dello stesso personaggio intercambiabile, stereotipato al massimo e senza una vera e propria personalità o sviluppo, che serve solo da “ostacolo” alla storia d’amore tra i protagonisti.
Quindi ho pensato che avrei fatto io giustizia a questo genere di personaggio rendendolo il protagonista assoluto della mia nuova storia e cercando di esplorarlo un po’ di più, magari facendo capire i suoi motivi e rendendolo più umano. Poi ho capito che mi serviva una controparte maschile per questo personaggio (perché sappiatelo, ma anche i love interest maschili sono sempre degli stereotipi viventi privi di personalità) e così mi sono tornati in mente Linda e Simon, e li ho ripescati dal cesto delle storie scartate e ritrasformando Linda nel personaggio che è tuttora.
3) Il titolo The Chain mi è venuto così, dal nulla, non ci ho nemmeno dovuto pensare tanto. Mi è venuto al volo e ho subito pensato che sarebbe stato perfetto.
4) Ho deciso di renderlo un giallo/thriller solo dopo aver visto (e adorato) la prima stagione di Scream Queens. Ammetto tranquillamente di aver basato molto del personaggio di Linda su Chanel Oberlin. #sorrynotsorry
5) Carey era l’unico personaggio presente anche nella storia originale di Simon e Linda e svolgeva praticamente lo stesso ruolo di ora, anche se si chiamava Carrie e non era lei ad avere una cotta per Simon ma il contrario. Tutti gli altri invece sono stati creati in seguito.
Taylor proveniva invece da un’altra storia che avevo deciso di scartare, ma anche lei era un personaggio completamente diverso. Corrispondeva sostanzialmente a LeeAnn Anderson di questa nuova versione, ma come protagonista non mi piaceva molto e così ho deciso di separare i due personaggi, rendendo LeeAnn una secondaria.
6) L’idea della “Catena di popolarità” mi è venuta pensando al fatto che in tutti questi licei americanosi c’è sempre un’invisibile e inesistente regola che rende i ragazzi popolari degli abbonati premium che possono fare tutto quello che vogliono senza ripercussioni, mentre gli sfigati sono dei reietti senza diritti. E io continuavo sempre a pensare “Ma perché? Ma chi l’ha deciso??”. Così nella mia storia ho fatto girare tutto intorno a questa “Catena” che detta tutte queste regole che prima erano invisibili e che viene rispettata da tutti come lex divina.
7) Ci sono un po’ di parodie celate ma dirette, che di solito aggiungo quando scopro qualche altra trashata e penso “mmmh, potrei inserire anche questo!”. Ad esempio la scena del primo capitolo con le interviste è presa da Glee (che ho sempre adorato fin dal 2009, nonostante il suo immenso trashume), così come il “monologo interiore” (penso lo avessi preso dalla scena di Quinn della terza stagione, non ricordo bene lol). La parte dei chioschi dei baci è presa da LOVE di L.A. Casey (se conoscete Matteo Fumagalli su youtube, capitemi), il monologo di Linda alla Ragazza Nuova da quella genialata di The Most Popular Girls in School e così via.
8) L’idea delle canzoni ad inizio capitolo, che ho iniziato a mettere da poco e che so vi stanno confondendo tutti, è in realtà una celata parodia a My Dilemma is You, che GRAZIE AL CIELO non ho letto, ma so che all’inizio dei capitoli l’autrice inseriva una playlist di canzoni da ascoltare mentre si leggeva il capitolo. Così ho voluto fare una cosa simile, solo che di canzoni non ne conosco abbastanza, ne ho scelta una per capitolo e ho inserito solo alcune frasi che trovo emblematiche. Comunque la scelta delle canzoni è molto scrupolosa, perché le scelgo sia per il testo, sia per l’anno di uscita (eh sì) ma anche per la melodia in sé, perché deve essere in armonia con il tono generale del capitolo. Insomma, per dirla semplice, se questa fosse una serie tv, quella sarebbe la canzone che sentite quando iniziano i titoli di coda dell’episodio, ecco.
9) Tutte le cheerleader sono state create partendo sempre da stereotipi. Oltre alla bitch/ape regina, abbiamo la migliore amica, la vice rivale, e la bionda stupida. Stephanie non faceva parte del cast originale, l’ho creata solo perché avevo pochi protagonisti e mi servivano personaggi. Per questo scherzo sempre sul fatto che è “poco considerata”.
10) I miei continui riferimenti al passato dei personaggi che tutti citano come “secondo anno” o “due anni fa” deriva in realtà dal fatto che ho scritto per filo e per segno come ciascuno dei personaggi si è incontrato e come sono arrivati al punto in cui sono adesso. La mia idea originale era di scrivere un “The Chain” e allo stesso tempo un prequel sul secondo anno chiamato “Rumors” (chi capisce il perché dei titoli vince un biscotto) ma dato che scrivo come un bradipo ho accantonato l’idea del prequel e ho deciso invece di inserire dei piccoli flashback all’interno della storia principale.
11) Il leitmotiv di Shakespeare mi è venuto mentre scrivevo, in realtà doveva essere una cosa da una botta e via, quando Linda cita Macbeth (che è la mia opera preferita yee!) e Romeo e Giulietta con la Ragazza Nuova. Poi però ho pensato che mi piaceva un sacco l’idea di usare le opere di Shakespeare per esplorare meglio i personaggi e così ho continuato. (Disclaimer: ogni volta che uno dei personaggi cita un’opera di Shakespeare c’è un motivo, nulla è lasciato al caso xoxo)
 
 
Inoltre ho scritto qualche curiosità su me e/o i personaggi che voglio lasciarvi:
 

1) Non trovo che nessun personaggio sia basato su di me o possa assomigliarmi, più che altro sono tutte parodie estremamente esagerate che ho inventato di stereotipi già esistenti. Tuttavia se devo avere un personaggio preferito direi che è Simon, perché ho sempre avuto problemi con i personaggi maschili (-oltretutto mi sono appena resa conto che è l’unico protagonista maschio della storia lol-) e sono contenta di come è uscito alla fine. 
Linda d’altra parte è il personaggio di cui mi diverto più a scrivere e anche quello che voglio esplorare di più.

2) Il personaggio con cui mi trovo più in difficoltà è invece Taylor, perché non mi sono mai piaciuti quei tipi di personaggi che si piangono addosso, e scrivere di un personaggio così è spesso arduo per me. In più le storie d’amore con i professori le ho sempre trovate “eeewww”, ma, suvvia, dovevo inserirne almeno una per motivi di PARODY.
3) Due personaggi molto sottovalutati, ma con cui mi diverto parecchio, sono Chloe e la preside Finch, entrambe per il modo assurdo in cui agiscono. Il racconto di Chloe nel capitolo 5 è stato divertentissimo da scrivere, così come tutte le scene in cui la preside è presente. Spero di poterle usare di più in futuro.
4) So che sembra strano dato che aggiorno ogni morte di papa, ma in genere per scrivere un capitolo non ci metto molto, più che altro perché mi sono già scritta che cosa deve succedere in ciascun capitolo; gli standard sono di cinque/sei ore a capitolo, solitamente divise in due o tre giorni. La parte di rilettura è la più ardua perché è una cosa che ho sempre odiato fare (e sì, lo so, è sempre stato uno dei miei grandi difetti). Poi ci sono alcune volte in cui ci metto molto di più perché mi ritrovo in difficoltà con i personaggi o non so come andare avanti, e alla fine finisco per procrastinare alla grande e finire di scrivere il capitolo anche nell’arco di una settimana. Dipende molto dal tipo di capitolo in realtà.
5) A volte ci metto di più a scegliere i titoli dei capitoli che a scrivere i capitoli. Voglio che siano divertenti e allo stesso tempo avvincenti. Per sceglierli di solito mi ispiro ai titoli dei capitoli di manga/anime che leggo e guardo (eh sì, perché oltre ad essere korean-trash sono anche highkey Japan-garbage), perché sono sempre un sacco assurdi.
6) Attualmente la storia per come l’ho pianificata dovrebbe contare 33 capitoli, quindi stay stuned, bitches.
7) Le mie ships preferite sono la #Limon e la #Stexis.
8) Anche se non ricevo molte recensioni sono comunque contenta che le visualizzazioni siano abbastanza alte e costanti. Anche se i capitoli Il mio monologo interiore e La Ragazza Nuova è un demonio hanno il doppio delle visualizzazioni rispetto a tutti gli altri capitoli. Wtf raga. 
 
Bene con tutte queste citazioni e riferimenti che manco T.S. Eliot, volevo solo farvi capire che ci tengo molto a questa storia, anche se non l’aggiorno spesso, ecco. Quindi se qualcuno (anche due persone in croce) la stanno apprezzando e hanno la costanza di leggersela, sappiate che mi rendete molto felice :). Ho praticamente scritto più in questa parte che nell’intero capitolo lmao.
Grazie davvero se siete arrivati fin qui senza morire di stenti.
(Mamma mia quanto mi diverto a fare questi angoli autrice, devo farlo più spesso)
Goodbayo,
Mel.

 

 
 

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Capitolo 17
*** Super indagini leggendarie di quarto livello ***


NOTA AUTRICE
Sorry sorry very sorry per questo immenso ritardo. Ho avuto due problemi principali negli ultimi mesi, il primo tra i quali è stato l'adattarmi alla nuova vita universitaria e i ritmi super-fucked-uped a cui devo ancora cercare di abituarmi. Il secondo è stato che ero CONVINTA (ma proprio tanto) di aver già pubblicato un capitolo un mese fa, per poi rendermi conto che lol, non lo avevo mai fatto in realtà. Perciò scusate very mucho. 
Comunque in questo capitolo che è stato un parto da scrivere, vi ho lasciato due cose importanti che penso, valgano tutta l'attesa.
1) ci sono un po' di rivelazioni riguardo ai missssteri della storia (in realtà penso renderanno il tutto ancora più confuso, ma almeno iniziamo a scremare un po').
2) finalmente rivelerò il vero nome della Ragazza Nuova!!! (che l'avevo pronto dal capitolo UNO madonna che palle aspettare così tanto)
Poi, un breve p.s. So che vi ho rotto le palle con sta storia del confusissimo rapporto tra Simon e Linda e in questo capitolo ce n'è ancora di più, ma vi prometto che dal prossimo capitolo torneranno anche gli altri personaggi.
Adios,
Mel.



 
Capitolo 16
Super indagini leggendarie di quarto livello

 
And daddy always smiled and took me by the hand
Saying, someday you'll understand

Well, I'm here to tell you now, each and every mother's son
That you better learn it fast, you better learn it young
'Cause someday never comes”

“Someday Never Comes”, Creedence Clearwater Revival 1972
 
 
La casa della Ragazza Nuova era sorprendentemente meravigliosa. La Ragazza a quanto pare in vita non aveva avuto solo bellezza, simpatia, gentilezza, perfezione, ma anche una caterva di soldi.
La sua era una villa a quattro piani con tanto di giardino e piscina sul retro. La casa aveva anche una palestra e un cinema interno. Questo significava che, tra le due, Linda era quella povera.
Linda Collins osservava la casa davanti a lei con un misto di invidia e disgusto, mentre assaggiava i cioccolatini al rum che le avevano offerto i genitori della Ragazza.
Certo, era morta, ma Linda si ritrovava ancora invidiosa di lei. Essere morta le aveva giovato dopotutto. Ora tutti l’amavano ancora di più, mentre Linda adesso era odiata da tutti.
Osservò con invidia anche Simon che, seduto di fianco a lei su una di quelle scomodissime sedie bianche, ispezionava i cioccolatini come per capire di che cibo si trattasse. Invidiava la sua calma.
Da quando aveva trovato Carey non lo aveva mai visto infelice, nemmeno una volta. E adesso che Linda sentiva la quasi certezza di provare ancora qualcosa per lui provava gelosia e invidia per quella condizione così migliore della sua.
Ma si era decisa a rimandare la cosa tra lei e Simon al futuro. Adesso c’era un altro problema da risolvere, ovvero capire che cosa era successo davvero alla Ragazza Nuova quella fatidica notte. Quando tutto quello sarebbe finito, Linda sarebbe ritornata in cima alla Catena ed era sicura che tutto si sarebbe risolto. Non avrebbe avuto più bisogno di sentirsi apprezzata e, con ogni fortuna, anche quella sua stupida cotta per Simon sarebbe svanita. Perciò dovevano sbrigarsi.
Si erano ritrovati da appuntamento con i genitori della Ragazza Nuova come da programma. Avevano usato come scusa quella di fare delle condoglianze per la morte della figlia. Loro non avevano avuto problemi ad accettare una visita di Simon, essendo stato il ragazzo della Ragazza Nuova nelle settimane precedenti alla sua morte, ma Linda aveva avuto il terrore che non avrebbero avuto piacere a ricevere lei in visita, visti i suoi evidenti screzi con la Ragazza. E così si era presentata come “LeeAnn Anderson” sicura che anche se la vera LeeAnn e la Ragazza Nuova non erano amiche, se per caso lei avesse parlato di lei con i suoi genitori, di certo non avrebbe mai potuto dire nulla di cattivo sul suo conto.
I genitori della Ragazza Nuova era entrambi magri e bellissimi, vestiti elegantemente anche in quel periodo così difficile come il loro.
Erano tutti e quattro seduti intorno al tavolo bianco a bordo piscina, con i loro cocktail freschi e una grandissima quantità di cioccolatini e di biscotti davanti a loro.
«Ci ha fatto molto piacere ricevere la vostra visita, ragazzi» disse la madre della Ragazza Nuova, osservandoli da dietro i suoi occhiali da sole. Linda pensò che era semplicemente meravigliosa, con quel suo vestito bianco e i capelli rossi che le ricadevano ricci sulle spalle e sul seno. «Ci aveva parlato così tanto di te, Simon. Mi dispiace incontrarci in una situazione del genere. E anche tu, LeeAnn, sebbene non ci avesse parlato molto di te, sono sicura che hai fatto molto per nostra figlia».
Linda notò che Simon, da quando erano arrivati lì, aveva un comportamento stranissimo. Non aveva aperto bocca se non per salutare, lasciando a Linda il compito imbarazzante della conversazione, e ignorava qualsiasi frase gli si rivolgesse. Anche in quel momento, ignorò le parole della madre e continuò a prendere cioccolatini dal tavolo, sembrando molto più interessato al suo martini rispetto a qualunque altra cosa intorno a lui.
Linda pensò quasi che fosse ubriaco. Lo ignorò, ritornando a svolgere il ruolo dell’interlocutore designato.
«Signori Mason» iniziò Linda che aveva scoperto il vero cognome della Ragazza Nuova dopo lunghe ed estenuanti ricerche negli archivi scolastici. «Siamo, come potete immaginare, entrambi molto dispiaciuti dalla morte della Ragazza Nuova…»
«Dana.» la corresse immediatamente il padre, che era stato molto più scontroso con lei e Simon da quando erano arrivati lì.
Linda trasalì leggermente, sentendo pronunciare per la prima volta il vero nome della Ragazza Nuova da qualcuno. Si schiarì la gola, cercando di correggere il suo errore di poco prima:
«Ehm, sì… Dana. Come dicevo, siamo molto dispiaciuti della sua morte. Io e Simon le eravamo molto legati e come sapete Simon e una certa Linda Collins erano lì la notte in cui è morta… o almeno così mi hanno detto. Voi che cosa sapete esattamente a riguardo».
«Non sappiamo proprio nulla, LeeAnn» disse la madre, sorseggiando il suo sex on the beach. «La polizia ci ha tenuto all’oscuro di tutto e poche settimane fa ci hanno chiamato dicendoci che il caso era stato chiuso come suicidio. Eravamo veramente disperati, ma non abbiamo potuto fare nulla. Ci avevano promesso un ispettore dell’FBI di New York, ma qualche stronzo deve averlo licenziato per proteggere qualcuno immischiato, evidentemente».
Linda cercò di sembrare dispiaciuta da quelle parole, nonostante sapesse bene che dietro a tutto ciò c’era stato lo zampino di suo padre.
Si sforzò di risultare impassibile, ma non appena aprì bocca, fu accolta da un’esclamazione del padre della Ragazza Nuova che la lasciò di stucco:
«Non saremmo mai dovuti venire qui. È tutto sbagliato! Dana non sarebbe morta se non avesse accettato questo lavoro!»
L’uomo si alzò, spostando la sedia rumorosamente e se ne andò, lasciando tutti i presenti confusi e sbigottiti. Perfino Simon alzò la testa, cercando di capire che cosa fosse appena successo.
Linda guardò la madre della Ragazza Nuova che, sebbene rimasta seduta insieme a loro due sembrava sul punto di urlare. Guardava il drink fisso davanti a se con gli occhi spalancati e le guance le erano diventate improvvisamente rosso fuoco. 
«Ecco…» provò a dire Linda, per risolvere l’imbarazzante situazione, ma non riuscì a dire nulla. Si ritrovò a pensare a ciò che il padre aveva detto poco prima.
Dana non sarebbe morta se non avesse accettato questo lavoro!
Lavoro? Ma di quale lavoro…
«Mi dispiace ragazzi, è solo un po’ sconvolto da quello che è successo».
I pensieri di Linda vennero quasi subito interrotti dalla squillante voce della signora Mason, che in un attimo sembrava essersi ripresa dal suo iniziale turbamento.
«Oh sì, certo, si figuri…»
Linda voleva chiederle che cosa significasse quel “lavoro” a cui aveva fatto riferimento il marito poco prima. Ma sapeva, per qualche strano motivo, che non avrebbe ricevuto risposta.
Il turbamento della donna era un chiaro riferimento che il signor Mason si era lasciato sfuggire dalla bocca ben più di quanto avrebbe dovuto…
«Forse è meglio che andiate ora» disse la signora Mason, alzandosi di colpo. «Grazie davvero della vostra visita, ragazzi, ci ha fatto molto piacere. Ora però devo discutere con mio marito di cose-».
«Potremmo vedere la sua stanza?»
Linda si girò di scatto verso Simon, sorpresa che avesse finalmente parlato. Perfino la signora Mason rimase sconvolta dall’intervento del ragazzo.
Ma nel cuore di quella donna doveva esserci la convinzione che Simon avesse il cuore spezzato dopo la morte della Ragazza Nuova e che quindi concedergli di vedere la stanza della figlia era davvero il minimo che potesse fare per lui.
«Oh, ma certamente».
La signora Mason si risedette, passandosi una mano tra i capelli e prendendo un lungo respiro, come immersa in importanti pensieri.
«Sentite ragazzi, perché non vi prendete una piccola pausa?» iniziò a dire la donna, guardando i due ragazzi seduti con un largo sorriso che, su di lei, sembrava quasi innaturale. «Abbiamo seppellito Dana al cimitero proprio qua dietro. Prendetevi un attimo per andare a trovarla, intanto io parlerò con mio marito. Se tornate tra una mezz’oretta sarò felice di farvi vedere la stanza di Dana. Va bene, mh?»
«Ehm… okay» rispose Linda, non del tutto rassicurata da quella reazione così inaspettata.
Lei e Simon si alzarono in silenzio e si incamminarono verso il cimitero che la signora Mason gli aveva indicato, il tutto con gli occhi della donna puntati fissi su di loro.
Solo quando si furono finalmente allontanati e l’immensa casa dei Mason iniziava a diventare sempre più piccola, Linda si sentì completamente libera di respirare con tranquillità e di poter pensare:
“Diamine. È stato molto più strano di quanto mi aspettassi”
 
 
Il cimitero era a pochi metri dalla casa dei Mason. Non era recintato da nulla, solo un piccolo muretto segnava l’inizio di un enorme prato adornato da lapidi di pietra, sparse qua e là, molte logorate dal tempo, ma la maggior parte fresche di creazione.
Linda e Simon attraversarono in silenzio il cimitero.
Il sole splendeva ed era una bellissima giornata. Il prato del cimitero era così verde e curato che sembrava quasi un luogo perfetto per farci un pic-nic.
In pochi secondi Simon aumentò il passo e finì per superarla di qualche metro. Linda lo guardò male, ma non gli disse nulla. Ancora non capiva che cosa gli fosse preso quel giorno. Non aveva detto quasi niente quel giorno. Non le aveva rivolto la parola nemmeno una volta, e se Linda gli chiedeva se c’era qualcosa che non andava, Simon la liquidava in poche parole dicendo che andava tutto benissimo e che non capiva perché si stesse preoccupando.
Linda lo osservò distanziarsi sempre di più da lei, fino a che non fu a più di venti metri di distanza.
Non c’era nessuno al mondo come Simon, pensò Linda. Anche quando stava in silenzio, ciò gli donava un certo fascino misterioso che lo rendeva ancora più attraente di quanto non fosse solitamente. Si rese conto di essere stata davvero fortunata a stare con qualcuno come lui.
Linda non sapeva ancora come avrebbe gestito la sua attuale situazione. Non sapeva come gestire Simon, come gestire Carey, come gestire i suoi stessi sentimenti.
Lei e Carey avevano fatto pace, ma non voleva che la litigata dell’altro capitasse di nuovo. Aveva pensato che la soluzione migliore era quella di parlare, sia con Carey che con Simon e dire loro tutto quanto. Ma aveva troppa paura di farlo, aveva paura di perderli entrambi.
Perciò avrebbe aspettato. Avrebbe aspettato, finché tutto quello non sarebbe finito e nel frattempo avrebbe gestito i suoi sentimenti semplicemente reprimendoli. Era la scelta migliore dopotutto.
Vide in lontananza che Simon si era improvvisamente fermato e ora era seduto sull’erba davanti ad una lapide. Linda si avvicinò a lui in fretta, finché in pochi secondi non lo raggiunse.
Quando furono di nuovo insieme, nessuno dei due disse nulla.
Linda osservò la lapide davanti a cui Simon sedeva in silenzio. Era la lapide della Ragazza Nuova, grigia e lucente, su cui era impressa una scritta, ancora fresca di incisione.
 
Dana Mason
∞ - ∞
Perfetta figlia e meravigliosa persona
 
Linda si ritrovò a sorridere amaramente, pensando che quella lapide era veramente oscena, ma allo stesso tempo si sentì triste, quando si rese conto che nessuno avrebbe mai potuto scrivere niente del genere sulla sua lapide quando sarebbe morta.
Posò il suo sguardo su Simon, che ancora era seduto e le dava le spalle. Decise di rompere quell’imbarazzante silenzio una volta per tutte:
«Mi dispiace molto. Per lei intendo» gli disse, senza staccare i suoi occhi dalla scritta sulla lapide. «Non te l’ho mai detto in realtà. Ma era la tua ragazza e di certo non deve essere stato facile per te. Mi dispiace di non essermi resa conto che la tua situazione era ben peggiore della mia».
Passò qualche secondo di silenzio, in cui il vento tra i fili d’erba era l’unica cosa a far rumore tra loro due. Dopodichè Simon miracolosamente parlò, per la prima volta in tutta la giornata:
«Nah, non mi è mai importato niente di lei in realtà» confessò Simon, con una calma e una risolutezza che stupì molto Linda. «L’avevo usata solo perché volevo diventare il Numero Uno della Catena e pensavo che se avessi iniziato a uscire con una ragazza dei piani bassi, gli studenti avrebbero iniziato a chiedere un cambio nelle regole».
Simon si alzò in piedi, diede un ultimo sguardo alla lapide della Ragazza Nuova.
«In un certo senso mi sento in colpa anche per questo. Non riuscivo a guardare i suoi genitori in faccia. Sono stato così ingiusto con lei e ora è morta e non ho più nessuno a cui porre le mie scuse».
 Il ragazzo si girò lentamente verso Linda. Si guardarono per un attimo negli occhi, poi Simon le rivolse un sorriso divertito.
«L’ho usata anche perché volevo farti ingelosire, sai?» disse con una confidenza tale che Linda non credeva possibile.
Linda gli fece un leggero sorriso, ma dentro di sé sentiva che il suo cuore stava esplodendo in mille fuochi d’artificio. Quel ragazzo era troppo perfino per lei.
«Tu sei così…» iniziò a dire Linda, per poi rendersi conto che non aveva idea di come finire la frase. Meraviglioso? Bellissimo? Insopportabile? Stronzo? Perfetto? Adorabile?
«… imprevedibile» concluse, con l’opzione che fu di certo la peggiore di tutte.
Simon distolse finalmente il suo sguardo da lei e sorrise, guardando il terreno.
«Sono… sinceramente confortato, sai?» disse. «Temevo mi stessi per fare un complimento».
Linda non capì che cosa intendesse.
«Come mai io che ti faccio un complimento è una cosa così impossibile da concepire?»
«Perché, Linda, tu non mi hai mai fatto un complimento. Tipo… mai».
«Questo non è-»
Simon non le diede il tempo di ribattere, perché iniziò ad andarsene, ritornando verso l’uscita del cimitero. Linda cercò di seguirlo, ma Simon era molto più alto di lei e presto Linda fu costretta a correre per mantenere il suo passo.
No, no, no, no pensò. È tutto sbagliato, non doveva andare così! Forza Linda, fermalo, digli che non è colpa tua se non gli fai complimenti, digli che in realtà tu non fai mai complimenti a nessuno, digli che lo adori così com’è, che lo trovi bellissimo, che lo trovi eccezionalmente magnifico e che non dovrebbe cambiare mai, né per te, né per nessun altro!
Ma dalla sua bocca non riusciva a uscire nulla. Si sforzava di dire tutto quello ma non ce la faceva. Non aveva il coraggio, non aveva la forza di dire e di rivelare nulla.
Linda andò dietro a Simon, camminando al suo passo, ma senza raggiungerlo.
«Simon! Aspettami, ti prego!»
Improvvisamente il ragazzo si fermò di colpo. Linda fece lo stesso, rimanendo a osservarlo di schiena, lì in mezzo a quel cimitero soleggiato.
«Posso farti una domanda? Devi rispondere sinceramente, mi raccomando» disse Simon, una volta che si fu voltato verso di lei.
Linda era ancora a qualche metro di distanza da lui. D’impulso si mise le mani nelle tasche dei jeans e lasciò uscire un leggerissimo e sussurrato:
«Okay… ».
Simon abbassò lo sguardo, cercando le parole adatte per fare quella fatidica domanda, che per tanti anni aveva evitato di chiedere. Ma ora era arrivato il momento di farlo:
«Due anni fa, quando ci siamo messi insieme… il giorno in cui… quando è successa la cosa di Bethany Mayers… Te lo ricordi?» iniziò Simon, evitando in tutti i modi di guardare Linda in faccia. «Ti ricordi della cosa che ti disse lei? Dell’accusa che ti fece poco prima che lei scivolasse e cadesse dalle scale?»
Linda rimase in silenzio.
 
«Tristan mi ha detto tutto riguardo a voi due, troia! Ti avevo avvisato già una volta, Linda, giuro questo è l’ultima goccia! Ti avevo detto che ti fossi avvicinata ancora a lui l’avresti pagata cara! E tu hai osato continuare a vederlo e a fare i tuoi sporchi giochetti di seduzione con lui?!»
 
«Sì, me lo ricordo». Le parole uscirono smorzate dalla bocca di Linda.
«Ecco, mi sono sempre fidato di quello che mi avevi detto tu, ma ora voglio sapere…». Simon fece qualche secondo di pausa prima di lanciare la fatidica domanda. «Era… era la verità, Lin?»
 
«Mi fai schifo, sei inconcepibile! Sei così senza vergogna che non riesci nemmeno ad ammettere al tuo nuovo  ragazzo che è da due mesi che ti scopi di nascosto un altro!»
 
Il silenzio rimase tra di loro per altri secondi, come una presenza maligna, insopportabile. Linda non rispose alla domanda. Si limitò a spostare lo sguardo a lato, senza guardare nulla in particolare.
Simon comprese al volo che non avrebbe ricevuto alcuna risposta chiara da lei, ma quel silenzio così atroce gli aveva dato abbastanza prove per confermare quello che aveva sospettato.
«Certo… capisco» commentò il ragazzo, dando di nuovo le spalle a Linda e proseguendo per la sua via, come se nulla fosse successo.
«Simon!»
Sentì che Linda camminava verso di lui, affrettava il passo, ora correva e lo raggiungeva.
All’improvviso lei fece uno scatto e Simon se la ritrovò lì davanti, a bloccargli la strada.
Linda non gli diede nemmeno il tempo di cambiare strada, che subito iniziò a parlare con voga:
«Senti, lo sai che non sono brava a far sentire meglio le altre persone. Sai che non sono brava a fare complimenti o a esprimere come mi sento verso qualcuno. Mi rendo conto anche di non essere stata… una persona esattamente eccezionale negli ultimi anni. Ma mi sto sforzando di cambiare, lo sto facendo davvero. E non avevo mai realizzato quanto io sia stata fortunata ad aver avuto una persona come te al mio fianco. Sei stata l’unica persona che mi abbia mai amato veramente e anche… dopo tutto quello che ti ho fatto, dopo il modo terribile in cui mi sono comportata con te, ti ho sfruttato e in cui ti ho trattato, tu sei ancora qui, in mezzo ad un cimitero ad ascoltare le mie scuse. Perciò… grazie. E scusami di tutto. Davvero».
Linda attese una risposta da lui per quasi dieci secondi. Ma tutto ciò che ricevette in cambio fu uno sorriso da parte di Simone e un leggero commento, che gli uscì mentre si stavano già allontanando dal cimitero:
«Grazie per avermelo detto».
 
 
Una volta tornati alla villa dei Mason trovarono stranamente la casa vuota. La porta principale era aperta, perciò entrarono senza problemi, tuttavia, una volta entrati e dopo aver chiamato decine di volte la signora e il signor Mason, si accorsero di essere definitivamente da soli.
«Dove diavolo sono andati?» chiese Simon con un sorriso, guardandosi intorno nella splendida e illuminata casa in cui si trovavano.
«Non lo so» fu il commento di Linda. «Ma l’unica cosa che voglio fare in questo momento è andarmene da qui al più presto, perciò sbrighiamoci».
Detestava trovarsi nella casa di una persona morta. Detestava trovarsi nella casa di una persona che aveva visto morire davanti a sé, più precisamente.
Linda non sapeva descrivere con esattezza la sensazione che provava, mentre saliva le scale e accarezzava il prezioso corrimano bianco e lucidato, mentre cercava tra le porte e le stanze quale fosse quella appartenuta alla Ragazza Nuova quando era ancora in vita.
Era la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato in quel luogo, qualcosa che non sarebbe mai più tornato al proprio posto. Ogni parete, ogni quadro, ogni foto appesa, ogni porta e ogni piastrella, tutto era ormai stata infestata da quella sensazione.
Trovarono finalmente la stanza della Ragazza Nuova e la sensazione di inesattezza diventò ancora più prominente, nell’esatto istante in cui Linda varcò la porta ed entrò in quella camera da letto ancora immacolata dall’ultima volta in cui qualcuno doveva averci fatto visita.
Il letto era perfettamente intatto, le foto e le scritte appese alle pareti, i libri ancora privi di polvere e uno strano e piacevole profumo che avevano l’unico scopo di far urlare ancora più forte “è sbagliato, è tutto così sbagliato qui!” nella testa di Linda.
Simon, d’altra parte, non sembrava minimamente turbato da quella strana perfezione quanto Linda; anzi, non appena entrarono si richiuse la porta alle spalle e si diresse verso la cassettiera della Ragazza Nuova, dicendo:
«D’accordo, allora vediamo di farla finita in fretta».
Iniziò ad aprire rumorosamente i cassetti, a frugare nelle cose della sua (ormai decisamente ex) ragazza. A Linda veniva da vomitare solo a guardarlo. La ragazza andò lentamente a sedersi sulle profumate coperte verdi del letto, bilanciandosi sull’angolo del materasso tremando e cercando di calmarsi al più presto.
«Come… come diavolo fai?» disse con un filo di voce.
Simon alzò lo sguardo verso di lei e si sorprese quasi a vederla in quello stato, quasi fosse la prima volta che riusciva a notare che qualcosa non andava in lei.
Interruppe la sua sfrenata ricerca per voltarsi verso di lei e poter parlare più chiaramente.
«Che cosa intendi?»
«Io non riesco nemmeno a guardarmi intorno…» bisbigliò Linda, aggrottando le sopracciglia e tenendo il suo sguardo fisso su un punto del pavimento. «Tutto… tutto questo posto. Non vedi quanto è tutto così sbagliato? Non dovremmo nemmeno essere qui. Io… non riesco nemmeno a crederci, Simon, non posso crederci che la persona che abitava qui sia morta e che noi… che noi abbiamo visto…»
«Lo so» la interruppe all’improvviso Simon e lei si decise a rimanere in silenzio.
Linda sentì che lentamente Simon andava a sedersi vicino a lei. Non alzò lo sguardo verso di lui, ma sentì la mano di Simon agganciarsi fermamente alla sua, e ciò riuscì a calmarla per il momento.
«Anche io non sto bene. Ho avuto incubi per quasi due mesi dopo quello che è successo. Ma ho avuto aiuto da molte persone e sono riuscito a superarlo. Mentre tu stai pretendendo di fare tutto da sola».
Linda sentì che il suo respiro diventava sempre più pesante. Teneva il suo sguardo ancora lontano da Simon, ma nel frattempo stringeva la sua mano sempre più forte.
«Lin, dentro questo casino ci siamo io e te. Insieme. Hai solo bisogno di aprirti con qualcuno, e fidati, tutto andrà bene» continuò Simon. «Vuoi… insomma… vuoi parlarne con me?»
Linda spostò lo sguardo su di lui così velocemente che fece quasi prendere un colpo al cuore a Simon. La ragazza ritrasse immediatamente la mano, apparendo quasi disgustata da lui.
«Cosa sei, il mio psicologo adesso?»
Si alzò in piedi e senza dire altro andò verso la cassettiera e cominciò a frugare tra i vestiti esattamente come aveva fatto Simon poco prima.
Sebbene la brusca reazione, Simon fu sollevato che fosse stata così… alla Linda. Vederla in quello stato poco prima aveva turbato perfino lui. Era contento di vederla tornata alla sua solita sé, almeno per il momento.
Aveva fin troppi problemi per quella sua testolina, e aveva un disperato bisogno di aiuto, era evidente. Ma Simon pensò, mentre si dirigeva verso di lei per aiutarla con la ricerca, che l’avrebbe aiutata pian piano, a poco a poco e, con il giusto tempo, Linda si sarebbe aperta con lui.
Cercarono nella cassettiera, nel suo comodino, nel suo armadio e perfino sotto al tappeto, ma non trovarono nulla di interessante, se non una marea di fogli bianchi e il diario segreto (rosa) della Ragazza Nuova, con tanto di lucchetto anti-scassino.
«Beh, guarda guarda… » disse Linda, prendendo il quadernino rosa e illuminandolo alla luce della lampada. «Hai per caso qualcosa di piccolo e affilato?»
Simon la guardò sconvolto.
«Che cosa?! Vuoi aprire il suo diario segreto?»
«Ehm… duh!»
«No, no,  è sbagliato!» si affrettò a dire Simon. «Cinque minuti fa stavi tremando e ti lagnavi riguardo alla Ragazza Nuova e ora vuoi aprire il suo diario segreto?! Ma che razza di persona sei?»
«Chissene, leggo solo io allora».
Si tirò fuori una forcina dai suoi stessi capelli e iniziò a scassinare il minuscolo lucchetto, impresa affatto complicata, dato che dopo pochi secondi, il diario segreto della defunta Ragazza Nuova veniva con gioia aperto da Linda Collins.
Simon la guardò irritato, a braccia conserte, mentre Linda sorrideva beffarda e si leccava il dito per passare drammaticamente le pagine ad una ad una.
«Capitolo uno» iniziò a leggere ad alta volce Linda. «”Simon Coleman ha il più bel culo che io abbia mai visto in tutto il Nord America”»
«Hai finito di inventare?» sbuffò Simon irritato, ma dentro di sé stava con forza reprimendo la voglia immensa di constatare a sua volta che cosa ci fosse scritto davvero su di lui in quelle pagine di diario.
«Non sto inventando» ridacchiò Linda. «È quello che c’è scritto veramente».
Tuttavia la ragazza si rifiutò di fargli vedere le pagine con le scritte, al che Simon provò a rubarle il diario di mano, ma Linda si ritrasse in fretta, tenendo il quaderno stretto tra le sue mani.
Qualcosa cadde improvvisamente dal diario, qualcosa di piccolo e rettangolare, che sembrava essere una foto. Linda nemmeno se ne accorse, continuava a leggere dal diario immersa nella lettura, così a Simon toccò il fastidioso compito di raccoglierla. 
Ma nel momento in cui la guardò meglio si congelò all’istante.
«Ma che diavolo…?»
Linda si accorse del suo improvviso cambio di umore e si avvicinò per guardare a sua volta.
«Cosa? Che cosa c’è?»
Quando anche Linda posò lo sguardo sulla foto rimase immobile ad occhi spalancati per più di trenta secondi.
 
 
La foto stampata su carta da polaroid ritraeva sei persone, tutte messe in posa e sorridenti, davanti alla stessa villa dei Mason in cui si trovavano in quel momento. Linda riconobbe il bordo della piscina dove si erano seduti lei e Simon poco prima.
La Ragazza Nuova era al centro, circondata da altre cinque persone, ugualmente felici e sorridenti.
Il problema era che ciascuna di quelle cinque persone era una faccia a loro già conosciuta.
Alla destra del gruppo, in piedi, con un’inusuale canottiera bianca e pantaloncini corti, c’era Michael Joyce, l’affascinante professore di letteratura che aveva fato irritare così tanto Linda sul fatto di non essere riuscita a conquistarlo.
C’erano poi due ragazze , entrambe con un braccio intorno alle spalle della Ragazza Nuova, al centro insieme a lei. Dei riccioli scuri inconfondibili, appartenenti alla nuova diva della scuola dalla pelle color cioccolato, Regan Weston e i capelli lisci e biondi di quell’altra ragazza che Linda aveva visto spesso in compagnia di Stephanie (-si chiamava forse Alexis, o qualcosa del genere-) anche se nella foto i suoi capelli erano decisamente più corti e la sua faccia era priva di quel trucco dark che era solita mettersi.
Poi c’erano i due ragazzi, a sinistra della foto. Uno dei due era il ragazzo carino dai capelli rossi che Simon aveva baciato mesi prima al chiosco dei baci, di cui non sapevano nemmeno il nome. Al suo fianco invece entrambi riconobbero all’istante Charlie Termont, il primino sfigato che da mesi aveva stretto una speciale amicizia con Simon.
Erano lì, tutti insieme, quel gruppo insolito di gente dalla loro scuola presa a caso, di gente che non avevano mai visto interagire tra di loro in tutti quei mesi di scuola, erano lì, tutti insieme davanti a quella stessa casa, che si abbracciavano e si sorridevano come dei vecchi amici.
Simon girò d’impulso la fotografia e a quel punto gli mancò davvero il fiato, quando trovò la data dello scatto scritta a mano con una penna. La foto risaliva a due anni prima. In più, poco sotto la data si trovava una strana scritta:
Unità A, Gruppo 2. Progetto L.Collins-S.Coleman
Entrambi quasi soffocarono quando lessero i propri nomi, lì impressi dietro a quella foto che risaliva a così tanto tempo prima, collegati a persone di cui, due anni prima, nemmeno conoscevano l’ esistenza.
«Simon…» iniziò a dire Linda tremando. «Come… come cazzo è possibile che quelli siano i nostri nomi-»
«Ma che diavolo ci fate voi due qui?!»
I due ragazzi alzarono improvvisamente lo sguardo verso la porta della stanza, davanti a cui era apparso il padre della Ragazza Nuova che li guardava in modo cagnesco, con i denti stretti tra di loro.
«Voi… uscite immediatamente dalla stanza di mia figlia»
Avrebbero potuto spiegarsi, avrebbero dovuto giustificarsi, ma non ne furono in grado.
Vennero cacciati dalla stanza della Ragazza Nuova e dalla casa dei Mason in pochissimi secondi, ma a nessuno dei due importava più nulla.
Simon per fortuna era riuscito a infilarsi la foto nella tasca del pantaloni, poco prima di uscire dalla stanza della Ragazza Nuova, ma non fu nemmeno in grado di dirlo a Linda.
Non si salutarono nemmeno. Tornarono alle proprie case senza dirsi una parola, perché in effetti ormai non sapevano più cosa pensare.
Perché chiunque fossero quelle sei persone in realtà, conoscevano i loro nomi già da due anni e la cosa era, cazzo, già di per sé inquietante così.

 

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