Secrets

di LorasWeasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 3: *** Passato - Piper ***
Capitolo 4: *** Vερό ***
Capitolo 5: *** Ci vuole tempo ***
Capitolo 6: *** Passato - Hazel ***
Capitolo 7: *** Nuove conoscenze ***
Capitolo 8: *** L'uomo ***
Capitolo 9: *** Passato - Annabeth ***
Capitolo 10: *** Pranzo italiano ***
Capitolo 11: *** Infrangere le regole ***
Capitolo 12: *** Passato - Calypso ***
Capitolo 13: *** Dopo le due di notte... ***
Capitolo 14: *** ...non succede mai nulla di buono ***
Capitolo 15: *** Passato - Frank ***
Capitolo 16: *** Hangover ***
Capitolo 17: *** Parti di verità ***
Capitolo 18: *** Passato - Percy ***
Capitolo 19: *** Fraintendimenti e sviluppi ***
Capitolo 20: *** Ritorno al passato ***
Capitolo 21: *** Passato - Will ***
Capitolo 22: *** Esplosioni ***
Capitolo 23: *** Tensione, dolore, litigi ***
Capitolo 24: *** Passato - Leo ***
Capitolo 25: *** Tutto come prima (parte1) ***
Capitolo 26: *** Tutto come prima (parte2) ***
Capitolo 27: *** Passato - Nico ***
Capitolo 28: *** L'idea di Piper ***
Capitolo 29: *** Vestiti da donna ***
Capitolo 30: *** Passato - Jason ***
Capitolo 31: *** I due soldati ***
Capitolo 32: *** Il piano di Leo ***
Capitolo 33: *** Ritirata ***
Capitolo 34: *** Lettera ***
Capitolo 35: *** La sentenza di Era ***
Capitolo 36: *** Lontano dalle telecamere ***
Capitolo 37: *** Settembre ***
Capitolo 38: *** Ottobre ***
Capitolo 39: *** Novembre ***
Capitolo 40: *** Tre gruppi ***
Capitolo 41: *** Primo gruppo: salvataggio ***
Capitolo 42: *** Secondo gruppo: lo scienziato ***
Capitolo 43: *** Terzo gruppo: Eros ***
Capitolo 44: *** Sangue ***
Capitolo 45: *** Sacrificio ***
Capitolo 46: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


ATTENZIONE: SEQUEL di "MISSION" e "Ombra" (il secondo è solo uno spin-off, non si deve leggere per forza, ma MISSION si)



Secrets


Prologo


La sua mira era migliorata tantissimo.
Si allenava circa tre ore al giorno solo nel lancio dei coltelli e con le pistole.
Immaginava che al posto del bersaglio ci fosse la sua faccia.
La ragazza fece una piccola pausa e si avvicinò alla sua bottiglietta d’acqua mentre si asciugava il sudore dalla fronte.
Mentre riprendeva fiato prese in mano il suo cellulare e lo sbloccò per vedere se ci fosse qualcosa di nuovo.
Nessun messaggio.
Molto probabilmente ci aveva rinunciato, visto che meno di tre settimane prima la cercava ogni 20 minuti.
Non sapeva se esserne felice o meno.
Si diede della stupida. Tanto a lei non importa più nulla di lui.
Stava per riprendere il duro allenamento quando il display si illuminò mostrando l’arrivo di una chiamata.
Si rese conto di aver mentito a se stessa, non poteva non importargli più se il suo cuore aveva perso un battito al solo pensiero che potesse essere davvero lui.
Ma il numero non era il suo.
Rispose e ascoltò attentamente ciò che le dissero fino a quando non conclusero che aveva un solo giorno per presentarsi da loro.
Non che avesse altre scelte.
Quando riposò il cellulare fissò per un po’ la pistola che ancora teneva in mano, facendosela roteare sul dito.
Fece quasi un sorrisetto, almeno avrebbe avuto modo di testare i suoi miglioramenti.
 
Il ragazzo era in fila per il cheek-in all’aeroporto.
Tamburellava un piede a terra ritmicamente, non voleva aspettare tutto quel tempo.
Non voleva neanche attendere tutte quelle ore di viaggio.
Fissò un’altra volta il nome della sua destinazione nel biglietto che teneva in mano.
Non aveva mai visitato quello stato e di sicuro non si sarebbe mai immaginato di visitarlo una prima volta per quel motivo.
Sbuffò sonoramente quando la fila procedette accorciandosi di massimo 10 centimetri.
E si ricordava di essere stato una persona molto paziente in passato.
Le note della sua suoneria si diffusero nell’aria e rispose praticamente subito, con la speranza che fosse qualcuno in particolare.
Speranze vane, ignorava le sue chiamate da giorni ormai, perché avrebbe dovuto richiamarlo?
Richiuse dopo aver risposto un semplice “Va bene”.
Guardò un’altra volta il suo biglietto, era decisamente il caso di cambiare quella destinazione con un’altra ben conosciuta.
 
I due ragazzi si erano presi una vacanza, avevano deciso di girare il mondo, in quel momento si trovavano in una camera di un lussuoso albergo a Parigi.
Dalla grande finestra a vetri potevano ammirare la Torre Eiffel illuminata.
Erano circa le otto di sera e loro avevano passato praticamente tutto il giorno a coccolarsi nel letto, sonnecchiando e chiedendo il servizio in camera per il pranzo.
Fu dopo un nuovo lungo bacio che la ragazza si staccò con gli occhi che le brillavano.
-Allora, che si fa questa sera?
-Io sto benissimo anche qui- commentò lui stringendola per i fianchi.
Lei si liberò e si mise seduta tra le coperte candide che la coprivano veramente poco, fece inoltre un adorabile broncio palesemente falso.
-Siamo a Parigi da due giorni e fino ad ora abbiamo visto solo le pareti di questa stanza.
-Va bene- acconsentì il ragazzo mettendosi seduto a sua volta, le si avvicinò e le mordicchiò un labbro mentre sussurrava – Possiamo andare in qualunque posto tu voglia.
La ragazza sorrise raggiante, ma tutto venne interrotto dalla musica che si diffuse dal suo cellulare.
Il ragazzo sbuffò e si lasciò ricadere sui morbidi cuscini, lei si protese verso il comodino.
Quando vide il numero divenne seria, cosa che fece scomparire il sorriso anche dalle labbra del suo ragazzo.
Rispose mettendo il vivavoce e annunciando che erano in ascolto entrambi.
La loro vacanza si era appena conclusa.
 
Il ragazzo ordinò un drink nella sua amata lingua, anche se era ancora leggermente arrugginito.
Mentre aspettava che glielo portassero si guardò intorno.
Erano circa le nove e il locale si stava riempiendo sempre di più.
Era all’aperto, il cielo completamente nero, sgombro da qualsiasi nuvola ma privo di stelle.
Era un bel locale, quasi interamente bianco, che dava sul mare scuro perfettamente in contrasto con il resto. C’erano principalmente coppie, ma anche gruppi di amici, tutti vestiti più o meno eleganti.
Anche lui ci aveva provato, ma il risultato era venuto un po’ strano, metà elegante e metà trasandato, non che si rendesse davvero conto di quanto questo lo rendesse ancora più attraente.
Venne infatti affiancato da una bella ragazza con uno strettissimo e attillato vestito viola, si chiese come facesse a respirare.
-E’ un peccato che un bel ragazzo come te sia qui tutto solo- commentò con una voce che doveva essere suadente, sicuramente di solito funzionava.
Il ragazzo però non batté ciglio.
-Sono già occupato.
La piantò in asso al bancone mentre afferrava il suo drink e si andava a sedere a un tavolo non troppo appariscente e con una perfetta vista dell’uomo che stava spiando.
Era un vecchio con un completo che sicuramente costava quanto la sua moto, voleva sembrare giovane, ma si vedeva benissimo che tutti i suoi sforzi erano inutili.
Si trovava insieme a una ragazza, bellissima e giovanissima.
Il ragazzo trattenne un conato di vomito quando l’uomo le posò una mano sulla coscia scoperta e la fece scorrere verso sopra.
Fu distratto dal suo cellulare che iniziò a vibrargli in tasca.
Quando chiuse la chiamata si rese conto che essere scappato per tutto quel tempo non era servito a nulla.
 
00.58
La ragazza tamburellava insistentemente le dita sul lavandino.
Stava iniziando ad odiarsi da sola, ma non riusciva a smettere per il troppo nervosismo.
01.32
Aveva mai vissuto dei minuti così lunghi?
Non ricordava, ma era certa che quelli fossero i due minuti più lunghi della sua vita.
01.47
Quasi non batteva ciglio mentre fissava il cronometro nel suo cellulare.
01.57
01.58
01.59
02.00
I due minuti erano scaduti.
Prese un lungo respiro e si girò a fissare il bastoncino che teneva in mano.
Gelò sul posto.
Si riscosse quando il suo ragazzo bussò alla porta del bagno chiamandola, ricordandole che erano già in ritardo.
Rispose quasi balbettando, ma lui non sembrò farci caso.
Il suo cellulare mostrava che erano passati altri 6 minuti visto che il cronometro che non aveva ancora fermato segnava “08.22”.
Ma lei era davvero sotto shock.
Aveva quasi vent’anni ed era riuscita a rimanere incinta per uno stupido errore.
E loro non erano neanche dei normali adolescenti.
Glielo doveva dire, subito.
Nascose il bastoncino che teneva ancora in mano dietro la schiena e aprì la porta del bagno, si appoggiò allo stipite della porta e fissò il suo ragazzo che gironzolava per la camera d’albergo in cerca di qualcosa.
Loro non erano in vacanza, ma semplicemente a lavoro, non che non si stessero divertendo.
La ragazza fece un colpo di tosse attirando la sua attenzione, stava per far uscire la prima parola del suo lungo monologo quando venne interrotta da un cellulare. Il suo cellulare.
Rispose e ascoltò tutto quello che le dissero senza una parola, annuì anche se non potevano vederla e rispose che avrebbe avvertito lei il ragazzo che aveva davanti.
-Scusa un secondo.
Si richiuse in bagno mentre il suo ragazzo sospirava e borbottava “donne”.
Non poteva, non avrebbe potuto dirglielo, non in quel momento, non con quello che aveva appena saputo.
Aprì la finestra del bagno e lanciò il test di gravidanza oltre il balcone, nel bel mezzo della foresta enorme, verde e bellissima che avevano come panorama.
Distruggendo per sempre la sua unica prova.
 
Il ragazzo si svegliò in un letto decisamente non suo.
Si congratulò con se stesso per essere almeno su un letto.
Aveva un atroce mal di testa e non ricordava nulla di quello che era successo la sera precedente.
Si rese conto che il suo cellulare stava suonando, ecco perché si era svegliato.
Lo trovò a tentoni e rispose biascicando un “pronto” più o meno udibile.
Gli dovettero ripetere due volte cosa doveva fare, ma alla fine il suo, ancora annebbiato dal sonno e dall’alcool, cervello riuscì a comprendere di doverli raggiungere entro il giorno dopo.
Quando chiuse fece un lungo sospiro passandosi una mano sugli occhi.
Sentì un mugolio al suo fianco e solo a quel punto si accorse della ragazza mezza nuda che dormiva nel letto con lui.
Quasi entrò nel panico, ma poi notò che lui indossava ancora i pantaloni nonostante la maglietta fosse ormai perduta in un posto non ben specificato.
Si rilassò, non aveva fatto nulla, non era riuscito a fare nulla, esattamente come tutte le altre notti.
Si concentrò alla sua nuova priorità: dover prendere un volo per oltrepassare mezzo paese entro quel pomeriggio, ma prima aveva assolutamente bisogno di una lunga doccia.
 
Era entrò nella stanza, i due ragazzi si stavano allenando.
Stavano anche ridendo e scherzando, ma tornarono subito seri non appena la videro.
Una donna di poche parole, ecco com’era sempre stata, precisa e concisa.
Lo fu anche in quel momento.
-Ho avvertito tutti, domani saranno qui.
Si rivolse alla ragazza.
-Le consiglio di iniziare a prepararsi, penso che vogliano sapere la verità, tutta la verità. Potrà allenarsi con il ragazzo al suo fianco, magari può iniziare dal raccontargli come mai gli ha sempre tenuto segreta l’esistenza di un fratello. Un fratello che ha giurato di uccidere tutti i suoi amici.


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Indovinate chi è tornata dopo un anno con il sequel che vi aveva promesso?
Allora, vorrei fare delle precisazioni su questa storia.
Sarà un pò diversa da "Mission" perchè qui voglio parlare più della loro parte umana, quindi soffermarmi più sulle relazioni e i legami che hanno stretto, ovviamente non mancherà la parte dei combattimenti, ma non sarà così frequente come nella storia precedente. Vi ho avvertiti, poi non venite a lamentarvi dopo.
Seconda cosa, in questa storia racconterò del passato di tutti loro, quello che in Mission avevano solo accennato, infatti ogni due capitoli ce ne sarà uno interamente dedicato a ognuno di loro, scoprirete chi e l'ordine in base alle circostanze.
I capitoli saranno della stessa lunghezza di quelli precedenti e sempre come prima aggiorno una volta a settimana, sempre o sabato o domenica. Salterò solo la prossima, lascio il prologo per due settimane così do più possibilità a tutti di vedere l'aggiornamento della storia, quindi ci risentiamo il 14 ;)
Ora ovviamente voglio sapere tutti i vostri pareri e, soprattutto, avete capito chi sono i vari personaggi nelle scene di sopra? Voglio i vosti pareri!
Alla prossima, felice di essere tornata, Deh

P.S. Non preoccupatevi, sono ancora una persona sadica :D

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Capitolo 2
*** Di nuovo insieme ***


1.Di nuovo insieme
 

-E questo è tutto.
Piper finì di spiegare tutta la storia al suo ragazzo con un sospiro.
I ragazzi erano entrambi seduti sul bordo di un’aiuola rialzata fuori da quella piccola struttura bianca e rigida che, all’apparenza sembrava una fabbrica, ma che in realtà era una delle tante sedi della CIA.
Si stavano godendo il tepore del sole di inizio giugno e inoltre erano riusciti a trovarsi un po’ di privacy.
Jason non disse nulla per diversi secondi.
Piper si morse l’interno della guancia e sussurrò –Non te l’ho mai detto per questo, per me era come morto, l’avevo cancellato totalmente dalla mia vita, non pensavo che… sarebbe arrivato a tanto.
Jason bloccò il suo monologo posandole una mano tra i suoi capelli scuri e intrecciati.
Le sorrise –Non è colpa tua.
-Ma… è mio fratello… gli altri…
-Gli altri capiranno, racconterai quello che hai raccontato a me anche a loro e capiranno.
La ragazza abbozzò un sorriso, Jason capì che non era del tutto convinta, ma lo stava facendo solo per lui.
Non disse più nulla per consolarla, sapeva che la cosa migliore era attendere anche gli altri e farle capire che non avrebbero di certo dato la colpa a lei.
Restarono in silenzio per svariati minuti, poi furono raggiunti da Reyna.
La ragazza si posizionò a qualche metro da loro, le mani sui fianchi mentre guardava la strada del vialetto ancora deserta.
-E’ arrivato qualcuno- annunciò infine continuando a scrutare la strada.
Jason e Piper si fecero più attenti, alzandosi in piedi curiosi di scoprire chi fosse.
Ci volle solo qualche secondo prima che una ferrari rossa si avvicinasse a tutta velocità.
Posteggiò con una perfetta manovra e lo sportello si aprì.
Dal posto del guidatore scese un ragazzo più abbronzato del solito, delle infradito ai piedi, dei bermuda al ginocchio, una leggera maglietta a maniche corte arancione e degli occhiali da sole così scuri da non far neanche intravedere gli occhi dietro.
Anche i ricci biondi erano leggermente più lunghi.
Will richiuse lo sportello e si avvicinò ai tre ragazzi salutandoli con un mezzo sorriso, ma non era uno dei suoi soliti sorrisi e loro, soprattutto Jason che lo conosceva da più tempo, non poterono non notarlo.
La macchina aveva i vetri oscurati, i ragazzi non riuscirono a vedere se all’interno ci fosse qualcun altro, ma lo sportello del passeggero non si apriva.
-Dov’è Nico?- Chiese alla fine Jason riportando lo sguardo sul biondo di fronte a lui.
Will sembrò rimanere impassibile, ma grazie agli occhiali nessuno notò il cambiamento nel suo sguardo.
-E’ la stessa domanda che mi faccio da due mesi.
I ragazzi rimasero leggermente spiazzati da quella risposta, ma non dissero nulla.
Will fece un nuovo sorriso per smorzare la tensione e si rivolse a Piper –Come va il tuo allenamento?
La ragazza capì che era solo un sorriso di circostanza e che magari neanche gli interessava la risposta, ma rispose comunque –Bene, è abbastanza dura e ancora sono alle prime armi, ma ce la sto mettendo tutta.
Il ragazzo annuì.
Piper lo scrutò per qualche altro secondo, poi non riuscì a trattenersi e chiese –Come stai Will?
Questa volta il ragazzo decise di non fingere più, semplicemente ignorò la domanda e voltò lo sguardo verso la strada dalla quale era arrivato.
-Non è arrivato nessun’altro?- Chiese poi.
Reyna capì il suo voler cambiare argomento e gli diede man forte –No, ma saranno qui a momenti, Era ha dato delle istruzioni ben precise a telefono.
Come a voler confermare quello che la ragazza aveva appena detto, in lontananza spuntò un puntino nero che pian piano divenne sempre più grande.
Si scoprì essere una gip grigia guidata da Frank.
Ma prima ancora di riuscire a scorgere i volti riconobbero la voce.
Accanto a Frank infatti stava Leo, in piedi sul sedile e con le braccia alzate per attirare l’attenzione, urlò qualcosa che sembrò molto “Il grande e potente Leo Valdez è tornato! Tremate comuni mortali.”
Piper ridacchiò e Jason si diede una manata in fronte –Chissà perché non sentivo la sua mancanza.
Nei sedili posteriori stavano le due ragazze, Calypso e Hazel, con due enormi sorrisi stampati in faccia e i capelli al vento.
Ancora prima che Frank fermasse del tutto la vettura le ragazze si lanciarono giù con un abile salto e corsero dagli altri abbracciandoli di slancio.
-Quanto mi siete mancati!- Sospirò felice Hazel abbracciandoli uno per uno, seguita a ruota da Calypso.
Poi, di punto in bianco, si sentì un botto che fece girare di scatto tutti quanti, dalla macchina proveniva un leggero fumo nero.
-Frank?- Domandò Hazel vagamente preoccupata.
Il ragazzo in questione scese dalla gip tossendo e con il volto nero e sporco, quando riprese a respirare fissò in tralice Leo che era uscito dall’altro lato della vettura praticamente incolume.
-Non iniziamo per niente bene Valdez.
Leo si limitò a fare un sorriso innocente.
Nel frattempo Will si era rivolto a Hazel –Ma siete stati tutto questo tempo insieme voi quattro? Come ha fatto Frank a sopravvivere a Leo?
Hazel scosse la testa ridacchiando –No, li abbiamo incontrati per puro caso per strada e si sono uniti a noi.
-Ora si spiega tutto- commentò in risposta Jason per poi avvicinarsi ai due ragazzi, in realtà ci teneva a Leo, non voleva che Frank lo uccidesse.
Dovettero aspettare un bel quarto d’ora prima che qualcun altro si facesse vivo.
Questo qualcuno era Annabeth, la ragazza arrivò guidando una mercedes classe A di colore nero, posteggiò quasi in mezzo alla strada e scese lentamente.
Indossava dei pantaloncini bianchi cortissimi e una maglietta verde, le scarpe da tennis erano basse ma riuscivano comunque a mettere in risalto le sue lunghe gambe.
Sembrava molto più fiera e letale dell’ultima volta che l’avevano vista.
Stava giocando con il mazzo di chiavi della macchina facendoselo ruotare in mano, attaccato a questo c’era però anche un coltellino svizzero.
Abbracciò con trasporto Calypso ed Hazel quando queste gli si gettarono addosso, mentre per gli altri utilizzò breve strette o pacche sulla spalla, ma era felice di rivedere tutti.
Ognuno di loro voleva fargli quella domanda, ma vedendo lo sguardo della ragazza si trattennero, tutti tranne Will.
-Percy?- Chiese infatti quando la ragazza gli si avvicinò.
Lei fece una smorfia e rispose a tono –Nico?
Lui rispose con la stessa smorfia, poi l’attirò per le spalle e l’abbracciò lasciandole un bacio tra i capelli.
Nessuno uscì più quell’argomento e mentre aspettavano i due ragazzi in questione si misero a chiacchierare come se il motivo per il quale erano stati chiamati non fosse poi così grave.
Facendo quasi finta che fossero dei ragazzi normali, per loro era quasi diventato un gioco.
Piper raccontò dei suoi allenamenti, Reyna dei progressi e delle differenze in positivo che avevano riscontrato lei e Chris, qualcun altro dei particolari divertenti delle missioni alle quali avevano preso parte.
E mentre Leo raccontava della sua ultima missione con Calypso sentirono da lontano il rumore di una moto in avvicinamento.
Leo smise di raccontare e sorrise –Oh finalmente! Scommetto che è Nico.
-Io dico che è Percy- rispose invece Frank.
Ma alla fine si scoprì che avevano ragione entrambi.
Nico sgommò sull’asfalto e si fermò a qualche metro dal gruppo dei ragazzi.
Non era cambiato quasi in nulla, sempre anfibi, jeans e maglietta larga neri, sempre pallido, piccolo e magrolino. Una fascia del medesimo coloro gli teneva raccolti i capelli per non dargli fastidio durante la guida.
Dietro di lui stava Percy, ancorato ai suoi sottili fianchi, la fronte poggiata alla sua schiena e gli occhi chiusi, era pallido quasi quanto il ragazzo che aveva di fronte.
-Siamo arrivati Percy, puoi staccarti.
Gli fece notare il più piccolo portando le mani alle sue braccia cercando di fargliele staccare con scarsi risultati.
Nel frattempo il moro si guardò intorno, si rese conto che tutti si erano ammutoliti e che lo sguardo di Annabeth lo stava perforando.
Incrociò per un attimo anche la figura di Will, Nico fu felice che il ragazzo avesse messo gli occhiali da sole e non vedesse il suo sguardo, aveva ancora gli incubi dopo quel giorno.
In effetti tutto poteva essere frainteso, ma Nico non aveva nessuna voglia di iniziare a dover dare spiegazioni.
-Nico- biascicò a quel punto il ragazzo dietro di lui –Sto per vomitare.
Nico strabuzzò gli occhi, si girò di scatto e cercò di liberarsi dal ragazzo, ci riuscì per metà.
Il ragazzo dagli occhi verdi era infatti quasi del tutto sceso dalla moto, ma barcollava e si aggrappò a Nico, poi vomitò piegandosi in avanti e prendendo in pieno mezza maglietta dell’amico.
L’imprecazione in italiano di Nico la sentirono chiara e forte tutti quanti.
Jason corse da loro per aiutare Nico a reggere l’amico, questo solo quando naturalmente aveva smesso di rimettere tutto quello che aveva nello stomaco.
Anche tutti gli altri si avvicinarono, Leo non riuscendo a trattenere le risate per come era conciato Nico.
-Cosa ha?- Chiese Hazel leggermente preoccupata.
Quasi in contemporanea Nico urlò al diretto interessato –Ma quanto cazzo hai bevuto ieri sera?
Percy si aggrappò a Jason, che sembrava più propenso a non ucciderlo e biascicò –Un po’.
-Vaffanculo!- Urlò il moro infuriato e si avviò all’interno della struttura, dopo qualche secondo fu rincorso da Reyna.
-Aspetta, ti aiuto a trovare qualcosa di pulito.
Will si morse un labbro indeciso sul da farsi. Avrebbe solo voluto inseguirlo e parlargli per fare finalmente quella conversazione che il moro rimandava da due mesi.
Ma se avesse intavolato quella discussione proprio in quel momento… Nico l’avrebbe come minimo ucciso sul posto, era già abbastanza furioso.
Inoltre tutti lo stavano fissando come se fosse l’unico a poter aiutare Percy a uscire da quello stato.
Sospirò –Ragazzi non posso fare nulla se si è prese una bella sbronza, fategli bere tanta acqua, mangiare del pane e aspettate che torni normale.
Inoltre gli farebbe bene non stare COSI’ vicino al MIO Nico.
Entrarono tutti dentro, Piper li accompagnò nella grande sala dove Era gli aveva detto di portarli una volta che sarebbero arrivati tutti.
C’erano un paio di divani tutti posti davanti uno schermo enorme, nei tavolini bassi invece stava del cibo.
Jason accompagnò Percy in bagno per sciacquarsi la faccia, poi lo fece sedere su un divano e gli mise un cornetto vuoto in bocca.
Nel frattempo erano tornati anche Nico e Reyna, il primo aveva una camicia hawaiana molto colorata.
Anche Leo si trattenne dal ridere solo perché lo sguardo del ragazzo faceva davvero paura. Senza una parola si andò a sedere vicino ad Hazel, il più lontano possibile da tutti loro.
Solo dopo qualche secondo fece il suo ingresso Era, la donna sembrava identica alla prima volta che l’avevano vista quasi un anno prima, come se non invecchiasse e rimanesse identica nel tempo.
-C’è un motivo se vi ho fatto venire qui tutti insieme con così poco preavviso, ma siete tutti in grave pericolo.
Nessuno disse nulla, la donna riprese felice di non avere nessuna interruzione.
-Tre mesi fa pensavamo davvero di aver chiuso per sempre quella storia con Tristan McLean, poi c’è arrivato questo video.
Detto questo la donna prese un telecomando, spense le luci e accese la tv. Su questa partì un video.
C’era un uomo, non poteva avere più di 25 anni, aveva un sorriso sadico in volto e sembrava vagamente pazzo, poi iniziò a parlare.
“Ciao sorellina. Ti credi al sicuro? Sei felice? La famiglia viene prima di tutto. Ricordi cosa ci insegnò nostro padre? Come hai potuto fare questo proprio a lui?”
L’uomo aveva il viso distorto dalla rabbia, ma riuscì a riprendere il controllo e a sorridere nuovamente.
“Ma non preoccuparti, io ricordo bene i suoi insegnamenti. Ti troverò. E troverò tutti i tuoi amici. Li ucciderò uno per uno, davanti i tuoi occhi, te per ultima. Non sei più mia sorella, non meriti di vivere.”
Lo schermo divenne nero per qualche secondo poi il video riprese, era sempre quell’uomo ma era vestito diversamente e si trovava in un altro posto, come se fossero passati più giorni.
Elencò tutti i loro nomi, a uno a uno e nel frattempo allegò varie loro foto.
Tutte prese da telecamere di sicurezza degli hotel e delle stazioni, o scattate per strada mentre loro erano distratti, alcune erano sfocate e non si vedevano benissimo.
Ma era abbastanza chiaro per loro capire che quell’uomo sapeva riconoscere ogni singolo loro volto.
Concluse con la promessa che presto li avrebbe trovati tutti.
Quando il video finì, Era riaccese le luci e aspettò che fossero i ragazzi a dire per primi qualcosa.
-Wow, sempre così adorabili le persone sadiche- fu Nico a smorzare per primo la tensione con uno sbuffo.
-E’ tuo fratello?- Chiese poi Annabeth girandosi verso Piper.
Tutti a quel punto la fissarono.
La ragazza sospirò, portò avanti il busto, poggiò i gomiti sulle ginocchia e parlò.
-Si… Mi sa che vi devo raccontare tutta la mia storia.

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Holaaa, eccomi qua, il 14 come promesso.
Che dire? Eccovi finalmente i volti dei personaggi del capitolo precedente, molti di voi avevano fatto supposizioni e mi voglio complimentare con chi ha indovinato quasi tutto!
Quindi, da come ormai è abbastanza chiaro la Percabeth e la Solangelo stanno passando un periodo di crisi, possiamo dire che si sono proprio lasciati (si, sempre io, sempre sadica, che volete farci? Ahahah) E quindi Annabeth era la ragazza che si stava allenando, Will quello in aereoporto che voleva andare da Nico che si trovava in quel bar in Italia e Percy che era, come si è ampiamente capito, quello che si è svegliato con la sbronza.
Piper e Jason invece erano i due ragazzi che si stavano allenando, non hanno mai lasciato la struttura della CIA perchè Piper non è ancora pronta per le missioni sul campo, molti di voi non pensavate che fossero loro perchè Era li tratta con distacco, però alla fine lei li ha sempre trattati tutti così, quindi penso di non essere andata troppo fuori tema.
Infine le due coppie erano la Frazel e la Caleo, ma non vi dico chi è la ragazza incinta, ci arriveremo tra qualche capito ;) (mettere Annabeth come ragazza incinta era troppo scontato, mi spiace per chi lo sperava ahaha)
Il video che si è visto è quello che ha girato Eros, il fratello di Piper, nell'epilogo di Mission, considerando che è passato un anno da quel capitolo molto probabilmente non lo ricordavate, per questo ho riscritto tutto il dialogo in grassetto.
E nulla, penso di aver detto tutto, se non vi torna qualcosa potete benissimo chiedere, tornerò il prossimo fine settimana con il nuovo capitolo!
Oh e vi avevo detto che alternavo i capitoli normali con quelli che raccntano il passato di loro, il prossimo infatti parlerà del passato di Piper e capirete il perchè di tutti questi avvenimenti, pian piano tutte le tessere andranno al loro posto!
Alla prossima, Deh

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Capitolo 3
*** Passato - Piper ***


2.Passato - Piper


Piper aveva sempre avuto tutto quello che desiderava.
La sua camera era piena di giocattoli.
L’ultima bambola da collezione uscita solo qualche giorno prima, il castello delle principesse a grandezza d’uomo e pieno di particolari, un’altalena ancorata al soffitto al centro della stanza, il macchinario che le permetteva di cucinare i dolci…
Non era lei a chiedere tutte queste cose, suo padre semplicemente gli portava un regalo ogni volta che tornava a casa.
Era una bambina iperattiva e solare, non divenne mai viziata e piena di se.
L’unica cosa che desiderava, a volte, era giocare con qualcuno della sua età.
Nella loro immensa villa poteva fare tantissime cose, ma con le badanti e le cameriere non era la stessa cosa.
Non poteva però definirsi davvero triste, perché alla fine aveva sempre suo fratello.
Eros aveva otto anni in più di lei e, per tutta l’infanzia, la trattò come se fosse una principessa. La sua principessa.
La loro madre Piper non l’aveva mai conosciuta, era fuggita con un altro uomo quando lei aveva solo pochi mesi.
Il loro padre stava sempre fuori per lavoro, anche se cercava di farsi perdonare portando loro regali.
Così a Piper rimaneva Eros. Che era diventato il suo punto di riferimento.
Il ragazzo giocava sempre con lei e sottostava a tutto quello che gli voleva fare.
Si faceva acconciare i lunghi capelli neri, si faceva truccare, diventava la sua cavia quando doveva assaggiare i biscotti immangiabili che la bambina preparava.
Le insegnò anche a cavalcare, a leggere e a scrivere, ad andare in bicicletta e a correre sui pattini.
Si comportava da fratello maggiore, da padre e da madre contemporaneamente con lei.
E Piper non poteva far null’altro se non amarlo incondizionatamente. Come può fare una piccola bambina senza nessun’altro punto di riferimento.
Piper lo vedeva che aveva anche un lato oscuro. Sentiva quando urlava e se la prendeva con le loro cameriere, quando picchiava un gatto randagio che gironzolava nel loro giardino nel giorno sbagliato, quando per semplice divertimento bruciava le ali di una farfalla.
Non lo faceva davanti a lei, ma Piper sapeva.
Semplicemente, non aveva mai detto nulla. Perché suo fratello era buono con lei, quindi quello che faceva agli altri non poteva essere così cattivo. Anche se poi le farfalle morivano, i gatti perdevano sangue e le cameriere si ritrovavano in lacrime e con qualche livido.
Lei sapeva che suo fratello era buono. Quindi l’unica risposta plausibile era che ognuno di loro si fosse meritato quello che suo fratello faceva.
Ma con il tempo le cose continuarono ad andare di male in peggio.
Gli scatti d’ira di suo fratello si moltiplicarono e qualche volta aveva iniziato a urlare anche contro di lei. Anche se non le aveva mai tolto neanche un capello.
A partire dai 7 anni, suo padre iniziò a darle delle “lezioni” private.
La chiamava la sera nella loro grande biblioteca, la faceva sedere su una comoda poltrona e, semplicemente, le parlava.
Le parlava della famiglia, di quanto questa fosse importante.
Del fatto che la famiglia andava sempre messa al primo posto. Qualsiasi cosa fosse successa.
-Papà?- Provò a chiedere una sera la bambina –Ma se, mettiamo caso Eros fa qualcosa che io reputo sbagliata… Devo comunque stare dalla sua parte?
Era da un po’ che ormai quella domanda le ronzava nella testa, le immagini a cui assisteva non la lasciavano più così indifferente e ormai stava crescendo, imparando a pensare con la propria testa.
Suo padre la fissò in silenzio con uno sguardo gelido per qualche secondo.
Piper fu trapassata da quello sguardo e dovette abbassare il volto, non riuscendo più a mantenere quel contatto visivo.
-Si- concluse infine l’uomo con un tono che non ammetteva repliche.
-Ma…- Provò a protestare la bambina flebilmente, ma la sua frase non fu mai conclusa, perché l’uomo chiuse il discorso.
-Ma niente Piper. Che ti piaccia o no è tuo fratello e, qualsiasi cosa faccia, dovrai sempre stare dalla sua parte. Sempre.
La bambina, semplicemente, annuì.
Passarono i mesi e suo padre le fece molte altre lezioni simili, crescendo Piper si rese conto che alla fine era quasi un vero e proprio lavaggio del cervello.
Ma era sempre stata una bambina sveglia e intelligente e, nonostante annuisse e obbedisse a tutto ciò che le veniva detto da suo padre, continuava comunque a pensare con la sua testa.
Aveva ormai otto anni quando la monotonia delle sue giornate fu completamente distrutta da suo fratello.
Il ragazzo aveva quasi 17 anni e crescendo si era distaccato sempre di più da sua sorella.
C’erano certi giorni che Piper neanche lo vedeva, anche se lo sapeva che era in casa chiuso nella sua stanza, per fare cosa non lo scoprì mai.
Quando poi gli chiedeva di giocare rispondeva semplicemente con la parola “cresci”.
E poi successe.
Era una calda giornata di Luglio e Piper era in giardino a leggere riparata sotto un albero.
Gli unici rumori erano il suono delle cicale e del vento che passava tra le foglie degli alberi. Rumori che furono brutalmente interrotti da delle urla.
Piper non riusciva a distinguere cosa dicessero, ma dai toni sentì e capì che erano maschili. E, considerando che stavano solo cameriere femmine li dentro, dovevano per forza appartenere a due persone ben conosciute.
Senza pensarci due volte chiuse il libro, si alzò e iniziò a correre.
Come aveva sospettato, le voci erano di suo padre e di Eros e provenivano dal vialetto d’ingresso.
I due uomini erano uno di fronte all’altro, li dividevano solo pochi centimetri.
Piper si accorse di quanto suo fratello era cresciuto in quei pochi mesi e di quanto in realtà fosse differente da loro padre. L’aveva anche superato in altezza.
-Sei un’idiota!- Stava urlando il ragazzo –Hai in mano delle cose che potrebbero farci diventare degli dei! E non riesci a sfruttarli nel modo più opportuno! Sei solo un’incapace.
-Ho detto che il caso è chiuso- disse in risposta l’uomo, alterato anche lui, ma non urlava come il figlio.
Eros strinse i pugni e uno strano lampo passò nel suo sguardo, Piper ne ebbe paura. Era lo stesso sguardo che aveva quando torturava un qualche povero animale.
Durò solo un secondo, poi il ragazzo si limitò a stringere i pugni. Infine disse la sua ultima frase.
-Non hai intenzione di farmi entrare in questa cosa? Nonostante io sia tuo figlio e dovrei esserne il capo? Benissimo. Ne creerò una mia.
-Tu osa sfidarmi e io…
-Cosa?- Lo interruppe Eros –Mi cacci di casa? Non ti preoccupare, ci penso io da solo. Addio.
Voltò le spalle a tutti e percorse il vialetto, fino a raggiungere la sua macchina.
Prima di salire su di essa lanciò un lungo sguardo a Piper, la bambina non aveva ancora detto nulla, troppo shoccata da tutto quello che stava avvenendo troppo in fretta.
Sembrò quasi che le volesse dire qualcosa, ma la sua bocca non si aprì, salì in macchina e velocemente mise a moto sparendo quasi subito dalla loro visuale.
Piper rimase a guardare la strada vuota, come se il suo cervello non riuscisse ad elaborare seriamente tutto quello che era successo solo negli ultimi tre minuti.
Si riscosse quando sentì suo padre imprecare e i suoi passi dirigersi dentro la villa.
-Avevi detto…- gli urlò dietro la bambina con voce rotta e spezzata, neanche si era resa conto di aver iniziato a piangere.
-Avevi detto che bisogna sempre stare dalla parte della famiglia! E non abbandonare mai nessuno! NESSUNO!
Suo padre si fermò, a metà della scalinata, non si girò a fissarla mentre con voce fredda e inespressiva –Eros non fa parte della nostra famiglia. Non più.
Poi tornò dentro, mentre Piper rimaneva immobile li, in mezzo al vialetto, mentre le lacrime continuavano a scorrere sulle sue guancie.
Fu l’ultima volta che vide suo fratello.
 
Il potere.
Piper ormai era diventata abbastanza grande da aver capito che suo fratello, cinque anni prima, se n’era andato per il potere.
Non sapeva in cosa erano coinvolti, ma aveva iniziato sempre di più a pensare di testa sua e a cercare di informarsi.
Finiti gli anni delle elementari studiando a casa, suo padre decise di iscriverla in una scuola privata. Certo, era sempre di lusso dove, in sostanza, i tuoi voti erano direttamente proporzionati al tuo patrimonio. Ma Piper così iniziò a conoscere gente della sua età, a scambiare idee e pensieri con persone al di fuori della sua famiglia o che comunque avessero un legame diretto con loro.
Piper inoltre iniziò a leggere, prendeva i libri dall’immensa biblioteca di suo padre e passava anche quasi tutta la notte a leggere.
E capì che era sempre il potere l’unica cosa che importava davvero alle persone.
Vide anche che tutti gli antagonisti dei suoi romanzi si comportavano esattamente come suo fratello, con lo stesso sadismo e la stessa crudeltà.
Piper sapeva che, in fondo al suo cuore, l’aveva sempre saputo. Ma lo ignorava perché era fermamente convinta che nonostante tutto lui l’amasse, che lei fosse un’eccezione.
Ma Eros non l’aveva mai cercata.
Erano passati cinque lunghi anni e il ragazzo non aveva provato a mettersi in contatto con lei neanche una volta.
Piper lo capiva se non avrebbe voluto vedere il loro padre e magari aggiustare tutto quello che era successo, era pur sempre una sua scelta.
Ma lei che c’entrava in tutto questo?
Con il tempo, l’amore che provava per lui si trasformò in puro odio e lo cancellò dalla sua vita.
I ricordi di quando era bambina divennero sempre più sfocati, cancellati e sovrapposti da quelli nuovi, quelli dove lei era figlia unica.

 
______________________________________
Eccomi qui, non ho molto da dire su questo capitolo.
Semplicemente, tutti i capitoli del "passato" saranno strutturati così e ovviamente in tutti troverete quella vena triste e malinconica.
Se non si fosse capito quando Eros e suo padre litigano è per il progetto che l'uomo ha creato e per il quale la CIA tenta di fermarlo nella prima storia, non voleva che il figlio ne prendesse parte perchè sapeva del suo comportamento quasi da psicopatico e non era idoneo a far parte di un progetto così delicato.
Detto questo, ci sentiamo la prossima settimana con il continuo della storia.
Byeee, Deh

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Capitolo 4
*** Vερό ***


3.Vερό


Frank non aveva mai sofferto il caldo.
Non aveva mai avuto di quei problemi, fino a quel giorno.
Da quelle piccole fessure vedevo pochissimo, per vedere alla sua destra doveva girare tutta la testa di 90 gradi, come a sinistra.
Un bimbo lo fissò da lontano, Frank alzò la mano racchiusa dentro il guanto peloso e lo salutò.
Il bimbo sorrise, poi scappò via.
Frank riprese il giro del parco, salutando i bambini e facendo le foto con chi glielo domandava.
 
-Quindi il fratello pazzo di Piper vuole ucciderci- concluse Leo alla fine del racconto della ragazza in questione –Che dovremo fare adesso?
Fu Era a prendere la parola –Non permetteremo a nessuno che vi venga fatto del male, siete sotto la nostra protezione. Riusciremo a risolvere anche questo problema.
-Avete intenzione di nasconderci da qualche parte fino a quando non l’avrete trovato?- Domandò a quel punto Calypso leggermente agitata.
-No, abbiamo ampiamente capito che con voi non serve a nulla, anzi, abbiamo bisogno di voi o non penso che riusciremo mai a trovarlo.
-Insomma, tipo delle esche- concluse Annabeth.
-Una cosa del genere… Conoscete tutti il parco acquatico “νερό”?
I ragazzi annuirono.
-E’ nostro, da sempre stata una nostra sede. Tutte le persone che ci lavorano sono degli agenti segreti ed è strutturato a più livelli, ovviamente la gente comune conosce solo quello in superficie.
Fece una breve pausa, il tempo che i ragazzi afferrassero per bene il concetto.
-Passerete l’estate li, lavorerete per rendervi utili, abbiamo già trovato una mansione per ognuno di voi. Così sarete perfettamente allo scoperto, il fratello della signorina McLean vi può trovare facilmente, ma allo stesso tempo siete protetti e controllati 24 ore su 24 quindi non riuscirà a farvi nulla. Se le cose andranno per il verso giusto, entro la fine dell’estate tutta questa storia finirà.
Di nuovo scese il silenzio.
Frank allora si schiarì la voce e commentò –Non sembra male come cosa.
Era abbozzò un sorriso –Ne riparleremo dopo che avrà scoperto cosa dovrà fare, signor Zhang.
Frank corrugò la fronte, cosa poteva esserci di così terribile?
La donna cercò di concludere velocemente, quindi si alzò e spronò gli altri a fare lo stesso.
-Se non ci sono domande potete seguirmi, vi mostrerò tutto quello che c’è da sapere e inizierete direttamente domani. Signor Jackson le consiglio vivamente di farsi passare quella sbronza entro l’alba.
 
Fu così che al suo risveglio Frank trovò un enorme vestito da panda, terribilmente caldo, da dover indossare per tutto il giorno.
Erano solo le 11 del mattino e già non ce la faceva più per il caldo.
Perché era toccato proprio a lui fare una delle mascotte del parco?
-Guarda tesoro! Un panda, vuoi farti la foto con il panda?
Davanti a lui si piazzò una donna con il proprio figlio in braccio, il bambino poteva avere sui 3 anni e sembrava vagamente terrorizzato, annuì impercettibilmente, forse solo per far felice la madre.
La donna allora iniziò a sbracciarsi e a urlare –Fotografo! Ehy ragazzo! Qui! Vieni a fare la foto a mio figlio?
Nico smise di guardare le foto dalla macchina fotografica che portava al collo e si avvicinò a loro lentamente, quasi svogliato.
Fece almeno cinque foto al bambino insieme al panda/Frank, poi prese un braccialetto di carta con sopra scritto un numero e lo attaccò al suo piccolo braccio, indicò alla madre una direzione, per andare allo stand dove stava Leo dietro i suoi numerosi schermi, in modo da fargli vedere le foto che aveva appena scattato e in modo che ne potesse comprare una se solo avesse voluto.
La donna ringraziò e si trascinò via il bimbo per una mano, mentre lui con l’altra salutava timidamente il panda e il ragazzo.
-Tutto bene li dentro?- Domandò distrattamente Nico mentre riprese a fissare le foto che aveva scattato durante tutta la giornata direttamente dallo schermo della macchina fotografica.
-Non penso che arriverò alla fine dell’estate, morirò prima.
Nico sorrise, poi aprì bocca per rispondere, ma tutto quello che voleva dire gli morì sulle labbra quando notò con la coda dell’occhio qualcuno che si avvicinava.
-Vado a continuare il mio lavoro- e dopo aver borbottato questo fuggì letteralmente via.
Frank, che aveva una visuale davvero limitata, capì cosa aveva fatto scappare il ragazzo solo quando Will gli si piazzò di fronte.
Il biondo stava fissando il punto dov’era fuggito Nico solo qualche secondo prima, mordendosi un labbro.
Poi abbassò lo sguardo abbastanza deluso, infine tornò a sorridere e a rivolgersi a Frank come se non fosse successo nulla.
-Che dici facciamo cambio?
-Volentieri!- Rispose in fretta il cinese –Non hai idea di quanto caldo abbia qui dentro!
-Oh fidati, stare li dentro non è nulla se messo a confronto a dover badare una ventina di bambini che hanno decisamente mangiato troppi zuccheri… Ma poi, perché io? Ti sembro uno che è bravo con i bambini?
Frank rilasciò uno sbuffo –Ovvio Will, sei il più adatto! Non li affideresti mai a Percy, no?
Il biondo sospirò e si passò una mano tra i ricci –No ma…
Strabuzzò gli occhi quando qualcosa in piscina attirò la sua attenzione.
Poi iniziò a correre verso quella direzione, Frank lo sentì urlare – Harley! Ti ho già detto che non puoi inzuppare i biscotti nell’acqua della piscina e poi mangiarli! Ti fa male!
Okay… Forse Will aveva ragione, non era proprio un paradiso dover combattere con i bambini.
Il ragazzo riprese il suo giro del parco, salutando bambini e facendosi foto con chi glielo chiedeva, fino a quando non arrivò al bar dove avevano messo a lavorare la sua ragazza.
Hazel in quel momento stava servendo un frappé alla fragola a un ragazzo, ma poi non c’era molta fila, ormai era l’ora di pranzo e tutti erano o al ristorante o a riposarsi alle proprie sedie sdraio mangiando ciò che si erano portati da casa.
Lo servì con un sorriso, il ragazzo ringraziò e pagò, poi andò via.
Fu a quel punto che Frank si avvicinò al bancone e si tolse la testa da panda poggiandolo su di esso.
-Oh tesoro…- sorrise Hazel porgendogli un bicchiere di acqua ghiacciata.
Il ragazzo la bevve tutta d’un fiato e ne chiese altra.
Poi restò li con lei per un po’, chiedendole come fosse andata la giornata e come le sembrava quel nuovo lavoro.
Hazel rispose che c’erano attimi in cui tutto diventava abbastanza stressante, soprattutto quando doveva preparare 5 ordinazioni contemporaneamente, ma nel complesso le piaceva.
Fu dopo qualche minuto che vennero raggiunti da Leo, il ragazzo diede un pugnetto nella spalla di Frank e gli chiese come stava andando.
Il ragazzo rispose con uno sbuffo e Leo iniziò a ridere quasi a crepapelle.
-Cosa c’è da ridere!?- Domandò infine un Frank esasperato.
-Scommetto…- un’altra risata gli fece morire la frase in gola –Scommetto che non sai che dentro la testa sta un ventilatore, vero?
E riprese a ridere fortissimo.
Frank lo guardò strabuzzando gli occhi –Sul… serio?
Leo si asciugò le lacrime e annuì –Te lo mostro… O muori prima di finire questa settimana.
Poi si rivolse alla ragazza –Haz, nel frattempo puoi preparami un gelato alla pesca? Calypso dice che ne ha troppa voglia… ora che ci penso mi ha anche detto di fare in fretta… Forse è meglio se mi muovo, devo anche tornare a lavorare.
Così, mentre Hazel preparava quello che il ragazzo le aveva chiesto, il diretto interessato si mise a cercare il pulsante che avrebbe attivato quello che cercava.
Frank pensò che forse non sarebbe andata così male.
 
In mezza giornata Percy aveva aiutato una vecchietta a uscire dalla piscina senza scivolare e aveva ripreso per 7 volte un ragazzino che insisteva a voler fare un tuffo dove l’acqua era alta sui 30 centimetri, nonostante gli innumerevoli divieti dove stava scritto “vietato tuffarsi”.
Si, in effetti era stato proprio utile come bagnino.
Stava giocherellando con gli occhiali da sole che aveva indossato per non far vedere le occhiaie quando sentì qualcuno poggiare una sedia di plastica accanto alla sua e sedersi.
Era Jason, il moro notò che aveva il suo stesso costume e la maglietta rossa.
-Fai anche tu il bagnino?- Domandò anche se non era davvero interessato alla risposta.
Jason scrollò le spalle –No, per quello sei più bravo tu, semplicemente tengo d’occhio gli scivoli e faccio scendere le persone una alla volta.
-E ora non dovresti essere a lavorare?
-Le attrazioni chiudono dalle 2 alle 3, per l’ora di pranzo.
Percy si limitò ad annuire e portò di nuovo lo sguardo sulla piscina davanti a se, non che ci fossero pericoli nell’immediato, inoltre era appunto ora di pranzo, non era rimasto quasi più nessuno in acqua.
Quel silenzio durò solo per pochi altri secondi, poi Jason fece quella domanda che Percy si aspettava, ma alla quale non voleva risponde.
-Senti Percy… Che hai combinato con Annabeth?
Il moro si morse un labbro, discostò ancora di più lo sguardo dal biondo e iniziò a parlare a raffica –Come sta Piper? Ho saputo che si è allenata molto in questi mesi che non ci siamo visti, sicuramente diventerà bravissima. Ora l’hanno messo a lavorare all’ingresso vero? E’ una decisione intelligente, così può vedere il volto di tutti quelli che arrivano e riconoscere il viso di suo fratello se ce ne fosse bisogno e…
-Percy!
Il moro si interruppe e non disse più nulla.
Jason sospirò –Senti fratello, ti voglio bene e voglio solo aiutarti, non ti giudicherò. Ti fa bene parlarne con qualcuno… se hai bisogno sai dove trovarmi.
Poi si alzò pronto ad andarsene.
Percy ripensò a quella mattina, quando aveva visto Annabeth fare il suo lavoro, ovvero l’animatrice, ballando davanti a tutte quelle persone.
Ricordò quanto fosse perfetta, le gambe lunghe e abbronzate coperte solo da un paio di pantaloncini di jeans, sopra una magliettina corta che le arrivava sotto il seno.
Ricordò il dolore che provò alla consapevolezza che non era più sua.
Jason aveva fatto solo due passi quando si bloccò di scatto alla semplice frase che uscì dalla bocca dell’amico.
-Io l’ho tradita.

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Va beneee, eccomi qui
Questo doveva essere solo un capitolo iniziale per spiegare un pò la situazione e quello che sarebbe successo: quindi, la storia precedente era ambientata in inverno e a scuola, questa in estate (per lo più) e in un parco acquatico.
Che ne pensate dei lavori di tutti quanti? (forse non ho detto quello di Calypso, si occupa della musica per la cronaca)
E poi, la bomba finale. Lo so, è crudele lasciarvi così... Ma prima di dire le solite "Percy non lo farebbe mai, lui non è così" e altro, lasciate che tutto questo sia spiegato.
Non ho intenzione di fare i personaggi OOC, fidatevi solo di me e aspettate i nuovi aggiornamenti.
L'ultima cosa da dirvi è che la prossima settimana parto per il LuccaComics (se qualcuno ha voglia mi trovate li tutti i giorni tranne domenica, sabato sarò in un gruppo cosplay di PJ) quindi l'aggiornamento non verrà nel prossimo fine settimana, ma lunedì, subito appena rientro.
Bè, a presto, fatemi sapere
Un bacio, Deh

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Capitolo 5
*** Ci vuole tempo ***


4.Ci vuole tempo


Hazel e Frank camminavano mano nella mano.
Il parco aveva chiuso da due ore, i ragazzi avevano cenato e si erano lavati e cambiati, poi avevano scoperto di poter utilizzare le piscine se ne avessero avuto voglia, l’unica loro regola era di non uscire per nessun motivo dalla struttura. E di non distruggere nulla, ovvio.
Così i due ragazzi si stavano dirigendo in una delle tante piscine, quella più grande e più utilizzata.
Non c’era neanche un po’ di vento e il cielo era completamente privo di nuvole, una sera perfetta per rilassarsi in acqua dopo che avevano lavorato tutto il giorno.
Quando si avvicinarono però quella calma fu spezzata dalle voci di due ragazzi che stavano discutendo.
-… Guarda, mi hai anche fatto venire la nausea! E non provare a seguirmi se ci tieni ai tuoi attributi!
Detto questo Calypso andò via indispettita, lasciando un Leo boccheggiante e privo di parole.
I due ragazzi si avvicinarono ancora di più al loro amico, Hazel si sedette nelle sedia a sdraio accanto alla sua mentre il suo ragazzo domandava –Problemi in paradiso?
Leo li fissò con gli occhi strabuzzati –Ragazzi ve lo giuro, non ho idea di quello che abbia fatto per meritarmi una settimana in bianco.
Hazel cercò di trattenere le risate con scarsi risultati –Immagino…
-No sul serio! Le ho chiesto se voleva farsi il bagno e il perché non si fosse ancora tolta la maglietta e… E’ praticamente esplosa, ha iniziato a urlarmi contro cose che non ho ben compreso ed è andata via in quel modo… che ho fatto?
Letteralmente dalle ombre comparve Nico, il ragazzino portò una mano sulla spalla di Leo per consolarlo, anche se ebbe come risultato solo quello di farlo trasalire.
-Ancora cerchi di comprendere le ragazze? Non hai capito che è impossibile?
Hazel iniziò a ridere senza più trattenersi, mentre Leo lanciava un’occhiataccia al moro per lo spavento che gli aveva fatto prendere.
-E tu che ne sai?- Domandò poi.
Nico alzò le spalle –Grazie a dio nulla!
Detto questo si tolse la maglietta nera, l’appallottolò e la lanciò su una sedia sdraio, poi si tuffò in acqua nuotando lontano.
Hazel scrutò la sua figura che si allontanava sempre di più, con un sospiro commentò –Sono cambiate così tante cose in questi pochi mesi…
Leo si stese sulla sedia sdraio e fissò il cielo ricco di stelle.
-Non era cambiato nulla tra me e Calypso, ma è diventata strana da quando abbiamo ricevuto la chiamata della CIA, so che sono passati solo pochi giorni per dirlo, ma è quasi ingestibile… Non so che fare.
La ragazza si morse un labbro, sentiva il dolore e la sincerità nella voce dell’amico, capiva molto più degli altri quanto stava soffrendo per quella situazione.
-Magari è solo un periodo… Forse ha le sue cose… Lasciale tempo e poi parlate, magari domani, ma con calma.
Il ricciolino annuì, più per farla felice che perché ci credesse sul serio, ovviamente Hazel lo capì, ma non gli disse nulla.
-Vado a dormire che sono stanco… Vi lascio soli.
E detto questo andò via lentamente, la testa bassa, strisciando i piedi con le mani nelle tasche.
-Odio quando le persone a cui voglio bene stanno così male, so quello che provano, lo capisco più di tutti gli altri e non so che fare per aiutarli… Leo, Nico, Annabeth…
-Lo so tesoro- Frank l’attirò a se e le lasciò un casto bacio sulle labbra –Ma non possiamo fare nulla al momento o peggioreremo le cose, lasciamo che si sistemi tutto con il tempo e lasciamo che lo facciano tra di loro.
-Sei sicuro che si sistemerà tutto e torneremo uniti come una volta?
Frank non ebbe il tempo di rispondere che vennero raggiunti da Will, il ragazzo si guardò intorno e adocchiò la maglietta nera appallottolata poco distante da loro.
-Ciao- fece un principio di sorriso –Avete visto Nico?
Hazel indicò la piscina, Will non perse tempo, si tolse le infradito e si tuffò in acqua non prima di aver ringraziato.
Lo fissarono allontanarsi e Frank rispose finalmente a quella domanda –Ne sono sicuro. Si amano troppo per non aggiustare questa situazione.
Hazel capì che non si stava riferendo sono a Will e Nico, ma anche a Percy, Annabeth, Leo e Calypso.
 
Nico nuotò il più lontano possibile, passò sotto la cascata e si andò a rifugiare in quell’angolo buio della piscina.
Riemerse dall’acqua prendendo un bel respiro, si portò i capelli gocciolanti all’indietro e si andò a sedere nel rialzamento che si trovava al bordo della piscina sempre all’interno dell’acqua, sotto quella grotta che la gente di solito non notava, infatti era un piccola rientranza di solo 30 centimetri dopo la cascata.
L’acqua gli arrivava alle spalle, chiuse gli occhi e poggiò la testa sul bordo dietro di se.
Rimase immobile per diversi minuti, non era nella calma, l’acqua continuava a muoversi per via della cascata e il rumore continuava a persistere. Ma Nico stava bene li in mezzo, non era abituato alla calma, ma quella confusione sapeva gestirla molto meglio.
Poi un rumore diverso attirò la sua attenzione, un rumore differente che spezzò quella monotonia.
Nico non fece in tempo ad aprire gli occhi che si ritrovò circondato da una figura.
Le mani di Will si erano poggiate ai lati del suo corpo, bloccandogli ogni via di fuga, i bicipiti in tensione per lo sforzo che fecero fremere leggermente il moro.
Quando quest’ultimo poi si decise a incontrare finalmente quello sguardo blu capì che ormai non poteva più scappare.
-Due mesi- ruppe il silenzio Will –Hai idea di quello che ho passato?
Si, è lo stesso che ho provato io.
Ma Nico si morse il labbro pur di non rispondere in quel modo.
-Fidati, ti passerà presto, un giorno mi ringrazierai.
-Ma che diavolo stai dicendo? Tu sei scomparso di punto in bianco, senza neanche uno straccio di spiegazione! Penso di meritarmi qualche risposta, no?
-Che c’è da spiegare?- Nico alzò la voce, ma distolse lo sguardo –Non mi piaci, non voglio stare con te! Quella era…- Gli si spezzò la voce, ma si costrinse a continuare –Solo riconoscenza, per quando mi hai salvato. Ma io non provo nulla per te. E ora lasciami andare.
Lo spinse con un braccio e riuscì a spostarlo, perché Will era rimasto spiazzato da quel discorso.
Cercò di fuggire ma il biondo si riscosse abbastanza in fretta e riuscì a bloccarlo afferrandolo per un braccio nudo, pelle contro pelle, per riportarlo indietro.
Si erano scambiati i ruoli, adesso era Will seduto dove poco prima stava il più piccolo, mentre quest’ultimo era su di lui a cavalcioni, ma senza toccarlo. In acqua gli veniva abbastanza semplice.
Will poi utilizzò l’altra mano per alzargli il viso costringendolo a fissarlo negli occhi.
Nico vi lesse al suo interno dolore, ma non gli fece così male come quando quel giorno vi lesse all’interno quel terrore che l’aveva fatto scappare.
-Avanti dillo di nuovo- lo spronò Will cercando di mantenere la voce ferma –Di che non mi ami e che ti sei solo divertito, dillo però guardandomi negli occhi.
Nico boccheggiò, ma non una parola riuscì a uscire dalle sue labbra.
La presa di Will che teneva fermo il suo mento si addolcì, poi la mano scese lentamente lungo il suo collo e il suo petto, arrivando quasi al limite del costume e oltre.
-Sei un bugiardo Nico Di Angelo- sussurrò mentre con due dita iniziava ad abbassare il tessuto nero.
Ma Nico iniziò a tremare e fece di tutto per farsi lasciare il braccio, urlò un paio di “Lasciami andate, ora!” e, quando ormai era chiaro che stesse per scoppiare a piangere, Will fece come richiesto. In un lampo Nico nuotò via.
Will sospirò e chiudendo gli occhi si passò una mano sul viso.
-Qualsiasi cosa tu mi dica, non riuscirai a farmi scappare- sussurrò alle ombre quella promessa.
 
Dopo la rivelazione di quella mattina Percy e Jason non avevano più parlato.
Erano stati interrotti dagli altri per andare a mangiare e di pomeriggio ognuno aveva ripreso il proprio lavoro.
Ma Percy sapeva di non poter rimandare troppo quella conversazione e forse parlarne con qualcuno gli avrebbe fatto bene.
Così i due ragazzi si ritrovarono al bar, era ovviamente chiuso ma per loro non fu un problema prendere un paio di birre fredde da dietro il bancone, poi si misero seduti fuori, a terra poggiati contro un muretto, illuminati dalla luce di un lampione e dalla luna.
-Quindi… che diavolo hai combinato?- Iniziò Jason aprendo la sua birra.
Percy sospirò, aprì anche lui la sua bottiglia e ne prese un lungo sorso prima di iniziare.
-Andava benissimo tra me e Annie… Dopo che ci siamo separati quella sera, noi due abbiamo iniziato delle piccole missioni, lavorando sempre insieme. Siamo una bella squadra io e lei e inoltre facevamo un sacco di s…
-Va bene!- Lo interruppe Jason –Direi che possiamo anche saltare questa parte.
Il moro abbozzò un sorriso –Si scusa, hai ragione.
Poi riprese a parlare.
-Bè, diciamo che stavamo svolgendo una di queste missioni, dovevamo catturare un trafficante di droga, era abbastanza semplice come missione, cosa di due o tre giorni.
Prese un nuovo sorso dalla bottiglia e si asciugò la bocca con una mano.
-Siamo andati a questa festa, ci siamo divisi per controllare un’area maggiore, ho preso un drink al bar e forse mi sono distratto perché sono abbastanza certo che qualcuno mi abbia drogato il bicchiere, o forse l’ha fatto direttamente il barista. E…
Gli si spezzò la voce.
-E?- Lo spronò il biondo.
-E ho il nulla, non ricordo niente di tutto quello che ho fatto da quel momento in poi. So solo che il mattino dopo mi sono svegliato grazie a uno schiaffo abbastanza forte.
-Annabeth?
Percy annuì con lo sguardo basso –Mi fissava con odio e disgusto, mi ha urlato contro qualcosa sul fatto che mi avesse cercato per tutta la notte e che era stata in pensiero per me, non ricordo molto, ero ancora stordito. Poi mi ha sputato contro e mi ha detto di non cercarla più.
Finì la birra in un solo sorso.
-Ho cercato di raggiungerla, urlando il suo nome per chiedere spiegazioni, ma era già andata via. Sono rotolato giù dal letto e la botta che ho preso mi ha un po’ risvegliato i sensi. Mi sono reso conto di essere mezzo nudo, in un letto in una delle stanze sopra il locale dove stavano facendo la festa la sera prima. Accanto a me stava una ragazza, anche lei era mezza nuda.
Jason storse la bocca e gli poggiò la mano sulla spalla per un po’ di conforto –Hai provato a…
-Certo! L’avrò chiamata non so quante volte al giorno, messaggi, e-mail… L’ho cercata ovunque, ma era come scomparsa. Sono felice di tutta questa storia, almeno so che sta bene. Io capisco il disgusto che lei prova nei miei confronti però… Jason io penso di non averla tradita.
Il biondo corrugò la fronte non capendo.
-Non ricordo assolutamente nulla ed è strano, di solito, anche dopo giorni, alcuni flash confusi delle cose che faccio dopo aver fumato o bevuto mi tornano in mente, ma in quel caso non è mai successo, come se appunto non fosse mai successo nulla. Inoltre quando Annabeth mi ha trovato in quel letto dormivo con i pantaloni dei jeans chiusi… Se avessi fatto qualcosa non pensi che sarei stato abbastanza stordito per rivestirmi?
Jason ci pensò su –In effetti hai ragione… Dovesti dirle a lei queste cose.
Percy sbuffò –Come se fosse facile riuscire ad avvicinarmi e parlarle.
-Dalle ancora un po’ di tempo per abituarsi alla tua presenza, noi troveremo una soluzione, ti aiuterò io- Il biondo sorrise e gli diede un pugno sul braccio, poi si alzò –Vado che Piper mi aspetta.
Quando ormai Jason era abbastanza distante Percy gli urlò dietro –Visto che tu puoi, dacci dentro anche per me!
Il biondo si limitò ad alzargli il dito medio senza neanche girarsi.

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Capitolo 6
*** Passato - Hazel ***


5.Passato - Hazel


Hazel era strana.
Era una bambina timida e riservata.
Molti bambini della sua età avevano un comportamento simile, c’era chi poi con gli anni si apriva, oppure continuava a restare timido e risarvato.
Ma Hazel era strana perché non parlava con nessuno a meno che non fosse strettamente necessario.
Aveva tre anni quando la iscrissero all’asilo, come qualsiasi bambino.
Il primo giorno nessuno la notò, la classe era divisa tra i bambini iperattivi che non stavano un attimo fermi e quelli buoni e calmi che rimaneva seduti ai loro posti a giocare o disegnare.
Ma con il passare dei giorni le maestre si accorsero che c’era qualcosa di strano in quella bambina.
Perché tutti, anche quelli più timidi si erano un po’ aperti, avevano fatto amicizia con qualcuno e si erano iniziati a creare i primi gruppi e legami.
Poi però c’era Hazel.
Lei stava immobile, sempre seduta al suo posto, in silenzio fissava tutti.
Non era una di quei bambini che si perdevano nel proprio mondo, Hazel fissava le persone in ogni loro piccolo particolare.
E così imparava.
Vedeva i loro comportamenti tipici, come facevano quando volevano disperatamente qualcosa, come si comportavano le maestre per convincere qualche suo compagno a fare qualcosa che non voleva fare, come facevano quando dicevano una bugia.
Si interessò soprattutto a quest’ultima cosa.
Trovava affascinante capire quando qualcuno mentiva e i bambini lo facevano spessissimo, così non fece altro che osservarli nei tre anni trascorsi all’asilo.
Era una bambina intelligentissima, non voleva che qualcuno la prendesse in giro facendole credere cose non vere, magari illudendola, esattamente come facevano tutte quelle persone che mentivano.
Ed Hazel non voleva essere illusa, sperare in qualcosa che non sarebbe mai accaduto.
Così studiò, in ogni minimo particolare, i comportamenti delle persone che la circondavano.
Studiandone le azioni e le reazioni a determinate situazione, come inclinassero la testa da un determinato lato mentre pensavano a una bugia o come dovevano tenere le mani occupate mentre raccontavano tutta la storia che si erano inventati.
Per fare questo, però, non ebbe nessun contatto diretto con nessuno di loro.
Le maestre erano preoccupate e ne parlarono con i suoi genitori.
A casa Hazel parlava decisamente molto di più, ma comunque sempre meno di una normale bambina.
Semplicemente, la sua non era timidezza, voleva solo imparare restando al margine della scena.
-Perché non parli con i tuoi compagni? Perché non dici neanche una parola? Non vorresti degli amici con cui giocare?- Gli chiese un giorno sua madre mentre erano seduti a pranzo.
-Perché sono stupidi e mentono, non li voglio come amici- rispose la bambina prima di mettersi un pezzo di cotoletta in bocca.
Era una frase semplice e concisa, senza parole di troppo che sarebbero state inutili.
Suo padre si limitò a sospirare quasi silenziosamente, mentre la madre si alzava dal tavolo e gettava nel lavandino il suo piatto ancora mezzo pieno.
Il pranzo si concluse nel silenzio.
 
Fu durante l’estate dei suoi cinque anni che ci fu una svolta.
L’asilo era finito e i suoi genitori non sapevano dove lasciarla, a casa da sola era impensabile, non avevano quasi nessun parente e le babysitter erano scappate tutte perché “una bambina che per sei ore ti guarda immobile e in silenzio seduta su un divano è peggio di un film horror.”
Così, quando i loro turni si accavallavano Hazel era costretta ad andare a lavoro con loro.
Non era una cosa poi così brutta per entrambi, ad Hazel piaceva, perché poteva imparare molte cose nuove. Ai suoi genitori invece conveniva in questi casi avere una bambina con questo comportamento. La mettevano su una sedia dei loro uffici e lei non si muoveva e non toccava nulla a meno che non gli venisse espressamente detto.
Era una giornata torrida, ma dentro gli uffici si stava più che bene grazie all’aria climatizzata.
Fu arrestato un uomo che aveva fatto un incidente d’auto. In macchina stavano lui, sua moglie e il loro figlio di 7 anni, la moglie e il bambino erano morti, mentre lui era praticamente illeso, nonostante guidasse. Era quindi sospettato di aver creato l’incidente volontariamente.
Ma l’uomo piangeva e tremava, balbettando giurava di amare la sua famiglia e che non aveva nessun motivo di fare una cosa del genere.
Qualche volta Hazel assisteva a questi interrogatori, se le persone erano solo dei sospettati venivano interrogati negli uffici degli agenti, come in quel caso.
E quel giorno Hazel si trovava in quella stanza, insieme all’uomo, suo padre e sua madre. Era tutto nella norma fino a quando, dopo anni, la bambina si intromise nel lavoro dei suoi genitori.
Fu durante un solo attimo di silenzio che annunciò, fredda e decisa, con la sua voce infantile –Sta mentendo.
Sua madre strabuzzò gli occhi e si girò a fissarla confusa, l’uomo le lanciò uno sguardo d’odio così velocemente che non se ne accorse nessuno.
Fu suo padre il primo a rompere il silenzio –Come hai detto?
Hazel alzò le spalle, ma non si fece intimidire –Fa come fanno i bambini all’asilo quando dicono una bugia. Sta cercando di inventare una scusa, ma ha anche paura che potete scoprirlo, quindi continua a torturarsi il polso della camicia.
-Ma chi ti credi di essere stupida bamb…- L’uomo iniziò a sbraitare alzandosi anche dalla sedia, ma suo padre lo fece risedere senza tentennamenti.
Sibilò gelido –Non deve neanche provare ad avvicinarsi a mia figlia.
In tutto questo, sua madre si era avvicinata a lei e, quasi con timore, le domandò –Hazel, amore… Sei sicura di quello che stai dicendo? Questo non è un gioco.
-Lo so mamma, te lo giuro che non sto giocando.
E i suoi genitori non potevano davvero crederle, era solo una bambina di cinque anni. Ma bisognava sempre considerare che non era una normale bambina, era sveglia e non parlava mai. Ci doveva essere un motivo ben preciso se aveva deciso di intervenire.
 
Due settimane dopo Hazel era entrata a far parte della CIA.
Dopo quell’episodio i suoi genitori decisero di scoprire la verità su quell’uomo e, passati cinque giorni di interrogatori e rilevamenti delle prove, scoprirono che la loro bambina aveva ragione.
Ne parlarono al loro capo dipartimento e decisero di farle fare un nuovo test, la bambina riuscì a risolvere anche questo in pochissimo tempo.
Infine, si scoprì che il capo dipartimento era un infiltrato della CIA che controllava gli affari interni. Propose ai genitori di spingere la loro figlia a entrare in questo mondo. Dove sarebbe stata accettata per le sue eccezionali capacità e non emargina ed esclusa perché considerata strana. Inoltre disse che sarebbe diventata una degli agenti più potenti e ricercati, se a cinque anni sapeva già fare quello, con il giusto allenamento sarebbe diventata di sicuro la migliore.
I suoi genitori decisero per lei senza chiederle neanche un parere.
Per tutta la sua vita Hazel rimase convinta che lo fecero solo per liberarsi della sua presenza.
Inizialmente l’andavano a trovare una volta a settimana, poi una volta al mese, dopo due anni la bambina vedeva i suoi genitori solo nelle feste, fino a quando anche quelle poche volte non ci furono più. Le mandavano lettere e cartoline, poi non arrivarono più neanche quelle.
Nonostante tutto quello che le dicevano, che i suoi genitori erano impegnati e si erano trasferiti, Hazel sapeva che quasi sicuramente si erano fatti una nuova famiglia, altri figli normali, cancellando lei per sempre.
Ma non le importava più di tanto, ormai conosceva bene le persone e i loro comportamenti, sapeva che erano solo scuse. Per questo non si legava con le persone e non parlava con nessuno. Le avrebbero solo mentito. E lei l’avrebbe saputo.
 
Rimase sempre una bambina chiusa e distaccata da tutti, sempre silenziosa e devota al suo lavoro. Fino a quando un tornado non entrò con prepotenza nella sua vita.
Sammy.
Era un bambino della sua età e si era fissato con lei e con il suo “potere”.
Hazel lo trattava come trattava tutti gli altri, ovvero lo ignorava e, se necessario, rispondeva a monosillabi. Ma lui non perse mai la speranza e il sorriso.
Divenne così insistente che, neanche Hazel sapeva spiegare come, ma dopo un anno divennero migliori amici.
Hazel cambiò totalmente.
Sorrideva molto di più e si scoprì il suo vero carattere. Nonostante tutte le apparenze era una ragazza dolcissima ed emotiva. Che si preoccupava degli altri ancor prima di se stessa, nonostante non lo desse mai a vedere.
Scoprì che le piaceva stare in compagnia di quello strambo ragazzo, la faceva ridere e non le mentiva mai. Ovviamente qualche volta le diceva qualche bugia, ma di solito era a fin di bene o nulla di troppo importante. Hazel non diceva nulla neanche quando lui le mentiva sulla sua vita, sapeva quanto poteva essere difficile parlare della propria infanzia e lo accettava, gliene avrebbe parlato quando sarebbe stato pronto.
Rimase sempre al suo fianco, nonostante fosse abbastanza difficile e divennero praticamente inseparabili e letali. I loro superiori sapevano che se li avrebbero mandati in missione insieme avrebbero avuto il successo assicurato.
Hazel era felice di quello che era diventata la sua vita. Poi però fece 14 anni e tutto il suo equilibrio crollò.
Tutto successe durante una delle loro tante missioni, l’unica che non riuscirono a portare a termine perché Sammy, senza alcun avvertimento, si accasciò a terra.
Era malato e quella fu la sua ultima missione.
Se ne andò dopo pochi giorni ed Hazel passò tutto il suo tempo al suo capezzale. Non dimenticò mai l’unico bacio che si scambiarono e un discorso in particolare che lui le fece.
-Non cambiare. Ti prego. Sei bellissima quando sorridi e so benissimo che è orribile sapere quando qualcuno inizia a mentirti in faccia, ma non cambiare. Ci saranno altre persone che ti accetteranno per quello che sei e che diventeranno tuoi amici, ne sono più che sicuro. Non chiuderti più in te stessa, sei troppo speciale.
Hazel in lacrime annuì, glielo promise solo perché era il suo ultimo desiderio, ma non credeva sul serio che altri sarebbero arrivati, come aveva detto Sammy.
Dovettero passare molti anni, ma alla fine Hazel si ricredette.

 
________________________________________
Ciaoo
Prima di tutto volevo chiedere scusa a chi ha recensito lo scorso capitolo e non ho ancora risposto, giuro che l'università mi sta uccidendo e a stento riesco a pubblicare, entro domani risposto giuro, voi non smettete di scrivermi commenti per favore.
Passando al capitolo, questa volta ho voluto parlare del passato di Hazel perchè tratta un argomento che è già stato ripreso nel capitolo precedente: il rapporto con le altre persone. Quindi mi sembrava giusto parlarne adesso.
Che ne pensate? Come avevo già detto questi tipi di capitoli "strani" che parlano del passato di un singolo personaggio saranno presenti per tutta la storia ogni due capitoli "normali".
E nulla, se avete dubbi sono sempre a vostra disposizione, alla prossima settimana,
Deh

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Capitolo 7
*** Nuove conoscenze ***


6.Nuove conoscenze


A colazione erano tutti assonnati, non c’era troppa confusione tra i tavoli del ristorante che utilizzavano i dipendenti per mangiare prima dell’arrivo delle persone.
Erano le otto di mattina, il parco apriva alle nove, avevano tutti il tempo per fare colazione con tranquillità, pulire e mettere a posto.
Inoltre c’era abbastanza calma perché i più casinisti tra di loro erano depressi.
Percy e Leo infatti erano seduti vicino a Jason, giocavano con il cibo e avevano i musi lunghi. Il biondo non sapeva più che fare per tirare su il loro morale.
Annabeth al contrario stava uccidendo i pancake con la sua forchetta, era seduta praticamente dall’altro lato della sala vicino a Reyna. Le piaceva quella ragazza, alla fine erano molto simili.
Calypso invece neanche si era presentata a colazione.
-Buongiorno!
Quella voce autoritaria e decisa attirò l’attenzione di tutti.
Era entrò nella sala e si mise nella postazione rialzata dove di solito stava il dj, poi iniziò a parlare.
-Mi rivolgo ai ragazzi della ex missione McLean, com’è andato il primo giorno, ieri?
Come risposta ebbe solo un mugolio incomprensibile da parte di Nico e un “bene” biascicato o mormorato da parte di Hazel, Will, Jason e Frank.
Molto probabilmente Era neanche li sentì, non che le importasse molto.
-Ne sono felice! Bene, vorrei presentarvi delle nuove persone. Anche loro sono dei ragazzi che fanno parte della CIA e sono stati incaricati di supervisionarvi, di qualsiasi cosa avete bisogno chiedete pure a loro, faranno le mie veci quando io non ci sarò. Vi prometto che entro la fine dell’estate ne usciremo tutti vivi da questa storia.
Si vedeva che neanche lei credeva davvero all’ultima frase che aveva detto, ma nessuno disse nulla.
-Quindi in pratica ci sta dando delle balie- commentò aspramente Nico.
-Diciamo più che sono dei nuovi amici di cui vi potete fidare e contare sempre sul loro aiuto.
Il moro non disse più nulla, ma mostrò tutto il suo disprezzo sbuffando e sedendosi in modo ancora più scomposto.
Era continuò facendo finta che non fosse mai stata interrotta –Sono quattro.
Guardò l’ingresso dal quale era arrivata e disse –Thalia entra.
La tenda con le perline si scostò e fece il suo ingresso una ragazza con gli occhi blu e un caschetto nero, dei pantaloni da militare e una canottiera grigia con sopra la scritta “toccami e ti spezzo tutte le ossa”.
Cosa non proprio vera considerando che Jason si alzò di scatto strabuzzando gli occhi, quasi urlò il suo nome e corse ad abbracciarla. La ragazza ricambiò con un sorriso invece di spezzare tutte le sue ossa.
Era sembrò ignorare quella dimostrazione d’affetto e spiegò agli altri –Thalia Grace è la sorella maggiore di Jason, è nella CIA da quando era piccolissima e, considerando che è parente di un vostro amico direi che vi potete fidare.
Quando la ragazza finì di salutare suo fratello si avvicinò a Piper per salutarla a sua volta, molto probabilmente le due ragazze si erano già conosciute in precedenza.
Era, indifferente, continuò a scrutare la sala e quando individuò la persona che stava cercando la indicò –Quel ragazzo è Paolo Montes.
Il ragazzo in questione si alzò e iniziò a salutare come se ai suoi piedi ci fosse una folla di fan, poi disse qualche frase in una lingua che nessuno capì.
-Ehm…- aggiunse Era –Parla solo il portoghese ma capisce l’inglese, quindi va tutto bene, inoltre è bravissimo nel suo lavoro, una delle mie ultime scoperte, che nessuno provi a criticare le mie scelte.
Non che lasciò a qualcuno il tempo di dire qualcosa. Spostò il suo sguardo solo di pochi gradi e indicò un altro tavolo dove da solo stava seduto un ragazzo biondo.
-Lui invece è Luke Castellan.
Il ragazzo non si alzò, passò in rassegna tutti loro con lo sguardo e si soffermò su Percy, lo fissò con uno strano sorriso, quasi sadico.
-Lo conosci?- Borbottò Frank avvicinandosi all’amico per chiederglielo.
Percy rimase leggermente spiazzato, ma non batté ciglio e non distolse lo sguardo dal biondo mentre rispondeva –Sono abbastanza certo di non averlo mai visto in vita mia.
Fu il biondo a distogliere lo sguardo per primo, solo per portarlo su Annabeth e farle un occhiolino.
Percy strinse la tovaglia di carta tra le mani e per poco non gettò tutto quello che stava sul tavolo a terra, poi continuò in un sibilo –Ma già lo odio.
-E per concludere- riprese la donna –Clarisse La Rue. Anche se in questo momento…
Continuò a scrutare la sala, ma rimase silenziosa e della ragazza non c’era nessuna traccia.
-Bè, sarà in giro a svolgere qualcosa di molto importante e…
La calma e la tranquillità di quella sala furono brutalmente uccise dall’arrivo di due terremoti.
Chris entrò nella sala come una furia urlando qualcosa di incomprensibile, saltò sul tavolo di Nico per scavalcare e passare dall’altro lato, il moro restò impassibile ma alzò un sopracciglio quando notò che Chris aveva messo un piede dentro la sua fettina di crostata al cioccolato.
Il ragazzo in questione inciampò nella sedia di Leo ed entrambi rotolarono a terra, ma il primo si alzò di scatto e riprese la sua corsa quando una ragazza con una bandana rossa in testa e una strana arma tra le braccia fece il suo ingresso.
-Qualcuno me la tolga di dosso! Vuole uccidermi!!- Chris urlò questo mentre fuggiva uscendo da una delle finestre, ringraziando il fatto che si trovassero al piano terra.
La ragazza rispose a sua volta con un urlo mentre correva anche lei in direzione di quella finestra –Certo che ti ucciderò! E loro non mi fermeranno! Perché nessuno vede Clarisse in mutande e poi resta vivo per raccontarlo!
Da lontano arrivò la voce di Chris –Ti ho detto che non l’ho fatto di proposito! Era il bagno degli uomini quello!!
Poi scese di nuovo il silenzio mentre i due ragazzi correvano via.
-Quella è la Clarisse di cui vi parlavo- disse alla fine Era.
-Simpatica- commentò Leo rimettendosi seduto.
-Figo- aggiunse Reyna quasi indifferente –Chris si è finalmente trovato una ragazza!
Will alzò lentamente una mano.
Era sospirò –Dimmi.
-Bè- iniziò il biondo –Se quella… deliziosa ragazza stacca un arto a Chris, devo poi riattaccarglielo io?
Era non ebbe il tempo di rispondere perché Paolo lo fece prima di lei, dicendo svariate frasi in portoghese tutto felice.
Nessuno lo capì, tranne Thalia.
-Ha detto che lui ha rischiato di perdere le braccia e una gamba molte volte, ma gli hanno sempre riattaccato tutto in tempo.
Jason fissò la sorella –Tu capisci il portoghese?
-Sono stata in missione in Portogallo per due mesi, capisco qualcosa.
Paolo, felice che qualcuno lo avesse capito, continuò a parlare gesticolando anche con le mani.
Thalia riprese a tradurre –Dice che è felice di dover stare in squadra con uno come te e che non vede l’ora di scoprire se sei bravo a ricucire come tutti gli altri…- la ragazza si bloccò e corrugò la fronte quando si rese davvero conto di quello che aveva appena detto –Oddio wow, questo si che è stato inquietante, bè non prendere tutto alla lettera, non capisco tutto benissimo.
Per concludere Paolo disse un’ultima frase e fece un grande sorriso.
Will arrossì leggermente, in effetti quel ragazzo era abbastanza carino e inoltre Thalia  finì col dire che in quell’ultima frase Paolo aveva detto “diventeremo grandi amici!”
Il biondo quindi rispose al sorriso e quasi in contemporanea Nico si alzò di scatto strisciando la sedia per terra.
-Se abbiamo finito con questa perdita di tempo io vado a prepararmi- non aspettò neanche una risposta da parte di qualcuno che scomparve oltre la tenda con le perline.
Era batté una volta le mani per attirare l’attenzione di tutti –Il signor Di Angelo ha ragione- guardò l’orologio al suo polso e concluse –Fra venti minuti apriremo il parco, vi voglio tutti pronti, andate.
 
Quando era uscito da quella sala, Nico non andò di certo a prepararsi, anche perché ancora aveva tempo e doveva solo recuperare la macchina fotografica che gli avevano dato e i braccialetti numerati da attaccare nelle braccia delle persone che si facevano una foto.
Aveva la nausea e odiava tutta quella situazione.
Odiava che gli avessero dato delle balie come se non riuscissero a badare a se stessi, odiava che queste “balie” erano solo degli stupidi ragazzi della loro età che magari neanche arrivavano al loro livello, ma soprattutto odiava che uno di questi ci avesse provato con il suo ragazzo.
Si bloccò di scatto e si diede dello stupido, poi riprese a camminare ancora più velocemente insultandosi mentalmente. Will non era più il suo ragazzo e a lui andava benissimo così, quindi il biondo era liberissimo di vedersi e frequentarsi con chiunque volesse. A lui non faceva né caldo né freddo.
La sua discussione interiore venne interrotta da un suono che il moro conosceva molto bene.
Il ragazzo infatti aveva continuato a camminare senza una meta, stava girando il parco ancora deserto e stava costeggiando uno dei bagni pubblici. Quelli all’aperto consistevano in delle piccole capanne fatte con i muri di steli di bambù intrecciati, mentre il tetto era fatto di paglia. Ovviamente quelli all’esterno non vedevano nulla, ma il suono passava tranquillamente, fu appunto per questo che Nico sentì qualcuno vomitare.
Si bloccò e si guardò intorno, non c’era anima viva se non lui, poi fissò la porta del bagno e notò che era solo femminile.
Decise comunque di entrare perché magari chiunque fosse li dentro aveva bisogno di aiuto, così lo fece in estremo silenzio.
Gettata a terra davanti un gabinetto, mentre con le mani si teneva i lunghi capelli caramellati, c’era Calypso.
Rigettò tutto quello che aveva nello stomaco e si mise seduta di lato, con la schiena appoggiata al muro fatto di piante, le mani a tenere la pancia e gli occhi chiusi, chiaro segno della sua stanchezza.
Nico era indeciso se farsi vedere o meno, se nessuno, neanche Leo, sapeva che si trovasse li voleva dire solamente una cosa: la ragazza non voleva che si sapesse.
Il moro non sapeva di certo cosa stesse passando Calypso, ma poteva capirla, anche lui passava molte sere a vomitare per via degli incubi e sicuramente non voleva che se ne facesse un problema di stato.
Decise di non disturbarla e di far finta di non aver mai visto nulla, silenziosamente uscì di li e tornò sui suoi passi.

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Capitolo 8
*** L'uomo ***


7.L'uomo


A Piper era stato assegnato il lavoro per controllare l’entrata.
La ragazza doveva solo prendere i biglietti delle persone, timbrarli, sorridere, dare una mappa del campo e farli entrare.
In questo modo poteva benissimo controllare qualsiasi persona entrasse, quindi appunto vedere i loro volti e capire se li in mezzo c’era qualcuno che conosceva e aveva già visto insieme a suo fratello o suo padre.
Ovviamente era un lavoro che le occupava solo la mattina, il pomeriggio poi si univa a Leo dietro i suoi schermi e, mentre il ragazzo vendeva le foto, lei faceva finta di collaborare e controllava altri schermi che trasmettevano i video di alcune telecamere sparse per tutto il parco, in modo da vedere subito se qualcuno avesse avuto un qualche tipo di comportamento strano e sospetto.
Erano già passati cinque giorni e ancora non era successo nulla di strano, fino a quel momento.
Erano quasi le dieci del mattino, il parco era già aperto da un po’ ma ancora le persone continuavano ad arrivare.
-Si si, tutto okay. Prego ragazzi avviatevi li che vi controllano le borse, buon divertimento!
La ragazza sorrise a Piper per ringraziarla, poi prese per mano il suo ragazzo e si avviarono seguendo le indicazioni della ragazza.
Piper si preparò per servire i prossimi clienti quando il sorriso gli morì sulle labbra, davanti a lei c’era una famiglia.
La donna sembrava dolcissima, piccola e minuta, alta praticamente quanto lei. Teneva per mano un bambino che poteva avere al massimo tre anni. Avevano anche una figlia, che dimostrava 10 anni.
E fin qui era tutto okay.
Ma l’uomo… Il padre e marito di quelle persone… Piper era sicurissima di conoscerlo.
Guardarlo in volto gli dava un forte senso di familiarità e inquietudine allo stesso tempo.
L’uomo corrugò la fronte quando lei continuò a fissarlo senza però proferire parola, così la ragazza tossì e cercò di darsi un contegno, ripeté tutta la procedura di benvenuto anche con loro e dopo aver consegnato la mappa li fece avviare al controllo borse.
-Ehy Lou, dammi un attimo il cambio qui!
La ragazza che aveva chiamato non si fece problemi a prendere il suo posto e con un sorriso continuò a dare il buongiorno alle persone che arrivavano.
Velocemente Piper si allontanò da li e cercò un posto abbastanza appartato, poi attaccò l’auricolare che teneva nell’orecchio e che dovevano usare solo in caso di emergenza.
Si collegò un ragazzo che sapeva avere il posto al controllo borse quella mattina –Ehy Cecil, sta arrivando una famiglia di quattro persone, controlla per bene tutte le loro borse, anche due volte se ce n’è bisogno. Controlla soprattutto l’uomo.
Il ragazza rispose con un colpo di tosse, molto probabilmente non poteva parlare, ma Piper sapeva che aveva capitolo. Mordicchiandosi un unghia aspettò delle risposte.
-Hey Piper- le arrivò la voce nell’auricolare dopo qualche minuto –Ho fatto come mi hai detto ma non ho trovato nulla di strano.
-Hai controllato per bene?
-Si, due volte. Non c’era nulla, forse ti sarai sbaglita…
-Forse, si…
Chiusero la connessione ma, nonostante quell’ultima sua frase, Piper era estremamente convinta che quell’uomo fosse coinvolto con suo fratello.
Si collegò con tutti i suoi altri amici.
-Ragazzi, non dobbiamo staccare gli occhi da un uomo che è appena entrato. Sono abbastanza certa che stia con mio fratello.
 
A Will di solito piacevano i bambini… Ma Harley era uno di quelli che facevano perdere la pazienza anche a lui.
Certo, ogni giorno i ragazzini cambiavano, ma Harley era il figlio di un impiegato e diciamo che se lo portava praticamente ogni giorno a lavoro. Diceva che non riusciva a trovargli una babysitter con cui lasciarlo. Will non si chiese il perché.
Proprio in quel momento stava correndo verso di lui, non era scivolato sul pavimento bagnato solo per miracolo.
Afferrò il bambino per un braccio, staccandolo dall’altro bambino che stava annegando.
Questo ritornò in superficie boccheggiando, tossì per un po’ e corse via in lacrime, completamente terrorizzato.
-Harley! Non puoi annegare gli altri bambini!!- Gli urlò il biondo puntandogli l’indice contro.
Il bambino si limitò a mettere su un broncio offeso e a sbuffare. Poi borbottando annunciò –Stavamo solo giocando.
-Bè quello non è giocare, quindi smettila di fare del male agli altri o lo dirò a tuo padre! Sono stato chiaro?
Harley lo fissò ancora più indispettito, poi gonfiò le guancie e gli urlò contro –Sei insopportabile! Non ci voglio più giocare con te! Non vuoi mai divertirti! Sei inutile e nessuno vorrebbe stare con te!
E detto questo il bambino scappò via, non avendo idea di quanto con quelle parole avesse ferito il biondo.
Ma riuscì subito a tornare in se, a non mostrare nessuna emozione e a concentrarsi sulla missione, infatti una volta alzato gli occhi notò l’uomo che Piper aveva detto di tenere d’occhio.
Era con tutta la sua famiglia e si stava avvicinando verso di lui.
-Abbiamo due sdraio e due ombrelloni in questa piscina, può indicarmi il posto?- Chiese l’uomo non appena gli fu di fronte.
Quello non era il lavoro di Will, lui teneva solo i bambini, ma pur di tenerlo d’occhio non disse nulla, diede un’ultima occhiata ai marmocchi che stavano giocando nella piscina con l’acqua alta 20 centimetri e, dopo essersi accertato che nessuno stesse annegando nell’immediato, fece strada alla famiglia per sistemarli in una coppia di sedie sdraio che poteva facilmente controllare.
-Bene signori, se avete bisogno di una qualsiasi cosa non fate problemi a chiamarmi, io sono l’animatore dei bambini- poi si abbassò per sedersi sui talloni e si rivolse al piccolo bimbo –Vuoi venire con me? Ti faccio giocare con gli altri bambini.
Non che il bambino ebbe tempo di rispondere, perché il padre l’aveva subito preso in braccio e aveva deciso al suo posto –No, lui viene con me.
Will capì subito che c’era qualcosa sotto quindi, mettendosi lentamente in piedi, cercò di protestare sempre gentilmente –Ma signore, si divertirà molto di più, abbiamo anche una mascotte e…
-Mio figlio è terrorizzato da quei pupazzi giganti, meglio di no.
E detto questo andò via, per farsi un giro del parco.
La bambina prese per mano la madre e la iniziò a tirare, per convincerla a seguire il padre.
La donna sorrise a Will per ringraziarlo di quello che aveva fatto, poi seguì il resto della sua famiglia lasciando il biondo solo.
Il ragazzo non perse tempo, accese l’auricolare che teneva nascosto e si collegò con tutti i suoi amici.
-Ha preso due sdraio nella piscina per bambini, ma non vuole stare qui. Si comporta in modo strano e non ha nessuna intenzione di staccarsi dal figlio più piccolo. Ora sta girando il parco ma io non posso seguirlo, neanche Frank perché il bambino è terrorizzato dalle mascotte, si metterebbe a piangere e darebbe troppo nell’occhio.
-Okay- arrivò la risposta di Frank.
Dopo qualche altro secondo gli arrivò nell’auricolare anche la voce di Nico –Ci penso io.
E il biondo notò una figura piccola e nera, munita di macchina fotografica correre fuori dall’area della piscina per bambini.
Quindi era stato tutto il tempo nascosto accanto a lui? Perché non l’aveva notato per tutta la mattina?
Non che ebbe modo di pensare troppo a una risposta, il suo sguardo si posò di nuovo sui bambini che stava tenendo d’occhio e non poté fare a meno di pronunciare un mugolio depresso e strabuzzare gli occhi, mentre iniziava a correre si sentì solo il suo urlo “HARLEYYYY”.
 
Era l’ora di pranzo.
Leo, Piper e Calypso avevano passato tutto la mattinata a controllare i monitor dentro lo stand delle foto, in alcuni di questi venivano mandati i video delle telecamere di sorveglianza, in altri le foto che Nico faceva, ma al contrario degli altri giorni la maggior parte delle sue foto aveva come unico soggetto l’uomo che stavano controllando. Il ragazzo aveva ripreso ogni suo movimento, ogni dettaglio che le telecamere di sorveglianza non riuscivano a riprendere.
Calypso si alzò dalla sua sedia, si stiracchiò e si rivolse agli altri due ragazzi –Vado a fare il mio lavoro da DJ al ristorante, ci vediamo dopo, fatemi sapere se ci sono novità!
La ragazza stava per andarsene quando Leo la bloccò per un braccio –Ehy! Si saluta!- Disse fingendosi offeso per poi tirarla verso di se e lasciarle un lungo bacio in bocca.
Calypso non si sottrasse, sorrise e si sistemò la maglietta larga che portava sopra i pantaloncini. Ormai passava tutte le sue giornate indossano vestiti o magliette larghe, nessuno l’aveva ancora mai vista in costume. Ma non ci facevano più tanto caso, erano abituati alla stranezza delle persone del loro gruppo, un esempio era Nico che continuava a vestirsi interamente e solo di nero nonostante il caldo.
Dopo un ultimo “a dopo” la ragazza si avviò verso la sua meta.
Leo continuò a sfogliare le foto cercando qualche particolare che servisse loro con un sorriso in volto.
-Quindi è tutto okay tra di voi?
Leo scrollò le spalle –Ha degli sbalzi d’umore terribili in questo periodo, oggi è felice però, meglio così.
Vennero raggiunti da Percy –E’ stato in piscina un sacco di tempo, teneva sempre il bambino in braccio e si allontanava a intervalli regolari.
Leo continuò a sfogliare le foto lentamente –Si, in effetti quasi tutte le foto che ha fatto Nico sono in piscina, ma sono abbastanza certo che la parte interessante non sia quella.
Percy si mise dietro il ragazzo per guardare anche lui le foto, quando ne arrivò una in particolare chiese a Leo di non passare avanti perché voleva controllare una cosa.
Il bagnino strinse gli occhi e i pugni, borbottò tra i denti un “io quello lo uccido” e andò via senza neanche salutare.
-Ma cosa…- Piper si avvicinò allo schermo per capire cosa fosse successo, poi sospirò e afferrò il suo cellulare chiamando qualcuno, dopo solo uno squillo il ragazzo rispose –Ehy Jas- inziò la ragazza –Potresti recuperare Percy ed evitare che uccida Luke? Oggi è già una giornata complicata, ci manca solo la sua sete di vendetta!- Ascoltò la risposta del ragazzo –Si, grazie, a tra poco.
Leo seguì la conversazione e si mise a guardare meglio la foto che aveva nello schermo. In primo piano c’era ovviamente quell’uomo seduto sul bordo della piscina, teneva il bambino seduto tra le gambe e gli stava sistemando il cappellino sulla testa. Leo non capiva cosa ci fosse di strano fino a quando non notò nello sfondo, molto piccoli e in lontananza Annabeth e Luke. La prima stava ridendo mentre il secondo sorrideva malizioso mentre le teneva una mano poggiata sulla spalla.
Il ragazzo si limitò a commentare con un –Ah.
E, proprio in quel momento, la diretta interessata si stava avvicinando a loro. Parlava fitto con Nico mentre questo continuava a gesticolare.
-Forse abbiamo una pista da seguire- annunciò quando arrivò al bancone –Avete una mappa del campo?
Piper la prese, non si sa bene da dove, la aprì e la posizionò sul legno.
Annabeth indicò con l’indice una macchia blu –L’uomo è stato tutta la mattina in questa piscina, l’ho tenuto d’occhio mentre facevo l’animazione. Si allontanava per pochi minuti a intervalli regolari e come dice Nico andava in bagno.
Prese la parola il ragazzo e indicò un’intera zona a sinistra della cartina –Si è girato tutti i bagni dell’area ovest, è sempre andato con il bambino, non so cosa  abbia fatto li dentro però, non potevo seguirlo.
-Quindi controllo meglio tutte le foto che gli hai fatto quando non era in piscina- comprese Leo.
Il moro annuì.
-Io vado a parlare con Era, le dico di far controllare tutti quei bagni, devono essere pur collegati in qualche modo.
-Vengo con te!- Annunciò Piper.
La bionda annuì –Poi vediamo come si comporta di pomeriggio.
 
Ma non ci fu mai un pomeriggio, perché l’uomo insieme alla sua famiglia andò via subito dopo pranzo, non era una novità, molte persone stavano solo mezza giornata.
Leo si dedicò interamente a cercare dei dettagli che potessero indicargli una qualsiasi cosa di sospetto, aiutato da Piper, Hazel e Calypso. Ma non trovarono nulla.
Era aveva mandato degli uomini a ispezionare i bagni, a uno a uno li chiusero per “pulizia” e cercarono qualche microcip, microfono e cimici. Ma non trovarono nulla, in nessuno dei bagni.
Di sera si arrivò alla conclusione che forse Piper si era sbagliata, magari quell’uomo non era  chi lei si ricordava. Glielo dissero in così tanti che alla fine iniziò a crederci anche lei.
Ovviamente dovevano prendere in considerazione anche l’idea che magari Piper non si fosse sbagliata, ma in quel caso affermarono che l’uomo era venuto solo per controllare e vedere un po’ come fosse tutta la situazione, per poi parlarne con il fratello di Piper.
Solo Annabeth non era d’accordo con nessuna di queste cose. Aveva un bruttissimo presentimento, lei sentiva che quell’uomo non solo faceva parte dei loro nemici, ma aveva anche fatto qualcosa, non si era limitato a controllare la situazione.
E il suo intuito non aveva mai sbagliato.

 
___________________________________
Okay, in questo capitolo c'è una preparazione al cobattimento
E' molto più movimentato ma non vengono messe da parte le questioni personali.
Il tringolo Luke-Annabeth-Percy è solo all'inizio
Harley non ha idea del danno che ha fatto a Will con una semplice frase
E la situazione tra Calypso e Leo non reggerà ancora per molto
Il finale è un mezzo spoiler invece a quello che sarà il prossimo: Il passato di Annabeth
Vado, se avete domande sono sempre disponibile, alla prossima settimana!
Un bacio, Deh

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Capitolo 9
*** Passato - Annabeth ***


8.Passato - Annabeth


Per Annabeth era una perdita di tempo andare all’asilo.
Aveva quattro anni, ma era consapevole di essere diversa da tutti gli altri.
All’asilo le maestre li facevano colorare, li facevano unire i puntini e ritagliare figure che avrebbero successivamente appiccicato in un cartellone.
La bambina credeva che fosse un’enorme perdita di tempo.
L’unica cosa che stuzzicava la sua fantasia era giocare con le costruzioni. Le piaceva costruire case e castelli.
Ma era circondata da altri bambini della sua età, bambini stupidi che si divertivano a rubarle i pezzi che le servivano o a distruggere quello che costruiva.
Annabeth li odiava. Ma era anche troppo intelligente per iniziare a litigare con loro.
Gli unici che incoraggiavano questa sua intelligenza e voglia di imparare erano i suoi genitori. Loro vedevano che questo rendeva felice, davvero felice, la loro bambina. Così le insegnarono a leggere e a scrivere, le compravano tutti i libri che alla bambina interessavano dopo aver letto la trama. Ovviamente non erano libri complicatissimi, ma comunque avevano un indice di lettura che andava dagli undici anni in su, o simili.
Molti li criticavano, dicevano che stavano rovinando la vita a quella povera bambina. Ma loro non li ascoltavano. Ci avevano davvero provato a comprarle tutti i giochi che i bambini della sua età amavano, ma se a lei non interessavano… Perché costringerla a fare qualcosa che non la rendeva felice?
Annabeth stessa sapeva che tutti gli adulti che la circondavano la criticavano, parlandole alle spalle. I bambini invece glielo dicevano in faccia che era noiosa, ma a lei non interessava.
I suoi genitori le volevano bene così, quindi non era sbagliata, non poteva essere sbagliata.
 
Quel giorno l’asilo era chiuso.
C’era stato un guasto nell’impianto idraulico la sera prima e si era allagato tutto il bagno. Per due giorni la scuola era stata dichiarata inagibile.
Così i suoi genitori, che lavoravano all’università, se la dovettero portare a lavoro.
Non si fecero troppi problemi, Annabeth era brava e non aveva mai fatto nessuna monelleria in vita sua, sapevano che si sarebbe comportata bene.
La bambina si era anche portata un libro dietro, era il secondo di una saga fantasy chiamata “Ragazze dell’Olimpo” e che l’aveva presa parecchio.
Erano in una stanza, i suoi genitori e i suoi colleghi intorno a un tavolo a correggere i test d’ingresso di quell’anno dei nuovi studenti.
Lei seduta tranquilla in una delle sedie a muro, il libro aperto in grembo.
Neanche sentiva i mormorii e le frasi delle persone che la circondavano, era completamente chiusa nel suo mondo.
Poi a un certo punto i suoi bisogni primari la distrassero: necessitava di andare in bagno.
Chiuse il libro e saltò giù dalla sedia troppo alta per qualcuno della sua età, posò il libro su di essa e si avvicinò a sua mamma.
Aspettò che finisse di scrivere prima di chiamarla –Devo fare pipì- le disse semplicemente.
La madre annuì –Finisco di correggere qui e andiamo, un secondo.
Ma Annabeth la precedette –Vado da sola, ce la faccio.
Sua madre si girò a fissarla, indecisa, ma alla fine annuì nuovamente –Okay vai, è la stanza accanto a questa. Se hai bisogno di aiuto urla che ti sento, i muri sono sottili.
-Va bene- e la bambina si avviò.
Alla fine non le risultò difficile, riuscì a fare tutto quello che doveva fare senza problemi. L’unica cosa fu lavarsi le mani.
Dovette mettersi in punta di piedi e arrampicarsi leggermente sul bancone in marmo per arrivarci, ma alla fine ci riuscì. Anche se era più che certa di essersi procurata qualche livido sparso nelle gambe e nei gomiti.
Si stava asciugando le mani nei vestiti che indossava, perché non arrivava a premere quell’oggetto dal quale usciva aria calda, quando vide nel corridoio una collega di sua mamma che correva veloce, sicuramente in ritardo per una qualche riunione o qualcosa di simile.
La donna aveva un sacco di fogli in mano e nella fretta non vide che uno di questo gli scivolò dalle mani svolazzando pigramente prima di toccare il suolo.
Annabeth, oltre che intelligente, era una bambina molto curiosa.
Non ci pensò due volte prima di percorrere quei pochi metri e afferrare il foglio, se lo strinse al petto come se fosse uno dei suoi più grandi tesori e tornò nella stanza dove stavano i suoi genitori.
Aprì la porta e tornò a sedersi nella sua sedia. Nessuno la guardò direttamente, come se non esistesse, quindi nessuno si accorse di quello che aveva in mano.
Solo sua madre chiese –Hai fatto tutto?- Ma neanche lei alzò lo sguardo dal foglio che aveva davanti.
La bambina si limitò a rispondere con un “mh-mh”.
Aprì il foglio e iniziò a leggerlo voracemente.
All’interno stava un solo problema che occupava mezza pagina. Era complicatissimo, ma Annabeth non si fece scoraggiare.
Gli luccicarono gli occhi, amava quelle cose e sapeva che, anche se ci avrebbe messo l’intera giornata, l’avrebbe risolto.
 
-Mamma- la chiamò la bambina tirandole il braccio per una manica.
-Cosa c’è Annie?- Domandò la donna sospirando.
Annabeth si mise in punta di piedi e si sporse sul tavolo dove poggiò il foglio di carte con il problema.
-La risposta è che non si può trovare una risposta perché nella domanda manca una nozione importante senza la quale non si può trovare la soluzione?
Intorno al tavolo scese il silenzio.
Sua madre stava fissando con occhi sbarrati il foglio che aveva davanti.
Il primo a prendere parola fu suo padre –Dove hai preso questo, Annabeth?
La bambina un po’ arrossì –Era caduto a una signora quando sono uscita in corridoio per andare in bagno… Ero curiosa…- sussurrò infine.
Anche le altre persone intorno al tavolo si erano sporse per leggere e capire di cosa si stesse parlando.
-Ma quanti anni ha?- Sbottò un uomo incredulo.
Né sua madre né suo padre risposero, così lo fece Annabeth, perché le avevano sempre insegnato ad essere educata e rispettosa con chi era più grande di lei.
-Ho quattro anni, signore.
-Ma è un problema universitario… come ha fatto…
E quel commento da parte di una donna fu il primo di una lunga serie.
Da quel giorno tutta la vita di quella bambina fu completamente stravolta.
Anche se Annabeth non seppe mai dire con certezza se aver raccolto quel semplice foglio da terra quel giorno fosse un bene o un male.
 
Ricordava che nei giorni successivi a quelli molte persone vennero a casa sua, tutte queste si chiudevano in cucina a parlare con i suoi genitori.
Poi sua mamma li accompagnava nella sua cameretta e li lasciava soli.
Gli uomini e le donne che lentamente si susseguivano semplicemente le facevano delle domande.
Passavano da quelle semplici a quelle più complesse.
Ed Annabeth rispondeva a tutte con sincerità, perché quelli erano entrati nella sua camera solo grazie al permesso di sua madre. Quindi ciò stava a significare che sua madre era d’accordo e lei si fidava ciecamente di suo padre e sua madre.
Le prime domande erano sempre le stesse “Come ti chiami?” “Quanti anni hai?” poi quelle successive erano sempre diverse, ma erano quelle che ad Annabeth piacevano di più “4, 8, 16… Sai continuare la sequenza?”
Poi arrivò l’estate e, da quel momento, le cose si fecero più serie.
Mancava solo un mese ai suoi 5 anni ed era già molto più sveglia e intelligente di alcuni ragazzi con il doppio della sua età presenti li dentro.
Ma le piaceva stare li, non era più esclusa o definita strana e noiosa, ogni ragazzo presente li dentro era li per un motivo, ognuno aveva la sua capacità speciale. Quella che lo rendeva speciale.
Annabeth sapeva che li stavano addestrando, non riusciva a capire per quale scopo, ma lo sapeva.
Il suo intuito le diceva anche che lo faceva per qualcosa di buono, qualcosa che in futuro avrebbe salvato le persone.
Come facevano tutti quegli eroi che aveva letto nei suoi libri.
Tutto quello che faceva serviva a qualcosa, lo sapeva, sarebbe stata utile prima o poi e avrebbe aiutato delle persone.
Come gli eroi.
Anche quando divenne più grande e le insegnarono le mosse per il corpo a corpo, a sparare e a riconoscere i punti vitali di una persona, lei continuò sempre a ripeterselo.
Era giusto, lo faceva per un fine più grande.
Uccidere una persona per salvarne molte altre era giusto, le insegnarono sempre e solo questo.
Lei non ne fu molto convinta all’inizio, ma le fecero  un vero e proprio lavaggio del cervello.
Inoltre, il suo intuito le aveva sempre detto che era giusto stare in quel campo e imparare quelle cose, per poi andare in missione in futuro.
La sua prima missione la fece a 8 anni e a 10 sparò a una persona.
Non la uccise, ma si sentì sporca e non volle più toccare un’arma per un’intera settimana.
La gente all’interno della CIA si stufò di questo suo comportamento, non potevano permettersi di avere in squadra qualcuno che si comportasse in quel mondo.
Doveva diventare una ragazza decisa e doveva fare la sua scelta. Dentro o fuori.
Ma se avesse deciso di rimanere li con loro, avrebbe dovuto imparare a farsi scivolare tutto addosso, perché questo era il mondo: crudele e spietato.
E Annabeth decise di continuare a far parte della CIA, perché, alla fin fine facevano qualcosa di buono per il mondo. Forse si poteva discutere sui metodi che utilizzavano, ma era il fine quello che contava.
Il suo intuito le aveva sempre detto che era giusto quello che faceva, rimanere li e combattere con loro.
E lei si sarebbe sempre fidata del suo intuito.

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Capitolo 10
*** Pranzo italiano ***


9.Pranzo italiano


Dopo quell’uomo non si verificò più nulla di insolito e sospetto.
Piper riprese il suo lavoro mettendoci molto più impegno, credevano tutti che qualcun altro si sarebbe fatto vedere al più presto. Ma non fu così.
Piper arrivò alla conclusione che forse si era davvero sbagliata e il morale dei ragazzi scese ancora più sottoterra.
Quella calma era insopportabile. Sapevano benissimo di essere braccati e la minaccia di morte ronzava ancora nelle loro menti, volevano solo che tutta quella storia finisse al più presto, ma al momento non avevano ancora ricavato neanche un ragno dal buco.
Quel giorno, a sorpresa di molti, fu Nico a decidere di risollevare il morale a tutti preparando il pranzo solo ai suoi amici.
E no, non era un semplice pranzo normale, ma un grande pranzo italiano.
Erano già tutti seduti allegramente a tavola quando Nico fece il suo ingresso portandosi dietro un’enorme pentola di metallo, la teneva dai lati con dei semplici guanti da forno.
Leo sembrò rimanerci veramente male e alla domanda muta di Jason rispose –Già me lo immaginavo con un grembiule rosa addosso.
Qualcuno sghignazzò e Nico, dopo aver poggiato la pentola sul tavolo ed essersi tolto un guanto gli alzò elegantemente un dito medio.
Aprì la pentola e l’odore del ragù si diffuse in tutta la stanza.
-Sono già sazia così- commentò Hazel quasi in estasi.
Fu suo il primo piatto che venne riempito di maccheroni fumanti. La ragazza però si fece violenza fisica e riuscì ad aspettare tutti gli altri.
Finalmente, dopo un lunghissimo minuto e mezzo tutti avevano davanti il piatto pieno e dopo uno squillante “buon pranzo” generale, si portarono la forchetta piena alla bocca.
Nico mangiava svogliatamente, non era per lui una novità quel cibo, soprattutto considerando che gli ultimi mesi li aveva passati proprio in Italia.
Tutto il suo interesse era per i ragazzi di fronte a lui, voleva sapere i loro commenti, soprattutto di una persona particolare.
-Mio dio io amo gli italiani- sospirò Annabeth.
-Quoto- si aggregò Reyna con la bocca piena.
Qualcun altro annuì e chi prima e chi dopo fecero tutti i loro commenti.
-Avevi ragione- borbottò quasi alla fine Will –Quella che qui hanno sempre spacciato per pasta… Bè, se questa è la vera pasta italiana, hanno cercato di imitarvi davvero male.
Alzò lo sguardo, era quasi certo che Nico lo avrebbe ignorato, ormai non lo guardava negli occhi da giorni. Ma il ragazzo stava ricambiando il suo sguardo, quello che fece quasi strozzare Will con il boccone che aveva in bocca fu che non solo non staccava gli occhi dai suoi, ma le sue labbra erano tese in un piccolissimo sorriso.
E i due ragazzi furono consapevoli di star pensando entrambi allo stesso ricordo.
-Sei pazzo?
-Hai appena buttato il mio pranzo. E il pazzo sarei io?
-E hanno anche il coraggio di chiamarla pasta al pomodoro? Io direi più “ammasso informe con ketchup sopra”. Perché si, quella non era di certo pasta e il ketchup non può assolutamente essere il sostituto del passato di pomodoro.
-Io l’ho sempre mangiata così …
-Capisco che la cucina italiana sia la migliore, ma questa non è cucina italiana, questa è un’imitazione venuta decisamente male. E non provare a dirmi che ti piace anche questo schifo.
-In realtà è così …
-Senti Will, un giorno te lo preparo io un vero piatto italiano, poi sentiamo cosa avrai da dire su questo schifo di cibo.
Will sorrise al ricordo, poi entrambi i ragazzi furono riportati sul mondo reale per via dello strisciare di una sedia.
-Scusate- mormorò in fretta Calypso –La pasta è buonissima, ma ieri sera ho mangiato qualcosa che poi mi ha fatto male, vado a riposarmi.
-Vuoi che…- Iniziò Leo, ma lei lo interruppe scuotendo la testa.
-Tranquillo amore, ci vediamo dopo- e dopo avergli lasciato un bacio in guancia corse via.
Nico non le staccò gli occhi di dosso, mantenendo il suo sguardo sulla porta anche dopo diverso tempo che era già andata via.
Aveva un brutto presentimento e sperava di sbagliarsi.
Prese il cellulare e alzandosi fece finta di aver appena ricevuto una chiamata. Andò fuori dalla stanza e, una volta che si fu richiuso la porta alle spalle riposò il telefono in tasca avviandosi lungo il corridoio.
Aveva una meta ben precisa.
Esattamente come immaginava, Calypso era in ginocchio a vomitare in uno dei bagni.
Nico la fissò rimanendo appoggiato allo stipite della porta, quando la ragazza si rimise in piedi tremando lui si decise a parlare.
-Sai che tutto questo è un errore, vero?
Calypso sussultò, non sapendo che qualcuno l’avesse seguita.
-Non ho idea di cosa tu stia parlando- rispose la ragazza avvicinandosi a uno dei lavandini per ripulirsi la bocca.
Nico sospirò.
-Ci sono passato anche io, ci sto ancora passando. All’inizio gli incubi erano così forti che quando mi svegliavo stavo così male da dover per forza vomitare. E adesso il mio corpo ne è dipendente. Non riesco più a fare un pasto completo, non riesco a non tossire sangue – si strinse la maglietta all’altezza dello stomaco – mi sto uccidendo dall’interno. Non ridurti anche tu così, non ne vale la pena.
Calypso boccheggiò cercando qualcosa da dire –Senti, Nico, non ho idea di cosa tu stia dicendo … Mi sono sentita male per quello che ho mangiato ieri, capita a tutti.
Fece per sorpassarlo e correre via dal bagno, ma lui le bloccò il braccio.
-Lo so che non è la prima volta che lo fai, ti ho vista tre giorni fa, o la settimana ancora prima. Qual è il problema? E’ successo qualcosa con Leo? E’ perché vuoi diventare più magra? Ho sentito anche io le voci che girano su di te, sul fatto che non ti vuoi togliere più la maglietta, neanche quando fai il bagno in piscina. Ma non penso che questa sia la soluzione migliore. Qualsiasi cosa sia si aggiusterà tutto.
Fu a quel punto che Calypso esplose urlando.
-No che non si sistemerà tutto! Vomito per le nausee! E sai perché ho le nausee? Perché sono incinta! Aspetto un bambino, Nico. Capisci!? Questa non è una cosa che si può aggiustare.
E Nico rimase spiazzato, completamente immobile, la bocca aperta e gli occhi sbarrati.
La ragazza scoppiò a piangere e solo a quel punto il moro si riscosse, tentò di abbracciarla, quasi in modo impacciato, ma lei gli si aggrappò completamente piangendo direttamente nella sua maglietta.
Nico si ritrovò ad essere ancora più impacciato.
-Oh … Ehm … Hai tradito Leo?
Sentì Calypso sbuffare mentre tirava su con il naso.
-No, stupido. E’ di Leo.
Nico sospirò di sollievo, era già abbastanza complicato così.
-Penso che lo dovrebbe sapere.
La ragazza si staccò di scatto e lo fissò intensamente negli occhi.
-Non ci provare. Con tutto quello che sta succedendo lo ucciderei, non posso dirgli una cosa del genere, non adesso. E tu! – Gli puntò l’indice quasi dentro l’occhio – Non provare a farne parola con nessuno!
-Ehy, è a questo che servono gli amici, sta tranquilla.
 
Annabeth uscì dalla sala ristorante completamente appagata.
Fantasticava di rapire Nico e farlo diventare il suo cuoco personale quando per poco non finì contro una persona.
-Ehy Luke- lo salutò fermandosi un secondo prima di travolgerlo.
-Oi! Ti cercavo, come mai non c’eri a pranzo?
-Oh, abbiamo mangiato nell’altra sala, Nico ha cucinato per noi.
Luke corrugò la fronte –Quel Nico?
Annabeth abbozzò un sorriso annuendo.
-E siete ancora vivi? Insomma… Ha proprio la faccia di uno che potrebbe avvelenare anche la caramella di un bambino.
La bionda soffocò una risata –Nah, diventa adorabile se impari a conoscerlo. Ora scusa, ma dopo tutto quello che ho mangiato ho bisogno di stendermi un po’, o l’acquagym di questo pomeriggio possono farsela da soli.
Luke sembrò deluso –Oh… Pensavo potessimo passare un po’ di tempo insieme prima che tu riprendessi a lavorare.
Annabeth si morse un labbro –Senti Luke, non te la prendere, ma sai che non sono interessata a te, vero?
Ci furono diversi secondi di silenzio, poi il biondo quasi ringhiò –E’ per via di Percy, vero?
Annabeth si guardò intorno, non l’avrebbe mai ammesso davanti a qualcun altro, infine sospirò –Si. Sono ancora innamorata di lui.
Altri secondi di interminabile silenzio, poi un sorriso palesemente finto.
-Va bene tranquilla, sono felice anche solo con la tua amicizia.
-Perfetto- Annabeth gli lasciò un velocissimo bacio in guancia, più per scusarsi che per altro, per poi scappare letteralmente via.
Luke rimase li, fermo a pensare.
Percy Jackson era la sua rovina. Lo odiava.
Non gli interessava davvero Annabeth, ma doveva farla pagare a quello stronzo.
Luke lo odiava per quello che aveva fatto, lo odiava ancora di più perché molto probabilmente il moro neanche lo ricordava.
Gliel’avrebbe fatta pagare e quale modo migliore di distruggere anche l’ultimo residuo di amore nei suoi confronti della ragazza di cui è follemente innamorato?
Luke non gli avrebbe dato tregua, l’avrebbe tenuto d’occhio 24 ore su 24 e al primo passo falso lui sarebbe stato li.

________________________________________
Eccomi qui
Prima di tutto vorrei parlare di Calypso, ormai era quasi certo che fosse lei quella incinta, ma non vi ho voluto dare la conferma prima di questo capitolo.
Ora, so che molti di voi hanno detto che era strano che quelli a Parigi fossero Hazel e Frank perchè scene troppo... "spinte"(?)
Bè, anche io all'inizio ci pensavo, ma alla fine ho scritto così per due motivi:
Il primo è semplice, non volevo fare cose troppo evidenti, quindi non volevo farvi capite subito chi era chi;
il secondo motivo invece è che ho pensato a Rick, che scrive praticamente per una fascia di età molto bassa, quindi non sappiamo davvero come parlerebbe di certe cose, inoltre non sappiamo come può diventare la piccola e inncente Hazel in determinate situaioni e a questa età, non credete?
Se comunque non siete d'accordo mi scuso per l'OOC.
Per quanto riguarda Nico invece secondo me sia giusto che si sia deciso ad aiutare Calypso, anche se credeva che fosse un motivo differente, credo che sia una cosa giusta da fare dopo quello che lui stesso ha passato nella scorsa storia.
E niente, ci risentiamo la prossima settimana
Un bacio, Deh

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Capitolo 11
*** Infrangere le regole ***


10.Infrangere le regole


Calypso stava dormendo tranquillamente quando una mano ferma gli tappò la bocca.
Strabuzzò gli occhi ed era già pronta a difendersi, ma prima di sferrare anche solo un calcio mise a fuoco la figura che aveva di fronte.
Nico.
Si rilassò e il ragazzo le tolse la mano dalla bocca, certo che non avrebbe urlato.
Lei lanciò un’occhiata alla sua destra, Leo stava ancora russando.
Quando si accertò  che il suo ragazzo avrebbe continuato a dormire tranquillamene si alzò e in punta di piedi seguì l’amico fuori.
-Si può sapere qual è il tuo problema!?- Urlò silenziosamente la ragazza non appena si fu richiusa la porta alle spalle.
-Torna li dentro e trovati dei vestiti comodi, vestiti velocemente che poi andiamo.
-Ma andiamo dove?- Domandò facendo un immenso sbadiglio –Saranno le cinque del mattino.
-Fidati di me, va bene?
E Calypso non poté far null’altro che annuire, Nico l’aveva aiutata un sacco di volte nelle missioni che avevano svolto insieme, per non parlare quando nel camion le salvò la vita. Inoltre era l’unico a conoscenza del suo segreto.
Quando uscirono dal dormitorio il cielo si stava iniziando a colorare per via dell’alba.
-E ora? Dove vorresti andare? E’ ovvio che siamo controllati.
Nico fece un sorrisetto –Lascia fare a me.
 
La colazione quella mattina non era molto movimentata, esattamente come al solito.
Nessuno aveva mai troppa voglia di parlare, soprattutto per via della stanchezza. Infatti, nonostante lavorassero tutto il giorno, avevano preso tutta quella situazione come una vacanza e andavano a dormire decisamente troppo tardi.
Ma la solita routine venne interrotta da Leo.
Il ragazzo entrò come una furia nella sala ristorante e a passo svelto si avviò al tavolo dove stavano seduti Will, Hazel e Frank che stavano chiacchierando abbastanza assonnati.
Facendo sussultare tutti, Leo sbatté un pugno sul tavolo esattamente davanti a Will. Nel pugno chiuso stava un pezzo di carta tutto stropicciato.
-Che cazzo di problemi ha il tuo ragazzo!?- Sibilò esasperato.
Will corrugò la fronte –Come?- Aveva ovviamente capito che si riferisse a Nico, nonostante non stavano più insieme ormai.
Leo lasciò il foglio per fargli leggere il contenuto, Hazel si sporse verso di lui per leggere a sua volta.
Io e Calypso andiamo a fare un giro.
Non preoccupatevi, stiamo bene.
Non c’è bisogno di movimentare una squadra per le ricerche, torneremo prima di pranzo.
Nico
 
Per tutto il tempo del tragitto in moto Calypso non disse neanche una parola, semplicemente si strinse alla schiena del ragazzo.
Il viaggio non fu troppo lungo, dopo una buona mezz’ora Nico posteggiò davanti una struttura quadrata e chiusa, un cartello annunciava che era una “clinica privata”.
-Che ci facciamo qui?- Chiese titubante la ragazza, quasi certa di sapere già la risposta.
Nico mise il catenaccio alla moto e si andò a sedere su una panchina libera li accanto, poi rispose.
-Mi sta bene mantenere questo segreto. Ma non permetterò che tu lo uccida.
Calypso si strinse nella felpa aperta che teneva sopra la canotta, faceva ancora freddo a quell’ora, si andò a sedere al suo fianco.
-Non lo voglio uccidere- sussurrò poi.
-Non dico che tu voglia farlo volontariamente ma… Non l’hai detto a nessuno, no? Ovviamente neanche alla CIA. Ma questo bambino ha bisogno di controlli, tu hai bisogno di controlli. Per questo oggi ci troviamo qui. E sta tranquilla, ho dei documenti falsi.
A Calypso venne da piangere, ma trattenne le lacrime e poggiò la testa sulla sua spalla.
Quasi con voce rotta infine sussurrò –Capisco perché Will si è innamorato di te.
 
-Come hanno fatto a uscire senza che nessuno li vedesse!?- Stava urlando Era agli uomini della sicurezza.
-Noi… signora…- Provò a iniziare uno.
-Sono solo due ragazzini! Vi siete persi due ragazzini!- Continuava a urlare la donna.
-Non ci aspettavamo una mossa del genere dall’interno- intervenne un altro uomo –Siamo concentrati a non far entrare nessuno, non il contrario.
La donna sospirò.
-La signorina Chase mi ha fatto notare che forse potrebbe essere anche una trappola, che magari sono stati rapiti e li hanno costretti a scrivere quel messaggio. Iniziate a preparare la squadra, se non tornano davvero prima di pranzo, iniziate a cercarli.
 
-A che mese siamo, signorina?- Chiese la dottoressa mentre le metteva il gel sulla pancia.
A quel contatto freddo Calypso sussultò –Dovrebbe essere il quarto… o il quinto. Non ne sono certa.
La donna le lanciò un’occhiataccia –Mi sta dicendo che non si è ancora mai fatta controllare?
Calypso scosse la testa e la dottoressa si girò verso Nico –Che irresponsabile! Doveva farla venire molto prima.
-Lui non è il padre- si affrettò a dire Calypso –E’ solo un amico che l’ha appena scoperto.
La dottoressa li guardò entrambi per qualche altro secondo, forse cercando di capire tutta la storia che si nascondeva dietro, poi lasciò cadere l’argomento.
Prese lo strumento adatto e iniziò a passarlo sulla pancia scoperta già più che sporgente.
E poi il monitor si accese e mostrò il piccolo feto.
A primo impatto a Nico sembrò un fagiolo, poi pian piano la figura andò a distinguersi e trovò la testa, le mani, i piedi…
-Vuoi sapere il sesso?- domandò la dottoressa con un sorriso guardando la ragazza.
Anche Nico seguì il suo sguardo e vide che Calypso aveva le lacrime agli occhi, semplicemente annuì.
-Femmina- allora annunciò.
Una lacrima iniziò a scendere sulla guancia della ragazza.
-E questo è il battito del suo cuore- concluse la signora alzando il volume.
Calypso continuò a rimanere in silenzio, mentre le lacrime continuavano a scendere dai suoi occhi.
-Prendo le siringhe per farti le analisi a sangue, dobbiamo controllare che sia tutto a posto- annunciò la dottoressa prima di uscire dalla stanza, Nico era abbastanza certo che l’avesse fatto di proposito per lasciarli da soli qualche minuto.
Il ragazzo si avvicinò lentamente al lettino dove Calypso rimaneva immobile, gli occhi fissi sullo schermo ormai vuoto.
-E’ una bambina- sussurrò infine.
Nico non disse nulla e dopo svariati secondi Calypso continuò –Come posso dirlo a Leo? Si farebbe uccidere per lei. L’ho già quasi perso una volta, non può succedere di nuovo, non lo sopporterei.
-Troverai un modo, arriverai a un punto in cui non potrai più nasconderla, lo scoprirà in ogni caso.
Con mani tremanti la ragazza si mise a sedere e prese un pezzo di carta, poi iniziò a ripulirsi la pancia sussurrando come in una mantra –La mia bambina… Io ho una bambina…
 
Quando tornarono, scoppiò praticamente l’inferno.
I due ragazzi erano più che consapevoli che avrebbero ricevuto ramanzine da parte di tutti, ma prima ancora di sentire Era o qualsiasi altro agente della CIA, se la dovettero vedere con Leo e il resto dei loro amici.
Il primo aveva uno sguardo distrutto.
La discussione che ne seguì fu ascoltata da tutti, ma vi parteciparono attivamente Leo e Calypso e solo in parte anche Nico.
Tutti gli altri stavano a diversi metri da Leo, gli occhi puntati su di loro, senza però il coraggio di intervenire.
-Ma che vi salta in mente!? Siete stupidi o cosa!?- Urlò Leo quando li vide tornare.
-Abbiamo lasciato un biglietto, sapevate che stavamo bene- rispose calma Calypso.
-Biglietto un corno! Sai quanto mi sono preoccupato!? Dove siete stati!?
-Non sono affari tuoi- rispose lei troppo in fretta.
Leo lanciò uno sguardo d’odio a Nico, poi tornò a fissare la sua ragazza.
-Hai idea di quanto io mi sia preoccupato? Lo capisci quanto ti amo e che farei di tutto per te?
E Calypso li lo capì. Capì che se avesse detto a Leo che aveva in grembo sua figlia lui avrebbe fatto di tutto per proteggerle, da qualsiasi pericolo e, considerando la situazione in cui si trovavano, si sarebbe fatto uccidere per lei, per loro.
Ma non lo poteva permettere. Lui aveva già fatto l’eroe. Aveva rischiato di morire restando in coma per tre giorni, i giorni più lunghi che la ragazza avesse mai passato. Non avrebbe passato mai più un momento simile, adesso toccava a lei proteggerlo.
E, come un lampo a ciel sereno, gli fu subito chiaro cosa avrebbe dovuto fare.
Distolse lo sguardo e mormorò –Io no. Io non ti amo più.
Dire quella frase la uccise, esattamente come fece lo sguardo di Leo.
-Stai… stai mentendo- disse cercando di mantenere la voce ferma, ma i ricordi di quelle giornate gli tornarono prepotenti in mente. Tutte le litigate con lei, il fatto che fosse sempre più distaccata…
Calypso capì che stava pensando proprio a quello e cercò di sfruttarlo a suo favore –Era già da un po’ che volevo dirtelo, mi hai appena aiutato a farlo.
E, prima che potesse scoppiare a piangere, girò i tacchi e andò via.
Scese il silenzio, fino a quando Leo non strinse i pugni e se la prese con Nico.
-Tu! Tu le hai fatto il lavaggio del cervello! So che sei stato tu!
Jason corse a bloccarlo, ci mancava solo che iniziassero una rissa, erano già successe troppe cose quel giorno.
Nico fissò l’amico impassibile, mormorò solo –Non hai proprio capito nulla- e seguì Calypso.
Non dovette andare molto lontana per trovarla, era raggomitolata su un muretto, piangeva con le gambe raccolte al petto.
Nico non annunciò la sua presenza, ma lei lo sentì comunque.
-Ho capito sai?- Gli disse tirando su rumorosamente con il naso.
-Lo vedo che Will ti ama e che tu ami lui. Non avevo mai capito cosa fosse successo tra di voi. Ma ora penso di capirti. Lo stai proteggendo, vero? Non so da cosa, ma l’hai lasciato per proteggerlo vero? Nonostante tu continui ad amarlo incondizionatamente.
-Si- mormorò semplicemente il ragazzo. Lo sto proteggendo da me stesso.
-Come fai, Nico?- La domanda si perse in un singhiozzo –Come ci riesci? Io mi sento morire.
La risposta di Nico fu quasi crudele, ma era terribilmente vera.
-Sei un agente segreto, imparerai a nasconderlo e a conviverci.
__________________________________________
Eh si, continuo a essere crudele? Già...
Che ne pensate? Siete d'accordo con quello che ha fatto Calypso o meno?
Forse la sua situazione vi sarà più chiara quando nel prossimo capitolo parlerò del suo passato.
Capitolo che comunuque uscirà nel 2018, anche io ho deciso di fare la "pausa invernale" di due settimane per due semplici motivi: parto e non mi porto il pc dietro per aggiornare e, visto che sono super impegnata con l'univerità ho bisogno di tempo per scrivere i nuovi capitoli.
E nulla, spero che non ce l'abbiate troppo con me per lasciarvi con questo finale per settimane ahahha
Buone feste a tutti! Un bacio
Deh

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Capitolo 12
*** Passato - Calypso ***


11.Passato - Calypso


Nessuno di noi, quando cresce, ha più memoria dei suoi primi ricordi.
Ma nel nostro inconscio ricorderemo sempre il primo sorriso della nostra mamma o le sue prime parole. Magari ci torneranno in mente durante un sogno e non sapremo se è solo frutto della nostra immaginazione o davvero un ricordo.
Oppure la melodia di una ninnananna, che ci ritornerà alla mente nei momenti più strani e imprevedibili.
Un po’ a tutti è successo questo. Ma non potrebbe mai capitare a Calypso.
Non appena sua madre la mise alla luce, la prima cosa che fece fu guardarla disgustata.
La prima frase che disse fu “Io non la voglio.”
La loro era una tribù antica, una di quelle civiltà non del tutto civilizzare che ancora oggi vivono in Africa o in alcune isole dell’America.
Loro facevano parte di quest’ultime.
Era un’isola che non aveva nessuna influenza nella cartina geografica, priva di qualsiasi ricchezza che avrebbe permesso alle grandi potenze di contendersela. Ma aveva tutto ciò che serviva alla piccola tribù per vivere.
Calypso nacque per via di uno stupro, sua madre non la voleva e non l’avrebbe mai voluta. Ma non conoscevano l’aborto e dovette tenerla.
La bambina non conobbe mai suo padre mentre lui non sapeva neanche della sua presenza. La madre invece non l’amò mai, non sul serio.
Anche il nome che le diede era dispregiativo.
Calypso nella loro antica lingua voleva dire colei che nasconde. Ma con il passare degli anni le parole possono essere storpiate e modificate.
Sua madre le diede quel nome perché per lei significava colei che deve essere nascosta.
E doveva essere nascosta proprio perché il resto della tribù non doveva sapere chi davvero era. Non dovevano sapere quello che era successo. La madre voleva solo dimenticare, ma la sua presenza glielo avrebbe ricordato in eterno.
Poteva benissimo ucciderla o abbandonarla dopo averla data alla luce, ma era una bambina sana e forte. Gli dei non l’avrebbero perdonata e l’avrebbero di certo punita.
L’unica soluzione era tenere e crescere la bambina. Anche se l’avrebbe fatto a modo suo.
Passarono gli anni e Calypso cresceva, sana e forte come aveva predetto la donna che aveva aiutato sua madre a partorire.
Era una bambina vivace e allegra, iperattiva e sempre piena di energie.
Viveva segregata in casa, sua madre gli diceva che poteva andare in qualsiasi posto voleva, nella foresta, sulla spiaggia, poteva anche andare al villaggio. Ma non doveva assolutamente dire a nessuno chi era davvero. Come si chiamava e di chi era figlia.
Calypso si sentiva come se non avesse un’identità, come se non fosse nessuno, quindi non andava mai in mezzo ai suoi coetanei. Perché loro facevano domande alle quali lei avrebbe dovuto rispondere con una bugia.
Così, semplicemente, passava il suo tempo nei posti deserti.
Correva per la spiaggia, nuotava libera e felice, rincorrendo i branchi di pesci e andando in esplorazione trovava sempre nuove grotte o gallerie.
Si arrampicava negli alberi più alti e grandi della foresta, saltava di ramo in ramo e quasi volava.
Ogni giorno aveva sempre nuovi graffi e tagli, le ginocchia perennemente sbucciate. Ma era più che normale e a lei non importava più di tanto perché era l’unico modo che aveva per sentirsi libera e felice.
Non si poteva definire neanche sola, perché aveva fatto amicizia con tutti gli animali presenti in quella foresta.
Ci aveva messo del tempo, ovvio, ma chi dopo pochi giorni chi dopo mesi quasi tutti avevano iniziato a fidarsi di lei.
La seguivano, correvano e giocavano con lei, la proteggevano. E Calypso condivideva il suo cibo con loro, erano i suoi migliori amici e li preferiva più delle persone.
Perché le persone fanno domande inopportune e sanno essere molto crudeli solo per divertimento personale.
 
Aveva sei anni quando tutto cambiò.
Era iniziata come una delle tante giornate. Si era alzata che il sole era sorto da qualche minuto, fece colazione e sua madre le raccomandò mille volte di non dire a nessuno chi fosse sul serio, poi uscì per andare al villaggio.
Era la loro normale routine e a Calypso andava bene così.
Non era stupida, ma era una bambina abbastanza sveglia e intelligente, aveva ormai capito che sua madre la odiava, ma se n’era fatta una ragione. Non aveva mai ricevuto del vero affetto da nessuno, se non si mettevano in conto gli animali. Quindi non aveva idea che normalmente non dovrebbe andare così. Che era contro natura che una madre odiasse la propria bambina.
Si vestì, mettendosi una delle sue semplici casacche, una di quelle bianche chiuse con una corda nei fianchi. Era molto leggera, senza maniche e le scendeva fino al ginocchio, ma ormai era quasi estate, quindi sarebbe andata più che bene.
Infine, prese gli avanzi della cena del giorno prima e uscì di casa.
Fece qualche passo e si guardò interno, per essere sicura che ormai sua madre fosse lontana. Poi iniziò a chiamare -Ogigia! Ehy Ogigia? Dove sei?
Il cane arrivò subito scodinzolando.
Quando due anni prima la bambina l’aveva trovata, era solo un cucciolo, adesso era quasi più alta di lei. Ma restava comunque la sua migliore amica.
Calypso sorrise, l’accarezzo, poi gli diede il cibo che Ogigia mangiò voracemente.
-Sei pronta? Oggi ho voglia di correre!
Il cane rispose abbaiando e scodinzolando allegramente.
Calypso la prese come una frase affermativa, rise, poi scattò in avanti e iniziò a correre in mezzo ai boschi.
I piedi nudi che si bagnavano a contatto con l’erba e il muschio umidi, le braccia aperte e il vento che le scompigliava i capelli. Non si era mai sentita più libera che in quei momenti.
Poi successe qualcosa di strano. Ogigia si fermò, iniziò ad annusare l’aria e ringhiò.
Calypso si era fermata a sua volta e la fissava senza capire, le si avvicinò lentamente e domandò –Che succede?
Il cane ringhiò nuovamente e iniziò a seguire una pista che sentiva solo con il suo olfatto, Calypso non poté far null’altro se non starle dietro.
La portò al limitare tra la foresta e la spiaggia.
Calypso l’accarezzò dietro le orecchie, poi si accucciò dietro un cespuglio e sporse solo la testa. Quello che vide la lasciò completamente senza parole.
Calypso conosceva le barche, ne aveva visto un paio durante la sua vita. Ma quelle erano immense e grigie, così grandi che la bambina non riusciva a capacitarsi di come le avessero costruite.
La spiaggia inoltre era piena di persone, persone vestiti in modo stranissimo e che avevano delle strane attrezzature in mano, che stavano montando qua e la, quasi alla ricerca di qualcosa.
Rimase così tanto tempo a guardarli completamente ammirata che non si accorse che anche due di loro avevano visto lei e si stavano avvicinando lentamente.
Quando se ne accorse loro erano ormai troppo vicini, stava decidendo se scappare o meno quando uno di loro si piegò sulle ginocchio e la fissò con un sorriso, poi le disse qualcosa in una strana lingua.
Calypso lo fissò impassibile, non aveva capito una parola.
L’uomo la fissò corrugando la fronte, fece un’altra domanda alla quale la bambina continuò a non rispondere, infine si girò verso il collega e disse qualcosa, quello annuì e corse via.
L’uomo tornò a girarsi verso di lei, sempre con quel sorriso cordiale. Poi prese qualcosa dalla tasca dei suoi pantaloni, era una strana busta colorata. La aprì e afferrò quello che vi stava al suo interno.
Risultò essere del cibo. L’uomo l’avvicinò a Ogigia e il suo cane prima lo annusò con sospetto, poi iniziò a mangiare, facendosi accarezzare dallo sconosciuto senza problemi.
La bambina capì che l’aveva fatto solo perché lei si fidasse di lui.
Lentamente anche lei uscì dal suo nascondiglio, guardando però sempre l’uomo con sospetto, si avvicinò a Ogigia e le strinse le braccia al collo. Se fosse successo qualcosa di brutto sapeva che lei l’avrebbe protetta.
Passarono pochi secondi prima che tornasse l’uomo che era andato via poco prima, non era più solo, ma accompagnato da una donna.
Inaspettatamente la donna si rivolse a lei parlando la sua lingua.
-Ciao- disse con un sorriso –Mi capisci, vero?
Calypso annuì quasi impercettibilmente.
La donna fece una faccia compiaciuta, poi riprese a parlare –Che ci fai qui da sola? Dove sono i tuoi genitori?
-Non ho i genitori- rispose semplicemente. Non era proprio vero, ma di certo non poteva definire la donna con cui viveva davvero sua madre.
La donna si morse un labbro, poi si rivolse ai due uomini, molto probabilmente gli stava traducendo la conversazione appena avvenuta.
Calypso riportò lo sguardo sulle grandi barche ancorate in mare, poi chiese –Cosa sono quelle?
-Sono delle navi. Il posto da cui veniamo è molto diverso da qui, ci sono molte altre cose così… strane- spiegò.
Calypso li fissò con gli occhi pieni di ammirazione –Per quanto resterete?
-Uno o due giorni- rispose la donna –Stiamo solo cercando una cosa.
E poi la bambina agì d’istinto –Posso venire con voi?- Ogigia abbaiò e Calypso si corresse –Possiamo venire con voi?
La donna rimase sorpresa da quella richiesta e iniziò a discutere con i due uomini.
Passarono diversi minuti, infine la donna tornò a rivolgersi a lei.
-Ha un nome il tuo cane? E tu come ti chiami invece?
-Ogigia- rispose pronta –Io sono Calypso.
La donna fece un piccolo sorriso –Bel nome. Ora vieni con me Calypso, puoi lasciare Ogigia in compagnia di loro due, se ne prenderanno cura loro.
-Dove andiamo?- Chiese lei non del tutto convinta.
-Non sono io che decido, ma farò di tutto per convincerli a portarti con noi, però ti devono vedere. Vieni dai.
E Calypso accettò la sua mano tesa.
 
Non fu facile.
Il capo di quella spedizione rifiutò, dicendo che loro non erano un orfanotrofio che raccattava bambini dispersi e senza famiglia per il mondo.
Ma la donna aveva visto del potenziale in quella bambina, l’aveva visto nel suo sguardo determinato e nel suo coraggio.
Il suo capo però non volle sentire ragioni e chiamò due uomini che avrebbero preso la bambina  di peso e l’avrebbero riportata nella sua isola.
Ma Calypso scappò, sgusciando dalle loro braccia, mostrando tutta la sua agilità.
L’uomo sembrò sorpreso e la donna disse semplicemente –Te l’avevo detto che ha del potenziale. Guarda che ci può essere molto utile.
Ma l’uomo aveva il suo orgoglio e non voleva dargliela vinta, quindi non accettò.
Ma anche la donna non aveva intenzione di farsi mettere i piedi in testa da nessuno, così fece come le era stato detto. Riportò la bambina di nuovo in spiaggia, ma la prese da parte e iniziò a parlare.
-Vi porterò con noi. Ma devi fare quello che ti dirò io, va bene?
La bambina annuì attenta e la donna sorrise. Poi le spiegò che quella notte sarebbe scese a prenderla, quando tutti dormivano. E l’avrebbe nascosta da qualche parte fino a quando non fossero stati ormai troppo lontani per riportarla indietro.
E così fecero.
Calypso iniziò una nuova vita insieme a Ogigia e quella donna. Che diventò la figura più vicina a una madre.
Le insegnò l’inglese, il comportamento che doveva avere con le persone, a leggere e fare i conti. Le insegnò tutto sulla CIA e sfruttò le capacità che già aveva per farla diventare una dei migliori agenti segreti in circolazione.
Calypso passò il resto della sua vita affermando che i suoi veri genitori erano morti. Perché per lei era così, non le importava nulla di loro, soprattutto di sua madre e, quando quella notte scappò via, non ebbe neanche un minimo rimorso.
______________________________
Eeeeehy
Sono mancata più del previsto, lo so, mi dispiace.
Vi ricordate com'era finito lo scorso capitolo? Ecco perchè questo doveva essere il passato di Calypso.
Ora vi è più chiaro perchè Calypso ha questo comportamento con Leo e la sua bambina? Perchè nonostante tutto il resto e il casino in cui sono messi, lei ha il terrore di non riuscire a fare la madre, perchè non ha avuto nessun insegnamento. Inoltre ha il terrore che sua figlia possa odiarla.
E niente, torno la prossima settimana con il continuo della storia, vi avverto già, sarà un capitolo ricco di colpi di scena ;)
A prestooo
Deh

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Capitolo 13
*** Dopo le due di notte... ***


12.Dopo le due di notte...


C’è un vecchio detto che dice che dopo le due di notte non succede mai nulla di buono.
La notte si dovrebbe solo dormire, entrare in quel mondo fatto di sogni, dove non si può fare del male a nessuno.
Ma quella notte, dormire sembrava un optional.
 
Hazel sapeva che Calypso aveva mentito.
Erano presenti tutti loro alla discussione di due giorni prima, aveva seguito parola per parola.
Quando Calypso aveva affermato che non amava più Leo, aveva capito benissimo che stava solo mentendo.
Ma prima di dirlo al ragazzo o a qualcun altro ne doveva parlare con lei.
Perché era sua amica e se lei aveva deciso di mentire su una cosa così importante, bè, doveva semplicemente essere per un motivo serio e valido.
Erano due giorni che cercava un attimo di tempo libero per parlarle, ma dopo la “fuga” di Nico e Calypso, Era li aveva tenuti sotto stretto controllo e li aveva messi in “”punizione””, così ad Hazel era rimasta solo la notte.
Proprio in quel momento si stava avviando lungo il corridoio, cercando la sua stanza.
Incontrò lungo il tragitto Thalia, la ragazza si avviava a passo lento strisciando i piedi, fece un lungo sbadiglio e guardò Hazel con occhio critico.
-Tranquilla, vado a fare due chiacchiere, non voglio rapire nessuno- disse Hazel alzando le mani, segno di resa totale.
Thalia si portò due dita agli occhi e poi li puntò verso di lei, chiaro simbolo che voleva intendere “ti tengo d’occhio”. Poi riprese la sua strada facendo un nuovo sbadiglio.
Hazel arrivò di fronte la stanza della sua amica e bussò, ma nessun invito ad entrare arrivò alle sue orecchie. Forse stava dormendo.
Così Hazel decise di entrare in ogni caso, sperando nel fatto che la camera non fosse chiusa a chiave.
Abbassò la maniglia lentamente, per non far nessun rumore, e la porta si aprì senza neanche un cigolio.
Come aveva immaginato Hazel, la stanza era immersa nell’oscurità, ma quando i suoi occhi si furono abituati al buio, notò che la ragazza non era a letto.
Si guardò intorno e notò un’altra porta, quella che portava al bagno privato in camera. Era socchiusa, ma una sottilissima striscia di luce era il chiaro segno che qualcuno fosse al suo interno.
Ancora più silenziosamente di come era entrata, Hazel si avvicinò e spiò al suo interno.
Non si vedeva molto, ma vide benissimo la sua amica.
Era seduta a terra e appoggiata al muro, la maglietta alzata fino al limite con il seno e le mani poggiate sulla sua pancia. Pancia terribilmente gonfia.
Hazel per poco non si fece scoprire, ma lo shock la immobilizzò del tutto.
-Hey piccola- sussurrò poi Calypso e, per un piccolissimo attimo, Hazel pensò che stesse parlando con lei, ma tutta la sua attenzione era per la sua pancia –So che la pancera stringe ma… Tu sei forte, so che lo sei. Devi solo sopportarlo qualche altra settimana. Non c’è bisogno che scalci così… Per favore.
Hazel sembrò sbloccarsi solo a quel punto e si ritirò, una mano sulla bocca incredula.
Come avevano fatto a non accorgersi di nulla?
 
-Ehy Will!- Annabeth lo intravide quasi per sbaglio e gli andò incontro, mettendogli un braccio intorno alle spalle.
-Non dormi neanche tu?- Domandò il ragazzo non sottraendosi alla sua stretta, anzi, stringendola a sua volta.
-Chi ha bisogno di dormire?
Will fece una mezza risata –Avevi una meta ben precisa?
-In realtà no, ma che ne dici di andare a rubare qualcosa al bar? Eravamo una bella coppia io e te- E gli diede un pugno non troppo forte sul braccio, ricordando la sera del ballo, quando andarono insieme.
Anche Will lo ricordò e fece una mezza risata –Oh si, eravamo decisamente una bella coppia.
Si avviarono a uno dei chioschi in giro per il parco.
Gli avevano detto che potevano usufruire delle piscine dopo l’orario di chiusura, per tutti loro era quindi scontato che potessero utilizzare anche i chioschi e i punti ristoro. Il fatto che fossero chiusi non li avrebbe di certo fermati.
Quello più vicino al punto dove si trovavano era già illuminato.
Decisero di avviarsi li, per risparmiarsi il lavoro di “aprire” la porta.
Quando entrarono però non videro nessuno.
-Oii! Chi c’è?- Urlò Will mentre Annabeth si chiudeva la porta alle spalle.
La testa di Leo spuntò da dietro il bancone, li scrutò per qualche secondo in silenzio, poi alzò le spalle e borbottò –Okay, potete restare, voi due ne avete bisogno quanto me- e tornò a occuparsi delle sue faccende nascondendosi di nuovo con tutto il corpo.
I due biondi si lanciarono un’occhiata confusa, poi si avvicinarono al bancone in legno.
-Che stai facendo?- Domandò Annabeth sempre più confusa.
Il ricciolino era intento a forzare una tavola di legno che creava il pavimento di quel chiosco.
-Succo di frutta e the? No. Sono più che certo che nascondino l’alcool da qualche parte. E io lo troverò.
 
Nico stava passeggiando per il parco illuminato e deserto, non riusciva a dormire, nonostante le giornate fossero terribilmente stancanti.
Ma il parco non era poi così deserto.
Anche Percy non riusciva a dormire, Nico lo trovò che nuotava dentro una di quelle piscine non troppo grandi e destinate solo agli adulti visto che non si toccava da nessuna parte.
Gli si avvicinò, si fermò al bordo piscina e si inginocchiò.
Percy lo vide e tornò in superficie, poggiò entrambi i bracci nella cornice in pietra e poggiò il mento fra di essi, era fuori dall’acqua fino alle spalle.
-Insonnia?- Domandò poi.
Nico scrollò le spalle –Come te.
Percy sbuffò –Non ho ancora capito cosa è successo tra te e Will. Insomma, tu lo vuoi, lui ti vuole, dove sta il problema?
Nico scosse la testa distogliendo lo sguardo –Lui non mi vuole. Mi ha guardato con quello sguardo che … Aveva paura di me. Ha davvero capito chi sono. Gli sto solo facendo un favore.
Percy strinse le palpebre cercando di capire –Ti ha guardato quando?
-Lascia stare … Piuttosto, pensavo amassi Annabeth, perché l’hai tradita?
Fu il turno di Percy quello di distogliere lo sguardo, strinse le mani in due pugni.
-Io … Neanche me lo ricordo. Okay ero completamente ubriaco, ma di solito anche dei piccoli flash li ricordo, invece qui ho solo il nulla.
-Quindi forse non l’hai tradita, lei lo sa?
-Come se mi desse possibilità di parlare.
Nico si morse il labbro, com’era finito a dare consigli romantici?
-E dopo che vi siete lasciati non sei stato con nessun’altra? A questo punto non penso che sia vero e proprio tradimento, no?
-Non nego di averci provato, solo che … Non si alza.
Nico scoppiò a ridere.
-Hai per caso cambiato sponda?
Anche Percy sorrise –Ci ho pensato, ma non ho avuto modo di testare.
Nico alzò un sopracciglio –Vuoi provare?
-Non ho mai baciato un ragazzo- si morse il labbro.
-Non c’è poi così tanta differenza.
-Okay, facciamolo.
Nico lo fissò per qualche altro secondo, solo per capire se stesse dicendo sul serio, quando vide il suo sguardo deciso si chinò in avanti.
Contemporaneamente Percy si issò un po’ di più.
Le loro labbra si incontrarono a metà strada.
 
Alla fine Leo riuscì nel suo intento.
Certo, con l’aiuto di Will e Annabeth avevano quasi smontato tutto il locale. Ma, quando ormai avevano perso le speranze, trovarono quello che stavano cercando dietro un doppio fondo di uno sportello.
Fu Annabeth a trovare quelle bottiglie di liquori vari.
Di solito era contraria a tutte queste cose, ma alla fine era pur sempre una ragazza e si era sempre comportata in modo responsabile. Perché, per una singola volta, non si poteva lasciare andare?
Così, circa un’ora e diverse bottiglie dopo, erano tutti e tre completamente ubriachi.
Will aveva incrociato le braccia sul tavolo, aveva il mento poggiato su di esse e continuava a fissare insistentemente il poco liquido trasparente rimasto dentro una delle bottiglie. Lo fissava come se questo dovesse rivelargli le risposte a tutte le sue domande.
Annabeth era quasi del tutto sdraiata sul tavolo, lentamente con un dito stava seguendo il contorno di una venatura nel legno.
Leo era accasciato sulla sedia in modo scomposto, fissava il soffitto. Fece una smorfia e prima di alzarsi commentò –Devo vomitare.
Né Will né Annabeth batterono ciglio, troppo presi dalle loro attività.
Poi però qualcos’altro attirò l’attenzione della ragazza: il cellulare che le vibrava nella tasca.
Lo uscì e con fatica riuscì a sbloccarlo.
-Luke mi ha inviato un messaggio- annunciò schiacciando sull’icona per aprirlo –Sono le quattro di mattina. Ma nessuno ha voglia di dormire?
Poi si bloccò e rimase in silenzio per dei secondi interminabili.
-Will- chiamò infine la ragazza con un tono strano.
-Mh?- Rispose il ragazzo senza staccare gli occhi da quel liquido trasparente.
-Guarda questa foto. Non capisco se è l’alcool o vedi esattamente quello che vedo io.
E così Will dovette spostare lo sguardo sul cellulare della ragazza.
Mise a fuoco la foto ma non una parola uscì dalle sue labbra.
Forse erano passati solo pochi secondi o forse interi minuti. Fatto sta che Leo tornò e, spuntando alle loro spalle diede una rapida occhiata anche lui allo schermo del cellulare di Annabeth.
Poi, come se fosse una cosa normalissima, chiese tranquillamente –Perché state guardando una foto dove Nico e Percy si baciano?
_______________________________
Okay, prima che mi scanniate: non shippo la percico.
E, come avrete capito, questo capitolo di questa notte molto lunga è diviso in due parti.
E il capitolo del prossimo sabato sarà anche più interessante ;)
Intanto, pareri su questo?
Grazie per chi continua a seguirmi!
Un bacio, Deh

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Capitolo 14
*** ...non succede mai nulla di buono ***


13....non succede mai nulla di buono


Jason e Piper stavano dormendo tranquilli ed abbracciati, quando qualcuno cercò di aprire la loro porta.
E non ci provò in modo silenzio, ma fece così tanto rumore che se ne sarebbe accorta anche un’anziana signora di 80 anni quasi del tutto sorda.
Jason si mise a sedere di scatto accendendo la luce, Piper afferrò la prima cosa che ebbe a portata di mano per usarla come arma: il telecomando del condizionatore.
Si guardarono in silenzio, poi Jason si alzò e si avvicinò alla porta sussurrando –Non può essere un nemico… Chi farebbe tutto questo rumore?
In ogni caso, sempre per essere pronto a qualsiasi cosa, non abbassò la guardia e aprì la porta di scatto, per spaventare chiunque ci fosse dietro.
Ma Annabeth non batté ciglio, anzi sembrò molto confusa e collegò quello che era successo solo dopo qualche secondo.
Alzò lo sguardo, strinse gli occhi e cercò di riconoscerlo –Jason! Che ci fai nella mia stanza?
Jason sbatté le palpebre sempre più confuso e si girò per chiedere silenziosamente aiuto a Piper.
Anche Annabeth si accorse di lei e con un sorriso entrò nella stanza –Oh c’è anche la mia amichetta!- Detto questo si gettò sul letto, accanto a Piper, dove poco prima stava Jason.
-Sei ubriaca?- Chiese a quel punto Piper.
-Mhm… Solo un pochino.
Jason sospirò e diede una testata al muro dietro di se, ma possibile mai che non riusciva a passare neanche una notte in pace?
-A Percy piacciono i ragazzi- buttò li la bionda.
-Cosa?- Domandò Piper assonnata, senza ascoltarla del tutto.
Annabeth cercò di prendere il telefono, ma sembrava un’azione troppo complicata. Con uno sbuffo lo afferrò Piper, lo sbloccò e fissò per un po’ lo schermo, poi lo porse a Jason.
Il ragazzo vide la chat con Luke aperta, una sola foto nei messaggi mandata da lui. Nico e Percy che si baciavano sul bordo di una piscina.
-Dal primo momento che l’ho visto ho pensato che fosse un grande stronzo- commentò Piper. Jason portò lo sguardo su di lei che si ritrovò a spiegare –Parlo di Luke.
Fece un nuovo sbadiglio e si girò verso la sua amica –Sono sicura che c’è più di una spiegazione plausibile a tutto questo, però ne parliamo dopo l’alba, si?
E prima di aspettare una risposta era già tornata a dormire. Annabeth la seguì quasi subito, abbracciandosi stretta la ragazza.
Jason si ritrovò senza un letto.
Tornò a fissare lo schermo del cellulare e ripensò a quello che aveva appena detto la sua ragazza.
Luke non aveva stretto amicizia con nessuno di loro e odiava a morte Percy, l’avevano capito praticamente dal primo giorno.
La vera domanda era: perché?
L’unica teoria che venne in mente a Jason fu che Luke era una spia, ma non si sarebbe comportato in modo così evidente no? Un po’ come quando avevano incolpato ingiustamente Nico.
Jason scosse la testa e cancellò la chat ad Annabeth, le posò il cellulare sul comodino e uscì fuori.
Aveva bisogno di spiegazioni.
 
Sbagliato.
Era questa l’unica cosa che pensava Nico mentre si avviava dentro con le mani in tasca.
Quando si staccarono Percy fece una smorfia –No, sono certo di essere ancora fortemente etero.
Nico gli diede un buffetto divertito in guancia –Allora ti conviene fare pace con Annabeth, o non ti si alza più a vita.
Percy strabuzzò gli occhi colpito dalla verità di quelle parole e Nico scoppiò a ridere di nuovo.
Il ragazzo dagli occhi color del mare lo fissò male, poi chiese –E invece tu?
Nico arricciò il naso –Non sei decisamente il mio tipo.
Aveva finalmente baciato quel ragazzo per cui aveva avuto una cotta i primi mesi che si erano conosciuti, circa un anno prima, e l’unica cosa che riusciva a pensare fu a quanto fosse stato sbagliato.
Non fu un semplice bacio a stampo, ma non fu neanche un vero e proprio bacio con la lingua. Più una via di mezzo.
Ma per Nico erano sbagliate le labbra, il loro calore e la loro consistenza. Erano sbagliati gli occhi che l’avevano fissato un secondo dopo, di un colore diverso. Ed era sbagliato che non avesse provato assolutamente nulla.
Strinse le labbra e quasi senza accorgersene iniziò a sfregare velocemente la mano sul braccio tatuato.
Ma, prima di arrivare ai dormitori, notò una figura sdraiata su uno dei muretti li vicino.
Avrebbe continuato tranquillamente per la sua strada se non gli fosse stato così familiare il suo profilo.
Quando lo riconobbe la sua mente lo incitò a riprendere il suo cammino ancora più velocemente, ma l’altra parte (Nico non avrebbe saputo dire se quella stupida o razionale) gli disse che c’era qualcosa di strano.
Perché Will se ne stava disteso su un muretto fuori? Al buio, solo e alle 4 e mezzo del mattino?
Non decise proprio volontariamente, i suoi piedi si stavano già muovendo verso il ragazzo.
-Will?- Domandò tentennando un po’ –Stai bene?
Il ragazzo biondo si girò nella sua direzione, lo fissò per un po’, poi tornò a fissare il cielo e mentre si stringeva i capelli tra le mani borbottò –Ora ho anche le allucinazioni… Ma quanto cazzo ho bevuto?
Nico corrugò la fronte e gli si avvicinò di più –Guarda che non sono un’allucinazione.
Will tornò a fissarlo e mise su un broncio –E’ quello che direbbe un’allucinazione.
A Nico scappò una mezza risata che non riuscì a trattenere.
-Dai andiamo, ti porto a letto prima che fra qualche ora ti svegli dentro una qualche piscina- annunciò afferrandolo per un braccio e facendo pressione, in modo che si alzasse.
Riuscì nel suo intento non proprio facilmente e, mentre camminavano, Will si accasciò quasi totalmente su di lui. Non stavano così vicini da tempo. Troppo tempo.
Stavano in silenzio, quando a un certo punto Will ridacchiò senza un apparente motivo, poi spiegò –E’ buffo che la mia allucinazione voglia portarmi a letto, non trovi?
Le guance di Nico andarono a fuoco, ma non rispose.
-In effetti sei un po’ troppo… solido per essere un’allucinazione- rifletté solo in quel momento.
-Si può sapere perché non credi che io sia reale?- Domandò a quel punto il moro mentre cercava di aprire la porta della sua stanza.
-Ma è ovvio- borbottò Will in risposta e, staccandosi dal moro che aveva appena aperto la porta, si andò a gettare sul suo letto come un peso morto, di traverso e sopra le lenzuola.
-Cosa dovrebbe essere ovvio?
Nico dovette avvicinarsi per sentirlo, visto che il biondo aveva deciso di parlare con la faccia affondata nel cuscino.
-Tu adesso sei con Percy. Lo so. Ho visto la foto.
Nico sentì un brivido gelido scendergli lungo la schiena.
-Quale foto?
Will decise di ruotare la testa, forse stava iniziando a soffocare in quella posizione. Aveva gli occhi lucidi.
-Quella che hanno inviato ad Annabeth. Tu e Percy vi stavate baciando, so che ora siete andati oltre.
Nico si sedette di fianco la sua testa –Chi gliel’ha invita?- Chiese freddo.
Will, per quanto quella posizione glielo permettesse, alzò le spalle –A chi importa? Tu hai sempre voluto Percy, lo sapevo. L’ho sempre saputo ma ho pensato… Che magari… Ti saresti potuto innamorare anche di me. Me l’hai davvero fatto credere per un sacco di tempo. Sei solo uno stronzo.
E Nico scattò, lo afferrò per una spalla e lo fece voltare mettendolo a pancia in su, per poi chinarsi sul suo viso.
-Non ho provato nulla baciando Percy. Perché non eri tu. Per Percy avevo una cotta, questo è vero, ma non l’ho mai amato come amo te.
Gli occhi del biondo si riempirono di disperazione e, afferrandogli un braccio, quasi gli urlò –Perché me lo dici ora!? Perché ti comporti così? Sai che domani non ricorderò nulla!
-Lo so- la sua risposta era meno di un sussurro, gli scostò i capelli dalla fronte e gli lasciò un bacio.
Non dovette aspettare troppo prima che si addormentasse, l’alcool lo fece crollare in pochissimi minuti.
Solo a quel punto Nico staccò il cervello e si permise un altro contatto che gli doveva essere proibito. Si chinò nuovamente su di lui e gli lasciò un leggerissimo bacio in bocca.
Qualcosa di nulla in confronto a quello che aveva appena dato a Percy, ma che gli fece provare molte più emozioni.
Si alzò e uscì dalla camera ma, per quanto sonno potesse avere, non si avviò nella sua stanza.
 
-Luke.
Quello di Jason non fu un urlo, ma nel parco buio e deserto il ragazzo lo sentì chiaro e forte.
-Che vuoi?- Il ragazzo si girò a fissarlo, era leggermente più alto di lui.
Jason andò dritto al punto –Fai davvero parte della CIA o sei un traditore?
Luke sembrò confuso, non si aspettava una domanda del genere.
-Ovvio che faccio parte della CIA- rispose sicuro.
-Allora qual è il tuo problema? Cosa hai contro Percy? Pensavo che fossi stato ingaggiato per proteggerci.
-Appunto, per proteggervi. Nessuno ha detto niente però sul rovinargli la vita. E non provare a difendere il tuo amichetto, non sai quello che ha fatto.
Jason stava per rispondere, ma una nuova presenza si intromise in quella discussione.
-Tu!- Urlò semplicemente e, mentre Luke si girava verso di lui, Nico gli rifilò un potente pugno sul naso dal quale iniziò subito a uscire del sangue.
-Nico!- Jason lo bloccò per le braccia, il moro era intento a continuare la sua rissa.
Impossibilitato a muoversi Nico lo aggredì verbalmente –Perché gli hai inviato quella foto!? Sei un bastardo! Come ti sei permesso! Perché tutti volete rovinarmi la vita!?
Luke cercò di tamponarsi il fiotto di sangue con il dorso della mano, poi rispose con voce nasale –Non volevo rovinare la tua vita, sei stato solo un effetto collaterale. Inoltre, dovresti solo prendertela con te stesso. Non sono io quello che va in giro a baciare ragazzi.
Nico per poco non gli saltò addosso, ma Jason riuscì nuovamente a trattenerlo, lo afferrò per le spalle e lo fece girare verso di lui.
-Calmati cazzo!
-Non capisci!- Gli urlò a sua volta il moro –Già Leo mi odia per Calypso, non posso permettere che anche tutti voi iniziate a farlo per una cazzata. Voi… Siete la mia famiglia. Non posso perdere la mia famiglia… non di nuovo.
-Non succederà, nessuno ti odierà. Non c’è bisogno però di ucciderlo.
Nico distolse lo sguardo e strinse le labbra, non rispose ma si calmò.
-Riguardo a te…- Jason aveva portato di nuovo la sua attenzione su Luke, ma il ragazzo era già andato via.
Il biondo sospirò e promise a se stesso che avrebbe portato alla luce del sole quella storia che sembrava non avere né capo né coda.
 
Hazel camminava lungo il corridoio come una zombie.
Tutti i suoi pensieri rivolti a quello che aveva appena visto.
Tornata nella sua stanza si mise a letto e fissò il tetto senza vederlo realmente.
Al suo fianco, Frank si mosse.
-Hazel?- Chiese con la voce impastata dal sonno.
E solo quella voce fece tornare al presente la ragazza.
Si girò e si strinse al suo petto scoppiando a piangere.
-Ehy… Che succede? Ti senti male?- Domandò il ragazzo con la voce piena di preoccupazione.
Hazel continuò a singhiozzare mentre si faceva stringere dalle sue braccia. Alla fine parlò con voce rotta –Non ne posso più! Non voglio più capire se qualcuno mente o no… Non voglio più questa responsabilità, non voglio più mantenere tutti questi segreti!
Il cuore di Frank si strinse, l’amava tantissimo ma non poteva aiutarla in alcun modo.
La strinse ancora di più fra le sue braccia e sperò che questo potesse alleviare, anche di un minimo, il suo dolore.
Ora capiva perfettamente cosa volesse dire sua nonna, tanti anni prima.
 
Niente di tutto questo sarebbe avvenuto se ognuno fosse rimasto nel suo letto a dormire.
Perché si sa, dopo le due di notte non succede mai nulla di buono.

 
______________________________________________
Eccomi qui, come sempre!
Allora, che dire? Questo è ovviamente il continuo del capitolo precedente.
Mancava la Jasper, anche loro dovevano essere disturbati, no? ahahah
Vi ho dato un pò di Solangelo per farmi perdonare della scena Pernico, anche se capirete che era necessaria, così Nico si è finalmente reso conto di quello che prova e per chi. Se non l'avesse fatto sarebbe stato sempre in dubbio, visto la sua precedente cotta in"mission".
Per quanto riguarda Luke, avrete ancora molto da scoprire su di lui, pareri? Idee?
E, visto che avevo iniziato lo scorso capitolo con Hazel, dovevo finire con lei, per dare armonia al tutto.
La frase finale che pensa Frank invece è collegata al suo passato, che verrà descritto nel prossimo capitolo!
Spero vi sia piaicuto! Alla prossima settimana
Deh

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Capitolo 15
*** Passato - Frank ***


14.Passato - Frank


-Più veloce Frank!
Il bambino strinse i denti sulle labbra e le mani sul bastone, cercò di fare come sua nonna gli aveva appena detto, ma era stanco.
Non riusciva a essere più veloce del suo “nemico”, non riuscì a parare tutti i suoi colpi e dopo qualche altro secondo fu messo al tappeto.
La nonna sbuffò e il bambino non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, non voleva vedere il suo sguardo deluso.
La donna non si fece impietosire, semplicemente disse –Ancora.
 
-Colpiscilo!
Frank eseguì l’ordine, mandando il suo avversario a terra.
Questo rimase li, senza alzarsi, si lamentava tenendosi la pancia.
Il bambino si sentì in colpa, gli si avvicinò torcendosi le mani –Scusa, ti ho fatto tanto male?- Domandò davvero dispiaciuto inginocchiandosi al suo fianco.
Questo rise e ne approfittò per mandare al tappeto Frank.
Dall’altro lato della stanza il bambino sentì sua nonna sospirare e borbottare qualcosa che sembrava tanto un “che delusione”.
 
Quella mattina, fredda e nuvolosa, Frank aveva deciso di uscire da solo.
Più che altro era scappato.
Negli spogliatoi aveva sentito dei ragazzini del suo corso parlare male di lui, ovviamente non sapevano che era li ad ascoltare.
Li aveva sentiti mentre dicevano cose crudeli, come solo i bambini sanno fare.
Avevano detto che lui riceveva il cambio di cintura solo perché la palestra era dei suoi genitori, perché in realtà neanche lo meritava, non era abbastanza coraggioso per fare quello sport.
Frank teneva lo sguardo basso coperto dal cappello e le mani dentro le tasche del giubbotto più grande di lui.
Era deluso, camminava lentamente e contava le crepe nella strada per distrarsi, quando sentì dei rumori diversi.
La voce di una donna che lanciava un’imprecazione in una lingua a lui sconosciuta, poi dei rumori che conosceva benissimo, quelli del combattimento corpo a corpo.
Per un secondo decise di continuare per la sua strada, poi ricordò la voce dei bambini “non è abbastanza coraggioso”.
Fu come se i suoi piedi si muovessero da soli, corse verso il vicolo dal quale provenivano le voci.
Si fermò solo qualche secondo per comprendere la situazione, c’era una donna, poteva avere massimo 20 anni, ma per lui era più che adulta visto che ne aveva solo 9, che stava lottando contro due uomini.
Frank non aveva idea di chi fosse il “cattivo” e chi il “buono”, ma sapeva che quel combattimento era ingiusto. Una donna contro due uomini? Era ovvio che avrebbe aiutato la ragazza.
La donna era occidentale, di quei paesi del nord dove tutti hanno la pelle chiarissima, come gli occhi e i capelli.
Gli uomini invece erano del suo paese e le stavano prendendo di santa ragione.
La donna infatti era molto brava nel corpo a corpo, era atletica e veloce, soprattutto grazie alla sua corporatura minuta.
Ma quando riuscivano a colpirla le facevano davvero male.
Frank non ci pensò due volte, corse verso di loro e aiutò la donna.
Non che fosse al livello di nessuno di loro, ma servì per distrarli e, soprattutto, diede il tempo alla donna di afferrare una spranga di ferro arrugginita gettata tra la strada e il muro.
Con questa colpì alla fronte uno dei due uomini che cadde subito a terra inerme, il taglio sulla fronte stava perdendo moltissimo sangue.
Frank barcollò e dovette trattenere un conato di vomito, dove si era andato a cacciare?
L’altro uomo ne approfittò per colpirlo, ma non riuscì a toccarlo, perché la donna lo atterrò prima, lo colpì con la stessa arma improvvisata sul fianco, l’uomo cadde dolorante a terra, la donna lanciò via la sbarra di ferro e gli si sedette sopra. Iniziò a prenderlo a pugni.
Erano pugni piccoli ma forti, mirati nei punti giusti, conosceva tutti i posti dove avrebbe fatto più male.
Non passò molto tempo prima che anche quest’ultimo perdesse i sensi, o almeno, questo è quello di cui si era convinto Frank, non voleva pensare di essere circondato da cadaveri.
Non sarebbe più riuscito a dormire la notte.
Il silenzio invase il vicolo, così come l’odore del sangue.
Il bambino tremava.
La donna si alzò lentamente dal corpo dell’avversario e gli si avvicinò, aveva le mani e la maglietta sporchi di sangue principalmente non suo, aveva anche un taglio sulla guancia non cicatrizzato e altri lividi sparsi per il corpo.
-Da dove spunti tu?- Domandò a Frank con un accento strano.
Il bambino aprì la bocca per rispondere, ma l’unica cosa che gli uscì fu tutto quello che aveva mangiato in quei giorni.
La donna storse la bocca schifata, ma gli si avvicinò ancora di più e lo aiutò.
-Va tutto bene ora… E’ finita.
-Sono… Morti?- Chiese tremando ancora di più.
-No, ma hanno avuto quello che si meritavano, li cerchiamo da mesi. Ora qualcuno li curerà, poi sconteranno i loro giorni in carcere.
Frank annuì, un po’ più sollevato di sapere di non essere circondato da cadaveri.
-Sei stato coraggioso- la donna gli strinse la spalla –Fammi avvertire i miei superiori per occuparsi di questi qui, poi ti riporto a casa.
Frank non poté far nient’altro che annuire.
 
Tutto quello che successe dopo Frank lo visse solo a momenti, troppo shoccato per concentrasi sul serio su quello che stava accadendo intorno a lui.
Ricordò che portò la donna a casa sua, che ad aprirgli fu sua nonna la quale lanciò un urlo non appena lo vide in compagnia di quella ragazza ricoperta di sangue.
Ricordava che dietro di lei spuntò suo padre dal quale Frank corse per gettargli le braccia al collo.
L’uomo lo prese in braccio e disse qualcosa, il bambino non ricordava nulla della conversazione avvenuta dopo, solo una frase gli rimase impressa nella mente, fu una frase che disse la donna: “Vostro figlio è un eroe.”
 
Nei giorni che seguirono Frank scoprì che quella donna faceva parte di una società segreta, come quelle che si vedono nei film, e aveva proposto a sua nonna e a suo padre di prendere Frank con se.
Di iniziare da un campo estivo per poi farlo diventare un vero agente segreto, affermando che già  aveva tutte le potenzialità richieste ed era, soprattutto, coraggioso.
Tutto questo gli avrebbe dato un sacco di comfort e privilegi.
Frank aveva anche ascoltato segretamente qualche conversazione che suo padre e sua nonna aveva fatto di notte, entrambi volevano accettare, affermando che solo così avrebbe avuto davvero un futuro. Ma entrambi erano anche più che certi che la decisione finale sarebbe spettata solo a lui.
Frank era combattuto, da un lato non ne voleva sapere niente, aveva ancora gli incubi dopo aver preso parte a quel combattimento. Dall’altro lato però era anche terribilmente attirato da tutto quello, qualsiasi bambino della sua età e che soprattutto fa karate da quanto è nato sogna un qualcosa del genere.
Alla fine vinse questa seconda parte, anche perché voleva che i suoi genitori fossero fieri di lui.
Avrebbe dimostrato a tutti quanto valeva.
 
Si stava preparando la valigia per partire il giorno dopo, quando sua nonna entrò nella stanza e si andò a sedere nel suo letto.
Restarono in silenzio per un alto po’, alla fine sua nonna disse –Sono fiera di te, Frank. Lo siamo sempre stati, nonostante ti spronassi a fare sempre di più, ho sempre ammirato il tuo coraggio e il tuo altruismo. Sei proprio come tua madre, non cambiare mai.
A Frank gli si inumidirono gli occhi, lasciò andare la maglietta che aveva preso in mano prima che la nonna iniziasse a parlare e corse fra le sue braccia aperte.
-Io non voglio uccidere- si lamentò –Non voglio neanche continuare a colpire un avversario che è già sconfitto.
La donna annuì comprensiva –Se non vuoi andare puoi sempre ripensarci.
Il bambino scosse la testa –Ma voglio anche aiutare le persone.
Lei sorrise soddisfatta –E’ per questo che sei speciale, Frank- gli fece alzare il viso –Non ascoltare mai quello che ti dicono gli altri e non cambiare, per nessuna ragione. Combatti per tutto quello che tu credi giusto, per la giustizia e la legge. Per aiutare gli altri.
Il bambino la guardava come se la stesse vedendo per la prima volta, in effetti non aveva mai sentito un discorso del genere da lei.
-Come ha sempre fatto la tua mamma, va bene? Vedrai che un giorno anche tu troverai qualcuno che avrà bisogno di te e ti amerà, esattamente così come sei.
-Anche se non sono forte come gli altri?- chiese con voce ingenua.
-Si, piccolo. Per proteggere le persone non serve solo la forza e non basta mai quella, ci sono tantissimi altri fattori. In un modo o nell’altro saprai sempre come fare.
-Tipo?
La donna sorrise –Capirai. Quando sarai più grande ti sarà tutto più chiaro.
Infine rimase con lui tutta la sera, lo aiutò a finire i bagagli e lo mise a letto.
Quello fu l’ultimo giorno della vecchia vita di Frank.

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Capitolo 16
*** Hangover ***


15.Hangover


Quella mattina non fu di certo una delle migliori.
Percy, che era il bagnino, stava per annegare dopo essersi addormentato sul posto di lavoro.
Hazel ruppe 7 bicchieri di vetro nei quali si metteva il gelato.
Annabeth non si presentò alle lezioni di acquagym.
Leo stampò le foto che le persone gli chiedevano sbagliate, certo, quelle foto che Nico era riuscito a fare prima di addormentarsi sotto un albero al fresco.
Calypso passò più tempo a correre in bagno che al suo posto di lavoro.
Will, con un tremendo mal di testa, si addormentò mentre teneva i bambini e questi lo assaltarono. Letteralmente.
Durante la pausa pranzo Era gli impedì di mangiare e li riunì tutti in una delle tante sale, una di quelle con il tavolo rotondo.
-Ma che problemi avete!?- Urlò la donna sbattendo le mani sul tavolo un secondo dopo essere entrata nella stanza come una furia.
Leo scattò quasi in piedi, si era praticamente addormentato sopra le sue braccia incrociate poggiate sul banco.
Annabeth fece una smorfia e commentò –Potrebbe fare più piano? Mi sta scoppiando la testa.
Era la fulminò con lo sguardo e fu sul punto di esplodere nuovamente, ma riuscì a ritrovare la calma.
-Vi devo forse trattare come bambini e mettere il coprifuoco? Ci vuole così tanto a capire che la notte si dorme!?
-Non succederà più- rispose Jason a nome di tutti, l’unico che sembrava vagamente lucido. Lui e Frank, che annuì convinto.
La donna sospirò e si sedette su una sedia, si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi –Voi forse non avete capito quanto è grave questa situazione. Capisco la tensione e tutto… Ma così non ci aiutate.
I ragazzi non risposero, ma Calypso si alzò di scattò e corse via con una mano sulla bocca.
Era sospirò ancora di più –E adesso quella che ha?
Nico si riscosse e smise di fare tutto quello che stava facendo, ovvero dei ghirigori astratti sul braccio scoperto e macchiato di colore di Will. Non si era proprio accorto di quello che stava facendo fino a quando non collegò nuovamente il cervello.
Si staccò da lui e allontanò anche la sedia, poi cercò una scusa plausibile per nascondere le nausee di Calypso, ma Hazel lo batté sul posto.
-Ieri abbiamo mangiato qualcosa che non le ha fatto bene, anche io mi sono sentita un po’ male questa notte. Con il suo permesso vado a vedere come sta.
Era gli annuì impercettibilmente ed Hazel le corse dietro.
Nico la fissò finché non scomparve oltre la porta. Cosa sapeva Hazel? Perché aveva mentito per proteggerla?
Nel frattempo Will aveva afferrato un foglio e una matita e aveva iniziato a scribacchiare qualcosa, mentre Leo era tornato a dormire.
-Siete esonerati dal vostro lavoro per il resto della giornata, visto che finireste per fare solo danno. Ma che non si ripeta mai più.
Andò via senza aspettare una risposta, ma ormai tutti loro erano abituati a questo comportamento.
Il primo a seguire subito il suo esempio fu Nico, si alzò di scatto e quasi corse via. Ma nessuno ci fece più tanto caso, erano abituati anche al suo comportamento.
-Io ho fame- annunciò a quel punto Piper.
-Si, anche io- si unì Frank e Jason annuì seguendoli.
Percy invece non staccava gli occhi da Annabeth, voleva parlarle, ma non avrebbe saputo da dove iniziare, inoltre quel giorno sembrava meno disposta a rivolgergli anche solo uno sguardo più degli altri.
Vide Will chiamare il suo nome e correre da lei, che si era alzata per avviarsi fuori.
Il ragazzo stringeva convulsamente tra le mani un foglio di carte e lo sentì chiedere alla sua, ormai non più, ragazza se poteva dargli una mano.
Non sentì il resto della conversazione però perché uscirono definitivamente dalla stanza.
Percy sospirò e si accasciò contro il tavolo, sbattendo la fronte non proprio volontariamente su di esso.
Leo si alzò di scatto e quasi urlò –Giuro che non stavo dormendo!
 
Hazel arrivò al bagno delle ragazze, provò ad aprire la porta ma era stata chiusa a chiave.
Bussò –Calypso, apri- le disse pacata.
Dall’altro lato non arrivò nessuna risposta.
La ragazza non si perse d’animo e continuò a bussare –Lo so che sei li dentro, aprimi Calypso!
La ragazza continuò a non proferire parola.
Hazel era indecisa se urlarle il fatto che l’avesse vista la sera prima, questo di sicuro l’avrebbe fatta uscire, ma non pensava fosse il caso di urlarlo in mezzo al corridoio, quando non era neanche sicura che Calypso fosse li dentro, da sola.
Mentre rifletteva sul da farsi e lentamente continuava a bussare, fu interrotta dall’arrivo di qualcun altro.
-Hazel- la chiamò Nico con voce ferma –Che stai facendo?
Hazel si girò con un sussulto, quasi come se fosse stata colta sul fatto, ma poi si disse che non stava facendo nulla di male, non era di certo lei quella che stava nascondendo qualcosa a tutti loro.
-Calypso non mi risponde- disse semplicemente.
-Magari vuole rimanere sola- fece notare il ragazzo.
Hazel strinse gli occhi e lo scrutò a fondo.
-Cosa sta succedendo, Nico?
Il ragazzo sostenne il suo sguardo –Cosa dovrebbe succedere?
-Potrò anche non capire quando menti- rispose senza esitazione la ragazza –Ma riesco ancora a capire benissimo gli altri. Soprattutto Calypso. Cosa avete fatto ieri mattina? Perché ha mentito per lasciare Leo? Cosa centri tu in tutto questo?
Nico fece un sorriso amaro –Fidati, non so nemmeno io come ci sia entrato in questa storia, ho già abbastanza problemi di mio- quella non era neanche una bugia.
-Nico- la voce di Hazel era serissima –Che cosa sai?
Nico sbarrò leggermente gli occhi a quella domanda.
Poteva avere milioni di significati, ma Nico ne era certo. Se Hazel gliela stava porgendo, voleva solo dire che anche lei sapeva. Bisognava solo capire quanto sapeva.
Fu a quel punto che la porta del bagno si aprì, uscì Calypso, lo sguardo furente rivolto a entrambi.
-Dovete lasciarmi in pace!
Hazel sbattè più volte le palpebre, non si aspettava una reazione del genere. Nico alzò semplicemente un sopracciglio scettico, poi capì che stava facendo tutto quello per Hazel.
-Volevo solo…- Iniziò quest’ultima, ma la ragazza dalla lunga treccia non la lasciò concludere.
-No! Non mi interessa nulla, lasciatemi in pace!
-Ti devo parlare!- Le urlò dietro Hazel, prima che Calypso fosse ormai troppo lontana per sentirla.
-E io non voglio ascoltarti!- Le urlò in risposta l’altra ragazza, fermandosi e girandosi per fronteggiarla –Non avete già abbastanza problemi vostri? Avete per forza bisogno di farvi anche i miei? Che ve ne frega se ho lasciato Leo!? Nico ha lasciato Will. Annabeth e Percy si sono lasciati. Ma nessuno gli ha fatto tutte queste domande che state facendo a me!- Si bloccò e cercò di riprendere fiato.
Infine, con voce più calma, disse un’ultima volta –Lasciatemi in pace- e andò via.
Hazel era furente, perché dovevano trattarla in quel modo? Lei voleva solo aiutare i suoi amici e loro le urlavano contro. Era ingiusto.
Riportò lo sguardo su Nico, ma questo distolse in fretta il suo.
-Vaffanculo- gli sussurrò con un tono quasi sprezzante, un tono che lui non aveva mai sentito nella sua voce, poi andò via anche lei.
Camminò velocemente, aveva una meta ben precisa.
Non appena arrivò alla mensa, non fu difficile individuare il suo ragazzo. Ormai era quasi finita la pausa pranzo e il locale era praticamente vuoto.
Frank era seduto al tavolo insieme a Jason e Piper, era a metà del suo pasto e stava ridendo insieme a loro.
Non appena la vide gli occhi gli si illuminarono.
-Amore, vieni assaggia, oggi hanno cucinato qualcosa di davvero decente!
Hazel scosse la testa –Non ho fame, voglio solo te, andiamo.
Lo afferrò per una mano e fece pressione per farlo alzare.
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, non poteva aver davvero inteso quello, non davanti ai loro amici. Sentì anche che a Jason cadeva la forchetta dalle mani.
-Cosa…?- Quasi balbettò.
Hazel divenne rossa, ma non demorse.
-Sai cosa? Mi sono rotta a essere sempre così gentile. Sono miei amici, li volevo solo aiutare per fargli del bene, mi sono fatta mille problemi per loro e finisce che mi ripagano urlandomi contro. Ora basta. L’unico che mi apprezza sul serio sei tu e io ti ho trascurato per loro, mi dispiace un sacco. Ma ora mi farò perdonare, andiamo!
E ci mise così tanta enfasi nel farlo alzare dalla sedia che il ragazzo si fece trascinare senza problemi, ancora non del tutto certo di quello che stesse succedendo, mentre il suo cervello finiva di elaborare quelle poche informazioni.
Jason e Piper rimasero soli, in silenzio guardarono il punto in cui i loro due amici erano spariti.
Dopo diversi secondi, fu Jason a rompere quel silenzio.
Si accasciò contro lo schienale della sedia e sospirò –L’immagine che il mio cervello attribuiva al nome di Hazel è stata completamente sconvolta.
-Si, anche la mia- fu totalmente d’accordo la sua ragazza.
_________________________________________
Ehylà, come ve la passate? Come mai siete spariti tutti in questo periodo?
Prima di commentare il capitolo vorrei dire alcune cose sul titolo, "Hangover" è un termine inglese che non ha una vera traduzione in italiano, ma sta a indicare il giorno dopo una serata dove si è fatto casino e si è bevuto tanto alcool (insomma, tipo feste e cose del genere) quindi mi sembrava un buon modo per descrivere questa giornata, visto che tutti sono distrutti da quello che è successo la sera prima.
In generale poi non succede gran chè, ne sono perfettamente consapevole, ma questi capitoli ditransizione servono, anche per far vedere come tutti loro cambiano, e pian piano questa situazione li stia totalmente distruggendo.
Parliamo della figura di Hazel, non so se l'ho fatta troppo ooc, ma vi spiego i miei motivi.
Ricordiamo che questa è una AU, quindi i personaggi devono leggermente cambiate per essere introdotti in questo nuovo universo. Hazel ha sempre avuto dei rapporti strani con le persone, perchè capendo chi mente o meno fatica a fidarsi di loro, no? Poi aveva trovato questa nuova famiglia, si era davvero legata. E per finire tutti la trattano malissimo nonostante lei cerchi di fare del bene. Anche se Calypso ha tutte le ragioni di voler tenere il suo segreto per se. Quindi si, secondo me ci sta tutto il comportamento di Hazel in questo capitolo. Pareri?
Oh e per la scena finale con Frank, bè ripeto, sono sempre più grandi rispetto ai libri di Rick e alla fine erano loro quelli a rotolarsi tra le coperte a Parigi, quindi perchè no? Ahahah anche se per questo Jason rimarrà sconvolto a vita.
Alla prossima!
Deh

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Capitolo 17
*** Parti di verità ***


16.Parti di verità


-Will!- Urlò la ragazza sbracciandosi per farsi sentire dall’amico.
Il biondo si girò e vide la ragazza dall’altro lato della piscina.
Aveva appena fatto la prima parte dei balli di gruppo della mattina, si stava prendendo una piccola pausa di cinque minuti prima di iniziare la seconda parte.
Will fece capire all’amica che l’aveva sentita e che l’avrebbe subito raggiunta, poi si girò verso i bambini che stava tenendo e si chiese con che scusa portarseli dietro.
Li scrutò meglio e quando si accorse che erano per lo più bambine, una lampadina si accese nella sua mente –Chi è che a voglia di andare a ballare qualche ballo di gruppo??- Annunciò felice.
Tutte le bambine esultarono e saltellarono felici, esattamente come sperava il biondo.
I due bambini invece si lamentarono e misero il broncio, così Will dovette promettergli che dopo gli avrebbe fatto fare due giri negli scivoli per adulti che potevano fare, appunto, solo accompagnati dagli adulti.
Il broncio del primo sparì subito e acconsentì felice a quel compromesso. L’altro bambino era Harley e ce l’aveva ancora con lui, quindi rimase con il broncio, ma Will vide i suoi occhi luccicare eccitato all’idea, anche se era certo che non gliel’avrebbe mai detto esplicitamente, aveva pur sempre il suo orgoglio da bambino.
Tutti insieme quindi si diressero verso Annabeth, che aveva appena finito di bere dalla sua bottiglietta di plastica e la stava riposando a terra.
-Tutti qui per ballare?- chiese la bionda divertita vedendo tutti quei bambini che gli andavano dietro sorridendo.
-Facciamo le canzoni belle, vero?- Chiese una bambina dai ricci neri che continuavano a saltellare mentre lei non stava ferma neanche un momento.
-Certo!- Rispose la ragazza con un sorriso mentre le arruffava i capelli già arruffati di suo, poi si rimise dritta e alzò lo sguardo per puntarlo in quello dell’amico, poco più alto di lei.
-Ho una cosa per te- annunciò infilando una mano dentro la tasca strettissima dei suoi shorts arancioni.
Ne uscì un foglio A4 che era stato piegato più volte.
Will si rese conto che era lo stesso foglio che gli aveva dato il ragazzo tre giorni prima, quando in fretta aveva scarabocchiato sopra le lettere che Nico, apparentemente senza nessuna logica e senza rendersene davvero conto, gli continuava a scrivere nel braccio con il polpastrello, alla riunione che aveva indetto Era per rimproverarli del loro comportamento.
Adesso il foglio era tutto scarabocchiato, piena di parole tagliate, cancellate o con una X sopra.
In basso però stavano le cinque lettere messe finalmente in ordine, scritte in maiuscolo e cerchiate: T-I-A-M-O.
Will corrugò la fronte e provò a leggere ad alta voce, ma gli sembrava che non avesse un senso.
Annabeth rise divertita e spiegò –Sono due parole italiane, le hai lette con un accento tutto sbagliato- rise di nuovo, poi gliele lesse con la pronuncia esatta.
A Will si accese un piccolo ricordo –Aspetta- disse infatti –Nico me l’ha detto più di una volta, perché ora che lo pronunci così mi è anche più che familiare.
La bionda sorrise soddisfatta e si portò le mani sui fianchi –E sai che significa, vero?
Will si imbarazzò –In realtà no, non mi ha mai voluto dire cosa volesse dire, nonostante gliel’abbia chiesto più volte. Ma sai com’è quando si impunta su qualcosa, no?
Annabeth sospirò, poi si guardò intorno e fece cenno alla bambina di prima, quella con i riccioli e che non stava un attimo ferma, di avvicinarsi.
-Ti va di insegnare insieme a me qualcosa a questo stupido ragazzo? Mi sembri una bambina molto intelligente!
Lei annuì felicissima, facendo volare i suoi ricci da tutte le parti.
-Diglielo tu a Will, quando ti piace una persona, cosa gli si va a dire?
La bambina assunse un’aria da saggia che fece ridere entrambi i ragazzi –Ma è ovvio- rispose con la sua vocina –Gli dici che la ami.
Annabeth sorrise divertita vedendo la faccia del suo amico che pian piano capiva il tutto. Lasciò libera la bambina e tornò in piedi di fronte a lui.
-Ti amo- gli disse nella loro lingua –è questo che continuava a scriverti nel braccio.
Will le saltò letteralmente addosso, l’abbracciò così forte e con così tanta enfasi che la fece alzare da terra e le fece fare anche qualche giro.
-Grazie, grazie, grazie!- Continuava a ripetere –Sei la migliore amica che potessi desiderare.
Annabeth rise, gli diede un bacio in guancia e infine gli diede una piccola spinta verso la piscina.
-Ora fammi lavorare, va li dentro e muoviti, voglio vederti ballare.
Will strabuzzò gli occhi terrorizzato –Io non ballo…
 
Jason stava ancora ridendo per la scena alla quale aveva assistito.
Aveva finito il suo turno e, visto che Percy lavorava nella piscina sotto la quale lui gestiva gli scivoli, decise di passare prima da lui in modo che andassero insieme al ristorante per la pausa pranzo.
Trovò però Percy che stava cercando di non annegare in 40 cm d’acqua sotto il penso di una vecchietta sovrappeso.
Jason cercò di trattenersi dal ridere, ma gli fu impossibile quando li vide scivolare per l’ennesima volta e, dopo che Percy ebbe “portato in salvo” la signora, questa lo ringraziò lamentandosi dell’inefficienza dei ragazzi di oggi.
Il biondo aveva ormai le lacrime e quasi non riusciva neanche a stare in piedi.
Percy gli si avvicinò furente e puntandogli un dito contro sibilò –Non una parola con nessuno.
Jason non aveva neanche la forza di rispondere per quanto fiato gli mancasse, si limitò a scuotere la testa.
Jason riuscì a calmarsi e a ritrovare la sua serietà in tempo, stavano per scostare la tendina ed entrare nel ristorante, quando qualcuno li precedette uscendo.
Era Luke, che non appena si accorse di Percy decise di non deviare la traiettoria che aveva preso e di dargli una spallata, con l’aggiunta del commento “Guarda dove vai!”
Per Percy quello fu troppo, chiuse i pugni e si girò a fronteggiarlo.
-Si può sapere cosa hai contro di me?
-Non fare finta di non saperlo, Jackson- sibilò in risposta il biondo.
Jason si mise in mezzo, non voleva che la situazione finisse male.
-Giuro che non ho idea di cosa tu stia parlando, non mi ricordo neanche di averti mai visto prima di essere portato qui!
Negli occhi di Luke passò un lampo di rabbia, Jason lo vide alzare il pugno pronto a colpire, così si mise del tutto tra i due e alzò le braccia, una verso Luke e l’altra verso Percy.
-Andiamo ragazzi- disse poi –Non mi sembra il caso di iniziare una discussione, già Era non è molto felice di noi, inoltre tu dovresti controllarci, non prenderci a pugni.
L’ultima frase era ovviamente rivolta a Luke, la frecciatina funzionò, infatti il biondo abbassò il pugno, ma il suo sguardo pieno d’odio rimase li.
Solo a quel punto si rivolse a Jason –Proteggilo quanto vuoi il tuo amico, tanto lui pensa solo a se stesso, non gliene importa nulla degli altri a meno che non gli servano. Svegliati biondino, ti sta solo usando, come ha sempre fatto con tutti e quando non gli sarai più utile, non si ricorderà neanche di te, come se non fossi mai esistito.
I due ragazzi restarono letteralmente senza parole, come rispondere a un’accusa del genere?
Non che Luke si aspettasse una risposta, dopo un ultimo “riflettici bene” sempre rivolto a Jason tornò per la sua strada a passi veloci, senza neanche degnare di uno sguardo Percy.
Quando fu abbastanza lontano Jason si girò per fissare il moro –A cosa si stava riferendo?
Percy aveva ancora lo sguardo puntato verso la figura che si allontanava, ma non sembrava vederlo davvero, più che altro stava inseguendo un ricordo lontano.
-Percy?- Cercò di riportarlo alla realtà uno Jason abbastanza preoccupato.
-Devo chiamare Grover- rispose semplicemente il ragazzo, tastandosi i pantaloni per cercare il cellulare e allontanandosi dall’amico.
Jason alzò le spalle e quando il suo stomaco iniziò a brontolare si ricordò di avere delle priorità, entrò finalmente dentro il ristorante alla ricerca di un po’ di cibo soddisfacente, un posto fresco e all’ombra e della sua ragazza.
 
Frank arrivò dalla sua ragazza quando questa ormai aveva quasi finito il pranzo.
-Ehy- disse lei subito dopo aver ingoiato –Che fine avevi fatto? Sono quasi le tre.
-Sono stato trattenuto- rispose rimanendo in piedi di fronte il tavolo della ragazza –Era vuole parlarti.
-Con me?- La ragazza strabuzzò gli occhi.
-Si, anche io ho dovuto chiedere conferma più volte, penso che sia anche abbastanza importante, dovresti andare.
La ragazza annuì, si asciugò la bocca con il tovagliolo e si alzò –Allora ci vediamo dopo, se sempre ritorno sana e salva.
Frank abbozzò un sorriso –Ho fiducia in te- le lasciò un bacio a stampo, poi si diresse verso il bancone per prendersi da mangiare, Hazel invece affretto il passo e si diresse fuori.
Dovette chiedere più volte informazioni su dove si trovasse Era  e ogni volta cambiavano, quella donna non stava mai ferma, faceva un milione di cose in un giorno correndo da una stanza all’altra.
-Eccomi! Mi cercava?- Urlò la ragazza dopo circa 20 minuti quando finalmente la trovò che girava in uno dei corridoi segreti sotto la struttura, con passo veloce trasportava una manciata di foglio che teneva in grembo.
-Ah, eccola qui signorina Levesque!- La donna le lanciò un semplice sguardo ma non si fermò né rallentò il passo, anche se aveva benissimo notato che per starle dietro Hazel doveva praticamente correre.
-Deve svolgere un lavoro per me- riprese la donna –Ovviamente è un lavoro segreto, non deve dire nulla a nessuno dei suoi compagni.
Hazel era abbastanza riluttante, ma che altro poteva fare se non annuire? Era il suo capo, non poteva dirle di no.
-Voglio che mi tenga sott’occhio la signorina Calypso, ha qualcosa di strano in questo periodo, dobbiamo capire cosa prima che succeda qualcosa di irreparabile per la missione. Se n’è accorta anche Thalia Grace, ma non ha saputo darmi risposte certe. Confido in lei per la sua capacità nel captare le bugie e anche perché dovreste essere molto più legate, no?
Hazel rimase paralizzata, come spiegare che lei già sapeva cosa stava succedendo alla sua amica?
-Io…- La voce le uscì roca, ma capì che non poteva farsi vedere in queste condizioni, quindi riprese il suo contegno e dopo un colpo di tosse riprese a parlare –Farò tutto il possibile signora.
La donna annuì –Sapevo di potermi fidare di te, tienimi aggiornata su tutto. E ricorda di non parlarne con nessuno.
______________________
Ed eccomi di nuovo qui.
Allora, ho deciso di chiamare questo capitolo "parti di verità" anche se alla fine lascia più confusi di prima? ahha
Nico ama Will. E diciamo che questo era scontato per tutti (quanti di voi scrivono con il polpastrello quando sono pensierosi? Io sempre...) ma quindi, perchè non vuole tornare con lui? Teorie?
Abbiamo capito che il problema di Luke verso Percy è una cosa che risale al loro passato e non è una cosa nuova. Teorie anche su questo?
Ed Hazel? Che farà? Proteggerà la sua amica rispettando di mantenere il suo segreto o dirà tutto ad Era perché è la cosa giusta da fare?
Alla prossima! ;)
Deh

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Capitolo 18
*** Passato - Percy ***


17.Passato - Percy


Il giorno che la sua vita cambiò successero due cose che Percy non dimenticò mai.
Due cose contraddittorie, ma che erano l’una così intrecciata all’altra che non sarebbe mai stato lo stesso se fossero successe in due momenti diversi.
La prima fu che, dopo un metro fatto dentro il campo, quella che sarebbe stata la sua nuova casa, Percy si ritrovò sdraiato a terra con la faccia dentro il fango.
La seconda cosa fu che, sempre in quel momento, trovò quello che sarebbe diventato il suo migliore amico: Grover.
Grover era un ragazzino vivace e sveglio, un po’ come tutti li dentro, stava correndo senza guardare avanti quando per sbaglio aveva travolto letteralmente il nuovo arrivato. Solo che lui era riuscito a rimanere in equilibrio, dato l’allenamento che svolgeva ogni giorno. Percy no.
Ma, nonostante quasi tutto il campo lo derise per settimane per questo episodio, a Percy non dispiaceva, perché era certo che se le cose non fossero andate così lui e Grover non avrebbero mai legato così tanto.
Era felice di avere un amico, aveva passato l’infanzia da solo, suo padre non c’era quasi mai, sua madre lavorava, però era più presente del padre. Ma si sa che un bambino ha bisogno di giocare con altri suoi coetanei, cosa che Percy non aveva mai fatto.
All’interno di quel campo Percy non ebbe mai una vita “normale”, li facevano svegliare prestissimo e li facevano allenare sia fisicamente che mentalmente per tutta la giornata.
Ma l’amicizia con Grover gli faceva sembrare tutto migliore, perché aveva qualcuno con cui condividere gli sforzi e il sudore.
Vi erano diversi “livelli” da superare, se così li si possono chiamare, chi arrivava tra i primi 10 passava al tipo di allenamento successivo, sempre più complesso e faticoso.
 
-Mancano 20 secondi- urlò l’istruttore, un uomo vecchio grasso e calvo che non poteva più operare direttamente nel campo ed era finito a insegnare a dei ragazzi.
Quel giorno stavano facendo un test, uno dei tanti.
Era una di quelle prove che li avrebbero fatti passare al livello successivo.
Erano 25 ragazzini, l’età variava dai 7 ai 13 anni, ognuno era stato posizionato davanti un diverso bersaglio, tutti posti a 25 metri di distanza.
Gli avevano poi dato delle pistole cariche a colori, in un minuto e mezzo dovevano centrare più colpi possibili.
Percy era il primo della classe, tutti sapevano che sarebbe arrivato primo, nessuno riusciva mai a batterlo negli allenamenti di questo tipo.
Infatti, quando l’istruttore urlò quell’avvertimento il ragazzo si permise di distrarsi e guardarsi intorno.
Esattamente come immaginava aveva fatto più punti rispetto tutti gli altri, e li distanziava anche di parecchio.
Velocemente quindi, cercò con lo sguardo il bersaglio del suo amico e fece un rapido calcolo mentale.
Aveva bisogno che Grover passasse quel livello, non voleva essere diviso dal suo amico, perché nonostante fossero ormai passati parecchi mesi, l’unica persona con cui aveva davvero stretto un legame era appunto Grover.
E ne aveva assolutamente bisogno.
Percy non ci mise molto a capire che il suo amico non sarebbe arrivato tra i primi 10, senza rifletterci due volte alzò nuovamente la pistola, prese per bene la mira cambiando direzione, si assicurò che nessuno dei loro supervisori stesse guardando dalla sua parte e iniziò a sparare al bersaglio del suo amico.
Grover si bloccò con una faccia confusa, ma subito localizzò con lo sguardo il suo amico e capì cosa stesse facendo.
Oltre loro due, solo un’altra persona si accorse di tutto questo.
Era un ragazzino biondo, più grande di Percy, forse della stessa età di Grover, e urlò un infuriato “Non vale” che si perse nel suono della sirena che segnava la fine della prova.
Grover a quel punto si preoccupò per Percy, aveva paura che lo incolpassero per averlo aiutato.
Ma nessuno diede conto al ragazzino biondo, non gli credettero, pensando che la storia che raccontava fosse solo un’invenzione per passare di livello.
Il ragazzo infatti era arrivato 11esimo, Percy aveva fatto in modo che Grover gli rubasse il posto. E nonostante il more non si accorse di tutto ciò, il ragazzino biondo non si scordò mai di lui.
Fu la prima volta, ma non l’ultima.
Da quel momento in poi i due ragazzi iniziarono ad aiutarsi sempre a vicenda, Grover aiutava soprattutto Percy nei test di logica e intelligenza.
Perché andando avanti il tutto diventava sempre più duro e faticoso e sapevano che ce l’avrebbero fatta solo insieme.
Perché quando hai un’amicizia di questo tipo, nulla può distruggerla, neanche la distanza.
 
Quel pomeriggio lo avevano libero.
I due amici, che ormai si conoscevano da anni, erano saliti su un tetto di una delle strutture, il sole stava scendendo oltre l’orizzonte.
-Non pensi mai che questa scelta non sia, come dire, quella giusta?
Chiese a un certo punto Percy, stava pensando alla prima vera missione che il suo amico avrebbe avuto il giorno dopo e quindi, di conseguenza, pensava a quello che avrebbe provato quando avrebbe svolto la sua prima missione, alla paura mista all’eccitazione che già sentiva fin dentro le ossa.
-Sempre- rispose Grover dopo un po’ –Ma allo stesso tempo penso che non sarei mai stato quello che sono diventato.
-In che senso?- Domandò il moro confuso.
Grover sbuffò, ma allo stesso tempo sorrise.
-Dico che è difficile questo stile di vita, non molte persone avrebbero retto, so che non è la via più facile e lo sai benissimo anche tu. Ci sono quei momenti in cui penso di abbandonare tutto e fuggire via, come penso succeda a tutti… Ma non lo faccio mai, nessuno lo fa mai.
Si prese una piccola pausa, poi riprese, parlando più piano.
-Alla fine, non avremo mai detto di si, se non eravamo certi al 100%, giusto? Sono felice di questo, di fare questo. Di essere davvero utile, a tutti, aiutare le persone grazie alle mie capacità.
-Si…- Percy ci rifletté su –Ma…
-Ma?- lo spronò l’amico quando il ragazzo dagli occhi verdi non continuò.
-Ma non ti senti mai in trappola?
-Dipende cosa vuoi intendere con questa espressione.
-In trappola, del tipo che non puoi davvero scegliere chi aiutare, ma ti viene imposto da altri, dai tuoi superiori, se ci pensi bene… Tu non scegli veramente cosa fare, sei solo una loro arma.
Grover rise –Ma perché? Noi seguiamo tutte le regole?
Percy sorrise a sua volta –Hai ragione.
Grover tornò a fissare il cielo, poi si fece serio –Non cambiare mai, Percy. Il mondo ha bisogno di persone come te.
-Come me?
-Leali, delle quali ci si può fidare. E che sono pronte a tutte per i propri amici.
Quella fu una delle conversazioni che Percy si portò dentro per sempre e fece sempre di tutto per non deludere mai Grover.
Perché ci sono quelle amicizie che durano per sempre, che ti salvano e che ti cambiano la vita.
_______________________________________________
Ciaooo
Forse già vi aspettavate il capitolo del passato di Percy dato com'è finito lo scorso capitolo?
Vorrei parlare un pò di Luke, può sembrare stupido che lui porta rancore per una cosa del genere dopo anni, no? Ma era solo un bambino, un bambino che aveva delle capacità a cui è stato fatto un torto.
Non dico che quello che ha fatto Percy sia sbagliato nei confronti di Grover, insomma, chi di noi non ha mai fatto copiare a un compito in classe o ha suggerito a qualche interrogazione? E' la stessa identica cosa.
Ma Luke comunque non aveva amici, come nessuno nella CIA lega davvero con qualcuno,ne parlano anche in Mission di questo quando sono intorno al fuoco (Percy è un caso davvero speciale) quindi quel campo era tutto quello che Luke aveva e Percy non gli ha permesse di passare al livello successivo, è stato bocciato ed ha dovuto aspettare alcuni mesi per rifare la prova.
E' per questo che Percy non si ricorda di lui, non l'aveva mai preso di mira e non l'ha fatto per fare un torto a lui, voleva solo aiutare il suo amico.
Voi che ne pensate?
Oh e il discorso finale, quello di aiutare gli altri ma essere costretti ad aiutare solo chi gli viene comandato... non scordatelo, servirà molto in futuro.
Alla prossima!
Deh

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Capitolo 19
*** Fraintendimenti e sviluppi ***


18.Fraintendimenti e sviluppi


Nico stava sorseggiando una bevanda ghiacciata ascoltando Leo che si lamentava con Jason.
Voleva bene a Leo, avrebbe voluto consolarlo, ma non disse neanche una parola, perché aveva fatto una promessa a Calypso e lui manteneva le sue promesse.
Inoltre era quasi certo che Leo iniziasse a urlargli contro, sapeva che ce l’aveva ancora con lui e che lo credeva responsabile della sua rottura con Calypso.
Fu a quel punto che entrò Percy.
Il ragazzo era visibilmente scosso, gli occhi sbarrati e camminava come un automa.
-Ehm… Percy? Che ti è successo? Sembra che tu abbia visto un fantasma.
Commentò Jason cautamente.
-Peggio- rispose mentre un brivido lo scuoteva.
Leo e Jason si lanciarono uno sguardo alquanto preoccupato, poi cercarono di capire cosa avesse visto il ragazzo di così strano.
-Will … Perché non si chiude a chiave? Okay che io non ho neanche bussato ma … Dio! Penso di aver compreso per bene come fanno sesso due ragazzi.
La bevanda che Nico aveva in bocca finì, dopo uno sputo non proprio volontario, in faccia a Jason.
Il biondo gli imprecò contro, ma lui non sembrò neanche sentirlo.
Si era di scatto alzato e aveva sbattuto il bicchiere sul tavolo, i suoi occhi fiammeggiavano.
-Spero tu stia scherzando.
Solo a quel punto Percy si riscosse rendendosi davvero conto di aver detto una cosa che non avrebbe mai dovuto dire davanti a lui.
Sbiancò di colpo non sapendo come rispondere.
-Peeeeercy!- L’urlo di Will che lo chiamava gli permise di non rispondere, ma non era del tutto certo che sarebbe uscito illeso da quella discussione.
Will entrò nella stanza di corsa, una mano era poggiata sulla maniglia, l’altra la stava utilizzando per finire di alzarsi i pantaloncini che, ormai era chiaro a tutti, si era appena messo. Era a petto nudo e senza scarpe.
Individuò Percy e gli lanciò uno sguardo alla Nico Di Angelo, poi si rese conto delle altre persone che stavano dentro la stanza.
-Merda- sussurrò, per poi entrare del tutto nella stanza e rivolgersi a quello che era il suo ex compagno di stanza –Non ho idea di quello che tu gli abbia detto, ma non è come sembra.
Leo sbuffò –Sbaglio o dicono sempre così nei film?
Jason gli diede una sberla sulla nuca, mentre con l’altra mano cercava ancora di asciugarsi dallo sputo di Nico.
Quest’ultimo commentò in un sibilo –Non mi dire, sei per caso inciampato e caduto dentro le mutande di Paolo? Perché è di lui che si sta parlando, vero?
Will lo fissò sbattendo più volte le palpebre –Cosa… Non… Avete frainteso tutto!- Sbottò infine.
Nico neanche sembrò sentirlo –Che poi a me neanche dovrebbe interessare!- Quasi urlò prendendosela più con se stesso che con chi gli stava intorno –Anzi, non mi interessa proprio! Scopati chi vuoi Will, problemi tuoi. Spero almeno che tu stia utilizzando le precauzioni.
Detto questo scappò letteralmente  via, così veloce che quasi sparì nelle ombre, come solo lui sapeva fare.
-Nico!- Gli urlò dietro Will, ma era ormai troppo lontano per sentirlo.
Il biondo si accasciò sulla sedia dove poco prima stava seduto il più piccolo, lasciò andare la testa contro il legno del tavolo e in un lamento disse –Ti odio Percy…
-Allora…- Disse dopo qualche secondo di silenzio Jason –Si può sapere cosa è successo e cosa ha visto quel deficiente li?- con il pollice indicò Percy alle sue spalle.
Il moro neanche si lamentò per l’appellativo che l’amico gli aveva dato.
Will si passò una mano sul viso, sospirò e iniziò a parlare.
-Okay, ero in camera con Paolo. Gli avevo detto che gli dovevo parlare perché mi serviva per una cosa. Comunque, non ha proprio scelto il momento opportuno e quando sono uscito dal bagno con solo un asciugamano in vita me lo sono ritrovato li davanti.
-E li è scattata la scintilla e vi siete saltati addosso- finì per lui Leo.
Jason gli diede una nuova sberla, poi fece segno a Will di continuare.
-Sapete tutti che quel ragazzo è strano, anzi penso che sia anche un po’ pazzo. Per questo ho chiesto il suo aiuto per… Si insomma, quella è un’altra storia. Comunque, non voleva andarsene e aspettare che mi vestissi, diceva che non si vergognava... Bè, mi vergognavo io a dir la verità. Allora ho preferito rimanere in asciugamano e spiegargli velocemente perché mi serviva. Era non sarà molto felice di questo, quindi avevo bisogno che stesse totalmente dalla mia parte, allora gli ho detto che mi fidavo di lui, lo credevo l’unico in grado per questo compito e cose simili…
-E lui ti è saltato addosso…- Leo non riuscì a finire la frase, troppo impegnato ad evitare la nuova sberla di Jason.
Will sospirò –Bè si- rispose semplicemente, sorprendendo gli altri.
-Aspetta cosa?
-Davvero?
Will si premurò di specificare –Non in quel senso. Mi ha abbracciato. Ma lo ha fatto con così tanto slancio che siamo caduti sul letto e il mio asciugamano è volato da qualche parte. E’ stato a quel punto che lui è entrato.
-Io…- Provò a difendersi Percy –Dai! Devi ammettere che la situazione si poteva fraintendere benissimo!
-Cosa si poteva fraintendere?- Domandò a quel punto Piper, entrando dalla porta in quel momento e intromettendosi curiosa nella conversazione.
-Oh, Will sta insegnando a Percy come due ragazzi fanno sesso- rispose Leo.
-Sembra interessante! Posso ascoltare anche io?
Jason la fissò alzando un sopracciglio in una muta richiesta di spiegazioni, al quale nessuno rispose.
Nessuno rispose neanche a Piper, forse Will e Percy non l’avevano neanche vista o sentita entrare. Il biondo stava rispondendo calmo alla precedente domanda del suo amico.
-Percy… Io non ho idea di che idea tu ti sia fatto sul sesso fra due ragazzi, ma per farlo bisogna comunque essere nudi. Lui aveva i pantaloni. Non ti può essere sfuggito un particolare del genere.
Piper si chinò verso Leo, continuando a tenere d’occhio i due ragazzi di fronte a loro, gli sussurrò –Will e Nico sono tornati insieme?
Leo si limitò a scuotere la testa, Piper fece un singulto –Will ha fatto sesso con qualcuno che non era Nico!?- E questa volta si dimenticò di tenere il tono basso.
-A quanto pare no, sembra che Paolo gli sia saltato addosso ma che poi Percy abbia interrotto …
-Oh mio Dio!- Esplose il biondo in questione intromettendosi finalmente in quella discussione e interrompendo tutti quanti –Io amo Nico, okay? Non l’ho tradito e non ho intenzione di tradirlo, chiaro? Non importa se al momento non stiamo più insieme.
Scese il silenzio per diversi secondi, poi Piper fece un saltello felice e batté le mani esclamando –Ah! Lo sapevo! Ho vinto la scommessa!- Si girò verso il suo ragazzo e gli puntò l’indice contro –Tua sorella mi deve parecchi soldi.
Poi corse via, sicuramente andando a riscattare il suo premio.
Jason si riprese dal suo shock dopo diversi secondi, fu il primo a parlare.
-Okay, sul serio. Io vado a cercarmi dei nuovi amici. Voi siete tutti pazzi.
 
Come Jason, qualche minuto dopo, si ritrovò mezzo svenuto a terra colpito da un mattone non lo seppe mai.
Il problema non fu tanto quello, ma bensì l’essere ritrovato da sua sorella che per caso passava di li.
-Che stai facendo li a terra? Non dovresti andare a lavorare?
Il ragazzo strizzò gli occhi e si massaggiò la fronte, sotto le dita sentì già che gli stava gonfiando un livido.
-Thalia cosa potrei mai fare qui a terra?
Solo a quel punto la ragazza analizzò appieno la situazione –Hai fatto amicizia con un mattone?- detto questo iniziò a ridere così forte che quasi si accasciò a terra.
Le faceva male la pancia e aveva le lacrime, in tutto questo neanche si premurò di chiedere se il fratello avesse bisogno di aiuto, se si fosse fatto male o volesse del ghiaccio. L’importante era ridere fino a farsi scoppiare i polmoni.
Jason non la sopportava più, alla fine sbuffò e barcollando si rimise in piedi –Ti serviva qualcosa, sorella?
La ragazza cercò di riprendere un po’ di contegno –In realta stavo cercando Era- rispose asciugandosi le lacrime –L’hai per caso vista?
Il biondo scosse la testa, idea pessima dato il dolore.
Thalia annuì –Se la vedi mandala da me- detto questo riprese velocemente la sua strada.
Jason la fissò confuso sbattendo le palpebre, poi le urlò dietro –No ma sta tranquilla, io sto benissimo eh!
Lei sorrise e, senza neanche fermarsi, gli mandò un bacio volante.
 
-Avete trovato la sua base?
La domanda fece quasi sussultare Thalia, la voce gelida di Era le metteva paura, inoltre la donna aveva posto il quesito prima ancora che entrasse del tutto nella stanza, quindi non l’aveva neanche avvertita della sua presenza.
-No, signora.- Rispose la ragazza continuando a lavorare al pc.
-Allora perché mi avete fatto chiamare?
-Abbiamo trovato altre notizie- sopraggiunse una nuova voce femminile.
Era Clarisse, la ragazza si stava avvicinando al loro tavolo per spiegare tutto al capo nei minimi dettagli, era seguita a ruota da Chris.
I due ragazzi avevano capito che insieme facevano una bella squadra e riuscivano a lavorare più che bene, quando non avevano intenzione di uccidersi a vicenda. Molti sospettavano che ci fosse anche altro tra di loro, ma nessuno aveva mai chiesto nulla, perché tutti tenevano alla propria vita.
Thalia aprì il file in questione e, dopo aver preso la pagina giusta, Clarisse iniziò a spiegare.
-Siamo più che certi che Eros abbia modificato il progetto di suo padre.
-Modificato in senso positivo o negativo?- Interruppe subito la donna.
-Quello dipende dal suo punto di vista- si intromise Chris.
Clarisse gli lanciò un’occhiataccia e subito riprese a parlare –Chris vuole dire che ha perfezionato e, ne siamo quasi certi, già testato la sua nuova arma. Quindi per noi è una cosa abbastanza negativa. Non sappiamo ancora che effetti ha, dal progetto di McLean che abbiamo rivisto e studiato più volte era semplicemente qualcosa di teorico. Non abbiamo idea di come lo possa aver modificato.
-Quindi siamo punto e a capo.
-In realtà abbiamo dell’altro- s’intromise Thalia –Sappiamo che sta usando questo scienziato- aprì un altro file nel pc e mostrò la foto dell’uomo –Dopo una lunga ricerca abbiamo scoperto che è specializzato in veleni. Armi virali.
Nella stanza scese il silenzio, la prima a interromperlo fu Era, la sua voce non era più salda e autoritaria come sempre, per un attimo vacillò.
-Sta progettando un’arma più distruttiva della bomba atomica.
-Se non c’è già riuscito- borbottò Chris pianissimo, ma nel silenzio tutti lo sentirono.
-No!- Thalia quasi urlò risoluta –Se ci fosse già riuscito noi saremmo già morti. E’ per questo che ci lascia qui dentro tranquilli, senza venire e concludere quello che ha promesso nel video. Non è ancora pronto. Dobbiamo trovarlo e ucciderlo prima che lo faccia lui.
-Quindi trovatelo, raddoppiate i turni, voglio la sua posizione. Subito.
Detto questo la donna si alzò e fece per andare via a passo svelto, doveva aggiornare i suoi collaboratori delle novità.
-Signora!- La richiamò Thalia.
Non appena la donna si fermò, segno che la stesse ascoltando, la ragazza continuò a parlare –Dovremo dirlo? A mio fratello e i suoi amici?
Era ci pensò su –Non per il momento, prima trovatemi la sua posizione, poi divulgheremo la notizia e prepareremo un piano d’attacco.

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Capitolo 20
*** Ritorno al passato ***


19.Ritorno al passato


-Sei sicuro di star bene, si?
Fu questa la domanda che fece Nico a Jason mentre camminavano lungo la via principale del parco. Mancavano pochi minuti all’orario di apertura e Nico stava sistemando la sua macchina fotografica accompagnando Jason ai suoi acquascivoli.
Jason gli lanciò un’occhiataccia.
Quella del moro poteva sembrare una domanda di qualcuno davvero interessato e preoccupato, ma dal sorrisetto che il corvino stava cercando di nascondere dietro i capelli Jason capì che era solo un modo per deriderlo e riaprire l’argomento della botta in testa che aveva preso dal mattone solo il giorno prima. Certo, il fatto che avesse un livido enorme e viola che spiccava in mezzo alla fronte non aiutava di certo a dimenticare quella storia.
-Io vi odio tutti quanti- borbottò il biondo –E odio soprattutto mia sorella.
Nico sghignazzò, poi alzò lo sguardo e il suo sorriso scomparve.
Jason adocchiò subito quello che il ragazzo stava fissando: a diversi metri di distanza stava Will, con una mano teneva Harley per un braccio che stava cercando di liberarsi urlandogli contro qualcosa, anche se non riuscirono a comprendere le parole data la lontananza, l’altra mano la teneva sopra la spalla di Paolo, quest’ultimo ascoltava serio quello che il biondo gli stesse dicendo, qualche volta annuiva, si capiva subito che la discussione che stessero facendo i due ragazzi era molto importante.
Jason fece un colpo di tosse e Nico tornò alla realtà, riprese a camminare come se nulla fosse.
-Comunque… Ieri ci ha spiegato come sono andate le cose- iniziò il biondo.
-Non mi interessa- lo interruppe subito il più piccolo.
Passarono altri secondi di silenzio –Sai quanto è idiota Percy, no? E che non capisce mai…
-Davvero Jas, non mi interessa. Piuttosto, cosa intendi fare con Piper? Pensi che accetterà questa nuova svolta nella relazione? La vedo come una ragazza aperta, se glielo chiedi con gentilezza accetta una cosa a tre.
Jason era sconvolto e non aveva nessuna idea di quello che stesse dicendo il moro, tanto che non si rese conto che era solo un modo per il suo amico di cambiare argomento.
Nico sghignazzò –Sto parlando del colpo di fulmine che hai avuto con il mattone.
Jason gli diede un pugno sul braccio –Ma vaffanculo!
Nico rise più forte –E sai che Leo ha già trovato il nome della vostra ship, si?
 
Percy finalmente era riuscito a parlare con Grover.
Il suo migliore amico, essendo anche lui della CIA, era impegnato da una settimana in una missione così importante e delicata che gli era stato impossibile contattarlo.
Era già pomeriggio inoltrato, aveva chiesto a qualcuno di prendere il suo posto al lavoro perché lui aveva “una questione urgente da sbrigare”.
Come già si aspettava trovò Luke a controllare la situazione nella piscina dove stava lavorando Annabeth.
Percy gli si avvicinò a passo svelto, gli si mise di fronte e incrociò le braccia al petto –Io e te dobbiamo parlare.
Il ragazzo non se lo aspettava, alzò un sopracciglio stranito e solo dopo qualche secondo rispose –Ti ascolto.
-Non puoi provare rancore per una cosa successa quando eravamo bambini. Sono passati anni, siamo cambiati, non avevo nessuna idea di quello che provavi in quel momento.
Luke si alzò così velocemente dal muretto basso sul quale era seduto che Percy dovette fare un passo indietro per non essere travolto.
-Non mi venire a usare la scusa che eri un bambino! Lo vedevo sempre, nei tuoi occhi, quella scintilla orgogliosa di chi sa di essere il primo della classe, sempre, ogni singolo giorno! HAI IDEA DI QUELLO CHE HO PROVATO?
-Luke non mi ricordavo di te perché non ti ho mai calcolato! Non c’era nessuna gara tra di noi, ti sei fatto un intero film al quale partecipavi solo tu!
Luke fece un sorrisetto quasi sadico –Solo io? Davvero? Penso a un modo per vendicarmi da più di 10 anni, solo questi pensieri mi fanno andare a letto la sera. Stare in quel campo era la mia unica vita, tutto quello che avevo! Mio padre mi costrinse a prenderne parte, non potevo fare altro, ma continuare la tradizione di famiglia. Non me ne sono lamentato, ho fatto sempre come mi aveva chiesto, ma non ho mai avuto la sua approvazione! Mai! Neanche un commento, una visita, una lettera! E tutto questo per colpa tua!
-Io… Se tuo padre è uno stronzo non vedo perché tu debba prendertela con me, Luke.
-Non. Ti. Permettere.
Quello fu un semplice sibilo, Percy si era spinto un po’ troppo oltre.
-Altrimenti?
Sapevano entrambi che il moro non si sarebbe scusato per quella frase, sapevano anche che era abbastanza bravo e propenso ad attaccare briga.
Questa volta non c’era Jason a calmare le acque.
Luke sorrise sadico –Altrimenti farti drogare e ingaggiare la prima troia di passaggio per portarti a letto e farti odiare dalla persona che ami di più al mondo sembrerà nulla a confronto di quello che potrei fare.
Gli occhi di Percy si spalancarono, quella frase fu la goccia che fece traboccare il vaso, la scintilla.
Lo afferrò di scatto dal colletto della maglia e strinse la presa –Sei stato tu?- Gli urlò contro –Tu! Per mesi siamo stati da schifo, io ed Annabeth, ancora neanche mi parla, PER UNA COSA AL QUALE IO NON CENTRO NULLA! TUTTO PER UNA TUA STUPIDA VENDETTA!
-Non è stupida. E’ l’unica cosa importante per me. Solo dopo averti superato, mio padre mi amerà.
Percy lo lasciò andare, poi caricò il pugno per colpirlo in viso, ma una mano lo fermò, era piccola e delicata, ma abbastanza forte.
Il ragazzo sussultò, forse era la prima volta da mesi che Annabeth lo toccava.
-Ann…
-Zitto.
La ragazza non l’aveva neanche guardato in faccia.
-Ma non capisci, è tutta col…
-Ho detto di star zitto.
A quel punto si girò completamente verso Luke, il ragazzo stava sorridendo, smise di farlo quando il pugno lo colpì in pieno viso facendolo barcollare all’indietro. Non se lo aspettava, di certo non da Annabeth.
La ragazza non lo degnò più neanche di uno sguardo, si girò verso Percy, aveva gli occhi fiammeggianti, parlò prima che potesse farlo il suo ex ragazzo.
-Ho sentito. Potrà anche essere stato lui a progettare tutto, ma tu ci sei stato con quella ragazza.
Non gli diede il tempo di rispondere che colpì al viso anche lui, poi corse via.
 
-Oh Nico eccoti qui!- disse Frank avvicinandosi al chiosco delle foto.
Ormai mancavano pochi minuti alla chiusura del parco, Nico se ne stava li sotto all’ombra a cancellare tutte le foto che aveva fatto durante la giornata, mentre Leo e Piper stampavano quelle che già aveva passato nel computer per gli ultimi clienti rimasti.
-Mi cercavi?- Chiese il moro continuando il suo lavoro.
-In realtà ti cercava Will.
Nico neanche lo degnò di uno sguardo –Sono occupato.
-Guarda che è importante, è con quel tuo gatto, Ombra giusto?
Nico strabuzzò gli occhi –Cosa!? Com’è possibile?
Frank alzò le spalle –Non ne ho idea.
Nico sbuffò esasperato, ma lasciò tutto a metà e corse via.
Non fu difficile trovarlo, anche perché gli “Ahi! Smettila di graffiarmi! Sono Will, diamine, non ti ricordi di me? Ora ti porto da Nico si. AHI! SMETTILA!” erano abbastanza semplici da seguire.
-Ombra!- Urlò Nico quando finalmente li vide alla fine di un viale che portava all’ingresso principale, poi corse da loro.
Si inginocchiò a terra qualche metro prima e aspettò a braccia aperte che il suo gatto gli andasse incontro. Ombra non lo deluse, era sempre piccolino rispetto agli altri gatti, ma era cresciuto dall’ultima volta che l’aveva visto e non si era dimenticato di lui.
Gli occhi gli si bagnarono un po’ mentre la piccola palla di pelo iniziava a fare le fusa sul suo petto, ma Nico non avrebbe pianto, doveva pur mantenere una certa reputazione.
Solo dopo un po’ si ricordò si ricordo anche della presenza di Will.
Alzò subito lo sguardo, il ragazzo era ancora li, lo stava guardando con quello sguardo che gli aveva rivolto tantissime volte, in passato.
Le guancie del moro si imporporarono, preferì concentrarsi però sul graffio che il biondo aveva sulla guancia dal quale stava scendendo qualche goccia di sangue, sicuramente opera di Ombra.
Nico si rimise in piedi, tenendosi stretto il gatto al petto, provò anche ad allungare una mano per raccogliere le gocce di sangue, poi ci ripensò, ritirò la mano e chiese –Come hai fatto? Dove l’hai preso?
-Paolo. Era per questo che mi serviva, dopo che tu sei uscito con Calypso era impossibile per me fare lo stesso, ma lui poteva, non hai idea di quanto tempo ci abbia messo per convincerlo.
Nico aprì la bocca, ma non una parola riuscì ad uscire. Come poteva rispondere a una cosa del genere?
Will riprese a parlare, il suo tono era diverso, quasi rotto, amaro.
-Ovviamente tu hai pensato male, credevi che stessi facendo altro con lui, non mi hai creduto. Ti ho dovuto mettere le prove e i fatti davanti per avere un briciolo della tua fiducia, ma tranquillo. E’ sempre stato così, nessuno si è mai fidato di me fino a quando le cose non diventavano fatti, in effetti perché dovresti essere diverso tu?
Quella frase, detta con quel tono, colpì profondamente Nico.
Così, quando Will si girò per andarsene, il moro non poté far altro che urlare il suo nome quasi con disperazione, ma non appena ebbe di nuovo tutta la sua attenzione, le parole non gli uscirono nuovamente di bocca.
Alla fine, dopo molti secondi, l’unica cosa che mormorò fu un semplice “Grazie” al quale il più grande rispose stringendo le labbra, quasi in un sorriso, e annuendo.
Ma era più che evidente che credeva che Nico l’avesse detto semplicemente perché doveva.

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Capitolo 21
*** Passato - Will ***


20.Passato - Will


Will stava dormendo, quando venne svegliato non proprio delicatamente da uno scossone alla spalla.
Fu seguito da un –Dai Will, svegliati- svogliato di suo fratello.
Il bambino mugugnò infastidito e cercò di sotterrarsi sotto le coperte. Ma queste volarono letteralmente via, spinte dalle mani di Austin.
-Ma ho sonno…- si lamentò Will.
-Smettila di fare il bambino e alzati, non abbiamo tempo per i tuoi capricci.
Will borbottò un semplice –Ma io sono un bambino…- Poi però fece come gli aveva chiesto suo fratello.
Si vestì indossando gli stessi vestiti che aveva indossato quella mattina per andare a scuola. Un sotto di tuta pesante nera e una felpa blu con topolino disegnato sopra.
Lanciò una breve occhiata all’orologio digitale che aveva sul comodino mentre si allacciava le scarpe.
Erano le 02:36 di notte.
Sospirò nell’esatto momento in cui suo fratello entrò in camera –Allora? Ce l’hai fatta? Dai su…
Si chinò e finì di allacciargli lui per bene le scarpe.
Quando finì lo prese per mano e lo portò fuori dalla stanza, gli infilò il giubbotto pesante chiudendoglielo fino al mento, gli mise cappello e sciarpa e se lo trascinò fuori, chiudendosi la casa buia e silenziosa alle spalle.
In macchina, seduto nei sedili posteriori, il bambino si riaddormentò nuovamente.
Il tragitto non era molto lungo, ma anche 20 minuti di sonno in più facevano molto.
Quando Will venne svegliato da un nuovo scossone e si mise a sedere, quello che vide non appena mise a fuoco quello che gli stava intorno gli fu quasi più familiare di vedere la sua scuola elementare, posto dove passava ogni mattina da tre anni.
La strada era piena di macchine.
Non macchine qualsiasi, ma macchine belle, modificate, colorate e molto particolari.
Macchine che dovevano essere ricordate, dopo una loro vittoria.
Era pieno di uomini e ragazze.
Erano tutte persone che Will odiava, perché erano persone cattive e crudeli, senza neanche un minimo di gentilezza. Questo il bambino lo sapeva bene, aveva imparato a conoscerli quasi tutti quanti.
Poi c’erano le donne. Loro erano frivole e stupide.
Erano poche quelle che gareggiavano, tutte le altre avevano il solo scopo di stare li, mezze nude, a fare il tifo urlando con quelle voci fastidiose. Per poi farsi toccare dal vincitore di turno.
Will aveva imparato a conoscere meglio questa categoria.
Perché ogni notte, Austin lo lasciava nelle mani di una di loro. Per fargli da babysitter.
Queste accettavano sempre di buon grado, suo fratello aveva un certo fascino ed era impossibile dirgli di no, ma poi loro non adempivano al loro compito totalmente.
Facevano sedere il bambino accanto a loro, sopra il cofano di una macchina o su un muretto e, dopo avergli detto di non muoversi, lo ignoravano per il resto della serata. Comportandosi da oche senza cervello.
Will arrivò ad odiarle così tanto che forse fu principalmente per questo che da grande si interessò a relazionarsi principalmente con i ragazzi.
Litigò spesso con suo fratello, gli diceva che sarebbe stato meglio a casa, a dormire. E gli prometteva che non avrebbe mai detto nulla ai loro genitori.
Ma Austin era irremovibile, rispondeva che a casa potevano succedere mille cose, che invece li con lui era più al sicuro.
Entrambi sapevano che non era la verità, potevano succedere molte meno cose a casa, mentre dormiva nel suo letto tranquillo, che in un posto del genere. Ma era inutile discutere con quel ragazzo. Era irremovibile e Will era solo un bambino, non aveva nessuna voce in capitolo.
Inoltre il biondo sapeva che il problema era solo uno.
Austin non si fidava di lui.
 
Quella sera sembrava una come tutte le altre.
Will aveva mani e faccia quasi del tutto nascosti dentro il giubbotto per proteggersi dal freddo, era seduto sopra un muretto non troppo alto, la schiena appoggiata al muro dietro e la testa inclinata di lato, gli occhi socchiusi e già quasi totalmente nel dormiveglia.
Era stato affidato a una ragazza rossa, non ricordava neanche quale fosse il suo nome ad essere sinceri.
Ragazza che al momento si trovava a diversi metri di distanza, attaccata a un uomo che stava cercando qualcosa dentro le sue mutande, dalla faccia che aveva doveva essere qualcosa di molto importante.
Will stava per addormentarsi del tutto, quando sentì la presenza di qualcuno che si avvicinava.
La paura e la circospezione gli fecero aprire entrambi gli occhi, vigile.
Vide un uomo che barcollava nella sua direzione, Will si innervosì e la sua mente lavorò veloce, cercando un modo per reagire.
Ma l’uomo, semplicemente, si fermò a pochi passi da lui, si aggrappò al muretto, si piegò su se stesso e iniziò a vomitare.
Will si rilassò e fece una faccia disgustata al contempo, scese dal muretto con un salto e si avvicinò alla ragazza che doveva tenerlo d’occhio.
Era così impegnata in quello che stava facendo con quell’uomo che neanche si accorse del bambino fino a quando Will non le afferrò un braccio e iniziò a tirare verso il basso, attirando la sua attenzione.
Era infastidita, il suo sguardo poteva ucciderlo.
-Che vuoi, marmocchio? Sparisci. Non vedi che siamo impegnati?
A rispondere fu l’uomo.
Will lo guardò con aria di sfida, poi tornò a rivolgersi alla ragazza.
-Uno sta vomitando dove era seduto, io li non ci torno.
-Senti tesoro- parlò finalmente la donna –Non vedi che siamo occupati? Va a giocare da qualche altra parte!
Will strinse i pugni e gonfiò le guancie indispettito, quei due neanche lo notarono tornando alla loro principale attività e Will iniziò a farsi un giro li intorno.
Non era certo di avere una meta, ma non appena vide suo fratello chinato sul cofano aperto della sua macchina, insieme a un suo amico a parlare, gli si avvicinò spedito.
-Quando andiamo a casa?- Domandò senza neanche annunciarsi una volta che gli fu accanto.
-Pensavo che avessi detto che tuo fratello stava buono in un angolo senza rompere le palle a nessuno- commentò il suo amico senza neanche alzare gli occhi su di lui.
Austin sospirò esasperato, poi si girò verso suo fratello –Ancora ce ne vuole un po’. Potresti metterti da qualche parte, buono, senza dar fastidio a nessuno e smettendola di comportarti come un bambino?
Will strinse ancora di più i pugni, a denti stretti borbottò –Ma io sono un bambino.
Il fratello maggiore sembrò ignorarlo di nuovo, Will fece di nuovo per andare via, quando una nuova figura attirò l’attenzione di entrambi.
-Vediamo se ho capito bene- disse il nuovo arrivato con un sorriso divertito in volto –Si inizia a vociferare che tu stia diventando anche più bravo di me. Tu che ti porti il fratellino dietro per fargli da babysitter?- Rise, di nuovo.
-Hai bisogno di deridermi per sentirti migliore?- Rispose a tono Austin, mettendosi davanti a Will come riflesso involontario, per proteggerlo.
La risata del nuovo arrivato si smorzò e un lampo crudele passò nei suoi occhi.
-Io so di essere migliore. E posso provarlo. Ti sfido, domani. Una gara ufficiale, la posta in palio la sai.
Se ne andò senza neanche aspettarsi una risposta, sapeva che avrebbe accettato, come lo sapevano tutte le persone li presenti che avevano assistito a quello scambio di battute.
Anche Will lo sapeva, poteva avere solo sette anni, ma aveva capito come funzionavano le cose li. Suo fratello non avrebbe potuto rifiutare, ma sapeva anche che non avevano tutti quei soldi che richiedevano. Come l’avrebbero pagato?
Il bambino allungò una sua piccola mano e si aggrappò alla schiena del fratello –Austin…- piagnucolò pianissimo. Quella voce fece risvegliare il ragazzo in questione che si girò verso di lui e lo strinse tra le  braccia –Va tutto bene- gli sussurrò in risposta per tranquillizzarlo.
Poi lo prese in braccio, disse al suo amico che si sarebbero rivisti il giorno dopo, che adesso andava via per prepararsi meglio alla sfida, chiuse il cofano, sistemò il fratellino nei sedili posteriori e partì per tornare a casa.
Il viaggio di ritorno fu silenzioso, esattamente come l’andata, ma questa volta Will non dormiva. La sua mente lavorava veloce, sapeva come poter aiutare suo fratello, doveva solo capire se avrebbe sul serio funzionato o meno.
Quando rientrarono, la casa era silenziosissima, esattamente come l’avevano lasciata. Segno che anche quella volta erano rientrati prima dei loro genitori.
Come sempre, una volta che si chiusero la porta alle loro spalle, Austin si chinò su di lui e l’aiutò a togliersi il giubbotto, di solito Will era così intontito dal sonno che non diceva neanche una parola, si faceva spogliare e rivestire senza problemi e, come uno zombie, si gettava sul suo letto addormentandosi all’istante.
Ma quella notte era diversa.
-Posso aiutarti- annunciò il bambino, con un tono serio e convinto.
-No, non puoi- rispose il più grande freddo, usando un tono che non ammetteva repliche.
-Perché, per una volta, non puoi fidarti di me!?- Esplose il bambino.
-Perché sei un bambino! E questo non è un gioco! Non avevi sonno!? Va a dormire e non rompere più.
Lo lasciò li, solo in mezzo al corridoio, mentre lui si andava a chiudere nella sua stanza sbattendo la porta.
Dopo qualche secondo di indecisione anche Will si avviò nella sua, ma non lasciò perdere.
Ormai era diventato un fatto personale, avrebbe fatto capire a suo fratello che meritava la sua fiducia.
 
Quando la mattina seguente la madre lo chiamò per andare a scuola, lui si finse malato.
Disse che gli faceva male la testa e fece un po’ di tosse. Will non aveva mai fatto capricci per alzarsi la mattina, quindi la madre non insistette troppo, gli diede un bacio sulla fronte e andò a coricarsi nella sua stanza, riposandosi dopo aver fatto la notte.
Will attese svariati minuti, il tempo di essere certo che la madre si fosse addormentata profondamente.
Poi sgattaiolò per la casa, munendosi di tutte le cose che potevano servirgli. Passò dall’insetticida all’acetone che sua madre teneva nella borsa dei cosmetici.
Quando alle due del pomeriggio suo fratello tornò da scuola e sua madre si alzò per preparare il pranzo, Will aveva già fatto sparire tutte le prove, aveva nascosto quello che aveva creato sotto il suo letto ed era tornato a essere il bambino dolce e gentile con il suo grande sorriso.
Anche quella sera sua madre lavorava, quindi Austin doveva tenersi Will, come la maggior parte delle notti. Per la prima volta il biondo esultò internamente.
Quella notte Austin chiese al suo amico di tenere d’occhio Will, almeno nel tempo della gara. Aveva paura che gli potesse succedere qualcosa, o che scappasse per “aiutarlo” e sapeva benissimo che le troiette che stavano li in giro non sarebbero state in grado di tenerlo davvero d’occhio.
Il suo amico rispose che non c’erano problemi, ma prima che la gara iniziasse lo aiutò a mettere a punto le ultime cose alla sua macchina. E a calmarlo.
Fu a quel punto che Will agì.
Sgattaiolò veloce, era pur sempre un bambino, nessuno lo notava, non sul serio.
Si nascose sotto la macchina del ragazzo contro cui doveva gareggiare Austin e rimase li, fermo, aspettando che il lato che gli serviva fosse libero per quei pochi secondi dei quali aveva bisogno. E pregando soprattutto perché non decidessero di mettere a moto la macchina e fargli fare qualche giro di riscaldamento.
Ma tutto andò secondo i piani, non appena l’area vicino al serbatoio della benzina fu libera Will scivolò fuori, prese la boccetta che teneva sigillata in tasca, la svuotò totalmente li dentro e fuggì di corsa, non visto da nessuno, o almeno era quello che credeva.
Tornò da suo fratello mentre questo aveva iniziato a cercarlo.
Non appena lo vide sospirò di sollievo e si lasciò andare seduto al suo posto di guida.
-Quante volte ti ho detto di non scappare così!?- Si lamentò non appena il bambino gli fu di fronte.
-Scusa- rispose semplicemente abbassando lo sguardo.
Il ragazzo più grande portò una mano alla guancia paffuta del bambino e con il pollice cercò di pulirgli una striscia di sporco –Cosa hai combinato?
Will non fece in tempo ad aprir bocca per rispondere che la macchina del suo avversario saltò letteralmente in aria. Non ci furono morti o feriti gravi, ma ormai il mezzo era inutilizzabile.
Da quel momento per Will tutto si svolse come in un sogno.
L’avversario che se la prendeva con suo fratello dicendo che era stato lui a fare qualcosa, ma tutti gli altri non gli permisero di iniziare una rissa perché avevano visto che Austin non si era mosso dalla sua macchina, non poteva essere stato lui.
La rabbia di quell’altro che, a tutti i costi, decise di dover comunque fare quella gara. Prese in prestito la macchina di un suo amico, ma non era ritoccata come aveva ritoccato la sua… E perse.
Austin vinse e Will fu fiero di quello che aveva fatto.
Sembrava che tutto fosse finito, stavano tornando a casa, quando due uomini e una donna li fermarono davanti il vialetto di casa.
Will si nascose dietro di fratello e questo alzò i pugni, pronto per fare a botte, ma gli uomini lo fermarono, uscendo il loro tesserino e mostrando che facessero parte della CIA.
-Ci serve solo sapere chi ti ha venduto l’esplosivo che hai fatto mettere al bambino nella macchina di quel tizio.
Will tremò mentre Austin era sempre più confuso.
Dopo una lunga discussione Will urlò, mettendo a tacere tutte le loro parole –Sono stato io! L’ho fatto io! Lasciate stare il mio fratellone.
Tutti e quattro lo guardarono scettici. Non gli credevano, non si fidavano… Era ovvio.
Will allora li portò dentro e rifece tutto quello che aveva fatto quella mattina, davanti ai loro occhi.
Era ormai l’alba quando consegnò loro il nuovo esplosivo liquido, messo dentro una bottiglia vuota di vetro che precedentemente doveva contenere olive sott’olio.
Gli uomini la presero, la fissarono per un po’ per poi decidere di andare, non dissero neanche una parola, solo la donna gli fece una semplice domanda: la sua età.
Rimasti soli, Austin fissò il fratello come se fosse un alieno, poi si ritirò nella sua stanza senza dirgli più neanche una parola.
Il giorno successivo Will trovò quelle stesse persone in casa sua, a parlare con i suoi genitori.
Il giorno dopo ancora stava facendo le valigie per andare in un campo dove, parole di sua madre, avrebbero sviluppato le sue capacità.

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Capitolo 22
*** Esplosioni ***


21.Esplosioni


All’alba quella sembrava una giornata come tutte le altre, ma quando, prima dell’apertura al pubblico del parco, una serie di bagni iniziò ad esplodere in ordine e a distanza di pochi secondi capirono che non sarebbe stato di certo così.
 
La mente di Will lavorò velocissima.
Seguendo quello che stava succedendo, il prossimo bagno sarebbe esploso nel giro di cinque secondi, era a diversi metri da lui, il biondo non rientrava nel raggio d’esplosione.
Ma la piccola figura li vicino si.
Era Harley, il bambino si era bloccato mezzo terrorizzato quando aveva sentito il rumore delle esplosioni, se fosse rimasto fermo in quel posto, non ne sarebbe uscito illeso.
Will non ci pensò due volte prima di correre a perdifiato nella sua direzione urlando il nome del piccolo.
Questo si girò fissandolo con gli occhi grandi, aveva uno sguardo davvero terrorizzato.
Will ebbe modo di constatarlo fissandolo per mezzo secondo, poi si gettò su di lui avvolgendolo tra le braccia e proteggendolo con il suo corpo mentre rotolavano a terra e il botto dell’esplosione gli faceva quasi perdere l’udito.
Harley tremava totalmente terrorizzato, si divincolò dalle braccia del biondo e ci riuscì abbastanza facilmente, questo perché Will era riverso a terra, gli occhi chiusi.
Harley iniziò a piangere, si sedette a cavalcioni sul suo corpo e iniziò a scuoterlo per le spalle –Svegliati! Dai svegliati!
Ma era tutto fiato sprecato, Will restava totalmente immobile a terra.
 
-Annabeth!- Urlò Percy correndo verso di lei quando la vide a terra.
La ragazza si trovava nelle vicinanze di uno dei bagni, stava tossendo per il fumo nero che gli stava riempiendo i polmoni, ma non riusciva ad alzarsi e a spostarsi di li, tremava sulle ginocchia.
Quando il ragazzo gli fu vicino lei alzò lo sguardo su di lui, uno sguardo che esprimeva tutto il dolore che stava provando –Il piede- mormorò.
Percy spostò lo sguardo e notò subito la caviglia rossa e gonfia, forse era anche rotta.
-Andiamo, per prima cosa dobbiamo allontanarci da qui- detto questo se la prese in braccio come se non pesasse nulla.
Annabeth si aggrappò a lui, strinse le braccia intorno al suo collo, Percy sentiva il suo respiro sempre più veloce e i sussulti per quando la faceva muovere troppo nella corsa.
-Andrà tutto bene- si ritrovò a mormorare più volte senza neanche rendersene conto.
La portò dentro, in una dei ristoranti il più lontano possibile dai bagni esplosi, la fece sedere delicatamente su una sedia, anche se alla ragazza sfuggì un singulto.
Percy si morse il labbro, vedeva che stava diventando sempre più pallida.
-Aspetta qui. Vado a cercare aiuto.
Fece per andarsene, ma lei gli bloccò il braccio con la mano.
Quando il moro si girò per chiedere quale fosse il problema, le parole gli morirono in bocca vedendo il suo sguardo terrorizzato.
-Ehy…- mormorò inginocchiandosi per essere alla sua stessa altezza –Sta tranquilla, okay? Andrà bene, ce la caveremo come sempre, non mi succederà nulla, torno subito- Le accarezzò lentamente una guancia spostandole le ciocche che le erano sfuggite dalla coda –E non permetterò che succeda nulla soprattutto a te, ti amo… Fidati di me, okay?
Annabeth annuì, Percy le sorrise, aveva fatto più passi avanti in quei pochi minuti che nei mesi da quando era iniziato tutto.
 
Harley si alzò tremante dal corpo del suo salvatore e, vedendo tutto sfocato per via delle lacrime, iniziò a correre per chiedere aiuto.
C’erano un sacco di persone che correvano per il parco, tutti in direzione delle esplosioni, c’era chi chiedeva rinforzi parlando nei propri auricolari e chi organizzava squadre per spegnere in fretta gli incendi che si erano creati.
Nessuno faceva caso a quel bambino.
Poi intravide una figura nera ferma in mezzo a una delle strade, si guardava intorno come se stesse cercando qualcuno.
Per Harley era l’unica possibilità di trovare un aiuto, così gli corse incontro attaccandosi alla sua maglietta nera.
Nico sussultò, non era abituato a tutto quel contatto fisico soprattutto da parte di un bambino.
Quando notò il suo viso pieno di lacrime però provò a chiedere se si fosse fatto male essendo quasi sicuramente stato nelle vicinanze di una qualche esplosione, guardandolo bene notò infatti che era abbastanza sporco e aveva un ginocchio sbucciato, come se si fosse rotolato a terra.
Ma Harley gli impedì anche solo di iniziare una domanda, sempre trattenendolo per la maglietta iniziò a tirarlo farfugliando –Corri, lui non si alza più!
Nico capì la gravità della situazione e gli corse dietro –Lui chi?
Il bambino sembrò non sentirlo e semplicemente continuò il suo monologo farfugliato –Mi ha salvato! E ora non si alza più! E’ tutta colpa mia!
Nico avrebbe voluto dirgli qualcosa che lo avrebbe, anche solo per un minimo, calmato. Ma le parole gli morirono in gola quando vide la bionda figura riversa a terra.
-Will- semplicemente sussurrò, poi corse ancora più veloce per raggiungerlo in fretta.
Si gettò in  ginocchio al suo fianco e subito gli tastò il collo, sospirando di sollievo quando sentì il suo cuore battere.
-E’ vivo- annunciò al bambino dietro di lui che sentiva singhiozzare.
-Perché non si sveglia?- chiese allora lui con voce piagnucolante.
Nico si morse un labbro, non lo sapeva e in quel momento avrebbe solo voluto urlare, si sentiva malissimo a vederlo riverso a terra in quel modo. Ma doveva restare lucido, soprattutto davanti al bambino.
-Harley, vai a prendere dell’acqua fredda. Io lo sposto da qui.
Il bambino annuì e corse via facendo il suo dovere, Nico afferrò il biondo e in qualche modo cercò di spostarlo, per allontanarlo dal bagno in fiamme.
Non si spostarono di molto, ma non era più in mezzo alla strada e non furono travolti dal gruppo di persone che stava correndo a spegnare l’incendio.
Nico lo fece sdraiare sull’erba ai lati delle strade, sotto l’ombra di un albero, aveva già preso troppo calore per quel giorno.
-Dai Will…- sussurrò chinandosi su di lui, con una mano gli accarezzo i capelli, con l’altra controllò il suo respiro poggiandogli il dito sotto il naso –Non fare scherzi…
Il bambino tornò sempre di corsa, aveva in mano un bottiglietta d’acqua ghiacciata di mezzo litro.
Nico l’afferro al volo e l’aprì in fretta, gettandogli metà del contenuto sul viso.
Non era pratico di primo soccorso, ma pensò che magari l’acqua fredda gli avrebbe fatto bene dopo tutto quel calore.
Ma inizialmente non successe nulla, Harley continuava a piangere tirando su con il naso sempre più frequentemente e Nico stava per avere un attacco di panico. Perché diavolo non si svegliava?
Stava per dire ad Harley di correre a chiamare qualcuno più competente di lui, quando un leggero tremolio alle palpebre attirò la sua attenzione.
Dopo qualche secondo gli occhi di Will si aprirono lentamente.
-Nico?- Domandò mettendo a fuoco la prima figura che gli si parò davanti agli occhi.
Il diretto interessato per poco non scoppiò a piangere dal sollievo.
Ma mantenne il suo sguardo quasi impassibile e, mettendogli una mano dietro la nuca, lo aiutò a tirarsi leggermente su, quel tanto che bastava per farlo bere senza soffocare.
Will accettò più che volentieri quell’acqua fresca e ne prese tre grosse sorsate prima che gli tornassero in mente gli ultimi avvenimenti che erano successi.
Allontanò di scatto la bottiglietta di plastica e quasi urlò –Harley!?
Nico lo calmò subito –Sta bene, è tutto intero grazie a te.
E si spostò dalla sua visuale per mostrargli il bambino che non si era mosso neanche di un centimetro da quando gli aveva portato la bottiglietta.
Gli occhi piedi di lacrime, i singhiozzi silenziosi e le mani che continuava a tormentarsi la maglietta sporca di terra.
Will si aprì in un enorme sorriso e mormorò –Sono così felice che tu stia bene!
E quella frase fu il punto di rottura del bambino.
Gli salto addosso stringendolo fortissimo e aggrappandosi alla sua schiena, lasciando liberi i suoi singhiozzi e il suo pianto rumoroso. Senza più trattenersi.
-Sei… Sei un eroe!- Urlò il bambino dando inizio al suo monologo –Mi dispiace tanto! Io non ti ho mai odiato! Non volevo dirti tutte quelle cose, non è vero che sei insopportabile e che nessuno vuole stare con te! Scusa! Sei buono e speciale- tirò su con il naso e alzò i suoi enormi occhioni pieni di lacrime su quelli blu del ragazzo –Non smettere di volermi bene, non volevo dirti quelle cose…
L’ultima frase si perse in un mormorio.
Anche gli occhi di Will ormai erano pieni di lacrime, Nico però era certo che fossero lacrime di gioia.
-Shss… Va tutto bene piccolo- sussurrò mentre lo teneva stretto a se –Non ti ho mai odiato.
Harley tirò rumorosamente su con il naso –Davvero?
-Davvero.
Il bambino rimase attaccato al suo eroe per un altro po’, mentre Will alzava lo sguardo e lo puntava su Nico. Avvicinò anche una mano a lui.
Nico distolse lo sguardo, ma l’afferrò intrecciando le loro dita, poi borbottò –Mi hai fatto preoccupare. Non farlo mai più.
Will, semplicemente, si aprì in un sorriso.
 
La ragazza correva disperata, non riusciva a trovarlo.
Tutto il parco era pieno di persone che cercavano di aiutare in qualche modo, che cercavano le persone care e che non facevano altro che correre e urlare, il fumo nero inoltre non aiutava alla causa.
Urlava il suo nome con disperazione, non poteva essergli successo qualcosa, non di nuovo.
Non l’avrebbe sopportato.
Aprì la bocca per urlare nuovamente il suo nome, ma questa gli fu tappata da una presa forte e salda, l’altro braccio di questa persona la tenne stretta per la vita, stringendole la pancia.
La ragazza fece un mugolio soffocato per il dolore, poi cercò di liberarsi combattendo.
Gli fu impossibile quando un nuovo uomo le spuntò davanti, non aveva mai visto il suo volto.
La colpì subito alla testa, la ragazza non vide con cosa, non provò neanche dolore, perché tutto divenne subito nero.

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Capitolo 23
*** Tensione, dolore, litigi ***


22.Tensione, dolore, litigi


-Jason!
Il biondo si girò di scatto sentendo l’urlo del suo amico, Percy aveva una faccia molto preoccupata e gli stava correndo incontro.
-Cosa?- chiese il biondo non appena questo gli fu abbastanza vicino.
-Annabeth si è fatta molto male, serve qualcuno al più presto. Hai visto Will? O qualcun altro che possa dare una mano?
-No, non ho visto nessuno dei nostri e…
-Jason!- un’altra voce interruppe la sua frase, era una voce femminile questa volta.
Piper gli corse incontro e lo abbracciò con slancio –Stai bene!
-E’ tutto okay- rispose il ragazzo accarezzandole i capelli, sollevato nel vedere che anche lei fosse inerme.
Poi si accorse che la stava seguendo anche Thalia –Sorella!- La chiamò prima che questa andasse via ad aiutare qualcun altro –C’è bisogno del tuo aiuto.
I ragazzi corsero dentro, la prima cosa che Percy notò fu il colorito di Annabeth, sempre più pallido.
Thalia le corse al fianco –Ci penso io, sono stata addestrata anche per queste situazioni, non sono brava quanto Will ma in sua assenza…
I ragazzi corsero dentro e Thalia si occupò di Annabeth.
Come aveva detto non era bravissima, ma fortunatamente la bionda non aveva nulla di rotto, quindi la ragazza riuscì a fare un bendaggio di fortuna con le poche cose che avevano.
-Siete qui! State bene?
A parlare fu Nico, era arrivato mentre Thalia stringeva la fasciatura che avevano fatto strappando delle tovaglie e Annabeth stringeva i denti per non farsi scappare neanche un singulto.
Il nuovo arrivato si soffermò soprattutto sulla bionda, infatti fu proprio lei a rispondere –Non preoccuparti, nulla di grave.
-Ma che diavolo è successo?- Domandò a quel punto Jason.
Ci furono interi secondi di silenzio, poi fu Annabeth a prendere la parola, sapeva che avrebbe sempre dovuto fidarsi del suo intuito.
-L’uomo- mormorò stringendo i denti per il dolore –L’uomo che si è girato tutti quei bagni che sono appena esplosi. L’uomo che Piper aveva riconosciuto.
Scese di nuovo il silenzio, un silenzio carico di consapevolezza.
-Forse dovremo cercare gli altri, e accertarci che stiano tutti bene- disse alla fine Piper.
 
-Leo! Leo, aiutami!- Frank urlava, aveva intravisto l’amico per puro caso.
Leo corse verso di lui, non l’aveva mai sentito così disperato, capì anche il perché di quel tono non appena vide Hazel a terra, dentro una pozza di sangue.
-Non so che fare- Frank parlava velocemente e con nervosismo –è stata colpita allo stomaco da qualcosa che si è distrutta durante le esplosioni, sta perdendo un sacco di sangue. Non so che fare, se la prendo in braccio potrei peggiorare la situazione, serve qualcuno, subito.
Leo annuì e corse via, a cercare l’aiuto del quale avevano bisogno.
Ringraziò gli dei con un sospiro quando quasi subito trovò Era in persona. Questa stava proprio cercando loro.
-… Un diversivo!- Stava urlando –Dove sono i miei ragazzi?
Un agente con la quale la donna se la stava prendendo si illuminò non appena video Leo da lontano e lo indicò subito.
-Signor Vald…
Leo non le lasciò il tempo neanche per finire la frase –Hazel sta perdendo un sacco di sangue! Ha bisogno di aiuto, subito!
La donna si girò e annuì a una coppia di uomini che avevano dei kit di pronto soccorso in mano, poi tutti e 4 corsero di nuovo verso la ragazza.
Erano nello stesso posto dove li avevano lasciati, Frank era chino su di lei, che era per metà incosciente, per metà sveglia per il troppo dolore.
Il ragazzo le stava sussurrando qualcosa per calmarla mente le accarezzava i capelli e faceva in modo che lei non si toccasse la ferita peggiorando la situazione.
Gli uomini si occuparono di lei, le bloccarono temporaneamente l’emorragia e se la portarono via. Frank andò con loro.
Solo a quel punto Era tornò a concentrarsi su Leo, gli poggiò una mano sulla spalla e parlò seria.
-Unitevi, dobbiamo capire il perché di tutto questo, ho bisogno che voi vi troviate tutti nella stessa stanza, cerca gli altri e fate come vi ho chiesto. Fank ed Hazel sono esonerati ovviamente, li teniamo noi sotto controllo.
 
Leo fu trovato da Piper e Jason mentre girava per il campo alla ricerca di Calypso e tutti gli altri, il moro raccontò quello che era successo con Era ed Hazel e Piper rispose che si erano già uniti tutti in una stanza, solo a quel punto corsero dagli altri.
Non appena entrarono capirono subito che qualcosa non andava, era successo qualcosa, e anche di grave.
-Cosa?- Chiese subito Jason capendo la gravità della situazione.
Luke si avvicinò a loro mostrando un tablet acceso su uno schermo nero e poche scritte rosse in maiuscolo.
-Ci hanno inviato questo messaggio poco fa.
Solo a quel punto capirono davvero la gravità della situazione.
 
CONTINUATE PURE A NASCONDERVI COME TOPI
ENTRAMBI ORMAI SONO NOSTRI
PREPARATEVI, DI VOLTA IN VOLTA SARA’ IL TURNO DI OGNUNO
 
Leo aveva lo sguardo vuoto su un punto impreciso del tavolo, ma fu anche il primo a rompere quel silenzio.
-L’hanno presa. Hanno Calypso.
Il suo sussurro era freddo e distaccato.
Doveva ancora elaborare per bene tutta la situazione.
Annabeth diede un’altra occhiata alla mail.
-Qui dice entrambi.
Nico trattenne il fiato e Jason diede voce ai suoi pensieri dopo essersi guardato velocemente intorno.
-Dov’è Will?
Come se fosse stato chiamato la porta venne aperta e la voce di Will arrivò prima della sua figura.
-Scusate il ritardo, Harley mi ha vomitato addosso prima che riuscissi a riportarlo a suo padre e mi stavo cambiand…
Non riuscì più a continuare perché venne travolto, letteralmente, da Nico e per poco non rotolarono entrambi a terra.
-Sei qui. Sei qui. Stai bene.
Il moro continuava a mormorare quelle frasi mentre lo stringeva come se avesse paura che gli scomparisse tra le mani.
Will rimase spiazzato, non che non gli facesse piacere, ovvio. Ma non si vedevano da massimo dieci minuti.
-Hazel e Frank?- Chiese subito Annabeth.
Piper scosse la testa –Sono con Era, ne siamo certi.
-Ora sono confuso- annunciò Percy –Perché diavolo c’è scritto entrambi se siamo tutti qui?
Nico sospirò e staccandosi dal biondo si girò di nuovo verso di loro, poi parlò.
-Io lo so.
Fu a quel punto che Leo esplose e gli urlò contro tutto il suo disprezzo.
Ce l’aveva con lui soprattutto perché Will era appena entrato, Calypso no.
Ed era consapevole che in tutto questo loro non centravano nulla, ma non riuscì comunque a frenare le parole successive.
-Chissà perché non mi sorprende neanche un po’!
Nico alzò un sopracciglio scettico.
-Come scusa?
-Senti Nico, non mi interessa nulla dei tuoi gusti, se ti piace fottere una ragazza o fartelo mettere nel culo. Ma Calypso è la mia ragazza. Chiaro? E tu, in questi mesi, non hai fatto altro che girarle intorno allontanandola sempre di più da me.
Will afferrò Nico per la vita, bloccandolo prima che potesse saltare addosso all’amico.
Jason fece lo stesso con Leo mettendogli entrambe le mani sulle spalle.
-C’è scritto entrambi perché la tua ragazza è incinta, razza di deficiente, si sta riferendo a TUA figlia. E tu sei stato così cieco da non accorgerti di nulla! Non l’ha detto a nessuno, soprattutto a te, perché non voleva farvi preoccupare data tutta la situazione. Io l’ho scoperto per puro caso quando mi sono reso conto che passava troppo tempo in bagno a vomitare, siccome è una cosa che ho passato anche io volevo farle capire quanto fosse sbagliato. Solo dopo mi ha detto che vomitava per via delle nausee.
Leo era rimasto senza parole, gli occhi lucidi.
Nico smise di urlare, ma il suo tono rimase freddo e vendicativo –Non ho mai avuto alcun tipo di attrazione per lei. Ma forse neanche a te interessava poi così tanto, per non accorgerti che è già al sesto mese.
Il silenzio denso e freddo che nessuno aveva più intenzione di interrompere, fu rotto dall’arrivo trafelato di Chris e Clarisse.
Fu quest’ultima a cercare con lo sguardo una determinata persona e annunciare –Will, hanno bisogno di te subito, Hazel potrebbe morire.
______________________________________________________________
Ehylà! Lo so, lo so... Mi odiate, solito ahaha
Non mi faccio sentire da un pò, ma questo capitolo pensa sia d'obbligo un mio commento.
Prima di tutto parliamo della struttura di questo e del precedente: è tutto molto veloce, le scene si susseguono quasi senza particolari, era quello che volevo fare, perchè in determinate situazioni non ti accorgi di nulla, devi solo reagire, senza pensare e devi farlo in fretta. Per il futuro anche altri capitoli saranno così.
Ora, la brotp tra Leo e Nico è una delle mie preferite, come si vede che li ho fatti diventare amici in Mission. Ora, qui è evidente che qualcosa si è spezzato.
Era un qualcosa che stava maturando da tempo, che se non fosse arrivato a un punto di rottura non si sarebbe mai potuto aggiustare in futuro.
Nessuno dei due pensa davvero quello che ha detto all'altro, ma è comprensibile la reazione di Leo dopo tutto quello che ha passato, come è ben compresibile la risposta di Nico dopo essersi sentito accusato in quel modo. Spero che non ce l'abbiate con nessuno dei due (sono tra l'altro i miei due personaggi maschili preferiti di tutta la saga).
Spero abbiate capito che Annabeth si riferiva all'uomo di qualche capitolo fa, quello del quale tutti si erano preoccupati ma che poi "non aveva fatto nulla",
Bè, aveva preparato il terreno a Eros.
Per finire il rapimento di Calypso, so che sembrvaa quasi scontato perché avevo messo la citazione alla pancia, ma l'ho fatto di proposito ;) perché scrivendo quello voi avete sicuramente pensato "è troppo scontato che sia Calypso, non può essere lei" e invece si, mi piace la psicologia inversa ahahha
Ah e si, la frase finale su Hazel che sta morendo mi andava di aggiungerla perché insomma, non c'è mai un limite al sadimo.
Alla prossimaaa
Deh

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Capitolo 24
*** Passato - Leo ***


23.Passato - Leo


Leo piegò il fil di ferro attorcigliandolo intorno a quel piccolo corpo in metallo.
Lo piegò anche in modo da realizzare due ali proporzionate.
Sorrise soddisfatto ammirando il suo operato da ogni lato, per poi lanciarlo in aria.
L’aereo volteggiò per qualche secondo prima picchiare contro la parete.
Leo fece comunque un urletto soddisfatto, con la sua voce infantile da bambino di otto anni, e corse a recuperare il suo piccolo modellino.
Aggiustò tutto quello che si era ammaccato, lo lucidò passandoci sopra un pezzo di manica e infine corse fuori dalla stanza.
Tutto felice si precipitò giù dalle scale saltando svariati scalini per scendere in cantina.
Sapeva che avrebbe trovato sua madre li e non vedeva l’ora di mostrargli quello che aveva fatto, soddisfatto del risultato.
-Mamma! Mamma!- Urlò saltellando per le scale rischiando di cadere più volte.
-Leo, amore, non correre così che potresti farti male- cercò di ammonirlo sua madre, ma Leo neanche la sentì.
Si fermò a metà della scalinata di legno e lanciò il suo modellino.
Sua madre si abbassò in tempo prima di prenderlo in fronte, sospirò quasi esasperata, ma in realtà stava ridendo.
L’aereo rimase sospeso in aria più di prima, poi scese in picchiata e colpì in pieno un tavolino basso in metallo, ammaccandosi più di quanto non avesse fatto prima.
Leo fece una smorfia e sua madre subito gli si avvicinò, fece un sorrisetto e prendendolo per i fianchi lo fece volare in aria.
Al bambino tornò subito il sorriso e una risata genuina gli uscì dalla bocca.
-Ma di chi è tutto questo talento?? Sicuramente diventerà uno dei più grandi ingegneri del mondo!
-Io! Io!- Urlò Leo mentre continuava a ridere e a contorcersi tra le braccia della mamma.
Esperanza lo rimise a terra dopo aver liberato a sua volta una risata, gli scompigliò quei capelli ribelli e annunciò –Dai, saliamo a fare colazione che devi andare a scuola.
Leo si imbronciò –Almeno posso aggiustare il mio aereo?
Sua madre lo guardò con un cipiglio severo, ma alla fine sospirò e acconsentì –Il tempo che preparo, ma non voglio richiamarti due volte!
Leo fece un enorme sorriso, poi le saltò addosso stringendole le braccia al collo.
-Grazie- sussurrò prima di staccarsi e correre a recuperare il suo giocattolo.
La madre salì le scale e si diresse in cucina per preparare la colazione, il bambino rimase solo e libero di utilizzare tutto quello che voleva.
La cantina era l’officina di sua madre ed era piena di strumenti, molti di questi Esperanza non voleva che Leo li utilizzasse senza la sua supervisione, ma il bambino si sentiva ormai adulto e capace di saper utilizzare qualsiasi cosa.
Poi, se si trattava del fuoco, si sentiva quasi un Dio.
Era un elemento che lo affascinava più di qualsiasi altra cosa e, come in quel momento, iniziò a utilizzare anche gli strumenti che interessavano quest’ultimo.
Sua madre non voleva, lo sapeva bene, ma finché non lo vedeva non avrebbe potuto dirgli niente e, soprattutto, non avrebbero litigato.
Felice e totalmente concentrato nel suo lavoro non sentì i richiami di sua madre, tanto che alla fine urlò il suo nome con un tono abbastanza forte e seccato che il bambino saltò sulla sedia, lasciò tutto in disordine sul tavolo dove stava lavorando e corse di sopra.
Sua madre lo stava aspettando con le braccia conserte e un cipiglio severo in volto.
Leo fece un sorriso imbarazzato e lanciò una veloce occhiata all’orologio appeso alla parete, mancavano pochi minuti e sarebbe passato lo scuolabus.
-Scusa, scusa, scusa!- Disse velocemente correndo al tavolo e afferrando il suo toast caldo alla nutella.
Iniziò a mangiarlo mentre correva per casa e recuperava il giubbotto e lo zaino.
Sua madre sospirò esasperata, di nuovo.
Ma iniziò a dargli una mano. Mentre gli chiudeva la cerniera del giubbotto sospirò nuovamente e mormorò –Come devo fare con te?
-Scusa- borbottò di nuovo Leo con la bocca piena e gli occhi bassi.
Sua madre lo baciò –Non devi scusarti, ti amo così per quello che sei, non cambiare mai Leo.
Il bambino non era certo di quello che volesse dire, ma annuì felice prima di correre fuori, verso lo scuolabus giallo che si era appena fermato di fronte casa loro.
Salì e si andò a sedere su uno dei tanti sedili ancora vuoti, si avvicinò al finestrino e salutò sua madre con la mano.
Quella fu l’ultima volta che la vide.
 
Era iniziata come una normalissima giornata, esattamente nella norma.
Ma a metà mattinata le cose precipitarono totalmente.
Leo era per metà sdraiato sul banco della sua classe e lo stava scarabocchiando, non riusciva completamente a stare attento alla lezione, questo perché era dislessico e iperattivo.
Aveva avuto un sacco di richiami per questo, ed era ancora alle elementari.
Erano le dieci e mezza circa, quando i due poliziotti arrivarono e interruppero la lezione.
Tutti i bambini alzarono il capo curiosi, soprattutto Leo. I due nuovi arrivati avevano la sua più completa attenzione.
Questo fino a quando non dissero che cercavano lui.
Il suo cuore accelerò e incassò la testa tra le spalle, cercando di nascondersi quasi involontariamente. Perché quei due uomini lo stavano cercando? Doveva essere qualcosa di grave.
Sua madre gli aveva sempre detto che i poliziotti arrestavano le persone cattive.
-E’ successo qualcosa?- Domandò la sua maestra facendosi avanti.
Uno dei due si girò verso di lei e diede le spalle ai ragazzi, le parlò, ma nessuno sentì quello che disse. Videro però benissimo la loro maestra strabuzzare gli occhi e portarsi le mani a coprirsi la bocca.
Leo, nella sua sedia, si faceva sempre più piccolo.
Poi la maestra sembrò riprendere quel minimo di contegno e si avvicinò al suo banco.
Il bambino si era ormai messo in piedi e aveva fatto un passo indietro. Era pronto a scappare.
La maestra si abbassò al suo livello, pur rimanendo a una certa distanza di sicurezza, aveva capito che il bambino era sul chi va la.
-Hey, tesoro- e qui Leo capì che era successo qualcosa di grave. Non l’aveva mai chiamato con quell’appellativo. Certo, non era una maestra cattiva, ma lui riusciva sempre a farla infuriare… Bè, come ci riusciva con tutti. Quindi non si era mai meritato quell’appellativo.
-Ora devi andare con queste due persone che ti spiegheranno con calma tutto quello che è successo. Va bene?
Leo lanciò una veloce occhiata ai due uomini in divisa, poi tornò a fissare la sua maestra scuotendo la testa.
-No- mormorò –La mia mamma dice sempre che le persone con quei vestiti portano i cattivi in carcere. Io non sono una persona cattiva, glielo giuro!
L’ultima frase fu quasi un urlo, la maestra così gli si avvicinò e lo afferrò per le spalle –Lo so, lo so. Lo sappiamo tutti che non sei una persona cattiva. La tua mamma…- Le i formò un groppo in gola, ma lo ingoiò e continuò a parlare come se non fosse successo nulla. –La tua mamma aveva ragione. Ma queste persone non portano solo i cattivi in carcere. Aiutano anche le persone. E oggi sono qui per aiutare te, ti spiegheranno tutto per strada, ora preparati lo zaino che dovete andare di fretta, okay?
Leo ingoiò invano, pensò per qualche altro secondo di scappare e correre via, ma alla fine annuì e fece come gli era stato richiesto.
 
Il viaggio in macchina fu strano.
Leo lo trovò strano perché si svolse tutto nel silenzio più totale, poi, non appena furono vicini a casa sua, iniziarono a fargli domande che lui reputava strane.
Gli chiesero se avesse dei nonni, degli zii o qualsiasi altro familiare.
Il ragazzo rispose semplicemente scuotendo la testa, poi fece a sua volta una domanda –Perché non lo chiedete alla mia mamma?
-Perché…- I due uomini si scambiarono uno sguardo, infine quello che non stava guidando sospirò e si girò verso di lui.
-Ascoltami bene Leo… Tu hai già otto anni, giusto? Quindi sei un ometto quasi adulto.
-Mi dovete dire qualcosa di importante?- Domandò il bambino corrugando la fronte.
-Si…
L’uomo cercò le parole, ma alla fine si rese conto che non c’erano parole giuste per dire una cosa del genere a un bambino di otto anni. Non poteva.
-C’è stato un incidente questa mattina. A casa tua.
Furono queste le uniche due frasi che disse, poi il suo collega posteggiò sul ciglio della strada e a Leo venne aperto lo sportello.
Quello che vide fu un’immagine che rimase impressa nella sua memoria per sempre.
La sua casa completamente distrutta, come se una bomba l’avesse fatta saltare in aria,il fuoco ancora acceso in qualche punto.
Era circondata da vigili del fuoco, dottori e altri poliziotti, più una buona massa di gente curiosa.
Non fu un’immagine che rimase nitida molto a lungo, quasi subito il bambino ci vide sfocato. Le lacrime avevano iniziato a lasciare i suoi occhi senza che lui se ne accorgesse e, mentre queste solcavano copiose le sue guancie, lui mormorò una semplice parola: Mamma.
Poi lo urlò più forte e iniziò a correre verso la casa. La sua casa.
Uno dei due uomini che l’avevano portato fino a li riuscì a bloccarlo.
Leo però continuava a divincolarsi e urlare il nome di sua mamma.
-Smettila! Non puoi fare più nulla adesso, lei non c’è più!- Gli urlò in risposta l’uomo.
Ma il bambino non voleva ascoltarlo, gli diede un morso e riuscì a sgusciare via dalla sua presa, poi corse dentro la casa.
Non fece molto prima che riuscissero a bloccarlo nuovamente ma, entrando nel salone distrutto trovò una foto di lui e sua madre dentro una cornice di vetro rotta gettata a terra.
La afferrò e si tagliò il dito, ma non sentiva nulla in quel momento.
Se la strinse al petto e iniziò a singhiozzare. Sua madre non poteva essere morta… Non poteva…
Lo trascinarono di nuovo via, ma questa volta Leo non fece quasi nessuna resistenza, si sentiva prosciugato di tutte le sue forze.
Sentì degli spezzoni di conversazione e due parole lo colpirono profondamente.
Fuoco. Esplosione.
E una domanda gli saltò alla mente. Una domanda che non trovò mai una risposta e che lo perseguitò per il resto della sua vita.
Lui, quella mattina, aveva spento gli attrezzi che stava usando in cantina? Era stato lui a creare quell’esplosione? Aveva ucciso lui sua mamma?
 
Iniziò una nuova vita per Leo.
Una vita fatta di orfanotrofi, case famiglia e famiglie affidatarie.
Leo riusciva a scappare da tutte.
In alcuni posti restò solo poche settimane, in altri persino qualche mese.
Ma poi scappava via e si rifiutava di tornare nello stesso posto quando lo ritrovavano, così il ciclo ricominciava.
Passarono diversi anni prima che la CIA lo trovò.
Aveva 13 anni ed era pieno inverno. Fuori pioveva a dirotto e la gente si riparava dentro i bar.
Leo era già scappato da cinque giorni e si stava rifugiando li dentro, al caldo, bevendo una cioccolata calda che aveva comprato con i suoi ultimi risparmi e, contemporaneamente, stava “giocando” con il cellulare che gli aveva comprato la sua nuova famiglia. Ovviamente aveva subito cambiato SIM in modo che non lo potessero rintracciare.
Fu per puro caso che riuscì a entrare nel sistema interno di una delle tante persone presenti in quel bar, a scaricare nel sul telefono tutte le sue applicazioni, l’e-mail, i messaggi e le chiamate. Tutte le informazioni di quella persona.
E non era una persona qualsiasi, ma un agente della CIA.
Il ragazzo trattenne il fiato e per un solo secondo fu tentato di cancellare tutto, poi iniziò a leggere con voracità.
20 minuti dopo stava rincorrendo i due agenti che erano appena usciti dal bar.
-Cosa vuole questo bambino?- Chiese uno dei due svogliato e seccato, gli stava di sicuro facendo perdere del tempo prezioso.
Leo fu diretto –Voglio entrare a far parte della CIA!
I due uomini si fissarono in silenzio, poi quello che ancora non aveva parlato disse –Che diavolo ti stai inventando?
Leo, semplicemente, gli mostrò il cellulare. C’era in vista tutto quello che aveva appena hackerato.
Infine, riformulò la stessa frase, la disse più lentamente e con più decisione.
-Voglio entrare a far parte della CIA.

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Capitolo 25
*** Tutto come prima (parte1) ***


24.Tutto come prima(parte1)


Jason non staccava gli occhi da Leo.
Aveva paura che se si fosse distratto anche solo per un secondo, questo sarebbe scomparso, andando via, peggiorando di gran lunga la situazione.
Il ragazzo infatti non faceva altro che camminare velocemente lungo il corridoio, avanti e indietro, come un animale in gabbia.
Erano tutti li, sapevano che al momento non potevano fare nulla per Calypso, non prima di aver pensato a un piano nei minimi particolari.
In quel momento però stavano aspettando tutti dietro quella porta, dove all’interno c’erano Hazel, Will e altri dottori.
Nessuno ancora era uscito a dire nulla sulle condizioni della ragazza.
-Non riesco a vederlo così- sussurrò Piper a Jason, si stava riferendo ovviamente a Leo.
Il biondo le strinse la mano, ma non disse nulla, perché non c’era nulla da dire, sapevano benissimo entrambi che non potevano fare nulla, non in quel momento.
Anche Frank non era messo meglio, stava seduto a terra, appoggiato lungo la parete esattamente di fronte la porta, l’avevano fatto uscire dalla stanza contro la sua volontà quando le cose avevano iniziato a peggiorare.
Era pallidissimo, fissava un punto impreciso del pavimento, totalmente perso nel suo mondo, non più ancorato alla realtà, cercando di non impazzire del tutto e attendendo delle risposte.
Qualcuno ci aveva anche provato a fargli delle domande, se volesse un po’ d’acqua o avesse bisogno di altro. Frank, però, semplicemente non rispose, perché non li aveva nemmeno sentiti.
Anche Nico era seduto a terra, diversi metri più lontano dall’altro ragazzo.
Aveva le ginocchia raccolte al petto che si stringeva con le braccia, il mento poggiato su di esse, la sua mente che lavorava veloce, ripensava a come tutta la sua vita continuava a crollare costantemente. A come riceveva una piccola speranza per poi essere subito spazzata via da tutto il dolore.
Forse aveva ritrovato Will, forse aveva capito di essersi sempre sbagliato, neanche il tempo di capirlo che in pochi secondi perde il resto dei suoi amici, della sua famiglia. Calypso, Leo che lo odia, Hazel in condizioni critiche. Perché?
Anche se, in fondo al suo cuore, sapeva qual’era la sua colpa, sapeva di meritarselo.
Di fronte a lui, anche se più spostati verso destra stavano infine Percy ed Annabeth.
La ragazza si era addormentata, ormai stremata, in una posizione abbastanza scomoda perché doveva comunque tenere la caviglia ingessata.
Percy l’aveva attirata delicatamente a se e appoggiata al suo petto per farla mettere in una posizione più comoda, le stava accarezzando i capelli come aveva sempre fatto.
Per alcuni minuti si perse in lei, cancellando tutto quello che avevano passato, come se quei mesi orribili non fossero mai esistiti.
Passò più tempo di quanto si immaginassero, intere ore.
Gli unici attivi erano Jason e Piper, furono infatti loro a non far cadere nella disperazione tutti gli altri, portando cibo, acqua e conforto. Perché nella famiglia ci si aiuta, sempre.
Fu solo quando gli ultimi raggi del tramonto illuminavano la struttura che la porta finalmente si aprì.
Né uscì un Will pallido e tremante, barcollava.
Quasi subito tutti gli furono addosso, prima che anche solo riuscissero a chiedere qualcosa il biondo annunciò –E’ stabile.
Leo fece un sospiro di sollievo, ma si limitò solo a quello, non poteva provare felicità, non in quel momento.
Piper lanciò un piccolo urlo di gioia e saltò su Jason abbracciandolo, si era ormai affezionata a tutti loro più di quanto si aspettasse.
Annabeth sorrise e, con un peso in meno nel petto, si lasciò nuovamente andare contro il petto di Percy, che la strinse a se senza pensarci due volte.
Frank non riuscì a dire nulla, per poco non scoppiò a piangere, infine corse dentro. Nessuno gli avrebbe impedito di vedere la sua ragazza, non dopo tutto quel tempo senza nemmeno una piccola informazione.
Anche Nico sorrise, poi però si accorse di Will e tornò serio.
Ricordò che quel ragazzo era stato coinvolto in un’esplosione in modo ravvicinato, forse aveva sbattuto la testa ed era rimasto svenuto per un po’, subito dopo l’avevano messo a lavorare per delle ore, senza pause, per salvare una vita.
Era più che ovvio che ora fosse pallidissimo e barcollante, Nico lo afferrò prima che si accasciasse a terra.
-Ti devi riposare adesso- disse con un tono quasi freddo.
E Nico capì quanto davvero fosse stanco quando Will si limitò ad annuire e aggrapparsi di più a lui, senza nessuna protesta.
 
Era aveva detto a tutti che potevano ritirarsi nelle loro stanze.
Erano tutti stanchi e stravolti per quello che era successo, dovevano riposare per poi pensare meglio a mente lucida.
Quando Leo aveva cercato di protestare lei non l’aveva neanche fatto finire di parlare, sapeva dove il ragazzo voleva andare a parere, sapeva quello che si sentiva dentro mentre i minuti passavano con Calypso nelle mani di quel pazzo sadico, ma sapeva anche che al momento non potevano fare nulla.
“Ora peggioreremo solo la situazione, signor Valdez, domani penseremo a un piano, a mente lucida, si vada a riposare adesso, ne ha bisogno.”
Leo non si convinse subito, lo fece solo quando intervenne anche Piper che, con gli occhi lucidi per la preoccupazione verso il suo amico, gli mise una mano sulla spalla e gli fece capire che in quelle condizioni non avrebbe aiutato Calypso, in alcun modo.
Solo a quel punto si divisero, prendendo strade diverse per i diversi alloggi che avevano.
Percy accompagnò Annabeth nella sua camera, l’adagiò delicatamente sul letto e sorrise debolmente al suo grazie.
Fece per andarsene, visto che lei non le aveva detto più nulla e forse aveva solo bisogno di riposare.
Si fermò però mentre poggiava la mano sulla maniglia, sapeva che momento più opportuno di quello non ci sarebbe stato, doveva farlo.
-Ti va…- sussurrò girandosi –di parlare?
Sul volto della ragazza passarono diverse emozioni contrastanti, come prima cosa lo stupore, non si aspettava che Percy gli chiedesse una cosa simile, così mansueto e distrutto internamente. Poi la rabbia, perché ovviamente, quelle quattro semplici parole fecero riaffiorare tutti i ricordi. Infine la rassegnazione, perché sapeva benissimo anche lei che prima o poi sarebbe arrivato questo momento, dovevano parlare, proprio come due persone adulte.
Annabeth annuì, sistemandosi meglio sul letto, nella sua posizione seduta, e spostando più verso il centro la caviglia fasciata, un chiaro invito silenzioso al ragazzo per sedersi.
Percy obbedì, poi alzò lo sguardo e arrivò subito al punto –Voglio che torni tutto come prima, io…- si rese conto che non poteva fare pretese così grandi, allora modificò leggermente la frase –Farò qualsiasi cosa perché tutto ritorni com’era prima. Te lo giuro Annabeth, non mi arrenderò mai, né mi darò per vinto. Perché ti amo, da sempre.
-Davvero pensi di non esserci andato a letto?- Chiese lapidaria la ragazza.
Percy rimase confuso, lei sospirò e diede le giuste spiegazioni.
-Me l’ha detto Piper, Jason ha parlato con lei.
Percy annuì –Lo penso davvero, non ricordo nulla di quella notte. Inoltre, avevo i pantaloni quando mi sono svegliato… Anzi, quando tu mi hai svegliato con quello schiaffo. Non te ne sei accorta?
-Bè, non era il mio primo pensiero al momento- rispose distogliendo lo sguardo.
-Annie- il ragazzo le si avvicinò con un impeto di disperazione –Devi credermi, ti scongiuro.
-Non lo so Percy- la ragazza scosse la testa continuando a non fissarlo direttamente negli occhi.
-No- Percy non si dava per vinto, si avvicinò ancora di più e con una mano intrecciò a forza le loro dita, con l’altra le afferrò il mento in modo da poterla guardare in quegli occhi grigi –Lo sai, amore mio, sai che ti sto dicendo la verità.  Lo sai, perché mi ami tanto quanto io amo te, non puoi far vincere Luke.
-Io…
-Non sono riuscito a stare con nessuna, nessuna! Dopo quella notte, non ti ho mai tradito neanche quando non stavamo più insieme, perché nessuna è come te. Nessuna mi fa provare quello che mi fai provare tu semplicemente guardandoti, sei il mio tutto e non posso immaginare un futuro senza di te.
Prese fiato mentre Annabeth restava immobile, non sapeva come rispondere a un discorso simile, sicuramente era qualcosa che non si aspettava.
-Luke può anche aver escogitato tutto nei minimi particolati, farmi drogare e farmi portare via da quella ragazza. Ma non aveva messo in conto il fatto che io non avevo nessuna intenzione di collaborare con il suo piano- continuò Percy, sempre più deciso –Non ho nessuna prova concreta che ufficialmente ti possa assicurare che quella notte io non abbia fatto nulla. Ma io, dentro di me, so che è così, mi basta questo per avere la certezza.
Percy sorrise al ricordo –Stavo diventando pazzo, ho anche baciato Nico, con la paura che magari fossi diventato gay.
Questo fece ridere anche Annabeth –Sei un idiota.
-Il tuo idiota.
Le guancie della ragazza divennero rosse, poi si scostò dalla sua vicinanza e si sdraiò sul letto dandogli le spalle.
-Possiamo riprovarci, per far tornare tutto come prima.
Gli diede le spalle soprattutto per non fargli capire quanto in realtà era felice.
-Davvero?- Chiese Percy incredulo, certo, aveva fatto tutto il discorso, ma non pensava davvero di poterla convincere in così poco tempo.
-Con molta calma- chiarì lei –E alla prossima cazzata per me sei morto.
-Certo! Fidati di me!
Annabeth sorrise.
-Posso restare qui per questa notte?- Chiese poi il ragazzo con un tono quasi innocente.
La bionda sospirò –Basta che stai dalla tua parte di letto.

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Capitolo 26
*** Tutto come prima (parte2) ***


 
25.Tutto come prima(Parte2)


Il piede di Nico dondolava oltre il davanzale della finestra aperta.
Aveva gli occhi chiusi e stava appoggiato con la testa al muro accanto a se, sentiva il vento afoso di quelle notti estive sul viso e il respiro calmo e regolare di Will che dormiva sul letto.
Nico infatti l’aveva accompagnato nella sua stanza, il tempo di toccare il materasso che il biondo stava già dormendo profondamente.
Il più piccolo non se l’era sentito di lasciarlo solo, non dopo quello che era successo. Così si era seduto sulla finestra, ormai erano ore che stava fermo in quella posizione.
Stava pensando a tutto quello che era successo, non solo quel giorno, ma stava ripensando proprio a tutto, dal primo momento che li aveva conosciuti, tutti quanti, quelli che ormai erano diventati la sua nuova famiglia.
Non importa quante divergenze possano esserci, la famiglia si perdona sempre e non si abbandona mai.
Arrivò alla conclusione che non gliene importava nulla del suo orgoglio, non poteva permettere che tutti lo odiassero, non ce l’avrebbe fatta. Doveva aggiustare le cose, subito.
Ruotò il busto e rientrò dentro la stanza con un balzo, silenzioso come un gatto.
Sorrise a quel pensiero, al pensiero di Ombra, che era li con loro, letteralmente.
Stava dormendo acciambellato sul letto di Will, nel cuscino accanto alla faccia del ragazzo.
Quando sentì Nico muoversi alzò la testa per scrutarlo, Nico parlò in un sussurro –Torno subito, tienilo d’occhio tu a Will.
Il gatto emise una vibrazione bassa e profonda, poi tornò a poggiare la testa tra le zampe anteriori, Nico sorrise soddisfatto.
Uscì dalla camera e percorse velocemente i corridoi bui e silenziosi, era piena notte, ma sapeva che la persona che stava cercando non era di certo addormentata.
Davanti la sua porta stava Clarisse di guardia, era ovvio, dovevano preoccuparsi che poteva fare qualcosa di stupido e affrettato.
Non appena lo vide si mise in posizione di attacco, Nico alzò subito le mani, segno che veniva in pace.
-Voglio solo parlare con lui.
-Non voglio spargimenti di sangue a quest’ora, mi secca ripulire.
-Sono disarmato. E voglio solo scusarmi con lui per oggi.
La ragazza sospirò, poi gli fece segno di entrare –Se ti stacca un braccio non venirti a lamentare con me.
Nico la ignorò, aprì la porta, entrò velocemente richiudendosela alle spalle.
Leo era seduto a terra, come il moro aveva ben immaginato non aveva nessuna intenzione di dormire, era in mezzo al caos creato da piccoli oggetti smontati e altri elementi che Nico non seppe identificare.
Leo non sembrò accorgersi di lui fino a quando questo non gli si mise davanti, non si degnò neanche ad alzare lo sguardo quando parlò con un tono di voce roco, come di chi ha urlato per così tanto tempo da graffiarsi tutta la gola.
-Sei venuto perché oggi ti hanno interrotto mentre sputavi sentenze? Ti eri dimenticato qualcosa?
-Sono venuto per scusarmi.
Leo sorrise amaro –Non me ne faccio nulla delle tue scuse, non la riavrò comunque.
Nico non rispose, semplicemente mise una mano nella tasca posteriore dei suoi jeans e ne uscì una piccola foto, si accovacciò sui talloni e gliela mise davanti, posata sul pavimento.
Leo la fissò solo per pochi secondi, poi distolse lo sguardo stringendo gli occhi, sul punto di piangere nuovamente.
La foto era un’immagine della sua bambina in bianco e nero, il feto al quinto mese.
-Mi ha fatto giurare di non dirti niente per proteggerti. L’ha fatto perché ti ama.
-Pensi che questo mi faccia sentire meglio?- La voce che pian piano di alzava –Pensi di aggiustare tutto con questo? Lo sai come mi sento? Sai quello che sto passando? Hai idea di quello che ho passato per tutta la mia vita?
Nico non si fece intimidire e non vacillò neanche per un secondo –Si. Noi due siamo uguali, non te ne sei mai reso conto? Potevi anche ridere sempre, ma so cosa significare soffrire ed essere abbandonati da tutti quanti si è molto piccoli, ho sempre saputo tutto di te.
Leo a quel punto esplose, si alzò di scatto stringendo in mano qualcosa che stava ancora costruendo e che fece un rumore non del tutto rassicurante –Proprio per questo allora dovevi stare dalla mia parte! Dirle che stava sbagliando tutto e che io avevo tutto il diritto di sapere una cosa simile! Invece hai fatto di testa tua, come sempre!
Prese un bel respiro, cercò di tornare lucido, gli diede le spalle e si allontanò, guadagnando l’altro lato della stanza.
Sempre di spalle riprese a parlare –Che cosa vuoi? Perché sei venuto qui?
-Volevo solo…- Nico non era più sicuro di nulla –Che tutto tornasse come prima.
-Come prima?- Leo lo stava schernendo –Come puoi pretendere che tutto torni come prima? Hai fatto le tue scelte, ora impara a convivere con le conseguenze. Nulla tornerà mai come prima.
Quando Nico uscì da quella stanza sbattendo forte la porta mentre la chiudeva, Clarisse era ancora li, ovviamente aveva sentito tutto, commentò distrattamente –Direi che è andata bene.
Nico non le rispose.
Tornò nella sua stanza, sempre in silenzio, era così concentrato e perso nel rivivere il discorso che aveva appena avuto con Leo e capire dove aveva sbagliato che neanche si accorse che Will si era svegliato e lo fissava con uno sguardo assonnato.
-Dove sei stato?- Solo dopo questa domanda il moro si riconnesse alla realtà.
Nico fu totalmente sincero, le parole gli uscirono dalla bocca come un fiume in piena.
-Pensavo di potermi scusare con Leo e consolarlo, mi sbagliavo. Mi odia, completamente. Non importa tutto quello che gli abbia detto, che comunque Calypso non ha mai smesso di amarlo, è sconvolto dal dolore, non vuole avere più niente a che fare con me… come tutti voi. Dice che nulla potrà mai tornare come prima, sto iniziando a crederci sempre di più anche io.
Ombra si rese conto del suo turbamento e, dopo essersi stiracchiato, andò dal suo padrone, facendo le fusa e aspettando che questo lo prendesse in braccio, cosa che Nico fece quasi immediatamente.
Will a quel punto era del tutto sveglio.
-Vuoi che tutto torni come prima?- Chiese lentamente soppesando per bene le parole.
Nico annuì, non pensando davvero a quello che la conversazione avrebbe portato.
-Allora parlami, dimmi perché mi hai lasciato, perché mi hai fatto provare tutto questo per interi mesi e perché ti sei condannato anche tu, so che hai sofferto quanto me. Dimmi il perché. Ne ho il diritto.
Nico boccheggiò. No, non aveva pensato per niente a un risvolto del genere, troppo perso nei suoi pensieri.
-Non puoi tirarti più indietro- concluse Will e attese, attese quella conversazione che attendeva da così tanto tempo. Non poteva più attendere oltre, aveva bisogno di sapere.
Nico gli si avvicinò, sempre con Ombra in braccio e si sedette al limite del materasso, dall’altro lato del letto.
-Era la nostra settima missione insieme, te la ricordi?
-Come potrei dimenticarla?- Sussurrò Will.
-C’era quell’uomo che ti stava colpendo alle spalle, era vicinissimo a te, l’ho visto come a rallentatore nella mia testa mentre ti uccideva. Non potevo permetterlo. Non ci pensai due volte prima di assalirlo e… L’ho letteralmente sventrato con quel pugnale. Non avevo mai fatto nulla del genere, te lo giuro. Non volevo farlo così. E poi…
La sua voce che diventava sempre più bassa, persa in quel ricordo doloroso che non avrebbe mai dimenticato.
-Quando mi sono girato a guardarti, tu… avevi quello sguardo… Lo sguardo di chi ha capito di avere accanto un mostro. Eri terrorizzato da me. Lo vedevo. Ma non potevo sopportarlo, non da te. Per questo sono scappato.
Scese il silenzio, un silenzio denso e pieno di tutto quello che non si erano detti in quei mesi.
-Sei un idiota- la voce di Will era piena di rabbia.
-Non hai mai capito nulla!- Continuò –Ero terrorizzato, si. Ma per te, perché sapevo che ti saresti punito per quello che avevi fatto, ero terrorizzato per come l’avresti presa, per come avresti reagito, ero solo preoccupato da morire per te.
Will si alzò, sempre più infuriato.
-Abbiamo passato tutto questo per uno stupido malinteso, perché tu hai questo stupido vizio di tenerti sempre tutto dentro!
-Non volevo… Non potevo sopportare che mi dicessi in faccia che fossi un mostro, non volevo parlare per questo.
Will a quel punto urlò –Sono io! Mi conosci! Sai che non avrei fatto una cosa del genere, MAI!- quasi accecato dalla rabbia si avviò verso la porta per andare via, da qualsiasi altra parte.
Nico non ci pensò due volte prima di alzarsi di scatto, ignorò anche Ombra che cadeva a terra e gli soffiava contro, era focalizzato solo su Will, sapeva che se gli avrebbe permesso di uscire da quella stanza l’avrebbe perso per sempre e nulla, mai più, sarebbe tornata come prima.
Fu un semplice scatto -No- sussurrò afferrandolo per un braccio.
Will si girò a fronteggiarlo, quello che vide nei suoi occhi lo spiazzò. Nico era disperato.
-Ti prego, non andartene. Urlami contro, prendimi a pugni, ma non andartene. Non abbandonarmi … Mi sei rimasto solo tu.
Will sentì che la mano che ancora teneva il suo braccio stava tremando, mentre il respiro del ragazzo si faceva sempre più veloce e incontrollato. Il biondo era abbastanza certo che stesse per avere un attacco di panico.
Tutta la sua rabbia svanì in un lampo.
-No, amore no- sussurrò senza pensarci prima di stringerlo tra le braccia –Sono qui, non me ne vado…
Un braccio gli circondava la schiena, l’altra mano era tra i suoi soffici capelli neri, gli aveva appoggiato il viso contro il suo petto, proprio per fargli capire che non se ne sarebbe andato, che era li con lui e che non l’avrebbe lasciato andare mai più.
Nico non disse una parola, ma pian piano il suo respiro si regolarizzò sempre di più.
Infine fece un lungo sospiro e lentamente alzò lo sguardo insieme a una mano che delicatamente si posò sulla guancia del più grande per accarezzargli uno zigomo con il pollice.
Will sospirò a quel contatto chiudendo gli occhi, ma rincatenò il suo sguardo a quello scuro di Nico quando questo finalmente parlò.
-Ti va di ascoltare una storia, Will?
______________________________________
Direi che a questo punto è chiaro su chi sarà il prossimo capitolo del passato, no? ;)
Nello scorso capitolo ho "aggiustato" la Percabeth, dovevo farlo anche con la Solangelo.
Non smetterò mai di dire che il rapporto tra Nico e Leo è quello che mi piace di più in quanto a Brotp, ma anche queste scene servono.
Non penso che qualcuno abbia davvero torto, Leo ha tutto il diritto di trattarlo così visto quello che sta passando e aveva anche tutto il diritto di essere a conoscenza della bambina che stava crescendo nel ventre della sua ragazza. Nico, dal canto suo, non aveva nessun diritto di andare a dirglielo e doveva fare esattamente quello che ha fatto, era una scelta di Calypso quella di dirlo a Leo o meno, Nico non poteva scegliere per conto suo.
Quindi secondo me hanno ragione entrambi. Voi che ne pensate?
E del capitolo in generale? Curiosi del prossimo?
Alla prossima settimana! Deh

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Capitolo 27
*** Passato - Nico ***


26.Passato - Nico


Quando sua sorella tornò a casa Nico la stava aspettando sveglio, come ogni notte.
Stava seduto sul vecchio divano a strisce bianche e blu con metà delle molle rotte.
E aspettava, al buio, tenendo lo sguardo fisso sull’orologio alla parete che ticchettava ogni secondo.
Bianca tornava sempre dopo le tre.
Ormai non gli diceva più nulla, non ne aveva neanche la forza, semplicemente sospirava e apriva le braccia.
-Vieni qui- sussurrava dopo e Nico non si faceva pregare.
Non diceva neanche una parola, semplicemente si alzava dal divano e correva a gettarsi tra le sue braccia, stringendola forte, ringraziandola mentalmente per essere tornata da lui e non averlo abbandonato.
Nico aveva solo ricordi vaghi dei suoi genitori, delle immagini talmente sfocate che potevano essere benissimo sogni.
Sapeva solo che un giorno erano scomparsi, andati via.
Nico non parlava mai, era un bambino abbastanza inquietante per avere solo sei anni.
A scuola gli altri gli stavano alla larga, erano quasi terrorizzati, il suo silenzio e la sua immobilità gli faceva paura.
Era anche un bambino abbastanza intelligente per avere solo sei anni, ma alla fine tutto era dovuto al fatto che fosse cresciuto troppo in fretta.
Le rare volte che parlava lo faceva con Bianca, un giorno le chiese perché loro non avessero un papà e una mamma come tutti i suoi compagni.
La ragazza non gli diede una vera risposta, mentre continuavano a mangiare del pane duro e raffermo rispose con una sola frase “Perché ci hanno abbandonato”.
Nico non seppe mai, in futuro, se alla fine i loro genitori erano morti o fossero fuggiti di casa, non gli interessava saperlo.
Perché gli sarebbe dovuto importare di qualcuno che in un qualsiasi modo li aveva abbandonati?
Ma alla fine era pur sempre un bambino e anche se faceva finta di non importargli, il terrore dell’abbandono era sempre presente dentro di lui.
Bianca lavorava di notte per portare quei pochi soldi che li facevano sopravvivere e Nico l’aspettava sveglio proprio per questa paura.
Non riusciva ad andare a dormire fino a quando sua sorella non tornava.
Nico non sapeva cosa facesse sua sorella, non aveva neanche provato a chiederglielo, sapeva che non gli avrebbe risposto.
Ma non poteva non notare come almeno tre sere a settimana Bianca tornava con dei lividi visibili.
Poi una notte tornò combinata nel peggiore dei modi, aveva il naso che perdeva sangue e un occhio pesto. Quando Nico corse ad abbracciarla alla ragazza uscì una lacrima che le percorse il viso.
Non dissero nulla, quella notte però Nico dormì con lei.
Fu l’ultima notte, Nico non la dimenticò mai.
Il giorno dopo, alle dieci di sera, la ragazza si preparò per uscire, come al solito.
Nico non voleva che se ne andasse, il terrore lo invadeva, non voleva che qualcuno le facesse del male.
Poi la ragazza si abbassò per salutarlo, come faceva sempre, ma quel movimento le causò una smorfia di dolore.
Nico scattò afferrandole la maglietta –Non uscire questa sera- la supplicò con la sua voce infantile.
Lei si limitò a stringere le labbra e arruffargli i lunghi capelli neri –Tornerò presto, promesso.
Poi si rimise in piedi e andò via.
Quando la porta fu chiusa alle sue spalle la casa scese nel silenzio più assoluto, quello che per Nico non doveva essere una novità, ma quella sera era più assordante del solito.
Senza neanche mettersi il giubbotto si mise in punta di piedi e aprì la porta, poi corse fuori da quello squallido condominio e cercò sua sorella.
La trovò, una semplice figura nera in fondo al vicolo a destra, la riconobbe grazie al cappello floscio che aveva tra i capelli.
La seguì.
Ma la seguiva da lontano e comunque aveva le gambe molto più corte di Bianca, così a un certo punto la perse di vista.
Il cuore iniziò ad accelerare e la paura tornò prepotente, il bambino iniziò a correre senza meta, doveva solo ritrovarla.
Si ritrovò in uno dei quartieri più squallidi di quella città, anche più squallido di quello dove abitavano loro.
Il moro si bloccò di scatto quando sentì delle risate e dei lamenti.
Si avvicinò lentamente al vicolo dal quale provenivano.
E poi la vide, Bianca era li con tre uomini, la ragazza era mezza nuda e si stava lamentando, mentre quelli sembravano più divertiti.
Nico non sapeva, non capiva cosa stesse succedendo, ma era consapevole che a sua sorella non piaceva, le stavano facendo male.
-Bianca!- Urlò con tutto il fiato presente nei suoi polmoni correndo da lei.
La ragazza strabuzzò gli occhi e boccheggiò il nome del fratello.
Nico intanto era arrivato da loro, si era aggrappato all’uomo più attaccato alla sorella e aveva iniziato a prenderlo a calci.
-Lasciala! Lascia la mia sorellona! Le stai facendo male! Lasciala!!
L’uomo sorrise divertito, lo spintonò con un solo braccio e il bambino cadde a terra.
Però in effetti Nico era riuscito a far staccare quell’uomo da Bianca, perché questo si interessò totalmente a lui, mentre gli altri due tenevano ferma la ragazza.
-Chi abbiamo qui? Ci hai portato anche il tuo fratellino? In effetti è molto carino, ha dei lineamenti quasi femminili.
-Non ti avvicinare a lui! NICO SCAPPA!
-No, non lo farà.
L’uomo lo tenne fermo a terra e gli strappò i pantaloni.
Nico non sapeva cosa stesse succedendo, non riusciva a capire, ma i suoi occhi gli si riempirono di lacrime e disperato cercò il volto della sorella.
-Bianca- miagolò con voce rotta –Mi sta facendo male… fallo smettere…
Sua sorella lo fissava impotente, uno sguardo disperato in volto mentre tentava di liberarsi.
-Mi fai male! Smettila! Bianca… per favore…
-Sei uno stupido Nico! Non dovevi seguirmi!- Gli urlò contro sua sorella ormai in preda alla disperazione distogliendo lo sguardo da quella scena.
-Scusa! Scusa non lo faccio più, te lo giuro, non lo farò mai più… Ma fallo smettere, mi fa tanto male!
E poi non disse più nulla, semplicemente iniziò a urlare.
Per Bianca fu troppo, riuscì a liberarsi mordendo e scalciando, corse da suo fratello e prese a calci l’uomo che gli stava sopra.
Gli spaccò qualche dente, perché sputò un grumo di sangue dalla bocca mentre un rivolo rosso gli scendeva lungo il mento.
Era anche riuscito a distrarlo, infatti l’uomo smise di giocare con Nico e le si avvicinò con uno sguardo inquietante.
-Hai davvero superato il limite puttanella. Sei morta.
Poi iniziò a picchiarla.
Nico non riuscì a fare nulla era immobilizzato dal dolore, rimase a singhiozzare sdraiato in quella sudicia strada.
Lasciarono la ragazza più morta che viva buttata a terra, poggiata contro il bidone della spazzatura.
Nico per un attimo pensò sul serio che era tutto finalmente finito, ma non aveva nessuna idea che la parte peggiore dovesse ancora arrivare.
Lo fecero alzare con la forza e lo misero di fronte alla sorella, poi gli misero in mano qualcosa di freddo e pesante.
Nico vide sua sorella strabuzzare gli occhi e fissarlo terrorizzato.
Il bambino abbassò lo sguardo su ciò che continuavano a fargli stringere fra la mano.
Era una pistola, non troppo grande, ma a lui sembrava enorme e pesantissima.
Iniziò a tremare e cercò di allontanarsi e lasciarla andare, ma era tutto inutile.
L’uomo gli fece alzare la mano e gli posò l’indice sul grilletto, insieme al suo dito, si avvicinò al suo orecchio e sussurrò –Dì addio alla tua sorellona.
Poi lo costrinse a premere il grilletto.
Bianca sorrise a Nico, quasi come a rassicurarlo, come a volergli dire che andava tutto bene, che non era colpa sua. Poi morì.
Tutto quello che avvenne dopo era solo confusione nella sua mente, non sapeva quanto tempo dopo quei uomini se ne fossero andati, forse subito, forse dopo ore, Nico non l’avrebbe saputo dire.
L’unica cosa certa erano gli occhi di sua sorella, spenti, vitrei, che lo fissavano senza vederlo realmente.
Nico l’aveva uccisa.
Era un bambino cattivo.
Sapeva che alle persone cattive facevano cose brutte, aveva già fatto una monelleria uscendo di casa e seguendo sua sorella anche se questa gli aveva detto di non farlo, così per punirlo quell’uomo gli aveva fatto molto male.
Ora aveva ucciso Bianca, Nico sapeva che questa era una cosa che facevano le persone molto cattive e sapeva anche che se qualcuno l’avesse trovato gli avrebbe fatto molto più male di quello che aveva fatto quell’uomo. E Nico non voleva.
Così, semplicemente, scappò.
Era un bambino abbastanza intelligente, riuscì a sopravvivere per tre mesi vivendo nelle strade di Venezia. Vivendo di quello che riusciva a rubare, anche senza mangiare per interi giorni.
Non aveva nessun contatto con nessuna persona, il terrore di quello che gli avevano fatto e che gli potevano fare era sempre vivo nel suo petto.
Il suoi unici amici erano i gatti randagi che popolavano quelle strade. Con loro Nico ricevette anche solo quell’1% di affetto che non aveva mai ricevuto.
Poi loro lo trovarono.
Quando Nico capì di essere seguito iniziò a correre, conosceva tutte le scorciatoie di quella parte di città, aveva un bel vantaggio.
Ma anche quei due uomini erano abbastanza bravi, si muovevano sinuosamente e facevano dei salti da invidia, o almeno, questo fu il pensiero di Nico che aveva ormai quasi sette anni.
Riuscirono a bloccarlo.
Non appena il bambino si sentì toccato, anche se solo nel braccio, tutti i ricordi di quella sera gli tornarono in mente e iniziò a urlare di lasciarlo.
L’uomo che lo stava tenendo lo lasciò di scattò, ma non gli lasciò libera la via di fuga.
Nico si ammutolì e iniziò a scrutarli da cima a fondo, per capire quale sarebbe stata la loro prossima mossa.
L’altro uomo fece un passo in avanti alzando le mani in segno di resa.
-Non vogliamo farti nulla- gli disse con un italiano dal forte accento straniero –vogliamo solo proporti una cosa.
Nico non rispose, ma la sua attenzione fu maggiore.
L’uomo continuò –Se prenderai una cosa per noi ti ricompenseremo.
-Perché non lo fate da soli?- Sbottò insolente.
L’uomo fece un sorriso vedendo che aveva la piena attenzione del ragazzo –Perché è in un posto dove non arriviamo, ci serve qualcuno di piccolo e veloce come te.
Nico non disse nulla.
-Ti daremo dei soldi in cambio, molti soldi.
Il moro ci pensò su per qualche altro istante, poi rispose di getto.
-Va bene. Ma non voglio dei soldi.
I due uomini si fissarono confusi –E cosa vorresti?
-Voglio che mi insegniate tutte quelle cose che avete fatto prima!
L’uomo che precedentemente l’aveva afferrato si morse un labbro –Dove sono i tuoi genitori?
-Non li ho. Non ho nessuno.
Quelle due semplici frasi non gli fecero provare nulla, era quasi diventato apatico.
I due uomini tornarono a guardarsi, indecisi sul da farsi.
-Bè, il potenziale lo ha…
L’altro annuì –E non ha nulla da perdere, sono abbastanza certo che non ci deluderà. Possiamo addestrarlo come si deve.
Tornarono a fissarlo.
-Affare fatto.
_____________________________________________
Ciao!
Parto con il dire che questo è stato il primo capitolo sul passato di qualcuno che ho scritto, da questo mi è venuta l'idea di creare Secrets e intervallarla con i capitoli dei loro passati. Praticamente l'ho scritto ai tempi di Mission ma non so, era come se non mi sembrava giusto raccontare questa storia li, come se fosse troppo presto.
So di essere stata praticamente cattivissima, ma obiettivamente Nico nella saga di Rick è quello che soffre di più, insomma abbiamo visto la sofferenza della Percabeth nel Tartaro, non riesco neanche a immagianre come Nico sia riuscito ad affrontarlo da solo. Quindi secondo me in una AU doveva avere una storia altrettanto tragica e distruttiva.
Ho voluto parlare di argomenti delicati come lo stupro e la pedofilia visti però dal punto di vista di un bambino, quindi rendendoli quasi "leggeri" nella descrizione, perchè obiettivamente non si rende davvero conto di quello che sta succedendo ma vede tutto come una punizione per non aver ubbidito alla sorella. E quindi come questo cambi il suo modo di pensare. E spiega perché Nico è restio al contatto fisico e, come diceva nella prima saga, "puoi fare sesso con chiunque ma baciare solo di chi ti importa".
E niente, spero che non vi abbia delusi, fatemi sapere!
Alla prossima, Deh

P.S. Vorrei fare un ringraziamente speciale a time_wings perché è sempre qui per commentare e perché non ha saltato neanche un capitolo con una delle sue recensioni, grazie davvero.

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Capitolo 28
*** L'idea di Piper ***


27.L'idea di Piper


Scese il silenzio.
I due ragazzi erano stesi nel letto, Nico aveva appena finito di raccontare come era entrato nella CIA.
Will non disse nulla, aveva bisogno di alcuni minuti per assimilare il tutto.
Nico gli lasciò il suo spazio, dopo un po’ però si mise seduto, quando le prime luci dell’alba iniziarono a entrare dalla finestra.
Prese una mano del ragazzo fra le sue e la portò nel suo braccio destro facendola scorrere lentamente.
Will lo fissò corrugando la fronte, non capendo.
-Cosa senti?- Sussurrò allora il moro tenendo lo sguardo basso.
Il biondo allora avvicinò anche l’altra mano e le passò sul braccio, ma stava facendo troppa pressione.
Nico gli disse di farlo più delicatamente e fu a quel punto che Will le sentì.
Delle linee più rialzate non a intervalli regolari si trovavano all’interno del polso del ragazzo, non si vedeva nulla, perché tutto era coperto dall’inchiostro nero dei tatuaggi, ma Will le sentiva.
Trattenne il fiato –Sono… sono…
-Cicatrici.
Concluse per lui Nico distogliendo ancora di più lo sguardo.
-Io… ero solo un bambino e pensavo di essere una persona cattiva e… Mi avevano sempre insegnato che le persone cattive si puniscono. Durante gli allenamenti quei coltelli erano sempre li e sembravano chiamarmi e ricordarmi quello che avevo fatto. Gli incubi che avevo ogni notte poi non aiutavano.
-Così hai iniziato a tagliarti- concluse Will con voce dura.
-E’ durato poco, ho poi capito che non serviva a nulla, che era solo stupido quello che stavo facendo e che avrei solo fatto pena alle persone, ma che non mi avrebbero amato comunque. Mi sono odiato e ho cercato di cancellare ogni prova del mio passato, mi sono riempito il braccio di tatuaggi per nascondere tutto quanto.
Strinse gli occhi e le labbra, poi si fece coraggio e alzò velocemente la testa per puntare i suoi occhi in quelli blu dell’altro.
-Dimmi Will- quasi lo aggredì –Mi hai chiamato amore, ma come potresti amare una persona così distrutta? Ho ucciso mia sorella, la persona che più amavo al mondo, sparandole nel petto. Sono stato stuprato quando ero solo un bambino, sono diventato un autolesionista, mi sono odiato per questo e tutti, prima o poi, se ne sono sempre andati. Come puoi amare una persona simile?
-Non penso che qualcuno te l’abbia mai detto, infondo come hai detto tu eri solo un bambino- iniziò il biondo avvicinandosi di più al suo volto e afferrando quest’ultimo con entrambe le mani –non sono quelle solite parole di circostanza quindi ascoltami bene.
Nico non rispose, ma Will intuì che aveva la sua piena attenzione, così continuò.
-Tu non sei una persona cattiva, Nico Di Angelo. Sei una persona stupenda a cui hanno fatto del male solo per divertimento. Ma tu non meritavi nulla di tutto questo e non sei assolutamente come queste persone. Tutti gli incubi, tutto quello che hai passato- e gli sfiorò l’interno del polso destro –Sono la chiara dimostrazione che tu non sei come loro.
Poi lo baciò, gli sembrò quasi di tornare a respirare.
-Will…- Nico cercò di parlare una volta che le loro labbra furono di nuovo divise, ma il biondo non glielo permise.
Rotolarono sul letto, Will era al settimo cielo, quasi non ragionava più, aspettava quel momento da troppo tempo, sentire la sua pelle nuda contro le sue mani e poi… Percy.
Percy, con un volto radiante rispetto i giorni precedenti, entrò nella camera senza neanche bussare e chiamando Nico a gran voce.
Metabolizzò solo dopo qualche minuto la situazione –Vi disturbo?
Nico sbuffò e allontanandosi da Will si alzò dal letto, quest’ultimo invece borbottò –Se fossi venuto qualche minuto più tardi forse avresti davvero capito come fanno sesso due ragazzi.
Nico gli lanciò un cuscino, poi si rivolse al nuovo arrivato –Cosa c’è?
-Era vuole vederci, ha indetto una riunione per parlare di quello che è successo e trovare una soluzione.
 
-Dobbiamo agire, subito- fu la prima cosa che disse Era non appena si furono riuniti tutti nella stessa stanza.
-Subito? Senza mettere a punto nulla?- Chiese Annabeth un po’ scettica, era una grandissima fan dei piani dettagliati e studiati nei minimi particolari.
Leo si mosse irrequieto, voleva protestare a quello che aveva appena detto la sua amica, ma prima che riuscisse anche solo ad articolare la prima parola della frase Era intervenne.
-Si, subito, così il nemico non se lo aspetta. E’ un’operazione molto delicata, non possiamo permetterci di aspettare oltre, fra tre ore si parte. Dobbiamo solo scegliere gli elementi per la squadra.
Annabeth alzò la mano.
-No- si precipitò subito a dire Percy.
-Non può partire con quella gamba- si affrettò subito a dire Era, per chiudere li quella discussione.
-Non mi stavo offrendo volontaria- specificò la ragazza –Volevo solo chiedere se già si sa la loro collocazione.
-Abbiamo un paio di idee, ne abbiamo già parlato con la signorina McLean, conosce tutti i posti dove suo fratello si possa nascondere, li proveremo tutti, da quello più prevedibile in ordine.
-Will deve andare per forza- la voce era flebile, apparteneva a Hazel, era mezza sdraiata in una poltrona, non si era ancora del tutto ripresa dopo il lungo intervento del giorno prima, ma era un suo diritto partecipare a quella riunione. Continuò a parlare dopo aver scrutato tutti molto attentamente –Calypso è incinta, è di vitale importanza che un dottore come Will prenda parte a questa missione.
Era annuì –E’ rischioso perché potrebbero riconoscerti, ma sei indispensabile. Tu andrai. Insieme a Thalia, Luke, Frank, Clarisse e Leo.
-Andrò anche io- annunciò subito Nico.
-E io- continuò Percy –Non potete lasciar i migliori combattenti qui!- Guardò gli altri –Senza offesa.
-Ci ho già pensato a lungo, signor Jackson, ma lei, Di Angelo e Grace siete troppo riconoscibili, non vi posso mandare in missione.
-Ma…- Percy stava continuando a protestare, fu zittito da uno sguardo di fuoco lanciato dalla donna, il caso era chiuso.
Nico però non si fece intimidire e continuò la sua protesta stringendo le nocche dei pugni chiusi e sforzandosi di restare seduto e calmo.
-Non mi fermerete- la sua voce era fredda e bassa.
-Vuoi mandare in aria tutto?- Proruppe Thalia.
-Sarete voi a mandare in aria tutto. Io vi servo- poi si corresse, perché se erano in due a combattere per quella cosa forse avevano più possibilità di  convincerli in un qualche modo –Noi vi serviamo.
-Non puoi venire. Ti conoscono, faresti saltare la nostra copertura in meno di un attimo.
Cercò di farlo ragionare Chris.
Nico gli riservò un’occhiata piena d’odio. Anche se si era salvato grazie a lui, nella missione precedente, non poteva di certo dimenticare tutte le torture che aveva subito, alle quali Chris aveva assistito senza battere ciglio.
Stava per urlare qualcos’altro quando intervenne Piper.
-Penso di sapere come aggiustare la cosa- nessuno mai faceva troppo caso a lei, era nella CIA da troppo poco tempo perché qualcuno si interessasse al suo parere, ma ogni volta che si trovavano in una situazione disperata alla ricerca di una soluzione la sembrava trovare sempre le soluzioni più semplici e allo stesso tempo più strane.
Annabeth la scrutò con un mezzo sorriso in volto
-Cioè?- Chiese dopo qualche secondo di silenzio Jason.
Tutti gli altri la fissarono scettici, con qualche sopracciglio alzato, curiosi davvero di capire cosa avesse in mente la ragazza.
Ma lei non spiegò, semplicemente si alzò e si avviò alla porta.
-Venite con me- disse ai due mori, poi si rivolse a tutti gli altri –Partite fra tre ore come stabilito, ci vediamo al garage. Sistemate tutte le cose, anche per loro, vi porterò questi due appena in tempo, fidatevi di me.
Annabeth sorrise ancora di più, forse aveva capito il piano della sua amica.
-Che hai in mente?- Le domandò Percy una volta in corridoio.
Lei lo ignorò, si concentrò invece su Nico, lo fissò intensamente, con gli occhi socchiusi, quasi a voler cercare qualche segno di vacillamento. Ma Nico era estremamente convinto della sua decisione.
-Sai che Will se la sa cavare da solo, vero?- Se ne uscì a quel punto Piper.
Nico strinse le labbra –Lo so. Ma è una missione suicida, non lo lascerò mai andare senza di me. Mai.
Sulle labbra della ragazza spuntò un sorriso.
Nico distolse lo sguardo e borbottò –Non… Non dirgli che ho detto questo.
-No, ma dovresti farlo tu.- continuò a sorridere -Comunque, ho ben capito che sei disposto a tutto. Non ti piacerà quello che ho in mente, ma è l’unico modo.
Solo a quel punto tornò a rivolgersi a Percy e sorrise ancora di più –Invece, sono quasi certo che ti divertirai tu dell’idea che ho in mente.
Si girò e si avviò velocemente lungo il corridoio –Dai muovetevi- gli urlò dietro –Abbiamo solo tre ore e devo preparare entrambi.
Nico si mise le mani in tasca e sospirò, guardò di sottecchi il suo amico che aveva già iniziato ad avviarsi e borbottò –Se piace a Percy… Forse sono ancora in tempo per scappare…
Ma scosse la testa e dopo un ultimo sospiro li seguì. Aveva ormai preso la sua decisione.

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Capitolo 29
*** Vestiti da donna ***


28.Vestiti da donna


Clarisse sospirò e scosse la testa, poteva essersi innamorata di un ragazzo così stupido?
-Siamo 8! Non ci entriamo tutti in una macchina.
Chris continuava a non essere del tutto d’accordo –Bè, ma potreste entrarci, se vi stringete un po’.
-Prendetene due- intervenne a quel punto Jason –meglio non far stare Percy e Luke nella stessa macchina.
-Concordo- si intromise subito Will.
Jason lo fissò, ci pensò un po’ su, poi disse –E neanche tu e Nico.
Will fece un mezzo sorriso –E’ tutto okay.
E prima che qualcuno potesse chiedere spiegazioni si allontanò finendo di sistemare tutte le cose che potevano servirgli.
Li accanto stavano discutendo altri due ragazzi, ma a bassa voce e nessuno s’intromise o fece caso a loro.
Hazel infatti era mezza accasciata sulla poltrona che aveva trovato, non importava se era impolverata, neanche se n’era resa conto. Frank era accanto a lei e continuava a fissarla con occhio critico e uno sguardo preoccupato.
-Te lo ripeto, dovresti andare a riposarti, non ti fa stare bene questo.
-E io te lo ripeto per l’ultima volta- Hazel aveva un tono di voce basso, di chi è troppo stanco anche solo per pensare di discutere per qualcosa di così inutile –voglio stare con te, appena partirete andrò a riposarmi, qualche minuto in più non mi cambierà la vita.
Frank si morse il labbro per non rispondere, Hazel ovviamente se ne accorse e sospirò, poi allungò una mano per prendere una delle sue, stringerle e portarsela al viso per accarezzarsi una guancia e allo stesso tempo lasciargli piccoli baci.
Il suo tono di voce a quel punto cambiò, sempre basso, ma con una nota più triste –Sappiamo benissimo entrambi che questo genere di missioni sono suicide, abbiamo scelto questo lavoro, è giusto così, ma… Vorrei solo poter venire con te…
-Ehy- Frank si chinò al suo livello e le prese il viso con entrambe le mani –Tornerò, solo per te. Non potrei mai abbandonarti ora, lo sai. Te lo prometto.
E quella voce era così sincera che Hazel non poté fare a meno di sorridere.
Dall’altro lato della stanza invece stava Leo, se ne stava per conto suo, non parlava, avevo lo sguardo impassibile e stava giocherellando con qualcosa che aveva costruito e che teneva nelle ginocchia.
Annabeth lo fissava, non in modo disinteressato, ma lo scrutava attentamente.
Si stava comportando in modo strano, si vedeva, certo era normale visto quello che stava passando.
Ma Annabeth capiva che in tutto quello c’era qualcosa che stonava, era troppo calmo. Non come se si fosse rassegnato a quella situazione, ma tutto il contrario. Come se avesse un piano che aveva progettato tutto per conto suo, un piano del quale non aveva messo nessuno al corrente perché troppo assurdo, un piano che iniziava da quelle strane cose che si era costruito.
La bionda lo vide fare una smorfia fastidiosa per poi iniziare a grattarsi dietro l’orecchio.
A quel punto decise di avvicinarsi e chiedergli schiettamente cosa aveva in mente, non avrebbe accettato nessuna risposta vaga.
Ma prima che riuscisse nel suo intento venne interrotta dalla porta che si apriva, quello che successe dopo la sconvolse così tanto che le domande a Leo non gliele face mai.
Entrò Piper, la ragazza si schiarì la gola per avere l’attenzione di tutti, poi fece un sorrisetto e annunciò –Ho trovato il mio ruolo all’interno della CIA, che ne pensate?
Si scostò e fece entrare due ragazze, una uscì dalla porta tranquillamente, l’altra fu tirata a forza da un braccio, troppo imbarazzata per fare di testa sua.
Ci misero più di qualche secondo per capire davvero che non erano due ragazze, ma Percy e Nico.
-Non ci credo- sussurrò a quel punto Jason –Come diavolo hai fatto? Non li avevo riconosciuti per niente!
-E’ questo lo scopo, non farli riconoscere, no? Ora possono venire tranquillamente.
Luke a quel punto scoppiò a ridere, una risata quasi cattiva rivolta soprattutto a Percy.
Annabeth si indispettì, non aveva nessun diritto di giudicarlo, così intervenne senza pensarci due volte esclamando –Non riesco a credere che il mio ragazzo ha più tette di me.
Poteva sembrare un commento detto così tanto per, ma “il mio ragazzo” diede l’effetto desiderato, il sorriso del biondo morì e nacque quello di Percy che la fissò in un muto ringraziamento.
Il ragazzo aveva una parrucca rossa di capelli lisci che gli uscivano da un cappello bianco ed elegante che teneva in testa, in modo che non si notasse il loro non essere veri. Un vestito bianco stretto di sopra in modo che risaltasse il seno (che solo Piper sapeva com’era riuscita a fare) e largo di sotto, così che non si vedessero delle parti che una ragazza non dovrebbe avere.
Indossava degli stivaletti corti, dello stesso colore, non troppo alti.
Quando però si avvicinò ad Annabeth questa fece un mezzo sorriso e chiese –Ma riesci a camminare?
Percy si guardò i piedi, poi alzò le spalle e commentò –Sono sempre stato bravo nelle esercitazioni di equilibrio.
Poi si mosse un po’, per provare i vestiti –Che comunque questa gonna è comodissima, siete così fortunate. Perché tendi a mettere i pantaloni? E’ tutto così libero! Ma fantastico!
Annabeth si portò una mano alla fronte e sospirò, meglio se non rispondeva.
-Percy!- lo chiamò Jason e non appena il diretto interessato si girò il biondo gli scattò una foto.
-Ecco, questa sarà una di quelle foto che mi salverò ovunque e non cancellerò mai.
Percy sbatté le palpebre confuso, poi si indispettì –Ma no dai, non ero in posa!
Qualcuno rise, Annabeth lo fissò con ammirazione, non era cambiato di una virgola, avrebbe fatto di tutto per i suoi amici, perché era leale. E contavano anche queste piccole cose, farli ridere e allentare leggermente la tensione con qualche stupida battuta, anche se questo lo metteva in ridicolo.
Rimasto davanti la porta Nico era sempre più rosso in faccia e cercava di nascondersi, sperava con tutto il cuore che il pavimento sotto i suoi piedi si aprisse e una voragine lo inghiottisse per sempre.
Aveva un vestito nero simile a quello di Percy, ma con le maniche lunghe, questo perché nonostante il caldo il suo tatuaggio sarebbe stato troppo evidente e riconoscibile, almeno però era un tessuto davvero leggero.
Aveva anche lui degli stivali, senza tacco ed alti fino al ginocchio, questo lo faceva sembrare ancora più piccolo, Piper aveva deciso di fare in modo che lui desse l’impressione di una piccola bimba innocente non più grande dei 13 anni.
La ragazza gli aveva anche lasciato i suoi capelli, erano abbastanza lunghi per poter applicare delle extension dello stesso colore che non facevano notare in alcun modo il distacco.
Nico notò che Will gli si era avvicinato, ma stava comunque a una certa distanza.
Guardandolo di sottecchi e cercando di nascondersi nei suoi nuovi capelli mossi e lunghi borbottò –Che c’è? Hai paura che la gente poi possa credere che tu sia etero?- lo prese quasi in giro.
Will sorrise –No, in realtà ho più paura che mi prendano per pedofilo.
Nico gli diede un pugno per niente delicato mormorando un “idiota” sotto i baffi che non aveva.
Will si massaggiò la spalla dolorante –Questo non è di certo degno di una ragazza della tua età- il tempo di finire la frase ed evitò il nuovo pugno che il ragazzo gli stava dando.
-Possiamo andare?- Disse a quel punto Leo, anche se era più una domanda retorica visto che stava già salendo nel posto davanti di una delle due macchine.
Tutti a quel punto si mobilitarono.
Clarisse controllò che tutto quello che gli serviva fosse stato sistemato nei rispettivi bagagliai, Nico e Will si avviarono nell’altra macchina, il biondo si sedette alla guida, Nico si mise al suo fianco. A loro due si accodarono Frank e Percy.
Il primo diede un ultimo bacio alla sua ragazza, le sorrise e le disse nuovamente di non preoccuparsi.
Il secondo invece si prese del tempo in più, prima di seguirli fissò Annabeth e le chiese –Non ho ben capito prima, sono di nuovo il tuo ragazzo quindi?
Lei incrociò le braccia al petto e distolse lo sguardo –Di questo ne riparleremo quando tornerai, quindi vedi di tornare Testa d’Alghe.
Percy sorrise, non disse più nulla, semplicemente le diede un bacio in guancia, poi seguì i suoi amici.
Luke ignorò quella scena e a pugni stretti si diresse nell’altra macchina, sedendosi al posto del guidatore e iniziando a mettere in moto.
Clarisse lo seguì, non prima di aver dato un bacio frettoloso a Chris facendo in modo che nessuno li vedesse o si accorgesse di loro, non che ormai non lo sapessero, ma la ragazza non voleva che diventasse una questione di stato, era qualcosa di loro, intimo e voleva che così rimanesse. Senza domande indiscrete da parte di nessuno.
L’ultima a salire in macchina infine fu Thalia, perché prima si avvicinò a Piper e Jason.
Salutò inizialmente la prima, le fece un semplice sorriso e le mise una mano sulla spalla –Sei stata geniale con quei travestimenti, di sicuro Era apprezzerà tantissimo questa tua capacità.
La ragazza sorrise raggiante, sperava in un qualcosa di simile.
Poi Thalia si girò verso il fratello, lo abbracciò di slancio e gli sussurrò all’orecchio –Ci vediamo presto, piccolino.
A quelle parole il ragazzo restò di sasso, sconvolto.
Erano le stesse identiche parole.
Thalia non si accorse del turbamento che aveva fatto smuovere in Jason, quest’ultimo inoltre non sapeva se lei l’avesse detto perché anche lei lo ricordava o senza un motivo specifico, ma semplicemente perché le era passato per la mente.
Non rispose, troppo sconvolto per farlo.
Semplicemente la vide allontanarsi verso la macchina, salire sopra e partire.
Mentre le due macchine diventavano puntini lontani verso il cancello della struttura, le immagini del passato di Jason invasero la sua mente.
Sapeva, nel profondo del suo cuore, che qualcosa sarebbe andata storta.
_________________________________________________________
Ciaoo
Lo so, sono in ritardo di due giorni, ma ho una scusa plausibile.
Ho una relazione a distanza e questo fine settimana sono stata a trovare il mio ragazzo, potete benissimo capire che per due giorni non ho portato il pc e soprattutto non avrei neanche avuto il tempo per aggiornare. Mi perdonate?
Detto questo, è più un capitolo di passaggio, mi serviva per introdurre il passato di Jason (che sarà l'ultimo, poi i capitoli andranno tutti normali senza interruzioni) e anche per far capire quello che provano, ognuno di loro.
Ci sentiamo sabato!
Deh

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Capitolo 30
*** Passato - Jason ***


29.Passato - Jason


I bambini, di solito, non ricordano mai avvenimenti di quando erano troppo piccoli.
Ma quello era un caso diverso, Jason aveva solo tre anni.
Era un piccolo bimbo paffutello ma agile, con un sacco di capelli biondi a incorniciargli quel volto tondo tipico dei bambini, nel quale erano incastonati due grandi occhi di un azzurro brillante, esattamente come quelli di sua sorella.
Correva continuamente per casa giocando nei modi più svariati, era sempre sorridente e spensierato. Alla fine, che problemi poteva mai avere un bambino di tre anni che aveva tutto?
Nonostante fosse così piccolo però quella giornata la ricorda nei minimi dettagli, non potrebbe essere altrimenti, perché fu il giorno in cui tutta la sua vita cambiò.
Era una nuvolosa mattina di ottobre, una di quelle tipiche giornate dove non fa né troppo caldo e né troppo freddo, dove soprattutto non si capisce con che abbigliamento uscire di casa.
Sua madre lo svegliò scuotendolo dolcemente e con un sorriso. Era strana sua madre, Jason non riusciva a capire in che modo, troppo piccolo per riflettere su queste cose da adulti, ma anche a tre anni riusciva a capire che c’erano giorni in cui si comportava in modo “triste” e giorni in cui era felice. Quest’ultimo era uno di quei giorni e Jason non poté fare a meno di sorridere mentre si stropicciava gli occhi, era felice quando sua madre era felice.
Si alzò dal letto e sua madre lo aiutò a cambiarsi, non doveva uscire, ma sapeva che avrebbe fatto giochi dove si sarebbe sporcato e avrebbe sudato, quindi gli mise un sotto di tuta che era già strappato in un ginocchio e una maglietta vecchia e stinta, gli fece mettere le ciabatte e, dopo averlo lavato per bene, lo fece scendere per fargli fare colazione.
In cucina il bambino non trovò suo padre, forse stava già lavorando, ma trovò Thalia. La ragazza sembrava andare molto di fretta, aveva un toast bruciacchiato che gli usciva dalla bocca, non aveva tempo per sedersi a tavola e mangiare, quindi aveva afferrato la prima cosa al volo mentre finiva di prepararsi lo zaino.
-Dove vai?- chiese Jason con la voce sottile e la tipica curiosità dei bambini.
Thalia sorrise con soddisfazioni –A un campo.
-Si gioca?- chiese subito il biondo.
La ragazza rise –Più o meno, possiamo dire così, si.
-Mi ci porti qualche volta?- Jason aveva gli occhi che gli brillavano e quasi saltò sulla sedia, per poco non fece cadere la ciotola piena di latte e cereali.
-Quando sarai più grande.
-Ma io sono grande- si imbronciò.
Thalia ingoiò l’ultimo pezzo del toast, poi gli si avvicinò e gli spettinò i capelli –Un’altra volta.
-Va bene- si arrese lui infine.
Lei si chinò e gli lasciò un bacio sulla fronte dopo avergli scostato quei capelli biondissimi –Ci vediamo presto, piccolino.
Furono le ultime parole che gli disse, Jason non ci fece neanche troppo caso, non sapeva di certo che quelli erano gli ultimi momenti di quello stile vita, non sapeva di certo che con la telefonata che arrivò diversi minuti dopo sarebbe cambiato tutto.
Jason stava giocando in soggiorno, disegnando seduto a terra, i colori e i fogli tutti sparsi nel tavolino basso di fronte la TV, nel mentre guardava i cartoni animati che andavano in onda sempre a quell’orario la mattina.
La madre si stava preparando per andare a lavoro, quando una chiamata del marito le stravolse tutti i piani.
Jason non si concentrò su quello che la donna diceva al telefono, non gliene poteva interessare di meno considerando la giovane età. Iniziò a capire quello che stava succedendo quando lei chiuse la chiamata e in fretta spense la TV al bambino.
Il biondo iniziò a lamentarsene, ma la madre non gliene diede il tempo, lo afferrò per un braccio e fece in modo che si alzasse velocemente, per poi trascinarselo nel piano superiore della villa che avevano.
Jason capì che c’era qualcosa che non andava, i suoi occhi si riempirono di lacrime e debolmente cercò di sottrarsi a quella presa ferrea, le stava facendo male.
-Mamma…- si lamentò debolmente.
La donna sembrò non sentirlo, semplicemente continuò a trascinarlo con se, mettendoci ancora più forza e iniziando a mormorare delle frasi sconnesse che sembravano tanto dei “andrà tutto bene.”
Lo portò nella camera da letto sua e di suo marito, un posto dentro il quale Jason non entrava mai, non gli era permesso, questo perché i suoi genitori nascondevano le armi, cose che il bambino capì solo quando divenne un po’ più grande.
La madre lo lasciò non appena si fermarono in mezzo alla stanza, Jason tremava e rimase immobile, incapace anche di dire una qualsiasi frase, perché non aveva idea di quello che stava succedendo, capiva solo che era qualcosa di brutto.
Cercò qualcosa dentro i cassetti, mettendo quasi a soqquadro l’intera stanza, per ultimo infine si avviò verso l’armadio, lo aprì e spostò alcuni vestiti lasciando libero uno spazio in basso, nell’angolo più nascosto.
-Jason vieni qui- lo disse con un tono così autoritario che il bambino obbedì subito senza trovare nulla da obiettare.
Sistemò il bambino all’interno dell’armadio, facendogli raccogliere le ginocchia al petto e trovandogli una posizione che fosse per lo meno comoda.
-Mamma che sta succedendo?- Chiese il bambino con voce fievole mentre cercava di trattenere le lacrime.
-Jason, amore, ascolta- la madre era serissima, gli mise le mani sulle spalle e aspettò che il figlio alzasse lo sguardo prima di continuare, così aveva tutta la sua piena attenzione.
-Stanno succedendo delle cose brutte, mi ha chiamato papà, mi ha spiegato la situazione.
-Ma cos…
-Jason. Ascolta me, è importante- dopo che il bambino annuì terrorizzato, la madre riprese –sono cose del lavoro mio e di tuo padre, per ora non devi fare domande, se vuoi davvero aiutarci e mostrarmi che sei davvero cresciuto come continui a dire devi fare come ti dico. Va bene?
Jason annuì tirando su con il naso e mettendo su un’espressione che doveva essere da vero duro, la madre sorrise intenerita.
-Devi restare nascosto qui dentro, non muoverti, non fare nessun rumore finché io o tuo padre non verremo a prenderti, capito?
Gli occhi azzurri del bambino si fecero grandi dalla paura, non voleva restare chiuso dentro un armadio, al buio, completamente solo.
La madre lo capì subito e per rassicurarlo gli mise una mano tra i capelli, accarezzandolo come quando si svegliava dopo aver fatto un brutto sogno.
-Puoi farcela Jas, tu sei coraggioso, so che lo sei, come uno di quei tanti eroi che guardi in TV e ti piacciono tanto.
Jason deglutì, poi annuì, non poteva sembrare una persona debole, non poteva dopo che sua madre l’aveva pregato in quel modo, con quel tono che non le aveva mai sentito.
La donna sorrise, dolce –Bravo il mio bambino.
Poi lo abbracciò, lo strinse a se con un’intensità tale che fu il colpo di grazia per le lacrime del bambino, che iniziarono a scendere copiose sulle sue guance rosee e paffutelle.
-Ti voglio bene, mamma. Ma torna presto.
Quei singhiozzi strinsero il cuore alla madre, che lo cullò più forte e gli baciò la testa per poi sussurrare –Ti voglio bene anche io.
Non rispose alla seconda esclamazione, Jason avrebbe dovuto capire a quel punto che le cose sarebbero solo peggiorate, ma aveva tre anni, non aveva la minima idea della crudeltà che esisteva nel mondo.
Nei ricordi di Jason quell’abbraccio finì subito, troppo veloce perché in futuro ne avrebbe ricordato la sensazione e il profumo.
La madre lo sistemò di nuovo per bene, lo coprì con dei vestiti del padre e, solo alla fine, gli mostrò un coltello che aveva preso precedentemente da uno dei cassetti della sua camera.
-Te lo metto qui accanto- disse seria –Non è un gioco, questo potrebbe farti molto male e fare male a chi ti circonda. Usalo solo nel caso che la persona che ti trovi qui dentro non sia né io né tuo padre.
Il bambino rimase fermo a fissare l’arma.
-E’ tutto chiaro, Jas?
Annuì e se lo posò di lato, non così vicino da potersi ferire accidentalmente, ma neanche così lontano da non poterlo afferrare subito in caso di bisogno.
La madre sorrise triste e fiera del bambino che aveva cresciuto, gli diede un’ultima carezza, poi si alzò e chiuse le ante di legno.
L’oblio scese sul bambino, che iniziò a singhiozzare sempre più forte, cercando però di trattenere i rumori, perché l’aveva promesso alla madre.
Furono i minuti, le ore, più lunghe di tutta la sua esistenza.
Non faceva altro che piangere, in silenzio, il terrore e l’angoscia che lo opprimeva, la sensazione di abbandono, la paura di restare solo.
Si fece anche la pipì addosso, sia per la paura che per la lunga permanenza, ma non si mosse dalla posizione in cui l’aveva messo sua madre, anche se tutto iniziava a fargli male, perché non l’avrebbe delusa in alcun modo, sarebbero stati fieri di lui al loro ritorno.
Un ritorno che non avvenne mai, non seppe quando tempo era ormai passato, forse si era anche addormentato, troppo stremato e distrutto psicologicamente, si risvegliò da quel torpore solo quando sentì delle voci esterne, voci che non erano quelle dei suoi genitori.
Quando un uomo aprì l’anta dell’armadio Jason ebbe tutto il tempo di caricare e urlare, sbilanciandosi verso di lui con il coltello in mano mentre cercava di ferirlo.
L’uomo fu così preso alla sprovvista che venne ferito di striscio al braccio.
Qualcun altro afferrò Jason per le spalle facendogli lasciare l’arma improvvisata e alzandolo da terra di qualche centimetro.
Il bambino urlava e scalciava, non sentiva nulla, con la preghiera di rivedere i suoi genitori presto.
Si calmò solo diverse ore dopo, quando fu portato in un altro posto e capì che quelle persone facevano parte dei “buoni” quando sua sorella corse verso di lui, aveva gli occhi gonfi e rossi di pianto.
Si abbracciarono per un tempo che parve infinito, poi fu compito della ragazza quello di spiegargli che i loro genitori erano stati uccisi, lei si limitò a dire che non sarebbero tornati più, avrebbe lasciato i dettagli a quando sarebbe diventato più grande.
Jason iniziò a crescere li, in quella stessa struttura, solo. Aveva ancora sua sorella, ma era quasi sempre via e la vedeva pochissimo, gli facevano fare dei test e degli allenamenti strani, Jason non ne capiva l’utilità, fino a quando tre anni dopo non gli raccontarono tutto, per poi concludere con la domanda finale.
-Lasciamo a te la scelta, vuoi continuare così o vivere una vita normale? Ti manderemo in una qualche famiglia che vuole adottare, capiremo se sceglierai questa opzione visto quello che è successo ai tuoi genitori. Ti lasciamo un giorno per pensarci, così domani ci darai la tua risposta.
Ma Jason non aveva nulla a che pensare, aveva altre possibilità? Come potevano davvero credere che dopo quello che aveva passato a tre anni lui riuscisse a vivere una vita normale?
Perché ci sono avvenimenti che si imprimono così a fondo dentro una persona da cambiarla e distruggerla irreparabilmente.

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Capitolo 31
*** I due soldati ***


30.I due soldati


Percy sbuffò mentre cercava di infilarsi per bene l’imbracatura.
-Come posso metterla se ho una gonna?- Sbottò –Qui si muove tutto!
Thalia rispose a tono mentre cercava di aiutarlo –Ora capisci perché le ragazze usano i pantaloni?
-Non avevi detto che era comodissimo?- Lo prese in giro a quel punto Clarisse.
-E’ comodo se non mi fate fare cose del genere- la corda gli scivolò lungo la gamba e Percy trattenne un mugolio di dolore mentre questa gli strattonava l’inguine –Ma poi tu che ne sai? Hai mai messo gonne, Clarisse?
Frank riuscì a fermare Clarisse in tempo mentre Will si metteva in mezzo –Possiamo, per favore, evitare di aiutare il nemico uccidendoci tra di noi?
Nessuno rispose, ma tornarono a concentrarsi su quello che dovevano fare, sapevano che il biondo aveva ragione.
Era ormai sera inoltrata, avevano girato tutto il giorno a cercare la base di Eros, tutti buchi nell’acqua, quella però era la volta giusta.
Era una villa in montagna a tre ore di strada dalla loro base, abbastanza grande e circondata da tantissime misure di sicurezza praticamente invisibili.
Restarono in periferia posteggiati per svariati minuti, il tempo che Leo entrasse nel loro sistema di sicurezza e capisse quante telecamere circondavano la casa.
Non fu particolarmente difficile entrare nel sistema, ma Leo non fece nulla per spegnere le telecamere o comunque modificare anche la minima cosa, perché questo avrebbe fatto immediatamente scattare l’allarme.
Dovevano trovare il modo per non dare nell’occhio.
Il piano al quale pensarono mettendo insieme tutte le loro idee era abbastanza ingegnoso, alla pari di uno di quelli di Annabeth e ne furono abbastanza soddisfatti.
Erano sopra il tetto di una fabbrica abbandonata li accanto, un lato di questa era abbastanza vicina al muro esterno della villa, potevano benissimo saltare per entrare dentro, appunto per questa era controllata da un sacco di telecamere.
Non appena la metà del gruppo finì di aggiustarsi l’imbracatura Thalia prese la parola.
-Va bene, ripassiamo il piano.
Parlava a bassa voce e tutti erano chinati sulla terrazza, non potevano permettersi che qualche telecamera li vedesse.
-Nico, tu andrai a distrarre le due guardie che ci sono all’ingresso. Will, Clarisse e Luke verranno con te. Quando le avrete messe K.O. lontano dalle telecamere entrerete dal portone d’ingresso. Contemporaneamente spegneremo il resto delle telecamere, in modo che noi entreremo da qui, saltando e scalando il muro grazie all’imbracatura. Ovviamente immagineranno qualcosa del genere, ma non avranno la certezza di dove cercarci e soprattutto avranno delle priorità, quella di distruggere la minaccia diretta: voi.
Guardò i quattro interessati –Avrete tutti puntati addosso, sicuri di potercela fare?
Luke fece un sorrisetto divertito –Ricordati con chi stai parlando tesoro.
Thalia roteò gli occhi al cielo, poi si rivolse a Nico –se sei pronto, quando vuoi.
-Solo un minuto.
Detto questo il ragazzo si appoggiò al muro accanto e si tolse uno stivale, successivamente si avvicinò a un angolo del tetto più sporco gettandosi un po’ di terra sul corpo e sul vestito elegante, poi avvicinò una mano all’occhio destro, che era leggermente truccato come il sinistro, e si toccò in modo che il nero del trucco si espandesse nello zigomo e la guancia.
-A Piper verrebbe un infarto se ti vedesse adesso dopo tutto il lavoro che aveva fatto- commentò a quel punto Frank.
Nico si limitò a sorridere, infine prese un coltello e, prima che qualcuno potesse fermarlo, si fece un lungo taglio nella guancia pulita.
Era molto superficiale, non gli avrebbe lasciato segni, ma era anche fatto in modo che gli uscisse il sangue.
-Che diavolo…- iniziò Will, ma Nico lo fermò alzando una mano nella sua direzione.
-Stai fermo, più sangue esce, più cose macchio e meglio è.
A quel punto scesero dal tetto e si posizionarono in un vicolo cieco, Nico disse agli altri di aspettare, poi fece quello che doveva fare.
Si chinò su se stesso, iniziò a zoppicare e fece in modo che la ferita alla guancia si vedesse, con una mano si teneva la spalla come se anche questa gli facesse male.
Lentamente si avvicinò ai due uomini alla porta, questi non si accorsero subito di lui, era una figura troppo piccola e inutile per attirare la loro attenzione, Nico infatti li sentì parlare.
-Non capisco perché il capo proprio oggi abbia deciso di mettere delle guardi a fare la ronda notturna. Non gli bastano tutte le tecnologie che ha? Mi sembra di essere tornato nel medioevo. Che poi non capisco perché iniziare proprio da noi.
-Da quanto hanno detto sta aspettando ospiti- e mimò le virgolette in aria –che riescono a superare tutte le tecnologie e infiltrarsi ovunque.
Nico sorrise impercettibilmente, poi si fece illuminare da un lampione e mentre avanzava fece un finto mugolio di dolore.
Gli uomini a quel punto lo notarono.
-E’ una ragazza?- Chiese il secondo che aveva parlato precedentemente.
L’altro sorrise sadico, finalmente quella noiosa serata aveva portato a qualcosa di buono.
-Vi prego- disse Nico alzando il viso verso di loro quando ormai li dividevano solo pochi centimetri –Aiutatemi.
Aveva usato una voce sottile e totalmente femminile, nessuno poteva davvero pensare che in realtà fosse un ragazzo.
-Oh, povera piccola, ti sei persa?- afferrò brutalmente Nico per un braccio e iniziò a trascinarlo verso il vicolo dal quale lui stesso era arrivato, il ragazzo cercò di fare una flebile resistenza, mettendoci quella poca forza che doveva mostrare.
-Dove stai andando? Se il capo…- Provò a farlo ragionare l’altro.
-Il capo non verrà mai a saperlo. Farò in fretta, tu non agitarti e aspettami.
-No, no- piagnucolò Nico –Lasciami, non farlo.
L’uomo rise, si eccitava un sacco quando la sua preda era più difficile.
Lo portò nel vicolo e lo premette contro il muro, Nico teneva la testa bassa.
-Non mi supplichi più, ragazzina?
Il suo corpo venne pervaso da un brivido, l’uomo pensò che fosse dalla paura, ma Nico stava semplicemente ridendo.
-Supplicaci tu- soffiò tornando alla sua voce.
Prese l’uomo completamente di sorpresa quando lo afferrò per la gola e capovolse la situazione facendolo sbattere contro il muro alle sue spalle.
-Non farlo urlare- la voce di Luke era vicina, Nico obbedì prima che l’uomo elaborasse tutto quello che stava succedendo.
Poteva fare di tutto, poteva tappargli la bocca in tantissimi modi, ma Nico scelse l’opzione più dolorosa.
Afferrò un coltello e glielo piantò sotto il mento, infilzandogli la lingua e impedendogli di urlare.
Nonostante fosse impossibilitato a urlare i ragazzi capirono comunque che stesse provando il più atroce dolore di tutta la sua vita.
L’uomo si accasciò contro il muro e, come prima cosa, cercò di togliersi il coltello dalla bocca, era una mossa scontata che Nico aveva previsto. Infatti aveva già preparato dei nuovi coltelli con le quali gli bloccò le mani. Una al suolo, una al muro dietro di se.
-Oh- annunciò con uno sguardo folle fissando l’uomo per non perdersi neanche una sua espressione di dolore –Per la cronaca, sono un ragazzo.
Girò uno dei coltelli nella carne della mano.
-Nico, basta così- fu Will a intervenire per fermare quel massacro, fece pressione sulle spalle del suo ragazzo facendolo alzare, allontanandolo poi di qualche centimetro.
-Non ci sarà mai un limite alla tortura per persone come lui- rispose il moro con gli occhi ancora fissi sulla sua vittima –lasciamolo qui finché non muore dissanguato, magari ci vogliono ore.
Stava ripensando al suo passato, Will lo capì all’istante.
Il biondo lo fece girare e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
-Nico, ehy, ascoltami. Questo non sei tu, so quello che hai passato e quello che ha passato Bianca, ma di certo questo non è un modo per vendicarsi. E’ abbassarsi al loro livello.
Il lampo sadico e folle sparì dal suo sguardo e tutto sembrò crollargli addosso, poggiò la fronte contro il suo petto e sospirò –Scusa, non so che mi sia preso… Io…
-Lo so.
Nessuno dei due disse più nulla, perché Will aveva davvero capito tutto e Nico lo sapeva.
-Allora io lo uccido- si intromise a quel punto Clarisse –Così ci riprendiamo le armi, sarebbe uno spreco enorme lasciare tre coltelli qui, ci possono benissimo servire.
Non aspettò davvero una risposta da qualcuno, pochi secondi dopo aveva già posto una fine alle sue sofferenze.
Successivamente si appostarono tutti e quattro all’inizio del vicolo e aspettarono che anche l’altro soldato si avvicinasse.
Passarono più di dieci minuti quando alla fine decise di farlo, lo vedevano che era nervoso e infuriato per la situazione in cui l’aveva messo il suo collega.
-Possiamo anche solo stordirlo- sussurrò a quel punto Nico mentre lo vedeva avvicinarsi –Non è una feccia umana come quell’altro.
Gli altri annuirono convinti.
-Ci penso io- si intromise Luke –Voi avvertite Thalia.
E mentre il biondino colpì l’uomo in un punto preciso della nuca che sapeva l’avrebbe messo K.O. proprio nell’istante in cui questo uscì dall’inquadratura della telecamera, Clarisse accese il trasmettitore che aveva nell’orecchio e disse una semplice parola alla sua amica: “ora”.
Fu l’esatto momento in cui la missione iniziò definitivamente, il momento nel quale nessuno poteva più ritirarsi e dal quale non si poteva tornare indietro.
Dovevano andare avanti, indipendentemente da come sarebbe andata.
I quattro ragazzi a terra corsero verso il cancello e iniziarono a risalirlo, contemporaneamente l’altro gruppo saltò dal tetto e si impegnò nello scavalcare il muro.
Erano dentro.
 
Eros era nel suo studio, annoiato fissava il computer con le telecamere, perché ci stavano mettendo così tanto?
Lo stomaco gli si mosse eccitato quando vide che il 90% delle sue telecamere si spensero, manomesse da qualcuno e da quelle rimaste accese vide un gruppo di 4 persone infiltrarsi nella sua struttura.
Sorrise e si alzò felice, finalmente era arrivato il momento di giocare.

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Capitolo 32
*** Il piano di Leo ***


31.Il piano di Leo


Leo correva, deciso.
Sapeva dove doveva andare e sapeva soprattutto cosa doveva fare.
Aveva progettato il suo piano nei minimi particolari, senza coinvolgere nessuno. Perché era una cosa troppo importante, Calypso era troppo importante per lui perché qualcuno si mettesse in mezzo o sbagliasse anche solo qualcosa di piccolo.
Tutte le luci erano spente grazie al suo cortocircuito, ma i passi di dozzine di soldati erano ben udibili. Leo e il gruppo al quale era unito riuscì a passare inosservato per i primi tratti della struttura, erano tutti concentrati all’altra parte del gruppo.
Ma non passò molto tempo prima che i soldati si mobilitassero per inseguire anche loro, Eros li aveva avvertiti.
Ormai Leo era più che certo che Eros sapesse.
-Ci stanno dietro- urlò Thalia a quel punto –Dobbiamo combattere.
-Restiamo indietro noi due- aggiunse a quel punto Frank –Leo e Percy, voi due provate ad entrare!
I due ragazzi annuirono senza neanche fermarsi e due secondi dopo era già spariti dalla loro visuale, Frank e Thalia invece si girarono in contemporanea e con i pugni e le armi alzate cambiarono la traiettoria della loro corsa urlando verso il nemico.
Leo e Percy andarono avanti estraniandosi da tutto e da tutti, non ascoltando i rumori della lotta che si stavano lasciando alle spalle e soprattutto i sentimenti che potevano in alcun modo rallentarli. Così come gli avevano sempre insegnato non pensarono alle conseguenze, che magari i loro amici si stavano sacrificando per far andare avanti loro. Questa era la missione e non c’era alcuno spazio per i tentennamenti.
Arrivarono ben presto a un muro laterale della grande villa, si fermarono solo un attimo per riprendere fiato e capire quale fosse la mossa più opportuna da svolgere in quel momento.
-Sicuramente la tengono nei sotterranei- disse Leo –Ma a una rapida occhiata penso che potremo entrare solo da quella finestra al secondo piano.
Detto questo indicò un punto in alto leggermente alla sua destra, continuava a persistere il buio, ma dopo qualche secondo di incertezza anche Percy riuscì a vedere quello che vedeva il suo amico.
Tutte le finestre erano chiuse dalle tapparelle mentre quella era l’unica chiusa solo dal vetro, sicuramente fino a poco prima qualcuno stava utilizzando quella stanza.
Percy annuì, poi i due ragazzi cercarono gli appigli migliori per iniziare la scalata dell’edificio.
Non era una villa moderna, ma una di quelle del secolo precedente, quindi fu abbastanza semplice per i due ragazzi arrampicarsi senza temere di cadere di sotto.
Ovviamente, anche quella stanza era buia e, come avevano già predetto, qualcuno era stato li dentro solo qualche minuto prima, ne era la prova la tazza ancora fumante e mezza piena poggiata sopra lo spesso tavolo di legno.
I due ragazzi si affacciarono in corridoio per capire se avessero la via libera, quando notarono cinque fasci luminosi che venivano nella loro direzione.
Subito rimisero la testa dentro la stanza, poi Leo si preparò a combattere.
-Dannazione, sono troppi e siamo in una stanza troppo piccola per usare le mie armi.
Percy ci pensò un attimo su, poi annunciò –Lascia fare a me, tu nasconditi.
Leo alzò un sopracciglio interdetto –Che diavolo stai dicendo?
Percy si girò a fissarlo offeso –Pensi che mi sia vestito così perché mi piace?
-Hai detto che ti piace.
- … Non è questo il punto! Fammi sfruttare questa cosa, tu resta nascosto li dietro.
Leo alla fine si convinse e fece come gli stava chiedendo, il moro a quel punto si preparò, fece due colpi di tosse e modulò la voce.
Quando ormai i soldati erano vicini cercò di fare il più rumore possibile mettendo a soqquadro la stanza.
Come previsto tutti e cinque entrarono con le armi spianate in una mano e le torce nell’altra. Percy fece finta di non vedere le prime, mise su una faccia indignata e si coprì la gonna con entrambe le mani, come se questi potessero vedere sotto.
-Finalmente qualcuno mi ha sentito!- urlò indignato con una voce modulata in modo vagamente femminile –Stavo cercando le mie mutandine, il signore non è mai troppo delicato quando ci usa, non so dove siano finite, le stavo cercando quando è andata via la luce! Finalmente siete arrivati, ci avete messo un sacco, lo farò presente al signore questa vostra inefficienza.
I soldati abbassarono leggermente le armi, confusi, non capendo del tutto quello che stava succedendo e indecisi su come agire di conseguenza.
-Bè?- Sbottò a quel punto Percy –Volete continuare a puntarmi quelle torce contro? Siete così morti di figa?
Due di loro spensero subito le torce, imbarazzati dalla situazione che non si aspettavano di trovare.
Gli altri tre invece si limitarono ad abbassare il fascio luminoso guardandosi intorno per capire come andare avanti, nessuno però riuscì neanche a formulare una frase perché Leo ne colpì alle spalle due in contemporanea, questi non riuscirono ad emettere neanche un flebile lamento.
Percy colse l’attimo e mise fuori combattimento gli altri tre.
Non ci furono né spargimenti di sangue né urla che fecero scattare nuovi allarmi.
-Wow- commentò a quel punto Leo –Avrei tanto voluto riprenderti, Annabeth meritava di vedere una cosa del genere, così magari ti lasciava per un motivo più che valido.
-Sei solo invidioso della mia performance.
Detto ciò entrambi si avviarono all’interno della villa.
 
Luke stava per essere colpito alla testa, un colpo che l’avrebbe ucciso.
-Luke!- Urlò Clarisse per avvertirlo, ma era ormai troppo tardi per il biondo di girarsi.
Fu Will a intervenire, colpendo il braccio dell’assalitore lasciandogli una lunga ferita sanguinante, questo urlò infuriato, si dimenticò di Luke e cercò di colpire alla cieca Will, riuscì a lasciargli un taglio lungo la fronte.
Nico urlò saltandogli sulla schiena, lo fece barcollare in avanti, gli fece perdere l’equilibrio e cadendo per terra sbatté la testa svenendo all’istante.
Il moro non restò neanche un altro secondo sopra il corpo inerme di quel soldato, corse subito dal suo ragazzo che stava cercando di non farsi andare il sangue davanti gli occhi.
-E’ grave?- chiese subito con voce urgente cercando di scrutarlo, anche se non ci capiva nulla.
Will cercò di tranquillizzarlo abbozzando un sorriso –Solo un graffio.
Nico lanciò un’occhiataccia a Luke, che stava ancora cercando di capire tutto quello che era successo –E neanche se lo merita quello stronzo.
-Nico…- lo ammonì Will.
-Lo so, lo so- si arrese subito il suo ragazzo, poi alzò la voce e si rivolse a tutti –Siamo troppo esposti così, dobbiamo dividerci, noi due andiamo di qua.
Clarisse annuì, la ragazza stava già avendo lo stesso pensiero –Per qualsiasi cosa teniamoci in contatto.
I due ragazzi iniziarono a correre, Will rimase leggermente più indietro di Nico, quest’ultimo era preoccupato per le sue condizioni –Will…
Il biondo lo interruppe subito –Sto bene, davvero, solo che non vedo con il sangue che gocciola sugli occhi, tutto qui.
Arrivarono all’ingresso, Nico si fermò, si guardò intorno e adocchiò un posto dove ci si poteva nascondere senza essere troppo esposti ma, allo stesso tempo avere un’ampia visuale di chi entrava e usciva.
-Tu vai li, resta li, se corri la situazione peggiora alla tua fronte e mi saresti d’impiccio. Io entro, coprimi le spalle e uccidi tutti quelli che cercano di entrare. Okay?
Will storse la bocca –Non mi sembra una buona idea quella di dividerci.
-Preferisco combattere da solo. E non abbiamo tempo per discutere, fa come ti ho detto.
Corse dentro ancora prima che Will potesse pensare di fare in modo diverso.
Il biondo sospirò e si mise in posizione, a quel punto controllò tutto quello che gli era rimasto, se proprio doveva stare li, avrebbe aiutato con tutti i mezzi che aveva a disposizione.
 
Leo continuava a correre, si sentiva sempre più vicino, era più che sicuro che mancavano solo pochi minuti per mettere in atto il suo piano, lo capiva dall’affluenza di soldati preparati a quell’attacco che doveva essere a sorpresa.
Ora doveva solo trovare qualcuno a cui spiegare tutto, si era diviso da Percy precedentemente.
La sua possibilità di riuscita gli giunse quando notò con la coda dell’occhio lo svolazzare di una gonna: Nico.
Era certo che lui sarebbe stato dalla sua parte, perché avrebbe fatto leva sui suoi sensi di colpa.
-Nico!- Urlò il moro raggiungendolo di corsa.
Nico si aspettava di tutto, ma non che Leo lo spingesse e lo sbattesse contro il muro, bloccandolo con un braccio sotto il collo, senza stringere però, non aveva nessuna intenzione di soffocarlo.
-Non abbiamo tempo- iniziò a parlare velocemente il messicano e a bassa voce –Lo ripeterò una sola volta e farai esattamente come ti dico, capito?
Nico era ancora confuso, ma annuì velocemente.
-Bene. Non abbiamo nessuna possibilità di riuscita, Eros sapeva del nostro arrivo, è riuscito a prepararsi in tempo, non ne usciremo vivi se continuiamo e soprattutto non abbiamo nessuna possibilità neanche solo di avvicinarci a Calypso.
Nico strabuzzò gli occhi, perché gli stava dicendo tutto quello solo adesso? Provò a dire qualcosa ma Leo strinse la presa, in modo da avere di nuovo la sua attenzione.
-Ora urlo per la ritirata e farete esattamente così, io invece mi farò prendere e non voglio nessuno che si oppone a questa decisione. Ovviamente non dirai agli altri che è stata una mia scelta. Ho un mio piano ed Eros non deve esserne a conoscenza. Ora non ho tempo per spiegare, sotto il mio cuscino nella mia stanza c’è una lettera, leggila lontano dalle telecamere e ti sarà tutto più chiaro.
-Perché dovrei essere d’accordo con questo tuo piano suicida?
Mormorò Nico con voce roca.
Leo fece il suo tipico sorrisetto di chi ha tutto sotto controllo e di chi sa che tutto andrà come ha programmato.
-Perché sei stato il mio compagno di stanza per mesi. Perché sei mio amico. Perché ci siamo sempre aiutati. Perché io e te siamo uguali, me l’hai detto tu, no? E perché in queste settimane mi hai tenuto nascosto un segreto che avevo il diritto di conoscere. Hai aiutato Calypso, sei stato dalla sua parte, ora devi sdebitarti con me. E se vuoi che davvero tutto torni come prima, devi farlo.
Holaaaa
Sono nella settimana dell'EtnaComics e avrei dovuto aggiornare praticamente lunedì, ma siete stati fortunati che oggi sono tornata un pò prima e non devo sistemare più cosplay quindi eccomi qui, anche in anticipo rispetto al solito!
Come avrete ben intuito anche da prima Leo ha un piano tutto suo che ha intenzione di seguire a tutti i costi.
Ovviamente non avrei mai potuto farvi un salvataggio tranquillo e veloce come quello di Nico nella prima saga, non sono mica ripetitiva ahaha ma vi farò soffrire tantissimo.
Nico che viene sempre messo in mezzo a tutti questi casini... non chiedetemi perchè ce l'abbia così tanto con il mio bimbo, non lo so neanche io, le sfighe gli capitano e basta.
Bè? Che ne pensate? Attendo notizie eh!
Un bacio,
Deh

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Capitolo 33
*** Ritirata ***


32.Ritirata


-Perché sei stato il mio compagno di stanza per mesi. Perché sei mio amico. Perché ci siamo sempre aiutati. Perché io e te siamo uguali, me l’hai detto tu, no? E perché in queste settimane mi hai tenuto nascosto un segreto che avevo il diritto di conoscere. Hai aiutato Calypso, sei stato dalla sua parte, ora devi sdebitarti con me. E se vuoi che davvero tutto torni come prima, devi farlo.
Il cervello di Nico lavorava veloce, non poteva scegliere lui il destino del suo compagno, era una responsabilità troppo grande.
Sapeva che se Leo si metteva in testa qualcosa nessuno l’avrebbe più fermato, quella era la sua decisione e sarebbe andato fino in fondo, con o senza il suo aiuto. Lo poteva capire chiunque guardando semplicemente il fuoco che aveva negli occhi.
Avrebbe voluto prenderlo a pugni per questa mania che aveva di creare piani da sé senza condividerli con qualcuno e fare tutto da solo.
L’aveva già fatto durante la loro prima missione, quando si era fatto letteralmente esplodere e per pochissimo non era morto.
Non poteva lasciarlo li, lo sapeva. Ma sapeva ancora di più che non poteva neanche costringerlo a tornare indietro e abbandonare Calypso. Inoltre doveva fidarsi, se Leo diceva che aveva un piano  era sicuramente così, doveva solo sperare nel risvolto migliore.
Allungò infine una mano e gli strinse la spalla, così forte che quasi gli fece male.
-Se provi a morire, non te lo perdonerei mai.
Leo sorrise, un sorriso sincero, nonostante tutto quello che c’era stato tra di loro era felice di poter sempre contare su di lui, sapeva che avrebbe acconsentito.
-Sono il grande e potente Leo Valdez, nessuno può uccidermi, non senza il mio permesso.
Poi si portò la mano all’orecchio e attivò l’auricolare, iniziò a urlare –RITIRATA! SUBITO!
Poi staccò la connessione e quasi spinse Nico per incitarlo a correre via –Che stai aspettando! Corri!
Nico ubbidì dopo qualche secondo, non si girò neanche una volta mentre sentiva Leo correre dalla parte opposta.
Era quasi arrivato all’ingresso quando sentì i passi di un gruppo ben sostanzioso di soldati dietro di sé.
Non aveva il tempo per affrontarli, si fece forza e iniziò a correre più veloce.
All’entrata trovò Will dove lo aveva lasciato, nonostante l’ordine di Leo lui era rimasto li ad aspettarlo.
-Corri!- Gli urlò mentre si avvicinava sempre di più –Mi stanno inseguendo.
Will fu pronto ad agire, infilò una mano in tasca e afferrò qualcosa di così piccolo che entrava nel suo pugno chiuso.
Nico capì all’istante, sforzandosi al massimo percorse gli ultimi metri ancora più velocemente e si fermò esattamente dietro il suo ragazzo. Questo non perse tempo a caricare il braccio e lanciare l’oggetto che teneva stretto in pugno.
Mentre questo realizzava un arco a mezz’aria il biondo afferrò Nico per il braccio e ripresero a correre insieme nella direzione opposta.
Dopo diversi secondi il calore dell’esplosione li investì senza procurar loro alcun danno.
Nico gli lanciò uno sguardo soddisfatto, era davvero fiero di lui.
Poi tornò a porgere lo sguardo di fronte a se, il cancello era solo a pochi metri ormai, la strada completamente libera. Loro erano fuori.
 
Thalia stava correndo verso l’uscita, Frank l’aveva preceduta, lei era molto più agile e veloce, avrebbe coperto le spalle a tutti loro per qualche altro secondo, poi li avrebbe raggiunti senza problemi.
Sentì dei passi camminare in parallelo al suo percorso, mentre ancora correva prese la pistola ed era già pronta a sparare quando notò che erano della sua squadra.
Rallentò l’andatura solo quando capì che qualcosa in loro non andava, stavano arrancando.
Li raggiunse e solo a diversi metri di distanza capì che si trattava di Clarisse e Luke. La prima aveva una ferita alla spalla dalla quale stava perdendo molto sangue, la bocca storta in una smorfia di dolore mentre usava tutte le sue forze per trascinarsi il corpo inerme di Luke.
-Che è successo qui?- Chiese la mora una volta che li ebbe raggiunti.
Clarisse ne approfittò per fermarsi qualche secondo per riprendere fiato –L’hanno colpito alla testa ed è svenuto, non sembra nulla di grave però. Stavo già tornando indietro prima dell’ordine di Leo, ma è pesante e sono in queste condizioni.
-Lascia, faccio io.
Clarisse strabuzzò gli occhi scettica, Thalia era la metà di Luke, sia in peso che in altezza.
Ma la ragazza era anche forte e, al contrario di Clarisse, non aveva nessuna ferita in corpo. Se lo caricò in spalla con fatica ma riuscì a trasportarlo e ad andare leggermente più veloce di come stavano andando prima quei due.
Fece andare avanti Clarisse e le disse di uccidere a vista chiunque si fosse messo di mezzo. Sarebbero usciti tutti e tre vivi da quella situazione,ma dovevano farlo subito.
 
Percy trovò Frank impegnato in un combattimento corpo a corpo con 4 uomini più grossi di lui.
Quindi deviò la sua corsa e per andare ad aiutare l’amico.
In due non ci volle molto a mettere ko tutti i soldati, Frank si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato –Non ti avevo lasciato con Leo? Che è successo per fargli urlare la ritirata?
-Non ne ho idea, ci siamo divisi poco dopo- il moro continuava a guardarsi intorno –Ma sarà meglio andare o finiremo con l’avere tutto il tempo per riposarci da morti.
Frank gli fu subito accanto –Oddio no- rispose mentre entrambi allungavano il passo –Ho promesso a Hazel che sarei tornato vivo, ho il terrore di lei incazzata.
Percy sbuffò una mezza risata –Lo so bene, mai contraddire le donne.
Non ci fu più bisogno di parlare, tutti i loro sensi erano allerta per captare un eventuale inseguitore, ma furono abbastanza fortunati e riuscirono ad arrivare al punto d’incontro senza altri combattimenti.
Le macchine con le quali erano arrivati erano state abbandonate, ma avevano rubato un furgone che era già stato messo a moto e aspettava solo loro, non appena infatti misero piede sopra Clarisse urlò –Parti biondino, prima che sia troppo tardi per tutti noi.
Will, seduto al posto del guidatore e con una benda bianca che gli copriva la ferita sulla fronte, fece come gli era stato richiesto e il furgone sfrecciò velocissimo sulle strade pressoché deserte, poi spiegò prima che qualcuno potesse fare domande –Era più certo che conoscessero le macchine e ci inseguissero, per questo abbiamo preso il furgone.
-Siamo tutti? Qualcuno è ferito?- Chiese Percy per prima cosa senza ascoltare davvero quello che aveva detto Will, tutti sapevano che non poteva fare a meno sempre di preoccuparsi per i suoi amici, era quasi il suo punto debole.
Nessuno però rispose.
Percy iniziò a preoccuparsi, portò lo sguardo su ognuno di loro, quando notò Luke a terra, Thalia che era inginocchiata li accanto si affrettò a commentare –Sta bene, è solo svenuto.
Percy era sempre più confuso, fino a quando non si rese conto che mancava una persona.
Nico lo precedette prima che il moro potesse fare una qualsiasi domanda –Hanno preso Leo.
-Cosa!?- Sbottò subito Percy –Che stiamo facendo!? Dobbiamo tornare indietro! Subito! Non possiamo lasciarlo li!
Si stava avvicinando a grandi falcate verso Will, sicuramente per fargli cambiare rotta, quando Clarisse lo intercettò a metà strada stringendogli il braccio con una morsa violenta.
-Vuoi per caso ucciderci tutti?
Nico gli si mise di fronte –Non possiamo tornare indietro, hai visto quanti erano? Non avevamo nessuna possibilità di salvare Calypso e ancora meno ne abbiamo ora di salvare Leo. Dobbiamo andare via, il più in fretta possibile.
-Non potete dire sul serio…
Frank gli mise una mano sulla spalla –Forse hanno ragione Percy…
-No. Non permetterò… Voi non potete…
-E’ semplice idiota- si intromise Clarisse con tono burbero –Non sappiamo neanche se riusciremo a tornare alla base vivi, non possiamo pensare a Leo ora. E non ti permetterò di fare nessuna cazzata. Ho intenzione di sopravvivere questa notte.
Percy avrebbe voluto dire un sacco di altre cose.
Magari che non era da lui abbandonare un amico, che non riusciva proprio a farlo, che potevano escogitare un nuovo piano…
Ma nulla di tutto ciò alla fine uscì dalle sue labbra, perché era l’unico contro tutti loro, perché infondo sapeva che avevano un po' di ragione e soprattutto, perché non poteva condannare anche tutti gli altri.
Si sedette in un angolo in silenzio, non aveva nessuna intenzione di parlare con qualcuno, sapeva che se l’avesse fatto, gli avrebbe urlato contro. Perché nonostante tutto non riusciva a cambiare la sua natura.
 
Era un viaggio lungo, erano già passate tre ore, ne restava una per arrivare alla base.
Dopo la prima ora tutti si rilassarono, capendo che nessuno aveva deciso di inseguirli, erano riusciti a sopravvivere.
Percy continuava a stare nella sua posizione rannicchiata, non parlava con nessuno e fissava un punto impreciso, senza vederlo davvero.
Frank si era appisolato da seduto, non molto distante dal ragazzo.
Nico aveva fatto il cambio con Clarisse per il posto vicino a quello del guidatore e adesso stava parlando sottovoce con Will, Thalia riusciva a captare solo qualche parola, ma non gli interessava davvero prendere parte a quella discussione.
Clarisse si era sdraiata su dei sacchi e russava già da parecchio tempo.
Luke invece non si era ancora ripreso, Thalia era rimasta al suo fianco.
E mentre la ragazza continuava a fissarlo, scostandogli qualche ciocca di capelli di tanto in tanto, un tremolio alle palpebre gli fece capire che stava riprendendo conoscenza.
Si fece più vicino e lo scrutò mentre questo apriva gli occhi azzurri confusi, la ragazza cercò un qualche segno di malessere, ma non ve ne trovò, oltre la confusione.
-Che… Che è successo?
Thalia rise –Lunga storia, abbiamo fallito, stiamo tornando alla base, hai dormito per un po'.
Luke la fissò senza rispondere.
-Cosa?- chiese la mora sentendosi in soggezione.
-Non mi ero mai accorto di quanto fossi bella- mormorò a quel punto, poi si rese conto di quello che aveva detto e si portò una mano alla testa –Devo aver preso una botta bella forte.
Thalia distolse lo sguardo e si alzò –Già…
Poi si avvicinò agli unici due ragazzi svegli, per intromettersi in una discussione alla quale non era interessata.
_______________________________________
Ciaooo, come va?
Vorrei fare delle precisazioni su questo capitolo:
1. Nico è l'unico che sa che Leo si è fatto catturare volontariamente, non l'ha detto a nessuno, però chi è dalla sua parta nel dire che non devono tornare indietro a prenderlo non lo fanno perchè odiano Leo o altro, semplicemente si rendono conto che sarebbe davvero una missione suicida tornare li, che non avrebbero scelta. E poi sono stati addestrati per reprimere i loro sentimenti e fare sempre la cosa migliore.
2. Il perchè Leo abbia fatto tutto questo lo capirete nel prossimo capitolo, quando Nico troverà la lettera che Leo aveva accennato.
3. Di solito scrivo solo di coppie canon, non mi va di sconvolgere personaggi o altro, Thalia e Luke sono un'eccezione, secondo me quei due avevano molto in sospeso e comunque non sto stravolgendo nessun'altra ship parlando di loro. Spero per voi non sia un problema.
E penso basta, se avete bisogno di altri chiarimenti chiedete pure, alla prossima!
Deh

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Capitolo 34
*** Lettera ***


33.Lettera


-Come si sente?
Hazel era ancora confusa, non si aspettava che Era gli venisse a fare una visita alle cinque del mattino, di solito venivano convocati.
Non che stesse dormendo, ma ebbe bisogno comunque di qualche minuto per connettere.
Si sfiorò la fasciatura che aveva nello stomaco, poi rispose –Meglio, molto meglio. La ringrazio, mi avete salvato all’ultimo minuto, sentivo che non riuscivo più a tornare.
Era annuì, solenne, come se riuscisse a capire e comprendere quello che stava dicendo.
Infine riprese a parlare, andando dritta al punto.
-Mi ha molto delusa, signorina Levesque.
Hazel si aspettava un commento del genere, sapeva anche il perché di quel commento anche prima che Era continuasse a parlare per spiegare.
-Le avevo detto di tenere sotto controllo Calypso e informarmi di tutto quello che stava succedendo, so per certo che lei era a conoscenza che la sua amica fosse incinta. Perché non me l’è venuta a dire?
Hazel rimase in silenzio. La donna continuò.
-Non potevo mettere i miei agenti a fare da badanti, non più dei quattro ragazzi che già vi tengono d’occhio. Non potevo chiedere a qualcuno di rinunciare a una missione in giro per il mondo per controllare e capire quali fossero i problemi di una ragazzina. Mi fidavo di lei.
-Mi dispiace…- mormorò allora la ragazza –Solo che…
Non sapeva neanche lei come continuare. Si rendeva conto che dire “è mia amica, se voleva mantenere un segreto aveva tutto il diritto di farlo” era infantile e stupido, considerando il loro stile di vita.
-Non me ne faccio nulla delle sue scuse, non ne ho bisogno. Voglio solo che lei si renda conto della gravità della situazione, di quello che ha fatto non venendomi a dire di quel bambino. I suoi amici stanno tornando, hanno fallito nella missione. Spero che questo le faccia da promemoria per il futuro. Siamo in guerra, non esistono segreti in una squadra, tutto quello che è una debolezza che il nemico può usare contro di noi, dobbiamo saperla subito. E’ chiaro?
Hazel annuì, lentamente.
-Bene, ora vada, può avvertire anche gli altri suoi amici, fra dieci minuti la squadra sarà qui.
La donna andò via così come era arrivata.
L’unica cosa che avrebbe voluto fare Hazel era piangere rannicchiandosi in quel letto, sapeva che per buona parte era colpa sua, ma sapeva anche che non avrebbe aggiustato nulla in quel modo.
Si alzò e indossò le scarpe, poi si avviò nella stanza di Annabeth, all’interno ci trovò anche Piper.
-Stanno tornando, hanno fallito.
Piper si alzò di scatto –Vado a chiamare Jason, ci vediamo sotto.
Hazel invece aiutò Annabeth con il suo gesso e la sua stampella ad andare al punto di incontro, non dissero niente lungo il tragitto, l’unica frase venne da Annabeth che si era accorta del suo turbamento interiore –Staranno bene.
E più che altro cercò di convincere sé stessa con quella frase.
 
-Jas!- La ragazza aprì la porta della loro camera senza neanche bussare, trovò il suo ragazzo seduto sul bordo del letto, completamente vestito. Come lei, non era riuscito a dormire neanche lui.
Si alzò di scatto e guardò la sua ragazza speranzoso.
-Andiamo, stanno arrivando- gli allungò una mano che il ragazzo afferrò all’istante, più i giorni passavano, più quella situazione si faceva complicata e più avevano bisogno di aggrapparsi a qualcosa.
Qualcosa che non li facesse uscire completamente fuori di testa.
Strinse forte la presa e quasi di corsa si avviarono al punto d’incontro.
Stava ormai albeggiando quando il furgone arrivò, non se lo aspettavano, ma capirono che avevano sicuramente avuto delle complicazioni con le macchine e nessuno fece domande.
I primi a scendere furono Percy e Clarisse, quest’ultima spintonò il moro che era ormai senza parrucca e con il trucco sbavato, ma lui neanche ci fece caso.
Chris corse ad abbracciare Clarisse, per la prima volta davanti a tutti, era stato così in ansia che non gliene importava nulla delle persone che li circondavano.
Clarisse tentennò nel suo abbraccio, poi spintonò via e cercò di nascondere le guancie rosse, mormorò come scusa –Mi fa male la spalla- e solo a quel punto il ragazzo si accorse della ferita.
Annabeth sospirò di sollievo non appena vide Percy, neanche si era resa conto di aver trattenuto il respiro, cercò di correre verso di lui, poi si ricordò della gamba ingessata e per poco non cadde a terra, Hazel continuava a tenerla stretta e l’aiutò a fare quei pochi passi che la separavano dal ragazzo, nonostante con lo stomaco fosse messa quasi nelle stesse condizioni.
Percy si riscosse solo vedendo lei, l’accolse tra le braccia, chiuse gli occhi e respirò il suo odore.
-Dov’è Frank?- li interruppe Hazel con un tremolio nella voce.
Percy gli indicò il furgone e la ragazza corse via, poi il moro riportò tutta la sua attenzione sulla bionda, aveva uno sguardo pieno di disperazione, Annabeth se ne accorse subito.
-Abbiamo solo peggiorato la situazione…
Nello stesso momento Will e Nico scesero dai posti del passeggero e la voce di Thalia che chiamava suo fratello si diffuse nel garage.
Jason si sentì meglio, lei era li, era tornata da lui. Non era andata come l’ultima volta.
Per poco non iniziò a piangere per la gioia, ma c’erano troppe cose da fare per permettersi quel lusso.
Thalia aveva bisogno di Jason per portare Luke, il ragazzo era di nuovo svenuto e aveva seriamente bisogno di essere controllato.
Will, dopo aver dato una rapida occhiata alla ferita di Clarisse, si rivolse a Jason –Me ne occupo io, Chris ti aiuterà a portarlo in qualche stanza. Clarisse vieni con noi, ti cucio la ferita.
Nessuno osò contraddirlo, quando entrava in “modalità dottore” riusciva a essere serio e deciso quasi quanto era.
Nico gli era accanto –controllati anche la tua ferita alla fronte- mormorò serio, poi gli disse che doveva fare delle cose e che non l’avrebbe raggiunto, stava per andare quando si accorse che Piper stava ancora cercando qualcuno sopra quel furgone, gli occhi sempre più lucidi per la consapevolezza di quello che poteva significare la sua assenza.
Il più piccolo sospirò, poi decise di dirglielo, di dirlo ad alta voce.
Percy lo stava raccontando ad Annabeth.
Frank l’aveva detto ad Hazel.
Ma nessuno aveva ancora avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, di informare tutti e di rendere quello che era successo totalmente reale.
-Non c’è.
Piper si girò subito verso di lui, una lacrima che minacciava di scendere e solcare la sua guancia.
-L’hanno preso, non siamo riusciti a salvare nessuno e non riusciremo a salvarli in futuro.
Fu quasi come una sentenza.
Nessuno disse nulla.
Nico aveva voglia di dire tantissime altre cose, tutto quello che gli aveva detto Leo.
Meritavano di saperlo.
Perché Piper aveva iniziato a piangere cadendo in ginocchio.
Perché Hazel stava piangendo tra le braccia di Frank.
Perché Percy continuava ad avere quello sguardo disperato.
Perché tutti loro erano una famiglia.
Ma Nico non poteva parlare, non poteva aggiungere nient’altro.
Andò via quasi di corsa, verso una meta ben precisa.
La stanza di Leo era in disordine come ricordava, fece finta di cercare qualcosa in giro sforzandosi di non lanciare neanche un’occhiata alle telecamere che sapeva essere nascoste in giro.
Poi si sedette sul letto, chinò la testa e poggiò la fronte su un suo pugno chiuso, come se fosse disperato. L’altra mano la poggiò sul materasso e pian piano la fece scivolare sotto il cuscino.
Qui ci trovò un pezzo di carta, esattamente come aveva detto Leo.
Lo afferrò e lo stropicciò nella sua mano finché non entrò tutto nel suo pugno chiuso.
A quel punto si alzò, diede un ultimo sguardo alla stanza e andò via.
Andò in camera di Will, il ragazzo non era ancora tornato.
Nico si spogliò, mentre si toglieva quei vestiti da donna che non avrebbe mai più messo in tutta la sua vita, infilò il pezzo di carta tra le mutande.
Rimase solo con questo indumento, si scompigliò i capelli, sospirò, fece come se non avesse nessuna fretta, poi si avviò in bagno.
Entrò dentro la doccia, chiuse dietro di se il vetro opaco, aprì l’acqua e, solo a quel punto, quando si girò per fissare il muro, prese il pezzo di carta tutto accartocciato e veloce iniziò a leggerlo.
 
Eros è nel nostro sistema informativo dall’inizio di tutta questa storia.
Legge le nostre e-mail, ci controlla dalle telecamere, conosce ogni nostra mossa.
Non abbiamo nessuna possibilità di batterlo se non giocare al suo stesso gioco.
Come disse una volta Nico, se il nemico crea un piano geniale, l’unica cosa da fare è quello di rubarlo.
La missione per salvare Calypso era destinata a fallire, ma non potevo informarvi, o lui l’avrebbe saputo.
Sono certo che non mi ucciderà, è troppo sadico per farlo ora. Lo farà solo dopo avermi fatto vedere mia figlia. Mi farò catturare di proposito, so come contattarvi, vi dirò io quando arriverà il momento di agire.
Non parlate più di piani e missioni.
Dovrete tenere tutto nascosto, niente internet, niente messaggi, niente discussioni ad alta voce.
Quando verrete lui non dovrà saperlo.
Annabeth saprà realizzare un piano geniale, lo so.
Dovete fare in modo di litigare, per tornare a prenderci, dividetevi. Fate casini, so di non chiedervi molto, alla fine è quello che sappiamo fare meglio.
Deve essere certo di star vincendo, che tutto stia andando secondo i suoi piani.
Mi fido ciecamente di voi, siete la mia famiglia, so che possiamo farcela, so che possiamo vincere.
Ci rivedremo presto,
Leo

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Capitolo 35
*** La sentenza di Era ***


34.La sentenza di Era


Era pomeriggio inoltrato quando Era diede inizio a quella riunione d’emergenza.
L’unico che mancava all’appello era Luke, sdraiato nella sua stanza, Will gli aveva detto che non aveva una commozione celebrale solo per pura fortuna, ma che non si doveva alzare da quel letto per almeno una settimana.
Tutti gli altri erano attorno al tavolo circolare, molto più numerosi della prima volta che si erano trovati tutti li, ma con delle mancanze essenziali.
Hazel era pallida, sia per quello che stava succedendo sia per la sua situazione fisica, doveva riposare ma era impossibile farlo sul serio con tutti gli avvenimenti che stavano succedendo.
Anche Annabeth aveva una brutta cera, le labbra incurvate in una smorfia, il piede le pulsava tantissimo, aveva bisogno di sdraiarsi e tenerlo il più possibile fermo.
Percy, dietro di lei e in piedi, le teneva una mano sulla spalla, stringeva per darle conforto e per restare ancorato alla realtà.
Nico si torturava le mani ed evitava lo sguardo di chiunque.
Piper aveva gli occhi gonfi e rossi di pianto.
Will aveva delle enormi occhiaie e stava nuovamente disinfettando la spalla di Clarisse, che era riuscita ad aprire i punti in meno di quattro ore.
Oltre a quest’ultima che si lamentava del lavoro di Will, non perché le stesse davvero facendo male ma solo per il gusto di lamentarsi, nessuno fiatava.
Era entrò, posò dei fogli sul tavolo, non si sedette, li scrutò uno a uno prima di parlare.
-Adesso dovrebbe essere chiaro a tutti che siamo in guerra contro gente di tutt’altro livello.
Nessuno osò fiatare.
-Non possiamo ricreare tutte le vicende della scorsa missione, nessun salvataggio andrà a buon fine e, soprattutto, vi dovete mettere in testa che è normale perdere qualcuno durante la strada.
-No- Percy strinse di più la presa sulla spalla di Annabeth.
Era si girò a fissarlo, fredda.
-Invece si, signor Jackson. Come siete usciti tutti illesi dalla missione contro Tristan Mc Lean non ne ho la minima idea. Qualcuno, li sopra, ha voluto aiutarvi. Ma è stato solo caso, fortuna.
-Lei non ha idea…- provò a continuare Percy, ma venne subito interrotto, la donna quasi urlò, nessuno l’aveva mai sentita urlare.
-Invece ce l’ho un’idea, signor Jackson! Cosa crede, che tutti questi anni nella CIA siano stati uno spasso? Un divertimento? Ha idea della quantità di persone che ho perso? Gente che mi è morta tra le braccia? Ne ha una minima idea?
-Noi…- provò a intromettersi Annabeth, ma la donna non glielo permise.
-Per arrivare qui, dove mi vedete voi, ho dovuto fare delle scelte, scelte che mi hanno distrutto. È per il bene superiore.
Reyna sbuffò –Non esiste un bene superiore, ognuno fa quello che deve fare per se stesso, per i propri bisogni.
Thalia la fissò alzando un sopracciglio, Reyna se ne accorse e rispose tranquilla –Tesoro, ti sei scordata che io prima ero dalla parte dei “cattivi”?- alzò le mani facendo delle finte virgolette in aria a quella parola –So come funziona la mente delle persone che sono disperate e disposte a tutto.
Tornò a fissare Era, quasi con sguardo di sfida –E si fidi, questi qui sono abbastanza disperati per la scomparsa di ben due amici, non lasceranno correre. Non li abbandoneranno.
-Esattamente- diede man forte Percy intromettendosi nella discussione che stava finalmente andando a suo favore.
-Non abbiamo abbandonato Nico quando fu rapito, perché dovremmo farlo con Leo e Calypso?
Si girò a fissare i suoi amici, come per chiedere aiuto, di appoggiarlo. Soprattutto guardò Nico, sapeva che poteva trovare il suo appoggio, avevano salvato lui, non si sarebbe tirato indietro nel ricambiare il favore.
Ma il moro, inaspettatamente, distolse lo sguardo.
Fu Hazel a parlare al suo posto –Sono situazioni completamente differenti. Nico dovevamo salvarlo perché l’avevamo messo noi in quella situazione dopo averlo trattato malissimo. Leo ha deciso volontariamente di far parte di questa missione di salvataggio, era consapevole a cosa stava andando in contro.
Jason sbatté le mani sul tavolo, totalmente infuriato urlò –Che diamine stai dicendo, Hazel!?
Frank si alzò puntando un indice contro il biondo –Non rivolgerti mai più a lei così.
Jason lo fissò con la stessa furia, poi abbassò lo sguardo pentito, non voleva rivolgersi così contro una ragazza, soprattutto non con una sua amica che stava ancora male e faceva fatica anche a parlare.
Ma non le chiese scusa, perché non poteva per nulla al mondo condividere la sua teoria. Leo era suo amico, avrebbe fatto di tutto per portarlo indietro, insieme a Calypso e alla loro bambina.
-Ci abbiamo provato a fare una missione di salvataggio- si intromise Will –Hai visto com’è finita.
-E ne facciamo  un’altra!- portò lo sguardo su ognuno di loro –Siamo una famiglia, l’abbiamo sempre detto, nessuno resta indietro.
Piper gli strinse la mano, la sentì anche tirare su con il naso, sapeva che lei la pensava esattamente come lui.
-Volete davvero restare tutti in silenzio?- aggiunse a quel punto Percy, ma la situazione non cambiò.
Hazel si inarcò sul tavolo facendo un lamento di dolore, Frank le fu subito accanto, la ragazza gli sussurrò qualcosa con voce così fievole che, nonostante il silenzio, nessuno riuscì a sentire.
Frank cercò con lo sguardo Era, la donna annuì, capendo subito cosa volessero.
L’orientale prese in braccio la sua ragazza, quasi come se fosse senza peso, la ragazza si lamentò per il dolore, poi lui la portò via.
-Solace, va con loro, lei ha bisogno di te.
Will annuì, prima di andare però cercò con lo sguardo Nico, voleva chiedergli se ce l’avrebbe fatta, se stava andando tutto bene.
Ma il ragazzo continuava a tenere lo sguardo basso, ignorando tutti mentre si torceva le mani sotto il tavolo dalla superficie trasparente, ignorava anche il suo sguardo.
Il biondo sospirò, poi guardò Jason, mormorò un semplice “mi dispiace” e andò via dalla stanza anche lui.
Annabeth era china sul tavolo, Percy stava dando per scontato che la ragazza fosse dalla sua parte, ma lei ancora non aveva detto neanche una parola.
Tutta quella situazione la stava facendo impazzire, non sapeva se le faceva più male il piede rotto o la testa ormai troppo piena di pensieri.
Qual’era la cosa giusta da fare?
Perché tutto si riduceva sempre a questa domanda?
Paolo, Chris e Clarisse non dicevano una parola, seguivano la conversazione perché era giusto che fossero presenti, ma nessuno si intrometteva.
Perché loro non avevano nessun tipo di legame né con Leo né con Calypso e sapevano benissimo che questo era il tipo di avvenimenti che potevano capitare durante le missioni, sapevano che Era aveva ragione.
Ma non potevano darle man forte, perché gli altri ragazzi si sarebbero infuriati ancora di più, dovevano arrivare da soli alla loro conclusione.
Thalia si mordeva il labbro combattuta, non aveva mai visto suo fratello così, così deciso a combattere per qualcosa. Voleva stare dalla sua parte, sostenerlo, dirgli che avrebbe fatto di tutto per lui. Ma era al servizio di Era, era al servizio della CIA da così tanto tempo che non riusciva neanche a pensare a un modo per disobbedire.
Reyna sorrideva, non perché fosse felice o le andava a genio tutta quella situazione, ma perché sapeva che tutto sarebbe andato in quel modo, l’aveva detto a Era poco prima di svolgere quella riunione, ma la donna non l’aveva ascoltata.
-Adesso basta- la donna voleva concludere il discorso, non aveva tempo per continuare a discutere con dei ragazzini, aveva un sacco di altre cose da fare, cose molto più importanti a cui pensare, soluzioni che richiedevano la massima urgenza.
-Non permetterò a nessun’altro di intraprendere missioni suicide. Nessuno proverà a salvare né Leo né Calypso. Ormai dovete darli per morti. E non rischierò di perdere altri uomini. Questa è la mia sentenza.
Fissò sia Jason che Percy e riprese a parlare prima che questi potessero protestare –Non scapperete di nascosto, non cercherete di creare un piano vostro. Non riuscirete a portare nessuno dalla vostra parte. Vi terrò d’occhio, statene certi, non vi permetterò di andare a morire per nulla. Perché sapete che sarete solo voi due, contro una forza così grande che non riuscite neanche a immaginare.
-Non siamo soli- borbottò Percy
Era alzò un sopracciglio –Ah no? Volete portarvi dietro la signorina Mc Lean? Che ha iniziato il suo allenamento solo poche settimane fa? Sapete entrambi che non è per niente pronta a un compito del genere. E la signorina Chase? Con un piede rotto?
Li fissò con sfida, aprì le braccia per indicare tutto ciò che gli stava intorno –Altri?
Ci fu solo silenzio, quello che la donna si aspettava –Esatto. Nessun’altro. Ora se non vi dispiace devo cercare di capire come non far crollare il mondo sotto il dominio di un pazzo dispotico.
Andò via, aveva fatto solo pochi passi prima che Percy aprì la bocca per risponderle, dirle che non aveva intenzione di arrendersi, che nessuno di loro l’avrebbe fatto.
Ma Annabeth lo afferrò per un braccio trattenendolo.
-No Percy, è finita, ha ragione lei.
Quella frase chiuse definitivamente la conversazione.
 
Frank venne raggiunto da Will che correva –Andiamo nella sua stanza, veloce- disse il biondo e il ragazzo allungò il passo.
-Le avevo detto di stare a riposo, che diamine ha fatto oggi?
Frank si morse un labbro –Ho provato a ripeterglielo, ma aveva questioni importanti da sbrigare con Era, è stata un sacco di tempo fuori… Non so…
Will sospirò, quante volte aveva già sospirato quel giorno?
-Vado a prendere quello che mi serve, tu portala in camera, stendila sul letto e non farla muovere, non toccarla, non fare nulla che possa peggiorare la situazione, okay?
L’orientale annuì, Will lo fece a sua volta, poi si divise da lui imboccando un’altra strada.
Frank sentì Hazel ridere debolmente, la sentì anche avvicinarsi al suo orecchio nel quale sussurrò –Siete stati bravi, avete seguito bene il piano.
Frank corrugò la fronte, non aveva idea di cosa la sua ragazze volesse intendere con quella frase, ma non riuscì a chiederlo, perché Hazel svenne tra le sue braccia.
__________________________________________________
Ed eccoci qui con un nuovo capitolo.
Non so se è abbastanza chiaro, ma ovviamente Nico ha parlato con Era della lettera di Leo, non poteva di certo agire da solo.
Non hanno avvertito nessun altro tranne Hazel, era d'obbligo farlo vista la sua capacità nel comprendere le bugie (ecco perchè "aveva questioni importanti da sbrigare con Era") e nessun altro sa ancora di questa cosa, ecco il perchè del comportamento di tutti.
Ovviamente quelli che hanno detto di non andare a salvare Leo nonostante non conoscano il contenuto della lettera non l'hanno fatto perchè non gliene importa nulla di lui, ma perchè semplicemente si rendono conto della situazione e che è completamente inutile fare una nuova missione di salvataggio, non subito almeno.
Bè, fatemi sapere che ne pensate, alla prossima settimana!
Deh

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Capitolo 36
*** Lontano dalle telecamere ***


35.Lontano dalle telecamere


Nico uscì dalla sala in fretta e quasi di corsa non appena Era li congedò.
Non voleva parlare né con Percy né con Jason.
Non voleva sentirti dire quanto fosse stato stronzo a non intromettersi nella conversazione, al fatto che pensava sempre e solo a se stesso e che non era giusto che li stessero abbandonando, non dopo che a lui l’avevano salvato.
Ma Nico non poteva dire nulla, non dopo la lettera che Leo aveva lasciato loro.
Ne aveva parlato con Era lontano da telecamere varie, avevano deciso di mettere in mezzo anche Hazel, perché la ragazza captava quando qualcuno diceva una bugia, quindi passarono tutta la mattina in giro, cercando di essere il più discreti possibili senza far capire niente a nessuno.
Erano arrivati alla conclusione di far credere a Eros di aver abbandonato Leo e Calypso, per rendere il tutto credibile non avevano informato nessuno nella squadra.
Perché se i suoi amici fossero stati davvero convinti di averli abbandonati, ci avrebbe creduto anche Eros.
Nico ed Hazel ci avevano riflettuto parecchio, sapevano che non era giusto comportarsi in questo modo nei confronti dei loro amici, ma era l’unica soluzione.
Avevano anche chiesto ad Era se dovessero informare anche Annabeth, prima di quella riunione, ma la donna risposte che meno persone ne erano a conoscenza e meglio sarebbe andata.
Inoltre Annabeth era così riflessiva che avrebbe sicuramente fatto la scelta più utile, Era ne era sicurissima e infatti non si sbagliò.
Mentre ripensava a tutte quelle cose si stava allontanando sempre di più.
Dopo l’incidente con le bombe nei bagni il parco sarebbe rimasto chiuso fino alla prossima stagione estiva per aggiustare e far tornare tutto come prima dopo l’ “attentato terroristico”.
Si spinse fino alle ultime attrazione ai bordi dell’area, entrò all’interno di una delle tante aiuole sparse, si sedette a terra con la schiena contro il tronco di una palma.
Era rivolto con il viso verso una delle piscine dove si immettevano gli scivoli, ma non la stava fissando, non davvero.
Sospirò passandosi una mano tra i capelli, l’altra invece andò a stringere la lettera di Leo stropicciata che era ancora nella sua tasca.
Cercava di convincersi che aveva fatto bene, che era giusto seguire quello che Leo gli aveva ordinato, perché era la loro unica possibilità.
Ma i sensi di colpa tornarono prepotenti, fino a quando non si addormentò, stremato da quello che era successo negli ultimi due giorni.
Venne svegliato da qualcuno che gli scuoteva leggermente la spalla.
-Mh?- chiese aprendo gli occhi leggermente confuso, tutto intorno a loro era buio, Nico tornò al presente rendendosi conto di dove si era addormentato.
Will gli sorrise dolcemente –Non ti trovavo più… Mi hai fatto preoccupare tantissimo. Vieni, andiamo a dormire dentro, non puoi stare tutta la notte qua fuori…
Nico stava per annuire e seguirlo, aveva solo voglia di tornare a dormire, ma poi si rese conto che erano in un posto perfetto per poter parlare.
Le telecamere non avrebbero sentito i loro sussurri ed era anche abbastanza buio, se Eros inoltre li stesse guardando nello specifico avrebbe potuto benissimo pensare che volevano solo dei momenti di intimità.
-No- mormorò afferrando comunque la mano che l’altro ragazzo gli stava porgendo, solo per fare pressione e convincerlo a sedersi accanto a lui.
Will lo assecondò corrugando la fronte, Nico spiegò –Dobbiamo parlare.
Il biondo si agitò –Non possiamo farlo dentro?- fece una mezza risata isterica –Così se hai di nuovo intenzione di lasciarmi ti faccio cambiare idea a letto.
Nico rise –Non ho intenzione di lasciarti, ma dopo potrei accettare comunque questa proposta.
Will si rilassò e sorrise a sua volta –Quindi, che succede?
Nico sospirò, poi uscì il foglio stropicciato dalla tasca –Leggi questa e capirai tutto.
Will ci mise un po' visto il buio e l’impossibilità di accendere qualche luce senza farsi notare troppo, ma alla fine ci riuscì.
-Cazzo…- sospirò alla fine –Quel ragazzo è un genio e un masochista.
Nico annuì riprendendosi la lettera per posarla di nuovo al sicuro.
Riprese a sussurrare raccontando tutto quello che era successo.
-Quando ha urlato la ritirata era con me, mi aveva già detto che il suo piano era quello di farsi catturare, di non parlare con nessuno davanti alle telecamere e di cercare questa lettera che aveva lasciato- più ne parlava con qualcuno e più si sentiva come se gli fosse stato tolto un peso –non volevo accettare questa sua assurda richiesta, ma era così deciso e convinto in quello che stava facendo… che glielo dovevo, capisci?
Will annuì e se lo strinse al petto –Lo batteremo, ce la possiamo fare. Come faremo a dirlo agli altri?
-Ho un’idea, ma può aspettare anche domani- lo fissò con un sorrisetto.
Will capì al volo –Mh, non pensi che dovremo litigare, come ha detto di fare Leo?- era una domanda ironica, solo per stuzzicarlo, non aveva davvero intenzione di litigare con lui.
-Oh tesoro, sono davvero bravo a litigare con le persone e domani lo farò in grande stile, ma con te ho litigato abbastanza, dobbiamo recuperare il tempo perduto.
Non fece neanche in tempo a finire la frase che si era già tuffato sulle sue labbra, si baciarono con foga per diversi minuti e solo grazie al buonsenso di Will arrivarono in camera e non lo fecero nella prima superficie piana disponibile.
 
Nico uscì dalla camera verso l’orario di colazione, aveva lasciato Will che dormiva, non aveva avuto la forza di svegliarlo, non dopo quello che il suo ragazzo aveva fatto in quei giorni senza prendersi neanche un attimo di pausa. Accarezzò Ombra che fece delle fusa per poi andare a occupare il posto che il ragazzo aveva lasciato libero sul letto. Nico sorrise e uscì fuori.
Nel corridoio incontrò Jason e Piper, fu un’illuminazione.
-Ragazzi!- urlò andandogli contro.
-Nico- rispose Jason non troppo entusiasta, lo guardava con un cipiglio confuso, non capiva perché avesse richiamato la loro attenzione dopo quello che era successo il giorno prima.
Il moro si guardò intorno con circospezione, poi gli fece cenno di seguirlo tornando indietro, i ragazzi si guardarono confusi.
-Dai, fidatevi di me, è importante.
Jason sospirò, ma alla fine lo seguirono, non si lamentarono neanche per la mancata colazione visto che non avevano così tanta fame.
Nico si avviò nei corridoi delle camere da letto, si fermò dietro quella di Annabeth e bussò.
Sperava che al suo interno potesse trovarci anche Percy e così fu, visto che fu proprio il ragazzo che andò ad aprirgli, con il capelli scompigliati, la forma del cuscino in una guancia e solo i boxer con i pesciolini addosso.
-Dobbiamo parlare, tutti e cinque- informò Nico entrando nella stanza senza farsi alcun problema.
Annabeth si stava mettendo a sedere proprio in quel momento, con una mano ferma davanti la bocca per coprire lo sbadiglio e l’altra che si stropicciava un occhio.
-Allora?- chiese Nico tranquillo appoggiandosi con il sedere alla scrivania e incrociando le braccia sul petto, aspettò che Piper chiudesse la porta prima di continuare –Dobbiamo preparare questa nuova missione di salvataggio o no?
-Cosa?- chiese Annabeth ancora assonnata, non sicura di aver capito davvero quello che intendeva.
Jason e Percy non se lo aspettavano completamente.
-Ma ieri non hai detto una parola- proruppe a quel punto Piper, la ragazza era confusa come tutti.
Nico sventolò una mano in aria, come per scacciare qualcosa di fastidioso –Era ovvio che Era si sarebbe impuntata in quello che ha deciso, non dobbiamo farla incazzare più di tanto, se vogliamo scappare sotto il suo naso.
Nico si trattenne nello guardarsi intorno, sapeva che quella stanza aveva delle telecamere nascoste, ma non sapeva dove. Sapeva anche che Eros li stava ascoltando, ridendo per la riuscita dei suoi piani, non aveva idea di quanto loro fossero un passo davanti a lui. Sperò che stesse seguendo con molta attenzione quella conversazione.
-Dici sul serio?- chiese a quel punto Percy.
-Certo. Sono miei amici, non li lascerò a morire come se nulla fosse. Allora? Per voi due va bene?
-Ovviamente!- rispose Jason in fretta.
Nico annuì –Bene, suppongo che non verranno né Piper né Annabeth, no? Ma per decidere il piano vorrei che fossero presenti, Piper ha sempre buone idee in momenti disperati e Annabeth è un genio.
-Perché non ne parliamo ora?- Chiese Piper, aveva le guance leggermente rosse per quel complimento inaspettato.
Nico si guardò intorno con fare circospetto –Non so se Era ha delle telecamere in questa camera, non vorrei rischiare- in realtà sapeva benissimo che c’erano delle telecamere, ma non poteva di certo dirlo –Se ci incontrassimo all’aperto? In un posto dove anche se stanno le telecamere non riescono comunque a sentire quello che diciamo? Però non dobbiamo sembrare sospetti.
Annabeth annuì seria, si era totalmente svegliata –Ha ragione, forse so anche dove andare.
 
Si incontrarono dopo pranzo, i quattro ragazzi erano seduti su un prato quasi al confine della proprietà, ridevano e scherzavano per non dare nell’occhio, avevano mangiato li.
Nico li raggiunse con il foglio della lettera di Leo tra le mani, aveva fatto finta di scriverci sopra un piano.
Si sedette sulle ginocchia davanti a loro.
Percy iniziò a parlare –Annie ha una mezza idea per un piano che potrebbe andare.
-Non andremo da nessuna parte- prima che qualcuno facesse qualche mossa azzardata o avrebbe urlato qualcosa che avrebbe mandato tutto in fumo il moro continuò –State zitti, non dite una parola e fatemi finire. Comportatevi come se stessimo decidendo il piano, come se su questo foglio ci fosse scritto un piano, okay?
Lo disse con un tono così freddo e autoritario che i ragazzi capirono la gravità della situazione e si limitarono ad annuire.
Nico spiegò loro quello che era successo alla villa di Eros, le poche battute che si erano scambiati a vicenda e infine fece leggere la lettera a ognuno di loro.
-Capite? Era sapeva già tutto quando ha indetto quella riunione, si è comportata in quel modo per questo motivo. Hazel e io ci siamo comportati come avete visto per questo motivo. Stamattina vi ho detto quello perché lui ci stava spiando dalle telecamere, dovevo portarvi qui per un motivo valido che non lo facesse insospettire.
-Quindi non andremo a salvarli?- Chiese Percy quasi deluso.
Fu Annabeth a rispondergli –Non per il momento, ma seguiremo le istruzioni di Leo, è ovvio che dobbiamo fidarci di lui dopo quello che ha fatto.
Percy la fissò, ci mise un po' ad assimilare quelle parole, poi annuì, per una volta davvero convinto.
-Quindi ora che facciamo per questo presunto piano?- chiese rivolgendosi di nuovo al moro.
-Oh bè, ora facciamo che vado a spifferare tutto ad Era e vi tradisco, poi litigheremo tantissimo facendo il gioco di Eros, esattamente come ha dato istruzioni Leo. Siete abbastanza capaci di urlarmi contro, no?
Doveva essere una domanda detta con ironia, ma Percy distolse lo sguardo e Jason si morse un labbro in imbarazzo, considerando quante volte se l’erano presa con lui per niente avevano colto la frecciatina.
Nico si rese conto dopo di quello che aveva detto, cercò di sorridere per smorzare la tensione –Su ragazzi, sapete benissimo che vi voglio bene, tranquilli. Non mi tratterrò neanche io.
Fece un gesto con la mano per salutarli e andò via, Jason rimase a fissare un punto impreciso mentre il suo volto diventava sempre più pallido.
-Ehy…- Piper gli toccò una spalla preoccupata –Che succede?
Lui si girò a fissarla con occhi sgranati, la consapevolezza che pian piano si faceva strada dentro di lui.
-Tuo fratello- mormorò –Ci guarda ogni volta che facciamo l’amore.
______________________________________
Hola! Come va? Io sono nel pieno della sessione estiva ma va bene così ahaha
Allora, non so se già si capisce ma siamo quasi alla fine di questa storia, l'inizio dell'ultimo atto (?)
Dopo questo capitolo ne metterò un paio dove il tempo passerà velocemente e cercherò di aggiustare tutto quello che è rimasto in sospeso, finchè non arriveremo allo scontro finale che ormai tutti stanno preparando dai diversi schieramenti.
Comunque non preoccupatevi, altri 10 capitoli circa ci sono, quindi sono tutta l'estate qui con voi!
Bè, al prossimo sabato, fatemi sapere
Deh

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Capitolo 37
*** Settembre ***


36.Settembre


Erano già arrivati a settembre.
Il tempo sembrava essere volato e allo stesso tempo era come se ci avesse messo tantissimo.
Leo li contattò solo una volta, nessuno si chiese come diavolo stesse facendo e ovviamente non risposero.
Ma si sentirono tutti meglio non appena ebbero la certezza che il ragazzo era davvero ancora vivo e che non stavano progettando quel piano a lungo termine senza un principale scopo.
Era comunque terribile.
Avevano “litigato” urlandosi contro le peggiori cose quando Nico aveva spifferato ad Era il loro “piano di salvataggio”.
Alla fine Nico stava anche ridendo così tanto che dovette fare finta di mettersi a piangere nascondendo il viso nel petto di Will per non farsi scoprire.
Si erano creati come dei gruppi, Percy e Jason da una parte ed Hazel e Nico dall’altra, i rispettivi partner erano neutri e parlavano un po' con tutti, ma principalmente passavano il tempo con il proprio ragazzo o con la propria ragazza. Avevano deciso che era un buon modo per continuare, litigando di tanto in tanto e peggiorando sempre la loro situazione, Eros doveva essere certo di averli divisi e distrutti, portati a un livello dal quale non sarebbero più potuti tornare indietro.
Si mostravano anche più deboli di quanto in realtà non fossero.
Si stavano quasi divertendo, avevano uno scopo e, al contrario di com’era stato, vedevano una fine a tutta quella storia.
Quella mattina Thalia si stava godendo il sole, ancora caldo, stesa sul bordo di una piscina.
Aveva gli occhiali da sole, una maglia a maniche corte e dei pantaloncini, si stava rilassando, cosa che non le capitava praticamente mai da quando era entrata nella CIA.
Quando venne interrotta dalla voce di un ragazzo che pronunciò –Ehy ciao- e senza neanche chiederlo Luke si sedette accanto a lei.
Avevano legato da dopo la fine della missione di salvataggio, nulla di troppo spinto, ma avevano iniziato a parlarsi e a passare del tempo insieme.
Tutto era iniziato da Thalia che gli faceva compagnia quando al ragazzo era stato imposto di non muoversi dal letto per almeno una settimana, la ragazza come scusa verso se stessa disse che alla fine non aveva molto altro da fare.
-Possiamo parlare?- chiese subito il ragazzo, sembrava qualcosa di serio.
Thalia si mise a sedere, si tolse gli occhiali da sole e annuì.
-Io non so cosa noi siamo- proruppe il biondo senza guardarla, facendola diventare subito rossa –ma volevo ringraziarti.
-Perché?- mormorò lei.
Luke sospirò, poi si decise a raccontarle tutta la storia.
-Ho passato tutta la mia vita cercando vendetta contro Percy, pensavo che fosse lui ad avermi rovinato la vita. Ma quando mi ha risposto in quel modo… Quando abbiamo… Chiarito- quella parola gli uscì quasi strozzata, in realtà non avevano mai chiarito, non apertamente, ma c’era stata come una tregua tra i due ragazzi, come se entrambi si fossero resi conto della stupidità della situazione e avessero lasciato correre.
–Mi è crollato il mondo addosso. Tutto quello per la quale avevo sempre combattuto era solo un’illusione. Mi sono reso conto di aver sprecato solo anni della mia vita mentre lui la viveva appieno. L’ho capito quando Annabeth mi diede quel pugno.
Thalia lo ascoltava attenta, conosceva quella storia, tutti ormai sapevano della lite che c’era stata tra quei due, ma non l’aveva mai sentita raccontata dal punto di vista del biondo, non aveva mai capito quello che gli passava per la testa.
-Anni buttati per compiacere mio padre, per fare tutto quello che gli andasse bene, solo ora ho capito. Non è stata colpa di Percy, è colpa della CIA. Sono loro che devono pagare.
Thalia registrò subito quelle parole, le avevano insegnato così bene che ci mise mezzo secondo a uscire un pugnale dalla tasca posteriore dei jeans e puntarglielo al collo.
Luke abbozzò un sorriso, poi alzò lo sguardo, da quando aveva iniziato a parlare fu la prima volta che la fissava dritta negli occhi –Ho davvero pensato di tradirvi, tradire tutti. Far saltare in aria questo posto. Non so se poi mi sarei sentito meglio, ma di certo la mia vita avrebbe avuto finalmente un senso, capisci?
Thalia non rispose, non poteva capire, le loro vite erano state così simili ma allo stesso tempo così diverse. Strinse di più la prese sul suo collo, un rivolo di sangue scese lungo il suo collo pallido, il ragazzo però non fece nulla per disarmarla o semplicemente spostarsi da quel tocco.
Voleva che lei si fidasse di lui, le stava parlando con il cuore in mano. Come non aveva mai fatto con nessuno durante tutta la sua vita.
-Thalia- sussurrò il suo nome con così tanta enfasi che alla ragazza tremò la mano che lo minacciava –Non posso più farlo, non posso essere un traditore, non posso andare contro la CIA. E tutto questo è solo colpa tua.
La mano della ragazza si abbassò lentamente, anche se non si scusò per il graffio e non fece nulla per curarlo.
-Quindi ti ripeto, non ho idea di quello che siamo, se mai mi darai una possibilità o dopo questo ti farò così schifo che non riuscirai neanche a guardarmi negli occhi, ma di una cosa sono certo, come non lo sono mai stato in vita mia- prese fiato, era indeciso se allungare una mano verso di lei, ma alla fine rimase immobile –non potrò mai fare nulla a queste persone, non potrò mai andare contro questa organizzazione, non potrò mai andarmene. Perché tu fai parte di loro, sono la tua famiglia. Sei la persona migliore che abbia mai incontrato, non potrei mai farti soffrire.
Thalia era senza parole, shoccata come non lo era mai stata in tutta la sua vita.
Non fece nulla, non disse nulla. Era stata istruita per reagire a qualunque situazione. Ma non aveva la minima idea di come dovesse comportarsi in quel momento, non avrebbe mai pensato di trovarsi in una situazione del genere.
Rimasero li, uno accanto all’altra, lei non andò via, lui non aggiunse più niente.
Thalia gli sfiorò la mano con la sua e Luke non si ritrasse al suo tocco.
Era un inizio.
 
Percy era seduto sul bordo di una piscina, completamente bagnato visto che aveva fatto il bagno fino a qualche minuto prima.
C’era un po' di vento, non faceva freddo, ma il contatto di questo con la sua pelle bagnata gli fece venire un po' i brividi.
Qualcuno lo raggiunse e si sedette al suo fianco, le gambe nude che si infilarono nell’acqua fino a poco sotto il ginocchio.
Era Annabeth, Percy si girò a fissarla e rimase quasi folgorato nel notare quanto brillassero i suoi occhi grigi al sole, fu distratto così tanto che solo dopo qualche minuto si rese conto che la ragazza si era tolta il gesso.
-Ehy! Puoi camminare ora.
-Perspicace- rispose la ragazza, ma stava ridendo.
-Quindi stai bene? Non hai più dolori?
-Sto bene, sono stata brava e non l’ho sforzato, il mio riposo forzato è servito. Certo, sarà più debole rispetto a prima, ma posso gestirlo.
-Ne sono felice- Percy sorrise, poi le passò una mano sul fianco per stringerla a se, erano movimenti che gli venivano più che naturali.
Annabeth sussultò per il contatto freddo con il suo corpo bagnato, Percy non ci aveva completamente pensato, cercò di scusarsi e tornare alla giusta distanza.
-No, va bene così, sto bene in questa posizione- e per affermare ancora di più il concetto si appoggiò con la testa nella sua spalla.
Percy era felice, davvero felice, perché nonostante tutto quello che stava succedendo lei era la sua vera e unica felicità, non poteva chiedere di meglio in quel momento, si sentiva davvero in pace con se stesso, come non lo era da tempo.
-Percy- mormorò Annabeth dopo un tempo che parve infinito.
-Mh?
-Mi dispiace non essermi fidata di te, non averti chiesto spiegazioni, non averti lasciato parlare.
Percy si girò a guardarla, non pensava che avrebbe mai uscito quell’argomento, pensava che non ne avrebbero più parlato e sarebbe rimasto sepolto per sempre.
-E’ che…- continuò la ragazza, sembrava non riuscire a trovare le parole giuste, lei che aveva sempre tutto organizzato nei minimi dettagli –Sai com’è, no? Crescere nella CIA, non fidarsi mai di nessuno. Pensavo che tu fossi stato diverso, e lo sei. Dio se lo sei, sei così speciale.
Percy era certo che da un momento all’altro gli sarebbe scoppiato il cuore.
-Ma quando ti ho visto li, ho pensato di essere stata una stupida e che davvero non posso fidarmi di nessuno, per questo ho cercato di dimenticarti.
Allungò una mano verso la sua guancia rossa, gli accarezzò lo zigomo sorridendo alla vista degli occhi verdi e quasi lucidi –La verità è che per quanto ci provassi, a mandarti via dalla mia testa, a dimenticarti, tu eri sempre li, presente. Perché ti amo Percy, come non credevo di poter mai amare nessuno.
Lo baciò, dolcemente sulle labbra, schiudendole appena e prendendosi tutto il tempo per assaporarle appieno, come non faceva da troppo tempo.
Percy la strinse subito a se, ci mise così tanta enfasi che la ragazza si ritrovò a cavalcioni sulle gambe del ragazzo, non che le desse fastidio.
-Ti amo, ti amo tantissimo- continuava a ripetere Percy come un mantra –Non ti lascerò andare mai più, neanche se mi dovessi supplicare.
Annabeth rise, poi mosse solo le pupille degli occhi per guardarsi intorno, facendo capire al ragazzo che le parole successive le stava dicendo solo per Eros.
-Non so cosa succederà, non che ora come ora possa immaginare un futuro, non dopo quello che è successo ai nostri amici e dopo aver perso una famiglia- con quell’ultima frase si riferiva agli altri ragazzi del campo, con cui continuavano a litigare per non destare sospetti.
-Ma so che ora voglio vivere nell’attimo, con te. Fino a quando ne avremo la possibilità.
Percy sorrise, poi tornò a baciarla.
_______________________________________________
Eccomi qui!
Come avevo detto, sistemerò tutto quello che avevo lasciato in sospeso e vi regalerò degli attimi per ogni coppia.
A Settembre sono capitati Thalia e Luke (che è quasi un finale aperto, potete decidere voi come potrà evolversi quello che hanno) e la Percabeth, che è una delle otp della saga che ho, li amo dal primo libro.
E nulla, ci sentiamo la prossima settimana con "Ottobre" dove incontreremo la Frazel e la Solangelo!
Fatemi sapere che ne pensate per il momento!
A presto, Deh 

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Capitolo 38
*** Ottobre ***


37.Ottobre


-Frank- sospirò la ragazza –Guarda che sto bene.
Erano seduti intorno a un tavolino di un bar praticamente vuoto, stavano mangiando un gelato.
Hazel aveva i piedi sulla sedia, la coppetta poggiata su un ginocchio e tutta la sua attenzione era rivolta verso il gelato al gusto stracciatella, ma sentiva comunque lo sguardo del suo ragazzo rivolto nella sua direzione.
Era guarita del tutto, qualche volta aveva dei dolori interni, ma cose che potevano capitare, nulla di grave a sentire Will.
Il problema era che aveva avuto un sacco di ricadute, e più di una volta rischiò di peggiorare drasticamente la situazione.
Questo avvenne perché se ne andava sempre in giro per la struttura, aveva un ruolo importante grazie al suo “potere” e c’erano delle questioni che poteva sistemare solo lei.
Fu solo quando la minacciarono di legarla al letto che alla fine decise di prendersi quelle settimane di riposo totale che gli aveva ordinato Will ed era guarita.
Nonostante fosse tutto sistemato però, Frank non la perdeva di vista per troppo tempo e la guardava continuamente come se dovesse trovare un minimo segno di vacillamento.
Ovviamente le faceva piacere tutta quell’apprensione, ma era anche leggermente esasperante.
Frank annuì e infilò in bocca una cucchiaiata di gelato alla vaniglia.
Hazel sospirò di nuovo, posò il gelato sul tavolino, tolse i piedi dalla sedia e si spinse in avanti sul tavolo protendendosi verso di lui.
-Frank, guardami.
Il ragazzo obbedì all’istante.
Hazel sorrise e allungò una mano verso la sua, stringendola.
-Sto bene, davvero, devi fidarti di me.
-Non è questione di fiducia- rispose subito lui –E’ che mi sono reso conto…
La sua voce era flebile, la ragazza lo spronò a continuare stringendogli la mano.
-Ho paura- gli tremò la voce, erano solo due parole di una sincerità disarmante.
-Ho paura anche io…
-No!- Il ragazzo la interruppe subito guardandola quasi disperato –Non hai capito.
Strinse a sua volta la presa della sua ragazza, forse un po' troppo forte, ma lei non se ne lamentò.
-Mi sono reso conto di non aver mai avuto così tanta paura in vita mia fino a quando non mi sei quasi morta tra le braccia, è stata vera e propria disperazione. Non riuscivo a muovermi mentre ti operavano, non riuscivo a capire cosa stesse succedendo tutto intorno a me.
Ah Hazel veniva da piangere, si sentiva terribilmente in colpa per quello che aveva fatto passare al ragazzo, anche se sapeva che non era colpa sua.
-Mi sono reso conto che se dovesse davvero succederti qualcosa di irreparabile io… Non saprei più come andare avanti, capisci?  Ho il terrore di questo, perché la nostra vita non è per niente semplice.
Hazel si alzò, aggirò il tavolo e gli si mise di fronte, si posizionò in piedi tra le sue gambe, in questo modo era più alta di lui di diversi centimetri.
-Ehy- mormorò afferrandogli il viso con entrambe le mani mentre lo costringeva a guardarla negli occhi –Non posso prometterti nulla, perché non ho idea di come sarà il futuro, ma te lo giurò Frank, farò di tutto per restare con te, non ho nessuna intenzione di perderti.
Il ragazzo le strinse i fianchi magrissimi.
Lei continuò a ripetere –Nessuna Frank, non ti lascerò andare.
Infine se lo strinse al petto, uno di quegli abbracci infiniti che non avevano nessun bisogno di parole, ma che si esprimevano più di mille discorsi.
 
Quel giorno pioveva, era ormai quasi fine mese e faceva sempre più freddo.
Anche Percy aveva smesso di farsi le sue solite nuotate in piscina, non che lui ci parlasse con Percy, al massimo si urlavano insulti vari quando era passato tanto tempo dall’ultimo litigio.
Stava cercando Will all’interno della struttura ma non lo trovava da nessuna parte, aveva anche controllato i bagni.
Alla fine pensò che forse era rimasto al bar dove avevano mangiato, per raggiungerlo doveva fare un tratto all’aperto e quindi sotto la pioggia, forse era questo il motivo per cui non si era mosso da li.
Sospirò, ora per raggiungerlo sarebbe dovuto uscire lui sotto la pioggia e non aveva nessuna voglia di cercare un ombrello, semplicemente si alzò il giubbotto da aviatore che aveva sul capo e iniziò a correre.
Quando scostò i fili di perline che facevano da “porta” mentre l’altra mano se la passava tra le ciocche lunghe di capelli scuri, si accorse subito della presenza del biondo, il bar era quasi completamente vuoto e lui stava giocando a carte con Paolo.
Nico lo raggiunse da dietro, gli mise le braccia intorno al collo e si chinò ad abbracciarlo mormorando un “ehy”.
Will sussultò così forte che per poco non gli caddero tutte le carte a terra, non perché il suo ragazzo fosse spuntato letteralmente dalle ombre, a quello ormai era abituato, ma perché non era decisamente abituato a tutto quel contatto fisico da parte sua in un posto pubblico.
-Ciao…?- rispose così confuso che sembrava quasi una domanda.
Paolo disse qualcosa in portoghese e le guance di Will divennero rosee, Nico se ne accorse subito e, come riflesso involontario strinse la sua stretta, poi chiese con la sua voce piatta e quasi fredda –Che ha detto?
-Che siamo carini.
La sua presa si rilassò leggermente, poi l’altro ragazzo fece una domanda al nuovo arrivato, Nico aveva capito che stava chiedendo qualcosa a lui, ma proprio non riusciva a comprendere quella lingua, nonostante fosse simile all’italiano.
-Ha chiesto come sta Ombra- tradusse Will.
-Oh- era nervoso, che cosa gliene fregava a quello del suo gatto? Ma cercò di darsi una regolata, sapeva che alla fine l’aveva chiesto solo perché Ombra adesso era li insieme a loro grazie a lui e l’aveva fatto soprattutto per parlare –Dorme, mangia e ci guarda male, solite cose insomma- cercò anche di abbozzare un piccolo sorriso ma il risultato fu così pessimo che dovette rinunciare.
Paolo annuì, poi annunciò di aver vinto, raccolse tutte le carte, li salutò e andò via.
Solo quando uscì dal bar il moro si staccò quasi di scatto dal suo ragazzo, si sedette al posto rimasto vuoto in modo scomposto, portò anche i piedi sul tavolo, poi borbottò –Ti cerco da un sacco.
Will lo scrutò, collego tutto quello che era successo e alla fine sorrise divertito –Sei ancora geloso, Nico?
Il moro sbuffò, incrociò le braccia al petto e borbottò –Ma figurati!
Will scoppiò a ridere –Oddio sei così tenero!
Nico divenne totalmente bordeaux, strinse i pugni, poi si alzò e andò via.
-No dai- Will stava ancora ridendo mentre si alzava a sua volta –Non ignorarmi!
Rise anche mentre lo rincorreva sotto la pioggia, lo bloccava e lo baciava.
Lo immaginò benissimo mentre alzava gli occhi al cielo, non stava facendo però nessuna resistenza e ricambiava il suo bacio.
Si sentì afferrare sul davanti della maglietta, maglietta che pian piano diventava sempre più bagnata, ma sembrava che nessuno dei due avesse davvero fatto caso alla pioggia.
Nico strinse la maglia e si allontanò leggermente dal suo viso.
Lo stava fissando con uno sguardo così intenso che a Will scese un brivido lungo la schiena, brivido che si intensificò quando il ragazzo parlò.
Aveva gli occhi quasi coperti dai lunghi capelli bagnati, le labbra sottili e strette mentre quella frase gli usciva quasi come un ringhio –Tu sei mio.
Will rispose baciandolo con così tanta enfasi che per poco non rotolarono a terra.
-Dio- mormorò il biondo –Devo farti decisamente ingelosire più spesso.
Si spinse contro di lui.
Nico alzò un angolo della bocca –Oh si, lo sento.
Will era così preso nel continuare a baciarlo, sulla guancia e nel collo, che non ebbe il tempo di arrossire, non del tutto.
-Trovatevi una stanza!- quell’urlo aveva un timbro di voce molto simile a quello di Reyna, anche se nessuno si girò a controllare se fosse davvero lei.
-Will- borbottò Nico trattenendo un gemito mentre si mordeva le labbra –Dovremo davvero cercare una stanza…
Il biondo mugugnò qualcosa che doveva essere un assenso mentre succhiava un lembo di pelle sensibile tra la spalla e il collo.
Nico stava per esplodere, di solito non era lui quello razionale, era compito di Will quello, ma se il ragazzo continuava così…
-Will…- mormorò nuovamente.
Il più grande si staccò –Si, hai ragione- gli diede un dolce e leggero bacio in guancia, poi lo prese per mano.
Quasi si misero a correre per arrivare in camera, bagnati com’erano fu un miracolo che nessuno dei due scivolò rompendosi qualcosa.
Non appena entrarono in camera e Will si chiuse la porta alle spalle Nico fece un passo indietro e inciampò su qualcosa, qualcosa che miagolò e rizzò il pelo.
-Oh piccolo, scusa!- Nico si inginocchiò subito per coccolarlo.
Ombra accetto quelle carezze, ma sembrò rimanere a distanza, come se fosse offeso.
Will sospiro, poi sorrise mentre iniziava a togliersi gli indumenti bagnati.
Nico rimase qualche altro secondo a coccolare il suo gatto, poi lo lasciò andare, questo miagolò insoddisfatto per poi andarsi a sistemare sulla cornice della finestra chiusa.
Si rimise in piedi e scrutò da capo a piedi il suo ragazzo che era ormai quasi del tutto nudo.
Si rese conto che lui indossava ancora i vestiti bagnati, che gli davano sempre più fastidio.
Sorrise mentre si sfilava il giubbotto –Facciamo una doccia?
-Ecco perché ti amo così tanto.

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Capitolo 39
*** Novembre ***


38.Novembre


Quel giorno Jason cercò Piper a lungo, inutilmente.
Solo dopo diversi giri del parco e varie domande in giro la trovò.
Era sopra la struttura degli scivoli ad acqua, ormai non più in funzione da mesi.
Faceva freddo li sopra, la ragazza era seduta a terra, i piedi penzoloni oltre la ringhiera, lo sguardo perso verso la grande campagna che circondava tutto il parco.
Si strinse di più nel suo giubbotto quando sentì qualcuno salire e sedersi al suo fianco.
Non ebbe bisogno di girare lo sguardo per capire che si trattasse del suo ragazzo.
-Tutto okay?- chiese quest’ultimo seguendo il suo sguardo.
Lei annuì, entrambi sapevano che stavano ascoltando la loro conversazione con le cimici e telecamere nascoste.
-Stavo pensando- continuò lei dopo un po', soppesando le parole –Non riesco a capacitarmi di come sia arrivata a questo punto della mia vita.
Jason non era sicuro di aver capito bene, e sapeva che non poteva dire troppo, quindi preferì chiedere spiegazioni.
-In che senso?
-Bè, un anno fa la mia più grande preoccupazione era di non prendere insufficienze a scuola.
Abbozzò un sorriso, Jason si girò verso di lei, le allungò una mano sul viso e le accarezzò una guancia.
-Mi dispiace- mormorò.
Lei chinò il viso verso la sua mano chiudendo gli occhi, per assaporare meglio quel contatto.
-Non è colpa tua.
-Ma avevi una vita più semplice prima di incontrarmi.
-Questo è vero- la ragazza sorrise mentre il vento le scompigliava i capelli facendoglieli volare in tutte le direzioni –Ma era una vita basata sulla menzogna. Non avevo nessuna idea di cosa in realtà fosse la mia famiglia.
-Qualche volta non fa male vivere nella menzogna, se stai bene.
Piper si girò a fissarlo –Sto meglio qui, con te.
Si avvicinò al suo volto e gli lasciò un leggere bacio a stampo –Sono felice che tu mi abbia trovato e deciso di portare con te.
-Lo farei altre mille volte.
-Non ti ho mai ringraziato abbastanza- mormorò lei poggiando la testa sulla sua spalla mentre sospirava.
-Lo fai ogni singolo giorno- sorrise –ci sono notti in cui penso di essere un’orribile persona per quello che ho fatto e sto facendo alla tua famiglia. E che un giorno tu ti sveglierai e capirai che tipo di persona sono realmente, finendo per abbandonarmi.
Piper quasi scoppiò a ridere per quella frase assurda, ma sapeva che Jason era serio, quindi si trattenne.
Alla fine però decise comunque di rispondere con dell’ironia.
-Suvvia, non ti ho abbandonato sapendo che mi avevi tradito, nulla potrà più separarci.
Jason si girò di scatto verso di lei, il volto confusissimo –Io… Cosa…?
Piper abbozzò un sorrisetto –Ti sei già dimenticato del mattone?
Jason passò dalla confusione alla consapevolezza, finendo per guardarla malissimo.
-Ah. Ah. Divertente.
-Sai che questa storia te la ricorderemo per sempre, si? Soprattutto Leo.
Quell’ultima parola fece smorzare un po' i sorrisi di entrambi, Piper stava per scusarsi, l’aveva detto senza pensarci, ma Jason la precedette sospirando e portandosi una mano tra i capelli.
-Si, ne sono consapevole, anche per questo non posso credere che sia davvero morto.
Quella frase doveva essere diversa, doveva dire “anche per questo dobbiamo andare a salvarlo” ma non poteva, così aveva deciso per una via di mezzo.
Piper aveva comunque capito, ormai non mancava molto.
Jason le passò un braccio intorno al fianco e se la strinse addosso, rimasero in quella posizione e in silenzio fino a quando il sole non tramontò e iniziò a fare davvero troppo freddo per continuare a rimanere li.
Quei momenti erano speciali e quasi impossibili da trovare per loro, quindi quando ne avevano la possibilità cercavano in tutti i modi di viverli appieno.
Alla fine erano quelle piccole cose che gli davano la certezza di essere ancora umani, e non semplici robot usati per scopi militari che dovevano solo rispettare degli ordini.
 
Reyna stava mangiando con gusto un gelato, quando venne raggiunta da Chris.
-Il gelato a novembre?
-Non c’è stagione per il gelato- rispose sbrigativa lei e per affermare ancora di più il concetto se ne mise una bella dose in bocca.
-Se lo dici tu, io preferisco altro- il ragazzo si sedette al suo fianco e solo a quel punto Reyna si accorse che aveva tra le mani una tazza fumante di cioccolata calda.
-Non parliamo da tanto, noi due- fece presente lui dopo qualche minuto di silenzio.
-Bè, hai cambiato i tuoi hobby.
Lo disse con un sorriso e Chris capì che non era un’accusa.
-Sai, se impari a conoscerla non è male, Clarisse intendo.
-Non lo metto in dubbio, ma non è il mio genere.
-Chi non è il tuo genere?- si intromise a quel punto proprio Clarisse, raggiungendoli afferrò una sedia da un altro tavolino e si sedette accanto a loro.
Reyna rise –Tu.
-Scusa baby, sono già occupata- rispose questa stando al gioco.
-Quindi è una cosa ufficiale la vostra.
Clarisse alzò le spalle e Chris rispose con un “suppongo di si?” che sembrava molto più una domanda.
-Non avrei mai scommesso nulla su due caratteri come i vostri messi insieme.
-Perché non conosci Clarisse del tutto, non hai idea di quanto sotto sotto lei in realtà sia…
-Hai deciso che questo è il giorno giusto per morire?- domandò Clarisse sovrastando le sue parole e interrompendo quello che stava dicendo.
Chris alzò le mani in segno di resa, Reyna rise –Sono felice per voi.
Finì il suo gelato e fece per alzarsi e andare via, quando Clarisse si rivolse a lei.
-Non devi cercare, arriverà per conto suo. Quando meno te l’aspetti.
Reyna storse la bocca e annuì, anche se non le credeva molto.
-Dico sul serio. Non ho mai pensato di volere qualcuno, inoltre pensavo che con questo lavoro fosse solo un intoppo. Poi è entrato nel mio bagno.
-Pensavamo tutti che l’avresti ucciso quel giorno- Reyna rise.
-Lo pensavo anche io- commentò Chris in un mormorio.
-Purtroppo Era me l’ha impedito, ma non posso lamentarmi troppo.
-Bè ragazzi, intanto vediamo di uscirne vivi da questo storia, anche se noi non siamo stati messi in mezzo senza un apparente motivo.
Questa volta si alzò veramente –Io, visto che comunque non si sa mai e potremo morire anche domani, vado a fare il bis del gelato, qualcuno vuole qualcosa?
 
Leo ormai aveva perso la cognizione del tempo.
Le sue giornate si susseguivano nella sua cella, una piccola stanza quadrata, priva di qualsiasi cosa, un lato di questa era trasparente ed era attaccata alla cella dove Eros teneva Calypso.
Ma ben presto il ragazzo si era reso conto che lei invece non riusciva a vederlo.
Doveva immaginarlo dato l’essere sadico del loro aguzzino.
Però Leo aveva avuto ragione, non li aveva uccisi, aspettava che Calypso partorisse per farli soffrire ancora di più e distruggerli per sempre.
A lei non facevano mai nulla, le portavano il mangiare due volte al giorno e non aveva nessun contatti con l’esterno.
Leo passava tutto il giorno a fissarla, disperato, ma la ragazza continuava a tenersi aggrappata alla realtà parlando con il loro bambino. Leo però non riusciva a sentire quello che la sua ragazza diceva.
Leo invece veniva trattato peggio, lo torturavano ogni due/tre giorni, per fargli sfuggire qualche informazione importante, non che a Eros servissero veramente visto che li controllava. Semplicemente si divertiva con lui.
La cosa che lo consolava era che non gli facevano troppo male, non lo portavano al limite. Perché sapevano che a lungo andare questo l’avrebbe spezzato.
Ed Eros non voleva questo, voleva che Leo fosse ampiamente cosciente e lucido da capire tutto quello che avrebbe fatto a Calypso e alla sua bambina.
Non fiatava, non si lamentava e non si faceva sfuggire nulla.
Aveva un piano, un obiettivo che avrebbe raggiunto ad ogni costo. Aveva una famiglia da proteggere, poteva sopportare quello che stava passando ancora per molto, se si trattava di loro.
Quel giorno era poggiato alla parete trasparente, Calypso gli stava di fronte e lui non faceva altro che guardarla, strisciando la mano sulla superficie liscia sperando di poterla raggiungere.
La pancia ormai enorme, non distoglieva lo sguardo dal suo viso, per controllare ogni piccolo cambiamento.
Fu grazie a quello che notò la smorfia sul volto della sua ragazza mentre si chinava leggermente in avanti trattenendosi il pancione.
Leo trattenne il respiro, aspettò diversi minuti, non fu una cosa che si ripeté, ma capì che era arrivato il momento.
Doveva chiamare gli altri.

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Capitolo 40
*** Tre gruppi ***


39.Tre gruppi


Avevano preparato tutto nei minimi particolari, fu difficilissimo informare tutti quelli che dovevano esserne al corrente senza poter parlare liberamente, mandare messaggi o fare una qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto insospettire Eros.
Ma alla fine ce l’avevano fatta, Era si sentiva molto soddisfatta di se stessa.
Dovevano andarsene da quel posto, ma dovevano farlo per un motivo valido che non avrebbe fatto capire a Eros che l’avevano progettato.
Così Era decise di usare delle mine piantate sotto il parco, che dovevano essere utilizzate come ultima spiaggia, per far saltare in aria tutto se mai i nemici avrebbero conquistato il territorio, per distruggere tutte le informazioni e non far cadere nulla nelle loro mani.
Avevano stabilito un orario, orario in cui in una piccola parte non ci sarebbe stato nessuno, volevano fare esplodere un paio di bombe, far scattare l’allarme e far decidere ai superiori di cambiare base perché quella ormai non era più sicura.
Sapevano che Eros non li avrebbe attaccati direttamente li, era l’unica sua possibilità di conoscere le loro mosse, ma Eros non sapeva che loro sapessero questo. Erano un passo avanti a lui.
Così gli avrebbero fatto credere di essere convinti che quell’attacco fosse venuto da parte sua e non avrebbe potuto sospettare nulla su un possibile spostamento della base.
Era come girare un film, ognuno era nella sua posizione, ad aspettare il segnale. Anche se al contrario delle riprese avevano una sola possibilità di girare quella messinscena e dovevano farla senza intoppi, nel miglior modo possibile e in quello più credibile.
Perché ne valeva della loro vita e della vita dei loro amici.
Come da programma, alle 11.34 della mattina le bombe esplosero, la gente iniziò a correre ovunque, gli addetti alla sicurezza corsero in direzione delle esplosioni, per spegnere i fuochi e salvare eventuali feriti.
Nell’aria si diffuse il suono dell’allarme e la voce elettronica che annunciava l’immediato ritrovamento verso un punto di raccolta.
I ragazzi accorsero da ogni parte, con le facce il più spaventate possibile e urlando frasi disperate, sulla ricerca di qualcuno o la conferma di stare bene e non essere feriti.
Avvenne tutto molto velocemente, un pezzo di strada vicino al parcheggio dei clienti del parco si aprì, da questo uscirono una ventina di camion.
Era stava urlando per farsi sentire da tutti –Dobbiamo andarcene! Questo posto non è più sicuro!
Tutti gli agenti salirono nel retro dei vari camion, sembravano una massa scomposta, ma in realtà ognuno sapeva qual’era il suo ruolo.
I ragazzi fecero finta di rimanere sorpresi e di non capire davvero quello che dovevano fare, così costrinsero Era a scendere da un sedile del passeggero, prendere qualcuno a caso per un braccio, che risultò essere Hazel, e spingerla non proprio delicatamente all’interno del resto di questo.
-Forza! Tutti sopra! Non ho nessuna intenzione di ripeterlo! Non permetterò a quel bastardo di prendere un altro di voi!
Fecero tutti come aveva detto e in meno di un minuto erano tutti sopra, la donna si chiuse le porte blindate mentre il furgone partiva, scese il silenzio.
Durò pochissimo, subito si diffuse il sollievo nell’aria, c’era chi sospirava, chi rideva, chi commentava una qualche azione divertente che qualcuno aveva fatto.
Anche Era si permise l’abbozzo di un leggero sorriso, altamente soddisfatta della riuscita del suo piano, ma non si fece vedere da nessuno, quando si girò verso di loro aveva di nuovo il suo sguardo serio.
-Bene, abbiamo 30 minuti dove nessuno finalmente ci spierà. Dobbiamo parlare di cose importantissime, non ripeterò due volte il piano, agiremo oggi stesso per prenderlo in contropiede.
-30 minuti?- domandò Reyna non capendo.
-Si, in 30 minuti può benissimo mandare qualcosa a spiare i nostri furgoni e seguirci alla nuova base, per questo sarete solo voi a fare l’attacco, vi spiego tutto e poi vi lasciamo lungo la strada, tutti gli altri proseguiranno come se nulla fosse. Abbiamo più possibilità di riuscita così che nel mandare tutto il nostro esercito, senza contare il problema delle armi virali. Domande?
Percy sorrise –Aspettavo da tanto questo momento.
Annabeth chiese –E le armi?
-All’interno delle casse dove siete seduti ci sono tutte quelle di cui potete aver bisogno, prendete ciò che preferite.
-Adesso si che si ragiona- commentò Chris soddisfatto.
Mentre ognuno di loro si armava di ciò che preferiva e di tutto quello che riusciva a portarsi dietro, Era spiegò tutto quello che dovevano fare.
-Dovete dividervi in tre gruppi, ognuno avrà uno scopo differente. Ricordate bene, la riuscita dell’intera missione avverrà solo se tutti voi cooperate e riuscite in tutte e tre le cose. Chiaro?
Nessuno rispose, ma la donna sapeva di avere la loro completa attenzione.
-Il primo gruppo ha il compito di salvare Leo e Calypso- aveva iniziato a chiamarli per nome, dopo tutto quello che era successo gli era venuto quasi spontaneo –Will ed Hazel, voi dovete andare per forza, Will serve per le condizioni di Calypso, non sappiamo in che stato la ragazza si trovi, spero che tu sia pronto a tutto quello che potresti provare- il biondo annuì serissimo, sapeva che era quello il suo scopo. Era continuò portando lo sguardo sulla ragazza –Hazel andrà perché voglio che ci sia una ragazza che eventualmente potrebbe aiutare Calypso, penso che lei sia la più adatta, se non se la sente deve dirlo subito.
-Lo farò.
-Bene, con loro due andranno anche Reyna e…
-Io- Nico neanche aveva fatto finire di parlare Era, infatti la donna gli lanciò uno sguardo gelido, odiava essere interrotta.
-Era esattamente quello che stavo dicendo. Voi avete il compito di proteggerli, qualsiasi cosa accada.
I due ragazzi annuirono, Era sapeva di potersi fidare di loro, tra tutti sapeva che erano quelli più adatti. Per quanto riguarda Nico sapeva che avrebbe davvero rischiato la vita per salvare sia Will che Hazel, non era così stupida da non aver notato il legame che il moro aveva instaurato con quei due ragazzi. Per quanto riguarda Reyna si era resa conto che si era quasi attaccata morbosamente a Nico, come se si sentisse ancora in colpa per quando l’avevano torturato sotto richiesta di Tristan, e allora cercasse in tutti i modi di redimersi. Sapeva che avrebbe combattuto molto meglio di chiunque altro al suo fianco.
A quel punto la donna uscì un foglio dalla tasca, era formato A4, spiegazzato e all’interno vi era stampata una foto a colori di un uomo –Questo è uno scienziato che lavora per Eros- iniziò, doveva spiegare dall’inizio perché metà di loro non era ancora al corrente di quella storia, allo stesso tempo però cercò di fare in fretta, il tempo che avevano a loro disposizione stava scadendo.
-Sappiamo per certo che insieme hanno modificato la teoria dell’arma creata da Tristan McLean e non abbiamo idea del punto in cui sono ora, forse hanno già qualcosa di pratico, che potrebbero pure usare. Inutile dirvi della gravità della situazione.
-Non ci aveva mai parlato di tutto questo- fece presente Annabeth.
-Avevate i vostri problemi, inutile darvi notizie se poi eravate impossibilitati ad agire. Non avevo bisogno di un nuovo motivo per farvi fare di testa vostra e disubbidirmi.
Nessuno si lamentò, anzi, qualcuno chinò anche il capo a quel rimprovero.
-Quindi ho bisogno che un’altra squadra trovi quest’uomo e lo faccia parlare, dobbiamo sapere tutto su questa nuova minaccia- fece una breve pausa –Sono abbastanza certa che capite bene la gravità, che dovete farlo parlare con qualsiasi mezzo.
Chris fece un sorrisetto –Sono sempre stato bravo in queste cose. Mandi me!
La donna annuì –Oltre Chris andrà Clarisse, Luke e Thalia.
Quest’ultima non osò contraddire la decisione del suo capo, ma si morse un labbro e si girò a fissare il fratello, preoccupata.
Jason capì all’istante, sorrise per tranquillizzarla –Tranquilla, andrà tutto bene.
-E l’ultimo gruppo invece si occuperà di Eros. Quindi Percy, Annabeth, Piper, Jason, Paolo e Frank. Dovete prenderlo di sorpresa, cercare di non dare troppo nell’occhio. Quando tutte queste cose saranno svolte e tutti e tre i gruppi mi darete l’okay, interverremo anche noi e distruggeremo totalmente Eros McLean. Questa storia sarà chiusa per sempre.
Quell’ultima frase fu come una sentenza.
-Noi andremo, ma lei mi deve tenere al sicuro Ombra.
La donna quasi sorrise, poi annuì, Nico si sentì molto più sollevato.
I ragazzi finirono di prepararsi, passarono solo due minuti prima di arrivare al punto stabilito.
Vennero lasciati li in fretta, Era li fissò quasi con premura, sembrò voler dire loro qualcosa, aprì la bocca, ma ci ripensò e la richiuse, solo mentre andava via urlò –Tutto il mondo è nelle vostre mani, non deludeteci.
-Certo che in quanto a incoraggiamento lei è la migliore- borbottò Clarisse ironica.
Il sole era alto nel cielo e non c’erano nuvole ma la temperatura era bassissima, nonostante questo però nessuno aveva freddo, l’adrenalina era a mille in ognuno di loro.
-Bene, dobbiamo andare, non possiamo permetterci di perdere altro tempo, dividiamoci nei gruppi che ha detto Era e andiamo.
Hazel si avvicinò a Frank, lo baciò dolcemente.
-Ricorda, farò di tutto per tornare da te, ma devi promettermi lo stesso.
Il ragazzo l’abbracciò, stringendola come se non ci fosse un domani, non voleva dividersi da lei, ma sapeva che servivano per scopi diversi.
Non aveva neanche provato a protestare, l’unica cosa che fece fu stringerla, respirare il suo odore e continuare a mormorarle quanto l’amasse come un mantra.
In contemporanea Jason strinse la mano a Piper, poi la lasciò andare e si avvicinò a sua sorella, le circondò le spalle con le braccia, stringendola a sé in un lungo abbraccio.
Non ci furono bisogno di parole, quel gesto e lo sguardo intenso che si scambiarono subito dopo fu più espressivo di qualsiasi altra parola.
Jason poi lanciò uno sguardo freddissimo a Luke, che era a pochi passi, con voce piatta e seria quasi lo minacciò –La affido a te, proteggila, se le succede qualcosa te ne riterrò l’unico responsabile.
Prima che il biondo potesse rispondere in qualche modo o Thalia potesse indignarsi e imbarazzarsi per quella conversazione Jason tornò verso il suo gruppo.
Ognuno prese la sua strada.
_____________________________________________
Capitolo di passaggio, ma dal prossimo inizia ufficialmente la battaglia finale.
Continuate a seguirmi e magari a farmi sapere che ne pensate,
Un bacio, Deh

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Capitolo 41
*** Primo gruppo: salvataggio ***


40.Primo gurppo: salvataggio


Il loro era il gruppo che meno si doveva fare notare.
Tutto era progettato per prendere di sorpresa Eros, ma loro dovevano entrare silenziosi e invisibili e uscire nello stesso identico modo.
Dovevano evitare tutto quello che poteva dare nell’occhio, ma ovviamente gli dei non erano dello stesso parere e riuscirono a scegliere i momenti meno opportuni. Sicuramente si divertivano da la sopra vedendo le disavventure.
L’inizio andò benissimo, incontrarono pochissimi soldati al servizio di Eros lungo la strada e ancora non erano stati scoperti.
Tutto era anche merito di Leo, il ragazzo aveva staccato i sistemi di sicurezza dall’interno.
Sapevano anche in linea teorica dove dovevano andare, i corridoi erano prevalentemente vuoti.
-Sh!- fece a un certo punto Reyna alzando una mano e bloccando l’avanzata dei suoi compagni.
Tutti si immobilizzarono e si strinsero di più contro la parete, le voci che aveva sentito Reyna diventavano sempre più forti, sembravano di due persone e provenivano dal corridoio oltre la svolta che dovevano ancora fare.
Tutti trattennero il fiato e sperarono che non sarebbero venuti nella loro direzione.
-… quindi le avevo detto di non sentirmi bene.
-E ci ha creduto?
-Ovvio, quella donna crede a tutto quello che le dico.
Risata da parte dell’altro uomo.
Nico si sporse in avanti e sbirciò oltre l’angolo, notò che i due uomini stavano andando nella direzione opposta alla quale si trovavano loro, stava per dire ai suoi compagni di aspettare qualche minuto per seminarli e continuare per la loro strada, quando sentì il continuo della loro conversazione.
-Che poi ho fatto bene a scegliermene una stupida. Non fa mai troppe domande.
-L’unica cosa che conta insomma.
-Eh bè, come dovrei spiegargli che sto andando a torturare un ragazzo solo per il piacere del mio capo?
Nico strinse il pugno a quella frase, ma si trattenne, tornò indietro e parlò a voce bassissima ma veloce.
-Seguiamoli, ci porteranno da loro.
-Ne sei sicuro?- domandò Hazel non proprio convinta.
-Sicurissimo, non possiamo perdere altro tempo, potremo anche perderci o trovare le celle quando ormai saranno vuote, perché li avranno spostati. Non possiamo perdere questa opportunità.
Reyna annuì –Sono d’accordo, andiamo.
I quattro ragazzi ripresero la loro strada, rimanendo sempre a distanza di sicurezza ma non perdendo mai il suono delle voci dei due uomini e i loro passi.
Quella volta fu Hazel a fermarli –Si sono fermati- sussurrò.
Sentirono un “bip” automatico di una porta che veniva aperta.
Poi gli uomini fecero una risata e si rivolsero con scherno a qualcuno.
-Adesso- sussurrò Nico e, insieme a Reyna corsero in avanti.
Colsero così di sorpresa i due uomini che questi non ebbero il tempo di reagire o fare qualsiasi altra cosa prima di ritrovarsi tramortiti a terra.
Leo era all’interno della cella, li guardava con un sorriso quasi sadico in volto, fissò Nico e disse semplicemente –Sapevo di potermi fidare di te.
Nico sorrise, poi Will lo sorpassò e si avvicinò a Leo, iniziando a controllare tutti i suoi parametri vitali.
Leo lo scacciò via, ma senza essere brusco –Sto benissimo- disse in fretta –Sono tutte ferite superficiali. Devi occuparti di Calypso, non di me.
-Ragazzi- la voce di Hazel proveniva da fuori la stanza, l’unica che non era entrata –Per aprire quest’altra cella mi serve l’impronta digitale di uno dei due, ma non riesco a trascinarli sono troppo pesanti, mi date una mano?
Fu Leo a reagire veloce, l’avevano tenuto in quella stanza per così tanto tempo che aveva l’adrenalina a mille e l’iperattività inutilizzata per tanto tempo incamerata nei suoi muscoli.
Strappò dalla cintura di Nico un piccolo coltellino, raggiunse Hazel e prima di poter anche solo pensare a un’altra soluzione, staccò il dito al primo uomo stordito che si trovò di fronte.
Hazel storse il naso mentre Leo poggiava il polpastrello contro lo schermo che lo avrebbe scannerizzato.
-Era proprio necessario?- domandò Will.
Leo si girò a fissarlo con uno sguardo tagliente –Lo era.
Poi la porta fece il comune “bip” mentre si apriva e lo sguardo di Leo cambiò del tutto, venne solcato da mille emozioni differenti mentre tremando si dirigeva verso la sua ragazza, seduta a terra che lo guardava come se non fosse reale.
-Leo?- domandò incredula, con un filo di voce.
-Amore mio- sussurrò il ragazzo gettandosi ai suoi piedi e stringendola in un abbraccio che avrebbe voluto non finisse mai.
Si estraniarono dal mondo esterno, niente esisteva più, Calypso pianse tantissimo, aveva sempre sperato in una svolta del genere ma non ci aveva mai creduto, non davvero.
-Scusate- decise di interromperli dopo qualche secondo Reyna facendo anche un colpo di tosse –Ma se non andiamo via subito ci uccidono tutti e sarà stato tutto inutile.
Leo baciò Calypso, poi annuì e si alzò, sapevano entrambi che la ragazza aveva ragione.
Mentre Will prendeva il suo posto, chinandosi e facendole tutte le domande di rito per capire se stesse davvero bene, Leo si avvicinò a Nico –Allora? Qual è il piano? Come lo uccidiamo quello stronzo.
Nico lanciò uno sguardo incerto ad Hazel, la ragazza si avvicinò e rispose al suo posto –Il piano è scappare via, ci pensano Percy, Jason e gli altri ad Eros.
-Cosa!? No! Dopo quello che…
La ragazza sapeva che sarebbe esploso in quel modo, era preparata.
Gli mise entrambe le mani sulle spalle e gli parlò con uno sguardo serio e affilato –Leo. Non ti costringeremo a fare nulla. Ma Calypso non può fare altro in quelle condizioni, okay?
Il messicano non sembrava tanto convinto, aveva lo sguardo disperato di chi era stato messo all’angolo, ma non disse nulla, così Hazel ne approfittò per continuare e convincerlo del tutto.
-Puoi andare con loro e cercare la tua vendetta. O puoi restare con noi e proteggere la tua ragazza e tua figlia. A te la scelta.
Leo si morse il labbro, non che avesse davvero bisogno di pensare, sapeva già che non si sarebbe più allontanato dalla sua ragazza –Spero che gli facciano davvero male allora.
Calypso fece un piccolo lamento trattenuto per metà mordendosi il labbro inferiore, mentre Will l’aiutava ad alzarsi, le aveva circondato i fianchi con una mano, mentre il braccio della ragazza si aggrappava al suo collo.
Leo andò nella loro direzione e le diede supporto dall’altro lato.
Reyna prese in mano la situazione –Io ed Hazel andiamo avanti, voi tre ci seguirete, Nico chiude il gruppo. Uccidete le persone a vista e fate in modo che nessuno faccia scattare l’allarme. Dobbiamo solo uscire di qui e lo faremo tutti insieme.
Ovviamente incontrarono qualcuno lungo il tragitto, ma nulla di cui preoccuparsi, era andato tutto così liscio che a metà strada credettero davvero di poter far andare quella loro parte di missione bene.
Poi Calypso si bloccò, si chinò in avanti e lanciò un urlo.
A tutti gelò il sangue nelle vene non appena videro la chiazza d’acqua che stava ai suoi piedi.
-Oh no…- mormorò Will.
-Cal! Cal stai bene??- Leo era preoccupatissimo mentre le passava le mani sul viso.
Calypso urlava a tratti per le fitte, respirava velocemente e non era del tutto cosciente di quello che le stava dicendo Leo o che comunque le capitava intorno.
-Dobbiamo andare! Non possiamo stare ancora qui dentro!- Questa era Reyna.
-Ma non possiamo spostarla fuori in queste condizioni! Giusto Will?- Si intromise Hazel
-Io…- Il ragazzo non si era mai trovato in una situazione del genere, non era preparato, non a quello.
-E poi, sarebbe solo più esposta!- continuò Hazel.
Si sentì il fracasso di una porta che veniva aperta con un calcio –Qui dentro!- Urlò Nico nella loro direzione.
Era una specie di magazzino, pieno di scartoffie e cose varie, polveroso, molto probabilmente nessuno andava li dentro da molto tempo.
Leo ed Hazel ci portarono dentro Calypso quasi di peso, Will li seguì, la sua faccia non aveva più neanche un po' di colore.
Reyna afferrò Nico per una spalla e si chinò leggermente verso di lui –Io sto qui fuori a fare la guardia, se mi serve il tuo aiuto ti busso. Cerca di gestirli bene, un passo falso e ci uccidono tutti. Vedo anche di contattare gli altri per spiegare loro la situazione e vedere a che punto sono, abbiamo decisamente bisogno di aiuto.
Nico annuì, stava per seguire gli altri dentro e chiudersi la porta alle spalle, quando ci ripensò e, guardandola di sottecchi, mormorò –Sta attenta.
Reyna gli sorrise.
Dentro avevano sistemato Calypso a terra, sopra dei pezzi di cartone, non la cosa più igienica che ci fosse, ma non c’erano altre scelte.
Will era nel panico, nessuno l’aveva mai visto in quello stato, in qualsiasi situazione era sempre rimasto lucido e aveva svolto con precisione il suo lavoro.
Nico corse da lui, gli afferrò il  volto con entrambe le mani e lo costrinse a guardarlo –Will, ehy, mi devi ascoltare okay?
Il biondo sembrò riprendere un po' di lucidità, Nico continuò stringendo ancora di più il suo viso.
-Tu puoi farcela, okay? So che ce la farai, lo so. Perché ho fiducia in te e so che ne sei totalmente capace, anche se è qualcosa che non hai mai fatto.
-Io…
-Ce la farai.- Nico lo scosse –Farai nascere questa bambina, va bene?
Will annuì, Nico gli regalò un sorriso, poi lo baciò in fretta e lo lasciò andare per fargli prendere in mano la situazione, come aveva sempre fatto.
A Nico toccò anche riscuotere Leo che era quasi svenuto per tre volte alla vista del sangue, dei liquidi e della vagina della sua ragazza così dilatata.
Ma il moro non usò la stessa tecnica che aveva usato con Will, semplicemente, ogni volta che vedeva in Leo un minimo segno di tentennamento lo prendeva a schiaffi. Ed era anche un metodo efficace.

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Capitolo 42
*** Secondo gruppo: lo scienziato ***


41.Secondo gruppo: lo scienziato


L’uomo sorrise mentre una goccia di sangue luccicava sul suo labbro.
-Lavoro da mesi per Eros, pensate davvero che dei semplici ragazzini possano spaventarmi?
Chris sorrise soddisfatto –Era proprio quello che volevo sentire, uscì un coltello dalla sua tasca e senza pensarci due volte lo ruotò in aria staccando il mignolo della mano destra dell’uomo.
Lo scienziato strabuzzò gli occhi mentre lanciava un mezzo urlo per il dolore e per la sorpresa.
-Si, pensiamo di poterti spaventare abbastanza.
Il loro viaggio all’interno della struttura era stato più complicato rispetto a quello del primo gruppo.
La loro sezione era molto più frequentata e loro non dovevano assolutamente dare nell’occhio.
Inoltre non avevano nessuna idea di dove fosse il laboratorio di quello scienziato, conoscevano solo il suo volto, e nient’altro.
Fu Thalia a prendere in mano la situazione, era brava in questo genere di missioni, quelle nelle quali bisognava trovare e seguire una pista che quasi non esisteva.
Avevano ucciso o semplicemente stordito poche persone durante il loro cammino, la parte difficile era nascondere i corpi. Lasciarli in mezzo a un corridoio trafficato era il miglior modo per far scattare un allarme.
Quindi la maggior parte del tempo cercavano di nascondersi ed evitarle.
Sbagliarono ufficio sette volte prima di riuscire a trovare quello giusto.
L’uomo che stavano cercando era proprio di fronte a loro, al computer stava digitando qualcosa velocemente. Aveva gli occhiali, ma oltre quel dettaglio era identico alla foto che Era aveva mostrato loro: occhi allungati e scuri, alcune rughe a contornargli la faccia, labbra sottili e pochi capelli grigi in testa.
Alzò lo sguardo non appena vide questi quattro ragazzini entrare nel suo ufficio come fosse tutto normale. Thalia era l’ultima e chiudendosi la porta alle spalle fece scattare anche la serratura.
L’uomo non reagì subito, non si aspettava un possibile attacco e di sicuro non se lo aspettava da dei ragazzini. Era solo confuso e cercava di capire cosa questi volessero.
-Ma co…- non fece in tempo a parlare.
Chris lo colpì con un pugno e Luke lo aiutò a tenerlo fermo mentre Clarisse stringeva i suoi polsi ai braccioli della sedia con una corda che si erano portati dietro, da quel momento iniziò la tortura.
-Non mi ucciderete, vi servo vivo- borbottò l’uomo con voce sicura, mentre cercava di ignorare il dolore al dito che non aveva più.
-Certo che ci servi vivo- fu Clarisse a prendere la parola a quel punto –Ma è questo il punto, possiamo farti di tutto, tanto ci serve solo che parli, finché non ti tocchiamo la tua bella boccuccia che problema c’è?
L’uomo lanciò una veloce occhiata al suo dito mozzato a terra, un piccola pozza di sangue si stava creando intorno a questo, grazie al sangue che continuava a gocciolare dalla sua mano.
-E’ un problema per voi se morirò dissanguato.
Thalia rise –Oh, ci credi così stupidi? La mia amica ti ha stretto le corde così forte che non dovresti neanche più sentire la circolazione. Non morirai dissanguato. Neanche se ti dovessimo staccare tutte e due le mani, opzione che non eliminerei a prescindere.
-Voi siete pazzi.
-Disse quello che lavora per Eros.
L’uomo le sputò contro un grumo denso di saliva e sangue, Luke reagì subito prendendolo a pugni, gliene riuscì a dare due ben assestati sulla mascella prima che i suoi compagni riuscissero a fermarlo.
-Scusate- borbottò rendendosi conto di aver reagito con istinto, Chris gli diede una pacca sulla spalla come a voler dire che andava tutto bene e non c’era alcun problema, mentre Thalia gli strinse per pochi secondi il braccio, gli sorrise anche, in modo così veloce che non era sicura che il ragazzo l’avesse vista.
Usarono qualche secondo per assestarsi e per far riprendere l’uomo dallo stordimento di quei pugni.
Chris stava guardando con apprezzamento la lama che ancora teneva in mano, il sangue denso e viscoso che scorreva su di essa.
Luke recuperò un altro coltello e iniziò a farlo ruotare, abbastanza vicino all’altra mano dello scienziato, non si preoccupò dei piccoli taglietti superficiali che gli stava lasciando, non del tutto involontari.
-Allora- proruppe a quel punto Clarisse chinandosi in avanti per arrivare alla stessa altezza dell’uomo seduto, la ragazza aveva le mani sui fianchi e uno sguardo sadico –Fino a dove sei arrivato? Cosa hai creato?
-Voi non capite…
-Cosa? La solita storia che l’hai fatto perché eri obbligato, che non volevi e tante altre minchiate?
-L’ho fatto perché volevo farlo! Voi non capite la grandezza di questo progetto! Il brivido di eccitazione che ti percorre dentro sapendo che hai in pugno miliardi di persone, sapendo che puoi decidere la loro vita o la loro morte! Cosa potete saperne voi!
-Dovresti sapere che tutti quelli che hanno provato a fare Dio non hanno avuto un lieto fine.
L’uomo abbassò lo sguardo e abbozzò un sorriso –Tutti quelli che ci hanno provato pubblicamente- li corresse –E qui, quello che sta provando a fare Dio non sono io, ma Eros.
Thalia strabuzzò gli occhi e si rese conto di quello che quella frase voleva davvero dire.
Afferrò Clarisse per un braccio e fece pressione, facendole capire che voleva parlare un attimo in privato.
Clarisse lo intuì subito, ma prima di seguire l’amica in un angolo più appartato si rivolse ai due ragazzi –Non mi sembra che abbia capito nella situazione in cui si trova, glielo ricordiamo? Così smette di farci perdere tempo con frasi filosofiche del cazzo e ci dice per filo e per segno tutto quello che ha fatto.
Mentre i due ragazzi si occupavano dello scienziato Thalia avvicinò Clarisse nel muro più lontano della stanza dagli altri e iniziò a sussurrare –Abbiamo sbagliato tutto, non è lui un burattino nelle mani di Eros, ma il contrario. Come dobbiamo comportarci a questo punto?
-Dobbiamo comunque farlo parlare- rispose secca la ragazza.
-Questo è certo, ma poi? Non dovremo avvertire mio fratello? Gli altri? Era?
Clarisse si morse il labbro –Prima facciamolo parlare, poi ci penseremo.
Thalia annuì, poi si rese conto che Reyna stava cercando di contattarla, anche se la linea sembrava disturbata.
Lo disse a Clarisse e questa sospirò –Stiamo perdendo troppo tempo! Dobbiamo muoverci.
-Okay basta- urlò quest’ultima tornando indietro, rubò il coltello dalla mano del suo ragazzo e lo puntò verso l’uomo –La prossima cosa che ti taglierò sarà il cazzo, quindi parla, subito.
-Mi ucciderete comunque.
-Non sei nella posizione di fare pretese.
L’uomo sospirò, non era abituato a queste cose, era uno scienziato, non un combattente, non aveva mai provato nulla del genere e ormai aveva capito che quei ragazzini non stavano giocando e non aveva modo per liberarsi di loro.
-Mancava così poco…- sussurrò afflitto.
-Spiegati meglio vecchio!- Luke era al suo limite di sopportazione.
E l’uomo parlò, perché non aveva finito la sua arma e quindi non aveva nulla da perdere.
-Mi mancava pochissimo per portarla a termine, forse una settimana! Mi mancava solo un ingrediente e avrei creato la più grande minaccia virale che il mondo avesse mai visto, senza alterare l’ambiente o distruggere il pianeta!
Tutti sembrarono più sollevati –Quindi Eros non ha nulla in mano in questo momento.
L’uomo non disse nulla.
-Se ci stai mentendo…- sibilò Chris stringendo il coltello alla gola, un rivolo di sangue che scendeva lungo quella pelle raggrinzita.
-Non sto mentendo ma…
-Ma?
-Eros ha già qualcosa, un prototipo. Non ho avuto modo di testare gli effetti su larga scala, non me l’ha permesso, se l’è preso e se n’è andato.
Scese il silenzio, il vecchio continuò –Quell’uomo è come un bambino, voleva un giocattolo nuovo con cui divertirsi e non si è preoccupato di nulla. Non so neanche se l’abbia testato con qualcuno o che stia aspettando il momento giusto- li fissò di traverso –Tipo il vostro arrivo.
-Abbiamo un problema!- proruppe Clarisse girandosi verso Thalia, senza più preoccuparsi di mantenere un tono basso e di non fare ascoltare le loro conversazioni a quel vecchio, dovevano agire con urgenza, non c’era tempo per la discrezione.
-Abbiamo un problema ancora più grosso- annunciò Thalia con occhi sbarrati.
Clarisse non sembrò rendersi conto di quello che voleva dire la ragazza e riprese nel suo monologo –Devi avvertire gli altri, tuo fratello e la sua squadra, Era… Tutti quanti! La situazione potrebbe essere più grave di quello che ci aspettavamo, devono esserne informati subito!
Thalia non rispose.
-Thalia? Che è successo?- chiese a quel punto Luke con circospezione.
-Reyna mi ha contattato, era agitata…
-Cosa? Parla!
-Calypso sta partorendo, non sa fino a quando non riusciranno a scoprirli e non potrebbero neanche scappare, non con lei in quelle condizioni. Dobbiamo mettere fine a questa storia e dobbiamo farlo subito.

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Capitolo 43
*** Terzo gruppo: Eros ***


42.Terzo gruppo: Eros


-Giù!
Annabeth spinse Percy a terra mentre una pallottola scalfiva il punto del muro che solo poco prima era nascosto dalla testa del ragazzo.
-Ci hanno scoperti?- domandò Jason, pochi passi più indietro di loro. Il ragazzo stava proteggendo Piper con il suo corpo e si guardava furtivamente attorno.
Anche Annabeth diede qualche occhiata veloce in giro.
-Correte!- Urlò alla fine e tutti obbedirono.
Qualcuno gli stava sparando.
Non sapevano in quanti fossero e se fosse già scattato un allarme.
Schivavano i proiettili riuscendo quasi a capire da dove arrivavano, affinando i sensi per sentirne il rumore.
Jason si prese una pallottola di sfuggita sul braccio, era solo un graffio da cui iniziò a uscire una piccolissima scia di sangue, lo fece per spostare Piper dalla traiettoria di quel proiettile, la ragazza ovviamente ancora doveva fare anni di allenamento per avvicinarsi ai riflessi di tutti loro.
Paolo fu colpito a una gamba e rotolò a terra.
Frank lo aiutò ad alzarsi e riuscirono a guadagnare terreno, Paolo era abituato al dolore, era stato colpito molte volte, riusciva a correre quasi senza problemi, gli bastava stringere i denti.
Si trovarono a un bivio, Piper però li condusse a destra senza pensarci due volte, era quasi certa di quello che stava facendo, ovviamente c’era un margine di errore ma non avevano tempo per fermarsi e riflettere.
Ormai era certo che fossero stati scoperti visto che continuavano a sparargli contro, quindi non si preoccuparono più di farsi notare il meno possibile.
Semplicemente correvano travolgendo chiunque trovassero nel loro cammino.
Preferivano tramortire i soldati che gli venivano incontro, ma se erano costretti a uccidere non si facevano troppi problemi, era semplice difesa personale.
-Dopo questa curva!- Informò Piper.
I ragazzi rallentarono di pochissimo e si misero in posizione di difesa.
Come si aspettavano trovarono diverse guardie a proteggere la porta che dava alla stanza dove si trovava Eros, grazie a questo capirono che l’uomo si trovava davvero nel suo studio.
Annabeth lanciò due coltelli colpendo in contemporanea due uomini agli stinchi.
Jason sparò cercando di colpire le mani dei soldati che tenevano le pistole, in modo che le lasciassero andare e restassero disarmati.
Frank tramortì con pugni e calci gli uomini precedentemente feriti dai suoi amici e anche Paolo gli diede man forte, nonostante la ferita che continuava a perdere sangue.
Percy era impegnato in un corpo a corpo con un altro uomo e in tutto questo Piper riuscì a sgusciare in mezzo alla lotta e ad aprire con forza la porta.
-Adesso basta Eros, è finita.
Jason la seguì preoccupato che le potesse succedere qualcosa, ma l’uomo che trovarono all’interno della stanza era stato preso così in contropiede che non aveva avuto il tempo di reagire.
La faccia dell’uomo divenne una maschera di rabbia e sadismo.
Era incazzato perché lui conosceva tutte le loro mosse, era lui il loro burattinaio ormai da mesi, com’era possibile che adesso quei ragazzini fossero li? Com’era possibile che l’avessero messo nel sacco?
In corridoio gli uomini erano stati tutti sconfitti, ma ne sarebbero arrivati altri, lo sapevano benissimo.
Annabeth si rivolse a Percy –Tu, Frank e Paolo restate qui fuori, minacciate chiunque arrivi che se solo vi tolgono un capello noi uccidiamo Eros, fateli arrendere. Se non funziona uccideteli, capito?
I tre ragazzi annuirono anche se Annabeth continuava a tenere lo sguardo fisso su Percy –Non provare a farti uccidere, Testa D’alghe. Quel privilegio è mio.
Percy abbozzò un sorriso, Annabeth si sentì un po' meglio, poi entrò nella stanza seguendo Piper e Jason.
Il rumore della porta che veniva chiusa alle spalle della bionda fece riprendere Eros dal suo shock.
Si alzò in fretta e si precipitò verso sua sorella, non aveva nessuna arma, solo le sue mani.
Non vedeva nessuno, solo lei, quella piccola ingenua che aveva distrutto il suo più grande piano mandando in fumo mesi e mesi di programmazione e attesa.
-Tu! Lurida puttana!- le sue mani erano a un soffio dal collo di Piper, ma Jason fu più veloce e con un calcio ben assestato fece cadere l’uomo all’indietro.
Gli puntò una pistola alla testa mentre il suo sguardo rimaneva gelido –Inutile dirti che se fai anche solo un movimento ti faccio esplodere la testa, no?
Eros lo guardò con odio, poi tornò a puntare lo sguardo su Piper.
-Come hai potuto?- sibilò.
-Tu hai minacciato di uccidere tutti noi.
-Perché te lo meriti! Lo sai benissimo che te lo meriti!
-Loro sono la mia famiglia! Sei tu che non capisci!
Annabeth si mise in mezzo –Non abbiamo tempo per questo! Potrete urlare e insultarvi non appena lo avremo catturato, ora dicci tutto quello che…
Fu a metà della frase che un esplosione avvenuta da qualche parte indistinta della struttura gli fece perdere l’equilibrio, si ritrovarono tutti riversi a terra, tranne Annabeth che era riusciva ad aggrapparsi al tavolo e si era accasciata su di questo.
Ignorò il dolore al fianco dell’osso che aveva appena sbattuto e provò a chiedere –Ma che cosa…
Poi le sirene di allarme iniziarono a suonare ovunque e Annabeth capì.
-La CIA sta intervenendo! Perché!?
Jason la fissò confuso quanto lei, la ragazza allora corse alla porta, trovò i tre ragazzi dove li aveva lasciati, erano totalmente allerta, ma non era ancora arrivato nessuno.
Prima fissò Percy per accettarsi che fosse illeso, poi si rivolse anche agli altri, dovette urlare per farsi sentire al di sopra delle sirene.
-Deve essere successo qualcosa alle altre squadre! Contattateli! Dobbiamo capire che fare, fra poco questo posto si riempirà di soldati, ci sopraffaranno. FATELO SUBITO!
Lasciò la porta aperta mentre tornava dentro, ormai era inutile cercare di essere discreti.
-Legatelo per bene- ordinò a Jason e Piper –Dobbiamo portarlo fuori di qui.
Eros rideva, il volto stravolto dal sadismo.
Ad Annabeth fece quasi pena, si vedeva che non era per niente sano di mente, che aveva sicuramente qualche problema, una persona normale non poteva essere davvero così e arrivare a tanto.
Jason e Piper obbedirono, legandogli mani e piedi con lo spesso scotch isolante.
L’uomo non fece troppa resistenza, forse perché continuava ad avere una pistola puntata alla testa, ma mentre cercava di scacciarli con i piedi diede un calcio alla sedia della scrivania che, cadendo a terra, fece cadere a sua volta altre cose già spostate e messe in bilico con il boato di poco prima.
Nessuno ci diede troppo peso.
Eros continuava a ridere e ad urlare parole senza senso che venivano coperte dall’urlo delle sirene.
Annabeth guardava un punto impreciso della stanza, persa nella sua mente mentre cercava di elaborare velocemente un piano che comprendesse una via d’uscita quando le iniziò a pizzicare il naso.
Frank entrò nella stanza correndo trafelato nello stesso istante in cui Piper e Jason si alzavano perché avevano finito il loro lavoro.
Annabeth capì che ormai la situazione era sfuggita di mano semplicemente guardando la faccia dell’orientale.
Non appena parlò poi ne ebbe la conferma.
-Calypso sta partorendo.
-Cazzo!- Urlò la bionda.
-C’è di più- continuò Frank –Thalia dice che ha una boccetta di qualcosa, non proprio un virus virale ma qualcosa di simile, non sa gli effetti che fa e a fino a che raggio entra in azione.
Eros li stava guardando con uno strano luccichio negli occhi –Oh ma lo scoprirete molto presto.
Annabeth si guardò intorno, vide la sedia a terra, notò la gran confusione delle cose che erano cadute insieme a questa, compresa una piccola ampolla in vetro, con dentro un liquido trasparente.
L’ampolla era rotta e il liquido era gocciolato a terra, pian piano stava evaporando nell’aria di quella stanza.
La bionda si portò subito una mano sul naso, il suo naso continuava a pizzicare e adesso era certa che non era un qualcosa da nulla.
-NON RESPIRATE!- urlò e non ci fu bisogno di spiegare altro.
-Dobbiamo andarcene- Paolo entrò nella stanza, zoppicava mentre il sangue continuava a scendere copioso dalla sua ferita ai pantaloni –Ne stanno arrivando troppi, Percy non riesce a gestirli da soli.
Annabeth, mentre continuava a tenersi una mano a tapparsi il naso, si girò verso l’unica finestra della stanza.
Non era per niente sicuro, ma era l’unico piano che aveva.

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Capitolo 44
*** Sangue ***


43.Sangue


Tutti trattennero il fiato mentre il pianto della bambina si diffondeva per quella piccola e polverosa stanza.
Will tremava –Hazel, togliti la felpa e avvolgila, vieni qui- la ragazzo gli obbedì all’istante e passò da dietro la testa della sua amica al fianco del biondo, si tolse la felpa morbida e aspettò che le passasse la bambina che non smetteva di piangere.
Will gliela pose in grembo delicatamente e mormorò –Non ti muovere, devo prima tagliare il cordone ombelicale.
Leo era a pochi passi di distanza, stava assistendo alla scena con gli occhi spalancati, non era neanche sicuro di riuscire a respirare, figurarsi muovere un dito per avvicinarsi.
-Se stai di nuovo per svenire ti do un pugno questa volta- borbottò Nico al suo fianco, ma era tesissimo anche lui, non  aveva mai assistito a una scena del genere e l’aria in quella stanza era diventata davvero pesante.
Calypso singhiozzava, ma aveva un grosso sorriso sulle labbra, afferrò Hazel stringendo il suo braccio e la spinse contro di sé, non che avesse alcuna forza, ma la ragazza aveva capito.
Dopo che Will ebbe tagliato il cordone ombelicale Hazel tornò vicino al volto della sua amica e le mostrò la sua bambina, le sorrise con gli occhi lucidi –Ce l’hai fatta Cal, sei stata bravissima.
Calypso singhiozzò nuovamente prima di sussurrare –è bellissima, ha gli stessi occhi di Leo.
Detto quell’ultimo nome si girò con lo sguardo per cercare il diretto interessato, non appena i suoi occhi incontrarono quelli di Leo quest’ultime si riprese e, come se una forza involontaria lo spingeva, si ritrovò inginocchiato al suo fianco, una mano a reggerle la testa e l’altra che gli accarezzava il viso.
Aveva uno sguardo preoccupatissimo, perché Calypso stava diventando sempre più pallida, i suoi occhi sempre più vacui.
-Will- Nico gli poggiò una mano sulla spalla con delicatezza, per non farlo spaventare, il ragazzo sembrava perso in un mondo tutto suo.
Ormai tutti si resero conto di quello che stava succedendo, era impossibile non notarlo quando la chiazza di sangue si stava espandendo a vista d’occhio.
-Sta avendo un’emorragia interna- sussurrò il biondo –Ha un pezzo di placenta bloccato.
-Cal!- Leo urlò disperato quando la ragazza chiuse gli occhi, nonostante il richiamo non si svegliò.
Disperato fissò Will, le lacrime gli scendevano lungo le guancie –Devi salvarla! Salvala! TI PREGO, NON PUOI LASCIARLA MORIRE, TI PREGO WILL!
Will sapeva di non potercela più fare, non senza strumenti, non dopo tutto quello che aveva già fatto, si stava per spezzare, era arrivato al suo limite.
Fissò Leo, quella disperazione poteva ucciderlo, poi fissò Hazel, la sua faccia era altrettanto preoccupata mentre si stringeva la bambina al petto.
Infine si girò a fissare Nico –La CIA deve intervenire, subito.
Nico corse fuori e Will tornò a fissare Calypso di fronte a sé, c’era un’unica cosa che poteva fare, che forse avrebbe potuto farle guadagnare un altro po' di tempo o forse poteva solo peggiorare le cose, ma doveva provare.
Quell’ultima cosa e poi si sarebbe concesso il lusso di crollare.
Nonostante fosse ormai svenuta, Calypso urlò quando Will gli mise una mano dentro per cercare di togliere il pezzo di placenta.
 
Thalia non fece in tempo a dire che la CIA stava intervenendo che l’esplosione li fece cadere tutti a terra.
Era aveva detto che voleva quell’uomo vivo, che lo dovevano proteggere a costo della vita.
Rispetto alla posizione di tutte le squadre l’esplosione avvenne vicinissimo a dove si trovavano loro.
La finestra esplose e Luke urlò, quando Thalia si riprese vide che il ragazzo era stato preso dalle schegge nel lato destro del suo corpo, anche se miracolosamente aveva risparmiato il volto.
Era accasciato a terra in una pozza di sangue, l’urlo di Thalia si perse tra il suono delle sirene.
 
Will si guardò la mano, completamente cremisi, il sangue che continuava a gocciolare e il pezzo di placenta nella sua mano.
Non era sicuro che questo avrebbe fatto arrestare il sangue o se comunque era ormai troppo tardi, ma non riuscì neanche a controllare, perché il botto di un’esplosione fece tremare le pareti e cadere della polvere dal soffitto.
Reyna entrò di corsa –Sta per crollare tutto, la CIA è qui, dobbiamo andare, subito!
Hazel che si era chinata su se stessa per proteggere la bambina, si alzò di scatto e guardò Leo –La tengo io, ti giuro che la proteggerò a qualsiasi costo, tu porta Calypso, okay?
Leo annuì, il suo volto era ancora disperato, ma era sicuro di quello che doveva fare, afferrò la sua ragazza mettendogli una mano dietro le spalle e una sotto le ginocchia, la tirò su e corse fuori con gli altri.
Reyna era andata per prima in modo di aprire il passaggio e proteggere chi la seguiva.
-..ill, WILL!
Il biondo fu scosso da quella voce insieme a delle mani che lo stavano smuovendo con preoccupazione.
Si rese conto di essere ancora inginocchiato a terra, sporco di sangue, lasciò andare il pezzo di carne che ancora teneva in mano come se l’avesse scottato.
Nico lo stava fissando con preoccupazione, non appena si rese conto che Will lo stava finalmente ascoltando sospirò di sollievo.
-Dobbiamo andare. Will dobbiamo andarcene, subito.
Will sbatté le palpebre confuso –Nico?
Nico imprecò, poi lo afferrò per un braccio e lo fece alzare con la forza –Va tutto bene, ma dobbiamo andarcene, dobbiamo andarcene, ti prego…
Lo spinse fuori dalla porta e poi lungo il corridoio mentre i sotterranei iniziavano a crollare.
 
Chris e Clarisse erano avanti, si trascinavano dietro lo scienziato, era così malandato dopo le torture che gli avevano inflitto che faceva fatica a camminare sui suoi piedi.
Era più Clarisse a trascinarselo dietro mentre Chris apriva loro la strada.
Dovevano solo arrivare all’ingresso più vicino, poi sarebbero stati protetti dalla CIA, dovevano solo fare un ultimo sforzo.
Era questo che continuava a pensare Thalia mentre si trascinava dietro Luke trasportandolo dal suo lato sinistro,
Il ragazzo faceva fatica anche a respirare e lasciava una densa scia di sangue.
-Thalia…- mormorò il ragazzo quando stava cadendo a terra per la terza volta e la ragazza dovette fare uno sforzo enorme per rimetterlo in piedi e costringerlo a riprendere il passo.
-No!- la ragazza lo bloccò, non voleva sentire nessuna frase, non voleva sentire nulla.
-Tha…- il ragazzo ci riprovò, ma lei era irremovibile.
-No Luke, non ti lascerò qui, non andrò via senza di te, non lo farò mai. Quindi smettila di sprecare fiato e cammina.
 
Si erano barricati dentro la stanza, non una brillante idea visto il veleno che continuava a espandersi, ma i soldati che arrivavano erano diventati troppi, quella era l’unica soluzione.
Avevano rotto la finestra lancia dogli contro la sedia e avevano spiegato ad Era la situazione.
Si trovavano al quinto piano, era impensabile scendere di sotto, dovevano recuperarli con un elicottero e dovevano farlo subito, qualche altro colpo e la porte avrebbe ceduto e non avevano idea di quanto fosse grave quello che stavano respirando, nonostante cercassero di farlo il meno possibile.
-Che ne facciamo di lui?- Chiese Percy indicando Eros a terra –Lo uccidiamo? Non ci avevano detto che non potevamo farlo?
Quasi tutti a quel punto puntarono lo sguardo su Piper, la ragazza si morse un labbro –E’ legato e non può scappare, non possiamo consegnarlo alla CIA?
Annabeth scosse il capo –Sei troppo buona, hai tante cose da imparare.
Ma nonostante questo, accettarono di fare come la ragazza aveva chiesto.
L’elicottero arrivò dopo pochi secondi, si avvicinò il più possibile alla finestra, ma le pale rischiavano di scontrarsi contro il muro della struttura, quindi i ragazzi dovevano fare un salto nel vuoto per raggiungere il veicolo.
-Frank vai tu- annunciò Annabeth –Così poi aiuti Paolo afferrandolo dall’altro lato, tutto quel sangue che continua a perdere mi preoccupa.
Frank fece come aveva ordinato la ragazza e subito dopo toccò a Paolo, Percy lo aiutò dal loro lato e Frank dalla parte dell’elicottero, se non fosse stato per entrambi il ragazzo sarebbe caduto nel vuoto.
Annabeth disse a Percy che era il suo turno, così poi avrebbero aiutato potuto passare Eros, Percy non era molto sicuro di voler lasciare Annabeth da quel lato, la porta minacciava sempre di più di cedere, ma sapeva che discutendo avrebbero solo perso tempo perché  la sua ragazza era sempre stata irremovibile su una decisione.
Percy saltò dall’altro lato poi gli ultimi tre ragazza si precipitarono a prendere Eros.
Non appena arrivarono alla finestra e lo poggiarono sul davanzale, spingendolo in avanti mentre Percy e Frank stavano per afferrarlo, l’uomo iniziò a divincolarsi con foga.
Era una cosa che non si aspettavano, non in quel momento, non quando c’era il rischio che potesse cadere di sotto.
Con entrambi i piedi legati spinse violentemente Piper centrandola al petto, la ragazza volò all’indietro, andò a sbattere sulla scrivania e cadde a terra.
Cadde in mezzo a tutte le altre cose che erano già cadute.
Annabeth trattenne il fiato e si portò le mani alla bocca –Il liquido…- mormorò.
La ragazza non solo si era tagliata il braccio con il vetro della boccetta a terra, ma la sua pelle entrò in contatto con il liquido che essa conteneva.
Jason lasciò tutto quello che stava facendo e corse da lei, preoccupatissimo. La ragazza era svenuta per la botta che aveva preso.
Portando tutta la loro attenzione a Piper, sia Annabeth che Jason avevano lasciato la presa su Eros.
-Ragazzi…- borbottò Percy senza fiato.
Era l’unico che stava tenendo l’uomo, l’unico che era riuscito ad afferrarlo, era con mezzo corpo fuori dall’elicottero e sarebbe caduto giù se Frank non lo avese afferrato per le gambe tenendolo a bordo.
-Non ce la faccio…- la presa di Percy scivolava sempre di più, l’uomo continuava a dibattersi.
Bastarono pochi secondi e la sua presa scivolò del tutto, l’uomo cadde.
La sua risata sadica e folle si spense non appena ci fu l’impatto con il suolo.
Percy fissò con occhi sgranati quella sagoma sotto la quale si espandeva a vista d’occhio una pozza di sangue.
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Hola! è da un pò che non scrivo commenti dopo i capitoli, ma eccomi qui.
Volevo semplicemente dirvi due cose:
1. Lo so che tutto sta andando velocemente, ma quando bisogna descrivere scene di guerra, di lotta e di fuga io penso che sia inutile soffermarsi in ogni piccolo particolare, credo invece che far correre il lettore ti faccia entrare nella mentalità dei personaggi e ti faccia capire quello che stanno passando, l'ansia che stanno vivendo.
Quindi tutto questo è una scelta ben consapevole e spero che non vi disturbi troppo.
2, Sappiate che dopo questo capitolo manca solo l'ultimo e poi l'epilogo, spero siate pronti a tutto quanto ahaha
Bè, aspetto i vostri commenti! A presto,
Deh

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Capitolo 45
*** Sacrificio ***


44.Sacrificio
 

La voce di Era si diffuse in tutta l’aerea attraverso degli amplificatori.
La donna disse chi era, cosa erano venuti a fare e, soprattutto, che Eros era appena morto.
Non c’era più alcun motivo di combattere, chiunque si sarebbe arreso all’istante gettando le armi sarebbe stato perdonato, per i trasgressori invece non avrebbe potuto promettere nulla.
Nel caos generale di tutto quello che stava succedendo nei vari posti che erano diventati veri e propri luoghi di combattimento, i ragazzi si resero a mala pena conto del vero significato di quelle parole, troppo impegnati a cercare di sopravvivere, mettersi in salvo o mettere in salvo una persona a loro cara.
Erano davvero troppo impegnati per capire di essere arrivati alla fine di quella storia, che il loro aguzzino era morto. Di essere finalmente liberi.
 
-Avete sentito!?- urlò Clarisse fermandosi quando cinque soldati gli sbarrarono la strada.
-Abbiamo vinto, è inutile che continuate a combattere per uno psicopatico che è morto. Gettate le armi, fateci passare e sarete perdonati e ricompensati.
-Siete solo dei bugiardi- sibilò un uomo.
Nessuno di loro aveva gettato le armi a terra, ma nessuno aveva ancora sparato.
Potevano far andare la situazione a loro favore se si fossero giocati bene quel momento.
E Chris sapeva anche come fare, si fece avanti alzando le mani in segno di resa.
-Lavoravo per Tristan McLean, ho cambiato idea, ho aiutato la squadra di soccorso e la CIA mi ha permesso di entrare nella loro società, trattandomi allo stesso modo di tutti gli altri e garantendomi protezione. Non stiamo affatto mentendo.
Capì di aver toccato i punti giusti, vide i cinque soldati lanciarsi occhiate guardinghe tra di loro, poi pian piano abbassarono le armi, uno alla volta.
-Spero per te che tu stia dicendo la verità- disse uno di loro, avevano il volto coperto, ma dalla voce capì che era sicuramente donna.
Chris si portò una mano sul cuore –Vi do la mia parola.
-Ma loro non ci stanno dando la loro!- Urlò Clarisse che non aveva abbassato la guardia neanche per mezzo secondo e aveva subito visto come uno di loro fosse molto titubante nell’abbassare del tutto l’arma che aveva in mano.
Urlò queste parole mentre spingeva di lato Chris e lo sparo si andava a infrangere contro il muro.
Chris la guardò come se non credesse davvero che quella ragazza gli avesse appena salvato la vita senza pensarci due volte.
Clarisse sbuffò vedendo la sua faccia, poi distolse lo sguardo, il tempo di vedere che il loro scienziato stava sfruttando quel momento per provare a scappare, gli si gettò addosso atterrandolo e sibilando –Non così in fretta.
Dell’uomo che aveva sparato se ne occuparono gli altri quattro della sua squadra, mentre questo urlava loro imprecazioni sul fatto che fossero dei traditori e cose simili.
Uno rispose che non aveva senso, come aveva detto Chris prima, continuare a combattere per una causa persa. E l’unica cosa che davvero importava per quello non erano gli ideali, ma la sua vita.
Poi lo colpì alla testa con il retro dell’arma, questo svenne e la conversazione finì li.
-Possiamo sbrigarci!?- Urlò a quel punto Thalia che per tutto quel tempo era rimasta in disparte, ma Luke era definitivamente svenuto, continuava a perdere sangue e lei non riusciva più a trasportarlo da sola.
In suo soccorso andò un uomo alto e robusto di quella squadra di soldati, se lo caricò sulla schiena cercando di limitare il contatto con la sua pelle ferita, poi quel gruppo improvvisato si affrettò verso l’uscita.
 
-Jason!- Urlò Percy per attirare l’attenzione dell’amico e sovrastare il rumore delle pale dell’elicottero che giravano –Jason stanno sfondando la porta! Ti devi muovere, subito.
Il biondo però lo sentì distrattamente, tutto quello che stava accadendo intorno a lui era come sfocato, come all’interno di un sogno.
Tutta la sua attenzione era solo per Piper, riversa a terra, pallida, respirava a fatica e Jason sapeva benissimo che nessuno aveva idea di cosa fosse la sostanza con la quale era entrata in contatto, ma l’avrebbe salvata. Dovevano salvarla.
Con fatica l’alzò da terra e arrancando cercò di farsi strada fino alla finestra, dove gli altri con urgenza stavano aspettando solo loro due.
La fissò accarezzandole una guancia –Ti salveranno amore- sussurrò –E poi questo incubo sarà finalmente finito, mi dispiace per tutto quanto… Ti amo.
La porta cedette, non del tutto, ma i soldati avevano creato un buco che pian piano stavano cercando di allargare per passare, ma che comunque era già sufficiente per sparare all’interno.
 
Nico e Will furono gli ultimi a uscire da quel stretto corridoio prima che tutto crollasse.
Era il moro a trascinarsi il più grande, l’aveva spinto con tutte le sue forze, per certi versi se l’era quasi trascinato dietro, Will era ancora in fase di shock, Nico aveva capito che aveva superato i suoi limiti, si era spezzato, esattamente com’era successo a lui anni prima.
Ed era mortalmente preoccupato.
Rotolarono a terra entrambi quando il moro lo spinse per gli ultimi metri, si ritrovarono a terra sull’erba, con il fiatone per la corsa.
Un paio di persone si avvicinarono per accettarsi che stessero bene e chiesero se fossero gli ultimi.
Nico si limitò ad annuire mentre cercava ancora di riprendere fiato, poi si mise seduto e si guardò intorno.
La CIA aveva fatto le cose in grande, Nico non aveva mai visto così tante persone per una sola missione.
Erano tutti armati, c’erano diverse squadre di difesa, altre di soccorso, ma non erano troppo tesi, nonostante non potessero ancora rilassarsi, l’atmosfera era cambiata dopo le parole di Era.
-Will! Nico!- Hazel corse da loro sorridendo, si gettò su entrambi stringendoli in un abbraccio.
-Hazel…- provò Nico a formulare una domanda, ma la ragazza lo precedette, si staccò da loro e rivolse tutta la sua attenzione a Will.
-Hai salvato Calypso! I dottori hanno detto che sei riuscito a fermare l’emorragia in tempo, che avevano il tempo di portarla via per farle una trasfusione e farle tornare al giusto livello i suoi parametri! Anche la bambina sta bene! Leo è andato via con loro, ce l’hai fatta.
Nico sentì un peso sciogliersi nel suo petto, per prima cosa perché adesso aveva la certezza che i suoi amici stessero bene e poi, con quelle parole, vide come Will riuscì a tornare al presente.
Hazel comunque non si aspettava una risposta, si alzò e annunciò che doveva contattare Frank, doveva capire dov’era e come stava.
Nico le disse che sicuramente non doveva preoccuparsi, se era successo qualcosa di grave a qualcuno di loro Era l’avrebbe di sicuro annunciato, no?
Hazel gli sorrise in risposta, poi si allontanò.
In tutto questo Will non aveva ancora detto una parola, lentamente si era alzato, si era avvicinato al retro di un furgone aperto dove non stava nessuno, si era seduto nel suo bordo ed era tornato a fissare a terra, un punto impreciso qualsiasi.
Nico sospirò e si alzò a sua volta, cercò un asciugamano pulito, poi prese una bottiglietta d’acqua e la versò tutta sopra quest’ultimo, bagnandolo per bene.
Si avvicinò a Will e si inginocchiò di fronte a lui, stringendo le sue mani, che ancora tremavano, nell’asciugamano, lavandolo delicatamente e lentamente, pulendolo dai residui di sangue e altri liquidi corporei che si erano incrostati tra le sue dita.
Will continuava a tremare e non diceva nulla, ma si lasciava fare tutto.
-Ehy- sussurrò Nico quando le sue mani erano tornate lisce e candide, le strinse tra le sue e si sporse in avanti, vicinissimo al suo viso, in modo che quella conversazione non fosse accessibile a chi li circondava.
-Ehy, sei stato bravissimo, sono così fiero di te.
-Pensavo di non riuscirci, Nico. Pensavo che sarebbe morta per colpa mia, io…
-Non è successo- lo interruppe subito il moro accarezzandogli il viso con la punta delle dita –Will, sei un eroe.
Lo baciò, lentamente e in modo quasi casto, per fargli capire quanto davvero credeva a quelle parole.
Will gli strinse le mani, quando si allontanò leggermente dal suo viso mormorò –Nico?
-Mh?
-Sono felice che tu non abbia una vagina.
Il moro scoppiò a ridere.
 
Jason sapeva a cosa stava andando incontro, lo sapeva benissimo dal momento stesso in cui si mise davanti il corpo svenuto di Piper per proteggerla dai colpi di arma da fuoco.
Sapeva che era una mossa suicida, ma che altro avrebbe potuto fare?
Sentì Percy urlare il suo nome mentre due pallottole gli perforarono lo stinco destro e il braccio sinistro.
Alzò lo sguardo deciso su Percy, il fuoco ardeva nei suoi occhi, sapeva quello che doveva fare, aveva una singola missione: salvare lei.
Urlando nello sforzo di alzarla oltre la finestra nonostante la ferita al braccio, Jason riuscì nel suo intento.
Percy si sporse il più possibile oltre l’apertura dell’elicottero, non aveva nessuna intenzione di ripetere quello che era successo con Eros solo pochi minuti prima.
Jason tremò e quasi perse la presa sulla ragazza quando un nuovo colpo gli colpi il fianco. La pallottola, al contrario delle altre, uscì subito dall’altro lato e, non tappando più la ferita il sangue iniziò a uscire copiosamente.
Si sentiva la mente ovattata, le forze che lo abbandonavano sempre di più.
Alzò lo sguardo sul suo amico mentre si accertava che Piper fosse al sicuro nelle sue mani, lo fissò con sguardo serio, deciso, uno sguardo intenso e stabile nonostante stesse perdendo sempre più adesione con la realtà.
-Salvala- quasi rantolò –Promettimelo, dovete salvarla.
Percy sbarrò gli occhi –La salveremo, come salveremo te Jason.
Il ragazzo sorrise, un sorriso dolce –Vi voglio bene, voi e Thalia siete stati la famiglia, grazie di tutto.
La porta venne sfondata del tutto, in pochi secondi Jason si era accasciato totalmente a terra mentre veniva travolto dai soldati.
Contemporaneamente il pilota aveva virato e si stava allontanando velocemente dalla finestra della stanza.
Sapeva che ormai era impossibile salvare Jason e che se fossero rimasti anche solo un secondo in più i soldati non solo avrebbero iniziato a sparare anche a loro dentro l’elicottero ma potevano anche saltare su di questo e rendere vani tutti gli sforzi di quella missione di salvataggio.
Ne era consapevole sia il pilota che i ragazzi li presenti, ma nonostante questo Percy continuava ad urlare il nome dell’amico.

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Capitolo 46
*** Epilogo ***


Epilogo


Il corpo di Jason fu trovato solo diverse ore dopo.
Ore nella quali avevano interrogato lo scienziato e con la forza si erano fatti dire cosa avesse messo in quella boccetta, per trovare una cura per Piper.
E quando finalmente la ragazza si svegliò, stordita e debole, e capì cosa era successo al suo ragazzo, il dolore la trafisse e i sensi di colpa la schiacciarono.
Dovettero sedarla.
 
Thalia aprì il coperchio e sentì Piper tremare al suo fianco, ma non si bloccò da quello che stava facendo, andò avanti, perché sapeva che se avesse avuto un minimo di ripensamento non l’avrebbe più fatto, sarebbe crollata e non era sicura di riuscire a rialzarsi.
Inclinò l’urna e le ceneri di suo fratello volarono insieme al vento.
Erano su una collina, collina particolarmente importante per Jason, era il posto dove da piccolo andava a fare i pic-nic con i suoi genitori e sua sorella ed era il posto dove aveva portato più volte Piper quando ne aveva avuto il tempo. Era giusto che spargessero le sue ceneri proprio in quel punto.
Lacrime silenziose continuavano a scendere sulle guance di Piper, anche se ormai non era più sicura di quante gliene rimanessero in corpo.
Tutt’intorno a loro due stavano partecipando a quella piccola cerimonia in pochi, avevano deciso che sarebbe stata una cosa di pochi intimi e così stavano solo i ragazzi che avevano partecipato alla prima missione e Thalia.
Il destino era stato crudele perché non solo aveva deciso di portargli via qualcuno della loro famiglia, ma soprattutto perché proprio Jason era quello più legato quasi ad ognuno di loro: Piper, Thalia, Leo, Percy, Nico…
Percy aveva lo sguardo fisso in aria, come se dovesse cercare l’essenza di Jason. Era uno sguardo spento ma allo stesso tempo arrabbiato, ce l’aveva con se stesso perché forse avrebbe potuto fare di più, forse se non fosse salito su quell’elicottero l’avrebbe potuto aiutare a combattere e magari Jason a questo punto sarebbe ancora vivo, forse…
-Sareste morti entrambi- Annabeth glielo sussurrò mentre gli afferrava una mano e intrecciava le loro dita, la ragazza aveva subito capito i suoi pensieri semplicemente scrutando il suo volto.
E Percy non rispose, perché sapeva benissimo che lei aveva ragione, ma c’erano così tanti “forse” che era normale pensare ai mille altri modi in cui quella storia poteva finire.
-Non l’ho neanche potuto salutare… Nemmeno ricordo l’ultima cosa che gli ho detto.
Leo si sentiva ancora più in colpa, perché in fin dei conti quell’ultima missione l’avevano fatta per causa sua, per colpa dei suoi piani ideati tutti da solo, non aveva importanza che alla fine in ogni caso avrebbero dovuto combattere lo stesso Eros, Leo non riusciva a non addossarsi tutta la colpa per il momento.
Esperanza gorgogliò tra le sue braccia, poi allungò una manina per toccare le guancie del padre dove stavano scendendo nuove lacrime da quegli occhi rossi.
Leo sorrise teneramente alla sua bambina, poi se la strinse al petto, mentre con l’altro braccio circondava la vita di Calypso mentre le baciava i capelli.
Sarebbe stato sempre grato a Jason per averlo aiutato a riprendersi la sua famiglia. Sempre.
Nico stava stringendo entrambi i pugni e tremava leggermente, lo sguardo fisso sull’urna nelle mani di Thalia ormai vuota.
Erano giorni che non diceva neanche una frase su quell’argomento, che pronunciava in generale il nome di Jason, parlava per lo stretto indispensabile e Will aveva deciso di lasciargli i suoi spazi senza chiedergli nulla, sapeva quanto stava soffrendo e che si stava tenendo tutto dentro, come al solito.
E poi Nico fece uscire tutto quello che stava provando con una semplice frase, detta in un mormorio arrabbiato –Mi ha abbandonato anche lui.
Will, forse l’unico che l’aveva sentito data la vicinanza, non rispose in alcun modo, semplicemente lo strinse fra le sue braccia.
Anche Hazel e Frank si stavano abbracciando li vicino con lo sguardo distrutto, ma Hazel si staccò dalla sua presa e corse dalla sua amica quando vide che ormai Piper non ce la stava facendo più e crollò in ginocchio piangendo tra le sue mani.
Hazel si gettò al suo fianco e la strinse cullandola.
Sapevano tutti che ci voleva del tempo, che sarebbero dovuti passare giorni, mesi, prima che tutto tornasse come prima.
E in ogni caso non sarebbe stato uguale, perché avevano passato troppe cose insieme per poter dimenticare Jason e non notare la sua assenza.
Erano una famiglia e i membri di una famiglia non si dimenticano.
 
Erano nella nuova base della CIA dove si erano trasferiti quando erano andati via dal parco acquatico, Era gli aveva dato dei giorni liberi senza mandarli in giro a iniziare nuove missioni.
La scusa era che avevano svolto una importantissima missione che aveva salvato il mondo, di nuovo, e quindi meritavano quel riposo. Ma in realtà, anche se non era mai stato detto apertamente, tutti sapevano che l’aveva fatto per loro, per lasciargli del tempo e superare il lutto, perché era una cosa che lei comprendeva benissimo per quante volte ci era passata.
-Ho una cosa per voi- disse Nico entrando nella stanza.
Aveva mandato Will a raccogliere tutti i suoi amici per unirli all’interno di una stanza perché voleva parlargli e così il biondo aveva fatto, erano passati poi solo pochi minuti prima che Nico li raggiungesse annunciando quella frase.
Senza attendere altro tempo il più piccolo iniziò a dividere le fotografie che teneva in mano a ognuno di loro.
Era la stessa fotografia per tutti, quella che si erano fatti tutti insieme intorno al falò dopo aver finito la missione di Tristan McLean.
Si erano fatti quella fotografia sotto richiesta di Nico, in quel momento tutti erano così stupiti di una proposta del genere che avevano accettato di buon grado.
E nonostante fossero fasciati e mezzi distrutti tutti i loro volti erano sorridenti.
-Non ho mai capito perché questa tua fissazione per le foto- mormorò Hazel con un sorriso nostalgico.
Nico alzò le spalle e ad occhi bassi rispose alla ragazza –Perché qualsiasi cosa succederà, questo è un momento che merita di essere ricordato, no? Mi piace la fotografia perché ti permette di bloccare dei momenti, dei sentimenti e, per quanto le cose possano cambiare, quel giorno non cambierà mai. E merita di essere ricordato.
Piper sorrise dolcemente stringendosi la fotografia al petto, poi di slancio si gettò contro Nico abbracciandolo stretto –Grazie di tutto.
E quella fu una fine, ma anche un inizio, l’inizio di una nuova storia, dove ognuno di loro aveva finalmente trovato il suo posto nel mondo ed era stato accettato per quello che era.
Ognuno aveva trovato la sua pace nonostante tutto quello che aveva passato, nonostante il ricordo di Jason e del suo sacrificio non li avrebbe mai abbandonati.
La famiglia di Piper era un disastro, ma lei ne aveva trovata una nuova e non aveva nessuna intenzione di farsela scappare. Jason sarebbe rimasto sempre nel suo cuore e in sua memoria si sarebbe allenata ogni giorno per diventare sempre più forte e salvare in futuro le persone, proprio come aveva fatto lui. Non l’avrebbe mai dimenticato e il suo cuore non si sarebbe mai risanato del tutto, non totalmente, ma non per questo si sarebbe fatta abbattere.
Hazel aveva mantenuto la promessa che aveva fatto a Sammy e, come aveva detto lui, aveva davvero trovato delle persone che l’accettavano per quello che era.
Annabeth era certa di aver trovato il suo posto all’interno della CIA, niente più dubbi, avrebbe seguito quelle persone anche in capo al mondo.
Calypso non era più terrorizzata, dal momento esatto in cui prese tra le braccia Esperanza capì che c’erano tipi di genitori diversi, che poteva scegliere e che non sarebbe mai stata come sua madre.
Frank aveva finalmente capito cosa volesse dire sua nonna e aveva trovato qualcuno per cui battersi.
Percy aveva sempre fatto tutto per i suoi amici, dopo quello che avevano passato e dove erano arrivati, soprattutto dopo la morte di Jason capì che non avrebbe mai smesso di agire secondo quel principio.
Di Will avevano iniziato davvero a fidarsi, si fidavano di lui così tanto da mettergli in mano la loro vita. Ed era quello che il ragazzo aveva sempre voluto.
Leo aveva smesso di scappare, non l’avrebbe più fatto, perché ora aveva la sua famiglia, quella che si era creato e guadagnato con troppi sforzi per anche solo pensare di lasciarla andare.
E Nico era stato salvato dai suoi incubi e dal suo passato, non aveva idea che fosse quello di cui aveva sempre avuto bisogno da quando era un bambino fino a quando non gli afferrarono la mano e lo fecero riemergere dal pozzo oscuro in cui era caduto.
Nessuno di loro poteva conoscere il proprio futuro, ma ognuno aveva trovato il suo posto e, qualsiasi cosa fosse successa, l’avrebbero affrontata con una carica in più.
Insieme.

Fine
 
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Ciao...
Si lo so, sono stata cattivissima per Jason e sono triste anche io che questa storia sia arrivata alla fine.
Forse alcuni di voi capiranno perchè ho scelto proprio Jason, io non dirò nulla, diciamo solo che era quello più "adatto" per seguire Rick.
Per quanto riguarda tutto il resto, non sta più nulla di incompleto, ognuno ha trovato il suo posto nel mondo ed è felice così, nonostante ovviamente continuino a fare un lavoro dove chiunque potrebbe morire ogni giorno, un pò come i semidei alla fine.
Non dirò che questa saga è finita, perchè chissà, potrei sempre avere idee per OS future di piccoli momenti della loro vita o qualsiasi altra cosa.
Questo però non è un addio, ho scritto tantissime altre cose e facendo un rapido calcolo potrei pubblicare qualcosa a settimana fino a Gennaio praticamente (e ancora ho intenzione di scrivere) quindi cercatemi sempre nel mio profilo ;)
Le prossime storie saranno sempre Solangelo e pubblicherò anche nel fandom di My Hero Academia (con la Katsudeku e la Todomomo) quindi se siete interessati sapete dove trovarmi!
Grazie a tutti per aver seguito questa storia e grazie a chi lascerà un piccolo commento.
Spero che ci risentiremo presto.
Un bacio, Deh

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