Dancing With Your Ghost

di Myra11
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Si rifiutò di sollevare lo sguardo, eppure sentiva la sua presenza come una ferita pungente sulla schiena. ***
Capitolo 2: *** - C’era una nota di colore sbagliata, ai lati del suo campo visivo. Le guardie reali non portavano uniformi viola e grigie.- ***
Capitolo 3: *** Quando arrivò fuori città,Luna era ancora sveglia,gli occhi fissi sul soffitto e la calda morbidezza di Pryna al suo fianco,ignara che,a chilometri di distanza,le stelle stavano scintillando sul sangu ***
Capitolo 4: *** -Sentì una fitta al cuore mentre leggeva la calligrafia sinuosa di sua moglie.- ***
Capitolo 5: *** Noctis la osservò accettare il ciondolo con mani tremanti, ma quando si voltò verso di lui gli sembrò di vedere una furia bianca, una stella pronta ad esplodere. ***
Capitolo 6: *** Era stordito, mezzo congelato e probabilmente pazzo, ma aveva ancora un compito da portare a termine. ***
Capitolo 7: *** «Hm-hm. E io credo di essere diventata la regina di Lucis.» ***
Capitolo 8: *** Si era aspettato uno sguardo azzurro e il sorriso amorevole di sua moglie, e invece incontrò un sorriso di scherno e occhi viola. ***
Capitolo 9: *** -E c’era così tanto amore in quel sorriso che Nyx si commosse.- ***
Capitolo 10: *** L’aveva chiamato come se fosse stato la sua unica possibilità di salvezza. ***
Capitolo 11: *** Era stato involontario andare lassù, dove tutto era iniziato. ***
Capitolo 12: *** Era una super nova, pronta ad esplodere. ***
Capitolo 13: *** Era come essere ubriachi, ammise a sé stesso. ***
Capitolo 14: *** Lei era luce pura, e lui poteva distruggerla. ***
Capitolo 15: *** La prima boccata d’aria cosciente fu come fuoco nei suoi polmoni. ***
Capitolo 16: *** Avrebbe dovuto ascoltarlo, capire il perché delle sue azioni e, soprattutto, capire se poteva controllarlo. ***
Capitolo 17: *** -E Nyx fu egoista per quella sera.- ***
Capitolo 18: *** Come faceva Nyx a sapere sempre dove colpirla? ***
Capitolo 19: *** Non avrebbe potuto chiedere una cosa del genere a nessun altro. ***
Capitolo 20: *** Di urlare a tutti loro che era immortale, che avrebbe preferito vederli morire tutti in quel momento piuttosto che guardarli vivere per anni con lui e poi scivolargli via tra le dita come sabbia. ***
Capitolo 21: *** Erano lì, tutte e due, e sollevarono una mano a salutarlo per l’ultima volta. ***
Capitolo 22: *** -E poi, pensò, avrebbero potuto mettersi in fila e prenderlo a pugni per come si era comportato.- ***
Capitolo 23: *** Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, e gli sembrò quasi di vederla scorrere nelle sue vene. ***
Capitolo 24: *** Facevano ciò che andava fatto, proteggevano coloro che amavano, non importava il prezzo. ***
Capitolo 25: *** Si sarebbe fatto perdonare per ogni segno che le sue azioni avevano lasciato. ***
Capitolo 26: *** E nonostante dentro stesse urlando, il sorriso che lei fece lo rasserenò. ***
Capitolo 27: *** I pallidi raggi del sole scintillarono sulla lama, e Nyx ricordò qualcosa che non gli apparteneva. ***
Capitolo 28: *** Le sembrò di sentirlo cantare una ninna nanna, ma si disse che era impossibile. ***
Capitolo 29: *** E l’ansia che gli stritolava il cuore faceva reagire la magia nelle sue vene. ***
Capitolo 30: *** A diciassette anni, Crowe aveva scoperto la verità su suo padre nel modo più cruento. ***
Capitolo 31: *** -Aveva un corpo tra le braccia, e a Noctis venne la nausea quando si rese conto di chi era.- ***
Capitolo 32: *** Più gli anni erano passati, più il suo legame con la dea era aumentato: lei diventava più umana, e lui meno. ***
Capitolo 33: *** Mentre si sfregava le braccia, cercando di placare il bruciore, pensò che non c’era momento migliore per lui di ricevere una notizia del genere. ***
Capitolo 34: *** Fu come se gli avessero sparato di nuovo, nel cortile di una Insomnia semi distrutta. ***
Capitolo 35: *** Fu come se l’ultimo pezzo del suo cuore, ciò che ancora lo ancorava a quel posto, si staccasse da lui per precipitare nel vuoto. ***
Capitolo 36: *** Sentì il profumo del sole, le risate dei gemelli in lontananza, la madre che li richiamava, un sussurro dolce accanto a lui, la sensazione di essere nel posto giusto, al momento giusto. ***
Capitolo 37: *** - «Se davvero tutto questo è grazie a me, forse dovrei sedere io su quel trono.» ***
Capitolo 38: *** Faceva dannatamente male, ma non aveva importanza. ***
Capitolo 39: *** << Ora parli la mia lingua. >> ***
Capitolo 40: *** Entrare nella sala del trono fu come una rivelazione. ***
Capitolo 41: *** Era come se qualcosa lo chiamasse, e lui sapeva perfettamente cos’era. ***
Capitolo 42: *** . E là, in mezzo al deserto di fuoco che un tempo era Gralea, aveva alzato lo sguardo al sole improvviso. ***
Capitolo 43: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Si rifiutò di sollevare lo sguardo, eppure sentiva la sua presenza come una ferita pungente sulla schiena. ***


 
CAPITOLO 1

 
-Si rifiutò di sollevare lo sguardo, eppure sentiva la sua presenza come una ferita pungente sulla schiena.-
 
 
Quando l’ultima persona ebbe lasciato la stanza, Noctis si rilassò sul trono, sentendo la pietra fredda contro la schiena. Era giusto ascoltare ciò che i suoi cittadini avevano da dire, e accogliere i nuovi gruppi di rifugiati che ancora arrivavano, ma era suo compito.
Chiuse gli occhi per un istante, massaggiandosi la fronte, rispettando in quel momento più che mai la forza che suo padre aveva dimostrato sorreggendo il peso del regno sulle proprie spalle.
«Stai bene?»
Gli sfuggì un breve sorriso.
Lui, almeno, non era da solo a svolgere quel ruolo, e il peso della Barriera non gli consumava la vita più velocemente del dovuto. Riaprì gli occhi e allungò una mano verso di lei.
«Si, sono solo un po’ stanco.» Confessò, e lei gli prese la mano con delicatezza, come se fosse fatto di cristallo. Si sedette al suo fianco e posò il viso sulla sua spalla.
«Sei il re, ma soprattutto sei mio marito. Posso andare avanti io, se lo desideri.»
Victoria, pensò, era stata un’assoluta sorpresa.
Tre anni prima l’aveva avvicinato con timidezza per ringraziarlo di ciò che aveva fatto, e lui aveva sentito lo stomaco stringersi guardando quella donna dal viso dolce e i capelli rosso fuoco. Da quel giorno erano stati inseparabili e, un anno dopo, lei era diventata sua moglie, e la nuova regina del recentemente ricostruito Regno di Lucis.
«Grazie.» Mormorò, depositandole un bacio sulla fronte. «Ma non posso chiederti questo. Vai, se lo desideri, ho solo più Ravus da incontrare.»
Ancora prima che finisse di parlare, lei stava scuotendo la testa. «Non ti lascio da solo. Sono la tua regina, e ascoltare i problemi del mio popolo è mio compito.» Decretò con un sorriso, che lui ricambiò sinceramente.
Era più forte di ciò che appariva, pensò, e più di una volta era stata la sua soluzione a problemi ai quali non trovava la risposta.
Le porte della sala del trono si aprirono nuovamente, e Ravus entrò a passo di marcia, gli occhi fissi su di lui, illuminati da una lieve aria divertita. Era insolito, per lui, sempre così contenuto.
«Cosa ti diverte, comandante?» Gli chiese con un sorriso, facendogli cenno di alzarsi quando lui s’inginocchiò: anche dopo cinque anni, lo imbarazzava che le persone che lo conoscevano s’inginocchiassero davanti a lui, trattandolo con formale rispetto.
Ravus piegò le labbra in un sorriso, e il re notò le lievi rughe che stavano comparendo intorno ai suoi occhi. «Ho appena sentito una storia interessante.» Confessò, la mano metallica poggiata sull’elsa della spada.
«Riguardo a cosa?»
Il principe di Tenebrae sorrise. «Riguardo alle gesta di un uomo dal volto bruciato, che può essere in più posti allo stesso istante.»
Noctis ridacchiò piano. «Nyx.»
Ravus annuì, confermando il nome.
Era ovvio, pensò Noctis.
Come linea di sangue di Lucis, Bahamut aveva revocato i suoi poteri divini quando aveva cancellato gli Antichi Re e i doni da lei loro concessi, ma Nyx era diverso e restava, in quel momento, l’unico uomo al mondo a potersi proiettare e usare liberamente la magia.
«Più leggende circolano su di lui, più i resti dell’Impero desisteranno dall’attaccarci. Procedi pure con il rapporto, comandante.»
E Ravus obbedì, spiegandogli nei dettagli cosa stava succedendo ai confini settentrionali del regno, di come i territori un tempo controllati da Nifheleim facessero fatica ad accettare un nuovo sovrano, e di com’erano stati costretti a sedare le rivolte.
Noctis, sebbene ascoltasse, era presente solo in parte.
Vorrei che fossi qui, padre. Si ritrovò a pensare con un breve sospiro.
Regis era nato per essere re, era saggio e riflessivo senza nemmeno sforzarsi, sarebbe stato tutto più facile con lui al proprio fianco.
Irrigidì la mascella, osservando il segno sull’anulare, e raddrizzò la schiena.
Ma è morto.
Si ferì volontariamente con quel pensiero, strappandosi ad un desiderio inutile e doloroso.
A distanza di quindici anni, non aver potuto dire addio a suo padre era il suo più grande rimpianto.
«Grazie, comandante. Puoi andare.» Fu la voce di Victoria a riscuoterlo, e vide Ravus chinare il capo e girare sui tacchi per uscire dall’ampia sala.
Anche se era ormai ricostruita, c’erano notti in cui Noctis si svegliava di soprassalto, sudato e agitato, e si trascinava fino a lì, i piedi nudi sul marmo gelato, tutto per assicurarsi che Ardyn non fosse seduto là, pronto a schermirlo. Quando succedeva, era sempre Victoria a raggiungerlo, e sempre lei che, senza dire una parola, lo stringeva a sé finché lui non tornava nella loro stanza da letto.
Si alzò dal trono e le sorrise. «Queste udienze sarebbero ancora più tediose senza di te.»
Lei rise piano e si strinse nelle spalle. «Non devi preoccuparti, non ho intenzione di andare da nessuna parte.»
«Bene, allora sono un uomo fortunato.» Si concesse il re, guidandola giù per le scale.
All’improvviso, gli venne da chiedersi che tipo fosse stata sua madre.
 

 
«Stai invecchiando, amico mio.»
La risata risuonò nel cortile intorno a loro, e l’uomo ritirò i suoi kukri nei loro foderi, poi abbandonò la posizione di guardia.
Quando chiuse gli occhi, Libertus esitò un attimo. «Che stai facendo?»
«Fidati, è un vecchio trucco. Credo che i ragazzi abbiano bisogno di vederlo.» Gli spiegò, sentendo i mormori delle reclute delle guardie reali intorno a loro.
«Non ritirare le armi, Libertus, per favore.» Gli chiese.
Drautos l’aveva addestrato così, e si era rivelata una tecnica brutale ma efficace.
O impari, o muori.
«Sei pazzo, Nyx.» Lo schermì Libertus, ma lui rise e scrollò le spalle.
«Può darsi. Allora, se vi state chiedendo cosa sto facendo.» Esordì, riferendosi ai loro spettatori. «Vi sto insegnando un trucco che potrebbe salvarvi la vita, e cioè che non dovete contare solo sulla vista, quando combattete.»
Fece un cenno con la mano, e Libertus si avvicinò con cautela. «Potreste avere sangue negli occhi, o trovarvi a combattere al buio.»
Era a pochi metri da lui, avanzava a passi calcolati, studiando il modo migliore per attaccare.
«In quel caso, l’udito sarà il vostro migliore amico. Ignorate tutto il resto.»
Eccolo lì, pensò. Aveva portato il piede sinistro indietro, pronto a darsi lo slancio d’attacco.
Quando si mosse, attese l’ultimo secondo, poi si spostò di lato e calciò via la spada dalle mani del suo migliore amico.
Riaprì gli occhi ed evitò a Libertus di cadere a terra, sbilanciato.
Fu in quel momento che un applauso si levò dal gruppo dei suoi studenti, e Nyx si passò una mano fra i capelli. «D’accordo, ora sceglietevi un compagno, niente armi.»
Obbedirono senza esitare, e lui li osservò uno per uno, camminando tra di loro.
Si fermò accanto ad una coppia di soldati, osservandoli con curiosità.
Erano gemelli, si rese conto, una femmina e un maschio, entrambi con i capelli più neri del buio e straordinari occhi azzurri.
«Posso?» Domandò, e la ragazza si fece da parte con un breve inchino.
«Certo Generale.» Era stato proprio il ragazzo a chiedergli di esibirsi in un combattimento per loro, e lui non aveva potuto rifiutare.
«Attaccami.» Gli ordinò, e lui obbedì.
Lui stesso aveva imparato molto, osservando Drautos combattere.
«Più veloce.»
«Il necessario per poterlo uccidere, vero Nyx?»
La voce lo distrasse mentre il soldato si muoveva.
Non era possibile, pensò, era stato lui stesso ad ucciderlo.
Il pugno del ragazzo gli affondò nello stomaco, e subito dopo l’intera legione di reclute era ferma ad osservarli.
Nyx sorrise tra sé e sé.
«Generale mi dispiace, non intendevo…»
Alzò una mano, bloccando le sue proteste. «Errore mio, mi sono distratto. Qual è il vostro nome?» Domandò, osservando i due gemelli.
Entrambi unirono i talloni, una mano sul cuore e l’altra dietro alla schiena, e s’inchinarono in un movimento identico. «Siamo Gratia e Sol Obscura, Generale.»
Nyx annuì, poi mise una mano sulla spalla al ragazzo. «Piacere di conoscervi. Continuate ad allenarvi, avete del potenziale.» Sorrise, e, dopo aver ordinato alle reclute di ricominciare l’addestramento, si ritirò nell’ombra del portico, e si abbandonò sulla panchina.
«Chi è che stava invecchiando?»
La voce di Libertus lo raggiunse, strappandogli un sorriso. Quando l’amico gli si sedette a fianco, Nyx non si voltò a guardarlo, ma sapeva che era preoccupato.
«Che ti è preso? Sono anni che nessun riesce a toccarti, e ora ti fai beccare da un novellino?»
L’uomo rise, e poi si strinse nelle spalle. «Non lo so.» mentì. «Forse sto veramente invecchiando.»
La gomitata nel fianco lo fece sobbalzare. «Non dire idiozie, Ulric, hai quarantasette anni e ne dimostri ancora trenta.»
Ridacchiò divertito, ma ben presto la sua risata si smorzò.
Era vero, pensò osservando Libertus. Avevano la stessa età, ma il suo amico aveva quasi tutti i capelli grigi, ormai, e le rughe si facevano ogni anno più marcate intorno agli occhi, mentre lui, al contrario, aveva ancora una sola solitaria striscia di capelli bianchi, e nient’altro che comunicasse l’età che aveva.
Com’era possibile?
«Non ci arrivi proprio, eh?»
Lo scherno nella voce lo fece irrigidire di tensione.
Si rifiutò di sollevare lo sguardo, eppure sentiva la sua presenza come una ferita pungente sulla schiena.
«Libertus, manda i ragazzi a casa, hanno finito per oggi.» Si alzò di scatto, spaventando il suo compagno d’armi, e poi si diresse verso l’uscita del cortile.
Quasi non si rese conto di coloro che lo salutavano, mentre si dirigeva a passi spediti verso quell’ala del Palazzo che era riservata alla famiglia reale e a coloro con il privilegio di vivere lì.
Si liberò della giacca dell’uniforme mentre entrava nella camera da letto, e la gettò distrattamente sul letto.
Si sedette sul materasso, nascondendo il viso fra le mani, ma ben presto un muso caldo attirò la sua attenzione, e lui vide gli occhi d’oro di Umbra osservarlo con aria curiosa.
Sfregò la testa del cane con una carezza. «Sto bene, bello, non preoccuparti.»
«Da quando parli con lui, Nyx?»
La voce divertita proveniva dal bagno e, voltandosi, lui vide Lunafreya guardarlo dalla porta, avvolta in un accappatoio che lui riconobbe come il suo, con un sorriso dolce sul volto.
Si alzò di scatto dal letto e l’abbracciò senza una parola, nascondendo il viso contro la sua spalla.
Lei non gli fece domande, e si limitò a ricambiare l’abbraccio, una mano sulla sua schiena e l’altra fra i suoi capelli.
Quando Nyx vide il movimento nello specchio, chiuse gli occhi, rifiutandosi di vedere, perdendosi nel profumo di fiori e sole di Lunafreya. Quando inspirò a fondo, qualcosa dentro di lui si calmò, come gli succedeva sempre quando erano vicini.
«Va tutto bene, amore mio. Sei a casa.»

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Capitolo 2
*** - C’era una nota di colore sbagliata, ai lati del suo campo visivo. Le guardie reali non portavano uniformi viola e grigie.- ***


CAPITOLO 2
 
- C’era una nota di colore sbagliata, ai lati del suo campo visivo. Le guardie reali non portavano uniformi viola e grigie.-
 
Quando si svegliò, il mattino dopo, l’altra parte del letto era vuota, e la cosa lo fece sentire stranamente solo. Sapeva dov’era, ma non averla accanto gli causò una strana fitta al cuore.
Sospirò e si alzò dal materasso, distendendo le braccia per svegliare i muscoli.
Con movimenti che gli erano familiari da anni, indossò l’uniforme, sentendo le prime avvisaglie dell’inverno in arrivo dal pavimento freddo. Prima di indossare la maglia, rimase un momento ad osservarsi nel grande specchio a parete che ornava un angolo della stanza.
Eccole là, notò, tredici cicatrici l’una accanto all’altra, vicino alle ustioni.
«Una è opera mia.»
Ghignò nuovamente la voce, e Nyx abbassò lo sguardo prima di poter vedere il suo proprietario nel riflesso dello specchio. Si vestì velocemente e uscì dalla stanza, ripassando mentalmente i programmi della giornata.
Quando si scontrò con qualcuno in corridoio fu istintivo evitargli di cadere, e fu così che si trovò a reggere tra le braccia la ragazza che riconobbe come Gratia Obscura, che in quel momento restò paralizzata a guardarlo. L’aiutò a rimettersi in piedi e le sorrise. «Perdonami, non mi aspettavo nessuno, a quest’ora del mattino.»
«Nulla, Generale. È colpa mia.» Ammise lei. «Non avrei nemmeno dovuto essere qui, ma volevo che vedeste una cosa.»
Nyx inarcò un sopracciglio. Era strano trovarsi davanti la copia femminile di uno dei suoi soldati. «Dimmi.»
Lei lo pregò di seguirlo, e così fece.
«Mi sveglio sempre prima dell’alba, e mentre facevo un giro sulle mura, ho visto qualcosa.»
«Prima dell’alba?»
Lei annuì alla sua domanda curiosa, ma sembrò lievemente imbarazzata dalla risposta. «Mi piace vedere il sole sorgere. Mi ricorda che la notte non dura per sempre, e che c’è sempre speranza.»
Qualcosa nel suo cuore si commosse.
Ecco per cosa lui e Noctis erano quasi morti, quindici anni prima, per riportare la speranza in un mondo soffocato dal buio, e dalla morte. Affiancandola mentre superavano i cancelli del Palazzo, Nyx non poté fare a meno di sorriderle.
«C’è sempre speranza, Gratia. Anche quando non sembra, ricordatelo.»
«Sissignore, grazie.»
Lui alzò gli occhi al cielo con una breve risata divertita. «Sanguino e combatto come voi, non usare queste formalità con me. Chiamami Nyx e basta.»
Lei annuì con un breve sorriso, e poi gli indicò un auto che li stava aspettando. «Ci conviene andare in macchina.»
Lui annuì e, quando salì al posto del passeggero, notò chi guidava. «Anche tu sei mattiniero, eh Sol?»
Il ragazzo annuì e avviò il motore, guidando con destrezza nelle strade affollate.
«Già. E volevo essere presente quando lei analizzerà ciò che abbiamo visto.»
«Non mi date nemmeno un indizio?» Scherzò Nyx, ma i visi seri dei gemelli smorzarono il suo umorismo. Sembravano preoccupati, e la loro conversazione tacque mentre viaggiavano verso le mura della città.
Quando vi furono sopra, Sol gli indicò un punto ad ovest della città.
Osservando meglio, Nyx lo scambiò inizialmente per un edificio semi distrutto, dato che era solo un’enorme massa indistinta, ma decise che valeva la pena dargli un’occhiata più da vicino.
Non avrebbe potuto proiettarsi con precisione fino a quel punto, ma aveva un asso nella manica.
Sentì l’urlo di sorpresa di Gratia e lo sconcerto di Sol quando le ali si distesero sotto il sole appena sorto, e i raggi si riflessero sul metallo, riempiendo la pietra intorno a loro di riflessi colorati.
«Cosa…»
Sorrise, divertito, e porse loro le mani. «Andiamo.»
Si avvicinarono con cautela, e sempre prudentemente presero le sue mani.
Quando le ali di Bahamut si scontrarono con il vento e li sollevarono con facilità tutti e tre, Nyx quasi si dimenticò dei suoi passeggeri.
Muoversi liberamente nel vento era una sensazione unica, diversa dalla proiezione, diversa dal viaggio su qualsiasi veicolo: era libertà e potere allo stato puro.
Atterrò delicatamente nel punto che gli era stato indicato, e le ali svanirono in uno scintillio argentato. «State bene?» Chiese ai due gemelli, e loro si limitarono ad annuire senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Nyx sapeva perché; quando evocava Bahamut, i suoi occhi mutavano da blu grigio ad un morbido argento fuso, e restavano così per qualche secondo dopo che lui interrompeva la magia.
«Bene. Ora vediamo cosa…» Non fece in tempo a finire la frase mentre si voltava verso il suo obbiettivo. Da così vicino era impossibile scambiarlo per qualcosa di artificiale, pensò.
Era un corpo squamoso, con lunghe ali ripiegate sul corpo, il muso abbandonato sull’erba. Sembrava quasi addormentata, ma non lo era di sicuro.
Seguì con lo sguardo tutta l’immensa maestosità del suo lungo corpo da serpente, fino alla coda che spariva in acqua. Crollò in ginocchio accanto al suo muso, e vi posò la fronte sopra.
«Che cosa ti ha ucciso?» Mormorò, una mano posata sulle squame blu mentre una morsa di dolore gli stritolava il petto, minacciando di soffocarlo. L’urlo di Bahamut riecheggiava nella sua mente.
La dea era devastata dal dolore, e lui la capiva perfettamente.
D’altronde, anche lui aveva perso una sorella.
«Generale…?» Fu Sol ad attirare la sua attenzione, e solo in quel momento Nyx si ricordò di loro.
Si alzò in piedi e li guardò entrambi. «Non dovete mai dire a nessuno ciò che avete visto qui.»
«Ma cosa…»
«Nessuno.» Li interruppe, severo, e loro annuirono.
«Bene.» Riprese Nyx, poi si voltò nuovamente verso l’immenso cadavere.
Si portò una mano al cuore, percependo il pianto di Bahamut e la sua furia. Lasciò che la dea desse il suo addio, e poi sollevò una mano.
Qualche minuto dopo, lui e le due reclute erano di nuovo nella Capitale, e il cadavere di Leviatano bruciava sulla costa.
 

 
Qualche ora dopo, stava tamburellando con le dita sul tavolo di marmo al centro della sala del trono.
«Bahamut non ha comunicato nulla?» Gli domandò il re, e lui scosse la testa. La dea era rimasta in un silenzio grave da quella mattina, e lui non l’aveva disturbata. Gladio, davanti a lui, si rivolse al re. «Non possiamo sapere cosa l’ha uccisa, ma finché, qualsiasi cosa sia, non ci minaccia direttamente, penso che non dovremmo considerarla un problema.»
Mentre Ignis e Prompto si dimostravano d’accorso, Nyx tagliò i loro discorsi fuori dalla sua attenzione: prima Crowe, pensò, poi lui, e ora questo. Non era per niente un buon segno.
Sospirò pesantemente, e una mano delicata si posò sulla sua.
«Nyx, rilassati.» Mormorò Luna con un breve sorriso, che fu contenta di vedere che lui ricambiò.
Era stato distratto e teso ultimamente, ed era sicura che quest’ultima batosta non l’avrebbe certo placato.
«Scusami.» Mormorò l’uomo, intrecciando le dita alle sue e posando un bacio sul dorso della sua mano. «Non volevo farti preoccupare inutilmente.»
L’Oracolo sospirò piano. «Non pensare a me, pensa piuttosto a te stesso. Trova qualcosa che ti rilassi, per favore.» Gli chiese, e lui non poté far a meno di cedere. Gli era impossibile dirle di no.
Si alzò dal tavolo, e gli sguardi si puntarono su di lui. «Maestà, chiedo il permesso di andare. Le truppe devono ancora prepararsi per la partenza, e devo supervisionarli.»
Noctis annuì, lievemente accigliato. «Vai pure, Nyx.»
Nyx piegò brevemente il capo in un inchino, poi si voltò verso la sua compagna.
«Ci vediamo stasera.» La salutò, sfiorandole le labbra con un bacio, e lei annuì. «Va bene. Fai attenzione, per favore.»
Lui sogghignò prima di allontanarsi. «Faccio sempre attenzione.»
Sentì gli occhi preoccupati di Lunafreya sulla schiena fino a quando le porte non si chiusero alle sue spalle, ma si sforzò di ignorarla. Su una cosa aveva ragione, però, doveva trovare un modo di calmarsi, di sciogliere la tensione che aveva nel petto.
Quando arrivò alla caserma della guardie reali trovò un mucchio di soldati in fervente attività, ma tutti si fermarono per porgergli un inchino quando lo videro passare tra di loro.
Fermò la sua passeggiata solo quando arrivò in palestra, e vide l’unico soldato che ancora si stava allenando. Si avvicinò con un sorriso, e la grande lancia nera gli si appoggiò al collo.
Aranea sogghignò. «Generale.» Lo salutò, senza muovere l’arma. Non aveva voluto nessun ruolo di comando, quando le era stato proposto, e non era nemmeno ufficialmente nelle guardie reali.
A sentire lei era lì perché si annoiava, a sentire le reclute, era lì per un certo uomo dai capelli bianchi e gli occhi viola.
«Ho sentito cos’è successo ieri con le reclute. Che ti è preso?» Gli chiese a bruciapelo, e Nyx si limitò a stringersi nelle spalle. In tutti quegli anni aveva ripetuto così tante volte di stare bene che ormai gli veniva naturale. «Mi sono distratto, tutto qui.» Mentì, e la donna davanti a lui scoppiò a ridere.
«Certo, come no, e io sono la regina di Lucis.» Lo derise, e l’attimo dopo i suoi kukri si scontrarono con la lancia nera, bloccandola ad un soffio dal suo viso. «Visto? Tu non sei mai distratto.»
Nyx sorrise a sua volta, poi torse i kukri in modo che la lancia le scivolasse dalle mani, l’afferrò al volo e gliela puntò contro. «Capita anche ai migliori un momento di debolezza.» Si giustificò ancora, poi roteò l’arma in modo che lei potesse impugnarla nuovamente.
Aranea decise che indagare non sarebbe servito a nulla, e cambiò volentieri discorso quando lui lo fece per primo, chiedendole se sarebbe partita con loro il mattino dopo.
«No, non questa volta. Sono qui solo perché il comandante me lo ha chiesto.»
Quando Nyx sorrise con aria irriverente, lei sembrò imbarazzata. «Piantala, Ulric.» Scherzò, colpendolo piano con l’asta della lancia, e lui rise alzando le mani.
«Va bene va bene, farò finta di non vedere e sentire nulla.» Le concesse, strappandole un’altra risata, che fu smorzata dall’arrivo del suddetto comandante.
Se Ravus fosse sorpreso o meno di vederlo lì non lo diede a vedere, salutandolo come se nulla fosse, e poi lui e Aranea si congedarono dalla caserma, lasciando il generale solo con le sue truppe.
Nyx fischiò brevemente, attirando la loro attenzione.
«Venite qui un attimo, per favore.» Chiese, e loro obbedirono, schierandosi davanti a lui.
Erano reclute, solo ragazzi, un mare di uniformi nere.
«Domani partiremo per la vostra prima missione sul campo.» Esordì, e un mormorio si levò dal gruppo che lo stava ascoltando. C’era una nota di colore sbagliata, ai lati del suo campo visivo.
Le guardie reali non portavano uniformi viola e grigie.
«So che siete agitati, ma so anche che siete pronti.» Mentì, infondendo in loro un coraggio che non avevano. Erano giovani, la maggior parte di loro aveva a malapena vent’anni.
Una risata che conosceva fin troppo bene lo distrasse, ma si costrinse a concentrarsi. «Vi prometto questo: vi riporterò a casa, sani e salvi. Non lascerò che nulla accada a nessuno di voi.»
Loro gli sorrisero, qualcuno accennò un applauso, e lui sorrise.
«Moriranno tutti.» La voce gelò il suo viso, ma cercò di non darlo a vedere ai suoi soldati.
Tu sei morto, pensò, sforzandosi di guardarlo, non puoi essere reale.
«Ora andate, finite di prepararvi, riposate. Ci vediamo domani mattina.» Li congedò, e piano piano il gruppo iniziò a muoversi.
Il fantasma gli sorrise, ma fu più un ghigno crudele.
«Se non sono reale, come posso fare questo?» Gli domandò con aria divertita, e poi affondò la spada dritta nel cuore della recluta accanto a lui.
Fu così improvviso che Nyx quasi non si accorse del sangue che sgorgava dalla ferita.
«Generale! Sta bene?» La voce lo riportò alla realtà, e si accorse di essere scivolato in ginocchio, e di avere un kukri tra le mani. Era sangue, quello sulla lama?
Sollevando lo sguardo, incrociò gli occhi azzurri di Sol, e annuì distrattamente.
Si alzò rifiutando il suo aiuto, e se ne andò senza una parola, stritolando l’elsa della sua arma, seguito da una risata che lo derideva.
 

 
La sentì aprire la porta, sentì i suoi passi fino ad un certo punto, e la immaginò seduta sul loro letto, intenta a togliersi le scarpe. Ecco qual era il suo posto felice, pensò, la loro stanza, sentirla tornare, saperla vicina, era l’unica cosa in grado di calmarlo davvero.
Chiuse gli occhi e lasciò che l’acqua gli scivolasse addosso, scorrendo sulle cicatrici.
Un tempo, pensò, le avrebbe detestate forse, ma ora erano l’unica cosa che contava il tempo, per lui.
Più gli anni passavano, più si sbiadivano, e solo le ustioni restavano nitide come il primo giorno.
«Nyx?» Lo chiamò dalla stanza adiacente.
«Sono qui.» Le rispose, e non poté fare a meno di sorridere sentendola avvicinarsi.
Quando fu accanto alla doccia, lui scostò la chiusura di vetro e la trascinò dentro, strappandole un breve verso di sorpresa. «Nyx, aspetta! Sono vestita!» Lo rimproverò, ma non si ribellò quando lui le chiuse la bocca con un bacio. Gli posò le mani sul petto, lasciando che l’acqua che scorreva dalla doccia sciogliesse la sua accurata pettinatura, e s’infiltrasse nel tessuto dell’abito.
Quando si separarono, Nyx ghignò. «Possiamo rimediare.»
Propose, e lei divenne paonazza tra le sue braccia, ma non fece nulla per fermarlo quando le sue mani scivolarono sulla cerniera dell’abito.

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Capitolo 3
*** Quando arrivò fuori città,Luna era ancora sveglia,gli occhi fissi sul soffitto e la calda morbidezza di Pryna al suo fianco,ignara che,a chilometri di distanza,le stelle stavano scintillando sul sangu ***


CAPITOLO 3
 
-Quando arrivò fuori città, Luna era ancora sveglia, gli occhi fissi sul soffitto e la calda morbidezza di Pryna al suo fianco, ignara che, a chilometri di distanza, le stelle stavano scintillando sul sangue.-

Gladio abbassò la spada quando il re gli fece un cenno, e vi si appoggiò pesantemente sopra.
Era stato strano doversi abituare a portarla sempre fisicamente con sé, non potendola più materializzare grazie alla magia dei re, ma era proprio per quel motivo che lui e Noctis si trovavano lì.
Il sovrano aveva sempre avuto le proiezioni e la magia dalla sua parte, ma ora, insieme, stavano imparando a combattere come persone comuni.
«Dammi solo un attimo.» Lo pregò Noctis, e il suo Scudo annuì, segretamente grato di quella pausa.
Era più allenato e resistente di quanto non fosse mai stato, eppure quel nuovo sistema di combattimento era stancante. «Stai migliorando in fretta.» Si complimentò, e vide l’attuale regnante ridacchiare.
«Grazie. Vale molto detto da te.»
Gli sembrava di essere tornato bambino, quando Gladio lo costringeva a sedute di allenamento che lui non sopportava, e lo batteva ogni volta nel giro di poche mosse. Ripose la spada sulla rastrelliera, e afferrò la lancia. Voleva riprendere dimestichezza con ogni tipo di arma.
«Ok, sono pronto.» Decretò, ma il loro allenamento fu interrotto dalle porte che si spalancavo improvvisamente, lasciando entrare una Lunafreya affannata e agitata.
«Noctis…Tu devi…»
Il re le si avvicinò e la prese per le spalle. «Luna, calmati. Cos’è successo?» Le domandò mentre Gladio si avvicinava.
«Cindy…»
Capirono al volo, e insieme si diressero verso l’uscita del palazzo, e verso l’ospedale.
Non ebbero nemmeno bisogno di presentarsi ai dottori, o di chiedere, perché un infermiera li guidò verso la sala d’attesa appena li vide. «Dov’è Prompto?» Domandò Gladio ad Ignis, che era già lì, in attesa.
L’uomo indicò la sala operatoria. «Là dentro.»
Si sedettero in attesa, e Noctis si rese conto che Luna continuava a far girare la fede d’argento intorno al dito.
«Mi dispiace.» Esordì all’improvviso, senza riuscire a trattenersi, e la vide accigliarsi mentre lo guardava. Sembrava così fragile, da sola, vuota come un cielo senza stelle. «Per cosa?»
«Nyx è tornato da nemmeno due giorni, ed è già dovuto ripartire. Non voglio tenervi separati, ma lui è il mio soldato migliore.» Spiegò, sentendosi in colpa. Odiava vederli separati, erano come un insieme incompleto, e si vedeva chiaramente che entrambi soffrivano inconsciamente quando non erano insieme.
L’Oracolo gli sorrise con dolcezza. «Noctis, non devi scusarti. Per quanto mi dispiaccia ammetterlo, Nyx adora combattere, è il suo elemento. E credo che, specialmente in questo periodo, fare qualcosa che gli impedisca di pensare non può fargli altro che bene.»
Ignis, seduto accanto a lei, inarcò un sopracciglio. «Non capirò mai nessuno di voi due.» Ammise chiaramente, e ciò strappò una breve risata al gruppo.
Lunafreya era come il suo compagnò, pensò il re, sempre ragionevole e sempre dalla parte del giusto.
Le sorrise. «Prometto che non te lo strapperò più, appena il regno sarà in pace.»
Luna gli sorrise, e Noctis sentì quel calore pacifico invaderlo, lo stesso che gli aveva sempre trasmesso, e lo stesso che gli aveva fatto pensare di amarla. «Me lo ricorderò.»
«Lunafreya.» Esordì Ignis ancora una volta. «Per caso è accaduto qualcosa con Nyx?»
La donna arrossì, pensando che si, in effetti era successo qualcosa con Nyx la sera prima, ma nulla che riguardasse il suo ritrovamento. Abbassò lo sguardo sulla fede al dito e scosse la testa.
«No, in questi giorni non mi ha detto nulla. È stato particolarmente distratto, in effetti, e non abbiamo avuto occasione di parlare molto.» Confessò, ma prima che chiunque potesse dire qualcos’altro le porte della sala operatoria si aprirono, e Prompto ne uscì togliendosi la mascherina e il camice.
Sembrava stordito, ma quando Gladi gli domandò come stava, il suo viso si aprì in un sorriso a trentadue denti.
«È un maschio.» Sorrise, e Noctis si alzò per abbracciarlo e fargli i complimenti, seguito da Ignis e Gladio.
Era il primo tra di loro ad avere un figlio, e sembrava sul punto di svenire dall’emozione.
Lunafreya lo abbracciò piano, sentendolo tremare, e gli sorrise. «Come sta Cindy?»
Prompto ridacchiò divertito. «Sta bene, è solo molto stanca. La prima cosa che mi ha chiesto di fare è stata assicurarmi che ci fosse qualcuno in officina.»
Rise divertito, ma Noctis lo stava ascoltando solo in parte.
La porta in fondo al corridoio si era aperta, e Victoria aveva fatto il suo ingresso.
Adorava il fatto che lei rifiutasse di indossare gli abiti sontuosi di una regina se non era strettamente necessario, e vederla con indosso un completo elegante composto da una camicia blu di raso che contrastava violentemente con i suoi capelli era uno spettacolo che si godette fino a quando lei gli fu accanto.
«Stanno bene?» Domandò la regina a Prompto, e lui annuì velocemente.
Mentre l’attenzione della donna era rivolta al neo papà, quella del suo compagno era tutta per lei.
Da quando lei aveva pronunciato il suo sì, aveva capito, almeno in parte, cosa legasse tanto il suo Generale e l’Oracolo.
La tirò piano in disparte mentre gli altri parlavano con Prompto, e lei gli sorrise, curiosa.
«Come vanno le cose a Palazzo?» Le chiese. Gli era dispiaciuto lasciarla sola ad affrontare le questioni politiche ma come re era suo dovere essere pronto a lottare con i suoi soldati, se necessario, e doveva imparare a farlo senza l’uso della magia. Lei si strinse nelle spalle. «Nessun problema particolare, a parte il fatto che, ma non so crederci, un gruppo di daemon sarebbe stato avvistato vicino alla stazione chocobo di Wiz.»
Quella semplice e nemmeno veritiera notizia ebbe il potere di farlo innervosire. «Daemon? Ma sono spariti da quindici anni.»
Victoria gli prese il viso fra le mani e posò la fronte sulla sua. «Calmati. Chiederemo alle guardie reali di andare a controllare, sapranno dirci se ci sono tracce di daemon o meno.»
«Bene. Grazie.» Noctis sospirò piano, le mani sui suoi fianchi. Cercava sempre di essere il più ragionevole possibile, ma certi argomenti lo turbavano profondamente. E lei era la sua ancora.
«Ehi voi due.» Li richiamò Gladio. «Volete vedere il neonato o no?»
«Arriviamo.» Rispose Victoria, lasciando scivolare una mano in quella di Noctis.
Si unirono al resto del gruppo davanti alla vetrata, e Prompto indicò loro suo figlio.
Aveva un ciuffo di sporadici capelli del biondo più assoluto, e strillava a pieni polmoni.
«Si, è decisamente tuo figlio.» Esordì Noctis, e Ignis completò la frase per lui, sistemandosi gli occhiali.
«Non sta zitto un secondo.»
 

 
Lunafreya rientrò nella stanza, e si trovò immediatamente quasi travolta da Umbra e Pryna, che le si avvicinarono scodinzolando allegramente, colpendola piano con i loro nasi caldi.
La loro accoglienza la fece ridere, ma sapeva perché facevano così.
Ogni volta che il loro padrone non c’era, loro diventavano estremamente affettuosi con lei, come a compensare la sua mancanza.
Si sedette sul letto e sospirò piano, accarezzando la testa bianca di Pryna.
Quella camera era decisamente troppo grande, per una persona sola, e le pareti che diventavano sempre più fredde mentre l’inverno si avvicinava non l’aiutavano a sentirsi meglio.
Avrebbe voluto avere almeno Gentiana al suo fianco, ma la dea del ghiaccio l’aveva visitata raramente nell’ultimo periodo.
«Spero che stia bene.» Ammise a sé stessa.
La scoperta del cadavere di Leviatano accanto alla città l’aveva scossa profondamente.
Cosa poteva esistere di così feroce e così potente da avere la meglio sulla collerica dea del mare?
Umbra uggiolò piano, e lei gli sorrise. «Ho un favore da chiederti, amico mio.»
Aveva funzionato con Noctis, pensò, perché con Nyx avrebbe dovuto essere diverso?
Il cane nero abbaiò e agitò la coda, poi sollevò il muso per mostrarle la gola. Sapeva cosa voleva, ed era pronto a compiere il suo dovere.
Lunafreya si sedette alla scrivania e stese il foglio davanti a sé, improvvisamente indecisa.
Si era svegliata con lui, quel mattino, e l’aveva salutato prima della partenza, ed era rimasta ad osservare il convoglio di auto che si allontanava dalla città, e le due strisce viola che diventavano sempre più piccole mentre la moto sfrecciava sull’asfalto.
Quando lo sguardo le cadde sulla foto incorniciata del loto matrimonio, sorrise e allo stesso fu invasa dalla tristezza nel ricordare come Nyx le avesse chiesto di sposarla, sputando sangue nel cortile del medesimo palazzo nel quale vivevano.
Era stato come se il mondo le fosse crollato sotto i piedi, vederlo in quello stato, e assistere al suo folle, eroico sacrificio con Noctis.
Respirò a fondo, e sorrise. Nella stanza c’era ancora l’odore di legna bruciata e cenere che contraddistingueva Nyx. Sembrava che venisse da dentro di lui, che lui stesso bruciasse di un fuoco continuo che non lo consumava mai.
Lo scintillio del diadema attirò la sua attenzione, e lei seppe cosa scrivere.
Amore mio,
Cindy e Prompto sono diventati genitori. È un maschio, e stanno ancora riflettendo sul nome.
Oggi, in ospedale, Noctis si è scusato per averti di nuovo allontanato da me, ma gli ho spiegato che ti avrebbe fatto bene, passare un po’ di tempo con i tuoi soldati.
Che cosa ti succede, in questi giorni?
Sei con me, ma a volte ti sento lontanissimo.
Cosa vedono i tuoi occhi, quando il velo del passato si posa su di te?
Qualsiasi cosa sia, sarò al tuo fianco.
Spero che tu stia bene, e che non compia sciocchezze da eroe.
Torna da me, Nyx Ulric.
Sano e salvo.
Per sempre tua, Luna
Quando ebbe terminato, avvolse accuratamente la lettera, e la chiuse con un fiore di Tenebrae, che lei stessa coltivava sull’ampio balcone della stanza. La legò al collo di Umbra e posò un bacio sul muso dell’animale. «Vai, amico mio.»
E il cane corse, corse fuori dalla stanza, e fuori dal palazzo.
Quando arrivò fuori città, Luna era ancora sveglia, gli occhi fissi sul soffitto e la calda morbidezza di Pryna al suo fianco, ignara che, a chilometri di distanza, le stelle stavano scintillando sul sangue.
Nyx rafforzò la presa sul fianco della recluta, e riprese la sua marcia.
Intorno a lui, il caos stava iniziando a svanire, e l’odore di sangue ad intensificarsi.
«Generale, andate via, per favore.» Mormorò il ragazzo, e lui scosse la testa.
«Ho detto che vi avrei portati tutti a casa, ed è quello che intendo fare.» Chiuse la questione e, quando colse il movimento con la coda dell’occhio, reagì d’istinto.
Il fulmine si espanse velocemente dalla falce allo scheletro che la impugnava, riducendolo in briciole.
Sol rabbrividì al suo fianco quando il dolore lo colpì di nuovo, e Nyx decise che era ora di un’azione più drastica, se voleva evitare che tutti i suoi ragazzi venissero massacrati.
Li aveva addestrati per battersi contro umani e magitek, non contro daemon dotati di ali e zanne che potevano trapassarli da parte a parte senza un grande sforzo.
«Aspettami qui.» Lasciò la recluta accanto ad un sasso, poi gli porse uno dei suoi kukri. «Verrò a riprendermelo.» Lo avvertì prima di voltarsi e lanciare il secondo pugnale dritto nel cuore di quella schermaglia.
I daemon li avevano attaccati mentre la notte calava e cercavano un punto dove riposare.
Era impossibile che fossero lì, pensò il generale mentre le ali si estendevano dietro di lui.
I daemon erano un prodotto di una magia oscura come il tempo, un sortilegio che era svanito anni prima.
Bahamut, ti prego.
Pregò in silenzio, e sentì il cuore accelerare i battiti mentre lei rispondeva.
Aiutami a salvarli.
Percepiva ancora la tristezza della dea, sepolta nel profondo del suo cuore con la propria, ma lei era lì, pronta ad aiutarlo.
Creò una barriera con una mano, e strinse la presa sul kukri nell’altra mentre il fuoco si concentrava sulla lama, scintilla dopo scintilla.
«Non potrai salvarli per sempre.»
La voce lo derise, e lui intravide lo spettro nel caos della battaglia.
Ancora una volta, però, lo chiuse fuori dal proprio cuore e dalla propria mente con un ghigno.
«Vuoi scommettere?» Gli chiese, e poi piantò la lama nel terreno, lasciando che le fiamme sacre di Bahamut si facessero strade tra le crepe e incenerissero i daemon, riducendoli in brandelli semi arrostiti davanti alle reclute.
Mentre la magia si spegneva e le guardie reali si raccoglievano in un unico, compatto gruppo, Nyx li contò velocemente: ammaccati, stanchi e feriti, ma erano ancora tutti in piedi.
Tornò al fianco di Sol, e gli tese una mano. Il ragazzo l’accettò per tirarsi in piedi, e poi gli porse il suo kukri.
«Grazie, Generale. Saremmo stati spacciati senza di lei.»
«Senza di te non sarebbero nemmeno qui a rischiare la vita.»
Rinfoderò l’arma e ordinò ai soldati di erigere l’accampamento, mentre una parte di lui si chiedeva quanto sarebbe riuscito a sopportare quelle frecciatine.
Qualche ora dopo, Nyx si ritrovò sulla cima di una collina, ad osservare le tende che le reclute avevano diligentemente montato. Avrebbe preferito sistemarli meglio, ma da quale parte ci sarebbe stato posto per venticinque persone, senza preavviso?
Era bello vederli così uniti, pensò, osservando il grande falò che avevano eretto al centro del cerchio che avevano formato. Nyx aveva mangiato con loro, e aveva scherzato con loro, esattamente come se non fosse il loro generale, e per la prima volta aveva sentito che anche loro lo consideravano un equale, non un superiore. Aveva scoperto che uno di loro, un fuscello di ragazzo alto quasi due metri e magro come un chiodo, aveva studiato da medico prima di arruolarsi, e la cura dei feriti era stata affidata a lui.
Sorrise tra sé e sé e riprese ad affilare i suoi pugnali.
Aveva una cura particolare, per quelle due armi: non l’avevano mai deluso, in quasi vent’anni che li usava, ed erano sempre stati la sua soluzione quando qualsiasi altra cosa falliva.
«Compreso il metodo migliore per uccidermi.»
La voce lo disturbò ancora, e Nyx capì che, se avesse voluto avere una speranza di liberarsene, non avrebbe potuto continuare a scappargli per sempre, così si voltò verso di lui con un sospiro.
«Che cosa vuoi, Ardyn?»

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Capitolo 4
*** -Sentì una fitta al cuore mentre leggeva la calligrafia sinuosa di sua moglie.- ***


Capitolo 4
 
-Sentì una fitta al cuore mentre leggeva la calligrafia sinuosa di sua moglie.-

«Dovremmo andare noi.» Esordì la donna, appoggiata all’inseparabile lancia.
Victoria, seduta a fianco del trono vuoto, la osservò per qualche istante. L’ammirava molto, in effetti, e sapeva che lei e l’uomo al suo fianco erano forse le persone più qualificate per quella spedizione.
«D’accordo.» Concesse, alzandosi. Quando lo fece, entrambi chinarono il capo, e lei sentì la tensione stringerla. Non era stato facile, accettare il ruolo che le era caduto addosso sposando il re, lei che aveva sempre vissuto ad Insomnia come una cittadina qualsiasi.
Ogni volta che doveva prendere qualche decisione la sua mente correva al suo sposo, e lei si domandava cosa gli sarebbe stato più utile a risolvere l’attuale problema. «Ravus, fate attenzione. Non sappiamo cosa abbia causato la morte della dea, quindi tenete gli occhi aperti, e se trovate qualcosa, qualsiasi cosa, non indagate oltre senza una squadra di supporto.»
Il comandante annuì, poi lui e Aranea si congedarono, lasciandola sola nell’ampia sala.
Victoria sospirò piano, e si sedette di nuovo, ma il suo attimo di riposo durò poco, perché le porte si aprirono di nuovo, lasciando entrare una squadra di operai agitati. Tacquero solo quando furono davanti a lei, e s’inginocchiarono tutti insieme sul pavimento.
«Che cosa succede?»
«Mia Regina, stamattina ci siamo recati al Mausoleo del Padre per terminare gli ultimi dettagli della costruzione delle colonne, ma…»
«La porta era aperta, Altezza.» Terminò per lui un altro operaio, e Victoria si alzò di scatto.
«La spada?»
«…Sparita, mia signora.»
Scese le scale di corsa e si diresse verso l’uscita del Palazzo senza una parola, il gruppo di operai al seguito.
Sulle scale che portavano al cortile rischiò di scontrarsi con Cor, e ringraziò segretamente quell’incontro.
«Vieni con me, per favore.»
L’uomo l’affiancò senza protestare, notando il suo turbamento.
La prima volta che l’aveva incontrato Victoria ne era stata quasi intimorita, ma ora aveva imparato a conoscerlo, ed era l’uomo migliore che potesse avere al suo fianco. «Che cosa succede, maestà?»
Le chiese mentre proseguivano il loro cammino.
Nonostante avesse ormai sessant’anni e non fosse più ufficialmente in servizio, portava ancora la katana al fianco, e la seguì senza mostrare segni di fatica. Victoria lo informò sulle notizie che aveva appena ricevuto, e comprese che era turbato quanto lei quando i suoi occhi si oscurarono.
Si fermarono un istante davanti all’entrata del mausoleo, osservando la porta aperta.
La tomba di Re Regis era stata costruita accanto al Palazzo per volere del figlio, ed era quasi completa, ma nessuno avrebbe più dovuto mettere piedi all’interno. I resti del re vi erano già stati deposti, così come la sua spada, che Noctis aveva rinunciato a portare.
Cor tese una mano, bloccandola. «Vado io.» Decise, avanzando senza aspettare una risposta, una mano intorno all’elsa della katana.
Una volta superate le porte, si ritrovò nella sala familiare del mausoleo, e osservò il sarcofago al centro.
Là, dove avrebbe dovuto esserci la spada, c’era solo pietra, e il silenzio era quasi opprimente.
Non c’erano segni di scasso, sulla porta, notò, né particolari che potevano fargli capire chi potesse essere entrato a rubare l’artefatto reale. Si fermò un istante ad osservare il volto di Regis scolpito nella roccia, e sospirò. Era il secondo re che non aveva salvato.
«Cor?» La voce della regina lo richiamò all’esterno, e lui non poté fare a meno di piegare le labbra in un sorriso.
Noctis era ancora vivo, e la linea di sangue del regno, sebbene mutilata dalla magia e dei propri poteri, sarebbe continuata.
E tutto grazie a Nyx.
«Non ci sono evidenti indizi, altezza, mi dispiace.» Le comunicò, pensando che, forse, era il caso che il soprannome di “Immortale” passasse da lui all’attuale generale delle guardie reali.
«Sigillate il posto, voglio delle vedette giorno e notte. Se qualsiasi cosa si avvicina, umana o no, voglio saperlo.»
«Sissignora.»
Sarebbe stata una grande regina, spensò Cor osservando la donna dai capelli di fuoco, e si ritrovò a pensare ad Aulea, la regina mai regina, morta quando suo figlio era appena un neonato.
Sarebbe stata fiera di ciò che Noctis era diventato, ne era sicuro.
 

 
Si svegliò di soprassalto quando il cellulare iniziò a squillare, e lo afferrò al volo. Nonostante l’avesse sempre con sé nessuno lo cercava mai: sarebbe stato imbarazzante finire male perché aveva risposta al telefono nel mezzo di uno scontro.
«Ulric.» Mormorò, ma la voce dall’altra parte del cellulare era terribilmente seria.
«Nyx, dove sei?»
«Quasi al punto della missione, altezza.» Spiegò, accigliandosi nel sentire la voce di Noctis. Doveva essere importante, se il re in persona lo cercava. «Che succede?»
«Devi andare alla stazione chocobo di Wiz, ci sono stati avvistamenti di daemon, devi controllare se sono fondati.»
Esitò un attimo, sentendo le voci dei suoi soldati che si svegliavano. «Lo sono, Noctis. Siamo stati attaccati due giorni fa da un branco.»
«Cosa? Com’ è possibile?»
Nyx si passò una mano fra i capelli e uscì dalla tenda. «Non ne ho idea. I daemon avrebbero dovuto essere estinti, ormai, con Ardyn morto.»
«Ma sono morto sul serio?» Gli chiese il fantasma, e lui lo vide aggirarsi tra i suoi soldati.
«Nyx, fai attenzione. Qualsiasi cosa stia succedendo, è stata abbastanza forte da uccidere Leviatano. Se sta dando la caccia agli dei, sei in pericolo.»
L’uomo sorrise, salutando con un cenno le reclute, ma continuava a tenere d’occhio lo spettro tra di loro. «Non preoccuparti, io e Bahamut sappiamo badare a noi stessi.»
Sentì una risata distorta dal telefono. «Lo so, ma intensificherò la sicurezza intorno al Cristallo.»
«D’accordo.» Concesse Nyx, osservando la sua fede strappare un riflesso da quel sole sempre più freddo. Una mossa del genere sarebbe servita a calmare Luna, ne era sicuro.
«Nyx…»
«Si?»
«Torna alla capitale appena hai controllato. Qualcosa è entrato nella tomba di mio padre, e ha rubato la spada.»
«Sissignore. Devo andare.» Staccò il telefono in faccia al re, sapendo che era una delle poche persone a poterlo fare, poi scrollò le spalle, sentendo le cicatrici tendersi. Fece un breve fischio, attirando l’attenzione delle sue reclute.
Obbedienti, si disposero all’ascolto intorno a lui, ancora con l’aria stordita dal sonno.
«Cambio di piani.» Esordì, e vide Ardyn avvicinarsi a Gratia. Quando lui estrasse un pugnale sottile e glielo appoggiò alla gola, Nyx irrigidì la mascella. Era solo un fantasma. «Tornate alla capitale, adesso.»
«Ma…Generale, tu cosa farai?»
Nyx sospirò piano. «Io devo andare in un posto, e mi dispiace, ma non siete pronti a venire con me.»
Io non sono pronto a vedervi morire.
«Fate i bagagli e partite.» Ordinò loro, e poi fece cenno a Gratia di avvicinarsi.
Lei obbedì, fermandosi davanti a lui con la schiena dritta e le mani incrociate davanti a sé.
«Gratia, la strada per la capitale è lunga.» Esordì, e le mise tra le mani i suoi soldi, che lei accettò con aria sorpresa. «A me non servono. Fermatevi il meno possibile, e solo in città, chiaro?»
La ragazza annuì. «Sissignore. Se posso, dove andrà?»
«Il re mi ha affidato un compito.» Mentì il generale; Noctis non aveva specificato che lui andasse solo. «Lavorate come una squadra, prendete le decisioni insieme.» Le mise una mano sulla spalla e le concesse un breve sorriso. «Per la famiglia, e la patria.»
Da quanto tempo non pronunciava quella frase?
Gratia sorrise e si portò una mano al cuore. «Per la famiglia e la patria.»
Stava per allontanarsi, ma Nyx la trattenne ancora un istante. «Si, signore?»
Esitò un attimo, poi sospirò e si sfilò la collana a forma di mezzaluna.
Lunafreya gliel’aveva regalata l’anno dopo il loro matrimonio, la prima volta che era partito in missione senza di lei. Era sua, ma lei gli aveva sorriso quando lui aveva protestato.
«La tua luce nel buio.» Gli aveva chiuso la mano intorno al ciondolo e vi aveva posato un bacio sopra.
«Signore, cosa…»
«Voglio che l’Oracolo abbia questa.»
Ardyn gli concesse un ghigno da dietro la spalla della ragazza. «Come sei diventato sdolcinato. Sapevo che lei era il tuo punto debole.» Lo derise, ma lui si concentrò sulla recluta che aveva davanti.
«Va bene, generale.»
«Bene. Ora andate.»
Osservò le sue reclute, i suoi fratelli, smontare le tende con precisione chirurgica, e recuperare le loro proprietà. Quando i furgoni partirono, sollevò una mano in segno di saluto, e poi restò solo.
Non era abituato a non avere qualcuno intorno, ammise a sé stesso.
«Ma tu hai me.»
«Oh, certo, come ho fatto a dimenticarmi quanto sono fortunato?» Lo prese in giro mentre caricava le poche cose che gli servivano sul retro della moto, e lo sentì ridere.
Un viaggio in compagnia di un fantasma era proprio ciò che ci voleva.
Stava per partire quando un abbaio lo raggiunse, e lui lo riconobbe all’istante. Si accucciò mentre Umbra trotterellava verso di lui, e gli accarezzò il muso prima di prendere la lettera che portava legata al collare.
Non aveva mai capito come facesse quel cane straordinario a trovare sempre il suo obbiettivo, ma in quell’istante fu grato di avere un piccolo pezzo di casa con sé.
Sentì una fitta al cuore mentre leggeva la calligrafia sinuosa di sua moglie. Era preoccupata, e lui avrebbe voluto tanto spiegarle cosa gli stava succedendo, se solo lui stesso l’avesse saputo. Ripiegò con cura la lettera e la riposa nella tasca interna dell’uniforme, poi grattò il cane in attesa dietro le orecchie.
«Mi dispiace bello, ma non ho una risposta per te.»
All’uggiolio dell’animale, sorrise. «Torna a casa, bello.»
Lo incitò, e lui obbedì, scattando di corsa senza mostrare segni di fatica.
«Allora, Ulric.» Riprese Ardyn, camminando con aria rilassata intorno alla moto. «L’altra sera siamo stati interrotti.»
Era vero, pensò Nyx. Quando aveva finalmente accettato che il fantasma del cancelliere aveva deciso di perseguitarlo, non aveva avuto l’occasione di parlargli perché i suoi soldati l’avevano distratto.
«Ora dimmi cos’hai fatto a Crowe.» Gli ordinò. Non l’aveva più vista dal suo ritorno alla capitale.
La sua domanda strappò una risata divertita allo spettro. «Sta bene, per essere morta. È qui, in effetti, sono tutti qui.»
Per un istante, sollevando lo sguardo, Nyx vide decine di fantasmi intorno ad Ardyn, e incrociare i loro sguardi fu peggio di qualsiasi ferita.
Sua madre, sua sorella, Crowe, Regis, e tutti i suoi compagni morti nella distruzione della città.
Erano tutti là.
«Vorrei poterti dire che ci raggiungerai presto, ma sarebbe sbagliato.»
«Che vuoi dire?» Gli chiese, e Ardyn rise mentre i fantasmi svanivano come fumo nel vento.
«Come ho fatto a farmi uccidere da te? Pensavo fossi più furbo.» Rise il fantasma, e Nyx sbuffò. «Sto iniziando a stufarmi di te, parla chiaro.»
Lo spettro sollevò le mani in segno di resa, ma il ghigno di scherno non svanì dal suo volto.
«Non ho bisogno di dirtelo, generale. Sai già come mai sei l’unico a non invecchiare, tra tutti coloro che conosci.»
Nyx non replicò a quella frase, perché Ardyn aveva ragione.
Era qualcosa di così impossibile che si era rifiutato anche solo di pensarci, ma in quel momento lo colpì come un martello in pieno petto.
Perché mi hai fatto questo? Chiese alla dea nel suo cuore, ma lei non rispose, lasciandogli solo una sensazione crescente di gelo che non aveva nulla a che fare con il fatto che stava iniziando a nevicare.
Ecco cos’era quella strana sensazione di essere bloccato nel tempo, senza avere modo di tener conto dei giorni che scorrevano.
Era così che si era sentito Ardyn, quando aveva scoperto di essere immortale?

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Capitolo 5
*** Noctis la osservò accettare il ciondolo con mani tremanti, ma quando si voltò verso di lui gli sembrò di vedere una furia bianca, una stella pronta ad esplodere. ***


CAPITOLO 5
 
-Noctis la osservò accettare il ciondolo con mani tremanti, ma quando si voltò verso di lui gli sembrò di vedere una furia bianca, una stella pronta ad esplodere.-
 
Noctis spalancò le porte, entrando quasi di corsa nella sala del trono, e si ritrovò venticinque paia di occhi puntati addosso. Sentiva Gladio e Victoria dietro di lui e, poco più distante, i passi di Ignis e di Luna.
«Che cosa ci fate voi qui?» Domandò mentre le reclute si inginocchiavano davanti a lui, senza avere nemmeno il coraggio di guardarlo.
Salì gli scalini che portavano al trono due a due, e Victoria fu subito al fianco, interrompendolo in un sussurro prima che parlasse di nuovo. «Non essere troppo duro con loro, sono solo dei ragazzi.»
Con un sospiro, Noctis ammise a sé stesso che lei aveva di nuovo ragione.
«Chi è che comanda, tra di voi?» Domandò, in tono più pacato, e una ragazza dai capelli neri si fece avanti, per inchinarsi ancora una volta. «Sono Gratia Obscura, maestà. Il nostro unico comandante è il generale Ulric, e…»
«E mi sembrava di avervi affidato una missione.» La interruppe Noctis, severo.
Quando gli era stata comunicata la notizia che le reclute erano tornate si era affrettato a raggiungerle, imprecando tra sé e sé da una parte, e chiedendosi se non fosse successo qualcosa di grave dall’altra.
La ragazza esitò un istante. «Altezza, il generale non ci ha parlato di niente di simile, ma è partito da solo, sostenendo di doversi recare in un posto specifico.»
«Cosa?» Fu la voce di Lunafreya a risponderle, e l’Oracolo le si avvicinò di fretta, accigliata.
Noctis poteva quasi percepire la sua preoccupazione come un peso sul petto.
La giovane donna dai capelli neri chinò il capo davanti a lei, ed estrasse una collana d’argento dalla tasca.
«Mi ha chiesto di consegnarvi questa, mia signora.»
Noctis la osservò accettare il ciondolo con mani tremanti, ma quando si voltò verso di lui gli sembrò di vedere una furia bianca, una stella pronta ad esplodere. «Dove l’hai mandato?» Gli chiese, la voce repressa di rabbia.
«Luna, avevo bisogno di una squadra che controllasse gli avvistamenti daemon, ma non ho mai ordinato che lui partisse da solo.» Cercò di spiegarle, di mantenere un tono di voce pacato, ma gli occhi azzurri dell’Oracolo sembravano un cielo in tempesta.
«Era ovvio che sarebbe partito da solo! Non vuole mettere in pericolo i soldati!»
«Lunafreya…»
La donna sollevò una mano, bloccando la protesta di Ignis sul nascere.
«Lui non dovrebbe nemmeno essere là fuori.» Mormorò, usando un tono di voce più calmo. «Non dopo tutto ciò che ha fatto per voi.»
Si voltò e se ne andò, e i ranghi delle guardie reali si aprirono per lasciarla passare.
Sentì i passi concitati dietro di lei, e li ignorò.
L’unica cosa che importava era la mezzaluna sulla sua mano, e il fatto che Nyx fosse da solo.
«Luna, per favore, aspetta!»
Noctis la bloccò per un polso, e lei si fermò ad osservare il re, in attesa che parlasse.
«Luna, mi dispiace.» Esordì il sovrano. «Non avevo previsto che Nyx avrebbe fatto qualcosa di così…tipicamente suo come partire da solo. Lo so che ha già fatto tantissimo, specialmente per me, e ti prometto che quando tornerà a casa sarà per l’ultima volta.»
Aveva un tono così rammaricato che, alla fine, lei cedette. «Va bene.»
Noctis annuì. «Bene. Grazie.»
La donna sorrise, e strinse piano la mano del re. «Dovresti tornare, non hai fatto una bella figura inseguendomi.»
«No, immagino di no. Starai bene?» Le domandò, e lei annuì.
Dopo tutti quegli anni, c’era ancora qualcosa che la faceva sentire protettiva verso di lui. «Non pensare a me.»
Lui le sorrise ancora una volta, poi si avviò verso la sala del trono, lasciandola nel corridoio vuoto.
Spostando lo sguardo oltre il vetro della finestra, Lunafreya vide che stava nevicando, e si strinse il ciondolo al petto.
«Prima o poi avremo la nostra pace.» Mormorò alla collana, a sé stessa e al marito a chilometri di distanza, cercando di darsi speranza, ma non funzionò a lungo. La sagoma scura di Umbra le si avvicinò con cautela, e il cane le si sedette accanto.
Emozionata, lei s’inginocchiò sul marmo, accarezzandogli il collo in cerca di una risposta che, e la cosa la colpì come un fulmine, non c’era. Fu in quel momento che cedette, e lasciò scivolare le braccia attorno allo spesso collo del cane.
Umbra uggiolò piano mentre lei piangeva sulla sua pelliccia.
 

 
Si tirò la sciarpa sul viso e rallentò quando le luci della città gli comparvero davanti.
Era a poca distanza dalla stazione chocobo, ma la nevicata stava rischiando di trasformarsi in una tempesta, e gli conveniva fermarsi.
Quando entrò nel motel sfregandosi le mani, il locandiere dietro il bancone s’illuminò solo a vederlo. «Mio signore!»
Superò la reception e s’inginocchiò davanti a lui, afferrandogli le mani. «Che gioia rivedervi.»
Nyx inarcò un sopracciglio, vagamente imbarazzato. «Scusami, ma tu sei…?»
L’uomo si alzò con un sorriso che non voleva saperne di svanire. «Lei e l’oracolo, signore, avete salvato i miei figli, e il mio lavoro. Non ho mai avuto occasione di ringraziarvi.»
Ecco perché l’uomo aveva un aspetto vagamente familiare, pensò con un sorriso.
Era la stessa locanda dove lui e Luna si erano fermati quindici anni prima, lo stesso posto dove aveva ritrovato la magia necessaria per proteggerla.
«Quella stanza…» Esordì, e l’uomo non ebbe bisogno di sentirgli terminare la frase. «È libera, andate. Avete bisogno di qualcosa?»
Nyx abbassò lo sguardo sulla chiave. «Solo di un pasto caldo e una bottiglia di qualcosa di forte. Vi ringrazio.»
Mentre l’uomo lo riempiva ancora di complimenti e gratitudine, Nyx salì le scale e, quando aprì la porta, gli sembrò di tornare nel passato, in quel periodo dove lui e Lunafreya si stavano aprendo l’uno con l’altro.
Si sedette sulla stessa poltrona, e buttò le gambe oltre il bracciolo, appoggiando la schiena a quello opposto, lo sguardo fisso sul letto. Gli sembrava di vederla là, avvolta nelle coperte, una principessa triste dal cuore d’oro, che piano piano si addormentava sentendolo parlare.
Quando qualcuno bussò alla porta quella visione fu interrotta, e Nyx sentì un nodo in gola.
Lei non era là, era al sicuro nella capitale, nella loro stanza.
Da sola.
«Il vostro pranzo signore.»
«Grazie.» Mormorò, prendendo il vassoio e riassumendo la sua precedente posizione sulla poltrona.
Ardyn comparve quando si stava dedicando alla bottiglia di liquore.
Bere, pensò, era un modo per non pensare.
A sua moglie, a ciò che gli stava succedendo.
«Non diventerai alcolizzato, spero. Saresti più inutile di ciò che già sei.»
«Tu sei morto.» Rispose Nyx ingoiando un sorso di liquido bollente. «Quanto sei utile?»
Il fantasma sogghignò, senza mai perdere quella sua aria crudele.
«Perché mi perseguiti, a proposito?» Gli domandò, accigliandosi. Cosa voleva da lui?
Ardyn si strinse nelle spalle. «Io non ti perseguito. Sono qui per guardarti mentre diventi come me.»
Il pugnale si piantò nella parete dietro di lui, e il suo gesto causò un’altra risata allo spettro.
«Io e te siamo molto diversi, ricordatelo.»
Ardyn si sedette sul letto davanti a lui, gli occhi che scintillavano.
«Non parlare così in fretta, Ulric. O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo.»
Sogghignò, crudele e divertito.
«E tu sei immortale.»
Quando lanciò il secondo pugnale, Ardyn scomparve.
Quando la lama si piantò nel materasso, però, Nyx vide il sangue scorrere dalle lenzuola fino al pavimento, e si alzò di scatto, scostando le coperte.
Gli occhi senza vita di sua moglie gli perforarono l’anima.
La porta venne spalancata all’improvviso, e Nyx si rese conto che c’era del fumo, nella stanza, e un calore che non era naturale. Quando il locandiere gli domandò cosa fosse successo, Nyx non rispose.
Quando aveva dato fuoco al materasso?
Si lasciò trascinare via e, sulle scale, si rese conto che i pugnali erano al loro posto nei foderi, anche se lui si ricordava di averli lanciati entrambi, e di non averli recuperati. Mentre i camerieri con i secchi d’acqua correvano a spegnere l’incendio prima che si espandesse in maniera irreparabile, Nyx spostò lo sguardo verso l’uomo che l’aveva accolto.
«Mi dispiace.» Esordì, poi si allontanò da lui, dirigendosi all’uscita. Rimontò sulla moto in mezzo a quella che era ormai diventata una bufera, e ripartì, senza voltarsi verso la locanda che bruciava.
Cosa gli stava succedendo?
Cercò Bahamut nel proprio cuore, ma la dea restò in silenzio, lasciandolo solo.
Non seppe mai per quanto tempo avanzò nella neve, ma quando la prima sfumatura di giallo comparve nella sua visuale aveva le mani congelate e la mente stordita. Aveva calcolato di essere a meno di un’ora di distanza dal suo obbiettivo, eppure aveva guidato per più tempo, ne era certo.
Che razza di giro aveva fatto?
«Concentrati.» Mormorò a sé stesso mentre scendeva dalla moto e la spingeva verso l’entrata della stazione chocobo, che sembrava deserta.
Noctis aveva detto che erano stati avvistati daemon, da quelle parti, e lui sperò che non avessero attaccato l’avamposto. Appoggiò il suo veicolo ad un albero, e la fiamma comparve sulla sua mano, bruciando ancora più intensamente nel buio della bufera.
C’erano tracce delle grandi zampe dei chocobo, e impronte umane. Niente sangue e tracce di daemon, per fortuna, pensò, eppure quella quiete silenziosa lo rendeva nervoso.
Incendiò ciò restava di un mucchio di foglie secche, e la luce si espanse nell’area.
Intorno ai cancelli c’erano tracce delle enormi zampe dei behemot e, quando uscì, vide anche i brandelli di abiti dei folletti e le bruciature velenose sulla terra.
Sentì il ruggito prima di vedere l’ombra muoversi nella neve e, nello stesso istante, gli squillò di nuovo il telefono. Rispose prima che il behemot potesse accorgersi di lui, e si ritirò dietro l’albero dove aveva poggiato la moto, lontano dalla visuale della bestia.
«Non è il momento migliore.» Sussurrò al suo interlocutore, ma la voce dell’altra parte della linea lo colpì come una coltellata.
«Nyx.»
«…Luna.»
«Hai delle cose da spiegarmi.» Proseguì lei, e lui si maledisse mentalmente. Era così ovvio che gli era sfuggito di mente: come aveva potuto pensare che lei se ne sarebbe stata buona sapendo che era in giro da solo, in un territorio che, sebbene avesse dovuto essere in pace, non lo era?
Sentì il terreno tremare mentre l’enorme bestia si avvicinava, il suono del suo respiro che superava perfino la neve.
«Lo so, e lo farò, ma davvero, non è il momento migliore.»
«Nyx! Che sta…»
Fu costretto a staccarle il telefono in faccia e a saltare via dal suo nascondiglio mentre il behemot strappava l’albero dal terreno con una sola zampata. Creò la barriera d’istinto, e le zanne della creatura vi si scheggiarono sopra.
Mentre i versi spaventati dei chocobo nelle stalle lo raggiungevano, Nyx calcolò velocemente le sue opzioni.
Rimanere, e rischiare di mettere in pericolo gli animali e i loro custodi, o cercare di raggiungere la moto tra le zampe del daemon, e guidarlo lontano.
«Beh, fanno schifo come scelte.» Distese le spalle e lanciò il pugnale mentre la barriera esplodeva intorno a lui.
Il behemot lo inseguì quando sentì il rombo del motore riempire l’aria, e Nyx lo condusse lontano, tra gli alberi che sembravano comparirgli davanti all’improvviso in mezzo alla neve.
Quando la zampa del behemot si abbatté sul terreno dietro di lui, costringendolo a sbandare, fu il suo corpo ad agire per lui. Mentre la moto scivolava sulla strada ghiacciata, lanciò entrambi i pugnali sul muso della creatura e, mentre ancora finiva di proiettarsi, gli venne naturale evocare un’altra arma, e piantarla nel muso della bestia.
Il behemot si schiantò al suolo con un ruggito soffocato e Nyx, stranito, estrasse la spada di Regis dalla sua fronte. Osservò il sangue scorrere sulla lama, e la scosse per ripulirla.
Aveva sognato quell’arma, qualche giorno prima, e si era visto entrare nel mausoleo e rubarla alla figura di pietra, per poi farla svanire in una nube cristallina. La vide svanire anche in quel momento, e si costrinse a muoversi, recuperando i kukri.
Come faceva ad avere quell’arma?
Era stato solo un sogno, si disse mentre si avvicinava alla moto.
Forse fu perché era sovrappensiero, ma non sentì il movimento nella bufera.
Qualcosa gli si schiantò contro, e l’ultima cosa che sentì prima di svenire fu il colpo contro la roccia, e il rivolo di sangue sulla pelle.
 
 
 
Note:
come tutti di certo saprete, la frase che Ardyn dice a Nyx è deliberatamente tratta dal Cavaliere Oscuro xD

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Capitolo 6
*** Era stordito, mezzo congelato e probabilmente pazzo, ma aveva ancora un compito da portare a termine. ***


CAPITOLO 6
 
-Era stordito, mezzo congelato e probabilmente pazzo, ma aveva ancora un compito da portare a termine.-
 
Ravus spostò lo sguardo, cercando di respirare il meno possibile l’odore intenso di carne bruciata.
«Sarà difficile trovare qualcosa, in questo stato.» Esordì la sua compagna, e lui sentì le labbra piegarsi in un sorriso mentre la guardava, avvolta nel lungo cappotto invernale, con l’aria contrariata.
«Eppure, Nyx ha fatto bene a bruciarla. Pensa se la notizia si fosse diffusa nel regno.»
«Sarebbe stata la causa di una guerra civile, probabilmente.»
«Già.»
La donna sospirò e si sistemò la sciarpa intorno al volto, e Ravus si trovò a pensare alla prima volta che lei gli si era avvicinata, trattandolo non più come il suo comandante, ma come un amico.
«È strano, vero?»
Lui aveva inarcato un sopracciglio, voltandosi a guardare quello che una volta era un commodoro imperiale. Era appena tornata, e la sua nave rossa si stava allontanando nel cielo chiaro.
«Cosa è strano?» Le aveva chiesto senza riuscire a trattenersi.
Lei gli aveva sorriso. «Essere gli unici due ex soldati dell’Impero qui.»
Aveva raddrizzato le spalle, nascondendo il fatto che avesse ragione. «Ogni tanto.»
Aranea gli aveva dato una gomitata amichevole. «Rilassati. L’importante è che non siamo da soli.»
E Ravus aveva pensato che era davvero bella, quando sorrideva.
«Pronto? Ci sei?» Gli schioccò le dita davanti al viso, attirando la sua attenzione.
«Certo. Hai trovato qualcosa?»
Lei scosse la testa. «No. Sembra quasi che le sia venuto in infarto, o qualcosa del genere.»
«Sei seria? Era una dea.»
Aranea si strinse nelle spalle. «Non ci sono tracce di lotta di nessun tipo. In effetti, non c’è niente.»
Ravus rifletté un attimo su quell’eventualità: era possibile che Leviatano si fosse semplicemente abbandonata sulla collina, e fosse spirata?
L’idea gli attraversò la mente all’improvviso. «Perché proprio qui?»
«Cosa?»
«Aranea, pensaci. Leviatano controlla tutti gli oceani del mondo. Perché sarebbe dovuta venire a morire qui?»
Le si illuminò lo sguardo mentre si sincronizzava sulla sua idea. «Aveva un motivo per venire qui.»
«Già, ma non è mai arrivata dove voleva.»
«Forse voleva avvertire il re di qualcosa.»
«Metterlo in guardia contro qualsiasi cosa l’abbia uccisa.»
La donna impugnò il telefono, ordinando alla sua nave di tornare. «Dobbiamo scoprire perché era qui.»
Risalirono sulla nave quando arrivò, e Ravus la osservò sbraitare ordini. Non gli mancava essere un comandante, e non gli mancava nemmeno dare la caccia a Lunafreya.
Sospirò pensando alla sorella, e si promise che avrebbe fatto pagare a Nyx il dolore che le aveva causato con la sua azione sconsiderata.
Aranea si sedette al suo fianco, strappandolo nuovamente ai suoi pensieri. «Allora, dici che dovremmo avvertire il re?»
Si strinse nelle spalle. «Non so se è il caso di caricarlo anche di questo. La regina ci ha affidato questa missione, potremmo parlare con lei.»
Lei annuì, poi sorrise quando lo vide così riflessivo. «Che ne dici se stasera ce ne andiamo da qualche parte per distrarci?»
«Tipo?»
«Non saprei. In un bar, per esempio.»
Lui sorrise. «Mi piacerebbe.»
Quando la nave li riportò alla capitale, trovarono Ignis ad attenderli.
«La regina mi ha informato della vostra spedizione. Novità?»
Si scambiarono uno sguardo, e poi fu Ravus a spiegare le conclusioni alle quali erano giunti, e l’uomo con un occhio solo annuì. «Posso aiutarvi, la biblioteca del palazzo è molto fornita, troveremo qualcosa di sicuro.»
I due soldati si lasciarono guidare dall’uomo e, una volta giunti nell’enorme ala del palazzo dedicata alla cultura, Aranea si lasciò sfuggire un fischio di ammirazione nell’osservare gli alti scaffali stracolmi di libri e volumi. «Da dove iniziamo?»
Ignis rifletté un momento, ripassando mentalmente le suddivisioni. Aveva passato molto tempo là, mentre riprendeva l’uso della vista, e aveva immagazzinato migliaia di informazioni. Indicò uno scaffale pieno di volumi neri.
«Laggiù, cercate qualsiasi cosa riguardante gli dei.»
«D’accordo.» Sospirò Aranea.
Ravus perse velocemente il conto del tempo e, mentre i libri scartati si accumulavano e quelli consultabili diminuivano, si trovò sempre più spesso a vagare con la mente, e ad osservare la donna china sui libri.
Fu quasi per caso che lo sguardo gli cadde su un passaggio del libro che stava consultando.
«Ignis, Aranea, venite qui.»
Quando loro lo affiancarono, lui indicò loro la pagina.
«Che diamine vuol dire?»
Scosse la testa, e richiuse il libro, decidendo che avrebbe chiesto a Luna di aiutarlo.
«Non lo so.»
 

 
Sbatté un paio di volte le palpebre, e incontrò solo un enorme cielo bianco. Aveva smesso di nevicare, per fortuna ma, quando mise a fuoco la visuale, si rese conto di essere quasi congelato.
La neve l’aveva coperto mentre era svenuto e, qualsiasi cosa l’avesse messo k.o. era sparita.
«Perché capitano tutte a me?» Mormorò mentre si sforzava di rialzarsi, e la fiamma appariva nella sua mano. Il suo calore era confortante, ma aveva bisogno di un posto più sicuro che in mezzo al bosco.
Gettò un’occhiata alla sua moto, ma era sommersa dalla nave accanto all’enorme cadavere del behemot, e quindi inutilizzabile. Sospirò pesantemente e sforzò le sue stesse gambe a muoversi nonostante non se le sentisse quasi più. Quando intravide la piccola caverna quasi vi crollò dentro, e rimase coricato sulla roccia gelata mentre la fiamma gli bruciava in mano. Le rocce sulla volta sembrarono quasi ridere di lui, mentre giaceva là in una grotta dimenticata da tutti.
Chiuse gli occhi per un istante, sapendo che era sbagliato e che avrebbe dovuto agire, far asciugare l’uniforme e muoversi per evitare l’ipotermia, ma si sentiva così stanco…
«Svegliati.»
La voce era quella di Ardyn, o meglio, del suo fantasma, ma il calcio che si ricevette nel fianco era terribilmente fisico, e lo fece scattare a sedere. «Che cosa vuoi?»
Lo spettro ghignò. «Non puoi morire ora.»
«Non stavo morendo. Non ho nessuna fretta di raggiungerti.»
Schernì lo spettro, eppure era segretamente lieto che l’avesse svegliato, anche se in quel modo brusco.
Perfetto, pensò, devo avere pure il cervello congelato, sono grato ad Ardyn.
Appoggiò la mano sulla roccia, trasferendo la fiamma dalla sua mano al terreno: se fosse stato fuoco normale si sarebbe spenta, ma quella continuò a bruciare, obbediente.
Nyx si tolse la giacca dell’uniforme, e l’appoggiò accanto al fuoco, lasciandola asciugarsi mentre si massaggiava le braccia. «Allora, Ardyn.» Spostò lo sguardo su di lui, pensando che era assurdo chiedere spiegazioni proprio a lui. «Perché ho la spada del re?»
«Non te lo ricordi? Te la sei presa prima di partire.» Ghignò lui, e Nyx si accigliò.
«Era un sogno.»
«Ne sei sicuro? Eppure la spada è qui con te.»
Distese una mano, e la spada comparve tra le sue mani con uno scintillio, permettendogli di esaminarla. La lama incisa, l’elsa decorata, l’ala, era lì, era lei senza dubbi.
«Perché non me lo ricordavo? Che cosa mi hai fatto?» Quasi gli ringhiò contro, e Ardyn scoppiò a ridere. «Non guardare me. Io sono solo nella tua testa, Ulric.»
Sospirò pesantemente, sfilandosi gli stivali, senza nemmeno rabbrividire nel freddo che filtrava dall’entrata. Non aveva idea di quanto tempo fosse rimasto fuori nella neve, ma era stato abbastanza da fargli perdere la sensibilità.
Si passò una mano fra i capelli, spingendo all’indietro i ciuffi ribelli, poi si ricordò di cos’era successo prima che il behemot lo attaccasse. «Luna!»
Cercò freneticamente il telefono nelle tasche, ma doveva essergli scivolato durante la colluttazione con il daemon, e la cosa lo fece imprecare pesantemente. Senza quel piccolo, di solito insignificante oggetto, non aveva modo di comunicare con la capitale, di far sapere la sua posizione.
«Luna mi ucciderà quando tornerò.» Mormorò, senza nemmeno sapere perché aveva parlato a voce alta, dato che era da solo. La risposta gli venne da Ardyn, appoggiato a braccia incrociate contro la roccia. «Se torni. È pieno di daemon, là fuori.»
«A proposito di questo.» Ecco, di nuovo a chiedere spiegazioni a qualcosa che non esisteva. «Perché sono tornati?»
Il fantasma si strinse nelle spalle. «Perché Leviatano è morta?»
«Che cosa…»
Ardyn lo interruppe. «La luce può sembrare una bella cosa a voi, Ulric. Ma ciò che vi siete dimenticati, che tutti si sono dimenticati, è che più la luce è intensa, più le ombre sono fitte.»
«Che cosa vuol dire?»
«Vedrai.» E scomparve con un ghigno, lasciandolo solo nel buio, con l’unico suono del vento ululante.
Ancora una volta, Nyx cercò la dea nel proprio cuore, ma non ricevette risposta. Che cosa stava succedendo? Bahamut era sempre stata lì, gli aveva sempre dato un segno, se ne aveva bisogno.
Sospirò e indossò l’ormai asciutta giacca, e gli stivali.
Doveva tornare alla capitale il prima possibile, scoprire che cosa aveva voluto dire Ardyn e, magari, anche perché faceva cose che non ricordava, e delle quali non si rendeva conto.
Quando uscì dalla caverna, ad accoglierlo fu la pacifica vista della stazione chocobo, scintillante nel bianco immacolato della neve che l’aveva ricoperta. Barcollando, Nyx si trascinò fino al portico e si appoggiò pesantemente al bancone.
Qualcuno doveva averlo visto, perché Wiz in persona arrivò di corsa a domandargli quale fosse il problema. Il generale piegò le labbra in un sorriso a quella domanda: sarebbe stato bello, avere la risposta, sapere da che parte iniziare.
«Il re mi ha informato dei vostri…problemi con i daemon. Quando sono tornati?» Chiese, tossendo un paio di volte per schiarirsi la gola, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.
Era stordito, mezzo congelato e probabilmente pazzo, ma aveva ancora un compito da portare a termine. Osservò l’uomo grattarsi la barba, pensieroso.
«Circa due settimane fa, i chocobo hanno iniziato ad essere agitati alla notte, quando la cometa ha attraversato il cielo.»
«Cometa?»
«Sissignore. Una luce immensa, e innaturale, viola e argento.»
Nyx annuì. «Posso fare una telefonata?»
«Certo.» Il proprietario lo guidò all’interno, dove il caldo che regnava quasi non riuscì a toccarlo, dato il freddo che gli mordeva il corpo. Osservando gli stallieri abbandonati sui divani davanti al fuoco, Nyx desiderò di poter essere a casa, con una coperta addosso e il volto di Luna davanti.
Si scoprì ad essere più nervoso di quello che doveva quando il suo interlocutore sollevò il telefono.
«Ciao.»

 
Quando bussarono alla porta, fu Prompto a correre ad aprire, trovandosi davanti la slanciata figura di Ravus. «Mi hanno detto che Luna è qui.» Esordì l’algido ex comandante, e il biondo annuì facendolo passare.
«Abbassa la voce per favore, Cid sta dormendo.» Gli chiese in un sussurro, e Ravus bloccò la spada che tintinnava ad ogni suo passo, dato che l’ultima cosa che voleva era svegliarlo un neonato, e trovarsi le sue urla assordanti nelle orecchie.
Quando entrò nel salotto, però, fu costretto a fermarsi per un istante.
Sua sorella era lì, seduta sul divano con il bambino in braccio, accanto ad una Cindy esausta, e lui l’aveva vista sorridere in quel modo solamente al suo matrimonio. «Luna, mi dispiace disturbarti, ma ho bisogno che controlli una cosa.»
Lei gli sorrise e annuì in silenzio, poi passò il bambino alla madre e lo condusse fuori dalla casa per non disturbare ulteriormente i neo genitori. «Dimmi.»
Ravus esitò un istante, senza sapere dove iniziare. Sua sorella aveva passato tutta la vita sotto il giogo degli dei e del proprio destino, e per un attimo pensò di andarsene, di lasciarla libera.
«Io e Aranea pensiamo, e Ignis concorda con noi, che Leviatano avesse qualcosa da dire a Noctis, ma che non abbia avuto l’occasione di farlo. Quando abbiamo cercato informazioni riguardo ai Siderei, nella biblioteca del palazzo, abbiamo trovato questa.» Le spiegò, porgendole il libro.
La osservò leggere la profezia, e accigliarsi sempre di più mentre arrivava alla fine.
«Speravo potessi aiutarmi a decifrarla.»
Il tonfo del libro lo fece quasi spaventare. «Non è molto chiara nei dettagli, ma…credo che annunci la fine del mondo.»
Rimasero un attimo in silenzio, e poi la suoneria del cellulare che squillava li fece sobbalzare entrambi. Ravus vide Lunafreya portarsi una mano al cuore, e un lieve sorriso piegare le sue labbra, ma quando parlò sembrava arrabbiata, e ciò gli fece capire chi ci fosse dall’altra parte del telefono.
«Ora è il momento adatto per parlare?»

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Capitolo 7
*** «Hm-hm. E io credo di essere diventata la regina di Lucis.» ***


CAPITOLO 7
 
-«Hm-hm. E io credo di essere diventata la regina di Lucis.» -

«Lo so, sono stato uno stronzo.» Ammise, scivolando con la schiena contro il bancone, ignorando che c’erano persone che vedevano il Generale Ulric comportarsi in quel modo. 
Chiuse gli occhi, ascoltando la voce dall’altro capo della linea e, per un istante, fu tutto dannatamente pacifico. Non c’era Ardyn a tormentarlo, non c’erano i daemon, non c’era la spada di Regis dove non avrebbe dovuto essere, e nemmeno una dea morta.
Solo lei.
«Non osare mai più fare una cos…»
«Luna.» Interruppe il suo rimprovero, chiudendo gli occhi. 
«…Si?»
«Ti amo da morire.» Confessò a bruciapelo, e se la immaginò sgranare piano gli occhi, e assumere quel delicato colore rosa perla che le invadeva le guance ogni volta che glielo diceva. 
«Anch’io ti amo, anche se ti comporti da stupido. Stai bene?» 
Sorrise tra sé e sé nel notare la sua voce addolcita, ma declinò la sua domanda con un’altra. «Puoi mandare qualcuno? Un behemot ha deciso che voleva usare la mia moto come materasso, non posso tornare indietro.»
Vi fu un momento di silenzio, e lui la sentì parlare con qualcuno al suo fianco, poi tornò a dedicarsi a lui. «Ravus e Aranea verranno a prenderti. Puoi non rischiare di farti uccidere per un paio di giorni, per favore?»
Rise, divertito dalla sua domanda. «Se me lo chiedi così, non posso rifiutare.»
«Bene.»
Rimasero un attimo in silenzio, e Nyx si rese conto che non voleva lasciarla andare.
Era solo una voce in un telefono, ma era Luna, e almeno non era la voce nella sua testa.
«Luna…»
«Sei sicuro di stare bene? Mi stai facendo preoccupare, se fai così.» Ammise lei, e lui si rimproverò mentalmente. Aveva giurato che l’avrebbe sempre mantenuta al sicuro, sana e salva, e felice.
Riprenditi, si ordinò, ed espirò a fondo. «Sto bene.» Mentì. «Sono solo un po’ infreddolito.»
Quando lei parlò di nuovo, gli sembrò di vedere il suo sorriso davanti al volto. «Noctis ha promesso di non mandarti più in missione, poi. Quando tornerai da me, sarà per l’ultima volta.»
Aveva una tale speranza nella voce che Nyx sentì il cuore stringersi nel desiderio di crederle.
«Non vedo l’ora.»
«Anch’io. Ci vediamo presto.»
«A presto.» La salutò, e rimase ad ascoltare il segnale della chiamata terminata pensando che sarebbe stata la cosa migliore del mondo tornare alla capitale, e restarci, senza dover passare altro tempo separato da lei.
L’idea lo colpì all’improvviso, e gli fece gelare il sangue.
Aveva dato fuoco ad un’intera taverna senza accorgersene, aveva rubato la spada del re senza ricordarsene. Che cosa sarebbe successo se le avesse fatto del male senza rendersene conto?
Quando lui ricomparve, non fu una sorpresa scoprire che stava sorridendo, divertito dai suoi dilemmi.
«Passerà tanto sangue sulle tue mani, Nyx.»
Sentì i nervi tendersi, fremere per distruggere quell’espressione soddisfatta dalla faccia di Ardyn, ma si costrinse a mantenere il controllo; se si fosse mosso avrebbe potuto fare del male a qualcuno che non c’entrava nulla, dato che lo spettro era inesistente.
«Generale, tutto bene?» La voce gentile di Wiz lo riscosse da quella trance, e si voltò verso l’uomo.
Quell’ennesima domanda lo fece scoppiare a ridere mentre si alzava.
«No, per niente.»



Quando Ravus si avvicinò al cancello, l’odore intenso lo colpì come un pugno, e la figura che lo attendeva gli fece salire un nervoso incontrollabile. 
Si avvicinò a lui a grandi passi. «Ulric!» Lo chiamò, attirando la sua attenzione e, quando lui si voltò, tutta la sua rabbia svanì. Nyx aveva un livido violaceo sul volto, l’aria stordita e si stringeva nel mantello di pelliccia a schiena curva, come se stesse sopportando un peso enorme.
Non l’aveva mai visto così, privo di quell’ironia pungente e di quella determinazione che l’aveva contraddistinto da sempre. 
«Che ti è successo?» Gli domandò avvicinandosi.
Ora, nei suoi occhi sembrava esserci un’ombra, come un mantello di nebbia sopra ghiaccio che rischiava di spaccarsi.
Nyx piegò le labbra in un sorriso mal riuscito. «A parte il behemot, e due giorni in questa puzza? Sto alla grande.»
Quella battuta gli strappò una risata, ma durò poco. «No, seriamente Nyx. Stai da schifo.»
Il generale sospirò mentre si avviavano verso la pianura dove l’aeronave era parcheggiata. «Lo so, grazie per avermelo ricordato.»
Ravus fu costretto a sostenerlo quando inciampò nella neve, e così facendo sentì che la sua pelle sembrava sul punto di prendere fuoco. «Scotti.»
«Hm.» Fu il commento appena accennato, e l’uomo si rese conto che, nonostante Nyx fosse arrogante, spesso irritante e quasi sempre sarcastico verso tutti, si sentiva male a vederlo ridotto così.
Nyx si trascinò fino alla nave, e la si sedette, appoggiando la fronte alle ginocchia e chiudendo gli occhi per un istante.
Sentì i passi marziali di Aranea, e poi la sua voce domandare a Ravus cosa gli fosse preso, e la cosa gli strappò una risata. Sollevò lo sguardo, sentendo l’emicrania riapparire in tutta la sua forza. «Hey, sono qui. Potete parlare con me.»
La donna incrociò le braccia. «Bene allora. Parla, e spiegaci perché sembra che un branco di chocobo ti abbia appena calpestato.»
«Due giorni fa, prima che chiamassi…Sono stato attaccato da un behemot. È stata una cosa facile liberarmene, ma qualcosa mi ha fatto svenire, e sono rimasto non so quanto tempo sotto la neve, durante la bufera. Credo di essermi ammalato.»
«Hm-hm. E io credo di essere diventata la regina di Lucis.» Commentò Aranea, scettica, e Ravus le diede corda. «Nyx, ti conosco da anni, non è un semplice raffreddore a distruggerti così.»
Il generale esitò un attimo, osservando i suoi interlocutori.
Escludendo Libertus, erano i suoi soldati migliori. «I daemon sono legati ad una cometa viola e argento, che ha attraversato il cielo un paio di settimane fa.» Spiegò, stringendosi nel cappotto. Vero o no, era ammalato di sicuro, e ciò non lo aiutava a mantenere il controllo sul fantasma che in quel momento stava passeggiando per la nave. «Devo scoprire di cosa si tratta, perché…»
«Perché?»
«Perché la vita di Bahamut, e quindi la mia, potrebbero essere in pericolo.» Concluse, optando per una mezza verità; in fondo, aveva solo tralasciato il fatto di essere immortale, di vedere i fantasmi, di aver rubato la spada e di aver dato fuoco senza nemmeno rendersene conto ad una locanda.
«Una cometa, hai detto?»
«Hm. Ne sai qualcosa?»
Ravus esitò un attimo. «Lunafreya sostiene che potrebbe annunciare la fine del mondo. Ne abbiamo trovato menzione in un libro, e in una profezia.»
«Luna…» Mormorò il suo nome, lasciando che gli scorresse sulla lingua come un liquore rovente in un giorno gelido. «È tanto arrabbiata?»
Fu il turno di Aranea di rispondere con un ghigno. «Tu cosa pensi? Hai lasciato tua moglie senza notizie, e le hai pure staccato il telefono in faccia. Ti conviene riprenderti in fretta, non te la farà passare liscia.»
Nyx sorrise, ignorando il fatto che Ardyn stesse accoltellando ripetutamente il conducente della nave. Era una visione, pensò, ma per quanto ne sapeva avrebbe anche potuto svegliarsi da un momento all’altro e scoprire di essere stato lui stesso ad uccidere l’uomo. Per qualche motivo, pensò, era divertente non sapere se ciò accadeva fosse reale o meno.
«È furiosa.»
«Già.»  




Quando l’aeronave atterrò nel cortile del Palazzo, Noctis lasciò andare il respiro che non si era reso conto di aver trattenuto, e sentì la mano di Victoria stringersi intorno alla sua.
Erano tutti presenti, in attesa che lui tornasse, perfino Prompto e Cindy con il piccolo Cid, ma nessuno era agitato quanto l’Oracolo, che continuava a tormentarsi le mani mentre lo sportellone si apriva.
Aranea scese per prima, ancora prima che l’apertura fosse completa, e si voltò a guardare Ravus dietro di lei. Mentre il fratello avanzava, Luna si morse il labbro inferiore, desiderando che si spostasse, che le permettesse di vedere chi c’era dietro di lui. Quando lo fece, però, le vertigini la invasero. Lui era pallido, avvolto in una pelliccia nella quale, nonostante tutto, tremava, con il volto tumefatto e, quando la guardò, sembrò non riuscire a metterla del tutto a fuoco.
Nonostante tutto le sue labbra si piegarono in un sorriso, e la sua mano si allungò verso di lei.
«Luna…»
E lei gli corse incontro giusto in tempo, perché Nyx le svenne tra le braccia.

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Capitolo 8
*** Si era aspettato uno sguardo azzurro e il sorriso amorevole di sua moglie, e invece incontrò un sorriso di scherno e occhi viola. ***


CAPITOLO 8
 
 
 
-Si era aspettato uno sguardo azzurro e il sorriso amorevole di sua moglie, e invece incontrò un sorriso di scherno e occhi viola.-
 
Noctis sospirò pesantemente e abbandonò la fronte sulla scrivania invasa dai rapporti di ogni angolo del regno. Daemon, rivolte, cataclismi, sembrava incapace di creare un equilibrio.
«Maledizione, perché nulla va mai dal verso giusto?» Borbottò, esasperato, e poi sentì due braccia delicate avvolgerlo, e il viso caldo di Victoria poggiarsi sulla sua testa.
Restò così per un istante, una mano poggiata sulle sue braccia.
«Che cosa devo fare?» Mormorò, più a sé stesso che a lei.
Lei gli posò un bacio delicato tra i capelli. «Non è questione di cosa devi fare, ma di cosa puoi fare. Sei il re, e questo ti vincola al tuo regno e al tuo popolo, ma non puoi risolvere le cose schioccando le dita.»
Noctis sollevò il viso, e lei seguì il suo movimento come un fuscello nel vento. «Se solo avessi la magia…»
La sentì irrigidirsi, e si rimproverò per aver tirato fuori quell’argomento.
«La magia ha quasi distrutto il mondo. Ringrazio che sia stata estirpata dalla famiglia reale.»
La sua regina non gradiva quell’argomento, e lui non poteva biasimarla, dato che era stato testimone del terribile potere dell’Anello, ma nonostante tutto era grato di avere ancora Nyx e la sua magia, dato che senza sarebbe stata ancora più dura placare il territorio.
«Lo so, mi spiace. È solo abitudine, è ancora insolito per me non poterci contare.»
Lei gli scivolò sulle gambe, e gli scostò un ciuffo di capelli mai domati dal viso. «Non preoccuparti. Noctis, non ti devi stancare troppo. Un buon re…»
«È sempre lucido.» Completò per lei, e si sorrisero, ma la sua espressione svanì presto.
«Devo intensificare la sicurezza intorno al Cristallo, e inviare gruppi di soldati in ogni città e avamposto.» La prese tra le braccia e si alzò, strappandole una risata mentre la conduceva al letto.
Ve la adagiò sopra come se fosse fatta di cristallo, e si abbassò a baciarla. Era adorabile, coricata là, con le guance arrossate e i capelli arruffati, ed era un’immagine che sarebbe stata solamente sua, dato che Victoria faceva sempre in modo di essere impeccabile in pubblico.
«Vieni a letto, ci penserai domani.»
Noctis le sorrise, desiderando con tutto il cuore di poterle dare la risposta che desiderava, che lui stesso avrebbe voluto darle, ma si costrinse a scuotere la testa. «Non posso, mi dispiace.»
«Ma…»
«Tesoro, sistemo solo un paio di questioni urgenti e arrivo, va bene?»
«Hm.»
«Buonanotte.» Si abbassò a baciarla di nuovo, e lei sfruttò la sua posizione di equilibrio precario per tirarlo sul letto, stringendolo a sé.
Si sforzò di allontanarsi, e le posò una mano sul volto con un sorriso colpevole. «Non posso.»
Lei sospirò, seccata, ma lo lasciò andare quando si alzò e indossò la giacca.
E nonostante lei gli sorridesse mentre usciva, Noctis non poté fare a meno di sentirsi tremendamente in colpa. Era la luce della sua vita, eppure passavano la maggior parte del tempo insieme nella sala del trono, a discutere di questioni funeste e di problemi.
Quando entrò nella sala reale, il freddo pungente della notte lo fece rabbrividire, ma si sforzò di ignorarlo sapendo che sarebbe passato in fretta.
Si sedette al tavolo che quel pomeriggio aveva accolto la riunione, e si preparò a stilare i decreti, e gli ordini che avrebbero collocato protezioni imperiali in ogni luogo abitato. Doveva essere certo che i suoi sudditi fossero al sicuro, che sapessero di potersi fidare della corona e che, soprattutto, sapessero che Lucis era l’esatto opposti di Nifheleim, che mai li avrebbe soggiogati.
Quando finì gli bruciavano gli occhi e non aveva idea di quanto tempo fosse passato, ma c’era ancora una questione che meritava la sua attenzione.
Era stato Ignis a sottoporgliela, sostenendo che doveva esserne a conoscenza, e in quel momento ringraziò la sua lungimiranza. Il libro aveva la copertina nera e sgualcita, ma le parole al suo interno erano chiare come il giorno, e il re rabbrividì mentre leggeva della cometa che squarciava i mondi.
Era forse la stessa cometa che, a sentire il rapporto di Ravus, aveva attraversato il cielo un paio di settimane prima?
Quando terminò la sua lettura, sospirò nuovamente. Aveva trentacinque anni, era re da cinque e l’intero territorio era ancora devastato.
«Tu avresti saputo cosa fare, padre.» Commentò a sé stesso, ascoltando l’eco della sua voce che echeggiava contro il marmo. Ricordava l’espressione di Regis come se fosse passato solo un giorno mentre si avvicinava a lui, con la spada in mano, pronto a trafiggere sia lui che Nyx.
Gli venne da ridere a pensare a quanto fossero stati conciati male e quel gesto, unito al gelo, gli causò una fitta di dolore al grumo di cicatrici che aveva nel petto.
«Tu hai sempre saputo cosa fare.» Sospirò con un sorriso.
Era tutto partito da suo padre: se non avesse accolto i rifugiati di Galahd, se non avesse fatto loro dono della magia, se non avesse avuto piena fiducia in Nyx, affidandogli la sicurezza di Luna, sarebbe stato tutto estremamente diverso. Ardyn avrebbe vinto, si rese conto, accettando il fatto che non sarebbe stato abbastanza forte da batterlo da solo, e il sangue reale sarebbe stato estinto.
«Grazie.» Confessò alla stanza vuota e, per un istante, un raggio di luna attraversò le finestre, posandosi sul suo viso.
Chiuse gli occhi per un istante, fece scrocchiare le dita, e riaprì il libro.
«D’accordo Nyx.» Esordì, parlando all’uomo che non era nemmeno presente, e al quale doveva tutto. «Cerchiamo di capire cosa sta succedendo agli dei.»
Fu solo quando le porte della sala reale si aprirono, quasi spaventandolo, che si rese conto di quanto tempo fosse passato, dato che Victoria lo stava scrutando con un’aria severa smorzata dai capelli arruffati dal sonno e dall’impronta del cuscino sul viso.
S’intenerì a vederla in quel modo e si arrese, richiudendo il tomo mentre si alzava.
«Va bene. Andiamo.»
 

 
C’era troppa luce.
Era ancora sepolto nella neve, sotto il cielo bianco?
Era da lì che veniva quell’atmosfera abbagliante?
Inspirò a fondo, e i suoi polmoni incamerarono un’aria familiare.
Legna bruciata, cenere.
I fiori blu di Tenebrae.
Aprì gli occhi di scatto, ferendosi con la luce improvvisa, e fu costretto ad attendere e abituarsi.
Sopra di lui c’era un soffitto familiare, di un oro così chiaro da sembrare bianco.
Conosceva quel lampadario, si rese conto, e anche la sensazione delle lenzuola sul corpo.
Dov’era?
Spostò piano lo sguardo, e vide la sua uniforme, perfettamente pulita, appesa al muro, e sul pavimento il cerchio scuro di Pryna e Umbra che dormivano l’uno accanto all’altro.
La vista dei due cani lo fece sorridere, e si abbandonò di nuovo sui cuscini.
Ecco da dove veniva il profumo di fiori, pensò respirandolo a fondo.
Era la sua stanza, la loro stanza.
Non ricordava come ci era arrivato, ma lo imputò alla febbre da cavallo che l’aveva assalito.
Si prese un istante, sentendo il movimento dall’altro lato del materasso, e poi si voltò con un sorriso.
«Ciao tesoro. Ce ne hai messo di tempo a svegliarti.»
Si era aspettato uno sguardo azzurro e il sorriso amorevole di sua moglie, e invece incontrò un sorriso di scherno e occhi viola.
Ma il fatto che Ardyn l’avesse chiamato “tesoro” lo fece scoppiare a ridere, e gli fece pensare che o era impazzito del tutto o aveva ancora la febbre.
Il suono svegliò entrambi i cani, e Pryna abbaiò prima di aprire la porta con una spalla, e correre via lungo il corridoio.
Umbra, al contrario, saltò sul letto e, scodinzolando, gli si piazzò accanto, e gli leccò un paio di volte la mano. Sembrava felice, e ciò non fece altro che strappargli un’altra risata.
Quando lei entrò dalla porta con Pryna al fianco, Umbra lo stava guardando come se fosse impazzito, e Nyx aveva gli occhi lucidi dalla febbre e dalle risate.
Si voltò verso di lei, e la sua ilarità si trasmise in un sorriso ampio. Scostando Umbra, si mise a sedere, sentendo il calore del camino invadergli la pelle scoperta.
«Ciao.» Sorrise mentre lei si avvicinava, e faceva esattamente ciò che si immaginava avrebbe fatto.
Il suono dello schiaffo fece uggiolare Umbra.
«Questo è perché ti sei comportato da idiota andandotene in giro da solo!» Decretò Luna in un misto di rabbia e sollievo, poi sospirò e si sciolse in un sorriso.
«E questo è perché sei tornato.» Gli allacciò le mani dietro al collo e lo attirò a sé per un bacio.
Nyx la afferrò per i fianchi, sentendola inarcarsi contro di lui e, per quel momento, dimenticò qualsiasi cosa che non fosse lei.
La trascinò sul letto senza staccarsi dalle sue labbra, sentendo la sua presenza come un soffio di aria gelida sul suo corpo febbricitante. Fu lei ad allontanarsi, nonostante avesse il fiato corto e le guance arrossate dopo il suo assalto, e gli posò le mani sul viso, osservandolo.
«Nyx, fermati…Che cosa ti è saltato in mente?»
Abbassò lo sguardo su di lei, imprigionata sotto il suo corpo sul letto, e appoggiò la guancia ustionata alla sua mano fresca. Sapeva benissimo di cosa stava parlando, e sapeva anche che avrebbe dovuto spiegarglielo.
«Noctis mi ha chiesto di controllare la stazione, ma non me la sono sentita di portare i ragazzi con me.» Confessò con un breve sorriso mentre si lasciava cadere al suo fianco. «Io e te abbiamo combattuto demoni per più di dieci anni, loro…sono troppo giovani. Così li ho rimandati alla capitale, pensando che sarebbe stato un compito facile, di ricognizione.»
Lei si tirò su a sedere, osservandolo. Era preoccupata, glielo leggeva in faccia, e non poteva darle torto. Allungò una mano verso di lei, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Sei così bella…» Mormorò, e lei arrossì. «Nyx, concentrati, per favore.» Lo incitò, spostando il viso a baciargli il polso, e alzando una mano per bloccare la sua.
Il suo rimprovero gli strappò un sorriso. «Va bene, scusami. Allora, quando sono arrivato era tutto tranquillo, ma poi è arrivato un behemot. E tu mi hai chiamato.»
«Oh per gli dei! Scusami! Non avevo idea…» Iniziò lei, costernata, comprendendo finalmente il perché del telefono staccato in faccia, ma lui la interruppe. «Non è successo nulla. Lo sai che per me abbattere un behemot è uno scherzo.»
La consolò, e lei ridacchiò appena. «Cosa è andato storto, allora?» Gli domandò in un sussurro.
«Forza.» Lo incitò il fantasma dietro di lei. «Raccontale di cosa hai fatto. Dille che cosa sei.»
Irrigidì la mascella, sforzandosi di non mandare al diavolo Ardyn, ma come al solito le sue parole centrarono il punto giusto, mozzandogli il fiato.
Pensare che l’avrebbe vista invecchiare, e infine morire, senza poter essere al suo fianco gli spezzò il cuore.
L’eternità senza di lei.
Si passò una mano sul viso, sentendo l’insolita sensazione pungente delle lacrime negli occhi, e lei si allarmò. «Stai bene? Chiamo il medico se vu…»
«No.» La trattenne mentre si alzava e, anche se con esitazione, lei annuì, tornando ad assumere la posizione che avrebbe sempre dovuto avere, al suo fianco.
«Dov’ero rimasto? Ah sì…Beh è un po’ imbarazzante, ma qualcosa mi ha messo ko e così sono stato nella bufera per qualche ora, e mi sono ammalato, ma ho scoperto che i daemon sono ricomparsi in seguito all’apparizione della cometa viola.» Parlò tutto d’un fiato, togliendosi almeno qualcosa dal peso soffocante sul petto che minacciava di soffocarlo.
«Sei stato irresponsabile, avresti dovuto portare qualcuno con te.» Mormorò Luna, coricandosi accanto a lui, la testa poggiata sul suo petto. Era sempre lui, il suo Nyx che profumava di cenere e casa, ma la sua pelle sembrava sul punto di prendere fuoco.
«Devi stare a letto per qualche giorno, promettimelo. Farai il bravo e ti riprenderai.»
Lo sentì ridere sui suoi capelli, e le sembrò di essere tornata indietro nel tempo, quando lei ancora non sapeva cosa sarebbe successo, e Nyx si stava infiltrando a piccoli passi nel suo cuore senza nemmeno saperlo.
La mia forza.
Chiuse gli occhi, e rimase ad ascoltarlo respirare, ignara del tormento che gli dilaniava il cuore.
«Che vuoi fare?»
Nyx spostò lo sguardo sul fantasma, e inarcò un sopracciglio in tutta risposta.
Sapeva che Luna era ancora sveglia; in tutti quegli anni assieme, aveva imparato a riconoscere ogni minimo cambiamento in lei, dal suo battito cardiaco al suo respiro. Era serena, accanto a lui.
Ardyn fece il giro del letto, facendolo innervosire.
«Puoi ucciderla ora, e risparmiarle il dolore della verità.»
Deglutì a fatica, osservando il suo personale demone appoggiare un pugnale sottile alla gola della moglie. «Sarebbe magnanimo, da parte tua, non dirle che morirà da sola, perché tu sei bloccato.»
Alzò il pugnale, e Nyx si mosse ancora prima di rendersene conto.
Roteò sopra di lei, una mano tesa, e il suono dello specchio in frantumi rimbombò nella stanza. «Nyx! Che stai facendo?!» La voce spaventata di sua moglie lo fece sospirare di sollievo, e solo in quel momento si rese conto di cos’aveva fatto sul serio.
C’era sangue, sulle sue mani, ma non era quello rosso di Luna, era argentato, e scivolava piano dai tagli che i vetri infranti gli avevano procurato.
Cos’aveva attaccato?
Il fantasma, o sé stesso?
Quando lei gli si inginocchiò davanti, prendendogli con delicatezza la mano ferita, gli sembrò di essere l’uomo più felice della terra. «Stai bene…»
«Io? Certo che sto bene, tu piuttosto, che ti è preso?» Gli domandò, osservandolo terrorizzata, ma lui non rispose; il sollievo di non averle fatto del male gli stava facendo girare la testa.
Poi lo vide, con l’aria contrariata dietro di lei. «Non puoi costringermi a farle del male.» Gli ricordò, sentendo la risata salirgli in gola.
Era lui che comandava, alla fine. E non avrebbe mai torto un singolo capello a Lunafreya, non importava chi o cosa giocasse con la sua mente.
Mentre lei lo bendava, Nyx avrebbe tanto desiderato poterle spiegare perché si comportava come se fosse impazzito del tutto, ma non riusciva a smettere di ridere in faccia ad Ardyn.

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Capitolo 9
*** -E c’era così tanto amore in quel sorriso che Nyx si commosse.- ***


CAPITOLO 9
 
-E c’era così tanto amore in quel sorriso che Nyx si commosse.-
 
«Fatto. Ora dimmi che ti è preso, in nome di Bahamut.»
Nyx abbassò lo sguardo sulla propria mano, accuratamente fasciata, e si lasciò scappare un sorriso nel notare quanto fossero fini le dita di sua moglie attorno alla sua mano.
«Oh, Luna…» Alzò lo sguardo su di lei con un sospiro. «Non posso.»
Il suo sguardo celeste s’indurì, tramutandosi da cielo primaverile a tempestoso. «Che diamine vuol dire che non puoi? Apri la bocca e spiegami perché sembri impazzito.»
Fece scivolare la mano dalle sue, poi si rialzò, appoggiandosi al bordo dello specchio distrutto. Ardyn aveva perso la sua espressione contrariata, e stava sorridendo, e la cosa gli fece venire i brividi. Se lo spettro gli dedicava quell’espressione malignamente divertita, cos’avrebbe fatto?
«Forse lo sono.» Le concesse mentre lei si muoveva come se fosse il suo riflesso, e fu pronta a sostenerlo quando lui barcollò.
Quella non era febbre, pensò Nyx; era qualcosa di diverso da una comune influenza, era come un fuoco che lo divorava dall’interno.
«Nyx…Per favore.» Lo aiutò a sedersi sul letto, e gli scostò un ciuffo di capelli ribelli dal volto. Vederlo così la terrorizzava, sembrava sospeso a metà tra la realtà e qualcos’altro che solo lui comprendeva. «Il giorno che ti ho sposato ho promesso che ti sarei stata sempre accanto, ma tu devi permettermi di aiutarti.»
E Nyx cedette. Cedette perché lei era la sua regina, perché era l’unico motivo che lo spingeva ad andare avanti, a lottare per restare ancorato alla realtà.
«Ed è il motivo per cui ti lascerai andare.»
La minaccia proveniva da Ardyn, ma la fitta al cuore veniva da Bahamut, e lo spaventò ricevere quel segnale dalla dea dopo tutto quel silenzio.
«Taci.»
«Cosa?»
Sorrise alla moglie accigliata. «Non stavo parlando con te, parlavo con…» Esitò un attimo. Lunafreya non poteva vedere il fantasma, dato che era solo nella sua mente.
«Parlavo con Ardyn.» Confessò, togliendosi un piccolo peso dal cuore, ma lei inarcò le sopracciglia e gli posò una mano sulla fronte. «La febbre è più alta di ciò che pensavo.»
Scosse la testa con una breve risata e le prese la mano, baciandone il dorso. «Luna, guardami.»
Lei lo fece e, per un istante, Nyx desiderò poterle dire che andava tutto bene, che era colpa della febbre, che in un paio di giorni sarebbe tornato tutto a posto e avrebbero avuto la vita che desideravano, insieme. Deglutì a fatica, sforzandosi di sostenere quello sguardo speranzoso.
«Da quando…da quando sono tornato, qualche settimana fa, qualcosa con la faccia di Ardyn mi perseguita. Spettro, fantasma, allucinazione, non so cosa sia. Io…» Fu come se il suo cuore s’incrinasse, e lui abbassò lo sguardo, arrendendosi all’immensità di ciò che gli stava succedendo.
«Luna, io non so più nemmeno cosa sia reale e cosa so. Vedo Ardyn accoltellare la gente e credo che sia reale e poi non lo è, penso di aver fatto qualcosa che non ho fatto e…e mentre andavo alla stazione ho dato fuoco ad un’intera locanda senza nemmeno rendermene conto.» Parlò tutto d’un fiato, sentendosi allo stesso tempo meglio e peggio, perché qualcuno condivideva il suo fardello, e perché l’aveva caricato sulle spalle di sua moglie.
«C’è un’altra cosa.» Le confessò, poi esitò un attimo. Se avesse evocato la spada e l’avesse usata per ucciderla?
Ardyn sogghignò. «Quale sarebbe il problema? Non te ne accorgeresti nemmeno.»
Sentì Luna irrigidirsi in modo quasi impercettibile. «Dimmi.»
«Ho rubato la spada di Re Regis dal mausoleo. Non me lo ricordavo nemmeno, non fino a quando l’ho usata per uccidere il behemot, e Ardyn mi ha detto cosa avevo fatto.»
Esitò un attimo, incapace di guardarla, temendo che lei l’avrebbe creduto pazzo sul serio, ma fu lei stessa a sollevargli il viso, e quando incrociò i suoi occhi gli sorrise.

E c’era così tanto amore in quel sorriso che Nyx si commosse.
«Non ho idea di cosa ti sia succedendo, ma lo risolveremo. Andrà tutto bene, finché saremo insieme.»
Lasciò che lei lo abbracciasse e nascose il viso sulla sua spalla, abbandonandosi a lei come non faceva con nessun altro. E nonostante lei fosse lì, e il suo profumo di fiori e sole lo invadesse, non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di averla già persa.
 

 
«L’Ebony è davvero così buono?»
«No, ma ieri notte non ho dormito e mi serve per tenermi sve…Oh, Iggy. Scusa.»
Noctis si grattò la testa, imbarazzato, e posò la tazza di caffè mentre l’uomo si sedeva al suo fianco con un sorriso divertito.
«Non preoccuparti, non mi offendo. È questione di gusti, in fondo.» Gli concesse Ignis, poi portò due dita sulla montatura degli occhiali e li spinse all’indietro. Il suo occhio guarito chirurgicamente ci vedeva benissimo, ma gli occhiali erano più un’abitudine. «Cosa fai ancora sveglio?»
Il re gli sorrise. «Potrei farti la stessa domanda.»
«Touché. Sono venuto a portarti una cosa che penso possa interessarti.»
«Vediamo.»
Ignis distese il foglio davanti a Noctis, e attese mentre lui leggeva, osservando il suo volto passare da confuso a curioso a spaventato.
Lui stesso aveva avuto quelle reazioni, ma d’altronde era giustificato, dato che su quel foglio si spiegava chiaro e tondo cosa aveva causato la guerra degli Astrali nei secoli antecedenti.
Quando Noctis spostò lo sguardo su di lui, era attonito. «Non è possibile, sono dei, come farebbero ad ammalarsi?»
Ignis scosse piano la testa. «C’è menzione di questo fatto solo in un breve passaggio in un altro volume, lo stesso che parla della cometa e dello squarcio nel cielo. Non è una vera e propria malattia, è più come… Esitò, cercando un modo per descrivere ciò che aveva scoperto che non sembrasse del tutto assurdo. «Come un virus che li corrode dall’interno. Ed è lo stesso che ha portato Ifrit ad aiutare gli umani prima, e a ribellarsi contro di loro poi.»
Il re rilesse ancora una volta la pagina del volume che aveva davanti.
Se davvero ciò che c’era scritto era vero, cosa significava per loro?
«Quindi Leviatano…» Iniziò, e Ignis terminò per lui. «Voleva avvertirti, immagino. È stata la prima, ma non è arrivata in tempo chiaramente.»
Noctis arrotolò il foglio e si alzò. «Iggy, ho bisogno che tu sia con il Cristallo sempre. Ti sposterai in una stanza davanti alla camera blindata, passerai ogni tua ora di veglia a controllarlo, tu o qualcuno di tua fiducia.» Decretò, l’ansia che gli stritolava il petto.
«Certo.» Concordò l’ex cuoco, seguendo il suo re fuori dalla sala del trono, lungo i corridoi bui.
Noctis sospirò mentre camminavano. «Spero che tutto questo sia solo una profezia infondata, ma se qualsiasi cambiamento compare nel Cristallo, devo saperlo subito, così possiamo agire di conseguenza.»
«Temi che…»
Alzò una mano a fermarlo. «Non dirlo. Non voglio nemmeno pensarci.»
«D’accordo.» Concesse l’uomo dai capelli castani, osservando quello che una volta era solamente un ragazzino scapestrato, e che in quel momento era un sovrano a tutti gli effetti, che prendeva decisioni facili e non, e aveva la forza di sopportarne il peso. «Noct.» Richiamò la sua attenzione, ed entrambi si fermarono nel corridoio illuminato.
«C’è un’altra cosa che ho trovato, che non ha niente a che fare con tutta questa storia, o almeno credo.»
Quella frase attirò l’attenzione del re. «Sarebbe una piacevole distrazione.» Ammise, e poi afferrò la lettera arrotolata che Ignis gli porse. Aveva il sigillo della casa reale di Lucis a chiuderla e sopra, accanto al fiocco dorato che la chiudeva, c’era semplicemente scritto il suo nome.
«Ma cosa…» Mormorò, confuso, e poi spezzò il sigillo e distese il foglio.
Noctis,
adorato figlio mio, quando leggerai questa lettera saranno passati anni dalla mia morte.
Purtroppo non mi rimane più molto tempo, ma ora che ti guardo giocare con tuo padre so che sarai in buone mani.
Fidati di lui, bambino mio, può essere severo, ma tutto ciò che fa, e che farà, sarà per il tuo bene.
Ti aspettano tempi duri, e purtroppo non sarò accanto a te per aiutarti.
E per fortuna non sarò accanto a te a vederti morire.
Il Cristallo ti ha scelto, Re della Luce, e ciò vuol dire che il tuo futuro sarà difficile.
Affidati ai tuoi amici, ai loro sorrisi e ai loro abbracci.
Non sarai mai solo, così facendo, e nessun problema sarà insormontabile.
Cammina sempre a testa alta, figlio mio.
Con immenso rimpianto e immenso amore,
                                                           Mamma
 
«Noct, stai bene?» Gli chiese morbidamente quando lui abbassò la lettera con mani tremanti.
Il re annuì, sentendo il groppo in gola stringersi dolorosamente e sforzandosi di scacciare quella sensazione pungente di pianto. «Si.» Riuscì a strapparsi dalla gola alla fine.
«Non volevo turbarti, pensavo che…»
«Iggy. Grazie.» Gli sorrise, sinceramente, e fu lieto quando lui ricambiò il suo sorriso. «Significa tantissimo per me, ed è…è l’unico oggetto di mia madre che ho.» Confessò, poi ripiegò con cura il foglio e lo ritirò in una tasca interna della giacca. Non vedeva l’ora di mostrarlo a Victoria, di farle capire che tipo di persona fosse stata quella madre della quale a malapena ricordava il volto.
«Ne sono contento. Vogliamo proseguire?»
Noctis annuì, e ripresero la loro marcia verso il Cristallo.
Prima che vi arrivassero, però, una porta si spalancò verso di loro, e Nyx ne uscì come un uragano. Esitò un istante, fermo in corridoio a guardarli, e nessuno di loro parlò.
Quando il Generale li superò senza una parola, però, Noctis si affacciò alla camera, e ciò che vide gli fece stringere il cuore. Lunafreya era sul letto, il viso coperto dalle mani, e singhiozzava, Umbra e Pryna al suo fianco che uggiolavano al dolore della loro padrona.
«Luna…» La chiamò piano, e quando lei alzò lo sguardo si sentì gelare il sangue nel vedere il livido che si stava formando sulla sua guancia. E un’incredula rabbia lo invase nel rendersi conto che solo una persona poteva averla colpita.
Uscì dalla stanza, pronto a corrergli dietro, ma Ignis lo fermò prendendolo per un braccio. «Noct, aspetta.»
«Cosa? Devo farmi spiegare cos’ha in testa!» Quasi ringhiò, ma il suo consigliere stava scuotendo la testa.
«Non avrebbe senso parlare con lui ora. Non hai visto i suoi occhi?»
«Cosa c’entra?» Domandò Noctis, ma la sua furia si placò sotto la voce pacata di Ignis quando la sua mente gli ricordò che la sua logica vinceva sempre su tutto.
«Erano argento, non del suo colore naturale. Nyx ha ritenuto di dover evocare Bahamut, per qualche motivo.»
 

 
Chiuse gli occhi, arrendendosi a ciò che doveva fare.
È per il suo bene.
«Questo è il problema.» Mugolò, e lei si allontanò il necessario per guardarlo negli occhi. «Quale problema?» Gli domandò, confusa, e lui riaprì gli occhi, osservandosi le mani.
Impugnava i kukri, e per un istante si vide alzarsi e piantarli dritti nel cuore della donna davanti a lui, ancora e ancora. Gli venne la nausea a quel pensiero, e rafforzò solo il dovere di ciò che stava per fare.
«Non possiamo stare insieme.» Terminò, e fu come se sentisse la vita defluire da lei, che si allontanò di scatto da lui, esterrefatta. «Se è Ardyn che ti fa dire questo, riprenditi. Noi dobbiamo stare insieme, io voglio aiutarti, e…»
«Non puoi.»
Non è al sicuro con te, si ripeté mentre si alzava senza degnarla di uno sguardo.
«Nyx, cosa stai dicendo? Sono io, sono tua moglie, è ovvio che voglio stare al tuo fianco.»
Eccola lì, si rese conto, come in battaglia.
L’occasione perfetta per affondare il pugnale e uccidere.
Si maledisse in ogni lingua che conosceva, e si ripeté ancora che era per il suo bene. Ma lei l’avrebbe mai perdonato?
Indossò l’uniforme, prendendosi un po’ di tempo.
La sentiva alle sue spalle come una calamita, che esercitava su di lui una forza inarrestabile.
«Io non voglio che tu ci sia.» Faceva più male di ciò che si era aspettato, notò quando gli si mozzò il fiato dopo aver parlato.
È meglio così.
«Nyx, guardami, per favore…» Aveva un tono di voce diverso, ora, spezzato, come se stesse trattenendo le lacrime, e Nyx si sentì morire. Niente aveva fatto così male, né il fuoco degli dei, gli spari, nemmeno essere trafitto tredici volte, niente era così doloroso come parlarle in quel modo.
Quando finì di allacciare l’uniforme e non si voltò, sperò che lei non facesse ciò che temeva.
Sarebbe stato troppo conveniente, però, se lei non si fosse mossa, e invece gli prese un polso, cercando di spingerlo a girarsi, a guardarla, a darle spiegazioni.
E lui estirpò la dea dal suo cuore e la usò per fare ciò che doveva, che non aveva la forza di fare.
Bahamut non comprendeva le emozioni umane.
«Stammi lontana!»
Sollevò la mano di scatto e la colpì al viso, e la forza del colpo fu tale da scaraventarla sul letto.
Quando incrociò brevemente il suo sguardo si sentì definitivamente andare in frantumi.
Lei era tutto il suo essere, e ora stava piangendo per colpa sua, e la sua pelle chiara si stava arrossando per colpa sua.
«Visto? Alla fine le hai fatto del male.» Lo schernì Ardyn, e Nyx sollevò una mano quasi distrattamente, spedendo il fulmine a bruciare la parete dietro lo spettro.
«Nyx…»
Un’altra pugnalata al cuore.
È meglio così.
Allontanandola così avrebbe evitato di farle ancora più male.
Spalancò la porta della camera, sentendosi soffocare.
Ogni suo singhiozzo era come dolore fisico inflitto sul suo cuore.
Davanti alla porta, però, incrociò Ignis e il re, ed esitò un attimo, consapevole di ciò che avevano visto, e di cosa avrebbero pensato.
La terranno lontana da te.
Li superò senza una parola, allontanandosi quasi di corsa dalla donna piangente nella loro stanza.
«Nyx!»
L’eco del suo urlo disperato lo trafisse, e lui seppe che l’avrebbe ricordato per tutto il resto della sua infinita vita.
Perdonami, ti prego.

 
 

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Capitolo 10
*** L’aveva chiamato come se fosse stato la sua unica possibilità di salvezza. ***


CAPITOLO 10
 
-L’aveva chiamato come se fosse stato la sua unica possibilità di salvezza.-
 
Gli cedettero le gambe mentre scendeva le scale, e crollò contro il muro, gli occhi chiusi, sforzandosi di respirare anche se l’aria sembrava diventata improvvisamente pesante.
Più ne inalava più rischiava di soffocare.
Sentiva distrattamente i movimenti e i passi al piano di sopra, ma il richiamo di Lunafreya continuava ad echeggiargli nella mente.
«Fallo smettere…» Mormorò a nemmeno lui sapeva chi, scivolando contro il marmo.
Non aveva mai alzato un dito su di lei, e ora l’aveva ferita sia fisicamente che emotivamente.
Chiuse la mano a pugno e la batté contro il marmo gelido, frustrato, più e più volte, finché le bende che lei gli aveva applicato non furono piene di sangue.
Imprecò sonoramente e le strappò con rabbia, e ciò che vide lo rese solo più furioso. I tagli che il vetro gli aveva inflitto si chiusero sotto i suoi occhi, sparendo come se non fossero mai esistiti.
«Va bene così. Starà bene.» Si ripeté ancora, e ancora, ma alla fine sentì qualcosa scivolargli lungo una guancia. Si sfiorò la pelle con due dita, e scoprì che quel qualcosa che aveva sentito erano lacrime.
Da quanto tempo non piangeva?
Ricordava che nemmeno alla morte di sua madre e sua sorella aveva pianto, troppo impegnato ad incolparsi. Aveva sempre preferito sostituire il dolore con un’emozione diversa, qualcosa che gli impedisse di crollare, ma ora cosa gli restava?
Appoggiò la testa al marmo freddo.
Lunafreya era l’unica persona in grado di spingerlo ad essere un eroe, e l’unica in grado di ridurlo così, e la sua voce continuava a rimbombargli in testa.
L’aveva chiamato come se fosse stato la sua unica possibilità di salvezza.
E lui le aveva voltato le spalle.
«Nyx!»
«Basta!»
«Da questa parte.»
La voce severa di Noctis lo raggiunse, e spedì una scossa elettrica nel suo corpo che lo spinse ad alzarsi. Doveva andarsene da lì, ed evitare di rivedere il viso ferito di sua moglie.
Si asciugò rabbiosamente le lacrime, maledisse Bahamut e il suo averlo reso immortale, e continuò la sua discesa sulle scale, ma ben presto si accorse che c’era qualcos’altro che non andava, e anche se sembrava febbre, era certo che non lo fosse.
«…voglio aiutarti…»
Sentì i passi mentre spalancava la finestra sulle scale, e la sua presenza lo colpì come una frusta.
«Sono tua moglie.»
«Fermati, ti prego!» Lo supplicò, e lui fu costretto a trattenere il fiato mentre il dolore lo colpiva.
Se solo potessi capire.
Saltò sul davanzale e abbassò lo sguardo sulla città sotto di lui.
«Nyx!»
Ad ogni eco l’emicrania sembrava aumentare. Perché non smetteva? Perché quella voce continuava a spaccargli il cuore?
«Ulric, scendi da lì.» Gli ordinò il re, e quel tono autoritario gli strappò un ghigno involontario.
Si voltò verso il gruppo che lo osservava.
Ignis, silenzioso e calcolatore, un Noctis furioso, un paio di soldati, e poi lei.
Lei con gli occhi arrossati di pianto, la guancia livida.
Tutto per colpa sua.
«Come intendi fermarmi, Altezza?» Lo schernì, sforzando di distogliere lo sguardo dalla moglie.
Voleva solo andare via, lontano dal suo viso, lontano dalla prova che le aveva fatto del male quando aveva giurato che non l’avrebbe mai fatto.
Lontano da ciò che testimoniava il fatto che l’aveva delusa.
«Io…»
«Nyx, per favore.» Lo interruppe lei, facendo un passo avanti e attirando nuovamente la sua attenzione, e Nyx fu costretto a mordersi una guancia per mantenere un’espressione impassibile.
Dentro stava urlando, e tutto il suo corpo non voleva altro che muoversi, andare da lei e chiederle mille volte perdono per il dolore che le aveva causato.
«Che cosa vuoi?» Le chiese bruscamente, anche se l’immagine del brutto livido sul suo volto lo stava mandando fuori di testa.
Cancella tutto, ti prego.
Lei assecondò il colpo della sua voce rabbiosa, ma era testarda, e non si fece intimidire.
«Rivoglio il mio Nyx.» Gli confessò, schietta, e lui dovette sforzarsi di non boccheggiare.
Cielo, quello faceva male, ammise; lei non lo considerava più nemmeno la stessa persona, e non poteva darle torto, non era sé stesso. Era qualcosa di diverso, di instabile e pericoloso, soprattutto per lei. Così affondò nuovamente la lama, nel cuore di sua moglie e nel proprio.
«Ma guarda…» Ardyn, al suo fianco, gli sorrise.
«Il tuo Nyx non desidera altro che ucciderti.»
 Le voltò nuovamente le spalle, estrasse il kukri e saltò. Mentre il vento lo avvolgeva, la risata dello spettro gli riempì le orecchie, e gliene fu assurdamente grato, dato che cancellava tutti gli altri echi.
«…Ho vinto.»
 

 
Fu una mano fredda a trascinarla indietro, lontano dal davanzale, e lei si rese conto di chi fosse solo quando vide il viola del braccio metallico.
«Che sta succ…» Iniziò a domandare Ravus, ma la voce gli morì in gola quando vide il viso della sorella. L’afferrò per le spalle, e i suoi occhi divennero di ghiaccio. «Luna, è stato Nyx?»
«Lui…» Iniziò a parlare, ma il nodo in gola si strinse dolorosamente, e lei scoppiò in lacrime contro il petto del fratello, artigliando la stoffa della felpa invernale che indossava fuori servizio. «Io non…»
«Non parlare.» Sussurrò Ravus, stringendola s è, e sentendola così fragile, mentre tremava contro di lui. Alzò lo sguardo sul re, e Noctis scosse la testa e si strinse brevemente nelle spalle, ad indicare che nemmeno lui capiva cosa fosse successo. Poi gli fece un cenno, e lui e il resto del gruppo si congedarono, lasciandoli soli. Sentì Ignis parlare, ma tutta la sua attenzione si concentrò sulla donna distrutta tra le sue braccia.
«Luna…Vieni, andiamo via da qui.» La incitò gentilmente, e lei lo seguì senza una parola. Aveva smesso di singhiozzare, ora, e forse quel dolore silenzioso era ancora peggio. Badando ad evitare quanta più gente possibile, la guidò in una stanza da letto vuota, e la fece sedere sul materasso.
Non disse nulla mentre prendeva un asciugamano bagnato di acqua fredda, ma promise che Ulric avrebbe pagato quel gesto decisamente caro.
S’inginocchiò davanti a lei, che se ne stava silenziosa a fissare il pavimento mentre lente lacrime le bruciavano il viso, e le sfiorò una mano. «Luna…»
Il suo richiamò sembrò attirare l’attenzione, perché i suoi occhi si spostarono sul suo viso, e lei fu costretta a soffocare un singhiozzo portandosi una mano al volto.
Ravus irrigidì la mascella e, con estrema delicatezza, le posò il panno bagnato sulla guancia ferita, facendola sussultare. «Te la senti di dirmi cos’è successo?»
Lei esitò un attimo, gli occhi fissi su di lui, e gli sembrò di vederla mentre rimetteva insieme i pezzi di sé stessa. «Andava…più o meno tutto bene. Poi Nyx ha iniziato a dire che fa cose che non ricorda, che vede Ardyn, e poi…poi…» Crollò di nuovo, e Ravus fu svelto a sostenerla prima che gli si spezzasse davanti agli occhi. «Non importa, non parlare se non te la senti.»
Lei annuì solamente, le mani strette intorno alle sue, e per un momento lui fu grato che stesse stringendo la mano metallica, perché era sicura che gli avrebbe stritolato le dita.
Si alzò e le posò un bacio sulla fronte. «Riprenditi, sorellina, cercherò qualcuno che venga da te subito.»
Quando fece per allontanarsi, però, lei lo trattenne. «No!»
Inarcò un sopracciglio, osservandola, ed eccola lì, quella fibra di metallo che era il centro del suo essere, quel nucleo compatto che le aveva permesso di essere abbastanza forte da accettare il suo destino di condannata a morte anni prima. «Lo so dove vuoi andare, e non ti permetterò di farlo.»
«Luna, non puoi aspettarti che non faccia nulla.» Le disse, sentendo la sua stessa voce mutare nel tono gelido che usava quando serviva sotto l’Impero.
Sua sorella abbassò lo sguardo sulle loro mani strette. «Quello non è Nyx. Non so chi o cosa sia, ma non è mio marito.» Mormorò, e Ravus si chiese se fosse un modo per convincere lui, o sé stessa, che Nyx non le avrebbe mai fatto del male se fosse stato lucido. Sospirò e si avvicinò a lei, togliendole i capelli dal viso. «Luna, non andrò da Nyx, promesso. Ma devo vedere il re, quindi…»
«Vengo anch’io.»
«No, tu devi riprenderti.»
«Sto bene.» Tagliò corto lei, e lui si ricordò che era una principessa, e una guerriera, e non solo sua sorella minore. Non era fragile, pensò, era fatta di acciaio e fuoco incandescente, era una stella che bruciava nel buio.
Si arrese al suo sguardo severo. «Va bene, andiamo.» Le concesse, e insieme uscirono dalla stanza, e si recarono alla sala del trono, ma Ravus non poté fare a meno di notare che lei non gli lasciò la mano finché le porte non si aprirono.
In quel momento, e lui si chiese come ne fosse in grado, il suo contegno regale prese il controllo, e lei s’inchinò brevemente davanti al lungo tavolo che ospitava la riunione improvvisata.
«Lunafreya! Stai bene?» La domanda provenne da Victoria, che si alzò per accoglierla, e controllò brevemente il livido.
E miracolosamente, fu in grado di sorriderle. «Si vostra grazia, sto bene.»
Si sedette accanto a lei, e ascoltò Ignis spiegare a coloro che erano riuniti cos’avevano scoperto lui e Noctis, del virus di Ifrit, come l’avevano chiamato, che spingeva gli dei a commettere azioni insensate. Nonostante quella fosse una buona notizia, che dimostrava che il problema era Bahamut, Luna stava ascoltando solamente in parte.
L’altra riviveva, in un tormentato flashback continuo, l’immagine di Nyx che si voltava, la sensazione della sua mano che la colpiva con una violenza sconosciuta, la sua voce tagliente che le ordinava di stargli alla larga.
«Il tuo Nyx non desidera altro che ucciderti.»
Strinse la mano a pugno sulla propria gamba, sentendo il suo intero essere tremare, ma subito dopo un’altra mano coprì la sua, e lei sollevò lo sguardo sulla regina.
Victoria non la stava guardando, ma la sua mano la stringeva come se sapesse che in quel momento aveva bisogno di un appiglio.
E così lei ricambiò la stretta, e restò con lo sguardo basso ad ascoltare ciò che succedeva intorno a lei, e la voce di Nyx che diceva di non volerla più.
Ogni volta che ci ripensava era come una nuova ferita, e sempre più sangue ne sgorgava fuori.
Era insensato.
Nyx era tutto, per lei.
Era l’uomo che l’aveva salvata senza nemmeno conoscerla.
Era l’uomo che aveva deciso di morire perché credeva in lei, che era morto con lei.
Si era svegliata da poco, e si sentiva esausta.
Lui era entrato come una furia nella stanza, ignorando il fatto che vi fossero i medici, e i loro sguardi si erano incrociati. L’aria fuori odorava ancora di cenere e fuoco, eppure il suo sorriso le infuse nuova vita.
Si era precipitato su di lei, le aveva preso il viso fra le mani e l’aveva baciata con una gioia e un bisogno così grandi da lasciarla senza fiato.. Quando si era allontanato, si sarebbe aspettata di tutto, a parte ciò che lui le disse.
«Ti amo.»
«Luna?»
Scosse la testa, scacciando quel ricordo, e sollevò il viso sul fratello. «Cosa?»
Mormorò, sentendo la sua voce fragile. Senza Nyx, era come essere senza una parte vitale di sé stessa, perfino respirare le era difficile, e il suo cuore si sforzava di continuare a pompare sangue.
«Abbiamo chiesto se pensi di poter sapere dov’è andato.»
Esitò un attimo, e ogni pensiero fu come una coltellata. C’erano tanti posti che raccoglievano i loro ricordi, ma ben pochi ad Insomnia. Sospirò e strinse ancora la mano della regina, che ricambiò la sua stretta, come per farle forza.
«Non lo so. Credo…credo che dovreste prima di tutto controllare se è ancora in città.»
«Giusto. Ravus, raduna le guardie reali, perlustrate la città.»
Quando il fratello si alzò, un brivido gelido le corse lungo la schiena, e lei gli afferrò una mano prima che si allontanasse. Quando posò i suoi occhi su di lei il suo sguardo si ammorbidì.
«Cosa c’è?»
«Fai attenzione.» Lo pregò, ma quel presentimento non voleva saperne di andarsene.
Sarebbe successo qualcosa di brutto.
Noctis si alzò, e con lui Ignis e Gladio, che era rimasto in silenzioso ascolto, ma che parlò in quel momento. «Noct, dovremmo procurarci degli inibitori magitek. Nyx potrebbe ucciderci tutti, se volesse, ma se gli togliamo la magia…»
Il sovrano annuì, ed esitò un istante davanti alle porte d’uscita, voltandosi a guardare le due donne rimaste.
«Luna, ti prometto che qualsiasi cosa gli stia succedendo, la risolverò.»
Lei annuì e loro uscirono, e solo Victoria fu presente per vederla crollare di nuovo.
«Noct, cosa pensi che gli sia successo?» Domandò Gladio, marciando al fianco del re.
Noctis scosse la testa e sospirò. «Non lo so, ma voglio scoprirlo.»
«Dobbiamo fare attenzione.» S’intromise Ignis. «Anche se gli togliessimo la magia, Nyx resta comunque un guerriero formidabile.»
Il re sospirò di nuovo, sentendo il cuore sprofondare. «Quando l’eroe più grande cade, diventa il peggiore dei demoni.»
«Già.»

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Capitolo 11
*** Era stato involontario andare lassù, dove tutto era iniziato. ***


CAPITOLO 11
 
-Era stato involontario andare lassù, dove tutto era iniziato.-
 
Alla sera, Noctis si ritrovò di nuovo nella sala del trono, e accanto a lui i suoi compagni di sempre.
Avevano passato così tanto, insieme, e lui avrebbe solo voluto concedere loro la pace che aveva promesso e che sembrava irraggiungibile.
«Mi dispiace.» Esordì, e tre paia di occhi si spostarono su di lui.
«Per cosa?» Domandò Gladio, inarcando le sopracciglia, e quella domanda strappò un sorriso al re, che fece un cenno con la mano. «Per tutto questo. Vi avevo promesso che avrei riportato la pace, ma prima i resti dell’impero, ora il ritorno dei daemon e…Nyx.»
Il nome del generale echeggiò nella sala di marmo, e rimasero in silenzio un attimo.
Fu Prompto ad interrompere quell’atmosfera cupa con un sorriso. «Non incolparti, Noct. E qualsiasi cosa gli sia successa sono sicuro che, con o senza il nostro aiuto, la risolverà. È Nyx, risolve sempre tutto.»
Gli sorrise, lieto che almeno qualcuno di loro fosse così ottimista, ma non riusciva a crederci sul serio: aveva incontrato Luna quel pomeriggio, sotto la supervisione di Victoria, e lei gli aveva raccontato, anche se a fatica, cos’era accaduto qualche ora prima. Aveva ceduto quando era arrivata alla fine, e senza aggiungere un’altra parola si era congedata, lasciandoli soli.
I suoi singhiozzi dal bagno erano ancora chiari nella sua mente.
«Se ciò che Ignis ha scovato corrisponde alla verità il vero problema è Bahamut.» Continuò, cercando di concentrarsi sui problemi attuali, di renderli più terreni possibile.
«Ma non possiamo fare nulla. Danneggiare il Cristallo danneggerebbe Nyx, e viceversa.» Commentò Gladio, e Ignis annuì, prendendo la parola. «L’unica traccia di questo virus è Ifrit, e il suo inspiegabile cambiamento di pensiero verso il genere umano.»
«Sappiamo cosa l’ha causato, e se è curabile?»
L’uomo scosse la testa e si sistemò gli occhiali. «Non è documentato da nessuna parte un eventuale tentativo di curarlo, se così si può dire. Quindi, purtroppo, camminiamo nel buio.»
Noctis si passò una mano sul viso, frustrato. Se solo avesse avuto qualche informazione, qualsiasi cosa che potesse aiutarlo a dare una speranza alla donna ferita al piano di sopra, ma non aveva niente.
Sentì una mano sulla spalla, e voltandosi incontrò il sorriso solare del suo migliore amico. «Ho un’idea.» Esordì, e il re sorrise, in attesa di sentire qualcosa di strampalato.
«Ravus ha ancora gli inibitori magitek, giusto?»
«Esatto. E con ciò?»
«Bloccano la magia, il che significa che hanno un qualche tipo di risonanza con essa. Cindy potrebbe essere in grado di modificarli in modo che rilevino eventuali fonti magiche, cioè Nyx.»
L’unico occhio sano di Ignis s’illuminò all’idea. «Così facendo potremmo localizzarlo, e neutralizzarlo in seguito. È un’ottima idea, in effetti.»
«Si! Lo sapevo che sarebbe servito!» Esultò il biondo, soddisfatto, e Gladio gli tirò una pedata scherzosa sotto il tavolo. «Non esaltarti troppo, biondino. Resta una questione da risolvere, Noct.»
Il sovrano sentì il timido entusiasmo che l’aveva colto appassire; il suo Scudo aveva ragione, restava ancora la questione di come applicare effettivamente gli inibitori magitek addosso ad un uomo che poteva svanire come e quando voleva, e che aveva la magia.
Sospirò, esasperato. Solo con loro, e con Victoria, si permetteva di mostrare le incertezze che gli stringevano il cuore. E con Nyx, pensò, Nyx che gli aveva salvato la vita, Nyx che aveva sempre avuto la soluzione a tutto e che ora era il problema.
Ignis aveva avuto ragione, quel pomeriggio. Per qualche ragione, il generale aveva evocato la dea, e ciò significava, forse, che una parte di lui era ancora presente, e lucida. Aveva avuto bisogno di Bahamut per ferire Luna, perché lui non ne sarebbe mai stato in grado.
Si alzò bruscamente, facendo sobbalzare i presenti, e si ricompose.
«Ignis, Prompto, andate a cercare Ravus, fatevi dare gli inibitori. Se dorme, svegliatelo, se è di riposo, annullatelo. E ringrazia Cindy da parte mia.»
Entrambi gli uomini si alzarono, obbedienti, e Prompto annuì. «Sempre se riuscirà nell’intento.»
Lo corresse, e poi uscirono, lasciando soli il re e il suo Scudo.
«Gladio.»
«Si?»
«Riusciresti a battere Nyx in duello?»
Ci fu un attimo di esitazione, e Noctis vide l’uomo dai capelli neri accigliarsi e abbassare lo sguardo. Odiava dover ammettere le proprie debolezze. «…No.»
«Allora vai dalle guardie reali. Raduna tutti i soldati, chiama Cor. Ho bisogno che, se si rivelerà necessario, possano resistere contro Nyx finché non sarà abbastanza esausto da permetterci di avvicinarci e bloccarlo.»
«Lo sai che è una pessima idea, vero?»
«Forse.» Concesse Noctis con un sorriso. «Ma mi raccomando, dev’esserci il maggior numero di persone che Nyx conosce in quel gruppo. Se ho ragione, non ci farà del male.»
Gladio si grattò distrattamente la barba. «E se non ce l’hai?»
«Moriremo tutti.»
 

 
«Sono fiero di te Nyx. Non me l’aspettavo.»
La voce di Ardyn gli giunse così familiare che non aprì nemmeno gli occhi, e restò dov’era, la schiena appoggiata al grande acquario a colonna.
Probabilmente non era stata una bella idea andare nel punto più alto del palazzo, in quel balcone enorme che permetteva di vedere tutta la città, e il suo splendore gelato nella neve.
Era stato involontario andare lassù, dove tutto era iniziato.
«Non ci hanno presentati come si deve, stamattina.»
Si accigliò, sentendo quell’infido dolore farsi strada nel suo cuore.
Lunafreya aveva avuto una voce così pacifica, allora, avvicinandosi a lui per la prima volta.
«Nyx. Nyx Ulric, mia signora.»
Si prese la testa fra le mani con un gemito. «Fallo smettere.»
«Nyx!»
Sarebbe stato in grado di vivere per sempre con quei ricordi che gli balenavano nella mente?
«Ti prego, fallo smettere.» Aprì gli occhi e alzò lo sguardo sullo spettro che gli stava sorridendo con aria crudelmente divertita.
«Può smettere, Nyx. Arrenditi.»
Quelle parole lo fecero rabbrividire violentemente mentre s’immaginava come sarebbe stato, se avesse ceduto.
Noctis che arrancava verso di lui, soffocando nel suo stesso sangue.
Si vide bruciare la città, vide le sue lame mietere vittime, conoscenti e stranieri in egual misura.
Libertus agonizzante ai suoi piedi, gli occhi sempre più opachi.
Avrebbe fatto tutto ciò che voleva, perché gli andava di farlo, e nessuno l’avrebbe fermato.
Il sangue di Lunafreya che scivola lento dalla lama dei kukri.
«Non ci sarà più dolore. Solo esaltazione.»
Socchiuse gli occhi mentre Ardyn parlava con quel tono seducente.
Era difficile non dargli retta, quando si sentiva sul punto di prendere fuoco, e ogni fibra del suo essere sembrava in frantumi, schegge di vetro che gli trafiggevano il cuore ad ogni respiro.
«Non voglio far loro del male.»
«L’hai già fatto, Nyx. Pensi che picchiare tua moglie non si sia riflesso su di loro?»
Abbassò lo sguardo sulla fede nuziale che gli scintillava al dito, e si sentì un mostro.
«L’ho persa, vero?» Chiese, allo spettro, e a sé stesso, e la risposta gli giunse da una fonte che aveva quasi dimenticato di possedere.
La voce profonda di Bahamut gli fece tremare l’anima, e lo fece infuriare.
«Era ora che ti facessi sentire.» L’accusò, e notò distrattamente che Ardyn era sparito appena lei aveva parlato.
Era sempre lei, la dea che gli aveva salvato la vita, ma era anche la dea che gliel’aveva rovinata.
L’ascoltò parlare, e la maledisse per ciò che gli aveva fatto, ma poi lei gli mostrò il problema; l’immagine del Cristallo gli scintillò davanti agli occhi, ma nella sua luce ora c’era una macchia nera che si espandeva sempre di più, tentacoli di follia che corrodevano la sua brillantezza.
Quando l’immagine svanì, lo lasciò stranito.
«Che cos’era?»
«La Piaga delle Stelle.» Sogghignò Ardyn, e Nyx sentì la dea ritirarsi in un angolo del suo cuore, sottomessa a quel buio che li stava contaminando entrambi. Eppure continuò a sussurare e lui, nonostante non comprendesse appieno le sue parole, ne colse il nucleo.
«Ci stai trasformando in demoni.» Notò Nyx, senza provare nessuna emozione particolare.
Era un dato di fatto.
Il fantasma sorrise, consapevole di cosa stava succedendo. «Non io. Io sono solo nella tua testa, ricordi?»
A quel commento, il generale rise tra sé e sé. «Giusto, magari ci credi se continui a ripetertelo.»
Sogghignò nel vedere Ardyn sorpreso che lui avesse capito, e poi sospirò, abbandonandosi nuovamente contro il vetro. Non aveva senso lottare, pensò, se lei non era al suo fianco, e lui aveva fatto in modo che non lo fosse mai più.
In quel momento voleva solo che il dolore svanisse.
«Com’è stato, per te?» Gli chiese, curioso, e lo spettro comprese la sua domanda, e colse l’occasione che Nyx gli aveva deliberatamente offerto.
«Esaltante. Così tanto da dare alla testa, veramente. La sensazione di stringere il mondo tra le tue mani, e nessun altro tipo di emozione. Non c’è dolore, Nyx. Mai più.»
L’uomo si passò una mano fra i capelli. «Non sembra male.»
«Per sempre è un tempo molto lungo, Nyx. Lascia che ti mostri quanto può essere divertente.» Commentò Ardyn, e poi gli tese una mano.
Nyx la osservò un attimo senza muoversi.
Era bellissima, mentre avanzava verso di lui con le guance arrossate, avvolta in quell’abito da sposa che aveva fatto modificare come tributo verso di lui. Bianco, e viola, e l’argento del diadema.
Quella volta, il dolore fu così forte che dovette artigliarsi il petto con una mano all’altezza del cuore per accertarsi che stesse ancora battendo.
«D’accordo.»
Ricambiò il sorriso dello spettro, e strinse la mano che gli veniva porta.
 

 
«Vai tu a controllarlo, per favore?» Gli domandò sommessamente quando il suono del pianto tagliò l’aria, e Prompto annuì, spostandosi nella stanza adiacente per andare a controllare il figlio.
Cindy ne approfittò per terminare velocemente il lavoro che stava compiendo, e poi afferrò il telefono che teneva in tasca.
È pronto.
Sospirò, chiedendosi ancora una volta se stesse facendo la cosa giusta.
Quando era venuto da lei, però, l’aveva quasi supplicata, e lei non aveva potuto negare ciò che chiedeva.
Grazie. Ci vediamo domani.
Ritirò il telefono appena le giunse la risposta, e fece scivolare l’inibitore in tasca, estraendo quello incompleto mentre il marito tornava nella stanza. Gli sorrise, intenerendosi nel vederlo con Cid in braccio, nuovamente addormentato, e si sentì un po’ meno in colpa. Forse, pensò, il suo gesto avrebbe evitato spargimenti di sangue.
Prompto si sedette sulla poltrona davanti a lei, osservandola lavorare. Era tarda notte, ormai, ma erano entrambi ancora svegli. «Allora, a che punto sei?»
Lei esitò un attimo, incerta sulla risposta da dargli. Alzò lo sguardo su di lui, e ricevette in cambio un sorriso dolce che le fece stringere lo stomaco.
«Purtroppo è più complicato del previsto. Mi ci vogliono ancora un paio di giorni.» Rispose alla fine, sperando che gli fossero sufficienti per sistemare le cose.
«Non strafare tesoro, d’accordo?»
Sorrise alla sua premura. «Va bene, non preoccuparti. Vai a dormire se vuoi, non voglio costringerti ad una notte in bianco.»
Per tutta risposta, e dimostrando una notevole abilità, Prompto sorresse il figlio con un braccio e impugnò l’inseparabile macchina fotografica con l’altra. Le scattò una foto all’improvviso, e le strappò una risata.
«Perché l’hai fatto?»
Lui sorrise, e la sua risposta la fece arrossire. «Sei ancora più bella quando lavori.»

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Capitolo 12
*** Era una super nova, pronta ad esplodere. ***


 CAPITOLO 12
 
-Era una super nova, pronta ad esplodere.-
 
Il rumore gli giunse all’improvviso, distraendolo dalla pace che regnava nella casa.
Estrasse i pugnali, ne usò uno per proiettarsi accanto alla porta e, appena quella si aprì e l’intruso fece il suo ingresso, gli appoggiò l’altro alla gola.
«Sapevo che ti avrei trovato qui.»
Quella voce lo lasciò interdetto, ma abbassò l’arma e fece un passo avanti. «Libertus?»
Il suo amico d’infanzia entrò con cautela, guardandosi intorno, e fece finta di non notare il fatto che l’unica cosa intera nella casa fosse la poltrona. Quando la città era stata ricostruita, il re aveva provveduto a riparare anche i quartieri delle guardie reali e, anche se erano per lo più disabitati, era stato il primo posto al quale aveva pensato, e il segnalatore gli aveva dato ragione.
«Come mi hai trovato?» Gli domandò Nyx, spostandosi per farlo entrare mentre ritirava i pugnali.
Avevano combattuto a lungo insieme, pensò Libertus, guerre di ogni tipo, ma il suo migliore amico non era mai stato così schivo, né così feroce nell’accoglierlo.
Si strinse nelle spalle e lo osservò muoversi tra i mobili distrutti, chiedendosi cos’avesse causato quell’impeto distruttivo. «Ho solo pensato che saresti tornato nell’unico posto dove nessuno sarebbe venuto a cercarti. Nessuno sa che questa casa era tua.»
«A parte te.» Commentò il generale, affondando nuovamente nella poltrona, gli occhi fissi su Libertus: di tutte le persone era l’ultima che si era aspettato di vedere, ma anche la più ovvia. Si conoscevano da sempre, erano come libri aperti l’uno per l’altro, ed era ovvio che lui per primo avrebbe capito dove cercarlo.
Sentì la tensione nelle braccia, e strinse la poltrona. «Devi andartene.» Gli ordinò distogliendo lo sguardo. Era così che anche lui sarebbe dovuto essere, con i capelli bianchi e le rughe che aumentavano anno dopo anno, con il sereno passare del tempo.
«No. Nyx, che cosa ti è preso?»
Irrigidì la mascella, e osservò Ardyn sorridergli, pigramente appoggiato alla parete davanti a lui.
Era lì da quando Nyx era arrivato nella casa, ed era rimasto lì mentre la voce di Luna gli aveva spaccato il cuore, e lui aveva sfogato quel dolore sugli oggetti che lo circondavano. «Lascia perdere, è meglio.»
Sentì Libertus avvicinarsi, e alla fine fu costretto a guardarlo di nuovo. «Voglio capire. Quello che hai fatto a Lunafreya…»
Fu troppo.
Si alzò con un unico movimento fluido e puntò il kukri alla gola dell’amico, costringendolo ad arretrare. Libertus alzò le mani, per intimargli di stare tranquillo. «Abbassa il pugnale, Nyx.»
«Non nominarla mai più davanti a me.» Gli intimò. «Non voglio essere aiutato, e se ci tieni alla tua vita, ora ti giri e te ne vai.»
Quando Libertus parlò di nuovo, però, Nyx si chiese perché fosse circondato da persone così testarde. «In questo momento voglio capire che cos’hai. Il re e gli altri non mi hanno detto molto, ma so cos’è successo, e so che il Nyx che conoscevo non l’avrebbe mai fatto.»
Perché?, si chiese, perché era costretto a fare del male a tutti coloro che occupavano un posto nel suo cuore?
«Non pensarci. Non sei obbligato a sentire dolore.» Gli ricordò Ardyn, e Nyx gli dette ragione, perché era la cosa migliore da fare, l’unica che avrebbe tenuto i suoi cari al sicuro.
Estrasse lentamente il secondo pugnale, senza muovere il primo, e vide Libertus allarmarsi.
«Che stai facendo?»
«Ti sto facendo vedere perché non voglio essere cercato.» Mormorò Nyx, aggiungendo quell’azione alla lista di cose che non si sarebbe mai perdonato. Si mosse in avanti con una velocità che nemmeno un soldato giovane avrebbe potuto evitare, e la lama affondò nel ventre di Libertus fino all’elsa.
Quando lui gli crollò addosso, osservandolo come se lo vedesse per la prima volta, Nyx si piegò con lui, ed estrasse la lama solo quando fu in ginocchio. Un fiotto di sangue gli sgorgò sui piedi, e l’uomo si chiese se la sua abitudine di uccidere non avesse preso il sopravvento.
«Addio, amico mio.»
Mi dispiace.
Sorpassò il corpo tremante del suo amico d’infanzia e uscì dalla casa, ma esitò un attimo sulla soglia. Era fatta, pensò, quella era l’ennesima prova per coloro che lo conoscevano che lui non era più stesso, ma non voleva essere costretto a rifare una cosa del genere. Lo sguardo di Libertus aveva allargato la ferita dentro di lui: era una delusione, un mostro, qualcosa che non aveva mai visto.
Mentre ripuliva la lama nella neve pensò che forse era il caso di avvertire che Libertus era lì, se davvero quella ferita era potenzialmente mortale.
Non voleva ucciderlo, pensò, non voleva uccidere nessuno di loro, nonostante Ardyn continuasse a suggerirglielo, ma era abituato a lottare, a combattere per sopravvivere e ad essere il più efficiente possibile negli attacchi, quindi c’era quella possibilità.
Si proiettò a qualche metro di distanza, sul tetto della casa, e poi guardò il palazzo in lontananza.
La loro stanza era là, notò, con le tende tirate.
Vorrei sapere come sta…
«Basta.» Si ordinò da solo, scacciando quel pensiero che non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Sollevò la mano e spedì la fiamma a schiantarsi sul tetto della casa.
Il cielo era scuro, carico di una nuova tempesta di neve, e il fuoco era visibile a chilometri di distanza, e sicuramente anche dal palazzo. Con ultimo saluto mentale alla città che l’aveva accolto, si proiettò di nuovo, e quando i soccorsi arrivarono, si stava già allontanando dalla capitale.
 

 
Quando fece il suo ingresso nella sala, le voci si ammutirono, e lei esitò un solo istante sulla soglia, osservandone gli occupanti. Noctis e Victoria sembravano furibondi, così come Ravus, dall’altro lato della stanza. Ignis e Gladio erano l’uno accanto all’altro, in silenzio.
«Che cosa sta succedendo?» Domandò, rendendosi conto degli sguardi di sottecchi che le stavano rivolgendo. Fu la regina a schiarirsi la gola, alzandosi mentre parlava.
«Ravus ha portato alla nostra attenzione il fatto che il comportamento di N…» Si corresse all’ultimo notando il corpo dell’Oracolo irrigidirsi. «…del generale lo abbia classificato come nemico della capitale, e delle…conseguenze, delle sue azioni.»
Quella frase le scivolò addosso come acqua gelida.
Finché era in pubblico, rinchiudere i propri pensieri e le proprie emozioni come aveva fatto da bambina era l’unica arma che aveva a disposizione per andare avanti. «Tu che cosa?» Domandò freddamente al fratello, e Ravus avanzò di un passo verso di lei.
«Luna, cerca di capire. Nessuno di noi è in grado di curarlo, e tantomeno di fermarlo se diventasse incontrollabile. Ha il potere di un dio, ci ucciderebbe tutti.»
Quel calore insolito la riempì all’improvviso, infondendo nuova forza nel suo cuore martoriato.
Senza di lui era come essere una terra senza acqua, arida e morta, ma aveva ancora uno scopo, si rese conto, ed era fare ciò che aveva sempre fatto, proteggersi ad ogni costo.
«Resta sempre mio marito, e nessuno gli torcerà un capello. Non mi interessa che sei l’erede al trono di Tenebrae, nemmeno tu lo giudicherai.»
Il suo decreto calò come un macigno sul fratello, e lei lo vide incurvare le spalle come se fosse un peso fisico. Senza una parola in più, l’aggirò e uscì dalla stanza.
Ad un cenno del re, Gladio e Ignis si alzarono e lo seguirono, ma lei li ignorò.
«Noctis, Victoria.» Esordì, e i sovrani la guardarono. Con loro, però, non riuscì a mantenere il controllo, e sentì la propria voce incrinarsi mentre parlava. «Troverò il modo di curarlo, ma Noctis, per favore, non farmi questo.»
Il re sospirò appena, osservando la donna.
Victoria gli aveva raccontato di come si era addormentata piangendo, e di come si era svegliata nella notte urlando il nome del marito, e sapeva che non avrebbe retto se gli fosse successo qualcosa. «Luna, ho le mani legate. Se fa qualcosa di grave e si viene a sapere, se uccide delle persone…»
L’Oracolo alzò una mano, fermando il suo discorso, incapace di sopportare ciò che lui stava dipingendo. Nyx aveva già fatto qualcosa di grave, pensò, ricordando di come lui le aveva raccontato di aver dato fuoco ad una taverna senza nemmeno accorgersene.
«Noctis, c’è una cosa che devi sapere.» Esordì, rendendosi conto che ciò che stava per dire era la meno grave delle accuse che potevano essergli rivolte.
«Dimmi.» L’assecondò il sovrano.
«Nyx ha la spada di tuo padre. Non ricordava di averla presa finché Ardyn non gliel’ha detto.»
L’espressione sulla faccia dell’uomo fu impagabile: passò da curioso, a furioso, ad esterrefatto nel giro di pochi secondi.
«Cosa c’entra Ardyn in tutto questo?» Domandò Victoria, che dell’Usurpatore aveva sempre sentito solo il nome, ma che ben ne conosceva la storia.
E così Luna raccontò loro ciò che sapeva, rimettendo insieme i pezzi di una storia che nessuno conosceva appieno, una lenta discesa in un mondo confuso che non potevano capire.
Quando terminò, Noctis sospirò, ma prima che potesse parlare la dottoressa uscì dalla stanza.
«Come sta?» Domandò il re, e la donna si strinse nelle spalle.
«Per il momento è stabile, ma dobbiamo tenerlo sotto controllo, la ferita era molto profonda, ha perso molto sangue, ed è sotto shock.»
Luna abbassò lo sguardo sul piccolo cerchio d’argento che aveva al dito.
Era ovvio che Libertus fosse sotto shock, dopo essere stato brutalmente accoltellato da quello che considerava il suo migliore amico.
Non è Nyx, si ripeté, eppure l’immagine di lui che sosteneva di volerla uccidere era decisamente più dolorosa del livido sul suo volto. Nyx si era infuriato quando Libertus aveva sostenuto di volerlo seguire in missione, sostenendo che doveva pensare alla moglie e al secondo figlio in arrivo.
Non l’avrebbe mai ridotto in fin di vita.
«Sua moglie?»
A quella domanda, il volto del medico si fece grave.
La moglie di Libertus era rimasta terrorizzata dalla vista del marito agonizzante, e ciò le aveva causato un trauma così grande da darle problemi con la gravidanza. Senza che la dottoressa parlasse, Victoria comprese ciò che intendeva.
«Rischia di perdere il bambino.»
Quando la donna annuì, Luna sentì il proprio guscio spaccarsi un po’ di più, e quel dolore che l’aveva accompagnata dal momento in cui lui era uscito dalla stanza tornò ad invaderla.
«Il signor Ostium aveva questo addosso.» Ricominciò la donna, porgendo loro l’inibitore modificato, e Noctis lo prese subito, studiandolo per qualche secondo.
Quando si rese conto di cos’era successo, il suo volto s’incupì. «Victoria, vai da Cindy. Lei e Prompto devono venire da me domattina.»
La moglie si alzò senza aggiungere un’altra parola, non avendo mai visto il marito così, tra l’arrabbiato e il deluso. Nel silenzio che seguì, la dottoressa li lasciò da soli, e Lunafreya incrociò gli occhi del re. Prima del fallito trattato di pace, quegli occhi blu erano stati il suo sostegno per andare avanti, il motivo per cui non si lasciava andare alla disperazione, e lo furono anche ora.
Era Noctis, e sarebbe sempre stato presente per lei, come lei per lui.
Il Re e il suo Oracolo.
«Luna, non voglio fare del male a Nyx. Mi ha salvato la vita così tante volte che ho perso il conto, e se non fosse per lui non sarei qui, ora, niente di tutto questo sarebbe qui.»
Lei lo ascoltò in silenzio, cercando di aggrapparsi alle parole, alla speranza, che lui le stava offrendo, e di non cadere in quel buco nero che il marito aveva lasciato nel suo cuore.
Ogni attimo che passava era sempre più difficile, però, e la sua vita si stava lentamente scolorendo, come un corpo il cui sangue defluiva via.
Noctis si alzò, ritirando l’inibitore in tasca. «Andremo a prenderlo, Luna. L’unica cosa che posso offrirti è venire con noi.»
Eccola lì, la sua ancora. Annuì e si sforzò di piegare le labbra in un sorriso. «Grazie.»
«Non ringraziarmi. Se Nyx può essere salvato, sei l’unica che può riuscirci.»
 

 
«Tu mi hai mentito!»
«Noct, aspetta…»
«Taci.» Ordinò il re, e il suo ordine gravò sulla coppia ai piedi del trono. Non avrebbe voluto usare quel tono, né tantomeno sentirsi così arrabbiato, ma era a malapena metà mattina, e aveva ricevuto quasi una decina di rapporti da tutto il regno.
Un uomo che assomigliava tanto al Generale Ulric, sostenevano, aveva attraversato la regione come un uragano, lasciando dietro di sé edifici distrutti, famiglie ferite, e l’innegabile presenza della magia.
Si alzò dal trono, lo sguardo fisso sulla donna davanti a lui. Li aveva aiutati così tanto, in passato, e vederla lì, con quello che lui considerava un nipote in braccio, accanto al suo migliore amico, lo intenerì. Sentì la mano di Victoria sfiorare la sua, pregandogli in silenzio di calmarsi.
«Se non ci avessi mentito, Cindy, in questo momento Libertus sarebbe sano e salvo, sua moglie non rischierebbe un aborto spontaneo e Nyx Ulric sarebbe stato nelle nostre mani.»
Ad ogni accusa la vide sussultare, ritirandosi in sé stessa, e anche se gli dispiacque, non poteva permettersi di essere troppo dolce con coloro che conosceva, o l’intera struttura che si reggeva sulla sua figura sarebbe crollata, etichettandolo come un re che favoriva i conoscenti.
Prompto fece un passo avanti, un braccio teso davanti alla moglie, come se volesse proteggerla dalla furia del re, ma Noctis alzò una mano, mettendolo nuovamente a tacere.
«Non voglio vedervi, nessuno dei due, finché non sarò io stesso a dirlo.»
Vi fu un attimo di silenzio, e Noctis si sforzò di non ritirare ciò che aveva appena detto quando notò l’espressione ferita negli occhi dell’amico.
Come aveva fatto Nyx, si chiese?
Dove aveva trovato la forza di pugnalare il suo migliore amico?
«Andate.»
Li congedò, sedendosi nuovamente sul trono mentre loro se ne andavano, sussurrando tra loro.
Victoria intrecciò le dita con le sue, e vi posò un delicato bacio sopra. «Avrai modo di farti perdonare.»
Quella frase non era un vero incoraggiamento, e gli strappò una breve risata. «Quindi pensi che io abbia sbagliato?»
Lei scosse la testa, la massa di capelli infuocati che le danzava intorno al viso, e Noctis pensò che era il colore adatto a lei; era la sua fiamma, ciò che lo scaldava e gli dava la forza di sopportare quel peso. «No, ma oggi ti sei comportato da re. Quando questa storia sarà finita, ti comporterai da amico.»
«Mi spieghi come fai a sapere sempre cosa dire?» Le domandò, divertito, e lei arrossì.
«Conosco solo mio marito, e i pensieri che lo turbano.»
Il suo sorriso svanì presto. «Sai anche come posso fare per evitare che Nyx uccida tutti coloro che conosce?»
Prima che lei potesse rispondergli, e lui era sicuro che gli avrebbe suggerito una soluzione, le porte si spalancarono, e l’Oracolo fece il suo ingresso trafelato nella sala. Aveva un’espressione terrorizzata, e il suo pallore era esaltato dal livido sulla guancia. Stava svanendo, piano piano, ma era sicuro che la vera ferita non fosse visibile. «Noctis! Ravus…»
Esitò un attimo, piegata in due a riprendere fiato.
Aveva corso, era evidente, ma il suo era un affanno esagerato per qualcuno che aveva cacciato demoni per dieci anni, e che era perfettamente in forma. Si commosse quando capì cosa lo causava: senza Nyx, con il costante dolore delle sue azioni, era come se lei fosse incompleta, e perfino respirare le era difficile.
«Luna, calmati. Che è successo?»
«Ravus è sparito.»
Noctis spostò lo sguardo su Victoria, e lesse la comprensione nei suoi occhi verdi.
Si abbassò a baciarla, e lei gli strinse la mano in un muta supplica.
«Fai attenzione.» Mormorò prima che lui scendesse le scale di corsa e, insieme a Lunafreya, uscisse dalla sala.
Mentre si dirigevano nel cortile di addestramento, Noctis afferrò il telefono, e lui gli rispose subito.
«Hm?»
«Gladio, raduna gli altri, Prompto compreso. Ci vediamo all’uscita della città.» ordinò prima di staccare, e si voltò verso la donna al suo fianco rallentando il passo.
«Luna, ti ho detto che saresti potuta venire con noi, ma sei davvero pronta?»
La vide esitare, confusa sulla domanda, e sospirò pesantemente, preparandosi a ferirla di nuovo con ciò che sapeva.
«Sono arrivati rapporti dalla regione da tutta la notte, stamattina compresa. Nyx sta distruggendo qualsiasi cosa sul suo cammino, Luna, e non sappiamo ancora se ci siano vittime. Quello che incontrerai potrebbe non piacerti.»
Luna accusò il colpo, ma era determinata, soprattutto dopo la sua conversazione che aveva avuto quella mattina con la sua inaspettata visitatrice. Annuì e sorrise al re. «È mio marito.» Gli rispose semplicemente, e lui comprese ciò che voleva dire.
Ognuno di loro doveva a Nyx più di quello che volevano ammettere, e ognuno di loro l’avrebbe seguito fino all’Inferno e ritorno, se si fosse rivelato necessario.
«D’accordo. Ci vediamo ai cancelli, sbrigati.»
Si separarono, e Noctis si chiese se quella mattina invernale nel quale il sole brillava alto non fosse l’ultima in cui avrebbe visto sua moglie.
Aveva sbagliato, pensò mentre attendeva ai cancelli, appoggiato alla fedelissima Regalia.
Aveva sbagliato su tutta la linea a pensare che Nyx non avrebbe ferito qualcuno a cui teneva.  
Mentre guardava Gladio, Ignis, Prompto e l’intera fazione delle guardie reali avvicinarsi, s’impresse i loro volti nella mente, e sorrise ad ogni recluta e ad ogni soldato. Quando Cor si unì a loro fu una sorpresa.
«Non dovresti essere qui.» Gli fece notare, e l’uomo gli dedicò un sorriso a metà, lo stesso ghigno divertito che gli aveva sempre dedicato. «Sto proteggendo il mio re, e aiutando un amico.»
«Giusto.» Sospirò, e si avvicinò al biondo che lo stava osservando di sott’occhio.
Non voleva lasciare nulla in sospeso.
«Mi dispiace.» Ammise, e Prompto gli sorrise, solare come era sempre stato, ben consapevole di quanto quelle due parole gli fossero costate.
«Sono il tuo migliore tiratore, dove saresti andato senza…» Gli si spense la voce, e il re si voltò verso la direzione nella quale stava guardando.
Sembrava una stella, abbagliante nell’armatura bianca, ma non una stella comune.
Era una super nova, pronta ad esplodere.
«Allora, siamo pronti?» Domandò Lunafreya, appoggiandosi al Tridente.
Il re non le chiese nemmeno come avesse fatto a riprenderselo, dato che tutte le armi ancestrali erano sigillate, e annuì.
«Andiamo a riprenderci Nyx.»

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Capitolo 13
*** Era come essere ubriachi, ammise a sé stesso. ***


CAPITOLO 13
 
-Era come essere ubriachi, ammise a sé stesso.-
 
«Non puoi dire sul serio.»
«Oh si invece. Dopo tutti i suoi piani per conquistare il mondo, non è riuscito a mantenere nemmeno il controllo su sé stesso.»
Nyx si lasciò andare ad una breve risata nell’ascoltare come l’Imperatore di Nifheleim era diventato un daemon, corrotto dalla sua brama per il Cristallo, ma ben presto la sua risata si spense.
«Lo sai? Sei uno stronzo, ma almeno sei qui.» Confessò, e Ardyn si concesse un ghigno.
Sembrava un po’ troppo soddisfatto, notò Nyx, ma non gli importava molto.
Era in quella caverna da due giorni, e l’unica distrazione erano i racconti di Ardyn, che continuava a cercare di farlo cedere, e di diventare peggio di ciò che già era.
Gli arrivò come un sussurro di vento, e gli fece piegare le labbra in un sorriso.
C’era qualcuno dietro di lui.
«A quanto pare hai occasione di divertirti.» Gli fece notare Ardyn, e Nyx estrasse il kukri sulla schiena e lo usò per parare il primo attacco.
Quando si alzò e vide chi era stato così sciocco da attaccarlo alle spalle pensò che era ovvio che fosse lui.
Non aveva idea di come avesse fatto a trovarlo, e poco importava.
Era furioso, e non poteva nemmeno dargli torto, dopo ciò che aveva fatto a sua sorella.
Parò l’ennesimo assalto quasi pigramente, e usò l’altra mano per spedire un fulmine contro la placca pettorale della sua armatura. Si era preparato bene, ammise, ma la forza della magia lo spinse comunque lontano, oltre l’entrata della caverna.
«Questa deve avergli fatto male.» Commentò Ardyn, osservando l’uomo rialzarsi a fatica, e Nyx sogghignò. Se Ravus voleva un combattimento, era quello che avrebbe ottenuto, specialmente perché lui aveva un estremo bisogno di fare qualcosa che gli liberasse la mente.
Nel suo viaggio fino alla grotta si era lasciato andare in un disperato tentativo di non pensare, ma l’unico risultato era città semi distrutte che lo volevano morto.
«Avevi giurato di proteggerla.» Gli sputò Ravus addosso, puntandogli la spada contro, e le sue parole fecero più male che se l’avesse ferito fisicamente.
Estrasse il secondo pugnale e glielo lanciò contro, sfruttandolo per proiettarsi addosso a lui e sbatterlo nuovamente a terra. Gli bloccò la mano armata piantando un kukri nel suo polso, e questo gli strappò un urlo di dolore che, contro ogni logica, gli iniettò adrenalina nelle vene.
Ardyn gli sorrise quando sollevò lo sguardo verso di lui. «Ora inizi a capire, vero?»
«Hm-hm.» Ammise, e poi colpì Ravus alla tempia con il gomito, stordendolo.
Il rumore delle auto lo raggiunse, ma decise di ignorarlo per il momento, anche se riconobbe un suono in particolare.
Era inconfondibile, d’altronde.
Si accucciò su di lui e soffocò quella voce nella testa che gli diceva che era un amico, che era il fratello di Luna, che non avrebbe dovuto fare ciò che stava per fare. «Vediamo di metterti fuori gioco.»
Ritirò il pugnale nel fodero sulla schiena, e afferrò il braccio metallico con entrambe le mani, schiacciando una spalla dell’ex comandante con un piede per bloccarlo a terra e fare forza.
Quando le giunture della protesi iniziarono a cedere, strappando la carne nella quale erano piantate, Ravus urlò di dolore, e Nyx seppe di aver ottenuto ciò che voleva.
Con quel dolore cocente l’uomo non sarebbe stato in grado di continuare a combattere.
«Nyx!»
La voce lo raggiunse mentre la protesi cedeva, venendo via come se fosse a malapena incollata, e quando lui sollevò lo sguardo su Noctis, lo fece con il braccio inerte di Ravus in mano.
Sorrise, ma in realtà si stava chiedendo perché, in nome del cielo, nessuno di loro era in grado di lasciarlo andare.
«C’è qualche altro eroe?» Domandò, spostando lo sguardo sulla folla che si stava formando man mano che i furgoni parcheggiavano accanto alla Regalia.
Salutò con un cenno beffardo anche Ignis e Prompto, e Gladio al fianco del re.
«Nyx, non deve per forza andare così. So che cos’hai fatto, ma ne puoi uscire pulito.»
Scoppiò a ridere, e quel suono fece accigliare il re.
«Perché non mi fai vedere tu cosa sai fare?» Lo provocò, gettando il braccio metallico a terra, ed evocando la spada del re. Era come essere ubriachi, ammise a sé stesso; l’adrenalina nel suo corpo, almeno, quel bruciante desiderio di lottare, chiudeva per il momento la spaccatura nel suo cuore.
Noctis scostò il suo Scudo, e fece un passo avanti, pronto ad assecondarlo, ma non ne ebbe l’occasione perché proprio Gladio lo tirò indietro.
«Vado io.»
Sollevò la spada e lo scudo che aveva sempre usato per combattere, e si fece avanti.
Mentre camminava, Nyx si abbassò ad estrarre il pugnale dal polso del cognato, e lo ritirò nel fodero sulla coscia, optando per lottare con la spada alata. «Gesto coraggioso.»
Commentò, e Gladio ghignò.
Quello era il motivo per il quale erano sempre andati d’accordo, alla fine.
Ad entrambi piaceva combattere, erano soldati.
«Qualcuno deve ficcarti un po’ di sale in zucca.» Fu la risposta, e Nyx si strinse nelle spalle.
«Fatti sotto.»
Iniziò così, ma non durò molto.
Incanalando la fiamma nella spada, Nyx tagliò a metà lo scudo dell’uomo appena parò, lasciandolo disarmato, e da quel momento fu chiaro capire chi aveva la meglio. Lui era più veloce, decisamente più abituato a combattere, e aveva il vantaggio di conoscere perfettamente il proprio avversario.
Abbandonò la spada e saltò all’indietro, evitando un fendente, e poi effettuò la proiezione.
La lama di Regis si appoggiò alla gola di Gladio, che si fermò come congelato. «Ho vinto.»
«Nyx, basta così.»
La voce di Noctis li raggiunse di nuovo, e il re lo guardò. Aveva le mani sporche di sangue, e lui immaginò che avesse aiutato Ravus a trascinarsi al sicuro. Senza muoversi dalla propria posizione, restò in attesa che continuasse a parlare.
«Non vogliamo farti del male, nessuno di noi. Sei come un fratello, per tutti, e ti dobbiamo la nostra vita. Siamo qui per aiutarti, come tu hai aiutato noi.»
Scostò la spada e piantò un calcio nella schiena dello Scudo del Re, facendolo barcollare lontano da lui.
«Se davvero vuoi aiutarmi, vieni qui e affrontami. Sono dell’umore giusto per una bella lotta.»
Alla sua ennesima provocazione, Noctis si fece avanti, estraendo la spada dal fodero al fianco.
Con lui si mossero anche Ignis, Prompto e nuovamente Gladio, e Nyx sentì un brivido attraversargli la schiena. Non era freddo – non sentiva più il freddo da quando Bahamut si era ammalata, facendolo precipitare in una sorte di febbre perenne – era aspettativa.
Era l’occasione perfetta per liberarsi di quei quattro cocciuti che non erano in grado di rinunciare a lui, che continuavano ad inseguirlo nonostante continuasse a ferirli.
Lasciò che la spada svanisse, ed estrasse i fedeli kukri. Piegò appena le ginocchia, e la sua mente si ritirò in quell’angolo lontano dal resto del corpo, lasciando spazio al puro istinto del guerriero.
Erano bravi, ammise a sé stesso quando fu costretto a parare la lancia e la spada insieme e si ritrovò Gladio alle spalle, pronto a colpirlo.
Vide l’uomo dai capelli neri alzarsi.
La luna scintillò sulla spada a due mani quando la evocò. «Fammi vedere che sai fare, allora.» Nyx sogghignò, soddisfatto di aver trovato un modo interessante di passare il tempo. Si alzò ed estrasse i pugnali. «Fatti sotto.»

Gli cedette una mano, e la lancia gli si piantò nel braccio. Stringendo i denti per il dolore, usò il secondo kukri per proiettarsi lontano, costringendo lo Scudo ad interrompere l’assalto per non colpire i suoi compagni.
Non aveva ancora terminato la proiezione che fu costretto a schivare nuovamente, ma il proiettile gli sfiorò una coscia, facendosi strada nella stoffa e bruciando la pelle sottostante.  Fece un cenno a Prompto, concedendogli un ghigno divertito, complimentandolo per il tiro.
«Nyx, giusto?» La voce del pistolero lo riportò alla realtà. Era accanto a lui, e gli fece un sorriso a trentadue denti indicando la carcassa. «Ce la dai una mano a procurarci la cena?» 
Se solo quei maledetti flashback gli avessero concesso un attimo di pace, pregò, sarebbe riuscito a batterli anche senza usare la magia.
Fu Ignis a riprendere la lotta, la lancia macchiata di sangue argentato.
Il pasto di quella sera fu probabilmente il migliore della sua vita.
La carne di Garulessa era fresca, e cucinata in maniera sublime, ammorbidita e speziata.
Fece un cenno in direzione di Ignis, che si era messo ai fornelli mentre Gladio montava la tenda. «I miei complimenti al cuoco.» Affermò, ricevendo in cambio un breve sorriso.

Riuscì a spostarsi all’ultimo istante, il suo corpo che rispondeva in ritardo rispetto al solito.
Solo un attimo di pace.
Ebbe appena il tempo di voltarsi che Noctis gli fu addosso, costringendolo a piantare la gamba ferita nella neve per respingere il suo assalto.
 «Sono contento che tu sia al mio fianco, Nyx.»
 «Fino alla fine, mio Re.»
Successe tutto troppo in fretta, tutto insieme.
La spada del re gli aprì un lungo squarcio sul petto e il proiettile gli si piantò in una spalla in un’esplosione di dolore che cancellò qualsiasi altra cosa. Quando la seconda pallottola gli finì nella gamba crollò in ginocchio nella neve, sentendo una risata illogica salirgli in gola.
Sollevò lo sguardo sul re, che troneggiava sopra di lui, il respiro affannato e lievi gocce di sudore sul viso. Non era abituato a combattere normalmente, pensò, tantomeno avvolto in abiti invernali.
«Che cosa ci trovi di tanto divertente?» Gli domandò Noctis accigliato, e Nyx scosse la testa mentre ritirava un pugnale nel fodero. «Siete così testardi…»
Mormorò, ridacchiando. La ferita alla spalla si stava rimarginando dato che il proiettile l’aveva passato da parte a parte, e solo quella sulla coscia continuava a bruciare, tagliandogli il supporto di una gamba. Perfino lo squarcio sul petto si stava rimarginando, anche se lentamente, e il suo sangue argentato stava scivolando sulla neve a formare una pozza scintillante.
«Te l’ho detto, siamo qui per aiutarti. Vieni.» Noctis abbassò la spada e gli tese una mano, offrendogli una tregua. Nyx si accigliò, ma una parte di lui avrebbe voluto accettare quell’offerta.
Avrebbe voluto arrendersi, tornare alla sua vita normale.
«Li vedrai morire tutti, e non potrai seguirli.» Intervenne Ardyn prima che lui cedesse, e non poté dargli torto quando le sue parole dipinsero un futuro cupo e doloroso.
Afferrò la mano del re e la usò per tirarsi in piedi e piantargli il fulmine dritto nel petto.
Il colpo fu così violento che il sovrano venne sbalzato lontano, contro il suo Scudo, il fumo che si alzava nell’aria dalla sua pelle bruciata.
«Noct!»
La vide in quel momento, mentre usciva dall’ultimo furgone parcheggiato.
Fu come una doccia fredda in mezzo all’inverno.
Gli cancellò il sorriso dal volto, e spazzò via la carica barbara del combattimento come fumo nel vento.
E allo stesso tempo lo fece commuovere.
Era lì, meravigliosamente cocciuta, dopo tutto ciò che lui le aveva detto, ciò che le aveva fatto.
«Tu non dovresti essere qui.»
Gli si gelò il sangue.
Era lì, pronta a farsi uccidere.

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Capitolo 14
*** Lei era luce pura, e lui poteva distruggerla. ***


CAPITOLO 14
 
-Lei era luce pura, e lui poteva distruggerla.-
 
Gli venne nuovamente da ridere.
«È tutto sbagliato.» Mormorò tra sé e sé, trattenendo un sorriso amaro.
Luna era ferma davanti a lui, il tridente appoggiato alla neve, in apparenza rilassata.
Ma lui sapeva, sapeva che non era così; lo leggeva nella tensione delle dita avvolte intorno all’asta, nel lieve cipiglio del viso.
Estrasse il secondo pugnale quasi controvoglia, evitando deliberatamente di incrociare lo sguardo della moglie. Se l’avesse guardato sarebbe crollato, lo sentiva in quell’angolo del cuore intoccato da quella follia, il posto che lei occupava. Alzò una mano e sollevò il cappuccio dell’uniforme, nascondendole il suo viso e in parte anche i suoi occhi.
Avrebbe solo voluto sapere se lei poteva perdonarlo.
«Nyx.»
Chiuse gli occhi per un istante, assaporando il proprio nome pronunciato dalla sua voce, ma il suo tono serio fu come una pugnalata. Lunafreya era brava quanto lui a mantenere il controllo, si ricordò all’improvviso, tornando a guardarla.
Che cosa provava sul serio?
«Non farlo…» Sussurrò a sé stesso, pregando che lei non volesse veramente cercare di fermarlo.
«Hai detto di volermi uccidere.»
No, non è vero, non voglio.
Scosse la testa, cercando di schiarirsi le idee, ma anche normalmente lei aveva sempre avuto il dono di annebbiare la sua capacità di giudizio, e quella non era una sensazione normale.
«Provaci.»
Lo sfidò, e lui ebbe appena il tempo di bloccare i denti del tridente ad un soffio dal suo viso.
Una scarica di adrenalina gli percorse sulla schiena, e lui sentì la testa girargli mentre lei attaccava di nuovo, costringendolo a parare. Più lei attaccava, più una parte di lui si sentiva esaltata.
Lei era luce pura, e lui poteva distruggerla.
Sapeva che quei pensieri non erano suoi, ma di Ardyn, eppure non riusciva a controllarsi.
«Finirà male.» Commentò Gladio, inginocchiato accanto al re mentre il medico gli forniva il primo soccorso. Noctis era incosciente, e per un attimo ebbe paura che il suo cuore non avrebbe retto.
Ignis si sistemò gli occhiali, osservando lo scontro che si faceva sempre più furioso. «Si uccideranno a vicenda.»
Mentre schivava semplicemente spostando il baricentro, Nyx si concesse un ghigno.
Aveva pensato che sarebbe finita in fretta, ma aveva dimenticato di averla addestrata lui; da quel punto di vista, l’aveva plasmata per essere la sua metà perfetta, ed era stato quasi brutale nel farlo, perché lei doveva sapersi difendere.
E nonostante tutto, nel suo delirio febbricitante, si rese conto di averle fatto passare lisce un paio di aperture che avrebbe potuto sfruttare per mettere fine a quel duello, ma che non l’aveva fatto perché una parte di lui si stava divertendo.
Era bellissima, concentrata e feroce nei movimenti, ma la rabbia nel cuore del generale aumentava ogni volta che lei attaccava.
«Tu non dovresti essere qui!» Quasi le urlò contro, colpendola con l’elsa del pugnale al gomito, il necessario per farle allentare la presa sul Tridente.
«Ho fatto di tutto per ferirti!» Incrociò i pugnali e li torse, facendo volare lontano l’arma ancestrale, poi abbandonò i kukri nella neve e l’afferrò per la gola, sentendo il pulsare accelerato del suo cuore.
Così fragile, così facile da spezzare.
La buttò nella neve senza lasciare la presa, e la bloccò salendo a cavalcioni su di lei.
Bianco su bianco, il suo viso che si arrossava più lui stringeva.
«Uccidimi.» Mormorò lei con voce strozzata. «Non temo la morte.»
Quando il loro sguardo s’incrociò, la sensazione fu quella di ricevere una martellata in pieno petto.
«Ciò che temo è non fare niente e perdere tutto.» Completò la frase per lei, vedendola sgranare gli occhi nel rendersi conto che ricordava ciò che gli aveva detto anni prima.
Il suono del proiettile distrusse quell’attimo, e Nyx fu costretto a soffocare un’imprecazione mentre il fuoco della pallottola gli attraversava la carne, sbalzandolo lontano da lei.
La sentì urlare mentre si alzava, ordinando a chi aveva sparato di fermarsi, e il tempo sembrò rallentare.
Gli sembrò di vedere la pistola sputare il colpo, e si rese conto che il tiratore aveva sbagliato.
Costringendo il proprio corpo a muoversi si alzò dalla neve e la tirò indietro, chiudendola tra le braccia mentre la faceva voltare.
La pallottola gli si piantò sotto una spalla, e lui le crollò addosso con il respiro mozzato, sentendo il sapore del sangue sulla lingua. Luna si lasciò cadere in ginocchio nella neve gelata quando gli cedettero le gambe, avvolgendolo in un abbraccio che sapeva di dolore e casa.
«Nyx…»
Alzò una mano tremante e le sfiorò il viso. Qualcosa nel suo cuore si aggiustò quando lei non si ritrasse, e lui l’accarezzò come fosse la prima volta. «Stai bene…»
Vide il suo sguardo spezzarsi, e lei gli sorrise tra le lacrime. «Si, si sto bene. Grazie a te.»
Gli si stava offuscando la vista, e ciò gli fece capire che i proiettili erano ancora là a bruciare nella sua carne, impedendogli di rigenerarsi. Poco importava, pensò, abbandonando la fronte contro la spalla della moglie. Quando lei lo strinse a sé, sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene, Nyx pensò che avrebbe voluto morire così, se solo avesse potuto.
«Prendetelo.» La voce di Gladio gli giunse lontana, e quasi non sentì i passi avvicinarsi.
Solo il dolore lo rese consapevole del fatto che le sue reclute lo stavano facendo alzare, e il freddo delle catene gli fece provare un assurdo senso di sollievo.
Alzò lo sguardo verso di lei, cercando di focalizzarla.
«Andrà tutto bene.» Gli ripeté, sorridendogli lievemente, anche se non riusciva a smettere di piangere. «Ci vediamo presto.»
Fu a quella promessa che Nyx si aggrappò per tutto il lungo, delirante viaggio fino ad Insomnia.
 

 
Quando lo sportellone si aprì di nuovo, ad accoglierlo ci fu una squadra di medici.
I loro camici erano protetti da armature rudimentali, e la cosa gli strappò un sorriso.
Gli inibitori sulle catene continuava ad accendersi e spegnersi con un basso ronzio, e loro ancora pensavano che fosse pericoloso.
Quando gli chiesero di sedersi sulla sedia a rotelle non ribatté e vi si abbandonò sopra, esausto.
L’assenza di magia lo fece sentire terribilmente vuoto.
Era la prima volta in quasi tutta la sua vita che ne era privo, e gli mancava quel flusso di potere continuo che scorreva sotto la pelle, il formicolio del fulmine, la tagliente sicurezza del ghiaccio, e soprattutto il caldo del fuoco.
«…dobbiamo operarlo…»
«…pericoloso…»
«Ha perso troppo sangue.»
Si sforzò di concentrarsi sui discorsi dei dottori, e intervenne mentre entravano in ospedale. «Togliete…togliete le pallottole e basta.»
Li vide scambiarsi occhiate incerte, e alzò gli occhi al cielo. «Toglietemi le pallottole dal corpo, il resto verrà da solo.»
Quando lo invitarono a coricarsi sulla branda, capì che avevano ceduto e fu grato per il fatto che almeno una cosa fosse andata per il verso giusto per quella volta. Irrigidì i denti per il dolore quando sentì il bisturi scivolargli nella schiena, schiacciando il proiettile sulla spalla.
«Che delusione.»
Gli venne da ridere quando Ardyn parlò, ma si limitò ad osservarlo. Sembrava arrabbiato, e la cosa lo fece sentire soddisfatto.
Sentì il tintinnio della pallottola abbandonata nel contenitore, e il secondo intervento per rimuovere quella nel fianco iniziare, ma la rigenerazione cellulare che gli aveva permesso di guarire in meno di una settimana da ferite mortali non venne in suo soccorso. Sentiva la pelle bruciare e muoversi impercettibilmente, ma sarebbe stato un processo lento, ammise a sé stesso.
«Lei è sempre stata il tuo punto debole. Io ho solo cercato di liberartene, ma tu non hai voluto.»
Sorrise tra sé e sé, anche se estrarre le pallottole gli fece quasi più male che riceverle, specialmente quando il bisturi sfregò sui muscoli della coscia, strappandogli un sibilo dolorante.
«Ti sbagli.» Rispose al fantasma, e vide il dottore che gli stava togliendo le pallottole accigliarsi, e un altro stringersi nelle spalle. Pensavano che fosse pazzo, poco importava se parlava da solo.
«Lei non è il mio punto debole, non lo è mai stata.»
Abbassò lo sguardo sulla fede d’argento al dito, che strappò uno scintillio alle luci asettiche della stanza, quasi come se gli stesse sorridendo. Quando l’ultima pallottola fu tolta, i medici lo bendarono con cura, e gli chiesero di restare in attesa che le guardie venissero a prenderlo.
Mentre attendeva, le mani incatenate in grembo e la realtà che tremava davanti ai suoi occhi, Nyx tornò ad osservare lo spettro arrabbiato. «Lei è sempre stata la mia forza.»
«Generale.» La porta venne aperta all’improvviso, e lui si trovò davanti il viso insicuro di Gratia e Sol. Li vide tremare quando la luce argentea di Bahamut brillò nei suoi occhi, e la cosa lo divertì.
Quando lei si schiarì la voce, sorrise. «Non avete ordini da eseguire?»
Domandò, e la sua voce sembrò dare loro una scossa. Sol si spostò dietro di lui, uscendo dalla stanza. «Sissignore. Ci è stato chiesto di scortarla in prigione, dove attenderà il giudizio reale quando il re si sarà ripreso.»
Giusto, si ricordò Nyx con un brivido, aveva quasi fritto il cuore di Noctis.
Ricordava l’odore della carne bruciate, gli spasmi involontari del corpo.
«Se avessi fatto come ho detto non saresti qui. Saresti libero, e loro sarebbero morti.»
Ardyn camminava al suo fianco, ma per una volta lui decise di ignorarlo, anche se aveva ragione.
Gli sarebbe bastato uccidere tutti, e avrebbe avuto tutta l’eternità per dimenticare i loro volti.
«Chi mi ha sparato?» Chiese, e i gemelli si scambiarono uno sguardo nervoso.
Se fosse perché era il loro generale e ora era un criminale o perché l’avessero visto lottare, non seppe dirlo.
Fu Sol a rispondergli. «Lord Ravus, signore. Ha…rubato una pistola, e vi ha sparato quando…»
Alzò le mani, interrompendo il ragazzo. «Basta così. Ho capito.»
Lui e Ravus avrebbero dovuto fare una bella chiacchierata, si disse, e magari una bella scazzottata, quando quella storia sarebbe finita. Forse, in quel modo sarebbero riusciti a sistemare tutto, e Ravus avrebbe potuto perdonargli di aver fatto del male alla sorella.
«Entrate, per favore.»
Era stato così sovrappensiero che non si era nemmeno reso conto che il suo viaggio era finito, e c’era una cella aperta davanti a lui. Si alzò da solo, constatando che la gamba iniziava ad essere più forte, ed entrò nella sua nuova, temporanea abitazione. O almeno sperava che fosse temporanea: per quello che ne sapeva, avrebbe scontato i suoi crimini in quella cella per sempre.
Si distese sulla branda e chiuse gli occhi. Per quanto quel letto fosse scomodo, sentì la schiena rilassarsi e distendersi, liberando una tensione che non sapeva nemmeno di avere accumulato.
«Ci vediamo presto.»
L’eco di quella promessa gli tornò alla mente, causandogli una fitta di dolore che non aveva nulla di fisico.
Era successo davvero?
«Aprite la cella. Adesso.»
«Mia signora, con tutto il rispetto, non credo che…»
Aprì gli occhi e si tirò a sedere, incuriosito dalle voci.
«Apri.»
Sapeva a chi apparteneva quel tono furioso, e fu proprio per quello che non cercò di spostarsi quando Victoria entrò come un uragano di fuoco nella cella e gli piazzò un sonoro schiaffo sulla guancia. 

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Capitolo 15
*** La prima boccata d’aria cosciente fu come fuoco nei suoi polmoni. ***


CAPITOLO 15
 
-La prima boccata d’aria cosciente fu come fuoco nei suoi polmoni.-
 
«Piacere mio, regina.»
La guancia gli bruciava, ammise, constatando che era piuttosto forte, per essere una donna che non aveva mai impugnato una spada.
«Tu…» Sembrava incapace di pronunciare le parole che le stringevano la gola, e Nyx le venne in soccorso anche se avrebbe fatto meglio a stare zitto. «Ho quasi ucciso vostro marito. Credo che questa fosse la frase che cercavate.»
La sua ironia gli fece guadagnare un altro schiaffo, e lui non reagì di nuovo. In fondo, pensò, doveva a Victoria almeno la possibilità di sfogarsi su chi l’aveva quasi resa vedova.
«Sei un bastardo.» Lo insultò lei, e lui si limitò a sorriderle, appoggiando la testa al muro freddo.
Quella piccoletta dal temperamento focoso gli stava simpatica, ma ogni traccia di quell’emozione scomparve quando lei, tra il furioso e il sofferente, gli pose la domanda seguente. «Come hai osato? Era lì per te.»
Si alzò di scatto, e lei si sforzò di non fare un passo indietro. «Come ho osato?»
Le rise in faccia, osservando Ardyn avvolgere le mani intorno al suo collo. «Non sono stata io a chiedere che lui venisse da me! Non volevo che nessuno venisse da me, pensavo di averlo messo in chiaro, ma voi dovevate giocare ai salvatori!»
Si rese conto di stare quasi urlando quando Sol parlò attraverso le sbarre. «Generale, stia indietro per favore.»
Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, strette intorno alla gola della regina, e la cosa lo fece accigliare. Quando si era mosso?
«Non ho mai voluto fare del male, a nessuno. È esattamente questo il motivo per cui me ne sono andato.» Terminò in sussurro, lasciandola andare e facendo un passo indietro. Victoria lo osservò interdetta mentre tornava a sedersi, pacato.
Conosceva benissimo la sua storia, e la storia che condivideva con il marito, eppure non riusciva a far combaciare l’idea che aveva di Nyx l’eroe con quella specie di bestia ferita che aveva davanti.
Riassunse velocemente il controllo di sé stessa. «Pensavi davvero che ti avrebbero abbandonato?»
Gli chiese, ricevendo in cambio un’occhiata interrogativa.
C’era qualcosa che premeva per uscire dietro quegli occhi, ed era qualcosa di selvaggio e arcano.
«Conosco la vostra storia. Sei stato un folle a pensare che la tua famiglia non avrebbe cercato di salvarti.»
Con quella constatazione, uscì dalla cella, e sentì il peso degli occhi di Nyx addosso mentre si allontanava. Riuscì a rilassarsi solamente quando fu nel corridoio superiore, e l’abbagliante candore della neve che cadeva la invase. Respirò a fondo, rendendosi conto che l’atmosfera stessa intorno al Generale sembrava pesante, come se l’aria stessa si flettesse alla sua presenza.
«Mia signora, state bene?»
Si voltò verso i soldati accanto alla porta e annuì con un breve sorriso.
Con Noctis in ospedale, toccava a lei reggere la delicata struttura di potere.
Le si strinse il cuore in una morsa dolorosa mentre si dirigeva verso l’ospedale; quando il marito l’aveva baciata prima di partire c’era stata un’ombra sul suo viso, un presagio che non aveva mai dimenticato, e che si era brutalmente avverato.
«Tu gli hai sparato!»
La voce furiosa dell’Oracolo la raggiunse quando fu nel corridoio dell’ospedale, e cercò di ignorarla nonostante risuonasse chiara tra le pareti.
«Stava per ucciderti…»
«Si era fermato! Si era fermato e tu hai rischiato di ucciderlo!»
S’infilò nella stanza da letto dove il re riposava, e si sedette accanto a lui. Era ancora incosciente dopo l’intervento d’urgenza che gli aveva riattivato il cuore indebolito dalla scossa, e in quell’istante fu grata per quel fatto.
Intrecciò le dita con le sue, e vi posò un bacio sopra.
Almeno per un po’, sarebbe stato libero da ogni fardello.
 

 
«Si era fermato! Si era fermato e tu hai rischiato di ucciderlo!»
Luna batté la mano sul materasso, furiosa, senza staccare lo sguardo dal fratello.
Appena aveva saputo che gli avevano ricucito la ferita al braccio e che era cosciente era corsa da lui.
«Luna, cosa potevo fare? Ti stava strozzando!»
Si passò le mani fra i capelli, frustrata. «Avresti dovuto fidarti di me.»
Sospirò, e vide l’espressione ferita di Ravus alle sue parole.
Si sedette accanto a lui, sentendo la testa che rischiava di esploderle.
Ravus aveva rischiato di uccidere Nyx, Nyx che ora era in una cella, da solo.
«La mattina della partenza, prima che mi accorgessi che te n’eri andato, Gentiana è venuta da me.» Iniziò a spiegargli, sforzandosi di usare un tono pacato.
«Mi ha spiegato cosa sta succedendo, che la Piaga delle Stelle sta infettando gli dei, e che Nyx era in quello stato per colpa di Bahamut e…di Ardyn.»
Ravus si accigliò, confuso, e si sistemò come meglio poteva sui cuscini sfruttando l’unica mano che gli era rimasta. «Ardyn è morto.»
La donna scosse la testa, sentendo gli occhi inumidirsi.
Ora capiva, capiva il perché delle azioni del marito, e delle sue parole crudeli.
Nyx aveva pensato a salvare loro, lei, prima di sé stesso, come faceva sempre.
«Non esattamente. Fisicamente è morto, ma il suo spirito, se vuoi chiamarlo così, è ancora vivo nel regno dei morti. A quanto pare è colpa sua se Leviatano è morta prima di poterci avvertire di cosa stava succedendo, e anche delle azioni di Bahamut.»
Attese un attimo in silenzio, osservando il fratello riflettere. «Il mondo non va mai nel verso giusto, vero?»
Sospirò, sentendosi incredibilmente stanco. Si abbandonò sui cuscini e chiuse gli occhi.
La mano di Luna si posò sulla sua, e lui tornò a guardarla, scoprendo che gli stava sorridendo lievemente. «Che c’è?»
«Sei stato stupido, ma ti sei comportato così per cercare di salvarmi, quindi grazie.»
Le strinse brevemente la mano, stupendosi di come fosse riuscita a controllarsi velocemente.
«Figurati.»
«E, Ravus?»
«Si?»
«Non osare mai più fare del male a Nyx.»
Quella dolce minaccia lo fece sorridere, e allo stesso tempo gli spedì un brivido gelido nella schiena. Che cosa c’era tra quei due, si chiese, cos’era quel legame feroce che li univa così profondamente, ad un livello che nemmeno altre coppie comprendevano?
Quando la porta si aprì di nuovo, quasi sfondata, e sentì un nodo in gola, pensò che forse poteva capirli, almeno in parte.
«Brutto idiota! Perché nessuno mi ha avvertito di cosa stava succedendo?»
Sbottò Aranea, osservando Ravus con rabbia.
Appena aveva messo piede sul marmo di Insomnia e aveva chiesto udienza con il re, una guardia reale che le arrivava a malapena alla spalla le aveva spiegato la situazione, e per poco non aveva rischiato di rompersi una gamba correndo verso l’ospedale.
«Io non…»
«Vi lascio soli.» Li interruppe Lunafreya, alzandosi dal letto con un breve sorriso al fratello.
Ravus le strinse brevemente la mano. «D’accordo.»
Restarono in silenzio mentre lei usciva, e quando la porta si chiuse alle sue spalle, Aranea coprì la distanza che la separava da lui e lo afferrò per la maglia bianca, quasi sollevandolo dal letto.
«Sei andato da solo a dare la caccia all’unico uomo magico in tutto il regno?! Cosa ti passa per la testa?»
La sua reazione gli strappò un sorriso, e alla fine anche lei cedette, sciogliendosi in una risata e lasciando che si rimettesse sul letto. Si sedette sul bordo del materasso, ignorando di indossare l’impolverata e infangata uniforme invernale, e gli passò una mano dietro al collo, per poi appoggiare la fronte sulla sua.
Restarono così a guardarsi, e alla fine lui parlò di nuovo. «Sono contento di rivederti.»
«Anch’io sono contenta di vederti tutto intero.» Guardò la sua spalla con la coda dell’occhio. «Più o meno.»
Gli sorrise di nuovo, e poi chiuse la distanza tra di loro, sfiorandogli le labbra in un bacio quasi impercettibile. Quando si allontanò e i suoi occhi la inchiodarono, si sforzò di non arrossire.
«Quello cos’era?»
Gli sorrise, divertita. «Un regalo di bentornato. Se riesci a non farti uccidere, forse ne riceverai altri.»
«Tutta qui la tua gioia nel rivedermi?»
«Cosa?»
Non le diede tempo di rispondere e, sfruttando il fatto che fosse vicina, affondò la mano nei suoi capelli e se la tirò quasi addosso, baciandola di nuovo.
Sorrise sulle sue labbra quando la sentì ricambiare quasi ferocemente, chiedendosi se ci fossero aspetti della sua vita che non trasformava in una lotta per il comando.
Quando alla fine la lasciò andare, lei aveva gli occhi velati e l’aria confusa. «Questo, che cos’era.»
Ravus si strinse nelle spalle e le sorrise.
Non l’aveva mai visto con quell’aria maliziosa, e si sentì avvampare mentre lui rispondeva.
«La mia gioia nei rivederti.»
 

 
La prima boccata d’aria cosciente fu come fuoco nei suoi polmoni.
Gli strappò un gemito, e sentì qualcuno muoversi accanto a lui, una porta che si chiudeva.
Quando aprì gli occhi era da solo, e percepiva il suo corpo come se fosse fatto di gelatina.
Perfino il suo cuore sembrava tremare nei battiti, e all’improvviso gli tornò in mente il motivo.
Per un breve, folle istante aveva pensato che Nyx si sarebbe arreso, e poi era arrivato il dolore.
I fulmini gli avevano attraversato il corpo, e l’ultima cosa che aveva visto prima di svenire era stato il fumo che si sollevava dal suo petto bruciato.
E poi?
Cos’era successo a Gladio, Ignis e Prompto?
Cos’era successo a Luna?
Si tirò a sedere con un gemito dolorante, e la vista gli si offuscò per quel semplice movimento.
Stava ansimando quando la porta si aprì di nuovo.
«Non le conviene muoversi, altezza. È già un miracolo che sia vivo.»
 No, si rese conto Noctis mentre osservava il medico entrare.
Non era vivo per miracolo.
Era vivo perché Nyx non aveva voluto ucciderlo.

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Capitolo 16
*** Avrebbe dovuto ascoltarlo, capire il perché delle sue azioni e, soprattutto, capire se poteva controllarlo. ***


CAPITOLO 16
 
-Avrebbe dovuto ascoltarlo, capire il perché delle sue azioni e, soprattutto, capire se poteva controllarlo.-
 
Noctis si passò una mano fra i capelli, spingendoli all’indietro, e si guardò allo specchio.
Aveva ancora l’aria di un pollo scampato per un soffio ad un fulmine, ma non contava l’aspetto, non in quel momento. Era il re, doveva farsi vedere, far vedere che stava bene.
«Stavi dicendo?» Riprese la conversazione, e Ignis sollevò l’occhio su di lui, studiandolo con aria critica. Era stato lui a chiamare il medico quando si era svegliato, qualche ora prima, ed era stato contrario al fatto che si auto dimettesse dopo solo due giorni dal suo ritorno.
«Quando Ravus ha sparato, Nyx si è messo in mezzo per evitare che Lady Lunafreya venisse colpita, dato che lui aveva sbagliato mira.»
Noctis si accigliò, lisciando la giacca, e poi si allungò a prendere il bastone.
Per un istante, lo specchio gli restituì l’immagine di suo padre.
«Dovrei considerarlo un buon segno, immagino.»
Ignis si strinse nelle spalle e si alzò. «Non saprei, considerato che prima ha cercato di strozzarla.»
Il re sospirò impercettibilmente, poi si diresse all’uscita della camera.
Ignis e il medico erano gli unici a sapere che era sveglio, e voleva rivedere Victoria, toglierle il fardello del regnare dalle spalle, e vederla sorridere.
Si appoggiò al bastone quando i primi segni di fatica iniziarono a farsi sentire, nel corridoio che portava alla sala del trono, e si massaggiò delicatamente il petto. Anche se non l’aveva ucciso, pensò, Nyx gli aveva di sicuro lasciato un regalo poco apprezzato, e ci sarebbe voluto tempo prima che si riprendesse del tutto.
Fu il suo consigliere di sempre a spalancare le porte, e ciò gli diede tempo di osservare la situazione: Victoria seduta accanto al trono, Gladio al suo fianco e, davanti a loro, ai piedi delle scale, un gruppo di persone inferocite che chiedevano giustizia a gran voce.
«Silenzio.» Intimò, e la folla venne avvolta da una quiete improvvisa mentre avanzava sul marmo, lo sguardo rivolto verso la sua regina. Victoria si portò una mano alla bocca, ma il sorriso che cercava di nascondere si rifletté nei suoi occhi scintillanti di lacrime appena trattenute.
Mentre saliva le scale, il suo Scudo gli regalò un sorriso ironico. «Bentornato nonnetto.»
Lo schernì, ma Noctis sapeva che quello era il suo modo di dire che era contento di vederlo, e gli sorrise sedendosi sul trono. Respirò profondamente, cercando di non dare a vedere la fatica che gli stringeva il petto, e si rivolse ai suoi cittadini.
«Che cosa desiderate?»
La sua domanda scatenò una miriade di risposte, tra le quali lui colse “giustizia” e “risarcimento”.
Avevano ragione, ammise a sé stesso. Se erano coloro che abitavano nelle città distrutte dalla furia folle di Nyx, meritavano entrambe le cose.
Alzò una mano, e loro si zittirono immediatamente.
«Avrete ciò che volete, ve lo posso garantire. Giustizia sarà fatta quando avrò ascoltato l’imputato, e la corona s’impegnerà personalmente ad aiutarvi a ricostruire le vostre case. Potete andare.»
Se ne andarono, obbedienti, mormorando ringraziamenti e inchinandosi, e Noctis fu libero di concentrarsi su ciò che davvero gli importava.
Ignorando sia Ignis che Gladio, si sporse verso la moglie e le rubò un bacio all’improvviso, la mano stretta sulla sua. Le sue labbra sapevano di fragola, e gli infusero nuova forza. Quando si allontanarono, lei gli sorrise di nuovo.
«Ciao.»
«Ciao.» Mormorò, accarezzandole il viso con una mano, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. Ricordava di averla sognata, nell’incoscienza, di non essere riuscito a raggiungerla nonostante corresse verso di lei.
«Scusate l’interruzione.» S’intromise Gladio, e il re alzò gli occhi su di lui. Gli era grato per essere stato al fianco della moglie mentre lui era svenuto, e si ripromise che l’avrebbe ripagato in qualche modo.
«Nessun problema. Che c’è?»
«Noct, cosa intendi fare con Nyx?»
Quella era una domanda interessante.
Avrebbe dovuto ascoltarlo, capire il perché delle sue azioni e, soprattutto, capire se poteva controllarlo. Si massaggiò di nuovo il petto e sospirò, lasciandosi andare contro la pietra fredda del trono.
«Non ne ho idea. Se dipendesse da me spedirei lui e Luna da qualche parte, a vivere in pace, ma se lo facessi sarebbe come sputare in faccia al mio popolo.»
«Considerazione saggia.» Commentò Ignis, appoggiato alla balaustra sulle scale. «Lo vuoi un consiglio?»
Noctis sorrise pigramente. «Da te, sempre.»
«Bene.» Ignis si concesse un breve sorriso soddisfatto. «Fortunatamente, Nyx non ha causato vittime, ma solo distruzione di edifici e beni materiali. Ciò ti lascerà un margine di giudizio più ampio, se non gli fai pagare il tentato omicidio del re.»
«Nyx non ha mai voluto uccidermi.» Intervenne con sicurezza, e si affrettò a spiegare prima che Gladio commentasse. «Avrebbe potuto pugnalarmi, o friggermi il cuore con la magia, e non l’ha fatto, limitandosi a bruciarmi un po’.»
«Una dimostrazione di forza, insomma.»
Gladio si grattò la barba, distrattamente. «Come ha sempre fatto.»
Victoria colse l’imbeccata, e il suo viso si fuse in una confusione di comprensione e rimpianto.
E lei che l’aveva insultato e schiaffeggiato.
«Gladio ha ragione. Ha pugnalato Libertus, ma è ancora vivo. Esattamente come Ravus, come voi, e come te.»
«Voleva solo spaventarci.»
Noctis strinse la mano a pugno, sentendo la rabbia riscaldarlo.
Nyx aveva fatto l’eroe, come al solito, ma era stato uno stupido a respingere gli unici che avrebbero potuto aiutarlo.
«Andate a prenderlo.»
Quando Gladio e Ignis furono usciti, Noctis si rivolse nuovamente alla moglie.
«Oh Victoria.» Sospirò, e lei gli si strinse contro, osservandolo preoccupata.
«Che cosa ti turba, amore mio?»
«Che cosa non mi turba.» La corresse, strappandole una risata, e si sentì improvvisamente meglio a guardarla ridere, ma fu una sensazione passeggera.  «Chiama i consiglieri, per favore. Loro, un notaio e le guardie reali. Voglio che più persone possibili ascoltino Nyx. E cerca Luna, anche.»
 

 
Si guardò intorno, ma c’era solo l’immensa luce della dea che, nonostante le striature di oscurità si espandessero, brillava più vivida.
«Che cosa c’è?» Le chiese, alzando lo sguardo dalla sua mano, sulla quale era seduto, al suo viso coperto dall’elmo. Nei suoi occhi c’era conoscenza, e tanta tristezza.
«Sapevo che avresti fatto grandi cose, quando ti ho salvato, e sapevo che ti avrei reso immortale.»
Si spostò, a disagio, osservando le sue enormi ali. «Devi proprio ricordarmelo?»
«Voi umani siete creature imprevedibili. Non avevo previsto che l’Oracolo sarebbe diventata così importante, per te.»
Inarcò un sopracciglio e la guardò di nuovo. «Cosa stai cercando di dirmi?»
«Mi dispiace, mio cuore.»
«Nyx!»
Quella voce brusca lo strappò dalla sua conversazione silenziosa con Bahamut, e riaprendo gli occhi incontrò quelli familiari di Gladio e Ignis. «Ciao ragazzi. Come va?» Ghignò, osservandoli con aria divertita.
Lo Scudo del Re si accigliò mentre apriva la porta della cella. «Dovremmo essere noi a chiederlo a te.»
Si strinse nelle spalle, studiandoli. «Io? A meraviglia. Essere squarciato e riempito di proiettili è la mia definizione di giornata ideale.»
Erano nervosi, entrambi, ma Ignis lo nascondeva meglio.
Che cosa vedevano, loro, mentre lo guardavano?
Un amico, o un mostro?
«Convenevoli a parte, a cosa devo questa visita?»
Fu Ignis a rispondergli, mentre Gladio attaccava il resto della catene a quelle che gli serravano i polsi. «Il re desidera vederti, e ascoltare ciò che hai da dire.»
La notizia lo lasciò a riflettere mentre seguiva i suoi due vecchi compagni di viaggio lungo i corridoi, ascoltando il tintinnio delle catene e il ronzio degli inibitori.
Cos’avrebbe potuto dire?
“Ho cercato di salvarvi da una morte orribile per mano mia, e perché volevo evitare di vedervi morire davanti a me uno dopo l’altro mentre io vivrò in eterno”, non sembrava granché come spiegazione.
«Nyx.» La voce di Ignis lo strappò dalle sue riflessioni quando furono davanti alla porta della sala del trono. Sentiva il sangue scorrere piano dalle ferite in fase di rimarginazione.
«Non cercherò di uccidere nessuno, tranquillo.» Tagliò corto, ma l’uomo non aveva ancora finito.
«Noctis è convinto di essere vivo perché tu non hai voluto ucciderlo. È così?»
Che razza di domanda era quella?
Sentì la prima fitta di sofferenza nel cuore quando si rese conto che Ignis – e Gladio, a giudicare da come lo guardava – lo ritenevano capaci di uccidere uno di loro.
«Ce ne hai messo di tempo ad arrivarci.» Sbottò. «Andiamo adesso.»
Li incitò, senza nemmeno avere la forza di arrabbiarsi.
Avevano davvero pensato che avrebbe potuto ucciderli?
Quando Gladio aprì la porta, Nyx si sentì un’animale in gabbia.
La sala del trono era piena di persona, a partire dalle guardie disposte ai lati, a vari politici e nobili di cui non conosceva le facce, a coloro che aveva deluso.
Victoria dai capelli di fuoco, accanto al re, pallido ma vivo, dagli occhi di pietra.
Aranea e Ravus, uno di fianco all’altro.
Gladio, Ignis, Prompto e Cindy, alla destra del re.
Perfino Libertus, e la sua vista lo fece sentire un mostro.
E poi, splendida come una visione, lei.
Incrociò i suoi occhi, e vi lesse amore, e disperazione, e desiderio, e dovette sforzarsi di non raggiungerla, di non supplicarla di perdonarlo.
Il livido alla guancia era praticamente sparito ma, in compenso, aveva una delicata serie di lividi verde chiaro sul collo, dove le sue mani si erano strette.
Crollò in ginocchio sul pavimento davanti al trono, sentendo il cuore che rischiava di esplodergli.
«Nyx Ulric.» Esordì Noctis, e la sua voce echeggiò nella stanza. «Sei stato portato qui in virtù delle tue azioni passate, e del tuo eroismo nella liberazione della capitale. Hai qualcosa da dire in tua difesa?»
Vide Ardyn scimmiottare il re, e gli venne da ridere a quella scena, ma ci volle poco prima che Luna attirasse di nuovo il suo sguardo.
Ogni singolo nervo del suo corpo voleva stringerla.
Stringerla fino a spezzarla.
Scosse la testa, scacciando quel pensiero brutale. Non era assolutamente il momento per una crisi.
Deglutì e tornò a guardare il re.
Per un istante, gli sembrò di vedere Re Regis seduto là, con i suoi occhi tempestosi e l’aria saggia.
«Mi dispiace.» Riuscì a dire, chiaro, in modo che tutti lo sentissero. «Non negherò le azioni che ho compiuto, e accetterò qualsiasi punizione mi verrà riservata.»
Vi fu un sommesso vociare sorpreso, e lui sogghignò.
Li aveva stupiti, a quanto pareva. Forse si aspettavano che negasse ciò che aveva fatto?
Trovate un modo per uccidermi.
Osservò in silenzio Noctis parlare a bassa voce con i suoi amici, e ammirò come la luce dell’inverno strappava riflessi d’argento dai capelli di sua moglie, in attesa accanto al trono.
Uccidetemi e liberatemi.
Noctis si alzò dal trono, e lui sentì una strana tensione nel corpo mentre spettava che decretasse la sua sorte.
«Nyx Ulric, per i tuoi crimini contro il Regno di Lucis, e contro i suoi cittadini, sei condannato a ricevere venti frustate, ove tutti possano vedere. Portatelo fuori.»
Luna si lasciò andare al pianto che aveva trattenuto fino ad allora ma, quando i loro occhi s’incrociarono, Nyx non poté fare a meno di sorriderle, cercando di calmarla.
Se lei era forte, anche lui lo era.
Avrebbe potuto sopportare tutto, se lei era al suo fianco.
Non distolse mai lo sguardo da lei mentre lo facevano alzare e quasi lo trascinavano fuori.
Lo fecero inginocchiare nuovamente, e lo lasciarono là mentre la folla si accalcava nella piazza, e i partecipanti della sua breve udienza lo circondavano.
«Noctis, ti prego, non farlo…»
Assorbì il suono della sua voce mentre supplicava clemenza, e per un attimo non sentì nient’altro.
Quella era l’ennesima prova.
Non l’aveva persa.
Sentì voci confuse, il tono duro del re, e poi lei gli comparve davanti.
«Vattene, rischi di farti male!» Le intimò Noctis dalle sue spalle, e lui capì che, oltre che giudice, sarebbe stato anche boia.
Un gesto coraggioso, che aumentò ancora il rispetto che aveva per lui.
«Luna…Vai.» Le sussurrò, ma lei scosse la testa e intrecciò le dita alle sue.
Mentre le lacrime le si congelavano sulle guance, gli sorrise.
«Quando il buio stringerà il tuo cuore, io sarò la tua luce.» Mormorò, incatenandolo con lo sguardo, e Nyx sentì il cuore perdere un battito.
«E non avrò paura di nulla, finché sarai al mio fianco.» Completò, e pensò che era deliziosa in quel momento, tremante nella neve, a condividere quella pena con lui.
Quando la prima frustata gli si abbatté sulla schiena, annebbiandogli la visuale e facendo scoppiare il fuoco del dolore, Nyx promise a sé stesso che non avrebbe emesso nemmeno un singolo gemito.
Fu Luna a sussultare per lui, e la stretta sulle sue mani aumentò.
«Guardami. Nyx, continua a guardarmi.»
E lui obbedì, perché lei era la sua forza, il suo cuore e la sua vita.
«Due.»
«Ti amo, Nyx.»
«Tre.»
Sorrise mentre la pelle gli veniva squarciata di nuovo.
«Quattro.»
Perfino Ardyn taceva, si rese conto.
«Cinque.»
La folla osservava in silenzio.
«Sei.»
Appoggiò la fronte alla sua, e osservò le lacrime scivolarle sulle guance.
«Perché…piangi?»
«Sette.»
Diventava sempre più difficile mettere a fuoco il suo meraviglioso viso. Gli stava scivolando via.
«Otto.»
Strinse i denti, soffocando un gemito.
«Andrà tutto bene.» Le sussurrò, e anche se entrambi sapeva che era una bugia bella e buona, lei fece finta di crederci.
«Nove.»
Sentiva l’odore del suo sangue argentato, lo vedeva scivolare sul marmo sempre più copiosamente.
Quanto tempo ci avrebbe messo Bahamut, a rigenerarlo?
«Dieci.»
Lei stava piangendo copiosamente, ormai, e lui si sentiva soffocare.
«Ti amo, Luna.»
L’undicesima frustata si abbatté sulla sua schiena.

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Capitolo 17
*** -E Nyx fu egoista per quella sera.- ***


CAPITOLO 17
 
-E Nyx fu egoista per quella sera.- 
 
«Nyx.»
Quando aprì gli occhi era nell’ormai fin troppo familiare campo di fiori blu.
Si guardò intorno, e si sentì stranamente sollevato quando vide che lei non era lì.
«Perché dovrebbe? Sta bene.»
Si accigliò mentre la figura che aveva parlato usciva dall’ombra, e all’improvviso si sentì il cuore in gola.
Era esattamente come lo ricordava, claudicante, con quell’aria mista tra il triste e il saggio nei suoi occhi tempestosi.
Istintivamente, s’inginocchiò e si portò una mano al petto, lo sguardo fisso sui fiori che danzavano nel lieve vento davanti a lui. «Maestà.»
C’era qualcosa che gli stringeva la gola, impedendogli di respirare normalmente.
«Alzati, Nyx Ulric.» Lo incitò Regis, e lui obbedì senza replicare.
Quando posò lo sguardo sul re, si rese conto di cos’era quell’emozione che lo stava soffocando.
«Mi dispiace Altezza, io…temo di avervi deluso.»
I loro sguardi s’incrociarono, e Nyx ricordò quel maledetto giorno, quella stanza, la speranza negli occhi del re.
“Non deludermi, Nyx Ulric.”
Regis piegò le labbra in un sorriso appena accennato, e raccolse un fiore dal terreno.
«Perché la pensi così, Generale?» Gli domandò, osservando i petali del fiore piegarsi nel vento.
Nyx si accigliò, e dovette deglutire prima di poter rispondere.
«Ho promesso di tenere Luna al sicuro, ma…» Esitò un attimo, e davanti agli occhi gli balenò l’immagine della moglie affondata nella neve con il viso paonazzo mentre lui la strozzava. Inspirò a fondo e guardò nuovamente il re che non aveva potuto salvare. «Ma sono diventato io il pericolo principale per lei. Per tutti loro.»
Regis si avvicinò a lui con passo zoppicante, e Nyx si rese conto che non c’era segno delle ferite che l’avevano ucciso. Sembrava sereno, privo del fardello che l’aveva piegato in vita.
Gli posò una mano sulla spalla e lo guardò negli occhi mentre parlava. «Senza di te niente di ciò che oggi esiste avrebbe avuto una possibilità. Dovete essere forti, sia tu che Luna, e compiere un ultimo sforzo.»
«Mi dispiace Altezza, ma io non…»
«Capirai. Non posso trattenerti oltre, ora. Il tuo posto non è qui.»
La mano del re scivolò sul suo petto, e Nyx seppe cosa stava per succedere mentre i fiori si dissolvevano intorno a loro. «Spiegatemi, per favore.»
Regis scosse la testa. «Sappi questo. Tu non mi hai mai deluso, Nyx Ulric.»
E lo spinse lontano, nel buio che li stava circondando.
Mentre cadeva, Nyx vide Ardyn comparire alle spalle del re.
«Guardate.»
«…Ma come fa?»
Un attimo di silenzio, la prima boccata d’aria dopo un tempo interminabile.
«Non lo so.»
Insieme ai sensi tornò anche la percezione del suo corpo, e la delirante sensazione del dolore infuocato delle frustate gli fece quasi venire la nausea.
«Credo…credo che sia opera di Bahamut.»
Era coricato a pancia in giù su un letto troppo morbido per essere dell’ospedale, e l’aria fredda dell’inverno gli accarezzava la schiena scoperta.
Sentiva la pelle tendersi e muoversi in un lento e laborioso tentativo di rigenerazione.
«È incredibile.»
«C’è qualcosa di Nyx che non sia incredibile?»
Una breve risata collettiva, la sensazione di riavere il controllo del suo corpo.
«Dite…dite che sta bene?»
«Non ho intenzione di attaccarvi, se è questo che vi preoccupa.» Rispose alla domanda mentre apriva gli occhi.
«Ma che…?!»
La scena che si trovò davanti gli scaldò il cuore, e allo stesso momento gli fece provare una fitta di senso di colpa che lo attraversò in un brivido. Erano lì, tutti e quattro, a vegliare su di lui.
Fece forza sulle braccia per alzarsi, scoprendo che almeno le ferite dei proiettili erano svanite, ma gli cedette comunque una spalla. Si aspettava di finire sul materasso, ma un braccio tatuato lo sostenne prima che succedesse.
Alzò lo sguardo, e lo Scudo del Re gli sorrise brevemente.
Arrendendosi al suo sostegno, riuscì a mettersi seduto e, anche se il movimento gli fece sgorgare nuovo sangue dalle ferite non guarite, lo ignorò.
Espirò profondamente, cercando di sedare il dolore, e osservò i suoi custodi.
«Cosa ci fate qui?» Domandò, e loro si scambiarono brevi sguardi d’intesa.
Fu Ignis a farsi avanti per primo. «Siamo rimasti per controllare il tuo stato di salute dopo la…punizione. Noi…» S’interruppe un attimo, e Prompto colse la palla al balzo.
«Noi ti vogliamo bene, Nyx.»
«Quello che ha detto il biondino.» Confermò Gladio al suo fianco, e Nyx sorrise.
Erano anni che non si sentiva così.
Non c’era Ardyn, non c’erano problemi da affrontare e guerre da combattere.
C’erano solo quattro idioti che avevano rischiato la vita per salvare la sua.
«Ragazzi…»
«Si?»
«Grazie.» Mormorò semplicemente, sapendo che loro comprendevano cosa si celava dietro quella semplice parola.
Quando Noctis si alzò, Ignis si fece da parte, e fece un cenno a Gladio e Prompto, che lo seguirono fuori dalla stanza, lasciando il re e il generale da soli.
«Nyx, io…» Esordì il sovrano, ma l’uomo lo interruppe sollevando una mano.
«Va tutto bene. Sono stato io a dire che avrei accettato qualsiasi cosa come punizione, e ti ammiro perché sei stato tu a compierla.»
Il suo perdono sembrò sollevare un peso dallo sguardo del re.
«Non ho mai voluto farti del male, non così.»
Nyx si strinse nelle spalle, poi allungò una mano verso di lui. «Nemmeno io.»
Confessò, e vide Noctis osservare la sua offerta di pace, memore di com’era andata l’ultima volta.
Alla fine gli strinse la mano e gli sorrise brevemente. «Bentornato, Generale Ulric.»
Nyx ricambiò la stretta e sogghignò tra sé e sé, ma la sua mente rievocò l’inizio delle frustate con una fitta dolorosa, sia mentale che fisica.
Mentre le lacrime le si congelavano sulle guance, gli sorrise.
«Quando il buio stringerà il tuo cuore, io sarò la tua luce.»
Scese dal letto ignorando il capogiro temporaneo, e Noctis inarcò le sopracciglia.
«Dove pensi di andare ridotto così?»
Incrociò gli occhi del re. «Entro stasera starò bene. Devo vedere Luna.»
«Nyx, non posso lasciarti girare nel palazzo così, io…»
Afferrò il re per le spalle, incurante di ogni altra cosa, e sperò che lui capisse.
«Ti prego.»
E Noctis capitolò, perché Nyx non aveva mai pregato per nulla da quando lo conosceva.
Sospirò e gli fece un cenno.
«Camera vostra. Vai.»
 

 
Si fermò un istante davanti alla porta, rendendosi conto solo in quel momento di essere a petto nudo d’inverno, scalzo e disordinato come appena uscito da una rissa.
Le frustate avevano smesso di sanguinare, ma le strisce d’argento secco sulla pelle certo non contribuivano a dargli un aspetto migliore, sommate a tutto il resto.
Alzò una mano per bussare, ed esitò di nuovo.
Si sentiva quasi come un ragazzino di nuovo, in procinto di vedere la ragazza che gli faceva perdere la testa. Fece scrocchiare il collo e le spalle, ed inspirò profondamente.
Non era una metafora del tutto sbagliata, in fondo.
Luna gli faceva effettivamente perdere la testa.
Quando si decise a bussare, lo fece con il cuore in gola.
«Avanti.» Rispose la voce dall’interno, e Nyx aprì le porte con cautela.
Lo specchio rotto, la bruciatura sul muro, era sparito tutto.
Sentì la scossa attraversargli il corpo quando lei lo guardò, immobile.
Piegò le labbra in un timido sorriso, intrecciando le mani dietro la schiena per trattenere l’istinto di correre da lei, di stringerla, di baciarla come se fosse l’ultima volta che poteva farlo. «Ciao.»
La sua voce sembrò sbloccarla, e lei coprì la distanza che li separava in pochi istanti.
Tutto il suo essere stava cantando per la sua vicinanza, ma l’unica cosa che ottenne fu un sonoro schiaffo sulla guancia che lo lasciò stordito per qualche istante.
«Ciao?! Fai tutte queste follie, scappi e ti fai quasi uccidere, e tutto ciò che dici è “ciao” ?!»
Era ancora più bella da arrabbiata, pensò, e le sue parole erano totalmente veritiere.
«Dopo tutto questo compari dal nul…»
Fece un ultimo passo avanti, le prese il viso fra le mani e la baciò prima che potesse finire la frase.
Fu come iniettarsi vita pura nel corpo.
Sapeva di fiori, di calore, e di una pace che pensava di aver perso per sempre.
La sentì sciogliersi contro il suo corpo, abbandonandosi a lui con quella sicurezza che aveva sempre avuto. Dal primo momento che si erano visti, Luna aveva saputo che lui l’avrebbe protetta.
Quando si separarono, Nyx aveva il cuore a mille e il suo sapore sulla bocca.
Lei posò una mano sulle sue, lente lacrime che scivolavano sulle guance mentre osservava il suo viso come se ne avesse bisogno per sopravvivere.
«Sei un idiota, tu…tu…»
«Sono qui.» La interruppe di nuovo, lasciandosi invadere dalla sua vicinanza.
Avrebbe voluto solo poterla portare via, dove avrebbero potuto essere solo loro due, senza nessun tipo di problema, senza pericolo, senza dolore, ma non poteva, non ancora.
Inspirò a fondo, intrecciando le dita tra i suoi capelli.
«Mi dispiace.» Mormorò, lasciando scivolare l’altra mano sul suo collo, e sentendosi un infame quando lei sussultò impercettibilmente nel sentire le sue dita sui lividi.
«Mi dispiace da morire, io credevo…credevo che tenendoti lontana saresti stata al sicuro.»
Sussurrò, e poi terse le sue lacrime con il pollice.
Era così delicata, e così feroce.
Era venuta da lui nel pericolo, e l’aveva trascinato fuori a costo della sua vita.
«Luna, amore…potrai mai perdonarmi per ciò che ti ho fatto?»
Lei rimase un attimo in silenzio, e lui si sentì quasi svenire.
Se non l’avesse mai superata?
Se quello stupido gesto adorabile di restare con lui mentre veniva frustato fosse stato solo il momento?
Per la prima volta da settimane sentì il freddo invadergli il corpo, e fece un passo indietro.
Lei lo trattenne, mordendosi il labbro inferiore.
«Nyx.»
«Capirò se non riuscirai a perdonarmi.» Ammise, anche se faceva male pronunciare quelle parole.
Cosa si aspettava?
Di cercare di ucciderla un paio di volte e tornare, e che fosse tutto a posto?
La vide accigliarsi. «Da dove ti salta in mente una cosa simile?»
Gli chiese, e lui alzò lo sguardo su di lei, in attesa che finisse di parlare.
«Non hai niente da farti perdonare, Nyx. Non eri tu, e ora sei qui.»
Si avvicinò di nuovo a lui, intrecciandogli le braccia dietro il collo.
Era lì, ad un soffio da lui, e tutto di lui implorava di averla ancora più vicina, ancora più legata.
Gli era mancata così tanto che gli faceva male il cuore.
«Io…»
«Tu devi fare l’egoista per una volta.» Lo zittì lei, e sorrise mentre si tendeva verso di lui.
E Nyx fu egoista per quella sera, e dimenticò gli dei morenti, dimenticò le sue azioni, dimenticò coloro che aveva ferito, e dimenticò di essere immortale.
L’unica cosa che contava era che Luna era di nuovo al suo fianco.

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Capitolo 18
*** Come faceva Nyx a sapere sempre dove colpirla? ***


CAPITOLO 18
 
-Come faceva Nyx a sapere sempre dove colpirla?-
 
«Ma come siete carini.»
Doveva immaginarlo che non l’avrebbe lasciato in pace a lungo.
Sollevò lo sguardo dal collo di Luna, e guardò Ardyn studiarli.
Il suo corpo s’irrigidì istintivamente, e sua moglie se ne accorse, e fece un passo indietro, accigliata.
«Nyx, che succede?»
Spostò lo sguardo su di lei, e le sistemò i capelli dietro un orecchio con un sorriso amaro.
«Mi dispiace, io…» Perché Ardyn non la smetteva di ridere?
Avrebbe potuto riordinarsi le idee, senza la sua risata irritante intorno.
Luna gli prese il viso fra le mani, notando la sua esitazione. «Lui è qui, vero?»
Quando si limitò ad annuire, lei sorrise. «Non ho paura di lui, Nyx.»
Il generale sollevò lo sguardo sul fantasma e sospirò. «Non è di lui che devi avere paura, amore mio.»
Quella frase, a quanto pare, le fece effetto, perché la sentì rabbrividire tra le sue braccia.
«Tu non mi faresti mai del male.»
Sorrise tra sé e sé, notando quanto sembrava sicura delle sue parole, e si allungò a posarle un bacio sula fronte, le mani pigramente intrecciate dietro la sua schiena.
Era così bello averla lì, sana e salva, e sapere che gli inibitori che ancora portava gli avrebbe impedito di friggerla usando la magia.
«Ci sono modi migliori di ferire, Nyx. Non hai niente da dirle?»
«Sai sempre come rovinare tutto tu, vero?» Rimproverò Ardyn, guadagnandosi un’occhiata interrogativa di Luna.
«Che cosa ti ha detto?»
Irrigidì la mascella, esitando un istante: poteva sganciare quella bomba così?
«Le solite cattiverie, lascia stare.» Mentì con un sorriso, poi si affrettò a cambiare argomento lanciando un’occhiataccia al fantasma. «Durante la punizione…»
Lei gli si strinse contro, come impaurita anche solo a parlarne, e lui intrecciò le dita ai suoi capelli, appoggiando le spalle al muro dietro di loro. Aveva ancora la schiena in fiamme, ma ringraziò in silenzio Bahamut per la sua guarigione, e la dea gli rispose con un fugace pensiero.
«Che cosa vuoi sapere?» Sussurrò Luna, lasciando scivolare le mani sulla pelle nuda del marito.
Aveva così tante cicatrici che restava decisamente poca pelle liscia.
Le ustioni bianche sul fianco destro, che salivano fino al petto e addirittura alla guancia, il nodo di cicatrici dei re, e ora la schiena devastata, senza contare i piccoli, numerosi segni della sua vita sui campi di battaglia.
Lo sentì sorridere sui suoi capelli, e si chiese se stesse ancora vedendo Ardyn.
Saperlo lì la inquietava, eppure aveva completa fiducia in Nyx.
«Quando ho perso conoscenza, per esempio.»
Deglutì a fatica, sentendo la gola stretta in un nodo doloroso al ricordo.
Tra la neve e le lacrime che non riusciva a fermare, il viso di Nyx diventava sempre più pallido.
Sapeva che lui non la vedeva quasi più, dato che i suoi occhi erano offuscati dal dolore, eppure lui era ancora in silenzio.
Non aveva emesso un gemito di sofferenza, mai, mentre la sua pelle veniva aperta dalla frusta crudele.
Eppure, per quanto fosse forte, anche lui aveva ceduto.
Quando la sedicesima frustata si era aperta la strada nella sua carne le era crollato addosso completamente, e lei aveva sopportato le ultime quattro frustate stringendo il marito svenuto al petto.
«Sedici.» Sussurrò a fatica, sentendo gli occhi pizzicarle di nuovo.
E Nyx, che l’aveva sempre capita come un libro aperto, le posò due dita sotto il mento e le fece sollevare il viso verso di lui.
«Ricordi quando mi hanno sparato, mentre scappavamo da Insomnia?»
Le asciugò una lacrima fuggiasca dalla guancia, senza staccare gli occhi dal suo viso.
«Si.»
Lui sorrise, sentendo il cuore rinsaldarsi al ricordo.
Se qualcuno gliel’avesse chiesto, forse avrebbe detto che quello era stato il primo momento in cui aveva sentito quella strana forza venire da lei, quella connessione dritta nel suo cuore che lo legava a lei.
«Tu sei venuta da me nonostante fosse pericoloso, e mi hai preso la mano. Ed è stato in quel momento, mentre eri al mio fianco, preoccupata, che ho capito che avrei fatto di tutto per salvarti.»
Lei sorrise tra le lacrime, e scosse piano la testa.
Come faceva Nyx a sapere sempre dove colpirla?
Nel bene e nel male, lui era lì, e la conosceva come nessun altro.
«Sei stato uno stupido allora, e lo sei stato ora. Promettimi che non scapperai mai più da me.»
«Uh-u. Roba pesante da promettere, vero Nyx?»
«Taci.» Quasi ringhiò contro Ardyn, perché aveva ragione, e perché stava rovinando la sua riunione con la sua regina. «Luna…Te lo prometto.»
Cedette alla fine, e la sua ricompensa fu un sorriso che non avrebbe mai dimenticato, pieno di amore e gioia, con le guance arrossate e gli occhi lucidi.
Quando lei lo abbracciò, stringendolo come se fosse il suo porto sicuro in mezzo alla tempesta, Nyx affondò il viso nella sua spalla, ma non riuscì a staccare lo sguardo dal sorriso crudele di Ardyn.
Osservandolo gli tornò in mente quella specie di sogno che aveva avuto durante il suo stato incosciente, e le parole di Regis furono improvvisamente più chiare.
Ma avrebbe potuto fare una cosa del genere alla donna che amava?
Chiuse gli occhi e la strinse più forte, sentendo il suo stesso corpo tremare piano, come rifiutandosi di ammettere ciò che doveva fare.
«Hey, tesoro…Stai bene?» Gli domandò lei sentendolo tremare, badando a non toccare le ferite in via di guarigione. Quel suo lato così vulnerabile e incontrollabile la spaventava un po’, ammise a sé stessa: in qualsiasi situazione, Nyx aveva sempre saputo cosa fare, e cosa voleva, e ora sembrava perso nella nebbia.
«Si.» Sentì la sua voce vibrarle sul collo. «Pensavo…dovrei andare a chiedere scusa a tutti.»
Si allontanò appena da lui, inarcando un sopracciglio. «Lo sanno che non stavi bene, non ce l’hanno con te.»
Rise brevemente, divertito da quelle parole.
“Non stare bene” era un termine che si poteva usare per un’influenza.
«Sarà, ma mi farebbe stare meglio.» Ammise, e seppe che lei comprendeva quando gli sorrise, sciogliendogli il cuore. Perché non poteva essere tutto più semplice?
Perché non poteva essere normale?
«D’accordo. Ma che ne dici di metterti addosso qualcosa?» Gli fece notare, e solo in quell’istante si ricordò di essere ridotto come un profugo.
Con un sorriso malizioso che la fece arrossire, si diresse verso l’armadio. «Perché non ti piaccio così?» La provocò, ignorando deliberatamente l’espressione esasperata di Ardyn.
Lei gli si avvicinò a piccoli passi e gli piazzò un bacio tra le scapole che gli spedì un brivido lungo tutta la spina dorsale. «Anche troppo.»
Ammise, e lui sorrise, godendosi quell’ammissione.
Alla fine fu costretto ad arrendersi e indossare una camicia semi chiusa, in modo da non sfregare troppo sulle frustate, e insieme a Luna si diresse verso la sala del trono. Era una sensazione insolita, ammise, camminare nei corridoi e vedere persone che lo scansavano velocemente, o che abbassavano lo sguardo quando incrociavano il suo.
Lo faceva sentire una specie di bestia, un infausto spettro del malaugurio che nessuno voleva incrociare.
Sentì la mano di Luna sfregare piano sulla sua. «Non ci pensare. Capiranno che sei sempre il loro eroe, alla fine.»
«Peccato che per te non ci sarà mai una fine.»
Guardò Ardyn con la coda dell’occhio, e quando lui gli si sorrise con aria innocente pensò che era quasi comico camminare per i corridoi con loro due. Sua moglie, e lo spettro che aveva quasi distrutto il mondo.
Entrando, trovarono la sala del trono insolitamente vuota, con solo Noctis e Victoria presenti.
Erano seduti l’uno accanto all’altro, tesi a parlare a bassa voce, e così concentrati che nemmeno si accorsero del loro arrivo.
Fu Nyx a schiarirsi la gola, strappando un sorriso divertito alla moglie quando i sovrani si voltarono verso di loro con espressione sorpresa.
«Nyx. Sei tornato.» Lo salutò Noctis, e la sua incredulità lo fece sogghignare.
«Pensavi che avrei rapito Luna e sarei scappato?» Gli chiese, ottenendo in cambio una risata.
«Certo che no.» Rispose, e l’assoluta e totale fiducia nella sua voce fece incrinare qualcosa dentro di lui; come poteva il re fidarsi così tanto di lui, quando nemmeno lui sapeva cosa stava facendo la maggior parte del tempo?
Cercando di distrarsi, volse la sua attenzione sulla donna dai capelli di fuoco.
Si portò una mano al petto e s’inchinò brevemente. «Altezza.»
«Generale. Aspettavo di incontrarti nuovamente. Credo di dovermi scusare per le mie azioni.»
Mentre Luna inarcava un sopracciglio, ignara, lui sorrise.
«Non è il caso, altezza. Avevo bisogno di una strigliata, alla fine.»
Lei ricambiò il suo sorriso con aria complice, e fu come se un blocco scivolasse al posto giusto.
Victoria capiva, capiva le sue azioni, la sua ferocia, e il dolore nascosto dietro a tutto.
«Noctis, devo chiederti un favore.» Continuò, ottenendo l’attenzione del sovrano.
«Dimmi.»
«Devi darmi il permesso di andare in città, ci sono delle scuse che devo fare personalmente.»
Il silenzio calò sulla sua richiesta, e Nyx sostenne il peso di quello sguardo blu infinito, sperando che lui capisse.
E per qualche miracolo di cui fu grato, fu ciò che accadde. «Prendi la Regalia, non puoi andartene in giro così, è pericoloso.»
«Niente magia, ricordi?» Gli fece notare, alzando un polso, e Noctis sorrise con aria ironica.
«Non intendevo che tu saresti un pericolo per gli altri, Nyx.»
Lo disse con un tono così rilassato che sembrava parlasse del tempo, eppure aveva ragione.
Nonostante fosse stato pubblicamente fustigato e non avesse attaccato Insomnia, non poteva sapere quali conseguenze le sue azioni avrebbero potuto scatenare e, privo di magia, disarmato e indebolito com’era, perfino un veterano come lui sarebbe stato un facile bersaglio.
S’inchinò di nuovo, chiedendosi in silenzio se Bahamut, nella sua saggezza, l’avesse salvato per donargli di nuovo una famiglia che lo difendeva con le unghie e i denti.
«Grazie.»
 

 
Vedere Prompto con un bambino in braccio era forse la cosa più assurda e più perfetta alla quale gli fosse mai capitata di assistere. Il neonato era paffuto e strillava a pieni polmoni, e il neo papà continuava a fare avanti e indietro per la stanza nel tentativo di calmarlo.
«Sono contento di rivederti, Nyx. Sapevo che avresti risolto tutto.»
Sorrise, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, ma sentì l’amaro in bocca.
Un’altra persona che si fidava di lui al cento per cento, un’altra possibile delusione.
«Sarei più contento se Cid tacesse.» Continuò, tra il seccato e l’intenerito, e il soldato ridacchiò a quella scena. Solo pochi giorni prima, il biondo era armato e pronto a lottare contro di lui.
Tutto per proteggere la sua famiglia.
Sentì la risata di Luna dalla cucina, dove lei e Cindy erano andate a preparare il latte per il piccolo.
Tutto, per lei.
«Nyx.»
Alzò lo sguardo quando Prompto gli si fermò davanti. «Cosa c’è?»
«Prova tu per favore.»
Quella era la cosa più assurda che aveva mai sentito, si corresse, e la tensione gli irrigidì le braccia quando l’uomo gli porse il bambino. «Prompto, non so se…»
«Va tutto bene Nyx, mi fido di te.»
Imprecò tra sé e sé, eppure quella semplice frase su come una lancia dritta nel suo cuore.
Se Prompto si fidava abbastanza da lasciargli suo figlio dopo tutto ciò che aveva fatto, non poteva deluderlo.
«D’accordo.» Cedette in un sospiro, e prese il bambino dalle braccia del padre il più delicatamente possibile. Quando il piccolo Cid piantò i suoi occhioni azzurri su di lui, fu come essere trascinato in un mondo dove non esisteva nulla, se non pace.
Sorreggendo il fagottino con un braccio, lasciò che le sue piccole manine gli si avvolgessero intorno alla mano ustionata, e sorrise mentre lui si calmava lentamente, avvolto dal calore che il suo corpo emanava ad ondate.
«Il latte è pronto…oh.» Luna uscì dalla cucina con il biberon tra le mani, ma si bloccò subito dopo.
Quando Nyx le sorrise tenendo il bambino tra le braccia, le si sciolse il cuore.
Il viso di suo marito sembrava così pacifico, in quel momento, pieno di tenerezza verso quella piccola forma di vita che stringeva tra le braccia.
Notò il sorriso di Prompto e gli si avvicinò. «Grazie.» Sussurrò, non volendo disturbare quella scena, e lui si strinse nelle spalle come a voler dire che non aveva fatto nulla.
E mentre Cid si addormentava, Luna pensò che vedere un veterano di battaglie sanguinose stringere un neonato con la delicatezza di un fiore era l’immagine più serena che esistesse. 

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Capitolo 19
*** Non avrebbe potuto chiedere una cosa del genere a nessun altro. ***


CAPITOLO 19
 
-Non avrebbe potuto chiedere una cosa del genere a nessun altro.-
 
Distese la schiena contro il sedile della Regalia, le mani strette sul volante, ripassando mentalmente tutti i posti dove voleva andare.
Gladio, Prompto e Ignis erano fuori dalla sua lista, e tutti e tre l’avevano trattato come se fosse semplicemente un parente tornato in visita dopo tanto tempo. Affetto, preoccupazione e fiducia.
«Nyx, senti…» La voce di sua moglie lo distrasse, e si voltò a guardarla, sul sedile accanto al suo.
Aveva lo sguardo basso e si tormentava le mani, e lui sentì la tensione assalirlo nel vederla così nervosa. Allungò una mano verso di lei e le strinse brevemente una gamba. «Stai bene?»
Luna sollevò lo sguardo, sorridendo nel notare l’espressione tesa del marito: sarebbe mai stato in grado di rilassarsi completamente?
Quella sfumatura tesa nei suoi occhi tempestosi sarebbe mai scomparsa?
«Certo che sto bene, mi chiedevo solo…» Esitò, sentendo il viso scaldarsi mentre cercava le parole giuste per fargli la domanda che le premeva nel cuore da un po’.
Andava tutto bene, si disse guardando le sue labbra piegarsi in un sorriso incoraggiante.
Era Nyx.
«Quando questa storia sarà finita, hai mai pensato di…beh, di avere un figlio?»
Fu l’ennesima doccia fredda, e si sforzò di continuare a sorridere nonostante si sentisse soffocare.
Allontanò la mano da lei e strinse il volante con forza, cercando di scaricare quell’ansia e quel dolore improvvisi. Se fosse stato tutto normale, non avrebbe esitato a rispondere alla sua domanda.
Ma non c’era nulla di normale, e la risata divertita di Ardyn dal sedile posteriore glielo ricordò dolorosamente.
«Luna, tu sei…?» Non riuscì a terminare la frase mentre si sforzava di mantenere una facciata cauta. Ce l’avrebbe fatta a vedere morire suo figlio?
Lei inarcò le sopracciglia e rise quando comprese la sua domanda, lievemente imbarazzata. «Cosa? Oh no, no, tranquillo.»
Abbassò nuovamente lo sguardo, e lui si rese conto di averla ferita non rispondendole.
Così, inghiottì il proprio dolore, regalandolo alla dea nel suo cuore, e si sporse verso di lei, sfiorandole la guancia con un bacio delicato. «Sarebbe il regalo migliore che potresti farmi.»
Sussurrò, e lei si voltò di scatto verso di lui, bloccandogli il viso fra le mani e strappandogli un bacio che gli fece girare la testa.
Quando si allontanarono, le sorrise. «Se fai così non aspetterò di sistemare questa faccenda.»
La provocò, guadagnandosi uno schiaffetto amichevole e imbarazzato sul braccio.
«Smettila!» Lo incitò sorridendo, e lui assunse nuovamente la postazione di guida.
La Regalia scattò nella neve appena sfiorò l’acceleratore, obbediente, e fu l’istinto a portarlo alla sua prossima meta, dato che la sua mente continuava a dipingere – in maniera fin troppo dettagliata – la morte del figlio che ancora non aveva.
«Vuoi che aspetti qui?»
«Cosa?» Si voltò verso di lei, accorgendosi di essere fermo, e lei gli indicò la casa alle sue spalle.
Seguendo il suo cenno, si rese conto di dov’era.
Deglutì a fatica, rendendosi conto di essere più nervoso di ciò che doveva. «Faccio in fretta.»
Scese dall’auto senza nemmeno aspettare la sua risposta, e il gelido vento invernale s’infilò sotto la camicia, sfiorando le ferite in fiamme. Sarebbero rimaste le cicatrici, nonostante tutto.
Si stava interrogando su cosa dire quando la porta venne aperta, e un ragazzino paffuto gli piantò addosso uno sguardo severo. Non era impaurito, e la cosa gli strappò un sorriso.
«Ciao Drautos. Tuo padre è in casa?»
Era stato strano, inizialmente, chiamare quel bambino con il nome dell’uomo che aveva ucciso, ma aveva capito perché Libertus avesse compiuto quella scelta: nonostante fosse un traditore, il severo addestramento che Drautos aveva inflitto loro era l’unico motivo per il quale erano ancora vivi.
Aveva fatto molto, per entrambi, era innegabile.
«No. Vattene.»
Fu lesto a bloccare la porta con un piede quando il giovane la chiuse, e sfruttò la sua superiorità fisica per entrare in casa nonostante lui cercasse di impedirglielo.
Quando fu all’interno sollevò le mani, mostrando gli inibitori al ragazzo. «Li vedi questi? Vogliono dire niente magia. Non sono qui per farti del male, e tantomeno fare del male a tuo padre.»
«Io…»
«Drautos, chi…»
Nyx sollevò lo sguardo sentendo i passi sulle scale, e incrociò lo sguardo del suo migliore amico.
Camminava appoggiandosi ad un bastone, curvo su sé stesso, e il generale s’impose di tacere mentre lui avanzava a fatica, sedendosi sulla poltrona.
«Papà, non volevo farlo entrare, lui…»
«Va bene così. Vai di sopra, figliolo.» Mormorò Libertus al figlio che, anche se controvoglia, obbedì al padre. Quando furono da soli, Libertus gli fece un cenno. «Siediti.»
Nyx si abbandonò sul divano accanto a lui ed espirò profondamente.
«Non so da dove iniziare.» Esordì, scuotendo la testa.
Era tutto così…troppo.
Aveva difeso coloro a cui teneva con le unghie e con i denti, e ora si stava scusando per averli quasi uccisi, per averli feriti in modi peggiori che fisicamente. Abbassò lo sguardo, costernato, aspettandosi una sfuriata da parte del suo migliore amico.
Eppure, Libertus non fece nulla di tutto ciò.
«Puoi iniziare andando in cucina a prendere da bere.» Gli domandò con tono divertito, e Nyx scattò alla richiesta, tornando poco dopo con un paio di bicchieri e una bottiglia di vino.
Mentre versava, Libertus ricominciò a parlare.
«Non mi devi spiegazioni, Nyx.» Appoggiò la schiena contro la poltrona, studiando l’uomo davanti a lui. Cupo, pieno di cicatrici, schiacciato da un peso che sembrava tremendo. «Lo sai che tra noi è sempre stato così. Se ciò che mi hai fatto è servito a farti tornare sano di mente, tanto meglio.»
Sollevarono i bicchiere insieme, e bevvero il primo sorso.
«E poi, lasciatelo dire, ma hai un aspetto decisamente peggiore del mio.»
Nyx sogghignò, finendo il bicchiere. «Non posso darti torto. Libertus, c’è una cosa che devo dirti.»
Confessò all’improvviso, sentendo quel peso rischiare di stritolargli il cuore.
Aveva bisogno che qualcuno lo sapesse, e nessun altro era più adatto dell’uomo che era stato al suo fianco per tutta la vita.
«Hey, lo sai che mi puoi dire di tutto.» Lo esortò l’amico, sorseggiando l’alcolico, ma quel cipiglio incupito sul volto di Nyx non lasciava presagire nulla di buono.
Ne ebbe la conferma quando incrociò gli occhi tempestosi dell’uomo.
«Bahamut mi ha reso immortale.»
Sganciò la bomba all’improvviso, e vide il bicchiere scivolare dalle mani dell’amico come se il tempo si fosse fermato alle sue parole. Si alzò velocemente, afferrandolo prima che cadesse, e poi tornò a sedersi, in attesa che Libertus ritrovasse la parola.
«Tu sei…Lunafreya lo…»
«No.»
«Cazzo Nyx. Ti sei sempre cacciato nei casini, ma questo…»
Con una risata tesa, Nyx si versò altro vino, e lo finì in un sorso solo. «Lo so.»
Si limitò a dire, e poi il suo sguardo cadde sulla fede argentata.
Da lì a qualche secolo, quel piccolo cerchio d’argento sarebbe stata l’unica prova dell’esistenza di Luna. Si passò una mano sul volto, espirando profondamente, cercando di respirare normalmente, ma anche un’azione istintiva come quella gli era difficile.
«Mi dispiace.»
Alzò lo sguardo sull’amico, e piegò le labbra in un sorriso amaro. «Grazie. E grazie anche per non avermi mandato al diavolo appena mi hai visto, me lo sarei meritato.»
Libertus scosse la testa, incredulo. «Tu ti meriti un po’ di pace. Cielo, ti sei pure fatto frustare!»
«Mi meritavo pure quello.»
«Non è vero. Avrei voluto prendere a pugni il re in quel momento, è stato uno schifo guardare.»
Nyx non poté fare a meno di sorridere mentre riempiva di nuovo i bicchieri.
Che cos’aveva fatto, si chiese, per essere circondato da persone che gli volevano così bene?
Sollevò il bicchiere, sentendosi un pochino più sereno.
Libertus era ancora con lui in mezzo alle macerie e al sangue.
«A noi.»
«A noi.»
Il tintinnio dei bicchieri riecheggiò nell’aria mentre bevevano.
 

 
Gli piaceva la Regalia, ammise, e allo stesso tempo promise a sé stesso che, in un modo o nell’altro, sarebbe diventata sua quando tutto il resto sarebbe crollato.
Si sarebbe dovuto abituare a guidare senza Luna al suo fianco, si ricordò gettando un’occhiata al sedile vuoto accanto a lui. Avrebbe voluto portarla con sé, avrebbe voluto rimanere con lei e non lasciarla nemmeno per un secondo, ma lei non avrebbe approvato ciò che stava per fare.
Le parole di Regis erano diventate ancora più chiare quando lei gli aveva spiegato la sua conversazione con Gentiana dei giorni precedenti, e la sua decisione era stata immediata.
C’era solo una persona che poteva aiutarlo, ed era anche l’ultima alla quale pensava che si sarebbe mai rivolto; d’altronde, lui e Ravus non erano andati molto d’accordo ultimamente.
Sorrise nel ripensare a poco prima, quando aveva lasciato la moglie nel cortile del palazzo.
Lei si era sporta nell’auto, e gli aveva allacciato il ciondolo a forma di mezzaluna al collo, sostenendo che, forse, gli avrebbe portato fortuna.
Ci era voluto un po’ per convincerla che doveva andare da solo, e alla fine lei aveva capito, nonostante tutto, e ora Nyx si stava dirigendo verso la casa dell’ex comandante.
Mentre bussava alla porta e aspettava, pregò Bahamut che lui accettasse nonostante tutto.
Non avrebbe potuto chiedere una cosa del genere a nessun altro.
Ravus era l’unico ad essere abbastanza furioso con lui da accettare.
Quando la porta si aprì, Nyx si lasciò andare ad un sorriso gelido.
«Ravus.»
«Ulric.»
«Sono passato a farti i complimenti per aver rischiato di ammazzare tua sorella.»
Ecco cos’era, si rese conto, quella strana tensione nello stomaco.
Non paura, non timore, ma un selvaggio istinto di protezione verso la moglie, e rabbia verso l’uomo che l’aveva quasi uccisa.
«Siete in due allora.» Sogghignò Ardyn al suo fianco, e ancora una volta Nyx non poté dargli torto.
«Veramente miravo a fare fuori te.»
«Beh.» Nyx allargò le braccia. «Come vedi hai fallito.»
Ravus irrigidì la mascella, e i suoi occhi viola si accesero di rabbia. «Ho notato.»
Era così facile, pensò il generale, fin troppo facile provocarlo.
Ciò che non si aspettava, però, era che Ravus lo conoscesse abbastanza bene da sapere come fargli perdere le staffe in poche parole.
«E tu hai fallito con Lunafreya.»
Con un braccio solo, però, Ravus non riuscì a parare il pugno che gli si abbatté sulla mascella.

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Capitolo 20
*** Di urlare a tutti loro che era immortale, che avrebbe preferito vederli morire tutti in quel momento piuttosto che guardarli vivere per anni con lui e poi scivolargli via tra le dita come sabbia. ***


CAPITOLO 20
-Di urlare a tutti loro che era immortale, che avrebbe preferito vederli morire tutti in quel momento piuttosto che guardarli vivere per anni con lui e poi scivolargli via tra le dita come sabbia.-
 
«Tu l’hai lasciata sola quando aveva più bisogno di te, non osare dirmi che ho fallito.»
Gli ringhiò contro, entrando in casa a passo di marcia mentre lui arretrava.
Si massaggiò la guancia e gli lanciò un’occhiata furiosa. «Ho fatto ciò che dovevo per proteggerla.»
«Proteggerla?!» Nyx scosse la testa, sentendo la rabbia invaderlo. Afferrò Ravus per la maglia e lo sbatté violentemente contro il muro. «Ad Insomnia sarebbe morta se non fossi stato presente, ad Altissia è morta, e io l’ho salvata. Contro Ifrit avrebbe ceduto, se non fossi stato lì!»
Mentre una parte di lui ringraziava mentalmente il fatto di essere disarmato e privo di magia, l’altra stava perdendo la testa. Come osava Ravus dirgli che aveva fallito come marito?
Aveva protetto Luna con tutto sé stesso dal primo giorno in cui l’aveva vista, e le dedicava ogni singolo secondo della sua vita.
Perfino tutto il male che aveva inflitto, era stato per tenere lei al sicuro.
«L’unica cosa che tu sei stato capace di fare è stato rischiare di ucciderla.» Sibilò crudelmente, e poi si costrinse ad allontanarsi, lasciando l’ex comandante a boccheggiare in cerca d’aria.
Si passò furiosamente le mani tra i capelli, cercando di scaricare quella carica bellica.
«Non sono venuto qui per litigare.»
Si voltò versò Ravus, e l’unica cosa che ottenne fu un calcio in pieno petto che lo spedì contro la porta. Gli si annebbiò la vista quando il dolore gli esplose sulla schiena, e crollò carponi sul pavimento sentendo la stoffa attaccarsi alla carne ancora esposta. Immortale o no, quel dolore era terribilmente umano.
Imprecò sottovoce e sollevò il viso giusto in tempo per evitare il pugno alla guancia, trovandosi seduto contro il legno con il cognato a troneggiare su di lui. «Ascoltami.» Lo pregò, ma a quanto pareva, Ravus non era dell’umore giusto per una conversazione.
Quando cercò di colpirlo di nuovo, la sua mano si schiantò contro le ali metalliche di Bahamut.
Nyx sogghignò soddisfatto nel notare la sua espressione esterrefatta. «Gli inibitori…Come…»
«Non esistono inibitori in grado di domare un dio.»
Si alzò sorreggendosi al muro, mantenendo le ali semi chiuse intorno al corpo. «Tocca a me ora.»
Aveva fatto bene ad implorare Luna di rimanere a casa, pensò mentre lui e Ravus rovinavano oltre le poltrone del salotto, finendo a terra.
Nyx lo costrinse a terra, e distese le ali della dea, ignorando di star distruggendo la stanza.
Quando Ravus cercò di ribellarsi gli bastò colpirlo al polso ferito per farlo desistere per il momento.
«Ascoltami.» Ripeté, e questa volta catturò l’attenzione dell’uomo. Forse, pensò, era il fatto che i suoi occhi scintillavano d’argento e che, nonostante tutto e se avesse voluto, non gli sarebbe stato difficile aprirgli la gola e lasciarlo agonizzante sul pavimento. «Non sono venuto qui per rinfacciarci le cose.»
«Allora che diavolo vuoi?» Ringhiò Ravus, e vide Nyx sospirare.
Il generale sospirò appena, e fece un passo indietro, liberandolo.
Mentre le ali svanivano e i suoi occhi cambiavano tonalità, tese una mano al cognato.
«Sono qui per chiederti un favore.»
Gli sembrava quasi di vedere i pensieri rincorrersi nel cervello del cognato mentre studiava la sua offerta di pace.
Che cosa gli passava per la testa?
Che razza di favore voleva?
«Entrambi abbiamo sbagliato con Lunafreya, ed entrambi vogliamo solo che sia al sicuro, e felice.»
«Questo non spiega perché sei qui.»
«Perché sei l’unica persona che so che farà ciò che deve, se è per Luna.»
Ravus cedette a quella frase appena mormorata.
Nyx Ulric restava, dopo tutti quegli anni, un arrogante bastardo se voleva, e sempre un uomo che avrebbe bruciato il mondo per tenere al sicuro la moglie.
Afferrò la mano che gli veniva porta e lasciò che lui lo aiutasse.
«Che cosa devo fare?»
 

 
«La Lacrima di Bahamut?» Domandò Lunafreya, accigliata, sfogliando il libro.
Ignis, davanti a lei, annuì. «Ci sono diverse versioni su questa cometa, ma il nome è sempre comune, così come la tragedia che segue la sua comparsa.»
«In questo caso, il ritorno dei daemon.» Commentò Victoria, seduto a capo tavola accanto al marito.
Noctis annuì con aria grave. «E di Ardyn.»
«Qualcuno di voi ha mai pensato di chiedere direttamente a Bahamut?» Intervenne Nyx con aria ironica, appoggiato al tavolo di marmo.
Erano passati due giorni dal suo accordo con Ravus, e ancora non aveva avuto il coraggio di dire a coloro che avevano lottato con lui e per lui cosa doveva fare. Il fatto che sapessero che Ardyn stava giocando con lui dall’aldilà, però, era in qualche modo confortante, una cosa in meno da spiegare.
Ignorando proprio Ardyn che passeggiava sul tavolo, Nyx sorrise al re.
«Scusaci Nyx, sei il diretto interessato e parliamo di te come se non ci fossi.» Si scusò il sovrano, e poi gli fece cenno di continuare il suo discorso.
Era il momento, pensò, ma poi la sua mano lo sfiorò, e tutta la sua tenacia crollò.
Non poteva, non in quel momento, distruggere quel precario equilibrio che si era ricreato in quei giorni. «Bahamut conferma che la Piaga della Stelle si sta espandendo nel suo…» Si corresse all’ultimo: se doveva sganciare la bomba prima o poi, meglio farli abituare lentamente. «Nel nostro cuore. Ardyn sostiene che ci trasformerà in demoni, prima o poi, ma non so se ha ragione.»
«Non bisogna mai fidarsi di lui.» Mormorò Gladio, all’altro fianco del re. «Ha già dimostrato molte volte di provare un certo gusto a rifilarci menzogne.»
«Accidenti, potrei quasi definirmi ferito.» Commentò teatralmente l’interessato con una mano sul cuore, e Nyx si morse una guancia per soffocare una risata. Cercava sempre di sembrare il più normale possibile, il più sano possibile, ma gli risultava difficile a volte.
«Perché non ti fai vedere da loro?» Gli domandò, attirandosi gli sguardi curiosi del gruppo.
L’unico che sembrava rilassato era Cor, appoggiato contro il muro ad un lato della stanza, e si chiese come facesse ad essere sempre controllato.
Per un attimo, s’immaginò come appariva, un pazzo pieno di cicatrici che parlava da solo fissando il vuoto. Ardyn gli fece un sorriso sarcastico. «Anche se potessi, significherebbe accedere al loro cuore e alla loro mente come ho accesso alla tua. Vorresti davvero farmi questo regalo?»
«Non ci avevo pensato.» Ammise, e poi si rese conto di ciò che Ardyn aveva detto.
«Nyx…» La voce cauta di Noctis cercò di strapparlo a quella scena, ma lui alzò una mano per zittirlo. «Solo un attimo. Hai detto che non puoi? Perché?»
Ardyn annuì con una breve risata, come se stesse pregustando l’effetto che la risposta gli avrebbe fatto.
«Perché loro non sono uguali a me. Tu sì.»
«Nyx, tutto bene? Cos’ha detto?» Gli chiese Gladio, guardandosi nervosamente intorno come se Ardyn potesse sbucare dalle ombre. Il generale si costrinse a piegare le labbra in un sorriso, a loro beneficio, e scosse la mano con aria noncurante. «Nulla d’importante.»
Uno scambio fugace di sguardi, e poi Luna si sporse verso di lui, le dita intrecciate alle sue. «Nyx, avevi promesso che non saresti più fuggito da me…»
Gli venne voglia di urlare.
Di urlare a tutti loro che era immortale, che avrebbe preferito vederli morire tutti in quel momento piuttosto che guardarli vivere per anni con lui e poi scivolargli via tra le dita come sabbia.
Sorrise amorevolmente alla donna preoccupata che lo stava guardando, promettendo che avrebbe omesso la seconda parte, quando le avrebbe confessato il suo segreto. «Davvero, non è niente. Piuttosto.» Cambiò argomento e si voltò verso Noctis.
«Devi togliermi gli inibitori se rivuoi la spada di tuo padre.» Gli fece notare, e dal breve silenzio che calò comprese che stava riflettendo se fosse o meno una buona idea. Alla fine, fece un cenno al suo Scudo, e Gladio gli si avvicinò estraendo la piccola chiave che apriva i congegni.
Quando gli inibitori scivolarono sul tavolo, inutili, tornò.
Tornò come un fiume che distrugge una diga, riempì la sua mente e le sue vene, e gli spedì una scarica adrenalinica nel corpo. Era sua di diritto, e ora era tornata.
«Nyx…non farmene pentire.» Noctis attirò la sua attenzione, e lui sogghignò nel notare come fosse quasi sporto davanti alla moglie, pronto ad intervenire se serviva. Si alzò dalla sedia e fece il giro del tavolo per avvicinarsi a loro.
Quando evocò la spada del re e le scintille di fulmini danzarono sulle sue dita, Gladio afferrò l’elsa della propria spada, pronto ad attaccare se si fosse rivelato necessario. Invece, Nyx girò la spada e la porse dalla parte dell’elsa al suo legittimo proprietario, senza accennare movimenti bruschi.
Sentiva il suo sangue ribollire di magia, e una parte di lui avrebbe voluto gelare il tavolo e fulminare un paio di presenti, ma non lo fece. Sistemare Ardyn era la soluzione, si convinse, e poi la sua magia sarebbe tornata in equilibrio.
«Grazie.»
«Prego. È tua di diritto, e dovrebbe stare al tuo fianco, non ad impolverarsi.» Gli fece notare con un sorriso, e il re acconsentì con un cenno colpevole.
«Direi di tornare alla questione principale, ora.»
Nyx si sentì gelare il sangue quando incrociò lo sguardo di Luna.
Prima o poi sarebbe arrivato il momento, e lei avrebbe scatenato un casino se avesse saputo cosa voleva fare, e a chi aveva chiesto di farlo.
Si sedette di nuovo accanto a lei e le passò un braccio intorno alle spalle, stringendola a sé.
Era così calda, così unica, così sua.
«Non abbiamo modo di andare nel mondo dei morti per…sistemare Ardyn.» Continuò Ignis, pragmatico. «Quindi, se qualcuno di voi ha dei suggerimenti, sono ben accetti.»
«Io ho un’idea.» S’intromise Nyx con un sorriso che tutti loro sapevano non avrebbe portato a qualcosa di utile. «Facciamo tutti quanti una pausa e andiamo a nanna, e domani ne riparliamo. Il sonno porta consiglio, da quello che ho sentito dire.»
Stranamente fu Victoria ad intervenire in suo favore, e lui le fece un cenno di gratitudine, anche se sospettava che lei l’avesse fatto per evitare troppa fatica al marito convalescente.
«Il generale ha ragione. Andate a riposarvi.»
«Nyx. Non dimentichi qualcosa?» La voce del re lo bloccò sulla porta, e Noctis gli indicò gli inibitori abbandonati sul tavolo.
Si accigliò, e il re si affrettò a spiegargli la situazione. «Sono solo una precauzione. Non ti costringerò a portarli, quando saremo sicuri che avrai di nuovo il pieno controllo.»
E Nyx si arrese a quell’ennesima dimostrazione di logica, e lasciò che Gladio gli riallacciasse i piccoli, infernali congegni ai polsi.
Mentre la luce si accendeva, la sua magia si spense di nuovo.
«Ci vediamo domani mattina.»
Le sue parole sciolsero l’assemblea e, mentre camminava verso la camera da letto con Luna al suo fianco, Nyx prese la sua decisione. Se fosse andato tutto bene, lei non se ne sarebbe nemmeno accorta, e al mattino dopo sarebbe stato tutto come doveva.
«Sicuro di stare bene? Non è da te scappare così.» Sorrise Luna, tra il divertito e il preoccupato, quando furono nella privacy della loro stanza.
Nyx si tolse delicatamente la maglia, sentendo la pelle tendersi dove le ultime frustate stavano ancora guarendo, e poi si voltò verso di lei con un sorriso malizioso che la fece arrossire.
«Forse volevo solo dedicarmi a qualcosa di più…stimolante.»
 

 
Era notte fonda ormai, calcolò, osservando la pallida luce di Insomnia filtrare tra le tende.
Luna dormiva accanto a lui, e per qualche istante si godette l’immagine del suo viso delicato e sereno nel sonno, l’aura quasi bianca dei capelli sciolti sul cuscino.
«Potresti ricordarla così. Uccidila, e questa sarà l’ultima immagine che avrai di lei.»
Fece segno ad Ardyn di tacere, sforzandosi di non ordinargli di smetterla di cercare di farlo andare fuori di testa del tutto. Quando lo spettro scoppiò a ridere, Nyx si arrese e ricorse all’unico modo che aveva per zittirlo per qualche istante.
Quando riaprì gli occhi, l’immensa armatura viola e argento di Bahamut era davanti a lui, e le sue ali erano distese nell’oscurità. C’era una quasi totale assenza di luce, un buio compatto che gli pesò sul petto.
Incrociò lo sguardo della dea. «Sei sicura che funzionerà?»
Lei annuì, sollevando le mani in modo che fosse all’altezza del suo viso. «Sì.»
«Se qualcosa va storto in tutto questo, non la rivedrò mai più. Mi sto fidando di te.» Le fece notare, cercando di mantenere la voce il più salda possibile. Non voleva pensare a cosa sarebbe successo se avesse fallito.
Gli occhi di Bahamut si socchiusero, e per un attimo dentro vi scintillò qualcosa di simile all’affetto. «Rilassati, mio cuore. Andrà tutto bene.»
Aprì le mani e lui cadde nel buio, la tensione svanita.
Spalancò gli occhi e incrociò lo sguardo curioso di Pryna al fondo del letto.
Sembrava domandargli cosa ci fosse che non andava, e la cosa lo fece sorridere. Non aveva mai capito cosa fossero esattamente lei e il suo inseparabile compagno, Umbra, ma erano stati il loro sostegno silenzioso, sempre presenti nel momento del bisogno.
Scese con cautela dal letto, badando a non svegliare la moglie, e poi si accucciò sul pavimento, e fece segno alla cagnolina bianca di avvicinarsi.
«Devo andare via per un po’.» Sussurrò, sentendosi meno strano di quanto si aspettasse a parlare con un cane. Ma d’altronde, parlava con i fantasmi. «Non svegliarla, per favore. Veglia su di lui finché sarò tornato.»
Pryna uggiolò quasi impercettibilmente e gli leccò il naso, strappandogli una risata soffocata.
Le accarezzò il muso e si rialzò. «Brava. Ciao.»
Badando a non fare troppo rumore, uscì dalla stanza e, mentre chiudeva le porte, l’ultima cosa che vide fu Pryna che saltava sul letto ad occupare il suo posto.
I corridoi del palazzo erano deserti, a quell’ora della notte, così non fu costretto ad evitare nessuno mentre si dirigeva all’ascensore, e da lì saliva alla terrazza all’ultimo piano.
L’aria fredda dell’inverno lo accolse quando le porte dell’ascensore si aprirono di nuovo, e scoprì che lui era già là.
«Perché qui?» Gli chiese Ravus, gettando un’occhiata alla città sottostante, e Nyx si sistemò al suo fianco.
«Tutto è iniziato qui. Volevo che finisse nello stesso posto.»
Le labbra del cognato s’inclinarono in un mezzo sorriso. «Sentimentale.»
Si strinse nelle spalle. «Lo aggiungerò alla lista dei miei crimini. Sei pronto?»
Ravus annuì, ed estrasse la pistola dal fondina. «Dovrei essere io a chiederlo a te.»
Nyx sorrise, ignaro che, al piano di sotto, Lunafreya si fosse appena svegliata, e si fosse accorta della sua assenza.
«Lo sono, per quanto qualcuno possa essere pronto a una cosa del genere.»
Indossò la vestaglia in fretta e furia, e corse fuori dalla stanza, a piedi nudi sul pavimento gelido, gridando a gran voce il suo nome.
Gli occhi viola di Ravus s’incupirono ancora di più. «Sei sicuro che funzionerà? Luna non mi perdonerà mai se non funziona.»
Aveva solo una scelta, si rese conto, e raggiunse di corsa la stanza da letto del re.
«Bahamut dice che funzionerà, e le credo.» Ammise, e poi sorrise quando Ravus gli puntò la pistola contro. «Grazie, a proposito. Sei l’unico che mi odia abbastanza per potermi aiutare.»
Nonostante fosse stato svegliato nel cuore della notte, Noctis reagì con una lucidità sorprendente alla notizia. Afferrò il localizzatore nel cassetto, e la guidò fuori dalla stanza.
«Penso lo stesso che tu sia insopportabile, a volte, ma…Ti ammiro. Non molti uomini farebbero questo, anche se fosse per la famiglia.»
Luna stava fremendo nell’ascensore mentre salivano. Sembrava che non si muovesse più.
Nyx scosse la testa con un sorriso. «Per Luna.»
Ravus annuì.
Tra tutti, solo loro due avrebbero fatto follie per lei.
Sfiorò il grilletto, osservando l’uomo davanti a lui. «Per Luna.»
Le porte dell’ascensore si aprirono mentre la pallottola partiva.
Nyx ebbe a malapena il tempo di voltarsi prima che il proiettile gli si piantasse nella fronte.

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Capitolo 21
*** Erano lì, tutte e due, e sollevarono una mano a salutarlo per l’ultima volta. ***


CAPITOLO 21
 
-Erano lì, tutte e due, e sollevarono una mano a salutarlo per l’ultima volta.-
 

Spalancò gli occhi all’improvviso, sentendo l’aria invadergli prepotentemente i polmoni.
Dov’era?
Si accigliò, non riconoscendo il soffitto che accolse il suo risveglio.
C’erano voci, in sottofondo, si rese conto, e voltandosi vide la tv accesa dall’altro lato della stanza.
Si tirò a sedere, e l’emicrania rischiò di buttarlo nuovamente giù, spingendolo a portarsi una mano alla tempia, ma così facendo notò l’ennesima stranezza.
La sua pelle era liscia, non nera e coperta di ustioni come avrebbe dovuto essere.
Spostò di scatto la mano al proprio viso, e l’unica cosa ruvida che sentì fu un accenno di barba.
«Ma cosa…»
Si alzò e si avvicinò alla prima finestra che vide: il vetro sfocato gli restituì il riflesso del suo viso, privo di qualsiasi segno di ciò che aveva passato.
Tese le spalle, e non sentì la pelle tendersi sulle frustate in via di guarigione.
«Oh, sei sveglio.»
Non era possibile che avesse davvero sentito quella voce, si disse.
Lei era morta.
«Mamma! È sveglio!»
Si accigliò, ascoltando i passi dal piano superiore. «Era ora.»
Scherzò una voce setosa, e Nyx sentì il cuore stringersi in una morsa dolorosa.
Inspirò a fondo e si voltò verso l’entrata della stanza.
Ciò che vide fu l’equivalente emotivo di una martellata, e sentì gli occhi inumidirsi.
Erano là, tutte e due, e lo stavano osservando con un sorriso affettuoso che divenne stranito quando si resero conto di come le stava guardando.
«Fratellone, stai bene?»
Si costrinse ad annuire. Erano passati così tanti anni dall’ultima volta che aveva sentito la sua voce.
«Vieni qui.» La incitò, e la sua sorellina dagli occhi di tempesta si avvicinò tra il cauto e il divertito.
«Si può sapere cosa ti…»
Non le diede il tempo di finire la frase, e l’attirò in un abbraccio quando fu abbastanza vicina.
Era lì, si rese conto, era lì in carne ed ossa, non era un fantasma, né un’allucinazione.
Si allontanò da lui con una risata, e gli tirò un buffetto sul viso. «Che cos’hai?»
Gli domandò con un cipiglio vagamente preoccupato, al quale Nyx rispose con un sorriso e una linguaccia. «Niente, sto bene. Perché non mi aspetti fuori per un attimo?»
Lei s’imbronciò, e lui ridacchiò.
Aveva sperato così tanto di poterla rivedere, e ora era lì. «Mi insegnerai ad usare il tuo kukri?»
Inarcò un sopracciglio a quella richiesta, ma poi annuì. Qualsiasi cosa, ora che era lì.
Le scompigliò i capelli con affetto. «Certo. Ora sparisci.»
La osservò correre fuori dalla casa con aria gioiosa, e poi spostò lo sguardo.
«Tesoro, sei sicuro di stare bene?»
«Si…mamma.»
Era un suono così dolce, così doloroso, una gioia amara, e lui ricambiò il sorriso della donna davanti a lui. Aveva sempre saputo di aver preso tutto da lei, ma rivedere ora i tratti del suo viso, la lunga cascata di capelli di quel colore misto tra il grigio e il marrone, e i suoi occhi che scintillavano di affetto, lo fece sentire come se non l’avesse mai vista sul serio.
«Nyx.»
Si accigliò nel sentire l’ennesima voce familiare, e scoprì che proveniva dalle scale.
Ma lei non era mai stata lì, si ricordò, non ne aveva mai avuto la possibilità. «Crowe, cosa…»
«Devi venire con me, Nyx. Non puoi stare qui.»
«Ma…»
«Tesoro mio.» La voce di sua madre distrasse la sua attenzione dalla donna che attendeva in cima alle scale. Gli si era avvicinata, e il suo sorriso era diventato triste.
«Devi andare, figlio mio.» Lo incitò, e lui scosse la testa.
«Non voglio lasciarvi.»
«Oh Nyx, ma devi. Noi non esistiamo più.»
Non stava piangendo, ma lui poteva quasi sentire la sua tristezza sulla lingua.
«Voi siete…»
«Morte, figlio mio. E il tuo posto non è qui con noi.»
Ecco cos’era, allora, una specie di limbo, un piccolo pezzo di pace pura.
Le prese il viso fra le mani, delicatamente, e lei lo guardò con occhi che erano il riflesso dei suoi.
«C’è un’altra donna che ha più bisogno di te, ora. Vai.»
Occhi come pezzi di cielo, capelli come raggi di sole. Deglutì a fatica mentre il suo cuore accelerava i battiti. «Luna.»
Sua madre annuì con un sorriso mesto. «Mi ha fatto piacere rivederti, tesoro mio.»
«Nyx, non hai molto tempo.» Gli ricordò Crowe dalle scale, e lui le gettò un’occhiata distratta.
Per un secondo, ai suoi piedi comparve una bambina bionda dagli occhi grigio-blu.
Fu una visione così fugace che si convinse di averla immaginata.
«Mamma…Vi voglio bene. Mi dispiace così tanto di non avervi potuto salvare.» Mormorò, sentendo il peso di quell’antico senso di colpa tornare ad opprimerlo, ma sua madre posò una mano sulla sua e scosse piano la testa.
«Noi siamo salve. Ora vai a salvare il tuo futuro, mio eroe.»
Gli sorrise, e lui si sforzò di ricambiare.
Non era quello il suo posto, si disse. Il suo posto era al fianco di sua moglie.
Si chinò a posare un delicato bacio sulla fronte della madre mentre la porta si apriva e la sua sorellina rientrava in casa. Fuori, notò, c’era solo luce.
Fu con uno sforzo che si allontanò da loro e, mentre lo guardavano in silenzio, mise il piede sul primo scalino.
Prima di affiancarsi a Crowe, però, si voltò ancora una volta.
Erano lì, tutte e due, e sollevarono una mano a salutarlo per l’ultima volta.
«Vieni.»
Sussurrò Crowe, posando la mano sulla sua spalla.
 

 
«No!»
Corse verso di lui con il cuore in gola, mentre un freddo che non aveva nulla a che fare con l’inverno rischiava di congelarla.
«Nyx, Nyx non farmi questo, svegliati.» Mormorò concitata, sollevandolo tra le braccia, ma non ottenne alcuna risposta.
Lui era pallido, il corpo sempre più freddo, e il sangue che scivolava dalla sua fronte rallentava ogni secondo che passava. «No no no, ti prego…ti prego…»
Lo strinse a sé, tremando, la fronte posata sul suo petto in cerca di un battito che non c’era.
«Luna lascia che…»
Si voltò di scatto mentre il vento notturno le gelava le lacrime sul viso, stringendo il corpo come se volesse proteggerlo.
«Taci!» Ringhiò contro il fratello. La rabbia poteva farla andare avanti, poteva aiutarla a non cadere in quell’abisso nero che le si era aperto sotto i piedi.
Appena le porte dell’ascensore si erano aperte e lei aveva visto Nyx scaraventato all’indietro, era stato come il suo intero mondo si fosse schiantato in milioni di minuscoli frantumi.
«Luna, lui…»
«Ti ho detto di stare zitto! Vattene, non voglio mai più rivederti!» Urlò, tra la rabbia e la disperazione, e strinse il corpo del marito, ignorando il fratello che se ne andava a piccoli passi con aria contrita. Come aveva potuto?
Quando il primo singhiozzo la scosse, fu come essere trafitta da una lama che distrusse ciò che restava di lei. Non fece nulla per trattenerli, non ne aveva la forza.
L’unica cosa che contava era Nyx, e ora era morto tra le sue braccia.
Le sue lacrime incontrollate quasi le impedivano di respirare, si rese vagamente conto una parte di lei, ma non aveva importanza ormai.
«Ti prego…» Implorò qualcosa che nemmeno sapeva stringendo quel corpo esanime.
Solo poche ore prima lui l’aveva stretta a sé, le aveva sorriso e aveva sussurrato di amarla.
Perché era andato lassù?
Sentì la mano di Noctis sulla spalla, ma la sua voce non la raggiunse in quell’oblio doloroso nel quale stava precipitando. Quando lui cercò di tirarla indietro scosse le spalle violentemente, aggrappandosi all’unica cosa che contava sul serio.
Nessuno avrebbe potuto separarla da lui.
Vide figure sfocate riversarsi nella terrazza, voci concitate che parlavano di qualcosa che non riuscì a capire, e poi due paia di braccia si avvolsero intorno alle sue braccia e la tirarono lontano.
«No! Lasciatemi!» Urlò, agitandosi e scalciando. Non vide nemmeno chi cercava di portarla via: non riusciva a staccare lo sguardo dal viso esangue di suo marito.
Colpì qualcuno, sentì un’imprecazione soffocata, ma non riuscì a liberarsi.
Vide qualcuno chinarsi sul corpo di Nyx, e sollevarlo. «Lasciatelo stare!»
Riconobbe vagamente il viso di Noctis, la sua espressione di dolore mentre parlava.
«Portatela via.»
E lei urlò, urlò che la lasciassero andare, di non toccare Nyx, e urlò finché non la lasciarono andare, e non si rese conto di essere nella sua stanza finché Umbra e Pryna non le si affiancarono uggiolando. Prima che potesse correre fuori dalla stanza, però, coloro che l’avevano portata lì chiusero le porte, e lei sentì lo scattare di una chiave.
Si lasciò scivolare contro la porta, stringendosi le braccia attorno. Se non l’avesse fatto sarebbe crollata a pezzi.
E pianse, e urlò fino a perdere la voce, e si riempì le braccia di graffi, e ascoltò i cani che ululavano il proprio dolore ad una luna inclemente.
 

 
«Che…che diavolo è successo?»
Chiese, sentendo la voce tremare. Era ancora allucinato da ciò che aveva appena visto, e la reazione disperata di Luna era stata una frustata nel cuore.
Intorno a lui, silenzio.
Li aveva svegliati tutti, e ora Gladio, Ignis, e Victoria lo stavano guardando senza essere in grado di dargli una spiegazione. Aveva mandato a chiamare anche Prompto e Libertus – gli si spezzava il cuore pensando alla notizia che avrebbe dovuto dargli – e aveva fatto arrestare Ravus, che ora aspettava in manette nelle prigioni. L’ex comandante aveva continuato a mormorare tra sé e sé, passando dalla rabbia alla disperazione così repentinamente che nessun aveva saputo cogliere il senso delle sue parole.
Sentì la mano della moglie intorno alla propria, ma nemmeno lei riuscì a dargli la forza necessaria.
Deglutì a fatica, sentendo la testa girargli.
Nyx non poteva essere morto.
Era sopravvissuto così tante volte a morte certa che aveva iniziato a pensare che non se ne sarebbe mai andato.
E invece il suo corpo freddo e senza vita giaceva in una stanza d’ospedale, ora.
Morto.
Gli fece lo stesso effetto della morte di suo padre.
Un colpo al cuore che lo fece piegare in due dal dolore e schiantò ogni certezza che aveva.
«Hey, stai bene? Posso occuparmene io se vuoi…» Mormorò Victoria al suo fianco, ma lui scosse la testa massaggiandosi il petto.
Continuare a respirare era la chiave, ma non era facile. «No. Ce la faccio.»
Affermò, ma perfino lui sapeva che stava cercando di convincere sé stesso piuttosto che lei.
Fu in quel momento che Prompto entrò di corsa, e i suoi occhi cerulei erano lucidi di lacrime.
Per un folle istante, Noctis pregò che non piangesse, perché se l’avesse fatto era sicuro che anche lui avrebbe ceduto.
«Noct…Nyx è…»
Fu Ignis a rispondergli, ma anche la sua voce controllata era smorzata da una tristezza a malapena trattenuta. «Si. Lord Ravus l’ha assassinato.»
E mentre le lacrime scivolavano sul viso del biondo, Noctis le sentì bruciare anche le sue guance.
«Io…non so cos’è successo.» Riuscì a dire, stringendo la mano intorno a quella della moglie.
Se le facesse male o meno, lei non si lamentò, offrendogli un sostegno silenzioso.
Mentre Prompto si abbandonava su una sedia, le porte si aprirono di nuovo, e Libertus entrò quanto più velocemente glielo permetteva il bastone che usava come sostegno.
«Che è successo?» Domandò, guardandosi freneticamente intorno. «Dov’è Nyx?»
«Libertus, mi dispiace così tanto.» Fu proprio Victoria a prendere la parola. «Nyx è morto.»
Videro Libertus sgranare gli occhi e inarcare le sopracciglia. «Non è possibile.»
«È successo poco fa e…» Iniziò Gladio, ma Libertus lo interruppe.
«Intendo che non è possibile che sia morto perché Bahamut lo ha reso immortale.»
Lasciò scorrere lo sguardo su quel misto di dolore, sorpresa, curiosità e alienazione che si susseguì sui volti davanti a lui, e si sentì in soggezione.
«Io pensavo…Non ve l’ha detto?»

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Capitolo 22
*** -E poi, pensò, avrebbero potuto mettersi in fila e prenderlo a pugni per come si era comportato.- ***


CAPITOLO 22
 
 -E poi, pensò, avrebbero potuto mettersi in fila per prenderlo a pugni per come si era comportato.-
Noctis fu il primo a reagire in quel clima di stupore totale.
Si alzò di scatto. «Gladio, vai a prendere Luna.» Ordinò al suo scudo, e l’uomo si alzò senza una parola, l’aria ancora stranita.
«Prompto, Iggy, portate qui Ravus. Libertus, spiegati.»
Una volta che anche loro due furono spariti dalla stanza, Libertus si sedette, a disagio sotto gli sguardi concentrati dei coniugi reali.
«Nyx è venuto da me un paio di giorni fa.» Iniziò, schiarendosi la voce. «Sembrava... Mi ha chiesto scusa, ma non sembrava lui. Era come se qualcosa lo tormentasse in modo particolare e, quando me l’ha confessato, ho capito cos’era.»
Esitò un attimo, e fu Victoria a completare il suo discorso con aria mesta. «Condividere il cuore di Bahamut gli impedisce di morire…»
Noctis imprecò a denti stretti. «Di morire, di invecchiare, di muoversi nel tempo.»
Rimase un attimo in silenzio, poi sospirò pesantemente e osservò la moglie. «Tesoro, hai voglia di svegliare i medici? Devono portare Nyx qui.»
«Ehm…Altezza, se posso…»
Noctis spostò lo sguardo su Libertus e gli fece cenno di continuare. Non aveva avuto molto a che fare con il migliore amico del suo generale, ma c’era qualcosa, nei suoi occhi, che risuonava nel suo cuore, qualcosa di buono che assomigliava a Nyx e che glielo faceva stare simpatico a pelle.
«Credete davvero che sia una buona idea portare Lady Lunafreya, Lord Ravus e Nyx qui? Tutti insieme?»
«No.» Confessò ammettendo che l’uomo aveva ragione. «Ma è l’unica scelta che ho.»
Terminò la frase con aria mesta: quante volte la sua vita era stata condizionata da “uniche scelte”?
Si sedette, e attese che i suoi amici tornassero.
A qualche corridoio di distanza, Gladio si fermò davanti all’ampia porta dopo aver congedato le guardie ed essersi fatto consegnare la chiave.
Sentiva i singhiozzi soffocati provenire dall’interno, e gli si strinse il cuore dolorosamente.
Nessuno doveva soffrire in quel modo, piangere come se avesse il cuore spezzato, tantomeno lei.
«Lady Lunafreya?» Chiamò, bussando piano alla porta. «Sto entrando.»
L’avvertì, e poi aprì le porte con estrema cautela.
Ciò che vide fu una stanza una volta ordinata ridotta ad uno scempio.
Le coperte erano state strappate dal letto, i cuscini buttati a terra. Tende strappate, soprammobili rotti ovunque, lo specchio a figura intera dell’armadio aperto ridotto in schegge.
Deglutendo a fatica mentre l’ansia lo stringeva, avanzò nella stanza, badando a non rompere nulla più di quanto già non fosse, e la chiamò nuovamente.
Se Libertus aveva ragione, lei doveva saperlo.
Sarebbe stata l’unica cosa in grado di farla calmare, pensò.
«Lunafreya…?»
Al suo ennesimo richiamo, sentì il ringhio feroce di un cane, e Umbra gli comparve davanti, le zanne sguainate in un chiaro avvertimento, il pelo ritto e la coda alta.
Era pronto ad attaccare se avesse fatto un passo di troppo.
Gladio alzò entrambe le mani, cercando di mantenere la calma; se avesse mostrato paura al cane avrebbe attaccato di sicuro cogliendo l’occasione di allontanarlo dalla padrona.
«Umbra. Vieni qui.»
La voce sottile che richiamò l’animale non sembrava nemmeno la sua. Era roca, tremante, insicura.
Seguendo il percorso del fedele segugio, si affacciò nel bagno, doveva regnava lo stesso caos della stanza adiacente. Lei era là, rannicchiata in un angolo, le braccia coperte di piccoli tagli dove le sue stesse unghie erano affondate, i capelli ridotti ad un cespuglio disordinato dove li aveva tirati, rischiando di strapparseli.
«Lady Lunafreya, il re vuole vedervi.» Esordì avvicinandosi con cautela.
Non era compito suo darle quella notizia, e imprecò mentalmente contro l’uomo che avrebbe dovuto avvertirla e non l’aveva fatto, riducendola ad un’ombra disperata contro il muro.
Lei non lo guardò nemmeno. «Vattene.» Mormorò con quella sua voce spezzata che lo commosse.
Doveva tirarla fuori da lì, ma Umbra continuava a ringhiare piano, e Pryna lo stava osservando con occhi di ghiaccio.
I cani dell’Oracolo erano intelligenti, ricordò, forse fin troppo.
Era un’idea folle, ma poteva tentare.
Alzò nuovamente le mani e si rivolse ad entrambi. «Non voglio farle del male. Deve uscire da qui, è importante. La farà stare bene.»
La coppia di animali si scambiò uno sguardo, e per un attimo Gladio poté quasi leggere i loro pensieri mentre si chiedevano cosa fosse il caso di fare, se fidarsi o no dell’umano.
Alla fine fu Pryna a decidere, abbandonando la sua posizione al fianco dell’Oracolo con un uggiolio. Quando anche Umbra la seguì, sedendosi a poca distanza con aria pacifica, Gladio lasciò andare il respiro che non si era reso conto di aver trattenuto.
«Grazie. E ora, andiamo.» Si avvicinò a lei a grandi passi, e non attese che lei accettasse di seguirlo.
Le passò le braccia intorno ai fianchi e se la caricò di peso su una spalla, ignorando le sue proteste e il suo dimenarsi. Era debole, poco convinta, e lui era lo Scudo del Re, addestrato a resistere a ben di peggio di una donna disperata.
Mentre la portava verso la sala del trono, Umbra e Pryna lo affiancarono e, per un istante, gli sembrò che stessero ridendo di quella situazione.
 

 
Ravus si massaggiò i polsi e lanciò un’occhiata cauta ai presenti.
Quando Ignis e Prompto erano venuti a prenderlo aveva pensato che il re avesse preso una decisione su di lui, ma così non era stato.
Noctis gli aveva dato l’occasione di spiegare, alla luce di ciò che Libertus aveva rivelato.
«Si, sapevo che Nyx fosse immortale. Mi ha assicurato che ucciderlo, almeno temporaneamente, era l’unico modo per lui di raggiungere l’altro mondo, e affrontare Ardyn.»
«Ti ha detto quanto tempo ci sarebbe voluto?»
L’ex comandante scosse la testa, osservando il corpo sulla branda al fondo della sala. «No, ma mi ha assicurato che avrebbe funzionato. A giudicare dalla velocità con cui si riprende da ferite mortali, direi uno o due giorni, forse. Non lo so.»
Scrollò le spalle, insultando mentalmente il cognato.
«Per quanto riguarda Luna…»
«Non sapevo che sarebbe salita. Non doveva essere lì.» Chiuse la questione, inarcando le spalle.
Se Nyx non si fosse più svegliato, aveva perso Luna per sempre.
E anche se si fosse svegliato, prima o poi, forse non avrebbe avuto importanza, e lei non avrebbe mai più voluto vederlo ugualmente, dato che aveva comunque sparato al marito.
Noctis sospirò piano. «Beh, sono obbligato a scusarmi. Ma sai cosa sembrava, non avevo scelta.»
Incrociò gli occhi del re, e ricordò la prima volta che l’aveva visto, quel basso ragazzino arrogante in una base imperiale. Era stata anche la prima volta che aveva visto Nyx, ricordò, e lui l’aveva umiliato, ma allo stesso tempo gli aveva dato la speranza di rivedere Luna.
Perché doveva essere tutto così difficile, con lui?
«Mi dispiace principessa, era l’unico modo.» La voce preannunciò l’apertura delle porte, e l’entrata di Gladio con Lunafreya sulle spalle come un sacco di patate.
Lo Scudo del Re la posò delicatamente a terra, e lei incrociò il suo sguardo.
Ravus si sentì morire.
Quello non era più un cielo primaverile.
Era un cielo invernale, tormentato e vuoto.
Era ferita, disordinata e…furiosa. «Tu!» Gli urlò addosso e si diresse verso di lui a grandi passi.
Era pronta a fargli del male, era chiaro, ma non ne ebbe mai l’occasione, perché Gladio s’intromise di nuovo su cenno del re, e la costrinse ad allontanarsi.
«Sei un bastardo!» Gli sputò contro lei, lasciandosi spostare, e Ravus sentì la rabbia riscaldarlo.
Erano uguali, da quel punto di vista.
Controllati, riflessivi, finché non perdevano totalmente il controllo.
«Questo dovresti dirlo a tuo marito che ti ha mentito.» Le replicò crudelmente, e la vide sgranare gli occhi. Sembrava una Furia, uno spirito rabbioso e vendicativo.
«Non posso perché tu l’hai ammazzato!» Cercò di liberarsi da Gladio, ma lui non si mosse di un millimetro. «E sei tu quello che ha mentito! Pensavo…Pensavo fossimo una famiglia.»
Prima che la loro discussione diventasse troppo accesa, Noctis intervenne, e la sua voce, in qualche modo, raggiunse la parte razionale di Luna, che si calmò e si predispose all’ascolto.
«Ravus ha ragione, purtroppo.» Spiegò, sentendo salire la nausea.
Era davvero Luna, quella davanti a lui?
Si alzò e si diresse verso la branda alla fine della stanza: l’aveva fatto mettere lì apposta, in modo che lei non lo vedesse subito. «Bahamut ha salvato la vita di Nyx, anni fa, ma così facendo…»
Esitò un attimo. Era sbagliato che lo dicesse lui, ma non aveva altra scelta, se voleva cercare di creare un equilibrio fino al suo risveglio. E poi, pensò, avrebbero potuto mettersi in fila per prenderlo a pugni per come si era comportato.
«L’ha reso immortale.» Completò la frase, fermandosi accanto al generale, e fu come vedere uno specchio spaccato sbriciolarsi ancora di più.
Gladio la lasciò andare, e lei corse accanto al marito.
Non piangeva, notò Noctis, ma i suoi occhi erano talmente arrossati che pensò che avesse esaurito ogni lacrima. La guardò in silenzio mentre accarezzava quel viso che amava così tanto, e gli si formò un groppo in gola.
Nyx aveva molto da farsi perdonare.
«Quindi…» Esordì lei, sollevando lo sguardo su di lui con una cauta aria speranzosa. «Tornerà da me?»
Si costrinse ad annuire, riuscì perfino a sorridere.
«Si. Andrà tutto bene, Luna.»
Sbrigati a svegliarti, Nyx.
 

 
«Dove siamo?»
Domandò, osservando l’ambiente intorno a lui sfaldarsi come fumo nel vento e riformarsi.
Crowe sorrise, e Nyx notò che era la prima volta che la vedeva con i capelli sciolti.
Le ricadevano sulle spalle in onde più nere della notte, e le davano un’aria che non le apparteneva, addolcita.
«Siamo nel mondo al di là, Nyx. Il suo aspetto dipende solo da te.»
Si guardò intorno mentre la nebbia si solidificava in una nuova forma, e presto lui e Crowe furono sulle scale d’entrata del Palazzo Reale ad Insomnia.
«Perché qui?»
Crowe si strinse nelle spalle. «Non possiedo tutte le risposte, purtroppo. So solo che stai andando dove devi andare, ma non so dirti in che modo.»
«Uhm.» Facendosi forza, Nyx salì i primi scalini, ma appena si mosse le grandi porte si aprirono, e gli si gelò il sangue nel vedere chi ne stava uscendo.
«Ah, Nyx Ulric.»
Deglutì a fatica, portando istintivamente una mano alla schiena, ma non vi trovò il fodero.
Crowe gli posò una mano sulla schiena e lo spinse piano in avanti. «Nyx, lui non è qui per farti del male. Nessuno di noi lo è.»
«Se lo dici tu.» Le concesse, anche se sentiva le spalle tese mentre Drautos scendeva le scale con un sorriso arrogante sul volto.
S’incontrarono a metà scala, e Nyx restò in silenzio in attesa di sentire ciò che l’ennesimo fantasma aveva da dirgli. Il fatto che Crowe fosse alle sue spalle lo tranquillizzava, ammise a sé stesso, dato che lei era l’unico spirito ad averlo aiutato in tutti quegli anni.
«Generale Ulric, è così che ti chiamano ora?»
«Già.» Si strinse nelle spalle con falsa modestia, accettando quella sfida silenziosa che il traditore gli stava lanciando. «Il vecchio generale era morto, qualcuno doveva sostituirlo.»
Drautos si lasciò andare ad una risata divertita. «Sai Ulric, mi ero sbagliato su di te. La tua forza non dipendeva dal tuo re.»
«Certo che no.» S’intromise un’altra voce che strappò un sorriso a Nyx.
Quello era un fantasma che gli faceva piacere vedere, pensò mentre Regis zoppicava verso di loro.
Chinò il capo in segno di rispetto. «Altezza.»
«Nyx. Hai capito cosa dovevi fare, vedo.»
«Io…si Maestà.»
 Regis gli sorrise, ma ben presto la sua espressione tornò grave. «Nyx, sei quasi alla fine. Sei pronto?»
Il generale inarcò un sopracciglio, sentendo i passi alle sue spalle di decine di persone.
Voltandosi, incrociò gli sguardi dei suoi compagni d’arme, le guardie reali che avevano tradito il loro paese in nome di una vuota promessa. Lo salutarono con cenni e sorrisi, e lui sentì la commozione stringergli il cuore.
«Pronto per cosa?» Domandò al re dietro di lui. Non aveva mai voluto che qualcuno di loro morisse, non così, non per niente, non in quel modo.
Fu Drautos a rispondergli mentre si sistemava alla testa del gruppo di guardie.
Per un folle istante, fu tutto come avrebbe dovuto essere.
«Ciò che ti aspetta oltre quella porta.»
Tutti insieme, si portarono una mano al cuore.
«Nyx, noi crediamo in te.» Riprese Regis, e Nyx si voltò ad osservare il suo re.
Quando vide la sua mano posata sulla porta, gli fece cenno di aprire.
«Non importa, qualsiasi cosa ci sia là, non la passerà liscia.» Decretò salendo le scale mentre Regis apriva.
Quando fece il primo passo nella sala, però, gli si gelò il sangue.
Pigramente appoggiato alla pietra, una gamba oltre il bracciolo e un ghigno beffardo sul volto, Ardyn era seduto sul trono dei re.

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Capitolo 23
*** Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, e gli sembrò quasi di vederla scorrere nelle sue vene. ***


CAPITOLO 23
 
-Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, e gli sembrò quasi di vederla scorrere nelle sue vene.-

Avanzò con cautela nella sala reale, osservando le macerie che ne ricoprivano il pavimento, la luce che filtrava dallo squarcio sulla parete. Vedere Ardyn non gli aveva fatto l’effetto che si aspettava: sapeva che ci sarebbe stato, era lì per lui, eppure si sentiva…strano.
Era come rivedere una vecchia conoscenza dopo tanti anni.
«Sei comodo?» Gli domandò con tono ironico, e l’ex cancelliere annuì con un sorriso beffardo, distendendosi meglio sul trono di pietra.
«Abbastanza.» Ammise con un cenno noncurante. «D’altronde, questo trono avrebbe dovuto essere mio.»
Nyx inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto.
Lui e Ardyn erano soli, ora, e non c’era traccia degli spettri che l’avevano accolto.
«Avresti potuto essere re, se…»
Il viso di Ardyn si contrasse in una smorfia di disprezzo. «Se Izunia non fosse stato geloso di me, e di ciò che avevo fatto.»
Nyx fece un cenno comprensivo. «Questo te lo concedo.»
Era strano, pensò, una parte di lui provava pena per l’uomo che aveva davanti.
Alla comparsa della Piaga, Ardyn aveva semplicemente fatto ciò che tutti si aspettavano da un buon re. Aveva salvato il suo popolo, e aveva perso tutto.
«Non siamo qui a parlare di me, comunque.» L’uomo si alzò in un fruscio di stoffa. «Non ti sei mai chiesto perché tra tutti, proprio tu, Nyx?»
Gli domandò, scendendo le scale un passo dopo l’altro.
Erano movimenti calcolati, e l’istinto da guerriero del generale gli spedì una scarica tesa nella schiena. «Tra tutti?»
«Beh, avrei potuto scegliere qualcun altro da tormentare, in fondo.»
Erano l’uno davanti all’altro, ora, e Nyx trattenne l’istinto di fare un passo indietro per avere più spazio di manovra in caso di un attacco. Ma Ardyn non voleva questo, si rese conto.
La sua vera forza non era fisica, e nemmeno magica.
La sua vera forza erano le parole, quella sottile e tremenda comprensione che sembrava avere di lui.
«Ma ho scelto te. Perché tu mi hai negato la pace che cercavo, ricordi?»
Oh certo che Nyx ricordava.
Ricordava la furia cieca di quella notte ad Insomnia, la convinzione che Ardyn gli avesse strappato Luna, e ogni singola coltellata che aveva inflitto al suo corpo già martoriato, semplicemente per vendicarsi.
Trattenne un brivido.
«Certo.»
«E quindi ho deciso di fare lo stesso con te! Il fatto che tu sia qui dimostra che ho vinto!»
Allargò le braccia, esaltato, e si lasciò andare ad una risata che risvegliò i sensi di Nyx.
Ardyn, per quanto fosse stato assurdo considerarlo tale, non era un amico.
Era con lui per rovinargli la vita, e l’aveva spinto a fare del male a coloro che amava.
«Non hai vinto. Mi sveglierò, dopo che ti avrò preso di nuovo a calci.»
«Hm. È vero, ma pensi che sarà tutto rose e fiori come prima, Nyx? Pensi che quando non ci sarò più sarà tutto equilibrato, e nessuno vedrà in te cos’hai fatto?»
Imprecando mentalmente, Nyx si costrinse ad ammettere che aveva ragione.
Era la sua paura più profonda, quel terrore cieco e inconsapevole che coloro per i quali aveva lottato per anni non sarebbero più stati in grado di vedere altro a parte il mostro che aveva rischiato di ucciderli.
Ardyn non gli diede il tempo di replicare.
Tra le sue mani comparve – e Nyx gli concesse la crudele ironia – la sua versione corrotta del Tridente dei Re, e lui si morse le labbra per trattenere un gemito di dolore quando le punte gli si piantarono nel braccio che aveva sollevato per difendersi.
 

 
Il pranzo si stava raffreddando sul grande tavolo quando la situazione si smosse.
Erano tutti là, in attesa di un segno, di qualcosa che comunicasse loro che Nyx era vivo.
Lunafreya fu la prima ad accorgersene, e corse al fianco del marito mentre sul suo braccio comparivano tre segni simmetrici, i due laterali più spessi di quello centrale.
Il sangue argentato scivolò sul pavimento, e il braccio del generale ebbe uno spasmo.
 
Nyx fu costretto a ragionare in fretta, e reagì nell’unico modo che gli restava.
Il calcio spinse Ardyn lontano, e con esso strappò l’arma dal suo braccio.
Nyx imprecò nuovamente, e solo in quel momento si rese conto di essere disarmato.
Non aveva i suoi kukri e, quando provò ad evocarla, nemmeno la magia gli rispose.
Sollevò lo sguardo appena in tempo per vedere l’ennesimo attacco del cancelliere rimbalzare contro un’armatura magitek che sembrava di pietra.
«Hai già perso tutta la tua forza, Ulric?»
«Comandante Drautos.»
 
«Noct, che gli sta succedendo?!» Alzò lo sguardo sul re, le mani posate sul braccio ferito del marito, e il cuore che rischiava di scoppiarle. Il sangue scorreva più copioso da quando le ferite si erano misteriosamente allargate, come se ciò che le avesse inflitte fosse stato malamente strappato.
Impotente e incapace di risponderle, Noctis scosse la testa.
Fu Ignis a venire, almeno parzialmente, in suo soccorso.
«Credo che sia arrivato dove doveva.»
 
Ardyn non sembrava aver gradito quell’interruzione, e fu rapido ad evocare le altre armi ancestrali, in successione l’una all’altra.
Tutte, però, si schiantarono contro quell’armatura impenetrabile.
Nyx, alle spalle del suo comandante, sorrise amaramente; ricordava come se fosse passato solamente un giorno il loro scontro, e la fatica che aveva compiuto per scalfire quella protezione.
Alla fine, mentre lui stava morendo, Drautos era ancora messo meglio di lui, nonostante un pugnale nel petto.
«Nossignore.» Rispose alla domanda, e gli sembrò di vedere l’uomo sorridere.
«Allora datti una mossa. È un ordine.»
Com’erano giunto dal nulla, l’uomo svanì, e Nyx fu costretto a spostarsi di lato per evitare i dardi in successione della balestra. Ricordava perfettamente quanto fossero dolorosi.
Provò nuovamente, ma non c’era traccia della sua magia.
Ma certo, pensò all’improvviso.
 
«Possiamo aiutarlo?» Domandò Prompto, concitato, ma nessuno gli seppe rispondere.
Come potevano aiutare Nyx, se non sapevano nemmeno cosa stava succedendo, ovunque fosse?
Gli sembrò di vedere il sangue defluire dal viso di Lunafreya quando una ferita tonda si aprì nella spalla del corpo che aveva davanti.
Altro sangue, che andò ad aggiungersi a quello sul pavimento.
«Libertus, vieni con me. Dobbiamo prendere almeno delle bende.» Esordì il biondo e, senza aspettare che qualcuno rispondesse, uscì di corsa dalla sala del trono.
Se qualcuno poteva tornare dal mondo dei morti, pensò, quello era proprio Nyx.
 
Spezzò la freccia e la estrasse con un grugnito di dolore, e vide Ardyn far svanire l’arma con un ghigno.
«Ti sei rammollito, Nyx.» Lo rimproverò il suo avversario, e stranamente il suo tono sembrava quasi quello di un maestro con l’allievo.
Nyx si concesse una risata mentre gettava il dardo a terra. «Mi sarò anche rammollito ora, ma siamo lo stesso uno a zero per me, ricordatelo.»
La sua battuta provocatoria, a quanto parve, non fu gradita, perché Ardyn gli si lanciò nuovamente addosso, costringendolo a buttarsi di lato per evitare di finire impalato sul pavimento dalla lancia.
Se solo gli inibitori non fossero stati presenti, pensò, e invece erano ancora sul suo corpo fisico, e gli impedivano di usare la magia nel mondo al di là, come l’aveva chiamato Crowe.
Mentre si rialzava, si sentì tirare di lato, e fu proprio lei ad incrociare il suo sguardo.
Dov’era stato un attimo prima, la lancia si era fatta strada nella pietra.
«Nyx, che ti succede?» Gli chiese, e poi sollevò una mano.
Il martello si scontrò contro la sua barriera, spargendo scintille nella stanza.
Nyx sorrise, sentendo uno strano misto di orgoglio e commozione nel petto. «Niente magia.»
«Merda!»
«Già, molto utile, grazie.»
Un altro colpo, e la barriera si frantumò come cristallo.
L’attimo dopo, Crowe era sparita e Nyx aveva una spada piantata nel fianco.
Sentì il sapore del sangue sulle labbra, e pensò che Ardyn sembrava decisamente troppo soddisfatto.
 
Tutto il suo corpo fu scosse da uno spasmo e, quando l’ennesima ferita si aprì nel suo fianco, più larga delle altre, Luna si portò le mani alla bocca con un gemito.
Qualsiasi cosa stesse succedendo, stava assistendo impotente mentre qualcosa faceva piano a pezzi suo marito.
Sentì le lacrime agli occhi, e poi Victoria venne in suo soccorso.
La scostò di lato e armeggiò con gli inibitori ai polsi di Nyx.
«Viky, che stai facendo?» Le chiese Noctis, abbandonando ogni formalità; non c’era spazio per le cerimonie, non mentre il sangue scivolava dalle labbra di Nyx, e lui, se possibile, diventava ancora più pallido.
La regina portò a termine il proprio compito, poi si voltò verso il marito con gli inibitori tra le mani.
«Qualsiasi cosa stia succedendo, Nyx avrà bisogno della magia per affrontarla. Se ciò che gli succede si riflette qui, forse cosa succede qui si rifletterà su…dov’è.»
Ci fu un momento di silenzio, e poi Noctis si sciolse in un sorriso.
«Non ci avevo pensato. Sei stata davvero brava.»
E Victoria arrossì.
 
Fu come un bicchiere d’acqua dopo una giornata arida.
Era appoggiato al muro freddo quando la sentì.
Spazzò via ogni dolore, ogni confusione.
Si staccò dal muro ignorando le fitte al fianco, e Ardyn attaccò di nuovo.
Questa volta, però, una spada alata bloccò il suo impeto, e Nyx si sentì stritolare il cuore dalla commozione.
«Altezza.»
«Nyx. Ce la fai a rimetterti in piedi?»
Regis sembrava quasi preoccupato per lui, e ciò lo fece sorridere.
Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, e gli sembrò quasi di vederla scorrere nelle sue vene.
Fuoco, fulmine, ghiaccio.
Gli bastò un semplice guizzo di pensiero, e loro comparvero tra le sue mani.
Affilati, lucenti, perfetti e sempre fedeli.
«Certo. Fatevi da parte maestà. Ora tocca a me.»
Incrociò gli occhi grigi di Regis, e la sua determinazione si cementò ancora di più.
Il suo re era fiero di lui.
 

Note dell'autore:
E rieccomi qui, con un capitolo dopo Natale! Auguri in ritardo a tutti xD
Mi sono presa una pausa, come immaginerete, per le feste, e spero che, nonostante questo capitolo sia un po' cortino, vi piaccia ^^

A presto!

 

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Capitolo 24
*** Facevano ciò che andava fatto, proteggevano coloro che amavano, non importava il prezzo. ***


CAPITOLO 24
 
Facevano ciò che andava fatto, proteggevano coloro che amavano, non importava il prezzo.

«Posso restare.»
Nyx sentì il cuore stringersi a quelle parole, ma scosse la testa.
Ardyn aveva costretto il re a fare un passo indietro, cercando di piegarlo alle proprie azioni.
«Non questa volta, Altezza.» Fece roteare uno dei kukri, impugnandolo con la lama verso l’interno, e poi scattò. 
Sfruttando la posizione di stallo nella quale era bloccato, riuscì ad aprire un ampio taglio sul fianco di Ardyn, e il cancelliere aprì la guardia e si ritirò velocemente, una mano premuta sulla ferita.
Non usciva sangue, ma quella che sembrava una densa nebbia nera, che ricadeva in volute lente sul marmo.
Nyx era pronto a muoversi di nuovo, ma una mano sulla spalla lo bloccò.
«La tua presenza nelle loro vite è preziosa, Nyx Ulric. Non abbandonarli.»
Annuì, senza voltarsi a guardare il re: era lì, lo sentiva, ma era come percepire la propria ombra. C’era senza essere presente, com’era sempre stato e come sarebbe stato per sempre.
«Dì a Noctis che sono orgoglioso dell’uomo che è diventato.»
Regis sembrava commosso, e le labbra di Nyx si piegarono in un involontario sorriso intenerito.
Fletté appena le ginocchia mentre la grande spada a due mani compariva tra le mani di Ardyn.
«Lo farò, Altezza.»
Gli sembrò di percepire un sorriso nella voce del re. «Sono contento di averti conosciuto, generale.»
E poi la sensazione svanì com’era arrivata, ricordo di fumo nel vento.
Nyx distese le spalle e sogghignò. 
«Ti ho già ucciso una volta. Vediamo se sai fare di meglio ora.»

Fu Prompto stesso a fasciare le ferite di Nyx, il più strette possibile, senza intralciarlo troppo.
Qualsiasi cosa stesse succedendo, chiunque stesse affrontando, avrebbe dovuto essere in forze.
Da quando aveva saputo della sua immortalità non aveva dubitato un istante che si sarebbe svegliato.
Era stato ad Altissia quando lui era tornato la prima volta, e gli aveva sorriso come se non fosse successo niente. L’aveva visto entrare nelle loro vite e diventarne, inconsapevolmente, il centro.
Nonostante Noctis fosse il re, tutti loro ruotavano intorno a Nyx, a ciò che era in grado di fare, al suo naturale carisma, perfino alla sua arroganza.
Strinse il nodo sulla ferita al fianco e sollevò lo sguardo sul viso del generale.
«Risolverai anche questa.»

Fu una sensazione strana.
All’improvviso, il dolore delle ferite diminuì, e il sangue smise di scorrere sulla sua pelle.
Ardyn lo notò insieme a lui, e la sua espressione sgomenta fu la proverbiale ciliegina sulla torta.
Nyx contrasse un paio di volte i muscoli del braccio ferito, e un sorriso soddisfatto gli comparve sul volto. 
Non era solo.
«Vincerò io, Ulric, e quando ti sveglierai li ucciderai tutti per me.» Gli sibilò Ardyn contro, la pelle bianca solcata da sangue nero, l’espressione distorta da una furia antica, un dolore millenario che l’aveva devastato. Nyx sentì un’improvvisa e assoluta calma invaderlo.
Come quando aveva indossato l’Anello dei Re, e ne aveva accettato il prezzo.
Sapeva cosa doveva fare, e sapeva per chi lo faceva.
«Resterai solo.»
«Io non sono mai solo.» Mormorò, e abbassò le braccia, impugnando i kukri verso il pavimento.
Lei comparve all’improvviso, sfondando l’ampia volta del palazzo.
Mentre Ardyn alzava lo sguardo, terrorizzato, Nyx sorrise.
Lo stridio della gigantesca spada estratta fu come musica nelle sue orecchie.
«Mio cuore.»
«Bahamut. Scusa il disturbo.»
Gli sembrò quasi di percepire il suo sorriso prima che le sue ali schiantassero le mura al suolo con il rumore di un terremoto. 
Si mossero insieme, perché erano una cosa sola, e due entità separate, e nulla poteva fermarli.

«Luna, spostati!»
Fu Ravus ad intervenire velocemente, afferrando la sorella per le spalle e tirandola via pochi secondi prima che le ali di Bahamut si aprissero sul pavimento, scheggiando le piastrelle e graffiando i muri. Quell’esplosione improvvisa fece calare un velo teso su tutti loro.
Ben presto, fu Ignis ad interrompere il nervoso. «Buon segno. Bahamut è con lui, gli sarà più facile tornare, immagino.»
Luna si portò una mano al petto, cercando di placare il respiro agitato, e solo in quel momento si rese conto che le mani del fratello maggiore erano ancora sulle sue spalle.
Una parte di lei avrebbe voluto girarsi, nascondersi contro di lui e lasciarsi proteggere.
L’altra si contrasse di rabbia e dolore nel ricordare cosa aveva fatto.
Alla fine, trovò un compromesso, e scivolò via dalla sua presa per tornare al fianco del marito senza una parola. Sentiva i suoi occhi addosso, ma chiuse in un angolo della mente quel problema.
Avrebbero parlato, prima o poi, ma non ora.
Ora, doveva aspettare che Nyx si svegliasse.

La spada di Bahamut si piantò alle spalle di Ardyn, così immensa da non lasciargli spazio di manovra, e di schivata.
Il kukri di Nyx, invece, si fece facilmente strada nel suo petto, dal quale eruttò quella strana nebbia nera. Ardyn boccheggiò, bloccato tra le due lame, e si abbandonò contro il suo uccisore.
«Due…a zero.» Mormorò, e sentì Nyx sorridere.
Aveva ancora una mano avvolta intorno all’elsa dell’arma, ma posò l’altra dietro il suo collo, e poi posò la fronte contro la sua. Era strano, rifletté, aveva voluto uccidere Ardyn per così tanto tempo, e quando ci era riuscito era stata la rabbia a guidarlo, e il lutto.
L’aveva condannato all’inferno pugnalandolo quando era già morto.
Da un certo punto di vista, tutta quella storia era colpa sua.
Incrociò gli occhi del suo avversario, dello spettro che gli aveva fatto compagnia nell’ultimo periodo. Era stanco, si rese conto, e si chiese se lui avrebbe avuto lo stesso sguardo, trascorso qualche millennio nel vuoto di una vita immortale.
«Vai in pace, fratello.» Mormorò, ammettendo a lui e a sé stesso che, in fondo, erano uguali.
Facevano ciò che andava fatto, proteggevano coloro che amavano, non importava il prezzo.
L’unica differenza era che Ardyn era rimasto solo, e lui no.
Si allontanò lentamente da lui, e il corpo cadde a terra.
Mentre la nebbia che fuoriusciva dal suo corpo sfumava da nera a bianca, si rese conto che Ardyn stava sorridendo.
Rimase ad osservarlo mentre la luce lo avvolgeva e, quando di lui non rimase altro che un ricordo, Bahamut ritirò la grande spada, e allungò un braccio. Nyx saltò di buon grado sul suo palmo, e le sorrise quando furono faccia a faccia.
«Ciao.» La salutò; era la prima volta che s’incontravano così, e non in quelle conversazioni silenziose nel cuore che condividevano. Era ironico che il loro primo incontro fosse nel mondo dei morti.
Se non avesse avuto l’elmo a coprirle la faccia, Nyx era sicuro che avrebbe visto Bahamut sorridere.
«Ciao, mio cuore.»
Aveva la stessa, rimbombante voce di sempre, con quel tono quasi musicale che lo fece rilassare.
«Allora…» Ritirò i kukri. «Adesso?»
La dea puntò su di lui i suoi occhi immensi. «Adesso devi tornare da coloro che hanno bisogno di te, sapendo che coloro che hai incontrato qui saranno sempre con te.»
«Starai bene?» Le chiese il generale, accigliandosi.
Lo sguardo davanti a lui s’intenerì. «Staremo bene, entrambi. Ci vorrà del tempo, ma se mi aiuterai si sistemerà tutto.»
Nyx sentì una stretta al cuore nel sentire quelle parole, con quella voce addolcita.
Per così tanto tempo aveva pensato che Bahamut non comprendesse le emozioni umane, ma ora lei lo stava guardando con dolcezza, e lui le sorrise. Lei capiva, forse più di altri e meno di alcuni, ma capiva.
«Lo sai che farei di tutto per te.» Ribatté con aria beffarda, sempre sorridendo.
Nyx posò una mano sul metallo dell’elmo, e per un attimo rimasero così, fronte contro fronte, ad occhi chiusi, uomo e dea. Doveva tutto, a quella creatura sovrannaturale. Senza di lei sarebbe stato solo cenere dispersa nel vento, e nessuno avrebbe ricordato il suo nome.
Le doveva la sua vita, la sua famiglia, la sua Luna.
Riaprì gli occhi, e la sensazione del metallo freddo sotto le mani era ancora lì, ma lei era sparita.
La stessa stanza che aveva appena lasciato lo accolse di nuovo, e lentamente tornò la consapevolezza del suo corpo.
Tese i muscoli, sentendo le bende sfregare sulla pelle.
C’era sangue e magia nelle sue vene, c’erano nervi, e muscoli che rispondevano al suo comando.
C’erano voci, intorno a lui.
Un viso invase il suo campo visivo, e lui sorrise senza trattenersi.
«Nyx!» 
La sua voce gli procurò una fitta di dolce sofferenza. Gli era mancata, si rese conto.
Sentì le sue mani sul viso, ed erano morbide, e…calde. 
«Nyx, stai bene?» Gli domandò lei vedendolo accigliarsi. Non avrebbe dovuto sentire calore.
In quel momento una nuova sensazione lo invase, e non la provava da così tanto tempo che gli risultò estranea.
Incrociò gli occhi celesti di Lunafreya. 
«Ho…freddo.» Commentò, e lei scoppiò a ridere e a piangere allo stesso momento.
Crollò contro di lui, il viso nascosto nella sua spalla mentre singhiozzava, e lui affondò una mano fra i suoi capelli, stringendola, rassicurandola.
Spostò lo sguardo su coloro che li stavano osservando.
C’erano Gladio, Ignis, Noctis, Victoria, Prompto e perfino Libertus, tutti in attesa del suo risveglio.
E là, in disparte, Ravus attendeva in silenzio.
Fu proprio il suo sguardo che Nyx incrociò, e gli fece un breve cenno di ringraziamento.
Senza di lui, avrebbe perso tutto.

 

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Capitolo 25
*** Si sarebbe fatto perdonare per ogni segno che le sue azioni avevano lasciato. ***


CAPITOLO 25
 
-Si sarebbe fatto perdonare per ogni segno che le sue azioni avevano lasciato.-
 
 
Fu Victoria a parlare per prima, con cautela, osservando l’uomo che avevano davanti.
Gli avevano fatto portare delle coperte, e Ignis stesso aveva cucinato per lui un pasto che cacciasse il freddo che sembrava averlo invaso.
«Allora…ehm…generale.» Esordì, guadagnandosi la sua attenzione.
Quando Nyx sollevò lo sguardo dal cibo, lei notò che, nonostante le ferite si stessero ancora rimarginando e rimasse pallido rispetto alla norma, i suoi occhi erano diversi.
Avevano una sfumatura che tendeva all’argento, e dentro c’era un turbine di pace e immensa sofferenza che non comprese.
Notando la sua esitazione, il veterano fece scorrere lo sguardo su tutti loro: lentamente, le sue labbra si inclinarono verso l’alto, in un sorriso divertito e sorpreso.
«Nessuno di voi ha il coraggio di chiedermi che è successo?» Chiese, e li vide agitarsi, nervosi.
Una mano sulla sua gamba lo fece voltare, e sorrise di nuovo.
Era incapace di non farlo, quando la guardava.
Era lì, accanto a lui, era bellissima, ed era totalmente sua.
«Vogliamo solo che tu stia bene. Ciò che è accaduto può aspettare.» Sussurrò Luna, accarezzandogli piano le mani, che aveva abbandonato in grembo.
Quando le loro dita s’intrecciarono, gli sembrò il movimento più naturale del mondo.
Voleva alzarsi, trascinarla via da lì e assaporare la sua vicinanza in ogni modo possibile, ma doveva attendere.
«No, voi dovete sapere. Ve lo meritate, dopo quello che vi ho fatto passare.»
Incrociò lo sguardo del re all’altro lato del tavolo, e si sorrisero con aria colpevole.
E poi, Nyx raccontò.
Raccontò di Regis, che gli aveva detto cosa doveva fare, e di Ravus, l’unico al quale avrebbe potuto chiedere qualcosa di così grande.
Mentre parlava, notò la moglie osservare il fratello con la coda dell’occhio, e i suoi occhi celesti inumidirsi. Si sentì in colpa nel notare quell’espressione, e si chiese se sarebbero riusciti ad aggiustare ciò che lui aveva rotto tra di loro.
Il groppo in gola rischiò di mozzargli il respiro quando parlò di sua madre, e di sua sorella, che lo incoraggiavano ad andare avanti, a lottare.
Tutto per tornare da lei, pensò sorridendo brevemente a Luna, appoggiata contro il suo fianco.
Non l’aveva lasciato andare da quando si era alzato dalla branda.
«E poi c’era lei…» Incrociò lo sguardo di Libertus, e lui capì. Sorrise, commosso. «Crowe.»
«Già. È stata lei a guidarmi, ma non era sola.»
E spiegò della presenza di Drautos, e delle guardie reali che erano morte tanti anni prima, inutilmente. Parlò senza staccare gli occhi da quelli dell’amico, perché lui era l’unico in grado di capire cosa provava in quel momento, lui che per primo aveva smascherato Drautos, e che nonostante tutto non era riuscito a lasciarlo andare del tutto, mai.
«Noctis.»
Gli stava diventando rauca la voce, talmente aveva parlato, ma qualcosa nel suo tono attirò lo sguardo del re. Assomigliava così tanto al padre, notò Nyx, in quel momento, e per un istante le loro immagini si sovrapposero, stringendogli il cuore.
«Si?»
«Tuo padre è orgoglioso di te, e del re che sei diventato.»
Nemmeno la scarica elettrica in pieno petto gli aveva fatto lo stesso effetto. Sgranò gli occhi, esterrefatto, e Nyx vide chiaramente il susseguirsi delle emozioni sul suo viso.
Stupore, confusione e, alla fine, commozione. «Davvero?»
Il generale annuì con un sorriso comprensivo. «Davvero.» Confermò con un cenno.
La domanda seguente provenne da Gladio, che se ne stava abbandonato sulla sedia con aria in apparenza noncurante. «Nyx, quelle ferite…»
«Ardyn.» Confermò, senza lasciarlo finire. Pronunciare quel nome gli fece uno strano effetto.
«Quindi è finita?» Mormorò Lunafreya, e Nyx si voltò nuovamente verso di lei.
La prima cosa che aveva notato erano stati i segni e i graffi sulle braccia.
I capelli arruffati, gli occhi arrossati e quel lieve, incontrollabile tremore delle mani gli avevano raccontato cos’era successo in sua assenza.
Si sarebbe fatto perdonare per ogni segno che le sue azioni avevano lasciato.
Le sfiorò il viso con una mano, assaporando il calore della sua pelle.
Senza quell’inferno costante nel corpo, gli sembrava che i suoi sensi si fossero amplificati a dismisura, ed era attratto da lei come una falena dalla luce.
«Si amore. È finita.»
Fu quasi per caso che si guardò i polsi, e si ricordò di cos’era successo. «Di chi è stata l’idea di togliermi gli inibitori?» Domandò, alzando lo sguardo sui presenti con un breve sorriso.
Quando Victoria confessò di essere stata lei, Nyx pensò che avrebbe dovuto aspettarselo.
La regina era minuta e fragile, fisicamente, ma aveva la forza di un uragano.
«In questo caso, altezza, grazie. Senza di te non sarei mai riuscito a riottenere…questi.»
Fu necessario un guizzo di volontà, l’ombra di un pensiero, e i suoi kukri si materializzarono nelle sue mani, obbedienti, come se fossero parte di lui.
«Interessante.» Commentò Noctis, passandosi una mano fra i capelli disordinati, e Nyx sollevò un sopracciglio mentre lo guardava.
«A quanto pare il potere dei Re è totalmente tuo, ora.» Commentò il re, e Nyx non poté dargli torto.
Come guardia reale, aveva avuto la capacità di proiettarsi attraverso l’uso delle proprie armi, ma non era mai stato in grado di evocarle dal nulla, eccezion fatta per la Spada di Regis.
«Già…» Commentò Nyx, pensieroso, e poi l’ennesimo, improvviso pensiero lo colpì.
Sembrava incapace di concentrarsi a lungo su qualcosa, ora che c’era così tanto da dire e tanto da fare.
«Siete tutti in pigiama?» Chiese, con una breve risata, che non ottenne, però, le reazioni che si aspettava. Fu Ignis a schiarirsi la voce, a spiegargli cos’era successo.
Quando Luna si era svegliata, non trovando il marito accanto era stata colta dall’ansia, e grazie al tracciatore negli inibitori lei e Noctis erano arrivati sul tetto nel momento più sbagliato possibile.
Nyx se lo ricordava, l’esatto istante in cui il metallo rovente aveva fatto contatto con la sua pelle, e gli occhi di sua moglie si erano spalancati, terrorizzata.
E dopo il re li aveva svegliati tutti, cercando di comprendere qualcosa che non aveva senso.
«Beh…Merda. Mi dispiace.» Fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Ardyn aveva avuto ragione, alla fine: le sue azioni si riflettevano su coloro che lo circondavano.
Prompto, come al solito, cercò di spezzare quella tensione che non sopportava. «Basta che la seconda sia l’ultima volta. Non farla diventare un’abitudine, okay?»
Risero insieme, e Nyx lo ringraziò in silenzio per aver portato quell’ondata di leggerezza tra di loro.
C’era qualcosa, dentro di lui, che sembrava tremare, uno specchio fragile scosso da un terremoto perpetuo. Sarebbe riuscito a rimettere tutto a posto, ad essere di nuovo l’uomo che era stato?
Fece scorrere lo sguardo sui presenti, uno alla volta, e infine si fermò sul viso di sua moglie.
Non gli serviva un fantasma a dargli la risposta.
No, pensò, non sarebbe mai più stato lo stesso.
«Nyx…»
La voce di Libertus attirò la sua attenzione, e il suo tono cauto lo fece innervosire.
«Si?»
«La situazione era strana, tesa, e io…»
Si sentiva i nervi di ghiaccio. Quella ritrovata sensibilità gli stava facendo gelare le mani, e il viso del suo migliore amico non lo aiutava a stare tranquillo.
«Tu cosa?»
«Pensavano che fossi morto, Nyx. Ho dovuto…spiegare, che non era così.»
Si schiantò in mezzo al suo petto, frantumando qualsiasi cosa fosse rimasta intera.
Mentre un silenzio pesante calava su di loro, Nyx si abbandonò contro la sedia, il cuore che batteva a mille.
Luna sapeva.
E non era stato lui a dirglielo.
Voltarsi verso di lei fu uno sforzo immane, e la sua espressione gli spedì una scarica dolorosa nel corpo.
«Io…»
Non ci riusciva. Gli si mozzò la voce in gola, e si costrinse a respirare profondamente, combattendo quella sensazione opprimente nel petto, incapace di staccare lo sguardo da lei.
Perché non diceva nulla?
Victoria spezzò il silenzio. «Non incolpare Libertus. Le sue parole ci hanno rassicurato, e portato pace.»
Si accigliò appena, eppure la regina aveva ragione.
Cosa sarebbe successo se non avessero saputo cos’era?
Avrebbero organizzato il funerale, forse, e lui si sarebbe svegliato in una bara di legno sottoterra.
Il grande eroe sepolto vivo. Gli venne da ridere, e la moglie se ne accorse.
«Nyx…che ti prende?» Gli domandò, sporgendosi verso di lui, spostandogli con delicatezza un ciuffo ribelle dal viso. Era accigliata, esausta e infreddolita, e Nyx si sentì uno schifo per averla ridotta così.
Sospirò pesantemente, pensando che, se il suo piano avesse funzionato, non sarebbero stati lì.
Forse, pensò, si sarebbero appena svegliati, ignari di ciò che era successo, e lui avrebbe potuto rimandare quel momento.
Ma, ovviamente, era andato tutto storto.
Si alzò di scatto, facendo sobbalzare Luna, e appoggiò le mani sul marmo freddo.
Parlò senza guardarli, perché sentiva il peso dei loro sguardi.
Erano come fiamme intorno a lui, ed era dolorosamente consapevole della loro presenza.
«Volevo dirvelo.» Esordì, cercando di mantenere la voce più neutrale possibile. «Io stesso l’ho saputo relativamente da poco, da…Ardyn. Confessarvelo…» Spostò lo sguardo sulla moglie, nascondendo il viso agli altri presenti. «Confessartelo…» Sentì gli occhi bruciare, ma trattenne le lacrime di rabbia e dolore che premevano per uscire. Aveva già fatto troppo male alla sua Luna. «È stata l’unica cosa che non ho avuto la forza di fare.»
La sua voce stava ancora echeggiando nella stanza quando Noctis si alzò e, dimostrando un controllo che qualsiasi re gli avrebbe invidiato, si rivolse ai presenti.
«Tornate a riposarvi. L’alba non è lontana, ma per oggi siete tutti esonerati da qualsiasi compito avevate.»
Si mossero tutti a rallentatore, come se fossero statue di ghiaccio, e Nyx pregò Bahamut di dargli la forza di cui aveva bisogno per affrontarli.
Uno alla volta vennero da lui, ad eccezione di Ravus e Libertus.
Ignis fu il primo, e il generale pensò che, in tutti quegli anni non avevano speso molto tempo assieme, eppure lui fece esattamente ciò di cui aveva bisogno. Non cercò di consolarlo, né disse che gli dispiaceva, o che sarebbe andato tutto bene.
Gli porse una mano, e se la strinsero in silenzio, e Nyx riuscì perfino a fargli un breve sorriso.
Gladio, dal canto suo, riuscì addirittura a strappargli una breve risata. «Non vorrei essere nei panni di chi si mette sulla tua strada, tra qualche secolo.»
«Già.»
Si sorrisero brevemente, e appena lo Scudo del Re si spostò, Nyx si trovò investito da Prompto.
Il biondo lo abbracciò forte, e ancora una volta riuscì ad intenerirlo.
Lo strinse brevemente e quel gesto, tanto semplice quanto importante, gli si cementò nel cuore.
Quando si allontanò, Prompto non aggiunse una parola, e se ne andò quasi di corsa.
Alla fine, restarono lui, Lunafreya, e i sovrani.
Quando incrociò gli occhi di Noctis, Nyx piegò le labbra in un breve sorriso.
Non c’era pena, nel suo sguardo, ma solo comprensione.
«Potete andare, se lo desiderate. Nyx, ti chiedo solo di venire da me questo pomeriggio.»
Il generale annuì brevemente, e poi la sua mano trovò quella della moglie.
Uscirono così, in silenzio, e così restarono finché non aprì le porte della loro stanza da letto.
Inarcò le sopracciglia, stupito. «Che è successo qui?»
Chiese, e Lunafreya abbassò lo sguardo, sfregandosi le braccia segnate.  «Io…quando ti ho visto così, morto, io…»
Si voltò verso di lei con un groppo in gola.
Sapeva benissimo cosa voleva dire, lui stesso aveva provato quella sensazione anni prima, ad Altissia.
Il mondo che ti sgretola sotto i piedi, e ti lascia precipitare in un buio dal quale non c’è uscita.
Le cinse i fianchi e la strinse a sé, e poi le posò un delicato bacio sulla fronte.
«Mi dispiace.» Sussurrò, e la sentì abbandonarsi contro di lui, nascondendo il viso sul suo collo.
«Sono qui amore. Sono qui.»
Quando lei alzò il viso, si costrinse a sorriderle.
«Andiamo a cercarci un’altra stanza per stanotte.»
Lei annuì, e in silenzio congiunto decisero che, per quella notte, qualsiasi argomento poteva aspettare.
 

 
«Non so se possa esistere qualcosa per farti stare meglio.»
Piegò le labbra in un sorriso divertito. «Non ci provare neanche, Altezza. Sto bene.»
Noctis sollevò su di lui uno sguardo scettico. «D’accordo, se lo dici tu. Volevo solo informarti che non dovrai più portare gli inibitori, d’ora in poi. È la decisione giusta?»
Nyx si prese un istante per rispondere.
Con tutto ciò che si era accumulato al suo risveglio, non aveva avuto tempo di analizzarsi.
Facendolo, scoprì che la sua magia era calma, pacata come un lento fiume di montagna.
Gli scorreva nel corpo come semplice sangue, così ovvia che sarebbe stato innaturale non sentirla.
«Si, lo è.» Rispose alla fine con un breve sorriso. «Grazie.»
Noctis si strinse nelle spalle. «Prego. La verità è che mi servi attivo, se succede qualcosa. Continuano ad arrivare rapporti di daemon da ogni parte.»
Nyx sogghignò. «Un gesto gentile che nasconde una finalità pratica. Molto subdolo.»
Noctis si lasciò andare ad una breve risata, e si rilassò contro lo schienale del trono.
Per un folle istante, Nyx immaginò di vedere Ardyn al suo fianco, a commentare qualcosa di maligno, ma era solo la sua immaginazione.
Nonostante tutto, pensò, non sarebbe stato male avere qualcuno con cui parlare per l’eternità, anche se era Ardyn.
«Mi dichiaro colpevole.» Sorrise il re. «Nyx?»
«Si, Maestà?» Il generale focalizzò la sua attenzione sul sovrano, e seppe ancora prima che parlasse cosa stava per dirgli. Fu tentato di dirgli di tacere, che non sarebbe servito a nulla, ma tacque.
«Mi dispiace.»
Inghiottì a fatica e fece un sorriso amaro.
Lui e Noctis erano quasi morti insieme, così tanto tempo prima e forse per quella strana esperienza condivisa, si convinse che il sovrano fosse l’unico in grado di capire.
«Anche a me.»

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Capitolo 26
*** E nonostante dentro stesse urlando, il sorriso che lei fece lo rasserenò. ***


CAPITOLO 26
 
-E nonostante dentro stesse urlando, il sorriso che lei fece lo rasserenò.-
 
Era raggomitolata contro di lui, così piccola e così fragile da sembrare di cristallo.
Era una stanza estranea, eppure a lui non importava.
Se lei era lì, nient’altro contava.
«Nyx?»
Aveva attirato la sua attenzione a voce bassa, e lui aveva fermato un attimo la mano che stava giocando con una ciocca di capelli biondi. «Dimmi.»
«Ti ricorderai di me, quando sarò morta?»
Si era irrigidito istintivamente, nervoso, a quella domanda. «Luna, non voglio parlarne.»
Lei si era sollevata a guardarlo, e per un istante la luce del sole nascente aveva scintillato sulla sua pelle nuda. «Lo sai benissimo che non fa piacere nemmeno a me questa storia, ma...»
La sua voce era severa, e Nyx vi aveva colto l’angoscia che lei non mostrava.
«Mi dispiace.» Sussurrò. Aveva perso il conto di quante volte aveva pronunciato quelle parole, sfiorando con le labbra ogni piccolo segno sulle braccia di lei, ogni sfumatura del livido quasi sparito sul collo. E ancora non sembrava abbastanza.
Aveva affondato una mano tra i suoi capelli, e l’aveva attirata a sé.
«Allora…Mi ricorderai?»
«Sempre.»
E nonostante dentro stesse urlando, il sorriso che lei fece lo rasserenò.
«Nyx? Stai bene?»
La sua voce lo raggiunse come musica, e lo fece rabbrividire nonostante l’acqua nella vasca fosse bollente. Il bagno l’aveva rilassato, inizialmente, ma poi la sua mente aveva iniziato a vagare, ed era tornata a quella mattina, a quella conversazione.
Chiuse gli occhi e affondò ancora di più in acqua. «No.» Sospirò, esausto.
Avrebbe dovuto essere forte, pensò, per evitare di far stare male lei, ma non ci riusciva.
Non in quel momento.
La sentì entrare nel bagno, preoccupata, e la sentì sedersi sul bordo della vasca.
S’immaginò la sua espressione accigliata, preoccupata, e quando riaprì gli occhi scoprì di aver avuto ragione. «Che succede?» Gli chiese, squadrando il suo viso per tentare di comprendere cosa gli passava per la testa.
«Luna…» Allungò una mano verso di lei, e nessuno dei due fece caso all’acqua che scivolava fuori dalla vasca. «Non avresti dovuto venire a saperlo così.» Sussurrò, sentendo la sua stessa voce tremare come non aveva mai fatto.
Perfino lui non era in grado di resistere a tutto.
«Nyx…»
«Shh.» La interruppe, gli occhi fissi sul suo volto. «Avrei voluto dirtelo, ma io stesso non riesco ad accettarlo. Non importa quanto tempo passerà, non sarò pronto a perderti più di quanto lo sono ora, cioè per niente.»
Era così facile leggerla, per lui.
Vide la tenerezza e lo stesso immenso amore che batteva nel suo cuore prima che lei si sporgesse verso di lui e gli sfiorasse le labbra in un bacio impalpabile.
«Nyx, ascoltami. Conoscerti è stata la mia fortuna più grande, e la mia più grande gioia.»
Si spostò nell’acqua, teso, ma la lasciò parlare, incapace di prevalere su quella sensazione terribile di profonda stanchezza che l’aveva invaso.
«Ne abbiamo passate di tutti i colori, ma ho sempre saputo che ce l’avrei fatta, perché tu eri al mio fianco. E…» Esitò un istante, persa in quella ferita che l’aveva squarciata sul tetto. «Non so come farei a passare l’eternità senza di te, amore.» Sussurrò, e lui piegò le labbra in un sorriso amorevole, comprensivo, che la fece arrossire. «Eri morto, Nyx, eri morto tra le mie braccia, e ora sei qui, e non c’è miracolo più grande che il mio cuore potrebbe desiderare.»
«Ma…» Cercò di interromperla, di dire che il suo essere lì, vivo, era una condanna, non un miracolo, ma lei alzò una mano e lo zittì.
«Se i nostri anni insieme si accumuleranno nella tua vita eterna, farò in modo che siano i migliori di sempre.»
Desiderò follemente di poter cristallizzare quel momento per sempre, quell’istante nel quale c’erano solo loro due, e il resto del mondo era chiuso fuori dalla porta.
Appoggiò la guancia alla sua mano quando lei gli sfiorò il viso.
«Ti amo, Nyx Ulric, e ti amerò anche quando di me non sarà rimasto altro che cenere.»
Lei gli sorrise, e Nyx pensò che era stato un illuso a credere che nulla dentro di lui potesse più crollare. Gli si spezzò il cuore guardandola, ma accettò in silenzio le sue parole.
E quello, anticipato di anni, fu il loro addio.
 

 
«Dovresti parlare con Ravus.» Esordì, guardandola con la coda dell’occhio.
Lei terminò di sistemare le lenzuola pulite sul letto. «Nyx…»
Parlò a bassa voce, tesa. Lo stava avvertendo di non inoltrarsi in quell’argomento ma lui, pensò, non era un granché a rispettare gli avvertimenti.
«Resta sempre tuo fratello, in fondo.» Continuò a spingere, e alla fine entrambi si fermarono e rimasero a guardarsi.
Insieme, si erano messi a riordinare la loro stanza due giorni dopo la sua resurrezione.
«Ti ha sparato a sangue freddo, come…»
«Gliel’ho chiesto io.» Scrollò le spalle, alleggerendo quell’argomento altrimenti soffocante. «Non è che mi abbia rapito e ammazzato così dal nulla.»
Luna non reagì al suo tentativo di battuta. «Non avrebbe neanche dovuto accettare! È stata una cosa crudele e…»
Le tremavano le mani, notò il marito, e la cosa gli fece una tenerezza immensa.
Dal primo momento che l’aveva vista, lei aveva mostrato la gentile, distaccata e impenetrabile facciata di una Principessa indistruttibile, sempre nascondendo quanto fosse delicato in realtà il suo cuore.
Le prese le mani fra le proprie, e gli sembrò incredibile che una creatura così fragile fosse in grado di lottare con la furia di una leonessa. «Tesoro, guardarmi.» La incitò con gentilezza, e sorrise quando incrociò i suoi occhi.
Non era ancora riuscito a far sparire del tutto quel velo di tormento.
«Sono qui, e sono vivo. Non devi incolpare tuo fratello per qualcosa che ha fatto come favore a me. Non sono andato da lui perché poi tu lo odiassi. Ho chiesto a lui di uccidermi perché sapevo che era l’unico che l’avrebbe fatto, dato che significava aiutare te.»
Lei esitò un attimo, lasciando vagare lo sguardo sul suo viso, accarezzando ogni cicatrice, ogni segno, ogni dettaglio. Pensare che pochi giorni prima era stato pallido e freddo tra le sue braccia le strinse la gola, e la spinse ad osservare la sua fronte: dove il proiettile si era piantato non restava altro che un sottile cerchio di pelle appena più chiara, quasi invisibile.
«Tu e Ravus non siete mai andati d’accordo.» Gli fece notare debolmente, consapevole che la sua non era nemmeno una scusa.
Nyx rise brevemente e si strinse nelle spalle. «Lo so. Ma c’è una cosa che ci ha sempre tenuto uniti, che lo volessimo o meno.»
Le lasciò scivolare le braccia intorno ai fianchi, e la strinse a sé.
Lei si lasciò cullare, respirando il profumo di pace e casa che emanava da lui, e seppe che aveva ragione.
«Tu.»
Arrossì quando lui finì la frase, e sollevò lo sguardo su di lui con un sorriso.
«Sei uno scaltro oratore, Nyx Ulric.» Lo rimproverò scherzosamente. «Va bene. Andrò da lui.»
Il generale sorrise. «Perfetto. Grazie.»
Luna si allontanò da lui a malincuore, indossò la pesante giacca invernale e si preparò ad uscire.
Sulla porta, si fermò ad osservare il marito, commossa.
Vederlo nella stanza che aveva accolto la sua disperazione era qualcosa di incredibile.
Nyx sollevò un sopracciglio in una muta domanda, e lei scosse la testa a dirgli che andava tutto bene.
«Ci vediamo dopo.»
Lo salutò, cercando di non pensare al fatto che le cose non andavano mai bene quando erano separati.
Non ebbe nemmeno bisogno di bussare quando fu davanti alla casa, perché la porta venne quasi scardinata da una furiosa Aranea che borbottava insulti che avrebbero fatto impallidire un marinaio.
Quando si accorse di chi aveva davanti, piegò le labbra in un sorriso tagliente.
«Fleuret numero due, vedi se riesci a far ragione quell’idiota che ti ritrovi per fratello.»
Con quella frase tra il deluso e l’arrabbiato, l’ex commodoro si congedò, e Luna poté entrare nella casa aperta.
Ad accoglierla c’era un disordine che non aveva nulla a che fare con il Ravus che conosceva.
Lo trovò sprofondato sul divano, un braccio a coprirgli gli occhi, e non sembrò nemmeno accorgersi della sua presenza. Sempre in silenzio, Luna scostò il nuovo braccio metallico dal tavolo sul quale era abbandonato e vi si sedette sopra. Una parte di lei ringraziò il marito per averla convinta.
Ravus non era tipo da non fare nulla, tantomeno da lasciare che il mondo cadesse a rotoli intorno a lui.
Con delicatezza, gli scostò il braccio dal viso.
«Aranea, ti ho detto di toglierti dal…» Gli si bloccò la voce quando vide chi aveva davanti.
Luna piegò le labbra nell’ombra di un sorriso imbarazzato. «Ciao.»
Ravus si mise a sedere velocemente, sorpreso. «Ciao.» Ricambiò il saluto, ma era incapace di dire altro. Cos’era venuta a fare lì, dopo la sua sfuriata nella sala del trono?
«Io…» Gli sembrò quasi di vederla mettere insieme i pezzi, come faceva quando il peso di essere l’Oracolo minacciava di schiacciarla, e lei resisteva lo stesso. «Ravus, mi dispiace. Ma hai sparato a Nyx, a bruciapelo, senza motivo, e io mi sono sentita morire con lui. Non solo avevo perso mio marito, ma per mano del mio stesso fratello.»
Fu un discorso secco, rapido, ma lui la conosceva bene.
Era lo stesso tono che aveva usato per parlare ai cittadini di Tenebrae più di vent’anni prima, comunicando loro che Sylva Nox Fleuret era morta, e che lei era il nuovo Oracolo.
Ghiaccio che maschera un pozzo di sentimenti.
«Luna…»
«Ma ora so perché l’hai fatto.» Lo interruppe lei, inchiodandolo sul posto con l’intensità del suo sguardo.
Si allungò a prendergli una mano, sentendo i calli e le piccole cicatrici di anni di battaglie combattute in suo nome.
«Non vuol dire che io approvi, ricorda, ma Nyx ha ragione. Sei mio fratello.»
«Ulric ti ha mandato qui?» Le domandò, e lei sentì la tensione irrigidire il suo corpo.
Così, si affrettò a scuotere la testa e spiegare. «Nyx mi ha convinto a venire da te. Se non fosse stato per lui, sinceramente, non so quanto tempo sarebbe passato, o se sarei mai tornata.»
Ravus, nonostante quelle parole lo ferissero, decise di ignorarle, e concentrarsi sulla prima parte.
«Nyx crea sempre un sacco di guai.»
Luna sorrise, divertita. «Ma aggiusta anche sempre tutto.»
«Vero.» Ravus ricambiò il sorriso della sorella, non potendo contraddirla: Nyx era il problema, ma anche la soluzione. «Sono…contento che faccia parte della famiglia.»
La donna davanti a lui inarcò entrambe le sopracciglia in un’espressione stupita, e poi sollevò una mano sulla sua fronte. «Stai bene? Sei sicuro di non avere la febbre?»
L’ex comandante rise, e poi le scostò gentilmente la mano.
«Sto bene. Quello che intendevo dire è che, nonostante sia chi sia, non ti ho mai visto così felice come quando sei con lui. È sempre stato ciò che volevo per te, che tu potessi vivere, e amare, come preferivi. E che fossi felice.»
Lei sorrise, intenerita. Come al solito, Nyx aveva avuto ragione.
«Grazie, Rav.» Usò il nomignolo che si erano dati da bambini, prima che tutto andasse a rotoli, prima dell’arrivo dell’Impero.
L’uomo ridacchiò. «Era da tanto che non mi chiamavi così…LuLu.»
 

 
«Ho bisogno che tu mi alleni.»
«Perché?»
Un attimo di esitazione, uno sguardo colpevole.
«Perché non sto bene. Tutti gli altri credono che sia tutto a posto, ma non è così.»
«…Perché ora?»
«Lei non se n’è accorta, ma…ieri notte stavo quasi per bruciare la stanza.»
«Io non possiedo la magia, non posso aiutarti a controllarla.»
«Non ti sto chiedendo questo.»
«Che cosa, allora?»
«Non lo so. So solo che tu sei l’unico a cui posso rivolgermi.»
L’ombra di un sorriso, un cedimento.
«D’accordo. Immagino che potrebbe essere divertente.»
Uno sguardo scambiato in silenzio, un breve cenno.
Soldati in mezzo alla neve.
Soldati in mezzo al sangue.
«Grazie, Cor.»

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Capitolo 27
*** I pallidi raggi del sole scintillarono sulla lama, e Nyx ricordò qualcosa che non gli apparteneva. ***


CAPITOLO 27
 
-I pallidi raggi del sole scintillarono sulla lama, e Nyx ricordò qualcosa che non gli apparteneva.-
 
«Perché qui?» Domandò Nyx, guardandosi attorno, teso.
Semi coperto dalla neve, il terreno era ancora nero dove lui aveva bruciato la dea.
Cor, davanti a lui, notò la sua tensione. «Questo poso possiede un grande valore emotivo per Bahamut. Se devi controllare la tua magia, devi farlo in ogni occasione, quindi devo metterti sotto stress.»
Il generale piegò lentamente il collo, sentendo i nervi tendersi e distendersi al movimento. «Sei sicuro?»
L’uomo annuì ed estrasse lentamente la lunga katana. I pallidi raggi del sole scintillarono sulla lama, e Nyx ricordò qualcosa che non gli apparteneva, le scaglie blu intenso di Leviatano sotto un sole ancora giovane.
Cor aveva ragione: Bahamut non era con lui, era persa nel dolore risvegliato da ciò che quel luogo evocava. Estrasse i kukri, che avevano ripreso il loro posto nei foderi, e piegò appena le gambe, rilassando i muscoli, pronto a scattare. E Cor non si fece attendere.
Il primo assalto lo costrinse sulla difensiva, e gli scatenò un’ondata di ammirazione per la velocità e l’agilità dimostrata da un uomo di sessant’anni. Erano quasi faccia a faccia, e non riuscirono a trattenere un ghigno.
«Non trattenerti, Ulric. Tanto scommetto che non riusciresti lo stesso a colpirmi.»
Era una provocazione deliberata, e Nyx l’accolse come tale.
Si liberò dallo stallo lasciando scorrere velocemente la lama del pugnale sulla katana, spingendola all’indietro alla fine del movimento, e poi saltò all’indietro, separandosi dal suo avversario.
Un’onda si schiantò sulle rocce dietro di lui.
Leviatano che emergeva dal mare con un ruggito, furiosa e determinata.
Gli si annebbiò la vista per un istante.
Perché era stata così arrabbiata?
Tornò presente a sé stesso e lanciò con precisione l’arma contro Cor, che la intercettò a mezz’aria.
Il kukri affondò nel terreno, e mentre l’anziano abbassava l’arma, Nyx si proiettò accanto al pugnale in apparenza schivato.
Ifrit era la ragione, ricordò. Il fratello che li aveva traditi.
I sensi di Cor si erano affinati in una vita intera di battaglie, e il suo calcio lo centrò in pieno petto, mandandolo a terra.
Ricordò la rabbia dolente di Leviatano, la furia con la quale aveva lottato.
La lama della katana gli sfiorò il collo prima che potesse rialzarsi.
Gli oceani che si sollevavano a spegnere le fiamme del fratello.
«E io che credevo fossi imbattibile.»
Nyx piegò le labbra in un ghigno amaro. «Bahamut è…»
«Bahamut è dentro di te. E lo sarà per sempre. Se non impari a controllarla dovrai ringraziarla spesso di averti reso immortale.» Lo interruppe Cor, tagliente, e Nyx gli diede di nuovo ragione.
Non poteva permettere che la dea nel suo cuore prendesse il sopravvento.
Si rimise in piedi e attaccò di nuovo.
La immaginò là, sola, incapace di muoversi, priva della forza primordiale che l’aveva sempre sostenuta.
Gli mancò il fiato, e un pugnale gli scivolò dalle mani.
Aveva forse pensato di aver fallito, nei suoi ultimi istanti?
Respinse l’assalto di Cor con il kukri rimasto, e poi non fu più in grado di trattenerla.
La magia esplose intorno a lui, fiamme sul terreno, fulmini in cielo e le alte onde oceaniche congelate in movimento.
Raccolse il pugnale da terra, respirando pesantemente, e poi alzò lo sguardo.
Ciò che vide fu una sorpresa: in qualche modo, Cor era riuscito ad evitare il danno peggiore, e solo le sue gambe erano congelate dai piedi alle ginocchia.
«Ti dispiace?» Gli chiese, pacato, come se non avesse appena assistito ad un’esplosione magica.
Nyx non riuscì a trattenere una breve risata, e lanciò il kukri dritto nel blocco che lo inchiodava sul posto. La lama affilata penetrò facilmente, e spaccò il ghiaccio in tanti frammenti.
«Grazie.» Proseguì Cor. «Ora spegni tutto il resto.»
Solo in quel momento Nyx si rese conto dell’inferno che li circondava, e della tempesta che regnava sopra di loro. «Non sono sicuro di esserne in grado.» Confessò, pensando che, se voleva che Cor lo aiutasse, tanto valeva essere sincero sul suo stato.
Il vecchio soldato ritirò la katana nel suo fodero, e incrociò le braccia al petto.
«Il tuo problema, Nyx, è l’equilibrio. Non ti biasimo, nessuno sarebbe in grado di sopportare ciò che hai passato tu e uscirne intatto.»
«Cosa dovrei fare, quindi?» Chiese in un mormorio, e la risposta che seguì fu calma come di consueto, e fu esattamente ciò che aveva bisogno di sentire.
«Trova un’ancora. Trova qualcosa che ti impedisca di precipitare nel casino che la tua mente è diventata. Trova un’ancora, e aggrappatici con tutte le tue forze.»
Quella era una cosa facile, si rese conto.
C’era solo un motivo per il quale aveva lottato tutta la vita.
Alzò una mano e la strinse sulla mezzaluna che portava al collo.
Là, in mezzo al nulla, gli sembrò di sentire il profumo dei fiori di Tenebrae, l’eco della sua risata cristallina, di vedere lo scintillio dei suoi occhi la prima volta che si erano svegliati l’uno di fianco all’altro.
«Come fai ad amarmi?»
«Come potrei non farlo?» Gli aveva risposto, alzando lo sguardo dalla cena con un mezzo sorriso che gli aveva sciolto il cuore.
«Bene. Guarda.» La voce di Cor lo riportò alla realtà, e lui notò le fiamme spegnersi mentre il cielo si schiariva di nuovo.
Fu una sensazione così strana da lasciarlo senza fiato. «Beh…per una volta non so che dire.» Ammise, stranito. Cor si strinse nelle spalle ed estrasse nuovamente la katana.
«Allora stai zitto e fammi vedere che sai fare.»
Con un sorriso divertito, Nyx partì alla carica.
E Bahamut era con lui.
 

 
Cinque mesi dopo la sua seconda resurrezione, Nyx aveva ritrovato il suo equilibrio.
Noctis aveva mantenuto la parola e non l’aveva più mandato in missione, e lui poteva passare tutto il tempo che voleva con Luna.
E passava con lei ogni secondo che i suoi impegni di consigliere reale non le rubavano.
Mentre lei era impegnata in riunioni e incontri con i nuovi, numerosi rappresentati delle città liberate dall’Impero, Nyx si dedicava agli allenamenti con Cor, e alla terza cosa che lo rilassava.
«Siete migliorati.» Ammise, complimentando le reclute davanti a lui.
Aveva imparato tutti i loro nomi a memoria, aveva parlato con ognuno di loro, e aveva fatto in modo che fossero a loro agio quando lui entrava nella caserma, nonostante molti di loro fossero stati presenti quando aveva quasi ucciso il re alla caverna.
Metà di loro avevano perfino smesso di chiamarlo “generale” e si rivolgevano a lui per nome, nonostante usassero ancora parlargli in tono formale.
In quel momento, camminò tra di loro, sentendo il caldo primaverile rinfrescargli la mente.
Era maggio, ormai, ed era il momento dell’anno che preferiva.
Primavera, un sole caldo ma non soffocante, e i giardini invasi dai fiori di Tenebrae.
«Siete stati fortunati, per ora, e non c’è stato un diretto bisogno del nostro intervento.» Parlò correggendo un paio di prese, raddrizzando spalle e sistemando la posizione dei piedi. «Sperando che quel bisogno non arriverà mai, devo dirvi che sono fiero di voi.»
Un mormorio percorse il gruppo, e Nyx sorrise quando Gratia si fece avanti. «Se posso chiedere, Nyx…perché lo siete?»
«Perché siete qui.» Li indicò con un cenno. «Lucis gode di una pace per ora stabile, eppure voi, rifugiati o cittadini che siate, vi siete arruolati nelle guardie di vostra spontanea volontà.»
“E non perché sei stato costretto, eroe dei miei stivali”, avrebbe commentato Ardyn, pungente.
Gli venne da sorridere pensando a lui, e non si trattenne.
Per quanto strambo fosse, ogni tanto sentiva la mancanza di quel fantasma onnipresente, che lo provocava e lo spingeva a reagire, ad essere vigile. Lui, e qualsiasi altro fantasma, veramente.
Né Crowe né altri si erano presentati da quando era tornato dal mondo dei morti, e Nyx aveva dovuto imparare a convivere con la loro assenza una seconda volta.
«Signore?»
«Dimmi, Tum.» Spostò lo sguardo su colui che aveva preso ufficialmente il ruolo di medico del gruppo, e che probabilmente aveva salvato la vita a Noctis senza nemmeno saperlo.
Seppe cosa stava per dire quando vide le reclute scambiarsi sguardi divertiti, e sorrisi cauti.
«Credo che abbia una visita.»
E si chiese come avesse fatto a non accorgersene prima.
D’altronde, lei era come il suo sole personale. Quando gli era vicina, il mondo diventava migliore.
Si voltò verso di lei, e si sorrisero nello stesso momento.
In quei mesi, Nyx l’aveva viziata in ogni modo che gli veniva in mente.
Le portava la colazione a letto, fiori ogni volta che poteva, la strappava ad incontri che sapeva particolarmente estenuanti, e l’aveva portata in giro per la regione per quasi un mese, solo loro due e la Regalia, prestito personale del re.
Era stata un po’ come la luna di miele che non avevano mai fatto, e per quelle settimane si erano lasciati tutto alle spalle.
E nonostante lei continuasse a dirgli che non era necessario che lui si comportasse così, non poteva farne a meno, un po’ perché adorava quel suo sorriso sorpreso quando la rubava alla politica, e un po’ perché sentiva come se non avesse fatto ancora abbastanza per consolarla dalle sue azioni.
«Ragazzi, andate a riposare. Abbiamo finito per oggi.» Parlò senza nemmeno voltarsi, e sentì i suoi soldati ridacchiare e scambiarsi battute mentre si disperdevano.
Alla fine, rimasero solo loro due, e lui l’attirò a sé appena gli fu abbastanza vicina, e le baciò la tempia, inspirando il profumo di fiori e sole che l’accompagnava. «Ciao.» Sussurrò tra i suoi capelli, e lei gli accarezzò il viso con delicatezza.
«Ciao.» Si appoggiò a lui, invasa da quella sensazione di profonda gioia che provava in sua presenza. «Mi piacerebbe restare qui, ma dobbiamo andare.»
Nyx inarcò le sopracciglia. «Andare dove?»
Luna sorrise. «Dalla regina.»
 

 
Victoria sembrava ancora stanca, ma era chiaramente felicissima.
Le scintillavano gli occhi, e quando alzò lo sguardo verso di loro il sorriso che le comparve sul volto sembrò illuminare l’intera stanza.
«Grazie di essere venuti.» Noctis si alzò dalla sedia al fianco della moglie e strinse brevemente la mano di Nyx. Il generale sorrise, poi fece un cenno verso la regina.
«Allora?»
Il re sorrise, divertito. «Guarda tu stesso.» Lo invitò, e Victoria si spostò per permettergli di vedere cosa reggeva tra le braccia.
Aveva un viso dalla pelle rosea, paffuto, e uno sparuto ciuffo di capelli rossi sulla testa.
Allungò verso di lui le braccia fini.
«Avete già deciso il nome?» Domandò Luna, incapace di smettere di sorridere davanti a quella creatura così innocente.
E al fatto che le sue minuscole mani si fossero chiuse intorno alle dita di Nyx, e che lui sembrasse come paralizzato da quell’esserino così piccolo. Sembrava che avesse paura di fargli del male.
«Si.»
Confermò Noctis. Mentre Victoria rivelava la loro decisione e il bambino piantava su di lui i suoi occhi grigi, Nyx pensò che non esisteva un nome più adeguato.
«Regis.»

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Capitolo 28
*** Le sembrò di sentirlo cantare una ninna nanna, ma si disse che era impossibile. ***


CAPITOLO 28
 
-Le sembrò di sentirlo cantare una ninna nanna, ma si disse che era impossibile.-
 
Una settimana dopo, Victoria la raggiunse nel giardino.
Sembrava esausta, e lei immaginò che il bambino non la lasciasse dormire molto, di notte.
«Altezza.» La salutò con un cenno mentre bagnava i fiori.
Prendersi cura dei germogli blu notte era un modo come un altro per passare il tempo, e l’aiutava a non pensare quando lui non c’era.
Era doloroso essere separata da lui, specialmente dopo ciò che era successo, eppure non si era sentita di interrompere il suo duello con Cor. Non le aveva mai rivelato perché avessero iniziato ad allenarsi insieme, ma le sembrava più rilassato da quando aveva iniziato, e non l’aveva disturbato.
«Luna, non c’è bisogno di essere formale con me, non ora.» La rimproverò amabilmente la regina, prendendo posto su una delle tante panchine sparse per il cortile.
Regis dormiva beatamente fra le sue braccia, così lei parlò a bassa voce per non svegliarlo.
«Scusami, è la forza dell’abitudine.» Confessò terminando il suo compito e andando a sedersi accanto a lei. «Posso?» Fece un cenno verso il bambino, e Victoria rise piano.
«Puoi tenertelo per sempre se vuoi.» Scherzò, passandole il neonato, e la osservò in silenzio per un po’ mentre lei cullava il suo bambino.
Quando Regis si svegliò e i suoi occhi grigi si posarono sul viso della donna, le sembrò quasi di vederlo accigliarsi, chiedendosi chi fosse, eppure non iniziò ad agitarsi come si era aspettata.
Si mosse tra le braccia di Lunafreya, e poi afferrò il ciondolo che pendeva dal suo bracciale.
Era il simbolo delle guardie reali, finemente intagliato in un misto di oro e argento, che Nyx le aveva fatto trovare sul letto un paio di giorni prima.
Quando gli aveva domandato il perché del regalo, l’uomo si era stretto nelle spalle con noncuranza, sostenendo che non c’era un motivo. E nonostante lei sapesse il vero perché dietro le sue azioni, l’aveva lasciato fare.
Cercavano sempre di parlare il meno possibile di ciò che era accaduto in passato e, specialmente, di cosa sarebbe accaduto in futuro, eppure in quei mesi, più di una volta, Luna aveva ascoltato Nyx imprecare a bassa voce attraverso la porta del bagno, maledicendo Bahamut.
E aveva fatto finta di credere al fatto che lo specchio si fosse staccato dalla parete da solo, spaccandosi a terra, e che le piastrelle incrinate e bruciate sul muro non fossero frutto di un momento di frustrazione.
Quando succedeva, però, lei portava Nyx lontano dalla stanza, lontano dalla città perfino, e lasciava che, coricati sull’erba, lui le si stringesse contro, il viso sulla sua spalla e le dita intrecciate tra le sue. E restavano soli, spesso in silenzio, finché lui stesso non proponeva di tornare.
Entrambi sapevano il perché di quei momenti, ed entrambi fingevano che fossero casuali.
«Luna? Tutto bene?» La voce comprensiva di Victoria la riportò alla realtà, e si affrettò a sorriderle con un cenno.
«Si, perdonami. Mi sono lasciata andare ai miei pensieri.»
La regina sorrise, osservando il figlio giocare con il pendente, e la donna al suo fianco spostare gentilmente la mano in modo che lui potesse afferrarle le dita, ma non il bracciale.
«Va tutto bene. È normale estraniarsi ogni tanto.» Mormorò Victoria, comprensiva, e ancora una volta Lunafreya si trovò a pensare a come la vita era girata in modo strano.
Quella donna comparsa dal nulla era la moglie perfetta per Noctis, e lei, una volta sua promessa, l’ammirava enormemente.
«Lo so, è solo che…»
La rossa la interruppe con un sorriso complice. «Non hai ancora trovato un modo per dirglielo?»
Luna sentì le guance infuocarsi, e abbassò velocemente lo sguardo sul bambino che stringeva tra le braccia. «Dire cosa? Io...io non so di che parli.»
Farfugliò, imbarazzata, e la sua reazione strappò una sonora risata alla sua interlocutrice.
«Luna, ci sono passata anch’io, e riconosco i sintomi. Io ho aspettato quattro mesi per dirlo a Noctis, e quando l’ho fatto gli è quasi preso un colpo.»
Ancora imbarazzata, l’Oracolo tornò a guardare la regina. Scoprire che Victoria era incinta durante la sua follia aveva fatto sentire malissimo Nyx, specialmente dato che aveva rischiato di strozzarla, e di renderla vedova.
«Però alla fine è andato fuori di sé dalla gioia.» Si strinse nelle spalle con un sorriso divertito. «E sarà lo stesso per Nyx, quando glielo dirai.»
«Dirmi cosa?»
La proiezione precedette di mezzo secondo la domanda, e Luna si sentì un nodo allo stomaco mentre lui le compariva davanti, sollevando una nuvola di petali blu scuro dai fiori.
Victoria si alzò e, senza che lei protestasse, tolse il neonato erede al trono dalle braccia della donna.
Mentre lo faceva, le sorrise. «Andrà tutto bene, Luna. Non avere paura.» Sussurrò prima di voltarsi verso l’uomo in attesa. «Generale.»
Nyx piegò il capo in un breve cenno. «Maestà.»
«Vi lascio soli. Credo che abbiate qualcosa di cui parlare.»
Il generale inarcò un sopracciglio, incuriosito dal sorriso sornione della regina, e poi spostò lo sguardo sulla moglie paonazza.
«Che succede?» Le domandò, sentendo quello stato pacifico che l’aveva invaso dopo l’allenamento con Cor piegarsi in tensione. Si avvicinò a Luna, con cautela. «Di cosa parlava Victoria?»
Lei evitò il suo sguardo, giocherellando nervosamente con il pendente al polso. «Nyx…»
Fu costretta a guardarlo quando lui s’inginocchiò davanti a lei e le posò due dita sotto il mente, facendola voltare. «Rilassati tesoro. Lo sai che qualsiasi cosa sia, puoi parlarmene.» La incoraggiò con un breve sorriso, e lei decise di buttarsi.
Si buttò come aveva sempre fatto, letteralmente e metaforicamente, quando era con lui.
«Nyx, io…sono incinta.»
Un attimo di gelido silenzio, e poi Nyx si rianimò prima che lei potesse capire cosa gli stava passando esattamente per la testa. «Tu…davvero?»
Sembrava stordito, e lei annuì, e non riuscì a trattenere un sorriso. «Già. Diventerai papà.»
Le scappò un breve urlo di sorpresa quando lui si alzò con un movimento fluido e la sollevò per i fianchi, facendole fare mezzo giro in aria prima di rimetterla a terra.
«È…meraviglioso.» Riuscì a dire, sorridendo sulle sue labbra, e sotto le sue mani Luna sentì il suo cuore battere all’impazzata. Sentì gli occhi inumidirsi guardando la sua espressione così sorpresa, e così felice.
«Tu…quando? Da quanto?» Le chiese e, come incapace di stare fermo, le passò una mano fra i capelli e la strinse a sé con l’altra. La donna ridacchiò, allacciando le mani dietro al suo collo. «Un paio di mesi, credo.» Confessò. «Giuro che non avevo idea di come dirtelo.»
Arrossì di nuovo, e Nyx scosse la testa. «Non importa.»
La sua voce s’intenerì, e i suoi occhi scintillarono in un modo che le fece sentire le farfalle nello stomaco. «Sarai una splendida mamma.»
Gli sorrise, sentendo una singola lacrima di gioia scenderle lungo la guancia, e poi si alzò in punta di piedi per dargli un bacio sul naso che lo fece ridere.
«E tu un papà perfetto.»
 

 
Il giorno dopo, l’allenamento con Cor fu furioso.
L’anziano soldato si era presto trovato sulla difensiva, e Nyx continuava a lanciare attacchi in rapida successione, con una forza che non era del tutto umana.
Alla fine, dopo aver deviato una serie di rapidi pugnali di ghiaccio, l’uomo fu costretto ad alzare una mano per chiedere una pausa. «Che…ti prende oggi?» Domandò, ansimando appoggiato alla katana, e Nyx si lasciò cadere a terra osservandolo.
Cor, aveva sempre pensato, era l’unico in grado di dargli filo da torcere, ma si era sbagliato.
Se si fosse scatenato del tutto non sarebbe rimasto nulla di lui.
«Scusa, ho esagerato.» Si passò una mano fra i capelli, spingendoli all’indietro. «Troppi pensieri in testa.»
«Uhm.» Borbottò Cor, poco convinto. «D’accordo. L’importante è che non ti portino a fulminare mezza città. Per oggi la finiamo qui, se vuoi.»
Nyx stava per dirgli che voleva continuare, che doveva continuare, o sarebbe esploso, ma poi si rese conto di non poterglielo chiedere; Cor era anziano e, per quanto allenato, non avrebbe potuto reggere a lungo se lui avesse oltrepassato il limite.
Si rialzò e ritirò i kukri. «D’accordo. Ci vediamo, allora.»
Lo salutò con un cenno e uscì dal cortile che avevano iniziato ad usare come arena.
Fu quasi per caso che si ritrovò alla locanda alla fine della scale, e fu istintivo prendere il proprio posto accanto alla ringhiera della balconata.
Sembrava tutto uguale, eccetto per il fatto che era tutto totalmente diverso.
«Nyx?»
La voce di Libertus lo raggiunse all’improvviso, e lui sorrise all’amico mentre si sedeva al suo fianco. Se Crowe fosse stata con loro, tutto sarebbe stato un po’ più classico, e più nostalgico.
Dopo aver ordinato per entrambi, Libertus si rivolse di nuovo all’uomo al suo fianco. «Non mi aspettavo di trovarti qui.»
Nyx si strinse nelle spalle. «Nemmeno io mi aspettavo di trovarmi qui.» Confessò, e poi cedette, come aveva fatto in passato, perché con Libertus era facile, era naturale, ed era così da sempre.
«Luna è incinta.»
Libertus rischiò quasi di strozzarsi con il succo che stava bevendo e, poi, tossendo, gli piantò una sonora pacca sulla spalla. «Beh, congratulazioni amico mio. Finalmente te ne va una giusta.»
Vi fu un attimo di silenzio, e poi lui riprese. «Nyx, che succede? Non sei felice?»
Si accigliò, osservando Nyx fissare un punto imprecisato del tavolo. «Certo che lo sono. È solo che…ho conosciuto solo la violenza, per tutta la vita. Cosa potrei insegnare a…mio figlio? I dieci modi migliori per sgozzare un behemot?»
Risero insieme, e poi Libertus scrollò le spalle. «Da quello che so io, Nyx Ulric non è solo un grande soldato, ma un grande uomo. Certo, un po’ fuori di testa, ma con un cuore d’oro, e ottimi principi.» I loro sguardi s’incrociarono, e Nyx fu assurdamente lieto che Libertus fosse ancora con lui dopo tutti quegli anni.
«Ecco cosa potrai insegnare a tuo figlio. Il modo migliore per combattere, e la forza di credere in qualcosa per cui valga la pena farlo.»
«Grazie, Libertus.» Sorrise, e il suo migliore amico sogghignò.
«Noi non ci ringraziamo, ricordi? Ci salviamo a vicenda e basta.»
Il generale rise tra sé e sé. «Allora sono in debito con te.»
 

 
Quando il pianto del bambino squarciò la loro precaria quiete notturna, fu Victoria la prima ad alzarsi, ma suo marito la precedette. Si alzò dal letto, indossò la vestaglia e fece il giro del materasso per mettersi al suo fianco.
«Vado io.» Sussurrò, abbassandosi a baciarle la fronte. «Riposati.»
Con un mugolio di ringraziamento, la regina si girò sotto le coperte, e ascoltò Noctis raggiungere il figlio.
Le sembrò di sentirlo cantare una ninna nanna, ma si disse che era impossibile.
Di sicuro, stava già sognando.

 
 

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Capitolo 29
*** E l’ansia che gli stritolava il cuore faceva reagire la magia nelle sue vene. ***


CAPITOLO 29
 
-E l’ansia che gli stritolava il cuore faceva reagire la magia nelle sue vene.-
 
 
Noctis sospirò, massaggiandosi piano il petto.
Era uno dei rari attimi di pausa tra un ambasciatore e l’altro, tutti giunti per portare omaggi al nuovo erede al trono.
«Stai bene?»
Sorrise inconsapevolmente mentre si voltava a guardarla, al suo fianco con – gli riusciva ancora strano pensarlo – suo figlio tra le braccia. «Si, sono solo stanco.»
«Immagino. È difficile sorridere sempre.» Lo provocò lei, divertita, e gli strappò una breve risata, che si spense presto quando un pensiero illogico gli balenò in mente.
«Mi chiedo come ci riesca Nyx.»
Lei non ebbe nemmeno bisogno di chiedere spiegazioni, e abbassò lo sguardo sistemando meglio il pargolo tra le stoffa. «Nyx sta peggio di quanto lasci intendere. Sorride perché deve farlo, e quando pensa che nessuno lo guardi, i suoi occhi diventano…» Rabbrividì, incapace di finire la frase.
Era successo per caso, il giorno prima, quando Lunafreya aveva annunciato a tutti di aspettare un bambino durante il pranzo. Tra i mille complimenti e le congratulazioni, lei aveva incrociato gli occhi del generale, fissi sulla moglie.
In quel momento si era trovata a sperare che il detto secondo il quale gli occhi sono lo specchio dell’anima fosse falso, perché quella era un’ anima in pezzi.
La mano di Noctis sul viso la strappò a quel ricordo cupo. «Devo ammetterlo, sono in una brutta situazione. E Nyx la sta affrontando meglio di quanto mi aspettassi. Non so cosa farei io, se sapessi di dover guardarti morire, un giorno, sapendo di dover vivere per sempre.»
Victoria arrossì lievemente, e allo stesso tempo si sciolse dalla commozione.
«So cosa farei io.» Sussurrò, perdendosi in quello sguardo color della notte. «Non potrei sopportarlo.»
Rimasero per un istante così, e poi la porta si spalancò di nuovo, lasciando entrare una nuova delegazione. Si allontanarono in fretta, e Victoria ricacciò indietro quelle sensazioni di sofferenza e amore mescolate nel suo cuore. Strinse Regis a sé, e lo cullò dolcemente quando iniziò a piangere per il troppo rumore.
«Sorridi, mio re. Ti stanno guardando tutti.» Mormorò, con un breve sorriso incoraggiante, e Noctis sorrise.
 

 
Nove mesi più tardi, quando il cielo era di nuovo oscurato dalla neve, Nyx fu svegliato in piena notte da una morsa di ferro al braccio. In un istante fu perfettamente sveglio e lucido, e si trovò a guardare il viso contratto di dolore della moglie.
«Nyx…dobbiamo…» Mormorò, ma la sua frase si trasformò in un gemito quando l’ennesima contrazione la spinse a piegarsi in due dal dolore.
Il generale, con il cuore in gola, balzò giù dal letto, le passò un braccio intorno ai fianchi e la sorresse lungo i corridoi, portandola quasi di peso quando le contrazioni la inchiodavano sul posto.
«Resisti, ci siamo quasi.» Continuava a ripeterle, cercando di consolarla, ma alla fine le cedettero le gambe. Nyx la prese fra le braccia con delicatezza, e percorse l’ultimo tratto fino all’ala infermieristica del palazzo con le unghie della moglie che gli si piantavano nel collo ad ogni spasmo.
Fortunatamente, nonostante il periodo pacifico, c’erano dottori di turno anche la notte, e quando lui spalancò la porta con un calcio che quasi la scardinò, gli si affollarono intorno.
In tempo record, sua moglie era su una branda diretta alla sala parto, e lui la stava seguendo con ansia. «Resti qui, la faremo entrare dopo se lo desidera.»
Non gli diedero tempo di replicare, e gli chiusero la porta in faccia.
Iniziò a camminare avanti e indietro per il corridoio, cercando di scaricare la tensione, ma quando il primo urlo echeggiò nel corridoio si pietrificò sul posto come trafitto.
Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, e vide le scintille danzargli tra le dita, sul palmo, e sparire sotto le maniche. «Maledizione Bahamut non adesso.»
Imprecò, ma sapeva benissimo che non era colpa della dea.
Lei era solo la fonte della sua magia, non il controllo.
E l’ansia che gli stritolava il cuore faceva reagire la magia nelle sue vene.
Al secondo urlo, si appoggiò alla porta e chiuse gli occhi, ogni muscolo teso e dolorante dal nervoso. Ora più che mai, il suo angelo aveva bisogno di lui.
«Nyx! Vi prego, Nyx…»
Irrigidì la mascella, sentendola implorare di averlo al suo fianco, e non lasciò ai medici nemmeno il tempo di venire a chiamarlo. Entrò a passo di marcia mentre uno di loro si stava avvicinando alla porta. «Generale, dobbiamo chiederle di indossare…» Iniziò uno, e poi si rese conto dei fulmini sulle sue mani.
«Taci.» Ordinò Nyx, affianco la moglie. I fulmini svanirono come se non fossero mai esistiti appena le loro mani entrarono in contatto. «Sono qui amore, sono qui.»
All’ennesima contrazione, lei gli stritolò la mano con una forza che non avrebbe mai pensato di poter associare a qualcosa di così delicato, e non poté fare a meno di ridere quando lei iniziò ad insultare tutti e quattro gli dei rimasti.
Bahamut gli inviò un pensiero fugace, e lui si sorprese di quanto fosse una cosa umana da parte sua.
«Mi chiedo cosa avrebbe detto se non fosse stata l’Oracolo.»
«Si sarebbe inventata qualcosa di peggio.» le rispose, divertito, e la stretta sulla sua mano s’intensificò.
«Che cosa…»
«Bahamut.» Le disse semplicemente, e la vide accigliarsi. Respirava pesantemente, e velocemente, eppure trovò lo stesso la forza di parlare.
«Dì a Bahamut di mettersi le sue considerazioni su per…»
Nyx non seppe mai dove Bahamut avrebbe dovuto mettere le sue idee, perché Luna urlò di nuovo, e lui iniziò a perdere sensibilità alla mano.
Quattro ore dopo il sole invase la stanza, rendendo inutili le luci.
Nyx si accigliò, entrambe le mani strette intorno a quella della moglie; Luna sembrava sul punto di svenire, pallida, sudata e tremante.
Sforzandosi di staccare lo sguardo da lei, notò i medici sussurrare a bassa voce.
Notando quanto sembravano nervosi, gli si strinse il cuore. «Che sta succedendo?»
Loro evitarono di guardarlo, e la cosa lo fece preoccupare. Si voltò a baciare la mano della donna sofferente sul letto, poi la lasciò e si alzò. Senza una parola e ignorando gli altri, afferrò un medico per il colletto del camice e lo trascinò lontano, sbattendolo contro il muro opposto alla stanza.
L’uomo si affrettò a sollevare le mani tremando, cercando in ogni modo di evitare il suo sguardo.
«Parla.» Gli ordinò Nyx, sentendo ogni gemito e ogni urlo appena trattenuto alle sue spalle come ferite sul suo stesso corpo. Il dottore deglutì un paio di volte, a fatica. «Il…il parto si sta rivelando complicato. Se peggiora…» Esitò, e Nyx seppe cosa stava per dire quando si accorse che i suoi erano gli occhi di un uomo che avrebbe preferito morire piuttosto che trovarsi lì, davanti a lui, a dargli una notizia del genere. «Dovrai scegliere chi salvare.»
Fu come se la sua mente avesse staccato la spina. Serrò una mano attorno al collo dell’uomo e strinse abbastanza da farlo diventare livido. Quando parlò, lo fece con una voce gelida, in un sussurro inudibile alla donna dietro di lui.
«Tu salverai entrambi. Non importa come, non importa quanto ci vorrà, ma li salverai.»
Osservando le gocce di sudore che scivolavano sul viso sempre più rosso dell’uomo, Nyx sorrise.
E fu un sorriso sgradevole, freddo e crudele. «Se non lo farai, brucerò questo posto fino alle fondamenta, e ti ridurrò così male che il tuo cadavere sarà irriconoscibile pure a tua madre. Sono stato chiaro?»
Allentò la presa e il medico inspirò profondamente, massaggiandosi la gola, ancora terrorizzato.
Annuì freneticamente e superò l’uomo che l’aveva appena minacciato, più determinato che mai.
Nyx riprese il suo posto accanto alla moglie come se non fosse successo nulla.
Quando lei lo guardò, chiedendogli spiegazioni tra il dolore, lui si limitò a scuotere la testa con un sorriso confortante. Non c’era bisogno che lei sapesse.
 

 
Aveva perso il conto del tempo, e l’unica cosa che gli indicava la sua prolungata permanenza nella stanza era la tensione alla schiena.
La situazione sembrava essersi calmata ora, e Luna stessa sembrava stare meglio, nonostante lo sforzo l’avesse fatta diventare quasi più bianca delle lenzuola sulle quale stava. Continuava ad artigliare la sua mano come se fosse la sua unica salvezza, e Nyx non si lamentava del fatto che la sua morsa gli aveva ormai fatto perdere la sensibilità.
Gli saltò il cuore in gola quando lo stesso medico che aveva minacciato si allontanò dalla branda sorreggendo qualcosa tra le mani. Era una figura piccola e insanguinata, immobile, e non si mosse nemmeno durante il taglio del cordone ombelicale.
La voce fievole di Luna fu l’unico suono udibile. «Sta…sta bene?»
Silenzio, e Nyx vide il panico emergere negli occhi della moglie, mentre lui stesso era assordato dal suo stesso, incontrollato battito cardiaco.
Non era possibile, pensò.
Non poteva succedere, non a lui, non a lei.
«Nyx…» Luna aveva gli occhi invasi dalle lacrime, ormai, e la mano tremante nella sua stretta.
Si limitò a guardarla. Non sapeva cosa dire, non riusciva nemmeno a pensare a qualcosa che non fosse quella piccola creatura tra le braccia del dottore. Lui non si lasciò scoraggiare: avvolse la figura in un panno pulito e la immerse nella vasca d’acqua calda che gli era stata portata.
Nyx dovette trattenersi dal staccargli la mano quando vide che la stava colpendo piano, sulla schiena e sul viso e, quando il neonato spalancò la bocca e urlò a piena potenza, decise che l’uomo meritava di vivere.
Non riusciva a distogliere lo sguardo da quella figura.
«Congratulazioni. È una femmina.»
La bambina, la sua bambina, aprì gli occhi, rivelando che erano identici ai suoi, di quel colore misto tra grigio e blu, continuando a piangere.
E Luna svenne.
L’equipe di medici, sebbene stanca, si attivò immediatamente.
«Esca per favore.» Lo invitò una dottoressa dal viso coperto di rughe.
«Ma…»
Lei non si lasciò intimidire da chi era, né da cosa poteva fare, e gli indicò la porta. «Fuori. La sua presenza non è più necessaria, e noi dobbiamo occuparci sia della bambina che della madre.»
Incrociò i suoi occhi, e il suo tono autoritario si addolcì. «Staranno bene, Generale, non si preoccupi. Ma ora ho veramente bisogno che si tolga dai piedi.»
E Nyx, per una volta, obbedì, sebbene controvoglia, e si trascinò fuori dalla stanza massaggiandosi la mano. Quando le porte si chiusero alle sue spalle, il pianto di sua figlia continuò a rimbombargli nelle orecchie.
Si lasciò cadere sulla sedia adiacente alla porta, stordito, gli occhi fissi sulle proprie mani.
Lui, un rifugiato di Galahd, un reietto della cittadella e un uomo che conosceva solo sangue e lotte, era diventato padre. E la sua piccola, meravigliosa figlia aveva i suoi stessi occhi.
Scoppiò a ridere, stranito ed entusiasta, ma una voce che ben conosceva interruppe il suo sfogo.
«Questo sì che ti fa sembrare fuori di testa.» Commentò Ravus, sedendosi davanti a lui.
Per una volta, però, la sua era una semplice battuta, non una provocazione, e Nyx ridacchiò divertito. «Ravus. Che ci fai qui?»
L’uomo si strinse nelle spalle, ma i suoi occhi continuavano a saettare alla porta chiusa. «Quando, stamattina, ho scoperto che le guardie reali erano senza istruttore e nessuno sapeva dove fossi, ho intuito la situazione. Una semplice telefonata all’ospedale mi ha confermato dov’eravate.»
Nyx decise di essere totalmente fuori di testa quando s’intenerì al tono di Ravus, e alla silenziosa domanda che non riusciva a porgli.
«Femmina.» Gli rispose senza che lui chiedesse, e vide i suoi occhi spalancarsi in un misto di incredulità e gioia.
«Congratulazioni, zio Ravus.» Terminò con un sorriso, e quando i loro sguardi s’incrociarono, tutto ciò che c’era stato fra di loro svanì in una comprensione silenziosa.
Potevano litigare, infuriarsi, rifiutarsi a vicenda e perfino cercare di uccidersi ma restavano, alla fine, una famiglia.
 
 

 
Era ora di pranzo, come aveva scoperto poco prima, quando il cognato gli aveva portato da mangiare. Aveva appena terminato quando le porte si aprirono di nuovo, lasciando uscire il medico.
Ravus inarcò un sopracciglio verso Nyx con aria divertita quando notò il modo estremamente cauto e timoroso con il quale lui lo guardava, e lui si limitò a fare un ghigno sarcastico.
«Può entrare, Generale. Sua moglie sta bene.»
«Mia figlia?» Domandò, sentendo un feroce istinto protettivo verso quella piccoletta che aveva appena intravisto. Era la sua bambina, la sua principessa.
«È con la madre. Prego.» Si fece da parte lasciandolo passare, e Nyx non sentì cosa disse a Ravus, perché il suo mondo iniziava e finiva in quella stanza.
Per la prima volta in tutta la vita, pensò che le gambe l’avrebbero abbandonato mentre avanzava, che l’emozione gli avrebbe fatto scoppiare il cuore.
Era possibile morire di gioia?
«Ciao.» Luna gli sorrise in un modo che illuminò tutta la stanza. Era pallida, con profonde occhiaie sul volto, eppure a lui non era mai sembrata più bella. Si abbassò a baciarle la fronte, sfiorandole i capelli con delicatezza. «Come stai?»
Lei gli sorrise, amorevole. «Bene. Tu?»
L’uomo sorrise, scuotendo piano la testa. «Non ha importanza. Lei…» Non riuscì ad andare avanti, perché sua figlia lo stava guardando in silenzio dalle braccia della madre.
«Nyx…Prendila. Prendi in braccio tua figlia.» Lo incitò Luna, allungando le braccia verso di lui.
Mentre lo faceva, la bambina agitò le braccia con un mugolio di gioia, come se non vedesse l’ora di conoscere suo padre. Nyx l’accolse tra le braccia, e gli sembrò ancora più piccola, un diamante in mezzo alla sua devastazione.
«Ciao…»
«Crowe. Il suo nome è Crowe.» Completò Luna per lui, guadagnandosi una esterrefatta occhiata di gratitudine da parte del marito prima che lui fosse nuovamente assorbito dalla figlia.
«Ciao Crowe.» La neonata accolse il suo nome con un verso soddisfatto e poi, insolitamente per una bambina, si raggomitolò tra le sue braccia e chiuse gli occhi. Ben presto si addormentò, e Nyx sollevò lo sguardo sulla moglie.
Luna si asciugò una lacrima, e la cosa lo fece innervosire. «Che succede?» Le chiese, preoccupato, e lei scosse la testa.
«Niente.» Mormorò, sorridendo tra le lacrime di gioia. «Va tutto bene, è tutto così…perfetto.»
Nyx si rilassò impercettibilmente e, mentre il piccolo cuore di sua figlia gli batteva contro il petto e Luna lo guardava come se fosse la cosa migliore che esistesse, capì.
Tutti i millenni del mondo non gli avrebbero portato via il ricordo di quel momento.

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Capitolo 30
*** A diciassette anni, Crowe aveva scoperto la verità su suo padre nel modo più cruento. ***


CAPITOLO 29
 
A diciassette anni, Crowe aveva scoperto la verità su suo padre nel modo più cruento.
 
Quando sua figlia aveva due anni, Gralea aveva dichiarato la propria indipendenza dalla corona, e la nascita del Nuovo Impero.
Quando ne aveva cinque, non faceva altro che passare il tempo con Regis.
A dieci anni, Crowe era corsa da lui in lacrime perché la mamma l’aveva rimproverata. E lui, che non riusciva ad essere severo con lei, aveva interrotto l’allenamento dei suoi soldati e l’aveva portato sul tetto del Palazzo.
L’aveva fatto volando, e lei era ancora troppo piccola per chiedersi l’origine delle abilità del padre, e semplicemente entusiasta del vedere la città svanire e diventare sempre più piccola.
A tredici anni, l’aveva sorpresa più volte a spiare Gladio e Regis che si allenavano.
A diciassette anni, Crowe aveva scoperto la verità su suo padre nel modo più cruento.
Noctis era ferito, Victoria era stata rapita e Regis si era trovato assaltato da un branco di persone che volevano sapere da chi fosse stata attaccata Insomnia.
Nyx si fece strada tra i soldati e i curiosi, i kukri ancora stretti in pugno.
A parte l’aeronave che era riuscita a fuggire, gli altri soldati erano ridotti ad un cumulo di corpi bruciati.
«Principe.» Salutò l’erede al trono con un breve cenno. «Ho bisogno di vedere tuo padre.»
Il ragazzo annuì, e gli fece cenno di raggiungere l’altro lato della stanza, e il piccolo gruppo presente.
«Noct mi dispiace così tanto, avrei dovuto essere lì…»
«Era…notte, è normale che non ci fossi.»
Nyx s’infilò tra Ignis e Gladio, e fece un cenno al re appoggiato al muro. Noctis aveva un brutto taglio sul fianco, e perdeva copiosamente sangue, eppure non aveva voluto andarsene dalla stanza del trono, riducendo così le cure che il medico poteva somministrargli sul posto.
«Noct.»
«Nyx. Come andiamo?»
Il Generale sorrise amaramente. «Immagino che qualcuno stia raccogliendo ciò che resta degli imperiali. Per il resto, tuo figlio riesce a gestire la situazione, e io sono venuto a dirti tre cose.»
Quando il re gli fece cenno di continuare, Nyx sospirò. «Primo, mi dispiace che la sicurezza della città sia fallita. Era compito mio, e rimedierò.»
«Non…»
«Secondo, andrò a salvare Victoria, e terzo, al mio ritorno ricostruirò la Barriera.»
Quell’overdose di notizie sembrò stordire tutti i presenti, a parte Ignis.
Pragmatico come al solito, l’uomo con un occhio solo interruppe il suo re prima che potesse protestare. «Nyx ha ragione, Noctis. Per quanto riguarda la Barriera, lui non può essere sempre ovunque, la Barriera sì. E lui è l’unico ad avere la possibilità di uscire da Gralea vivo e vegeto, con la regina.»
Noctis esitò un istante, e Nyx stava già per andarsene quando lui parlò di nuovo. «Va bene. Riportamela da me, Nyx, e troverò il modo di ripagarti.»
«Lascia stare.» Sogghignò Nyx, poi fece un passo indietro e si voltò, pronto a disperdersi tra la folla, ma non ne ebbe l’occasione.
«Papà!»
La voce cristallina si fece sentire sopra tutte le altre, e lui la individuò subito.
Si fece largo fino a lui e, nonostante fosse ricoperto di sangue e polvere, gli saltò al collo e lo abbracciò con tutta la forza che aveva. Avendo cura di non farle male con i pugnali ricambiò l’abbraccio, e sorrise nel vederla così preoccupata.
«Stai bene?» Le chiese, e lei annuì.
«Bene. Dov’è tua madre?»
«Io…con lo zio, credo. L’ho persa di vista quando…»
Abbassò lo sguardo, e a Nyx si sciolse il cuore.
Da quel punto di vista, sua figlia era esattamente come la madre; si dimostrava sempre tenace e sicura, e ogni tanto si apriva, rivelando un cuore dolce.
Ritirò i kukri nei foderi e passò un braccio intorno alle spalle della figlia. «Vai da Ravus, allora. Chiamami se Luna non è là, io parto tra un’ora.»
Lei si voltò a guardarlo, sorpresa. «Lascia che venga con te, posso aiutarti.»
Ereditando il carattere dei genitori, c’erano poche persone testarde come Crowe, ma Nyx scosse la testa mentre la guidava fuori dal salone, lontano dalla folla.
«Assolutamente no. Sto andando a Gralea, a salvare la regina.»
«Papà, sono addestrata, posso…»
Si allontanò da lei e l’afferrò per le spalle, incrociando quegli occhi uguali ai suoi.
«Lo so che sai badare a te stessa. E mentre non ci sono devi badare a tua madre.» Piegò le labbra in un mezzo sorriso. «Anche se, sinceramente, non so a chi dovrei fare questo discorso.»
Crowe inarcò le sopracciglia e si tirò indietro una ciocca di capelli color platino, e lui ridacchiò divertito alla sua espressione.
«Tua madre è una forza della natura quando vuole, non sottovalutarla.»
Gli si spense il sorriso sulle labbra, e tirò la figlia in un abbracciò che lei ricambiò volentieri.
Era bassa, per la sua età, e nascose il viso contro il suo petto mentre lui parlava.
«Torno presto, principessa.» Sussurrò, baciandole i capelli. «Ti voglio bene.»
«Anch’io ti voglio bene, papà. Promettimi che tornerai.»
Gli venne da sorridere mentre quella frase ne echeggiava un’altra dal suo passato.
«Sei sempre tornato da me, Nyx. Fallo anche questa volta, ti prego.»
«Tornerò sempre.»
 

 
Mancavano poche ore al ritorno a casa quando la notte li sorprese.
Era stata una sorpresa scoprire che Victoria non aveva problemi a dormire in una tenda, e non aveva fatto altro che aumentare la stima che aveva di lei.
Esattamente come Noctis, si era fatta strada nel suo cuore, e quel viaggio forzato non aveva fatto altro che cementare la loro amicizia.
E aggiungere un’altra persona all’elenco di coloro che avrebbe perso.
La sentì uscire dalla tenda, ma non sollevò lo sguardo.
Più gli anni passavano, più quel peso nel petto si faceva insopportabile, la consapevolezza che il tempo stava per scadere.
«Nyx…stai bene?»
Alzò lo sguardo mentre lei si sedeva dalla parte opposta del fuoco, il cui colore faceva sembrare i suoi capelli in fiamme.
«Perché non dovrei?» Le chiese con un mezzo sorriso, e lei sorrise con aria comprensiva.
«Quando pensi che nessuno ti guardi, Nyx, si vede. Si vede che non stai bene, che emerge quella parte di te così terribilmente umana, e spezzata.» Mormorò, e lui sentì il proprio sorriso svanire.
«Sei a pezzi, mentalmente ed emotivamente, e fingere sta diventando sempre più difficile, vero?»
Non le rispose.
Abbassò lo sguardo sulla fede d’argento al dito, e annuì semplicemente.
Esattamente come lei aveva capito il perché delle sue azioni, anni prima, aveva capito perfettamente il suo reale stato d’animo.
«Nyx, mi disp…»
«No.» La interruppe, sentendo la sua stessa voce strozzata. «Non scusarti.»
Si passò una mano sul viso mentre la dolcezza di Bahamut gli riempiva il cuore, cercando di consolarlo. «Hai ragione. Diventa difficile vedere mia figlia crescere, Luna invecchiare, sapendo che un giorno…»
Non ce la faceva. Gli si spezzò la voce e fu costretto ad inspirare profondamente.
Se si teneva impegnato, se era al loro fianco, poteva quasi non pensarci.
«Ma guardami. Una regina dovrebbe pensare al bene del proprio popolo, e io ti sto facendo stare male.» Commentò Victoria con una smorfia, e riuscì a strappargli una breve risata.
Si alzò, aggirò il fuoco e si inginocchiò di nuovo davanti a lei. «Noctis mi ucciderà se ti vede in questo stato. Fammi vedere.» La invitò con voce pacata, e lei scostò la benda che aveva sul collo, mostrando la bruciatura sulla sua pelle chiara dove un proiettile l’aveva sfiorata.
Nyx le piegò gentilmente il viso di lato, studiando la ferita.
«Sei un uomo forte, Nyx. Ti ammiro molto.» Mormorò quando lui le posò due dita sulla pelle.
«Grazie, Altezza.» Lasciò scorrere il ghiaccio sull’ustione, e lei sospirò piano. Quando incrociò i suoi occhi verdi, le sorrise. «Meglio?»
«Meglio.» Confermò, e Nyx ritirò la mano, e si sedette di nuovo accanto al fuoco.
Rimasero un attimo in silenzio, e poi lei parlò di nuovo. «Lucis è fortunata ad averti, Nyx. E lo sarà sempre.»
Ridacchiò divertito, e poi quell’atmosfera tranquilla fu spezzata dal terrificante suono di un esplosione.
Nel giro di pochi istanti il cielo si riempì di navi magitek, e loro erano di nuovo in macchina.
«Che diavolo sta succedendo?» Borbottò Nyx, premendo sull’acceleratore della Regalia.
Victoria, al suo fianco, era accigliata. «Ti hanno attirato lontano. Sei l’unica protezione di Insomnia, e loro ti hanno attirato lontano!»
Imprecò sonoramente, accelerando ancora. L’auto ringhiò sotto di lui come se fosse arrabbiata quanto lui, e scattò sul ponte come se scivolasse sull’olio.
Fu costretto a frenare nella piazza quando la statua che lui non aveva voluto crollò davanti al muso della macchina, e uscì di corsa. «Si fa a modo mio ora. Reggetevi.»
Avvertì Victoria prima di passarle le braccia intorno ai fianchi e spalancare le ali di Bahamut.
Volare era la via più rapida, ma anche la più pericolosa.
Davanti alle scale del Palazzo, quando si abbassò di quota, l’ennesima esplosione lo colse impreparato, e gli fece scoprire un’altra caratteristica che ignorava. Le macerie colpirono l’ala destra e lo schiantarono a terra nel cortile.
Riuscì a voltarsi in modo da difendere la regina dalla caduta, ma scoprì a proprie spese che le ali della dea erano come un prolungamento del suo corpo, e il dolore lo invase quando riuscì a liberarsi dei resti del palazzo crollato.
«Nyx! Stai bene?» Victoria si alzò velocemente, e lo aiutò a fare altrettanto.
Nyx riuscì solo a ripiegare le grandi ali sulla schiena, e non a farle svanire come al solito.
Le sentiva pulsare dolorosamente, e percepiva sé stesso e la dea scivolare via, nel buio che ancora albergava nel loro cuore. «Devo…devo andare.» Mormorò, ma la regina scosse la testa e riuscì a sostenerlo fino alle porte sbarrate del Palazzo.
Quando la nave magitek sopra di loro iniziò a sparare, Nyx fu costretto ad evocare velocemente la barriera per difenderli. La protezione si schiantò mentre le porte si aprivano.
Spinse Victoria all’interno senza tante cerimonie e, prima che potesse entrare a sua volta, la raffica di proiettili gli attraversò una spalla in un’esplosione bruciante.
Braccia tatuate lo sostennero, e lui incrociò gli occhi di Gladio. «Siete tornati, perfetto.»
«Luna…» Chiese in un sussurro, e l’espressione dello Scudo del Re gli fece perdere un battito.
Lo afferrò per la collottola con il braccio sano. «Gladio, dove sono mia moglie e mia figlia?»
«Non sono mai arrivate a Palazzo.»
Non aggiunse altro, perché non ce n’era bisogno, e perché non ne sarebbe stato in grado.
L’unica cosa che contava era trovare la sua famiglia.
Aprì le porte con un braccio solo, e corse di nuovo fuori, ignorando l’ala ferita, il sangue che gli scorreva fino alle dita e il fatto che il cielo fosse oscurato dalle navi magitek.
Era tutto troppo simile al passato.
Quando la sua proiezione gli fece girare la testa, si prese un attimo di pausa.
Aiutami, pregò in silenzio, e lei lo fece. La sua immensa e arcana forza lo invase, cancellando la sofferenza della ferita, l’intorpidimento alle ali, e fu di nuovo sé stesso.
Estrasse entrambi i kukri e, proiettandosi di edificio in edificio, e di nave in nave, raggiunse il quartiere dove lui e Luna erano andati a vivere dopo la nascita della figlia.
E la vita gli riservò il primo, crudele regalo della sua vita da immortale.
Ebbe a malapena il tempo di terminare la proiezione e alzare lo sguardo prima che il corpo di Cor, crivellato di proiettili, crollasse al suolo in una pozza di sangue, e l’urlo di sua figlia gli tagliasse le orecchie.
Smise di ragionare.
Smise di pensare, di provare qualcosa che non fosse rabbia.
Si lanciò contro il gruppo di soldati, atterrandone la metà con le ali.
Vedeva sé stesso ustionare, folgorare e pugnalare, attraversando le armature come se fossero fatte di carta. Si prese un singolo istante di calma quando ne rimase in piedi solo più uno, e stava ancora imbracciando il fucile. Glielo puntò contro mentre lui ripiegava le ali, con calma, e avanzava verso di lui, calpestando i corpi come se nemmeno ci fossero.
Con un urlo iniziò a sparare, e Nyx non fece nulla per evitare che i proiettili gli attraversassero la carne: non li sentiva nemmeno, in quel momento.
L’unica cosa che importava era il corpo di Cor, del suo amico, del suo maestro, riverso in una pozza di sangue nero sulla pietra.
Quando gli fu davanti, sorrise all’uomo che sapeva di non avere scampo.
Lo afferrò per la gola, e gli spezzò entrambe le gambe con un calcio ben piazzato che lo fece contorcere sul terreno in agonia, ma lui non aveva ancora finito.
Estrasse i kukri e li usò per impalarlo al terreno, piantando le lame così a fondo che attraversarono la carne e si conficcarono nella strada. Quando il soldato iniziò a supplicare pietà, si accovacciò accanto a lui e piegò la testa di lato, studiandolo.
«Pietà?» Chiese, con una voce che era la sua e quella dea insieme. «L’uomo che hai ammazzato a sangue freddo non ha avuto pietà.» Gli fece notare, mentre l’odore del sangue gli dava alla testa.
Sentiva il mondo intorno a lui come se fosse sott’acqua, ovattato e distante.
«Ti prego, io…»
Il primo pugno in faccia lo fece gemere di dolore.
«Nyx!»
Ignorò la voce che lo stava chiamando, la macchia di colore ai lati del suo campo visivo.
C’era solo il rosso del sangue, e l’argento che si mescolavano in un macabro dipinto.
Continuò.
Continuò a schiantare la faccia dello sfortunato soldato a pugni, perché aveva minacciato la sua famiglia, perché aveva ucciso Cor e perché era nel posto sbagliato al momento sbagliato.
«Papà!»
Sentì i passi intorno a lui, ma non smise la sua opera di distruzione finché lei non lo strappò via.
«Nyx, basta, basta è morto!»
Abbandonò le braccia lungo i fianchi, ansimando mentre un profumo differente si faceva strada nella sua mente. I fiori di Tenebrae, la freschezza del sole.
Batté un paio di volte le palpebre, emergendo da quella confusione furiosa.
Luna aveva le braccia intorno a lui, e lo stringeva senza paura. «Nyx, va tutto bene.» Sussurrò in quel momento, spostando le mani sul suo viso e catturando il suo sguardo.
Si accigliò e guardò oltre la spalla della moglie.
Ciò che vide fu abbastanza forte da riportarlo alla lucidità: Crowe era spalle al muro, e sembrava terrorizzata nonostante non riuscisse a staccare gli occhi da lui.
Senza dire una parola, Nyx allontanò Luna da lui e si alzò, le ali abbandonate al suolo.
Si trascinò fino al corpo esanime e crollò di nuovo in ginocchio.
Cor, chissà come, era ancora vivo, e ricambiò debolmente la stretta della sua mano.
«Stanno…bene?» Riuscì a boccheggiare prima che il sangue gli strozzasse la voce.
Nyx fece scorrere lo sguardo sulle sue ferite, sui segni dei proiettili sul suo petto, poi incrociò i suoi occhi offuscati e annuì. «Stanno bene. Grazie a te.»
Cor piegò le labbra in quel mezzo sorriso a cui ormai era abituato, e poi morì.
Morì accanto a lui, morì perché aveva voluto difendere la sua famiglia e lui non c’era.
E lui smise di percepire le cose in modo normale.
Nyx si chinò su di lui, appoggiando la fronte nel sangue, la mano stretta ancora intorno alla sua.
E là rimase finché Luna non lo affiancò, posandogli una mano sulla schiena. «Mi dispiace…»
La prima scudisciata di furore lo riscaldò.
«No.» Si tirò su con un movimento fluido, e aprì di nuovo le ali. Non era ancora finita. «È a loro che dispiacerà.»
«Nyx, cosa pensi di fare? Sei ferito, devi ritirarti, non puoi…» Iniziò Luna, ma poi incrociò i suoi occhi e si zittì. Nyx sapeva benissimo che aspetto aveva, e sapeva anche che era l’argento di Bahamut a guardare il mondo dai suoi occhi.
«Puoi.» Sospirò sua moglie, rassegnata.
«Andate a palazzo, sarete al sicuro.»
Lei annuì, si avvicinò alla figlia e la costrinse a muoversi. Quando lei si girò, Nyx era già sparito.
«Mamma, cosa…»
«Non adesso Crowe.» La interruppe Luna, tirandola contro un muro in un vicolo quando un cadavere venne scagliato nella loro direzione. «Ora dobbiamo arrivare a Palazzo.»
«Ma papà…cosa vuole fare?»
Luna fece un sorriso amaro mentre un fulmine che non era per niente naturale attraversava la strada. «Quello che fa sempre. L’eroe.»

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Capitolo 31
*** -Aveva un corpo tra le braccia, e a Noctis venne la nausea quando si rese conto di chi era.- ***


 CAPITOLO 30
 
-Aveva un corpo tra le braccia, e a Noctis venne la nausea quando si rese conto di chi era.-
 
 
Quando il sole filtrò attraverso il vetro, il silenzio era calato da meno di un’ora.
Nessuno di loro aveva dormito, quella notte.
Tra il flusso costante di fuggitivi che si rifugiavano nel Palazzo e le gigantesche, improvvise scosse che scuotevano l’intera struttura, Noctis aveva temuto che gli sarebbe venuto in infarto.
Quando si era azzardato a guardare cosa stava succedendo alla sua città, era sicuro che fosse un sogno.
C’erano Ramuh, Titano e le piccole figure scintillanti di Shiva che giravano per la città.
E là, al centro, c’era Bahamut, e sulla sua spalla lui aveva individuato le lunghe strisce viola dell’uniforme di Nyx.
«Allora…è finita?» Sussurrò Prompto, e la sua voce sembrò perdersi nell’eco di quella notte.
Nessuno di loro rispose, ma Regis spalancò le finestre del salone.
Quando si affacciarono, fu la devastazione ad accoglierli.
Gran parte della città era ridotta in un cumulo di macerie brucianti, ma non c’era traccia dei soldati del Nuovo Impero da nessuna parte, né nelle strade né nei cieli.
Noctis si rabbuiò mentre un passato che sembrava lontano secoli tornava a tormentarlo.
«Dobbiamo trovare una soluzione.» Borbottò, passandosi una mano sul viso, e poi la porta della sala del trono si spalancò di nuovo.
Si voltarono tutti insieme mentre Nyx faceva il suo ingresso.
Aveva un corpo tra le braccia, e a Noctis venne la nausea quando si rese conto di chi era.
Fu suo figlio a muoversi per primo in quell’atmosfera esterrefatta, e tolse il cadavere dalle braccia del generale prima che lui cadesse in ginocchio.
«Nyx!» Luna gli corse incontro, e Noctis si sentì di troppo quando gli si inginocchiò davanti, accarezzandogli il viso e sussurrando qualcosa che lui non comprese.
Nonostante Nyx fosse ridotto peggio di quanto l’avesse mai visto e il suo sangue argentato spandesse riflessi in tutto il salone, era una scena terribilmente affettuosa.
Così si concentrò su qualcosa che di dolce non aveva nulla.
«Papà…Mi dispiace.» Mormorò Regis, e Noctis abbassò lo sguardo sul viso pallido di Cor.
Stringeva ancora la lunga katana tra le mani e, nonostante avesse il petto squarciato dai proiettili, gli venne da pensare che non l’aveva mai visto così sereno. Espirò profondamente, cercando di contenere quella sensazione che lo stava strozzando; con Cor, se ne andava l’ultimo pezzo della sua vita passata, una delle ultime cose che lo legavano a suo padre.
«Fuori. Tutti a parte l’entourage ristretto del re.» Decretò Regis, prendendo in mano la situazione quando vide il padre così turbato.
Pochi minuti dopo e qualche promessa, l’erede al trono chiuse le porte alle proprie spalle.
C’erano Gladio, Ignis e Prompto accanto al re ora, in un rispettoso silenzioso per l’uomo che era stato loro maestro. Sua madre era accanto a Cindy, e parlavano a bassa voce.
Incrociò gli occhi di Crowe, e stava per dirle qualcosa quando si sentì un tonfo a terra.
Vide l’orrore sul viso della ragazza quando vide il padre riverso in una pozza di sangue.
«Papà!» Scattò verso di lui, ma Regis fu più veloce e riuscì a bloccarla, nonostante lei si agitasse come una furia. «Lasciami!»
«Crowe, ascoltami, non puoi fare nulla, lui è…»
«Sta bene, bambina mia.» Lo interruppe la voce di Lunafreya. Guardandola, si chiese se si fosse resa conto di ciò che aveva appena detto.
«Mamma…?»
La donna incrociò gli occhi della figlia con un piccolo, amaro sorriso. «Tuo padre sta bene.»
 

 
Quando riaprì gli occhi la luce lo accecò, ma riuscì lo stesso a guardarsi intorno.
«Ciao amore.» La voce che accolse il suo risveglio gli strinse il cuore in una morsa dolce. Si mise a sedere sul letto, sentendosi stranamente bene, e incrociò gli occhi celesti della moglie.
Era seduta accanto a lui, avvolta in un abito nero che la faceva sembrare una stella nell’universo, e gli sorrise con dolcezza. «Luna…che è successo?»
Lei inarcò un sopracciglio. «Dovrei essere io a chiederlo a te.» Puntualizzò, spingendolo a riflettere.
Ricordava la chiacchierata con Victoria intorno al fuoco, l’esplosione improvvisa ad Insomnia e la corsa per raggiungere la città.
Ricordava di essere arrivato fino a casa e…
«Merda. È…è vero, Cor è…»
Lei annuì e gli strinse una mano. «Quando è iniziato l’attacco in città abbiamo provato ad uscire, ad andare a Palazzo, ma la casa era già circondata. Cor ci ha difeso finché non sono arrivati i rinforzi, con i fucili. Mi dispiace.»
Nyx si posò una mano sul viso, stringendo la mano della moglie con l’altra.
Cor, che aveva visto cosa lui stesso aveva fatto per proteggere Insomnia anni prima.
Cor che gli aveva affidato la salvezza del Principe quando il mondo rischiava di essere inghiottito dall’oscurità.
Cor che si allenava con lui, che capiva quando nessun altro poteva.
Cor, che aveva riso quando aveva fatto nevicare in piena estate.
Cor, le cui ultime parole erano state per accertarsi della sicurezza della sua famiglia.
«Ora mi ricordo.» Mormorò. «Quando…quando è morto, è stato come aver staccato la spina. L’unica cosa che mi guidava era il desiderio di vendetta, la rabbia, e Bahamut aveva così tanto potere che non sentivo nemmeno le ferite. Volevo…morte.»
Sospirò e scostò la mano, che poi affondò nei capelli della moglie. «Tu e Crowe state bene?»
Luna annuì, ma c’era qualcosa nei suoi occhi che non lo convinceva. «Tesoro, che è successo a Crowe?»
Quando parlò, sua moglie lo fece con un tono molto cauto. «Tre giorni fa, ha visto suo padre farsi sparare, e dopo massacrare un uomo a pugni. E poi lo ha visto svenire in una pozza di sangue, ferito in apparenza a morte. Nyx, ho dovuto dirglielo, era terrorizzata.»
Irrigidì la mascella, teso, mentre la sua spiegazione lo stritolava.
Aveva sempre saputo che sarebbe successo, prima o poi, che sarebbe arrivato quel momento, e aveva sempre saputo che non sarebbe mai stato pronto. «Tre giorni…Dov’è?»
«Al cimitero. È rimasta là da stamattina, dopo il funerale.»
Senza aggiungere un’altra parola, Nyx scese dal letto, constatando che tutte le sue ferite erano guarite senza lasciare nemmeno il minimo segno. Si vestì velocemente, e sulla porta Luna richiamò la sua attenzione.
«Nyx, scegli con cura le parole. Si sente molto fragile, dopo tutto quello a cui ha assistito.»
Era sia un consiglio che un velato rimprovero, e Nyx lo accolse con una smorfia. «Va bene. Anche se non credo che ci sia un modo educato di dire “ehi principessa, sono vivo! E a proposito, sarò vivo anche quando tu e i tuoi pronipoti sarete cadaveri decomposti!"»
Si guardarono un attimo, e Nyx sospirò. «Scusami. Non dovrei scherzarci sopra.»
Luna gli sorrise brevemente, perché non capitava spesso che lui si scusasse. «Vai, ora. Vai a parlare con tua figlia.»
Nyx si chiuse la porta alle spalle, e quando fu al cimitero individuò facilmente la figlia.
La chioma rossa di Regis era al suo fianco, ma quando il principe lo vide avanzare tra le lapidi le sussurrò qualcosa e si congedò.
Più le si avvicinava, più sentiva il sangue pulsargli alla testa. Come avrebbe potuto iniziare?
E soprattutto, come avrebbe potuto indorare quella pillola che rischiava di soffocare pure lui?
«Crowe.» Si inginocchiò accanto a lei, davanti alla lapide fresca di posatura.
Di fronte alla pietra, qualcuno aveva piantato la katana.
Lei si voltò a guardarlo, e lui si sorprese ancora una volta di quanto i suoi occhi fossero uguali ai propri. «Papà, stai bene?»
«Si bambina.» Le rispose con un breve sorriso, intenerito dal fatto che, in tutto quel casino, lei avesse a cuore i suoi interessi. «Tu come stai? So che tua madre ti ha parlato…»
«Già.» Fu la breve, laconica risposta, ma Nyx aveva imparato a capirla, ormai.
«Credo che sia ora che tu conosca tutta la storia, Crowe. Non come te l’hanno spiegata a scuola, la vera storia.» Lei lo guardò di nuovo, le sopracciglia inarcate mentre lui si alzava.
Quando le porse una mano, l’accettò volentieri, lasciando che l’aiutasse ad alzarsi.
In silenzio, Nyx la condusse fuori dal cimitero, e alla fine scelse l’unico posto nel quale avrebbero potuto parlare da soli.
Quando furono nella grande sala al centro del palazzo reale, Crowe rimase quasi incantata.
Il Cristallo davanti a lei era immenso, e pulsava lentamente, al battito del cuore dell’uomo che le stava accanto.
E Nyx raccontò.
Partì da come la sua casa era stata distrutta, della sua vita alla Capitale.
Parlò di come aveva conosciuta Luna, quasi per caso, e di come le loro vite si fossero intrecciate indissolubilmente in una notte di sangue e sofferenza.
Mentre le raccontava di ciò che aveva fatto per la sua città, per il futuro, la vide asciugarsi velocemente una lacrima.
Si ritrovarono seduti davanti al Cristallo, alla fine, lei appoggiata alla sua spalla in silenzioso ascolto.
E Nyx raccontò del suo viaggio con l’Oracolo, di come si era fatta strada nel suo cuore, piano ma in maniera inesorabile, di come si erano separati e ritrovati ad Altissia.
Gli si smorzò la voce quando parlò di come l’avesse lasciata andare, e di quanto gli fosse costato farlo, quando le aveva salvato la vita dopo il suo assassinio da parte di Ardyn.
Le disse di come lui e Noctis, dieci anni dopo quegli avvenimenti, si fossero quasi fatti uccidere dai re del passato, di come il suo gesto aveva sconvolto tutto, e delle sue conseguenze.
Spiegò cos’era successo prima della sua nascita, di quella terribile follia che l’aveva colto per colpa dello spettro, e della rivelazione che lui gli aveva fatto.
Quando tacque, aveva la gola secca e il cuore in pezzi.
Aveva avuto ragione, si disse, non c’era un modo facile per dire a tua figlia che la guarderai morire.
La sentì tirare su con il naso e si voltò a guardarla.
«Crowe, tesoro, non piangere.» Le asciugò le lacrime con delicatezza. «Tua madre non mi perdonerà mai il fatto che ti ho fatto piangere.»
Voleva farla ridere, e ci riuscì, anche se per poco. «Papà, è assurdo. Lo so che è vero, ma…»
Nyx sospirò piano e le cinse le spalle con un braccio. «Lo so principessa.» Riuscì solo a mormorare.
Rimasero là, seduti per terra, l’uno accanto all’altro.
E Nyx ascoltò il respiro di sua figlia, e il canto di Bahamut nel suo cuore.
E ricordò quanto aveva pregato perché lei non conoscesse la magia, e la violenza, e le sofferenze.
«Mamma aveva ragione.» Esordì lei dopo un tempo che gli parve interminabile.
«Tua madre ha ragione praticamente sempre, devi essere più specifica.» Le fece notare con un sorriso che, notò con piacere, lei ricambiò.
«Parlavo del fatto che non esiste nessun altro come te. Sono contenta che tu sia mio padre.»
Gli sorrise e si appoggiò nuovamente contro di lui. Nyx le posò un bacio sulla testa e sorrise.
Nonostante avesse fatto a pezzi un uomo davanti a lei, e nonostante fosse ciò che era, lei lo considerava semplicemente ciò che era, suo padre.
«E io sono fiero che tu sia mia figlia.»
 

 
Due giorni dopo, Nyx era di nuovo nella sala reale.
Le braccia dietro la schiena, le dita intrecciate, aveva appena esposto la sua idea ai coniugi reali.
Noctis e Victoria stavano parlando tra di loro, e lui incrociò lo sguardo di Luna quando lei gli si avvicinò. «Sei sicuro che sia una buona idea? Ai re di Lucis non ha mai giovato.»
Non riuscì a trattenersi, e piegò le labbra in un sorriso beffardo. «I re di Lucis usavano il potere perché era stato loro concesso da una terza parte. L’Anello incanalava quel potere, e bruciava così forte da consumare prematuramente le loro vite umane.»
«Lo so ma…»
Il suo sorriso si addolcì. «Luna, tesoro, andrà tutto bene. Io sono il potere dei re, non avrà nessun effetto su di me.»
Suonò arrogante e pretenziosa come frase, ma non avrebbe saputo metterla in nessun altro modo: Bahamut stessa gliel’aveva spiegata così, e gli aveva spiegato cosa fare e come farlo.
«Nyx.» La voce di Noctis tagliò i suoi pensieri. «Data la grande stima che tutti noi proviamo per te, e che le tue più recenti azioni non fanno altro che aggiungersi alle prove delle tue enormi capacità, ritengo che la tua proposta sia accettata.»
«Bene. Grazie, Altezza.»
Inspirò a fondo, chinò il capo e chiuse gli occhi.
Percepiva il mondo come se li avesse aperti: ogni persona era come una piccola luce, un fuoco che bruciava più o meno intensamente.
E lui li alimentò tutti con la propria magia.
Ravvivò le fiamme che da troppo tempo non venivano curate, e regalò loro una parte di ciò che era.
Sentì la volontà di Bahamut espandersi fino ad uscire dalle mura, e cristallizzarsi poi in una nuova, rinnovata Barriera intorno ad Insomnia.
Riaprì gli occhi, sentendosi come se gli fossero cresciute centinaia di braccia all’improvviso.
Era così che si era sentito Re Regis, si chiese, quando aveva condiviso la sua magia con i rifugiati?
Come il motore di un’enorme macchina con decine e decine di pezzi?
«Beh cavolo, di sicuro è bello non doversi più portare le armi sempre dietro.»
Commentò Gladio materializzando la grande spada a due mani, e strappando una risata al Generale.

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Capitolo 32
*** Più gli anni erano passati, più il suo legame con la dea era aumentato: lei diventava più umana, e lui meno. ***


CAPITOLO 31
 
-Più gli anni erano passati, più il suo legame con la dea era aumentato: lei diventava più umana, e lui meno.-
 
«Tutto questo non ha senso!» Sbottò la ragazza, puntando i piedi.
Davanti alle porte del Palazzo, aveva appena ricevuto la notizia che l’aveva fatta infuriare. «Papà, mi sono addestrata da quando avevo quattordici anni, sono allenata, posso aiutare.»
«Lo so.» Sogghignò Nyx, incrociando lo sguardo divertito della moglie al di sopra della spalla della figlia. «Proprio per questo motivo ti sto mandando a Tenebrae, perché tu aiuti i rifugiati laggiù.»
La notizia era arrivata una settimana prima: Regis aveva preso contatti con l’attuale regnante di Tenebrae, Lord Ravus Nox Fleuret, il quale aveva acconsentito ad accogliere i cittadini che avevano perso la propria casa nell’attacco alla capitale.
Nonostante la sua vicinanza con il rinato Impero, Ravus aveva reso Tenebrae fortificata e inespugnabile, e sarebbe servita da fortezza mentre la vera guerra si svolgeva altrove.
Crowe sbuffò e soffiò via un ciuffo sfuggito alla treccia. «Preferisco restare qui ad aiutare te.»
Nyx mutò il proprio ghigno in un sorriso intenerito mentre Luna si avvicinava.
«Crowe.» Qualcosa nella sua voce placò la figlia, perché sollevò lo sguardo su di lui quasi incuriosita.
«Il mio unico desiderio era che tu non dovessi mai conoscere tutto questo. Purtroppo non è stato possibile, e io devo agire di conseguenza.» Le fece cenno di avvicinarsi, e lei obbedì di buona voglia, così Nyx poté stringere sia lei che la moglie in un unico abbraccio.
«Se devo perdervi, farò in modo che sia il più tardi possibile.»
«Non preoccuparti tesoro. Staremo bene.» Lo confortò Luna quando si allontanarono, e sorrise alla risposta del marito.
«Bene, perché altrimenti Ravus dovrà vedersela con me.»
Si concessero una breve risata, e poi Nyx osservò le sue stelle allontanarsi da lui, salire sul furgone blindato e fargli un ultimo cenno di saluto.
Sorrise a loro beneficio, ma ciò che desiderava davvero era ridurre in polvere l’arrogante bastardo che aveva iniziato l’ennesima guerra.
Aveva ancora quel ricordo negli occhi tre giorni dopo mentre, sulla grande balconata in cima al palazzo reale, studiava la situazione.
Sentì l’ennesimo colpo alla Barriera come una vibrazione nelle ossa.
Era tutta la notte che le navi magitek cercavano di penetrare il confine, ed era tutta la notte che Nyx vanificava i loro sforzi.
Quando erano arrivati i daemon, gli era sembrato di essere precipitato nel passato, ma il re che difendeva era un altro, e lui non era più lo stesso.
«Stanno iniziando a stufarmi.»
Sorrise tra sé e sé. «Non dirlo a me, Bahamut.» Replicò mentre osservava un daemon svanire, divorato dalla luce pura che proteggeva la capitale.
Più gli anni erano passati, più il suo legame con la dea era aumentato: lei diventava più umana, e lui meno.
Fu con una fitta al cuore che ricordò la prima volta che si era reso conto dell’evoluzione della loro unione. Era con Cor, che lo stava incalzando ferocemente. Aveva pensato che, se avesse avuto un diversivo, sarebbe stato tutto più semplice, e in quell’istante aveva iniziato a nevicare.
E Cor era scoppiato a ridere la prima volta in assoluto.
«Bahamut.» Richiamò l’attenzione della dea. «In mezzo a questo caos c’è anche il nuovo Imperatore?»
Un attimo di silenzio, un guizzo di potere che lui vide come una scintilla argentata vagare tra le navi magitek. Insomnia era circondata dal silenzio, perché lui aveva ordinato a tutti di non uscire dalla Barriera, e Noctis gli aveva lasciato il comando assoluto in quella situazione.
«Si.»
«Bene. Mi sono stancato.» Saltò sulla ringhiera del balcone ed estrasse i pugnali.
Avrebbe potuto volare, ma non sarebbe stata una grande idea sotto il fuoco continuo delle mitragliatrici magitek, perciò si proiettò.
Fu naturale e facile come respirare, e quando la sua ultima proiezione lo condusse fuori dalla sicurezza della sua protezione, intorno a lui si scatenò l’inferno.
«Pronta?»
«Sempre.»
 

 
Fu a calci che condusse il prigioniero fino alla sala del trono.
Sentiva la rabbia ribollirgli sotto pelle ma, come Prompto gli aveva gentilmente ricordato, massacrarlo non sarebbe servito a niente.
L’aveva scovato quella mattina, tra le macerie del campo di battaglia.
Quando l’enorme figura di Bahamut era apparsa nel cielo, per poi schiantarsi su di loro, l’entusiasmo degli imperiali si era decisamente smorzato, e il resto del loro lavoro era stato facile.
Così, Nyx aveva scoperto che il nuovo imperatore di Gralea non era altro che un ragazzo sulle cui spalle c’era un fardello troppo grande, il peso di una nazione decaduta a causa degli sbagli dei suoi predecessori.
Certo, questo non gli faceva provare più pietà per lui.
Loro non ne avevano avuta.
Per le famiglie disarmate, per i civili.
Non ne avrebbero avuta per la sua famiglia, e non ne avevano avuta per Cor.
L’ultimo calcio gli arrivò dietro un ginocchio, e lo fece cadere a terra, davanti al trono.
Non fu una sorpresa per Nyx vedere Regis al fianco dello scranno di pietra: erano anni che governava al fianco dei genitori, e spesso era lui a prendere le decisioni.
«L’ ”Imperatore” di Gralea, Altezza.» Lo presentò, calcando con voluto sarcasmo sul suo titolo.
Si posizionò al suo fianco, le mani incrociate dietro la schiena nella posizione di guardia che ormai gli veniva naturale.
«Le storie…sono vere allora…» Borbottò il prigioniero, confuso, e Nyx inarcò un sopracciglio guardandolo dall’alto in basso, ma proprio Regis precedette la sua domanda.
«Quali storie?»
«Lui…» Deglutì a fatica indicando il generale. «L’uomo dagli occhi d’argento, lo chiamano. Colui che ha il potere degli dei.»
Gli venne da ridere, e solo uno sguardo – sia divertito sia ammonitore – di Noctis lo fece desistere.
Regis scese le scale che portavano al trono. «Sì, sono vere. Il Generale Ulric possiede il potere degli dei, in effetti e, come avete potuto constatare, non esita ad usarlo.»
Vide le guardie allarmarsi intorno a lui, ma non ci fece caso.
Aveva riflettuto a lungo su come risolvere la situazione, e il terrore che l’Impero provava nei confronti di Nyx giovava solo alla sua idea. Si accovacciò di fronte al loro prigioniero, senza permettersi di lasciarsi impressionare dalla sua giovane età.
«E tra le altre cose, il Generale è immortale.»
«Cosa…Come…»
«Zitto.» Intimò Regis. «Non voglio continuare questa guerra. Se ti uccidessi, qualcun altro prenderebbe il tuo posto. Ma nessuno potrà mai prendere il suo.» Indicò Nyx. «Quindi la mia proposta è questa. Questa guerra inutile finisce qui e ora, oppure Nyx Ulric raderà al suolo il tuo regno. Città, case, famiglie. Tutto, se non giuri fedeltà alla corona di Insomnia.»
Il generale in questione si sorprese della gelida determinazione mostrata dall’erede al trono ma, quando l’imperatore spostò lo sguardo su di lui, gli concesse un breve ghigno crudele.
Quando una sfumatura d’argento attraversò i suoi occhi, il ragazzo crollò.
Si prostrò al suolo mentre Regis si alzava, giurò fedeltà alla corona e alla famiglia reale, ai Siderei.
Il principe, soddisfatto, ordinò che fosse fatto alloggiare in una suite del Palazzo, che fosse curato – e qui lanciò uno sguardo a Nyx, che si strinse nelle spalle come se non sapesse nulla delle sue ferite – e che in seguito fosse preparato per la firma dei negoziati di pace.
Meno di una settimana dopo, Nyx stava rischiando di andare fuori di testa.
Metà dell’impero era nella capitale, metà della città era ancora distrutta e le telecamere erano puntate sulla sala del trono, dove era stato accuratamente allestito un set apposito per la firma.
Quando si voltò e percorse di nuovo la stanza, Noctis lo fermò posandogli una mano sulla spalla.
«Rilassati. Andrà tutto bene.»
«Non posso. È tutto troppo uguale a…»
I loro sguardi s’incrociarono, riportando alla luce quel passato che all’inizio non avevano nemmeno saputo di aver condiviso. «Non finirà come allora. Regis ha calcolato tutto, l’alleanza è molto più stabile, la città più sicura.»
Sospirò e tese le spalle, cercando di sciogliere la tensione. «No, non finirà come allora. Stavolta non lascerò che qualcuno uccida il mio re.»
Noctis sorrise, divertito e, allo stesso tempo, si rese conto, fiero.
Aveva Nyx al suo fianco era come avere un sole personale, una luce purificante ed eterna che portava solamente il bene. E, anche se a volte in quella luce compariva un’ombra, non avrebbe potuto chiedere nessuno migliore di lui per vegliare per sempre sul regno.
«Lieto di sentirlo.» Scherzò. «Andiamo, ora.»
«Giusto. Ora che siamo elegantemente in ritardo, possiamo fare il nostro ingresso.»
Nyx si posizionò davanti al re e lisciò la giacca.
Nonostante fosse diventato Generale e fossero passati anni, non aveva modificato troppo la sua uniforme originale. Era una parte di lui, gli apparteneva e lo aiutava a rimanere focalizzato.
«Andiamo.»
E Nyx aprì le porte.
 

 
Niente era stato come prima, da quel momento.
Due anni dopo, con la constante minaccia della furia degli dei addosso, Lucis godeva di una pace stabile, e Nyx crollava un po’ di più ogni anno.
«Posso?» S’intromise, e la sua domanda incontrò un sorriso.
Regis si fece da parte, lasciandogli la mano della moglie. «Certo.»
«Ciao papà.» Sorrise Crowe, radiosa nell’abito bianco, mentre una musica lenta iniziava intorno a loro.
Nyx la strinse a sé, muovendosi piano con lei. «Ciao principessa. Sei meravigliosa.»
Una breve risata che gli scaldò il cuore. «Grazie.»
Rimasero in silenzio per un attimo, poi Nyx sospirò piano. «Quando ho scoperto che sarei diventato padre, vent’anni fa, ero fuori di me. Non riuscivo a capacitarmi come uno come me avrebbe potuto crescere un figlio, e poi…» Esitò un istante, e lei alzò gli occhi su di lui. «Poi?»
«Poi mi hai guardato. Mi hai guardato con occhi uguali ai miei, ed è andato tutto a posto. Qualsiasi cosa ci fosse di rotto nella mia vita, tu l’hai aggiustata con uno sguardo.»
«Papà…» Crowe aveva gli occhi lucidi, e Nyx le diede un lieve buffetto sulla guancia.
«Non piangere tesoro. È il tuo giorno, dovresti essere felice.» La rimproverò con leggerezza, e lei ridacchiò di nuovo.
Posò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi. «Lo sono papà. Grazie di essere qui.»
Nyx alzò lo sguardo, e incrociò quello di Luna dall’altro lato della stanza.
Mentre gioia e dolore si mescolavano nel suo cuore, posò un bacio fra i capelli della figlia.
«Ci sarò sempre.»

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Capitolo 33
*** Mentre si sfregava le braccia, cercando di placare il bruciore, pensò che non c’era momento migliore per lui di ricevere una notizia del genere. ***


CAPITOLO 32
 
-Mentre si sfregava le braccia, cercando di placare il bruciore, pensò che non c’era momento migliore per lui di ricevere una notizia del genere.-
 
Meno di un anno dopo quel momento, Nyx era fuggito dal Palazzo.
Era una fresca sera autunnale, e lui si era rifugiato nella grande arena rotonda che le guardie avevano usato per allenarsi.
Nessuno andava più lì, tantomeno a quell’ora, eppure lui non si sorprese quando sentì i passi claudicanti alle sue spalle.
«Ciao Libertus.» Mormorò, distendendo la schiena contro la piglia mentre il suo amico si sedeva a fatica accanto a lui. Nyx non si voltò nemmeno a guardarlo: gli faceva male vederlo con i capelli completamente bianchi e il viso rugoso, e ricordare com’era stato quando tutta quella storia era iniziata.
«Tutta la città festeggia l’eroe che ha salvato il re, e l’eroe scappa?»
Quel rimprovero divertito gli strappò una risata. «Noctis è stato fortunato che io fossi lì.»
«Già, ma questo non toglie che gli hai salvato la vita. Di nuovo.»
Nyx piegò le labbra in un mezzo sorriso, ripensando a quel momento.
La riunione con i rappresentati dell’Impero era in corso, e nonostante sia Noctis che Victoria fossero presenti, Regis conduceva i negoziati.
Nyx era in silenziosa attesa accanto al trono, a pensare a come Crowe stava studiando le guardie imperiali quando percepì qualcosa che non andava.
Da quando aveva condiviso la sua magia con coloro che lo circondavano li percepiva come piccole fiamme nel buio, e in quel momento ce n’era una che sembrava svanire.
L’attimo dopo Noctis si era portato una mano al petto, respirando a fatica, e Nyx aveva capito.
Mentre Victoria chiamava a gran voce i medici, sostenendo il marito, e l’intera stanza li osservava in silenzio, Nyx era intervenuto.
Aveva scostato la regina, sostenendo Noctis al suo posto, gli aveva piantato una mano sul cuore e gli aveva spedito una scarica elettrica nel corpo. Qualche anno prima quello stesso gesto gli aveva quasi distrutto il cuore, ma ora Nyx riuscì a controllare l’intensità, e sfruttò il fulmine per far ripartire il cuore del re, interrompendo brutalmente l’infarto in corso.
Aveva sentito una fitta di rimpianto nel ricordare chi gli aveva permesso di assumere quel controllo così preciso della sua magia, e poi era stato distratto dall’applauso dei rappresentati imperiali.
«Ehi, terra chiama Nyx.»
Scosse la testa, scacciando quell’opprimente sensazione che gli aveva chiuso i polmoni da quel momento. Per un solo, folle istante aveva temuto che Noctis gli sarebbe morto davanti agli occhi.
«Scusami. Mi sono distratto.» Confessò con una stretta di spalle.
Libertus gli posò una mano sulla spalla. «Immagino. Nyx, stai bene? Non abbiamo più avuto occasione di parlare.»
«Lo so, e mi dispiace. Sto bene, comunque.»
«Certo.»
Si guardarono un attimo, e Nyx cedette. «Una volta una…persona mi ha detto che o muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo. E io sono immortale, amico mio.»
«Tu non diventerai cattivo, Nyx. Non lo sei mai stato.»
Libertus gli diede una spallata amichevole. «Devi smetterla di tormentarti, eroe. Che importa se sei immortale? Vivi, e vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo.»
Nyx rimase in silenzio un attimo, lasciando che i ricordi di cui quel posto era intriso lo invadessero, e poi sospirò voltandosi verso l’amico. «Hai ragione.» Gli concesse. «Ora basta parlare di me. Come sta la tua famiglia?»
Quella semplice domanda sbloccò la situazione, e si ritrovarono a parlare come non facevano da anni, e furono di nuovo solo loro due, i rifugiati di Galahd dal passato burrascoso.
Fu una serata così pacata che il mattino dopo Nyx si svegliò particolarmente rilassato, come non gli succedeva da molto.
Luna se ne accorse immediatamente quando lui saltò gli ultimi quattro scalini e le dedicò un sorriso ampio.
«Vedo che qualcuno è allegro oggi.» Scherzò dopo che lui le ebbe rubato un bacio rapido.
Lo osservò stringersi nelle spalle. «Quella chiacchierata con Libertus ieri mi ha fatto bene. È stato…rilassante.»
«Bene.» Luna sorrise nel vederlo così tranquillo. «Il caffè è pronto, se vuoi.»
Lo osservò prendere la tazza mentre il campanello suonava per la prima volta, e quando lui aprì la porta intravide Drautos e Soleia.
Non sentì cosa dissero, ma l’attimo dopo la tazza di caffè si schiantò a terra, riducendosi in pezzi.
«Nyx…?» Lui non le rispose, e lei lo raggiunse sulla soglia. «Nyx, cosa…»
Cercò di farlo girare ma, quando gli posò una mano sulla spalla la scossa le attraversò il corpo e le fece rizzare i capelli.
«Mi dispiace zia.» Mormorò Soleia, e Luna capì. Capì perché erano entrambi lì, e capì perché la sola vicinanza di Nyx le provocava quella sensazione opprimente.
«Lasciateci…lasciateci un attimo per favore.»
Alla sua richiesta, Drautos e Soleia si congedarono, e Luna fu libera di concentrarsi sul marito.
«Nyx, mi dispiace così tanto.»
Quando lui non le rispose, lei gli fece scivolare le braccia intorno e lo strinse a sé, ignorando le scosse incontrollate che la colpivano. Lui aveva bisogno di lei, e null’altro importava.
Lo sentì tremare tra le sue braccia, incapace di parlare, di replicare, di scuotersi da quella sensazione che lo stava stritolando. Luna lo capiva, fino ad un certo punto, perché pochi minuti prima era pacifico e sereno, e ora la persona che gli aveva procurato quella sensazione, l’amico di una vita intera, non c’era più.
Non seppe mai quanto tempo passò prima che lui si allontanasse da lei e, senza una parola, uscisse di casa.
Fu il suo stesso corpo a portarlo dove doveva andare, perché la sua mente era come svuotata.
Sentiva il suo sangue rimbombargli nelle orecchie, l’inizio di un’emicrania con i fiocchi, e la sua magia che ribolliva sotto pelle.
Fu Soleia ad aprirgli la porta.  «Entra.» Lo invitò facendosi da parte, e si asciugò velocemente gli occhi mentre lui avanzava. Si rese conto di essere scalzo solo quando sentì quella che considerava una nipote sobbalzare guardando il pavimento e, imitandola, vide che i suoi passi stavano bruciando le piastrelle.
Avrebbe voluto scusarsi, e dirle che non se n’era nemmeno accorto, ma non riuscì a parlare.
Lei lo accompagnò nel salone, dove il fratello, la madre e molti dei loro amici erano già presenti.
Si fecero da parte mentre lui avanzava, un po’ per rispetto, e un po’ perché rischiavano di essere colpiti dalla magia che aleggiava intorno a lui.
Fu peggio di qualsiasi ferita.
Se con Cor la furia l’aveva sostenuto, in quel momento non aveva nulla a cui aggrapparsi per andare avanti.
«Ieri sera è tornato a casa, e stava bene, era felice. E stamattina…non si è svegliato.»
La voce di Drautos si perse appena lui parlò.
Libertus c’era sempre stato, pensò.
Il primo, roboante fulmine bruciò il lampadario in una pioggia di scintille che strappò un urlo alla vedova.
Era lì quando erano ancora a Galahd, ragazzi che cercavano di gestire un bar.
Era lì quando Galahd bruciava.
Un altro rombo, la finestra che esplodeva, voci concitate che non lo raggiunsero mai.
In tutti gli anni da profugo, negli anni di oscurità e di pace traballante.
Libertus era sempre stato lì.
Urlò.
Urlò mentre la stanza veniva invasa da una vera tempesta di fulmini che disintegravano qualsiasi cosa toccassero.
Quando Insomnia era andata distrutta, quando il buio aveva invaso il mondo.
«Nyx!»
Quando Ifrit li aveva quasi annientati, quando lui era in punto di morte dopo aver battuto Ardyn e negato la profezia.
«Basta!» La voce cristallina precedette le braccia di Luna intorno a lui, la sua stretta che sembrava l’unica cosa in grado di impedirgli di crollare.
Lei ignorò il dolore lancinante, ignorò l’odore di bruciato, ignorò i fulmini incontrollati che apparivano e svanivano in pochi secondi.
«Basta, ti prego…ti prego.»
La sentì piangere contro la sua schiena, stringerlo come se non volesse mai lasciarlo andare, e si rese conto che la stava ferendo di sicuro, e che nonostante quello lei non si muoveva.
«Va tutto bene, Nyx. Sono qui.»
Scivolarono in ginocchio insieme, stretti in silenzio, e Nyx intrecciò le dita a quelle della moglie, svuotato del dolore che aveva causato quell’esplosione di magia.
Non c’era più nulla.
Solo il vuoto dove un tempo c’era stato Libertus.
 

 
Nessuno gli aveva contestato la decisione di seppellire Libertus a Galahd, nemmeno i suoi figli.
Era là che era nato, ed era là che avrebbe riposato per sempre.
Andò da solo, dopo che la famiglia gli ebbe detto addio.
Andò da solo perché era giusto che facesse almeno quello, per lui.
Scavò la buca nel cimitero sotto l’incessante pioggia autunnale, senza quasi sentirla.
Lei tornò quando ebbe finito, confusa tra le gocce d’acqua.
«Nyx.»
Sembrava un’ombra nel buio, eppure lui individuò i brillanti occhi scuri che lo fissavano.
Fu una sensazione strana, ritrovare quel fantasma che pensava che non avrebbe mai rivisito, e gli procurò una fitta al cuore di dolore e gioia.
«Crowe. Hey.»
Lei abbassò lo sguardo sulla tomba fresca, e rimase in silenzio per qualche istante.
«Dovrai essere forte, amico mio.»
La osservò muoversi per venire a sedersi accanto a lui. Fu come un soffio di vento fresco in estate, una sensazione quasi impalpabile ma certa.
«Lo so.»
«Almeno non sarai mai del tutto da solo, no? Ci sarò sempre io.»
Quella consolazione gli strappò una breve, amara risata. «Grazie, Crowe.»
«Figurati. Se ti lasciassi solo finiresti con il fare qualche cavolata da eroe.»
Piegò le labbra in un mezzo sorriso, e poi tacquero di nuovo.
Morta o no che fosse, pensò Nyx, era bello avere accanto la sua vecchia compagna d’armi e, quando lei gli posò la testa sulla spalla, fu terribilmente reale.
«Grazie per averlo riportato a casa, Nyx.»
 

 
Luna trattenne il fiato mentre la figlia scioglieva delicatamente le bende, scoprendo le ustioni sulle braccia. Nonostante bruciassero e pungessero come l’inferno, non le rimpiangeva.
Nyx aveva avuto bisogno di lei, e nient’altro era importante.
«Sono preoccupata per papà.» Confessò la futura regina con un sospiro, e Luna s’intenerì.
Nonostante, almeno fisicamente, assomigliasse di più a lei, c’era qualcosa che specchiava Nyx nel suo viso, e nelle sue espressioni. «Cosa ti tormenta, tesoro?» Le chiese delicatamente, osservandola mentre disinfettava le sue ferite.
Crowe esitò un istante, poi sollevò lo sguardo sulla madre. «Tu e papà avete…qualcosa di speciale. Non fraintendermi mamma, amo Regis da morire, ma quando guardo voi…» Le si mozzò la voce; non riusciva a trovare le parole. Non era facile descrivere come, quando era bambina, le si stringeva lo stomaco quando Nyx tornava a casa e i suoi occhi s’illuminavano posandosi sulla moglie, o il modo in cui si muovevano l’uno intorno all’altro, come ingranaggi di un meccanismo perfetto composto solo da loro due.
«Ricordi quando ero piccola, e volevo volare come papà?» Chiese, cambiando approccio all’argomento, e vide la madre sorridere lievemente.
«Certo che me lo ricordo. Ci hai fatto spaventare a morte, e tuo padre si è quasi spaccato la schiena quando sei caduta dal balcone e ti ha salvato.»
Crowe fece una smorfia. «Quello è stato l’unico momento in cui papà si è arrabbiato con me. Era una furia, eppure quando tu mi hai vista piangere e mi hai difeso, lui si è calmato. La tua voce, la tua vicinanza, sembra che tu sia il centro del suo mondo.»
Luna sorrise, e alzò una mano ad accarezzare il volto della figlia. «E lui è il centro del mio. Io e Nyx ci siamo conosciuti in un momento molto brutto, tesoro, e ne abbiamo passate di tutti i colori. Niente forgia l’amore come rischiare di morire. Ecco perché siamo così, perché tu ci vedi così.»
Crowe si accigliò, ma non replicò e riprese a bendare le braccia della madre che, vedendola confusa, riprese a parlare.
«Conosci la nostra storia, Crowe. Sai cosa abbiamo fatto l’uno per l’altra. Sappi che faremmo anche di più per te.»
«Non ho mai messo in dubbio il vostro affetto, mamma. Ed è proprio questo che mi preoccupa, questo amore assoluto che lega te e papà. Non per…per portare sfortuna, ma cosa succederà quando tu sarai vecchia? Cosa succederà quando tu andrai nell’unico posto dove lui non può seguirti?»
Luna socchiuse gli occhi, sentendo le lacrime pungere per uscire.
Sapeva benissimo cosa sarebbe successo, ma sperava di sbagliarsi.
Si sporse a dare un bacio sulla fronte della figlia. «Non pensare a queste cose piccola. Fanno male al bambino.»
Vide Crowe diventare da un delicato rosa perla ad un violento rosso pomodoro mentre si alzava. «M-mamma!»
Vederla così imbarazzata strappò una risata alla donna, che la osservò con tenerezza mentre lei incrociava istintivamente le mani sul grembo. «Credi che papà la prenderà bene?»
«Che domanda è? Diventerà nonno, come vuoi che la prenda?»
Prima che lei potesse rispondere, la finestra si aprì in apparenza da sola, e un pugnale ornato si piantò nel muro di fronte. L’attimo dopo un Nyx bagnato fradicio e avvolto in un pesante mantello fece la sua comparsa in una nuvola di cristalli argentei, e Crowe si lasciò scappare un breve urlo di sorpresa.
Luna, invece, tirò giù le maniche della maglia, a coprire le bende, e gli si avvicinò senza esitare.
«Sei tornato.» Lo salutò, e Crowe sentì di nuovo quella stretta allo stomaco quando vide il modo in cui si guardavano.
Nyx si sporse a dare un bacio lieve alla moglie, e poi si voltò verso di lei. «Ciao bambina.»
Non aveva mai smesso di chiamarla così, nonostante avesse vent’anni e fosse la futura regina, ma le stava bene; detto da lui, quel termine affettuoso la faceva sentire protetta.
«Chi deve dirmi cosa, a proposito?»
«La tua è proprio un’abitudine, vero Nyx?» Scherzò Luna, dandogli una breve gomitata divertita.
Qualcosa dentro di lei si rilassò nel vedere lo sguardo di suo marito accendersi di uno scintillio ironico.
Qualsiasi cosa fosse successa a Galahd, doveva averlo aiutato.
Crowe si morse il labbro inferiore finché lui non la guardò.
Lasciò che i suoi occhi passassero dal suo viso alle sue mani, intrecciate sul grembo, e poi a Luna, e poi di nuovo a lei.
Quando la indicò, incapace di parlare, Luna annuì con un sorriso. «Esatto.»
Alla sua conferma, lui si sbloccò e abbracciò la figlia d’istinto, con un sorriso che era uguale a quello che aveva avuto quando aveva saputo che sarebbe diventato padre.
Mentre si sfregava le braccia, cercando di placare il bruciore, pensò che non c’era momento migliore per lui di ricevere una notizia del genere.

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Capitolo 34
*** Fu come se gli avessero sparato di nuovo, nel cortile di una Insomnia semi distrutta. ***


CAPITOLO 33
 
-Fu come se gli avessero sparato di nuovo, nel cortile di una Insomnia semi distrutta.-
 
«Lascia stare bambina, faccio io.»
S’intromise Nyx, rubando Aulea dalle braccia delle madre.
Lei gliela cedette volentieri, continuando a cullare il fratello.
Quando, due anni prima, Nyx era entrato nella sala d’ospedale, e due piccoli, piangenti bambini l’avevano guardato dalle braccia della figlia, gli si era sciolto il cuore.
«Grazie papà. Regis è molto impegnato in questo periodo…» Le si smorzò la voce, e Nyx la guardò continuando a cullare la nipote. Lei e Cor, suo fratello, avevano una particolare sfumatura dorata di capelli che sembrava la fusione esatta tra il rosso del padre e il platino della madre.
«Crowe…» Non ebbe nemmeno bisogno di chiedere, perché lei si fidava di lui, e sapeva che l’avrebbe sempre aiutata in ogni modo possibile. Così sospirò e spostò Cor tra le braccia.
«Dalla nascita dei gemelli Regis non ha passato molto tempo con loro. So che presto sarà re, e che è impegnato nel suo ruolo ma…sono anche i suoi figli. Sarebbe bello se fosse più presente.»
Nyx abbassò la voce per non disturbare i bambini che si erano, finalmente, addormentati. «Io ero terrorizzato quando ho scoperto che tua madre era incinta.» Sorrise all’espressione scettica della figlia, e riprese a parlare. «Avevo circa vent’anni quando Galahd fu invasa, e da quel giorno ho passato gran parte delle mie giornate su un campo di battaglia, così, quando Luna mi ha detto che sarei diventato padre, temevo che avrei fatto un casino, che un soldato non avrebbe potuto allevare un bambino. Eppure tu sei qui, e io sono fiero della donna che sei diventata. Vedrai che anche Regis capirà che non deve rifugiarsi nel lavoro, e diventerà un buon padre.»
«Lo spero tanto.» Sospirò lei, spostandosi per mettere Cor nella grande culla accanto al letto matrimoniale. Quando Nyx fece lo stesso con Aulea, lui allungò l’esile braccio per stringere la mano della sorella.
Con un cenno, l’uomo esortò la figlia ad uscire dalla stanza, e così si trovarono nella sala da pranzo.
Nyx lasciò che Crowe si abbandonasse su una delle sedie, le braccia incrociate sul tavolo, e si mise a preparare il pranzo. Non era mai stato un grande cuoco finché non aveva incontrato Luna.
I giorni che avevano passato a cucinare insieme mentre il mondo affogava nel buio erano un ricordo dolce.
«Anch’io ero così da piccola?»
A quella domanda, Nyx si lasciò scappare una risata divertita. «Eri anche peggio. Non penso proprio che né Aulea né Cor torneranno mai a casa con un braccio rotto perché volevano giocare con la spada del re.»
Crowe fece una smorfia risentita. «Quella volta fu colpa di Regis. Ero una bambina, e lui non faceva altro che raccontare della meravigliosa spada alata di suo nonno.»
Nyx posò i piatti sul tavolo, e ne approfittò per lasciare un bacio veloce tra i capelli della figlia. «Regis è meglio di quanto fosse Noctis alla sua età, se la cosa ti può consolare.»
La sua frase attirò l’attenzione della donna, che alzò lo sguardo verso di lui. «Davvero? Com’era il re?»
Mentre aspettava che l’acqua sul fuoco bollisse, Nyx si sedette davanti alla figlia con un sorriso divertito. «Egoista, narcisista e troppo concentrato su sé stesso per accorgersi dei gesti di coloro che gli stavano intorno.»
«L’esatto contrario di com’è ora, insomma.»
«Esatto. Sappi che prima di riuscire a farmelo piacere, l’ho dovuto riempire di botte.»
La sua confessione fece scoppiare a ridere Crowe e, mentre la osservava così divertita e serena, in quell’atmosfera familiare, Nyx pensò per l’ennesima volta che avrebbe voluto fermare il tempo.
«Siamo a casa!» La voce di Regis seguì l’aprirsi della porta, e Crowe scattò in piedi quando sentì i suoi passi.
Nyx lasciò che lei salutasse il marito, perché la sua attenzione fu focalizzata da un’altra persona.
Nonostante Luna avesse ormai sessantuno anni, la sua sola presenza lo magnetizzava come il primo momento.
Lei si chinò per baciarlo, e lui sorrise sulle sue labbra. «Ciao. È andato tutto bene?»
«Le solite discussioni politiche che ti avrebbero annoiato a morte. Voi?»
Nyx osservò con la coda dell’occhio Crowe portarsi una mano alla bocca per soffocare un’esclamazione di sorpresa quando Regis le porse un mazzo di fiori.
Lo sentì scusarsi a bassa voce per la sua assenza, e qualcosa dentro di lui si rilassò impercettibilmente.
«Tutto alla grande. Il pranzo è pronto, e le piccole pesti dormono.»
Non aveva nemmeno finito di parlare che il pianto congiunto dei gemelli tagliò l’aria, e Luna lo osservò con aria divertita.
«Le ultime parole famose.»
 

 
«Nonno! Nonno!»
Le voci congiunte dei suoi nipoti lo raggiunsero mentre era sulla grande torre nell’arena rotonda, accanto ad una recluta che sembrava sul punto di vomitare.
Pace o no, non mancavano mai i soldati volontari, e lui non mancava mai di condividere un po’ della sua magia con loro, anche se molti non riuscivano ad abituarsi alle proiezioni.
Abbassando lo sguardo nel gelido pomeriggio invernale, Nyx li individuò immediatamente.
Avevano dodici anni ormai, e più crescevano più si somigliavano.
E più lui si affezionava, e più il dolore si faceva forte a guardarli.
Congedando la recluta, si proiettò davanti a loro senza fatica, e il suo gesto li fece prima restare senza parole, e poi ridere. «Non dovreste essere a scuola, piccole canaglie?» Li rimproverò scherzosamente, osservando i loro vestiti sporchi di fango.
Fu Cor a rispondergli, e lui riconobbe la fiera testardaggine tipica della madre, e di Luna. «No! La mamma ci ha detto che potevamo saltare la scuola visto che oggi diventerà regina! A proposito, ci hanno detto di venire a chiamarti.»
Quella notizia gli mandò un’iniezione di adrenalina nelle vene. «Me n’ero dimenticato!» Imprecò tra sé e sé, e poi si concentrò nuovamente sui nipoti. «Forza voi due, dovreste andare a vestirvi, due principi non possono certo farsi vedere ridotti così.»
Scompigliò loro i capelli ma, quando vide che non si muovevano, gli venne da sorridere.
Anche Crowe aveva la stessa abitudine, di starsene lì con quel viso adorabile finché lui non cedeva, chiedendole cosa desiderasse. Ma ora sapeva cosa volevano i suoi nipoti, e sorride mentre si accucciava davanti a loro.
«Non ditelo a vostra madre, d’accordo?»
«Muti come pesci!» Promise Aulea, e fu la prima a muoversi per abbracciarlo con una risata estasiata. Cor la seguì poco dopo, ed entrambi piegarono i volti per osservare le grandi ali metalliche aprirsi dietro di lui, strappando riflessi metallici al freddo sole invernale.
Fu un tragitto breve, eppure i due ragazzi sembravano soddisfatti, e quando lui li spedì a darsi una sistemata obbedirono senza esitare, rincorrendosi per i corridoi del palazzo.
Così, Nyx fu libero di fare altrettanto, e qualche tempo dopo era davanti allo specchio a figura intera nella loro stanza a palazzo, che era rimasta loro nonostante non la usassero spesso.
Stava finendo di chiudere la giacca dell’uniforme da generale quando una voce familiare lo raggiunse.
«Non credo che ci abbiamo presentati adeguatamente, questa mattina.»
Piegò le labbra in un mezzo sorriso voltandosi ad accoglierla tra le braccia. «Nyx. Nyx Ulric, mia signora.»
Luna sorrise ad un soffio da lui, le mani sul suo petto.
Aveva settantatré anni ormai, e lui la trovava ancora bellissima; ogni ruga, ogni segno sulla sua pelle, non era altro che la loro storia raccontata in carne ed ossa. E il modo in cui lei lo guardava, arrossendo quando lo scopriva ad osservarla, come i suoi occhi s’illuminassero quando entrava nella stanza, tutto ciò che il suo sguardo gli comunicava, aveva ancora il potere di commuoverlo.
«Stai benissimo.» Commentò lei, facendo un passo indietro per osservare l’uniforme, la cui unica significativa modifica era una sottile striscia argentata a destra dei nastri viola che gli pendevano sulla schiena.
«Grazie.» Commentò, divertito, ma qualcosa nello sguardo di sua moglie smorzò il suo sorriso.
Si avvicinò a lei, sistemandole i capelli, di un candore assoluto, dietro l’orecchio. «Che succede?»
Lei scosse la testa, ma cedette quando incrociò il suo sguardo. «Vederti vestito così mi riporta indietro negli anni…»
Fu come se gli avessero sparato di nuovo, nel cortile di una Insomnia semi distrutta.
Sentì di nuovo la voce terrorizzata dell’Oracolo che correva da lui, la sensazione della sua mano intorno alla propria.
«Luna, amore, non pensarci. Sappi che rifarei ogni singola cosa da capo, se potessi.»
Anche se preferirei morire in quel cortile piuttosto che vederti andare dove non posso raggiungerti.
Deglutì a fatica, chiuse quel pensiero in un angolo remoto di sé stesso, e si costrinse a sorridere.
Lei ricambiò la sua espressione, e si strinse piano nelle spalle. «Lo so, eroe.»
«Andiamo allora. Non sarebbe carino tardare all’incoronazione della regina, visto che è nostra figlia.»
Lei rise brevemente, e accettò il braccio che lui le porse.
Due ore dopo, Nyx desiderò non aver ucciso Ardyn. Lui avrebbe saputo cosa dire per distoglierlo da quel quadro troppo perfetto, troppo felice e troppo effimero.
Crowe era meravigliosa, in un abito porpora che faceva risaltare i rubini sulla corona, e finalmente Regis sembrava aver accettato il suo ruolo, e la stringeva con fierezza.
Accanto a loro, a destra, Aulea e Cor, vestiti allo stesso modo in abiti dorati, e a sinistra, Victoria e Noctis.
Nyx avanzò tra l’arcata di persone, notando dolorosamente come i capelli blu notte di Noctis fossero striati di bianco, e di come lui si appoggiasse pesantemente al bastone.
Assomigliava tantissimo al padre, in quel momento, e Nyx poté quasi vederlo accanto al trono, ad osservare il nuovo re assumere il potere.
Mentre s’inginocchiava sul marmo, una mano sul cuore, davanti al terzo re che serviva, la sua mente traditrice glieli fece vedere tutti morti.
Erano polvere e ossa, e lui si stava inginocchiando davanti a dei cadaveri.
Abbassò il viso e chiuse per un istante gli occhi.
Forse, gli venne da pensare, Ardyn aveva avuto ragione.
Cosa sarebbe cambiato se avesse tagliato la gola a tutti coloro che conosceva, anni prima?



 

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Capitolo 35
*** Fu come se l’ultimo pezzo del suo cuore, ciò che ancora lo ancorava a quel posto, si staccasse da lui per precipitare nel vuoto. ***


CAPITOLO 34
 
-Fu come se l’ultimo pezzo del suo cuore, ciò che ancora lo ancorava a quel posto, si staccasse da lui per precipitare nel vuoto.-
 
Dal matrimonio della figlia, trent’anni prima, Nyx aveva perso praticamente tutto.
Quando i suoi nipoti avevano quindici anni, Noctis era morto nel sonno, e Nyx aveva montato la guardia per quasi tre giorni sotto una pioggia inclemente, senza muoversi né parlare, davanti al mausoleo del re.
Gladio aveva abbandonato la capitale due giorni dopo il funerale, e nemmeno la sua famiglia, e i suoi tre figli sapevano dove fosse.
Prompto aveva fatto ritorno ad Hammerhead, e molti di coloro che arrivavano ad Insomnia parlavano del vecchio nostalgico che trascorreva le sue giornate tra gli album fotografici.
Ignis era rimasto, ma si vedeva sempre di meno in giro.
Qualche anno dopo era giunta la notizia della dipartita di Cindy, e meno di un mese più tardi, un contingente di soldati aveva portato il corpo smembrato di Aranea, quasi fatta a pezzi.
Avevano detto che era morta com’era vissuta, con la lancia tra le mani e un sorriso in faccia, in battaglia contro uno dei gruppi che ancora si ribellavano alla corona.
Più gli anni aumentavano, più lui diventava silenzioso.
L’unica eccezione, all’inizio, era stata Luna.
L’aveva portata a Tenebrae per i loro venticinque anni di matrimonio, e a Galahd per i cinquanta. Aveva passato tutto il tempo possibile con lei, inizialmente, ma poi gli anni avevano iniziato a farsi sentire, e lei non aveva più potuto muoversi a lungo, tantomeno viaggiare.
E lui aveva iniziato a sentirla sempre più lontana, e ad essere sempre più disperato.
«Nyx…»
Fu proprio lei a chiamarlo in quel momento, con una voce debole che gli si piantò nel cuore.
Si avvicinò al letto a passo felpato. «Sono qui tesoro.»
Vederla curvarsi sotto il peso degli anni, e vedere i suoi occhi offuscarsi era una ferita sempre aperta, eppure era ancora lei, la risoluta, bellissima donna che aveva incrociato il suo sguardo quella sera sulla terrazza del palazzo.
Si sedette accanto a lei, piegando le labbra in un sorriso forzato.
«Mi…mi accompagneresti fuori?»
«Luna, è tardi, non so se…»
«Ti prego. Voglio…voglio vedere i fiori.»
Aveva una voce debole, tremante, e gli spaccò il cuore. «Va bene. Andiamo.»
L’aiutò ad alzarsi dal letto, sostenendola con un braccio intorno ai fianchi, e guidandola fuori dalla stanza.
Avevano ripreso la loro vecchia camera quando Aulea e Cor erano diventati adulti.
Mentre camminavano per i corridoi, Nyx sentì l’emicrania pulsargli dietro gli occhi, e una profonda sensazione di solitudine.
Arrivarono ai giardini, alla fine, un piccolo, debole passo alla volta, e Nyx aiutò la moglie a sedersi in mezzo ai fiori. Erano in fiore, grandi corolle blu nella sera estiva, ma senza la cura di Luna sembravano meno vigorosi, meno brillanti.
«Sono bellissimi.» Sussurrò Luna, appoggiata al suo fianco. Si abbandonava a lui con la stessa, incrollabile fiducia di sempre, come se lui fosse il pilastro che sosteneva il suo mondo.
«Già…»
Rimasero in silenzio per un po’, e Nyx sentì il suo cuore saltare qualche battito.
C’era qualcosa che gli impediva di respirare, di godere di quel momento pacifico.
Dopo un tempo che gli sembrò interminabile, lei parlò di nuovo, e la sua voce era ancora più sottile.
«Nyx…ricordi il giorno che ci siamo conosciuti?»
Quella domanda ebbe il potere di farlo sorridere. «Certo.» Sussurrò. «La principessa in tacchi che teneva il passo con un soldato addestrato.» Scherzò, e riuscì a far ridere la donna al suo fianco.
«L’uomo che ha rischiato la vita per me innumerevoli volte senza nemmeno conoscermi.» Replicò lei, e Nyx fu costretto a deglutire un paio di volte prima di riuscire a parlare di nuovo.
«Quella notte sei stata tu a salvare me, Luna.» Replicò, lasciando scorrere lo sguardo sull’atmosfera pacifica dei fiori di fronte a loro. «Avrei voluto morire quella notte.»
Le confessò all’improvviso, chiudendo gli occhi, e chiudendo tutto fuori.
«Non…non avresti avuto tutto questo, se fosse stato così.» Sussurrò lei, rannicchiata contro di lui come se non avesse nessuna intenzione di spostarsi presto. «Rimpiangi forse…le nostre vite?»
«Cosa? No, nel modo più assoluto. La vita con te…» Gli si spezzò la voce, e lui sentì lo strano e non familiare sapore delle lacrime sulla lingua. «Luna, tu mi hai reso ciò che sono. Dal primo istante in cui ti ho vista, la mia vita è stata meravigliosa. E rifarei tutto da capo, senza ripensamenti.»
«Posso…chiederti una cosa?»
«Qualsiasi.»
«Proteggerai tutto questo? Tutto ciò che abbiamo fatto, per cui abbiamo sanguinato…non lasciare che vada sprecato. Difendilo.»
Inspirò profondamente, a fatica, e Luna gli strinse una mano nel vederlo esitare. «Ti prego…»
Cedette di nuovo, perché lei sembrava tenerci sul serio. Le baciò piano i capelli e annuì. «Lo farò.»
Le sue parole sembrarono toglierle un peso dal petto, e lui la sentì sospirare profondamente.
«Quando ti sentirai solo, guarda l’orizzonte, io sarò lì, e veglierò sempre su di te.»
Fu come una scossa che gli tese ogni nervo, e lo fece spostare, a disagio. «Luna, non dire così.»
La sentì appoggiare la testa contro la sua spalla. «Nyx…il mio Nyx…»
«Luna…»
Silenzio.
«Luna?»
Abbassò lo sguardo su di lei.
Aveva visto quel momento innumerevoli volte, nei suoi incubi durante gli anni, e aveva sempre provato un dolore improvviso, immenso e devastante.
Ma ora non fu così.
Fu come se l’ultimo pezzo del suo cuore, ciò che ancora lo ancorava a quel posto, si staccasse da lui per precipitare nel vuoto.
Abbracciò quel corpo ormai vuoto, affondando il volto tra i capelli bianchi, e chiuse gli occhi.
Le sue lacrime si congelarono prima di toccare terra.
«Papà!»
Non riconobbe la voce.
La sua ancora, la sua luce, se n’era andata.
«Papà stai congelando tutto!»
Qualcuno lo allontanò da lei con estrema delicatezza, e lui non ebbe la forza di reagire.
Non sentiva più il proprio corpo, né il battito del proprio cuore.
Non sentiva più nulla, finché una mano fine non gli si abbatté sulla faccia. «Papà! Guardami!»
Vedeva una figura sfocata, dai capelli di platino, e dal viso familiare.
Si accigliò. Chi era?
Assomigliava a Luna, con quei lineamenti delicati, eppure era diversa.
«Papà…riprenditi…» Sembrava quasi una supplica, ora, e lui riuscì finalmente a mettere a fuoco chi aveva davanti. Crowe lo guardava con il viso inondato di lacrime, e intorno a lei…ghiaccio?
«Crowe…»
Lei annuì. «Sì, sì sono io.»
Si spezzò definitivamente.
Si alzò dalla panchina e abbracciò la figlia, che nascose il viso contro di lui e si lasciò andare.
Pianse contro la sua spalla per un tempo che gli sembrò interminabile, e ogni sua lacrima era un dolore in più aggiunto a quel pozzo vuoto che Nyx sentiva al posto del cuore.
 

 
«Non ci hanno presentati stamattina.»
«Nyx. Nyx Ulric, mia signora.»
Un breve sorriso, e i fuochi d’artificio riflessi nei suoi occhi.
 
Era scappato, alla fine.
Non era riuscito a sopportare la vista del suo angelo in una bara, con quell’espressione pacifica e il vestito elegante.
 
Gli era quasi saltata in braccio, ridendo dalla gioia.
E lui l’aveva stretta sentendosi estasiato.
Era lì, era sana e salva.
Era con lui.
 
Nessuno si era preso la briga di sciogliere il ghiaccio che aveva congelato il giardino, e tutti avevano educatamente fatto finta di non notare che i passi del generale lasciavano impronte gelate.
 
«Ti amo.»
Era arrossita, e poi gli aveva sorriso. «Avrei rischiato di morire prima se avessi saputo che sarebbe servito a fartelo dire.»
Avevano riso, insieme, e poi lei l’aveva tirato più vicino. «Anch’io ti amo.»
 
Ci aveva provato. Aveva provato a restare, a dire qualcosa, ma nessuno dei presenti avrebbe potuto capire. Così si era rifugiato lassù, all’inizio e alla fine di tutto.
 
Gli sorrise e, nonostante fosse tarda notte e Crowe piangesse a dirotto, lui pensò che non esisteva nulla di più bello al mondo.
 
«Immaginavo che saresti stato qui.» Gli ci volle qualche secondo a riconoscere la voce della vecchia regina.
Victoria si fermò a qualche passo da lui, e alzò lo sguardo.
Nonostante fosse piena estate, il cielo era invaso da nuvole che preannunciavano tempesta.
 
La sua mano che gli accarezzava il viso, le sue labbra sulle proprie.
«Come ho fatto a conquistarti?»
Un sorriso dolce. «Tu non vedi ciò che io vedo, Nyx.»
«Cioè?»
«Luce. Tu brilli come il sole, Nyx, e sei altrettanto dolce, e forte. E proprio come il sole, non posso fare a meno di te.»
 
Si girò a guardarla, e comprese.
Lei capiva, perché ci era passata prima, perché aveva dovuto vedere il marito chiuso in un tempio di pietra, un corpo vuoto.
«Io…»
«Lo so.»
 
Si era intromesso nella ramanzina a Crowe, prendendo le difese della figlia.
E nonostante lei fosse arrabbiata, aveva sorriso quando lui l’aveva guardata.
«Sei sempre il solito testone.» L’aveva rimproverato scherzosamente. «Non fai altro che viziarla.»
 
L’anziana donna coprì la distanza che li separava nell’istante in cui la prima lacrima scivolò sul suo viso. Lo abbracciò e, nonostante fosse più bassa, lui abbandonò il viso contro la sua spalla.
 
«Allora…Mi ricorderai?»
«Sempre.»
 
Quando il primo singhiozzo gli strozzò il respiro, Victoria lo strinse più forte.
Non parlò, non cercò di consolarlo.
Capiva.
 
«Ti amo, Nyx Ulric, e ti amerò anche quando di me non sarà rimasto altro che cenere.»
 

 
Non era difficile sapere dove fosse, in quei giorni.
La sua magia era fuori controllo, e per trovarlo bastava seguire il ghiaccio, o i segni di bruciature sparsi nel Palazzo.
Fu così che Crowe lo individuò, tre giorni dopo il funerale.
Quando entrò nella stanza le venne da piangere.
Era un disastro, c’erano mobili bruciati ovunque, sangue argenteo sparso sul pavimento, e un, grande immenso vuoto senza il sorriso di sua madre ad accoglierla.
Colui che si voltò verso di lei non sembrava nemmeno suo padre.
Era pallido, e ciò faceva risaltare le sue cicatrici come se fossero fresche.
Intravedeva le vene nere sotto la pelle, e di sicuro non dormiva da qualche giorno.
«Papà, che stai facendo?» Gli chiese notando la valigia aperta sul letto.
Lui esitò un solo istante, e lei si pentì di non essergli stata più vicina a causa del suo ruolo da regina.
Sembrava un’ombra tormentata dell’aldilà mentre si muoveva in giro per la stanza. «Me ne vado.»
«Cosa?! Non puoi!»
La sua protesta gli strappò una risata tagliente, vuota. «Posso, e lo sto facendo. Non c’è più nulla per me qui.»
Crowe si chiuse la porta alle spalle e cercò di avvicinarsi a lui, di fermarlo, di parlargli faccia a faccia. Ma lui la evitava con movimenti fluidi, e non la guardò mai negli occhi. «Ci sono io, i tuoi nipoti, la tua città…»
Quella frase ebbe l’effetto di bloccarlo sul posto, e lei ne approfittò per avvicinarsi.
Quando lo guardò, scoprì che i suoi occhi mutavano in continuo tra il loro colore naturale e l’argento, e lei seppe cosa significava: stava facendo fatica a controllarsi, a rimanere lucido.
«Resta, ti prego…»
Si rese conto che aveva sbagliato frase quando vide i fulmini crearsi intorno a lui. «Non resterò a guardarti morire.»
Decretò, e poi le scivolò attorno e chiuse la valigia ormai piena.
Crowe lo afferrò per un polso mentre stava andando alla porta, e lui non reagì.
«Tornerai, vero?»
Le sembrò di vedere il conflitto interiore farlo a pezzi.
Quando pensava che lui non avrebbe più risposto, parlò.
«Tornerò sempre.»

 
 
 Note dell'autore:
Allora...questo capitolo non mi piace. Per niente. Avrebbe dovuto essere IL capitolo, quello da spaccarvi il cuore, la fine di tutto, e invece non sono per niente soddisfatta di com'è uscito >.< Scusate >.< Spero che lo troverete accettabile lo stesso! >.<

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Capitolo 36
*** Sentì il profumo del sole, le risate dei gemelli in lontananza, la madre che li richiamava, un sussurro dolce accanto a lui, la sensazione di essere nel posto giusto, al momento giusto. ***


CAPITOLO 35
 
 -Sentì il profumo del sole, le risate dei gemelli in lontananza, la madre che li richiamava, un sussurro dolce accanto a lui, la sensazione di essere nel posto giusto, al momento giusto.-
«Immaginavo che saresti tornato, oggi.»
«Dovevo.»
«…Quando ti ho conosciuto non avrei mai immaginato che avresti potuto amarla così tanto.»
La risata di un cuore spezzato nel vento.
«Quando l’ho conosciuta, non sapevo che l’avrei amata così tanto.»
«Ti manca, vero?»
«Ogni giorno di più. Chi dice che il tempo guarisce le ferite è un bastardo.»
«Per una volta siamo d’accordo su qualcosa.»
Sguardi che si incrociano, brevi sorrisi amari, intrisi di ricordi. «Sei così vecchio che sembri una mummia, te l’hanno mai detto?»
«Senti chi parla.»
«Io non…»
«Non invecchi, lo so. Ma non si diventa vecchi solo nel fisico.»
«Stai facendo il saggio con me?»
Un’altra breve risata, la carezza del profumo dei fiori. «Non oserei mai.»
«Lei vorrebbe che io tornassi, vero?»
«Secondo te? C’è una guerra in corso.»
Un’esitazione, un pensiero fugace. «Lei amava questo mondo. Ha sempre lottato per salvarlo, e le ho promesso che avrei continuato a farlo.»
«Allora non deluderla.»
«Hai ragione.» Le corolle di fiori sembravano un po’ più forti, ora che aveva deciso. «Non avrei mai pensato di dirlo, ma hai ragione.»
Una stretta di mano, lampi di una vita passata insieme, e un cuore spezzato condiviso.
«Grazie, amico mio. È stato un onore conoscerti.»
«…Figurati. L’onore è stato mio.»
Un silenzio pacifico, una rassegnata, sofferta accettazione.
«Ci vediamo, Ravus.»
«Lo sai che non è vero, Nyx.»
Un addio senza parole.
 

 
Parò il colpo senza fatica, e piantò un calcio sulla spalla dell’avversario, che lo fece crollare all’indietro. «Ho vinto di nuovo, Clarus. Devi impegnarti di più.»
Lo rimproverò posandogli la spada alla gola, e lui le gettò un’occhiata seccata. «Hai barato.»
Lei inarcò le sopracciglia, divertita. «E avrei barato anche negli ultimi dieci anni?»
I loro sguardi s’incrociarono, e alla fine scoppiarono a ridere.
«Te lo concedo, Aulea. Non credo che riuscirò mai a vincere.»
«Rassegnati dolcezza.» Lui accettò la mano che lei gli tendeva, lasciando che lo aiutasse ad alzarsi, e ne approfittò per attirarla a sé.
«Ho vinto il tuo cuore, però.» Sussurrò sulla sua gola, e lei lo spinse indietro, arrossendo come un pomodoro.
«Ti piacerebbe, Amicitia.» Lo schernì con un sorriso divertito, ma entrambi sapevano che aveva ragione.
«Aulea. Dovresti smetterla di perdere tempo qui.» La voce vellutata di Drautos interruppe la loro conversazione, e la donna si girò verso l’uomo.
«Non sto perdendo tempo. Sto insegnando a Clarus ad essere un ottimo Scudo.»
«Lo sai che non ha speranze contro di te.» Le concesse il soldato, facendola sorridere di fierezza. «Nessuno ce le ha.»
Fu un fruscio a malapena udibile, una stonatura nell’aria fresca della primavera.
E il cortile fu invaso dai riflessi argentatati e viola della proiezione.
Nyx piegò le labbra in un mezzo sorriso. «Posso fare un tentativo?»
Clarus scattò in piedi, terrorizzato da quell’apparizione improvvisa, ma il generale ebbe tutto il tempo di notare le somiglianze con il padre; aveva perfino un tatuaggio a forma di aquila intorno al braccio destro.
«Zio.»
Fu così improvviso da fargli girare la testa.
Sembrava che il suo passato si fosse materializzato davanti a lui, che Libertus gli stesse sorridendo con aria incredula, e durò solo un secondo prima che la verità gli si schiantasse contro.
Libertus è morto.
«Drautos. Sei…cresciuto.»
L’espressione del ragazzo mutò da incredula a severa. «Beh, te ne sei andato da dieci anni. Per alcuni di noi il tempo passa.»
Nyx incassò la frecciatina stoicamente, anche se gli aveva fatto più male di ciò che aveva dato a vedere. Quando spostò lo sguardo sulla nipote, si chiese cosa si fosse perso della sua vita, se ci fossero mai stati momenti nei quali lei aveva sperato che lui ci fosse.
Poi lei gli fu addosso, e lui ricordò qualcosa che pensava aver dimenticato.
Sentì il profumo del sole, le risate dei gemelli in lontananza, la madre che li richiamava, un sussurro dolce accanto a lui, la sensazione di essere nel posto giusto, al momento giusto.
«Nonno! Sei tornato!» Aulea si allontanò, asciugandosi velocemente le lacrime di gioia che erano sfuggite al suo controllo. Era identica alla madre, ad eccezione dei capelli dorati.
Cosa si era perso nella vita della sua famiglia?
«Mi dispiace di essere stato via così a lungo.»
La donna scosse la testa. «Non importa. L’importante è che tu sia a casa, ora.»
Casa.
Quella parola gli scosse il cuore, e riaprì una ferita che non era mai del tutto guarita.
Lui non aveva più una casa, pensò, perché lei non c’era più, e si era portata via il suo desiderio di una vita normale.
Cosa restava, ora?
«Rilassati, Nyx. Sei ad Insomnia, concediti un po’ di tempo.»
Sorrise al commento dello spettro che lo fissava da dietro i nipoti. 
Era tornata ad essere la sua onnipresente, sarcastica ed invisibile compagna quando era tornato a Galahd, otto anni prima.
«Dov’è Crowe?» Chiese, sentendo il cuore stringersi dolorosamente.
Drautos, che aveva notato il suo gesto, si diede una rapida occhiata alle spalle prima di rispondergli.
«Al cimitero, credo.»
«…Giusto.»
«Ci vediamo più tardi, magari, nonno. Devi sempre provare a battermi.» Lo provocò Aulea, e così lui si congedò con una risata.
Davanti ai grandi cancelli del cimitero, però, si scoprì essere più nervoso di ciò che si aspettava.
«Rilassati, mio cuore. È sempre la tua bambina, capirà.»
«Lo so. Lo spero.» Deglutì a fatica, inspirò a fondo, si disegnò un sorriso sul volto e spalancò il cancello. Camminare tra le lapidi, con tanti, troppi nomi che conosceva, lo faceva sentire come tentare di camminare contro vento in una tempesta.
«Avevo detto che non volevo visite a patto che non fosse urgente.» La voce severa della donna focalizzò all’istante la sua attenzione, e per un attimo gli sembrò di vederla là, pronta a sorridergli in quella timida maniera speciale che lo faceva sentire in grado di conquistare il mondo. Ma non era lei, si disse, lei era morta, era lontana ed irraggiungibile.
Crowe, invece, era lì.
«La visita di un padre è una questione abbastanza urgente?» Domandò, divertito, e si godette ogni secondo di cosa successe dopo.
A quella domanda, la regina alzò lo sguardo dalla lapide che aveva di fronte e si voltò.
I suoi occhi grigi si spalancarono lentamente, in un misto di sorpresa e spavento.
Nyx rimase lì, fermo, lasciando che lei lo osservasse, e vide i suoi occhi scivolargli addosso, fino alla grande ombra alata che la luce proiettava dietro di lui.
«Sei…sei…»
Cedette di fronte alla sua espressione commossa.
«Vero? Perché non vieni qui a scoprirlo?»
Aprì le braccia, e lei non se lo fece ripetere due volte. Gli si avvicinò in fretta e si lasciò abbracciare, la testa posata sulla sua spalla.
Lui inspirò a fondo, cercando di scacciare quella sensazione di dolce dolore che gli impediva di respirare. «Ciao bambina.»
Crowe scoppiò a ridere tra le lacrime, perché lui era lì, sempre uguale, e lei era invecchiata, e lui aveva mantenuto la promessa, ed era tornato.
Si allontanò da lui senza lasciarlo andare e, tenendogli le mani, sentì la sua fede sfregarle sulla pelle. «Ciao papà. Sono troppo vecchia perché mi chiami così, lo sai?»
«Sciocchezze. Punto primo, sono comunque molto più vecchio di te, e punto secondo, sei e resterai sempre la mia bambina.»
Sorrise Nyx, ma qualcosa dentro di lui stava urlando nel buio.
Stava gridando che non sarebbe dovuto tornare, che ora che era lì non sarebbe più riuscito ad andarsene, e che sarebbe stato costretto a seppellire sua figlia, oltre che sua moglie.
Cercando di scacciare quella sensazione terrificante, cambiò argomento. «Sei venuta a salutarla?»
Gettarono un’occhiata alla lapide insieme, e a Nyx sembrò quasi di sentire il proprio cuore sbriciolarsi di nuovo.
Lunafreya Ulric.
«E tu?» Crowe ritorse la domanda contro di lui, alzando un sopracciglio.
Nyx esitò un attimo, perso tra il passato e il presente, incapace di distogliere lo sguardo dai fiori che, in tutto il cimitero, crescevano solo davanti a quel blocco di pietra.
«Avevo una promessa da mantenere.»
 

 
Era strano, pensò.
Era sempre suo padre, con gli stessi lineamenti, le stesse cicatrici che conosceva a memoria.
Lo stesso sorriso, lo stesso sguardo.
Eppure, era diverso.
Era come guardare qualcosa che conoscevi bene, ma di notte, e percepire quella strisciante sensazione di inquietudine nel cuore causata dal buio.
Gli aveva raccontato cos’era successo negli ultimi dieci anni, di come Cor e Aulea fossero cresciuti, e di come quest’ultima avesse sviluppato un particolare talento per la lotta, e un particolare interesse per il figlio maggiore di Gladio. Mentre parlava, però, ogni tanto lo vedeva inclinare la testa di lato, lo sguardo perso in un punto in apparenza casuale e un lieve sorriso sul volto, come se stesse ascoltando qualcun altro parlare.
«Victoria è…»
«Morta, papà. Mi dispiace.»
Lo osservò abbassare lo sguardo, incassando l’ennesimo colpo.
Stava bene sul serio, si chiese?
Sembrava sempre lui, ma come se fosse stato fatto a pezzi e rimesso insieme.
Intero, ma non del tutto.
«Ok.»
Crowe inarcò un sopracciglio. «Tutto qui?»
Nyx si strinse nelle spalle guardandola con un breve, vuoto sorriso. «Cosa dovrei fare, bambina? Non mi è rimasto molto nel cuore, dopo la morte di tua madre.»
Fu schietto, quasi brutale, e Crowe sentì la gola stringersi di lacrime. «Non…non intendevo questo, papà.»
«Lo so.»
«Solo che…sei sempre tu, ma sei anche così diverso, e sono passati solo dieci anni…»
Nyx sollevò lo sguardo su di lei, facendola rabbrividire.
Erano i suoi occhi che la guardavano, e allo stesso tempo non lo erano.
C’era qualcosa di arcano dentro, in quel colore così rassicurante, una nota buia.
Era vecchio, si rese conto all’improvviso.
Lei stessa aveva ormai sessant’anni, e l’uomo davanti a lei ne aveva centonove.
Per quanto lei fosse contenta di vederlo, pensò, lui non avrebbe dovuto essere lì.
«Lo so, bambina. Lo so meglio di chiunque altro.» Lo osservò distendere le spalle, e ciò fece muovere le grandi ali della sua ombra. Le aveva riconosciute subito, perché erano ovunque nel palazzo, e perché lei stesse portava il simbolo delle guardie reali in onore al padre.
Erano le ali di Bahamut, e il fatto che fosse lì senza esserci la spinse a chiedersi a quale livello di fusione fossero arrivati in tutti quegli anni.
«Ora…» Riprese a parlare Nyx, spostando lo sguardo da un punto vicino a lei a lei. «Dov’è Regis?»
Crowe ci mise un attimo a registrare la sua domanda, persa nei propri pensieri.
Scosse la testa e gli indicò il palazzo. «Lui e Cor dovrebbero essere nella sala del trono.»
«Bene. Andiamo allora.»
Nyx s’incamminò per primo, le mani affondate nelle tasche, e la mano della figlia sul proprio braccio. Camminare in quel modo gli ricordò quanto era stata liscia la sua pelle anni prima, mentre l’aveva accompagnata all’altare; ora era rugosa, debole.
Anche lei gli stava scivolando via, e lui non poteva fare nulla per impedirlo.
Si allontanò da lei solo per spalancare le grandi porte della sala del trono.
La stanza era stata ridipinta e ricostruita dopo tutti i disastri ai quali era stata costretta ad assistere, e i Giorni Bui, i dieci anni di oscurità, erano dipinti sull’alto soffitto.
Nyx camminò con lo sguardo all’insù, soffermandosi su quel magnifico affresco, e una scossa lo attraversò quando vide sé stesso e Noctis nel cortile in una pozza di sangue, e accanto…
«Tu!»
Abbassò lo sguardo in tempo per vedere un Regis furioso venirgli contro a passo di marcia.
Aveva ancora gli stessi, straordinari capelli rossi della madre, e nonostante fosse anziano, dai suoi movimenti sicuri si capiva che si era tenuto in forma, e si era allenato spesso.
«Ti rifai vivo dopo dieci anni?!»
Non se lo aspettava, lo ammise.
Non se lo aspettava, e non riuscì ad evitarlo.
Il pugno fu ben piazzato, dritto sulla massa di cicatrici da ustione sulla sua guancia, e così forte da fargli piegare il viso.
Crowe si mise in mezzo, parandosi davanti al padre. «Regis! Non osare incolpare lui per i tuoi errori!»
Nyx spostò lo sguardo sul re, massaggiandosi la mascella con un sorriso beffardo. «Anche tu mi sei mancato.»
«Avevi un dovere verso il tuo re, e verso la tua patria, e invece sei fuggito!»
«Taci! Non sai perché se ne sia andato, non hai diritto di giudicarlo!» Rispose Crowe, sostenendo l’imponente presenza fisica del marito con uno sguardo severo. Era una discussione già avvenuta, comprese Nyx, perché quella rabbia era repressa da tanto tempo, non era uno scoppio improvviso.
«Spostati, Crowe. Questo codardo deve affrontare ciò che ha fatto.» Ordinò Regis, secco e, quando lei scosse la testa, il re la prese per un polso, facendo il gesto di tirarla via.
Nyx gli fu addosso così in fretta che né Crowe, né Cor si resero conto che si era mosso.
Lo sbattè contro il muro tra le scale che portavano al trono e lo sollevò finché non toccò più a terra.
«Papà!»
«Nonno!»
Sua figlia e suo nipote lo chiamarono nello stesso momento, e lui li ignorò entrambi.
Gli occhi di Noctis lo stavano osservando con aria di sfida.
«Prova a costringere mia figlia a fare qualcosa contro la sua volontà di nuovo, e me ne frego che sei il re, chiaro?» Sibilò ad un soffio dal suo viso. «E secondo, si può sapere che diavolo ti ho fatto?»
Arretrò di un passo e lo lasciò andare, sinceramente incuriosito.
Nei dieci anni in cui aveva lasciato la città, non era mai stato troppo a lungo nello stesso posto, più che altro perché metà del regno era intrisa dei ricordi di una vita passata, migliore e perduta.
Regis boccheggiò in cerca di aria, e Nyx quasi si pentì del suo gesto impulsivo quando Crowe venne ad aiutarlo a rialzarsi. «Cos’hai fatto? Quando il Nuovo Impero ha scoperto che il mio generale era sparito dalla faccia della terra hanno ricominciato la costruzione di armi magitek, di aeronavi, e hanno quasi dichiarato guerra alla capitale, di nuovo.»
«Ma cosa…» Nyx arretrò ancora, confuso, e Regis terminò la sua spiegazione.
«Ho costruito le basi di questo regno su di te, sulla paura che provavano per te, e tu ci hai abbandonati.»
Nyx si voltò, dando le spalle sia alla figlia che al sovrano, e sollevò lo sguardo.
Come aveva fatto a finire al centro del mondo?
E perché in nome del cielo c’erano sempre persone che contavano su di lui?
Si passò una mano fra i capelli, sbuffando.
Perché doveva soffrire ancora, di continuo?
«Avresti dovuto ascoltarmi, non saresti qui.»
Fu una sensazione strana, un misto di incredulità, gioia e disgusto che lo fece scoppiare a ridere.
«Nonno…tutto bene?» Cor si avvicinò cautamente, indeciso sul da farsi, ma Nyx gli fece un cenno con la mano, pensando che era assurdo che lui fosse proprio lì, in quella stanza dove l’aveva ucciso.
«Non preoccuparti, Nyx. Questa volta sono davvero solo un’allucinazione.»


Note dell'autrice:
Devo decidermi a finire questa storia xD Ma ogni volta che mi dico "ok, scrivo l'ultimo capitolo", esce fuori qualcosa che mi fa scrivere un capitolo in più, per far capire meglio la fine, ma questo la sta rendendo chilometrica xD scusate >.<

 

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Capitolo 37
*** - «Se davvero tutto questo è grazie a me, forse dovrei sedere io su quel trono.» ***


CAPITOLO 36
 
- «Se davvero tutto questo è grazie a me, forse dovrei sedere io su quel trono.»-
 
Vedere nuovamente Ardyn fu come una boccata d’aria fresca dopo aver rischiato di annegare.
Non c’erano mai stati problemi con lui, sia da vivo che da morto aveva sempre uno scopo chiaro: distruggere Lucis e tutto ciò che rappresentava. Farlo andare fuori di testa era stato un bonus.
Nyx ricordava perfettamente quando, mentre si dissanguava lentamente nella cella, Ardyn avesse giocato con la sua mente, e ricordava anche quella strana, strisciante sensazione di leggerezza che aveva provato nell’ascoltare le sue allucinazioni, il pensiero di non avere paura di deludere nessuno, perché nessuno era con lui.
«Ce ne hai messo di tempo.»
«Lo so.» Confessò con un sorriso, parlando al vuoto, ma subito dopo una voce alquanto seccata richiamò la sua attenzione. «Non abbiamo ancora finito, Generale.»
In quella stanza, così tanti anni prima, Luna era stata la sua ancora alla sanità mentale.
Fu con un sorriso divertito che notò un’ombra di paura nello sguardo del re quando si voltò.
«Hai ragione. Non abbiamo ancora finito.»
«Papà…» Crowe provò ad avvertirlo, a supplicarlo di non fare nulla di avventato, e lui le sorrise.
«Rilassati bambina. Quando il giorno sarà finito, riavrai tuo marito.» Si strinse nelle spalle con aria innocente. «Non so se tutto intero, ma ci sarà.»
La sua velata minaccia sembrò far infuriare il re. «Non osare minacciarmi, Ulric. Resto sempre il tuo sovrano.»
Nyx fece un passo avanti, estraendo lentamente i fedeli kukri dai foderi: in tutti quegli anni, quelle armi erano l’unica cosa che non era mai cambiata. «Non ti sto sfidando, Altezza.» Sogghignò, imprimendo volutamente una sfumatura sarcastica al titolo nobiliare. «Tuo nonno si è guadagnato il mio assoluto rispetto con facilità. Tuo padre l’ha guadagnato con un paio di costole incrinate, all’inizio. Tu, invece…»
Regis fece un passo avanti, scostando la moglie che cercava di fermarlo, e nella sua mano comparve la spada alata. «Io cosa, Generale?»
Nyx digrignò i denti osservando la spada. «Tu non meriti né quella, né il mio rispetto.»
Crowe, sebbene fosse consapevole che era un’impresa quasi impossibile, si rivolse a lui. «Qualsiasi cosa ti stia passando per la testa papà, non farla. Regis non voleva offenderti…»
«Oh no bambina, nessuna offesa. D’altronde, la mia barriera e la mia magia sono rimaste nonostante io non ci fossi, come tuo marito ha detto, ha costruito questo regno sulla mia presenza.» Distese le spalle, lasciando che l’energia di Bahamut gli scorresse nelle vene; anche la dea non era contenta, ne percepiva le emozioni come un sapore amaro sulla lingua.
«Non deludermi di nuovo, Nyx, dai.» Ardyn sorrise sornione, e Nyx piegò le labbra in un mezzo sorriso di ricambio. «Non sto facendo questo perché sono offeso, Regis, sappilo. Lo sto facendo perché sia Regis che Noctis ti sputerebbero in faccia se potessero vedere il re che sei diventato. Se davvero tutto questo è grazie a me, forse dovrei sedere io su quel trono.»
Fu una bella sensazione, ammise Nyx a sé stesso, provocare deliberatamente qualcuno fino a farlo scoppiare, e quando Regis gli corse incontro l’adrenalina gli scoppiò nelle vene.
Il primo assalto gli sembrò quasi pigro, e lo parò facilmente.
Da quando il mondo intero era diventato così lento?
«Oh andiamo, puoi fare di meglio.» Sogghignò all’espressione furiosa del re.
«Papà!»
Ignorando sia lei che l’altra Crowe, Nyx lanciò il secondo pugnale al di sopra del trono, vi si proiettò, e poi si lasciò cadere sulla seduta di pietra, tutto nel giro di pochi secondi.
Si appoggiò allo schienale e dedicò un sorriso beffardo all’uomo stupefatto sotto di lui. «Mi piace. Potrei abituarmici.»
Fu una questione di secondi, e Nyx si ritrovò con la spada alata ad un soffio dal viso, e la proiezione di Regis che strappava riflessi al sole. «Uuuh Altezza. Questo si chiama barare.» Sorrise, poi raccolse le gambe al petto e le allungò all’improvviso, scagliando il re oltre la seduta rialzata del trono.
Lasciò che crollasse al suolo con un gemito, e Crowe gli fu subito accanto.
Quando i suoi occhi, specchio identico dei propri, lo fulminarono, si sentì quasi in colpa.
Quasi.
«Sei andato fuori di testa?! Avresti potuto spaccargli la schiena!» Lo rimproverò, poi ordinò al nipote senza parole di andare a chiamare un medico.
Nyx si alzò con calma dal trono, ritirò i kukri e sorrise. «Dopo tutti questi anni dovresti saperlo, Crowe. Se avessi voluto ucciderlo, sarebbe già morto.»
Lei si asciugò velocemente le lacrime rabbiose che le scorrevano sul viso, sorreggendo il marito stordito sul pavimento. «Perché sei tornato?» Sibilò guardando il padre, sentendo come se non lo conoscesse: dov’era l’uomo comprensivo che aveva sempre avuto pazienza, e dolcezza?
Nyx schioccò le dita e saltò giù dalle scale. «Giusto. È il mio anniversario di matrimonio.»
«Il tuo…E hai pensato di festeggiarlo interrompendo il mio matrimonio?!» Lo rimproverò Crowe, e lui pensò che non l’aveva mai vista così arrabbiata, prona a difendere il marito quasi, e inarcò un sopracciglio.
«Un re dovrebbe saper affrontare qualsiasi cosa. È ora che questo regno la smetta di reggersi sul supporto degli dei.» Fu un pensiero fugace, e seppe che Bahamut era d’accordo, che era stufa quanto lui, che ne aveva abbastanza della dinastia reale che s’innalzava e crollava.
«Non vorrai…Non puoi…» Boccheggiò Regis, massaggiandosi il petto.
Nyx piegò la testa di lato, pensando che forse, sarebbe stato meglio se sua figlia avesse sposato qualcun altro, qualcuno con più cervello, e meno avventato. «Voglio, e posso. La Barriera è annullata.»
Fu come se un fulmine si fosse schiantato sul tetto del Palazzo, un suono roboante e immenso che scosse le pareti, e Nyx immaginò l’esterno, il cielo che si spaccava in milioni di pezzi simili a cristallo, e ogni guardia cittadina che, prima o poi, avrebbe scoperto la dura verità.
«La magia è sparita.»
«Esatto. Ora dovrai imparare a difendere il tuo regno da solo.» Decretò Nyx, oltrepassandoli, ma quando stava per uscire una mano si chiuse sul suo polso, trattenendolo.
«Papà…»
«Tornerai, vero?»
Le sembrò di vedere il conflitto interiore farlo a pezzi.
Quando pensava che lui non avrebbe più risposto, parlò.
«Tornerò sempre.»
«Cosa?» Le domandò, senza voltarsi. Perché era tornato? Perché non era semplicemente sparito dalla faccia della terra, lasciando integro il ricordo che i suoi conoscenti avevano di lui?
Perché aveva promesso, si rispose con un sospiro, e si voltò verso la figlia.
Sembrava confusa, e ferita, e lui cedette. Allungò una mano a sfiorarle il viso.
«Le assomigli così tanto…» Sussurrò, ignorando le porte che si aprivano lasciando entrare i medici per controllare la salute del re. «Mi dispiace bambina. Ho perso il controllo.»
«Come avresti dovuto fare anni fa.» Commentò Ardyn, in apparenza deluso.
«L’ho…immaginato. Stai bene, papà? Non è da te comportarti così.»
Quella frase gli strappò un sorriso. «Crowe, tesoro, purtroppo ci sono cose di me che non sai. Cose di cui tua madre era a conoscenza. Io…non ero un granché come persona, quando lei mi ha conosciuto, e ora probabilmente sono anche peggio.»
«E senza di lei…Ho capito.» Concluse la figlia per lui con un sospiro rassegnato. «Vado a vedere come sta Regis, ma stasera parleremo, va bene?»
Nyx annuì. «D’accordo.»
«Cerca di non fare fuori nessuno nel frattempo, va bene?»
L’uomo sogghignò mentre la figlia si allontanava. «Non posso prometterlo.»
 

 
«Sono stato al Ravatogh all’inizio, per pochi mesi.» Si abbassò, evitando il fendente, e allungò una gamba cercando di farle perdere l’equilibrio, ma lei lo evitò abilmente.
«Poi?»
«Vediamo…Ho occupato una base imperiale, ma non era un granché.»
Parò il fendente con una torsione del polso. «Poi mi sono spostato a Galahd per un paio d’anni, a Tenebrae per un po’, perfino ad Altissia. Nessuno di quei posti faceva per me.»
«Nemmeno Galahd?»
Bloccò l’ennesimo colpo.
Avevano ballato, quella prima sera nella cucina, su una musica che solo loro sentivano.
Estrasse l’altro kukri quando lei impugnò anche la daga, e la bloccò ad un soffio dal suo corpo.
Mentre la luce strappava riflessi argentati dai suoi capelli, lei aveva sorriso. «Non sapevo che un grande soldato cattivo come te ballasse.»
Lasciò che la daga gli aprisse un taglio sottile nella stoffa del fianco, e ne approfittò per bloccarle il braccio con il proprio.
Era stato uno sfiorarsi di labbra, una tensione che nessuno dei due ammetteva esistesse. «Ci sono tante cose che non sai di me, Principessa.»
Le torse il braccio dietro la schiena così forte da strapparle un gemito e farle lasciare la daga, e le posò il kukri sulla pelle del collo. «Nemmeno Galahd.»
«Nonno…e poi? In dieci anni ne avrai visti di posti.» Lo incoraggiò Aulea, cercando inutilmente di liberarsi dalla sua presa.
La sua curiosità lo fece sorridere mestamente. Lucis intero era un inno alla sua vita con Lunafreya, e in dieci anni non aveva fatto altro che ripercorrere quel tempo, senza mai fermarsi perché il passato diventava troppo pesante da sopportare. «Dopo Altissia sono andato a Galdin. Piccolo, sconosciuto, sul mare. Sono rimasto là negli ultimi anni.»
«Interessante.» Commentò Aulea in un tono che gli fece tendere i nervi.
E a ben vedere, perché lei gli piantò una testata improvvisa, spingendolo a liberarla, e poi si voltò con una piroetta, pronta ad attaccare e vincere, ma lui fu più rapido.
Appoggiandosi ad una mano, le sferrò un calcio al gomito – senza spezzarglielo per un pelo –e la spada che lei usava volò oltre metà cortile con un tintinnio macabro.
«Non te la prendere.» Sorrise Nyx puntandole entrambi i pugnali contro. «Esisteva solo una persona in grado di mettermi in difficoltà, ed è morta tanto tempo prima della tua nascita.»
Rimasero un attimo così, e poi, lentamente, Aulea si mise a ridere, e lui abbassò i pugnali.
«Beh complimenti. Per un vecchietto te la cavi molto bene.»
Nyx inarcò un sopracciglio, sorridendo, sinceramente divertito.
Erano passati anni da quando aveva incontrato qualcuno che gli faceva gustare una lotta, e non solo qualcuno che non aveva chiaramente speranze contro di lui. «Grazie, credo.»
La schernì mentre si allontanavano dal cortile degli allenamenti, sotto i portici.
Stava per parlarle di nuovo quando la sua attenzione fu catturata da uno scintillio bianco.
Si affacciò alla finestra, e rimase senza fiato.
Il giardino era ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio, il prato, le rocce, perfino i fiori blu s’intravedevano sotto quella cortina gelata.
Eccezion fatta per la panchina accanto all’aiuola, sembrava un pezzo di inverno onnipresente.
«Nonno…» Aulea si affiancò a lui, studiando il suo viso stupefatto.
Quando vide quanto amore, e quanto dolore c’era nei suoi occhi, le venne da piangere. «Nessuno…è mai riuscito a scongelarlo, anche provandoci.» Mormorò, senza sapere perché glielo stesse dicendo.
Abbassò lo sguardo, e vide le sue dita strette sul davanzale di marmo.
Quando la pietra si sfondò sotto la sua stretta, sobbalzò.
«Non posso.» Mormorò Nyx tra sé e sé, allontanandosi da quella visuale. «Non sarei mai dovuto tornare.»
Si allontanò a grandi passi, e Aulea lo seguì di corsa. «Nonno! Ma che stai dicendo? Aspetta!»
Ma lui non diede segno di averla sentita, anche se lei lo sentì parlare come se stesse conversando con qualcuno, e continuò a camminare verso l’ala medica del Palazzo.
Si muoveva come se conoscesse il posto a memoria, e la donna che lo inseguiva si chiese quante volte, nella sua eterna vita, vi fosse stato.
«Nonno non fare pazzie, aspetta!» Cercò di farlo ragionare, ma quando lui la ignorò di nuovo, decise di lasciargli fare qualsiasi cosa avesse in mente, e cambiò strada di corsa.
Trovò Cor nella biblioteca del Palazzo.
Il fratello inarcò le sopracciglia vedendola entrare di corsa ma lei, come al solito, non ebbe bisogno di parlare: respiravano, vivevano e pensavano sulla stessa lunghezza d’onda.
Si alzò velocemente appena incrociò il suo sguardo, e si lasciò guidare verso l’ala del Palazzo dove Nyx era sparito.
Non ebbero nemmeno tempo di entrare perché Nyx ne uscì, quasi scardinando le porte.
Aulea lasciò che il fratello la tirasse lontano, ma percepì comunque l’aria pesante intorno al nonno, carica di qualcosa di più di semplice magia.
«Papà! Maledizione, aspetta!»
Crowe corse fuori, inseguendo il padre, e al suo richiamo il Generale si fermò per un istante, senza voltarsi. La regina si mise una mano sul petto, recuperò fiato, e gettò un’occhiata preoccupata ai figli prima di parlare.
«Conosci Regis, papà, lui è…avventato, impulsivo e imprudente. Non voleva farmi del male, ha problemi a gestire la rabbia, e il tuo comportamento non l’ha…»
«Basta.»
Aulea, semi nascosta accanto al gemello, sentì lo stesso brivido che scuoteva il suo corpo espandersi nel suo, perché la voce che aveva zittito la regina era vibrante, e vecchia, e potente.
«Sei fortunata che non abbia tagliato la gola a tuo marito e non l’abbia lasciato a dissanguarsi.» Nyx parlò in tono calmo, eppure Cor notò la madre soffocare un singhiozzo, e un moto di orgogliosa protezione verso di lei lo spinse a rivolgersi al nonno.
«Che razza di padre sei a parlare così a tua figlia?»
«Cor…»
«Va tutto bene mamma.» Si allontanò da Aulea e afferrò il nonno per una spalla; solo in seguito avrebbe capito che non avrebbe dovuto farlo, ma in quell’istante lo fece, e l’attimo dopo aveva il pugno di Nyx nello stomaco e una scossa elettrica che gli attraversava il corpo.
«Papa!» Sia Crowe che Aulea corsero verso di lui, impedendogli di crollare a terra, ma fu la sorella a trascinarlo in infermeria, voltandosi spesso per controllare la situazione.
Nyx abbassò lo sguardo sulla propria mano ancora stretta, la testa che rimbombava della risata di Ardyn, dei rimproveri dell’altra Crowe, e di Bahamut, che sembrava indecisa se appoggiarlo o meno.
«Non sarei mai dovuto tornare.» Mormorò tra sé e sé, ma un movimento ai lati del suo campo visivo lo spinse ad alzare lo sguardo. Crowe era furiosa, e a buon rendere, ammise, ma lui aveva perso il controllo davanti a Regis, e alla sua inettitudine, e al fatto che le avesse fatto del male, e alla grande, opprimente verità che presto anche lei se ne sarebbe andata.
Lo schiaffo che lei gli piantò sulla faccia fu atteso, e meritato, ma non servì a rimettere le cose a posto. «No, infatti.»
Era cresciuta, ammise con uno strano moto d’orgoglio nel vederla raddrizzare le spalle nonostante le lacrime rabbiose che le scorrevano sul volto. No, non cresciuta: invecchiata.
Irrigidì la mascella, incrociando quegli occhi che erano specchio dei suoi, quel viso così familiare, e pensò che aveva ragione, come lui stesso aveva pensato.
Tornare era stata la scelta peggiore della sua vita.
Voltò le spalle alla figlia, ai nipoti e a tutto ciò che quel palazzo, e quella città rappresentavano per lui, e non perse tempo a comportarsi come una persona normale.
Non era più umano della dea che aveva nel cuore, tanto valeva che non cercasse di nasconderlo.
Aprì la prima finestra che si trovò davanti, saltò sul davanzale e ricordò un’altra vita, un’altra donna in lacrime alle sue spalle.
Esitò un solo istante, e seppe che lei stava facendo lo stesso, perché la sentiva come se fosse un pezzo di sé stesso, ma erano troppo orgogliosi, troppo testardi e troppo stupidi per tornare indietro.
«Avresti dovuto ascoltarmi…»
Mandò mentalmente al diavolo Ardyn – anche se sapeva che era nel giusto, che se avesse ucciso a sangue freddo tutti coloro che conosceva la sua vita sarebbe stata diversa – e saltò giù dalla finestra.
Fu Bahamut ad aprire le ali per lui, fu sempre lei a muoverle per evitare che si sfracellasse al suolo, e fu sempre lei a portarlo in alto, lontano, nel cielo dove non esisteva nulla.
Non aveva famiglia lassù, pensò inspirando l’aria gelata tra le nuvole.
Non c’erano persone da deludere, da amare e da veder morire.
Non c’era Regis, e la sua assurda e nauseante contrarietà a tutto ciò che suo padre e suo nonno avevano rappresentato e difeso.
Non c’era il ricordo di quando lui stesso era una persona migliore.
Piegò le ali e si voltò a guardare Insomnia quando era poco più di una macchia scura in lontananza.
Non c’era nemmeno più la Barriera.
Quell’assenza quasi totale di qualsiasi cosa lo invase all’improvviso, e lui si sentì stranamente leggero.
C’erano solamente lui, e i suoi demoni.
 

 
La guerra era scoppiata esattamente un anno dopo, e andava avanti da due.
Nyx, per tutta risposta, era tornato a Galdin, forse l’unico posto nel quale il passato non tornasse a tormentarlo, e là era rimasto mentre una sempre più disperata Lucis cercava di sopravvivere all’assalto di un Impero tecnologicamente più avanzato, e più determinato.
«Se Regis non fosse stato un completo deficiente avrebbe evitato tutto questo.»
«Tu hai tolto la Barriera, non Regis.» Commentò Crowe, a braccia incrociate contro la ringhiera del balcone.
Nyx si strinse nelle spalle. «Lo so. Non pensare che non mi preoccupi. C’è sempre mia figlia laggiù, e purtroppo è sposata ad un idiota.»
Lo spettro si accigliò. «E allora che ci fai qui?»
«Non posso tornare, Crowe. Non voglio tornare. Insomnia non ha bisogno di me, e la mia bambina non ha bisogno di vedere suo padre per com’è ora. Che mi ricordi per come sono stato.»
Crowe aprì la bocca per parlare, ma il telefono di Nyx squillò all’improvviso, sorprendendoli entrambi. «Beh? Rispondi no?»
Fu con esitazione che prese l’apparecchio, e con altrettanta esitazione che rispose.
«Pronto?»
«Salve, uomo dagli occhi d’argento.»
Nyx si accigliò, confuso, ma in suo soccorso venne Ardyn. «L’imperatore che hai preso a calci, ricordi?»
Non riuscì a trattenere un ghigno; certo che ricordava, il ragazzino incerto che era stato abbastanza stupido e abbastanza coraggioso da attaccare la sua città. «Altezza.»
La voce dall’altra parte del telefono ignorò il suo tono sarcastico. «Lieto di vedere che ti ricordi di me, Generale.»
«Io non…»
«Silenzio, per favore. Ho una cosa per te, uomo-dio.» Un fruscio, un’imprecazione e poi una voce che riconobbe perfettamente.
«Papà qualsiasi cosa ti dica non venire è una trappola!»
Un altro movimento brusco, e poi di nuovo la prima voce. «Immagino che l’avrai riconosciuta. Hai due giorni per venire qui, e prestarmi giuramento, o tua figlia morirà.»
Nyx irrigidì la mascella, sentendo il cuore battere a mille. «Torcile solo un capello, e sei un uomo morto.»
«Tic toc, Generale. Chi morirà prima?»
La linea cadde, e Nyx non riuscì a trattenersi, e spedì il cellulare a schiantarsi in briciole contro il muro della stanza. Si appoggiò alla ringhiera, le mani affondate tra i capelli.
«Cosa devo fare?» Domandò al vuoto in un ringhio esasperato, e il vuoto gli rispose.
«Lo sai. È nostra figlia.»
Si voltò di scatto, e lei era là, bellissima come il primo giorno in cui l’aveva incontrata.
«Luna…» Crollò in ginocchio davanti alla visione, ogni fibra di vita sparita. «Se vado, se giuro, mi userà per distruggere tutto ciò che abbiamo costruito.»
Lei avanzò di un passo, e il profumo dei dolci fiori blu di Tenebrae lo invase, facendogli girare la testa. «Tu la salverai, Nyx. Io mi fido di te.»
Erano anni che non sentiva le lacrime pungergli gli occhi, si rese conto, ma lei era là, vicina e irraggiungibile, e lui si sentiva esplodere il cuore. «Vi ho deluse, vero? È tutta colpa mia, se non avessi tolto la Barriera…»
«Shh.» Quando lei gli sorrise, gli sembrò una scarica elettrica dritta nel corpo, che lo spinse ad alzarsi. «Non ha senso ripensare al passato, ricordi?»
Annuì piano, e lei chiuse la distanza che li separava. Quando sollevò una mano a sfiorare il ciondolo a forma di mezzaluna che ancora portava, gli sembrò quasi di sentire la sua carezza.
«Salva nostra figlia, eroe.»
Non potè fare a meno di sorriderle quando lei lo chiamò così, ma quando alzò una mano verso di lei, la visione scomparve, e la cosa gli fece più male di quello che avrebbe creduto possibile.
Chiuse gli occhi un istante, conservando quell’ennesima allucinazione, o apparizione – non le distingueva più ormai – come un ricordo prezioso, e la sua voce gli echeggiò ancora nella mente.
«Nyx…Il mio Nyx…»
Spalancò le ali così repentinamente da tagliare quasi in due il balcone. «Bahamut, sei pronta?»
«Qualsiasi cosa, mio cuore.»
«Bene.
Si alzò in volo, il profumo di fiori nel naso e una nuova determinazione nel cuore.
Ignaro che il suo gesto si sarebbe rivelato l’errore più grande che aveva mai commesso.

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Capitolo 38
*** Faceva dannatamente male, ma non aveva importanza. ***


CAPITOLO 37
 
.Faceva dannatamente male, ma non aveva importanza.
 
In centododici anni avrebbe dovuto imparare che la vita può andare a rotoli molto velocemente, pensò, seduto sulla grande torre di guardia ai confini della rinata Gralea.
Era ancora più meccanizzata, fredda e tecnologica di quanto ricordasse, ma la sua vista gli spedì una dolorosa fitta di emicrania, insieme a qualche ricordo.
Era strano come, nei posti dove avesse sofferto di più, le sue cicatrici tornassero a farsi sentire; in quel momento, i tre segni tondi dove i dardi della balestra si erano piantati tornarono alla vita con una fitta fastidiosa.
«Ho un brutto presentimento.»
«Lo so, Crowe. Anch’io, ma non posso andarmene.» Socchiuse gli occhi, sfruttando la vista di Bahamut per analizzare la città. Era tutto così straniero alla dea che ben presto il mal di testa fu fisso, così si alzò e allungò le braccia, pronto a muoversi.
Si stava chiedendo in che direzione andare quando un grande cono di energia magitek s’innalzò nel cielo, indicandogli la via. Mentre la luce svaniva, sentì l’ennesimo capogiro, e si chiese cosa gli stava succedendo. Quando provò a chiederlo alla dea, e agli spettri, però, nessuno gli rispose.
L’improvviso vuoto lo lasciò senza fiato.
Bahamut era sempre stata lì, e lui l’aveva sempre sentita, ma ora non c’era…nulla.
Imprecò a gran voce e si lasciò cadere nel vuoto, proiettandosi a mezz’aria fino alla grande piazza al centro della capitale. Appena toccò terra, però, si rese conto di aver commesso uno sbaglio, e comprese il perché di quella totale assenza di potere nel suo corpo.
L’intero luogo era circondato da una fitta rete di inibitori magitek, che emettevano un’intensa luce rossa che gli feriva gli occhi. E davanti a lui, un intero contingente che gli puntava le armi contro.
Provò a scavare più a fondo, ma non riuscì a raggiungere la dea, ad attingere a quell’energia che gli avrebbe permesso di ignorare i blocchi.
Il colpo gli arrivò dalle spalle, inatteso, e lo costrinse in ginocchio.
Quando cercò di ribellarsi si trovò una lama appoggiata al collo, e una risata riecheggiò nell’aria.
«Non agitarti, Generale. Renderesti tutto più difficile.»
Digrignò i denti quando il contingente si aprì, lasciando passare l’imperatore e il suo sorriso beffardo e, dietro di lui, in manette, la regina.
«Crowe!» Cercò di alzarsi, di raggiungerla, ma il suo corpo non gli rispondeva più.
La regina cercò di fare un passo avanti, ma una guardia la bloccò prima che avanzasse. «Ti avevo detto di non venire papà…»
Aveva gli occhi lucidi e la voce strozzata, come se fosse sul punto di scoppiare in lacrime, e ciò lo fece innervosire. Focalizzò la sua attenzione sull’uomo ormai anziano che gli stava davanti, e ricordò come si era prostrato a lui, terrorizzato, anni prima. «Che cosa hai fatto?»
L’imperatore si strinse nelle spalle. «Non pensavo che ci saresti cascato due volte, veramente.» Ammise con un sorriso divertito. «Per essere quasi una divinità, sei molto sentimentale.»
Era un’esca, capì Nyx, sua figlia era un’esca come lo era stata Victoria anni prima.
Ma questa volta l’obbiettivo non era la città, ma lui stesso.
Quando la lama che lo bloccava venne premuta di più sulla sua pelle però, sogghignò. «Lo sai che qualsiasi cosa mi farai non mi sottometterà, vero? Tutti i tuoi inibitori servono solo ad allungarti la vita di qualche istante.»
«Lo so che sei immortale, non temere.» Lo scintillio crudele nello sguardo dell’uomo fece accapponare la pelle di Nyx. «Non volevo attirarti qui per farti del male. Anzi, devo ringraziarti: senza la tua Barriera, rapire la regina è stata la cosa più facile del mondo.»
«Regis…»
«Non è in grado di intendere, o di volere, al momento. Sarà fortunato se lo sarà mai, di nuovo.»
Nyx spostò lo sguardo sulla figlia; ecco cos’era, quella sua agitata tristezza. Avevano fatto del male al marito imbecille che lei tanto amava.
Si alzò di scatto, lottando contro gli urli contrariati del proprio corpo, e piantò una gomitata al suo assalitore. Il pugnale gli aprì un lungo taglio sulla gola mentre lui indietreggiava, lasciando sgorgare il sangue argentato, ma Nyx lo ignorò voltandosi. Con un solo, fluido movimento, ruppe il polso al soldato e gli rubò l’arma, che l’attimo dopo gli affondò nella fronte.
Si voltò ansimando, non per la fatica fisica, ma per la fatica di rimanere lucido, e concentrato.
In qualsiasi modo gli inibitori fossero stati creati, funzionavano fin troppo efficientemente.
Avanzò di un passo, una mano chiusa sull’elsa del kukri sulla sua schiena, ma l’uomo davanti a lui non si mosse. Sembrava terribilmente sicuro di sé, e aveva ragione di esserlo.
Nyx scivolò nuovamente in ginocchio a pochi passi da lui, tropo debole anche quasi per respirare, tantomeno per attaccare. «Come…»
«Sei stato avventato, Generale. Se non avessi reagito, non avrei dovuto fare questo.» Appena terminò di parlare, si voltò di scatto, colpendo la regina in pieno volto.
Crowe non cadde in ginocchio solo per colpa delle guardie al suo fianco, e Nyx sentì un moto di furioso orgoglio quando lei fulminò l’imperatore con lo sguardo, e lo insultò in modo così colorito che gli fece chiedere dove avesse imparato quelle parole.
Come risposta, però, ottenne un altro colpo sul viso, fatto da un soldato in armatura magitek, che le aprì un brutto taglio sulla guancia.
E Nyx iniziò a sentire la sua mente scivolare via, confusa in un oceano di rabbia, e frustrata impotenza. E tuttavia si alzò di nuovo, barcollando e con la testa che rischiava di scoppiargli, ma si alzò, e la sua feroce tenacia ebbe il potere di far indietreggiare l’imperatore.
«Toccala ancora una volta, e ti giuro che ti ammazzo come un cane.» Sibilò, mentre il cielo sopra di loro si addensava di nuvole nere. L’imperatore, sebbene si fosse spostato a distanza di sicurezza, gli concesse un ghigno beffardo. «Stai a malapena in piedi. Non puoi fare niente, mentre io posso fare qualsiasi cosa, ora che ti ho in pugno.»
Ad un suo cenno, le due guardie scortarono la regina davanti a lui, e là la lasciarono, tornando ordinatamente nei loro posti.
«Papà…»
Nyx si sforzò di sorriderle. «Non preoccuparti bambina. Andrà tutto bene.»
Crowe inspirò brevemente, trattenendo le lacrime, e annuì. «Lo so. Sei qui.»
«Che scena commovente.» Intervenne la fredda voce dell’imperatore, e Nyx si sentì il sangue gelare quando sentì il sibilo di un pugnale estratto. Non ebbe tempo di dire nulla, perché il fuoco dei proiettili che gli attraversavano una gamba e una spalla gli esplose nel corpo e gli fece piegare la gamba a terra.
Faceva dannatamente male, ma non aveva importanza.
«Non farlo. Sono qui, liberala.» Guardò l’uomo dietro alla figlia, che gli stava sorridendo con un’aria così crudele da fargli rimpiangere di aver ucciso Ardyn; per lui, almeno, la violenza era solo un mezzo, non un piacere.
«Hmm…Ho cambiato idea. Tanto tu non puoi fermarmi.»
«Crowe, Crowe, guardami. Non staccare gli occhi da me.»
La regina gli sorrise con aria mesta, e affettuosa. «Grazie di essere tornato, papà.»
Fu costretto a scacciare quel soffocante groppo in gola per poter parlare di nuovo. «Avevo promesso.»
«Ti voglio bene, papà.»
«Anch’io tesoro. Non piangere. Tua madre non mi perdonerà mai se ti faccio piangere.»
Riuscì a strapparle una risata, ma durò poco.
Quando la lama le attraversò il petto e il suo sorriso si gelò sul volto, il cuore di Nyx si spezzò in un modo che non avrebbe più pensato possibile.
 

 
Arrivò per prima, con un rombo assordante che scosse l’intera capitale.
Schiantò gli inibitori che circondavano la piazza con un movimento delle ali, creando un’esplosione di scintille scarlatte, e poi lo vide.
Era così piccolo, pensò, laggiù tra i soldati che correvano in ogni direzione, chino sul corpo della figlia. Il suo dolore l’aveva quasi fatta esplodere, e la sua manifestazione fisica ne era la prova.
Sembrava che tutto ciò che era stato gli stesse scivolando via fra le dita, e lei stessa ne risentiva, dato che in tutti quegli anni si erano legati fino a diventare una cosa sola.
Allungò una mano verso di lui, e la barriera gli si chiuse intorno.
Non poteva aiutarla, non attivamente, non in quel momento.
Dopo tutti quegli anni, fu lei ad aiutare lui.
Estrasse la grande spada e la lanciò contro l’alimentatore magitek che dava potenza a quella trappola terrificante, e finalmente riuscì a respirare di nuovo, a sentire ogni briciola della sua immensa potenza.
Aveva sopportato per anni la presenza dell’Impero, e il suo crudele sfruttamento degli insegnamenti divini, ma non poteva sopportare quello. Si erano condannati danneggiando il suo cuore.
Distese le grandi ali nel cielo notturno, e li sentì: stavano arrivando, attirati dalla sua presenza, pronti ad aiutare l’uomo che aveva dato tutto per loro, e che difendeva la sorella.
Le figure scintillanti di Shiva comparvero per prime, lasciando una traccia di soldati congelati su tutta la strada.
«Sorella.» La piccola dea si fermò fluttuando accanto al suo viso, e lei vide una dolorosa comprensione nel suo sguardo quando osservò le due figure avvolte nella barriera: era stata il Messaggero dell’Oracolo, ricordò, e l’Oracolo era la madre della donna che si stava dissanguando sul terreno.
Il fulmine che le si schiantò accanto precedette l’arrivo del fratello, e subito dopo un’intera casa sparì divorata dalle fondamenta della terra, e Titano fece il proprio ingresso.
Solo in quel momento Bahamut abbassò lo sguardo su Nyx, e sentì il suo dolore come proprio, e fu così grande da farle provare dolore fisico.
«Che il mondo dimentichi l’esistenza dell’Impero.»
Decretò, e i suoi fratelli si mossero senza una parola.
Erano tutti dei, ma lei era diversa, era luce e ombra, era potere allo stato puro, e loro l’ascoltavano.
E l’ascoltarono anche ora, anche se tendevano a non intervenire negli affari degli uomini.
Bahamut recuperò la grande spada e allargò le braccia, evocando le altre.
Le figure traslucide delle armi riempirono di luce una città destinata all’oblio.
E mentre l’apocalisse scendeva in terra, Nyx aveva ormai perso il controllo.
Il corpo di sua figlia diventava sempre più freddo, e lui scivolava sempre più nel buio.
Cosa gli restava, ora che avevo perso anche lei?
Aveva deluso lei, e Luna.
Non rimaneva più nulla dell’uomo che era stato.
Quando uno spruzzo di sangue scarlatto scivolò sulla barriera – da dove era venuta? – che lo circondava, alzò lo sguardo, stringendo il corpo della sua bambina.
E fu allora che la vide.
Enorme, feroce e terrificante, Bahamut stava radendo al suolo la città.
Irrigidì la mascella, appoggiò il corpo di Crowe a terra, e si abbassò a darle un bacio sulla fronte.
«Riposa, bambina.» Sussurrò al vuoto, ed estrasse i kukri mentre si alzava.
La sua proiezione fu precisa come non mai, e quando abbassò lo sguardo dalla spalla di Bahamut, la città era quasi insignificante.
«Mio cuore. Sei sicuro di farcela?»
Le ferite dei proiettili si erano rimarginate appena gli inibitori erano stati distrutti, e lui aveva capito guardando l’armatura viola della dea risplendere sotto la luna.
Ecco cosa gli restava.
«Ovvio.»
Un potere tanto grande da distruggere il mondo.

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Capitolo 39
*** << Ora parli la mia lingua. >> ***


CAPITOLO 38
 
<< Ora parli la mia lingua. >>
 
Era a Galahd, si rese conto, ma quando si guardò intorno, vide solo grandi fiamme lambire il cielo scuro, e all’improvviso le urla gli invasero le orecchie.
L’Impero stava invadendo la città, e per un istante pensò di stare sognando, ma poi si vide avanzare in una casa, aprire la porta e alzare il fucile, e il panico lo invase.
Cosa stava facendo?
«Nyx, non puoi fare più nulla!»
Preparò il fucile, puntò e sparò alla donna che stava cercando di scappare dalla porta sul retro.
Un insulto urlato da una voce che conosceva lo fece voltare, e incrociò i suoi stessi occhi che lo guardavano furiosi fuori dalla casa.
Vide sé stesso nel caos della sua città che bruciava, e solo in quel momento si rese conto di essere un soldato magitek, di aver appena ucciso sua madre e che si stava guardando.
«Lo sapevo. È colpa tua.»
L’esplosione che distrusse la casa lo spinse indietro, nel buio, e quando riaprì gli occhi c’era odore di sangue, e un tonfo lo spinse ad abbassare lo sguardo. Il corpo davanti a lui gli era così familiare, ma non provò nulla nel vedere il sangue allargarsi sul pavimento.
Ciò che lo scosse di più furono le figure dietro la barriera: Luna lo stava trattenendo, ma lui non si mosse. Lo guardò, rabbioso e ferito. «Sei un mostro.»
E all’improvviso non fu più né a Galahd, ne ad Insomnia, ma ad Altissia mentre la città veniva fatta a pezzi da Leviatano.
Aveva un pugnale in mano, ma non uno dei suoi fedeli kukri, una lama sottile e sconosciuta.
«Uccidila, Nyx. Lo sai che avresti dovuto farlo, che volevi farlo.»
Quella voce…Voltandosi, incontrò il sorriso beffardo di Ardyn e, davanti a lui, Lunafreya, immobile come se nemmeno fosse presente. «Io non…»
«Tu non mi hai ascoltato.» Lo interruppe Ardyn. «E ora la colpa di ciò che hai fatto ti sta schiacciando. Uccidila, Nyx. Lascia andare tutto il resto, ascoltami, per una volta.»
Non rispose, e sollevò lo sguardo sul viso della moglie, sentendo un tuffo al cuore quando lei incrociò i suoi occhi. «L’hai uccisa. Perché hai ucciso la mia bambina?»
Spostò lo sguardo da Ardyn a Luna, che ora era in ginocchio accanto al corpo di Crowe, e il sangue si allargava intorno a loro, e quando abbassò lo sguardo le sue stesse mani erano coperte di sangue, e Luna gli stava urlando addosso. «Perché? La mia bambina…»
Gli stava esplodendo la testa, e le urla di Leviatano dietro di lui non lo aiutavano.
«Uccidila, Nyx.»
«No!»
Continuò ad arretrare, cercando di sottrarsi ad Ardyn, a Luna e alla vista del corpo di sua figlia che si dissanguava, e alla fine gli mancò il terreno sotto i piedi, e cadde. Si aspettava di finire in acqua, eppure continuò a cadere, nel nulla più assoluto, e fu con una strana lucidità che si rese conto che non gli importava molto cosa stava succedendo, né cosa sarebbe successo. Avrebbe preferito continuare a cadere in eterno, se fosse servito a dimenticare tutto ciò che aveva fatto, e perso.
«Svegliati.»
Un lampo argentato, un soffio di vento sotto di lui.
Conosceva quella voce.
Era familiare, affettuosa e bentrovata.
«Aiutami a salvarti.»
Si accigliò, ricordando un altro momento, due immensi occhi celesti, e la stessa voce che gli chiedeva di aiutarla.
La luce lo invase all’improvviso, stordendolo, e quando spostò lo sguardo, vide che c’era qualcuno accanto a lui, qualcuno con lunghi capelli biondi.
Quando un paio di occhi color del cielo si posarono su di lui, e una scintilla dolce vi si accese dentro, Nyx sentì qualcosa contrarsi dolorosamente nel suo cuore.
«Luna…»
Era lì, era lei, presto gli avrebbe detto che aveva fatto qualche cavolata ed era finito in ospedale, e che il tempo non era passato, che erano ancora insieme, che andava tutto bene.
Si abbandonò sui cuscini con un sospiro di sollievo, ma c’era qualcosa che non andava.
Perché indossava quell’armatura viola?
«Non esattamente, mio cuore.»
 

 
Tornare ad Insomnia era stato come mettere piede in un inferno roboante di urla, spari e sangue.
Il corpo tra le sue braccia era inerte, e percepirlo così lontano era la cosa che la feriva di più.
«Sorella, che cosa intendi fare?» Shiva era ancora al suo fianco, una piccola, fredda presenza che però l’aiutava a rimanere concentrata su qualcosa che non fosse quella strana sensazione di perdita.
Abbassò lo sguardo sul suo viso, sul taglio alla gola che ormai era solo più un ricordo, e sulle altre ferite che stavano ancora guarendo.  «Devo salvarlo.»
«Sei sicura di essere abbastanza forte, ora?»
Quella domanda la fece sorridere; lontano o no che fosse, lui era lì con lei.
Niente poteva fermarli.
«Voi mi aiuterete.»
«Come?»
Per tutta risposta sollevò una mano verso la città, e sulla torre più alta del Palazzo comparve una luce improvvisa, che poi si allargò nel cielo, formando lentamente una Barriera argentata e viola che alla fine coprì ogni cosa, chiudendo il caos all’interno.
«Uccidete ogni soldato imperiale.»
 

 
Arrivare fino al Palazzo fu un susseguirsi di urla, soldati furbi in fuga, e soldati così stupidi da cercare di ucciderla. L’ultimo fu davanti alle porte, un giovane ignorante che iniziò a spararle.
Piegò un’ala, parando i proiettili, e abbassò lo sguardo sull’uomo tra le sue braccia: era ancora incosciente, e l’immenso vuoto che il suo crollo improvviso aveva creato nei loro cuori l’aveva costretta in una forma simile a quella umana, e non alle sue mastodontiche, arcane dimensioni abituali.
Non voleva uccidere il ragazzo, pensò, ma la stava infastidendo, e ritardando, così allungò di scatto le ali, e una delle lame che le componeva volò dritta nella fronte del suo assalitore, che si abbatté al suolo come un sasso. Sospirò, spostando il peso del corpo mentre saliva le scale.
Essere praticamente umana era una sensazione nuova, pensò, e limitante.
Da quel punto di vista, non eri tu ad avere il controllo del mondo, ma il mondo che controllava te.
Quando le porte del Palazzo si aprirono, si trovò la spada alata del re poggiata alla gola, e sorrise incrociando gli occhi di Cor; una volta le emozioni umane erano più strane di qualsiasi altra cosa, ma Nyx le aveva insegnato a comprendere la gioia, la curiosità, perfino l’amore.
Così si godette ogni attimo dell’incredulità dell’erede al trono mentre i suoi occhi saettavano dalle sue ali, al suo viso, al corpo che reggeva. «Entra, prima di tutto, non posso rischiare che gli imperiali approfittino del momento.» La incitò, scansandosi per farla passare, e per la prima volta vide l’immensità di quella costruzione come tutti gli altri.
«Ho bisogno di un posto sicuro dove far riposare tuo nonno.»
«Sissignora.» Cor la precedette, rinfoderando la spada, e la guidò lungo i corridoi del Palazzo, tra quadri, affreschi e decorazioni che in quel momento l’affascinarono.
Quando le aprì le porte di una camera da letto spartanamente elegante, ricordò le notti passate n silenzio nel cuore di Nyx, a cercare di capire cosa fosse quella sensazione che provava ogni volta che la donna bionda davanti a lui sorrideva.
Appoggiò delicatamente il corpo sul letto, e poi vi si sedette accanto.
Intrecciò le dita alle sue, e lasciò fluire l’energia che le restava nella sua mente: aveva un disperato bisogno del suo aiuto, ma l’avrebbe accettato?
Quando sentì una stretta al petto, si accigliò, ma poi comprese.
Aveva paura.
Dopo millenni di vita, aveva paura di perdere quel soldato arrogante e sarcastico dall’anima d’oro.
«Mia signora…Se posso chiedere…»
Sollevò lo sguardo su Cor, e annuì. «Puoi chiedere. Ma anche tua sorella deve sentire la risposta.»
«Io… va bene. »
Si congedò con un breve inchino, e Bahamut fu sola nella stanza silenziosa.
La mano stretta sulla sua si contrasse dolorosamente, e lei tornò a guardare il viso tormentato di Nyx, e ricordò com’era stato sereno, quel mattino di più di un secolo prima, seduto tra le macerie ad aspettare di morire. Aveva conosciuto dolore e perdita, e affetto, e lei gli aveva negato la pace che cercava.
«Dovevo salvare il Re della Luce. Avevo bisogno di te, mio cuore.»
Esitò un attimo, analizzando ciò che provava, e alla fine comprese.
«Ho ancora bisogno di te. »
«Sei andato fuori di testa?! Bahamut non può…»
Alzò gli occhi quando le porte si spalancarono, e una disordinata e insanguinata Aulea, completa di armatura e un’invidiabile coppia di spade, fece il suo ingresso, e là si fermò come pietrificata.
« Io…»
Bahamut sollevò la mano libera e la interruppe. «Sedetevi, per favore. Vi darò tutte le spiegazioni che meritate.»
Quando i gemelli furono seduti davanti a lei, raccontò.
Raccontò di come Nyx fosse scappato, tre anni prima, di come fosse stato tormentato dalle sue azioni, da chi era diventato, e di come ciò l’avesse trattenuto dal correre in aiuto della capitale allo scoppio della guerra. Spiegò della telefonata dell’Imperatore, ne raccontò le origini, ma quando giunse alla parte finale, esitò.
Perché faceva fatica a parlare?
Inspirò a fondo, e studiò i suoi interlocutori.
Erano spalla a spalla, le mani strette, in attesa di qualcosa che già si faceva strada nei loro cuori.
<«Mamma… Quando è stata rapita immaginavo che l’avrebbe usata contro di noi, ma non pensavo….» Aulea raddrizzò le spalle, mentre Cor abbassò lo sguardo, e lei comprese la sostanziale differenza tra loro due.
Fuoco, impetuoso, che brucia su tutto, e acqua che vi scorre attorno, accettandolo.
«Mi dispiace. Avrei voluto fare qualcosa, ma non ho potuto finché non è stato troppo tardi.»
Fu Cor a riprendere il discorso, spostandolo su un argomento in parte meno difficile da affrontare. «Nyx, il nonno…Cosa gli è successo?»
Bahamut incrociò gli occhi di Aulea, e vi lesse lo stesso desiderio di sangue che aveva animato Nyx solo qualche ora prima. Era una regina, e una guerriera e per lei, ancora una bambina.
 «Lui ha mantenuto la promessa che aveva fatto all’Imperatore, e l’ha ammazzato come un cane.» Sentire un’espressione così mondana dalla voce di una dea immortale fu abbastanza strano da strappare una breve risata ai gemelli.
«E poi? Il nonno non è uno da crollare così.»
«Hai ragione. Nyx ha aiutato me e i miei fratelli nella distruzione dell’Impero, animato solo da rabbia e dolore. È stato impulsivo, avventato e per niente prudente; quando era tutto finito, le ferite, e soprattutto il senso di colpa, l’hanno distrutto.»
Un attimo di silenzio, e Bahamut lasciò che ponderassero le sue parole. «S’incolpa della morte della mamma?»
«Esatto.  Nemmeno lui può sopportare troppo a lungo.»
« Beh gli conviene muoversi a svegliarsi. Fuori c’è l’Inferno.»
«Lo so, ma è colpa dei miei fratelli. Loro…come direste voi? Stanno facendo pulizia.»
Cor inarcò le sopracciglia. «Vuoi dire che là fuori ci sono gli altri Siderei?»
Bahamut sorrise lievemente, osservando i due gemelli increduli. «Già. Presto sarà tutto finito.»
«Wow. Cioè, volevo dire…Grazie.»
La dea si alzò, lasciando a malincuore la mano dell’uomo nel letto. «Devo ancora fare una cosa, e poi potrete ringraziarmi.»
 

 
«Tu cosa…cosa hai fatto?»
Mormorò Nyx, tirandosi a sedere sul letto.
«Ho guarito Regis dal veleno che gli era stato somministrato, e l’ho informato degli ultimi avvenimenti.»
«Gli ultimi… » Tornarono tutti insieme, mescolati ai sogni che l’avevano dilaniato in quel cupo stato d incoscienza nel quale non ricordava di essere finito, e fu peggio di un proiettile nella fronte.
Si portò una mano al petto mentre la fitta si espandeva a macchia d’olio, stritolandogli gli organi e mozzandogli il respiro. «La mia bambina… »
«Io più di chiunque altro posso capirti, mio cuore. Mi dispiace.»
Le parole di Bahamut sembrarono spingere la parte giusta di lui, e fu quella parte che strappò la lampada dal comodino e la lanciò contro la dea. «Che ne sai tu?!»
La lampada si schiantò contro il braccio coperto dall’armatura, e quando lei lo guardò di nuovo, con quegli occhi così familiari, e quel viso morbido, e quei capelli colore del sole, capì.
«Tu… l’Oracolo… »
Quando Bahamut annuì, e un’antica ombra tornò nel suo sguardo, Nyx si pentì del suo scatto d’ira.
«Il Primo Oracolo era mia figlia. E ogni principessa e regina di Tenebrae aveva parte del mio potere, e del mio sangue.»
Nyx si sforzò di alzarsi dal letto, combattendo contro il fatto che il suo corpo, quasi dissanguato ed esausto si rifiutava quasi d muoversi, e barcollò fino davanti alla dea che gli aveva cambiato la vita.
E ricordò quanto era stato strano, ed esaltante, scoprire che lei era lì, nel suo cuore, unita a lui.
«Mio cuore…»
Nyx scosse la testa, e fece ciò che avevano sempre fatto, comunicare in silenzio ciò che provavano l’uno per l’altra.
Quando un Regis zoppicante entrò nella stanza urlando accuse e interrompendo quella conversazione silenziosa, Nyx accusò il colpo sulla ferita ancora aperta, ma attese, che lui si rendesse conto di cosa stava facendo, e davanti a chi lo stava facendo.
Ma non ebbe il tempo di correggersi, perché Bahamut oltrepassò il letto e schiantò un preciso pugno ben armato sulla mascella del re.
E Nyx scoppiò a ridere quando lei si voltò con aria confusa. «Perché l’ho fatto?»
«Perché io morivo dalla voglia di farlo. Oh, e anche perché Regis è veramente insopportabile, perfino per una dea, a quanto pare.»
Fu bello, pensò, vedere le labbra di Bahamut piegarsi in un sorriso divertito, ma aveva una cosa da fare.
Tirò Regis in piedi, e lo zittì prima che potesse parlare.
«Il giorno che l’hai sposata hai giurato di proteggerla. Perché hai fallito?»
E nonostante il re fosse ormai un uomo anziano, che ne aveva viste di cotte e di crude, Nyx vide un lampo di timore nel suo sguardo: sapeva di non avere scampo, e quella sensazione di potere assoluto gli fece tornare alla mente un avvenimento recente.
Sentì le urla del vecchio, la sua lama che recideva la carne, il suono del sangue che colava a terra.
Aveva detto che l’avrebbe ammazzato come un cane, e l’aveva fatto.
Gli aveva squarciato le braccia seguendo la linea delle vene, e l’aveva lasciato a dissanguarsi dopo avergli spaccato la faccia a pugni. Quel ricordo lo fece rabbrividire di gioia: se la morte della figlia era colpa sua, almeno l’aveva vendicata alla grande.
«Rispondi, re. Perché hai fallito a proteggere mia figlia?»
Era una domanda senza risposta, e Regis si limitò a scuotere la testa con veemenza, pregandolo di non costringerlo a rispondere. E Nyx ignorò il fatto che era stato lui a rimuovere la barriera, e la magia, e strinse le mani intorno al collo del vecchio re, che cercò inutilmente di liberarsi.
Voleva che soffrisse, come lei aveva sofferto tra le sue braccia.
«Mio cuore, calmati.»
Non seppe mai perché si allontanò, ma vedere Regis che tossiva cercando di riprendere fiato mentre il suo viso era quasi viola fu una bella scena. Bahamut gli posò una mano sulla schiena, e lui sentì il loro potere condiviso riaccendersi. Quando si voltò, lei era sparita.
«Sei…sei un mostro fuori controllo.» Gli sputò contro Regis, a carponi sul pavimento.
«Forse. E tu sei un re senza trono.»
Mentre usciva dalla stanza premurandosi di tirargli una ginocchiata in piena faccia, Nyx sorrise.
Aveva la mente leggera, ora, come se fosse ubriaco.
Era stato probabilmente la causa della brutale morte di metà dei suoi conoscenti, eppure in quel momento si sentiva stranamente bene, il tipo di benessere indotto dalla febbre alta, che distorce il modo in cui vedi il mondo.
Quando lui gli comparve accanto, gli fece un cenno di saluto.
«Dove stai andando?»
Si strinse nelle spalle, continuando a camminare; Bahamut, nel suo cuore, si era arresa a ciò che lui le comunicava. Erano stanchi, entrambi, e volevano solo lasciarsi andare.
«Non lo so, veramente. Magari sto andando a prendermi il trono.»
Ardyn sorrise, sornione. «Ora parli la mia lingua.»

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Capitolo 40
*** Entrare nella sala del trono fu come una rivelazione. ***


 CAPITOLO 39
 
-Entrare nella sala del trono fu come una rivelazione.-
 
 
Ci aveva pensato seriamente, all’idea di prendersi il trono, e Bahamut gli aveva suggerito che si, sarebbe stata una buona idea, ma non gli avrebbe dato la pace che cercavano.
Non aveva potuto darle torto, perché l’idea di occuparsi in eterno di un branco di bambini non lo allettava molto, tantomeno rimanere per sempre dove si era svolto il periodo più felice della sua vita.
Entrare nella sala del trono fu come una rivelazione.
Aulea e Cor erano in piedi l’uno di fianco all’altro, di fronte al trono, e stavano gestendo la piccola folla di donne e bambini riuniti davanti a loro. Nyx ne osservò i lineamenti, sentendo l’amarezza della perdita, ma li lasciò fare, e si appoggiò al muro accanto alle porte a braccia incrociate.
«Bahamut, l’Impero…»
«Tra una decina di anni il mondo ne avrà dimenticato per sempre l’esistenza.»
«Bene. Non che la cosa mi dispiaccia, ma cosa ci facevi fisicamente qui, prima?»
«Sei stato tu a chiamarmi. La tua…reazione è stata abbastanza forte da superare gli inibitori, e permettermi di presentarmi fisicamente al tuo fianco. E questo ha attirato anche i miei fratelli.»
«Potresti rifarlo?»
«Forse. Non lo so, non sono mai stata legata ad un umano.»
Nyx sorrise a quella risposta indecisa, e poi notò chi c’era accanto alla nipote.
Clarus aveva raggiunto Aulea, e solo in quel momento l’uomo si rese conto che entrambi avevano una fede d’oro rosso al dito, e la cosa lo sorprese. Quando si erano sposati?
«Credo che sia ora di sgombrare la stanza.» Decise, e si staccò dal muro mentre Cor si accorgeva della sua presenza. Fece un cenno alla sorella, ed entrambi gli sorrisero; Nyx scostò le persone che uscivano e ignorò le loro occhiate stupefatte, e quando furono soli, il generale allargò le braccia.
Nonostante fossero ormai adulti, entrambi si avvicinarono a lui e lo abbracciarono, e lui si rese conto che avevano perso la madre, e che dovevano soffrire tanto quanto lui.
Mentre li abbracciava entrambi sentì quanto erano fragili, e cercò di non pensare al momento in cui avrebbe perso anche loro. «Mi dispiace. Io…avrei voluto salvarla.»
«Lo sappiamo.» Fu Cor a rispondergli mentre si allontanavano. «E sappiamo che non è colpa tua.»
Quell’assoluzione non voluta sciolse qualcosa nel suo cuore, e lui si lasciò andare ad un sorriso.
I gemelli sembravano stranamente tranquilli e composti, e lui immaginò che avessero condiviso il loro dolore in privato, come ci aspettava da qualcuno di sangue reale.
«Grazie. Avresti potuto invitarmi, comunque.» Provocò Aulea, e lei rise mentre Clarus le si avvicinava e le avvolgeva i fianchi con un braccio. «Non è stata una cerimonia formale.»
«No, decisamente no. Li ho sposati io.» Sorrise Cor, e la cosa fece incuriosire Nyx, ma non ebbe nemmeno il tempo di chiedere, perché Aulea continuò a raccontare.
«Eravamo all’inizio della guerra, stavamo cercando di respingere i soldati, e lui mi ha chiesto di sposarlo.» Si strinse nelle spalle, e Nyx rise a quella storia.
«Io ho fatto una cosa simile con vostra nonna.» Confessò, e Clarus annuì. «Lo sappiamo.»
«Come?»
I tre si scambiarono uno sguardo divertito, e la cosa incuriosì Nyx. «Sputate il rospo, forza.»
«Beh…sai che Ignis nell’ultimo periodo passava gran parte del suo tempo in biblioteca?»
Sentir nominare l’uomo con un occhio solo fu come inghiottire un boccone dolce amaro, e Nyx si limitò ad annuire. Ricordava come, dopo la morte del re, la presenza di Ignis era come quella di un fantasma, e il vecchio cuoco appariva raramente.
«Lo faceva perché stava scrivendo…questo.»
Aulea gli passò lo spesso libro che fino a poco prima era rimasto accanto al trono, e Nyx ne sfiorò la copertina di velluto blu quasi con deferenza, leggendo il titolo.
Al mio fianco, di Ignis Scientia.
Quando lo aprì, lo accolse un disegno realizzato superbamente, e lui sorrise nel guardarlo.
Erano tutti lì, tutti coloro che avevano attraversato la corrente della sua vita, e lo stavano guardando con aria serena, immortalati per sempre su quelle pagine. «Nonno, vogliamo che lo abbia tu.»
Nyx richiuse il volume e sorrise al trio che lo stava guardando. «Ve la caverete bene.»
«Stai bene?»
«Si.» Sorrise al nipote, e poi seppe che la sua decisione era giusta, e che la sua casa era al sicuro.
«Ragazzi, ricordate questo momento. Vostro padre è un emerito idiota, e non si merita il trono, perciò toglietelo, e governate. E so che governerete bene, e io ci sarò, per voi, se volete.»
«Tu non vuoi restare qui?»
Nyx scosse la testa e fece un sorriso amaro. «Non posso stare qui. È stata la mia casa per tanto tempo, ma ormai non lo è più. Ma avete un telefono, quindi usatelo se vi servo.»
«D’accordo.»
Fece un passo indietro, piantandosi nella mente quell’immagine; Cor e Aulea con le mani intrecciate, e Clarus con un braccio intorno alla vita della moglie, ed era una scena così forte, e serena, che guarì qualcosa, e lui capì, capì che sarebbe andato tutto bene.
Sistemò il pesante volume sotto il braccio, s’inchinò – strappando una risata ai principi – e se ne andò dalla sala del trono, sapendo benissimo dove voleva andare.
Camminò lungo i corridoi che conosceva a memoria, e alla fine giunse al grande cimitero del Palazzo. Era l’ultima tappa della sua permanenza ad Insomnia, ma la più importante.
Comparve per prima, e lui le sorrise. «Hey Nyx.»
«Crowe.»
Posò il libro che conteneva la sua vita su una panchina, e avanzò tra le lapidi.
Molti nomi gli erano sconosciuti ma, più avanzava, più le pietre tombali erano recenti.
Gladio, Prompto, Ignis, erano tutti tornati a casa, alla fine.
Perché non poteva tornare indietro, a quando li aveva appena conosciuti?
Sentì il cuore accellerare i battiti mentre camminava, e seppe perché: davanti a lui c’era una lapide sulla quale crescevano fiori blu, e vicino, una tomba appena fatta. «Chi…»
«Ho chiesto a Shiva di occuparsene. Non potevo lasciarla là.»
«Grazie.» Sorrise, e seppe che Bahamut comprendeva quanto ci fosse in realtà dietro quella semplice parola. Inspirò a fondo, e seppe anche di dover fare una cosa per una persona particolare prima di andarsene.
Dopo aver strappato delicatamente uno dei fiori e averlo posato in un punto vuoto del cimitero, concentrò una piccola quantità di magia nella mano e incise un nome nella terra, e quando lui comparve seppe che non era la solita allucinazione, perché non era come l’aveva conosciuto, ma com’era stato, era il re senza corona.
«Ardyn Lucis Caelum. Vorrei che più persone mi ricordassero così.»
Nyx sollevò lo sguardo su di lui con un breve sorriso. «Pensavo che avresti voluto tornare a casa.»
«Vero.»
Non aveva nulla del Cancelliere Imperiale; era un uomo buono, e triste.
Lo spettro di Ardyn rimase un attimo in silenzio, e Nyx fece altrettanto, riflettendo su quel legame che non li aveva mai uniti e che li aveva resi inseparabili, ma alla fine fu lui a parlare.
«Grazie.»
«Grazie a te. Sono contento che tu abbia trovato la pace che cercavi.»
L’antico re sorrise di nuovo, e poi spostò lo sguardo, spingendo Nyx a seguire la direzione nella quale stava guardando. Quando lo fece, gli si mozzò il respiro, e gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo: erano tutti lì, intorno a lui, erano come il giorno che li aveva conosciuti, senza i segni del dolore e del tempo, e tutti gli stavano sorridendo.
Quando lei comparve, lui scivolò in ginocchio, sopraffatto.
Era la stessa controllata, regale e magnifica principessa che gli si era avvicinata quella sera.
«Ciao, Nyx.»
«Luna…» Non riuscì a trattenersi, e allungò una mano verso di lei.
Lo spettro gli si avvicinò, e quando le loro dita s’intrecciarono, Nyx desiderò di poter morire, di poter essere con lei, in pace. Era fredda, ma sentiva la sua presenza come se fosse reale. «Non l’ho salvata…Tu credevi in me, e io non l’ho salvata. Perdonami.»
«Non hai nulla da farti perdonare, amore mio. Lei è qui, sta bene.»
«Cosa?»
Gli bastò spostare appena lo sguardo, e il fantasma di Crowe, della sua Crowe, fece la sua apparizione accanto alla madre, ed era la Crowe dai capelli di platino e gli occhi brillanti, e gli sorrise dolcemente. «Papà, grazie di essere venuto da me. Io…sono stata contenta di averti potuto rivedere un’ultima volta.»
Non riuscì a parlare, e non ci provò nemmeno.
Cosa sarebbe successo se fosse rimasto lì per sempre, una statua alla memoria nel cimitero reale?
«Non puoi, Nyx. Il mondo ha bisogno di uno come te.»
La voce allegra di Prompto lo fece voltare, e il ragazzo gli sorrise.
«Prompto ha ragione. Eos aveva bisogno di te in passato, e ne avrà ancora bisogno.» Ignis si sistemò gli occhiali, e Nyx sorrise a quel gesto così familiare, ma poi si rese conto che quelli che vedeva ora non erano i soliti fantasmi, erano persone che non aveva mai visto e, anche se la cosa non gli dispiaceva poi così tanto, fece la domanda che gli fiorì nella mente.
«Voi…perché siete qui?»
«Siamo venuti a salutarti.» Fu Gladio ad informarlo, e subito dopo una voce che Nyx conosceva perfettamente s’intromise nel discorso.
«Coloro che muoiono in modo pacifico di solito non possono presentarsi in questo mondo.» Spiegò Regis, affiancandosi al figlio. «Coloro che muoiono di morte violenta, invece, lasciano un segno in questo mondo, ma questo è un caso particolare.»
«Siamo qui perché tu ci ricordi, Ulric.» La voce di Aranea era tagliente come al solito, e Nyx notò – con una fitta al cuore – che c’era Ravus al suo fianco. Non aveva funzionato tra di loro in vita, ma la morte sembrava averli ricongiunti.
«Papà, devi lasciarci andare. Lasciaci riposare in pace.»
Quando si voltò a guardare nuovamente la figlia, gli sembrò che il mondo gli crollasse addosso di nuovo. «Non posso. Non posso vivere per sempre senza di voi.»
«Devi, mio amore. Ricorda cosa ti dissi la notte che ci siamo conosciuti: tutti vogliono un futuro per coloro che amano.»
Accusò il colpo in silenzio, senza sapere come fare a sciogliere quel nodo che gli stritolava la gola.
Fu un’altra voce a venire in suo soccorso, e gli occhi blu di Noctis incrociarono i suoi.
«Ricordaci, Nyx. Ricordaci quando il resto del mondo ci avrà dimenticato, e sorridi. Sii fiero di ciò che è stato, non rimpiangere ciò che hai perso.»
«…Sei più saggio ora.»
Il fantasma sorrise, e si strinse nelle spalle. «Noi ti vogliamo bene, Nyx, e senza di te la nostra vita sarebbe stata molto diversa, perciò ora vogliamo che tu viva la tua vita liberamente.»
«Noctis ha ragione, anche se non avrei mai pensato di dirlo.» Intervenne lo spirito di Ardyn, e Nyx sospirò, rassegnandosi a ciò che doveva fare.
«Non sarai mai davvero solo, mio cuore.» Sorrise alla consolazione di Bahamut, e chiuse gli occhi.
Li lasciò andare uno per uno, e li sentì svanire senza vederli.
Ricordò le lotte amichevoli con Gladio, che cercava di vincere senza mai riuscirci.
Ricordò Ignis e i suoi commenti sempre puntuali e giusti.
Ricordò i sorrisi di Prompto, e la sua abilità nel rimanere ottimista davanti al buio.
Ricordò Noctis con il viso pieno di lividi che lo ringraziava per aver vendicato il padre.
E ricordò i suoi alterchi con Ravus, la sua sintonia con Aranea.
Come aveva ucciso Drautos a sangue freddo, e tutto ciò che di buono Drautos gli aveva lasciato.
Ricordò la triste saggezza di Regis, e il suo coraggio.
Ricordò perfino Ardyn, e il modo in cui aveva sorriso quando aveva capito di essere salvo.
Ricordò il giorno in cui aveva sua figlia l’aveva guardato per la prima volta.
Riaprì gli occhi, e seppe chi era rimasto.
La sentì avvicinarsi, e vide le sue braccia stringersi intorno a lui.
Posò le mani sulle sue, e ricordò Lunafreya avanzare verso di lui in abito da sposa.
Quando si voltò, il cimitero era vuoto.
E Nyx Ulric pianse per l’ultima volta.

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Capitolo 41
*** Era come se qualcosa lo chiamasse, e lui sapeva perfettamente cos’era. ***


CAPITOLO 40
 
 Era come se qualcosa lo chiamasse, e lui sapeva perfettamente cos’era.
 
Meno di un anno dopo quel momento, Aulea stava cullando il suo primo figlio, e non riusciva a stare ferma nella stanza. «L’hai chiamato?»
Cor le sorrise, seduto a gambe accavallate sul trono. «Si, rilassati. Dagli un po’ di tempo.»
La regina ricambiò il sorriso del fratello, continuando la sua marcia davanti al trono.
Nonostante lei fosse stata la prima a sposarsi, lei e Cor regnavano insieme, perciò non importava chi di loro due occupasse il seggio di pietra. «Non volevo disturbarlo, ma…»
«Volevi che conoscesse il suo pronipote. È comprensibile.»
Cor appoggiò la guancia alla mano, osservando l’ampia sala, e i capelli arancione della sorella muoversi nel vento che entrava dalla finestra. La telefonata che aveva fatto la sera prima gli rimbombava nelle orecchie.
«Aulea ci tiene molto.»
«Davvero?»
«Si, vieni per favore.»
Un attimo di silenzio, come se lui stesse parlando con qualcuno.
«D’accordo.»
«Cor! Hai visto?»
La voce imperiosa della gemella strappò l’uomo dai suoi pensieri, e lui si voltò ad osservare i riflessi sul pavimento: venivano dalla Barriera che ancora circondava la città, e spandevano punti colorati sul marmo. «Cosa?»
Aulea esitò un attimo, poi si strinse nelle spalle. «Io pensavo di aver visto un’ombra nel cielo, credevo…»
Fu come un sussurro a malapena udibile, e Cor si voltò verso l’unico angolo buio della grande sala del trono. Era come se qualcosa lo chiamasse, e lui sapeva perfettamente cos’era. «Perché non la smetti di fare il teatrale e vieni fuori da lì?»
Aulea si voltò di scatto verso l’angolo, mentre lui usciva, e i tre rimasero un attimo in silenzio a guardarsi. Quando era andato via un anno prima, aveva un aria stanca, quasi rassegnata, ma ora sembrava più rilassato, e il sorriso che fece loro fu familiare e affettuoso.
«Ciao ragazzi.»
«Nonno!» Aulea si mosse velocemente verso di lui mentre il fratello lasciava il trono, e strinse l’uomo con un braccio solo, sentendo la pelle ruvida di cicatrici sulle braccia scoperte.
Attese che anche il gemello l’avesse salutato, e poi abbassò lo sguardo sul pargolo tra le sue braccia.
«Come si chiama?» Le chiese, e lei scambiò uno sguardo veloce con il fratello.
Avevano scelto quel nome insieme, e Clarus era stato d’accordo, e ora lui era là, in carne, ossa e magia, e lei fu orgogliosa di pronunciare quel nome che aveva segnato la sua infanzia, e tutta la sua vita.
«Nyx.»
 

 
Spostò lo sguardo sul letto accanto al suo, e il perfetto specchio dei suoi occhi le restituì il gesto.
Cercò di sorridergli, ma era vecchia, e stanca, e sapeva che anche lui sentiva le stesse cose.
Erano passati quarant’anni dalla nascita del suo primo figlio, e trenta dalla nascita di Ardyn, il suo secondo figlio, e venti dalla nascita dell’unica figlia di Cor, Karma, e lei non aveva rimpianti.
Era stata felice, e arrabbiata, e disperata, ma soprattutto, non era mai stata sola.
«Aulea…» La voce roca del suo gemello dall’altro letto la raggiunse, strappandola dai suoi pensieri.
«Si?»
«Credi…credi che verrà?»
Chiuse gli occhi per un attimo, sospirando. «Non lo so.» Rispose, sinceramente, sentendo una fitta al cuore. «Vorrei vederlo un’ultima volta.»
«Già…» Mormorò Cor. «Sarebbe bello.»
Rimasero in silenzio un attimo, ma a lei sembrava di sentire i loro cuori battere all’unisono.
E poi accadde, improvviso come un fulmine durante un temporale, e lei sorrise.
«Aulea, guarda.»
Si voltarono insieme verso la finestra, e videro che, dove prima c’era la pioggia, un improvviso sole estivo scintillava nel cielo. Era diventata estate in mezzo all’autunno, e lei non riuscì a trattenersi, e si mise a ridere, e a piangere allo stesso tempo.
«Ricordi? Eravamo bambini, e c’era il temporale fuori…»
«E lui ha fatto diventare la pioggia sole, perché non avessimo paura.»
Si guardarono, e non ebbero bisogno di parlarsi, com’era stato per tutta la vita, per tutto il regno che avevano condiviso. Si alzarono, sorreggendosi l’uno all’altro, e insieme aprirono la grande finestra della camera da letto.
Il profumo dei dolci fiori di Tenebrae li invase, e il sole scaldò le loro pelli fredde.
Fu Cor ad allontanarsi un attimo, e tornare trascinando due sedie sulle quali si sedettero, godendosi quel bagno di calore improvviso. Sentì Aulea posare la testa sulla sua spalla, e sorrise piano.
Sua sorella era quasi cieca, ormai, ma lui lo vide per primo.
«Sorellina…guarda là.» Le indicò un punto fuori dalla finestra, e lei si sforzò di mettere a fuoco.
C’era una figura, ferma in piedi su uno dei palazzi della città.
«Dici che è…»
All’improvviso, grandi ali metalliche si aprirono nell’aria, strappando riflessi al sole, e i gemelli sorrisero, le dita intrecciate e i cuori in pace.
«È lui.»
«Sono contenta che sia venuto.»
Sollevarono una mano verso la figura alata, e un istante dopo il loro gesto venne ricambiato.
«Anch’io.»
Aulea posò nuovamente la testa sulla spalla del fratello, e chiuse gli occhi.
Cor, dal canto suo, osservò la figura in attesa, e lo ringraziò in silenzio, anche se non poteva sentirlo, lo ringraziò di essere tornato nonostante tutto.
Quando Nyx Amicitia entrò nella stanza, l’unica cosa che trovò furono sorrisi sereni sui volti sempre più pallidi dei due anziani seduti davanti alla finestra.
E della figura alata non rimase alcuna traccia.
 

 
«Papà! Chi è quell’uomo?»
Domandò il bambino, puntando il dito verso l’ampio soffitto e tirando la manica del padre.
L’attuale re di Lucis seguì il suo sguardo, osservando l’affresco che adornava la volta della sala del trono, e alla fine si fermò sul Re della Luce e l’uomo al suo fianco.
Aveva il viso sfigurato da cicatrici di ustioni e dal dolore, eppure il suo sguardo sembrava stranamente tranquillo.
Suo figlio gli tirò nuovamente la manica. «Allora?»
«Io…»
Il dovere di rispondere gli fu risparmiato dall’arrivo del maestro del bambino, al quale lo affidò volentieri. Quando stavano per uscire, però, il re cedette.
«Ignis, puoi dirmi una cosa?»
«Certo, Altezza. Di cosa ha bisogno?»
Il sovrano indicò l’uomo dipinto. «Sai dirmi che fosse?»
Il maestro esitò un istante, e poi si strinse nelle spalle. «Mi dispiace maestà, ma molti di noi hanno cercato di determinarne l’identità, o il ruolo nell’Antica Profezia, ma non viene menzionato in nessun testo, solo in leggende tramandate oralmente…»
«Tipo?»
L’uomo si sistemò gli occhiali e si schiarì la voce. «Altezza, sono solo favole…»
«L’affresco nella sala del trono non è una favola. Parla.»
«D’accordo. Alcuni narrano che il Re della Luce, oltre al suo seguito conosciuto, avesse incontrato un uomo, un guerriero il cui nome nessuno ricorda.»
«Come lo identificano, allora?»
Ignis si strinse nuovamente nelle spalle. «Solamente come l’uomo dagli occhi d’argento, Altezza.»

 

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Capitolo 42
*** . E là, in mezzo al deserto di fuoco che un tempo era Gralea, aveva alzato lo sguardo al sole improvviso. ***


CAPITOLO 41
 
 
455 anni dopo la sua ultima visita ad Insomnia, essere solo una leggenda gli permetteva di andarsene in giro senza essere disturbato. Una parte di lui era vagamente dispiaciuta di non avere più un ruolo nella salvezza del regno, all’altra piaceva poter entrare in un ristorante e guadagnarsi occhiate stupite solo per essere un uomo dalla faccia mezza coperta di cicatrici.
«Ti basta come prova?» Domandò al padrone della stazione di servizio alzando la zampa mozzata di behemot. Il suo gesto provocò un conato di vomito a malapena trattenuto al suo mandante, una cascata di sangue nero sul pavimento e una borsa di soldi nella sua mano.
«Certo che basta, ora porta quella cosa fuori di qui.» Gli intimò, e lui fu felice di obbedire.
Gettò la grande zampa nel cassonetto del parcheggio, ritirò i soldi e distese le braccia nel sole.
«Cosa intendi fare ora, mio cuore?»
La domanda lo fece stringere nelle spalle. «Credo che potremmo andare ad Altissia, a quanto pare hanno problemi con un paio di creature non meglio identificate.»
«Si può fare.»
«Immaginavo saresti stata d’accordo.» Sorrise Nyx, facendo divertire la dea, e poi riprese a camminare.
Alla sua ultima visita alla capitale aveva silenziosamente rubato la Regalia, ma anche la fedele macchina della famiglia reale non era rimasta con lui.
«Perfino il metallo muore.» Aveva commentato mentre guardava l’ultima traccia in assoluto di ciò che aveva passato bruciare.
Da allora aveva avuto auto, furgoni, camion, e ora era il turno di una lucida moto nera che lo attendeva paziente accanto alla strada. «Ehi, hai idea del perché, dopo tutto questo tempo, esistono creature tipo i deamon?» Domandò a Bahamut, e lei fu lesta a rispondergli.
«Non sono deamon. Sono creature che esistevano prima dei deamon, fanno parte dell’equilibrio naturale della vita. Luce e buio.»
Mise in moto il veicolo, e s’infilò nella strada semi deserta. «Tutto chiaro.»
Sentì la dea ridere alla sua risposa sarcastica, e sorrise mentre il vento gli scompigliava i capelli e gli accarezzava le braccia scoperte. Era estate, e il caldo torrido spingeva gran parte delle persone in località più fresche, tipo Galdin e addirittura Altissia, e ciò svuotava abbondantemente le strade.
Nyx aveva momentaneamente abbandonato la sua casa sulla spiaggia a Galdin per sfuggire alle folle che riempivano la piccola località, ma già iniziava a sentirne la mancanza.
«Prima o poi dovremmo tornare ad Insomnia, e assicurarci che il Cristallo sia al sicuro.»
«Vero. E assicurarci che questo re sia più normale del suo predecessore.»
Nyx sorrise a quell’appunto.
In tutti quegli anni, lui e Bahamut si erano tenuti ai margini della famiglia reale, intervenendo di quando in quando per modificare gli equilibri e raddrizzare scelte sbagliate.
Avevano evitato lo scoppio di una guerra civile tra eredi, avevano discretamente riferito notizie utili e, più recentemente, Nyx si era introdotto nel Palazzo per causare un accidentale infarto fatale al despota che stava rovinando la città.
«Pensavo ci avessi rinunciato ormai, Insomnia e Lucis non saranno mai in pace perfetta.» Le fece notare, e le sembrò quasi di vederla sorridere. «Fatti vedere, nessuno ti noterà qui.» La invitò, e poi sentì quello strano click al cuore che preannunciava la sua comparsa.
Era ricomparsa fisicamente davanti a lui per la prima volta 3 secoli prima, in un momento che Nyx non ricordava con piacere.
Il peso del tempo, e della perdita l’aveva chiuso in una morsa buia, e lui aveva perso ogni voglia di andare avanti. E là, in mezzo al deserto di fuoco che un tempo era Gralea, aveva alzato lo sguardo al sole improvviso, e lei era lì, poco più bassa di lui, con le ali spalancate e un sorriso sul volto.
Non avevano parlato, ed erano rimasti a guardarsi.
Poi, lei gli aveva teso una mano, e lui aveva deciso.
Quando l’aveva afferrata, l’eternità aveva iniziato a girare nel modo giusto.
Sollevò lo sguardo nel cielo estivo, e lei era là, sopra di lui. La vide abbassare lo sguardo verso di lui, e le fece un cenno di saluto; nonostante fossero sempre insieme, averla accanto fisicamente era una cosa che gli faceva piacere, perché non era mai stato un tipo solitario.
«Hai deciso la nostra direzione?» Gli chiese, e lui sentì la sua voce come se fosse ancora nel suo cuore. Mentre attraversavano il ponte la vide abbassarsi di quota, nascondendosi sotto la grande costruzione per evitare gli sguardi indiscreti dei pochi avventurieri. «Credo di sì. Torniamo a casa, Altissia può aspettare.»
«Mi piace come decisione.»
Nyx sorrise, notando quanto lei fosse diventata umana. «Sono contento.»
 

 
La casa che si era costruito sulla collina vicino al Porto di Galdin era piccola, accogliente e, all’esterno, il più anonima possibile. Quando vi rientrò gli sembrò di entrare in un ricordo.
Dopo quasi cinque secoli, della sua vita rimaneva una dolce malinconia, che lui accoglieva come una vecchia amica ogni volta che la percepiva.
Era stato un rifugiato, un soldato, un Generale, un amico, un marito, un padre e un nonno, e tutto ciò era in ogni angolo della casa, dove abitava il mercenario solitario che tutti conoscevano.
Nyx spalancò le finestre delle stanze man mano che avanzava nell’abitazione, lasciando che fosse inondata dalla fresca aria serale che veniva dal mare, poi si rassegnò al caldo afoso e uscì sulla terrazza. Estrasse i kukri, si abbandonò sulla poltrona all’esterno e, mentre l’immensità blu davanti a lui s’illuminava del rosso del sole morente, si dedicò alla cura quotidiana dei suoi compagni.
Ripulì con cura entrambe le lame, e poi le affilò con calma, percorrendone il filo più volte.
Erano le uniche cose alle quali impediva di rovinarsi.
«Sei tornato.»
Era così preso dalla sua attività che non aveva notato la coppia avvicinarsi alla casa.
Lei aveva una disordinata matassa di capelli color nocciola ad incorniciare gli occhi blu, e lui aveva i capelli neri e un particolare paio di occhi bicolore, verde e grigio, ed entrambi gli sorridevano.
«Da poco.» Ammise. «Non vi avevo notati.»
Ricambiò il sorriso; Gloria e suo marito, Caesar, erano i cuochi proprietari del ristorante sul mare, nonché gli unici che Nyx considerava amici negli ultimi anni. «L’avevamo immaginato. Hai fame? Se fai un salto da noi ti prepariamo qualcosa.»
«Credo che accetterò volentieri la vostra proposta.» Ammise Nyx senza mezzi termini mentre si alzava. Di norma, avrebbe declinato l’offerta sostenendo di non voler disturbare, ma dopo aver vissuto così a lungo, semplicemente diceva le cose come stavano. «Arrivo subito.»
Rientrò solamente per posare i pugnali nel loro stand e infilarsi una maglia pulita, e poi si diresse verso l’ormai illuminato ristorante sul mare.
Galdin era il posto perfetto, pensò mentre osservava i piccoli pesci luminescenti nell’acqua sotto il ponte: era piccolo, per la maggior parte non molto affollato, e nessuno di coloro che arrivava soggiornava abbastanza a lungo per chiedersi chi fosse l’uomo nella casa sulla collina.
«Nyx. Vieni.» Ceaser lo accolse all’entrata, e Nyx non poté evitare di notare l’occhiata che lanciò ai foderi vuoti dei pugnali.
«Ci sono problemi?» Gli domandò sottovoce, camminando tra i tavoli con calma apparente, e l’uomo annuì continuando a sorridere. Quando lo ebbe fatto sedere al banco intorno alla cucina, gli fece un cenno alle spalle. «Per ora non hanno creato particolari problemi, ma continuano ad importunare i clienti, a fare domande.»
«Su cosa?»
Gloria scosse la spalle senza sollevare lo sguardo dai fornelli. «Sulla Profezia della Luce, e sui giorni di buio.»
Quella semplice menzione ebbe il potere di fargli tendere le spalle.
«Hanno detto da dove vengono?»
«No, ma è abbastanza ovvio.»
Nyx li osservò con la coda dell’occhio, e comprese il perché di quella risposta quando intravide lo stemma di Insomnia sulle loro camicie. Perché erano lì?
«Aspettiamo, per il momento. Se creano qualche problema ci penso io.»
«Perfetto. Grazie Nyx.» Gloria gli fece scivolare due piatti sotto il viso. «Sei un amico, e questo lo offre la casa.»
Successe quando stava finendo il perfetto filetto fritto.
Sentì un movimento improvviso alle sue spalle, e fece finta d’ignorarlo, sperando che il quartetto avrebbe rinunciato alla ricerca, ma non era mai stato particolarmente fortunato.
Li sentì sussurrare, e ancora continuò a mangiare.
Aveva appena posato la forchetta quando il suono perforò la pace del ristorante, zittendo i clienti.
Nyx reagì d’istinto, e il proiettile si disintegrò sulle ali che si erano spalancate a difendere anche coloro che gli stavano davanti. Mentre il silenzio diventava ancora più grave, Nyx ripiegò le ali sulla schiena, si alzò e si voltò verso gli inviati della capitale.
«O sei molto coraggioso, o molto stupido, e io sceglierei la seconda.» Sogghignò, godendosi le loro espressioni terrificate. «Quella la togliamo di torno, tanto per iniziare.» Allungò di scatto una mano, e la scarica elettrica si schiantò precisa sulla pistola che gli era ancora puntata contro, e la disintegrò in polvere.
E mentre l’intero ristorante rimaneva sospeso nel limbo della decisione della fuga o meno, i quattro soldati di Insomnia piegarono un ginocchio a terra e abbassarono il viso.
Nyx inarcò un sopracciglio, incuriosito.
«Sei tu…Sei davvero tu.» Mormorò colui che gli aveva sparato, e Nyx comprese che la sua visita ad Insomnia era stata anticipata quando terminò la frase. «Sua Maestà desidera parlarti.»
«Sua Maestà avrebbe dovuto mandare qualcuno di più furbo a chiamarmi.» Lo freddò Nyx, lasciando svanire le ali mentre usciva dal ristorante sotto gli sguardi esterrefatti dei presenti.
«Uomo dagli occhi d’argento! Ti prego, ascoltaci!»
Alzò gli occhi al cielo e attese che il quartetto lo raggiungesse.
«Possiamo…parlare in un posto più discreto?» Domandò quello che doveva essere il loro leader, ma Nyx scosse la testa. «Non so chi siate, non so se quelle uniformi sono vere e non so cosa volete. Ma so che, se provate a fare scherzi, non tornerete da qualsiasi posto veniate.»
Il più giovane di loro si schiarì la voce, e si fece avanti.
Solo in quel momento Nyx notò che i suoi occhi sembravano troppo vecchi per quel viso sbarbato, che il colore grigio del suo sguardo contrastava con il biondo dei capelli. C’era qualcosa di familiare nei suoi occhi, e piegò le labbra in un sorriso beffardo quando comprese chi era.
«Il principe, immagino.»
«Esatto. Se mi riconosci sai che siamo chi diciamo di essere, quindi, ti prego, ascoltami.»
Con un sospiro, Nyx gli fece cenno di parlare, chiedendosi perché, nonostante tutti gli anni passati, avesse ancora un debole per la famiglia reale.
«Perché hai promesso che avresti protetto ciò per cui lei ha lottato.» Gli ricordò Bahamut, e le sue parole gli fecero involontariamente portare una mano alla collana d’argento.
Solo in quel momento si rese conto che i quattro davanti a lui lo stavano fissando. «Verrai?»
Nyx inarcò un sopracciglio, e fu spietatamente sincero, com’era di solito. «Nessuna offesa, ma non ho ascoltato una parola di quello che hai detto. Tuttavia…»
«Ma….»
«Tuttavia verremo.» Concluse, poi voltò le spalle a quell’improvvisata delegazione.
Stava per andarsene e lasciarli lì quando gli tornò in mente un particolare.
Si voltò nuovamente e incrociò gli occhi totalmente neri dell’uomo che gli aveva sparato.
«Sparami ancora, e ti conviene sperare che io sia morto.»
 

 
Rientrare ad Insomnia fu come tornare dopo una lunghissima vacanza.
La sottile Barriera scintillante di Bahamut era ancora lì, le mura della città erano uguali, perfino le vie erano le stesse.
Ciò che davvero non si aspettava era che là, al centro della grande potenza che controllava Lucis, la gente ricordava ancora la dea dalle ali di metallo, e l’uomo che ne custodiva il cuore.
Rallentò la moto sulla strada, incrociando gli sguardi stupiti e ammirati di bambini, uomini e donne.
Quando iniziarono ad inneggiare all’uomo dagli occhi d’argento, Nyx affiancò l’auto del principe.
«Non sei molto benvoluto qui, vero?» Lo provocò con un sorriso divertito, ma il ragazzo si strinse nelle spalle. «Di solito si, ma qui tutti raccontano storie su cos’hai fatto per Insomnia. E sinceramente, è bello passare in secondo piano per una volta.»
Nyx incassò il colpo in silenzio, mentre la grande onda temporale dei ricordi lo investiva.
Dopo tutti quegli anni la maggior parte erano ormai immagini sfocate investite di emozioni vivide, ma quando la strada si allargò nella piazza, ricordò perfettamente il sole che sorgeva, e la pace che aveva provato svanire mentre si rendeva conto di essere ancora vivo.
«Beh, ci vediamo a Palazzo, principe.» Sorrise prima di accelerare all’improvviso, e ben presto svanì tra i vicoli e le strade che avevano ospitato la sua vita. Il bar dove lui, Crowe e Libertus passavano le sere, la vecchia casa del suo migliore amico, ogni casa, finestra e locale sembrava bloccato nel tempo con lui, sempre in cambiamento e sempre uguale.
Frenò con una derapata volontariamente teatrale davanti alle grandi scale che portavano all’entrata del palazzo.
Ecco il posto dove, soffocando nel suo stesso sangue, aveva chiesto a Luna di sposarlo.
Quando alzò lo sguardo, gli venne da ridere nel vedere i sei soldati davanti al portone puntargli i fucili contro. Scese dalla moto, sollevò le mani e sogghignò. «Vorrei quasi vedere se avete il coraggio di provarci.»
Sentì la scossa del potere della dea, e quando loro videro i suoi occhi tingersi d’argento abbassarono le armi e, senza dire una parola, aprirono i portoni, permettendogli l’accesso al Palazzo reale.
Nyx superò le scale due alla volta e fece un cenno di saluto alle guardie mentre passava.
Le mura di marmo si chiusero intorno a lui come l’abbraccio di una madre, e lui inspirò a fondo quell’odore pulito di pietra.
«Come stai, io cuore?»
Nyx sorrise a quella premura. «Bene. Pensavo che mi avrebbe fatto più effetto rivedere questi…posti.» Gli si smorzò la voce quando lo scintillio catturò il suo sguardo, e si fermò ad osservare il grande giardino congelato, le colonne coperte di quella spessa copertura ghiacciata che nemmeno cinque secoli erano riusciti a sciogliere.
«Sei stato tu, vero?»
La voce lo colse di sorpresa, e voltandosi incrociò brillanti occhi verdi contro capelli neri.
L’abito nero e dorato e l’aria distinta tradirono l’identità del suo interlocutore improvviso. «Se già lo sai, perché me lo chiedi, Altezza?»
Nyx voltò le spalle alla prova fisica del momento peggiore di tutta la sua vita, e si appoggiò al muro accanto alla finestra a braccia incrociate.
Il re sorrise, divertito dalla sua risposta. «Certezze. Non mi piacciono le ipotesi ma, a giudicare dal tuo aspetto e dalla tua reazione a questo posto, sei davvero tu.»
I loro occhi s’incrociarono e, quando il sovrano gli porse la mano, non poté fare a meno di notare che aveva un braccio solo. Mentre si chiedeva come mai, gli tornò in mente l’uomo che aveva risolto tutti i suoi problemi pur non sopportandolo.
«Nyx Ulric è il nome, tanto per la cronaca.» Precisò stringendo la mano del re, e poi dovette mordersi una guancia per non ridere.
«Ravus Lucis Caelum.»
Il destino aveva davvero un gran senso dell’umorismo.
«Papà, noi abbiamo trovato…» Il principe si fermò accanto a loro, li guardò un attimo e poi fece un cenno rassegnato con la mano. «Lasciamo stare. Vedo che vi siete già incontrati.»
Nyx studiò padre e figlio e, anche se non avrebbero potuto sembrare più diversi, gli ricordarono Noctis e Regis, e la cosa lo fece sorridere. «Allora, perché sono qui? Senza offesa, ma spararmi non è stato un granché come invito.»
«Posso spiegare papà, dovevamo assicurarci che fosse lui e…»
«E vi siete comportati da idioti. Sparisci ora, faremo i conti dopo.»
Il principe piegò il capo senza protestare e poi se ne andò, ma Nyx non riuscì a trattenere un sorriso.
«Non gli farai niente, vero?»
Il re sembrò sorpreso dalla sua intuizione. «No. Lui e i suoi amici non sono cattivi, solo sprovveduti, quindi ti chiedo scusa per il loro approccio poco ortodosso.»
Si sorrisero, e alla fine Nyx cedette. «Nessun problema. Parliamo d’affari ora. Perché è per questo che sono qui, giusto?»
«Esattamente.»
 

 
«Questo non era esattamente la mia idea di estate tranquilla.» Commentò Nyx con un sorriso e il re al suo fianco ridacchiò divertito.
«Lo immagino, ma sei la nostra ultima speranza. Sei, tra le altre cose, anche il miglior cacciatore di bestie in circolazione, e loro due hanno già mietuto troppe vittime.»
Nyx osservò le due grandi figure in lontananza.
Quando il più grande dei behemot distese le ali nel cielo terso, fece un breve fischio ammirato.
«Non penso di riuscirci da solo.»
Il re esitò un attimo. «So che è difficile, ma…»
«Tu non sei mai solo, mio cuore.» La voce della dea interruppe il re, che rischio quasi di cadere dallo stupore quando lei apparve all’improvviso. «Ma cosa…»
Nyx si lasciò andare ad una breve risata divertita.
Ecco com’era la sua vita immortale allora.
Proteggere ciò per cui abbiamo lottato.
Estrasse i kukri con un movimento fluido e naturale, e poi incrociò lo sguardo della sua divina compagna.
«Pronta?»
Bahamut spalancò le grandi ali, e le sue spade traslucide le comparvero attorno.
«Sempre.»



NOTE DELL'AUTORE:
Ed eccoci qui, all'ultimo capitolo! (Finalmente, penserete xD)
Non sono soddisfatta di questo finale, ma ne ho valutati altri, che comprendevano l'arrivo di Stella Nox Fleuret, Nyx e Bahamut come coppia, Nyx che si uccideva pugnalando il Cristallo, e nessuno di loro mi convinceva, quindi questo è quello che vi siete beccati xD
Che dire?
La fine di questa fic non vuol dire che non scriverò più su questo universo, quindi non siete ancora salvi xD
Non scriverò più long fic per un bel pezzo, ma qualche one shot si U.U Missing Moments, specialmente ^.-
Grazie <3
Grazie a tutti coloro che hanno letto senza recensire, e un grazie enorme a _White_, che è con me dalla prima fic, e che non si è mai stufata di seguirmi: sei la migliore x3

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Capitolo 43
*** Epilogo ***


 CAPITOLO 42
 
Nyx si sforzò di girarsi, alzando il volto verso il sole cocente, che rendeva ancora più pungente l’odore del sangue che gli impregnava i vestiti.
Non era stato nei piani trovarsi sotto la gola del behemot quando l’aveva sgozzato, ma era stato così, e la cascata di liquido scarlatto gli aveva fatto una doccia per niente gradita.
Inspirò a fondo, cercando di calmare il battito del proprio cuore.
Era esausto, e Bahamut taceva nel suo cuore.
La dea si era ritirata dopo una brutale dimostrazione di forza – aveva ucciso la femmina alata di behemot in meno di un minuto – e ora Nyx era solo.
Perché era così stanco?
Uccideva creature di ogni tipo come mestiere da quando aveva iniziato a fare il cacciatore di taglie, e non gli era mai successo di essere così stanco, nemmeno dopo un avversario imponente come un behemot. Con una fatica che non riteneva possibile si mise a sedere, e abbassò lo sguardo sul braccio ferito, dove il lungo canino gli aveva passato la carne da parte a parte.
Con un’imprecazione a denti stretti la strappò via, e il fiotto di sangue andò ad aggiungersi a quello già presente. «Beh, sarà divertente vedere le facce della famiglia reale quando mi vedranno così.»
Borbottò tirandosi in piedi, aspettandosi una risposta dalla sua eterna compagna, ma non arrivò mai.
Nonostante fosse insolito, lo accantonò pensando che anche lei fosse stanca, e riprese la sua marcia verso la capitale.
I due behemot erano stati difficili da uccidere, ma non era nulla che un gruppo ben addestrato di cacciatori non avrebbe potuto risolvere. Non dovette fare molta strada prima di incontrare una delegazione di Insomnia, e si sorprese quando il principe incrociò il suo sguardo.
«Che ci fate voi qui?» Domandò senza troppe cerimonie, appoggiandosi al furgone.
L’erede al trono esitò un istante, sufficiente per risvegliare quella parte di lui che era puro istinto, che rimaneva vigile nonostante la stanchezza.
Estrasse un kukri, afferrò il ragazzo per il collo della delicata maglia bianca e gli puntò la lama alla gola. «Che succede?»
«Mi dispiace.» Fu la risposta, e Nyx comprese perché quegli occhi sembravano troppo vecchi per quel giovane, perché avevano insistito tanto per portarlo alla capitale, e perché gli avevano sparato a Galdin. «Tu…cosa mi hai fatto?»
Non ebbe tempo di sapere se il principe gli avrebbe risposto o no, perché il dolore gli scoppiò nel cuore, abbattendolo in ginocchio a cercare di respirare. «Mi dispiace, Ulric.» Ripetè il giovane uomo mentre coloro che erano lui si avvicinavano alle spalle di Nyx.
«Il Cristallo…» Un’altra fitta rischiò di mandarlo k.o., ma in qualche modo resistette abbastanza da sentire i kukri venirgli tolti, e le catene gelate avvolgergli le braccia. Qualcuno, o qualcosa, stava pugnalando il cristallo per indebolirlo.
Insomnia l’aveva tradito.
La furia che gli esplose nel corpo gli diede la forza di alzarsi, spingendo i suoi assalitori a fare un passo indietro, spaventati, ma non riuscì mai a sfruttare quell’occasione: lo stesso uomo che gli aveva sparato gli puntò contro la pistola. «Non costringermi a darti un’altra dose di veleno.»
Ecco perché era così stanco, allora.
Il proiettile che pensava di aver deviato a Galdin in realtà l’aveva avvelenato lentamente.
E nonostante una parte di lui gli dicesse di stare zitto, non ci riuscì. «Il veleno è un’arma da codardi.»
Fu costretto a stringere i denti per non urlare dal dolore quando il proiettile gli si piantò in un fianco, ustionandogli la carne.  Invece, fece ciò che gli riusciva meglio.
«Sei coraggioso a sparare ad un uomo inerme. Vedremo cosa sai fare quando saremo faccia a faccia.»
Il principe si mise in mezzo, dando le spalle a Nyx e sussurrando qualcosa all’uomo, che si allontanò con l’aria decisamente arrabbiata che fece sogghignare l’immortale.
La sua soddisfazione fu interrotta dal principe stesso, che si voltò a guardarlo.
«Niente di personale Ulric, davvero. Sei un eroe per tutti noi.»
Compose un numero al telefono, e quando il suo interlocutore rispose, sospirò senza staccare gli occhi dal suo prigioniero.
«Mettetelo k.o. . »
Il dolore che seguì fu così forte da farlo svenire.
Era sicuro che il Cristallo si fosse rotto, che il suo cuore si fosse fermato, e di essere in punto di morte.
E Bahamut taceva.



NOTE DELL'AUTORE:
Si, lo so, avevo detto che il 41 era l'ultimo capitolo...Beh scherzavo xD
Non riesco a separarmi da questa fic >.< E questo, sommato alla grande insoddisfazione per come mi è venuto l'ultimo capitolo, mi ha spinto a questo.
Vi piace? Bene.
Non vi piace? Bene.
No scherzo XD Davvero, spero vi piaccia, e non si sa dove andrà a finire ^.-
Grazie a coloro che leggono x3

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