You Can Never Plan The Future By The Past

di Myra11
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

And now all your love is wasted
And who the hell was I?

 
 
«Alec, stai bene?»
Isabelle alzò lo sguardo dalla spada angelica che stava affilando, gli occhi socchiusi e seri.
Suo fratello non diede segno di averla sentita e continuò a tracciare rune sulle aste delle frecce.
«Alec!»
Solo in quel momento il ragazzo alzò gli occhi. «Che c’è, Iz?»
La mora sgranò gli occhi, scuotendo piano la testa mentre una morsa di preoccupazione le stringeva lo stomaco.
Erano passati sei mesi dal loro ritorno dall’Inferno e anche se di solito sembrava tutto normale c’erano momenti come quello, in cui Alec sembrava lontano chilometri dal mondo.
Isabelle sapeva che in quelle occasioni la sua mente era distante, persa in attimi che solo lui poteva ricordare.
«Stai bene?» Ripeté gentilmente, osservando gli occhi cupi del fratello.
Il loro azzurro si era incupito, assumendo una sfumatura quasi grigia, malinconica e disperata, esattamente come le urla che risuonavano nell’Istituto praticamente tutte le notti.
Ogni volta che succedeva lei o Jace correvano in camera di Alec, cercando di placare il suo dolore, ma il più delle volte ottenevano solo lividi verdastri nei punti in cui le dita del Nephilim si stringevano, attaccandosi come se volessero impedire al proprietario di scivolare nel vuoto.
«Si, sto bene.» Mormorò Alec, alzandosi e sistemandosi la faretra sulla schiena in modo che la sciarpa azzurra che indossava praticamente sempre non gli intralciasse i movimenti.
La ragazza sospirò mentre si alzava a sua volta, afferrando la frusta sul tavolo e un paio di spade angeliche. Era contenta di quella caccia, ma non le piaceva per niente doverla affrontare con Alec, che in quegli ultimi mesi aveva collezionato più cicatrici che in tutta la vita.
Si buttava negli scontri con noncuranza, come se non gli importasse davvero il suo compito o il risultato di un combattimento. Come se non avesse più niente per cui valesse la pena di vivere davvero.
«Andiamo, allora.» Sorrise e uscì dall’armeria, sentendo i passi del moro dietro di lei.
C’era una cosa positiva, in tutta quella storia: Alec non era mai stato così sicuro e letale.
Un viaggio di andata e ritorno all’Inferno l’aveva reso ancora più simile alle poche cose che Isabelle sapeva su Will: schivo, cupo ed efficiente, incline a non esternare i suoi veri pensieri.
Rivoleva suo fratello, colui che si vantava di essere l’unico maggiorenne, che si era sforzato di non piangere al funerale di Max, colui che sorrideva poco ma quando lo faceva era un’espressione sincera, quello che parlava di Magnus con le guance arrossate e gli occhi brillanti.
Uscirono dall’Istituto insieme, e s’infilarono nel caos di New York.
 
Jace incrociò le caviglie sulla scrivania, gli occhi socchiusi fissi sulla ragazza accovacciata sul letto.
«Smettila di guardarmi così.» Borbottò Clary senza neanche alzare lo sguardo dal suo disegno.
Il biondo si lasciò andare ad una breve risata. «Così come?»
«Come se fossi la cosa più bella che tu abbia mai visto.»
Clarissa alzò gli occhi con un sorriso appena accennato, e Jace cedette.
 Si alzò dalla sedia e con un movimento fulmineo fu sopra la ragazza, fermandola sul letto per i polsi e le sorrise. «Ma tu sei la cosa più bella che io abbia mai visto.»
Quando la rossa si sporse verso di lui per incontrare le sue labbra sentì scivolare via tutto.
Per quel lungo e luminoso istante, ogni preoccupazione svanì, il senso di incompletezza e dolore che veniva da Alec, tutto si perse in quel bacio.
Esisteva solamente Clary, la morbidezza delle sue labbra e il calore del suo corpo, il profumo di vaniglia che gli inebriava i sensi.
Le mani della ragazza erano infilate sotto la sua maglietta quando accadde.
Una fitta di dolore lancinante gli mozzò il fiato, facendolo crollare addosso a Clary.
«Jace! Jace, che è successo?»
Il ragazzo respirò profondamente, cercando di non cedere alla sofferenza che sentiva dilaniargli il petto, le dita di Clary che gli accarezzavano lentamente i capelli.
Sentiva il cuore della sua compagna battere contro il proprio petto.
«Alec…»
Si alzarono entrambi, e la rossa allungò subito la mano verso il cellulare nello stesso istante in cui si mise a suonare.
Rispose alla chiamata e dall’altra parte sentì la voce terrorizzata di Isabelle.
«Che sta succedendo?»
«Clary! Ho bisogno di aiuto! Alec…»
Jace le rubò il cellulare, e per la prima volta Clary lo sentì veramente preoccupato.
«Iz! Dove siete?»
Il biondo si alzò di scatto dal letto e si risistemò gli abiti, tenendo il cellulare bloccato tra la guancia e la spalla, poi staccò la chiamata e si voltò verso Clary.
«Devo andare. Tu vai da Magnus e avvertilo che stiamo arrivando con un ferito.»
«Aspetta! Che è successo?»
Fermo sulla porta, Jace sembrava fremere di agitazione. «Magnus, Clary. Vai.»
Uscì di corsa dalla porta, lasciando la ragazza sola nella camera ma, proprio come aveva scordato praticamente tutto con lei, ora era totalmente concentrato sul suo parabatai.
Se aveva sentito un tale dolore, Alec non doveva essere in buono stato.
Ringraziò l’Angelo che Marise e Robert fossero a Idris e si gettò a capofitto nella confusione di New York, infilandosi in mezzo alla folla come acqua. L’unica cosa importante era la runa sul suo petto, che bruciava come fiamma viva sulla pelle.
Spalancò la porta della cattedrale e vide Isabelle al fondo della navata, il sangue sulle sue mani e il corpo inerme di Alexander tra le sue braccia.
Fece gli ultimi passi che lo separavano da lui con un macigno sul petto, e crollò al suo fianco appena gli fu vicino. Nonostante la protezione della divisa, aveva il petto ricoperto di veleno di demone, che gli stava corrodendo la pelle e i muscoli, e come se non fosse stato sufficiente perdeva sangue da una lunga ferita decisamente troppo vicina al cuore.
Era tutto troppo simile a sei prima, quando il moro, quasi fatto a pezzi dal demone, era riuscito a resistere perché cedere avrebbe significato perdere Magnus.
Ma ora che aveva perso comunque lo stregone, per cosa avrebbe lottato?
Jace si abbassò verso di lui e gli prese il viso fra le mani, ignorando i singhiozzi soffocati di Izzy.
«Alec, non provare a morire. Sei uno stupido se pensi di essere solo, perché tu hai Isabelle, hai me, Clarissa, i tuoi genitori.» Si accigliò, posando la fronte su quella pallida del suo parabatai.
«Jace…» La voce di Isabelle, per la prima volta, suonò triste di pianto.
Il diciassettenne si alzò di scatto. «Dobbiamo andare da Magnus, ci sta aspettando.»
Mentre aiutava la ragazza a trasportare il compagno privo di sensi verso Brooklyn, continuò a sussurrargli incoraggiamenti che forse servivano di più a lui e a Isabelle che ad Alec.
Arrivati a destinazione scoprirono che la porta dell’appartamento di Magnus era già aperta, così entrarono e si diressero verso la camera da letto.
«Dove state andando?» La voce pacata di Magnus li raggiunse all’improvviso, ed entrambi si voltarono.
«In camera da letto.» Fu la risposta di Jace, i cui occhi dorati avevano assunto una sfumatura quasi scarlatta, come notò Clary mentre si avvicinava. Non ne sapeva molto del legame tra parabatai, ma notando il fatto che il suo respiro e quello del moro svenuto fossero perfettamente sincronizzati le venne da pensare che fosse l’energia di Jace a mantenerlo in vita, costringendolo a respirare.
Magnus inarcò un sopracciglio, osservandoli con scetticismo. «State scherzando, spero.»
«No.» Sibilò Isabelle, dedicando un’occhiata di fuoco allo stregone, che si limitò a indicare il divano. Jace la zittì prima che ribattesse di nuovo: insieme sistemarono il fratello sui cuscini del divano, e il movimento gli strappò un gemito.
«Come sta?» Sussurrò Clary, stringendo un braccio di Jace.
«Non bene.» Rispose lui, la voce strozzata dalla lunga e delicata camminata, e da qualcos’altro, una fatica che non aveva niente a che fare con lo sforzo fisico compiuto.
La rossa spostò lo sguardo su di lui e si accigliò. «Lo stai obbligando a continuare a respirare, vero?»
«Non ti sfugge proprio niente, eh?» Il ragazzo accennò un sorriso spostando lo sguardo da Izzy in ginocchio con una mano del fratello tra le proprie alla giovane al suo fianco.
Il suo sorriso si spense nel notare il turbamento sul viso che amava. «Si, comunque. Il problema non è il suo fisico, per quanto messo male, ma la sua mente. É devastata dal dolore per la perdita di… per ciò che ha perso, Alec non ha la forza di riprendersi del tutto.»
Jace sospirò e Clary gli prese il viso fra le mani, ben sapendo che il biondo, sotto strati di baldanzosa ironia aveva bisogno di lei più che mai.
Il cacciatore sorrise lievemente e riprese a parlare. «Anche se in questi mesi sembrava tranquillo come al solito, c’erano attimi in cui mi sembrava di non avere più un parabatai. Dove avrebbe dovuto esserci il suo calore e la sua forza non c’era altro che un’ombra. La sua mente è crollata, Clary. Non avrebbe mai avuto il coraggio di uccidersi, ma ora che il suo corpo è ferito così gravemente, si sta lasciando andare. Perciò si, gli sto trasmettendo la mia volontà di vivere.»
«Ti costerà molto?»
«Non lo so. Una volta che Magnus avrà curato il suo corpo, dovrebbe riprendersi.»
Entrambi si voltarono verso lo stregone, che se ne stava in piedi a poca distanza, avvolto da una lunga vestaglia da camera di un rosso relativamente sobrio per lui: sarebbe sembrato quasi normale, se non fosse stato per i glitter nei capelli e per le oscene babbucce verdi a forma di alieno.
«Convinci Izzy ad andarsene, io parlo un attimo con Magnus.»
Clary annuì e si avvicinò alla ragazza, strappandola quasi con la forza dal capezzale del fratello, mentre Jace, preso un ultimo, profondo respiro si avvicinò al proprietario dell’appartamento.
«Che cosa vuoi, Nephilim?»
«Avvertirti. Ti pagheremo, ma se lascerai morire Alec giuro sull’Angelo che troverò un modo per ucciderti, Bane, anche a costo di doverti strappare il cuore dal petto con le mie mani.»
Magnus sorrise, una lieve e sprezzante piega delle labbra. «Un giuramento in nome dell’Angelo non è una cosa da ignorare.»
«Non lo farò, credimi.» Jace si accigliò, ma il Nascosto non lo stava più guardando. I suoi occhi erano fissi su un punto dietro di lui, e scommise con sé stesso che stesse osservando Alec, e si chiese se ci fosse un modo per fargli ricordare ciò che gli era stato fatto dimenticare.
«Non morirà.» Affermò Magnus, la voce così intensa che per un secondo il ragazzo pensò di essere tornato indietro nel tempo, alla prima volta che lo stregone aveva curato suo fratello, ma fu solo un fugace istante, perché gli occhi felini dell’uomo tornarono su di lui, maliziosi e beffardi mentre completava la frase. «Se mi pagherete abbastanza.»
Il ragazzo scosse la testa e tornò dalle sue compagne, facendo loro cenno di andarsene mentre Magnus si avvicinava al divano.
Le urla di dolore iniziarono mentre scendevano le scale, e loro affrettarono il passo.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 

If I never had you. I know that I...I still would have mourned you.
 
 
«Devi mangiare qualcosa, Jace.»
«L’ho già fatto.»
«Quando?»
«Mentre eri impegnata a finire il disegno.» Jace spostò lo sguardo dal soffitto alla sua ragazza.
Clary era accigliata, e questo stranamente lo fece sorridere. Era tutta la sera che si prendeva cura di lui, e nonostante tutto era un bel momento, solo per loro due.
«Ah-a. Certo. Hai mangiato in camera tua, vero?»
Jace ridacchiò e le fece cenno di avvicinarsi. La ragazza obbedì, e lui l’attirò subito sul letto, avvolgendosi intorno a lei.
«E questo cos’è?» Rise Clary, accoccolandosi sul suo petto e godendosi il calore del suo corpo.
Con gli avvenimenti degli ultimi mesi non avevano passato molto tempo insieme, e quei brevi momenti in cui erano presenti solo loro due erano preziosi per entrambi.
«Lasciami stare così per un po’, ti prego.» C’era una tale dolcezza nella voce di Jace che Clary non poté fare altro che annuire in silenzio, accarezzandogli lentamente la schiena.
Chiuse gli occhi continuando il movimento, il cuore del biondo che batteva forte contro il suo orecchio. Capiva il dolore di Alec, quella cupa tristezza sempre presente nel suo sguardo, perché era la stessa che aveva provato lei quando pensava che Jace fosse suo fratello.
L’ineluttabilità di non poterlo più abbracciare, toccare o baciare.
Sospirò lievemente e rafforzò la stretta su Jace, rilassandosi lentamente.
La sua voce che le sussurrava di amarla fu l’ultima cosa che sentì prima di addormentarsi.
 
Magnus chiuse il rubinetto e si asciugò le mani.
Il marmo del lavandino era macchiato di sangue e veleno, e lui sbuffò pensando di dover cambiare nuovamente tutta la sala per ripulire quel casino.
Chiuse la porta e tornò nel salotto: inevitabilmente i suoi occhi caddero sul suo ospite indesiderato.
Alexander era svenuto di nuovo durante la guarigione e lui era grato per quello, perché ciò che avrebbe dovuto fare dopo non sarebbe stato facile se fosse stato sveglio.
Un miagolio infastidito attirò la sua attenzione. «Zitto, Presidente. Lui mi fa guadagnare soldi, tu me li fai spendere.»
Il gatto miagolò di nuovo e scivolò in camera, probabilmente per andare a farsi le unghie sui cuscini. Lo stregone sospirò seccato e s’inginocchiò accanto al divano.
La ferita sul petto del Nephilim aveva smesso di sanguinare, ma era così vicina al cuore che non avrebbe potuto rischiare con la magia. Era in piedi da quasi ventiquattro ore e aveva consumato ogni briciolo di magia per curare i danni provocati dal veleno del demone.
Abbassò lo sguardo sull’ago che teneva tra le mani e si accigliò. Gli sembrava di aver già curato quel ragazzo, ma non era possibile. L’aveva visto per la prima volta sei mesi prima, ne era certo.
Infilato il filo nella cruna, si sporse verso il ragazzo. La sera prima gliel’avevano portato pallido come uno straccio, e ora aveva riacquistato un minimo di colorito, che avrebbe sicuramente perso quando avesse iniziato a cucire.
«Cerca di non urlare, i vicini dormono.»
Il corpo del ragazzo s’irrigidì involontariamente in uno spasmo di dolore quando l’ago penetrò nella carne, e per puro istinto Magnus posò una mano sul petto del ragazzo, bloccandolo sul divano.
Aveva appena finito di ricucirlo quando lui riaprì gli occhi, e il loro colore lo colpì come la prima volta che l’aveva visto.
«Buonasera bella addormentata.»
«Ma…Magnus?»
Lo stregone si alzò e andò a buttare il filo rimasto e l’ago insanguinato nel lavandino rovinato prima di tornare dal suo ospite.
«In persona. Qual è l’ultima cosa che ricordi?»
Alec cercò di alzarsi facendo forza sulle braccia, ma scoprì di essere ancora troppo debole.
Voleva andarsene da lì, scappare lontano da quelle stanze piene di ricordi e rifugiarsi nel buio della propria stanza.
«Il demone, nella chiesa. Isabelle sta bene?» Si alzò di scatto, ma così facendo si procurò una fitta di dolore così forte da provocargli la nausea.
Magnus accorse davanti a lui ancora prima di rendersene conto.
«Ehi ehi, piano! Tua sorella sta bene. E ora rimettiti giù.»
Alec socchiuse gli occhi, accigliandosi, e alla fine obbedì coricandosi di nuovo sul divano zuppo di sangue, sentendo i punti sul petto tirare pericolosamente. Alla fine chiuse gli occhi, e rimase ad ascoltare i passi morbidi dello stregone che si muoveva nell’appartamento.
Quel momento di calma venne interrotto dal repentino pensiero che Magnus non si sarebbe chinato su di lui per dargli un bacio prima di andare a letto.
«Se sopravvivi guadagno un sacco di soldi, quindi stanotte resta buono su quel divano e non far saltare i punti.»
«Va bene.» Mormorò Alec, e poco dopo sentì la porta della camera dello stregone chiudersi.
Sarebbe stata una lunga notte.
Non seppe con esattezza cosa c’era di sbagliato, quella notte, ma non riuscì ad addormentarsi.
Si rigirò nelle coperte per ore prima di stufarsi e uscire dalla stanza, ricordandosi all’ultimo momento di chi stava nell’altra stanza ed evitando di sbattere la porta.
Girò intorno al divano e lo sguardo gli cadde sugli abiti stracciati che aveva accumulato sul pavimento mentre curava il ragazzo.
In mezzo al cuoio bruciato della divisa c’era un tocco solitario di colore, una sciarpa azzurra macchiata di sangue. Si chinò a raccoglierla, notando la consistenza morbida simile a seta, e si chiese come mai un Nephilim portasse qualcosa del genere.
«Che ci fai in piedi?» La voce di Alexander lo colse di sorpresa, facendogli alzare lo sguardo. Ora era accigliato, e una parte di lui lo trovò incredibilmente carino.
Lasciò cadere la sciarpa e dedicò un sorriso divertito al giovane. «Suppongo di poter fare ciò che più mi va in casa mia.»
Si allontanò scrollando le spalle ma si fermò nuovamente sulla soglia della camera, lasciando che i capelli gli coprissero parzialmente il viso. Il giovane Lightwood lo stava ancora fissando, sentiva il peso del suo sguardo come un macigno in mezzo alle scapole: nessun’altro gli aveva mai fatto quell’effetto, nemmeno Camille.
«Torna a dormire. Domani finirò di sistemarti, e se sarò fortunato avrò i soldi entro due giorni e tu sarai fuori dai piedi.» Fu più brusco del solito nel parlare e nel chiudersi la porta alle spalle. Vi si appoggiò contro, sentendo il respiro pesante del cacciatore nell’altra stanza.
In quel momento si rese conto che non sarebbero bastati due giorni per rimetterlo completamente in forze. Il veleno che gli aveva corroso la carne non apparteneva ad un demone qualunque, ma ad un Jallada, un carnefice infernale al servizio dei Principi. Quel ragazzo doveva essersi messo in un bel casino se era riuscito ad attirarsi uno di quei cosi addosso.
Sentendo la curiosità assalirgli la mente, si staccò violentemente dalla porta e si mise nuovamente a letto, scoprendo che il Presidente aveva risparmiato i cuscini ma non la poltrona accanto al materasso. Maledisse sottovoce quel gatto permaloso e chiuse gli occhi, ma c’era ancora qualcosa di sbagliato.
Perfino quando il felino saltò al suo fianco, condividendo il suo calore con lui, non si sentì consolato come al solito. Per la prima volta in tutti quegli anni si accorse che quel letto era troppo grande per una persona sola. Era troppo vuoto.
Mentre scivolava in un sonno turbato, dopo molti secoli, si sentì nuovamente solo.
 
«Che cosa?!»
Isabelle fu attirata fuori dalla propria stanza dall’esclamazione di Jace.
Lui e Clary erano nel corridoio, davanti ad una persona che inizialmente scambiò per Alec, ma alla fine riconobbe.
«Che ci fai qui, papà?»
Robert Lightwood spostò lo sguardo sulla sua unica figlia e le sorrise brevemente. «Sono venuto a prendervi, dobbiamo andare ad Idris. Dov’è Alexander?»
La domanda gelò il sangue nelle vene ai tre giovani, che si scambiarono una breve occhiata.
«Cosa mi state nascondendo?» Domandò il capo dell’Istituto, osservandoli uno per uno.
«Alec…» Iniziò Jace, attirando l’attenzione dell’uomo. «È stato gravemente ferito durante una caccia.»
«Cosa?»
Il biondo alzò velocemente le mani per placare il padre adottivo. «Sta bene, Robert, ma per salvarlo abbiamo dovuto chiedere aiuto a Magnus Bane.»
Ci fu un attimo di silenzio in cui l’Istituto stesso sembrò trattenere il fiato, come in attesa di un attacco. Quando erano tornati dall’Inferno ricoperti di ferite e con un Alec in stato di semi-incoscienza, Robert si era infuriato, ma la sua rabbia era stata mitigata dal fatto che suo figlio non avrebbe più avuto niente a che fare con il Sommo Stregone di Brooklyn, e non avrebbe di sicuro preso bene la nuova notizia.
«Fate i bagagli, vado a prendere Alexander.» Fu la risposta controllata a stento, e ancora prima di aver finito di parlare l’uomo si stava già avviando verso l’uscita.
«No!» Quell’unica parola pronunciata in coro da Clary e Isabelle bloccò i passi dell’uomo.
Quando si voltò nuovamente, la mora vide un controllo precario in quegli occhi così simili ai suoi.
«Papà, aspetta. Non hai idea in che stato fosse Alec, di sicuro non è abbastanza forte per sostenere un viaggio attraverso un portale.»
«Non lo lascerò con lo stregone.»
«Ma si prenderà cura di lui!»
«Isabelle…» L’avvertimento nella voce del padre non fece desistere la ragazza, sempre testarda.
«No papà. Non voglio perdere anche Alec, non dopo…» Le si spezzò la voce, ma tutti i presenti sapevano come continuava la frase. Non dopo Max.
Robert sospirò e si avvicinò alla figlia. «D’accordo. Ora preparatevi, e fate in fretta.»
«Che cos’è successo a Idris?»
«Abbiamo catturato Sebastian.»

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
I knew you were trouble
When you walked in
 
Ci mise qualche secondo a ricordare, il mattino dopo.
Spostando lo sguardo vide Magnus comodamente sprofondato in una poltrona che – ne era quasi sicuro – il giorno precedente non c’era. La prima cosa che notò furono i capelli ricoperti di gel e glitter, poi gli abiti. Lo stregone indossava una giacca di pelle rossa, pantaloni neri così aderenti da sembrare dipinti sulle gambe e un paio di anfibi blu elettrico, ma se si considerava il suo abbigliamento alle feste quel completo era quasi sobrio.
Alec si prese qualche momento per osservarlo, risalendo con lo sguardo lungo le gambe snelle, salendo su ogni particolare del petto e scivolando sulle braccia, fino alla cicatrice sbiadita delle Runa dell’Alleanza sulla mano, per finire alla …lettera dell’Istituto?!
«Che cos’è quella?» Domandò sistemandosi meglio sul divano. Si sentiva decisamente più in forma, ma una parte di lui non voleva ammetterlo dato che le sue ferite erano un modo per avere lo stregone accanto.
«Brutte notizie.» Il Nascosto si alzò e gli gettò la lettera addosso. «Io esco. Non toccare niente fino al mio ritorno.»
Il cacciatore ascoltò i passi dello stregone e la porta che si chiudeva prima di leggere la lettera.
Riconobbe all’istante la scrittura di sua sorella, quella grafia veloce ed energica, che spiegava l’emergenza ad Idris e le sue conseguenze, dicendo che lui era ancora troppo debole per attraversare un portale fino alla città e quindi Magnus avrebbe ricevuto un aumento di paga se l’avesse ospitato per un paio di settimane, dato che l’Istituto era deserto.
Rilesse l’intera comunicazione un paio di volte prima di riuscire ad assimilare davvero ciò che era successo. Pochi mesi prima avrebbe fatto di tutto per passare del tempo con lo stregone senza preoccuparsi dei suoi genitori, ma ora quella situazione era semplicemente un disastro.
Non voleva e non poteva rimanere lì con lui, non sarebbe riuscito a sopportare di vederlo in giro per l’appartamento mezzo nudo, o con qualcun altro.
Con uno sforzo che lo lasciò intontito riuscì a mettersi seduto sul divano, e il Presidente Miao venne a strusciarsi sulle sue gambe.
«Almeno tu ti ricordi di me.» Borbottò rivolto al gatto mentre appallottolava la lettera di Isabelle e la buttava nel camino, lasciando che la fiamma che vi bruciava dentro la incenerisse.
Si appoggiò al bracciolo e si alzò in piedi di scatto. La vista gli si offuscò, ma lui respirò profondamente e fortunatamente quell’attimo di debolezza scomparve in fretta.
Abbassò lo sguardo verso il pavimento, ma la desolazione in cui versava la sua divisa lo spinse a rinunciare a indossarla di nuovo. Si accigliò, abbassandosi a cercare la sciarpa in mezzo a tutto quel nero. Dopo aver controllato anche sotto il divano, si rese conto che non l’avrebbe trovata in casa.
Forse l’aveva presa Magnus…Ma perché avrebbe dovuto farlo?
Sospirò seccato e si alzò, andando all’armadio per prendere almeno una giacca. L’odore di sandalo dello stregone gli strinse il cuore mentre indossava la giacca foderata di pelliccia.
Si strinse in quell’odore mentre zoppicava fuori dalle scale, scoprendo che aveva iniziato a nevicare nella notte. Premendo una mano sul filo che gli ricuciva il petto, si avviò lungo la strada.
Ben presto la vista gli si offuscò di nuovo, e per un istante gli sembrò di vedere l’inquietante figura di Azazel al lato del suo campo visivo. Si voltò di scatto, ma l’unica cosa che vide fu una distesa bianca.
Crollò pochi passi più avanti, aggrappato ad un lampione della luce, socchiudendo gli occhi nel vedere il sangue gocciolare sulla neve fresca. La ferita si era riaperta sotto le sue dita.
Scivolò a terra, e nel suo campo visivo comparve un’indistinta macchia rossa.
«Alexander!»
Lasciò la presa, e prima che finisse in mezzo alla neve le braccia fasciate di pelle di Magnus lo circondarono, stringendolo contro il suo petto.
«Che diamine pensavi di fare, eh?»
Alec si lasciò scappare un breve sorriso, sentendosi improvvisamente al sicuro.
 
Clary strinse la mano di Jace mentre scendeva le scale, ben consapevole delle lievi gocce di sudore sul viso del ragazzo che l’accompagnava, segno che doveva essere accaduto qualcosa ad Alec.
Non che lei non avesse i suoi problemi.
Erano appena arrivati a Idris e le avevano chiesto di vedere Sebastian.
«Non sei obbligata a farlo.» Mormorò Jace mentre percorrevano il lungo corridoio con le celle da una parte. Erano praticamente tutte vuote, buchi di oscurità nel nulla.
«No. Voglio farlo.» Rispose, e poi il Fratello Zaccaria fece loro cenno di fermarsi.
La ragazza si allontanò dal proprio fidanzato e fece un passo avanti, osservando l’interno della cella.
Il giovane uomo nella cella era di spalle, ma lei riuscì a vedere il lieve bagliore dei capelli bianchi.
«Sebastian.»
«Ciao, Clarissa.» Mormorò il ragazzo mentre si voltava, e i tre Nephilim poterono scorgere il luccichio divertito del suo sguardo nero, come se un pezzo di notte avesse improvvisamente assunto una personalità, ed era una personalità malvagia.
«È una delizia rivederti, sorellina. Jace.»
«Sebastian.» Il saluto del biondo assomigliò di più ad un ringhio, e Clary allungò una mano per stringere la sua, cercando di calmarlo prima di rivolgersi nuovamente a Sebastian.
«Cosa ci fai qui?» Gli chiese Clary, osservando il sorriso sprezzante sul suo viso.
Avevano dei tratti in comune, in effetti, ma si sforzò di scacciare quei pensieri prima che le facessero venire la nausea.
Sebastian si appoggiò alle sbarre, le lunghe dita affusolate strette intorno al metallo. «Non è ovvio? Le vostre guardie sono diventate più brave e mi hanno catturato.»
Jace scoppiò a ridere con aria beffarda. «E ti aspetti che noi ci crediamo?»
Il figlio di Valentine gli gettò un’occhiataccia, poi tornò a guardare la sorella e allungò una mano verso la sua guancia, accarezzandola lievemente.
Clary non ebbe nemmeno il tempo di pensare di reagire che Jace la tirò indietro e si avventò contro il prigioniero, stringendo le mani sulla sua gola.
«Non toccarla.»
La risata di Sebastian iniziò piano, salendo dal petto e scuotendogli le spalle, e ben presto risuonò in tutto il corridoio. «Sai, trovo molto tenero il tuo atteggiamento.»
«Fottiti.» Mormorò Jace prima di lasciare la presa e andarsene dalla prigione, il passo secco e veloce di quando era davvero arrabbiato.
Clary si voltò verso di lui mentre saliva le scale. «Jace, aspetta!»
«Clarissa, cara, lascialo andare. Ci sono cose più importanti da fare che seguire un marmocchio permaloso.»
Sforzandosi di ignorare l’insulto a Jace la ragazza si avvicinò, rimanendo abbastanza distante da impedire al fratello di toccarla.
«Tipo?»
Sebastian sorrise, in quel modo seducente e dolce che l’aveva intrigata prima che conoscesse la sua vera identità. Ora come ora, quel sorriso le provocava una sensazione mista tra disgusto e fascino ch la terrorizzava.
«Convincerti che ho ragione, mia cara.»
La rossa sbuffò e si allontanò ancora, rivolgendosi al Fratello Silente che attendeva all’entrata.
«Non lasciare che nessun’altro venga qui. È pericoloso anche adesso.»
Lo so, non preoccuparti. Fu la risposta mentale del Fratello. Ora vai, Jace ha bisogno di te.
Clary sorrise e salì le scale di corsa, scoprendo che Jace la stava aspettando.
Lo abbracciò di scatto, stringendosi al suo petto e riuscendo a scacciare la sensazione di inquietudine e paura che le provocava Sebastian. Ogni volta che lo vedeva si sentiva ancora più grata a sua madre per averla portata lontano da Valentine e averle impedito di diventare come il giovane uomo che aveva appena incontrato.
«Va tutto bene.» Sussurrò Jace al suo orecchio prima di baciarle la fronte e sorriderle.
Clary ricambiò il sorriso e si alzò in punta di piedi per raggiungere le sue labbra.
«Ti amo.»
 
Magnus scostò il Presidente Miao con un piede e riprese la sua marcia avanti ed indietro sul tappeto.
Erano passate quasi sei ore da quando aveva ritrovato Alec semi svenuto in mezzo alla neve e al sangue ed era riuscito a salvarlo per un pelo. Sei ore in cui lui aveva dovuto fare i conti con una preoccupazione sconosciuta che gli attanagliava il petto.
È solo per i soldi, si ripeteva continuamente, come un mantra. Il ragazzo non c’entra.
Era solo una seccatura che gli era capitata tra i piedi.
Certo, una seccatura con un gran bel fisico e praticamente identico a Will, ma pur sempre un intralcio. Si fermò davanti al nuovo divano che aveva fatto apparire per sostituire quello ormai rovinato, e osservò attentamente il suo occupante.
«È ora di svegliarsi.» Esclamò all’improvviso, costringendosi a distogliere lo sguardo e andando a sedersi sulla poltrona di fronte.
Si impose di calmarsi, e quando riaprì gli occhi, il cacciatore si trovò davanti un sorriso beffardo.
«Che è successo?» Borbottò, sforzandosi di mettersi seduto.
Magnus socchiuse gli occhi osservando quel movimento: aveva guarito l’unica ferita rimasta al giovane Lightwood, ma sentiva che c’era ancora qualcosa di malato dentro di lui. Se aveva davvero un Carnefice alle calcagna, era plausibile che quel qualcosa fosse un marchio infernale.
«È successo, stupido Nephilim, che stavi per far finire in fumo i miei soldi andandotene a passeggio in mezzo alla neve.»
Ancora una volta fu più brusco del solito, ma solo in quel momento si rese conto che si comportava così perché tutto di Alexander Lightwood lo innervosiva.
Assottigliò ancora lo sguardo e guardo il ragazzo dritto negli occhi: per un istante gli sembrò di scorgervi qualcosa di simile al modo in cui Jem aveva guardato Tessa decenni prima, un amore così forte e sincero che poteva spingerti a credere che sì, diamine, potevi essere salvato. Fortunatamente quell’emozione scomparve dall’azzurro che ricambiava il suo sguardo, lasciando posto alla malinconia.
«Stabiliamo delle regole, ok?»
Alec annuì in silenzio, gli occhi felini di Magnus che lo trafiggevano con la loro aria maliziosa e distante.
«Perfetto. Allora…Prima di tutto, non devi entrare nella mia camera o nel mio ufficio. Poi, quando c’è un party, tu devi sparire. Ti chiuderai nella stanza degli ospiti, non voglio vederti o sentirti. Chiaro?»
«Chiaro.» Mormorò Alec, sentendo un groppo doloroso formarsi in gola. Pochi mesi prima buona parte delle attività dello stregone erano vederlo e sentirlo. Si era sempre divertito a vedere quanti suoni diversi era in grado di strappargli dalle labbra, mentre erano avvinghiati tra le coperte.
Arrossì appena e quel pensiero e distolse lo sguardo per impedire al proprietario di casa di notarlo.
«Non devi toccare niente quando non ci sono e, per l’amor del tuo Angelo, non uscire mai di casa.»
Quelle parole pronunciate con una veemenza diversa dal resto attirarono nuovamente l’attenzione del diciottenne.
«C’è qualcosa che mi aspetta là fuori, vero?»
Magnus rimase silenzioso per qualche istante, poi rispose con un’altra domanda. «Hai visto qualcuno, o meglio qualcosa, prima che ti trovassi in mezzo alla neve, giusto?»
Ripensandoci Alec ricordò l’ombrosa figura che aveva intravisto con la coda dell’occhio, che era svanita quando si era voltato nella giusta direzione, quindi annuì brevemente.
Il Nascosto si alzò dalla poltrona e scostò un ciuffo di capelli ribelli che avevano resistito al gel.
«Lo sapevo.»
«Che cosa vuoi dire?»
«Voglio dire, Alexander, che hai un Jallada alle calcagna, un Carnefice infernale che si diverte a torturarti per conto di uno dei Principi.»
Quella notizia raggelò il ragazzo, che sentì solo indistintamente la voce setosa di Magnus intimargli nuovamente di non uscire di casa e annunciargli che era in ritardo per un lavoro mentre usciva.
Quando il tonfo della porta riecheggiò nel piccolo appartamento Alec lasciò andare il respiro che non si era nemmeno accorto di aver trattenuto, la rivelazione appena ricevuta che gli trapanava il cervello come un chiodo.
Azazel non aveva solo rubato i ricordi a Magnus. Il suo prezzo era diverso da ciò che aveva detto: il Principe Infernale voleva il suo dolore, fisico ed emotivo, e molto probabilmente anche la sua morte.

 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 
Capitolo 4
 
No apologies
He'll never see you cry
 
Era al centro di una pista da ballo vuota, stretta in un abito scarlatto decisamente troppo succinto per lei. Sentì delle mani maschili cingerle i fianchi, un corpo che si muoveva contro al suo a ritmo di una musica lenta. Socchiuse gli occhi, lasciandosi accarezzare, e stava per chiuderli del tutto quando lo sguardo le cadde su un bracciale argentato che scintillava al polso del suo misterioso compagno.
C’era solo una persona che portava un ornamento simile, e serviva a nascondere la cicatrice di una mano mozzata e poi ricucita.
«No!» Si voltò nell’abbraccio del ragazzo, e si ritrovò davanti il viso sorridente di Sebastian.
Urlò ancora mentre lui si chinava verso di lei per baciarla.
«Clary!»
Spalancò gli occhi e incontrò quelli cupi di un ragazzo con i capelli bianchi.
Si divincolò nella presa che la bloccava sul letto, e riuscì a scivolare giù dal letto, scappando contro la finestra. Aveva il respiro pesante, gli occhi che saettavano in cerca dello stilo, supplicando di riuscire a vedere una runa che l’aiutasse a fuggire da Sebastian.
«Clary…Clary, ehi. Sono io.» Piantò nuovamente gli occhi in quelli del giovane che l’aveva terrorizzata, e si accigliò.
«Sono io. Sono Jace.» Quando fece un ulteriore passo in avanti, la luce della luna illuminò la chioma bionda di Jace e i suoi occhi dorati. Appena lui la toccò Clary si sciolse, scoppiando in lacrime contro il suo petto e lui la cullò finché i singhiozzi non si placarono.
Solo dopo la allontanò dolcemente, accarezzandole il viso. «Ehi, cosa c’è?»
«Io…Ho sognato Sebastian…» Jace l’abbracciò di nuovo, impedendole di aggiungere altro: odiava essere lì, odiava il fratello di Clarissa e odiava che lei fosse costretta a rivederlo.
La sollevò senza sforzo e la sistemò sull’ampio davanzale della finestra, arrampicandosi sul marmo con lei e abbracciandola da dietro. «Non preoccuparti, amore. Ci sono io.»
Si appoggiò al muro, perdendosi nella meraviglia della luna piena mentre la rossa si addormentava tra le sue braccia. Appena la sentì respirare profondamente, seppe che avrebbe potuto rimanere lì tutta la notte con lei.
 
Alec si morse il labbro inferiore, sentendo il sapore del sangue.
Era tutta la sera che si tormentava la bocca, sentendo la musica fuori dalla porta. Erano passati tre giorni dalla sua tentata fuga dall’appartamento e Magnus aveva organizzato una festa.
Come stabilito dalle regole che gli erano state imposte si era chiuso nella camera degli ospiti e ora attendeva in silenzio.
O meglio, non sentiva nemmeno i proprio pensieri a causa del volume spropositato della canzone che risuonava per l’appartamento. Sperava solo che finisse in fretta.
L’unica cosa che mi manca è invecchiare con qualcuno, e voglio che quel qualcuno sia tu.
La voce di Magnus mentre pronunciava quella frase al ristorante si ripresentò all’improvviso, e aveva un’intensità e un’emozione che non aveva più sentito.
Quello che parlava nella sua testa era il suo Magnus, non l’essere che nell’altra stanza si stava probabilmente chiedendo perché continuava ad organizzare festini in casa propria.
Cielo, quanto avrebbe voluto che Jace fosse lì con lui. Sarebbe stato facile e bello crogiolarsi nel fuoco di Jace, lasciare che sciogliesse il ghiaccio che sentiva nel cuore.
Chiuse gli occhi, coricato su quel letto che non aveva profumo e sapeva di niente, e quando li riaprì la casa era avvolta nel silenzio. Accigliato, si alzò dal letto e rimase in ascolto.
L’istinto di scappare dalla casa tornò prepotente quando distinse i rumori che provenivano dalla stanza di Magnus. Strinse le mani fino ad affondare le unghie nel palmo.
Non si sarebbe allontanato molto.
I suoi piedi si mossero prima della sua mente e lo trascinarono fuori dalla camera.
Giusto il necessario per non sentire più gli ansiti nella stanza accanto.
Afferrò la prima giacca che gli capitò a tiro.
Giusto il necessario per non sentire più quel dolore al cuore.
Si fermò sulle scale mentre la porta si richiudeva alle sue spalle, e la neve lo accolse nel suo sereno silenzio.
Forse quel freddo gli avrebbe congelato il cuore, pensò mentre si sedeva sul cemento gelido.
Chiuse gli occhi, appoggiandosi al muro alle sue spalle.
Avrebbe affrontato ben più di un Portale pur di andarsene da quella casa.
«Ne sei sicuro?»
Riaprì gli occhi di scatto sentendo la voce, e davanti a sé, proprio fermo all’inizio delle scale, vide una creatura dall’aspetto vagamente umano, con una lunga coda uncinata e un’ampia cresta che correva dalla fronte lungo tutta la schiena. Gli occhi rettiliani pieni di malvagia intelligenza gli fecero provare un lungo brivido.
«Chi sei tu?» Chiese, una mano che vagava alla ricerca di una spada angelica da evocare senza trovare nulla: non aveva mai avuto l’abitudine di girare armato in casa di Magnus.
La creatura davanti a lui sibilò quasi a schernirlo. «La tua ombra.»
Alec si alzò di scatto, sforzandosi di ignorare la vertigine che gli strinse la testa all’improvviso. «Cosa?»
«Il mio Principe si vuole divertire con te. Soffrirai, Alexander Lightwood, e il mio signore berrà il tuo dolore e il tuo sangue, e finalmente tornerà su questa terra.»
Il demone si lanciò contro di lui, ma il ragazzo non scoprì mai cosa gli sarebbe successo perché ad un soffio dal suo viso esplose una scossa elettrica che respinse l’assalto e scagliò lontano l’aggressore.
Il Jallada – perché si trattava di lui, come comprese Alec – gli rivolse un ultimo sguardo rabbioso e svanì nella notte com’era arrivato, ad una velocità tale che sembrò semplicemente sparito nel nulla.
Il moro si lasciò scivolare nuovamente contro il muro, sforzandosi di respirare ad un ritmo normale.
La barriera che l’aveva difeso poteva essere stata creata da una sola persona, la stessa che ora si stava dedicando ad attività molto umane in camera propria.
Il ragazzo si appoggiò nuovamente al muro e scivolò a terra. In una situazione normale avrebbe salito le scale e si sarebbe buttato nel caldo rifugio che erano le braccia di Magnus, invece in quel momento era più solo che mai.
Si passò una mano tra i capelli, ripensando alle parole del Carnefice.
Se davvero Azazel aveva bisogno del suo dolore per attraversare la barriera che gli impediva di arrivare sulla terra, non aveva nessuna intenzione di aiutarlo.
Si alzò di scatto e rientrò nell’appartamento proprio mentre la porta della camera di Magnus si apriva e ne usciva un vampiro dai capelli neri e gli occhi azzurri.
Alec rimase un attimo ad osservarlo, una strana tensione nello stomaco nel notare la sua somiglianza con l’ospite, poi gli fece un cenno con il capo e lo superò dirigendosi in cucina.
Era ancora debole per le ferite, nonostante fossero state curate con la magia, ma questo non gli impedì di preparare il caffè mentre la porta si chiudeva dietro al vampiro e i passi felpati del Sommo Stregone di Brooklyn si avvicinavano.
«Che stai facendo?»
«Potrei farti la stessa domanda. Cosa stavi facendo con quel vampiro?» Il cacciatore si voltò a guardare il Nascosto, che stava sorridendo, con una spavalderia che non sentiva veramente.
Era quello il volto che avrebbe mostrato allo stregone d’ora in poi.
Magnus scrollò le spalle e alzò lo sguardo ad incrociare quello del suo coinquilino.
«Capelli neri e occhi azzurri sono la mia combinazione preferita.»
Alec socchiuse gli occhi senza staccare lo sguardo da quello felino davanti a lui: gli occhi dello stregone sembravano completamente dorati nella luce soffusa dell’appartamento. Senza interrompere quello scambio di sguardi, gli passò una tazza di caffè bollente.
«Lo so.»
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 
Capitolo 5
 
 And you've got your demons
and darling they all look like me
 
Isabelle accavallò le gambe, tamburellando nervosamente con le dita sul legno scuro del bancone al quale era appoggiata. La riunione andava avanti ormai da tre ore, e ancora non si era giunti ad una decisione definitiva su cosa fare di Sebastian.
Alcuni sostenevano che potesse fornire informazioni utili, altri che dovesse essere ucciso subito.
Dal canto suo la mora concordava con questi ultimi, ma non in tutto e per tutto: lei avrebbe ucciso Sebastian il più lentamente possibile, facendogli provare ogni briciola del dolore che aveva sentito lei quando aveva ritrovato il corpo di Max.
Annoiata dal chiacchiericcio che rimbombava nel salone fece scorrere lo sguardo lungo la stanza, scorrendo su centinaia di teste dai capelli di tutti i colori e soffermandosi poi sulle due che spiccavano di più. L’oro e il rosso di Jace e Clary erano le macchie di colore più evidenti nel luogo, escludendo il bianco dei capelli del prigioniero sul palco.
Quando si girò a guardarlo Sebastian le sorrise, tranquillo come se non fosse successo niente e lui non avesse ucciso suo fratello e ferito lei. Gli regalò un’occhiataccia, a cui lui rispose con una breve risata che le fece salire il sangue alla testa.
Si alzò di scatto e scese gli ampi scalini di legno a passo rapido, superando i genitori e il fratello senza nemmeno degnarli di un’occhiata.
L’unica cosa che le importava davvero erano gli occhi di oscurità del figlio di Valentine piantati su di lei. Gli sguardi dell’intero salone si piantarono su di lei quando saltò sul palco e si lanciò contro il prigioniero, ribaltando la sedia alla quale era incatenato.
«Io ti ammazzo!»
Prenderlo a pugni fu la cosa più naturale che avesse mai fatto: non c’era niente nel suo campo visivo a parte il viso affilato che stava rovinando, non c’erano le urla che le intimavano di allontanarsi né la sensazione di essere a cavalcioni sul suo petto.
«Aveva solo dieci anni!»
«Isabelle!» Stava sollevando la mano insanguinata per infliggergli l’ennesimo colpo quando le braccia di Jace la avvolsero staccandola da Sebastian.
«Lasciami, per l’Angelo!» Inveì la ragazza agitandosi nella presa che la bloccava, senza riuscire a sfuggire al fratello che stava sfruttando la sua forza disumana.
Jace la allontanò ancora mentre Maryse e Robert si avvicinano trafelati. «Lo uccideresti, Izzy.»
«Era quella l’intenzione.» Sibilò lei, e finalmente la presa si allontanò abbastanza per permetterle di girarsi tra le braccia del biondo.
«Credimi, anch’io non vorrei altro che vederlo morto, ma non possiamo ancora ucciderlo.»
Jace l’afferrò per le spalle catturando il suo sguardo, e riuscì a farla calmare abbastanza perché Maryse gli intimasse di allontanarla.
Clary fece per seguirli, ma Robert la bloccò all’ultimo minuto.
«Abbiamo bisogno che tu guarisca il prigioniero.»
«Perché io?» Chiese, chiedendosi se volessero torturarla.
Robert la osservò con comprensione. «Perché le tue rune hanno un potere maggiore, e data la natura di Sebastian non siamo sicuri che rune normali funzionerebbero, ma ci serve in forze per gli interrogatori.»
La rossa sospirò pesantemente e si voltò mentre un altro cacciatore rialzava il prigioniero. «D’accordo.»
Si avvicinò al fratello estraendo lo stilo e si affiancò alla sedia.
«Sorellina.» La salutò il ragazzo, sorridendo sotto lo strato di sangue che gli ricopriva metà del viso.
«Prova a fare una qualsiasi mossa e potrei disegnare per sbaglio una runa per paralizzarti.» Gli sorrise cinica lei, abbassando la mano verso il suo volto.
Sebastian socchiuse gli occhi quando lo stilo gli si posò sulla pelle. «A te non farei mai del male.»
Clary non alzò lo sguardo dal suo lavoro, disegnando l’iratze. «Ci hai già provato.»
«Lo so, e me ne pento.» La voce del fratello vibrava di un’emozione così sincera da attirare lo sguardo della ragazza verso i suoi occhi. Per un istante vide il ragazzo che sarebbe potuto essere, il suo fratellone dai capelli bianchi e dai confortanti occhi neri, il fratello maggiore che aveva sempre desiderato, ma si strappò violentemente da quella visione.
«Menti. Non sai fare altro.» Si allontanò e scese dal palco, lo sguardo di Sebastian che le perforava la schiena.
 
Mentre sua sorella picchiava il fratello di Clarissa, Alec stava cercando di mantenere insieme i pezzi della sua corazza. Era stata una giornata relativamente tranquilla – Magnus era sparito dopo colazione ed era appena tornato, in tempo per la cena – ma proprio per quello gli riuscì più difficile riassumere la sua facciata di spensierata allegria.
«È andato tutto bene?» Gli chiese con un sorriso appena accennato, ma dentro bruciava. Letteralmente: erano due giorni che si sentiva con i polmoni in fiamme come se non riuscisse ad incamerare abbastanza aria, i muscoli rigidi e stanchi come quando era bambino.
Lo stregone si appoggiò al tavolo della cucina dopo aver preso una confezione di cibo cinese. Alec avrebbe anche cucinato, ma ai fornelli era quasi più disastroso di Isabelle.
«Si. Tu come stai?»
Gli occhi felini si socchiusero puntandosi su di lui, e il ragazzo seppe che stavano studiando le sue guance più incavate del solito, gli occhi stanchi e l’aria confusa. Era l’ultimo giorno della loro prima settimana di convivenza e gli incubi erano tornati a tormentarlo, per questo aveva smesso di riposarsi mentre dormiva. Passava le notti ad artigliare le coperte e mordersi le labbra a sangue nel disperato tentativo di non urlare. «Sto bene.» Mentì, ma che Magnus si ricordasse o meno di lui, una sua bugia non era mai riuscita a convincerlo.
Infatti il Nascosto posò il cartone di cibo e gli si avvicinò, abbassando lo sguardo lungo i centimetri di altezza che li separavano: non era facile trovare qualcuno più alto di Alec, eppure lui lo era.
«Voglio vedere le ferite.»
Alec indietreggiò di un passo. «Cosa? No!»
«Alexander…» La voce di Magnus conteneva un avvertimento, ma il giovane lo ignorò mentre si seguivano per la cucina in una versione inquieta del gatto e topo. Alla fine il cacciatore si trovò con le spalle al muro ma non successe niente di ciò che si aspettava.
Lo stregone si abbandonò contro di lui all’improvviso, la fronte appoggiata sulla sua spalla, unico punto di contatto tra di loro.
«Magnus…Cosa succede?» Gli domandò Alec, indeciso sul dove mettere le mani. Avrebbe dovuto abbracciare Magnus o evitare di toccarlo? Alla fine optò per una via di mezzo, posando una mano soltanto sulla spalla del Sommo Stregone di Brooklyn.
«Ho fatto un sogno, ieri notte. Riguardava...»
Il ragazzo rimase silenzioso, senza sapere cosa aspettarsi, ma Magnus scosse piano la testa.
«Lascia stare.» Nonostante le parole noncuranti, non si mosse, e Alec non fece niente per respingerlo. Sapeva che avrebbe dovuto allontanarsi, ma non poteva.
Era come essere rintanati al caldo sotto le coperte d’inverno: sapevi che dovevi alzarti ma semplicemente non avevi la forza di allontanarti da quella sensazione di benessere.
Mormorò nuovamente il nome dello stregone – se fosse stato lui ad allontanarsi sarebbe stato più semplice – e finalmente lui sembrò tornare presente a sé stesso, staccandosi dal suo corpo come se fosse appena uscito da una trance.
«Bruci, Alexander.» Affermò Magnus accigliandosi, poi uscì dalla cucina con la scatola di cibo cinese e si chiuse nel suo studio.
Fu così che Alec mangiò da solo e andò a rifugiarsi nella camera degli ospiti.
Quella notte le sue urla avrebbero probabilmente riecheggiato in tutto il quartiere se l’appartamento non fosse stato insonorizzato.
Il breve contatto con Magnus sembrava aver aggiunto altro dolore al pozzo che gli riempiva il corpo, e fu proprio Magnus a spalancare la porta e a precipitarsi accanto al letto.
«Alexander!» Lo chiamò mentre si sedeva sul materasso e lo afferrava per le spalle, scrollandolo. Il volto del diciottenne era vulnerabile e disperato come non mai, come se stesse rivivendo qualcosa di orribile, o qualcosa di bello che aveva perduto.
Quando riaprì gli occhi all’improvviso, lo stregone li vide lucidi di lacrime, e un’immagine sfocata gli solleticò il cervello.
Un ragazzo singhiozzava nella doccia, dilaniato da una sofferenza che aveva trattenuto a lungo, e lui lo abbracciava lasciando che l’acqua li avvolgesse entrambi.
Sentiva le rune sotto le dita. Aveva stretto il Nephilim a sé finché non si era calmato.
«Va tutto bene, tranquillo.» Abbassò lo sguardo addolcito su Alec, abbracciandolo e lasciando che fosse il suo respiro regolare a calmare il diciottenne.
Affondò le dita in quella massa di disordinati capelli neri e li accarezzò più e più volte, sentendo quel movimento come insolitamente familiare.
Alec mormorò il suo nome in un singhiozzo, e Magnus gli sfiorò la fronte con le labbra.
«Va tutto bene…» Ripeté, lasciando che la presa ferrea del suo ospite e le sue unghie gli lasciassero segni scarlatti di dita e piccoli graffi sulle braccia.
 «Sono qui.»

 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
Jace si passò una mano sul viso e sentì il materasso cedere sotto i movimenti della ragazza.
«Jace…cos’hai?» Clary gli si inginocchiò dietro, circondandogli le spalle in un abbraccio affettuoso.
Il biondo sospirò accarezzando distrattamente un braccio della ragazza. «È Alec. C’è qualcosa che non va in lui, e non riesco a capire cosa sia. Pensavo che fosse un problema di Magnus ora, ma mi sento…non so nemmeno come spiegarlo.»
Clarissa si accigliò lievemente e si sistemò meglio, sedendosi sul materasso e circondando i fianchi di Jace con le gambe. Era una posizione che non avrebbe potuto mantenere per molto, ma era così ridicola che ottenne il risultato che sperava, ovvero strappare una risata al ragazzo.
«Clary, che stai facendo?» La voce del cacciatore aveva ancora un’ombra di risata mentre lui si girava nel suo abbraccio e la spingeva sul letto.
Risero entrambi, ma presto quel suono si spense, e il figlio adottivo dei Lightwood si accigliò lievemente. «Sai che ti dico? Alec non è più stato lo stesso da quando siamo tornati dall’Inferno, e se io mi preoccupo la situazione non farà altro che peggiorare. Perciò gli trasmetterò un po’ dell’enorme felicità che provo.»
La rossa annuì. «Credo che sia il minimo che possiamo fare per lui.»
La porta si spalancò quando le loro labbra erano ad un centimetro l’una dall’altra e furono costretti a separarsi bruscamente.
«Oh…ehm, scusate…»
Si rialzarono entrambi di scatto, e Jace ridacchiò nel notare che Clary era diventata rossa quanto i suoi capelli.
«Non preoccuparti Aline, cosa volevi?»
La ragazza fece scorrere lo sguardo su entrambi e poi accennò un sorriso teso. «Cercavo Clary, veramente. Il prigioniero ha chiesto di parlare con lei e il Conclave gliel’ha concesso.»
La coppia di giovani cacciatori si alzò di scatto dal letto, sorpresa.
«Cosa?»
«No!»
Aline arretrò di un passo e alzò le mani in segno di pace. «Io torno di sotto, voi vedetevela da soli…Ma Clary, lo sai che potresti essere la nostra unica speranza di scoprire qualcosa vero?»
La ragazza annuì brevemente e si voltò verso il compagno mentre la porta si richiudeva.
Lo sguardo di Jace era implacabile. «Non andrai a parlare con lui.»
«Saresti un egoista ad impedirmelo.»
«Lo farò comunque, non importa cosa penseranno quelli del Conclave. Ti amo, perciò posso comportarmi da egoista.»
«Jace…» Clary si allontanò dal letto andando a recuperare lo stilo. Era l’unica arma che avrebbe potuto funzionare contro Sebastian, se avesse avuto bisogno di difendersi.
Il diciassettenne le afferrò un polso prima che uscisse. «Ho detto che non andrai da lui.»
La riccia si accigliò e liberò la mano con uno strattone. «Vuoi sapere una cosa? Probabilmente sarà uno shock per te, ma non tutti obbediscono ai tuoi desideri!»
Jace non cercò di fermarla, ma lei si voltò nuovamente verso di lui quando fu sulla soglia della camera.
«Se devo passare del tempo con Sebastian per scoprire qualcosa lo farò, che ti piaccia o meno!»
Uscì sbattendosi la porta alle spalle, il cuore che batteva impazzito nel petto.
Detestava discutere con Jace: ne avevano già passate tante, perché non potevano essere felici?
Aline l’aspettava al fondo delle scale, i denti affondati nel labbro inferiore. Probabilmente tutta la casa aveva sentito la litigata.
«Pronta?»
Clary espirò profondamente e annuì. «Sono pronta.»
 
Alec si svegliò più confuso che riposato, la mattina seguente.
Fu il profumo di sandalo che echeggiava nella stanza a ricordargli cos’era successo quella notte.
«Maledizione…» Si passò una mano sul viso mentre usciva dalla camera, scalzo e pronto a sopportare gli sguardi di biasimo dello stregone per tutto il giorno.
Ma l’appartamento era vuoto, c’era solo il Presidente Miao che miagolava a gran voce per avere la sua colazione.
«Buongiorno.» Borbottò il ragazzo mentre entrava in cucina e prendeva la scatola dei croccantini.
Il gatto lo seguì miagolando di nuovo, poi saltò sul tavolo e rimase immobile ad osservarlo, la coda che si agitava lentamente. Alec, dopo aver versato i croccantini nella ciotola del Presidente, gliela mise sotto al muso e in quel momento notò il biglietto abbandonato sul marmo del tavolo.
Alexander,
sono stufo di prestarti i miei vestiti, perciò sei libero di tornare all’Istituto a prendere i tuoi.
Il moro inarcò un sopracciglio: era tipico di Magnus preoccuparsi per prima cosa del suo guardaroba. Continuò a leggere con un sospiro.
Tuttavia devi fare attenzione, fuori dalla protezione dell’appartamento, perché il Jallada ti sta cercando e tu sei ancora debole, e non voglio che i miei soldi svaniscano perché non sei abbastanza prudente.
Prima gli abiti, poi i soldi, ovviamente. Alec strinse le mani sul biglietto, pronto a strapparlo, quando gli occhi gli caddero sulle ultime righe.
Mi scuso per non essere stato presente, stamattina, ma avevo un lavoro da svolgere.
Torno presto, promesso
                        Magnus
Il cacciatore sospirò lievemente e accarezzò il gatto impegnato a mangiare. Le fusa sommesse dell’animale furono la cosa più dolce che aveva sentito in quella settimana.
«Ci vediamo più tardi, allora.»
Accompagnato da un miagolio di saluto, Alec andò a cambiarsi. Era tutta la settimana che lottava con l’armadio dello stregone per trovare abiti che non fossero del tutto osceni, e la sua ricerca non era stata del tutto infruttuosa, anche se andarsene in giro vestito di pelle nera non era mai stato il suo sogno, e ringraziava che i suoi fratelli non potessero vederlo.
L’unica cosa positiva era che i vestiti non profumavano di sandalo dato che lo stregone non li usava praticamente mai.
Una volta fuori dall’appartamento si sentì stranamente agitato. L’unica arma che gli restava era lo stilo e sicuramente non sarebbe stato molto utile se il Carnefice infernale l’avesse attaccato.
Respirò a fondo e scese velocemente le scale, immettendosi nel caos di Brooklyn con la facilità derivante dalla pratica. Affondò le mani nelle tasche e aumentò il passo, desideroso di tornare all’Istituto come mai prima d’ora.
Stava scappando dalla casa che conteneva ciò che restava del suo cuore.
Si accorse di essere in lacrime solo quando superò il portone dell’Istituto, vuoto e silenzioso esattamente come si sentiva lui. Non provò nemmeno ad asciugarsi le lacrime che gli bruciavano sul viso: le mani gli tremavano e si sentiva in preda alle vertigini.
In qualche modo riuscì a trascinarsi fino alla sua stanza. Il sibilo che riempiva l’ambiente avrebbe dovuto avvertirlo eppure lui non ci fece caso mentre crollava sul letto e si strappava la giacca di dosso, mandandola a finire da qualche parte per terra.
Chiuse gli occhi espirando, senza forze, e quando li riaprì si ritrovò il viso rettiliano del Jallada a pochi centimetri dalla faccia. La scarica di adrenalina che gli attraversò il corpo cancellò ogni altra cosa, risvegliando il puro e semplice istinto del cacciatore. Portò una mano davanti al viso per proteggersi da eventuali colpi, raccolse le gambe contro il petto e le distese di scatto scaraventando il demone contro la parete opposta.
Il bruciore improvviso che gli incendiò il braccio gli fece notare che gli artigli del Carnefice gli avevano squarciato la pelle. Rotolò giù dal letto afferrando la spada angelica sul comodino ed ebbe appena il tempo di voltarsi prima che il demone gli fosse addosso.
Quando la lama lo trapassò all’addome Alec sentì una fitta di dolore nel punto esatto in cui aveva colpito il suo avversario e abbassò lo sguardo, sorpreso nel vedere la maglia blu che portava tingersi di scuro mentre il sangue fuggiva dal suo corpo.
«Allontanati da lui.»
La voce gelida che risuonò nella stanza fece voltare i due duellanti, e Alec quasi scoppiò a ridere.
Magnus era venuto a salvarlo di nuovo, nonostante l’insofferenza che sembrava provare verso di lui. Certo, una persona normale non l’avrebbe ritenuto minaccioso se avesse guardato solamente l’apparenza – stivali, leggins blu così stretti da sembrare dipinti e una felpa rossa oversize non incutevano timore – ma un po’ più di attenzione avrebbe fatto fuggire chiunque: gli occhi dello stregone sembravano oro ghiacciato, le scintille azzurre di magia gli sfrigolavano intorno come cariche elettrostatiche, segno che era pronto a combattere e decisamente arrabbiato.
«Bane. Che sorpresa vederti qui.»
«Mi hanno offerto molti soldi per proteggere il ragazzo.» Il Nascosto avanzò oltre la soglia, e ogni suo passo avanti era uno indietro del Jallada, che tuttavia mantenne il suo tono di voce beffardo.
«Quindi è tutto qui? Soldi?»
Magnus lo ignorò e si voltò brevemente a guardare Alec, appoggiato ad una colonna del letto, un braccio sanguinante, una spada angelica insanguinata in mano e il sangue che gli impregnava lo stomaco, poi si voltò verso il demone accucciato sul davanzale.
«Dì ad Azazel di portare il suo culo nel buco più oscuro dell’Inferno e rimanerci. Il ragazzo è mio.»
«Lo troverò sempre. E alla fine servirà il mio padrone, non puoi fermarci.»
Alec sussultò brevemente nel sentire la risata dello stregone, con una sfumatura roca che gli ricordò le fusa del Presidente Miao. «Vuoi davvero scommettere con me, verme?»
Il Jallada sibilò furiosamente contro il Nascosto e poi saltò giù dalla finestra, svanendo nel nulla.
Solo in quel momento Magnus si voltò verso il Nephilim. «Ti avevo detto di fare attenzione.»
«Che cosa…? Lo sai che i demoni non possono entrare qui!»
Si avvicinarono l’uno all’altro, incontrandosi a metà della stanza, gli occhi fissi sull’altro.
«Beh, lui c’era!»
«Sei tu quello che si vanta di poter fare tutto, scopri perché era qui!» Un’altra fitta di dolore gli attraversò il corpo, e Alec fu costretto a mordersi un labbro per non gemere, ma ovviamente Magnus non si lasciò sfuggire quell’attimo di debolezza.
«Perché hai una spada angelica macchiata di sangue in mano e sei ferito?»
«Perché l’ho trapassato allo stomaco con la spada, ma mentre lo facevo la stessa ferita si è aperta nel mio corpo.»
«Credo di aver capito perché il Jallada sia riuscito ad entrare.»
«Ah sì?»
Magnus non fece in tempo ad esporre le sue considerazioni, perché Alec gli svenne tra le braccia e lui fu costretto a fare tutta la strada fino all’appartamento con il ragazzo in braccio e un principio di emicrania che pulsava sulla tempia.
“Non sarò pronto a perderti più di quanto lo sono ora.”

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
«Che ti hanno fatto?»
Fu quella la prima domanda che le uscì dalla bocca, ma appena si rese conto del tono preoccupato con la quale l’aveva posta Clary si pentì di non essere riuscita a trattenersi.
Sebastian ridacchiò lievemente e subito dopo sputò un grumo di sangue. «Sembra che si siano divertiti, non è vero?»
Clary deglutì a fatica, osservando le ferite sanguinanti sul corpo del fratello, segno che chiunque l’avesse interrogato non ci era andato leggero.
«Perché volevi parlarmi?» Gli chiese, cercando di mantenere un tono deciso nonostante la dolorosa stretta allo stomaco: nessuno avrebbe dovuto essere trattato così, nemmeno un mostro come Sebastian. Nella penombra della cella la ragazza incrociò lo sguardo del prigioniero e vi scorse la solita aria beffarda di sempre. Era un sollievo, perché sapeva come reagire alla sua crudeltà.
«Volevo che tu mi curassi.»
«Sei pazzo se credi che lo farò senza l’approvazione del Conclave.» Clary incrociò le braccia al petto scoccando un’occhiata di disapprovazione al diciottenne.
Sebastian sorrise nuovamente. «So che sei una brava e obbediente cacciatrice, sorellina.»
«Allora la nostra conversazione è finita.»
La rossa si diresse verso la porta, ma si voltò di nuovo quando il Nephilim la pregò di aspettare.
Ci fu un attimo di silenzio mentre si osservavano, poi il diciottenne sospirò e qualcosa sembrò crollare dal suo viso lasciandolo vulnerabile, simile ad un bambino spaventato.
«Clarissa, non andartene. Ho bisogno di avere qualcuno al mio fianco…Ti prego.»
Probabilmente fu il “ti prego” ma Clary sentì una stretta al cuore che non avrebbe mai pensato di poter associare a qualcuno come Sebastian: tenerezza.
Scosse bruscamente la testa e lasciò che il Fratello Silente davanti alla cella le aprisse la porta, poi si voltò nuovamente osservando il fratello tra le sbarre.
«Tu non meriti nessuno al tuo fianco. Buonanotte Sebastian.» Fiera del tono sprezzante con la quale aveva pronunciato la frase la rossa se ne andò, ignorando lo sguardo furioso del fratello alle sue spalle.
 

 
«Che è successo?»
«Sembra che svenirmi tra le braccia sia diventato il tuo hobby preferito.»
Alec batté un paio di volte le palpebre e si rese conto di avere la testa posata sulle gambe fasciate di pelle dello stregone. Cercò di alzarsi, ma la mano affusolata di Magnus gli si piantò sul petto e lo spinse nuovamente verso il basso. «Stai fermo, Alexander.»
«Ma che…?» Il moro socchiuse gli occhi e si passò una mano sul viso.  
Gli occhi felini del Nascosto si posarono sul suo volto, studiandone i lineamenti delicati e sentendo un insolito calore invadergli il corpo. Era una sensazione nuova per lui, nemmeno lontanamente paragonabile a ciò che Camille gli aveva fatto provare.
Chiuse il libro che stava consultando e scostò la mano del ragazzo dal volto, sentendo il cuore sussultargli nel petto quando incrociò i suoi occhi azzurri, esaltati dal rossore che gli era comparso sul viso. «Mentre dormivi, Bella Addormentata, ho fatto delle ricerche e ho scoperto perché il Jallada è riuscito ad entrare nell’Istituto.»
«Hm-m.» Alec aveva cercato di formulare una frase di senso compiuto ma il suo cervello sembrava essersi preso una vacanza. In quell’istante gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo, anche se il gesto successivo sei mesi prima sarebbe stato allungarsi per incontrare le labbra dello stregone, non stare lì a fissarlo come un idiota. Inspirò profondamente, e con il profumo di sandalo sentì anche la sua corazza di tranquilla impassibilità incrinarsi.
«Da quando ti ho curato per la prima volta ho sentito che c’era qualcosa che non riuscivo a cancellare, e ora ho avuto la prova che quel qualcosa era il marchio di Azazel. Il Jallada non esiste, Alexander, è solo una proiezione della tua mente e per questo ti può trovare ovunque, e per questo quando l’hai ferito hai ferito anche te stesso.»
Il Nephilim si alzò di scatto, scoprendo che la ferita allo stomaco era guarita, ma Magnus lo spinse nuovamente verso il basso, gli occhi socchiusi severi. «Non ho finito.»
Il diciottenne deglutì sentendo un brivido di inquietudine attraversargli il corpo: quello che aveva davanti era lo stesso Magnus che aveva visto combattere e uccidere senza battere ciglio, non il Magnus che lo coccolava nel letto alla sera.
«Non ho mai chiesto cos’hai fatto per essere perseguitato da un Principe, ma ora voglio saperlo.»
Quella richiesta gelò l’ambiente, e prima che Alec s’inventasse qualcosa passarono diversi istanti di silenzio, ma alla fine decise di raccontare la verità, omettendo chi fosse la persona che aveva voluto salvare. Quando finì di raccontare l’espressione dello stregone era assorta e pensierosa.
«Lasciami alzare, per favore.»
L’uomo batté un paio di volte le palpebre e sembrò tornare presente a se stesso. «Perché?»
«Perché stare qui con te, così, è una tortura.» Sentiva un doloroso groppo in gola soffocarlo. Non ce l’aveva fatta a trattenersi  e a inventare una scusa migliore, e ora stava subendo l’analisi degli occhi felini sopra di lui.
Alla fine Magnus fece un gesto con la mano e riprese a sfogliare il libro che aveva posato poco prima.
Alec esitò solo un istante, desideroso di respirare ancora il profumo dello stregone, una delle cose che gli era mancata di più, e poi si alzò dirigendosi in cucina. Avrebbe voluto avere la possibilità di annegarsi in una tazza di caffè e sparire da quell’appartamento.
«Credo di aver trovato un modo per liberarti.»
«No!» Il ragazzo si voltò di scatto, spaventato.
Le sopracciglia di Magnus sparirono sotto i ciuffi di capelli. «Cosa?»
«Non voglio che rischi per me.»
«Per…per te?» Lo stregone ridacchiò divertito mentre si alzava e si avvicinava al cacciatore.
«Alexander.» Disse mentre prendeva il viso del ragazzo tra le mani e gli accarezzava lentamente una guancia. «Io ti voglio vivo perché finché respiri io avrò i miei soldi.»
Nonostante le sue parole indifferenti il Nascosto non poté negare la sensazione di tenerezza che gli invase il cuore quando vide il moro arrossire.
«Ora va’ a farti una doccia e poi vieni in camera da me, dobbiamo parlare.»
Si allontanò da lui e si rifugiò nella sua stanza, passandosi una mano sul viso.
Mentire non gli aveva mai creato problemi ma per qualche strana ragione lo infastidiva mentire ad Alexander. Non era solamente per i soldi.
Quel ragazzo destabilizzava tutto ciò in cui aveva sempre creduto, facendolo tornare indietro di secoli quando ancora non sapeva quanto fosse doloroso amare per qualcuno come lui.
Sentì distintamente il rumore della doccia e s’immaginò l’acqua che scorreva sul corpo allenato del Nephilim, le cicatrici sbiadite delle rune che scintillavano sotto le gocce, e stranamente ebbe la sensazione di aver già avuto l’occasione di vedere che stava immaginando.
Uscì dalla propria stanza e s’infilò nel bagno chiudendosi delicatamente la porta alle spalle, tuttavia il diciottenne era stato addestrato da anni a sentire tutto ciò che lo circondava e probabilmente aveva anche una runa che potenziava il suo udito, così si accorse che era entrato qualcuno.
«Magnus? Sei tu?»
«Si.» Confermò lo stregone mentre si appoggiava al lavandino e incrociava le braccia al petto.
Il vetro grinzoso della doccia gli permetteva di vedere solo la figura sfocata del suo ospite, ma già quel poco lo attirava come se fosse stato una falena davanti ad un lampione.
«Ricordi il sogno di cui ti parlavo?»
«S-si. Non mi hai detto di cosa parlava.» Alec diede le spalle alla porta nell’inutile tentativo di non arrossire pensando che Magnus lo stava osservando a pochi metri di distanza. Si sforzò di concentrarsi sulle sue parole mentre gli descriveva il sogno: c’erano due fiori azzurri in una prateria, uno spariva e l’altro iniziava a seccare.
Non gli ci volle molto a capire cosa rappresentassero quei fiori, ma preferì tacere.
«Da quello che so non è la prima volta che fai sogni di questo genere, capirai cosa significa prima o poi.»
«Certo. E senti…riguardo alla tua gita all’Inferno…»
«S-si?» Alec esitò un istante temendo dove quella conversazione sarebbe andata a parare.
Magnus lo portava sempre su strade che lo gettavano nell’imbarazzo più totale, ma quando lo stregone continuò a parlare scoprì che non voleva dire ciò che si aspettava.
«Dovevi amarlo davvero tanto, quel ragazzo.»
Il cacciatore lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi rimanendo silenzioso: non era mai riuscito a spiegare veramente a Magnus quanto lo amasse, come avrebbe trovato le parole giuste ora?
Posò la fronte sul marmo freddo della doccia, la stessa nella quale il Nascosto l’aveva consolato dopo la morte di Max. Il ricordo fu come una pugnalata in pieno petto.
«Si. Lui…era speciale, è stato il primo a farmi accettare davvero ciò che sono, a darmi la forza di confessarlo agli altri. Lui ha fatto una scelta per me, e purtroppo si è rivelata una scelta sbagliata, così sono andato all’Inferno a cercare Azazel per salvarlo.»
«Perché fino a là?»
Alec socchiuse gli occhi godendosi la curiosità nella voce di Magnus.
«Perché lo amavo. E lo amo ancora, anche se lui non se lo ricorda più.»
Il ragazzo sobbalzò violentemente quando sentì le mani dello stregone posarsi sulla sua schiena.
Voltandosi istintivamente si trovò il viso di Magnus ad un soffio dal proprio e sentì le guance infuocarsi mentre arrossiva.
«Esci!» Sbottò cercando di allontanarsi, ma le mani affusolate del proprietario dell’appartamento gli si strinsero sui fianchi e lo bloccarono.
Lo stregone sorrise, e come al solito quell’espressione intensa e vibrante fece crollare Alec.
Posò le mani sul collo dello stregone e lo attirò verso di sé, baciandolo dopo mesi in cui non aveva desiderato altro, aspettandosi di essere respinto e trovando invece un compagno consenziente.
Mentre l’acqua della doccia impregnava i vestiti di Magnus e scorreva sul suo corpo, Alec scacciò la tristezza e il dolore che l’avevano invaso in quei mesi. Non gli importava che lui non ricordasse, l’unica cosa importante era il fatto che le labbra di Magnus lo stavano quasi divorando.

 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 
Il giorno dopo Alec si stava osservando allo specchio, chiedendosi se aveva davvero baciato Magnus. Si morse un labbro e provò a dirlo ad alta voce. «Ho baciato Magnus.»
Osservò le sue guance colorarsi mentre arrossiva senza poterlo impedire: la verità era che era stato meraviglioso provare di nuovo la sensazione delle labbra di Magnus sulle sue, sentire la carezza delle sue mani sul corpo e poter finalmente soddisfare il bisogno bruciante che lo divorava ogni volta che stava vicino a lui.
L’attimo dopo quel piacevole pensiero uno ben più cupo di abbatté sulla sua mente: se Azazel avesse saputo cos’aveva fatto?
«Va tutto bene. Magnus non ricorda.» Si disse, ma lo specchio gli restituì l’immagine dei suoi occhi pieni di lacrime.
Strinse convulsamente il lavandino e prese un respiro profondo, ma non servì a nulla. Dopo più di sei mesi l’idea che lo stregone non si ricordasse di averlo amato era come una ferita brutale che gli toglieva il fiato. Pensava che si sarebbe abituato prima o poi, ma la verità era che sapeva di sbagliarsi, non avrebbe mai superato il dolore per il prezzo impostogli dal Principe dell’Inferno.
«Alexander, campanellino, ci metti ancora molto? Perché tra poco sfondo la porta.»
La voce ironica del Nascosto raggiunse il moro e lo fece sussultare.
Alec si asciugò velocemente gli occhi e aprì la porta. «Campanellino?»
Il Sommo Stregone di Brooklyn sorrise, poi entrò nel bagno con una massa di vestiti sgargianti posati su una spalla.
 «Non ti piace?» Gli chiese mentre si toglieva la vestaglia porpora che indossava spesso in casa e iniziava a togliersi il pigiama, dopo aver posato i vestiti sul mobiletto del bagno.
«Che stai facendo?» Sbottò Alec, senza tuttavia distogliere lo sguardo dallo stregone.
Magnus ridacchiò divertito. «Mi sto preparando per fare la doccia. Vuoi venire a farmi compagnia?»
Lo sguardo malizioso che l’uomo gli lanciò da sopra una spalla fece rabbrividire il ragazzo, e non di paura. Quegli occhi felini lo stavano chiaramente invitando: erano seduzione allo stato puro.
Alec arretrò e chiuse violentemente la porta.
E se Magnus avesse ricordato?
Scosse la testa. Di sicuro non l’avrebbe torturato così.
No, si disse, Magnus non ricordava. Stava semplicemente tentando di sedurlo di nuovo.
 
Clary si diresse verso l’uscita in punta di piedi, la runa del silenzio che scintillava sulla caviglia.
Detestava avere dei segreti con Jace, ma se avesse saputo che stava tornando da Sebastian avrebbe dato di matto.
Lasciò la porta socchiusa per non fare rumore e corse giù per le scale, uscendo di corsa dalla casa e ringraziando mentalmente che la città fosse praticamente deserta di notte.
Rallentò solo quando fu sulla collina, per evitare di arrivare a destinazione con il fiato corto, ma quando fu davanti all’entrata della prigione si trovò davanti un Fratello Silente, immobile nel buio, la tunica che ondeggiava lieve nel vento.
«Devo passare.» Chiese Clary mostrando più determinazione di quanto non avesse realmente. Se il Fratello Silente avesse voluto, l’intero Consiglio sarebbe stato sulle sue tracce entro pochi istanti, e di sicuro non avrebbero apprezzato il fatto che fosse corsa da un traditore come Sebastian.
Dovresti formulare le tue richieste con più educazione.
La rossa deglutì a fatica e si voltò a guardare la collina alle sue spalle, quasi aspettandosi di vedere la chioma bionda di Jace nella notte. «Per favore, fammi passare.»
Perché vuoi vedere il prigioniero?
Clary si morse un labbro, riflettendo sulla domanda. Era stato un sogno a svegliarla, ma non ricordava esattamente cosa aveva visto, ricordava solo il desiderio di vedere il fratello.
«Ho fatto un sogno stanotte. Non lo ricordo ma so che devo vedere Sebastian, quindi fammi passare, ti prego.»
Vai.
«Grazie, Zacariah.»
Sorrise al Fratello Silente ed entrò nella prigione, avanzando a passi felpati lungo il corridoio buio, il cuore che le batteva impetuoso nel petto.
Le celle erano vuote e Clary arrivò in fretta davanti a quella che cercava.
«Sebastian.» Mormorò osservando la luce della luna danzare sui capelli bianchi del prigioniero.
Il figlio di Valentine si voltò lentamente verso di lei, mostrandole la metà insanguinata del volto, e accennò uno dei suoi sorrisi ironici. «Ciao sorellina. Che fai qui?»
Mentre guardava gli occhi neri di Sebastian e sentiva le lente gocce di sangue che scivolavano sul terreno, la ragazza si chiese perché mai il sogno che non ricordava l’aveva spinta lì.
Disegnò velocemente una runa di apertura, attenta a non renderla troppo potente, ed entrò nella cella quando fece effetto, poi richiuse la porta e rispose alla domanda che le era stata posta.
«Ti ho sognato. Credo.»
Sebastian inarcò un sopracciglio e aprì la bocca, ma quando cercò di parlare un fiotto di sangue gli sgorgò dalle labbra, macchiandogli il colletto della maglia e facendo spaventare la ragazza.
Quando l’accesso di tosse finì e il giovane fu in grado di respirare normalmente, Clary si maledisse mentalmente. Si sentiva strana, quella sera, come se il suo corpo agisse da solo e senza seguire le motivazioni ragionevoli che la sua mente continuava a strillare.
È Sebastian, vi ha tradito e ha ucciso Max.
Avanzò ancora di un passo verso il fratello.
È un mezzo demone che vi disprezza e ha cercato di uccidervi.
Estrasse lo stilo che si era portata – per sicurezza o per un’altra ragione non lo sapeva – e socchiuse gli occhi.
Pensa a come reagirebbero i tuoi amici. Alec, Izzy. Jace.
«Ti curerò, se lo desideri.»
Sebastian la osservò in silenzio, come se volesse capire perché era lì con lui in quel momento, poi annuì brevemente. Desiderava passare del tempo con lei da quando l’aveva rivista giorni prima, e stranamente scoprì di essere stato sincero quando aveva affermato di voler qualcuno al proprio fianco. Aveva avuto Valentine, anni prima, ma non era mai stato veramente con lui.
L’aveva addestrato e maltrattato, plasmandolo per essere la sua perfetta macchina da guerra e condannandolo ad una vita solitaria che – faticava ad ammetterlo anche a se stesso – iniziava a pesargli.
Quando lo stilo gli incendiò la pelle il ragazzo trattenne un respiro sibilante, e poi lo esalò quando sentì la runa guaritrice fare effetto. Guardando gli occhi di Clarissa, vicinissimi ai suoi in quel momento, sentì assurdamente di essere al sicuro.
«Finirai nei guai per questo.» Borbottò sentendo le ossa rotte ripararsi, gli organi tornare saldi e forti e la lieve emorragia interna che lo stava quasi soffocando svanire.
Clary si accigliò e ritirò lo stilo dopo la quinta runa e rimase ad osservarla: era una runa insolita, nuova. Di sicuro l’aveva sognata quella notte, e ne intuì la funzione di guarire non all’esterno, ma interiormente. «Lo so.»
Ma curare Sebastian non doveva essere sbagliato, se gli Angeli le avevano fatto vedere quella runa.
«Eppure sono qui, e credo che ci rimarrò un po’.» Scrollò le spalle e andò a sedersi dal lato opposto della stanza, gli occhi fissi sul fratello in catene. In quel momento una parte del suo cuore si tese percependo dov’era e cos’aveva fatto. Le sue azioni avrebbero scatenato un vero e proprio casino.
Non seppe mai quanto tempo era passato quando le palpebre le si chiusero per il sonno, e per questo non seppe mai se la parola che sentì sussurrare dalla voce di Sebastian fosse veramente stata pronunciata.
«Grazie.»
 
Isabelle si rialzò e si ripulì i pantaloni, gli occhi ancora fissi sulla lapide che aveva davanti.
Maxwell Joseph Lightwood, vittima innocente di una guerra troppo grande
Quelle iscrizioni non significavano nulla, in realtà.
Non dicevano quanto fosse stato adorabile, il loro fratellino, mentre se ne andava in giro con una sfilza di domande sulle labbra, o quanto sia lei che Alec amavano tenerlo tra le braccia portandolo a letto ogni volta che si addormentava su un divano. Non potevano dire niente, erano parole sulla lapide di una tomba vuota.
Il corpo di Max era bruciato insieme a quello di centinaia di caduti.
La mora si costrinse ad allontanarsi da quel luogo che le portava solo dolore e tornare a casa.
Jace le finì quasi addosso mentre apriva la porta, i capelli biondi scompigliati, scalzo con solo i pantaloni di una tuta consumata addosso. I suoi occhi, preoccupati, avevano assunto una sfumatura quasi bronzea.
«Iz! Dov’eri?»
La Cacciatrice aprì la bocca per ribattere, osservando l’intricata runa parabatai scintillare sul petto del fratello, ma non ne ebbe il tempo perché lui la interruppe.
«Clary è sparita.»
 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

«Che vuol dire che Clary è sparita?»
Jace si passò una mano sui capelli, fremendo. Avrebbe dovuto essere tranquillo – Clary non era mica legata a lui – ma dopo tutto quello che avevano passato aveva la tendenza a pensare sempre negativamente. «Significa che mi sono svegliato e lei non c’era!»
Isabelle gli fece cenno di calmarsi e parlò nel tono più ragionevole possibile. «Io vado a svegliare i miei e spiego loro la storia.»
Il biondo annuì e la superò. «Perfetto, io vado a cercarla.» E s’incamminò lungo il viale davanti alla casa, ma la voce della sorella lo fermò di nuovo.
«Prendi questa, almeno.» Gli disse mentre si sfilava la giacca. Era quella di Alec, e lei se l’era portata dietro quasi per istinto, e l’aveva indossata per andare al cimitero per avere una parte del fratello con sé. Avrebbe voluto che Alec fosse lì con lei, non perché non considerasse Jace come un fratello, ma perché Jace tendeva a stare lontano dalle cose che potevano causargli dolore se poteva evitarlo.
Come la tomba di Max.
«Grazie.» Jace indossò la giacca e partì di corsa, i piedi nudi che macinavano il terreno.
Non aveva idea di dove iniziare a cercare Clary, ma quando fu ai piedi della collina che portava alle prigioni scorse un bagliore scarlatto contro il verde rigoglioso del prato.
C’era solo una persona con quei capelli.
Una scarica di adrenalina gli attraversò le vene come fuoco e lo spinse di corsa su per il pendio della collina, fino da Clary.
«Clarissa!» La ragazza si voltò mentre la raggiungeva, e lui vide lo sconcerto nei suoi occhi.
«Jace…»
«Che ci fai qui, in nome dell’Angelo?»

Magnus tamburellò le dita sul tavolo di ebano, in attesa.
Alec era tornato all’Istituto per prendere gli abiti e le armi che la prima volta non aveva avuto l’occasione di recuperare, e lui rischiava di impazzire da un momento all’altro.
Erano poche le persone che potevano farlo sentire così. 
Una era morta, le altre due erano immortali e non le vedeva da molto tempo, ma sapeva che stavano bene.
Non poteva dire lo stesso di Alec.
Alzò lo sguardo sull’orologio alla parete e il Presidente Miao miagolò, come a dirgli di smetterla.
«Taci.» Magnus spostò lo sguardo sul gatto, accigliandosi.
Il loft era pieno di Nascosti che si erano presentati alla festa per il compleanno del Presidente Miao.
Era andato ad aprire la porta e si era trovato davanti Jace, Isabelle e Clary.
C’era qualcun altro, qualcuno vestito di scuro che non riusciva a ricordare. Cercò di mettere a fuoco il suo viso…
La porta si aprì e si richiuse, sottraendolo ai suoi pensieri sfocati. 
Schizzò in piedi, e solo all’ultimo momento si rese conto che non avrebbe dovuto comportarsi così.
Si appoggiò alla parete e incrociò le braccia, ignorando lo sguardo accusatorio del gatto ai suoi piedi prima che andasse a salutare l’ospite. Al Presidente Miao era sempre piaciuto Alec, fin dal primo momento in cui l’aveva visto.
«Magnus, sono tornato.» Borbottò Alec mentre entrava nel salottino, le armi che gli scintillavano alla cintura e una mano stretta intorno al borsone pieno di abiti. 
Quando lasciò cadere il borsone ci fu un vago tintinnio, e il Nascosto ebbe l’impressione che là dentro ci fossero altre armi. Odiava dover assimilare il fatto che Alec non si sentisse al sicuro con lui.
«Non vieni a salutarmi?» Gli chiese con un sorriso che, fu felice di notare, fece arrossire il ragazzo.
Provava un insolito senso di delizia ogni volta che lo vedeva arrossire a causa sua.
«Direi che non è il caso.» Sussurrò Alec mentre si dirigeva verso la camera.
Fu la mano forte ed elegante di Magnus a fermarlo prendendolo per il polso e facendolo voltare.
In un attimo il cacciatore si trovò intrappolato tra le sue braccia, la schiena appoggiata al muro e gli occhi felini dello stregone che occupavano il suo campo visivo. 
«Alec, angelo, dammi una possibilità. Vedo benissimo che non ti sono indifferente, eppure continui a respingermi.»
Se tu sapessi perché… Pensò Alec, deglutendo a fatica, gli occhi che scendeva sulle labbra di Magnus, labbra sottili, e morbide, e appena umide, labbra che gli davano il tormento.
«Esci con me, dammi la possibilità di scoprire cosa nascondi sotto la corazza.»
Il silenzio calò tra di loro, il battito unito dei loro cuori era l’unico suono presente.
Alec spostò nuovamente lo sguardo sugli occhi di Magnus, scintillanti e maliziosi, ma sinceri.
In quel momento dimenticò gli occhi maligni di Azazel, gli artigli del Jallada sul suo braccio, i capelli bianchi e la pelle incartapecorita dello stregone invecchiato di colpo.
Non riconobbe cosa lo spinse ad accettare, forse fu la vicinanza ritrovata con Magnus, la decisione nella sua voce, o il modo in cui aveva modulato la parola angelo, di sicuro il migliore dei soprannomi che si fosse inventato in precedenza.
«D’accordo.»
Il Nascosto sorrise, sollevato, e all’istante gli diede le spalle per nascondere quel sorriso – decisamente troppo contento – e andò a stravaccarsi sul divano ad occhi chiusi.
Ascoltò i passi di Alexander sul pavimento di legno dell’appartamento, la porta della sua stanza che si apriva e non si chiudeva del tutto, permettendogli di ascoltare i frusci degli abiti e il tintinnio delle armi. 
Era fin troppo felice di aver ottenuto un appuntamento con il ragazzo, e fu proprio questo a farlo accigliare lievemente, ricordandogli che cosa stava pensando prima che lui tornasse.
L’emicrania tornò pulsando e lui si passò una mano sul viso.
Vide una figura scura scivolare oltre il bordo della nave e il cuore gli si strinse in una morsa dolorosa. La magia scaturì a salvarlo ancor prima che se ne rendesse veramente conto, e lui si rilassò solo quando il ragazzo fu al sicuro.
Era svenuto, ma almeno non sarebbe annegato in quelle acque luride.
Lui era stremato, e si permise di chiudere gli occhi per qualche istante, fino a quando una voce che non riconosceva chiamò il suo nome.
«Magnus? Tutto bene?» 
La voce di Alec lo strappò ancora una volta da quei ricordi – sempre se fossero effettivamente ricordi, non lo sapeva – combaciando stranamente con la voce che l’aveva chiamato quella lontana notte, mentre usava ogni residuo di forza per mantenere la magia.
«Che cosa c’è?» Borbottò spostando la mano e aprendo un occhio soltanto: il cacciatore era uno splendore, avvolto in un lungo accappatoio di spugna blu che risaltava i suoi occhi.
Il moro inarcò un sopracciglio. «Hai programmato un party per stasera.»
Quella frase sembrò avere il potere di risvegliare lo stregone, che in un attimo si alzò dal divano e sparì in camera.
Alec rimase un attimo ad osservare la porta che portava alla stanza nella quale aveva trascorsi interi pomeriggi e sere, perfino notti. Rassegnandosi ad un’altra serata nella propria camera, il ragazzo si diresse verso il bagno: era meglio approfittarne finché era vuoto.
Magnus fece irruzione nel bagno un attimo dopo che era entrato nella doccia, paralizzandolo.
L’ultima volta che erano stati insieme in quella stanza erano finiti avvinghiati contro la parete della doccia, fradici e troppo presi l’uno dalle labbra dell’altro per curarsene.
«Magnus...ehm…che ci fai qui?»
«Mi sto preparando per la festa. Non pensare a me, continua pure.» Lo incitò lo stregone mentre le sue mani piene di gel s’infilavano tra i capelli con gesti quasi automatici e lui cercava di non pensare al corpo nudo di Alec mentre l’acqua gli scorreva addosso.
«Dimenticavo di dirti, oggi non devi nasconderti.»
«Cosa?» Il diciottenne si sporse oltre il bordo della doccia, badando a nascondere il resto del corpo.
Magnus era un tripudio di glitter e abiti brillanti, così colorati e scintillanti da ferire quasi lo sguardo. Era da molto tempo che non lo vedeva così abbagliante.
Lo stregone si voltò a guardarlo con uno scintillio malizioso nello sguardo, come se lo stesse mangiando con gli occhi. «Ho detto che, se vuoi, puoi evitare di chiuderti nella tua stanza.»
«Perché hai cambiato idea?» Alec si rifugiò nuovamente nella doccia, il cuore che batteva furiosamente nel petto. 
«Perché…»
Sono stufo di vederti correre dietro a qualcuno che non ti amerà mai, non come ti amo io.
Magnus osservò la sua espressione stralunata allo specchio. Adesso sentiva le voci.
Anzi, era una voce sola, la sua stessa voce che gli sussurrava frasi e raccontava avvenimenti mai accaduti. O forse sì?
«Perché molti dei miei ospiti ti sentono anche se non sei presente, quindi tanto vale nasconderti.»
«Uhm-hm. Ok, grazie.»
«Nulla.» Magnus uscì dal bagno di controvoglia e rimase un attimo immobile prima di riprendersi e tornare in camera propria. Ogni tanto gli capitavano quei momenti nei quali i suoi occhi non vedevano ciò che avevano davanti ma fatti che non erano mai accaduti, come ricordi sfocati dalla nebbia. Ogni volta che cercava di vedere più chiaramente gli veniva un’emicrania con i fiocchi.
«Che cos’ha quel ragazzo per farmi questo effetto?» Chiese a sé stesso, anche se ad un osservatore esterno sarebbe potuto sembrare un malato mentale che parlava con una sciarpa.
La sciarpa azzurra era legata alla testiera del letto e sembrava suggerirgli una risposta che non riusciva a comprendere. Aveva preso l’indumento quasi subito quando gli avevano portato Alec svenuto e febbricitante, ma non sapeva perché.
Guardando quella semplice striscia di tessuto, solo un po’ più chiara degli occhi del Nephilim, desiderò avere subito l’appuntamento che gli era stato promesso, senza aspettare.
Uscì dalla stanza e si diresse all’entrata a passi sostenuti. Raramente agiva d’impulso come in quel momento, ma il diciottenne nel suo appartamento lo faceva comportare in modo strano.
Trovò i primi ospiti in attesa sulle scale, e si dipinse un sorriso beffardo e sicuro sul volto.
«Party annullato, signori.»
«Cosa? Magnus, non puoi farlo!» Fu un gruppetto di demoni il primo a protestare, ma lo stregone sorrise.
«Posso. In effetti, l’ho appena fatto. E ora, fuori.» Agitò lievemente una mano, e la barriera che aveva eretto per contrastare il Jallada scintillò respingendo gli ospiti indesiderati.
Il Sommo Stregone di Brooklyn sorrise finché non furono spariti nella calca fumosa della città e poi risalì le scale, cercando una scusa credibile da dire ad Alec.
Tuttavia, appena rientrò nel salotto, le parole gli morirono in gola, perché il suo coinquilino aveva i capelli ancora umidi dopo la doccia, indossava jeans neri – ok, avevano l’aria consumata, ma erano semplicemente perfetti – e una camicia blu elettrico che faceva risplendere i suoi occhi come zaffiri.
Deglutì a fatica. «Alexander…»
Il Nephilim si accigliò lievemente nel vederlo pietrificato sulla soglia. «Si, Magnus?»
Alec rimase ad osservare lo stregone, che era entrato allegramento nell’appartamento solo per bloccarsi sulla porta, gli occhi felini lievemente sgranati. Abbassò lo sguardo sulla camicia e sorrise lievemente: era la stessa che aveva usato per il loro appuntamento al ristorante tempo prima, e faceva lo stesso effetto.
Ringraziando mentalmente Isabelle per avergliela fatta comprare, il ragazzo cercò di non arrossire sotto lo sguardo incantato dello stregone. «Dove sono i tuoi ospiti?»
«Li ho mandati via, e credo di aver fatto più che bene a farlo.»
Magnus sorrise e si avvicinò al diciottenne, gli occhi socchiusi. Sembrava che ogni fibra del suo corpo non avesse mai abbastanza di Alec: sarebbe potuto rimanere a studiare il modo in cui i capelli gli sfioravano il collo, o come le lunghe ciglia oscuravano il colore dei suoi occhi, perfino il modo in cui le sue guance si coloravano o le sue dita tormentavano un lembo degli abiti, avrebbe potuto guardarlo per ore.
Lo afferrò all’improvviso e sfruttò l’effetto sorpresa per trascinarlo nella sua stanza e buttarlo sul letto, bloccandolo con il proprio corpo.
Alec arrossì, troppo sconcertato per reagire – il suo corpo non voleva reagire- e osservò l’uomo che lo fermava sul materasso con un ansia crescente nel petto. Che cosa sarebbe successo, ora?
Le labbra di Magnus erano ad un soffio dalle sua quando lo stregone sussurrò la frase successiva.
«Non hai idea di quanto tu sia meraviglioso con quella camicia, Alexander.»
E non lo vide sussultare nel risentire la stessa frase che non ricordava di avergli detto poco più di sei mesi prima.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
 
«Ti rendi conto di quello che hai fatto?»
«Si, ma…»
«Avrebbe potuto farti male!»
«È in catene e ferito!»
«È Sebastian, Clary! Ha ucciso Max!»
Quell’ultima frase bloccò momentaneamente la protesta successiva di Clary, riducendola ad un lieve sussurro. «L’ho sognato, Jace. L’ho sognato mentre agonizzava in mezzo al deserto, da solo, e poi ho visto una Runa.»
Il biondo si bloccò, guardandola come se fosse impazzita, poi le si avvicinò tendendole le mani.
Quando l’aveva vista in cima alla collina, scarmigliata e confusa, si era spaventato a morte, ma quando lei gli aveva spiegato perché era là si era infuriato.
«Clary, non farmi questo.» Mormorò cercando di abbracciarla, ma lei si scostò e gli regalò un’occhiata di fuoco.
«Non hai ascoltato ciò che ho detto, vero? L’ho sognato, e lo sai che non faccio mai dei sogni normali, tantomeno quando vedo le rune…»
«Clarissa…»
Jace si rese conto di aver fatto un errore enorme quando lei gli colpì la mano ancora tesa verso il suo viso e si allontanò come una piccola furia dai capelli rossi. «Non chiamarmi Clarissa!»
L’urlo di sicuro si era sentito per tutta la casa, ma il Nephilim rimase immobile a fissare la porta che sbatteva dopo che la ragazza se n’era andata di corsa.
 
Magnus socchiuse gli occhi e li puntò su Alec.
Il ragazzo gli era scivolato via dalle braccia appena gli aveva aperto la camicia, e ora se ne stava in piedi davanti alla finestra, la camicia blu aperta sul petto e una spalla scoperta.
Era più bello che mai, e lo stregone dovette trattenersi dal raggiungerlo.
Le rune argentee rendevano la schiena del ragazzo ancora più attraente, e lui scese dal letto e si avvicinò. Sorrise nel sentire il cacciatore sussultare sotto le sue mani e si godette il lieve mugolio che gli sfuggì dalla bocca quando posò le labbra sul suo collo.
«Che cosa c’è, Alexander?»
«Io…non posso.» La voce strozzata del cacciatore fece stringere il cuore di Magnus e lo spinse a scendere dal materasso e avvicinarsi. Quando infilò le mani sotto la camicia blu e la fece scivolare giù dalle spalle di Alec fu deliziato nel notare che non aveva intenzione di allontanarsi.
«Perché?» Sibilò sulla pelle delicata del collo del diciottenne. C’era una voce nella sua testa che gli diceva che quel punto particolare gli avrebbe fatto perdere la testa, e fu proprio così.
Alexander espirò profondamente e s’inarcò contro di lui, gli occhi socchiusi.
Lo stregone alzò lo sguardo e vide la loro immagine sfocata riflessa nel vetro: all’improvviso sentì di voler rimanere lì per sempre, abbracciato a quel ragazzo dagli occhi azzurri, ma ancora una volta il moro lo bloccò afferrandogli le mani.
Alec inspirò profondamente cercando di non badare troppo al calore del petto di Magnus contro la propria schiena. «Perché…» Gli si spezzò la voce e sentì le lacrime premere per uscire, e fu costretto a rimanere qualche istante in silenzio per cercare la forza di andare avanti. Mentre rifletteva intrecciò le dita a quelle di Magnus, sentendo il freddo metallo degli anelli sulle dita dello stregone. Era un contatto che gli era mancato oltre ogni dire, così tanto che provandolo di nuovo non ebbe più la volontà di trattenersi.
«Sono andato all’Inferno per te.».» Esclamò all’improvviso, e vide gli occhi felini del Nascosto spalancarsi per la sorpresa. Respirò a fondo e osservò Magnus nel vetro.
«Sei tu l’uomo che amo.»
 
Clary si abbandonò sulla sedia, gli occhi fissi sul palco.
L’ennesima seduta del Consiglio, le stesse lunghe ore a sentire quei vecchi Nephilim parlare senza concludere nulla. Sebastian era incatenato accanto alle alte sedie dei consiglieri, e i suoi occhi neri scrutavano la sala.
Quando si posarono su di lei, la rossa non poté fare a meno di sorridere.
L’attimo dopo sentì lo sguardo infuocato di Jace bruciarle la schiena, ma si sforzò di ignorarlo.
Dopo tutti i guai che avevano affrontato, il biondo si rifiutava di ascoltarla quando gli parlava di uno dei suoi sogni.
«Clarissa Fray!» La voce rabbiosa di Isabelle la distrasse dalla scena che aveva davanti facendola voltare. La mora le si sedette accanto, e per un istante la ragazza credette che le avrebbe fatto del male.
Isabelle non le lasciò il tempo di parlare. «Sei la creatura più stupida che io abbia mai visto! Che cosa sei andata a fare da lui, eh? Ti sei bevuta il cervello, in nome dell’Angelo?!»
«Izzy…»
«No! Ha ucciso Max, Clary! È un mostro!»
«Ma io l’ho sognato, Izzy!»
Le due ragazze rimasero ad osservarsi in silenzio, e Clary poté immaginare il cervello di Isabelle riflettere freneticamente su ciò che aveva appena detto.
Nonostante fosse impetuosa e molto spesso impulsiva, la ragazza aveva una mente acuta e logica, e sicuramente le avrebbe dato retta, avrebbe capito…
«Non ti capisco, Clary…Pensavo lo odiassi quanto noi…»
La rossa cercò di prendere le mani dell’amica, ma lei si sottrasse e scosse la testa. «Spero che tu sappia ciò che stai facendo, Clary, ma ricordati chi è davvero Sebastian.»
Prima che la cacciatrice potesse rispondere, Isabelle se ne andò senza degnarla di un’altra occhiata e il consiglio ebbe inizio.
Per tutta la durata della discussione la ragazza cercò di non pensare a Jace, anche se un paio di volte si voltò a guardarlo, scoprendo che aveva le braccia incrociate e la mascella serrata in un’espressione severa.
«Visto che il prigioniero non è intenzionato a fornirci le informazioni riguardanti la sua presenza qui dobbiamo giudicarlo per i suoi crimini passati. Non starò qui ad elencarli tutti, dato che sono di pubblica natura, quindi mi limiterò ad esporre la sentenza che il Conclave ha stabilito prima che Jonathan Christopher Morgenstern fosse catturato, e la sentenza è che venga giustiziato per i crimini commessi contro la razza dei Nephilim.»
Clary fu in piedi ancora prima di accorgersene: ancora una volta il suo corpo si muoveva prima della sua mente. «NO!»
L’intero Conclave si voltò verso di lei, e la rossa si sentì improvvisamente in soggezione.
«Come, scusi?»
La ragazza fece scorrere lo sguardo dai visi esterrefatti e feriti di Isabelle e Jace a quello di Sebastian, i cui occhi neri sembravano scintillare e pregò mentalmente l’Angelo di darle la forza di andare fino in fondo e di riuscire a risolvere l’intricata situazione.
«Ho detto che non può essere giustiziato perché…Perché io posso trovare le informazioni che cercate.»
Mentre il Consigliere e l’Inquisitore parlavano tra di loro sottovoce, Clary pensò a sua madre, al modo in cui si stringeva una solitaria ciocca di capelli – non erano biondi, ma bianchi, e l’aveva capito solo ora – piangendo la scomparsa del suo Jonathan, la perdita di ciò che avrebbe potuto essere. Forse poteva salvarlo e riportarlo da lei. Jocelyn ne sarebbe stata felice probabilmente.
«Perché dovremmo fidarci?» La diciassettenne sussultò quando si rese conto che la domanda era rivolta a lei, ma la risposta le venne subito in mente, quasi come fosse il suo stesso sangue a darle la risposta.
«Perché sono Clarissa Morgenstern, sua sorella.»
 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

«Che cosa?» Magnus si allontanò dal Nephilim, accigliato.
Alec abbassò lo sguardo, tormentandosi la manica della camicia, e lo stregone sentì l’emicrania tornare impetuosa.
Le sue mani continuavano ad accarezzare la schiena del Presidente Miao, che faceva le fusa.
«Tu piaci al Presidente.» Disse, ricordando che il ragazzo aveva la tendenza a muovere le mani quando era agitato, come se fosse un modo per scaricare la tensione.
«E quindi?»
«Non sono mai uscito con qualcuno che non piacesse al mio gatto.»
«Magnus? Stai bene?» 
Lo stregone alzò lo sguardo e scoprì che il cacciatore lo stava osservando. «No, non sto bene. Mi hai appena detto che io avrei rinunciato alla mia immortalità per un cacciatore che è andato all’Inferno per salvarmi, come credi che dovrei sentirmi?»
«Non mi hai richiamato.»
«Siamo nel mezzo di una guerra e tu ti preoccupi che non ti ho chiamato?»
«No, mi sto preoccupando perché non mi hai richiamato.»

«Lo so che sembra strano, ma ricorda cosa ti ho raccontato. Il prezzo per salvarti sono stati i tuoi ricordi.»
Magnus socchiuse gli occhi, ma non riusciva a rendersi conto delle parole che aveva appena sentito. Come potevano essere vere quelle frasi? C’era qualcosa che continuava a sfuggirgli.
«Alexander.»
«S-si?»
Il diciottenne si morse le labbra, ogni nervo del corpo teso nel rendersi conto che aveva praticamente infranto un patto con un Principe degli Inferi. 
«Magnus!» Qualcuno gli si inginocchiò accanto e gli prese una mano, mentre l’altra sfiorava la coltellata accanto al cuore. Si rendeva conto che era una ferita potenzialmente mortale, ma era felice che ci fosse lui al suo fianco.
Si passò una mano sul viso e sospirò pesantemente. L’emicrania stava aumentando, e aveva appena ricevuto una dichiarazione da un Nephilim. «Non riesco a credere del tutto a ciò che hai detto.»
Il cacciatore gli accarezzò il viso, e lui sentì il suo respiro affannato. Provò a parlargli, ma gli uscì solo sangue dalle labbra.
«Prendila.»

Si coprì il viso con le mani e rimase ad ascoltare il respiro affannato di Alec. Sembrava che gli stesse per venire un infarto. «É… è normale. Lascia che ti racconti…»
«No!» Esclamò rialzando il viso e facendo sobbalzare il ragazzo. Socchiuse gli occhi cercando di concentrarsi oltre il pulsante dolore del mal di testa che rischiava di farlo impazzire.
«Prendi la mia forza, Magnus.»
Il ragazzo si abbassò verso il suo viso e le sue labbra morbide gli regalarono un bacio.

Si alzò di scatto e afferrò il volto di Alec fra le mani, attirandolo a sé e baciandolo prima che potesse reagire. In quell’attimo che sembrò durare un’eternità gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo: le labbra che stava baciando ora sembravano proprio le stesse che gli avevano dato quel bacio disperato in una serata tormentata a Idris.
Si staccò dal cacciatore e andò dalla parte opposta della stanza, passandosi un dito sulle labbra. Perché quel particolare bacio gli aveva lasciato quella sensazione strana, come una corrente sottopelle?
«Sei stato qui per due settimane, il tempo è finito. Vattene.» Sentenziò senza nemmeno voltarsi, e non si voltò nemmeno quando i passi incerti di Alec furono solo un eco nell’appartamento.
Il rumore della porta che si chiudeva fu come una sassata in piena testa, e lui cadde sul letto, pensando che gli sarebbe esploso il cervello se l’emicrania non fosse diminuita.

«Allora, come ha fatto?»
Clary si voltò sentendo la porta aprirsi e si trovò davanti Isabelle e Jace, ed entrambi sembravano decisamente infuriati.
«Come ha fatto a fare cosa?»
«A piegarti alla sua volontà, ovvio! Con Jace ha dovuto usare una specie di runa di possessione!»
Isabelle la guardò male e si lasciò cadere su una sedia accanto alla scrivania.
Clary fece scorrere lo sguardo sui suoi due amici e poi lo puntò su Jace. «Non mi ha fatto proprio niente! Semplicemente credo che possa cambiare.»
Il ragazzo appoggiato accanto al muro si passò una mano fra i capelli con un gesto irritato. «Non riesco a capirti, l’hai sempre odiato e ora lo difendi? E hai pure il coraggio di dirmi che non ti ha fatto nulla?» 
Man mano che parlava, la sua voce si era alzata di tono, e alla fine della frase stava quasi urlando, ma Clary serrò la mascella e rimase ad osservarlo nonostante le facesse male litigare con lui.
«Esatto. Jace, cerca di capirmi, ti prego.» Gli si avvicinò fermandosi a meno di mezzo metro di distanza, supplicandolo con lo sguardo di ascoltarla davvero, ma i suoi pensieri disperati si scontrarono contro il muro dorato dello sguardo di Jace; nonostante questo lei riprese a parlare, sentendosi quasi andare a fuoco sotto le occhiate rabbiose del suo ragazzo e della sua migliore amica. «Jace, quando tu eri posseduto da Sebastian io non ho mai dubitato che tu potessi essere salvato. E ora so che posso salvare lui.»
«Non chiedermi di aiutarti, Clarissa. Non posso.» Jace riaprì la porta e se ne andò, i suoi passi furiosi risuonarono nel corridoio come una condanna.
Clary chiuse lentamente la porta e vi si appoggiò, respirando profondamente e tentando di ricacciare indietro le lacrime. Amava Jace, lo amava da morire, ma in momenti come quello desiderava che fosse meno testardo.  Il modo in cui aveva pronunciato il suo nome per intero, Clarissa, le fece ancora più male perché lo usava solo quando si allontanava da lei, e lo faceva quando era davvero arrabbiato.
«Clary…»
«Iz!» Si voltò osservando la ragazza, e all’improvviso scoprì di avere ancora la speranza che lei potesse capire.
«Clary, mi dispiace per il comportamento di Jace, ma sono d’accordo con lui.»
«Isabelle, ti prego. Almeno tu non mi lasciare.»
La ragazza si alzò dalla sedia e abbracciò brevemente l’amica: quando si separarono, gli occhi scuri di Isabelle erano comprensivi ma decisi. «Clary, io ti capisco, ma ti ricordo che avevo un fratello, e il tuo l’ha ammazzato a sangue freddo.»
La mora le batté un paio di volte una mano sulla spalla e uscì dalla camera, lasciandola nuovamente sola. Clary si asciugò rabbiosamente le lacrime e se ne andò dalla stanza, riuscendo fortunatamente ad evitare gli altri abitanti mentre usciva dall’abitazione e arrancava verso la prigione.
Superò i Fratelli Silenti senza problemi – essersi schierata in quel modo al Conclave le aveva garantito il passaggio – e raggiunse la prigione di Sebastian.
Il ragazzo le sorrise debolmente. «Come mai sei qui?»
Ancora una volta la rossa attese prima di rispondere, e lo fece solo quando fu all’interno della cella.
«Sembra che tu sia l’unico dal quale posso rifugiarmi, ora. Schierandomi con te credo di essermi inimicata mezza Idris, se non tutta.»
Il cacciatore ridacchiò piano e fece cenno alla sorella di accomodarsi. Clary andò a sedersi dalla parte opposta alla sua, la schiena appoggiata alla pietra fredda della cella. 
«Suppongo che le persone normali ringrazino qualcuno che ha fatto per loro ciò che tu hai fatto per me.»
«Si, di solito lo fanno, specialmente se quel qualcuno ha litigato con una sua amica e col suo ragazzo per te.» La ragazza sbuffò lievemente e distolse lo sguardo.
«Ehi…Clarissa.» Sebastian richiamò la sua attenzione, e lei tornò a guardarlo cercando di non pensare a quanto fosse strano che proprio lui pronunciasse il suo nome con quel tono morbido e Jace l’avesse detto con una voce furiosa.
«Hm?»
«Grazie.»
Fu quella semplice e all’apparenza insignificante parola a dare nuova forza alla ragazza, a farle capire che c’era speranza.
Sebastian poteva essere salvato.

Alec arrancò nella neve sempre più alta, ma il vero freddo era quello che sentiva dentro di sé.
Aveva ceduto e rivelato a Magnus cos’era successo più di sei mesi prima e aveva rovinato quella parvenza di serenità che aveva guadagnato in quelle settimane.
«I miei complimenti, Alexander.» La voce melliflua e ironica che sentì sembrava uscita direttamente dall’Inferno, e in quel caso era vero.
Il Nephilim alzò lo sguardo e vide un uomo in abito elegante aspettarlo pochi metri più avanti.
Se non fosse stato per la voce e per gli occhi – rossi con la pupilla verticale, come Magnus – non l’avrebbe riconosciuto, perché sembrava normalissimo.
«Azazel.» Solo pronunciarne il nome lo fece sentire male, le cicatrici delle ferite che gli aveva inflitto ritornarono a bruciare come se si stessero riaprendo. 
«In persona, o quasi. Mi hai dato ciò che volevo, ma ho ancora bisogno di una cosa da te.»
Alec deglutì a fatica e raddrizzò la schiena nonostante il dolore della vicinanza con il Demone rischiasse di buttarlo in ginocchio. «Non ti darò niente.»
Il Principe dell’Inferno rise e all’improvviso la sua figura sembrò sfaldarsi in fumo, mescolandosi con la neve che continuava a cadere. 
«Ti stavo solamente informando, Alexander. Non ti stavo chiedendo il permesso.»
L’essenza di Azazel lo investì come un treno, facendolo crollare sulla neve e contorcere dal dolore, come se ogni nervo del suo corpo fosse in fiamme.
Com’era arrivata la sensazione cessò, e Alec riaprì gli occhi.
Non sentiva più nulla.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

Clary si passò una mano sul viso e osservò Sebastian dormire.
Si era addormentato appena uno dei Fratelli Silenti era venuto a liberarlo dalle catene, e la rossa aveva scoperto che durante il giorno lo tenevano in catene perché erano fatte della stessa sostanza delle torri anti demoni di Alicante e gli impedivano di sfruttare le abilità derivate dal suo sangue.
Mentre lo osservava dormire, la ragazza dimenticò la crudeltà che aveva dimostrato, i suoi atteggiamenti vili e sarcastici, dimenticò perfino che aveva ucciso Hodge e Max. Sembrava così sereno con la bocca socchiusa, il respiro lieve e un’aria terribilmente indifesa.
Si alzò, sentendo le gambe intorpidite e si avvicinò alla brandina sul quale dormiva.
Allungò una mano verso di lui ed esitò, mordendosi il labbro inferiore.
Sebastian aveva sangue di demone, in fondo. Cosa le dava la certezza che non sarebbe tornato a essere quello che era da un momento all’altro?
Tu hai sangue di angelo, siete opposti, come ogni altra cosa al mondo. 
Clary scosse la testa per scacciare quella voce, ma una parte di lei sentiva che non era maligna.
Va tutto bene, Clary.
La ragazza sorrise lievemente e affondò la mano nei capelli candidi di Sebastian, accarezzandoli lievemente. Aveva riconosciuto la voce, o meglio, ne aveva riconosciuto l’origine. Era un angelo, forse lo stesso che le aveva mandato il primo sogno e le aveva fatto vedere la runa.
«Clary!» 
La cacciatrice ritrasse bruscamente la mano proprio mentre Isabelle si fermava davanti alla cella.
Guardò prima lei e poi Sebastian, accigliandosi mentre notava quanto erano vicini.
«Iz lascia che ti spieghi.»
«Lascia perdere, non è importante. Jace sta male.»
«Cosa?» Clary uscì di corsa dalla cella, e il clangore della porta che si chiudeva fece svegliare Sebastian, che fu seduto in pochi istanti. «Che succede?» Chiese osservando la sorella.
Clary accennò un sorriso incoraggiante. «Tornerò, promesso. Ciao.» E corse via, seguendo le falcate di Isabelle fino alla casa dei Lightwood e superandola appena seppe dove si trovava Jace.
Si avvicinò al letto quasi correndo e per fermarsi fu costretta ad aggrapparsi ad una delle colonne del baldacchino, ma i suoi occhi erano fissi sul materasso.
Jace si stava contorcendo dal dolore in mezzo alle lenzuola, la runa parabatai che scintillava come se fosse infuocata e rivoli di sudore che scorrevano sul torace nudo. 
«Jace…» Si sedette sul materasso e gli prese una mano, sussultando nel sentire la stretta di ferro del ragazzo chiudersi intorno alle sue dita. Isabelle era dall’altra parte del letto e tamponava la fronte del fratellastro con un panno bagnato, nella speranza di abbassarne la temperatura corporea.
«Che cos’ha?» Chiese Clarissa a bassa voce, accarezzando un braccio di Jace con la mano libera e sforzandosi di resistere alla sua stretta. 
La seconda dei Lightwood si accigliò e indicò la runa che scintillava sul petto del ragazzo. «Credo…credo che sia successo qualcosa ad Alec. Jace non è ferito ma sta comunque male, e l’unica spiegazione è che sia accaduto qualcosa di brutto al suo parabatai.» 
«Quindi sono tutti e due in pericolo di vita?» La voce le si strozzò in gola, ma fu sollevata nel vedere Isabelle scuotere la testa.
«Clary, devi capire che io non so cosa voglia dire avere un parabatai. Non ho mai trovato nessuno a cui desideravo legarmi così tanto. Magari, se ti avessi incontrata prima…Comunque, tutto ciò che so l’ho imparato leggendo, quindi posso dirti che da quello che c’è scritto sui libri, Jace non è in pericolo.»
«Meno male.» Clary sorrise, ma vedendo l’espressione cupa della ragazza davanti a lei scosse la testa. «Non volevo dire questo! Cioè, sono felice che Jace stia bene, e ovviamente sono preoccupata per Alec.» 
Isabelle non ebbe il tempo di replicare, perché Jace si contorse come se l’avessero appena colpito e gemette il nome del parabatai. 
«Jace! Cosa senti?»
Il biondo aprì lentamente gli occhi e li fissò su Clary mentre rispondeva alla sorella. «Niente. So che è vivo…Ma non sento niente.» Il suo sguardo si offuscò, e alle due ragazze si strinse il cuore nel vedere proprio lui, di solito così forte, ridotto così male. «Me l’hanno portato via.»

Magnus scosse la testa, lasciando che i capelli bagnati spandessero gocce d’acqua sullo specchio del bagno. Si sentiva quasi un estraneo nella sua stessa testa; continuava ad avere flash di fatti che non ricordava fossero avvenuti e di ciò che era successo nelle ultime settimane. 
Si avvolse nell’accappatoio e tornò in camera, ma appena fu entrato nella stanza lo sguardo gli cadde sulla sciarpa accanto al letto. Era azzurra, proprio come gli occhi di Alexander.
L’aveva scacciato per lo shock di ciò che aveva detto, ma una parte di lui ne sentiva la mancanza.
Non poteva negare che quelle due settimane erano state belle, quasi serene, eppure non riusciva ad accettare davvero l’entità del sentimento che Alec aveva dichiarato che li aveva legati.
Sentì il distinto scoppiettio del fuoco nel caminetto e si sporse oltre la porta, osservando il foglietto che aleggiava nell’aria sopra le fiamme. 
Sospirò pesantemente e andò a prendere il foglio.
Era la scrittura di Isabelle, e chiedeva semplicemente se fosse successo qualcosa al fratello.
Magnus inarcò un sopracciglio e schioccò le dita, richiamando i vari controlli magici che aveva sparso intorno al suo appartamento – quando aveva fatto l’incantesimo che impediva a Camille di entrare? – e scoprì che era successo qualcosa poche ore prima.
Il sapore che sentì in bocca gli fece quasi venire voglia di vomitare. Era aspro, sapeva quasi di cenere, e lui sapeva per istinto a chi apparteneva. L’aveva sentito quando, da bambino, aveva dato fuoco al suo finto padre, e già allora aveva saputo che apparteneva al suo vero padre, Azazel.
«Lo troverò sempre. E alla fine servirà il mio padrone, non puoi fermarci.»
Le parole del Carnefice gli echeggiarono nella mente, e lui seppe che cos’era successo.
Afferrò la prima penna che gli capitò sotto mano e scrisse una sola parola sul foglio che aveva ricevuto.
Arrivo.
Gettò nuovamente il messaggio nel fuoco e schioccò le dita, mandando una scintilla azzurra di magia ad avvolgersi intorno al foglio, che in pochi secondi era sparito e probabilmente era già nelle mani di Isabelle. Magnus tornò in camera e si tolse l’accappatoio, ma mentre si vestiva sentì le fusa sommesse del Presidente. «Starai solo per un po’, devo andare ad aiutare i Nephilim.»
Ma perché doveva andare? 
Finì di vestirsi e indossò il lungo cappotto di pelle nera.
Indossò il cappotto e si sistemò un’ultima volta i capelli. Il Presidente Miao faceva le fusa ai suoi piedi. «Devo andare ad aiutare Alexander.»
Aveva appena ricevuto la richiesta di aiuto che diceva che il maggiore dei Lightwood era stato ferito e sentiva la strana smania di andare da lui, di aiutarlo e di vederlo riaprire gli occhi.
Il Presidente Miao miagolò sommessamente, e lui lo osservò riflesso nello specchio.
Il suo gatto aveva i suoi stessi occhi, e la cosa lo fece sorridere. 
«Ciao.» Borbottò prima di uscire dalla camera, ma si bloccò nell’osservare la porta chiusa dell’appartamento. 
Era appoggiato allo stipite della porta, e improvvisamente gli venne da sorridere.
«Venerdì, allora?» Domandò al ragazzo in fondo alle scale.
Lo vide esitare un attimo, poi salì le scale di corsa e gli prese il viso fra le mani.
Il bacio che seguì fu confuso, incerto e meraviglioso.
Magnus sentì la mano del giovane stringersi sulla sua maglia, e l’attimo dopo si era già allontanato. Lo stregone sollevò lo sguardo su di lui.
«Venerdì va benissimo.» 
Sentenziò il diciottenne prima di allontanarsi nell’oscurità crescente della sera.
«Lightwood.» Rise osservando il suo ospite allontanarsi. «Vogliono sempre avere l’ultima parola.»

«Lightwood.» Sussurrò Magnus, poi tornò nuovamente in camera.
Il Presidente lo osservò con un lampo di soddisfazione negli occhi, come se avesse sempre aspettato quel momento.
«Tu lo sapevi.» Lo accusò lo stregone, e il gatto miagolò come se gli stesse rispondendo.
«Sapevi chi era Alec, sapevi che tutto quello che mi ha detto è vero.» Sembrò assurdo a dirlo, ma in quel momento Magnus era consapevole che era vero.
«Visto che c’è qualcuno di molto sexy, vi lascio restare.»
«Grazie.» Dissero all’unisono Jace e Isabelle, ma lui scosse la testa e indicò il moro dietro di loro.
«Io parlavo di lui. Il ragazzo con gli occhi azzurri.»
Alec arrossì e distolse lo sguardo, nascondendosi parzialmente dietro ai ciuffi di capelli neri.

 Era adorabile.
Magnus si passò un dito sulle labbra, ricordando la morbidezza della bocca del Nephilim sulla sua.
In quel momento sentì tutto ciò che aveva dimenticato, e ricordò ogni attimo passato con lui, sentì il proprio cuore che accelerava la sua corsa, e il mondo sembrò tornare al posto giusto.
Sorrise inconsapevolmente, ma il sorriso svanì quando ricordò dove stava andando e perché.
«Alexander.» Mormorò, assaporando quel nome con un sentimento nuovo.
Amore.


 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

Clary si svegliò di soprassalto e scoprì che Jace la stava guardando.
«Ehi…» Mormorò mentre il timore dell’ennesima litigata le nasceva nel petto. «Come stai?»
Il biondo respirò profondamente e la sua espressione seria si sciolse in un sorriso. «Sto bene. Più o meno. E tu?» 
Jace le lasciò la mano e si mise a sedere con un sospiro, ma quando la guardò i suoi occhi erano dolci, amorevoli, e Clary sentì la forza di quel sentimento scaldarle il cuore. 
«Sto bene…Sei ancora arrabbiato con me?»
La domanda fu posta con un tono esitante, e fece sorridere il giovane Herondale.
«Un po’ sì, ma ora sei qui con me no?»
«Ci sarò sempre per te, stupido.» Borbottò Clary guardandolo male, ma non riuscì a rimanere accigliata a lungo, perché Jace l’attirò a sé e le diede un bacio delicato sulla fronte.
«Ti amo, Clary. Scusa se mi sono comportato in quel modo orribile.» 
La ragazza sorrise. «Anch’io ti amo, e io stessa mi sarei comportata così se i nostri ruoli fossero stati invertiti.»
Si sorrisero a vicenda, poi la rossa si abbassò a baciare il ragazzo. Quello era il suo Jace, il cacciatore che la difendeva con le unghie e con i denti, che avrebbe bruciato il mondo e l’avrebbe tirata fuori dalle ceneri se le fosse successo qualcosa. Era l’uomo che amava, e sapeva che avrebbe fatto di tutto per lui. Perfino accettare Sebastian, probabilmente.
Isabelle entrò nella stanza e loro si separarono in fretta.
«Hai un talento per arrivare nei momenti peggiori.» Borbottò Clary, ma entrambi la ignorarono, perché la mora aveva un foglio bruciacchiato in mano, ancora avvolto in scintille azzurre di magia.
«Magnus…» 
La ragazza annuì. «Dice che sta arrivando, il che vuol dire che è successo qualcosa di grave.»
«Non avevo dubbi.» Sentenziò Jace mentre scostava le due ragazze e si alzava, rifiutando qualsiasi aiuto.
«Dove stai andando?» Domandò Clary osservandolo preoccupata.
Jace si strinse nelle spalle.
 «Prima di tutto a vestirmi, poi ad aspettare Magnus. Conoscendolo sarà qui tra pochi secondi, e io voglio ritrovare il mio parabatai, perché questa sensazione di vuoto e…freddo che sento è orribile, e mi spaventa più di qualsiasi altra cosa io abbia mai provato in vita mia.» 
Clary socchiuse gli occhi e guardò Isabelle, ben sapendo che la sua espressione comprensiva e triste era uguale a quella che lei stessa si sentiva in volto.
«Va’, ti raggiungiamo subito.»

Jace scese le scale con calma, sentendo Robert e Maryse discutere nell’ufficio di quest’ultima, ma decise di ignorarli e proseguire con la sua idea iniziale.
Magnus era la loro speranza migliore per trovare Alec, anche se non ricordava. Da quel punto, si trovò a pensare Jace, il figlio maggiore dei Lightwood era più forte di lui: se Clary non si fosse più ricordata di lui probabilmente sarebbe impazzito e avrebbe fatto qualcosa di estremamente stupido.
«Jace.» La voce melliflua del Sommo Stregone di Brooklyn lo raggiunse appena entrò nel salotto d’ingresso, e voltandosi vide una figura scura e sinuosa.
«Magnus! Avevo ragione, sei arrivato in fretta.» Sorrise, ma l’espressione svanì quando lo stregone abbassò il cappuccio che gli copriva il volto. Aveva un’espressione diversa dall’ultima volta che l’aveva visto, più umana, più simile a quella…di quando ricordava Alec.
Inarcò le sopracciglia e non ebbe nemmeno bisogno di parlare, perché il Nascosto annuì. «Mi ricordo.»
«Grazie all’Angelo! Aspetta…c’è qualcosa di peggio vero?»
Magnus annuì e si lasciò cadere su uno dei divani, accavallando le gambe.
Jace esitò un attimo e poi si accomodò davanti a lui, facendogli cenno di parlare.
«Quando ho ricevuto il messaggio di Isabelle ho controllato le difese magiche, e ho scoperto che mio padre Azazel ha trovato un modo per venire sulla Terra e…credo che abbia posseduto Alexander, in qualche modo.»
«Meraviglioso.» Borbottò Jace mentre Clary e Isabelle li raggiungevano e salutavano lo stregone a voce bassa. 
«Quindi ora dobbiamo trovare Alec, o qualsiasi cosa sia diventato, e anche un modo per salvarlo.»
«Salvarlo?»
Magnus annuì. «È stato posseduto da Azazel.»
Isabelle non ebbe il tempo di aprire bocca, perché in quel momento le grida esplosero nelle vie della città e il quartetto si precipitò fuori, scoprendo che i demoni avevano invaso le strade.
«Non so voi, ma ho appena avuto un déjà-vu.» Commento Jace con il suo solito sarcasmo.
Clary lo colpì distrattamente sul braccio e lui le sorrise. «Fate attenzione, noi andiamo ad armarci.»
Jace e Magnus annuirono all’unisono e poi uscirono in città, trovandosi in mezzo ad una vera e propria guerra.
«Trova Alec, e sii cauto.» Disse Magnus, sorprendendosi delle sue stesse parole: non avrebbe mai pensato di dire proprio a Jace quelle parole, ma sapeva che a parte lui era la persona migliore per quella ricerca.
Si separarono, e Magnus si fece strada tra i demoni a colpi di magia, e arrivò fino alla collina che portava alla prigione, trovando ciò che cercava.
Là, davanti alla foresta, c’era Alec, ma non era veramente lui, lo stregone lo riconobbe anche da lontano. Alexander aveva una postura sicura, certo, ma non arrogante, e di sicuro gli occhi rossi dalla pupilla verticale che incontrarono i suoi non erano quelli del cacciatore.
«Ciao, figliolo.» La voce di Azazel lo raggiunse nonostante la grande distanza, e a Magnus venne nuovamente voglia di vomitare, non tanto per l’aria satura di cenere che riempiva l’ambiente, quanto più sentire la voce dell’uomo che amava chiamarlo figlio.
«Perché non vieni ad affrontarmi qui, padre?»  Lo stuzzicò lo stregone, osservando la sua stessa magia scintillare intorno a lui. Era praticamente sicuro di non riuscire a battere il Principe, ma forse poteva evitargli di sterminare tutta la città. E poteva riprendersi Alec, di questo era sicuro.
Il corpo del cacciatore avanzò, e se non fosse stato suo padre, Magnus avrebbe anche potuto apprezzarne l’andatura sinuosa da predatore, ma in quel momento ebbe pochi secondi per decidere cosa fare.
L’orda di demoni spuntò dal nulla dietro al loro padrone, e la risata gelida di Azazel fu l’ultima cosa che Magnus sentì prima di doversi concentrare con ogni briciola di forza per evitare gli assalti del Principe.

Clary sospirò pesantemente e sentì la schiena di Isabelle premere contro la sua.
«Ce ne sono troppi.»
«Abbi un po’ di fede.» Sorrise Clary, ricordando le parole di Jace all’Hotel Dumort.
Isabelle sbuffò esasperata e fece scattare la frusta, strappando la zampa anteriore di un demone.
«Non possiamo affrontarli e cercare di salvare i bambini nel frattempo.»
La ragazza annuì bruscamente, e fu proprio quel richiamo a ciò che era successo l’ultima volta che i demoni avevano invaso la città a far nascere nella sua mente un’idea tanto assurda quanto geniale.
Si voltò verso Isabelle e sorrise. «Noi non possiamo, ma c’è una persona che può aiutarci.»
La mora rimase ad osservarla per qualche istante, mentre gruppi di cacciatori passavano di corsa davanti a loro, le lame angeliche splendenti strette nelle mani. 
«Tu sei pazza!»
«No Iz, non lo sono. Ricordati che Sebastian ha sangue demoniaco, quindi è la persone migliore per combattere i demoni.»
La ragazza estrasse un pugnale e lo lanciò contro un demone che si stava avvicinando, e prima che potesse rispondere dovette attendere che Clary si liberasse di un’altra creatura.
«Ci tradirà, Clary, è matematico.»
La rossa scosse la testa e sorrise nonostante la situazione. «No. Tu cerca Jace, io vado da Sebastian.»
Corse via, facendosi strada tra la calca di Nephilim e demoni, e si fermò solo quando fu sul fianco della collina: Alec e Magnus si stavano affrontando, e l’aria intorno a loro sapeva di sangue e cenere.
Vedendo scintille scarlatte circondare il figlio maggiore dei Lightwood la ragazza ebbe la conferma che non era più lui, e fu costretta a fare un giro molto largo per evitare il duello in corso.
Diede un’occhiata veloce allo stregone e si rese conto che non sembrava più lui, col cappotto lacero e macchiato di sangue, il viso pallido e gli occhi che scintillavano di rabbia. Rallentò il tempo necessario per osservarli per un attimo e poi scattò nuovamente verso la prigione, le cui entrate erano prive di guardiani. 
Non incontrò nessuno nemmeno mentre scendeva le scale e dedusse che i Fratelli Silenti dovevano essere fuori per le strade insieme agli altri cacciatori.
«Sebastian!» Giunta davanti alla cella Clary la aprì velocemente e vi si infilò con impazienza.
«Che sta succedendo fuori, per Lilith? Sembra che si sia scatenato l’inferno!» La voce del prigioniero, più che timorosa era curiosa, e questo fece esitare la rossa che stava per invitarlo a seguirla fuori.
La ragazza si morse nervosamente il labbro inferiore. «Hai quasi azzeccato. Là fuori la situazione è peggiore di quando tu ci hai invaso, e ho bisogno del tuo aiuto.»
Sebastian inarcò le sopracciglia delicate e poi sorrise in un modo che fece quasi pentire Clary della scelta che aveva fatto.
«Io cosa ci guadagno?» Domandò, sfregandosi i polsi dove le catene avevano consumato la pelle.
La giovane davanti a lui sospirò e poi gli prese le mani, inginocchiandosi davanti a lui e parlando in tono frenetico. «Se mi aiuti ora mi batterò con le unghie e con i denti perché tu non venga giustiziato, e questo attacco dimostra che eri sincero e non avevi secondi fini quindi mi sarà più semplice aiutarti.»
Gli occhi neri di Sebastian divennero, se possibile, ancora più scuri, ma alla fine lui annuì e si alzò.
«Dammi una spada.» 
Clary si alzò a sua volta e arretrò di pochi passi, ma quando lui tese una mano per ricevere la spada angelica lei gliela prese e la sfruttò per attirarlo più vicino a sé e abbracciarlo.
Dovette alzarsi in punta di piedi per riuscire a cingere le sue spalle larghe, ma l’irrigidirsi della sua schiena e poi il lento rilassamento dei muscoli furono così soddisfacenti che una parte di lei desiderò averlo abbracciato prima. 
Quando Sebastian ricambiò il gesto fu come se la ragazza sentisse una parte del suo cuore sciogliersi, quel lato di lui che era stato gelato e plasmato nel sangue e nella crudeltà. Si separarono quando uno scoppio improvviso risuonò sopra di loro, e la rossa consegnò una spada angelica nelle mani del diciottenne.
Fecero le scale del ritorno di corsa, affiancati, ma si fermarono entrambi all’entrata della prigione ad osservare la devastazione che imperversava sulla pianura e in città.
«Non tradirmi. Ti prego.»





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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14
 
Sebastian si muoveva ad una velocità incredibile, così rapido che Clary faticava a seguirlo con lo sguardo, e temeva che se avesse spostato gli occhi anche solo per pochi istanti sarebbe scomparso.
Lo schiocco di una frusta la distrasse per un attimo, e quando tornò a voltarsi dopo aver fatto un cenno ad Isabelle, suo fratello era effettivamente scomparso, e lei si guardò in giro temendo che fosse scappato e l’avesse tradita.
«Dov’è?» La voce di Jace la colse di sorpresa anche perché non aveva una risposta pronta.
«Ehm…»
Isabelle e il fratello adottivo inarcarono le sopracciglia insieme come per incitarla a continuare, ma fu Sebastian stesso a dare loro la risposta pugnalando un lungo tentacolo di demone che stava strisciando verso la caviglia della sorella. «Sono qui, Jonathan.»
Clary fu costretta a posare una mano sul petto del proprio ragazzo per impedirgli di attaccare il fratello e lo supplicò con lo sguardo di calmarsi; non lo liberò finché la sua espressione non si addolcì e non si focalizzò su di lei.
«Mi ha aiutata a sopravvivere fino ad adesso, se avesse avuto secondi fini avrebbe avuto tutto il tempo per metterli in atto, quindi, in nome dell’Angelo, smettila di ringhiargli addosso e aiutalo con i demoni mentre io e Isabelle ci assicuriamo che i bambini siano tutti al sicuro nella Sala del Consiglio.»
Jace batté un paio di volte le palpebre osservando la giovane dai capelli rossi e cercando di non sorridere anche se ciò che aveva appena suggerito non gli piaceva per niente, ma non riuscì a replicare perché quando aprì la bocca per farlo Isabelle lo zittì sorprendo tutti i presenti.
«Clary ha ragione. E tu.» Si voltò verso Sebastian e si accigliò quando lui le sorrise. «Non pensare che ti abbia perdonato, e credimi, se dovessi finire trucidato da uno qualsiasi di questi demoni mi faresti un favore enorme.»
Il ragazzo dai capelli bianchi sorrise. «Anch’io ti auguro buon divertimento.»
Stranamente fu Jace a mettersi tra la sorella e il diciottenne, facendogli cenno di muoversi e girandosi poi a guardare le due ragazze. «Fate attenzione.»
La mora annuì. «Anche tu.»
Clary sorrise ai due uomini e poi trascinò via Isabelle, correndo verso la Sala del Consiglio. Fu la mora ad aprire la porta spaventando i giovani Nephilim rifugiati all’interno, e si affrettò a rassicurarli mentre l’amica chiudeva la porta. Entrambe si godettero quel momento di pace mentre giravano tra i ragazzini e si assicuravano che ci fossero tutti.
Una volta finito il controllo si prepararono a tornare all’esterno, ma la porta si aprì di nuovo lasciando entrare Jace e Sebastian. Si appoggiarono tutti e due ai battenti e rimasero lì a riprendere fiato, guardandosi a vicenda con la coda dell’occhio.
A Clary si strinse lo stomaco di gioia nel vedere il suo ragazzo sorridere lievemente: se c’era un modo alternativo per arrivare al cuore di Jace era la guerra.
Si avvicinò e prese il viso del biondo fra le mani, quasi assalendolo con un bacio, a cui lui rispose con altrettanta foga. Ad interromperli fu Isabelle che si schiarì rumorosamente la gola. «Ci sono dei bambini qui.»
I due diciassettenni si separarono ridacchiando, poi Clary si scostò lentamente avvicinandosi al fratello, anche se Jace continuò a tenerla per mano come se fosse pronto a tirarla indietro.
«Stai bene?» Gli chiese, allungando la mano libera per accarezzargli la guancia; Sebastian s’irrigidì quasi come se si aspettasse di essere picchiato e si rilassò solo quando lei gli posò il palmo sul viso.
«Si, io sto bene.» Il ragazzo sorrise lievemente, sentendo il calore di quel contatto cancellare la fatica degli scontri affrontati e intaccando il gelo di tutta una vita. Fu in quel momento che notò gli sguardi spaventati dei bambini, e stranamente si sentì a disagio. «Clarissa, puoi venire fuori un attimo?»
La rossa annuì brevemente, poi si voltò a sorridere a Jace, che la guardava diffidente, e non poté fare a meno di notare che sembrava comunque più rilassato, anche se più di una volta aveva notato che la sua mano saliva a massaggiare il petto in corrispondenza della runa che lo legava ad Alec.
Quando furono fuori dalla Sala la giovane alzò il viso a guardare il fratello. «Dimmi.»
Prima di risponderle Sebastian si voltò ad indicarle la collina, i cui fianchi erano costellati di chiazze di erba bruciata e macchie di sangue; seguendo il suo sguardo Clary vide che Magnus e Alec – o meglio, Azazel – si stavano facendo a pezzi lentamente, ma seppe che lo stregone avrebbe avuto la peggio prima o poi, perché la sua magia lo sfiniva anche fisicamente.
«Credo di avere un’idea per aiutarlo.» Dichiarò il figlio maggiore di Valentine, scattando a prendere il polso della sorella che si era già precipitata verso lo scontro in corsa.
Clary si voltò verso di lui sorpresa: entrambi sapevano che quella era la prima volta che lui la toccava volontariamente per primo senza volerle fare del male. «Davvero?»
Il ragazzo annuì. «Hai usato quella spada angelica, la Gloriosa, per spezzare il legame che avevo con Jace, no? Può darsi che funzioni anche con il vostro amico.»
La rossa rifletté per qualche secondo, ma i suoi pensieri vennero interrotti dall’ennesimo scoppio di scintille magiche, blu e rosso si mescolarono rendendo deserta un’altra zona di collina.
«Può funzionare, e anche se non siamo sicuri dobbiamo tentare!» Abbracciò brevemente il fratello e poi tornò all’interno seguita da lui, sentendo l’emozione esploderle nel corpo.
«Jace! Iz! Dobbiamo andare a prendere la Gloriosa!»
I due fratelli adottivi si voltarono verso di lei. «Eh?»
La ragazza sorrise e spiegò l’idea che Sebastian aveva avuto poco prima, cercando di sistemarla in un modo che fosse credibile anche per due persone scettiche come loro. Quando ebbe finito di parlare li vide annuire, e fu felice di averli convinti.
«Vado a distrarre Ale…Azazel il tempo necessario per spiegare il piano a Magnus.» Jace estrasse l’ultima spada angelica che gli rimaneva e si avviò verso l’uscita, ma prima che potesse farlo Sebastian gli piantò una mano sul petto.
«Vado io. Lo stregone arriverà qui tra poco.» Non permise a nessuno di replicare, perché impugnò la spada angelica e uscì: ben presto era sparito, e non poterono fare altro che guardarsi in silenzio per qualche istante prima di riprendersi.
Fu Jace il primo a parlare di nuovo. «Clary, andiamo a prendere la spada. Isabelle, resta qui, per favore. Proteggi i giovani e spiega la situazione a Magnus quando arriva.»
La mora annuì bruscamente e salutò la coppia con un cenno.
 
Magnus arrancò nella stanza un quarto d’ora dopo, imprecando in quello che la ragazza riconobbe come demoniaco e togliendosi il cappotto ridotto in strisce inutili di stoffa.
«Allora, perché l’adorabile fratello di Clary è fuori ad affrontare Azazel al mio posto?»
Aveva un aspetto terribile, notò Isabelle, e dovette mostrare la sorpresa perché lo stregone sorrise beffardo. «Lo so, ma mi perdonerai se non ho avuto il tempo di farmi una doccia prima di venire qui.»
La giovane Lightwood ridacchiò lievemente, confortata nel notare che nonostante tutto il Nascosto avesse mantenuto il suo comportamento pieno di ironia, poi gli spiegò che Sebastian si era offerto di distrarre il corpo posseduto di Alec. Era stato un bel gesto, certo, ma Isabelle era confusa a riguardo.
«Che altro?»
«Eh?» La mora batté le palpebre tornando presente a sé stessa, e Magnus la osservò attentamente prima di pulirsi gli occhi dal sangue che gli colava dalla fronte. «Allora, cos’altro c’è?»
«Oh, sì! Sempre Sebastian ha pensato che la Gloriosa potrebbe liberare Alec dalla possessione.»
Lo stregone annuì e sorrise divertito. «È un ragazzo pieno di idee, a quanto pare.»
Isabelle abbassò lo sguardo e si passò una mano fra i capelli.
«Già, ma non sappiamo se funzionerà…» Non aveva voluto usare un tono così sottile, eppure non poteva nemmeno immaginare di perdere anche il fratello maggiore.
La ragazza sentì le braccia di Magnus stringerla all’improvviso, e nonostante non si fosse mai aspettata un gesto del genere dallo stregone rimase a farsi cullare per qualche istante nell’odore di sangue e magia del suo corpo, e quando si allontanarono gli occhi felini davanti a lei scintillarono.
«Andrà tutto bene, Isabelle.» La rassicurò prima di voltarsi e attendere l’arrivo degli altri Nephilim.
Jace e Clary fecero ritorno poco dopo, e la ragazza stringeva la Gloriosa, la scintillante lama dell’Angelo, che avrebbe dovuto essere la loro speranza per salvare l’erede dei Lightwood.
Magnus era scettico, nonostante le sue parole alla sorella di Alec, ma quando la ragazza dai capelli rossi gli fu davanti tese la mano per ricevere la spada.
«Ma…Magnus, tu sei mezzo demone…»
Lo stregone scosse la testa sentendo l’aura angelica della spada scivolargli addosso come fuoco, ma avrebbe sopportato ben di più, se avesse significato dare una possibilità ad Alec.
«Non mi importa. È Alexander, Clary, e non c’è niente che non farei per lui.»
Jace sorrise, una mano posata sulla runa parabatai. «Alec ha detto la stessa cosa, all’Inferno.»
«Aspetta, lui si ricorda? È per questo che Azazel è là fuori?» Isabelle s’intromise nella conversazione, guardando prima Magnus e poi il fratello, e fu il primo a risponderle.
«Non c’entra nulla con me, Azazel aveva pianificato tutto. In un modo o nell’altro avrei spezzato il cuore ad Alexander e lui l’avrebbe usato per venire sulla Terra, ma non credo avesse previsto che avrei recuperato i miei ricordi.»
Le porte della Sala del Consiglio furono spalancate da un corpo catapultato all’interno, e quando ebbe finito di rotolare Clary si lasciò sfuggire un urlo nel riconoscere Sebastian, che si sforzò di rialzarsi nonostante avesse un braccio chiaramente rotto e l’osso della clavicola che ‘intravedeva sulla spalla.
«Clary…La spada.» Magnus tese nuovamente la mano senza distogliere lo sguardo dall’entrata, e seguendo i suoi occhi Jace e Isabelle videro che sulla soglia c’era qualcuno con lo stesso aspetto di Alec, ma che non era lui. Quel ragazzo era circondato da magia rossa, lo stesso colore dei suoi occhi dalla pupilla felina, e non c’era nulla in lui che non fosse malvagio.
Clary esitò ancora un istante, poi consegnò la Gloriosa nelle mani di Magnus; lo vide irrigidirsi appena la sua pelle entrò in contatto con l’impugnatura, ma l’istante dopo si fece forza e la sua magia azzurra comparve crepitando nell’aria.
«Alexander, mi ricordo di te.» Mormorò lo stregone cercando di ignorare il fuoco che gli bruciava il corpo e gli consumava la pelle. Agì prima che Azazel potesse fare qualsiasi cosa e attinse ad ogni briciolo di magia che gli era rimasta per bloccare il corpo umano di suo padre, osservandolo scivolare a terra e finire a pancia in su, contorcendosi per cercare di liberarsi.
«Sei uno stolto, figlio. Non funzionerà.» La voce gelida del Principe Infernale fece tremare non solo i bambini presenti, e fu per questo che si sforzò di avanzare anche se la spada nelle sue mani era come un peso che lo teneva inchiodato a terra.
«Alexander, mi dispiace.»
Si sistemò a cavalcioni sul petto del ragazzo e respirò profondamente mentre sentiva le lacrime premere per uscire. Se non avesse funzionato avrebbe perso per sempre il ragazzo che gli aveva fatto fare la pazzia di rinunciare alla sua immortalità.
Sistemò la punta della spada sul petto del cacciatore ed espirò.
«Alexander, ti amo.»
Affondò la lama nel corpo cedevole sotto di lui, e Jace fu sicuro di vedere una lacrima scintillargli sul viso prima che le fiamme del Paradiso esplodessero intorno a loro.

 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15
 
La luce gli sembrò accecante, e troppo calda dopo tutto il buio in cui era stato.
Ricordava di aver sognato mentre era incosciente, ma non era stati bei sogni, e ora che era sveglio si sentiva ancora più stanco, come se non avesse più un briciolo di energia.
«Sei sveglio finalmente.» La voce che lo raggiunse fu quella di Isabelle, e voltandosi Magnus vide che era seduta accanto al letto. Sembrava che non dormisse da un bel po’.
«Cos’è successo?» Domandò scoprendo che aveva la gola in fiamme, e quando alzò le mani scoprì di averle completamente fasciate, le bende che spiccavano contro la sua pelle scura coprendolo fino al gomito. Rimase a studiare le sue braccia senza sentire praticamente nulla a parte un lievissimo fastidio, e fu proprio questo a dirgli che era ferito gravemente.
Isabelle si agitò sulla sedia, a disagio. «Hai…usato la Gloriosa contro Alec, e siete stati avvolti dalle fiamme. Temevano che foste morti, ma poi le fiamme sono svanite ed eravate vivi, ma…»
La voce della ragazza si spezzò sull’ultima frase, e Magnus sentì di nuovo quel moto di tenerezza che l’aveva spinto ad abbracciarla nella Sala del Consiglio. Isabelle faceva credere a tutti di essere intoccabile e anche se sopportava meglio di molti altri c’erano cose che la facevano crollare.
Come vedere suo fratello con una spada nel petto, per esempio.
Allungò una mano verso di lei a fatica, e riuscì a posargliela su una gamba. «Che cos’è successo ad Alec?»
Isabelle respirò a fondo e rialzò il viso. Quando parlò aveva un tono di voce distaccato, pratico.
«Quando le fiamme sono svanite ci siamo avvicinati, e abbiamo scoperto che tu avevi ustioni su gran parte del corpo, e che la ferita che hai inflitto ad Alec gli ha sfiorato il cuore. È vivo, ma non si è ancora svegliato, e sono passati quattro giorni.»
«Cosa?» Magnus si mise a sedere di scatto e ignorò il dolore che lo invase mentre scendeva dal letto. Isabelle lo raggiunse mentre una gamba gli cedeva e lo sostenne. «Non puoi andare da lui in queste condizioni.»
«Alec ha sopportato di peggio per me.» Affermò lo stregone anche se si appoggiò alla ragazza, che lentamente lo accompagnò fuori dalla stanza e lungo i corridoi.
«C’è Jace con lui.» Lo informò la cacciatrice prima di lasciarlo davanti ad una delle tante porte e allontanarsi a passo sostenuto.
Magnus aprì la porta con una minima pressione ed entrò in una stanza che sembrava uscita dal suo passato. Gli sembrava di rivedere Will inginocchiato accanto al letto di James morente, ma erano passati centotrent’anni da quel momento, e ora c’era Jace in ginocchio accanto ad un letto con le mani strette intorno a quelle del suo parabatai.
«Mi sembra di rivedere Will…» Mormorò arrancando fino al letto e lasciandosi cadere sul materasso.
Gli occhi dorati di Jace scintillarono posandosi su di lui, indecifrabili. Erano come il sole: potevano emanare un calore affettuoso, ma anche splendere fino a bruciare tutto.
«Chi è Will?» Sembrava a corto di sonno anche lui, ma lo stregone sapeva che era così stanco perché stava condividendo la sua energia con il ragazzo nel letto.
«Un tuo antenato.» Magnus posò lo sguardo sul viso di Alec, studiandone i lineamenti con un affetto riscoperto da poco, e amando ogni centimetro di quel volto. «Era un ragazzo molto chiuso, e tendeva a nascondere i suoi veri sentimenti, a parte quando succedeva qualcosa di terribile che lo faceva crollare, e dimostrava di avere un cuore grande come una casa e delicato come cristallo.»
«E quando sarebbe stato in una situazione come questa?» Sibilò Jace, le mani che continuava a stringere e massaggiare quelle di Alec, come se non volesse più lasciarlo andare.
Magnus sorrise debolmente e allungò una mano fasciata per accarezzare i capelli di Alec, osservando il contrasto delle bende con il nero. «Il suo parabatai aveva avuto un passato…turbolento, e la sua vita dipendeva da una droga che lo uccideva lentamente. Quindi, è stato in una situazione come questa quando James, il suo parabatai, stava per morire.»
Osservando il biondo da sotto i ciuffi ribelli di capelli il Nascosto vide che stava pensando a ciò che aveva detto. «Alec non morirà. Non glielo permetterò.»
«Anche Will la pensava così.» Mormorò Magnus, spostando le dita lungo la guancia di Alec, che continuava a giacere immobile sul letto. «Ma furono i Fratelli Silenti a salvare il suo parabatai, e lui dovette convivere per il resto della sua vita con il ricordo del loro legame.»
Sentì Jace deglutire a fatica, ma non si voltò a guardarlo.
«Quindi…Questo James è ancora vivo?»
Annuì brevemente e sospirò prima di voltarsi: faceva fatica a staccare lo sguardo da Alexander, come se il suo corpo non volesse più allontanarsi da lui. «È Fratello Zacariah, ora.»
Rimasero in silenzio dopo quella notizia, e Magnus osservò Jace appoggiare la fronte sulle mani unite con quelle del maggiore dei Lightwood e respirare profondamente, come se ciò gli servisse ad incanalare energia.
Mentre si godevano quel silenzio confortevole, Magnus spostò nuovamente lo sguardo su Alec.
Ti prego, fa’ che sopravviva.
 
Clary scattò a sedere appena la porta si aprì, sentendo il sapore del sangue sul labbro inferiore, che aveva morso nelle ultime ore.
«Sto bene.» Sorrise Sebastian, guardandola come se fosse divertito dalla sua preoccupazione.
Il ragazzo aveva passato due ore nelle mani dei Fratelli Silenti, perché nonostante le sue ferite fossero guarite relativamente in fretta, quella mattina aveva iniziato a vomitare sangue nero, segno che aveva un’emorragia interna. La rossa gli aveva disegnato la Runa che aveva sognato poco tempo prima e poi aveva chiamato i Fratelli perché lo controllassero, e ora gliel’avevano riportato.
«Grazie all’Angelo.» Sorrise sollevata e tornò a sedersi sulla poltrona.
Il clima in casa non poteva certo dirsi tranquillo, data la quantità di Nephilim che andavano e venivano per sapere che diavolo era successo, perché i demoni erano riusciti ad entrare in città e perché, all’improvviso, l’entrata della Sala del Consiglio era stata circondata dalle fiamme.
Erano tutti tesi e stanchi, e Clary ne capiva il motivo anche se lei si sentiva distaccata da tutto quello che stava succedendo, forse perché stava bene fisicamente.
La cosa che la preoccupava maggiormente in quel momento era trovare il modo di salvare Sebastian. Quello, e farlo riappacificare con Jace.
L’aveva visto poco in quel periodo, un po’ perché lui non lasciava praticamente mai la camera del parabatai e un po’ perché lei era impegnata a cercare di mantenere un’aura di tranquillità.
«Ehi, sorellina.»
«Si?» Spostò lo sguardo sul fratello, scoprendo che era seduto davanti a lei, le dita che tamburellavano distrattamente sui braccioli della poltrona.
Sebastian socchiuse gli occhi osservandola. «Dovresti smetterla di preoccuparti per tutti. Per me, per esempio. Non ho bisogno di qualcuno che si prenda cura di me.»
«No.» Clary lo guardò male, sentendosi indignata da quell’affermazione. Dopo tutti i rischi che aveva corso per lui, Sebastian le diceva in faccia che non aveva bisogno di lei. «Tu non sei abituato ad avere qualcuno che si prenda cura di te, e questo non vuol dire che non ne hai bisogno.»
Il ragazzo inarcò le sopracciglia. «Perché sei così cocciuta?»
Clary si rimise in piedi, alzando la voce. «Perché credo che tu possa essere salvato!»
Il moro la guardò, e per un istante i suoi occhi neri tornarono ad essere quelli crudeli e beffardi che erano stati una volta. «E cosa te lo fa pensare, in nome di Lilith?»
«Lo penso perché…» La ragazza abbassò la voce, sospirando. «Perché sei mio fratello.»
«Il sangue di un demone scorre nelle mie vene, non puoi sapere quando farò qualcosa di terribile.»
In quel momento Sebastian sembrò così indifeso e spaventato che Clary si commosse, e gli si avvicinò velocemente, alzandosi poi in punta di piedi per abbracciarlo il più forte possibile.
«Non dire così.» Mormorò accarezzando la massa di capelli bianchi del fratello. «C’è del buono in te, Sebastian. Io l’ho visto, ti ho visto combattere l’altra settimana, e ti ho visto andare ad affrontare un Principe Infernale per permetterci di salvare qualcuno che nemmeno conosci bene.»
Sebastian sospirò profondamente e ricambiò l’abbraccio delicato della sorella, sentendo il suo profumo di pulito, di buono, e il calore che emanava dal suo gesto. Lei credeva in lui, e questo gli fece desiderare di non deluderla, di non dover mai vedere un’espressione ferita sul suo viso.
La porta si chiuse un attimo prima che la voce di Jace li facesse separare.
«Questa non è una scena che vorrei vedere prima di colazione.»
«Jace!» Clary si allontanò dal fratello e andò verso il biondo, che l’accolse tra le braccia con un breve sorriso.
«Ciao.» Mormorò il ragazzo abbassando il viso verso di lei per darle un lieve bacio.
La rossa sorrise. «Ciao. Come sta Alec?»
«Bene, credo. È con Magnus. E tu che facevi con lui?» Sull’ultima domanda la voce di Jace si fece più dura, ma non fu rabbiosa come lo era stata inizialmente. Probabilmente era troppo stanco per arrabbiarsi davvero.
«Io…Nulla, parlavamo di…nostra madre.» La cacciatrice si voltò a guardare il fratello e gli sorrise.
Sebastian si rilassò appena e spostò lo sguardo su Jace. Il biondo gli rivolse un breve cenno di saluto e tornò a concentrarsi su Clarissa, accarezzandole lentamente il viso.
«Potresti lasciarmi un attimo per parlargli da solo?»
La ragazza esitò guardando i due giovani, poi annuì e uscì dalla stanza, aspettandosi di sentire da un momento all’altro i rumori di una lotta dall’interno.
 
Magnus socchiuse gli occhi e sospirò pesantemente, seccato. Aveva provato ad usare la magia per controllare le condizioni di salute del ragazzo, ma l’aveva esaurita in fretta – troppo - e si sentiva ancora più stanco di prima.
«Alexander, ti prego. Svegliati.»
Sospirò di nuovo e continuò ad accarezzare il viso pallido del cacciatore.
Le ustioni sotto le bende avevano iniziato a pulsare dolorosamente dopo tutto quel movimento, ma lui non aveva nessuna intenzione di smettere: il lieve calore della pelle del ragazzo lo faceva sentire bene.
«Alec…»
Le palpebre del ragazzo ebbero un lieve fremito prima di aprirsi lentamente, e Magnus sorrise di gioia nel rivedere le iridi azzurre di Alec osservarlo con aria confusa.

 
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


 Capitolo 16
 
«Dove…dov’è Isabelle?» Domandò Alec guardandosi intorno con aria smarrita, e anche se la domanda fece innervosire Magnus, lo stregone sorrise come se niente fosse e allontanò le mani dal ragazzo.
«Credo che arriverà tra poco. Andrei a chiamarla, ma credo che dovrei raggiungerla strisciando considerando come sono messo.»
Quella frase detta con leggerezza fece voltare il cacciatore, che osservò il viso del Nascosto e si accigliò. Magnus sembrava tranquillo, ma notò che aveva le braccia fasciate fino ai gomiti e si chiese cos’era successo. Non ricordava molto di ciò che era successo da quando era stato cacciato dall’appartamento di Brooklyn.
«Magnus, senti…» Iniziò, ma in quel momento Isabelle spalancò la porta della stanza e, notando che il fratello era sveglio, superò lo stregone e si gettò sul letto abbracciandolo con forza.
«Ehi, ehi…Iz,piano. » Rise Alec, e nonostante le sue parole non lasciò andare la sorella, continuando ad accarezzarle il viso e i capelli come se dovesse imparare a conoscerla di nuovo, sussurrandole rassicurazioni sottovoce.
Mentre Jace e Clary facevano il loro ingresso, Magnus si mise in disparte osservando in silenzio. Non faceva parte di quella riunione.
«Ehi.» Alec salutò i due nuovi arrivati, poi – sempre continuando a tenere la sorella per mano – tese l’altra verso Jace. Quando le loro dita s’intrecciarono il moro respirò profondamente, come se avesse appena ricevuto un’iniezione di adrenalina pura dal corpo del proprio parabatai.
«Come stai, Alec?» Chiese Clary, sorridendogli dolcemente.
Il ragazzo guardò i presenti uno per volta, e sentì il cuore riempirsi di affetto per loro, perché erano tutti là a badare a lui, a preoccuparsi. I suoi occhi si soffermarono su Magnus, sprofondato in una poltrona in un angolo, e non distolse lo sguardo mentre rispondeva a Clarissa. «Sono…confuso e non ricordo esattamente cos’è successo, non riesco praticamente a muovermi perché tutto il busto mi fa malissimo, ma per il resto sto bene.»
Gli occhi felini dello stregone erano socchiusi e sonnolenti, ma lo guardavano con tenerezza, come se avesse voluto essere là disteso nel letto al suo posto, a soffrire per lui. Era lo sguardo che avrebbe potuto avere se si fosse ricordato di cos’erano stati un tempo.
«Alec, che cosa ricordi?» Domandò Jace, sentendo un secondo battito cardiaco nel palmo della mano. Appena le fiamme del Paradiso si erano attenuate aveva sentito una specie di scatto nel petto, e il pezzo di anima che condivideva con Alec era tornato impetuoso nel suo corpo facendolo barcollare. Si era messo a ridere all’improvviso, spaventando Clary ma senza farci caso, perché non si era mai sentito così vivo in tutti quegli anni. E l’attimo dopo stava annaspando per trattenere quella sensazione che stava svanendo rapidamente. Vedere nuovamente gli occhi azzurri di Alec osservarlo aveva sciolto una tensione che non era del tutto consapevole di avere.
«Io…» Il ragazzo distolse lo sguardo da Magnus e lo puntò sul proprio parabatai. «Ricordo che ho raccontato a ... Magnus cos’è successo sei mesi fa, e lui mi ha cacciato di casa.»
Tre paia di sguardi accusatori si puntarono su di lui, ma lo stregone si limitò a stringersi nelle spalle. Gli stava venendo sonno, nonostante avesse dormito per quattro giorni di fila, e non aveva abbastanza energia per mettersi a discutere con un trio di Nephilim indignati, anche se, ora che sapeva come stavano le cose, era consapevole che non avrebbe dovuto farlo.
«E poi hai incontrato Azazel, vero?» Attirò nuovamente l’attenzione di Alec, che annuì lievemente.
«Credo di sì. Ho visto qualcuno, penso che fosse lui…E poi non ricordo più nulla.»
«È normale, l’essenza di un Principe Infernale annulla qualsiasi cosa con cui venga a contatto, e ha cancellato momentaneamente il sangue dell’Angelo dentro di te, e ha posseduto la parte umana.» Jace socchiuse gli occhi ascoltando il Nascosto parlare, e la sua voce pigra e languida gli ricordò le fusa di un gatto. Forse non aveva solo gli occhi in comune con quegli animali.
Sorrise ironicamente e strinse lievemente la mano di Alec. Sentire la stretta ricambiata gli fece quasi venire le vertigini.
«Beh, grazie della spiegazione professore, ma ormai questa questione è chiusa, e io e Clary dobbiamo andare. Sebastian ci sta aspettando.»
Alec si alzò di scatto e gemette sentendo un’improvvisa fitta vicino al cuore. «Cosa?»
Jace digrignò i denti e Isabelle si sporse verso il fratello, preoccupata. «Alec!»
Il ragazzo alzò una mano verso di lei, boccheggiando. «Sto bene…sto bene.»
Alec abbassò lo sguardo verso il suo petto, scoprendo di essere coperto di rune di guarigione che scintillavano debolmente sulla sua pelle, intorno ad una cicatrice rosea di quasi venti centimetri poco sotto il cuore. Distolse a forza lo sguardo da quello scempio e lo puntò sul suo parabatai. «Che cos’è questa storia di Sebastian, per l’Angelo?»
Clary arrossì lievemente, e fu Isabelle a spiegare brevemente la situazione, promettendo di dare maggiori spiegazioni appena le sue condizioni fossero migliorate.
Jace ridacchiò lievemente e sciolse la presa dalla mano di Alec prima di prendere la propria ragazza per un fianco e trascinarla quasi a forza fuori dalla stanza. «A dopo!»
Quando la coppia fu uscita, Isabelle spostò lo sguardo su Magnus, che stava mollemente seduto sulla poltrona con gli occhi chiusi e il respiro lento. Sembrava addormentato, e per questo la ragazza abbassò lo voce quando riprese a parlare.
«Mi sei mancato, fratellino.» Mormorò lei sorridendo lievemente e allungando una mano per scostare un ciuffo di capelli dal viso del fratello.
Alec ricambiò il sorriso, veramente lieto di passare un po’ di tempo con la sorella: dati tutti i disastri che avevano affrontato non avevano mai molti momenti di pace.
«Iz, piccola, tranquilla.» Sussurrò il ragazzo vedendo gli occhi scuri della cacciatrice diventare lucidi, e strappandole una risata usando il soprannome che le aveva dato da bambina. Era l’unico che potesse chiamarla così senza trovarsi un coltello alla gola.
Isabelle gli accarezzò il viso, osservandolo in silenzio per qualche istante. Aveva sentito il cuore fermarsi quando la lama della Gloriosa era affondata nella carne di Alec, e aveva rischiato seriamente di svenire all’esplosione delle fiamme. In una situazione del genere poteva anche permettersi di cedere un po’, e fu proprio per questo che si abbassò a dare un lieve bacio sulla fronte del fratello. «Ora ti lascio riposare. Mamma e papà verranno più tardi.»
Si alzò e guardò prima Magnus, poi il fratello, che si sforzava palesemente di tenere gli occhi aperti.
«Alec…»
«Uhm…?» Mugugnò il ragazzo, osservando la sorella con la vista appannata.
«Quella ferita…è stato Magnus a procurartela. Ha impugnato la Gloriosa e ti ha ferito per salvarti dal demone.»
 
«Allora, signor Lightwood, posso sapere che cos’hai detto a mio fratello?»
Clary sorrise sarcastica al biondo, che si strinse brevemente nelle spalle. Aveva deciso di parlare con Sebastian non solo perché aveva combattuto più che valorosamente al suo fianco, ma anche perché, quando era entrato nel salotto, aveva visto l’espressione sul suo viso: una dolcezza appena accennata, una nuova consapevolezza e una dura decisione di non deludere.
Era stato in quel momento che si era reso conto che Clary, la sua meravigliosa Clary, aveva trionfato ancora una volta, strappando Sebastian dalle tenebre nelle quali Valentine l’aveva buttato.
«L’ho ringraziato.»
La ragazza si fermò di scatto e afferrò la mano di Jace per bloccarlo. «Jace Lightwood, sei la creatura più testarda e praticamente impossibile da sopportare su questo pianeta, ma non hai idea di quanto io ti ami. Grazie.» Mormorò la ragazza ad un soffio dalla bocca carnosa del Nephilim, che le sorrise e si sporse a baciarla dolcemente. In breve quel bacio divenne più focoso, e si trovarono schiacciati contro una parete: quando si separarono per riprendere fiato, Jace sorrise e terminò il racconto.
«Quando me ne sono andato sono arrivati Maryse e Robert.»
«Cosa hai fatto?!» Clary si scostò bruscamente, e ancora prima che il diciassettenne potesse replicare era partita di corsa per i corridoi. Rischiò di inciampare nelle scale, ma quando aprì la porta del salotto si rese conto che correre era stata la scelta migliore.
Sebastian e Robert erano in un angolo del salotto, e il primo stava cercando di evitare di finire sgozzato; l’uomo stava cercando di piantare un coltello nella carne più tenera sul collo, proprio dove s’intravedeva il pulsare del cuore, ed era già riuscito a ferirlo superficialmente. Impressionante, considerata la forza del diciottenne.
Mentre la giovane stava registrando la situazione un lampo biondo la superò e si gettò addosso a Robert.
Quando la situazione si fermò di nuovo Clary avanzò nella stanza e vide che Jace si era parato davanti a Sebastian e aveva un lungo taglio sulla guancia.
«Robert, per l’amor dell’Angelo, calmati!» Era Maryse a parlare, e si avvicinò al marito per allontanarlo prima che facesse qualche follia.
«Non lo voglio in casa mia!» Ringhiò l’uomo, e per la prima volta la rossa si rese conto che non erano solo Isabelle e Alec ad aver perso un fratello, ma Maryse e Robert avevano perso un figlio.
Era normale che reagissero così.
Jace puntò i suoi occhi dorati su Robert. «Nemmeno io lo volevo all’inizio, ma la settimana scorsa ha combattuto al mio fianco e mi ha salvato la vita un paio di volte, senza contare che ha affrontato Azazel per permetterci di salvare Alec.»
Clary si avvicinò al fratello e rimase ad osservare la scena sbalordita: non avrebbe mai pensato che proprio Jace potesse prendere le difese di Sebastian.
«Ha ammazzato mio figlio a sangue freddo.» Sibilò l’uomo, infuriato.
«Ha protetto me e il parabatai. Ha versato il suo sangue per noi, per tutta la razza.»
Il silenzio che calò fu teso, come se stesse per scoppiare una tempesta.
Clary non aveva mai visto Robert così arrabbiato, e non aveva mai nemmeno visto Jace così determinato su qualcosa. Gli si affiancò e intrecciò le dita con le sue, sostenendo lo sguardo severo dell’uomo dai capelli neri.
«Robert, anche Jace è nostro figlio. E tu l’hai ferito.» Maryse si spostò davanti al marito in modo da coprirgli la visuale, e parlò finché non ottenne la sua attenzione. «Non credere che io l’abbia perdonato, perché non potrò mai farlo, ma tu vuoi privare Clarissa di suo fratello e farle provare lo stesso nostro dolore. Robert guardami.»
Finalmente l’uomo assecondò la moglie e la guardò; la sua calma sembrò contagiarlo, e lentamente si rilassò.
Maryse sorrise. «Abbiamo un altro figlio in condizioni gravi. Andiamo da Isabelle e assicuriamoci che Alec stia bene.»
I due coniugi uscirono dalla stanza e la tensione si allentò.
Jace sospirò pesantemente e si voltò verso Sebastian. «Che è successo?»
Il ragazzo dai capelli bianchi si strinse nelle spalle e scostò piano la mano di Clary che sfiorava la ferita sul collo. «È entrato, mi ha visto e ha dato di matto. Se non fossi cosa sono probabilmente ora sarei senza gola.»
Dopo quella frase beffarda e un breve “vienimi a trovare in prigione, sorellina” Sebastian uscì dalla casa senza dare il tempo a nessuno di fermarlo.
Jace e Clary si guardarono, poi la ragazza estrasse lo stilo e disegnò velocemente un’iratze sulla guance del fidanzato. «Prima che io vada a recuperare Sebastian…» Esordì in torno curioso. «Mi spieghi come mai sei passato da per-l ’Angelo-devi-essere-posseduta-per-stargli-vicino a per-l ’Angelo-non-deve-essere-toccato?»
Il biondo si lasciò andare ad una breve risata e baciò dolcemente la ragazza prima di risponderle.
«Sono stato impulsivo, e quando lo sono non va mai bene. La verità è che saperti con lui mi irritava perché quando ero sotto il suo controllo lui sentiva quando eravamo insieme, ma io non posso sapere cosa fai quando sei con lui, e questo mi fa preoccupare perché non so se te ne sei accorta, ma il mondo ce l’ha con noi.»
Clary ascoltò in silenzio, sorridendo a mano a mano che il cacciatore spiegava, poi lo prese per mano e sollevò lo sguardo verso di lui. «Sto ancora aspettando la spiegazione per l’improvviso cambiamento.»
Jace si strinse nelle spalle. «Se voglio sapere cosa fai quando siete insieme, l’unico modo che ho è stare con voi no?»
Aveva tirato fuori la prima scusa che gli era passata per la testa e aveva il sospetto che Clary sapesse che era una menzogna, ma la ragazza non disse nulla in proposito, anzi, gli sorrise e poi corse fuori sulle orme del fratello, probabilmente per offrirgli una camera in casa e magari anche per rimproverarlo per essersene andato così.
Jace sorrise lievemente e si sfiorò la guancia. Il taglio che Robert gli aveva inflitto era già guarito.
Sentiva le voci dei due fratelli in lontananza, e si allontanò per tornare in camera.
La verità era che aveva provato a fidarsi, per una volta.
Clary era così sicura di poter salvare il fratello che alla fine anche lui aveva iniziato a crederci, e ricordare com’era stato crescere con Valentine l’aveva aiutato molto.
Solo che Valentine era stato quasi un padre con lui, mentre aveva sempre trattato Sebastian come un soldato, e non c’era da stupirsi se bramava la guerra come bramava cibo o acqua.
Gli ricordava un po’ sé stesso alla fine, pensò Jace.
Sé stesso prima di incontrare Clary.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17
 
«Sta nevicando.»
Fu la prima cosa che Alec sentì appena riaprì gli occhi, e gli si strinse il cuore nel riconoscere la voce di Magnus.
Lo stregone era in piedi davanti alla finestra, le mani fasciate intrecciate dietro la schiena: il ragazzo ricordava ogni singola volta che l’aveva visto in quella posizione, e gli era sempre sembrato lontano e remoto come un sogno.
«Davvero?» Mormorò, gemendo lievemente mentre si metteva seduto.
Magnus non venne ad aiutarlo, ma le sue spalle si irrigidirono prima che si spostasse permettendogli di osservare la città innevata.
La neve era una cosa rara ad Alicante, ma quando cadeva la città sembrava fatta di cristallo.
«È bellissimo.»
«Già.»
Il Nascosto socchiuse gli occhi guardando il diciottenne nel letto. Il modo in cui le sue labbra si tesero lievemente in un sorriso facendo comparire le lievi fossette agli angoli della bocca gli era familiare e nuovo allo stesso tempo.
«Isabelle mi ha detto che cos’hai fatto.»
«Io…» Alec non seppe mai come Magnus avrebbe finito la frase, perché sua madre entrò nella stanza e gli gettò le braccia al collo, felice.
«Mamma…mamma, allenta la stretta, per favore. Mi stai soffocando.» Borbottò il ragazzo mentre dava delle lievi pacche sulla schiena di Maryse. La donna si allontanò da lui e gli prese una mano.
«Sono così felice che tu sia sveglio, Alexander.»
«Anch’io sono lieto di esserlo.»
Il giovane spostò lo sguardo verso lo stregone immobile accanto alla finestra, e Maryse ne seguì la traiettoria. Non avrebbe mai pensato di poter essere così grata ad un Nascosto.
«Magnus.»
«Maryse.»
«Hai rischiato così tanto per salvare Alexander. Grazie.»
Lo stregone accennò un lieve sorriso ironico. «Potrei dire che è stato un piacere, ma ha fatto un male del diavolo, quindi mentirei.»
La donna ridacchiò lievemente e si voltò mentre il marito entrava nella stanza.
Robert si accigliò appena vide Magnus e i suoi occhi divennero cupi.
«Fuori da qui.» Sentenziò, facendosi da parte per lasciare libero il passaggio.
Maryse si alzò dal letto, indignata. «Robert, non puoi trattarlo così dopo quello che ha fatto!»
«Non lo voglio più vedere.»
«Papà…»
La mascella dell’uomo si irrigidì, ma ignorò il richiamo del figlio come se non l’avesse sentito.
Magnus socchiuse gli occhi. Quel comportamento lo irritava, ma sorrise come se niente fosse e si avviò all’uscita.
«Magnus, puoi rimanere se vuoi.»
«No. Non può.»
«Robert, impugnare la Gloriosa avrebbe potuto ucciderlo, ma lo ha fatto comunque! Non merita il tuo rispetto per aver salvato tuo figlio?»
Lo stregone si voltò verso il letto, dal quale Alec lo stava studiando smarrito, e accennò un sorrisetto beffardo. Non aveva mai pensato alla possibilità di poter morire impugnando la spada; l’unica cosa importante era salvare il ragazzo.
«Non importa, Maryse. Dovevo comunque andare a prepararmi per la festa di questa sera.»
Magnus fece l’occhiolino al moro e lo vide arrossire violentemente, così stava ridacchiando deliziato quando giunse davanti alla porta.
Robert s’irrigidì quando gli si fermò davanti, ma non distolse lo sguardo.
«Sappi, caro Robert, che non c’è niente che tu possa fare che potrà tenermi lontano da Alexander.»
Sussurrò ad un soffio dal suo viso, abbastanza piano perché il diciottenne ferito non lo sentisse, poi uscì dalla stanza, e il suo sorriso svanì appena fu fuori.
 
«Mamma!»
Clary corse incontro a sua madre, abbracciando prima lei e poi Luke, che la guardò di traverso.
I lupi mannari sentivano forse l’odore dei demoni?
«Clary! Stai bene?»
«Sì sì, sto bene, la maggior parte di noi sta bene.»
«La maggior parte?»
Jocelyn inarcò le sopracciglia e osservò severamente la figlia.
Sarebbe sembrata minacciosa se non fosse stata in abiti da lavoro, così macchiati di vernice da sembrare fatti di stoffa multicolore.
Clary si mordicchiò piano un labbro e sorrise ad entrambi i genitori, felice. «Ho una novità per voi.»
Luke si irrigidì e nei suoi occhi passò la sfumatura ambrata del lupo. «Perché non mi piace?»
La rossa sorrise lievemente, ma sapeva che far accettare Sebastian a Luke e Jocelyn sarebbe stato più complicato di qualsiasi altra cosa avesse mai fatto. Entrambi avevano cercato di ucciderlo e lui li aveva sbeffeggiati con una freddezza tagliente come un coltello.
«Andiamo alla festa, divertiamoci un po’ e vi presenterò la novità.» Affermò la ragazza prima di incamminarsi verso il centro della città, seguita dai genitori.
Come se non bastasse la neve candida che continuava a cadere in fiocchi delicati, Alicante era decorata con striscioni e rune argentee, luci che emanavano bagliori dolci e i sorrisi dei Nephilim. C’erano stati molti caduti, ma quella festa era anche in loro onore e celebrava il loro sacrificio.
«Perché non ci hanno avvisato che c’era bisogno di aiuto qui?» Domandò Luke, osservando le case semi distrutte e i giardini bruciati.
Clary si strinse nelle spalle e si fermò una volta arrivati in centro. «L’assalto è stato improvviso, suppongo che non ci sia stato tempo per avvisare qualcun altro.»
Si guardò intorno e sorrise quando vide Jace. Il ragazzo si avvicinò, e la giovane Fray vide le labbra di sua madre assottigliarsi: per qualche strana ragione non le era mai andato a genio.
«Salve. Clary, sei sicura? Forse è meglio se vengo anch’io…» Il giovane socchiuse gli occhi, pensieroso, ma la sua ragazza scosse la testa.
«No, tranquillo. Ci vediamo dopo ok?» Lo salutò con un sorriso e condusse i genitori ancora più confusi a casa Lightwood.
Prima di entrare si voltò verso la madre: iniziava ad innervosirsi ora.
«Mamma, mi prometti che ascolterai ciò che ho da dirti senza arrabbiarti?»
Jocelyn gettò una breve occhiata a Luke, poi tornò a guardare la figlia. «Posso provarci.»
«Ora possiamo vedere la “novità”?» Chiese Luke, alzando le dita per mettere le virgolette sull’ultima parola.
Clary annuì brevemente e li condusse in casa, lo stomaco contratto dal nervoso.
Quando videro cosa, o meglio chi, li aspettava, fu Luke a perdere la testa per primo, e si trasformò in un lupo mannaro sotto gli sguardi sbigottiti di Clary e della madre.
Il grosso lupo grigio balzò contro Sebastian proprio mentre la rossa gli urlava di non farlo, ma doveva aspettarsi che il fratello non si sarebbe fatto atterrare facilmente, infatti rotolò di lato ed evitò il primo assalto, rimettendosi in piedi come se avesse delle molle nel corpo.
«Clarissa, non mi avevi detto che la serata sarebbe stata così divertente.» Ridacchiò il ragazzo dai capelli bianchi.
«Luke non farlo! Ti prego!»
Il lupo mannaro si accucciò, pronto ad attaccare di nuovo, ma Clary gli si parò davanti e questo lo sorprese abbastanza per fargli abbandonare l’intento rissoso.
Si sedette, e lentamente la pelliccia si ritirò nel corpo. Ben presto Luke fu di nuovo umano, ma i suoi occhi continuarono a scintillare di sfumature dorate, segno che il lupo non se n’era andato del tutto.
«Spiegati.» Le ordinò mentre tornava accanto alla compagna. Jocelyn non si era mossa durante lo scontro, ma lo fece in quel momento, e fu per abbassarsi ed afferrare il coltello che teneva sempre negli scarponcini. Lo lanciò con una velocità che Clary avrebbe trovato spettacolare se non avesse visto più volte il fratello e Jace in azione, e Sebastian lo schivò senza troppi problemi.
La lama si piantò in un arazzo alle sue spalle, e poi lui ne afferrò il manico, soppesando l’arma come se lo stesse per lanciare di nuovo.
«Non farlo.» Il tono perentorio di Clarissa bloccò il fratello, che si girò verso di lei.
«Hanno iniziato loro.»
La rossa sospirò esasperata, riconoscendosi controvoglia in quell’atteggiamento cocciuto. «E tu finiscila! Ora vattene mentre cerco di convincere nostra madre a non ucciderti!»
Normalmente avrebbe reagito, ma vedere uno scricciolo di un metro e cinquanta urlargli addosso lo fece divertire, perciò se ne andò ridendo.
«Clary, per l’amor dell’Angelo, sei impazzita?» Sbottò Jocelyn andando a prendere la figlia per le spalle. La giovane mise le mani sulle sue e strinse.
«Mamma, è cambiato!»
Luke ringhiò lievemente, ma allontanò la compagna e la strinse. «Calma, Jo. Clary, vai avanti.»
E così Clarissa raccontò tutto, partendo dal sogno che aveva fatto fino a quando Sebastian aveva affrontato Azazel per permetterle di andare a prendere la Gloriosa e salvare Alec.
Quando ebbe finito di parlare il lupo mannaro era esterrefatto e sua madre sembrava sull’orlo di uno svenimento.
«Posso…posso andare a chiamarlo?» Domandò la giovane, e quando Luke le fece un breve cenno andò in cerca del fratello.
«Luke…»
«Va tutto bene, Jocelyn. Hai sempre avuto il rimpianto di non essere riuscita ad amare il tuo primo figlio, e ora puoi farlo.»
Clary tornò nella stanza tenendo una mano stretta sul polso di Sebastian, come se ciò servisse ad impedirgli di compiere qualche azione sconsiderata, anche se il ragazzo non sembrava averne intenzione. Entrambi guardarono Jocelyn, in attesa, e la donna avanzò lentamente dopo che Luke la spinse con delicatezza in avanti.
«Jonathan.»
Il ragazzo dai capelli bianchi s’irrigidì nel sentire quel nome che sembrava non usasse da molto tempo, ma non reagì in altro modo, aspettando che la donna si avvicinasse.
Jocelyn si fermò davanti a lui, guardandolo dritto negli occhi, quegli stessi occhi che l’avevano terrorizzata dopo il parto, che l’avevano spinta lontano dalla sua vecchia vita. Lo stesso sguardo che ora la studiava con una sorte di timore, come una preda in attesa di vedere la prossima mossa del predatore.
«Mi dispiace.» Mormorò la donna mentre accarezzava il viso del figlio con mani tremanti.
Assomigliava così tanto a Valentine che guardarlo le faceva male al cuore.
Sebastian sembrava tranquillizzarsi ogni secondo che erano in contatto e alla fine – con timore da parte di entrambi – prese una mano della madre e la strinse lievemente.
Era sorprendente quanto calore emanasse dalla sua pelle, e il lieve sorriso che gli rivolse fu come una luce. Una parte della sua mente ricordava il viso di Jocelyn, e si sentì improvvisamente al sicuro, cosa che non gli era mai successa quando viveva con suo padre.
«Va tutto bene.»
Clary scambiò un’occhiata con Luke, e seppe che amava Jocelyn più di quanto odiasse suo figlio.
Ridacchiò lievemente e attirò l’attenzione dei due cacciatori al suo fianco.
«Ho un fratello!» Esclamò estasiata, e sua madre sorrise senza lasciare la mano del maggiore dei suoi figli.
«Hai un fratello.» Confermò.
 

 
 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18
 
Magnus accavallò le gambe e si sistemò meglio sulla sedia.
Era ancora vagamente irritato dal comportamento di Robert, come se tentasse di cancellare il fatto che suo figlio era gay semplicemente nascondendolo.
Era appena arrivato alla festa e, per quanto sfarzosa fosse, non riusciva a godersela davvero.
Avrebbe voluto essere con Alec, ma dubitava che venisse alla festa ridotto com’era.
«Magnus, sei già in piedi?» Jace lo raggiunse, sedendosi davanti a lui.
Sembrava stare meglio e forse gli sarebbe servita una lunga notte di sonno per riprendersi del tutto.
«Ti sembro il tipo che se ne sta ad oziare in un letto?» Ironizzò lo stregone, tamburellando le dita sul tavolo.
Si era tolto le bende prima di cambiarsi per la festa, e aveva scoperto di avere cicatrici biancastre di ustioni anche sul collo, sul petto e su parte delle gambe. Sembrava che la Gloriosa lo avesse bruciato partendo dall’interno e che in quei punti le sue fiamme avessero raggiunto la superficie, e i segni che gli avevano lasciato erano quasi artistici. Comunque li avrebbe cancellati appena recuperato il controllo della propria magia.
Il biondo davanti a lui gettò un’occhiata all’ustione che s’intravedeva sul palmo. «No, non direi. Senti…Non ti ho ancora ringraziato come si deve. Alla fine sei stato tu a salvare Alec, e io non ho fatto nulla.»
Magnus inarcò un sopracciglio, e doveva avere un’espressione piuttosto cupa, perché Jace sorrise.
«Ascoltami bene, Herondale, c’è una cosa che non sai sul vostro legame. Tu e Alec condividete un pezzo di voi stessi con l’altro, e molto probabilmente è stato questo a salvarlo davvero. Se un pezzo di Alexander non fosse stato dentro di te sarebbe stato completamente soggiogato da Azazel e sarebbe stato perso per sempre, perché non avrebbe avuto nulla a cui aggrapparsi. Se non avesse avuto un parabatai a quest’ora Maryse e Robert starebbero piangendo la morte di un altro figlio.»
Jace abbassò lievemente lo sguardo per qualche istante prima di sorridere divertito. «Oltre che stregone sei anche intellettuale, è una sorpresa.»
«Sono pieno di sorprese. Allora, dov’è Clary?»
«Quando dirai la verità ad Alec?»
Posero la domanda all’unisono, e ciò strappò un sorrisino ad entrambi.
Jace rispose per primo. «È con Sebastian e sua madre a cercare di formare una grande famiglia felice.»
«Sento del sarcasmo nella tua voce, Lightwood?»
«Sento un tentativo di sviare la domanda nella tua, Bane?»
Magnus sorrise e osservò il ragazzo.
Jace, nonostante la sua brutta testaccia, gli stava simpatico, e dedusse che doveva avere un debole per la famiglia Herondale. Chissà se avrebbe mai conosciuto qualcuno in grado di fargli cambiare idea, com’era successo per i Lightwood.
«Volevo dirglielo stasera, ma non credo che verrà, quindi aspetterò domani.»
«Che cosa temi, Magnus?» La domanda non poteva venire da una persona più strana, e forse fu proprio per questo che lo stregone decise di rispondere, perché Jace aveva affrontato più di una volta il rischio di perdere la donna che amava.
«Il futuro, Jace. Per la prima – o seconda – volta in vita mia temo cosa mi aspetta, ed entrambe le volte la colpa è di Alec.»
Rimasero in silenzio, Jace perché pensava a cosa dire e Magnus perché stava pensando ad un’altra coppia che si era trovata in una situazione simile alla sua. Tessa, però, aveva dovuto abbandonare anche i propri figli per non doverli vedere morire di vecchiaia.
«Sai una cosa? Al diavolo. Vado da Alexander.»
Jace sorrise lievemente e indicò un punto alle spalle del Nascosto. «Fai bene, ma non credo che dovrai andare lontano.»
Magnus si alzò mentre si voltava.
Alec stava in piedi accanto alla soglia della Sala, appoggiato ad un bastone da passeggio, e si guardava intorno come se fosse confuso.
«Vai.» La voce di Jace sbloccò i pensieri dello stregone, che si mosse verso il ragazzo in attesa.
Il diciottenne alzò lo sguardo verso di lui e sul suo volto stanco comparve un timido sorriso. «Ciao.»
«Ciao.»
 
Magnus trattenne bruscamente il fiato quando le mani di Alec sfiorarono le ustioni sul collo, e quando il ragazzo lo guardò i suoi occhi scintillarono.
«Avresti dovuto lasciarlo fare a qualcun altro.» Mormorò il cacciatore, arrossendo nel notare quanto fosse vicino alle labbra dello stregone.
«Non potevo.» Fu la risposta appena sussurrata.
Alec socchiuse gli occhi e abbassò le mani. Toccare Magnus lo stordiva più di quanto già non fosse.
«Guarda come ti sei ridotto.» Il ragazzo scosse la testa e si allontanò lievemente.
Il modo in cui lo stregone lo guardava gli faceva quasi male, perché era troppo simile a quando erano dichiaratamente innamorati, quando erano insieme.
Magnus trattenne il desiderio di toccarlo e sfiorò il punto in cui le sue mani si erano posate. «Davvero non ricordi nulla?»
Il Nephilim si accigliò per il cambio di argomento, ma rispose comunque. «Ho sognato qualcosa. La tua voce. Mi hai detto che ricordavi, che ti dispiaceva e che…mi amavi.»
La reazione del Nascosto non fu quella che si aspettava – beffarda e sarcastica – e questo lo lasciò basito, perché l’uomo davanti a lui gli sorrise lievemente, con dolcezza.
«Credi davvero che fosse un sogno?» Gli chiese, e per poco ad Alec non prese un colpo.
Magnus non lo guardava come se ricordasse, Magnus ricordava.
«Quando…Come…Insomma…» Non riuscì nemmeno a finire la frase perché il Sommo Stregone di Brooklyn fece un passo in avanti e lo baciò come se fosse la prima volta, lentamente e con passione, gustando le sue labbra come se fossero il migliore dei dolci.
Si separarono solo quando la gamba del Nascosto cedette e finirono per terra in mezzo alla neve che ricopriva il prato, ridendo.
«Mi ricordo di te. Era da tanto tempo che non ti sentivo ridere, angelo.»
Alec arrossì violentemente e fece forza sulle braccia per non schiacciare l’uomo. «Tu ricordi…Non l’ho sognato…per l’Angelo! Come è possibile?»
Magnus, per quanto possibile, si strinse nelle spalle. «Non saprei, ho ricordato quando ho scoperto che cosa ti aveva fatto Azazel.»
Il nome aleggiò tra di loro come una muta minaccia, e Alec desiderò cancellare il buio comparso nello sguardo dello stregone. «Ti amo.» Sussurrò, e seppe che era riuscito nel suo intento quando gli occhi felini ad un soffio dai suoi scintillarono di gioia, e il sorriso che amava comparve sul volto di Magnus.
«Anch’io ti amo, anche se sei stato uno stupido ad andare all’Inferno per me.»
«L’amore fa fare questo tipo di cose.» Concluse Alec, e in quel momento il cielo fu illuminato dai fuochi d’artificio, e le loro esplosioni furono ben visibili anche vicino alla foresta.
«Mezzanotte.» Sorrise lo stregone, lasciando scivolare una scintilla di magia nel corpo sopra il suo per impedirgli di congelarsi sotto la neve.
Alec stava tremando, e Magnus attirò la sua attenzione sfiorandogli il viso. «Dovresti andare a riposare ora. Quella ferita ci impiegherà un po’ a guarire.»
Fece scivolare una mano tra di loro, accarezzando la giacca consunta del ragazzo per posarla accanto al cuore. Il cacciatore arrossì lievemente, i fuochi d’artificio che strappavano riflessi arcobaleno dai suoi capelli neri. «Vorrà dire che guariremo insieme.»
«Non volevo ferirti così. Perdonami.»
Entrambi sapevano che quella richiesta di perdono non era solo per la ferita, ma Alec sorrise.
«Non ho idea di cosa dovrei perdonarti, stregone.» Lo sbeffeggiò giocosamente prima di alzarsi in ginocchio. Non si sentiva stanco – anzi, era elettrizzato e felice come mai prima d’ora – ma era giusto che tornasse a riposare per facilitare la guarigione della ferita, e magari evitare di prosciugare Jace dell’energia.
«Andiamo, Nephilim.» Magnus si alzò a propria volta e, un po’ arrancando e un po’ zoppicando, tornarono verso il centro della città.
Erano coperti di neve ed infreddoliti, ma felici.
Mentre tornavano verso la casa lo stregone intravide Robert tra la folla, e gli sorrise intrecciando le dita con quelle di Alexander prima che quest’ultimo lo guidasse verso casa Lightwood ed entrambi si rifugiassero sotto le coperte, troppo stanchi per fare altro che godersi la reciproca presenza.
 
Jace sentì un paio di braccia sottili cingergli i fianchi appena fu entrato in camera, e non si voltò nemmeno a guardare.
«Com’è andata con tua madre?»
Clary si alzò in punta di piedi per posare un bacio delicato sulla nuca del proprio ragazzo. «Bene. Credo che mia madre sia felice di aver acquistato un altro figlio.»
A quel punto Jace si voltò e afferrò la ragazza per i fianchi, strappandole una risata e portandola sul letto, dove la fece sdraiare con delicatezza.
«Stupida, stupida Clary. Devi smetterla di correre rischi, mi farai venire un infarto.»
«Credo che la nostra sia una competizione serrata su chi farà venire prima un colpo all’altro.»
Risero insieme, poi Jace si abbassò verso di lei e il mondo si ridusse ai loro corpi avvinghiati sul letto.

 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19
 
Luke socchiuse gli occhi osservando il ragazzo che si allenava da solo nella palestra.
Se non avesse saputo la sua identità avrebbe benissimo potuto pensare che Valentine fosse tornato tra i vivi. I capelli bianchi, gli occhi neri, i lineamenti decisi e l’aria elegante: Sebastian assomigliava così tanto al suo ormai defunto parabatai che sentì una fitta di rimpianto nel guardarlo.
Si spostò lungo la parete e afferrò un pugnale, soppesandone il bilanciamento per un attimo prima di lanciarlo con precisione contro il ragazzo. Se fosse stato un Nephilim comune non l’avrebbe fatto, ma Sebastian aveva sangue demoniaco nel corpo ed era stato addestrato da Valentine; si voltò e afferrò l’arma pochi secondi prima che gli si piantasse nel corpo, poi sorrise con aria di scherno verso l’uomo a bordo palestra.
«Lucian. Speravi di cogliermi di sorpresa?»
Luke trasalì nel sentire il suo nome completo: l’ultimo a chiamarlo così era stato proprio il padre del ragazzo, e doveva essere stato lui a rivelarglielo.
«Immaginavo che non ci sarei riuscito.»
«Come mai sei qui, Lucian?»
L’uomo scrollò le spalle senza staccare lo sguardo da quello scuro del ragazzo. «Alleniamoci un po’, ti va? Sono anni che non mi alleno nello stile dei Nephilim.»
Sebastian inarcò un sopracciglio, poi allargò le braccia facendo un lieve inchino e arretrò di qualche passo. «Vediamo che sai fare.»
Luke sorrise divertito e prese una spada angelica dalla rastrelliera, poi avanzò fino a trovarsi a pochi metri di distanza dal ragazzo.
 
Alec si appoggiò di più al bastone e continuò a camminare, sentendo il respiro regolare della sorella al suo fianco. Era una giornata limpida e gelida ad Alicante, e le case erano macchie colorate sullo sfondo della neve bianca. Ma non era lì che i due Lightwood stavano andando; la loro meta erano le lapidi fuori dalla città.
«Stai bene?» Isabelle lo guardò con la coda dell’occhio mentre avanzavano, gli occhi scuri che studiavano l’andatura del ragazzo.
«Sto bene, Izzy.» Alec le sorrise lievemente per rassicurarla, poi tornò a voltarsi e fece gli ultimi passi che lo separavano dalla lapide. Vi si fermarono davanti e rimasero in silenzio per qualche istante, osservando le poche, futili parole incise sulla pietra.
Isabelle gli si avvicinò, e poco dopo lui sentì le sue dita intrecciarsi alle proprie.
Le strinse la mano e la attirò a sé quando la sentì trattenere il respiro. «Lo sai che non è stata colpa tua.»
La giovane annuì contro la sua spalla senza spostarsi, preferendo restare avvolta nel suo abbraccio che tornare a guardare il nome del fratello inciso sulla pietra. «È solo che mi manca così tanto…»
Alec accarezzò piano la spalla della sorella e posò il mento sulla sua testa.
«Perché stai piangendo, Isa? Le principesse non piangono.» Le sussurrò mentre sentiva gli occhi bruciargli di lacrime. Isabelle ridacchiò piano tra il pianto. «Questo è quello che avrebbe detto Max.»
«Già. Forse dovresti ricordarti le sue parole.»
Izzy si voltò nel suo abbraccio e gli appoggiò la testa sulla spalla. «Io non sono una principessa, però.»
«Lo eri per lui. E lo sei per me.» Alec sorrise alla ragazza e le diede un lieve bacio sulla fronte.
Di norma la giovane avrebbe reagito male, ma erano davanti alla tomba di Max e aveva appena rischiato di perdere un altro fratello, così si limitò a sorridere lievemente e passare un braccio intorno ai fianchi di Alec.
Il ragazzo alzò lo sguardo intravedendo un’altra figura dirigersi verso il cimitero. Riconobbe Jace ancora prima di vederlo in viso, e quando gli fu davanti la stanchezza che l’aveva invaso nel raggiungere le lapidi svanì; il suo parabatai era un concentrato di energia, come un vulcano. «Dovete tornare in città, il Portale è pronto.»
Di norma il diciassettenne avrebbe fatto qualche battuta o qualche commento sarcastico, ma quel luogo e quella lapide erano troppo dolorosi anche per lui.
I tre fratelli si diressero nuovamente verso Alicante l’uno di fianco all’altro, lasciandosi alle spalle la lapide di Max.
«Nostro padre ha fatto qualcosa di stupido, per caso?»
Jace si strinse nelle spalle. «Non da quando ha cercato di uccidere Sebastian.»
«Non sono d’accordo con lui sui metodi, ma concordo sul fatto che non mi piace averlo vicino.» Fu Isabelle a parlare aiutando il fratello maggiore a camminare senza fare troppo sforzo.
Alec, dal canto suo, non commentò la situazione. Guardava Jace e pensava che, se proprio lui aveva accettato il figlio di Valentine, poteva farlo anche lui senza troppi problemi. Inoltre era stata sua l’idea della Gloriosa che, alla fine, gli aveva salvato la vita.
Maryse li accolse all’entrata della piazza con un lieve sorriso. Con lei c’erano Robert e Clary.
«Mamma, dov’è Magnus?» Alec si liberò con dolcezza dall’abbraccio della sorella e si avvicinò alla madre. Camminava appoggiato ad un bastone da passeggio e gli ci sarebbe voluto almeno un mese per riprendersi del tutto dalla ferita che gli aveva quasi trafitto il cuore, e suo padre non lo stava neanche guardando in faccia.
Maryse guardò di sfuggita il marito. «Ha detto che sarebbe tornato a Brooklyn da solo.»
Il ragazzo abbassò lo sguardo. Lo stregone era partito prima di loro, senza neanche salutarlo?
«Tanto non può scapparci. Abita nella nostra città alla fine.» Jace si strinse nelle spalle e sorrise al parabatai. Lui e Clary ne avevano passate di cotte e di crude, ma avere a che fare con un Nascosto lunatico era una sfida continua.
Alec ricambiò il sorriso, poi Maryse batté lievemente le mani. «Qualcuno di voi ha visto Jocelyn e Luke?»
Clary s’intromise nella conversazione ancora prima che lei avesse finito di parlare. «Si, mia madre è andata a cercare Luke, in effetti.» Jace inarcò un sopracciglio osservandola e lei gli sorrise con aria colpevole: stava nascondendo qualcosa.
«Vorrà dire che aspetteremo, se non ci impiegano troppo.» Sentenziò Robert, rimasto in disparte rispetto al resto del gruppo.
Alec osservò per qualche istante il padre, e Jace vide il dolore – più profondo di quello fisico – oscurargli gli occhi. Si avvicinò quatto al moro e gli diede una lieve spallata. «Dovresti parlargli, sai?»
Il diciottenne spostò lo sguardo su di lui. «Forse.»
«Oh andiamo, Alec! Non fare così, affronta tuo padre una volta per tutte e chiarisci la situazione!»
Alec sorrise lievemente, poi tornò a guardare Robert, che stava facendo scorrere lo sguardo su qualsiasi cosa che non fosse il maggiore dei suoi figli.
«Papà…»
Le sue parole incontrarono un muro di silenzio.
«Papà, guardami per una volta!» Sbottò Alec alzando la voce e avanzando fino a trovarsi davanti al viso del padre. A quel punto Robert fu costretto a spostare lo sguardo, e guardò il figlio come se fosse uno sconosciuto, in un modo che gelò completamente l’atmosfera.
«Che cosa vuoi?» Domandò con indifferenza.
Alec socchiuse gli occhi sentendo la rabbia – sua e di Jace – salire a scaldargli il cuore. «Voglio che tu sia mio padre!»
«Dovresti tornare ad essere mio figlio, allora.»
Il silenzio che seguì era scandito solo dai respiri veloci dei presenti. Alec si rifiutò di abbassare lo sguardo nonostante l’espressione severa di Robert, anzi, parlò con calma, perché per la prima volta sentiva di poter fare qualcosa di violento se avesse perso il controllo.
«Io sono tuo figlio, lo sono sempre stato. Sei tu che vedi qualcun altro al mio posto.»
«Mio figlio non avrebbe mai frequentato quel…» La voce di Robert si spezzò sull’ultima parola, e il diciottenne davanti a lui sorrise amaramente. «Su, dillo!»
L’uomo si accigliò e restò in silenzio.
«Stavi per dire “lurido Nascosto”, vero? Non fai più parte del Circolo, ma la pensi esattamente come Valentine. Sei pieno di pregiudizi da bigotto.»
Jace sentì Maryse trattenere il fiato e non ebbe il tempo di fermare Robert prima che tirasse un pugno sulla mascella del figlio. Scattò per impedire ad Alec di cadere a terra e scoccò un’occhiataccia all’uomo.
«Papà, sei impazzito!?» Isabelle si avvicinò a grandi passi, pronta ad affrontare a propria volta il padre, ma un cenno di Maryse la interruppe.
La donna si parò nuovamente davanti al marito. «Robert, torna in te! Stai rischiando di perdere un altro figlio per la tua incapacità di accettare chi è davvero!»
Alec sospirò lievemente e alzò una mano a toccare la guancia colpita. Ciò che faceva davvero male, però, era il suo cuore, ferito dalla reazione del padre. «Jace, lasciami andare.»
Quando il biondo esitò il ragazzo incrociò il suo sguardo. «Per favore.»
Solo a quel punto il suo parabatai lo lasciò andare, e i suoi occhi cupi dicevano che non era per niente contento di quello che era successo.
Alec osservò la schiena rigida di sua madre, ma le parole furono rivolte al padre. «Potrei morire da un momento all’altro, te ne rendi conto? Probabilmente morirò prima di te che te ne stai nascosto nel tuo ufficio, e tu rimarrai con il rimpianto di non aver detto addio ad un altro dei tuoi figli.»
Il ricordo di Max aleggiava tra di loro, ma il moro inghiottì il dolore e riprese a parlare, questa volta guardando sua madre. «Ho già scelto Magnus più di una volta, e continuerò a farlo. Mi dispiace, mamma.»
Maryse guardava il maggiore dei suoi figli con una dolorosa comprensione, ma non poté dire nulla perché in quel momento Jocelyn e Luke li raggiunsero insieme a Sebastian, e l’attenzione si spostò su di lui. Jace rimase al fianco del suo parabatai ma i suoi occhi si spostarono da Sebastian a Clarissa, che gli sorrise con aria innocente.
«Che sta succedendo?» Domandò Jocelyn studiando i presenti e notandone la tensione.
Maryse intervenne ancora una volta. «Ti spiegherò tutto quando saremo a casa. Piuttosto, cosa ci fa lui qui?» Chiese, indicando Sebastian.
Jocelyn non poté trattenere un lieve sorriso nel guardare la figlia con la coda dell’occhio. «Jonathan è stato affidato alla nostra supervisione fino al processo.»
La donna bruna annuì bruscamente, poi fece strada fino al Portale che si ergeva scintillante nella neve. Al di là s’intravedeva l’Istituto, imponente e cupo nella sua desolazione.
«Andiamo.»
Uno dopo l’altro attraversarono il Portale.
 
Era passata meno di un’ora da quando erano tornati, e Alec stava già per andare via di nuovo.
«Alec, rimani. Per favore.» Isabelle era seduta sul letto dietro di lui, e lo stava osservando mestamente mentre indossava a fatica il cappotto invernale.
Aveva ancora stampata in mente le due cicatrici gemelle sul petto e sulla schiena del fratello.
«Non posso, Iz. Quello che ho detto prima è vero: sceglierò sempre Magnus.» Il moro si voltò verso la ragazza con un breve sorriso. «Ma tu e Jace venite subito dopo. Capisci, vero?»
Isabelle ridacchiò lievemente e si alzò per sistemare meglio il cappotto del fratello: era stata lei a costringerlo a comprarlo e a usarlo al posto del suo vecchio e logoro giaccone. «Lo so, e credo di sì.»
Prese il viso di Alec fra le mani, sentendolo magro e scavato. Forse un periodo lontano dalla tensione della casa gli avrebbe fatto bene. «Non stare via troppo, ok?»
Il cacciatore fece scivolare una mano dietro la nuca della sorella, poi si abbassò appena a darle un bacio sulla fronte. «Non preoccuparti. Piuttosto pensa alla mamma.»
La ragazza annuì brevemente, poi si voltò mentre Jace entrava nella stanza senza nemmeno bussare.
«Delicato come sempre, eh?» Lo stuzzicò la diciassettenne con un sorrisino sarcastico.
Jace si strinse nelle spalle. «È la mia stanza, non devo bussare per entrarvi. Sei pronto?»
Alec annuì. Jace l’avrebbe accompagnato fino a Brooklyn per evitare che svenisse per strada o fosse attaccato da qualche demone.
Salutarono Isabelle e uscirono dall’Istituto riuscendo ad evitare i signori Lightwood.
Mentre camminavano nella neve non parlarono molto, e Jace aprì bocca solo quando furono a Brooklyn. «A parte tutto, non fare cazzate Alec. Dovrai tornare a casa prima o poi.»
Il diciottenne sorrise lievemente e posò una mano sulla spalla del parabatai. «Non avrei mai pensato di vivere il giorno in cui i nostri ruoli si sarebbero invertiti e tu avresti detto a me di non fare cazzate.»
Jace rise brevemente, poi socchiuse gli occhi e si fece nuovamente serio. «Davvero, Alec.»
«Tranquillo, biondo. Non ti libererai così facilmente di me.» Il ragazzo salì i primi scalini dell’appartamento, poi si voltò a guardare Jace: era una delle poche volte che sul suo volto non c’era un sorrisino sarcastico. «Meno male.» Sentenziò prima di salutarlo con un cenno della mano e voltarsi per tornare all’Istituto.
Mentre entrava in casa dello stregone Alec si sentì come se stesse fuggendo, ma cercò di non farci troppo caso e si guardò attorno. L’appartamento, quella sera, era in stile arabo, e le luci morbide delle applique alle pareti illuminava fiocamente il salone.
«Alec?»
Il ragazzo alzò lo sguardo seguendo la voce dello stregone e lo trovò sulla soglia della camera, illuminato dalla luce che veniva dalla stanza che lo faceva sembrare ancora più magro di quanto non fosse.
Il ragazzo avanzò di un passo. «Magnus…»
Magnus dovette notare il lieve tremolio della sua voce, perché si stacco dallo stipite della porta e lo raggiunse a metà del salone, aprendo le braccia mentre camminava; così Alec fece quello che aveva desiderato da mesi, ovvero si rifugiò in quel luogo sicuro, l’unico dove poteva essere davvero sé stesso. «Alexander…che è successo dopo che sono andato via?»
Il ragazzo alzò lo sguardo per incontrare gli occhi felini del Nascosto. «Ho parlato con mio padre.»
La voce di Magnus divenne gelida mentre gli sfiorava il livido sulla guancia. «È stato lui a farti questo?»
Il cacciatore si rese immediatamente conto che sarebbe potuta finire male, quindi preparò una spiegazione ancora prima di iniziare a parlare. «Si ma…» Ma Magnus non lo ascoltava. Alla sua affermazione si era liberato delle sue braccia e ora si stava dirigendo verso l’uscita.
Alec riuscì ad afferrarlo per un pelo. «Non farlo.»
Sapeva che lo stregone sarebbe stato più che in grado di entrare nell’Istituto come una furia e sapeva che una eventuale conversazione con suo padre sarebbe finita in una lotta all’ultimo sangue, così strinse la presa sulla mano del Nascosto quando lui gli riservò un’occhiata rabbiosa.
«Alexander…»
«Ti prego.» Lo supplicò il ragazzo avvicinandosi a lui. La tensione era risalita a stringergli dolorosamente il petto, stancandolo più di qualsiasi ferita.
Magnus sospirò lievemente notando la sua debolezza e si rilassò. «Non la passa liscia un’altra volta.» Minacciò con voce calma, come se stesse semplicemente esponendo un dato di fatto.
Il diciottenne annuì lievemente e sorrise. «Andiamo a letto?»
Lo stregone gli sorrise con aria maliziosa e ridacchiò nel vederlo arrossire. «Sei già abbastanza in forze per quel tipo di attività fisica?»
Alec abbassò lo sguardo, non riuscendo a sopportare le promesse contenute in quello del padrone di casa. «No, non credo proprio.» Sollevò nuovamente gli occhi e si godette lo spettacolo del vedere il viso di Magnus addolcirsi mentre ricominciava a parlare. «In questo momento desidero solo infilarmi sotto le coperte e farmi coccolare da un certo stregone di mia conoscenza.»
«Così frequenti qualcun altro, eh?» Lo provocò il Nascosto mentre lo aiutava ad arrivare in camera da letto, fingendosi indignato.
Alec ridacchiò lievemente. «Oh sì, forse lo conosci…è uno stregone con una passione per i colori assurdi.»
«E così ho una passione per i color assurdi, eh?»
«Assolutamente sì. Basta vedere questa camera.» Il ragazzo indicò le pareti della stanza da letto, di un arancione così brillante da fare quasi male agli occhi.
Magnus rise e lo buttò sul materasso, sedendosi poi sul materasso al suo fianco. «Però posso cambiarla quando voglio…Dimmi un colore, forza.»
Lo stregone attese per qualche istante poi, notando che il cacciatore non gli rispondeva, si voltò a guardarlo e scoprì che stava fissando la sciarpa azzurra legata alla testiera del letto.
«Alexander?»
«L’hai sempre avuta tu…»
Per la prima volta da molto tempo Magnus si sentì arrossire sotto lo sguardo di qualcuno, e pregò che la luce soffusa e la sua carnagione non esattamente chiara impedissero al ragazzo di notarlo. «Già.»
Alec lo osservò per qualche istante, poi sorrise e gli fece cenno di coricarsi al suo fianco. «Vieni qui.»
Lo stregone accennò un sorriso e si sistemò meglio sul letto, girandosi su un fianco per osservare il ragazzo. «Dovremmo cambiarci prima di addormentarci vestiti così.»
Alec alzò lo sguardo ad osservare il viso di Magnus e si strinse nelle spalle. «Dovremmo, ma è l’ultima delle cose che voglio fare ora.»
«E cosa vorresti fare, piccolo Nephilim?» Mormorò il Nascosto lasciando scorrere lo sguardo sul viso del compagno. Il diciottenne allungò una mano e la fece passare dietro la sua nuca. «Questo.» Ammise, prima di tirarlo verso di sé e incontrare le sue labbra per un bacio. Magnus crollò su di lui, ma quando il bacio divenne più passionale e la stretta di Alec più forte, si lasciò scappare un gemito che non era lontanamente equivocabile; il moro si tirò a sedere e lo guardò apprensivo.
«Tutto bene?»
Lo stregone alzò lo sguardo su di lui, sentendo le scariche elettriche di dolore delle ustioni percorrergli il corpo. «Si. Sono solo le cicatrici…»
«Fammele vedere.» Gli ordinò il Nephilim, accigliato, ma lui scosse la testa. «No.»
«Magnus.»
«Non voglio che tu le veda.» Magnus scivolò giù dal letto e rimase seduto sul materasso, lo sguardo fisso sul pavimento. Sentì Alexander muoversi alle sue spalle e non si sorprese quando venne ad inginocchiarsi davanti a lui. «Magnus, per favore. Ti sei procurato quelle ferite salvando me, e voglio vederle.»
Lo stregone alzò una mano per sfiorare il viso del ragazzo, ma alla fine lo sfiorò solamente con la punta di un dito per evitare che sentisse troppo le ustioni sul palmo. «Non posso farti cambiare idea vero?»
Alec sorrise e scosse la testa, così il Nascosto sospirò lievemente. «Spegni la luce.»
Avrebbe dovuto aspettarsi che il ragazzo avrebbe reagito male, così ricominciò a parlare ancora prima che lui potesse aprire bocca. «Spegni quella luce, Alexander, o lo farò io.»
Il diciottenne abbassò lo sguardo sulle mani dello stregone e si alzò quando vide le prime scintille azzurre comparire nell’aria. Una volta che le luci furono spente la stanza fu completamente al buio – le finestre erano chiuse dalle persiane – Alec tornò alla sua postazione precedente e iniziò ad aprire la camicia dello stregone. Magnus sussultò lievemente, ma non si mosse quando le mani coperte di piccoli calli di Alec si posarono sul suo petto, seguendo le cicatrici delle ustioni che si facevano strada sul suo corpo, e salendo fino alle spalle, dove si soffermarono per togliergli del tutto la camicia. Accarezzò ogni singola ustione finché Magnus non lo prese e non lo fece alzare.
«È il mio turno ora.» Sorrise mentre toglieva il cappotto del ragazzo e lo svestiva strato dopo strato facendolo arrossire. Quando anche la felpa finì sul pavimento Alec non staccò lo sguardo dallo stregone, e notò chiaramente un lampo di senso di colpa nei suoi occhi quando vide la cicatrice sul suo cuore.
«Se dici quello che credo tu stia pensando me ne vado.» Scherzò cercando di sdrammatizzare, e Magnus ridacchiò lievemente e lo abbracciò, nascondendo il viso sul suo petto e respirando a fondo il suo profumo. «Non dirò nulla, promesso.»
«Bene.» Alec accarezzò dolcemente la chioma nera di Magnus, per una volta libera di brillantini. Sapeva che lo stregone si sentiva in colpa per quella brutta cicatrice, ma era servita a farli tornare insieme, quindi a lui non dispiaceva. Rabbrividì lievemente nel sentire le mani del Nascosto scivolargli sul corpo, sfiorando le cicatrici lasciate dalle rune sbiadite e i lievi, piccoli segni che quei sei mesi avevano lasciato su di lui.
«Una volta non avevi tutte queste cicatrici.» Esordì Magnus, e Alec sospirò lievemente.
«Lo so. È stato un brutto periodo.» Solo a pensarci si sentiva di nuovo male, come se gli avessero nuovamente strappato la compagnia dello stregone. Aveva combattuto senza riguardi per sé stesso, e alcune cicatrici non avevano potuto essere cancellate con le rune guaritrici.
Magnus alzò il viso per guardarlo, poi le sue labbra feline si piegarono in un sorriso.
Sembrava quasi umano, con le pupille dilatate proprio come quelle di un gatto, che cercavano di catturare ogni briciola di luce.
«Ora facciamo quello che volevi, cioè coccoliamoci.»
Il ragazzo rise, poi si lasciò tirare sul materasso e si fece avvolgere dalle braccia accoglienti dello stregone.
Magnus sospirò di soddisfazione.
Sapeva che quella notte sarebbe stata per sempre uno dei suoi ricordi migliori.
Era con Alexander, in fondo.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20
 
Jocelyn sospirò seccata e si alzò nuovamente in punta di piedi, senza riuscire a raggiungere la scodella. Chi diavolo l’aveva messa così in alto?
«Mamma, lascia fare a me.»
La donna rimase pietrificata mentre osservava una mano dalle dita affusolate allungarsi oltre di lei e afferrare la scodella che non era riuscita a raggiungere.
Si voltò e osservò Sebastian senza riuscire a parlare, e il ragazzo la studiò come se si aspettasse una reazione violenta mentre appoggiava la ciotola sul tavolo dietro di sé.
«Mi hai appena…chiamato “mamma”?» Chiese Jocelyn sentendo il suo stesso cuore battere come se volesse scapparle dal petto. Non era sicura di aver sentito davvero il figlio chiamarla così, ma vedendolo distogliere lo sguardo pensò che probabilmente aveva sentito bene.
«Non è questo che sei?» Le chiese il ragazzo, studiandola da sotto i ciuffi di capelli bianchi.
Jocelyn gli sorrise senza nemmeno sforzarsi di trattenere le lacrime: da quando si erano riuniti ad Alicante mesi prima, lui non l’aveva mai chiamata così, e avere la prova che la considerava davvero sua madre la riempiva di gioia. Gli prese la mano destra, sentendo la stretta di sole tre dita, e ricordò quando gli avevano tagliato l’anulare e il mignolo come punizione per le sue azioni passate; era stato orribile guardarlo, ma sempre meglio che vederlo messo a morte.
«Si, è questo che sono.»
Sebastian la osservò come se non capisse le sue lacrime, ma le regalò comunque un breve sorriso.
La convivenza inizialmente non era stata facile, e anche se c’erano momenti in cui il sangue di demone sembrava avere la meglio sul ragazzo e lui diventava violento e rabbioso, alla fine erano riusciti a stabilire l’equilibrio e potevano considerarsi quasi una vera famiglia.
«Ci stanno aspettando di là.» Mormorò il ragazzo, godendosi quel breve contatto con sua madre.
Jocelyn era così diversa da Valentine che ogni tanto lo disorientava e lo spingeva a chiedersi come fossero mai arrivati al matrimonio.
La donna dai capelli rossi annuì e si allontanò da lui, recuperando la scodella dal tavolo e tornando nel salotto.
«Jocelyn! Perché piangi?»
Sebastian rimase ad ascoltare Luke che si avvicinava, e poté immaginare il sorriso caldo di Jocelyn quando lei affermò che andava tutto magnificamente.
Seguendo i suoi passi si diresse nell’altra stanza e si lasciò cadere su una sedia, e in quel momento ritornò Clary, seguita da Jace, che straordinariamente era stato invitato per la cena.
Il biondo lo salutò con un cenno e un breve sorriso beffardo, ma la ragazza venne a schioccargli un bacio sulla guancia.
«Ciao sorellina.»
«Va tutto bene?» Domandò la rossa sorridendogli lievemente.
Sebastian spostò lo sguardo su sua madre e le sorrise prima di tornare a guardare Clary.
«Magnificamente.»
 
Magnus accavallò le gambe e sorrise alla ragazza davanti a lui.
«Sei cambiato.» Affermò lei, sorridendo a propria volta.
Lo stregone le fece un cenno. «Anche tu.»
Tessa socchiuse gli occhi grigi e si strinse lievemente nelle spalle. Era passato molto tempo da quando aveva incontrato Magnus per l’ultima volta, eppure sotto i vestiti dai colori sgargianti e i glitter vedeva ancora lo stregone che li aveva aiutati più di un secolo e mezzo prima, la stessa aria vagamente malinconica mascherata dall’ironia di chi ha visto praticamente tutto del mondo.
«Come mai questo messaggio improvviso?» Gli chiese sollevando il foglietto che aveva ricevuto una settimana prima e che la pregava di venire a Brooklyn.
Il Nascosto spostò gli occhi felini sul Presidente Miao, che si stava strusciando contro le gambe della ragazza da quando era arrivata. «La storia si sta ripetendo, e questa volta ci sono io al tuo posto.»
Non ebbe bisogno di aggiungere altro, perché Tessa comprese benissimo a cosa si riferiva; non disse che le dispiaceva e che avrebbe dovuto essere forte, semplicemente si alzò – il fruscio della sua camicia gli ricordò il rumore dei suoi abiti ottocenteschi – e venne a sedersi accanto a lui, prendendogli una mano. Così facendo, però, sentì le lievissime cicatrici che la magia dello stregone non era riuscita a cancellare, e gli girò la mano in modo da poter vedere il palmo.
«Che cos’hai fatto?» Gli chiese la ragazza osservando le ustioni con curiosità.
Magnus ridacchiò lievemente, lieto di notare che Tessa non aveva perso la sua passione per fare domande. «Qualcosa di simile a quello che hai fatto tu, impugnando la spada di Raziel.»
«E tutto questo per…»
«Magnus, sono tornato!» Lo stregone si voltò sentendo la voce del ragazzo, e Tessa poté vedere i suoi occhi felini accendersi d’amore quando si posarono sul nuovo arrivato.
Si alzò dal divano per congedarsi e lasciare la coppia da sola, ma quando vide chiaramente il cacciatore il cuore saltò qualche battito, e Magnus fu abbastanza fulmineo per sostenerla e impedirle di cadere.
Guardò prima il Nephilim esterrefatto sulla soglia e poi di nuovo lei, annuendo.
«Lo so. Non volevo che lo vedessi.» Le mormorò, mentre il ricordo di Will aleggiava tra di loro.
Tessa batté un paio di volte le palpebre concentrandosi sulle differenze tra i due ragazzi – lo sconosciuto non aveva la pelle pallida di Will, per esempio– e salutò lo stregone con un breve sorriso, sentendo lo sguardo celeste del ragazzo seguirla con curiosità.
Magnus però l’accompagnò fino alla porta e rimase ad osservarla per un po’, in silenzio, dopo aver fatto un cenno ad Alexander per chiedergli di aspettare.
«Saprai dove trovarmi, quando avrai bisogno di me?» Gli chiese Tessa: ricordava chiaramente il giorno della morte di Will e il suo dolore, e sapeva che lo stregone non ne sarebbe stato esonerato.
Lui annuì. «Lo saprò. Abbi cura di te.»
«Anche tu.»
Tessa si voltò, e Magnus tornò in casa pronto a spiegare al cacciatore cos’era successo.
«Chi era?» Domandò Alec, e lo stregone sentì la sua voce provenire dal bagno.
Entrò nella stanza mentre il cacciatore si toglieva la maglia e deglutì nel vedere la piccola cicatrice sulla schiena del ragazzo, dove la Gloriosa l’aveva trapassato. Non si sarebbe mai abituato.
«La moglie di Will.» Affermò tranquillamente, e il moro si voltò stupito.
«Ma avrà avuto la mia età, al massimo!»
Lo stregone fece scorrere lo sguardo sul petto allenato del Nephilim, dedicando un breve sospiro nel vedere la vera cicatrice accanto al cuore, poi sorriso incontrando gli occhi azzurri che tanto amava.
«Lo so, ma è immortale.»
«Oh…»
Magnus sapeva cosa stava passando per la mente del suo ragazzo, e per questo gli si avvicinò e lo abbracciò, accarezzandogli lentamente la schiena finché non fu completamente rilassato tra le sue braccia. «Tessa e Will hanno avuto una vita lunga e felice, e così faremo anche noi. Ora dimmi com’è andata la tua giornata.»
Il cacciatore sorrise, lievemente. In quei sei mesi si era praticamente trasferito a casa di Magnus e anche se passava tutto il giorno all’Istituto per gli allenamenti e le missioni era nell’appartamento di Brooklyn che tornava di sera.
Alec ridacchiò nervosamente e sollevò lo sguardo verso lo stregone, le dita infilate nei passanti della sua cintura gialla. «Bene, finché non ho incontrato mio padre.»
Magnus socchiuse gli occhi. «E com’è andata?»
«Non bene, ci siamo urlati un po’ addosso e poi mia madre ci ha separati prima che passassimo di nuovo alle maniere forti.» Storse le labbra, e in quel momento Magnus lo baciò come se volesse fargli esplodere il corpo, continuando ad accarezzarlo. Quando si allontanarono lo stregone sembrava sul punto di fare le fusa.
«Non importa, Alexander. Non sarà tuo padre a separarci dopo tutto quello che abbiamo passato.»
«Lo so. Ti amo.» Il ragazzo sorrise attirando nuovamente lo stregone verso di sé, e lui aprì la doccia con uno schiocco di dita e lo spinse dentro senza separarsi dalle sue labbra.
Alec ebbe la fugace visione di una scintilla azzurra prima che l’acqua si aprisse e li inondasse entrambi. Si separò dal Nascosto ridendo, e Magnus gli accarezzò il viso sorridendo come se stesse guardando la cosa più bella del mondo. Il diciottenne arrossì lievemente quando lo stregone si avvicinò alle sue labbra per sussurrargli una breve frase.
«Aku cinta kamu, Alexander.» 

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