Lo Straniero

di Rohchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** rotolo I ***
Capitolo 2: *** rotolo II ***
Capitolo 3: *** rotolo III ***
Capitolo 4: *** rotolo IV ***
Capitolo 5: *** rotolo V ***



Capitolo 1
*** rotolo I ***


La storia di una donna -se posso ancora chiamarmi così- come me non è una di quelle storie che si possano raccontare ai nipoti, la sera, davanti al braciere acceso.

Ma tu, figlio mio, non hai colpe per una madre scellerata che ha voluto mescolare il suo sangue con quello di un essere demoniaco; e nonostante questo sappi che ti ho amato, e ti amo, più di ogni altra creatura in questo mondo. Spero soltanto che, se mai vorrai leggere queste mie parole, avrai l'animo abbastanza calmo da comprendere che ti ho amato, e continuerò ad amarti anche dopo essermene andata.

Con infinito affetto,

tua madre.

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Capitolo 2
*** rotolo II ***


Lo straniero

 

Il luogo da cui ti scrivo, tesoro, è il tempio di Isuzu, dove da qualche settimana ci siamo trasferiti.

Tu sei ancora così piccolo, non so come farò a separarmi da te. Ma so, io lo sento, che la mia ora è infine giunta. Aveva ragione la mia balia, quando da bambina mi diceva che la vita non ci dà modo di scegliere il momento in cui morire senza infrangere le leggi di Buddha, ma ci dà modo di sentire che la nostra vita è giunta al termine, perchè ci si possa preparare per il lungo viaggio che ci attende una volta varcati i confini di questo mondo.

 

La mia balia è una delle prime persone di cui conservo il ricordo. Lei mi chiamava semplicemente col mio nome, Izayoi, e non pretendeva da me altro trattamento di quello che avrei riservato ad una vera madre.

Sono nata in un periodo di grandi guerre; mio padre, rispettando gli insegnamenti degli dei, non parlava quasi mai di politica in presenza mia o di mia madre, o di qualsiasi altra donna della casa. Che atteggiamento sciocco, viene da pensare. Ma mio padre, Sanada Yukimura, era un brav'uomo, ed il suo solo progetto nella vita era garantirci un'esistenza decorosa servendo con onore il Daimyo cui aveva giurato fedeltà. Ho scoperto poi, molti anni dopo, che le vite e gli struggimenti umani sono ben poca cosa rispetto alla vita e ai pensieri di altre creature, infinitamente più potenti e incredibilmente più astute ed intelligenti.

Fu tuo padre ad insegnarmi a vivere e pensare come un uomo, ma questa parte della storia è ancora molto lontana. Per ora ti basti sapere che sono cresciuta in una famiglia asservita ad un signore, schiava senza rendersene conto, affamata com'era di conquistare un posto di riguardo nella nostra terra. Mia madre, debole di salute come lo sarebbe poi stata la figlia, morì di febbre l'inverno successivo alla mia nascita, e mio padre prese in moglie un'altra donna, sperando di avere da lei il figlio maschio tanto desiderato.

Ma gli dei non erano d'accordo.

 

Così, la mia infanzia trascorse tra giorni di sole e pioggia, neve e vento, osservando il grande ciliegio del giardino fiorire, anno dopo anno. Il mio corpo si allungava, e spesso la notte soffrivo di tremendi dolori alle gambe, che la mia balia provvedeva a calmare con massaggi di mani calde umide di olio di canfora. Per molti quell'odore è incredibilmente fastidioso, ma per me è sempre stato il segnale della fine del dolore. Quando morirò, bambino mio, seppelliscimi sotto uno di quegli alberi, in modo che il mio spirito possa godere di quel profumo anche quando il corpo sarà ormai ridotto a sole ceneri. I miei capelli crescevano, folti e lucenti per le grandi cure che gli venivano riservate, neri come le notti senza luna che ora ti fanno tanta paura. Mio padre cercava di vestirmi come meglio poteva, mandandomi in giro in carrozza su e giù per tutti i territori del suo signore, cercando di vendermi come fossi stata un animale da monta. E per lui non ero che questo, un inutile, pesante fardello che non era in grado di reggere una spada, e che al Daimyo non sarebbe mai servito ad altro che a procurarsi nuovi soldati.

Ma per quanto avesse la mente annebbiata dal suo tempo, mi ha sempre amata, e ha cercato per me la migliore occasione possibile di avere una vita agiata.

 

La mia occasione si presentò, a cavalcioni di un magnifico baio, una mattina di tarda primavera dell'anno in cui divenni una donna. Avevo tredici anni, ed a quel tempo la mia sola compagnia erano i fogli di carta che a fatica mio padre riusciva a procurarmi, i pennelli e l'inchiostro da scrittura, il koto di mia madre ed una ragazza, una giovane serva di nome Shizuka, che sarebbe divenuta compagna di molte notti e custode di molti segreti.

Lui era bellissimo, ai miei occhi di bambina ancora così piccola. Ricordo che sembrava il principe Genji, così bello sul suo cavallo, vestito di un abito di broccato che nemmeno tutte le ricompense di battaglia di mio padre avrebbero potuto comprare.

 

Si chiamava Sorin, ed era uno dei figli del clan Otomo. Mi piacque perché era gentile, e perché le sue mani, quando quella sera presero dalle mie la ciotola di riso che gli porgevo, profumavano di cuoio ed erano un po' ruvide, proprio come quelle di mio padre. Fu facile invaghirmi di lui, e lui sembrava, se non amarmi, almeno volermi bene come fossi stata sua sorella. Ma il bonzo che venne per le nozze non credeva che io sarei stata una buona moglie; disse a Sorin che negli oracoli aveva letto che, con me, la sua famiglia sarebbe caduta in disgrazia, e che nel destino di quella bambina che lo guardava con un misto di affetto e soggezione c'era un'ombra scura, come un mostro con orribili zanne e poteri in grado di spezzare la sua vita come fosse stata un fuscello.

Sorin, però, non gli credette, e dopo aver celebrato il matrimonio nella mia casa, all'inizio dell'autunno, con una festa tanto sfarzosa che mio padre dovette mangiare riso bianco per le lune successive, mi portò nel suo palazzo distante dieci giorni di viaggio sul carro. Con me venne Shizuka, all'epoca solo di un anno più grande di me. Anche lei era felice, fiera ed orgogliosa che la sua padroncina fosse diventata Hime.

Hime, principessa. Divenni la principessa Izayoi, e fui felice, almeno per il primo anno di matrimonio. Sorin provvedeva ad ogni mia esigenza, ed in cambio chiedeva solo un abbraccio caldo e gentile in cui addormentarsi la sera, per poi sgusciare via, poco prima dell'alba, prima che qualcuno lo vedesse.

 

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Capitolo 3
*** rotolo III ***


All'epoca ricordo che mi sembrò un comportamento da gran signore, gentile e premuroso; ora so, come avrei dovuto sapere anche allora se non l'avessi amato così tanto, che Sorin in realtà ripensava continuamente alle predizioni del bonzo, e che non aveva alcuna intenzione di dividere con me il letto per dare un erede alla famiglia. Io vivevo felice nel mio mondo di premure, coccolata dai servi della casa e da Shizuka, e guardavo il giardino del grande palazzo di mio marito, con lo stagno delle carpe ed il ponticello di legno chiaro, ed il grande ciliegio che in tarda primavera lasciava cadere i suoi petali nell'acqua trasformando il ruscello in una pezza di seta rosa pallido.

La prima volta che lo vidi sfiorire pensai che piangesse, ma mi dissi che era sciocco, e che nulla avrebbe potuto rovinare la bellezza di quel luogo.

Vivevo circondata da persone amorevoli, con una bella casa in cui vivere e tre abiti da indossare ogni giorno a mio piacimento, riso, pesce e verdure da mangiare e nuovi fogli ed inchiostro su cui esercitare la mia maldestra calligrafia, che però Sorin sembrava amare tanto.

Così, ero del tutto impreparata al primo colpo che la vita aveva in riserbo per me; all'inizio dell'inverno dell'anno successivo al nostro matrimonio, Sorin tornò al palazzo con un gran seguito di carri, buoi e cavalli. Uno di questi aveva tende purpuree di seta grezza pesante, e dal retro pendevano i ricchi strascichi di un abito da principessa. Sgomenta, scorsi il corteo alla ricerca di mio marito, e lo vidi, qualche carro più in giù, mentre spiegava ai servi dove portare i ricchi oggetti che la dama portava in dono.

Uscii sul portico, incuriosita; il carro che trasportava la dama aveva ricominciato a muoversi, ed era diretto all'ingresso principale, quello che anch'io avevo varcato dopo essere diventata la sposa di Sorin.

Quando scese, mi sentii venire meno; era bella, più alta di me, le forme morbide di una donna più adulta, adatta ad avere figli. Più della sua bellezza, però, mi turbarono le delicate premure che mio marito le riservava: aiutarla a scendere dal carro come fosse stata fatta di giada, il gentile frapporsi tra lei ed i buoi perchè non corresse il rischio di sporcarsi, il modo in cui le porse il parasole.

Seppi allora che mio marito era di nuovo convolato a nozze, e che non era più soltanto il mio signore, ma anche il signore di un'altra donna.

 

Quella sera, Sorin venne a farmi visita; cercai di addurre la scusa di un'indisposizione, ma lui entrò lo stesso, superando come un nulla la gentile fermezza di Shizuka, che gli chiedeva di non procedere oltre.
"Izayoi,- mi disse- cosa succede? Non vuoi intrattenerti con tuo marito questa sera?"
"Forse eravate mio marito, ma ora non posso più dirlo, poiché siete giunto qui con un'altra sposa." gli risposi, non riuscendo a controllare la mia lingua.

Shizuka, che era rimasta silenziosamente seduta sui tatami accanto all'ingresso, sussultò per la mia audacia. Ma Sorin parve non darle il peso che avrebbe meritato.

"Sono venuto qui per dirti perchè ho preso in moglie Shimo, ma forse aveva ragione mio padre a dire che la cosa non avrebbe dovuto, e non ti avrebbe interessata. Perdonami. Se sei davvero così indisposta, ti farò mandare del riso bianco dalle cucine e non ti disturberò finchè non ti sarai ristabilita."
"Perchè l'avete fatto?" chiesi ancora, contro ogni buonsenso, ignorando lo sguardo supplice di Shikuka, che mi pregava di tacere.
"Perchè anche se ti sono affezionato, non è saggio andare contro gli oracoli. Perchè tu sei ancora troppo giovane, mentre lei può darmi dei figli. Ed in quest'epoca, un guerriero senza figli non ha nulla da offrire al suo signore."
"Ma io posso!- risposi, rossa in viso- Io posso darvi i figli che volete...io posso, sono una donna ormai, il mio corpo è pronto! Se solo mi metteste alla prova...- finii, in un bisbiglio. Shizuka era ormai al di là di ogni vergogna, a capo chino con lo sguardo fisso sulle mani che teneva in grembo. - Voi...voi non avete mai cercato di avere un figlio con me."
"Izayoi, ti prego di capirmi...- mi disse, in un sospiro.- Ti ho voluta accanto a me perchè ti sono affezionato, sei una creatura delicata e splendida, e sono grato agli dei per averti lasciato attraversare il mio cammino, ma cerca di comprendere. Il clan Otomo non può crescere dal tuo grembo. Non è ciò che gli dei vogliono, e non è nemmeno il mio volere. Temo troppo che tu ti possa spezzare sotto il peso di un figlio."

Piansi, piansi tanto. Non silenziosamente, come ci si sarebbe aspettati da una principessa, ma gridando e singhiozzando, come la più umile delle contadine. Il mio sposo mi disse che non sarei più potuta restare nella casa principale, e che avrei dovuto spostarmi in un'altra ala, riservata alle donne della casa. Sarei stata circondata da serve, e avrei mantenuto il mio tenore di vita, ricevuto carta, inchiostro, cibo e abiti ogni volta che l'avessi chiesto. Sorin aveva provveduto ad affidarmi un piccolo manipolo di soldati, capitanati da un uomo di nome Takemaru Setsuna. Fu lui ad accompagnarmi nelle mie nuove stanze, la sera successiva, poco prima del tramonto. I suoi soldati aiutarono Shizuka con i miei oggetti, e lui stesso mi camminò accanto, precedendomi di appena un passo, mentre io mi sforzavo di non piangere e di assumere invece il contegno che ci si aspettava da me. Lo sforzo fu enorme, e in gran parte vano. Le lacrime continuavano a scivolarmi sul viso, rendendolo lucido e ingrandendo e arrossando i miei occhi, da cui mi sembrava non passasse più luce.

Mi sentivo perduta, e mi parve, in quel momento, di aver deluso tutto il mio mondo. Mio padre sarebbe stato umiliato, forse avrebbe perso la posizione che con tanta fatica si era guadagnato, forse il Daimyo l'avrebbe punito per la mia inettitudine. E Sorin... Sorin non sarebbe mai più venuto a chiedermi di potermi dormire accanto, e non avrei più potuto svegliarlo con dolcezza quando si agitava nel sonno per colpa di un brutto sogno.

Sarebbe stato compito di un'altra donna.

***

Dei. sono passati troppi anni da quando ho pubblicato una storia...mi sembra incredibile non riuscire ad usare correttamente l'editor...abbiate pazienza. Grazie a tutti voi che avete letto, e soprattutto ad Adelhait13, che ha commentato. A domenica prossima!

 

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Capitolo 4
*** rotolo IV ***


Sorin mi concesse la gentilezza di aspettare molto tempo, prima di tornare a varcare la soglia delle mie stanze. Proprio come l'albero ferito che lacrima linfa vitale, ma poi pian piano chiude la ferita, anche il mio cuore, lentamente, smise di sanguinare. All'inizio, i giorni erano lenti e privi di significato, ma un po' alla volta la mia vita tornò a muoversi come l'acqua di un ruscello.

Il giardino della casa principale mi era precluso, non tanto da barriere reali quanto da un mio senso di pudore. Non volevo arrecare fastidio a Shimo, non volevo che vedesse in me la prima moglie del suo signore messa da parte per l'incapacità di concepire un figlio.

Col senno di poi, bambino mio, credo di aver evitato di vederla perchè in cuor mio la odiavo e la disprezzavo, ma erano sentimenti che all'epoca non potevo permettermi di provare. Sono sempre stata un'anima buona, e mia madre mi aveva insegnato il valore della sottomissione tanto profondamente che sospetto d'averlo appreso col suo latte. Una donna, sposa di un signore, non può permettersi di contraddire le sue scelte, che queste la avvantaggino oppure no. È semplicemente un'appendice, un ramo delicato che cresce dal tronco ruvido della famiglia di adozione, ed ha tanto più valore quanto più è fragile e carico di fiori e frutti.

Per questo, credo, in realtà evitavo di vedere Shimo. Se anche lei fosse stata grata della mia assenza, in quei suoi primi mesi di permanenza in casa degli Otomo, io non l'ho mai saputo. Anni dopo, imparai da tuo padre che non è giusto sacrificare la propria anima ed i propri sentimenti, sia che questi siano amore oppure odio. La freddezza è per i demoni, che non si lasciano sopraffare da cose semplici come i palpiti dell'anima. Con lui imparai ad amare davvero, e a odiare, davvero. Detestavo la mia natura semplice eppure costruita, e mi sforzai di cambiarla, di lasciar crescere alla luce la donna che ero nata per essere.

Ma questa è ancora una parte di storia che non ha senso raccontare ora.


Scusate il ritardo...^^" grazie a Shivax23 ed Adelhait13 per i commenti...e a tutti voi che leggete in silenzio, grazie...:*

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Capitolo 5
*** rotolo V ***


Quando ripresi a vivere più o meno normalmente, Sorin tornò a trovarmi. Sospettai di Shizuka, ma non mi arrabbiai con lei. Sapevo che era stata profondamente ferita dal nuovo matrimonio di mio marito, e sospettavo che aspettasse di vedermi stare meglio per mandargli a dire di tornare a trovarmi, per concedermi un po' della sua compagnia.

Avrei voluto essere più fredda nei suoi confronti, mostrarmi forte come la montagna contro il vento, ma quando vidi la sua figura stagliarsi sulla carta di riso della porta, seppi che non avrei mai potuto essere, con lui, altro che la piccola Izayoi, ansiosa di compiacerlo.

 

Quel primo pomeriggio parlammo a lungo. Di lui, di me, del nostro futuro. Parlammo anche di Shimo, e notai la tenerezza nella sua voce mentre mi raccontava delle sue piccole abitudini, della grazia con cui ballava, del silenzio dei suoi movimenti, del piccolo vezzo di tenere la punta della lingua all'angolo della bocca mentre si esercitava a scrivere. Mi disse che Shimo aveva trovato un mio vecchio rotolo di esercizi in un armadio, ed era rimasta colpita dalla bellezza della mia scrittura. La sua era ancora piuttosto acerba, e così il mio rotolo si era guadagnato un posto nella sua scatola da scrittura, dove poteva ammirarlo e consultarlo ogni volta che voleva.

La cosa mi fece piacere, ed arrossii. Il fatto che reputasse la mia grafia migliore della sua, e tenesse il mio rotolo come esempio solleticava la mia vanità. Ma credo sia stata l'immagine di lei con la lingua rosea tra le labbra, concentrata sui tratti, a farmela di nuovo vedere per ciò che era: una ragazzina che aveva inconsapevolmente condiviso il mio destino, che non mi serbava rancore, e che forse non intendeva urtare i miei sentimenti o, peggio, rendere la mia vita miserabile.

Così, da quel giorno smisi di tormentarmi per l'esistenza della nuova moglie di mio marito. Divenne il secondo ramo dell'albero della nuova famiglia Otomo, più giovane e sottile, ma allo stesso modo carico di fiori. Capii che era stato il pensiero di lei, e non quello di Sorin, a tormentarmi per tanto tempo, e ripresi a vivere la mia vita, così com'era stata a casa di mio padre: suonavo il koto, facevo esercizi di scrittura, leggevo haiku, e ballavo al suono degli shamisen con le mie dame di compagnia. Takemaru era sempre presente, discretamente seduto oltre la porta scorrevole che dava sull'engawa. In lui vedevo un'ombra forte e salda, e si fece strada in me la sensazione che fosse stato un sostegno più importante di quanto mi fossi permessa di credere. Riservato, silenzioso, abile con la spada, lui ed i suoi uomini erano sempre pronti ad accogliere ogni mia richiesta, che si trattasse della visita ad un tempio vicino o dello spostare oggetti particolarmente pesanti con i miei servi.

 

Nel centoquarantunesimo anno della dinastia Muromachi, nell'undicesimo mese, seppi che il ramo di Shimo stava fruttificando.

La casa principale era in fermento: bonzi venivano a pregare nelle stanze della donna che avrebbe dato un erede al clan Otomo, e quotidianamente arrivavano messi per porgere le proprie felicitazioni a mio marito.

Sorin era fuori di sé dalla gioia, e scoprii che la ferita che credevo ormai chiusa per sempre aveva soltanto iniziato a guarire.

Il fatto che Shimo aspettasse un figlio mi rendeva più vulnerabile che mai. Se lei avesse deciso che non potevo più vivere sotto il loro tetto, a Sorin non sarebbe rimasto altro da fare che soddisfare la sua richiesta e mandarmi via, magari in qualche tempio a pregare per la purezza della mia anima.

Ma così non accadde. Shimo si dimostrò più lontana che mai, evitando persino di mandarmi un messaggero per informarmi ufficialmente della lieta notizia finchè la sua gravidanza non entrò nella sesta luna. Se ti dicessi, Inuyasha, che non mi dispiacque questo suo atteggiamento, ti direi una bugia. Avevo creduto che mi vedesse in qualche modo come una donna che divideva con lei il cuore e l'affetto di Sorin, e che, rispettosa nei suoi confronti, non chiedeva al marito mai più di un rotolo nuovo per scrivere, una nuova corda per il koto, o una carezza leggera alla fine di una visita, quando ormai le tazze erano fredde e la notte si faceva troppo fonda per non destare sospetti sulla natura del nostro legame. Ma evidentemente mi sbagliavo. Le rimandai indietro una lettera con le mie felicitazioni per la bella notizia, e qualche giorno dopo incaricai Takemaru di consegnarle per me un abitino fatto per il nascituro, con l'augurio di salute per entrambi e la speranza che fosse maschio, così da onorare il nome di Sorin.

Takemaru era sempre ben lieto di obbedirmi, e attento ad ogni mio bisogno, esplicito o meno. Mi accompagnava con i suoi uomini ovunque desiderassi andare, ed in un paio di occasioni lo sorpresi a rimbrottare i servi per la loro lentezza nel servirmi, o perchè il sentiero di pietre che conduceva al laghetto delle carpe non era stato pulito a dovere.

Lo rimproveravo a mia volta; non volevo che i miei servi venissero maltrattati, e lui non aveva alcun diritto di fare le mie veci con loro. Mi avrebbe fatta apparire come la dama che non sa provvedere onorevolmente alla sua casa, e avrebbe potuto dare il via a pettegolezzi spiacevoli sul mio conto, se alla casa principale fosse giunta la voce del capo della guardia che amministrava la mia servitù come un padrone.

Takemaru sembrava soffrire molto per le mie parole, ma pensai che fosse solo l'atteggiamento contrito del servo ripreso. Seppi solo anni dopo quanto davvero lo ferissero le mie parole in quelle occasioni.

 

Gli ultimi mesi della gravidanza di Shimo volarono via come le foglie spinte dal vento autunnale, ed un tardo pomeriggio del settimo mese, mentre ero intenta a suonare il koto, grida di gioia e trambusto nella casa principale mi informarono che l'erede di Sorin era nato. Nel giro di un'ora, nella casa non pareva esserci un solo servo che non avesse un compito importante da svolgere; chi correva a portare la lieta notizia, chi aiutava la levatrice a occuparsi di Shimo, chi correva avanti e indietro carico di teli puliti di pregiato lino candido, per asciugare a dovere la pelle del nuovo nato.

Sorin venne da me quando il sole iniziava a calare, rosso in viso per la gioia e la corsa che, dalle stanze di Shimo, lo aveva portato fino a me.

- E' un maschio, Izayoi!! Un maschio!! Sono padre di un bel bambino sano e robusto, e la mia dinastia ha un erede maschio!!- mi disse, con un sorriso che non ebbi cuore di non ricambiare.

- È meraviglioso, mio signore. Meraviglioso. Gli dei sorridono alla tua casa e a tua moglie.- gli risposi, forse più fredda di quanto avrei dovuto essere. Mi sforzavo di essere felice, ma qualcosa nel petto mi impediva di esserlo davvero.

- Oh, Izayoi, sapessi quanto sono felice! È giunto poco fa anche un messo del Daimyo, che si congratula con me e prega gli dei per la salute di Shimo e del bambino.-

Fu come una pugnalata al cuore. Anche il Daimyo si era scordato della mia presenza in questa casa. Nessun accenno alla moglie che non può dare futuro alla dinastia del marito.

Le donne non varranno mai nulla, mi dissi sconsolata. A meno che non siano ottime fattrici e serve silenziose.

- Quale sarà il suo nome, mio signore? Come chiamerai tuo figlio?-

- Il suo nome sarà Miyoshi, Izayoi. E diverrà un grande guerriero, forte e saggio, e saprà portare onore ai miei antenati. Sarà forte, ma anche gentile con colei che un giorno diverrà la sua sposa. Farò di lui un uomo degno di onore e rispetto.-

 

Fu quello, Inuyasha, il momento in cui capii che il mio posto al suo fianco era ormai perduto. Forse sarebbe venuto ancora da me, nelle lunghe sere d'inverno che non si riesce mai a far finire, ma tra noi ci sarebbe sempre stato soltanto l'affetto che lega due vecchi amici, e nulla più. Gli sorrisi, perchè non si può non sorridere ad un uomo che è appena diventato padre, e che promette di essere per il figlio il miglior padre del mondo, e lui si congedò da me felice, stringendomi in un abbraccio veloce prima di ripartire, quasi trotterellando verso le stanze di Shimo, a controllare la salute di madre e figlio.

 

Il mattino seguente, nella fredda luce dell'alba, vidi un grosso carro scortato da un piccolo drappello di guardie lasciare il cortile interno della casa principale, diretto verso il piccolo tempio poco distante. Takemaru mi disse, quando lo convocai alla mia presenza qualche ora più tardi, che Sorin aveva ordinato di portarvi dieci sacchi di riso, come ringraziamento per la nascita del bambino.

 

 

...e un altro capitolo è andato. Lo so, lo so. volete vedere quando arriverà Inu no Taisho. Portate pazienza...le cose belle hanno il passo lento...;)

 

Grazie a Shivax23, per il commento. E anche a tutti voi che leggete in silenzio.

 

A domenica prossima! Rohchan

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