Sea Water

di Eos BiancaLuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

                                                                         

«Isabel… Isabel, aspetta!» urlò ancora una volta il conte disperato, in preda ad una crisi di pianto.
«Per l’amor di Dio, ti scongiuro non te ne andare! Non lasciarmi!». Non aveva più fiato per correre e cadde a terra.
«Isabel! Se sali su quella nave non sarai più mia figlia!». 
Quelle parole furono davvero troppo.
La ragazza  accelerò il passo, seguì sua sorella Jane e sparì senza mai voltarsi oltre le scalette all’ingresso dell’imbarcazione.
Jane sbuffò sdegnata non appena furono a bordo. «Ma guardalo, come si preoccupa! Ora che la sua prediletta lo ha abbandonato» affermò ironica, senza preoccuparsi di nascondere la sua lingua tagliente.
Isabel sbirciò dall’oblò ma si pentì subito, la figura del loro padre inginocchiato e con l’espressione cosi sofferente le fece troppo male. Lanciò un’occhiataccia alla sorella che stava ancora ridendo finché i loro occhi non si incontrarono. «Beh che hai? Non dirmi che vuoi tornare da papino! Sei ancora in tempo» sghignazzò Jane, Isabel invece era serissima «Smettila, non dovresti parlare cosi di nostro padre!» sentenziò e si allontanò da lei.
Più tardi bussarono alla porta della cabina.
Isabel si alzò dal letto con gli occhi lucidi mentre Jane avanzava senza neanche aver aspettato il permesso di entrare.
«Lo sai che tu sei sempre stata la sua preferita», fissò Isabel per un istante di silenzio poi tornò a parlare «Non devi piangere, questo viaggio è il mio unico modo di salvarti» le si avvicinò con fare amichevole, «Tu sei solo gelosa!» gridò Isabel allontanandosi da Jane, poi si arrese e continuò a piangere tra le braccia di sua sorella maggiore.
Erano salpate su un mercantile già da cinque ore dal porto di Liverpool, le attendevano molti giorni di navigazione. Il Nuovo Mondo, aveva detto Jane, sarebbe stata la loro unica salvezza. Si sarebbero rifatte una nuova vita e non erano sole, c’era la zia Meredith ad aspettarle.
Isabel sentiva di avere molto meno dei suoi 16 anni, la purezza del suo animo e l’ingenuità conservavano in lei quella parte bambina che non avrebbe mai voluto perdere, mentre Jane ventiduenne, era la pecora nera della famiglia, il “maschiaccio”. Ma Isabel sapeva che era il suo unico punto di riferimento, soprattutto ora che i loro genitori si odiavano e vivere tutti sotto lo stesso tetto era diventato impossibile.

 
Il secondo giorno di viaggio, le due sorelle si svegliarono che il sole era sorto già da un po’, Jane fu la prima a vestirsi e uscì dalla cabina. Quando Isabel aprì gli occhi dapprima sentì un leggero vociare poi si accorse che un senso di nausea stava diventando sempre più forte, provò ad alzarsi ma rotolò giù dal letto e per poco non si fece male sul serio.
La risata di sua sorella la irritò maggiormente e alzò gli occhi indignata ma trasalì; Jane era in compagnia di quello che doveva essere il capitano. Erano beatamente seduti a tavolino, lei intenta a mangiare da un vassoio stracolmo e il giovane che sorrideva. «Finalmente ti sei alzata pigrona» ridacchiò lei, Isabel si trattenne dalla collera e si avvolse nel lenzuolo strappandolo dal letto.
«Mi dispiace, spero non vi siate fatta male» disse il capitano alzandosi, si avvicinò alla ragazza a terra e la guardò nei grandi occhi blu. «Lasciate che mi presenti, io sono il Capitano Sean Smith, vi trovate a bordo della mia nave…» le tese la mano destra e si inchinò.
Isabel pensò a quanto fosse insolito quel tizio, o semplicemente troppo gentile. Allungò la mano e lui gliela baciò delicatamente, poi la aiutò ad alzarsi. Jane tossì e il capitano si ricordò improvvisamente che aveva da fare, cosi si congedò.«Arrivederci Isabel» sussurrò prima di andarsene.
«Su coraggio, vieni a mangiare» sentenziò Jane, aveva cambiato stranamente umore all’improvviso. Isabel si sedette affianco a lei «Come mai era qui?». Silenzio.
«Jane, voglio sapere perché ti permetti di far entrare estranei nella nostra cabina» .
Sua sorella smise di mangiare «E’ un mio amico, stai tranquilla» disse senza guardarla, Isabel si alzò di scatto «Smettila di decidere tutto tu della vita degli altri!». Aprì il baule ed estrasse un corpetto e delle sottogonne «Guarda addirittura i vestiti! Io non sono più un bambina perché non lo capisci?», li gettò a terra. 
Jane rise «Ma perché ti scaldi tanto? Prima Sean, ora i vestiti… Ieri piangevi perché già ti mancava papà, non dirmi che vorresti tornare a casa! Scommetto che ci hai già ripensato ad andare da nostra zia» .
Isabel le si accostò e fu tentata di prenderla a schiaffi «Dovresti prendermi più in considerazione da oggi in poi!». Jane restò senza parole poi si alzò furiosa «La mia pazienza ha un limite sorellina, stai attenta». Isabel la guardò negli occhi dello stesso blu che aveva lei «Non ho paura di te» disse a denti stretti e sparì oltre la porta. Jane diede un calcio alla sedia che andò a schiantarsi contro la parete.

Sua sorella minore si era diretta sul pontile e aveva indossato il suo abito preferito, quello celeste col pizzo bianco senza il bustino che tanto la soffocava. Non le importava più di tanto, dato che era un caldo pomeriggio estivo. In quel momento Isabel sentì salirle la rabbia per suo padre, per sua sorella e perché non sapeva se quel viaggio fosse stata la cosa più giusta da fare. 
Si appoggiò al parapetto e scrutò l’orizzonte, i lunghi capelli biondi e ondulati al vento. Non si era mai sentita cosi debole e cosi sola al mondo. Il capitano Smith diede l’ordine si spiegare le vele per aumentare velocità mentre i mozzi pulivano per terra imprecando di tanto in tanto. Il sole calava lentamente data la stagione e il cielo, privo di nuvole, assumeva delle sfumature di colore cade e accese. Isabel non si accorse della presenza di qualcuno vicino a lei, qualcuno che le posò una mano su una spalla e mormorò timidamente qualcosa. 
La ragazza sobbalzò a quel tocco.«Non volevo spaventarvi» sussurrò il capitano sorridendo.
«Oh, siete voi…» mormorò lei guardandolo. «Chiamatemi Sean per favore» disse il capitano, Isabel annui e volse lo sguardo altrove ignorando gli occhi puntati su di lei. Rimasero a lungo in silenzio poi Sean parlò «So come vi sentite, non dovreste essere in collera con vostra sorella, vi vuole molto bene».

La ragazza sbuffò «Vuole proteggermi dal mondo intero! E’ ora che anche io inizio a vivere» lo interruppe, Sean annuì «Avete ragione ma cercate di non litigare, voi siete una famiglia». Isabel non seppe cosa rispondere, si chiedeva solo perché chiunque ci teneva a dirle cosa doveva e cosa non doveva fare.

Parlarono a lungo del rapporto delle due ragazze e Sean cercava di dare consigli e di spiegare alla più piccola quanto fosse importante la sua vita per la sorella maggiore. «Jane vi adora, il vostro legame è più forte di quello che credete». Isabel abbassò lo sguardo, era decisa a dirgli che doveva pensare agli affari suoi e che sapeva badare a se stessa ma rimase in silenzio e si trattenne dalla voglia di piangere.

La vedetta improvvisamente lanciò un urlo «Nave in vista!» e tutti quanti sul ponte trattennero il fiato.  L’espressione del capitano mutò all’istante, alzò gli occhi sulla vedetta poi guardò nella direzione in cui egli puntava il dito. «Che bandiera battono?» chiese mantenendo la calma, «Sono ancora troppo lontani per dirlo» fu la risposta. Gli altri uomini smisero di occuparsi delle loro faccende e si lanciarono degli sguardi di terrore. Il secondo si affrettò a dare l’allarme «Pirati capitano!». Sean lo raggiunse e lo afferrò per il bavero «Cosa diavolo stai farneticando?! Vuoi farci prendere un colpo a tutti? Torna al timone e chiudi quella bocca», l’uomo lo guardò stralunato ma ubbidì.
Sean tornò da Isabel la quale si precipitò a chiedere cosa stesse accadendo, «Non dovete preoccuparvi di nulla Milady, adesso vi riaccompagno in cabina» rispose rapido lui.

Una volta tornato sul ponte corse al parapetto opposto e sfoderò il cannocchiale, avevano di fronte un galeone spagnolo gigantesco. «Signore!» urlò la vedetta «Ci attaccheranno, vengono verso di noi ad una velocità impressionante, Henry aveva ragione!».
“Maledizione” imprecò Sean fra se e sé «Tutti ai propri posti, caricate i cannoni, portate qui tutte le armi che sono nella stiva! Prepararsi all’attacco». Henry fu subito da lui «Ma capitano non abbiamo polvere da sparo a sufficienza, i cannoni sono pochi…», Sean lo zittì bruscamente «Cosa proponi? Hai forse un’idea migliore? Non possiamo scappare, ormai ci siamo dentro fino al collo! Adesso va e preparati a combattere!».

Fu il caos totale, gli uomini si agitarono e corsero avanti e indietro, alla prima bordata l’albero maestro fu disarcionato in mare, Jane e Isabel erano chiuse in cabina e stavolta perfino la sorella maggiore sembrava essere spaventata.
«Io devo fare qualcosa, non posso restare qui»- sbottò Isabel, Jane la trattenne «Vuoi farti ammazzare come un agnellino?», la ragazza rispose un no secco pieno di rabbia, si sentiva cosi impotente e la cosa non faceva che renderla nervosa. Il galeone abbordò il mercantile e la ciurma nemica in un attimo lo invase. Le altre bordate che seguirono fecero oscillare la nave cosi bruscamente che Isabel pensò che si rivoltassero, abbracciò la sorella e le disse che le voleva bene.

Di sopra la battaglia si consumava fra il cozzare delle lame insanguinate e gli spari, i nemici stavano decisamente avendo la meglio. Il capitano Smith stava duellando da un pezzo con un mercenario e aveva abbattuto si e no un paio di spagnoli, Henry giaceva senza vita vicino al timone, quando Sean se ne accorse gli occhi gli divennero lucidi, doveva uccidere quei bastardi che avevano abbordato la sua nave con tanta facilità. Ma da solo quante possibilità aveva di vittoria?
In un attimo di distrazione un colpo di spada gli ferì la spalla, imprecò e cadde in avanti; quando alzò lo sguardo sussultò, Isabel era salita sul pontile e osservava la scena con occhi sgranati.
Il mercenario gli puntò la spada alla gola «Arrenditi inglese» disse con sdegno, Sean si rialzò di scatto e quello lo trafisse all’addome senza pietà. Isabel si portò le mani alla bocca trattenendo un urlo.
«Scappa!» intimò il capitano prima di cadere a terra. La sua vista era ormai offuscata, osservava inerme la distruzione della sua nave, i suoi compagni cadevano sotto i colpi di sciabola uno ad uno. Il suo udito divenne sordo, si accasciò al suolo e chiuse gli occhi, ma respirava ancora.

Isabel prese a correre e raggiunse la sorella «Dobbiamo andarcene da qui o nasconderci!» la avvisò, Jane la trascinò fuori dalla cabina poco convinta «Va bene andiamo nella stiva».
Giunsero all’entrata, ma la porta era socchiusa. Scesero in silenzio le scalette e una torcia illuminata passò davanti a loro, poi un grido. I pirati le avevano precedute, non avevano scampo. Indietreggiarono e si misero a correre, nel corridoio tre uomini  bloccavano la strada, Jane urlò e si scaraventò su due di loro cercando di colpirli a suon di calci, a uno sputò in un occhio.
Isabel non era capace di pensare, le sue gambe sembravano incollate al legno del pavimento. Poi uno di loro afferrò Jane per la gola, Isabel si fiondò nella cabina affianco, prese una sedia e una volta fuori la scaraventò contro lo spagnolo colpendolo alla testa.
«Occhio alla ragazzina!» gridò quello più basso, Jane si liberò dalla presa e gli tirò in calcio fra le gambe facendolo urlare di dolore. Ne rimaneva solo uno in piedi, entrambe si fiondarono su di lui e miracolosamente riuscirono a sfuggirgli.
Quando furono sul ponte lo spettacolo non era dei migliori:  la superficie del legno era ricoperta di sangue, le vele a terra strappate, i barili sparsi qua e là, l’equipaggio della nave era stato sterminato, alcuni corpi buttati a mare e i nemici che esultavano.
Jane riconobbe Sean e corse da lui, gridò che non doveva morire e iniziò a piangere. Isabel si chiese da quanto non vedesse sua sorella piangere e si trattenne dal farlo anche lei, poi una voce squillante si mise a strillare «Il capitano è ancora vivo!». Due uomini armati di sciabola e pugnali scostarono Jane che urlò di non toccarla e legarono Sean con una fune, era in un lago di sangue ma era ancora vivo.
«Tu resta qui e sta ferma» disse uno spagnolo afferrando Jane per le spalle e puntandole un coltello alla gola, «No!» urlò Isabel ma ben presto si ritrovò legata anche lei.
Gli uomini parlarono nella loro lingua che le sorelle non conoscevano poi il tizio che tratteneva Jane annui ridendo, la trascinò pericolosamente vicino al parapetto e la spinse in mare come fosse un oggetto di cui non aveva più bisogno, ignorando le sue urla.

Ad Isabel crollò il mondo addosso in un istante. La ragazza gridò con quanto fiato aveva in corpo tutta la sua disperazione «No! No! Perché avete salvato me? Perché?» e pianse tutte le sue lacrime fino a prosciugare gli occhi quando la sorella sparì dalla sua vista. Lei e il capitano Sean, agonizzante, furono fatti prigionieri.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

              

La sera era scesa silenziosa su quelle acque salate e sporche di sangue. Isabel piangeva ancora, silenziosamente, per la perdita della sorella e per la fune troppo stretta ai polsi. 
Il capitano giaceva ai suoi piedi più morto che vivo, il galeone aveva già ripreso a navigare e la ragazza era voltata verso il mercantile che era quasi affondato del tutto.
Mentre era immersa nel suo dolore, uno dei due pirati che la stringevano per le braccia la strattonò e parlò in inglese «Guarda questo verme sta sporcando tutto!» le si mise di fronte e con il piede sferrò un calcio al corpo inerme di Sean, «Ti toccherà pulire a te, chica» e cominciò a toccarla ovunque, l’altro pirata rise.
«Smettetela!» gridò Isabel ripetutamente mentre si divincolava. 
Quello che la stava palpeggiando l’afferrò con poca grazia per i capelli biondi e provò ad infilarle la mano sotto la scollatura dell’abito, gli occhi della ragazza tornarono lucidi e gonfi di rabbia per l’umiliazione; raccogliendo un po’ di coraggio gli sputò centrandolo in pieno in un occhio. 
L’uomo di riflesso le mollò un ceffone e Isabel per poco non cadde a terra.
«Basta cosi Pedro» ordinò una voce fredda ma giovanile mentre lei ricominciava a piangere nascosta dai capelli. I due la trascinarono in avanti, e la spinsero quasi addosso al capitano. 
Lei aveva ancora la testa di lato e si ostinava a non voltarsi. «Guarda qui Kevin, guarda cosa abbiamo catturato» rise di nuovo Pedro, fino a tossire poi sputacchiò a terra.
«Non è divertente, lo sai» disse Kevin gelido poi si rivolse ad Isabel «Come ti chiami?», l’accento era inglese ma lei non aveva alcuna intenzione di parlare con quella gentaglia.
L’uomo che non si chiamava Pedro la afferrò per il mento e la costrinse a guardare in faccia il loro capitano, Isabel gli lanciò un’occhiata carica d’ira che si sciolse all’istante. 
Quello davanti a lei era un ragazzo poco più grande della sua età, altissimo e con gli occhi chiari che facevano contrasto con la pelle abbronzata. Gli orecchini d’oro a cerchio spuntavano da sotto i lunghi capelli scuri raccolti in una coda, stranamente non c’era nessuna sciabola al suo fianco.
Sussultò quando la guardò negli occhi gonfi e arrossati per il pianto, Isabel provò un senso di forte imbarazzo e distolse lo sguardo. 
«Il gatto deve averle mangiato la lingua» disse Pedro sghignazzando «E’ un vero peccato perché io gliel’avrei fatta usare bene…» il ragazzo lo fulminò con lo sguardo. 
«Che ho detto? Possiamo sempre dividercela! Sono un generoso io, lo sapete» continuò ironico il pirata.
Tutta la ciurma li raggiunse e formarono un cerchio intorno ad Isabel, «Che ne facciamo della donna?» ridacchiò un tipo basso e vecchio, altri due si sussurrano qualcosa all’orecchio e la additarono, la ragazza guardò per terra. 
Il secondo si fece avanti, era un uomo sulla trentina con la barba incolta e senza capelli, chiese a Kevin se fosse il caso di sbarazzarsi dell’altro capitano.
Il ragazzo ordinò di farlo mettere in piedi, Sean tossi e sputacchiò sangue, la ferita era aperta e Isabel temette che sarebbe morto dissanguato. «Riesci a sentirmi?» gli chiese Kevin «Tu e la ragazza siete sulla mia nave», Sean lo maledisse ma Kevin rimase impassibile «Non sembra molto socievole» si voltò verso la ciurma che lo incitò a farlo fuori.
Il ragazzo scosse la testa «Quanti altri prigionieri ci sono a bordo Carlos?» chiese con noncuranza al secondo il quale rispose prontamente «Nessun’altro, ci sono solo questi due, gli altri sono tutti morti».
Isabel singhiozzò «Siete degli assassini! Ma come fate? Non v’importa niente della vita degli altri!» tutti risero tranne Kevin, Pedro le si avvicinò al viso «No non ce ne frega niente e se non la smetti morirai anche tu!» rise di gusto.
Isabel non ce la faceva neanche più a piangere, provava solo un enorme ribrezzo «Ridi pure quanto vuoi maledetto, tanto andrai all’inferno su questo non c’è dubbio!» gridò al pirata. 
Pedro rise ancora «Sta a vedere signorina dei miei stivali» spinse Sean fino al parapetto ed estrasse il pugnale in modo che tutti potessero vedere «No ti prego non farlo! Lui non ha fatto niente di male!» urlò Isabel, Pedro gli puntò il pugnale alla gola, tutti esultarono, «Non fatele del male…» disse Sean prima di essere sgozzato e gettato negli abissi.
La ragazza rimase di ghiaccio. 
«Adesso tocca a lei! Facciamola a pezzi!» gridarono in coro, «Ho un’ idea migliore» disse Pedro, afferrò un asse che stava li vicino e lo posizionò sulla parte vuota del parapetto «Divertiamoci un po’».
Prese Isabel per un braccio e la trascinò sull’asse «Forza facci vedere il tuo equilibrio chica», i pirati ridevano come matti, Carlos tracannava più rum che poteva. 
Lei decise che tanto valeva essere morta invece che rimanere lì in mezzo a tutti quei zoticoni.
Mentre avanzava fino all’estremità cercando di non farsi prendere da possibili giramenti di testa gli uomini fecero traballare l’asse. Ad un certo punto Kevin, che aveva osservato la scena in silenzio si avvicinò «Su adesso smettetela, è un ordine! Tornate tutti al vostro lavoro, c’è un inventario da fare».
Le facce della ciurma lo guardarono perplessi «Capitano ma cosa dici? Dobbiamo festeggiare!», Kevin si arrabbiò «Io dico che adesso ognuno torna al posto suo o ci finite voi in pasto ai pescicani» scandì bene le parole una ad una, «Sapete che mantengo sempre le mie promesse» calò all’istante il silenzio, nessuno rideva più.
Isabel era immobile ad un passo dal baratro, continuava ad avere paura e a desiderare di finire in mare pur di non restare li.
«Non vi vergognate neanche un po’? E’ una donna, non un oggetto» disse Kevin guardandoli uno ad uno poi salì sull’asse, prese per mano Isabel che stava tremando e la riportò sul ponte.
I suoi compagni si decisero a tornare alle loro postazioni trattenendo a stento la rabbia «Lo dicevo io che le femmine a bordo portano solo disgrazie» urlò qualcuno, Kevin lo ignorò «Benvenuta a bordo della Black Demon» disse alla ragazza con un mezzo sorriso forzato e le lasciò la mano, sfilò un pugnale dallo stivale e la liberò dalle corde.
«Mi chiamo Isabel» disse la ragazza con diffidenza mentre si massaggiava i polsi, era molto più bassa di Kevin e questo la mise in soggezione, evitò il suo sguardo. «Io sono Kevin, il capitano» si presentò lui.
«Ti chiedo scusa da parte di questi…mostri» soffocò una risatina «Io sono come loro, ne più ne meno» tornò serio e fece per andarsene, poi parlò di nuovo «Credo che tu dormirai nella stiva» affermò, ma era di nuovo distaccato.
«E dov’è esattamente? Potreste accompagnarmi per favore? Scusate ma quel Pedro…mi spaventa» Isabel rabbrividì. Il ragazzo annuì e la accompagnò sottocoperta nella stiva senza dire nulla, quella creatura indifesa stava già facendo strada nel suo cuore? Forse, ma lui di certo non l’avrebbe mai ammesso.
Quando furono in mezzo a tutte quelle armi e barili colmi di polvere da sparo però Isabel ebbe un mancamento, le tornò in mente l’ultima volta che aveva visto sua sorella e si sentì svenire, Kevin la sorresse e la prese in braccio, provò a chiamarla ma lei non rispose.

La ragazza si svegliò qualche ora dopo ed ebbe un fremito, quando scoprì di essere in un grande letto pensò che forse tutto quello che era successo fosse stato un incubo, ma poi la voce di Kevin la riportò alla realtà «Ti senti meglio?» le chiese, era seduto su una poltroncina ai piedi del letto.
«Si…» disse lei cercando di rimanere calma e trovò le forze per alzarsi. «Sarai affamata» Kevin le sorrise «Ti ho fatto preparare qualcosa da mangiare» indicò il tavolo imbandito.
Isabel lo ringraziò e si sedette un po’ incerta, poi  morse una fetta di pane. Kevin le si sedette affianco, lei lo ringraziò di nuovo, era impacciata e si sentiva del tutto fuori luogo.«Non devi» rispose lui «Piuttosto…posso sapere chi è Jane?» la guardò incuriosito.
Isabel sospirò cercando di non piangere «Era mia sorella», Kevin abbassò lo sguardo «Uno dei tuoi scagnozzi l’ha uccisa». La ragazza bevve un po’ d’acqua, «Come sai il suo nome?» era diventata seria, «Non hai fatto altro che chiamarla mentre dormivi» disse lui. «E tu perché fai questa vita? Non sei spagnolo…e non sembri affatto un mostro come loro…» iniziò a dire Isabel, ma Kevin non le rispose subito.
«Mangia» disse dopo un lunghissimo silenzio e si alzò, tirò fuori da un baule delle coperte e le stese a terra, prese uno dei due cuscini dal letto e lo gettò su di esse. Isabel non capì subito, lo guardò confusa «Non posso lasciarti nella stiva, è il caso che tu dorma qui, ti cedo il mio letto» disse lui mentre si scioglieva la coda e i capelli gli ricadevano oltre le spalle, poi si sbottonò la camicia.
Isabel voleva fuggire il più lontano possibile da li ma si limitò a voltarsi dall’altra parte. Quando sentì gli stivali gettati a terra si girò  lentamente, Kevin era disteso sulle coperte con un lenzuolo bianco sopra, si intravedevano solo le spalle nude. Isabel arrossì e riprese a mangiare poi Kevin si scoprì e sbuffò «Fa troppo caldo».
«Scusami, è colpa mia, non sei costretto a dormire per terra per me» disse lei dispiaciuta, «Sta tranquilla non è un problema» rispose il ragazzo e si girò su un fianco per darle le spalle.
Isabel notò subito le vecchie cicatrici di qualche colpo di frusta, si notavano anche se la pelle era abbronzata ma decise di non chiedergli nulla a riguardo.
La dolcezza e la freddezza di quel giovane in qualche modo la attraevano . L’idea che qualcuno lo avesse frustrato in passato la infastidì e in cuor suo era curiosa di conoscere qualcosa in più della sua vita; finì la cena e certa che lui dormisse si tolse il vestito e rimase in sottoveste.
Si buttò sul letto con gli occhi di nuovo lucidi, perché il destino si era cosi accanito contro di lei? Quanto ci avrebbe messo a rassegnarsi, a diventare adulta? A non pensare che non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia?
Si tirò su e si rannicchiò con le ginocchia appoggiate al mento poi il suo sguardo incontrò quello di Kevin, era seduto per terra a gambe incrociate ai piedi del letto, la guardava come se cercasse di non farlo.
Isabel si sforzò di non pensare che entrambi erano accumunati da una sofferenza enorme che avevano vissuto e che stavano ancora vivendo. «Beh io ti auguro una buonanotte Isabel» mormorò Kevin e si sdraiò di nuovo , lei non rispose ma continuò a piangere in silenzio.
Il ragazzo restò sveglio per buona parte della nottata ad ascoltare il respiro mozzato e i brevi singhiozzi di Isabel. 
Avrebbe voluto stringerla e dirle che comprendeva il suo dolore, ma una parte di lui non poteva cedere, non c’era amore o amicizia con una donna nel suo mondo. E non vedeva perché avrebbe dovuto esserci proprio in quel momento.
Poco prima dell’alba Isabel soffiò sulle candele che le avevano fatto compagnia rimanendo accese la sera prima e silenziosamente uscì dal letto, Kevin era immobile su quella specie di giaciglio che si era creato per terra. La ragazza si soffermò per un attimo a contemplare la sua sagoma nella penombra poi si avvicinò alla porta; toccò la maniglia e la girò.
Non si aprì. Allora cercò con le mani una chiave infilata nella serratura, trovò la serratura ma non la chiave. Per il nervoso tirò un calcio alla porta e forzò la maniglia per un paio di volte, il sole iniziò a sorgere. «Cercavi questa?».
La voce di Kevin la fece trasalire, si voltò lentamente e se lo trovò ad un passo dal suo viso. Era serio e le mostrava una grossa chiave nera nella mano destra. Scioccamente Isabel provò ad afferrarla senza successo.
«Non pretendo che tu ti fidi di me ma mettiamo in chiaro una cosa, adesso sei mia prigioniera quindi non scapperai proprio da nessuna parte, chiaro?» la sua voce era cosi bella in confronto al sapore di quelle parole, Isabel lo guardò negli occhi mentre i battiti del suo cuore acceleravano, sorrise «Va bene scusa» e tornò a letto.
Kevin restò a fissarla. 
«E comunque, signor capitano, della mia vita decido io» disse con tono divertito. Il ragazzo la trascinò giù dal letto per un braccio e la spinse contro la porta come un attimo prima «Forse non hai capito che te la sto salvando la vita, fuori questa porta c’è un branco di uomini assetati che non toccano una donna da molti mesi!» si stava infuriando.
Isabel non si scompose «So badare a me stessa», «Non credo proprio ragazzina…» replicò Kevin arrabbiato, poi la lasciò andare e si sedette alla scrivania ad analizzare alcune carte nautiche. 
«Non sono una ragazzina! Ho 16 anni, non credo che tu sia molto più vecchio di me» disse Isabel, si stava innervosendo anche lei e visto che lui non rispondeva proseguì «E sono sicura che anche tu non tocchi una donna da mesi…o meglio, una prostituta».
Il ragazzo si voltò verso di lei «Cosa?» rise «Tu non sai niente di me e faresti meglio a tacere». «Allora perché non mi racconti…» replicò lei ma lui la interruppe e si avviò verso la porta «Devo andare adesso», la aprì e uscì. La ragazza si arrabbiò molto quando sentì il rumore della chiave girare nella serratura dall’esterno.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

                 

Kevin trafficò tutta la mattina sul pontile a dare ordini e a calcolare il valore delle merci che avevano rubato il giorno prima. 
Aveva ordinato che fosse portato qualcosa da mangiare alla sua “prigioniera” senza che riuscisse a scappare naturalmente, e ignorava ogni commento che Pedro e compagnia insistevano a pronunciare a riguardo.
Carlos, il secondo, gli si affiancò verso le prime ore pomeridiane «Kevin… ma cos’è successo nella tua cabina?».
Il capitano gli lanciò una rapida occhiata interrogativa «Niente…manteniamo la rotta fino alla prossima…», Carlos lo  interruppe incuriosito, «Ma insomma! Mi sono ricordato che stamattina c’era qualcuno che bussava violentemente! Non mi dirai che ci hai rinchiuso la ragazza…».
Kevin lo guardò come se fosse ovvio, «Preferivi forse che la mettessi in cella? E poi un luogo chiuso vale l’altro, almeno li non ci darà fastidio». Il secondo lo guardò perplesso «Io credo sia il caso di liberarcene». Kevin sorrise spavaldo prima di rispondere prontamente «No non direi, potrebbe esserci molto utile invece» e si allontanò prima che Carlos potesse fare altre obiezioni.

Isabel era a letto, il suo tentativo di persuadere il cuoco a liberarla si era rivelato una battaglia persa. Mostrandole la chiave affidatagli da Kevin, il vecchio pirata dai lunghi baffi le aveva sussurrato quanto egli non potesse tradire gli ordini del capitano. 
Cosi la ragazza ancora più arrabbiata, si era alzata in piedi e guardandosi intorno per un attimo aveva deciso di mettere in atto l’idea che le balenava nella testa dalla mattina...

Si avvicinò alla scrivania e senza pensarci troppo  scaraventò le carte nautiche per terra, poi toccò il vassoio con gli avanzi del cibo e alcuni candelabri, persino il vaso da notte non fu risparmiato. 
Aprì il baule che trovò in un angolo della cabina e tirò fuori una ad una le camicie di Kevin, c’era anche qualche gingillo d’oro e pietre preziose, lo svuotò completamente poi dopo aver ammirato il risultato dei suoi sforzi si sedette sul letto. 
La calda luce del sole che entrava dall’oblò le annunciò che era ormai pomeriggio. Sbuffando la ragazza si rialzò e trovò qualche libro di storia su una mensola di legno; ne sfogliò distrattamente un paio poi li lasciò cadere a terra. 
La verità era che la solitudine non faceva che premere sul fatto che sua sorella non c’era più e lei non voleva continuare a pensarci. Ma un senso di tristezza s’impadronì del suo cuore. 
Si fermò a guardare la cabina a soqquadro e si chiese quanto Kevin si sarebbe arrabbiato, ma invece di pentirsi di ciò che aveva fatto tornò a letto e si sistemò sotto le lenzuola con la convinzione che dormire era l’unica cosa da fare. 
Ma quando sarebbe finito quell’incubo? Sarebbe mai tornata a casa da suo padre? Anche quel pensiero iniziò a farle pressione.
D’un tratto Isabel avvertì una presenza fuori dalla porta, il rumore della chiave che girava lentamente nella toppa catturò la sua attenzione e girò la testa verso la porta per controllare.
Quando Kevin si trovò di fronte al disordine che lei aveva creato, mantenne la calma e si avvicinò al letto. 
Rimase in silenzio finché la ragazza, che stava fingendo di dormire, non riaprì gli occhi e lo guardò con soddisfazione poi sbadigliò sorridendo «Allora, ti piace la bella sorpresa che ti ho fatto?».
Lui ignorò le sue parole e la tirò giù dal letto. 
«Non ti piace restare chiusa qui dentro vero?», lei lo guardò sconvolta e si aggrappò a lui senza dire nulla. «Bene» continuò Kevin e la trascinò fuori dalla porta «Allora ti insegnerò io come difenderti da sola per sopravvivere qui».
“No aspetta sei in errore! Io non ho detto nulla di tutto ciò!” ripeté più volte Isabel ma non appena furono sul pontile lui le lasciò il braccio e le bisbigliò all’orecchio «Entro stanotte rimetti apposto la mia cabina…E ora vediamo come te la cavi nella fossa dei serpenti, se non imparerai in fretta morirai sappilo». 
La ragazza con un fremito non riuscì a guardarlo ma gli rispose «Tu non permetterai che mi succeda… Ieri mi hai salvato, io…». 
Gli occhi degli uomini che lavavano per terra furono su di lei, qualcuno tirava secchiate d’acqua e altri strofinavano in ginocchio, chi indossava abiti sporchi e chi tirava qualche bestemmia in lingua spagnola. Isabel si rese conto di essere davvero sola al mondo e si sentì svenire, socchiuse gli occhi ormai lucidi e non sentì più Kevin vicino a lei.
Li riaprì amaramente e ignorò i pirati che mentre non avevano smesso di svolgere i loro compiti, la guardavano ancora come se fosse una preda. La vedetta urlò qualcosa di incomprensibile a Carlos che annuì e intimò ai suoi uomini di lavorare senza distrazioni. 
Isabel in preda ad una crisi isterica di pianto avanzò fra loro e si sporse all’unico spiraglio di parapetto libero.
C’erano delle corde li vicino, le guardò e pensò che magari poteva legarsene una al collo e gettarsi nelle profondità dell’oceano. 
Si chinò decisa a fare quello che stava pensando e gli occhi le caddero su un ragazzino di fronte a lei impegnato a ricucire delle vele rotte. «C’è anche un bambino a bordo?», chiese in mezzo al gran chiasso che faceva la ciurma.
Non ottenne nessuna risposta e si rialzò per guardarlo meglio, il ragazzino con i capelli biondo cenere era il più giovane su quella nave. Aveva dieci anni ma lei questo non lo sapeva ancora. 
Carlos gli si avvicinò e gli porse dell’acqua, il bambino bevve tutto d’un fiato poi il secondo lo prese in braccio e lo baciò sulla guancia. Quando toccò di nuovo terra Isabel sentì pronunciare la parola “Papà” e credette di essere impazzita.
Attraversò il pontile ignorando i commenti nella lingua che non conosceva e si appoggiò in un angolo deserto, c’erano solo un paio di barili stracarichi di pesce fresco. 
Il vento caldo le accarezzava i lunghi e mossi capelli chiari e il sole le dava un po’ di fastidio agli occhi. Si appoggiò con i gomiti sul corrimano di legno e fissò l’acqua, c’era solo acqua intorno a lei, nient’altro che acqua azzurra e immensa. 
Le lacrime ripresero a scendere. Sean e Jane non c’erano più, erano stati uccisi da quegli uomini che erano li con lei e molto presto sarebbe toccata anche a lei la medesima sorte pensò.
Un gabbiano che si aggirava indisturbato sopra di lei scese in picchiata e atterrò sul corrimano. Isabel sobbalzò per lo spavento, poi si accorse che era solo un gabbiano e incuriosita si mise ad ammirarlo. Aveva un’apertura d’ali molto ampia e il portamento fiero. Il piumaggio bianco sfumato di grigio sulla testa risplendeva alla luce del tramonto.
Isabel si asciugò gli occhi e si rese conto che l’animale non scappava se lei si avvicinava, cosi prese un pesce da uno dei barili li accanto e avvicinò la mano al suo becco che scattò al volo e ingoiò il pesce. 
La ragazza all’improvviso sorrise e anche il gabbiano sembrò contento. Istintivamente prese un altro pesce quando un urlo la colse di sorpresa e fece volare via il gabbiano. 
«Oh no torna qui ti prego!» Penso Isabel, «Volevo riuscire ad accarezzarti». Una stretta al braccio la costrinse a voltarsi e si trovò davanti Pedro, l’uomo che più l’aveva ferita la sera precedente.
«Ma che fai! Razza di...», le sputò addosso e la schiaffeggiò violentemente due volte. 
Blaterò una serie di insulti in lingua spagnola che lei non comprese poi strattonandola con forza alzò il pugno in aria pronto a colpirla di nuovo. «Ci siamo, finalmente è finita» pensò lei mentre fissava lo sguardo carico d’odio dell’uomo e attendeva di ricevere il colpo sperando che fosse quello fatale.
«Pedro fermati!» gli intimò Carlos. 
Pedro le strinse il braccio e sembrava sempre pronto a colpire. «Uccidimi» gli ordinò lei, «Non lo ascoltare, fallo e basta» mormorò allo stremo delle forze. Si sentì una stretta al collo e vide il pugno avvicinarsi sempre di più. 
Chiuse gli occhi e cadde a terra. 
Poi una serie di rumori in lontananza si susseguirono. Il rumore sgraziato delle lame che si scontrano, voci rotte, insulti e botte. Isabel aprì gli occhi e si rialzò frastornata. Era certa di non aver sentito il pugno colpirla in viso perché il dolore era sopportabile. Si toccò il labbro che prese a bruciargli. Sulla mano c’era del sangue ma non le importava.
L’immagine sfocata di Kevin che le correva incontro le sembrò una visione, poi tutto fu chiaro. Calò il silenzio e tornò l’ordine. Il capitano le fu vicinissimo e le sollevò il viso, lo studiò per un istante e si macchiò le dita del suo sangue. «Ti avevo detto di difenderti! Non di farti spaccare la faccia!». Tra la ciurma si scatenarono risate e fischi. Qualcuno chiese a Kevin in modo molto volgare se avevano trascorso la notte insieme. Bastò uno sguardo per rimetterli in riga.
«Non mi interessa sapere il motivo delle vostre stupide dispute!» ringhiò Kevin, «Non deve più succedere questo», si rivolse di nuovo a Isabel e indicò la sua ferita al labbro. 
Ora la ragazza sentiva il sapore del sangue in bocca. 
Pedro si fece largo a spintoni fra i suoi compagni di avventura e si parò davanti al capitano. «Ha sprecato un pesce per darlo in pasto a un dannato gabbiano! E adesso deve pagare io la voglio», guardò prima lei poi Kevin in modo allusivo. 
«Vedrai che dopo che avrò finito non si azzarderà più a sprecare il nostro cibo!» continuò sotto gli occhi contrari e severi del suo capitano.
«Torna al tuo posto» gli intimò il ragazzo in tono solenne. 
Pedro non lo ascoltò e allungò una mano su di lei. Kevin lo trattenne spingendolo all’indietro per una spalla «Ho detto, torna al tuo posto». Strinse forte la presa costringendolo a guardalo in faccia «Non farmelo ripetere». 
Pedro con la sua stazza larga si fermò barcollando e lanciò un’occhiata di disprezzo alla mano sulla sua spalla. Se la scrollò di dosso e sorrise poi tirò fuori la sua sciabola e la puntò al collo di Kevin. Urla di sdegno si alzarono contro di lui e gli intimavano di portare rispetto al capitano.
Isabel col sangue che le colava lungo il colletto del vestito fronteggiò Pedro «E’ me che vuoi, lui non c’entra! Perché non te la prendi con me?» provò a spostare Kevin per farla passare ma si ritrovò invece dietro di lui che l’aveva trattenuta con una mano per farle da scudo. 
Era disarmato e guardava il suo avversario come se stesse vivendo la situazione più calma e tranquilla che potesse esserci, mentre Isabel era terribilmente in ansia. 
«Lo sai che i bottini di guerra si dividono con il resto della ciurma» sentenziò Pedro, poi pronunciò altre frasi senza senso mentre l’alto capitano gli si avvicinava facendolo indietreggiare. Nonostante gli stesse puntando contro un’arma il vecchio Pedro si era sempre sentito in debito con Kevin. 
«Lo sai perché sei ancora vivo o devo ricordartelo?» chiese il ragazzo.
Carlos apparve alle spalle di Isabel «Vieni» le disse e offrendole la mano la portò sottocoperta, lei non aveva più le forze di reagire cosi lo seguì senza preoccuparsi se volesse farle del male o meno. 
Il secondo la condusse nella sua cabina che era accanto a quella di Kevin. «Ecco qua, tieni» le porse un fazzoletto strappato e intriso d’acqua fresca, lei lo prese senza ringraziarlo ed uscì da li. Non aveva rivolto il minimo sguardo al luogo dove dormiva Carlos e si chiese da dove provenisse quel pezzo di stoffa poco pregiato che le aveva offerto. «Chissà quante cose rubate a poveri innocenti» pensò lei.
«C’è una buona notizia» gli disse il pirata seguendola, «Abbiamo rubato…Cioè abbiamo trovato…» s’interruppe e sbuffò. «Insomma, c’è una sorpresa per te! E sono sicuro che l’apprezzerai per tutto il periodo che resterai con noi». Isabel si voltò a guardarlo e senza rispondergli entrò nella cabina di Kevin e richiuse la porta. 
«Non sei contenta?» chiese Carlos da fuori. Isabel ignorandolo stava per scoppiare di nuovo a piangere quando si accorse che tutto il disordine che aveva creato era sparito. 
Kevin le aveva ordinato minacciosamente di rimettere tutto apposto ma poi lo aveva fatto lui. Guardò le cose di nuovo al proprio posto, il letto in ordine e si passò ancora il fazzoletto sul labbro; perdeva ancora sangue ma non le importava. 
Si accasciò contro la porta e desiderò trovarsi il più possibile lontano da li, da quella maledetta nave e da quella gentaccia che la trattava male. Carlos, il secondo, le aveva parlato di una sorpresa, ma quale tipo di sorpresa avrebbe potuto tirarle un po’ su il morale?

La risposta la trovò quando notò che nella cabina c’erano due bauli che prima non si trovavano li. Corse ad aprirli e accertò i suoi dubbi: avevano recuperato i suoi vestiti dal mercantile, e anche quelli di sua sorella Jane. 
Isabel prese una gonna rosa di sua sorella e guardandola non poté fare a meno di pensare a quando erano partite, di quanto si era pentita di essersi allontanata su quel mercantile da Liverpool. Adesso erano in mezzo al mare Dio solo sapeva dove esattamente. Si tolse il vestito macchiato di sangue e si tamponò ancora la ferita al labbro. 
In quel momento Kevin entrò nella stanza come una furia. Isabel lo guardò con rimprovero mentre usava il vestito che si era appena tolta per coprirsi la lunga sottoveste «Ma non si bussa più?».
Il ragazzo sbatté la porta con violenza, «Ti ricordo che questa è la mia nave e tu sei l’ospite». 
Si avvicinò a lei e le tolse il fazzoletto di mano «Guarda cosa ti sei fatta», le spostò i capelli all’indietro ed esaminò la sua guancia. «Spero solo che non ti abbia rotto il naso o qualche dente…». Isabel indietreggiò di scatto «Ma che dici!», lanciò via il vestito e aprì il suo baule cercando frettolosamente il suo specchio col manico. 
Guardò il proprio riflesso e quasi lanciò un urlo. Il naso sanguinava cosi come il labbro superiore e sulla guancia c’era un grosso ematoma che stava diventando viola e si stendeva fino all’angolo della bocca.  
«Oggi non mi sei piaciuta per niente» disse Kevin, «Se il primo giorno permetti a qualcuno di farti questo cos’altro può succedere domani?» la rimproverò.
Isabel lasciò lo specchio nel baule e si voltò a guardarlo con rabbia «E tu perché hai permesso che succedesse? Non ho chiesto io di essere tua prigioniera!». 
Kevin si alterò, «Stai dicendo che è colpa mia se Pedro è cosi? Ti ho già spiegato che devi imparare a difenderti da sola su questa nave! Non ci posso essere sempre io pronto a difenderti» sentenziò. Isabel trattenne a stento le lacrime «Ma non vedi che da sola non ce la faccio? Io non ho chiesto di vivere con voi e non voglio viverci! Mi fate tutti schifo, siete della gente cattiva e malvagia, meglio morire che incrociare la vostra strada!». 
Il ragazzo la guardò con segno «Avrei dovuto lasciare che ti uccidessero allora» mormorò con voce rauca. 
Lei fu come colpita da una gigantesca onda che ti prende alla sprovvista quando sei sulla riva del mare o che ti travolge quando sei in acqua e dai le spalle al largo. Il cuoco di bordo entrò senza chiedere permesso e lasciò la cena sul tavolo. Isabel sentì il cuore batterle all’impazzata.

Come poteva quello sconosciuto averle detto una cosa tanto orribile? «E smettila di cullarti nel tuo dolore! Abbiamo tutti perso qualcuno che amavamo ma non per questo ci piangiamo addosso tutto il giorno! O sveniamo, come fai tu» disse ancora Kevin, poi si sedette a mangiare senza degnarla di uno sguardo. 
«Davvero mi consideri cosi inutile?» gli urlò contro lei cercando in tutti i modi di fermare le lacrime. 
«Davvero pensi quello che hai appena detto? Che non conto niente, che la mia vita non t’importa e che mi uccideresti? Guardami!». 
Il ragazzo addentò un pezzo di pane e assaggiò il piatto che gli era stato preparato ma non si girò a guardarla.
«Davvero pensi quello che tu, hai appena detto?», la imitò con la stessa domanda senza pretendere di conoscere la risposta ma Isabel parlò. «E’ quello che penso del tuo equipaggio, in te ho visto qualcosa di diverso Kevin». 
Lui si alzò e finalmente la guardò in faccia per affrontarla «Non hai un bell’aspetto», la sua espressione si era indurita e lo aveva detto come un’accusa «E smettila di cercare qualcosa di buono in me perché non c’è! Loro sono i miei uomini e non sta a te venirmi a dire come devo vivere, se non vuoi stare qui allora vattene, buttati a mare, fai quello che vuoi!».

Isabel lo colpì.

Non seppe spiegarsi come fosse stato possibile eppure la sua mano si era alzata e dopo lo schiocco che riecheggiò in tutta la cabina il ragazzo aveva il viso girato. 
Senza dire una parola uscì a passo svelto sul pontile. In fondo cosa le importava davvero della vita di Isabel? Non la conosceva neanche. Il destino gliel’aveva fatta incontrare ma lui non era abituato ai legami affettivi, soprattutto con l’altro sesso, e non voleva per niente al mondo affezionarsi. 
O aveva paura di legarsi a qualcuno che non fosse un suo marinaio? Scacciò quel pensiero quando trovò Carlos a fumare una pipa vicino al timone.
«Hey capitano, come va con la ragazza?» domandò scherzosamente il secondo. Kevin si avvicinò guardando lontano, oltre il mare nero che li circondava «Sto pensando seriamente di ucciderla e dare il corpo in pasto ai pescecani». 
Carlos scoppiò a ridere e a tossire per il fumo, chiamò suo figlio e gli ordinò di portare del rum per due. 
«Sei troppo rigido con te stesso! Dovresti darle una possibilità, lei lo ha fatto con te». Kevin si sedette su uno sgabello «Non capisco quello che dici, non eri anche tu dell’idea di farla fuori questa mattina?» domandò incredulo. 
Il suo secondo annuì e tolse la pipa dalla bocca «Si, ma ho cambiato idea. Lei non c’entra con la nostra guerra è soltanto un’innocente che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato e adesso è qui con noi». 
Il ragazzo più giovane si spazientì «Basta parlare di lei! Non posso mica dannarmi l’anima per non essere in grado di difenderla, andasse pure all’…». «Kevin!» lo interruppe Carlos trattenendosi dal ridere, «Che ti prende? Non ti ho mai visto cosi adirato per una donna». Il capitano si ricompose e lo guardò torvo non capendo cosa ci trovasse di tanto divertente «E’ proprio vero che portano solo sciagure a bordo» si lamentò.

Isabel dopo aver indossato una delle vestaglie di sua sorella aveva mangiato qualcosa per cena. Del cibo almeno non poteva lamentarsi, e visto che proprio non le andava di stare sola osò uscire fuori dalla cabina ed esplorare la nave. 
Attraversò il corridoio per metà quando il bambino che aveva visto quel giorno le passò davanti con in mano due grandi boccali di rum. Entrambi si fermarono a guardarsi poi lui le sorrise e s’incamminò sul pontile. Isabel improvvisamente nervosa per essere rimasta di nuovo sola lo seguì di corsa, quando salì le scalette e respirò l’aria della notte rimase sbalordita dall’effetto che faceva la nave illuminata. 
Per un momento si sentì felice di essere a bordo della Black Demon. Poi le voci dei due uomini che discutevano la riportarono alla realtà, cioè che conviveva da un giorno intero con dei mostri.
Si avvicinò al timone dove c’erano Kevin, Carlos e il bambino. 
Lui la vide le corse incontro «Ciao» disse e si pulì la mano addosso prima di porgergliela «Tu saresti?». Il capitano si accorse della presenza della ragazza e avvertì Carlos «E’ qui, sta parlando con tuo figlio». 
Il secondo interruppe il suo discorso di rimprovero e li guardò. Isabel gli prese la mano un po’ incerta «Il mio nome è Isabel…tu sei il figlio di Carlos?». Il bambino s’inginocchiò e le fece il baciamano, «Si mia signora» rispose. Il padre scoppiò a ridere nel vedere quella scena e Kevin bevette un altro sorso. 
«Diego! Isabel! Venite qui» esclamò Carlos divertito. 
Diego tenendo per mano la ragazza la condusse dal padre che subito gli chiese «Ma cos’era quell’inchino che hai fatto?». Isabel cercò lo sguardo di Kevin ma al suo posto trovò solo occhi bassi su un boccale ancora mezzo pieno.
«L’ho visto fare una volta padre, quando eravamo a Tortuga» rispose Diego, Carlos accarezzò la testa del figlio e se lo mise sulle ginocchia. Isabel gli lasciò la mano e guardò con un mezzo sorriso Carlos che ricambiò. 
«Dove siete diretti se posso chiedere?». Kevin finì di scolarsi il rum «Non sono affari tuoi». Carlos gli diede un calcio da sotto il tavolino. «Vuoi raggiungere Pedro forse?» domandò il ragazzo sarcastico. 
Il secondo gli lanciò un’occhiata acida ma divertita e si concentrò su Isabel che aveva un’espressione angosciata. 
«Oh non temere non è stato ucciso, si trova in cella. Kevin lo ha punito per averti fatto del male, è questo il motivo non è vero capitano?». 
Il ragazzo dai lunghi capelli neri non rispose cosi Carlos continuò «E comunque, siamo diretti verso le Americhe». 
Isabel che stava ancora apprezzando il fatto che Pedro fosse rinchiuso sussultò «Avete detto le Americhe?». 
Il pirata si rimise in bocca la pipa «Non datemi del voi!», lei riformulò la domanda e lui annuì. 
«Ma allora esiste una via di fuga per me! Potreste portarmi da mia zia? Oh meglio, potreste tornare a Liverpool cosi tornerei da mio padre e gli chiederei scusa e…» incontrò gli occhi gelidi di Kevin 
«Tu non vai proprio da nessuna parte». 
Isabel si sentì in trappola, che ne sarebbe stato della sua vita se non volevano portarla a casa? Il secondo guardò Kevin «Ma non la volevi morta? Cioè, non volevi sbarazzarti di lei?». 
La ragazza li guardò entrambi ferita «Ha detto questo?». Un senso di tristezza stava per sbocciarle di nuovo dentro. 
Non attese una risposta e tornò di corsa in cabina, chiuse la porta e si sedette sul letto. 
«Che cosa gli ho fatto di male?» pensò, «Perché adesso vuole uccidermi quando ieri mi ha salvata?». Sospirò per ricacciare indietro le lacrime. Poi si alzò nervosamente e iniziò a camminare avanti e indietro per i nervi tesi. 
Dopo circa mezz’ora Kevin tornò, l’odore dell’alcool dava fastidio a Isabel ma decise di non dirglielo. Lui si sedette sul letto e si sfilò gli stivali. «Io dove dormo stanotte?» domandò lei senza riuscire a trattenersi dal chiedere. 
«Problemi tuoi, c’è il pavimento, la stiva, la cucina, le celle o persino il pontile… Cosi prendi aria e ti calmi» fu la risposta. 
«Ah, sarei io quella agitata? Tu mi vuoi uccidere! Ma non te lo permetterò!” disse Isabel e fece per andarsene, prima di afferrare la maniglia della porta però si sentì afferrare da dietro e non poté più muoversi. 
Kevin la trattenne e lei si agitò gridando di lasciarla andare. Lui le intimò di starsene buona e zitta ma alla fine dovette tapparle la bocca. Si sedettero sul letto e lui parlò per primo. 
«Pensi davvero che ti farei dormire per terra?». Invece di rispondere Isabel domandò a sua volta «Perché mi odi tanto? Posso sapere perché? Non mi sembra di averti fatto niente di male!». 
Kevin si fece pensieroso. Si rialzò e finì di spogliarsi. 
«Non ce l’ho con te e non ti voglio morta» disse. Lei lo guardò intimidita «Ma se hai detto il contrario!» obiettò. Il ragazzo finì di prepararsi il giaciglio per terra e vi si sdraiò sopra controvoglia. 
«Ce l’ho con me stesso per non averti protetta oggi» disse a se stesso. «Spegni le candele e dormi» le ordinò. Isabel ubbidì e silenziosamente si tolse la vestaglia che appoggiò sull’altra metà del letto vuota. Si coprì col lenzuolo e rimase a fissare l’oscurità. 
Dopo qualche minuto Kevin domandò «Come pensi di sopravvivere alla prima bordata che faremo? Perché succederà stanne certa». Isabel socchiuse gli occhi sfinita «Non lo so Kevin» mormorò, «Mi sto fidando di te non uccidermi nel sonno» aggiunse e cadde tra le braccia di Morfeo. 
Kevin ascoltò il rumore del suo respiro come la notte precedente e dopo un paio d’ore in cui non riuscì a prendere sonno si alzò e pian piano salì sul letto dalla parte vuota. 
Spostò i capelli dalla guancia livida di Isabel pregando che non si svegliasse e stando attento a ogni minimo movimento. 
«Perdonami» sussurrò nel buio sfiorando la sua pelle con un dito.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4


      

Il giorno seguente Isabel aprì gli occhi che era quasi l'alba.

Non si accorse che il letto dalla parte che non occupava era ancora caldo, si tirò su a sedere e si stiracchiò lentamente. Fu come svegliarsi da un incubo e accorgersi di viverne un altro: il ricordo delle brutte parole di Pedro e le sue manacce sporche su di lei riaffiorò nella sua mente e una voglia matta di scappare via il più lontano possibile da quella nave la travolse con impazienza.

Si alzò di scatto e raggiunse la piccola finestra, la aprì e desiderò con tutta se stessa poterci passare attraverso e lanciarsi in mare. Rimase ad osservare il sole che si stava affacciando nel cielo sereno, e l'aria fresca che entrava nella cabina a lungo andare la fece rabbrividire. Prese la vestaglia bianca e la indossò.

Quale miracolo avrebbe potuto portarla via da li?

Farla tornare alla sua vita di sempre, con la sua famiglia dove tutti la amavano e la rispettavano?

Qualcuno bussò alla porta e lei sobbalzò, indietreggiando fino a ritrovarsi con la schiena contro la parete.

Era sola, sola e indifesa ancora una volta.

Il bussare si ripetè seguito da un lamento.

«State ancora dormendo?» domandò una voce vagamente familiare ma lei non rispose, non riusciva a dire una parola tanto era spaventata.

Ci furono altri colpi alla porta seguiti da un'imprecazione in spagnolo e Isabel si guardò intorno in cerca di un'arma o di qualunque altra cosa con cui potesse difendersi ma la paura che Pedro potesse essere fuori dalla porta la paralizzò del tutto.

La porta si aprì con uno stridulo e apparve il cuoco di bordo.

«Ehm, buongiorno» disse col suo solito tono burbero, in mano stringeva un piccolo fagotto avvolto in un grosso fazzoletto grigio.

Sembrava a disagio, come se si stesse sforzando di essere gentile.

«Non ricordo di essermi mai presentato perciò lo faccio ora, mi chiamo Guillermo e sono il cuoco di bordo», disse tutto d'un fiato.

Isabel lo guardò pietrificata, si erano già incrociati un paio di volte sulla nave e il giorno prima lui le aveva vietato di lasciare la cabina per ordine del capitano.

La sua stazza grossa e i movimenti goffi però non gli conferivano un'aria da cattivo, ma lei aveva già intuito che non c'era da fidarsi dei pirati, perciò rimase in silenzio e annuì soltanto.

«Questo è un rimedio per il livido che ti è stato fatto ieri» continuò il cuoco e lanciò il fagotto sul tavolo, «Devi tenerlo premuto sul viso e quando si scalda gira la fetta dall'altra parte».

Con queste ultime parole fece un mezzo inchino piuttosto forzato e se ne andò richiudendo la porta alle sue spalle.

«Fetta?» chiese lei non capendo ma poco dopo la porta si aprì di nuovo e il viso tondo e baffuto del vecchio pirata fece capolino.

«Ho dimenticato di dirvi che la colazione vi attenderà tra poco in cambusa» aggiunse guardandola.

A questo punto lei si staccò dal muro e fece un passo verso di lui.

«Cos'è la cambusa?» domandò stupidamente prima di rendersi conto senza bisogno di spiegazioni che era la cucina.

Annuì e lo ringraziò, poi gli disse timidamente che non era necessario darle del "Voi".

«Non dovete sforzarvi di usare queste formalità, chiamatemi Isabel e basta» trovò il coraggio di dire senza che la voce le tremasse.

Rimasta nuovamente sola prese con una certa riluttanza il fagotto che lui aveva lasciato rozzamente sul tavolo, lo aprì e quando vide cosa conteneva rabbrividì dal disgusto.

Una fetta di carne cruda era stata precedentemente ripulita dal sangue e immersa nel sale per essere conservata, non era particolarmente calda al tatto, anzi, cosi lei la avvicinò al viso sforzandosi di non sentirne l'odore e la premette contro la guancia su cui era presente il livido lasciatole da Pedro.

Quindi Guillermo ora l'attendeva in cambusa, e le aveva preparato la colazione, cosa che il giorno precedente si era tradotta in una bevanda amara e scura che lei non aveva affatto apprezzato.

«Speriamo che oggi rimedio un goccio di tè» sussurrò a se stessa mentre si teneva la fetta di carne contro la guancia. Sedette sul letto già stufa della giornata che era appena iniziata quando si accorse che vicino al catino e alla brocca dell'acqua era apparso dal nulla un grosso pezzo di sapone ed un telo bianco, c'era anche una tinozza in legno nell'angolo abbastanza grande perché lei vi si infilasse dentro e facesse un bagno.

Già, un bel bagno caldo, come quelli che gli venivano preparati nella sua bella casa ogni giorno...

Ricordò amaramente i bei tempi in cui era servita e riverita, lì su quella nave non aveva trovato altro che ostilità e dispiaceri che chissà per quanto ancora sarebbero durati.

Quando si accorse che il pezzo di carne sul suo viso si stava scaldando lo riavvolse nello straccio e si lavò alla bell'e meglio, compresi i capelli, anche se l’acqua a disposizione non era calda. Purtroppo le comodità non erano come quelle a cui era abituata di solito e la cosa la fece irritare.

"Non voglio stare qui" pensò, "Dio mio, ti prego fa che qualcuno venga a salvarmi, io con questi farabutti non ci voglio stare. Ho paura".

Dopo essersi vestita (con qualche difficoltà visto che non c’era la sua dama di compagnia ad aiutarla) con un abito color malva si pettinò i capelli bagnati con un pettinino in mano mentre con l'altra reggeva il suo specchio col manico e sbuffava. Quando furono un pò più asciutti, dopo averli frizionati per bene con un telo, si decise a lasciare la cabina sperando con tutta se stessa che nessuno non le rubasse nulla dal baule. 

Raggiunse la cambusa che era proprio accanto al boccaporto che conduceva sul pontile e vi trovò Guillermo da solo, con un fazzoletto annodato in testa e un canovaccio gettato sulla spalla. 

Non appena la vide entrare afferrò una mannaia che calò senza pietà sul pesce deposto sopra il battilardo, la testa dell'animale già morto si separò dal corpo con un rumore sordo e lei rabbrividì incapace di distogliere lo sguardo.

«Coraggio entrate, non state lì impalata! Il vostro tè si sarà raffreddato a quest'ora» disse il cuoco indicando la tazza per lei dall'altra parte del tavolo di legno scuro, c'era anche una ciotola con della frutta, biscotti e una mela già affettata.

«S-si scusate. Io vi ho riportato il vostro rimedio» mormorò lei intimidita e gli porse il fagotto, attese che il vecchio lo prese e si sforzò di non vomitare quando vide che lo apriva e lo riponeva assieme alle altre provviste. Strinse gli occhi e girò la testa dall’altra parte prima di sedersi sulla panca affianco al tavolo. Guardò nella tazza che era colma fino all’orlo e d’istinto prese un coltello poggiato lì accanto, affettò un limone e ci immerse una fettina. Guillermo si accorse del gesto e sorrise «Spero che il té sia di tuo gradimento oggi, ho capito che il caffè non fa per te».

Lei addentò un biscotto e annuì, almeno una soddisfazione se l’era tolta.

«Di solito cosa bevono i pirati a colazione?» domandò senza un reale interesse.

Il cuoco di bordo ridacchiò e rispose «Rum! E non solo a colazione, il rum è buono a tutte le ore». Estrasse dalle tasche una fiaschetta e bevve una lunga sorsata.

Isabel rimase a guardarlo incuriosita.

«Cos’è il rum?» domandò mentre lui riponeva la fiaschetta, aveva un grosso anello d’argento all’anulare destro, quello che doveva essere uno sgraziato tatuaggio all’interno del polso e svariati orecchini ai lobi. I denti erano parecchio ingialliti e gliene mancavano un paio davanti. 

Bisbigliò qualcosa nella sua lingua che lei non capì e stava per chiedergli di spiegargli il motivo della loro fissa con l’oro e i gioielli quando le venne in mente che alle mani del capitano c’era molto più che un anello.

«Ah! Isabel, Isabel» ridacchiò lui mentre riprendeva a pulire il pesce. 

«Come sei divertente, non sai nemmeno cos’è il rum!».

La giovane rimase impassibile alle risate di scherno e continuò a bere il suo tè quando uno strano verso invase la cambusa. Qualcuno pronunciò una volta il suo nome e lei si voltò di scatto. 

Stava per chiedere chi fosse quando la voce ripetè forte e chiaro «Isa-bel! Isa-bel!». Lei si guardò intorno perplessa poi guardò Guillermo in cerca di spiegazioni.

«Ma chi è?» gli chiese con un misto di paura e curiosità. Il cuoco rise ancora una volta e indicò l’angolo più lontano da loro dove c’era una gabbia coperta per metà da un grosso pezzo di stoffa lacerato su un lato.

«Hai ragione brontolone! Adesso ti darò da mangiare visto che il tuo padrone non si degna mai di pensarci».

Isabel si alzò e d’istinto si avvicinò alla gabbia e lentamente tolse lo straccio. 

Le tornò il sorriso quando vide la bellezza straordinaria dell’animale rinchiuso, era un bellissimo pappagallo dalle piume blu sfumate di azzurro su dorso e ali e gialle sulla pancia. Agitò le ali quando la vide e inclinò la testa di lato prima a sinistra poi a destra.

«Dio! Ma e’ bellissimo!» esclamò lei meravigliata.

«Come si chiama? Che cosa mangia?» si voltò verso il vecchio pirata che le si stava avvicinando con uno spicchio di mela in mano.

«Ecco, daglielo tu» le porse lo spicchio e si strofinò le mani sul grembiule prima di tornare a pulire altri pesci. Isabel sorrise e infilò lo spicchio nella gabbia, il pappagallo lo afferrò subito col becco e lo trasse a se.

«Ma dove l’avete trovato? Perché non lo lasciate libero, è cosi stretta questa gabbia che si sentirà soffocato poverino».

Guillermo cambiò espressione.

«Non dirlo neanche per scherzo, è di Kevin, e tutti sanno quanto Kevin è dannatamente geloso delle sue cose» la guardò con fare allusivo mentre affilava un paio di coltelli. Lei se ne accorse ma non disse nulla a riguardo. 

«Ce l’ha un nome?» chiese mentre tornava ad ammirare l’animale in gabbia che sbecchettava lo spicchio di mela.

«No» fu la risposta.

«Non ancora» pensò Isabel.


Quando raggiunse il pontile verso la tarda mattinata, tutto il buonumore che aveva riacquistato in cambusa la abbandonò di nuovo. Era inevitabile che dovesse affrontare la presenza della ciurma, dato che lei era l’ospite e per di più indesiderata. Sull’ultimo gradino della scaletta i piedi le tremarono, sospirò e si decide a non guardare in faccia nessuno di quei criminali, cosa che si rivelò del tutto impossibile perché non appena gli altri la videro ad un cenno del capitano smisero di prestare attenzione ai soliti lavori di manutenzione della nave. Lei si affrettò a raggiungere il parapetto alla sua sinistra decisa a starsene per i fatti suoi ma Kevin, inaspettatamente, richiamò la sua attenzione con un finto colpo di tosse e fu ignorato di proposito.

«Isabel, vieni qui» disse quindi ad alta voce.

La ragazza continuò a far finta di nulla finché lui non aggiunse «Per favore...».

A quel punto Isabel lo guardò e notò che gli uomini si erano disposti in due file parallele gli uni di fronte agli altri. Fece un passo verso di loro rimanendo in silenzio e con lo sguardo basso. Non chiese che cosa volesse il capitano ma semplicemente lo ascoltò.

«Dunque, come tutti ormai saprete. Quella che vi trovate davanti non è una donna qualunque, possiede il titolo di contessa e come tale io voglio che la trattiate bene e che la rispettiate».

Quasi tutti risero e mormorarono qualcosa di cattivo nella loro lingua, era chiaro che non provassero neanche a sforzarsi di essere gentili come aveva fatto Guillermo.

Kevin alzò la voce e ripetè ciò che aveva appena detto mettendoli tutti a tacere.

Isabel si accostò ad ognuno di loro e coraggiosamente li studiò uno ad uno poi con sua grande sorpresa, essi si presentarono a lei, uno per uno rivelandole il proprio nome. 

Non parlando lo spagnolo lei dimenticò tutti i loro nomi quasi subito, riuscì solo a capire che tra loro c’erano dei carpentieri, un cerusico che doveva essere il medico, quello che sembrava il più gracile era in cima all’albero maestro era detto di vedetta e per lo più erano tutti dei marinai da quattro soldi. Questo pensò lei.

Gentaglia che magari si intendeva pure di mare e di navi, ma che facevano un mestieraccio per vivere e nemmeno le interessava saperne di più.

Li squadrò uno ad uno senza reprimere il ribrezzo che essi le suscitavano, poi quando ognuno tornò ad occuparsi delle proprie faccende lei si appoggiò al parapetto e guardò lontano. 

Pensò a sua sorella e alla fine ingiusta che aveva fatto, trattenne a stento una lacrima e si disse che non era quello il momento di farsi vedere fragile. Non dopo che quei mascalzoni l’avevano già umiliata abbastanza il giorno precedente dopo che l’avevano vista tutti con addosso soltanto la camicia da notte e per di più aveva ricevuto un pugno in faccia del quale portava ancora i segni.

Incrociò lo sguardo di Kevin che la stava fissando e gli diede le spalle. 

In quel momento si ricordò della sera precedente quando lei gli aveva chiesto di non ucciderla prima di addormentarsi. Era ancora viva e vegeta quindi lui l’aveva ascoltata, si girò di nuovo verso di lui per dirgli qualcosa ma vide che anche il ragazzo le aveva voltato le spalle e armeggiava con delle corde. Soffermò lo sguardo sulla sua schiena, al centro della giacca nera che indossava e pensò che no, non meritava nessun ringraziamento.

Un paio d’ore dopo Guillermo arrivò sul pontile per annunciare che era giunta l’ora del rancio. Ecco un’occasione che lei non aveva ancora osservato meglio da vicino, vide gli uomini recarsi in cambusa in gruppetti di due o tre e poi tornare per dare il cambio agli altri facendo a turno per mangiare. Molti di loro tornavano con una scodella grigia e ammaccatta e finivano di ripulire la zuppa all’aria aperta. Lungi dalla giovane contessa star li a fissarli o ad ascoltare i versi che emettevano le loro bocche mentre masticavano, davvero poco raffinati cosi sbucò dal suo angolino e si diresse indisturbata a poppa. 

Qualcosa aveva catturato la sua attenzione, due ali bianche che avevano sfiorato il timone e che ora si erano nascoste al di là del cassero. Isabel si avvicinò e sorrise nel rivedere il gabbiano del giorno prima, lo riconobbe all’istante ma non avendo nulla da offrirgli si voltò un momento a cercare qualche sorta di cibo per lui. Uno dei pirati aveva lasciato a terra una scodella e lei cercando di non dare nell’occhio la prese per avvicinarla al gabbiano che subito banchettò con i resti di quello che rimaneva. Il capitano l’aveva osservata da lontano e non riusciva a smettere di sorridere divertito, ma continuò a svolgere le sue mansioni e soltanto quando gli altri ebbero mangiato si preparò a raggiungere la cambusa.

«Isabel!»

Tuonò una voce alle spalle della ragazza, la quale si irrigidì mentre si voltava per trovarsi di fronte Carlos.

«Si?» domandò sperando che non si arrabbiasse di quel suo gesto verso il gabbiano, invece il secondo neppure se ne accorse.

«Tu non vai a mangiare? Vuoi che ti accompagni?» sorrise e le porse la mano destra, ma lei rifiutò prontamente.

«Non ho fame grazie», rimase dov’era per coprire il gabbiano dietro di lei ma Carlos insistette.

«Non essere timida» la esortò, e senza dire altro la prese per mano trascinandola lungo il pontile. Al loro passaggio gli uomini risero e fecero commenti sarcastici nella loro lingua, quando il gabbiano riprese il volo la contessa incrociò lo sguardo del capitano che le fece intendere di aver compreso quello che aveva appena fatto e che gli andava bene.

«Vedrai, niña, nessuno oserà farti più del male» disse Carlos quando furono vicini al capitano.

«Non è vero Kevin?», i due si guardarono e lei si domandò cosa volesse dire quella parola in spagnolo ma non fece domande a riguardo.

Al silenzio del ragazzo si divincolò istintivamente dalla presa, seppur gentile, del pirata senza capelli e li guardò entrambi imbronciata.

«Dovreste smetterla con questa sceneggiata» affermò decisa. 

«Preferisco il disprezzo, almeno quello è sincero. E in cambusa ci so andare benissimo da sola, grazie!» si congedò senza troppi complimenti e scese in sottocoperta.

Carlos rimase un istante senza parole poi disse che secondo lui la ragazza aveva carattere e che stava cominciando a tirar fuori le unghie. 

«Prego per te che non ti graffi! Sai dopo l’episodio di ieri sera...» mormorò ridacchiando all’amico ma Kevin lo ammonì e gli ricordò che avevano ben altro a cui pensare.


Dopo essere stata un’intera giornata a guardarsi le spalle e controllare di tanto in tanto che nella cabina del capitano i suoi effetti personali fossero ancora li, Isabel chiese gentilmente a Guillermo di portarle qualcosa da mangiare e se ne stava beatamente a letto a fissare il vassoio ormai vuoto quando la nave prese ad oscillare più del solito. Lei era sola, e cercò di non dare peso a quei movimenti dovuti dalle onde. “A quest’ora dovrei esserci abituata” pensò, e invece quella sera ciò che successe le fece capire che ci voleva ancora un bel pò di tempo prima che i suoi attacchi di mal di mare si placassero.

Come la mattina in cui aveva conosciuto il capitano Sean sul mercantile, quando si alzò dal letto fu presa da un attacco di vertigini e per poco non cadde a terra. Gli oggetti disposti sulla scrivania si mossero una delle mappe si rovesciò sul pavimento. Isabel si appoggiò al vetro della finestra per guardarvi fuori in cerca di distrazioni ma fuori era il nero più totale cosi sedette a terra con la schiena contro la parete. Non c’era nulla che potesse distrarla da quel momento poco piacevole e mentre le assi di legno scricchiolavano e persino il letto sembrava inclinarsi a destra e a sinistra, lei chiuse gli occhi e nascose il viso tra le ginocchia piegate. 

Kevin arrivò poco dopo e trovandola a terra le chiese subito cosa c’era che non andasse. 

Lei alzò la testa senza guardarlo e osservò un punto fisso dinanzi a se.

«Sto bene» mentì.

«Stavo solo riflettendo… Mi manca mia sorella» disse la prima scusa che le passò per la mente e si accorse che quell’affermazione era dannatamente vera. 

Non soltanto l’assenza di Jane le stava dando il tormento, ma anche quella del resto della sua famiglia e del fatto che non avrebbe mai raggiunto la zia.

«Sei sicura di sentirti bene?» domandò Kevin mentre versava l’acqua nel catino e si lavava mai e viso. Era ben attento a non guardarla e a sembrare distaccato ma inevitabilmente si stava preoccupando.

La vide poi alzarsi e dirigersi con andatura incerta verso il letto dove si accasciò. Prese coraggio e incurante del fatto che il pavimento a tratti si alzasse, e ad altri sembrasse sprofondare, si sedette accanto a lei. La osservò meglio da vicino e vide che era più pallida del solito. Voleva ancora scusarsi con lei per il giorno prima, invece rimase in silenzio incerto su cosa dire.

«Si, sono sicura» mentì lei ancora, ma dopo un forte giramento di testa si mise una mano sugli occhi.

«Mi gira tutto...» ammise alla fine, e dopo un forte senso di nausea saltò su dal letto e uscì svelta dalla cabina. Kevin la seguì all’istante ed entrambi si ritrovarono sul pontile, lei si appoggiò al parapetto e rovesciò in un attimo tutta la cena che le era stata da poco servita. 

Quando il giovane capitano capì cosa le stava succedendo si avvicinò per tirarle indietro i capelli.

«¿Que pasa?» domandò Carlos alle loro spalle, seguito da Diego. Si fermò di colpo alla vista della povera malcapitata avvinghiata al parapetto con l’amico che le reggeva i capelli.

«Papà, Isabel si sente male» disse Diego a suo padre, afferrandogli la manica della camicia. Entrambi assistettero alla scena immobili e ammutoliti.

«Santiago vai a chiamare Juan» ordinò Kevin a uno dei suoi compagni di avventure, il ragazzo che era lì a pochi passi annuì e si allontanò.

Isabel, ancora frastornata e con Kevin che non aveva lasciato la presa ai capelli, si asciugò la bocca con la manica della camicia da notte. Era già stato abbastanza umiliante dare di stomaco di fronte a tutta quella gente, e quando si voltò invasa da mille domande su come stava e se sapeva di soffrire il mal di mare, si fece piccola piccola.

Il cerusico arrivò poco dopo e le chiese che cosa avesse mangiato. Fu Carlos a rispondere che le era stato servito il loro stesso cibo per cui era colpa del mare mosso, non c’erano dubbi. 

La ragazza ignorò i loro commenti e le loro frasi in spagnolo, fece per tornare in cabina e Diego si affrettò ad accompagnarla.

«Grazie» gli disse lei con un mezzo sorriso sulla soglia della porta, voleva solo restare sola ma quel ragazzino la mise di buonumore.

«Posso restare con te, se vuoi» mormorò dolcemente prendendole la mano e accompagnandola dentro.

«Aspetta, ti prendo un secchio» disse all’improvviso e sparì prima di tornare pochi minuti dopo con un secchio che depose al lato del letto.

«Grazie, sei davvero gentile» mormorò lei rannicchiata sul letto, aveva i brividi e la gola secca ma la presenza del bambino non la infastidiva, anzi.

Kevin e Carlos apparvero alla porta poco dopo, il padre di Diego era venuto a sincerarsi che Isabel stesse meglio e a mettere a letto il figlio.

«Avanti, è ora di dormire adesso. Si è fatto tardi», ma il bambino non voleva saperne di lasciare la ragazza e soltanto dopo un’altra ora si sincerò che lei potesse essere lasciata riposare.

«Buonanotte, Isabel» le stampò un bacio sulla guancia e raggiunse il padre nella cabina affianco.

A quel punto Kevin chiuse la porta e si sedette un attimo sulla poltrona ai piedi del letto, gli si leggeva in faccia che era stanco tant’è vero che chiuse gli occhi e gettò la testa all’indietro.

Isabel che era seduta con la schiena contro il cuscino e abbracciava a sua volta un altro cuscino si azzardò a chiedere «Sono un vero disastro, non è vero?». 

Credette che lui non la stesse ascoltando perché dapprima non si mosse, poi lentamente riaprì gli occhi e la guardò.

«Scusa, stavi dormendo...» si affrettò a dire lei.

«Ne hai tutto il diritto, sono io quella che non dovrebbe occuparti il letto inutilmente, mi dispiace».

Lo sguardo del giovane si addolcì per un attimo.

«Non dormivo, sta tranquilla. Stanotte sono di guardia perciò tra poco devo lasciarti da sola, ti pregherei di chiuderti a chiave perché come ben sai… Ti ho già spiegato il motivo».

Lei annuì e quando lui si alzò esitò un istante per dirgli di restare ma le parole le rimasero in gola e non furono pronunciate.

«Buonanotte Isabel» sussurrò Kevin prima di uscire.

Rimasta sola la ragazza si trascinò a forza verso la porta per chiudersi a chiave poi tornò a letto ma invano cercò di dormire, e il secchio che le aveva procurato il piccolo Diego le fu molto utile durante tutta la notte. Alla fine esausta per la fatica di sopportare il mal di male si aggrappò al bordo del letto e riuscì a chiudere gli occhi, quando si svegliò era ancora notte e la sua fronte era madida di sudore. Sembrava che il moto del mare si fosse leggermente calmato ma lei aveva ancora lo stomaco sottosopra. 

Si alzò a fatica e lentamente raggiunse la porta, la aprì e nell’oscurità andò in cambusa dove soltanto un paio di lanterne illuminavano la stanza. 

Guillermo russava nell’anticamera e il pappagallo da dentro la gabbia aveva mosso le ali. Isabel se ne accorse e subito tolse lo straccio che copriva quella specie di prigione che tanto non le piaceva. L’animale come il mattino precedente pronunciò il suo nome ad alta voce e lei lo zittì.

«Sshh!» sussurrò sperando di non aver fatto troppo rumore, aprì la gabbia e subito il volatile spiegò le ali e si librò in volo felice di essere stato liberato poi atterrò sul tavolo a mangiucchiare gli avanzi di un pasto dimenticato.

Lei si sedette sulla panca e appoggiò la testa sul tavolo mentre con una mano osava sfiorare il bel piumaggio dell’animale, pochi minuti dopo chiuse gli occhi senza rendersi conto che il mal di mare era passato.









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