Una Poesia (Anche per Te)

di Manto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dove Vivono i Miei Demoni (Salvami) ***
Capitolo 2: *** L’Amore Danzerà nel Buio, e nella Luce (Ascoltami) ***
Capitolo 3: *** Ti Troverò Prima delle Stelle (Non Lasciarmi Mai Andare) ***



Capitolo 1
*** Dove Vivono i Miei Demoni (Salvami) ***


NOTE IMPORTANTI: Dei personaggi trattati qui, mi appartiene solo l’OC Umiko.
La fic è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
Detto questo, volevo avvertire voi lettori che benché la raccolta possa essere considerata un seguito della mini-long “
Just… Stay”, non è necessario aver letto quest’ultima, dato che tutti i riferimenti verranno spiegati.
Le
prime due shot presentano fatti che si svolgono negli anni precedenti alle vicende raccontate nell’opera originale (rispettivamente, quindici e dieci anni la prima, due la seconda).


~ Partecipante al contest ‘È nell’aria profumo d’autunno’ indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp ~



Una Poesia (Anche per Te)




I ● Dove Vivono i Miei Demoni
(Salvami)





A volte lui ricorda quando l’innocenza proteggeva il cuore,
ma il buio era sempre più fitto.



Era autunno la prima volta che lo percepì: un sentore sconosciuto, pungente e allo stesso tempo inafferrabile, vinse la protezione delle pareti del laboratorio semibuio e accarezzò i macchinari con delicatezza, fluttuando quasi fosse una creatura fatta d’aria; e per quanto rapido, tanto bastò al bambino per dimenticare il dolore soffuso – sempre lo stesso, ogni volta che ritornava ad aprire gli occhi dopo il Grande Buio: perdita, smarrimento, vuoto – e iniziare a respirare di nuovo. «Che cos’è?», chiese con voce esitante, alzandosi sul lettino. «Che cos’è?»
L’uomo che gli dava le spalle si voltò, distogliendo l’attenzione dai molteplici schermi davanti a lui e dai parametri che presentavano, osservandolo con intensità. Tutti sapevano che il Dottore non doveva essere disturbato durante il proprio lavoro; ma il piccolo aveva bisogno di sapere, non avrebbe potuto trattenersi oltre.
«Non dovresti muoverti così velocemente, rischi solo di peggiorare il dolore. Cerca di riposare, invece.»
«Ma non lo sentite anche voi?»
La mano che giunse ad accarezzargli il capo era fredda e sfuggente, non sarebbe mai riuscita a calmarlo e né, forse, ne aveva la reale intenzione. «Cosa dovrei sentire?»
«Questo profumo; è la prima volta che lo percepisco, e credo che provenga da fuori. È… è bello. Piacevole.»
Sempre più rapito dalla fascinazione e dall’attesa di una spiegazione, non notò l’espressione dell’altro adombrarsi.
«Torna a distenderti, Numero Sessantasei. È solo la tua immaginazione, sei troppo stanco per pensare lucidamente.»
Il bimbo avrebbe voluto replicare che stava benissimo, decisamente meglio di prima; ma il tono della risposta era stato così glaciale che rimase in silenzio, a obbedire e rinchiudere dentro sé stesso la sensazione di euforia che gli aveva dato così tanta forza.
«Ecco, così. Chiudi gli occhi e presto ti sentirai meglio.»
Non sorrise; e ancor meno trovò motivi per farlo quando sentì il braccio pizzicare e con la coda dell’occhio intravide l’ombra di un ago scivolare sotto la pelle. Un rombo improvviso gli impedì di cadere subito nel dormiveglia che seguiva immancabilmente la puntura, e lo stesso fece il suono leggero che lo raggiunse qualche istante dopo; così che, mentre alzava lo sguardo cremisi al soffitto –
quel rumore proviene dall’alto, ogni volta; è un suono diverso dai tremiti del suolo, scuote le mura per un istante ma non crea devastazione… e spesso giunge anche questo dolce mormorio. Cos’è? Cos’è? –, riuscì a udire l’uomo mormorare: «Ed ecco un altro motivo per cui si odia l’autunno: tuoni e pioggia, e ancora pioggia.»
Allora si chiama pioggia… è un nome gentile
, si trovò a pensare, mentre socchiudeva gli occhi e intrappolava la parola nella mente.
Inverno, quando il freddo è più intenso;
Primavera, e tutto ha un profumo fresco;
Estate, il tempo in cui la luce è più forte e riesco a vederla anch’io… e infine c’è l’Autunno, quando la pioggia non ha fine e squarcia anche questo profondo silenzio. Fino a ora, è stata la cosa più viva che abbia mai sentito; sembra così… così…

La voce prese vita in un soffio, lacerandosi appena tra la prigione dei denti e gli artigli di un
involontaria caduta nell’incoscienza.
«Libera; sì, lei sembra libera.»
Probabilmente dovette mormorarlo con molta più forza di quanto creduto,
e qualcuno dovette ascoltarlo; perché, come a voler realizzare un suo sogno segreto, fu proprio quel tamburellare ininterotto la prima cosa che lui sentì quando l’altalena tra sonno e veglia lo riportò da quest’ultima.
Forse una porta era stata lasciata aperta per sbaglio, oppure il mondo esterno, l’oltre e il diverso, aveva trovato un modo per vincere le barriere; e il suo corpo non si lasciò raggiungere passivamente da questi ma dimezzò la strada, avanzando verso il muro da cui penetravano la notte e quel sentore di qualche ora prima, che andava spargendosi sulle sue mani con la forma di fredde gocce.

Strinse ognuna di loro con forza, proteggendole come un tesoro fino a quando la luce del timido mattino glielo permise; e a suo modo provò a ribellarsi quando, silenziosamente ma con fermezza, un paio di mani lo circondarono e lo sollevarono dal pavimento.
«Ci mancava solo questa infiltrazione… e tu hai davvero dormito qui, a giudicare da come sei bagnato.»
Il piccolo non rispose, le dita serrate sugli abiti fradici nel tentativo di trattenerli; fissò la parete ancora percorsa da rivoli d’acqua, sentieri effimeri che si snodavano sulla pietra come serpenti, fino a quando non venne portato troppo lontano per poterla vedere.
Per anni il muro trattenne la traccia della pioggia; e per tutto quel tempo esso divenne il suo rifugio, e un modo per provare ad alleviare la costante assenza dentro di sé.




◦◦




A volte lui ricorda quando la voce era libera,
e faceva da scudo contro una disperata illusione.



«Un altro fallimento?»
«Di questo passo come potremo farcela?»
«Non si mette bene…»

Che cosa dovrei fare?
Che cosa sarei disposto a dare per smettere di avere sotto gli occhi, questi occhi incapaci di chiudersi, la stessa visione per giorni?

«“Immortali”… che ironia.»
Perché nessuno si rialza mai?
Perché li riesco a ricordare tutti?

«Non dovremmo più perdere tempo con loro; sono tutti spacciati.»
Non è vero: non siamo solo giocattoli nelle vostre mani.
Noi… noi…

«Calmatevi, tutti quanti. Finché anche solo uno degli esperimenti resterà in vita non potremo permetterci di arrenderci; e comunque, è tutto nella norma…
ce ne sono ancora tanti.»
Solo una voce, un’imposizione dal tono neutro – quasi annoiato –, per portare la calma; e la bruciante sensazione di amarezza che si mischiava a una stilla di pulsioni ancora più profonde, le quali assumevano sia la forma del livore che quella della ribellione.
«È… è tutto finito?»
La mano che raggiunse quella del ragazzino riportò sotto controllo le emozioni quasi immediatamente, nonostante la presa fragile, fin troppo facile da spezzare o perdere. Lei era così: capace di una sensibilità che quasi feriva e allo stesso tempo portatrice di una resistenza impensabile, che solo davanti a
quegli eventi si allentava. Come biasimarla.
«Sì; è tutto finito.»
«Sei arrabbiato? Non mentire, lo sento da come serri le dita che sei pronto a scattare.»
Un sospiro.
«Se lo fossi veramente l’avrei già fatto, non credi?»
Una pausa, che aveva il sapore dell’urgenza di una domanda e allo stesso tempo della paura della risposta. «A chi è toccata?»
«Al Numero Dieci.» Una pausa. «Lei aveva una risata contagiosa.»
Un movimento, un assenso nella penombra. «E i capelli più morbidi che abbia mai toccato.»

Ed era solo un altro numero.
«Due giorni fa ha chiuso gli occhi anche il Numero Ventinove… parlava bene, quasi quanto te. Stanno iniziando a essere in troppi quelli che se ne vanno; troppi… e troppo presto.»

Lui non riuscì ad annuire, il groppo allo stomaco che spandeva il suo acido fino in gola. Avrebbe dovuto dire qualcosa, in fondo era sempre la sua la voce che alleviava la tensione e cercava di addossarsi tutto il peso di quello che accadeva intorno a loro, tenendo celati i lati più crudeli.
«Una volta proprio il Numero Ventinove mi ha raccontato una storia sull’autunno», riprese invece la compagna, «ha usato termini che non avevo mai sentito prima, come “albero” e “foglie”, e per quanto nemmeno lui stesso sapesse bene di cosa stesse parlando, era una bella fiaba… anche se un po’ triste.»
Un debole sorriso, una carezza gentile. «Dovresti stare lontana da racconti del genere, ti rovinano l’umore.»
«Tanto la tristezza arriverebbe comunque; quindi, che differenza può fare?»
Le sue mani si mossero da sole: afferrarono la vita dello scricciolo dagli occhi rossi,
come i suoi, e premettero il corpo pallido contro quello del loro proprietario. «Ricordati sempre che sono io la differenza; in mezzo a tutto quello di cui hai paura, c’è la mia mano pronta a raggiungerti.»
Un assenso lieve, quindi una smorfia che avrebbe voluto essere più serena. «Guarda che puoi stringermi ancora di più; tu non mi fai mai male, anche se mi abbracci forte.»
«Va bene.»
Una pausa. «Sai… se non ti volessi bene, ti invidierei fino a odiarti. Sei speciale, tu: e presto tutti se ne accorgeranno.»
«Non stiamo esagerando, ora?»
«Credimi, perché sarà così: un giorno…» Un sospiro. «… Un giorno il mondo conoscerà il tuo nome, anche se non so in che modo. Ma vedrai, qualunque cosa questo significhi… ce la farai.»



«Perdonami se ho dubitato di te. Tu sei… sei semplicemente perfetto: per aspetto, risposta agli impulsi, resistenza, sei molto più di quanto mi sarei aspettato quando ho iniziato gli esperimenti. Eccellente.»
Il giovane non alzò lo sguardo dal suolo per tutto il tempo che l’altro parlò; gli occhi non vedevano nulla, non potevano né volevano.
Tutte le mie promesse… tutto ciò che portava a te…

«L’unica cosa che mi rattrista…»
Le mani tremavano; ma di certo non avrebbero fatto scivolare al suolo il tesoro che cullavano dolcemente.
Non ti meritavi tutto ciò, non ti doveva accadere nulla di questo.
Porta via anche me. Portami con te.

«… è che probabilmente sarai
l’unico
Non lasciarmi qui.
«Tuttavia, non ho così tanti motivi per rammaricarmi… in fondo, tu potresti essere il mio capolavoro.»

Non posso vivere per tutti voi: non riesco a farlo da solo.
Ti prego, aiutami.

«Non piangere per loro, ora che stai per diventare un dio.»
La stoffa che proteggeva il volto candido, finalmente sereno ma immobile, frusciò sotto le dita quando il giovane l’accarezzò.
«Vi sbagliate», sussurrò, «e anche tu ti sbagliavi, amica mia.
Non sarò mai un dio, non potrò essere nemmeno un uomo; sarò una maledizione, invece… sarò solo Morte.»





A volte lui ricorda la resa.
Ricorda i sussurri e le preghiere di quella notte lontana, davanti al muro che anni prima gli aveva fatto capire che la libertà era più vicina di quanto pensasse, ma aveva un prezzo; ricorda la sensazione dell’ignoto, e tutti gli sguardi che solo lui poteva scorgere.
«Il mondo conoscerà il tuo nome», sussurrava una voce nella sua mente, «e da quel momento, tutto sarà nelle tue mani.
Nessuno deve decidere per noi, sai? No, nessuno deve farlo.
Sbaglia, cadi, rialzati.
Erra, corri, osserva.
Urla, sorridi… vivi.
Il destino non è mai una strada tracciata: lo imparerai.»

E fu così facile fare a pezzi le proprie catene, come una fiera che sente il richiamo della propria natura e nessuno vi si può più opporre; e fu così necessario distruggere tutti i simboli della prigionia, lasciare dietro di sé la stessa rovina che aveva provato fin in fondo all’anima.
«Il mondo conoscerà il tuo nome; e sarà con te.»
Sul far dell’alba e appena dopo il buio più intenso, la luna e le stelle di un freddo autunno si prepararono a lasciare la volta solo dopo aver fissato lo sguardo lucente su nuove lacrime; e fu allora che l’uomo nacque, e iniziò a camminare su un sentiero creato dalle proprie mani.





ANGOLO DI MANTO


Salve a tutti! Benvenuti nell’ennesimo sclero della sottoscritta su Opm, ergo fuggite finché siete in tempo spero che tutto quello che avete letto e leggerete vi possa piacere *offre cuoricini*
Nonostante per un (brevissimo) tempo avessi considerato di non riprendere più in mano personaggi già apparsi in
Just…Stay, alla fine una notevole dose di fangirling ha completamente rovesciato i piani: quindi eccoci qui, con una storia tesa a dare il via a quella che ormai è diventata un’OTP.
Insomma, quando le idee proprio non riescono ad abbandonarti e rimangono sulla punta delle dita, insoddisfatte e tese, l’unico modo per trovare un po’ di pace è dare loro un’opportunità per liberarsi, qualunque sia la strada che vogliono prendere.
Detto questo, sono decisamente felice di aver reso protagonista uno dei personaggi di ONE che più amo (e che già molti lettori del webcomic avranno riconosciuto, credo), ma allo stesso tempo sto ancora navigando in un mare di feels per quello che ho dovuto trattare.
Dato che della ““favolosa”” infanzia del nostro eroe immortale non si sa molto, mi sono tenuta sul vago, basandomi su quello che già sappiamo e tirandolo fino allo sfinimento.
Sperando di non aver fatto cavolate, come sempre.

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Capitolo 2
*** L’Amore Danzerà nel Buio, e nella Luce (Ascoltami) ***



II ● L’Amore Danzerà nel Buio, e nella Luce
(Ascoltami)





A volte lei ricorda l’alba che spuntò dalle ceneri del suo pianto,
e quanto a lungo avesse creduto di non poterla rivedere.



I suoi passi erano lenti: aspettavano che il fruscio delle foglie ridiventasse un esile sussurro, quindi smuovevano nuovamente il silenzio. Era sola su quel sentiero di pietra e statue, nel cimitero appena al di fuori della piccola cittadina dovera nata; una cascata di riccioli neri su una veste rossa, vivida quasi quanto le chiome degli alberi che accompagnavano la strada e il suo cammino. Guardandola con poca attenzione, in molti avrebbero potuto dire che fosse sbagliata per quel luogo, smarrita nel vento del primo mattino; quando sarebbe bastato solo uno sguardo dei suoi grandi occhi per comprendere che, invece, era necessario che fosse lì.
L’esitazione si prese il suo respiro per un istante; poi la ragazza sospirò con risolutezza e fece un passo in avanti, fino a essere abbracciata dai rami più bassi della sentinella frondosa.
«Non avresti mai voluto vedermi qui; e per tale motivo, ti chiedo scusa. Ma… ma avevo bisogno di venire a trovarti… ora che inizio a non avere più paura di vederti così
Una pausa; le sue gambe la condussero fino a sfiorare la tomba, quindi la fecero sedere al suolo, in modo che gli occhi incontrassero lo sguardo dolce che vinceva la briglia del freddo medaglione. Evitò di fissare le scritte che adornavano il marmo, il simbolo di una vita soffiata via in un giorno come quello, solo immerso nel bollore della distruzione; e dedicò l’attenzione al volume che reggeva contro il petto. «Te lo ricordi? L’avevamo comprato assieme. Un libro dalle pagine bianche, da dividere tra me e te: una notte nelle tue mani, un pomeriggio nella mia borsa. Avevamo deciso che avremmo scritto tutto ciò che accadeva e provavamo quando eravamo separati: pensieri, situazioni, semplici parole… qualunque cosa volevamo, che il giorno o un’ora dopo sarebbe stata mostrata all’altra parte.
Guarda… la prima pagina è stata tua.»

La mora sorrise dolcemente mentre le dita scorrevano sui tratti rossi, sbiaditi appena dagli anni. “Umiko mi sta costringendo a scrivere e io non so da cosa diavolo cominciare. Che faccio?
Mi sa che mi metterò a dormire.”

Quella pazza non ha il minimo rispetto del sonno degli altri, così alle cinque di mattina posso ritrovarmi anche duecento messaggi. Aumentano le volte che vorrei averla qui con me anche di notte, per bloccarle le mani nelle mie e dirle che so che mi ama e non c’è bisogno di così tante parole.
Anche se io la amerò sempre più di lei.”


A queste pagine posso dirlo, a Umiko di certo no: adoro le sue curve. Adoro ancora di più il fatto che le ami anche lei.”
Una goccia cadde sulla pagina, sporcandone un angolo; anche se il cielo era sereno, forse versava al posto suo le ultime lacrime.

Tocca a me, ora! E neanche io so cosa dire, ma almeno ci provo, mio adorato Tomomi.”
Ho intenzione di cucirmi un pupazzo che abbia le tue sembianze. Così magari i messaggi li mando a lui e ti lascio dormire in pace ** sinceramente, potrei pure mollarti per la tua copia morbida e coccolona, ora che ci penso.
Ma poi chi mi canterà una ninnananna quando gli esami si avvicineranno e la mia ansia salirà? Mi tocca tenerti.”

Tomomi che gioca con le foglie è qualcosa di indescrivibile.
Avere quasi vent’anni, essere il doppio di me e risultare ancora adorabili come bambini: solo lui può riuscirci.
È solo una delle sue splendide qualità.”

Una dopo l’altra, ogni pagina viene mostrata e letta, lasciando che le ore giocassero liberamente fino a quando, improvvisamente, il colore dell’inchiostro mutò.
Sono passati quattro anni da quando ho smesso di parlarti, almeno su questa carta; ma negli ultimi mesi non ho fatto altro che pensare alle stesse pagine bianche che ora sto fissando.
Questa primavera ho fatto nuovamente una follia – una necessaria follia, come tu dicevi quando parlavi della mia assenza di paura nell’affrontare gli ostacoli che mi bloccavano la strada.
Non avevi del tutto ragione: ho impiegato tutto questo tempo ad accettare completamente la tua sorte, e di paura ne ho avuta molta; ma da quando ho rivisto in me la ragazza che avevi conosciuto, allora è ritornato il bisogno di cedere parte dei miei pensieri al nostro prezioso libro.
Mentre ti scrivo la Città K sta ancora levando un grido di dolore: siamo stati attaccati da alcuni mostri, e anch’io ho dovuto riscoprirmi coraggiosa. Sì, ho trovato un incubo ad attendermi, simile a quello che ti ha portato via da me; ho lottato, per entrambi, e anche se alla fine sono stata salvata da un vero eroe, ti ho difeso con ogni forza possibile, anche con quelle che non sapevo di avere. È stata la prima volta che ti ho sentito veramente al mio fianco: ho tolto l’ultimo velo dal mio volto, ho avuto la percezione del tuo tocco sul cuore, e la ferita che lo segnava ha arrestato definitivamente la sua emorragia.
Mi mancherai sempre, Tomomi, e anche se dovessi perdere la memoria, di te non mi potrei dimenticare; ma sono ormai certa di poter riprendere a camminare senza sentire la tua assenza.
Dicevi che la Vita sia come il mare: a volte ti toglie ciò che ti appartiene, ma poi, con i suoi tempi e modi, te lo restituisce.
Dicevi anche che gli errori e le colpe a volte ritornano non per colpirti nuovamente, ma per essere risolti e perdonati; beh, ho deciso che tutte le tue parole diventeranno vere, voglio prendermele, stringerle, e trasformarle in qualcosa di concreto.
Ecco cosa ti prometto ora, nel cuore dell’autunno, quando la terra e il cielo si toccano e il mondo riscopre la propria bellezza.
Ora più che mai, davvero, tu sei qui, con me.”



Il mattino era già divenuto pomeriggio quando la ragazza ritornò nel tumulto della Città K. Le strade e la gente incrociarono i suoi pensieri senza sfiorarli, li lasciarono proseguire senza curarsene; e quando la sera venne sconvolta da un improvviso acquazzone solo lei rimase a vagare tra le vie con un sorriso, aspettando con calma che le stelle tornassero a illuminare il suo cammino.
Solamente un’ombra le rimase accanto abbastanza da farle percepire il proprio calore; ma quando la giovane si voltò per incontrarla, questa era ormai svanita tra le luci dei palazzi e i riflessi della pioggia di settembre, dietro il lucore della luna che andava liberandosi dalle nubi.




◦◦




A volte lei ricorda come il passato tornò a lambire il suo futuro,
e come una mano coraggiosa giunse a difenderlo.



Interrompiamo i programmi per un annuncio dell’Associazione Eroi: i residenti della Città V sono invitati a non abbandonare le proprie abitazioni per nessun motivo.
Ripeto, i residenti della Città V sono invitati a non abbandonare le proprie abitazioni: un Essere Misterioso ha attaccato la zona industriale. Nonostante il livello di calamità fosse inizialmente stimato a Tigre, l’Associazione ha ritenuto opportuno alzarlo a Demone.

Papà
.
La tazza che teneva in mano si rovesciò sui libri, cospargendo le pagine di tè e tramutando il colore delle parole in rosso sanguigno.
Gli occhi spalancati, fissi sullo schermo divenuto improvvisamente confuso e muto, la ragazza si alzò dal tavolo e indietreggiò fino alla porta della cucina, vi sbatté contro la schiena.
Per quanto la sua mente cercasse un modo per calmarsi, lo sguardo non accennava ad abbandonare le immagini che rimbalzavano in tutta la stanza, al quale se ne aggiungevano altre,
troppe, tratte dai propri ricordi. Di nuovo. Perché?
Non c’è mai pace per me? Ma non ancora, non ancora; è troppo. È troppo.

Invitiamo i civili a non avvicinarsi per nessun motivo alla zona; cercate velocemente un rifugio sicuro. 
Alcuni eroi stanno già giungendo sul posto.”

Potrebbe essere troppo tardi.
Fu il suo corpo a rispondere per lei: la spinse a vestirsi il più in fretta possibile, ad afferrare le poche cose che le sarebbero potute servire e a lasciare la casa, incurante del gelo che la nevicata fuori stagione aveva appena portato sulla zona. La sua folle corsa risuonava nelle strade deserte, il respiro non riusciva a condensarsi in nubi di tensione perché lei era già corsa avanti; così che raggiunse il centro urbano in pochi minuti, e qui si fermò.
Con un grande sforzo ignorò i giganteschi schermi che ripetevano l’annuncio d’emergenza e mostravano sempre le stesse immagini di devastazione, quindi si guardò attorno. Nessun mezzo pubblico sarebbe partito per la Città V con quelle ultime notizie; ma lei non poteva raggiungerla in breve tempo con le sue sole forze, doveva ottenere anche un minimo aiuto – e in fretta.

«Si fermi, per favore!»
Quasi avesse intuito il suo obbiettivo, la macchina che le passò accanto non l’ascoltò e proseguì senza nemmeno rallentare; e così fece la seconda, e poi un’altra ancora, fino a quando la disperazione non la portò a mettersi in mezzo alla strada.
Il camioncino che inchiodò a meno di un metro dai suoi piedi attrasse l’attenzione di non poche persone, e in molti lanciarono dure parole contro la sconsideratezza della ragazza; ma questa aveva già spalancato la portiera del mezzo e si era catapultata su di esso, quasi gettandosi sull’attonita guidatrice.

«Devo arrivare alla Città V!», gridò, «La prego, ci devo arrivare! Mio padre è nella zona industriale, devo andare da lui!»
«Sei pazza, per caso?»
«La prego, non posso farcela da sola perché potrei non arrivare in tempo, ma non posso nemmeno lasciare mio padre da solo. Devo andare da lui… la posso pagare, con tutto quello che ho. Per favore, mi porti là… non ho altro aiuto!»

Una breve esitazione, quindi lo sguardo della donna si chinò sulle mani tremanti della mora. «Io in quella città non ci metto piede. Il massimo che posso fare è lasciarti poco fuori da essa.»
La giovane sorrise debolmente, annuendo. «Lei mi sta salvando», mormorò, prima di sistemarsi sul sedile e attendere che il viaggio più tormentato della sua vita avesse inizio.


«No, non voglio i tuoi soldi, in fondo non ho fatto molto. Solo… buona fortuna.»
La donna non la guardò negli occhi quando pronunciò quelle parole; nonostante questo, la ragazza la ringraziò con un abbraccio caloroso. «Ha fatto molto, invece», le sussurrò, prima di lanciarsi giù dal mezzo e affrontare la vista della Città V.
«E ora… ora tocca a me», sussurrò, stringendo i pugni per darsi energia, e poi lasciando che solo il vento facesse sentire la sua voce.
Una sorta di sesto senso – no, era amore fi
gliale: il legame impossibile da trattenere e domare, non importa il pericolo e l’ostacolo – la condusse al suo interno, tra le vie percorse unicamente dall’eco delle voci terrorizzate o dei telegiornali che non facevano altro che aumentare la tensione, mentre la sua testa registrava tutte le informazioni che poteva.
Non si sa ancora l’entità delle vittime.
Alcuni operai e lavoratori sono riusciti a rifugiarsi in una fabbrica, e stanno ancora resistendo.
Sembra che l’Essere sia un vampiro, o qualcosa di simile.
Gli eroi che sono stati inviati hanno mandato una richiesta di soccorso quasi immediatamente: l’avversario è un osso duro. Ce la faranno a salvare tutti?

E papà… qualcuno è con lui?
La ragazza socchiuse gli occhi, sentì il cuore aumentare i battiti. Entrambe le volte in cui era stata attaccata da un mostro, qualcuno era al suo fianco: ma la prima era finita nel disastro, mentre la seconda l’aveva messa a dura prova.
Le sue mani ustionate, le braccia e i fianchi segnati da minute cicatrici – ancora poteva sentire su di sé i tentacoli del mostro che l’aveva torturata – parlavano da sé; ma non c’era mai stato un limite alla crudeltà degli Esseri Misteriosi, quindi l’uomo avrebbe potuto vivere una situazione ancora peggiore alla sua.

Qualunque cosa stia accadendo… ti prego, resisti. Anche se sto facendo la cosa più stupida del mondo, sono pronta ad accettare ogni tuo rimprovero; perché so bene cosa vuol dire subire tutto questo, e non oso immaginare come sia affrontarlo senza nessuno.
Alla fine, furono propri gli ultimi suoni che avrebbe voluto sentire – rumore di crolli, schianti, grida – a condurla verso la zona interessata; ma quando vi giunse, ciò che vide non era quello che si sarebbe aspettata, così che frenò tutti i suoi pensieri.
Quindi è tutto finito?
Sorpresa, la mora osservò i numerosi capannelli di uomini fuori dalle fabbriche, molte di queste completamente sventrate o distrutte; l’agitazione era nell’aria, ma bastò avvicinarsi un po’ di più agli operai per comprendere che sì, era tutto finito: o almeno, tale era il problema “mostro”, mentre doveva ancora essere portato a termine il compito più triste e doloroso.
«Papà…», mormorò la giovane avanzando lentamente, scossa dai tremiti mentre osservava il bruttissimo spettacolo davanti a lei: l’attacco alla Città K non era stato parimenti violento, benché avesse comportato ingenti danni e vittime, e questo la destabilizzò. Alcune mani provarono a fermarla e le voci si confusero in una cacofonia di domande, ma solo quando un paio di braccia la strinsero si bloccò.
Il volto che vide non era quello di suo padre, ma lo sguardo che lo sconosciuto le lanciò era pieno della risolutezza di non lasciarla andare. «Probabilmente stai cercando qualcuno… ma non è il posto adatto a te, non in questo momento.»
Lei scosse il capo, faticando a trovare le parole. «Devo sapere, invece», rispose infine in un sussurro, lanciando uno sguardo poco più avanti a sé, dove teli e tessuti non riuscivano a nascondere completamente i corpi e la strada di sangue che li abbandonava, «sono venuta per questo. Io devo sapere dov’è mio padre!»
«… Umiko?»
La voce rispose al suo grido facendola sobbalzare, prima di attirare la sua attenzione alla propria destra, da dove una figura avanzava velocemente verso di lei. Le macchie scarlatte che imbrattavano i capelli pallidi e la tuta di lavoro non riuscivano a celare il luccichio degli occhi viola, che osservavano la giovane con stupore. «Bambina… ma perché sei venuta?»

Appena la presa sul suo corpo si allentò la ragazza si precipitò verso l’uomo, facendo tuttavia molta attenzione nello stringerlo, notando come si tenesse il braccio sinistro.
«Che cos’è accaduto? È molto grave?» chiese, cercando di scoprire l’entità della ferita.
«Niente che ti debba preoccupare», le rispose l’altro con gentilezza, «solo un graffio. Tu, piuttosto», e nel dire questo indurì appena il tono, «non dovresti essere nella Città K?»
Lei chinò il capo, arrossendo un poco. «Quando alla tv hanno detto quello che stava accadendo qui… beh, non ho pensato ad altro, se non a che dovevo venire da te. Perdonami… nemmeno la mamma sa di quel che ho fatto.»
«Vuoi dire che sei venuta qui da sola e senza dire nulla a nessuno?»

Silenzio.
«Umiko! Ma che follia è questa? Prova a pensare se tu fossi riuscita a entrare qui quando quel mostro era ancora in vita, e…» Una pausa che sottointendeva il peggiore degli scenari, seguita da un sospiro. «Sono felice che tu ti sia preoccupata per me, ma non fare mai più niente del genere. L’unica cosa che voglio è che tu e la mamma siate al sicuro, intesi? Così non mi aiuti di certo.»
La postura severa dell’uomo si sciolse, e questi abbracciò la figlia il più forte possibile. «Comunque sia, papà non è più in pericolo.
Ora mi faccio fare una fasciatura e poi vieni a casa con me:
dobbiamo cercare qualcosa da dire a tua madre, o non ti verrà risparmiata una sonora ramanzina.»
Lei annuì, quindi sorrise e nello stesso tempo singhiozzò. Si scostò dal genitore il tempo necessario per permettere ai soccorritori di occuparsi del suo “graffio”, e mentre la tensione calava, la voce di chi la circondava si faceva più forte.
«Sono stati in parecchi ad aiutarci, ma se non fosse stato per quel classe S…»
«Quelli che si sono rifugiati nella struttura Cinque hanno detto di averlo visto combattere: una fiera.»
«Beh, se è vero che è immortale, si può permettere di ingaggiare combattimenti più spinti…»
«Quindi era proprio lui?»
«A quanto dicono i ragazzi, sì: è stato
Zombieman a salvarci.»
La giovane voltò il capo di scatto, cercando chi avesse parlato.
Quel nome…

«Eccolo! Sembra che abbia dato una mano a estrarre dei corpi imprigionati sotto le macerie della struttura Sei… e ora il lavoro è tutto nostro.»
Lei seguì l’attenzione generale, e il cuore accelerò i battiti quando i suoi occhi incontrarono la figura che avanzava in silenzio tra la gente, dicendo parole che, alla distanza in cui si trovava, non riuscì a comprendere. Avrebbe saputo riconoscere quegli occhi purpurei ovunque; e si premette una mano sul petto mentre rivedeva l’eroe proteggerla da un altro mostro, un altro incubo, in un pomeriggio freddo quanto quello.
Il suo sguardo non lo abbandonò per tutto il tempo che riuscì a fissarlo; quando poi il classe S si allontanò tra le braccia della città e svanì, la ragazza continuò comunque a sentire la sua presenza, e a versare tutte le lacrime che tratteneva dalla mattina.



«Ti prego… se continui a piangere così mi fai sentire in colpa.»
«Sembra che nessuno di voi due si renda realmente conto di quello che poteva accadere; perché non dovrei piangere?
Se penso a te, a che cosa devi avere provato… e a Umiko che non riflette abbastanza sulle sue azioni…»
«Ma ora siamo qui tutti e due; su, non hai nemmeno toccato cibo…»
«Non trattarmi come una bambina!»
«Non ti calmerai molto presto, vedo.»

Seduta un po’ distante dai genitori, la giovane ascoltava tutta la tensione della giornata liberarsi e impregnare la stanza di strilli e rassicurazioni, singhiozzi e carezze; e sorrideva stringendosi nelle sue stesse braccia, mentre la mente dettava parole intense e sentite come solo quelle di un graziato avrebbero potuto essere.
Questa volta una lettera sola non basterà per ringraziarti; è grazie a te se ho ancora un futuro, voglio che tu lo sappia
.
In me c’è qualcosa che va oltre la riconoscenza, la semplice ammirazione: è quasi un inno alla vita, a tutto ciò che gli eroi come te ci permettono di compiere con la loro veglia.
E a questo non c’è un riconoscimento adeguato se non continuare a sorridere, a sperare.


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Capitolo 3
*** Ti Troverò Prima delle Stelle (Non Lasciarmi Mai Andare) ***




III ● Ti Troverò Prima delle Stelle
(Non Lasciarmi Mai Andare)





Spesso lui rivede la dolcezza con cui la ragazza incrociò la sua strada, e come decise di non andarsene.
Lei, invece, ripensa a quando incontrò nuovamente i suoi occhi, e
intravide tutte le preghiere che gridavano.



Il Nature Park [1] era l’unico luogo che avesse mai avuto il potere di farlo sentire a casa. Il suo corpo aveva bisogno di riposo solo in casi estremi, e anche lo stimolo della fame, tramite gli esperimenti, era stato ridotto a un raro pungolo; così, solamente quando i suoi passi lo conducevano nel cuore smeraldino della Città K riusciva a comprendere, sentire fin nelle ossa, quella che veniva definita pace.
La calma era ovunque, seguiva il ritmo della Natura e trasportava in un mondo diverso, opposto a quello frenetico che circondava la zona; e durante la notte i palazzi – e ogni luce artificiale con essi – svanivano sotto le stelle e rimanevano prigionieri del cielo fino a quando l’alba non svelava nuovamente i loro contorni, risvegliando pure la vita.
Quando era lontano dagli scontri e il tempo era al suo fianco, li osservava a lungo: madri, bambini, impiegati, studenti, inseguitori di sogni e obbiettivi, tutti rincorsi dalla propria esistenza…
tranne quando venivano avvolti dal pulsare della terra e i ruscelli rapivano la voce, portando via anche i pensieri.




La prima volta che si accorse di lui, nel crepuscolo che sempre cancella la forma delle cose e rende le fantasie reali, la mora fissò la sua figura con calma. Per lunghi minuti lo guardò osservare la luna crescente dal viale che conduceva al Nature Park, e nonostante le tante, troppe parole che già le pungevano la lingua, rimase ferma e in silenzio; così che, mentre giungeva la sera, la ragazza riuscì a scorgere nuovamente le ombre che l’avevano sfiorata la prima volta che aveva incontrato quegli occhi – e di cui mai si sarebbe dimenticata.
La seconda volta che lo
sentì, il suo corpo era teso verso una corsa nervosa, la mente impegnata a elaborare gli ultimi appunti di studio in vista dell’esame di qualche ora dopo; ma nonostante l’agitazione riuscì a percepire quel senso di malinconia e attesa che sembrava circondare la figura dell’eroe come una nebbia sottile, così comprese che lui era lì, da qualche parte vicino a lei – e allo stesso tempo, inspiegabilmente, troppo lontano perché potesse trovarlo.
In seguito, nelle altre volte in cui lo incontrò, ogni genere di esitazione la frenò da un seppur minimo contatto; fino al giorno in cui quest’ultimo non divenne necessario, e iniziò a tracciare un segno indelebile nel filo dell’Esistenza.




Tu non puoi morire, quindi. All’inizio deve sembrare una cosa fantastica… ma alla lunga non porta altro che logoramento, vero?
Da quanto tempo hai smesso di aspettarti qualcosa da ciò che ti circonda, dalla tua stessa vita?
Già, tu sei un eroe e vivi per gli altri… sorvegli, aiuti, salvi, e nient’altro ti deve importare. A vederti così freddo, letale, la gente ti crederà invincibile, oltre ogni limite; eppure, chissà… chissà se qualcuno si è mai chiesto se sotto quella pelle strana possiedi veramente un cuore e dei sentimenti che possano essere compresi anche dagli umani comuni.

La pioggia di quel mattino era calda, decisamente anomala per essere primaverile; come se le nubi avessero risucchiato il calore del sole e deciso di liberarlo sotto forma di improvvisi temporali.
Le ultime gocce dell’ennesimo acquazzone scivolavano sugli occhi tesi verso un orizzonte che faticavano a scorgere con chiarezza, creavano dei sentieri sugli abiti ridotti quasi completamente a brandelli e sulle mani serrate fino a tremare; ma non riuscivano ad annegare, o solamente allontanare, l’eco di quelle parole.

Non sarai mai come gli altri – come gli umani che tanto ti acclamano: un giorno si accorgeranno di tutte le cose che non puoi condividere con loro, quindi si chiederanno l’entità delle differenze… e in quel momento inizierà la tua caduta.
Ciò che non si conosce, che non si apprende appieno, fa paura: e tu già ora sei un’incognita.
Che cosa accadrebbe, se la gente iniziasse a temerti?
La paura non chiede fondamento: esiste a priori, è simile al buio… e come lui, si nasconde dietro i sorrisi fino ad avvelenarli.

Quella voce,
quello sguardo, non avrebbero dovuto fare così male; non a lui, che non aveva mai avuto sensibilità e interesse verso gli inganni dei mostri che era chiamato a combattere, e conoscendo la differenza tra loro e sé stesso era – si considerava – protetto da qualsiasi bassezza. L’amaro dialogo era stato estinto per sempre dalla morte dell’Essere Misterioso, ma aveva lasciato comunque un segno tangibile nell’umore e ancora più sotto, nei luoghi dove si annidavano fantasmi di vecchie inquietudini.
Non è cambiato nulla da allora? E io… già, mi stupisco anche di me, che non dovrei più farmi colpire da cose del genere.
Le mani si strinsero ancora di più e le ombre che si agitavano nello sguardo si mossero con loro, aumentando la densità. Era da quando aveva visto le cose precipitare, nei laboratori di Genus, che non sentiva un peso simile – e il disgusto più malsano: un misto di colpa che non aveva motivi per esistere ma
c’era, rabbia, impotenza, senso d’ingiustizia che si confondevano insieme e diventavano distanza; qualcosa di segreto, impalpabile per chiunque non fosse lui, che se incontrollato poteva distruggere molto più del visibile.
Quasi non avessi fatto nulla per mutare la visione che ho di me stesso, e la strada che per troppo tempo ho percorso.
Già… come se fossi veramente un mostro, come loro.
Che fantastico pensiero.

«Oh, fantastico! Sono da strizzare da capo a piedi, lurida come uno straccio, e sta per piovere di nuovo… e poi non mi dovrei arrabbiare!
E guarda in che stato sono i miei poveri libri!»

Per la prima volta dal combattimento, l’eroe tornò alla realtà.
Il rombo di un tuono, anche se ormai lontano, era ancora presente nel fremito del cielo; ma era stata quella voce acuta a dargli il brusco risveglio, costringendolo a prestare attenzione a quello che stava accadendo intorno a lui.
Era giunto nel Nature Park; l’estremo bisogno di silenzio lo aveva inconsciamente condotto all’unico luogo che considerasse adatto al suo desiderio… ma che quel giorno non lo era.
Il centro del ponte su cui stava era, infatti, letteralmente
occupato: una ragazza correva da una parte all’altra radunando volumi, quaderni, penne e gli oggetti più disparati che erano caduti da una borsa grande il doppio di lei, i quali rotolavano placidamente in ogni direzione, ignorando le urla sempre più alte della loro proprietaria – che, a giudicare da abiti e capelli grondanti, aveva tutta l’aria di essere appena uscita da una tempesta.
«Se rientro a casa così mamma mi massacra», continuava intanto la giovane, evidentemente ignorando il fatto di non essere sola, «mi massacra, mi massacra di certo… ho così tanto fango addosso che avrebbe anche ragione! Insomma, proprio nel giorno in cui mi sono venuti a trovare… e il cellulare, dove diavolo è finito?»
«Aspetta, lasciami dare una mano.» Prima che l’altra potesse voltarsi o replicare, lui si chinò e raccolse gli ultimi averi.
«Oh, grazie! Per fortuna che c’è lei, rischiavo di andarmene senza aver recuperato parte delle mie cose… però non guardi lo stato in cui sono, potrei farle paur-»

L’eroe alzò lo sguardo, stupendosi dell’improvviso silenzio; e quando lo fece, due occhi d’ametista si ancorarono ai suoi. Esistono davvero occhi simili?, pensò per un istante, riuscendo a staccare l’attenzione da loro solo quando lei si mosse.
«Grazie… davvero», disse questa, cercando di sistemarsi i riccioli ribelli come meglio poteva, «ho fatto un gran pasticcio. Certo, questo tempo non ha aiutato, però mi sono resa conto troppo tardi di aver richiesto troppo da me stessa e da quella povera borsa… chissà che figura che ho fatto quando sono scivolata!»
«In realtà non ho visto nulla», fu la sincera risposta; e lui non poté non accennare un sorriso allo sguardo stupito che la giovane gli lanciò, prima di vederla arrossire violentemente.
«Beh… in effetti se anche non lo dicevo non ci perdevo nulla… ma ormai è noto che io non riesca tenere a freno la lingua», rispose lei facendo una breve risata, allungandosi in avanti per prendere ciò che le mancava; e fu allora che lui notò le lunghe cicatrici che le segnavano il dorso delle mani, finendo per guardarle un istante in più del necessario.
L’altra se ne accorse, e bastò un’occhiata per comprendere che aveva letto i suoi pensieri. «È… è una storia lunga; e ormai passata», rispose infatti alla sua silenziosa domanda, dolcemente e senza fretta, «e… e se posso ancora raccontarla, è per merito suo.»
Una pausa, che lui non infranse.
«È difficile che lei possa ricordarsi di me, con tutta la gente che salva, ma se c’è qualcosa che io non potrò dimenticare è che un anno fa mi ha salvato da morte certa, e qualche mese dopo ha fatto lo stesso con mio padre; e non solo fisicamente, ma molto più in profondità… così tanto che nemmeno un grazie può esprimere tutta la mia riconoscenza, dal momento che ha protetto molto più della mia vita. E, hmm…» Un’altra risata, questa volta piena di imbarazzo, «… per quanto volessi dirlo, avrei preferito farlo non ridotta a un Golem di fango… cavoli, sono un completo disastro. Mi perdoni.»
La mano dell’uomo si posò sulla testa della ragazza e l’accarezzò con la stessa gentilezza che lei esprimeva da ogni poro. «No, non credo che tu lo sia.» Finalmente, da quando quella giornata era iniziata, l’eroe riuscì a sorridere senza fatica. «Grazie per queste parole.»

La guardò rispondere a sua volta con un luminoso sorriso, prima di scattare in piedi per un altro tuono. «Grazie a lei per tutto ciò che fa, è un grande eroe», gli sussurrò, e già si era voltata quando si girò di nuovo. «E grazie anche per avermi aiutata, prima! Mi ricorderò anche di questo, promesso!»
Lui rispose con un cenno al suo saluto, quindi rimase a guardarla correre via.
«… Non che abbia fatto molto, questa volta; ma se è questo l’entusiasmo che riesco a dare, allora no, non dimenticare», mormorò; quindi si accorse di come la gratitudine di quegli occhi viola e le parole di pochi attimi avessero placato la tenebra che lo aveva inseguito per ore.
Alla fine è anche per sorrisi simili che gli eroi combattono.
E a quel pensiero, l’intera giornata sembrò diminuire la propria pesantezza, rasserenando ancora di più il suo animo.




La ragazza ricorderà sempre con un sguardo particolare, che solo lui può comprendere appieno, come i giorni e le occasioni li fecero avvicinare. Il tempo mite e la casa vuota, pervasa dalla malinconia della famiglia distante, l’avevano sempre spinta a studiare e passare gran parte del tempo libero nel parco della città, a contatto con quella natura rigogliosa e con la sua calma; e proprio lì iniziò a incrociare assiduamente il suo cammino con quello dell’eroe.
Inizialmente i loro furono poco più che gesti di cortesia: un sorriso, un saluto, alcune parole scambiate all’ombra degli alberi; poi, gradualmente ma senza alcuno sforzo –
come se ci fosse mai stato bisogno di un incentivo per liberare la sua parlantina –, queste si trasformarono in discorsi, gli istanti in minuti, ore, e infine in pomeriggi in cui lei spendeva le energie su enormi libri o semplicemente riprendeva a respirare dopo una giornata intensa, e lui le sedeva vicino per ascoltarne la voce o contemplare il silenzio insieme, separandosi dal suo fianco solo quando la carezza della notte giungeva a rivestire la città o l’apparizione di un Essere Misterioso richiedeva il suo intervento.
Da quei lunghi o brevi momenti la giovane apprese molto di ciò che la fama e la notorietà degli eroi non lasciavano trasparire: dalla profonda sensibilità verso la vita e la sorte degli umani, solitamente celata dietro l’imperturbabilità, fino a lambire l’oscurità che pulsava negli occhi rubini che la fissavano sempre con attenzione.
Lambire, sì, ma non cogliere: perché c’era in essi una barriera che le sbarrava il passo quando si spingeva troppo avanti, unita a una distanza che non riusciva ad arrestare se non retrocedendo, e attendendo che ritornasse la normalità. I pilastri del suo passato affondavano nel dolore, questo lo aveva sospettato e capito immediatamente; ma i graffi che quell’oscurità aveva lasciato sembravano essere molto più profondi, tenuti ben nascosti.
Spesso era la ragazza stessa ad accorgersi che le sue parole cozzavano contro una richiesta di oblio, e mutava il discorso ancor prima che l’altro potesse replicare in qualche modo: in quei momenti lei trovava liberatorio parlare di sé e di ciò che in pochi sapevano, come a rispondere a una domanda che veniva da sé stessa. Così, l’eroe fu uno dei primi a sapere della sorte di Tomomi, il suo primo amore, e di come l’attacco di un Essere Misterioso avesse infranto i sogni che li legavano insieme.
Lui raramente interveniva, preferiva ascoltarla liberarsi di tutte le parole che si sentiva di sfogare; e, di questo lo avrebbe sempre ringraziato, non la giudicava mai né la spingeva a rivelare più di quello che lei voleva.

«Tutto ciò che compiamo e pensiamo ha una motivazione; se non possiamo comprenderla o saperla, ancor meno abbiamo il diritto di dare giudizi», era una frase che le ripeteva spesso, quando commentava apprezzando la sua discrezione; quindi l’esortava a parlare ancora, a volte scherzando gentilmente con lei sull’inesauribile energia della sua lingua, illuminando ancora di più un’altra sera di fine estate. In quello stesso periodo, l’inseparabile malinconia dei genitori si stemperò; e con essa iniziarono a svanire perfino quegli incubi che da sola non sarebbe riuscita a placare… e che, come poi avrebbe compreso, non erano solamente suoi.


Il marciapiede deserto ospitava solo i suoi passi svelti, echi nel buio che le ore dopo la mezzanotte portavano con sé.
Per quanto più stanca che agitata, la mora non vedeva l’ora di respirare l’odore delle proprie stanze e sapersi distante da quelle tenebre. Il locale in cui le amiche l’avevano trattenuta fino a pochi istanti prima le aveva messo addosso un fastidioso senso di nausea, specie quando l’uomo che l’aveva presa di mira per un’ora buona le aveva afferrato una mano e fissata con un sorriso che tutto meditava, ma non di certo un complimento – come infatti era stato.

E lo sapevo, lo sapevo che era meglio se me ne stavo a casa. Se voglio essere presa in giro, lo posso fare benissimo da sola.
Si fermò un attimo e respirò a fondo per liberare il nervosismo; quindi si mise a correre, riconoscendo dopo pochi istanti, seppur nel buio che il telefono non riusciva a illuminare, la via che portava a casa.
Finalmente.
«Non dovresti essere fuori a quest’ora.»

la ragazza sobbalzò per la sorpresa, lasciando cadere le chiavi del cancello di casa e riuscendo a reprimere un grido solo perché riconobbe immediatamente la voce. «Zombieman…», sussurrò quando lui entrò nel raggio d’azione della luce, «io… mi hai sorpreso. Per poco non ti assordavo e svegliavo l’intero vicinato.»
«Già… è una fortuna che ti abbia trovata io e non un altro, in questo buio si potrebbe nascondere chiunque. Non avete una luce, qui?»
Lei fece una risatina, le mani che cercavano le chiavi a tentoni. «Se chi si occupa dell’illuminazione pubblica avesse ascoltato le nostre richieste, sì, ce l’avremmo da tempo; ma siccome questa è la periferia, siamo sempre gli ultimi… per lo meno è una zona tranquilla. Se stai facendo una ronda o cercando qualcuno di sospetto, ti consiglio di spostarti verso il centro: ci sono vicoli che non sono il massimo al calar del sole…»
«Grazie per il consiglio.»

Lei corrugò la fronte, notando una sorta di esitazione o fatica nel tono dell’eroe; e quando lui le protese le mani per aiutarla a rialzarsi, rabbrividì al suo tocco – perché per quanto la pelle del classe S non fosse mai stata molto calda, era la prima volta che la sentiva così gelida. E sta pure tremando.
«Trovato tutto?»
«Sì… grazie.»
«Allora buonanotte, Umiko. Perdonami se prima ti ho spaventato.»
«A-aspetta. Hai combattuto, non è vero?»

Nel momento in cui si era rialzata, l’odore del sangue l’aveva colpita come uno schiaffo: un sentore fresco, troppo intenso per essere prodotto da un semplice graffio.
«Non ti preoccupare per me.»
«No», replicò lei, rincorrendolo appena sentì i suoi passi allontanarsi, «fermati! Stai tremando, come fai a reggerti in piedi?»
«Credimi, sto bene. Vai a dormire, è tardissimo.»
La giovane allentò il passo, ma di poco; così che riuscì a sentire il gemito che dopo alcuni istanti ruppe il silenzio.
«Zombieman!», lo chiamò, dirigendosi verso l’eco; e quasi ci sbatté contro, scoprendolo chino al suolo.
«Passa in fretta… è solo stanchezza… non ti agitare così.»
«Non mi agito più del necessario: so che sei forte, ma hai comunque bisogno di riposo», replicò lei, cercando il suo braccio. «Non ho la tua stessa forza, ma dovrei comunque riuscire a sostenerti. E per fortuna che ho fatto tardi in quel postaccio, o davvero avresti dormito qua fuori.»

Lui non replicò più, ma si lasciò guidare dalla mora fino alla sua casa. «Guarda che non ce n’è davvero bisogno», riprese tuttavia appena sentì cigolare la porta d’entrata.
Quando lei accese le luci del corridoio e poté finalmente vederlo, gli lanciò un’occhiata molto più eloquente di qualunque discorso; e rimase immobile fino a che lui non la superò, e le ombre della notte furono rinchiuse lontano da entrambi.
L’eroe accennò un sorriso mentre, dopo averlo condotto in cucina e fatto sedere sull’ampio divano, la ragazza
recuperò dal nulla un enorme asciugamano e una bacinella d’acqua; e a niente valse tentare anche un accenno di diniego.
«Forza, lasciami dare una pulita a tutto questo sangue. Mi domando che razza di scontro possa essere stato per ridurti così», sussurrò infatti lei, parandoglisi di fronte in
assetto di guerra.
L’uomo la lasciò fare e chiuse gli occhi sotto il tocco delicato che gli liberò il volto dall’odore di ferro e morte, anche se non riuscì a nascondere un leggero imbarazzo per tutta quella premura.
«Ecco fatto», mormorò lei dopo qualche minuto, «ora mettiti immediatamente a dormire, tra un po’ mi cadevi tra le braccia.»
«La stessa cosa dovresti fare tu.»
«Guarda che non me ne andrò da questa stanza finché non ti vedrò chiudere gli occhi.»
«Va bene, va bene, mi arrendo», sospirò infine l’eroe, «riconosco che contro di te, in questo stato, non posso proprio vincere.»
«Perché sei una persona saggia», replicò la fanciulla, correndo via e ritornando subito dopo con una coperta, mentre lui già si era spogliato
dell’impermeabile e delle inseparabili armi. «Lo so, sarebbe meglio un letto», si scusò, «ma l’unico che c’è è piccolo pure per me…»
«Non ti scusare: è molto più di quello che mi attendevo da questa notte», replicò lui, avvolgendosi nel morbido pile offertogli. «Questa è una prospettiva decisamente migliore, lo riconosco.»
«Ti ripeto: sei una persona saggia», sbuffò lei scherzosamente, rivolgendo quindi l’attenzione all’impermeabile dell’uomo.

Conoscendo il modo in cui combatte, non credo sia lo stesso che mi ha prestato quella volta; ma alla fine non è un grande problema
, pensò, sedendosi sulla sedia più vicina al divano con l’indumento sulle ginocchia e un nuovo asciugamano pronto a ripulirlo.
Ridacchiò tra sé e sé al ricordo della lettera imbarazzante che sua madre aveva voluto inviare a tutti i costi all’uomo, per ringraziarlo di averle salvato l’unica figlia; e poi si emozionò nel rivedere come, dopo aver ucciso il mostro, lui le fosse rimasto accanto fino all’arrivo dei soccorsi, confortandola e rassicurandola sull’entità delle sue numerose ferite.
«Spesso mi dici che sono gentile», mormorò lei, alzando lo sguardo, «come se non lo fossi anche tu.» Si interruppe e sorrise nel vedere l’eroe già immerso nel sonno; quindi
spense ogni luce, e seppur conscia del fatto che, nonostante la stanchezza, non sarebbe riuscita ad addormentarsi con la stessa facilità del suo ospite, si risistemò il più comodamente possibile sulla sedia. «È bello sapere che per almeno una notte non sarò sola», sussurrò alle stelle che la fissavano dalla finestra, splendendo per un’alba ancora lontana, con solamente il battito del proprio cuore a cullarle la mente.


Fu quando spalancò gli occhi che si accorse di essersi appisolata, nonostante la luce del sole che invadeva la stanza e la preoccupazione per le condizioni di Zombieman; e la prima cosa che fece fu proprio volgere lo sguardo a lui, ancora disteso sul divano.
«Non te ne sei sgattaiolato via, alla fine… che bravo», mormorò, alzandosi dalla sedia e ignorando quanto più possibile i crampi in tutto il corpo. Si chinò su di lui e gli sfiorò un braccio, sospirando di sollievo quanto sentì sotto le dita il consueto, tenue calore.
Il suo aspetto è già migliorato, nonostante siano passate poche ore. Aspetta un attimo… ma che ore sono?
Si girò per guardare meglio l’orologio, all’altro lato della cucina; e in quello stesso istante, la mano dell’uomo afferrò la sua, stringendola con forza. «Non andare.»
«Ah, allora sei sveglio? Credevo stessi ancora dormendo…»
«Ti prego… ascoltami! Rimani anche solo un istante in più… te ne vai sempre troppo presto.»

La giovane si voltò lentamente, lo fissò. No, non è sveglio… sta sognando, riconobbe – così come vide immediatamente i tremiti che all’improvviso iniziarono ad agitarlo.
«Ve ne andate tutti via, sempre», lo sentì gemere nuovamente, «ma non posso camminare da solo… non è colpa mia, non è colpa mia!»
«Zombieman…», mormorò lei, inginocchiandosi al suo fianco e afferrando l’altra mano, «svegliati, stai solo sognando!»

Quelle parole non riuscirono a raggiungerlo; e nemmeno lei poté ripeterle, perché le si mozzarono in gola quando gli occhi serrati del classe S iniziarono a piangere. Che cosa sta vedendo di così terribile? E non riesce a svegliarsi
Come posso tranquillizarlo?
«Qualcuno, se può sentirmi… per favore…»

Lei strinse i denti davanti a quella supplica, scossa; e fece l’unica cosa che aveva sempre avuto il potere di calmarla dagli incubi.
L’eroe sussultò quando le sue braccia lo strinsero, le mani le afferrarono i capelli come per strapparglieli; ma dopo qualche istante si aprirono e scivolarono via, accarezzandole il volto.
Un sospiro le lambì le gote, mentre i tremiti svanivano con la stessa rapidità con cui erano sorti e le membra si rilassavano, concedendo la serenità nell’ultima mezz’ora che l’uomo passò addormentato.

Lei rimase a vegliarlo, senza muoversi di un passo, fino a quando non lo vide aprire gli occhi e fissarli nei suoi. «Quello è il volto di chi ha fatto una notte da sentinella. Non ce n’era bisogno.»
«Non avrei mai potuto dormire dopo averti visto ridotto in quel modo. Spero che tu stia meglio.»
Lui si mise a sedere, quindi le rivolse un sorriso. «Di certo il calore di questa casa ha aiutato.»
La giovane rimase in silenzio per qualche istante. «Prima… prima hai pianto, e gridato. Sembravi davvero solo, in quel brutto sogno da cui non riuscivi a svegliarti», rivelò infine, fissandolo attentamente e con un’ombra di tensione negli occhi.

Lo sguardo che l’uomo le rivolse, da stupito che era, divenne immediatamente triste. «Ti devo aver fatto preoccupare…»
«No, non farlo: non chiedere perdono per i tuoi incubi.
Loro, quando arrivano, non lo fanno mai», fu la risposta. «Mi dispiace che tu abbia sofferto così tanto da avere simili visioni.»

Fece per voltare il capo, la voce che non riusciva a farsi strada; ma lui le intrappolò lo sguardo nel suo, scendendo così a fondo che la ragazza lo sentì fin nell’anima. Cercava qualcosa, dentro di lei: e allora, tutto quello che aveva – che era – glielo mostrò, attendendo in silenzio davanti a quell’abituale barriera che dopo aver vacillato per alcuni istanti, riprese rapidamente il controllo lasciandola fuori.
Parlami; dimmi qualunque cosa… voglio solo aiutare, se posso; ma se non posso, come potrò mai saperlo?
Parlami: io sono qui.

Silenzio; e con la forza di un’implorazione o una promessa, un limite si ruppe. «La mia lingua molte volte non si sa frenare, è vero; ma allo stesso tempo riesce a capire quando è il momento di rimanere immobile, e permettermi di ascoltare. So comprendere, so vedere; e sappi che non ho intenzione di indietreggiare davanti a quelle ombre che ti seguono sempre.»
L’altro non replicò, quindi lei sospirò. «Tu sapevi che,
chiunque sia, sarebbe venuto a trovarti nei tuoi sogni. È così, vero? Rispondi solo a questo. Per favore.»
«No: perché non viene, ma
rimane. Nel sonno è semplicemente più vivido... vicino; e fa più male – seppur di poco.»
La mora annuì; e una volta ancora si ritrasse, percependo dall’altra parte una verità che non era ancora pronta a svelarsi. «Ti ringrazio», sussurrò con dolcezza, «l’ultima cosa che voglio è ferirti fino a rompere le tue difese.»
Lo sussurrò piano; perché da tempo sapeva che le cose importanti non venivano mai urlate, spesso nemmeno si spargevano nell’aria poiché erano fatte di concretezza, d’azione. Per questo, con la spontaneità che chi la circondava ben conosceva, gli riservò l’abbraccio più grande che il suo corpo potesse donare.
«Quando senti la necessità di chiudere gli occhi e fermare il mondo, ma temi ciò che questo comporta, ricordati che puoi sempre venire qui. Te l’ho detto, una presenza in più farebbe bene a queste stanze… e, credimi, so bene quanto molte cose facciano meno paura se qualcuno è con noi.»

Quando alla fine l’eroe lasciò la casa, non fu certa che tutto quello che era accaduto avrebbe portato a un seguito – qualunque fosse stato; ma qualche mattino dopo, nel trovare un piccolo dono sulla finestra, non poté fare a meno di chiedere se davvero quel muro che proteggeva la parte più fragile dell’uomo non avesse iniziato a presentare qualche crepa.


Vai al parco, la fioritura è stupenda.
Tuttavia, questi sono solo per te: i primi, i più forti.
È un dono semplice;
ma siccome apprezzi anche le piccole cose, so che sorriderai vedendoli.
Riesco già a immaginarti, senza difficoltà.
Grazie.


Delicatamente, si portò il piccolo mazzo di anemoni [2] alla bocca e rimase a fissare la linea dell’orizzonte, e le foreste che spargevano il loro profumo sulla città, come una benedizione.
La Speranza arriva sempre dopo la tristezza.





Settembre fuggì via in un battito, privando le foglie della propria veste smeraldina e dipingendole dei colori del tramonto; giunse ottobre, e con esso i sospiri di un precoce inverno.
Nellosservare insieme il crepuscolo o lo spettacolo arboreo che li circondava, la ragazza cercò spesso una protezione dal freddo sotto l’impermeabile dell’eroe; e venne sempre accolta, anche quando al suo collo apparve un’enorme sciarpa e i tremiti di freddo diminuirono. Sarebbe stato solo il primo dei tanti rituali che avrebbero scandito i loro momenti; così, anche nei rari giorni in cui l’ultimo calore dell’estate si mostrò, lei non rinunciò a rannicchiarsi contro il fianco del classe S, sotto la sicurezza della sua veglia.
I ricordi di quei pomeriggi ritornavano poi a mostrarsi durante la notte, e più di una volta lei si svegliò nel cuore del buio con la sensazione della sua presenza e del calore che le trasmetteva impressa sulla pelle; in quelle occasioni il letto minuscolo diventava fin troppo grande, mentre una leggera, sconosciuta malinconia cullava i suoi pensieri fino a quando le stelle non venivano spente dalla pioggia e dai suoi infiniti riflessi, forse gli stessi che raggiungevano anche lui.
Quando fu il mese di novembre, le piogge giunsero di nuovo sulla città: e l
eroe guardava lombrello azzurro della ragazza stagliarsi contro il cielo, portando una nota di colore e allegria sui sentieri oscurati dalle nubi; la voce squillante e il guizzo della sciarpa divenuta ormai inseparabile, rossa come tutto ciò che lei indossava, lo guidavano sui ponti del parco e gli rendevano impossibile curarsi del grigiore del cielo. Il legno reso umido dalla pioggia trasformava ogni passo in una possibile, pericolosa caduta; ma Umiko, completamente dimentica di tale rischio, improvvisava una danza tutta sua, in una sorta di inno alla gioia che liberava tutta la sua spontaneità.
Il profumo del mare era come un abbraccio che avvolgeva l
intera città e rivelava da dove avessero avuto origine gli ultimi temporali; e agli occhi delleroe questo era un altro motivo per pensare che i gesti della ragazza appartenessero a una dimensione distinta, che riguardava unicamente lei e le onde che portava nel nome [3]. Nonostante ciò, la ragazza non temeva di mostrare quella sua parte di mondo anche agli altri – ed era questa la sua grande forza: non aveva paura di ciò che era.
Venne il tempo di dicembre, del gelido gennaio: e il freddo bruciò le mani della giovane senza alcun riguardo, si impresse sulla pelle e trasformò le cicatrici da ombre rossastre a sentieri d
inchiostro. Ogni mattino lei sfilava i guanti che indossava anche in casa per proteggerle e le fissava, le toccava; e per quanto non potesse odiarle, ormai divenute così parte di sé stessa da non riuscire più a immaginarsi senza di esse, la vista di quelle ragnatele nere la turbava un poco.
La gente le teme. Per quanto siano una memoria, preferisce non vederle, e a volte è impossibile non notare come gli sguardi si ritraggano o evitino di guardare anche il mio viso. Forse forse dovrei tenerle solo per me, se turbano così tanto?
«Sei stranamente silenziosa.»
A volte quei pensieri la prendevano per tutto il giorno; e per quanto ci provasse, non riusciva a tenerli celati allo sguardo rubino che osservava molto più di quanto sembrasse – così come sapeva che l’eroe avrebbe vagliato bene ciò che avrebbe detto per sviare l’argomento. «Scusami… è stata solo una fitta di dolore. Il freddo ha scottato la pelle e a volte questa
si lamenta, diciamo.»
Quando, quel normale pomeriggio, pronunciò quella parziale verità che tuttavia si scontrava con la più complessa realtà, il classe S le tese le mani. Dopo un istante di titubanza, lei gli porse le sue, non riuscendo a non sussultare quando lui le sfilò i guanti. «Non le guardare», mormorò immediatamente, «sono diventate orribili. Per quanto le tenga coperte e curate, finché non ritornerà la bella stagione rimarranno così.»
«
Non saranno mai orribili, dentro di te lo sai bene… ma se solo lo sapessero anche gli altri sarebbe meglio, vero?»
Lei rimase in silenzio, le dita leggermente contratte, che tuttavia rilassò appena lui gliele strinse con delicatezza.
«Una volta una ragazza mi ha detto che non ci si deve mai scusare per i propri incubi», le sussurrò, «e ora ti rispondo che non lo si deve fare nemmeno per ciò il nostro passato ci da. In questo caso è stato anche il coraggio a lasciare il suo segno: mi hai raccontato di come ti sei procurata queste cicatrici perché non hai voluto lasciare il corpo di Tomomi, ma è stata la tua unica ferita perché lui ti ha protetto.
Ritorna a mostrarle con orgoglio, quando saranno guarite: ciò che significano non merita di restare nascosto.»

E come lei stessa aveva fatto tempo prima, con uguale forza l’uomo l’abbracciò fino a toccarle lanima; e in quel momento la ragazza seppe, una volta di più, di aver trovato in lui qualcuno con cui poter crescere ancora.
La primavera non si fece attendere ancora per molto, né la calda estate: e come l
uomo insegnava a lei le strade tra le stelle, la mora conduceva lui sulle spiagge della Città J. Le memorie più profonde di uno e dellaltra trovarono la via per liberarsi: così che il primo apprese dei giochi e dei sogni che si erano intrecciati tra le onde, in unaltra vita, e la seconda pianse davanti a tutto ciò che leroe le rivelò, nello sguardo di una mezzanotte intessuta di empatia.
«Tu non sarai mai un mostro», mormorò la voce della ragazza in quelle ore, il mormorio del mare, la dolcezza della sua anima;
«Ma solo nei tuoi occhi ho trovato questa certezza», rispose lui, l
eco della pioggia, il coraggio di chi è forte ma conosce anche la delicatezza della sensibilità, il dono della sofferenza.
Lo so, proteggerò sempre la tua voce, e tutto ciò che illumina.
Lo so, amerò ogni tua ombra, come qualunque parte di te.

Sotto il frammento di cielo che fissava solo loro, nessuna promessa fu più grande e capace di realizzare ciò che fino allora era rimasto segreto; ma solo quando la ragazza si sporse verso l
uomo e intrecciò le braccia intorno al suo collo, mescolando i reciproci respiri, divenne qualcosa in cui ognuno avrebbe potuto credere.
«Cè ancora così tanto che dobbiamo imparare luno dallaltra, il nostro viaggio è appena cominciato; ma non dubitare mai di me, che sono giunta qui per restare. Sono e sarò sempre con te», sussurrò; e nessuno dei due avrebbe mai saputo dire chi baciò per primo laltro,
quando già la notte degli incontri e dei desideri [4] finiva, ed era un giorno nuovo.
Lo sai? Noi siamo creature della luce.
Lei ci guida, ci cerca, ci tende la sua mano anche quando siamo nelle tenebre da così tanto tempo da essere divenuti ciechi;
ci attende, non esita mai a mostrarsi anche se solo per un istante.
Una sua stilla palpita in noi, ci permette di riconoscerla all
esterno; e poi tocca a noi trovare la grazia per seguirla.
Per non dimenticare.
Per perdonare.
Siamo nati per sorridere, per perderci nel cielo, per ascoltare.
Per non
rimanere soli.






NOTE



[1] Questa parte iniziale non è stata ideata completamente da me, ma ispirata da alcune fan art trovate su Pinterest.


[2] Ho scelto l’anemone giapponese non solo perché è un fiore autunnale, ma anche in virtù di alcuni dei suoi significati: in questo caso, il vero me/sincerità. Ho trovato quanto mai appropriato che, dopo aver mostrato a Umiko i suoi incubi – involontariamente – e averle rivelato, anche se solo per un istante e molto vagamente, ciò che lo opprime, Zombieman regalasse questo fiore alla ragazza: come a indicare che da quel momento, con i suoi tempi e modi, si aprirà sempre di più, fino a mostrarle l’altro lato del vero me.

Lei è una degna destinataria di questo dono e ciò che sottintende, perché è pronta ad affrontare i demoni dell’eroe con tutta la sua dolcezza, e al suo fianco.


[3] Umiko significa “bambina/figlia del mare.”


[4] Piccolo riferimento a Tanabata: festa che viene celebrata il 7 luglio, la quale ricorda la leggenda di Orihime e Hikoboshi (identificati nelle stelle Vega, della costellazione della Lira, e Altair, dell’Aquila: le due stelle più brillanti del Triangolo Estivo, composto con Deneb, del Cigno), i due amanti separati ai lati opposti della Via Lattea e destinati a ricongiungersi solo per una notte all’anno.

Tra le usanze di questa festa c’è quella dei tanzaku: strisce di carta su cui vengono scritti i propri desideri.





ANGOLO di MANTO


E siamo giunti alla fine.
Care Emy e Angie, voi due ormai siete le mie muse per quanto riguarda questo fandom, e non so più come ringraziarvi **
Il titolo della storia riprende l
omonima canzone di Elisa, mentre quelli dei capitoli sono frasi riprese e riadattate rispettivamente da Demons degli Imagine Dragons, Elegy dei Globus e Hoshi yori Saki ni Mitsukete Ageru (I’ll Find You Sooner Than the Stars) di Hiroko Moriguchi (l’ending theme dell’anime).
Quest’ultima shot è dedicata a
Ori_Hime, che di fluff non ne ha mai abbastanza **

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