Una Poesia (Anche per Te) di Manto (/viewuser.php?uid=541466)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dove Vivono i Miei Demoni (Salvami) ***
Capitolo 2: *** L’Amore Danzerà nel Buio, e nella Luce (Ascoltami) ***
Capitolo 3: *** Ti Troverò Prima delle Stelle (Non Lasciarmi Mai Andare) ***
Capitolo 1 *** Dove Vivono i Miei Demoni (Salvami) ***
NOTE
IMPORTANTI: Dei personaggi trattati qui, mi appartiene solo
l’OC
Umiko.
La
fic è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
Detto
questo, volevo avvertire voi lettori che benché la raccolta
possa
essere considerata un seguito della mini-long “Just…
Stay”,
non
è necessario
aver letto quest’ultima, dato che tutti i riferimenti
verranno
spiegati.
Le
prime
due
shot presentano fatti che si svolgono negli anni precedenti alle
vicende raccontate nell’opera originale (rispettivamente,
quindici
e dieci anni la prima, due la seconda).
~
Partecipante
al contest ‘È nell’aria profumo
d’autunno’ indetto da
Emanuela.Emy79 sul forum di Efp
~
Una
Poesia (Anche per Te)
I
● Dove Vivono i Miei Demoni
(Salvami)
A
volte lui ricorda quando l’innocenza proteggeva il cuore,
ma
il buio era sempre più fitto.
Era
autunno la prima volta che lo percepì: un
sentore sconosciuto, pungente e allo stesso tempo inafferrabile,
vinse la protezione delle pareti del laboratorio semibuio e
accarezzò
i macchinari con delicatezza, fluttuando quasi fosse una creatura
fatta d’aria; e per quanto rapido, tanto bastò al
bambino per
dimenticare il dolore soffuso – sempre lo stesso, ogni volta
che
ritornava ad aprire gli occhi dopo il
Grande Buio:
perdita, smarrimento, vuoto – e iniziare a respirare di
nuovo. «Che
cos’è?»,
chiese con voce esitante, alzandosi sul lettino. «Che
cos’è?»
L’uomo
che gli dava le spalle si voltò, distogliendo
l’attenzione dai
molteplici schermi davanti a lui e dai parametri che presentavano,
osservandolo con intensità. Tutti sapevano che il Dottore
non doveva essere disturbato durante il proprio lavoro; ma il piccolo
aveva bisogno di sapere, non avrebbe potuto trattenersi oltre.
«Non
dovresti muoverti così velocemente, rischi solo di
peggiorare il
dolore. Cerca di riposare, invece.»
«Ma
non lo sentite anche voi?»
La
mano che giunse ad accarezzargli il capo era fredda e sfuggente, non
sarebbe mai riuscita a calmarlo e né, forse, ne aveva la
reale intenzione. «Cosa dovrei sentire?»
«Questo
profumo; è la prima volta che lo percepisco, e credo che
provenga da
fuori. È… è bello.
Piacevole.»
Sempre
più rapito dalla fascinazione e dall’attesa di una
spiegazione,
non notò l’espressione dell’altro
adombrarsi.
«Torna
a distenderti, Numero Sessantasei. È solo la tua
immaginazione, sei
troppo stanco per pensare lucidamente.»
Il
bimbo avrebbe voluto replicare che stava benissimo, decisamente
meglio di prima; ma il tono della risposta era stato così
glaciale
che rimase in silenzio, a obbedire e rinchiudere dentro sé
stesso la
sensazione di euforia che gli aveva dato così tanta forza.
«Ecco,
così. Chiudi gli occhi e presto ti sentirai
meglio.»
Non
sorrise; e ancor meno trovò motivi per farlo quando
sentì il
braccio pizzicare e con la coda dell’occhio intravide
l’ombra di
un ago scivolare sotto la pelle. Un rombo improvviso gli
impedì di
cadere subito nel dormiveglia che seguiva immancabilmente la puntura,
e lo stesso fece il suono leggero che lo raggiunse qualche istante
dopo; così che, mentre alzava lo sguardo cremisi al soffitto
–
quel
rumore proviene dall’alto, ogni volta; è un suono
diverso dai
tremiti del suolo, scuote le mura per un istante ma non crea
devastazione… e spesso giunge anche questo dolce mormorio.
Cos’è?
Cos’è?
–, riuscì a udire l’uomo mormorare:
«Ed ecco un altro motivo
per cui si odia l’autunno: tuoni e pioggia, e ancora
pioggia.»
Allora
si chiama pioggia… è un nome gentile,
si
trovò a pensare, mentre socchiudeva gli occhi e intrappolava
la
parola nella mente.
Inverno,
quando il freddo è più intenso;
Primavera,
e tutto ha un profumo fresco;
Estate,
il tempo in cui la luce è più forte e riesco a
vederla anch’io… e
infine c’è l’Autunno, quando la pioggia
non ha fine e squarcia
anche questo profondo silenzio. Fino a ora, è stata la cosa
più
viva che abbia mai sentito; sembra così…
così…
La
voce prese vita in un soffio, lacerandosi appena tra la prigione dei
denti e gli artigli di un’involontaria
caduta nell’incoscienza.
«Libera;
sì, lei sembra libera.»
Probabilmente
dovette mormorarlo con molta più forza di quanto creduto, e
qualcuno dovette ascoltarlo;
perché, come a voler realizzare un suo sogno segreto, fu
proprio
quel tamburellare ininterotto la prima cosa che lui sentì
quando
l’altalena tra sonno e veglia lo riportò da
quest’ultima.
Forse
una porta era stata lasciata aperta per sbaglio, oppure il mondo
esterno, l’oltre e il diverso, aveva trovato un modo per
vincere le
barriere; e il suo corpo non si lasciò raggiungere
passivamente da
questi ma dimezzò la strada, avanzando verso il muro da cui
penetravano la notte e quel sentore di qualche ora prima, che andava
spargendosi sulle sue mani con la forma di fredde gocce.
Strinse
ognuna di loro con forza, proteggendole come un tesoro fino a quando
la luce del timido mattino glielo permise; e a suo modo
provò a
ribellarsi quando, silenziosamente ma con fermezza, un paio di mani
lo circondarono e lo sollevarono dal pavimento.
«Ci
mancava solo questa infiltrazione… e tu hai davvero dormito
qui, a
giudicare da come sei bagnato.»
Il
piccolo non rispose, le dita serrate sugli abiti fradici nel
tentativo di trattenerli; fissò la parete ancora percorsa da
rivoli
d’acqua, sentieri effimeri che si snodavano sulla pietra come
serpenti, fino a quando non venne portato troppo lontano per poterla
vedere.
Per
anni il muro trattenne la traccia della pioggia; e per tutto quel
tempo esso divenne il suo rifugio, e un modo per provare ad alleviare
la costante assenza dentro di sé.
◦◦
A
volte lui ricorda quando la voce era libera,
e
faceva da scudo contro una disperata illusione.
«Un
altro fallimento?»
«Di
questo passo come potremo farcela?»
«Non
si mette bene…»
Che
cosa dovrei fare?
Che
cosa sarei disposto a dare per smettere di avere sotto gli occhi,
questi occhi incapaci di chiudersi, la stessa visione per giorni?
«“Immortali”…
che ironia.»
Perché
nessuno si rialza mai?
Perché
li riesco a ricordare tutti?
«Non
dovremmo più perdere tempo con loro; sono tutti
spacciati.»
Non
è vero: non siamo solo giocattoli nelle vostre mani.
Noi…
noi…
«Calmatevi,
tutti quanti. Finché anche solo uno degli esperimenti
resterà in
vita non potremo permetterci di arrenderci; e comunque, è
tutto
nella norma…
ce ne sono ancora tanti.»
Solo
una voce, un’imposizione dal tono neutro – quasi
annoiato –,
per portare la calma; e la bruciante sensazione di amarezza che si
mischiava a una stilla di pulsioni ancora più profonde, le
quali
assumevano sia la forma del livore che quella della ribellione.
«È…
è tutto finito?»
La
mano che raggiunse quella del ragazzino riportò sotto
controllo le
emozioni quasi immediatamente, nonostante la presa fragile, fin
troppo facile da spezzare o perdere. Lei era così: capace di
una
sensibilità che quasi feriva e allo stesso tempo portatrice
di una
resistenza impensabile, che solo davanti a quegli
eventi
si allentava.
Come biasimarla.
«Sì;
è tutto finito.»
«Sei
arrabbiato? Non mentire, lo sento da come serri le dita che sei
pronto a scattare.»
Un
sospiro. «Se
lo fossi veramente l’avrei già fatto, non
credi?»
Una
pausa, che aveva il sapore dell’urgenza di una domanda e allo
stesso tempo della paura della risposta. «A
chi è toccata?»
«Al
Numero Dieci.» Una pausa. «Lei
aveva una risata contagiosa.»
Un
movimento, un assenso nella penombra. «E i capelli
più morbidi che
abbia mai toccato.»
Ed
era solo un altro numero.
«Due
giorni fa ha chiuso gli occhi anche il Numero Ventinove…
parlava
bene, quasi quanto te. Stanno iniziando a essere in troppi quelli che
se ne vanno; troppi… e troppo presto.»
Lui
non riuscì ad annuire, il groppo allo stomaco che spandeva
il suo
acido fino in gola. Avrebbe dovuto dire qualcosa, in fondo era sempre
la sua la voce che alleviava la tensione e cercava di addossarsi
tutto il peso di quello che accadeva intorno a loro, tenendo celati i
lati più crudeli.
«Una
volta proprio il Numero Ventinove mi ha raccontato una storia
sull’autunno», riprese invece la compagna,
«ha usato termini che
non avevo mai sentito prima, come “albero” e
“foglie”, e per
quanto nemmeno lui stesso sapesse bene di cosa stesse parlando, era
una bella fiaba… anche se un po’ triste.»
Un
debole sorriso, una carezza gentile. «Dovresti stare lontana
da
racconti del genere, ti rovinano l’umore.»
«Tanto
la tristezza arriverebbe comunque; quindi, che differenza
può fare?»
Le
sue mani si mossero da sole: afferrarono la vita dello scricciolo
dagli occhi rossi, come
i suoi,
e premettero il corpo pallido contro quello del loro proprietario.
«Ricordati sempre che sono io
la differenza; in mezzo a tutto quello di cui hai paura,
c’è la
mia mano pronta a raggiungerti.»
Un
assenso lieve, quindi una smorfia che avrebbe voluto essere più
serena.
«Guarda
che puoi stringermi ancora di più; tu non mi fai mai male,
anche se
mi abbracci forte.»
«Va
bene.»
Una
pausa. «Sai… se non ti volessi bene, ti invidierei
fino a odiarti.
Sei speciale, tu: e presto tutti se ne accorgeranno.»
«Non
stiamo esagerando, ora?»
«Credimi,
perché sarà così: un
giorno…» Un sospiro. «… Un
giorno il
mondo conoscerà il tuo nome, anche se non so in che modo. Ma
vedrai,
qualunque cosa questo significhi… ce la farai.»
«Perdonami
se ho dubitato di te. Tu sei… sei semplicemente perfetto:
per
aspetto, risposta agli impulsi, resistenza, sei molto più di
quanto
mi sarei aspettato quando ho iniziato gli esperimenti.
Eccellente.»
Il
giovane non alzò lo sguardo dal suolo per tutto il tempo che
l’altro
parlò; gli occhi non vedevano nulla, non potevano
né volevano.
Tutte
le mie promesse… tutto ciò che portava a
te…
«L’unica
cosa che mi rattrista…»
Le
mani tremavano; ma di certo non avrebbero fatto scivolare al suolo il
tesoro che cullavano dolcemente.
Non
ti meritavi tutto ciò, non ti doveva accadere nulla di
questo.
Porta
via anche me. Portami con te.
«…
è che probabilmente sarai l’unico.»
Non
lasciarmi qui.
«Tuttavia,
non ho così tanti motivi per rammaricarmi… in
fondo, tu potresti
essere il mio capolavoro.»
Non
posso vivere per tutti voi: non riesco a farlo da solo.
Ti
prego, aiutami.
«Non
piangere per loro,
ora che stai per diventare un dio.»
La
stoffa che proteggeva il volto candido, finalmente sereno ma
immobile,
frusciò sotto le dita quando il giovane
l’accarezzò.
«Vi
sbagliate», sussurrò, «e anche tu ti
sbagliavi, amica mia.
Non
sarò mai un dio, non potrò essere nemmeno un
uomo; sarò una
maledizione, invece… sarò solo Morte.»
A
volte lui ricorda la resa.
Ricorda
i sussurri e le preghiere di quella notte lontana, davanti al muro
che anni prima gli aveva fatto capire che la libertà era
più vicina
di quanto pensasse, ma aveva un prezzo; ricorda la sensazione
dell’ignoto, e tutti gli sguardi che solo lui poteva
scorgere. «Il
mondo conoscerà il tuo nome», sussurrava una voce
nella sua mente,
«e da quel momento, tutto sarà nelle tue mani.
Nessuno
deve decidere per noi, sai? No, nessuno deve farlo.
Sbaglia,
cadi, rialzati.
Erra,
corri, osserva.
Urla,
sorridi… vivi.
Il
destino non è mai una strada tracciata: lo
imparerai.»
E
fu così facile fare a pezzi le proprie catene, come una
fiera che
sente il richiamo della propria natura e nessuno vi si può
più
opporre; e fu così necessario distruggere tutti i simboli
della
prigionia, lasciare dietro di sé la stessa rovina che aveva
provato
fin in fondo all’anima.
«Il
mondo conoscerà il tuo nome; e sarà con
te.»
Sul
far dell’alba e appena dopo il buio più intenso,
la luna e le
stelle di un freddo autunno si prepararono a lasciare la volta solo
dopo aver fissato lo sguardo lucente su nuove lacrime; e
fu allora che l’uomo nacque, e iniziò a camminare
su un sentiero
creato dalle proprie mani.
ANGOLO
DI MANTO
Salve
a tutti! Benvenuti nell’ennesimo sclero della sottoscritta su
Opm,
ergo fuggite
finché siete in tempo
spero che tutto quello che avete letto e leggerete vi possa piacere
*offre
cuoricini*
Nonostante
per un (brevissimo) tempo avessi considerato di non riprendere
più
in mano personaggi già apparsi in Just…Stay,
alla fine una notevole dose di fangirling
ha completamente rovesciato i piani: quindi eccoci qui, con una
storia tesa a dare il via a quella che ormai è diventata
un’OTP.
Insomma,
quando le idee proprio non riescono ad abbandonarti e rimangono sulla
punta delle dita, insoddisfatte e tese, l’unico modo per
trovare un
po’ di pace è dare loro
un’opportunità per liberarsi, qualunque
sia la strada che vogliono prendere.
Detto
questo, sono decisamente felice di aver reso protagonista uno dei
personaggi di ONE che più amo (e che già molti
lettori del webcomic
avranno riconosciuto, credo), ma allo stesso tempo sto ancora
navigando in un mare di feels per quello che ho dovuto trattare.
Dato
che della ““favolosa”” infanzia
del nostro eroe immortale non
si sa molto, mi sono tenuta sul vago, basandomi su quello che
già
sappiamo e tirandolo fino allo sfinimento.
Sperando
di non aver fatto cavolate, come sempre.
|
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Capitolo 2 *** L’Amore Danzerà nel Buio, e nella Luce (Ascoltami) ***
II
● L’Amore Danzerà nel Buio, e nella Luce
(Ascoltami)
A
volte lei ricorda l’alba che spuntò dalle ceneri
del suo pianto,
e
quanto a lungo avesse creduto di non poterla rivedere.
I
suoi passi erano lenti: aspettavano che il fruscio delle foglie
ridiventasse un esile sussurro, quindi smuovevano nuovamente il
silenzio. Era sola su quel sentiero di pietra e statue, nel cimitero
appena al di fuori della piccola cittadina dov’era
nata; una cascata di riccioli neri su una veste rossa, vivida quasi
quanto le chiome degli alberi che accompagnavano la strada e il suo
cammino. Guardandola con poca attenzione, in molti avrebbero potuto
dire che fosse sbagliata per
quel luogo, smarrita nel vento del primo mattino; quando sarebbe
bastato solo uno sguardo dei suoi grandi occhi per comprendere che,
invece, era necessario che fosse lì.
L’esitazione
si prese il suo respiro per un istante; poi la ragazza
sospirò con
risolutezza e fece un passo in avanti, fino a essere abbracciata dai
rami più bassi della sentinella frondosa.
«Non
avresti mai voluto vedermi qui; e per tale motivo, ti chiedo scusa.
Ma… ma avevo bisogno di venire a trovarti… ora
che inizio a non
avere più paura di vederti così.»
Una
pausa; le sue gambe la condussero fino a sfiorare la tomba, quindi la
fecero sedere al suolo, in modo che gli occhi incontrassero lo
sguardo dolce che vinceva la briglia del freddo medaglione.
Evitò di
fissare le scritte che adornavano il marmo, il simbolo di una vita
soffiata via in un giorno come quello, solo immerso nel bollore della
distruzione; e dedicò l’attenzione al volume che
reggeva contro il
petto. «Te
lo ricordi? L’avevamo comprato assieme. Un libro dalle pagine
bianche, da dividere tra me e te: una notte nelle tue mani, un
pomeriggio nella mia borsa. Avevamo deciso che avremmo scritto tutto
ciò che accadeva e provavamo quando eravamo separati:
pensieri,
situazioni, semplici parole… qualunque cosa volevamo, che il
giorno
o un’ora dopo sarebbe stata mostrata all’altra
parte.
Guarda…
la prima pagina è stata tua.»
La
mora sorrise dolcemente mentre le dita scorrevano sui tratti rossi,
sbiaditi appena dagli anni. “Umiko
mi sta costringendo a scrivere e io non so da cosa diavolo
cominciare. Che faccio?
Mi
sa che mi metterò a dormire.”
“Quella
pazza non ha il minimo rispetto del sonno degli altri, così
alle
cinque di mattina posso ritrovarmi anche duecento messaggi. Aumentano
le volte che vorrei averla qui con me anche di notte, per bloccarle
le mani nelle mie e dirle che so che mi ama e non
c’è bisogno di
così tante parole.
Anche
se io la amerò sempre più di lei.”
“A
queste pagine posso dirlo, a Umiko di certo no: adoro le sue curve.
Adoro ancora di più il fatto che le ami anche lei.”
Una
goccia cadde sulla pagina, sporcandone un angolo; anche se il cielo
era sereno, forse versava al posto suo le ultime lacrime.
“Tocca
a me, ora! E neanche io so cosa dire, ma almeno ci provo, mio adorato
Tomomi.”
“Ho
intenzione di cucirmi un pupazzo che abbia le tue sembianze.
Così
magari i messaggi li mando a lui e ti lascio dormire in pace **
sinceramente, potrei pure mollarti per la tua copia morbida e
coccolona, ora che ci penso.
Ma
poi chi mi canterà una ninnananna quando gli esami si
avvicineranno
e la mia ansia salirà? Mi tocca tenerti.”
“Tomomi
che gioca con le foglie è qualcosa di indescrivibile.
Avere
quasi vent’anni, essere il doppio di me e risultare ancora
adorabili come bambini: solo lui può riuscirci.
È
solo una delle sue splendide qualità.”
Una
dopo l’altra, ogni pagina viene mostrata e letta, lasciando
che le
ore giocassero liberamente fino a quando, improvvisamente, il colore
dell’inchiostro mutò.
“Sono
passati quattro anni da quando ho smesso di parlarti, almeno su
questa carta; ma negli ultimi mesi non ho fatto altro che pensare
alle stesse pagine bianche che ora sto fissando.
Questa
primavera ho fatto nuovamente una follia – una necessaria
follia,
come tu dicevi quando parlavi della mia assenza di paura
nell’affrontare gli ostacoli che mi bloccavano la strada.
Non
avevi del tutto ragione: ho impiegato tutto questo tempo ad accettare
completamente la tua sorte, e di paura ne ho avuta molta; ma da
quando ho rivisto in me la ragazza che avevi conosciuto, allora
è
ritornato il bisogno di cedere parte dei miei pensieri al nostro
prezioso libro.
Mentre
ti scrivo la Città K sta ancora levando un grido di dolore:
siamo
stati attaccati da alcuni mostri, e anch’io ho dovuto
riscoprirmi
coraggiosa. Sì, ho trovato un incubo ad attendermi, simile a
quello
che ti ha portato via da me; ho lottato, per entrambi, e anche se
alla fine sono stata salvata da un vero eroe, ti ho difeso con ogni
forza possibile, anche con quelle che non sapevo di avere. È
stata
la prima volta che ti ho sentito veramente al mio fianco: ho tolto
l’ultimo velo dal mio volto, ho avuto la percezione del tuo
tocco
sul cuore, e la ferita che lo segnava ha arrestato definitivamente la
sua emorragia.
Mi
mancherai sempre, Tomomi, e anche se dovessi perdere la memoria, di
te non mi potrei dimenticare; ma sono ormai certa di poter riprendere
a camminare senza sentire la tua assenza.
Dicevi
che la Vita sia come il mare: a volte ti toglie ciò che ti
appartiene, ma poi, con i suoi tempi e modi, te lo restituisce.
Dicevi
anche che gli errori e le colpe a volte ritornano non per colpirti
nuovamente, ma per essere risolti e perdonati; beh, ho deciso che
tutte le tue parole diventeranno vere, voglio prendermele,
stringerle, e trasformarle in qualcosa di concreto.
Ecco
cosa ti prometto ora, nel cuore dell’autunno, quando la terra
e il
cielo si toccano e il mondo riscopre la propria bellezza.
Ora
più che mai, davvero, tu sei qui, con me.”
Il
mattino era già divenuto pomeriggio quando la ragazza
ritornò nel
tumulto della Città K. Le strade e la gente incrociarono i
suoi
pensieri senza sfiorarli, li lasciarono proseguire senza curarsene; e
quando la sera venne sconvolta da un improvviso acquazzone solo lei
rimase a vagare tra le vie con un sorriso, aspettando con calma che
le stelle tornassero a illuminare il suo cammino.
Solamente
un’ombra le rimase accanto abbastanza da farle percepire il
proprio
calore; ma quando la giovane si voltò per incontrarla,
questa era
ormai svanita tra le luci dei palazzi e i riflessi della pioggia di
settembre, dietro il lucore della luna che andava liberandosi dalle
nubi.
◦◦
A
volte lei ricorda come il passato tornò a lambire il suo
futuro,
e
come una mano coraggiosa giunse a difenderlo.
“Interrompiamo
i programmi per un annuncio dell’Associazione Eroi:
i residenti della Città V sono invitati a non abbandonare le
proprie
abitazioni per nessun motivo.
Ripeto,
i residenti della Città V sono invitati a non abbandonare le
proprie
abitazioni: un Essere Misterioso ha attaccato la zona industriale.
Nonostante il livello di calamità fosse inizialmente stimato
a
Tigre, l’Associazione ha ritenuto opportuno alzarlo a Demone.”
Papà.
La
tazza che teneva in mano si rovesciò sui libri, cospargendo
le
pagine di tè e tramutando il colore delle parole in rosso
sanguigno.
Gli
occhi spalancati, fissi sullo schermo divenuto improvvisamente
confuso e muto, la ragazza si alzò dal tavolo e
indietreggiò fino
alla porta della cucina, vi sbatté contro la schiena.
Per
quanto la sua mente cercasse un modo per calmarsi, lo sguardo non
accennava ad abbandonare le immagini che rimbalzavano in tutta la
stanza, al quale se ne aggiungevano altre, troppe,
tratte dai propri ricordi. Di
nuovo. Perché?
Non
c’è mai pace per me? Ma
non ancora, non ancora; è troppo. È troppo.
“Invitiamo
i civili a non avvicinarsi per nessun motivo alla zona; cercate
velocemente un rifugio sicuro.
Alcuni
eroi stanno già giungendo sul posto.”
Potrebbe
essere troppo tardi.
Fu
il suo corpo a rispondere per lei: la spinse a vestirsi il
più in
fretta possibile, ad afferrare le poche cose che le sarebbero potute
servire e a lasciare la casa, incurante del gelo che la nevicata
fuori stagione aveva appena portato sulla zona. La sua folle corsa
risuonava nelle strade deserte, il respiro non riusciva a condensarsi
in nubi di tensione perché lei era già corsa
avanti; così che
raggiunse il centro urbano in pochi minuti, e qui si fermò.
Con
un grande sforzo ignorò i giganteschi schermi che ripetevano
l’annuncio d’emergenza e mostravano sempre le
stesse immagini di
devastazione, quindi si guardò attorno. Nessun mezzo
pubblico
sarebbe partito per la Città V con quelle ultime notizie; ma
lei non
poteva raggiungerla in breve tempo con le sue sole forze, doveva
ottenere anche un minimo aiuto – e in fretta.
«Si
fermi, per favore!»
Quasi
avesse intuito il suo obbiettivo, la macchina che le passò
accanto
non l’ascoltò e proseguì senza nemmeno
rallentare; e così fece
la seconda, e poi un’altra ancora, fino a quando la
disperazione
non la portò a mettersi in mezzo alla strada.
Il
camioncino che inchiodò a meno di un metro dai suoi piedi
attrasse
l’attenzione di non poche persone, e in molti lanciarono dure
parole contro la sconsideratezza della ragazza; ma questa aveva
già
spalancato la portiera del mezzo e si era catapultata su di esso,
quasi gettandosi sull’attonita guidatrice.
«Devo
arrivare alla Città V!», gridò,
«La prego, ci devo arrivare! Mio
padre è nella zona industriale, devo andare da
lui!»
«Sei
pazza, per caso?»
«La
prego, non posso farcela da sola perché potrei non arrivare
in
tempo, ma non posso nemmeno lasciare mio padre da solo. Devo andare
da lui… la posso pagare, con tutto quello che ho. Per
favore, mi porti là… non ho altro
aiuto!»
Una
breve esitazione, quindi lo sguardo della donna si chinò
sulle mani
tremanti della mora. «Io
in quella città non ci metto piede. Il massimo che posso
fare è
lasciarti poco fuori da essa.»
La
giovane sorrise debolmente, annuendo. «Lei mi sta
salvando»,
mormorò, prima di sistemarsi sul sedile e attendere che il
viaggio
più tormentato della sua vita avesse inizio.
«No,
non voglio i tuoi soldi, in fondo non ho fatto molto. Solo…
buona fortuna.»
La
donna non la guardò negli occhi quando pronunciò
quelle parole;
nonostante questo, la ragazza la ringraziò con un abbraccio
caloroso. «Ha fatto molto, invece», le
sussurrò, prima di
lanciarsi giù dal mezzo e affrontare la vista della
Città V.
«E
ora… ora tocca a me», sussurrò,
stringendo i pugni per darsi
energia, e poi lasciando che solo il vento facesse sentire la sua
voce.
Una
sorta di sesto senso – no, era amore figliale:
il legame impossibile da trattenere e domare, non importa il pericolo
e l’ostacolo – la condusse al suo interno, tra le
vie percorse
unicamente dall’eco delle voci terrorizzate o dei
telegiornali che
non facevano altro che aumentare la tensione, mentre la sua testa
registrava tutte le informazioni che poteva.
Non
si sa ancora l’entità delle vittime.
Alcuni
operai e lavoratori sono riusciti a rifugiarsi in una fabbrica, e
stanno ancora resistendo.
Sembra
che l’Essere sia un vampiro, o qualcosa di simile.
Gli
eroi che sono stati inviati hanno mandato una richiesta di soccorso
quasi immediatamente: l’avversario è un osso duro.
Ce la faranno a
salvare tutti?
…
E
papà… qualcuno è con lui?
La
ragazza socchiuse gli occhi, sentì il cuore aumentare i
battiti.
Entrambe le volte in cui era stata attaccata da un mostro, qualcuno
era al suo fianco: ma la prima era finita nel disastro, mentre la
seconda l’aveva messa a dura prova.
Le
sue mani ustionate, le braccia e i fianchi segnati da minute
cicatrici – ancora poteva sentire su di sé i
tentacoli del mostro
che l’aveva torturata – parlavano da sé;
ma non c’era mai
stato un limite alla crudeltà degli Esseri Misteriosi,
quindi l’uomo
avrebbe potuto vivere una situazione ancora peggiore alla sua.
Qualunque
cosa stia accadendo… ti prego, resisti. Anche
se sto facendo la cosa più stupida del mondo, sono pronta ad
accettare ogni tuo rimprovero; perché so bene cosa vuol dire
subire
tutto questo, e non oso immaginare come sia affrontarlo senza
nessuno.
Alla
fine, furono propri gli ultimi suoni che avrebbe voluto sentire
–
rumore di crolli, schianti, grida – a condurla verso la zona
interessata; ma quando vi giunse, ciò che vide non era
quello che si
sarebbe aspettata, così che frenò tutti i suoi
pensieri.
Quindi
è tutto finito?
Sorpresa,
la mora osservò i numerosi capannelli di uomini fuori dalle
fabbriche, molte di queste completamente sventrate o distrutte;
l’agitazione era nell’aria, ma bastò
avvicinarsi un po’ di più
agli operai per comprendere che sì, era tutto finito: o
almeno, tale
era il problema “mostro”, mentre doveva ancora
essere portato a
termine il compito più triste e doloroso.
«Papà…»,
mormorò la giovane avanzando lentamente, scossa dai tremiti
mentre
osservava il bruttissimo spettacolo davanti a lei: l’attacco
alla
Città K non era stato parimenti violento, benché
avesse comportato
ingenti danni e vittime, e questo la destabilizzò. Alcune
mani
provarono a fermarla e le voci si confusero in una cacofonia di
domande, ma solo quando un paio di braccia la strinsero si
bloccò.
Il
volto che vide non era quello di suo padre, ma lo sguardo che lo
sconosciuto le lanciò era pieno della risolutezza di non
lasciarla
andare. «Probabilmente stai cercando qualcuno… ma
non è il posto
adatto a te, non in questo momento.»
Lei
scosse il capo, faticando a trovare le parole. «Devo sapere,
invece», rispose infine in un sussurro, lanciando uno sguardo
poco
più avanti a sé, dove teli e tessuti non
riuscivano a nascondere
completamente i corpi e la strada di sangue che li abbandonava,
«sono
venuta per questo. Io devo sapere dov’è mio
padre!»
«…
Umiko?»
La
voce rispose al suo grido facendola sobbalzare, prima di attirare la
sua attenzione alla propria destra, da dove una figura avanzava
velocemente verso di lei. Le macchie scarlatte che imbrattavano i
capelli pallidi e la tuta di lavoro non riuscivano a celare il
luccichio degli occhi viola, che osservavano la giovane con stupore.
«Bambina… ma perché sei
venuta?»
Appena
la presa sul suo corpo si allentò la ragazza si
precipitò verso
l’uomo, facendo tuttavia molta attenzione nello stringerlo,
notando
come si tenesse il braccio sinistro. «Che
cos’è accaduto? È molto
grave?» chiese, cercando di scoprire
l’entità della ferita.
«Niente
che ti debba preoccupare», le rispose l’altro
con gentilezza, «solo un graffio. Tu, piuttosto», e
nel dire questo
indurì appena il tono, «non dovresti essere nella
Città K?»
Lei
chinò il capo, arrossendo un poco. «Quando
alla tv hanno detto quello che stava accadendo qui…
beh, non ho pensato ad altro, se non a che dovevo venire da te.
Perdonami… nemmeno la mamma sa di quel che ho fatto.»
«Vuoi
dire che sei venuta qui da sola e senza dire nulla a nessuno?»
Silenzio.
«Umiko!
Ma che follia è questa? Prova a pensare se tu fossi riuscita
a
entrare qui quando quel mostro era ancora in vita,
e…» Una pausa
che sottointendeva il peggiore degli scenari, seguita da un sospiro.
«Sono felice che tu ti sia preoccupata per me, ma non fare
mai più
niente del genere. L’unica cosa che voglio è che
tu e la mamma
siate al sicuro, intesi? Così non mi aiuti di
certo.»
La
postura severa dell’uomo si sciolse, e questi
abbracciò la figlia
il più forte possibile. «Comunque
sia, papà non è più in pericolo.
Ora
mi faccio fare una fasciatura e poi vieni a casa con me: dobbiamo
cercare qualcosa da dire a tua madre, o non ti verrà risparmiata
una sonora ramanzina.»
Lei
annuì, quindi sorrise e nello stesso tempo
singhiozzò. Si scostò
dal genitore il tempo necessario per permettere ai soccorritori di
occuparsi del suo “graffio”, e mentre la tensione
calava, la voce
di chi la circondava si faceva più forte.
«Sono
stati in parecchi ad aiutarci, ma se non fosse stato per quel classe
S…»
«Quelli
che si sono rifugiati nella struttura Cinque hanno detto di averlo
visto combattere: una fiera.»
«Beh,
se è vero che è immortale, si può
permettere di ingaggiare
combattimenti più spinti…»
«Quindi
era proprio lui?»
«A
quanto dicono i ragazzi, sì: è stato Zombieman
a salvarci.»
La
giovane voltò il capo di scatto, cercando chi avesse parlato.
Quel
nome…
«Eccolo!
Sembra che abbia dato una mano a estrarre dei corpi imprigionati
sotto le macerie della struttura Sei… e ora il lavoro
è tutto
nostro.»
Lei
seguì l’attenzione generale, e il cuore
accelerò i battiti quando
i suoi occhi incontrarono la figura che avanzava in silenzio tra la
gente, dicendo parole che, alla distanza in cui si trovava, non
riuscì a comprendere. Avrebbe saputo riconoscere quegli
occhi
purpurei ovunque; e si premette una mano sul petto mentre rivedeva
l’eroe proteggerla da un altro mostro, un altro incubo, in un
pomeriggio freddo quanto quello. Il
suo sguardo non lo abbandonò per tutto il tempo che
riuscì a
fissarlo; quando poi il classe S si allontanò tra le braccia
della
città e svanì, la ragazza continuò
comunque a sentire la sua
presenza, e a versare tutte le lacrime che tratteneva dalla mattina.
«Ti
prego… se continui a piangere così mi fai sentire
in colpa.»
«Sembra
che nessuno di voi due si renda realmente conto di quello che poteva
accadere; perché non dovrei piangere?
Se
penso a te, a che cosa devi avere provato… e a Umiko che non
riflette abbastanza sulle sue azioni…»
«Ma
ora siamo qui tutti e due; su, non hai nemmeno toccato
cibo…»
«Non
trattarmi come una bambina!»
«Non
ti calmerai molto presto, vedo.»
Seduta
un po’ distante dai genitori, la giovane ascoltava tutta la
tensione della giornata liberarsi e impregnare la stanza di strilli e
rassicurazioni, singhiozzi e carezze; e sorrideva stringendosi nelle
sue stesse braccia, mentre la mente dettava parole intense e sentite
come solo quelle di un graziato avrebbero potuto essere.
Questa
volta una lettera sola non basterà per ringraziarti;
è grazie a te
se ho ancora un futuro, voglio che tu lo sappia.
In
me c’è qualcosa che va oltre la riconoscenza, la
semplice
ammirazione: è quasi un inno alla vita, a tutto
ciò che gli eroi
come te ci permettono di compiere con la loro veglia.
E
a questo non c’è un riconoscimento adeguato se non
continuare a
sorridere, a sperare.
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Capitolo 3 *** Ti Troverò Prima delle Stelle (Non Lasciarmi Mai Andare) ***
III
● Ti Troverò Prima delle Stelle
(Non
Lasciarmi Mai Andare)
Spesso
lui rivede la dolcezza con cui la ragazza incrociò la sua
strada, e
come decise di non andarsene.
Lei,
invece, ripensa a quando incontrò nuovamente i suoi occhi, e
intravide
tutte le preghiere che gridavano.
Il
Nature Park [1] era l’unico luogo che avesse mai avuto il
potere di
farlo sentire a casa. Il suo corpo aveva bisogno di riposo solo in
casi estremi, e anche lo stimolo della fame, tramite gli esperimenti,
era stato ridotto a un raro pungolo; così, solamente quando
i suoi
passi lo conducevano nel cuore smeraldino della Città K
riusciva a
comprendere, sentire fin nelle ossa, quella che veniva definita pace.
La
calma era ovunque, seguiva il ritmo della Natura e trasportava in un
mondo diverso, opposto a quello frenetico che circondava la zona; e
durante la notte i palazzi – e ogni luce artificiale con essi
–
svanivano sotto le stelle e rimanevano prigionieri del cielo fino a
quando l’alba non svelava nuovamente i loro contorni,
risvegliando
pure la vita.
Quando
era lontano dagli scontri e il tempo era al suo fianco, li osservava
a lungo: madri, bambini, impiegati, studenti, inseguitori di sogni e
obbiettivi, tutti rincorsi dalla propria esistenza…
tranne quando venivano avvolti dal pulsare della terra e i ruscelli
rapivano la voce, portando via anche i pensieri.
La
prima volta che si accorse di lui, nel crepuscolo che sempre cancella
la forma delle cose e rende le fantasie reali, la
mora
fissò la sua figura con calma. Per lunghi minuti lo
guardò
osservare la luna crescente dal viale che conduceva al Nature Park, e
nonostante le tante, troppe parole che già le pungevano la
lingua,
rimase ferma e in silenzio; così che, mentre giungeva la
sera, la
ragazza riuscì a scorgere nuovamente le ombre che
l’avevano
sfiorata la prima volta che aveva incontrato quegli occhi – e
di
cui mai si sarebbe dimenticata.
La
seconda volta che lo sentì,
il suo corpo era teso verso una corsa nervosa, la mente impegnata a
elaborare gli ultimi appunti di studio in vista dell’esame di
qualche ora dopo; ma nonostante l’agitazione
riuscì a percepire
quel senso di malinconia e attesa che sembrava circondare la figura
dell’eroe come una nebbia sottile, così comprese
che lui era lì,
da qualche parte vicino a lei – e allo stesso tempo,
inspiegabilmente, troppo lontano perché potesse trovarlo.
In
seguito, nelle altre volte in cui lo incontrò, ogni genere
di
esitazione la frenò da un seppur minimo contatto; fino al
giorno in
cui quest’ultimo non divenne necessario, e iniziò
a tracciare un
segno indelebile nel filo dell’Esistenza.
“Tu
non puoi morire, quindi. All’inizio deve sembrare una cosa
fantastica… ma alla lunga non porta altro che logoramento,
vero?
Da
quanto tempo hai smesso di aspettarti qualcosa da ciò che ti
circonda, dalla tua stessa vita?
Già,
tu sei un eroe e vivi per gli altri… sorvegli, aiuti, salvi,
e
nient’altro ti deve importare. A vederti così
freddo, letale, la
gente ti crederà invincibile, oltre ogni limite; eppure,
chissà…
chissà se qualcuno si è mai chiesto se sotto
quella pelle strana
possiedi veramente un cuore e dei sentimenti che possano essere
compresi anche dagli umani comuni.”
La
pioggia di quel mattino era calda, decisamente anomala per essere
primaverile; come se le nubi avessero risucchiato il calore del sole
e deciso di liberarlo sotto forma di improvvisi temporali.
Le
ultime gocce dell’ennesimo acquazzone scivolavano sugli occhi
tesi
verso un orizzonte che faticavano a scorgere con chiarezza, creavano
dei sentieri sugli abiti ridotti quasi completamente a brandelli e
sulle mani serrate fino a tremare; ma non riuscivano ad annegare, o
solamente allontanare, l’eco di quelle parole.
“Non
sarai mai come gli altri – come gli umani che tanto ti
acclamano:
un giorno si accorgeranno di tutte le cose che non puoi condividere
con loro, quindi si chiederanno l’entità delle
differenze… e in
quel momento inizierà la tua caduta.
Ciò
che non si conosce, che non si apprende appieno, fa paura: e tu
già
ora sei un’incognita.
Che
cosa accadrebbe, se la gente iniziasse a temerti?
La
paura non chiede fondamento: esiste a priori, è simile al
buio… e
come lui, si nasconde dietro i sorrisi fino ad avvelenarli.”
Quella
voce, quello
sguardo,
non avrebbero dovuto fare così male; non a lui, che non
aveva mai
avuto sensibilità e interesse verso gli inganni dei mostri
che era
chiamato a combattere, e conoscendo la differenza tra loro e
sé
stesso era – si
considerava
– protetto da qualsiasi bassezza. L’amaro
dialogo era stato estinto per sempre dalla morte dell’Essere
Misterioso, ma aveva lasciato comunque un segno tangibile
nell’umore
e ancora più sotto, nei luoghi dove si annidavano fantasmi
di
vecchie inquietudini.
Non
è cambiato nulla da allora? E io… già,
mi stupisco anche di me,
che non dovrei più farmi colpire da cose del genere.
Le
mani si strinsero ancora di più e le ombre che si agitavano
nello
sguardo si mossero con loro, aumentando la densità. Era da
quando
aveva visto le cose precipitare, nei laboratori di Genus, che non
sentiva un peso simile – e il disgusto più
malsano: un misto di
colpa che non aveva motivi per esistere ma c’era,
rabbia, impotenza, senso d’ingiustizia che si confondevano
insieme
e diventavano distanza;
qualcosa di segreto, impalpabile per chiunque non fosse lui, che se
incontrollato poteva distruggere molto più del visibile.
Quasi
non avessi fatto nulla per mutare la visione che ho di me stesso, e
la strada che per troppo tempo ho percorso.
Già…
come se fossi veramente un mostro, come loro.
Che
fantastico pensiero.
«Oh,
fantastico! Sono da strizzare da capo a piedi, lurida come uno
straccio, e sta per piovere di nuovo… e poi non mi dovrei
arrabbiare!
E
guarda in che stato sono i miei poveri libri!»
Per
la prima volta dal combattimento, l’eroe tornò
alla realtà.
Il
rombo di un tuono, anche se ormai lontano, era ancora presente nel
fremito del cielo; ma era stata quella voce acuta a dargli il brusco
risveglio, costringendolo a prestare attenzione a quello che stava
accadendo intorno a lui.
Era
giunto nel Nature Park; l’estremo bisogno di silenzio lo
aveva
inconsciamente condotto all’unico luogo che considerasse
adatto al
suo desiderio… ma che quel giorno non lo era.
Il
centro del ponte su cui stava era, infatti, letteralmente occupato:
una ragazza correva da una parte all’altra radunando volumi,
quaderni, penne e gli oggetti più disparati che erano caduti
da una
borsa grande il doppio di lei, i quali rotolavano placidamente in
ogni direzione, ignorando le urla sempre più alte della loro
proprietaria – che, a giudicare da abiti e capelli grondanti,
aveva
tutta l’aria di essere appena uscita da una tempesta.
«Se
rientro a casa così mamma mi massacra», continuava
intanto la
giovane, evidentemente ignorando il fatto di non
essere sola, «mi massacra, mi massacra di certo…
ho così tanto
fango addosso che avrebbe anche ragione! Insomma, proprio nel giorno
in cui mi sono venuti a trovare… e il cellulare, dove
diavolo è
finito?»
«Aspetta,
lasciami dare una mano.» Prima che l’altra potesse
voltarsi o
replicare, lui si chinò e raccolse gli ultimi averi.
«Oh,
grazie! Per fortuna che c’è lei, rischiavo di
andarmene senza aver
recuperato parte delle mie cose… però non guardi
lo stato in cui
sono, potrei farle paur-»
L’eroe
alzò lo sguardo, stupendosi dell’improvviso
silenzio; e quando lo
fece, due occhi d’ametista si ancorarono ai suoi. Esistono
davvero occhi simili?,
pensò per un istante, riuscendo a staccare
l’attenzione da loro
solo quando lei si mosse.
«Grazie…
davvero», disse questa, cercando di sistemarsi i riccioli
ribelli
come meglio poteva, «ho fatto un gran pasticcio. Certo,
questo tempo
non ha aiutato, però mi sono resa conto troppo tardi di aver
richiesto troppo da me stessa e da quella povera borsa…
chissà che
figura che ho fatto quando sono scivolata!»
«In
realtà non ho visto nulla», fu la sincera
risposta; e lui non poté
non accennare un sorriso allo sguardo stupito che la giovane gli
lanciò, prima di vederla arrossire violentemente.
«Beh…
in effetti se anche non lo dicevo non ci perdevo nulla… ma
ormai è
noto che io non riesca tenere a freno la lingua», rispose lei
facendo una breve risata, allungandosi in avanti per prendere
ciò
che le mancava; e fu allora che lui notò le lunghe cicatrici
che le
segnavano il dorso delle mani, finendo per guardarle un istante in
più del necessario.
L’altra
se ne accorse, e bastò un’occhiata per comprendere
che aveva letto
i suoi pensieri. «È… è una
storia lunga; e ormai passata»,
rispose infatti alla sua silenziosa domanda, dolcemente e senza
fretta, «e… e se posso ancora raccontarla,
è per merito suo.»
Una
pausa, che lui non infranse.
«È
difficile che lei possa ricordarsi di me, con tutta la gente che
salva, ma se c’è qualcosa che io non
potrò dimenticare è che un
anno fa mi ha salvato da morte certa, e qualche mese dopo ha fatto lo
stesso con mio padre; e non solo fisicamente, ma molto più
in
profondità… così tanto che nemmeno un
grazie può esprimere tutta
la mia riconoscenza, dal momento che ha protetto molto più
della mia
vita. E, hmm…» Un’altra risata, questa
volta piena di imbarazzo,
«… per quanto volessi dirlo, avrei preferito farlo
non ridotta a
un Golem di fango… cavoli, sono un completo disastro. Mi
perdoni.»
La
mano dell’uomo si posò sulla testa della ragazza e
l’accarezzò
con la stessa gentilezza che lei esprimeva da ogni poro. «No,
non
credo che tu lo sia.» Finalmente, da quando quella giornata
era
iniziata, l’eroe riuscì a sorridere senza fatica.
«Grazie per
queste parole.»
La
guardò rispondere a sua volta con un luminoso sorriso, prima
di
scattare in piedi per un altro tuono. «Grazie
a lei per tutto ciò che fa, è un grande
eroe», gli sussurrò, e
già si era voltata quando si girò di nuovo.
«E grazie anche per
avermi aiutata, prima! Mi ricorderò anche di questo,
promesso!»
Lui
rispose con un cenno al suo saluto, quindi rimase a guardarla correre
via. «…
Non
che abbia fatto molto, questa volta; ma se
è questo l’entusiasmo che riesco a dare, allora
no, non
dimenticare»,
mormorò;
quindi si accorse di come la gratitudine di quegli occhi viola e le
parole di pochi attimi avessero placato la tenebra che lo aveva
inseguito per ore.
Alla
fine è anche per sorrisi simili che gli eroi combattono.
E
a quel pensiero, l’intera giornata sembrò
diminuire la propria
pesantezza, rasserenando ancora di più il suo animo.
La
ragazza ricorderà sempre con un sguardo particolare, che
solo lui può comprendere appieno,
come i giorni e le occasioni li fecero avvicinare. Il
tempo mite e la casa vuota, pervasa dalla malinconia della famiglia
distante, l’avevano sempre spinta a studiare e passare gran
parte
del tempo libero nel parco della città, a contatto con
quella natura
rigogliosa e con la sua calma; e proprio lì
iniziò a incrociare
assiduamente il suo cammino con quello dell’eroe.
Inizialmente
i loro furono poco più che gesti di cortesia: un sorriso, un
saluto,
alcune parole scambiate all’ombra degli alberi; poi,
gradualmente
ma senza alcuno sforzo – come
se ci fosse mai stato bisogno di un incentivo per liberare la sua
parlantina
–, queste si trasformarono in discorsi, gli istanti in
minuti, ore,
e infine in pomeriggi in cui lei spendeva le energie su enormi libri
o semplicemente riprendeva a respirare dopo una giornata intensa, e
lui le sedeva vicino per ascoltarne la voce o contemplare il silenzio
insieme, separandosi dal suo fianco solo quando la carezza della
notte giungeva a rivestire la città o
l’apparizione di un Essere
Misterioso richiedeva il suo intervento.
Da
quei lunghi o brevi momenti la giovane apprese molto di ciò
che la
fama e la notorietà degli eroi non lasciavano trasparire:
dalla
profonda sensibilità verso la vita e la sorte degli umani,
solitamente celata dietro l’imperturbabilità, fino
a lambire
l’oscurità che pulsava negli occhi rubini che la
fissavano sempre
con attenzione.
Lambire,
sì, ma non cogliere: perché c’era in
essi una barriera che le
sbarrava il passo quando si spingeva troppo avanti, unita a una
distanza che non riusciva ad arrestare se non retrocedendo, e
attendendo che ritornasse la normalità. I pilastri del suo
passato
affondavano nel dolore, questo lo aveva sospettato e capito
immediatamente; ma i graffi che quell’oscurità
aveva lasciato
sembravano essere molto più profondi, tenuti ben nascosti.
Spesso
era la ragazza stessa ad accorgersi che le sue parole cozzavano
contro una richiesta di oblio, e mutava il discorso ancor prima che
l’altro potesse replicare in qualche modo: in quei momenti
lei
trovava liberatorio parlare di sé e di ciò che in
pochi sapevano,
come a rispondere a una domanda che veniva da sé stessa.
Così,
l’eroe fu uno dei primi a sapere della sorte di Tomomi, il
suo
primo amore, e di come l’attacco di un Essere Misterioso
avesse
infranto i sogni che li legavano insieme.
Lui
raramente interveniva, preferiva ascoltarla liberarsi di tutte le
parole che si sentiva di sfogare; e, di questo lo avrebbe sempre
ringraziato, non la giudicava mai né la spingeva a rivelare
più di
quello che lei voleva.
«Tutto
ciò che compiamo e pensiamo ha una motivazione; se non
possiamo
comprenderla o saperla, ancor meno abbiamo il diritto di dare
giudizi», era una frase che le ripeteva spesso, quando
commentava
apprezzando la sua discrezione; quindi l’esortava a parlare
ancora,
a volte scherzando gentilmente con lei sull’inesauribile
energia
della sua lingua, illuminando ancora di più
un’altra sera di fine
estate. In
quello stesso periodo, l’inseparabile malinconia dei genitori
si
stemperò; e con essa iniziarono a svanire perfino quegli
incubi che
da sola non sarebbe riuscita a placare…
e che, come poi avrebbe compreso, non erano solamente suoi.
Il
marciapiede deserto ospitava solo i suoi passi svelti, echi nel buio
che le ore dopo la mezzanotte portavano con sé.
Per
quanto più stanca che agitata, la mora non vedeva
l’ora di
respirare l’odore delle proprie stanze e sapersi distante da
quelle
tenebre. Il locale in cui le amiche l’avevano trattenuta fino
a
pochi istanti prima le aveva messo addosso un fastidioso senso di
nausea, specie quando l’uomo che l’aveva presa di
mira per un’ora
buona le aveva afferrato una mano e fissata con un sorriso che tutto
meditava, ma non di certo un complimento – come infatti era
stato.
E
lo sapevo, lo sapevo che era meglio se me ne stavo a casa. Se
voglio essere presa in giro, lo posso fare benissimo da sola.
Si
fermò un attimo e respirò a fondo per liberare il
nervosismo;
quindi si mise a correre, riconoscendo dopo pochi istanti, seppur nel
buio che il telefono non riusciva a illuminare, la via che portava a
casa. Finalmente.
«Non
dovresti essere fuori a quest’ora.»
la
ragazza sobbalzò per la sorpresa, lasciando cadere le chiavi
del
cancello di casa e riuscendo a reprimere un grido solo
perché
riconobbe immediatamente la voce. «Zombieman…»,
sussurrò quando lui entrò nel raggio
d’azione della luce, «io…
mi hai sorpreso. Per poco non ti assordavo e svegliavo
l’intero
vicinato.»
«Già…
è una fortuna che ti abbia trovata io e non un altro, in
questo buio
si potrebbe nascondere chiunque. Non avete una luce, qui?»
Lei
fece una risatina, le mani che cercavano le chiavi a tentoni.
«Se
chi si occupa dell’illuminazione pubblica avesse ascoltato le
nostre richieste, sì, ce l’avremmo da tempo; ma
siccome questa è
la periferia, siamo sempre gli ultimi… per lo meno
è una zona
tranquilla. Se stai facendo una ronda o cercando qualcuno di
sospetto, ti consiglio di spostarti verso il centro: ci sono vicoli
che non sono il massimo al calar del sole…»
«Grazie
per il consiglio.»
Lei
corrugò la fronte, notando una sorta di esitazione o fatica
nel tono
dell’eroe; e quando lui le protese le mani per aiutarla a
rialzarsi, rabbrividì al suo tocco –
perché per quanto la pelle
del classe S non fosse mai stata molto calda, era la prima volta che
la sentiva così gelida. E
sta pure tremando.
«Trovato
tutto?»
«Sì…
grazie.»
«Allora
buonanotte, Umiko. Perdonami se prima ti ho spaventato.»
«A-aspetta.
Hai combattuto, non è vero?»
Nel
momento in cui si era rialzata, l’odore del sangue
l’aveva
colpita come uno schiaffo: un sentore fresco, troppo intenso per
essere prodotto da un semplice graffio.
«Non
ti preoccupare per me.»
«No»,
replicò lei, rincorrendolo appena sentì i suoi
passi allontanarsi,
«fermati! Stai tremando, come fai a reggerti in
piedi?»
«Credimi,
sto bene. Vai a dormire, è tardissimo.»
La
giovane allentò il passo, ma di poco; così che
riuscì a sentire il
gemito che dopo alcuni istanti ruppe il silenzio.
«Zombieman!»,
lo chiamò, dirigendosi verso l’eco; e quasi ci
sbatté contro,
scoprendolo chino al suolo.
«Passa
in fretta… è solo stanchezza… non ti
agitare così.»
«Non
mi agito più del necessario: so che sei forte, ma hai
comunque
bisogno di riposo», replicò lei, cercando il suo
braccio. «Non ho
la tua stessa forza, ma dovrei comunque riuscire a sostenerti. E per
fortuna che ho fatto tardi in quel postaccio, o davvero avresti
dormito qua fuori.»
Lui
non replicò più, ma si lasciò guidare
dalla mora fino alla sua
casa. «Guarda
che non ce n’è davvero bisogno», riprese
tuttavia appena sentì
cigolare la porta d’entrata.
Quando
lei accese le luci del corridoio e poté finalmente vederlo,
gli
lanciò un’occhiata molto più eloquente
di qualunque discorso; e
rimase immobile fino a che lui non la superò, e le ombre
della notte
furono rinchiuse lontano da entrambi.
L’eroe
accennò un sorriso mentre, dopo averlo condotto in cucina e
fatto
sedere sull’ampio divano, la ragazza recuperò
dal nulla un enorme asciugamano e una bacinella d’acqua; e a
niente
valse tentare anche un accenno di diniego.
«Forza,
lasciami dare una pulita a tutto questo sangue. Mi domando che razza
di scontro possa essere stato per ridurti così»,
sussurrò infatti
lei, parandoglisi di fronte in assetto
di guerra.
L’uomo
la lasciò fare e chiuse gli occhi sotto il tocco delicato
che gli
liberò il volto dall’odore di ferro e morte, anche
se non riuscì
a nascondere un leggero imbarazzo per tutta quella premura.
«Ecco
fatto», mormorò lei dopo qualche minuto,
«ora mettiti
immediatamente a dormire, tra un po’ mi cadevi tra le
braccia.»
«La
stessa cosa dovresti fare tu.»
«Guarda
che non me ne andrò da questa stanza finché non
ti vedrò chiudere
gli occhi.»
«Va
bene, va bene, mi arrendo», sospirò infine
l’eroe, «riconosco
che contro di te, in questo stato, non posso proprio vincere.»
«Perché
sei una persona saggia», replicò la fanciulla,
correndo via e
ritornando subito dopo con una coperta, mentre lui già si
era
spogliato
dell’impermeabile e delle inseparabili armi. «Lo
so, sarebbe meglio un letto», si scusò,
«ma l’unico che c’è
è
piccolo pure per me…»
«Non
ti scusare: è molto più di quello che mi
attendevo da questa
notte», replicò lui, avvolgendosi nel morbido pile
offertogli.
«Questa è una prospettiva decisamente migliore, lo
riconosco.»
«Ti
ripeto: sei una persona saggia», sbuffò lei
scherzosamente,
rivolgendo quindi l’attenzione all’impermeabile
dell’uomo.
Conoscendo
il modo in cui combatte, non credo sia lo stesso che mi ha prestato
quella volta; ma alla fine non è un grande problema,
pensò, sedendosi sulla sedia più vicina al divano
con l’indumento
sulle ginocchia e un nuovo asciugamano pronto a ripulirlo.
Ridacchiò
tra sé e sé al ricordo della lettera imbarazzante
che sua madre
aveva voluto inviare a tutti i costi all’uomo, per
ringraziarlo di
averle salvato l’unica figlia; e poi si emozionò
nel rivedere
come, dopo aver ucciso il mostro, lui le fosse rimasto accanto fino
all’arrivo dei soccorsi, confortandola e rassicurandola
sull’entità
delle sue numerose ferite.
«Spesso
mi dici che sono gentile», mormorò lei, alzando lo
sguardo, «come
se non lo fossi anche tu.» Si interruppe e sorrise nel vedere
l’eroe
già immerso nel sonno; quindi spense
ogni luce, e seppur conscia del fatto che, nonostante la stanchezza,
non sarebbe riuscita ad addormentarsi con la stessa facilità
del suo
ospite, si risistemò il più comodamente possibile
sulla sedia. «È
bello sapere che per almeno una notte non sarò
sola», sussurrò
alle stelle che la fissavano dalla finestra, splendendo per
un’alba
ancora lontana, con solamente il battito del proprio cuore a cullarle
la mente.
Fu
quando spalancò gli occhi che si accorse di essersi
appisolata,
nonostante la luce del sole che invadeva la stanza e la
preoccupazione per le condizioni di Zombieman; e la prima cosa che
fece fu proprio volgere lo sguardo a lui, ancora disteso sul divano.
«Non
te ne sei sgattaiolato via, alla fine… che bravo»,
mormorò,
alzandosi dalla sedia e ignorando quanto più possibile i
crampi in
tutto il corpo. Si chinò su di lui e gli sfiorò
un braccio,
sospirando di sollievo quanto sentì sotto le dita il
consueto, tenue
calore.
Il
suo aspetto è già migliorato, nonostante siano
passate poche ore.
Aspetta un attimo… ma che ore sono?
Si
girò per guardare meglio l’orologio,
all’altro lato della
cucina; e in quello stesso istante, la mano dell’uomo
afferrò la
sua, stringendola con forza. «Non andare.»
«Ah,
allora sei sveglio? Credevo stessi ancora
dormendo…»
«Ti
prego… ascoltami! Rimani anche solo un istante in
più… te ne vai
sempre troppo presto.»
La
giovane si voltò lentamente, lo fissò. No,
non è sveglio… sta sognando,
riconobbe – così come vide immediatamente i
tremiti che
all’improvviso iniziarono ad agitarlo.
«Ve
ne andate tutti via, sempre», lo sentì gemere
nuovamente, «ma non
posso camminare da solo… non è colpa mia, non
è colpa mia!»
«Zombieman…»,
mormorò lei, inginocchiandosi al suo fianco e afferrando
l’altra
mano, «svegliati, stai solo sognando!»
Quelle
parole non riuscirono a raggiungerlo; e nemmeno lei poté
ripeterle,
perché le si mozzarono in gola quando gli occhi serrati del
classe S
iniziarono a piangere. Che
cosa sta vedendo di così terribile? E non riesce a svegliarsi…
Come
posso tranquillizarlo?
«Qualcuno,
se può sentirmi… per favore…»
Lei
strinse i denti davanti a quella supplica, scossa; e fece
l’unica
cosa che aveva sempre avuto il potere di calmarla dagli incubi.
L’eroe
sussultò quando le sue braccia lo strinsero, le mani le
afferrarono
i capelli come per strapparglieli; ma dopo qualche istante si
aprirono e scivolarono via, accarezzandole il volto.
Un
sospiro le lambì le gote, mentre i tremiti svanivano con la
stessa
rapidità con cui erano sorti e le membra si rilassavano,
concedendo
la serenità nell’ultima mezz’ora che
l’uomo passò
addormentato.
Lei
rimase a vegliarlo, senza muoversi di un passo, fino a quando non lo
vide aprire gli occhi e fissarli nei suoi. «Quello
è il volto di
chi ha fatto una notte da sentinella. Non ce n’era
bisogno.»
«Non
avrei mai potuto dormire dopo averti visto ridotto in quel modo.
Spero che tu stia meglio.»
Lui
si mise a sedere, quindi le rivolse un sorriso. «Di certo il
calore
di questa casa ha aiutato.»
La
giovane rimase in silenzio per qualche istante.
«Prima… prima hai
pianto, e gridato. Sembravi davvero solo, in quel brutto sogno da cui
non riuscivi a svegliarti», rivelò infine,
fissandolo attentamente
e con un’ombra di tensione negli occhi.
Lo
sguardo che l’uomo le rivolse, da stupito che era, divenne
immediatamente triste. «Ti
devo aver fatto preoccupare…»
«No,
non farlo: non chiedere perdono per i tuoi incubi.
Loro,
quando arrivano, non lo fanno mai», fu la risposta.
«Mi dispiace
che tu abbia sofferto così tanto da avere simili
visioni.»
Fece
per voltare il capo, la voce che non riusciva a farsi strada; ma lui
le intrappolò lo sguardo nel suo, scendendo così
a fondo che la
ragazza lo sentì fin nell’anima. Cercava qualcosa,
dentro di lei:
e allora, tutto quello che aveva – che era – glielo
mostrò,
attendendo in silenzio davanti a quell’abituale barriera che
dopo
aver vacillato per alcuni istanti, riprese rapidamente il controllo
lasciandola fuori.
Parlami;
dimmi qualunque cosa… voglio solo aiutare, se posso; ma se
non
posso, come potrò mai saperlo?
Parlami:
io sono qui.
Silenzio;
e con la forza di un’implorazione o una promessa, un limite
si
ruppe. «La mia lingua molte volte non si sa frenare,
è vero; ma
allo stesso tempo riesce a capire quando è il momento di
rimanere
immobile, e permettermi di ascoltare. So comprendere, so vedere; e
sappi che non ho intenzione di indietreggiare davanti a quelle ombre
che ti seguono sempre.»
L’altro
non replicò, quindi lei sospirò. «Tu
sapevi che, chiunque
sia,
sarebbe venuto a trovarti nei tuoi sogni. È così,
vero? Rispondi
solo a questo. Per favore.»
«No:
perché non viene, ma rimane.
Nel sonno è semplicemente più vivido... vicino; e
fa più male –
seppur di poco.»
La
mora annuì; e una volta ancora si ritrasse, percependo
dall’altra
parte una verità che non era ancora pronta a svelarsi. «Ti
ringrazio», sussurrò con dolcezza, «l’ultima
cosa che voglio è ferirti fino a rompere le tue difese.»
Lo
sussurrò piano; perché da tempo sapeva che le
cose importanti non
venivano mai urlate, spesso nemmeno si spargevano nell’aria
poiché
erano fatte di concretezza, d’azione. Per questo, con la
spontaneità che chi la circondava ben conosceva, gli
riservò
l’abbraccio più grande che il suo corpo potesse
donare.
«Quando
senti la necessità di chiudere gli occhi e fermare il mondo,
ma temi
ciò che questo comporta, ricordati che puoi sempre venire
qui. Te
l’ho detto, una presenza in più farebbe bene a
queste stanze… e,
credimi, so bene quanto molte cose facciano meno paura se qualcuno
è
con noi.»
Quando
alla fine l’eroe lasciò la casa, non fu certa che
tutto quello che
era accaduto avrebbe portato a un seguito – qualunque fosse
stato;
ma qualche mattino dopo, nel trovare un piccolo dono sulla finestra,
non poté fare a meno di chiedere se davvero quel muro che
proteggeva
la parte più fragile dell’uomo non avesse iniziato
a presentare
qualche crepa.
“Vai
al parco, la fioritura è stupenda.
Tuttavia,
questi sono solo per te: i primi, i più forti.
È
un dono semplice;
ma
siccome apprezzi anche le piccole cose, so che sorriderai vedendoli.
Riesco
già a immaginarti, senza difficoltà.
Grazie.”
Delicatamente,
si portò il piccolo mazzo di anemoni [2] alla bocca e rimase
a
fissare la linea dell’orizzonte, e le foreste che spargevano
il
loro profumo sulla città, come una benedizione.
La
Speranza arriva sempre dopo la tristezza.
Settembre
fuggì via in un battito, privando le foglie della propria
veste
smeraldina e dipingendole dei colori del tramonto; giunse ottobre, e
con esso i sospiri di un precoce inverno.
Nell’osservare
insieme il crepuscolo o lo spettacolo arboreo che li circondava, la
ragazza cercò spesso una protezione dal freddo sotto l’impermeabile
dell’eroe; e venne sempre accolta, anche quando al suo collo
apparve un’enorme sciarpa e i tremiti di freddo diminuirono.
Sarebbe stato solo il primo dei tanti rituali che avrebbero scandito
i loro momenti; così, anche nei rari giorni in cui
l’ultimo calore
dell’estate si mostrò, lei non rinunciò
a rannicchiarsi contro il
fianco del classe S, sotto la sicurezza della sua veglia.
I
ricordi di quei pomeriggi ritornavano poi a mostrarsi durante la
notte, e più di una volta lei si svegliò nel
cuore del buio con la
sensazione della sua presenza e del calore che le trasmetteva
impressa sulla pelle; in quelle occasioni il letto minuscolo
diventava fin troppo grande, mentre una leggera, sconosciuta
malinconia cullava i suoi pensieri fino a quando le stelle non
venivano spente dalla pioggia e dai suoi infiniti riflessi, forse gli
stessi che raggiungevano anche lui.
Quando
fu il mese di novembre, le piogge giunsero di nuovo sulla
città: e
l’eroe
guardava l’ombrello
azzurro della ragazza stagliarsi contro il cielo, portando una nota
di colore e allegria sui sentieri oscurati dalle nubi; la voce
squillante e il guizzo della sciarpa divenuta ormai inseparabile,
rossa come tutto ciò che lei indossava, lo guidavano sui
ponti del
parco e gli rendevano impossibile curarsi del grigiore del cielo. Il
legno reso umido dalla pioggia trasformava ogni passo in una
possibile, pericolosa caduta; ma Umiko, completamente dimentica di
tale rischio, improvvisava una danza tutta sua, in una sorta di inno
alla gioia che liberava tutta la sua spontaneità.
Il
profumo del mare era come un abbraccio che avvolgeva l’intera
città e rivelava da dove avessero avuto origine gli ultimi
temporali; e agli occhi dell’eroe
questo era un altro motivo per pensare che i gesti della ragazza
appartenessero a una dimensione distinta, che riguardava unicamente
lei e le onde che portava nel nome [3]. Nonostante ciò, la
ragazza
non temeva di mostrare quella sua parte di mondo anche agli altri
–
ed era questa la sua grande forza: non aveva paura di ciò
che era.
Venne
il tempo di dicembre, del gelido gennaio: e il freddo bruciò
le mani
della giovane senza alcun riguardo, si impresse sulla pelle e
trasformò le cicatrici da ombre rossastre a sentieri d’inchiostro.
Ogni mattino lei sfilava i guanti che indossava anche in casa per
proteggerle e le fissava, le toccava; e per quanto non potesse
odiarle, ormai divenute così parte di sé stessa
da non riuscire più
a immaginarsi senza di esse, la vista di quelle ragnatele nere la
turbava un poco.
La
gente le teme. Per quanto siano una memoria, preferisce non vederle,
e a volte è impossibile non notare come gli sguardi si
ritraggano o
evitino di guardare anche il mio viso. Forse…
forse dovrei tenerle solo per me, se turbano così tanto?
«Sei
stranamente silenziosa.»
A
volte quei pensieri la prendevano per tutto il giorno; e per quanto
ci provasse, non riusciva a tenerli celati allo sguardo rubino che
osservava molto più di quanto sembrasse –
così come sapeva che
l’eroe avrebbe vagliato bene ciò che avrebbe detto
per sviare
l’argomento. «Scusami… è
stata solo una fitta di dolore. Il
freddo ha scottato la pelle e a volte questa si
lamenta,
diciamo.»
Quando,
quel normale pomeriggio, pronunciò quella parziale
verità che
tuttavia si scontrava con la più complessa
realtà, il classe S le
tese le mani. Dopo un istante di titubanza, lei gli porse le sue, non
riuscendo a non sussultare quando lui le sfilò i guanti.
«Non le
guardare», mormorò immediatamente, «sono
diventate orribili. Per
quanto le tenga coperte e curate, finché non
ritornerà la bella
stagione rimarranno così.»
«Non
saranno mai orribili,
dentro di te lo sai bene… ma se solo lo sapessero anche gli
altri
sarebbe meglio, vero?»
Lei
rimase in silenzio, le dita leggermente contratte, che tuttavia
rilassò appena lui gliele strinse con delicatezza. «Una
volta una ragazza mi ha detto che non ci si deve mai scusare per i
propri incubi», le sussurrò, «e ora ti
rispondo che non lo si deve
fare nemmeno per ciò il nostro passato ci da. In questo caso
è
stato anche il coraggio a lasciare il suo segno: mi hai raccontato di
come ti sei procurata queste cicatrici perché non hai voluto
lasciare il corpo di Tomomi, ma è stata la
tua unica
ferita perché lui ti ha protetto.
Ritorna
a mostrarle con orgoglio, quando saranno guarite: ciò che
significano non merita di restare nascosto.»
E
come lei stessa aveva fatto tempo prima, con uguale forza l’uomo
l’abbracciò
fino a toccarle l’anima;
e in quel momento la ragazza seppe, una volta di più, di
aver
trovato in lui qualcuno con cui poter crescere ancora.
La
primavera non si fece attendere ancora per molto, né la
calda
estate: e come l’uomo
insegnava a lei le strade tra le stelle, la mora conduceva lui sulle
spiagge della Città J. Le memorie più profonde di
uno e dell’altra
trovarono la via per liberarsi: così che il primo apprese
dei giochi
e dei sogni che si erano intrecciati tra le onde, in un’altra
vita, e la seconda pianse davanti a tutto ciò che l’eroe
le rivelò, nello sguardo di una mezzanotte intessuta di
empatia.
«Tu
non sarai mai un mostro», mormorò la voce della
ragazza in quelle
ore, il mormorio del mare, la dolcezza della sua anima;
«Ma
solo nei tuoi occhi ho trovato questa certezza», rispose lui,
l’eco
della pioggia, il coraggio di chi è forte ma conosce anche
la
delicatezza della sensibilità, il dono della sofferenza.
Lo
so, proteggerò sempre la tua voce,
e tutto ciò che illumina.
Lo
so, amerò ogni tua ombra, come qualunque parte di te.
Sotto
il frammento di cielo che fissava solo loro, nessuna promessa fu
più
grande e capace di realizzare ciò che fino allora era
rimasto
segreto; ma solo quando la ragazza si sporse verso l’uomo
e intrecciò le braccia intorno al suo collo, mescolando i
reciproci
respiri, divenne qualcosa in cui ognuno avrebbe potuto credere.
«C’è
ancora così tanto che dobbiamo imparare l’uno
dall’altra,
il nostro viaggio è appena cominciato; ma non dubitare mai
di me,
che sono giunta qui per restare. Sono e sarò sempre con
te»,
sussurrò; e nessuno dei due avrebbe mai saputo dire chi
baciò per
primo l’altro,
quando
già la notte degli incontri e dei desideri [4] finiva, ed
era un
giorno nuovo.
Lo
sai? Noi siamo creature della luce.
Lei
ci guida, ci cerca, ci tende la sua mano anche quando siamo nelle
tenebre da così tanto tempo da essere divenuti ciechi;
ci
attende, non esita mai a mostrarsi anche se solo per un istante.
Una
sua stilla palpita in noi, ci permette di riconoscerla all’esterno;
e poi tocca a noi trovare la grazia per seguirla.
Per
non dimenticare.
Per
perdonare.
Siamo
nati per sorridere, per perderci nel cielo, per ascoltare.
Per
non rimanere soli.
NOTE
[1]
Questa parte iniziale non è stata ideata completamente da
me, ma
ispirata da alcune fan art trovate su Pinterest.
[2]
Ho scelto l’anemone giapponese non solo perché
è un fiore
autunnale, ma anche in virtù di alcuni dei suoi significati:
in
questo caso, il
vero me/sincerità.
Ho trovato quanto mai appropriato che, dopo aver mostrato a Umiko i
suoi incubi – involontariamente – e averle
rivelato, anche se
solo per un istante e molto vagamente, ciò che lo opprime,
Zombieman
regalasse questo fiore alla ragazza: come a indicare che da quel
momento, con i suoi tempi e modi, si aprirà sempre di
più, fino a
mostrarle l’altro lato del vero
me.
Lei
è una degna destinataria di questo dono e ciò che
sottintende,
perché è pronta ad affrontare i demoni
dell’eroe con tutta la sua
dolcezza, e al suo fianco.
[3]
Umiko significa “bambina/figlia del mare.”
[4]
Piccolo riferimento a Tanabata: festa che viene celebrata il 7
luglio, la quale ricorda la leggenda di Orihime e Hikoboshi
(identificati nelle stelle Vega, della costellazione della Lira, e
Altair, dell’Aquila:
le due stelle più brillanti del Triangolo Estivo, composto
con
Deneb, del Cigno), i due amanti separati ai lati opposti della Via
Lattea e destinati a ricongiungersi solo per una notte all’anno.
Tra
le usanze di questa festa c’è
quella dei tanzaku:
strisce di carta su cui vengono scritti i propri desideri.
ANGOLO
di MANTO
E
siamo giunti alla fine.
Care
Emy e
Angie,
voi due ormai siete le mie muse per quanto riguarda questo fandom, e
non so più come ringraziarvi **
Il
titolo della storia riprende l’omonima
canzone di Elisa, mentre quelli dei capitoli sono frasi riprese e
riadattate rispettivamente da Demons
degli
Imagine Dragons, Elegy
dei Globus e Hoshi
yori Saki ni Mitsukete Ageru
(I’ll Find You Sooner Than the Stars) di Hiroko Moriguchi
(l’ending
theme dell’anime).
Quest’ultima
shot è dedicata a Ori_Hime,
che di fluff non ne ha mai abbastanza **
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