L'Amore Profuma Di Fiori Di Ciliegio

di SarahDLawn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. (Parte Prima) ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1. (Parte Seconda) ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2. (Parte Prima) ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


PROLOGO.


Si avvisano i signori passeggeri che siamo appena atterrati a Tokyo, sono le 19.30 e la temperatura esterna è di 21°C. 

Vi ringraziamo per aver viaggiato con noi”


«Tesoro, svegliati, siamo arrivati» disse una voce accanto a me. A fatica aprii gli occhi e vidi mia madre che mi sorrideva.

Mi alzai dal sedile e seguii lei e mio padre giù dall’aereo. Avevamo fatto più di 12 ore di volo e gli effetti del jet lag avevano già iniziato a farsi sentire.

Uscita dall’aeroporto, mi guardai attorno. Questa città sarebbe stata la nostra casa, d’ora in avanti. I miei genitori, infatti, avevano deciso di aprire una catena di alberghi in Giappone, lasciando quelli in America in mano ai miei fratelli maggiori. Andare con loro era stata una mia scelta: la vita americana non faceva per me.

«Maggie, il taxi è arrivato» la voce di mia madre mi distolse dai miei pensieri.

«Insomma mamma, quante volte ti devo dire che quel nomignolo non mi piace?» le dissi, mentre mi sedevo accanto a lei.

«Suvvia, è sempre più bello di quello intero».

 Il mio nome vero era Megara Scarlett ed era stato scelto da mio padre, mentre i nomi dei miei fratelli erano stati scelti da mia madre. Nonostante questa specie di accordo, a lei il mio nome non era mai piaciuto.

«A me piace» risposi, prima che l’auto si fermasse davanti a una casa enorme. 

Alzai un sopracciglio «Era proprio necessario prenderla così grande?».

«Beh sì, almeno avremo i nostri spazi» mi disse mio padre mentre scaricava le valigie.

«Guarda che siamo in tre, non in sei come in America».

Mio padre non rispose, si limitò semplicemente a fare un sorriso condiscendente.


Una volta entrata presi i miei bagagli e mi diressi al terzo e ultimo piano, che era la mia stanza. Avevo un intero piano a mia disposizione, questo mi aveva comunicato mia madre sprizzando allegria da tutti i pori. 

Sistemai velocemente la mia roba, perché volevo subito mettermi a letto a dormire. Il giorno dopo iniziava la scuola e volevo essere riposata. In Giappone, diversamente dagli stati occidentali, le scuole iniziano ad aprile e hanno anche regole più severe e rigide.


Nonostante ciò, mi sentivo fremere dalla voglia di iniziare.




Angolo autrice:
Salve a tutti,
Questa è la prima storia originale che decido di pubblicare sia qui sia su un altro sito (di cui non se sono autorizzata a nominare), perciò mi sento piuttosto nervosa a riguardo. I primi due capitoli sono già scritti e li pubblicherò entrambi divisi in due parti. La prima parte del primo credo di metterla in giornata o al massimo domani, perciò mi "risentirete" presto. 
Detto questo, fatemi sapere se il prologo stuzzica la vostra curiosità.

A presto,
Sarah D. Lawn

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. (Parte Prima) ***


CAPITOLO 1. (Parte Prima)

 

 

 

 

La mattina seguente, quando suonò la sveglia, mi girai dall’altra parte mettendo la testa sotto il cuscino. Volevo tornare a dormire, ma quel maledetto aggeggio infernale suonava sempre più forte, così presa da un raptus rabbioso la lanciai contro il muro.

 

«Merda!» esclamai, quando realizzai cosa avevo appena fatto.
 

Guardai che ore erano e imprecai di nuovo. Ero in ritardo. Che novità.
 

Scesi di corsa le tre rampe di scale, per dirigermi in cucina a fare colazione. Non sapendo dove fosse, seguii semplicemente il profumo di brioches appena sfornate.
 

«Buongiorno Maggie» mi disse mia madre, appena mi vide entrare.
 

Alzai gli occhi al cielo, mentre addentavo un croissant alla marmellata. Mangiai talmente in fretta, che se non fosse stato per il succo d’arancia probabilmente sarei morta soffocata. 
 

Sempre di corsa, salii di nuovo in camera e mi fiondai in bagno a lavarmi. Non potevo arrivare tardi proprio oggi, c’era anche la cerimonia d’apertura.

Uscita dal bagno, presi al volo la divisa scolastica e la indossai. Era carina: gonna verde chiaro, camicetta bianca e fiocco dello stesso colore della gonna. Prima di prendere la cartella mi legai i capelli ramati in una coda alta.
 

Quando scesi nell’ingresso, pronta ad uscire, trovai mio padre che mi aspettava.
 

«Solo stamattina che è il tuo primo giorno, ti accompagno io con la macchina».
 

«Non potevi dirmelo prima?».
 

Lui non mi rispose, limitandosi a una leggera alzata di spalle. Così, dopo aver salutato mia madre, uscimmo entrambi di casa.

 

 

 

 

Quando mi ritrovai davanti alla scritta “Scuola Superiore Shonan” iniziai a sentire un po’ d’ansia. Non avevo idea di cosa aspettarmi.
 

«Andrà tutto bene, Meg» disse mio padre, distogliendomi dai miei pensieri.
 

Io annuii semplicemente e aprii la portiera «Ciao papà».
 

«Meg, aspetta un secondo…» mi voltai leggermente «Ti sta bene la divisa, ti mette in risalto gli occhi verdi».
 

Uscii di fretta dalla macchina, per non fargli vedere che ero arrossita. Non mi piacevano i complimenti. 
 

Oltrepassai il cancello a passo spedito, sentendo la risata di mio padre che si allontanava. Si divertiva con poco. Mi diressi verso la palestra, dove si sarebbe tenuta la cerimonia d’apertura e presi posto.
 

Il preside della scuola fece il tipico discorso in cui augurava un felice anno scolastico a tutti, di cui ascoltai una frase ogni tanto. 
 

«E ora lascio la parola al miglior studente dell’istituto: Akahiro Yamazaki». 
 

Al sentir nominare quel nome, un boato di urla femminili si sollevò nella palestra facendomi sobbalzare dallo spavento. Mi voltai verso il palco e vidi uno ragazzo prendere posto davanti al microfono. Sì, era un bellissimo ragazzo: capelli scuri lunghi, legati in una coda alta, con qualche capello libero, lasciato cadere ai lati del viso e leggermente sugli occhi, che erano tendenti all’ambra; anche il fisico non era niente male, alto e all’apparenza sportivo. 
 

Nonostante ciò non mi diceva nulla. Di bei ragazzi era pieno il mondo in fin dei conti. Del suo discorso non seguii nulla, la sua voce profonda mi aveva distratta e non riuscivo a rimanere concentrata su quello che diceva.

 

 

 

 

Finita la cerimonia d’apertura, mi diressi verso la mia classe. Ero nella prima sezione del secondo anno e la cosa mi metteva un po’ a disagio. Nonostante ogni anno le classi venissero rifatte, la maggior parte degli studenti si conosceva già, perciò non sarebbe stato facile integrarmi. Se si considerava anche il mio carattere freddo, la situazione non poteva di certo migliorare.
 

Come se non bastasse, feci un po’ di fatica a trovare la mia aula ed arrivai dopo l’inizio della prima lezione. Appena aprii la porta, tutti si voltarono a guardarmi. Ottimo inizio, davvero.
 

«Tu dovresti essere la studentessa nuova arrivata dall’America» disse la professoressa con un sorriso cordiale.
 

Io annuii semplicemente «Bene, allora avvicinati e presentati pure alla classe».
 

Feci come mi aveva detto e mi voltai verso i miei compagni, che mi stavano ancora fissando «Piacere di conoscervi mi chiamo Megara Scarlett, mi sono appena trasferita da Los Angeles insieme ai miei genitori, spero di poter passare un felice anno scolastico insieme a voi». Conclusi tutto con un inchino. Era costume per i giapponesi farlo, no?
 

«Parli molto bene giapponese» mi disse la professoressa.
 

«Mio nonno materno lo era, perciò fin da quando ero piccola, me lo ha insegnato».
 

«Bene, ora accomodati pure a quel banco vicino alla finestra, accanto a Katsumi». Non avevo la minima idea di chi fosse questo Katsumi ma dato che c’era solamente un banco libero, mi diressi lì senza dire nulla.

«Hai visto che carina? Ha le lentiggini».
 

«Sì, ma sembra così fredda e inespressiva».
 

Sentii questi bisbigli mentre mi accomodavo al mio posto, ma non ci diedi peso. Non erano una novità.

 

 

 

 

«Ehi tu» mi disse il ragazzo seduto vicino a me, quando terminò la lezione. Si chiamava Katsumi, se non ricordavo male.
 

«Mi chiamo Megara, non tu» risposi voltandomi a guardarlo«Comunque, che c’è?».
 

«Possiamo fare cambio di posto? Voglio stare io vicino alla finestra».
 

Alzai un sopracciglio «No».
 

«Come?».
 

«Mi è stato assegnato questo posto, non ho intenzione di cambiarlo» continuai freddamente.
 

«Ma io voglio stare vicino alla finestra».
 

«E’ un problema tuo, Katsumi…» spostai lo sguardo sul suo quaderno «Yamazaki».
 

Feci una pausa «Yamazaki? Come il tizio che ha fatto il discorso d’apertura».
 

«Sì, è mio fratello maggiore» rispose voltandosi dall’altra parte, indispettito a causa del posto «E non sarà felice di sapere che gli hai dato del “tizio”».
 

Avrei voluto chiedergli cosa intendesse dire, ma venni interrotta dall’arrivo del professore della seconda ora.
 

Quando arrivò l’ora di pranzo, uscii dalla classe con in mano il mio bento. Me lo aveva preparato mia madre stamattina, tutta esaltata perché voleva che mangiassi il tipico pranzetto da liceale giapponese. A volte non capivo come potessi essere sua figlia, se ero il suo esatto opposto.
 

Mi sedetti su una panchina, sotto un albero di ciliegio in fiore. Questa era la mia stagione preferita.
 

Mangiai tranquillamente il mio pranzo, sentendo una leggera brezza primaverile solleticarmi la base del collo. Sorrisi leggermente, quando mi alzai pronta a rientrare nell’edificio. Però, mentre mi avviavo verso l’ingresso, sentii un boato simile a quello che c’era stato alla cerimonia d’apertura. Mi voltai per vedere cosa stesse succedendo e vidi un gruppo di sei ragazzi camminare nella mia stessa direzione, tra i quali riconobbi Katsumi e suo fratello maggiore, il “tizio”: aveva un’aria meno composta rispetto alla mattina, la cravatta era allentata e aveva slacciato i primi bottoni della camicia scolastica.
 

Quando Katsumi m’indicò con il dito, bisbigliando qualcosa al fratello, mi voltai di scatto entrando nella scuola. Volevo prendere una bottiglietta d’acqua alle macchinette, così mi diressi al piano superiore. Man mano che camminavo per il corridoio, acceleravo sempre di più il passo, colta da un’improvvisa ansia. Capii la ragione quando, una volta giunta davanti alla macchinetta, sentii le voci di Katsumi e del suo gruppo che si avvicinavano. Cercai di prendere l’acqua in fretta, così da allontanarmi velocemente da lì, ma nel farlo la moneta di resto mi scivolò dalle mani e cadde a terra.
 

Merda, merda, merda” pensai, resistendo all’impulso di tirare testate alla macchinetta. Quando feci per chinarmi a raccoglierla, vidi che qualcun altro mi aveva anticipato. Mi voltai e incontrai due pozze d’ambra.
 

«E così io sarei “il tizio che ha fatto il discorso di apertura”» mi disse con quella sua voce profonda.
 

«Qualche problema a riguardo?» risposi con il mio solito tono freddo. Fortunatamente mi era tornata la calma.
 

«Per stavolta lascerò correre, ma la prossima volta non accetterò che mi si manchi di rispetto in questo modo».
 

«Chi ti credi di essere per usare un tono tanto superiore?» sentii gli altri membri del gruppo trattenere il fiato alla mia affermazione.
 

«Akahiro Yamazaki, presidente del consiglio studentesco, ergo capo di questa scuola» il suo tono si fece duro.
 

«Fino a prova contraria il capo di questa scuola è il preside» dissi per niente intimorita dal suo atteggiamento.
 

«Non costringermi a prendere provvedimenti» anche i suoi occhi si fecero più duri.
 

«Fai pure quello che vuoi, ma lascia che ti riveli una cosa» continuai, prendendo la mia moneta dalle sue mani «la tua autorità è flebile, alimentata da non so quale bisogno puerile di supremazia sugli altri, non è convincente».
 

Detto questo lo sorpassai e mi diressi verso la mia classe con il cuore in gola. Mi ero cacciata in un bel casino. Perché non me ne stavo zitta ogni tanto?

 

 

 

 

Entrata in classe, tutti i miei compagni mi stavano fissando e bisbigliavano tra di loro. Sembrava che la notizia del mio piccolo alterco con Akahiro si fosse già diffusa. Di male in peggio proprio.
 

Appena mi sedetti al mio banco, arrivò in classe anche Katsumi che si sedette furioso accanto a me. La mia intenzione era di ignorarlo, perciò non mi girai a guardarlo, continuando a fissare insistentemente fuori dalla finestra. 
 

«Lo sai che hai sbagliato, vero?» mi chiese, dopo qualche minuto che mi fissava.
 

Mi voltai verso di lui con sguardo truce «Scusami?».
 

«Sì, non avresti dovuto dirgli quelle parole, mettendo in discussione la sua autorità in quel modo. Non sai nulla di questa scuola in fin dei conti».
 

«Non l’avrei fatto se non avesse tenuto quell’atteggiamento nei miei confronti, prendendosela solo perché avevo “osato” dargli del tizio».
 

«Non devi mancargli di rispetto» continuò Katsumi con tono perentorio.
 

«Non devo?» risi ironica «Io sono libera di fare quello che voglio e inoltre lui non ha fatto nulla per guadarsi il mio rispetto».
 

«Sei terribilmente cocciuta, se continui così, te ne pentirai».
 

«Sto tremando, guarda» conclusi sarcastica, quando entrò il professore per la lezione.
 

In quel momento Katsumi alzò la mano «Hai qualcosa da dire Yamazaki?».
 

«Sì, volevo comunicare che Megara si è offerta di pulire la classe tutta settimana, come favore verso i suoi compagni di classe».
 

«Che cosa hai detto?» bisbigliai a denti stretti, ma nessuno mi sentì per le urla di giubilo dei miei compagni.
 

Katsumi si voltò verso di me con un sorriso compiaciuto. Maledetto lui e suo fratello. Di risposta, gli sorrisi fintamente innocente e con il pennarello gli scrissi “Stupido imbecille” sulla copertina del quaderno. Ero davvero scesa ad un livello infantile.
 

Al suono dell’ultima campanella, tutti uscirono dalla classe. Tutti, eccetto me ovviamente. Prima di andarsene, Katsumi rovesciò tutto il gesso per terra «Oops, non l’ho fatto apposta» disse, uscendo dalla classe ridendo.
 

«Sì, come no» commentai, mentre prendevo il necessario per pulire. Mentre stavo finendo di sistemare la lavagna, una voce profonda mi fece sobbalzare «Tutta sola a pulire la classe?».
 

«Un gentile omaggio di tuo fratello Katsumi».
 

«Vedo che il suo nome te lo ricordi» continuò lui freddo.
 

«Ancora con questa storia, Akahiro?» risposi, marcando apposta sul suo nome alla fine. 
 

Lui rise leggermente «Non capisco perché sei così scontrosa».
 

«Non capisco perché sei così impertinente» ribattei, indietreggiando leggermente. Lui si stava avvicinando e la cosa non mi piaceva per niente. Mi fermai quando mi ritrovai contro la finestra. Davvero intelligente da parte tua Megara, davvero intelligente.
 

Lui si fermò a pochi centimetri di distanza, con un sorriso compiaciuto «E ora, qual è la tua prossima mossa?».
 

«E’ tutto un gioco per te?» chiesi, cercando di mantenere la mia solita calma.
 

«Sì, finirà solo quando riuscirò a far cadere la tua maschera di freddezza».
 

Lui si avvicinò ancora di più, così colsi quel momento per pestargli il piede con tutta la mia forza. Akahiro si allontanò sorpreso, così ne approfittai per sfuggire dalla sua morsa e correre fuori dall’aula.
 

Senza fermarmi uscii dalla scuola con il cuore in gola, senza mai voltarmi indietro.

 

 

 

 

 

 


Angolo autrice:

Salve a tutti di nuovo,

Come promesso, ecco la prima parte del primo capitolo. Iniziamo già ad entrare nel vivo della storia con il primo incontro/scontro tra Megara e Akahiro. Ovviamente, il primo di tanti.

Non so se avete presente i manga shojo, ma mi sono ispirata a quel genere per la scrittura di questa storia, perciò spero vi possa piacere. Non vi anticipo nulla su quello che succederà nella seconda parte. Dovrete leggerlo per scoprirlo.

Detto ciò, fatemi sapere che ne pensate, ora che c'è più carne al fuoco rispetto al prologo (come è ovvio che sia).


A presto,

Sarah D. Lawn





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Capitolo 3
*** Capitolo 1. (Parte Seconda) ***


CAPITOLO 1. (Parte Seconda)

 

 

 

 

Il giorno seguente mi svegliai con il proposito di non farmi trovare da Akahiro. Ero sicura che mi avrebbe cercata dopo quello che era successo alla fine delle lezioni, però non avevo alcuna intenzione di vederlo. Avrei di sicuro peggiorato la situazione.


I problemi per la riuscita del mio piano erano due: il tragitto dal cancello della scuola alla mia aula, in cui avrei potuto incontrarlo e Katsumi, mio adorabile compagno di banco, nonché fratello di Akahiro. 


Quando attraversai il cancello, feci un respiro profondo. Speravo davvero che la fortuna fosse dalla mia parte almeno oggi.


«Eccoti finalmente» No eh?


Senza pensarci due volte accelerai il passo verso l’entrata dell’edificio, fingendo di non aver sentito. Ovviamente non pensavo di sfuggirgli così facilmente, perciò quando me lo ritrovai di fronte in un secondo, non ne fui sorpresa.


«Stavo parlando con te, ragazzina» mi disse perentorio, guardandomi negli occhi.


«Sono profondamente onorata di ricevere le tue attenzioni alle otto di mattina» risposi «ma non è che potresti, sai, andare ad importunare qualcun’altra?».


«E’ con te che voglio parlare».


«Io invece voglio un unicorno, ma non si può avere tutto nella vita».


«Assumi quest’atteggiamento dopo quello che mi hai fatto ieri?» continuò Akahiro, usando nuovamente il suo tono minaccioso. Possibile che non capisse che non faceva effetto? Non con me almeno.


«Sì e se non mi fai andare in classe, ti metto fuori uso anche l’altro piede».


Akahiro stava per ribattere, ma in quel momento suonò la campanella. Ero salva. Per il momento.


Senza indugiare oltre, mi diressi a passo spedito verso la mia aula. Appena entrata, il mio secondo peggiore incubo se ne stava seduto al suo posto. Appena mi vide, mi sorrise.


«Che hai da sorridere in modo così ebete, Katsumi?».


«Sempre simpatica, vedo».


«Io e il gene Yamazaki non siamo compatibili, tutto qui» terminai, sedendomi al mio banco.


«Oppure sei tu che non sei compatibile con il genere umano, visto che non ti ho ancora vista fare amicizia con nessuno da quando sei arrivata».


«E’ solo il secondo giorno, c’è tempo» risposi, voltandomi verso la finestra. La verità era che Katsumi non sbagliava. Una delle mie difficoltà è provare a relazionarmi con persone che non conosco, ma piuttosto che ammetterlo fingevo di stare bene per conto mio.


Venni distolta dai miei pensieri, quando il professore entrò in classe. Si prospettava un anno difficile. 

 

 

 

 

All’ora di pranzo, decisi di andare a mangiare sul tetto della scuola. Era un ottimo nascondiglio per il piano “non farti trovare da Akahiro”.


Dalla mia posizione riuscivo a vedere tutto il cortile e, sebbene fossi piuttosto lontana, scorsi i fratelli Yamazaki e compari seduti a un tavolo, circondati dal perenne stuolo di ragazzine starnazzanti. Seriamente, come facevano a non impazzire? Le sentivo urlare da quassù.


Mentre continuavo ad osservarli, vidi Katsumi alzare lo sguardo e guardarmi. Accidenti, non avevo considerato la possibilità che anche loro potessero vedermi. 


Persa com’ero a darmi della stupida, mi resi conto troppo tardi che Katsumi mi stesse indicando e che anche Akahiro si fosse voltato a guardarmi. Era proprio uguale al giorno prima: stessa scena, diverso scenario.


Quando vidi Akahiro iniziare a correre verso l’entrata dell’edificio, scattai anch’io verso la porta. Mi sembrava di essere tornata all’età di cinque anni, quando giocavo a guardie e ladri. Mentre scendevo dalle scale, più in fretta che potevo, sentii la porta inferiore aprirsi e la voce di Akahiro avvicinarsi. Maledizione, era davvero veloce.


In quel momento, mi sentii in trappola. Non avevo idea di cosa fare, finché non vidi la porta di quello che ipotizzai potesse essere uno sgabuzzino e mi ci fiondai dentro. Trattenni il fiato fino a quando non li sentii passare. Ci era mancato poco. Ora, il problema era quando uscire; l’unica soluzione era aspettare che tornassero indietro. Mi sentivo come in quei film thriller, in cui le protagoniste scappavano dall’assassino, solo che io non ero in pericolo di vita. Forse.


«Sul tetto non c’è» sentii dire da Akahiro «Come ha fatto a sparire così in fretta quella maledetta». Carino come sempre.


«L’ora di pranzo è quasi finita, sarà tornata in classe» continuò Katsumi «La troveremo di sicuro lì».


«Katsumi ha ragione, torniamo». Questa voce non la conoscevo, voleva dire che era venuto proprio tutto il gruppo a cercarmi. Che onore.


Quando sentii i passi allontanarsi, tirai un respiro di sollievo. Pessima mossa. Nell’aria doveva esserci un po’ di polvere e starnutii, senza che potessi fare niente per impedirlo. Capii di essere spacciata quando sentii i passi tornare indietro.


All’interno dello sgabuzzino non c’era un posto dove nascondermi, era già tanto se riuscivo a muovermi e tra l’altro non si vedeva nulla. Sospirai per l’ennesima volta prima di vedere la porta aprirsi all’improvviso.


«Trovata» disse Akahiro compiaciuto.


Alzai un sopracciglio «Certo che scegli delle cose strane di cui vantarti».


«Anche in questa situazione fai la spiritosa?».


«Una delle mie tante qualità» risposi con sorriso strafottente.


«Perché non mi chiedi scusa definitivamente, e la smetti con questo atteggiamento?».


«Mi lascerai in pace, poi?».


«Lo giuro».


Ponderai qualche secondo le sue parole «Va bene allora» dissi, guardandolo negli occhi «Mi dispiace Akahiro, provo davvero un profondo rammarico per le mie azioni deplorevoli».


«Fingerò di non aver colto il sarcasmo nella tua frase» commentò, chiudendo gli occhi come se stesse cercando di mantenere la calma. “Non ci capiamo caro, sono io quella che sta cercando di restare calma, per non fracassarti la faccia contro il muro”.


«Ottimo, allora con questo possiamo anche salutarci» conclusi, uscendo dallo sgabuzzino e sorpassandoli tutti. Non capivo che bisogno c’era di portarsi dietro tutta la combriccola. Arrivata alla fine delle scale, mi voltai un’ultima volta «A mai più rivederci, Akahiro». Non aspettai nemmeno la sua risposta e me ne andai, definitivamente.


Certo ancora non sapevo che non era affatto finita. Tutt’altro.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo Autrice:

Buonasera tutti, sono di nuovo qui. Siccome ho notato che la seconda parte del capitolo era relativamente breve, ho deciso di pubblicarla subito oggi, sebbene non abbia la minima idea se la storia vi stia piacendo o meno.

Anyway, settimana prossima ho intenzione di pubblicare la prima parte del secondo capitolo, sperando di ricevere qualche recensione in questi giorni. Perciò fatevi sentire!

 

A presto,

Sarah D. Lawn

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Capitolo 4
*** Capitolo 2. (Parte Prima) ***


CAPITOLO 2. (Parte Prima)

 

 

 

 

Erano già passate due settimane da quando avevo parlato l’ultima volta con Akahiro, e la mia vita era tornata alla normalità. C’erano comunque delle novità: a causa della nostra vicinanza forzata come compagni di banco, io e Katsumi eravamo diventati amici. Beh, più o meno.


«Senti Katsumi, capisco che per il tuo cervello da roditore sia difficile da capire, ma se la prossima volta che sbricioli le patatine sul mio banco, te le faccio leccare con la lingua» sbottai, mentre pulivo con un tovagliolo.


«Dio Meg, come sei intrattabile stamattina» disse Katsumi, con le braccia incrociate dietro alla testa «Hai le tue cose, per caso?».


«E’ quasi toccante che ti preoccupi di più del mio umore, che del fatto che ti ho dato del minorato mentale».


«Sono abituato ai commenti di mio fratello» rispose con una semplice alzata di spalle.


«Credo che la tua ignoranza sia l’unica cosa su cui io e Akahiro andremo mai d’accordo».


«Felice di essere utile». Alzai gli occhi al cielo quando fece il suo solito sorriso ebete, per poi voltarmi verso il professore che era appena entrato in aula. 

 

 

 

 

Un’altra novità era che mi ero fatta delle amiche. Erano addirittura tre e la cosa sconvolse non poco mio padre. In effetti, anch’io ero sorpresa, dato il mio carattere intrattabile, ma a quanto pare il mio perenne sguardo corrucciato non le aveva fermate.


«Il professor Takawa ci ha dato tantissime pagine da studiare per domani» disse una ragazza dai corti capelli neri e occhi nocciola: Mei Tanaka. Era l’unica delle mie amiche a essere in classe con me «Meg, non fare finta di nulla, è tutta colpa tua e di Katsumi che litigate sempre».


«Desolata» risposi, senza mai togliere l’attenzione dal mio panino.


In quel momento arrivarono altre due persone al nostro tavolo: Riko Kimura, una ragazza con i capelli castani, che teneva corti come quelli di Mei, e gli occhi verdi e Izumi Ogawa, una delle poche bionde della scuola che, a differenza delle altre due aveva i capelli lunghi fino a metà schiena, quasi come i miei che arrivavano fino alla fine, e gli occhi azzurri. 


«Ti vedo disperata, Mei» disse quest’ultima, sedendosi vicino a me. Mi trovavo bene con tutte, ma con lei mi sentivo più in sintonia.


«Takawa ci ha dato delle pagine in più da studiare» risposi, prima che Mei ricominciasse a lagnarsi come prima.


«Cento pagine in più, cento!».


Mei andò avanti per il resto del pranzo in questo modo, perciò a un certo punto avevamo deciso di ignorarla. Almeno Riko e Izumi erano fortunate da non doversela sorbire pure in classe. Anche se bisogna considerare che non era una classe facile nemmeno la loro, avendo come compagni due amici di Akahiro: Shintaro Mori e Ren Nishimura. Non li conoscevo, ma Mei mi aveva detto i nomi di tutto il gruppo. Oltre a Katsumi, Shintaro e Ren, ce n’erano altri due in classe con Akahiro: Yamato Hasegawa e Soichiro Harada.


Fui distolta dai miei pensieri, quando sentii le solite urla delle ragazze della scuola; il segnale che il gruppo in questione stava arrivando. Almeno quelle oche starnazzanti erano utili, mi permettevano di svignarmela prima che potessi essere vista.


Le mie amiche sapevano del mio alterco con Akahiro; anzi, diciamo che tutta la scuola ne era a conoscenza, anche se ultimamente aveva perso importanza, dato che non c’erano state più interazioni tra noi due. 
 

«Vai pure Meg, ti copriamo noi» mi disse Izumi, capendo le mie intenzioni.La ringraziai mentalmente e, senza farmi vedere, lasciai la mensa. Un altro motivo per cui andavo d’accordo con lei, Mei e Riko era perché loro facevano parte delle poche indifferenti ai sei “Principi”, come venivano chiamati. Che nome ridicolo, mi fa venire il voltastomaco” pensai mentre mi avviavo verso la mia classe. 

 

 

 

 

Alla fine di quella giornata, mi diressi al mio armadietto per cambiare le scarpe, prima di tornare a casa. Quando lo aprii, vidi che era pieno di insulti vari e minacce tipo: “crepa idiota” e “sta lontana da Akahiro o te la faremo pagare”. Questa era un’altra delle tante novità di questi giorni; a quanto pare, la nostra “vicinanza” temporanea non era piaciuta a molte.
 

«Qualcosa non va?» disse una voce, che conoscevo fin troppo bene e che era la causa della mia sventura.
 

Di riflesso, chiusi di scatto l’armadietto «Va tutto a meraviglia, Akahiro». Cercavo di non darlo a vedere, ma questa storia delle minacce iniziava a turbarmi parecchio.
 

«Sicura?» perché diavolo era così sospettoso?
 

«Sicurissima» risposi seria «Ora, se non ti dispiace, vado a casa».
 

Non feci nemmeno in tempo a girarmi, che mi sentii afferrare per il braccio «Che stai facendo? Lasciami» dissi, voltandomi di nuovo verso di lui.
 

«La tua mano è sporca di pennarello nero» la sua voce era calma, ma i suoi occhi erano sempre più sospettosi. “Merda, devo essermi sporcata, tirando fuori le scarpe dall’armadietto”.
 

«L’ho usato prima in classe» mentii nel modo più credibile possibile. Mi veniva sempre piuttosto bene farlo.
 

«Bugiarda» “come non detto” «Quando sei arrivata al tuo armadietto, le tue mani erano pulite».
 

«Mi pedini, per caso?».
 

«Non cambiare argomento e rispondimi». 
 

«Non capisco dove vuoi arrivare, a meno che…» in quel momento un pensiero si fece strada nella mia mente «A meno che tu non sappia esattamente cosa vuoi sentirmi dire» dissi, cogliendolo di sorpresa.
 

 Mi liberai dalla sua presa e mi diressi svelta al mio armadietto «E’ questo quello che volevi sapere?» chiesi dura, aprendo il mio armadietto. Da dove si trovava lui, le scritte dovevano vedersi piuttosto bene.
 

Nessuno parlò per qualche secondo, finché lui non fece un lungo sospiro «Immaginavo» fu l’unica cosa che disse.
 

«Non è la prima volta che succede quindi, non è così?» continuai, sentendo la rabbia salirmi lentamente.
 

Akahiro annuì «E’ la terza volta che succede, ma è la prima volta che me ne accorgo così tardi» disse, guardandomi negli occhi «il tuo atteggiamento non era cambiato, quindi pensavo andasse tutto bene, finché oggi non ho sentito delle ragazze parlarne sotto la rampa delle scale» fece un piccola pausa «Senti Megara, mi…».
 

«Non ti disturbare a scusarti, non me ne faccio niente del tuo dispiacere» lo interruppi, avvicinandomi finché non fui a pochi centimetri di distanza «Tutto questo, conferma ciò che ti dissi il primo giorno, riguardo a quanto poco vale la tua autorità, ricordi?».
 

Senza aspettare la sua risposta, lo superai e mi diressi verso l’uscita. Appena arrivata alla porta, mi fermai voltandomi leggermente «Piuttosto che preoccuparti della mia mancanza di rispetto nei tuoi confronti, avresti dovuto risolvere questo problema prima che si ripresentasse nuovamente» distolsi lo sguardo «Riflettici e comprendi quali sono le priorità».
 

Detto questo uscii definitivamente dall’edificio, senza più voltarmi indietro. Non avevo bisogno che mi rispondesse, il suo silenzio era più che sufficiente.

 

 

 

 

Quella sera avrei dovuto aiutare al ristorante dell’hotel dei miei genitori, nonostante il mio umore non fosse adatto per avere a che fare con i clienti.
 

Mentre mi mettevo la divisa da cameriera, ripensai alla conversazione che avevo avuto con Akahiro quel pomeriggio, anche se dire “conversazione” non era propriamente corretto. Comunque, mentre rimuginavo sulla questione, arrivai alla conclusione che per i prossimi giorni avrei dovuto cercare di entrare in contatto con lui il meno possibile, anzi evitarlo del tutto sarebbe stato meglio. Avrebbe calmato le acque in generale e avrebbe fatto stare me un po’ più tranquilla.
 

Ovviamente, però, non avevo considerato la mia percentuale di sfiga in tutto questo che probabilmente quella sera aveva raggiunto il 100%. Ci doveva essere qualche essere superiore che, per noia, si divertiva a incasinarmi la vita, perché non ero affatto pronta ad affrontare quello a cui mi trovai di fronte: dalla porta del ristorante era appena entrata una compagnia di ragazzi e ragazze, tra cui spiccavano Akahiro, Katsumi e tutti gli altri.
 

«Perché stai facendo quella faccia, cara?» mi chiese mia madre, quando mi rifugiai in cucina.
 

«Sono entrati dei ragazzi che frequentano la mia stessa scuola e non voglio averci nulla a che fare» risposi, corrugando la fronte «Non è che potrei servire i clienti dell’hotel, invece di quelli del ristorante?».
 

«No tesoro, non può farti che bene relazionarti con persone della tua età» fu la sua risposta. A quanto pareva l’essere superiore si stava servendo di mia madre per torturarmi, in questo momento. Fantastico.
 

«Va bene» dissi, sbuffando mentre mi avviavo di nuovo nella sala da pranzo «E quante volte te lo devo ripetere che non voglio essere chiamata “tesoro” o “cara”?».
 

Appena entrai nella sala, venni accolta da un forte vociare femminile e mi resi conto che le ragazze che si erano portati appresso facevano parte del gruppo di oche starnazzanti, che li seguiva sempre a scuola. Ogni minuto la mia situazione peggiorava e ancora nessuno di loro mi aveva vista.
 

Con forza e coraggio presi i menù e, cercando di assumere un’aria il più professionale possibile, mi diressi al loro tavolo. Mai come in quel momento ero grata di essere una persona inespressiva.
 

«Ecco i menù, ragazzi» dissi nel tono più affabile che ero in grado di produrre.
 

«Grazie» mi rispose Katsumi, voltandosi verso di me e appena si rese conto di chi aveva di fronte, sgranò gli occhi «Tu qui? Cioè, voglio dire, tu?».
 

«Noto che il tuo vocabolario non migliora nemmeno fuori dal contesto scolastico, vero Katsumi?».
 

Senza aspettare la risposta, mi voltai pronta ad andarmene, ma le parole di una delle oche al tavolo mi fermarono.
 

«Sei così sfacciata da esserti fatta assumere come cameriera qui, dato che è un posto che frequenta spesso Akahiro» disse con sguardo altezzoso «Non ti vergogni?».
 

Non risposi subito, perché stavo cercando di metabolizzare l’informazione che avevo appena ricevuto: Akahiro veniva spesso a mangiare qui. Beh, allora dovevo considerarmi davvero miracolata per la fortuna di non averlo beccato finora. Anche se, non capivo quanto poteva essere venuto di frequente qui se avevamo aperto da praticamente solo un mese.
 

«Allora? Non sai cosa rispondere?» m’incalzò sempre la stessa ragazza, distogliendomi dai miei pensieri.
 

«Oh scusa, stavo solo riflettendo su quanto potesse essere profonda la stupidità di una persona sola» risposi, tornando al mio solito tono sarcastico.
 

«Come osi?».
 

«Oso perché non sono di certo al vostro livello da arrivare a fare quello che hai appena detto» continuai, assumendo un sorrisetto ironico «E si dà il caso che questo posto sia di proprietà dei miei genitori, ma immagino fosse stato troppo difficile collegare “Scarlett Hotel&Restaurant” al mio cognome, vero?».
 

Nessuna delle oche fiatò. Le avevo colte alla sprovvista, lo vedevo dalla loro espressione e la cosa non mi rese che felice, così mi allontanai con un sorriso appena accennato sulla faccia.
 

Per il resto della serata, tutto filò liscio, sebbene ogni volta che dovevo portare un ordine al tavolo, calava un senso di gelo terribile, persino per me.

Ma la cosa più strana era che Akahiro non aveva spiccicato una parola per tutto il tempo, verso di me almeno e la cosa di certo non mi dava fastidio. Anzi.
 

Così, quando ormai il ristorante aveva chiuso e tutti i clienti se n’erano andati, pensai di essere finalmente libera e tranquilla. Sbagliato, ovviamente.
Quando entrai nel bar dell’hotel per sistemare alcune cose, con immensa gioia al bancone mi ritrovai entrambi i fratelli. Questa era la conferma che lassù dovevano annoiarsi davvero molto.
 

Come se non li avessi notati, andai dietro al bancone e iniziai a lavare i bicchieri che c’erano nel lavandino. Tentai con tutte le mie forze di resistere ai loro sguardi fissi su di me, ma per farlo stavo mettendo a rischio l’incolumità del bicchiere che tenevo in meno, così alla fine cedetti.
 

«Avete intenzione di stare qua a guardarmi ancora per molto?».
 

«Solo finché non ci degni della tua attenzione» mi rispose Katsumi, con un sorriso raggiante. Quel ragazzo lo faceva troppo spesso, ecco perché sembrava un tale ebete, oltre all’evidente stupidità ovviamente.
 

«Comunque non avevo idea che i tuoi genitori fossero proprietari di questo hotel» continuò.
 

«Chissà perché la cosa non mi sorprende» commentai con un falso sorriso.
 

«Io, al contrario, ne ero a conoscenza» intervenne Akahiro, dato che Katsumi si era imbronciato dopo il mio commento.
 

«E’ la prima volta che ti rivolgi a me stasera ed è già bastata per evidenziare il tuo essere una prima donna, Akahiro».
 

Notai il grande autocontrollo che utilizzò per non sopprimere suo fratello che se la rideva accanto a lui e cercai di non lasciarmi sfuggire un sorriso a mia volta.
 

«L’ho fatto per te» disse Akahiro «Il non rivolgerti la parola intendo». 
 

Iniziai a fissarlo senza battere le palpebre per qualche secondo, mentre cercavo di realizzare quello che aveva detto. Anche Katsumi si era zittito e stava guardando il fratello in modo interrogativo.
 

«Come scusa?» chiesi, appena riacquistai le mie facoltà mentali.
 

«Da quando ci siamo conosciuti, non importa cosa dicessi tu mi rispondevi in modo sarcastico o ironico, cosa che ha infastidito molte ragazze della scuola» rispose serio, mentre io iniziavo a capire a cosa si riferiva «E siccome non volevo che la tua situazione peggiorasse ulteriormente, ho cercato di stare in silenzio ogni volta che sei venuta al nostro tavolo».
 

«Vuoi che ti ringrazi?» domandai infastidita «Credi che abbia bisogno di aiuto?».
 

«Credo che anche per una persona interiormente forte come te, alla fine arrivi il momento del crollo».
 

Risi amaramente «Eh sì, perché tu mi conosci così bene da saperlo».
 

«Anche questa tua reazione ne è la prova».
 

Iniziai a fissarlo di nuovo, come se volessi prenderlo e strozzarlo sul posto.
 

«Mi sono perso qualcosa?» intervenne Katsumi.
 

«Megara è stata presa di mira dal solito gruppo di ragazze a scuole e io me ne sono accorto tardi» rispose Akahiro. Aveva davvero detto il “solito”, questo significava che avevo ragione riguardo a tutta questa storia.
 

«Che cosa? Meg, stai bene?».
 

«Sì, sto bene, non vedi? Ho ancora tutti gli arti attaccati al loro posto» commentai, leggermente divertita dalla sua reazione. Mi aveva un po’ ricordato i miei fratelli maggiori.
 

In quel momento, il telefono di Katsumi vibrò «Papà è arrivato, è qui fuori che ci aspetta».
 

«Va bene, avviati te intanto, io ti raggiungo subito».
 

Katsumi si limitò ad annuire e, dopo avermi fatto un cenno con la mano a mo’ di saluto, s’incamminò verso l’uscita. Appena fu uscito, Akahiro si voltò a guardarmi insistentemente.
 

Non avevo idea del perché ci fosse sempre questa gara di sguardi tra noi, ma in ogni caso iniziai a farlo anch’io, aspettando che parlasse.
 

«Ebbene?» chiesi dopo quasi un minuto di silenzio.
 

«Stai davvero bene?».
 

Ero tentata di alzare gli occhi al cielo, ma mi trattenni «Sì, davvero, come hai detto tu sono forte abbastanza da gestire questa situazione».
 

«Va bene, per ora ti credo» rispose, avviandosi anche lui verso la porta.
 

«Ah, Megara?».
 

«Che c’è ancora?».
 

«Mi dispiace davvero, per tutto» disse, con sguardo serio.
 

«Lo so, Akahiro, lo so».
 

Detto questo se ne andò, lasciandomi lì sola dietro al bancone a riflettere.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice:

Eccomi tornata. La storia si è fatta più intensa ed ho introdotto un tema che viene trattato spesso nei manga shojo, che è il bullismo, specialmente tra ragazze. Paradossalmente, questa situazione fa avvicinare di più Megara e Akahiro.

Fatemi sapere che ne pensate.

 

Ci vediamo alla seconda parte,

Sarah D. Lawn 


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