DOMINATORE di Steboh6 (/viewuser.php?uid=1017491)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ZERO - ALBA (1\2) ***
Capitolo 2: *** ZERO (2\2) ***
Capitolo 3: *** UNO - ARGENTO (1\2) ***
Capitolo 4: *** UNO (2\2) ***
Capitolo 5: *** DUE - STALLO (1\2) ***
Capitolo 6: *** DUE (2\2) ***
Capitolo 7: *** TRE - OMBRA (1\2) ***
Capitolo 8: *** TRE (2\2) ***
Capitolo 1 *** ZERO - ALBA (1\2) ***
Al centro della foresta il cervo reale continuò a riposare, gli scoiattoli a rincorrersi tra i rami spogli. Alzò la testa verso il cielo, soffermandosi a quei lunghi rami spogli che si intersecavano tra loro. Anche da lì assomigliavano ad un enorme ammasso di rovi, una fitta e pericolosa trappola mortale.
Un gufo dormiente. Il cinguettio di un passerotto a qualche metro di distanza. Tredici uccelli diversi nell'arco di dieci metri insieme ad una famiglia di lepri e al cinghiale vicino al ruscello.
Un aquila in picchiata era appena entrata nella zona sensoriale. Dov'è esattamente la preda, quanto è distante?
Il flusso della percezione venne disturbato dal dubbio. Non gli piaceva essere incapace di dare una risposta precisa.
Eccolo! Dietro a quel masso più grande. Il coniglio si è allontanato di poco dalla sua tana, dai suoi tre cuccioli. Ancora non sa che tornerà più.
Rimani qui fino a quando non lo avrà preso...
In solenne silenzio Kuro ammirò il maestoso animale sbucare tra due alberi.
Ne vedeva il fiero piumaggio percependone il vigore della sua energia vitale. Accortosi tardivamente del pericolo il coniglio provò inutilmente a fuggire. Lunghi artigli lo cinsero penetrando la morbida pelle sotto al pelo. Kuro riuscì a sentire l'odore del sangue disperdersi come una spora nell'aria. Un colpo di ali e l'aquila riprese quota.
Chi si parerà davanti a me non avrà la stessa sorte pensò il bambino. Farò rumore. Tanto rumore.
Un eco distante ruppe la tranquillità. Seccato interruppe di tronco il collegamento.
Riaprì gli occhi dinnanzi l'immenso orizzonte. Del sole era rimasto solamente uno spicchio rosso acceso mentre sulla pianura calavano le prime ombre.
Kuro sedeva sopra al più grosso masso posto sulla punta dell'altopiano. Il suo trono personale, salirci era sempre una sfida. Di principio il posto ideale per sorvegliare il pascolo nella collina, il suo lavoro, ma ben presto divenne il luogo perfetto per un divertimento solitario, unica via di fuga dal suo personale orrore chiamato Rura.
Da lì poteva ammirare una buona fetta della regione di Sationne; alla base del precipizio partiva la foresta di Yutanov dove il bambino faceva pratica con le sue doti e più un là la pianura, ormai inaridita con l'arrivo del freddo, casa delle grigie mura della città di Ottana.
Era riuscito ad allontanarsi di altri cinquanta metri migliorando anche la capacità di distinguere presenze, forme e colori ma la sensazione di benessere durò poco. Per quanto grande fosse il risultato ottenuto non era abbastanza per soddisfare i suoi desideri.
Con la brezza gelida che lo raggiunse e l'esile corpo che si ritrovava Kuro pensò bene di stringersi alla pelliccia coprendosi fino al naso. Aveva fame ma non lo avrebbe mai ammesso. Pur di non chiedere cibo ad un adulto preferì lasciare lo stomaco a sommessi lamenti.
- Kuro! -
Immobile abbassò lo sguardo verso Kettere. Il pastore si sbracciava per attirare la sua attenzione dal ripiano sottostante.
Le somiglianze tra lui e il padre erano notevoli. Ne aveva ereditato praticamente tutti i tratti somatici eccetto gli occhi. Un particolare su tutti il capello corvino. Questo aveva lo aveva portato spesso a chiedersi se mai avrebbe avuto ottenuto anche l'imponente statura.
Prima di alzarsi sistemò la pelliccia in modo che non scivolasse dalle spalle. Sapeva già il motivo della chiamata. Svogliato lo raggiunse lentamente nella collina circondato dal gregge di pecore che brucavano.
Le care, preziosissime pecore di Rura.
- Rimettile nel recinto. - gli venne ordinato.
Kettere lo fissava con severità ma Kuro non lo vide, di rado lo guardava negli occhi quando gli parlava. Da quando avevano iniziato a lavorare insieme il sempre gioviale Kettere pronto a raccontare storie ed aneddoti, colui che gli aveva insegnato come fare i nodi, tenere il gregge lontano dai pericoli e dissanguare una capra (l'unica parte per la quale Kuro aveva dimostrato interesse) non c'era più. Il tempo aveva trasformato le loro conversazioni a poche e veloci parole e tanti ordini. Quella era una delle poche reazioni ragionevoli che Kuro aveva visto in tutta la vita. Suo padre si era solamente arreso al suo disinteresse.
Il bambino liberò Flask, il loro cane da pascolo accompagnandolo dove le pecore più distanti stavano oziando. Lasciò scivolare la fune e il cane scattò in avanti abbaiando furiosamente. Non ci volle molto prima che la gran parte del gruppetto rientrò nel recinto e quando Flask convinse anche le ultime Kuro richiuse bloccando il cancello con un nodo perfetto.
- Molto bene. - affermò schiettamente Kettere fermo a monitorare. - è meglio muoversi ora. Sono affamato. -
L'uomo recuperò il suo bastone appoggiato ad una roccia e si diresse verso la salita. Non controllò che Kuro lo stesse seguendo sicuro che avrebbe iniziato a camminare quando la distanza tra loro sarebbe aumentata. Conscio di ciò Kuro ne approfittò per lanciare un occhiata carica d'odio alle bestiacce in gabbia. A detta del capo villaggio Sumurn erano considerate una risorsa indispensabile per la loro vita sul monte. Le carni sfamavano il popolo, le corna lavorate per costruire utensili o manici di coltelli, gli stomaci utili per costruire borse...ogni loro parte poteva essere usata. A Kuro ciò non interessava covando abbastanza odio per ciascuna di loro. Più del villaggio di Rura e di tutti i suoi abitanti. Più di suo padre.
Continuò a guardarle con ostilità fino a quando lo sfogo gli sembrò soddisfacente. Kettere aveva già raggiunto la parete rocciosa.
Ora poteva partire.
Da quel punto vi era un unico modo per raggiungere il villaggio: uno stretto passaggio scavato nella parete rocciosa. Le torce all'ingresso erano già state accese e Kettere avvicinò il bastone ad una di esse. La punta ricoperta di tela e olio prese fuoco illuminando il primo tratto del cammino.
Secondo Kuro quel percorso rappresentava la metafora perfetta per la destinazione a cui portava.
Il villaggio di Rura era stato fondato all'interno di un immensa crepa nel monte, circondato da metri e metri di pareti levigate dal vento. Eccezion fatta dell'inverno la luce solare colpiva le abitazioni solamente a metà giornata, dopo di che tutto ripiombava in una crescente oscurità. Così ogni giorno lavoravano in uno dei punti più luminosi e pieni di vita del monte per ritrovarsi a camminare nel buio pari ad una fredda caverna. L'umidità si insinuava nelle pesanti vesti e le gocce d'acqua colpivano a sorpresa dopo aver attraversato sottili passaggi.
Era fin troppo facile inciampare su un masso e ferirsi. Lì una torcia era una precauzione necessaria (ed il primo regalo per ogni bambino di Rura) ma non per lui. Ogni sporgenza appariva a Kuro come un sottile filo bianco. Approfittando di quel segreto manteneva lo sguardo alto, concentrato sulle spalle del pastore.
Tra la gente le qualità fisiche di Kettere si distinguevano enormemente, pareggiate solo dal più forte costruttore della comunità. La vita sul monte gli aveva temprato il fisico e malgrado il suo mestiere non gli permettesse di muoversi troppo usava le energie risparmiate aiutando nella costruzione di una casa o a scaricare le merci arrivate dalle città.
Non un vanto ma obbligo morale, così affermava con solennità.
Oppure per risentimento, così pensava il figlio. Kettere era conscio dell'importanza del suo ruolo, lo ripeteva ogni volta che aveva l'opportunità di farlo ma sgradiva stare seduto metà giornata per alzarsi solo quando una povera pecorella si avvicinava troppo al dirupo. Se così era lo nascondeva bene. O forse, la possibilità più ridicola, era davvero sincero. Poteva essere un generale, leader assoluto di un gruppo di prodi guerrieri. Kuro lo immaginava camminare a testa alta per le strade di una grande città dopo una grande vittoria mentre la gente gridava il suo nome. Un uomo che poteva molto di più e che si trovava a gestire una ventina di pecore di montagna. Non che la sorte di Kettere lo tormentasse troppo, per quanto gliene importasse sarebbe potuto precipitare da uno strapiombo il giorno seguente. Ma era un altro spreco, una piccola goccia nel mare di delusione e risentimento in cui si sentiva annegare...
Più volte hanno cercato di avvisarti...
...e più volte tu li hai derisi.
Solo l'esperienza aveva confermato la leggerezza delle sue valutazioni ed il peso di quell'errore si faceva sentire ogni giorno. Ogni singolo e dannatissimo giorno.
Otto anni erano già trascorsi. I primi quattro a far crescere quell'inutile corpo e gli altri ad accontentare le loro sciocche richieste e documentarsi su tutto quello su cui era stato possibile mettere le mani. Nel tempo rimasto cercava di comprendere gli idioti che gli stavano attorno.
Che cosa poteva spronare un uomo, uno qualsiasi, a rimanere in una terra così anonima?
Rura, una località ben protetta ma non particolarmente allegra, talmente sperduta da non attirare nessuna attenzione se non di rari commercianti e avventurieri di passaggio intenti a conquistare la cima del Rukalo. Solite facce e solite attività, qualche festa durante l'anno per celebrare un animale sacro e nulla più. In un posto del genere domande e desideri di pari passo e dilaniato dai dubbi provò a cercar risposta con i più importanti uomini del villaggio:
Sumurn, Gejko il fabbro, Oran il macellaio...
Ad ognuno le stesse domande: sei mai uscito da Sationne? che cosa ti ha spinto a vivere tutta la vita a Rura? ti piace quello che fai?
Inizialmente accettavano di buon grado la sua curiosità finendo poi a rimarcare quanto il senso di unione fosse importante. Oran si era anche permesso di cacciarlo dal suo negozio in malo modo dichiarandosi stufo del suo comportamento.
Quale affronto da un essere così mediocre!
Tentò anche con Kettere che stremato dei suoi innumerevoli tentativi gli promise che un giorno sarebbero andati a Ottana insieme. Sarebbe stato interessante vedere la città coi propri occhi ma non avvenne. Fù anche sciocco crederci dato che da quando aveva memoria il padre non aveva mai lasciato il monte.
Vi era una possibilità per cui gli uomini pensassero solo al villaggio. Un termine che spesso veniva usato dalla donne ma era un concetto troppo astratto per Kuro e fuori dalla sua portata. Senza alcun valore.
Di lì a poco lo scarso interesse per quella vita si era trasformato in raccapricciante malessere e sebbene fosse un rischio calcolato era avvenuto con troppo anticipo. Il silenzio richiedeva sforzo. Lo sforzo richiedeva nuove energie ma niente era peggio di una prematura disfatta, unica eventualità che riempiva Kuro di puro terrore...
La luce delle torce illuminarono Kettere, segno dell'arrivo al villaggio. Mentre il padre continuava la marcia verso casa Kuro si fermò a guardare il paesaggio. Al declino verso sera non molto era rimasto visibile se non le capanne più vicine. Il resto comprendeva numerose fiammelle, puntini rossastri e frastagliati, bloccati davanti agli ingressi delle abitazioni, in punti strategici o in movimento per la larga area. Quando la notte calava del tutto quello scenario appariva come un cielo stellato.
La loro capanna era la prima sul sentiero in terra. Kettere aveva già spento il bastone nella tinozza vicino alla porta. La lasciò aperta, ultima vera gentilezza quotidiana rimasta nei suoi confronti. Kuro affrettò il passo ma non appena posò un piede sulla soglia una figura gli sbarrò la strada. La donna si abbassò alla sua altezza e lo strinse in un caldo abbraccio.
Con garbo ricambiò il sorriso della donna.
- Il mio piccolo lavoratore! - esclamò Meriè.
Era piuttosto bella e leggermente più giovane rispetto alle altre madri. Si era legata l'ondulata chioma rossa con una sottile corda, lasciando i capelli appoggiati alla spalla. I lineamenti del viso così sottili da farla sembrare fragile ma sempre radiosa. - Vai a pulirti le mani. Tra poco si mangia. -
Meriè rimase appoggiata sulle ginocchia aspettandosi una ricompensa per la calorosa accoglienza. Solo quando Kuro si decise a darle un bacio sulla guancia, guardando altrove, lo lasciò passare. Avvolto dal tepore della casa Kuro superò il tavolo al centro della capanna mentre Kettere sistemava il bastone vicino al camino acceso. In una sedia appoggiata al muro lasciarono a turno le pellicce tenendosi solamente i pantaloni di bisonte e una maglia leggera.
La capanna di mattoni rappresentava uno degli aspetti più miserabili della loro esistenza. Alla destra dell'ingresso era stato messo un tavolo dove Meriè preparava i pasti e vi teneva tutti gli strumenti per cucinare. Più in fondo insieme ai pochi strumenti da pascolo e per le riparazioni era stato adibito un piccolo spazio dove cuciva e creava indumenti da rivendere. In altre parole un cumulo di paglia vicino ad uno più piccolo di lana.
Insieme al tavolo centrale che usavano per mangiare e la sterpaglia lasciata sotto al tetto dove dormivano quelli erano tutti i loro possedimenti.
L'odore in casa non era dei migliori soprattutto quando erano presenti carcasse da consumare alla svelta. Una fortuna per lo stomaco, si, ma Kuro era grato di non doverci passare ancora le sue giornate.
Dopo aver richiuso la porta Meriè si era lanciata a recuperare ciotole e cucchiai dal suo tavolo da lavoro mentre gli uomini presero posto. Attesero giusto qualche minuto e una porzione di spezzatino venne data ad entrambi.
Non avendo spazio per un campo coltivabile a Rura non vi erano grandissime risorse disponibili. Il mese prima era passato un mercante con dell'ottimo agnello, presente nello spezzatino, ma nella stragrande maggioranza dei casi erano patate e verdure ad arricchire la tavola.
Silenzioso Kuro mangiò la sua cena insieme ad un pezzo di pane e un tozzo di formaggio. Meriè tenne occupato il marito con domande sulla giornata trascorsa. Nella stragrande maggioranza dei casi otteneva poche sillabe, la routine di Kettere regalava raramente sorprese. Venne il turno di Kuro.
- E tu cosa hai imparato oggi? - gli chiese.
Il bambino dovette prendersi qualche secondo per trovare qualcosa di decente da dire. Incurante Kettere lo anticipò. - Meriè...questa carne è cotta magnificamente. -
Il sorriso della donna si fece ancor più luminoso. - Il merito è della carne, non mio. -
- Sei troppo umile. Non credo che questo agnello sia saltato dentro alla pentola da solo. Complimenti a lui allora. Se è stato così bravo a tagliarsi finemente dovevamo metterlo a lavorare in macelleria al posto di Oran. -
Entrambi risero di gusto, nel caso di Kettere era la prima volta da quando si era svegliato. Kuro lo guardava dubbioso. Sotto alla barba i lineamenti del viso di suo padre si ammorbidivano, veniva a mancare tutta quella serietà che si portava sull'altopiano o quando conferiva opinioni con altri uomini.
Era felice. Quello era il termine che loro usavano.
Meriè raccontò di alcune discussioni che aveva avuto con un anziana mentre il marito ascoltava estasiato. Kuro ne approfittò di quel tempo per trangugiare il pezzo di pane e bersi l'ultima sorsata di zuppa. - Vorrei uscire. -
- Con questo freddo? - Meriè gli lanciò un occhiata corrucciata. Tornò al solito comportamento sereno controllando che la ciotola di Kuro fosse vuota. Annuì con soddisfazione. - Bravo il mio lavoratore. Non allontanarti troppo e ricorda di prendere una torcia. È troppo buio e non sai mai su cosa puoi camminare... -
- Tanto lo sai benissimo dove va... -
Il commento di Kettere non passò inosservato ma per diversi motivi non ottenne risposta. Kuro si limitò ad alzarsi, sparecchiare il suo posto, recuperare un vestiario adatto per non morire assiderato e chiudersi la porta alle spalle.
Fuori fece un solo passo, giusto per staccarsi dal ruvido legno e potersi sedere sul gradino. La brezza si stava facendo insistente e costringendolo a coprirsi al meglio delle possibilità. Avvicinò l'orecchio alla porta aspettandosi una conversazione importante e sospirò.
Fingersi uno di loro stava diventando troppo frustrante.
Il camino sbuffò scintille che si spensero in aria. Ancor prima che Kettere iniziasse a parlare la moglie già sapeva cosa lo tormentasse. Il pastore teneva lo sguardo fisso sul tavolo coprendosi la parte bassa del viso con le mani. Nascondere le preoccupazioni non faceva parte dei talenti del marito.
- Niente? - gli chiese.
- Niente. - ammise lui cupo.
Kettere temporeggiò ancora. Si teneva dentro quelle parole da troppo tempo, stufo della situazione ma timoroso delle conseguenze. Eppure quando riuscì a guardarla negli occhi c'era qualcosa che la donna non si sarebbe mai aspettata: decisione.
- è arrivato il momento di accettare la realtà. - dichiarò.
Qualsiasi cosa volesse dirle quella frase non le piacque per niente.
- Ha solo otto anni. - puntualizzò subito lei.
- Quanti bambini vedi che si comportano come lui? - tuonò Kettere. - Quanti ne hai mai visti a Rura? Nessuno Meriè, nessuno! Non fa altro che stare sopra quel grande masso a fissare il vuoto, a malapena parla... -
- Questo non è assolutamente vero! L'ha sentito Sumurn, ogni volta che ne ha occasione legge e fa domande. è un bambino intelligente e curioso di conoscere il mondo... -
A stento Kettere provò a reprimere la rabbia. - Quello è sicuro... quanto è vero che mi giudica. Io lo so Meriè, pensa che io sia stupido! Forse tutti noi. -
Meriè capiva i suoi sentimenti. L'unico motivo che le impedì di alzare la voce. - La delusione ti sta offuscando le idee. -
- Offuscando? - Kettere lo ripetè con tono vuoto. Scosse la testa. - Devi smetterla di prendere le sue difese. Così non sei aiuto per nessuno. Anche se fosse curioso, anche se volesse fare qualcos'altro, che importanza ha? Kuro deve imparare a fare ciò che è giusto per Rura. Sta diventando troppo grande per ignorarlo. Questo villaggio lo ha cresciuto, il debito dev'essere ripagato e lui non si preoccupa di fare la sua parte. Non gioca nemmeno con gli altri bambini. Anche se non vengono a chiedere, anche se per loro non sembra essere un problema...Meriè... tu sai che se ne stanno accorgendo. -
La donna provò a rispondere immediatamente ma si bloccò. Non era l'amore materno ad offuscare il suo giudizio, ne era convinta...questo non le aveva impedito di notare gli sguardi che le venivano rivolti o come alcune conversazioni venivano interrotte quando era abbastanza vicina per poterle ascoltare. Comunque il problema era un altro...
Si alzò dalla sedia dando le spalle a Kettere. I suoi occhi girovagavano nel suo tavolo di lavoro. Insicura cercava una risposta, come se gli strumenti di una vita potessero aiutarla.
- Non è tardi per trovare un altra soluzione. - bofonchiò.
La prima volta che avevano affrontato il discorso era stato quasi due anni prima e da lì avevano ripetuto sempre lo stesso processo: Kettere preoccupato e lei che lo tranquillizzava convinta che il tempo avrebbe portato soluzione...
Senza preavviso il tempo era finito e lei si ritrovava completamente impreparata. Non voleva accettarlo, dovevano esserci altre carte da giocare. Si ritrovò pure a pregare tra sé ma Kettere non voleva mollare. - Domani ne parlerò con Sumurn. Gli dirò che il bambino andrà spronato, che ha qualche problema... -
Senza nemmeno lasciarlo finire Meriè si rivolse a lui di scatto. - NON PUOI VERAMENTE FARLO! -
Rivolgersi agli altri abitanti in quel modo significava ammettere che Kuro fosse davvero diverso e questo avrebbe potuto incrinare il rapporto del bambino col resto della popolazione. Emarginarlo.
Lentamente Kettere si alzò in piedi. Non parve avere intenzioni minacciose, più calmo di quando avevano iniziato a parlare. Eppure la moglie indietreggiò come se davanti a lei si fosse presentato uno sconosciuto.
- Meriè... - mormorò lui. - ...nostro figlio è diverso. -
- Smettila. -
Lui continuò ad avvicinarsi. - Lo sai che ho provato. Più volte. Provato e riprovato, non mi ascolta. -
- E perchè non lo comprendi appieno. Non puoi avercela con lui se non è come lo desideravi... -
- Sei tu l'unica che non vuole comprendere... -
Uno scoppiettio nel camino fece sobbalzare Meriè. Aveva passato una giornata serena a sistemare la casa, ora affrontava le sue paure. - Potrebbe cambiare tutto. - affermò. - Tutto, Kettere. Hai faticato tanto per costruirti questa posizione dopo che tuo padre è morto, sei uno dei giovani più rispettati del villaggio. Non pensi a cosa potrebbe comportare questo per Kur... -
- E COME PENSI CHE MI SENTA IO?? -
La collera che Kettere esplose di colpo. Non si rese conto di quanto fosse stata violenta e fulminea ma bastò la reazione ammutolita della donna per fargli capire di aver esagerato. Non sapendo come rimediare si risedette al tavolo strofinandosi i palmi delle mani sul viso. - Perdonami. - sussurrò con voce profondamente colpevole. - Non volevo... -
Era a pronto a parlare a cuore aperto, rivelare la sua sofferenza ma non riuscì a continuare. Piangendo Meriè crollò sulle proprie ginocchia e senza pensarci si buttò su di lei rischiando di ribaltare il tavolo. Temeva di averla spaventata troppo ma realizzò poco dopo che il motivo era un altro.
Meriè aveva sempre avuto il problema davanti agli occhi. Kuro era un bambino distaccato e taciturno senza alcun motivo valido e salvo rari casi era sempre stato così. Non vi era niente di sbagliato nel suo senso di protezione e più difficile sarebbe stato per lei trovare la forza per altre strade.
Kettere le lasciò ancora qualche secondo per sfogarsi.
- Un giorno sorriderà... - disse Meriè. - Un giorno sorriderà. -
L'uomo si sentì crudele nel pensarlo ma provò un infinita tenerezza in quello sguardo disperato.
- Noi non siamo soli. - le ricordò, provando a rincuorarla. - Abbiamo sempre sostenuto la nostra
gente e sono certo che loro faranno lo stesso. Non c'è niente da temere, ce la caveremo anche questa volta. -
Non ci fù spazio per altre parole. Meriè credeva ciecamente nella bontà del marito e alla gentilezza che aveva sempre dimostrato. Era ancora un padre amorevole. Erano ancora una famiglia.
Appoggiato alla porta Kuro non si lasciò sfuggire mezza parola. Sospettava che Kettere aveva perso la pazienza e la possibile richiesta d'aiuto non lo sorprese troppo. Anzi. Era felice di averlo scoperto subito.
Si alzò per affrontare la corrente gelida che stava passando attraverso il monte. Non vi erano più fuochi in movimento per tutta Rura e all'interno del tunnel il vento si fece così violento da fischiare tra le incanalature nella roccia. Raggelato superò il percorso con difficoltà fino ad arrivare al trono. Nessun suono a tenergli compagnia, non una traccia di vita. Esattamente come voleva. Lì si sedette in contemplazione.
La scoperta non aveva portato alla luce alcuna minaccia reale ma avrebbe richiesto un nuovo carico d'impegno. Nel realizzarlo le budella gli si contorsero per la rabbia.
Gestire quelle emozioni non gli era facile ma ciò era scritto nel suo destino, doveva rispondere alla sfida con la stessa forza con cui aveva accettato. Da solo si sarebbe trovato in difficoltà e provato la tentazione di cedere e sbagliare. Solo in quel modo riusciva a dare un significato alla sua nascita in un posto così insignificante.
Doveva sopportare un altro po', stringere i denti...
Si guardò le mani stringendole fino a farsi male.
- Muoviti... - si disse tra sè. - Devi darti una mossa... -
Nessuna paura di fallire, solo eccitazione di immaginare cosa avrebbe fatto al momento opportuno. Fantasticando Kuro non riuscì a trattenersi dal ridere.
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Capitolo 2 *** ZERO (2\2) ***
ZERO 22
Diversi
giorni dopo arrivò il Karshak. Il giorno di festa gli diede la
possibilità di riposare sia il corpo che lo spirito.
Il
nuovo corso era partito bene. Dopo l'ultima discussione tra Meriè e
Kettere il sole sorse ancora e non appena arrivarono sull'altopiano
parlò a Kettere. A sguardo basso Kuro ammise di non aver mai
realizzato l'importanza del loro compito, promettendo di impegnarsi di
più. Kettere accettò le sue
parole senza troppa misericordia. Ciò era costato caro all'orgoglio
di Kuro ma non quanto fece dopo; da quel giorno in poi aveva
impiegato ogni sua energia per sopperire qualunque dubbio:
sorvegliare le pecore, dare una mano e facendo domande (di cui sapeva
già la risposta). Il tocco di classe fù senza dubbio proporsi di
rinforzare alcune parti del recinto danneggiate. In tre giorni ebbe
l'impressione di aver fatto breccia nel padre. Il tono con cui Kettere gli
parlava rimase autoritario lasciandosi però andare a gesti
affettuosi; un sorriso, una battuta, una pacca sulla spalla. Kuro
ringraziava, accompagnava ogni gesto con la massima attenzione e
nascose ogni brivido di disgusto.
Con
suo grande sollievo quella mattina dovevano unicamente controllare
che tutto sull'altopiano fosse a norma. A lavoro svolto Kettere
ritornò a casa lasciandolo libero di passeggiare e godere della
giornata soleggiata sull'altopiano.
Kuro
non sentì alcuna sorta di appagamento. La sua impazienza si era
ingigantita ulteriormente tanto da desiderare di fuggire quella
stessa notte.
Salì
sulla sua roccia e lì rimase interdetto. Desiderava fare un
tentativo, vedere se sarebbe riuscito ad allungare la sua percezione
ma non riuscendo a concentrarsi.
Rimanere
qui mi farà impazzire.
Sei
troppo debole per provare a vivere nella foresta. Anche il primo
pericolo potrebbe essere fatale.
Non
mi importa...Voglio solo diventare più forte.
Non
era uno sciocco. Non lo era stato nella vita precedente e non lo era
diventato in quel paesello ma come ignorare il macigno che gli stava
stringendo il cuore? La rabbia crebbe costringendolo a trattenere un
urlo desideroso di far crollare l'intero monte.
Si
era quasi calmato quando qualcosa lo colpì violentemente alla nuca.
Il dolore lo prese alla sprovvista facendogli scappare un leggero
mormorio.
Sentì
il sasso ruzzolare giù dal trono e le risate che arrivarono dalle
vicinanze del tunnel. Tastandosi la testa dolorante si rivolse ai tre
bambini comparsi dietro di lui.
Il
primo piuttosto alto per la sua età e dal fisico atletico. Il
secondo dalla vita sottile come una corda tesa ed un naso aquilino.
L'ultimo dai folti capelli trasandati ed una tonda pancia contenuta
dalla larga cintura. Naim, Astram e Curego stavano ridendo
esattamente come facevano al villaggio durante le loro ore di studio
con Sumurn. Uniti nelle lezioni di caccia insieme ai padri e nel
ripudio del bambino che non aveva mai parlato con loro e che se ne
stava sempre per i fatti suoi.
Ognuno
di loro teneva una scorta di sassolini nelle mani, sulle spalle arco
e faretra.
-
Ci avrei scommesso. - affermò Naim. - Quanto devi essere stupido per
stare tutto il tempo seduto lì? -
Il
commento venne accompagnato da un altra risata dei compagni.
Continuarono a fare battute, commentare le stranezze di Kuro e su
alcuni dei commenti fatti dai loro genitori a riguardo.
Disinteressato da quelle opinioni Kuro si estraneò facilmente.
Balenò
un idea ma la represse subito. Non che non gli piacesse, anzi la
trovava irresistibile, e proprio per quello cercò in tutti i modi di
allontanarla. Troppo pericolosa...
Si
tastò dietro alla testa. Sanguinava.
-
EHI! - gridò Naim. - Hai problemi alle orecchie? Guarda che anche se
non reagisci una lezione te la diamo lo stesso, così imparerai una
buona volta a renderti utile. -
Non
aveva idea di quale fosse stato il momento esatto in cui i suoi
pensieri cambiarono. In un istante la saggezza era affogata dalla
voglia di rivincita. Bellissima e irresistibile rivincita.
Si
rivolse a Naim con un ghigno anormale e beffardo senza ottenere
l'orrore voluto. Solo nuova ripugnanza.
Poco
male. Tra poco le cose sarebbero cambiate.
-
In fondo siamo bambini... - disse Kuro.
Si
alzò in piedi con una pietra accuminata stretta nella mano.
-
...un po' di divertimento non può farci male. -
Meriè
stava ripiegando alcuni vestiti. Era stata una mattina produttiva e
la felicità dei giorni appena passati aveva avvolto tutta la casa.
Dopo la loro ultima discussione Kettere si era convinto ad un ultimo
tentativo e quando era tornato il giorno dopo era successo un
miracolo! Kuro aveva capito, si era scusato. Per Kettere fù lampante
pensare che il bambino avesse sentito quello che si erano detti...
non una scelta di cuore, perciò, ma quanto meno un buon inizio. E di
buon inizio si stava ancora parlando. Il miglioramento di Kuro aveva portato nuova linfa. Nelle rare occasioni in cui si
ritrovavano soli Kettere si lasciava andare a sprazzi di euforia che
non faceva vedere da quando aveva ancora il mento glabbro.
L'abbracciava, la baciava con passione, rideva a crepapelle. Durante
una camminata serale di Kuro aveva anche cantato e ballato con lei. E
l'amore... Meriè ebbe un fremito malizioso ripensando alla sera
precedente, lasciò la maglia che stava sistemando nel mobile
perdendo lo sguardo nel nulla. Stava sistemando un paio di mestoli
quando la prese per i fianchi e la girò dolcemente. Negli occhi del
marito vide amore e desiderio, un magnetismo così forte da non
potergli resistere. L'ultima volta che avevano avuto un momento così? quando Kuro era ancora in fasce forse...
Prima
di riprendere da dove si era interrotta Meriè si appoggiò una mano
al ventre con l'animo di una fanciulla al primo colpo di fulmine. Si
sentì sciocca per un attimo ma lasciò andare quel giudizio per
godersi tutta la gioia che provava. Chissà che quello non fosse un
buon auspicio.
Distratta
non fece caso al gran vociare fuori dalla casa, al passaggio di versi
singhiozzanti che arrivarono, si fecero più intensi e svanirono.
Poco
dopo qualcuno bussò alla porta. Aprendola
Meriè accolse la visita con un caloroso saluto.
-
Felice Karshark Meriè. - Sumurn la salutò a tono basso.
Vestito
con la sua solita tonaca indaco l'alta figura svettava fino all'alto
stipite dell'ingresso. Sumurn era ancora ben lontano dalla vecchiaia,
nei suoi capelli vi erano rarissime tracce di bianco ed il corpo
allenato dal duro lavoro avrebbe tratto in inganno l'occhio più
saggio. Un modello di dedizione, grande conoscenza e bontà. Nel suo
sguardo rattristato Meriè non ci trovò nessuno dei suoi grandi
pregi.
-
Devi venire con me. - Mormorò l'uomo.
Ogni
traccia di gioia sparì dal viso di Meriè. - E' successo qualcosa di
grave? -
Il
capo villaggio mise le mani sui fianchi e abbassò lo sguardo. - Ci
siamo fatti un idea ma vogliamo anche la tua opinione. -
Non
aggiunse altro.
Era
accaduta una tragedia? in quel caso lo avrebbe detto subito. Ma
qualcosa di grave sicuramente e la mente fantasiosa di Meriè
cominciò a lavorare. Senza avere delle prove ripudiò ogni sospetto.
Si chiuse la porta alle spalle seguendo Sumurn alla volta della
piazza principale.
A
metà del tragitto la luce solare li inondò. Meriè sentì il lieve
sollievo datole dal calore ma notò anche un particolare disturbante.
Tra le case che superarono non vi era nessuno. L'intero lato di Rura
sembrava ammantato da una tranquillità irreale vista anche la bella
giornata prima dell'inverno; Nessuna donna a parlare o padri con i
figli a fare giochi da uomini. Tutt'altro che un solito Rashark.
-
Che cosa di così tanto grave è accaduto per rovinare la quiete di
Rura? -
Davanti
a lei Sumurn continuò a camminare.
Virarono
a sinistra per superare un abitazione e Meriè ottenne almeno una
risposta. Gli abitanti erano raccolti davanti all'albero eterno Hu.
Ad occhio e croce dovevano esserci tutti salvo una squadra di cinque
cacciatori e due stallieri andati
a Munukanua per fare rifornimenti.
Alcune
donne poste all'ultima fila della folla si voltarono verso di loro.
Meriè vide le stesse facce che si sarebbe aspettata ma anche di più;
sguardi sconvolti, atterriti...alcuni accusatori.
Non
sopportò oltre. A Lunghe falcate superò Sumurn e si fece largo tra
la gente. Allora lo vide e qualcosa nel suo cervello si spense.
Disperata gridò allungando le braccia in avanti e cercando di farsi
strada senza alcuna remora. Non vide nemmeno Kettere che la bloccò e
cercò di calmarla come potè.
Legato
alla picca delle punizioni e con la schiena scoperta c'era Kuro.
Dopo
aver concluso la sua opera Kuro si fece tre promesse. La prima la
mantenne subito: non mentire. Un paio di uomini andarono a prenderlo
poco dopo il “fattaccio” e gli chiesero cos'era successo.
Affrontò i loro sguardi uno ad uno raccontando la verità e
nascondendo quella nota di divertimento che sicuramente avrebbe
complicato la situazione. Quello che avvenne dopo fù esattamente
come previsto: venne invitato a seguirli con buone ma rigide maniere
fino al centro di Rura.
Con
la poca luce a disposizione era impossibile per la vegetazione
crescesse rigogliosa. Nel villaggio sopravvivevano rare zolle di erba
e pochi cespugli, il resto moriva velocemente e rimosso.
L'albero
di Hu era il miracolo che conferiva fede e portava luce anche nel
cuore degli sciocchi. Il punto perfetto dove celebrare la vita e
giudicare coloro che mancassero di rispetto ad essa. Sotto di esso
era stato costruito un piccolo palco in legno dove Sumurn riuniva
parlava agli abitanti e issato un largo palo di solido ebano per
punizioni o imprigionare criminali catturati sul monte. Lì venne
piazzato in attesa del suo giudizio. Aveva visto gli sguardi
accusatori e Kuro tenne fede alla seconda promessa: non avrebbe
mostrato loro le proprie emozioni. Soprattutto quelle piacevoli.
Pensando
all'accaduto aveva ancora attimi di estasi...
no,
di goduria assoluta.
L'atteggiamento
dei tre stupidi era cambiato, oh si se lo era. Vide subito il timore
che sopraggiunse quando si fece avanti, almeno in Astra e Curego.
Naim accettò la sfida, peccato che non fosse stato così intelligente da
usare le stesse armi che aveva portato con sé. Kuro quel problema
non se lo pose nemmeno per un attimo...
nemmeno quando l'aveva
bloccato a terra...
nemmeno quando il sangue sgorgò e i due
spettatori gridarono per il terrore...
non provarono neanche a
difenderlo limitandosi a portarlo lontano.
Nella
folla vide anche Kettere col suo sguardo abbattuto. Ci leggeva
grande vergogna, doveva aver già ammirato l'opera. Rimase tra gli
altri senza dire una parola, almeno prima che arrivasse anche Meriè.
Sumurn salì sul palco spiegando ciò che sapeva. Indicò poi Naim.
Il bambino era appoggiato al muro di una casa vicina a lì ma lontana
dal gruppo. Dopo aver sentito la storia Meriè si avvicinò
lentamente, quasi spaventata. Non dovette nemmeno arrivare vicino per
riuscire a vedere l'entità delle ferite: metà faccia di Naim era un
livido violaceo. Un arcata sopraccigliare si era gonfiata a tal punto
dal renderlo quasi irriconoscibile.
Incredula
Meriè scoppiò a piangere ed ancora una volta il marito le andò in
soccorso. In molti si chiesero fosse per chi aveva subito quelle ferite o chi le aveva causate. Il capo
villaggio aspettò che Kettere la consolasse,
poi spiegò come voleva gestire la faccenda.
Trattandosi
di una litigata tra bambini non poteva esserci una punizione
eccessiva ma il dolore che era stato rivolto a Naim doveva essere
pagato con una pena pari. Propose dieci frustate. Dal grido
collettivo parve una scelta più che condivisa. Non spettava al
popolo l'ultima parola. Sumurn si rivolse direttamente a Kettere. -
Tu sei il padre. Riconosci giusta questa punizione? -
Anche
se stava ancora abbracciando la moglie Kettere mostrò uno sguardo
freddo e spietato. - Se ha sbagliato è giusto che paghi. -
Kuro
sentì di voler sorridere alla freddezza di quella risposta ma ancora
prima di pensare di trattenersi percepì la presenza alle sue spalle.
Uno schiocco sul legno e Oran gli diede la prima frustrata. Kuro
rischiò di lasciarsi scappare un lamento serrando la bocca con
decisione. Arrivò anche la seconda e la terza. Ad ogni colpo il suo
pensiero diventava un grido, l'ordine di provvedere alla terza parola
data: non versare una sola lacrima.
Aveva
sopravvalutato quel dolore ma si sarebbe bruciato vivo più che
regalare la soddisfazione di vederlo soffrire.
La
sua mente si focalizzò su ogni particolare: il cocente bruciore
della pelle sfregiata, il sangue che gli bagnò la schiena fino alla
vita. Il pianto di Meriè, unico particolare curioso.
Solo
quando lo slegarono Kuro si accorse del silenzio che era piombato
sull'intera piazza, l'unica emozione che riuscì a vedere fù timore.
Nessuno, nemmeno un adulto, aveva mai reagito in quel modo. Neanche i
ladri.
Diedero
la possibilità di Meriè di medicarlo. Ancora in lacrime la donna si
lanciò su di lui mentre Kettere provò a parlare col padre di Naim.
Visto il volto deturpato del figlio il cacciatore non avrebbe mai
concesso il perdono ma dopo ciò che aveva assistito si limitò a
pregare il pastore di fare attenzione in futuro.
Bastò
una mattinata di Karshark per trasformare Kuro dal bambino strano che
era sempre stato a qualcosa di più. Kettere lo aveva già capito.
Nel
mentre la piazza si era già svuotata fatta eccezione del capo
villaggio. I due uomini parlarono mentre Meriè bagnava la schiena
del figlio con un panno bagnato. Non riusciva a smettere di piangere.
Cominciarono
poi il lento tragitto verso casa; Kettere davanti e Meriè ad aiutare
Kuro incapace di camminare da solo. La vista gli girava mentre la
schiena bruciava come un tizzone ardente. Il dolore ancora limpido,
alimentandosi alla flessione di ogni muscolo. Buon per lui. La sua
condizione fisica nascondeva bene il grande orgoglio che portava nel
cuore.
Per
arrivare alla capanna ci misero il doppio del tempo. Non appena
furono abbastanza vicini Meriè si staccò per recuperare erbe
rinfrescanti e altri unguenti.
Kettere
li aveva già preceduti. Non appena Meriè dalla porta lui ricomparì
all'uscio buttando una coperta davanti a sè.
-
Questa sera dormirai fuori. - Sentenziò.
Il
volto dell'uomo era un miscuglio di emozioni ma tra tutte Kuro
riconobbe molto ribrezzo. Come quelli nella piazza.
Scioccata
Meriè provò a ribellarsi ma venne ricacciata dentro. La porta
sbattè con violenza.
-
LO SAI CHE è COLPEVOLE! - Gridò lui.
-
HA BISOGNO DI CURE, NON VEDI QUANTO SOFFRE??. -
Altri
pianti, altre urla.
Riuscendo
a stare a malapena in piedi a Kuro non rimase altro che allontanarsi.
Cadde più volte durante il tragitto costretto ad appoggiarsi alle
mura del tunnel, fermandosi anche per godere del sollievo dovuto alla
corrente fresca e a ogni goccia che gli cadde addosso. Con qualche
difficoltà raggiunse il trono. Salire fù uno sforzo atroce, sopra
si sdraiò subito cercando di non muoversi più.
Il
sole era ancora alto. Perse i sensi affascinato da quella fastidiosa
ma nuova sensazione.
“dolore”,
così lo aveva chiamato Sumurn.
Una
scoperta interessante.
Al
suo risveglio il cielo notturno si stava schiarendo e la nebbia
ricopriva gran parte dell'altopiano. Sentiva la schiena come un
agglomerato di pelle secca che gli impediva di muoversi come al
solito. Scese dal trono e si appoggiò sulla fredda pietra per
riuscire a star dritto. Ancora sofferente, poco lucido ma esaltato.
Per ciò che il destino attendeva per lui la sua condizione non era
niente di insormontabile. Passò qualche minuto a rivivere la
giornata precedente confermandosi come tutto sarebbe cambiato. Si
corresse, era già realtà. Avendo perso il supporto della famiglia
la fuga era l'unica possibilità rimasta.
Ne
prese coscienza con sollievo; ora nessuna paura lo avrebbe trattenuto
in quella fossa puzzolente. Recuperò nella testa la lista delle
necessità per la sopravvivenza. Alla cima di essa ciò che più
bramava.
Non
ricordava esattamente quanto tempo fosse passato dall'ultimo
tentativo. L'inesperienza lo aveva portato a provarci appena
raggiunta la piena coscienza ed il fallimento fù talmente grande da
portargli vergogna.
Si
staccò dal trono facendo attenzione a non toccare la roccia con le
ferite. Una fitta lancinante lo prese alla sprovvista non appena
provò a raddrizzarsi costringendolo a prendersi qualche secondo in
più. Ritrovata la calma confluì le sue energie vitali nel braccio
destro.
Già
il primo segnale fù di buon auspicio: attorno a lui il mondo
scomparì mentre un leggero fischio gli inondò le orecchie.
Altre
fitte sofferenti. Gli squarci più lunghi si riaprirono attaccandosi
alla maglia, nuove macchie di sangue si aggiunsero raggrumate nella
notte.
Venne
la confusione, seguita da nausea. La sua vista ricominciò a girare
come se stesse rotolando da una collina. In preda alle forze messe in
gioco Kuro si inginocchiò. Tentava di controllare il flusso sempre
più forte avendo la sensazione di essere controllato a sua volta. Lo
smarrimento di una nuova sconfitta. Ciò gli impedì di sentire la
stretta che gli cinse il polso.
Tutto
si placò; la terra ritornò sotto ai suoi piedi ed il cielo sopra
alla testa. Il fischio era rimasto ma proveniva da un punto vicino.
In
parte per lo sforzo, più per gratitudine, Kuro cominciò a piangere
ancor prima di riaprire gli occhi.
Il
varco che si era aperto poco sopra il palmo della mano era così
piccolo da non far passare nemmeno una mela matura. Poco utile ai
suoi scopi ma notevolmente superiore al confronto di spostare i
cinque sensi a cinque miglia di distanza.
Il
giorno della speranza tanto atteso era giunto.
Il
primo passo, il più difficile, era stato raggiunto.
Kuro
fece qualcosa che non avrebbe sarebbe mai stato riportato nelle
cronache della sua impresa: continuò a piangere lasciando che tutte
le frustrazioni di quella vita infame abbandonassero il suo animo
fiero di conquistatore. Dopo rimase solo gioia. E la prima gioia di
Kuro meritava una celebrazione degna.
Rimase
sotto al trono per riposare e recuperare energie utili. Quando si
sentì pronto partì alla volta di casa.
Da
quando si erano alzati nella capanna regnava il silenzio. Meriè
non
riusciva a perdonare il marito e lo stesso faceva con sé stessa.
Desiderava
andare a cercarlo, assicurarsi che Kuro non fosse peggiorato durante
la notte. Tornava spesso a quel pensiero e come sempre
ritornò l'immagine del viso di Naim. Non erano state le
convinzioni di Kettere a fermarla
ma quella visione.
Distaccato
Kettere continuò a mangiare il suo pane, deciso a lavorare
sull'altopiano e fare una lavata di capo al figlio se ce ne fosse
stata l'occasione. Il suo sguardo era tornato freddo come se i tre giorni
precedenti non fossero mai esistiti.
La
porta si aprì lentamente ed entrambi si voltarono. Non appena vide
Kuro Meriè accorse ad abbracciarlo tempestandolo di domande. Kettere
gli lanciò un occhiata arcigna. Finì di mangiare lentamente e
lentamente si alzò.
-
Qui non sei il benvenuto. - disse. - Per un altro giorno rimarrai
fuori senza cibo né acqua. E non pensare che quello che è successo
ieri sia sbagliato, ti è andata pure bene... -
Reputò
le azioni di Meriè ovvie per una madre ma completamente fuori luogo.
E
più di tutto non gli piacque come Kuro lo stava guardando: occhi
penetranti e carichi di sfida. Quella vista fece salire il sangue di
Kettere direttamente al cervello. - Forse non hai imparato bene la
lezione... -
Di
scatto andò a recuperare il frustino di paglia vicino al camino
spento.
Un
tormento. Ecco cosa era diventato il figlio per lui. - Di tutti i
comportamenti, di tutti gli sguardi...Adesso ti sei messo pure a
picchiare gli altri bambini! Ma questa volta imparerai, me ne
assicurerò personalmente. Vattene subito o giuro che la pagherai
cara. -
-
NO! - Meriè si mise in protezione. - Quello che ha passato è già
troppo! -
-
A quanto pare non è bastato. SPOSTATI IMMEDIATAMENTE! -
-
Fallo. - disse Kuro.
Non
credendo a cosa avesse appena sentito Meriè indietreggiò di due
passi. C'era qualcosa di diverso in Kuro e ad una seconda occhiata si
accorse di quanto apparisse in ottima salute.
-
Non sono più tenuto a stare nella tua ombra. - continuò Kuro. - Se
vuoi attaccami. Sfoga la tua rabbia su di me proprio come ho fatto io
con quello stupido moccioso. Se l'è meritata e se avessi potuto ora
non riuscirebbe più a camminare... -
Per
l'orrore Meriè si coprì la bocca con le mani.
Anche
Kettere accusò il colpo. Considerava l'attacco a Naim un esagerato
peccato infantile, non un atto di pura malvagità.
Per
quanto arrabbiato il frustino era arrivato alla sua mano come
strumento di terrore. Dopo quelle parole si trasformò in una vera e
propria arma. Non sentiva più il dolore nel suo cuore, voleva solo
punirlo.
L'uomo
superò il tavolo a passo svelto. Nel vedere il furore nei suoi occhi
Meriè strinse il bambino. - Ti prego, non sa quello che dice... -
Venne
ignorata totalmente.
Kettere
fece un altro passo e pietrificandosi sul posto.
Davanti
agli occhi gli comparì un forellino che si allargò fino a diventare
un cerchio di superficie nera.
Non ci vedeva niente all'interno provando il terrore di un uomo che
guardava nell'abisso. Anche Meriè rimase imbambolata davanti allo
strano evento. Guardò Kuro. A Differenza loro lui non era per nulla
sorpreso.
Il
pastore provò ad arretrare ma dopo il primo passo qualcosa uscì dal
varco fulmineo come un serpente. Grosse dita gli strinsero il collo,
impedendogli di respirare. Nervi e muscoli erano visibili dalla
trasparente pelle azzurra. Qualcosa di anormale ma a tutti gli
effetti un avambraccio umano.
Meravigliato
Kuro ammirò la sua prima invocazione. - Prima di andarmene c'è una
cosa che devo fare... -
Occupato
a liberarsi Kettere non reagì alle sue parole. Dalla sua bocca
uscivano gorgogli strozzati e rivoli di bava.
-
C'è sempre stato un motivo al mio comportamento e ci tenevo a
spiegartelo, in fondo è giusto che tu sappia la verità. Il pensiero
di prendere il tuo posto mi ha sempre disgustato... -
Le
sensazioni che l'invocazione stava inviando a Kuro erano sublimi. Le
resistenze di Kettere si stavano indebolendo, i muscoli della gola
contorcendosi. Un dettaglio che rese tutto ancor più speciale. Finì
per farsi trasportare dall'evento, lo avrebbe torturato per tutta la
mattinata. - La vita che fate voi...vivere in questo buco dimenticato
da tutti...io non sono destinato ad allevare capre o a mantenere viva
questa gente. Io sono qui per un motivo, padre. Sono qui per mettervi
tutti in ginocchio. -
Lo
schiocco delle ossa che si spezzarono sibilò in tutta la capanna. Le
braccia di Kettere si afflosciarono verso terra mentre l'invocato lo
lasciò cadere.
Vedendo
il corpo senza vita del marito Meriè si lasciò andare in un pianto
strozzato. I suoi occhi pieni di terrore si spostarono sul bambino.
Crollata a terra indietreggiò fino al muro di mattoni alle sue
spalle. Vide il sorriso di Kuro, un sorrisetto fanciullesco. La
sanità mentale della donna incrinò, nessuno sarebbe riuscito a porvi
rimedio.
Kuro
non la considerò nemmeno; si girò e uscì dalla capanna. Ancora
estasiato del suo delitto camminò tra le poche persone che avevano
già iniziato a lavorare. Molti lo ignorarono, altri non poterono
fare a meno di rivolgergli sguardi preoccupati. Fronteggiò ognuno senza
timore. Quelli erano gli sguardi che avrebbero contornato il suo
lucente futuro.
Raggiunse
il lato opposto del villaggio dove le pareti rocciose scorrevano
parallele verso l'alto senza mai incontrarsi creando un ingresso come
quello di enorme caverna. Percorse la larga strada fino a ritrovarsi
all'aperto dove la natura si stava risvegliando e il mattino aveva un
sapore dolce. Tanto dolce.
Che
bel sapore ha la libertà.
Il
Razanul rappresentava l'unico collegamento con le sue sacre origini.
Un dono grande quanto la conoscenza dei suoi avi tramandato da secoli
e secoli di incredibile storia, conquiste e successi.
Ora
che Kuro ne aveva ritrovato il collegamento non poteva più farne a
meno.
Si
allontanò di mezzo miglio, anche meno, sulla strada che portava verso
Munukanua. Trovò un comodo masso su cui sedersi a gambe incrociate e
creò un nuovo portale con tutte le energie rimaste. Più grande, più
pericoloso.
Prima
uscirono le armi: una lunga spada sdentata e uno scudo. Sbatterono
con violenza sulla soffice erba. Il soldato che ne uscì era di
figura sottile e alto un paio di metri. Una piccola corporatura,
secondo Kuro. Indossava esclusivamente un armatura arrugginita. Solo
una parte dei polpacci, avambracci ed una piccola frazione del volto
smagrito dall'elmo si intravedevano ma non era molto se non qualche
pezzo di pelle cadente e due occhi vitrei.
-
Solo un Kirkahiv? -
In
fondo era ovvio. Ci sarebbe voluto tempo e pazienza per poter
richiamare esseri più temibili dalla collezione. E comunque sarebbe
stato abbastanza per portare a compimento la missione. Kuro sentì
tutta l'ilarità del momento e la fece sgorgare in una risata
infantile.
In
attesa di ordini il suo guerriero recuperò le proprie armi da terra
e si inginocchiò. Kuro gli appoggiò l'indice sulla fronte.
Diede
l'ordine come se fossero pronti a giocare. Intanto il Kirkahiv
assimilò tutte le informazioni utili: area, possibili pericoli.
Vittime. A processo compiuto procedette verso l'obbiettivo a passo
lento.
Sulla
sua roccia Kuro rimase a guardare il suo soldato fino a quando sparì
nel varco del monte. Avrebbe sentito ogni cosa: grida, arti
strappati, esistenze falciate...
Si
rivolse verso la vastità che lo attendeva a braccia aperte.
Il
cammino era appena iniziato ed il mondo iniziò già a sembrargli
suo.
L'era
del dominatore.
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Capitolo 3 *** UNO - ARGENTO (1\2) ***
UNO - ARGENTO 12
A
passo fiero e col petto in fuori l'insegnante Sur lanciava sguardi
carichi d'orgoglio ad ogni passante. Ben lontano dalla gioventù,
quasi quarant'anni, camminava impettito come un pavone nel periodo
dell'accoppiamento.
Non
si sentiva per nulla inferiore alla gente di Silka ma vestiti che
indossava (i migliori che possedeva), il suo capello con la piuma di
struzzo (per coprire la stempiatura che con gli anni si stava
allargando) suggerivano l'esatto contrario. Il suo astio non nasceva
direttamente con la popolazione della città d'argento, sempre
educatissima, ma con Sai, la giovane ragazza in tunica verde che
camminava al suo fianco.
Sur
si riteneva un eccellente educatore. Era alla quinta visita alla
capitale e possedeva un bagaglio di
conoscenza che quella studentessa non avrebbe mai potuto eguagliare.
Conoscendo così bene Silka avrebbe volentieri fatto a meno di una
guida ma non poteva esimersi alla prassi; ogni viaggio istruttivo
alla città doveva essere comunicato alla grande scuola
ed avrebbero garantito metà delle spese necessarie per il viaggio
e le prestazioni di uno studente di storia come guida. Visto che
nessuno a Faliaful guadagna ingenti somme di denaro un eventuale
dimenticanza avrebbe destato parecchi malumori. Ignorare il suo
orgoglio gli era comunque impossibile.
Prossimi
al mezzodì il suo gruppetto di piccoli talenti aveva già visitato
molti bei posti. Il santuario di Silk non aveva ottenuto molte
esclamazioni entusiastiche, battuto facilmente dal il parco naturale
di Loran con i suoi animali provenienti da tutto il regno. Il ponte
Stradion fece felici molti maschietti, ripresi più volte da Sur
mentre si bloccavano ad ogni metro. Celebri scontri tra le sei
sorelle erano state incisi su placche di metallo rettangolari per
tutto il corrimano tra le innumerevoli statue poste alla stessa
distanza. Commemoravano gli eroi indimenticabili, coloro che si erano
battuti per la libertà della propria città e resi leggendari dallo
scorrere del tempo.
In
realtà a quegli occhi infantili tutta Silka poteva avere un aspetto
fiabesco. Molti bambini erano già stati a Elain, la città che
presiedeva la zona di Faliaful, costruita molto dopo le quattro
antiche e per questo più rinnovata.
Silka
era il risultato della pace tre le sei sorelle e la più recente
città del regno, tantissimi artisti avevano partecipato nei secoli
al suo abbellimento e poteva esserci una sorpresa ad ogni angolo: una
statua ad altezza naturale posta ad un incrocio, muri dalle forme
singolari, pozzi e fontane costruite in punti impensabili,
decorazioni e strane fusioni tra la natura e le costruzioni
circostanti.
Con
tutto quel materiale il dono della sintesi di Sai si rivelò un
valido alleato. Parlando di storia Sur si sarebbe perso nei troppi
collegamenti rischiando di far durare la visita intere settimane. I
suoi allievi lo sapevano bene.
Riusciti
a passare nell'affollata zona commerciale a ovest, ben troppo
affollata, il gruppo riuscì a raggiungere la strada parallela al
fiume, chiamata lancia di Silk. Una larga via adibita per il
passaggio tra nord e sud della città in cui una lunga striscia di
prato separava il sacro fiume dal resto. I bambini rimasero
meravigliati nel vedere la naturale sovranità del Silkriavan
contrastarsi con le case sull'altro versante.
La
campanella che Sai si era attaccata ai lunghi capelli tintinnava ad
ogni suo passo. Raggiunse un lato del ponte incitando i bambini ad
avvicinarsi.
Per
quanto Silka fosse piena di meraviglie nascoste il principale
capolavoro era stato costruito nei primi dieci anni dalla fondazione.
La perla più rara del regno di Raula.
L'unica
piazza ad essere stata costruita sopra il letto di un fiume.
Eccetto
Sur, per nulla nuovo a quella vista, i bambini rimasero a
bocca aperta. Sai se ne accorse. Lo stupore dei turisti,
specialmente in tenera età, non la stancava mai.
Percorrendo
il ponte Sur si mise alla fine della fila per sorvegliare meglio.
Camminarono per una trentina di passi ritrovandosi
immersi nella vita della piazza. L'ammirazione dei giovani
studenti non mutò, attirati dalla musica di una banda e dai profumi
che giungevano dalle bancherelle di dolci.
“Non
puoi comprendere la magnificenza di Raula se i tuoi occhi non hanno
mai incontrato la fontana Diamara”. Gli
adulti lo dicevano spesso.
La
loro emozione era così nitida che le persone attorno si spostarono
per facilitargli il passaggio, ringraziate una ad una da Sai con una
lunghissima sfilza di aim. Il campo visivo si liberò completamente.
I
riflessi colorati danzavano intorno al monumento tracciando prismi
sul bianco granito del pavimento circostante. Merito del sole che
risplendeva alto e dei getti d'acqua che partendo dalla cima del
monumento sfociavano in quattro archi per aria. Da
lontano la fontana poteva sembrare solamente un enorme piramide
smossa ai lati ma da quella distanza le figure scolpite si
delineavano, ben distinte a partire dal busto come se cercassero di
farsi strada tra la roccia.
Sai
lasciò che anche gli ultimi della fila potessero ammirarla meglio,
poi serafica parlò.
dopo essersi affiancato alla ragazza Sur lanciò un
occhiata severa ai suoi studenti. Quello era il momento!
Nelle
ultime due settimane li aveva costretti ad imparare a memoria nascita
e progresso della città d'argento. Domande a ripetizione e
scudisciate sulle dita ad ogni errore potevano riempire la testa di
qualunque asino.
L'attesa
per un volontario lo fece innervosire. Ebbe l'impeto di chiamarne uno
a caso prima che una mano sbucasse dalla folla. Con un
cenno del capo Sur gli diede la parola.
disse Lamp con discreta sicurezza.
commentò Sai.
Un
leggerissimo segno d'intesa arrivò anche da Sur.
proseguì la ragazza. <...Il
ravuo ed il costruttore Rasan misero i primi mattoni per la
realizzazione del capolavoro su cui ci stiamo muovendo oggi. É stato
proprio grazie al fiume Silkriavan se la guerra contro i Niaral
terminò, motivo per cui i le sei sorelle vollero creare il centro
dell'alleanza proprio qui. Sapete anche che cosa dichiarò Farner al
suo primo discorso al popolo?>
Questa
volta toccò ad Eira, una graziosa bambina tra le prime file. <”Non
può esserci gloria in una città se le persone che la abitano non
provano rispetto e orgoglio per essa”.>
In
tre provarono a rispondere ma uno fù più rapido.
La
velocità e la precisione delle risposte diedero a Sai un fremito
d'entusiamo. Battè le mani e Sur, indietreggiato dietro di lei, fece
un eloquente smorfia di disgusto.
disse il maestro acidamente.
L'approvazione
del gruppo scoppiò in un urlo di gioia. Sur
sbraitò ma nessuno si preoccupò di cosa stesse dicendo. La classe
si era già divisa.
Per
prima cosa vennero analizzati gli scudi incisi nel corrimano intorno
alla piazza. Ognuno di loro
rappresentava il simbolo di una città, distanziati tra loro a
seconda del punto cardinale rispetto a Silka: Joida a nord, Naori a
ovest, Serim ad est, Rataek a nord est, Munun a sud ovest ed Elain a
sud.
Davanti
all'ultimo non mancarono commenti e mormorì. L'attenzione generale
si spostò sugli spettacoli in scena: una commedia di
burattini e un giocoliere che con maestria roteava spade per aria.
Anche un pittore ottenne qualche complimento; tre bambine di
aggiunsero ad altri spettatori, osservandolo mentre colorava il suo
quadro. Con nascosto sollievo Sur potè gestire il branco senza
doversi muovere troppo ma per questo abbassò la guardia. Non si
accorse degli unici quattro scomparsi.
Abe,
Jof, Kasio e Pif avevano una missione della massima importanza:
trovare una reliquia da riportare a casa. Il piano era stato
preparato nei dettagli, le monete messe da parte. Mancava solo il
momento propizio e la distrazione del loro odiatissimo carceriere
Sur. Quale momento migliore di quello! Ma c'era tensione e il tempo
poteva essere scarso...
Il
nervosismo nella squadra era alle stelle, la paura di essere beccati
notevole. Kasio notò la bancarella sulla lancia. Vendeva giocattoli
di ogni tipo; dalle spade di metallo a classici rompicapo. Al centro,
posizionati su un piccolo ripiano, soldatini in metallo di landa o
frontiera. Vi fù chi propose di continuare a cercare e chi preferiva
approfittare del colpo di fortuna. Dopo un rapido ed acceso dibattito
i quattro raggiunsero un accordo comprando da quel mercante una
statuetta a testa. Soddisfatti si sedettero sull'erba accompagnati
dalla leggera brezza del fiume. Ammirarono i loro trofei mangiando
della frutta portata da casa e scherzando.
Passato
qualche minuto si rivolsero alla lancia e alle urla lontane. Da un
incrocio comparì un uomo che correva facendosi strada tra la folla
spaventata. Superò il punto in cui sostavano ma non li guardò
nemmeno, intento a continuare la fuga. La paura di trovarsi davanti
ad un pericoloso criminale paralizzò il gruppetto che con un sospirò
lo seguì allontanarsi. Tutti tranne Abe. Lui era rimasto a fissare
il punto da dove il bandito era sbucato. Il
suo sorriso si allargò.
Gli chiese Jof.
Domanda
sciocca. Kasio e Pif avevano già capito a cosa alludesse. Come
previsto gli eroi non si fecero aspettare.
Gli
uomini in armatura leggera e mantello porpora comparirono. Nella
testa di Abe l'emozione prese il sopravvento.
Appena
li superarono si mise al loro inseguimento. I compagni gli urlarono
di fermarsi ma non ottenendo alcuna risposta si ritrovarono a
corrergli dietro.
Abe
non pensava più ai giocattoli, a Silka o al suo pedante maestro.
Mentre seguiva il passaggio libero formatosi tra la gente era rivolto
solamente all'incredibile opportunità di vedere le guardie in
azione. Sarebbero stati costretti a combattere? Il fuggiasco avrebbe
avuto la meglio o avrebbe passato la notte al bajan?
La
possibilità di uno scontro lo caricò d'eccitazione. Girò in una
strada stretta e un altra volta ancora. Svoltato l'angolo frenò di
soprassalto. Non vi era più una strada libera, nella piazzetta si
era creata una folla che attorniava un largo cerchio. Abe passò
attraverso sbattendo sulle braccia delle delle persone, ignorando
ogni commento a riguardo, fino ad raggiungere la prima fila.
Riconobbe
subito il fuggitivo a terra ma non l'uomo che lo teneva bloccato per
i polsi. I suoi indumenti non avevano niente di altezzoso o
appariscente ma soprattutto non poteva essere una guardia.
Le due che aveva visto sulla lancia stavano parlando con un altro
uomo, ben più giovane e ordinato rispetto al compare.
Per
sentire cosa stavano dicendo Abe si spostò nella la circonferenza di
persone, portandosi ad un palmo dai mantelli delle guardie.
<...è
meraviglioso che un cittadino voglia rendere la città d'argento più
sicura ma siamo addestrati per questo. Di questi tempi non c'è
motivo di rischiare tanto...>
Nella
voce della guardia non vi era alcuna traccia di gratitudine,
sembrando quasi severo. Per nulla allarmato il giovane dai lunghi
capelli biondi cercò di trattenere il sorriso.
Estrasse
un medaglione grande quanto un pugno dalla tasca. Non appena lo
guardò il volto della guardia si illuminò.
esclamò.
<é
un piacere che rafforza l'orgoglio. Aim.>
Si
scambiarono un ultimo saluto prima che le guardie prendessero il
prigioniero in custodia.
sbraitò il ladro.
La
folla si aprì dando la possibilità alle guardie di passare. In
molti tornarono alle proprie attività mentre una frazione rimase per
applaudire i due coraggiosi. Il secondo uomo sghignazzò mentre il
giovane rispose con imbarazzo.
Abe
rimase dietro di loro. Era deluso per come la faccenda si era
conclusa ma dai suoi occhi usciva solo un forte desiderio. La fortuna
si era solo spostata.
chiese con voce spezzata.
Solare
il giovane si rivolse a lui.
Abe
rivolse solamente un occhiata confusa al compagno di Garen e a tutte
le differenze tra loro: più vecchio, molto alto, secco e dai capelli
scuri e arruffati. Eccetto per la maglia di lun, tessuto comune,
erano l'uno l'opposto dell'altro.
Garen
riprese nuovamente il medaglione, se lo appoggiò sul palmo della
mano e lo mise davanti ad Abe. Jof e gli altri si posizionarono
dietro di lui; erano rimasti dietro alla folla.
L'incisione
divideva lo stemma in due parti perfettamente uguali. Nella prima era
raffigurata una spada lunga, nella seconda il simbolo di regno, il
gufo reale che si fa strada tra le scaglie del serpente.
Messe
insieme avevano un unico significato.
specificò Garen.
La
testa di Abe si affollò di domande senza riuscire a formularne una
che avesse senso. Ovviamente anche ad Elain vi erano le guardie
cittadine, anche se il loro colore identificativo era il verde
foglia, e a Faliaful era più comune vedere uomini di landa. Ma un
combattente dell'esercito mandato ai confini del regno per risolvere
conflitti o possibili pericoli nei regni confinanti...
le
battaglie in cui Hammerstone era maggiormente impegnato...
A
quel pensiero Abe ebbe l'impressione che la sua gola si fosse
ristretta. si zittì improvvisamente
abbassando la testa per la vergogna.
Prima
di rispondere Garen scambiò un occhiata con Kimistro il quale gli
rispose con un alzata di spalle.
già quello bastò per mandarli in visibilio. <...ma non abbiamo
combattuto per lui. Non ancora...>
concluse Kimistro raggiante.
meno timidi di Abe i suoi amici
si fecero avanti sparando una raffica di domande: Avevano mai ucciso
qualcuno? Che armi usavano? Qual'era il posto più pericoloso in cui
erano stati mandati?
I
due soldati provarono a rispondere a tutto ma quando i quesiti
divennero incessanti Kimistro si dilettò nell'invenzione di storie
strampalate. All'interno della loro squadra il suo talento era ben
noto, un immaginazione talmente fervida che alcuni dei suoi racconti
erano sopravvissuti agli anni.
Stava
per concludere un mirabolante racconto quando le campane del
santuario lo interruppero.
esclamò uno dei bambini.
Li
salutarono frettolosamente sparendo da dove erano arrivati. Solo Abe
si fermò per un ultimo sorriso.
gli risposero.
Garen
aspettò che fosse allontanato abbastanza per colpire il compagno
alla spalla.
chiese Kimistro tastandosi il braccio. Usò un tono più
teatrale che sofferente.
Kimistro
scoppiò a ridere.
Sospirando
nervosamente Garen ricominciò a camminare. Prima che l'inseguimento
li fermasse si stavano dirigendo ad sud ovest, tra la zona mercantile
e i sobborghi.
Le
strade si restrinsero ma i piccoli negozi alimentari non mancavano
mai, tra le urla dei mercanti e di possibili clienti fermi a
guardare. Garen si distraeva facilmente ascoltando le discussioni
degli uomini o seguendo pacate trattative mentre l'aroma di una torta
salata lo investì in pieno. Nulla a che vedere con i regni di
Sationne e Reno, nulla a che vedere con i confini.
<è
da un po' che non ti vedevo così sereno.> osservò Kimistro.
Garen
gli lanciò un occhiataccia.
esclamò Garen ridendo.
Ridacchiarono.
Garen
sapeva bene quanto era grande l'ambizione di Kimistro. Se aveva
passato così tanto tempo a combattere al fronte era solo per
lavorare un giorno nella squadra capitanata da Hammerstone, il sogno
di entrambi da quando si erano conosciuti al bajan dei sobborghi di
Silka. Garen aveva appena iniziato, Kimistro già al secondo mandato
che prevedeva un periodo nella guardia cittadina in un altra città
dopo il suo arruolamento a Joida. Non legarono molto in quel breve
periodo e Kimistro venne mandato al confine poco dopo. Il giovane
seguì il suo destino un anno più tardi, per caso nella stessa
squadra. Da lì il legame si rafforzò. Storie
come quelle non erano così inusuali nell'esercito ma non tra persone
di diversa origine.
Per
un po' la famiglia di Kimistro fù l'argomento principale. Come aveva
ritrovato i suoi figli, vari cambiamenti... il soldato parlò a lungo
mostrando tutta la sua gioia. Quando capì che stava parlando solo
lui provò a riproporre la domanda a Garen.
fù la secca risposta.
Non
disse nient'altro e per qualche secondo Kimistro si chiese se valeva
la pena riprovare. Per Garen esercito e famiglia erano due argomenti
che dovevano rimanere separati e in molti erano stati testimoni di
ciò che accadeva superando il limite: ogni volta che gli veniva
ricordato di essere figlio di un comandante l'impudente finiva sempre
al tappeto. Mettere
in discussione il suo talento era un errore sciocco e Kimistro era
l'unico ad avere il coraggio di scherzarci sopra. Decise infine di
lasciare altre domande a dopo. Per il resto del tragitto si
scambiarono solo qualche commento su quanto era stata una buona idea
evitare le strade principali. In mattinate come quelle era parecchio
difficile muoversi per la zona mercantile.
Sotto
ad un sole cocente si fermarono davanti ad un enorme porta in legno.
commentò uno dei tre uomini davanti alla locanda.
Il
sorriso di Kimistro si allargò non appena riconobbe le voci di
alcuni compagni.
Si
addentrarono nella bolgia e dopo di essa sopraggiunse il forte odore
di sudore. Scene così non venivano viste di buon occhio nel resto
della città, solo nel sobborgo si facevano eccezioni. Quello però
rappresentava uno straordinario evento, la
baraonda non era nemmeno comparabile ad una regolare serata di festa.
Nel
fondo della grande sala era stato costruito un ring con barili vuoti
e vecchie corde. Due membri della squadra a torso nudo e
completamente fradici combattevano mentre altri gridavano e
lanciavano monete. Vi erano
estranei che scommettevano o altri che si accalcarono nelle vicinanze
per supportare il temporaneo beniamino.
Dopo
una fase di stallo Gorun, il più grosso dei due, si scagliò contro
Alba. Il forzuto avversario riuscì a bloccarlo prendendolo per la
cintola e scaramentarlo sopra alle corde. Il grido di vittoria di
Astra si mischiò all'esultanza dei suoi sostenitori. Ne seguì un
applauso a cui si aggregarono Kimistro e Garen.
Il
loro ritorno alla città d'argento era sempre sinonimo di
celebrazione, immensa in certi casi, a seconda di quanto fosse stata
importante la battaglia a cui avevano partecipato. Ciò lo decideva
un solo uomo, lo stesso che si era appena offerto per il prossimo
incontro. Apparentemente non una minaccia per le rotondità del suo
fisico ma ogni soldato sotto il suo comando aveva imparato a non
sottovalutare il comandante Grifon.
La
folla andò in delirio.
Il
nuovo sfidante alzò un braccio riuscendo a far tornare il chiasso a
livelli accettabili.
Seguì
un urlo di approvazione bloccato dallo stesso Grifon con un pugno per
aria. Lanciò uno sguardo minaccioso al suo avversario, una giovane
leva appena arrivata da Serim.
Il
ragazzo ebbe solo il tempo per inorridirsi al pensiero e l'incontro
iniziò. Garen e Kimistro non guardarono quanto il giovane se la
stesse cavando, facendosi strada tra i compagni ed i clienti
stranamente esaltati dalla
confusione. Si mossero verso il bancone e non appena li vide l’oste
andò subito a salutarli.
Disse radiosamente Kimistro.
A
passo svelto il minuto gestore si
recò verso un barile di birra. Non perse un istante
portandogliela appena la schiuma
salì alla cima dei boccali.
Garen
fissò il proprio, indeciso se bere o meno. Prese tempo.
sussurrò all'orecchio di Kimistro.
Nel
mentre Aron sparì sotto al bancone ricomparendo subito dopo con un
bicchiere in ottone traboccante.
gridò Garen.
Rimasero
a lungo a parlare buttando un occhio al combattimento solo quando le
urla raggiungevano l'apice.
Aron
era sempre il primo a sapere del loro arrivo e a preparare un
adeguata festa. Suo fratello era stato compagno del comandante quando
erano semplici guardie in città e un delizioso liquore da Elain
rendeva sempre il ritorno assai più gradito.
I
vapori dell’alcool aumentarono e le gambe si fecero pesanti. Quando
nessuno si propose per una nuova sfida gli uomini si sedettero
portando il rumore poco più alto di un agitata conversazione. Si
crearono molte tavolate e quasi tutti raccontarono come avevano
trovato la propria famiglia, o nello specifico su come avevano
soddisfatto la moglie alla prima occasione. L'unico che continuò a
girare per la sala fù il comandante Grifon, ridendo e scherzando con
chi capitava a tiro.
Raggiunse
il bancone con un sorriso smagliante. Si reggeva a malapena in piedi
ma riuscì comunque a passare il boccale ad Aron per farselo
riempire.
disse.
La
battuta fece ridere Astra e Kilik e altri soldati a portata di
orecchio.
commentò Kimistro.
Grifon rise
fragorosamente buttando la faccia sul boccale tornato in mano sua. Si
leccò gli enormi baffi con avarizia.
gli chiese Garen proponendo un brindisi.
<è
una grande donna, in tutti i sensi. Dovrebbe fare attenzione a quanto
muove la mascella...ne preferirei una che parla tanto!>
In
quel caso il comandante fù l'unico a ridere. Meglio non mostrare
troppa ilarità alle battute che riguardavano l'amore della sua vita.
Gli chiese poi Grifon.
Il
viso del ragazzo si abbassò al boccale ancora pieno.
Anche
Grifon si controllò ma non nascose un sorriso sereno.
Garen
annuì.
Il
comandante si avvicinò per mettergli una mano sulla spalla. Il suo
alito era fortissimo. si rivolse anche a Kimistro.
l'espressione di Garen si accese.
esclamò Grifon.
In
un impeto di energia l'uomo scese dallo sgabello e si rivolse ai
tavoli dietro di loro.
L’urlo
venne pareggiato dal boato dei soldati. Di scatto il comandante prese
Garen per il colletto.
Ridacchiò
prima di baciarlo sulla fronte, poi fù Garen a fare lo stesso
vedendolo fare la stessa cosa con Kimistro.
rispose cercando di trattenere la risata.
Il
corpulento uomo si allontanò prendendo di mira qualcun altro.
Quando
la distanza fù discreta Kimistro si lasciò andare. rise tanto da doversi asciugare una guancia.
<è così strano vederlo così allegro dopo che hai combattuto al
suo fianco.>
<è
un grande uomo.> Affermò Garen.
Non
solo aveva sentito. Garen continuò a ripetersi ogni parola cercando
di convincersi...
...inutilmente.
Ritornò il solito Garen.
Finì
di parlare cercando di nascondere il senso di colpa. Kimistro era una
persona positiva e ambiziosa, mai avrebbe accettato di rinunciare al
suo sogno. Anche se non poteva mentirgli la possibilità di rovinare
la sua qualità era un peccato mortale.
dichiarò
solennemente Kimistro dopo un lungo silenzio.
Rasserenato
Garen sollevò il boccale.
fù la pronta risposta.
In
quel caso bevvero entrambi poi Garen si alzò dal suo posto.
Si
salutarono con un lieve cenno della mano e non appena Garen superò
la porta gli occhi di Kimistro si concentrarono sul duro legno del
bancone.
Nel
complesso ammirava moltissimo Garen. Un amico eccezionale, divertente
quando voleva e un compagno di armi impareggiabile. Avercelo a
coprirti le spalle significava che sarebbero rimaste immacolate. Solo
la sua maledetta logica stonava col resto. Mai una volta che avesse
scommesso a cuor leggero. Non riusciva davvero a considerarlo un
difetto, rispetto ad altri con la stessa provenienza Garen era
cresciuto fin troppo bene.
Prima
che il locandiere venisse a prendere il suo boccale buttò giù la
poca birra rimasta con scioltezza.
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Capitolo 4 *** UNO (2\2) ***
UNO 22
Dal
terrazzo delle sue camere era visibile tutto il giardino centrale.
Non era maestoso né grande (stessa cosa si
poteva dire del castello stesso) ma al ravuo piaceva così com'era,
gli conferiva un senso di pace. Riscaldato dal sole pomeridiano Maki
si era seduto nella terrazza leggendo vari rapporti provenienti dalle sei
sorelle. Leggere note accompagnavano il lavoro interrompendosi
all'improvviso da alcune correzioni. La sinfonia a singhiozzo non
disturbava per nulla il lavoro. Non essendoci comunicazioni urgenti quello era solo uno
stratagemma per ingannare l'attesa. Quando bussarono alla porta
lasciò le carte di scatto portandosi al centro della stanza.
La
guardia aprì e si inchinò. - Nobile ravuo, il generale
supremo... -
La
conferma rallegrò Maki. Cercò di non farlo vedere troppo. - Fatelo
passare. -
L'uomo
si spostò a lato per far spazio all'ospite. Fù uno sforzo
mantenersi serio nel vederlo esattamente come si aspettava: barba
nera perfetta e capello tagliato al millimetro. Nemmeno due settimane
ai confini di Naori riuscivano a rovinare l'aspetto di Hammerstone.
La
guardia si congedò chiudendosi la porta alle spalle. Il segnale per
lasciarsi andare ad esclamazioni e abbracci.
- Passato
piacevoli settimane senza di me? - chiese Hammerstone.
- Come
sempre Greguar. - rispose il ravuo con tono ironico. - Solo le
giovani dame di corte rimpiangono la tua assenza. Fortunatamente io
non devo fargli compagnia. -
- Non
ci sarebbe nulla di male se ammettessi che ti sono mancato. -
- Certe
cose, amico mio, non accadranno mai. -
Insieme
andarono nella terrazza. Maki sistemò i documenti in una pila
ordinata che lasciò al centro del tavolo e si sedette su una delle
sedie. Prima di fare lo stesso Hammerstone si sporse dal terrazzo
osservando la lezione di chitarra nel giardino.
- Dovrebbe
essere qualcun altro a suonare per lei. - obbiettò torvo.
- Un
pensiero ragionevole ma sciocco. Essendo la mia erede Irakua può
chiedere e fare ciò che vuole, al limite del rispetto umano. Se vuole
imparare a suonare uno strumento anziché limitarsi ad ascoltarlo, che
senso avrebbe impedirglielo? -
- Se
le chiedesse di imparare a cucinare le permetteresti di sporcarsi con
la farina? -
- Mi
renderebbe un padre fortunato. Potrei morire mangiando squisite
pietanze accompagnate dalla musica di mia figlia. Certo che se i suoi
piatti sono come le sue canzoni potrebbe essere il colpo di grazia… -
Greguar
rise.
- Scherzo. -
aggiunse il ravuo. - Ha iniziato da poco, di certo le servirà
ancora molto tempo... -
- Dovrai
velocizzare i tuoi piani. Ancora qualche anno e tutti i regnanti
manderanno pretendenti da ogni città. L'equilibrio è stabile e
ognuno vuole far parte della storia di Silka, è normale. Non sarà
tutta tua in eterno. -
- Lo
so bene, per questo ho ricominciato ad usare la spada... -
Preso
dall'ebbrezza del ritrovo Maki sobbalzò sulla propria sedia. - Sono
proprio un maleducato, non ti ho offerto nemmeno dell'acqua. Ho
qualcosa che apprezzerai sicuramente di più. -
Hammerstone
provò a muoversi più velocemente ma il protettore del regno stava
già arretrando verso la stanza intimandolo con la mano. - Non
qui. -
- Lo
sai come la penso. -
- Si,
come so che devi rispettare i miei ordini. Sei appena tornato... -
Sparì
dietro alla tenda svolazzante costringendo il generale ad arrendersi
per l'ennesima volta.
Per
Hammerstone la questione era semplice: il ravuo, rappresentante di Silka e del regno, doveva comportarsi da Re. I
Bars non erano mai stati
protettori dispotici ma questo non significava che dovevano essere
servizievoli nella propria casa. Più volte aveva tentato di
dissuaderlo, fallendo miseramente, e negli anni Maki aveva sempre
dato la stessa motivazione: all'interno delle sue camere erano
solamente due amici che si intrattenevano con tranquille
conversazioni. Il peso dei loro ruoli rimaneva fuori dalla porta.
Era
sempre stato così fin da quando il giovane Greguar Tafft, al tempo
figlio del comandate del bajan centrale, venne invitato insieme ad
altri bambini al castello con Maki per essere educati in lettura,
nozioni militari e combattimento. La compagnia esterna e gli
insegnamenti del precedente ravuo Modus fecero bene al futuro erede e
lui stesso cercava di tramandarli alla figlia Irakua.
“Nel
nostro sangue non vi è alcun diritto reale. Chiunque un giorno
potrebbe prendere il nostro posto e guidare le città verso l'unico
ordine che ci comanda: la stabilità.”
Non
era un caso se l'equilibrio a Raula resisteva ancora. La città,
insieme ai valori di Silk, continuavano a brillare.
Di
ritorno Maki porse un calice al suo ospite e si accomodò. - L'ultimo
carico di vino che ci hanno mandato da Serim. Credo che il nobile
Ersmond ne sia davvero entusiasta. -
Hammerstone
se ne bagnò le labbra. - Lo credo bene. -
- Raccontami
la resistenza a Rakatà. -
- I
ribelli rimasti stanno trattando la resa con il nobile Malaya. Ho
lasciato Draisar per assicurarsi che non cambino idea ma è stato
solo per precauzione. -
- Ne
sono contento. Ci sono stati troppi scontri a Sationne nell'ultimo
periodo, così vicini a Naori dovevamo pur fare qualcosa. -
- La
fama della loro follia li precede. -
- Molto
bene. È arrivato un messaggio da Okaria questa mattina, pare che il
dibattito con gli abitanti si è concluso pacificamente. -
- Si,
ne sono già stato messo al corrente... - Lo sguardo di Hammerstone
si bloccò verso l'orizzonte. La sua spensieratezza si spense. Si
conoscevano da troppo tempo, abbastanza per capire che era pronto ad
esternare un pensiero importante.
- Greguar... -
Mormorò Maki.
- Ieri
si è conclusa la settimana di reclutamenti… - Indeciso se
continuare il generale si interruppe.
- Vai
avanti. - Lo invitò il ravuo.
- …Le
candidature sono la metà dell'anno scorso. La cifra più bassa degli
ultimi cinque anni. -
Maki
annuì. Aveva capito cosa avrebbe detto ma volle lasciargli il tempo
di esprimersi.
- Di
questo passo non avremo più una generazione combattente e dopo di
noi non ci sarà più un esercito in grado di proteggere il regno. So
che non è la prima volta che te ne parlo ma spero che tu possa
capire la mia preoccupazione. -
Tranquillo
il ravuo sorrise. - I tempi sono cambiati Greguar. Oramai non c'è
più bisogno di investire tutto quello che abbiamo in armi e
rifornimenti, è grazie a questo che stiamo raggruppando le migliori
menti nell’artigianato e architettura. Nei prossimi anni potremmo
espandere ulteriormente i confini delle mura ed accogliere nuove
famiglie. La città d'argento brillerà ancor di più. In ogni caso
capisco le tue preoccupazioni, molto di più di quanto abbia fatto
l'ultima volta. Per questo ti propongo un patto: se questa
diminuzione dovesse continuare metterò una legge per fare in modo
che la cifra non si abbassi troppo. Non mi piace mettere delle
costrizioni al popolo ma se questo servirà a proteggere Raula
parlerò con i regnanti e lo farò senza fiatare. -
Non
proprio quello che voleva ma Hammerstone si mostrò comunque
soddisfatto. - Ti ringrazio. -
- Viviamo
un grande periodo, non ti turbare con problemi che non hanno
rilevanza adesso. In più mi hanno detto che ci sono moltissime
squadre che stanno aumentando il prestigio del nostro esercito. -
- Dici
il vero. Alcune di queste stanno crescendo uomini davvero
promettenti. -
- E
questo prestigio ci servirà anche fuori dalle guerre. - Maki si
allontanò per riempire due bicchieri di acqua.
- Saresti
stato un ottimo ravuo. - affermò Maki.
- Mi
onori con le tue parole. - dichiarò Hammerstone. - Ma preferisco
di gran lunga un uomo che non si fa affossare dalle proprie
preoccupazioni. -
- L’importante
è non dare mai niente per scontato… -
Maki
alzò il calice invitando il generale a fare lo stesso. - A te
l'onore. Io mi tengo la pace. -
- Un
ottimo scambio! Brindo alla vostra dinastia, la migliore che abbia
visto a proteggere Raula. Brindo alla città d'argento la cui luce mi
accompagna nei luoghi più lontani. Che i nostri valori ci possano
guidare ancora e che il nostro orgoglio non ci abbandoni mai. -
Maki
annuì. - Ben tornato. -
Dopo
aver brindato Hammerstone si lasciò andare ad una risata
divertita. - Vorrei sfidarti a scacchi ma solo se mi lasci preparare la
scacchiera. -
Il
ravuo sembrò sorpreso dalla sua richiesta così come Hammerstone
faticò a comprenderne il motivo.
- Ho
paura di dover rimandare la nostra sfida a più tardi. Irakua deve
passare dagli Strugarm e mi hanno chiesto la tua presenza come
accompagnatore. Sarebbe gentile acconsentire alla loro richiesta... -
Prima
di parlare Hammerstone si massaggiò pazientemente la tempia. -
Conosci la mia opinione riguardo ai salotti di conversazione. -
- Se
non mi costringi ad ordinartelo giuro che non te lo richiederò per
molto tempo. -
- Un
anno. -
- Direi
che abbiamo un accordo. -
Dopo
una stretta di mano ed un inchino il generale si congedò.
Ancora
sereno per il piacevole incontro Maki si appoggiò al corrimano
della
terrazza aspettando che Hammerstone ricomparisse sul prato. Non lo
vide subito ma notò lo sguardo di Irakua mutare per la
sorpresa come come corse per lanciarsi tra le braccia del
generale.
Il
ravuo non potè fare a meno di sentirsi in colpa. Hammerstone era un
uomo onorevole, fatto unicamente per combattere. Non c’era spazio
per incontri di corte o conversazioni con gli aristocratici della
città. Proprio quella motivazione lo spinse a dargli l'incarico. La
sua devozione al suo ruolo erano di esempio per tutta Raula ma almeno
quando tornava a casa doveva imparare a cogliere la bellezza della
vita.
Riuscire a cambiare la natura di uomo? Difficile ma come amico
doveva almeno provarci.
- Che
vita dura quella di un ravuo. - si disse ad alta voce.
Si
prese un paio di minuti prima di lasciare le sue stanze. Ora che il
meglio della giornata era passato vi erano affari che necessitavano
la sua presenza.
Il
resto della giornata passò velocemente. Come ogni giorno che
precedeva un rashark il ravuo rimase per lungo tempo nella stanza
degli archivi a scrivere un breve riassunto suglla settimana appena
passata. La serata si concluse con una
cena assieme ad Irakua e Hammerstone. Da quello che raccontarono
entrambi la visita dagli Stugarm andò bene se non, secondo il
generale, per un folto gruppo di abitanti che li bloccò per
strada salutandoli e chiedendo la loro benedizione. Per quanto
riguardava il vero motivo della loro uscita non si fece
alcuno scrupolo a definirlo una noia mortale, facendo ridere di gusto
Irakua. Il personale della famiglia lo impegnò particolarmente
chiedendogli di raccontare storie di luoghi lontani o aneddoti su
guerrieri maldestri a cavallo. Anche se infastidito da ciò
riuscì a
trarne una nota positiva; almeno gli diede la possibilità di
stare
alla larga dai frivoli discorsi dei nobili. Dopo le ore passate
nell'archivio il racconto risollevò anche Maki che non si
dimenticò
di ringraziarlo ancora per la pazienza dimostrata. Il buffo pensiero
dell'amico impegnato con curiosi uomini lo tenne di buon umore fino
al ritorno nelle sue camere. Le guardie che sorvegliavano la stanza
principale si erano spostate alla porta ed il camino era lasciato ad
ardere. Maki raggiunse direttamente la camera da letto e svelto
abbandonò vesti più ricamate per indossarne qualcosa di
più
comodo. La morbidezza del suo materasso lo fece sprofondare in un
grande sollievo.
Settantotto
anni. L'equilibrio tra le città durava da così tanto da sembrargli
una frivola fantasia. Preceduto da anni duri, certamente, ma il
flusso di protezione che si era creato all'interno del regno non si
era ancora estinto, esattamente ciò che volevano i regnanti delle
città quando decisero di creare un nucleo di pace. Più unite che mai le sei sorelle si aiutavano a vicenda, le
lande erano protette dalle truppe di ricognizione ed i confini tenuti
sott'occhio dai fidati comandanti di Hammerstone.
Un
periodo così longevo, gestito così magistralmente... suo padre non
si sarebbe immaginato tanto. Il sogno della famiglia Bars era ancora
vivo e mancavano solo ventidue anni per vederlo interamente
realizzato...
“Un
intero secolo di pace, sperando che possa durare anche di più.”
Se
lo ripetè più volte conciliando il sonno...
La
settimana successiva finì prima che Maki se ne accorgesse. Toccò a
lui farsi vedere da nobili paciocconi e felici. Vennero in visita
alcuni reali dal regno di Redo, un paese confinante a nord est.
Insieme a Irakua e una manciata di uomini della scorta portò gli
ospiti in visita per le strade. Gli ospiti portarono pesce e vino di
ottima fattura che Maki ricambiò con un carro carico delle carni più
buone dai campi fuori da Silka.
Altre
situazioni di medio rilievo lo tennero occupato: piani futuri per la
difesa dei confini con Hammerstone, visite ai bajan, donazioni al
santuario... Arrivò a sera stanco abbandonandosi alle gioie del suo
letto prima ancora di cambiarsi. Chiuse gli occhi giusto per qualche
minuto, non dimenticandosi di ringraziare Silk per poter aggiungere
quel giorno all'ormai infinita lista.
Non
fece caso al tenue rumore sotto di sé. La lama attraversò il
materasso squarciando la stoffa come la pinna di un tonno sul letto
del fiume.
I
suoi sensi di Maki si riattivarono in un secondo.
Allarmato
rotolò alla sua sinistra cadendo sul freddo pavimento. La lama
sbucò una seconda volta, nell'esatto punto in cui prima si
trovava
la sua schiena. Nei pochi secondi che ebbe a disposizione corse al
lato opposto della stanza a recuperare la spada leggera che
Hammerstone lo aveva costretto a tenervi. Non ricordava
bene la discussione che avevano avuto a riguardo. Era passato molto
tempo, nonostante l'estrema convinzione del ravuo di non aver
bisogno di un arma il generale riuscì a dissuaderlo. Ancora una
volta
ringraziò Silk.
Anche
se intimorito e sorpreso estrasse la spada priva di decorazioni
e gettò il fodero a terra. Il suo assalitore strisciò fuori dal
letto rapidamente. Indossava un completo nero
senza una cintura, stivali o altro che potesse emettere rumori.
Recuperò un coltello dalla schiena e con ancora la spada nell'altra
mano si lanciò contro di lui. Era veloce. Provò subito un affondo
con il coltello per poi arretrare di un passo e colpire con la lama
più lunga. Maki non aveva dimenticato come difendersi e schivò
senza problemi. Stessa cosa riuscì con i consecutivi colpi ma con
l'andare del tempo sentì l'agitazione salire e il suo respiro
diventar più pesante. La paura che l'assassino se ne accorgesse lo
portò all'errore muovendosi troppo lentamente. Solo la larga veste
che indossava venne squarciata, suggerendogli di indietreggiare.
Ci
fù qualche secondo di tregua. Mentre Maki riprendeva fiato il suo
avversario rimase fermo a fissarlo.
Nella
paura che provava si insinuarono tante domande ed una sola certezza:
non era più un uomo pronto per la battaglia. Ammettendolo
saggiamente decise di correre ai ripari.
Aspettò
per interminabili secondi una risposta che non arrivò. Ormai
convinto di doversi salvare da solo le porte della camera si
spalancarono. Non erano Roki e Lomù, gli uomini di guardia quella
sera.
Il
gelido sguardo dell'assassino si spostò verso gli uomini arrivati in
suo soccorso subito gli uomini si lanciarono per attaccarlo.
Approfittando del momento favorevole Maki corse all'ingresso
scoprendo i corpi di Roki e Lomù appoggiati al muro. Il loro sangue
si stava facendo strada verso il centro del corridoio.
Morti?
Morti nel castello?
Spaventato
dal quel pensiero notò a malapena gli uomini che stavano accorrendo
verso di lui. Li guardò in preda all'agitazione. - IRAKUA! -
Per
un attimo il soldato alla testa del gruppo non capì.
- ANDATE
NELLE CAMERA DI IRAKUA, è UN ORDINE!! -
Il
ravuo non era l'unico influenzato dal panico causato da singolare
evento. Ci volle qualche secondo affinchè le guardie
capissero appieno. Alla fine il raziocinio ebbe la meglio. - Stia
attento. -
Maki
non gli rispose nemmeno, tornando a passi lunghi nel centro della
stanza.
Qualcuno
si era introdotto nel castello portando morte in un simbolo di pace.
Qualcuno
lo voleva morto.
Non
provava più confusione né paura. Accecante rabbia aveva preso il
sopravvento.
- FATEVI
DA PARTE! - tuonò.
Ancora
impegnate nel combattimento le guardie ebbero a malapena il tempo
spostarsi. Come un falco Maki piombò tra di loro cercando di colpire
l'aggressore con tutta la ferocia che provava. Impegnato con due
avversari l'uomo si era concentrato sul difendersi e con il ravuo
parve meno in difficoltà. A giudicare dai movimenti fluidi doveva
esserci almeno un decennio di differenza tra loro.
Indomito
Maki continuò a colpire. Pur avendo vissuto durante la pace era
compito di famiglia mandarlo al confine a vedere con i suoi occhi la
violenza della guerra. Venne inondato di ricordi, quando insieme ad
Hammerstone non lasciavano nemmeno un uomo al proprio destino.
Era
il ravuo. Se Silka era il falò di Raula lui era responsabile del
vigore della fiamma.
Provò
un fendente orizzontale e le lame rimasero attaccate tra loro a causa
della resistenza che entrambi esercitarono. La fatica era
tornata a farsi sentire e con difficoltà Maki riuscì a resistere.
Con la mano libera il nemico girò il coltello dall'altra parte
dell'impugnatura.
Sentendo
lo svantaggio incombere Maki utilizzò un ultimo impeto per mandare
indietro l’altra spada e provare un affondo.
Come
aveva supposto l’aggressore si sarebbe difeso con entrambe le armi.
Bastò alzare di poco la traiettoria per passare tra le lame e
penetrare tra le scure vesti. La punta della spada si infilò nella
carne a metà strada tra la spalla destra e il petto. L'uomo emise un
esile lamento prima di accasciarsi a terra. Lì rimase, accerchiato
da quattro guardie che accorsero.
Attonito
Maki rimase a fissarlo. Arretrò di qualche passo mentre la tensione
per la sopravvivenza lo abbandonava. La vista cominciò a girare, i
muscoli delle gambe cedettero. Una forte nausea lo prese alla
sprovvista. Eppure il cuore batteva ancora all'impazzata unicamente
concentrato su una sola paura...
- Sta
bene? - Un uomo appena entrato nella stanza si affrettò per
soccorrerlo.
Riprendendo
fiato Maki si alzò ancor prima che potesse raggiungerlo. - Irakua... -
- è
salva. Un gruppo di uomini è sotto con lei. Non è accaduto nulla. -
La tensione che provava si allentò. - Sia ringraziato Silk... -
La
lieta notizia ma non era sufficiente per liberarlo da tutti i suoi
turbamenti. Decise le prossime mosse con calma. Prima di
incamminarsi guardò l'invasore un ultima volta. Era immobile come
una statua, sguardo basso.
- Scendo da Irakua. - annunciò il ravuo. - Incatenatelo, portatelo
in una cella e chiamate il generale. Voglio anche una squadra che
controlli che non ci siano vittime nel resto del castello. Abbiamo
bisogno di risposte. -
L'uomo
annuì lasciandolo alla sua strada. Maki riuscì a fare giusto i
primi passi nel corridoio.
- FERMO! -
Sorpreso Maki si voltò. I quattro che avevano
bloccato l'assassino avevano sollevato le lance contro di lui mentre
si era appoggiato una piccola lama alla gola.
- ABBASSA
SUBITO LE MANI! - gridò un altro.
- Che
cosa farete altrimenti? - ribattè lui.
Aveva
una voce roca ed incredibilmente calma. Lanciò agli uomini sguardi
di sfida capendo di averli messi in trappola. Poi guardò Maki
estasiato come se stesse ammirando qualcosa di meraviglioso. Sorrise
e ridacchiò. - è stato
semplicemente bellissimo... -
Maki
gridò. Gli uomini scattarono per bloccargli il polso tardivamente,
si era già lacerato la gola. Gorgogli strozzati gli uscirono dalla
bocca insieme a conati di sangue che si unirono a quello che già
stava traboccando dalla ferita. Si accasciò su un fianco lasciando i
presenti in un terrificante silenzio. Alcune delle guardie fissarono
il ravuo aspettandosi una reazione rabbiosa. Il tutto si concluse con
un suo lungo sospiro. - Portate via il corpo. -
- Si,
signore... -
Lasciò
la stanza senza dire una parola.
Qualsiasi
cosa fosse accaduta non aveva alcuna intenzione di portare la sua
confusione fino alle stanze di Irakua.
Incrociò
un gruppo di guardie sulle larghe scale principali che si
fermarono per accertarsi delle sue condizioni. Maki li ringraziò per
questo ma gli chiese con pacata autorevolezza di aggregarsi agli
altri che giravano il castello. Sia lui che loro continuarono verso i
propri obbiettivi e dopo un altro corridoio al piano inferiore Maki
si ritrovò davanti alle grandi porte spalancate delle stanze della figlia.
La
vide non appena svoltato l'angolo; seduta sul suo letto e a sguardo
chino mentre ascoltava una ragazza seduta al suo fianco. Non appena si
avvicinò la dama di compagnia si interruppe ed Irakua
alzò
la testa. Invano tentava di trattenere le lacrime. - Ho
temuto... -
Non
la lasciò finire stringendola in un delicato abbraccio. Lei non
provò nemmeno a finire lasciandosi andare allo sconforto.
- Non
essere triste, figlia mia. Tuo padre sa ancora difendersi... -
Irakua
non si curò del suo tono temerario. Era una ragazza giovane ma
ancora inesperta riguardo ai pericoli della vita. Realizzandolo Maki si augurò
che non accadesse più.
Dopo
un po' il pianto di Irakua sembrò diminuire. Si staccò dalla sua
spalla guardandolo con occhi arrossati. - Pensi che possano
provarci ancora? -
- Forse
ma ci troveranno preparati. Non voglio che tu esca dal castello, non
nelle prossime settimane. Greguar ti seguirà ovunque. -
- No,
deve seguire te! - Irakua lo strattonò con forza per la veste. - Sei tu quello in pericolo. -
Le
premure fecero sorridere il ravuo.
- Hai
ragione... - rispose con dolcezza. - ...ma non mi importa. I
nostri soldati sono eccellenti, anche senza Greguar non correrò
rischi. -
Lo
sguardo del ravuo si spostò sulla sua dama di compagnia. Asa aveva
un anno in più di Irakua.
- Sono
felice che stiate entrambe bene. - le disse.
La
ragazza, visibilmente preoccupata, mostrò uno smorzato sorriso. - Anche io per lei maestà. -
- Per
questa notte anche tu dormirai qui. - ordinò. - E domani mattino
passerò a controllare che non sia successo nulla di grave. -
Irakua
annuì debolmente.
Anche
se sentì quanto stesse provando a trattenerlo Maki si staccò da
Irakua. Il suo tesoro più grande era al sicuro. Ora anche Silka
doveva esserlo.
Non
appena abbandonò la stanza recuperò dalla memoria uno dei
suggerimenti perduti di Modus.
“La
pace ha un prezzo e non tutti sono propensi a pagarlo”.
Da
quanto tempo non lo ricordava? Da quanto non sentiva il bisogno di
farlo?
Un
errore che non avrebbe più commesso. Tornò alla rampa centrale
delle scale, chiamando a sé un gruppo di uomini al piano inferiore.
A passo svelto si fermarono davanti a lui.
- Se notate qualcosa,
anche solo il più insignificante indizio, voglio saperlo. -
Non
fecero nemmeno in tempo a decidere da dove partire che tutti i
presenti vennero attirati dal rumore di sopra di loro. Dal piano
superiore un soldato accorse. - Nobile ravuo! -
- Avete
trovato qualcosa? - gli chiese Maki fremente di risposte.
L'uomo
ci mise qualche secondo a rispondergli. Per recuperare fiato e per trovare le parole adatte. - Il corpo...le guardie... -
Non
riusciva a guardarlo negli occhi rendendo Maki ancor più nervoso. - Avanti, parla! -
- NON
CI SONO Più! -
Tutte
le domande, i dubbi, le preoccupazioni...
...nella
testa di Maki sembrò tutto svanito.
- Trovate
il generale. Deve raggiungermi il più in fretta possibile. -
- Subito. -
La
squadra si divise in due gruppi che presero strade opposte ed il
giovane soldato li seguì. Se il generale non era ancora accorso
voleva dire che non era presente al castello.
Maki
rimase da solo. Gli serviva un appoggio. Tutti quegli anni ad
imparare dall'esperienza di Modus, a gestire rapporti e mediare con
le sei sorelle, a combattere guerre di paesi più lontani...
Anni
di grandiosi risultati e niente che potesse aiutarlo.
Già
non era semplice spiegarsi la sensazione di essere stato risparmiato.
Al momento sembrò soltanto una sciocchezza. Inoltre non era nelle
condizioni di fare supposizioni. Non quella notte.
Eppure
vi erano cose che non poteva ignorare. Roki e Lomù erano vivi quando
era entrato nella sua stanza e sicuramente quell'uomo era già
appostato sotto al suo letto. E le sparizioni...come potevano essere
spariti tre uomini vivi ed un cadavere senza che nessuno se ne
accorgesse?
Maki
si costrinse a smettere di pensarci.
Era
un sospetto ovvio ma troppo terrificante per prenderlo in
considerazione.
L'uomo
non agiva da solo. Aveva dei collaboratori.
E i collaboratori erano dentro al castello.
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Capitolo 5 *** DUE - STALLO (1\2) ***
DOMINATORE 3 - STALLO
Alla
nascita di Silka il santuario fù uno degli edifici della massima
priorità. Mentre le prime abitazioni prendevano forma, i costruttori
si ritrovavano a celebrare il Dio salvatore nel salone centrale,
seguendo i discorsi del primo sacerdote Ramal. Lo sviluppo della
città portò più famiglie a trasferirsi nella città d'argento
mentre lo spazio nel santuario diminuiva sempre di più. Negli anni
il numero dei fedeli costretti ad ascoltare fuori dalle porte aumentò
a dismisura.
Un
giorno, poco prima che iniziasse la celebrazione per il Karshark,
l'oramai anziano Ramal chiuse le porte del santuario e aspettò ai
piedi della scalinata. Nello stesso punto parlò, attorniato dalla
gente. Poveri, ricchi, nobili... perfino il ravuo Farner con la
famiglia. Nel calore di quella giornata soleggiata l'unione tra i
fedeli si rafforzò.
Da
allora tutti i riti al santuario vennero svolti nella piazza. Due
secoli dopo l'attuale Sacerdote Asaia stava raccontando aneddoti,
offrendo spunti di riflessione nel totale silenzio della folla. -
...quali pensieri sono passati nella mente di chi ha visto il
fiume infrangersi contro gli invasori? Sicuramente
le loro preghiere erano state esaudite ma la paura che avevano
provato... ad essere onesti, amici miei, al loro posto loro
sarei scappato con le braghe tra le mani. -
La
quiete si interruppe con una corale risatina. Dopo un genuino sorriso
Asaia proseguì. - Portate sempre nel cuore la verità di questo
regno: siamo nati dalle ceneri della guerra, da un passato che mai
potrà essere cancellato, ed è solo con la verità possiamo
proteggere l'ideale di pace che ci conforta ora. Ovunque siate
portate sempre l'orgoglio di Silk con voi perchè solo
nell'oscurità la luce diventa salvezza. -
Le
campane rintoccarono tre volte mentre i fedeli ripeterono l'ultima
frase.
Nell'oscurità
la luce diventa salvezza.
Vi
era qualcosa di magico in Asaia. Certe volte il suo modo di parlare
poteva sembrare scontroso ed autoritario ma la sua sicurezza
penetrava il cuore. La sua proclamazione fù ovvia
dopo la morte dell'ultimo sacerdote. Modus aveva sempre creduto in
lui, così come il consiglio del castello ed i più importanti membri
del regno.
Il
sacerdote allargò le braccia come se volesse abbracciare tutti.
- Anche se il tempo è finito il valore rimane eterno. Vi saluto
con queste parole e vi auguro un felice giorno di festa. Che Silk
possa accompagnarvi nella gioia di questo Karshark. -
Nel
puro clima della festa l'enorme agglomerato di persone si sparpagliò
verso le vie esterne della piazza.
Dalle
prime file Maki rimuginò sulla celebrazione. Provò
dispiacere per essere così spossato. Sebbene il suo stato non gli
permettesse di pensare lucidamente aveva sentito molti spunti
positivi. Raggiunse Hammerstone, a pochi passi da lui. Dopo essersi
assicurato di come il generale intendeva procedere si incamminò
verso Asaia.
Le
numerose guardie portate dal castello crearono un largo cerchio
intorno ad Irakua, scortandola verso la carrozza. Non mancarono
quelli che cercarono di avvicinarsi per un saluto, chiedendo il
perchè di quelle precauzioni. Con qualche sforzo Irakua provò a
ricambiare il loro affetto ma
né lei, tanto meno il generale, poterono dare spiegazioni.
Nel vedere quella scena Maki
sentì una stretta al cuore. La notizia della sua aggressione non era
stata resa nota, una delle tante precauzioni decise con Hammerstone e
Lammer, il comandante del bajan centrale di Silka. Inoltre erano
state interrogate tutte le guardie presenti quella notte ed ispezionate le loro case. L'intera squadra era stata poi
sostituita con membri della guardia cittadina, scelti secondo il
giudizio dei comandanti dei bajan della città.
Ogni
provvedimento aveva riportato tranquillità al castello ma
non era stato trovato nulla di sospetto e rendere nota la
questione alla città avrebbe potuto sollevare nuovi problemi.
Così
il ravuo nascondeva la verità alla gente. La stretta si fece
più
forte.
Alcune
persone cercarono anche l'attenzione di Maki. Una volta avvicinatosi
ad Asaia chiese pazienza.
- Perdonateci. -
aggiunse il sacerdote. - Saremo tra voi a breve. -
Anche
se leggermente straniti la comprensione generale fù massima. La
disponibilità di Maki e Asaia era ben nota al popolo.
L'odore
dell'incenso li circondò non appena varcarono le porte spalancate
del santuario. Il ravuo restò a guardare il percorso di luci creato
dalle candele al centro della sala. Riprese a camminare qualche
secondo dopo, notando che Asaia si era portato avanti a lato delle
mura. Anche mentre cercava di raggiungerlo i suoi occhi si persero
nello spazio circostante, soffermandosi su dettagli e visitatori in
preghiera prima di tornare a casa.
- Maki... -
Incontrò
gli occhi calmi del sacerdote come se non sapesse dove fosse,
smarrito. Erano fermi davanti ad alcune panche vuote distanti
dall'altare. Asaia non voleva disturbare nessuno. In quel silenzio il
ravuo capì di essersi perso qualcosa.
- Perdonami. Ogni volta che
lo vedo, il santuario mi sembra sempre più maestoso. -
Asaia
gli rivolse un sorriso pieno di comprensione. - Non hai bisogno di
giustificarti con me. -
Di
certo l'edificio rappresentava uno dei maggiori vanti della capitale,
il perfetto risultato di quanto i vecchi regnanti tenessero al nuovo
culto. L'ultimo ravuo Modus aveva detto più volte che Silk meritava
più prestigio di quanto ne fosse riservato alla loro famiglia: lui
simboleggiava la guida che li aveva introdotti a nuova speranza, loro
dei semplici servitori che cercavano di mantenerla. A ricordarlo vi
era un ingente numero di grandi quadri sull'unione di Raula e
l'altare al fronte del salone: il grande gufo reale che spiccava
il volo sopra ai simboli delle sette città.
Una
bellezza ben lontana da quella riservata al castello. Per quanto
Asaia ne fosse cosciente era anche al corrente dei fatti. Il
malessere di Maki ben lontano dal non essere notato. I suoi erano i
classici sintomi di un uomo spossato: cerchi neri ben visibili su
entrambi gli occhi, il viso pallidissimo.
- Irakua
era semplicemente meravigliosa stamattina. - ripetè il sacerdote.
- Diventa
sempre più bella. -
Per
Asaia il momento delle riverenze arrivò al termine. - Come ti
senti? -
- Peggio
di quanto mi aspettassi. -
Tra
loro vi erano quasi vent'anni e già da quando Maki era bambino il
sacerdote era un importante membro del santuario. Con la fiducia che
aveva sempre riposto in lui il ravuo abbassò le difese, parlando
delle preoccupazioni che lo stavano accompagnando e degli incubi. - Ho bisogno di aiuto. -
La
sua condizione lo stava appesantendo ed il desiderio di riposare più
forte ogni giorno che passava.
Asaia
gli passò una mano sulla spalla. - Anche tuo padre era molto
apprensivo riguardo ai pericoli che potevano colpire il paese. La
differenza sta che lui ha rischiato la propria vita fuori i confini
di Raula, mai tra le mura della sua stessa casa. -
- Continuo
a ripetermelo ma non riesco a trovare una via da seguire. E tutto
questo segreto che stiamo tenendo con il popolo, che io vi ho chiesto
di tenere... -
Senza
alcuna maleducazione il sacerdote lo interruppe. - L'onestà del
ravuo è ben conosciuta da ogni uomo del paese. Non devi avere dubbi
su questo. Sia io che Hammerstone rispettiamo questa scelta. In
questo momento dovresti pensare solamente a ritrovare le energie. Hai
chiesto ad Ommanion se ha qualche rimedio per il riposo? -
- Ommanion? -
Maki ci riflettè un attimo. - Non l'ho fatto...ci andrò non
appena tornerò. -
- Non
risolverà tutti i tuoi problemi ma almeno potrà esserti d'aiuto. Per
quanto riguarda ciò che è successo si tratta di un terribile caso,
con le dovute precauzioni sono certo che non accadrà di nuovo.
Greguar... -
- ...Sta
ancora cercando. -
Mentre
Asaia si soffermò a riflettere Maki pensò ad Ommanion.
Il
sacerdote si tolse il cappello, passandosi la mano sulla testa calva. - Domani
partirò per una visita alle città al nord. Io
non sono un combattente, né un informatore ma posso vedere con i miei
occhi se ci sono malcontenti a Raula. So che non è molto... -
- Fai
sempre di più di quanto viene richiesto... - per la prima volta da
quando era entrato nella cattedrale Maki riuscì a sorridere. - ...ed
il tuo aiuto è sempre il più prezioso. -
Si
inchinò davanti al sacerdote. Più che sollevato Asaia rispose allo
stesso modo.
Entrambi
erano servitori della pace e sulla stessa base si rispettavano come
pari. Prima di salutarsi si
promisero di tenersi aggiornati. Uscirono
all'esterno incontrando chiunque avesse avuto la pazienza di
attenderli. Maki si congedò per primo, scusandosi con gli ultimi
abitanti.
Sulla
carrozza le parole di Asaia gli furono d'aiuto ma la stanchezza non
gli permise di rimanere concentrato. Si trovava più volte a a
guardare particolari per la strada, tornando a chiedersi in quale
complotto fosse rimasto coinvolto, chi mai lo volesse morto e perchè.
Quando si rendeva conto di ciò che stava facendo interrompeva il
ragionamento, ricominciando anche senza volerlo. Più volte.
Anche quando venne scortato dal cortile alle sue stanze.
Solo
nel terrazzo cercò conforto nel panorama del giardino. Quanto
sarebbe durata quella bellezza? Quanto sarebbe riuscito a
proteggerla?
Si
maledì severamente. Era bastato un solo caso per metterlo in
crisi...
Ripetendo le parole di Asaia si sdraiò sul letto. La cognizione del
tempo sfuggì velocemente, ritrovandosi davanti ad una interminabile
distesa di deserto e rocce.
- Dove
mi trovo? -
La
sua voce riecheggiò nella tempesta di sabbia che limitava la sua
visuale di qualche metro. Provò a camminare avendo la sensazione di
rimanere immobile. - C’è qualcuno? -
Uno
stridulo fischio lo fece voltare. Alcune figure erano comparse dietro
di lui, completamente ferme con le braccia flosce sui fianchi. Di
umano avevano solamente la forma. Niente occhi, bocca o vestiti.
Ombre.
Maki
impugnò la spada. Ogni volta che spostava lo sguardo verso un lato
le ombre diventavano sempre più numerose nell'altro, sempre di
più...
- CHI
SIETE??? -
Le
ombre fecero un passo in avanti. Pronto a difendersi Maki scoprì con
orrore che la spada non era più nelle sue mani. Provò a cercarla ma
anche la cintola era scomparsa. Le figure proseguirono la loro
marcia. Indifeso gli rimase solo la fuga. Provò ad indietreggiare
senza capire se le sue gambe stavano veramente rispondendo al
comando.
L’aria
si fece rarefatta, il cielo si riempì di sfumature troppo rossastre
per sembrare reali.
Tra
le mura di sabbia e polvere si creò uno spiraglio. Forse un
allucinazione, un momento creato dal panico. Maki era sicuro di aver
visto la vetrata anteriore della cattedrale. Non ebbe occasione di
assicurarsene, spaventato dal primo assordante tonfo.
Gigantesche
palle di fuoco scesero dal cielo ed impattarono al suolo. Ogni cosa
intorno a lui venne colpita, compresi quegli strani esseri, mentre la
tempesta si avvicinava. Prima ancora che Maki potesse proteggersi
qualcosa lo strattonò per un polso. Preso alla sprovvista gridò.
Alzò
la schiena dal letto con le mani tremolanti ed il respiro affannoso.
Era completamente fradicio di sudore. Quel calore, quel tocco...erano
veri?
No.
No, no...
Eccetto
le sue preoccupazioni non poteva esserci alcun collegamento tra ciò
che era successo e quei sogni. Come poteva?
La
camera non gli sembrò più sicura. Maki sentì il bisogno di
distrarsi, uscire dal ruolo di ravuo almeno per una notte. Dopo
essersi tolto le vesti zuppe di sudore e aver messo qualcosa di
pulito uscì. Uno dei soldati davanti alla sua porta si offrì di
seguirlo. Gentilmente rifiutò.
Come
da accordi con i Re le decisioni del ravuo dovevano essere accolte
come legge senza che esso si potesse imporre come
regnante di Raula. Per questo era stato ritenuto ragionevole
costruire una dimora che ne rispettasse l'autorità ma senza alcun
segno di sfarzo e ricchezza. Tra
le mura bianche o giallo paglierino i quadri che tappezzavano
l'intero edificio rappresentavano paesaggi suggestivi, parti della
città durante la loro costruzione, episodi chiave della storia di
Raula. L'argenteria presente di una qualità sufficiente a non
mancare di rispetto i visitatori prestigiosi, così come i tessuti e
materiali utilizzati per qualsiasi parte dell'arredamento. Ogni uomo
e donna che lavorava al castello erano una concessione del regno, una
volta proclamato il ravuo rinunciava alle proprietà di famiglia.
Modus scherzava spesso su quell'aspetto. Il ricordo del padre gli fece compagnia nel silenzio dei corridoi.
Non
vi erano molte persone in giro se non massaie che pulivano e per la
sorveglianza. Il ravuo salutò chi gli capitava, evitando domande
scomode riguardo la sua salute. Partì al pian terreno, dalla cucina
e alla stalla. L'intero ambiente sembrava completamente depurato
dalla paura. Nel vederlo così tirato le cuoche più anziane lo
riempirono di affettuose premure, gesti materni e confidenziali che
apprezzò moltissimo. Rinfrancato si spostò al secondo piano dove
svolgeva gran parte dei suoi doveri. Circondato dalla conoscenza
della stanza degli archivi rimase a meditare. Sembravano passati anni
da quando le sue preoccupazioni si limitavano ai rapporti da mandare
alle sei sorelle o dai campi di battaglia. Gli ultimi messaggi
arrivati da Joida e Serim erano stati presi da Hammerstone. Il
generale si era incaricato di rispondere mentre Maki si riprendeva.
Nella stanza erano rimasti solamente una pila di fogli e tutto
l'occorrente per scrivere. Gli sembrarono vecchi reperti di un luogo
abbandonato.
Saltò
la sala del trono. Eccetto per chi si occupava di lasciarla in
condizioni decenti quella stanza non veniva più usata. Arrivò
all'ultimo luogo del secondo piano accompagnato da una forte ansia:
la stanza del consiglio.
Sopra
al camino erano stati posti i quadri commemorativi dei suoi
predecessori, ognuno di loro pareva fissarlo. Quegli occhi, insieme
ai loro successi lo fecero sentire minuscolo ed impotente.
Che
cosa avrebbero fatto loro al suo posto? Lo avrebbe giudicato?
Anche
se veniva rassicurato persone che riteneva più sagge di lui
l'effetto ristoratore svaniva velocemente, facendolo tornare alle sue
mille domande...
In
procinto di tornare indietro Maki si accorse della guardia ai piedi
della porta. Non lo aveva sentito arrivare. Tentò di chiedergli il
motivo della sua presenza ma non gli venne dato il tempo, la notizia
che gli era stata portata era un fardello da scaricare in fretta.
Quando
finì anche formulare un pensiero divenne difficile. - Come... -
Un
esplosione, così la guardia l'aveva definita. Sconvolto quanto lui
il soldato ripetè. - Abbiamo appena ricevuto il messaggio. Una
bancarella al mercato ha preso fuoco, ne è scaturito un incendio... -
- vittime? -
- Otto,
mio signore. -
Nella
confusione che lo inghiottì Maki diede l'ordine più blando che gli
venì in mente. L'uomo annuì e se ne andò.
Il
ravuo rimase nuovamente solo, incapace di staccare lo sguardo da un
punto nel pavimento poco lontano dai suoi piedi. Non aveva il
coraggio di muovere un muscolo, tanto meno vedere come suo padre e
gli altri stavano reagendo all'accaduto. Intorno a lui le mura si
erano ristrette, ne era certo.
Di
colpo si incamminò a passo svelto verso le scale.
Doveva
chiudersi nelle sue stanze, sedersi. Doveva aspettare Hammerstone.
Mai
aveva pregato così tanto. Mai come quella volta.
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Capitolo 6 *** DUE (2\2) ***
DUE 22
Sul
giardino era calata la notte, portando nuovi terrori pronti a
colpirlo. Maki raggiunse il portone dall'altro lato correndo,
sperando che nessuno potesse notarlo dalle finestre.
Il
generale lo aveva raggiunto poche ore dopo la notizia e lui impiegò
l'attesa per pensare qualcosa di opportuno da dirgli. Sembrar più
calmo di quanto fosse in realtà. La presenza di Lammer rese tutto
più complicato.
Greguar
lo sa. Ti conosce da troppo tempo per capire che stavi nascondendo
qualcosa.
Salì
le scale superando velocemente il primo piano, quello adibito alla
tattica militare e dagli appartamenti del generale. Hammerstone era
in città a convocare i comandanti di Silka. Al piano superiore si
ritrovò in un corridoio con due porte ben distanziate. Vi erano
altri due appartamenti: quello riservato al curatore
Ommanion e ad Asaia. Era stato deciso che il rappresentante del
santuario dovesse abitare nel castello per poter essere parte
integrante del consiglio. Al tempo della sua proclamazione Asaia
accettò il posto, chiedendo però di poter vivere nel santuario
stesso. La sua richiesta non offese nessuno.
Maki
bussò alla seconda porta. Ci volle qualche secondo prima che la
serratura scattasse. Il curatore era poco più giovane del ravuo, dai
capelli neri raccolti in una coda che arrivava fino alla schiena.
La
sorpresa di Ommanion nel vederlo davanti alla sua porta fù
evidente. - Perché non ha mandato qualcuno, mio signore?
È disdicevole che
venga lei stesso… -
- Non
sono un bambino. - obbiettò Maki nervosamente. - Se ho bisogno
di qualcosa posso benissimo venire a prenderla. -
- Certo,
certo. Non volevo dire il contrario… -
Ommanion
lo lasciò passare, accompagnandolo poi alla zona diurna.
Per
quanto Maki volesse distrarre il curatore dalla sua condizione, fù
lui a rimanere imbambolato sulle numerose cassettiere che
tappezzavano tutto il lato lungo della stanza.
- Sono
un archiviatore cronico. - confessò Ommanion con una nota
d’imbarazzo. - Qui dentro tengo tutte le informazioni sulla
nostra storia: dalla città alla famiglia dei ravui. Guerre,
accordi...tutto. -
- Devono
essere una quantità impressionante di informazioni. - gli occhi
stanchi del ravuo si spostarono sulle librerie stracolme di libri e
scritti. - Non ho mai dubitato della tua intelligenza. -
- Avere
tanti libri non da dimostrazione dell’intelligenza di un individuo.
Saperli comprendere, quello fa la differenza. Non credo che sia il
momento giusto per certe conversazioni, non dopo quello che è
successo... -
Senza
approfondire l'ultimo punto Maki descrisse il suo problema a tono
basso. Ommanion ascoltò in silenzio, poi si spostò verso un
piccolo tavolino posizionato in un angolo. All'interno di una teca di
vetro vi erano moltissime fialette, le quali contenevano liquidi di
colore diverso. Dopo un veloce controllo Ommanion ne prese una e la
pose sulle mani di Maki. - Una notte dovrebbe confermare
l’efficacia di questo siero, un paio di gocce a notte basteranno
per assicurarle sonni tranquilli. -
Maki
si soffermò ad analizzare i riflessi azzurri nella fialetta. - Ti
ringrazio per il tuo aiuto. Aim. -
Senza
aggiungere altro il ravuo andò subito in direzione dell’uscita...
- Mio
signore... -
...fermandosi. - Si? -
- Le
posso parlare? -
Ascoltare
il curatore sarebbe stato meno sospettoso di una fuga frettolosa.
Quando si girò nuovamente Ommanion aveva già allontanato una sedia
dal tavolo circolare al centro della stanza. Maki si sedette mentre
il curatore cominciò a parlare. - Io credo che non sia un motivo
fisico che le impedisca di dormire. - la sua voce si era fatta
debole e timorosa.
- Ommanion.
Non aver paura di parlare se pensi che sia per il mio bene. -
- Non
è così facile da esprimere, specialmente a lei. -
- Dovresti
aver più paura a tenertelo per te. -
Prima
di continuare Ommanion si morse un labbro. - Non è per giudicarla
che dico questo. Lei ha sempre preso sulle spalle tutte le faccende
che riguardavano l'intero paese, mettendoci sempre impegno e
sacrificio. Già per questo io la considero una persona forte e
valorosa… -
Inutili
giri di parole... - ”Non aver paura di dire quello che pensi”
vuol dire anche esprimere il tuo giudizio senza addolcirlo. -
- Si…mi
perdoni. Questi incidenti la stanno spaventando. -
Preso
alla sprovvista Maki si fece scappare un sussulto.
Lo
sai anche lui. Lo sa che non hai alcun controllo.
Il
ravuo cercò di ricomporsi in fretta e nel suo silenzio Ommanion
trovò il coraggio di continuare. - Da quando sono entrato nel
castello non è mai accaduto niente del genere. Sono stati incidenti
particolari e molto, molto gravi. -
- Sono
morte delle persone. - ammise Maki con durezza.
- E
lei non sa cosa fare per impedirlo nuovamente. -
Quell'onestà
così diretta mise il ravuo in difficoltà. Non riusciva a trovare
giustificazioni sensate, arrivando ad ammetterlo a suo malgrado. A
mascella serrata annuì.
- Le
posso fare una domanda? -
Annuì
di nuovo.
- Quali
sono le ipotesi sul motivo di questi incidenti? -
Non
sapendo cosa rispondere Maki abbassò la testa. Sotto al tavolo le
sue mani cominciarono a tremare.
- Che
cosa potrebbe accadere se non si trova il colpevole? -
Calò
un brutto silenzio. Non
avrebbe mai voluto affrontare tali domande, nemmeno al meglio delle
sue facoltà. Inoltre, non guardando Ommanion, ebbe
l'impressione che il suo tono si stesse facendo sempre più
giudizioso...
- Se
sarà necessario convocheremo i sei Re. - riuscì a dire in un
impeto.
- Potrebbe
essere tardi ed altri potrebbero morire. E poi, per quello che ne
sappiamo la minaccia potrebbe arrivare da una delle altre città.
Magari un ordine da un Re in persona... -
- Basta
così! - sentenziò Maki adirato. - Le tue parole sono prive di
alcuna fondamenta! -
- A
dire il vero è l'unico sospetto che ha senso prendere in
considerazione adesso. -
Tornò
a fissare Ommanion con rabbia, trovando uno sguardo pieno di
comprensione. Difficilmente il curatore mostrava le sue emozioni. Era
un uomo pratico, concentrato solo sul suo dovere. Ciò prese alla
sprovvista Maki, mettendo in dubbio la valutazione che stava facendo.
Forse aveva ragione. La stanchezza e la disperazione lo stavano
annebbiando...
Ma
prendere in considerazione che la minaccia provenisse da una delle
capitali era anche peggio.
Non
peggio di sapere che ci sono state vittime a Silka. Brave ed
innocenti persone.
- E
allora che consigli? - chiese con voce insicura.
Ommanion
rimase in silenzio, tamburellando un paio di dita sul tavolo d’ebano.
<è una proposta rischiosa ma porterebbe ad una soluzione veloce.
Le chiedo solamente di non essere troppo frettoloso nel decidere…>
Prese
ancora tempo, intimorendo ulteriormente Maki.
- Un
rito. - disse infine.
- ...Un...rito? -
- Un
rito magico. -
Per
un attimo aveva creduto che la soluzione di Ommanion avrebbe potuto
racchiudere la soluzione a tutti i problemi...
...dopo
averla ascoltata non vi fù spazio per altro. - Vorresti fare un
rito all’interno del castello? -
- Se
fatto nel modo giusto… -
Senza
lasciarlo finire Maki si alzò dalla sedia. - Usare la magia
all’interno di questo posto sacro??? è illegale da quando Silka è
stata concepita! -
- Mi
rendo conto della gravità del gesto ma potrebbe essere la scelta
migliore!Non abbiamo nessun indizio da seguire. Che cosa potrebbe
accadere se la situazione rimanesse così? Prima o poi anche il
popolo vorrà le sue risposte… -
- Ti
ringrazio per la tua medicina, mi auguro che funzioni. -
La
bocca di Ommanion si aprì, richiudendosi un attimo dopo. Annuì - E'
un onore poterle essere utile. -
Maki
si congedò dagli appartamenti, incurante di esser stato maleducato o
freddo. O non all'altezza della sua carica.
Tornato
al giardino la brezza improvvisa scosse alcuni cespugli. Non se ne
preoccupò, troppo impegnato coi suoi pensieri.
Con
tutto quello che era successo, un rito rappresentava l'ultima follia.
“Non puoi fidarti di un praticante di magia. Le sue mosse saranno
sempre imprevedibili ed invisibili ai tuoi occhi.” I consigli di
Modus tornavano a galla sempre più spesso. Nei secoli la magia aveva
rappresentato un tassello importante nello sviluppo delle capitali ma
anche il fulcro di grandi atrocità. Non si sarebbe macchiato del
crimine di soprassedere una legge e non sarebbe stato testimone di un
episodio come quello di Joida trent'anni prima...
Camminò
velocemente, implorandosi di avere pazienza...
Tre
giorni dopo Maki venne svegliato di soprassalto da una guardia.
Addolorato
per la nuova notizia e per nulla sorpreso. Diede un solo ordine,
secco.
Vi
era una sola soluzione. Da diverso tempo, troppo, non si sentiva così
sicuro.
A
differenza del quartiere mercantile, la zona popolare a Sud era
caratterizzata da grandi palazzi e percorsi molto stretti. Le strade
erano libere durante l'orario lavorativo, salvo per i numerosi gruppi
di donne ed anziani intenti a parlare degli ultimi avvenimenti. Silka
era sconvolta dopo l'incidente del mercato. E del parco. Trentuno
morti, almeno quella era la cifra più ricorrente. Due incendi nel
corso di due karshark e gli abitanti cominciavano a chiedere risposte
insistentemente. Hammerstone era l'unico a metterci la faccia. Dal
castello, solo un messaggio, riportato dal generale stesso.
Lo
sguardo di Garen rimaneva fisso sul cammino mentre ascoltava tutte le
conversazioni nelle loro vicinanze. Solo curiosità per comprendere
meglio come la gente stesse affrontando la vicenda. Non trovò nulla
di particolare se non rabbia e paura.
Come
spesso accadeva in quelle occasioni era Kimistro a tracciare la
rotta. Tra i due era il più esperto della zona anche se aveva
ammesso di non conoscere la locanda dell'allegro zoppo. Dopo qualche
informazione chiesta a dei passanti il cartello della locanda sbucò
da dietro un angolo.
Il
grande salone della locanda era stracolmo di persone. Nella folla
notò subito Grifon, Astra ed altri compagni arrivati prima di loro.
Provarono ad andare verso il comandante ma qualcuno lo bloccò Garen
per una spalla. - Non c'è bisogno. -
Riconobbe
subito la voce di Kilik, un altro membro della squadra poco più
grande di lui. - Ma allora... -
- Andiamo
nel cortile. Il comandate lo ha riservato per noi affinchè nessuno
possa disturbarci durante l'incontro. -
- E
tu ne conosci il motivo? - gli chiese Kimistro.
Il
ragazzo scosse la testa. - Ho provato a chiedere ma il Grifon non
ha alcuna intenzione di parlarne prima... -
- Non
dev'essere nulla di buono. - suppose Garen. - Lo avete visto? -
Si
rivolsero tutti verso Grifon, intento a discutere con Astra. Solo in
presenza di cariche superiori dell'esercito o prima di una battaglia
era così serio, glaciale. La preoccupazione per gli incendi poteva
essere una valida motivazione ma non spiegava perchè avesse voluto
riunirli tutti.
Senza
interrogarsi troppo Garen raggiunse il cortile insieme a Kimistro e
Kilik. Vi erano già soldati, intenti a discutere in cerchio. Non
mancarono domande ai nuovi arrivati. Dopo aver dato una rapida
opinione si sedettero in disparte su un tronco abbattuto.
In
poco tempo la squadra era di nuovo al completo. Grifon si aggiunse
poco dopo, facendo attenzione a chiudersi la porta dietro di sé.
Al
suo cospetto gli uomini seduti scattarono in piedi. Silenziosi, in
attesa di ordini. La loro tempra fece sentire Garen nuovamente fuori
dalla Silka. Distante da tranquillità e pace.
Grifon
si sedette sul ceppo di un albero dando un occhiata generale.
- Manca
qualcuno?- chiese.
L'intero
cortile rimase in silenzio.
- Vi
chiedo scusa se ho disturbato il vostro riposo ma sono sicuro che
quando vi avrò spiegato capirete... -
- Ha
a che fare con quello che è successo? - chiese qualcuno dalle
retrovie.
Ovviamente
il sospetto era ovvio. Per loro sorpresa il comandante scosse la
testa. - Per quanto la faccenda mi abbia colpito non è per gli
attacchi in città che vi ho convocato...qualcuno ha tentato di
uccidere Maki. Nelle sue stanze, per giunta. -
La
notizia rilasciata di getto lasciò gli uomini in pieno sgomento. Il
silenzio venne sostituito subito da bisbigli e commenti.
- Impossibile! -
- Come
sta il ravuo? -
- La
minaccia è stata sventata. - continuò Grifon. - Siete tutti a
conoscenza del divieto sulla magia? -
Non
si stava comportando come al solito. Sembrava confuso quanto i suoi
uomini, come se non riuscisse a mettere insieme i pezzi.
- Che
c'entra questo? - chiese Kilik.
Il
quesito non trovò risposta. Grifon si concentrò unicamente su chi
annuì e sugli sguardi confusi. Erano uomini addestrati alla guerra,
poco pratici di libri di storia.
- Non
sono cose di cui si parla frequentemente. Nei secoli precedenti lo
studio della magia era molto più sviluppato, così tanto che molte
persone di Raula avevano imparato a usarlo quel poco che bastava per
migliorare i raccolti e semplificare i mestieri. A portare beneficio,
e con gli anni disparità. -
Grifon
fece un altro giro di sguardi per capire quanti lo stessero ancora
seguendo. Prima di proseguire sospirò. - Una parte del popolo
chiese aiuto ai Re. Se vi spiegassi tutto ne parleremmo fino al
prossimo karshak ma potete capire che questa faccenda non si sia
conclusa con una semplice stretta di mano...gli scontri
imperversarono e così anche la morte. Questo è successo poco prima
che i Niaral attraccassero sulla costa. -
Non
una storia nuova per Garen, l'argomento aveva attirato la sua
attenzione quando era bambino. Lo sviluppo della magia divise gli
uomini a seconda delle loro capacità. Un grande tomo nella libreria
di famiglia raccontava di quel periodo.
- Questa
storia finisce poco prima della fondazione di Silka. Venne bloccato
lo studio di tutte le arti sconosciute e ne venne impedito l'uso.
Personalmente non credo che ci sia nulla di sbagliato in questo.
Certa gente dice di aver visto creature o altre stranezze... -
- Il
mostro di Joida? - domandò Garen.
Grifon
non sembrò per nulla contrariato nell'essere stato interrotto. - In
qualsiasi caso non è questo il punto. - si interruppe per un
attimo. - Pare che Maki abbia deciso di fare un rito per poter
risolvere il problema in città ed impedire che ci siano altri
morti. -
- Comandante! -
esclamò Kimistro. - Si rende conto di ciò che stà dicendo?!? -
Alcuni
animi si infiammarono.
Molti
furono i commenti che si mischiarono ma uno in particolare arrivò
chiaramente all'orecchio di Grifon. - Però vuole proteggere il
popolo… -
- Sei
scemo Jojer? - ringhiò il comandante. - Ti ho appena detto che
la magia ha contribuito a portare disgrazia e sciagura! -
Ogni
mormorio si interruppe bruscamente. La reazione di Grifon, in bilico
tra disappunto e rabbia, era totalmente ragionevole. Garen alzò una
mano. Ancora intento a calmarsi il comandante gli diede la parola.
- Come
ha saputo tutto ciò? È stato Hammerstone a riferirglielo? -
- Ha
ragione! - esclamò un soldato dietro di lui. - Anche Hammerstone
è a favore di questa scelta? -
- Lo
escludo! - rispose il comandante senza ombra di dubbio. - Questa
decisione mi sembra assurda per Maki, figurarsi per Hammerstone! Lo
conosco troppo bene per pensare ad una scelta così sconsiderata. Chi
mi ha dato questa informazione è andata contro ai voleri del ravuo e
sta rischiando molto solo perchè lo riteneva giusto. Ed io ho deciso
di fare lo stesso... -
Si
fermò ancora. Era arrivato alla parte più difficile. - Con
chiunque sia a favore voglio irrompere nel castello ed impedire che
il rito venga fatto. -
- Penetrare
nel castello?!? -
- è
una follia! -
- SILENZIO! -
dopo aver urlato Grifon abbassò la testa. - Non pretendo che mi
seguiate. Io credo in Maki, continuerò a farlo fino alla mia morte
ma non posso rimanere fermo mentre compie una follia! Per anni siamo
stati mandati fuori al confine per combattere battaglie che non ci
appartenevano, adesso ci è stato chiesto di fare qualcosa per Silka
e per il regno. Per una volta, una sola, io vorrei combattere per
loro. -
Dopo
aver finito lasciò ai suoi uomini il tempo per decidere.
Intelligenti o meno, erano abbastanza svegli da capire che cosa
avrebbe portato un intrusione al castello.
Tre
di loro si porsero velocemente davanti a lui.
- Nutro
molto rispetto per questa causa. - dichiarò uno. - Ma non voglio
prendermi un rischio simile. -
Gli
altri confermarono di essere d'accordo con un cenno della testa.
- Rispetto
la vostra scelta. - affermò Grifon.
Lasciarono
il cortile in colpevole silenzio come altri che, molto più
combattuti, diedero motivazioni diverse. Chi per la famiglia, chi per
il rischio di morire per niente. Nessun altro si fece avanti ed i
restanti rimasero al proprio posto.
- Sono
con lei comandante. - disse Astra.
Anche
Oberon annuì. - Se non facciamo qualcosa la città potrebbero
esserci delle gravi conseguenze. -
Kimistro
sorrise beffardamente. - Se partecipo a questa missione potrei
non vedere la mia famiglia e se non lo faccio non avrò
più il
coraggio di guardarli. Un bel dilemma. -
Garen
sorrise sentendo le parole dell'amico ed annuì con vigore. L'idea di
rimanere in disparte gli parve totalmente fuori luogo.
Erano
rimasti in ventiquattro.
Grifon
sembrò rinfrancato. - Da qui non si torna più indietro. Se avete
un ripensamento siete ancora in tempo. -
- Lei
è sicuro di ciò che gli è stato detto? - chiese Garen.
- Secondo
la mia fonte ci saranno pochi uomini presenti di guardia al cancello
e pochissimi per le sale principali. Il ravuo non vuole che ci siano
troppi presenti, meno orecchie ci sono, meglio è. -
Grifon
si alzò dal suo posto. Ogni uomo presente riconobbe
l'atteggiamento
vigoroso, ciò che più li spingeva a credere nel suo
valore. - SOLDATI! Il destino vi ha dato la possibilità di fare
la cosa
giusta! -
- AIM!!! -
Una
piccola parte del gruppetto si dileguò, mentre altri rimasero a
commentare l'impresa che si apprestavano ad affrontare.
- Qualche
ripensamento? - chiese Garen a Kimistro.
- Questa
storia non mi piace. La città non ha mai avuto un nemico e poi
questo... in fondo per quale motivo si potrebbe compromettere la
pace? -
- Se
ci pensi troppo ti verrà mal di testa. Come soldati l’unica cosa
che possiamo fare è agire per impedire il peggio. Sono convinto che
nemmeno Grifon vuole mettere le nostre vite a rischio. Ci
introdurremo nel castello e parleremo con Maki. -
Vedendolo
ancora turbato Garen provò a farlo rinsanire con una leggera
gomitata. Non ottenne grandi risultati.
- Uomini. -
Grifon si avvicinò a loro. - Sono fiero di voi. -
- Dovere. -
rispose Garen. - Solamente dovere. -
- Sono
convinto che tuo padre farebbe la stessa cosa. -
- Perché
non glielo chiede? -
Il
comandante smorzò un sorriso e lasciò il cortile.
- Andiamo. -
anche Kimistro fece un passo verso l’uscita. - Sento un
fortissimo bisogno di bere e non ho idea di quando ne riavrò
l'occasione. -
- Userai
la stessa scusa con tua moglie? -
Lo
snello combattente alzò le spalle. - Solitamente è una mossa
molto convincente. -
- Non
sarebbe male vivere un attesa del genere tra le braccia della donna
che ami. -
- Un
giorno la proverai anche tu. -
Detto
ciò Kimistro si spostò a parlare con i pochi rimasti. Provare la
tensione per uno scontro a Silka era un sentimento strano e difficile
da digerire, un po' come combattere per il bene di un altro paese.
Una
responsabilità che da quando erano entrati nell'esercito non li
aveva mai abbandonati.
I
lunghi e veloci passi continuarono a scuoterle le chioma castana.
Scappava tra le strade, cercando di dileguarsi da qualcosa che non
esisteva.
La
ragazza aveva fatto ciò che le era stato chiesto: fingersi una dama
di corte e parlare con ogni uomo sulla lista che gli era stata data.
Non un compito difficile ma ben pagato. Era proprio quello che la
spaventava?
Si
sarebbe fatta molte più domande prima di accettare ma la
recente morte del padre e un fratello troppo piccolo per lavorare
aveva reso difficile portare cibo a casa con frequenza.
Col
fiato corto si appoggiò di lato ad un muro. Solo dopo essersi
fermata arrivò a determinate conclusioni, le stesse che l'avevano
convinta ad accelerare il passo.
Perchè
proprio lei? Per quale motivo quei comandanti? Che cosa avrebbero
fatto dopo aver ascoltato ciò che gli aveva detto?
Sicuramente
si trattava di una menzogna, senza ombra di dubbio. Il suo respiro
tornò stabile ma il cuore... quello sembrava volerle uscire dal
petto.
Non
poteva fare nulla per sistemare le cose. Si disse che non ci
sarebbero state ripercussioni, ordinandosi di riprendere la via di
casa. Ormai mancava poco.
Si
diede una piccola spintarella ed un acuta fitta si propagò dalla
schiena. A stento riuscì ad abbassare gli occhi alla punta della
spada che le aveva squarciato il vestito leggero.
Non
ci fù il tempo di sorprendersene, né di pentirsi.
Un
rapidissimo colpo di tosse accompagnato dal rivolo di sangue che le
scese da un lato della bocca. La lama ritrasse ed i suoi sensi si
intorpidirono fino ad anestetizzarle tutto il corpo. Cadde a terra
con una sola certezza... era stata Silka a punirla per aver tradito i
suoi ideali.
Mentre
le ultime forze la abbandonarono chiese perdono alla città, pregando
che qualcuno avesse pietà del fratello.
L'ombra
attaccata al muro guardò compiaciuta il successo della sua missione.
Le grida che arrivarono dal fondo della strada gli suggerirono di
sparire dal foro da cui era comparsa.
Un
altro tassello al giusto posto.
Ora
mancava solo la portata principale.
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Capitolo 7 *** TRE - OMBRA (1\2) ***
TRE INIZIO 1_2
La
notte portò un po' di quiete alle porte del castello. Il giorno
appena passato aveva appena visto moltissime persone passare per il
ponte, per lo più comandanti ed alti rappresentanti del regno. Tutti
volevano comprendere quanto la minaccia fosse reale.
Insieme al
compagno di guardia al cancello, Boyed era rimasto in quella
postazione dal mezzodì in poi, fisso a sorvegliare il cancello
mentre il fuoco dietro di
lui gli riscaldava la schiena. Nella sua testa ripeteva gli
ordini di Hammerstone, senza sosta.
Le
decisioni del generale erano sinonimo di fiducia assoluta, frutto di
ragionamento e intelletto che nessuno avrebbe messo in dubbio, o per
quanto si ricordasse Boyed, ne avesse mai avuto motivo. Lui stesso
faticava a credere di essere in quella situazione. Per quanto ci
provasse, non riusciva a trovare un senso.
Presentatosi
al castello in mattinata, il generale stesso venne a parlare con gli
uomini pronti a iniziare. Spiegò che gran parte delle guardie erano
state mandate di pattuglia per la città. In tutto il perimetro delle
mura e nel castello avrebbe vigilato poco più di trenta uomini,
nemmeno un quarto di quelle che erano state assegnate dopo l'episodio
del mercato.
Se
venire a sapere ciò aveva spaventato Boyed, la parte dopo fù
inconcepibile. Nessuno prima dell'alba sarebbe dovuto scendere nel
sotterraneo, tanto meno avvicinarsi alla scala. Il sospetto comune
era che il generale avesse sottolineato con maggiore attenzione
l'ultima parte.
Il
calore alle sue spalle sembrò diventare più forte.
Prossimo
a ricominciare la lista di indizi, qualcosa distrasse Boyed. Un
gruppo a cavallo aveva preso la strada del castello e procedeva a
galoppo leggero. Viste le scarse difese di cui erano disposti pensò
subito ad una minaccia, scartando subito l'ipotesi. Nessuno sarebbe
stato così stupido da introdursi proprio dall'ingresso. Il suo
compagno non parve essere d'accordo, alzando la lancia.
Dopo
aver visto lo stemma dell'esercito sulle loro armature Doyeb lo
intimò di calmarsi, ponendosi di fronte all'uomo che si era fermato
a capo del gruppo.
- Spiacenti. -
disse Boyed con calma. - Per ordine del generale supremo nessuno
può entrare nel castello. Temo che dobbiate tornare domani. -
L'uomo
aveva la pelle scura ed un fisico possente. Svettava sul
cavallo
che stava cavalcando. - Sono il comandante Grifon. Siamo qui per
udienza del generale stesso. -
Grifon?
Il nome non gli sembrò nuovo.
- Vi
ho già spiegato che non è possibile. - ribattè, infastidito.
Il
comandante non aggiunse altro ma continuò a fissarlo come se volesse
convincerlo con gli occhi. Poi si chinò per recuperare qualcosa
dalla sacca attaccata alla sua sella. Non
era possibile che ciò che stesse dicendo Grifon fosse un
incongruenza con gli ordini che avevano ricevuto. Intimorito,
Doyeb provò a porre la lancia tra loro. I suoi sospetti furono ovvi
quando i movimenti del comandante si fecero più rapidi.
- Dannazione! -
Era
troppo vicino per poter sperare di difendersi. Il possente guerriero
si portò la cerbottana alle labbra, conficcandogli un dardo nel
collo.
Doyeb
lanciò un urlo. - INVASORI! -
Provò
a colpirlo ma la lancia venne parata da una lama. I suoi sensi
cominciarono ad assopirsi. Era finito, bastò poco per capirlo.
Eppure il suo ginocchio toccò il suolo senza che qualcuno cercasse
di colpirlo.
- INVASORI! -
gridò un altro uomo dalle mura.
Prima
di accasciarsi e perdere completamente i sensi Boyed riconobbe altre
urla provenire dall'alto, un eco infinito di zoccoli che pestavano il
suolo e quello che sembrò il fischio.
Maledetti,
pensò prima di perdere conoscenza.
Pagherete
tutto.
Ci
sarebbe voluto del tempo affinchè le guardie riuscissero ad
organizzare l'inseguimento. Arrivati circa a metà del ponte Astra
colpì una delle lanterne poste ad illuminare la strada, facendola
precipitare nel Silkiavran.
Munito
di binocolo, Kilik seguì il puntino di luce spegnersi nel fiume. - Ci
siamo. -
Grifon
lasciò passare qualche minuto di precauzione. Insieme ad altri
quattro uomini avevano ormeggiato la barca sull'altra sponda del
fiume, abbastanza distanti per non farsi notare ma non troppo, per
attraccare rapidamente. Non avevano alcuna armatura, dovevano
muoversi rapidamente.
- Ora! -
Garen,
Kimistro, Jojer e Kilik cominciarono tempestivamente a remare. Dal
quel lato delle mura non erano rimasti molti uomini a sorvegliare,
grazie all'esca lanciata dal resto del gruppo. A dimostrare la
benevolenza dei loro scopi l'attraversata venne favorita da calme
correnti, permettendogli di arrivare al canale di scolo. Il bordo
della piccola imbarcazione sbattè con violenza al bordo di mattoni
mentre Kimistro si aggrappò all'inferriata. Con l'aiuto degli altri
uomini si occupò di disfarsi delle sbarre mentre il comandate
sorvegliava il ponte. Cedettero facilmente, confermando ulteriormente
la veridicità del racconto della ragazza.
Nel
vedere la strada aperta Grifon si sentì più nervoso che mai. Ormai
non c'era più nessun ostacolo tra loro e il castello. Chiese la
comprensione di Silk, ricordandosi il motivo delle loro azioni. Entrò
nello stretto passaggio per primo.
- Dopo
essere passati da qui, per mettere tutti al tappeto basterà la
nostra puzza. - l'unica cosa che riuscì a dire per tutto il
percorso. Continuò a strisciare con cautela, evitando anche di
alzare la testa ogni volta che incontravano fasci di luce che
illuminavano l'acqua salmastra. Ormai si fidava ciecamente delle
informazioni che gli erano state date, tutto ciò che gli rimase da
fare era contare: prima svolta a a destra poi...tre, quattro, ed un
altra a sinistra. Cinque, sei e sette. Illuminato dalla luna fece
segno alle retrovie e si attaccò al bordo della scala.
La
grata si spostò senza alcuna difficoltà. Sbucati nel primo cortile
il gruppo si nascose nella stalla. L'attenzione delle guardie rimase
al cancello mentre il gruppetto li sorvegliava da dietro dei cumuli
di paglia.
- Dove
siamo diretti? - chiese Kilik.
- C’è
un salone sotterraneo. - rispose il comandante, sempre vigile in
prima linea. - Una vecchia stanza usata per i dibattiti dei primi
consigli. -
Kimistro
alzò lo sguardo, controllando le mura. Libero. - Tocca a noi
adesso. - Lanciò un segnale agli altri che si posizionarono alle
sue spalle. Si rivolse a Jojer. - Pronto? -
Anche
se annuì, i muscoli sul viso del ragazzo sembravano bloccati. Al
raduno per la missione non erano mancati commenti di stima nei suoi
confronti, giovanissimo e nuovo membro della squadra senza il minimo
segno di ripensamento.
- Kimistro... -
- Niente
spada. Solo colpi all'addome o alle braccia. - solo dopo il soldato
si rivolse a Grifon con aria colpevole. - Mi dispiace, non volevo
interromperla. -
Il
suo modo di parlare nascondeva sempre una sottile ironia. In quel
caso mancò un sorriso d'accompagnamento.
- Fai
il tuo dovere e verrai perdonato. -
I
due volontari recuperarono i bastoni a mezzo braccio dalle proprie
cinture e uscirono allo scoperto. Non appena vennero avvistati al
centro del cortile le guardie si lanciarono nello scontro.
Secondo
le informazioni tutte le forze difensive al palazzo sarebbero state
impegnate all'esterno. Garen, Kilik e Grifon scattarono nel passaggio
alla loro sinistra prendendo poi un corridoio che portava alla sala
dell'accoglienza. A capo del trio Grifon era l'unico ad essere
passato tra quelle stanze più di una volta. Non vi era il tempo per
fermarsi a riflettere, solo quello necessario per raggiungere Maki.
Un numero esiguo di persone sarebbe bastato.
Garen
e Kilik non fecero alcuna domanda, nemmeno quando il comandante
procedette un corridoio più stretto.
- EHI! - Due uomini a metà della scalinata scesero rapidamente per
affrontarli. Nessuna sorpresa. A meno che non fossero sordi, avevano
sicuramente sentito l'allarme lanciato dalle mura.
I
due soldati di frontiera si misero a protezione di Grifon. Garen non
lasciò nemmeno il tempo al suo avversario di estrarre la spada,
bloccandogli la mano sul pomello e colpendolo al naso con un pugno
debole ma preciso. Il movimento di Kilik fù ben più veloce: schivò
un fendente orizzontale abbassandosi e passando al lato della
guardia, colpendo tre volte con il manganello in ferro: sotto alla
costola, collo e nuca.
Altri
tre uomini sopraggiunsero dal primo piano.
- Quanto
manca ancora al salone? - chiese Garen. Nel pieno dell'azione si
stava innervosendo. Anche senza l'intento di uccidere, l'idea di
colpire un onesto soldato non gli piaceva per niente.
- Un
altro corridoio ed una rampa di scale. - rispose gli comandante.
- Allora
vada! Basterà lei per parlare con Maki, lasci noi il resto. -
I
due soldati si lanciarono una rapida occhiata e si capirono al volo.
Entrambi avevano intuito che non sarebbero arrivati a destinazione.
E
così capì anche Grifon. - Non fate sciocchezze. -
- Abbia
fiducia. -
Le
loro strade si separarono; Grifon corse verso una porta sotto alla
scalinata mentre Kilik e Garen impattarono con le guardie.
Grifon
pregò per la salvezza di tutti.
E
non solo per i suoi uomini.
- è
quasi completo. -
La
stanza del sotterraneo doveva essere grande quanto quella del trono
ma quello era l'unico particolare a renderle simili. Non vi erano
spalti a due piani, nulla a che vedere coi divisori posti per chi
veniva ad ascoltare i discorsi di Modus. Inoltre i quattro pilastri
posti agli angoli erano molto più imponenti, a supporto dell'intero
edificio.
L'area
non era stata pulita interamente. Non ve ne era stato il tempo.
L'intenso odore di polvere era ancora così forte da sembrar essere
fuso all'aria che respiravano e le ragnatele negli angoli più remoti
così fitte da poter sembrare una minaccia anche ad un uomo di media
corporatura. Dinnanzi ad anni di reclusione una veloce apertura
quella mattina non era bastata per renderla meno opprimente. E tetra.
Maki
non badò a quegli aspetti, esattamente come ciò che aveva appena
detto Ommanion. Le poche attenzioni che riusciva a concentrare erano
tutte per il gigantesco contenitore di metallo posto al centro della
sala, oppresso tra oscure preoccupazioni e uno sfinimento che gli
pareva eterno. Quando si accorse della sua assenza i suoi occhi si
spostarono di scatto.
- Greguar...Ricordi
l'ultima volta che siamo stati qui? -
- Eravamo
poco più che bambini... -
Hammerstone
era rimasto vicino alle scale, freddo come granito.
Maki,
rappresentante di pace di Raula che infrangeva una legge emessa alla
nascita si Silka, prima ancora che i nomi delle loro famiglie
valessero qualcosa. Gli era stato più volte sottolineato quanto
fosse importante una soluzione immediata, un imperativo più che
condivisibile sebbene non seguito da una scelta esemplare.
Già
combattuto con sé stesso il quadro che si stava delineando davanti
ai suoi occhi non gli rendeva la vita facile: mentre accendeva le
torce posizionate sulle colonne Ommanion sussurrava antiche ed
incomprensibili parole, spargendo oli sui muri di cui era l'unico a
conoscerne origine ed uso. L'intero scenario era lo stesso che
immaginava quando gli era stato insegnato che riti di quel genere
erano grotteschi e spaventosi.
Maki
era il ravuo, ogni sua richiesta ordine.
Condivideva
le sue preoccupazioni e, anche se Maki non lo aveva rivelato
apertamente, le vittime per le strade lo avevano sconvolto. Il suo
volto parlava da solo, come quei movimenti pesanti che sempre più lo
facevano assomigliare ad un vecchio. Era peggiorato progressivamente
negli ultimi giorni e non poteva essere lucido per una scelta tanto
folle. Come poteva?
Dopo
aver sentito del rito per la prima volta, Hammerstone era anche
arrivato alla conclusione di mandare una lettera ai Re e decidere di
destituire Maki per un breve periodo. Cercare di dissuaderlo non era
servito a niente e un azione del genere poteva sembrare un vero e
proprio tradimento...
Non
poteva. Hammerstone non poteva fare niente.
Dopo
aver cosparso anche l'ultima colonna Ommanion lasciò il barattolo di
vetro a terra e si avvicinò al contenitore.
- Ci
dev'essere un altra soluzione. - si lasciò scappare Hammerstone.
- Credi
che a me vada bene? - chiese Maki con voce piatta.
- No… -
- Allora
abbi fiducia. -
Per
la prima volta da quando erano scesi nei sotterranei la voce di
Ommanion si elevò col progredire della formula.
- FERMI!! -
Ebbero
reazioni diverse nel vedere l'uomo sulle scale: Ommanion si
interruppe con spavento, Maki sembrò addirittura sconvolto come se
ad interromperli fosse stato il fantasma del padre. Solo il generale
non sembrò colto in flagrante, preoccupato solo dal dubbio di come
un volto fidato fosse arrivato fino a lì.
- Grifon?
Che ci fa qui? -
- Sono
venuto a fermare questa follia. - dichiarò. - Generale,
ma lei... -
Il
ravuo non gli diede tempo di continuare. - Nessuno dovrebbe
sapere… -
Da
lì in poi produsse balbettii senza senso.
Vedere
Maki in quelle condizioni lasciò Grifon spiazzato. Provò ad intuire
cosa stesse pensando. - Non tema quello che so, quanto
perchè lo sta facendo… -
Mantenne
un atteggiamento pacato, cercando di riflettere la sua calma al resto
della sala. Il generale fece lo stesso con lui, assolutamente sicuro
che non potesse costituire una minaccia. - Come ha fatto ad
entrare? -
- Alcuni
uomini della mia squadra sono venuti con me col solo scopo di
parlare. Spero che una spiegazione sia bastata, in ogni caso ho dato
l'ordine di difendersi . -
Hammerstone
tentò di comprendere l'intero schema. Peccato che le sue parole non
stupirono Maki allo stesso modo. - Greguar, controlla se
corrisponde al vero. -
L'ordine
arrivò rigido ed autoritario. Una lieve smorfia comparì sul viso di
Hammerstone prima che si incamminasse sulle scale. Si fermò a pochi
passi da Grifon, attento a farsi sentire solo da lui. - Dopo tutti
questi anni non ho mai sentito di un gesto così pericoloso, stupido
e allo stesso tempo ammirevole. Per quanto lo apprezzi temo che tu
abbia fatto un errore. -
Il
comandante non fece altro che rivolgergli uno speranzoso sorriso. -
Ognuno di noi è conscio di ciò che giusto e dei rischi
che sta
correndo. Il resto va risposto solamente in Silk. -
Le
sue parole fecero sprofondare Hammerstone in una vergogna che cercò
in tutti i modi di nascondere. Procedette verso il suo compito, dando
la possibilità a Grifon di ritornare al suo. - Mi rendo conto di
essere andato contro al suo volere ma ascolti quello che voglio
dirle. Sono un semplice uomo di Silka e in questo ripongo tutto il
mio essere, così come nei valori che mi sono stati tramandati. -
Scese
a passo lento, incontrando Maki al centro della sala.
Solo
trovandoselo così vicino si accorse di quanto il ravuo sembrasse
sfinito e del suo sguardo freddo al suo cospetto.
- Grifon...
Il suo nome è corretto? -
Il
comandante annuì.
- Io
capisco le sue intenzioni ma non cambierà il mio volere, contro la
mia e la sua volontà. Deciderò successivamente quali saranno le
conseguenze delle vostre azioni. Questo è quanto. -
Forse
era stata quella noncuranza a prenderlo così alla sprovvista, quanto
il come avesse ignorato totalmente l'importanza del loro gesto.
Semplicemente ne rimase ferito.
Quello
non era Maki. Lo aveva visto di persona in rare circostanze e mai
avevano avuto una conversazione, ma quello non poteva essere l'uomo
in cui la città riponeva tanto rispetto. Il suo intento di
proteggere era ovvio ma il suo sguardo e la sua voce non lo
dimostravano. Per niente.
- Non
me lo faccia ripetere una seconda volta. - ribattè Maki.
Il
solo pensiero di concludere così la missione gli fece ritorcere le
budella. Per il momento Grifon si sforzò di trattenersi. - Capisco. -
Lo
disse a fatica e per Maki fù abbastanza. Con noncuranza tornò a
guardare Ommanion. - Prosegui. -
Rimasto
fuori dalla faccenda Ommanion riprese da dove aveva lasciato.
Impietrito Grifon cercò di trovare frettolosamente una soluzione,
distratto solamente dalla ricomparsa del generale nella sala.
Silenziosamente Hammerstone si pose al fianco di Maki. - Pare che
non ci siano state vittime da entrambi i fronti. Tutti i soldati di
Grifon sono stati incatenati e lasciati nel cortile. Attenderanno i
nostri ordini. -
- Attenderanno... -
ripetè Maki.
Grifon
si sentì sollevato. Almeno la squadra era salva! Ma la grande gioia
servì a poco...
Come
poteva il generale accettare tutto ciò? La pensava come Maki?
Si
sentì sul punto di esplodere.
- Vi
prego fermatevi! - esclamò. - CI DEV'ESSERE UNA SOLUZIONE
MIGLIORE! -
Solo
Hammerstone si voltò a guardarlo.
- Portalo
via. - ordinò Maki al generale. - Portalo dai suoi uomini. -
Ancora
una volta il generale annuì. Non trattò Grifon come un prigioniero,
era fuori luogo. Gli fece un cenno col capo e si lasciò seguire,
dandogli le spalle.
Solo
per qualche passo.
- Mi
perdoni... -
Ai
piedi della scala Grifon recuperò la spada e corse verso Ommanion.
Ben più agile di lui Hammerstone lo superò. Inamovibile si parò
tra lui e il suo obbiettivo.
- PERCHè?
IO NON VOGLIO COMBATTERLA! -
Non
gli rispose. Non poteva. Per Hammerstone l'unica cosa rimasta da
proteggere erano proprio Grifon e la sua squadra.
Oramai
Maki era impazzito, almeno era quello che stava pensando, e quel
gesto sconsiderato non avrebbe fatto che peggiorare la situazione.
Forse il rito avrebbe portato nuovamente la pace a Silka, quello era
ancora in dubbio, ma di certo degli uomini coraggiosi non ne
avrebbero pagato il prezzo.
La
spada di Grifon tremava come quella di un giovane che la impugnava
per la prima volta. Il suo spirito combattivo si spense. Nella sua
disperazione si accasciò sul pavimento polveroso. - Maledizione... -
Sofferente
Hammerstone continuò a tenerlo sotto tiro. Nel mentre Ommanion
cominciò a gridare. - MUJE, SEVET, SAFAT! -
Il
curatore si interruppe, facendo calare la sala nel silenzio assoluto.
I
secondi successivi lasciarono Maki basito. L'attesa lo innervosì ma
prima ancora di chiedere spiegazione ad Ommanion si accorse della
corrente d'aria. La leggera brezza crebbe come se si fossero
imbattuti in una forte tempesta, il vento tra i solchi nei vecchi
mattoni fischiò tutta la sua potenza. Nessuno di loro riuscì ad
evitare di proteggersi gli occhi. La polvere presente era ancora
troppa.
Con
gli occhi ben protetti non vennero abbagliati dalla potentissima luce
che si levò dal centro della sala. Durò pochi secondi appena. Tutto
ritornò come prima ad eccezione delle torce che rimasero spente.
Avvolto
dall'oscurità Maki cercò invano gli altri.
- è
finita? - chiese alla cieca.
- Si. -
confermò Ommanion con voce tranquilla. - è finita. -
- E…cosa
è successo? -
- Ora
la città è al sicuro. -
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Capitolo 8 *** TRE (2\2) ***
TRE 2 _2
Anche
se la maggior parte delle guardie stava gestendo i prigionieri nel
cortile, le due occupate a sorvegliare le camere di Irakua erano
rimaste davanti alla porta. Asa si era seduta sul bordo del
letto, inquieta. Dall'incidente Irakua l'aveva pregata di stare con
lei ogni notte, richiesta a cui aveva accettato senza indugi. Le
piaceva poter passare del tempo in quella parte del castello, la casa
che divideva con la madre non erano così confortevole.
Inoltre sapeva che c'era qualcosa che non andava. Bastò qualche
giorno
per rivedere la solita Irakua, serena e gioviale, ma alcuni dei suoi
gesti mostravano un flebile sforzo, come se volesse nascondere quanto
l'episodio
l'avesse scossa.
- Asa… -
Ancora assopita Irakua non aprì nemmeno ad aprire gli occhi. - Lo
senti anche tu? -
- Di
che parli? -
Senza
la minima prova di cosa stesse parlando Asa provò a cercare un
suggerimento tra le ombre sui muri. Ci volle un po' per accorgersi
del tiepido calore sotto di loro. Sempre più velocemente il
materasso diventò incandescente. Stranita, Irakua si sollevò con le
mani mentre i timori di Asa la fecero destare completamente. Cercò
di prendere Irakua per un polso per spingerla via ma le sembrò di provare a spostare un
macigno. Spinta via da una forza estranea lasciò la presa, cadendo
pesantemente sul pavimento.
- ASA! -
Irakua cercò di raggiungerla ma i suoi piedi rimasero bloccati tra
le lenzuola. - ASA! -
La
porta della stanza si spalancò fragorosamente. Le guardie avevano
sentito le urla. Vennero colpiti da un forte vento anche se le
finestre erano chiuse. Sia Asa che gli uomini cercarono di
raggiungere il letto, bloccati.
- ASA!
AIUTAMI TI PREGO!!! -
Per quanto spingessero
le loro mani non oltrepassavano una distanza di pochi centimetri. Come trovarsi davanti ad un muro invisibile.
Continuarono
a provare fino alla colonna di luce. Irakua
sparì all'interno dello stesso bagliore. Continuò a gridare fino a quando tutto cessò.
Il
respiro di Asa si alternò ai singhiozzi. Poi la vide. Ancora nella
stessa posizione, Irakua era totalmente incolume.
Ringraziando
Silk Asa la raggiunse, piangendo ancor più forte. - Oh, aim…aim… -
Non
riusciva a fermarsi. Il senso di impotenza, mischiato alla
preoccupazione, la stavano soggiogando. Fortunatamente Irakua stava
bene.
Cercò
le sue mani, capire cosa fosse successo...
...ma
Irakua non reagì. Teneva lo sguardo fisso sul materasso. Nuovamente
le speranze della damigella crollarono.
- Come Stai Ika? Ti prego,
risp... -
Il
gesto fù improvviso. Continuando ad ignorarla Irakua appoggiò i
piedi a terra e si mise in piedi. - Devo andare. -
La
sua voce uscì era così tenue che a stento riuscirono a sentirla.
- Dove?
Cosa succede Ika? Dimmi qualcosa, ti prego... -
Forse
non poteva sentirla. Provò a chiamarla ancora, senza risultato, mentre una delle due
guardie si mise tra Irakua e la porta. - Cerchi di capire, ci è
stato dato l'ordine di non farla uscir... -
Le
parole gli si bloccarono in gola. Non riuscì vedere da dove
fosse uscito quel braccio ma solo cosa gli appoggiò sul collo: Un
coltello abbastanza largo da squarciargli la gola con un solo
movimento.
Asa
gridò per lo spavento. Tutti i presenti si immobilizzarono.
Incurante
della scena, Irakua continuò il suo cammino.
Verso il salone nei
sotterranei.
Hammerstone
riaccese tutte le torce, riportando l'illuminazione nella sala ad una
tenue penombra.
- Ommanion,
io non capisco… - balbettò Maki.
- Porti
pazienza. Presto dovremmo conoscere i risultati dei nostri sforzi. -
Spazientito,
il ravuo provò a mettersi il cuore in pace. Nell'attesa poteva
risolvere un altra questione. Si avvicinò a Grifon. Senza un
adeguata sorveglianza, il comandante non aveva provato
alcun gesto avventato.
- Chiamerò
qualcuno che li scorti in una cella. - dichiarò Hammerstone.
Il
ravuo lo ignorò. - Solo gli uomini che sono venuti al castello
verranno imprigionati. Per quanto riguarda il comandante Grifon, la
punizione sarà diversa. Avrei potuto anche comprendere i motivi che
l'hanno portata qui, ma ha ignorato una mia richiesta e cercato di
ferire un fedele servitore del regno... questo è tradimento. -
Il
cuore del generale iniziò a battere irregolarmente.
Dopo la magia, anche una condanna a morte?
Ed
è proprio a lui che Maki si rivolse. - Sarai tu, Greguar, a
eseguire la sentenza. -
La
sua risposta arrivò repentina. - Mi rifiuto. Grifon verrà messo a
processo. -
- VUOI
FORSE DISOBBEDIRE AD UN MIO ORDINE??? -
- Fermatevi
tutti. -
Anche
se tenue, Maki riconobbe subito la voce. Non appena la vide scendere
le scale la rabbia lasciò spazio ad una cieca paura. Aveva
espressamente ordinato ai suoi uomini di non fare uscire Irakua dalle
sue stanze e, in cuor suo, che non scoprisse mai ciò che stavano
facendo. Invece era lì.
Precipitosamente
la raggiunse. - Irakua, che cosa… -
Bastò
guardarla negli occhi per capire che c'era qualcosa di strano in lei.
Appariva stanca ed assonnata, da più vicino completamente assente.
Inoltre, chiunque avrebbe fatto domande dopo aver sentito l'allarme o
vedendo i prigionieri nel cortile. Irakua no. Non mostrava la minima
preoccupazione.
- Non
uccidetelo. - disse lei. - Ci servirà. Come tutti gli altri. -
Senza
nemmeno che Maki se ne accorgesse, i ruoli si erano invertiti. Non
più colui che nascondeva la verità, ma quello che non capiva.
- Gli
uomini che sono stati catturati. Falli portare qui. -
- Perchè? -
la voce di Maki si fece quasi disperata. - Irakua, ma che sta
succ... -
- Sarò
io ad avverare il tuo desiderio, padre. Riporterò la sicurezza a
Raula, esattamente come tu vuoi. -
E
lì fù chiaro. Hammerstone ed Ommanion rimasero incerti sul da
farsi, Grifon confuso. Il ravuo devastato. Abbattuto, abbassò
lo sguardo. - Sarà fatto... -
Si
incamminò verso le scale. Hammerstone lo raggiunse, camminando
al suo fianco. - Dove stai andando? La questione non è finita. -
Il
ravuo si fermò di soprassalto, lanciando all'amico uno sguardo
affranto.
Irakua
era stata coinvolta. Il resto non aveva più senso.
- Volevo
fare la cosa giusta. -
Ricominciò
a camminare. Fermo, Hammerstone lo seguì con lo sguardo mentre saliva le scale. Sarebbe stato
bellissimo fare lo stesso; chiudere quella faccenda come se non fosse
mai avvenuta. Non poteva. Vedere coi propri occhi le intenzioni di
Irakua aveva la priorità.
- Generale
Hammerstone? - nel silenzio della sala, la voce di Irakua era
ancora comprensibile.
- Dimmi
Irakua. -
- Prenda
quattro uomini. Insieme, portate ogni prigioniero. -
Hammerstone
ebbe un attimo di esitazione. - Ha intenzione di ucciderli? -
- Nessuno
di loro morirà. Non questa notte. -
Ancora titubante Hammerstone seguì gli ordini. Poco dopo ritornò con quattro soldati che controllavano la fila di prigionieri.
I
sentimenti di Grifon sbalzavano velocemente tra il fallimento e ciò
Irakua poteva avere in serbo per loro. Nonostante ciò, fù un
sollievo vedere ogni partecipante alla missione camminare sui propri
piedi. Le esche del ponte non parevano ferite, Jojer, Kimistro e
Garen avevano macchie di sangue e lividi su braccia e testa.
Quando
tutti furono fatti inginocchiare nei pressi della scala, Irakua si
fermò a pochi passi dal contenitore di metallo. Tracciò una linea per aria. Il suo movimento parve
lineare e preciso, proprio come la luminosa incisione quadrata che si delineò
sul pavimento. Si sollevarono sottili pareti
trasparenti, il cubo si completò. La superficie si fece densa, fino a
diventare completamente nera.
La scena lasciò sia i soldati, che gli uomini di Grifon
increduli. In pochi trovarono il coraggio di commentare.
La
parete si dissolse. Al suo interno non vi era più nulla; il
contenitore svanito insieme al pavimento su cui era appoggiato.
Gli
occhi spenti della ragazza si soffermarono su uno dei prigionieri.
- Portatelo
qui. -
- Io
sono il responsabile di ciò che è accaduto! - esclamò Grifon. - Abbiate clemenza con i miei uomini. -
Un
paio di guardie continuarono a procedere verso Smer.
- AVETE
VISTO?? - gridò Smer. - PIETà VI PREGO!! -
L'uomo
cercò
disperatamente di divincolarsi. Dopo un paio di
tentativi riuscirono a sollevarlo di peso e portarlo nelle
vicinanze di Irakua.
Le suppliche di smer non portarono alcun risultato, amplificandosi
quando venne gettato nel fosso. Anche gli uomini che lo avevano
portato lì rimasero agghiacciati. Si trovarono davanti ad un
fosso
di almeno venti piedi di profondità. I mattoni perfettamente
intagliati come se il foro per terra fosse sempre sato lì. Un
perfetto cubo. Si allontanarono velocemente, senza il
coraggio di alzare gli occhi.
Irakua
sollevò entrambe le braccia. Bastarono tre parole in un
irriconoscibile lingua ed una grande fiamma purpurea si sollevò dal
fondo della fossa. Le urla di Smer si fecero disumane.
- Lo
sta bruciando! - esclamò qualcuno.
Un
minuto, forse due e le sofferenze di Smer finirono. Il fuoco si
affievolì, lasciando solo una densissima coltre di fumo che si
espanse nell'aria circostante. Le torce rimasero alte ad illuminare
il centro della sala. Molti dei suoi compagni distolsero lo sguardo,
altri pregarono per il compagno caduto.
Poi
sentirono i colpi.
Un
primo tonfo, seguito da un altro. La nebbia si era propagata per gran
parte della sala. Nonostante la densità una figura si sollevò in
piedi, crollando sulle proprie ginocchia dopo un paio di passi.
Metà del suo corpo fù ben visibile. Apatica, Irakua rimase ad ammirare la sua creazione. - Accogli la
tua nuova natura. -
Non
poteva essere Smer. La sua figura era imponente, almeno cinque volte
l'uomo più grosso nella sala. Il volto si era allungato come
quello di
un felino, la muscolatura ingigantita ed un paio di grosse ali ossute
erano comparse dietro la schiena. Il corpo era interamente cosparso di
peli, fatta eccezione del petto muscoloso. Esclamazioni di orrore
echeggiarono per le mura. Irakua le appoggiò una mano sulla
fronte. - D'ora in avanti il tuo unico obbiettivo sarà quello di
proteggere la città e i suoi cittadini. -
Mentre
parlava una forte luce si manifestò sul petto della bestia che ruggì ferocemente.
- Sadarac.
Così ti chiamerai. -
Non
appena quella luce sparì la creatura crollo a terra,
inerme.
- Portatelo
via. - ordinò Irakua.
Dinnanzi
a quell'orrore Hammerstone non riuscì più a rimanere impassibile.
Fece qualche passo verso Irakua ma le grida di Grifon sovrastarono
ogni commento, facendolo fermare.
- SMER!
CHE TI HANNO FATTO? RISPONDIMI SMER!!! -
Irakua
indicò proprio il comandante Grifon come prossima vittima. Debole e
disperato, non oppose nemmeno resistenza.
- CHE SIGNIFICA
HAMMERSTONE? CHE SIGNIFICA TUTTO QUESTO? -
Per
il generale la mancanza di una risposta fù la pietra
tombale sulle sue ultime forze. Rimase a guardare mentre lo
trascinarono. Grifon venne buttato nella fossa ed Irakua ripetè le
stesse parole, ricominciando il ciclo di urla e ruggiti. Nulla era
cambiato, nemmeno le sembianze del Sadarac che venne fuori o l'ordine
che gli venne impartito prima che perdesse conoscenza.
Uno
alla volta gli uomini di Grifon subirono la stessa sorte, alimentando la
durata del processo. Impotente, Kimistro piantò lo sguardo a terra, ascoltando i denti di Garen digrignare.
Dovevano
essere finiti in un altro regno. In una lontana era dove l'uomo non
aveva ancora imparato cosa fosse il rispetto per la propria specie.
- Maledetti… -
Solo
Kimistro sentì il suo compagno mentre Jojer, al fianco di Garen,
venne alzato da terra. Come altri il giovane provò a chiedere pietà,
ottenenendo solamente il dispiacere degli uomini incaricati di
trasportarlo. Secondo Kimistro non provavano nemmeno a nascondere la
paura che li stava muovendo. Erano schiavi di ciò che avevano appena
assistito e loro un manipolo di traditori. Al loro posto non si
sarebbe ricoperto d'onore.
In
quel momento Garen fece esplodere la sua rabbia. - POTETE BRUCIARE
LE NOSTRE ANIME E FAR FINTA CHE NON SIAMO MAI ESISTITI. IL NOSTRO
ESSERE ALIMENTA IL FUOCO DELL'ORGOGLIO DI SILKA. -
Ogni
uomo presente finì per guardarlo. Non Irakua. Da quando era scesa in
quella sala sembrava aver perso il dono dell'ascolto.
- MI
VERGOGNO PER ME STESSO E PER TUTTI QUELLI CHE HANNO DATO LA VITA PER
VOI. NON SIETE MERITEVOLI DI SILKA! NON SIETE MERITEVOLI DI RAULA! ED
UN GIORNO QUALCUNO VE LA FARà PAGARE... -
Si
zittì, accasciandosi al suolo. Pensò a Grifon e ai compagni che
aveva appena perso. Pensò alla sua famiglia e a ciò che sarebbe
potuto accadere alla città in futuro. Quali speranze potevano avere
ora?
Sentì le ginocchia staccarsi dal suolo e i
piedi strisciare sul pavimento. L’impatto con il terreno fù
doloroso ma ormai superfluo. Gli rimase solamente la forza di alzare
gli occhi al cielo e dire poche parole. - La città vi punirà. -
Una
vampata di calore gli salì dalla bocca della stomaco. Le fiamme si
propagarono fino a consumarlo.
Dolore.
Devastante e cieco dolore.
Venticinque,
giganteschi, corpi erano stati ammassati su un angolo esterno della
stanza. Quando ebbe finito, Irakua si rivolse al generale e alle
guardie che avevano appena finito di spostare l'ultimo Sadarac. -
Portateli nelle prigioni. Per molto tempo non dovranno avere
alcun rapporto con un altro essere umano, il loro cuore deve
dimenticare la malvagità con cui si sono macchiati. Durante
tutto il
processo ho fatto in modo che nessuno sentisse alcun rumore
proveniente da qui. Al momento la verità porterebbe nuovo caos,
perciò vi
invito perciò a non parlarne in giro. Se lo farete io lo
saprò e
verrà considerato tradimento. Abbraccerete la causa dei Sadarac.
-
Nel
vedere la paura nei loro occhi Irakua proseguì. - Questi traditori
rinasceranno e daranno a Silka una protezione mai avuta prima.
Credete in me e non dovrete temere più nulla. -
Una
volta concluso li abbandonò nel sotterraneo.
Lo sguardo delle guardie si focalizzò su Hammerstone.
- L’avete
sentita? - disse freddamente. - Portateli nella prigione. -
- Ma
signore… -
- Se
fossi in te non direi altro. È un ordine e va rispettato. -
Il
soldato provò a ribattere ma si bloccò in tempo. - Come
desidera. -
Quando
il generale lasciò il sotterraneo gli uomini avevano appena finito
di organizzare lo spostamento. Ipotizzando quanto le creature
pesassero, ci avrebbero messo tutta la notte.
Resistette
fino al cortile prima di fermarsi, tremante e con la fronte
completamente sudata. Più volte aveva vacillato nel cammino,
sentendo lo stomaco rivoltarsi su sé stesso.
Come
poteva poteva Irakua considerarli traditori quando erano gli unici ad
aver fatto la cosa giusta? Come avrebbero spiegato la presenza dei
Sadarac alla gente? E alle altre città?
Ormai
ne era assolutamente certo. Le urla che aveva sentito in quel
sotterraneo lo avrebbe tormentato per tutta la notte. Forse per
sempre.
Proprio
come le conseguenze.
La
festa andava avanti da ore. Nessuno dei banditi si preoccupò della
confusione che stavano facendo, sapendo che non vi erano persone nella
regione di Numura col coraggio di avvicinarsi al rifugio. Figurarsi
interromperli.
Lurcas
sbucò da una delle siepi vicino all'accampamento. Era
rozzo, si riconosceva tale, ma le cicatrici sul corpo gli avevano
insegnato ad essere cauto, gli amori finiti a mantenere un briciolo
di classe.
Vantavano
cinquanta uomini, numero in costante incremento come le loro
ricchezze. Pensando a quella inimmaginabile lussuria quasi si
commosse.
Era
stato il destino a volerlo. Solo un Dio benevolo li aveva salvati
dalla miseria a cui erano abituati.
Raggiunse
il focolare centrale, il più maestoso che avevano disposto. La sua
dama lo stava attendendo con un malizioso sorriso. Non poteva
rilassarsi con lei, non ancora. A causa del vino che cominciò a
farsi sentire, dovette cercare tra tutte le brutte facce presenti. Si
era allontanato, come sempre.
Imperdonabile.
Anche se aveva giurato con evidente controvoglia, aveva promesso.
Avrebbe partecipato!
- Bond! -
esclamò.
- Cosa
c’è? - chiese un bandito seduto al cerchio del focolare.
- Che
fine ha fatto Kuro? -
- L’ho
visto passare tra gli alberi, non so cosa sia andato a fare… -
Al
pensiero di addentrarsi nella foresta, la vista di Lurcas vorticò in
anticipo. Prima però guardò la sua dama. Non aveva di certo
dimenticato le buone maniere. - Perdonami, amore mio. Devo chiederti
di pazientare ancora un pò. Il ragazzo è giovane, deve imparare a
godere delle gioie della vita. -
Non
sembrò essersi offesa, mandandogli un bacio per aria.
Con
un sorriso smagliante il capo dei banditi passò tra i suoi
uomini. Quando l'oscurità lo avvolse fù facile perdersi nei
ricordi.
Come
fosse ieri. Dieci anni erano già passati.
Lo
avevano incontrato solitario nel passaggio di montagna, con occhi
pieni di disgusto e malvagità. Diceva che stava cercando uomini e
non mostrò la minima paura, nemmeno quando Ragae scese da cavallo
con la mazza tra le mani. Il bambino non sembrò gradire quello
sguardo sprezzante. Lurcas considerò la mossa di Kuro un vero tocco
di classe: Con qualche strano potere lanciò Ragae contro un grosso masso
nelle vicinanze.
Gli
uomini rimasero terrorizzati, così come Lurcas, prima che
realizzasse il potenziale di quell'incontro. Qualsiasi cosa volesse,
qualsiasi cosa fosse, valeva la pena tenerselo stretto. Mai una
scelta nella sua vita si era mai rivelata così azzeccata.
Più
uomini. Più guadagno. Più forza.
Kuro
insegnò a quel gruppo senza destino la sua mentalità. Condivise con
loro il potere, li rese unici. In cambio chiese tempo per diventare
più potente e che tutti loro desiderassero diventare migliori,
superiori.
Anche
dopo aver superato la foresta, il fracasso della festa era altissimo.
Lo trovò qualche metro più avanti, seduto su un albero crollato. Lo sguardo fisso all'oscuro orizzonte.
- Le
parole hanno un valore, Kuro... -
In
ogni loro conversazione il rispetto rimarcava ogni parola, un aspetto
del loro legame che entrambi amavano fortemente. Dall'alto delle sue
capacità Kuro non aveva mai trattato nessuno con superiorità e
Lurcas non si era mai comportato come schiavo.
Troppo
preso dai suoi pensieri, il ragazzo non gli diede retta.
- Kuro… -
riprovò Lurcas.
- Ho
sentito qualcosa.. -
- Certo
che si, con tutta la confusione che stiamo facendo... -
- Non
qui... -
Lurcas fece un passo avanti. - Lo
sai che certe cose devi spiegarmele bene... -
Si
portò al fianco di Kuro, vedendogli nello sguardo tutto l'odio che
stava provando. Sprizzava voglia di uccidere.
Capendo
che stava provando emozioni unicamente umane, Kuro cercò di ritrovare
la calma. - Ho trovato qualcun'altro. -
Anche
se ci provava, rimase sempre una nota di risentimento.
- ...Qualcun'altro? -
- Qualcun'altro
come me, Lurcas, non sono più solo. -
Ritornata
alla stanza, sia Asa che le guardie erano sparite. Irakua si sedette
sul letto, passando qualche minuto a guardarsi le mani. Avrebbe avuto
il tempo di maneggiare quel corpo, imparare ogni cosa. Faceva parte
degli accordi.
- Come
ti senti? -
La
voce alle sue spalle non la sorprese. Sapeva che molto presto si
sarebbe presentato a lei. E già sospettava di chi si trattasse.
- Non
ha alcuna importanza. - rispose.
Si
girò a guardarlo. Rispetto agli altri uomini che aveva visto quella
notte lui non aveva né una chiara forma o dettagli, trovandolo
comunque bellissimo.
- Molto
bene. - l'uomo ombra svanì nel muro. Nello stesso punto comparì
un largo cerchio da cui uscirono tre uomini legati ed imbavagliati.
Il foro nel muro si strinse abbastanza per far passare nuovamente il
busto dell'uomo ombra. - Proprio come vi avevo spiegato: quattro
comandanti. Questi tre non hanno voluto credere alla nostra storia e
ora sanno troppo. Come avete intenzione di procedere? -
- Verranno
trasformati in Sadarac, come le guardie che sono scese nel
sotterraneo e tutti quelli con cui hanno parlato. Una volta liberi
per la città nessuno potrà scoprire quanti sono. - Irakua si
interruppe un attimo. - Non possiamo farlo qui. -
- Non
è un problema. Posso riportarli dove li tenevo fino a domani
mattina. Come preferisci, mia regina. -
La
ragazza si alzò, guardando il cielo notturno da dietro la tenda.
- è
andato tutto a meraviglia. - affermò l'uomo ombra.
- Spero
solamente che il dominatore capirà... -
- Certo
che si. Il futuro è dalla nostra parte. -
Un
mugolio fece girare Irakua verso uno dei corpi. Due erano
incoscienti, il terzo la osservava, cercando di parlare. Non riuscì
proprio a capire cosa stesse provando.
- Risolvo
io. - Allungandosi dalla sua postazione l'uomo ombra strinse l'uomo
per le caviglie, trascinandolo dentro al buco.
Urlare
non servì a nulla.
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